Rise of the Fulcrum

di thewise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ashla ***
Capitolo 2: *** No family, no home, no one ***
Capitolo 3: *** Unsolved ***
Capitolo 4: *** The beast inside ***
Capitolo 5: *** Seeds of the Dark Side ***
Capitolo 6: *** Fall of the Jedi ***



Capitolo 1
*** Ashla ***


 

Capitolo 01.

Ashla

 
" you're reckless, little one.
You never would have made it as Obi-Wan's Padawan.
But you might make it as mine. "
 
 
Le erano sempre piaciute le sfide.
C'era qualcosa di profondamente intrigante, attraente ed irresistibile legato all'immaginario guanto gettato a terra, al rischio, al brivido dell'azione, l'adrenalina dell'ignoto. Era una sensazione amabile a cui difficilmente Ahsoka aveva saputo voltare le spalle, forse mai. Si era mai ritratta? Aveva mai fatto un passo indietro?
. Di passi ne aveva fatti molti, anche se non aveva considerato quell'allontanamento come una fuga di fronte al pericolo. Non aveva rifiutato uno scontro o una sfida, tutt’altro: la vera sfida era stata continuare a camminare, un passo dopo l'altro, reprimendo a stento la tentazione di volgersi verso gli occhi affranti del suo Maestro. La sfida era andare avanti senza di lui.
La parete rocciosa che ora fronteggiava però non era da meno. Ahsoka era un puntino colorato ai piedi di quell'ostacolo, osservava dal basso l'imponenza del monte, figurando le eventuali modalità di scalata. Perché non sarebbe di certo tornata sui suoi passi, non avrebbe perduto altro tempo prezioso per trovare una strada alternativa quando poteva benissimo attingere alle sue doti naturali.
Con un cenno di convinzione, tese le mani contro la superficie ruvida.
« La pazienza non è mai stata la tua virtù, furbetta. »
Le dita affusolate sfiorarono l'ammasso roccioso dalle sfumature rosee per un istante, prima d'essere ritratte. La voce irruppe nel silenzio della sua concentrazione come un monito abituale, inaspettato al punto da far sobbalzare Ahsoka ma non così tanto da dover alzare la guardia. Non le avrebbe mai fatto del male, dopotutto, e ora che si trovava lontano anni luce meno che mai.
« So perfettamente cosa devo fare », rispose senza distogliere lo sguardo dalla cima, non riuscendo ad impedirsi di lasciar andare un sospiro.
« Potresti rientrare nella foresta e trovare un'altra via. »
« Non c'è un'altra via. »
« C'è sempre un'altra via. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro. »
Ahsoka alzò una mano per liquidare le parole con un cenno, senza ancora osare voltarsi. Perché avrebbe dovuto, in fondo? Anakin Skywalker non era al suo fianco con la tipica aria saggia e velata da un'ombra di presunzione, non era alle sue spalle per difenderla, non poteva vederla, non poteva sentirla, non poteva fare niente. Volgersi avrebbe solamente reso la sua assenza più reale e Ahsoka non era pronta ad affrontare questa consapevolezza, non era pronta ad alleggerire la presa che sempre avrebbe avuto sul suo cuore. Non poteva lasciarlo andare di nuovo.
« Ahsoka... »
La mano destra della togruta si mosse per prima, seguita dalla sinistra con uno slancio notevole. Ahsoka era sempre stata piuttosto agile e aveva avuto modo di dimostrarlo in svariate occasioni. La terra prese presto la giusta distanza, puntando i piedi e sfruttando il duro allenamento impresso a fuoco come un marchio.
Era leggera, appesa alla roccia, sospesa come se ogni peso fisico e mentale si fosse all'improvviso dissolto. La fatica si allontanò rapidamente da lei, mentre si avvicinava la sensazione d'aver raggiunto la vetta. Non era ancora sfumato il rischio della caduta, un passo falso o la minima esitazione sarebbero potuti essere fatali a quell'altezza. Essere faccia a faccia con il pericolo accese Ahsoka, la spinse verso l'alto come solitamente avrebbe fatto la Forza.
Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva chiuso gli occhi, esplorato gli angoli della sua mente, accarezzato il legame che la univa con la Forza. Vagamente ricordava quel momento, perché fino ad allora non aveva immaginato di dover sopravvivere lontana dall'Ordine, lontana dai Jedi. La Forza scorreva in lei, Ahsoka riusciva ancora a percepirla, immersa nella totale solitudine della sua scelta. Sentiva voci nate dalla sua coscienza più intima e recondita, parole che non le appartenevano ma che prendevano sempre la stessa sembianza: il suo Maestro.
Un ultimo sforzo.
Il braccio destro si levò ancora, più forte che mai, e la mano si serrò sulla superficie spigolosa. Era arrivata sulla cima, avrebbe potuto vederlo con i propri occhi se solo avesse rivolto lo sguardo verso il basso, dietro di sé. Ma Ahsoka aveva lottato troppo assiduamente contro la tentazione di guardare il proprio passato per cedervi lì, ad un'altezza esorbitante, nella tipica situazione intermedia tra il sopra e il sotto, sì o no, vivere o morire, salire o cadere.
Salì, puntando le braccia e le ginocchia. Un vento gelido la colpì in pieno volto, minacciò di far scivolare il mantello già sporco e logoro dalle lunghe traversate. Aveva perso il conto delle lune, dei giorni, del tempo. Era lontana da ogni cosa avesse mai considerato indispensabile, sola in un pianeta sconosciuto e coperto da una foresta infinita.
« Bè, ce l'hai fatta. »
« Non dovresti esserne sorpreso », disse con noncuranza, muovendo i primi passi lungo il pendio.
 La vista era messa a dura prova dalla nebbia levata, densa e sostanziosa come un'enorme nuvola di fumo bianco. Sovrastava l'intero paesaggio, verde e naturale, davvero insolito rispetto al futuristico Coruscant, quasi una liberazione in effetti.
« Allora è quello il villaggio », riprese Ahsoka con un filo di voce, assorta.
Lo zaino alle sue spalle era notevolmente alleggerito rispetto alla partenza, in cuor suo era vitale che quella macchia in mezzo al verde cangiante fosse un posto sicuro ed abitato. Poteva resistere per giorni senza fermarsi, ma senza scorte d'acqua e cibo il suo viaggio si sarebbe ridotto ad una prospettiva poco appetibile. Non osava neppure immaginare i rimproveri di Anakin, a quel punto, e questo era un altro motivo di più per impedire che ciò avvenisse – senza tenere conto delle temperature terribilmente ridotte della notte.
« Quel lato sembra stabile per scendere. Io vado. »
Ahsoka si diresse verso un punto favorevole, chinandosi a sondare la roccia con una mano. Dall’alto, l’occhio si spinse involontariamente oltre il limite del pendio e aprì la visuale completa del rischio che a breve si sarebbe accollata per scendere, lo stesso di cui non si era molto preoccupata salendo.
Era stata un’incosciente, lo ammise in un angolo molto silenzioso e profondo di sé, ma solo per un attimo. Determinata a raggiungere il villaggio prima del calar della luce, Ahsoka si calò lungo la parete, ignorando qualunque altra opposizione la sua mente tentasse di creare.
 
 
" if you have trained her well,
she shall take care of herself. "
 
 
Il vento smise di spirare appena Ahsoka toccò di nuovo terra. 
Quel pianeta era strano. Per quello che aveva potuto vedere e attraversare fino ad allora era certa che si trattasse per gran parte di folte foreste, ambienti selvaggi, vegetazione fitta e clima piuttosto rigido. Le giornate erano calde, afose, nonostante ogni centimetro di suolo fosse illuminato da una tetra luce grigia; le sere e le notti erano, per contro, gelide ed insostenibili. Rimanere all'esterno durante le ore più buie significava sfidare duramente il destino e la natura stessa, con il rischio di non poter aprire le palpebre per vedere il giorno seguente.
Ahsoka si affrettava tra gli alberi e i cespugli, alcuni spogli e altri di un verde sgargiante. Non poteva permettersi di perdere secondi e minuti preziosi, doveva raggiungere il villaggio nel minor tempo possibile. E così procedeva da settimane, da punto a punto, di città in città, accampamenti e villaggi dispersi in tutto il territorio.
Iniziò a sentire il conto alla rovescia quando il mantello divenne inutile e l'aria fredda filtrò il tessuto fine dell’abito, la pelle, le ossa. I movimenti divennero più difficoltosi, le dita s'intorpidirono, si scontravano duramente contro i ramoscelli secchi e pendenti degli arbusti.
Ahsoka proseguiva imperterrita, imponendo alla propria mente di accantonare il dolore, il sentore dei graffi, della stanchezza. Poteva farlo, lo sapeva, esattamente come aveva scalato la parete a dispetto della soluzione più razionale.
E poi si fermò. Creò un varco attraverso la vegetazione, dal quale poté vedere chiaramente le prime dimore improvvisate e costruite in legno del villaggio. Tutto sembrava tranquillo, se non per la fretta che gli abitanti si premuravano di avere nel recarsi all’interno delle casupole, la stessa che si era ritrovata a dover gestire Ahsoka. Il tempo si era trasformato in un’entità completamente estranea, la sua percezione era mutata e anche se appariva indistinto, arrivava comunque un momento in cui il suo scorrere diventava vitale. Ignorarlo sarebbe stato uno sbaglio, aveva dovuto far fronte anche a questo.
Lasciò alle spalle il bosco, lo squarcio aperto, incamminandosi con andatura moderata verso il sentiero sterrato principale, dal quale si diramavano abitazioni, locande, costruzioni rurali, prive di qualunque tipo di tecnologia. Le persone intrattenevano una vita semplice, principalmente dedita alla sopravvivenza e in apparenza del tutto distante dal conflitto infausto tra Repubblica e Separatisti. Era stata una sorpresa quasi piacevole per Ahsoka, una boccata d’ossigeno puro, un’onda inaspettata d’esterna tranquillità, necessaria a domare il suo caos interiore.
Superato il sentiero, Ahsoka entrò in quella che aveva tutta l’aria di essere una locanda – il posto in cui entravano ed uscivano più persone. Al riparo dal freddo, la giovane si comportò come se la sua fosse una normale traversata, mantenne un profilo basso, lanciando tuttavia occhiate guardinghe allo spazio e alle presenze circostanti.
Mai abbassare la guardia, si ripeté. Mai abbassare la guardia, soprattutto se in un posto non deserto. Scambiò uno dei suoi bracciali con un pasto e un riparo per la notte, esaminando l’interno poco illuminato e abbastanza chiassoso. Non fu difficile passare inosservata, mischiarsi agli altri, trovare un tavolo in disparte e rifocillarsi.
Ad ogni boccone, Ahsoka ingoiava anche la consapevolezza di aver sempre meno effetti personali con sé da barattare e, ben presto, avrebbe dovuto usare molto più che l’ingegno per trovare di che vivere. Almeno finché non avesse trovato un posto in cui fermarsi.
L’esistenza solitaria era un buon modo per guarire, una tecnica efficace per distogliere la continua concentrazione verso ricordi amari e dolorosi, ricordi da superare, da cancellare e coprire con dei nuovi. Quello che non aveva però calcolato, era la difficoltà sempre maggiore nell’accollarsi da sola ogni tipo di responsabilità, fatto curioso visto che Ahsoka non ne aveva più nessuna. Era la responsabilità verso la sua stessa persona, il grande dilemma da risolvere. Chi era Ahsoka Tano? Chi era stata? Chi sarebbe diventata?
Bè, al momento Ahsoka Tano era una giovane nomade di diciott’anni, una togruta lontana dal suo pianeta, dalla sua gente e dal suo passato. Era alla ricerca di un futuro, ma forse e in maggior ragione anche di un presente: piena di certezze, d’un tratto era precipitata in un baratro oscuro e senza fine, che l’aveva spogliata persino della sua identità. Tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora era svanito, distrutto, andato in mille pezzi. Stava a lei raccoglierli, uno ad uno, e rimetterli insieme.
« Notevole, furbetta. Ma è questo ciò che vuoi fare? Spostarti ogni giorno, scappare, vivere come una reietta finché non avrai percorso ogni centimetro del suolo di questo pianeta? »
Ahsoka sospirò, portando alle labbra l’ennesimo pezzetto di pane secco. Il colore era discutibile, ma non era proprio in vena di obiettare: aveva fame, sete, era stanca e cercava di non dare a vedere il suo status di osservatrice.
« Non puoi rimanere qui per sempre. »
Si spostò lungo la panca in legno, trascinando con sé prima il piatto e poi anche il bicchiere. Lo zaino era ben saldo sulle spalle e, quando se ne rese conto, Ahsoka lo sganciò per sistemarlo lì accanto. Ignorò la voce per quanto possibile, nonostante non riuscisse proprio ad impedirsi di sbuffare. Fortunatamente il posto rumoroso rendeva la sua presenza poco interessante e anzi, talvolta la sua attenzione veniva rapita da gruppi moderati alternati a uomini più vivaci.
Due di loro erano abbigliati da cacciatori, o così suppose Ahsoka. Si alzarono rumorosamente per raggiungere quattro giovani seduti ad un tavolo buio in un angolo, che non parvero granché entusiasti della venuta.
La togruta osservava con la coda dell’occhio, terminando la sua porzione e studiando il resto della locanda. Non riusciva a farne a meno, a frenare l’istinto di avere ogni dettaglio sotto controllo, così da potersi aspettare qualunque tipo d’imprevisto e una sua reazione tempestiva. Anche se poi, lo sapeva, era l’impulsività a prevalere e il rituale di esamina era retrocesso ad un’abitudine vana.
Una sedia cadde, provocando un gran frastuono. Ahsoka non sobbalzò, ma le iridi blu saettarono in direzione del rumore improvviso. Vide uno dei ragazzi alzarsi in piedi con uno scatto, fronteggiare i cacciatori, più tranquilli che mai.
« Non ci facciamo calpestare dalla feccia come voi! », distinse tra il brusio generale e le esclamazioni.
Uno dei presunti cacciatori ribatté qualcosa d’incomprensibile, Ahsoka dovette reprimere l’istinto primordiale di scattare e impedire che la situazione degenerasse. Chiuse le mani a pugno, le occupò rovistando nello zaino per fare mente locale di ciò che le era rimasto.
« Che vuoi fare, ragazzino? Ora che non c’è paparino a difenderti io e il mio amico vogliamo solo divertirci un po’… »
« Non avrete più niente da noi! »
Ahsoka contò un mantello ripiegato di riserva, che avrebbe utilizzato prima del previsto date le condizioni di quello attuale; una casacca in pelle scura troppo grande, unico legame concreto rimasto con il Tempio e i Jedi; un comunicatore modificato, disattivato dal giorno del suo arrivo in quel pianeta; due bracciali, polsini di riserva, la sua cintura di Shili, due spade laser, pezzi di cibo avanzati.  
« Gli accordi non erano questi, ragazzino. Riferisci a quel coniglio in fuga che Carter Neely aspetta la sua parte e se non l’avrà entro, diciamo, le prossime ventiquattr’ore, si prenderà un pezzo del suo adorato figliolo. »
Le iridi blu vennero attratte dalla discussione nascente, sulla figura minacciosa del cacciatore e del giovane che si ostinava a mostrarsi forte, nonostante le risa e gli atteggiamenti denigratori degli uomini.
Osservò qualche attimo, notò la rabbia riversarsi dal ragazzo, concretizzarsi in una spinta impulsiva e azzardata, che gli avrebbe procurato di sicuro qualche guaio. Perché l’aveva fatto?, si rammaricò Ahsoka, sospirando infastidita. Perché? Non aveva possibilità alcuna, se non quella di far finire quella brutta storia in modo ancor più brutto. Perché aveva agito comunque?
Tornò a concentrarsi sul tavolo, sul piatto e sul bicchiere. Era come aver avuto uno scorcio di se stessa durante gli anni passati a combattere la guerra interminabile – solo pochi mesi addietro, dopotutto, no? Eppure quella visione così sentita faceva sembrare il suo desiderio di lotta distante, come se appartenesse a qualcun altro, ad una persona diversa, non a lei. Non riconosceva più la sua impulsività immatura? O forse ne aveva finalmente compreso la natura, venendo a capo dei nodi dolorosi del conflitto e delle loro conseguenze.
« Credevo di averti insegnato meglio di così. »
Ahsoka poggiò il gomito alla superficie del tavolo, resse il mento sulla mano. S’impose di non muoversi, di non mandare all’aria la sua “copertura”, la sua invisibilità. Doveva mantenere un profilo basso, stare alla larga da incidenti e comportarsi come uno spettro: osservare era l’unico privilegio o condanna consentito.
« Sei morto, ragazzino! »
« Quindi è questo il motivo per cui mi hai lasciato? »
« Smettila… », sussurrò Ahsoka a denti stretti, la mano scivolata nervosamente sul collo.
« Rimanere in disparte, guardare chi è in difficoltà e voltargli le spalle? »
Il respiro iniziò a mancarle, a diventare affannoso. Aveva bisogno d’aria, di silenzio, di scacciare quella voce continua. Si sentì avvampare, bruciare la pelle di un’implosione bollente, innescata da una scintilla pressoché innocua. « Esci dalla mia testa… »
« È quello che hai fatto anche a me. »
« ORA BASTA! », gridò Ahsoka, balzando in piedi impetuosamente.
La locanda calò nel silenzio, tutti gli sguardi ( per quanto vacui fossero alcuni ) si volsero in direzione della piccola viandante. Il giovane era a terra, sovrastato dall’alto Carter Neely, e Ahsoka dovette prendere prima un paio di boccate d’aria per accorgersi dell’evoluzione della situazione.
Incrociò gli occhi fulminei dell’uomo subito dopo, mentre l’atmosfera in bilico era tornata ad essere quasi del tutto normale: ognuno chiacchierava, si dedicava ai propri affari, ignorava le questioni da tempo irrisolte tra Neely e il ragazzo ai suoi piedi – e a ragione tutti sapevano ch’era di gran lunga meglio volgere lo sguardo e abbassare il capo, piuttosto che subirne le conseguenze. Neely di rado lasciava qualcosa al caso e apprezzava particolarmente le azioni risolutive.
« E tu chi dovresti essere? », iniziò con uno sorriso sghembo, accompagnato dalle risate soffuse del suo compagno. Superò il ragazzo a terra con un passo marcato, divertito dagli ulteriori nuovi sviluppi. « Il vecchio Drake non avrà assoldato una bambina come galoppino, spero. Lo facevo meno disperato di così… »
« Lasciala stare, Neely! »
« Con te me la vedo dopo, moccioso. »
Ahsoka era immobile, le mani appoggiate al tavolo, la mente che sgusciava da una via all’altra delle possibili eventualità. Stare ferma: possibile ma improbabile, dato l’avvicinarsi minaccioso di quell’uomo; fuggire e svanire come un fulmine fuori dalla locanda, apprezzabile ma… da scartare, poiché avrebbe tolto la sicurezza di passare la notte al riparo dal freddo; scattare e dar libero sfogo ai suoi impulsi primari, mandando all’aria l’impegno nel costruire un profilo basso che le avrebbe permesso di aggirarsi indisturbata nel pianeta.
“Cosa vuoi fare?”, si chiese mentalmente. “Cosa fai?”
Il ragazzo era di nuovo in piedi, aiutato da un paio di altri giovani del gruppetto, che sembravano però molto più spaventati di lui. Ahsoka aveva notato a prima vista il coraggio sgorgare dai suoi occhi senza paura, anche se forse avrebbe dovuto averne: il timore gli avrebbe impedito di compiere azioni sciocche, controproducenti. Ma chi era Ahsoka Tano per biasimarlo? In fondo, era uguale a lei. Sotto quel velo d’improvvisata prudenza, si nascondeva la ragazzina avventata e incosciente.
« Qual è il tuo nome, mh? »
Ahsoka non rispose, resse lo sguardo, per nulla intimorita.
« Lo sai, non mi piacciono gli imprevisti che non posso risolvere. Voglio sapere chi sei, per quale motivo sei qui e se hai intenzione d’intrometterti nei miei affari – in tal caso, non potremmo essere amici. »
Carter Neely procedette con un ghigno stampato sul volto segnato da chissà quali storie alle spalle, al contempo infastidito dalla presenza di Ahsoka. Come disse e ripeteva sempre, detestava le sorprese, faceva il possibile per eliminarle alla svelta.
« Senti, tu… » Colmò a grandi falcate la poca distanza rimasta, avventandosi con un braccio nel tentativo di afferrare Ahsoka nello stesso modo in cui aveva reagito alla spinta del ragazzo. Le sue intenzioni, però, ebbero una conclusione molto differente e decisamente imprevista secondo i suoi gusti.
Non appena fu sicuro di avere la meglio sulla straniera e riuscì a toccarla, l’istinto di Ahsoka prevalse su quel mero attimo di razionalità. La togruta diede un forte strattone alla sua presa, colpendolo con la mano libera nei punti strategici che gli avrebbero impedito di recuperare le forze e il fiato: stomaco e base del collo.
In pochi secondi, Carter Neely si ritrovò faccia a faccia con il tavolo, sul quale Ahsoka lo teneva bloccato. Il suo respiro era affannoso, gli occhi blu sgranati e alla ricerca di una via di fuga appetibile. La locanda non era caduta nel silenzio, ma molti abitanti del villaggio la stavano ora osservando, attirati ancor di più dal compagno del cacciatore.
« Ehi! », gridò, partendo alla carica di una corsa che fu miseramente breve.
Ahsoka lasciò Neely, stordito contro la superficie, e atterrò il secondo uomo con un solo colpo. A quel punto il suo profilo basso era evaporato, distrutto dalle sue stesse mani, da una sua scelta. Che tipo di persona voleva essere?
Si guardò attorno più volte, lievemente spaventata sul da farsi. Carter Neely cercava di reggersi al tavolo, di accumulare energia per potersi almeno rimettere in piedi e non sfuggì alla vista di Ahsoka. Aveva già puntato in sua direzione, infatti, quando qualcosa – o qualcuno – la trattenne per il polso.
« Vieni con me! », esclamò il ragazzo che, Ahsoka riconobbe, era quello finito a terra.
Gli altri si erano già dileguati, approfittando del momento di confusione e spaesamento della locanda. Non era una scena che si vedeva tutti i giorni e avrebbe dato argomento di conversazione per i giorni a venire.
Ahsoka era disorientata quanto gli spettatori, si ritrovò sotto la luce grigia e sempre più cupa dell’esterno, schiaffeggiata dalla brezza gelida, senza capire come. Il suo polso mingherlino era trascinato con forza e vi oppose resistenza quando si rese conto di aver lasciato lo zaino sulla panca. Proprio accanto ai due cacciatori.
« Fermo! »
« Dobbiamo andare! »
« Non posso! », Ahsoka sfilò il braccio dalla presa senza difficoltà. Non si mise sulla difensiva, non ne sentiva la necessità: vedeva in quel ragazzo un’affinità conosciuta, qualcosa che lo rendeva innocuo ai suoi occhi e di certo non un pericolo. « Ho lasciato tutti i miei effetti là dentro! »
« Non c’è tempo, dobbiamo andarcene prima che rinvengano! Con il calar della notte siamo al sicuro, ma qui… »
« Devo tornare là dentro. Non posso andarmene senza! »
Il ragazzo sembrò cedere, non ribatté. Comparve un accenno d’incomprensione sul suo volto, la tipica sensazione di chi non era abituato a sentirsi legato agli oggetti materiali perché impegnato ad impiegare il proprio tempo a sopravvivere. « Come ti chiami? », chiese in fine, semplicemente.
“Ahsoka. Ahsoka Tano. ”
« Sono Ashla. »


 
Angolo dell’autrice.
Salve a tutti! Innanzitutto, se siete arrivati fin qui, vi ringrazio infinitamente. ♡
Premetto che questa è la primissima volta in cui mi cimento in un esperimento simile, su questa saga bella e complicata, quindi ehm – siate comprensivi?
Dopo aver guardato Clone Wars e Star Wars Rebels mi sono chiesta spesso cosa sia accaduto ad Ahsoka in quest’arco di tempo notevole. So che negli Stati Uniti è finalmente uscito il libro su di lei, che qui in Italia è ancora off limits, ma ho comunque deciso di mettere nero su bianco ( o su schermo… ) i millemila film mentali partiti in tutte le direzioni riguardo al cambiamento di Ahsoka.
Inutile dire che faccia parte della schiera dei personaggi che preferisco, forse al primo posto, e in questa FF vorrei focalizzarmi proprio sulla sua figura a trecentosessanta gradi durante questi anni di ‘ vuoto ‘: i pensieri, le reazioni, le emozioni, le azioni e il modo in cui maturano nel tempo e col succedere di certi avvenimenti. Ovviamente cercherò di sviluppare accanto a lei tutte le personalità che incrociano la sua strada e che, in qualche modo, contribuiranno a plasmare la donna forte che ci viene mostrata in Star Wars Rebels. E non mancheranno i flashbacks, sia tratti dalla serie che aggiunti, per completare il quadro generale.
Sarà una sorta di viaggio, che parte da Ahsoka, attraversa Ashla e si conclude con Fulcrum. Non mi dilungo riguardo a questo inizio, lascio un pò di suspense (?) nel caso in cui siano emersi dubbi, che verranno sicuramente fugati un pò alla volta. 
 
Bene, ora che vi ho annoiati a dovere con tuuuutta questa infinita spiegazione – spero non siate scappati a gambe levate – giuro solennemente di avere buone intenzioni e di fissare volta per volta la data di pubblicazione del capitolo successivo. A questo proposito, il secondo capitolo verrà postato giovedì 16 febbraio.
Nel frattempo vi lascio un piccolo estratto… che spero stuzzichi la vostra curiosità. Buona lettura!


 
Estratto: capitolo 02.
No family, no home, no one
 
« Perché lo stai facendo? », domandò Ahsoka, dopo aver aspettato l’attimo sufficiente ad osservare il fagottino di cibo ora tra le sue mani.
Quando rialzò lo sguardo incrociò inevitabilmente quello di Drake. L’ombra di sospetto era svanita, scomparsa all’improvviso, come d’un tratto… soppiantata con fermezza da un altro genere di sentimento, molto simile all’apprensione ma ad essa complementare. Era, per certi versi, un punto di svolta e un punto d’unione, quasi l’uomo fosse giunto all’ovvia conclusione del misterioso dilemma in anticipo. E riuscisse a comprenderlo.
« È la cosa giusta da fare », rispose con un accenno di sorriso, un angolo delle labbra sollevato. « E poi c’è qualcosa in te, qualcosa di familiare nel tuo sguardo. »
Ahsoka assottigliò la vista. « Qualcosa di familiare? »
« Mh-mh », annuì lievemente Drake, facendo comparire una smorfia. « È lo stesso sguardo che avevo anch’io un po’ di tempo fa, quando ho deciso di mettere da parte il passato per occuparmi di mio figlio e assicurarmi che avesse un padre a prendersi cura di lui. »



 

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Capitolo 2
*** No family, no home, no one ***



Capitolo 02.

No family, no home, no one

 
" there's no home. 
I understood by leaving it. "
  
nine years ago
 
La terra iniziò a tremare e Makenna si fermò. Gli alberi tutt’intorno fremettero, le foglie e i rami scossi dalla potenza di un vento improvviso, come un lampo, l’esplosione della caduta di un fulmine e poi… niente. Ogni cosa tacque, tornò immobile.
La ragazzina si volse un paio di volte, controllò la situazione con un germoglio di panico nelle occhiate guardinghe. Percorreva quel sentiero quotidianamente, era persino arrivata al punto da non dover più cercare indizi per sventare il timore di perdersi: Makenna avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi, passo dopo passo, dal centro del villaggio alla piccola dimora in cui viveva con suo padre e sua madre.
Ma come conosceva bene ogni radice, ogni albero ed ogni dislivello del terreno, Makenna sapeva altrettanto bene quanto alte fossero le possibilità d’imbattersi in individui poco raccomandabili. Il villaggio era un posto tranquillo, il pianeta era dannatamente pacifico rispetto alla guerra che imperversava in tutta la galassia e ciò lo rendeva anche meta appetibile per chi, per egoismo o timore, decideva di ritirarsi dalla scena. Molti fuorilegge, soldati, reietti e cacciatori avevano fatto di **** la loro dimora e tanti altri ancora ne sarebbero arrivati.
Makenna riprese il cammino, reggendo con più forza la sacca di tela pesante per via delle provviste. Un rumore basso simile ad una sirena d’allarme si diffuse nell’aria d’un tratto, facendo sobbalzare la ragazzina.
Non pensò nemmeno per un istante di lasciare quel punto a gambe levate, correre a perdi fiato fino a casa. S’immobilizzò, spaventata e senza sapere cosa fosse meglio fare in situazioni simili – suo padre le aveva insegnato a seminare i cacciatori, a nascondersi tra le fronde, a scappare silenziosamente. Non le aveva mai detto niente riguardo a strani avvenimenti, frastuoni dal cielo, tremori della terra e dell’aria. Cosa doveva fare? Ma, soprattutto, cosa stava succedendo?
Makenna alzò lo sguardo verso il grigio sovrastante, avvertendo il tremolio precedente moltiplicato in maniera esponenziale. Poi, all’improvviso, qualcosa volò sopra il bosco, sfrecciò ad una velocità tale da risultare irriconoscibile e la ragazzina riuscì a carpirne solo la densa scia di fumo scuro lasciata dietro.
« Makenna! », gridò la voce di sua madre in lontananza, proveniente dalla stessa direzione dell’oggetto volante.
La ragazzina partì di corsa alla ricerca della donna, noncurante del fatto che stesse andando incontro proprio alla causa del vento, del tremolio, del panico di chissà quanti abitanti. Passò tra un albero e l’altro, issando la sacca in spalla, e saltando ogni qualvolta temesse d’inciampare su radici sollevate dal terreno.
Interruppe la corsa solo quando ci fu una scossa più violenta, un frastuono spaventoso di qualcosa che atterrava bruscamente al suolo e finiva in mille pezzi. Pensò alla voce della madre, al villaggio che si trovava proprio lì, all’oggetto volante e al fumo.
Riprese, Makenna, il fiatone più per il panico di trovare il posto distrutto che per la fatica. Corse, corse come solo una volta le era accaduto nella sua giovane età, corse ancora, corse veloce.
Non seppe quanto tempo passò, distratta da tutt’altri pensieri, ma giunse in fine fuori dal bosco e di fronte ad una scena insolita e raccapricciante. L’oggetto volante era una nave, con fori e bruciature su gran parte della superficie, da cui ancora fuoriusciva del fumo. L’aria era poco respirabile, contaminata dall’odore del metallo abbrustolito, surriscaldato.
Makenna fissò l’evento ad occhi sgranati e labbra spalancate. C’erano due casette, in quel punto, prima che la nave le schiacciasse e le abbattesse. Aveva udito la voce di sua madre, potevano esserci delle persone, chiunque, morto nello schianto…
« Makenna! Andiamo via! », esclamò la donna, sbucando dalla foresta e accerchiando il corpicino della bambina con le braccia. « Non è sicuro rimanere qui! »
Entrambe fissavano la nave precipitata allarmate, Makenna era pietrificata. La madre alle sue spalle aveva smesso di cercare di trascinarla via, osservava anch’ella la nuvola grigia e le macerie.
D’un tratto, un’esplosione aprì un varco sul fianco, catapultando a distanza un pezzo metallico dalle dimensioni non modeste, e le due si ritrassero. Le mani della donna avevano coperto istintivamente il volto della figlia, la teneva stretta a sé con fare protettivo, accentuato dallo spuntare di una figura dall’apertura creatasi.
La madre di Makenna assottigliò lo sguardo, un po’ per mettere meglio a fuoco e un po’ per il fumo che pian piano si diffondeva nell’atmosfera. Vide un uomo, o così ipotizzò, cercare di farsi strada per scendere dalla navetta. Indossava un casco scuro da cacciatore di taglie, una tuta e un giubbino di pelle malconcio. Chiunque egli fosse, era del tutto fuori posto in mezzo alle foreste e alle abitazioni rurali.
Lo straniero toccò il suolo barcollando appena, stabilizzandosi con le braccia spalancate. Si volse verso il passaggio da cui era uscito e fece un cenno con le mani. Parole confuse provenivano da sotto il casco, incomprensibili sia a Makenna che sua madre, immobili. Quando se ne liberò, si accorse della loro presenza e parve stupito, consapevole di aver causato danni notevoli, nonostante aleggiasse sul suo viso un velo di furbizia (del tutto innocua).
« Oh, salve! Mi dispiace molto per… quello. Sono davvero dispiaciuto e mortificato – mi chiamo Drake. Drake Leafson. »
 
 
present day
 
« Hai fatto cosa?! »
« Papà, non capisci… »              
« No, no, no! Capisco benissimo, solo non capisco come ti sia potuta venire in mente un’idea così – stupida! »
La voce di Drake Leafson tuonava incredula e piuttosto furiosa oltre la porta chiusa. Ahsoka guardava la soglia di sottecchi, come se temesse d’essere scoperta a origliare una conversazione segretissima, quando di fatto chiunque avrebbe potuto udire gli strilli dell’uomo – sarebbe stato interessante vedere fino a che punto.
« Non sappiamo niente di lei! Potrebbe essere una cacciatrice, una fuggitiva, una mietitrice o un’assassina da loro assoldata! »
« Papà… »
« No, no, no, non tentare di guardarmi in quel modo, con quegli occhi e quello sguardo. Non funziona con me, lo sai. »
« Stai esagerando. Ha dato una lezione a Neely. Mi ha salvato, puoi chiedere a Makenna, gli fatto il cu– »
« Modera il linguaggio, signorino! Chi è che ti insegna a parlare in questo modo… guarda un po’, dove andremo a finire… »
« Ehm, credo tu ti riferisca a te, papà. »
« Questo non è un dettaglio di mio interesse! », ribatté Drake dopo un lungo attimo di silenzio. « Ora va a chiudere tutto e sistemare la baracca per la notte, qui me la vedo io. Intesi? »
Dalla stanza provenne uno sbuffo sonoro, seguito da altre vivide proteste di Marek.
Era lui, Marek, il ragazzo che aveva spinto Carter Neely ed era finito a terra. Ahsoka ripeté mentalmente gli eventi un paio di volte prima di arrivare a capire appieno come si era lasciata coinvolgere in quella situazione. La sua coscienza l’aveva reclamato, e l’aveva reclamato anche a gran voce: la voce del suo Maestro. 
« Dobbiamo essere più prudenti, ora. Neely potrebbe decidere di venire a riscuotere e, no, non mi riferisco solamente al lavoro che gli ho promesso… »
« Che ti ha ricattato a fare, volevi dire. »
« Bè, è lo stesso. »
« No, non lo è! Non capisco perché dobbiamo vivere così, papà. Con la paura di questo prepotente che si diverte a rendere la vita di tutti un inferno, compresa la nostra. »
« Ehi, sai bene che non è per questo che lo facciamo. »
« Ah no? La mamma non lo vorrebbe… »
« Bè, lei non è più qui! », tuonò la voce di Drake, improvvisamente alterata.
Ahsoka abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sentendosi in colpa. Quella che in apparenza era iniziata come una strigliata del figlio da parte del padre si stava trasformando in qualcosa di più, in una conversazione troppo personale per poter essere intercettata da una sconosciuta come lei.
Non sapeva nulla di quelle persone e loro non sapevano niente di Ahsoka, neppure il suo nome. “Ashla”, aveva risposto, decisa a mantenere la sua invisibilità al mondo come un fantasma, non rintracciabile. Ma era solo questa la ragione dell’abbandono del proprio nome? Prudenza? Cautela? Astuzia? Non c’era forse dell’altro, radicato negli abissi più bui della sua persona?
« Mi dispiace, Marek, io non… »
La stanza calò di nuovo nel silenzio, che avvolse con le sue braccia l’intera dimora. Dovettero passare altri lunghi ed interminabili secondi prima che la voce del ragazzo spezzasse la pesantezza di quell’equilibrio precario, in cui nessuno aveva la benché minima idea di cosa dire, la mente improvvisamente svuotata.
« No, va bene, ho capito. Vado a chiudere le imposte. »
La porta si spalancò, attirando lo sguardo di Ahsoka. Marek uscì a passi quasi lenti, un’espressione di velata tristezza sul volto, che si tramutò in una smorfia quando intercettò gli occhi della togruta su di lui.
Il giovane aveva sedici anni, ma chiunque lo avesse incontrato gli avrebbe sicuramente affibbiato quattro anni di più a prima vista. Era alto, slanciato, dai lineamenti piuttosto marcati – che non assomigliavano affatto a quelli del padre, se non fosse per i profondi occhi verdi striati di uno scuro color terra – e un ciuffo ribelle castano. Ma non era solo questo, come anche Ahsoka aveva potuto notare, a rendere Marek più un uomo che un ragazzo: aveva una cicatrice invisibile su di sé, un segno indelebile che copriva ogni centimetro del suo corpo, un dolore soppresso, un trauma pesantemente legato alle caviglie e chissà da quanto tempo trascinato. Era un’ombra, un’ombra del passato, che l’aveva costretto a crescere in anticipo rispetto agli altri ragazzini.
Guardò Ahsoka e sospirò. « Non preoccuparti, fa sempre così quando è agitato. Le cose qui… non sono così semplici come sembra, ma suppongo tu lo abbia notato. È un brav’uomo, in fondo, capirà. »
Marek annuì lievemente, le labbra serrate ancora nella medesima smorfia. Ahsoka si scoprì non essere molto incline a parlare, impegnata a meditare inconsciamente sull’accaduto, e annuì a sua volta.
« Grazie », disse soltanto, con un filo di voce.
« No, grazie a te per avermi tirato fuori dai guai », rispose il ragazzo con decisione, ben consapevole di quanto fosse raro l’intervento altrui durante simili situazioni. La paura rendeva gli abitanti dei villaggi pacifici, ma anche succubi al punto da volgere il capo nella direzione opposta per non dover affrontare le conseguenze.
Ahsoka osservò Marek dirigersi nelle piccole stanzette della piccola dimora. Non aveva avuto possibilità di dare un’occhiata, naturalmente, da quando l’aveva condotta ( o meglio trascinata ) fin lì: aveva recuperato i suoi effetti, rapida e felpata per evitare d’affrontare una seconda volta i due cacciatori, e lasciato che il suo braccio la guidasse. Era troppo stordita, confusa da come gli eventi si erano andati a sviluppare e non sapeva cosa dovesse fare. Tornare alla locanda era escluso, non aveva importanza che avesse scambiato quasi inutilmente uno dei suoi bracciali, così come trascorrere la notte all’esterno. Ahsoka Tano non aveva avuto molta scelta, in conclusione, quella baracca era di certo l’alternativa migliore.
Sulla soglia apparve la figura di Drake, con una mano poggiata allo stipite. Aveva l’aria esausta, scettica e un po’ disorientata, comprensibile data la novità. Sul volto portava lo stesso segno indelebile del figlio, l’ombra del passato, la cicatrice invisibile.
« Sei una ragazzina », disse con tono sorpreso, lievemente serio date le sue preoccupazioni.
Ahsoka spostò subito lo sguardo, provando un impercettibile moto d’irritazione a quelle parole che aveva udito tanto spesso. « Non sono così piccola. »
« Uhm. »
Drake la studiò perplesso qualche istante, per poi camminare fino alla porta chiusa di un’altra stanza. Non dovette muovere molti passi, dato l’ambiente davvero ristretto, e spinse la superficie di legno senza perdere di vista la togruta.
« Puoi sistemarti qui per la notte », disse dopo aver dato una rapida controllata all’interno. « Non abbiamo molto spazio, come vedi, ma c’è una branda utilizzabile e troverai delle coperte nel baule. »
Ahsoka si avvicinò con lo zaino ancora in spalla, fece un cenno d’assenso col capo. Drake le parve evidentemente contraddittorio: da un lato la sua espressione era gentile, quella di un uomo un po’ goffo e scherzoso, devoto al figlio al punto tale da divenire, dall’altro lato, diffidente e sospettoso. Colse in lui un barlume d’austerità, sicuramente scatenata dal suo essere una straniera in terra straniera, sola e quindi anche dubbia.
Era comprensibile che non ostentasse sicurezza nell’offrirle un riparo, il timore di aver permesso ad un pericolo di varcare la soglia di casa. Ahsoka capiva, ella stessa aveva mentito sul proprio nome e non accennato nulla riguardo la sua destinazione, alle sue ragioni, alle sue intenzioni. Se non altro si sarebbe aspettata un interrogatorio da parte di Drake e il fatto che non sopraggiunse le diede un altro chiaro indizio sul carattere dell’uomo.
Gli occhi blu della togruta esaminarono la stanza, provando un certo tepore nella sensazione di avere un tetto per la notte. « Molto meglio del freddo e di quella… locanda. Grazie per l’aiuto. »
« Non voglio aiutarti. Ma lui sì », ribatté Drake, accennando a Marek con un movimento del capo, « mi fido del suo giudizio. È sempre stato troppo maturo per la sua età, mi domando se ciò non abbia a che vedere con il fatto di avere un pessimo esempio da seguire. E poi non eri costretta a salvargli la vita, là dentro. »
« Era la cosa giusta da fare. »
Drake assottigliò lo sguardo, d’un tratto pensieroso. « La cosa giusta da fare… », ripeté in un sussurro, soppesando quell’affermazione sillaba dopo sillaba. « Le persone non parlano più in questo modo. »
« Forse lo pensano, ma hanno paura. »
« E chi non ne ha? Viviamo in tempi difficili persino per percorrere il tragitto fino al centro del villaggio, probabilmente hanno ragione. »
« Ma non è comunque una giustificazione, no? », disse Ahsoka, rivolta a Drake ma forse e soprattutto a se stessa. La prudenza e il timore non erano valide ragioni per tenere lo sguardo basso, per calpestare qualunque buon proposito, valori in cui una volta aveva creduto. La confusione non era un motivo, così come neppure il dolore della perdita: non esistevano scusanti ed entrambi lo sapevano, i cuor loro.
L’uomo studiò a lungo i lineamenti della togruta, riconoscendone i tratti da un passato viaggio a Shili – conclusosi non molto bene, ma questa era un’altra storia. Drake si ritrovò stupito di fronte a quella ragazzina, colpito nel segno delle sue debolezze e delle recenti azioni poco nobili. Voleva proteggere Marek ad ogni costo, tenerlo fuori dai guai, lontano da qualsiasi pericolo e poco importava se per farlo doveva accondiscendere i ricatti di Carter Neely. Se questo pensiero l’avesse sfiorato cinque anni prima, si sarebbe maledetto, strozzato con le sue stesse mani: quando mai Drake Leafson si era reso il cagnolino di qualcuno? Già… mai. Ma questo era nel prima, nel dopo non poteva permettersi di perdere anche suo figlio. E si sentiva costantemente in debito, perennemente in colpa.
« No, infatti… », emise Drake simile ad un sospiro, squadrando Ahsoka ora con le sopracciglia increspate. « Se hai bisogno di qualcosa siamo di là, ehm… »
« Ashla. », l’intercettò Ahsoka, notata la lieve esitazione.
« Ashla. Io sono Drake. »
Ahsoka fece un cenno, le labbra strette in una smorfia sottile. « Grazie. »
L’uomo non rispose, si limitò ad un’occhiata eloquente, e Ahsoka comprese che non avrebbe udito nuovamente la sua voce. Presto rimase sola nella stanzetta ad osservarne le venature alle pareti, il buio crescente, il vuoto tutt’intorno.
No, non somigliava affatto alla sua vecchia stanza, ma questo era un bene. Vedeva già molti oggetti e paesaggi che fungevano da collegamenti con il passato, non necessitava di ulteriori promemoria. Sfilò lo zaino dalle spalle con sollievo e lo poggiò a terra. Accanto c'era il baule. 
La porta era aperta e scorse le figure di Drake e Marek attraverso il vano, udì le loro voci bisbigliate e capì l’atteggiamento esitante dell’uomo. Vide padre e figlio l’uno di fronte all’altro, impegnati in un discorso che aveva tutta l’aria d’essere uno scambio profondo e personale, il genere di affermazioni con il potere di avvolgere in un caloroso abbraccio familiare. Il genere di abbraccio che Ahsoka non avrebbe più avuto, almeno per molto tempo.
Erano passati alcuni mesi dall’ultima volta in cui era stata a Coruscant, aveva abbandonato il Tempio, i Jedi, il suo Maestro. Ma non era tutto. Ahsoka aveva lasciato la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, il suo mentore, la sua vita. Si era allontanata anche dal suo popolo, dalla sua città natale, dal suo pianeta, dalle sue origini. A conti fatti, cos’era rimasto di Ahsoka Tano? Solo uno zaino e un paio di spade laser inutilizzate.
Guardava padre e figlio, così vicini a lei, così lontani. Drake posò le mani su entrambe le spalle di Marek e i pensieri di Ahsoka corsero verso il suo Maestro. Se fosse stato lì… bè, avrebbe sicuramente lanciato una battutina ironica, con lo scopo d’infastidirla, e poi avrebbero passato il tempo a punzecchiarsi. Magari avrebbero concluso con un qualche tipo di conversazione sentita, ma solo per un po’, perché la natura di bimbi mai cresciuti d’entrambi avrebbe avuto la meglio.
Con gli occhi al pavimento, Ahsoka si spostò a cercare una coperta nel baule, l’immagine di Drake e Marek impressa a fuoco nella mente. Deglutì, sentendosi più sola che mai. I ricordi di Plo, di Anakin, di Obi-Wan e Padme non erano forti abbastanza da farle superare la nostalgia, quanto più gliene facevano provare in quantità maggiore. A volte l’idea di tornare l’aveva sfiorata, accarezzata e dolcemente cullata, per poi risvegliarla bruscamente di fronte all’amara verità: quello non era più il suo posto e niente, ora, avrebbe cambiato le cose. La nostalgia era domabile, meno dolorosa in effetti della consapevolezza di non appartenere a niente e nessuno. Non era un Jedi, non più. Non era neppure Ahsoka Tano…
« Ti ho portato qualcosa », interruppe il flusso continuo dei suoi pensieri la voce di Drake, appostato ancora oltre la soglia.
Ahsoka aveva la coperta tra le mani e la ripiegò, colta di sorpresa dalla nuova irruzione. « Pensavo avessi detto di non volermi aiutare. »
Drake sembrò essere preso alla sprovvista, ridestato all’improvviso, e culminò con una smorfia veramente buffa anche per lui. Poi alzò il fagottino che reggeva con facilità in una mano. « Cosa? Questo? Nah! È solo una piccolezza. Immagino tu sia in viaggio da un po’, insomma… sì. »
Giocherellò con l’oggetto tra le mani, inarcando le sopracciglia e storcendo le labbra come se si rivolgesse ad esso, al fagottino di cibo. Temporeggiò, ignaro di cosa avrebbe potuto dire e cosa voleva dire. 
Aveva lasciato all’istinto carta bianca per agire, aveva guardato negli occhi di suo figlio, aveva visto chiaramente le immagini riflesse e aveva percepito un dolore. Non si trattava di una sofferenza fisica, ma di qualcosa sepolto sotto agli strati più profondi, coperto da terra e detriti di ricordi, di rimpianti, di paure. Drake era un padre prima di tutto… un uomo che aveva rivestito quel ruolo egregiamente, forse assorbendolo al punto tale da nascondersi in esso. Cosa rimaneva di lui, altrimenti? Marek era l’unica cosa rimastagli al mondo. O almeno così aveva pensato negli ultimi anni, in cui si era rifugiato assiduamente in questa convinzione.
Rientrò nella stanzina con la medesima smorfia, andando a sedersi – con cautela – nel comodino di legno di fronte alla branda. Ahsoka fece lo stesso, accomodandosi a sua volta nella superficie che avrebbe cullato il suo sonno.
Entrambi rimasero in silenzio, talvolta evitando d’incrociare lo sguardo, posandolo a terra e aspettando che l’altro rivolgesse l’attenzione altrove. Fu Drake a fare il primo passo: allungò il braccio, porgendo il cibo ad Ahsoka con la massima naturalezza.
Cosa?, chiese d’impulso una vocina al lato destrò della sua mente. Che significa?, continuò, mentre le iridi blu profonde come un oceano fissavano l’offerta stupite, allettate, non sapendo come reagire. Accetta, prendilo, impose un’altra voce, marcata, proveniente dal lato opposto.
La mano sottile ed esitante della togruta cancellò la distanza, prese il pacchetto, ch’era molto più di un semplice rifornimento per uno stomaco messo a dura prova. Era un’offerta di pace, una tacita solidarietà, un atto di altruismo e di fede, che scaldò un istante la solitudine del cuore di Ahsoka.
« Perché lo stai facendo? », domandò Ahsoka, dopo aver aspettato l’attimo sufficiente ad osservare il fagottino di cibo ora tra le sue mani.
Quando rialzò lo sguardo incrociò inevitabilmente quello di Drake. L’ombra di sospetto era svanita, scomparsa all’improvviso, come d’un tratto… soppiantata con fermezza da un altro genere di sentimento, molto simile all’apprensione ma ad essa complementare. Era, per certi versi, un punto di svolta e un punto d’unione, quasi l’uomo fosse giunto all’ovvia conclusione del misterioso dilemma in anticipo. E riusciva a comprenderlo.
« È la cosa giusta da fare », rispose con un accenno di sorriso, un angolo delle labbra sollevato. « E poi c’è qualcosa in te, qualcosa di familiare nel tuo sguardo. »
Ahsoka assottigliò la vista. « Qualcosa di familiare? »
« Mh-mh », annuì lievemente Drake, facendo comparire una smorfia. « È lo stesso sguardo che avevo anch’io un po’ di tempo fa, quando ho deciso di mettere da parte il passato per occuparmi di mio figlio e assicurarmi che avesse un padre a prendersi cura di lui. »
Ahsoka non parlò. Scrutò quegli occhi verdi, striati dello stesso colore della terra, in ascolto. Qualsiasi cosa le passasse per la testa non sembrava giusta, e non che fossero numerosi gli impulsi alla parola in quel momento. Era semplicemente colpita. E Drake la precedette, parlando di nuovo.
« Quando avrei voluto… ma non ho fatto. »
La voce calma dell’uomo sfumò, accompagnata da uno sguardo divenuto assorto. Il silenzio divenne assoluto, un’entità con vita propria, presente e palpabile. Ciononostante non impedì alla togruta e all’umano di osservarsi ancora, ancora una volta, alla ricerca di una chiave di lettura nuova che non comprendesse più la totale diffidenza e il sospetto, se fosse stato possibile. Erano estranei, dopotutto. Questo status non aveva comunque placato Marek.
« Bè, Ashla, buonanotte », esordì Drake, rimettendosi in piedi con un sospiro affaticato. « Spero tu riesca a dormire un po’ prima di partire. A meno che non decida di restare. »
Le sopracciglia di Ahsoka impiegarono un po’ ad aggrottarsi, quando assimilò pezzo per pezzo le parole pronunciate da Drake. Aveva quasi raggiunto il vano della porta e lei si accigliò, stringendo per contro le dita sul cibo. Partire. Restare. Restare. Partire...
« Restare? Non credo che… »
« Hai forse una scelta migliore? », replicò sicuro, sostando un quarto di secondo, il tempo necessario a lasciare sospesa nell’aria la sua provocazione.
Ahsoka non capiva, non completamente. Rimase lì, seduta sulla branda, a guardare quell’uomo scomparire oltre la stanza, a contemplare la sua attuale posizione. Di nuovo, si trovava di fronte ad un bivio, era diventata il bivio stesso. Cosa doveva fare? Non aveva molta altra scelta, no?
No. Strinse il fagottino tra le mani, si beò della sensazione di un atto gentile, e si decise a scartarlo. Dopotutto, non era vero: non c'era nessun bivio, e convincersi del contrario era un inganno a se stessa. Lo sapeva, Ahsoka, inconsciamente. Sapeva che strada voleva percorrere, che via seguire. Doveva solo ascoltare l'istinto, lasciarsi guidare e non opporre resistenza. 
Lasciarsi andare...
 

 
« Sei felice, figliola? »
Le palpebre di Ahsoka tentarono di sollevarsi, pesanti. Mosse il capo verso destra, con una fatica tale da percepirlo come un grave fardello. Emise un lamento soffocato, qualcosa le doleva ma non riusciva a comprendere quale punto… non riusciva ad aprire gli occhi, non del tutto. Era intontita.
« Il tuo maestro ti tratta bene? »
Finalmente la visuale si aprì, anche se di poco. Ahsoka era distesa in posizione fetale e con le braccia deboli si mise a sedere, l’espressione frastornata, confusa, il mondo circostante sfocato.
Cosa stava succedendo? Non riusciva a mettere a fuoco nulla, i contorni degli oggetti vibravano, si mescolavano al paesaggio – che era ricco di foglie e arbusti, di certo non somigliava alla modesta dimora di Drake e Marek, alla piccola stanza che le avevano lasciato come riparo dal freddo notturno. E allora dov’era? Si era immaginata tutto? Perché si sentiva così stanca? Forse non si era mai mossa, era rimasta vittima del gelo e di allucinazioni talmente vivide d’apparire vere. Doveva per forza essere così, era la sola spiegazione che avesse senso.
Ahsoka si guardò faticosamente attorno, senza muoversi di un millimetro. Era buio, un cerchio buio in quella che aveva senz’altro l’aria di essere una foresta, illuminata solo da un fuocherello debole. Eppure aveva udito quella voce, un eco lontano, che rimbombava nella sua testa come il tuono di un tamburo. Un tamburo che aveva già udito molte volte, che conosceva bene, oh sì…
E poi la vide. Una figura che prima non aveva notato, in piedi oltre la fiamma in procinto di spegnersi, alta e misteriosa, dalle lunghe code e i montral decisamente più sviluppati dei suoi. Le somigliava tremendamente, nonostante fosse visibile solo uno scorcio del profilo, lo sguardo a terra, in attesa. Era lei.
« Chi sei? », chiese Ahsoka, le palpebre socchiuse.
Dopo una manciata di secondi, la figura si volse completamente e Ahsoka guardò se stessa negli occhi. Occhi diversi, gialli, crudeli, ottenebrati e corrotti da qualcosa di terribile, circondati da venature nere e da esse consumati.
« Non mi riconosci, vero? Io sono te, Ahsoka. Il tuo passato, presente e futuro. Guarda! GUARDA COSA MI HAI FATTO! », tuonò la voce, sollevando le braccia con forza e svanendo tra le fiamme.
Ahsoka si svegliò di soprassalto urlando e scattò a sedere con il respiro spezzato. Portò le mani alla fronte quando si rese conto che si trattava di un sogno, solamente un sogno. La coda dell’occhio vagò nella stanzetta, si accertò di essere tra le quattro pareti spoglie, in legno, malconce. Al sicuro.
Era solo sogno, ripeté. Solo un sogno.
Un sogno che aveva fatto molte volte un paio d’anni prima, durante un periodo in cui l’aveva tormentata assiduamente, simile ad una pugnalata che non accennava a voler smettere. Non sapeva bene da dove fosse nato; ricordava una missione non compiuta, un pianeta strano dal nome Mortis e più niente, frammenti scomposti, che facevano parte di questi incubi.
Ahsoka non aveva paura, ma percepiva un senso d’inquietudine ogni qualvolta si ritrovava ad osservare se stessa – se stessa nel futuro. E se fosse stato quello il suo destino, divenire oscura? Perché era il buio, il significato del sogno, vero? Le tenebre, l’ombra, il Lato Oscuro.
In cuor suo, Ahsoka non aveva mai neppure considerato la minima possibilità di un simile avvenimento ed era forse un piccolo pezzo del puzzle quanto mai sicuro. Conosceva la distruzione e le conseguenze del male, aveva combattuto assiduamente, con coraggio, senza timore ( quasi troppo e con mancanza di prudenza ). Allora cos’era a turbarla? Perché quel sogno si era rifatto vivo dopo anni di silenzio? Voleva dirle qualcosa, metterla in guardia, risvegliarla dal suo stato di fantasma prima che fosse troppo tardi? Troppo tardi per cosa?
Ahsoka prese dei respiri profondi, calmò l’agitazione e l’ansia dentro di sé. Si lasciò cadere sulla branda, scomoda ma essenziale, e fissò il soffitto buio per un lasso di tempo che non seppe definire. Guardò il vuoto, nero, cupo, e si domandò cosa stesse tralasciando, ricordando un insegnamento che il suo Maestro scoraggiava ad alta voce ma incitava tacitamente: seguire l’istinto.
Due stanze più in là, Drake Leafson osservava allo stesso modo la parete che lo sovrastava, sveglio sin dal momento in cui aveva sentito il grido di Ahsoka. Pensava, l’uomo, e più rifletteva, più si rendeva conto che quella ragazzina condivideva con lui sentimenti dolorosi che, data la sua giovane età, non avrebbe dovuto conoscere. Come suo figlio.
E più prendeva consapevolezza di ciò, più si avvicinava alla conclusione che non avrebbe potuto permettere che girovagasse da sola in quel pianeta sconosciuto, apparentemente quieto ma pieno di nascoste insidie. No. Lo doveva a suo figlio, lo doveva a sua moglie e, in gran parte, lo doveva a se stesso. Forse era giunto il tempo di riscattarsi, di vestire di nuovo quel nome imponente che aveva abbandonato da anni. Era arrivato il momento di svegliarsi, svegliarsi davvero. 

 
Angolo dell’autrice.
Ben ritrovati, amici stellari! 
Come promesso, sono di ritorno con il secondo capitolo, che è un po’ la conclusione del primo.
Che dire? Con questi primi due pezzi si delinea un po’ la figura introspettiva di Ahsoka, la sua situazione pochi mesi dopo aver lasciato l’Ordine e l’unica vita che ha conosciuto. Sta prendendo consapevolezza, un po’ alla volta, che le sensazioni provate quando era considerata una fuggitiva dai Jedi sono reali: è sola, non ha una famiglia, non ha amici, non ha una casa, può contare solo su se stessa e sta cercando di raccogliere i pezzi della sua identità per capire chi è e avere, così, di nuovo fiducia in sé.
Il fatto che la sua coscienza abbia sempre la voce di Anakin dice molto di lei e Drake questo sembra averlo capito ( anzi, Ahsoka è quasi una scintilla che lo riaccende, potremmo dire ): qui c’è la prima vera comparsa di Drake Leafson, proprio un’entrata col botto per il suo personaggio. Me lo immagino come il Richard Castle della situazione, sempre con qualcosa da dire, da fare, la persona più improbabile a schierarsi in qualche combattimento – che invece nasconde un bagaglio di esperienze notevoli e un gran blocco di passato. Non voglio spoilerare nulla, naturalmente… ma questi primi due capitoli sono cappelli introduttivi importanti, che si svilupperanno moooolto ampliamente tra poco. Nulla è lasciato al caso.
 
Con la speranza che non siate rimasti delusi, il terzo capitolo sarà disponibile lunedì 20 febbraio. Come sempre, sotto potete trovare un piccolo estratto.
p.s. il nome del pianeta in cui si trovano i nostri eroi è volutamente ignoto, soprattutto perché non vorrei fare un buco nell’acqua o inserire qualche paradosso nella mappa galattica di Star Wars. Lasciamo il mistero? Pianetus ignotus. A prestissimo!



 
Estratto: capitolo 03.
Unsolved
 
Neely si mosse di un paio di passi, alzò una mano per puntare l’indice verso l’alto, facendolo dondolare in modo compulsivo e, per certi versi, minaccioso. In realtà era ancora visibile una profonda traccia di divertimento in lui, e probabilmente era proprio questo a renderlo pericoloso.
« Sai, ho sempre apprezzato il tuo senso dell’umorismo », scosse il capo, mentre le risa andavano diradandosi sempre di più. Si spensero, lasciarono vuoto e serio il volto dell’uomo. « Ma so cosa stai cercando di fare. E se pensi che queste buffonate possano salvare il tuo pargoletto e quella guastafeste dai miei scagnozzi che sono sulle loro tracce in questo momento, ti sbagli di grosso. »
Il sorriso svanì in un lampo anche dalle labbra di Drake, che ricevette con quelle parole una doccia gelida senza preavviso. Ovviamente non era tanto sciocco da sottovalutare chi aveva di fronte, soprattutto vista l’ampia conoscenza che di lui aveva da molto tempo. Sperava solo che gli amici di Carter fossero delle frane nella corsa, dei disastri nella ricerca di tracce e dei creduloni che Marek e Ahsoka avrebbero potuto aggirare facilmente.
« Perché, Carter? », chiese con un filo di voce, sincero.
Di tutte le immagini possibili e dei risvolti di quell’infausta situazione, non riusciva ad accettare l’idea che Neely arrivasse al punto di uccidere suo figlio. Era una sensazione sgradevole, come qualcosa di davvero disgustoso e amaro, potente da far salire la bile in gola e vomitare ogni briciola di logica rimasta.
Lo stomaco di Drake si attorcigliò quando Carter rise. Il suono gutturale della sua voce gli fece venire la pelle d’oca, salire il cuore in gola di fronte alla possibilità di perdere realmente anche Marek. Quanti anni aveva speso per assicurarsi che ciò non accadesse? Quanti per proteggerlo, per accertarsi che crescesse con un genitore e non diventasse un orfano sperduto, senza un futuro e un barlume di speranza di poter vedere un giorno un’alba migliore? Non lo sapeva più, Drake, aveva perduto il conto da tempo, così come aveva perso se stesso. Sembravano passate poche ore dallo schianto su quel pianeta, solamente una stupida manciata di ore…
« Perché?! », lo rimbeccò Carter, « Bè, questa è un’ottima domanda, amico mio. Davvero un’ottima domanda, ma sono sicuro che tu sia già in possesso della risposta e perciò possiamo andare dritti al dunque. »
La mano agile di Neely estrasse velocemente un blaster dalla fondina alla cintura, lo puntò all’altezza del volto di Drake. Freddo, senza alcuna esitazione, senza errore.

« Siamo alla resa dei conti, Drake. E il tuo è irrisolto da troppo tempo. »
« Alla fine, ci siamo… che aspetti? Uccidimi. Fallo. »



 

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Capitolo 3
*** Unsolved ***



Capitolo 03.

Unsolved

 
 
 
 
« Credevo che viaggiare nelle ore più tarde fosse escluso! »
La voce di Ahsoka uscì simile ad un’esclamazione, tremolante per via dello sforzo di camminare controvento. Il mantello svolazzava alle sue spalle e minacciava di lasciarle scoperto il capo, motivo per cui doveva impiegare una mano a tener stretta la stoffa contro il proprio petto.
« Infatti », rispose Drake a denti stretti, qualche passo avanti la togruta. « Ma è la nostra occasione per evitare incontri spiacevoli! Nessuno sano di mente correrebbe questo rischio. »
« Quindi noi non rientriamo in quella categoria », aggiunse Marek.
« Ah, smettetela! Manca pochissimo. »
« È quello che ripeti da almeno mezz’ora, papà. »
Drake si limitò ad una boccaccia, che il ragazzo non poté ovviamente vedere.
Procedevano così da circa quattro giorni di viaggio, sfruttando le ore di luce e di quiete metereologica per arrivare al riparo più vicino per la notte. Ben si sapeva dello sbalzo termico tra giorno e sera, rimanere all’esterno non era saggio per nessuno, ma valeva anche la pena compiere un azzardo per avvicinarsi maggiormente alla meta.
Era passata quasi una settimana da quando Ahsoka aveva messo piede nella baracca di Drake e Marek e, prima di allora, non aveva certamente mai avuto intenzione di fermarsi oltre quella notte di ospitalità. Non aveva chiuso occhio e come lei nemmeno Drake, più tormentato dalle parole della ragazzina che dalle sue urla a causa degli incubi. Aveva riflettuto, meditato, pensato a com’erano trascorsi i suoi ultimi anni e come invece aveva vissuto i precedenti, prima della morte di sua moglie Sienna. Cos’era diventato? Un burattino, un codardo, uno di quegli abitanti del villaggio che in vista del pericolo nascondeva il capo sotto al terreno? Era insopportabile vedere di fronte ai propri occhi tal consapevolezza, inconcepibile… soprattutto per uno come lui.
« Forza! », gridò Drake, volgendosi a fatica verso Marek e Ahsoka. « Una volta raggiunto questo punto sicuro ci vorranno solo poche ore, domani! »
Ahsoka e Marek camminavano di pari passo, lottando contro la forza dell’aria gelida. Era una tormenta continua, perenne, simile ad una tempesta, capace di offuscare parte della vista e impedire i normali movimenti.
I giorni precedenti non si erano spinti tanto a lungo, ma Drake iniziava ad avere un brutto presentimento man mano che il tempo passava. Carter Neely non gli aveva fatto visita dopo l’intervento di Ahsoka alla locanda, non aveva mandato uno dei suoi uomini a perlustrare il terreno, a controllare la dimora o a pedinare uno di loro. Carter Neely non aveva reagito in alcun modo all’affronto subìto e ciò aveva insinuato un dubbio notevole nell’ampia conoscenza che Drake aveva del suddetto individuo: qualcosa non andava. E non era particolarmente desideroso di scoprire che cosa: pochi giorni dopo, convinto a non voler lasciare andar via da sola la giovane togruta, l’aveva coinvolta nella missione che avrebbe dovuto portare a termine anni prima ed erano partiti.
Ahsoka, d’altro canto, non aveva fino ad allora preso in considerazione la possibilità di deviare il proprio cammino solitario in favore di una diversa via e n’era rimasta sorpresa. Si era ripromessa, inconsciamente, di non riporre più la sua fiducia in nessuno – non era tanto una promessa quanto più un dato di fatto irremovibile, del quale non era davvero responsabile. Non riusciva a fidarsi nemmeno di se stessa, estendere questo sentimento a qualcun altro era pressoché impossibile. Ma, come le aveva fatto notare Drake, non aveva una scelta migliore e una voce soffusa nella sua mente diceva che avrebbe dovuto cogliere l’opportunità che le si era presentata. Marek e Drake erano l’occasione per posare il primo mattoncino della sua nuova identità, Ashla.
La togruta compì un altro passo, barcollando per via della forza del vento. Nell’aria si diffondevano ululati lugubri e il rumore del fruscio delle fronde rendeva difficile udire persino le proprie voci, che dovevano trasformarsi in grida ed esclamazioni.
« Questo pianeta mi piaceva di più qualche giorno fa! », strillò Ahsoka, emettendo qualche lamento per lo sforzo e l’impiccio di quel fattore non ignorabile.
Drake si lasciò scappare una risatina, dalla sua posizione in testa. « Non sei mai stata nelle foreste a nord! Questo posto non è così bello come sembra, e la zona in cui ci stiamo inoltrando è piena di pericoli. »
« Davvero rassicurante, papà! », esclamò Marek.
« Risparmia il fiato e continua a camminare! »
Ahsoka colse con la coda dell’occhio lo sguardo puntato verso l’alto del ragazzo, che le strappò un abbozzo di sorriso. Le parve una scena fin troppo familiare, estratta da quel cassetto in cui erano stipati tutti i ricordi e rimessa al suo posto.
Poi strinse i denti, abbassando le palpebre e il capo per la potenza della tempesta. Andava avanti alla cieca, controllava che i piedi rispondessero ai suoi comandi, uno dopo l’altro, con la premura di non calpestare sassi cedevoli, inciampare su di essi o sulle numerose radici o sui rami spezzati e finiti a terra. Aveva visto di peggio, in fondo.
« Non mollare, furbetta. »
La voce del suo Maestro spinse istintivamente Ahsoka a riaprire gli occhi, se pur con fatica. Non riusciva a distinguere i contorni, i lineamenti di ciò che vedeva. Avanti c’era la figura di spalle di Drake e quel che poteva carpire del paesaggio sfocato, scosso dalla burrasca.  
« Ci sei quasi. Dammi la mano. »
Ahsoka assottigliò lo sguardo, confusa, puntandolo verso il basso – indietreggiando senza neppure rendersene conto. La tempesta stava avendo la meglio a passo felpato, le faceva perdere terreno.
 Una mano spuntò in mezzo al buio crescente e al caos, nitida e reale. Ahsoka utilizzò le sue energie per sporgersi e afferrarla, con più forza di quanto immaginasse di serbare ancora dopo ore ed ore di traversata. Nell’esatto istante in cui strinse quella presa, quelle dita, lasciandosi sorreggere da quel braccio, fu percossa da un brivido conosciuto. Se avesse affrontato il gelo per rialzare lo sguardo, costringendosi a tenere le palpebre aperte, era certa che avrebbe visto il volto di Anakin.
Lo fece, si protese in avanti, riaprì completamente gli occhi e non riuscì a nascondere un velo d’esitazione. Non era Anakin, non avrebbe mai potuto esserlo, d’altronde, lui non era lì. Era Drake.
« Tutto bene? », domandò l’uomo, cercando di sovrastare con il tono della voce il frastuono del vento. Parte del ciuffo era sfuggito al cappuccio della giacca e allo strato sottostante che gli copriva il capo come un mantello.
Ahsoka annuì in modo frenetico, ridestandosi da quella visione impossibile. Sopprimendola, anche. « Sì! Sì, sto bene! »
« Andiamo! »
Drake aiutò Ahsoka a recuperare, aspettando che lo superasse per accertarsi di non perdere ne lei ne suo figlio. La scrutò procedere per qualche attimo, attraverso la visuale sfatta, pensieroso. Poi scosse il capo tra sé e si rimise in marcia, premurandosi di rimanere l’ultimo del gruppo.
 
Il mattino seguente il cielo era terso, ogni traccia di nuvola cupa era svanita e niente portava a pensare che solo poche ore prima si fosse scatenata una tormenta. Nulla di nuovo, naturalmente, ma ciò fece comunque sbuffare e in parte anche ridere Drake, già sveglio alle prime luci della grigia alba.
Aveva dormicchiato qualche ora, continuando a rivoltarsi da una parte all’altra, irrequieto. Nel buio della stanza di quel rifugio, per il quale il gestore non aveva chiesto nessun pagamento nonostante i numerosi bisognosi di un riparo, si era messo a sedere più volte e aveva lanciato occhiate furtive a Marek ed Ahsoka. Entrambi dormivano, stremati dal viaggio, proprio quello che avrebbe dovuto fare anche lui.
Eppure pensieri e preoccupazioni gli impedivano di spegnere la mente, riposare e abbassare la guardia, come in passato. Si sentiva immerso fino alla gola nelle tipiche situazioni della sua vecchia vita da cacciatore di taglie, quando agiva giorno per giorno, ignaro di cosa sarebbe accaduto ad una settimana o un mese di distanza. Una vita adrenalinica e pericolosa, che aveva pagato a caro prezzo. Si domandava se avesse dovuto pagare anche il costo di quel ritorno, magari con la vita di suo figlio stavolta.
Terminò di sistemare i bagagli in silenzio, attento a non provocare rumori e svegliare i due ragazzi in anticipo. Uscì dalla stanza per procurarsi i rifornimenti adeguati e qualcosa da mangiare, per poi rientrare a passo furtivo. Chiuse la porta a denti stretti, cauto, quasi soddisfatto del suo talento… prima di volgersi in fretta e scontrarsi con un mobiletto di legno, perdendo l’equilibrio e facendo più chiasso di quanto ne avesse evitato.
« Cavolo, che male… », borbottò piegato in due, una fitta pulsante all’anca. « Chi ha avuto la brillante idea di mettere questo coso vicino alla porta… »
« Tutto apposto? », spuntò la voce di Ahsoka, con una lieve nota divertita ma trattenuta.
Drake sbuffò, ormai certo di non possedere tutto il talento creduto nel muoversi silenziosamente. Somigliava piuttosto ad un rumoroso e pesante bombardiere. « », rispose svogliatamente e rimettendosi dritto in piedi. « Vi ho preso qualcosa da mangiare, visto che ora sarete svegli entrambi… »
« Grande, papà! »
La mano libera di Drake si alzò spontaneamente in un cenno, a sottolineare l’evidenza dei fatti. Marek era ancora disteso e avvolto nelle sue coperte, in un angolo che l’uomo non poteva vedere ma da cui era percepibilissima la sua voce sarcastica.
Camminò fino al centro della piccola stanza-rifugio, dove porse ad Ahsoka la sua porzione di cibo e poggiò accanto agli zaini quella per Marek. Tutto era pronto, avevano sostato a sufficienza e prima avessero intrapreso di nuovo il viaggio, prima sarebbero arrivati a destinazione. Era stato rischioso spingersi oltre gli orari di sicurezza, certo, ma gli aveva dato un vantaggio notevole e non era una mossa saggia sprecarlo.
« Mangiate qualcosa e preparatevi », disse Drake, rivolgendosi ad entrambi. « Nel frattempo finisco di mettere da parte le nostre cose. Abbiamo ancora un po’ di strada da fare. »
Marek si mise a sedere e annuì, mentre Ahsoka gli lanciò la modesta colazione trovata da Drake. Il ragazzo l’afferrò al volo e la togruta si avvicinò al padre, iniziando a mordere quella specie di stecca croccante – cracker? Barretta? Cibo alieno non identificato e insapore?
« Drake, posso chiederti una cosa? »
Una coperta ripiegata in cinque o sei parti finì in uno degli zaini, insieme al resto di qualsiasi effetto sarebbe potuto essere utile. La meta era vicina, ma non era l’ultima tappa, nonostante Drake avesse volutamente omesso di spiegare quale fosse l’idea. Aveva esposto le sue preoccupazioni, il fatto che non potessero più rimanere in balia del caso, del momento in cui Neely e i suoi uomini avrebbero avuto voglia di fargliela pagare. Inoltre aveva un piano, una missione che sembrava aver sepolto per anni sotto un pesante strato di paura e delusione verso il mondo, verso la vita stessa.
Chiuse la cinghia dello zaino e si voltò verso Ahsoka. « Certo. »
« Cosa ti ha fatto cambiare idea? »
Ahsoka notò le sopracciglia aggrottarsi appena, l’espressione di accennata sorpresa nel dover delucidare qualcosa che, probabilmente, neppure lui sapeva motivare. Aveva ripensato a quella prima sera, la ragazza, a quanto fossero affini e diffidenti. Non aveva potuto fare a meno di constatare tutte quelle similitudini, prima fra le altre le lezioni di vita rivolte più a loro stessi che all’interlocutore. Sentimenti e ragioni represse, che avevano in fine preso le redini.
« Riguardo a cosa? »
« A questo », sottolineò Ahsoka, sollevando le spalle coperte dal mantello. « Perché ora? »
« Già, questa è la domanda a cui vorremmo tutti trovare una risposta, vero? », Drake annuì, facendo vagare lo sguardo per un istante fugace verso un punto indefinito. « Già. Non lo so… o forse sì, ma non è il momento giusto per tirare fuori dalla scatola altre questioni irrisolte. »
Drake aveva ancora lo sguardo fisso verso il nulla, totalmente assorto, e Ahsoka ebbe come l’impressione che la sua domanda fosse appena decaduta. Ma poi scosse il capo e continuò.
« Non lo so con esattezza, Ashla, ma quella sera mi hai detto qualcosa che non dimenticherò. Qualcosa che non sentivo da molto tempo. »
L’uomo tornò alla realtà, lanciò ad Ahsoka un’occhiata traboccante di convinzione e anche, tacitamente, di gratitudine. Gli ci erano voluti anni e anni di “sonno” e una ragazzina straniera, capitata per caso alla sua porta, per svegliarsi. Ed era quella la cosa giusta fare, si disse.
« Sarà meglio andare. »
 
Le ore di viaggio passarono più rapidamente di quanto i tre non immaginassero al momento della partenza. La stanchezza si faceva sentire in maggior quantità, essendo trascorsi già alcuni giorni di camminata, ma non riusciva a prendere il sopravvento sulla consapevolezza di essere quasi arrivati al traguardo.
Erano in marcia quando il sole sbiadito giunse allo zenit, pallido come al solito. Drake primeggiava, guidando Ahsoka e Marek attraverso l’ennesimo bosco, che la togruta si ritrovò sinceramente a non sopportare più. Non importava che gli anni precedenti avesse vissuto su Coruscant: quel pianeta sconosciuto era troppo verde per chiunque.
Stava giusto lanciando sospiri e sbuffi a tutto spiano, Ahsoka, quando un rumore non lontano attirò la sua completa attenzione. Si fermò d’un tratto e senza preavviso, tanto che Marek non fece in tempo ad evitarla e le andò addosso.
« Avete sentito? », domandò lei in un sussurro, l’orecchio teso.
Drake si fermò, avanti di circa un metro rispetto ai due ragazzi. Il suo sguardo si posò allarmato su Ahsoka, scrutò guardingo gli alberi circostanti, senza muoversi di un centimetro. Tutto sembrava al suo posto, silenzioso, e loro erano l’unica presenza umana nella zona.
« Che c’è? », Marek chiese con un filo di voce, alternando occhiate tese fra suo padre e Ahsoka, ancora in ascolto. Qualcosa non andava.
E poi anche Drake lo sentì, uno strano fruscio che non sarebbe dovuto esserci, non ora che nessuno stava camminando. Eppure c’era, qualcosa o qualcuno si muoveva ed era anche piuttosto vicino.
L’uomo alzò le mani con cautela, fece cenno di avvicinarsi piano, cercando di non provocare ulteriori rumori sospetti. Il brutto presentimento che l’aveva spinto ad abbandonare una volta per tutte la sua misera dimora pulsava come sangue raffermo in una ferita. Il respiro era spezzato.
Per un istante ebbe l’impressione di aver immaginato tutto, di essersi lasciato prendere dal panico, nonostante anche Ahsoka avesse avvertito la stessa possibile minaccia. Fu un attimo di sollievo, in cui Drake stette quasi per emettere una risatina liberatoria dopo giorni trascorsi all’insegna della tacita ansia, dell’immagine minacciosa di Carter alle loro spalle. Fu un secondo, in effetti… solo un secondo.
Una raffica di laser saettò contro di loro, costringendoli ad abbassarsi e a scattare per allontanarsi da quel punto. Drake non dovette neppure gridare: « Correte! », data l’ovvietà dalla situazione.
« Come hanno fatto a trovarci?! », gridò Marek, senza fermarsi.
I colpi li seguivano come segugi, creavano fori e bruciature sulle piante dietro di loro, talvolta accanto. Cadevano vicini, tanto da dar la sensazione di essere centrati in pieno, soprattutto a Drake.
« Non ci hanno mai persi di vista! »
Ahsoka era l’unica a non sentirsi completamente a disagio a dover scappare da un attacco, un’imboscata in piena regola. Erano passati mesi dall’ultima volta e la ricordava così da bene da provare un moto di nausea e di totale repulsione al solo pensiero. Ahsoka Tano era ricercata sia dalle forze della Repubblica che dai Jedi, allora, era dovuta fuggire persino dal suo Maestro. Il suo sguardo era una delle cose che la togruta sapeva non avrebbe scordato mai.
Dietro di loro, i laser furono seguiti da un’esplosione – che li fece fermare all’unisono.
« Pensavo che questo pianeta fosse rimasto all’età della pietra! », esclamò Ahsoka a bocca aperta e occhi sgranati.
Drake aveva in viso la stessa identica espressione, solo leggermente più accigliata. « Non è esattamente così… »
Le sue parole furono interrotte d’un tratto da una seconda esplosione, che fece sobbalzare sul posto sia Ahsoka che Marek. Pochi metri più in là e la fine del viaggio sarebbe potuta essere molto diversa.
« Decisamente no… », disse Ahsoka, scioccata.
« Via! »
Senza attendere la terza bomba, Drake, Marek e Ahsoka s’inoltrarono di nuovo nel bosco. Non potevano permettersi di controllare la situazione, di perdere tempo e terreno prezioso: correre era l’unica alternativa da tenere in considerazione.
« Ah, lo sapevo, lo sapevo! », gridò Drake, gesticolando in preda alla frustrazione. « Quel gran brutto –––culo! »
« Avevi detto di non usare quel linguaggio! », lo rimbeccò subito Marek, cogliendo al volo quell’occasione d’oro che aspettava da una vita.
« Bè, mentivo! »
Il terzo scoppiò arrivo puntuale come un orologio, molto più vicino di quanto si aspettassero. La forza della collisione sollevò una nuvola di polvere che l’invase, distogliendo la loro attenzione e impedendogli di notare la discesa che li avrebbe condotti giù dal colle in cui erano saliti.
Drake puntò lo sguardo troppo tardi, tentò di frenare e spalancare le braccia per trattenere anche Marek e Ahsoka dietro di lui, ma inutilmente. La velocità e il vento della bomba lo fecero cadere a ruzzoloni lungo il pendio, tra un’imprecazione e l’altra. Quello non era di certo ciò che si era aspettato, non lo era affatto. E non andava bene, dannato Carter Neely.
Ahsoka atterrò con naturalezza, un ginocchio a terra e un piede puntato. Si voltò di scatto, prendendo un respiro profondo, e usò le mani al suolo per darsi slancio e balzare. Riprese la corsa, evitando rami e cespugli, insinuandosi tra la vegetazione sempre più fitta. Da lontano sentiva l’eco degli spari laser a vuoto, gli ordini lanciati e distinse tra essi la voce di Drake.
Individuò un tronco grande abbastanza da nasconderla e, interrompendosi d’un tratto, vi si appiattì contro. Drake e Marek erano vicini, lo sapeva, li avrebbe attesi lì, con la speranza che i cacciatori fossero talmente presi dal brivido della caccia da correre a destra e a manca senza notarla.
Respirava piano, nonostante il cuore le martellasse nel petto per l’adrenalina. Sentiva i tonfi rimbombare nelle proprie orecchie e nel frattempo esaminava ciò che aveva di fronte: verde, bosco, infinito. Nessuna via di fuga accessibile, a  meno che…
I rumori erano cessati e l’unico sottofondo era il respiro di Ahsoka, che assottigliò lo sguardo. Possibile? Li avevano presi? Erano scappati? No, erano ancora lì, ancora vicini.
« Da qui riesco a vederne due, vengono nella mia direzione. Tu cosa vedi, furbetta? »
Ahsoka si girò spontaneamente verso destra, dove a pochi metri c’era un altro tronco imponente e poggiato contro la corteccia vide il suo Maestro. Anakin, con la stessa espressione concentrata e tesa, le sopracciglia aggrottate, il fiato rotto, in attesa di una soluzione.
Non poteva essere lì davvero, era categoricamente impossibile, eppure sembrava molto più reale di quanto non fosse la voce nella sua testa, la sua immagine nel bel mezzo di una tormenta o nei sogni. Gli incubi frequenti, le paure sepolte. Anakin spiava dalla sua posizione oltre l’albero, la guardava senza parlare e Ahsoka capiva. O meglio non capiva come, quando, perché… ma non era il momento delle domande. Le bastava leggere quegli occhi chiari e limpidi per comprendere cosa fare.
Le parve persino di scorgere un cenno prima di voltarsi, poggiare le mani al legno ruvido e scostarsi il tanto d’aprire la visuale ad un occhio. Non c’era nessuno, tutto era immobile.
« Cosa vedi? »
« Niente, non ce ne sono. La via è libera », rispose Ahsoka a voce bassa.
Sentendo uno spiraglio di luce in mezzo a quell’agguato, la togruta si rivolse nuovamente ad Anakin… e vide Drake. Gli angoli delle labbra appena incurvati all’insù ebbero un’esitazione, ma solo temporanea: in cuor suo era conscia che non sarebbe mai potuto essere accanto a lei e anche se lo percepiva ancora così legato, così presente… non lo era. Non più. E questo rappresentava un gran dilemma per Ahsoka, perché non avrebbe saputo dire se fosse peggiore la sua assenza tangibile o il fatto che continuasse a ripresentarsi ovunque, persino nelle situazioni più critiche.
Drake indicò con il capo la direzione apparentemente libera. Ahsoka annuì. Si separò dalla corteccia dandosi una slancio sufficientemente forte per riprendere la corsa senza indugio. Dietro di lei, Marek fu spinto dal padre, che li seguì dopo aver sibilato un: « Via! »
Colpi di blaster iniziarono a farsi udire di nuovo, finivano a poca distanza dai loro piedi, dalle loro braccia e ( con gran timore di Drake ) anche dalle loro teste. La vegetazione che li circondava si rarefaceva, bruciava sotto i colpi dei laser e scompariva quando gli uomini di Carter decidevano di lanciare bombette incendiarie. Quello che fu subito chiaro e tondo ai “fuggitivi” era che i cacciatori avevano sfoderato un interno arsenale solo per loro tre: un vero onore.
« Forza! Non fermatevi! », gridava Drake, abbassandosi per schivare i colpi.
Marek lo precedeva e Ahsoka era in testa. Saltava gli ostacoli al terreno, utilizzava gli alberi come ancore qualora dovesse deviare leggermente a destra o leggermente a sinistra. Presto si sarebbe ritrovata le mani piene di graffi e i polsini logori e rotti, come il mantello.
« Cosa c’è dopo? », domandò Marek senza fermarsi.
« Dopo? »
« Che domande? Alberi! », sentenziò Ahsoka, non riuscendo ad evitare il suo tipico sarcasmo da situazioni drastiche. Chissà da chi lo aveva preso.
L’ennesima esplosione li costrinse a svoltare a sinistra. Interruppero la corsa quasi scivolando nel terreno. Drake si parò istintivamente davanti a Marek e indicò uno spiazzo vicino. Avevano poco tempo, erano in minoranza, forse circondati da ogni lato, e non avevano previsto un attacco in grande stile meditato per giorni da Carter.
In effetti non era strano, ma esagerato, come un messaggio in codice che solo Drake poteva decifrare e la traduzione possibile era una e una soltanto: quella storia doveva finire lì e ora.
Lì e ora.
« Fermatevi! », esclamò Drake, una volta raggiunto lo spiazzo.
Ahsoka sembrava contrariata e confusa, reazioni condivise da Marek. Il ragazzo si preoccupò che suo padre potesse essere stato colpito durante la corsa o che si fosse in qualche modo ferito, ma l’avrebbero notato. In quel caso Drake non avrebbe percorso altri metri e non sarebbe stato in piedi, fermo, con la tipica espressione severa che non ammetteva replica alcuna. Faccia che Marek conosceva benissimo.
« Oh no… », sospirò, « Papà, qualunque cosa sia, no. »
« Ascoltate », decretò Drake, sollevando una mano per zittire qualunque protesta. « Non possiamo continuare così. Non è voi che vuole, lui vuole me. E non sono disposto a fare il suo gioco scappando all’infinito, mettendovi in pericolo… »
« Siamo già in pericolo », disse Ahsoka. « Avete detto entrambi che questo pianeta non è come sembra, che differenza fa rischiare qui e insieme o là separati? »
« Ha ragione, papà, no. »
« Marek… », sibilò l’uomo, avvicinandosi di un passo per sfiorare il braccio del figlio. « Avevi ragione, hai sempre avuto ragione. È il momento che questa storia finisca. Finisce oggi. Andate. »
« No, non andiamo da nessuna parte. No. »
« Andate! Io lo trattengo. »
« Papà… »
Drake sollevò una mano per indicare la direzione ad Ahsoka. « Da quella parte, oltre questo tratto di foresta, troverete un modo per lasciare il pianeta. Prendetelo e non voltatevi per nessun motivo, avete capito? »
La togruta scrutò l’espressione decisa dell’uomo, esaminò i lineamenti tesi e notò quel sottile ed impercettibile velo di paura. Drake lo nascondeva bene, come del resto molte delle persone che Ahsoka aveva incrociato nella sua vita, ma poteva vederlo nitidamente. Il terrore dell’ignoto, il non sapere cosa sarebbe potuto succedere, la possibilità di fare una scelta anziché un’altra e come le conseguenze si potessero dipanare in una linea temporale che sarebbe stata del tutto diversa se solo si fosse compiuta la scelta opposta. Era questa la paura della maggior parte delle persone, una paura comprensibile, una paura fondata. L’oblio.
Annuì, Ahsoka, spostando lo sguardo su Marek, che non voleva saperne di obbedire a quell’assurda direttiva. Il ragazzo scuoteva il capo freneticamente, la mascella serrata, l’espressione corrucciata.
Drake posò una mano sulla sua spalla, lo avvicinò a sé con l’altra libera e lo costrinse a guardarlo. Le loro fronti si sfioravano e nonostante tutto Marek ancora cercava di porre resistenza, di mostrare quanto fosse contrariato dalla possibilità di perdere l’unica famiglia che aveva, perdere anche suo padre. Non poteva accettarlo e rimanere impotente a guardare.
« Marek, andrà tutto bene », sibilò Drake.
« No, smettila di dire che andrà bene. Non andrà bene. Non andrà bene… »
« Sono piuttosto bravo a sopravvivere e sapere che vi darò una via di fuga è l’unica cosa che conta. »
Marek sbuffò, tentando invano di ritrarsi alla stretta del padre. Aveva così tante cose da dire che nessuna infranse la barriera del silenzio e uscì dalle sue labbra serrate duramente. Non sapeva da dove cominciare, quali ragioni esporre per prime in favore della sua tesi: era tutta un’enorme follia. Per anni aveva lanciato commenti sarcastici e ostici al padre, marcando il suo non voler agire, la sua paranoia fondata ma mai superata, al punto da sottostare ai dettami di un fuorilegge; e adesso? Il suo sacrificio lo lasciava spiazzato e qualunque parola non sembrava essere giusta. Era tutto sbagliato.
« Ti voglio bene, papà », rispose il ragazzo con un filo di voce.
« Lo so », Drake chiuse gli occhi un istante, impresse nella sua mente quel momento, la conferma di star facendo la cosa giusta dopo troppo tempo. « Ora andate. Andate! »
Allentò la presa immediatamente, indietreggiando di un passo. Lanciò un’occhiata piena di significato ad Ahsoka, che aveva assistito finora tenendo gli occhi puntati al terreno. La ragazza mosse un cenno flebile, anche se non aveva idea di quale fosse il piano iniziale, cosa stesse a significare il cosiddetto modo per lasciare il pianeta. Drake non ne aveva fatto parola, ma si mostrò sicura e accondiscendente nel rassicurarlo.
Marek si allontanò dal padre a passi incerti, dopodiché seguì Ahsoka, che gli sfiorò un braccio prima di riprendere la corsa verso il denso verde della vegetazione. Presto le loro figure non divennero altro che macchie sfocate, coperte da foglie e cespugli. Lo sguardo di Drake rimase fisso per una manciata di secondi nel punto esatto in cui erano svaniti oltre gli alberi, il fitto bosco. Il frusciare delle fronde s’attenuò un istante e poi, in un battito di ciglia, riapparve brevemente come anticamera del silenzio che avrebbe seguito.
Sfuggì un sorrisino alle sue labbra serrate, le spalle fremettero, e l’uomo si lasciò abbracciare dalla consapevolezza di ciò che avrebbe visto non appena si sarebbe voltato. Avrebbe guardato in faccia il passato, il suo riflesso deforme, gemello e tuttavia opposto. La parte di sé che aveva perduto e non avrebbe, senza dubbio, mai ritrovato.
« Bene, bene, bene! », iniziò baldanzosa la voce di Carter Neely alle sue spalle. « L’uccellino è in fine caduto nelle grinfie del cacciatore. Deduco che la mia pazienza sia valsa a qualcosa, per una volta. Non è vero, vecchio amico? »
Drake si volse con estrema lentezza, gli occhi verdi puntati sulla figura stagliata proprio di fronte a lui a qualche metro di distanza. I muscoli del suo volto ebbero un guizzo. Era passato molto tempo da quando si erano fronteggiati come leone e gladiatore in un’arena, da quando avevano alimentato la loro faida un’altra volta ancora. A Drake parve l’ennesimo déjà-vu.
« Considerando la tua attitudine all’irrazionalità e alla violenza direi che sei sulla giusta strada del progresso », rispose Drake irriverente, per nulla intenzionato a retrocedere di un millimetro.
L’espressione di Carter Neely mutò sensibilmente, si trasformò in una trattenuta smorfia carica di rabbia, odio, frustrazione. La linea delle labbra coperta dalla barba incolta fremette, il volto divenne un reticolo di muscoli tesi, corde in procinto di spezzarsi con un frastuono tremendo.
Drake avanzò di un passo, platealmente, lanciando occhiate guardinghe attorno a sé. « Anche se, bè… non è proprio il posticino ideale per costruire una reputazione di cui nessuno saprà mai l’esistenza visto che siamo fuori dalla civiltà. Ho sempre pensato che avessi degli standard più elevati, vecchio amico. »
Il respiro irregolare del cacciatore sembrò calmarsi, la tensione visibile sulla faccia si sciolse progressivamente. E dopo un accenno di esitazione rise. Rise e scosse il capo, quasi fosse una normale rimpatriata, la totale rottura del ghiaccio iniziale.
Anche Drake seguì il suo esempio e ampliò il sorriso, cercando di non farlo assomigliare ad un ghigno, se non altro perché le sue possibilità erano davvero limitate e aveva bisogno di tempo. Tempo per Marek, tempo per Ahsoka, tempo per se stesso. Tempo.
Neely si mosse di un paio di passi, alzò una mano per puntare l’indice verso l’alto, facendolo dondolare in modo compulsivo e, per certi versi, minaccioso. In realtà era ancora visibile una profonda traccia di divertimento in lui, e probabilmente era proprio questo a renderlo pericoloso.
« Sai, ho sempre apprezzato il tuo senso dell’umorismo », scosse il capo, mentre le risa andavano diradandosi sempre di più. Si spensero, lasciarono vuoto e serio il volto dell’uomo. « Ma so cosa stai cercando di fare. E se pensi che queste buffonate possano salvare il tuo pargoletto e quella guastafeste dai miei scagnozzi che sono sulle loro tracce in questo momento, ti sbagli di grosso. »
Il sorriso svanì in un lampo anche dalle labbra di Drake, che ricevette con quelle parole una doccia gelida senza preavviso. Ovviamente non era tanto sciocco da sottovalutare chi aveva di fronte, soprattutto vista l’ampia conoscenza che di lui aveva da molto tempo. Sperava solo che gli amici di Carter fossero delle frane nella corsa, dei disastri nella ricerca di tracce e dei creduloni che Marek e Ahsoka avrebbero potuto aggirare facilmente.
« Perché, Carter? », chiese con un filo di voce, sincero.
Di tutte le immagini possibili e dei risvolti di quell’infausta situazione, non riusciva ad accettare l’idea che Neely arrivasse al punto di uccidere suo figlio. Era una sensazione sgradevole, come qualcosa di davvero disgustoso e amaro, potente da far salire la bile in gola e vomitare ogni briciola di logica rimasta.
Lo stomaco di Drake si attorcigliò quando Carter rise. Il suono gutturale della sua voce gli fece venire la pelle d’oca, salire il cuore in gola di fronte alla possibilità di perdere realmente anche Marek. Quanti anni aveva speso per assicurarsi che ciò non accadesse? Quanti per proteggerlo, per accertarsi che crescesse con un genitore e non diventasse un orfano sperduto, senza un futuro e un barlume di speranza di poter vedere un giorno un’alba migliore? Non lo sapeva più, Drake, aveva perduto il conto da tempo, così come aveva perso se stesso. Sembravano passate poche ore dallo schianto su quel pianeta, solamente una stupida manciata di ore…
« Perché?! », lo rimbeccò Carter, « Bè, questa è un’ottima domanda, amico mio. Davvero un’ottima domanda, ma sono sicuro che tu sia già in possesso della risposta e perciò possiamo andare dritti al dunque. »
La mano agile di Neely estrasse velocemente un blaster dalla fondina alla cintura, lo puntò diritto all’altezza del volto di Drake. Freddo, senza alcuna esitazione, senza errore.
« Alla fine, ci siamo… che aspetti? Uccidimi. Fallo. »


 
nine years ago
 
L’ennesimo colpo andò a segno e l’astronave barcollò.
« Gli scudi sono andati, non reggeremo ancora! », gridò la voce determinata di Sienna, seduta nella postazione del co-pilota. Le sue dita vagavano ovunque, cercavano di rimediare all’irreparabile o se non altro di non rendere peggiore l’accaduto. Da bravo meccanico, sapeva benissimo che le possibilità di cavarsela erano in netta diminuzione, le vedeva scomparire molto rapidamente davanti ai suoi occhi. « Drake! »
« Lo so! Lo so! »
Drake teneva i comandi fermi, puntava irremovibile verso la rotta prestabilita. Certo, niente di ciò che avevano pianificato era andato come prestabilito, anzi. Quella doveva essere una breve traversata invisibile e di soccorso, in cui avrebbero speso davvero un tempo minimo per atterrare in modo da non essere visti dagli abitanti che non conoscevano la tecnologia, prendere a bordo i loro compagni “dispersi” e ripartire. Semplice, no?
Tutto era cominciato come da manuale – anche se non si poteva esattamente definire in questo modo, visto che Carter Neely non sarebbe dovuto rimanere a piedi, senza un mezzo di trasporto in un settore sconosciuto non civilizzato. Ma insomma, erano cacciatori di taglie fuori dalla norma e gli imprevisti, per quanto insopportabili, erano all’ordine del giorno – finché non avevano scoperto di essere stati tracciati da quel balordo, infido traditore sporco di Jax Ussler.
C’era una taglia sulle loro teste, di tutti loro, il che li aveva anche inizialmente divertiti: erano cacciatori di taglie con una taglia bella grossa sulla testa, suonava quasi ridicolo il paradosso. Jax gli aveva sempre dato filo da torcere, ancor di più quando si era diffusa la voce in tutto il settore di ciò che facevano per liberare pianeti indifesi dal terrore dei criminali Separatisti. Era quello a cui puntavano, quando Carter era stato intercettato ed era stato costretto all’atterraggio prima della distruzione della navetta. Esattamente la situazione in cui ora si trovavano anche Drake e Sienna.
Una sirena scattò all’interno della nave, si dipanò tonante come un eco, accompagnata da un minaccioso lampeggiante rosso che aveva invaso tutta la cabina.
« Questo non va bene », disse Drake a denti stretti, la presa salda per evitare che il tremore li facesse andare alla deriva.
Sienna era al suo fianco, i capelli color del grano scompigliati e un’espressione allarmata e sarcastica. « Non va affatto bene. I sistemi sono andati, se entriamo nell’atmosfera a questa velocità ci disintegreremo! »
Drake si volse di scatto accigliato, fingendosi eccessivamente stupito. Cos’altro poteva andare storto? Se proprio doveva finire male, sarebbe dovuta almeno finire con il botto. « Ah, tutto qui? »
La donna gli rivolse una smorfia per nulla impressionata, roteò gli occhi e fu scossa dal colpo successivo che urtò la nave. Drake riuscì a mantenere una parvenza d’immobilità grazie ai comandi cui si reggeva saldamente e che non aveva intenzione di lasciare. La situazione era critica, lo sapevano entrambi.
« Abbiamo perso un pannello, c’è una breccia! », urlò Sienna per farsi udire nella sirena, più tonante che mai. « Lo scafo sta per cedere! »
« Non prima di aver toccato terra! », ribatté Drake.
La nave ebbe un ulteriore scossone, molto più forte e deciso dei precedenti: erano entrati nell’atmosfera del pianeta e da quel momento il conto alla rovescia era ufficialmente partito. Alla sirena già in funzione se ne aggiunse un’altra, che Sienna disattivò subito, lanciando un’occhiata nervosa a Drake.
L’uomo era già in procinto di dire qualcosa, quando s’interruppe.
« Mamma. »
Sienna si volse di scatto, facendo scivolare tutta la chioma bionda s’una spalla. Senza curarsi dell’instabilità del vascello, lasciò il proprio posto e usò i sedili posteriori per aiutarsi a raggiungere il bambino ch’era spuntato proprio sulla soglia.
Teneva le piccole mani strette tra loro, gli occhi fissi sulla donna sempre più vicina. Era incredibile il fatto che riuscisse a rimanere in equilibrio con il tremolio continuo, segno evidente dell’insaziabile atmosfera che divorava e bruciava il metallo dello scafo un poco per volta. Eppure il bambino non si muoveva, era fermo, troppo spaventato.
« Ho paura », disse con un filo di voce.
La madre s’inginocchiò per far sì che vedesse solamente i suoi occhi blu, il suo volto dagli stessi lineamenti, dalla netta somiglianza, e null’altro. Sperava che la sua sola presenza riuscisse a scacciare in qualche modo il timore leggibile dalle iridi verdi del figlioletto, perché era consapevole di non poter fare nient’altro per rassicurarlo.
Gli prese il volto tra le mani, divise in due da una striscia di tribali tatuati, che percorrevano gran parte del suo corpo e persino l’attaccatura dei capelli sulla fronte. « Andrà tutto bene, Marek. Guardami. Andrà tutto bene, tesoro. »
Sienna annuì impercettibilmente, nonostante fosse sicura delle sue stesse parole ad una percentuale tanto bassa da risultare poco credibile. Ma doveva esserlo, doveva sembrare decisa e determinata di fronte a Marek. Non poteva permettersi esitazioni: suo figlio aveva bisogno di certezze e questo era tutto ciò che contava. Sarebbe stata forte abbastanza da non avere paura per entrambi.
Con un accenno di sorriso sulle labbra, Sienna trascinò il piccolo Marek fino ai sedili dietro alle postazioni di comando e si premurò di assicurarlo con le cinture di sicurezza. Drake si volse un paio di volte, agitato.
« Ci siamo quasi. »
Sienna tornò al suo posto di co-pilota, attivando anche le sue cinghie per un atterraggio di emergenza. La potenza dell’irruzione nell’atmosfera stava portando via gran parte della vernice della nave, pannelli, pezzi di copertura ed era un miracolo che la breccia non si fosse evoluta in una voragine abissale. Drake era riuscito ad isolare la zona, questo dava loro un minuscolo vantaggio.
La distanza con il suolo diminuiva sempre di più, i numeri nell’indicatore scalavano a una velocità spaventosa ed erano chiaramente visibili chiazze di alberi dal visore. L’impatto era vicino, era solo questione di minuti, secondi, attimi…
Drake liberò una mano dai comandi, la tese verso Sienna, che intrecciò le dita a quelle dell’uomo. Dieci, nove, otto, sette – i loro occhi s’incontrarono, scambiarono parole silenziose, crearono un rumore invisibile all’interno della cabina – sei, cinque, quattro, tre, due, uno.
Zero.
Lo scafo si scontrò pesantemente con il suolo, abbatté un tratto di bosco e qualsiasi cosa vi fosse per i metri adiacenti. L’urto fu potente e scosse Drake, Sienna e il piccolo Marek, assicurati ai sedili ma non immuni dall’impatto terribile che la Narada dovette sopportare. Il suo ultimo viaggio.
Quando si arrestò, della navetta non rimase che un enorme rottame fumante. L’odore delle bruciature era talmente forte d’aver riempito persino l’aria all’interno; il filtro del ricambio d’ossigeno era andato, tra le altre rotture. Nella collisione doveva aver subito danni irreparabili, senza neppure contare quelli inferti dall’attacco di Jax.
Drake tossì, il capo rivolto verso il basso e le braccia tese in avanti contro il pannello. Respirava a fatica, il collo gli doleva, così come il petto tenuto ben stretto dall’incrocio della cintura di sicurezza. Chissà se avrebbe avuto o meno un bel tatuaggio nuovo dopo quella disavventura…
« Sienna? », chiamò, recuperando la voce e tossendo per la rarefazione dell’aria.
La donna non rispose. Drake sganciò la protezione del suo posto, cercò d’issarsi in piedi con un gran impiego di energie, che lo lasciarono comunque piegato in due. Incurante del suo intorpidimento, subito si lanciò a controllare che Sienna respirasse ancora, scostandole i capelli dal volto e accarezzandola con delicatezza.
Era viva, stordita dall’urto, ma viva. Lo sguardo dell’uomo corse sul piccolo Marek, suo figlio, che lo ricambiò con gli occhi verdi sgranati e un’espressione pietrificata.
« Marek, non ti muovere, vengo a liberarti », disse Drake, spostandosi e inginocchiandosi per sganciare la cintura di protezione del bambino.
Marek era impietrito, respirava velocemente, fissando il padre immobile. Si lasciò prendere in braccio e rimettere in piedi, senza emettere un suono o compiere qualsiasi altro movimento. Il bambino osservò la madre riprendere conoscenza, la mano pronta a liberarsi dalla sicura ad X.
Drake indossò il casco e si diresse verso l’interno della nave. Non era certo che Jax li avesse seguiti, correndo il rischio di non poter lasciare in seguito quel posto, ma non voleva comunque sfidare la sorte ed essere riconosciuto – inoltre attraverso il comunicatore poteva segnalare a Sienna quando la via fosse stata libera, e andarsene prima di essere trovati.
Il portello principale era bloccato a causa dell’ammaccamento durante la caduta, i comandi di sistema non rispondevano. Drake pensò in fretta e decise di attingere alle vecchie ed efficaci maniere alla mano: agganciò uno degli esplosivi che teneva sempre con sé al pannello e lo attivò, attendendo la detonazione per poter finalmente ( o per sfortuna ) toccare di nuovo il suolo.
Il suolo di quel pianeta sperduto.


 
present day
 
« Sei convinto che non lo farò, vero? Che non abbia il fegato per sparare in fronte al mio più vecchio amico, mio fratello », Carter sputò le ultime parole come se gli andassero di traverso e la sola idea lo ripugnasse. Scosse il capo, l’espressione deformata da un’ira cieca e brutale, la mano immobile e serrata sul fulminatore. « No, Drake… »
Ora lo guardava, Drake, l’uomo con cui aveva trascorso gran parte dell’infanzia, della spericolata adolescenza. Un amico, un fratello, un confidente. Ora lo guardava, Drake, mentre tra le mani teneva l’arma che avrebbe potuto mettere fine in un secondo alla sua vita. Amico, fratello, confidente…
« Allora fallo… », bisbigliò, appena udibile a quella distanza. « Sparami, dopo tutto questo tempo e quello che abbiamo affrontato… »
« STRONZATE! », urlò Carter inferocito. Il blaster vacillò, per poi tornare a puntarsi contro il bersaglio. « Tu hai rovinato la mia vita! »
« Pensi che non lo sappia? Che non conviva ogni giorno con ciò che è successo su quella montagna? »
Carter non sembrò minimamente colpito dalla crescente decisione di Drake, né dalla repressa amarezza di quelle ultime parole. Se avesse potuto riderne l’avrebbe fatto, ma si limitò ad un sospiro indifferente. Voleva chiudere la faccenda, chiuderla una volta per tutte e non ci sarebbero state scuse ne contrite affermazioni che l’avrebbero fermato.
« Me ne frego, amico. Dal momento in cui hai anteposto la tua “nobile causa” da “nobile cacciatore di taglie che deve giocare a fare l’eroe” alla vita di mio figlio, io ti ho odiato! Saresti dovuto morire tu al suo posto! »
« Era la nostra causa, Carter. La causa di tutti noi. »
« Menti a te stesso, Drake », ribatté Neely, velenoso e pungente come un serpente. « Cerchi di cancellare quello che abbiamo fatto con quello che siamo diventati, ma ti dirò una cosa: non puoi farlo. Non puoi coprire i poveri disgraziati che abbiamo consegnato in cambio di denaro e non puoi cancellare le vite innocenti perdute che si trovavano tra noi e il nostro bottino. Non c’è redenzione per quelli come noi e arriva un momento in cui i debiti vanno pagati. »
Drake si rese conto di aver trattenuto il respiro e deglutì. Poi disse l’unica cosa che in quel momento riuscì a formulare, ben conscio di quanta verità Carter gli avesse brutalmente sbattuto in faccia. « Credo di aver già pagato il prezzo delle mie azioni, quando ho perso Sienna. »
« Pensi che il tuo cuore spezzato dal dolore e dal rimpianto mi strappi una lacrima, eh? Che mi faccia intenerire dal “povero Drake Leafson, vedovo contrito e disperato” », lo canzonò Carter, gesticolando a più non posso con la mano libera. La sua espressione mutò drasticamente dopo aver pronunciato quelle parole, come se avessero innescato in lui un processo automatico a catena, che gli fece gettare con violenza a terra il blaster. « IL TUO DEBITO CON ME NON SARÀ MAI ESTINTO! »
In un battito di ciglia, la distanza che li separava svanì. Carter si avventò su Drake furibondo, con tutta la forza che poteva aver serbato negli anni in cui aveva agognato quel momento. Perché l’aveva sperato, ardentemente desiderato. 

Drake cercò di difendersi e placare il fiume d’ira e odio che gli si riversò addosso. Usò le braccia per farsi da scudo, esitando inizialmente a ricambiare i pugni. Ma dovette presto ricredersi: i due amici si trasformarono in leone e gladiatore, abili delle tecniche che fin da bambini avevano imparato, pregni di esperienza e di rabbia repressa.
La stanchezza giocò a Drake un pessimo tiro, lo rese lento, tanto da beccarsi in pieno occhio una percossa di Carter. Accecato, l’uomo non riuscì ad evitare un ulteriore colpo, una spinta e la perdita del terreno sotto i piedi. Fu questione di un attimo.
Era a terra, probabilmente con il volto sfigurato, e sarebbe finita presto. L’ombra di Carter Neely incombeva su di lui, torreggiava vittoriosa, pronta ad accaparrarsi il trionfo conclusivo. Dunque, era così che doveva essere messo il punto. Dunque, era giunto il momento.
Drake si volse con le mani a terra, il suo sguardo riconobbe appena Carter, poco prima che qualcosa ( o qualcuno ) lo colpisse di lato. Una, due, tre volte e poi cadde, proprio accanto a Drake, che balzò stupito e senza parole.
« Ma che – che diavolo ci fate voi due ancora qui?! », esclamò fuori di sé, tirandosi faticosamente su. Marek gli offrì una mano, che l’uomo accettò più che volentieri, nonostante si mostrasse del tutto e categoricamente contrariato. Mai che una volta quell’imprudente obbedisse! « Vi avevo detto di andare! »
Ahsoka lo guardava tranquillamente, il mento levato. Sembrava davvero innocua, così, ma Drake era sicuro di aver visto bene il modo in cui aveva atterrato Neely senza l’ausilio di nulla, a mani nude.
« Oh, bè, abbiamo pensato di fare una piccola deviazione e salvarti la pelle », annuì la ragazza. Sulle labbra comparve un sorriso quasi innocente. Quasi.
« Suvvia, papà, ti abbiamo solo migliorato la giornata. »
Gli occhi di Drake saettavano tra Marek e Ahsoka, come impazziti. Stava capendo esattamente quello che il suo udito stava cercando di fargli credere? No, non era possibile. Nella sua mente, i due ragazzi avevano già raggiunto il punto stabilito, si stavano allontanando dal pianeta, lasciando alle spalle tutto e tutti…
Era in procinto di pronunciare un rimprovero, l’ennesimo, sottolineando la gravità di ciò che avevano fatto. I rischi che avevano corso, con la possibilità di rendere vano il tempo guadagnato con Carter. Ma poi, perplesso, sbatté le palpebre più volte. « Dove hai imparato?! », esclamò sbigottito, rivolto ad Ahsoka.
« Oh, è una lunga storia. »
Marek diede una pacca alla spalla ammaccata di suo padre, ch’emise un lamento. « Sarà meglio rimandarla. »
Il ragazzo indicò un movimento poco distante, foglie traballanti che non promettevano nulla di buono. Dovevano approfittare del piccolo vantaggio finché potevano, finché Carter Neely era privo di sensi e inoffensivo. Lasciarono in fretta quel punto, Drake zoppicando per i primi passi. E corsero, di nuovo, rientrarono nel fitto della vegetazione. Ancora.


La corsa giunse al suo termine quando Drake, Marek e Ahsoka lasciarono alle spalle l’ultimo tratto di foresta e davanti ai loro occhi si aprì uno spettacolo davvero inusuale. Il terreno era spoglio del manto erboso, non c’era l’ombra di alberi e neppure di abitazioni, di cespugli o qualsiasi altra cosa che somigliasse al vivo paesaggio visto finora. A riempire lo spazio era, piuttosto, una nave spaziale di moderate dimensioni.
« Questo è il punto in cui siamo precipitati », disse Marek, compiendo qualche passo in direzione della navicella, del tutto fuori posto. La sua voleva essere una domanda, in realtà, ma il ragazzo era sicuro di non essere in errore.
Era solo un bambino quando era piombato dal cielo con sua madre e suo padre, attaccati da un altro cacciatore e costretti a salvare il salvabile in un modo che non aveva offerto nessuna speranza di sopravvivere. Contro ogni previsione, nessuno dei tre ci aveva lasciato le penne, anche se la nave era talmente ridotta male da non aver attirato l’attenzione di nessuno negli anni a seguire. O almeno così aveva creduto Marek.
« Mh-mh », annuì Drake.
Ahsoka mosse alcuni passi per affiancare il ragazzo, assottigliò lo sguardo e socchiuse le labbra. « Quindi non avete sempre vissuto in questo pianeta? »
« No… »
« Ma la nave era distrutta! », continuò Marek, ora voltandosi di scatto verso suo padre, alla ricerca di una spiegazione logica. Gettò una mano ad indicare lo scafo, quasi quasi minaccioso e austero come solo Drake sapeva apparire in certi momenti. « Era distrutta! Ci siamo schiantati ed era un rottame bruciato, com’è possibile?! »
Ahsoka rimase interdetta almeno quanto Drake, ad osservare il giovane Marek con gli occhi appena sgranati. Avrebbe voluto aggiungere che quella non sembrava un’astronave in pessime condizioni e, anzi, aveva l’aria di possedere una gran potenza di fuoco e un’estetica niente male. Ma si trattenne, consapevole del fatto che avrebbe aggravato la furiosa reazione di Marek.
Drake dondolò sul posto, per sua sfortuna impossibilitato a temporeggiare. « Tua madre terminò di riparla qualche mese prima di… », lasciò andare un sospiro, non riuscendo ancora a pronunciare quella parola terribile e maledetta. Morire. « Pensava che un giorno ci sarebbe potuta essere utile per lasciare questo posto. »
L’ira di Marek sfumò all’istante, come spenta da un interruttore, il braccio tornò lungo il suo fianco. « E da allora nessuno l’ha mai notata? Voglio dire, non è certo qualcosa che si confonde con la foresta, soprattutto in un pianeta dove la tecnologia non dovrebbe esistere. Come hanno fatto a non trovarla, Neely e l’allegra brigata? Avrebbero potuto prenderla per andarsene. »
« Non senza la chiave d’accesso. »
« La cosa..? »
Ahsoka studiò attentamente ciò che poteva vedere dalla fiancata della nave, ricordando quante ne aveva viste e pilotate nonostante la sua giovane età. Cercò di non divagare troppo, di concentrarsi sul presente, sulla fuga.
« Ma non avete un droide astromeccanico », constatò, incuriosita e perplessa.
« No », disse Drake, incamminandosi e voltandosi affinché Marek e Ahsoka lo seguissero. « Non abbiamo mai avuto bisogno di un droide, Sienna si occupava di tutte le riparazioni e degli aggiustamenti. Negli anni in cui ci siamo fermati qui ha sviluppato un nuovo sistema di sicurezza, qualcosa che chiunque altro cacciatore indesiderato non avrebbe potuto eludere – e che si è rivelato molto utile, vista l’assenza di tecnologia ma il grande bisogno che di essa ha chi vuole tornare nella civiltà. »
L’uomo raggiunse quella che doveva essere l’entrata, ermeticamente chiusa e invalicabile. Chissà quanti sfortunati e ignari avevano provato a farla saltare senza ottenere alcun risultato! La mano di Drake, invece, vi fece una leggera pressione sopra e attese che il rivestimento si scostasse per scoprire un pannello blu simile ad una mappa stellare.
Una linea di un azzurro elettrico passava da parte a parte, come alla continua ricerca di qualcosa. Ahsoka comprese che si trattava di un sensore, ma prima di allora non ne aveva mai visto uno del genere. Non riusciva a collegare il modo in cui potesse funzionare, cosa fosse in grado di attivarlo.
« Non capisco… », borbottò Marek, guardando suo padre di sbieco.
« Serve la giusta chiave di accesso », disse Drake con ritrovata enfasi. E così dicendo, fece un gran cenno a Marek, indicandogli il pannello.
Il ragazzo lo scrutò ancora un po’ con gli occhi ridotti a due fessure, non capendo dove volesse arrivare. Si fidava del padre, naturalmente, ma proprio non concepiva cosa stesse cercando di dirgli… perciò si limitò a seguire le strane indicazioni e si parò di fronte al rettangolo blu, scettico.
Intravide un reticolo molto sottile, mentre la retta azzurra si muoveva senza sosta. Un sensore, aveva detto Ahsoka. Un sensore di che cosa? Marek fece l’unica cosa che gli venne in mente, dato anche il tempo non così infinito a loro disposizione: posò una mano sul pannello, che immediatamente iniziò il lavoro di analisi.
Dopo tre secondi netti, un suono prolungato precedette la rumorosa apertura del portello principale della nave e il mistero della chiave d’accesso fu svelato. Marek fissava a bocca aperta il varco, il palmo ancora appoggiato al sensore. Lui era la chiave, la chiave per lasciare quel posto una volta per tutte.
« Ti ho mai detto che tua madre era un genio? », ruppe il silenzio Drake, toccando una spalla del figlio.
Marek impiegò un po’ ad assimilare quelle parole, ancora colpito. « Da qualcuno dovevo pur aver preso… »
L’espressione di Drake si assottigliò all’istante. « … andiamo! »
Aspettò che Ahsoka e Marek salissero a bordo prima di seguirli. Si premurò di dare un’ultima, fugace controllata alla foresta, un po’ per accertarsi di avere il tempo necessario a partire e un po’ per dire definitivamente addio a quella parte della sua vita. Chiuse il portello, lo sigillò. Drake seppe in quel momento che era finita. Doveva guardare avanti, ora.
Raggiunse i ragazzi alla cabina di pilotaggio, dopo aver percorso il corto corridoio da cui si diramavano tutte le salette e le postazioni di attacco. La Narada non vantava grandi dimensioni, ma era la punta di diamante che Drake e Sienna avevano sempre apprezzato: era veloce come nessuna, perfetta per le fughe e le scappatoie, a meno che non si trattasse d’imboscate impreviste in un sistema sconosciuto… questa però era un’altra storia, una storia vecchia.
Sienna aveva riparato tutte le rotture subìte, aggiornato il sistema, messo a nuovo gli armamenti e potenziato il motore. Come ci era riuscita? Bè, un’ottima domanda, che neppure Ahsoka seppe risolvere, date le limitate risorse tecnologiche a disposizione.
« Bene », disse Drake, prendendo posto nel sedile del pilota. « Vediamo se questa bambina è pronta a solcare di nuovo lo spazio. »
Con lo stesso atteggiamento di chi ritrova un amico dopo anni e anni di silenzio, Drake attivò il sistema e premette l’interruttore di accensione. La Narada funzionava, vibrò dopo un lungo sonno, riempiendo sia l’uomo che Marek di nuove speranze.
Il ragazzo prese posto accanto a suo padre, facendo esattamente ciò che gli veniva detto. Non aveva avuto modo d’imparare a pilotare una nave, non aveva neppure mai saputo che i suoi genitori avessero in segreto rimesso in sesto la loro. In un serto senso, però, si sentiva come a casa, nel posto giusto al momento giusto. Forse era fatto per quella poltrona.
Ahsoka lasciò ad entrambi il loro spazio, sistemando i tre zaini lì a terra. Sfilò il mantello logoro, guardando con una smorfia i tagli e i fori nella stoffa.
« Imposto la rotta… Coruscant. »
« Cosa?! », Ahsoka schizzò in piedi, gli occhi blu sgranati come se avesse appena visto un fantasma.
Drake non parve accorgersene, impegnato ad armeggiare con i comandi e a tracciare nello schermo la direzione con le coordinate. « Ho un contatto sul pianeta. Un’amica. Sono passati molti anni, ma è l’unica persona di cui mi fido. Lei ci aiuterà a trovare un posto sicuro. »
Ahsoka aveva smesso di respirare. La saliva era improvvisamente evaporata, le labbra erano secche. Coruscant.
« Papà, cos’è questa luce? », chiese Marek, indicando una spia azzurra sul pannello delle comunicazioni.
Un trillo leggero avvertì Drake, che si sporse verso la postazione di Marek. « Non è possibile… », disse in un bisbiglio, scuotendo il capo.
Stavano ricevendo una trasmissione. A distanza di anni luce dal sistema vicino, in un punto sommerso dalla vegetazione che rendeva il segnale alquanto debole, di un pianeta… bè, sconosciuto, qualcuno stava cercando di contattare la Narada. Dopo tutto quel tempo in cui i suoi sistemi erano stati spenti ed era, quindi, non rintracciabile da nessuno.
« Ci stanno chiamando. Com’è possibile… »
Ahsoka si riprese dal suo stato di primo sconvolgimento e si avvicinò alle poltroncine di Drake e Marek. Si fermò alle loro spalle, scrutando perplessa la luce lampeggiante che sembrava non voler demordere.
Drake allungò una mano, premette il pulsante per aprire il canale delle comunicazioni. Subito, al centro dei comandi, apparve un ologramma nella piattaforma blu digitale, una persona che né lui ne il figlio aveva mai visto prima. Ma Ahsoka sì.
« Maestro? », riuscì a pronunciare, più confusa che mai.
Era Obi-Wan Kenobi.

 
Angolo dell’autrice.
As usual, I'm back! 
Come promesso, sono di ritorno con il secondo capitolo, che è un po’ la conclusione del primo.
Dunque dunque dunque dunque… dunque. Questo capitolo è abbastanza esplosivo ma più che altro è di passaggio, soprattutto per la nostra eroina.
Ahsoka è nella sua particolare e difficile situazione, si aggrappa a Marek e Drake che non sanno praticamente nulla di lei e questo è un bene: loro conoscono Ashla, non conoscevano Ahsoka prima, ed è proprio quello che cercava per partire da zero e ricostruire i pezzi rotti. È un primo passo del suo viaggio, che inizia da qui, nonostante sia andata via da mesi. Questo è il suo vero inizio e ciò a cui deve far fronte è che il passato non può comunque essere cancellato, per quanto sia doloroso.
Per Drake vale lo stesso principio: dopo anni di “sonno” affronta finalmente il suo passato. Lo ammetto, mi stava particolarmente a cuore lo scontro fra Drake e Carter, è uno di quei momenti dolorosi ma epici nel loro piccolo… questi due personaggi avranno ampio spazio in futuro, soprattutto perché ci sono molte storie su di loro da raccontare, incognite a cui rispondere, e avranno una grande influenza su Ahsoka.
Non mi dilungo oltre, lascio il velo di suspense e di domande riguardo al ritorno di Obi-Wan, al ruolo di Marek, che finora è stato solo di contorno, e cos’è accaduto a Sienna. Stay tuned.
 
Il quarto capitolo verrà pubblicato sabato 25 febbraio, ed ecco due piccoli estratti ( di cui il primo è un flashback ), un bonus.
Buona lettura. 

 
p.s. ringrazio infinitamente chi ha inserito questa storia tra le seguite e le preferite. Davvero, un grazie di cuore e spero di non deludere le vostre aspettative con i capitoli successivi. A presto!



 
Estratto: capitolo 04.
The beast inside
 
« Maestro, non sono certa che sia una buona idea rimanere qui. Ho un pessimo… pessimo presentimento a riguardo… »
« Ahsoka », la interruppe serio Obi-Wan, alzando una mano, « dovete rientrare immediatamente a Coruscant. Il Consiglio ha deciso di sospendere la missione fin quando non verrà risolto questo punto interrogativo. »
« Ma… »
La figura del Maestro Jedi si fece più grave, come afflitta da una verità e da un timore represso. « Non si tratta solo di questo. Forse qualcuno ha tentato di nascondere alla Repubblica qualcosa lontano dal suo controllo, forse il Cancelliere è stato ingannato e non ci sono prove o motivazioni per cui avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’alterazione delle coordinate. Ciononostante… Anakin è l’ultimo tra noi a poter svolgere con lucidità questo compito. Credo tu non abbia scordato ciò che ho accennato su Zygerria, riguardo alla storia personale di Anakin: ecco perché devi riportarlo subito su Coruscant. »
« Ma io… non credo che mi ascolterà. Sai meglio di me quanto il Maestro Skywalker sappia essere così testardo. »
« Lo so, ma non abbiamo altra scelta. Ahsoka, temo che rimettere piede su Tatooine possa sconvolgere il suo equilibrio e metterlo a dura prova. Devi fare tutto il possibile per convincerlo a rientrare, non importa se dovrai ricorrere a mezzi drastici e non convenzionali – Anakin non capirà, non subito, ma potrebbe essere l’unico modo per impedire che faccia qualcosa di incredibilmente stupido. »
Ahsoka fece un flebile cenno col il capo, emettendo un mugolio d’assenso. Non era convinta delle parole del Maestro, soprattutto riguardo al dover agire alle spalle di Anakin se pur per il suo bene. Si sentiva nel mezzo di un fuoco incrociato, sul pendio più alto, in bilico tra il precipitare su di un lato o sull’altro: la scelta sbagliata poteva essere fatale sia per lei che per Anakin.
« Va bene, Maestro. Farò quello che posso », bisbigliò in risposta, persa ogni briciola del suo tipico entusiasmo da missione fuori dal Tempio. 

 
( ... ) 

La sala della meditazione era vuota, esattamente uguale a come la ricordava – del resto, cosa sarebbe dovuto cambiare in così poco tempo? Non erano altro che mesi, mesi che acquistarono tutto il loro peso non appena Ahsoka varcò la soglia già aperta.
Inspirò l’aria nella piccola stanza, colma di ricordi, di energie non sue, di riflessioni, di silenzio. I mesi parvero anni, passo dopo passo somigliavano ad un orologio impazzito, le lancette irrefrenabili ed irraggiungibili.
« Sapevo che un giorno saresti tornata. »
Gli occhi di Ahsoka abbandonarono il pavimento grigio, balzarono s’un punto avanti a sé. « Non sono tornata, Maestro Plo. »
Quando si volse, vide il Maestro immobile sulla soglia, le mani congiunte. Ahsoka lo guardò con le labbra serrate, appena rivolte all’ingiù, in un misto di nostalgia e di celata tristezza. Non provava rancore, la togruta, non lasciava che la rabbia facesse di lei una schiava, mai, ma non poteva negare quanto avesse fatto vacillare la sua fiducia vedere il Maestro Plo dalla parte opposta alla sua. Quanto l’avesse ferita.
Plo Koon era importante per Ahsoka, il primo Jedi che conobbe, colui che la condusse al Tempio ove iniziò la sua istruzione. Plo Koon era un amico, un secondo padre, un custode. Plo Koon avrebbe sempre avuto un posto speciale nel cuore di Ahsoka, nonostante tutto.
« Sento che c’è un conflitto dentro di te, piccola Ahsoka », disse il Maestro, con tono pacato.            
Ahsoka non poté fare a meno di ripensare a quel sogno frammentato, quel sogno strano in cui ricordava parole simili dal sapore profetico. “ Ci sono molte contraddizioni in te. E in lui “.
« Sto cercando di trovare la mia strada, Maestro », rispose semplicemente.
« La tua strada o te stessa? »
Ahsoka non ribatté, sbattendo le palpebre più volte. Poi abbassò lo sguardo e una smorfia d’ovvietà comparve sul suo volto. « Credo entrambe le cose… »


 

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Capitolo 4
*** The beast inside ***



Capitolo 04.

The beast inside

 
" it was Master Plo Koon
who found me and brought me

to the Jedi Temple where I belong.
 "
  
 
 Lo spazio era un turbinio di scie luminose, stelle sfuggenti alla velocità della luce. 
Ahsoka guardava assorta i puntini e le loro tracce, che incrociavano e abbandonavano la sua vista distratta, del tutto lontana dal posto in cui era. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e il risultato sarebbe comunque stato lo stesso: un grande e profondo abisso scuro.
“Ahsoka”, aveva esordito l’ologramma di Obi-Wan, di un azzurro flebile intermittente a causa della difficoltà di ricezione. “È bello vedere che stai bene.”  
“Maestro”, aveva balbettato lei in risposta, del tutto spiazzata nel rivederlo dopo così tanto tempo. Incredula del fatto che fosse riuscito a trovarla, confusa – com’era riuscito Obi-Wan Kenobi a sapere dove e quando contattare una nave spaziale non in funzione da anni, in un altro sistema, lontano anni luce e invisibile a qualsiasi tipo di localizzazione?
Sì, la Forza agiva in maniera misteriosa e inspiegabile. Obi-Wan sapeva da un pezzo dov’era Ahsoka, probabilmente l’intero Consiglio ne era conoscenza e la ragazza aveva il forte sospetto che in gran parte c’entrasse Plo Koon, il Maestro che l’aveva condotta al Tempio Jedi quando aveva solo tre anni. Il dubbio che fosse coinvolto anche Anakin Skywalker l’aveva attanagliata, ma subito venne fugato: se Anakin avesse saputo della sua presenza in un luogo come quello, sarebbe volato a riportarla indietro.
“Ahsoka… ho assolutamente bisogno di parlarti. Girano voci nel Sottomondo, voci che il Consiglio non comprende e che sottovaluta per dar priorità a questa guerra.”
Lo sguardo di Ahsoka era puntato sul tunnel spaziale che scorreva via, il suo petto si alzava e si abbassava lentamente, inspirava ed espirava. Non pensava, semplicemente esisteva, avvolta in una bolla vuota, dove tutti i suoni arrivavano permeati come echi lontani. Era precipitata sul fondo di un pozzo oscuro interminabile e l’unica voce ad infrangere la barriera del silenzio era quella di Obi-Wan.
“C’è qualcosa che non mi convince con l’avvicinamento di questa “vittoria”, qualcosa che non va. Come se fosse una quiete prima di un grande sconvolgimento. So di chiederti molto, Ahsoka, ma la mia volontà di contattarti non è casuale. Confido nelle tue capacità e in te.”
Obi-Wan era sembrato sincero, anche se turbato. Ahsoka avrebbe voluto chiedergli ulteriori spiegazioni, ma non lo fece. Sapeva che sarebbe stato discreto per via della presenza di Drake e Marek e poi, verità che rese la visione del volto del Maestro un po’ dolorosa, Ahsoka non era più un Jedi. E quelle erano faccende che non la riguardavano.
“Io non lo so, non credo…”, aveva cercato di assemblare parole, scuotendo il capo e sperando che acquistassero un qualche senso una volta proferite. Non era una buona idea, voleva dire esattamente questo. Non voleva tornare; non era sicura nemmeno di non volerlo fare, però. Non voleva vedere Anakin; invece sì, voleva vederlo, forse più di quanto non ammettesse. Cosa stava succedendo al suo buon senso?
« Quindi… il tuo nome non è Ashla », ruppe il silenzio tombale la voce di Drake, seduto alla postazione del pilota.
Ahsoka inspirò profondamente, ridestata dal suo stato di “vuoto”, dal ricordo della conversazione con l’ologramma di Obi-Wan. Non aveva aperto bocca da allora, da quando erano partiti, e quello era il primo tentativo di Drake di rompere il muro dietro al quale si era ritirata.
La togruta non si volse, rimanendo comodamente poggiata al sedile. I suoi occhi si spostarono in direzione del posto del pilota di pochi centimetri ed era il massimo che poteva concedersi: non voleva davvero spiegare l’oceano in tempesta e contemporaneamente piatto che nascondeva dentro di sé. Già era difficile da comprendere per lei, figurarsi per qualcuno che la conosceva da una settimana. No. E poi che parole avrebbe potuto utilizzare? Non ce n’erano di adatte.
« Quindi sei un Jedi… »
La voce di Drake suonava limpida nella cabina di pilotaggio, per nulla accusatoria in realtà. Ad Ahsoka sembrò che la parola Jedi fosse uscita tra i denti, ma probabilmente era solo una sua impressione. Probabilmente erano le sue orecchie a percepirla come qualcosa di estraneo a lei, qualcosa che non andava più a braccetto con la sua persona.
Dopotutto era Ashla. Ashla era una viaggiatrice.
« No », rispose lei con un sussurro, come se le costasse una certa fatica. « Non più. Non sono un Jedi… »
“Non ti sto chiedendo di tornare, se è questo a metterti in difficoltà. Ti sto chiedendo di aiutarmi.”
Drake mugugnò pensieroso, le mani adagiate accanto ai comandi, pronte a reagire in caso d’imprevisto. Scrutava la ragazza di sottecchi, cercando di studiarne lo stato d’animo o almeno di carpire qualcosa di più senza sfociare nell’indelicatezza. E poi cambiò idea.
« Questo è il momento in cui dovrei dire che ho sempre saputo, dentro di me, che Ashla non era il tuo vero nome e che, conscio delle tue personali motivazioni, ho preferito non sottoporti ad un interrogatorio inopportuno – ma la verità è che me la sono bevuta tutta, Ashla. »
Ahsoka sorrise istintivamente, un piccolo segno nell’imperturbabile espressione indefinita che l’accompagnava. In cuor suo, apprezzava il fatto che Drake non reagisse male a quella sorta di inganno, che capisse o che se non altro non lo prendesse come un affare personale. Non era obbligato ad accettare la complicata verità della sua identità e considerando il fatto che non si conoscevano poi molto… avrebbe benissimo potuto infuriarsi, sigillarla in una stanza della nave fino all’arrivo su Coruscant e assicurarsi che non li avrebbe più seguiti.
Ma Drake non sembrava arrabbiato, non lo era. Anzi, ad Ahsoka parve persino d’intravedere una sorta di ghigno sorpreso e furbo, come se – in realtà – al contrario delle parole appena dette, lui avesse sempre saputo che per prudenza o motivi di natura altra nessuno avrebbe usato il suo vero nome con degli estranei.
« Me la sono bevuta proprio. Ah, sì! », proseguì ridacchiando, adagiandosi più comodamente sulla poltroncina.
“Vieni al Tempio. Là potremmo parlare.”
“No! – “
« Mi dispiace, davvero… »
« Non devi. Io avrei fatto lo stesso », ora Drake la guardava con determinazione crescente, « Sarebbe stato strano il contrario. E poi… tutti abbiamo un passato che ci insegue e da cui cerchiamo di scappare. Immagino che anche tu abbia il tuo, nonostante la tua giovane età. »
Ahsoka espirò rumorosamente, trattenendo una risata che avrebbe avuto un sapore molto amaro. « Non sono così giovane. »
“Credo sarebbe meglio – rimanere fuori dal Tempio, Maestro.”
Obi-Wan era sembrato perplesso per un istante, che subito aveva coperto mostrando uno sguardo comprensivo. Aveva annuito, con la solita calma. “D’accordo, ma sii prudente. Io ti raggiungerò.”
Qualcosa nella sua voce aveva fatto intuire ad Ahsoka le ragioni del suo turbamento, aveva osservato l’ultima occhiata guardinga che il Maestro Kenobi aveva dato allo spazio circostante prima di chiudere la comunicazione. Poi era caduta nel tenebroso tunnel dell’assenza di pensieri, di silenzio, d’immobilità totale.
Aveva lasciato che il rombo della nave l’avvolgesse e la sensazione di essere di nuovo nello spazio aperto la cullasse. L’iperspazio l’aveva trascinata via, un po’ come tutte le stelle venivano sfumate e trascinate lungo la via. Ed era ancora lì, a cercare di mettere assieme i pezzi di ciò che sarebbe molto presto accaduto, all’improvviso ritorno in quel pianeta, con quelle persone.
Forse il silenzio avrebbe saputo darle un consiglio, o forse invece non c’erano consigli che avrebbero potuto reggere il gioco. Forse certi eventi erano del tutto inevitabili e imprevedibili, forse non c’era modo di sfuggire allo strano cerchio perpetuo della Forza. Forse… forse
Forse Ahsoka aveva ancora troppi forse e quella sarebbe stata la giusta occasione per cancellarli, uno dopo l’altro. Forse.

 
 
two years ago
         
La navetta uscì dall’iperguida, lo spazio profondo e stellato si aprì di fronte allo sguardo attento di Ahsoka, che lo distolse solo un istante dal controllo delle coordinate.
« Sicuro che sia questo il posto, Maestro? », domandò perplessa, scorrendo nuovamente le informazioni in loro possesso dalla sua postazione di co-pilota.
Anakin scrutò la distesa buia avanti a loro, le mani ferme ai comandi ma gli ingranaggi della mente rumorosamente in movimento.
Qualcosa non andava, questo era certo, e la questione poteva avere solo due risvolti: o il Consiglio aveva interpretato in modo errato i dati della trasmissione, facendo un buco nell’acqua ( o nello spazio ), oppure qualcuno li aveva inviati appositamente per far cadere i Jedi in una trappola. E non c’era il minimo che dubbio che le percezioni del Maestro Skywalker pendessero tutte a favore della seconda ipotesi, nonostante un presentimento continuasse a metterlo in guardia comunque.
« Non c’è niente, qui », riprese Ahsoka, levando le spalle. « R2, fai una scansione. »
« R2, aspetta. Mettimi in contatto con il Consiglio », disse Anakin, senza ancora lasciar andare i comandi. Si rivolse alla sua padawan prima del collegamento con gli altri Jedi, terribilmente serio e autoritario. « Questa cosa non mi piace, ho paura che potremmo finire in una trappola se già non siamo nel mezzo – e sento che c’è dell’altro, altro che non riesco a percepire. »
« Altro, Maestro? »
« Non lo so, ma voglio vederci chiaro. Ecco perché dovrai fare quello che ti dico, Ahsoka. »
Il tono preoccupato e in netto contrasto con l’espressione severa fece annuire Ahsoka inconsciamente. Non voleva deludere il suo Maestro, disubbidire ancora una volta, non dopo aver dato vita ai suoi demoni interiori al Tempio. Aveva impiegato qualche giorno a superare l’accaduto, la giovane togruta, e quella richiesta fece insorgere in lei una lieve insicurezza.
Anakin sembrò leggere il suo volto senza difficoltà e stette per aggiungere dell’altro, ma fu interrotto dall’immagine di Obi-Wan che comparve proiettata tra le due postazioni.
« Credevo doveste già essere arrivati. Che succede, Anakin? »
« Le coordinate del Consiglio ci hanno condotto in mezzo al nulla. Siamo nello spazio aperto e sono sicuro che non sia casuale, escludendo una traduzione incorretta. »
Obi-Wan incrociò le braccia al petto, improvvisamente pensieroso e non propenso a cogliere la vena sarcastica dell’ultima affermazione di Anakin. « Sei certo di averle impostate correttamente? È insolito e pericoloso. »
« Già, ne siamo consapevoli », annuì Skywalker con un sorriso impertinente. « Dì al Consiglio che rientriamo subito. Verremo a capo dell’incognita quando saremo lontani da imboscate Separatiste, non siamo equipaggiati per uno scontro di grande portata. »
« Riferirò ai Maestri l’accaduto. Se è una trappola capiremo chi vi si cela dietro e per quale motivo ha lanciato un’esca simile. Procedi, Anakin, e sii prudente. »
« Aspettate! », esclamò Ahsoka, irrompendo nella conversazione che aveva diligentemente ascoltato fino a qualche attimo prima. « R2 ha terminato la scansione. Qualcuno ha manomesso i dati delle coordinate, proprio qui. »
Con la punta dell’indice indicò la rivelazione del droide, un picco di trasmissione diverso dagli altri, proveniente da un luogo diverso e sviluppato da un differente strumento di comunicazione. La richiesta originale era stata interrotta, deviata al fine d’inserirvi una nuova rotta. A che scopo? Perché far finire una navetta della Repubblica in una zona scoperta desolata se non per coglierla impreparata ed abbatterla? Per catturarla?
« R2, recupera i dati e trasmettili alla postazione principale », ordinò Anakin, lanciando un’ultima occhiata ad Ahsoka.
Obi-Wan era ancora in ascolto, fermo come una sagoma azzurra e inconsistente, velato di forte sospetto. La sua preoccupazione era la stessa che aveva sfiorato il giovane Skywalker, e se si fosse concretizzata avrebbe avuto un esito indesiderato per quel viaggio iniziato come soccorso.
Eppure aveva perduto le prime sembianze di un’imboscata, restando solo un grande enigma irrisolto. Oltre alla loro navetta non c’era anima viva, nessun rilevamento tecnologico, nessuna energia, nessun’altra vettura. Niente. Assolutamente niente. Solo lo spazio.
« Uhm, non mi piace, Anakin. »
« Forse chi ha forzato la trasmissione originaria non voleva attaccare la Repubblica, ma coprire le tracce di qualcosa che sta succedendo nel luogo di emissione », abbozzò convinta la togruta. Teneva lo sguardo fisso sulle mani del suo Maestro e vagava ogni tanto verso Obi-Wan alla ricerca di un segno.
Anakin iniziò ad impostare le nuove coordinate non appena R2 terminò di restaurarle. Il Maestro Kenobi annuiva, portando una mano al mento sempre più sospettoso e affatto tranquillo, sentimento diffuso in gran parte dell’Ordine. L’equilibrio era scosso da tempo, ma mai come ora era sembrato più fragile… e oscuro.
« Quello che non mi spiego è come sia potuto sfuggire al Consiglio questo particolare non indifferente », proseguì Obi-Wan, « qualunque droide avrebbe potuto segnalare un’alterazione delle informazioni. »
« Chi ha richiesto questa missione? », chiese subito Ahsoka.
La domanda rimase sospesa tra le pareti della navetta qualche istante, in cui Obi-Wan Kenobi apparve prendere consapevolezza di un fatto a cui non aveva dato il giusto peso. Almeno finora. « Richiesta dal Cancelliere al Consiglio, con il nome di Anakin al primo posto per svolgerla. »
« Oh… il Cancelliere? »
« Già, proprio il Cancelliere Palpatine. Sembrava avesse molta premura, soprattutto sul fatto che fosse Anakin a gestirla. »
« Bè, è strano. Non è vero, Maestro? »
Ahsoka si volse accigliata verso Anakin, ora impassibile, pietrificato di fronte allo schermo. Non ricordava altre occasioni in cui il suo sguardo era stato tanto vacuo, pallido come dopo aver visto un fantasma, uno spettro. Forse solamente l’episodio accaduto al Tempio, quando si era reso conto che la sua allieva non era esattamente… in sé. Forse allora i suoi occhi dovevano essere apparsi svuotati, colpiti da una flebilissima fiamma di paura, in gran parte conseguenza di quello strano legame che si era creato tra loro.
« Maestro? », represse l’impulso di posargli una mano sul braccio, limitandosi ad avvicinarsi cauta.
Anakin non reagì in alcun modo. Il suo profilo era ermetico agli occhi assottigliati di Ahsoka, ancora più chiuso per il lontano Maestro Obi-Wan, che provò a chiamarlo invano. Persino R2 fece sentire i suoi fischi, aggiornando i Jedi sul completo salvataggio delle informazioni richieste. E questo fu un primo indizio.
« Maestro… »
« Rotta tracciata », disse Anakin con un filo di voce, ridestato.
Percepiva l’attenzione di Obi-Wan e della sua allieva addosso, tuttavia non se ne curò: confermò le coordinate, preparò la postazione e il salto nell’iperguida, silenzioso e incupito. Ahsoka seguì il suo esempio, non volendo porre alcuna ulteriore questione.
« Ci dirigiamo a Tatooine. Informa il Consiglio. »
All’austerità del cambiamento, Obi-Wan non poté far altro che accondiscendere: non solo sarebbe stato inutile controbattere l’ostinatezza di Anakin, sfociando in un vortice infinito di botta e risposta, ma le conseguenze avrebbero potuto aggravare al limite quella circostanza già sgradevole. Molte riflessioni si sarebbero riversate sul Consiglio dei Jedi, sommate al peso della guerra sempre più gravosa e temibile, il cui denominatore comune era l’oscurità incombente, vicina, palpabile.
« Sarà fatto. Fate attenzio–– »
Anakin interruppe la comunicazione bruscamente e l’immagine dell’ologramma di Obi-Wan scomparve. Allieva e Maestro rimasero nuovamente soli nella navetta, con il pronto ausilio di R2.
Ahsoka tornò a concentrarsi sui comandi, reprimendo con forza la mole di domande che in quel momento esatto esplodevano nei meandri della sua mente. In silenzio temeva che Anakin riuscisse a percepire la sua tensione e anzi, era scontato che ne fosse già a conoscenza… o forse, invece, no.
 Molte volte la vista deviò fugace, si assicurava della presenza al suo fianco, controllava e carpiva ogni minimo movimento dei muscoli contratti sul viso del Maestro, che non pronunciò parola. Non fece neppure notare quanto fossero rumorosi i quesiti non posti di Ahsoka, segnale sufficiente di per sé a farle intuire che qualcosa si era scatenato e stava esplodendo dietro a quegli occhi azzurri, su cui era calata un’ombra. Un’oscurità conosciuta, ciò non di meno pericolosa.
E Ahsoka ben sapeva, ormai, che qualsiasi ragione turbasse il Maestro Skywalker avrebbe presto coinvolto anche lei. Lei e forse in parte ancor maggiore tutti gli altri Jedi.
 
L’atterraggio su Tatooine fu tranquillo, privo di rischi ed eventuali problemi, come spesso invece succedeva quando al comando principale c’era l’inclinazione al pericolo di Anakin. La superficie arida e desertica levò una nube di sabbia poco densa, che presto si spense assieme alla navetta.
Il Maestro era inquieto, e più tentava d’apparire uno specchio d’acqua imperturbabile, più era chiaro quanto fosse lontano da quella condizione. Aveva lo sguardo assorto, inchiodato s’un punto indefinito del pianeta, distante miglia e miglia dalla realtà, soppiantato in una dimensione altra ed irraggiungibile.
Per il resto del viaggio non aveva aperto bocca e lo stesso aveva fatto Ahsoka. Si era limitata a lanciargli occhiate guardinghe, attenta a non farsi scoprire – impresa che le riuscì benissimo, perché Anakin era talmente rapito da non accorgersi nemmeno dei tentativi maldestri della sua apprendista. Non si era reso conto di nulla, non aveva avvertito strani flussi emotivi, dubbi o preoccupazioni.
Si alzò bruscamente, percorse la cabina di pilotaggio in pochi passi e uscì. Ahsoka non lo perse di vista, le labbra socchiuse ed incerte se continuare ad omettere la sua confusione oppure no. Forse avrebbe potuto essergli d’aiuto, forse… o magari voleva solo essere lasciato in pace. Cosa doveva fare?
Sospirando, la giovane ordinò a R2 di rimettersi in contatto con il Maestro Obi-Wan e scoprì che Anakin aveva bloccato le comunicazioni per tutto il tempo trascorso in rotta verso Tatooine. Chiamate senza risposta erano rimaste sospese e fecero scattare in lei un potente campanello d’allarme.
« Maestro, non sono certa che sia una buona idea rimanere qui. Ho un pessimo… pessimo presentimento a riguardo… », disse d’un fiato, quando l’ologramma di Kenobi riapparve davanti ai suoi occhi.
« Ahsoka », la interruppe serio Obi-Wan, alzando una mano, « dovete rientrare immediatamente a Coruscant. Il Consiglio ha deciso di sospendere la missione fin quando non verrà risolto questo punto interrogativo. »
« Ma… »
La figura del Maestro Jedi si fece più grave, come afflitta da una verità e da un timore represso. « Non si tratta solo di questo. Forse qualcuno ha tentato di nascondere alla Repubblica qualcosa lontano dal suo controllo, forse il Cancelliere è stato ingannato e non ci sono prove o motivazioni per cui avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’alterazione delle coordinate. Ciononostante… Anakin è l’ultimo tra noi a poter svolgere con lucidità questo compito. Credo tu non abbia scordato ciò che ho accennato su Zygerria, riguardo alla storia personale di Anakin: ecco perché devi riportarlo subito su Coruscant. »
« Ma io… non credo che mi ascolterà. Sai meglio di me quanto il Maestro Skywalker sappia essere così testardo. »
« Lo so, ma non abbiamo altra scelta. Ahsoka, temo che rimettere piede su Tatooine possa sconvolgere il suo equilibrio e metterlo a dura prova. Devi fare tutto il possibile per convincerlo a rientrare, non importa se dovrai ricorrere a mezzi drastici e non convenzionali – Anakin non capirà, non subito, ma potrebbe essere l’unico modo per impedire che faccia qualcosa di incredibilmente stupido. »
Ahsoka fece un flebile cenno col il capo, emettendo un mugolio d’assenso. Non era convinta delle parole del Maestro, soprattutto riguardo al dover agire alle spalle di Anakin se pur per il suo bene. Si sentiva nel mezzo di un fuoco incrociato, sul pendio più alto, in bilico tra il precipitare su di un lato o sull’altro: la scelta sbagliata poteva essere fatale sia per lei che per Anakin.
« Va bene, Maestro. Farò quello che posso », bisbigliò in risposta, persa ogni briciola del suo tipico entusiasmo da missione fuori dal Tempio.
« Conto su di te. »
L’ologramma di Obi-Wan scomparve di nuovo, questa volta in via definitiva. Ahsoka rimase qualche istante ad osservare la piattaforma vuota, a prendere il fiato necessario e il tempo per elaborare un piano. Doveva trascinare Anakin fin alla navetta? Legarlo al sedile e rischiare di essere espulsa per sempre dall’Ordine dei Jedi per atti di violenta insubordinazione e tradimento verso un superiore? Magari stordirlo, perdendo piuttosto la sua fiducia anziché lo status di padawan?
Tutte le alternative possibili e classificabili come “mezzi drastici e non convenzionali” insinuavano in lei uno strano malessere, una sensazione fastidiosa di cui voleva assolutamente liberarsi. Seguire i consigli di Obi-Wan equivaleva fare qualcosa che Ahsoka non aveva mai contemplato: ferire il suo Maestro. Ma non seguirli, invece? Era pronta ad accollarsi la responsabilità di una via piuttosto che l’opposta contraria? Era pronta ad affrontarne le conseguenze?
No, era la risposta. Non lo era.
Non era pronta. Non di nuovo.
 
L’aria secca e calda del pianeta la investì in pieno volto appena mise il naso fuori dalla navetta. I piedi affondavano nella sabbia dorata, sottile, e dovette socchiudere le palpebre per mettere a fuoco la figura di Anakin poco distante.
Era immobile, ancora intento ad osservare l’orizzonte irraggiungibile e lontano, immerso in chissà quali pensieri ermeticamente inaccessibili. Una sagoma nera nel bel mezzo del chiarore del cielo terso, circondato da un infinito deserto e due soli.
Ahsoka lo raggiunse con lentezza, trascinandosi. Arrivò al suo fianco in silenzio, torturandosi le dita delle mani e scrutandolo dal basso della sua statura.
« Spero che Obi-Wan ti abbia almeno dato indicazioni utili per capire cosa stiamo cercando », disse tranquillamente Anakin, dopo aver preso un respiro profondo.
« Cosa – io non… »
Anakin si volse, fronteggiò Ahsoka impassibile. Da quel che riusciva a vedere nella sua espressione invalicabile non era arrabbiato, ne colto alla sprovvista o inerme: l’intervento di Obi-Wan era proprio ciò che si aspettava, la sua premura nel sottolineare quanto fosse rischioso un soggiorno prolungato su Tatooine. Solo che non voleva ascoltarlo, ovviamente.
« So che non approva e che ti ha chiesto d’intervenire affinché facciamo ritorno su Coruscant, ma non ho intenzione di lasciare questo posto. Quello che voglio sapere è: sei con me o devo ordinare a R2 di scortarti fino al Tempio e tornare a prendermi? »
Ahsoka lo guardò accigliata, un occhio socchiuso e l’altro sgranato. Mostrò tutto il suo disappunto, serrò le labbra, per nulla impressionata o intimorita dall’improvvisa e strana severità del Maestro. Ci voleva ben altro per farla desistere, quello era solo un invito a continuare.
« Sappi, Skycoso, che non l’avrei mai fatto. Anche se in questo momento trarrei mooolta soddisfazione nell’usare un blaster rudimentale per stordirti. »
Il volto impenetrabile di Anakin ebbe un istante di cedimento, un muscolo guizzò fulmineo, creò una parvenza di sorriso. Oramai si era abituato al temperamento di Ahsoka e non si stupiva quasi più di nulla che uscisse dalle sue labbra. Anzi, un lato remoto di sé adorava il suo essere così impertinente, così simile a lui, ma le rivolse ugualmente un’occhiata sarcastica. « Certo, furbetta. Dovresti prima riuscirci, però. »
« Come sarebbe a dire, scusa? », ribatté lei, sempre più sbigottita.
Il Maestro le lanciò un’occhiata eloquente, sollevando di scatto le sopracciglia con ovvietà. « Dai, avanti », proseguì con un cenno del capo in direzione della navetta, « prendi il necessario e andiamo. Non abbiamo molto tempo, R2 rimarrà a fare la guardia. »
« Come vuoi tu, Skycoso », sbuffò Ahsoka, roteando gli occhi platealmente.
Anakin osservò la sua apprendista rientrare nella navetta, colse i movimenti accennati del suo capo, sicuramente volti a imitarlo con una smorfia ben piazzata sul volto. In un certo senso quell’immagine lo sollevò, lo carezzò dolcemente come una parvenza di normalità, rassicurandolo che le cose erano esattamente come dovevano essere. Tutto andava bene.
Ma non durò che un attimo fugace, svanito in un battito di ciglia.
Quando Ahsoka scomparve nella navetta, lo sguardo di Anakin cadde con amarezza sulla sabbia di Tatooine. E fu invaso dalla consapevolezza che, nel profondo, le cose non erano proprio come dovevano essere. Non andava tutto bene.


 
present day
 
Coruscant.
Il centro della galassia, l’ultimo posto in cui Ahsoka avrebbe voluto metter piede.
C’era qualcosa di davvero particolare nella sensazione di toccare nuovamente la superficie di quel pianeta, vedere dall’alto gli edifici, gli speeder, le navette, il via vai continuo che rendeva Coruscant… Coruscant. Il centro della galassia.
Ahsoka sapeva, tuttavia, che sotto a quello strato di apparenza si celava un sottomondo cupo e pieno d’insidie. In un certo senso per lei quelle due facce del pianeta erano divenute un tutt’uno: non poteva guardare la città fiorente senza vedervi attraverso le immagini scolpite del declino, dei vicoli bui, della disgrazia, dei reietti. Vedeva se stessa in fuga come una criminale qualsiasi: creduta da nessuno, accusata da tutti.
Al momento dell’atterraggio in una piattaforma poco lontana dalla città, Ahsoka aveva già abbandonato la cabina di comando. Aveva cambiato il suo mantello con uno pulito che teneva nello zaino, si era coperta il capo e, dopo un momento di esitazione, aveva deciso di riprendere in mano le sue spade laser, agganciandole alla cintura. Non sapeva cosa aspettarsi, se aspettarsi qualcosa in generale, ma il pensiero di camminare per quelle strade disarmata non le piaceva molto.
Drake e Marek sarebbero rimasti a bordo della Narada; l’uomo aveva intenzione di chiamare il suo “contatto” e attenderlo lì mentre Ahsoka avrebbe raggiunto il punto d’incontro stabilito con Obi-Wan. Inizialmente, Marek non parve condividere l’idea di separarsi, di lasciare che la togruta si aggirasse da sola per la città, e infatti tentò di seguirla scattando dal sedile del co-pilota con un balzo. Fu suo padre a trattenerlo, afferrandogli un braccio e dicendo solamente: « Lasciala andare. »
Nella sua vita di pseudo-fuorilegge, cacciatore di taglie e cacciatore di taglie piantagrane, Drake Leafson non aveva mai avuto a che fare con l’Ordine dei Jedi. Come tutti, ne conosceva alcune storie, sapeva quello che bisognava necessariamente conoscere e gli era capitato di vederne qualcuno in azione da lontano, mentre con la sua nave abbandonava un pianeta per far rotta su di un altro. Non era proprio un esperto in materia, anzi, ma comprendeva la celata necessità di Ahsoka di risolvere, qualunque fosse, la sua questione irrisolta. Nessuno meglio di lui capiva, ora, il peso di un debito non estinto.
Dopo un istante di esitazione, Ahsoka varcò il portello principale.
In fine, ecco. La resa dei conti. La verità. Il passato.
Un nodo le salì su per la gola, facendole trattenere il respiro per un attimo. Sentì lo stomaco ridotto ad un groviglio di fili tesi e dolorosi, l’incertezza dominare sovrana sulla sua capacità di agire.
No, si disse. Non poteva permettere ai ricordi di paralizzarla, di avere il sopravvento sulla sua razionalità, se mai ne aveva avuta una. Ormai era lì, con o senza la sua volontà, e sembrava che il destino avesse per lei in serbo dei piani ben stabiliti. Sì, perché se non fosse giunta la chiamata del Maestro Kenobi, Drake e Marek l’avrebbero in qualunque caso ricondotta su Coruscant. Strana coincidenza, non c’era che dire…
Ahsoka represse il bisogno di chiudersi a chiave in una stanzetta della nave e attendere il momento della partenza. Avrebbe aspettato ore, giorni, pur di scappare da quell’onda anomala e improvvisa che scosse ogni fibra del suo corpo. Lasciò andare il fiato trattenuto, avvertendo la compressione dei polmoni, la loro necessità vitale di rifornirsi d’ossigeno nuovo.
Respira. Chiudi gli occhi. Senti la Forza, percepiscila fluire dentro di te, accanto a te, nell’aria, nel cielo, nella terra, in ogni dove.
Sgombrando la mente ed espirando con forza, obbligò le gambe e i piedi a muoversi, a percorrere la rampa dalla nave per toccare il terreno di fuoco. Ahsoka sistemò di nuovo il mantello sul proprio capo, affinché lasciasse intravedere solamente l’ombra dei suoi occhi, il naso sottile e le labbra. Era di una lunghezza sufficiente a coprire la tuta rossa almeno quasi fino alle ginocchia e questo le dava la seppur minima sicurezza di non poter essere riconosciuta all’istante. Poteva tornare ad essere un fantasma.
Le strade di Coruscant erano un flusso ininterrotto, uno schiaffo rispetto alla situazione tombale in cui Ahsoka aveva vissuto negli ultimi mesi. Rumori di veicoli e di chiacchiere spuntavano ovunque, marciapiedi affollati, edifici luminosi, folla.
Nell’attraversare quella frenesia, la togruta si strinse istintivamente nella tela che la proteggeva, lanciando occhiate guardinghe a chiunque le passasse accanto, persona o mezzo di trasporto. Procedeva  a passi ben marcati, ma senza avere in mente un itinerario preciso: doveva raggiungere il punto prestabilito con Obi-Wan e questo fu sufficiente a scatenare nella sua memoria una reazione naturale, per cui avrebbe faticato molto a dimenticare le strade del luogo in cui aveva passato tutta la vita.
L’unico tasto dolente era il doversi avvicinare al Tempio. La sua andatura sembrò perdere qualche colpo quando questa possibilità si fece sempre meno lontana, quando solo pochi tratti e poche svolte la distanziavano. Se avesse alzato lo sguardo, avrebbe già potuto intravedere il grande edificio. Così vicino, così lontano.
« Lieto di vederti, Ahsoka », disse la voce di Obi-Wan, non appena Ahsoka raggiunse quel punto nascosto.
In realtà, Ahsoka aveva appena che girato l’angolo e fiancheggiato la parete quando notò il Maestro camminare con una certa fretta nella sua direzione. Chiaramente veniva dal Tempio – la coda dell’occhio della ragazza deviò di circostanza per un quarto di secondo, nel quale ebbe la visuale della cima del sacro luogo – le mani congiunte andarono a scostare il cappuccio del mantello dal capo per rendersi riconoscibile.
Ahsoka non era sicura di poter rispondere allo stesso modo e si limitò ad un cenno, restando tuttavia nascosta dal manto.
« Purtroppo non abbiamo molto tempo », proseguì Obi-Wan con una certa premura. « Il Cancelliere sembra essere scomparso da questa mattina, il Consiglio ha già organizzato una missione di salvataggio che dovrebbe partire a momenti. »
« Il Cancelliere? », domandò Ahsoka d’istinto, spiazzata dal nuovo risvolto. Un rapimento del genere alla luce del sole era un chiaro segno di sfida alla Repubblica da parte dei Separatisti e mai fino ad allora si erano spinti a correre un rischio simile. Perché avrebbero dovuto farlo ora, di punto in bianco?
Obi-Wan parve comprendere l’insinuazione della togruta, la stessa che lo aveva tormentato durante l’attesa del suo ritorno su Coruscant. « A quel che risulta dietro a questa sparizione sembrano esserci Dooku e il generale Grevious. È stata disposta una nave e tracciata una rotta, non sono lontani. »
« È strano… »
« È esattamente quello che ho pensato anch’io. La guerra imperversa da anni e Dooku e Grevious si espongono con un’azione così pericolosa che potrebbe ritorcersi loro contro soltanto ora? No, non mi convince. Qualcosa non va e ho la brutta sensazione che l’Ordine dei Jedi sia già caduto in un tranello che non riesce neppure ad identificare. »
Gli occhi blu della togruta fissavano il volto del Maestro, si spostavano di tanto in tanto solo per non rimanere inchiodati al Jedi. E, ancor di più, alle faccende dei Jedi. Il suo istinto la spingeva a riflettere su questi strani eventi, a cercare di elaborare una teoria logica per venirne a capo, ma i sentimenti venivano poi a galla prepotenti e spegnevano ogni tentativo di ragionamento. Estraniavano quelle incombenze, non le riconoscevano più come proprie.
Obi-Wan aveva distolto lo sguardo per scuotere il capo tra sé, osservando il terreno. Sospirò assorto, ma più di tutto affranto: aveva già esposto la sua preoccupazione riguardo a qualcosa d’incombente e insolito, preoccupazione che non aveva fatto altro se non raddoppiare. Sulle sue spalle il fardello era opprimente e persino un grande Jedi come lui non poteva sottrarsi ad esso.
« Ahsoka… », continuò, lasciando sfumare la voce in un sussurro, « Temo che non sia un fatto casuale. Ti ho chiesto di venire qui per aiutarmi, perché in qualche modo so che guarderai con occhio diverso ciò che sta accadendo. Il Consiglio sta perdendo la fiducia… qualcosa di oscuro si è insinuato tra i Jedi da tempo, minando la fede che da sempre ci ha tenuti uniti. Ho paura che presto saremo impotenti se il presentimento che avverto si concretizzerà e questo rapimento… non è un buon segno. Ahsoka, se non possiamo più fidarci di noi, su chi potremmo fare affidamento? »
Le parole di Kenobi colpirono Ahsoka come una tormenta gelida, le fecero abbassare lo sguardo sotto il peso dei ricordi, del dolore, del conflitto e dell’insicurezza. Già, in chi potevano porre fiducia se non in loro, che erano una famiglia?
Non era certo una novità che il dubbio si fosse insinuato minaccioso nell’Ordine, creando incertezze piuttosto difficili da colmare. Ahsoka non era stata l’unica sfiduciata e a veder le spalle voltate di coloro in cui aveva sempre creduto; Obi-Wan aveva assistito di persona al momento in cui anche il Maestro Yoda era stato centro di discussione, quando il Consiglio aveva iniziato a pensare che il Lato Oscuro lo stesse traendo a sé attraverso la voce di Qui-Gon. La situazione non era certo migliorata con l’effettivo tradimento dell’allieva Barriss, ma in qualunque caso Obi-Wan aveva cominciato a riflettere profondamente su queste situazioni di disequilibrio, situazioni che mai sarebbero dovute accadere. Dubitare di un compagno Jedi significava dubitare di se stessi, e dubitare di se stessi in un momento tanto delicato equivaleva soccombere ad ogni tipo di minaccia imminente. Dooku e Grevious, dopotutto, non avevano inferto quel colpo tanto casualmente. Stavano approfittando della debolezza dei Jedi.
Obi-Wan fece per parlare, ma s’interruppe. Era consapevole di quanto quella constatazione toccasse Ahsoka in prima persona, si volse a dare uno sguardo al Tempio. « Sarà meglio che vada. »
Ahsoka rispose con un debole cenno d’assenso. Una mano del Maestro andò a posarsi con premura s’una sua spalla e solo allora si decise ad incontrare di nuovo i suoi occhi azzurri, profondamente sinceri. In quel momento comprese che Obi-Wan Kenobi aveva piena fiducia in lei e, in silenzio, gli fu grata.
« So che farai la cosa giusta, non ho alcun dubbio su questo. »
Le labbra della togruta si storsero in una smorfia. « Ma… cosa devo fare? »
« Sai cosa devi fare. E poi sappiamo bene entrambi che, comunque, non seguiresti le direttive che potrei darti e faresti di testa tua. »
Obi-Wan aveva colpito e affondato il bersaglio, come sempre – persino armandosi di un sorriso quasi innocente e per nulla provocatorio. Ahsoka mascherò quella che sarebbe stata una grande alzata di sguardo al cielo, inspirò ed espirò.
« Ascolta ciò che ti dice l’istinto », proseguì il Maestro.
« Non credo che il mio istinto sia molto affidabile in questo momento. Non credo che mi dica qualcosa riguardo a questo. »
« Fidati, Ahsoka. Altrimenti perché saresti qui? Pensaci. E ascolta. »


 
two years ago 
 
Ahsoka non riusciva a dormire.
Si era voltata più e più volte, coprendosi, liberandosi delle coperte, mettendosi a pancia in giù e tentando l’ultima spiaggia con la tipica posizione fetale: non sapeva esattamente bene perché, ma quando si metteva sul fianco e portava le ginocchia quasi ad altezza dello stomaco, si sentiva al sicuro. Si sentiva a casa, protetta, in qualunque angolo della galassia si trovasse.
Quella notte, però, non riusciva a chiudere occhio comunque. La preoccupazione di Obi-Wan era divenuta anche la sua preoccupazione. Aveva deciso di seguire il suo Maestro, di non agire contro di lui nonostante fosse per un bene futuro e “superiore”. Non poteva farlo, non ne sarebbe nemmeno stata capace. Eppure, non riusciva a dormire.
Lasciò in silenzio e a passo furtivo la stanzetta, gentilmente offerta per la notte da un certo Owen, che Anakin sembrava conoscere da un po’ di tempo – ovviamente era stato schivo e indisposto a darle spiegazioni e lei non aveva voluto forzare il suo umore già teso.
Era strano vedere quello sguardo insolito nel volto di Anakin, molto strano. Ancor di più lo era percepire qualcosa di palpabile che stava esplodendo senza tregua all’interno dei suoi pensieri, radicato nelle sue emozioni non così ben trattenute dietro il temperamento assurdamente ambiguo. In certi momenti della giornata trascorsa nell’arida città di Tatooine, Ahsoka aveva avuto come l’impressione che Anakin stesse per dar voce ad uno sfogo epico e senza precedenti; il suo sguardo era divenuto talmente tirato e grave da farla preoccupare. A notte inoltrata, però, il Maestro non aveva ancora aperto bocca.
Ahsoka si lasciò guidare dalle proprie sensazioni all’interno della fattoria buia, passando per la saletta in cui avevano consumato la modesta cena. Muoveva passi cauti, intenzionata a non svegliare e spaventare i proprietari che gli stavano dando un riparo. Sarebbe stato davvero poco educato.
Camminò, camminò per qualche minuto senza vedere nulla prima di fermarsi.
Ecco, era proprio lì, oltre la porta. Riusciva a sentirlo.
Scrutò nell’oscurità la superficie che la divideva dalla percezione della presenza di Anakin. Se l’avesse scoperta forse l’avrebbe rimproverata, ma Ahsoka non ne era neppure così sicura. L’unica cosa certa era l’agitazione tangibile del Maestro, che alla togruta parve come essere sua.
Non riusciva a venirne a capo, Ahsoka. Anakin le aveva salvato la vita così tante volte che… non poteva sopportare il peso di vederlo toccato da qualcosa, senza sapere che cosa e senza poter fare assolutamente niente per alleggerire la morsa che l’opprimeva. Certo, aveva avuto modo di ricambiare il favore e risolvere situazioni critiche che avrebbero altrimenti avuto un finale diverso, ma questa era tutta un’altra storia. Era lontana dall’azione, dal pericolo e dalle missioni. E ad Ahsoka non piaceva affatto.
« Entra », interruppe il flusso dei suoi pensieri la voce di Anakin, all’interno della camera.
Ahsoka si ritrasse, indecisa se obbedire e palesare il fatto che si trovasse proprio lì, dove non avrebbe dovuto essere, o darsela a gambe e scatenare l’ira del suo Maestro il giorno successivo. Maestro arrabbiato significava niente più missioni pericolose, battutine sarcastiche senza tregua e lunghe giornate in Archivio con Jocasta e i Jedi più anziani.
Con un sospiro e molta esitazione, scostò la porta il tanto necessario ad intrufolarsi nella stanza, in maniera cauta e silenziosa. La richiuse allo stesso modo, delicatamente.
« Dovresti dormire. Hai bisogno di riposo per la giornata di domani. »
Anakin era rivolto verso un’apertura quadrangolare nella stanza, in piedi a gambe perfettamente divaricate e mani congiunte dietro la schiena. L’unica luce era data da una lampadina sul comodino, che rendeva la sua figura quasi lugubre. Ahsoka l’osservò per una manciata di secondi, sbattendo le palpebre più volte.
« Scusa, Maestro, non riuscivo a dormire », furono le uniche parole che la togruta riuscì a pronunciare, con un filo di voce.
La visione di Anakin le riempiva la vista, le impediva di pensare. Le sue percezioni la rendevano cieca e scosse il capo quando si rese conto di essersi scusata. Che fine aveva fatto il suo orgoglio? Ah, Skycoso l’avrebbe presa in giro a lungo una volta superato quello stato di stranezza! Ma, in fondo, Ahsoka poteva accettarlo, forse. Se l’avesse distratto dai suoi evidenti pensieri, era un prezzo sopportabile.
Anakin si volse appena, mostrò il suo profilo oscurato rivolto verso il basso. « Nemmeno io », sussurrò.
Il cuore di Ahsoka ebbe un tuffo. Un’ondata di malessere la investì in pieno, come vento torrido insopportabile. Si costrinse a muovere qualche passo, attenta a non provocare alcun rumore che avrebbe potuto infastidire il Maestro.
Raggiunse il bordo del letto e si sedette, prendendo il minor spazio possibile. Il suo sguardo era basso, fisso su di un punto al limitare poco illuminato della camera, d’un tratto interessante per poterla distogliere dalla sensazione di aver invaso un personale momento di meditazione e solitudine. Quando rialzò gli occhi, Anakin si era voltato e la guardava.
Ahsoka non vi lesse rimproveri, né fastidi, né volontà di cacciarla. Non vi lesse nulla, in effetti. Osservava il suo volto immobile e lui faceva altrettanto. D’un tratto, ogni percezione era svanita.
Nella stanza regnava il silenzio, un silenzio che neppure il fruscio dei loro respiri era in grado di spezzare. Maestro e Apprendista si guardarono per un tempo indefinito, forse soltanto minuti, minuti di ritrovata quiete in cui nessuno dei due sentì la necessità di colmare la distanza con parole casuali.
Ahsoka non era imbarazzata, nonostante fosse un momento insolito. Voleva aprir bocca per domandare se tutto andasse bene, certa del fatto che non andasse bene, nella speranza che Anakin aprisse uno spiraglio e le permettesse di avvicinarsi. Ma non disse nulla. Rimase fissa sui suoi occhi azzurri, stanchi.
Poi il Maestro si mosse, senza distogliere lo sguardo, si sedette accanto alla ragazza. Ahsoka non lo perse di vista, almeno finché non fu tanto vicino da sfiorarle un braccio con il suo. Allora tornò a scrutare un punto avanti a sé.
« Mia madre è morta », disse Anakin, dopo un altro breve attimo di silenzio.
La sua voce rivelò ad Ahsoka parte di quel malessere, la naturale confusione dominante quando si perde una persona cara. Lo percepì nel tono del suo Maestro: lo stordimento, la realizzazione della dura e cruda realtà. L’assimilazione priva di ogni accettazione.
Ahsoka si volse in un movimento lento, comprese il senso delle parole di Obi-Wan e anche lo strano comportamento di Anakin. Certo, era chiaro. Sapeva che Tatooine fosse il suo pianeta natale e sapeva anche, sempre dal generale Kenobi, che il passato di Anakin Skywalker fosse complicato. Certo, pensò. Era chiaro. Lui non era un Jedi come tutti gli altri, ma questa non era affatto una novità.
« Ero qui con… in una missione e lei è stata –– io non sono stato – », Anakin interruppe il flusso discontinuo, balbettato ed incerto. Era come se un peso opprimente cercasse d’impedirgli di aprir bocca, come se qualcosa di veramente tremendo e vomitevole gli portasse via il fiato, la forza di parlare, la voce. Inspirò più ossigeno di quanto i suoi polmoni necessitassero. « È morta. »
Lo sguardo di Anakin s’incollò al pavimento, le labbra si serrarono duramente. Ahsoka non gli staccava gli occhi di dosso, abbattuta. Cosa doveva fare? Cosa poteva fare? Niente, era la risposta. E annuì a tal consapevolezza, rivolta a se stessa, sfociando in una piccola smorfia.
« Anche i miei genitori sono morti », disse prima di rendersi conto di aver parlato davvero.
Come attratta da un raggio traente, l’attenzione di Anakin balzò verso la sua apprendista e i due si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi. Questa volta c’era qualcosa di diverso, qualcosa a cui Ahsoka non resistette molto.
Deglutì, la togruta, inspirando e deviando lo sguardo verso il basso. Non riusciva proprio a continuare avendo avanti a sé gli occhi di Anakin. « Come sai, il Maestro Plo mi ha portato al Tempio quando avevo solo tre anni e da allora non sono più tornata sul mio pianeta », morse istintivamente il labbro inferiore, consapevole dello sguardo del Maestro su di lei. « Non ricordo molto, ero troppo piccola e… tutto mi appare così sfocato, come se non appartenesse a me ma fosse la memoria di qualcun altro, di una persona diversa, che non sono io. Mio zio si è preso cura di me, Plo mi raccontava spesso delle storie della mia famiglia, di come fossero uniti da un legame profondo, di come tutto il nostro popolo sia parte di questo grande legame. »
Senza rendersene conto, concentrata sulla sua stessa storia e sulla sua voce, aveva sollevato le mani per simulare con un gesto il collegamento tra i Togruta e l’intero universo. Per un istante fugace fu come se tutto avesse un ordine logico perfetto e le strappò un piccolo sorriso, che subito venne spento dalla consapevolezza della realtà.
Le braccia tornarono a poggiarsi sulle proprie gambe, le spalle si abbassarono con un fremito e così il suo sguardo.
« Io però non credo di farne parte. Il Tempio è la mia casa, i Jedi sono la mia famiglia. Non c’è niente di più importante e sacro, per me. Questa vita è chiara e nitida, non è confusa come il passato. Forse per questo motivo non mi sono mai decisa a tornare su Shili. Questo è il mio posto. »
Anakin osservò Ahsoka in silenzio ancora per un po’. Distolse lo sguardo per tornare a puntarlo  verso il basso, avanti a sé. Non parlò, non disse più nulla. Nessuno dei due lo fece e rimasero entrambi in quella sorta di dimensione completamente estranea all’universo là fuori, lontana dal tempo, lontana dallo spazio.
La mano del Maestro si mosse preda di un impulso incontrollato, pacata, e andò a stringere quella della sua apprendista. Guardò in faccia le miriadi di ragioni che l’avevano spinto, anche contro la logica del Consiglio, a difendere Ahsoka a spada tratta, senza alcun dubbio. Non aveva pensato due volte a rischiare la vita per intercedere, a sacrificarsi pur di salvarla e sapeva, lì, mano nella mano, che Ahsoka era disposta ad affrontare simili pericoli per lui. Anakin faceva parte della famiglia di Ahsoka, Ahsoka faceva parte della famiglia di Anakin. E per nessuna ragione la famiglia andava abbandonata. Mai.


 
present day
 
Il Tempio sembrava avvolto nella sua tipica quiete, un velo di sottile tranquillità che ancora celava le insidie rimanenti della guerra. Possibile?
“Il Consiglio sta perdendo la fiducia.”
“Se non possiamo più fidarci di noi, su chi potremmo fare affidamento?”
“Sai cosa devi fare.”
“Fidati.”
“Altrimenti perché saresti qui?”
Ahsoka osservò il Maestro raggiungere l’entrata, salire la gradinata e svanire. Provò un moto di profonda amarezza nel cogliere i dettagli del Tempio, le scanalature, le imponenti statue, il lungo corridoio che l’aveva allontana per sempre da quel posto.
Il ricordo era impresso a fuoco nella sua memoria. Ogni tanto aveva il sopravvento, sgusciava fuori dal cassetto in cui era custodito, dominava i suoi sogni e influenzava il suo stato d’animo. Le insinuava miriadi di dubbi, incertezze che altro non facevano se non accrescere e trascinar via qualunque tipo di risoluzione. Forse non ce n’era una vera, una risposta, e accettare questa verità era un ostacolo non da poco anche per una mente aperta come la sua.
Dopo pochi minuti Obi-Wan riapparve, scese frettolosamente le scale. Al suo seguito c’era Anakin Skywalker, ansioso.
Ahsoka si ritrasse contro la parete non appena mise a fuoco il suo Maestro, le mani tese, lo sguardo deciso, irremovibile e tirato anche a distanza, quella particolare aria di presunzione e ostinazione che lo rendeva diverso da tutti gli altri.
L’ultima volta, mesi prima, l’aveva guardato dritto negli occhi, spiegando che non sarebbe potuta rimanere, che avrebbe dovuto cercare da sola la sua strada, senza il Consiglio e senza di lui. Doveva trovare qualcosa in cui credere ancora, qualcosa di abbastanza potente da dare una definizione alla sua essenza spogliata di ogni fiducia. Si era voltata, aveva percepito lo sguardo di Anakin e la sua amarezza, quasi in grado di perforare la muraglia instaurata con quella decisione.
“Lo so”, aveva risposto, comprendendo fino all’ultimo granello di polvere cos’aveva sempre tormentato il Maestro, le sue emozioni represse, stipate e contenute al punto tale d’avvertire ogni movimento come un opprimente dolore, un fardello indicibile. “Lo so.”
Ahsoka lo sapeva anche in quel momento, nonostante non avesse mai immaginato di poter rivedere Anakin così presto – di poterlo rivedere in generale. A dire il vero, non aveva ponderato la possibilità di fare ritorno, il peso di ritrovarsi a Coruscant, al Tempio, vicina all’Ordine. E ne fu sopraffatta.
La navetta che attendeva i due Jedi partì. Ahsoka si scostò ancora, si appiattì al muro e guardò ristabilirsi la distanza.
Cosa avrebbe detto Anakin se un giorno avesse saputo della sua presenza lì? Cosa avrebbe pensato? Avrebbe capito? Si sarebbe sentito, in qualche modo, tradito? Ahsoka etichettò tutte queste come una serie di domande alle quali non voleva rispondere, non voleva sapere. In effetti, non era nemmeno sicura di voler sfoderare il coraggio necessario a mettere di nuovo piede al Tempio – anche se un istinto molto prepotente premeva con forza sul desiderio di entrarvi, di respirare quell’aria, immergersi in quell’ambiente per scacciare una volta per tutte i dubbi sulla sua partenza. Per eliminare il rimorso, la nostalgia, le fatidiche parole “e se”.
“Altrimenti perché saresti qui?“, ripeté nella sua mente la voce di Obi-Wan. L’istinto le diceva che avrebbe dovuto affrontare quella sfida, ancora e ancora, fidarsi delle parole del Maestro e superare la ferita che si stava pian piano cicatrizzando invisibile. Premeva sulla sua volontà, le infondeva la curiosità di voler risolvere a tutti i costi quel mistero, scatenava la sua coscienza.
Ahsoka poteva scegliere. Poteva voltarsi, come già aveva fatto mesi prima, ripercorrere la stessa strada e tornare alla nave di Drake. Magari poteva anche abbandonare il pianeta, seguire quell’uomo e Marek dovunque il fato ( o la necessità ) li conducesse. Poteva andare via. Oppure poteva ascoltare la voce che continuamente la tormentava ed entrare.
Lasciò la parete, sistemando il mantello perché la coprisse adeguatamente, e si avviò verso l’entrata del Tempio. Non seppe mai che Anakin si era voltato nella sua direzione e aveva percepito la sua presenza.
 
Le statue imponenti la fecero sentire una piccola intrusa, ai piedi dell’alta entrata.
Ahsoka percorse il corridoio lanciando occhiate furtive tutt’intorno, sforzandosi per non fissare troppo a lungo lo sguardo sui Jedi ch’entravano e uscivano. Il fatto che non potevano riconoscerla la rese più sicura, se di sicurezza si poteva davvero parlare.
Varcò la soglia, giunse nel grande salone da cui si diramavano le numerose direzioni. Mai come allora le sembrò d’aver messo piede in un labirinto e rimase ad osservarne la bellezza immobile. Ogni particolare era in grado di evocare un ricordo e questo fu il motivo principale per cui, dopo una manciata di secondi, Ahsoka scoprì il capò e si diresse senza pensare verso le varie stanze.
Ne superò parecchie, evitando di soffermarsi dov’erano presenti altri Jedi. Se c’era una cosa che non voleva era incrociare volti noti, affrontare troppo passato nel medesimo giorno.
Il fragore delle spade laser attirò Ahsoka nella sala in cui, di solito, si addestravano i giovani padawan. La togruta si fermò ad osservare i ragazzini compiere mosse difensive, gli occhi coperti per far sì che fosse la Forza a guidarli anziché la vista. Molte volte il Maestro Obi-Wan aveva detto anche lei che la vista era un senso ingannevole, e avrebbe dovuto affidarsi e ricercare qualcosa di più sicuro, qualcosa di più solido. La Forza.
Si allontanò quando tornò a ripresentarsi la sgradevole sensazione del nodo alla gola, l’impossibilità del respiro. Non poteva assistere a tutto ciò senza percepire il fardello che da mesi trascinava con sé, saldamente agganciato alla propria vita. Era quasi estenuante, in un certo modo.
Ahsoka proseguì lungo il corridoio, forse puntando agli Archivi, forse intenzionata a dare uno sguardo agli ultimi avvenimenti per accertarsi di aver almeno fatto un tentativo, forse confermare a se stessa che la fiducia di Obi-Wan non era sprecata. Forse stava agendo per lei, Ashla, per dimostrare che tipo di persona poteva essere: una codarda interessata solo a sopravvivere o una ragazza che aveva a cuore molti valori, ai quali non intendeva volgere le spalle.
Nel bivio che la lacerava, Ahsoka si fermò. I suoi occhi intravidero un panorama familiare, delle pareti rassicuranti, un intero mondo.
La sala della meditazione era vuota, esattamente uguale a come la ricordava – del resto, cosa sarebbe dovuto cambiare in così poco tempo? Non erano altro che mesi, mesi che acquistarono tutto il loro peso non appena Ahsoka varcò la soglia già aperta.
Inspirò l’aria nella piccola stanza, colma di ricordi, di energie non sue, di riflessioni, di silenzio. I mesi parvero anni, passo dopo passo somigliavano ad un orologio impazzito, le lancette irrefrenabili ed irraggiungibili.
« Sapevo che un giorno saresti tornata. »
Gli occhi di Ahsoka abbandonarono il pavimento grigio, balzarono s’un punto avanti a sé. « Non sono tornata, Maestro Plo. »
Quando si volse, vide il Maestro immobile sulla soglia, le mani congiunte. Ahsoka lo guardò con le labbra serrate, appena rivolte all’ingiù, in un misto di nostalgia e di celata tristezza. Non provava rancore, la togruta, non lasciava che la rabbia facesse di lei una schiava, mai, ma non poteva negare quanto avesse fatto vacillare la sua fiducia veder dubitare il Maestro Plo. Quanto l’avesse ferita.
Plo Koon era importante per Ahsoka, il primo Jedi che conobbe, colui che la condusse al Tempio ove iniziò la sua istruzione. Plo Koon era un amico, un secondo padre, un custode. Plo Koon avrebbe sempre avuto un posto speciale nel cuore di Ahsoka, nonostante tutto.
« Sento che c’è un conflitto dentro di te, piccola Ahsoka », disse il Maestro, con tono pacato.            
Ahsoka non poté fare a meno di ripensare a quel sogno frammentato, quel sogno strano in cui ricordava parole simili dal sapore profetico. “ Ci sono molte contraddizioni in te. E in lui “.
« Sto cercando di trovare la mia strada, Maestro », rispose semplicemente.
« La tua strada o te stessa? »
Ahsoka non ribatté, sbattendo le palpebre più volte. Poi abbassò lo sguardo e una smorfia d’ovvietà comparve sul suo volto. « Credo entrambe le cose… »
Plo Koon inclinò il capo, studiò la bambina che per primo aveva portato in quel Tempio, ora una ragazza, una giovane donna. Lasciò la soglia della stanza, mosse qualche passo con estrema calma, portando con sé la solita aura di mistero che mai l’abbandonava.
« Ricordo il giorno in cui ti trovai, in missione su Shili. Non era previsto che mi fermassi per un lasso di tempo prolungato, ma percepii che la Forza era molto potente e se avessi cercato senza demordere avrei trovato colui in cui scorreva. »
Ahsoka puntò lo sguardo sul Maestro Plo, lasciando che la sua voce le riempisse l’udito e la grande voragine che la divorava. Le sue labbra si storsero, una spalla minacciò di alzarsi, di voler apparire meno coinvolta di quanto non fosse.
« Eri tu, piccola Ahsoka », Plo Koon le posò una mano su quella spalla, guardandola dall’alto con apprensione e… tenerezza, per quanto fosse nelle sue capacità. Le emozioni del Maestro erano talmente ermetiche ed incomprensibili che talvolta parevano non esistere. Ahsoka sapeva però quanto questa credenza fosse errata, uno sbaglio comune per chiunque percepiva il distacco di Plo come pura indifferenza: egli era un Jedi molto potente, un guerriero formidabile, con il perfetto controllo del proprio essere e dei sentimenti che lo sfioravano.
« Sono dispiaciuto per ciò che è successo », proseguì il Maestro, « e per aver lasciato che la mia fiducia vacillasse. Nutro la speranza che un giorno tu possa fare ritorno a casa. »
Ahsoka trattenne il respiro, sentì gli occhi inumidirsi al suono della parola casa. Già, casa. Un concetto indefinito e mutevole, che tuttavia non lo era stato sempre. Solo alcuni mesi prima il Tempio era la casa di Ahsoka ed ella comprese ciò che Plo Koon intendeva davvero.
I muscoli del suo giovane volto ebbero piccoli guizzi, abbassò lo sguardo per celarli. Gli occhi iniziarono a bruciare di lacrime trattenute, di delusione, di sfiducia, di perdita. Ahsoka aveva imparato bene, oramai, che le perdite più brutali erano quelle inconsapevoli, quelle che non si facevano notare perché non erano fisiche e concrete. Erano mostri silenti, difficili da accettare poiché difficili da individuare. Ahsoka aveva perso ogni certezza, aveva perso se stessa.
Qualcosa trapassò la sua vista offuscata, innescò un meccanismo di pensieri immediati, impulsivi e a catena. Ed ebbe la risposta che stava cercando.
Le dita affusolate strinsero le impugnature delle due spade laser agganciate alla cintura, mentre le iridi lucide si levarono ad incrociare di nuovo il Maestro Plo.
“La tua spada laser è la tua vita. Non separartene mai, per nessuna ragione al mondo.”
Il kel dor scrutò attentamente i lineamenti della sua piccola Ahsoka, notò ogni più minuscolo movimento. Si trovò faccia a faccia con il suo conflitto interiore, separato solo da un velo di lacrime non ancora versate, e lo comprese. Comprese tutto.
Guardò verso il basso e vide le mani di Ahsoka strette alle spade laser. Una lacrima solcò la guancia della ragazzina, attraversò il tribale bianco senza pietà, cadde sul mantello. Plo Koon vide anche questo e senza dire una parola avvolse le spade laser che gli stava porgendo in una richiesta quasi disperata, tacita, dolorosa.
“La tua spada laser è la tua vita.”
“Ti stanno chiedendo di tornare. Io ti sto chiedendo di tornare.”
“ Mi dispiace, Maestro, ma non tornerò.”
Le spade laser lasciarono le dita di Ahsoka, che sentì la morsa pungente di quel luogo alleviarsi. Poteva tornare a respirare a pieni polmoni, ora, poteva camminare, intraprendere di nuovo l’ampio corridoio del Tempo e scendere quelle gradinate una volta per tutte. Non aveva più la sua treccia da padawan, non era più un’apprendista, non era più un Jedi.
Fece un lento cenno con il capo, congiungendo le mani in segno di saluto. « Addio, Plo », disse in un sussurro.
Plo si sporse solamente un po’ in avanti, sovrastandola con la sua altezza. « Addio, mia piccola Ahsoka. »
Ahsoka serrò le palpebre e le labbra con forza, tornando a fronteggiare il Maestro. Qualcosa si ruppe nello strano equilibrio del silenzio della sala della meditazione e le lacrime trattenute scesero impetuose, creando solchi indelebili.
Non riusciva né a parlare né a pensare: doveva uscire dal Tempio e raggiungere la nave di Drake e Marek. Braccia e gambe sembravano non obbedire più ai comandi, forse perché non ne ricevevano. E poi si mosse, colta da una spinta improvvisa, da uno slancio involontario. Si gettò contro il Maestro Plo e lo abbracciò.
Ahsoka aveva nuovamente chiuso gli occhi umidi, bagnò la tunica marrone del Jedi con le proprie lacrime e percepì la sua stretta stringerla per l’ultima volta. Una parte di sé avrebbe voluto trattenere quell’attimo più a lungo, fermarlo per far sì che non giungesse alla sua fine; la parte opposta, invece, voleva scappare, correre lontano, sperando che nella fretta i ricordi cadessero a terra e non soffrisse la nostalgia quanto la perdita. Ma, in fondo, sapeva che non era possibile.
Si riscosse da quello stato, allontanandosi, avviandosi senza indugio verso l’uscita della sala. Non voleva voltarsi indietro, voleva andare avanti.
« Fa’ attenzione. »
La voce profonda di Plo Koon la costrinse a fermarsi sulla soglia, volgendo solo il profilo alle sue spalle.
« C’è una tempesta all’orizzonte », disse Plo, guardando attraverso le finestre della saletta. « Suggerisco prudenza. Che la Forza sia con te. »

 
Angolo dell’autrice.
Ben ritrovati con questo capitolo tutto incentrato su Ahsoka. 
Allora, sì, ci sarebbero troppe cose da dire… ma sarò brevissima, giuro.
Questo era il capitolo che aspettavo di scrivere sin da quando ho deciso d’iniziare questa FF. Mi sono immaginata tutto, come un film (?), e ho avuto ben chiaro che sarebbe stato uno dei momenti ‘ portanti ‘ di Ahsoka. Tornare su Coruscant, parlare con Obi-Wan, rivedere Anakin ma decidere di restare nascosta – è consapevole, nel suo cuore, di non poter / voler tornare, il Tempio glielo conferma soltanto. Lei non è più un Jedi, quel capitolo è definitivamente chiuso e lo sa. Spogliarsi delle spade laser è un atto molto simbolico.
Il flashback ( che cronologicamente si colloca più o meno dopo la quarta stagione di Clone Wars ) è il primo su Ahsoka e Anakin, e prometto che non sarà senz’altro l’ultimo. Adoro alla follia il legame tra loro, la dinamica Maestro-Apprendista che hanno sviluppato. Rafforza i sentimenti e le motivazioni attuali di Ahsoka, il suo conflitto, e accenna anche alle sue origini. ( l’episodio al Tempio cui si fa riferimento, dove Anakin ha rischiato, è un altro flashback avvenuto subito prima di questo, che sarà presente nel prossimo capitolo )
In fine… doveva essere Plo Koon l’ultimo Jedi prima dell’addio. Lui l’ha portata al Tempio, lui tiene le sue spade laser e lui chiude il suo cerchio con l’Ordine. Da qui in poi le cose inizieranno a cambiare sensibilmente. 

 
Il prossimo capitolo sarà dedicato ad un'analisi del Lato Oscuro incombente, non solo da parte della nostra eroina, ma anche Drake affronterà i suoi demoni. Verrà postato venerdì 3 marzo, sotto trovate un piccolo estratto in flashback.
A presto!
 


 
Estratto: capitolo 05.
Seeds of the Dark Side
 
E in quel momento, Anakin smise di opporre resistenza, smise di lottare. Le sue braccia scivolarono come prive di vita lungo il suo corpo, le labbra si schiusero e il suo volto si rilassò con dolore alla morsa di Ahsoka.
Il respirò lasciò definitivamente i suoi polmoni e la sgradevole sensazione di andare fuoco lo invase. Dovette reprimere l’istinto di sopravvivenza che gli ordinava a gran voce di ribellarsi, di cercare di muoversi, d’inspirare, di fare qualsiasi cosa. Dovette sopprimere anche la rabbia che covava per quella sorta di cosa, che aveva osato fare del male alla sua Ahsoka. Si lasciò andare.
Ahsoka non cessò di usare la Forza contro di lui, ma lo guardò confusa. Cosa voleva fare? Forse dopo tutto il clamore e la reputazione del suo nome Anakin Skywalker voleva morire? Bè, lo avrebbe senz’altro accontentato.
La sua espressione si dipinse di pura determinazione, godeva già del momento della vittoria e non sarebbero stati un paio di Jedi incapaci a fermarla. No. Niente poteva frapporsi fra la Luce e l’Oscurità, l’eterna dicotomia ove molti si erano intromessi ed erano sfortunatamente finiti come presto avrebbe concluso il suo viaggio Anakin Skywalker. Obi-Wan Kenobi lo avrebbe raggiunto subito dopo.
Gli occhi azzurri del Maestro erano fissi su quelli gialli e contornati da venature nere di Ahsoka. La disturbava addirittura quello sguardo fermo, ancora troppo vivo per i suoi gusti. Provò un moto di fastidio nell’osservarlo e dovette distogliere la vista per soccombere ad un brivido.
« Ahsoka », si sforzò di far uscire un filo di voce Anakin.
Ahsoka emise un lamento, serrò le palpebre e si contorse sul posto. La mano ebbe un lieve cedimento, la presa si allentò. « No! »
« Ahsoka, guardami », Anakin sfruttò la sua temporanea debolezza, l’usò per aggrapparsi a quella flebile luce che ancora riusciva ad intravedere: la speranza. « Guardami. »
La presenza del Jedi stava divenendo insopportabile per Ahsoka, che portò freneticamente la mano libera alla tempia. La sua voce, quello sguardo, la sua resa così calma, quieta, piena di disgustosa fiducia, le facevano venire la nausea e trattenere il fiato. Una fitta iniziò a farsi sentire all’altezza del petto, la testa le doleva. Non c’era spazio in mezzo a quel caos, non c’era abbastanza spazio…
« Ahsoka, guardami. »
Ahsoka si fissò di scatto su Anakin, gli occhi gialli sgranati ed immobili. Se avesse avuto la capacità di gettare fiamme al solo sguardo, avrebbe incenerito il Maestro senza esitazione e senza errore. Ma più lo guardava e più sentiva dolore.
 



 

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Capitolo 5
*** Seeds of the Dark Side ***



Capitolo 05.

Seeds of the Dark Side


" does this darkness have a name?
Is it your name? "

two years ago

« Volevi vedermi? »
Ahsoka comparve agilmente al fianco di Anakin, che scoprì essere impegnato in una conversazione apparentemente importante e formale con il Maestro Windu.
La togruta prese un respiro profondo, schiarendosi la voce per mascherare il suo entusiasmo eccessivo di fronte ai Jedi. « Ho terminato di decifrare la trasmissione che mi hai chiesto, Maestro. E ultimato le riparazioni con l'aiuto di R2, dovrebbe essere tutto più che funzionante. »
Anakin le rivolse un cenno con il capo e un'occhiata eloquente. Windu parlò per primo, lo anticipò, scrutando l'apprendista con tipico distacco. « Molto bene. Skywalker, raggiungici all’hangar. Partiamo tra un'ora. »
Ahsoka osservò Mace Windu dirigersi lungo il corridoio, puntando verso l'uscita del Tempio. Guardò il suo Maestro di sottecchi, unendo le mani avanti a sé. La sua immaginazione aveva vagato in lungo e in largo non appena ricevuta la sua chiamata, aveva sete d'azione, d'avventura, magari di poter salvare qualche altro pianeta dalle invasioni Separatiste o infiltrarsi in un altro pericoloso luogo brulicante di droidi distruttori.
« Allora, dove andiamo stavolta? », riprese, alzando di nuovo il livello della voce e del proprio entusiasmo. Windu non era più presente per rimproverarla con uno sguardo ben piazzato. « Sai, quella trasmissione che mi hai assegnato ha fatto insorgere qualche teoria e sono sicurissima che... »
« Pensavo, Ahsoka... »
« Potrebbe trattarsi di una richiesta d'aiuto! Dopotutto non è la prima volta che ne riceviamo, il fatto che sia così criptata e in un'altra lingua... »
« Oggi potresti impiegare le tue energie in Archivio, ho sentito che c'è molto lavoro da fare con i tempi che corrono. »
« ... è un chiaro segnale di qualcosa di losco! Forse qualcuno voleva mascherare le informazioni per fa sì che – aspetta, cosa?! », s'interruppe Ahsoka, accigliata e disgustata da ciò che aveva solo in parte udito. Sì, perché non era possibile che il suo Maestro le avesse davvero proposto di rimanere al Tempio, lontano dal pericolo, sommersa dalla quiete e dal peso della conoscenza dall'alba dei tempi. Doveva per forza aver frainteso...
Anakin incrociò le braccia al petto, per tutta risposta. Aveva una strana espressione compiaciuta, soddisfatta, il genere di sguardo che di solito gli riservava Ahsoka e che, molto probabilmente, aveva appreso proprio da lui. Un brutto segno, comunque.
« Hai capito benissimo, furbetta. Io e il Maestro Windu abbiamo una questione da risolvere, tu potresti approfittare di questo tempo libero per ampliare i tuoi orizzonti. Sai... », liberò una mano per gesticolare, lasciandola poi in sospeso.
« No, non lo so », ribatté Ahsoka, come se avesse appena visto una creatura orripilante. « Io vengo con voi. »
« Assolutamente no. »
« Invece sì, vengo! »
« E' fuori discussione. »
Ahsoka sbuffò, scrollando dalle spalle la tipica sensazione d'impotenza che provava ogni qualvolta il suo Maestro tentasse di escluderla. Non importava che le motivazioni di Anakin fossero le più nobili, quali l'iperprotettività e l'incontrollata preoccupazione, no: Ahsoka le considerava ugualmente una piaga, qualcosa di terribile, che aveva iniziato ad abbattersi sul suo spirito un po’ troppo spesso. E non capiva come mai, in fondo.
Avevano combattuto molte battaglie, entrambi rischiavano la vita ad ogni passo, ad ogni incursione e dovevano convivere con la certezza di non avere un terreno stabile sotto i piedi durante quella guerra brutale. Era così per tutti, Jedi o no, politici e cittadini, perché il conflitto non aveva pietà per nessuno. Nessuno veniva risparmiato, nessuno. Ahsoka non riusciva a comprendere i celati timori di Anakin, emersi all’improvviso.
« Se non fosse stato per me, il tuo piano geniale alla Cittadella non sarebbe mai riuscito! Hai bisogno di me, Maestro. »
« Continua pure. Ricordami le ragioni per cui ero così arrabbiato quando hai ignorato i miei ordini e ti sei fatta ibernare nella grafite », commentò Anakin pieno di sarcasmo, un sopracciglio che saettò pericolosamente verso l'alto.
« Ma ti ho salvato. Vi ho salvati. Io so che tu sai che vi ho salvati. »
« Può darsi », rispose fingendosi perplesso a riguardo, « ora che mi ci fai pensare... è esattamente per questo che ho deciso di premiarti. So che ti piace particolarmente l'Archivio Jedi e sarei un Maestro davvero senza cuore a negarti questa opportunità. »
Ahsoka rimase a fissare Anakin stranita, incapace di comprendere fino in fondo. « Che cosa?! », strillò dopo un paio di secondi silenziosi, incurante del fatto che vi fossero altre persone lì attorno.
Dunque era così: Anakin il maturo voleva davvero intraprendere la strada della vendetta. Non c’era dubbio che Ahsoka avrebbe ricambiato alla prima occasione, garantito.
« Sì. Ho organizzato un programma davvero molto interessante e per assicurarmi che tu non ne perda nemmeno un pezzettino ho chiesto a Jocasta di guidarti in ogni tuo passo. »
Gli occhi chiari di Anakin guizzarono sopra le spalle di Ahsoka, che si voltò subito alla ricerca del punto indicato dal Maestro. Jocasta attendeva pacata sulla soglia alla fine del corridoio, sorrise gentilmente e fece un cenno con la mano in saluto.
La giovane togruta abbozzò un sorriso talmente fasullo da far quasi ridere anche il Maestro, che si limitò a rispondere con un gesto composto a Jocasta. « Sento che ti divertirai un mondo, furbetta. »
« Non puoi farmi davvero questo », pronunciò a denti stretti Ahsoka, alternando le parole ad una risata particolarmente nervosa. Come lo era lei, del resto.
« L'ho appena fatto. Non spassartela troppo in mia assenza! »
Anakin s'incamminò, un'espressione fastidiosamente appagata sul volto. Ahsoka lo seguì con lo sguardo, si volse del tutto per non perderlo di vista neppure un istante. Era accigliata e sdegnata in modo buffo; cercò di balbettare qualche suono indistinto, di richiamarlo, di opporre resistenza a quel trattamento scorretto. La mano sinistra di Anakin si sollevò a salutarla.
« Ma – Maestro! Questo non è – giusto. Ah! Skycoso! »
Rinunciò all'impresa non appena la figura alta e scura scomparve, lasciando al centro dell'attenzione solo la gentile Jocasta. Non era di certo la prima volta che veniva assegnata al settore della conoscenza, come supporto o in funzione di aiuto esterno al fine di aggiornare gli altri Jedi, ma rimanere al Tempio sapendo che oltre quelle mura i Maestri erano impegnati sul campo era insopportabile. Inoltre con una Jedi alle costole, a controllarla assiduamente più che guidarla, era impossibile oltrepassare l'autorità di Anakin e chiedere ad un altro Maestro di partecipare alla missione ( soprattutto se si trattava di Windu ).
A quel punto era più che chiaro cosa fosse, per Ahsoka: un complotto, un complotto bell'e buono. Già prefigurava la sua presenza a tutte le azioni successive, con o senza consenso. Anakin non poteva davvero pensare di tenerla lontano da ogni cosa, d’incastrarla e chiuderla in quella sorta di gabbia d'argento per evitare di correre rischi, parte inalienabile della vita di un Jedi e ancor di più del suo apprendimento.
« Non lo sopporto quando fa così... »


present day

Gli occhi di Drake scrutavano Coruscant come un pianeta nuovo e sconosciuto.
Erano passati più di nove anni da quando vi aveva messo piede l’ultima volta, senza nemmeno tener conto del fatto che quell’episodio fosse stato più una toccata e fuga che una visita vera e propria. Ricordava vagamente i mercenari alle calcagna, la sparatoria nel bel mezzo di un locale, lui e Carter in fuga, Sienna furiosa per il baccano che avevano provocato…
Sì, Coruscant appariva di fronte a lui come una novità, comprensibile dopo anni e anni di foreste, di vita rurale fuori dalla civiltà avanzata. Quasi provò un moto di nostalgia a guardare le vetture tecnologiche, la città, la frenesia. Quasi.
Ahsoka aveva lasciato la Narada da un paio d’ore e aveva approfittato di quel tempo per contattare la sua vecchia amica, sperando che in quattro anni non avesse cambiato nome e fatto perdere ogni sua traccia. Succedeva, talvolta, quando un non cacciatore di taglie veniva coinvolto in vicende di legalità altra e doveva, prima o poi, affrontarne le conseguenze. Fu sollevato di scoprire che ciò non era avvenuto e riuscì a trasmettere il suo messaggio senza problemi. Doveva solo attendere e questo, bè, questo sì ch’era il vero problema per Drake.
Insomma, non si poteva dire che fosse un uomo impaziente: aveva trascorso molto tempo in un posto sperduto, architettando un’uscita in grande stile, che aveva poi finito per abbandonare in favore di uno stile di vita anonimo e piatto. Aveva dovuto aspettare che una ragazzina spuntata dal nulla gli ricordasse chi era, cosa doveva fare, come doveva agire. Aveva aspettato quattro anni per affrontare la verità ed ora quella piccola attesa sembrava interminabile, pregna d’incertezza. Non era sicuro che lei avrebbe voluto vederlo, non era certo che si sarebbe presentata. Perché avrebbe dovuto farlo?
Si alzò dal sedile del pilota, lasciò con passo nervoso la cabina e attraversò la nave sbuffando. Marek non l’aveva perso di vista, ma aveva deciso di scuotere il capo tra sé e rimanere al suo posto per analizzare carte e dispositivi di comunicazione. Era in paradiso, circondato dal progresso, da oggetti e aggeggi di cui non conosceva la natura e la funzione, e per i quali provava una curiosità illimitata. Suo padre poteva pure sfogare l’ansia in giro per la Narada, lui non si sarebbe mosso.
Drake percorse il breve corridoio due volte, poi una terza. Mise la mani in tasca e le ritrasse dopo un quarto di secondo. Si bloccò persino come per dire qualcosa – a se stesso? – e ricominciò di nuovo la marcia imperterrita. Non riusciva a stare fermo, il solo pensiero d’immobilizzarsi di nuovo era insopportabile: aveva dormito a sufficienza, dopotutto.
Raggiunse il portello aperto, respirando a pieni polmoni l’aria così diversa di Coruscant. Usò le pareti come appoggio, lasciando che tutto il peso venisse sostenuto dall’arcata contro la sua spalla. Lo sguardo, nel frattempo, saettava ovunque, analizzava ogni direzione per carpire quante più immagini possibili, limitate dal punto in cui si trovava. Osservò gli edifici, i passanti, gli speeder. Incrociò le braccia, inspirò, espirò, attese.
« Ehi, bell’imbusto, sembra che tu abbia qualche problema con la carrozzeria. »
Drake si voltò di scatto in direzione della voce, che riconobbe all’istante. « Bè, questo non lo direi davvero », rispose accennando una risata molto allusiva e scostandosi dal varco per percorrere la rampa di accesso.
Scese a passi lenti, le braccia ancora conserte, scrutando da sotto le sopracciglia appena aggrottate forse la persona più fidata rimastagli. Si fermò solo quando le fu di fronte, a pochi centimetri di distanza. Occhi verdi immersi negli occhi castani, quasi neri. Una parte di lui non riusciva a credere che si fosse presentata davvero, ma la sorpresa fu presto abbattuta da una sorta di obliqua gioia.
« Drake Leafson, è bello vedere che non sei ancora morto. »
Una smorfia compiaciuta e un ghigno attraversarono il volto di Drake, che liberò le braccia e le allargò con ovvietà. « Ho la pellaccia dura. Lo sai, tesoro. »
La vecchia amica lo guardò impassibile, scuotendo poi il capo tra sé. Gli diede un pugno leggero s’una spalla prima di abbracciarlo di slancio, dopo anni e anni.
« Che razza di furfante! Prima o poi vedrò la tua testa appesa al soffitto del locale più delinquenziale della città », disse sbattendo le mani sulla sua schiena più volte. « Si può sapere che fine hai fatto? »
« È una lunga storia. »
La donna colse la flebile nota stonata d’amarezza in quell’affermazione e si liberò dall’abbraccio, che Drake aveva ovviamente ricambiato con fin troppo entusiasmo. Lo fissò ancora, questa volta seria.
Lynn Ronan.
Abile e temibile combattente, dalla mira infallibile, caratterino a dir poco esplosivo e un gancio destro che Drake non avrebbe dimenticato facilmente. Aveva quasi trent’anni, ma l’esperienza di un gigante. Il nome della sua famiglia era da secoli conosciuto a Mirial per la lealtà e il coraggio in ambito militare e, com’era stato deciso ancor prima che nascesse, Lynn era stata spedita senza interferenze all’accademia dove era divenuta una dei soldati migliori. I diamanti tatuati al centro della fronte e sugli zigomi erano grande motivo d’orgoglio, con il tempo anch’ella stessa aveva imparato ad apprezzare quella vita nonostante l’imposizione. Ne portava i segni su gran parte del corpo, attraversavano la sua carnagione giallo-olivastra.
Poi, per uno strano caso del destino, aveva conosciuto Drake Leafson, un furfante cacciatore di taglie in fuga, e i due avevano formato sin da subito un’ottima squadra – battibecchi e pugni esclusi. Drake era per Lynn un libro aperto, non solo per l’eccezionale talento della mirialana di sondare il linguaggio del corpo di chiunque, ma in parte maggiore perché poche cose erano in grado di abbattere uno spirito selvaggio come quello di Drake. E se ciò era avvenuto, un evento terribile doveva averlo colpito. Non erano così diversi l’uno dall’altro, il fatto che fossero per contro molto affini sorprendeva sempre chiunque, persino loro stessi.
Lynn spostò un attimo gli occhi verso la nave, per poi riportarli diritti su quelli verdi di Drake. « Dov’è Sienna? », chiese, cercando di non apparire troppo preoccupata.
Un’ombra calò su Drake d’un tratto, assorbendo la sua espressività e riducendola ad un semplice sguardo affranto e vuoto. L’uomo non riuscì a sostenere l’occhiata esaminatrice cui era esposto e cercò di rifuggire verso il basso. Fuggire in qualunque misero angolo della galassia.
Voleva rispondere a quella domanda, rispondere davvero, ma la saliva era improvvisamente svanita. Le labbra erano diventate secche, un nodo impediva alla voce di salire lungo la gola e fuoriuscire, unendosi al brusio generale della città viva. Drake Leafson aveva affrontato il passato, certo, ma ora più che mai si rese conto di quanti demoni ancora avesse da combattere. Come avrebbe potuto uscirne vincitore e soprattutto indenne?
Si limitò a stringere le labbra, simulando una smorfia, l’unico gesto comunicativo a cui poteva aspirare per far sì che Lynn comprendesse. E lei capì.
« Drake… », sospirò, cercando le parole giuste. « Per questo hai fatto sparire ogni traccia… »
Drake annuì lievemente, gli occhi ancora incollati al pavimento.
Lynn inspirò, deviò lo sguardo, mentre nella sua mente si dibatteva una feroce battaglia tra due diverse posizioni: la parte più nascosta dalla possente armatura da soldato piangeva, soffriva per la notizia della perdita dell’amica; la corazza, invece, non comprendeva perché ciò fosse avvenuto lontano anni luce dalla sua vista, perché nessuno le avesse detto niente, perché non si fossero rivolti a lei. Tanti perché che non avrebbero mai trovato una vera risposta.
Scosse il capo frustrata. « Perché non sei venuto da me, Drake? Avrei potuto… insieme, avremmo potuto… non avresti dovuto isolarti e sparire, senza far sapere a nessuno dove fossi e cosa stessi facendo. Ad un certo punto ho iniziato a credere che fossi morto, che lo foste tutti, perché altrimenti… »
« Lo so, Lynn, e credimi mi dispiace. Mi dispiace tanto, davvero. »
« Anche a me », ribatté lei in un sussurro, riferendosi alla morte di Sienna più che al rimprovero. Il fatto che Drake riconoscesse l’immaturità del suo comportamento e si fosse scusato attenuava quegli anni di totale silenzio. Di solito l’orgoglio aveva sempre la meglio, quello era un piccolo e inestimabile momento.
I due vecchi amici si guardarono per qualche attimo senza più dire una parola. In realtà avevano molto da dire, molto da recuperare – Lynn era curiosa di sapere cosa avesse fatto cambiare idea a Drake, cosa lo avesse riportato nel mondo esterno e per quale motivo si fosse ora rivolto a lei. Ma non lo disse, non subito. Così come Drake non iniziò a raccontare gli eventi dell’ultima settimana e mezza come un furia, esagitato e ansioso, gesticolando all’impazzata.
No, nessuno dei due parlò. Rimasero fermi, sospesi, l’uno negli occhi dell’altro. Soltanto due vecchi amici ritrovati.
« Papà, sono già passate alcune ore, non sappiamo che fine abbia fatto Ash–– »
La voce in crescente aumento di Marek s’interruppe sul varco del portello, sia Drake che Lynn si volsero nella sua direzione. Il ragazzo era immobile, una mano alla parete, lo sguardo fisso e le labbra ancora schiuse per metà. Una vena di confusione attraversava il suo volto, gl’increspava le sopracciglia e assottigliava gli occhi verdi.
Tentò di aggiungere qualcos’altro, ma Drake lo anticipò sensibilmente. « Marek, ti ricordi di Lynn? Era con noi prima di… »
« Credo di sì », replicò il ragazzo nell’immediato, scavando nei suoi ricordi di bambino.
Lynn smise di osservarlo ammirata, notando tutte le somiglianze possibili con l’amica, e sorrise. Non era una novità che il ragazzo avesse poco o niente di Drake, in effetti, era un dato di fatto che l’aveva perseguitato sin dall’infanzia. « Sei diventato grande, ragazzino. »
« Sì… credo sia quello che succede alla maggior parte delle persone normali. »
« E impertinente come tuo padre! »
Drake si sforzò invano di non ridere. « Cosa vuoi, gli insegno solo il meglio. »
Dopo una smorfia di finta incredulità anche Lynn rise, sentendo alleggerirsi la morsa che qualche attimo prima stava facendo una pressione notevole sulla sua emotività nascosta. Vedeva più che mai Sienna riflessa nel volto di Marek. Ci sarebbe voluto del tempo per digerire quel boccone amaro, per accettarlo, per superarlo. Nonostante fossero trascorsi quattro anni, sembrava ancora successo troppo in fretta per lei che n’era rimasta estranea, come se in qualche modo fosse una crudele illusione.
Marek si schiarì la gola alzando gli occhi al cielo. « Comunque, papà, forse dovremmo andare a vedere se va tutto bene. Non voglio interrompere il tuo momento di felice rimpatriata, ma… »
« Sì, hai ragione! », esclamò Drake, cogliendo al balzo l’occasione per scappare da certi delicati argomenti. O per meglio dire: demoni.
« Di cosa state parlando? », domandò Lynn, spostando lo sguardo indagatore da uno all’altro.
Drake si volse platealmente per fronteggiarla di nuovo, con una strana espressione sul volto. Rimase qualche secondo sospeso, a labbra spalancate per trovare il modo più semplice ed immediato di spiegarle l’accaduto. Poi deviò, e la strana espressione si fece confusa, appena appena corrucciata.
« Forse non ce ne sarà bisogno », sussurrò.
Ahsoka stava percorrendo il marciapiede, nascosta dal mantello ma per loro ancora riconoscibile. I suoi passi erano lenti, pesanti, quasi stesse trascinando alle spalle un gravoso velivolo spaziale. Era affranta, completamente schiacciata da qualcosa che nessun altro poteva vedere e l’avvolgeva.
Con un sospiro, Drake superò Lynn per andarle incontro. La togruta, assorta nei suoi pensieri – o forse ancor di più nella sensazione di vuoto che l’affliggeva da quando aveva lasciato il Tempio per la seconda volta – impiegò un po’ per accorgersi della presenza di Drake. Camminò a capo chino fin quando non fu arrivata proprio davanti a lui.
« Va tutto bene? »
« Sto bene », rispose ridestata, premurandosi di alzare lo sguardo per apparire credibile.
Ovviamente questo non fu sufficiente a convincere Drake, che comprese ad ogni modo di non dover porre ulteriori domande. Si limitò ad emettere un flebile suono d’assenso, per nulla deciso ad accantonare del tutto la questione. Era solo rimandata ad altra sede e tempo, esattamente come il racconto dei suoi quattro anni perduti.
« D’accordo. Ashla, ti presento Lynn Ronan », proseguì, scostandosi per indicare ad Ahsoka la mirialana, « la vecchia amica di cui parlavo. In un certo senso è merito suo se ancora non sono finito in un… come l’hai chiamato, scusa? »
« Locale delinquenziale », disse Lynn ridendo.
« Giusto! Locale delinquenziale in cui prima o poi verrà affissa la mia testa a scopi decorativi. »
« Decorativi – non sei poi una così gran bellezza. »
« Non sono d’accordo… »
« E non sono vecchia, tu lo sei più di me. »
« Ehi ehi, questo dipende dai punti di vista… »
« Scusatemi », li interruppe Ahsoka con un filo di voce, muovendosi per superarli.
Sia Drake che Lynn s’immobilizzarono, osservarono la ragazza camminare con la medesima pesantezza in direzione della nave. Sembrava essere su un altro pianeta, lontana da loro, da Coruscant, da ogni cosa si trovasse lì.
Ahsoka salì la rampa con lo sguardo basso, passando accanto a Marek, che tentò invano di proferire parola. Non sapeva nemmeno lui se fosse un bene oppure no, e incontrò lo sguardo confuso di suo padre che, in un certo senso, fu un monito a mantenere il silenzio.
Come Drake aveva avuto le sue questioni irrisolte, entrambi avevano compreso che la togruta aveva le proprie sin dal momento in cui quel Jedi aveva lanciato alla Narada una trasmissione. E le questioni irrisolte, i debiti non estinti… bè, erano in grado di tormentare la più determinata anima della galassia. Lo sapevano bene.
Lo sapevano bene tutti loro.


two years ago

L'indice sottile della togruta scivolò sullo schermo, scorse l'ennesima pagina azzurra piena di scritture a caratteri non facilmente identificabili.
Nelle ultime ore aveva avuto modo di testare le sue abilità linguistiche in tre diversi modi: primo, si era trovata di fronte antichi ideogrammi runici, probabilmente risalenti alle antichissime leggende Jedi ( di cui aveva parlato con interesse ad Anakin, che aveva evidentemente un'ottima memoria ); secondo, una pagina astronomica era stata trascritta nelle medesime rune; e terzo, di sicuro sempre grazie allo zampino del suo Maestro, aveva dovuto decifrare una cartografia datata e leggibile solo dopo aver risolto l'enigma della chiave di lettura. In sintesi: era stata una giornata proficua ma altrettanto lunga e noiosa.
La mente di Ahsoka non riusciva a rimanere concentrata sulle parole e nei disegni che aveva davanti, errava piuttosto tra gli infiniti scenari della missione in svolgimento. In che pianeta potevano essere diretti? Bè, vista l'urgenza con cui Anakin le aveva assegnato la trasmissione ricevuta, quasi certamente la meta era la zona d'emissione. A giudicare dal messaggio, il luogo nascondeva informazioni che alla Repubblica sarebbero potute tornare molto utili per combattere i Separatisti, quindi il compito di Anakin e del Maestro Windu si aggirava tra il soccorso e l'entrare impossesso di tali, importanti dettagli.
« Come procede il tuo viaggio, giovane padawan? », domandò la voce pacata di Jocasta, ridestando Ahsoka dai meandri dei suoi pensieri.
Sorrise, lanciando un'occhiata fugace alla mentore prima di posare lo sguardo sullo schermo. « Bene, credo. Queste mappe sono interessanti, non ne avevo ancora viste di questo genere. »
« Il Maestro Skywalker ha espressamente chiesto che tenessi da parte qualsiasi cosa riguardasse antiche traduzioni e cartografie in codice. Sembra proprio che voglia testare le tue abilità di osservazione. »
Il sorriso di Ahsoka si ampliò e dovette davvero sforzarsi per non farlo sfociare in una risata nervosa. Voleva testare la sua pazienza, più che altro; come se non sapesse che fosse piuttosto brava con le lingue e le trascrizioni aliene, poi. « Sì, », imitò un’espressione gioiosa, fasulla ma essenziale, lasciandosi pervadere da tutto il sarcasmo possibile, « è davvero eccezionale, il mio Maestro. Sa come far emergere al meglio le mie capacità e ricorda perfettamente tutte le letture e le storie di cui gli ho parlato, quasi più di me. »
« Se hai bisogno mi trovi nella sala affianco », rispose Jocasta con un cenno gentile, posando poi una mano sulla spalla di Ahsoka.
La Jedi proseguì a passi tranquilli, attraversando la stanza poco illuminata e dirigendosi verso gli scaffali pieni di dati. Gli holocron non erano distanti, Ahsoka lo sapeva benissimo per via del suo primo e lungo soggiorno in Archivio, che a quanto pare sembrava ripetersi. In cuor suo, a parte la poca concentrazione che sviava ad ogni più piccolo rumore, sperava che la storia non si ripetesse e che qualche Separatista non decidesse di rubare la conoscenza chiara proprio ora.
Sospirò, tornando al suo lavoro. « Già, davvero eccezionale, Skycoso. »

Quando tutte le sale del Tempio furono immerse dal buio notturno, illuminate da flebili luci disperse e soffuse, Ahsoka era ancora seduta alla sua postazione a fissare lo schermo. Reggeva il peso del capo con il braccio, il gomito puntato alla superficie del tavolo, il mento sulla mano e fissava i simboli antichi visibilmente annoiata.
Erano passate ore, il via vai era progressivamente diminuito così come il brusio dei Jedi, la tranquilla attività negli Archivi, tutto. Solo pochi si trattenevano fino a tardi e tra essi, quella sera, figurava anche un’Ahsoka improvvisamente perplessa.
La sua attenzione si ridestò come da un sonno profondo, si mise a controllare le schede e i dati in suo possesso, che aveva letto e cercato d’interpretare fino ad allora. Molti avevano trovato riscontri – non era una linguista esperta al massimo livello, ma grazie alla sua memoria aveva imparato a decifrare alcuni simboli in lingua antica o se non altro a comprenderli nel loro significato più generico. Aveva digitato le trascrizioni, le aveva fatte scorrere con l’indice ormai in procinto di agire in automatico… e qualcosa sembrava non tornare.
Le rune erano antiche, anche quelle di provenienza più strana lo erano, e parevano essere profetiche. Ahsoka ne verificò la provenienza, il codice di cui facevano parte. Erano state catalogate e sistemate dalla stessa Jocasta, infallibile quando si trattava di mappe stellari e arcani manufatti, ma risultavano prive d’informazioni riguardo al ritrovamento. Qual era la loro provenienza? Com’erano giunte al Tempio?
Forse l’immaginazione di Ahsoka stava avendo la meglio su di lei, tentando di sfruttare quella strada per movimentare la sua reclusione negli Archivi. Il desiderio di essere accanto al suo Maestro e scoprire cosa stava succedendo nella missione in atto era forte a tal punto? Sì, lo era, ma le sue percezioni non erano da meno. E in quel momento le stavano dicendo a gran voce che, almeno, avrebbe potuto scoprire cosa stava succedendo all’interno di quelle quattro mura.
Si alzò dalla holopostazione, guardandosi attorno nella stanza deserta. Un lieve senso d’inquietudine la percorse dalle punte dei piedi fin ai montral di poco più sviluppati, che in quel momento captavano una tensione insolita. Era tardi, quasi tutti erano tornati nelle loro stanze e la sua mente vagava in lungo e in largo in cerca di mistero e avventura: la risposta venne da sé e Ahsoka scosse il capo facendo spallucce.
Attraversò la sala con pochi passi, rallentando appena varcata la soglia.
« Jocasta? », chiamò in sussurro, proseguendo guardinga e a passo felpato.
Nella stanzetta non c’era traccia dell’anziana Jedi e neppure della quantità di schede che doveva rimettere a posto. A ben vedere sembrava quasi non essere stata per nulla usata, quella postazione, e ciò risultò un po’ strano ad Ahsoka.
Si guardò attorno perplessa, raggiungendo il tavolo e lo schermo. « Jocasta? C’è nessuno? »
La sua voce moderata sfumò nel silenzio più assoluto, lugubre persino per una tipetta coraggiosa come lei. Poggiò una mano alla superficie, non riuscendo ad impedirsi di dare uno sguardo al lavoro che la Jedi doveva fare. E si accigliò.
« Questo è strano… », borbottò tra sé, fissando lo schermo vuoto.
Non c’era alcuna traccia di catalogazioni, traduzioni, mappe, qualsivoglia mansione che Jocasta eseguiva quotidianamente all’interno del Tempio, dato il suo importante ruolo.
Ahsoka scorse con l’indice le pagine, navigando furtiva. Se l’avessero scoperta le avrebbero affidato compiti d’archivio per mesi e mesi e mesi. Un destino davvero infausto, ma niente a che vedere con quella pulce nell’orecchio che sembrava non volersene andare. Forse doveva smetterla di fantasticare e tenere i piedi per terra.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
Ahsoka sobbalzò impetuosamente, volgendosi di scatto verso la voce che aveva improvvisamente fatto irruzione nella stanza. Si ritrovò a fronteggiare Jocasta, ad una distanza davvero ridotta, tanto che la Jedi apparve come una delle due statue all’entrata del Tempio.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
« Jocasta, mi hai spaventata! Veramente volevo chiederti qualcosa riguardo a quelle traduzioni… », balbettò Ahsoka quasi senza fiato, spostando gli occhi blu da una parte all’altra. Fece una piccola pausa prima d’incrociare il volto statuario della Jedi e avvertire un brutto presentimento. « Ma possono aspettare. Credo sia meglio… che vada, sì. »
Scrutò sempre più confusa il volto nell’ombra di Jocasta, inespressivo e impassibile. Si aspettava che ripetesse monotona “Hai bisogno di qualcosa, padawan?”, ma la Jedi si limitò al silenzio, che gettò Ahsoka nella sensazione d’essere in mezzo a tanti piccoli occhi che l’osservavano senza tregua.
Indecisa sul da farsi si sporse leggermente per controllare la via d’uscita della stanza, esitante. Sospirò, spostando lo sguardo sgranato da una parte all’altra pur di non fissarsi troppo a lungo su Jocasta: ogni volta le capitava d’incrociarla, così vicina, sentiva un gelo invernale percorrerle la spina dorsale. E rabbrividiva.
« Sì », ripeté Ahsoka con un cenno d’assenso. « Sarà meglio che vada. »
Senza aggiungere altro o aspettare un secondo di più, la superò svelta in direzione della soglia, delle altre sale, convinta a raggiungere la propria stanza e a barricarsi dentro. Brividi le percorrevano il corpo imbizzarriti, brividi apparentemente inspiegabili.
Jocasta non aprì bocca, non disse nulla e Ahsoka si accigliò ancor di più quando si volse e la vide esattamente ferma immobile nel punto in cui era prima. Non si era mossa di un solo centimetro, non aveva neppure cambiato la posizione delle mani, inclinato il capo di qualche grado, niente. Era pietrificata come una statua priva di vita, un involucro vuoto.
Terribilmente confusa, la giovane togruta attraversò il Tempio domandandosi perché i suoi soggiorni in Archivio si trasformassero sempre in vicende strane. Magari era un segnale dell’universo che sosteneva a gran voce il fatto che non dovesse rimanere chiusa tra quelle mura, che il suo posto era in missione accanto ad Anakin e agli Maestri. Ahsoka gliel’avrebbe senz’altro riferito.


present day

Era finita. Qualunque cosa fosse iniziata con la decadenza della fiducia, l’esilio dall’Ordine dei Jedi, il processo di fronte al senato e al Cancelliere, era finita. Finita davvero.
Ahsoka guardava la parete grigia di fronte a sé senza pensare a nulla, inspirando ed espirando. Esistendo, semplicemente, ancora una volta.
No, si disse in silenzio, forse non era finita… forse non era nemmeno cominciata, dopotutto. Ahsoka Tano non era un Cavaliere Jedi, non lo sarebbe mai diventata ed era piuttosto sicura che, qualunque essa fosse, la sua via si trovasse lontana dal Tempio e lontana da Coruscant. Lontana dall’unica vita che aveva sempre conosciuto.
Le parole di Obi-Wan vorticavano offuscate nella sua mente, mescolandosi a quelle di Plo e alla figura affrettata e inquieta di Anakin. Il volto della vecchia amica di Drake s’insinuava furtivo, riportava a galla la saggezza di Luminara Unduli e il doloroso tradimento della sua amica più cara: Barriss.
Il ricordo di quel terribile giorno irruppe prepotente nella confusione silenziosa, il momento in cui Anakin aveva interrotto il processo, l’aveva salvata dalla condanna a morte per poi mostrare a tutti la vera faccia nascosta dietro agli attentati. E aveva visto la sua amica. La sua amica, Barriss, ch’era stata capace di ferire e uccidere delle persone, di creare prove schiaccianti contro di lei. La sua amica… che l’avrebbe lasciata a morire.
In nome di cosa?, si chiedeva Ahsoka. Perché accadevano cose tremende, nell’universo? Chi o cosa avrebbe mai voluto vedere simili accadimenti? A che scopo?
Bè, il Lato Oscuro non aveva mai avuto senso per lei. Anche in un momento come quello, dove tutta la cieca fiducia da sempre avuta era vacillata e caduta, infranta in mille pezzi, poteva contare su di una costante irremovibile: Ahsoka non sarebbe diventata una schiava del Lato Oscuro, mai.
Aveva visto con i propri occhi e provato sulla propria pelle cosa significasse dar vita ai propri demoni, combatterli allo stremo, affrontarli e temerli. Prima d’allora non aveva pensato di averne, coraggiosa ed immacolata come un perfetto futuro Cavaliere – nonostante in molti le rimproverassero l’impulsività, l’avventatezza, l’ostinatezza e la troppa sicurezza. Era emotiva, profondamente legata alle persone che la circondavano da una catena invisibile e ferrea, che l’aveva trascinata nell’abisso dell’insicurezza quando il dubbio e il tradimento l’avevano colpita alle spalle da vigliacchi. In fondo, non sarebbe diventata un grande Cavaliere Jedi con quell’oceano incontrollato di emozioni e sentimenti…
Seduta sul letto di fortuna di una cabina, Ahsoka portò istintivamente le mani alla cintura dell’abito, vuota. Il monito delle spade laser era svanito, non le aveva più. Quell’ennesimo peso si era dissolto, preso dalle mani di Plo Koon.
La togruta chiuse gli occhi, inspirò ed espirò.
Scacciò le domande senza risposta riguardo a Barriss e le soppiantò di nuovo con le preoccupazioni di Obi-Wan. Plo aveva parlato di una tempesta in arrivo, al Tempio. Che si riferissero entrambi alla medesima cosa? L’oscurità? E se così fosse, come avevano potuto i Jedi non rendersi conto d’essere stati contaminati all’interno dalla guerra, che con tanta brama e avventatezza avevano portato avanti? Le loro azioni e le loro scelte andavano contro il primo principio universale che ogni giovane allievo imparava alla prima lezione dal proprio Maestro: un Jedi usava la Forza per mantenere la pace, non per combattere, non per la guerra. I Jedi dovevano essere guardiani della pace, non soldati al servizio di un Repubblica decaduta, al servizio del Lato Oscuro.
Ahsoka si sporse in avanti, poggiando i gomiti alle gambe per sorreggere il capo con le mani. Sapeva, in cuor suo, che Obi-Wan Kenobi e Plo Koon non si stavano sbagliando, lo sapeva benissimo. I suoi incubi trovavano un senso, si trasformavano in avvertimenti chiari e tondi. Sottovalutarli come avrebbe fatto in passato non sarebbe stato saggio.
Nessun Jedi avrebbe dovuto sottovalutare, per estensione, il potere viscido e ingannatore del Lato Oscuro. Ma forse era già troppo tardi. Forse le cose avevano iniziato a cambiare da tempo, forse era già stato superato il punto di non ritorno. Forse era tardi, tardi per tutti.


two years ago

La mattina seguente Ahsoka arrivò alla sua postazione con una puntualità spaventosa, tanto che i Maestri sul suo cammino la salutarono con gentilezza e una buona dose di sorpresa.
Non aveva dormito molto, impegnata a rielaborare tutti gli avvenimenti del giorno prima. Aveva unito i pezzi, le briciole pregne di sospetto che aveva raccolto nel suo cosiddetto viaggio attraverso la conoscenza. Aveva riflettuto sulla sensazione al cospetto di Jocasta, sul suo comportamento inusuale, sulle rune inspiegabili e sullo schermo vuoto della sala accanto.
Impallidì quando raggiunse la sua postazione. Il suo lavoro era sparito, non era rimasta nemmeno una codifica piccina, neanche una sola lista misera di traduzioni, di calcoli delle mappe stellari, niente. Tutto era stato cancellato.
« Ma che cosa è successo… », riuscì a dire Ahsoka con un filo di voce, gli occhi sgranati e la bocca aperta dall’orrore. Come diavolo era possibile?
Alzò lo sguardo per controllare che gli altri Jedi presenti non la stessero guardando – sarebbe stato strano, anche se qualcuno di loro doveva pur sapere se il sistema d’archivio aveva subito un danno durante la notte o era stato riavviato o se, accidentalmente, qualcuno aveva cestinato le informazioni sbagliate.
Accidentalmente? Questo sì ch’era un dubbio grande e grosso, al quale Ahsoka non voleva dare minimamente l’etichetta di “coincidenza”. Non credeva che le cose avvenissero per puro caso, non quando c’era in gioco la Forza e con essa i dubbi insorti con i fatti del giorno precedente. Una vera coincidenza che fossero scomparsi proprio i dati riguardanti rune curiose e antiche, profetiche, spuntate da chissà quale parte dell’universo.
Jocasta non c’era, o almeno non era presente in quella stanza. Ahsoka lo notò subito, perché la Jedi fu la prima persona che cercò con lo sguardo. Appurata la sua assenza, entrò nella sezione di comunicazione della postazione, effettuando una chiamata.
Com’era prevedibile, l’ologramma di Anakin impiegò una decina di secondi prima di comparire in dimensioni ridotte sullo schermo blu, come se vi avesse camminato tranquillamente sopra. Aveva le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.
« Furbetta, come procede il tuo soggiorno negli Archivi? », domandò il Maestro con una piccola nota spazientita nella voce.
Ahsoka non mancò di coglierla, aumentando solo il suo interesse per la missione, che evidentemente non era così banale come Anakin aveva voluto farle apparire, e il disappunto per non avervi potuto partecipare.
« Splendidamente, come se non lo sapessi… »
« Quindi mi hai chiamato per chiedermi un prolungamento della tua assegnazione al Tempio? »
La togruta imitò una risata sarcastica, finendo per roteare gli occhi e poggiare il capo su entrambe le mani. « Molto divertente, Maestro. »
« Allora? Non ho molto tempo, cosa succede? »
« Niente, Maestro. O meglio… ho un presentimento che non mi piace per niente e stanno accadendo cose molto insolite », spiegò Ahsoka, deviando lo sguardo e pronunciando ogni parola in maniera marcata, per solidificare la sua stessa convinzione. Più elaborava i fatti, più la sensazione di trovarsi nel giusto la dominava.
L’ologramma di Anakin sospirò, liberò una mano per compiere un cenno. « Che genere di cose? »
« Le informazioni che hai chiesto a Jocasta di farmi esaminare sono particolari. Non c’è niente che faccia risalire alle loro origini, sembrano rune antiche di migliaia di anni e certi simboli non si trovano neppure nella banca dati dell’Archivio. È come se semplicemente non esistessero e solo parte della traduzione è possibile. »
« Bè, questa non è una novità quando si ha tra le mani un documento stilato all’epoca dell’origine dei Jedi. Molte delle trascrizioni sono andate perdute, le altre sono incomplete o comunque parzialmente comprensibili. »
« Lo so, Maestro, ma queste sono diverse da tutte le altre », continuò Ahsoka imperterrita, iniziando ad abbassare il tono della voce per non attirare l’attenzione degli altri Jedi presenti. Si guardò addirittura intorno fugacemente, per poi avvicinarsi di più alla figura contornata d’azzurro di Anakin. « Sembrano una specie di profezia. »
« Possibile ma improbabile, Ahsoka », rispose con tranquillità Anakin.
L’apprendista sospirò, muovendosi sulla postazione pur di non dover guardare l’immagine del Maestro. Sapeva a cosa stava pensando, non aveva neppure bisogno di sentirlo uscire dalle sue labbra: la sua impetuosità stava dominando la sua lucidità, comportamento inappropriato e svantaggioso per un Jedi.
« Ascolta, non c’è niente di male nel passare del tempo negli Archivi. La conoscenza è molto più importante di qualsiasi altra cosa, senza siamo ciechi. »
« Adoro la tua convinzione nel pensare che questo sia confortante », borbottò Ahsoka sarcastica, senza riuscire ad impedirsi una smorfia.
Sul volto di Anakin apparve un ghigno, il genere di aria compiaciuta che faceva sempre venire ad Ahsoka un gran desiderio di abbattere più droidi da combattimento solo per farla svanire. Stava per aggiungere qualcos’altro, sicuramente una battuta colma d’ironia che avrebbe fatto rimpiangere alla ragazza di averlo contattato, di aver provato a riferirgli le sue percezioni. Stava per parlare di nuovo, Anakin, quando venne interrotto dalla voce di Jocasta.
« Qualcosa non va, padawan? »
Ahsoka fece un balzo dalla sedia, si voltò d’un tratto verso la presenza sbucata dal nulla della Jedi, poco lontana dalla sua postazione. Vide ancora quello sguardo assente, marmoreo, inespressivo. Scosse il capo dopo un paio d’istanti, sforzandosi d’apparire più spontanea possibile.
« Ehm – no, no! Tutto nella norma. Stavo solo – aggiornando, aggiornando il mio Maestro su un compito », esitò per guadagnare tempo utile ad inventare una storia credibile, « un compito che mi ha assegnato prima di partire. Dovrei chiedere consiglio al Maestro Yoda. »
« Il Maestro Yoda non è qui. »
La voce monotona e gelida di Jocasta fece accapponare la pelle ad Ahsoka, che provò a non sgranare gli occhi esageratamente. Aveva davvero un brutto presentimento, una pessima sensazione, tra le più sgradevoli mai percepite fino ad allora, escludendo i purtroppo numerosi incubi che spesso l’avevano attaccata di recente. La cosa peggiore era che quasi tutti si erano alla fine rivelati veri, come segnali dal futuro perché Ahsoka stessa fosse preparata ad affrontarli.
La togruta si rivolse allora di nuovo all’ologramma di Anakin, ch’era rimasto perplesso in ascolto, con la sola visuale delle reazioni della sua allieva. « Bè, Maestro, suppongo che tu abbia ragione. Mi rimetto subito al lavoro. Chiudo. »
L’ologramma scomparve dalla piattaforma di fronte allo sguardo irrequieto di Ahsoka. Gli occhi fissi di Jocasta erano ancora posati sulla sua figura, riusciva a percepirli con chiarezza, e aprì delle schede casuali sullo schermo pur di mostrare che tutto era al proprio posto.
Non sapeva spiegare perché, neppure a se stessa, ma quella percezione la rendeva improvvisamente diffidente nei riguardi di Jocasta e non solo: una parte nascosta di sé l’avvertiva persino come un’entità ostile che per nessun motivo doveva mettere in allerta, od ogni tentativo di capirne di più sarebbe stato vano. Mantenere un basso profilo era la migliore alternativa per indagare indisturbata, per vedere nitidamente attraverso la nebbia che tentava di offuscare il Tempio, per comprendere.
Il suo soggiorno negli Archivi aveva improvvisamente preso una netta deviazione di rotta. Di nuovo.

Ahsoka mosse passi furtivi, si appiattì contro la parete.
Silenzio.
Senza separarsi dalla superficie su cui era poggiata, si avvicinò ulteriormente e con cautela, lasciando che le dita creassero delle scie invisibili sul muro chiaro. Da quel punto aveva una visuale completa sul corridoio, che percorse ancora un po’, attenta a non provocare rumori che avrebbero rivelato la sua presenza.
Jocasta scomparve oltre la porta, che nascondeva cunicoli e altre vie che conducevano, in fine, ai più preziosi e importanti manufatti del Tempio Jedi.
Ahsoka sospirò infastidita. Perché gli holocron le rendevano sempre la vita più complicata di quanto già non fosse? Non riusciva a credere che anche questa volta sarebbe finita nei guai, perché era sicuro che vi sarebbe precipitata. E a capofitto.
Mantenendo alta la guardia, si rilassò contro la parete per poi abbandonarla. Camminò tranquillamente fino all’entrata, le mani vicine alle spade laser sulla cintura. Jocasta sarebbe potuta apparire da un momento all’altro, sbucare all’improvviso ancor più minacciosa e cupa, e Ahsoka non aveva intenzione di essere colta alla sprovvista nuovamente.
Non c’erano altri Jedi nel corridoio soffuso e deserto, la togruta si fermò per scrutarlo nella sua totalità prima di varcare la soglia. Il Consiglio avrebbe mostrato disappunto, l’avrebbe rimproverata del suo comportamento un’altra volta ancora, ma scoprì essere un pensiero molto leggero rispetto al presentimento dominante. Era un rischio ch’era disposta ad accollarsi; quello che invece non voleva assolutamente era scappare di fronte ad una possibile minaccia imminente. Cos’avrebbe detto Anakin se avesse sepolto il capo nella conoscenza del Tempio? Ella stessa non ne sarebbe stata capace, tanto da non riflettervi nemmeno più del dovuto.
Ahsoka entrò, superò la porta e la richiuse dentro di sé. Non fece neppure caso al fatto che fosse insolitamente aperta.
Ci siamo, si disse, inspirando profondamente. La consapevolezza di non tornare indietro la spinse a proseguire, guardinga. I suoi occhi sondavano ogni centimetro attorno a sé, le sue percezioni la guidavano.
Si fermò quando captò un fruscio poco distante, controllò alle sue spalle e poi avanti. Non c’era nessuno tranne lei – lei e Jocasta, ch’era palesemente in quell’area del Tempio, nonostante non riuscisse più a sentirne la presenza. La presenza
Ahsoka sgranò improvvisamente gli occhi e trattenne il fiato. Non era solo quello il problema, no. Le sue percezioni erano svanite, tutte quante. La vista e l’udito erano le sue uniche guide e questo la fece sentire molto più indifesa di quanto le fosse probabilmente mai capitato prima. Non riusciva a sentire la Forza, ogni suo tentativo risultava annebbiato, sfumava nella nebbia che gelida aveva iniziato a filtrare e oscurare la luce del Tempio. Era cieca.
Il vuoto non bastò a fermarla, però. Il viso di Ahsoka si trasformò nell’emblema della determinazione e la giovane apprendista procedette, stringendo tra le mani le spade laser. L’idea di tornare alla sala degli Archivi o a riferire la situazione ad un Maestro non la sfiorò neppure.
Percorse il corridoio, svoltò, proseguì, svoltò di nuovo. Dopo un istante di esitazione, attraversò l’ultima barriera. E fu circondata dagli holocron.
La connessione con la Forza si ristabilì e ad Ahsoka parve non si fosse mai spenta. Questo la rese più sicura, allontanò la sgradevole memoria dello scontro con il generale Grevious e il suo fallimento. Ora era un’allieva maggiormente consapevole, riflessiva, in grado di utilizzare la propria esperienza e di dar ascolto ai consigli del suo Maestro – in un universo parallelo.
Dopo solo un paio di passi, il medesimo fruscio già udito la costrinse a nascondersi dietro ad uno dei tanti scaffali. Ahsoka si trovò ad una spanna di distanza con quei manufatti luminosi, la luce quasi la trapassò del tutto e dovette socchiudere gli occhi. Oltre non c’era nulla che fosse fuori posto, nessuna persona, neppure Jocasta.
Che fine aveva fatto la Jedi? Che Ahsoka sapesse non c’era un’uscita secondaria alla stanza degli holocron quindi, per amor di logica e a meno che non fosse improvvisamente dotata del potere di rendersi invisibile, Jocasta doveva obbligatoriamente essere lì dentro. Dov’era?
Ahsoka fece un passo in avanti furtiva, abbassandosi e lasciando che le ginocchia reggessero gran parte del suo peso. Le dita erano aggrappate saldamente alle spade laser, pronte a scattare al momento giusto. Si volse a destra e poi a sinistra, squadrò il lungo corridoio della sala poco illuminata.
Un bisbiglio proveniente dal fondo attirò la sua attenzione e Ahsoka si mosse, silenziosa ma decisa a scoprire cosa stesse davvero succedendo al Tempio. Il cattivo presentimento esplose a mano a mano che la distanza diminuiva e si avvicinava al punto da cui la voce soffusa si era diradata. Ad essere sincera, la giovane non era riuscita a carpirne le parole, ma tanto bastava: nella sala degli holocron c’era qualcuno e l’istinto le diceva chiaramente che quel qualcuno non era Jocasta.
Si fermò di nuovo. Il cuore le balzò in gola e le impedì di respirare, totalmente sopraffatta dalla stessa sgradevole sensazione moltiplicata in maniera esponenziale. Iniziava a somigliare ad un formicolio, un prurito persistente come un cumulo di minuscoli insetti muniti di denti avidi e affilati.
I montral emisero un fischio, da lei sola udibile.
« Hai bisogno di qualcosa, padawan? »
Ahsoka si volse di scatto alla voce di Jocasta, cavernosa, lugubre e gutturale, non appartenente alla Jedi. Fece in tempo a lanciarle un’occhiata spaventata e sorpresa, ad alzare le spade laser accese e ad usarle per proteggersi – ma non fu abbastanza.
L’ombra della Jedi cadde sulla togruta come un’onda d’alluvione, un torrente d’acqua inquinata e impetuosa, che l’avvolse tra le sue braccia informi e oscure. Il grido di Ahsoka formò un eco agghiacciante nella sala desolata, che si ripeté in un circolo vizioso interminabile.
E poi tornò il silenzio.

« Anakin. Anakin! »
Obi-Wan scese dalla navetta con un balzo, trattenendosi dal dar voce ai suoi pensieri sull’impetuosità del ragazzo ch’era stato suo apprendista.
Interrompere un sopralluogo nel bel mezzo di una missione senza prove concrete che il rientro al Tempio fosse necessario: il Consiglio avrebbe posto molte domande in merito e non avrebbe sicuramente visto di buon occhio l’atteggiamento sconsiderato di Skywalker. Se poi il suo intuito avesse fatto centro, i Jedi avrebbero discusso sulle sue potenzialità che ancora stavano crescendo e con esse il pericolo. Il Lato Oscuro.
« Dobbiamo mettere in allerta l’edificio del Tempio, generale? », domandò il capitano Rex, al suo fianco.
« Sì – no! Tenetevi pronti e non abbassate la guardia, ma non fate nulla finché non saremo certi della situazione. Il panico è l’ultima cosa che dobbiamo seminare in questo momento. »
La voce di Obi-Wan uscì marcata e scattosa, mentre un passo dopo l’altro il Jedi attraversava con impeto la distanza che lo separava dall’entrata del Tempio. La squadra dei cloni era alle sue spalle, seguivano le direttive di Rex, che a sua volta eseguiva gli ordini del generale Kenobi.
« Avete sentito il generale? Setacciate il perimetro ma con discrezione. State all’erta », comandò il capitano indicando ai suoi uomini le varie direzioni in cui dividersi. Anch’egli ne intraprese poi una, percorrendo ai margini quel luogo sacro. « Muovetevi! »
Obi-Wan avvertì le presenze disgregarsi e procedette senza indugio. Scosse il capo tra sé, abitualmente, contrariato: Anakin li avrebbe cacciati in un altro guaio, uno dei tanti, riusciva a sentirne già la puzza. Chissà da chi aveva preso quella testardaggine estremamente esagerata, intollerabile, insopportabile…
Una volta varcata la soglia si fermò, trovando la figura immobile di Anakin all’inizio della grande sala. Stava osservando da lì ogni movimento, ogni angolo, ogni filo d’aria assente tra le quattro mura quiete. Ma niente si muoveva, nessun Jedi. C’era qualcosa di sensibilmente diverso, percepibile come un brivido in grado di solcare le ossa e penetrare fino al midollo.
Anakin scrutava ancora l’area impassibile. « Lo senti? »
Obi-Wan era al suo fianco, improvvisamente spogliato del sentimento di lieve irritazione e disappunto. Un presentimento aveva preso il suo posto e gli sussurrava parole ben chiare, a cui avrebbe dovuto dare ascolto. « Sì, e non mi piace », spostò lentamente lo sguardo per incontrare quello dell’amico Jedi, che rispose con un cenno del capo.
Non avevano bisogno di dare ulteriori spiegazioni o di porre inutili domande: capirono al volo che se effettivamente qualcosa c’era, non avrebbero avuto il tempo di fermarsi a riflettere e a valutare le alternative possibili, più accomodanti, più sicure.
L’atmosfera era cambiata, la pace e la serenità interiori che di solito dominavano quel posto erano state soppiantate da un malessere cupo, una coltre di pesantezza paragonabile ad una nuvola di fumo denso. Ogni minaccia che si muovesse attraverso di esso era invisibile anche a loro, ai Jedi, e il fatto che fosse riuscita ad entrare al Tempio era fonte di dubbi e preoccupazioni. Qualcosa stava cambiando, si muoveva nell’ombra, silenzioso, in attesa.
« Vado a cercare Ahsoka. »
« Anakin », il braccio di Obi-Wan scattò rapido per frenare in tempo quello del Jedi, « sta attento. Percepisco qualcosa di strano, di… infido. Sarà meglio essere prudenti. »
Le labbra di Skywalker furono colte da un guizzo impertinente. « Tranquillo, vecchio Obi-Wan, lo sono sempre. Credevo che ormai avessi smesso di preoccuparti. »
« Sai, non è così facile non preoccuparsi quando il tuo ex apprendista ha una predilezione per i guai della peggior specie », ribatté Obi-Wan roteando gli occhi. « Coraggio, va. Controllo le altre stanze, a quest’ora dovrebbero esserci gli addestramenti dei giovani padawan. Tu sta in guardia e non fare niente che io non farei. »
Anakin ampliò il sorriso a dismisura, in un modo a dir poco insopportabile, e prima che potesse replicare con la sua buona dose di sarcasmo Obi-Wan lo liquidò con un gesto della mano. In fondo, anche se cercava di non mostrarsi vagamente divertito da quella tipica situazione, aveva ragione lui: Anakin aveva intrecciato quella sorta di storia d’amore con il pericolo da fin troppo tempo, probabilmente dalla nascita, e l’ostentava persino con fierezza. La sua era tutta questione di fortuna.
Assottigliò lo sguardo, Obi-Wan, e mugugnò tra sé. L’osservò allontanarsi in direzione degli Archivi più all’interno e scosse il capo, di nuovo. « Quel ragazzo mi farà diventare matto… »

La sala principale degli Archivi, contrariamente alle previsioni precedenti, non era deserta come l’atrio d’entrata aveva fatto supporre. Anakin rimase sorpreso di vedere i Jedi concentrati e immersi nello studio. Tutto sembrava fin troppo pacifico rispetto a quella strana sensazione che l’aveva attanagliato dal primo momento in cui aveva intravisto una strana scintilla nello sguardo della sua allieva. Ebbe come l’impressione di aver messo piede in una camera perfettamente in ordine, pulita fino all’ultimo granello di polvere, sotto al cui tappeto si nascondeva in realtà una macchia dilagante e appiccicosa. Cosa avrebbe trovato una volta sollevato il tappeto?
Anakin Skywalker aveva una personalità piuttosto complessa ed era fiero di molte cose, in cuor suo. Era sicuro di sé la maggior parte delle occasioni e uno dei fatti di cui poteva vantarsi era di conoscere Ahsoka Tano più di quanto si conoscesse ella stessa.
Capiva i suoi pensieri profondamente e completamente, senza neppure necessitare di parole aggiuntive che sarebbero risultate superflue; percepiva spesso le sue emozioni contrastanti in via di maturazione, come una giovane padawan dal temperamento ribelle e dallo spirito indomabile, così com’era stato lui in passato e com’era ancora adesso; sentiva i suoi pensieri, anche quando quegli occhi blu tentavano di celarli e barricarli oltre il muro del silenzio. Ahsoka non aveva segreti per Anakin – e il Maestro non era del tutto consapevole di non averne per lei – ragione di più per rendere sospetta quell’apparente tranquillità.
Attraversò la stanza con prudenza, comportandosi normalmente e rivolgendo cenni di saluto ai volti conosciuti. Congiunse le mani e si diresse oltre, verso i numerosi scaffali e le postazioni in cui era possibile studiare, catalogare, decifrare i dati e le informazioni. D’un tratto s’interruppe. E la sentì.
Una sensazione insolita lo invase, lo toccò, come fosse dotata di un corpo organico. Anakin si volse di scatto per osservare il corridoio alle sue spalle, lo stralcio del salone che ancora riusciva a vedere dal punto in cui si trovava: niente di strano apparve. Tutto era al suo posto, tutto era normale, tutto andava bene e se non fosse stato per quella spiacevole impressione avrebbe anche potuto crederci, Skywalker.
Stette per riprendere a camminare, desideroso di trovare la sua padawan e assicurarsi che rimanesse ben salda al suo fianco, quando le percezioni di Ahsoka lo percossero violentemente. I sensi vennero offuscati per un istante che si protrasse a lungo, sostituiti in un lampo da miste sensazioni di paura, ansia, confusione, fiato spezzato.
Anakin boccheggiava, una mano premuta sul petto e le palpebre serrate. Cosa stava succedendo tra quelle mura? Non sapeva come fosse possibile, come riuscisse ad essere connesso ad Ahsoka in quel modo, ma era certo si trattasse di lei. L’avrebbe riconosciuta ovunque. E non andava bene.
Poi tutto cessò, tornò il silenzio e Anakin fu solamente… Anakin. Sbatté le palpebre più volte, mettendo a fuoco di nuovo con chiarezza il corridoio che si apriva di fronte, serrando le labbra per impedire alla rabbia di prendere il sopravvento. Doveva muoversi, affrettarsi.
Il pensiero di trovare Ahsoka ferita l’attanagliò al punto tale da sentirsi l’unico vero colpevole se le fosse accaduto qualcosa. Lui l’aveva assegnata al Tempio, lontana dalla sua vista e dalla sua attenzione; lui l’aveva messa all’interno di una scatola, senza neppure accertarsi che fosse realmente il posto più sicuro della galassia – e perché avrebbe dovuto? Il Tempio era inviolabile, la Forza era presente densa e potente, i Jedi non potevano essere toccati lì dentro. Ma i tempi stavano cambiando e molte cose con essi. Anakin riusciva a percepirlo.
Affrettò il passo, cancellando il corridoio sotto i suoi piedi in un lampo. Svoltò l’angolo impetuoso e, completamente assorto dalle centinaia di possibili conclusioni, si scontrò con forza con qualcosa ch’era sfuggito alle sue sensazioni distratte. Qualcosa o qualcuno.
« Maestro! », esclamò Ahsoka, ritrovandosi improvvisamente intrappolata dalle braccia di Anakin.
Skywalker la guardava allarmato, confuso, terribilmente preoccupato. La sua allieva stava bene, non era ferita, e l’unica nota insolita era il fatto che apparisse evidentemente spaventata. Uno stato in cui di rado gli era capitato di vederla.
« Stai bene? », chiese, liberandola dalla presa.
Ahsoka aveva il fiato corto, inspirava boccate d’ossigeno frammentate, il battito del suo cuore tuonava imbizzarrito all’interno del suo petto. « Sì, sto bene », annuì freneticamente, alzando poi una mano in direzione della lontana sala degli holocron. « Sono là dentro. »
« Chi? »
« Non lo so! », ribatté Ahsoka, scuotendo il capo. « Hanno preso Jocasta e altri Jedi. Credo vogliano usarli per accedere. »
Gli occhi di Anakin si ridussero a due fessure incupite. « Accedere? », domandò più per spontanea reazione che per vera necessità di ottenere una risposta. Il Jedi sapeva cosa stesse a significare quella semplice parola e non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
Senza aggiungere altro, Anakin partì impetuoso. Con le sue falcate alimentate dall’urgenza di porre fine a quella storia percorse gran parte del corridoio, prima che una mano alle sue spalle gli afferrasse il braccio sinistro.
« Non farlo, Maestro! Sono troppo pericolosi! », lo supplicò, quasi, Ahsoka.
Costretto a voltarsi dalla presa dell’apprendista, che gli sembrava sempre troppo energica a dispetto del suo essere così piccola ai suoi occhi, Anakin le piazzò un’occhiata accigliata. « Ecco perché devo fermarli. »
« Ti uccideranno! »
« Questo resta da vedere… », sussurrò scettico, non solo sulla sua ipotetica morte ma anche sull’atteggiamento di Ahsoka. Non capiva cosa vi fosse in lei che non andasse, guardandola, eppure qualcosa non andava. Di solito era lui a doverle urlare di fermarsi, mentre lei da coraggiosa e sconsiderata correva a braccia aperte incontro al pericolo. Non aveva alcun senso!
Anakin si liberò dalla mano di Ahsoka con delicatezza, scrutandola ancora perplesso. Poi le fece un cenno col capo e riprese la via, percependo la sua presenza alle spalle.
Aveva rallentato decisamente il passo, assunto maggior prudenza, e si soffermava ogni qualvolta dovesse compiere una svolta per evitare d’imbattersi in minacce improvvise. Poteva essere chiunque, all’interno del Tempio, ma un attacco in piena regola come quello aveva sempre più l’odore di una trappola. Se la nuova strategia dei Separatisti era minare la sicurezza dei Jedi ci stavano riuscendo egregiamente.
Anakin sollevò un braccio per fermare Ahsoka dietro di sé. C’era qualcosa oltre la svolta, qualcosa che il Jedi non percepiva. Si accigliò. Perché non riusciva a sentire più niente? Non necessitava mai di estrema concentrazione per avere una visuale interiore di ciò che accadeva attorno a lui, anche a distanze notevoli per la sua età. Ed ora invece era completamente cieco.
« Sta indietro… », sussurrò ad Ahsoka, utilizzando il braccio per spostarla dietro di sé e coprirla interamente con il suo corpo. Sul momento Anakin non ci diede molto peso, ma il fatto che l’apprendista non oppose alcuna resistenza e non si lamentasse apertamente della sua iperprotettività era l’ennesimo campanello d’allarme.
Ahsoka si rannicchiò contro la schiena di Anakin, che aveva già alla mano la sua spada laser. In un attimo l’accese e si lanciò contro la presenza oltre lo svicolo del corridoio. Il blu accecante dell’arma fu placato da una scia altrettanto luminosa.
« Maestro », disse Anakin, a metà tra una domanda e un’esclamazione.
« Maledizione, Anakin! », lo rimbeccò Obi-Wan ad occhi sgranati, disattivando subito la sua spada.
Anakin ripose la propria alla cintura, sistemandosi il mantello noncurante e sforzandosi di non apparire troppo divertito dalle tipiche reazioni del suo vecchio Maestro. Si schiarì la voce per fuorviare e tornò a concentrarsi sulla situazione.
« Credevo fossi andato dall’altra parte a controllare che tutto fosse al suo posto. »
« Infatti, nessuno ha notato niente. Ti sto cercando da venti minuti, ad ogni modo, perché non hai risposto?! »
« Cosa? », chiese Anakin, sbigottito. « Ti ho appena lasciato all’ingresso… »
« Sì, venti minuti fa. »
Il Jedi non replicò in alcun modo, se non con lo sguardo più confuso che potesse comparire sul suo volto. Obi-Wan lo fissò altrettanto perplesso, non riuscendo a capire totalmente in che genere di guaio erano caduti – sarebbe stato uno scherzo troppo pesante anche per uno come Anakin. Rimasero per un attimo in silenzio a fare chiarezza, senza tuttavia ottenere grandi risultati quanto piuttosto molte altre domande.
Anakin scosse il capo. « Percepisco qualcosa di oscuro, forse ha a che vedere con questo. Non ho mai ricevuto tue chiamate, non credo che il comunicatore si sia rotto all’improvviso e mi sono fermato solo un momento quando –– », s’interruppe d’un tratto al pensiero che lo colse a quelle parole. Quando aveva provato le emozioni di Ahsoka e ne era stato del tutto soggiogato.
« Quando cosa, Anakin? »
« Niente, lascia stare », lo liquidò, scuotendo il capo con più convinzione. « Dobbiamo entrare subito nella stanza degli holocron, secondo Ahsoka chiunque stia attaccando il Tempio si trova lì dentro. »
« Temo che allora siano già scappati », disse Obi-Wan, pensieroso. « Vengo da lì, io e il Maestro Mundi abbiamo setacciato la zona e non c’è nessuno. »
« Questo non ha alcun senso… »
« Molte cose non ne hanno, a cominciare dal quadro generale della situazione. Un attacco simile è privo di organizzazione e di logica, non è certo nello stile di Dooku o di Grevious. Sembra opera di qualcuno con le idee poco chiare. »
« Bè, non certo di uno sprovveduto se è riuscito ad entrare al Tempio. »
« Magari è quello che i Separatisti vogliono far credere per togliere l’attenzione da loro », spuntò la voce di Ahsoka, che non aveva più detto una parola dall’arrivo inaspettato di Obi-Wan.
Anakin non era affatto convinto di ciò e un sospetto iniziò a tormentarlo, come un piccolo parassita. Un’idea.
« Va bene! », esclamò, « Forse sarebbe meglio dividerci, allora. Solo perché non ci sono tracce nella stanza degli holocron non significa che la minaccia sia sventata. Ho un presentimento e intendo seguirlo. Ahsoka, vai con Obi-Wan e state in guardia. »
La togruta non si oppose e annuì, mentre la confusione vagava indisturbata sul volto di Obi-Wan. Era talmente sorpreso dal fatto che Anakin volesse separarsi da lei che impiegò qualche attimo a fare dietrofront per riprendere a controllare la zona. Carpì qualcosa, il Maestro, lesse negli occhi del suo vecchio allievo quell’idea che aveva in qualche modo preso posizione nella sua mente. E non disse nulla, si limitò a sospirare e a tenere per sé domande e contestazioni.
Si addentrarono nel Tempio in silenzio e a passi furtivi.
Obi-Wan controllò quante più zone possibile, esaminò i corridoi e rimase sempre all’erta con la spada alla mano. Il sollievo faceva capolino sulla sua espressione quando toglieva dalla lista un’area, scatenando per contro però dubbi ancor maggiori.
« Anakin inizia a prendere fin troppo sul serio il suo ruolo di generale », disse con tono scherzoso, tenendo la voce moderata. « Si diverte come un ragazzino a dare ordini. »
Al suo fianco, Ahsoka non rispose. Annuì semplicemente, continuando a sondare con lo sguardo la via del Tempio.
« Comincio a capire il tuo bisogno di trasgredire le regole, mi rendo conto che a volte può risultare difficile seguire le sue direttive… », Obi-Wan si fermò e si rivolse accigliato in direzione di Ahsoka, « Non dirgli che l’ho detto. E sarà meglio procedere con la spada alla mano, dobbiamo essere prudenti. »
Prima che la togruta potesse rispondere, il Maestro aveva già compiuto un paio di passi in avanti. Lei attese qualche attimo, scrutò con un’ombra crescente sul volto la figura del Jedi che la precedeva. I suoi occhi si colorarono di giallo, s’incupirono, bruciarono di un nero incandescente le palpebre e gran parte della pelle sottostante.
« Sì, Maestro », bisbigliò Ahsoka, la spada laser accesa alla mano.
Era alle sue spalle, silenziosa e rapida. Le percezioni di Obi-Wan erano annebbiate e non poté percepire ne l’oscurità incombente ne la spada verde della ragazza puntata ad un’altezza per lui davvero pericolosa. Perché avrebbe dovuto sospettare di un’allieva, poi? Sapeva che la situazione non era delle migliori, ma non aveva ragioni tangibili per fiutare quel genere di pericolo; inoltre non conosceva Ahsoka Tano così in profondità da poter cogliere differenze sostanziali. Fortunatamente, qualcun altro sì.
Il braccio di Ahsoka si caricò d’energia e si mosse per trapassare con forza la schiena di Obi-Wan Kenobi. Emise un grido che si espanse nel corridoio, ma la spada laser non arrivò mai a toccare la vittima prefissata: il Jedi si volse di scatto, vide la mano di Ahsoka trattenuta e bloccata nonostante i suoi sforzi per tentare di colpirlo. Anakin era a qualche metro di distanza, ad impedire con la Forza alla sua stessa allieva di uccidere il suo Maestro.
« Anakin, è –– »
« Lo so! Spostati da lì! »
Obi-Wan non fece in tempo ad indietreggiare neppure di un passo per poter sollevare la sua spada; Ahsoka lo spinse con quanta più Forza poté contro la parete in fondo al corridoio. Fu scaraventato senza la minima esitazione sotto lo sguardo teso e incredulo di Anakin.
« Ahsoka, fermati! Questa non sei tu! »
« Finalmente dici qualcosa che abbia senso », rispose lei con una voce che non le apparteneva.
La rabbia prese per un attimo il controllo di Anakin Skywalker, che con il suo potere trascinò verso di sé la sua apprendista di parecchi metri, lasciandola a terra. Quel gesto gli costò un certo sforzo emotivo più che fisico, gli tolse il respiro e lo colmò con una preoccupazione non indifferente.
Ahsoka si rimise in piedi con facilità, la spada laser volò veloce al palmo della sua mano aperta.
« Ahsoka, ferma. »
« Fermarmi, Maestro? », disse sprezzante, volgendogli ancora le spalle. « E perché mai dovrei farlo? Sono esattamente dove voglio essere. »
Anakin si avvicinò di pochi passi, allungò l’occhio per assicurarsi che Obi-Wan stesse bene – magari un po’ ammaccato e incosciente, ma vivo. « Sapevo che qualcosa in te non andava. Cosa ti hanno fatto? »
Ahsoka rise, in un modo che si discostava sempre di più dalla sua personalità vivace e luminosa. « Niente che non farò anche a te, non ti crucciare. »
« Ahsoka… »
« Lei non è più qui », ribatté austera, voltandosi finalmente a fronteggiare Anakin Skywalker. « E presto la seguirai anche tu, Prescelto! »
La spada laser verde si accese e Ahsoka balzò contro Anakin con una rapidità tale da sorprenderlo. Bloccò l’attacco ad una spanna dal proprio volto, con una visuale quasi spaventosa del viso deformato dall’oscurità della sua padawan: le iridi gialle lo fissavano senza pietà, i muscoli erano rigidi, i denti stretti. Premeva per far calare quella spada e Anakin iniziò a sentirne il calore troppo vicino.
Non voleva affrontare Ahsoka, non voleva ferirla ma non poteva permettere che quella cosa la distruggesse e che coinvolgesse persone innocenti. Doveva fermarla. Ma come? L’allontanò da sé con impeto, deviando i colpi successivi evitando di passare all’offensiva direttamente.
« Ahsoka, non farlo », disse prima di accucciarsi per schivare l’ennesimo fendente. Tentò di sferrare un attacco solo per guadagnare terreno ed avanzare. Non funzionò esattamente come Skywalker aveva pensato: Ahsoka era sempre stata troppo agile per la sua età e si ritrovò a desiderare che, per una volta, non fosse così. Desiderio vano.
« Hai paura, Prescelto? », sputò per nulla intenzionata a fermarsi, continuando a far vibrare la spada laser a destra e a sinistra. « Sento la puzza del terrore che provi, presto ne sarai consumato! »
Anakin indietreggiò e si sporse indietro per evitare di essere fatto a pezzettini dalla sua allieva. Poi piazzò la sua spada in posizione verticale, accanto al suo volto, placando con tutta la forza delle sue braccia la lama verde di Ahsoka.
« Non consumerai lei, però », disse a denti stretti.
Le labbra della ragazza si distesero lentamente, millimetro dopo millimetro. « È tardi, ormai. »
Quelle parole colpirono Anakin in pieno volto, fecero esplodere la sua rabbia in un modo che sarebbe dovuto essere sconosciuto e proibito ai Jedi. Vide i chiari flash degli avvenimenti su Mortis attraverso gli occhi corrotti di Ahsoka, vide il loro scontro, la sua morte.
Sì, era morta Ahsoka, e quella era la ragione che lo aveva spinto a riconsiderare dal principio la sua partecipazione alle missioni più pericolose. Aveva provato un dolore inconciliabile alla vista del suo corpo privo di vita, si era sentito un fallimento, si era sentito impotente e debole. Non poteva permettere che succedesse di nuovo, che qualcuno che amava morisse sotto i suoi occhi, che gli sfuggisse tra le dita come polvere, che lo abbandonasse. Era sua responsabilità agire e allora seppe cosa fare, come scrivere a quell'evento un finale diverso.
Anakin lasciò che l’ira percorresse il suo corpo, che lo attraversasse e scendesse, svanendo. Non perse di vista lo sguardo di Ahsoka e iniziò a mollare la presa, indietreggiando. Spense la spada.
La togruta parve stupita della sua reazione e seguì il suo esempio senza un motivo preciso: ora erano entrambi disarmati, ma ben presto Ahsoka recuperò il proprio vantaggio. Sollevò una mano e utilizzò la Forza per serrare la gola di Anakin in una morsa pungente.
« Ora cadrai, Prescelto. Cadrai sapendo che ogni tentativo di salvare il tuo prezioso Ordine è fallito, proprio come te. Il Lato Oscuro è già qui. »
Il volto di Anakin s’irrigidì in una smorfia di dolore. « Ahsoka… »
« Lei non c’è più! », gridò per tutta risposta, le gialle incandescenti sgranate.
La mano minuta era sospesa nella distanza minima rimasta tra lei e il Maestro, le dita arcuate e in procinto di stringersi sempre di più, fino a chiudersi in un pugno. La Forza fluiva e con essa il potere cui stava attingendo. Il potere del Lato Oscuro.
Ahsoka non l’aveva mai utilizzato per attaccare qualcuno, per immobilizzare una persona, per impedirgli qualsiasi movimento, e ne fu sopraffatta. Toglieva ossigeno ad Anakin ed ogni attimo trascorso, ogni frammento assorbito era un passo di più verso l’abisso dell’ombra. Ma dopotutto ne era già ricolma, strabordante come un vaso pronto ad esondare.
Strinse i denti, le dita tese e per nulla intenzionate a mollare la presa. Più Anakin tentava di contrastare la sua azione con il suo potere e di resistere, più l’ira sedimentava nei meandri delle sue emozioni trattenute, chiedeva a gran voce d’essere liberata e radere al suolo qualsiasi cosa sul suo cammino. La percepiva selvaggia e indomabile, come una furia sguinzagliata ed incontrollabile.
Era arrabbiata, frustrata, impaurita. Tutte sensazioni che conosceva bene, nonostante non le appartenessero, almeno non di solito. Ahsoka le aveva percepite talvolta provenire dal baratro più offuscato e cupo del suo Maestro, specialmente quando si trattava di delicate faccende del suo passato o delle persone a lui care. Si sentiva uguale ad Anakin e lo odiava per questo.
« Ahsoka – ascoltami – non ti lascio », riuscì a dire con voce stroncata. « Non me ne vado. »
Ahsoka guardò il dolore negli occhi contratti di Anakin e sorrise. « Allora morirai. »
In quel momento, Anakin smise di opporre resistenza, smise di lottare. Le sue braccia scivolarono come prive di vita lungo il suo corpo, le labbra si schiusero e il suo volto si rilassò con amarezza alla morsa di Ahsoka.
Il respiro lasciò definitivamente i suoi polmoni e la sgradevole sensazione di andare fuoco lo invase. Dovette reprimere l’istinto di sopravvivenza che gli ordinava a gran voce di ribellarsi, di cercare di muoversi, d’inspirare, di fare qualsiasi cosa. Dovette sopprimere anche la rabbia covata e nascosta verso il Lato Oscuro che aveva osato di nuovo toccare la sua Ahsoka. Si lasciò andare.
Ahsoka non cessò di usare la Forza contro di lui, ma lo guardò confusa. Cosa voleva fare? Forse dopo tutto il clamore e la reputazione del suo nome Anakin Skywalker voleva morire davvero? Bè, lo avrebbe senz’altro accontentato, nonostante lo preferisse vivo e soggiogato.
La sua espressione si dipinse di pura determinazione, già prefigurava il momento della vittoria e non sarebbero stati un paio di Jedi incapaci a fermarla. No. Niente poteva frapporsi fra la Luce e l’Oscurità, l’eterna dicotomia ove molti si erano intromessi ed erano sfortunatamente finiti come presto avrebbe concluso il suo viaggio Anakin Skywalker. Obi-Wan Kenobi lo avrebbe raggiunto subito dopo.
Gli occhi azzurri del Maestro erano fissi su quelli gialli e contornati da venature nere di Ahsoka. La disturbava quello sguardo fermo, ancora troppo determinato per i suoi gusti. Provò un moto di fastidio nell’osservarlo e dovette distogliere la vista per soccombere ad un brivido.
« Ahsoka », si sforzò di far uscire un filo di voce Anakin.
Ahsoka emise un lamento, serrò le palpebre e si contorse sul posto. La mano ebbe un lieve cedimento e la presa si allentò.
« Ahsoka, guardami », Anakin sfruttò la sua temporanea debolezza, l’usò per aggrapparsi a quella flebile luce che ancora riusciva ad intravedere: la speranza. « Guardami. »
La presenza del Jedi stava divenendo insopportabile per Ahsoka, che portò freneticamente la mano libera alla tempia. La sua voce, quello sguardo, la sua resa così calma, quieta, piena di disgustosa fiducia, le facevano venire la nausea e trattenere il fiato. Una fitta iniziò a farsi sentire all’altezza del petto, la testa le doleva. Non c’era spazio in mezzo a quel caos, non c’era abbastanza spazio…
« Ahsoka, guardami. »

Ahsoka si fissò di scatto su Anakin, le iridi gialle sgranate ed immobile. Se avesse avuto la capacità di gettare fiamme al solo sguardo, avrebbe incenerito il suo Maestro. Ma più lo guardava e più sentiva dolore.
Voleva ritrarsi, tesa come un fascio di nervi in procinto di spezzarsi duramente. Non riusciva ad incontrare i suoi lineamenti, a vedere il suo sguardo, a percepire la sua resistenza caduta senza ripensare alle volte in cui le aveva salvato la vita, o ai momenti in cui avevano agito come una persona sola. Aveva chiara di fronte a sé l’immagine della sua preoccupazione quando era stata catturata e gettata in un’arena per essere cacciata, il sollievo e la gratitudine della sua presenza, dei suoi insegnamenti. I suoi occhi, quando per la prima volta si erano trovati davvero e non fisicamente, nello stesso posto, ma più in profondità. Maestro e apprendista. Un legame difficile da spezzare, maggiormente difficile da instaurare.
« Va tutto bene », sussurrò Anakin.
« No… », emise con un filo di voce, un lamento, una supplica. Scosse il capo sempre più freneticamente, respirando a fatica. « Non c’è abbastanza spazio… non c’è spazio… »
Paura. Rabbia. Dolore.
La mano di Ahsoka cessò di agire e Anakin fu libero. La ragazza si accasciò, le dita alle tempie, cercava di contrastare quella sofferenza inspiegabile, che non riusciva a comprendere. Una voce le ordinava di rialzare quella mano maledetta e di spingersi oltre al limite per uccidere il suo Maestro, per uccidere Obi-Wan. Ahsoka non voleva ascoltare quegli ordini, odiava dover rispettare le imposizioni e le regole non le erano mai andate a genio, soprattutto se ti trattava di questo genere di comandi.
Non poteva farlo, non quando a quelle urla corrispondevano ricordi preziosi che assieme formavano l’essenza di Ahsoka Tano. Il suo incontro con Plo, l’arrivo al Tempio, la sua assegnazione al Maestro Skywalker, la vicenda della fabbrica dei droidi Separatisti, quando lei e Barriss erano intrappolate sotto alle macerie. E Anakin non aveva perso la speranza, era rimasto. Era rimasto per lei.
« Non posso farlo… non voglio… »
Anakin era contro la parete, riprendeva fiato. Cercò di allungare una mano verso la sua padawan, che si allontanò. « Ahsoka… »
« Non c’è spazio, non posso… »
Qualcosa scattò nella mente di Anakin, esattamente come l’idea parassita che l’aveva convinto della stranezza di Ahsoka, e le afferrò con più sicurezza un braccio. Non importava che il suo respiro si stesse ancora stabilizzando, si fece forza e l’avvicinò a sé abbastanza perché potesse di nuovo guardarlo negli occhi, faccia a faccia.
« No! », si ribellò Ahsoka, strattonando e stringendo al tempo stesso le braccia di Anakin.
Evitò il suo sguardo fin quanto poté ed in fine cedette, sentendosi inondare dalla limpidezza dei suoi occhi stanchi. Non la lasciava andare, condivideva l’oppressione di quella cosa, di quella ignota onda oscura.
Ahsoka smise di opporsi e lasciò che Anakin la sostenesse. Si fidò, nel profondo, come lui aveva fatto prima, mettendola alle strette, fidandosi.
« Ahsoka, va tutto bene. Guardami. »
Lo stava guardando, Ahsoka, respirando a fatica, lottando, resistendo alla tempesta che imperversava nel suo cuore. « Maestro – », sussurrò a labbra contratte, « non voglio farlo. »
« Andrà tutto bene, fidati di me. Lascia andare. »
« No… », scosse il capo tra sé Ahsoka.
« Lascia andare. »
Il dolore era insopportabile e un velo di lacrime offuscò la vista della togruta, che serrò le palpebre con quanta più forza aveva in corpo. Il contatto visivo con Anakin era interrotto, ma lui strinse di più le sue braccia, la intrappolò.
“Lascia andare.”
“Andrà tutto bene, fidati di me.”
Due scie salate attraversarono il volto di Ahsoka, dissolsero la sofferenza, la paura, la rabbia; trascinarono via l’oscurità, il caos e il rumore. Tutto tacque.
Ahsoka barcollò sul posto, esausta e senza fiato, sorretta da Anakin, che l’abbracciò istintivamente. Era finita, qualunque cosa fosse successa tra le mura di quel luogo sacro e inviolabile… era finita.
Lo sguardo di Anakin vagò alla ricerca di Obi-Wan, ancora privo di sensi. « Bè, furbetta, forse è il caso di riconsiderare il tuo soggiorno negli Archivi », disse provato e tuttavia sarcastico. Ahsoka poteva persino giurare d’intravedere una nota divertita nella sua espressione, il che non era un fatto da escludere. Come non erano da escludere le spiegazioni più creative che sarebbero state presto discusse dal Consiglio.


Anakin riconobbe a prima vista la figura esile e voltata di Ahsoka. Si fermò ad osservarla, lasciando che Obi-Wan e il Maestro Windu proseguissero lungo il corridoio soffuso.
Il Consiglio era stato molto chiaro in merito, tutti si erano trovati concordi: qualcosa di terribile si muoveva all'ombra della guerra, silenzioso e letale. Gli ultimi avvenimenti al Tempio erano solamente un monito, un avviso che nessuno avrebbe dovuto sottovalutare. L'oscurità era tra loro, in agguato, palpabile e potente, solo in attesa di un passo falso o di un momento di debolezza per cogliere la luce alla sprovvista, per spegnerla.
Ahsoka stava usando la Forza, le mani indirizzavano al loro posto dati appartenenti alla sezione ingegneristica, messi a soqquadro dopo lo scontro. In effetti i danni riportati non erano stati parecchi, ad esclusione delle bruciature causate dalle spade laser. Era il disordine a dilagare e, fortunatamente, molti allievi Jedi stavano sostituendo l'addestramento pomeridiano con del sano volontariato in aiuto di Jocasta.
« Sapevo che in fondo ti saresti divertita negli Archivi, furbetta », disse Anakin, una volta attraversato il corridoio.
Ahsoka non si volse subito, ma il Jedi riuscì comunque a cogliere il lieve movimento delle spalle e ad immaginare il disappunto sul suo volto. Disappunto accompagnato da qualcos'altro, la vera ragione per cui aveva deciso di compiere quella breve deviazione, considerando che ancora non aveva avuto modo di parlarle dopo l’accaduto.
« Qualcuno doveva rimanere a sistemare questo macello », rispose l'apprendista, decidendosi ad incrociare lo sguardo del Maestro, seppur con una piccola smorfia. Niente di più diverso dall'essere contrariata, però, quanto forse dispiaciuta e in parte maggiore consapevole della propria colpevolezza. E abbattuta. Non riusciva neppure a guardare in faccia Anakin per un lasso di tempo prolungato.
« Credo che quello sia nel posto sbagliato. »
La giovane togruta puntò la coda dell'occhio verso lo scaffale, mentre una scheda lasciava il posto e raggiungeva quello affianco. Sospirò, Ahsoka, non sapendo se ringraziare o meno l'intervento di Anakin. Forse avrebbe dovuto e ancora non ne aveva avuto occasione, soprattutto per averle salvato di nuovo la vita.
« Bè, che cosa vuoi, Skycoso? », sbottò con una scrollata di spalle. « Non penso che tu sia qui per aiutare a rimettere in ordine. Spero non per controllarmi. »
Sulle labbra di Anakin apparve un accenno di sorriso. « No, volevo assicurarmi che stessi bene. Obi-Wan ha richiesto la nostra presenza in una missione, partiamo domani. Dovresti andare a riposare e lasciare questo lavoro agli altri. »
« Sto bene. »
Il Maestro esaminò qualche istante la sua padawan, anche se non ne aveva davvero bisogno. Percepiva il suo stato d'animo, l'aveva sentito nel momento esatto in cui aveva discusso dell'accaduto assieme agli altri Jedi e leggerlo attraverso il blu di quelle iridi non era altro che un'ulteriore conferma.
« Ahsoka, non devi rimproverare te stessa. Non è stata colpa tua, hai fatto tutto ciò che era nelle tue possibilità e nessuno avrebbe potuto agire diversamente. »
« Avrei potuto ucciderti. »
« Non sopravvalutarti, furbetta, ho sempre un asso nella manica », replicò Anakin, coprendo a fatica un ghigno impertinente.
Ahsoka assottigliò lo sguardo infastidita. « Avrei potuto uccidere il Maestro Obi-Wan », sottolineò, per nulla intenzionata a demordere.
« Fortunatamente sono io l'asso nella manica di Obi-Wan. »
Gli occhi della giovane schizzarono verso l'alto, increduli e al tempo stesso alla ricerca di un punto in cui fissarsi che non fosse l'espressione compiaciuta e insopportabile di Anakin Skywalker.
Una parte di sé apprezzava ardentemente il fatto che cercasse di alleggerire il peso della situazione, perché Ahsoka non aveva dubbi su questo: sapeva di non poter nascondere niente al suo Maestro, per quanto talvolta cercasse di deviare la sua attenzione. Anakin comprendeva sfumature dei suoi pensieri che lei stessa faticava a capire, e anche questo era un altro motivo per essergli grata. Ma ora era diverso.
Il giorno precedente non era stato come il "sogno" su Mortis, in cui l'Oscurità aveva contaminato e logorato il suo animo con le tenebre – o almeno era quello che Ahsoka poteva supporre dai frammenti sconnessi di cui aveva ben poca memoria. Quello era stato uno sogno, un sogno terribile, un incubo, ma pur sempre tale. Solo un sogno.
L'attacco al Tempio invece era stato reale e Ahsoka ricordava ogni istante, come immagini ripetute continuamente in una sequenza infinita nella sua testa, un vortice perpetuo in cui affrontava il suo Maestro, il Maestro del suo Maestro e i suoi stessi demoni. La cosa peggiore, però, era stata la scoperta di averne: mostri celati e silenti, in attesa della giusta occasione per emergere, di una scintilla. Come poteva Anakin Skywalker rimediare a ciò?
« Ascolta, hai agito bene », riprese il Maestro, barricando la leggerezza dietro ad un muro di apprensione. « Hai impedito che la situazione degenerasse, che venissero coinvolte persone innocenti e dovresti essere fiera di questo. Io lo sono. Non hai affrontato un’orda di droidi da guerra, hai combattuto contro il peggior nemico di ogni Jedi: te stessa. »
« Immagino che il Consiglio prenderà seri provvedimenti. »
« Perché dovrebbe? Hai superato una prova che non tutti sono in grado di sopportare, hai dato uno sguardo alla paura e alla rabbia e gli hai voltato le spalle. Cammina a testa alta, Ahsoka. »
Le parole di Anakin attirarono prepotentemente la sua attenzione, nonostante non fossero abbastanza forti da scalfire del tutto l'armatura che aveva indosso da poche ore. Si sentiva intaccata, sporca, priva di difese e in colpa. Ma sarebbe sopravvissuta anche a questo.
« Grazie, Maestro », disse semplicemente.
Anakin si limitò a compiere un cenno col capo, conscio di quanto quel “grazie” si riferisse al fatto di averle salvato la vita piuttosto che all’elogio del suo buon lavoro. Non insistette maggiormente e anzi, comprese che in quel momento la sua allieva stava anteponendo qualcosa di molto più importante al riconoscimento del suo talento. E, in silenzio, ne fu orgoglioso.
« Maestro? », lo chiamò Ahsoka, prima che potesse allontanarsi.
Il Jedi non mosse un passo, si volse a sopracciglia inarcate, in attesa.
Ahsoka impiegò qualche secondo ancora per permettere alla propria voce di fuoriuscire, ponderando neanche così bene il peso di ciò che voleva dire. Era impulsiva per natura, ma non poteva negare di aver riflettuto a lungo nelle ultime ore, più di quanto si sarebbe aspettata.
« Come lo sapevi... », iniziò esitante, utilizzando le mani nella speranza che gesticolando avrebbe acquistato maggior sicurezza nel rendere concreto quel dubbio. « Come sapevi che non ero… io? Insomma, come... »
« In tutte le battaglie e le missioni in cui abbiamo combattuto insieme, non ti ho mai vista tirarti indietro e lasciarti prendere dal panico. Per non parlare del fatto che mi hai apertamente dato ragione su qualcosa. E poi… di solito sono io quello che urla al vento di non correre in braccio al pericolo quando decidi di non ascoltare i miei ordini e fare di testa tua. »
La spiegazione molto sarcastica di Anakin sembrava tanto semplice quanto ovvia, mentre Ahsoka iniziava ad avvertire un lieve, lievissimo imbarazzo colpevole. Naturalmente si trattava di un sentimento passeggero: in pochi minuti ( se non secondi ) si sarebbe addirittura scordata di averlo provato, visto e considerato il loro rapporto fin troppo confidenziale. Mai ci fu volta in cui la prima constatazione del Jedi fu più vera: Ahsoka Tano non sarebbe mai sopravvissuta allo status di padawan con qualsiasi altro Maestro.
« Mi dispiace? », abbozzò la giovane con un sorrisino ben costruito.
« La tua noncuranza delle regole e dell’autorità ti ha salvato la vita questa volta, quindi chiuderò un occhio, o magari due. »
Ahsoka sorrise, facendo sparire ogni traccia di artificio e furbizia da quel gesto. I dati dell'Archivio l'aspettavano e aveva come il sentore che li avrebbe guardati diversamente, con un piccolo pezzo del puzzle decifrato, con un'incertezza quantomeno risolta. Il resto avrebbe potuto aspettare, se non altro fino alla prossima occasione.
« Ah, Ahsoka. Prima, quando ho detto che Obi-Wan ha richiesto la nostra presenza e che dovresti andare a riposare non era un consiglio, era un ordine. Non ho intenzione di diventare cieco. »
« Ai tuoi ordini, Skycoso », replicò Ahsoka fingendosi accomodante e restando poi a guardare il Maestro percorrere la sala del Tempio.
Il suo sorriso scomparve e con esso la smorfia sarcastica. Ahsoka fissò seria i passi di Anakin, uno dopo l’altro, domandandosi se forse… se forse non ci fosse una vera ragione di fondo a tutti quegli eventi così strani ed inspiegabili. Niente accadeva mai per caso, era un fondamento costante della vita di un Jedi. La Forza agiva in modi sconosciuti, talvolta incomprensibili ma pur sempre coerenti ad una strada ben tracciata per ognuno. Qual era, dunque, il significato di quell’oscurità? Cos’aveva insegnato ai Jedi? Che il Lato Oscuro incombeva come già sapevano?
Apparentemente niente. Ahsoka tornò a rimettere in ordine gli ultimi pezzi rimasti prima d’incamminarsi nella propria stanza come da ordini. Apparentemente niente, ripeté durante il tragitto, portando appresso un grande dubbio irrisolto. Dubbio che, non poteva sapere allora, era il seme di ciò che si sarebbe scatenato nell’Ordine dei Jedi.
Il dubbio.


present day

« Quindi la tua idea sarebbe questa: vagare in giro per la galassia senza avere un’idea precisa di cosa fare e dove andare? »
Drake era seduto comodamente sulla poltroncina del pilota, nella cabina della Narada. Si era girato in modo da essere rivolto verso Lynn, che troneggiava in piedi con una mano poggiata al sedile del co-pilota. Lo scrutava accigliata.
« Qualsiasi cosa sembra stupida detta in questo modo! », si lamentò lui, allargando le braccia e lasciandole ricadere pesantemente sui braccioli della sedia. Poi sbuffò e annuì. « Sì, quella sarebbe l’idea. O almeno penso che sia quella, non sono sicuro di cosa dovrei fare con Marek e Ashla e la guerra. Non sono sicuro di niente, Lynn. »
« Capisco », disse la mirialana, incrociando le braccia al petto. « Ma non è un buon motivo per intraprendere una sorta di strada che non si può nemmeno definire in questo modo. »
Gli occhi verdi di Drake si spalancarono appena a quelle parole, le stesse pronunciate dalla voce calma e vera di Ahsoka. Avevano ragione, lo sapeva bene. Ciononostante la situazione non diveniva in un lampo meno complessa solo perché non esistevano ragioni valide al lasciarsi andare alla deriva. Drake aveva scelto la via facile per anni, iniziava a sentire ora il peso della via giusta.
Distolse lo sguardo con esitazione, stringendo le labbra.
« Ascolta, Drake », riprese Lynn, spostandosi per occupare la poltrona del co-pilota. « Io capisco… capisco davvero come ci si sente a ritrovarsi sbalzati all’improvviso fuori dalla propria vita, senza più niente che riconduca ad un passato ormai perduto. Sai bene quanto riesca a capirti e quanto mi addolori la morte di Sienna. Ma tu sei ancora vivo. Marek è qui, ha bisogno che suo padre torni ad essere lo sbruffone sicuro di sé che ho conosciuto molti anni fa e che sono sicura sia nascosto da qualche parte, lì dentro. »
Le labbra di Drake si spiegarono in un sorriso abbozzato, mentre un’espressione compiaciuta tentava di apparire attraverso l’incertezza. Non durò a lungo, però: un pensiero solcò la sua mente, trasformandosi in evidente rimorso e dolore. Una sofferenza silenziosa, una ferita mai cicatrizzata del tutto, che molto spesso sanguinava e lo dilaniava.
« Quell’uomo ha mollato la baracca da tempo », disse Drake, nauseato dal ricordo che lo stava trascinando giù a picco. « Non sono io… »
Scosse il capo in maniera quasi impercettibile, senza più cercare gli occhi di Lynn Ronan. Lei aveva sempre la cosa giusta da dire e non voleva sentire la sua voce dolce, nettamente in contrasto con la tosta personalità che lui aveva avuto modo di conoscere molto bene. Qualsiasi parola non avrebbe colmato la voragine chilometrica che dimorava all’altezza del suo stomaco.
« Ho affrontato Carter, prima di tornare su Coruscant. »
« Tu – cosa? »
« Mh », annuì Drake, inspirando una boccata d’aria eccessiva. « Per un attimo ho pensato che mi avrebbe ucciso, anche se da povero sciocco ho continuato a sperare che guardandomi negli occhi sarebbe riuscito a perdonarmi. Ma non è stato così e non lo sarà mai. »
« Drake… »
« È morto per colpa mia, Lynn. Carter ha perso suo figlio per colpa mia. »
« Non puoi saperlo… »
« , invece », ribatté con fermezza, ora penetrando gli occhi dell’amica con i propri. « Non sarebbe accaduto se non fosse stato per la mia stupidità, la mia impulsività nel credere che sarebbe stato tutto così facile e banale. Sono stato… avventato! Il figlio del mio migliore amico è morto. Mia moglie è morta. Il mio migliore amico vuole la mia testa su una picca e stava per uccidere mio figlio ed una ragazza che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. »
Drake era senza fiato, cercò di recuperarlo in maniera piuttosto maldestra e affannosa. Il suo sguardo determinato non ammetteva repliche da parte di Lynn, che lo fissava semplicemente. La mirialana sbatté le palpebre più volte, serena.
« Hai finito..? »
« Sì! », sbottò ancora Drake, obbligandosi in fine a tacere.
Le sopracciglia corvine di Lynn scattarono verso l’alto, formarono un arco perfetto. « Bene. Allora possiamo tornare a parlare della tua folle idea non idea. »
Drake si accomodò esausto alla poltroncina, sbuffando. Mosse un cenno con una mano, troppo coinvolto dai pensieri a cui aveva appena dato voce per interessarsi alle giuste osservazioni di Lynn. « Prego. »
La mirialana inspirò, scrutandolo impassibile. « Carter non ti perdonerà mai. »
Lo sguardo di Drake mutò in un lampo, passando in rassegna dapprima la confusione e poi una sarcastica accondiscendenza. « Ti ringrazio per la tua sincerità, tesoro, davvero. Sono estasiato… »
« Non ti perdonerà mai finché non riuscirai prima a perdonare te stesso, Drake. »
Tacque, l’uomo, cancellando dal suo volto ogni traccia d’ironia. Ecco proprio ciò che doveva aspettarsi da lei, Lynn Ronan, la seconda persona al mondo capace di fargli il dono della vista di fronte ad un realtà che aveva avuto davanti al naso per anni. E a cui aveva più volte voltato le spalle.
« Vorrei tanto sapere come… », sussurrò con lo sguardo nuovamente a terra, affranto. « Dimmelo tu, Lynn. Dimmelo ed io lo farò. »
« Nessuno può farlo. Non so dirti come si fa… »
« Io non… », s’interruppe Drake, scuotendo il capo, « non lo so. Non riesco ad accettare questi avvenimenti, non riesco neanche a capire come siano potuti succedere. Non ho mai voluto che qualcuno si facesse male, che qualcuno morisse a causa mia. Ho pensato… che smettendo di agire avrei potuto almeno proteggere ciò che rimaneva della mia famiglia, ma la verità è che avevo paura ed ero paralizzato dal senso di colpa. Anche adesso lo sono, perché temo che una mia scelta programmata possa mettere in pericolo Marek o quella ragazzina che – diamine, ha saputo capire in pochi istanti quello che io ho voluto seppellire per anni! »
« E cos’è? »
« La paura, Lynn. La paura… », rispose con un filo di voce, pieno di consapevolezza. Senza neppure accorgersene, Drake stava affrontando l’ultima vera battaglia, la resa dei conti. « Paura di soffrire, di dover provare senso di colpa, vergogna; paura di non essere il padre che mio figlio merita e di non essere forte abbastanza per affrontare quello che c’è là fuori. La Repubblica sta combattendo da troppo tempo una guerra che non può vincere e qualsiasi vittoria sarà comunque una sconfitta. »
Oltre la porta socchiusa della cabina di pilotaggio, Marek osservò per un’altra manciata di secondi il rimorso di suo padre. Spostò piano lo sguardo, iniziando a sentirsi un viscido ladruncolo scoperto ad assistere a quella conversazione. Non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe voluto sapere, vedere e sentire i pezzi mancanti di quell’assurdo puzzle: il puzzle del cuore di suo padre. Non era giusto.
Guardò a terra, i propri piedi. Lasciando un sospiro, s’incamminò attraverso i corridoi della nave, i pensieri immersi in tante domande quant’erano le rispose di cui si era appena appropriato di nascosto, ladro nella notte. C’era una ragione alla rabbia e all’odio di quell’uomo, quel prepotente che aveva reso gli ultimi anni della loro vita un inferno, Carter Neely.
Marek riusciva a capire, riusciva a comprendere quanto poco si fosse trattato di affari e quanto invece fosse una questione personale mai estinta. Non provava neppure rancore per suo padre, che ai suoi occhi si era sempre comportato come un codardo in fuga, un cacciatore in disgrazia che scendeva a compromessi pur di sopravvivere, un miserabile. Anzi, si odiò per questo. Se solo gli avesse raccontato la verità, se non gli avesse mentito, se non gli avesse fatto credere di essere qualcosa che non era, se avesse condiviso con lui il suo dolore, se solo…
Le cose sarebbero potute andare diversamente? Bè, forse no. Marek aveva comunque perso sua madre, lui e Drake sarebbero stati dei fuggitivi, alla ricerca di una via di scampo dal loro stesso passato e un rifugio per sopravvivere alla guerra galattica. Esattamente come ora.
Indugiò quando giunse di fronte ad una cabina aperta, in cui intravide la figura ancor più minuta di Ahsoka. Era seduta sul letto, lo sguardo basso, le braccia e le spalle come chiuse su se stesse. Marek pensò che sarebbe potuta scomparire da un momento all’altro e qualcosa lo spinse ad impedire che ciò avvenisse.
« Ahsok – Ashla », disse dopo aver fatto un passo, varcata la soglia. « Scusami, io… »
Ahsoka si voltò a guardarlo con tranquillità, ritrovando una minima parvenza di pace nell’allontanarsi dai meandri della solitudine. « Non ti preoccupare, capisco che la situazione sia… insolita. »
Marek strinse le labbra in una smorfia, pienamente consapevole di doversi mordere la lingua e contare fino a dieci prima di dar libera uscita a qualunque suo pensiero.
« Non uso quel nome da un pò… »
« Quindi eri davvero un Jedi? »
« No », replicò Ahsoka, ancora in balìa di quel precario equilibrio. Era la sola presenza di Marek a mantenerlo, a far sì che non crollasse in mille frammenti come le lacrime versate al Tempio e durante il tragitto verso la nave. « Ero un’apprendista. Il genere di allieva che a fatica si adegua alle convezioni e non rispetta le regole quando può seguire l’istinto. Ma poi… è stata una mia scelta, andarmene. »
Il ragazzo osservò i lineamenti di Ahsoka, il modo in cui annuì velatamente, l’inestimabile accenno di sorriso che la rendevano la sconosciuta più affidabile del mondo. Forse aveva subito instaurato un legame dal giorno in cui lo aveva salvato alla locanda, forse aveva allacciato a lei un filo invisibile, forse erano più simili di quanto ancora potevano sapere, ma Marek sentiva di poter rivelare qualunque cosa ad Ahsoka. Ahsoka o Ashla, quale che fosse il suo nome, non sembrava avere poi così tanta importanza.
Si avvicinò a passi silenziosi, prese posto accanto alla togruta, posando lo sguardo nella parete di fronte grigia di fronte a sé.
« Io non sono nemmeno sicuro di sapere esattamente cosa sia un Jedi, quale sia il suo ruolo », iniziò, con l’ennesima smorfia stampata sul volto, « una volta ho sentito mio padre che raccontava qualcosa a mia madre, ma è stato tempo fa. »
Le sue parole catturarono l’attenzione di Ahsoka, che l’osservò con profonda comprensione. « Ti manca molto, non è vero? »
Marek annuì, facendo scivolare lo sguardo dalla parete di metallo al pavimento. « Quel pianeta ha preso molti più pezzi di noi di quanto non sembri. »
« Come… com’è morta? »
« È caduta. Io ero sull’altro lato della montagna, non ricordo bene con chi… dovevo aspettare che lei e mio padre attraversassero il valico, ma sono stati attaccati. Ho visto la roccia sgretolarsi sotto i suoi piedi e l’ho vista cadere. »
Il silenzio avvolse quella dolorosa confessione, quel segreto rivelato. Insolito, per Ahsoka, che mai all’infuori di Plo Koon e Anakin aveva parlato del proprio passato. Eppure giunse alla consapevolezza di avere realmente molte affinità con Marek, nonostante si conoscessero in così minima parte, per nulla in effetti. Aver affrontato l’ultima settimana e il ritorno su Coruscant aveva però innescato in loro un meccanismo non indifferente.
« Anche i miei genitori sono morti », disse semplicemente Ahsoka, mettendosi a sua volta in gioco. Non erano soli, nessuno dei due.
« Mi dispiace… »
« È passato moltissimo tempo. I Jedi sono diventati la mia famiglia, o almeno lo erano. »
Marek sollevò lo sguardo per posarlo su di lei. « Fino a quando non hai scelto di andartene. »
« Sì. »
« Bè, sembra completamente privo di senso quindi vuol dire che è del tutto normale. »
Sul volto di Ahsoka si espanse quel piccolo accenno di sorriso, corse ad incontrare gli occhi di Marek, che parlavano ancor di più di quanto egli stesso non facesse. Per un attimo, un fugace e misero istante, le parve di sentire la presenza di Anakin al suo fianco, il suo inconfondibile modo di sdrammatizzare ogni tipo di situazione, di alleviare con facilità gravosi macigni.
Le crepe nel suo precario equilibrio si colmarono in quel momento, si riempirono nell’illusoria sensazione d’integrità.
« Già. L’Ordine non è come te lo aspetti. I Jedi sono… pacifici, equilibrati, saggi. Almeno questo era quello che erano in principio. Sono molto sensibili alla Forza, perciò il loro compito è essere guardiani della pace e mantenere l’equilibrio nell’universo. »
« Cos’è la Forza..? »
« La Forza è – è complicato. Non credo che sia una cosa o un’entità, una definizione. La Forza è ovunque, attraversa tutto ciò che esiste e tutto ciò che esiste è parte di essa. Il Maestro Yoda diceva sempre che non siamo diversi da una pietra, da una nave o da un insetto: siamo manifestazioni diverse della stessa Forza e un giorno torneremo ad unirci ad essa. »
La spiegazione apparentemente chiara – e mnemonicamente imparata – di Ahsoka non faceva una piega e Marek si ritrovò ad osservarla perplesso, con un occhio socchiuso rispetto all’altro.
La storia che aveva udito da suo padre e da sua madre, più che altro una voce, non aveva niente a che vedere con strane connessioni ed inspiegabili leggende sui fondamenti spirituali dell’universo.
Annuì comunque, assorto, mugugnando tra sé. « Wow, sembra… complicato. »
Ahsoka non poté fare a meno di tentare una risata alla vista della sua espressione palesemente confusa e accigliata. Chi avrebbe mai potuto capire una cosa del genere non avendo mai sentito parlare neppure dei Jedi e dell’equilibrio universale? Quasi si stupiva Ahsoka stessa delle nozioni assimilate, di quanto avesse imparato a comprendere quel legame con la Forza ancora così imprevedibile e incomprensibile.
« Lo è », disse divertita, costringendosi a tornare seria con una smorfia. « Ma le cose sono diverse ora, credo stiano cambiando già da un po’ con questa guerra… »
« Diverse? Che vuoi dire? »
« Non lo so. I Jedi sono cambiati, avverto questa… diffidenza, questa sorta di mano oscura che è calata sul Tempio. Non è stato sempre così, però. »
Marek sospirò, lo sguardo ancora fisso sulla togruta. In un certo senso, quel pianeta desolato e traditore aveva tenuto lui e suo padre lontano dal conflitto e dalle brutalità della guerra, al punto d’arrivare a chiedersi se ancora stesse tenendo in ginocchio la galassia.
« Per questo hai deciso di andartene, di lasciare la tua famiglia? Perché le cose sono cambiate? »
« Sì… e no. Prima di allora non avevo mai dato veramente peso a quello che stava succedendo, non avevo pensato… », sospirò e la voce smise semplicemente di dar voce ai pensieri, o forse furono i pensieri a svanire e con essi la voce.
Ahsoka non lo sapeva, così come non sapeva trovare il modo di rispondere alla logica questione di Marek. Si sentiva persa, affranta, delusa, sola, in bilico su di una piattaforma instabile nel bel mezzo di un abisso profondo in cui la minima incertezza sarebbe potuta essere fatale. Fatto curioso viste le molte insicurezze della togruta, emerse solamente dopo l’abbandono dell’Ordine. Ma era davvero così? Erano emerse solo di recente le sue insicurezze? Oppure erano già sedimentate in remoti angoli del suo cuore, della sua mente arguta, in attesa della giusta occasione per venire a galla? Non era stata forse lei a chiedere a Barriss se non fosse sbagliato reprimere i propri sentimenti come un Jedi doveva fare?
« Forse non ho mai guardato attentamente il quadro generale delle cose, davo troppo ascolto all’istinto e troppo poco alla voce silenziosa dentro di me », disse.
« La Forza? », azzardò Marek, iniziando ad interessarsi davvero a quella realtà complicata.
« Esatto. »
« E cosa ti dice adesso? »
Ahsoka rifletté una manciata di secondi, scoprendo il suo istinto in totale disaccordo con quella voce silenziosa dentro di sé. Mise a tacere l’impulsività e con essa l’oceano d’incontrollate emozioni su cui era diventato sempre più difficile navigare. Le aveva ascoltate per mesi, aveva permesso loro di sopraffarla in modo da comprenderne le ragioni. Ora tornò il silenzio, un silenzio quasi confortante se non fosse per i sussurri lontani del Maestro Kenobi e del Maestro Plo.
« Che devo restare. »

Angolo dell’autrice.
I'm back!
Mi scuso moltissimo per l’enorme ritardo – il nuovo orario delle lezioni è incredibile e il capitolo è risultato più lungo del previsto. È probabile che in futuro le date siano un pò più prolungate (?) così da evitare eventuali ritardi… perdonatemi. Mi farò perdonare (?)
Comunque sia HERE WE ARE.
Okay, questo è ‘formalmente’ l’ultimo capitolo della prima parte, quella che serve a ricoprire l’arco tra la quinta stagione di Clone Wars e La vendetta dei Sith, e che quindi è un ponte che conduce direttamente al vero viaggio di Ashla verso Fulcrum. Siamo alla fine del principio.
Si è delineata una strada che inizia, sono state gettate le basi emotive sia della nostra eroina che dei personaggi che la seguiranno in giro per la galassia e le loro ragioni. A questo proposito ci sono ancora tanti pezzi mancanti del mosaico che un po’ alla volta verranno inseriti, soprattutto perché – aiuto – mi sono affezionata già molto a Drake, Marek e persino a Lynn… spero che abbiano fatto o faranno breccia anche nel vostro cuore (?) Riserveranno molte sorprese eheheh.
Dunque, ci siamo.
Cosa deciderà di fare Ahsoka?

p.s. il capitolo 06 verrà pubblicato domenica 26 marzo e sarà intitolato “Fall of the Jedi”.
Sarà ufficialmente l’ultimo tassello della prima parte e per questo motivo avrà una struttura diversa dagli altri capitoli. Sarà un po’ particolare… differente. Non faccio anticipazioni, anche se il titolo credo riveli moooolto già da solo.
p.p.s. il flashback contenuto in questo capitolo è molto simbolico. I tempi stanno cambiando, il mondo sta cambiando, l’oscurità è radicata persino nei posti più improbabili e le percezioni sono offuscate. L’Impero sta già sorgendo senza che i Jedi se ne rendano conto e anzi: vi sono proprio seduti sopra.
Inoltre è un richiamo a Twilight of the Apprentice… p.p.p.s. grazie a chi sta seguendo questa storia, a chi ha lasciato una recensione e anche ai lettori silenziosi. Grazie di cuore davvero, qualunque opinione / suggerimento / critica è sempre ben accetta. Fatemi sapere! E a presto!



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Capitolo 6
*** Fall of the Jedi ***


  

Capitolo 06.

Fall of the Jedi

 
" Execute Order 66. "
 
 
« Prima di cominciare devi essere assolutamente certa di volerlo fare. Non stiamo parlando di una missione organizzata dall’Ordine e supportata dall’esercito della Repubblica: una volta uscita da questa stanza sarai sola. Possiamo darti un aiuto, ma non potremmo comunicare spesso. Il Consiglio potrebbe sospettare qualcosa. »
Ahsoka fece un cenno d’assenso con il capo. « Ho capito. »
« Bene », annuì Obi-Wan Kenobi a sua volta, tremendamente serio in volto. « Non è una decisione da prendere alla leggera, comprendo la tua titubanza. »
La porta della piccola stanza circolare si aprì prima che la ragazza potesse replicare, irradiando l’area di luce per un istante. Sulla soglia solo la figura in ombra del Maestro Yoda apparve, che avanzò lasciando calare le tenebre su quell’incontro segreto.
« Che cosa significa? », domandò Ahsoka, lanciando un’occhiata confusa ad Obi-Wan. « Credevo che il Consiglio non fosse al corrente di questa operazione. »
« Infatti è così », rispose subito il Jedi, non avendo mancato di notare nella voce della ragazza un invisibile frammento di delusione e… amarezza. Il genere di sentimento innescato dalla natura umana di fronte a situazioni dolorose come quelle in cui il Consiglio Jedi aveva inconsapevolmente fatto cadere la giovane Ahsoka. « Solo il Maestro Yoda ne è a conoscenza. »
« Ma il Maestro Plo… »
« Maestro Plo Koon informato non è stato », la interruppe Yoda, avvicinatosi ad entrambi. « E così tutti gli altri. »
Gli occhi di Ahsoka vagarono tra Obi-Wan e il Maestro Yoda, che con un balzo si appostò sulla piattaforma al centro della stanza.
Quella missione era la conferma di ciò che Ahsoka aveva avuto modo di capire sin da quando aveva preso la dura decisione di andarsene, un’ulteriore prova di quanto ogni cosa era mutata e stava ancora cambiando. L’avvicinamento della nascita di una nuova era, il momento in cui ognuno avrebbe dovuto scegliere tra ciò ch’era giusto e ciò ch’era facile. Anche l’Ordine, come l’intera galassia, era cambiato. Possibile che nessuno all’infuori dei presenti in quella stanza lo percepisse?
Ahsoka sospirò, indecisa se parlare o meno. « E Anakin? »
« Anakin non dovrà mai sapere di questa operazione. »
« Molta confusione in lui c'è », disse Yoda, con una lieve nota di amarezza che nessuno dei presenti riuscì a cogliere. 
« Certo. Avevo dimenticato i dubbi dei Jedi », ribatté Ahsoka, prima di rendersi conto del peso delle proprie parole, che le cadde poi improvvisamente addosso. « Mi dispiace… »
Sia Obi-Wan che il Maestro Yoda tacquero, pensierosi. Kenobi comprendeva molto più di quanto non desse a vedere, comprendeva perfettamente. Una parte di sé che aveva imparato a reprimere e trascendere – conosciuta forse solo alle abilità del Maestro Yoda – avrebbe voluto poter dar voce a quello stesso pensiero ch’era riuscito ad esprimere solo ad Ahsoka. Non era mai stato d’accordo con la sua espulsione dall’Ordine, ma aveva comunque taciuto.
Obi-Wan non era d’accordo neppure con quello strano sentimento insediato nel cuore di tutti i Jedi, avvertiva l’ignota minaccia che esso poteva rappresentare. Perché i Jedi non erano più solidali tra loro? Non erano più un Ordine unito, non avevano fede in loro stessi, avevano dimenticato gli importanti valori che un tempo erano stati le fondamenta più solide mai viste nell’universo. Cos’era successo ai guerrieri senza macchia, ai guardiani della pace?
Erano stati contaminati dal sangue della guerra. Dal Lato Oscuro.
Il Maestro Yoda sembrava essere a conoscenza di tutto ciò.
Con voce moderata, Obi-Wan si decise a rompere di nuovo il silenzio. « Anakin non potrebbe comunque aiutarci. Gli ultimi avvenimenti lo hanno piuttosto provato e lo conosco bene da sapere che tenerlo all’oscuro sia la cosa migliore per lui e per tutti. Anche del tuo coinvolgimento, Ahsoka. »
La togruta annuì per mascherare lo sguardo istintivamente calato verso il basso, schiacciato dal rimorso e dal sentimento di nostalgia che la visione del suo Maestro le aveva instillato. Sapeva che non sarebbe stata una buona idea per lei – e forse anche per lui – rivedersi, il destino aveva comunque giocato un tiro maldestro in suo sfavore. Anakin al seguito di Obi-Wan per andare a recuperare il Cancelliere era un’immagine che la perseguitava da giorni.
Ed era stato proprio lì, proprio allora che le leggere pareti di cristallo costruite nei mesi di solitudine e sopravvivenza avevano iniziato a vacillare di nuovo. Proprio quando aveva stupidamente cominciato a credere che la presa sul suo cuore stesse iniziando ad alleggerirsi, Anakin Skywalker era tornato più forte che mai. 
Era così vicino che Ahsoka iniziava a provare il naturale istinto di volergli parlare, spiegare, confidare i suoi sentimenti, raccontare le ultime avventure. Avvertiva il bisogno di essere ascoltata da lui, di guardare quegli occhi limpidi e avere la piena certezza di essere compresa senza riserve. Ma non poteva. Non poteva tornare ora, non voleva. E quello era un tasto dolente da evitare, almeno per il momento.
« D’accordo », disse Ahsoka, ancora perplessa. « Ma non riesco a capire… perché organizzare tutto questo in gran segreto? Se la minaccia è così imminente e pericolosa come dite, non sarebbe meglio che i Jedi rimanessero uniti e l'affrontassero insieme? »
« Più come un tempo i Jedi non sono », rispose Yoda, scuotendo il capo affranto. « Sfiduciati, dal dubbio offuscati. Alla Repubblica troppo legati. »
« L’ondata di sfiducia non è solo all’interno dell’Ordine. Il popolo è smarrito, ritiene i Jedi delle pedine della Repubblica volte a trascinare il conflitto all’infinito anziché impegnate a risolverlo », aggiunse Obi-Wan, una mano sul mento. Le parole di Barriss Offee a lungo avevano vagato nei meandri dei suoi pensieri, anche se probabilmente non vi aveva mai dato il peso che in realtà possedevano.
« Il Maestro Plo ha parlato di una tempesta… potrebbe disgregare l’Ordine. »
« Lo è già », disse Obi-Wan, dopo aver lanciato un’occhiata fugace al Maestro Yoda. « Per questo abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ahsoka, sei l’unica persona di cui possiamo fidarci che non sia all’interno dell’Ordine. »
« Ma io non sono più un Jedi… »
« Forse non è di un Jedi che la galassia ha bisogno, ora. »
Yoda congiunse le mani spigolose sul piccolo bastone avanti a sé. « Un antico nemico cercare dovrai, giovane Tano. »
« Un antico nemico…? », chiese Ahsoka sempre più confusa. « Chi? »
« Penso tu non abbia dimenticato il nome di Maul », intervenne Obi-Wan per primo, la fronte solcata da piccole rughe. Per quanto lo riguardava, Maul era una questione che non avrebbe mai scordato. Mai
« Maul?! Credete ci sia lui dietro a questa minaccia? »
« No, ma potrebbe guidarci al Signore dei Sith che stiamo cercando da molto tempo. »
Le labbra di Ahsoka rimasero socchiuse, sospese come lo era la sua stessa espressione. Guardò prima Obi-Wan e poi Yoda, più volte, sempre più accigliata.
« Ancora non riesco a capire. Perché un Sith decaduto dovrebbe dire a me – a noi come arrivare all’oscuro Signore dei Sith? E poi si tratta di Maul, non è certo affabile quanto potrebbe esserlo Ventress… »
Gli occhi celesti di Obi-Wan ebbero un guizzo indistinto prima di scivolare sulla piattaforma attorno al quale il trio era appostato, una piccola fuga dall’infausto destino di Asajj Ventress.
« Il Conte Dooku ucciso è stato per mano del giovane Skywalker », intervenne Yoda. « Un fremito nella Forza io avverto. »
« E dove trovo Maul? », chiese subito Ahsoka, sfruttando l’argomento per deviare un’altra volta ancora ogni pensiero da Anakin.
Obi-Wan, rimasto in un riflessivo silenzio per qualche attimo, riprese la parola. « L’ultima volta aveva instaurato un regime su Mandalore. Da allora l’attenzione dell’Ordine si è spostata su altri fronti e le informazioni in nostro possesso sono ridotte e poco accurate. »
« Quindi devo dargli la caccia? »
« Qualcosa del genere… »
La voce del Maestro Kenobi sfumò nuovamente, i suoi occhi chiari si sollevarono su quelli di Ahsoka.
In un certo senso era braccato dalle emozioni che quella misera conversazione stava mettendo a dura prova, stava facendo quanto possibile per non lasciarsi sfiorare, per superarle. La presenza della togruta era un monito e il fatto che dovesse lasciare Coruscant per indagare su Maul era un sofferto promemoria. Vide il viso pallido di Satine riflesso negli occhi di Ahsoka, l'ombra di Qui-Gon e provò per un fugace istante il dolore dell’impotenza. Di nuovo.
« Va bene », proseguì Ahsoka, ancora non del tutto convinta. « Ma perché mai dovrebbe confidare a me l’identità del Signore dei Sith? Sono sicura che Maul conosca il valore di un’informazione. »
« Vendetta egli cerca », intervenne Yoda. « Forse parlare necessario non sarà, ma a scoprire questo mistero lui potrebbe portarti. »
« Lo spero. »
« Sola non sarai, giovane Tano. Aiuto ti abbiamo promesso e aiuto tu avrai. »
« Il Capitano Rex ti accompagnerà con una squadra di cloni. Non sono stati informati sulla vera identità della missione e sulla destinazione, ma abbiamo ritenuto saggio coinvolgere qualcuno di fidato », aggiunse Obi-Wan, posando sulla piattaforma centrale un supporto dati contenente tutte le informazioni necessarie ed essenziali. Nulla doveva essere lasciato al caso, ma nemmeno essere privato della giusta prudenza in quei tempi strani. « La vostra presenza potrebbe se non altro ristabilire la situazione su Mandalore. »
Ahsoka annuì con cenni flebili, non nascondendo quanto rivedere Rex le facesse piacere. Almeno non avrebbe dovuto affrontare da sola quella missione – ed era consapevole di non poter coinvolgere Drake, Marek e la loro conoscente mirialana. Anzi, non poteva assolutamente permettere che venissero coinvolti in una missione che aveva tutta l’aria di essere più che pericolosa.
Ashla, ragazza senza passato e con un futuro incerto, doveva mettersi sulle tracce di un Sith. Com’era accaduto?
Prima che potesse fare i passi sufficienti ad arrivare alla porta, Obi-Wan la raggiunse. Tra le mani reggeva qualcosa che non identificò subito, ma che non impiegò molto a riconoscere.
« Avrai bisogno di queste », il Maestro porse ad Ahsoka quelle che, fino a qualche giorno prima, erano le sue spade laser. « Le ho avute dal Maestro Plo. Credo che le troverai utili nel posto in cui stai per andare. »
Gli occhi blu scrutavano sgranati e increduli le due impugnature. Ahsoka non aveva immaginato di rivederle, non dopo averle volutamente lasciate al Tempio, non dopo che la figura per lei più simile ad un padre l’aveva spogliata di quel peso opprimente. Non era sicura di volerle stringere tra le dita, non era sicura di essere pronta a farlo. Dopotutto, aveva deciso spontaneamente di abbandonarle, perché avrebbe dovuto riprenderle ora?
« Io non… »
« Rispetto la tua decisione, Ahsoka, e come ho detto non voglio cercare di farti cambiare idea, anche se non condivido. Ma queste non sono solo semplici armi, sono la tua vita. E non è una cosa che dipende dall’Ordine: dipende da te. Ne avrai bisogno. »
Le mani del Maestro riempirono lo sguardo basso di Ahsoka, che esitante riprese possesso delle sue spade. In un modo ad ella stessa sconosciuto, le percepì diverse, come se non appartenessero più a lei ma a qualcun altro.
Un tocco leggero alla spalla attirò la sua attenzione, la costrinse a fronteggiare il volto serio e gentile di Obi-Wan.
« Fa molta attenzione, Ahsoka », disse con voce greve, preoccupata. « Che la Forza sia con te. »
Annuì di nuovo, Ahsoka, mostrandosi con una nuova determinazione. « E con voi », rispose, volgendosi poi per fare un cenno in direzione del Maestro Yoda.
Con un’ultima occhiata veloce ad Obi-Wan, camminò a passo silenzioso verso la porta, le spade laser strette con forza tra le dita. Quella sensazione d’estraneità l’accompagnò lungo il tragitto che l’allontanò di nuovo dal Tempio. Qualcosa le disse che probabilmente sarebbe stata l’ultima volta, probabilmente non vi avrebbe fatto ritorno.
La sala calò nel silenzio, interrotto solamente dal concretizzarsi dell’incertezza del Maestro Yoda.
« Uhm. Che scoprire la verità tu credi possa, Obi-Wan? »
Obi-Wan Kenobi distolse lo sguardo dalla porta chiusa, lo posò sul piccolo Jedi, ora al suo fianco. Vi lesse ulteriori domande, molte delle quali già possedevano risposte a lui ancora ignote. Sospirò, incrociando le braccia al petto. « Non lo so, Maestro Yoda, ma confido nelle sue capacità. »
« Non di quello io dubito. »
« Cosa vuoi dire? »
Yoda mosse qualche passo, balzò con agilità sul pavimento e attese che il Jedi avanzasse per raggiungerlo. « Un pericoloso attaccamento io sento, Obi-Wan. Skywalker a lasciar andare la sua padawan pronto non era. Sospettare della sua presenza qui egli potrebbe », disse scuotendo appena il capo, consapevole di quanto potesse aver avuto l’effetto contrario la decisione di affidare Ahsoka ad Anakin. Certo, non era in quel modo che sarebbe dovuta andare a finire e lo stesso Maestro Yoda non riusciva a impedirsi di provare un velo di rammarico. Di senso di colpa. « Sperare che già non l’abbia avvertita noi dobbiamo. »
« Cercherò di assicurarmene, Maestro », rispose Obi-Wan con un cenno d’assenso.
« Prudenza, Obi-Wan. Qualcosa di pericoloso avverto, di molto pericoloso. Prudenza. »
 
 
" In this war a danger there is of losing who we are. " 
 
 
“Che cosa ho fatto?”
Paura. Confusione. Rabbia.
“Farò tutto ciò che chiedi, mio Maestro.”
Odio. Dolore. Paura.
“Alzati, mio nuovo apprendista.”
Gli occhi di Ahsoka si aprirono al buio. Scattò sul letto senza fiato e avvolta da una mano di terrore.
Tenebre, oscurità, paura, confusione, rabbia, odio, dolore. Il cuore sembrava voler uscire dal petto con violenza, affaticato da quel flusso continuo e ininterrotto di pericolose emozioni. Cercò di cogliere nella stanza un qualsiasi particolare che l’assicurasse di essere sveglia, di essere sulla nave. Che quella che aveva visto non era la realtà, non poteva esserlo.
Era solo un sogno. Un brutto sogno, un incubo.
I polmoni presero quanto più ossigeno poterono, placarono lo spirito inquieto di Ahsoka. Richiuse gli occhi.
L’hai visto, vero? Hai visto la paura diventare realtà, non è così?
Le parole del Maestro Yoda dovevano aver inciso molto in profondità l’animo di Ahsoka, era l’unica spiegazione che avesse un senso. Si tormentava, la togruta, sapendo che parte delle percezioni offuscate del suo Maestro erano responsabilità sua. Colpa sua. 
Cosa ti prende, ragazza? Cosa c’è che non va in te?
Lo sapeva, Ahsoka, lo aveva saputo dal primo momento in cui si era nascosta in una nave mercantile per lasciare Coruscant in un modo di discutibile legalità. Lo aveva saputo per mesi, domandandosi se fosse stata la scelta giusta, costretta a guardare il suo stesso dubbio e la sua coscienza assumere i lineamenti così familiari di Anakin Skywalker. La sua vicinanza aveva avuto il potere di rassicurarla quanto quello di distruggerla perché, lo aveva sempre saputo, non era altro che un’illusione. Come quel sogno.
Un’illusione. Un sogno. Un incubo.
Una visione.
« No. »
Va tutto bene, piccola Ahsoka.
È quello che continui a ripeterti, non è vero? Spaventata da un sogno, in viaggio senza ritorno alla ricerca di un’ombra. Sei ancora una pedina senza nome, una nomade affamata di fiducia, un’orfana senza casa e senza passato.
Sai chi sei, Ahsoka? Sai chi è lui?
L’hai visto, vero? Hai visto il suo volto, hai visto i suoi occhi, hai visto il suo cuore.
Lo temi, come temi di non essere in grado di mantenere la tua via. Perché ancora non sai bene quale sia questa via che vai cercando. L’hai trovata? Hai trovato te stessa?
« Era solo un sogno », sussurrò nel buio della stanza, nel silenzio.
Solo un sogno, non una visione. Un sogno. Un incubo.
Non è reale.
Ahsoka si lasciò andare di nuovo sul letto, osservando il soffitto nero sovrastante ed infinito. Non vi scorse null’altro che oscurità, semplice e pura oscurità. In quel momento fu in grado di tranquillizzarla, di abbracciarla come una fedele e cara amica, di cullarla. Cullarla come i suoi genitori non avevano mai potuto fare.
Era stanca, Ahsoka, esausta dalla visione di quell’incubo. Aveva assolutamente bisogno di dormire, di serrare le palpebre e di non vedervi niente attraverso. Niente sogni, niente incubi.
Se Anakin fosse stato lì cosa le avrebbe detto? Sarebbe rimasto al suo fianco, avrebbe passato la notte a sorvegliarla, non l’avrebbe lasciata sola ad affrontare le sue paure, i suoi demoni, tutti i potenti sentimenti sepolti sotto la coltre d’ostinazione. Anakin avrebbe saputo cosa fare, avrebbe saputo cosa dire. O almeno ci avrebbe provato… perché Ahsoka sapeva altrettanto bene che le emozioni di Anakin somigliavano in modo quasi spaventoso alle sue.
C’è qualcosa di selvaggio in te, ragazza. Semi del Lato Oscuro piantati dal tuo Maestro.
Lo percepisci?
 
––
 
Eccola. L’entrata.
Ahsoka si appiattì alla parete, si nascose di nuovo all’occhio dei cloni della Repubblica macchiati di rosso. Perché mai dei cloni avrebbero dovuto essere a guardia di un palazzo in un pianeta teoricamente dominato dalla Ronda della Morte? Non aveva alcun senso, così come la presenza dell’antico nemico in quel luogo. Come la guerra, come molte cose in quegli strani tempi nella galassia.
Obi-Wan e Yoda non le avevano rivelato più del necessario e se Ahsoka Tano fosse stata la stessa ragazzina della prima battaglia su Christophsis non avrebbe esitato ad apparire petulante pur di ottenere risposte. Ma come quel posto, come la guerra, come molte cose… anche Ahsoka era cambiata. Stava ancora cambiando.
Le sue mani si posarono alla parete, gli occhi si sporsero.
Eccola. Pochi metri solamente la separavano dal passo successivo, da un probabile indizio. Pochi metri solamente per avvicinarsi, per intravedere qualcosa di nuovo e già conosciuto. Speranza, forse? Fiducia? Non poteva dirlo, non finché non avesse visto di persona cosa si nascondeva oltre.
C’è qualcosa di selvaggio in te, ragazza.
Semi del Lato Oscuro piantati dal tuo Maestro.
Lo percepisci?
Il respirò si attenuò nel silenzio, rallentò.
Gli occhi blu si assottigliarono, i marchi bianchi alle sopracciglia s’incresparono.
Paura.
Avverto molte contraddizioni in te. E in lui.
Brividi percorsero la sua pelle levigata di ragazza, solcarono i lineamenti del volto appena deformati da una smorfia. Percepiva qualcosa, qualcosa che non le piaceva. Non era più lei ad essere poggiata contro la parete: era la parete ad essere diventata il suo sostegno.
Dolore.
Sei felice, ragazza?
Ci sono molte contraddizioni in te…
« Ahsoka. Ahsoka! »
La voce del Capitano Rex uscì dal comunicatore; Ahsoka si volse stordita alla ricerca della sua figura. Non riuscì a metterlo a fuoco con chiarezza, ma sapeva dove si trovava. Era a qualche metro di distanza, nascosto dietro ad un muro proprio come lei, assieme a quattro cloni della sua piccola squadra, in attesa di ordini.
Molte contraddizioni…
Semi del Lato Oscuro…
Lo senti?
Rex fece un chiaro segno in direzione dell’entrata del palazzo, ma Ahsoka non lo assimilò del tutto. Parve annuire, a distanza, quando invece stava solo tentando di alzare lo sguardo, di assottigliarlo, di vedere.
Le sue palpebre erano improvvisamente deboli, il respiro divenne pesante, affannoso. D’istinto cercava senza tregua di avvinghiare con la coda dell’occhio quante più immagini possibili, per assicurarsi che la situazione non fosse cambiata in quella manciata di attimi interminabili. I cloni erano anche accanto a lei, aspettavano in posizione, armi alla mano.
« Ahsoka, li vedo », proseguì Rex con tono metallico attraverso il comunicatore. « Non possiamo aggirarli ed uno scontro frontale allarmerebbe chiunque sia all’interno. »
« Ashla? Ashla, puoi sentirmi? », spuntò allarmata la voce di Drake s’un altro canale del comunicatore.
« Ahsoka! »
“Ahsoka – perché stai facendo questo?”
« Dovete rimandare la missione e andare via da lì, hai capito? »
“Io ti ho creduto, sono rimasto al tuo fianco! L’Ordine dei Jedi è la tua vita. Ahsoka, stai facendo… uno sbaglio.”
« Ahsoka? »
Sei felice, ragazza?
Il capo di Ahsoka si scontrò con la superficie dura della parete, il fiato iniziò a mancare, a disperdersi. Le forze la stavano pian piano abbandonando, sempre di più, come una spirale senza via d'uscita. 
Inspira, espira.
“Forse. Ma è una cosa che devo risolvere da sola. Senza il Consiglio. E senza di te.”
Continua a respirare.
« Abbiamo un margine di pochi secondi una volta allarmate le guardie. Se non entriamo adesso avremo perso la nostra occasione. Non possiamo tirarci indietro », rispose Ahsoka con voce affaticata. « Qui Ashla, chiudo. »
« Cosa? Ashla, il canale è sparito e irraggiungibile dovete subito –– »
L’indice affusolato premette il pulsante di spegnimento e la voce di Drake scomparve, bruscamente interrotta come il contatto. Ahsoka si sporse con sforzo ed eccessivo dolore, imitata dai cloni che annuirono alle indicazioni poco lontane di Rex.
L’ultima cosa che gli occhi blu di Ahsoka videro furono i segni del Capitano dei cloni, il suo blaster alla mano; l’ultima cosa che udì fu… un improvviso e totale silenzio, seguito da colpi di laser, confusione, parole indistinte, caos. La vista si diradò velocemente, svanì in un battito di ciglia e l’abbandonò come fecero i sensi. Un manto oscuro di nebbia fitta calò su di lei, coprì ogni cosa più pesante e densa che mai.
Ahsoka barcollò, strinse la mano attorno all’impugnatura di una delle sue spade laser e si sentì strattonare da una parte all’altra. Percepì la spada scivolare via, scivolare via come i suoi sensi, come lei.
« Jedi. »
« Uccidete il Jedi! »
« NO! »
Gli spari tuonarono impetuosi e avrebbero perforato il suo udito se solo non l’avesse perduto. Erano vicini, l’avevano abbattuta, allontanata dalla realtà, dal mondo. Era intrappolata in una gabbia buia e insonorizzata, priva di forze, senza fiato, con una profonda e dolorosa fitta al petto. Si era spezzato qualcosa dentro di lei, era irrimediabilmente rotto. E sanguinava.
« AHSOKA! »
Era a terra, o almeno così le poteva sembrare. Era contro il muro, forse svenuta, forse morta. Non lo sapeva, non riusciva neppure a porsi il quesito. Aveva perso ogni controllo, ogni parvenza di volontà di movimento e di pensiero. Esisteva, semplicemente, trasportata da braccia forti che non erano le sue. Esisteva ancora.
Era viva.
 
––
 
« Cosa? Ashla, il canale è sparito e irraggiungibile dovete subito rientrare – », s’interruppe Drake accigliato. « Ashla? Rispondi! Dovete rientrare adesso, adesso! Ashla! »
Quello che una volta era stato un Cacciatore di taglie gettò con forza il dispositivo acustico contro i comandi della Narada, sibilando tra i denti qualcosa di molto simile a “Maledizione”. Si alzò in piedi come una furia, frustrato e terribilmente agitato: era nella sua natura sentire la puzza di una situazione pericolosa quando vi cadeva a capofitto, e quello n’era senz’altro il caso.
« Drake, aspetta! », gridò Lynn, affrettandosi per seguirlo attraverso i corridoi della nave. « Se adesso usciamo verranno a conoscenza della nostra posizione attuale e reputeranno l’attacco alla Repubblica, peggioreremo solo le cose! »
« Peggiorare?! No, Lynn, non lascerò che le succeda qualcosa! Andiamo a prenderla. »
I passi di Drake rimbombarono nella grande scatola metallica, mentre ad ogni centimetro guadagnato si assicurava di avere abbastanza armi alla cinta. Non avrebbe permesso a qualcun altro di morire, di cadere ancora una volta in nome di una causa superiore. Non quando un’intera squadra poteva evitarlo.
Lynn sospirò lievemente seccata. « Zor, dove sei? », esclamò contro il comunicatore agganciato al polso.
« Esattamente dov’ero quando il signor Drake “Ansia” Leafson l’ha chiesto dieci minuti fa. Cosa succede? »
« Stiamo per muoverci. Abbiamo bisogno di – »
Le mani di Drake raggiunsero furtive e rapide il dispositivo di Lynn, bloccarono il polso della mirialana prima che potesse quasi rendersene conto. E vi parlò attraverso. « La vedi?! »
« Ah, ecco che ci risiamo… Sì, certo che la vedo, non l’ho mai persa di vista. Che diavolo succede, Drake? »
« Abbiamo bisogno di copertura, ce ne andiamo da qui. Appena saremo fuori potranno vederci e allora avremo pochissimo tempo per volare via! »
« Afferrato il concetto. Ogni tuo desiderio è un ordine, vostra altezza! »
Drake sbatté le palpebre accigliato . « – non chiamarmi in quel modo! Sbrigati! »
Lynn scosse il capo con un sorrisino, appostandosi al portello d’accesso. Guardò Drake con determinazione, altrettanto consapevole del fatto che la clessidra stava per essere ribaltata e la sabbia da essa consumata. Il tempo dei dubbi e dei piani era scaduto.
« Sai che attireremo tutti gli attacchi su di noi, vero? », sibilò, mani pronte alle lame stellate. I blaster erano a portata per l’ipotetico secondo round.
Drake annuì frenetico, la mascella ben serrata. « Sì, lo so. Ecco perché dobbiamo concludere questa missione in fretta. »
« Perché non siamo soldati? »
« Papà! »
Marek spuntò di corsa dal corridoio, arrivando senza fiato accanto a Lynn e alla serietà di suo padre, che non riuscì a rispondere. Non gli servì porre alcuna domanda, in fondo: l’espressione di entrambi dava molte più spiegazioni di quanto il ragazzo sperava di ottenere.
« Marek, non c’è tempo! », disse subito Drake.
« Lo so, ma io… »
« No! Torna nella cabina di pilotaggio e preparati a mettere in moto la nave », un braccio dell’uomo scattò in direzione della stanza. Non ammetteva nessuna replica. « Fa come ti ho insegnato e aspetta il nostro segnale. Dopodiché parti. Va! »
Marek tentò di opporsi, di far prevalere la sua evidente volontà di agire, di fare qualcosa di concretamente utile là fuori. Avrebbe voluto seguire suo padre, seguire Lynn, affiancare la giovane Ashla e il criptico Capitano Rex, un clone. Sapeva che erano nei guai, soprattutto vista la brusca interruzione della comunicazione con il Maestro Jedi. Cos’era successo? Cosa stava succedendo?
Annuì lentamente, osservando con preoccupazione Lynn e Drake ora rivolti verso il portello. Sospesi negli istanti fugaci che seguirono, i loro respiri scandirono un tempo rallentato, molto più lungo di quanto non fosse realmente. Lungo, interminabile, infinito… tic, tac. Tic, tac. 
« Sono in posizione », spuntò dal comunicatore la voce di Zor.
Una mano di Lynn raggiunse il pulsante di apertura del portello, l’unica cosa che ancora li separava da quella folle deviazione, l’idea più sconsiderata che potessero avere – e Drake ne aveva avute molte in passato. Quella sorta di piano B lanciava un’ardua concorrenza.
« Proprio come ai vecchi tempi. »
Drake colse il sorrisino sul volto di Lynn, la scrutò con la coda dell’occhio. « Ora! »
La luce filtrò impetuosa attraverso l’apertura che si faceva gradualmente più ampia. Drake e Lynn non attesero di veder consumata ulteriore sabbia nella clessidra: si lanciarono attraverso, abbassandosi e balzando oltre la Narada.
Marek si tuffò contro il pannello di controllo e richiuse la porta con il fiato spezzato. Suo padre e i suoi amici erano là fuori. Il conto alla rovescia aveva raggiunto un punto di rottura, il punto di non ritorno. Corse più veloce che poté fino alla cabina di pilotaggio, prendendo il posto del pilota per la prima volta in solitario. E attese, sperando che tutti facessero ritorno alla nave esattamente come l’avevano lasciata: vivi.
 
––
 
« Sta succedendo qualcosa! Sono nei guai! »
Drake e Lynn tagliarono il viale senza voltarsi, sentendo il rumore dei blaster come lacerassero la loro carne. Avevano sferrato il primo attacco una volta rivelata la loro presenza e, sopraffatti, dovevano ora portare avanti il folle piano di attirare i soldati lontano dalla Narada. Dovevano raggiungere Ahsoka, Rex e il resto della squadra per poi trovare una via di ritorno alternativa.
« Ma che novità! », gridò Drake a Lynn, mentre correvano verso una parete per nascondersi.
« Anche noi! Ci serve copertura ora! », ribatté lei al comunicatore, trascinando l’amico con forza oltre il muro. Un colpo di blaster li coprì con una nuvola di polvere, residui del bordo della parete. Bersaglio decisamente migliore delle loro teste, convennero entrambi.
Drake si sporse e rispose al fuoco senza ripensamenti. « Sono troppi! Dov’è quel volatile quando serve? »
« Andiamo! »
Lynn afferrò di nuovo un braccio di Drake, si fiondò verso il punto in cui erano bloccati Rex e Ahsoka. I cloni dall’armatura bianca e rossa cercarono di fermarli, di tagliare loro la strada con esplosioni e tattiche niente male, ma la mirialana eluse facilmente ogni loro tentativo e Drake al suo seguito. 
« I cloni si stanno ribellando! »
 
––
 
“Ascolta, non permetterei a nessuno di farti del male, Ahsoka. Mai.”
“Da questo momento sei bandita dall’Ordine dei Jedi.”
“Ti chiedono di tornare, Ahsoka. Io ti chiedo di tornare.”
« Ahsoka! »
Non sentiva più, Ahsoka. Non vedeva più niente, non percepiva.
La fitta al petto era opprimente, la schiacciava contro qualcosa, forse una parete, o forse più la morsa di braccia umane che la trascinavano con una forza tale da farle girare la testa. Non sapeva dov’era, non capiva cosa stava succedendo, non riusciva a stare in piedi.
Era debole e indifesa. Ferita, ma non fisicamente, no…
“Mi dispiace, Maestro, ma non tornerò.”
Gli occhi iniziarono a bruciare come carboni ardenti, s’inumidirono di lacrime mai versate. Facevano male, come facevano male i polmoni stanchi di prendere quanto più ossigeno possibile, i pensieri accatastati persino negli angoli più bui della sua mente. Ogni cosa doleva, ogni cosa era… paura, rabbia, odio, dolore.
« Ahsoka… »
Dolore.
 
––
 
Coruscant, same time
 
 
Lo sai, in fondo.
Prima o poi arriva per tutti il momento di compiere scelte difficili, di intraprendere strade tortuose, oscure, e scendere… scendere giù, giù nell’abisso più profondo, dove solo i forti sopravvivono. Dove la via si ottenebra e la luce si spegne. Giù.
Lo sai, in fondo. Non vorresti, sai anche questo, ma che altra scelta hai? Che altra strada potresti intraprendere con le mani legate e macchiate di sangue come già sono le tue?
Non ne hai. Non hai altra scelta, non più. Devi farlo.
Se non sarai tu a mettere fine al conflitto, chi lo farà?

« Maestro Skywalker, sono troppi. Che cosa facciamo? »
Hai paura, sei arrabbiato, provi odio e dolore. Sei talmente dilaniato dal tuo passato e dal tuo presente che odio persino te stesso. Odi la tua debolezza, la tua incapacità di agire, la tua impotenza. Odi quello che hai fatto quasi quanto quello che non hai fatto, ciò che gli altri Jedi non ti permettono di fare.
Sei debole, uno spreco di ossigeno e potere. Non sei un eroe.
Anakin Skywalker.
Orfano, apprendista, Cavaliere Jedi, marito, amico, eroe di guerra, Prescelto.
Debole.
No, non hai altra scelta, ormai. Devi essere forte, devi ergerti e salvare questo mondo corrotto, questo mondo smarrito, confuso, inerme. Devi liberarlo dall’oppressione, dall’illusoria luce di cui si fanno portavoce i Jedi egoisti e guerrafondai. Devi spingerti là dove nessuno oserebbe, devi fermare la guerra, fermare il tempo, domare lo spazio, domare la galassia. Devi affrontare l’abisso da cui indietro nessuno torna.
Il Tempio ti sembra diverso, ma in realtà sei tu ad esserlo. Finalmente vedi, finalmente riesci a guardare oltre, finalmente senti il potere che hai sempre agognato di possedere. Ti nutri di esso, della sensazione d’invincibilità che come un manto ricopre la vergogna, il disgusto, la paura.
Ti nausea, vero? Ti nausea ciò che sei diventato. Ti spaventa, ti ripugna…
Ti terrorizza, ti schiaccia come un misero insetto. Come un debole.
Ma non vuoi essere terrorizzato, non vuoi essere schiacciato, non vuoi essere debole. Ti fa arrabbiare l’idea di non essere forte abbastanza da sopportare tutto questo, ti fa desiderare di distruggere ogni cosa sul tuo cammino, di mettere fine ad ogni vita, ad ogni ostacolo. Cerchi di liberartene con prepotenza, con la stessa arroganza che sin da bambino ti ha reso diverso dagli altri, la stessa superbia di voler prendere e tenere appresso qualsiasi cosa tu abbia mai desiderato. L’attaccamento ti è caro, ma è anche tuo acerrimo nemico.
Lo sai, in fondo. Nel tuo cuore altruista, gentile e buono, lo sai. Sai che non vorresti, sai che stai per commettere le terribili cose che hai giurato di combattere. Per un fugace ed ultimo consapevole momento lo sai… ed è esattamente questo il problema.
Sei tu l’ultimo ostacolo. Sei tu ad essere il più grande ostacolo di te stesso.
E se tuo compito è abbattere e spazzare via chiunque si frapponga tra te e il tuo cammino, così sia: Anakin Skywalker deve essere distrutto.
Distruggilo.


 
" be warned. 
You may never see your future
if you remain his student! "

 
“Esegui l’Ordine 66.”
Paura. Confusione. Rabbia.
“Tu eri il Prescelto! Era scritto che distruggessi i Sith, non che ti unissi a loro!”
Odio. Dolore. Paura.
“Io ti odio!”
“Eri mio fratello, Anakin. Ti volevo bene!”
Gli occhi di Ahsoka tentarono di aprirsi; le palpebre cercarono di sollevarsi, invano. Un sottile raggio di luce bianca riuscì a filtrare quasi accidentalmente, la costrinse a volgere il capo per evitarlo.
Dove si trovava? Cos’era successo? La missione..? Perché non riusciva a muoversi, a respirare, a parlare? Che cosa le stava succedendo?
« Ehi, comandante. »
Inspirò profondamente, catturando una boccata d’ossigeno sufficiente a permettere ai suoi pensieri di rimettersi in ordine. O almeno, di cominciare a sistemare la terribile confusione. Si sforzò di aprire gli occhi, Ahsoka, il blu delle sue iridi spuntò. Avrebbe riconosciuto quella voce inconfondibile ovunque.
Rex era seduto sul letto accanto a lei, lo sguardo sia preoccupato che sollevato. Ahsoka avrebbe voluto dire qualcosa, chiedergli qualcosa, ma non ci riuscì: il dolore impediva alla voce di lasciare la sua gola. Portò istintivamente una mano al petto e richiuse gli occhi.
Sei felice, ragazza?
Il tuo Maestro ti tratta bene?
Ahsoka riusciva ancora a sentire quella sgradevole sensazione che l’aveva attanagliata, percepiva la sofferenza, la disperazione, la paura, il dolore. Stesa in una delle stanze della Narada, avvertiva sul proprio corpo e sulla propria mente qualcosa di terribile che l’aveva colpita in maniera esponenziale solo poco prima. Qualcosa che non era accaduto a lei in prima persona, però, qualcosa che non le apparteneva.
« Hai bisogno di riposare », disse Rex apprensivo.
Sta in guardia. Potresti non vedere mai il tuo futuro se rimani sua allieva.
Debolmente, Ahsoka scosse il capo. « Sto bene. »
Sì, aveva bisogno di riposare, di dormire, di cancellare tutte quelle… emozioni. Non voleva sentirle, non voleva ricordarle. Voleva solo allontanarsi, come aveva fatto con l’Ordine. Voleva voltarsi, riflettere, meditare, restare sola per rimettere tutti i pezzi al proprio posto e capire. Capire che cosa, esattamente? La sua mente era intorpidita, ancora annebbiata, ma attraverso il fumo riusciva a scorgere le risposte a tutte quelle domande.  
No, non c’era tempo per riposare. Lo sapeva.
« Cosa… è successo? », parlò con un filo di voce, le labbra secche.
Dietro a Rex, la sua vista poco affidabile mise a fuoco lo sguardo serio di Drake, le braccia incrociate di Lynn e le ali marroni sopra le spalle di Zor. Stavano tutti bene, apparentemente.
« Dove siamo? »
« Siamo in rotta verso il sistema di Cadomai », disse Drake, con gli occhi rigorosamente a terra.
Ahsoka guardò Rex confusa. Non riusciva a capire. Perché si stavano allontanando così tanto?
« Mandalore non è un posto sicuro », aggiunse il Capitano. « Non ci sono più molti posti sicuri… »
Gli occhi della togruta urlavano richieste di spiegazioni, imploravano comprensione. La tristezza e la sconfitta riempivano fino all’orlo quella stanza troppo piccola, scivolava lungo il debole corpo di Ahsoka, che involontariamente l’assorbiva con ogni fibra del suo essere. Non voleva più guardare quei volti seri, il loro silenzio era una tortura, perforava i timpani e distruggeva l’udito più di qualsiasi frastuono. Non poteva più sopportarlo, Ahsoka. Era troppo doloroso.
« Che è successo? », chiese di nuovo, in un sussurro deciso.
L’esitazione di Rex era tutto ciò che le sarebbe potuto bastare in risposta. Lo vide inspirare, espirare, temporeggiare. Colse un movimento del capo impercettibile, un segno che fece capire a Drake, Lynn e Zor di lasciare la stanza.
La porta scorrevole si richiuse alle loro spalle con un fruscio. Rex e Ahsoka rimasero soli, soli e avvolti dal silenzio più spaventoso che la ragazza avesse mai percepito dopo la Sala del Giudizio. Se il suo cuore non fosse stato ferito, i ricordi l’avrebbero ricondotta esattamente lì. Nel punto più basso della stanza più buia.
“Le mie percezioni sono… annebbiate.”
“Annebbiate dal Lato Oscuro esse sono, padawan Tano. Pericolosamente annebbiate. ”
« Rex… », sussurrò, trattenendo allo stremo le lacrime che minacciose tentavano di offuscarle la vista. Puntò le mani per sollevarsi e mettersi a sedere. « Che succede? Ho sentito… qualcosa, qualcosa di brutto. Temo che Anakin sia in pericolo, devo… »
« Ahsoka… »
« Devo ritornare subito al Tempio… »
Rex posò con insolita delicatezza le mani alle spalle di Ahsoka. E la guardò negli occhi. « Ahsoka… »
“Capisco più di quanto immagini. Capisco questa tua volontà di allontanarti dall’Ordine.”
“Lo so.”
Ahsoka lesse le parole silenziose che gli occhi di Rex si sforzavano di non dire. Forse non esisteva davvero un modo per far apparire una notizia meno amara, più sopportabile. Ahsoka aveva sempre saputo anche questo, ma mai come sapeva, nel profondo, ciò che in quel momento cercava di negare persino a se stessa.
Le labbra si strinsero, i marchi bianchi s’incresparono, lo sguardo cadde.
Sì, lo sapeva bene.
« È già tardi, non è così? », disse mentre una lacrima precipitò furtiva, scivolò sulla sua guancia.
« Ahsoka, l’Ordine… non esiste più. »
Anche le palpebre caddero come quella lacrima, come il suo sguardo. Come lei.
« La guerra è finita », proseguì Rex, per la prima volta visibilmente abbattuto, « anche se non come tutti avevamo immaginato. La Repubblica è crollata. »
Ahsoka scosse il capo, piano, gli occhi chiusi e il volto solcato da altre scie umide e bollenti. Solo la mano di Rex le impediva di credere che si trattasse di un altro terribile sogno, uno dei soliti incubi. E molto avrebbe desiderato che non fosse reale, che fossero semplici immagini prodotte dalle sue paure, dai suoi dubbi irrisolti, dalle sue emozioni.
L’Ordine era caduto, la sua missione era fallita, tutti loro erano ora coinvolti in una situazione che li costringeva a rifugiarsi in qualche pianeta lontano dallo sguardo… di che cosa, esattamente? Dei Separatisti? O qualcosa di ancora peggiore? Come un incubo.
« Notizie di Obi-Wan? E il Maestro Yoda? »
« Nessuna notizia, purtroppo. Il collegamento è stato interrotto, abbiamo provato a ricontattarli molte volte e a mandare delle trasmissioni, ma ancora non ci sono state risposte », rispose Rex, per nulla intenzionato a lasciare la presa sulle spalle di Ahsoka. « Abbiamo però captato un messaggio in codice che avverte i Jedi di allontanarsi dal Tempio. C’è una remota possibilità che il generale Kenobi e il Maestro Yoda siano sopravvissuti, e se così fosse potrebbero nascondersi in qualche sistema lontano. Quello che dovremmo fare anche noi. »
« E Anakin? », parlò senza neppure riflettere, Ahsoka, più come un’affermazione che una domanda. « E il Maestro Plo… forse ce l’hanno fatta. »
« Non lo so… »
Sospirò, Ahsoka, mentre altre piccole lacrime scivolavano lente sul suo volto sconsolato. Dal momento in cui le sue certezze avevano iniziato a perdere l’equilibrio, ad incrinarsi e formare crepe incolmabili, anche la speranza che l’aveva sempre accompagnata era diventata insicura. Tutto aveva preso le sembianze di un grande e opprimente "forse", un nemico che non avrebbe sconfitto facilmente grazie alle sue abilità.
Davvero era convinta che qualcuno fosse sopravvissuto a quell’attacco inaspettato ed imprevedibile? Le sue percezioni erano offuscate, annebbiate dalla sofferenza della perdita. Era inaffidabile, confusa, smarrita. Aggrapparsi alla speranza che Anakin, Plo, Luminara, Aayla o qualsiasi altro Jedi fosse ancora in vita era un lusso che non poteva permettersi. La speranza di una ragazzina ingenua.
« Com’è possibile questo? Io… non capisco, Rex », disse con voce soffusa e lo sguardo fisso sulle proprie mani. « Come può essere successo? »
« Non lo so, piccola. »
Gli occhi di Ahsoka s’inumidirono maggiormente, le ultime resistenze caddero in pezzi. La sua forte volontà di non cedere alla sopraffazione dei sentimenti si frantumò e non rimase altro che lei, una ragazza troppo giovane per essere stata forgiata dalla guerra stessa. Un’orfana, l’ombra e l’illusione di un Jedi, una combattente con nulla da combattere.
L’immagine dell’Ordine spazzato via e dei Jedi massacrati dagli ultimi terribili avvenimenti era un macigno nel suo cuore, nonostante tutto. Ahsoka aveva preso una decisione difficile, aveva lasciato il Tempio non una volta, ma ben due. Si era spogliata delle sue spade e delle sue responsabilità come l’Ordine l’aveva privata della fiducia, del rango, dell'identità. Eppure, non riusciva a impedirsi di provare un dolore indicibile.
Nel suo cuore, la sua famiglia era morta. Nel suo cuore, quella ch’era stata la sua casa da quando aveva tre anni era stata distrutta. Nel suo cuore… aveva sentito quella rottura che, in fondo, non era ancora stata capace di dare del tutto al suo passato. Ed ora se n’era andato, svanito come fumo nell’immensità del cielo più tenebroso e cupo. Il suo cuore piangeva e si struggeva, più di quanto il suo volto riuscisse ad esprimere.
Ahsoka cercò di rimettersi seduta, dandosi abbastanza slancio con l’energia rimasta per abbracciare il Capitano Rex. Il clone l’avvolse nella sua presa, piccola e indifesa come mai l’aveva vista prima, come mai aveva immaginato potesse essere.
« Mi dispiace, Ahsoka », sussurrò.
“Mi dispiace, Ahsoka.”
“Per cosa?”
“Per averti lasciata andare, per aver lasciato che ti prendessero. È stata tutta colpa mia. 
Non avrei dovuto smettere di cercarti, avrei dovuto fare più attenzione, fare di più…”
“Non è stata colpa tua, Maestro. Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere, tutto quello che potevi. Quando ero là fuori, sola, non avevo altro che il tuo addestramento… e sono sopravvissuta solo grazie a te, grazie ai tuoi insegnamenti. E non solo, sono riuscita a spingere anche altri a lottare per sopravvivere.”
“Non so che cosa dire…”
“Io sì. Grazie, Maestro.”
“È un onore, mia padawan.”  


 
Angolo dell’autrice.
Ebbene, ci siamo.
Questo capitolo è la fine ufficiale della prima parte ed è un po’ diverso dagli altri, anche nello stile… volutamente è più schietto, duro, ripetitivo, richiama il passato e si svolge rapidamente un po’ come gli eventi: la Repubblica cade, sorge l’Impero. Spero che l’intento di essere più spigoloso (?) sia riuscito e non mi dilungo, lo prometto. Giurin giurello.
 
Ci sarà una piccola pausa prima della pubblicazione del capitolo 7, che sarà pubblicato intorno all'ultima settimana di aprile.
Rimanete sintonizzati (?) e fatemi sapere cosa ne pensate. 
♡ A presto!

 

 

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