From up above

di Tormenta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Here on Earth ***
Capitolo 2: *** Here with you ***
Capitolo 3: *** Here and there ***
Capitolo 4: *** Back up there ***
Capitolo 5: *** Here we go ***
Capitolo 6: *** Wherever you are ***
Capitolo 7: *** Where we belong ***



Capitolo 1
*** Here on Earth ***


From up above
 






1.
Here on Earth


 
 
Accadde un giorno: dopo aver combattuto una lunga guerra,
l’angelo di nome Castiel si ritrovò bloccato su questa Terra.
Tutta colpa d’un’ala ferita,
tale poiché in battaglia era stata colpita.
Fratelli e sorelle lo lasciarono indietro,
correndo senza voltarsi verso le porte di Pietro;
Castiel non li biasimò: al posto loro avrebbe fatto lo stesso,
poiché solo con ali proprie un angelo in Paradiso era ammesso.
Doveva dunque restare, rimettersi in sesto,
e pensò che se fosse rimasto immobile e muto
lì, sul cemento del vicolo dov’era caduto,
allora il processo di guarigione sarebbe stato più lesto.
Si mise quindi silenziosamente a sedere;
come unico compagno, le gocce fredde che piovevano da nuvole nere.
 
 
 
Erano forse passate alcune ore,
che a causa dell’ala Castiel aveva trascorso nel dolore,
quando una voce gentile, risuonando senza preavviso,
lo costrinse a sollevare lo sguardo in cerca d’un viso.
Lo trovò nella penombra, poco lontano;
era d’un uomo, che s’era affacciato da dove il mondo faceva baccano.
«Va tutto bene, amico?» gli aveva chiesto,
e Castiel per un po’ lo fissò, prima di rispondere, onesto:
«No. Al momento sono ferito.
Ma non c’è da temere; presto sarò guarito».
L’uomo però non parve incline a dargli retta:
s’avvicinò a lui in tutta fretta,
e una volta che fu vicino, ripeté:
«Ferito? Dove?» con un’ansia che l’angelo non capì granché.
«All’ala destra» sussurrò di rimando,
e lo sconosciuto subito rizzò la schiena con l’aria di chi sta giudicando.
«All’ala destra» ripeté ancora, allibito,
e Castiel, tra sé e sé, si domandò se l’uomo avesse per caso problemi d’udito.
«Sì» gli diede conferma, «la mia ala è spezzata, purtroppo».
«La tua ala— certo, d’accordo. Ma parte quella – nient’altro di rotto?»
Castiel negò con la testa, e l’uomo esalò un sospiro
per poi tendere una mano assicurando che non si trattava d’un raggiro.
Aveva notato che, pur essendo seduto nel vicolo,
colui che aveva davanti non mostrava i vestiti, l’aspetto, la pelle
di qualcuno che non può che dormire sotto le stelle;
difatti, gli pareva piuttosto uno che lavorava in un cubicolo.
Ipotizzò che avesse avuto un giorno depresso,
o che magari avesse scolato un bicchiere in eccesso.
Quindi disse: «Il mio nome è Dean. Hai un posto dove andare?
Posso chiamarti un taxi, ti ci faccio portare».
L’angelo guardò a lungo sia lui, sia la mano tesa
e infine scandì: «Grazie, ma rimarrò qui».
«Niente da fare; con questo tempo non ti lascio così»
si sentì però dire, per sua gran sorpresa.
«Guarirò più in fretta, se rimango».
«Qui, sotto la pioggia e nel fango?
Ne dubito. Piuttosto, ti prenderai un malore».
Castiel assottigliò gli occhi, prima di replicare, col più completo candore:
«Io non posso ammalarmi, Dean; sono un angelo del Signore».
Al che, il silenzio calò, la mano tesa fu ritirata
e l’espressione dell’uomo divenne tormentata.
«Ascolta— voglio solo aiutarti» fece a bassa voce,
«non puoi restare qui, questa notte la pioggia sarà atroce.
C’è qualcuno che puoi chiamare? Qualcuno che ti aspetta?»
L’angelo subito replicò: «Mi aspettano miei fratelli».
«Bene. Possono venirti a prendere, magari in fretta?»
«No» asserì Castiel, e Dean si chiese che razza di parenti fossero quelli.
Comunque, gli tese nuovamente la mano,
e dicendo «Vieni» notò che aveva ormai le labbra color ciano.
«Lascia che ti porti via, stai congelando».
«Non percepisco il freddo» ribatté Castiel mormorando;
e l’altro non poté che sbottare: «Fammi indovinare;
sei un angelo, quindi non puoi congelare!»
«Esatto» confermò il suddetto,
e Dean, stringendo i pugni, del proprio lampo di rabbia si pentì di getto.
«Come ti chiami?» domandò, tornando pacato;
«Castiel» fu la risposta, e beh, se non altro un nome così non l’avrebbe dimenticato.
Si passò un palmo sul viso, riflettendo;
dopodiché decretò: «Non mi arrendo.
Non importa cosa credi di essere, non ti lascio qui a morire».
Per un lungo istante l’angelo lo scrutò;
poi parlò,
col tono di chi ha tardato a capire:
«Tu non hai fede. Dubiti che io sia chi ho detto di essere».
Dean non volle ribattere, per il proprio benessere.
Castiel, allora, continuò: «Non ti ho mentito»,
e parlando s’alzò in piedi, anche se sulle note d’un dolorante grugnito.
«Ecco: puoi vederlo con i tuoi stessi occhi».
E a suo comando,
l’ombra del vicolo s’inspessì facendo da sfondo
tale che sarebbe bastata a far fuggire chi è debole nei ginocchi;
poi rimbombò un tuono, lontano, profondo,
e come enormi fiori neri, si schiusero sul muro
le impressioni di – Dean ne fu subito sicuro –
due ali piumate, incombenti; una alta, fiera, spiegata,
l’altra debole, rotta, accartocciata.
Di fronte ad esse, Castiel troneggiava,
con le iridi accese e un’espressione che quasi spaventava.
Presto, tuttavia, l’ombra si ritirò, e portò via con sé le nere figure,
lasciando Dean col cuore in gola,
incapace di comporre qualunque parola,
e solo con colui che aveva provato d’essere una delle bibliche creature.
Riuscì appena a sibilare, strozzato e sbigottito: «Oh, Cristo»,
mentre l’altro calava nelle spalle, tristo.
Dovette schiarirsi la voce e deglutire
per ritrovare un briciolo di calma e scandire:
«Quelle erano… vere?»
Castiel non commentò la sua reazione; disse solo: «Certamente».
«Allora perché— perché non le posso più vedere?»
«Non sussistono che come ombre nel piano mortale, sfortunatamente.
In ogni caso, ora hai la tua conferma; non devi temere:
proprio come ti ho detto,
la pioggia e il freddo, su di me, non avranno alcun effetto».
Fosse stato più saggio
oppure – avesse avuto meno coraggio,
Dean avrebbe girato i tacchi e sarebbe fuggito,
senza dedicare un solo altro secondo a qualcuno che poteva decretare impazzito.
Ma non era saggio, ed aveva fin troppo coraggio,
perciò restò piantato dov’era
e allungò per la terza volta la mano nella penombra della sera.
«Con o senza piume e arpa dorata» proferì, mentre tra gelo e meraviglia tremava tutto,
«sono certo che starai comunque meglio all’asciutto».
Castiel, quell’ennesima proposta, la stava già per declinare
quando però realizzò: avere compagnia e parlare
l’avevano distratto dal dolore;
così, pur titubante, scelse infine di stringer quella mano e la promessa di calore.
 
 
 
L’auto di Dean era nera corvina,
e con orgoglio lui la trattava come la propria bambina.
Fu con tatto che chiese a Castiel di coprire il sedile con un panno;
«Senza offesa, ma non vorrei facessi qualche danno.
I sedili sono di pelle, e i tuoi vestiti sono zuppi».
Tanto bastò perché l’angelo agisse: uno sguardo ed ecco, erano entrambi asciutti.
Se Dean riguardo all’altro ancora covava qualche incertezza,
certo quella magia contribuì a scacciargliela con poca finezza.
Salirono a bordo e partirono senz’un’altra parola
e lungo la strada, mentre Castiel guardava fuori dal finestrino,
Dean osservava lui, di sottecchi come si fa con le cotte a scuola,
solo con fare più intenso e molto meno fino.
«Dunque saresti un angelo» disse atono guidando senza direzione;
in sottofondo, intanto, suonavano le note d’una vecchia canzone.
«Sì. Credevo l’avessimo già appurato»
ribatté Castiel, appena accigliato.
Da tanto, Dean trasse che l’altro non sapeva cogliere il taciuto,
e che dunque, se voleva spiegazioni,
gliel’avrebbe dovute chiedere in modo risoluto
e senza tanti paragoni.
«Significa che Dio esiste» soffiò, «giusto?»
«Corretto. È in nome suo che portiamo avanti questo trambusto».
Fu una risposta severa, accompagnata da uno sguardo bieco,
e fece capire all’uomo che quell’argomento era un vicolo cieco.
Se voleva cavare un ragno dal buco, doveva riprovare;
«Che ci fai da queste parti? Tra i comuni mortali» si risolse di domandare,
e subito Castiel rispose: «Ho un’ala spezzata, non posso volare.
Dean, sono qui perché non posso tornare».
Il suo tono era amaro,
graffiava le orecchie;
era il tono di chi è stato privato di qualcosa di caro
e di cose brutte ne ha viste parecchie.
«Potrai tornare quando sarai guarito?»
proseguì l’uomo, le mani strette forte sul volante;
Castiel lo fissò un attimo, sfoggiando in volto un che di triste e sbiadito,
poi disse: «Solo allora, sì» con voce vibrante.
«E l’ala, come— come si è rotta?»
Se quella domanda a metà s’era quasi interrotta,
fu perché Dean vacillò al pensiero di doverla porre per davvero;
insomma, un angelo al suo fianco – stava sognando, vero?
Fu Castiel a riportarlo coi piedi per terra,
scandendo: «Ho combattuto una guerra.
Negli inferi; è andata avanti per anni. Mi ha colpito un demone».
Esitò un istante: di quel disgraziato momento era ancora ben memore.
 «È successo da tempo, ma non è mai importato;
almeno finché non stavamo tornando,
e mi sono trovato bloccato
perché non potevo andare dove gli altri stavano andando».
Raccontava con convinzione, dedizione addirittura
e gli brillava un qualcosa d’alieno negli occhi celesti,
tale che, sebbene la voce fioca della logica suggerisse: “Non dovresti”,
Dean non poté che finir col credere reale la sua disavventura.
(Al fatto che Mary gli parlasse di angeli mentre gli dava la buonanotte,
e che da bambino gli dicesse: «Vegliano su di te»
mentre gli pizzicava le paffute guanciotte,
non volle assolutamente pensare, perché— beh.
Di solito non pensava a sua madre e basta;
ed era una regola di cui era molto entusiasta.)
A quel punto, una sola cosa importava,
cioè che c’era sul serio un angelo nella sua amata Impala;
confermata l’idea, ogni suo pensiero divenne più rumoroso d’una cicala.
La razionalità, intanto, scalpitava:
Castiel aveva le ali, il suo solo sguardo per magia asciugava
e Dean poteva toccarlo con mano;
cosa doveva fare, quindi, allertare il Vaticano?
Per qualche momento credette d’impazzire,
ma poi di sfuggita incrociò un’occhiata dell’altro, ferma come la roccia,
e chissà come ciò spinse il suo panico ad affievolire.
Sul parabrezza batteva ancora la pioggia,
e su quello cercò di concentrarsi,
per dar modo alle idee di schiarirsi.
Se ci riuscì, è difficile a dirsi;
quel che è certo è che, quando Castiel chiese: «Dove siamo diretti?»
lui replicò: «A casa» dopo due soli secondi netti.
 
 
 
Dean abitava in fondo a un viale,
in un piccolo appartamento che non aveva nulla di speciale;
l’affitto, però, era onesto
e da lì ad arrivare all’officina dove lui lavorava si faceva presto.
Parcheggiata l’auto a filo del marciapiede,
mentre Castiel lo seguiva con la più totale fede,
il padrone di casa fece strada all’interno,
dove si sarebbero potuti riparare dal freddo dell’inverno.
Una volta chiusa la porta alle loro spalle,
Dean abbandonò sul divano la giacca di pelle;
stava per invitare l’ospite a fare lo stesso,
quando gli sorse spontaneo il quesito:
«Gli angeli vanno tutti in giro vestiti come te adesso?»
Castiel guardò i propri abiti, impettito.
Sapeva d’avere indosso una tenuta appropriata,
sebbene l’ampio cappotto beige potesse essere ingombrante
e la cravatta fosse mal annodata.
Perciò chiese: «È una questione rilevante?»
a cui l
uomo ribatté: «No, è solo per curiosità;
sembri appena uscito dal reparto contabilità.
Non emani esattamente un’aura divina –
a parte per quella cosa con le ali. Quella è stata… carina».
Quasi singhiozzò al ricordo di quelle giganti forme,
magnifiche, persino quella rotta e deforme;
e non poté che pregare ogni santo della dottrina
che Castiel gli perdonasse l’averle banalmente definite una cosa “carina”.
Per sua fortuna lui parve non darci peso,
preso com’era dal replicare: «L’aspetto d’un angelo su questo piano
è determinato dagli usi e dai costumi del luogo in cui è disceso,
così che possa confondersi tra voi, non sembrare strano.
Quindi non credermi responsabile – semmai è la tua società
a sembrare appena uscita dal reparto contabilità».
Dean esitò per un solo momento:
c’era un che di sfrontato e di tremendo
dietro quel tono e quell’atteggiamento.
Ne fu in egual parti intimidito e meravigliato
e, scegliendo di non volerne essere spaventato,
s’aprì in un mezzo sorriso intrigato.
A riguardo non disse niente,
ma il suo schivo compiacimento fu piuttosto eloquente;
beh, non per Castiel, che non poté che chiedersi, perplesso e conciso,
perché mai di punto in bianco l’uomo avesse quella strana smorfia sul viso.
Non ebbe tempo d’indagare,
poiché Dean aveva già ricominciato a parlare:
«Come guarirai?» e forse era una domanda banale,
ma: «Non credo tu possa semplicemente andare in ospedale».
«Ora che non sono più all’Inferno,
la ferita si rimarginerà da sola» rispose l’angelo senza scherno.
«Sarebbe già guarita, non fosse per il fumo di quel posto:
soffoca tutto ciò che non è dannato
e anche quello che lo è, ne resta sempre alquanto indisposto»,
proseguì, accurato.
«Quindi non hai bisogno di cure? Di nessun tipo?»
si meravigliò l’altro, suonando quasi contrito.
«Precisamente. La mia Grazia può ripararsi da sé».
«Oh. Per questo insistevi a non voler venire con me»
mise infine a fuoco Dean, sfruttando la nuova nozione;
«sei, uh, in autoriparazione».
«Già. Non so quanto tempo passerà
da adesso a quando la ferita si rimarginerà,
ma avevo deciso di restare là seduto
perché non sprecare energie affretta il processo – è d’aiuto».
«Allora perché— perché alla fine sei venuto?»
«Hai insistito» soffiò Castiel, confuso e poco convinto;
poi riprovò, ammettendo la verità per istinto:
«Anche se non puoi farmi guarire,
parlare con te mi evita di soffrire.
Almeno in parte – se ho qualcosa da fare,
nella mia mente non c’è solo il male».
Dopo quella frase calò il silenzio, e i due si fissarono a lungo, intenti.
Castiel non batté ciglio,
restando sempre fedele al proprio cipiglio;
mentre Dean, dal canto suo, di riflesso strinse i denti:
gli pareva incredibile d’essere degno
di far star meglio con tanto poco un essere appartenente a tal regno.
Sgranò gli occhi cercando di dir qualcosa; poi, fallendo,
optò per un mugugno fatto quasi sorridendo.
Ed ecco che l’angelo aveva di nuovo dinnanzi
la bizzarra espressione vista poc’anzi.
Era appena accennata,
eppure molto illuminata;
sembrava positiva,
forse un po’ sulla difensiva,
e per quanto si sforzasse, lui non la capiva.
Aveva forse frainteso ogni cosa?
Messo a disagio l’uomo, sbagliato qualcosa?
Assottigliando lo sguardo, chiese: «Vuoi che me ne vada?
Posso tornare sulla strada».
«Cos— no! Ti ho chiesto io di entrare;
io ti ho voluto aiutare»
s’affrettò a fargli presente Dean, certo
«non ti sbatterò fuori; almeno qui sei al coperto».
Poi si costrinse ad aggiungere, riducendo la voce ad un filo:
«In più posso parlarti», con la buffa vergogna d’un bimbo dell’asilo.
Tale sforzo fu comunque ampiamente ripagato
dal modo in cui Castiel gli disse d’esser grato;
non tanto a parole – quelle furono tre soltanto:
«Ti ringrazio, Dean», soffiate con tono quasi affranto –
quanto con gli occhi e in generale col viso,
che sebbene fosse come nella pietra inciso
trovò modo, insieme con le iridi colorate d’azzurro,
d’apparir morbido come il burro.
L’uomo a tutto ciò rispose con un cenno impacciato e discreto,
poi rivide di sfuggita il sofà
e indicandolo buttò lì, quanto più possibile cheto:
«Hm, puoi sederti, se ti va».
 
 
 
In quel modo ebbe inizio –
tra mani tese, ombre d’ali,
proposte e domande cruciali –
dell’uomo e dell’angelo il lungo sodalizio.
Non sapevano in principio dove sarebbe andato a finire,
ma certo era che entrambi lo volevano scoprire.
 
 
 
 
 




 


 
Angolo di Tormenta
Non ho la benché minima idea di come sono finita a mettere insieme una storia in rima, ma scriverla è senza dubbio una delle cose più divertenti che io abbia mai fatto. E il risultato, beh: una lunghissima filastrocca (esito a chiamarla davvero “poesia”) in cui Signore è stato fino all’ultimo a tanto così da esser messo a far rima con raffreddore – ragazzi, questa è la vera letteratura! XD
A parte gli scherzi; è
 il mio primo approccio ad una Destiel a più capitoli. Mi rendo conto d'aver scelto uno stile che magari non è nelle corde di tutti, ma se deciderete di leggerlo, mi auguro che questo racconto possa riuscire a regalarvi qualche momento piacevole. :)
 
Informazione di servizio: la storia si comporrà di cinque/sei parti, e salvo imprevisti dovrei riuscire a caricare le prossime una volta a settimana, nei lunedì a venire. c:
Per ora, grazie mille per aver letto sin qua, e a risentirci a presto, se vi va! ;) 
T. ♪

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Capitolo 2
*** Here with you ***


2.
Here with you

 
 

Durante le prime ore che trascorsero insieme,
riguardo a Castiel, Dean scoprì diverse cose alquanto estreme.
Che in quanto serafino era vecchio come il tempo
e che nella sua vera forma era fatto di luce e d’intento,
per dirne una;
oppure, che del sistema solare aveva visitato ogni luna.
Poi, che conosceva per nome tutte le stelle –
non i nomi umani: tutte bufale, quelle! –
i nomi attributi da suo Padre, nella lingua celeste,
che vibravano a ritmo di sillabe forti come tempeste
e che non potevano purtroppo esser tradotti.
(Che non si dica in giro, ma francamente
a Dean andava bene ugualmente;
anzi, tanto meglio se quei nomi non erano poliglotti:
avrebbe volentieri ascoltato Castiel pronunciarli in Enochiano per intere notti.)
Scoprì anche altri dettagli,
come che dell’umanità l’angelo non conosceva i travagli;
provava dolore, ad esempio per l’ala spezzata,
ma era qualcosa di trascendente
che aveva più a che fare con un costante rumore nella mente
che con bruciore e sangue e carne strappata.
Gli domandò se era la sua prima volta sul pianeta,
e Castiel gli disse che no, c’era già stato
anche se per poco, una volta, in un lontano passato,
per svolgere un compito che coinvolgeva un profeta.
Chiese della prima alba, del primo tramonto
e ascoltò avido ogni parola del racconto;
poi chiese ancora: «Com’è il Paradiso?»
col tono incerto di chi quasi s’aspetta d’esser deriso.
Ma Castiel non rise. Semplicemente rispose, sibillino:
«Il tuo, ti piacerà di sicuro».
«Come fai a sapere che ci andrò?» l’interrogò Dean, scuro,
balbettando un pochino.
«Potrei dover scendere, hm, al piano di sotto».
«Vedo la tua anima, Dean, e so che il tuo cuore non è corrotto».
L’uomo non poté che esitare un momento,
scettico di fronte a quel complimento.
Di certo non credeva si sarebbe mai sentito dir certe cose;
provenienti da un angelo, poi, erano lodi troppo generose.
Per mille motivi preferì non far alcun commento;
piuttosto, cambiò prontamente argomento.
«Avete davvero un’arpa dorata?»
«No. L’iconografia in questo è alquanto fallata».
«Oh». Rifletté brevemente, «Cos’altro abbiamo sbagliato?
Cupido? Sai – l’arco, le frecce; il bambino alato».
«Ce n’è più d’uno. E preferiscono essere chiamati cherubini.
Comunque, avete colto la sostanza – sono arcieri sopraffini».
Pur attutita dalla monotonia, nella voce di Castiel suonò la nota stonata
che caratterizza ogni lode forzata.
Dean prontamente la captò
e spudoratamente sogghignò,
con un sopracciglio inarcato
e gli occhi pieni d’un che d’interessato.
«Da come ne parli, non sembra ti piacciano molto»
disse, e subito l’altro s’accigliò in volto.
«Fanno il loro dovere, e questo lo rispetto,
ma le nostre nature sono in contrasto diretto.
Loro professano l’armonia, di fatto;
io, invece, combatto».
L’uomo tentò di soppesare quella risposta, intrigato,
ma presto si ritrovò a buttar lì, tutto d’un fiato:
«In sostanza, ti senti più cazzuto di loro».
L’angelo gli rivolse un’occhiata tanto intensa
da potergli aprire nel cranio un foro,
e tacque, sfoggiando l’espressione di chi pensa.
Al che, Dean quasi temette d’esser sterminato
con l’accusa d’aver detto qualcosa di sbagliato;
invece da quel lungo silenzio uscì indenne
e per di più di sentirsi dire ottenne
(dopo che gli fu domandato:
«Cosa significa cazzuto?» e che lui l’ebbe spiegato),
in tono totalmente privo d’inclinazione:
«Sì, è così. E ho ragione».
Non poté che ridere, allora, mentre Castiel ancora l’osservava.
Quest’ultimo a sua volta non si sbellicò;
una cosa fu palese, però:
il divertimento dell’uomo lo dilettava.
 
 
 
Alla fine, comunque sia,
in quel lungo botta e risposta che avanzava senza alcuna precisa via,
pur avendo di fronte un essere che tanto poteva meravigliare,
come tipico d’un umano,
che si preoccupa di ciò che può afferrare
col pensiero o con mano,
ciò che più stupì Dean furono le – comparate col resto – piccole semplicità.
In particolare, questa qua:
«Mi stai dicendo che non dormi e non mangi. Per niente?»
«Non è necessario che lo faccia. Potrei,
ma questo mi ruberebbe più tempo di quanto vorrei.
Sarei poco efficiente».
«Prima il voler restare in quel vicolo a congelare,
pur di risparmiare
cosa? forse una mezza caloria,
o anche meno, d’energia.
Poi questo. Per te è tutto una questione d’efficienza?»
«Efficienza e obbedienza»
recitò l’angelo con voce automatizzata,
poi aggiunse, con la testa appena chinata:
«Sono un soldato, Dean. Il mio atteggiamento
è plasmato per essere il migliore in combattimento».
A sentirlo parlare a quel modo,
nella gola dell’uomo si formò un grosso nodo.
«Ora però non sei in guerra.
Sei qui, sulla Terra»
gli fece presente, conciso,
«e anche se ti ci sei ritrovato senza preavviso,
potresti, che so—
provare a fare qualche esperienza. No?»
A Castiel quelle parole sembrarono piacere,
o almeno così Dean credette di capire,
ma comunque a tavola per cena non ci fu verso di farlo sedere,
e di certo nulla lo convinse a provare a dormire.
«È una cosa che mi fa quasi paura»
confessò l’angelo in un soffio dopo che l’altro gli ebbe suggerito
che forse il sonno avrebbe accelerato la cura.
«Mi mette a disagio» precisò «il pensiero restare lì, incustodito.
Non reattivo, incosciente dei pericoli».
Non erano motivi poi così ridicoli,
Dean ammise a sé stesso;
sarebbero forse stati anche i suoi se, come Castiel,
fosse andato in battaglia sin troppo spesso
per conto dei simpaticoni su nel ciel.
«Non ho mai capito come voi ci riusciate. A dormire, intendo»
aveva proseguito l’angelo, «non è tremendo?
So come funziona il vostro corpo e che necessitate di riposare,
ma come— come sapete che nella notte non smetterete di respirare?»
Si pose con onesta confusione
e l’aria di chi nasconde la curiosità da almeno qualche eone.
Dean, preso in contropiede,
non seppe bene come reagire,
se non abbozzando un «Suppongo si possa dire che è questione di fede»
che accompagnò con un mezzo sorriso sul finire.
In quell’istante ebbe anche occasione di realizzare:
s’era fatto spiegare tanto, senza dar nulla in cambio.
Percepì allora il desiderio di rimediare –
per le informazioni potevano fare uno scambio;
avrebbe scommesso che, riguardo agli umani,
c’era ancora parecchio
che turbava Castiel come una pulce nell’orecchio:
si propose dunque come soggetto per risolvere quegli arcani.
«Chiedi pure» affermò
e l’altro con gran intensità lo guardò,
ponderando tra sé e sé:
in ogni caso sulla Terra doveva restare
e certo non gli mancava il tempo da passare,
perciò decise che si sarebbe concesso qualche perché.
Così, parlarono ancora per ore,
dall’inizio alla fine con vivo fervore,
di regole, abitudini,
accortezze sociali, vicissitudini.
«Com’è svegliarsi?
E addormentarsi?»
domandò ad esempio Castiel con gli occhi illuminati;
o ancora, dopo averli assottigliati
e ricordando lo «Smetti di fissarmi» che l’altro gli aveva rivolto cenando:
«Perché è sbagliato guardare qualcuno che sta mangiando?»
Se si fermarono, infine, fu solo perché l’angelo proferì:
«Dean, credo che per te ora sia meglio dormire»
e l’uomo non lo poté contraddire,
visto che sì,
era ormai tardi, e l’indomani l’aspettavano all’officina.
Ma non mancò di chiedere: «Tu che farai fino a domattina?»
Castiel lo scrutò impassibile, poi scandì,
come se fosse ovvio: «Ti aspetterò qui».
E anche per via dalla stanchezza,
Dean non s’oppose a tanta fermezza,
sebbene lo mordesse l’incertezza
e la sua razionalità facesse qualche moina
all’idea d’abbandonare per l’intera notte in cucina
nientemeno che una creatura divina.
Domandò solo: «Sicuro che non ti serva niente?»
Castiel glielo confermò, paziente,
e con un «Buonanotte» esitante, infine, l’uomo si congedò.
Verso la camera da letto, poi, si trascinò:
durante quel tragitto, una volta cedette alla tentazione
di guardare indietro, in un ultimo lampo d’indecisione;
trovò l’angelo immobile e tranquillo,
ritto in piedi con la fierezza d’un vessillo.
Stava sullo stipite della stanza in cui l’aveva lasciato,
dalla cui luce fioca era illuminato,
ed era tutto occupato
a scrutarlo con fare concentrato.
Dean quasi provò imbarazzo
e, pur non diventando paonazzo,
dopo aver accennato un ennesimo saluto di getto
si fiondò dritto verso il letto.
Fece solo un’altra cosa prima di crollare addormentato:
nel buio e nel silenzio, ammirato
e un pochino preoccupato,
si chiese se davvero Castiel sarebbe stato lì quando si sarebbe svegliato.
 
 
 
E: .
Sì, al suono della sveglia trovò Castiel proprio lì;
letteralmente. Tipo, a tanto così
torreggiava accanto al letto, con gli occhi sgranati
che puntavano in basso, determinati.
Dunque, appena alzate le ciglia,
Dean ritrovò quello sguardo fisso su di sé:
s’immagini la terrorizzata meraviglia,
il salto che fece e lo strillo— cioè,
 il grido virile
che cacciò pensando d’istinto che si trattasse d’una presenza ostile.
«Cristo!» imprecò mettendo a fuoco la situazione,
mentre il cuore ancora gli scoppiava per via dell’illusione.
Poi: «Cas— ma che cavolo» esclamò, roco,
provando sentimenti confusi e difficili da mettere a fuoco.
«Si può sapere che stai facendo?
Mi hai fatto prendere un infarto –
non puoi fissare le persone mentre stanno dormendo!»
Al che l’angelo lo esaminò dalla testa alla punta d’ogni arto,
rapido, per poi costatare, piatto ma a modo suo sollevato:
«Dean, il tuo cuore non è danneggiato».
«Beh, spero proprio di no! Era un—» ma più avanti l’uomo non andò;
piuttosto: «Lascia perdere», decretò.
Immergendo le mani nei capelli, poi,
prese un profondo respiro, e tornò a dire:
«Davvero, questo non devi farlo. Non puoi».
E per quanto il cipiglio di Castiel fosse duro da scalfire
in quel momento si sciolse, pervaso dalla contrizione.
«Ti chiedo perdono. Turbarti non era mia intenzione».
«E allora cosa volevi fare?»
Un mero bisbiglio fu la replica a quella domanda: «Vegliare».
«Perché, avevi paura che smettessi di respirare?»
L’angelo in tutta risposta gli scagliò un’occhiata dell’altro mondo,
colma al contempo di fiamme e d’uno spirito verecondo;
Dean ci vide dentro confusione e un che d’allarmato:
quasi gli caddero le braccia,
e non poté che borbottare, affannato:
«Oddio, smetti di guardarmi con quella faccia!
Non succederà sul serio» lo rassicurò,
poi calciò via la coperta e s’alzò.
«Se vuoi restare,
per le prossime notti dovremo trovarti qualcosa da fare»
mormorò piccato tra sé e sé,
strisciando intanto verso la cucina in cerca di caffè.
Castiel gli fu subito dietro, senza esitazione,
pronto nonostante tutto a fargli compagnia durante la colazione.
 
 
 
«Non sei un angelo custode,
m’era parso di capire» mugugnò poco dopo l’uomo
con un residuo di stizza nel tono
mentre cucinava frittelle senz’infamia e senza lode.
«Non lo sono, infatti».
«E allora perché—» chiese Dean, trafficando coi piatti
«—perché ti sei messo a vegliare? Sul serio».
Si voltò verso di lui, guardandolo come se avesse perso ogni criterio.
«Ho creduto fosse una cosa buona da fare.
Tu mi hai aiutato quando non dovevi; volevo ricambiare».
«No, hm. Ascolta bene: non mi devi niente.
Specialmente non una cosa così inquietante».
«D’accordo. Capisco».
Come quelle due sole parole lo fecero sentire un totale fiasco,
l’uomo non l’avrebbe saputo spiegare.
«Apprezzo il pensiero, suppongo» si sforzò di bofonchiare,
«uh, grazie – per quello. Ma prometti—
prometti che non lo farai mai più. Per nessun motivo».
Castiel per un po’ lo scrutò con gli occhi stretti,
come ponderando un gesto decisivo.
«Bene. Hai la mia parola» asserì poi con aria severa,
come se stesse promettendo di proteggerlo da qualunque bufera,
o come se stesse giurando da capitano
di combattere contro tutto ciò che c’è di profano
e non si trovasse miseramente
nella piccola cucina d’un povero perdente.
Perdente che, scambiando con lui l’ennesima lunga occhiata,
non poté che domandarsi
come cavolo avesse fatto a meritarsi
d’incontrare e conoscere una creatura tanto aliena e inestimata.
 
 
 
Quando fu pronto per partire,
giacca sulle spalle e chiavi dell’auto in mano,
Dean domandò a Castiel se aveva intenzione di uscire.
«Non ti sto cacciando» precisò, prima che l’altro facesse qualche pensiero balzano,
«solo— ora io vado lavorare.
Il turno finisce alle cinque, e potrei tardare.
Dovrei chiudere la porta a chiave, perciò—»
Facendo spallucce, per un attimo esitò.
«Vuoi restare dentro tutto il giorno?
Oggi non piove. Puoi uscire, fare un giro qui intorno
e tornare più tardi, se ne hai voglia».
Gli sovvenne solo una volta che ebbe concluso
che l’angelo pur di guarir prima forse avrebbe preferito fare il recluso;
d’altronde, non c’era necessità che varcasse la soglia.
Stava per l’appunto per rettificare,
ma Castiel parlò per primo – per altro, per accettare:
«Uscirò. Ci sono cose che vorrei vedere».
«Okay» sorrise Dean. «Niente più modalità risparmio energetico?»
«Ho decretato che renderebbe il mio soggiorno alquanto patetico.
Io— non credevo che qui mi sarebbe potuto piacere,
ma tu mi hai fatto pensare.
C’è ancora tanto riguardo all’umanità che potrei imparare».
Così, uscirono di casa affiancati,
l’uno guardandosi attorno con gli occhi affilati
per scegliere la direzione in cui andare,
e l’altro che quasi storceva il naso perché non lo poteva accompagnare.
«Allora, hm» mormorò Dean,
prima di seguire il resto della propria routine
«se hai bisogno di indicazioni—»
«Mi sono orientato all’Inferno, mentre m’attaccavano intere legioni.
Penso di potermela cavare».
«Sì, uh, giusto» biascicò l’uomo in un pallido tentativo di replicare;
accanto a lui, l’adorata Impala aspettava,
così come l’officina: l’orario non perdonava.
Doveva salutare: strinse dunque tra le dita la maniglia
e disse, con una vaga insicurezza: «Ci… vediamo dopo, Cas».
Perplesso, l’angelo l’osservò tra le ciglia;
l’uomo era già salito a bordo, quando lui chiese: «Perché Cas?
È la seconda volta che mi chiami così,
ma non è il mio nome, e lo sai».
Se s’era indispettito, Dean non lo capì;
in ogni caso, il danno era fatto, ormai.
«Sì. È che— Castiel ha un sacco di sillabe» disse,
e subito si rese conto di quanto ridicolo suonasse.
Stava per aggiungere altro, ma all’ultimo rinunciò,
scandagliato com’era dallo sguardo celeste.
“Da quando i soprannomi sono cose tanto moleste?”
d’istinto si domandò,
mentre l’angelo sembrava immerso nella riflessione.
E lo era: impiegò un po’ per trarre una conclusione;
cioè che il nomignolo di Dean non pareva implicare mancanza di rispetto –
quindi non mirava a dargli dell’inetto,
non metteva in dubbio il suo essere divino;
piuttosto, doveva esser nato dall’inconscio bisogno di sentirlo più vicino,
più terreno – meno astratto. Era un approssimar per difetto;
d’altronde quello di “angelo” doveva essere un remoto concetto
agli occhi del senso pratico dell’umano intelletto.
«Capisco» asserì alla fine del ragionamento, pacato.
Al che, l’altro gli dedicò uno sguardo stralunato,
ma evitò di chiedere una spiegazione,
considerando semplicemente approvato il soprannome.
Mezzo minuto dopo, l’Impala avanzava sull’asfalto;
nelle orecchie di Dean, la musica a volume alto
e la voce di Castiel che gli augurava, bassa e calibrata:
«Buona giornata».
 
 
 
Quando quella sera rientrò, non trovò parole per dire
come vedere un angelo ad aspettarlo davanti casa lo fece sentire.
Certo fu contento,
specialmente mentre l’ascoltò raccontare, intento,
del suo viaggio ai giardini
dove aveva visto giocare dei bambini,
e della biblioteca e dei tomi
che aveva letto in svariati idiomi.
«Ho sfogliato la Metafisica, Don Chisciotte, Alla ricerca del tempo perduto»
e da come parlava, caldo nel suo rigore, gli erano piaciuti tutti.
«È bello conoscere i frutti
della Terra per cui ho tanto combattuto».
Dean si sentì incredibilmente fiero
della buona vecchia umanità:
qualcosa di decente dovevano averlo combinato per davvero
se erano riusciti a regalare a un angelo tanta felicità.
 
 
 
Per la notte, non esitò ad introdurre Castiel alla tivù:
il mattino dopo, lui voleva già sapere ancor di più;
non solo riguardo agli episodi d’un melenso dramma
e a chissà quale altro programma –
ma riguardo a tutto:
alla cultura, ai modi di dire, alla società e al suo costrutto.
Quindi Dean gli mostrò la musica, i giornali, le riviste,
traendo gran soddisfazione dal vederlo sfoggiare
le espressioni più confuse e assorte e colpite mai viste.
Gli indicò anche altri posti da visitare:
allora l’angelo tornò ad uscire,
quel giorno; tornò a scoprire,
con la determinazione di chi vuol lasciarsi stupire.
 
 
 
Così il tempo, senza farsi notare,
iniziò a passare.
L’uomo si unì a Castiel e alla sua esplorazione,
quando ne ebbe l’occasione;
poiché, poi, aver l’angelo attorno, momento dopo momento,
diventava sempre più di suo gradimento,
e siccome anche all’altro pareva piacere stargli appresso,
insisté per mostrargli alcuni particolari luoghi lui stesso –
il cinema, l’officina, il suo bar preferito
(pur continuando a non riuscire a convincerlo a mangiare,
bere fu una cosa che trovò modo di fargli provare:
quanto reggesse l’alcool, poi, lo lasciò parecchio stupito).
Con tutto quel visitare,
lo stare insieme, e il vicendevole spiegare,
i due non tardarono a ritrovarsi ad essere alquanto vicini
e non solo come improvvisati coinquilini:
l’angelo aveva nell’altro il proprio riferimento
capace di chiarire ogni buffo, umano evento;
d’altra parte, con Cas, Dean si divertiva
come raramente riusciva,
e si sentiva splendidamente fissato,
in barba al suo essere terreno e limitato,
come se potesse dispensare i segreti dell’universo,
quando in realtà era l’inverso:
Castiel era quello che gl’insegnava, armato d’inventiva,
fornendogli sempre una nuova, bizzarra prospettiva.
 
 
 
Tutto ciò – Cas, fu una cosa che Dean imparò a voler tener stretta
e a cui s’abituò spaventosamente in fretta:
s’abituò a trovarlo di fronte allo schermo del televisore,
a guardare documentari e i film più disparati,
quando di notte si svegliava alle più assurde ore;
s’abituò a capirlo, anche quando sfoggiava quei suoi sguardi complicati;
s’abituò alla stranezza,
all’umorismo involontario,
alla spudorata franchezza,
al suo essere un incredibile ente millenario.
Iniziò a fidarsi di lui per davvero.
Tanto, da impegnarsi ad essere quanto più possibile sincero
e da accoglierlo mutamente nella propria famiglia allargata:
lo fece conoscere agli amici –
a Ellen e Jo, a Benny e a Bobby, quasi il padre di tutta la brigata –
e quelli l’inclusero felici.
(Certo non rivelò loro la sua natura,
perché: «È meglio non dire in giro che sei una pazzesca creatura»;
lo introdusse piuttosto come una vecchia conoscenza
tornata da quelle parti dopo una lunga assenza.)
Gli raccontò anche di suo fratello minore, avvocato,
che lavorava lontano, e là s’era accasato.
«Ormai è un uomo impegnato»
disse per descriverlo; «sono fiero di ciò che è diventato».
In un’occasione,
finì persino, chissà come,
a confidargli, seppur solo bisbigliando,
di Mary e John, del fatto che se n’erano andati da tanto,
l’una a causa d’un incendio, l’altro per via del conseguente cuore affranto.
E da quello, non poté che parlargli di tutti i sacrifici fatti crescendo –
degli occhi rossi,
dei lavori doppi,
delle lunghe notti;
tutto perché suo fratello se ne potesse andare,
là, a conquistare ciò che non poteva che meritare.
Mai una sua sola sillaba Castiel giudicò,
né lo fece sentire a disagio
per avergli riversato addosso quell’emozionale nubifragio;
semplicemente, lo guardò
con quel suo fare infinito
e l’espressione savia di chi ha intuito
che anche senza alcuno strepitare ardito
si può dire: “Ho capito”.
Quella storia era per Dean il segreto più grande –
nulla, per lui, era tanto importante
e sebbene lì per lì aprirsi gli trasmise una strana sensazione,
certo non si pentì della propria decisione.
 
 
 
Anzi. Fu pienamente soddisfatto d’averla presa,
soprattutto quando incappò in una sorpresa:
ricevette una telefonata, una sera.
Con Cas si stava godendo la puntata d’un vecchio show,
e lo squillo rovinò totalmente l’atmosfera,
ma visto chi era all’altro capo della linea, non s’arrabbiò.
Ci furono un paio d’insulti gratuiti, dei convenevoli,
poi un annuncio: «Pensavo di venire a trovarti. Non torno da secoli»
a cui Dean rispose, dopo un «Sì» commosso ed opportuno:
«Devo farti conoscere qualcuno.
Un amico» precisò con un briciolo di tensione
e gli occhi fissi in quelli dell’angelo al suo fianco,
che s’accesero e s’ingrandirono di punto in bianco
una volta che lui ebbe capito d’essere il soggetto della conversazione.
«Niente indizi, Sam; è inutile che chiedi»
aggiunse con un ghigno sulle labbra Dean, cocciuto
e anche alquanto compiaciuto.
«Puoi capire solo se lo vedi».
 
 
 
 





 
Angolo di Tormenta
Tempistiche. Spero di essere riuscita a renderle adeguate. Così come per le caratterizzazioni; considerato il contesto, mi sono ritrovata ad ammorbidirle, per certi aspetti, ma comunque: a voi il giudizio. :)

Grazie mille per aver letto, seguito, commentato – continuo a divertirmi da morire con questa storia, e mi auguro che possa essere lo stesso (almeno un pochino) per voi. A risentirci presto! c:
T. ♪

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Capitolo 3
*** Here and there ***


3.
Here and there

 


Sin dal primo instante in cui, con Castiel a fare da supporto,
Dean si mise in viaggio verso l’aeroporto,
iniziò a crescere in lui una vibrante trepidazione.
Là, a destinazione,
li aspettava Sam, in visita per un paio di settimane,
e lui non poteva che covare quella smania immane;
d’altronde si trattava del suo fratellino,
a cui stava per presentare l’amico e coinquilino
che era nientemeno d’un essere divino.
Non vedeva l’ora di scoprire come Sammy avrebbe reagito
una volta che quel dettaglio gli fosse stato fornito.
A riguardo – doveva ancora procurarsi un permesso
da parte dell’interessato stesso.
Perciò chiese, guidando: «Cas, ehi. Ricordi che ti avevo consigliato
di non dire in giro che sei— sai, alato?
Ecco. A Sam vorrei dirlo.
Va bene? Ti va di farlo?»
Castiel lo guardò come non capendo ciò che gli era stato offerto,
poi rispose: «Mi hai insegnato a nascondere d’essere un angelo del Signore
perché farebbe troppo scalpore.
Ma se ritieni sia giusto— posso dirglielo, certo».
«Sono sicuro che saprà mantenere il segreto»
fece Dean soddisfatto, concedendosi un sorriso;
Castiel prese nota con un cenno conciso,
e: «Mi fido» sussurrò, leale e cheto.
 
 
 
Al gate degli arrivi,
identificati, tra la folla, di suo fratello i tratti distintivi –
cioè l’altezza pari a quella dei cammelli
e lampante necessità d’un fermacapelli –
Dean chiamò: «Sam!», veloce
e decisamente non sottovoce.
Ci furono smorfie felici e saluti concitati,
domande di rito e abbracci rubati;
poi, con un certo stupore
e ricordandosi che esisteva altro oltre a suo fratello maggiore,
colui che era appena atterrato
s’accorse che lì accanto qualcuno era piantato.
Quindi chiese: «Chi è il signore?»
formale, poiché al tipo pareva mancar solo la ventiquattrore.
Inutile dire che la sua prima impressione
fu presto smentita dalla gran affezione
con cui Dean si lanciò in un’introduzione:
«Ti presento Cas! È l’amico di cui ti avevo parlato»
fece, con tanto di pacca sulla spalla e atteggiamento eccitato,
mentre quello tendeva una mano come aveva imparato.
«Piacere di conoscerti, Sam» disse composto,
e subito l’altro accettò la sua stretta, sorridendo bendisposto.
Prima che potessero mettersi a chiacchierare,
Dean insistette per volersene andare –
all’oscuro d’ogni motivazione che si diversificasse
dall’odio del suo parente
per gli aerei, e tutto ciò che c’era d’inerente,
zigzagando tra le masse
verso l’Impala, che da lì li avrebbe portati via,
Sam rivolse a Castiel qualche domanda, per cortesia.
«Da dove vieni?» e: «Come hai conosciuto mio fratello?»
Si sentì dire: «Vengo dall’Inferno. Ero di ritorno da una guerra,
quando sono rimasto bloccato sulla Terra».
Se c’era un riscontro che s’aspettava di ricevere, certo non era quello.
E diventò per lui tutto ancor più strano,
quando l’altro proseguì, spartano:
«Ho conosciuto Dean in un vicolo.
Ha voluto aiutarmi perché credeva che fossi in pericolo».
«Quindi sei un— soldato?»
non poté che chiedere ancora, accigliato.
«Sì. Sono—» cominciò Castiel, ma non andò più in là di lì:
Dean, infatti, lo bloccò borbottando: «Basta così».
«Ma» si ribellò l’angelo, severo,
«credevo avessi detto che dovevo essere sincero».
«Sì. Gli diremo la verità;
solo, non qua»
mormorò l’uomo, e vedendo negli occhi del fratello la confusione
lo rassicurò con un mezzo sorriso sornione.
«Di quale verità state parlando?»
non poté che indagare Sam di rimando,
e sentì quasi odore di guai
quando Dean ribatté: «Oh, Sammy – lo scoprirai».
 
 
 
In auto, Castiel cedette il sedile del passeggero
senza che gli fosse stato richiesto;
fu sufficiente da parte di Dean uno sguardo mesto,
come se comunicassero col pensiero.
Sam non mancò di rendersene conto
e si fece ancor più forte in lui il desiderio d’un resoconto.
Seduti dunque ciascuno al proprio posto,
stanco del silenzio dubbioso ed indisposto,
tagliò la testa al toro, dicendo:
«D’accordo, ora vorrei sapere che sta succedendo».
Al che, il fratello maggiore
alquanto compiaciuto, fece rombare il motore
e incrociati un paio d’occhi nello specchietto retrovisore
soffiò: «Cas, a te l’onore».
Al che quello non esitò a dire, con gran nitore:
«Sono un angelo del Signore».
Sostenere che Sam ci restò di sasso sarebbe un eufemismo.
D’istinto sgranò gli occhi, allibito,
facendoli saettare tra Dean e il suo amico,
in cerca di segni d’umorismo.
Non ne trovò, però:
erano entrambi seri, e lui si preoccupò.
«So che sembra pazzesco» affermò Dean per tranquillizzarlo;
«anch’io ci ho messo un po’ per accettarlo».
«Non è uno scherzo divertente».
«Non è uno scherzo per niente.
Cas te lo può dimostrare».
Nel dir quello, di nuovo nello specchio un’occhiata andò a cercare
e una volta che l’ebbe trovata
aggiunse in quella direzione, con aria elettrizzata:
«Devi rifare quello che hai fatto con me, con le ali. Quel trucchetto—
diciamo che fa un certo effetto».
Castiel assentì, mentre gli occhi di Sam si trasformavano in fanali
tanto era rimasto colpito dalla parola “ali”.
«A casa» gli disse Dean; «a casa ti farà vedere».
E pur sentendosi come a corto di parole a causa dell’incredulità,
il minore per tutto il tragitto continuò a pretender di sapere,
e a dubitare, restìo ad accettare che quella fosse la realtà.
Poiché poi si scontrò sempre con una fiera resistenza,
nonché una gran insistenza,
da parte del fratello e del suo compare,
che persistevano, a suo parere, nel vaneggiare –
insomma, missioni negli inferi? Ali spezzate?
Una Grazia capace di far le cose più strampalate? –
finì con lo scendere dalla macchina incollerito
e convinto che Dean fosse totalmente impazzito.
Se comunque si lasciò trascinare dentro casa
fu forse per capire fin dove l’irrazionalità era pervasa;
certo non s’aspettava accadesse
ciò che effettivamente successe.
In sala, vagamente scocciato
dacché anche lui s’era un po’ arrabbiato,
Dean asserì, rivolgendosi a Castiel: «Adesso».
L’altro col capo fece segno d’aver capito, solenne,
e a Sam disse: «Non ho mentito nel dire che sono un essere perenne.
Con questo, ti resterà forse meglio impresso».
A quelle parole, senza che più l’argomento fosse dibattuto
e come già in quel vicolo era avvenuto,
l’ombra s’ispessì
e lo spazio apparentemente si rimpicciolì,
mentre sulla parete, proiettate da una luce sovrannaturale,
s’aprivano due giganti forme d’un nero abissale;
ali piumate, con chiara evidenza,
che inghiottirono presto tutta la stanza:
come una torre l’angelo s’eresse in quel buio denso
adornato da uno sguardo blu intenso.
Di secondi, ne trascorsero forse una manciata
prima che l’ombra iniziasse a ritirarsi,
ma a Sam parve esser passata un’intera giornata
e i suoi sensi, bloccati, non sembravano inclini a riattivarsi.
Fissava ancora Castiel con aria sconvolta,
quando: «Beh, niente tuoni e fulmini, questa volta?»
sbuffò Dean, sfrontato,
rompendo il silenzio che s’era insediato,
e nascondendo dietro a tanta sbruffoneria
il possente brivido e la gran frenesia
trasmessigli dall’angelica magia.
Forse, in un tempo passato,
per una tal domanda Castiel si sarebbe sentito oltraggiato;
poiché però si trattava di Dean, e poiché lui era cambiato
quasi sorrise. Fu impercettibile,
tranne per colui che riconosceva le sue espressioni in modo ormai infallibile.
Condivisero un’occhiata e un momento, i due,
che si concluse non appena Sam smise di starsene sulle sue:
«Ho veramente visto quello che ho visto?» chiese,
privato tutte le proprie difese
e lasciando quindi trasparire la completa confusione
che l’aveva assalito con la violenza d’un ciclone.
 
 
 
Fu necessario ricapitolare per bene la storia
perché il minore dei fratelli la decretasse finalmente meno irrisoria.
Quella volta, ascoltò attentamente
dipingendo le scene nella mente
e, inutile nasconderlo o negarlo,
gli si scaldò un pochino il cuore
a sentir Dean raccontare con tanto ingenuo calore
di quell’amicizia, e dell’angelo che non smetteva mai di guardarlo.
Ma, inebetito, si ammutolì anche,
soprattutto di fronte a certe uscite franche:
«Non aveva mai bevuto un solo bicchiere
prima d’incontrarmi» asserì Dean, incapace di tacere;
«Ci pensi?
Millenni di vita, e mai un po’ di piacere per i sensi.
Neanche quel tipo di piacere» sottolineò,
mimando poi la parola “vergine” mutamente
come fosse un insulto che l’offendeva direttamente.
Al che, Castiel sospirò
prima di mugugnare che «Non c’è mai stata un’occasione»
con un’insicurezza nel tono opposta alla sua solita inclinazione.
Quindi s’intuisce perché Sam, scrutando l’uno e l’altro,
non seppe come reagire;
che doveva farci con un parlar tanto scaltro
rivolto ad una creatura che dai cieli diceva di venire?
Gli sembrava una mancanza di rispetto –
ma tra i due era evidente l’implicito diletto.
Non obiettò in alcun modo, allora;
piuttosto, poiché di Dean ben conosceva il profilo
e sapeva che non era proprio sottile come un filo
sibilò, con la voce di chi implora:
«Dimmi solo che non hai cercato di portarlo in un bordello».
«Cos— come ti viene in mente!» strepitò l’altro, frettoloso
e decisamente non intonato come un fringuello.
«Sai che sono un tipo giudizioso!»
Inarcò un sopracciglio, «Non ce l’ho portato;
ci ho solo pensato».
Sam non poté che scuotere senza speranza la testa,
mentre Castiel li osservava con la perplessità più onesta.
A quest’ultimo Dean, con l’assurda timidezza d’una fanciulla,
chiese a quel punto: «Ci saresti venuto?»
E poiché a lui l’angelo non sarebbe stato capace di negar nulla,
la risposta fu: «Sì. Ma dubito mi sarebbe piaciuto».
 
 
 
Andò insomma tutto più o meno per il verso giusto
almeno finché Sam, con un commento,
sebbene non fosse il suo intento,
non piantò il nefasto seme del trambusto.
Disse, con attenta parlantina
mentre per una birra seguiva suo fratello in cucina:
«Stavo pensando: riguardo all’ala spezzata—
uh, prima l’hai notata?
Perché quelle forme nere
a me sono sembrate tutt’e due intere;
può essere che la sua ferita
sia ormai guarita?»
Così, passando al minore una bottiglia
e scrutandolo tremante tra le ciglia,
Dean dalla realizzazione fu investito senza pietà:
incantato, aveva passato le ombre delle ali al vaglio,
perciò come aveva potuto mancare quel dettaglio,
con quale assurda cecità?
Subito un macigno gli si depositò sul petto,
la gola gli si annodò con dispetto,
e nella pancia gli si aprirono degli squarci:
lui, però, serrando la mascella, si rifiutò di pensarci.
Castiel stava migliorando, l’aveva sempre fatto,
pian piano, nel suo parallelo piano astratto
e a priori dal fatto che il suo patetico corpo
di colpo, contro gli si fosse ritorto,
lui ovviamente ne era contento.
Quindi bofonchiò: «Sì, c’è un buon miglioramento».
Poi della propria birra bevette un lungo sorso
cercando di scacciare l’improvviso ed insensato amaro rimorso.
 
 
 
E ci riuscì. O almeno così all’inizio gli parve –
a Castiel non disse nulla riguardo alla questione,
un po’ per disagio e un po’ per superstizione;
la spinse nei recessi del cervello, finché quasi non scomparve.
Inoltre, poiché Sam non era lontano mille miglia,
sfruttò la possibilità di bearsi della meraviglia
che era per lui aver vicina tutta la famiglia:
ciò in diverse occasioni riuscì a scacciare
gli strani pensieri che avrebbe potuto fare.
Peccato che quel tempo era destinato a finire:
suo fratello sarebbe dovuto ripartire.
Certo parlarono ancora, uscirono,
e molto si divertirono,
mentre Sammy scopriva Cas, ammirato
e con la curiosità d’uno scienziato;
ma il riunirsi, le cene,
il restare tutti insieme –
tutto quello non poteva durare,
così come la maschera che Dean s’ostinava ad indossare.
In effetti, il gran giorno, e con esso la partenza,
arrivarono davvero presto, per di più con prepotenza;
un momento prima, con Cas e Sam,
Dean si stava godendo una serata al bar in compagnia
e un momento dopo, bam!
aveva già salutato il fratello e guardava il suo aereo volare via.
Con quello, il suo destino fu segnato:
poco sarebbe importato
se anche si fosse ribellato;
lasciato andare un pezzo di sé in quella maniera,
e sentendo bruciare la sofferenza che per lui era,
non poté più scappare:
finì col pensare,
dopo tanto evitarlo,
che anche Castiel sarebbe sparito
non appena pienamente guarito
e lui non avrebbe potuto fermarlo.
Lo sapeva sin dal principio, è vero,
ma questo non rese il suo star male meno sincero.
Così, con l’inesistente resistenza di chi si dispera,
cadde tra le braccia della sua abitudine più nera:
macerare nel malessere andando alla deriva
senza proferir una sola sillaba a riguardo ad anima viva.
 
 
 
Coi giorni, il fastidio avanzava,
e sempre più l’angelo lo notava.
Non riuscì certo a togliere a Dean le parole di bocca –
la sua testardaggine era troppa.
Però emerse una domanda che mai gli era stata posta:
«Come sta l’ala? Si è ripresa dalla batosta?»
Se l’uomo lo chiese, fu perché era praticamente masochista
nella sua assurda tenacia nell’essere altruista;
desiderava prima di tutto che Cas si rimettesse,
perché nel contrario non aveva alcun interesse.
Se poi la cosa col suo soffrire coincideva,
ovviamente se ne dispiaceva,
ma comunque non avrebbe pensato prima a sé stesso:
d’essere egoista mai si sarebbe permesso.
Fece dunque buon viso a cattivo gioco
e l’afflizione si sforzò di continuare a nascondere
anche quando si sentì rispondere:
«L’ala è molto migliorata. Potrò tornare a volare entro poco».
Da quella volta, capì che era giunta l’ora
di dar inizio al conto alla rovescia: lo fece, allora,
non potendo che domandarsi
come da Cas sarebbe riuscito a separarsi.
 
 
 
Malgrado la sfocata e sempre presente nota di mestizia,
non smisero di coltivare la loro amicizia;
l’angelo pareva stregato dall’umanità come non mai
e poteva Dean deluderlo? Giammai.
Perciò persistette nello spiegare
e ad invitarlo a provare,
a scegliere cosa fare,
a guardarlo tentare –
tra le figuracce e le risate
si convinse che quelle situazioni furono tutto meno che sprecate;
certo l’aiutarono a concentrarsi sul presente
e a non pensare a quando Castiel sarebbe stato assente.
 
 
 
S’era giusto vagamente ripreso,
quando la notizia giunse: lo colse indifeso.
Era appena tornato dal lavoro
e s’era trascinato in casa sulle note d’un: «Cas?» sonoro
deducendo dalle luci accese
che l’angelo doveva esser già rientrato
facendo uso della chiave che lui gli aveva procurato;
e difatti quello subito si fece palese.
«Dean. Sono guarito. Riesco a volare»
annunciò senza filtri e parendo quasi vibrare.
Aveva gli occhi ingigantiti,
al contempo allarmati ed avviliti,
e qualcosa gli macchiava d’insicurezza il volto
come se avesse per le mani un quesito irrisolto.
Non fece che fissare l’uomo, che lo fissava a sua volta
preda d’un’ansia a stento sepolta:
 respiro stretto, battito in aumento
come se un pugno l’avesse colpito a tradimento.
Nel silenzio, lo scambio di sguardi andò a lungo avanti,
poiché entrambi non sembravano volervi porre fine;
comunque, prima che l’aria si colmasse di rimpianti,
sebbene non ne fosse incline,
Dean si schiarì la voce
e borbottò, soffrendo d’una sofferenza atroce:
«Prima di tornare ai piani alti, c’è ancora una cosa che devi fare
e questa volta non ti puoi rifiutare».
«Cosa?» chiese Castiel raccogliendosi in sé
e l’altro soffiò: «Mangia con me».
Così, senza alcuna esitazione
e avendo sopportato chissà come
nel prepararsi tutta l’assurda tensione,
l’uomo caricò l’angelo in auto e partirono.
A parlare del più e del meno non riuscirono,
visto che c’era una sola cosa nelle loro menti;
e infatti d’un tratto: «Come— come funziona?»
sbottò Dean, le mani a stritolare il volante e gli occhi sfuggenti;
supponeva che Cas non potesse prendersela alla carlona.
«Ora che sei guarito—
non so, batti le ali,
torni ai quartier generali
ed è tutto finito?»
Affondò i denti in una guancia
sentendo aprirsi un gran buco nella pancia,
e non poco si dovette sforzare
per trovar modo di domandare:
«Voglio dire— è un addio?»
Castiel si prese alcuni secondi, prima di replicare:
«Non lo so neanch’io».
E siccome erano ormai giunti al locale,
preso atto di quell’affermazione
Dean optò per posporre qualunque altro male:
voleva godersi la cena all’insegna della pessima nutrizione.
 
 
 
Lo fece, decisamente –
già solo ordinare anche per l’angelo lo lasciò fremente.
Quando poi lo vide addentare l’hamburger che gli aveva consigliato,
e meditare, tutto concentrato,
per dire: «Sento il sapore delle molecole» con viso accigliato,
non poté che concedersi un piccolo sorriso affezionato.
«Sono cattive molecole?» l’interrogò
e lavorando sul secondo boccone, Cas col capo rispose di no.
Dovevano senza dubbio esser buone, di fatto,
considerata la rapidità con cui spazzolò il piatto.
«Il cibo mi rende molto felice» bisbigliò disarmante,
e Dean scelse di viziarlo seduta stante,
con gran orgoglio
e non badando al portafoglio:
«Puoi ordinare qualcos’altro, se ti va».
Lo sguardo di Castiel s’illuminò, grato,
ed ebbe così inizio uno spettacolo di voracità;
mangiò per tre, almeno, perfettamente agiato
mentre l’uomo si domandava di sfuggita
se per caso quella fame potesse essere infinita
e dove stesse finendo tanto cibo, se non sul suo girovita.
 
 
 
Restarono seduti al tavolo fino ad un’ora inoltrata,
e sotto ogni aspetto passarono una bella serata;
peccato che poi dovettero uscire,
e il peso che avevano abbandonato fuori dalla porta
tornò impietoso a colpire,
ricordando ad entrambi perché avevano la luna storta.
Salirono in macchina pesanti,
tutt’e due anelanti –
volevano discutere, parlare,
ma le labbra non riuscivano a separare.
Viaggiarono dunque in un mutismo surreale
e presto raggiunsero la casa in fondo al viale.
Infilando la chiave nella serratura,
Dean si riscoprì a tremare come fosse in balìa della paura;
così, una volta che furono entrati,
cercò gli occhi di Cas. Li trovò fissi ed infuocati,
e disse, guardandoli: «Che si fa? Cioè—
ascendi al cielo? La cosa— uh, com’è?»
«È semplice. Devo solo salire.
Tu mi vedresti sparire»
ribatté l’angelo, ed in un battito di ciglia non era più lì.
L’uomo, allarmato, guardò in giro
mentre il suo cuore accelerava e gli si bloccava il respiro;
era sul punto di chiamare Cas per nome, quando: «Così»
suonò quello alle sue spalle,
facendolo saltare come se avesse ai piedi delle molle.
Immediatamente Dean si voltò:
trovò l’angelo ben più vicino del dovuto,
ma non perse tempo a dirsene dispiaciuto;
semplicemente, sbuffò:
«Ti diverti a farmi prendere un colpo?»
L’altro lo scrutò, fingendosi stolto,
e lui recitò la parte di quello scocciato
sebbene in realtà l’avesse già perdonato.
Si fissarono per qualche secondo
e realizzarono che tutto il prender tempo di questo mondo
non avrebbe comunque potuto cancellare
la questione che dovevano affrontare.
«Lassù ti aspettano da parecchio, direi»
sussurrò Dean, accorato
e Castiel replicò, ugualmente aggravato:
«Sì. Io— devo tornare. Davvero dovrei».
«Allora va’»
proseguì l’uomo odiandosi con intensità;
tese poi debolmente una mano,
incapace di sopportare un saluto più umano.
«È stato un piacere».
Cas fece scivolare le dita nelle sue, senza temere
e strinse con fermezza,
ma anche tanta gentilezza.
«Se pregherai, sappi che ti ascolterò»
a bassa voce l’informò.
Il momento successivo,
intimo e schivo,
non sarebbe mai potuto durar abbastanza –
occhiate calde nel silenzio
che dell’atmosfera ignoravano il gusto d’assenzio –,
ma certo non poteva avanzare ad oltranza.
Terminò con l’angelo che ritirava lentamente la mano
facendosi appena più lontano,
ringraziando per ogni cosa
con un’espressione affettuosa,
e dicendo «Ciao, Dean» con tono contrito.
Un istante dopo, lui era svanito.
 
 
 
In principio l’uomo credette che l’avrebbe visto riapparire,
ma non era quello il caso:
dalla triste verità fu subito pervaso
e cominciò a patire.
Cas se n’era andato,
ed era come se non ci fosse mai stato,
come se Dean sin dal principio l’avesse solo sognato;
un solo modo gli venne in mente per reagire
e forse non era quello corretto,
ma chi c’era lì a poterlo contraddire?
Sì versò un bicchiere e lo svuotò di getto.
Poi lo fece ancora, e ancora
mandando tutto in malora
e insultandosi fino allo sfinimento,
perché era un idiota, e nella bottiglia consisteva il suo riconoscimento.
 
 
 
Non immaginò
e men che meno sperò
che fu sentendosi ugualmente diviso
che Castiel rimise piede in Paradiso.
 
 
 
 







 
Angolo di Tormenta
Maledizione, Sam! Smetti di ragionare e rovinare la festa a tutti. :|
Ok, no, sul serio – capitolo denso. Come già avevo accennato a qualcuno, la permanenza di Sam rimane secondaria; era più che altro un espediente per mostrare la sinergia tra Cas e Dean. Poi: spero (di nuovo) di non aver combinato un pasticcio con le tempistiche, soprattutto per quel che riguarda la transizione che introduce lo star male di Dean, perché è l’argomento che a tutti gli effetti “inghiotte” l’atmosfera serena. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Come sempre, grazie per aver letto sin qui! Ora ci aspetta un po’ di dramma, ma tenete alto lo spirito. A presto,
T. ♪

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Capitolo 4
*** Back up there ***


4.
Back up there

 


 
Nei cieli,
i regolamenti erano alquanto severi.
C’erano ordini da rispettare,
posti da mantenere,
missioni da completare –
e tutto ciò glorificando le alte sfere.
Agli angeli, specialmente a quelli destinati alla battaglia,
che dovevano esser disposti a scattare ad ogni nemica avvisaglia,
non veniva lasciato spazio per pensare da sé;
erano trattati da chi in comando com’un unico coro
da cui non si volevano sentire perché:
dovevano sol fare il proprio lavoro.
E affinché sia ben chiaro –
i suddetti non trovavano quel destino amaro.
La loro esistenza era fatta a quel modo lì,
e desideravano continuare così:
credevano e confidavano nell’alta guida,
non s’alzavano in ribellione le grida,
ciascuno traeva gran soddisfazione
nell’occupare il posto assegnatogli nella creazione;
insomma, non si sentivano intrappolati:
semplicemente, agivano per come erano stati programmati.
Certo era capitato,
nel passato,
che qualche voce cercasse d’emergere,
ma erano ricordi che si volevano sommergere
insieme con il nome di Lucifero
e il suo essere divenuto immondo e velenifero.
Era poi vero che anche nel presente
capitava che qualcuno rompesse le fila,
ma era un evento raro, a malapena esistente
e a farlo non erano mai in centomila,
tutt’insieme, quanto piuttosto la singola creatura
che per rabbia, per paura,
per follia, o anche solo per sventura,
si perdeva nel mondo;
mai abbastanza per rendere il Padre furibondo.
Un’altra cosa che va poi sottolineata del regno divino
è l’atteggiamento di superiorità
che l’angelo medio, escluso il classico cherubino,
mostrava nei confronti della vicina umanità:
essa era rispettata il necessario
per ordine del gran Primario;
per difenderla, le creature celesti combattevano, morivano,
convinte che fosse ciò a cui servivano,
e tutti loro andavano molto fieri
delle proprie imprese da protettori e guerrieri.
Ma c’era anche il rovescio della medaglia:
una volta di ritorno dalla battaglia,
la Terra era vista con condiscendente pietà
(e magari anche un pizzico di stizza
poiché da quando gli uomini facevano parte della realtà
per il posto di figli prediletti gli angeli non erano più in lizza).
Gli individui sul pianeta,
con la loro esistenza concreta,
le loro vite brevi e intense,
la loro incapacità di raggiungere le conoscenze immense,
erano dai più visti come sciocchi
intrattenuti da astrusi balocchi.
«Scimmie nel fango» li chiamava lo splendente Zaccaria
usando a suo parere una forte analogia;
forse divertenti da guardare, ogni tanto,
ma considerate tutte le imperfezioni
e l’abitudine di dare costanti delusioni,
quello era quanto.
 
 
 
Detto ciò, e precisato che in Paradiso
la luce d’un angelo racconta quanto d’una persona il viso,
si può forse intuire
il motivo per cui il rientro di Castiel diede da dire.
Fece ritorno
comparendo presso la propria guarnigione,
e i compagni subito gli si radunarono attorno,
lieti della sua guarigione;
tra loro, lui brillò con enorme amarezza
madido di tristezza,
e sotto a quel primo strato
che già qualcuno avrebbe potuto decretare inappropriato,
nel suo lume si rese evidente una gran felicità
che riportava ovunque le sporche impronte dell’umanità.
A raffica piovvero le domande in cerca d’indizi
tutte colme di pregiudizi,
mentre gli sguardi preoccupati lo scrutavano a fondo
lanciati da destra, da manca – a tuttotondo.
«Sei guarito lentamente, ti aspettavamo tempo fa»
affermò un fratello sfavillando d’incredulità;
«Cosa ti ha trattenuto?»
«Temevamo fossi stato abbattuto!»
vociarono degli altri, assieme,
col tono vibrante di chi teme;
«Sono stati gli uomini, ti hanno intaccato?»
«Certo non ti hanno rispettato!
Guarda la tua luce, è avvizzita!»
«Sì, prima era così pulita!»
Da quelle e molte altre esclamazioni
Castiel sopportò di farsi colpire i padiglioni,
mentre la sua pazienza scemava,
già di per sé ridotta dallo sconforto che provava;
poi, ad un tratto, l’ennesimo commento
lo spinse a ribaltare il proprio atteggiamento –
«Combattiamo per loro, e questo è il ringraziamento!»
disse qualcuno con la voce ricca d’aborrimento
e lui, bruciando di collera nefasta,
urlò forte: «Ora basta!»
Immediatamente tutto tacque, eseguendo il comando
poiché Castiel sapeva ancora incutere timore, abbagliando,
a dispetto delle contestazioni
e delle varie insinuazioni.
«Io ho scelto di prolungare il mio tempo sulla Terra,
al ritorno dalla guerra»
continuò, potendo vedere attorno a sé
la gran perplessità di chi non capiva i suoi perché.
«Sono guarito più lentamente per restare
e per imparare».
Il pensiero volò a Dean, senza chiedere il permesso,
e in quanto a vigore lui ebbe un netto recesso:
si fece più fioco,
quasi si fosse spento il suo fuoco,
e si sciolse la sua tensione,
rimpiazzata da un’interna corrosione.
«Imparare cosa?»
gli chiese una sorella sospettosa,
e subito s’ammorbidirono i suoi raggi
al ricordo delle persone, delle loro invenzioni, dei paesaggi.
«Tra gli uomini c’è molto che noi nemmeno immaginiamo.
Tanta diversificata cultura,
una sorprendente letteratura,
e abitudini che noi non abbiamo.
Mentre la mia ala era spezzata, ho appreso
cose che sempre nell’ignoranza ho difeso;
ora lo so: di combattere per la vita terrena
vale davvero la pena».
Tra i compagni si diffuse il vigoroso bisbigliare
tipico delle masse che qualcosa non si riescono a spiegare.
«Tutti noi lo sappiamo»
qualcuno infine affermò,
e Castiel prontamente replicò:
«Ma non l’avete mai toccato con mano!»
«Perché dovremmo?»
«Perché vorremmo
s’accavallarono le voci,
basite e veloci.
«Nostro Padre ci ha detto quanto, a modo suo, è degna la Terra,
e per proteggerla noi andiamo in guerra.
Ma per il resto—»
«Perché dovremmo voler far più di questo?
Certo, gli umani hanno scritto dei libri—»
«—ma comunque dell’universo non conoscono gli equilibri!
Vivono nella semplicità,
attaccati alle loro strane tradizioni
e regolati da primitive emozioni!»
«Ed è vero che meritano di poterlo fare in tranquillità,
ma perder tempo a capirli che senso ha?»
A quelle collettive parole si sollevarono i consensi,
mentre su Castiel s’infittivano gli sguardi intensi.
«Perché avvicinarsi a creature di così basso rango,
perché impantanarsi nel fango
quando volendo già da quassù
possiamo vedere quello che succede laggiù?»
proseguì l’ennesima voce, echeggiando da lontano;
poi si fece sentire un quesito
che suonò nell’aria con la forza d’un titano
e lasciò l’interpellato sbigottito:
«Quello che dici d’aver imparato,
non lo davi già per scontato?»
Castiel si sentì come lacerato, ed esitò –
cosa significava tutto quello?
Era l’unico ad aver avuto dei dubbi, l’unico ad aver portato quel fardello?
Arse dal disagio, sussurrando disarmato un soffocato «No».
Quella singola sillaba dentro gli rimbombò,
mentre lui s’agitava
sommerso da un’attenzione che non desiderava.
Sentì crescere la voglia di fuggire;
sarebbe bastato un battito d’ali
per lasciarsi dietro i propri pari,
ma l’ennesimo angelo si fece avanti per intervenire,
e riconosciutolo, lui non si poté dipartire.
Si trattava del suo diretto superiore,
ed avanzava avvolto nello splendore
mentre la guarnigione si divaricava
per aprirgli la strada.
«Sei tornato» disse a Castiel quando l’ebbe raggiunto,
e lui confermò, riverente e smunto:
«Sì, signore. La mia ala è guarita».
«Hm. Sapevo della ferita
e che tu sia finalmente qui è una buona notizia»;
a riflettere quel pensiero,
oltre all’atteggiamento sincero,
fu il suo palese raggiar letizia.
«Puoi tornare ai tuoi compiti, Castiel. E anche voi!»
aggiunse rivolto a coloro che ancora osservavano come avvoltoi.
E nel frenetico disperdersi della folla,
per un attimo la mente di Castiel fu avvolta in una bolla;
l’appesantivano mille idee
colpendolo ritmicamente come maree:
davvero, tra tanti angeli, era il solo ad aver dubitato?
Sapeva quale parere della Terra nei cieli era divulgato,
ma comunque non era possibile, non sembrava sensato.
Come potevano gli altri non serbare la minima curiosità
verso le complicate meraviglie dell’umanità?
Al di là del dismetterla da saccenti –
cosa che persino lui aveva fatto, sebbene non in tempi recenti –
come potevano restarne fino in fondo indifferenti,
accusandola fra tutto proprio di semplicità?
Queste domande si poneva,
e intanto qualcosa lo distraeva:
c’era un lieve sussurro in sottofondo –
era come un concetto sfocato,
un qualcosa di mai provato;
capì: veniva dal mondo.
Scoperto ciò, si concentrò ed affilò la vista,
cercando sul pianeta, seguendo la pista,
e presto incappò nell’origine del suono:
subito la sua Grazia rombò com’un tuono,
perché era Dean – ovviamente era lui:
seduto in compagnia della bottiglia a cui si rivolgeva nei giorni più bui
lo chiamava, pur senza parole.
Erano le mute note di chi duole,
una spenta e continua litania
che però all’angelo non poté che sembrare una melodia
perché voleva raggiungerlo, chinarsi,
dirgli che non doveva farsi del male per sfogarsi;
voleva andare, voleva—
«Non possiamo che augurarci che più non succeda».
Castiel sussultò, la bolla scoppiata
per via del superiore e della sua uscita garbata.
Di nuovo, un duro panico lo rivoltò
e la sua luce traballò –
pur potendo vedere tutto ciò,
il suo generale non commentò.
Disse solo, pratico e soprattutto indulgente:
«Riprenditi. Devi tornare a schiarire la mente».
Dopodiché andò via,
lasciando l’altro solo con la sua perplessa malinconia,
mentre sulla Terra un uomo ancora cantava
e il Paradiso efficienza ed obbedienza s’aspettava.
 
 
 
Castiel, per recuperare almeno un briciolo di lucidità,
ricominciò ad eseguire gli ordini, perché quella era la sua natura
ed era ciò che aveva fatto sin dall’antichità.
Se poi nel frattempo aveva anche la sventura
di dover sostenere il giudizio
di chi con lui prestava servizio,
era un problema che solo lui riguardava –
e certo non se ne lamentava.
Difatti, non condivideva più del minimo possibile;
d’altronde, che senso aveva,
se il suo pensiero con quello degli altri era incompatibile?
A testa bassa allora tirava avanti e resisteva,
continuando a pensar al proprio dubbio, al proprio dolore –
era forse tutto un suo errore?
Era sbagliato, fallato,
suo Padre lo stava scrutando contrariato?
L’avrebbero accusato d’essersi perso
e brutalmente la sua Grazia avrebbero deterso
per riportarlo sulla via
di chi seguiva il Paradiso senza far alcuna fantasia?
E quando quegli interrogativi iniziavano a pesare
sempre alla canzone di Dean ricorreva per rimediare
in virtù del fatto che quel richiamo mai l’abbandonava,
anche se a volte in volume fluttuava;
c’erano addirittura momenti –
momenti speciali, ridenti,
in cui poteva udir la sua voce, leggera,
sotto forma d’una preghiera.
Sentì, la prima volta che successe,
in modo assoluto, come se null’altro esistesse:
«Terra a Cas. Mi sento un po’ stupido a far questa cosa, sai?
Insomma, quando— uh, quando mi ascolterai?
Sto tipo lasciando un messaggio in segreteria?
O mi stai ascoltando adesso?»
E sebbene rispondere non gli fosse concesso,
l’angelo si gonfiò d’euforia –
euforia che si ripeteva tale e quale
ogni volta che iniziava quel loro parlare,
a priori dall’argomento
e dalla durata del collegamento.
Solo un aspetto, a volte, era negativo:
il tono di Dean, quand’era schivo
o insoddisfatto, o passivo.
Come: «Sam mi ha chiesto di salutarti.
…A volte mi chiedo se possiamo mancarti».
Dopo quella volta, non l’aveva più sentito
per un tempo più lungo che nelle altre occasioni,
e aspettando era appassito
pur avendo ancora per sé la più dolceamara delle canzoni.
 
 
 
Di guardia alle anime, un giorno, stava mantenendo la sua postazione
in compagnia d’un commilitone,
quando capitò che Dean gli parlasse, scherzoso:
«Prego quell’angelo maestoso
che va matto per i panini» cominciò;
«Indovina un po’?
Sono nel locale dove hai mangiato,
e la cameriera mi ha chiesto
dov’è quel mio amico tanto affamato.
Io— volevo solo dirti questo.
È stato divertente».
E su quello, Castiel non esitò a credere al mittente;
s’illuminò, infatti, mimando un sorriso –
e nel farlo attirò del compagno l’avviso.
Da lui si lasciò fissare senza batter ciglio,
tornando presto ad indossare un serio cipiglio;
tra i tanti, il giudizio di quell’angelo in particolare
non lo faceva granché preoccupare:
Balthazar era il suo nome; anche lui era stato ferito
e sebbene il ricordo di ciò fosse ormai smarrito,
rimaneva vero che era stato sulla Terra, che l’aveva conosciuta:
per questo la sua opinione, rispetto alle altre, doveva essere meno cocciuta.
Ma lui non poteva che ipotizzare
poiché tra loro non c’era mai stato un gran chiacchierare.
Sapeva però per certo che si trattava d’un soggetto perspicace –
in effetti, abbastanza da azzardare, audace:
«Quella era una preghiera».
Castiel di scatto gli lanciò un’occhiata nera
e perse la buona disposizione che aveva,
ma non negò – non poteva.
«Ti ho molto osservato, da quanto sei tornato.
E fidati d’un fratello che c’è già passato»
proseguì Balthazar, pacato
e alludendo a un che d’imprecisato,
«quello che l’umanità offre può fare gola,
ma non vale quel che costa
e non rende quel che mostra;
non alla fine della fola».
Cercando di decifrare quel discorso,
Castiel da un antipatico presentimento fu percorso.
L’altro nel mentre andò avanti,
con parole disilluse e pesanti:
«Hai visto l’Inferno. Sai di cosa sono capaci
quei piccoli omini fallaci;
e sono tutti uguali!
Inclini a compiere i peggiori mali,
per quanto si possa sostenere
che sappiano fare anche del bene.
Mentono e ingannano,
peccano,
senza preoccuparsi d’un eventuale danno;
poi certo di rispetto non ne hanno—»
Disse anche dell’altro, ma Castiel non volle più ascoltare;
quello che preferì fare
fu interromperlo per sbottare:
«Non posso concordare.
Gli uomini hanno sì dei difetti –
ma dimentichi che sono stati creati imperfetti:
è questo che dà loro valore
e che innalza le anime con più candore».
«Fammi indovinare; quello che ha pregato,
quello che ti fa traballare in modo tanto sfrenato –
il tuo omino
è una di queste anime bianco certosino».
Al che, Castiel s’incendiò:
poteva accettare d’essere costantemente scrutato
e spesso questionato;
Dean doveva rimanerne fuori, però.
La sua anima era buona, l’aveva vista,
perciò che Balthazar tacesse
e non osasse inserirla nella sua visione nichilista –
a meno che uno scontro non fosse ciò che volesse.
«Non parlare di ciò che non conosci» avvisò, torvo
e l’altro lo guardò storto.
«Potrei dirti lo stesso»
sibilò con astio represso;
«Cerca di vedere il mio intervento come un aiuto.
Per i guai ho un certo fiuto,
e ho la sensazione che tu stia rischiando:
la strada che hai imboccato— so dove ti sta portando.
Quindi lascia che ti ripeta:
l’umanità giù sul pianeta
è marcia fino al midollo
e può farti perdere il controllo.
So bene quanto sia inebriante stare tra loro,
ma non dimenticare che non sono poi questo gran capolavoro:
svegliati, se un qualche umano t’ha annebbiato la mente,
e non commettere lo sbaglio di crederlo differente».
Di nuovo la fiamma di Castiel aumentò, furente,
e fu praticamente un miracolo
se azzuffandosi con l’altro non diede spettacolo.
«In molti possono essere diversi
e lui è uno di questi»
asserì, con voce tagliente
mentre Balthazar brillava insolente.
«Ti prego, illuminami. Dimmi in che modo» lo sfidò,
e Castiel subito a molte prove a proprio favore pensò;
eppure, quando gli fu richiesto
con fare ancor più manifesto:
«In che modo è diverso?»
ben altro si ritrovò a replicare,
con la foga e il tremore di chi vorrebbe gridare:
«L’ho conosciuto, ed è diventato il mio universo».
Con quell’ammissione sprofondò,
e il suo compagno con amaro scherno lo fissò
prima di dir, bieco:
«Un angelo asservito ad un uomo. Che spreco».
Castiel invano tentò di negare,
di sostenere che non aveva smesso d’ascoltare
il Padre, il Paradiso, i loro criteri,
ma l’altro ribatté: «Cerchiamo d’esser seri.
Non sono interessato ad accusarti,
volevo solo avvisarti.
Anche se le cose stanno così, non hai da temere:
non sarò io a darti in pasto a chi è al potere.
Solo, pensa bene a quello che fai».
Luccicò sornione, «Mi chiedo: alla fine, cadrai?»
 
 
 
Lì per lì lo sbigottimento aveva imposto a Castiel di tacere.
Solo poi, nelle lunghe ore in cui faceva il suo dovere
con nulla se non il silenzio a fargli compagnia,
della confusione poté far pulizia.
Lo terrorizzò quanto, di primo acchito, l’idea di cadere,
d’abbandonare le regole a cui si doveva attenere,
di raggiungere la fonte della sua canzone prediletta
sembrasse perfetta;
ma poi mise a fuoco: non poteva
e quel progetto, un senso non l’aveva.
Cadere, rinascere tra gli umani
come avrebbe alleviato i suoi fastidi quotidiani?
In nessun modo, ecco come,
perché il suo vacillare non era dato dalla mera tentazione
di vivere una vita lontana dalla devozione;
se era irrequieto e la sua mente non aveva freno
era perché non importava dove –
nei cerchi o sul terreno,
o anche altrove:
si sentiva a metà,
e una nuova esistenza non avrebbe curato quella vacuità.
Vacuità dovuta al lasciar Dean indietro
per accettare d’esser rinchiuso dietro le porte di Pietro,
e ai dubbi e alle incertezze
che della sua fede avevano minato le fondamenta
mettendone in risalto le debolezze,
quale la sua incapacità turbolenta
d’accettare ad occhi chiusi come corretti e reali
le testimonianze del Padre, ed i suoi ideali.
Con quel peso sulle spalle, cosa fare? Come comportarsi?
Ribellarsi?
A chi, a cosa
e inseguendo quale follia fumosa?
Non aveva risposte,
tirato com’era tra due volontà opposte –
una era legata alla Terra, e a ciò che aveva da offrire,
l’altra apparteneva ai cieli, e non voleva smettere di servire.
Come metterle d’accordo?
Come creare tra due contrari un raccordo?
“…Sì, così”,
si disse quando capì.
Anche se a metà, anche se insicuro
doveva continuare a sopportare,
a lottare,
a muso duro,
per non tradire sé stesso
 e non essere dai piani alti manomesso,
e anche per proteggere Dean, i suoi amici, suo fratello
e tutto ciò che loro gli avevano mostrato di bello.
 
 
 
Aveva eppur un punto debole, la sua decisione,
ed era che nulla diceva riguardo alla vocazione
che dalla Terra costantemente s’alzava
e che le orecchie gli solleticava –
Castiel adorava e odiava che l’accompagnasse
qualunque cosa facesse,
poiché era un richiamo
che sempre gli ricordava da cos’era lontano,
e di quel passo l’avrebbe corrotto:
ormai bruciava dal desiderio di scendere di sotto.
All’inizio s’era trattenuto
persino dal considerare il progetto, indefesso,
perché di far quello non aveva il permesso,
ma poi— lentamente, s’era ammorbidito il suo netto rifiuto,
a forza di guardar il pianeta e quell’uomo che si riteneva banale
quand’invece a lui sembrava speciale.
Comunque, probabilmente mai avrebbe ceduto
se non fosse stato per quello che Dean gli disse una sera
componendo a tentoni una preghiera.
 
 
 
«Hm, Cas. …Io—
Come— com’è lavorare per Dio?
Perché—
uh. Okay, no
è solo che—
non lo so.
Cioè, lo so
però—
Cristo.

L’ultima volta che t’ho visto
hai detto che non lo sapevi
ed è da ieri—
Insomma, magari adesso lo sai
e non me lo dirai mai
però io vorrei—
Sam dice che dovrei—

Quando
quando te ne stavi andando
non te l’ho detto
ma vorrei averlo fatto
e ora—

Cas, so che siete gente che lavora
ma gli angeli vanno mai in vacanza?
Perché
se hai del tempo che t’avanza –
cioè
se lo puoi fare—
uh, vienimi a trovare?»
 
 
 
Quella richiesta
zittì anche l’ultimo sussurro che consigliava: “Resta”,
e vibrando, Castiel per un solo secondo esitò:
poi decise, ardendo com’un falò.
E forse era un gesto sbagliato,
ma Dean l’aveva chiamato –
esplicito, diretto
anche se aveva impiegato un po’ ad esprimere il concetto –
quindi, non appena fu libero e pronto,
prima ancora che se ne rendesse conto,
in sordina lui le ali aveva già spiegato
e verso la Terra s’era lanciato.
 
 
 
Trovò l’uomo di mattina
mentre lavorava all’officina:
atterrato sul ciglio della strada
e condensato in forma umana,
attraverso il garage aperto
Castiel lo vide trafficare con gli attrezzi, esperto.
Prese a fissare la sua figura senza muovere un dito –
notò la concentrazione
che gli marcava l’espressione
insieme con gli aloni d
un sonno sbiadito,
e pensò che, dopo tanta attesa, era sopraffino
poterlo finalmente rivedere da così vicino.
Poi, Dean alzò la testa
e distrattamente fece vagare lo sguardo;
così, pur con ritardo,
notò l’angelo, e la sua posa mutò, lesta:
s’appiattì la fronte aggrottata,
si drizzò la schiena incurvata
e s’ingrandirono gli occhi dall’incredulità
riempendosi d’un che di caldo e selvaggio –
pareva dubitare che Cas fosse veramente là,
come se potesse trattarsi d’un miraggio.
Ogni scetticismo fu tuttavia cancellato
quando quello l’ebbe salutato
alzando una mano
con quel suo unico fare goffo e balzano:
l’uomo s’aprì allora in un incerto sorriso
mentre gli si illuminava il viso,
e a passi lunghi lo raggiunse fuori
abbandonando gli arnesi e i lavori
che una guancia e le dita gli avevano tinto di scuri colori.
«Cas?» chiamò con voce palpitante,
e pur non essendo un tipo effusivo
lo strinse in un abbraccio impulsivo,
tanto raffazzonato quanto adorante.
L’angelo, 
travolto da uno strano sollievo e colto impreparato,
s’impegnò per ricambiare, impacciato;
poi: «Ciao, Dean» disse quando l’altro lo lasciò andare,
puntando lo sguardo nel suo senza esitare.
«Mi hai— mi hai ascoltato?»
domandò l’uomo con sconcerto
e Castiel replicò subito: «Certo.
Ti avevo detto che l’avrei fatto, se avessi pregato».
«E sei venuto».
Come non avrebbe potuto?
«Mi hai chiamato».
 
 
 
 







 
Angolo di Tormenta
Chiusura sentimentale, perchè non ho resistito alla tentazione. c':

Come per certi aspetti si capiva già dal primo capitolo, gli angeli e il Paradiso in questa storia non funzionano in tutto e per tutto come quelli dell’universo canon, per quanto la somiglianza sia molta. 
Spero d’aver reso dignitosamente le varie ideologie e i concetti, come quello della canzone che Castiel sente - un richiamo dovuto al "bisogno" di Dean. A voi la parola. :)
Alla prossima,
T. ♪

 

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Capitolo 5
*** Here we go ***


5.
Here we go

 
 
 

Dean ci avrebbe scommesso:
se Sam fosse venuto a sapere
che a qualcosa era servito il suo «Chiedere è la metà di avere»,
di rinfacciarglielo non avrebbe mai smesso.
Dunque lui patteggiò con sé stesso:
non gli avrebbe parlato delle proprie più recenti preghiere.
Lo decise in un baleno,
senza pensarci neanche granché,
distratto com’era da Cas e da quel suo sguardo alieno
che dopo tanto aveva di nuovo di fronte a sé.
Era ancora meravigliato –
l’angelo davvero era lì, era tornato
e lui non poteva credere che chiederglielo fosse bastato.
«Sei per davvero in vacanza?» domandò con la gola annodata,
ricordando le parole e la cadenza frammentata
con cui la notte prima s’era a lui rivolto
(per altro, sentendosi un completo stolto).
«No» rispose Castiel con tono sottile
mentre sul volto gli scorreva un’ombra ostile;
corrucciò quindi la fronte, incupito
e gli si dipinse addosso la preoccupazione,
ma presto sparì quell’espressione
e il suo viso tornò duro come il granito.
Se credeva che Dean del rapido cambiamento non si fosse accorto
allora aveva profondamente torto;
l’uomo l’aveva notato eccome
e d’ignorarlo non aveva alcuna intenzione.
«Cas, non sei nei guai, vero?»
l’interrogò con timore austero;
quasi sbuffò, poi, quando la sua inquietudine fu giustificata
dal fatto che l’altro gli lanciò la tipica, incerta occhiata
di chi pondera se sorvolare o meno
su un dettaglio ben poco sereno.
L’avvisò, allora: «Dimmi la verità»
e la replica fu: «Loro non sanno che sono qua.
Scendere sulla Terra è una cosa che non dovrei fare –
non senza una missione da completare,
o una giustificazione di rilievo.
Ma— volevo».
A quell’affermazione, il respiro di Dean ebbe un singhiozzo
e lui nel petto d’un che di tiepido sentì l’abbozzo;
intanto, l’angelo proseguiva:
«Andrà bene finché non sanno che agisco di mia iniziativa,
ed è una cosa che posso mascherare;
è sufficiente che non tardi troppo a tornare».
«Quindi— quanto puoi restare?»
«In Paradiso il tempo scorre in modo differente»
mormorò Castiel riflettendo accuratamente,
«ho qualche ora, almeno,
e sarà come se non fossi mai stato sul terreno».
Al che, l’uomo prese nota ed annuì
e guardando di sfuggita l’officina retrostante
bofonchiò: «Aspettami qui»
assicurando che sarebbe tornato in un istante.
Castiel s’esibì in un semplice cenno d’intesa
e si mise silenziosamente in attesa;
osservò Dean rientrare, sparire sul retro
voltandosi ogni pochi passi indietro –
di quella particolare azione,
non capì l’esatta ragione
(certo non poteva concepire
che l’altro si girasse perché temeva che lui potesse scomparire).
Comunque, come gli era stato promesso,
presto l’uomo fu di nuovo di fronte all’ingresso:
la macchia scura sulla sua guancia era sparita
e non erano più sporche nemmeno le dita;
poi la giacca era cambiata
passando da quella da lavoro, vecchia e usurata,
a quella di pelle da lui tanto amata.
«Ho chiesto di avere il resto della mattinata libera» annunciò,
dopodiché con gli occhi vaganti per un attimo esitò,
prima di proporre: «Facciamo un giro, ti va?»
Nella sua voce vibrò un’indefinibile perplessità
come se dell’altro dubitasse la risposta;
Castiel, però, non aspettava che una simile proposta:
praticamente per quello era sceso dagli alti quartieri,
e difatti subito disse: «Certo, volentieri».
Così, raggiunsero l’Impala e salirono a bordo
e mentre l’angelo si compiaceva
sfiorando gli interni dell’auto come da tempo non faceva,
Dean mise in moto concedendosi un mezzo sorriso balordo.
 
 
 
Optarono per raggiungere i giardini,
e una volta là, su una panchina si sedettero vicini.
Così come durante il viaggio,
tennero gli argomenti emozionali in ostaggio
e parlarono di sciocchezze, perlopiù:
del nuovo cane di Sam; di quanto piccola la Terra sembrasse da lassù.
Certo ad entrambi sarebbe piaciuto
saper scandire ciò che restava taciuto –
ad esempio, il genuino e sentito “Mi sei mancato”
che tutt’e due, con parole loro, avevano pensato –
ma non si sarebbero mai lamentati della loro comunicazione,
perché certo non li lasciò insoddisfatti:
avevano modi alternativi per esprimere devozione
e li trovavano più che adatti;
gli sguardi ben più lunghi del dovuto, per dirne una,
lanciati come se per l’uno poter vedere l’altro fosse la più gran fortuna,
o il toccarsi riservato su una spalla, su un braccio,
anche quello discretamente prolungato, e mai a casaccio.
 
 
 
Si fece ora di pranzo, e Dean doveva mangiare –
Castiel non tentennò nel sostenere di volerlo accompagnare;
una volta accomodati ad un tavolo, però,
alla richiesta d’ordinare anche lui qualcosa dovette dire di no.
Il cibo, infatti, era una peculiarità
unica dell’umanità;
non poteva rischiare che la sua luce di nuovo si macchiasse,
per quanto l’idea d’abbuffarsi lo stuzzicasse:
gli altri angeli l’avrebbero potuto notare
e non era il caso di dar loro motivo di sospettare.
Così, invece di consumare pietanze per tre,
ascoltò Dean dibattere fermamente
del come e del perché
la crostata fosse il miglior dolce esistente,
ed apprezzò ogni momento.
Non tanto perché dell’altro condividesse il convincimento,
quanto piuttosto perché vederlo sfoggiare una tale passione
per ciò che era apparentemente banale e quotidiano
mai avrebbe smesso di riempirlo d’ammirazione:
era lo spettacolo più grande, tra tutto ciò che c’era d’umano.
 
 
 
Usciti dal locale, Castiel annunciò che doveva tornare su
e Dean ebbe un brutto, brutto déjà-vu.
Affondò i denti in una guancia
ed ignorò l’antipatico rimestarsi nella pancia,
poi fece sì con la testa
e, per far sì che la sua sparizione non fosse troppo manifesta,
guidò l’angelo in un vicolo –
provò quasi nostalgia, e immediatamente si sentì ridicolo.
«Allora ti rivedrò?» chiese con la voce ridotta ad un bisbiglio
e il viso accartocciato in un amaro cipiglio.
L’altro l’osservò, prima di rispondere: «Tornerò.
Sempre, quando potrò».
Dietro quell’affermazione
c’era l’enorme, rischiosa decisione
di continuare a defilarsi dal Paradiso,
e certo l’uomo non immaginava quanto serio ciò fosse di preciso.
Castiel preferì non metterlo al corrente
poiché non desiderava che s’affannasse vanamente;
piuttosto disse: «Continua a pregare»
e l’altro, impacciato, non esitò ad assentire
e, con un «Ciao, Cas», s’assicurò di ricambiare
il saluto che, lo sapeva, stava per venire –
«Ciao, Dean» fece per l’appunto l’angelo; poi spiccò il volo
lasciandolo a guardar il vuoto, solo.
 
 
 
Da quella volta,
passarono le ore e passarono i giorni
mentre della mancanza i due riesploravano i contorni,
uniti solo da qualche preghiera prontamente accolta.
Uno ogni tanto alzava gli occhi al cielo
pensando con ansiosa meraviglia a quell’amico
che stava magari eseguendo chissà quale ordine antico
combattendo nel fuoco e nel gelo;
l’altro , fronteggiava mostri e faceva da guardia
per mantenere della Terra la salvaguardia,
ma soprattutto ascoltava,
poiché una certa instancabile voce ancora lo chiamava.
 
 
 
Poi finalmente successe:
a Castiel capitò l’occasione d’assentarsi
e non dovette nemmeno più di tanto pensarci:
di scender sul pianeta si concesse –
trovò Dean a casa, visto che era sera inoltrata
e comparve proprio tra lui e il televisore,
che trasmetteva d’una qualche serie una vecchia puntata;
inutile dire che l’uomo imprecò per via dello stupore,
sobbalzando vistosamente sul divano,
e ciò che sbottò fu abbastanza profano
da spingere l’angelo a dire: «Non nominare mio Padre invano».
Se Dean non fosse stato tanto contento di vederlo,
dall’abbaiare insulti nulla avrebbe potuto trattenerlo;
ma poiché era felice, bofonchiò soltanto:
«Prima o poi mi farai veramente venire un infarto».
«Se anche succedesse, ti guarirei».
«Possiamo optare per la prevenzione? La preferirei».
Detto ciò, mentre Cas lo scrutava con gli occhi assottigliati,
l’uomo soffiando quasi sogghignò, piacevolmente stranito,
perché era come se non si fossero mai separati,
come se l’altro non fosse mai sparito.
Si fece più in là sul sofà, senza spiegare a parole il perché;
abbozzò solo un gesto, che significava: “Siediti con me”.
Castiel, tenendo la schiena ritta com’un fuso,
eseguì, fiero d’aver capito subito a cosa Dean avesse alluso;
e mentre lui s’accomodava
e la tivù in sottofondo ancora borbottava
mantennero ininterrottamente il contatto visivo
dacché quello da solo,
come sempre per loro,
d’ogni discussione era più esaustivo.
Di programmi, insieme ne guardarono più d’uno
raccontando intanto una chiacchiera ciascuno;
e finirono col fare tardi,
poiché entrambi erano testardi:
laddove uno fu disposto a sacrificare il riposo,
l’altro pareggiò contando i secondi, minuzioso,
così da poter fino all’ultimo posticipare
il momento in cui se ne sarebbe dovuto andare.
Quello alla fine giunse, tuttavia,
e dovettero rinunciare alla reciproca compagnia –
si salutarono a bassa voce
poi l’angelo sparì, veloce,
promettendo però:
«Ritornerò presto, se riuscirò».
 
 
 
E ci riuscì.
Difatti, un paio di giorni dopo era già di nuovo lì,
con Dean, di sera, di fronte al televisore,
a proclamare tutto compiaciuto
che stava diventando più bravo, e più avveduto
nell’uscir dal Paradiso senza scatenare alcun clamore;
disse anche che allora si sarebbero potuti incontrare più spesso
rispondendo al quesito che l’uomo aveva lasciato inespresso –
inespresso a parole, certo, ma l’aveva pensato:
per questo ad ascoltar la replica che l’altro gli aveva dato
mise su quasi di nascosto un sorriso appagato.
Poiché poi Castiel restava fedele alle proprie affermazioni,
cominciarono ad esser costanti le sue apparizioni:
con quelle, s’instaurò per i due una nuova abitudine,
fatta d’incontri sparsi ed improvvisi
e di bei momenti condivisi
che in entrambi acquietarono l’acuto senso di solitudine.
Un senso, quello in questione, che l’angelo non sapeva analizzare
e che dunque non poteva che tacitamente contemplare.
Per Dean, invece, era differente:
ben sapeva cosa significava quella costante presenza nella mente,
ma la lasciava in un angolo, in sospeso,
cocciuto nella sua intenzione di non darle peso
e forte d’una lunga lista di motivazioni
che vedeva stesa di fronte a sé in più e più occasioni –
nel proprio riflesso nello specchio di mattina,
pensando a ciò che insegnavano a dottrina,
e soprattutto guardando Cas negli occhi:
in tutti quegli istanti,
accompagnati come dal rumore dei vetri infranti,
realizzava che, la speranza, l’avrebbero nutrita solo gli sciocchi.
E lui sciocco non era:
si sarebbe quindi tenuto stretto ciò che aveva,
anche se la separazione bruciava di più ogni sera
e a volte, l’emozione, il petto a stento la conteneva.
Tra l’altro, non osava immaginare
che tutto quel suo testardo ignorare
l’angelo lo rispecchiasse con un perpetuo rimuginare;
in effetti, era talmente accecato
dal suo stesso ripetersi: “Non potresti mai esser ricambiato”
che non prese nemmeno in considerazione
un’idea con basi a suo parere inesistenti
come quella che anche Castiel provasse, uh, sentimenti
(detestava usare quel nome
 poiché assomigliava già troppo ad un’ammissione;
quella d’esser il primo a provar una simile affezione).
Comunque, come ogni verità,
il pensiero combattuto dell’angelo e la sua perplessità
finirono col venire galla:
accadde mentre sopra le loro teste brillava ogni stella.
 
 
 
Quell’episodio, a monte, cominciò così –
con Dean che diceva: «Per un po’ non sarò qui»
mentre con Cas al suo fianco
s’accingeva a passar una notte praticamente in bianco,
perché quello era potuto scendere solo tardi dal Paradiso
e lui nemmeno per un secondo era stato indeciso:
poco importava se l’indomani non avrebbe avuto alcuna lena,
ne sarebbe comunque valsa la pena.
«Vado a trovare Sam. Te l’avevo detto, ricordi?»
«Ricordo ogni cosa che mi è successa sin dai primordi»
ribatté Castiel privo d’inclinazione,
e l’altro rise, bofonchiando: «Che pavone».
«Perciò, sì» proseguì l’angelo, ignorando quel commento
«ricordo che mi hai parlato del tuo allontanamento
e che durerà diversi giorni».
Aggrottò la fronte, e la sua espressione si fece appena dolente;
«Me lo stai facendo di nuovo presente
perché non vuoi che ti faccia visita finché non torni?»
Dean d’istinto rizzò la schiena e soffiò,
sbrigandosi a dir col capo di no.
«Era solo per avvisarti. Perché, sai,
qui non mi troverai».
«Dean, sai che posso volare.
Come riesco a trovarti da queste parti
posso trovarti ovunque tu voglia andare».
«Già, hm. Sam— Sam sarebbe contento di rincontrarti»
borbottò l’uomo, incapace di rendere il proprio invito più palese;
fortunatamente, Castiel comunque lo comprese,
e nel suo piccolo sorrise, con le iridi accese.
«Anche a me farà piacere rivederlo» mormorò,
e l’altro praticamente sfavillò
con rinnovato e nascosto calore
dacché, d’improvviso, era di gran buon umore.
 
 
 
Presto dunque ebbe inizio quel viaggio:
poiché Dean non era fatto per affrontare decollo e atterraggio,
percorse la strada in auto, canticchiando la musica in sottofondo
e a tratti insieme a Cas, quando lui tornava giù nel mondo.
 Alla fine, a destinazione
fu accolto da Sam, tutto felice di rivedere il proprio fratellone
e felice di rivedere anche l’angelo, s’intende –
angelo che in più occasioni, poi, s’unì alle loro vicende
(e che, la prima volta, comparendo all’improvviso,
lo fece saltare dallo spavento, per inciso).
È in tal contesto
che ebbe luogo un particolare innesto –
accadde un pomeriggio,
mentre Sam era fuori con l’adorato cane a passeggio.
Castiel e il maggiore dei fratelli rimasero indietro insieme,
l’uno pentendosi delle follie fin troppo estreme
compiute la sera precedente
e che ora gli martellavano la mente,
l’altro a fargli diligentemente compagnia
e ad alleviare con un pizzico di Grazia la sua agonia –
Grazia che spedì Dean dritto nel mondo dei sogni,
poiché riposare era in quel frangente il principale dei suoi bisogni.
Insomma, s’accasciò sul sofà
 e allora Castiel a sua volta si sedette là,
con cautela, perché sarebbe stato un peccato
disturbar quel sonno tanto profondo e pacato.
E poiché non aveva molto con cui distrarsi,
l’angelo poté concentrarsi:
pensò al fatto che dopo aver messo Dean a dormire
aveva scelto di rimanere lì, in casa, a poltrire
piuttosto che uscire e cercare qualcosa di nuovo da scoprire.
D’istinto, cioè, aveva preferito restar al fianco dell’uomo,
sebbene razionalmente non fosse il miglior modo
per metter a frutto il suo tempo in quel luogo.
Allora, con atteggiamento quasi scientifico
prese ad osservare l’addormentato nel suo giacere pacifico;
e resti inteso: non voleva risultare inquietante,
come Dean aveva definito il suo far da vigilante
ormai tanto tempo addietro, in quella lontana mattina
dopo la loro prima notte sotto lo stesso tetto, in cucina.
Voleva solo capire
come mai pensar a lui lo portasse a languire,
perché non era lo stesso
se non poteva stargli appresso
e quale senso avesse il fatto
che alla sua persona era così fortemente assuefatto;
voleva decodificare lui, che l’aveva accolto, istruito,
che lo chiamava sempre dopo che era salito;
lui, che gli faceva provar tutte quelle cose
in teoria per un angelo forse addirittura impossibili
e così incomprensibili,
eppur così meravigliose.
Fu senza nemmeno rendersene conto
che tendendo il collo l’avvicinò quanto poté,
come per affilar la vista in cerca d’indizi, o d’un resoconto;
ma comunque non concluse granché:
si perse a guardarlo –
a guardar lui, la sua anima che brillava
e quel suo aspetto, che gli occhi gli lusingava –
e fu solo capace di costatare che desiderava sfiorarlo.
Però non ebbe tempo per farlo:
la porta d’ingresso che s’apriva e si chiudeva
lo distrasse suonando com’una sirena,
annunciando il ritorno di Sam e del suo cucciolo al guinzaglio;
vedendoli avanzare, Castiel smise di passar al vaglio
la propria incomprensione e i propri pensieri,
ma con sgomento li percepì più forti che mai
e capì che rischiavano davvero, ormai,
di alterare il suo attendere ai celestiali doveri.
 
 
 
Giunse quindi la sera in cui brillava ogni stella;
la sera in cui l’argomento venne a galla.
Dean aveva salutato suo fratello ed era ripartito
e lungo la via era comparso nell’Impala il suo angelo preferito
(ormai alle apparizioni lui era talmente abituato
che, pur sussultando, con l’auto non aveva nemmeno sbandato).
Fu mentre l’oscurità calava veloce all’orizzonte
che l’uomo accostò per prendersi una pausa dal volante;
così scesero, e alla macchina si piazzarono di fronte,
osservando nella periferia la notte farsi avanti galante:
era vestita di luci e di colori sfumati
e s’intravedeva la Luna avvolta da riflessi argentati.
Castiel guardava verso l’alto, con umore pesante,
ed il suo denso riflettere era evidente,
tanto che l’altro lo trovava quasi snervante;
«Cas» chiamò difatti con tono fervente
come a voler chiedere spiegazioni,
ma poi s’incepparono le successive fonazioni.
S’espresse solo ad incerti gesti, allora,
sperando che emergessero chissà come i significati;
intanto gli occhi dell’angelo, che su di lui s’erano spostati,
gli fecero annodare le interiora:
prontamente detestò sé stesso e le proprie emozioni,
colpevoli di tante tremende ed incontrollate reazioni.
«Dean?» l’interrogò Castiel perplesso
senza perdere il proprio cipiglio depresso,
ma comunque illuminandosi, interessato.
Al che l’uomo si sforzò di dire: «Mi sembri— stressato».
Sapeva che probabilmente avrebbe potuto far ben poco per lui,
ma voleva rendersi utile, se stava attraversando momenti bui.
«Parlami» aggiunse quindi, accorato
e come se fosse a corto di fiato.
L’altro strinse le labbra in una linea sottile
e tentennò per un istante prolungato,
poi ammise, pur aggravato,
mantenendo il tono gentile:
«Ho dei dubbi, Dean. Non ne avevo così tanti da eoni;
io provo— sensazioni».
Un’ombra gli attraversò il viso; lo fece apparire fuori di sé.
«Le provo quando sono con te. Le provo per te»
precisò a malapena sibilando,
mentre il suo sguardo vagava, vibrando;
e subito si pentì della confessione:
l’avvolse l’apprensione
e lo percorse un osceno presagio.
Sottolineò quindi: «Non ho mai desiderato metterti a disagio».
Intanto l’uomo, paralizzato, lo fissava
 e lo sconcerto sul volto gli dilagava,
impedendogli di pronunciar anche una sola parola –
Castiel si sentì automaticamente in errore, e ringhiò nella gola.
«Io non capisco,
non ci riesco»
tentò di mettere in chiaro,
preda d’un accanimento amaro;
«non sono certo di sapere cos’è,
ma non dovrebbe essere possibile per quelli come me:
io non dovrei sentirmi così.
Eppure, più tempo passo qui…»
Pensava: era un angelo, in generale non era fatto per sentire;
insieme col resto della casta celestiale, doveva solo servire
e come poteva farlo, se costantemente tutto ciò che voleva
era essere tra gli umani, e con uno in particolare: uno speciale,
che in ogni suo pensiero era centrale,
e la cui canzone ovunque nei cieli con lui procedeva?
«Se i miei fratelli lo sapessero—» si lasciò sfuggire,
trattenendosi però dal proseguire.
Il turbamento e l’afflizione l’assalirono,
ed i suoi occhi verso Dean fuggirono:
lo trovarono con l’espressione oscurata
e come pervasa da una rete intricata.
Quello non sapeva cosa dire, come reagire –
nello sforzo di calmarsi, fece fatica persino a deglutire.
Mormorò: «Cosa— cosa» approssimativo
e senza nemmeno un vero tono interrogativo,
con lo sguardo perso,
e mentre il respiro gli era avverso,
poi: «Cosa significa?» riuscì a soffiare,
incontrando un’occhiata dell’angelo che lo fece come bruciare.
Castiel, quella domanda, l’udì come un’accusa –
non era lucido, falliva nel ragionare,
le sue motivazioni si volevano l’una con l’altra contrastare –
così a mezza voce asserì: «Ti chiedo scusa».
Poté notare in Dean la muta sofferenza
e di riflesso nei propri confronti perse la pazienza;
l’ultima cosa che desiderava
era causar problemi a colui che tanto apprezzava.
Perciò, ferreo, disse: «È meglio che vada».
L’uomo si sentì mordere sin nel profondo
e, poiché aveva nascosto gli occhi puntandoli sull’asfalto della strada,
quello strazio, bloccandolo, gli fece perdere lo sfuggente secondo
in cui, se solo si fosse voltato,
lì, ad aspettare un qualche segno, Cas avrebbe trovato.
Poté girarsi solo troppo tardi; quindi, invece,
non trovò che il vuoto e la promessa d’una notte nero pece.
 
 
 
Quando si rimise in auto, lo fece con i denti stretti,
un sapore penoso in bocca,
le emozioni sigillate dietro mille lucchetti,
la presa delle mani forte tanto da far sbiancare ogni nocca
e senza un autocontrollo che si rispetti.
Certo non si fidava di sé stesso alla guida,
non con tutti quei pensieri che stridevano come grida;
per non parlar della stanchezza.
Sulla strada avanzò allora con lentezza,
per raggiungere e rifugiarsi in uno sperduto motel
dove occupò una stanza con ben poca classe
fingendo malamente che di nulla gl’importasse
e sebbene il suo animo lo bramasse,
non compose alcuna preghiera per Castiel.
Nel silenzio si distese semplicemente sul letto,
condannato ad ascoltare quesiti che rimbombavano con dispetto;
come avrebbe dovuto interpretare
il fatto che Cas aveva detto di provar sensazioni?
Per lui, poi, bisognava precisare.
Non poteva credere fossero reciprocate le proprie affezioni;
tuttavia, non poté impedirsi d’immaginare,
solo un po’ – poi riprese a ignorare e negare,
perché l’angelo non aveva in alcun modo specificato
e soprattutto se n’era andato
sostenendo di non dover sentire certe cose,
con la sua natura ovviamente incompatibili
e chissà, forse persino punibili,
persino dannose.
Dunque qualsiasi cosa Castiel provasse,
non c’era dubbio che non l’apprezzasse;
e Dean più per lui che per sé si dispiaceva.
Difatti: “La colpa è mia”, si diceva:
da qualche parte doveva aver sbagliato;
magari con un che di mondano l’aveva avvelenato.
In quanto a far danni, insomma, s’era proprio superato:
aveva spinto verso la corruzione un essere divino –
lui: un piccolo, patetico, insignificante omino.
Questo si ripeté più volte di quanto non fosse sano,
fino a scivolare in un sonno agitato e grossolano.
 
 
 
Il tragitto che ancora lo separava da casa, lo percorse da solo
e anche una volta arrivato, per fargli visita nessuno scese sul suolo;
non per diversi giorni, durante i quali attese invano
macerando spesso con un bicchiere in mano
e ostinandosi intanto a non pregare:
“È meglio così” tra sé e sé continuava a recitare,
soffocando l’orgoglio e la frustrazione
in favore d’una matta preoccupazione.
Castiel non gli aveva mai spiegato per filo e per segno
ciò che accadeva in Paradiso ad un angelo visto con sdegno –
cosa che magari ormai lui era,
se davvero era stato contaminato dall’esperienza terrena.
Possibile che stesse rimanendo lontano
per un ordine, una punizione impartita da un suo capitano?
Alla sola idea, in Dean il senso di colpa cresceva,
e a insistere nel mantenersi alla larga lo spingeva –
se non cercava contatti,
se non peggiorava quelli che già erano i fatti,
magari a Cas avrebbero perdonato qualche minore difetto
(le sensazioni la cui insorgenza
tanto gli pesava sulla coscienza)
e non avrebbero smesso di portargli rispetto.
Era ben ragionata, insomma, la sua penitenza,
ma comunque questo non attutì il percepire
dell’altro la lacerante assenza:
fu immane, il suo tacito soffrire.
 
 
 
Quasi iniziò a credere, catastrofico e tristo,
che lui, l’angelo, non l’avrebbe mai più rivisto;
un timore, quello, spazzato via senza titubanza
dall’ovattata, inaspettata risonanza
del frusciare d’ali battute con quieta baldanza
che lo colse una sera, mentre con molta poca eleganza
arrangiava il cibo che aveva in casa in un’improvvisata pietanza.
Il suono familiare l’immobilizzò
e per un attimo credette d’averlo solo sognato,
ma poi un a lui ben noto «Dean» echeggiò:
s’irrigidì e al contempo si sciolse, perché Cas era davvero tornato.
Se lo ritrovò alle spalle, coi tratti del viso spenti:
subito gli fece correre addosso gli occhi astinenti,
sentendo il battito affrettarsi e crescere prepotente;
l’angelo era schiacciato e privo d’ogni qual traccia di vigore,
e in particolare nel suo sguardo, basso e fuggente,
l’uomo rivide il proprio stesso dolore.
«Perdona l’intrusione»
sussurrò Castiel con gran contrizione
e l’altro sbuffò, per poi dire, con voce sommessa
e una tremante emozione a stento repressa:
«Da quando ti scusi per esser passato a far un saluto?»
«Da quando non so se sono il benvenuto».
Dean s’inumidì le labbra e scosse appena la testa,
poi: «Scherzi?» farfugliò, con incredulità manifesta.
Desiderava avanzare per catturar Cas in una stretta,
ma lo stupore ancora lo bloccava
e tutto nella sua mente esplodeva e urlava;
si sentì come senza equilibrio, e alla fine scandì, di fretta:
«Dove diavolo eri finito? Sei sparito
dicendo che qualcosa non andava;
non ti sei più fatto vivo e io— credevo fossi stato punito.
Per colpa mia» appuntò, col tono che vibrava.
«No» negò Castiel senza esitazione
investito da rimorso e perplessa afflizione,
«nessuno mi ha punito. Ma ti avevo causato fastidio
e non chiamavi, non come prima –
ho pensato d’aver perso la tua stima
e che non vedermi ti fosse di sussidio».
L’uomo serrò la mascella, sollevato,
vagamente arrabbiato, e soprattutto scioccato
perché erano rimasti separati
per motivi tutti sbagliati.
«In che modo il tuo abbandonare la nave
mi avrebbe dovuto aiutare?»
Si morse la lingua per non aggiunger nulla di più disdicevole,
volendosi trattenere dall’esser troppo cattivo;
in fondo, esattamente come lui, l’altro era colpevole
solo d’esser stato eccessivamente apprensivo.
Per calmarsi si passò una mano sul viso
e: «Almeno adesso sei tornato» mormorò, deciso,
sperando di potersi finalmente concedere almeno un mezzo sorriso.
Non sorrise, però. Non poté; non dopo che l’angelo gli ebbe scagliato
uno sguardo intenso, mosso, affannato
che rifletteva l’angoscia dipinta sul suo volto
e che certo non alludeva a un problema risolto.
«Cas» bisbigliò allora Dean, praticamente supplicando
e col cuore del tutto allo sbando,
«c’è qualcosa che mi devi dire?»
Quello ammorbidì l’espressione, costringendosi a proferire:
«Sono sceso sulla Terra
perché senza salutarti non sarei riuscito a partire».
S’incupì. «Dean, ci sarà un’altra guerra».
 
 
 
 






 
Angolo di Tormenta
Comunicazione Disfunzionale™: un nome, una garanzia.
...Comunque! Siamo giunti ormai alla fine, e finalmente emergono esplicitamente i sentimenti. Posso solo sperare d'averli resi in maniera quantomeno decente. A voi il giudizio! Poi, tra le altre cose – capitolo lungo. Troppo lungo? Hm; sintetica: una delle tante parole che non mi descrivono. ^_^"

A meno di incidenti di percorso, vi do appuntamento a lunedì prossimo con l'ultimo capitolo. Baci,
T. ♪

 

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Capitolo 6
*** Wherever you are ***


6.
Wherever you are

 

 
 
Richiamato all’ordine per ricoprir il ruolo di soldato,
Castiel era disceso dal suo piano natio
con l’atteggiamento dolente e rassegnato
di chi è pronto ad affrontare un rifiuto e un triste addio;
questo, perché a partir da quando lui l’aveva lasciato
senza sosta Dean gli aveva dedicato
un cantare trattenuto, stridente, stonato,
così diverso dalla solita melodia
e che gli aveva causato una tremenda agonia,
convincendolo d’essere tutt’altro che desiderato.
Si può dunque immaginar la sua gran sorpresa
nello scoprir che l’uomo era invece rimasto per tutto il tempo in attesa
di lui, d’un suo segno
e che non l’aveva fatto bruciando d’offesa,
bensì assillandosi nel tentativo di darsi un contegno.
Lo stupore lo strinse e lo rese allibito,
e pensando a quanto poco dei sensi umani avesse capito
s’avvilì, e si sentì smarrito.
Aveva letto Dean in un modo tutto scorretto
e non solo: persino ora faticava a comprendere il concetto;
perché l’uomo s’era addossato tanto travaglio
quando non era suo, lo sbaglio?
Gli errori, l’angelo li vedeva solo a proprio carico:
lui rischiava d’allontanarsi dal suo originale incarico,
lui era quello che provava le intricate sensazioni
che il Paradiso avrebbe condannato come aberrazioni.
Eppure Dean s’era autoaccusato, preoccupato –
aveva forse creduto d’esser stato abbandonato?
Alla sola idea Castiel non poté che vacillare:
separarsi non era mai stata una cosa che aveva amato fare
e credeva d’averlo espresso chiaramente;
invece anche in quello era stato incompetente
e per altro, con alle porte una nuova lotta armata
dai cieli indetta e guidata,
non avrebbe nemmeno avuto la possibilità
di dimostrare delle proprie intenzioni la bontà.
Questo, s’intende, posto che effettivamente riuscisse a dipartirsi,
cosa che – assurdo per un serafino della sua levatura a dirsi –
malgrado la lealtà alla guarnigione
e la certezza che quella da compiere fosse una necessaria missione,
non era sicuro sarebbe stato in grado di sopportare;
certo non senza batter ciglio, non senza penare,
non quando l’uomo lo fissava con quegli occhi caldi, ferventi,
portandolo a ricambiare con sguardi concupiscenti –
sguardi che per l’appunto lo legavano dov’era
spingendolo a domandarsi
cosa ci fosse dietro agli attenti intarsi
dell’espressione mossa ma severa
che Dean sfoggiava, muto,
dal momento in cui l’aveva informato che avrebbe combattuto.
L’affronto doveva essere una componente, decretò,
e sembrava legittimo, perciò:
«Mi dispiace» sussurrò, onesto come non mai;
intendeva scusarsi per aver causato guai,
e per tutta quell’incomprensione atroce
che più d’ogni altra avversità pareva esser la sua croce.
L’uomo l’osservò, attento, poi annuì
rigorosamente in silenzio – e lo lasciò appeso così.
Non parlò a sua volta, non fece gesti,
non inviò insomma segnali manifesti;
però tremava:
nel petto, nelle iridi, nelle ciglia
e le dita si tormentava,
almeno prima di portarle al viso per nasconder l’ombra vermiglia
che, sfumata, gli contornava gli occhi
e che venne scacciata dalle palpebre in un paio di rintocchi.
«Cas» chiamò poi, finalmente, con tono nero
«sii diretto. Questa volta sul serio non ti rivedrò più, vero?»
Spiacevolmente punto, l’angelo esitò
prima di replicare: «Non lo so.
Non ho idea di quanto a lungo dovremo lottare».
L’altro, stordito dal ricordo dell’ala spezzata,
avvertì scariche di brividi percorrerlo all’impazzata,
perché Cristo, Cas avrebbe rischiato di farsi ammazzare.
Si trattava d’una guerra – una guerra vera:
nessun concetto l’aveva mai strozzato in una tale, viva maniera,
e a riguardo non c’era assolutamente nulla che potesse fare.
«Dean, se tu non sei contrario, io da te vorrei tornare»
asserì Castiel cercando di risultare rassicurante,
ma purtroppo ottenne solo di render l’uomo ansante.
«Comunque potrebbero passare anni. Ho ragione?»
l’interrogò quello, scontrandosi con un cenno d’affermazione,
e poi gli sfuggì in un soffio: «Senza contare— potresti morire»;
dopodiché, non si trattenne dall’inveire.
«Dean» lo chiamò l’angelo nuovamente, austero,
nel tentativo di bloccare l’imprecante strazio;
nel farlo, avanzò anche, lasciando tra loro solo un misero spazio,
e una volta vicino proclamò: «Sono da sempre un guerriero.
So difendermi, non è necessario preoccuparsi per la mia sorte;
inoltre, se è per proteggere voi, io non temo la morte».
L’uomo scosse il capo, tutto meno che consolato;
sapere che Cas era pronto a sacrificarsi non era d’aiuto
e l’avrebbe gridato, se avesse potuto:
peccato che le parole, chiuse in gola, l’avessero abbandonato.
L’angelo colse il suo sconforto
e volle poggiargli un palmo su una spalla: strinse,
sperando che tanto fosse più di supporto.
Da tale semplice gesto, molto fu ciò che evinse:
percepì Dean sussultare, teso, e successivamente rilasciarsi pian piano
in risposta al tocco della sua mano,
poi gli soggiunse una rivelazione:
il tiepido calore del corpo sotto al ruvido tessuto
l’aveva subito reso ben più che compiaciuto –
da solo, aveva placato in parte la sua sottile agitazione
e riportato con forza alla luce ogni sua affettiva sensazione.
Si sentiva divinamente e al contempo lacerato da mille coltelli,
e si perse osservando l’uomo negli occhi, che s’erano ingranditi
e lo fissavano a loro volta, ricchi dei lumi più squisiti;
così distratto, non badò ai propri polpastrelli
che lentamente scorsero, nominatisi in controllo,
fino a raggiungere dell’altro la base del collo –
se alla fine se ne rese conto, fu perché Dean si schiarì la voce
spingendolo a far scendere lo sguardo, veloce.
Lo puntò sulla propria mano: di primo acchito
non poté che chiedersi perché quella si fosse spostata, stupito,
e poi non fece altro – non la mosse.
Piuttosto, per capir se e quanto errato quell’atto fosse,
tornò a scrutar l’uomo dritto nelle pupille:
nel verde trovò un rinnovato mare di scintille,
arrangiate in un’accesa ma mogia espressione
che aumentò la sua confusione;
ritenne saggio non illudersi d’aver scorto contentezza:
preferì contenere il rischio d’esser causa d’altra asprezza.
«Io—» cominciò dunque a dire ritirando la mano, per spiegare
che da sola quella aveva deciso cosa fare,
ma ancor prima di partire, la sua frase s’era già fermata,
perché l’altro abbassò la testa, interrompendo l’occhiata
e nel farlo si lasciò sfuggire un mezzo sospiro frustrato:
una reazione minima, tutto sommato,
ma che sconvolse l’angelo, poiché nelle sbirciate emozioni
che Dean nascondeva dietro combattute reazioni
e che riemergevano a tentoni,
improvvisamente lui capì di sentirsi del tutto rispecchiato.
S’immobilizzò, riflettendo in fretta,
e in quanto alla propria commozione reietta
finì con l’ipotizzare un fatto stupendamente nuovo;
sussurrò, grave: «Tu sai quello che provo».
Quelle parole risuonarono in profondità negli anfratti
e Dean, morso, risollevò la vista lentamente e a tratti;
tentennò, dunque, perché no, non sapeva cosa provava Castiel.
S’era solo concesso una mezza idea a riguardo
quella volta nell’anonimo motel
e chiamatelo codardo,
ma non riusciva a fidarsi di quei concetti astrusi
che temeva avrebbero inutilmente nutrito i suoi affetti illusi.
Per questo negò col capo, serrando la mascella
e scacciando dalla mente anche la percezione
della mano di Cas che lo sfiorava da sopra la flanella.
Quello fu reso sfiduciato dalla contraddizione
e fece per parlare ancora,
ma Dean, stretto dal tipo di diniego che divora,
non volle ascoltare: l’interruppe aprendo bocca per primo, allora.
«Cosa succederebbe se gli altri come te
scoprissero che sei sempre venuto da me?
Ho bisogno che tu me lo dica».
L’angelo lo scrutò come se trattar l’argomento gli costasse fatica,
ma non fuggì dalla domanda – non più:
«Probabilmente non potrei ritornare quaggiù.
Mai. Mi svuoterebbero la mente, mi farebbero dimenticare,
per evitare che il debole per l’umanità rischi d’alterare
la mia fedeltà ai cieli, e il mio servire;
così s’assicurerebbero che io non possa tradire».
L’uomo, sbigottito ed agitato, sbuffò fremente
e insultò tra sé e sé il Paradiso con aria insofferente.
Al che, Castiel continuò, amareggiato:
«Per loro è una cura –
e anche se io non mi sento affatto malato,
la verità è che hanno ragione ad avere paura».
S’adombrò, prima di confessare
il significativo frutto d’un precedente lungo rimuginare:
«Così come è vero che per voi – per te, morirei,
ribellarmi— se tu me ne dessi motivo, temo che lo farei».
Subito, calò un silenzio pesante com’un macigno:
l’uomo sentiva in petto quasi il ticchettio d’un ordigno,
tanto era strabiliato da Cas e dalla sua devozione;
come meritasse l’uno e l’altra, ancora esulava dalla sua comprensione
e soprattutto gli dava il tormento,
perché pareva che davvero fosse reciprocato il suo… sentimento.
Pensando a quello, e all’imminente ennesimo distacco,
tacque, soffocato e fiacco;
eppur voleva fare qualcosa, voleva reagire,
perché non sopportava di vedere l’angelo così fissato,
chiaramente in attesa d’un riscontro, angosciato
e con lo sguardo che minacciava ogni istante d’appassire.
Dunque, rigido, tese alla fine un braccio
e l’imitò: gli strinse una spalla con impaccio,
poi, guidato dall’enorme bisogno di dimostrare affetto
fosse quello anche non ricambiato, e pur negletto,
tentò di trasformare in ulteriori, più audaci azioni
tutti i possibili discorsi ricchi di sentimentali paroloni –
con gli occhi incatenati a quelli di Castiel, fece scivolare le dita
fin sulla sua nuca, e poi, pur col terrore che si trattasse d’una mossa proibita,
calando per timore le palpebre, tirò col palmo.
E in lui nulla si sarebbe più potuto definire calmo,
quando l’altro accettò senza resistenza il metaforico invito
e portò avanti la testa inclinata
fino quasi a poggiare la fronte sulla sua, aggrottata;
solo a quel punto osò tornare a sbirciarlo, e lo trovò sbalordito.
Chiunque altro avrebbe senza dubbio capito
ciò che lui stava celando dietro un gesto tanto dedicato;
l’angelo invece con le ciglia spalancate lo scrutava ammirato
come incapace di decidere se fidarsi o meno di ciò che aveva intuito.
E non poteva esserci scenario migliore,
si convinse Dean respingendo e rinnegando il dolore.
«Non farti spennare» mormorò con un gran magone
prima che gli potesse esser richiesta una qualunque spiegazione,
e Castiel, scuro e commosso in volto,
assentì con le labbra pressate in una linea assottigliata
prima di riportare, cauto ma disinvolto,
una mano laddove essa s’era precedentemente accomodata:
sull’uomo, in quel nido tra la gola e la spalla
il cui tepore faceva ora risonare il fervore già venuto a galla.
Si gonfiò di gioia poiché il contatto fu accolto appieno,
ma solo un attimo durò la leggerezza:
presto capì, infatti, che non poteva trattenersi oltre sul terreno,
perché la familiarità e la vicinanza solleticavano la sua cedevolezza
e ogni ulteriore secondo con Dean equivaleva ad una promessa –
quella d’una mancanza ancor più accentuata
che avrebbe portato ad un’esperienza in guerra a dir poco esasperata.
Dunque: «Devo andare» esalò malvolentieri,
e l’uomo prese nota con un’occhiata e un cenno severi:
si costrinse ad accettare la circostanza
ispirando a fondo coi tratti del viso che si facevano neri,
prima d’allontanarsi con combattuta riluttanza
così da ristabilire tra loro una parvenza di distanza.
Calarono le braccia d’entrambi, e tacque ogni parola
mentre il battito d’uno s’esibiva in qualche scomoda capriola
e le ali dell’altro si spiegavano, in un piano invisibile,
per compiere un viaggio verso l’alto che a stento pareva possibile
tant’era vasta la pena
che sopprimeva ogni sua idea serena.
Trascorse così l’istante d’esitazione più lungo di tutti,
scandito da ultimi sguardi e umori distrutti.
«Ciao, Dean» si congedò infine l’angelo come d’uso,
incapace di chiedere egoisticamente “Aspettami”, o di garantire
che sarebbe andato tutto bene, poiché non voleva rischiare di mentire;
piuttosto aggiunse, con rammarico profuso:
«Vorrò sempre tornare a trovarti».
A ciò, l’uomo avrebbe voluto rispondere: “Sarò qui ad aspettarti”,
ma si ritrovò con la lingua legata
e poté solo annuire e mugugnare con voce strozzata.
Per quello, s’odiò immediatamente e con trasporto
soprattutto perché da lì a un attimo, smorto,
Castiel prese il volo. D’improvviso la stanza era vuota
e Dean non era mai stato tanto cosciente d’essere un idiota:
Cas era partito, e lui non l’aveva nemmeno salutato;
per non parlare delle troppe cose che non aveva confessato.
Era ormai tardi, ma per tutto il silenzio si pentì di getto
mentre gli si apriva uno squarcio nel petto;
subito seppe che quella ferita l’avrebbe accompagnato in ogni momento,
e iniziò a piangergli copioso il cuore, in un tacito lamento.
 
 
 
Castiel aveva appena raggiunto i cieli,
quando nella testa gli esplose un fragoroso canto –
una straziante armonia tra il suo supplizio e quello d’un uomo affranto
che, presso la guarnigione, gli valse istantaneamente occhiate crudeli.
Sia chiaro: crudeli non per cieca e disgustata impulsività,
quanto più per una fredda e semplice curiosità.
Come mai prima, infatti,
lo stringeva la canzone che solo lui poteva sentire –
tanto da intaccare il suo lume, da farlo indebolire;
dunque gli altri angeli lo fissavano, stupefatti,
vociando tra loro perplessi
perché non capivano cosa debilitava i suoi riflessi.
Di domande, ne piovvero a decine,
insieme con le insinuanti ipotesi più svariate;
e poiché Castiel a rispondere non era incline,
mentre le note continuavano a gridare sfrenate,
con diligenza e paura genuine
si rifugiò nell’eseguire disposizioni isolate,
in preparazione alla guerra dettata dalle volontà divine
su cui doveva senza meno concentrare le proprie intenzioni agitate.
 
 
 
Fu praticamente per disperazione se, all’inizio,
nel tentativo di focalizzarsi solo sul servizio,
desiderò che la sconsolata musica si calmasse;
mancò sfortunatamente di prevedere quanto il suo animo ne necessitasse
e scoprì purtroppo il tremendo errore di giudizio
solo allorché le melodie si fecero più pacate, più basse.
Certo a massimo volume erano una dolorosa distrazione,
ma percepirle attenuarsi, sfuggire
a pari passo col ritmo a cui Dean reprimeva l’afflizione,
era una tortura anche peggiore da gestire;
significava infatti accettare che, ad oltranza,
lui, per l’uomo, sarebbe caduto nella dimenticanza.
E il pensiero d’essere scordato
bruciava e lo lasciava senza fiato,
perché sì, il bene di Dean era una priorità
e per lui dimenticare era forse l’opzione più ottimista,
ma comunque l’angelo non poteva ignorare la realtà –
cioè, che si ritrovava ad essere orribilmente egoista:
non voleva esser cancellato,
non voleva che il proprio posto fosse da qualcun altro occupato.
Realizzare che quello sarebbe stato il corso degli eventi
rese i suoi raggi, già tremanti,
ancor meno luminescenti,
condannandolo ad esser vittima d’ulteriori sguardi indaganti;
sguardi che continuarono nel tempo ad infittirsi
in risposta a quello che divenne un incontrollato affievolirsi.
Castiel, s’intende, fece sempre quanto in proprio potere per brillare,
ma la sua attenzione sulla Terra non smetteva di calare,
e sebbene s’impedisse di cercare e osservare
il responsabile della canzone a cui non voleva rinunciare,
la sua condizione riusciva solo a degradare.
 
 
 
Alla fine, si verificò il peggio:
dopo un ultimo, esausto lampeggio,
mentre di terrore e di confusione era ubriaco,
Castiel s’accorse d’esser divenuto completamente opaco.
Contemplò la propria Grazia spenta del tutto estraniato,
e dovette fronteggiare un fatto agghiacciante:
fino a quel momento s’era riparato, l’aveva evitato,
ma ora senza dubbio sarebbe stato stanato
e i piani alti l’avrebbero sottoposto, scalpitante,
alla quella loro cura definitiva e sfregiante.
Non aveva dove nascondersi
e la notizia sul suo stato fece presto a diffondersi;
tanto, che ancora non s’era nemmeno un po’ calmato
quando il suo comandante l’approcciò, tirandolo a sé
per dire, ferreo e posato:
«Castiel, devi venire con me».
 
 
 
Seguì il superiore pur restìo all’idea di darsi per vinto
e sulla via, capitò che prevalesse il freno dell’istinto:
in quelle occasioni, venne molto poco gentilmente spinto.
Non sapeva dove sarebbe stato condotto,
né tantomeno cosa di preciso l’aspettava;
in ogni caso, qualunque cosa potesse aver dedotto
dal silenzio di chi lo guidava,
essa fu spazzata via quando la meta gli s’aprì attorno:
era l’Eden, il paradisiaco giardino,
che di profumi e frutti e fiori era adorno
e non pareva promettere nulla di meschino.
Tra le frondose e vivaci piante, poco lontano,
sfoggiando un modesto aspetto umano,
spiccava Joshua, che di quel luogo era il guardiano;
l’alta autorità di quell’angelo era ampiamente risaputa
e nel momento in cui, dopo un’introduzione risoluta,
si congedò rapidamente il suo capitano,
Castiel, per restar saldo, poté solo aggrapparsi al proprio musicale brano.
Non sapendo quale comportamento tenere,
scelse d’attendere e di tacere;
trascorse ben poco, comunque, prima che fosse chiamato:
«Non essere timoroso. Vieni avanti, soldato».
Joshua sorrise, invitandolo con aria serena
e Castiel rigoroso eseguì,
mutando anche lui nella forma terrena.
«Sai perché sei qui?»
«Io— suppongo sia per via della mia luce. Si è spenta».
«Esatto. C’è qualcosa che ti tormenta;
ma non affannarti e non temere:
non serve che mi spieghi, so già tutto ciò che devo sapere»
precisò il tranquillo e benevolo giardiniere,
indicando verso l’alto con moderato brio
e alludendo al suo privilegio di poter parlare con Dio.
Al che, con mesta riverenza,
Castiel chinò il capo in segno di penitenza
e fece per scusarsi per la propria disonorevole condizione,
ma l’altro lo precedette, scandendo con ponderazione:
«Tu credi che ciò che hai fatto sia punibile e sbagliato,
ma tralasci che Lui conosce il percorso d’ogni suo figlio
e per ciascuno, vuol solo il bene e il meglio:
al punto a cui sei ora, ti ci ha accompagnato.
Non convincerti d’averlo in qualche modo offeso;
t’ha guardato cambiare – a distanza, resti inteso –
e non è turbato da ciò che sei diventato.
Tutt’altro» terminò enigmatico
mentre Castiel lo scrutava perplesso ed estatico.
«Quindi— cosa devo fare?
Come posso migliorare?»
«Questo, solo tu lo puoi determinare.
Non è per darti una risposta o ordini diretti
che t’ha fatto venire qui. È vero il contrario, in effetti».
Accarezzò un’ampia e verde foglia, sorridente,
prima di proseguire, evocativo e paziente:
«Ha visto quanto, e in quale direzione,
la tua individualità si sia evoluta, svelta,
ed è consapevole di chi e cosa può vantarsi d’avere la tua devozione;
per questo, ti dona la possibilità di fare una scelta».
Senza indugiare oltre, prese dell’altro una mano
e poggiò il palmo sul suo, consegnandogli piano
un piccolo oggetto su cui gli fece stringere la presa;
Castiel appena poté sbirciò, e s’irrigidì dalla sorpresa.
Era una fiala trasparente che brillava d’argento
ed emanava l’aura d’un potente ed antico strumento.
«Può accogliere una Grazia, e mantenerla inalterata
senza che essa debba essere strappata»
gli fu illustrato prima che chiedesse, con sgomento:
«Nostro Padre crede che io debba cadere?»
Com’era possibile che Lui fosse di quel parere?
«Io— non posso; non voglio disertare».
Era avvolto nell’angoscia e nello stupore,
e per rassicurarlo Joshua sottolineò, con fermo candore:
«È solo un’opzione, una strada che se vuoi puoi imboccare.
Sei a metà tra l’umanità e il Paradiso
e le tue intenzioni verso entrambi sono pure,
ma ti sta distruggendo l’esser così diviso
e Lui non vuole che la tua rovina sia dettata da infondate paure,
come quella di perdere il suo affetto».
«Come potrei non perderlo, se tradissi la mia natura?»
«Amare l’umanità non è un’abiura.
Lascia che ti racconti questo: sai cos’ha detto
la prima volta che un nostro fratello è caduto
non per ribellarsi, non per vigliaccheria,
ma per vivere come umano secondo la sua ideologia?
Ha detto: “Non l’avrei mai creduto!”
Dubitava che a un angelo quel tipo di vita sarebbe piaciuto
ed era felice d’esser stato smentito
e di veder un suo figlio adorare ciò che ha costruito».
Osservando la fiala, Castiel rifletté con intento;
certo l’idea che il Padre non condannasse il suo cambiamento
era per lui un enorme lenimento,
ma comunque tremava di fronte a quell’opportunità
poiché non era certo di saperla gestire con abilità:
se la sua Grazia, la sua essenza, non doveva esser strappata
per venir riposta nella piccola bottiglia argentata,
allora non sarebbe dovuto rinascere per cadere
e il solo concetto l’accendeva com’un braciere,
perché significava poter tornare subito dagli amici,
da Dean – e oh, che dolcissima tentazione:
la contemplò cullato dalle morbide note della loro canzone.
Ma sarebbe stato errato considerare solo quei benefici –
e infatti disse: «Come potrei mai abbandonare così il mio ruolo,
le mie ali, i miei fratelli?»
Joshua annuì, mormorando saggio: «Oh, figliolo!
Hai posto il più grande degli indovinelli.
Nello scegliere, è proprio questa la difficoltà;
ci sono sempre responsabilità e rinuncia, dove c’è libertà».
 
 
 
Fu ripensando a quelle parole con ostinazione
che, congedato, Castiel tornò tra le fila della guarnigione.
Lì, soldato tra soldati,
vendendo tutti ronzare come indaffarate api
e sentendo su di sé il peso dell’occhio paterno
e dei soliti sguardi ricchi di ripudio e di scherno
che mancavano ormai d’ogni traccia di bene fraterno,
fu assalito da ciò che era evidente:
il suo esser fuori posto, e differente.
Questo, non solo per via del suo lume, ancora spento,
ma anche e soprattutto perché si vedeva perduto –
uno straniero nella casa che aveva sempre conosciuto,
spinto, senza alcun riferimento,
su una strada con un bivio che lo riempiva di spavento.
Cercò un contatto, approcciando vari commilitoni
e offrendosi di contribuire alle comuni azioni,
ma tutti, seccamente, rifiutarono il suo aiuto;
poté allora solo isolarsi, raccogliendo le idee abbattuto.
 
 
 
Durava da un’eternità, la sua esistenza
eppure nessun periodo era mai stato per lui più infinito e convulso
di quello che trascorse rimuginando, avulso,
mentre il battaglione si preparava per la partenza.
Da una parte c’era la fiala,
dall’altra la sua lama:
l’umanità, una vita limitata ma intensa
con Dean, e quel sentimento che prometteva avventura
contro la volontà di lottare, senza ricompensa,
per proteggere il pianeta e ogni sua creatura.
Come poteva decidere? Certo, il Paradiso gli calzava stretto,
ma era anche vero che sulla Terra era alieno e inetto;
verso l’uno e l’altro mondo, dunque, era tirato,
ma in nessuno dei due poteva dirsi perfettamente incastrato.
Come già altre passate volte, essendo solo
si rivolse, per aver compagnia, alla melodia che chiamava dal suolo;
mai ne aveva avvertita una tal necessità
dacché fu con nuova, incredibile acuità
che percepì il bisogno il conforto.
E molto altro, realizzò, nell’animo gli era insorto –
brama, mestizia, nostalgia, gioia, ciascuna in mille nuove sfumature
che dei suoi pensieri inseguivano le sfaccettature.
S’ampliò, insomma, la sua capacità di sentire
tanto che quando squillarono le trombe d’inizio battaglia
per l’inquietudine quasi credette d’impazzire:
mentre l’esercito si lanciava contro chissà quale demonica marmaglia
lasciandosi alle spalle le porte di Pietro,
lui, paralizzato, rimase indietro;
e del fatto che con gli altri non corse,
nessuno se n’importò, né se n’accorse
tanto rasentava l’esser nullo
il credito che la guarnigione dava ad un angelo opaco, fasullo.
Certo questo pungeva, ma Castiel accantonò l’acerbità
ripetendosi piuttosto che era giunta l’ora della verità –
doveva correre testardamente verso la guerra,
o scendere per sempre sulla Terra.
Alla fine, dopo un ultimo sguardo ai cerchi celestiali
e un ultimo istante trascorso ad ascoltar le note mortali
chiuse gli occhi e batté con tremore le ali
confidando nella bontà dei propri ideali.
 
 
 
 







 
Angolo di Tormenta
Scusate, scusate, scusate. Parlando di “incidenti di percorso” nelle ultime note me la sono proprio tirata – avevo promesso un finale, e invece eccoci qua. In breve: il testo stava diventando infinito, e soprattutto non ero soddisfatta dell’effetto che dava l’avere la porzione conclusiva in totale continuità con questa sesta parte. Quindi ho deciso di fermarmi qui, e di mettere in programma un epilogo.
Vi chiedo ancora perdono, nella speranza che il capitolo (malgrado la... suspense della chiusura) sia comunque apprezzabile. :) Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
 
Grazie per aver letto e per la pazienza; lunedì prossimo arriverà l’ultimo aggiornamento (stavolta per davvero, giuro). Baci e a presto,
T. ♪

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Capitolo 7
*** Where we belong ***


7.
Where we belong





L’uomo che abitava in fondo al viale
viveva ad un ritmo lento ed abitudinale.
Della famiglia, della cara auto e del lavoro
faceva umilmente tesoro
e di ciò che aveva non si sarebbe mai lamentato,
ma – chiunque l’avrebbe notato –
non era affatto appagato.
Le sue giornate erano piatte, prive di prodigi,
e in quel vuoto risonava il mancar all’appello
d’uno sperduto, adorato, angelico tassello,
senza il quale gli pareva di veder tutto in una scala di grigi
e a cui a stento riusciva a rivolgere il pensiero
tant’era corrosivo, pericoloso e nero
il senso d’angoscia e perdita che puntualmente l’invadeva per intero
e che comunque non l’abbandonava mai, non per davvero.
Non riusciva a pregare, frenato dalla disperazione
e dall’incapacità di trovar le parole per via della commozione;
in più, con nessuno discuteva dell’argomento:
alle domande a riguardo rispondeva con risentimento
e amici e parenti s’erano ormai tristemente arresi,
dacché lui era fermamente arroccato in quel silente degradamento
e non mostrava i miglioramenti tanto attesi.
A quel modo, erano trascorsi mesi.
Certo aveva capito che alla situazione doveva fare il callo,
ma comunque, impotente, restava in uno stato di stallo:
pur sapendo quanto l’aspettativa fosse falsa e viziosa,
c’era un innominato qualcosa
che non poteva non bramare –
il rincontro che continuava a sognare.
Gli capitava infatti di percepir il suono di passi
e: “Dean” si sentiva chiamare,
ma se si voltava, dolorosa era la prassi:
trovava solo un niente beffardo
che gli graffiava nel petto quel cuore sprovveduto
che sempre, anche se consapevole dell’azzardo,
si gonfiava istintivamente d’auspicio, cocciuto.
Ogni volta, frustrazione e delusione erano maggiori
e l’uomo si diceva: “Mai più!”
ma poi si ripresentavano i familiari rumori
ed ecco che s’infrangeva subito la sua virtù.
Era immensamente stanco d’esser così bloccato
e fu scrutando il fondo dell’ennesimo bicchiere svuotato
che alla fine decise, seppur colpevole e amareggiato,
che di fronte alla vana speranza davvero non si sarebbe più prostrato.
 
 
 
Erano passate alcune settimane da quel sin lì mantenuto giuramento
quando un giorno, rientrato da poco in casa,
credette d’udir alle proprie spalle un ovattato movimento:
la sua volontà di girarsi non era persuasa,
ma non poté non bloccarsi all’istante,
tendendo i muscoli nel rinnovato silenzio assordante.
«Dean» vibrò il suo nome, chiaro,
e lui sussultò, con l’animo già pronto ad illudersi, somaro,
perché il tono immaginario
non era mai stato tanto forte e lapidario.
Ma no, avrebbe resistito ai mentali soprusi;
ricercò la calma prendendo un bel respiro ad occhi chiusi
e l’avrebbe trovata, non fosse stato per il metallico clangore
prodotto da qualcosa d’indubbiamente reale che cadeva:
di scatto spalancò le palpebre quanto più poteva
e si voltò colmo d’ansia e di terrore –
entrò come in apnea, nello scorgere il suo angelo del Signore.
Era lì e lo fissava, Castiel, morbido e rapito
e Dean, pur disorientato, agì di riflesso:
gli fu subito appresso,
messo in allarme e atterrito
perché sui vestiti e in viso
l’amico era tutto macchiato e annerito,
e non solo – era visibilmente affaticato, ingobbito
e teneva un pugno serrato:
dall’altro, pensò l’uomo, doveva essergli scivolato
il lungo coltello che ai suoi piedi era rotolato.
«Cas?» osò mormorare con incredulità nella voce
prima di trovarsi le braccia piene d’angelo dall’entusiasmo feroce;
angelo che comunque si sarebbe ritirato presto
se lui non avesse prontamente accolto il suo gesto
come per l’appunto fece: lo strinse con la mente in corsa
mentre la sorpresa, l’eccitazione e il sollievo
gli avvinghiavano lo stomaco in una morsa.
E quel loro abbraccio sarebbe stato incredibilmente longevo,
considerato quanto entrambi apprezzarono sentir l’altro vicino
in carne e ossa, caldo, vivo – oh, che stato divino! –
se solo le narici di Dean fossero state invase da profumo
invece che dal pungente odore di fuoco e fumo.
Fu lui ad allontanarsi: giusto il minimo necessario,
mentre in parte ancora si meravigliava
del fatto che Castiel fosse vero, e non un abbaglio.
«Cosa ti è successo?» chiese con la gola che tremava
analizzando con occhio preoccupato
il suo essere tutto sporco e scarmigliato;
aveva forse dovuto affrontare una vicenda inaspettata?
O era sceso in campo, e la guerra era già terminata?
«Ho combattuto» fu la conferma che ottenne, roca
e pronunciata con pesantezza – non poca;
«Desideravo tornare sin da prima, da subito,
ma dovevo, volevo lottare per estinguere il debito».
«Quale debito?» l’interrogò Dean, confuso,
ma Cas non elaborò il concetto a cui aveva alluso;
semplicemente, stremato, mostrò il palmo chiuso
e l’aprì, rivelando ciò che tra le dita teneva racchiuso:
l’antica fiala di vetro argentato.
«Cos’è?» gli fu immediatamente domandato
e lui ribatté: «È un oggetto che mi è stato donato.
In tutto il tempo che ho trascorso all’Inferno
non ho mai smesso di pensare a quando l’avrei usato».
Certo era ancora profondamente diviso
tra Terra e Paradiso
e probabilmente lo sarebbe stato in eterno,
ma non aveva più incertezza nell’indicare
dove e con chi desiderava stare.
Tornò a nasconder la piccola ampolla nella mano, attento,
poi sibilò: «Alla fine, è giunto il momento».
Non appena ebbe terminato la frase,
dalle labbra gli sfuggì un basso gemito;
immediatamente, con fremito,
un braccio gli passò dietro la schiena, e vi rimase
per spingerlo ad avanzar piano,
guidandolo perché raggiungesse il divano.
Lì, l’uomo lo fece sedere, poi l’affiancò col battito a mille
e tenendo su di lui incollate le pupille,
turbato dal suo esser così debilitato e distrutto,
optò per chiedere, prima di tutto:
«Sei ferito?»
L’angelo annuì, esalando un secondo grugnito.
«Cas— non ti ho mai visto così malmesso.
Perché ho il sospetto che questa volta non sia solo un problema d’ali?»
«In realtà, si tratta a malapena di tagli superficiali.
Solo, io non sono più lo stesso».
Non sapendo se allietarsi o meno,
Dean indagò ancora, in un baleno:
«Cosa vuoi dire?»
L’altro esitò; «Che fatico a guarire.
La mia Grazia si è molto indebolita».
«E quella—» incerto, l’uomo accennò alla fialetta celata tra le dita
«serve a ricaricare la tua batteria prima che sia finita?»
«Tutto il contrario» negò Castiel, arcano,
prima di confessare, in un soffio: «può rendermi umano».
Dean s’immobilizzò, sbarrò gli occhi e corrucciò l’espressione
con la mente che, incapace di processare l’informazione,
nel caos, minacciava il collasso –
cioè, in breve, ci restò di sasso.
«Umano. Tu. Cosa— È possibile?»
bofonchiò, a malapena comprensibile,
«E non è, uh, illegale? Punibile?»
«È possibile, sì» assicurò Castiel con tono sottile;
«Mi è stato sempre insegnato quanto fosse sbagliato e vile
e per me non l’ho mai considerata un’opzione—»
della dolorosa caduta e della rinascita non fece menzione
«—ma quando ho toccato il fondo come guerriero
mio Padre, attraverso un messaggero,
mi ha fatto avere questa». Sulla fiala, strinse la presa
terminando: «Una possibilità di discesa
e una rassicurazione, perché anche se sono cambiato
come figlio non mi ha rinnegato».
Dopodiché, si raccolse in un silenzio serio
e l’uomo, con la testa ancora comandata da un gran putiferio
all’interno del quale si sentiva smarrito,
colse l’occasione per ripetere, poiché non era sicuro d’aver capito:
«Tuo Padre. Nel senso—» indicò verso l’alto, tossicchiando,
«il grande e potente. È di Lui che stiamo parlando?»
L’angelo annuì, estorcendo uno stridulo «Oh mio Dio»
a cui replicò: «Sì, esatto» candido e senza fare una piega;
e se al che il cervello di Dean chiuse bottega
cortocircuitando d’ogni idea il matto frullio,
non gliene si poteva certo fare una colpa
dacché oltre alla confusione, già di per sé molta,
in quel frangente non c’era verso che riuscisse a gestire
anche quella buffa ingenuità che lo sapeva addolcire –
la stessa che gli era mancata da matti
e che, insieme al modo in cui Cas gli rivolgeva lo sguardo,
gli riempì il petto d’un affetto gagliardo
capace di spingerlo a tentar di controllare i pensieri disfatti.
Prese dunque un bel respiro, poi scandì, pacato:
«In pratica— sei stato congedato».
A dirlo, mise veramente a fuoco la questione
e si gonfiò di speranza, tant’era per lui una liberazione
immaginare che l’altro non dovesse più rischiare
e potesse prendersi del guadagnato tempo per riposare.
Solo un concetto lo lasciava sospettoso –
per l’appunto, riferendosi alla fiala, fece, dubbioso:
«Non sei obbligato a usare quella. O sbaglio?»
Castiel, parendo in conflitto, tentennò
prima di bisbigliare: «Obbligato? No.
Ma voglio».
«Ma sei un angelo» sottolineò Dean d’istinto,
per poi proseguire, veloce e tutto convinto:
«sei più forte d’un uomo e hai le ali,
puoi curarti e non ti ammali;
potresti vivere per sempre!»
«Anche l’anima umana è immortale»
appuntò l’altro con voce abissale.
«Ma tu sei migliore di noi povera gente!
E non fraintendere:
se vuoi lasciare il Paradiso, t’appoggio e capisco perché –
senz’offesa: lassù non meritano uno come te!
Quello che hai, però, non lo devi svendere:
puoi assistere alla storia, visitare l’universo—»
«La bellezza della conoscenza e del creato è certo indicibile,
ma se credi che questo – quello che è qui sia meno incredibile,
allora sei in errore, perché è l’inverso.
Tu stesso me l’hai mostrato!
Mi hai insegnato
quanto l’umanità sia generosa,
quanto sia meravigliosamente complicato ciò che può regalare;
la mia natura era inerte, ora è curiosa:
c’è così tanto che vorrei ancora imparare
ed è vivere sulla Terra che m’ha fatto cambiare,
non vedere la storia, non le stelle o il sistema solare!»
«Ma, rifletti—»
«Rifletti?» l’interruppe l’angelo, facendosi triste e scuro
come s’avesse udito un osceno spergiuro:
s’indurì la sua espressione, e arsero gli occhi stretti
parendo urlare: “Come ti permetti?”
«Quelli che per te sono stati mesi, per me sono stati anni
trascorsi negli inferi, tra demoni e malanni;
se ho resistito è grazie al pensiero che, tornato, avrei vissuto;
quindi fidati: ho riflettuto».
Gemette nuovamente a causa del distraente dolore
e, rapido com’era venuto, sparì il buio nel suo umore
rimpiazzato da un fragile ardore.
«Dean» chiamò, flebile e contrito
«come angelo il mio esistere è misero
e tutto ciò che desidero
è essere libero.
Credevo che tu, tra tutti, avresti capito».
Mentre tenevano gli sguardi incatenati
l’uomo fu schiacciato da sensi spiacevoli che ritenne meritati;
affondò i denti in una guancia, poi boccheggiò
e fece per mettere insieme qualche sillaba, però—
si bloccò
perché le ciglia di Castiel calarono
a coprir iridi che di blu per un istante brillarono.
«Questo è quello che voglio» lo sentì ribadire,
poi, sulle note d’un altro mugugno
una fioca luce iniziò a provenir dal suo pugno
e notandola, Dean non poté che impallidire.
«Cas?» s’agitò, allarmato,
e quando come unica risposta al suo chiamare accorato
quello prese ad inalar aria ansando,
lui esplose senza riserve in un sonoro «Cristo santo!»
perché non era nemmeno sicuro che l’angelo avesse mai respirato.
«Cas!» ripeté col tono che traballa
stringendogli un braccio e poi la spalla;
di nuovo, nessuna replica verbale:
solo un mezzo sbuffo e un lamento baritonale.
Si sforzò per restar razionale,
ma non poté concentrarsi
visto che fu distratto e rischiò d’accecarsi
per via della fiala che l’altro lasciò scivolare:
come un sole sembrava bruciare
e, rotolata sul suo tappeto,
lo costrinse ad avanzare a tentoni, inquieto,
finché non l’ebbe recuperata
(emanava calore e vibrava, come fosse animata).
La cacciò sbrigativo sotto a un cuscino
poi a Castiel, veloce, tornò a stare vicino:
lo ritrovò scomposto e collassato
col viso stravolto, ma rilassato.
E forse per farlo reagire avrebbe strepitato
se solo, basito, non avesse realizzato
che, semplicemente, s’era addormentato.
 
 
 
Per prima cosa, Dean recuperò e mise a buon frutto una coperta.
Dopodiché, teso come una corda di violino
e con tutti i sensi a dir poco all’erta,
si piazzò su una poltrona accanto al serafino.
Era probabilmente sull’orlo del panico
e senza dubbio preda d’uno sbigottimento titanico –
giaceva sul suo sofà, Cas, tranquillo
e lui poteva osservarlo, sfiorarlo, saperlo al sicuro;
era quasi irreale, dopo il lungo periodo oscuro
durante il quale la preoccupazione era stata un costante assillo.
Dunque, si sentiva certamente alleggerito,
ma lo scombussolava il pensiero di quel lume sconosciuto
il cui significato credeva d’aver recepito,
e lo lacerava la discussione che con l’altro aveva appena avuto.
Castiel era… umano, adesso?
Dopo esser stato all’Inferno, dopo aver combattuto
aveva scelto, così come gli era stato concesso
e lui gli aveva dato contro; che fesso!
Non che il suo avesse voluto essere un rifiuto:
era solamente incerto, solamente perplesso
perché Cas meritava il meglio, e pure qualcosa in eccesso –
temeva, però, che il significato inteso non fosse pervenuto.
Lo divorarono il rimorso e la colpa
un piccolo morso alla volta,
mentre, esagitato, attendeva navigando nei flutti
di mille impulsi che tra loro, vorticando, si sovrapposero tutti.
 
 
 
Quando Castiel, con un lieve sospiro, riaprì gli occhi,
era buio, poiché la sera già calata da un pezzo
e dacché al risveglio lui non era avvezzo
lo assalì un’ansia coi fiocchi.
Riuscì a restar più o meno saldo
solo perché notò Dean poco lontano,
intento a sonnecchiare respirando piano,
e poté associarlo alla coperta che lo stava tenendo al caldo.
Caldo – percepì con forza quella sensazione
insieme col passar dell’aria che gli gonfiava ciascun polmone
e subito, colto dalla realizzazione,
volle prestar all’ambiente più attenzione:
fece vagar lo sguardo, scalmanato,
e con meraviglia, vide come la promessa d’un mondo rinnovato.
Colori più veri e vivaci,
suoni più affilati,
odori significativi come non lo erano mai stati –
tutti raccolti da sensi incredibilmente efficaci.
«Dean» chiamò commosso
una, due volte, con tono scosso
e in risposta l’uomo sussultò, spalancando le ciglia di getto:
trovando Cas sveglio, presto scattò e fu al suo cospetto.
«Stai bene?» domandò, dalla stanchezza appesantito,
e l’altro «Sì» replicò, per poi aggiungere: «Io— ho dormito».
Per un attimo, sollevato, Dean fu tentato di scherzare
sottolineando che non aveva nemmeno smesso di respirare,
ma poiché era pazzesco che avesse cominciato a farlo in primo luogo
alla propria lingua, alla fine, lui diede altro sfogo:
«Già, hm. Significa che sei—»
«Ufficialmente umano, direi»
completò Castiel al posto suo,
prima d’aggrottarsi di colpo, sbottando: «La mia— dov’è
Con un cenno, Dean gli comunicò di restare in sé
e immaginando il problema, recuperò la fiala fluo:
sotto al cuscino la cercò senza guardare
e trovatala (era ancora tiepida e danzante)
gliela porse con le palpebre serrate, curandosi d’affermare:
«Questa? Cavolo, è accecante!»
Cas, che vedeva il chiarore imbottigliato rigorosamente spento,
chiese, spiazzato: «Davvero credi sia luminoso?»
«Scherzi? Non riesco a tenere gli occhi aperti!» ribatté l’altro, grintoso
e lui, nascondendo la Grazia tra i palmi per risparmiargli un tormento,
bisbigliò: «Grazie» toccato e timidamente contento;
e fu proprio perché lo trovò così gioioso
che Dean capì d’avergli fatto un qualche angelico complimento.
Tentò di bofonchiar un “Prego”, ma fallì miseramente
a causa d’una scioltezza in quel momento inesistente;
si limitò allora ad osservarlo attentamente,
finché, perso in sguardi calorosi,
decise che almeno dei chiarimenti erano doverosi.
Perciò scandì: «Io— prima, quello che ho detto—
non era perché non ti rispetto.
Ero solo… preoccupato».
«Credi ancora che questo sia sbagliato?»
Dean esitò, percorso da brividi in scosse,
poi ammise: «Non ho mai creduto lo fosse.
Solo—» meriti di più, pensò ma non disse; «Sei pentito?»
Castiel rifletté, come se quel concetto non l’avesse nemmeno concepito
e decretò: «È tutto così diverso. Niente Grazia, niente ali
e i miei sensi ora sono così materiali—»
Abbastanza, in effetti, da rendere del tutto sfocati
i ricordi dei cieli, delle battaglie, dei tempi passati:
quasi, quei millenni, pareva se li fosse solo immaginati;
ciò lo fece tremare, scioccato
e ridusse la voce a un filo, col volto adombrato,
per confessare per l’appunto: «Sono terrorizzato.
Ma pentito? No – mai.
Sapevo a cosa avrei dovuto rinunciare, se fossi sceso
e desidero davvero questa esistenza. Imparerò a viverla, vedrai».
Siccome, poi, non era sua intenzione imporsi come peso,
restò inespresso un pensiero; una domanda: “Mi aiuterai?”
D’ogni parola, però, la sua morbida espressione fece le veci,
tanto che Dean lo scrutò incantato per un secondo, due – dieci,
del tutto ammutolito
e col battito che impennava, imbizzarrito;
stava giusto per aprir bocca, colto da un sentimentale formicolio
quando l’atmosfera deragliò di botto per via d’un affamato brontolio.
Cas, resosi conto d’esser del suono la sorgente,
pur intrigato da quella fame terrena,
abbassò il capo e s’imbarazzò appena;
fu però scacciato il suo disagio, prontamente,
allorché il padrone di casa mormorò, semplicemente
tendendogli una mano: «Vieni – ti preparo la cena».
 
 
 
Convennero presto che la Grazia necessitava d’un contegno,
per la comodità di Dean e il bene della sua vista;
la riposero dunque in una piccola scatola di legno
che Castiel, sulla linea tra paura e stupore com’un equilibrista,
volle tenere accanto mentre, zittito,
attendeva seduto a tavola come gli era stato suggerito.
Nella luce pallida, risaltava il suo essere ancora macchiato e annerito
e non era invisibile il peso del dramma di cui era munito;
l’altro certo lo notò: ragion per cui fu costantemente distratto
intanto che, col poco che aveva, cucinava un semplice piatto.
«Ti ringrazio, Dean» proferì Cas quando fu servito
sfoggiando grandi occhioni da cerbiatto;
quelli, e soprattutto il modo in cui scintillarono
boccone dopo boccone con apprezzamento lampante,
allietarono l’uomo, e della scelta fatta lo ricompensarono
(gli aveva riservato la porzione più abbondante).
«Troverò un modo per ripagare ogni tua gentilezza.
Lo prometto» sussurrò poco più tardi Castiel con accortezza,
mentre Dean toglieva le posate dal mezzo.
«Non mi devi ripagare» ribatté quello;
avrebbe voluto aggiungere: “Perché averti qui non ha prezzo”,
ma non riuscì, e coi piatti, tristo, affondò lo sguardo nel lavello.
A quel punto, lo percorse un invitante solletico
dato dal riemergere del sentimento, e quasi si sentì patetico.
Quasi, perché nel momento in cui si voltò
scoprì Cas vicino, alle proprie spalle,
e leggera gli scorse una matta frenesia sottopelle
in risposta all’occhiata che lui gli lanciò:
grezza, lucida, sincera, dedicata –
“Magari—” lo spinse a sospirar tra sé e sé, sognante;
magari ora sperare non era più così delirante
e non doveva essere per forza condannata
quella sua affezione che non accettava di venir accantonata.
La stessa che vibrò, quando Castiel asserì, asciutto:
«Mi sento in debito, Dean. Io ti devo tutto».
Lo avvolse, strisciando, una dubbiosa oscurità –
«Volevo così tanto tornare, che nella foga ho tralasciato
quella che sarebbe stata la portata della mia incapace inutilità.
Senza la mia Grazia sono totalmente disastrato,
e guarda la tua generosità!»
Gli era piombato in casa com’un turbine, senz’avviso
e aveva ricevuto in cambio conforto e cibo,
perché Dean era un brav’uomo – era un amico;
a tal proposito, bisbigliò, eternamente grato:
«Nei miei confronti, non voglio tu ti senta obbligato
e giuro, non mi tratterrò un secondo in più del primo in cui t’avrò intralciato».
Macerava nel frattempo in una turbolenta sensazione blu
poiché la verità era che il suo animo, ingordo, bramava di più:
covava un desiderio preminente ed indicibile,
da umano, molto più che da angelo, irresistibile.
«Nessun obbligo» fu rassicurato dall’altro
«e non sei inutile, Cas: devi solo ambientarti, e se vuoi
ti aiuterò. Senza contare, poi—»
Esitò, incontrando uno sguardo vacillante ma scaltro –
sguardo che fu il primo d’una serie di lunghi, visivi scambi
durante i quali lo spazio tra loro andò assottigliando;
e Dean notò chi stava avanzando:
prima Castiel, poi lui, poi entrambi.
Alla fine, la distanza non poteva più dirsi solo amichevole
e lui s’irrigidì per via della trepidazione
perché, a giudicar dall’illuminata e presa espressione,
anche Cas ne era perfettamente consapevole.
«Poi—?» fu spronato a continuare;
dovette schiarirsi la voce, per riuscire a borbottare:
«Pensavo— cioè, credevo fosse implicito, ma
capisco, se— uh, se non ti va.
Però, ecco, se vuoi fermarti qua
non deve per forza esserci una scadenza».
«Parli… della mia permanenza?»
«Sì. Siamo praticamente già stati coinquilini, e io—»
Non terminò la frase, optando piuttosto per un mezzo mugolio
a cui seguì un soffio – un fioco: «Cas, resta».
E non fece in tempo a dirlo che già gli girava la testa,
perché Castiel annullò tra loro ogni lontananza
poggiando la fronte sulla sua in fretta, pur non senza vigilanza;
Dean, in fibrillazione, non oppose resistenza
e quasi gli tolse il respiro
scorgere in quelle iridi zaffiro,
al di là della riconoscenza,
il gioire vasto, incontrollato e ben distinto
di chi mette a fuoco di non esser stato respinto.
Non l’ingannava la vista? Era tutto vero? Non un sogno?
«Cas?» chiamò, allarmato, in un interrogativo mugugno
e: «Dean» fu mollemente interpellato di rimando
con tono basso e sentito;
al che biascicò, vulnerabile e basito:
«Ti prego, dimmi che non mi stai solo ringraziando.
Dimmi—» deglutì «dimmi che sai cosa stai combinando».
Lo sapeva, Castiel? Non ne era certo –
in quell’ambito non poteva proprio dirsi un esperto.
Semplicemente, voleva Dean vicino; anche per ringraziarlo ancora,
ma soprattutto per stringerlo e toccarlo come mai aveva fatto fino ad allora.
A parole, avrebbe senza dubbio fallito nello spiegare,
perciò agì d’istinto – uno nuovo di zecca, parte del pacchetto mortale:
posò le labbra sulle sue, tenendogli fermo il volto.
Una parte di lui temeva, tesa e in ascolto,
ma fu scacciata quando l’altro, palpitante, passò da rigido a sciolto
premendo a sua volta con trasporto.
Fu un contatto breve, gentile
accompagnato da un abbraccio spontaneo e febbrile;
come una promessa di ciò che era a venire –
un momento che, stupefatti, quasi faticarono a concepire.
«Se posso, mi piacerebbe restare»
mormorò fremente Cas, ritiratosi appena;
in risposta, contenendo l’esaltazione a malapena,
 Dean lo strinse, incapace di parlare –
in particolare, con le palpebre fermamente calate,
mantenne il viso accanto al suo; le loro guance l’una all’altra poggiate.
Inalò a fondo, mentre lo scuoteva una sgomenta felicità:
Castiel era lì, l’aveva baciato, ed era tutta realtà;
anche se umano, arruffato e affumicato,
poteva dire d’aver ritrovato il suo angelo – e che sarebbe restato!
Ogni tassello era al suo posto, se erano insieme
ed entrambi si lasciarono accarezzare e travolgere dall’ebbrezza
data da ciò che in petto sbocciava con gran fierezza,
pensando che da lì in poi sarebbe andato tutto bene.
 
 
 
 


 


 
Certo all’inizio non fu facile prendere il via,
tra assestamenti, incomprensioni e la ricostruzione d’una sinergia
e anche poi, come in ogni altra vita quotidiana,
per i due non sempre fu tutto perfetto:
in alcuni momenti la rabbia regnò sovrana
e più d’una volta si fecero dispetto.
Restò però sempre saldo tra loro l’affetto,
nutrito dal perdono, dalle condivise avversità,
dal desiderio di proteggere le reciproche fragilità
(e, nell’intimità, da rappacificamenti a letto).
Cosa più importante di tutte, poi,
orgogliosi e lieti d’essere un noi,
avanzando lungo la strada mano nella mano
mai smisero d’imparare l’uno dall’altro –
s’amarono, insomma, il cocciuto e leale umano
e colui che con meraviglia era venuto dall’alto.
 
 

 
 

The end






 
Angolo di Tormenta
Happy ending per tutti! ♥
Spero che le motivazioni e la scelta finale di Castiel (combattere un’ultima battaglia e poi ritirarsi) risultino convincenti. È un personaggio molto fedele al proprio ruolo, e ci tenevo a non snaturarlo/banalizzarlo. Per il resto: mi auguro d’esser riuscita a rendere giustizia ai sentimenti e ai temi trattati, indubbiamente per quel che riguarda la transizione angelo/umano, ma anche per la situazione di Dean e l’atmosfera generale della conclusione. Se vi va di farmi sapere che ne pensate, mi farebbe molto piacere. :)
 
Detto ciò – mi sono divertita un mondo a scrivere questo piccolo racconto, e sarei davvero contenta se nella sua semplicità fosse riuscito a regalarvi qualcosa! c: Vi ringrazio moltissimo per aver letto, seguito, preferito, e in generale avermi accompagnata fin qui! :) Baci e alla prossima storia,
T. ♪

 
P.S.: Se siete anche solo un pochino puntigliosi come me, magari vi state chiedendo come diamine Cas può inserirsi in società dal nulla senza, tipo, documenti, o un cognome, o una data di nascita. Ecco, in tal caso – diciamo che presto gli vengono recapitate tutte le carte del caso, e che queste gli forniscono un’identità. Perché Chuck in questo universo è così tanto un bravo papà. c:

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