Unspoken

di FreienFall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Ciao a tutti, ho dovuto interrompere temporaneamente l'altra FF a cui lavoro perché ho sognato una parte di questa nuova storia e ho sentito il bisogno si scriverla immediatamente. Spero vi piaccia e che lasciate delle recensioni. Buona lettura! Chiara. :)

Unspoken
 
«Hey Tom, vieni a vedere! Klaus sta picchiando uno del primo anno!»
Quel coglione di Markus interrompe gli accordi precisi che intono con la mia Gibson per una stupida rissa … come se non ne avessi viste già un centinaio nei cinque anni che ho trascorso in questa scuola. Alzo lo sguardo indifferente e annoiato verso il sorriso ebete del mio amico idiota «Sai che novità Mark! Klaus non fa altro da mesi, che cosa ha combinato il poveraccio di oggi per meritarsi i pugni?» chiedo con voce fredda, guardando un punto nel vuoto alla mia destra, ancora seduto sul gradino del cortile con le spalle poggiate al muro della palestra e la visiera del cappello calata sullo sguardo, assolutamente impassibile al trambusto che sento in lontananza. «Dai Tom alzati, questa non puoi perderla! A quanto pare è stato il novellino a cominciare perché Klaus aveva detto qualcosa su sua madre o sua sorella, ora non ricordo …» si ferma un attimo pensieroso senza togliersi quell’espressione da demente, forse dovuta anche alle sue guance paffute sempre rosse e ai suoi occhi tondi come biglie. Madre natura si era davvero divertita con lui, regalandogli quella bella faccia sempre inebetita. «Ma che importa, sbrigati!» mi fa un cenno e poi si volta correndo verso la folla di curiosi.

Poso la chitarra alla mia destra, tiro su i jeans decisamente fuori misura dalle ginocchia e mi alzo, tanto ormai ho perso la calma per suonare. Cammino lento verso la folla, nessuno mi nota e piano piano mi faccio largo tra gli studenti acclamanti. Arrivato in prima fila, vedo Klaus in tutto il suo metro e novanta centimetri di possenza sovrastare materialmente un ragazzo gracilino, troppo basso anche per essere uno del primo anno e con la prestanza fisica di un lanciatore di coriandoli. Strano che non ho notato prima il novellino, con quella t-shirt oversize che arriva quasi alle ginocchia, i jeans neri attillati e il berretto NY Yankees sembra proprio il mix perfetto tra il mio stile e quello di mio fratello.
La matricola, con le spalle a terra e probabilmente quasi soffocato dalla massa muscolare di Klaus, si dimena cercando di prenderlo a cazzotti in faccia ma è completamente scoordinato: per ogni volta che agita le braccia senza colpirlo si becca un colpo preciso e potente in pancia. «Hey ma da quanto va avanti così?» chiedo con un cenno alla spalla di quello che mi sta a fianco, il quale senza nemmeno voltarsi mi risponde che erano almeno cinque minuti buoni che il piccoletto le prendeva. Mi guardo intorno in quel mucchio esaltato e trovo Johan e Joseph, amici d’infanzia, inseparabili, per la mole di ottanta kili l’uno, che raggiungo con due passi di corsa. «Ragazzi direi che la cosa è durata abbastanza, voi prendete Klaus, io penso al novellino- esordisco imperativo, senza essere in qualche modo partecipe o coinvolto, mosso solo da un distaccato e moderato senso del dovere. Le loro espressioni si susseguono identiche tra loro: prima sorpresa, poi disappunto, poi abnegazione «Che palle Tom, sempre a rovinare la festa!» si lamenta Joseph ma comunque mi segue mentre mi avvicino al centro del cerchio, dove il piccoletto aveva appena preso un sinistro sullo zigomo per essere riuscito a centrare con uno dei suoi il naso di Klaus.

Faccio un gesto ai due bodyguard che si avventano su Klaus, il quale urla e sbraita, dimenando braccia e gambe e imprecando cose irripetibili. Io mi getto sul ragazzo ancora a terra «Hey tutto bene? Alzati forza» lo acchiappo per le ascelle e lo tiro su, avendo conferma del fatto che non poteva pesare più di cinquanta kili. Non oppone resistenza ma il suo sguardo è ancora pieno d’odio mentre lo trascino verso la palestra, dove prendo la chitarra per poi allontanarmi ancora.
Mi fermo alla fontanella dietro la palestra «Sciacquati la faccia che sei tutto pieno di terra- indico l’acqua trasparente che sgorga «Hai scelto di gran lunga la persona sbagliata con cui fare a botte, direi che ti ha conciato per le feste!» lo guardo con occhi di rimprovero, come se fossi suo padre. «Quel coglione ha davvero esagerato, non doveva permettersi! E si può sapere chi ti ha chiesto di intervenire? Guarda che me la cavavo perfettamente, dovevi lasciarmi stare! Gliela avrei fatta pagare anche a costo di svenire!» mi urla due centimetri dalla faccia, gesticolando animatamente con il fiatone per la rabbia. Non mi tocca, può dire ciò che vuole, ho fatto quello che andava fatto e lo sa meglio di me. «Come vuoi ragazzino, ma pensa a dove saresti adesso se io non fossi intervenuto. Ora lavati la faccia e riprendi il controllo» nemmeno alzo la voce, ormai l’indifferenza è la mia carta Jolly per ogni situazione; la sua rabbia, il suo risentimento sono estranei a me, non m’interessa né di lui né dei suoi problemi.

Il ragazzo porta le mani al viso che acquista nuovo rossore con il contatto con l’acqua gelida; si butta a terra con la testa tra le mani in silenzio, mentre io mi accendo una sigaretta con un lungo tiro. Fumo con calma, guardandomi intorno con tranquillità e quello ancora non si muove; che tipo strano: uno che fa a botte con il più grosso della scuola, famoso per le costole incrinate e i sopraccigli rotti, e dopo averle prese non se ne pente ma vorrebbe solo tornare a picchiarlo. Sento il calore della sua rabbia pervaderlo e imporsi come un muro contro tutto quello che gli sta intorno, quella forza vitale, quello slancio passionale si scontra anche con me. Io ho smesso di struggermi, ho smesso di devastarmi con le emozioni. Ognuna di queste è distruttiva, è un tornado che polverizza ogni cosa. Non mi troverò più a terra, non sarò più annientato, io devo essere il pilastro, io sono quello che deve restare in piedi, quello su cui appoggiarsi, su cui fare affidamento, per una sola persona però, per mio fratello. Lui ha bisogno di me interamente concentrato su di lui, attento solo al suo bene; abbiamo sofferto troppo entrambi, siamo stati sconfitti, sbaragliati, annullati, abbiamo scavato nel fondo del burrone nel quale eravamo caduti. Uno dei due ha dovuto tirare su entrambi e sono stato io: il giorno in cui l’ho fatto ho giurato che niente assolutamente niente avrebbe potuto farmi tornare in quello stato di oblio di dolore e di nichilismo della personalità. Nulla mi avrebbe più toccato, nessuno avrebbe più meritato la mia compassione o comprensione se non Bill.

Getto a terra la sigaretta e la spengo con la scarpa, i movimenti nervosi forse un po’ tradiscono i miei pensieri al di fuori del mio sguardo freddo «Ok senti io me ne vado è stato un piacere» la mia voce è calma ma le mie mani strofinano irrequiete i pantaloni. Faccio per andarmene «Senti mi dispiace avrei dovuto ringraziarti per avermi tirato fuori da quel pasticcio» ora il ragazzo è in piedi davanti a me e si tortura le mani senza tuttavia abbassare gli occhi verde scuro come la chioma dei pini, puntati fissamente dentro i miei. «Tranquillo siamo a posto, ora devo andare davvero» una sorta di turbamento mi sale dalle estremità del corpo, sento come una puntura di spillo dietro la nuca. Qualcosa non mi torna, qualcosa mi sfugge, c’è qualcosa di quel ragazzo che mi attira; non riesco a capire, più ci penso e più rimango incatenato al dubbio. Colgo l’avvertimento del mio corpo, qualunque cosa sia non voglio approfondire, non devo approfondire, devo solo andare via.
«No no dai aspetta» mi trattiene un braccio ed io mi gelo ancora mente fisso il suo viso con lineamenti dolci, lo zigomo destro più rosso dell’altro, una piccola ferita al labbro inferiore, gli occhi pieni di vita, impetuosi. «Scusami per prima, ho esagerato ad urlarti contro, tu c’entri nulla. Io non volevo attaccarti in quel modo, la rabbia aveva preso il controllo di me e … davvero mi dispiace, tu sei un ragazzo a posto e non vorrei che per questo magari ti facessi un’idea sbagliata di me» il suo corpo trasuda insicurezza, dalle mani, dalla voce, solo gli occhi sono sicuri, sinceri «Comunque mi chiamo Ari piacere di conoscerti». Quasi mi si gela il sangue nelle vene.

È una ragazza.
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Ciao a tutti, ecco il secodno capitolo di Unspoken! Spero che vi piaccia e che recensiate, sia positivamente, sia negativamente. Ringrazio di cuore chi segue questa storia e chi l'ha recensita. Buona lettura! Chiara.

2.


Rimango attonito, senza fiato, con le labbra semiaperte, il battito del cuore regolare che mi rimbomba nel petto e nella testa. Una ragazza. È una ragazza cristo. Impossibile, nessuna ragazza avrebbe mai fatto a botte con quella montagna di Klaus, nessuna ragazza avrebbe mai fatto a botte in generale!
Ma che c'entra, questa non è la cosa importante. Come ho potuto non accorgermene? Forse è l'abbigliamento, i capelli nascosti sotto il berretto, il viso pulito, senza trucco. Non capisco. Qualcosa che non mi tornava c'era e i suoi occhi mi avevano parlato certamente, ma in una lingua che non conosco. Forse proprio per questo avrei dovuto capire. I suoi occhi mi parlano anche ora mentre io sono immobile come uno stupido.
Ma non è neanche questa la cosa più importante, idiota che non sono altro! È il legame, lo sento, lo schivo. Un nesso sottile, invisibile, ma percepibile, qualcosa che mi ha fatto capire che dovevo andare via. Dio non l'ho fatto! Niente legami Tom, niente legami! È la prima regola! Devo spezzare quel filo che inspiegabilmente mi lega a lei, devo troncare subito. «Hey?! Quantomeno vorrei sapere il tuo nome!» la sua espressione ora è divertita e io mi scuoto dai pensieri stupidi che mi affollano la testa «Si scusa pensavo ad altro, Tom, mi chiamo Tom» stringo la sua mano sospesa davanti a me, la stretta è salda e lunga. «Da quanto tempo suoni? Amo la musica ma a suonarla non sono davvero capace, mi suoneresti qualcosa?» mi guarda come se fossi la persona più importante al mondo, come se ogni momento dovesse essere vissuto e spremuto fino alla fine prima che fugga via «Ehm, io suono da sempre, insomma da quando mi ricordo ho sempre suonato» sistemo il cappello dietro la nuca e subito dopo la visiera, sono a disagio, non so se voglio rimanere ancora qui. «Posso?» mi chiede tirando un sorriso e indicando la chitarra che avevo in mano, non faccio nemmeno in tempo a rispondere che lei si siede a terra e impugna la chitarra improvvisando. In un attimo sono a fianco a lei e le spiego come tenere le braccia, come posizionare le mani e come suonare un paio di note. «Accidenti è difficile, te l'ho detto che non sono brava, suona tu» di nuovo gli occhi, dal disegno delicato, grandi, con le iridi dipinte di intricati arabeschi, puntati sull'imbarazzo celato dei miei «Per favore!».


Acconsento, delicatamente prendo la chitarra e mi concentro solo su di lei. Il legno chiaro mi calma, le corde tirate sono come una calamita per le mie mani che appena vi si posano smettono di tremare. Inizio a suonare e Ari mi fissa incantata, poi pian piano si lascia andare e chiude gli occhi mentre io mi perdo nella mia musica: torno ad uno stato di pensiero in cui il linguaggio sono le note e le emozioni si esprimono davvero, senza bisogno di spiegarle, sono nudo.
Finisce il pezzo, riapro gli occhi, tornando alla realtà di tutti i giorni piena di finzioni e di maschere, richiudendo me stesso in un cassetto. Ari è ancora ad occhi chiusi, si è tolta il cappello e ora mostra un caschetto castano scuro poco sopra delle spalle, le braccia incrociate posate sopra le ginocchia, il respiro leggermente accelerato. La fisso in silenzio, mentre combatto con me stesso, mi piace, si vede, ma non è come le altre, non è una botta e via. Per questo non posso, il mio corpo si irrigidisce, ho i muscoli in tensione, le mani nervose. Poso la chitarra a terra «È stato bellissimo» sussurra dischiudendo gli occhi, io sussulto e mi giro di scatto verso di lei.
Quella frase bisbigliata con voce roca, sembrava un invito allettante, un empio segreto sconfessato, una provocazione ardita che mi aveva preso alla sprovvista, tanto che il mio corpo di nuovo reagisce con un brivido.
I nostri visi sono a una distanza quasi impercettibile. Ari mi guarda senza rimpianti, pronta, audace e quelle labbra carnose e sode di un colore così naturale, sono invitanti e sembrano contenere un soave piacere e un'impetuosa tempesta. Siamo ancora più vicini, gli occhi chiusi, partecipi l'uno dell'altra solo con il respiro. Sento il profumo della sua pelle, il calore del suo sospiro, vorrei prenderla in quel momento, bere dalle sue labbra, scottarmi con il suo corpo. Non posso farlo! Devo tornare in me! Devo controllare il mio corpo, il mio cuore! Le sue labbra toccano le mie bramose, sto perdendo il controllo o forse l'ho già perso, devo alzarmi, devo andare via ora prima che sia tardi. Mi allontano di scatto con una smorfia quasi di dolore sul viso, il cuore così forte da sembrare un tamburo, mi alzo scombussolato e teso «D-devo andare» la voce mi tradisce, forse anche il viso e gli occhi mi tradiscono, è da tanto che non mi mostro turbato, mi fa paura. Ari ha il fiato mozzo, l'espressione di chi ha interrotto il piacere nel momento più bello, le sopracciglia aggrottate, le labbra poco dischiuse, gli occhi ancora pieni di desiderio insoddisfatto. Prendo la chitarra e quasi scappo mentre lei rimane immobile senza dire una parola.

Apro la porta di casa, il tragitto a piedi non mi aveva aiutato anzi aveva solo riempito ancora di più la testa di pensieri. «Si può sapere che fine avevi fatto? Ti ho cercato ovunque e ti ho chiamato mille volte, stavo per chiamare chi l'ha visto!» urla Bill correndo verso di me dalla cucina. Mi si butta addosso e mi stringe forte a sé, grazie a dio c'è lui. «Ho preparato il pranzo e indovina che cosa ho cucinato?» il suo sorriso sincero a trentadue denti e i suoi occhi brillanti quasi mi esplodono nel petto; faccio spallucce «La pasta Tom, il tuo piatto preferito! Sbrigati posa la roba e vieni di là che è quasi pronta» mi stampa un bacio sulla guancia e ritorna zompettando in cucina. Io butto giacca e zaino sull'enorme divano del salotto e la chitarra sul tavolo di cristallo: c'erano dei vantaggi a vivere praticamente da soli. «Dov'è zia Kris?» domando dal salotto «Stamattina è partita per Hong Kong starà fuori due settimane, ne abbiamo parlato ieri sera a cena, ti sei rincoglionito?» giusto, lo avevo dimenticato. Entro nella cucina spaziosa openspace che da su un tavolo ovale di ciliegio, apparecchiato come si vorrebbe in una tavola regale. «Insomma dove eri finito? Ho saputo che c'era stata una rissa, ero preoccupato che ci fossi finito in mezzo!» mi siedo al mio posto a tavola «Bill hai mai notato un ragazzo del primo anno, bassetto, magrolino come te, con gli occhi verde scuro?» gli chiedo ignorando la sua domanda. «Non saprei Tomi ce ne sono almeno una decina che corrispondono a questa descrizione» «No, è impossibile che tu non lo abbia notato! Ha uno stile molto simile al tuo e al mio messi insieme e indossa sempre un berretto» «Aaah ma certo! L'altro giorno ho notato la sua maglia oversize: aveva la skyline di New York, davvero bella! Perché?» mi porge il piatto e si siede anche lui davanti a me.
«Klaus l'ha picchiata e visto che le stava prendendo sul serio, sono intervenuto» gioco con la pasta guardandolo di sottecchi, lui strabuzza gli occhi allibito, il cibo sulla forchetta sospeso a mezz'aria «"Picchiata"? È una ragazza? Tom raccontami!» «Non lo so Bill, io non lo sapevo, ho visto un ragazzino in difficoltà e mi sono messo in mezzo per aiutarlo. Mi sembrava la cosa giusta da fare ma poi ho sentito un legame, sono attratto da lei Bill, ma non come al solito, c'è qualcosa che mi trattiene concentrato su di lei. Mentre stavo con lei non riuscivo ad andare via, anche se sapevo che era la cosa giusta da fare». «Ok Tom non capisco, qual è il problema? È ora che ti concedi di provare qualcosa per qualcuno! Se questa ragazza ti piace dovresti darti una possibilità!» aveva parlato con cautela come se si aspettasse di vedermi cadere in pezzi. «No, non se ne parla, non siamo ancora pronti, non ci siamo ancora ripresi completamente, dobbiamo pensare l'uno all'altro e non posso farmi distrarre da una ragazza! No Bill non mi interessa di lei, non ne voglio parlare!» interrompo l’argomento sul nascere.
Bill ama l’amore, forse perché non è mai stato tradito, forse perché lo commisura su quello dei nostri genitori e sul mio, cioè sul nostro. Sarei disposto a fare qualunque cosa per non fargli mai cambiare questa idea illusa dell’amore: pensa che l’amore sia solo puro e senza doppi fini, senza finzioni; che il sentimento sia eterno e invincibile e che sia la vita ad opporvisi. Lui pensa che sia stata la vita ad averci portato via l’amore di mamma e papà in quel dannato incidente.


Quando cade un aereo, non si sa a chi incolpare, non è colpa del pilota che è morto come tutti gli altri passeggeri, che ha fatto di tutto insieme al copilota per fare un atterraggio di emergenza, non è colpa dei piloti di terra che avevano fatto perfettamente il loro lavoro, non è colpa del meteo perché quel giorno c’era il sole. Alla partenza tutto era in ordine e funzionante e poi un guasto meccanico, imprevisto, imprevedibile. Centosettantatre morti, qualche disperso, che volevano solo godersi una settimana bianca a Courchevel sulle Alpi francesi. Non è stato facile per noi, la nostra vita è cambiata, noi siamo cambiati. Siamo finiti in un tunnel oscuro in cui ciò che volevamo era lo sfogo e la non coscienza di sé e del mondo. Detestavamo tutti e anche noi stessi, eravamo come una persona sola contro il mondo.
Non ne siamo ancora usciti completamente, ci portiamo dietro ancora qualche strascico della tragedia e delle sue conseguenze. Fortunatamente zia Kristine ci aveva presi in affido ed era venuta a vivere a casa nostra, nei periodi in cui non viaggiava per lavoro, e le cose erano pian piano migliorate. «Bill hai preso le pillole?» a proposito di strascichi. «Le ho prese stamattina e poi devo prenderle nel primo pomeriggio» l'espressione sul suo viso cambia incupendosi. Sparecchio la tavola e nel mentre ho un'idea geniale «Hey Bill che ne pensi se diamo una festa da noi questa sera?» il suo nuovo sorriso, complice mi scalda il cuore. Abbiamo entrambi bisogno di divertirci e questa sera sarà uno sballo.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Ciao a tutti sono tornata! Mi dispiace davvero tanto di non essere riuscita a postare questo capitolo prima di oggi ma sono stata sommersa dagli impegni. Spero che vi piaccia e che lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate. Vi avviso che questo capitolo è più lungo del solito e che sono stata costretta a modificarlo molto per renderlo di una lunghezza sopportabile. Nel progetto iniziale il finale del capitolo sarebbe dovuto essere diverso, includendo un altro pezzo della storia, ma per motivi di brevità (so che non è una parola che mi appartiene molto ma...) ho dovuto interrompere prima, perciò non stupitevi se vi sembrerà un po' brusco. Detto ciò, ringrazio chi segue e commenta la mia storia e auguro a tutti una buona lettura. Un bacio Chiara.

 
3.


Le feste a casa Kaulitz erano famose in tutta la scuola, non c'erano divieti, orari, pregiudizi, ma solo musica, fiumi di alcol e libertà completa con i suoi aspetti positivi e negativi. C'era stato un periodo dopo la morte dei nostri genitori in cui più che di divertimento si parlava di eccesso, vizio sregolatezza con riferimento a ciò che succedeva in casa nostra. Spesso la situazione ci era sfuggita di mano, invitavamo troppa gente rispetto a quella che potevamo effettivamente gestire, a dire la verità Bill ed io facevamo fatica anche solo ad occuparci di noi stessi. Ne abbiamo passate tante, perciò non abbiamo mai smesso di cercare l'evasione, in mille modi, per svuotare la testa pesante e piena di risentimenti, ansie, tormenti.

Per il resto della giornata Bill è stato euforico, ha corso a sinistra e a destra per tutta casa: mettendo sotto chiave le cose di valore, spostando tavoli e tavolini per creare spazio nell'enorme salone e adibendoli a postazioni alcoliche, collegando l'impianto audio, telefonando alle persone che aveva inderogabilmente scelto unendo gli amici più divertenti, più spericolati e più cazzoni, le migliori sciacquette, gli amici degli amici, eccetera. Io sono stato delegato sostanzialmente a stare fuori di casa, a fare la spesa e ad organizzare il giardino.

Per ora di cena tutto è pronto così ordiamo una pizza e ci prendiamo il nostro tempo per una doccia e per vestirci. I primi ad arrivare sono Georg, un tipo spigliato, pieno di energia e Gustav, invece riservato, sulle sue, ma molto spiritoso e divertente se lo si conosce bene. Noi quattro siamo amici da tanto tempo, anche se siamo persone molto diverse ci capiamo al volo e abbiamo molti interessi in comune, tra cui la musica. Quando i ragazzi arrivano Bill non è ancora pronto, come al solito, così li accolgo io offrendo una birra ad ognuno. Finalmente scende Bill, perfetto come sempre, che si getta correndo verso gli amici «Ragazzi mi è venuta un'idea per un nuovo pezzo, sono eccitato, domani ci lavoriamo insieme vi va?» entusiasta ci guarda uno per volta mentre stappa una birra. Georg ed io acconsentiamo, «Prima vediamo di superare indenni questa serata» interviene Gustav con un sorriso malizioso e un occhiolino rivolto al moro. Ridiamo di gusto e nel frattempo citofonano alla porta, Georg va ad aprire e Gustav ad accendere la musica. Rimaniamo io e Bill in cucina, che viene verso di me prendendo un lungo sorso dalla sua bottiglia, mi stringe forte a sé «Stammi vicino questa sera Tomi» mi sussurra ad un orecchio. Lo stringo forte, cingendogli il busto, siamo l'uno l'ancora dell'altro, una persona sola come sempre e fino alla fine «Non ci saranno problemi te lo prometto, ci divertiremo e basta!» mi sorride accarezzandomi il viso, una sfumatura di tristezza attraversa in un istante i suoi occhi nocciola per poi sparire sostituita solo dall'amore fraterno.
Nel frattempo casa si è riempita e ancora a regnare è la calma: la musica è un piacevole sottofondo alle chiacchiere della gente. Passo tra la folla e saluto chi mi ritrovo davanti finché non arrivo da Georg che era vicino alla console a scambiare due parole con una mora niente male, gli poggio una mano sulla spalla «Georg qui è un mortorio è ora di movimentare la festa!» sorrido maliziosamente e il mio amico risponde altrettanto. «Scusa cara, il dovere mi chiama!» con un gesto e un occhiolino si libera della ragazza, salta in piedi sul tavolo della console e mi tira su con sé, dopo aver preso in mano il microfono. «Buonasera gente! - esordisce urlando - ora che vi siete ambientati è arrivato il momento di dare inizio alla Vera festa!» un urlo di mille voci all'unisono pervade la casa «Perciò mettete da parte i vostri problemi, dimenticate tutto quello che c'è fuori di qui! Se siete fidanzati mandate a letto le ragazze, se siete single siete nel posto giusto e questa è la serata giusta; domani non ricorderete nulla ma ricordatevi questo: non ci sono limiti al vostro divertimento!» appena finisce la frase alza il volume della hit del momento e la folla esulta e inizia a ballare. Abbraccio il mio amico e brindo nuovamente con lui mandando giù in una boccata sola il restante contenuto della mia bottiglia. Vedo Bill in lontananza aprire le bottiglie di vodka e stendere sul tavolo della cucina lunghe file di shot, è ora di fare sul serio!


Due ore, 9 shot e 5 sigarette dopo sono in piena euforia mentre con Bill e altri amici incoraggiamo il mal capitato di turno a bere quantità esorbitanti dal barile di birra. «Vado a fumare una sigaretta e poi tiro fuori altri alcolici» bisbiglio all'orecchio di mio fratello, che annuisce distratto e divertito dal conato di vomito del ragazzo attaccato al barile. Esco dalla porta di casa e mi appoggio subito a destra, protetto dal freddo dal pilastro a pianta quadra che sporge dalle mura esterne. Mi metto la sigaretta in bocca mentre tasto le tasche dei pantaloni alla ricerca dell'accendino «Hey Tom ti serve questo?» una voce acuta con una nota sexy; alzo lo sguardo con un mezzo sorriso, ci sono ben due ragazze davanti a me, gambe kilometriche, scollature eloquenti, sguardi languidi, una bionda e una rossa e dio solo sa quanto impazzisco per le rosse! «Che gentili! Vi piace la festa?» ammicco e il mio sguardo si posa inevitabilmente sul davanzale di quella che tiene in mano l'accendino. La bionda è Nicole, la classica reginetta della scuola, con la voglia di studiare inversamente proporzionale a quella di uscire con i ragazzi e la rossa è Ewa stretta in un tubino verde smeraldo che esalta ancora di più la pelle candida e il fuoco dei suoi capelli. Accendo la sigaretta, mentre entrambe cinguettano qualche pettegolezzo della serata, la loro attenzione è solo su di me e le loro intenzioni sono più che chiare. Sorrido e passo ripetutamente la lingua sul piercing al labbro inferiore, so che le farà impazzire, più tardi ci sarà da divertirsi!
«Ciao Tom!» una voce conosciuta si rivolge a me dalla porta d'ingresso, il mio sguardo subito si posa sulla figura minuta. Non posso credere ai miei occhi. Ari, la ragazza che nasconde di esserlo, la ragazza che non vuole sembrarlo, non vuole apparire come tale è una meraviglia. Indossa solo una t-shirt XXL nera, con due fasce orizzontali di pizzo dello stesso colore sotto il seno, attraverso il quale si intravede la vita stretta e stivaletti alla caviglia con la pianta spessa e la suola sagomata. Le gambe sono nude e chiare, la maglia si posa con leggerezza a metà delle sue cosce e si piega e si sposta un poco per il vento. Il suo caschetto è un po' mosso e sul suo viso è appena accennato il trucco: un velo nero sulle palpebre, le ciglia lunghe e nere che contrastano con il verde intenso delle sue iridi e un rosso scuro sulle labbra gonfie ancora per la rissa. Sono senza fiato, quasi non l'avevo riconosciuta. Quelle gambe mi stanno facendo girare la testa, o forse è l'alcol. «Ciao Ari! Che piacere vederti qui!» le sorrido quasi troppo sincero, avvicinandomi a lei e lasciando le due bombe sexy senza cervello con uno sguardo d’invidia e risentimento. «Ti ha invitato Bill?» «In realtà ha invitato una mia amica e casualmente c'ero anche io in quel momento così mi ha invitata. Sono contenta di essere venuta, hai una bella casa per quanto ho potuto vedere». «Vieni ti faccio vedere il resto!» quella frase innocente appare inevitabilmente fraintendibile, ma fortunatamente gli shot mi annebbiano il cervello e non mi soffermo molto a pensarci. Apro la porta, ci addentriamo tra la folla e facciamo una tappa in cucina dove brindiamo con due bicchierini insieme ad un paio di amici. Ari sembra a suo agio, ride e scherza con tutti, quella ragazza non finisce mai di stupirmi. Ero convinto che fosse una persona completamente diversa. Dalla cucina le faccio strada verso le scale e andiamo al piano di sopra portando con me una bottiglia di vodka alla menta vuota per metà.
«E questa è camera mia!» le mostro una stanza grande con le pareti piene di chitarre appese e un gran bel letto matrimoniale al centro. «Wow è enorme» quasi sussurra sedendosi ai piedi del letto e guardandosi un po' intorno «Perché mi hai portato qui?» corre diretta al punto. «Beh tutti qui conoscono perfettamente la casa, sono venuti a molte feste e anche in altre occasioni, per te invece è la prima volta» la mia spavalderia è superba quando non sono lucido. «E tu perché sei venuta qui stasera?» la guardo intensamente offrendole un sorso dalla bottiglia, «Te l'ho detto mi ha invitato tuo fratello sarebbe sembrato sgarbato non venire» mi guarda con ostentazione, «È solo questo il motivo?» le chiedo stringente. Lei ride senza rispondere bevendo un altro lungo sorso, così lascio stare sdrammatizzando con una battuta che ci permette di iniziare a parlare d'altro.
Mi interessa sapere di lei, così incalzo con le domande rispondendo solo vagamente alle sue. Non ho intenzione di parlare di me, della mia vita e del mio passato. Non bastano due meravigliosi occhi verdi per vincere le mie barriere. Lei invece non ha problemi a parlarmi di sé, mi racconta che vive da sola con il padre perché sua madre li ha abbandonati quando aveva 4 anni, che il padre viaggia molto per lavoro e che ha visto molti posti del mondo quando era piccola. È così spontanea, chiara come l'acqua corrente, trasparente, sembra tutto istinto, naturalezza, nessuna costruzione, nessun controllo forzato. La invidio così tanto per questo. Parliamo per non so quanto, di qualunque cosa, della scuola, dei nostri interessi fino a ritrovarci come due amici di vecchia data ridenti con a terra una bottiglia vuota. La mia testa è finalmente leggera e il mio sorriso è vero e aperto, mi butto all'indietro dopo aver afferrato il braccio di Ari che mi segue senza resistenza. Affondiamo entrambi tra le coperte del mio letto morbido «Che fai Tom? Sei matto?» grida Ari senza smettere di ridere, con gli occhi luminosi e lucidi per l'alcol.
Mi volto verso di lei e smetto di ridere, ormai solo un pensiero invade la mia mente, voglio baciarla. Non penso ad altro, niente mi condiziona, non ho doppi fini, non ho freni, non m’importa delle conseguenze, non m’importa di domani. Voglio le sue labbra ora. Anche lei non ride più e la distanza tra noi si è dimezzata; non smetto di fissare i suoi occhi, mentre le nostre labbra sembrano invocarsi a vicenda. So cosa voglio, so cosa sto facendo, voglio lei, adesso. Esito ancora un attimo, sposto lo sguardo sulle sue labbra e poi torno velocemente agli occhi e trovo i suoi alla ricerca dei miei. Tutto intorno è scomparso, l'aria trema, siamo ad un respiro di distanza.

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.
 

Siamo ancora l'uno ad un centimetro dall'altra, pronti a sfiorarci e a imprigionare le nostre labbra voluttuose, senza paura, senza pensieri, solo istinto.
«Aspetta Tom, non posso...» bisbiglia strizzando gli occhi e aggrottando le sopracciglia. Torna in un lampo a sedersi e si passa una mano dalla fronte ai capelli, immergendola «Che vuol dire Ari? Non capisco, c'è qualcosa che non va?» le chiedo sedendomi anch'io, mentre un bagliore di risentimento e incomprensione si impianta sul mio stomaco. «Non sarei mai dovuta venire qui con te, sono ubriaca» parla senza guardarmi, a testa bassa, quasi più a se stessa che a me «Mi dispiace ma devo andare via» fa per alzarsi. «Aspetta, spiegami! È successo qualcosa?» la blocco prima che possa allontanarsi. «Tom ho detto che devo andare via, non posso permettermi un errore simile» con un gesto indica il letto dove poco prima eravamo fianco a fianco desiderosi di abbandonarci a un bacio che, ero certo, entrambi volevamo. «Un minuto fa lo volevi anche tu, stamattina a scuola non hai esitato neanche per un secondo! Ora dimmi che cosa è cambiato?» con un impeto mi mostro decisamente troppo, ho superato ogni limite stasera sera, mi ero ripromesso di non farlo, di non abbandonarmi mai, non farmi trasportare dall'istinto. Avevo giurato: solo ragione, intelletto, controllo.

«Sono fidanzata Tom» urla «non posso farlo e basta!». Bum, netto, inaspettato. Eccola la verità, schietta, diretta, tagliente. Odio la verità almeno perché è vera e certa, e la amo se non altro per lo stesso motivo. Rimango muto, colpito «Mi dispiace di non averlo detto prima» continua abbassando il tono di voce fino a scomparire mozzato. Non capisco, lei ha provato a baciarmi stamattina quando io ero solo uno sconosciuto che l'aveva tirata fuori da una rissa e ora? Sbaglio sempre, sbaglio sempre! Non m’importa che abbia un ragazzo, non è un problema per me, non m’importa del rifiuto è solo una strenua e inerme difesa che potrei facilmente sfondare con uno sguardo e un sorriso al momento giusto. E allora che cosa mi importa? Cosa voglio da lei? La mia testa gira sempre più veloce e vuole portarmi in una direzione che non voglio prendere, ad approfondire aspetti di me che consapevolmente ignoro.

«Ok Ari, è tutto a posto, non c'è bisogno di agitarsi tanto» parlo con tono pacato, rifilando la mia maschera preferita «Amici come prima» la abbraccio inebriandomi del profumo dei suoi capelli «Ma ora se non ti spiace torno di sotto, ho lasciato un paio di cose in sospeso» ammicco con il sorriso malizioso di chi la sa lunga, lo sguardo fiero e sicuro, come sempre. Ari solleva gli occhi incredula e probabilmente risentita, se non offesa dal mio riferimento alle due ragazze: la sua espressione è contrita con una vena di disprezzo. Le accarezzo il viso senza togliermi il sorriso dalle labbra e poi vado via. Nel voltarmi mi sembra di cogliere un piccolo bagliore liquido sulla sua guancia, ma non me ne curo, scelgo ignorarlo.

Dalle scale vedo la sala in pieno delirio, il tasso alcolico ha di gran lunga superato la soglia di tollerabilità ed io non posso far altro che rallegrarmene. Non ho intenzione di riempirmi la testa dei miei errori o delle mie possibilità bruciate. Non mi importa di Ari, non mi importa che sia fidanzata, non mi importa del legame che sento con lei, non mi importa di nulla. Almeno provo a convincermene.
Scorgo Bill in lontananza parlare con Gustav e mi dirigo verso di loro. Il salotto è gremito di ragazzi ubriachi e attraversarlo si rivela complicato ma inevitabilmente divertente. Incontro per la prima volta nella serata una serie di amici, alcuni mi fermano per salutarmi, altri mi offrono da bere, altri ancora sono semplicemente inciampati su di me. Raggiungo finalmente mio fratello «Hey tutto bene?» gli dico all'orecchio, lui si volta verso di me e con un leggero sorriso annuisce. Rivolgendomi a Gustav gli chiedo come procede la serata e lui allegro mi risponde che è una festa perfettamente riuscita. Viene interrotto da Vera, la sua fidanzata: una ragazza dolce e intelligente, piuttosto piccolina, dai capelli biondi e gli occhi verdi. Vera mi sorride e mi strizza l'occhio, felice di vedermi ed io l'abbraccio. Adoro questa ragazza, forse l'unica ragazza che ho sempre considerato solo ed esclusivamente come un'amica. È una ragazza piena di idee e piena di consigli, responsabile e sincera. Con Gustav fanno una bella coppia: si capiscono con uno sguardo, sono simili per certi versi, per altri si bilanciano. Scambio due chiacchiere con lei e poi torno subito a concentrarmi su Bill. Noto che in mano ha un bicchiere pieno di un intruglio di colore chiaro e gli lancio un'occhiata spaventata «Bill quello cos'è?» domando con tono di rimprovero. «Tranquillo ce l'ho in mano da tre ore, non l'ho nemmeno assaggiato, è solo che non so come liberarmene» sorride amaramente adesso.

Bill non beve più tanto, si concede un paio di birre nelle occasioni speciali ma non eccede mai. Non dopo quella volta. Una sera, tornato a casa dopo essere uscito con una, lo ritrovai fuori dalla porta rannicchiato a terra, a poca distanza da una macchia liquida maleodorante, bianco come un cencio e svenuto. Lo rianimai con due schiaffi neanche troppo misurati, ma i suoi occhi erano opachi, persi, vuoti. Ricordo di averlo preso di peso sulle spalle e portato all'ospedale, dove lo ricoverarono per una lavanda gastrica. Il medico disse che aveva sfiorato il coma etilico. Ma questo era prima che ricostruissimo insieme la nostra vita, facessimo da spalla per le debolezze dell'altro, da muro contro le offese ricevute dall'altro, da braccio per riuscire in quello che l'altro non poteva fare. Ci siamo aggrappati e rimessi insieme solo grazie alla presenza stabile e instancabile dell'altro. Questa è la nostra forza e anche la nostra unica chance.

Prendo il bicchiere dalla sua mano «Ci penso io, ti va una sigaretta?» propongo per cambiare discorso «Ci sto fratellone» risponde facendosi strada verso la porta di casa. Ci sediamo su una panchina in giardino e io, dopo aver versato il contenuto del bicchiere nella siepe dietro di me, lo poso sul tavolino ai nostri piedi. Accendiamo la sigaretta dal portacandele «Sei contento della serata?» gli chiedo espirando lentamente il fumo nel tentativo di scostare il nervoso accumulato «Si Tom, abbiamo fatto bene, sembra che si stiano divertendo tutti- si interrompe per aspirare -prima ho assistito a una scena assurda: Georg che prendeva un sonoro palo da ben due ragazze di fila! Ho riso come un matto perché una di loro lo ha respinto per provarci con me!» ride di gusto. «Tu invece? Ti ho visto salire con una ragazza» ammicca assestandomi una gomitata affettuosa. «Quella è Ari» rispondo freddamente «Non ci credo, raccontami tutto» incalza entusiasta. «Non c'è niente da raccontare, non sapevo che venisse e le ho fatto vedere la casa, tutto qui» cerco di tagliare subito la conversazione, inutilmente «Tutto qui? Davvero? Dai si vede lontano un chilometro che c'è qualcosa che non va» è deciso a non mollare. «È fidanzata ma non mi interessa, voglio divertirmi» tiro fuori il mio tono apatico, «Scusa Tomi non volevo farti innervosire» Bill mi abbraccia e io ricambio sincero. «Dai andiamo tocca tirarti su il morale!» i suoi occhi brillanti sono un invito che non posso rifiutare, così sorrido e insieme torniamo dentro.

La serata continua nell'allegria generale finché piano piano la casa comincia a svuotarsi. Vedo le due ragazze dell'inizio serata avviarsi verso l'uscita, ma non ho intenzione di farle andare via. Le raggiungo e stampandomi un sorriso furbo e uno sguardo eloquente domando loro «Già andate via?» le ragazze si fermano sull'uscio voltandosi verso di me «Direi di sì, la festa è praticamente finita» risponde Ewa, la rossa. «Vi assicuro che non è così, se volete restare» è un invito neanche troppo vago il mio e con un gesto le invito a ritornare verso il salotto. Le ragazze mi sorridono accondiscendenti e mi seguono verso la cucina dove offro loro qualcosa da bere, «Come vi siete trovate questa sera?» Mi risponde la bionda «Abbastanza bene, la festa è stata veramente divertente soltanto ci aspettavamo un po' più di attenzione da parte tua». Sorrido lusingato, ovviamente, e replico «Mi dispiace di avervi lasciato in quel modo sono certo di poter rimediare» bevo un sorso dal mio bicchiere e poi mi lecco le labbra. Interviene Ewa «Vorrei proprio sapere come Tom» il suo sguardo è un chiaro assenso alle mie intenzioni.

«Vi va di salire di sopra?» esordisco andando dritto al punto, le due ragazze si scambiano uno sguardo d'intesa con un sorriso reciproco e mi seguono verso la mia stanza. Quando non sono coinvolto è estremamente facile, non ho inibizioni, basta che sia convinto e sarò assolutamente persuasivo. Non mi importa di loro, non mi porta assolutamente niente, loro lo sanno, non si illudono. È solo divertimento, è solo sesso.
Le faccio entrare prima di me «Prego, sedetevi e fate come foste a casa vostra», loro mi prendono in parola: Ewa si siede sul letto mentre si leva le scarpe con il tacco a spillo, Nicole viene verso di me con fare deciso. Mi si pianta davanti e con le mani percorre il contorno delle mie spalle, del mio petto, del mio ventre. Distratto accosto la porta e la bacio, senza aspettare, senza godermelo, guidato dal desiderio. Ewa ci ha raggiunti e insieme mi levano la maglia buttandola a terra, non c'è imbarazzo, non c'è intimità, non c'è nulla, c'è soltanto un desiderio di svagarsi e di allontanare ogni problema. Le mie mani scorrono sulle loro curve pronunciate, tiro giù la zip del tubino di Ewa, mentre Nicole è già sdraiata sul letto, nuda. Sfilo i pantaloni già slacciati e senza esitare raggiungo le ragazze sul letto.
Solo corpi intrecciati, muscoli tesi, sudore, libidine. Non c'è anima, non c'è sentimento ma voglia e piacere carnale, libertà fisica e infine soddisfazione.

Quando il piacere è dissetato, il corpo rilassato, la mente vuota mi alzo dal letto per fumare una sigaretta. Esco dalla stanza, senza prestare attenzione alle ragazze, noto che casa è silenziosa: sono andati via tutti. Mi dirigo verso camera di Bill con l'espressione colpevole, avevo promesso che non lo avrei lasciato da solo. Lo trovo sotto le pesanti coperte, rannicchiato su un fianco, gli poso una mano sulla testa «Hey Bill, posso dormire con te?» sussurro al suo orecchio, lui apre poco gli occhi, mi guarda e sorride «Ciao Tomi, vieni qui» la sua voce è impastata dal sonno, «Vado a fumare una sigaretta e arrivo» gli lascio un bacio sulla fronte e mi allontano. «Tom domani dobbiamo parlare, lei ti ha visto» Bill si sforza di alzare la voce e io mi fermo immobile al centro della stanza, rispondo alle domande: lei chi? Visto cosa? E un macigno si posa sul mio stomaco «Ok, ne parliamo domani» la mia voce trasuda insicurezza. Esco in balcone e accendo la sigaretta, aspiro velocemente e trattengo il fumo per un attimo. Solo dopo aver aspettato, espiro, tutto.

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Capitolo 5
*** 5. ***


Ciao a tutti, sono tornata con un nuovo capitolo, pieno di sorprese e di risposte, spero che vi piaccia e che lasciate un commento. Ringrazio i lettori silenziosi, le persone che seguono la mia storia, che l'hanno inserita nei preferiti e che l'hanno recensita fino ad ora. Spero che continuiate ad apprezzare la mia storia. Un bacio, Chiara.

 
5.


Un profumo delicato s'inserisce nelle mie narici, prima ancora che la mia coscienza si svegli. Apro gli occhi e dalla finestra la luce, prepotente, mi acceca. Bill dorme abbracciato a me, è il suo profumo, così dolce e unico che rende questo risveglio sempre il migliore. La testa è pesante e fa male, la bocca è asciutta e impastata, e lo stomaco implora pietà e cibi solidi. La sveglia sul comodino segna mezzogiorno passato, in fin dei conti non ho dormito neanche troppo. 

Resto fermo perdendo lo sguardo in un punto qualsiasi davanti a me, gli occhi ormai abituati alla luce sono uno schermo tra me e la realtà  immobile di questa mattina. Aspetto, non voglio svegliarlo: il suo respiro è constante e profondo, sento l'intero suo busto alzarsi e abbassarsi ritmicamente al contatto col mio. Il suo viso riposa dolce e spensierato sul mio petto nudo mentre con una mano accarezzo delicatamente i suoi capelli. Quanto hai combattuto per questa quiete e quanto ancora combatti! Ti difenderò sempre, non permetterò più a nessuno di farti del male, nessuno si prenderà mai gioco di te come hanno fatto con me. 

Già, con me. Non ho mai raccontato a nessuno la verità su Cara, neanche a Bill. Ho inventato una storiella in cui nessuno era il cattivo, nessuno era rimasto deluso, ingannato, illuso e tradito. Si è presa gioco di me in tutti i modi, io l'amavo e lei fingeva, io ero sincero e lei fingeva, io ero fedele e lei fingeva. Ha preso il mio amore, la mia dignità, i miei soldi perfino, e mi ha lasciato, quando avevo più bisogno di lei, arrabbiato senza la forza per sfogarmi. 

Mi ricordo cosa mi disse quando la trovai nuda nella macchina del mio migliore amico dell'epoca e in sua compagnia :"Tom, perdonami, avevo bisogno di svagarmi un po', è successo solo una volta, non ha nessun significato per me!". Lei aveva bisogno di svagarsi, che ironia, i miei genitori erano morti da poco meno di un mese e LEI aveva pensato di divertirsi un po'. E pensare che le credetti o meglio la perdonai. Minacciai Andreas, quel porco che doveva essere mio amico, di non farsi più vedere, o sentire altrimenti sarebbero stati guai. Continuai  a cercare in lei un sostegno, un aiuto ma non era in grado, era troppo per una donna meschina e senza scrupoli, immeritevole anche di chiamarsi donna. Riuscì persino a farmi credere di essere incinta e a farsi lasciare una cifra spropositata per accertamenti e successivo aborto. 

Un giorno mi svegliai con un messaggio sul cellulare :"Sto partendo, io e Andreas ci trasferiamo in un altro paese, lontano da tutti. Noi ci amiamo Tom, ti prego di perdonarci entrambi". Non seppi più niente di lei, né ho mai voluto saperne. Ha spezzato un cuore già dilaniato ma la colpa è mia, mi sono fidato di lei, sono stato cieco, avevo bisogno di aiuto e ho creduto che una persona che avevo a fianco da un anno potesse darmelo. Non c'è nessuno meritevole di fiducia, ho perso le persone su cui potevo contare e mi è rimasto solo Bill. 

Una mano mi accarezza il petto, riportandomi al presente, a quello che sono ora, al risultato del mio passato. "Buongiorno Tomi" bisbiglia puntando due occhi assonnati nei miei uguali, vi ritrovo lo stesso amore che, sono certo, riempie i miei e sorrido. Scendiamo a fare colazione, stupiti come fosse la prima volta del caos lasciato in salotto, nel pomeriggio avremo molto da fare. Le due ragazze che avevano dormito nel mio letto scendono poco dopo per salutare velocemente e andarsene. Nessuno si è pentito di quello che abbiamo fatto, nessuno si sente usato, nessuno vuole che ci sia un "giorno dopo". 

"Tomi, più tardi vengono i ragazzi così lavoriamo un po'" mi ricorda Bill mentre ingurgita una tazza piena di latte e cereali. Mi farà bene suonare un po', non c'è niente che mi riscaldi e mi riempia di energia quanto suonare, riesco a liberarmi di tutto e a essere solo la mia anima evanescente mischiata alle note. Mangiamo tutto quello che il nostro stomaco ci consente di ingerire e poi iniziamo a pulire i resti della nostra serata. Niente di più spiacevole: casa è un vero disastro, ci sono bicchieri sparsi ovunque e il pavimento è appiccicoso, ci sono bottiglie vuote persino sui divani e il bagno degli ospiti è completamente inagibile. Per non parlare del giardino! È un lavoro lungo ma necessario e il movimento mi occupa abbastanza da farmi scansare i pensieri. 

Sistemato il giardino torno dentro casa dove Bill canta mentre è impegnato con la cucina: è sempre piacevole sentirlo cantare, è il suo modo di sfogarsi, di essere se stesso e di incanalare tutte le emozioni in una direzione che permetta loro di esprimersi completamente senza distruggere l'ospite. "Hai già finito di fuori?" mi domanda voltandosi verso di me, "Si, che altro dobbiamo fare?" sorrido alla vista degli enormi guanti che indossa sulle sue mani troppo minute per riempirli. "Manca il bagno... Quello però lo puliamo insieme, è veramente disgustoso!" mette su un'espressione disgustata davvero esilarante. 

Pulito anche il bagno degli ospiti, con un notevole sforzo da parte di entrambi per non rimettere su quanto già sparso, e dopo una doccia necessaria ci buttiamo sul divano. "Dai Bill sputa il rospo" incalzo evitando inutili chiacchiere, tanto vale affrontare il discorso velocemente. "Ok, le cose stanno così: ieri sera quando sei andato di sopra con quelle due, Michaela è salita a cercarti e ti ha visto, ehm diciamo, impegnato. Non ha reagito bene Tomi, è scesa di nuovo in salotto e ha iniziato a bere, a ballare in maniera molto provocante, insomma la conosci meglio di me, sai quanto sappia essere provocante. Ha iniziato a provarci un po' con tutti, si è creato il gelo perché tutti sanno che lei non si tocca ma questo non l'ha fermata. Così sono andato da lei, penso che tu debba parlarci". 
"Non capisco quale sia il problema io e lei non stiamo insieme, non abbiamo mai parlato di fedeltà o cose simili, non siamo una coppia siamo due amici che vanno a letto insieme, lei lo sa, io lo so e siamo d'accordo, cosa c'è che non va?" domando sinceramente incredulo. "Ok Tom ma di fatto è come se foste una coppia, io ho promesso di non dirti nulla ma di certo lei si aspettava un comportamento diverso da te, questo puoi capirlo da solo. Io ti ripeto: devi parlarle" risponde schivo.

Mi allontano per fumare senza rispondere e passo il resto del pomeriggio in disparte. Neanche l'arrivo dei ragazzi mi distrae, mi chiudo in me stesso e rifletto, odio riflettere così tanto. Mi siedo in un angolo della stanza insonorizzata che abbiamo al piano di sotto e che noi usiamo come sala di prova e di registrazione. Suono in silenzio, un accordo dopo l'altro creo nuova musica, libero tutto quello che non riesco a dire. 
Verso ora di cena decido che non voglio più pensare, non voglio più pensarci. Ho scelto questa vita per non avere pensieri, per non sprecare il mio tempo, per non abbandonarmi alle emozioni e ai condizionamenti esterni, per non lasciare che altri al di fuori di me e Bill si possano intromettere nella mia anima. Mentre preparo da mangiare ricevo un messaggio "Vediamoci stasera, per parlare" è Michaela, a quanto pare dovrò pensare ancora "Alle 9 e mezza da me" rispondo.

La cena trascorre in tranquillità, Bill cerca di distrarmi, sa che più tardi riceveremo visite. Puntuale Michaela citofona, è uno schianto come sempre anche con i lunghi capelli biondi scuro legati e addosso solo un paio di jeans e un maglione. Il suo viso è teso, il candore del suo viso accentuato e gli occhi castani stanchi. 

La invito ad entrare ma lei rifiuta sedendosi sul dondolo in giardino. Mi siedo al suo fianco e accendo una sigaretta offrendone una anche a lei. "Come va?" domando ostentando una finta ingenuità. "Tom dobbiamo finirla qui, pensavo che per me sarebbe stato più facile, ma non lo è" parla con tono controllato ma non mi guarda, fissa il prato davanti a sé. Espiro il fumo trattenuto un po' di più del solito, cercando di ignorare il brutto presentimento che mi attanaglia da ieri sera, "Non credevo che fosse un problema, insomma noi non stiamo insieme, questo lo abbiamo deciso io e te, eravamo d'accordo" rispondo risoluto. "Tom sei andato a letto con due ragazze contemporaneamente, nella stessa sera, per di più davanti a me!-sbotta, ora mi guarda: le sue labbra carnose e rosee tremano visibilmente, i suoi occhi sono lucidi. 

Rimango in silenzio un attimo "Non pensavo fosse un problema, non abbiamo mai parlato di questo". "Appunto, avresti potuto almeno parlarne con me prima di mettermi in imbarazzo davanti a tutti, sai quanto può essere umiliante? Ti hanno visto tutti Tom" la sua voce è leggermente stridula, si vede che cerca di mantenere una calma che non ha. 

"Pensavo fosse scontato, tra noi non c'è mai stato altro che sesso, abbiamo deciso insieme che non saremmo stati una coppia". "Tu mi hai umiliato davanti a tutti Tom! Lo capisci? Delle scuse sarebbe appropriate!" lancia la sigaretta lontano nell'erba con rabbia, non riesce più a trattenersi. "Cosa devo dirti Mich, non sapevo fosse così importante per te, mi dispiace" sbotto anch'io, forse con le parole sbagliate. 

"Importante per me? Ti ho dato tutto, tutto quello che mi hai permesso di darti, e tu mi ripaghi con questo. Non sono una puttana Tom, neanche la tua!" urla alzandosi, con le lacrime che scorrono sulle sue guance rosse e corre via. La blocco prima che riesca ad uscire dal cancello "Aspetta, non volevo dire questo, lo sai che non l'ho mai pensato, ma il nostro è un rapporto senza vincoli, senza sentimenti, mi dispiace che tu sia sentita umiliata e mi dispiace di non avertene parlato prima di farlo, sono uno stronzo, ma questo tu lo hai sempre saputo". 

Ormai non trattiene più le lacrime "Io sono innamorata di te e mi odio per questo, ma non posso farci nulla! Ti prego Tom lasciami andare!" le lacrime le scendono incontrollabili fin oltre il mento. Rimango spiazzato e muto con le scuse che mi muoiono in bocca. 
La lascio andare come un'idiota.

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Capitolo 6
*** 6. ***


Ciao a tutti, finalmente ho postato il nuovo capitolo, spero che vi piaccia e che lasciate un commento. Ringrazio chi legge la mia storia e chi ha commentato i precedenti capitoli. Un bacio, Chiara.

6.

 

Le settimane trascorrono identiche tra scuola e musica, Michaela che mi evita e Ari che mi guarda da lontano senza poi avere il coraggio di parlare con me. Sono entrambe deluse da me: l'una ha gli occhi pieni di dolore l'altra di disprezzo, l'una si nasconde dietro una maschera sorridente, credibile per tutti ma non per me, l'altra mi fissa stizzita come se avessi straziato il suo di cuore. L'una è costretta a fingere per causa mia, l'altra non sa fingere a causa mia. Non so se mi sconvolge di più la verità cruda dell'odio di Ari o la rassegnazione con cui Mich cela il suo cuore sanguinante. 

Io sono il re della finzione, della maschera, e sono imperturbabile: il viso rilassato, un fare tranquillo, un gesticolare moderato, un passo misurato, ma lo sguardo, quello mostra una strana e segreta malinconia. Questo velo non sono mai riuscito a toglierlo. Fingo disinteresse, fingo che non mi importi del dolore di Mich, fingo che non mi tocchi l'ostilità di Ari, fingo e basta. 

Bill mi individua mentre siedo in un angolo del cortile, precisamente sulle scale al lato più remoto della palestra. Mi raggiunge e siede affianco a me "Ti ho trovato finalmente" esordisce con un sorriso. Rispondo con un cenno della testa e un mezzo sorriso, "A cosa stai pensando?" mi domanda ora teso. "Niente di importante" espiro profondamente, "È per Michaela?" mi guarda come si guardano gli sconfitti. "Non solo, è un po' per tutto, ero riuscito a trovare un equilibrio e poi non so come ho rovinato tutto" parlo cauto, con la consapevolezza di chi si ritrova a dover ripartire da zero, di nuovo.

Bill sospira rumorosamente "Sai Tom io sono convinto che una ragione ci sia, forse non guardi attentamente, forse volevi solo un cambiamento, non vuol dire che hai rovinato tutto". Lo guardo senza rispondere, non capisco cosa intenda. "Pensa a cosa vuoi in realtà, è così chiaro, la ragione è davanti ai tuoi occhi" continuo a non capire. "Non capisco Bill, ho solo buttato tutto all'aria, questa è la realtà". 
"Ok Tom, ma perché? Te lo sei chiesto?" incalza ma la mia espressione interrogativa è così eloquente da farlo scoppiare a ridere. "Per Ari! Come fai a non capirlo, non sai cosa vuoi da lei ma vuoi lei" il suo sorriso è così sincero, naturale, mi trasmette chiarezza. È davvero per lei che ho fatto tutto questo? È il legame impalpabile con lei che mi ha portato a rompere tutti gli altri? Mio fratello ha ragione. È per lei. 

Bill mi guarda compiaciuto, "E adesso?" gli domando come se avessi trovato una verità così chiara da lasciarmi inerme. È come quando capisci cos'è il vento, sai che esiste, lo senti, ma poi stringendo le mani non puoi prenderlo. "E adesso cosa Tomi?" ride ancora. "Non posso fare nulla, ho le mani legate, è fidanzata e ha fatto capire chiaramente che non vuole me".
"A me è sembrato il contrario, cerca di capire cosa vuole davvero" è tutto così facile per lui. "Se non lo avessi capito, mi detesta in questo momento!" rido anch'io ora. "Parlale Tom, riprendi i rapporti con lei, fatti perdonare".
Non so cosa voglio, non so se dovrei, non so se è giusto, ma voglio farlo. Voglio provare. Allora perché mi sento così incatenato? 
Bill sembra cogliere i miei pensieri "Lasciati andare Tomi, concediti la possibilità di provare, di sbagliare anche, di sentirti libero da ogni tuo condizionamento, fallo, fallo e basta!".
Sento come un uragano in fondo allo stomaco, come elettricità nelle gambe, sento, provo qualcosa. Non è paura, non è rabbia, non è tristezza, è qualcosa di nuovo. Qualcosa di puro, naturale. Mi sento come sul ciglio di un burrone senza fine: non ho paura di rovinare a terra, ho solo voglia di lanciarmi.

La giornata prosegue senza che io riesca a tenere a bada l'elettricità che si spande ovunque nel mio corpo. La campanella, molto attesa, suona la fine dell'ultima ora, trascorsa fingendo di ascoltare la lezione del professore di storia. Esco di fretta dall'aula e corro per tutto il corridoio verso l'uscita ma qualcosa attira la mia attenzione. 

Vedo una folla incurante della pioggia sulle scale appena fuori dalla porta, rallento il passo e mi avvicino cauto, le persone bisbigliano tra loro con sguardi preoccupati. Mi avvicino ancora e riesco a scorgere una figura sdraiata a terra sotto la pioggia, gli occhi chiusi e le membra abbandonate. Una figura che conosco fin troppo bene. Istintivamente mi getto a terra urlando "Mich, Mich, o mio dio, svegliati! Michaela, Michaela ti prego svegliati!". Mi guardo attorno attonito, la gente sembra immobile con lo sguardo vuoto, la bocca aperta in una smorfia senza voce. 

"Chiamate un'ambulanza! Che aspettate!" continuo ad urlare sbracciando. Di fianco a me una ragazza piange "Che è successo? Dimmi come è successo?" grido verso di lei, odiando quel pianto inutile. "Non lo so stavamo parlando ha detto che non si sentiva bene e poi è caduta a terra" risponde mugolando. Metto insieme le poche nozioni di pronto soccorso che conosco, provo a sentire il battito dal polso, seppur flebile c'è, "Alzati e tirale su le gambe, sbrigati!" ordino con fermezza e la ragazza esegue, mentre io continuo a chiamare per nome la ragazza bionda a terra, senza ricevere risposta. La mia voce è sempre più disperata e risuona ovunque, qualcuno chiama il mio nome, è Bill che dietro di me sta in piedi con gli occhi spaventati incapace di muoversi e al suo fianco c'è Ari con le guance rigate da dense lacrime. 

Torno a guardare Michaela e vedo un rivolo di sangue partire dalla sua nuca e disperdersi giù per le scale. Sembra che il tempo si sia fermato, che il mondo abbia smesso di girare, che l'aria sia immobile e gelida. "Dove cazzo è l'ambulanza?" la mia voce è rotta. Finalmente sento il suono ripetitivo dell'ambulanza rimbalzare sui palazzi che costeggiano la strada e poco dopo vedo i paramedici fiondarsi giù dalla vettura portando una barella. Resto immobile in ginocchio mentre cautamente la prendono e la adagiano sulla barella; mi fanno delle domande ma non so rispondere, continuo a ripetere che non lo so, che sono arrivato dopo, che non so se abbia mangiato, non so nulla. La portano via mentre qualcuno si preoccupa di chiamare i genitori. 

Intontito mi guardo intorno, mi sembra di essere in un sogno, in uno di quelli brutti, in cui tutto sembra così reale da farti male. "Tom sbrigati andiamo all'ospedale" Bill è concitato e sembra divincolarsi tra una crisi di nervi e una calma e una praticità impeccabili. Lo seguo verso la macchina di Gustav, come al solito i ragazzi sono venuti a prenderci a scuola per andare a casa nostra a suonare. Bill sale per primo e spiega velocemente l'accaduto e la direzione da prendere. Dopo un attimo di sgomento da parte di Georg e Gustav, quest'ultimo ingrana la marcia e percorre a velocità sostenuta la strada fino all'ospedale. 

Ci fanno sedere in sala d'attesa, insieme alle altre persone che sono venute e a quelli che immagino siano i genitori di Mich. Non li avevo mai visti prima, ma sono certo che una tale angoscia non l'abbiamo mai provata in vita loro. Aspettiamo un tempo interminabile senza che io dica una parola, seduto con i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo su una mattonella del pavimento. Finalmente escono i medici e tutti i presenti accorrono, i genitori per primi. "La ragazza ha subito un trauma cranico a seguito di una sincope la cui causa è probabilmente dovuta a un calo di pressione, ma non possiamo saperlo con certezza. Abbiamo messo dei punti sulla ferita alla testa, per il resto dobbiamo aspettare che si svegli" è il resoconto del medico. 

La madre piange tra le braccia del padre, ma io non capisco, "Che vuol dire per il resto dobbiamo aspettare?" intervengo. Il medico mi guarda incerto "Non lo sappiamo con certezza, ma può darsi che la caduta abbia provocato dei danni, per ora non sembrano esserci emorragie, dobbiamo attendere ancora un po' per esserne certi ma continuiamo a monitorarla in ogni momento. In ogni caso quando si riavrà potrà accusare capogiri, afasia, disturbi sensoriali, perdita di memoria, ma con ogni probabilità sono sintomi che dovrebbero passare in poche settimane". Lo guardo mentre un leggero tremore scorre nelle mie mani e una strana sensazione attanaglia il mio petto. Niente certezze, nulla di nulla.

Torno a sedere al mio posto scombussolato, devo aspettare, devo aspettare che si svegli, devo capire cosa è successo, devo farmi perdonare. Io non la amo, ma le voglio bene come a poche persone, so di non averlo dimostrato, so di essere stato uno stronzo. Lei non lo ha mai meritato, non merita uno come me, le chiederò di perdonarmi e troverò un ragazzo a posto, uno giusto per lei. 
"Tomi io e i ragazzi andiamo a prendere da mangiare, tu aspetti qui?" Bill interrompe il filo dei miei pensieri, annuisco e lo ringrazio. 

Le ore trascorrono e piano piano la gente torna alle rispettive case, anche Gustav e Georg vanno via, mentre Bill resta con me. Anche lui ha un buon rapporto con Mich, sono molto amici, lui è sempre stato l'interprete dei miei atteggiamenti con Michaela, ha fatto da mediatore e per questo lei si è legata a lui. Bill le ha fatto da confidente, ha fatto la parte di me che le dava attenzioni, la portava al cinema, a prendere il gelato, a fare shopping, le dava tutto quello che io non potevo, non riuscivo a darle. 

Il medico torna ad avvisarci che si è svegliata e comunica che le visite per ora sono concesse solo ai familiari. I genitori accorrono dalla figlia e scompaiono dietro una porta per molto tempo. Non appena rientrano in sala d'attesa Bill non resiste "Come sta? Vi prego ditemi che sta bene" gli esce una voce accorata, sinceramente preoccupata. "Sta abbastanza bene, ha dei forti mal di testa e non sa cosa sia accaduto, ma ci ha riconosciuti e questo è già molto" risponde la madre. Il padre interviene "Voi siete i gemelli di cui parla sempre, Bill e Tom, sono certo che sarà felice di vedervi entrambi, andate pure" il viso pallido ma cordiale adornato da un sorriso. "Ma signore l'orario di visita è finito e noi non siamo parenti" rispondo. "Uno strappo alla regola non danneggerà nessuno, anzi vedere visi familiari farà sentire solo meglio Michaela" replica e con gesto ci invita ad andare nella stanza. 

Bill bussa piano ma poi entra senza aspettare risposta, ci accoglie un viso stanco e pallido ma incredibilmente sorridente. "Ciao ragazzi, che bello vedervi, venite qui" la sua voce è stanca ma emozionata. Bill corre al suo capezzale mentre io chiudo la porta dietro di noi. La sommerge di domande, iniziando da un generale come stai, ad un'analisi approfondita di ogni cosa che sente. Lei ride della sua apprensione e gli stringe la mano. Dice di essere un po' confusa e di avere mal di testa da quando si è svegliata. Io resto poco distante, in silenzio, vederla sveglia, che ride mi ha tolto quel carico d'ansia che avevo addosso dall'uscita di scuola, quella paura insistente ma non il senso di colpa. 

Ecco cos'era quell'ombra che avevo addosso, che preme e stringe e schiaccia il mio intero essere. Mi sento colpevole.
D'un tratto Mich mi guarda con un sorriso genuino e negli occhi la brillantezza, la limpidezza, la trasparenza del suo amore. Per la prima volta lo vedo davvero. Un amore puro, candido, palese. "Puoi avvicinarti Tom, non mordo mica!" mi sbeffeggia, così mi siedo di fianco a lei mentre Bill va al bagno, intenzionalmente.

"Ciao Mich, è così bello vederti davanti a me con gli occhi aperti e cosciente, mi è preso un colpo quando ti ho vista a terra" sono leggermente imbarazzato. "Dai fortunatamente è stato solo un brutto incidente ma sto bene, giuro". "Mich io devo chiederti scusa, mi sono comportato come un idiota e tu non meriti questo da parte mia, non meriti proprio uno come me" la mia voce si fa densa e le parole escono lente e fin troppo vere. 
Lei mi guarda interrogativa "Scusa per cosa?". La sua espressione mostra perplessità, non posso crederci, non ci credo, mi rifiuto di pensarlo. "Per ieri sera, non ti ricordi?" insisto, "No, cosa dovrei ricordare?" mi domanda a sua volta. Per un attimo vedo la stanza girare vorticosamente attorno a me, accompagnata da un senso di nausea, paura e preoccupazione. Non ricorda nulla.

Non faccio in tempo ad aprire la bocca che la porta si apre e l'infermiera grida che non dovremmo essere lì a quell'ora, tanto forte da far uscire mio fratello dal bagno sgomento. "Andate via, immediatamente! Tornate quando è orario di visita". La prego di farmi rimanere ancora un po', dovevo finire quel discorso, capire effettivamente, ma non c'è verso. 

Siamo fuori dalla porta, mi accascio a terra, la testa tra le mani.

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Capitolo 7
*** 7. ***


7.
 

Tornato a casa mi butto subito a letto. Non ho detto una parola per tutto il tragitto. Bill ha rispettato il mio silenzio percependo, pur non avendo ascoltato la conversazione tra me e Mich, che qualcosa è andato storto. So che si sta tormentando per capire cosa ci siamo detti, come ho detto a Mich la verità. Il problema è che non l'ho detta. 

Sento Bill che versa i cereali nella tazza del latte giù in cucina, lo fa sempre quando salta la cena. Sospiro alzandomi dal letto e mi dirigo in bagno. Il mio corpo è preda di un malessere generalizzato causato dalla marea torbida del senso di colpa che fluttua all'altezza del mio stomaco. Non ricorda nulla, lei è felice, non ricorda di essere innamorata di me, non ricorda cosa ho fatto, non ricorda di odiarmi. Devo mentirle o devo dirle la verità? Una bugia la farebbe stare meglio, almeno guarirebbe serena e potrei non spezzarle in cuore. Ma come posso continuare a stare con lei? Dopo quello che mi ha detto, dopo quello che ho fatto... dovrebbe sapere la verità, so che la merita ma le farei così tanto male un'altra volta.

Sputo il dentifricio nel lavandino e poi mi getto l'acqua gelida sul viso. Come è potuto succedere? È colpa della perdita di memoria e dell'incidente, è colpa di come è finito il discorso quella sera, è colpa di quello che ho detto e fatto, è... è colpa mia. Sfuggo il mio riflesso nello specchio e affondo la faccia nell'asciugamano. Non posso continuare così. Non riesco a dare un ordine ai pensieri. Mi sdraio di nuovo sul letto e, guardando il soffitto, faccio la mia scelta: cancello ogni pensiero, svuoto completamente la testa, è il momento che io dica basta; riprendo la distanza di sicurezza da tutto, ricostruisco la barriera invisibile che mi separa dal vortice senza fine dei sentimenti. Ritrovo una sottospecie di quiete e la marea torbida nel mio stomaco diventa un mattone immobile e pesante. 

L'indomani Bill mi sveglia deciso a estorcermi il racconto della sera prima. Vedo il suo sgomento, la sua tristezza, i suoi occhi sono trasparenti e vi leggo tutto: mi rendo conto che in questa storia non sono l'unico ad aver temuto per la salute di Michaela.
"Oggi dopo la scuola vado a trovarla, vieni con me?" mi chiede dopo aver ascoltato tutto in silenzio. "No Bill, ho bisogno di un po' di tempo, dille che la saluto e di rimettersi presto" il mio tono è duro e inespressivo e i miei sforzi per demolire, schiacciare, sopprimere ogni emozione legata a quella vicenda sono messi a dura prova. Quella frase mi costa come un sonoro pugno dritto sulla bocca dello stomaco. Bill rimane un po' interdetto ma lascia correre, capendo e consigliandomi di mantenere la calma e di trovare il modo giusto di affrontare Mich.

Passano i giorni e io non mi smuovo, ogni sera Bill mi racconta di cosa ha parlato con Michaela, della sua salute, del fatto che chiede di me, ma riceve sempre la stessa risposta:"Mi fa piacere che stia meglio". Ieri sera, all'ennesima risposta insulsa si è arrabbiato. Mi ha chiesto come potessi continuare a ignorare quella situazione, come potessi non dirle la verità, con quale coraggio mi tenessi a distanza da una persona con cui avevo condiviso così tanto. Mi ha ricordato che anche lui era in difficoltà non potendole dire come stavano le cose realmente, che era stanco di coprirmi e che prima o poi la verità sarebbe venuta alla luce. Io non avevo risposto, in fondo erano tutte cose che sapevo ma che avevo scelto coscientemente di ignorare.

Esco dall'aula di scienze già con la sigaretta in bocca pronto ad evitare ad ogni costo mio fratello. "Hey Tom come stai?" la fortuna proprio non sta dalla mia parte. "Ciao Ari" faccio per tirare dritto per la mia strada ma lei mi si parla davanti, posando le sue mani appena sotto il mio petto. Scuoto la testa con la faccia accigliata e un po' infastidita "Se non ti dispiace sto uscendo". Lei mi fissa con quegli occhi torbidi, un po' contrariata " Ti ho chiesto come stai". Scarto di lato "Non vedo perché ti interessi" mi dirigo verso l'uscita in fondo al corridoio che si sta riempiendo di ragazzi allegri per la ricreazione. Ari non demorde e mi segue "Tom aspetta!". 

Mi segue per tutto il tragitto intorno alla scuola mentre vado verso il mio posto segreto dove mi rintano quando voglio stare da solo, ignorando la pioggia e la voce di Ari che continua a chiamarmi instancabile. Finalmente arrivo e come al solito non c'è nessuno: chi vorrebbe passare quel poco tempo di ricreazione sotto le scale antincendio! Mi siedo sulla panca rubata, onestamente, dal laboratorio teatrale pronto ad accendere la tanto desiderata sigaretta, ma ecco Ari. 

Nella foga è uscita senza cappotto, così il suo caschetto mosso è un po' scomposto e inumidito dalla pioggia e i vestiti le si sono un po' appiccicati alla pelle:" Santo cielo ma vuoi fermarti quando ti chiamo?" inveisce, senza dubbio è testarda. Sposto lo sguardo da un'altra parte: preferisco dare attenzioni al pilastro in ferro che affrontare quella conversazione. "Mi daresti una sigaretta per favore?" mi domanda tentando di asciugarsi per lo meno le mani. "Non sei un po' piccola per fumare?". "E tu non sei un po' troppo giovane per essere mio padre?" Risponde a tono ma con un bel sorrisino. Tolgo la sigaretta dalla bocca e gliela porgo e poi tiro fuori il pacchetto per prenderne una anche per me. 

"Come sta Michaela? Ha fatto davvero una brutta caduta e quando ho visto il sangue ho davvero temuto per il peggio". "Non lo so, Bill dice che sta meglio, probabilmente tra qualche giorno la dimettono" guardo per terra, rapito dagli arabeschi che produce il fumo della mia sigaretta. Lei si mette in piedi davanti a me fingendo un'imponenza che chiaramente non si addice al suo corpo minuto " Che vuol dire che non lo sai, non sei andato a trovarla?". 
Per un momento, un solo minuscolo momento qualcosa in me prende il sopravvento, qualcosa di simile alla vergogna e al dolore. Ma dura solo un attimo. Dopo ritorno ad essere imperturbabile, o almeno così sembra, "No non ci sono andato tanto ci va Bill". "Scusa ma non eravate molto intimi?" enfatizza le ultime parole, "Insomma lo sanno tutti, soprattutto dopo il party a casa tua... se ne è parlato parecchio. Come hai potuto farle una cosa del genere?". 

Serro la mascella e chiudo un attimo gli occhi "Non sono cose che ti riguardano" uso la voce dura. "Beh secondo me, a prescindere da come sia finito il vostro rapporto dovresti starle vicino, ha rischiato grosso". Non molla "Il problema è che nessuno ha chiesto il tuo parere!" mi accorgo di aver alzato la voce solo dopo aver pronunciato quella frase, per l'eco che risuona sotto la scala. "Tu sei veramente uno stronzo, non capisco perché perdo tempo con te!" urla anche lei. "Eh Ari dimmi un po' perché perdi tempo con me? Sì sono uno stronzo, stavo con Michaela solo per il sesso e sì, mi sono fatto due ragazze la stessa sera è questo che vuoi sentire?" mi alzo in piedi "Lo sai già! Sono un bastardo quindi spiegami: tu da me che vuoi?" Getto la sigaretta lontano e ho quasi il fiatone per quell'invettiva. 

Lei mi guarda negli occhi, le sopracciglia aggrottate, un fiume di parole sembra trattenersi a stento sul ciglio delle sue labbra. Rimane statuaria davanti a me, a pochi centimetri dalla mia faccia, senza fare nemmeno un passo indietro. "Non lo so Tom! Non so cosa voglio da te, tu mi sconvolgi, mi lasci senza fiato e io non so che fare!"  La sua voce tuona e le sue parole sono inaspettate. "Un minuto ti detesto per quello che hai fatto e il minuto dopo mi sento male perché non riesco a resistere all'attrazione che provo per te!" prende fiato con le labbra semiaperte. 

"Arianne tu mi hai detto chiaramente che hai un fidanzato, quindi va' da lui" scandisco le parole, sono veramente furioso. "Hai ragione dovrei farlo! Ma non ci riesco e tu non puoi giudicarmi perché hai fatto di peggio, hai tradito la tua ragazza davanti ai suoi occhi e l'avresti fatto anche con me se non ti avessi fermato!" Il suo tono di voce non si abbassa e il suo viso è sempre più crucciato. "Tu non sai niente! Io e Michaela non stavamo insieme, scopavamo e basta e a lei andava bene e se non fosse stato per te io quella sera non sarei andato a letto quello due!" perdo definitivamente il controllo. "Ah vuoi dire che è colpa mia? Vuoi dire che se fossimo andati noi a letto insieme sarebbe stato diverso? Tu non me lo hai neanche detto del rapporto tra te e Michaela! Ti rendi conto?" il fiume irrompe con la sua potenza e porta via tutto. "Non sto dicendo questo! È successo tutto così in fretta, non ho avuto il tempo altrimenti io avrei... senti lascia perdere!" faccio un passo di lato e poi mi butto sotto la pioggia, voglio andare via. 

Ari mi corre dietro e mi trattiene per un braccio "Altrimenti cosa Tom? Me lo avresti detto? Lo avresti detto a Michaela? Cosa?" la pioggia sferza sopra le nostre teste. "Non lo so Ari non volevo che le cose andassero così ok? Mi sono fatto trasportare e ho perso il controllo! Perché tu mi guardi così e, santo cielo, io non posso, non riesco... ho mandato tutto all'aria perché volevo una chance con te, voglio una chance con te!" Cazzo, cosa diavolo ho detto. Ormai siamo completamente fradici. Ari rimane un attimo impalata con le gocce d'acqua che le scivolano sul viso fino al collo. 

Alza le braccia per raggiungere il mio viso con le mani e senza esitare un secondo avvicina le sue labbra alle mie, un contatto umido e soffice. Le nostre labbra si fondono in un attimo e io scopro finalmente il sapore sublime della sua lingua e l'estasi di quel contatto. La prendo per i fianchi con foga e la spigo addosso al muro senza mai allontanarmi dalla sua bocca. Il bacio è sempre più profondo e più bramoso. La sollevo prendendola tra le braccia, mi sembra di non riuscire a respirare, le mordo il labbro inferiore "Non sai quanto desideravo farlo" sospiro sfiorandole il naso. Lei sorride e si stringe più forte a me mentre le mie mani affondano di più sulle sue cosce. Avido torno alle sue labbra carnose e qualcosa nel mio basso ventre si risveglia. 

In un attimo di lucidità mi rendo conto che qualcuno avrebbe potuto vederci, così, tenendola sempre tra le braccia, torno sotto le scale e mi siedo al centro della panca, con le sue gambe ancora avvolte al mio bacino e le sue mani che mi accarezzano la nuca. Si allontana quel tanto che basta per prendere un respiro, si sposta i capelli bagnati dal viso mordendosi un labbro con gli occhi semi chiusi "Sono felice di averti baciato" sussurra. Con le mani percorro la sua schiena "Non pentirtene".

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