La Principessa e Lo Stalker

di Wings_of_Glass
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno - il primo incontro ***
Capitolo 3: *** Capitolo due - Innocenti scuse ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre - Ma tu mi vuoi bene? ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro - Maledetti sofficini ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque - Nel momento del bisogno ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei - Combattere pregiudizi ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette - Lontani dal caos ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto - Strappi e cuscini ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove - Il principe che non salvò la situazione ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci - Parole, gelosie e stupide paranoie? ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici - Non decapiterò Winnie the Pooh ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici - Basta buchi nell'acqua e salti nel vuoto ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici - Come sconosciuti ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici - Baci quasi rubati ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici - Catastrofi all'orizzonte ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici - Provare non costa niente ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette - Tu sei un'altalena ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto - Si va in scena? ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove - Lasciar perdere ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti - La mia testa è una soffitta ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno - Falso allarme?! ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventidue - Maledizioni ed incidenti ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitré - Ombre fantasma ed orme nel cuore ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattro - Viva la pizza ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinque - Inseguimenti significativi ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei - Il calore che guarisce ogni ferita ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisette - Imbarazzi soffocati ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



LA PRINCIPESSA & LO STALKER

Quando si sta davvero male, un abbraccio sincero lenisce il dolore molto più di mille mi dispiace detti o scritti..

 

Prima di tutto...

Lei

Si chiama Lucy, soprannominata semplicemente Lù da tutti i suoi amici, ed angioletto dalla professoressa di italiano che aveva quando era a scuola. Forse per via del suo aspetto tenero, fragile e minuto. Lunghi capelli color miele incorniciavano il suo visetto dal naso all'insù e i suoi occhi color dell'ambra. E' una ragazza semplice, timida, dolce ma anche testarda e dotata di un grande animo altruista. Ha studiato molto e si è appena diplomata, deludendo tutti quelli che si aspettavano andasse a studiare arte o lingue all'università, ha deciso di mettersi alla ricerca di un lavoro, ma al giorno d'oggi non è molto semplice. E' piuttosto riservata, non le piace raccontare i suoi fatti a tutti, ma sa essere una grande ascoltatrice e dispensatrice di buoni consigli, che però non segue troppo spesso.. non è perfetta però, il suo cuore presenta molteplici ferite e rotture, in cui persone “cattive” si sono troppo spesso approfittate della sua bontà o ancora peggio del suo amore, portandola così a chiudersi in sé. A creare una specie di barriera, un guscio, sperando di proteggersi e che nessuno riuscirà a quanto pare ad arrivare più al suo cuore troppo spaventato, troppo stanco per sopportare altre ferite. Riuscirà qualcuno a fare breccia nel suo mondo?

 

Lui

Si chiama Nial. E' il tipico ragazzo sbandato, dal passato oscuro e tenebroso da lasciarsi alle spalle. Uno caduto sul fondo, che cerca di risalire e di riprendere in mano la sua vita, dopo aver lasciato la scuola ed essersi buttato in un giro di droga e viaggi senza uno scopo preciso. Ha uno spirito avventuroso e poetico, che fa cadere tutte a suoi piedi se lo vuole, grazie alla magia del basso che suona e degli occhi di ghiaccio sotto una cascata di ciuffi color della notte. Non gli piace ovviamente ricevere un “no”, essendo un ribelle libero e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Ci sa inevitabilmente fare con le parole, ma non sempre la fortuna è dalla sua parte. Si nota anche a distanza che è uno a cui piace il divertimento e non si lascia troppo coinvolgere da ciò che gli capita, o almeno non più.  Anche lui porta dentro molte ferite, soltanto che non è riuscito a gestirle bene e ha perso la testa, ma ora sembra davvero voler rimettersela sulle spalle. Ma a guardarlo bene sarà davvero cosi?

 

Prologo

Cercasi personale

Quante volte avevo letto un cartello simile appeso alle vetrine. Quelle lì erano un po' sporche. Forse avevano bisogno di una donna delle pulizie. Mi morsi il labbro. Davvero troppe volte lo avevo letto. Feci un respiro incoraggiante e mi strinsi le altre copie del mio curriculum al petto. Tentar non nuoce. Entrai nel bar, sperando di essere fortunata e cercai pure di sorridere mentre il getto troppo freddo dell'aria condizionata del locale mi faceva rabbrividire. Ogni volta che consegnavo un curriculum mi sentivo agitata e mi chiedevo perché non ero andata all'università come volevano tutti. Ma lo sapevo il perché in realtà. Semplicemente desiderio di autonomia. Mi scoraggiava vedere tutte le mie amiche o vecchie compagne di classe trasferirsi col proprio fidanzato mentre io me ne restavo ferma a fissare uno schermo di un cellulare, in attesa di buone notizie. E poi tanto avrei fatto un sacco di esami per poi finire a fare la cameriera. Sbuffai. Ero positiva per gli altri ma molto negativa e autocritica nei miei confronti. Ormai lavorare non era questione di bravura, ma di fortuna. Non importava se ero stata la più brava dell'istituto o se parlavo inglese quasi come se fossi nata in Inghilterra. Avevo messo da parte anche i miei sogni nel cassetto purtroppo. Forse per poca autostima più che altro. Non sarei diventata una scrittrice di successo. Non avrei pubblicato mai un mio romanzo, ma nel tempo libero mi piaceva scrivere o anche solo disegnare i miei pensieri e le mie emozioni. O forse un giorno ci sarei riuscita anche. Ma per ora le mie emozioni erano come bloccate e perse. Recise e mi fermavo sempre a metà di ogni racconto, perché le fini mi spaventavano troppo. Cercai di attirare l'attenzione di un dipendente, anche se il locale era quasi deserto, a parte qualche avventore. Se avessi potuto scegliere, non avrei mai lavorato in un posto come quello, ma bisognava accontentarsi con quello che c'era in giro. Finalmente una cameriera si accorse di me, avrei dovuto mettermi a saltellare davanti a quel bancone dei gelati, colorato da tantissimi e svariati gusti, come una bambina. Era davvero troppo alto per me, eppure ero 1.70 cm.

Okay, ero pronta per la solita solfà, sperando che il mio curriculum non venisse direttamente regalato al reparto C. Ovvero il cestino, la spazzatura. Ero già pronta anche alle parole che quella tizia mi stava per sputare addosso, le avevo già sentite.

-Ma quanti anni hai?-

-Quasi ventuno- risposi, come se fosse una cosa ovvia.

-Sembri una bambina!- esclamò agitando il mio adorabile cv in aria, tra le mani smaltate di viola.

-Lo so, me lo dicono tutti-. Mi strinsi nelle spalle. Non avrei mai trovato un posto perché sembravo più giovane? O era soltanto invidiosa quella donna? Molto spesso me lo sentivo dire e per me non era un problema, o non lo avevo mai considerato tale. Non mi truccavo o vestivo per farmi vedere, ma ai colloqui una camicetta e i tacchi li mettevo. A dire il vero non mi truccavo proprio. Mi sentivo meglio così, senza robe sulla faccia. Pulita. Avevo tanto da dare, ero intelligente e imparavo in fretta. Mi impegnavo nelle mie scelte eppure nessuno sembrava accorgersene mai. Ma la gente si sofferma molto spesso solo all'aspetto fisico. Non dico che non sia rilevante, ma non si può guardare la copertina e giudicare senza prima aver scoperto il contenuto.

-Va bene, terrò il tuo curriculum da parte e lo farò avere al responsabile- mi disse poi, mentre non avevo ascoltato nemmeno una sola parola di quello che mi aveva detto nel frattempo. Mi ero completamente assorbita nei miei dubbi. -Certo, grazie mille e arrivederci-. Ci demmo pure la mano in gesto di saluto, come se fosse importante in quel momento. Mi preoccupai anche stupidamente perché la mia era un po' sudata per l'imbarazzo. Ci eravamo anche date del tu, difficilmente mi riusciva spontaneo dare del Lei agli altri o usare i toni di cortesia, soprattutto se ero nervosa come in quel momento.

Probabilmente quando avrei avuto trentanni sarei sembrata una ventenne. Ci risi su e sorrisi mentre uscivo da quel bar, quasi con una punta di sollievo. Mi chiesi ancora una volta perché trovare lavoro doveva essere così complicato. Perché doveva tutto dipendere da un foglio pieno zeppo di esperienze, e non dalle vere persone. Finché non si conosce davvero qualcuno non si può dire se merita o no una possibilità, giusto? Avevo bisogno di rilassarmi e di una doccia, magari potevo tornare a casa. Sbloccai il display del cellulare guardando l'ora svettare sull'immagine di winnie the pooh. Okay forse avevo conservato un po' il mio lato infantile, ma non lo facevo notare in giro e poi winnie the pooh l'ho sempre adorato fin da bambina, come si fa ad non adorarlo? Ci infilai gli auricolari e lasciai partire una canzone a caso mentre mi avviavo verso la fermata dell'autobus più vicina. Camminavo tra la gente guardando la punta delle scarpe da ginnastica, desiderando un po' di tornare bambina, per non avere preoccupazioni e responsabilità o magari, dentro di me lo sapevo che era così, per cancellare brutti ricordi e fare scelte completamente diverse da quelle che mi avevano portato a diventare fredda e apatica.

Guardavo il mio drink distrattamente mentre le bollicine si rincorrevano in quel liquido aranciato, spirando sulla superficie del bicchiere. Qualcosa attirò di scatto la mia attenzione. Un foglio che aveva posato, e accuratamente abbandonato sotto gli occhi di tutti, la cameriera sul bancone qualche minuto fa. Era una macchia bianca sull'oceano di quel legno vecchio e sfregiato. Cos'era? Mi allungai in quella direzione, non era molto lontano, ma poi decisi di tirarlo a me e addirittura prenderlo noncurante in mano. Mi concentrai sulla foto. Un delizioso visetto mi fissava cercando di sorridere. Aveva i capelli un po' spettinati, la pelle così chiara e un maglione bianco che la faceva sembrare così naturale. Ma un momento. Io l'avevo già vista. Oh sì, ora ricordavo. Quella ragazzina viveva accanto a me, o meglio davanti a casa mia. A volte la vedevo in giardino, o anche a scuola l'avevo notata. Forse eravamo andati a scuola assieme? Anni che volevo dimenticare. Mi passai una mano sul volto e senza pensarci, le mie dita erano come animate da una sorta di volontà universale, tirai giù il numero di cellulare nella mia rubrica. Che cliché. Eppure volevo davvero il suo numero. Da un po' mi tormentavo pensando che mi avrebbe fatto bene conoscerla. Anche se non sapevo perché, ma da un po' di tempo mi piaceva seguire il mio istinto. Non ero del tutto guarito ancora, ma non volevo avere rimorsi di nessun tipo. Volevo controllare che non avessi sbagliato qualche cifra, oppure l'indirizzo, il nome, per sapere se era davvero lei e come cavolo si chiamava. Ma quella dannata cameriera mi strappò quasi il foglio prezioso dalle mani, guardando con aria di rimprovero. Avrei voluto farle una linguaccia, ma mi trattenni dopotutto era stata lei a lasciarlo alla mercé dei clienti. Salvai quello che avevo velocemente estrapolato, sperando che quel numero fosse giusto o sperando di avere la forza un giorno di scriverle qualcosa. Se consegnava curriculum sicuramente aveva qualche anno in meno di me. Sospirai, anche io avevo bisogno di trovarmi un lavoro. Le giornate erano troppo noiose così, passate senza far nulla a parte che uscire con gli amici di sempre e qualche tipa trovata in giro. Poi presi il bicchiere e me lo portai alle labbra per berne il contenuto e assaporarlo lentamente. Mi stuzzicò e il sapore dell'alcool mi fece inevitabilmente sorridere. No, probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di parlarle in vita mia, eppure non avevo mai avuto problemi di questo tipo. Lei però mi sembrava diversa o almeno così mi sembrava osservandola talvolta dietro le tende, da lontano. Sì doveva essere lei. Era bella. Una bellezza di nicchia. Sì non avrei mai pensato che un viso così dolce potesse attirare cani e porci. Si notava anche a un miglio di distanza che era pura e la cosa mi stava facendo letteralmente perdere la testa. Non era quel tipo di ragazza che apriva la porta a tutti. Ma forse io avrei potuto fargliela aprire? Chiusi gli occhi rivedendo la sua immagine imprimersi sotto le palpebre. Magari mi sarei potuto divertire, magari mi avrebbe distratto dai miei problemi per un po'. Mi strofinai i capelli che mi ricadevano sulla fronte, passandoci una mano, come se dovessi sistemarli. Quel gesto di solito mi calmava, ma sta volta non bastava. Stavo di nuovo impazzendo e non era un bene. Non lo era affatto.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno - il primo incontro ***


Capitolo uno: Il primo incontro

Le persone non vanno scelte per la loro dolcezza d'animo, ma per quanto riescono a rendere dolci e felici le tue intenzioni...


 

Quella mattina al mio risveglio trovai un messaggio. Delle parole che non ero per nulla preparata ad affrontare, e così sgranai gli occhi per rileggerle poi, infinite volte, decidendo se provare rabbia o non so nemmeno io che altra emozione.

Lù, ho bisogno di parlarti, ti va di vederci per un caffè?”

Quel ragazzo era davvero stupido se pensava che gli avrei detto di sì. Avevo deciso di darmi una possibilità, una terza. Ma si è rivelato quel detto del non c'è due senza tre. Un ragazzo incontrato per caso durante uno stage per la scuola. Ci ero uscita qualche volta, era dannatamente dolce. Ancora se chiudevo gli occhi riuscivo a ricordare quando aveva insistito per comprarmi un dolcetto ed aveva scelto qualcosa con le mandorle senza sapere che mi piacevano da morire. Oppure quando mi abbracciava, gli avevo confidato i miei problemi, le mie paure e mi aveva detto che sarebbe rimasto, che mi sarei dovuta abituare al tocco della sua barba sulla guancia. Mi aveva chiesto di partire con lui per la Spagna in vacanza e messo in testa un sacco di sogni, come tutti gli altri. Per poi sparire, come tutti gli altri. Strinsi il cellulare, avrei voluto anche dirgliene quattro. Gridandogli che non si abbandona una ragazza solo perché dopo due uscite si sente a disagio ad entrare in casa tua. Dicendogli che non aveva fatto che aumentare la mia sfiducia nel genere umano. Le nocche quasi mi sbiancarono e lasciai andare il telefono sul cuscino. Avevo già tanti problemi in quel momento. Non ero una tipa che si faceva notare, anzi odiavo attirare l'attenzione, eppure ogni volta mi si avvicinavano ragazzi che volevano sicuramente vedermi sul loro letto e basta. Ma io non ero così. E perché li attiravo? Gusto del proibito? Facevo di tutto per evitare certe situazioni disagevoli. Non volevo pensarci, o autocommiserarmi chiedendo per la centomillesima volta che cosa avevo che non andava e perché tutti potevano fare a meno di me dopo un po', per cui semplicemente lo ignorai come lui aveva fatto con me. Orgoglio e rabbia ormai facevano a pugni nella mia testa. Anche se non ero per nulla vendicativa o brava a fare del male agli altri. Ricordai ancora un altra volta una cosa che mi aveva detto. Stare con me era come tornare bambini ed essere in un negozio di giochi. Quindi significava che ero un giocattolo? Sbuffai, avendo sempre voluto fargli quelle domande sospese, ma senza il coraggio di fargliele, forse perché temevo di ricevere le risposte che non mi piacevano. Scossi la testa, richiudendo quei ricordi in uno dei tanti scatoloni in cui si buttano le cose vecchie che non vuoi più vedere. Non si vive nel passato, mi dissi per aiutarmi a superare quelle piccole cicatrici brucianti. Ma questo non significava che ero disposta a metterci una pietra sopra e riuscirci assieme come se nulla fosse. Essere abbandonati da qualcuno a cui ti affezioni è come morire. Ed io purtroppo mi affezionavo in fretta, ed ero morta tante, tantissime volte. Aveva scritto che aveva bisogno di parlarmi, ed io di che avevo bisogno? Sospirai e qualcuno suonò al campanello, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Dannazione. Ero a casa sola, come spesso accadeva. Mia nonna era ricoverata in ospedale e i miei genitori erano spesso lì. Ero molto preoccupata per lei, perché purtroppo sapevamo che non sarebbe più tornata a casa. Il solo pensarci mi inumidì gli occhi di lacrime, che mi affrettai ad asciugare prima di controllare chi fosse venuto. Potevo fingere di non esserci, ma magari era importante. Il silenzio era un compagno educato, ma sapeva anche essere molto pericoloso. Non avevo semplicemente voglia di parlare con qualcuno, dopo quel messaggio che aveva traslato il mio umore verso il colore nero dell'inchiostro. Quindi mi feci forza e scesi le scale per raggiungere il cortile. Nella mia mente cercavo di capire chi fosse a quell'ora del mattino. Mamma non mi aveva avvisato che sarebbe passato il camion dei surgelati. Mi calmai dai pensieri di poco prima, scacciandoli come visitatori indesiderati, ciò che erano in effetti. Non potevo perdere le staffe per chi non se lo meritava affatto.

Ma non riuscii a frenare la sorpresa quando scorsi la sagoma che mi attendeva, dietro le piccole sbarre di ferro battuto del cancello. Sapevo esattamente chi era, conoscevo anche il suo nome. Nial. Dopotutto era il mio vicino di casa, anche se non avevamo mai parlato. A parte qualche raro e fugace ciao a scuola, nei corridoi, ma non si può certo definire conservazione. Era famoso ai tempi del liceo, la sua fama lo precedeva. Quel tipo di fama da “potenziale soggetto da evitare”. Che voleva da me? Così improvvisamente? In tutti quegli anni di vicinanza non ci eravamo mai veramente degnati di alcuna attenzione. Ci eravamo ignorati complici. Non mi sembrava neppure reale e non so per quanto tempo rimasi a guardarlo senza dire nulla. Quei capelli corvini e quegli occhi color del cielo. Non mi erano mai piaciuti gli occhi chiari. Sapevo che era più grande di me, ma non sapevo che cosa avesse fatto quando aveva mollato la scuola, giravano di per certo brutte voci sul suo conto. Non mi ero nemmeno mai chiesta che fine avesse fatto. Non mi interessava.

- Ciao – gli uscì quasi sospirando. A disagio evidentemente.

- Ciao – gli risposi nervosa. Il solito atto di cortesia, solo che ora era alla luce del sole e non più in uno stretto corridoio affollato di studenti e a quell'ora, fuori, c'eravamo solo noi.

Le parole che mi vorticavano in testa non uscivano. Continuavo a coprirmi il viso come un'idiota non sapendo che fare. Sperando fosse uno scherzo e che sparisse da solo. Puff! Ma lui era ancora lì a fissarmi.

- Io non pensavo in realtà di trovarti in casa.. ma ecco.. ci sei- ruppe lui l'imbarazzo e il silenzio nemico. - Perché sei qui? - finalmente mi uscì la voce. -Ti va di fare quattro passi? - chiese diretto, felice, incoraggiante e invitante. Non ci conoscevamo nemmeno. Perché? Perché doveva succedere? Non lo so, ma in quel momento il “soggetto da evitare” si trasformò in “occasione d'aria aperta in compagnia”. Ecco di cosa avevo bisogno, di respirare e magari distrarmi un po' da tutte le preoccupazioni che mi attanagliavano come una morsa l'anima. Mi munii di tutte le mie difese ed uscimmo per questi quattro passi, che in realtà furono molti di più. Mi chiese come mi chiamavo, e quasi mi venne da ridere per la comicità della scena. Parlammo del più e del meno e mi venne difficile credere che fosse una persona pericolosa. Avevamo molte cose in comune, letture, film di fantascienza, videogiochi, musica. Lui suonava in una piccola band che aveva improvvisato. Mi sembrava tremendamente triste e afflitto. Un po' come me e cercavamo di nascondercelo a vicenda. Per un attimo scordai i miei problemi, anche se lui sembrava stravagante. Mi parlava dei suoi viaggi, di quella volta in cui aveva incontrato un cinghiale, un orso, non so cosa, mentre dormiva in un cartone in un bosco di non avevo capito dove. Sembrava uscito da un film e che stesse recitando solo per ammagliarmi o conquistarmi con quei suoi pazzi racconti. Entrammo in una vecchia villetta pubblica, circondata da un piccolo parco coperto di alberi. Ci inoltrammo nel folto del bosco, per trovare riparo nella fresca ombra del tetto verde di foglie che si incastonavano tra loro, fino ad una collinetta di terra ed erba. -Qui venivo a giocare da bambina- dissi sorridendo al bel ricordo che mi accarezzava la mente. Sembrava un periodo così lontano. Mi strinsi nelle spalle, quasi imbarazzata come se gli avessi appena rivelato di che colore avevo le mutandine. Non so perché. Percepii solo in quel momento tutta l'ansia di quell'incontro.

-Qui io venivo a farmi – disse quasi ridendo, come se fosse una battuta. In quel momento “l'occasione di aria aperta in compagnia” ritornò il “soggetto da evitare” che probabilmente era e da cui dovevo per forza tenermi alla larga. Veniva a farsi? Intendeva ragazze o droga? Qualunque cosa intendesse lo trovai stomachevole. Il mio senso di protezione si mise in allerta, urlandomi di fuggire. Mi bloccai, senza seguirlo più, mentre si sedeva su un tronco disteso per terra. Diede una leggera pacca alla corteccia ruvida e muschiata, per invitarmi a prender posto accanto a lui. Strinsi i pugni. Lui sospirò notando il mio distacco improvviso. Che stavo facendo? Era stata una stupidata aver accettato di uscire con lui. Una domanda mi frullava nella testa, ma era chiaro che lui con me volesse solo divertirsi. Ricordai di quando lo avevo visto l'ultima volta. Stavo andando a scuola, e lui stava ghignando per strada, mentre una ragazza, la sua ragazza di anni fa, gli piangeva accanto facendosi colare il mascara sulle guance, sotto una cascata di capelli scuri. Lui non faceva nulla per rassicurarla e consolarla. Anzi, sembrava quasi soddisfatto di quel pianto, o almeno a me parve così.

-Torno a casa, si è fatto tardi.. dovrei proprio tornare- affermai. Mi sforzai di sorridere come se non avessi paura, e gli feci anche ciao ciao con la mano, prima di girarmi molto lentamente, cercando di non correre. Lui mi rivolse uno sguardo strano. Aveva gli occhi leggermente cerchiati di rosso, forse erano occhiaie? Ma ne dubitavo. Forse era ubriaco. Ma se lo era come aveva fatto a parlarmi con tanta spontaneità? I suoi occhi erano saturi di qualcosa che non sapevo decifrare ma che mi fece soltanto battere il cuore a mille e increspare la pelle dai brividi. Correre, avrei voluto correre. Iniziai a indietreggiare, cercando il vialetto per uscire da quel labirinto di tronchi e fronde. Ma qualcosa mi bloccò. Era lui, mi stava abbracciando da dietro le spalle. Le sue mani erano sui miei fianchi. -Mi piaci- sussurrò calmo al mio orecchio. Chiusi gli occhi cercando di concentrarmi su qualsiasi altra cosa intorno a noi, per non perdere il controllo e mollargli un pugno per autodifesa. Sarei potuta diventare karate kid in quel momento. Cercai di divincolarmi o chiamare aiuto, ma gli unici rumori erano i nostri respiri, il fruscio del vento e gli uccellini che popolavano quei rami. Lui non era lucido, la sua stretta non era troppo forte, ma era più pesante di me quindi non ottenni risultati. Non mi avrebbe fatto male. Qualcosa nella mia testa mi disse questo, ma forse era soltanto la speranza. -Come faccio a piacerti? Mi conosci da cinque minuti- insinuai, cercando di prendere tempo.

-Non in quel senso, dolcezza- e percepii le sue labbra ruvide e rovinate accarezzarmi il collo piano, come se avesse paura di spaventarmi. Ma tanto già lo ero, possibile che non se ne fosse accorto? Mi arrabbiai e sbottai -Sei un porco se pensi che io mi lasci andare a certe cose qui.. con te.. Certe cose vanno fatte con dei sentimenti solidi come base, vanno fatte con chi si ama, non per divertirsi..- iniziai la mia predica e lui in tutta risposta rise francamente. -Come sei cinica- mi interruppe -Dai non siamo più bambini e poi fa stare bene-. Cercò di accarezzarmi la pancia e insinuarsi sotto la mia maglietta ma io gli bloccai le mani. -Non sono il tipo, lasciami o potrei denunciarti – lo minacciai. Non mi venne altro in mente da fare. Lui mi fece girare contro se stesso e mi guardò alzando un sopracciglio divertito da tutta la mia bellicosità. -Per cosa? Per averti rubato un bacio? - mi rivelò la sua intenzione e si avvicinò con il viso verso il mio. Rapida gli appoggiai la faccia sulla spalla per nascondermi a quel tocco, a quegli occhi che mi trafiggevano alla ricerca di un modo per farmi cedere. Non sapevo come scappare. Fu allora che lo sentii sospirare, come se non fossi riuscita a evitare quel bacio e mi strinse a sé in un abbraccio scomposto. Trattenni le mani in tasca, evitando di aggrapparmi a lui. Puzzava di tabacco. Un odore che avevo sempre detestato, volevo solo scostarmi ma mi resi conto che dopotutto quello che stavo passando, un abbraccio era tutto ciò di cui avevo più bisogno. -Wow- continuò a ripeterlo, come un mantra, come impazzito. Finché non mi lasciò andare per guardarmi. -La tua anima è così bella e pura- mi disse, quasi accigliato per la scoperta. Okay era pazzo. Stava farneticando. Forse era sotto l'effetto di qualche droga, comunque io dovevo assolutamente allontanarmi se non volevo finire male. Me lo dissi mentalmente per farmi forza e concentrarmi su quella situazione e non su quello che affrontavo ogni giorno. Sbattei le palpebre e arretrai cercando di non farglielo notare, ma incontrai subito un nuovo ostacolo. Un tronco. Caspita. Chi ce lo aveva messo? Lui si avvicinò di nuovo. -Stai fermo- cercai di essere autoritaria ma mi uscì con un filo di voce, come una supplica. Sbattei leggermente la testa contro il tronco, mi ci appiattii contro, come se potessi salirci su e salvarmi o scomparirci dentro. -Ahi- esclamai. Allora lui mi guardò improvvisamente serio e con una mano mi accarezzò i capelli. Lo lasciai fare. Mi massaggiò dove avevo sbattuto. Un gesto premuroso, ma lui non lo era affatto. Non dopotutto quello che stava facendo e dicendo. -Non ti sei fatta nulla – mi disse come se dovesse studiarmi. Io annui in risposta e lui tolse la mano dalla mia nuca. Non sapevo più cosa fare. Strinsi gli occhi in attesa, premendogli le mani sul petto, cercando di spingerlo via, anche se non volevo toccarlo. Sentivo il suo petto abbassarsi regolare sotto la maglietta e le mie dita. Ma lui non cercò più di baciarmi, restava vicino a me. Con gli occhi chiusi, a mescolare i nostri respiri affannati per quella lotta. Sperava che facessi il primo passo? Gli rivolsi uno sguardo scettico che ovviamente si perse. Poi sospirando disse -Io non ti piaccio nemmeno un po'?- chiese quasi timido, come deluso dalla mia risposta non verbale restia. Non dissi nulla, non volevo ferirlo anche se se lo meritava per tutto lo spavento che mi aveva fatto prendere. -Va bene- tolse le mani ai lati del mio viso, dal tronco, concedendomi la via di fuga – Non ti farò del male. E' impossibile fartelo – continuò sorridendo e convinto di quello che diceva. Io scossi la testa in balia dei ricordi. Se fosse stato vero non avrei mai sofferto così tanto per amori sbagliati o di amicizie ottenute solo per profitto. Quelle sue parole erano così strane, ma mi scossero tremendamente. Me ne andai, correndo per davvero. Mentre sapevo che mi osservava scappare via. Non sarei mai dovuta uscire. Mai. Mi ripetevo. Una volta a casa, chiusi la porta a chiave di nuovo, come quando ero uscita. Mi lavai il viso, il collo, le mani, come a cancellare quelle tracce del suo tocco, come se mi avesse marchiato. Forse ero paranoica. Eppure già sapevo che mi sarebbe rimasto sempre impresso quell'incontro. Guardai fuori dalla finestra ma non lo vidi rincasare e mi preoccupai perfino di averlo lasciato solo in mezzo al parco, sotto chissà quale stupefacente, perché doveva essere così. Quale ragazzo è tanto pazzo da cercare di baciarti senza nemmeno conoscerti? Okay in luoghi come le discoteche lo facevano, ma si vedeva che non ero una ragazza facile che frequentava certi posti per fare certe cose. Ero stupida davvero. Infine era lui quello che aveva tentato di fare chissà quali cose con me e non dovevo preoccuparmi per lui. Fissai gli occhi sui girasoli appena sbocciati. Erano belli, gialli e carichi di petali. Luminosi sotto quel sole splendete. Decisi di uscire e tagliarne uno da portare alla nonna. Tanto sapevo già che una semplice chiave e una porta non sarebbero bastati a tenerlo fuori dalla mia vita o a farlo demordere dalla caccia. Sì perché dopo quell'ora io mi sentivo una preda. La sua preda.

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Capitolo 3
*** Capitolo due - Innocenti scuse ***


Capitolo due: Innocenti scuse

Non è sbagliato perdonare, anzi da grande sollievo, ma va fatto solo dopo scuse sincere..

 

Mia madre aveva quasi deciso di farmi ricoverare in una clinica psichiatrica per i miei comportamenti senza motivo. Nemmeno io mi capivo. Non facevo del male a nessuno, non ero un assassino, non ero un ladro. Ero solo perso in un abisso da cui non sapevo come risalire. C'era qualcosa in superficie che mi respingeva sul fondo. La luce, avevo perfino dimenticato come o cosa fosse. Ero pazzo. Folle. Talmente folle da scriverle un messaggio. Non ero in me. Ricordavo a malapena cosa avessi fatto con Lucy o cosa le avessi detto in quel boschetto. Mi stavo detestando. Ma non ero il tipo da farmi prendere dall'ansia quindi le scrissi sicuro di me. Dovevo scusarmi. Non volevo perderla. Ricordavo i suoi occhi spaventati, e imploranti. Di cosa mi aveva implorato? Mi grattai la testa, ridacchiando. Alla fine lei magari era proprio dall'altra parte della strada. Sarei potuto andare subito a trovarla, ma non volevo spaventarla. Non sapevo nemmeno perché ero andato a suonare il campanello di casa sua quel giorno, ma dovevo rimediare in qualche modo. Che mi era preso?

Ciao Lucy.. Sono Nial. Lo so, ti starai chiedendo come faccio ad avere il tuo numero. Beh è una storia strana.. ma non sono uno stalker, non ti spio con i binocoli dalla finestra”. Che idea malsana, eppure mi sarebbe piaciuto infondo spiarla un po', notare le sue abitudini. Non avevo nulla di meglio da fare e lei mi interessava veramente. Non solo perché era carina, ma volevo conoscerla. Aveva qualcosa di terribilmente attraente, di speciale.

Che vuoi?”

La risposta arrivò velocemente. Cogliendomi di sorpresa. Avevo solo il timore che mi bloccasse o non volesse parlare, ma almeno sapevo che quello che avevo era il numero giusto. Il suo. Di altro non mi importava. Ne avevo la conferma.

Mi dispiace per come mi sono comportato qualche giorno fa, non volevo sul serio. Non volevo spaventarti. Non ero in me” tentai di spiegarle. Glielo dovevo.

Nessuna risposta. Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire, ne ero certo. Ricordavo il suo abbraccio. Stringere il suo corpo minuto e fragile era stata una sensazione così tenera.

Senti so che ho sbagliato, ma mi sto odiando per quello che ho fatto e non ricordo nemmeno tutto. Però vorrei chiederti scusa a voce, non mi piace parlare attraverso uno schermo. Vorrei che capissi che sono sincero” Riprovai. Non era da me fare suppliche o correre dietro a qualcuno, ma per lei potevo concedermi di esagerare un po'. Sentivo che ne sarebbe valsa la pena. Era interessante. E poi ero sincero. Volevo rimediare, non mi piaceva quello scatto di follia che mi aveva preso con lei.

Non posso ora, sono in ospedale e non so se voglio sentirle queste scuse”

Ospedale? Perché era in ospedale? Ero certo di non averle fatto del male. Uhm. Dovevo convincerla. Anche se più mi respingeva e più non faceva altro che rendere dannatamente suggestivo l'inseguimento.

Okay però verrò a chiederti scusa più tardi, ho già dipinto i tuoi colori in me, non voglio perderti.. e vorrei che mi perdonassi, visto che io con me stesso non potrò mai farlo, non lo meritavi e non volevo conoscerti così. Però sì, volevo conoscerti e lo voglio ancora, se lo vuoi anche tu”

Sembrava melenso e troppo diretto, ma lo inviai lo stesso sperando di fare colpo. Chissà che pensava di me? Forse mi odiava, ma ero sicuro di avere ancora un briciolo di speranze ed opportunità per attirarla nella mia rete. Non mi rispose. Così decisi che avesse bisogno d'aria e schiarirsi le idee. Pressare troppo non era mai un'ottima strategia. Non andai a trovarla quel giorno, ma il seguente mi recai alla sua casa. Dovevamo parlare e avremo parlato. Avrei chiarito. Suonai il campanello di casa sua, ma senza quel sensazione di follia che mi aveva spinto a farlo nei giorni precedenti, mi sentivo quasi a disagio. Non capivo nemmeno io cosa avessi e se ci fosse una cura a cosa stavo diventando, o cosa ero ormai. Scrollai quel pensiero dalla mia testa mentre mi rispose una voce maschile. Il fratello di Lucy, probabilmente. La sentii dire dall'altra parte del citofono di dire al fratello che non era in casa e puntualmente sbuffai. Non sarebbe stato facile. Lo sapevo già, ma non credevo fosse cosi restia di vedermi. Lei e suo fratello discutevano piano, non li capivo, lui doveva aver coperto la cornetta del citofono con il palmo. Dovevo proprio averla terrorizzata. Stavo per perdere la speranza e tornare sui miei passi, quando la voce che mi aveva accolto disse – Arriva subito-. Vittoria. Sorrisi e poi la vidi comparire e avanzare lentamente sul vialetto di ghiaia fino a fermarsi con le braccia incrociate al petto, a qualche passo del cancello. Mi avvicinai alle sbarre. L'unica barriera che ci separava. Volevo assottigliare quella distanza più che potevo. Lei non parlava. Non mi guardava. Si fissava i piedi, imbarazzata, contrariata. Cosa dirle, lo sapevo bene.

-Scusami per come mi sono comportato- il fiume di parole uscì veloce, ma cercai di caricarlo di sincerità. Risi per smorzare il suo disagio. -Guarda di solito non me ne vado in giro suonando i campanelli della gente, però volevo sapere che accetti le mie scuse. Mi sento male al solo pensiero di averti fatto qualcosa di brutto, io non volevo-. Era proprio così, doveva capirlo.

Lei alzò lo sguardo. -Eri ubri..- stava per chiedermelo, ma feci di no con la testa e i miei ciuffi mi caddero sulla fronte. Li scostai. -No- rincarai a voce -Non so nemmeno io cosa ho, ma veramente non volevo spaventarti. Se non vuoi più vedermi lo capirò, però ci tenevo a scusarmi con te-. Ci guardammo negli occhi. Lei stava stava cercando di capire se fossi davvero serio. Poi un pensiero le fece cambiare traiettoria fino al muro di casa mia. Non lo seguii però. -Come fai ad avere il mio numero?- mi chiese curiosa forse.

-Te lo racconterò se ci vedremo- appoggiai le mani alle sbarre del cancello, come se potessi scioglierle con il mio tocco, ma lei lì dietro si sentiva più al sicuro. -Non sono cattivo Lucy, posso dimostrartelo-. Dovevo solo tenere a bada quella belva che avevo dentro. Non sembrava convinta.

-Ti ringrazio per le scuse- cominciò -Ma non lo so, tu mi fai paura- mi confessò senza peli sulla lingua e come darle torto del resto. Ma fece scivolare le braccia lungo i fianchi.

-Te la farò passare – le sussurrai sicuro, come se fosse un segreto, ma in modo che potesse udirmi chiaramente -Dammi un'altra possibilità Lucy, sbagliare è umano-. Non sapevo esattamente che approccio adottare con lei. Era molto misteriosa e complicata.

-Perché me? Hai un sacco di ragazze che fanno via vai da casa tua e se ti vedo in giro sei praticamente circondato.. quindi che senso ha?- disse poi, dopo aver riflettuto, continuando a fissarmi soltanto a tratti. Non riusciva nemmeno a mantenere lo sguardo su di me. Aveva ragione, la compagnia non mi mancava, ma stava facendo pensieri sbagliati. Troppo scontati. Ma sicuramente c'era un nesso con quello che dovevo aver detto alla villa a lei. Avrei voluto chiederglielo ma era meglio se lei quel giorno se lo scordava. Era meglio per entrambi. -Mi interessa conoscere te però- le risposi, regalandole uno dei miei migliori sorrisi, sperando che facendola sentire importante si sarebbe sciolta un po'. Ma nulla. Era impassibile. Un blocco freddo di ghiaccio, un'isola di paradiso impossibile da raggiungere, una cassaforte di cui era stata buttata via la chiave d'accesso. -Da amici- aggiunsi poi, cercando di fissarmi nei suoi occhi e non sulle sue piccole labbra socchiuse. Ricordavo anche che erano morbide e delicate. Le avevo forse sfiorate? Il dubbio mi consumava. Volevo piacerle, non spaventarla dannazione.

-Non mi interessa conoscerti-. Mi rifiutò di nuovo con la potenza di una doccia fredda. -Non voglio conoscere nessuno- si affrettò a spiegare e lo vidi. Un velo di immensa malinconia attraverso i suoi occhi del colore dell'oro. - Allora perché mi hai detto si giorni fa?- le chiesi curioso. Lei non rispose, tornò a fissare i soliti sassolini bianchi sotto i suoi piedi. C'era qualcosa in me che doveva pur piacerle o comunque attirare la sua attenzione. -Pensaci- le chiesi un'ultima volta -Non inseguo le persone, quindi se non vorrai non ti farò più pressioni, okay?- lasciai le mani dalle sbarre, come a rendere più reale quello che le dicevo. Per tutto il tempo le avevo tenute lì.

Lei annui, incrociando ancora le braccia al petto. Stava cercando di far tornare normale il suo sguardo, la sua anima. Nascondendo quel piccolo dolore che le era comparso poco prima, uscendo allo scoperto, mentre lei voleva soltanto che finisse. Mi sarebbe piaciuto sapere per cosa avevo sofferto così tanto. Avrei potuto fare discorsi di ore e ore con lei, se solo avesse voluto.

Non aveva senso restare ancora. – Io devo andare adesso- la salutai, mentre i nostri occhi si incontravano per quella che speravo non fosse l'ultima volta.

-Aspetta Nial.. - mi bloccò prima che potessi girarmi per andarmene. Sorrisi. Chissà che voleva dirmi. Sospirò. - Non suonare più il campanello a casa mia- mi disse – Per favore-. Io risi. Era cosi buffa certe volte. - Promesso Lucy-. Ed avevo intenzione di mantenere la parole. Dopotutto era un po' un comportamento da stalker andare a cercarla sotto casa sempre. Non lo avrei fatto. Non dovevo più spaventarla se non volevo perderla. Mi aveva chiamato per nome, era bello il suono che aveva nella sua vocina dolce.

Così ci salutammo. Non ero per nulla sicuro che sarei riuscito a convincerla a conoscerci. Però almeno avevo ancora il suo numero. Avevo bisogno di non pensare a lei per un po'. Era stata decisa a rifiutarmi, ma avevo notato anche che era una persona molto insicura e sincera allo stesso tempo. Non voleva illudermi. Probabilmente in passato era stata illusa e delusa molte volte. Ecco, ci stavo pensando. Decisi di tornarmene a casa e suonare un po'. Lasciai la finestra aperta, in modo che lei potesse sentirmi. Potesse innamorarsi almeno della mia musica e non la pensai più. Non era una priorità, ma il desiderio di conoscerla non sfumava e non capivo perché. Non ero innamorato, ma attratto. Non era normale, ma del resto nemmeno io potevo definirmi tale. Ero deciso a lasciarle il suo spazio, sempre per non farle venire strane idee e per decidere come procedere.

La rividi il giorno dopo, per caso. Ero al bar, come sempre a non far nulla o semplicemente a cercare di far passare il tempo. Stava uscendo dalla chiesa, dall'altro lato della strada, insieme a tante altre persone. Non pensavo frequentasse la chiesa. Però poi mi accorsi che molte di quelle persone erano vestite di scuro, tranne lei. Era l'unica macchia di colore. Aveva una maglietta fucsia. Non stava piangendo, come qualcun altro, ma aveva gli occhi saturi di tristezza, pronti al pianto. Lei camminava da sola, senza tenere la mano a nessuno. Guardando talvolta in alto, verso il cielo terso e limpido, talvolta in basso sull'asfalto grigio. Si trattava di un funerale. Avrei voluto in quel momento alzarmi dalla sedia e correre lì ad abbracciarla. Un impulso stupido che mi affrettai a soffocare, come buttare un secchio d'acqua sulle fiamme per spegnerle. Dopotutto non ero una persona così stretta da poterlo fare.

Ti ho vista oggi, che cosa è successo?” provai a chiederle quella sera per messaggio.

Mia nonna era in ospedale e non ce l'ha fatta” rispose dopo un'eternità. Si faceva aspettare la principessina. Ma del resto aveva un vero motivo per farlo. Ora si spiegavano un po' di cose. Ero capitato davvero in un brutto momento della sua vita. Cosa potevo dirle?

Caspita. Sono proprio un corvo del malaugurio. Ci incontriamo e ti succedono cose brutte. Mi dispiace, ma sono certo che riuscirai a superarlo, sei una ragazza forte”

Ma non mi conosci, come fai a dirlo?”

L'ho visto nei tuoi occhi che lo sei”

Ci stai provando con me Nial?”

Forse”. Era sveglia la ragazza. “Che stai facendo?” cercai di distrarla dai brutti ricordi. Un buon amico fa questo. “Sto guardando un telefilm, si chiama la spada della verità”. Non lo conoscevo ma almeno si stava concentrando su altro che non fosse il funerale. Stavo per chiederle di parlamene, quando lei mi diede la buonanotte. Così risposi con una buonanotte spezzata e detta di malavoglia. Iniziava a scappare dai miei tentativi di conquistarla. Usare il suo dolore come debolezza non era il modo giusto, ne tanto meno educato. Così ancora una volta decisi di lasciarle le redini del gioco, facendole credere che sarei sottostato ai suoi desideri. Al suo ritmo. E forse lei in un suo piccolo angoletto di cuore mi aveva davvero perdonato per il nostro primo incontro sgradevole. Era stata colpa mia. Perché in effetti avevo deciso io di fare tutte quelle cose che hanno portato la mia testa a perdermi in quel limbo.

Avrei potuto scriverle di nuovo, quando volevo, sapendo che mi avrebbe risposto. Lo sapevo, me lo sentivo dentro. Se solo non arrivasse quel cavolo di giorno e speravo davvero che lei non fosse lì a vedermi entrare nella vettura della polizia. Stavamo uscendo dalla via ormai. Ero lì controvoglia. Non aveva senso, non avevo fatto nulla. Tutto per colpa delle manie iperprotettive di mia madre, ma avrei fatto qualcosa per rimediare. Non volevo finire in una clinica di strizzacervelli, ma volevo ripulirmi dal mostro che voleva trarmi tra le sue grinfie e trattenermi in quell'abisso profondo e scuro. Quindi ormai mi ero deciso, se era l'unico modo per salvarmi lo avrei fatto. Ma sicuramente avrei detto parole a mia madre una volta tornato, per rimproverarla di aver chiamato gli sbirri. Che cavolo, non ero mica un bambino. E poi vidi Lucy, quando speravo di non incrociarla. Eccola lì, con delle borsette della spesa in mano, mentre tornava a casa. Fissava ovviamente la macchina dei carabinieri e maledizione, sperai non mi riconoscesse lì dentro, attraverso i vetri. Mi coprii il volto con le mani, per poi, una volta superata, girarmi a guardare il suo profilo di spalle che si allontanava giù per la strada non sapendo se l'avrei rivista più. Non sapevo nemmeno quando sarei tornato e se avrei potuto scriverle almeno. Ma ne dubitavo. Ma la priorità era non trasformarmi in qualcosa che non volevo essere.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre - Ma tu mi vuoi bene? ***


Capitolo tre: Ma tu mi vuoi bene?

Chi ti vuole bene davvero non si farà mai inseguire.. Ti chiederà di seguirlo e cercherà di seguire anche i tuoi passi, per avvicinare per quanto possibile le vostre impronte e camminare insieme.

 

Ero quasi in ansia, ma almeno ero seduta. Ivan aveva insistito così tanto perché lo incontrassi che non ero riuscita a dirgli di no. Aveva preteso di uscire con me e sarei dovuta essere più risoluta. Non si meritava di rivedermi. Ma volevo chiarire lo stesso. La maggior parte di me voleva sapere perché mi aveva abbandonata e forse anche dimenticata. Anche se potevo già immaginare la risposta. Era solo paura la mia. Quella di essere solo una seconda scelta, o anche una terza. La ruota di scorta e non mi andava bene, perché io stavo imparando a volergli bene. Mi aveva sempre detto che gli interessavo e lo avevo visto ironicamente. Altro che gita in Spagna. Ero come sabbia, spazzata via dal vento. Un granello uguale a tantissimi altri. Interessavo anche a Nial, ma erano giorni che era sparito e non lo avevo cercato. I miei genitori mi avevano detto che avevano visto un'automobile della polizia parcheggiata davanti casa sua. Questo bastava a farmi ancora più paura di lui. Che stava succedendo? Avrei dovuto evitarlo da subito. Ma lui, in qualche modo aveva avuto il mio numero. Cercai di non pensare a lui. Ivan era in ritardo. Guardai l'orario per l'ennesima volta prima di scrivergli un sms. Ero preoccupata all'improvviso. Che gli fosse successo qualcosa? Scrollai tutti i pensieri, come un gattino si scrolla gocce d'acqua indesiderate e fastidiose dal pelo. Se dovevamo giocare però, era lui il gatto, io ero soltanto il topolino. In trappola. Mi ero preparata mentalmente a quell'incontro. Kim, la mia migliore amica, mi aveva detto che potevo concedergli un'altra possibilità per redimersi. Eppure perché dovevo accontentarmi di essere un tira e molla? Perché così mi sentivo e non mi andava più di rincorrere le persone. Lo avevo fatto per davvero troppo tempo e non mi aveva portato da nessuna parte. Il cellulare vibrò sopra il tavolino.

Scusami Lù, mi sono addormentato.. oddio è tardissimo..”

Mi alzai di scatto, veramente infastidita. Si era dimenticato che dovevamo vederci? Mentre il cameriere mi portava, con un sorriso stampato in faccia, l'acqua che gli avevo chiesto poco prima. Mi concentrai sul suo viso, lo ringraziai e mi risedetti. Mandai giù un sorso. Era gelida. Due cubetti di ghiaccio ci galleggiavano dentro indisturbati. Sospirai e mi calmai.

Non fa nulla, ti aspetto...”

Ma mi sono appena svegliato. Possiamo rimandare per favore? Ho un sacco di cose da fare. Ho avuto una giornataccia”

Senti sei tu che ci tenevi a vedermi.. Ora sono qui. Mi hai chiesto tu un appuntamento. Mettiti una maglietta, un paio di pantaloni e vieni qui..” Digitai il tutto presa dalla foga. Rilessi almeno quattro volte, ma poi sbuffando cancellai e riscrissi altro. Perché quello che volevo dirgli suonava troppo accusatorio. “Potevi dirmelo, avrei capito se non ti senti bene. Mi dispiace comunque. Okay faremo un'altra volta, quando vuoi”. Ero troppo buona. Dannatamente troppo buona. Non volevo essere il tappabuchi tra una cosa e l'altra, eppure lo aiutavo a darmi quel ruolo. Se ci teneva veramente cosa gli costava venire lo stesso? C'era molto tempo prima della fine della “giornataccia”.

Grazie Lucy, mi farò perdonare, promesso” Stava iniziando davvero ad avere tante cose per cui farsi perdonare. Ma non glielo dissi. Tenni la frustrazione per me stessa. Non si era ricordato del mio compleanno. Non mi aveva chiesto come stessi per un sacco di mesi come stessi. Non l'avevo fatto nemmeno io del resto. Ma lui aveva smesso di rispondermi dal giorno in cui avevo smesso di cercarlo io. Non sapevo nulla del suo passato, e lui sapeva davvero poco di me. Forse si era spaventato. Ma di cosa poi? Era tutto finito quando non ero andata a casa sua a vedere un “film”. Avevo pensato che avesse altre intenzioni. Ero a disagio ad andarci, dopotutto non ci conoscevamo così bene. Ed ora dopo mesi di assenza ero ancora più a disagio. Non ci saremo visti quel giorno, quindi misi tutto da parte, ancora una volta. Il cameriere tornò, sempre col solito sorriso incorniciato di denti bianchissimi e una barba castana ben curata.

Aveva in mano un piattino. -Offro io- ed appoggiò quello che aveva in mano sul tavolino, accanto al bicchiere. Io gli lanciai un'occhiata perplessa per poi guardare il contenuto. Una fettina, molto minuscola, di torta al cioccolato. -Grazie- dissi sorridendo più al dolce che a quel ragazzo. -Il cioccolato tira su il morale- continuò, spiegandomi la ragione di quel gesto. Aveva notato il mio umore. Cercai di regalargli un sorriso sincero, prima che lui tornasse a occuparsi di altro. Ormai ero fuori, quindi tanto valeva farsi una passeggiata. Avrei voluto chiamare Kim, ma sapevo che era a lavoro. Non potevo disturbarla. Pagai l'acqua ed infine anche il pezzo di torta, insistendo un po'. Era davvero buona, ma purtroppo non migliorò di molto quello che si scatenava dentro di me. Era come una bufera pronta ad esplodere. Tutta la tristezza si accumulava, come la neve che si deposita sul terreno freddo. Mi misi a camminare senza una mera direzione, volevo solo non pensare a tutto quello che stava accadendo ultimamente. Più passi facevo più rabbia smaltivo. Sì rabbia. Per non aver detto quello che pensavo, per sentirmi così facile da mettere da parte. Mentre volevo solo essere davvero importante per qualcuno da amare e che mi facesse sentire amata. Non era mai stato il mio primo pensiero quello di trovarmi un ragazzo, volevo aspettare. Volevo la mia anima gemella, qualcosa di sdolcinato e romantico. Una favola, per una volta. Eppure ora avevo davvero bisogno di qualcuno. Forse stavo solo crescendo. Mi fermai davanti ad una vetrina di una libreria. Adoravo leggere. Mi distraeva dalla realtà. Lessi tutti i titoli dei libri esposti, guardando se qualche nuova uscita mi ispirava. Mi piaceva il profumo della carta stampata. A volte passavo ore intere senza staccarmi da un libro. Dentro, la libreria era semi deserta. Avrei potuto entrare e sbirciare meglio alcuni deliziosi volumi, che avevano attirato la mia attenzione, se solo non sentii una presa sulle mie ginocchia. Si stringeva sempre più, rischiando di farmi cadere col sedere sul marciapiede.

Ma che?!... Guardai in basso e i miei occhi ne incrociarono un altro paio, piuttosto spaventati. Molto chiari, quasi grigi. Come un cielo plumbeo prima di un temporale. Su un visetto pallido e vispo di una graziosa bambina bionda. Non ero brava a dare un'età alle persone, ma poteva benissimo avere tre o quattro anni. E che ci faceva attaccata alle mie gambe come un polipetto? Forse si era persa. Dovevo aiutarla in qualche modo. Okay, calma.

-Ciao- le dissi, sorridendole cordiale e disponibile. Lei mollò la presa, ma non rispose, squadrandomi dall'alto al basso con i suoi occhioni. Che fare? Stavo per chiederle se stava bene. Quando notai un ragazzo avvicinarsi in tutta fretta. Era completamente diverso dalla bambina. Occhi neri e capelli cortissimi e scuri, pelle abbronzata. Una camicia a quadri su un fisico ben fatto. Da quando in qua notavo le corporature? Stavo diventando matta.

-Ehy, sorry for my sister- pronunciò con un inglese quasi masticato, avvicinandosi a noi due. La bambina dissolvendo i miei dubbi gli prese la mano e lui le diede una scatolina di succo di frutta. Erano stranieri. Non ci avevo nemmeno pensato. -Espagnol?- mi chiese poi con un sorriso davvero ammaliante. Lo spagnolo? No non lo sapevo.

-No entiendo l'espagnol- gli risposi. Sapevo solo qualche frase di sopravvivenza. Tipo quella. Voleva fare quattro chiacchiere con me. Ora era chiaro. Sembrava una scena da film. Aveva mandato avanti la sorellina per adescarmi, e rompere il ghiaccio. Poveretta. Sperai che almeno quel succo, che ora stringeva tra le manine, non fosse l'unico premio che si sarebbe meritata per quell'azione. -We can use english if you want, or french or italian- continuai elencando le opzioni attraverso le quali potevo capirlo. -Ah okay. Well english.. I'm Salvador- mi porse la mano, ma non la strinsi -Nice to meet you-. Almeno un po' l'inglese lo sapeva. -I'm Lucy, nice to meet you too- gli ricambiai il sorriso. Poi lui cominciò quello che sembrava una sorta di interrogatorio, però mi fece piacere testare l'inglese visto che non avevo praticamente l'opportunità di parlarlo quasi mai.

-Where are you from?- mi chiese e mi sembrò veramente interessato.

-A place nearby here- feci la vaga, dopotutto era solo una semplice parentesi, non ci saremo più rivisti dopo quelle poche parole. -And you?-. Lui rise, aveva capito.

-I'm from Columbia-. Colombia, quindi America latina. Ecco perché era così abbronzato. Eravamo alti uguali. -And how old are you?- mi chiese poi, sempre più incuriosito. Ancora non capivo perché avesse architettato quel piano per farmi quelle domande. Forse mi trovava carina?

-I'm tweenty-. Lui mi rispose con una faccia strana. No, mi sbagliavo. Non sapeva benissimo l'inglese.

-What? What number is it?- sussurrò, quasi imbarazzato. Cosa? Come faceva a non saperlo. Si mise a contare sulle dita, ma arrivava fino a diciotto, probabilmente la sua età. Così gli feci segno di spalancare le mani e aprii anche le mie in corrispondenza, appoggiandole quasi sulle sue, lasciando solo un minimo spazio d'aria tra di esse. -Our four hands are tweenty-. Sembrava di insegnare qualcosa ad un bimbo. Lui non capiva, ma era divertito lo stesso. Mi sembrò che volesse prendermi le mani così le scostai, allontanandole dalle sue. Gesticolavamo animatamente mentre i passanti talvolta ci guardavano divertiti. Era strano. Continuava a fissarmi con i suoi occhi color dell'ebano. Ma almeno mi aveva distratto dai miei pensieri. -We have to go now- mi confessò. Erano passati pochi minuti, di certo non mi aspettavo una conversazione di un'ora, anche se era stata simpatica e piacevole. -So.. Goodbye- mi salutò. Stavo per rispondere a entrambi, quando si sporse verso di me leggermente. Le labbra schiuse. Voleva un bacio. Aveva pianificato tutto quello spettacolino per strapparmi un bacio. Anche se sicuramente non lo avrei più rincontrato, di certo non davo baci a sconosciuti, nemmeno sulla guancia. Mi allontanai di un passo indietro. Finendo quasi contro il vetro del negozio alle mie spalle. -Oh okay- proferì, visibilmente deluso dalla mia reazione. Magari in Colombia erano affettuosi, che ne so. Scrollai le spalle, facendo un “no” con la testa. Lui storse le labbra in un'espressione contrariata e buffa, mentre la sua sorellina ci guardava ancora dal basso con i suoi grandi occhioni spalancati, probabilmente non comprendendo nemmeno che stavamo dicendo. -Bye- finalmente riuscii a dire loro e se ne andarono, lasciandomi di nuovo alla mia triste solitudine. Li guardai allontanarsi, sperando per un attimo che quella bambina fosse veramente sua sorella, ma lei gli saltellava attorno felice. Turisti in vacanza. Riflettei su di me. Dopotutto ero una che piaceva. Ero particolare. Ne ero consapevole, anche se non volevo attirare l'attenzione. O forse volevo l'attenzione, dopotutto mi erano successi un sacco di eventi spiacevoli ultimamente e mi sentivo come abbandonata. Avevo bisogno di attenzioni, ma di chi mi volesse bene veramente, anche se non volevo far preoccupare nessuno.

 

 

Angolo autrice

Eccomi qui. Ho fatto l'angolo per ringraziare tutti quelli che seguono la storia e l'hanno aggiunta tra le seguite e le preferite. Il vostro sostegno è importante per me. Per dire grazie anche a chi la legge silenziosamente e se volete spendere qualche minuto per dedicarci una recensione o critica costruttiva mi farebbe piacere e mi aiuterebbe.

Grazie di cuore a chi continuerà a seguirla :)

 

Inoltre per chi non sapesse bene l'inglese riporto qui la traduzione del dialogo tra Lucy e il misterioso Colombiano, che ho preferito scrivere in lingua originale nella storia per renderla più vera.

 

S: -Ehi scusa per mia sorella- -Spagnolo?-

L: -Non capisco lo spagnolo- -Possiamo usare l'inglese se ti va, il francese o l'italiano-.

S: -Ah okay, allora inglese.. sono Salvador- -Piacere di conoscerti-.

L: -Mi chiamo Lucy, il piacere è mio-.

S: -Di dove sei?-

L: -Un posto qui vicino- -E tu?-

S: -Vengo dalla Colombia- -Quanti anni hai?-

L: -Ho vent'anni-

S: -Cosa? Che numero è?- (Anche Salvador non capiva bene l'inglese)

L: -Le nostre quattro mani sono venti-

S: -Dobbiamo andare noi adesso- -Così, addio-

L: -Addio-

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro - Maledetti sofficini ***


Capitolo quattro: Maledetti sofficini

Il tempo che passa non cambia i ricordi, li rende lontani, ma quando tornano ti investono con la stessa potenza di una volta, azzerando e contrastando quello che hai fatto per allontanarli...

 

UN ANNO DOPO..

Oggi piove e fa freddo. E' una pioggerellina leggera però, di quelle che ti solleticano la pelle. Proprio come l'anno scorso e sto lottando disperatamente con le cuffie per farle funzionare. Mi fanno i dispetti e non riesco nemmeno ad accompagnare il grigio di questo cielo con un po' di sana musica, mentre cammino per la strada. Quanta pazienza che ci vuole a volte in questa vita. Ma se fosse tutto semplice non sapremo lottare o metterci in gioco. Io non sono meteoropatica ma mi sento triste. Mi sento così perché i ricordi vengono a galla, prepotenti e sento le lacrime stuzzicarmi gli occhi. Sono giorni particolari, la ferita brucia ancora e talvolta mi prende in giro come stanno facendo questi maledetti auricolari. Sto dormendo col pigiama azzurro della nonna, è comodo, e non ha la più pallida idea del perché mi vada a pennello visto che lei era molto più bassa e piccolina di me. Lei diceva sempre che dovrei fare la modella, ma non rientra esattamente in quello che voglio fare. Sono troppo timida per mettermi in mostra. Per una che non vuole stare sotto i riflettori poi doveva essere un vero inferno. Da quando lei se ne è andata a volte mi sembra tutto in discesa. Mi manca, anche se ormai è passato un anno. Almeno finalmente la fortuna aveva girato dalla mia parte e tutti i pezzi si erano incastrati come un puzzle. Avevo trovato un lavoro. Non mi piaceva moltissimo, ma mi impegnavo. Ero dipendente in un supermercato. Ormai mi erano diventati familiari il sistemare scaffali e quel bip che fanno i prodotti quando passi il codice a barre sulla cassa. Mi impiegava il tempo, e così quando faticavo almeno non dovevo preoccuparmi della situazione familiare. I miei genitori sembrava che volessero divorziare. C'erano liti, molto frequenti, per motivi futili a volte. Quando c'era la nonna non si discuteva mai. Ero molto affezionata a lei, mi aveva insegnato un sacco di cose, e tutti i casini che succedevano me la facevano tornare in mente. Non volevo che i miei si separassero, era un problema spinoso e mi sentivo impotente. Io li avevo sempre visti uniti come l'immagine della coppia indistruttibile, eppure più il tempo passava e più andava tutto a rotoli. Non ci volevo pensare, così scacciai quelle preoccupazioni che prepotenti volevano insinuarsi nella mia testa. Ci pensavo già troppo perché non ero pronta ad affrontarle se fossero diventate qualcosa di tangibile. Speravo solo che in un modo o nell'altro tutto sarebbe tornato ad andare bene, come quando c'era la nonna a casa con noi. Le cose brutte si superano sempre no?. Mi concentrai su quello che dovevo fare. La maglietta verde scuro del supermercato mi piaceva. Mi stava bene. Ma sentivo freddo con quelle maniche corte ogni volta che finivo in quel reparto. Dovevo sistemare dei surgelati. L'altoparlante che riempiva di musica l'edificio stava suonando “Counting stars” dei One Republic. Spingevo il carrello stracolmo di scatoloni, ormai quasi vuoti. Ormai ne mancava solo uno. Quello dei sofficini, poi potevo andarmene e sarebbero spariti i brividi dalle mie braccia. Senza accorgermene mi ero messa a canticchiare a bassa voce la canzone. Tanto nei paraggi non c'era nessuno. Potevo rischiare. Soprattutto perché ero stonata. “I couldn't lie.. Everything that kills me makes me alive”. Oh magari fosse stato così. Quello che mi uccideva non mi faceva affatto sentire viva. Ecco, ci stavo ripensando. Mi concentrai sul testo della canzone, cercando anche il frigo giusto. Passai davanti a quello delle patatine surgelate da friggere. Inevitabilmente sorrisi. Non facevano bene, ma quando ero triste, le patatine riuscivano a farmi stare meglio di un gelato o di un dolce. Del resto non ero nemmeno una di quelle ragazze da baci sulle panchine, in mezzo a tutti. Finalmente. Eccomi. Lo scaffale era in alto. Mi sarei dovuta slanciare sulle punte per posizionare le nuove confezioni. Aprii lo sportello del frigorifero e prendendo due scatole iniziai a sistemarle. Erano fredde. L'aria gelida che si sprigionò dal frigo mi investì facendomi un po' tremare. Cercai di sistemarle con una mano, mentre con l'altra tenevo l'anta automatica, per evitare che si richiudesse su di me. Dovevo fare in fretta perché non poteva rimanere aperta per troppo tempo. Stavo giusto pensando che potevo tenerla bloccata col carrello, quando persi l'equilibrio, e togliendo la presa sulla porta si inizio a richiudere sulla mia schiena, spingendomi e schiacciandomi contro i ripiani di quei maledetti sofficini.

-Cavolo- esclamai allibita mentre il tutto succedeva, senza che potessi fare niente per fermarlo. Qualcuno bloccò la porta prima che mi sbattesse contro la schiena. -Ma sei un pericolo pubblico-.

Con ancora la scatola di sofficini in mano mi voltai per ringraziare il mio salvatore. Meravigliata incrociai proprio Nial. Ridacchiava divertito. Io presi un colpo e mi scordai di ringraziarlo. Era diverso da come lo avevo visto l'ultima volta. Si era lasciato crescere un po' di barba che però non gli stava male. Portava un cappello bianco e una camicia color salmone con scollo a V, molto stile sto per andare in vacanza, il tutto ornato da un paio di jeans sbiaditi verde oliva e una collana composta da un proiettile legato a uno spago. Meccanicamente tornai a fissare lo scaffale del frigo per posare le ultime cose, senza degnarlo di uno sguardo, anche se gentilmente mi teneva l'anta in modo da far il lavoro più in fretta. -Grazie- lo dissi piano, ma lui lo sentì. Mi sentivo intimidita. Dopotutto aveva quasi messo la mano sotto la mia maglietta quel ragazzo. Ma dovevo pur ringraziarlo. Poi lui richiuse la porta del frigo mentre mi scostavo. Teneva sotto braccio un pacco di birre e una scatola di salatini. Ma cercai di concentrare lo sguardo sulle goccioline di condensa che scivolavano sul vetro del frigorifero, distogliendolo da lui.

-Odio i sofficini, e tu?- mi chiese, credo più per trattenermi lì a parlare con lui come se fosse normale. Dove sei stato? Dove eri finito? Che aveva fatto? Lo pensai, ma non lo dissi. Non volevo parlargli. Non volevo vederlo. E allora perché mi interessava? Avevo ancora paura di lui.

Non si avvicinò per toccarmi con la mano libera, né per bloccarmi. -Devo andare- gli dissi, rivolgendomi alla parete alla fine di quel corridoio stretto tra file di scaffali colmi di prodotti. Lo stesso “ultimo” saluto che mi aveva fatto lui davanti casa.

-Lucy.. vorrei parlarti..- iniziò. Ecco, quando qualcuno usava quel tono implorante io non sapevo dire di no. Perché mi immedesimo sempre nei panni degli altri e se a me negassero la possibilità di rimediare uno sbaglio o un mio comportamento, ci starei male. -Voglio spiegarti dove sono stato, perché sono sparito, perché ti ho trattato male quella volta-. Questa era una novità per me. Nessuno mi dava spiegazioni. Ma potevo fidarmi? Potevo veramente credergli o era tutta una manovra per attuare non so nemmeno quale scopo. -Ho visto la macchina che ti è venuta a prendere..- cominciai, stringendomi nelle spalle. Lui si adombrò in viso. Stavamo parlando di quel giorno, come se fosse successo ieri. -Ah.. be non ho fatto del male a nessuno, ma questo non è il luogo per parlarne okay? Sinceramente non pensavo nemmeno di incontrarti per caso in giro- sviò lui la conversazione. Poi mi ricordai, io ero a lavoro. Non potevo di certo mettermi a chiacchierare con chissà chi. -Già, io sto lavorando- affermai, incerta se davvero volevo ascoltarlo. Avevo così tanti dubbi ed insicurezze. Non solo sulla sua persona, ma era come una maledizione. Molte delle persone con le quali mi ero aperta, a cui avevo permesso di conoscermi, poi mi avevano fatto del male, o mi erano state vicino solo per profitto. Come a scuola, quando ero una delle alunne più brave dell'istituto. Non ne potevo più. Volevo persone vere al mio fianco, con le quali scherzare, ed essere me stessa, senza paure, senza maschere. Volevo potermi fidare. Uscire dalla mia prigione. Poteva Nial aiutarmi? Potevo imparare a fidarmi di lui? Falsità e doppie facce mi accompagnavano troppo spesso, insieme a conseguenti delusioni.

-L'ho notato- sogghignò, rivolgendo lo sguardo alla targhetta con il mio nome che portavo al petto. -Non voglio farti del male- continuò. Chiusi gli occhi e soppesai con cura quelle parole, sperando che fosse così. -Quando stacchi?- chiese pieno di aspettative. Come? Riaprii gli occhi, colta di sorpresa. -Tra un paio d'ore- affermai. -Perfetto, vediamoci dove vuoi tu-.

Non gli risposi subito e ci fissammo per quei interminabili secondi carichi di tensione. -Vediamoci in centro- risposi poi. Un luogo affollato, non mi avrebbe fatto del male, o cercato di alzare le mani. Gli stavo dando la sua seconda possibilità. Tutti la meritano. Forse ero ingenua, ma qualcosa mi diceva dentro che lui non era come tutti. Anche se mi aveva dato una brutta prima impressione. Qualcosa mi diceva che non voleva solo cercare di adescarmi, anche se all'apparenza sembrava proprio il tipo che attira tutte le ragazze, comprese quelle timide come me. Però ho voluto credergli e forse non lo avrei mai fatto se non mi fossi sentita così sola. Ancora dovevo capire, perché nonostante tutto questo gli interessassi. Gli fissai le spalle mentre si allontanava verso le casse.

Avevo bisogno di svagarmi. Di non pensare. Ma non lo avrei incontrato con secondi fini. Volevo comprenderlo. Forse avrei capito perché mi sembrava che tutti i ragazzi mi guardassero in quel modo, perché non ne avevo ancora trovato uno di veramente sincero, che ci tenesse a me.Sospirai e tornai al mio lavoro, anche se man mano che si avvicinava l'ora della fine del mio turno, mi sentivo l'ansia crescere nello stomaco. Perché diavolo avevo accettato? E quando uscii, lui era lì. Come stabilito. Accanto alla fila di carrelli che mi aspettava. Con un paio di occhiali da sole. Aveva spesso di piovere, ma il cielo era coperto di nuvole. Voleva solo farsi vedere. Roteai gli occhi. Con me certe tattiche non funzionavano. Mi strinsi la borsa a tracolla al petto e mi avvicinai, mentre sotto quelle lenti scure si dipingeva un sorriso enorme. -Nial cosa vuoi da me?- gli chiesi, ad un passo da lui. Volevo dimostrarmi temeraria anche se in realtà me la stavo facendo sotto. Perché lo ritenevo pericoloso e volevo chiedergli di lasciarmi in pace. Sì, ci avevo riflettuto nelle ultime ore ed ero arrivata a quella conclusione, come la cosa migliore da fare.

-Conoscerti, te l'ho detto- mi rispose, come se quella domanda lo avesse esasperato. Mi tornò in mente Ivan. Quel ragazzo conosciuto per caso. Anche lui voleva conoscermi e poi era sparito nel nulla, per due volte. Ogni persona è diversa, è a modo suo, ma io stavo all'erta. Non volevo ferirmi ancora. Avevo già sopportato troppo.

-Andiamo- mi invitò, portando il discorso da un'altra parte.

-Dove sei stato?- gli chiesi mentre come due amici di vecchia data, ci incamminavano per la strada per il centro. Camminare mi tranquillizzò, ma non tanto da farmi abbassare la guardia.

-In un posto... a cercare di riprendere in mano la mia vita. Ho sbagliato molte cose, Lucy. Me ne pento. Voglio finire la scuola, e poi trovarmi un lavoro decente adesso. Sono stato pazzo, folle, per colpa delle droghe che ho assunto. Ma ora mi sono ripulito.. quella volta.. - la voce quasi gli si spezzava -Quella volta, non ero in me, come ti ho già detto.. mi dispiace di averlo fatto.. mi dispiace di essere sparito e ancora più di averti spaventata-. Continuò descrivendo quello che aveva vissuto, quel suo scomodo passato ed io lo ascoltavo. Vedendo a tratti il dolore lambire l'azzurro dei suoi occhi. Eppure una parte di me voleva credergli, non considerarlo un pericolo.

Perché mi diceva questo? Si stava praticamente aprendo con me, dicendomi tutte quelle cose che di certo non lo aiutavano se voleva avvicinarmi. Eppure stava rischiando. Arrivammo a un pontile su un canale. Non mi ero nemmeno accorta che avevamo deviato strada. Il vento leggero faceva increspare la superficie trasparente dell'acqua ed ondeggiare i rami degli alberi sulla riva. Mi guardai attorno. Era un parcheggio accanto ad un fiume. Ma comunque c'erano case, ed anche delle panchine, che costeggiavano la stradina, ma non ci sedemmo. Una signora anziana ci fissava incuriosita su una sedia a dondolo di vimini, nel suo piccolo e curato giardino, poco distante. Aveva la visuale completa su di noi. -Puoi mi fidarti, mi sto esponendo anche troppo- concluse, aspettando la mia reazione. Ma lo vidi sospirare, come se si fosse tolto un grosso macigno dal petto. Ricordai che voleva parlarmi anche quella volta, sotto casa. Ora finalmente lo aveva fatto quel chiarimento.

-Io.. Nial.. sinceramente ho sofferto tanto per persone in passato, non riesco più a fidarmi di nessuno, perché tutti quelli che ho incontrato o quasi, avevano un secondo fine con me- dissi, insicura di quello che volevo fare e lui capii che non bastava ad ottenere la mia fiducia. Che sarebbe stata dura conquistarsela.

-Lo sai.. se fossi un animale saresti sicuramente una tartaruga- mi disse così su due piedi.
-E questo che vuol dire?- gli chiesi accigliata, stava cambiando discorso di nuovo.
-Vuol dire che quando hai paura ti nascondi dentro il tuo guscio-. Si avvicinò e mi prese la mano lentamente. -Ma non ti preoccupare io sono bravo a romperli-.

-Quella signora ci guarda- cambiai io argomento, non volevo proprio parlare di me. Feci scivolare via la mano dalle sue. Non mi stringeva e mi liberai facilmente. Lui girò la testa di lato e guardò la vecchietta, che mi sembrò gli facesse l'occhiolino. Magari non c'era nulla che l'aggradava in televisione ed ora pensava che il telefilm lo avremmo fatto noi due.

-Si starà aspettando che ti bacio..- disse ridendo. Di una risata musicale e argentina.

-Sei scemo- affermai, alzando un sopracciglio sorpresa. Lui non tentò di prendermi la mano di nuovo, ma le fissò con intensità e quasi mi tremavano.

-Stavo scherzando, non lo farò più. Se tu non vuoi- disse con una punta di malizia nella voce. Piantò i suoi occhi nei miei.

-No. Non voglio e ora vado a dirle di smettere di fissarci-. Incrociai le braccia al petto.

Lui rise di nuovo, felice. -Guarda se lo fai ti pago da bere-.

-Sono astemia- gli confessai. Andavo fiero del fatto che non mi piaceva l'alcool.

-Uh che brava ragazza-.

-Perché ti interesso?- Ripensai a quello che mi disse Ivan. Che ero diversa dalle altre ragazze.

Lui si mise a riflettere per un po' e guardò il cielo. Come se quello che doveva dirmi fosse scritto tra le nuvole. -Per la tua dolcezza, credo. E' spontanea e introvabile e mi è mancata-. Sospirai, affranta, come se la risposta non mi fosse piaciuta, ma in realtà nessun ragazzo mi aveva mai detto nulla del genere. -Sembra che ci stai provando-.

-In effetti sembrava un po' molesto, però davvero non ti spaventerò più-. Non sapevo che dire. Che fare. Se provare a credergli. -Amici?- chiese poi lui, quasi timidamente, porgendomi la mano. -Amici- risposi, stringendola appena, per suggellare quel patto. Non so perché lo feci, ma in quel momento seguii il mio istinto, anche se non credevo di poter avere per amico un ragazzo tanto complicato. Cambiai decisione in un batter d'occhio, anche se non capivo perché. Di solito ero una tipa riflessiva.

-Allora ci vedremo ancora?- chiese poi, con degli occhi che emanavo speranza. Mentre si rimetteva quelli occhiali da sole, con i quali doveva sentirsi davvero molto figo. Che ci facevo con un tipo simile? Saremo mai andati d'accordo? Io potevo dargli solo un'amicizia e nulla più.

-Si con i binocoli- gli sussurrai. Lui sogghignò. Aveva colto il mio umorismo riferito ad una delle sue frasi. -Be se vuoi li prendo, tanto li ho da qualche parte- rispose sicuro, con una mano sul petto.

-Comunque il mio guscio mi piace- spostai di nuovo la conversazione.

-Ma è buio lì dentro Lucy-. Ci salutammo così. Era stato strambo quel chiarimento. Però su una cosa aveva ragione. Io stavo vivendo nel buio.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque - Nel momento del bisogno ***


Capitolo cinque: Nel momento del bisogno

Chiudi gli occhi, chi avrai al tuo fianco quando starai davvero male, in ogni momento, sarà una persona che si merita la tua fiducia...

 

Ma non ti preoccupare, io sono bravo a romperli”. Le parole di Nial sul mio guscio mi martellavano in testa, non riuscivo a non pensarci, anche se ormai era passato qualche giorno. Per lui ero come un libro aperto, di cui sfogliare le pagine una a una con estrema cura. Forse avrei dovuto chiedergli cosa aveva intenzione di fare con me. Ma avrebbe risposto la stessa identica cosa di sempre: conoscermi. Forse potevo respirare e vivere qualcosa senza costanti preoccupazioni. Forse potevo uscire dalla mia fortezza di dubbi. Si soffre sempre del resto, non sai mai che aspettarti dalle persone. Quindi perché dovevo costantemente ponderare le mie azioni? Dovevo smetterla di ricordare il nostro primo incontro. Stava cercando di dimostrarmi che potevo fidarmi di lui, che voleva cambiare da ciò che era. Magari non era nemmeno un donnaiolo che ci provava con tutte. Sospirai e mi lasciai cadere sul letto ed in quel momento un messaggio fece vibrare il mio cellulare sul comodino.

Lo stalker ha ritrovato il tuo numero. Visto che bravo ragazzo?”

Nial. Come se avesse percepito i miei pensieri. Risi. “Già proprio bravo”. Digitai ed inviai.

Che lusinghe, che fai principessa?”. La risposta fu immediata. Iniziavo a sentirmi importante forse. Ma principessa proprio no. Non potevo concederglielo.

Non mi piacciono i soprannomi”

Okay, sei la principessa del regno dei non soprannominati”

Sei pazzo”. Era strano. Ma stavo iniziando a sentirmi bene. La mia paura nei suoi confronti stava scemando via, in qualche angoletto del mio cervello.

Per me è un complimento” rispose e non seppi dire se lo avevo offeso oppure no. Molto spesso nemmeno i miei amici comprendevano le mie battute. Dicevano che avevo un pessimo umorismo. “Comunque resti una principessa”. Ancora. Non demordeva facilmente.

No.. non si discute, niente soprannomi” affermai. Non gli avrei lasciato darmi un nomignolo. Quando dai un nome tuo a qualcosa significa che sei disposto ad affezionartici.

Si invece, perché cerchi il tuo principe azzurro”. Mi lesse ancora. Ero davvero trasparente. “Ma ahimè sono solo un cavaliere nero, a cavallo di una capra carnivora, visto che sono vegetariano”. Che?! Era fantasioso, proprio come me.

Sei vegetariano?” gli chiesi poi, lasciando perdere la figura del cavaliere oscuro.

Si, anche tu?”

No, a me piace la carne”

Che mostro, altro che brava ragazza.. dovrò stare attento a te”

Credo che dovrei stare più attenta io”. Mi stiracchiai, girandomi sul fianco. Verso le finestre della mia camera. Tra gli alberi si intravedeva casa sua. Eravamo vicini di casa da anni. Perché solo ora mi aveva notata? Anzi perché solo ora aveva fatto il passo per parlarmi.

Ah si? dovresti stare attenta al pogo piuttosto”. La sua risposta riportò la mia concertazione sul dispaly.

Il pogo? Cos'è?” chiesi curiosa, invece di fare qualche ricerca in merito prima. Google era sempre un amico veloce e fidato. Be, veloce, dipendeva dalla connessione.

E' un ballo in cui tutti si spingono e tirano spintoni, cadi pure per terra”

Tranquillo non so ballare, non ci proverei comunque”

Bene, dovremo fare una lista delle cose da evitare”. Ci metterei troppe persone, pensai.

Nial.. questa conversazione non ha senso” esitai un attimo e poi inviai. Lui restava comunque un tipo strano.

Si vero, ma scommetto che stai sorridendo”. Aveva ragione. Stavo sorridendo e se quella era tutta tattica, stava funzionando. Tattica, strategia per cosa? Per conoscermi, ripetei come un monito. Per una volta tanto non mi sarei lasciata trascinare dalle mie preoccupazioni. Fissai l'orario. Era tardissimo. Dovevo prepararmi, quella sera finalmente avrei rivisto la mia amica, Kim. Eravamo prese entrambe dal lavoro. Ma lei molto più di me. Faceva turni molto duri. Quindi a parte sentirci per messaggio la sera, ci vedevamo veramente di rado. In più lei aveva un fidanzato da due anni, ma si conoscevano fin da bambini. Kevin. Stavano benissimo insieme. Però doveva spartire il tempo libero tra lui e le amicizie. Io scherzosamente gli chiamavo K & K, anche perché lui per rompere il ghiaccio e parlare le aveva offerto un pacchettino di m&m. Ora che ci penso era una vita che non li mangiavo. Era bello vedere la loro felicità. Mi faceva sognare e pensare magari che avrei potuto trovare anche io un ragazzo che mi volesse bene davvero e che mi guardava come Kevin guardava Kim. Alla fine mi rendevo conto che non avevo mai davvero provato cosa fosse amarsi sulla pelle. Non avevo fretta però. Volevo soltanto un rifugio da tutte le peripezie. Una persona che magari mi abbracciasse forte e mi dicesse “Andrà tutto bene, io sono qui e non ti lascerò per nessun motivo”. Qualcuno che mi sostenesse, che ci fosse quando stavo male, che mi facesse divertire e mi proteggesse dai miei difetti. Qualcuno che stesse bene con me.

-Lùùùùùùù-.

Kim mi saltò letteralmente al collo, come un cagnolino che non vede una persona a cui vuole bene da tempo. Io risi e ricambiai l'abbraccio. Lei indossava un vestito nero a puà bianchi senza spalline, stile retro, tutto completato da una treccia curata che le teneva fermi i lunghi capelli neri e le ricadeva sulla spalla e la pelle abbronzata. Glielo aveva regalato Kevin quel vestito. Ed in effetti faceva caldo quella sera. Nonostante ci fosse un venticello leggero che dava sollievo. Ne avrei indossato volentieri uno anche io, ma non ero la tipa da vestitini. Pantaloni forever.

Non c'era bisogno di chiederci come stavamo. I suoi occhi scuri mi dicevano già tutto. Lei voleva che le raccontassi per segno e virgola di Nial, mentre passeggiavamo per il parco alberato. Era affollato, tra bambini con i genitori che giocavano sulle altalene, chi con un gelato, coppiette che si baciavano sulle panchine, chi camminava come noi. Finito tutto il racconto, che le avevo appena accennato per cellulare, la vidi rimuginare.

-Stai attenta Lù-. Fu questo il suo responso ed un po' me lo immaginavo. Lei non voleva che soffrissi, ero già stata abbastanza male per Ivan. Quello stronzo con avevo deciso di aprirmi e che mi aveva trattato come se fossi un problema. Ma non potevo chiudermi e negare una possibilità a tutti solo perché incontravo gente che poteva fare a meno di me dopo un po'. Anche se era quello che avevo sempre cercato di fare per gli ultimi tre, o forse quattro, anni. Dopotutto non conoscevo bene Nial, potevo solo credere a quello che mi diceva. Ma solo il tempo mi avrebbe dato prova della verità delle sue intenzioni.

-Starò attenta- la rassicurai. Infine non mi ero buttata tra le sue braccia e non lo avrei fatto. Lei mi sorrise. Eravamo così diverse, eppure così simili. Come il giorno e la notte. Ci piacevano le stesse cose, come la musica, ed odiavamo le stesse cose, come le torte con la frutta.

Ci prendemmo una granita alla menta per entrambe e ci fermammo in piazza. Le zanzare ancora non avevano accennato a volermi colpire, meglio per loro. Quella granita fu miracolosa e sentii molto meno il caldo di quell'estate, che si prospettava veramente afosa. Non conoscevo molto il paesetto dove abitava lei. Avevo preso due autobus per arrivarci, ma per lei ne valeva la pena. Sapevo solo che era dove abitava il primo ragazzo con cui ero stata. Ma era passato così tanto tempo che ero convinta che se mi avesse incontrato per caso per strada non mi avrebbe nemmeno riconosciuta. Non lo avevamo mai visitato insieme quel posto. Ero stata solamente a casa sua. Sì era triste, ma non si vive di ricordi, quindi li scrollai da me per rimetterli nello scatolone dove dovevano stare. Ricordai invece tutte le cose belle che avevo passato con Kim. Di quando ci eravamo perse in una vacanza fatta insieme, grazie al nostro “prontissimo” senso dell'orientamento. Dei svariati compleanni. Di quando facevamo le torte insieme. Delle notti passate a raccontarci le cose. Dei nostri segreti. Dei consigli. Del fatto che c'eravamo sempre l'una per l'altra. Di come ci eravamo conosciute su un gioco online e scoperto di abitare abbastanza vicino. Perché a volte il destino ci mette lo zampino, ed avevamo creato un'amicizia solida.

Continuammo a parlare dei nostri lavori, di Kevin che era riuscito ad entrare nel campionato regionale di nuoto e del più e del meno. La piazza era medioevale. Piena di pietre insomma. Sia per terra, lastricate. Sia sulle mura dei palazzi attorno. Mi piacevano le cose antiche. Era ampia, troneggiava una torre dell'orologio sul lato nord, con i segni zodiacali a decorare le ore ed al centro una fontana enorme, ornata con una statua di una donna angelo che versava dell'acqua da un'anfora nello specchio lucido dell'acqua. Degli artisti di strada facevano dei numeri e decidemmo di andare ad assistere. Uno suonava un sax, un altro il pianoforte. Un altro ancora era proprio un mangia fuoco. Era carino, a torso nudo, tutto tatuato che faceva vorticare il bastone infuocato in entrambe le estremità in una sorta di danza. Si era radunata una piccola folla attorno a loro. Sentii Kim a fianco a me, stringermi la maglietta, come per farci avanti tra le persone. A lei piaceva cantare, aveva una voce pazzesca. Infatti voleva provare a fare la cantante e un giorno probabilmente sarebbe partita per gli Stati Uniti con Kevin, ma non volevo pensarci. Non era un addio, infine. Era giusto che lei inseguisse il suo sogno.

Ci facemmo largo tra la folla fino ad arrivare quasi accanto al pianoforte. L'uomo ci sorrise incoraggiante, prima di iniziare un'altra canzone. Ripensai a Nial. Anche lui suonava e non gli avevo mai detto che sapevo suonare anche io. Guardai Kim con la coda dell'occhio. Lei era elettrizzata, non vedeva l'ora. Io in ansia. Cercai di non pensare a tutti quegli sguardi che aspettavano e mi chiesi cosa provasse quel musicista, come se dovessi suonare il piano al posto suo. Lui iniziò ad interpretare le note della canzone di Photograph di Ed Sheeran. Anche io sapevo suonarla. Le canzoni che imparavo le sceglievo per il testo soprattutto. Ma non suonavo molto, lo facevo solo quando non volevo pensare. Per rilassarmi e caspita quel musicista aveva una voce davvero coinvolgente.

La voce di Kim intonò le parole alla perfezione, mentre canticchiava assieme all'uomo. Quelle parole così reali. Così vere. L'amore può farti male a volte. Può diventare difficile, ma è l'unica cosa che ci mantiene vivi. Inaspettatamente quando arrivarono al ritornello accompagnai Kim anche con la mia voce, anche se si sentiva appena. Ero troppo timida per cantare allo stesso tono che usava lei. Alzai un attimo lo sguardo sugli spettatori e li trovai in estasi. Qualcuno si massaggiava i brividi sulle braccia e sorrisi. Mi stavo emozionando anche io e mi aspettai che da un momento all'altro qualcuno tirasse fuori gli accendini, come ad un vero concerto. Qualcosa vibrò nella tasca dei miei pantaloncini mimetici e mi riportò un attimo fuori da quell'idillio.

Controllai, credendo fosse una chiamata da casa, invece era Nial.

Principessa hai da fare domani? Ho bisogno di te”. Gli avrei risposto più tardi. Anche se quel “ho bisogno di te” mi frullò per la mente evocandomi mille cose. Mille possibilità. Che voleva dire? Eppure mi faceva sentire così speciale. Volevo chiedergli se fosse successo qualcosa già lì, ma in mezzo a tutta quella gente mi sembrava brutto. Alla fine della canzone tutti applaudirono.

Restai un altro po' con Kim a chiacchierare. Alla fine ci salutammo davanti ad un ristorante con i tavolini all'aperto. Ci eravamo tenute per mano e avevamo quasi saltellato come due bambine per la strada. Eravamo capaci di fare cose pazze insieme, senza curarci di chi ci vedeva. Lei mi aveva accompagnato alla fermata, aveva insistito. Ci guardammo sorridendo per poi abbracciarci. Non sapevamo quando ci saremmo riviste, ma niente poteva rovinare quel momento.

Se non fosse stato per un tizio, un giovane vestito da cameriere, che stava uscendo con uno straccio per pulire dei tavoli ingombrati da due tazze. Lo fissai, mentre abbracciavo Kim, come un cane sta tenendo d'occhio un possibile ladro. Lui mi rivolse uno sguardo strano. Doveva avere all'incirca la nostra età. Poi lo vidi avvicinarsi mentre scioglievamo il nostro abbraccio. Che voleva?

-Ma ragazze mica si può fare una cosa a tre?- chiese divertito. Ci doveva aver visto arrivare e chissà cosa si era messo in testa. Ma non mi importava. Aveva rovinato il nostro saluto.

Muori. Pensai. Ma non lo dissi. Lui rise, vedendoci allibite.

Poi si girò e tornò sui suoi passi come se nulla fosse. Kim in tutta risposta gli fece il dito medio mentre se ne tornava al suo lavoro.

-Che tipo stupido- affermai, ancora un po' arrabbiata per l'uscita di quello sconosciuto.

-Già- rispose. -Poi dicono che siamo noi quelle strane-.

Ridemmo insieme, e mentre arrivò l'autobus, riuscimmo a rubarci un ultimo fugace abbraccio.

Seduta comodamente su uno degli ultimi sedili degli autobus trovai la tranquillità per rispondere a Nial.

Che è successo?” scrissi, cercando di non sembrare troppo invadente.

Fissai fuori le luci dal finestrino sporco, che scorrevano alla velocità del mezzo pubblico e tagliavano la notte. Lasciando scie lucenti nel buio. Dopo un paio di fermate arrivò la sua risposta.

Te lo dirò appena ci vediamo, centra una ragazza”

Centra una ragazza. Quella cosa aumentò le mie domande e la mia ansia. Perché diavolo doveva fare cosi tanto il misterioso? Accidenti a lui.

Va bene, appena stacco da lavoro”

Okay piccola, buonanotte”

Erano appena le nove. Non credevo che andasse a dormire così presto. Magari era in giro, conoscendolo. “Buonanotte” gli risposi. Ma ero troppo curiosa di sapere che doveva dirmi. Sicuramente doveva confidarmi qualcosa, eppure era così strano, ci conoscevamo appena e si fidava già così tanto di me. Dovevo smetterla di farmi domande, domani mi avrebbe chiarito ogni cosa. Al momento ero sicura solo di una cosa. Non avrebbe smesso di darmi un soprannome.
 


 

Angolo autrice.

Premetto che non sono molto brava a fare questi angoli. Ma ci tenevo a ringraziare chi ha recensito, chi legge, chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite. Grazie di cuore ancora :) Siete il mio sostegno, quindi se volete dirmi cosa ne pensate mi fa solo che piacere.

Lo so, in questo capitolo non c'è una scena tra Nial e Lucy, se non solo virtuale, ma ce ne saranno. Ho preferito far comparire il personaggio di Kim, la migliore amica di Lucy e lasciarvi con la suspence di sapere che cosa vuole dirle Nial. Centra una ragazza, ed ha bisogno di lei. Che carino. Ma cosa vorrà dirle?

Lo scopriremo presto ;) 
Per adesso, un saluto a tutti e grazie ancora :)

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Capitolo 7
*** Capitolo sei - Combattere pregiudizi ***


Capitolo sei: Combattere pregiudizi

Siamo tutti colpevoli delle nostre debolezze..ma è uno sbaglio avere punti deboli? Non credo, quindi perché giudicarci?
 

Si prospettava una giornata storta. La sveglia non aveva suonato, mi ero preparata di fretta, saltato la colazione e avevo perfino messo due calzini spaiati. Uno blu, che sospettavo fosse di mio fratello, e l'altro giallo. Ma era il male minore. Il mio stomaco iniziava già a brontolare pietà e il mio cervello la sua quotidiana dose di caffeina. Fortunatamente l'autobus era in ritardo, così ero riuscita a prenderlo, correndo. Ma dovevo comunque avvisare che sarei arrivata in ritardo. Era una cosa che detestavo. Solitamente ero in anticipo. L'autobus era stra colmo quella mattina. Così ero rimasta anche in piedi. Col fiatone appoggiai la fronte ad una delle fredde sbarre di ferro giallo per tenersi in piedi, finché il battito del mio cuore non si calmò. Le “giornate no” possono capitare. Stando attenta a non urtare gli altri passeggeri in piedi, cercai il mio telefono nella borsa. Dannazione. Non lo trovavo, forse lo avevo lasciato a casa nella fretta. Sbuffai. Sentii qualcosa sfiorarmi il sedere. Delle nocche di una mano. Fu un attimo. Spalancai gli occhi all'improvviso. Mi girai lentamente per vedere chi mi avesse toccato. Era un uomo che si slanciava per timbrare il suo biglietto. Okay forse non lo aveva fatto apposta. Quella stava diventando una scatola per sardine arancione. Una scatola molto stretta e soffocante. Alcuni protestavano perché l'autista si bloccava ad ogni fermata per far salire gente. Ma tutti avevano il diritto di prendere l'autobus, nonostante fosse già stracolmo. Tentavo di farmi sempre più piccola. Non sapevo nemmeno che ore fossero. Lo spiai dal cellulare di una ragazza accanto a me, in piedi, intenta a chattare. Ero già in ritardo di venti minuti buoni. Per una volta non sarebbe successo nulla, mi dissi incoraggiante. Una vecchietta che vedevo ogni mattina sull'autobus si era addormentata. Mi fece tenerezza e mi ricordò mia nonna. I capelli grigi legati in una crocchia, un vestito a fiorellini, la testa leggermente piegata all'indietro sul sedile e gli occhi chiusi, un'espressione serena. Una volta mi aveva ringraziato perché le avevo lasciato il mio posto, ed aveva pure tentato di farmi parlare con un ragazzo seduto accanto a me. Lei scendeva alla mia fermata. Cavolo, ormai c'eravamo quasi. Mi sporsi un po' e le appoggiai cauta una mano sulla sua. Non potevo lasciarla dormire.

-Signora?- la scossi piano.

Lei aprì gli occhi lentamente, per poi guardarsi attorno smarrita. Le sorrisi cordiale. Mi dispiaceva svegliarla ma era peggio se arrivava al capolinea.

-Siamo quasi arrivate alla fermata e lei si era addormentata così ho pensato di svegliarla-. Lei mi guardò e parve capire. Tolsi la mano dalla sua e subito la signora si stropicciò gli occhi.

-Ti ringrazio veramente tanto, mi ero addormentata- disse con la voce ancora impastata dal sonno.

-Succede- la rassicurai, mentre l'autobus intanto frenava alla nostra fermata. Eravamo lontane dalla porta centrale, quella dove si scende. Dovevamo sbrigarci. Anzi io dovevo sbrigarmi. Cercai di farmi largo tra le persone strette nel corridoio, ma mentre ero quasi arrivata alla porta la vidi richiudersi davanti al mio naso. Cavolo. La panchina col cartello, e il supermercato alle spalle mi passò davanti gli occhi, dall'altra parte del vetro. Provai a dire che dovevo scendere ma l'autista non mi badò. Che cavolo. Era veramente una giornata pessima adesso. Scesi, assieme alla vecchietta che mi ringraziò ancora un'ultima volta, alla fermata dopo e mi feci il tratto a ritroso che mancava fino al supermercato a piedi. Sapevo di aver fatto un'opera di bene a svegliare la nonnina, ma tutto questo mi aveva portato ad un ulteriore ritardo e non riuscivo ad esserne contenta. In quel momento maledii me stessa, per non essermi mai fatta la patente. Stavo letteralmente quasi correndo. Arrivai al supermercato con ben quarantasette minuti di ritardo e mi accolse la risatina di qualche collega. Ma non ci badai e raggiunsi la saletta riservata al personale. Stavo per timbrare il mio cartellino ed andare a cercare il capo del personale, quando praticamente mi ci scontrai contro. Era un uomo giovane e ben curato. Non sapevo la sua età ma probabilmente si aggirava attorno ai trentacinque anni massimo. A meno che non avesse il mio stesso problema. Avrei voluto sedermi in quel momento, i piedi quasi mi bruciavano.

-Lucy, sei in ritardo- mi salutò, appoggiando le mani sulle mie spalle per aiutarmi a ritrovare l'equilibrio. -Lo so, mi scusi, è che.. - iniziai, ma non riuscivo nemmeno a parlare senza impappinarmi. Lui era il mio superiore. Mi sorrise, quasi rideva. Probabilmente avevo un aspetto ridicolo, con i capelli spettinati e il fatto che ero accaldata per la corsa non programmata.

-Non ti preoccupare. Vieni, e puoi darmi del tu lo sai-. Io annui e mi sistemai la borsa meglio in spalla, prima che mi cadesse per terra.

-Posso recuperare il ritardo..- ricominciai, sospirando e seguendolo nella saletta. Il bianco di quelle pareti mi accecava sempre. Lui arrivò al tavolo di legno che era al centro della modesta stanza, prese un bicchiere di plastica e lo riempì d'acqua prima di passarmelo. -La ringrazio.. cioè grazie- risposi al gesto, correggendomi sul tono formale e prendendo il bicchiere. Lui sorrise di nuovo. Mi concentrai sul suo volto. I capelli pieni di gel biondi, la barba appena accennata e gli occhi blu. Molto più scuri di quelli di Nial. Nial. Cavolo, senza cellulare come avrei fatto ad avvisarlo che dovevo recuperare il ritardo? Avrebbe dovuto aspettarmi fuori. Sospirai affranta. Non ricordavo il nome di quel uomo, ma gli ero grata perché l'acqua fresca mi risollevò un po'. Buttai il bicchiere nel cestino, appena finito di berne il contenuto avidamente. Lui continuava a fissarmi, ogni mio movimento, e la cosa mi sorprese tanto da inquietarmi. Era un bell'uomo, molte delle altre commesse gli sbavavano dietro, ma non ci avevo parlato molto assieme. Dovevo spezzare quel silenzio. Stava diventando imbarazzante. Mi guardava come un leone guarda un cerbiatto.

-Ho qualcosa in faccia?- chiesi, concentrandomi sulla borsa, frugandoci alla ricerca del cartellino da timbrare. Quello non lo avevo scordato a casa, meno male. -No- rispose pragmatico e poi rialzando lo sguardo me lo ritrovai di fronte. O meglio mi ritrovai quasi in faccia i suoi pettorali fasciati dalla camicia di lino. Dovevo giustificarmi per il ritardo. -Mi dispiace per il ritardo, volevo avvisare ma mi sono scordata il cellulare a casa- mi mordicchiai le labbra. Perché mi stava così addosso? -E' il primo comunque, in cinque mesi che sono qui- continuai, cercando di guardarlo dritto negli occhi. Non era molto più alto di me.

-Non ti preoccupare- mi ripeté. Ma che diavolo? Che voleva dire? Mi strinsi nelle spalle, dove lui prontamente rimise le mani. -Puoi farti perdonare e chiuderò un occhio-. Farmi perdonare? Volevo chiederglielo, ma evitai di aprire la bocca dal momento che lui ci posò, in fretta e foga, sopra le sue labbra. Cercò di farsi strada nella mia. Ma le mie erano serrate. Che schifo. Magari stavo facendo un incubo. Spalancai gli occhi ma era ancora là. Cercai di spingerlo via con le mani e lui alla fine mi assecondò. Mi pulii le labbra con il polso, mentre lo fissavo con rabbia. Che schifo. Che schifo. Che schifo. Lui mi guardò sorpreso. -Dai..- cominciò supplicandomi quasi con lo sguardo. Non me ne fregava se perdevo il lavoro. Le parole uscirono come una valanga. -Ma dai che? Mi tolga le mani di dosso- lo dissi anche se in realtà lui si era allontanato di un passo – Non si avvicini più a me, lei è un porco!- esclamai furente. Okay sapevo che a quella frase conseguiva a ruota il licenziamento. Ma chi lo voleva un lavoro con un pervertito come capo? Io no. Altro che karma positivo, fai una buona azione e il destino ti accoltella alle spalle. Presi il mio cartellino e glielo gettai ai piedi, per poi girarmi ed andarmene. Piantandolo là con uno sguardo sorpreso dalla mia reazione. Ma io non ero affatto sorpresa. Se pensava che mi sarei concessa a lui così si sbagliava di grosso. Non lo avrei mai fatto. Lui non mi rincorse, per fortuna. Probabilmente si faceva tutte le commesse dell'edificio. Che schifo, ripensai. Quasi con le lacrime che mi pungevano prepotenti gli occhi, uscii dal supermercato, cercando di mettere più strada possibile tra me e quel cretino. Senza rendermene conto avevo ricominciato a correre di nuovo, non guardai nemmeno se arrivava qualche macchina prima di accingermi ad attraversare la strada.

-Ehi- qualcosa mi strattonò indietro sul marciapiede, prendendomi per il polso.

-Lasciami- ringhiai contro chi mi bloccava. Nial. Sbucava fuori come i funghi quel ragazzo. La rabbia ancora mi ribolliva dentro, non volevo rispondergli male.

-Non se ti ammazzi, stava passando un camion stupida-. Mi fissò serio. -Scusa- gli risposi, mentre mi lasciava andare. Non mi ero nemmeno accorta che lui era lì. Non sentivo nemmeno i rumori del traffico alle nostre spalle. Mi sembrava di essere al di fuori del mondo, talmente forte era la delusione che cercavo di soffocarmi dentro.

-Non dovresti essere a lavoro?- mi chiese. Non risposi, mi guardai i piedi. -Che hai?- continuò e lì la diga, che cercavo di trattenere invano, si ruppe e cominciai a piangergli davanti come una bambina di cinque anni. Erano lacrime di frustrazione, non di tristezza. Lui non mi disse nulla, non mi abbracciò, mi prese per mano delicatamente e si mise a condurmi chissà dove. In un attimo avevamo raggiunto il pontile. Ci sedemmo sugli scalini di legno sopra l'acqua. Mi calmai e gli raccontai cosa mi era successo quella mattina. Mi aspettavo una sua battuta in merito, ma sospirò soltanto. -Che stronzo- commentò infine, riferito a quell'uomo. Io annuii, incapace di proferire altra parola. -Ma non ti ha fatto del male vero?- chiese poi cauto. Io scossi la testa e i capelli mi finirono in faccia, come a creare una sorta di tenda per proteggermi dal suo sguardo. -Meglio così Lucy, era un stronzo, troverai un altro lavoro-. Io annuii di nuovo. Lui sospirò ancora e si abbracciò le ginocchia al petto. Capii che non era bravo a confortare gli altri.

-Puoi aprirla la bocca con me, non ci metterò la lingua dentro, fidati- disse poi, non capendo perché me ne stavo zitta. Non avevo voglia di tornare a casa, quindi ero grata alla fortuna di averlo incontrato per caso per strada. Era strano, non mi vergognavo affatto di aver pianto di fronte a lui.

Mi tamponai gli occhi umidi con il polso e poi notai che mi stava offrendo un fazzoletto. Lo accettai. -Ormai siamo qui, se ti va di parlare d'altro ti posso dire quello che volevo dirti più tardi okay?-. -Si- risposi, soffiandomi anche il naso. Aveva finalmente compreso il mio silenzio. Volevo scordarmi dell'accaduto per un po'. Ci avrei pensato dopo a come risolverlo, una volta a casa. Mi ricordai quello che mi avevano detto i miei genitori di Nial. Che era un soggetto da evitare, pericoloso, che a loro non piaceva per nulla. Eppure ora mi stava consolando in modo premuroso. Perché le persone sono portate a vedere solo la facciata e mai a conoscere davvero gli altri. Non è giusto fare pregiudizi, creano solamente dubbi e sospetti. Bisogna viverle davvero le cose prima. Okay Nial aveva fatto molti sbagli, ma quello che contava adesso era che vi cercava di porre rimedio. Quindi era una persona che poteva diventare veramente mia amica col tempo.

-Allora, te lo dico perché ho bisogno di parlarne con qualcuno-. Sembrava un po' nervoso, ma forse era solo una mia impressione. Si passò una mano tra il ciuffo corvino scompigliandolo.

-Va bene- risposi visto che non accennava a proseguire. Lui smise di guardarmi e rivolse lo sguardo alle tavole sotto di noi. Dove il pontile si prolungava in orizzontale sul fiume per permettere alle barche di attraccarsi. Mi faceva un po' paura stare lì, ma tanto non avrebbe mica ceduto.

-Vedi.. mi vedevo con una ragazza, ma questa mi ha illuso e ci sono rimasto male- disse d'un fiato.

Ah. Ecco. Si stava confidando con me. Di nuovo. -Ci tenevi a lei?- chiesi sperando di non toccare tasti dolenti. Infine non lo conoscevo bene, non sapevo come comportarmi con lui.

-No, era solo un rapporto fisico, la conoscevo da poco- spiegò. Un rapporto fisico. Cioè solo sesso e niente altro. Mi scattò qualcosa in testa. Forse stavo sbagliando. Solo perché si divertiva con le ragazze significava che non era una brava persona? Molti lo fanno. Eppure non riuscivo ad accettarlo. Ci avrebbe provato anche con me? Cosa significavo per lui? Ero un'altra da convincere ad entrare nel suo letto? I dubbi mi assalirono di nuovo. -Era di comune accordo- continuò, notando il mio ragionamento interiore accompagnato dal mio sguardo perso nel vuoto.

-Non capisco.. per me non ha senso-. Mi girai anche io verso di lui, per guardarlo negli occhi.

-Perché tu non faresti mai una cosa del genere. Per te contano di più i sentimenti, poi viene tutto il resto, dico bene?-. Si stiracchiò e notai sotto la manica della maglietta grigia delle linee scure. Aveva un tatuaggio. Chissà cosa raffigurava. Di certo non gli mai avrei chiesto di farmelo vedere.

-Si- affermai -Comunque non ha senso che ci stai male-mi affrettai a dirgli per consolarlo.

-Non ci riesco, credevo di aver un fascino duraturo, questa cosa mi ha mortificato-. Si scompigliò di nuovo i capelli. Ormai erano un macello, forse del resto come i miei.

Risi. -Non puoi basarti su una sola persona per misurare il tuo fascino-. Nial era proprio strano.

Lui spalancò gli occhi, come se non avesse mai pensato a questa verità. -Hai ragione, grazie-.

Il silenzio si instaurò di nuovo tra noi. Non ero sicura di essere riuscita a consolarlo, come aveva fatto lui con me. Ma almeno ora stavo meglio. Nial raccolse dei sassolini dalla stradina dietro di noi ed iniziò a tirarli uno ad uno in acqua. Pluff. Pluff. Pluff. Quando la incontravano formavano dei cerchi, proprio come fa la pioggia. Mi concentrai su quello e mi rilassai. Poi lui si bloccò, lanciando un sasso contro il legno. Pensai che avesse sbagliato mira ma una macchiolina scura scappò dal punto in cui il sassolino aveva rimbalzato sulla superficie dura e ruvida, e si rifugiò veloce sotto al pontile. -C'è un ragno!- esclamò, improvvisamente irrequieto.

Gli lanciai uno sguardo perplesso. -Dai, hai paura dei ragni?-. Abitando in campagna, in mezzo alla desolazione e alla natura, mi ero abituata agli insetti di ogni genere. Ma del resto ci viveva pure lui.

-Tu invece sei coraggiosa e temeraria principessa- mi canzonò.

-No, ho molte paure, tra cui il buio, i serpenti, i pesci-.

-I pesci?-.

-Si, sono viscidi-. Fissai l'acqua scura sotto di noi.

-Bene, potrei spingerti in acqua se mi prendi in giro- affermò notando dove avevo posato lo sguardo. Dovevo fargliela pagare in qualche modo. Mi alzai in piedi prontamente.

-Oh- iniziai da brava attrice -Hai un ragno dietro di te-. Gli indicai la sua schiena. Lui spalancò di nuovo gli occhi, scattò in piedi e cercò di toccarsi quanto più possibile il retro della maglietta, alla ricerca del mostriciattolo che lo aggrediva. Mi coprii la bocca con le mani cercando di non ridere della sua paura. Poi lui mi fissò e smise di cercare.

-Cazzo- disse, fingendosi alterato quando capii che era tutta una mia invenzione. -Lucy sei stronza, ridammi il mio fazzoletto-. Mi porse la mano aperta e si calmò, ma sul suo volto cercò di mantenere un'espressione offesa.

-Dipende c'è il mio moccolo dentro, io non lo vorrei se fossi in te-. Stavo riuscendo ad essere spontanea. Non era una cosa semplice per me. Avevo paura di aprirmi con gli altri, perché avevo il timore che si approfittassero delle mie debolezze. Ci riuscivo solo con Kim.

-Dovrei buttarti veramente nel fiume-. Mi sorrise e gli sorrisi anche io.

-Mi avresti sulla coscienza, io non so nuotare-. Mi sistemai un ciuffo ribelle dietro l'orecchio. Si era alzato un venticello fresco e ristoratore.

-Be magari poi mi tuffavo per salvarti anche-. Mi fece l'occhiolino. In quel momento il mio stomaco brontolò. Non avevo ancora mangiato. Nial rise, mentre io mi coprivo il volto con le mani, vergognandomi a morte.

-Andiamo a mangiare qualcosa- disse, mantenendo ancora il sorriso sulle labbra, cercando di togliermi da quella sorta di imbarazzo. No, non poteva essere cattivo. Non poteva avere brutte intenzioni con me. Ripensai a quello che mi aveva rivelato. Se frequentava altre ragazze significava che mi vedeva solo come amica per davvero e la cosa mi sollevò. Non mi sentivo pronta per buttarmi in una relazione. Non con lui poi. Magari cercava solamente qualcosa di fisico e non era quello che volevo. Comunque io volevo fare le cose con calma, non avrei mai più corso per gli affetti. Avrei aspettato di sentirmi pronta e di capire veramente se erano sinceri o meno. Mi sfiorai le labbra, dove il mio ormai ex capo aveva posato le sue con insistenza. Rabbrividii. Non ero sicura di volerci parlare ancora. Dopotutto era l'inizio del mese, non volevo crearmi problemi. Avevo faticato molto a trovare quel lavoro, e lo avevo perso in un battito di ciglia. Ma era meglio così. Probabilmente avrei semplicemente smesso di andare in quel posto per il resto dei miei giorni, e magari, sperai, sarebbe andata meglio da un'altra parte.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette - Lontani dal caos ***


Capitolo sette: Lontani dal caos

Nessuno ha detto che vivere sarà facile..è una continua prova di quanto sei forte e di quanto sai lasciarti le cose brutte alle spalle.

 

Da quando avevo smesso di lavorare, le mie giornate sembravano scorrere più lentamente. Mi sentivo vuota, ma non avevo nemmeno la forza per mettermi subito alla ricerca di qualcos'altro. Anche se sarebbe stato meglio. Ma dovevo prima di tutto digerire l'accaduto del supermercato per dimenticarlo. I miei genitori avevano cercato di consolarmi, sopratutto mia madre ed anche Kim. Volevano che lo denunciassi, ma per me era una perdita di tempo. Non avevo la minima voglia di buttare soldi in un avvocato e passarmi giornate a studiarmi leggi su come far valere i miei diritti ed infangare quell'uomo. Sospirai. -Che devo fare?- chiesi rivolta al mio coniglietto di peluche. Come se potesse rispondermi. Sarebbe bello essere un peluche a volte. Solo coccole, niente preoccupazioni. Avevo bisogno di uscire da quelle quattro mura e concentrarmi su altro. Non so bene il perché ma presi il cellulare e cercai il numero di Nial. Parlare con lui mi portava per un po' fuori dal mondo. “Ehy Nial” lo salutai.

Ehy principessa.. devo chiederti una cosa”. La cosa mi spiazzò, era come se pensasse sempre a me e non era qualcosa a cui ero abituata.

Dimmi”.

Scusa se sono invadente, ma mia madre mi sta rompendo per convincermi ad andare a fare un'opera di volontariato.. visto che sei libera, almeno se venissi anche tu sarebbe più sopportabile”.

Tanto non avevo nulla da fare e sicuramente mi avrebbe fatto distrarre. “Di che si tratta?”.

E' un sì?”.

E' un.. dipende da cosa si fa”.

Accidenti. Se te lo dico probabilmente non accetterai e ti capirò”.

E' così brutto?”.

Sarebbe di andare a fare l'animatore in un centro estivo per bambini.. disperso in montagna”.

Belloooo!”. Sentivo già l'entusiasmo invadere ogni poro della mia pelle.

Bello cosa? Non sopporto i bambini..”.

Io li adoro, andiamoci”. Speravo proprio in qualcosa del genere a dire la verità. Mi bastava non essere da sola.

Credevo saresti stata dalla mia parte”.

Ti ho detto di sì infatti”.

Andata allora, prima che cambi idea. Ti passo a prendere, così andiamo a iscriverci”.

No, non passare, ci vediamo lì.. dove bisogna iscriversi?”.

Accanto alla chiesa. Comunque io sono a casa”. Lanciai uno sguardo alla sua casa. Sapendo che era lì e lo immaginai coi binocoli mentre mi scriveva ed ogni tanto scrutava verso le mie finestre. Era proprio uno scemo. Sapevo che non lo faceva, ma non si sa mai.

Lo so, ma vedi ecco.. non piaci ai miei. Mi farebbero l'interrogatorio vedendomi con te”. Mi sentii in colpa subito averglielo inviato.

Aha. Tranquilla ci sono abituato. Così ogni volta che ci siamo visti è stato segreto? Tipo Romeo e Giulietta?”.

Non mi hai ancora detto come hai avuto il mio numero”. Ero sicura di averlo offeso sta volta, ma non potevo nascondergli la verità. Decisi di cambiare argomento come faceva lui quando era in difficoltà, ignorando il fatto che avrei dovuto ammettere di aver inventato delle scuse palesi a casa quando uscivo a vedermi con lui.

L'ho preso da un tuo curriculum, che hai lasciato in giro un giorno”. Lui rispettò la mia scelta. Tanto aveva capito lo stesso e preferì rispondere alla mia curiosità piuttosto che insistere in una situazione spinosa.

Sei proprio uno stalker :(“. Mi finsi offesa io. Ma ridacchiai. Era proprio furbo e non sapevo se credergli oppure no.

E tu una principessa!”. Lo disse come se fosse il peggior insulto della terra. Stavamo creando un modo tutto nostro per prenderci in giro. Un sorriso mi corresse le labbra. Partire per la montagna mi avrebbe aiutata a lasciarmi tutto alle spalle. Era la panacea che aspettavo. Gli organizzatori furono davvero contenti di ricevere altre due “vittime sacrificali” come ci aveva definito Nial, visto che si erano iscritti anche moltissimi bambini. All'inizio temetti che non ci avrebbero accettato, dopotutto la partenza era tra cinque giorni. Non avevamo esperienza, ma gli altri animatori ci avrebbero aiutato. Alla fine dovevamo solo dare una mano a supervisionare. Avevo notato che a Nial non andava per nulla di farlo. Una stramba idea mi passò per la mente. Magari voleva soltanto passare più tempo con me, e chiedermi di andare da qualche parte con lui da solo mi avrebbe messo a disagio, quindi avrei rifiutato. Sembrava che lui mi conoscesse da una vita, anche se non era affatto così. Sapeva esattamente le mie reazioni. Forse ero meno complicata di quanto mi aspettassi. Eppure qualcosa continuava a non quadrare nella mia testa. Lui era diverso da qualsiasi altra persona che incarnava una delle mie amicizie. E poi il fatto della sua amica di letto, sì, avevo deciso di chiamarla così, non mi piaceva molto. Anzi per niente. Non lo giudicavo però. Alla fine ognuno è come è. Non potevo e non volevo cambiarlo. Soltanto non riuscivo a spiegarmi perché Nial volesse passare così tanto tempo con me, quando comunque aveva anche altre amicizie. Perché tutto a un tratto ero diventata così rilevante nella sua vita? Sarebbe stato ancora un mistero per me.

Il giorno della partenza arrivò velocemente. Dovevamo portare lo stretto necessario quindi mi preparai soltanto un borsone. Ma non era un problema per me, ero abituata a viaggiare leggera e poi adoravo i bambini. Ero dotata di grande pazienza. Al contrario di Nial che sbuffò per quasi tutto il viaggio in autobus, seduto accanto a me. Sarebbe stato un viaggio molto lungo. Mi ero presa uno dei miei libri preferiti. Ma Nial continuava a farmi domande, quando non si immergeva nel suo mondo mettendosi le cuffie e facendo partire il suo mp3. Più volte tentò di convincermi a sentire un brano della sua playlist, offrendomi gentilmente un'auricolare, ma non era molto il mio genere ed erano brani che non avevo mai sentito. Certe volte mi concentravo sul paesaggio. I paesi che si susseguivano alla campagna, coperta di campi di grano e papaveri o di file di alberi. Finché non si fecero spazio i boschi che ammantavano le alture di roccia e terra. Sentivo i problemi scivolare via, come se non ci fossero mai stati. Era solamente una settimana, ma avrei potuto prendere una pausa per poi affrontare le varie preoccupazioni con maggiore vitalità. E poi con Nial sicuramente ci sarebbe stato da divertirsi o forse avrei dovuto cercare di tenerlo buono se qualche bambino lo faceva andare su tutte le furie. Ci pensai e mi venne da ridere, ma mi trattenni, perché mi accorsi che lui si era tranquillamente addormentato. Chissà da quanto. Il suo petto si abbassava e alzava regolare ed aveva un viso tranquillo. Il ciuffo ribelle gli ricadeva quasi sugli occhi, tanto che avrei voluto prendere una forcina e sistemarglielo. Guardai sui sedili davanti a noi. Dove sedevano i bambini, che giocavano e parlavano e gli altri animatori. A un certo punto una ragazza con un caschetto rosso di capelli e una spruzzata di lentiggini sulle guance, si alzò in piedi e mettendosi in piedi al centro del corridoio disse -E' arrivato il momento della canzone!-. Quasi tutti i bambini esultarono felici. Era rigenerante vedere l'allegria dei bambini. Nial si svegliò per il baccano improvviso mentre alcuni iniziavano a canticchiare ed a battere le mani a tempo. Si stropicciò gli occhi interdetto e io risi, senza trattenermi. Lui allora notandomi, cercò di avvicinarsi al mio orecchio. Improvvisamente era troppo vicino.

-Sei proprio cattiva, ridi di me- sussurrò fingendosi deluso. Io mi coprii la bocca con la mano. Il suo fiato caldo mi accarezzò la pelle sotto l'orecchio mentre si scostava.

-Non rido di te, ma della situazione- dissi infine, avvicinandomi io a lui per non rovinare la canzone e potergli parlare con un tono di voce basso. Era una serie di sigle di cartoni animati, una dopo l'altra.

Nial rise. -E' la stessa cosa, dolcezza- affermò. Io mi puntai le mani sui fianchi. -No che non lo è- ribattei. -Ah no?- chiese piano, con un filo di voce. Prontamente appoggiò due dita ai lati del mio mento. Non era una presa forte, ma tratteneva il mio viso vicino al suo. Non eravamo mai stati così vicini prima d'ora, dimenticando la prima volta che eravamo usciti, in cui non era in sé. Pochi centimetri ci separavano. I suoi occhi color ghiaccio trafissero i miei, per poi scendere verso le mie labbra e posarci uno sguardo saturo di qualcosa che non riconoscevo.

-Nial..- lo chiamai. Mentre i nostri respiri si mescolavano, con quel sottofondo di vocine poco adeguato. Allora lui, come riportato alla realtà bruscamente dal mio sussurro, mi lasciò andare.

Io mi voltai frettolosamente a guardare di nuovo fuori dal finestrino. Nascondendogli la mia espressione meravigliata. Non avevo sentito nulla. Né le fantomatiche farfalle nello stomaco, né i brividi, eppure mi era sembrato che i suoi occhi luccicassero. Ma forse era solo un riflesso della luce del sole? Mi era parso che qualcosa avesse turbato la sua tranquillità quando aveva istintivamente deciso di trattenermi accanto a lui. Questo pensiero mi accompagnò per tutto il resto del tragitto. Nial continuava soltanto a mettermi un dubbio davanti all'altro.

….

Sapete quando si immagina l'inferno rosso, coperto di fiamme? Be.. per me l'inferno si prospettava un piccolo paradiso verde. Incontaminato da una moltitudine di alberi in riva ad un lago azzurro. Avrei apprezzato quel luogo, se non fosse stato per il “lavoro” e per tutti quei bambini da intrattenere. Mi piaceva stare nella tranquillità eterna e pacifica della natura, così diversa da quello che mi si scatenava dentro. Era allentate l'idea di dormire sotto un tetto di stelle, accompagnati dal freddo vento che faceva danzare le fiamme di un falò. Almeno ero riuscito a convincere Lucy a venire con me. Nessun altro delle mie conoscenze avrebbe accettato di seguirmi in quell'avventura. Sì, dovevo vederla come un'avventura. Così rendevo più sopportabile la presenza di quelle piccole creature che correvano. Sospirai passando il borsone a Lucy, una volta che eravamo scesi dal pullman e ci eravamo diretti verso il vano porta valigie. Lei mi guardò sorpresa – Se non volevi venire, non dovevi farlo-.

-Mia madre ha insisto, dicendo che mi avrebbe fatto bene, non volevo deluderla- le spiegai, alzando un sopracciglio e rispondendo alla sua perplessità.

-E allora non voglio sentirti sbuffare come un'anima in pena ogni cinque secondi-. Mi sorrise e mi diede una leggera pacca sulla spalla, per poi issare il suo borsone dall'erba color smeraldo. Me lo aveva detto con ironia, ma aveva ragione. Dovevo rilassarmi, e doveva farlo anche lei. Ci separammo, per scoprire dove erano le nostre stanze, mentre alcuni animatori dividevano già la mandria di bambini in squadre. L'alloggio era situato in una graziosa e spaziosa villa antica sulla sponda del lago. Noi ed altre tre persone fummo le prime a metterci piede dentro. Non aveva molti mobili, così sembrava ancora più ampio. Ma una serie di affreschi dipingevano quello che era il salone principale. Due scale dividevano la villa in due ali. A destra i ragazzi, a sinistra le ragazze. Fu così che salutai Lucy con un fugace e veloce bacio sulla guancia, che ero riuscito a strapparle di sorpresa. In realtà c'era un motivo per cui lo avevo fatto. Un ragazzo continuava ad adocchiarla di nascosto. Sperai di non essere in stanza con quel cretino. Chissà se lei se ne era accorta, ma ne dubitavo. Trovai in fretta la mia stanza, o meglio la scelsi da me. Senza ascoltare cosa dicevano gli altri due ragazzi alle mie spalle. Mi guardarono male, forse maledicendomi, ma non amavo seguire gli schemi. Continuavano a dire che ero in stanza con un certo Lucas, ma non mi importava. Era una delle camere più piccole. Ci stavano a malapena due letti e due armadi minuscoli, ma quel loculo, aveva una vista mozzafiato, sul lago che rifletteva i riflessi del sole di mezzogiorno sulle sue acque profonde e cristalline. Il paese era abbastanza lontano, ma non troppo per i miei gusti, qualche tetto rosso sbucava sull'altra sponda, tra i pini che incorniciavano il lago. Avevo bisogno di rilassarmi. Posai il borsone, senza nemmeno preoccuparmi di disfarlo, sul letto accanto alla finestra e poi me ne andai a fare un giro alla scoperta della villa. Era quasi ora di pranzo. Mi era capitato di incappare in qualche bambino felice. Ma rivolsi sguardi glaciali, così non mi avrebbero fermato. Più mi stavano lontani e meglio era. Pensai a Lucy, probabilmente era nella sua stanza a sistemare le sue cose, come tutti gli altri, prima di andare a mangiare. Avrei dovuto farlo anche io e poi dovevo andare in bagno. Così me ne tornai nel mio piccolo rifugio. C'era qualcuno. Forse il fantomatico Lucas. Sentivo dei rumori provenire dal bagnetto. Acqua che scorre. Stava facendo la doccia. Sicuramente non gli avrebbe dato fastidio se entravo. Bussai, solo per fargli percepire la mia presenza ed entrai subito prima che potesse dirmi di non farlo. Un buon inizio per andare d'accordo.

-Chi è?- domando Lucy, sbucando con la testa da dietro la tenda. I capelli semi bagnati, incollati al collo. Mi guardò con degli occhi indecifrabili.

Io non potei fare a meno di ridere. -Lucy okay che conosci solo me, ma perché venire a fare la doccia fino alla mia stanza?-.

Tornò a nascondersi dietro la tenda, arrossendo molto probabilmente e spegnendo il getto d'acqua. -Non ho cercato la tua stanza per fare la doccia da te!-. Percepivo che era tesa. Dopotutto era nuda dietro quella tenda azzurra. -Hanno sbagliato il mio nome quando siamo andati a registrarci e.. quindi siamo finiti in stanza assieme. Ho cercato una soluzione, ma non ce ne sono altre libere, intendo di stanze, quindi siamo qui-. Parlò velocemente, sicuramente non si aspettava potesse succedere una cosa del genere in vita sua. Ci separava soltanto quel telo. Forse era spaventata. Non la capivo ancora bene del tutto, in realtà molto spesso con lei tiravo a indovinare.

-Be Lucas, a me non da fastidio-. Risi ancora. Non mi dispiaceva affatto quello sbaglio innocente.

-Dai vai fuori, che devo uscire- mi ordinò, sempre più nervosa.

-Va bene, ai suoi ordini principessa-. Aprii la piccola finestra per far uscire fuori nell'aria frizzante il vapore e poi me ne andai, lanciando un'ultima occhiata alla tenda. Lei in tutta risposta, sbucò di nuovo da dietro il suo nascondiglio, coprendosi fino al collo con quel telo di plastica che stavo odiando in quel momento, e mi fece una linguaccia. Avrei potuto fargliela pagare e vendicarmi dandole un'occhiatina, facendo due passi felpati e scostando quella tenda, ma era meglio non rovinare quello che poteva andare a crearsi tra di noi e nel nostro legame. Non volevo farla arrabbiare. Sarebbe stato veramente divertente passare tutto quel tempo con lei.

 

 

Angolo autrice

Eccomi qui di nuovo. Lucy e Nial sono finiti in stanza assieme nella loro piccola vacanza-lavoro..lontani dal caos e dai pensieri cupi.. questo significa che avranno molto tempo per conoscersi meglio e condividere momenti e forse anche oscuri segreti.. Riuscirà Lucy a fargli piacere un po' i bambini? Posso dirvi che ne succederanno delle belle, ma non vi svelo nulla. Lo scoprirete solo leggendo u.u Non mi dilungherò, i prossimi credo due o tre o forse quattro (si ancora ci sto lavorando) capitoli saranno incentrati su di loro, in questa vacanza a sfondo di boschi, scoiattoli e scoiattoli ancora u.u poi torneranno alla realtà? Forse? Dai su, un po' di mistero fa sempre bene.

Ringrazio ancora quanti mi seguono e recensiscono la storia :) Sperando sempre di sorprendervi e non deludervi, vi mando un saluto.

Ah ps. Dopo i puntini c'è il punto di vista di Nial. Come avevo già fatto nel cap due e nel prologo, spero che si capisca. Ci saranno altri capitoli dove si vivrà la vicenda attraverso i suoi occhi.

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Capitolo 9
*** Capitolo otto - Strappi e cuscini ***


Capitolo otto: Strappi e cuscini

Se le cose accadono, c'è sempre una ragione che ci si nasconde dietro..

 

-Mi dispiace se ti ho fatta imbarazzare prima- le dissi, dietro le sue spalle. Mi ero abbassato alla sua altezza, perché lei era seduta ad uno dei tanti tavoli di legno scuro, nel salone adibito a sala da pranzo. La vidi leggermente trasalire, non se lo aspettava. Per poi girare un po' il viso a guardarmi -Nial.. non ti preoccupare ti perdono, alla fine non mi hai mica vista- mi scusò, per poi tornare a dedicarsi al suo piatto di pasta al ragù. Sì, ma avrei voluto dare una sbirciatina. Lo pensai, ma non glielo dissi ovviamente. Invece presi il posto alla sua destra e mi misi ad osservare le verdure al vapore, la cucchiaiata di purè di patate ed il pezzo di pane, che avevo messo nel mio vassoio. Lei si pulì le labbra con il tovagliolo di carta prima di bere, la guardai con la coda dell'occhio e fu allora che mi accorsi del tipo che la osservava. Lo stava facendo ancora. Che cavolo voleva da lei?

Parlai piano, come se dovessi rivelare un segreto -Lù quel tipo continua ad osservarti-.

Lei posò il bicchiere e mi guardò piegando un po' la testa di lato, pensierosa, per poi cercare il tipo tra tutti i bambini e le persone che affollavano la sala. -Quel biondino- tossicchiai, per poi bere anche io un sorso d'acqua. Lei lo individuò e quando i loro occhi si incrociarono, quel tipo distolse automaticamente lo sguardo. -Ha qualcosa di familiare-. La vidi rimuginare, continuando a posare i suoi bei occhi su di lui. Iniziai a mangiare come se niente fosse, anche se mi dava molto fastidio. Che fossi veramente geloso? No, Lucy non mi apparteneva, ma vedevo quel ragazzo come un ostacolo.

E quando vidi di nuovo i loro occhi toccarsi a distanza non ne potei più. Che mi prendeva?

-Ma non mi piace che lo faccia- sbottai, lasciando cadere il pezzo di pane che avevo appena strappato, sopra il purè.

-Quindi?- Lucy mi guardò accigliata. Poi sembrò illuminarsi. -Sei geloso?- mi chiese sorridendo e stuzzicandomi. Mi diede una spintarella sulla spalla.

-Io?-. Alzai le mani dal mio pasto come a protestare -Neanche per sogno Lù, ma non voglio condividerti, visto che sei come la mia ancora di salvezza in un posto dove potrei perdere le staffe-. Sogghignai. Lei guardò altrove, per poi soffermarsi sul suo piatto ormai vuoto, se non per qualche traccia di carne e sugo.

-Sai, credo invece che dovrai condividermi- fece un gesto ampio con la mano, come ad indicare tutti i presenti – Con tutti questi teneri bambini- continuò e poi rise. Aveva ragione. Non potevo negarlo. Non era una vera vacanza, eravamo lì per fare gli animatori. Ma io mi consideravo senza anima ormai. Quindi era un controsenso.

Più tardi scoprii che gli altri animatori avevano ovviamente preparato il programma da seguire per filo e per segno. Avevano ovviamente diviso tutta la marasma di bambini in cinque squadre da dieci bambini l'una, ognuna con tre o due animatori alle calcagna. Ovviamente io ero nella squadra blu, mentre Lucy nella squadra gialla. Sospettai che mi avessero diviso da lei apposta, visto che non li avevo ascoltati precedentemente e non mi ero preso la stanza che mi volevano assegnare. Ma era il male minore, visto che Lucy ovviamente era in squadra col biondo e probabilmente si conoscevano. Dopo pranzo ci avevo parlato, da quel che mi aveva detto prima che Lucy si trasferisse dove abitiamo, viveva accanto a lui. Però erano molto piccoli, quindi non ne era sicuro. L'attività da svolgere era giocare a nascondino per il bosco. Una cosa che mai mi sarei aspettato di fare a ormai ventitré anni suonati. Alla squadra di Lucy toccò aspettare il quarto d'ora perché quelle di tutti gli avversari si nascondessero. Credevo di aver capito che alla fine della settimana, una delle squadre sarebbe stata premiata. Non avevo per nulla voglia di farlo, ma dovevo, ero costretto, quindi a passo lento, come se fossi un fantasma, osservai gli alberi e il prato attorno alla dimora antica, cercando un apparente nascondiglio, mentre gli altri membri del mio gruppo mi spronavano a fare presto.

Alla fine scoprii che c'era un piccolo orto nascosto tra gli alberi e mi andai a sistemare dietro delle alte piante di pomodori, appoggiando la schiena ad una rete. Doveva essere nel perimetro prestabilito per nascondersi, se non mi sbagliavo. Mi sedei per terra, incurante del fatto che potevo sporcarmi i jeans con il terriccio, in attesa. Coprendomi dietro le piante. Tirai fuori il cellulare e mi misi ad ascoltare un po' di musica. Poco importava se mi trovavano. Anzi prima qualcuno lo faceva e prima ero libero di fare quello che volevo. Quasi morfeo stava prendendomi con sé, quando iniziai a sentire dei rumori. Finalmente, iniziavo ad annoiarmi. Mi sarei pure fatto vedere, ma optai per restare nascosto dalle foglie frastagliate. Avvistai proprio Lucy, che si portava accanto una bambina con due trecce castane. Si tenevano per mano e si guardavano intorno curiose. Trattenni il respiro, facendomi prendere dal gusto del gioco, mentre la bambina si avvicinava pericolosamente al mio nascondiglio e Lucy guardava tra altre piante ed ortaggi. Erano molto simili da quella distanza, sarebbero potute essere sorelle. La bambina esultò silenziosamente, fece solo un saltello, quando mi scorse si affrettò a fare il giro della fila di piante fino a me e la vidi avvicinarsi con la sua tutina di jeans.

Mi appoggiò la sua manina sulla spalla. -Preso! Preso! Ti ho preso- disse allora a voce alta. Mi sa tanto che era la più piccola della combriccola di bambini.

-Emily?- Sentii Lucy chiamarla, girandosi verso le piante di pomodori. Finché non ci vide anche lei, che a quanto pare aveva già fatto amicizia.

-Lus.. ho trovato uno- disse di nuovo contenta. Uno. Che nome.

Lucy in risposta le sorrise e scambiò un'occhiata divertita con me. -Sei stata bravissima- la elogiò. -Bene ora dobbiamo portarlo in prigione- continuò, avvicinandosi anche lei.

-Che cosa?- chiesi. Io pensavo che una volta trovato, avrei avuto del tempo libero finché non trovavano anche tutti gli altri. Lucy si inginocchiò a fianco alla bambina, che continuava a fissarmi con i suoi piccoli e vispi occhi nocciola.

-Non possiamo restare qui con lui?- protestò lei allora con la sua vocina, saltandomi al collo e abbracciandomi. Strinse così forte che quasi mi sentii soffocare. Lucy ci guardò e rise. -Le piaci già, guarda- mi disse e poi si risolve a quella pazza, che fortunatamente mi stava liberando dalla sua morsa. -Sì potremmo- iniziò Lucy pensandoci su – Ma il gioco non dice di fare così-. Loro due si guardarono e risero, che cosa le faceva tanto ridere? -Che facciamo?- chiesi io, alzando un sopracciglio. Tanto non mi invitava nessuna delle prospettive.

Lucy ed io ci alzammo in contemporanea, e la bambina ci guardò dal basso all'alto, tirando su il viso. -Dai seguiamo le regole-. Lucy ci tolse tutti e tre dal dubbio sul da farsi, con la sua saggezza, anzi con il suo rispetto per le regole, mi corressi. La bambina le mise una mano sulla gamba. Sbadigliò.

-Cosa c'è Emily?- le chiese premurosa, accarezzandole la testa.

-Sono stanca di camminare- le rispose. -Dai allora poi ci riposiamo- disse Lucy prendendola per mano. Sarebbe stata una brava mamma, un giorno. Non so perché, ma lo pensai.

-Ti porto io Emily- dissi alla bambina, e prontamente mi accucciai per terra, in modo tale da farla salire sulla mia schiena. Non so perché lo feci, ma volevo aiutarla, nonostante non mi piacesse.

Lei montò tutta contenta. -Cavallinooooo!- mi spronò, quasi strozzandomi di nuovo. Era piccola, ma aveva una forza immensa, dannazione. Lucy mi sorrise e mimò un grazie con le labbra. Forse lo facevo per accattivarmi ai suoi occhi, ma poco importava la ragione. Con le mani tenei salda la bambina sulla mia schiena e iniziai a camminare dietro di Lucy. Lei era davanti di noi. Mi diede le spalle per uscire dall'orto. Fu allora che dalle sue spalle, feci percorrere al mio sguardo la sua sagoma vista da dietro, scendendo sulla sua schiena, fino a più giù, e non potei fare a meno di ridere.

Lei automaticamente si bloccò e la bambina si mise a ridacchiare con me.

-Cosa c'è?- chiese preoccupata, girandosi verso di noi.

-Lus, ti si vede il popò- fu la bambina, Emily, a rivelarle il soggetto delle nostre risa.

Lei si toccò immediatamente dietro, si irrigidì e la vidi quasi sbiancare.

-Deve essere stata la rete quando ti sei abbassata per terra- affermai, cercando di spiegarle il motivo del buco che aveva nei pantaloni e perfino nelle mutandine.

Poi arrossì e cercò di coprirsi entrambe le guance con la mano, senza buon esito, mentre l'altra restava a coprire probabilmente malamente lo squarcio nel tessuto.

….

In effetti sentivo un po' di venticello lì dietro. Ma che cavolo, succedevano tutte a me. Sbuffai.

-Dai magari siamo fortunati e non ti vede nessuno- continuò a rassicurarmi Nial, mentre cercava di trattenersi dal ridere ancora. -Sei proprio cattivo, ridi di me- gli feci il verso, ricordando le parole che mi aveva detto sull'autobus. Lui rise di nuovo, facendomi sentire una sorta di pagliaccio. Poi si bloccò mise giù un attimo Emily, che almeno aveva smesso di divertirsi della mia disavventura, e si tolse la camicia, prima di appallottolarla e lanciarmela. Lui rimase in canottiera e fu difficile non ammirarlo. Non era molto muscoloso, ma nemmeno troppo magro. Aveva dei lineamenti curati. Potei finalmente notare tatuaggio che aveva sull'avambraccio. Era un simbolo tribale di cui ignoravo il significato. Forse nemmeno ce lo aveva. Lui notò che lo guardavo e sorrise, ma poi quell'espressione scomparve improvvisamente, lasciandogli negli occhi l'amarezza. Che gli prendeva?

-Legatela in vita- mi ordinò brusco, per poi ricaricarsi Emily in groppa.

-Grazie- sussurrai seguendo il suo aiuto e consiglio. Coprii il buco in cui i pantaloncini si erano impigliati alla rete e mi sentii più a mio agio. Ma era meglio se mi cambiavo. Fortunatamente davanti alla villa si erano radunate già un po' di persone, tra cui Jack, il ragazzo biondo che a Nial dava fastidio. Stando nella stessa squadra avevamo avuto modo di scambiarci qualche parola e così avevamo scoperto di essere andati da bambini a scuola insieme. Lui ci venne incontro.

-Tutto bene?- mi chiese, sorridendo, per poi aiutare Emily a scendere dalla schiena di Nial. Lo guardò. -E con te, stiamo quasi per vincere- disse soddisfatto. Nial non gli dedicò nemmeno un'occhiata, anzi si sfregò i polsi, con aria di superiorità.

-Ragazzi io vado un attimo al bagno- dissi cercando la prima scusa che mi passò per la testa.

-Vengo con te- affermò Nial e volevo fulminarlo, in quanto era strano andare al bagno insieme per un ragazzo ed una ragazza. Ma dovevo ridargli la sua camicia. Jack si passò una mano tra i capelli, ma non disse nulla per fortuna. Si limitò ad annuire e ad andare dagli altri bambini con Emily.

Per tutto il tragitto fino alla nostra stanza, nessuno disse nulla, aumentava soltanto la tensione passo dopo passo. Tanto che quando raggiungemmo finalmente la porta, sarei voluta scomparire nel pavimento se fosse stato possibile.

-Dai muoviti- disse lui con insistenza, mentre mi mettevo alla ricerca nel borsone di un altro paio di pantaloni e di mutandine. Sì, perché quella cavolo di rete aveva rovinato pure quelle. Perché quando cercavo qualcosa sistematicamente non la trovavo mai? Finalmente mi capitò in mano quello che volevo. Il resto dei vestiti nella mia valigia era diventato un macello per averci frugato dentro furiosamente, avrei voluto sistemarli.

-Non mettermi fretta- protestai, andando verso il bagno.

-Più tempo ci metti, più il tuo ragazzo potrebbe pensare male- mi canzonò.

-Il mio che cosa?-.

-Il biondino-.

Gli lanciai uno sguardo furente -Jack non è il mio ragazzo, andavamo solo a scuola insieme da bambini-.

-Sì, sì, dite tutte così-. Mosse la mano in aria, come per scacciare una mosca invisibile ma fastidiosa. Alzai gli occhi al cielo. Non capivo se stava scherzando. Ma mi stava sbarrando la strada per il bagno. Quella stanza era dannatamente troppo stretta e claustrofobica.

-Fammi passare- gli chiesi, cercando di spingerlo un po' da parte. Solo allora lui sembrò accorgersi che praticamente dovevo saltarlo o passarci attraverso per raggiungere il bagno. Strinsi la presa sulla stoffa del mio cambio. -Ma dai- lui sorrise -Tanto ormai ti ho ammirato una porzione di sedere, di che ti vergogni?-. Poi si mise a ridere. Io lo fissai di nuovo male. Lui si appiattì contro l'armadio verde acqua, lasciandomi finalmente via libera verso il bagno. Quando uscì, dopo due minuti, lo trovai seduto sul letto accanto alla finestra, con indosso una maglietta rossa. Guardava fuori dalla finestra verticale, che copriva quasi tutta la parete verso il lago, lasciando entrare un sacco di luce.

Era distratto e così gli tirai addosso la sua camicia, ma non fu un gran lancio, perché finì esattamente distesa dietro la sua schiena. Lui si girò verso la mia direzione, attirato dal mio gesto. I suoi occhi chiari mi trafissero, come sempre.

-A proposito è davvero carino il tuo sedere-.

-Scemo, smettila di prendermi in giro-. Strinsi i pugni. Stava cercando di farmi perdere giocosamente le staffe e ci stava riuscendo, purtroppo.

-Hai ragione, dovrei smettere, ma è divertente vedere la tua faccia arrabbiata-. Raccolse la camicia a quadri che mi aveva prestato per coprire lo strappo nei miei pantaloni e la buttò per terra, come se fosse normale. Non gli ero più molto grata di avermela prestata. Non mi piaceva il disordine, anche se lo ammetto, i miei cassetti erano un disastro. Impeccabili fuori, dentro un caos. Un po' come me. Sospirai e posai i pantaloncini strappati con la confusione del borsone. Dentro il groviglio di pantaloni ci avevo nascosto le mutandine strappate, in modo tale che lui non le vedesse bene. Non gli avrei lasciato vincere quello scontro. Optai che la tattica giusta fosse ignorare le sue frecciatine, visto che era palese cercasse di farmi perdere un po' di tempo lì con lui. Mi chiesi se veramente fosse geloso di Jack. Alzai gli occhi e incontrai i suoi. Di nuovo. Si stava divertendo. -Non fissarmi- dissi, diventando un peperone, ne ero certa. Perché sentivo caldo.

-Perché non dovrei? Lo faccio spesso- si rotolò sul materasso, mettendosi a pancia in giù, appoggiandosi il mento sui palmi, ed i gomiti sul letto. Io sbuffai. -Dai su fammela pagare, principessina-. Mi sorrideva. Mi incoraggiava.

Io ero contrastata, non sapevo se colpirlo, come mi aveva invitato a fare, o andarmene dagli altri.

Toc. Toc. Toc. Qualcuno bussava alla porta. Sorrisi. Ero salva da quell'impiccio, mi girai ed andai ad aprire, certa che Nial fissasse il mio fondo schiena. Percepivo come il peso dei suoi occhi. Doveva smetterla o mi sarei veramente arrabbiata con lui, anche se non lo capiva.

-Disturbo?- chiese premuroso Jack, sbucando da dietro la porta. Ringraziai mentalmente i suoi occhi neri, spalancando la porta che ci divideva. -Stiamo per iniziare un'escursione per il bosco per chi vuole farsi due passi e sono venuto a diverlo- continuò poi. Perfetto. Volevo stare un po' lontana da Nial, perché tutto a un tratto si era messo a minare il mio autocontrollo. Ma col fatto del sedere aveva esagerato. Il mio corpo era qualcosa a cui tenevo molto, ed avrei voluto che lo vedesse solo la persona giusta. Ma infine lui aveva scorto solo una piccolissima parte di pelle, non tutto. Mi calmai, prendendo un bel respiro. Mi sarei vendicata dopo.

-Sì, stavamo arrivando- risposi a Jack, che si appoggiò allo stipite.

-Vi siete cambiati?- chiese inevitabilmente, notando che avevamo vestiti diversi. Mr. Ovvio, ma poteva anche evitare di fare quella domanda troppo impicciona.

-Sì e non facciamo cose a tre, spiacenti- disse Nial, prima che potessi rispondere.

-Nial!- lo rimproverai, girandomi verso di lui, che in tutta risposta mi regalò un sorriso complice. Jack si grattò il mento, dubbioso. -Sta solo scherzando- iniziai a spiegare -Vedi ecco- mi vergognavo già solo a raccontare dello strappo. -Sì, so cosa ti è successo, Emily lo ha praticamente detto a tutta la squadra- si affrettò ad informarmi.

-Ah- fu l'unica cosa che mi sfuggì. Lui non rise di me però, sorrise soltanto con un'espressione buffa per poi scompigliarmi teneramente i capelli e dirmi -Sei la solita, ti ricordi quella volta che giocando a pallavolo sei caduta nel fossato?-. Ah sì, me la ricordavo. Una delle tante piccole peripezie da bambina, che avevo accuratamente messo da parte per evitare di pensarci. Nial non si perse quel gesto. Si avvicinò a noi, in mano teneva il suo cuscino. Che voleva farci? Lo guardai stranita.

-Sparisciiii- urlò, come se fosse un guerriero, lanciando il morbido cuscino a mò di arma, contro Jack, che usò le braccia per farsi da scudo. -Nial sei impazzito?- chiesi preoccupata, saltando di lato, per scansare quel cuscino, prima che colpisse anche me. Jack lo raccolse da terra e come se avesse accettato la sfida, lo rilanciò contro Nial, che prontamente lo afferrò. -Allora vuoi la guerra eh!- lo incalzò Jack. Capii che loro due avevano già avuto modo di parlarsi. Ma se prima sembrava che si fronteggiassero, ora si guardavano come se fosse tutto uno scherzo.

-Bambini!- gridai mentre loro ridevano e lottavano cercando di colpirsi con quel cuscino. Mi gettai sul letto ad afferrare il mio, per prendere parte allo scontro. La passeggiata in mezzo al bosco e il resto della giornata poteva attenderci per qualche altro minuto. Fissai il laccetto giallo che aveva Jack legato al polso, uguale al mio. Era il momento di farla pagare a Nial per le sue battutine.


Angolo Autrice
Importante.. sto postando questa storia anche su Wattpad :) Anche se l'ho un po' modificata e corretto vari errorini trovati in giro xD lo farò anche qua. (Lì mi chiamo Wigs_of_Glass, il titolo della storia invece è lo stesso).

Grazie per l'attenzione a quanti mi seguono, lo dico sempre, non finirò mai di ringraziarvi. Lasciatemi una recensione, perfavore per me conta molto quello che pensate. Quindi su su fatemelo sapere*-*
Per quanto riguarda l'altra storia che ho scritto, Marble Heart, se molti se lo stanno chiedendo, non l'ho abbandonata, continuerò a scriverla. Il problema è che mi sto facendo prendere molto da questa anche, e un po' mi ha fatto restare male il fatto di aver perso alcuni pezzi perché mi si era rotto il pc, ma ho già scritto un pezzetto del prossimo capitolo e spero presto di pubblicarlo.
Un saluto.
Io u.u
 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove - Il principe che non salvò la situazione ***


Capitolo nove: Il principe che non salvò la situazione

Non sempre siamo in grado di salvare una situazione, anche se tenteremo il tutto per tutto.

I giorni passarono tranquilli tra cacce al tesoro e giochi d'acqua, visto il caldo, anche se in quel piccolo angolo di boschi e nuvole non si pativa poi così tanto. Era un luogo davvero suggestivo, un piccola gemma sperduta chissà dove e se avessi potuto, mi ci sarei trasferita anche subito. Dormire con Nial non era stata una passeggiata, non russava, ma non mi fidavo ciecamente di lui. Insomma mi addormentavo sempre con un occhio aperto. Mi svegliavo ogni tot ore,perché non ero tranquilla. Ma non succedeva nulla di anormale. Aveva anche smesso di fare battutine sul mio corpo e sull'incidente della rete. E poi lui praticamente non usava il pigiama. Mi prendeva in giro, perché io nel sonno parlo e se capitava che lo svegliavo mi registrava, per poi farmi ascoltare tutte le cavolate pronunciate dal mio inconscio. A parte questo mi stavo divertendo, avevo fatto amicizia con quasi tutti i bambini ed un po' anche con gli altri animatori, grazie all'aiuto di Jack. Anche se faticavo a ricordare i nomi di tutti. Sophia, la ragazza con la cascata di capelli rosso fuoco, era la più simpatica ed esuberante. Nial invece parlava solo con me e Jack, che dalla lotta con i cuscini, gli era improvvisamente cominciato ad andare a genio, per questo sospettavo che parlassero di me e di tutte le mie figuracce fatte da bambina. Quella mattina, dopo colazione, sarei andata con Sophie, ed altre due ragazze di nome Isabelle ed Evangelin, a prendere al paese i vestiti di scena. Sì, perché quella sera avremmo inscenato per tutti i bambini, una specie di piccolo spettacolo. L'idea mi piaceva. A scuola avevo già preso parte a delle recite, quindi non era un campo del tutto sconosciuto. Avevo scorto dalla finestra della stanza che condividevo con Nial, le sagome dei tetti e del campanile del piccolo paesetto, quindi ero felice di poterci andare, anche se non mi piaceva fare shopping. Prendemmo un piccolo autobus, che passava tipo tre volte al giorno, quindi era molto importante non perderci il seguente, altrimenti per tornare indietro avremmo dovuto aspettare tutto il giorno. Dopo praticamente un quarto d'ora eravamo già in giro per i negozi. Quel paese, mi aveva spiegato Sophie durante il tragitto, era famoso per la tradizione del cucito e dei merletti che le nonne tramandavano alle nipoti ed alle figlie. Mi sembrò una cosa carina. Era tutto particolare, curato e pulito, pieno di case pittoresche dai balconi di diversi colori ed ornati di fiori.

-Cosa dobbiamo cercare esattamente?- chiesi ad un certo punto.

-Sinceramente, pensavamo di inscenare la tipica storia della principessa che viene salvata dal drago- mi confidò Sophie. -A meno che non hai idee migliori- continuò ridacchiando. Non capivo il perché, ma le ragazze talvolta erano strane con me. -No- mentì, in realtà avevo la testa affollata di idee, potevamo improvvisare se tutti si davano da fare, e creare qualcosa di più fantasioso.

-Ecco così ci manca solo un vestito da principessa, visto che l'anno scorso praticamente si è rovinato- mi rivelò poi.

-Sì è rovinato da solo?- commentò Evangelin -Sei stata tu a buttarti in piscina dopo lo spettacolo dell'anno scorso- rise. Sophie le diede un dolce schiaffo sulla mano, come per dirle di stare zitta. Loro si conoscevano da più tempo e mi sentivo un po' messa da parte quando iniziavano a parlare di vecchi episodi ed esperienze. Io ero praticamente tagliata fuori.

-Fermiamoci qui- arrestò la nostra camminata Isabelle, premendo praticamente il viso contro la vetrina di un negozio di sartoria, pieno di abiti lunghi e fruscianti, di sete, lustrini e perline.

-Costeranno un sacco Isa- protestò Sophie. -Proviamo lì, allora-indicò Evangelin. Io dovetti seguirle come un cagnolino. Entrammo in un negozio e Sophie per non perdere tempo, si prese sottobraccio Evangelin a mettere sotto torchio la commessa. A me ed Isabelle toccò invece il compito di guardarci meticolosamente attorno. Lei si arricciava attorno al dito i suoi riccioli blu tinti, girando per gli scaffali e le grucce appese e colme di abiti, dai più moderni a quelli più vistosi. Io la imitai.

-Queeesto! Vieni, guarda Lucy- mi chiamò. Io la raggiunsi. Davanti agli occhi avevo un abito davvero bello, di diverse tonalità di rosso, che partivano dallo scuro sul corpetto e scendevano sulla gonna in sfumature più chiare. La gonna era leggermente resa vaporosa da del tulle, e le maniche erano fatte completamente in pizzo, coprivano le spalle, per terminare a mezzo gomito.

Lei lo prese e se lo girò tra le mani. Dietro, come unico decoro aveva un piccolo fiocco dove terminava un vertiginoso scollo sulla schiena, sempre coperto dal pizzo. Se lo appoggiò al corpo e fece finta di danzare con un corteggiatore invisibile. Io risi. -E' bellissimo- trovai poi la forza di dire quello che pensavo. Isabelle mi sorrise, e ci raggiunsero anche la commessa con Sophie ed Evangelin.

-Se volete potete provarlo- ci invitò la commessa. Isabelle allora, a malincuore, passò il tesoro che aveva adocchiato a Sophie. -Sta benissimo con i tuoi capelli- esclamò Evangelin.

-Un momento solo- disse Sophie alla commessa, che già cercava di portarla verso i camerini, prima che scappasse l'occasione di venderlo. Lei ci fece avvicinare tutte in cerchio come cospiratrici.

-Okay, non ho ancora avuto il tempo di assegnare le parti sta mattina però- sbuffò.

-Quindi la principessa deve farla una di noi quattro?- chiese Isabelle, dando voce a quella ovvietà. Il vestito doveva stare a una di noi, visto che solo noi eravamo lì a poterlo provare.

Ci guardammo una ad una, come a studiarci su chi potesse essere più azzeccata.

-Chi potrebbe fare il principe secondo voi?- ruppe il silenzio Evangelin, elettrizzata.

-Nial?- chiese Isabelle, quasi sospirando, come se il nome le fosse sfuggito dalle labbra.

Io risi. -Ma proprio no-. Mi ricordai la sua figura del cavaliere oscuro.

-Credo che preferirebbe una scopa nel sedere piuttosto- disse Sophie. Allora la guardai stranita e lei ne se accorse. Conosceva già Nial? Lei ricambiò il mio sguardo.

-Non volevo dirtelo, ma sono una sua vecchia fiamma, voi state insieme?-chiese, quasi intimidita. Come se dirmelo le costasse una grande fatica. -Tanto è passato tanto tempo, avevamo solo quindici anni-.

-No- affermai, cercando di rassicurarla. Scossi pure la testa.

-Oh, per fortuna- lei si portò una mano al cuore -Credevo di rovinare qualcosa-. Che dolce, si preoccupava pure. Le sorrisi -E' tutto okay Sophie, siamo solo vicini di casa- dissi, non sapendo esattamente come definirci. Lei rise per smorzare la tensione.

-Però è carino Nial- commentò Isabelle con baldanza, come se stessero parlando di quali biscotti mangiano col latte al mattino.Probabilmente avrebbe mangiato anche Nial per colazione se avesse potuto.

-Ed è anche bravo a letto- continuò Sophie, che ormai si era ripresa, padrona di nuovo di tutta la sua sicurezza. Il problema è che sentire quelle notizie mi scaturì come una sorta di non so nemmeno io come definirlo. Sapevo come era Nial, sapevo che era stato con tante ragazze, però ora che la verità era stata confermata mi sentivo come delusa e non sapevo il perché. Forse speravo dentro di me, che non fosse realmente così.

-Che discorsi, su su decidiamo chi vuole fare questa principessa- salvò Evangelin la situazione. -Falla tu, come l'anno scorso- continuò diretta a Sophie, che strinse a sé il vestito.

-Perché non facciamo fare a tutti una parte?- buttai lì la mia idea -Magari fatine, gnomi, elfi, cose così anche, potremmo improvvisare, così tutti quelli che vogliono partecipare potrebbero farlo-.

Il volto di Sophie sembrò illuminarsi. -Sì non è male come idea. Allora ti meriti il ruolo da protagonista- mi trafisse con quella scelta. -A voi va bene?-. Le altre due annuirono. Oh cavolo, ero fregata. Tra l'altro non mi avevano nemmeno considerata come votante.

-Ma gli altri costumi come li facciamo?- chiese poi Evangelin, soffiandosi via dal viso un ciuffo nero ribelle. Non era difficile se si aveva un po' di tempo e creatività. Sarebbe stato bello coinvolgere anche i bambini nella preparazione. Scambiai un'occhiata con Sophie, che probabilmente aveva avuto la mia stessa idea, perché mi guardò complice.

-Basterebbe comprare un po' di stoffe- ammisi – E poi avere una forbice-.

-Vai a provarti questo abito intanto- concluse lei, agitandomelo davanti al naso.

Mentre mi infilavo in quella trappola di tessuto morbido, sentivo loro fantasticare di nuovo su chi potesse fare il principe. Andrew, David, Gabriel, infine optarono per Jack. -E' pure biondo- sentii dire da Isabelle probabilmente. Quando uscii dal camerino mi fissai nello specchio, quasi senza riconoscermi, mi donava moltissimo. Loro rimasero a bocca aperta, mi fasciava alla perfezione. Solo che mi stavo vergognando a morte per la scollatura sulla schiena.

-Lo prendiamo!- dissero praticamente in sincronia loro tre, mentre io facevo una piroetta su me stessa per guardarle. -Però lo devi mettere senza reggiseno, altrimenti dietro si noterà- mi disse Isabell, senza peli sulla lingua, come se non lo sapessi. La gonna era abbastanza lunga da coprirmi le scarpe, quindi la sollevai un po'. -Facciamo in fretta- disse poi Sophie -In marcia-. Così dovetti ricambiarmi in fretta e furia. Ci spronò anche per prendere anche le stoffe, che ci servivano per gli altri possibili personaggi e poi riuscimmo a prendere l'autobus per il ritorno alla villa, appena in tempo. O meglio l'autista ci vide correre da lontano, mentre ci sbracciavamo per farlo fermare e ci aspettò fortunatamente.

Il resto del pomeriggio lo passammo a preparare tutto. Volevo parlare con Nial, non so perché, forse ero solo curiosa di sapere di lui e Sophie, e del perché non me lo aveva raccontato. Forse era una parte del suo passato che non gli piaceva, o forse non mi considerava abbastanza vicina da saperlo? Non volevo torturarmi, anche perché a furia di pensarci mi stavo quasi tagliando, mentre ritagliavo un po' di morbido tulle per creare una gonnella spumosa da ninfa. Sophie praticamente stava preparando delle linee guida per avere almeno una traccia su quando i vari personaggi dovessero entrare in scena, e su chi faceva cosa. Per il resto del copione, avrebbero tutti un po'improvvisato. Sorrisi al fatto che era stata accettata da tutti la mia idea molto volentieri, finché non incrociai proprio lo sguardo di Nial che aiutava l'allestimento del palco, cercando di fissare il tendone per il sipario insieme ad altri due ragazzi. Fu solo un attimo, perché poi lo distolsi. Emily richiedeva la mia attenzione.-Chi ti ha insegnato?- chiese, fissando le mie mani munite di ago e filo. -Oh, è stata mia nonna- le sorrisi dolcemente, ricordando quei momenti passati nel suo salotto, sulle poltrone a rammendare e parlare dei vari posti dell'Europa che ci sarebbe piaciuto visitare.

-Mi insegni?-. Gli occhi le brillavano, curiosi. Io annui e lasciai che si sedesse in braccio a me per farle con calma vedere. -Attenta all'ago però, che punge- le spiegai.

-Poi dormi cento anni?-.

-Cosa?-. Poi ricordai della favola della bella addormentata e risi -No, ti fai solo male, quindi attenta-. Lei metteva solo le manine sulle mie,mentre io cucivo. -Ecco fatto- sospirai ad opera ultimata. -Siamo state brave- dichiarò Emily tutta contenta e ci battemmo il cinque.

Ormai era quasi tutto pronto, e più si avvicinava l'ora x, più mi agitavo, tanto che avevo anche mangiato poco a cena. Dopotutto avevo la parte da protagonista, sarei stata quella più presente sul parco,e non ci avevo nemmeno pensato. Fissai fuori dalla finestra, il tramonto colorava di arancio e rosa il cielo e scie di luce si riflettevano sull'acqua del lago. Sulla sponda avevano già acceso un falò e i bambini si erano radunati sui posti degli spettatori. Scorsi Emily su un cuscino in prima fila. Sospirai. -Dovrai mettere da parte la tua timidezza per sta sera- saltò fuori Nial, facendomi prendere un colpo. -E tu da dove sbuchi?-. Lo fissai e risi, era vestito da albero, con una maglia e dei pantaloni marroni e doveva tenere due rami in mano. -Da un bosco, non si vede?- accompagnò la mia risata. Non credevo avesse preso una parte alla recita, forse lo aveva convinto Sophie. Ecco, ci stavo ancora pensando.

-Sono venuto a vedere dove eri finita-. Io mi scostai dalla finestra.-Porca...- le parole gli morirono in gola. Mi ero pure sistemata i capelli. Mi aveva aiutato Evangelin con la sua piastra, facendoci dei boccoli morbidi. -Se mi fissi così mi fai solo più agitazione- dichiarai fermamente, coprendomi il viso con le mani.

....

Sei bellissima. Era dannatamente bellissima con quel vestito lungo, rosso ed aderente. Non l'avevo ancora notata in tutto il suo splendore. Sembrava proprio uscita da uno di quei film in bianco e nero. Avrei voluto poterla vedere solo io, ma lei si prese la gonna tra le mani, sollevandola un po' e si avviò giù per le scale. Io la seguì. Sophie vedendoci arrivare, iniziò a presentare la storia ai bambini, che la fissavano come ebeti ipnotizzati. Io mi limitai a fare la scenografia mobile, con un altro ragazzo. Lucy fu davvero brava, e la storia era davvero avvincente e piena di colpi di scena. Però volevo che finisse, soprattutto perché non ce la facevano più le mie braccia a restare immobili per sollevare i ramoscelli. Più volte, mentre guardava il pubblico, mi soffermai sul pizzo della scollatura della schiena, e i bottoncini che lo chiudevano. La recita stava per concludersi, finalmente Jack, che faceva il principe aveva salvato Lucy.

-Bacio, bacio, bacio- dissero in coro i bambini, sopratutto le bambine, ed anche qualche animatore, tra cui il mio socio e collega albero. Jack e Lucy si guardarono, presi dai rispettivi ruoli, lui le appoggiò una mano sopra il fiocco dietro la schiena e per un attimo pensai che l'avrebbe baciata veramente. Lì, davanti a tutti. Magari un bacio a stampo. Ma si limitò a darle un bacio sulla guancia e Lucy ad abbracciarlo. Se l'avesse baciata che avrei fatto? Avrei rovinato l'intero spettacolo probabilmente, mi dissi, e poi scacciai quel pensiero dannato. Infine dovevamo restare per il falò ed i dolcetti. Ma quelli che avevano gli abiti più ingombranti si andarono a cambiare ed io fui grato di potere finalmente muovere le braccia e le mani.

-Sei un bravo albero- mi disse Sophie, sorridendomi, mentre distribuiva tortine al cioccolato ai marmocchi. Io non la badai. Andai invece a cercare Lucy, perché erano ormai tornati tutti tranne lei. In stanza non c'era. Così mi misi a gironzolare. Avevo trovato soltanto l'abito da scena adagiato sul suo letto, pensai che avrei tanto voluto aiutarla a toglierselo, rivendendo più volte l'immagine della sua schiena coperta da quel sottile strato di pizzo rosso.

-Aiuto! Aiuto! Aiuto! C'è nessuno?- qualcuno gridava e batteva le mani sul legno. Proveniva dalla dispensa in cucina.

-Lucy?- la chiamai. -Sì Nial, aiutami, sono bloccata- mi rispose aldilà del legno.

Era una porta strana, tipo quelle dei castelli. Ma bastava sollevare una sbarra, che probabilmente per forza della gravità era caduta, sbarrandola da fuori.

-Oh grazie, credevo di rimanere lì fino a domattina- mi si buttò praticamente al collo -E poi si è spenta anche la luce-. La strinsi a me, aveva pianto cavolo. Notavo delle piccole scie umide sulle sue guance, luccicare nella penombra. -Da quanto sei lì?-.

-Credo venti minuti-rispose piano, sommergendo il viso nella mia spalla. Mi ricordai che aveva paura del buio. Probabilmente era andata a prendere altri dolci e marshmallow da portare ai bambini e la porta si era richiusa, imprigionandola.

-Calma, ti ho salvato.. e non sono nemmeno il tuo principe- ci scherzai su. Lei si calmò piano piano e sciolse l'abbraccio, anche se non avrei voluto lasciarla andare. Che mi prendeva?

-Grazie- mi disse, visibilmente sollevata. -Mi merito un bacio- dissi avvicinando il mio viso al suo. Lei spostò il suo di lato. Era ancora confusa per lo spavento. -Sei proprio un caso perso Lucy- le mormorai con dolcezza, prima di lasciarle un bacio delicato in fronte. Poi lei si scostò bruscamente, quasi spingendomi via.

Perché faceva sempre così? Ci ero andato vicino sta volta. -Perché non mi hai detto di Sophie?- chiese squadrandomi. Avevo sperato che non gliene parlasse, ma non potevo prevederlo.

-E' stata la mia prima volta- risposi, incrociando le braccia al petto–Una di tante serie, ma non mi importa più- mi corressi poi. Non sapevo cosa Sophie le avesse detto esattamente. Lei non rispondeva. Si fissava le scarpe, le stesse che aveva usato, coperte dal vestito durante lo spettacolo. -Gelosa?- le chiesi poi, avvicinandomi e riprovando di nuovo a stringerla a me.

-No- rispose Lucy, ma scappò ancora, afferrò una ciotola e mi superò senza degnarmi di uno sguardo. Sapevo che sarebbe stato difficile farla cedere, ma non credevo così tanto. Che fosse veramente gelosa? Se fosse stato così, significava che la stavo facendo innamorare di me. Era evidente che qualcosa di me la infastidiva, ed ero intenzionato comunque a chiederglielo alla prima occasione.

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci - Parole, gelosie e stupide paranoie? ***


Capitolo dieci: Parole, gelosie e stupide paranoie?


A volte pensare troppo fa soltanto male, a volte è la nostra salvezza.


-Ehi bella, svegliati-. Aprii gli occhi e mi ritrovai il viso di Nial praticamente sopra il mio. Ma con una grande distanza che ci separava. Le sue mani, invece, erano avvolte attorno alle mie braccia, ma mi lasciò andare. -Che cav..? Che ore sono?- bofonchiai, massaggiandomi le tempie.

-E' l'una e mezza- mi rispose lui, sedendosi sul suo letto, così da evitare che mi imbarazzassi.

Mi tirai su a sedere anche io, di scatto. -Perché mi hai svegliata?-protestai, sbadigliando.

-Stavi facendo un brutto sogno e mi sono preoccupato-.

Come era possibile? Io non stavo sognando. -Un brutto sogno? Non ricordo nulla-.

-Ti agitavi, dicevi a qualcuno o qualcosa di non morderti-. Non gli credevo molto, ma se lo aveva fatto probabilmente doveva essere così.

-Sei pazzo- protestai di nuovo, coprendomi meglio il pigiama con la coperta leggera.

-Tu sei pazza- mi disse di rimando, sorridendo. Mi sentivo come rimbambita. Mi aveva fatto prendere uno spavento ed ora la paura stava lasciando il mio corpo, facendomi sentire la stanchezza del suo gesto. Però era stato gentile da parte sua preoccuparsi per me. Ma poi mi ricordai, con la forza della  violenza di una cascata. Lui mi dava fastidio, o meglio mi davano fastidio certi suoi atteggiamenti. Sì, esatto proprio fastidio. Sapevo che era diverso dai soliti ragazzi che avevo conosciuto, tipo Jack. Ma non mi piaceva la situazione che mi creava la sua vicinanza. Il fatto che altre ragazze pensassero che fossi la sua fidanzata, e tutto il resto. Magari pensavano che ero un'altra delle sue solite vittime o conquiste passeggere, dipendeva da come lo si vedeva vedere. Non mi era mai importato di cosa la gente pensasse di me, ma questo mi importava. Era rilevante, perché se Nial era un tipo facile, a cui piaceva divertirsi, io ero l'opposto e non volevo attirare gente che fosse troppo diversa da me.

-Cosa c'è che non va?- mi chiese poi, vedendo che rimuginavo.

-Nulla- risposi, coprendomi con le coperte fino al naso, cercando di nascondermi alla sua vista.

-Non mentirmi-. Nial si avvicinò piano, con cautela, fino ad inginocchiarsi sul pavimento, accanto al mio letto. Ci fissammo. -Lo leggo nei tuoi occhi, centra Sophie vero? Mi hai evitato tutto il tempo sta sera-.

-Sì, cioè no..- affermai. Smisi di guardarlo e mi nascosi completamente sotto le coperte, distendendomi di nuovo e girandomi dall'altra parte. -Non sono affari tuoi- dissi a voce alta, perché le lenzuola non attutissero il mio tono.

-Dai Lù.. se non mi spieghi il problema come lo risolviamo?-.

-Le altre ragazze, non so, mi guardano con invidia-. Forse era meglio parlarne dopotutto.

Sentii che si era seduto sul materasso. Il suo fianco era accanto alle mie ginocchia, al di là della coperta. -E?- chiese, come se non capisse.

Mi irritai, sembrava non ci arrivasse, ma secondo me lo sapeva benissimo cosa non andava. -E parlano di te, tutto il tempo, di cosa sai fare a letto, e altre cose del genere e io me ne vergogno-.

Lui rise in risposta. Ecco, perfetto, le mie paranoie lo divertivano. -Ma sono cose che faccio io, non tu-.

-Sì, ma tu mi stai vicino, cioè noi siamo amici-. Sputai proprio la parola "Amici" come se mi stesse andando di traverso.

-Amici- ripeté lui -A meno che tu non voglia provare se le loro voci dicono la verità-. Mi girai a guardarlo stranita sull'altro fianco. Ancora trovava la forza di scherzare. Mi fece l'occhiolino. Io non ci trovavo nulla di divertente però. -Non scherzare, è un problema serio-. Feci l'espressione più triste che potessi fare.

-Una serietà che non vedo- continuò la sua tesi. -Dai Lù, fossero questi i problemi della vita. Se succede qualcosa che ti fa sentire a disagio, ignorala e basta-. Mi prese le mani tra le sue, io lo lasciai fare. Mi accarezzò con il pollice le nocche, molto lentamente e quel semplice gesto mi calmò. Forse mi stavo preoccupando per la solita cavolata ed aveva ragione?

Ignorare? Mi chiedevo se fosse stato semplice. Mi chiedevo se la nostra amicizia era giusta oppure no. Se mi avrebbe portato dei guai, oppure sarebbe andato tutto bene. -A volte sembra che ci provi con me- dissi, guardando le nostre mani congiunte sopra il materasso.

-Sono affettuoso, sono fatto così-. A quel punto tolsi le mani dalle sue, e lui non tentò di riprenderle. -Allora questione risolta?- chiese debolmente, schiarendosi la gola, come se non ne volesse nemmeno più parlare. Alzai lo sguardo ed incontrai di nuovo i suoi occhi color ghiaccio. Sospirai. -Per ora sì-. Anche se in realtà avevo di nuovo mille dubbi.

-Bene- rispose e tornò sul suo letto, come se la questione non fosse mai avvenuta. Non avevo avuto il coraggio di chiedergli se provasse qualcosa per me. Se mi avesse chiesto di andare con lui, in quel posto, solo per far ingelosire Sophie, ed altre mille cose che mi si stavano costruendo in testa. Ma non aveva senso pensarci. Dovevo godermi quegli ultimi giorni di tranquillità. Lo fissai un ultima volta, mentre si rimetteva sotto le coperte. Ormai mi ero abituata a vederlo così, che nemmeno mi imbarazzavo più. Ma molte ragazze lo avevano visto in mutande. Mi morsi le labbra per quelle parole che stavo soffocando e lasciato sospese a metà. Forse dovevo imparare a fidarmi di lui, anche se infine non lo conoscevo così bene, forse era proprio per questo. Imparando a conoscerlo, avrei saputo anche fidarmi.

Il mattino seguente andammo tutti quanti, divisi per squadre, a fare un'escursione nei boschi vicini. Avevo camminato tantissimo in quella settimana, ma era tutta salute. Fortunatamente eravamo separati. Volevo stare un po' lontana da Nial dopo quello che era successo. Avevo bisogno di schiarirmi la mente per poterlo affrontare. Per lui era tutto così semplice. Io avevo paura che mi potesse usare. Non riuscivo a sentirmi al sicuro con nessuno e stavo permettendo al mio passato di cambiarmi. Non sapevo come abbattere le mie muraglie, come fare a darmi un'altra possibilità di vivere davvero.

-Sembri triste oggi, che succede?- mi chiese Jack, avvicinandosi a me, verso la fine della fila della comitiva. Alzai lo sguardo dal sentiero, sui bambini ed in testa, ad aprire la nostra marcia, c'erano le larghe spalle e i capelli cortissimi di Andrew. Per poi finalmente voltarmi verso Jack.-Nulla, sono solo pensierosa- risposi, cercando di rassicurarlo. Lui sorrise e allungò una mano per scompigliarmi i capelli. Io cercai di evitarlo, ma lui mi prese e ci scappò una risatina. -Cerca di divertirti ormai mancano solo due giorni- mi disse. Aveva ragione, gli ricambiai finalmente il sorriso. Dovevo assolutamente divertirmi, perché una volta a casa mi sarebbero piombati addosso i veri problemi.

-Jack..- cominciai, non sapevo bene come chiederglielo. Lui mi guardò, mentre rallentavamo un po' il passo dagli altri, per riuscire a parlare solo tra di noi. -Resteremo in contatto anche dopo? Cioè, voglio dire una volta tornati a casa, a me farebbe piacere- dissi tutto d'un fiato e sperai mi capisse.

-Anche a me- mi rivelò, visibilmente contento. -Poi ti lascio il mio numero, okay?-.

-Okay- gli risposi e ne fui sollevata. Non mi andava di perderlo di vista ancora. Da quando mi ero trasferita, tutti i vecchi compagni ed amici li avevo persi, senza più sentirli. Anche perché ero molto piccola quando cambiai città e poi non ho mai voluto far parte di un social, tipo Facebook.

-Comunque..- iniziò lui, leggermente imbarazzato -avevo intenzione di chiedertelo anche io, ma mi hai battuto sul tempo-.

-Davvero?- mi uscì sorpresa. Non me lo aspettavo proprio a dire la verità. Lui annuì, per poi farmi segno di muovermi. Stavamo perdendo la fila. -Sbrigatevi, lumaconi!- ci chiamò scherzosamente un bambino, notando che ci stavamo seminando. Noi affrettammo il passo fino a raggiungerli. Ad un certo punto Andrew si arrestò, facendoci fermare tutti. Si voltò e fece segno di stare zitti, premendosi l'indice sul naso. -Shhh-.

-Che succede?- chiese Emily, senza rispettare la sua richiesta. Io guardai allarmata prima lei, poi i bambini, poi Andrew, ed infine Jack. -Ragazzi c'è qualcuno- pronunciò piano Andrew.

-Andre..un animale?- lo chiamò Jack, aiutandomi a far rimanere tutti i bambini vicini. Erano spaventati. Io e gli altri due ragazzi cercammo di metterci di lato a loro, come a racchiuderli in un cerchio. -State calmi, non succederà nulla- cercò Jack di tranquillizzarli. Emily mi si aggrappò alla gamba. Mentre alcuni si prendevano per mano.

-Non erano sicuri questi boschi?- chiesi sforzandomi di restare calma, mentre in realtà mi stavo iniziando a preoccupare. A me sembrava non ci fosse nulla che non andava. 

-Lo sono- mi disse Andrew. Ma la sua voce fu interrotta da uno sparo. Qualche bambina gridò, alcuni sobbalzarono, me compresa. Emily mi lasciò per tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi.

-Per dio, non dovrebbero essere territori di caccia- ammise Jack. Un altro sparo seguì la sua voce. Guardai i bambini per poi osservare con attenzione il bosco circostante. Foglie. Rami fitti. Alberi. Tronchi. Sassi piccoli. Sassi grossi. Anche Andrew e Jack si fissavano attorno cercando la fonte dei rumori. Era vicina. In un attimo mi sembrò di essere catapultata nel film di Hunger Games. Il cuore iniziò a martellarmi nel petto, come se avesse una molla dentro.

-Non ci spareranno mica?- chiesi. Che potevamo fare?

-Non credo. In casi sarebbe meglio abbassarci a terra- mi rispose Andrew. -No, restiamo in piedi, così siamo più visibili ai cacciatori- commentai io quella terribile idea. Stavamo praticamente facendo una conversazione soffiata.

-Io ho paura!- esclamò Emily, a voce alta. -Anche io- la seguì in coro qualche bambino.

-Vedrete che torneremo a casa presto- dissi, cercando di calmarli. Lei era pronta al pianto. L'accarezzai, cercando di infonderle un coraggio che stavo cercando anche io.

-Se è vicino, forse posso fermarlo, ed anche minacciarlo che può essere denunciato- si intromise Jack. Lo fissai. Era vestito con una maglietta verde scuro e dei pantaloni militari. Non era visibile. Anche quella era una pessima idea. A meno che.. -Vengo con te- gli dissi. Io indossavo una maglietta arancione, con delle stelle gialle, e dei pantaloni bianchi. Ero spaventata, ma mi sarei preoccupata ancora di più a sapere Jack in giro per il bosco da solo, con degli psicopatici muniti di fucile in giro. Lui non protestò, non mi disse di restare coi bambini. Mi prese soltanto la mano.

-Andrew te la caverai?- chiese invece, rivolto all'amico. Lui gli scambiò uno sguardo rassicurante.

-Non andare!- mi trattenne Emily per la gamba. -Emily, fermiamo l'uomo cattivo e torniamo, promesso-. Ci guardammo qualche secondo, poi lei capì e mi lasciò andare. Io speravo solo di aver ragione e di poter mantenere quella promessa fatta su due piedi. Un altro sparo ci fece sobbalzare, mentre ci allontanavamo dal gruppo nella sua direzione. Nella mia testa una vocina continuava a pregare "Fa che vada tutto bene, fa che vada tutto bene".

Ci inoltrammo nel folto degli alberi. Ormai il gruppo era lontano. Mi ero girata più volte a controllare i bambini. Andrew stava abbracciando Emily, prima che scomparissero alla nostra vista. Un altro sparo, poi un altro ancora, di seguito. Erano due. Ne sentivo anche in campagna, dove vivevo. Ma ora, con la consapevolezza che potevamo essere colpiti, le gambe tremavano. Jack mi strinse la mano di nuovo. -Facciamo rumore, cosi ci faremo notare-.

Io annuii. Quel silenzio era proprio disarmante. Non si sentivano nemmeno gli uccelli, probabilmente erano stati spaventati anche loro. Lui tirò fuori dalla tasca del marsupio, che portava in vita, il suo cellulare e fece partire un brano a tutto volume. Era Numb dei Linkin Park. Non lo scorderò mai. Poi finalmente superando degli altri cespugli notammo tre uomini, in tuta mimetica, armati. Ci avevano sentiti arrivare grazie alla canzone, così non ci avevano scambiato per animali. Per una frazione di secondo ci fissammo. Uno solo, quello senza cappello, abbassò la sua arma. Gli altri due rimasero in allerta. Jack stoppò il brano e ci avvicinammo di qualche passo.

-Non potete cacciare qui, è proibito, è una zona protetta- disse loro, in un tono così autoritario che fece paura anche a me. Quelli probabilmente pensarono che eravamo delle guardie forestali o che ne so, perché si affrettarono a scappare in gran fretta, per la boscaglia che avevano dietro di loro.

-Io li inseguo quegli scemi-. Jack si buttò all'inseguimento, arrabbiato perché non era stato ascoltato. -No Jack!- gli gridai dietro, cercando di fermarlo, ma ormai lui era partito. Alla fine i miei piedi, come animati da forza propria, si lanciarono a cercarlo. Fuori dai sentieri gli alberi erano fitti e rigogliosi da sembrare un intricato labirinto. Le foglie mi si schiaffavano in faccia e sulle gambe, mentre correvo più veloce che potevo.

Mi fermai solo a un certo punto. Quando i muscoli mi implorarono pietà. Non so come, ma avevo perso di vista Jack ed ero arrivata sulla sponda del lago, dove le sue acque abbracciavano la terra. O meglio era uno strapiombo sull'acqua, che si specchiava placida a circa una decina di metri più sotto. Mi vennero le vertigini a guardare giù. Mi ero bloccata in tempo, prima di cadere e finirci dentro. Riempii i polmoni d'aria, avidi, alla ricerca di una pausa. Non sapevo se Jack aveva trovato quei dannati cacciatori. Decisi di sedermi a terra, proprio accanto al tronco di un albero, appoggiandomici contro. Mi calmai. Non sapevo nemmeno dove mi trovavo e come tornare ad uno dei sentieri. Sentii un sparo improvviso e il cuore mi tornò in gola. Riaprii in fretta gli occhi che avevo socchiuso e scattai in piedi.-Jack- provai a chiamarlo, gridando e ferendomi la gola per lo sforzo. Sperai non gli fosse successo nulla. Alla fine sarebbero finiti in prigione se ci facevano del male. Potevano essere dei pazzi? Non credo. Forse si erano spinti in questa zona perché era vietato cacciarci e quindi c'erano più prede. Erano tutte delle cavolo di supposizioni. Mi presi la testa tra le mani. Poi sentii dei rumori di foglie che si spostavano e vidi Jack sbucare dal verde. Fui sollevata, ma lui correva verso di me ed aveva un'espressione preoccupata.

-Corri!- mi ordinò, io non me lo feci ripetere, visto che alle calcagna aveva un pastore tedesco enorme. -Buttiamoci!- disse poi, avvicinandosi alla sporgenza del dirupo, appena mi fu accanto. Io lo guardai perplessa, credo, prima di sentirmi afferrare da lui e saltare. Mi sembrò come di volare, finché dopo pochi istanti il mio corpo incontrò l'acqua, in un impatto di spruzzi e gocce. Pensai che stavo per morire. Ecco, la mia vita era finita. Io poi non sapevo nemmeno restare a galla. Ma qualcosa mi tirò in superficie. Annaspai alla ricerca d'aria, di nuovo. Mentre mi ritrovavo aggrappata a un Jack umido, che rideva. -Forte!- pronunciò piano, stringendomi. Sentivo le sue mani sulla schiena.

-Sei pazzo, io non so nuotare- gli dissi, protestando. Probabilmente se non avessi avuto paura, mi sarei vergognata del modo in cui praticamente gli stavo addosso. Sembravo un adesivo.

-Si ma così ci siamo salvati-. Fissammo in alto, sul limite del precipizio, il grosso cane che ci guardava per poi scomparire. Probabilmente tornava dai suoi padroni. -Torniamo a riva- disse, accompagnandomi verso la sponda bassa del lago. Lui nuotava anche per me, io cercavo di aiutarlo imitandolo, ma non avevo mai imparato. Ad aspettarci c'era una sagoma, che via via si faceva sempre più distinta. Era Nial. Non so perché ma me lo sentivo. Mi aiutò a tornare a riva, mentre tremavo e tossicchiavo per l'acqua che avevo bevuto. Non mi abbracciò. Mi lasciò subito andare per dedicarsi a Jack.

-Sei un cretino Jack, la volevi uccidere?- si arrabbiò con Jack, che in realtà ci aveva fatto seminare il cane. Jack lo guardò attonito ed incrociò le braccia sul petto, per poi togliersi la maglietta bagnata fradicia che gli si era incollata addosso.

-In realtà- cercai di difenderlo -c'erano dei cacciatori-.

-Lo so li abbiamo sentiti pure noi-. Nial stringeva i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche. Pensai che lo avrebbe picchiato da un momento all'altro e dovevo fare qualcosa.

-Li ho seguiti, ma nel furgone avevano un cane e mi ha quasi aggredito. Loro lo hanno lasciato fare, così sono dovuto scappare-. Jack mi precedette. Io cercai di non guardarlo mezzo nudo. Mi sentivo così stanca, che sospettavo fosse l'adrenalina a tenermi in piedi. Poi vidi Nial muoversi verso di lui e colpirlo in faccia con un pugno improvviso. -Nial!- lo implorai -smettila, Jack mi ha salvato-. Provai a mettermi in mezzo tra loro, ma camminare era impossibile. I muscoli mi dolevano ancora.

Jack si stava massaggiando la guancia, ma non rispose al pugno. Si scambiarono uno sguardo pieno d'odio. -Non mi importa Lucy, potevi annegare, vi ho visti saltare e..-. Vidi gli occhi di Nial preoccupati rivolgersi verso di me. Scossi la testa, incapace di guardarlo e mi strinsi le braccia attorno al corpo per scaldarmi. -Lui mi ha salvata- decretai di nuovo. Ora ero io arrabbiata.

-Lucy andiamo ad asciugarci- disse Jack, superando Nial ed avvicinandosi a me. Mi mise le braccia sulle spalle e mi aiutò a sostenermi. Era la cosa migliore da fare in quel momento. Ci avviammo verso il sentiero che era poco distante da lì. Non capivo il comportamento alterato ed eccessivo di Nial, stavo addirittura per scusarmi al posto suo con Jack. La sua guancia era rossa e si sarebbe gonfiata.

-Non so perché l'ho fatto, Lucy- lo sentii dire forte in lontananza e rompere il flusso dei miei pensieri -Ma forse sei più importante per me, più di quanto pensavo-. Io mi arrestai un attimo a quelle parole. Volevo girarmi, ma non lo feci e Jack mi spronò a continuare a camminare. Nial continuava ad essere il mio più grande punto di domanda.

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Capitolo 12
*** Capitolo undici - Non decapiterò Winnie the Pooh ***


Capitolo undici: Non decapiterò Winnie the Pooh


Credo ci sia un detto che dice fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio..

Aprii gli occhi distrattamente, svegliata troppo presto, dal ticchettio insistente della pioggia che si infrangeva, rompendosi, sul vetro della finestra. Seguivo la scia che lasciavano le gocce, come impronta del loro passaggio. La consapevolezza che quello era l'ultimo giorno mi riempì già il cuore, di nostalgia di quel luogo. Avevo evitato Nial dopo il pungo che aveva gratuitamente tirato a Jack. Non era nemmeno tornato a dormire nella nostra stanza, ed io avevo passato perlopiù il resto della giornata a medicare Jack. A tenergli il ghiaccio sulla guancia livida. Lo sguardo finì sul foglietto che avevo accuratamente appoggiato sul comodino. Ci avevo scritto il mio numero e glielo avrei consegnato oggi, visto che lui aveva perso il suo telefono nel tuffo non previsto sul lago. Sospirai, pensando di tornare giustamente a dormire, ma un bussare mi fece di malavoglia andare alla porta. Non era Nial, lui sarebbe entrato facendomi prendere un colpo. Ormai credevo che stavo imparando a conoscere certi suoi modi di fare. Mi ritrovai davanti Sophie, già rigorosamente senza pigiama. Ma che succedeva?

-Buongiorno Lucy- mi disse, sorridendo e togliendomi la preoccupazione che fosse accaduto qualcosa di spiacevole. -Buongiorno- le risposi, non curandomi del fatto che lei era impeccabile, mentre io in pigiama, molto ridicolo con tanti coniglietti disegnati sopra, e trasandata. -Mi dispiace di averti svegliato, ma per via del temporale faremo l'ultima caccia al tesoro dentro la villa-. Era il gioco finale, quello che poi avrebbe decretato la squadra vincitrice. In effetti non sarebbe stato carino far cercare ai bambini, tesori tra l'erba bagnata e la terra fangosa. -Dovresti aiutarmi a confezionare i regali e a nasconderli- continuò, rivelandomi il perché di quella sveglia mattutina.

-Va bene. Dammi solo un attimo che mi cambio-. Lei annuì. -Ti aspettiamo nella sala da pranzo- mi salutò e restai a fissarla sparire dietro l'angolo del corridoio. Mi cambiai in fretta, sciacquandomi più volte il viso per lavarmi le ultime tracce di sonno. Cercai di sistemarmi i capelli come meglio potevo. Erano tutti annodati, perché non ero riuscita a dormire bene. Mi ero rigirata nel letto più volte, avvolta dalla preoccupazione, ed ora dei ciuffi sembravano quasi dei rasta, talmente erano intricati. Mentre mi avvicinavo alla sala, sentivo le voci degli altri farsi sempre più distinte. -Speriamo che per sta sera smetta, altrimenti niente fuochi d'artificio..- sentii dire da Andrew. Mi avevano detto che al paese ci sarebbe stata una festa. -Buongiorno a tutti- salutai entrando, tutti mi guardarono e mi sentì piccola e a disagio, ma alcuni risposero, altri mi sorrisero. Così cercai di rimuovere l'imbarazzo di aver tutti quegli occhi puntati su di me di  prima mattina. Mi andai a sedere nell'unico un posto libero, tra Manuel e Jessica, due animatori con cui avevo parlato davvero poco. Ma sapevo che erano fratelli gemelli. Lei mi ricordava vagamente una ragazza cinese, tipo quelle degli anime, forse uno dei loro genitori era orientale. Lui invece aveva l'aspetto di un vero nerd, basso, magro, con gli occhiali. Sembravano una bella coppia, scommetto che andavano d'amore e d'accordo, non come me e mio fratello, che bisticciavamo praticamente a giorni alterni. Lei mi stava chiedendo come stavo, quando i miei occhi furono rapiti da Nial che era intento a tagliare dei nastri, verso la fine del tavolo, che avevano imbandito di scatoloni, carte, forbici, fogli e pennarelli e quant'altro si può trovare anche su art attack. Lui alzò gli occhi dal suo lavoro, come se avesse capito di essere fissato. Mi sarebbe piaciuto chiedergli dove avesse dormito. Come avesse fatto a cambiarsi senza passare per la stanza. Sapevo che Sophie lo aveva rimproverato per il suo comportamento. Avevano discusso e mi sentivo in colpa. Infine Nial si era spaventato perché non sapevo nuotare. Lui mi fissò a sua volta, ma non c'era durezza nel suo sguardo, vedevo solo che era stanco. -Dai su o non finiremo mai- ci incoraggiò Sophie, con il suo solito entusiasmo, seduta proprio davanti a me. Jack mi passò delle forbici e Manuel mi diede della carta regalo da ritagliare. Presi una scatolina per misurare quanta me ne servisse, ma poi notai che era ornata da dei disegni che ben conoscevo. Era winnie the pooh, anzi erano milioni di Winnie, che mettevano la zampa in un vaso di miele, o seduti a pescare con Pimpi, o a prendere le farfalle con un retino insieme a Tigro. I ricordi della mia infanzia mi riaffiorarono nella testa.

-Sei capace di ritagliare?- mi chiese Alyssa, credevo si chiamasse così, una ragazza di colore che era finita in squadra con Nial. Aveva notato che fissavo la carta. Che smorfiosa. -Certo- dissi -Ma non decapiterò Winnie the pooh- ammisi decisa. Nial si mise a ridacchiare e tutti si girarono nella sua direzione. Io feci spallucce e scelsi un'altra carta che raffigurava lo sceriffo Woody e Buzz Lightyear  di Toy Story. Andrew fece una faccia preoccupata -Ah, Winnie no? Ma i miei personaggi preferiti sì?- mi chiese. Io risi. -Sono i tuoi, non i miei- gli risposi di rimando, giustificandomi, e lui sorrise.

-Allora io farò il tuo lavoro sporco- mi concesse, alzandosi e prendendo i tanti Winnie che io avevo scartato. Quasi volevo fermarlo, ma poi lasciai perdere. Prima di cominciare lanciai un'occhiata attenta anche a Jack. La sua guancia era meno gonfia del giorno precedente. Meno male.

Dandoci una mano finimmo giusto in tempo di nascondere i regali per la villa, per fare colazione e dare la sveglia ai bambini. Il fatto di aver visto Nial stare bene mi aveva dato sollievo, anche se c'erano molte cose sospese tra di noi ormai. Volevo parlargli, ma non sapevo da dove iniziare e forse lui non voleva nemmeno ascoltarmi, o almeno questo pensavo dentro di me. La caccia al tesoro iniziò tra i lampi, che ormai avevano iniziato a combattere nel cielo. Sapevo che i temporali estivi, sopratutto in montagna, non duravano molto se erano così violenti. Quindi magari avrebbero fatto lo stesso la festa in paese e saremmo riusciti a goderci i fuochi artificiali. Qualche bambino era spaventato ed io avevo dovuto rifare il laccetto della squadra con un nastro regalo ad Emily, perché mi diceva che il suo lo aveva perso, o meglio, lei sosteneva che lo aveva mangiato il mostro che stava sotto al letto. Anche io da piccola avevo paura dei mostri, e come lei dormivo con la luce accesa. Fortunatamente Nial me lo aveva concesso, però a lui dava fastidio, ma anche se avesse provato a protestare la mia abitudine mi sarei fatta valere.

Tutti i bambini stavano girovagando per cercare i vari regali, chi ne trovava di più avrebbe ottenuto punti doppi. Sapevo che Emily ed altri membri della mia squadra ci tenevamo moltissimo a vincere, ma non potevo aiutarli. Dovevano seguire gli indizi da soli. Mi misi anche io a passeggiare. Non avevo mai vista tutta la villa. Mi persi tra i corridori mentre i pensieri si rincorrevano nella mia testa, come le nuvole di quella tempesta, senza tregua. Dovevo smetterla di pensare tanto. La mia attenzione venne attirata da una porta tinta di bianco, come la parete, che non avevo mai notato. Aveva l'aria di essere molto vecchia. Tentai di aprirla, pensando che servisse molta forza, ma per poco la maniglia non mi restava in mano. Entrai in una stanza piccola, con il pavimento di marmo rosa, le tende bianche che chiudevano fuori il grigiore del temporale. Era quasi spoglia, se non per due cassapanche in legno di noce e un pianoforte a coda, al centro della saletta. Mi avvicinai allo strumento. Era vecchio e logoro, i tasti che dovevano essere bianchi, erano ingialliti. Mi sedetti sul divanetto posto lì davanti, tirandolo leggermente più vicino al pianoforte e provai qualche nota. Era un po' scordato, ma ancora utilizzabile. Chissà da quanto tempo era lì. Mi sistemai più comoda, quasi sprofondavo dentro la gommapiuma dove mi ero seduta. Starnutii perché si sollevò un po' di polvere. Provai di nuovo a suonare, finché le mie dita iniziarono a comporre la melodia, nella mia versione più lenta e dolce, di Waiting for Superman dei Daughtry. Arrivata al ritornello mi misi anche a canticchiare per tenere meglio il tempo. Sbagliai qualche nota, ma ricominciai senza darmi per vinta.

"Oh, the way she smiles.. She's talking to angels, counting the stars.Making a wish on a passing car. She's dancing with strangers, falling apart and waiting for Superman to pick her up. In his arms, in his arms". Qualche rumore di un tuono faceva da sottofondo alla mia sinfonia, ma ormai il temporale si stava placando.

Mi era sempre piaciuta quella canzone. Ad un certo punto un applauso mi fece sobbalzare e premere dei tasti a caso, rovinando la composizione. Guardai sulla soglia e incrociai gli occhi scuri di Andrew. -Accidenti mi hai spaventata- gli dissi. Lui sorrise e mi raggiunse. Mentre la consapevolezza che mi aveva sentita cantare si faceva largo nella mia testa, facendomi arrossire. Mi misi le mani in grembo. -Quindi la protettrice di Winnie Pooh sa anche cantare, brava!- si complimentò. -Grazie- risposi titubante. Si grattò distrattamente la barba. -Non si può sentire altro?- chiese. Io scossi la testa. -Canto solo in presenza di mio fratello, con gli altri mi vergogno- gli spiegai. -Ah, allora fingi che sia tuo fratello, dai davvero ti stava venendo bene, ti ho sentita dalle scale, non volevo farti fermare-. Roteai gli occhi e finii di suonarla, senza però cantare. -Ma alla fine lo ha trovato Superman?- disse allora lui, riferito al testo della canzone. -Spero di sì per lei- risposi incerta. Lui provò a premere qualche tasto a caso. -Sono bravo?- scherzò. Io gli sorrisi. Poi lui guardò l'orologio digitale che teneva al polso. -E' ora di andare, la caccia al tesoro sarà finita-. Io annuii e mi aiutò a coprire il piano con un lenzuolo che era steso sul divanetto. Probabilmente qualcuno aveva già provato a suonare lì.

Quando tornammo al piano terra, tutti erano raccolti disordinatamente nella sala principale. -Stiamo per proclamare i vincitori di quest'avventura- disse Sophie dentro un microfono che le amplificava la voce. Dietro di lei c'erano Alyssa ed Isabelle, che stavano finendo di scrivere qualcosa su un enorme tabellone dei numeri. I punteggi. Solo ora mi resi conto che i colori delle cinque squadre, erano gli stessi colori dei Power Rangers. Rosso, blu, verde, giallo e rosa. I bambini già stavano facendo i pronostici. Jack ci fece segno di andare a sederci accanto a lui e lo raggiungemmo. -E la squadra vincitrice è la...- cercò di creare enfasi, mentre molti bambini trattenevano quasi il respiro e la fissavano incapaci di pensare ad altro. -La squadra verde!- esclamò. La squadra capitanata da Sophie e David. Non so perché, ma me lo aspettavo. I membri di quel gruppo esultarono e si abbracciarono, mentre molti altri stavano già mostrando facce deluse, tra cui Emily, che ci venne incontro con quel musetto amareggiato. -Si vince e si perde, non ti preoccupare- le dissi, cercando di consolarla. La voce di Sophie ci raggiunse -Ma il premio andrà diviso con tutti, perché siamo stati tutti bravissimi-. -Sentito?- le dissi ancora. Ma lei non rispose, si limitò ad abbracciarmi ed io ricambiai. -Dai l'anno prossimo vinceremo noi- Jack le scompigliò la frangetta. Già, l'anno prossimo. Chissà se ci sarei ritornata. Emily fu chiamata da delle sue amiche e sembrò un po' più sollevata. Il premio era una torta al cioccolato, ricoperta di bignet, più tutti i regali che avevamo incartato all'alba, ognuno sceglieva quello che gli piaceva di più e per fortuna non ci furono litigi. Approfittai di quel momento di calma per lasciare il mio numero a Jack, scritto in quel foglietto che mi portavo in tasca da quando ero uscita dalla mia camera. Lui mi ringraziò e mi informò che Nial si era scusato per il pugno. Non sapevo ancora come sentirmi per tutto quello che era accaduto, ma aveva fatto bene a scusarsi. -Tra amici le cose si condividono- gli disse Andrew, ammiccandomi, rivolto al bigliettino. Jack gli diede una leggera spintarella sulla spalla. Io gli sorrisi, sperando che non parlasse a nessuno del fatto che sapevo suonare. Altrimenti sicuramente me lo avrebbero fatto fare davanti a tutti. Pensai che Nial lo faceva regolarmente. A volte lo avevo sentito suonare il basso, quando lasciava la finestra della sua stanza aperta. Se la cavava bene.

Il resto della giornata trascorse tranquillo, fino al momento di fine cena, quando volevo tornarmene in stanza per finire di rifare la mia valigia. Ero seduta a parlare al tavolo con Jack ed Emily, e stavo per salutarmi e congedarmi. Mi morsi le labbra, quando vidi che Nial stava venendo verso di noi. -Dobbiamo parlare- mi disse diretto, come suo solito, porgendomi la mano, io l'afferrai e lui mi aiutò ad alzarmi. Mi sentivo improvvisamente in ansia. Lui mi condusse fuori sul patio. L'aria fredda della sera mi stuzzicò le narici, facendomi quasi starnutire. Sapevo che quel momento sarebbe arrivato, eppure non mi sentivo ancora mentalmente pronta ad affrontarlo.

...

La guardai e lei sembrò paralizzarsi sul posto. Sapevo bene cosa dirle. -Mi sono scusato con Jack, te lo ha detto?-. La vidi annuire. -Ne sono contenta-. Non mi piaceva scusarmi, ma lo avevo fatto per riparare le cose tra noi due. -Non volevo portarti qui per farti arrabbiare con me, ma per farti svagare e rilassare-. Le dissi semplicemente la verità. -Lo so-. Lei distolse lo sguardo dai miei occhi e fissò il bosco quieto, davanti a noi. -Mi sono preoccupato troppo per te, non dovevo farlo, ma vedi non sei per niente semplice e volevo renderti questa settimana indimenticabile..-attaccai con quelle parole che sapevo usare. Mi scivolavano sulla lingua come se fossero bugie facili da riferire. Lei annuì di nuovo. 

-Ci sei riuscito, in un certo senso- disse poi, interrompendomi ed appoggiandosi ad una delle colonne dell'entrata della villa. -Tutti sbagliamo, ho sbagliato anche io a non venire a cercarti, magari hai pensato che non mi importasse nulla di te-.

-In un certo senso.. credevo ti servisse tempo per smaltire il tutto e ho dormito nella dispensa- le raccontai. -Non particolarmente comoda, ma Sophie mi ha portato dei cuscini e una coperta-.

-Davvero?-mi chiese, rivolgendomi un'occhiata accigliata.

-Quindi mi perdoni?- le chiesi invece, evitando la sua domanda ovvia.

-In parte sì, perché hai capito il tuo gesto-.

-Sbaglio troppo, continuo a chiederti perdono per qualcosa- mi scompigliai il solito ciuffo. Io non ero smielato, ma con lei dovevo comportarmi così.

Lei non disse nulla. Tornò a guardare gli alberi. Avrei dato l'anima per riuscire a capire cosa le scatenavo dentro. Era meglio cambiare discorso. -Ti porto in un posto, vieni?-. La presi per mano, senza aspettare la sua risposta e lei non oppose resistenza. Sembrava inconsistente, era come trascinarsi dietro un fantasma. Ma mi concentrai per portarla dove volevo andare. Era un bel posticino nascosto, che avevo scoperto passeggiando per caso. Non mi aveva perdonato del tutto, ma ero contento per quell'opportunità. Per quella mezza via d'uscita che mi lasciava sempre libera. Forse non se ne rendeva nemmeno conto. Eravamo quasi arrivati, quando a sbarrarci il cammino incontrammo un'ombra scura sul tappetto erboso. Il sole era già tramontano da un pezzo e non vedevo molto bene. Procedei con più calma e mi avvicinai a quella cosa, con lei al mio fianco. All'apparenza sembrava un masso ricoperto di muschio. Ma in realtà era pelo. Lei aveva aggrottato le sopracciglia per distinguere quel cumulo. -E'..morto?- chiese piano, coprendosi la bocca con le mani. Era la carcassa di un cervo ucciso da tempo, forse ieri visto che erano girati illegalmente dei cacciatori per la zona. La guardai e notai che stava piangendo. Mute lacrime che luccicavano alla luce della luna che penetrava attraverso le foglie. L'abbracciai, lei non mi strinse, ma usò la mia maglietta per asciugarsi involontariamente le lacrime, nascondendo il viso nell'incavo della mia spalla. Forse si era spaventata. -Va tutto bene, non guardare più- le dissi con sicurezza -Allontaniamoci da qui, non volevo farti vedere questo-. Accidenti alle cattive coincidenze, maleodoranti aggiungerei. Le accarezzai i capelli e lei parve calmarsi un po'. Poi la ripresi per mano e raggiungemmo l'altura dove volevo portarla. Era come quella da dove si era buttata con Jack, il giorno prima, e mi aveva fatto perdere la testa. Non volevo si facesse del male. Solo che invece di essere rocciosa, era piena di fiori. -Era più bello di giorno- affermai. Lei si fermò ad ammirare lo stesso il panorama. -E' stupendo invece- disse -grazie per avermelo fatto vedere-. Io le sorrisi e le lasciai andare la mano. Almeno qualcosa di buono ero stato in grado di fare. Lei si incamminò per la radura che terminava a strapiombo nelle acque del lago. I fiori erano chiusi ma si notavano. Per fortuna le nuvole erano state portate via dal vento e la luna rendeva visibili le sagome di ogni cosa. Un rumore improvviso attirò la nostra attenzione verso l'alto. Dei fuochi d'artificio, che si innalzavano dall'altra sponda del lago, per superare i profili delle montagne ed esplodere nel cielo in scintille luminose. Da lì si notavano benissimo e mandavano i loro riflessi cangianti nello specchio d'acqua. Ma distolsi lo sguardo per vedere Lucy immersa a gustarli con gli occhi. Stava sorridendo, era davvero felice e sembrò una bambina.

-Hai freddo?- le chiesi. Si stava abbracciando il busto. -Un po'- rispose -ma non ti lascerò abbracciarmi- mi disse, rivolgendomi appena uno sguardo furbo e facendo sfumare il mio tentativo di provarci con lei. Forse aveva capito qualcosa.

-Va bene- le dissi - sta volta, hai vinto tu-. Tornai a dedicarmi ai fuochi che coloravano la notte. Non sapevo che fare con lei. Mi avvicinai di qualche passo. Le nostre spalle si sfiorarono e lei non si mosse. Quasi tiravo un sospiro di sollievo. -La nostra amicizia è pericolosa- le dissi quello che pensavo. Quello che era vero per me.

-In che senso?- mi chiese, alzando un sopracciglio e guardandomi. Era così vicina. Una parte di me mi diceva di spingerla nell'erba, tra i fiori. Ma era così delicata. Non le avrei fatto del male. Dovevo muovermi con cautela, altrimenti sarebbe scappata. Proprio come un cervo che vede un pericolo. -Dico solo che non voglio risultare pericoloso ai tuoi occhi-.

-Non lo sei, Nial-.

-Quindi non hai più paura di me principessa?-. Le sorrisi, cercai di farlo, anche se dentro mi sentivo tremendamente serio. Volevo cercare un qualsiasi appiglio per riuscire a fare dei passi avanti con lei.

-Ti avrei forse seguito in questo posto se ne avessi?- mi rispose con una domanda e sperai che fosse realmente vero. Che non avesse più davvero paura di me. Sarebbe stato un buon punto di partenza.

-Hai ragione-. Avrei voluto abbracciarla, anzi stringerla, ma mi trattenni. Mi ero trattenuto tantissime volte da quando eravamo partiti per quella settimana di stacco. La fissai di nuovo, incurante del fatto che potesse notarlo. Solo una cosa riuscivo a capire in quel momento. Non ero in grado di aspettare, non ero mai stato un tipo paziente e non sapevo per quanto sarei riuscito a tenerle nascosto cosa vedevano i miei occhi in lei.

-Comunque- iniziò, interrompendo il silenzio, puntandomi l'indice sul petto. -Mi sembra di averti già detto che non sopporto i soprannomi-. Stavolta il mio sorriso arrivò spontaneo. -Ma quando eri piccola ti chiamavano uccellina o sbaglio?-. Lei sembrò pietrificarsi. -Chi te lo ha detto?- mi chiese, quasi allarmata, anche se sapevo che collegando tutto ci sarebbe arrivata da sola.

-Nessuno, guardiamo i fuochi- consigliai ed entrambi portammo di nuovo il naso all'insù, verso quel cielo scuro, che ormai era diventato lo scenario di quello spettacolo di esplosioni luminose. Chissà se lei si era accorta di come la guardavo, probabilmente ancora no, per il momento.


Angolo autrice
Buon sabato sera a tutte le mie lettrici *-* siete tantissime, quindi per forza devo dirvi grazie che seguite il mio lavoro. Sono contenta che la storia vi entusiasmi. 
Oltre questo che dovrei dire? un momento.. be Nial sembra provare qualcosa per Lucy.. ma cosa sarà? Aha, non svelo nulla. Sappiate solo che non sarà la comune storia del ragazzo cattivo che attira la brava ragazza e poi le lascia il cuore in frantumi. Questo posso dirvelo.
Ora veniamo agli avvisi... avevo detto che avrei continuato Marble Heart, per chi la legge, la segue, ecc.. e anche per me stessa, perché ci tengo molto, essendo la mia prima storia pubblicata ad un pubblico. Solo che non voglio renderla banale, essendo per me molto molto importante. Quindi mi scuso, ma la continuerò finita questa storia. Così da dedicarmi completamente e revisionarla e magari anche modificarla dopo un accurato struggemento di tempie e polpastrelli, ma no dai, scherzo, per me scrivere è un piacere e voglio farlo per bene. Spero che capite la mia decisione.
Quindi ci ritroveremo presto per sapere cosa succederà a Lucy e Nial ora che ritorneranno a casa.
Se volete, lasciatemi pareri, recensioni, critiche, domande.. E per chi fosse su Wattpad andate a leggerla, perché è leggermente diversa come inizio. Ci ho aggiunto delle cose e modificato delle altre, invece di fare copia incolla.. si lo so, sono malefica certe volte xD ma abbiate pietà di me.
Buona serata a tutte :)

 

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici - Basta buchi nell'acqua e salti nel vuoto ***


Capitolo dodici: Basta buchi nell'acqua e salti nel vuoto

Esiste veramente quella cosa che noi chiamiamo fortuna?

Il viaggio di ritorno a casa fu parecchio stancante. Per vedere i fuochi eravamo andati a letto molto tardi, ed io non ero abituata. Il mio orologio biologico scattava alle 23.00 come massimo. Lo so, i miei coetanei si coricavano molto più tardi, ma io ero io, e del resto non mi importava. Quindi mi sentivo una zombie, ma ero anche felice di quello che avevo passato. Mi sentivo rigenerata, in senso emotivo, come se potessi affrontare qualsiasi cosa, o almeno così pensavo. Eppure quello che capitò quando il pulmino raggiunse lo spiazzo della chiesa della mia vecchia città, poco a poco sentivo la malinconia farsi strada dentro di me. I saluti furono particolarmente tristi. I bambini erano contenti di vedere i genitori, ma Emily e qualche suo amico mi abbracciarono fortissimo, come se non volessero salutarmi. Quando tutti i bambini erano stati accuratamente prelevati dalle famiglie fu il turno di salutare gli altri animatori. Quasi mi scendeva una lacrima quando Jack ed Andrew mi abbracciarono a panino, schiacciandomi. Non ero pronta a tutto quello. Ma magari sarei andata a trovare Jack qualche volta, nel paesetto della mia infanzia. Dopotutto quanto era lontano da lì? Un'ora?. -Mi mancherai- dissero entrambi in sincronia. -Anche voi ragazzi, mi mancherete- risposi, cercando di sorridere e non farlo sembrare un addio. Non era un addio, o almeno era quello che mi ripetevo in testa. -Jack scrivimi quando ti ricompri il cellulare- gli dissi un po' impaurita da quel distacco obbligatorio. Non mi piacevano i saluti. -Lo farò presto- disse e mi diede un bacio delicato e veloce sulla guancia. Sperai fosse vero e che mi stesse dicendo la verità. Sospirai, mentre Nial si era già avviato per il centro, senza aver salutato nessuno. Un momento..stava andando nella direzione sbagliata. Decisi di non seguirlo, né chiedergli dove stesse andando, e mi incamminai col mio borsone verso casa. Quando il mio telefono aveva ripreso campo mi erano arrivati tipo una trentina, senza esagerare, messaggi da Kim. Sorrisi e incominciai a leggerli attentamente, grata che quell'obbrobrio del mio cellulare non fosse esploso per le notifiche. Mi raccontava cosa stava passando. La sera del giorno che ero partita era arrivato un uomo straniero praticamente in mutande nell'ospedale, che stava scappando dalla polizia, e si era ferito una gamba saltando un cancello. Certo che ce ne era di gente stramba al mondo.

"Senti lo so che lì dove sei andata probabilmente non c'è campo, ma avvisami quando torni, devo dirti una cosa importantissima". Diceva il penultimo, seguito a ruota da delle scuse per i troppi messaggi. Risaliva a ieri. Non sapevo se fosse a lavoro o meno,perché non mi aveva riferito i suoi ultimi turni. Però decisi di fare un tentativo e chiamarla. Fortuna vieni a me, mi incoraggiai mentalmente.

-Pronto?- rispose con la voce impastata dal sonno dall'altra parte del telefono.

-Kim sono io, scusa se ti ho svegliata- mi affrettai a dirle. Probabilmente aveva fatto il turno di notte e stava dormendo. Mi dispiaceva averla disturbata.

-Oh Lucy, quando sei tornata?- sembrò destarsi appena aveva sentito il suono della mia voce.

-Stamattina, sto ancora tornando a casa a dire la verità-. Probabilmente percepiva i rumori dei miei passi. -Comunque non preoccuparti, se vuoi parliamo dop..- iniziai.

-Devo dirti una cosa importantissimissima- disse interrompendomi a voce così alta, che allontanai il cellulare dall'orecchio per un attimo.Sembrava euforica e mi fece sorridere. -Be dimmi- la incitai. -Mia madre è riuscita a finire di ristrutturare quel vecchio negozio, ti ricordi? Quello di cui ti avevo parlato l'anno scorso-. Annuii in risposta, ma poi ricordai che non poteva vedermi, quindi stavo per dirle che me lo ricordavo quando lei partì di nuovo a ruota libera.-Be ci ha aperto una caffetteria, con una zona internet e computer,tipo tre o quattro giorni dopo che sei partita- mi raccontò -Ha bisogno di una mano e abbiamo pensato entrambe a te-.

-Wow. E' fantastico Kim, grazie, io non so cosa dire...- le dissi. Mi sentivo al settimo cielo e le parole mi morivano sulle labbra.

-Non serve che mi ringrazi- scherzò lei, ridacchiando. -L'inaugurazione è domani, pensi di farcela ad andarci? Volevo avvisarti prima ma tu eri partita e lei lo ha deciso, come sempre all'ultimo momento-. Quasi le gambe mi tremavano. Avevo di nuovo una possibilità di lavoro. -Ma certo-.

-Ottimo, ora finisco il mio pisolino e poi ti scrivo tutti i dettagli-. La sentii sbadigliare.

Risi. Ero davvero troppo felice per quella notizia. -Va bene, grazie ancora-.

Ero davvero fortunata ad avere un'amica come Kim. Non solo perché aveva pensato a me. Ma perché lei c'era sempre quando ne avevo bisogno. Se prima camminavano stancamente, quasi trascinando il borsone coi miei vestiti dietro di me, ora quasi saltellavo per la strada. Non mi importava se il posto era lontano, sarei riuscita lo stesso ad andarci. Anche a qualunque costo.

Quando arrivai a casa, trovai il cancello aperto e mio padre che stava parcheggiando nel vialetto. Ci salutammo, come sempre, senza troppa felicità. Era più entusiasmato di vedermi Bitter, il nostro cane, un cucciolo di labrador nero, che mi saltò letteralmente addosso, posandomi le zampe sporche sui jeans. Gli feci qualche carezza dietro le orecchie, mentre scodinzolava. Dopo aver posato il mio borsone in cucina, andai a dargli una mano a scaricare la spesa che aveva appena fatto. -Ho trovato la pasta in offerta, tieni- mi disse dandomi in mano due borse enormi -attenta che pesano-. Caspita se pesavano. Sentii improvvisamente tutta la forza di gravità. Erano stra colme,tra un po' potevano pure essere più grandi di me, ma mentalmente mi diedi la forza di arrivare fino alla cucina e posarle. Guardai mio padre entrare in casa subito dopo di me con un sacco pieno di mangime per gli animali. Dopo che non lo avevo visto per una settimana mi sembrava invecchiato. I capelli più bianchi, l'aria più stanca. Era quasi ora di pranzo e sapevo che avrei dovuto prepararlo io. In più lui mi disse che aveva tagliato l'erba per fare il fieno e aveva bisogno di una mano a rastrellarla. Fantastico. Be, sicuramente potevo dire di essere la ragazza che ha passato la sua giovinezza con un rastrello e una pala in mano, invece che a rifarsi le unghie. Non che ci sia niente di male nel prendersi cura di sé, ma io non ero il tipo. Sbuffai. Già di ritorno mi sentivo come se andassi ai lavori forzati. A volte dentro casa mia mi sentivo come in prigione. Facemmo due parole in croce e me ne andai in camera mia a sistemare le mie cose, constatando che era tutto rimasto come lo avevo lasciato. Stavo salutando il mio coniglietto di peluche, ovvero il mio migliore scaccia incubi, quando osservai che mi era arrivato un messaggio.

"Ehi, ho trovato un lavoro". Era Nial.

"Cosa? Davvero? Quando?"

"Quando me la sono filata prima, ho avuto un colpo di fortuna, un amico vuole farmi lavorare al suo bar in paese". Ecco perché era scappato via. Ero felice per lui. La fortuna aveva bussato in fretta anche alla sua porta.

"Bravo. Anche io probabilmente ho trovato qualcosa"

"Ottimo, allora andiamo a bere qualcosa per festeggiare sta sera?"

"Io bevo solo acqua" gli risposi, non sapendo che dirgli. Così gli confidai l'abitudine che tutti mi reputano "scioccante". Facevo restare tutti a bocca aperta ogni volta che lo dicevo. L'unica eccezione che facevo erano il caffè e il latte a colazione.

"Succhi di frutta e coca cola sono troppo da ribelle per te?" chiese ironico.

"Sì, e comunque ci siamo appena salutati e visti per una settimana". Senza contare il fatto che avevamo dormito insieme, ma decisi di tralasciarlo.

"E allora?". Avevo intuito che me lo avrebbe chiesto.

"Non voglio farti abituare a me, poi ti annoieresti"

"Non mi annoierei mai con te". Rilessi la frase due tre volte, prima di assicurarmi che fosse realmente vera e non il frutto della mia fervida immaginazione. Quindi lui stava bene in mia compagnia. Era un'altra cosa che mi rendeva felice.

Un messaggio di Kim ci interruppe."Domani mattina dovresti venire alle 8.30 a casa mia, va bene? Poi mia madre ti accompagnerà e ti spiegherà tutto". "Certo, nessun problema" mi affrettai a scriverle. Anche se conoscevo la mamma di Kim, la signora Rachel, non avrei tardato. Tornai nella chat di Nial.

"Non posso comunque, domani inizio col lavoro, devo svegliarmi presto"

Passarono circa due minuti, poi la sua risposta arrivò. "Te l'assicuro, per le nove sarai a casa principessa" cercò di convincermi.

"Sì sì certo, io ci credo" risposi ironica "Vado a preparare il pranzo, ci sentiamo Nial" lo liquidai, cercando di sembrare gentileSarei potuta andare ma avevo disperatamente bisogno di riposarmi e sperai ci fosse un buon clima a casa, adatto a farlo. Non sapevo se i miei genitori avessero litigato ancora o meno per quella settimana, ma stare lontana da quelle quattro mura e non sentire il peso di tutti i dilemmi familiari mi aveva fatto bene.

"Va bene, anche per questa volta ti lascio vincere, ma la mia rivincita sarà tosta ti avviso". Cercava di intimorirmi? E che intendeva con tosta? Quella sorta di battaglia invisibile che stava creando non mi spaventata affatto. Lasciai perdere e me ne tornai in cucina. Papà aveva raccolto dei peperoni freschi dall'orto. Adoravo i peperoni. Così optai per fare pasta,formaggio spalmabile, funghi e peperoni, una ricetta che avevo inventato tempo fa ed era veramente spettacolare. Anche se praticamente io detestavo cucinare ed ero una frana. Del tipo, chiamate i pompieri che mando a fuoco casa. Ma mia nonna mi diceva sempre di provare che prima o poi qualcosa mi sarebbe riuscito bene. Più tardi, mentre apparecchiavo la tavola, tornarono dai rispettivi lavori mia madre e mio fratello.

Loro si somigliavano moltissimo. Entrambi biondi, con gli occhi azzurri, anche se ormai pure mia madre stava accusando qualche ciocca bianca. Di rado arrivavano in sincronia, probabilmente mio fratello aveva staccato prima dal negozio di videogame. Esatto. Lui vendeva e promuoveva giochi, un lavoro che sarebbe piaciuto fare anche a me, non lo nascondo. Ma qualche volta giocavo ancora con la sua play station per passare il tempo. -Ciao mamma, ciao Nathan- li salutai.

-Ciao piccola hobbit - mi rispose mio fratello arruffandomi i capelli. Lui aveva la stessa età di Nial.

-Che buon profumo- esclamò mia mamma, togliendosi gli occhiali da vista che usava per guidare. Così evitai di rimproverare mio fratello per il suo saluto poco amichevole. Avrei voluto dirgli che l'hobbit era lui, anche se era molto più alto di me, rispondendo a quel riferimento alle creature del Signore degli anelli.

Invece sorrisi. -Lucy devi raccontarci della montagna- disse mio padre, sedendosi a capo tavola. Io annuii e quando tutti ci fummo sistemati iniziai a parlare del centro estivo, tralasciando ovviamente il fatto che c'era Nial e altre cose che non avrei potuto comunque raccontare senza che pensassero male. Sembravano contenti. Sembrava che durante la mia assenza si fosse stabilita una sorta di armonia e pace. Ero così contenta, che approfittai per dire loro anche del lavoro dalla mamma di Kim. Anche se ancora non ero certa che mi avrebbe tenuta, perché dovevo fare, come tutti, i primi giorni di prova. Mia mamma aveva comperato pure il pane con le noci. Quella mattinata non sarebbe potuta andare meglio.

L'indomani svegliarsi così presto fu quasi terribile. Dovevo prendere i soliti due autobus per arrivare fino alla casa di Kim e mi ero alzata prestissimo per farlo, ma almeno mi ero riposata il giorno prima. Lei aveva insistito per venirmi a prendere in macchina, visto che aveva il giorno libero, ma non volevo scroccarle un passaggio. Ero elettrizzata, quasi mi sentivo lo stomaco in subbuglio perché non vedevo veramente l'ora di iniziare, ed ero già sicura che non avrei smesso di dire a Rachel la mia parola preferita, ovvero grazie. Volevo mostrarmi indipendente, e intraprendente. Volevo davvero guadagnarmi quel posto e fare bella figura, anche perché sarebbe potuto durare molto come impiego. Non i soliti tre o sei mesi e poi di nuovo alla ricerca di qualcos'altro. Stavo per prendere sonno in autobus ma cercai di restare sveglia, concentrandomi sulla strada. Sospirai e mi dissi che ce la potevo fare. Sorrisi tra me e me, infine non avevo mai fatto la cameriera, ma tutto si poteva imparare con un po' di impegno. Finalmente stava accadendo qualcosa di bello e dovevo solamente esserne felice.

...

Sbuffai, passandomi una mano tra i capelli. Quella mattina volevo alzarmi presto, ma alla fine mi ero svegliato tardi. Del resto ero tornato a casa alle quattro del mattino. Non potevo non festeggiare. Speravo solo che Chris fosse di parola per quell'impiego che mi aveva trovato. Dovevo ancora fare un colloquio con il proprietario, lo avevo quel pomeriggio, ma erano amici e lui mi aveva garantito che se ero bravo mi avrebbe assunto. Chris era una conoscenza, ma non mi piaceva molto, quindi non lo reputavo proprio mio amico. Se uscivamo insieme finiva per fare la corte a tutte le tipe che trovava attraenti ed attirare tutta l'attenzione su di sé. Era molto egocentrico. Lo avevo incontrato quando, anni prima, avevo cominciato a girare per locali vari insieme al mio gruppo di amici. Sperai anche che gli orari fossero ragionevoli e che avrei potuto mettere qualche soldo da parte, e continuare allo stesso tempo, a provare con la band. Non era un gruppo molto unito. Avevamo iniziato da poco a fare pezzi che reputavo decenti e mi piacevano, ma magari saremo riusciti a fare qualche concerto nei paesetti vicini per natale. Non provavamo da una settimana, quindi decisi di contattare gli altri membri per vederci quella sera. E' sempre stato difficile organizzarci, perché il batterista ha ventotto anni ed è sposato, quindi doveva destreggiarsi ogni volta tra lavoro e moglie. A volte mi capitava di provare solo con i due chitarristi o la tastierista, che però voleva lasciare il gruppo. Cercavo ancora di convincerla a non mollarci su due piedi. Ecco, Chris suonava la chitarra acustica nella band, a cui dovevamo anche trovare un nome, nonostante fossimo insieme da due anni. Solo Eliza, la tastierista, mi diede conferma che sarebbe venuta, anzi mi aveva detto, visto che gli altri non venivano, di andare a suonare nel suo garage. Era a casa da sola. I suoi genitori erano partiti per le vacanze. Accettai volentieri il suo invito, poi andai in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Stavo morendo di fame, ed il frigo ovviamente era vuoto. C'erano solamente due uova. Maledii mia madre, che andava a fare la spesa solo quando ne aveva voglia da quando mio padre era morto, in un incidente cadendo da un tetto mentre lavorava. Era stato quel fatto che mi aveva fatto cambiare cervello, ed andare su cattive strade. Quel dolore, in cui tutti si erano rinchiusi, lasciandomi praticamente solo in balia di emozioni che mi torturavano. Misi da parte quella rabbia. Dovevo mettere qualcosa sotto ai denti prima di andare a parlare con il tipo di cui Chris mi aveva dato l'indirizzo del bar. Non volevo fare buchi nell'acqua o salti nel vuoto. Quel lavoro mi serviva veramente, perché oramai i miei risparmi scarseggiavo. Aprii la finestra, per far uscire il vapore sprigionato dalle uova mentre le facevo cuocere in padella. Tra gli alberi sbucava il colore delle tende blu delle finestre aperte della stanza di Lucy. Mi ricordai che mi aveva detto che iniziava il nuovo lavoro quella mattina. Ero contento per lei. Se lo meritava. Pensarla ormai mi faceva un effetto strano. Ne ero consapevole e tutto questo mi preoccupava un po'. Qualcosa che non avevo mai provato, ma che non volevo far diventare un'ossessione. Probabilmente mi era scattato qualcosa mentre l'avevo vista dormire. Era così dolce l'espressione del suo viso. Poteva essere come una droga, una volta che la provi, poi non riesci più a farne a meno. Se non fosse per il fatto che l'avrei persa se ci avessi provato, l'avrei già baciata. Desideravo tantissimo farlo e ne sentivo il bisogno. Mi piaceva, mi piaceva da sempre, da quando l'avevo notata a scuola. Ma ancora non capivo cosa volevo veramente da lei. Mi piaceva, ma mi sarebbe dispiaciuto anche modificare la nostra amicizia. Così come era il nostro rapporto, fatto di prese in giro scherzose e confessioni di segreti, mi calzava a pennello. Non sapevo che fare e non era da me essere così titubante. Per la prima volta in vita mia non volevo rischiare. La mia attenzione venne attirata dal cane della famiglia di Lucy che rincorreva un fagiano proprio nel vialetto. Sbuffai ancora, sentendo un odore per nulla buono. Stavo bruciando il mio pranzo. Mentre correvo a rimediare, il display del mio telefono si illuminò. Lo avevo appoggiato sul tavolo. Lo presi distrattamente. Era Eliza. Scacciai l'immagine di Lucy per concentrarmi sulla sua. Lei era una ragazza davvero stravagante. Ogni volta che la vedevo aveva una collana diversa e un sacco di file di bracciali, e magari certe volte anche un piercing in più.

"Senti Nial, il mio ragazzo continua a farmi pressioni però. Vuole suonare con me, non penso di rimanere molto nel gruppo, come già ti dicevo". Ecco, ci risiamo. Roteai gli occhi, deluso, pensando a come risponderle. Mi innervosiva quella storia, forse perché eravamo stati insieme due mesi, prima che lei si mettesse con quel ragazzo. Io non ero abbastanza per lei. Okay, non ero perfetto, ma nemmeno da rimpiazzare. Nonostante questo misi da parte tutti i risentimenti e accettai di averla nella band.

"Ely fai come vuoi"  le risposi, seccato. Non avevo intenzione di pregarla oltre. Non mi rispose nemmeno, forse si era offesa. Mi misi a mangiare le uova a grandi bocconi. Avevo bisogno di provare una canzone a cui tenevo molto, così riconfermai che sarei andato da lei e poi mi preparai per uscire, mentre lo sguardo mi ricadde di nuovo inesorabilmente verso la casa di Lucy e mi tornò in mente il suo sorriso.

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici - Come sconosciuti ***


Capitolo tredici: Come sconosciuti

Non dire addio se non è necessario.. Non è una cosa che fa piacere sentirsi dire.

-Ehi tu, non si possono portare bevande per di là- protestai contro un ragazzino con una cresta color pece, che stava per dirigersi verso un computer con una lattina di fanta aperta in mano. Per essere più convincente gli indicai con enfasi il cartello che disegnava una bottiglia e una lattina sbarrate da una “x”. Il ragazzino mi squadrò e pensai che non mi avrebbe ascoltato, ma poi rispettò la regola e tornò a sedersi al tavolo coi suoi amichetti. Sospirai di sollievo e mi strofinai le mani sul grembiule nero. Erano passati solo tre giorni e mi piaceva veramente lavorare al Rachel's bar e internet point. Era molto affollato, nonostante fosse stato aperto in fretta, quindi c'erano moltissime faccende con cui tenersi impegnati. Non era molto grande ed era un bel posticino, anche se pensavo che il giallo delle pareti facesse a pugni con il verde delle sedie. Aveva una serie di tavolini all'aperto, una quindicina all'interno, davanti alla zona caffetteria e poi una sala laterale colma di scaffali di libri, dove si trovavano dei tavoli più grandi e cinque postazioni computer. Mi ricordava un po' l'aula informatica della mia ex scuola. Prevalentemente però ci venivano i vecchietti per giocare a briscola online, ma era divertente. Rachel mi aveva insegnato a fare caffè e cappuccini con la macchina e la vetrina era sempre piena di tramezzini, patatine, snack, brioche e dolci di tutti i tipi. Lei aveva già lavorato in un bar in passato ed ora voleva riscattarsi. Il marito di Rachel, William, sosteneva che doveva metterci un enorme televisore da cui vedere le partite o le olimpiadi. Ma alla madre di Kim l'idea di vedere uomini ipnotizzati da uno schermo non andava molto a genio. Le bastava già suo marito e la capivo a pieno.

Ero immersa nei miei pensieri e non vedevo l'ora che mi scrivesse Jack, per raccontargli di quel fantastico evento. Tanto che quando potevo sbirciavo lo schermo del cellulare, nascondendomi dai clienti, sperando di trovarci un suo messaggio. Quella mattina sarebbe arrivata una ragazza a fare un colloquio. All'inaugurazione aveva dato una mano anche Kim, ma i clienti erano moltissimi e io non riuscivo a gestirli tutti da sola, mentre Rachel stava nel piccolo laboratorio dietro. Ero ansiosa di conoscerla e speravo che saremo andate subito d'accordo. Stavo pulendo il ripiano vicino alla cassa, quando il campanellino, che avevamo appeso alla porta d'entrata, suonò avvisandomi di accogliere col sorriso i nuovi avventori. Alzai il viso da ciò che stavo facendo e i miei occhi incontrarono quelli scuri di una ragazza, piena di piercing, ne aveva uno sul naso, sulle orecchie, uno al labbro. Insomma non riuscivo nemmeno a contarli. L'altra cosa alquanto stravagante erano i capelli neri, che terminavano in un lillà verso le punte. Ma la cosa che mi lasciò a bocca aperta era che al suo fianco c'era Nial. Non lo sentivo da tre giorni. Non mi aveva nemmeno chiesto come era andato il lavoro ed io ero troppo complessata per fare il primo passo e scrivergli.

-Ciao- salutai più Nial che la ragazza, mentre si avvicinavano a me.

-Così lavori qui?- mi chiese subito Nial, grattandosi la testa, come sorpreso. Stavo per rispondergli quando la ragazza intervenne. -La conosci?- chiese a Nial, completamente eclissandomi. Lui annuì. Parlarono di qualcosa che non riuscii a sentire. Lei si era avvicinata a sussurrargli nell'orecchio. Poi si girò di nuovo verso di me, con le sue labbra color prugna che stonavano molto sulla sua pelle chiara.

-Be io.. io sono Eliza, dovrei avere un colloquio con Rosalyn- mi disse. Sembrava imbarazzata.

Io alzai un sopracciglio, sorpresa che fosse davvero lei la ragazza con cui doveva parlare la mamma di Kim. -Magari Rachel- la corressi io. -Ah si- fece lei con fare vago, facendo spallucce.

-Te la vado a chiamare- la informai, prima di avviarmi dietro la tendina di perline azzurre che separavano il bancone dalla cucina. Rachel stava sfornando dei biscotti in quel preciso momento.

-Rachel c'è Eliza- l'avvisai. Lei posò la teglia fumante e poi si scostò la frangetta che le era finita sugli occhi. Lasciandosi una scia di farina sulla fronte. Mi guardò sorpresa, poi sembrò improvvisamente ricordare. -Arrivo subito- mi rispose, sorridendomi -falla accomodare, se c'è un tavolino libero-. Si tolse i guanti da forno. Io annuii e me ne tornai nel bar. Fortunatamente c'era un tavolino vuoto accanto alla porta e dissi ad Eliza di aspettare lì. Nial invece rimase accanto al bancone a fissare il cibo. Rachel uscì poco dopo e andò a salutarla e parlare con lei, ringraziandomi quando mi passò accanto. Io mi affettai a prendere il conto di un cliente che voleva pagare. Poi quando finalmente tutto sembrava essersi calmato, Nial si avvicinò a me. Il bancone ci separava e fui grata che ci fosse. Ero a disagio per tutto quello che era successo tra di noi nei giorni precedenti e per il fatto che era sparito in quei giorni.

-Vuoi qualcosa?- gli chiesi cordiale, come se fosse un semplice cliente.

-Parlare con te- mi rispose, cogliendomi di sorpresa. Non sapevo cosa dire. -Non ti ho scritto, perché non volevo prendermi un altro pacco, se te lo stai chiedendo- mi disse, come se mi avesse letto nel pensiero. -Però sono fortunato, quando voglio parlarti ti incontro per caso- continuò, sorridendomi sfacciatamente e notai il suo riferimento a quella volta del supermercato, che sembrò aleggiare tra di noi. Era tornato il solito vecchio Nial. Sempre se ci fosse mai stato un solito vecchio Nial.

-Di cosa vuoi parlare?- chiesi, mentre acchiappavo lo straccio per pulire. Se mi concentravo a fare altro, mi era più facile non guardarlo negli occhi. Lo sentii sospirare nonostante il vociare dei clienti. -In realtà non so da dove cominciare. Vorrei dirti troppe cose. Ma credo sia meglio iniziare da un semplice come stai?-. -Bene- risposi secca, e lo guardai per una frazione di secondo – e tu?-. -Me la cavo- rispose. Rialzai lo sguardo e notai che si era girato verso la ragazza con cui era entrato nel bar. Ci fu un momento di silenzio, in cui mi accorsi che era già tutto troppo lustro e lucente. Magari avrei potuto rimettere in lavastoviglie tutte le tazzine già asciutte. -Quando stacchi il turno?-. Appoggiò con baldanza il braccio alla vetrina e volevo quasi maledirlo.

Fissai l'orologio. Mi aspettavo quella domanda. -Alle 17.00 ho finito- risposi, insicura se davvero volevo vederlo oppure no. Sembrò pensarci anche lui. Fissò il soffitto. Probabilmente aveva paura che gli dicessi di nuovo di no. -Faccio un altro tentativo. Ti va di uscire?- mi chiese -ho ancora qualche giorno libero, poi inizierò anche io a lavorare- mi confessò. Stavo per rispondergli quando Rachel, accompagnata dall'amica di Nial, ci interruppe. -Lucy, lei è Eliza, inizierà domani a lavorare qui- me la presentò, come se non sapessi già il suo nome. -Piacere- le dissi, e mi allungai per darle la mano. Lei la strinse e mi sorrise. La sua pelle mi sembrò terribilmente fredda, ma il suo sorriso era sincero e spontaneo. Forse eravamo più simili di quanto sembrasse.

-Allora vengo a prenderti dopo- si intromise Nial, guardandomi con un'espressione che non ammetteva repliche, anche se il suo tono era gentile. Io roteai gli occhi. Eliza quasi ridacchiò. Non sembrava gelosa, ed era meglio così. Non volevo vedere altre sceneggiate dalle sue vecchie fiamme. Appena se ne furono andati, Rachel mi chiese chi fosse Nial. Era curiosa proprio come sua figlia e mi limitai a dire che era un amico, almeno era ciò che lo consideravo io. Il turno, quel giorno, sembrò passare troppo in fretta. Avevo capito di essere importante per Nial, ma quello che mi tartassava era il non sapere fino a che punto ero importante. Mentre io e Rachel stavamo finendo le ultime pulizie notai che lui era già fuori, da solo, che mi aspettava in piedi accanto alla porta. Mi sciolsi la coda e mi lisciai i capelli, prima di salutare la madre di Kim ed uscire. Stavo giusto varcando la soglia, quando la vibrazione del cellulare mi fece quasi scattare. Non ero abituata a tenerlo in tasca. Risalutai Nial e lo presi per controllarlo.

-Tutto bene?- sentii dire da lui, mentre si avvicinava per spiare lo schermo. Probabilmente aveva notato la mia espressione confusa.

Lucy, sono Ivan. Non sapevo se avevi ancora il mio numero, ma io ho tenuto il tuo. Voglio parlarti, ti aspetto al parco dove siamo usciti insieme la prima volta. Sto già aspettando lì. Vieni ti prego.”

Sospirai affranta e si meritava di aspettare lì per sempre. Eccolo di nuovo all'attacco, non sapevo quando mi sarei liberata di lui. Ma ero certa che volevo darci un taglio, e magari potevo farlo solo parlandoci. Solo vedendolo, anche se ne ero spaventata.

-Chi è questo cretino?- mi chiese Nial, sbuffando a sua volta. Solo allora mi ricordai che c'era anche lui. Nascosi il cellulare alla sua vista. -Un cretino- risposi -ma devo andare a parlarci o non smetterà di..-. Non mi veniva il termine esatto. Forse perseguitarmi. Ricordai a quell'ultima volta in cui mi aveva impiantata in asso e decisi di confidare tutta la storia a Nial. -Avevo in mente altri piani- cominciò, accarezzandosi il mento -ma ti accompagno da questo qui-. Non mi ero nemmeno accorta che lui, camminando accanto a me, mi aveva fatto raggiungere una macchina nera, in un piccolo parcheggio. La sua citroen nera. Siccome non mi muovevo a salire, lui mi lanciò un'occhiata incoraggiante. Non volevo andarci. Però sentivo che era la cosa migliore da fare e poi Nial era gentile ad accompagnarmi. Da sola non ero sicura che ce l'avrei fatta.

-Non ti succederà niente principessa- mi disse con calma, aprendomi addirittura lo sportello -sono un bravo autista- si vantò, convinto che la mia tensione fosse per la sua guida. Mi lasciai convincere e salii, mentre lui aggirava la vettura per montare sul posto del guidatore. Quel tragitto in macchina mi calmò un poco, ma ero nervosa. A stento ero riuscita a dare a Nial le indicazione su dove doveva portarmi. Sentivo lo stomaco fare continue capriole. -Non voglio vederlo- ammisi, quasi sottovoce, fissando la strada che schizzava via davanti a noi. Nial mi guardò per un attimo, mentre le sue mani si stringevano ancora di più sul volante. -Se vuoi ci parlo io- mi disse in un tono premuroso che non gli apparteneva. Io scossi la testa. Sarebbe stato un casino se ci fosse andato a parlare lui. -Mi basta che mi accompagni, anzi grazie per il passaggio- mi affrettai a dire. -Okay, starò in macchina, ma se succede qualcosa fammi un gesto e io arrivo a salvarti- continuò con quel tono gentile. Mi stava dando una mano, mi sembrava strano, ma gli ero anche grata. Quando arrivammo al fantomatico parchetto, e lo intravidi seduto su una panchina da lontano, la rabbia iniziò a ribollire. Serrai la mano sulla maniglia dello sportello. Uno, due, tre. Uscii mentre Nial voleva dirmi qualcosa, ma sapevo già che se aspettavo un minuto di più, non avrei perso il coraggio di andarci a parlare.

Più mi avvicinavo, più Ivan mi sembrava un altro ragazzo. Diverso. Ma dopotutto era da molto tempo che non ci vedevamo. Avevo davanti uno sconosciuto, almeno per quello che sentivo io. Ci fissammo per secondi interminabili, forse anche lui cercava di riconoscermi. I capelli castani corti, gli occhi marroni come la corteccia. La sua barba morbida era più corta del solito. Mi vennero in mente i ricordi dei momenti trascorsi con lui, con la stessa velocità di un temporale improvviso. Finalmente lo avevo di nuovo davanti. Ma provavo solo delusione.

-Ciao Lucy-. Mi sorrise. Lo stesso vecchio sorriso, che però non riuscivo a riconoscere.

-Dimmi, però in fretta, ho un altro impegno- gli dissi, stringendomi le braccia al petto. Lui sembrò adombrarsi improvvisamente per la mia combattività. -Siediti un attimo- mi invitò a prendere posto accanto a lui. Io scossi la testa -Sto bene in piedi, grazie-. Il mio tono era graffiante e mi meravigliai di me stessa. Lui sbuffò sonoramente. -Lucy, mi dispiace di essere sparito, di averti trattato male, ma il lavoro in hotel mi ha dato parecchi problemi.. ti capisco se sei arrabbiata con me- cominciò con la solita valanga di scuse -ma ora sono qui e voglio rimediare-. Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi, tanto che mentre mi parlava, avevo posato lo sguardo sullo scivolo rosso accanto agli alberi del parco. Per fortuna era deserto a quell'ora. Nella mia testa si formarono tanti pensieri. Ero combattuta, volevo perdonarlo, ma non potevo dargli un'altra possibilità.

-Ivan, io so tutto- gli dissi cauta. Lui spalancò gli occhi dubbioso e allora lo fissai. Un piccolo sorrisetto mi incurvò le labbra. -Cosa sai?- mi chiese, come se non capisse. Odiavo i finti tonti. -Sono stanca, mi hai sempre cercato perché non avevi nessuna, dimmi la verità- gli sputai addosso tutta quella pioggia di accuse, che però sapevo erano vere. Mi meravigliai ancora una volta della mia audacia. -Ma io non sarò più il tuo tappabuchi quando una ti dice di no. Non sono né una seconda, né una terza scelta. Se volevi dimostrarmi che ci tenevi, hai già avuto tante possibilità ed io non sono qui per dartene un'altra, ma per dirti che..-.

Mi interruppe, alzandosi dalla panchina su cui era comodamente seduto, e mi afferrò per la braccia, sotto i gomiti. -No, Lucy ti sbagli- mi disse piano, cercando di creare un contatto più forte coi miei occhi. -Ivan, ti prego, non renderti ridicolo. Ho visto le tue foto con Jules, mi pare si chiamasse così- gli rivelai. Avevo fatto delle ricerche con Kim sul suo conto l'anno scorso. Non era stato bello da parte nostra invadere la sua privacy, ma almeno sapevo la verità e cosa si nascondeva dietro i suoi comportamenti strani. -Ah..- fu tutto quello che riuscì a dirmi, ma non mi lasciò andare.

-Non è giusto comportarsi così. Mi avevi detto che ti piacevo, mi avevi riempito di false speranze. Per poi andartene con un'altra, che probabilmente a casa tua ci veniva e chissà a fare cosa- dissi quello che pensavo e sospirai. Stavo per piangere, me lo sentivo e tornai a guardare in basso verso l'erba. Una parte di me sperava che lui riuscisse a darmi delle spiegazioni diverse ma era evidente che lo avevo colto con le mani nel sacco, ed era rimasto senza obiezioni e difese. Una parte di me avrebbe voluto non averlo mai incontrato. Non eravamo stati insieme, non avevamo nemmeno condiviso molte cose assieme, ma mi voleva solamente usare e questo bastava per farmi male.

-Adesso basta- intervenne Nial da lontano. Io ed Ivan lo fissammo entrambi sconvolti. Lui compì velocemente la distanza che ci separava. I suoi passi erano frettolosi e pesanti sul prato.

-Non ci vuole molto a capirlo bello- disse rivolto a Ivan, che mollò la sua presa su di me nello stesso istante in cui li si avvicinò temerario. -Se tratti male e prendi in giro una persona, è normale che poi lei se ne va. Tu l'hai fatta andare via, ora rassegnati, non rompere le palle ancora-. Era arrabbiato anche lui, ma cercò di non farglielo troppo notare. Voleva solo intimidirlo e fargli venire i sensi di cola. Sempre se poteva provarne. Ivan mi guardò in cerca di una conferma nei miei occhi ed io annuii alle parole che gli aveva detto Nial.

-Ti perdono- riuscii a dire -ma non voglio ricominciare nulla con te, mi hai troppo ferita, mi hai fatto sentire..-. Non riuscivo nemmeno a finire la frasse. -L'hai messa da parte, perché non ti ha dato quello che volevi- concluse Nial al posto mio, ripetendo le stesse parole che gli avevo detto circa trenta minuti prima. Mi strinsi nelle spalle e mi scappò una lacrima, che finì per terra.

-D'accordo Lucy- finì col dire Ivan. Il suono della sua voce mi sembrava lontano anni luce, mentre sentivo Nial avvolgermi dietro la schiena con un braccio. -Allora me ne vado- mi disse sconfortato.

-Ciao- gli dissi io, mentre mi fissava con uno sguardo indecifrabile, prima di andarsene. Non ero in grado di dire la parola addio. Era troppo dura. Mi disgustava perché non allontavano le persone da me, almeno di solito, cercavo di farle restare al mio fianco. -Addio- proferì Nial, ma Ivan non si girò più a guardarci. Quando scomparì dalla nostra vista, io non ne potei più e mi strinsi a Nial che ricambiò l'abbracciò, accarezzandomi con una mano i capelli e con l'altra la schiena, con lenti movimenti circolari. Eravamo così vicini che riuscivo a sentire l'odore del suo shampoo.

-Dovevi rimanere in macchina- gli dissi -me la stavo cavando-. Lui scosse la testa, come facevo io -Sai come sono fatto-. Restammo così, finché non sentii il battito del mio cuore calmarsi e la rabbia scemare. -Mi devi un favore- disse Nial, con una nota di ironia nella voce, mentre scioglievamo l'abbraccio.

-Che favore?- gli chiesi stordita, strofinandomi gli occhi ancora umidi. Non mi piaceva litigare o discutere, era qualcosa per cui non ero fatta. Finivo sempre per allarmarmi e sfogarmi piangendo. Non mi piaceva essere severa, ma in quel frangente sapevo che avevo fatto la cosa più giusta.

-Vieni a sentirmi suonare-. Mi sorrideva e pensai che stesse scherzando, ma dentro di me sapevo bene che non lo era.



Angolo autrice
Ciao a tutti :) Sto aggiornando molto velocemente, perché nei prossimi capitoli avevo già pensato da tempo cosa far accadere. Ringrazio ancora mi segue e legge la storia :) Che ne dite fino a questo punto? Lo so, che magari in giro c'è ancora qualche errore, li ho corretti su Wattpad ma non qui xD e mi prenderò il tempo e la calma per farlo prima o poi, promesso. Comunque spero di aver creato un bel colpo di scena e Nial è stato così carino ad aiutare Lucy ad allontanare Ivan. 
Altre sorprese vi aspettano per i prossimi capitoli.
Grazie ancora.
Gaia

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici - Baci quasi rubati ***


Capitolo quattordici: Baci quasi rubati

A volte ci basta riuscire ad avere solo un po' di pazienza per poter realizzare i nostri desideri.



Sperai vivamente non mi dicesse di no. Doveva accettare, anche perché gli altri mi stavano aspettando per la prova. Solo che non lo sapeva. -Va bene, andiamo- disse -ma sappi che sarò a disagio-. Sembrò così piccola, mentre si stringeva nelle spalle.

-Perché?- le chiesi cauto, mentre ci dirigevamo verso il parcheggio in cui avevo depositato la mia auto. -Non lo so, ho una brutta sensazione-mi confessò sfiorandosi leggermente la pancia.

-Nervosa?-.

Lei scosse la testa. -No, deve essere per quello che è successo poco fa-. Io annuii e le aprii di nuovo lo sportello. Lei non si lasciò scappare quel gesto e mi rispose con una linguaccia, divertita. Anche se negli occhi aveva quella sfumatura di preoccupazione. Quella sera provavamo a casa di Chris, che abitava accanto ad Eliza, nel paesetto dove lei e Lucy avevano trovato lavoro in quel bar. Quindi dovetti tornare indietro e lei se ne accorse, ma non fece domande, anzi mi chiese informazioni sulla mia band. Io le rispondevo con calma su come avevo incontrato i vari membri, da quanto suonavamo insieme, e i miei progetti per il futuro. Quando seppe che ne faceva parte anche Eliza, attaccò con l'interrogatorio su di lei, così le confessai che voleva mollare il gruppo. Non mi piaceva rispondere a troppe domande. Ma magari parlando si calmava.

-Sai io so suonare il pianoforte- mi disse a un certo punto, ma sembrò pentirsene.

-Wow, allora dovrei testarti, per vedere se puoi prendere il suo posto-. Lei scosse la testa -non credo di farlo, io suono da sola quando nessuno mi ascolta-. Guardava fuori dal finestrino.

-Devi toglierti di dosso questa timidezza lo sai?-.

-Guarda che non sono nemmeno brava, ho imparato da sola.. e poi non mi va-.

-Accipicchia quante scuse!- esclamai -allora perché me lo hai detto?-.

-Che ne so...- sembrò irrigidirsi, all'improvviso, appena imboccai la stradina che conduceva alla casa di Chris.

-Finita l'intervista? Io stavo iniziando a divertirmi- sogghignai. Ma lei non accennò a dire nulla. Mi fermai a qualche metro da casa sua, accanto a una serie di bifamiliari. -Ehi, che c'è? Mi stai facendo preoccupare-. Lei si stringeva le mani in grembo, i capelli le erano caduti sul volto come una maschera, e guardava il cruscotto della macchina. Sospirò nervosamente. -Che c'è Lucy?- riprovai e le scostai una ciocca, sistemandogliela dietro i capelli. Lei cercò di allontanarmi il braccio ed io mi scostai di malavoglia.

-Dobbiamo andare nella casa dalle pareti viola?- mi chiese poi, fissando l'abitazione del mio amico, tra le altre case, poco più avanti. Io non riuscivo a capire, poi qualcosa di molto brutto si fece strada nella mia testa, come un treno che attraversa una galleria. -Conosci Chris?-.

-Sì-. Sospirò di nuovo. -Quando hai iniziato a parlarmi di lui pensavo fossero semplici coincidenze. Invece.. be siamo stati insieme tempo fa- mi racconto d'un fiato. Ma guarda un po' quanto piccolo era il mondo. Vedevo che le faceva male parlarne, quindi probabilmente non era molto tempo fa, o lui l'aveva piantata in asso, o non l'aveva ancora del tutto superato. Ma non vedevo traccia di rabbia in lei. Sembrava solo rassegnata. Mi passai una mano tra i ciuffi. Ora che fare? Lei strinse gli occhi e si raddrizzò sullo schienale del sedile. -Andiamo- disse poi, cercando di sembrare sicura anche se la voce le tremava un po'. Non le chiesi nulla, mi limitai a scendere,recuperare il mio basso dal bagagliaio ed affiancarla mentre smontava anche lei. Non volevo che cambiasse idea, ci tenevo che venisse ad ascoltarci. -Ti ringrazio- le sussurrai -non durerà molto e se non ti senti a tuo agio andiamo via-.

-Okay-. Anche lei sussurrava. -Ma non voglio interrompi le prove per colpa mia, infine lui fa parte del passato-. Allora perché ti scuote tanto? Avrei voluto chiederglielo. Volevo prenderle la mano, ma non volevo che gli altri pensassero male, tipo che stavamo insieme. Mi erano già bastati i commenti che aveva fatto Eliza su di lei, e che non le avrei mai detto. Sentivo i suoi passi farsi più incerti mentre ci avvicinavamo alla siepe che faceva da cancello alla casa. Non mi servì nemmeno suonare il campanello. Chris ci vide. Era in giardino e stava posando la grancassa di James, sull'erba. Era appena arrivato anche lui. Io mi misi davanti a Lucy, come a nasconderlo alla sua vista, perché la sentii sussultare. Lui si affrettò ad aprirci il piccolo cancello.

-Accidenti, stai prendendo il brutto vizio di arrivare in ritardo come James- mi disse e mi salutò con un'amichevole pacca sulla spalla. -Sta zitto, una volta buona che riusciamo a suonare tutti insieme- gli dissi di rimando, in risposta alla sua battutina.

-Oh ma hai portato anche il dolce!- esclamò, mentre notava la presenza femminile alle mie spalle. Poi sgranò gli occhi probabilmente riconoscendola. -Lucy!-.

-Ciao- riuscì a dire lei, in un sussurro appena udibile. -Ciao- rispose lui con un tono misto tra la sorpresa e la contentezza. Anche se fosse stata brava Lucy non avrebbe mai suonato con noi per causa sua. Chissà cosa le aveva fatto. Magari un giorno me ne avrebbe parlato. Lei fece una smorfia, perché lui non sembrava a disagio come lei, anzi era felice di vederla. Dal nulla sbucarono anche Seth ed Erik a salutare, erano due gemelli, i fratelli minori di Eliza. Due veri pesti. Mi affrettai a presentarglieli per sciogliere la tensione di quel primo saluto. -Scusate, non sono riuscita a trattenerli e devo fargli da baby-sitter, me li sono dovuta portare dietro. Perché hanno deciso di non stare più coi nonni- disse Eliza, mettendosi le mani sui fianchi con uno sguardo di rimprovero verso i suoi fratelli. -I nonni sono noiosi!- urlò Seth, o forse era Erik, ma tanto non importava perché erano identici e poi scapparono mentre lei si metteva a inseguirli per il prato. Mi chiedevo sempre come Ely riuscisse a distinguerli. -Puoi aiutarci a finire di sistemare?- mi chiese Chris, riportandomi alla realtà. Io annuii, lanciai uno sguardo a Lucy per cercare una sua conferma, e la vidi un po' più tranquilla di prima, così raggiunsi James ed Adam nel garage di Chris. Sistemammo tutti gli strumenti. A volte controllavo che Lucy stesse bene. Era rimasta perlopiù come una statua, accanto al cancello, finché i due bambini non l'avevano invitata a giocare con loro e la vidi parlare con Eliza.

-Stai con Lucy ora?- mi chiese Chris, come se cambiassi anche io ragazze ogni volta che mi cambiavo le mutande come lui. -No- ammisi -anche sedevo dire che mi piacerebbe-. Per loro non avevo segreti, quindi dicevo tutto quello che mi passava per la testa, che fosse bello oppure no.

Lui emise una specie di fischio di disapprovazione. -No no amico, non ci siamo. Non farlo, finché sei in tempo, è una tipa difficile- mi confidò, posandomi una mano sulla spalla. -Che vuoi dire?- gli chiesi anche se già intuivo cosa voleva dirmi. Ci guardammo negli occhi. -Non porterai mai la palla in casa base- mi confidò, usando un eufemismo -è una tipa difficile, io ci ho provato tantissimo con lei, ma è una perdita di tempo, fidati di me- rincarò la dose. Io alzai lo sguardo al cielo. Sempre il solito. Già mi chiedevo come Lucy fosse riuscita a sopportarlo e a starci insieme. -E se non volessi farlo?- chiesi, rivolgendo il mio sguardo verso di lei per l'ennesima volta.

-Ti sei arrugginito?- mi chiese, quasi allarmato -non hai mai faticato a..-. Si stava riferendo al mio passato, a quando me la spassavo come lui, e la cosa non mi piacque. Sapeva che ero cambiato e stavo cercando di cambiare. Non mi andava più di divertirmi in quel modo e avrei voluto tanto che Lucy lo capisse.

-Forse si è innamorato- intervenne Adam, l'altro chitarrista, in suo aiuto. James ridacchiò, sedendosi dietro la batteria -cominciamo però ragazzi, che Denise mi aspetta per cena-. Lo guardai e gli sorrisi, avrei voluto ringraziarlo per aver cambiato argomento.

-Se voi due non fosse arrivati in ritardo avremmo già iniziato- protestò Chris -vado a chiamare Ely-.

-Lascia stare- lo bloccai, posandogli una mano sul braccio -vado io-. Era meglio se lui e Lucy stavano lontani, così lei sarebbe stata meglio. Prendemmo tutti il nostro posto, mentre Lucy si sedette sopra degli scatoloni in un angolo, accanto ai bambini che giocavano sul pavimento con un trenino. James batté per tre volte le bacchette per darci il via e iniziammo a suonare una semplice traccia che avevamo creato tra i primi pezzi. Adam ed Eliza si alternavano con le voci.Il testo lo aveva scritto lei e parlava del desiderio di rinascere e sistemare tutti i guai fatti in passato. Mi era sempre piaciuto come brano, ma credo che lei preferisse cantarlo col suo fidanzato.

Non riuscivo completamente a farmi trasportare dalla musica. Avevo troppi pensieri in testa. Distrattamente guardavo Lucy, ma lei sembrava rapita da Chris. Continuava ad adocchiarlo e poi distogliere lo sguardo, con un'espressione triste, mordendosi talvolta le labbra. Forse non avrei dovuto portarla. Così decisi di andarmene via prima del previsto, tirando fuori una scusa, evitando di provare i miei pezzi. Gli altri sembrarono scontenti, tutti tranne James che poteva tornare da sua moglie in anticipo. Mi presi solo qualche minuto prima di uscire, per ringraziarli e chiedere ad Eliza di nuovo di farsi coraggio e dire che voleva andarsene anche agli altri. Non le avrei fatto da porta voce. Più aspettava e più sarebbe stato difficile.

-Sei pronta?- chiesi a Lucy, che già mi aspettava sull'uscio. -Sì-affermò. Risalutai tutti muovendo la mano da lontano, prima di spingere il cancello per aprirlo, per poi seguire Lucy fuori. I bambini la salutarono di nuovo gridando allegri. Non c'era nulla da fare, i marmocchietti finivano con adorarla.

-Siete davvero bravi- commentò lei, mentre ci incamminavamo verso la mia vettura, per la terza volta in quella giornata. -Lo so- feci il modesto -con uno come me è palese che lo siamo-. Lei rise e sembrò calmarsi veramente, ora che ci stavamo allontanando dal suo ex. Mi diede una leggera spintarella mentre posavo il mio amato basso nell'auto. -Dove vuole andare principessa?- le chiesi.

Lei alzò un sopracciglio e mi guardò sorpresa. -Hai detto agli altri che dovevi tornare da tua madre..-. Ahi. Mi ero fatto scoprire. -Ho mentito- le dissi la verità -ho visto che eri a disagio, ma avevamo ancora due pezzi da provare, per cui non allarmarti-.

-Non dovevi farlo- mi disse lei con uno sguardo duro. -Ohh, faccio una cosa gentile e me la rinfacci- sbuffai divertito, cercando di buttarla sul ridere -allora decido io dove andare, visto che la metti così-.

-Se non me lo dici, io non ci vengo- ribatté lei, bloccandomi il passaggio, mettendosi tra me e lo sportello. -Ti porto in un bel posto- mi uscii di dirle, cercando di sorriderle invitante.

-E' una frase da maniaco questa-. La aggirai facilmente, mantenendo il mio sorriso e aprendo la portella. -Be allora sei salita nell'auto di uno stalker maniaco-.

-E sono ancora tutta intera- si tastò il viso per dare senso a quella frase. Io risi, felice di vedere che si era ripresa dall'incontro con Chris. Intuivo che le aveva suscitato brutti ricordi e rivederlo non le aveva fatto molto bene. Era già scossa per colpa di quello scemo che avevo mandato via prima. -Muoviti- le dissi, cercando di sembrare severo, vedendo che non accennava a salire -è un ordine-.

-Ohh ma quante storie- cercò di farmi il verso, prima di montare al suo posto.

La portai in un posto molto vicino a dove vivevamo e lei se ne accorse. Era una panchina in mezzo a una zona verde. Accanto c'era un palazzo enorme con una pasticceria e degli appartamenti. Più avanti si vedeva la vecchia villa sbucare tra gli alberi e i campi. Quel posto del nostro primo incontro, di cui ormai non ricordavo nulla, nemmeno sforzandomi. Ci sedemmo sulla panchina e lei si mise a fissare qualcosa tra i rami dell'albero che formava una cupola sopra le nostre teste. Sembrava stesse cercando di distendere gli ultimi nervi messi alla prova. -Tra un po' dovrò tornare a casa- mi confidò, dopo un lungo e incolmabile silenzio, in cui avrei voluto saper leggerle nel pensiero. Annuii. Volevo darle una mano a recuperare la fine di quella giornata.

-Facciamo un gioco?- le chiesi a un certo punto.

-Dipende se io vinco- rispose, guardandomi curiosa.

-Sì, dai, ti lascio vincere-.

-Okay, come si gioca?- mi chiese alzandosi in piedi. Io mi alzai con lei.

-Chiudi gli occhi- le sussurrai piano. Lei in risposta mi diede uno sguardo scettico, piegando leggermente la testa di lato, ma poi lo fece.-Niente brutti scherzi- mi disse seria.

-Niente brutti scherzi- ripetei, sorridendo anche se non mi vedeva -ora fai due passi indietro-. Lei lo fece, senza più attendere questa volta ed io le battei le mani scherzando. Notai un sorrisetto incresparle le labbra.

-Brava, ora uno in avanti- le dissi giocando. Lei mi ascoltò ancora.

-Ma che cavolo di gioco è?- disse, trattenendo una risata. -Un gioco e stai per vincere, ma non aprire gli occhi- le risposi, mentre vedevo che si stava trattenendo dallo sbirciare. In realtà nemmeno io sapevo cosa stavo facendo. Avevo inventato tutto sul momento per cercare di farla ridere un po'.

-Va bene-. Mi avvicinai a lei cauto. Pochi centimetri ci separavano e sapevo che lei poteva capirlo. -Ecco ora immagina di avere una torta di compleanno davanti a te e soffia le candeline-. La vidi irrigidirsi perla mia improvvisa vicinanza, ma poi soffiò piano e sentii il suo respiro arrivarmi sulla maglietta.

-Okay, fatto- mi disse, con un leggero imbarazzo nel tono di voce e stava di nuovo per aprire gli occhi. Era così buffa. Non potevo più resistere. Spinto da non so quale forza, le poggiai due dita sotto il mento e le sollevai delicatamente il viso verso il mio, per poi appoggiare le mie labbra sulle sue. Vidi il colore dei suoi occhi, come ultima cosa, prima di tentare di assaporarla. Le sue labbra erano morbide, come avevo immaginato, e calde. Ma non durò abbastanza per i miei gusti. Lei mi spinse via, e quando sentii le sue mani fare pressione sul mio petto mi investì la consapevolezza di quello che avevo appena fatto. Mi allontanai d'un passo, mentre lei mi fissava scioccata.

-Cosa fai?- chiese come se avesse preso la scossa, fissandomi in tralice.

Non seppi che dirle. Mi passai una mano sui capelli a disagio, perché avevo sperato che lei si lasciasse trasportare dal mio bacio, che poi non era nemmeno stato passionale. L'avevo appena toccata. Poi cercai di ritrovare un po' di temerarietà. -Io.. Lucy tu mi piaci-.

Sembrò riflettere sulla mia affermazione ma poi si girò e si mise a camminare verso la strada principale. -Dove vai?- le dissi a voce alta, rincorrendola.

-A casa- obbiettò contro tutto quello che stavo facendo.

-Non volevo essere avventato. Ma non sono un tipo paziente, non resistevo più nei panni dell'amico. Sei bella, ti guardano e non voglio che nessuno ti porti via, prima che ci abbia provato io- le dissi tutto d'un fiato, sperando di utilizzare le parole giuste.

-Certo, io dovrei crederti-. Un tono di stizza era presente nella sua voce, visibilmente irritata. Provai a bloccarla, mettendole le mani sulle spalle e facendo in modo che mi guardasse. Sapevo che stavo sbagliando tutto, ma non potevo lasciarla andare senza cercare di rimediare.

-Perché non dovresti?- le chiesi a mezza voce.

-Perché tutti mi prendono in giro Nial, tutti-.

-Io non sono tutti-.

-Ma...non ce la faccio, è tutto troppo veloce, scusami me ne vado-.

-Va bene-. La lasciai andare, esaudendo il suo desiderio. Comprendendo che per lei era troppo quello che avevo fatto e sarebbe stato troppo anche quello che avrei cercato di dirle. La vidi allontanarsi in fretta e furia e per la prima volta in vita mia non sapevo proprio che fare.

Le scrissi un messaggio più tardi per accertarmi che non fosse troppo sconvolta dalla reazione che avevo avuto. "Ehy Lucy. Non volevo spaventarti".

"Sembra sia la cosa che ti riesce meglio invece" fu la sua feroce risposta e lì tutto mi crollò addosso. Perché sapevo che avevo fatto la mossa sbagliata.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo quindici - Catastrofi all'orizzonte ***


Capitolo quindici: Catastrofi all'orizzonte

Un buon amico non è quello che ti sta incollato sempre, ma quello che non si tira indietro quando sei in difficoltà..
 

Mi sentivo fusa. Esattamente come il formaggio del toast che stavo sbocconcellando lentamente per pranzo. Eliza si sedette di fronte a me con un panino farcito di pomodori e insalata ed una bottiglia di succo alla pesca. Non avevo voglia di fare conversazione, ma forse del resto nemmeno lei. Avevo passato tutta la mattina a spiegarle cosa dovesse fare e dove fossero le varie cose. Aveva imparato subito, ma dopotutto mi aveva già detto di aver fatto un lavoro simile in precedenza. Probabilmente aveva intuito che non ero dell'umore adatto per parlare, anche se non mi conosceva bene. Iniziò anche a lei a mangiare silenziosamente e pensai, fissando il suo panino, che fosse vegetariana come Nial. Non avevo smesso di riflettere sul suo comportamento e le sue parole, non riuscivo a fidarmi di lui. Avevo troppa paura di essere un gioco per l'ennesima volta ed avrei voluto interrogare Eliza, che probabilmente lo conosceva molto meglio di me, su come fosse, visto che a me sembrava di non conoscerlo mai abbastanza. Ma io e lei non eravamo così intimità e magari glielo avrebbe riferito. Non sapevo più che fare, mi sentivo le tempie pulsare disperatamente in cerca di risposte, di appigli per sapere la verità. Lasciai il mezzo toast sul piatto e mi presi per un attimo la testa tra le mani. Nemmeno il lavoro era stata una distrazione abbastanza forte, perché ad ogni momento in cui potevo tirare un sospiro, tornavo a ripensare a quel bacio a stampo. Stupido, stupido, stupido Nial. Era sciocco preoccuparmi tanto, eppure non riuscivo a smettere. Stavo imparando a fidarmi di lui ed a volergli bene, non volevo distruggere tutto. Eppure lui sembrava voler mandare tutto in cenere movimentando le cose. Come avevo potuto provare a fidarmi di qualcuno circondato da tante ragazze? Forse lo avevo fatto perché mi aveva fatto stare bene. Probabilmente ad ogni angolo avrei trovato una tipa che era stata con lui e che aveva fatto stare bene in tanti modi. Io ero solo un'altra piccola tacca da riuscire a mettere sul letto. Magari era stata tutta una scena per attirarmi e se lo era, Nial recitava bene. Strinsi i pugni. Se lo era gliela avrei fatta pagare.

-Tutto bene?- mi chiese Eliza, in tono leggermente preoccupato. Chissà se sapeva cosa era successo.

-Sì- mentii, cercando di sorridere convincente. Poco dopo ci raggiunse anche Rachel e si sedette al tavolo con noi, rubando una sedia da un altro posto. Io ripresi il mio panino in mano con l'intento di finirlo. Dovevo pensare prima di tutto a me stessa. Potevo farcela.

-Allora come ti sembra il lavoro?- chiese rivolta ad Eliza. -Uhm, più movimentato di quanto mi aspettassi- rispose lei, cercando le parole nell'aria sul soffitto -ma mi trovo bene-. Scambiò un sorriso con Rachel ed avrei veramente voluto sorridere anche io con loro. -Senta volevo chiederle se per la pausa pranzo potevo andare a casa, tanto abito qui vicino- chiese poi pacatamente.

-Ma certo cara, e dammi pure del tu- le disse la madre di Kim, sempre cordiale e altruista. Proprio come sua figlia. -Formiamo proprio una bella squadra- continuò rivolta anche a me. Cercai di sorriderle, e mi uscì una smorfia tirata, nonostante dentro fossi scossa da pensieri che non riuscivo a lasciare oltre la porta della caffetteria. -Tutto bene Lucy?-. Mi sembrò preoccupata.

No, No, No. Perché doveva chiedermelo? Quando qualcuno con cui avevo confidenza me lo chiedeva era come se una diga mi si rompesse dentro. Ho paura Rachel, paura di essere una specie di calamita per ragazzi che mi usano e poi mi gettano via, come se fossi un fazzoletto su cui soffiarsi il naso. Avrei voluto dirle tutto a cuore aperto. Il cellulare mi salvò dall'inghippo. La suoneria dei Pirati dei Caraibi si sprigionò a tutto volume all'improvviso, facendoci sussultare tutte e tre. Durante la pausa solitamente toglievo la vibrazione. -Scusate- dissi prontamente prendendolo da accanto al mio piatto. Sbloccai lo schermo e notai un numero di telefono che non conoscevo. Poteva essere un colloquio di lavoro, o chiunque, anche uno scherzo telefonico. Ma decisi di rispondere. Mi alzai educatamente e risposi.

-Pronto?-. La mia voce era titubante ma cercai di concentrarmi.

-Lucy mi devi aiutare, ho paura degli ospedali, dimmi che puoi farlo ti prego, ti prego- rispose una voce letteralmente su di giri per l'ansia.

Okay, era uno scherzo. Roteai gli occhi e mi trattenni dallo sbuffare. -Chi parla?- chiesi.

-Ah sì, scusami- sembrò calmarsi un attimo – sono Andrew, perdonami ho rubato il tuo numero dal cellulare di Jack-. Non avevo riconosciuto la sua voce. Mi morsi un labbro.

-Jack ha un cellulare?- lo fermai. Perché non mi aveva ancora contattata?

-Sì e ehm ecco.. ha fatto un incidente, i suoi genitori sono in vacanza fuori dallo stato e non rispondono al momento e quindi hanno chiamato il primo numero della sua rubrica, cioè me- spiegò tornando agitato.

-Oddio- mi coprii la mano con la bocca -come sta?-. Stavo afferrando le parole una a una piano piano. Come se fosse un'altra lingua, come se fossi in un altro mondo. La preoccupazione si stava instaurando anche dentro di me.

-Non lo so, ancora devo vederlo.. mi hanno solo detto di andare a casa sua a prendergli le cose per il ricovero. Ti prego puoi accompagnarmi?- sembrava sconvolto.

-Io..lavoro.. ma forse riesco a chiedere un permesso- bofonchiai. Volevo assolutamente andarci.

-Okay. Dimmi dove sei ti passo a prendere-.

-Prima fammi chiedere le ore di permesso, poi ti do le indicazione e cerca di calmarti o mi mandi in agitazione-. Gli chiusi la chiamata in faccia, con lo stomaco sotto sopra. Sentivo che potevo vomitare il panino. Chiedere un permesso di un paio d'ore all'inizio di un lavoro era molto rischioso, ma in fin dei conti era un'emergenza e poi Rachel non mi avrebbe detto di no. Le spiegai cosa era successo con calma, ed anche Eliza mi disse di non preoccuparmi ed andare.

Richiamai Andrew più tardi mentre mi toglievo il grembiule e recuperavo la mia borsa. Lui mi raggiunse in sella a una moto rosso fuoco dopo circa venti minuti. Sperai che avesse rispettato il limite di velocità consentito. Non mi piaceva usare la moto come mezzo di trasporto, ci ero già andata qualche volta ma mi metteva i brividi. Andrew mi salutò e velocemente mi porse un secondo casco. Lo allacciai e mi misi dietro di lui. Non ero sicura di volermi aggrappare ai suoi fianchi, ma lui mi ordinò di stringerlo perché avrebbe corso. La sua agitazione mi rendeva solo più nervosa, consumando quella poca lucidità che cercavo di tenermi stretta. Chiusi gli occhi per tutto il tragitto fino al paesetto della mia infanzia, mentre pregavo di trovare Jack tutto intero e che stesse bene. Avevo paura. In quel momento tutti gli altri pensieri erano sfumati.

Andrew sapeva dove andare. Era amico da Jack da un bel po' di anni. Ritornare in quel quartiere mi strinse il petto ancora di più, in una morsa di nostalgia che non mi aspettavo. La mia vecchia casa era cambiata. Quasi non la riconoscevo più. Quando ci vivevamo, noi mio padre aveva fatto crescere con cura dei cespugli di rose davanti ed ora non c'erano più. Aveva un aspetto molto più moderno. Solo i muri bianchi erano rimasti uguali. Chissà chi ci viveva ora. Mentre la casa di Jack, subito di fronte, era rimasta identica a come la ricordavo, con lo stesso cancello rosso e le grandi finestre. Due piccole case in mezzo a tanti palazzoni di appartamenti. Ripercorrere quella via mi riportò alla mente tanti pensieri. Doveva esserci un motivo se io e Jack ci eravamo ritrovati. Mi tornarono in mente sfocati ricordi da piccoli in cui facevano le torte di fango a volte, di quando facevamo le gare in bicicletta, e gli occhi quasi mi si annebbiarono. Pregai di nuovo. Ma se lo ricoveravano significa che non era in pericolo di vita. -Come entriamo?- chiesi ad Andrew, mentre mi dava una mano a scendere dalla moto. -Non lo so- rispose e guardò la casetta di Jack vuota -tengono delle chiavi di scorta sotto a un vaso-.Io annuii e il cancello rosso mi sembrò una muraglia invalicabile. Ma poi Andrew lo scavalcò con facilità. -Sei impazzito!- esclamai spaventata, mentre mi diedi un'occhiata intorno per vedere se qualcuno sbucava da qualche finestra o sulla stradina senza uscita. Per fortuna sembrava tutto deserto, altrimenti ci avrebbero scambiato per dei ladri impazziti. Quando riportai lo sguardo verso Andrew, lui stava già cercando sotto i piccoli vasi all'ingresso. Mi avvicinai al cancello, prendendo le sbarre tra le mani. Non era molto alto. Forse avrei potuto scavalcarlo anche io, ma Andrew attirò di nuovo la mia attenzione. -Eccole!-. In mano aveva due piccole chiavi legate insieme da un cerchietto di ferro. Aprì la porta di ingresso e poi anche il cancello, così da liberarmi la via. Non ricordavo bene dove fosse la camera di Jack. Non ero entrata spesso a casa sua da bambina, ma Andrew si muoveva come se gli fosse tutto familiare. Mi fece cenno di seguirlo. Oltrepassai un corridoio e salimmo una rampa di scale fino al piano superiore. La stanza di Jack era piccola e ordinata. Mi guardai un attimo attorno, mentre Andrew accendeva la luce. Jack aveva una grande libreria, che occupava tutta una parete piena di fumetti di topolino. Saranno stati più di ottocento. Sopra il letto, attaccato al muro, aveva un tirassegno con delle freccette che si attaccavano con le calamite, e sul comodino un trofeo che conteneva varie medaglie. Ma quello che attirò la mia attenzione maggiormente fu una specie di bacheca con varie foto. Scatti di lui sorridente, con i suoi amici, con un pallone in mano e nell'angolo in basso, una piccola istantanea consumata dove era bambino. Raffigurava la nostra vecchia classe dell'asilo. Lui era dietro di me e mi aveva posato le mani sulle spalle. -Prendi le cose del bagno, io prendo un po' di vestiti- mi disse Andrew, aprendo l'armadio e riportandomi alla realtà. -Okay- uscii di fretta dalla stanza, ma poi mi maledii mentalmente perché non sapevo dove fosse il bagno. Per non disturbare Andrew controllai tutte le stanze del piano superiore. Poi una volta trovato presi due asciugamani puliti da sotto il lavandino e uno dei tre spazzolini. Sperando che quello di Jack fosse davvero quello blu. Mi aveva detto che era il suo colore preferito. Quando uscii, trovai Andrew già col borsone pronto, che chiudeva la porta della camera, e gli porsi quello che avevo preso. Avrei voluto essere in grado di calmarlo, ma non riuscivo nemmeno a tranquillizzare me stessa. Mi sentivo le gambe tremolare mentre chiudevamo la porta d'ingresso, decorata con le vetrate che raffiguravano delle calle bianche intrecciate. Mi ricordavo di quando un giorno la madre di Jack lo aveva sgridato per aver rotto il vetro giocando con il pallone e lui era venuto a nascondersi a casa mia. Non avevamo condiviso molto assieme, io ero perlopiù in compagnia delle mie amichette, ma i nostri momenti erano stati intensi e speciali. Ed ora sapere che stava soffrendo mi mandava l'umore in pezzi.

Non so quanto ci mettemmo a raggiungere l'ospedale, ma mi sembrò tantissimo. Per tutto il tragitto ero rimasta con la testa appoggiata alla schiena di Andrew. In preda all'ansia. Saremmo dovuti andare prima in ospedale e poi a prendere le sue cose. -Ho paura degli ospedali- mi confidò di nuovo lui. Mentre ci allontanavamo dal parcheggio e raggiungevamo un edificio grigio. Avevo paura anche io. Paura di come avrei rivisto Jack. Paura che i ricordi mi assalissero, come soldati pronti a far fuoco. L'ultima volta che ero stata in quel posto era per la nonna. La mia mano scivolò istintivamente a cercare quella di Andrew. Anche lui era preoccupato per il suo amico, ma insieme ci demmo coraggio e facemmo quei dannati passi fino al reparto dove gli avevano detto i medici che era stato ricoverato. Pensai a Jack, per non ricordare gli ultimi giorni della nonna. Un'infermiera ci fermò e ci chiese chi fossimo. -Siete parenti stretti?-. Capii subito che non doveva essere qualcosa di troppo banale se richiedevano la presenza di familiari.

-Io sono sua sorella, e lui è il mio ragazzo- dissi prima che Andrew potesse dirle la verità. Non ci avrebbero mai fatto entrare se lo avesse fatto. -Come sta?- chiesi.

-Ora sta dormendo, è ancora sotto l'effetto dell'anestesia, hanno dovuto operarlo..- a quelle parole io appoggiai il viso nella spalla di Andrew e sentii la sua presa sulla mia mano aumentare, non ci eravamo mai lasciati. -Cosa è successo?- chiese Andrew sorreggendo meglio il borsone che avevamo preparato con il necessario. -Una macchina deve averlo investito, mentre era in bicicletta, non lo sappiamo con certezza perché lo hanno soccorso dei passanti. Aveva diverse lesioni.. -. Non riuscivo più ad ascoltarla, aumentava soltanto il mio disagio.

-Possiamo entrare?- l'intruppi -possiamo vederlo?-.

-Certo, si rimetterà comunque, ha reagito bene, gli abbiamo messo solo dei punti e non era in fin di vita-. Che diamine. Ci stava prendendo in giro? Poteva darla subito la buona notizia. Per me mettere dei punti non era un'operazione. Era davvero brava quell'infermiera a spaventare la gente ed avrei voluto dirglielo. Vidi il volto di Andrew recuperare lentamente colore. Era sbiancato come me alle prime spiegazioni della donna.

Lei ci aprì la porticina della sala con una lentezza inaudita, che quasi mi fece morire l'anima. Jack era sul letto, con una gamba e un braccio ingessati. Sull'altro braccio aveva una flebo. Mi avvicinai, aveva dei punti sul sopracciglio. Un segno che gli sarebbe rimasto per sempre, come il ricordo dell'incidente. Il pugno di Nial mi sembrava niente in confronto e mi fece male vederlo così. L'infermiera controllò un attimo che fosse tutto a posto e poi uscì. Lasciandoci soli con lui.

-Grazie per avermi accompagnato- mi disse Andrew spezzando la tensione con la voce. Sentii che stava appoggiando il borsone nell'armadietto della stanza.

-Non c'è di che- gli risposi e non riuscivo a staccare gli occhi da Jack disteso in quel letto. Parlavamo piano, come se avessimo paura di svegliarlo. Sospirai. Il suo petto che si alzava ed abbassava regolare non bastava a tranquillizzarmi.

-Lucy ti ho trovato!-. Riconobbi all'istante la voce di Kim. Mi girai e la vidi comparire sull'uscio semiaperto, vestita con l'uniforme da infermiere. Non l'avevo mai vista così. Avevo gli occhi tristi, il sollievo ancora doveva farsi strada dentro di me, così non ero stata in grado di sorriderle come sempre facevo quando ci vedevamo. -Mia madre mi ha detto che eri qui per un amico, e accidenti..-. La tristezza si impossesò anche dei suoi occhi nel vedere le condizioni di Jack. -Cosa gli è successo?-. Andrew provò a spiegarle qualcosa, ma mentre lui le parlava corse ad abbracciarmi e il suo solito profumo alla vaniglia, in quel momento mi sembrò la cosa migliore del mondo. Poi feci segno ad Andrew di unirsi all'abbraccio, perché anche lui sicuramente aveva bisogno di sostegno. Sapevo però, che sarei stata meglio solo quando avrei rivisto il sorriso di Jack. Sentii anche il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Sapevo che era Nial, non so perché ma me lo sentivo. Ma in quel momento non avevo la forza di guardare cosa mi avesse scritto e pensare a lui.

Continuava a suonare insistentemente. Così sbuffando lo presi. Come pensavo era Nial. Stava cercando di chiamarmi. Non avevo bisogno di lui, le sue millesime scuse, la sua compassione o il suo supporto, così spensi il telefono. Ero ancora arrabbiata, anche se era davvero brutto da parte mia trattarlo così. Non riuscivo ancora a perdonarlo, forse perché non capivo se mi sarei fidata realmente di quello che mi avrebbe detto. Forse perché dopotutto non mi ero mai realmente completamente fidata di lui. Ero stata troppo avventata e avrei dovuto immaginare che sarebbe successo quel casino. -Dovreste cercare di avvisare i suoi genitori o dei suoi parenti- intervenne Kim, dicendo la cosa più saggia.

-Ci penserò io- rispose Andrew -fino a che non torneranno dovremmo fare dei turni per aiutarlo quando si sveglierà-. Mi morsi l'interno della guancia. Avevo il lavoro a cui pensare. Jack era più importante, ma non potevo piantare in asso Rachel. Magari avrei trovato una soluzione coi turni per un po'. Finché tutto non si sarebbe aggiustato. -Verrò ogni sera- fu la mia promessa, ed avrei trovato il modo di farlo anche quando ci sarebbero stati i suoi familiari con lui.

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Capitolo 17
*** Capitolo sedici - Provare non costa niente ***


Capitolo sedici: Provare non costa niente

Mi sento di spendere due parole per quanto accaduto di spiacevole in questi giorni. Tutte queste disgrazie non fanno che mettere paura e malumore nei cuori della gente, invece dovremmo ricordarci di apprezzare la vita, con tutti i suoi lati buoni e brutti.. perché alla fine c'è un motivo se siamo qui. C'è un motivo se affrontiamo quello che affrontiamo. Siamo nati per vivere e per intrecciare la nostra vita con quella di altre persone, per far ridere chi ci vuol bene, per apprezzare cosa ci piace, per far battere il cuore di chi ci siamo innamorati, per aiutare chi è in difficoltà, per rimboccarci le mani, piangere e per stare insieme. Siamo nati per provare emozioni e per vederle crescere negli occhi di chi ci sta vicino. Non lasciamoci soli di fronte alle cose brutte, perché quando siamo uniti, nulla può essere troppo forte da abbatterci. E se volete bene a qualcuno diteglielo, ripeteteglielo fino allo sfinimento, perché non è mai scontato ed un giorno potrebbe averne bisogno. Aver bisogno di sentirlo dalle vostre labbra. Dico questo perché secondo me la paura, la tristezza, la nostalgia si superano grazie a chi ti vuole bene.

L'estate ormai era quasi agli sgoccioli. Avevo trovato un lavoro e ne ero soddisfatto, ma avevo deciso di completare la scuola che avevo lasciato. Iscrivendomi ai corsi serali. Mi mancava solo un anno ormai e sentivo di potercela fare. Essere diplomato mi avrebbe aperto senza dubbio più porte per il futuro. Ma dovevo ancora comprare i libri. Ero un caso perso, mi ero fatto prendere da altre cose e mi ero scordato di altre. Non dandoci importanza. Avevo già avvisato però il mio datore di lavoro e non era un problema la mia ripresa degli studi. Forse avrei smesso di provare con la band. Questa era la cosa che più mi dispiaceva. Eliza se ne era già andata da giorni e gli altri non sembravano avere abbastanza voglia di darsi da fare. Escluso James.

Qualche volta mi capitava di ripensare anche a Lucy, ormai era passata una settimana da quando avevamo smesso di sentirci. O meglio io avevo lasciato perdere. Avevo fatto un disastro, lo sapevo. Ormai era fatta e l'avevo persa. Dannato orgoglio, non avrei dovuto essere così sfacciato con lei ed anche dannata tentazione, non avrei dovuto rivelare le mie voglie così presto. L'ultima cosa che ero riuscita a strapparle era un breve resoconto sulla situazione di Jack. Eliza mi aveva raccontato tutto ed ero stato anche a trovarlo due volte da quando avevo saputo che stava meglio, mentre Lucy era impegnata nella caffetteria. Lui mi aveva detto che non la conosceva benissimo e che quindi non poteva darmi consigli su come gestire il nostro silenzio. Andava da lui in ospedale ogni sera e lo aiutava a ricominciare a camminare con le stampelle. Era davvero una ragazza d'oro, mi ripeteva sempre. Me lo avevano detto anche i suoi genitori una mattina, in cui ci avevano sorpreso a parlare di lei. Ma questo lo sapevo già. Potevo chiederle una tregua? Sembrava una vera e propria battaglia tra me e lei. Una battaglia contro le sue paure e la mia frettolosità. Se ci pensavo troppo mi veniva voglia di vederla, di parlarle, di provare a spiegarle ancora una volta che non le avrei fatto del male. Ma lei non sembrava pronta a scendere a patti e compromessi, ne tanto meno a starmi a sentire. In più avevo scoperto che mia madre voleva abbandonarmi. Potevo cavarmela da solo, ma avevo ancora bisogno di lei. L'avevo sentita parlare a telefono con la zia che si sarebbe tanto voluta trasferire, che non ne poteva più del suo lavoro e di me che non l'aiutavo mai. Forse se ne sarebbe andata da sua sorella, senza nemmeno avvertirmi. In effetti non ero quasi mai a casa. Possibile che sbagliassi sempre tutto? Cercavo di mostrarmi sicuro e responsabile, ma forse non lo ero veramente.

Quella mattina decisi quindi di andare alla segreteria del liceo, per farmi dare la lista dei testi da comperare per l'inizio dell'anno scolastico. Ero davanti al cancello arrugginito della scuola che finivo la sigaretta. Avevo anche ripreso a fumare, per sfogare le mie frustrazioni, ma non come un tempo. Volevo cambiare e rimediare al mio passato, non buttarmi di nuovo nella fossa. Lasciai cadere il mozzicone per terra, tanto lo facevano tutti e mi avviai verso l'entrata dell'edificio. Il fumo mi aveva distratto, ma non calmato. Era cambiato dall'ultima volta che ci ero stato e mi sentivo teso. Mi sembrava che il giardino avesse più alberi e che avessero messo delle tapparelle nuove alle finestre, oltre ai graffiti che erano stati coperti. Uno lo avevo fatto io, dopo una scommessa con degli amici. Le solite cavolate da ragazzini. Fissai la porzione di muro dove si trovava il mio disegno ed ora era immacolata come una maglia appena tolta dalla lavatrice. Era passato tanto tempo, ma mi sembrava di conoscere quel luogo come le mie tasche. Salii i gradini e percorsi il largo corridoio fino alla segreteria, che invece di essere all'ingresso era dopo quasi tutte le aule del piano terra. Ma mi arrestai improvvisamente. Lucy era davanti a me ed indossava un vestito. L'avevo sempre vista con i pantaloni e quella era una novità, se non contiamo l'abito da scena. Ma quello che portava era più moderno. Aveva una gonna lunga fino alle ginocchia, ed era nero e senza maniche, decorato con delle piccole balze. Doveva vestirsi più spesso così. I capelli sciolti le ricadevano lunghi sulle spalle, sembrava quasi un dipinto. Lei stava leggendo un manifesto appeso al muro, accanto alla porta della segreteria, non si era nemmeno accorta di me. Perché ogni volta dovevo incontrarla? Non poteva essere solo un caso. All'inizio optai per tornarmene indietro e aspettare che se ne andasse. Ma non potevo perdere quell'occasione, ora che entrambi avevamo sempre meno tempo libero. Mi avvicinai a lei, con passo felpato, ed analizzai velocemente cosa era intenta ad osservare. Si trattava di una locandina di un concorso per giovani scrittori.

-Quindi ti piace scrivere?-.

Lei sobbalzò e si portò una mano al cuore, girandosi verso di me stupita. -Nial! Mi hai spaventata- disse per poi emettere un sospiro che mi sembrò intriso di esasperazione.

-Come stai?- le chiesi, cominciando da qualcosa di semplice ed importante.

-Che ci fai qui?- chiese, invece di rispondermi, inarcando un sopracciglio. Era a disagio, glielo si leggeva in faccia. -Riprendo a studiare- le dissi vago – te lo avevo detto, no?-. Lei annuì.

-Jack mi ha detto che sei stato da lui- cambiò discorso.

-Sì e allora?-.

-No.. nulla-. Mi aspettavo che mi ringraziasse come suo solito. Invece sembrava disorientata.

-Tu che ci fai qui?-.

All'inizio sembrava che non volesse dirmelo. Ma poi tornò a guardare il manifesto. -La mia vecchia prof di letteratura voleva incontrarmi-.

Sarebbe stato meglio parlare di lei, di quello. Avevo troppe cose da dirle, le idee mi si affollavano in testa, come formiche dentro un formicaio e non riuscivo ad uscire da quella confusione. -Scusa devo andare- disse, prendendo quelle distanze a cui non volevo abituare.

-Smettila di scappare- le afferrai il polso, ma senza stringere, solo per bloccarla. -Per favore- aggiunsi, cercando di convincerla ad ascoltarmi. Un bidello fischiettò passando la scopa sul pavimento, alla fine di quel corridoio. I nostri sguardi si posarono su di lui per poi incrociarsi di nuovo. Lei stava cercando di guardarmi con superiorità.

-In realtà me ne sto andando ora, ho il giorno libero e Jack mi aspetta..-.

-Cinque minuti, devo dirti una cosa-. Le lasciai il polso, interrompendola.

Lei incrociò le braccia al petto, indecisa. -Dimmi..- mi incalza ed io avevo pronto un discorso che sembrava studiato, ma non avevo altro modo per dirle quello che pensavo.

-Ti ho mostrato quello che tutti sanno di me, ma io sono anche altro. Tu mi interessi davvero. Infatti non ti farò mai del male. Anzi, sono uno stupido perché ti ho avuta sempre sotto al naso, e non mi sono mai accorto di te fino a poco tempo fa. Non mi piace l'idea che hai di me, dammi la possibilità di farti vedere che non sono cattivo, che non sono come Chris-.

Lei spalancò gli occhi. Sapevo di aver toccato un tasto dolente. -Io.. io ti ho già dato una possibilità- mi disse, quasi con rabbia. Arretrai di un passo, lasciandole spazio.

-Lo so, ed ho sbagliato. Non volevo movimentare le cose-.

-Ma ora è tutto diverso Nial..-.

-Vuoi dire che io non ti interesso sotto quell'aspetto? Nemmeno un pochino?-. Portai la mano nella distanza tra di noi, distanziando indice e pollice a sottolineare la quantità di quanto lei potesse ricambiarmi. Sperai che quel gesto le strappasse un sorriso, ma lei abbassò lo sguardo verso la punta delle sue scarpe a quadri blu e bianchi. Non disse nulla. Sembrava confusa. Arrabbiata e confusa. Mi avvicinai cautamente di nuovo e le accarezzai la guancia con il pollice, facendo alzare il suo viso verso il mio. Aveva gli occhi lucidi. -Non voglio correre, andremo con calma, te lo prometto-.

Lei scosse la testa e delle ciocche le finirono sul volto. -Non è quello che voglio sentire-.

-Allora cosa vuoi?- le chiesi con calma, mentre di nuovo la lasciavo dolorosamente andare. Volevo che mi dicesse che potevamo provare a stare insieme. Stava complicando tutto.

-Così è troppo facile Nial- sospirò. -Te lo richiedo per l'ennesima volta, cosa vuoi da me?-.

Era la domanda del secolo. Nemmeno io lo sapevo. Cercai una risposta dentro di me ma non sapevo cosa dirle per convincerla a fidarsi di me. Lasciai andare le braccia lungo i miei fianchi, come se mi fossi arreso. Volevo stupirla. -Voglio renderti felice- le sussurrai, con voce roca.

Lei non sembrò minimamente colpita. Mi superò e fece qualche passo verso l'uscita.

-Più scappi, più mi struggerai.. più mi struggerai e più lotterò- le dissi ad alta voce, ed anche il bidello ci fissò incuriosito.

Lei si girò, fermandosi un attimo e mi rivolse uno sguardo che non seppi decifrare. -Mi hai detto che non insegui le persone e poi Nial tu mi spaventi-.

-Tu sei l'eccezione della regola- le risposi lasciando perdere la seconda parte della frase -Ma non chiedermi perché ti vedo così importante, perché semplicemente non saprei spiegartelo.

-Sei solo un bambino viziato a cui non piace sentirsi dire di no- sbottò lei, ma non mi lasciai scalfire da quelle parole cariche di nervosismo.

-Allora dimmi perché ti sono rimasto vicino quando stavi male?-.

-Per attirarmi.. per..-. Si stava arrampicando sugli specchi.

-Giusto, spreco tutto il mio tempo solo per farmi bello ai tuoi occhi- le dissi con tono quasi ironico, interrompendola. Sembrava un gioco.

-Sì- rispose ma il suo tono di voce era poco convinto.

-E continuo a fare la figura dell'idiota, nonostante non sia mia abitudine-.

-Sì-.

La seguii e mi riavvicinai a lei, che non indietreggiò per fortuna.

-Te lo ripeto, tu mi piaci.. e sì, lo ammetto, perché non ha senso mentirti. Se tu volessi io..-. Non sapevo come dirglielo senza spaventarla o farle pensare che ero un dongiovanni. -Io farei di tutto con te, se tu volessi- le dissi a mezza voce. -Ma per il momento, non voglio perderti, mi piace trascorrere il tempo con te. Sei una bella persona, dentro e fuori. Non credo di essere l'unico che prova certe cose. Ma ti voglio bene, quindi decidi tu cosa fare, e me lo farò piacere in qualche modo- continuai a sussurrarle quelle parole, cercando di calmarla.

-Fammi andare ti prego- rispose invece, guardando di nuovo verso il pavimento.

-Va bene- le concessi. Quasi sconfitto e di nuovo la guardai allontanarsi e sparire dietro l'angolo, mentre con un sospiro mi avviavo di nuovo verso la segreteria. Convincerla sarebbe stato difficile. Più difficile di quanto immaginassi.

Uscii a passo spedito dalla scuola. Passando accanto al bancone dei bidelli, sentii una radio che trasmetteva una canzone che avevo già sentito, ma non sapevo dire quale fosse. Mi concentrai a cercare di ricordare il titolo, perché era molto più semplice che focalizzarmi se nelle intenzioni di Nial ci fosse sincerità. Perché dovevo incontrarlo così spesso? Okay era il mio vicino di casa, ma sembrava che il caso remasse contro di me, continuando a mandare la mia barchetta alla deriva sulla sua spiaggia. Milioni di ragazze naufragavano nei suoi occhi. Quindi perché proprio me? Non mi convinceva per nulla.

Ero in ritardo mostruoso e Jack mi aspettava in ospedale. Domani probabilmente lo avrebbero dimesso, anche se comunque aveva bisogno di una mano e di non far sforzi finché non si sarebbe ripreso. Ancora mi sembrava straordinario il modo in cui fosse così positivo di fronte a quello che gli era successo. Per fortuna invece, non si era fatto troppo male ed aveva il casco. Secondo i dottori, quello gli aveva praticamente salvato la vita. Quando si era svegliato, gli ero praticamente saltata al collo quasi. Non ero riuscita a trattenere il sollievo, mentre Andrew mi rimproverava di non dargli il colpo di grazia. Non gli avevo chiesto da quanto avesse il cellulare nuovo e perché non mi avesse chiamata. Non mi importava. Ciò che contava è che era vivo e che si sarebbe ripreso. Il resto poteva aspettare.

Ormai conoscevo la strada fino alla sua stanza a memoria e quando passavo accanto agli altri malati, nelle loro stanze con le porte aperte, evitavo di guardarli. Non ero abbastanza coraggiosa. Non riuscivo a guardare in faccia la sofferenza delle altre persone. Tutti soffriamo, chi più chi meno. Ma qualcuno riesce proprio a perdere il sorriso, quando affronta cose più grandi di sé stesso. Per questo motivo nessuno deve mai restare solo. Perché la vera forza, ne ero convinta, ci viene prestata da chi ci resta vicino nei momenti di difficoltà. Siamo creature deboli e mutevoli e ci comportiamo in modo davvero strano a volte. Ad esempio, siamo sicuri di non aver bisogno di una persona che respingiamo? Persa nelle mie riflessioni, raggiunsi il reparto senza quasi rendermene conto. Nessuno ci hai mai detto che vivere sarebbe stato facile, che avremmo sempre vinto e sorriso ai nostri obiettivi. Chi ci da le peggiori pugnalate a volte sono le persone da cui nemmeno ce lo aspettiamo. Però non ha nemmeno senso lasciarsi andare al dolore, alle sconfitte. Perché può sempre accadere qualcosa di migliore, prima o poi. Doveva essere così, come dicono, chiusa una porta se ne aprono altre mille. Devi solo capire qual'è la direzione più giusta da prendere.

Quando arrivai, mancavano solo quindici minuti alla fine dell'orario prestabilito per le visite e mi rimproverai mentalmente, sperando che mi lasciassero fare uno strappo alla regola. Avevo bisogno di parlare con lui, visto che sapevo già cosa mi avrebbe detto Kim in merito a Nial. Ovvero di non fidarmi. Avevo bisogno del parere di qualcuno che lo conosceva e poi avevo un sacco di cose da raccontargli.

-E poi... giuro che ho visto una vecchietta dire ciao banana al suo prato-. La voce di Andrew mi arrivò distinta e forte come sempre. C'era anche lui. Li sentii ridere e sorrisi. La porta era spalancata. Quindi bussai sullo stipite per farmi notare.

-Ehi ciao Lucy- mi salutarono insieme. Andrew era seduto su una sedia, accanto al letto. Jack sembrava in ottima forma, nonostante i gessi e le fasciature.

-Non vedo l'ora di levarmi questi cosi ragazzi, non avete idea del prurito- disse lui riferito ai gessi, mentre mi accomodavo sull'altra sedia libera, tirandola fuori da sotto un tavolino in parte alla finestra. -Io ce l'ho un'idea invece- gli rispose l'amico -non ti ricordi di quella volta in cui..-.

Stava per raccontare un suo inedito ma Jack lo bloccò, spostando l'attenzione su di me. Mi chiese come stavo, ed io mi sforzai di parlare di quello che mi era accaduto anche con Andrew che ci ascoltava. Come al solito, non mancò di dire la sua opinione, dando a Nial dello stupido più volte.

-Magari si è innamorato di te per davvero- disse Jack con fare vago. Che sapesse qualcosa? Poteva Nial essersi confidato con lui? Ero certa di non volerne più sapere nulla però, almeno in quel momento. Volevo spostare la conversazione su Jack. Ma Andrew me lo impedì. Allora finii col rivelare quello che mi era accaduto quella mattina, oltre a Nial.

-E come mai eri nella tua vecchia scuola?- mi chiese Andrew.

-C'è un concorso di scrittori a cui una mia prof vorrebbe iscrivermi. Ma non so se me la sento. Insomma mi piace scrivere, ma non lo faccio da..- cercai di contare mentalmente da quanto avevo smesso, ma non ci riuscii -da anni-.

-Potresti provare Lucy- rispose Jack -mettersi in gioco non costa nulla, poi magari lo vinci-.

-Infatti, se lei te lo ha chiesto e ti ha addirittura cercata per dirtelo, significa che hai talento- rincarò Andrew la dose di fiducia in me stessa, che cercavano di infondermi entrambi.

-Ragazzi io devo andare- disse poi, salutando prima il suo amico e poi me. Recuperò il suo casco da sopra il tavolo ed uscì, facendo un occhiolino a Jack che mi sembrò stravagante. -Scappo prima che arrivi tua madre e mi dica di nuovo che sto facendo le tende qui da te-. Lui rise in risposta ed annuì.

Io e Jack restammo insieme, in silenzio, per qualche minuto.

-Jack io non lo so- dissi passandomi una mano sulla faccia. Ero stanca.

-Cosa ti blocca?- mi chiese, posandomi la mano del braccio sano sul ginocchio. Mi ero spostata più vicino a lui con la sedia, quando Andrew se ne era andato.

-La possibilità di fallire, forse- risposi, stringendomi nelle spalle, in realtà non ne ero sicura nemmeno io. Lui scosse la testa e quasi ridacchiò sotto i baffi. -Non fallirai- mi disse sicuro.

Cosa gli dava tanta sicurezza? Infine non sapeva nemmeno se fossi brava oppure no. -Provaci Lucy- ripeté sorridendomi.

-E va bene- dissi. Alla fine aveva ragione. Provare non costava niente.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassette - Tu sei un'altalena ***


Capitolo diciassette: Tu sei un'altalena

A volte facciamo cose, spinti da un istinto, senza rendercene conto.. Ma le facciamo per evadere dai brutti pensieri.
 

Non volevo pensare a Nial e a quello che stava accadendo tra di noi. Quando ci pensavo sentivo che volevo scappare. Scappare il più lontano possibile e comprendevo che non era del tutto colpa sua e della sua impulsività. Ma nasceva da una paura molto più profonda, radicata dentro di me. Mi sentivo la testa scoppiare e le sue parole risuonavano continuamente, come una campana a mezzogiorno. Mi sembrava di essere in un film. Una vocina malefica dentro di me continuava a ripetermi che era un bravo attore. Che era tutto finto. Che ero una polla se ci cascavo. Mentre un'altra voce, molto più tranquilla e pacata, mi diceva con lo stesso tono di Jack che provare non costa niente. No! Fermi tutti. Provare costava per me, significava mettere in gioco i miei sentimenti. E se Nial mi spezzasse il cuore, insomma va a letto con tutte, no? E se le cose poi cambiassero tra di noi? Se lui diventasse diverso? Io non volevo un Nial diverso da lui, allo stesso tempo. Ero confusa. Mi facevo troppi davvero troppi film mentali. Film mentali per tutti, in hd, e sempre gratuiti. Potevo essere un cinema, mi dissi sdrammatizzando. Scacciai tutto, come se fosse un pezzo di carta da appallottolare e gettare nel cestino. Nial perché? Perché non potevi lasciare che tutto scorresse lento e tranquillo?

Sospirai drammaticamente. -Ma che ti prende oggi?- mi chiamò Eliza – ti ho chiamato cinque volte, ma tu non sei sul pianeta Terra-.

-Scusa- le risposi, guardandola. -Scusa?- mi chiese lei, sorpresa -dovresti dirlo a Simon- puntualizzò. Chi caspita era Simon? Ero talmente presa nei miei pensieri che non riuscivo nemmeno a lavorare decentemente. Dovevo calmarmi, mi imposi. Quasi quasi mi sarei tirata uno schiaffo da sola per svegliarmi da quella trance.

-Che ti prende oggi?- mi chiese di nuovo lei, avvicinandosi e nascondendomi la visuale dei clienti. Si era puntata la mano sul fianco. Non volevo ne confidarmi con lei, ne fare scenate. -E' per Nial vero? Quel rubacuori quando la smetterà- disse poi, ridacchiando e scuotendo la testa. Lei sapeva qualcosa. Okay era il momento di far luce e chiarezza.

-Rubacuori?- chiesi incuriosita, cercando di non scaricare tutte le mie ansie su di lei.

-Sì – iniziò, appoggiando la tazzina sulla macchina per il caffè e avviandola – è dolce e tutto quello che vuoi, ma si comporta così fino a quando non si stanca e poi ti tratta come se fossi invisibile-.

-Veramente?-.

-Sì e uno che si stanca facilmente, credimi-. Mi lanciò un sorrisetto che non seppi decifrare. -Non so cosa ci sia fra voi due, però salvati finché sei in tempo.. comincia tutto con un “tu mi piaci”, “voglio renderti felice”, sempre lo stesso repertorio-.

Mi mordicchiai il labbro, delusa forse. Le credevo? Non lo sapevo. Infine lui mi stava addirittura inseguendo. Voleva rompere il mio guscio e probabilmente quello era l'unico modo. Perché io non ero in grado di lasciarmi andare e trasportare dalle emozioni. Vedendo che tentennavo allora lei giustamente cercò di convincermi. -Te lo dice una che è stata una delle sue tante vittime-. Fece un mezzo sorriso. -Ah..- non sapevo cosa dire, ma poi mi venne un dubbio, qualcosa non quadrava -ma se ti ha trattato male allora perché ci parli ancora?-.

-Perché gli voglio ancora bene- rispose -è difficile da spiegare-.

Prese la tazza col nettare scuro e fumante. -Su ora vai da Simon e scusati- mi ordinò, cambiando argomento. Mi mise in mano la tazza e mi spinse leggermente dietro la schiena verso un tavolino dove c'era un ragazzo con i capelli rossi, legati in un codino. -Simon?-.

-Sì, si chiama così, ed hai sbagliato a portargli l'ordinazione-.

Sospirai di nuovo. Non volevo combinare guai o perdere le rotelle. Dovevo smettere di tormentarmi per Nial. Potevo piangere per la mia fobia del buio, per brutti ricordi che venivano a galla, ma non avrei versato una lacrima per lui. Mai. Mi feci questa promessa. Di certo non mi faceva bene tutto quel sovraccarico di preoccupazioni. Non aveva senso starci dietro. E poi perché mi preoccupavo? Tenevo davvero così tanto a Nial?. -E sorridi, che sta sera si festeggia!- mi ordinò ancora, in tono scherzoso, dandomi la conferma che anche lei sarebbe venuta al compleanno di Kim.

Kevin le aveva organizzato una festa a sorpresa in un locale per questa sera, ed aveva affittato una stanza a parte solo per gli invitati, per stare tutti tranquilli. La mamma di Kim invece aveva fatto la torta, l'avevo vista solo di sfuggita ma sembrava un capolavoro di panna e cioccolato. Mi girai un attimo verso Eliza. Non aveva fatto altro che aumentare le mie perplessità. Lei poi era cambiata da un giorno all'altro. Sembrava tanto timida, ma era solo una maschera, in realtà era autoritaria. Le piaceva fare il capetto. Almeno con me ed infatti mi stava rendendo il lavoro lì quasi insopportabile. Avrei voluto parlarne con Rachel, ma infine non aveva nemmeno senso. Perché quando eravamo tutte e tre insieme, lei diventata di nuovo gentile, come se fosse un angioletto fatto persona.

-Ciao, scusami per lo sbaglio- dissi mentre mi avvicinavo a quel ragazzo, intento a leggere l'inserto sportivo di un giornale. Lui alzò un attimo la testa dall'articolo. -Non fa nulla- mi scusò, sorridendo. Poi posò la sua lettura sul tavolino e mi porse la mano. -Sono Simon, il nipote di Rachel-.

-Lucy- risposi, stringendogli la mano -ora torno a lavoro-.

-Va bene- mi rispose, e sorrise di nuovo. Io mi girai, dandogli le spalle e mi affrettai a raggiungere un tavolo dove si erano appena sedute due signore. Dovevo pensare di più a me stessa.

Alzai gli occhi al soffitto per qualche secondo, prima di chiedere loro cosa volessero. La vita era la mia, non avrei lasciato nessun altro decidere per me o influenzarmi. Nemmeno al passato di Nial. Volevo parlargli. Ma non sapevo come. Sapevo che lo avevo trattato male. Però avevo anche paura.

Il giorno passò così in fretta che nemmeno me ne ero accorta e già era ora di prepararsi per la festa di Kim. Ero nel bagno, davanti allo specchio, perché non ne avevo uno in camera. La mia immagine riflessa mi rispondeva con un viso stanco, dove delle leggere occhiaie sotto gli occhi mi incupivano lo sguardo. Mi sciacquai il volto, mentre mio fratello faceva capolino dalla porta semiaperta.

-Stai uscendo dalla tana hobbit?- mi chiese, con una domanda ovvia.

-No, oggi pensavo di andare a dormire col vestito- gli risposi ironica. Avevo solo due vestiti nell'armadio, due abiti che usavo raramente, se non quasi mai. Uno nero, che mi ero messa il giorno prima per incontrare la mia prof pensando fosse un'occasione importante. Ed uno azzurro scuro che avevo indosso ora. Era lungo, leggero e svolazzante, con delle mezze maniche e mi piaceva. Era vero che non adoravo le gonne, ma a volte facevo delle eccezioni. E poi non erano scollati o capaci di attirare troppi occhi su di me. -La mamma mi ha detto di accompagnarti- tentennò lui, facendo roteare le chiavi in mano. Ne fui sorpresa. Avevo progettato di andare al locale in autobus.

-Ma non lavori domani?- gli chiesi, riponendo l'asciugamano che avevo usato.

-No, sarò il tuo supervisore- si avvicinò e mi strizzò la guancia leggermente tra le dita, pizzicandomi -così non ti farai del male-.

-Ehi! Non sono una bambina- protestai, menando le mani in aria, per farlo allontanare da me. Era esageratamente alto, quasi due metri. -Ma ci vieni così?-. Nathan era praticamente in felpa. Una felpa leggera color grigio topo e dei pantaloni da tuta neri. Si sistemò gli occhiali da vista che gli erano leggermente scivolati sul naso.

-Tanto l'amica è la tua- mi rispose con un sorriso divertito.

Sbruffone. -Non c'è il trucco sotto vero?-.

-Quale trucco?-.

-Non è che poi ti devo un favore?-.

-Ma va dai scema, muoviti, mi ha invitato Kevin, ti stavo solo prendendo in giro-.

-Ah grazie, sei sempre il solito-. Gli feci una linguaccia ma lui mi strattonò fuori dal bagno. Non eravamo in ritardo, ma a lui piaceva darmi del filo da torcere. Mi infilai le scarpe con il tacco, recuperai la borsa e dopo aver salutato mia madre che stava ai fornelli, lo raggiunsi in macchina. Sapevo che i tacchi mi avrebbero distrutto i piedi, ma per quella sera potevo concedermelo. Mi ero legata i capelli in una treccia. Mi aveva insegnato la nonna a farle. Così almeno non si erano spettinati nel tragitto in macchina, visto che Nath aveva deciso di tenere i finestrini abbassati. -Non bere- mi raccomandai, mentre sapevo che dopo quella rotonda, mancava poco tempo e saremmo arrivi al locale. -Non sono stupido, hobbit- mi disse lui. Io sospirai. Dovevo pensare a Kim e divertirmi, su questo Eliza aveva ragione. Superò il locale, un edificio con mattoni a vista rossi chiamato “La perla rossa”. L'insegna a neon proiettava luci blu e rosse sull'asfalto davanti all'entrata e già si sentiva della musica provenire dall'interno. Sul marciapiede si era radunato un gruppetto di persone, che optai fossero gli altri invitati, mentre altri entravano o uscivano per fumare. Lo superammo per trovare parcheggio accanto allo stabile e una volta scesi, raggiungemmo e ci aggregammo al gruppetto, in cui avevo già notato Eliza e anche il cugino di Kim, Simon. Non conoscevo gli altri invitati, quindi rimasi vicino a mio fratello, che però non ne fu contento.

Circa un quarto d'ora dopo arrivarono anche Kevin e Kim. Lei era bendata e lui la guidava cercando di non farla inciampare o finire addosso ai lampioni. Stavano ridendo. Kevin da lontano ci fecce cenno di restare in silenzio. Kim era bellissima, con i capelli raccolti in uno chignon e un vestito rosso da diva dello spettacolo e dei sandali argentati. Pensai di nuovo che fossero una coppia perfetta. Lui coi capelli scuri, la camicia rosso scuro e i pantaloni neri, perfettamente intonati.

-Ma dove siamo?- chiese, e lui la fermò dolcemente, con le mani sui fianchi.

-Ancora amore? Me lo hai chiesto mille volte- finse di brontolare.

Lei rise. -Dai!-. Sorrisi nel vedere la scena. Lui allora contò fino a tre con le dita e le tolse con delicatezza la benda nera. Tutti gridammo -sorpresa!-. Kim si portò le mani alla bocca, per poi abbracciare il suo ragazzo e venire a salutare tutti i suoi amici radunati lì, uno per uno. Poi entrammo nel locale. Kevin parlò con il barista che ci indicò una porta che conduceva ad una sala laterale. Non eravamo così tanti, come mi era sembrato di notare dalla macchina. Saremmo stati dodici persone tutte insieme. Quando ci sistemammo sul tavolo al centro della saletta, cercai Kim. Volevo farle gli auguri di persona. Ma fu lei a trovare me. Mi abbracciò da dietro.

-Che bella idea ha avuto Kevin vero?- le chiesi, sorridendole e girandomi.

-Me lo hai tenuto nascosto, sei una pessima amica- mi disse in tono ironico, fingendosi offesa.

Le diedi uno schiaffetto sulla mano -Lo so-. Ci abbracciammo. -Auguri- le dissi e lei mi ringraziò. Quell'abbraccio, così spontaneo, bastò a tranquillizzarmi e migliorare il mio umore. In quella saletta la musica del locale arrivava quasi distorta. Una cameriera ci venne a chiedere cosa volessimo ordinare da mangiare per cena. Dopo le ordinazioni, ne approfittai per stare un po' con Kim e le diedi il mio regalo. Glielo avevo comperato giorni prima in un mercatino.

-Che cos'è?- mi chiese mentre scartava il pacchetto. -Apri e vedi- l'incitai. Era sempre troppo impulsiva e si faceva prendere dalle emozioni. Kevin ci raggiunse e si sedette accanto a lei. Guardavano curiosi il contenuto del pacco. Era un piccolo acchiappa sogni verde scuro, con delle perline bianche e azzurre e delle piume grigie e marroncine. -Originale- commentò lui. Lei invece mi abbracciò e ringraziò di nuovo per il pensiero. Sapevo che le piacevano le cose particolari. Ero l'unica che le aveva portato un regalo ma non mi sentivo fuori posto, anzi, ero contenta di averglielo fatto. A me non piacevano i regali, però ogni anno lei me ne faceva puntualmente uno. Dopo mangiato, mi avvicinai alla ringhiera del parapetto.

La stanza era sopra un soppalco e sotto si vedeva il locale affollato con la pista da ballo. Tutte quelle persone che si strusciavano l'uno contro l'altra, sembravano una macchia indistinta di tanti colori. Il lampadario rifletteva luci psichedeliche fino a noi. Non adoravo certi posti. Ma pazienza. In realtà, mi stavo divertendo, nonostante la musica elettronica non mi piacesse. Mio fratello stava parlando con tutte le amiche di Kim. Era seduto in mezzo a due ragazze, che si chiamavano Rose ed Eleonor. Le faceva ridere con qualche battuta scema. Kim invece era seduta sulle gambe del suo ragazzo e beveva da un bicchiere della birra, forse. Eliza invece si era persa. Non la vedevo. Non ci eravamo nemmeno salutate quando era arrivata.

Ad un certo punto vedo Simon venire verso di me. Mi coprii il viso con le mani, sperando non si fermasse proprio a parlarmi, ma invece lo fece. -Ehi, mi sto annoiando, ti va di scendere a ballare?- mi chiese, porgendomi la mano come un vero cavaliere.

-Non so ballare- protestai, guardandolo di sbieco. -Be siamo in due allora- mi disse, ridacchiando. Ricordai mentalmente cosa mi aveva detto Nathan durante il tragitto in macchina. “Vedi di divertirti Lucy, ne abbiamo bisogno entrambi”. Era maledettamente vero. Così cercai di vedere quella mano, ancora aperta davanti a me, come un'ancora di salvezza, un salvagente, per tirarmi fuori un po' dalla marea di pensieri che cercava di farmi affogare.

La presi, senza pensarci più e il ragazzo dai capelli color carota, mi condusse soddisfatto verso la pista da ballo del locale. C'era veramente troppa gente per un posto così piccolo e la musica lì era così forte che non riuscivo nemmeno a sentire il rumore dei miei passi sul parquet semi inciso. Ero sicurissima che mi sarei resa ridicola. Non sapevo come muovermi, guardai gli altri cercando di imitarli, ma Simon mi mise le mani sui fianchi. Quel tocco mi fece sentire così fuori posto. Mi sembrava così sbagliato. Avrei voluto protestare ma non mi avrebbe sentita. Con malagrazia avvicinò il mio corpo al suo in un gesto di possessività. Io roteai gli occhi ed abbassai lo sguardo, cercando di spingerlo un po' per distaccarmi. Stava esagerando. Allora avvicinò le labbra al mio orecchio per sussurrarmi di lasciarmi andare e trasportare da lui. Ma non aveva detto che non sapeva ballare fino a tre minuti fa? Non avevo intenzione di farlo. Era meglio tornare da Kim e gli altri e stavo per dirgli che non mi andava più di ballare con lui, quando qualcosa, o meglio qualcuno mi colpì la schiena. Mi girai e i miei occhi incontrarono quelli di Eliza, che sorrise appena per scusarmi. Stava ballando con un tipo tutto tatuato. Non so perché me lo immaginai. Poi lei ammiccò verso una direzione. Io seguì il suo sguardo, oltre la spalla del mio improbabile compagno di ballo appiccicoso. Quello che vidi mi paralizzò.

Era Sophie. La potevo riconoscere anche a metri di distanza, il caschetto scarlatto e un vestito nero con dei fiori viola, vertiginosamente corto. Era ferma in mezzo alle altre persone. Quanto era piccolo il mondo. Le mani tra dei capelli corvini, strette come una piovra e delle altre mani posate sul suo fondo schiena. Chi stava baciando con tanta passione? Non riuscivo a capirlo. Finché il ragazzo non la fece girare di lato, mostrandosi ai miei occhi, e notai sul braccio, lasciato scoperto da una canottiera, lo stesso tatuaggio di Nial. Era uguale. Non è Nial, mi dissi. Non può essere lui. Perché se lo era significava che con me voleva solo giocare. Che giocava con tutte.

-Tutto bene?- mi chiese Simon, con una voce smielata, a pochi centimetri dal mio viso per farsi sentire sopra il volume della musica. Guardai verso Eliza, che mimò con le labbra un “te lo avevo detto”. Io scossi la testa e tornai a concentrarmi su Simon.

-Ho bisogno di andare al bagno- mi giustificai. Lo vidi annuire. Mi aveva capito, anche se io stessa sentivo che facevo fatica a spiccicare parola. Sentii le sue mani lasciarmi andare e allora mi girai, andandomene. Non sapevo dove erano i bagni, ma imboccai la prima porta che trovai per uscire. L'odore di fumo di sigaretta mi invase, insieme a quello di una notte appena nata.

Non potevo crederci il giorno prima mi aveva riempito di tante belle parole. Era questo il problema, delle parole io non me ne facevo nulla. Erano le dimostrazioni che mi servivano per darmi coraggio e forse anche speranza. Mi tremavano le mani. Avevo bisogno di prendere una boccata d'aria. Trovai la prima uscita e mi ci infilai, sgattaiolando dalla porta come una ladra. Respirai profondamente l'aria notturna, fredda, cercando di calmarmi. Perché ero arrabbiata. Strinsi i pugni, graffiandomi leggermente con le unghie. Feci tanti passi avanti e indietro. La vista mi stava annebbiando. No. No. No. Avevo detto niente lacrime per Nial. Mi piegai sulle gambe, scivolando con la schiena contro il muro dell'edificio. Nascondendomi la testa fra le mani. I rumori della festa mi giungevano ovattati al di là di quella barriera. Mi rannicchiai con la testa nascosta tra le mani, come se avessi veramente un guscio invisibile a proteggermi. Vorrei tanto non aver visto nulla. Nial era un'altalena in cui non avevo voglia di sedermi. Mi avrebbe fatto sicuramente cadere.

Tun. Qualcosa era caduto sull'asfalto, proprio vicino a me. Aprii leggermente gli occhi per vedere cosa fosse. Un pezzo di legno con le ruote. Uno skateboard di colore verde fluo con l'adesivo di quello che sembrava un teschio rovinato sul lato. Ma poi tutto tornò buio e confuso, mentre sentivo che qualcuno mi abbracciava. O meglio cercava di farlo, perché la mia posizione era molto scomoda. Sentii una specie di calore crescere nel mio corpo. Qualcosa di confortante, che cullava il mio malumore improvviso. Avrei voluto abbandonarmici, finché non mi resi conto di quello che stavo vivendo. Mi stava abbracciando qualcuno di cui non sapevo nemmeno l'identità.

Mi stava abbracciando uno sconosciuto.



Angolo autrice
Inanzi tutto, grazie immenso di cuore! Per tutto. Per le meravigliose recensioni e l'aiuto a dare visibilità alla mia storia. Per le visualizzazioni, non mi sarei mai aspettata di arrivare a un traguardo simile. Vi adoro, davvero.
Chi è lo sconosciuto che sta abbracciando Lucy? Lo scopriremo nel prossimo capitolo?  Perché Nial ha baciato Sophie? Non è cambiato vero.. Scopriremo anche questo. Spero di non avervi deluso, è un po' un cliché questa parte, ma da ora la storia si farà piccante...Mi spiace di non pubblicare più due capitoli a settimana, ma ho avuto impegni imprevisti.
Per il resto, sto ancora correggendo gli altri capitoli, errori di grammatica e sia cose che potevano essere spiegate meglio. Vi avviserò dove faccio eventuali aggiunte, così da non rileggere tutto di nuovo :)
Grazie ancora veramente, siete fantastici.

Gaia.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciotto - Si va in scena? ***


Capitolo diciotto: Si va in scena?

 

La vendetta è un piatto che va servito freddo. Ma che senso ha vendicarsi? Il male porta solo altro male e niente altro, è meglio spezzare il circolo che alimentarlo.

 

-Lucy?-.

Una voce fece sobbalzare me e lo sconosciuto che mi stava abbracciando. Senza nemmeno darmi il tempo di reagire a quel gesto. Era buio lì nel sottoscala. Ero uscita da una porta antincendio, nel parcheggio che si trovava dietro al locale, e mi ero rintanata come un animale spaventato sotto le rampe di scale. Lo sconosciuto smise di tentare di stringermi. Io mi stropicciai gli occhi, ricacciando indietro quelle lacrime che volevano uscire e che mi bruciavano la vista. Quando li riaprii, chi mi aveva gentilmente “soccorso” era solo un'ombra che superava l'angolo dell'edificio. Chi era? Avrei voluto inseguirlo e scoprirlo. Mi aveva fatto sentire una sensazione unica. Mi sentivo protetta ed era strano per una che ha paura delle persone.

-Lucy! Perché sei corsa via?- mi raggiunse Eliza. Oh mamma. Pure qui doveva darmi fastidio.

La vidi scendere le scale, con passo pesante. I suoi tacchi che sbattevano sul metallo mi rimbombarono nelle orecchie e poi la vidi avvicinarsi a me. La sua sagoma divenne più distinta. Rimasi rannicchiata, al mio posto. Lei tirò fuori il cellulare e la luce che emise il suo display fu come un faro accecante. Mi porse la mano, come se volesse aiutarmi a tirarmi su. La presi, dopo qualche ripensamento. Non sapevo cosa fare, mi sentivo uno straccio.

-Mi dispiace- continuò, come se fosse colpa sua. Come se avesse capito che se non mi faceva notare il comportamento scorretto di Nial era meglio. Iniziavo veramente a comprendere però. Nial era un altro modo rispetto a me, non ci saremmo mai incontrati davvero. Avremmo sempre viaggiato in parallelo e se volevo stargli vicino dovevo diventare come Eliza. Ovvero abituarmi ai suoi flirt per poi vederlo divertirsi con tipe a caso e lasciarmi scivolare addosso le sue attenzioni premurose come se non mi facessero piacere.

Ma non era quello che volevo. Mi sistemai un ciuffo di capelli scappato via dalla treccia.

-Torniamo dentro, dai- le dissi, senza convinzione. -Sei sicura?- mi chiese accigliata. La luce le proiettava ombre sul viso. Sembrava che avesse in mano una torcia e che fosse pronta a raccontare qualche storia dell'orrore. Io annuii.

-Se ti va resto con te finché non ti calmi davvero-.

Da dove proveniva tutta questa sua improvvisa bontà verso i miei confronti? La guardai, sapendo che mi ero sbagliata, non saremo mai andate d'accordo veramente. Forse le facevo addirittura compassione.

-Eliza, sto bene, davvero, torniamo alla festa prima che vengano a cercarci-.

Finii la frase e uscì dalla porta anche Simon. Doveva avermi seguito. Una lucina sospesa sopra l'uscita lo rendeva riconoscibile. Si appoggiò alla ringhiera delle scale e ci guardò dall'alto. -C'è un party privato lì sotto?- chiese, cercando di sembrare divertente. Io ed Eliza alzammo lo sguardo verso di lui. -Che spiritoso- imprecò lei e notai che gli aveva fatto il dito medio. Chissà se lui era riuscito a vederlo. Ne dubitavo. Anche lui scese le scale e ci raggiunse. Poi si accese una sigaretta, senza chiedere perché avessi una faccia da funerale. Gliene fui mentalmente grata. -Torno dentro- affermai di nuovo, indicando la direzione in cui era sparito il misterioso “abbracciatore”. Senza attendere il loro consenso, me ne andai, lasciandoli soli. Non volevo tornare nel locale.

Ma non potevo fare altrimenti. Chiesi al barista dove fosse il bagno e superata un po' di calca di gente, riuscii a lavarmi il viso e a calmarmi. Tornai alla festa, sul soppalco, dove Kim stava aspettando che tornassero tutti per tagliare la torta. Dopo un po' la lista degli invitati era nuovamente completa. Mi chiedevo cosa avessero fatto Eliza e Simon nei minuti in cui li avevo lasciati soli. Io cercavo di distrarmi da quello che avevo visto, da quello che volevo scordare. Mi faceva male. Perché Nial mi dedicava tante attenzioni se poi non avevano un briciolo di verità? Avevo paura. Paura che si stesse prendendo in gioco di me. Avevo paura, sì, e non volevo pensarci. Non quella sera. Era un momento in cui dovevo essere felice. Sorrisi mentre la cameriera ci scattava le foto di gruppo dietro il dolce. Poi Kevin accese tutte le candeline rosa e rosse. Fissai le fiammelle danzare, mentre Kim veniva invasa e illuminata a intermittenza dal flash dei cellulari degli amici, che le scattavano foto ricordo. Poi soffiò le candeline e mi sembrò che le mie mani applaudissero in automatico, insieme a quelle degli altri. Mi sentivo come un robot. Eppure era tutto così bello. Chissà che desiderio aveva espresso. Ricordai l'ultima volta che ne avevo soffiate io e mi sembrava passata un'eternità. Se i desideri che esprimiamo si avverassero veramente, vorrei be.. vorrei semplicemente che capitasse qualcosa capace di rendermi davvero felice. Felice e basta. Ma così era troppo semplice.

Avrei voluto chiedere a mio fratello di riportarmi a casa ogni volta che i nostri occhi si incrociavano. Ma nascosi bene la tempesta che mi si stava scatenando dentro. Decisi di prendere un'altra fetta di dolce. Era proprio buono e poi adoravo il cioccolato. Ne avrei presa anche una terza, tanto era talmente grande che ne era avanza metà. Anche se poi magari mi avrebbero dovuto ricoverare per overdose da zuccheri. Il cioccolato è mio migliore amico, pensai. Non manca mai di darti dolcezza e portarti buon umore. Ecco, esistevano ragazzi fatti di cioccolato? O almeno con le stesse qualità? Guardai Kim, circondata da alcune ragazze. Era felice, e io dovevo essere felice per lei. Ma non ci riuscivo, ogni volta il mio pensiero finiva lì inesorabilmente. Sentivo che il mio rapporto con Nial avrebbe subito una rottura, una crepa, che non avrei saputo ricucire. Nulla sarebbe stato come prima e lo avrei guardato con occhi diversi. Anche se avrei dovuti parlagli, non mi andava per nulla. Non si era nemmeno accorto della mia presenza, talmente preso dai suoi divertimenti. E poi sarei importante per lui? Bah. Non riuscivo proprio a togliermi la rabbia dalla testa. Sbuffai, posando il mio piattino, ormai vuoto, sul tavolo. Ma poi mi imposi un po' di contegno. Non volevo attirare l'attenzione o che si vedesse che le mie emozioni erano appena state ridotte a un cumulo di macerie.

Eliza si avvicinò a me, di nuovo. -Lucy dovresti vendicarti- disse piano, riferita a tutta la faccenda di cui era stata spettatrice.

-Ma io e Nial non stiamo insieme, che cosa dovrei fargli pagare?- chiesi perplessa. Era vero, non stavamo insieme. Quindi tecnicamente poteva fare quello che voleva. Anche prendermi per i fondelli. Avrei voluto fargliela pagare. O almeno la solita vocina cattiva mi diceva di seguire quella strada.

-Ti farà del male-. Tanto lo ha già fatto.

-Non amo le vendette-.

-Sei troppo buona-. Una frase che mi ripetevano in continuazione.

-E tu dovresti essere sua amica, ma parli così di lui.. si può sapere che ti ha fatto?- le chiesi spontaneamente. Qualcosa non quadrava. Perché Eliza aveva tutta questa rabbia nascosta nei confronti di Nial? Perché voleva usarmi per ferirlo? Cosa sapeva? Era tutto così troppo velato di mistero che rischiavo quasi di avere un capogiro. Lei non mi rispose ovviamente. Chiedevo troppo. Mi chiesi anche, di nuovo, che cosa realmente voleva Nial da me. Di certo, ora ne ero sicura, conoscermi non gli bastava. Era solo una scusa. Una copertura per qualcos'altro che sicuramente non mi sarebbe piaciuto. Mi diedi della stupida. Avrei dovuto immaginarlo fin dall'inizio. Invece di nuovo mi ero lasciata illudere ingenuamente.

Posai i gomiti sul tavolo. Eliza era ancora accanto a me, seduta sulla sedia alla mia destra. Stava rispondendo a un messaggio. Le sue dita si muovevano frenetiche sullo schermo. Notai solo “Arriviamo”. L'ultima cosa che scrisse. -C'è giù Chris, vuole vederti- affermò, staccando gli occhi dal display. Cosa?! Sembrava tutto un piano architettato da lei, ma mi dissi che non poteva essere così malvagia.

-Non voglio parlargli- risposi -e poi non posso lasciare la festa della mia amica-.

-Cinque minuti- mi pregò. Sembrava che io dovessi obbligatoriamente parlarci, perché mi afferrò un braccio e si alzò, invitandomi a fare lo stesso.

-Tutto bene ragazze?- Kim venne in mio aiuto. L'avrei abbracciata, mi sarei attaccata a lei per non staccarmi più. -Sì, Lucy mi accompagna un attimo al bagno- le spiegò Eliza, non mollando la presa da me. -Va bene- rispose Kim sorridendoci -non perdetevi-. No Kim, non lasciarmi andare. Che potevo dire? Fare? Eliza ormai mi stava letteralmente trascinando via, come se fossi una fogliolina in balia della corrente di un fiume impetuoso.

-Tranquilla- le sussurrò in risposta. Così mi ritrovai incastrata a seguire “la strega cattiva”.

Non volevo vedere Chris. Che voleva da me ancora? Doveva solo sparire.

Eliza sapeva dove andare. Si mosse sicura e scattante, come un gatto che sta andando verso la ciotola dei suoi croccantini preferiti. Probabilmente stava scambiando messaggi con lui prima e lo trovammo subito, appoggiato al bancone del bar all'entrata. Come rovinare ulteriormente una serata già rovinata.

-Ciao, vi state divertendo?- ci salutò, alzando la mano e muovendola un po' a destra e sinistra. Ogni volta che lo vedevo era un groppo in gola. Dove era finito il piccolo ragazzino con gli occhiali tondi e i suoi originali gesti romantici? Ora assomigliava a uno dei fotomodelli pomposi e perennemente abbronzati, che si vedono nelle riviste o nelle pubblicità dei profumi. Odiavo la sua sicurezza, odiavo il fatto che sembrasse non importagli di nulla fuorché di sé stesso. Mi mancava però, mi mancavano tutti i momenti comici e le risate, tutti i suoi gesti d'affetto per ricordarmi che mi voleva bene. No, un attimo, non mi voleva bene davvero. Ma poi mi ricordavo che mi aveva delusa. Anche lui era una maschera. La rabbia montò di nuovo sul cavallo di guerra. Dalle casse della pista da ballo partì una canzone davvero improbabile. Livin la vida loca di Ricky Martin. Ogni volta che la sentivo mi veniva in mente ciuchino, l'asino del cartone dell'orco Shrek. Provai a immaginarmi Chris con le stesse orecchie verdi dell'orco. Ma non migliorò la situazione. Anzi stavo cominciando a sudare per il disagio.

-Vado a cercare il mio fidanzato- disse la strega, lasciandomi lì con lui. Strinsi i pugni, fino a farmi sbiancare le nocche. Non sapevo che dire. Non c'era nulla da dire tra di noi.

-Mi ha fatto piacere rivederti, ci tenevo a dirtelo-. Si avvicinò a me di un passo.

Sì, come no, e io domani vengo incoronata regina di Inghilterra. Spostai lo sguardo da lui, verso il ripiano del bar stracolmo di bottiglie e bicchieri vuoti. Il cameriere che mi aveva indicato il bagno era sparito e al suo posto c'era Nial. Con un gilè nero, sopra una camicia e un papillon grigio. Ma che succedeva? Stava pulendo dei bicchieri e sorrideva, preso dal suo lavoro o da un bel pensiero. Probabilmente lavora qui. Non ci capivo più nulla. Sembrava quasi un altro, con i capelli pettinati, invece di essere arruffati e in disordine come al solito. Eppure ero sicura che era lui. Alzò lo sguardo, come se avesse capito che lo stavo osservando e mi vide. Ammiccò in un cenno di saluto, un po' sorpreso. Non seppi dire se nel vedermi con il suo amico che gli avevo detto di odiare, o nel vedermi semplicemente lì. Sapeva che non ero esattamente il tipo da frequentare certi posti. Era strano comunque che fossero entrambi lì. Dove andavo, lui c'era. Un po' come un vero stalker. Era inquietante e mi stava venendo prurito alla pianta del piede sinistro. Avrei voluto sedermi e togliermi quei maledetti tacchi.

-Ehi- Chris richiamò la mia attenzione su di lui. Si era fatto ancora più vicino. Mi morsi un labbro, mentre tornavo a posare lo sguardo sul suo mento. Lui mi appoggiò le mani sugli avambracci. Non aveva il diritto di farlo, non dopo tutto quello che mi aveva fatto passare. Mi divincolai dalla sua presa. -Che ti prende?- mi chiese, restando composto, nonostante il mio gesto riluttante. Niente poteva turbare “il grande e meraviglioso ego di Chris”. Che mi prende? Mmmm vediamo. Stavo per scoppiare. Ero una bomba e mancava poco nel conto alla rovescia per l'auto distruzione.

Non avevo ancora spiccato parola con lui, ma se lo avessi fatto sarebbe sicuramente finita male. Anche se peggio di così non poteva andare. Forse la vendetta di cui parlava Eliza comprendeva far vedere a Nial che Chris ci provava con me. Così ci sarebbe stato male. Ma anche Chris era suo amico, quindi perché fargli una cosa del genere? Che begli amici aveva, e poi lo avrebbe ferito realmente? Non sapevo dirlo. Non sapevo nulla. Era una faccenda che non conoscevo, ma stavo per essere usata come arma per una sorta di conflitto invisibile e arcano tra amici volta spalle.

Chris mi fissava impassibile, in attesa. -Chris.. io..- mugugnai. Che cavolo potevo dirgli? Non pensavo di trovarti qui. Non mi va di vederti. Non pensare che con quattro frasette in croce si sistemi quello che tu stesso hai rotto. Perché sei qui? Perché mi stai parlando? Per me era già abbastanza che fossi tornata a casa sua senza veramente volerlo.

Mi sentivo osservata. Probabilmente era Nial che si gustava la scena. Se avessi avuto il mantello dell'invisibilità di Harry Potter me lo sarei gettata sopra, o se fosse passato un bianconiglio avrei detto che dovevo seguirlo perché il cappellaio matto mi aspettava per il tè di mezzanotte. Sbattei le palpebre. Ero stanca di tutto questo.

Qualcosa mi afferrò il braccio. Mi voltai di lato, con la netta sensazione che quella serata stava diventando la più lunga della mia vita. Era Kim. Mi sfuggì un sospiro di sollievo.

-Ciao Chris- lo salutò lei, con un sorrisetto, prendendomi meglio sottobraccio. Anche lei conosceva Chris. Erano andati a scuola assieme, ma non si parlavano molto. Anzi la sua visione di lui era molto distorta e creata in base a quello che le avevo raccontato io, che poi era vero. Lui era uno dei personaggi più stronzi, perdonatemi il francesismo, che si poteva incontrare sulla faccia di questo pianeta. O forse dell'intero universo, ma non ero così cattiva da dirlo.

-Ehilà Kimby- ricambiò lui il saluto, mostrandoci quei suoi denti smaglianti. Lei fece una smorfia che quasi mi fece morire del ridere, nonostante avessi già l'umore sotto alle scarpe. Lei detestava che le storpiassero il nome e lui l'aveva sempre chiamata così. Ma sapete quando siete al limite della sopportazione e vi arriva un improvviso attacco di ridarella? Ecco, stava per capitare a me.

-Scusami, te la porto via, ma ho bisogno di lei- continuò Kim, con temerarietà. Io la ringraziai di cuore mentalmente. -Fai pure- le concesse “il re” facendo spallucce.

Così sparimmo tra la folla colorata del locale, per finire veramente dentro ai bagni. Il posto più tranquillo, al momento. Erano piccoli. Stavano uscendo tre ragazze in gruppo, fasciate in minigonne e top cortissimi. Manco fosse una vera discoteca quel locale.

-Che sta succedendo?- mi chiese Kim, una volta che fummo entrambe al sicuro tra le pareti della “sala della salvezza”. Non ne potei più e con calma le raccontai tutto. Lei mi abbracciò. -Mi dispiace, ti sto rovinando il compleanno- mi scusai, stringendola a me. Lei scosse la testa - non importa, non hai rovinato nulla. Kevin mi aveva detto che aveva parlato con un certo Nial, quando aveva chiamato il locale per organizzare la festa. Ma non credevo fosse il tuo Nial -.

Il mio Nial? Nial non era mio. Non lo sarebbe mai stato.

Scossi la testa anche io. -Se lo sapevo non avrei invitato anche Eliza- si scusò lei poi. Sembrava che quella strega fosse la regista di tutta la messa in scena, avesse decido che io dovevo essere la sfortunata protagonista e che si doveva scatenare un putiferio tra la sua banda di amici, perché io esistevo. Non potevano trattarsi solo di mere coincidenze. Forse aveva approfittato della casuale scelta di Kevin per quel posto.

-Non me lo aspettavo nemmeno io a dirla tutta- le confessai. Sciogliemmo l'abbraccio e mi sentii già meglio. La ringraziai per avermi tratta in salvo dalle grinfie di Chris. Anche se probabilmente lui era ancora fuori, in giro per il locale e avrei dovuto incrociare di nuovo i suoi occhi castano scuro.

Non sapevo quanto tempo eravamo rimaste lì, ma Kevin ci interruppe.

-Kevin?!- esclamò la sua ragazza -questo è il bagno delle donne-.

Lui ci guardò sbigottito. -Ma come?- chiese, portandosi la mano alla fronte -il barista mi aveva detto di entrare in quello con la porta rosa, che era meglio-. Io e Kim alzammo gli occhi al soffitto.

-Va be vorrà dire che me la tengo- si scusò con noi. Fece per andarsene, ma poi si girò e tornò a fissarci -che ci fate qui?- chiese alzando un sopracciglio.

-Parliamo d'affari- gli rispose ironicamente Kim. Io ridacchiai, portandomi una mano alle labbra. -Oh capisco- rispose -allora vado a cercarmi un cespuglio-. Le sue battute spesso non facevano ridere, io e Kim sorridemmo solidali però, come facevamo sempre. -Veniamo con te, per darti una mano a cercarlo- affermai col sorriso che ancora aleggiava sulla mia faccia. Kim mi guardò un attimo e io le feci un cenno per confermarle che ora mi ero ripresa, almeno un po'. Era fantastico avere qualcuno vicino su cui contare. Credo che certe cose non dovrebbero mai mancare a nessuna persona, perché molto spesso non tutto si può superare da soli. Anzi, penso che la vera forza che è in ognuno di noi sia risvegliata proprio gli affetti sinceri che ci vengono donati.

Quando uscimmo dal bagno, i pensieri tornarono a fare capolino e capriole nella mia testa. Pensavo a quanto Chris mi stesse sulle scatole. Al dato di fatto che non potevo più fidarmi di Eliza e ripensai anche a Nial.

Se voleva solo usarmi per divertirsi, se io ero solo un premio per lui, perché non ha fatto nulla quando siamo finiti in camera insieme al centro estivo? Andavamo a dormire come niente fosse, dandoci la buonanotte talvolta, e lui non ha mai approfittato di me. Un alone di speranza si stava radicando nel mio animo. Forse sbagliavo a interpretare i suoi segnali. C'era un solo modo però, per togliermi tutti quei dubbi. Dovevo affrontarlo. Dovevo affrontarlo una volta per tutte.


Angolo autrice
Ciao a tutte. Rieccomi qui, leggermente in ritardo, e mi scuso per questo, con il nuovo capitolo. Ho deciso che tenterò di fare un angolo autrice ogni volta xD se ci riesco. Come vi sembra questo capitolo? Lo so, ora ci si aspetta un altro tentativo di chiarimento tra Nial e Lucy. Ne verrano tanti, ma non preoccupatevi, non saranno monotoni e il loro rapporto non sarà fatto solo di questo, è una promessa. Presto lo scoprirete, ma d'ora in poi tutto succederà molto più lentamente. Posso dirvi che scopriremo qualcosa sul passato di entrambi e che Lucy sarà costretta ad un grande e faticoso sacrificio. Per ora vi lascio così col mistero.. e col misterioso abbracciatore xD non esiste sta parola mi sa, ma amo inventarmi termini a caso ahahahah
Non odiatemi, tutto quadrerà.. ve lo prometto.

Gaia.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannove - Lasciar perdere ***


Capitolo diciannove: Lasciar perdere

Litigare serve a qualcosa se poi sai far pace..
 

Più tardi Sophie mi aveva notata. Non ci avevo visto male, era proprio lei la ragazza nel vestito nero a fiori. Mi aveva salutata e presentato il suo “bocconcino”, così lo aveva definito. Un ragazzo di cui non ricordavo già più il nome, ma era quello che si stava sbaciucchiando, che per casualità aveva un tatuaggio molto simile a quello di Nial e i suoi stessi capelli color ardesia. Allora perché diavolo Eliza mi aveva fatto credere fosse lui? Cosa aveva in mente? Si era sbagliata anche lei o semplicemente voleva cambiare il mio modo di vedere Nial? Ero più protesa per la seconda opzione. Il sollievo comunque si dipinse sul mio viso. Come avevo fatto a non pensarci? Ero stata stupida a cascarci. Le mie preoccupazioni mi giocavano brutti scherzi, quindi dovevo eliminarle, sennò sarei impazzita. Infine, se lui lavorava lì era troppo strano che ci andasse anche a divertirsi. Comunque o Nial sembrava avere la capacità di sdoppiarsi o io ero sotto l'effetto di un fungo allucinogeno. Perché per il resto della serata mi era sembrato di vederlo molteplici volte, tutte vestito in modo diverso. Ma non ci parlai. Avevo già provato troppe emozioni tutte mescolate. Chris fortunatamente, invece, si era misteriosamente dileguato, ed ero riuscita a divertirmi un po' prima che mio fratello mi riportasse a casa, leggermente scocciato. Sarebbe voluto rimanere, ma erano già le 02.28 quando raggiunsi felicemente il mio letto. Lui aveva il giorno libero oggi, ma io no e mi sentivo stanca, per via delle poche ore di sonno dopo una giornata di lavoro. Il mio orologio biologico ormai era stato provato e modificato e i ricordi mi assalivano come lupi in agguato nella foresta.

Se avevo quasi pianto, significava che per me Nial era importante. Altrimenti non mi sarei sentita così ferita quando avevo inconsciamente pensato che si stesse prendendo gioco di me. Avevo passato la notte a ricacciare indietro tutte le maledizioni ed insulti che gli avevo mentalmente inviato. Non se li meritava. Dovevo anche risolvere il caso dello sconosciuto che mi aveva abbracciata. Ripensandoci era una cosa alquanto inquietante.

Buongiorno. Come è andata la festa?” mi chiese Jack, tramite un messaggio che mi scosse dal mio flusso di pensieri mattutino.

Buongiorno. Meglio non parlarne...” risposi, dopo diversi ripensamenti su cosa raccontargli.

Capisco, allora non indago oltre. Tra poco tornerò a casa, non vedo l'ora di mangiare decentemente. Me lo hanno detto sta mattina”. Arrivò un altro messaggio. Ero felice per lui, anche perché secondo me gli avevano fatto davvero troppi controlli e lo avevano tenuto in ospedale per un tempo non necessario. Gli avevano tutti detto di riposare, ma lui già ragionava di testa sua e voleva fare tutto da solo. Come quella volta in cui da bambini, ci eravamo arrampicati su un albero al parco, scendendo ero scivolata e caduta, sbucciandomi il ginocchio. Lui mi portò sulla schiena fino a casa, perché non voleva che faticassi, nonostante fosse solo un graffio e gli avevo chiesto più volte che non doveva portarmi in braccio, perché riuscivo a camminare. Non era cambiato, era lo stesso testone di quegli anni.

Fantastico :) Verrò a trovarti appena posso, promesso”.

Anche se l'ospedale mi era effettivamente più comodo da raggiungere. Però avevo capito che si trovava male là dentro. Non ero mai stata in un ospedale, che io ricordassi, a parte per trovare parenti ricoverati e quando ero nata.

Lù non preoccuparti, tanto non posso scappare”. Mi fece una battuta, ma era più forte di me, quando qualcuno a cui tengo sta male, divento iperprotettiva.

Sospirai. Mancava poco alla fermata e mi sentivo davvero senza energie. Come prosciugata. Appoggiai la testa al finestrino freddo dell'autobus, strofinandomi le braccia per colpa di un brivido improvviso. Sapevo cosa dovevo fare, eppure continuavo a rimandare.

Ripresi il cellulare e cercai il numero di Nial. Chissà se era già sveglio. Non sapevo esattamente come dirglielo, ma alla fine optai per il modo più diretto e semplice.

Dobbiamo parlare”.

La risposta fu immediata e fu come se mi scagliassero contro una pietra appuntita.

Non ho nulla da dire”.

Non mi aveva mai risposto in malo modo. Così freddamente. Probabilmente era arrabbiato con me, come io lo ero con lui. Del resto, lo avevo trattato male, quindi sapevo in parte che me lo meritavo. Gli avevo sputato la mia rabbia contro, solo perché avevo paura. Alzai la testa dal mio scomodo appoggio. Voleva fare il duro? Beh aveva trovato pane per i suoi denti.

Io ti ho ascoltato, ora tocca a te”.

Mi hai sentito, non ascoltato, altrimenti avresti riflettuto sulle mie parole”.

Mi fece innervosire quella sua sfrontatezza. Era come se volesse a tutti i costi che io cedessi al suo corteggiamento. “Ah si? Come fai a dirlo? Non sai cosa avviene nella mia testa. Non sai se ci tengo a te, proprio come non lo comprendo io. Per questo voglio parlarti”.

Io ci tengo a te”.

Allora parliamoci, dimostramelo”.

Okay, oggi alle 20.00 al pontile”.

Okay”. Riposi il cellulare in borsa. Avevo ottenuto quello che volevo. Quello che mi premevo era sarei stata lucida a quell'orario? Stavo andando a lavoro, senza possibilità di riposarmi e recuperare un po' di sonno. Se non dormivo abbastanza, mi sentivo uno straccio. Lo so, è da vecchi, ma non posso farci nulla. Mi sentivo come un orso pronto per il letargo.

Oltre la matassa dei miei problemi personali, si sommò anche una serie di sfortunate coincidenze. C'era un edificio accanto alla caffetteria, subito di fronte e aveva dei lavori in corso. Un'insegna era già stata montata davanti all'entrata, con la scritta McDonald. Non prometteva nulla di buono, era un concorrente. Una catena famosa e massiccia e avrebbe dato filo da torcere alla caffetteria di Rachel. Infatti, quando entrai in anticipo, la trovai seduta ad un tavolino con la testa tra le mani.

- Rachel tutto bene? - le chiesi un attimo facendola sobbalzare. Non si era accorta nemmeno che ero arrivata. La donna alzò il viso verso il mio. Era preoccupata.

- Hai visto fuori?- mi chiese soltanto. Io annuii. Lei storse le labbra. Poi sospirò e appoggiò la schiena allo schienale della sedia. -Ma ce la faremo a resistere, lotteremo con le unghie e con i denti- cercò di mascherare la sua agitazione in merito. Noi eravamo un piccolo mondo.

- I clienti affezionati sicuramente continueranno a venire qui – affermai, cercando di tirarla veramente su di morale. Lei si alzò di scatto e mi abbracciò. Io ricambiai la sua stretta. Non sapevo predire il futuro. Sarebbe stato bello esserne in grado, ma in qualche modo sapevo che non ci saremmo arrese senza provare a restare in piedi. La madre di Kim si avvicinò alla vetrina del nostro negozio. Si affacciò e guardò l'imponente edificio grigio davanti, dove operai si davano da fare uscendo ed entrandoci, per i lavori in corso di sistemazione. Mi dispiaceva vederla così affranta. Kim mi aveva raccontato che aveva già provato ad aprire una sua attività e non era andato tutto come sperava. Forse temeva che potesse succedere di nuovo. Eppure non si era lasciata spaventare dal passato, aveva aperto quella caffetteria, anche se ora sembrava triste.

- Non avremo vita facile – commentò scettica Rachel, si stava proprio lasciando demoralizzare. Incrociò le braccia al petto e ci scambiammo uno sguardo carico della nostra tensione. -Ma nemmeno impossibile- le dissi, cercando di sorriderle.

- Parliamo d'altro dai, non voglio metterti di malumore. Come è stata la festa?-. Non capii subito il perché della domanda. Ma probabilmente Kim era andata a dormire da Kevin, quindi non l'aveva ancora sentita. -Bene- le risposi, restando vaga e allargando le mie labbra in un sorriso più sincero. Lei sorrise a sua volta, un po'. Io mi affrettai ad afferrare il mio grembiule perché ormai mancava poco all'orario di apertura. Eliza arrivò trafelata e di corsa. Varcando anche lei la soglia con un viso stanco. Mentre il solito signore anziano già si era appostato, aspettando che aprissimo.

-Scusatemi, non ho sentito la sveglia- disse lei col fiatone, appoggiandosi al bancone. Io tentai con tutte le mie forze di non guardarla male dopo la festa di Kim. Dopotutto lei aveva cercato di farmi parlare con Chris, ed ero certa al cento percento che lui le avesse raccontato un po' della nostra storia. Magari lo aveva fatto anche con Nial e gli altri. Rabbrividì all'improvviso, chissà cosa aveva detto di me. Scacciai all'istante quelle domande. Non aveva senso pensarci. Eliza posò uno zainetto viola per terra, dietro al bancone, per poi allacciarsi il grembiule e sistemarsi un po' i capelli bicromatici, spazzolati dal vento. Rachel l'accolse bene, dicendole che se arrivava un po' in ritardo non succedeva nulla di male e che comunque quel giorno aveva pensato lei a sistemare i vari dolci. Cosa che non avevo mancato di notare. Eravamo pronte, come se stessimo aspettando alla trincea. Intanto mi facevo domande sulla mia compagna di lavoro. Se si era accorta di quello che stava accadendo davanti al locale, perché tentava di farmi arrivare a una crisi di nervi e sì, mi chiesi anche se stesse bene. Scure occhiaie violacee le cerchiavano gli occhi. Non si era truccata come al solito, quindi si notavano ancora di più. Aveva solo un sottile strato di mascara sulle ciglia. Poi Rachel girò il cartello con la scritta “aperto” e le gambe iniziarono a tremarmi, mano a mano che si avvicinava l'orario fatidico in cui avrei rincontrato quegli occhi di ghiaccio.

Mi sentivo smorto, quasi senza speranze. Lucy non era fatta per me, eppure mi piaceva. Mi piaceva molto. Mi piaceva tutto di lei, dal suo aspetto minuto e semplice al carattere timido che stavo imparando a conoscere. Il fatto che fosse sbadata, che le sue battute non facessero ridere per nulla e che si vestisse in modo colorato. Il fatto che fosse così positiva per gli altri, ma non per sé stessa, la sua dolcezza, i suoi teneri modi di fare. Stavo camminando e fissando per terra. Presi un'ultima boccata dalla sigaretta prima di gettarla proprio sopra un tombino di rame. Due minuti dopo ero arrivato a quel pontile, mi misi a guardare l'orario dal cellulare e a calciare distrattamente i sassolini di ghiaia mentre l'aspettavo. Fu strano, ma non mi ero accorto che lei era già lì. Alzando lo sguardo la vidi, seduta sulle scalinate che scendevano verso il ponte di legno. Mi dava la schiena, avvolta in una felpa leggera verde scuro, ed aveva la testa appoggiata al legno delle assi, che facevano da barriera per non cadere in acqua.

Mi avvicinai e la chiamai piano -Lucy?-. Lei si girò verso di me di scatto ed aprì debolmente gli occhi per poi alzare lo sguardo verso il mio, in piedi dietro di lei. Non potevo credere che si fosse addormentata lì. Bofonchiò qualcosa che non capii e si stropicciò gli occhi mentre mi sedevo accanto a lei. La vidi irrigidirsi improvvisamente ed annusare l'aria, come se fosse un cane da caccia alla ricerca di qualcosa. -Puzzi di fumo- esclamò, mentre mi guardava con sorpresa. -Te ne accorgi solo ora?- le chiesi tranquillo.

Lei si portò una mano al mento. -Lo avevo notato anche a scuola, ma non ci avevo dato peso- rispose con una voce davvero stanca. Chissà a che ora era andata a dormire, io mi ero riposato tutta la mattina, avendo fatto il turno di notte. Avrei voluto chiederle perché fosse lì, ma mi tratteni. Mi aveva fatto piacere vederla in quel bel vestito azzurro. O la va o la spacca, mi dissi.

-Cosa dovevi dirmi?- le chiesi, facendo trasparire la mia solita calma. Anche se in realtà con tutti i suoi complessi mi stava rendendo veramente nervoso, talvolta anche insicuro. Non poteva essere come tutte le ragazze normali e lasciarsi andare un po'? No. Lei doveva farsi mille problemi e così si perdeva un sacco di cose belle. Ma non ero lì per farle la ramanzina.

Lei si abbracciò le gambe al petto, come se potesse farsi scudo. -Ho paura...- iniziò. Ecco il solito discorso che stava per prendere il via. Sembrava una bambina quando lo faceva. Senza pensarci due volte, mi avvicinai e l'abbracciai. Non mi importava se lei non voleva. La sentii stranamente rilassarsi, forse aveva solo bisogno di conforto. -Dimmi che questo non ti piace, se me lo dici, te lo prometto che me ne vado- le sussurrai all'orecchio, con dolcezza. -No non mi piace, per favore non provarci subito e lasciami parlare- rispose riluttante e cercò di respingermi così la lasciai andare. -Ti ho trattato male lo so, mi dispiace, ma il fatto è che ho paura, perché penso che tu voglia solo divertirti- continuò, guardandosi le scarpe, come faceva sempre quando era intimidita.

-No non è così-. Provai a farle una carezza leggera sui capelli, in modo da ripristinare quella sorta di contatto con lei. Era come se volesse abbandonarsi tra le mie braccia, ma si imponesse di non farlo. Era così strano sentire le sue scuse, di solito gliele facevo io. Eppure lei le aveva fatte, anche se in realtà non ne aveva davvero una ragione valida. -Con me non devi rintanarti nel guscio-.

-Non funzionano queste cose con me- replicò e mi scansò la mano con la sua, questa volta guardandomi dritto in faccia.

-Va bene, allora lascio perdere-. Alzai le mani in segno di resa. Era difficile trattare con lei. Era difficile saperla prendere dal verso giusto quando negli occhi aveva quella sorta di preoccupazione. Quel senso di auto protezione verso sé stessa, difficile da superare ma non invalicabile.

-Come?- mi chiese accigliata e dubbiosa.

-Sì, mi arrendo.. non so come dimostrarti che ci tengo a te, non me dai la possibilità-.

Lei sembrò rifletterci un attimo. -Farmi coccole sarebbe una dimostrazione di qualcosa?-.

-No.. è solo qualcosa che mi piace fare- le risposi sincero. Ero fatto così.

-Lasciamo perdere- disse piano, rivolta più a sé stessa che a me.

-Cosa?-.

-Tutto-. Si prese la testa tra le mani, come se avesse un improvviso mal di testa.

Okay, la stavo perdendo. -Non ti seguo Lucy- ammisi. -Lasciati andare ogni tanto e fidati di me- cercai nuovamente di convincerla, anche se ormai sapevo che le parole non sarebbero bastate. Forse tutti i miei tentativi non servivano a nulla.

-Nial, non voglio più soffrire-.

-Era solo un abbraccio innocente, ho capito che ne avevi bisogno- le dissi, pensando che si riferisse a poco fa, pensando di averla turbata. -E tanto per sottoscrivere voglio abbracciarti se stai male- continuai con voce calma, cercando di tranquillizzarla.

-Nial..-. Pronunciò il mio nome con titubanza.

-Non c'è nulla di male Lù-. Non le lasciai finire la frase, prima che potesse dirmi altre cose che non avevo voglia di sentire. Lei si morse il labbro, probabilmente stava ripensando a quando l'avevo baciata. -Lo sai, mi piaci, ma non ti sforzerò okay?-.

-Okay- mormorò -ma lasciami i miei tempi, io non lo so se mi piaci anche tu-. Mi lanciò una veloce occhiata come se mi stesse studiando. Come se volesse dirmi anche dell'altro ma aveva deciso di tenerselo per sé. Quello che mi disse non mi piacque. Dovevo trovare un modo di farmi piacere. Forse stavo sbagliando tutto, non le davo abbastanza sicurezza. Ma almeno questa volta non era scappata via. Cosa le piaceva? Improvvisamente mi accorsi di sapere davvero poco di lei. Voleva fiori, cioccolatini, regali? Voleva fare viaggi, gite insieme? Come doveva essere il ragazzo che desiderava avere al suo fianco? Per ora, ero contento che fosse ancora qui con me e che mi stesse dando la possibilità che volevo. Non volevo parlare perché temevo volesse dirmi addio, invece per chissà quale ragione, aveva cercato di farsi andare a genio il mio comportamento. Probabilmente ci tiene, mi dissi ed era un buon segno.

-Va bene, avrai tutto il tuo tempo per capirlo allora, e lascerò perdere i baci- le promisi.

-Bene-.

-Bene- ripetei, facendole il verso, ma lei non ci diede peso.

Si lasciò andare invece a un sonoro sbadiglio, coprendosi la bocca con la mano. -Ho bisogno di dormire- disse esasperata.

-Puoi dormire su di me se ti va- le risposi, facendole l'occhiolino.

Lei però mi lanciò un'occhiataccia di rimprovero. -Stavo scherzando- mi affrettai allora a rivelarle. Ero contento che mi avesse perdonato. La tentazione di baciarla era ancora forte, ma potevo domarla in qualche modo. Almeno finché lei non fosse stata pronta per me.

-Che ci facevi al Perla Rossa ieri?- le chiesi poi, cambiando argomento, mi premeva saperlo.

-Ero al compleanno della mia migliore amica, quindi c'eri anche tu?- mi chiese a sua volta curiosa. -Sì, ci lavoro- le risposi e cercai in automatico di scacciare tutti i ricordi delle ragazze che ci provavano con me. Non era nemmeno semplice rifiutare i loro inviti, ma non potevo annientare quel piccolo grammo di fiducia che Lucy aveva di me.

-Eliza ha voluto che parlassi con Chris- mi rivelò.

-Ely?-.

-Sì, mi ci ha trascinata vicino praticamente, nonostante le avessi detto che non volevo parlarci, ma non è successo nulla davvero-.

-Ah..-. Non seppi che dire, ma un brutto presentimento mi si formò in testa. Che volesse vendicarsi con me usando Lucy? Non lo sapevo, ma dovevo assolutamente scoprirlo, perché non avrei permesso a nessuno di farle del male. Nemmeno a me stesso.

-Nial- mi chiamò alla realtà.

-Dimmi-.

-Non mi piace che fumi, non ti fa bene. Ma non sono nessuno per dirti cosa fare-.

Lo avevo capito dall'espressione tirata e quasi disgustata, che mi aveva rivolto quando lo aveva scoperto. -Smetterò quando capirò come essere di nuovo felice- le dissi a voce bassa, guardando l'acqua del fiume sotto di noi, che calma e tranquilla attirava gli ultimi raggi del tramonto.


Angolo autrice
Ciao :)  Lucy e Nial hanno fatto una sorta di pace in questo capitolo. Ve lo aspettavate? Ne siete contenti? Ma soprattutto, durerà?
Voglio ringraziare di cuore tutti per il sostegno, specialmente le persone che spendono un po' di tempo per lasciarmi la loro opinione in una recensione. Mi fa felice davvero. Voglio dire grazie a chi segue la storia, sopratutto ad Angel of Fire per avermi fatto notare una cosa nel precedente capitolo che spero di aver sistemato in questo. Voglio lasciare del mistero, senza rivelare troppe cose, ma voglio anche che abbia un senso. Per questo le vostre opinioni contano moltissimo per me. Sto ancora lavorando anche alla revisione degli errori di grammatica fatti qui e lì, ma tra tutti gli impegni l'ho un po' lasciata da parte.<

Come avrete capito pubblico tra il mercoledì e il venerdì, conforme gli impegni, penso che resterà così il periodo in cui aggiorno.
Grazie di nuovo. Ci vediamo col prossimo capitolo :)
Gaia.

 

ATTENZIONE perfavore.. purtroppo sto avendo un piccolo ritardo col prossimo capitolo, è a metà e penso di pubblicarlo per il fine settimana. Purtroppo in questi giorni ho avuto tanti pensieri che mi hanno incasinata e non sono riuscita a concentrarmi lucidamente nella storia. Chiedo scusa!

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Capitolo 21
*** Capitolo venti - La mia testa è una soffitta ***


Capitolo venti: La mia testa è una soffitta

Il dizionario non ti sa predire se l'esperienza sarà positiva o negativa.

 

Non sapevo totalmente se fidarmi di Nial. Se fosse stato davvero “bravo” come aveva detto. Ma quello che continuavo a chiedermi era “io cosa volevo?” o meglio per cosa mi sento pronta? Avevo ormai compreso che lui volesse stare con me, non in una semplice amicizia che, a quanto pare, gli stava stretta. Mi distesi sul letto guardando il soffitto e sentendomi come un carcerato. Intrappolata nella gabbia di quel vortice di domande da un milione di dollari. Mi girai a pancia in giù e nascosi il viso nel soffice cuscino. Una parte di me aveva imparato che non era giusto perdonare troppo spesso le persone, perché si da loro la possibilità di farti ancora del male. Lui però non mi aveva ancora veramente ferita. Mi aveva soltanto spaventata, e l'idea che non fosse felice non mi piaceva per nulla. Mi sentivo in colpa in qualche modo, come se contribuissi alla sua tristezza. Alzai il viso, stavo soffocando. Avrei dovuto prendere il portatile di Nath e guardare un film o leggere un buon libro. Avrei voluto distrarmi e perdermi nel mio mondo come facevo di solito. Ma i ricordi bussarono alla porta e la mia testa divenne una specie di soffitta. Piena di polvere e ragnatele.

Cosa volevo? Avevo sempre pensato che il mio primo amore sarebbe stata la persona giusta, come mia madre con mio padre, ma non tutti purtroppo sono così fortunati. Ero una sognatrice, che viveva nella favoletta del principe azzurro. Non avevo molte esperienze da contare però e quello che avevo vissuto mi era bastato per imparare a chiudermi in me stessa. E poi che brutta parola “esperienza”. La nonna diceva sempre che era qualcosa di cui far tesoro. Di cosa avrei dovuto far tesoro in tutte quelle sconfitte? Di un cuore infranto? Sbuffai. Non volevo nemmeno deprimermi. Avrei dovuto chiudere tutti quei ricordi in una cassa e gettare via la chiave. Invece continuavano a tornarmi in mente Chris, ed Alex, quello che venne dopo di lui. Chris mi mancava leggermente, o meglio mi mancava l'affetto che era riuscito a darmi, anche se non era stato sincero, di Alex mi mancava tutto e molto. Anche se cercavo di non pensarlo, come desiderava. Eravamo stati insieme due anni, due anni bellissimi, finché non si era dovuto lasciare tutto alle spalle e trasferirsi. Aveva deciso lui, per entrambi, che non avremmo retto la distanza e con lui io avevo vissuto tutto, dalla mia prima volta ai film abbracciati sul divano. Dalle serate al cinema, a cui non andavo più da quando ci eravamo lasciati, alle gite e alle giornate trascorse insieme a non far nulla, alle ripetizioni di matematica, al farsi scherzi e prendersi in giro. Mi avevano ferita entrambi. Mi arricciai una ciocca di capelli attorno al dito, ad Alex piaceva farlo. Poi mi sfiorai le labbra con il dorso della mano, cercando di mandare via quel ricordo e trattenendo un singhiozzo. Stavo riuscendo a mettere tutto da parte piano piano, non dovevo fare danni. Loro mi avevano messa da parte, sparendo o tradendomi, dovevo fare lo stesso ed andare avanti. Chris mi tradiva, come poteva mancarmi? Ero una stupida ingenua, e forse lo sarei stata sempre. Mi aveva tradito perché non era stato in grado di aspettare le mie esigenze, o forse era solo il solito tipo a cui piaceva divertirsi ma io ero stata troppo cieca per notarlo. Lui era stato il mio primo bacio. Ne avevo dati troppi di baci, per i miei gusti. Avrei voluto baciare solo la mia anima gemella, ma anche questo è un caso estremamente per fortunati, o magari per intelligenti che sanno capire come fare i passi giusti nella vita. Ripensai all'ultimo bacio che avevo dato di mia spontanea volontà, che era stato per Alex. Un bacio sofferto e inumidito delle mie lacrime, sulla tela di una stazione vecchia e morsa dalla ruggine. Mi aveva preso il volto tra le mani e detto che era meglio così, pensando che per me sarebbe stato facile colmare il suo vuoto e non mi aveva nemmeno più cercata. Non mi aveva nemmeno più risposto, così mi ero semplicemente arresa. Arresa per sempre. L'amore rende ciechi, sordi e anche manipolabili. Eppure lo definiscono la gioia più grande dell'universo.

Sentii Bitter abbaiare fuori dalla finestra, ma non andai a controllare. Probabilmente aveva solo visto passare un altro cane per strada. Ripensai all'ultima volta che delle labbra avevano toccato le mie. Nial, poi il capo del supermercato, un pensiero che mi fece ancora rabbrividire, e quel bacio mancato con Ivan. Ero felice che non fosse successo nulla con lui, visto l'evolversi delle cose.

Non volevo piangere. Non volevo sentirmi di nuovo sostituibile e come se non valessi nulla. Mi misi a sedere sul letto, abbracciandomi il cuscino, come se fossi tornata bambina. Come se stessi affogando e quel rettangolo fosse il mio unico appiglio. Odiavo queste sensazioni, non dovevo permettermi di perdermi tra quei spiacevoli ricordi, eppure non riuscivo a smettere di pensarci. Ero stupida, lo so. Ma non mi piaceva che il mio passato fosse così costellato di scelte imposte da altri. Non mi piaceva il fatto che non fossi fatta valere al momento giusto. Non mi piacevano quelle cose lasciate in sospeso.

Senza pensare mi alzai ed aprii l'armadio, c'era una camicia a quadri bianca e rossa con delle righe blu, appesa verso la parete sinistra. Nath diceva che sembravano delle tovaglie, ma io le adoravo. Era l'ultimo regalo di Alex e talvolta la indossavo ancora. La presi e me la strinsi al petto. Chissà dove era. Cosa faceva? Se mai mi pensava? Probabilmente non si ricordava nemmeno che esistevo, visto la facilità con cui aveva rotto il nostro rapporto. L'avevo un po' stropicciata ma la riposi con cura al suo posto. Il posto che le avevo dedicato. Era tutta colpa di Nial e del suo interesse se mi stavo immergendo in quelle nostalgie. Mi aveva fatto ricordare di quando mi ero sentita importante per qualcuno e non volevo un altro ricordo da dimenticare. Pensavo che se qualcuno ti vuole veramente bene non se ne va dalla tua vita, ma trova la forza di rimanere nonostante tutto.

Ecco cosa volevo, dimenticare. Qualcuno di così forte che mi facesse dimenticare tutto. Scordarmi di quelle lacrime amare che rigavano le mie disastrose ricerche di un'anima gemella improbabile. Avevo capito che c'era bisogno di molto tempo prima di decidere se mettere il proprio cuore nelle mani di qualcuno e non volevo collezionare altre esperienze, mai più. Desideravo che la prossima persona fosse quella giusta. Quella disposta a starmi accanto e amarmi nel male e nel bene. Perché a cosa servono gli incroci se poi ognuno va per la sua strada? Chris mi aveva lasciato molta rabbia dentro. Mi aveva lasciato con un messaggio, anni fa. Non volevo nemmeno ricordare quanto tempo era passato. “Sei solo una perdita di tempo”. Erano parole indelebili e crudeli. Il primo amore non si scorda mai? Beh io volevo scordarlo. Avevo rabbia verso di me, per essere caduta nel suo tranello, rabbia verso di lui per avermi presa in giro e rabbia verso il mondo intero, per tutte quelle persone che non mettono al primo posto i sentimenti. Non dico che dobbiamo starci tutti simpatici, ma almeno dovremmo cercare di non ferirci tra di noi per questioni stupide. Perché infine lui mi aveva lasciata per qualcosa di enormemente stupido. Tutte le volte in cui avevo messo in gioco il mio cuore, avevo miseramente perso. Detestavo gli addii e perdere le persone, ma il suo addio era stata una sorta di quasi liberazione. Avrei desiderato avere un radar che mi dicesse come sono le persone prima di iniziare a conoscerle, o che avessero un'etichetta che ti facesse diffidare di loro se non avevano buone intenzioni. Mi mancavano i gesti d'affetto, mi mancava innamorarmi eppure non volevo di nuovo rischiare. Non ne avevo la forza. Forse perché non avevo ancora del tutto superato le ferite che mi aveva lasciato dentro il mio passato. Forse perché avevo troppa paura di sbagliare o perché mi sentivo come una calamita per stronzi. Infine cosa avevo che non andava?

Ecco, mi stavo deprimendo. Presi il cellulare senza pensarci due volte. Kim era a lavoro, quindi le mie dita scorsero la rubrica in automatico fino al numero di Jack. Non mi ero resa conto di cosa stavo realmente facendo fin quando non sentii la sua voce salutarmi dall'altra parte dell'apparecchio.

-Ehi ciao – risposi, tornando in me, nel presente disastroso.

-Tutto bene?- chiese leggermente preoccupato.

-Sì, tu?- mentii.

-Sono ancora fermo-.

Poi presi il coraggio a due mani. -Senti ho il giorno libero, ti va se passo a casa tua?-.

-Ma certo. Dovrebbe arrivare anche Andrew, ci guardiamo un film horror, ti va?-.

-Sì-. No, gli horror non mi piacevano per nulla. -Arrivo tra un'ora, okay? Il tempo di fare la strada-.

-Certo, sicura che va tutto bene Lù?-. Perché ero così trasparente? Mi scappò un sospiro di frustrazione.

No. Devo distrarmi. -Sì, solo che..- pensai a qualcosa da dire per mascherare il mio malumore -ho voglia di passare un po' di tempo con te-.

Capii da come mi salutò che stava sorridendo. Gli avevo promesso che sarei andata a trovarlo, in fin dei conti, non volevo lasciarlo solo. Anche se andavo da lui più che altro per non permettermi di pensare ai quei vecchi fantasmi che mi tormentavano. Rivedere Chris non mi aveva fatto bene, aveva fatto breccia nella muraglia che avevo messo con difficoltà tra me e quei ricordi. Non aveva senso rivangare quelle cicatrici scolpite dentro il mio cuore. Quelle delusioni che mi avevano fatto da monito contro tutte le attenzioni che avevo ricevuto in futuro. A volte vorresti avere la bacchetta magica per far andare tutto come vuoi, ma non è così facile e forse è giusto che le cose importanti non siano mai semplici.

L'autunno era alle porte, la mattina iniziava già a fare più freddo e qualche foglia già cadeva trasportata dal vento, volteggiando nell'aria. Tra il verde delle chiome si notava qualche nota di colore rosso, arancione e marrone. L'aria pizzicava un po', ma era un gelo sopportabile. Sembrava che il tempo volesse correre. Solo qualche giorno fa si poteva assaporare ancora il calore dell'estate, mentre oggi aveva iniziato a far freddo di colpo. Un'estate che sicuramente non avrei dimenticato. Chissà se avrei rincontrato Jack se non fossi andata a quel campo estivo.

Raggiunsi casa sua in perfetto orario, notando che fuori c'era già parcheggiata la moto di Andrew. Avrei voluto chiedere a Jack cosa sapesse di Nial, se avessero mai parlato di me, in che modo secondo lui avrei dovuto comportarmi. Mi sentivo così confusa e volevo qualche consiglio o i miei dubbi interiori mi avrebbero distrutta. Mi aprì la madre di Jack, e ci sorridemmo. I due ragazzi erano già appostati sul divano. Jack con la tipica gamba ingessata issata sul tavolino, accanto ad una ciotola stra colma di popcorn. Era così piena che qualcuno era caduto sulla superficie di vetro dal tavolino.

Li salutai e Clare, la madre di Jack, ci chiese se avevamo bisogno di altro, diede un bacio a Jack sulla fronte che a lui non piacque per nulla e poi se ne andò tra i miei risolini e quelli di Andrew. Avevo fatto bene ad andare da lui. Ci vedemmo il film, che non mi fece per nulla paura, ma forse perché era pomeriggio e fuori non era ancora buio. Parlava della solita casa infestata. Per un po' dimenticai tutto quello di cui avevo rimuginato. Andrew ad un certo punto se ne andò perché doveva aiutare suo padre con un lavoro. Mi salutò e quasi mi stritolò nel suo abbraccio. Non volevo in realtà che se ne andasse, ma non sapevo il perché. Forse speravo soltanto di vivermi il resto della giornata in quella serenità trovata con loro due. Riportai la ciotola vuota in cucina e tornai sul divano da Jack.

-Sono contento sei venuta qui- mi rivelò. Io gli sorrisi in risposta. Anche io lo ero. Poi mi feci coraggio perché non ne potevo più. Avevo bisogno di una mano. Mi morsi il labbro nervosa prima di cominciare.

-Posso chiederti un consiglio?- chiesi e lui acconsentì. Gli raccontai di quello che era capitato tra me e Nial, di come era lui e delle mie paure. Sentendomi anche sciocca perché magari a lui non importava nulla. Infine ci eravamo rincontrati da poco e ora gli scaricavo addosso tutte le mie tensioni personali. Jack sospirò. Pensai di aver urtato i suoi sentimenti o aver detto qualcosa di sbagliato. Mi tornai a sedere su quel divano arancione, accanto a lui.

-Lù non vivere nei rimpianti- disse e poi mi rivolse un sorriso triste.

-Lo so..-. No, in realtà non sapevo cosa dire.

-Lo sai, allora non tormentarti così. Non risolvi nulla. Tutti soffriamo per qualcosa, non siamo perfetti. Feriamo chi amiamo e non ce ne accorgiamo. Abbiamo bisogno di perdere qualcuno per capire quanto pesa sulle nostre scelte. Tutti abbiamo le nostre delusioni. Ma si va avanti, siamo umani. L'importante è incassare i colpi e continuare a camminare- sentenziò con calma, guardando dritto davanti a sé come se le risposte fossero scritte sulla parete bianca, accanto al grande schermo della televisione.

-Dove eri quando avevo bisogno di queste parole?- chiesi, tirando su col naso, non volevo piangere, ma quello era il miglior consiglio che avessi sentito nell'ultimo periodo.

-Stupidina- mi disse, allungando la mano e scompigliandomi i capelli. Quel contatto non mi diede fastidio, quando lo faceva Nial invece sì. Ma forse era solo perché avevo paura.

-Ehi, non offendermi- protestai.

-Okay- disse e tolse la mano dai miei capelli. -Allora che farai con Nial?- chiese interrompendo un breve silenzio imbarazzante.

-Non lo so, ma non voglio correre-.

-Allora non farlo, nessuno ti dice che un domani dovete sposarvi-. Lo guardai scettica al solo pensarlo. Nial che si sposa? Non era il tipo. Proprio per nulla. Quel pensiero mi strappò un sorriso. -Ma almeno ti piace?- continuò.

-Non lo so- mi presi la testa tra le mani e lui ci mise sopra le sue, tenendomi il viso alzato verso i suoi occhi. -Non forzarti, vivi con calma e tutto si sarà più chiaro col tempo. Non devi decidere in questo momento-. Mi sembrava di non sapere più nulla. Non ero convinta di nulla, forse perché avevo paura di prendere una decisione.

Ma lui aveva ragione su tutto. -Se Nial è quello giusto saprà annientare le tue paure- mi disse e mi sorrise, prima di lasciarmi andare.

-Da come parli sembra che hai vissuto qualcosa di simile Jack-.

-Può darsi- rispose enigmatico. Ci eravamo persi molte cose, eravamo cresciuti lontani dopotutto. Solo ora mi rendevo conto davvero di quanto mi era mancato. Avrei voluto abbracciarlo per tutto l'aiuto che mi stava dando, ma mi trattenni.

Calò ancora una volta un silenzio strano e piuttosto imbarazzante. -Ora basta essere tristi però, facciamo un gioco?-.

-Che gioco?- chiesi incuriosita, ma poi me ne pentì. Nial mi aveva detto qualcosa di simile prima di baciarmi, le mie dita sfiorarono la mia bocca. Jack lo aveva notato, mi stava guardando, così finsi di togliermi una ciocca di capelli che mi era finita sul viso.

-Qualcosa che facevamo da bambini dai- rispose.

-Scusa se te lo dico, ma dubito che riuscirei a spingerti su un albero, viste le tue condizioni dovrei per forza tirarti su io- sentenziai, mettendomi le mani sui fianchi.

-Dove sta la tua forza?- mi sfidò ridacchiando.

-Tu pesi- replicai.

-Non mi è mai piaciuto vederti triste- mi disse e mi sorrise. Io non sapevo che dire, se voleva farmi imbarazzare ci stava riuscendo. -E comunque non te l'ho detto ma sei rimasta uguale alla bambina che eri-.

-Che intendi?- gli diedi una leggera pacca sulla spalla. -Mi sono alzata di un bel po' da allora sai?-.

Lui rise. -Sì, ma sei sempre tenera-.

-Sì, come un panda morsicato da un serpente boa-.

-E questa da che film salta fuori?-.

-Non lo so-.

-C'è una cosa che comunque devo dirti... in realtà non dovrei- iniziò poi, cambiando argomento ed usando un tono di voce molto serio -non voglio metterti a disagio o darti altri problemi, ma credo che tu stia particolarmente simpatica ad Andrew-.

-Cosa?- chiesi allarmata. Andrew provava qualcosa per me? Cioè gli piacevo? Era un altro problema che si aggiungeva alla lista. Mi portai una mano alla fronte. Perché me?

-Già, era su di giri quando gli ho detto che saresti venuta anche tu-.

-Stai scherzando vero?- chiesi, lanciandogli un'occhiataccia, non poteva essere vero.

-Sì, ti sto prendendo in giro- disse e poi rise. Io ripresi pian piano il mio colore naturale.

-Sei cattivo, mi hai fatto preoccupare-. Gli feci una linguaccia. Non ci eravamo visti per molto tempo, ma la nostra complicità non era cambiata.

-Perché ti preoccupa spezzare qualche cuoricino?- chiese alzando le mani, in segno di resa.

Sapevo che stava scherzando, ma non mi trattenni dal commentare. -Non è una bella cosa-.

-Già, ma tu dovresti pensare a te stessa e a cosa vuoi, non ad accontentare gli altri-.

Aveva ragione anche su questo.-Grazie, per tutti i consigli- gli dissi. Ci scambiammo uno sguardo veloce. Era vero, dovevo concentrarmi su di me e lo avrei fatto, o almeno ci avrei provato. Gli ero grata per avermi ascoltata e capita.

Un rumore attirò la nostra attenzione. Sua madre era tornata con due borse della spesa. Andai a darle una mano a sistemarle sul tavolo, visto che suo figlio non poteva farlo. Lei mi aveva detto di essere davvero contenta che Jack mi avesse ritrovata.

-Lucy rimani a cena con noi vero?- mi chiese ad un certo punto, mentre le passavo una confezione di zucchero. Non sapevo se accettare o meno. Ma infine quella giornata era migliorata parecchio grazie a Jack e lì mi sentivo come a casa, come se fossi tornata bambina. Sì, con lui mi sentivo quasi al sicuro, come quando eravamo bambini. Così accettai volentieri.



Angolo autrice
Eccomi qui.. scusatemi per il ritardo, e per il capitolo in cui non avviene qualcosa di veramente "oh"... ma l'ho ritenuto fondamentale, più che altro per capire perché Lucy è così. Per farlo ho preso spunto da esperienze a me realmente capitate, per cui è stato difficile raccontarle e rivangare io stessa i miei ricordi. Ma volevo che la storia contenesse una parte di me. Per il resto come vi sembra? Vi piace l'amicizia tra Lucy e Jack? Pensate che possa essere un possibile rivale di Nial? Beh, ne vedrete delle belle u.u Se ci sono errori è perché purtroppo l'ho ricontrollato velocemente >.< e chiedo scusa, se ne trovate di gravi fatemeli pure notare che mi fa piacere migliorare la storia! Ci sono dei passaggi che secondo me sono troppo veloci ma non volevo farlo troppo lungo xD Quindi infine mi sono detta che va bene così. Spero che vi piaccia comunque.. aspetto pareri e grazie infinite! Sì devo ringraziarvi, perché ogni capitolo della storia ha più di 100 visualizzazioni e ne sono stra stra felice :)

Cercherò di rispettare i limiti di pubblicazione che vi ho detto, anche se sembra che forze malefiche si movimentino per non farli rispettare appena li dici xD vi è mai capitato? Ora mi dileguo, sennò non smetto più di scrivere. 
Alla prossima.
Gaia

Chiedo scusa per il ritardo che sto avendo nella pubblicazione del nuovo capitolo.. domani 04 ottobre lo correggo e lo inserisco.. mi spiace molto >.< ma ultimamente sto avendo un sacco di problemi.

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Capitolo 22
*** Capitolo ventuno - Falso allarme?! ***


Capitolo ventuno: Falso allarme?!

Le emozioni non possono essere controllate per intero da noi stessi.

 

Mi ero completamente scordata della persona che mi aveva abbracciato sotto le scale del locale. Ora che mi sentivo più serena quel dettaglio mi era tornato in mente. Comunque non avrei mai scoperto chi era. Potevo ipotizzare solo che fosse un ragazzo. Mi ricordavo che aveva un odore da dopobarba, che la maglia in cui era vestito era morbida, che mi aveva posato il mento sulla testa con delicatezza ma immersa come ero nel mio trambusto emozionale, non avevo fatto caso a moltissime cose. Il mio cervello però continuava a macchinare ipotesi, come se potessi scoprirne così l'identità.

-Bella addormentata!- esclamò la voce di Samuel, o forse si chiamava Simon, il cugino di Kim. Gli lanciai un'occhiataccia e poi ricordando che ero a lavoro, sorrisi. Non c'era la strega a riprendermi se qualche volta mi mettevo a riflettere su quello che mi stava accadendo e ne ero contenta, però ora sembrava cimentarsi lui in quell'impresa. Che fosse stato lui ad abbracciarmi? No, non credo, poi era comparso sopra le scale, con un'aria di superiorità tra l'altro. Non poteva essere stato lui.

-Ciao- risposi soltanto, insicura del suo nome. Kim mi aveva detto che era venuto in città per qualche giorno, speravo già di non rivederlo più, perché non mi stava per nulla simpatico. Mi girai a sistemare le tazze sopra la macchina del caffè, dandogli le spalle. Non volevo vederlo più, lui e i suoi capelli colmi di carotene. Mi promisi di chiedere a Kim per quanto tempo avrei dovuto sopportarlo ancora o se esisteva un modo per sopportarlo veramente.

-Tutto bene?- mi domandò. Io mi rigirai verso di lui e gli lanciai una nuova occhiata sbilenca. -Sì, perché?- chiesi, sorpresa dal fatto che si potesse preoccupare di come stavo.

Mi guardò in silenzio per qualche secondo e sorrise come un bambino a cui danno il regalo di Natale.

-Ho capito, sei la solita ragazza sbadata con la testa tra le nuvole- disse, rompendo il mio autocontrollo, come un bicchiere che cade per terra. Io sospirai, indecisa se chiamare sua zia per trattenermi o tirargli direttamente un pugno sul naso. Ancora ero arrabbiata con lui per la festa, per il mio modo in cui si era permesso di stringermi quando mi aveva chiesto di ballare. Perché sembrava voler provarci con me ed ora giocava, prendendomi in giro, pensando di essere mister Pagliaccio. Volevo ignorarlo, ma lui disorientava tutti i miei intenti e buoni propositi.

-Vuoi ordinare qualcosa?- mi sforzai di dirgli in modo carino, mentre dentro di me vedevo già la sua bambola voodoo in una morsa di spilli appuntiti.

-No, in realtà cercavo mia zia, c'è?-.

-No-. Cavolo, imprecai mentalmente. -E' andata a fare la spesa perché i fornitori hanno sbagliato a portarci delle.. cose che le servono, tornerà tra un'ora penso, o forse due- risposi insicura, pregando perché se ne andasse.

-Va bene, allora l'aspetto qui, intanto ti faccio compagnia-. Ecco.

-Ci sono già i clienti per la compagnia- replicai, quasi senza rendermene conto.

-E dai, mica sarai arrabbiata con me per la festa? Sono stato bravo-.

-Ho vinto!- strillò un vecchietto seduto davanti a un computer, attirando molteplici sguardi su di sé. Non mi era nuova come scena, ma Simon ridacchiò. Il signore aveva alzato i pugni chiusi al cielo, e si acclamava come se fosse un campione, mentre un suo compagno di briscola online si alzava dalla postazione vicina e lo abbracciava forte.

Quella mattina non c'era nemmeno molto da fare. Feci un caffè a due autisti dell'autobus in pausa. Poi decisi di passare da dietro il bancone, la mia barriera, per pulire un tavolino e portare via dei bicchieri sporchi. Simon si era andato a sedere ad un computer e sembrava concentrato su quello che stava facendo. Roteai gli occhi e fissai il soffitto per un attimo, poi raccolsi delle briciole con uno straccio da un altro tavolo. A volte sentivo il desiderio di scappare. Andare lontano da tutta quella situazione, staccare la spina e non pensare più a nulla. Guardai l'orologio a forma di delfino azzurro appeso alla parete. Rachel ancora non era tornata. Simon si riavvicinò a me. Prendendomi alla sprovvista, perché come al solito, ormai ero alla ricerca di un sentiero sicuro dentro la mia mente. Al riparo da tutti i miei dubbi.

-Ehm Lucy?- attirò la mia attenzione, accompagnando le sue parole da una delicata carezza sul mio polso. Che cosa voleva ora? Ero pronta a fulminarlo con lo sguardo, ma mi bloccai.

-Qualcuno ha lasciato questa busta, credo sia per te, c'è il tuo nome-. Mi porse un piccolo pezzo di carta. Grande coi quei bigliettini che si mettono quando scrivi un pensiero su un mazzo di fiori. Lo presi e vidi il mio nome scritto a penna biro rossa sopra. Era sigillata e firmata. Quindi se qualcuno l'avesse aperta al posto mio, lo avrei sicuramente notato. Che cosa strana.

-Chi te l'ha data?- gli chiesi stupita. Era tutto uno scherzo vero?

-No era su un tavolino, me ne sono accorto poco fa-.

Boh. Non sapevo se crederci molto. La calligrafia non la riconoscevo. Lo ringraziai e lui sorrise tornando al suo posto. Tornai al sicuro, dietro il bancone del bar. Sbuffai. Sapevo che non dovevo aprirla se non volevo attirarmi altri guai, ma la curiosità mi stava uccidendo e poi magari all'interno compariva il nome di un mittente.

Con un gesto un po' tremante sollevai la linguetta di carta che la chiudeva ed estrassi il foglietto all'interno. Era scritto con lettere ritagliate dai giornali ed incollate tutte vicine, come le domande di riscatto che si vedono nei film polizieschi.

“Guardati le spalle idiota”

Sembrava un consiglio da seguire, piuttosto che una minaccia. O almeno così lo interpretavo. Anzi, sembrava proprio un pessimo scherzo, in cui qualcuno cercava di spaventarmi oltre che insultarmi gratuitamente. Storsi le labbra in una smorfia. I miei occhi corsero su ogni presente in sala. I due soliti vecchietti, Simon che mi aveva consegnato la busta, due ragazze sconosciute che parlavano sedute a un tavolino e una signora fuori che fumava. Aveva preso un caffè amaro da portare via, non mi ricordavo il suo viso, e da quella prospettiva le vedevo solo una cascata di lunghi capelli biondo cenere coprire la sua schiena, avvolta in una giacca di pelle scura. Al polso aveva un orologio dorato e una scia di bracciali tondi e spessi di colore bianco. Anche lei comunque era una sconosciuta. Feci un segno a Simon, che prontamente si alzò e mi raggiunse. Non era davvero concentrato sul suo lavoro, mi seguiva con lo sguardo.

-Non è carino da parte tua- gli dissi, sventolando il bigliettino quasi davanti la sua faccia.

-Cosa?- chiese completamente perplesso.

-Vuoi spaventarmi? Beh non ci sei riuscito-. In realtà ero leggermente preoccupata, non volevo diventare il bersaglio di scherzi da bambini.

-Non ho fatto nulla mia cara- rispose, grattandosi distrattamente il mento. Poi afferrò il cartoncino, strappandolo via dalla mia mano e lo lesse con sguardo così attento che sembrava avere la vista a raggi x e fargli uno scanner, per scoprire qualche impronta compromettente.

-Oh- esclamò -sembra che qualcuno voglia farti un brutto scherzo-.

-E' quello che ho pensato anche io- gli rivelai.

Rachel comparve dietro di me, facendoci prendere un colpo. Si stava legando il grembiule in vita. -Perdonami Lucy se ci ho messo molto- si scusò e poi salutò suo nipote.

-Non preoccuparti- le dissi, avvicinandomi a Simon perché potesse ridarmi il biglietto senza farsi notare, mentre lui si spostava verso di me e Rachel, dietro al bancone, per abbracciare sua zia. Ci aveva interrotto, ma dalla sua reazione capii che non era lui il mittente dello scherzo. E allora chi era? Dovevo veramente seguire quel consiglio? No, non ci avrei dato importanza.

Il resto del turno di lavoro continuò tranquillo per fortuna e mi convinsi che il biglietto era solo un tentativo di spaventarmi finito male. Ormai camminavo per la strada fino a raggiungere la solita fermata dell'autobus, che mi avrebbe riportata a casa. Il fogliettino lo avevo pure buttato nel cestino della caffetteria. Mi sentivo più stanca del solito, ma forse era solo per la marea di pensieri. Chiusi gli occhi e mi immaginai su una spiaggia. La sabbia soffice sotto ai piedi, il rumore delle onde che ti cullano. La solitudine. Volevo un po' di pace. Mi chiedevo cosa volessero improvvisamente tutti da me. Qualcosa attirò la mia attenzione, scuotendomi dai miei desideri. Avevo la sensazione di essere osservata. Mi guardai attorno ma, a parte qualche passante che non si curava di me, non c'era niente di male. Girai l'angolo della strada e aumentai il passo, come se fossi in ritardo, ma non lo ero. La strana sensazione aumentò. Mi sentivo in pericolo. Mi voltai e la vidi, una figura si nascose dietro un cassonetto della spazzatura a lato del marciapiede, nel momento in cui mi ero girata. Presi il cellulare fingendo di controllare l'orario e notai, nel riflesso dello schermo, la figura spuntare da dietro il suo nascondiglio per spiarmi. Qualcuno voleva giocare con i miei nervi a quanto pareva. Continuai a camminare, sperando che si sarebbe fermata lì. Non riuscivo a capire chi fosse, era ben camuffato. Portava una specie di sciarpa a coprirgli il naso e un cappello, che lo rendevano abbastanza buffo. Perché mi seguiva? Era il mittente del bigliettino? Chi era?

Non si fermò, salì pure nell'autobus con me ed altri passanti che aspettavano la solita scatola di sardine. Dalla corporatura era sicuramente un ragazzo. Prese posto qualche sedile dietro di me e per non farmi notare evitai di girarmi per continuare a guardarlo in continuazione. Ma volevo dannatamente capire se avesse qualcosa di vagamente familiare.

Scesi in centro apposta, per disorientarlo e mescolarmi tra la massa di gente che saliva e scendeva.

Ma non bastò. Lui mi seguiva ancora. Non volevo fermarmi e parlargli, se voleva farmi del male ne avrebbe approfittato. Ora lo scherzo stava diventando veramente brutto e senza un senso logico. Non avevo fatto niente di male a nessuno. Sbuffai e cominciai quasi a correre. Anche il mio inseguitore aumentò l'andatura. Finché non mi bloccai ad un certo punto. Su un muro c'era il mio nome, scritto in rosso, con una freccia che indicava una direzione che non prendevo spesso. Per tornare a casa dovevo comunque procedere verso la direzione opposta, quindi non l'avrei seguita. Ero sicurissima che non ci fosse stato quel disegno quella mattina. Che diavolo stava succedendo?

Che fosse lui quello che mi aveva abbracciato al locale quella sera? Ma perché si comportava così?

Arrivata quasi alla via che scendeva verso le campagne del paese, il mio inseguitore smise di darmi la caccia. Eravamo rimasti soli ad avanzare sul marciapiede, tranne per qualche passante in bicicletta. Tirai un sospiro di sollievo e mi guardai più volte le spalle per controllare che mi avesse realmente lasciato in pace.

Presi il telefono dalla mia piccola borsa a tracolla marrone e composi l'unico numero che ero certa potesse aiutarmi.

Non rispose subito e pensai di averlo disturbato. Mi richiamò lui mentre mancavano ormai pochi metri a casa mia.

-Lucy? Tutto bene?- mi chiese con voce roca. Il suo respiro era affannato. Chissà cosa stava facendo.

Gli avevo lasciato tre chiamate perse in segreteria.

-Ho uno stalker che mi segue- risposi, senza peli sulla lingua, con ancora il cuore che mi pompava di preoccupazione – uno vero- aggiunsi con quanta più serietà avessi in corpo in quel momento, in modo tale che pensasse che non mi stessi riferendo a lui o stessi giocando.

Mi immaginai la sua faccia perplessa. -Sei sicura?-.

-Sì-. L'ansia era palpabile. -Mi ha inseguito letteralmente, mentre tornavo a casa Nial-.

Sapevo di aver un tono spaventato e insopportabile, ma lui sembrava così dannatamente calmo.

-Okay aspetta- mi disse con sicurezza e percepii i suoi passi, mentre si muoveva, dall'altra parte del telefono. -Ti sto guardando e non c'è nessuno dietro di te-.

-Ah.. sei a casa?- gli chiesi quasi con timidezza.

-Strano ma vero-.

Continuai a camminare, guardando la strada davanti a me, incapace di alzare gli occhi verso quella finestra, dove avrei visto la sua figura. -Smettila di fissarmi e comunque non mi ha seguita fino a casa. Credo sia Eliza che vuole farmi un pessimo scherzo-. Anche se era un ragazzo il mio inseguitore, lei poteva aver chiesto un favore a qualcuno. Ero convinta della mia teoria, per questo volevo chiedergli aiuto. Magari lui, che la conosceva meglio, sapeva qualcosa.

-Ely? Non credo, stai tranquilla- smentì subito le mie parole, cercando di calmarmi.

-Sì invece, Nial quella ragazza mi odia-. Sbuffai. Era tanto difficile da credere?

-Te lo ha detto in faccia?-.

Non mi aveva mai detto che le stavo sulle scatole. Ma non ci voleva un genio per capirlo. -Ancora no-.

-Allora non ti odia-.

Se mi sbagliavo, allora non avevo proprio idea di chi potesse trattarsi. Non avevo una lista di sospettati, ma volevo che finisse lo scherzo e che non succedesse altro. -Allora chi può essere?-.

-Non sono un veggente, ma lo scopriremo, quindi sta calma-.

Mi stava dicendo che mi avrebbe aiutata? Cercai di seguire il suo consiglio e di calmarmi, anche perché mi rendevo conto che se tornavo a casa scombussolata i miei genitori si sarebbero preoccupati. -Okay, ci proverò-.

-Non permetterò che ti accada qualcosa di brutto-.

Iniziava con le frasi dolci, cercando di sciogliermi. Rallentai il passo, e pensai di cambiare argomento. Per me era sempre strano quando faceva il carino. Non avrei mai pensato che potesse nascondere una parte dolce e romantica, anche se con me lo era sempre stato. -Che stavi facendo?- gli chiesi, decisa a mettere da parte per un po' tutta la faccenda dell'inseguimento.

-Io..ehm..- rispose, questa volta tentennando -sono con Eliza, ma lei è sotto la doccia, quindi possiamo parlare anche di lei, tanto non ci sente-.

Eliza? Sotto la doccia? Perché si dovrebbe fare la doccia a casa di Nial? Sospirai, seguita da lui. No Lucy non pensare male, mi dissi, e mi sforzai veramente di farlo. -Ti sei tranquillizzata?- mi domandò rompendo quel silenzio truce.

No. -Sì- risposi, cercando di convincerlo. Non avevo nemmeno più voglia di parlargli dopo quello che mi aveva rivelato, se reagivo con impulsività. Nonostante cercavo di convincermi che tra lui ed Eliza non ci fosse più nulla. Anche se i comportamenti di lei mi dicevano il contrario. Ma aveva un fidanzato, cavolo. Doveva pur significare qualcosa. Ecco, stavo di nuovo facendo i miei soliti viaggi mentali. Per fortuna lui non poteva vedere la mia faccia in modo chiaro, altrimenti avrebbe notato che mi aveva scosso. Mi sforzai di parlare. Ormai ero a casa. -Senti io sono..- cominciai.

-Davanti al tuo cancello, lo vedo- completò lui per me.

-Okay ti saluto- mormorai a denti stretti. La verità era che io mi sentivo gelosa. Ero gelosa e avevo ancora paura che potesse prendermi in giro.

-Okay, ciao... Lucy- mi salutò senza usare il solito soprannome.

La mia bocca si mosse in automatico, la voce trovò il suo modo di manifestarsi amaramente per conto suo. Come se non mi appartenesse. -Ciao- risposi, il saluto prese vita sulle mie labbra improvvisamente controvoglia, prima di chiudere la chiamata con insistenza e tristemente suonare il campanello di casa mia. In realtà avrei voluto fargli tutte le domande che mi si erano accumulate in testa, ma non trovavo davvero il coraggio senza pensare che lui potesse giudicarmi.


Angolo autrice
Ciao a tutti i lettori! Ci tengo a scusarmi per il ritardo con cui sto pubblicando i capitoli, ma purtroppo come ho detto in precedenza, ho tanti pensieri e tra una cosa e l'altra mi sta riuscendo difficile rispettare le solite scadenze.. Mi dispiace. Comunque pubblicherò un capitolo ogni settimana circa.
Ringrazio tutti quelli che continueranno a seguire la storia ^^ soprattutto con le recensioni.
Grazie per tutto il sostegno.
Si avvicina il fatidico sacrificio che Lucy dovrà fare. Quale sarà? Si accettano scommesse, no dai scherzo. Non do altri spoiler xD
Al prossimo capitolo,
Gaia.

 

Chiedo scusa per il ritardo che sto avendo nella pubblicazione, di nuovo, del prossimo capitolo. Credo che massimo per mercoledì sarà visibile ^^ Grazie per la pazienza. Sto aiutando un amico a pubblicare il suo romanzo e quindi sono stata impegnata nel correggerlo. Grazie infinite a tutti voi per il tempo che mi dedicate.

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Capitolo 23
*** Capitolo ventidue - Maledizioni ed incidenti ***


Capitolo ventidue: Maledizioni e incidenti

Ciò che noi chiamiamo imprevisti non sono altro che un susseguirsi di problemi..
 

Erano passati esattamente cinque giorni da quando quel tizio buffo mi aveva inseguita. Cinque giorni tranquilli, per cui mi convinsi che era solo un brutto scherzo finito male. Anche se davvero non avevo la più pallida idea dei motivi che si nascondevano dietro tale gesto. Avevo passato momenti d'ansia, guardandomi attorno, sperando che non mi succedesse più nulla e nulla era accaduto, quindi dopo quel tempo di calma apparente, avevo seriamente deciso di tirare un sospiro di sollievo. Non poteva essere la calma prima della tempesta. Ero certa che non avevo guai con nessuno. Quindi perché qualcuno doveva farmi paura?

Quella sera ero tornata prima a casa, così avevo aiutato mia madre a raccogliere il bucato lasciato ad asciugare fuori. Erano appena le quattro e Rachel aveva deciso di chiudere il bar in anticipo, visto che doveva esserci un controllo dell'energia elettrica nel quartiere e non avremmo avuto l'elettricità per un paio d'ore.

-A cuccia Bitter!- ordinai al cucciolotto nero, mentre cercava di addentare un calzino che avevo appena buttato malamente nella bacinella. Lui ovviamente, dopo avermi guardato per qualche istante con dolci occhioni, non mi ascoltò ed afferrò il suo bersaglio tra i denti e poi scappò verso la sua cuccia. Sospirai. Non aveva senso inseguirlo, perché tanto non lo avrebbe lasciato andare, quel guastafeste.

-Tesoro- mi chiamò mia madre da sotto il porticato di casa. Il mio sguardo si calamitò verso di lei. Odiavo letteralmente quando mi chiamava così, ma pazienza, era mia madre e probabilmente anche quando avrei avuto cinquanta anni lo avrebbe fatto. Aveva qualcosa tra le mani. Aguzzai la vista e notai il mio cellulare. -Continua a squillare, rispondo?- mi chiese. Finii di recuperare le ultime cose stese sul ferro e ormai asciutte, ed andai verso di lei. -No tranquilla mamma, faccio io- le risposi, posando l'ingombrante bacinella stracolma a terra e prendendo il mio telefono tra le mani.

Mi cercava tanto insistentemente?

Sbloccai il salvaschermo e trovai delle chiamate da un numero privato. Dodici per l'esattezza, tutte di seguito. L'ultima risaliva a tre minuti prima. Chi era?

Sbuffai, non potevo mai stare tranquilla. In quel preciso momento il telefono suonò di nuovo, tra le mie mani, illuminandosi. Potevo scoprirlo solo in un modo. Sorrisi a mia madre per non farla preoccupare, e mentre salivo in fretta le scale per raggiungere la mia camera, risposi. Posai con cautela il cellulare all'orecchio destro. Provavo a controllarmi ma non ci riuscivo. -Pronto?- la mia voce era nervosa. -Evviva, finalmente mi rispondi- rispose una voce maschile dal tono molto profondo.

Non sapevo dire di chi fosse. Non la riconoscevo. Il suono giungeva ovattato, come se parlasse attraverso un tessuto.

-Chi parla?- chiesi, trattenendo il fiato.

-Non importa chi sono- disse, con voce maledettamente calma e sensuale -importa solo ciò che ho da dirti ora-.

-Come? Cos..?- farfugliai disorientata.

-Devi stare lontana da Nial, questo è un avviso dolcezza- mi interruppe quasi con prepotenza.

-Chi sei?- tentai di nuovo, impaurita dalla situazione.

-Te l'ho detto, non importa, ma lui ti sta prendendo in giro, fidati di me. Meglio se lasci perdere-.

Che cosa significava? Non so dove trovai il coraggio di rispondere ma lo feci. -Senti, non so chi diavolo tu sia quindi non mi fido di te. Non ti azzardare a richiamarmi, inseguirmi o importunarmi o andrò dalla polizia- lo minacciai, anche se la mia voce mi sembrava spezzata e affranta. Poi chiusi la chiamata. Mentre sapevo che quel soggetto stava per dirmi qualcos'altro. Ma davvero non ne potevo più. Sperai solamente di averlo messo in guardia e che mi avrebbe ascoltata.

Che diamine stava succedendo? Mi massaggiai le tempie.

Mi aveva dato un indizio. Centrava Nial. Sapevo che a quest'ora lui era ancora a lavoro, mentre poi andava al corso serale a scuola. Come potevo disturbarlo? Probabilmente mi avrebbe risposto solo domani, una volta sveglio o nel cuore nella notte, quando io dormivo. Io invece avevo bisogno di risposte e le volevo subito. Volevo togliermi quel sassolino da sotto la scarpa e non pensarci più.

Ripresi il cellulare che avevo lasciato sul letto, e dopo un minuto buono perso ad camminare nervosamente su e giù per la stanza, mi decisi di scrivere prima di tutto un messaggio a Nial. Dovevo avvisarlo, lui sicuramente poteva aiutarmi a capire chi fosse questo misterioso tizio che a quanto pareva, aveva proprio intenzione di perseguitarmi.

Lo stalker non è sparito. Oggi penso mi abbia chiamata dicendomi di starti lontana. Hai idea di chi può essere? Io sono spaventata. Davvero, e scusami se queste parole ti metteranno agitazione, ma appena puoi chiamami”.

Rilessi più volte ciò che avevo scritto, poi inviai. Non sapevo esattamente che fare. Che fosse Chris? Non era quella la sua voce ma si può sempre camuffare, mi dissi. Poi mi ricordai della freccia sul muro. Quella che avevo visto il pomeriggio che lo stalker aveva deciso di pedinarmi. Forse indicava una direzione ben precisa, che mi avrebbe aiutato a far luce sul caso, o peggio, condotto ad una trappola. Volevo veramente andare nella tana del lupo? Sì. Dovevo capire cosa stava succedendo.

Presi la mia borsa, ci infilai dentro il telefono e corsi giù dalle scale a cambiarmi le pantofole.

-Stai uscendo?- mi chiese mia madre perplessa, notando che ero piuttosto agitata.

-Sì, mamma- le risposi -devo comprare una cosa- le spiegai, inventando una scusa.

-Va bene, allora ti dispiace comprare un giornale?-

-Perché?- le chiesi perplessa. Di solito nessuno a casa mia leggeva i quotidiani.

-Hanno fatto un intervista a tuo fratello due giorni fa e sono curiosa di leggerla- disse, sorridendo soddisfatta di Nath. Io invece ero all'oscuro di tutto. La guardai sorpresa, smettendo di allacciarmi la scarpa destra. -Intervista? E perché non mi avete detto nulla?- la rimproverai.

-Ci saremo dimenticati. Comunque è per il suo negozio, sta andando a gonfie vele-.

-Sì questo me lo aveva detto- rimuginai, ricordando che probabilmente mio fratello me lo aveva detto e forse me ne ero completamente scordata. Dopotutto era un piccolo paese e tutto faceva subito notizia.

-Bene allora lo compri tu?- mi riportò lei alla realtà.

-Sì mamma non preoccuparti-.

-Grazie- riuscii a sentire che mi diceva, mentre chiudevo la porta d'ingresso alle mie spalle.

Non sapevo da dove provenisse tutto quel coraggio improvviso. Non capivo perché dovessi avere dei problemi per colpa di Nial. Forse mi aveva mentito. Forse era nei guai e non aveva affatto cercato di rimediare al suo passato. Io volevo solo che quella storia finisse e capire chi c'era dietro. Sapevo già che quelle semplici timide minacce dette a telefono non sarebbero bastate a fermare un potenziale stalker. Potevo andare alla polizia ma non avevo che un pugno di prove e dei tentativi di prendermi in giro fatti a singhiozzo. Non volevo mettere in mezzo troppe persone, ancora speravo si trattasse di uno stupido scherzo. Dovevo cavarmela da me. Velocemente raggiunsi il muro dove vi era scritto il mio nome e la freccia. Era il solo indizio lasciato dallo stalker, lo sapevo. Lo fissai. Fissai quell'inchiostro rosso sul muro di mattoni, per poi convincermi a proseguire verso la direzione indicata. Mi sentivo temeraria, ma passo dopo passo il coraggio e la voglia di capire, vacillavano e smettevano di accompagnarmi. Cosa avrei trovato alla fine del tunnel? Cosa speravo di trovare?. Mi bloccai di colpo di fronte ad un'altra freccia e svoltai a sinistra in quei vicoletti che facevano da padroni nel centro del paese. Per poi arrivare ad un negozio di tatuaggi. L'insegna era vecchia e sbiadita, non si leggeva nemmeno il nome. L'ingresso era molto piccolo ed era così imbucato in quel dedalo di casette che dubitavo avesse molti clienti. Era aperto però. Strinsi i pugni ed entrai. L'ambiente era molto curato, più di quanto mi aspettassi. Miriadi di disegni coloravano le pareti. Quello di un veliero attirò la mia attenzione. Solcava quella che sembrava un'onda appena accennata sotto il legno dello scafo. Vele nere sventolavano in un vento invisibile impresso su carta da leggere scie di matita scura, che spezzavano le linee dell'imbarcazione. Era molto bello e ricco di dettagli.

-Ciao, benvenuta- mi disse, facendomi spaventare, il tatuatore, comparendo da una saletta da retrobottega. -Passione per i pirati?- mi chiese, sorridendo. Lo fissai, quasi ammaliata e incapace di parlare. Io lo avevo già visto. Solo che non ricordavo dove. Chi era? Mi ricordava qualcuno.

-Io..io..- farfugliai imbarazzata.

-Ah capisco- continuò guardandomi con attenzione ogni parte di pelle scoperta. Le mani, il collo, il viso. Come si focalizzò sul mio collo mi fece rabbrividire. Aveva due occhi nocciola profondi e penetranti. -Primo tatuaggio vero?- domandò, praticamente a poca distanza da me. Quando si era avvicinato?. -Il primo è sempre il più duro, ma non fa così male come dicono, a meno che la tua soglia di sopportazione del dolore non sia pari a quella di un bambino-. Mi fece l'occhiolino. -Decidi pure con calma, non avevi appuntamento vero?- disse poi, andando dietro un moderno tavolo nero, per sfogliare un raccoglitore ad anelli. Aveva una matita sorretta sull'orecchio tempestato di piercing. La prese per scrivere qualcosa sul foglio. Perché ero lì? Che ci facevo in un negozio di tatuaggi? Che centrava questo tizio con il potenziale stalker che aveva problemi con Nial? La testa mi scoppiava, quasi, per le troppe domande senza risposta.

-Non aver paura, non mordo mica-. Rise e mi accorsi che lo avevo fissato tutto il tempo, forse impaurita. -Mi scusi io, temo di aver sbagliato negozio- mi scusai, non sapendo esattamente che fare. -I disegni sono bellissimi- aggiunsi poi, per cercare di non sembrare una pazza.

Lui sorrise, come se non fosse accaduto nulla o forse per mettermi a mio agio.

-Io allora vado, buona giornata- salutai quel ragazzo, con un sorriso tirato, indicando l'uscita. Che macello stavo combinando.

-Buona giornata- rispose il tizio. Dove potevo averlo già visto? Mi sembrava davvero familiare. Poi l'occhio mi cadde sullo stesso simbolo tribale che Nial aveva sul braccio. Feci dietro front. Era proprio quel disegno e chiedere un'informazione non costava nulla.

-Scusami, posso solo farle una domanda?- gli chiesi, con timidezza.

-Ma certo cara, dimmi tutto-. Mi sorrise di nuovo, invitante. Magari sperava che prima o poi mi sarei fatta un tatuaggio. -Conosci Nial?- e mentre lo chiedevo indicai il disegno del tatuaggio. Sperando capisse.

Lui alzò un attimo lo sguardo verso il soffitto, l'unica parte bianca di quel luogo e poi annuì. -Gli ho fatto tre tatuaggi, sei la sua nuova ragazza?-.

-Io? No, solo un'amica- mi affrettai a rispondere. Perché diavolo se Nial frequentava una donna doveva per forza starci assieme?

-Capisco. Beh.. era un mio cliente- mi rispose poi. Era, quindi ora non più. Ma un'altra informazione si fece strada nella mia mente con più intensità. Nial aveva tre tatuaggi, quindi due ancora non li avevo visti. Lui appoggiò i gomiti sul tavolino.

-Allora- ricominciò alzando un sopracciglio -ti farai un tatuaggio?-.

Ovviamente pensava a lavorare. -No, mi scusi per il disturbo- risposi e subito sul suo viso si dipinse un'espressione di delusione mista a tristezza.

-Peccato- disse -se cambi idea eccoti un mio bigliettino da visita-. Me lo porse, togliendoselo dalla taschina della camicia nera. Io non potei fare a meno di prenderlo. Lo guardai un'ultima volta sperando che mi balenasse in mente chi diavolo fosse o mi ricordasse. -Grazie- salutai, riponendo il biglietto nella tasca dei miei jeans. Poi una volta uscita, mi fermai a pochi passi dall'entrata e lo ripresi in mano. L'unica cosa che sembrò dirmi qualcosa di sensato era l'inchiostro rosso. Ma poteva pur essere tutto una pura coincidenza. Anche le frecce, il colore. Poteva trattarsi anche di una pista falsa. Mi stavo sentendo davvero come uno di quegli investigatori privati. Sbuffai. Non avevo scoperto nulla che potesse aiutarmi veramente.

Stavo camminando, con l'intento di comprare il giornale per mia madre e tornare a casa. Forse Nial avrebbe saputo dirmi qualcosa. Mi morsi il labbro. Non avevo mai avuto problemi con nessuno. Quando all'improvviso sentii dei passi dietro di me. Qualcuno correva. Mi girai e tutto avvenne velocemente, senza che potessi fare esattamente qualcosa. Mi ritrovai a fissare il buio di quello che sembrava un sacchetto della spazzatura, messo con malagrazia sopra la mia testa. Puzzava di plastica. Sempre qualcuno mi bloccava i polsi dietro la schiena. La calma scemò definitivamente, mentre di istinto mi mettevo a gridare aiuto per quell'aggressione in pieno pomeriggio. Che diavolo stava succedendo? Mi sembrava di essere in un film. Cercai di dimenarmi e spingere via l'aggressore. Finsi di svenire cadendo a peso morto, mentre con una mano mi bloccava e l'altra mi tappava la bocca. Spingendomi quel sacchetto con le labbra e la pelle. Mi sentivo soffocare. Avevo paura, le lacrime rigarono il mio volto coperto, mentre ipotizzavo di dargli una testata. Qualsiasi cosa pur di liberarmi, fuggire e salvarmi la vita.

-Doveva essere solo uno scherzo- disse la voce alle mie spalle -stai buona e fai quello che ti ho detto a telefono e non ti succederà nulla, te lo prometto- continuò, forse nel tentativo di calmarmi, mentre mi sorreggeva, per evitarmi di farmi cadere per terra. Poi improvvisamente mi lasciò andare, come se avesse ricevuto le mie suppliche mentali di non farmi del male. Mi tolsi ciò che mi oscura la vista, ma lui non c'era già più, nascosto probabilmente nei meandri intricati di quelle viette. Lasciai il sacco cadere a terra, guardandolo schifata. Che potevo fare? Non lo sapevo. Tutte quelle minacce solo perché conoscevo Nial? Non mi era mai successo nulla nel piccolo e tranquillo paesetto dove vivevo. Mai.

Corsi via, come se mi fossi trasformata in una maratoneta. fino ad arrivare di nuovo al centro. Dove si trovavano i negozi e le persone. Mi sentii leggermente più al sicuro con la presenza di altre persone in giro.

Presa ancora dalla foga dello spavento, scrissi all'apparente causa di tutti i miei problemi.

E' meglio se restiamo lontani, mi hanno aggredita perché ti conosco”.

Mi pentii subito di avergli inviato quel messaggio, ma che altro potevo fare? Non volevo che i suoi casini finissero su di me e mi stavo quasi ricredendo di nuovo sul suo conto. Maledii perfino la volta in cui avevo accettato di parlargli.

Tornata a casa ero sconvolta, me lo si leggeva in faccia, mi ero pure dimenticata di comprare il giornale. Dovetti per forza raccontare tutto ai miei genitori. Mio padre era appena rincasato e continuò a chiedermi se avessi problemi con qualcuno, ma la mia risposta era sempre negativa. Non avevo fatto niente di male, di questo ne ero certa.

Ovviamente loro, apprensivi come erano, vollero denunciare tutto alla polizia, ma li convinsi a lasciar perdere. Non volevo peggiorare la situazione, anche se non potevo biasimarli. Anche io ero palesemente su di giri per l'ansia.

Quella sera avevo lo stomaco sotto sopra e a cena mangiai pochissimo e contro voglia. Fissai il cielo che si era rannuvolato e inscurito dalla finestra delle scale, tenendo il cellulare stretto in mano. Nial non aveva ancora risposto. Il tizio non mi aveva più richiamata. Magari sperava di avermi convinto a mollare la mia amicizia con Nial. Il problema era mi aveva davvero convinto a chiuderla con quel tentativo? Mi scompigliai i capelli, ero nervosa per quello che gli avevo scritto subito dopo lo scampato pericolo. Se avessi potuto farlo lo avrei cancellato. Ma in verità non volevo rimediare dentro di me. Era lui la causa di tutti quei casini.

-Lucy- mi chiamò mio padre dall'inizio delle scale, risvegliandomi da quella sorta di trance.

-Arrivo- risposi prima di raggiungere i miei genitori in cucina. Presi posto sulla sedia accanto a quella dove era seduta mia madre. Aveva davanti una tazza fumante di tisana al finocchio e camomilla. Probabilmente le aveva fatte per calmare lei e papà. Mi fece un sorriso tirato. -Se non vuoi andare dalla polizia, almeno vai in un posto tranquillo per un po'. Sei grande, non possiamo costringerti, ma sarebbe meglio per tutti- disse poi mio padre, rivelandomi le loro intenzioni e preoccupazioni. Infine non mi era mai successo qualcosa di simile. Non era mai accaduto qualcosa di simile in famiglia. A parte allo zio Harry, una volta in vacanza, quando volevano derubarlo. Ma lì per lì si trattava solo di una vittima scelta puramente a caso.

Non volevo andarmene. E dove poi? Lo chiesi. Mi sembrava come di vivere in una tragedia in quel momento. Mi sembrava tutto così tremendo. Mi stavano costringendo a trasferirmi per tutelare la mia sicurezza da un potenziale ragazzo che voleva tenermi lontana da un altro innamorato di me. Era assurdo. Sembrava un incidente. Una storia a cui faresti fatica a credere.

-Potresti stare per qualche giorno nell'appartamento che ho ereditato dalla nonna, finché tutto non si calma. E' abbastanza lontano- spiegò mia madre.

Non sapevo se la situazione si sarebbe realmente calmata. Qualcuno aveva cercato di farmi del male, ma se mi allontanavo almeno magari sarei stata al sicuro. E non avrebbero cercato di fare del male alla mia famiglia dopo? Ragionai. Mentre mio padre camminava nervosamente, come ero solita fare io quando ero tesa, davanti al ripiano dei fornelli.

-Capisco che siete preoccupati e forse avete ragione, ma come faccio con il lavoro?- chiesi poi.

-Puoi chiedere alla madre di Kim qualche giorno di ferie- intervenne mio padre, arrestandosi e guardandomi da dietro i suoi occhiali spessi.

Sì, aveva ragione. Sicuramente se le spiegavo cosa stava succedendo, Rachel mi avrebbe appoggiata e poi con l'apertura del MacDonald i clienti erano calati di molto. Quindi potevano bastare anche solo lei ed Eliza a gestire il bar. Solo non ero convinta che la situazione sarebbe tornata a posto scomparendo per un po'. Mi pentivo già di aver coinvolto la mia famiglia in quel dramma, ma mi sbagliavo, non potevo affrontarlo da sola. Perché semplicemente non ne ero in grado. Era troppo anche per me. Ero sempre stata riservata, calma, tranquilla e ora il mio mondo stava per essere sconvolto.

Non penso che avrebbero fatto del male alla mia famiglia, in fin dei conti, chi aveva cercato di rapirmi voleva dissuadermi da stare con Nial e ci stava riuscendo, purtroppo. Quindi era quello il suo intento.

-Suppongo che sia la decisione più saggia sparire per un po'- affermai poi. I miei genitori annuirono e in quel momento mio fratello spalancò la porta della cucina. Non ci eravamo nemmeno accorti che aveva suonato il campanello, presi come eravamo da quella situazione.

-Che facce da funerale!- commentò entrando -cosa è successo?-.

Dovetti così spiegare anche a lui cosa mi era capitato e farlo mi fece sbiancare. Perché proprio a me? Mi sentivo a disagio. Avevo paura che potesse ricapitare e mi convinsi davvero che dovevo affrontare quel sacrificio e scappare. Forse cambiare aria mi avrebbe fatto bene, tentai di trovare un lato positivo.

Vidi il suo nome illuminare il display e il mio cuore fece le capriole, assieme al mio stomaco e ai bocconi di cena che ero riuscita a mandare giù. Mi nascosi sotto una capanna fatta di coperte e risposi. Sì, risposi perché sapevo che lo avevo fatto preoccupare. Non pensavo nemmeno mi avrebbe chiamato quella stessa sera.

-Piccola tutto bene?- la sua voce risuonò dall'altra parte del cellulare, in ansia. -Che è successo? Ho visto solo ora i tuoi messaggi-. Tratteni le lacrime ricordando che era tutta colpa sua e ancora tentava di fare il carino con me. -Sei nei guai con qualcuno?- gli chiesi diretta, quasi sottovoce.

-No, perché? Qualcuno ti ha fatto del male?- mi chiese invece, dolcemente. Tentando di nascondere la nota di preoccupazione con cui mi aveva risposto prima.

-Quasi- dissi e iniziai a raccontargli tutto, mentre una lacrima mi rigava il volto.

Lo sentii imprecare e continuai -Centri tu, mi hanno detto di starti lontano- lui capì subito a quale conclusione portavano le mie parole.

-Piccola non farlo, scopriremo chi è che ti sta facendo questo brutto scherzo e lo fermeremo-.

La faceva facile. Ma non lo era. -No, Nial, io domani parto per un po'. Ho convinto i miei a non denunciare alla polizia, ma vogliono che stia al sicuro per un po'-. Per un po'. Continuavo a ripeterlo ma in realtà non avevo stima del tempo in cui sarei stata via.

-Dove andrai?-.

-Non posso dirtelo-.

-Quanto tempo starai via?-. Lo sentii sbuffare.

-Non lo so-.

-Mi farai impazzire- sussurrò piano, mentre camminava a passo svelto, verso la scuola probabilmente. Quel pesante silenzio venne scandito solo dai suoi respiri affannati. Mentre i miei appena si udivano, come se stessi trattenendo il fiato. -Non puoi sparire, non ora, qualcuno vuole tenerci lontani, ma perché?- disse di nuovo, più verso sé stesso che a me.

Non sapevo che dire. Mi stava forse supplicando?

-Nial io ho paura, non posso rimanere- cercai di convincerlo. -E' meglio così, finché tutto non si calma.. non metterti nei guai- aggiunsi, prima di chiudere quella difficile chiamata che più si prolungava, più mi faceva stare male. Non volevo che per colpa mia si creasse dei problemi. Non volevo avere problemi per colpa sua. Guardai l'orario impresso sullo schermo, lui era in ritardo per l'inizio della lezione. Io ero davvero troppo preoccupata anche solo per riuscire a chiudere occhio.



Angolo autrice
Ciao ^^ Eccomi qui con il nuovo capitolo finalmente. Allora, mi scuso prima di tutto per il ritardo, ma finalmente ce l'ho fatta. E' stato un capitolo strano e difficile, ma volevo mettere una parte imprevista nella storia. Qualcuno vuole tenere lontani Nial e Lucy. Chi? Perché?  Non tarderemo a scoprirlo, vedrete che Nial saprà risolvere la situazione! Ecco il sacrificio che Lucy deve fare. Ovvero cambiare vita per un po'. Trovarsi da sola, vivere da sola, altrove. Mi serviva una scusa per farla trasferire e mettere un ulteriore ostacolo nell'avvicimento tra Lucy e Nial, poi scoprirete tutto u.u So che è un po' anormale come scusa questa ahahah ma boh, altro non mi è passato per la testa. Poi è tutto collegato al bigliettino dello scorso capitolo. Se avete domande comunque fatene ^^ Io sono qui.

Un'ultima cosa, poi la smetto xD Grazie a chi ha aggiunto la mia storia nei propri elenchi :) e volevo anche dirvi che ne sto scrivendo un'altra ma non so se la pubblicherò. Non preoccupatevi, mi impegno a finire questa anche u.u La storia che sto scrivendo è un fantasy e la sto scrivendo per distrarre un mio amico da una cosa brutta che gli è capitata. Se mi vedrete rallentare purtroppo è per questo. Okay, ho finito. 
Al prossimo capitolo. Grazie ancora.
Gaia.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitré - Ombre fantasma ed orme nel cuore ***


Capitolo ventitré: Ombre fantasma ed orme nel cuore

Non lasciare andare via qualcuno, se non sei sicuro di essere più felice rispetto a quando è arrivato da te..

 

Sono sotto casa tua”.

Scrissi di fretta a Eliza, mentre aspettavo appoggiato ad un lampione illuminato, all'angolo della strada. L'avevo già chiamata per dirle che dovevo urgentemente parlarle. Si faceva attendere e tanto per rendermi più dolce quell'attesa aveva iniziato a scendere una leggera pioggerellina notturna. Non mi importava se avevo saltato le lezioni. Dovevo capire, volevo delle risposte ed ero certo, forse me lo diceva il mio sesto senso, che solo Ely poteva darmele.

-Nial..- sentii chiamarmi dalla sua voce flebile.

Alzai gli occhi dal cellulare che mi rigiravo in mano, cercando di asciugare le gocce che si erano fermate sullo schermo, e li rivolsi verso la sua figura. Feci un passo verso di lei, scostandomi dal palo della luce.

-Che succede? Perché a quest'ora di notte volevi vedermi?- mi chiese giustamente.

Lei era perplessa, sembrava addirittura preoccupata, mentre si stringeva nella felpa grigia sotto il suo solito ombrello porpora. Lo aveva dimenticato svariate volte a casa mia quando eravamo una coppia. Ma non era il momento di ricordare quella storia amara.

Sospirai e il mio respiro si condensò in una nuvoletta di fiato, iniziava a far freddo. Il fascio di luce rompeva l'oscurità della notte, proiettando le nostre ombre sull'asfalto bagnato.

Alzò meglio il suo viso verso il mio e notai i suoi occhi stanchi. Dalla sua espressione avrei capito se centrava veramente qualcosa con gli aggressori di Lucy.

-Perché vuoi farmi del male?- le chiesi duro.

-Ma che dici?- rispose visibilmente sorpresa, strizzando gli occhi, come se non sapesse di cosa parlavo. Ma ero certo che fingeva.

-So tutto.. Ely- feci un altro passo verso di lei. Mentre la distanza che ci separava diminuiva sotto quell'incessante ticchettio della pioggia, che mi incollava i capelli sul collo e sulla fronte. Ma non mi importava nemmeno di bagnarmi.

-Di che parli?-.

-Non fare la finta tonta, Lucy è stata aggredita da un tizio nella via dove lavora il tuo ragazzo-.

-Cosa?- continuò a trattenere sul suo volto quell'espressione sorpresa, ma io la conoscevo troppo bene. Sapevo che stava mentendo e sapevo anche come smettere di farle dire bugie.

Mi avvicinai ancora e la vidi impallidire. Ma non fece un passo indietro, anzi restò ferma al suo posto, a fissarmi. Piantando i suoi occhi nei miei, temeraria, come se mi stesse sfidando.

-Perché?- le chiesi con rabbia. -Perché vuoi allontanarla da me?-.

-Perché mi dici questo? Non ho idea di cosa stai dicendo-. Finalmente staccò il suo sguardo dal mio per fissare il marciapiede sotto di noi. Ecco quello che aspettavo. Il segnale che rivelava le sue menzogne.

Ero talmente vicino a lei che potevo abbassarmi sotto l'ombrello e abbracciarla. Le gocce che mi cadevano sul corpo mi fecero chiudere gli occhi per un attimo. Iniziavano ad essere fastidiose. Sembravano spilli freddi, sulla mia pelle bollente di rabbia. Sì, ero arrabbiato. Nessuno mi avrebbe portato via Lucy. Nemmeno lei.

-Ely.. la verità.. lei domani partirà e non la vedrò più. I suoi genitori vogliono tenerla lontano da me, ha dovuto raccontare tutto- dissi, quasi affranto. Doveva sapere che mi aveva ferito.

-Io..- cominciò con il tono di chi è messo alle strette.

-Ely la verità- le ordinai, interrompendo l'ennesima frottola o scusa che stava per dirmi.

-Va bene- disse, alzando una mano, in segno di resa, staccandola dal manico dell'ombrello. -Era tutto un complotto fatto da me e i miei amici, volevo solo spaventarla-.

Ecco lo sapevo. Non poteva essere una coincidenza che Lucy era stata aggredita proprio lì. Lei era una brava ragazza perché doveva attirare dei tipi loschi poi? Era evidente che qualcuno le voleva tirare uno scherzo. Ed era anche evidente che poteva essere solo Eliza la colpevole, visto che è l'unica persona che ci conosce entrambi. Ma non avrei permesso che il piano prendesse ulteriore forma. Ero stato stupido a non accorgermene prima. Avrei magari potuto evitare tutta questa pagliacciata. Io tenevo a Lucy. Volevo proteggerla. -Perché?- domandai di nuovo, riacquistando un po' di calma.

-Perché non lo vedi da solo genio? E' troppo perfetta per te. E' il tuo opposto, non sareste mai andati seriamente d'accordo.. ho solo evitato che si facesse del male, e che te ne facessi anche tu-.

-No, non è vero- risposi, addentrandomi al riparo dell'ombrello e posandole le mani sulle spalle. -Sei impazzita, poteva farsi del male- continuai con sguardo severo. Come diavolo le era saltato in mente di fare una cosa simile? Mi sembrava di avere di fronte una ragazza diversa dalla quale mi ero innamorato tanto tempo fa.

-Non le avrebbero fatto del male, dannazione, non prendertela- sembrò scusarsi, mentre le sue pupille si dilatavano ed ebbi l'impressione che volesse baciarmi.

Mi sembrava tutto così assurdo. Perché arrivare a tanto?. -Centra anche Chris?-.

-No-.

-Sarà meglio per lui- risposi furente. Avrei volentieri spaccato qualcosa in quel momento.

-Nial..- mi chiamò Eliza, ma era come se non la sentissi. Ero troppo arrabbiato e lei pensava che non fosse successo nulla. Che tutto quello che era successo fosse normale. -No lui non sapeva nulla, anzi...- continuò, nel tentativo di farsi strada nel mio risentimento.

-Anzi?- chiesi, alzando un sopracciglio.

Lei si morse il labbro. Sembrava in imbarazzo all'improvviso. -La rivuole indietro a quanto mi dice-.

-Così hai pensato bene di aiutarlo a conquistarla?- chiesi allibito. Mi passai una mano tra i capelli bagnati. Non mi aspettavo tutto questo da parte sua. -Lei è mia- sibilai a denti stretti -lui non la ferirà ancora-. Cercando di farle capire che non aveva possibilità di attuare ciò che aveva in mente e che non mi avrebbe messo più i bastoni tra le ruote.

-Vuoi portarla a letto? Ma non vedi che è una ragazza che si lascia sedurre? E' ancora una bambina-.

Basta. Non potevo sopportare altro dalla sua bocca. Mi ritrovai a stringere la presa sulla sua spalla, quasi senza volerlo. Non volevo insultasse Lucy solo perché aveva dai sani valori.

-Mi fai male!- brontolò lei, cercando di divincolarsi dalla mia stretta.

-Non voglio divertirmi con lei- le risposi, allentando la presa.

-Non ci credo nemmeno un po'-.

-Stavo sistemando la testa per te, ma hai preferito un altro-.

La vidi leggermente rimanere a bocca aperta, come colpita dalle mie parole.

-Smettila di essere gelosa- continuai, sperando che mi avrebbe ascoltato.

-Non sono gelosa Nial- protestò.

-Ora vado e se ti azzardi a farle qualcos'altro, ti giuro Ely che mando a rotoli la nostra amicizia- l'avvisai per poi lasciare la presa dalla sua spalla definitivamente ed uscire da sotto l'ombrello. Mi allontanai, come fa una nave dal porto, senza voltarmi indietro a guardarla. Non c'era più nulla da dire o sapere. Sapevo di averla spaventata e probabilmente avrebbe smesso.

Avevo degli amici terribili. La sola cosa che mi frullava per la testa di fare con loro era di rompere la band. Non aveva senso continuare a passare il tempo con persone che volevano soltanto manovrare la mia vita e pugnalarmi alle spalle.

Quando tornai a casa mi andai a infilare subito sotto la doccia per lavarmi via il gelo della pioggia. Ripensai a quello che mi aveva detto Eliza. Su una cosa aveva ragione purtroppo. Ero diverso da Lucy, come lei lo era da me. Come un'alba e un tramonto, ed ora mi chiedevo se saremmo mai stati sulla stessa lunghezza d'onda. Se le sarebbe mai piaciuto il mio mondo e se poteva andare d'accordo realmente con le impronte che aveva lasciato il mio passato su di me. Avevo tanti pesi che cercavano di incatenarmi. Tante pessime sfumature che facevano di me non il migliore, bensì la peggiore scelta. Il passato turbolento con l'alcool e la droga, le dipendenze, le cavolate, i divertimenti sfrenati. Eppure ora avevo deciso di dire basta a tutto quello e di riprendermi la mia vita. E non lo avevo fatto solo perché avevo incontrato Lucy e volevo che lei si fidasse di me. Lo avevo fatto per me stesso, per garantirmi una vera esistenza normale. Lucy poi piaceva seriamente ed avrei voluto che si accorgesse di me, del mio cambiamento. Ma sembrava che tutto andasse per il verso sbagliato. Tutto mi remava contro. Sembrava come se non riuscissi a fare una mossa giusta.

Uscii dalla doccia e mi avvolsi in un asciugamano. Era quasi l'una e l'acqua calda non era riuscita a calmarmi. Recuperai il telefono e provai a scrivere qualche messaggio a Lucy per avvisarla di ciò che avevo scoperto, anche se ero certo che lei stesse dormendo.

Ho scoperto che avevi ragione tu. Era tutta opera di Eliza. Ma ho già sistemato, per cui non devi più partire”.

Sperai che bastasse a convincerla, a calmarla. Non volevo che se andasse chissà dove, non mentre provavo a conquistare quel suo piccolo cuore pieno di crepe.

Mi vestii e mi misi a strimpellare un po' il basso, steso sul letto finché non mi calmai. Mia madre non era nemmeno in casa. Chissà dove era andata. Non ero nemmeno riuscito a proteggere lei. Come speravo di essere una ancora per Lucy?

Storpiai una nota, azzardandomi a rompere una corda per il nervoso improvviso. Non capivo nemmeno io come dovevo sentirmi. Come dovevo procedere? Il cellulare vibrò sul cuscino, illuminando il buio tetro della mia stanza. Lo afferrai tenendo in grembo il mio strumento.

Che significa che hai sistemato tutto?”. Era Lucy. Forse l'avevo svegliata.

Sei sveglia?” scrissi, preoccupandomene.

Puoi rispondermi? Per favore”. Sembrava nervosa anche lei.

Ho parlato con lei” cominciai, per poi tentare di raccontarle tutto per quei dannati messaggi.

Aspettai per diversi minuti la sua reazione.

Nial.. io comunque partirò”.

Il messaggio arrivò addirittura due volte e mi spiazzò.

Che senso ha? Sto aggiustando tutto”.

I miei staranno tranquilli e così non denunceranno la tua amica. Non dipende solo da me.”

Quindi stavo facendo tutto per nulla. Lei se ne sarebbe andata comunque.

Non ti fidi più di me?”.

Non mi sono mai fidata, di nessuno”.

Quella risposta mi fece perdere ulteriormente il mio già fragile autocontrollo. Combattevo per nulla, come un soldato che non può vincere una sua battaglia, come un atleta che non può raggiungere il suo obiettivo.

Se mi vuoi bene rimani”.

Scrissi di getto, con foga, volevo capire quanto ci tenesse a me. Se stavo lottando per una causa persa oppure quel qualcosa che potevo fare mio.

Nial non è per sempre, non me ne sto andando per sempre”.

Rilessi più volte il messaggio, ma sapere che dopo tutto quello che facevo, dopo tutti i miei tentativi non ero riuscito ad avvicinarla nemmeno un po' a me, mi aveva distrutto. Non bastò a calmarmi.

Allora vattene visto che ci tieni tanto”.

Ero troppo arrabbiato. Gettai il cellulare sul letto, che rimbalzando sul materasso finì per terra, ma non mi curai di raccoglierlo e riaccenderlo. Non volevo sapere più nulla.

Mi sentivo solo, solo come un cane. Avevo voglia di gridare ma a nessuno sarebbe importato.

Alla fine avevano tutti ciò che volevano, tranne me. La mia maschera stava già crollando da tempo, sotto tutti gli sforzi vani che avevo fatto per ottenere ciò che volevo.

Avevo tutto il diritto di sentirmi così. Non ero di certo un supereroe. Non potevo mantenere la mia espressione da menefreghista di fronte a tutti quei problemi. Per ogni passo che facevo qualcos'altro mi respingeva sul fondo. Dove era finita la mia forza di volontà? Mi sentivo esattamente come un fantasma, la cui anima veniva risucchiata piano piano da un vortice di incomprensioni.

Drin. Drin. Drin. Il trillo del campanello urtò i miei pensieri dolorosi. Chi cavolo poteva essere a quell'ora di notte? Pensai che fosse mia madre che aveva scordato le chiavi e mi alzai controvoglia per andare ad aprire. Ma i miei occhi trovarono davanti la figura minuta ed infreddolita di Lucy. Attraversai il piccolo giardino fino al cancello, fino a raggiungerla.

-Che cavolo ci fai qui?- le chiesi, mentre mi scappava un sospiro di frustrazione. Non ero pronto a sostenere una conversazione con lei, non con tutta quella rabbia che mi frullava dentro e mi incupiva lo sguardo.

-Non mi rispondevi più e mi stavo preoccupando- rispose, stringendosi le braccia al petto, senza guardarmi. Sarebbe stato giusto farla entrare ma sapevo già che non lo avrebbe fatto. Delle occhiaie leggere le cerchiavano gli occhi e notai che tratteneva uno sbadiglio. Era sempre così tenera e delicata. Come se fosse un fiore di campo. Nonostante la stanchezza però era qui.

-Sto bene- mentii -non farò pazzie, quindi non preoccuparti- le confidai, capendo perché si trovava davanti la porta di casa mia.

-Me lo prometti?- disse, colta di sorpresa, alzando finalmente lo sguardo dal suolo verso i miei occhi. Sembravano così luminosi sotto la luce delle stelle. Lucenti e allo stesso tempo saturi di un abisso di tristezza infinita.

Annuii. Non si fidava di me, quindi pensava che potessi fare chissà quale cavolata perché lei partiva. Ero arrabbiato per questo, ma non volevo farla preoccupare inutilmente, perché semplicemente lei non si meritava di soffrire ancora. Non avrebbe sofferto per causa mia.

-Quanto starai via?- le chiesi di nuovo, in quella che stava diventando una delle notti più lunghe della mia vita.

-Non lo so- sospirò, come se tutto questo non sapere la irritasse.

Feci dei passi verso di lei, aprendo il cancello che ci separava come una muraglia. Verso la persona che mi faceva sentire vivo e magari non l'avrebbe mai saputo. L'abbracciai, stringendola tra le mie braccia, non volendo più sentire altro.

Non volendo più sapere altro. Sentii il suo naso gelato premere contro la mia spalla, attraverso il tessuto della mia maglietta. Tremava per il freddo, perché da stupida si era gettata fuori in pigiama, senza coprirsi adeguatamente.

Sapevo di contare qualcosa per lei, per questo era venuta a salutarmi, anche se nel suo cuore non avevo il posto che volevo e non sapevo se sarei mai stato in grado di prenderlo quel posto.

-Ciao Nial- sussurrò lentamente al mio orecchio, mentre la lasciavo andare. Di nuovo. Sembrava che ero in grado di fare solo quello.

Le braccia mi fecero quasi male per quello sforzo, e fu come se una ventata d'aria fredda mi colpì all'improvviso. Volevo abbracciarla ancora. Volevo abbracciarla sempre.

-Aspetta- le dissi, per poi stringerla di nuovo al mio petto. Cercai di assorbire tutto, come se quella fosse l'ultima volta in cui la vedevo. Il suo respiro dolce, il suo profumo, la delicatezza dei suoi capelli spettinati contro la mia guancia.

Lei mi lasciò fare, anche se sapevamo bene entrambi che così mi facevo solo più del male. Ero consapevole che lei si sforzava di non aver paura di me, che stava cercando di trovare i miei lati positivi. Ed era per questo che sentivo di amarla. In vita mia avevo fatto molti errori, forse troppi, ma anche chi sbaglia merita di essere amato.


Angolo autrice
Eccomi qui con questo nuovo capitolo. Un po' triste lo so, ma niente è mai facile nella vita ed ho voluto esprimere il disappunto e dolore di Nial. Perché per me le persone che sembrano invicibili sotto sotto nascondono un animo sensibile. Come avevo anticipato, Nial si sarebbe mosso per cercare di risolvere la situazione, anche se non è andata come sperava, e gli imprevisti continueranno ad accumularsi l'uno sull'altro. Vedremo se i nostri protagonisti riusciranno a farcela e a superare tutto.

Ringrazio di cuore, ancora, chi legge la mia storia e mi lascia una recensione con un parere, perplessità, punti di vista ed anche segnalazione di errori. Per me è importante sapere cosa ne pensate ^^ Grazie anche a chi segue silenziosamente. Mi date tutti una grande forza per continuare a stupirvi.

Volete un anticipo per il prossimo capitolo? Beh se si leggete qui... Il prossimo imprevisto sarà verde u.u Per sapere che cos'è dovrete aspettare il prossimo capitolo, ma arriverà presto.
Buon weekend ed Halloween a tutti :)


Gaia.

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Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattro - Viva la pizza ***


Capitolo ventiquattro: Viva la pizza

Gli occhi sanno parlare più della bocca..

 

Mi dispiaceva lasciare la mia città, i miei affetti ed il lavoro. Ma alla fine sarebbe stato per un po', qualche giorno, non per sempre. Partivo per tentare di cambiare la situazione, di far calmare Eliza e i suoi amici. Avevo cercato di spiegarlo a Nial, ma nei suoi occhi profondi come l'oceano vedevo soltanto disprezzo. Sapevo che forse stavo sbagliando, ma non potevo fare altrimenti. La mia famiglia era preoccupata per me, non voleva che finissi dentro brutti giri. Voleva tenermi lontana dai problemi ed io stessa ero spaventata da quel caos improvviso. Loro non potevano capire cosa si nascondeva dietro quella tela intricata, in cui ero intrappolata come una mosca sulla ragnatela del ragno. Io mi chiedevo perché volevano tenermi lontana da lui? Non avevo avuto il coraggio di chiederlo ad Eliza, quando quella mattina ero andata a parlare con Rachel e l'avevo vista. Forse non volevo nemmeno sapere cosa si nascondesse dietro il suo gesto. La madre di Kim si era preoccupata quando le avevo raccontato tutto, lei invece si era limitata a storcere le labbra. Non era quello che voleva infine? Mandarmi via? Beh, ci era riuscita purtroppo. Ed ora mi trovavo in macchina con mia madre e qualche valigia buttata sul sedile posteriore.

Non sparirò. Tornerò tra qualche giorno e ci sentiremo per messaggio” scrissi a Nial, sentivo di doverlo fare. Non ero riuscita a consolarlo, come lui non era riuscito a calmarmi. Mi avrebbero fatto del male se non li avessi ascoltati? Chiusi gli occhi, mentre il tempo scorreva e ripensavo a quell'abbraccio. Volevo trasmettere a Nial che gli volevo bene, ma non ero riuscita a farlo. Più ci rimuginavo sopra e più mi sembrava tutto così surreale. Mi ero sentita come la pietra, come se tutto quello che c'era tra noi fosse completamente sbagliato. Come se lui mi avrebbe portato su una cattiva strada prima o poi. Avevo imparato a fidarmi di certe sensazioni, del mio sesto senso e delle mie intuizioni. Sapevo che ci teneva a me, me lo aveva detto più volte ed anche dimostrato. Ma non potevo restare lì con dei tipi che provavano a spaventarmi se continuavo a frequentarlo. Stavano giocando a un gioco a cui io non volevo partecipare.

-Tutto bene tesoro?- la voce di mia madre mi fece riaprire gli occhi, mentre quel pensiero svaniva.

-Sì- dissi, con tono basso. Non sapevo esattamente cosa rispondere, perché infine nulla andava bene e chissà se tutto questo sarebbe davvero servito a qualcosa?

Arrivammo in una zona piena di palazzi ed appartamenti. Mia madre, che guidava, svoltò verso una viuzza laterale e ci fermammo davanti a un palazzo color ocra, che sembrava avere dieci piani. Era un bel cambiamento rispetto alla campagna a cui mi ero abituata. Lo guardai sovrastare tutti gli altri appartamenti più bassi.

Sono sono solo pochi giorni mi dissi, per convincermi a posare la mano destra sulla maniglia dello sportello.

-Prendi le chiavi, è il 7B- mi disse poi mia madre, mettendomi in mano delle piccole chiavi rosse. -Io cerco parcheggio, perché non credo posso lasciare la macchina in quello del condominio, tu intanto sali. Va bene?- continuò. Io annuii stringendo le chiavi in mano e recuperando lo zaino e un borsone dal retro della macchina.

Mi sentivo quasi soffocare ad ogni passo, mentre salivo quei gradini scuri ed entravo in un piccolo atrio. Pensa che sia una piccola vacanza. 7B.. dove sarà? Mi chiesi fissando le piccole chiavi.

Una donna con in braccio un maltese bianco mi passò di fianco. Il cagnolino mi guardò con i suoi occhietti vispi mentre la signora camminava svelta sui tacchi. -Buongiorno, mi scusi?- mi affrettai a chiederle. Lei si girò e mi squadrò. Indossava un vestito viola lungo.

-Mi saprebbe dire dove si trova il B7?- le chiesi, facendo un sorriso e dondolando le chiavi in mano.

-Premi il secondo piano sull'ascensore e vai a destra- mi rispose e dall'accento sembrava russa.

-Grazie, buona giornata- la salutai, mentre se ne andava quasi scocciata. Se erano tutti come lei in quel palazzo ero messa davvero bene. Seguii le sue indicazioni, sperando di non perdermi. L'ascensore era piccolo e stretto, alla fine della sala principale ed accanto ad una lunga scalinata.

Il bottone non si accendeva e sperai che non si fosse rotto proprio quando ero salita io, ma poi partì sollevandomi al secondo piano. Sentivo tutta la stanchezza della notte passata insonne piombarmi addosso e probabilmente non avevo nemmeno un bell'aspetto.

Girai a destra cercando il numero 7. Eccolo, esultai mentalmente di gioia. Posai lo zaino per terra e tentai di infilare la chiave nella serratura. Dannazione, sembrava non voler girare. Forse avevo sbagliato porta. Feci un passo indietro e rilessi il sette dorato sorvegliare la porta bianca. Era giusta, ma avevo paura a reinserire la chiave e forzarla, perché poteva bloccarsi all'interno del buco. Non potevo fare danni già da subito. Uffa. Optai di chiamare mia madre. Ma non rispondeva, forse stava parcheggiando nel deserto del Sahara.

-Ti serve una mano?- chiese una voce alle mie spalle.

Mi girai e mi trovai di fronte due occhi verdissimi, verdi come foglie di menta. Su un viso che sembrava perfetto e incorniciato da una barba nera curata e dei capelli mossi color ardesia.

-Sì..- dissi quasi senza fiato, mentre iniziavo a sentirmi come una formica. Ero a disagio perché nella mia testa stavo già pensando a chissà quanti anni aveva, chissà se gli piacevano le stesse cose che piacevano anche a me e perché mi stesse aiutando.

Lui sorrise e si mosse verso di me, aprendo la mano, in cui lasciai cadere la piccola chiave.

-Sono porte un po' difficili- cominciò mentre provava a far girare la chiave nella toppa -ma se sai come trattarle non ti faranno perdere la pazienza-. Con un po' di difficoltà lui riuscì ad aprire quella maledetta porta. -Grazie- sussurrai, mentre mi ridava le chiavi.

-Di nulla- rispose. -Sono Caleb, tu dovresti essere la mia nuova vicina a quanto pare- continuò porgendomi la mano. Rimasi imbambolata per un po', poi l'afferrai stringendo appena. -Lucy- dissi -sì ma rimango solo qualche giorno- specificai, perché non si facesse strani pensieri -era di mia nonna l'appartamento, sono qui per dargli una sistemata-. Gli lasciai la mano. La mia sembrava così piccola a confronto.

-Capisco- rispose e non seppi decifrare cosa stesse pensando in quel momento. -Beh, piacere di averti conosciuta-.

-Grazie per la porta- ridissi mentre mi avviavo dentro l'appartamento, sapendo di aver fatto sicuramente una brutta figura da pesce lesso.

-Ci sentiamo- mi salutò, muovendo la mano in gesto di saluto e dandomi le spalle, fasciate in una giacca di pelle marrone -non dimenticare il tuo zaino nel corridoio- continuò poi, girandosi e sorridendo ancora. -Ah già, che sbadata, grazie- sorrisi anche io, mentre sentivo le guance andarmi a fuoco per l'imbarazzo. Raccolsi lo zaino e mi richiusi la porta dietro le spalle sospirando e lasciandomi scivolare per terra, con la schiena appoggiata al legno. Poi alzai lo sguardo verso quella che sarebbe stata la mia tana per i prossimi giorni. Presi qualche respiro per alleviare la vergogna della situazione che avevo vissuto prima con quel ragazzo e mi rialzai alla scoperta di quel piccolo appartamento. Una cucina di legno rosso si apriva assieme a un piccolo soggiorno con un televisore vecchio stile e un divano verde. Mi sedetti sul divano per sentire se fosse comodo, sembrava così antico che mi pareva di sprofondare nel cuscino di gomma piuma. Sul tavolino erano rimaste delle riviste di taglio e cucito, ci posai le chiavi dell'appartamento sopra, sicura che lì non le avrei perse. Mamma mi aveva raccontato che la nonna aveva vissuto lì col nonno, prima di avere lei e zio Harry. Dopo quella stanza c'era un piccolo corridoio che separava un bagno minuscolo con la doccia, di marmo nero e lucido e due stanze da letto, una matrimoniale e una singola. Entrai in quella matrimoniale decidendo che avrei dormito lì, su un letto enorme che non avevo mai avuto e poi mi sembrava più curata dell'altra e la vista mi piaceva di più. Dal vetro si vedeva un parco immerso tra quei palazzi. Almeno potevo scorgere qualche sprazzo di natura. Nella stanza oltre al letto, a occupare lo spazio c'erano due comodini di legno e un armadio. L'altra stanza invece aveva un letto singolo piccolo, una scrivania e un'enorme libreria piena di volumi. Dai titoli sembravano stanziare dal giardinaggio a ricette, a letteratura del Novecento a fumetti che sicuramente sarebbero piaciuti a Jack. Feci scorrere il dito sul dorso di quei tomi, levando uno strato di polvere. Tutto sembrava aver bisogno di una ripulita e sarebbe stato un lavoraccio. Il rumore del campanello mi fece quasi sobbalzare dallo spavento. Doveva essere mia madre, finalmente. Corsi ad aprirle la porta. -Allora ti piace tesoro?- mi chiese felice. Io annuii. Era perfetto per scappare per un po' da tutto. Aiutai mia madre a posare sul tavolo della cucina lo scatolone con gli oggetti per pulire e iniziammo a lavorare. Ci vollero tre ore e mezza spossanti, non era molto grande ma sistemammo tutto, poi io e mia madre ci salutammo con un abbraccio.

Quando tornai sola, quelle mura sembravano non piacermi più così tanto. Non ero abituata a stare sola ed avere tutto quel tempo per pensare. La testa mi si affollava di domande e cose da fare, come a dar forma a una lista infinita. Presi il cellulare ma Nial non mi aveva ancora risposto al messaggio. Poi squillò e il nome di Kim comparse sul salvaschermo. Le avevo già raccontato quello che mi era accaduto e lei mi aveva promesso che mi avrebbe chiamata per sapere come stavo nel mio nuovo rifugio.

-Ciao kim- risposi, sgranchendomi il collo indolenzito. Ero davvero stanca dopo tutte quelle pulizie.

-Ehi.. allora come è il nuovo appartamento?- mi chiese così veloce che faticai a capire cosa mi stesse dicendo.

-E' piccolo, ma comodo- le confidai.

-Tutto qui? Mi sarei aspettata delle grandi descrizioni da te- rispose con finto tono di rimprovero.

-Già, è solo che mi sento abbastanza stanca- cercai di giustificarmi trattenendo uno sbadiglio.

-Capisco e con i tipi che ti hanno aggredita? Hai scoperto qualcosa?- mi chiese, ricordandomi che ancora non le avevo detto nulla in merito dopo averle raccontato il fatto.

-In realtà dovrebbero smettere, ci ha pensato Nial. Anche se comunque sono preoccupata, alla fine come posso sapere che non tenteranno di farmi altri scherzi idioti? Insomma vogliono che io stia lontana da lui, ma lui vuole continuare a conoscermi. E' come una morsa e non so cosa fare- dissi tutto d'un fiato, raccontandole cosa mi si scatenava dentro.

-Nial.. Nial c'è sempre lui di mezzo- disse invece lei, interrompendomi.

-Già- riuscii solo a risponderle, con un tono di voce molto triste.

-Comunque rilassati ora che sei al sicuro ok?-.

-Certo-.

Al sicuro. Ero al sicuro. Me lo ripetevo ma non riuscivo a crederci. -Ti sto chiamando in una pausa da lavoro, abbiamo ancora cinque minuti, quindi racconta su su- la sua voce mi riportò bruscamente alla realtà, dentro quel piccolo appartamento, evitandomi di navigare tra le mie paure.

-Beh.. esattamente cosa vuoi sapere?- le chiesi alzandomi dal divano e dirigendomi verso la cucina per prendere un bicchiere d'acqua.

La sentii sospirare e poi ridacchiare per conto suo dall'altro capo del telefono. -Di che colore è il divano?- scherzò poi.

-Verde- risposi seria invece al suo tono ironico. Verde come i suoi occhi. Mi sfuggì un sospiro sognante e melodrammatico solo pensandoci. -Cos'era quel sospiro signorinella?- chiese riportandomi ancora una volta alla realtà.

-Hmm? Cosa?- decisi di fare la finta tonta.

-Aha... c'è un bel ragazzo lì vicino? Riconosco certe cose-.

Sorrisi mentre agguantavo un bicchiere dalla mensola. Kim mi conosceva troppo bene. -Ha degli occhi davvero belli, ma non..- cominciai a vuotare il sacco sapendo che a lei non potevo nascondere nulla.

-Lo sapevo!- disse trionfante di gioia -dai è ora che facciamo delle uscite a quattro-.

-Lo conosco a mala pena Kim. Ci siamo solo presentati- interruppi io questa volta il suo sogno a occhi aperti. Dei rumori sembravano provenire in sottofondo. Sentivo come delle voci chiamarla e capii che presto ci saremmo salutate. -Scusa un'urgenza, devo andare- mi disse.

-Non preoccuparti-.

-Poi voglio sapere eh-. Il suo tono era scherzoso e mi fece ridere.

-Va bene, promesso- le dissi per farla tornare a lavoro tranquilla. Lei chiuse la chiamata e io riempii il mio bicchiere con dell'acqua fresca. Restai a lavorare al portatile, che mi ero portata dietro, per un bel po'. Finché non si fece sera. Volevo approfittare di quel tempo per scrivere qualcosa per il premio a cui la mia ex prof di italiano mi aveva iscritta. Me ne stavo quasi dimenticando e la scadenza per presentare il lavoro si avvicinava sempre di più. Non sapevo esattamente cosa volessi elaborare, le mie idee erano confuse e continuavano a rigirarsi nella mia mente i soliti pensieri. Finché il mio stomaco non cominciò a brontolare. Aprii abitualmente il frigo, ma era vuoto. Dannazione. Io e mia madre ci eravamo scordate di fare la spesa. Che potevo fare ora? L'unica soluzione era ordinare qualcosa da asporto. Avrei voluto camminare in realtà e conoscere un po' quel posto, ma ancora non me la sentivo di girare da sola, nonostante sapessi che nessuno era al corrente che io ero lì. Cercai in internet la pizzeria più vicina e mi comprai una pizza, con la promessa che l'indomani sarei andata a farmi un po' di spesa. Stavo cercando di far funzionare il vecchio televisore, sintonizzandolo, quando il campanello suonò per la gioia del mio stomaco. Presi il citofono ma non rispondeva nessuno. Il campanello suonò ancora. Come faceva il facchino delle pizze a sapere quale porta suonare? Andai velocemente ad aprire l'ingresso dell'appartamento.

-Ciao- mi disse quella voce -ho la tua pizza-. Era quel ragazzo dagli occhi smeraldo, vestito in una divisa rossa, con tanto di capellino con la visiera e il nome della pizzeria cucito sopra. -Grazie- dissi prendendo il cartone e dandogli i soldi del cibo.

-Sarà tipo la quarta volta che mi ringrazi oggi- disse sorridendo -ma questa volta te l'abbono perché sei nuova e non sai che il servizio di pizza per cui lavoro è il migliore-.

-Che modesto- risposi, facendo un sorriso tirato. Mi sentivo a disagio. Non sapevo esattamente cosa dire, mi sentivo spiazzata. -Allora dovrei ordinare pizza ogni sabato- dissi quasi sottovoce, stringendomi tra le spalle.

-Quindi ho tempo per suonare ancora alla tua porta?- chiese, alzando un sopracciglio e guardandomi con aria perplessa. Era alto. Molto più alto di me. Mi faceva sentire quasi un nano da giardino.

-Direi di sì- risposi, cercando di non perdermi in quel verde brillante.

-Ottimo, buona serata- mi salutò. -Anche a te- risposi dondolandomi sui piedi e restando a guardare la sua sagoma, mentre scompariva dal corridoio.

Tornai dentro, chiudendomi la porta alle spalle. Avevo fatto una brutta figura con lui, ma perché doveva importarmi tanto? Dovevo smetterla di complessarmi. Pensai a mangiare. La pizza era davvero gustosa. Mentre lavavo il piatto che avevo sporcato il cellulare vibrò. Mi asciugai le mani e controllai chi fosse. Era un messaggio di Nial. Finalmente.

Cercherò di aggiustare le cose con Eliza, così potrai tornare tranquilla. Ti voglio bene lo sai e sapere che sei chissà dove lontano da me mi manda in bestia”.

Nial ti ho spiegato che non me ne sono andata per colpa tua. Smettila di tenermi il muso” mi affrettai a rispondergli. Sembrava veramente arrabbiato e mi dispiaceva. Rilessi quello che aveva scritto, ricordando cosa aveva esclamato Kim. Forse era davvero colpa sua.

Non è per il fatto che sei partita. Lo sento quando mi abbracci, tu non ti fidi ancora...”.

Quindi questo ti fa arrabbiare?”.

Sì. Perché mi sto sforzando tantissimo di farti sentire a tuo agio”.

E lo apprezzo ma per me è difficile, lo sai”.

Sei proprio fatta di ghiaccio”.

Sì, ghiaccio e pizza”. Risposi ironicamente. Ecco cosa c'era sotto. Lui era arrabbiato con me perché ancora non mi fidavo. Forse non capiva che io ero diversa dalle tipe con cui si frequentava in passato. Voleva rompere il mio guscio ma usava il metodo sbagliato. Non capiva che potevo farlo solamente da sola, con le mie forze e quando mi sarei sentita pronta mi sarei lasciata trasportare di nuovo dai sentimenti.

Il cellulare vibrò ancora. Numero sconosciuto.

Mi dispiace. Sono Eliza, mi scuso se ho causato disturbo a te e alla tua famiglia con il mio comportamento. C'ero io dietro le aggressioni, ma ti prometto che non succederà più nulla”.

Potevo veramente fidarmi? Non lo sapevo. Rimasi di sasso un attimo, non sapendo nemmeno se volessi accettare quelle scuse. Ero arrabbiata anche io. Infine non sapevo moltissime cose quindi non potevo nemmeno dare la colpa a Nial. Nel gioco era tutto sfuggito un po' di mano a chi voleva detenere le redini. Ma la verità è che io non ero disposta a far prendere ad altri scelte al mio posto.

Perché vuoi farmi stare lontana da Nial?” le scrissi ignorando quello che mi aveva detto poco prima. Quella domanda mi stava logorando. Ma la strega cattiva mi avrebbe detto la verità?

Non perdere la testa per lui, ti rovinerà e non te lo meriti”. Ancora quella risposta, ancora quella storia. Cosa aveva Nial che non andava? Certo, aveva un brutto passato, ma stava cercando di rinascere. Voleva una possibilità. Quindi perché non potevo essere io a dargliela? Perché ancora non mi sentivo al sicuro? Chiusi gli occhi affogando dentro quei dubbi. Ma infine cos'è l'amore? Credevo di averlo provato per Alex, ma lui mi aveva spezzato il cuore. Perché era così facile mettermi da parte? Nial mi avrebbe messo da parte prima o poi? Era davvero innamorato di me? Non lo sapevo, non lo capivo. No, io non sapevo ancora cos'era l'amore. Lo sguardo mi cadde sul cartone della pizza che avevo lasciato sul tavolo. Dovevo ancora buttarlo via. Inevitabilmente mi scappò un sorriso.


Angolo autrice
Eccomi col nuovo capitolo, sempre un po' in ritardo, scusatemi. Comunque ecco svelato l'imprevisto "verde". Che ne dite? Questo Caleb metterà alla prova Lucy? E' appena accennato in questo capitolo, ma lo conosceremo meglio. E cosa succederà ora con Nial? Lei si fa molte domande, è piuttosto riflessiva, ma sta iniziando a chiedersi le domande giuste, quindi molto molto presto comincerà a cambiare.. e perché Eliza continua a cercare di tenerli lontani? Lo scopriremo nella prossima puntata.. ehm capitolo, forse u.u Posso solo dirvi che le scene dolcissime arriveranno presto.

Grazie a tutti quelli che seguono la storia, ancora e di nuovo.. non smetterò mai di ringraziarvi :)
A presto.

Gaia

Saluti a tutti, non ho dimenticato di aggiornare, è solo che purtroppo sono in ritardo >.< scusate.. credo di pubblicare per il fine settimana in quanto ora sono presa da mille cose. Comunque vi prometto che ne verrà la pena aspettare perché il prossimo capitolo avrà una sorpresa.

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Capitolo 26
*** Capitolo venticinque - Inseguimenti significativi ***


Capitolo venticinque: Inseguimenti significativi

La miglior sensazione del mondo è quando qualcuno che ti vuol bene ti stringe più forte di quello che potevi immaginarti.

 

Mi sentivo stanca ma allo stesso tempo non riuscivo a chiudere occhio. Un flusso di domande e pensieri continui mi vorticava dentro. Ero nel letto enorme, stesa a pancia in su che fissavo costantemente il soffitto cercando di perdermi nei meandri di me stessa. Quando il telefono si mise a suonare. Chi poteva disturbarmi a quell'ora? Pensai che fosse successo qualcosa a casa, ma in realtà era Nial. L'ansia non fece altro che accumularsi ancora di più, come se volesse e potesse schiacciarmi da un momento all'altro. Per poco non cadevo giù dal materasso per finire sulle piastrelle, mentre velocemente cercavo di acchiappare il cellulare messo a caricare sul comodino.

-Scusa per l'ora- disse appena risposi alla chiamata – volevo dirti che sono nel palazzo. Mi dici a quale porta devo bussare o le provo tutte?-.

Deglutii. -Stai scherzando?-. Era stato capace di seguirmi, come un vero stalker, non potevo crederci. Mi sentivo quasi male, come se le mie gambe fossero fatte di burro e gelatina.

-Perché sei qui?- chiesi, ancora faticando a controllarmi. Non sapevo esattamente come stare.

-Non lo sa nessuno, quindi non ci succederà nulla, stai calma-.

Ma io non ero spaventata per i ragazzi che mi avevano aggredita. Sapevo che la situazione si sarebbe calmata. Ero spaventata perché lui era qui. Come dovevo comportarmi?

-Perché?- ripetei incredula.

-Pensala come una piccola vacanza.. io e te. Mi sono auto invitato-. Eccolo, il vecchio Nial con il suo atteggiamento sfrontato e sfacciato. Percepii che stava salendo delle scale dal suo passo. -Allora li provo tutti?-.

-Cosa?-.

-Suono dappertutto finché non ti trovo- continuò e ridacchiò, come se si stesse divertendo.

-Scemo- sibilai, alzandomi a fatica e infilando un golfino molto lungo, sopra la canottiera che portavo come pigiama. Mi controllai al grande specchio fissato sulla porta, mi arrivava alle ginocchia. Mi passai una mano tra i capelli per lisciarli e togliere qualche nodo. Okay potevo affrontarlo.

-Vai al 7 b, secondo piano- risposi poi.

-Subito madamigella- scherzò di nuovo, riattaccando la chiamata. Io sospirai sapendo che sarebbe comparso davanti a me da un momento all'altro. Non ebbi il tempo nemmeno di pensare ad un piano b che già il trillo del campanello mi risuonò nelle orecchie, allarmandomi.

Aprii la porta e mi ritrovai lui, avvolto in una giacca nera e dei jeans. I solito capelli scompigliati e un leggero odore di sigaretta addosso. Lo sapevo che non avrebbe smesso di fumare solo perché glielo chiedevo io. Incrociai le braccia al petto e abbassai gli occhi, per evitare di guardarlo mentre mi osservava. -Entra- dissi piano poi, spostandomi. Non potevo lasciarlo nel corridoio, anche se una parte di me avrebbe voluto richiudere quella porta. Il cuore sembrava volesse esplodere nella mia cassa toracica da un momento all'altro. Lui esegui la mia richiesta e richiusi la porta. Non si guardò nemmeno attorno e tornò a fissarmi. Il suo sguardo era così penetrante che mi sentivo davvero in imbarazzo. Nessuno dei due diceva qualcosa. Lui incurvò le labbra in un sorriso leggero.

-Perché sei qui?- gli chiesi di nuovo, stupita. Se conosceva il palazzo significava che aveva seguito me e mia madre nel viaggio. Era un pazzo, un pazzo da legare.

-Perché voglio dimostrarti qualcosa credo- rispose, senza smettere di fissarmi.

-Cosa?-.

Lui rise e si passò una mano tra i capelli, poi chiuse gli occhi per qualche istante ed abbassò lo sguardo verso le scarpe. -Okay, penserai che sono pazzo. Ma ho avuto paura che mi avresti visto come un pericolo-.

-Tu sei pericoloso- risi io. Stavo per dirgli quanto fosse matto.

-In senso buono però- si avvicinò a me di due passi ed io ne feci in automatico uno indietro, incontrando però il legno della porta d'ingresso. -Non scappare, non ti mangio-.

-Mi dispiace Nial. Credo di averti reso la vita impossibile- dissi, mordendomi le labbra. Mi sentivo mortificata, nemmeno io mi ero comportata così bene nei suoi confronti. Ma la verità era che ero molto confusa.

-Già, anche io ho fatto la mia parte- rispose e me lo trovai ad un soffio da me. Troppo vicino.

-Io non so..- la voce mi si spezzò e tornai a guardare le piastrelle scure.

-Shhh- mi mise le mani sui fianchi, quasi come se li avvolgesse e poi sentii le sue labbra premere piano sulla mia nuca, tra i miei capelli. -Lo so, non vuoi correre-.

-Non è solo questo. Non capisco i miei sentimenti. Mi sento come bloccata- Ecco. Lo avevo ammesso ed ora sentivo quasi le lacrime stuzzicarmi gli occhi. Io non volevo illudere nessuno e nemmeno lasciarmi illudere, ma se aveva fatto tutte queste cose significava che lui a me ci teneva. Non potevo essere solo un gioco. E allora cosa mi bloccava? Cosa mi stringeva lontano dal potere vivermi qualcosa di bello?

-Stringimi e basta Lucy. Il resto viene da sé- sussurrò piano.

Le mie braccia compirono il suo ordine e andarono a stringerlo. Le mie mani si appoggiarono alla sua schiena e provai a calmarmi un po'. Lui appoggiò la sua guancia sulla mia, abbassandosi. La sua barba che stava ricrescendo mi fece il solletico e poi sentii il suo fiato caldo sull'orecchio. -Oh per questo, credimi, vale la pena aspettare-. Cercai di lasciarmi cullare da quel suo calore, anche se era come se un macigno mi premesse l'anima. Era come se stessi per naufragare in balia di emozioni che temevo, ma allo stesso tempo volevo, e lui fosse la mia ancora.

-Nial..- lo chiamai piano.

-Non dire niente, copri il ritmo del tuo cuore-. Appoggiai le labbra nell'incavo del suo collo. Mentre le sue mani dai miei fianchi si alzavano e percorrevano la mia schiena. I nostri corpi non si toccavano però, se non per le nostre braccia. Capii che lui voleva rispettare il mio desiderio di non farmi troppe pressioni.

-Nial.. guardami per favore-. Lui sciolse un po' la presa e tornammo a guardarci negli occhi, come due calamite. Lui mi passò i pollici sotto gli occhi, che sentivo stavano per traboccare.

-Cosa c'è Lucy?- mi chiese piano, accarezzandomi le guance.

-Grazie per esserci sempre stato-.

Lui sorrise. -Io ci sarò, non me ne vado, nemmeno se mi manderai via-.

-E se chiamo la polizia?-.

-Sei pazza-. Mi abbracciò di nuovo.

-Stringimi, ti prego- lo supplicai. Avevo bisogno di quell'abbraccio, fatto bene. Nel modo che lui voleva e che probabilmente desideravo anche io.

-Posso?- chiese quasi intimorito che potessi scappare di nuovo.

Io annuii e lui mi strinse a sé. Cercai di abbracciarlo forte. Come avrei dovuto fare quando ero andata a salutarlo la scorsa notte. Se lo avessi fatto bene, probabilmente lui non mi avrebbe seguita.

Non capivo se era il suo cuore che batteva così forte o il mio. O tutti e due insieme.

-Io non voglio scappare- gli dissi, mentre ancora eravamo uniti.

-Che bella notizia- sussurrò con voce roca, trattenendo una risata. -Ora ti sveglierai e scoprirai che è tutto un sogno, sai? Io non sono così pazzo da inseguirti-.

Smisi di stringerlo e lo guardai negli occhi dubbiosa, per poi sistemargli un ciuffo ribelle che gli ricadeva in mezzo alla fronte.

-Mi hai sempre inseguita-.

-Perché tu non sei una preda facile-. Portò le mani sulle mie guance ancora una volta e sentii che quasi tremava. -No scusa, tu non sei una preda. Sei la ragazza più.. unica- quasi gli mancavano le parole – e interessante che abbia mai incontrato-.

-Unica e interessante? Potevi sforzarti un po' di più- sussurrai fingendomi delusa.

-Sto morendo dalla voglia di baciarti- disse e poi appoggiò la testa sulla mia spalla -ma non lo farò, non temere-. Mi spinse leggermente contro la porta e mi diede un leggero bacio sul collo. -Non sbaglierò, a meno che non me lo chiedi tu-.

Mi portai una mano sulle labbra, lui la prese tra le sue. -Almeno lasciamele guardare queste labbra- protestò, ma con un tono dolce.

-Ma ti traggono in tentazione-.

-Ti stai complicando la vita- disse, cambiando argomento. Una delle cose che gli riusciva meglio. -Io riuscirò a scioglierti Lucy- mi promise, stringendo le mie mani nelle sue.

Dai suoi occhi blu fissai le nostre mani e decisi di adottare la sua tattica. -Ma hai saltato scuola?- chiesi. Lui annuì e poi assentì a voce. Io sospirai.

-Come pensi di finire l'anno se fai tutte queste assenze?- gli dissi, alzando un sopracciglio e cercando di rimproverarlo con lo sguardo. Ma non ci riuscii.

-Scusa mammina che si preoccupa per me-. Lui rise e risi anche io. Una parte di me voleva sbatterlo fuori dalla porta dicendogli che doveva pensare anche a sé stesso, ed un'altra parte di me era felice che fosse qui. Era contenta che avesse tutte queste attenzioni.

-Potevi almeno coprirti meglio, mi stai uccidendo- disse piano, avvicinando il suo corpo al mio. Io gli posai le mani sul petto. -Piano- cominciai, non sapendo esattamente cosa dirgli.

-Scusa- disse allontanandosi e passandosi ancora una volta la mano tra i capelli.

Mi sistemai anche io una ciocca dietro l'orecchio. -Vuoi qualcosa da bere?- chiesi, imbarazzata, cercando di andare su un terreno meno pericoloso. -Anzi no, mi metto dei pantaloni e torno-. Ero stata una gran stupida a non pensarci prima.

-Lucy tranquilla non sono un animale, è solo che...- mi fermò lui -sei bella-.

Mi coprii le mani col viso e visto che ormai mi aveva lasciato libera la via, mi avviai verso la cucina. -Hai la scelta tra acqua e acqua- dissi, senza ringraziarlo della frecciatina. Sapevo che si divertiva a vedermi con il viso color pomodoro.

-Acqua allora- rispose, sorridendo e seguendomi verso il tavolo. Riempii due bicchieri e uno glielo passai.

-Grazie- disse, poi mi fece un cenno col bicchiere prima di berne il contenuto. -Sarebbe stata meglio della birra, ma mi accontento-. Posò il suo bicchiere sulla superficie di legno, mentre io ancora mi rigiravo il mio tra le mani. Incapace di stare ferma.

-Ho solo questo- risposi, facendogli una smorfia.

Gli lanciai anche un'occhiataccia in risposta.

-Se mi avvisavi passavo a comprarti qualcosa- si offrì gentile. Ancora non avevo compreso le sue intenzioni, quindi era il momento di smetterla di girarci attorno. Sospirai e poi glielo chiesi, mentre il tavolo ci separava -Non hai intenzione di restare qui vero?-.

Lui scosse la testa. -Mi piacerebbe, ma ero venuto solo per assicurarmi che stessi bene e per dimostrarti che non voglio perderti-.

Lì il fiume ruppe la diga e le lacrime rigarono il mio viso, cadendo silenziose.

-Ehi- lui accerchiò il tavolo e si fermò di nuovo davanti di me -che hai?-. Il suo tono era premuroso.

-Niente- risposi, asciugandomi le gocce che mi erano cadute dagli occhi, con la manica viola del golfino.

-Non è vero-.

Tirai sul col naso e cercai di nascondermi al suo sguardo. -Mi manca tutto questo- risposi. Più lui mi stava accanto, più mi accorgevo di quanto quella parte di me che voleva infischiarsene del mio passato ruggiva come un leone che rivuole essere libero. Ero contrastata. Mi mancava sentire la dolcezza di qualcuno sulla pelle. Mi mancava essere stretta, essere resa felice. Ma volevo che fosse la persona giusta. Avevo paura di essere ferita, di poter stare male ancora. Perché tutto doveva essere così dannatamente difficile?

-Sono qui- disse lui e senza esitazione mi riabbracciò e io lo strinsi a me, più forte di prima. Le mie braccia si intrecciarono dietro il suo collo. Come sarebbero andate le cose se avessi provato ad aprire di nuovo il mio cuore?

-Voglio fare una cosa- disse -senza impegno, okay?- avvicinò il suo viso al mio. Appoggiando il suo naso sul mio e capii che stava per baciarmi. Mi scostai leggermente e appoggiai io, questa volta, la fronte sulla sua spalla. Evitando così quel bacio che ero sicura, in quella strana situazione, mi avrebbe fatto perdere ogni controllo. Pensai a tutto quello che avevamo passato, a cosa aveva fatto e come si era comportato. Cercando di capire quale fosse l'ostacolo che dovessi superare dentro me stessa per potermi veramente lasciare andare con lui. Lui mi lasciò una carezza delicata tra i capelli e mi aggrappai alla sua maglietta come un koala. Non volevo rovinare le cose, avevo paura di quello. Forse avevo paura di non andare bene per lui, che prima o poi si sarebbe stancato e avrebbe trovato qualcun'altra di meno insicura e più divertente. Perché mi sentivo in questo modo?

Mi diede fastidio l'odore di sigaretta, ma non si sentiva poi così tanto come immaginavo. Così rimasi lì a stringerlo. Lui improvvisamente mi sollevò da sotto le gambe e mi fece sedere su quel tavolo di legno scuro. Il tessuto dei suoi jeans era ruvido al contatto con la mia pelle. Eravamo così vicini.

-Io non ti lascerò- mi ripeté, come se mi avesse letto nel pensiero. Guardai i suoi occhi, di nuovo, che sembravano due gemme cobalto nella semioscurità della stanza.

-Va bene- risposi -nemmeno io-.

Lui mi sorrise e io ricambiai quel sorriso e poi mi baciò sulla guancia, molto vicino alla bocca, mentre le mie dita sembravano tracciare ghirigori tra i suoi capelli scuri. Capii che lui mi avrebbe sempre inseguita probabilmente. Dovunque fossi andata, qualunque cosa avessi fatto e non dovevo stupirmi di questo. Allora cosa mi spaventava?



Angolo autrice

Eccomi col nuovo capitolo... vi piace? ^^ Dopo tutte le recensioni ho capito che potevo lasciarmi andare a qualcosa di più tenero u.u L'ho scritto abbastanza di getto e posso dirvi che ci saranno altri capitoli così. Riuscirà Lucy a comprendersi? Moltissime cose devono ancora accadere. Per cui continuate a seguire la storia :)
Mi scuso per gli errori di grammatica >.< a volte mi capita di non vederli.
Sperando sempre di entusiasmarvi, a presto e grazie per tutto il supporto che mi date.

Gaia.

Ps. viva gli animali fantastici (dovevo scriverlo xD)

 

ps del ps.. lo so, sono in ritardo, come sempre.. vi chiedo scusa e di aver pazienza perché sto passando giorni impegnativi. Ma il prossimo capitolo è già in stesura.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisei - Il calore che guarisce ogni ferita ***


Capitolo ventisei: Il calore che guarisce ogni ferita

 

Per risolvere una situazione, l'unico modo è cambiare atteggiamento.

 

Ero nervosa, ma avevo bisogno di una mano. Non conoscevo molto quel posto, quella città. Così ora me ne stavo andando avanti e indietro di fronte alla porta dell'interno 5. Che per la precisazione era dove abita quel ragazzo. Caleb. Lui era lì dietro, nascosto dal quel muro bianco, che probabilmente dormiva ed io lo avrei svegliato per chiedergli dove si trovasse il supermercato più vicino. Era vero. Potevo uscire, chiedere a un passante. Ma non so. Volevo parlargli ancora. Aveva qualcosa che mi attirava e non capivo da dove nascesse tutta quell'improvvisa curiosità. Non avrei mai pensato di poter provare una sensazione simile. Sapevo che se Nial non avesse rovinato tutto la prima volta, probabilmente l'avrei sentita anche per lui. Nial. Era così diverso da qualunque altra persona avessi mai incontrato e poi se sbagliava mi chiedeva scusa. Ma forse io non lo avevo ancora perdonato del tutto. Non avevo mai sentito tante scuse in vita mia, come che da lui. Eppure sentivo che c'era come un ostacolo che non mi permetteva di abbandonarmi completamente alle sue attenzioni. Sembrava una sorta di avvertimento. Ma non capivo esattamente per quale motivo mi sentivo sempre così titubante. Chiusi gli occhi ricordando cosa era successo di notte. Sfiorandomi la guancia dove aveva posato le labbra con insistenza. Basta, stavo diventando ridicola. Decisi che non avrei infastidito quel ragazzo dagli occhi terribilmente belli, ma non più profondi di altri color oceano che ormai conoscevo abbastanza bene. Dovevo stare calma e non perdere la testa. Stavo per dirigermi verso l'androne delle scale, quando la porta si spalancò improvvisamente. -Bel modo per dire buongiorno- sbucò quel ragazzo, praticamente in pigiama. Sempre che si potesse definire pigiama un paio di boxer ed una canottiera. Che sfacciato, infine potevo essere chiunque. Il postino, il padrone del palazzo, la signora russa col cane... Rimasi impietrita, cercando di non osservarlo e non arrossire per il disagio. -B..Buongiorno- sussurrai -scusami, sono scema-. Ero mortificata, alla fine avevo proprio fatto ciò che non volevo fare.

-Ma dai, non mi hai svegliato, ti stavo prendendo in giro. Ero già in piedi ed ho sentito dei passi- ridacchiò lui -ti serve qualcosa?-. A quella domanda sprofondai nel mio maglione. Era così evidente che mi servisse aiuto? Probabilmente avevo la faccia da pecorella smarrita.

-Sì, volevo solo sapere dove era il supermercato più vicino- risposi. Sembrava una scusa per parlargli, effettivamente lo era. Dio. Stavo facendo la figuraccia più brutta della mia vita, ma per fortuna poi non lo avrei più rivisto.

-Dista un bel po', hai la macchina?-.

Scossi la testa. Non poteva essere semplice qualcosa una volta tanto. -Ti do un passaggio se ti va, tanto devo andarci anche io-.

-Ma veramente.. non serve- cercai di sviare. Non volevo disturbarlo così tanto.

-Dammi cinque minuti che mi cambio e arrivo-. Sorrise senza darmi ascolto e rimasi sola nel corridoio. Non sapevo che fare. Qualcosa dentro di me mi diceva di filarmela via a gambe levate ed evitare quella gentilezza. Ma mi imposi di restare lì. Quando lui tornò ero persa nel mio disagio interiore e nei miei film mentali. -Tutto bene?- mi chiese, notando che ero concentrata a fissare il pavimento. Io alzai gli occhi ed annuii. Mi stavo facendo accompagnare al supermercato da un ragazzo di cui sapevo solamente il nome. Fantastico. Avevo fatto male a seguire il mio istinto. -Sì- risposi, capendo che dovevo dargli una risposta.

-Bene, andiamo- sorrise lui e quando entrammo nella sua macchina una fitta di nostalgia mi pervase. Forse quel ragazzo mi attirava tanto perché mi ricordava Alex. Era molto simile a lui in effetti, anche come atteggiamento. Lui cercò di sciogliere quella tensione che mi sentivo crescere dentro con qualche battuta. Sospirai e quasi premetti il naso contro il vetro del finestrino.

-Okay, non ti sono simpatico- pronunciò mentre era intento a guidare.

-No no- mi affrettai a dire -non è questo-.

-Brutta giornata?- mi chiese guardandomi appena.

Non potevo certo raccontargli tutto quello che avevo passato, così assentii, prima di creare un silenzio imbarazzante.

-Siamo arrivati- esordì, quando posteggiò la sua vettura in un parcheggio enorme, quasi strapieno di macchine. Lo seguii davanti alle porte di vetro telecomandate dell'edificio.

-Se hai bisogno di stare sola, anche averti solo fatto da chauffeur è un grande piacere- disse.

-No, mi...- risposi, cercando le parole giuste – potrei perdermi là dentro- indicando il supermercato. Ed effettivamente era vero, mi sarei persa in quell'enorme edificio dai vetri a specchio. L'ultima cosa che avevo fatto con Alex era stata fare la spesa insieme. Come sarebbe stato farlo con qualcun altro? Oh, ero un'idiota. Non significava nulla comprare del cibo assieme, quindi perché mi facevo prendere dall'ansia? Infilai le mani nelle tasche del giubbotto. Le giornate iniziavano ormai a farsi più fredde e cupe.

Lui sorrise – sei buffa- mi spinse leggermente dietro la schiena, senza farmi male, per farmi muovere un passo verso l'interno – ci penso io a tirarti su di morale, sempre se ti va-.

-Certo- risposi.

Pochi minuti più tardi Caleb era riuscito veramente a farmi ridere e a farmi scordare un po' tutto il resto. Mi dissi che forse non avevo fatto così male dopotutto a disturbarlo. Anche se vedevo che la gente ci guardava come se fossimo due fidanzatini. Nonostante dopo essere entrati nel supermercato, lui tenesse le distanze da me. Mi accorsi che era della stessa catena per la quale avevo lavorato tempo fa. Sperai vivamente che non sbucasse da un momento all'altro quel gran “simpatico” direttore del personale che mi aveva fatto incavolare.

Caleb prese due zucchine e se le mise ai lati delle orecchie. -Chi sono?-.

Ci pensai su. -Così ci guardano tutti Caleb!- protestai, per poi ridere.

-Non mi importa- rispose lui.

Comprammo tutto il necessario che ci serviva. Era strano. Non conoscevo per nulla quel ragazzo eppure cercava di essere gentile con me. Chissà perché. E perché me lo chiedevo? Sembravo diffidente, ostile, quasi paranoica. Forse dovevo semplicemente lasciarmi andare. Forse dovevo fare lo stesso con Nial. Probabilmente non tutti avevano cattive intenzioni con me, dovevo solo abbassare un po' le difese e scoprirlo. Infine guardavo il mondo come se tutti fossero degli assassini pronti a farmi del male, tutto questo solo perché ero sfiduciata da un passato che non riuscivo a levarmi di dosso.

Stavo giusto ringraziando Caleb, per la centomillesima volta, mentre uscivamo da quell'angusto ascensore. Capendo che per tutto il tempo mi ero sentita a mio agio. Sopratutto quando avevo smesso di farmi tutte quelle domande che non facevano altro che tormentarmi. Dovevo aprire il mio cuore agli altri se volevo che qualcuno ci facesse breccia e mi guarisse. Dovevo dare una possibilità alla me stessa che aveva voglia di innamorarsi ancora, senza paura. Capendo che chi mi diceva addio lo faceva perché non era adatto a stare nel mio mondo. Stavo così bene, mi sentivo come rinata. Quando scorsi una figura nel corridoio e il cuore cominciò a battere come un martello sull'incudine.

Una sagoma scusa era riversa per terra e chiudeva l'accesso del 7b. Un momento.. aguzzai la vista.

Che ci faceva Nial steso davanti alla porta del mio appartamento? Lasciai cadere a terra le buste della spesa e qualche parte del contenuto si riversò sul pavimento di quel freddo corridoio.

-Nial- lo chiamai, affiancandomi al suo corpo. Aveva la testa stesa contro la porta, assieme a mezzo busto. Gli occhi chiusi, come se fosse svenuto. Sembrava più pallido del solito o forse ero soltanto la mia improvvisa preoccupazione che lo faceva risultare cadaverico ai miei occhi. -Dobbiamo chiamare un'ambulanza- dissi, cominciando a frugare nella borsa.

Caleb ci raggiunse e si inginocchiò al suo altro fianco. Gli tastò il collo. -Respira-.

Nial aprì piano gli occhi, una piccola semiluna azzurra e mi afferrò il polso. -Pi..ccola?- biascicò con la voce impastata.

-Nial- lo richiamai, mettendogli le mani attorno al viso e lasciando perdere la ricerca del cellulare per chiamare i soccorsi. -Che ti prende? Che hai?-.

-Lascia stare Lucy, calmati- disse Caleb – credo che sia solo ubriaco-.

-Ubriaco?- chiesi perplessa, a me sembrava che stesse davvero male.

-Portiamolo dentro-. Caleb mi aiutò ad alzarlo ed insieme lo facemmo distendere sul divano verde. -Lucy prepara del caffè, aiuta a vomitare- mi ordinò Caleb e svelta recuperai le borse della spesa e cercai l'occorrente per fare un caffè amaro.

-Chi sarebbe?- mi chiese.

-Un mio amico-. La definizione “amico” mi uscì quasi come un sussulto.

-Gli scegli bene gli amici- disse piegando la testa leggermente a sinistra e grattandosi la leggera barba che aveva sul mento. -Scusa, è solo che è strano trovarsi un ubriaco davanti casa-.

Aveva ragione, avrei voluto sapere che gli fosse successo, ma in quelle condizioni non poteva certo dirmelo.

-Vuoi che resti con te?- mi chiese vedendomi visibilmente preoccupata. Le mani mi tremavano come se fossi una talpa senza pelo abbandonata nel polo nord. Sì, penso che in quel momento avrei tanto voluto abbracciare un orso polare e sprofondare nella sua morbida pelliccia. Che pensieri buffi, probabilmente ero sotto shock.

Caleb si avvicinò a me in un lampo, che nemmeno me ne accorsi e mi prese la busta con la polvere del caffè dalle mani. Finì lui di riempire la moca. Poi tornò a guardarmi intensamente.

-Andrà tutto bene- sussurrò piano e io in automatico lo abbracciai. Come se improvvisamente fosse diventato l'orso polare di cui avevo bisogno. Da prima lui non ricambiò l'abbraccio, come sorpreso, poi mi strinse piano. Così mi decisi a lasciarlo andare.

Guardai quel ragazzo, che senza conoscermi, mi stava aiutando.

-Grazie- sussurrai abbracciandolo ancora, e lui ricambiò quel gesto -comunque me la caverò-.

-Okay se ti servisse una mano, sono alla porta di fianco-. Questa volta si staccò lui per primo e io rimasi in imbarazzo a mordermi l'interno della guancia. Lui afferrò le sue borse della spesa e uscì, lanciandomi un'ultima occhiata prima di chiudersi la porta alle spalle, tenendo la maniglia con il pollice.

Sospirai e guardai Nial riverso sul divano. Aveva di nuovo chiuso gli occhi e sembrava che dormisse. Sperai soltanto che Caleb avesse ragione.

Avevo un mal di testa allucinante e quando mi svegliai mi sembrò di prendere la scossa. Ero in una casa non mia. Non capivo dove mi trovavo, fin quando non vidi Lucy che dormicchiava con la testa appoggiata al braccio, sul tavolo.

Mi misi la mano sulla fronte e mi sforzai di tirarmi su a sedere. Che avevo fatto?

Una nuova fitta mi costrinse a stringere i denti e alzarmi per destarla. Speravo che avesse un'aspirina o qualcosa per calmare quel fastidioso dolore.

Lei aprì gli occhi e mi fissò come se fossi un fantasma. -Come...stai?- bofonchiò, non appena si riprese da quel leggero torpore.

-Hai qualcosa per il mal di testa?- le chiesi senza indugio.

Lei annui e la vidi alzarsi e frugare nella sua borsa. Poi mi sciolse il contenuto di una bustina in un bicchiere d'acqua. -Grazie- le dissi prima di berne il contenuto.

Dopo circa mezzora iniziavo a sentirmi già un po' meglio e mi sedetti accanto a lei, su una sedia del tavolo. Stava leggendo un libro, non capivo cosa.

-Scusami, ma non so nemmeno io come ho fatto ad arrivare al tuo appartamento-. Sapevo che non doveva aver trovato una bella scena.

-Vuoi spiegarmi cosa ti è successo?- mi chiese, senza distogliere lo sguardo da quelle pagine che sembravano così preziose per lei al momento. Stava mantenendo un certo distacco.

-Ti ho... spaventato?- le chiesi, ignorando la sua domanda. Anche perché ricordavo soltanto a pezzi che cosa avevo fatto per finire in quello stato.

Lei annuì e finalmente incrociò lo sguardo col mio. -Puoi rispondermi? Per favore-.

Sbuffai. Ma poi decisi di raccontarle cosa era accaduto. In pratica quella notte, dopo averle fatto visita, ero dovuto correre in ospedale perché mia madre non si era sentita bene. I dottori non avevano potuto dirmi nulla sul malore improvviso che l'aveva colpita, solo che vederla dormiente in un letto, mi aveva ricordato l'ultima volta che avevo visto mio padre. E dopo questo, probabilmente ero andato a ubriacarmi in qualche posto. Per dimenticare o forse per annebbiarmi da quelle preoccupazioni.

Lucy mi ascoltò attentamente e poi mi posò una mano sulla spalla. Mentre io mi prendevo la testa tra le mani e mi nascondevo, mortificato. Le avevo mostrato davvero tutti i lati più brutti di me, quindi era palese che non si fosse innamorata di me. Avevo ceduto il mio aplomb per farle vedere cosa c'era nella mia anima, la mia parte vulnerabile. Dopotutto non ero diverso da lei, come non ero diverso da qualsiasi altra persona. Visto che nessuno è un supereroe in grado di sopportare tutto.

-Mi dispiace Nial- disse. Pensai che stesse per farmi una predica sul fatto che l'alcool crea seri danni al cervello o qualche altra cosa del genere, invece parlò con voce dolce. -So che non deve essere stato facile per te sopportare tutte le cose brutte che hai vissuto. Ma non ha senso tornare indietro..-.

Ci guardammo per qualche istante.

-Ecco.. vedi, quello che voglio dirti è che se stavi cercando di cambiare dal tuo passato, non dovresti lasciarti andare, dovresti essere più forte-.

Le presi la mano dalla mia spalla, trascinandola tra le mie. Come se la chiudessi in una specie di guscio.

-Da che pulpito- dissi, abbozzando un mezzo sorriso. Lei fece una smorfia, come se si ritenne offesa ma dalla mia esclamazione, ma poi la vidi pensarci seriamente.

-Hai ragione, anche io faccio un sacco di passi falsi e torno indietro, non è semplice, ma non sei da solo-.

Io annuii. No. Dopotutto non eravamo così diversi. Solo che lei non si sarebbe mai fatta vedere ubriaca da me. Lei era in grado di controllarsi, anche se spesso me la immaginavo che quando perdeva il controllo si mettesse a picchiare il cuscino o cose simili.

-Vuoi tornare da tua madre?- mi chiese, spezzando il silenzio e la ridda del mio paragonarci.

Scossi la testa. -Non so se ce la farei da solo- le risposi. Ed era vero. Avevo paura di perdere ciò che rimaneva della mia famiglia. Avevo paura di restare da solo.

-Ti accompagnerò- si strinse nelle spalle, fissando le nostre mani unite in quella stretta che avevo creato. -Sempre se vuoi- continuò.

Lì non resistei più, mi alzai dalla sedia, che produsse un rumore di scivoli sul pavimento e l'abbracciai. Perché per me era davvero la mia ancora in mezzo alla tempesta e col tempo magari mi avrebbe visto nello stesso modo. Perché non si può vivere senza calore di qualcuno che ti ami. E' la sola panacea in grado di far rimarginare qualsiasi ferita.


Angolo Autrice
Scusate per il stra mega lungo ritardo, ma eccomi qui col nuovo capitolo.. sono riuscita a terminarlo solo stamattina. Ecco inizia il cambiamento di Lucy. E succederanno un sacco di cose d'ora in poi... E' stata carina vero ad aiutare Nial? Cosa succederà ora con Caleb? Mi sono fatta una scaletta e volevo dirvi che la storia non ha ancora molti capitoli, circa una quindicina se non mi succede di modificare qualche cosa. Quindi ci avviciniamo alla fine.
Grazie ancora a tutti per le recensioni, gli aiuti e tutto.. non smetterò di dirlo ma vi adoro.

A presto.. si spera questa volta che non vi faccia aspettare troppo.

Un abbraccio. Adam. No dai scherzo. (qualcuno ha capito la battuta? Ah ah ah. Lo so, sono pessima xD)

Gaia.

 

Non sono sparita, spero di pubblicare il prossimo capitolo che vedrà dell'altra tenerezza molto presto u.u grazie per la pazienza :) Credo arriverà dopo Natale, purtroppo, scusate ma sono stata impegnata. Ringrazio tutti per non essere andati via e colgo l'occasione per augurare un felice Natale. 17/01/17 ciao a tutti, mi dispiace di avervi trascurato e di aver trascurato anche la storia, ma sono stata presa e rapita dagli alieni... no dai, da mille novità. Il capitolo è in stesura! Spero di potervelo fare leggere presto e di non sparire più.

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Capitolo 28
*** Capitolo ventisette - Imbarazzi soffocati ***


Capitolo ventisette: imbarazzi soffocati

Non confondere la realtà con le opinioni, soprattutto se sono le tue

 

Ciò di cui avevo bisogno era di qualcuno che sapesse assorbire come una spugna le mie preoccupazioni. Come tentavo di fare per Nial, gli ero rimasta vicino come potevo in quei due giorni. Per fortuna non era successo nulla di grave, ma quella scossa era stata forte abbastanza da farlo cambiare. Lo vedevo attento, più preoccupato sia per sua madre che per la sua stessa esistenza. Quasi spaventato e tutto questo mi aveva fatto comprendere quanto lui fosse simile a me. Quanto cercasse di aggiustare il suo passato, di rimediare ai suoi errori. Stava cercando di mettersi la testa sulle spalle piano piano e chi ero io per non dargli una mano? Era vero che in molti, specialmente Eliza, mi avevano fatta tentennare sulla fiducia che gli stavo dando. Ma sentivo che lui aveva bisogno di me, come io anche se non volevo ammetterlo sul serio, avevo bisogno di lui. Perché insieme eravamo più forti di quanto si potesse credere.

Ci eravamo aperti, raccontati dei nostri fantasmi. Lui mi aveva garantito ancora una volta che voleva che io stessi bene sia quando ero lui, che quando non lo ero. Mi aveva rassicurata dicendomi che non ero obbligata a fare nulla e così gli ero rimasta vicino. Ma non perché mi sentissi in debito per quando lui era stato accanto a me. Semplicemente perché lo volevo. Desideravo essere una roccia per lui. Volevo che non si sentisse solo.

Ormai passavamo quasi tutti i pomeriggi insieme. A volte veniva anche Caleb e Nial si sentiva in competizione con lui. Anche se gli avevo detto che Caleb non lo conoscevo affatto e che non mi sarei buttata tra le braccia del primo che suonava alla mia porta. Mi chiedevo se, visto che avevo trovato carino Caleb, magari sarei riuscita a vedere anche in Nial qualcosa di bello. Lui piaceva a tutte, eppure io non riuscivo a dire “oh ha dei fantastici occhi azzurri”. Forse proprio per questo. Perché non aveva nulla che non andasse nel suo aspetto. Forse perché magari cento altre bocche glielo avevano detto, altri cento occhi lo avevano ammirato e altri cento sospiri erano stati fatti facendo pensieri non poco peccaminosi su di lui. E io mi facevo fin troppe paranoie. C'era ancora quel sottile alone di paura che mi faceva da scudo, che mi faceva pensare di essere una delle sue tante conquiste. Che non mi permetteva di avvicinarmi totalmente a lui. Lo so, ero stupida a comportarmi così, non ero più una bambina ma allo stesso tempo non me la sentivo di rischiare. Di quante dimostrazioni avrei avuto bisogno prima di sciogliermi? Non riuscivo a dirlo. Non riuscivo a capirlo.

La madre di Nial dopo quattro giorni venne dimessa dall'ospedale, i medici avevano constatato che il suo malore era dovuto al troppo stress, e la caffetteria di Rachel invece venne chiusa. Sarei voluta andare da Kim e da sua madre quel pomeriggio, ma mi avevano garantito entrambe di non preoccuparmi. Ora mi trovavo di nuovo senza un lavoro in tasca e mi stavo deprimendo. Perché non si può non deprimersi quando si perde la propria solidità economica.

Per fortuna Nial mi aveva raggiunta nel pomeriggio. Per distrarlo avevo cominciato a dargli ripetizioni di francese, cosa che gli serviva anche per alzare il suo rendimento scolastico ed intanto pensavo ad altro anche io.

-Non ci credo!- esclamò lui alle mie spalle, facendomi trasalire. Ero seduta al tavolo della cucina mentre scrivevo. Lui intanto aveva cominciato a gironzolare in giro, perché non aveva per niente voglia di mettersi subito a studiare. Non gli avevo detto nulla della caffetteria. Ma sicuramente Eliza gliene aveva già parlato. Comunque lui non fece nessuna domanda e gliene fui grata.

Alzai lo sguardo verso di lui. Teneva stretto un libro dalla copertina azzurra.

-Guarda cos'ho trovato di là- disse felice. Come se avesse appena trovato un tesoro.

Si sedette accanto a me, al suo posto e mi poggio accanto al computer quello che aveva in mano. Io mi sbilanciai sulla sedia, mentre i miei occhi mettevano a fuoco quel titolo. “Kamasutra”.

Lui rise, divertito dalla mia espressione.

-Dove lo hai trovato?-

-Dì là, nella libreria-.

Non avrei mai immaginato che ci fosse un libro simile nella vecchia casa dei miei nonni. Non lo avevo nemmeno notato.

-Dai apriamolo, non sei curiosa?- se ne uscì poi. Io lo fissai sbigottita.

-Mi è bastato vedere la copertina, grazie- risposi incrociando le braccia al petto -E se è un tuo tentativo per mettermi in imbarazzo, non è per niente divertente, sappilo-.

Lui sbuffò. -Sei strana- commentò alla fine, vedendo che non cedevo. Prese il libro e cominciò a sfogliarlo da sé. Tendendoselo stretto come se fosse un prezioso cimelio interessante. Lo scrutai con la coda dell'occhio. Sicuramente lo aveva già letto da qualche parte ed era un'occasione per depistare la mia concentrazione.

-Ha parlato il re degli strani- lo corressi, riprendendo a scarabocchiare.

Lui mi adocchiò da dietro le pagine e ci fissammo con sfida. Abbassò di nuovo gli occhi sul quell'improbabile lettura e fischiò. -Questa secondo me ti piace-. Poi rise.

-Vuoi che ti uccida ora o magari dopo aver ripassato qui e que?- gli chiesi, fingendomi offesa e indicando il suo testo di francese aperto sul tavolo, poco più in là. Poi mi sventolai le guance. Iniziavo a sentire caldo. Probabilmente per via della tensione. Gliela avrei fatta pagare sicuramente.

-Se mi aiuti significa che ti sto a cuore signorina- sorrise soddisfatto.

-O magari mi sta a cuore il tuo livello di francese- risi io questa volta -Che tanto per farti un puntualizzazione è molto molto basso-.

Il sorriso si spense sulle sue labbra e mise da parte il libro peccaminoso, concentrandosi su quello che doveva realmente fare. Finché lui era con me non pensavo alle sfumature nere che stavano succedendo nella mia vita ed ero sicura che era così anche per lui. -Touché mademoiselle-.

Tirai un sospiro di sollievo, perché non avevo per nulla il coraggio di parlare di un certo argomento proprio con lui. Ancora ricordavo di come Sophie al centro estivo aveva elogiato le sue doti e non sapevo se era gelosia quella punta che sentivo prudere nel mio animo.

Passammo le due ore stabilite a ripassare francese, tra battutine da parte sua. Poi lui mi disse che doveva tornare da sua madre. Si stava occupando di lei, molto più di prima e questo era un bene.

-Allora grazie- mi disse prima di fare un passo indietro, verso il corridoio. Mentre ormai si avvicinava l'ora di salutarsi.

-Di nulla- dissi di rimando abbassando lo sguardo per terra.

Pensai che se ne sarebbe andato, invece fece un passo in avanti e si avvicinò per farmi una carezza sulla guancia -Sei sempre così gentile ed è piacevole stare con te- mi rivelò. Qualcosa tra di noi stava indubbiamente accadendo ed io stavo letteralmente trattenendo il respiro.

-Grazie-.

Poi mi sporsi e lo abbracciai. Cercavo di seguire il mio istinto senza trattenermi, ma non del tutto riuscivo ad essere spontanea. Lui ricambiò la stretta, accarezzandomi i capelli. Poi lo lasciai e ci salutammo con un cenno della mano, nel silenzio più assoluto. Richiusi la porta alle mie spalle e mi ci appoggiai per sorreggermi. Un sorriso mi increspava le labbra.

La sera suonò di nuovo il campanello dell'appartamento e pensai che fosse Nial che mi faceva una sorpresa. Invece quando aprii la porta trovai Caleb. Era strano trovarselo lì, perché pensavo fosse in giro a portare le pizze.

-Ehi come stai?- mi salutò.

-Bene- risposi sorpresa. -E tu?-.

-Benissimo- sorrise -Hai dello zucchero?-.

-Oh sì-. Caddi dalle nuvole. Mi sentivo come un pezzo di legno, presa alla sprovvista. Mi mossi verso la cucina e lui entrò nell'appartamento chiudendo la porta d'ingresso dietro di sé.

-Oggi non lavori?- chiesi timidamente.

-No- rispose -E visto che saremo vicini di casa per qualche altro giorno soltanto volevo farti una sorpresa-. Non capivo. Lo avevo avvisato il giorno prima del cambiamento e lui non mi era nemmeno sembrato troppo triste, cosa che mi aveva fatto stare meglio. Avevo sempre paura di far soffrire le persone. Forse perché io avevo sofferto tanto e non volevo che nessun altro che incrociasse la mia strada passasse la stessa cosa per colpa mia.

-Ecco lo zucchero- dissi porgendogli la ciotola con quello che mi aveva chiesto. Lui rise in risposta -Era una scusa per rompere il ghiaccio-.

-Ah..-. Sospirai perché mi sentivo stupida e maldestra accanto a lui. Perché ero così tesa? Forse perché il nostro addio si stava avvicinando. O forse perché lui cercava di minare quello che si stava creando tra me e Nial. Avevo paura di cosa potesse significare.

Sarei tornata a casa mia, tanto non c'erano più pericoli ad attendermi. Forse non c'erano mai stati. Ma ero dannatamente così paurosa che avevo preferito sempre scappare, piuttosto che affrontare le cose. Forse Caleb non lo avrei più nemmeno rivisto.

-Hai già cenato?- mi chiese gentile porgendomi la mano.

-No- ammisi. -Allora usciamo, se ti va- mi invitò fuori.

-Io...- Io non sapevo cosa fare. Ma alla fine forse potevo concedercelo, no? Da amici. -Dammi cinque minuti per cambiarmi okay?- infine cedetti.

Lui annuii, io mi allontanai verso la camera da letto per cambiarmi. Non gli avevo chiesto nemmeno dove aveva in mente di andare. Per questo ci misi un bel po' a decidermi, non rendendomi conto del tempo che passava e facendo aspettare in salotto il povero Caleb. Mi sentivo confusa, non ero mai stata oggetto delle attenzioni di due ragazzi contemporaneamente.

Quando tornai in cucina lo trovai che controllava lo schermo del mio pc, chino sul tavolino davanti al divano verde. Dove lo avevo lasciato acceso.

-Che fai?- gli chiesi e lui sobbalzò leggermente, colto alla sprovvista.

-Leggevo- rispose senza distogliere gli occhi dallo schermo. -Il tuo componimento è così... pieno di emozioni, dovresti mandarlo, lo sai?-

-Non è finito-

-Cosa manca?-

-Non lo so, non mi convince-

-A me sembra perfetto-

-La storia, non sembra troppo surreale?-

-No-

Io rimasi in silenzio. Era la prima volta che qualcuno leggeva un racconto in cui mi ero impegnata tanto. Mi sentivo quasi come se mi avesse vista nuda.

-Lo mando io-

-Nooo!- esclamai, cercando di spingerlo lontano dal portatile.

-Sì-. Lui senza ascoltarmi lo sollevò, in modo tale che io non arrivassi a prenderlo e causandomi quasi un infarto. Se gli cadeva e si rompeva avrei perso tutti i dati.

-Non farlo- sussurrai.

-Invece sì. Se non ti decidi resterai sempre bloccata-

-Va bene, ma ora posalo e non inviare-.

Lui sorrise, poi lo posò e alla velocità della luce inviò il racconto alla e.mail, dopotutto bastava premere un tasto, così da bozza passò tra quelle inviate. -Stronzo, non era finito- cominciai a tirargli pugni sulla spalla. Cosa aveva fatto!

Lui mi bloccò e mi guardò con i suoi audaci occhi verdissimi. -Lo avresti mai inviato?- mi chiese calmo.

Scossi la testa in risposta, perché infine io ero l'eterna insicura che non prende mai una decisione. -Devi imparare ad essere più sicura di te stessa, o non andrai mai dove vuoi. Non aver paura di sbagliare, sbagliare aiuta a migliorarsi e soffrire aiuta a capire sé stessi e chi ci circonda-.

-Hai ragione- mi mordicchiai il labbro sconfitta.

-Bene ora si esce- annunciò lui, sorridendo e spezzando l'atmosfera tesa che si era creata.

Mi portò a mangiare fuori, in un posto davvero buono ma per tutto il tempo continuai a pensare al mio elaborato. Oramai lo aveva inviato ed era contro il regolamento del concorso chiedere di revisionarlo dopo l'invio. Uffa. Sperai davvero in cuor mio che Caleb avesse ragione.. beh altrimenti lo avrei ucciso. Sapevo bene che la data del concorso stava per concludersi e Caleb doveva averlo letto nell'e.mail. Dopotutto avrei davvero trovato il coraggio di inviare la mia storia al concorso se non lo avesse fatto lui? Non credo.

-Tutto bene?- mi chiese gentile, mentre camminavano per una strada alberata, sotto un cielo stellato.

-Sì- mentii, facendo spallucce.

-Non è vero. Sei trasparente-.

Ci fissammo per un po' e poi io distolsi lo sguardo per prima.

-E' per la storia?- mi chiese, appoggiandomi subito dopo le mani sulle spalle -Non volevo farti un torto Lucy-

-Lo so, spero solo...-

-Andrà benissimo, fidati. Anche se te lo dice uno sconosciuto-. Sorrise timidamente.

-Tu non sei uno sconosciuto- sbottai.

-Mi fa piacere sentirtelo dire-.

Camminammo ancora un po' fino a raggiungere un parco, pieno di piccole lucine che galleggiavano nell'aria. -Lucciole?- chiesi -Giocavo a prenderle da piccola-.

Lui annuii. Mi prese per mano ed insieme ci inoltrammo sull'erba bagnata, tra le giostre vuote a quell'ora della notte. Quel contatto non mi dava fastidio. Stranamente mi sentivo tranquilla.

-Mi ha fatto piacere conoscerti Lucy- mi disse ad un certo punto.

-Guarda che non me ne vado domani- gli dissi.

-Sì, tra due giorni-. Sembrava triste. Feci scivolare via la mano dalla sua stretta leggera. Ecco, era quello che non volevo succedesse.

-Scusami Caleb..-

-Ho inviato la storia perché volevo aiutarti. Non devi permettere a nessuno di spegnere la tua luce, nemmeno alle tue insicurezze- disse come se non mi avesse ascoltato. Le lucciole continuavano a danzare e allontanarsi da noi. Il vento produceva uno sinistro frusciare tra gli alberi.

-Quindi... dillo a Nial-

I capelli mi volarono in bocca e quasi dovetti sputarli fuori.

-Che.. che vuoi dire?-

-Lo sai-

Si avvicinò e mi abbracciò. -Devi dire a Nial cosa provi- mi spronò.

Io mi sentivo come un tronco d'albero in un abbraccio che emanava calore e mi proteggeva dal vento. Appoggiai la fronte sulla sua spalla, senza però abbandonarmici, alzandomi in punta dei piedi.

Nonostante tutto questo sembrasse così strano in quel momento, mi ero sbagliata. Caleb non stava affatto cercando di attirare la mia attenzione, forse voleva essermi davvero amico. E nel mio cuore sapevo che aveva ragione. Io dovevo essere sincera con Nial e sopratutto con me stessa.



Angolo autrice
Mi dispiace moltissimo per essere sparita per così tanto tempo e so di avervi regalato un capitolo un po' striminzito. Vi chiedo umilmente scusa. Ma scrivere al computer mi sta diventando un po' difficile in sto periodo, nonostante questo prometto che concluderò questa storia ed anche Marble Heart, che revisionerò e ricreerò nuova e fatta meglio sul sito di Wattpad. Può darsi che questa storia si concluda con meno capitoli di quelli che avevo pensato. Comunque cercherò di aggiornare presto.
Grazie di cuore a tutti quelli che non hanno mollato le mie storie.
Grazie davvero.

Gaia.
 

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