Per prendere altre vie bisogna prima lasciare la strada maestra

di Kuruccha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I colorati vanno lavati a parte [Okita, Kagura] ***
Capitolo 2: *** L'odore delle proprie puzzette non è mai troppo sgradevole [Okita, Kagura, Sadaharu] ***
Capitolo 3: *** Anche le maschere di bellezza fanno male se tenute addosso troppo a lungo [Tsukuyo, Yorozuya | Gintsu] ***



Capitolo 1
*** I colorati vanno lavati a parte [Okita, Kagura] ***


I colorati vanno lavati a parte

[Okita, Kagura]


Gli capita di osservarla da lontano, un lampo arancione contro il grigio e il nero di quel che resta di Kabuki-cho. Accanto a lei c’è ancora l’enorme bestia bianca, ed è proprio per via del fiuto di Sadaharu che Sougo rimane all’erta, pur nascosto nell’ombra scura della sala da pachinko dismessa. Di fronte a lei, una manica di uomini che nemmeno s’immaginano il guaio in cui stanno per cacciarsi.
La ascolta mentre tenta di dissuaderli dal loro scopo. Kagura ha perso da tempo il suo aru, aru - e forse è anche per quel motivo che nella mente di Sougo non è più China ma Kagura; ma l’aru, aru non è la sola cosa che si è persa in quegli anni, e preferirebbe cento volte poterla chiamare ancora China come un tempo, se questo volesse dire che almeno i suoi occhi sono rimasti gli stessi, - ma il modo in cui flette le dita prima di partire all’attacco è sempre identico, con la gamba d’appoggio già pronta a sostenere il contraccolpo del primo calcio. Gli uomini non badano a quel sta loro dicendo e corpo di Kagura si muove, da lampo a tornado, gli occhi fissi sulla figura che non è più un essere umano ma un nemico. Sougo studia la sua apatia, il modo in cui le sue pupille non si staccano mai dalla preda dopo averla agganciata, il colpo preciso con cui immobilizza e atterra chi le si para davanti – e non è simile a suo fratello, no, non più; non c’è in lei quella sete di sangue che ha letto in Kamui. Kagura ferma il brigante a capo di quegli uomini, mette in fuga gli altri, fa semplicemente quello che deve essere fatto, e Sougo non ha bisogno di chiedersi quale interruttore abbia acceso in lei quel cambiamento.
Da quand'è che siamo così simili?, si chiede, uscendo allo scoperto una volta che tutti gli altri se ne sono andati.
Ma lei non lo vede, e rimane lontana, arancione sul bianco di quel che resta della Yorozuya di Kabuki-cho.

 

Originariamente postata qui. :)

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Capitolo 2
*** L'odore delle proprie puzzette non è mai troppo sgradevole [Okita, Kagura, Sadaharu] ***


 

L'odore delle proprie puzzette non è mai troppo sgradevole

[Okita, Kagura, Sadaharu]

 

«E così ci incontriamo di nuovo alla stessa maniera» dice, ma lo sguardo di Kagura rimane fisso sull’orizzonte dei grattacieli in rovina. La pioggia cade in gocce fitte, increspando la superficie immobile dell’acqua nel canale di scolo.
La vede irrigidirsi; dalla sagoma della sua mandibola capisce che sta stringendo i denti. «Non ti avevo riconosciuto» gli risponde, e non sa bene se sia arrabbiata con lui o piuttosto con se stessa. La presa delle sue dita sul parapetto del ponte non accenna a farsi meno salda. 
Da sotto il cappello, oltre il bordo di paglia e stoffa, Sougo osserva l’enorme sagoma grigia ferma al riparo di una delle catapecchie. «Il cagnaccio sì, però, dato che mi ha lasciato avvicinare.»
«Probabilmente la tua è una puzza che non si dimentica.»
«Beh, nemmeno la sua, dato che la sento da qui.»
«Sadaharu profuma come un campo di violette a primavera.»
«Certo. Un campo di violette concimato di fresco.»
Il cane solleva le orecchie, poi uggiola, come a voler chiamare la sua padrona; è teso in avanti, pronto a scattare nell’attimo in cui ce ne fosse il bisogno.
È quando distoglie lo sguardo dalla bestia che i suoi occhi incrociano di sfuggita quelli di Kagura; il loro incontro dura meno di un momento, ma tanto gli basta per sentir nascere di nuovo l’impulso a canzonarla.
«I tuoi capelli» lo anticipa però lei, la mano stretta sul manico dell’ombrello.
Sougo scrolla le spalle. «Si sono allungati.»
«No» gli risponde, guardandolo finalmente in viso. «Non sono bianchi.»
Quello che le si dipinge brevemente addosso è un sorriso appena accennato, ma che non può fare a meno di contagiarlo; le sorride di rimando, chiedendosi se l’abbia mai fatto prima d’allora – in un passato lontano, lì su quel ponte, o al parco, o in qualsiasi altro luogo della Edo ancora pacifica.
«Sei qui per farti prendere a pugni?» gli domanda lei. Sadaharu, forse avvertendo la nota minacciosa nella sua voce, è subito accanto a lei.
«No. Non stasera, almeno» risponde, sistemandosi meglio il cappello sulla testa. La pioggia scorre in un grosso rivolo, bagnandogli la stoffa delle maniche. «Ho di meglio da fare che restare qui a picchiarti.»
«Quando vuoi, allora» gli dice, voltandogli le spalle. «Te le darò di santa ragione.» 
La guarda andar via, i suoi capelli arancioni che ondeggiano sotto la cupola dell’ombrello. Sadaharu la accompagna, ma è l’unico a voltarsi indietro; osserva Sougo da sopra la spalla, abbaia due volte e comincia a scodinzolare.
«Non ci contare» risponde, alzando appena la voce per farsi sentire.

 


(Nelle intenzioni iniziali era il seguito quasi diretto della precedente. A posteriori, a parer mio si può leggere anche indipendentemente.)
Originariamente postata qui. Ho apportato alcune piccole variazioni, ora mi convince di più :)

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Capitolo 3
*** Anche le maschere di bellezza fanno male se tenute addosso troppo a lungo [Tsukuyo, Yorozuya | Gintsu] ***


Anche le maschere di bellezza fanno male se tenute addosso troppo a lungo

[Tsukuyo, Gintoki, Kagura, Shinpachi | Gintsu]

 
Ricorda il suo profumo.
A volte le capita ancora di sentirlo nei primi giorni di quelle primavere sempre più fievoli, in ogni piccolo ritaglio di cielo oltre le rovine dei grattacieli, quando la pioggia sottile delle nuvole quasi bianche lava i rami dei ciliegi e si porta via la prima fioritura.

(Sono le stesse identiche note che legge anche su Kagura, pur avvertendole sbiadire sempre più.
Però c’è ancora, in lei – c’è sempre stato, in lei– qualcosa capace di legarla a doppio nodo all’immagine che Tsukuyo ha di Gintoki. È certa che sia un’altra delle eredità che lui avrebbe voluto risparmiarle; non solo a lei ma anche a Shinpachi, perché non è Kagura l’unica ad essersi fatta carico del suo fardello.)

Lo ritrova anche in altri odori; in quello dolciastro dei fagioli dolci, in quello costantemente polveroso dell’haori invernale, nel puzzo di alcolici a buon mercato versati sulle panche in piena notte, nell’acido del disinfettante e nell’odore ferroso delle bende intrise.
Ricorda il sangue e i fili e le tele strappate, ricorda i nervi tesi sulle sue braccia mentre sferrava ogni colpo.
Ricorda di averlo guardato.
Ricorda il suo viso, ma non ricorda come fosse l’uomo dietro la sua espressione.

(Anche di Shinpachi ricorda solo il viso; com’era una volta, ormai una vita fa, e com’è diventato adesso. Gli occhi nascosti dietro la montatura sono immobili e impietosi; taglienti, quasi, in sostituzione di una lama che non ha mai portato.
Si chiede se sia cambiato davvero, o se anche la sua facciata abbia la stessa funzione che ha in Kagura. Se il suo viso si scioglierà mai più in una smorfia più dolce, più buona.
Non è ancora riuscita a trovare una risposta. Probabilmente non la troverà mai.

A volte pensa che forse, forse, basterebbe far incontrare quei due ragazzi ancora una volta. Il cordone che li ha sempre legati a doppio passaggio, nonostante tutto ciò che è successo, è sempre stato troppo resistente per potersi sfilacciare senza fatica.
Si chiede spesso se abbiano nostalgia l’uno dell’altra. Ha pensato più volte di farli incontrare. Allo stesso tempo, però, ha il timore che quell’incontro possa diventare lo strattone decisivo, e non vuole essere il loro carnefice.
Le piacerebbe poter ricordare com’erano i loro visi felici, quando ancora erano tutti insieme.)

Dal buio ripesca però altre espressioni felici; ricorda di averle avvertite a fior di pelle, le labbra tirate e la punta fredda del suo naso sul collo. Ricorda la voce di Gintoki nei sussurri, anche se le sue parole si sono perse lontano.
E lontani sono anche quei giorni pacifici in cui la sagoma delle sue spalle era distante e tanto le bastava, quando non c’era ancora il bisogno di riempire con l’immaginazione ogni buco vuoto nella memoria. Ancor più lontani sono i tempi in cui poteva ancora sperare di crearli, quei ricordi, senza che la fantasia arrivasse a dipingere la sua presenza in un’intera realtà differente.
Le piace immaginarselo felice, ovunque sia.

(La verità che continua a negare è che non ricorda il suo sorriso.)
 

15.02.2017
Finalmente una storia che non era mai stata pubblicata altrove! Finalmente qualcosa di nuovo in questo 2017 arido di scrittura! Olè! :D Ovviamente è angst da morire, angst come se piovesse. Nella migliore tradizione, insomma! XD
Questa fic partecipa alla Challenge di San Valentino - Baci rossi e blu organizzata in combinata da Torre di Carta e Fanwriter.it. Ha preso vita da questo prompt:
“When the night breathes your name/I remember bygone days/But of those gentle times/Only memories remained/I will hold on to the few years we shared/I will never forget” (“I will never forget”, Barque of Dante ft. Vicky Psarakis and Thomas L. Winkler).
Inoltre, partecipa alla M2 della terza settimana del COW-T 2017 di Maridichallenge con queste parole chiave: rami, braccia, presenza.
Che altro dire, se non che è stata un parto? Giuro. Dall'inizio alla fine, ma soprattutto nel mezzo.
Grazie per aver letto fin qui XD
Kuruccha

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