Shadow Dragon's Tale – Gajevy Week 2017

di Arya Tata Montrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bonus Day ***
Capitolo 2: *** Day One ***
Capitolo 3: *** Day Two ***
Capitolo 4: *** Day Three ***



Capitolo 1
*** Bonus Day ***







Gajevy Week – 2017
 
 


Bonus Day ~ Pirates!AU




Stese la cartina sul tavolo, sotto la luce che filtrava dalle ampie finestre della cabina di poppa, dove erano situate le stanze del capitano. Levy lisciò la vecchia mappa, logorata dal tempo e dall’uso continuo e fedele, in modo che ogni linea rivelasse ai suoi occhi ogni anfratto di quel mare che conosceva come se fosse stata lei a progettarlo.
La carta mostrava il mare e, presto, fu riempita di chiodi e fili che descrivevano percorsi, cosparsa di altri fogli vergati da annotazioni e calcoli di ogni tipo; il compasso tra le sue dita si muoveva veloce e preciso, fermandosi qualche secondo per permetterle di annotare le nuove informazioni con l’altra mano, su uno degli innumerevoli fogli bianchi lì accanto.
Le fiammelle che ardevano ad accompagnare la luce solare vibrarono, mosse dall’aria spostata dalla porta della cabina aperta con impeto. Abbassandosi per non sbattere la fronte contro lo stipite superiore, ne entrò un ragazzo alto, dai lunghi capelli corvini e il viso imperlato di metallo. Abbozzò un ghigno che voleva essere un sorriso: «Comandante» salutò con un ghigno, tipico di lui.
Levy rispose con un mugugno, concentrata, immersa nei calcoli e nelle soluzioni che la sua mente sovrapponeva all’immagine della carta. Quando ebbe finito, annotò i nuovi dati sul foglio e rivolse lo sguardo al ragazzo, che nel frattempo s’era seduto sulla poltrona accanto al letto.
«Comandante in seconda» replicò. Si abbandonò alla poltrona poco dietro di lei, solitamente accostata al tavolo che le fungeva da scrivania, stanca.
La cabina era inondata della luce soffusa del giorno che penetrava dalle grandi vetrate e, assieme al candelabro, donava un’atmosfera quasi magica. Sulla scrivania, posta alla sinistra della porta, i cartigli occupavano il posto di pile e pile di libri, ora spostate sul pavimento assieme ad altre loro simili. Levy diceva che ognuno di quei volumi era necessario e più di una volta l’aveva dimostrato – di tanto in tanto, quando la Fairy Tail’s Shadow Dragon attraccava al porto nascosto di Magnolia, la città natale della ciurma, Levy scaricava parte dei volumi, così che non andassero persi se mai fossero stati coinvolti in una battaglia. Il letto era troppo grande per lei, pensato dal costruttore per un uomo, grande e grosso e accompagnato da chissà quante donne; Levy aveva pensato questo, la prima volta che aveva visto quel letto enorme a due piazze troneggiare nella stanza che sapeva ancora di nuovo, il galeone rubato appena prima del varo.
Gajeel si stese alla bell’e meglio sull’altra poltrona, con i braccioli sotto collo e ginocchia, e si mise a fissare le travi del soffitto, masticando un chiodo come da abitudine. «Allora, a che punto siamo?» chiese lanciando un’occhiata alla minuta ragazza e, di conseguenza, a tutte le carte sparse sul tavolo.
«Se i miei calcoli sono giusti – e lo sono – dovremmo incrociare la nave del Concilio, la Unit 326 questa sera.»
«Perfetto» e un conato di vomito lo costrinse, istintivamente, a piegarsi in due.
Levy si porto le dita sottili a pizzicare il ponte del naso, sconsolata. Poi si avvicinò alla cassettiera, davanti al letto e frugò fino a trovare una scatolina di metallo, la aprì e ne estrasse una pastiglia bianca, grande quanto la sua unghia. La porse al ragazzo, che la prese e la ingoiò senza esitazioni. Dopo qualche minuto, la compressa aveva fatto effetto e Gajeel stava meglio.
«Dovresti prenderle ogni mattina, lo sai»
«Volevo controllare come stessi. Tu dovresti dormire di più la notte» e con la testa indicò il letto sfatto coperto di libri, di cui uno aperto accanto al guanciale.
Levy gonfiò di poco le guance, colta in flagrante. «A dirla tutta, a volte non è nemmeno colpa mia.»
Gajeel ghignò. Colpito e affondato.
 
 
Il sole moriva oltre la linea dell’orizzonte, piatta come il mare calmo. La Shadow Dragon era ancorata un po’ più a largo della riva dell’isola, opposta rispetto al porto ove era attraccata la Unit 326, il loro obbiettivo. La foresta che cresceva rigogliosa era un ottimo scudo alla vista della vedetta nemica ma Levy volle essere più che accorta, ordinando di ammainare le vele per non coprire il manto scuro e stellato e insospettire così l’obbiettivo.
Il piano prevedeva che, dalla nave, scendessero solo lei e Gajeel, in modo da essere il più rapidi e silenziosi possibile, mentre il terzo ufficiale, un omone dalla carnagione scura e con una cicatrice a mezzaluna sull’occhio destro, che si faceva chiamare “Panther Lily”, sarebbe rimasto sulla nave assieme al resto dell’equipaggio. Avevano l’ordine di salpare con o senza di loro all’alba e di tornare a Magnolia a riferire a Master Makarov – il capitano della flotta di Fairy Tail e dell’intera ciurma – l’esito della missione.
Quando la lancia fu calata ai piedi della nave, Lily augurò loro buona fortuna e, nascosti nell’abbraccio della notte, solcarono l’acqua in silenzio fino alla riva, quindi s’inoltrarono nella foresta fino al limitare dell’unico villaggio presente sull’isola. Lo costeggiarono fino al porto, leggermente più a nord, e la vista delle vele della fregata confermarono i calcoli di Levy. Avvicinandosi, scorsero il numero 326 dipinto sul fianco della nave e un paio di soldati seduti su altrettanti cassoni davanti alla passatoia sul molo.
Gajeel e Levy si scambiarono uno sguardo d’intesa e si avvicinarono di soppiatto sperando che le guardie fossero ubriache, tenendosi comunque pronti ad ingaggiare battaglia. Fortunatamente per loro, i due uomini faticavano persino a stare seduti senza rischiare di cadere ed i due riuscirono ad intrufolarsi nella nave deserta.
Certamente, quello che stavano cercando si trovava negli alloggi del comandante. Era ovvio che volesse tenerlo sempre d’occhio, dato il valore dell’oggetto che quella fregata dismessa stava trasportando; a ragione, il comandante temeva che l’esito di quella semplice missione di trasporto avrebbe comportato una rapida scalata o una nefasta, rovinosa caduta verso il baratro di squali che era il Concilio. L’avrebbero fatto a pezzi e qualcuno avrebbe danzato sulle sue ceneri, gioendo della sua disgrazia.
Gajeel non sapeva bene dove cercare, non aveva mai avuto nulla che valesse la pena di nascondere ma Levy gli aveva mostrato un disegno fatto da Reedus, il miglior disegnatore dell’intera Flotta, che illustrava nei dettagli un forziere piuttosto tozzo, con degli intagli sui bordi ed una toppa sul fronte. Estrasse dalla tasca il pezzo di carta e lo esaminò nuovamente per farsi un’idea più precisa delle sue dimensioni e di dove quel fesso d’un capitano l’avesse nascosto.
«Non dovrebbe essere più grande della tua scatola di calamai. Al massimo, quanto la cassetta di bottiglie che Kana ha rubato a Clover» le fece sapere.
Uno scricchiolio li fece voltare di scatto verso la porta della cabina ed i loro occhi incrociarono quelli di un soldato semplice. Tutti e tre non potevano credere ai loro occhi: il soldato li guardava come chi osserva il proprio idolo comparirgli di fronte agli occhi, gli altri due come se non ritenessero davvero possibile che ci fosse qualcuno su quella nave, oltre a loro.
Fu solo un attimo, un rapido scambio di sguardi, poi Gajeel partì alla carica mentre il soldato, colto dalla paura, riuscì a serrare la porta un secondo dopo che il pirata gli fu passato accanto. Il primo impulso del soldato, un ragazzo massiccio ma spaurito, arruolato in marina a forza, fu di scappare. Gajeel, però, gli bloccava l’unica strada possibile, dando le spalle alla porta dell’anticamera che dava sul ponte principale e da lì al molo.
Di scatto, il soldato spezzò la maniglia della porta, in modo da impedire a Levy di uscire e dare manforte al compagno e si lanciò a testa bassa verso il suo avversario, caricandolo completamente dimentico dell’addestramento di base ricevuto. Per Gajeel fu quindi più che semplice spedire a terra quel miserabile e portare un braccio attorno alla sua gola, stringendo. Un bagliore sembrò accecarlo ed in quel bagliore vide la prima volta che aveva ucciso ed il suo primo incontro con Levy. Il solo ricordo del suo volto sconfitto, sofferente e ardente di coraggio lo fece desistere dalle sue intenzioni: quella volta non aveva ucciso Jet e Droy, ora due compagni, era stato lo sguardo carico d’odio e di sfida che lei gli aveva rivolto in quell’occasione. Ed ora rivedeva la sofferenza di Jet e Droy in quella del soldato.
Strinse un solo attimo ancora, sufficiente a fargli perdere i sensi, poi allentò la presa e si rialzò, raggiungendo la porta.
Levy, dall’altra parte, era tornata alla ricerca del forziere, conscia del fatto che fosse completamente inutile tentare di sfondarla con le sue sole forze. La sua scatola di calamai e la cassetta di Kana non erano eccessivamente grandi, nulla che lei da sola non potesse portare o reggere mentre nuotava, considerò mentre gettava l’occhio verso la vetrata che si rivolgeva verso la distesa color del buio che era il mare notturno.
Il segno scricchiolò e nella cabina risuonarono i passi che battevano veloci e concitati sulle assi sopra le loro teste, sul ponte principale: dovevano essere i soldati che, sentito lo schianto, si erano precipitati a proteggere il prezioso carico sotto ordine del comandante della Unit 326.
«Tu va’!» Levy dovette urlare perchè la sua voce potesse raggiungere le fini orecchie di Gajeel, mentre i passi si avvicinavano e producevano sempre più rumore.
«Non se ne parla, Ebi!»
Levy non poté risparmiarsi di gonfiare le guance, leggermente infastidita da quel soprannome che le rifilava nonostante il suo grado. E proprio in virtù di quel grado gli ripeté l’ordine che, questa volta e suo malgrado, fu costretto ad eseguire.
Non dovette pensare due volte a come scappare, tempo prima era diventato un vero esperto nello sfuggire alle forze dell'ordine anche senza essere un pirata. Salí veloce la scala che portava al ponte principale, vedendo il gruppo di marinai corrergli incontro con le spade sguainate e una gamma di espressioni tanto vasta quanto era il numero dei combattenti: andavano dal terrore puro come il ragazzo di poco prima all'agguerrito, alla singolare preoccupazione mista a sollievo del capitano della Unit 326.
Invece di prepararsi alla battaglia ed estrarre a sua volta la spada, Gajeel dette una rapida occhiata attorno a sé, decidendo di correre verso la paratia di babordo e di lanciarsi nell'abbraccio scuro delle acque notturne. 
Nuotó fino al molo successivo, lontano dalla fregata del Concilio. Avvolto nel buio della notte e delle sue vesti, Gajeel si guardò indietro, verso le luci che provenivano dalla nave. Levy era lì, il suo comandante era lì.
Prima di inoltrarsi nella foresta verso la Shadow Dragon, il ragazzo si voltò nuovamente. 
Sarebbe tornato a salvarla.  
 
Le catene tintinnarono e si mossero assieme alle braccia molli di Levy, abbandonate al lento oscillare della nave. Con gli occhi chiusi, contava a mezze labbra, segnava lo scorrere del tempo come un metronomo. Un, due. Un, due.
Per due volte la luce del Sole che penetrava dalle assi era scomparsa per lasciare il posto alle tenebre della notte. Entro altre tre, aveva calcolato, sarebbero arrivati sul continente ed allo scoccare della settima le catene che le circondavano i polsi si sarebbero tramutate in una ruvida corda attorno al suo collo.
Ogni tanto, i numeri cambiavano in parole di un’antica lingua. Le sussurrava ignorando la guardia che intimava ad un demone di lasciare il suo corpo. Ma non c’era nessun demone, se non la ragazza pirata che mormorava davanti a lui, quieta nell’attesa dei rinforzi – nemmeno Gajeel, così grande e grosso, sarebbe riuscito a sbaragliare duecentoquarantatré marinai. E Levy mormorava, raccontando a sé stessa una storia che aveva letto tante volte da ricordarla a memoria.
Era la storia di una principessa innamorata del drago che presidiava il castello in cui si sentiva più ospite che prigioniera, ucciso da un principe arrogante con la pretesa di salarla. Ma lei non aveva bisogno, non voleva essere salvata. Lei voleva vivere nella suo castello all’apparenza diroccato al fianco di quel grande, scorbutico drago coperto da scaglie di scuro metallo. Voleva che il drago tornasse da lei – anche se era morto. E un giorno l’aveva fatto, era tornato da lei e l’aveva liberata – l’aveva amata.
Il sole calò nuovamente e Levy sorrise mentre mescolava il suono delle catene che la tenevano prigioniera al suono delle onde che, libere, s’infrangevano sullo scafo.
Lo sciabordio, improvvisamente s’era fatto più intenso e il sorriso di Levy assunse una sfumatura che poco piacque alla guardia.
«Ehi, bastarda!» l’appellò. «Che hai da ridere a quel modo?»
Levy non rispose.
Prima che l’altro potesse ripetere la domanda, si udì un urlo e l’ordine di adunata sul ponte principale: erano sotto attacco. La guardia corse via, non prima di averle sputato addosso, lasciandola sola.
 
Il ponte era gremito di marinai che correvano da una parte all’altra della nave per fronteggiare la minaccia.
A babordo, l’unica cosa che balenava agli occhi era un enorme galeone recante il Jolly Roger della Flotta di Fairy Tail. Era così vicino che si potevano distinguere le scaglie dello stupendo drago intagliato nella polena.
I soldati corsero immediatamente sottocoperta, sull’unico ponte di batteria di cui la fregata disponesse.
Il galeone solcava le acque veloce ed i pochi proiettili che riuscirono a caricare sfiorarono a malapena la prua della nave e non fecero in tempo a caricare di nuovo la batteria di cannoni che il galeone si accostò alla fregata. Immediatamente, una passerella venne gettata dal galeone verso la Unit 326 e un’orda di pirati si riversò sul ponte principale.
Gajeel, a capo del gruppo, non ebbe bisogno di ordinarlo: un gruppo dei suoi uomini si era già diretto sottocoperta, verso il ponte di batteria, per annientare i cannonieri. Gettò solo un’occhiata alla battaglia che già iniziava a infuriare sul ponte, poi seguì i suoi compagni, scendendo fino a raggiungere le celle per i prigionieri.
La trovò nella prima cella accanto alla scalinata, intenta a scassinare la serratura della cella, già libera dalle manette.
«Sapevo saresti arrivato»
«Ghihihi»
Finalmente si udì lo scatto della serratura e, sopra al clangore delle spade che si scontravano qualche ponte più in alto, passi concitati che si avvicinavano. Dalle scale spuntò il volto del soldato di guardia. Si fece improvvisamente bianco quando notò la porta della cella aperta e i sorrisi poco promettenti dei due pirati di fronte a lui.
Prima che potesse fare alcunché, Levy gli fu addosso, atterrandolo. Il soldato fu appena capace di emettere un flebile gemito mentre la ragazza lo bloccava al suolo col peso del suo corpo e prese a colpirlo con quanta più forza aveva. Lo colpì abbastanza da fargli perdere coscienza e quando si alzò per guardare Gajeel, lo sguardo che lui le restituì fu di divertito compiacimento.
«Demone delle Rune?»
Levy annuì. «Mi piace di più la nomenclatura del Sorceres.»
Gajeel ghignò mentre Levy si chinava a raccogliere la spada del ragazzo.
Si scambiarono uno sguardo d’intesa: «Andiamo a prendere quel dannato forziere»
«Ed il mio stiletto» aggiunse Levy tastando il punto del corsetto dove era solita infilarne il fodero.
 
Si fecero largo nella bolgia di spade e cadaveri schiena contro schiena, coprendosi le spalle a vicenda, sporcandosi le brache e gli stivali con gli schizzi del sangue che bagnava il ponte. Gajeel parò un fendente diretto alla schiena di Levy mentre lei partiva all’attacco disarmando il marinaio.
Giunsero dall’altra parte del ponte, a poppa, verso la cabina del comandante della Unit. Per prima cosa, Levy recuperò il prezioso stiletto, piantato nel legno della scrivania. Lo estrasse con un movimento secco. Si diresse quindi, sicura, verso il letto e, sotto lo sguardo perplesso di Gajeel, vi s’infilò sotto, armeggiando velocemente con lo stiletto e qualche altra parte di metallo.
«Prima che arrivassero ho visto questo lucchetto.» spiegò la ragazza. «Mi solleveresti il letto?»
Gajeel eseguì, spostando il mobile per poterla aiutare a sollevare il piccolo ma pesante forziere oggetto della loro ricerca. Lo posò a terra e riguardò il disegno di Reedus per accertarsi che fosse davvero lui.
«Levy, abbiamo fatto centro» dichiarò, ghignando.
Gajeel si fece carico del forziere mentre Levy gli apriva la strada verso la Shadow Dragon. Durante il percorso, altri loro compagni si unirono alla difesa del comandante in seconda, formando un cerchio attorno a lui. Gajeel tentò di protestare ma Levy, in virtù del suo grado, della missione e del loro legame, lo zittì. Lui continuò a borbottare mentre correva, attento a non scivolare sul sangue coagulato che ricopriva le assi del ponte.
Un potente fischio risuonò nell’aria, richiamando l’attenzione dei combattenti: Jet fischiò di nuovo, invitando con la mano i suoi compagni a tornare sul grande galeone.
«Missione compiuta» urlò ancora.
I pirati esplosero in grida di giubilo, levando le spade verso il cielo. Una lama incontrò una resistenza che cessò dopo poco, tanto era stato l’impeto del brigante: la testa del comandante della Unit 326 rotolò ai suoi piedi.
Le spade caddero una ad una in un clangore che sapeva di resa e ciò che rimaneva della ciurma della Shadow Dragon ritornò sulla nave che, con le vele dispiegate e gonfie di vento, si allontanò dalla Unit 326. Il vessillo della Flotta di Fairy Tail si agitava nell’aria annunciando la loro vittoria e la polena fendeva le acque nella rotta verso Magnolia.
 
Levy si abbandonò sul grande letto, stanca e felice di sentire il morbido materasso sulla pelle. Chiuse gli occhi e tornò a mormorare a mezza voce la sua storia preferita, maledicendo mentalmente il Master e quel maledetto forziere che tanto avevano faticato a recuperare.
La porta si aprì lasciando che Gajeel entrasse nella cabina del suo comandante.
Lei nemmeno lo calcolò, persa com’era nella storia e Gajeel si sedette sul letto accanto a lei, ascoltando quelle parole astruse e troppo estranee perché potesse capirle. Dopo poco, le si sdraiò accanto – quel letto era troppo grande per lei ma perfetto per loro. I loro compagni, perfino Panther Lily, il più rigoroso della ciurma, non avevano mai avuto nulla in contrario, anzi, molti avevano una relazione con altri membri della flotta – come il comandante della Fire Dragon e la sua astronoma o la comandante della Fairy Iced Queen con il suo capocannoniere.
Gajeel ghignò al pensiero che, sulle navi regolari e del Concilio le donne fossero considerate portatrici di sventura. Gli tornò alla mente perfino il volto dell’ammiraglio che gli aveva fatto visita in cella, un giorno, rimproverandogli l’assurdità e la scorrettezza di un rapporto col il proprio comandante.
La voce di Levy lo riscosse: si era fatta lievemente più forte ed ora le parole che le sue labbra formulavano gli apparivano comprensibili: aveva ricominciato a narrare la storia che tanto amava dall’inizio, in modo che la potesse ascoltare anche lui. Gli scappò un ghigno più simile ad un sorriso grato.
Si azzardò a parlare quando Levy ebbe smesso di raccontare: «Sono io a prendere un abbaglio o somiglio vagamente al drago della storia?»
«Dice che quel drago aveva scaglie di metallo scuro e che era scorbutico.» Si puntellò sui gomiti, scrutando attentamente il suo vice. «Sì, direi che sei tu» rise.
Gajeel ghignò: «Quindi tu sei la principessa.»
Levy per tutta risposta gonfiò le guance, fintamente offesa. «Assolutamente no!»
«E che cosa saresti allora?»
Levy si sporse verso di lui, dandogli un veloce bacio a fior di labbra. «Il tuo comandante, mi pare ovvio!» rispose.
 


 

Angolino della Tata
Salve! Eccomi qui, in ritardo come da copione. 
Queste ultime settimane sono state impegnative e non sono riuscita a pensare alla Week come si deve. Nonostante questo, voglio comunque dare il mio contributo, sebbene col dovuto ritardo.
Spero davvero che questo bonus vi sia piaciuto e, non so se qualcuno l’ha notato, voglio precisare che la storia preferita di Levy è quella scritta qualche tempo fa da MaxB, nella sua raccolta “Fairy Tales”. 
Colgo quindi l’occasione per salutarla e ringraziarla, così come ringrazio tutti voi che avete letto la mia storia. Ringrazio inoltre Mary Scarlet, che ha betato la storia e NanaLuna, per il supporto durante la stesura.
Un bacio,
Tata

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Capitolo 2
*** Day One ***







Gajevy Week – 2017
 
 


 Day One ~ Matching




Il ticchettio delle lancette non la sfiorava, come se i secondi che scandivano inesorabili lo scorrere del tempo non le appartenessero.
Levy rimaneva seduta, con le ginocchia abbracciate al petto, il libro accanto aperto su pagine fittamente vergate da un’antica mano e gli occhi vacui, fissi da troppo tempo in un punto indefinito avanti a lei, espressione di una mente svuotata d’ogni pensiero; un mare insolitamente quieto, un cielo inabile a fronteggiare un orizzonte privo di tempesta. Eppure Levy era certa di stare elaborando qualcosa, elucubrazioni inconsce, ancora troppo fragili e bisognose di attente costruzioni prima di sorgere alla luce della sua coscienza.
Levy fissava quel punto senza vederlo davvero, in un’apparente, disinteressata apatia del mondo, mentre sul fondale del suo pensiero sorgeva un nuovo proposito.
 
Fu alla calda luce di un fuoco da campo, una sera baciata dalla luna piena che svettava alta oltre le fronde della foresta che quel piccolo germoglio infranse la flebile seppur netta barriera che separava il conscio dal suo opposto. Levy lo percepì nel momento stesso in cui si scoprì a non star fissando il solito punto indistinto, privo di qualunque potenziale interesse, bensì uno preciso, scintillante e sfumato dalla fiamma che crepitava nel falò: una perla di metallo incastonata nel braccio di Gajeel.
Levy ne fu come affascinata, come se vedesse realmente tutte quelle scaglie per la prima volta. Ammaliata dal fuoco che sembrava danzare sulla sua pelle olivastra e solcata da cicatrici.
«Posso toccarli?» Fu quasi un sussurro, un filo d’aria che oltrepassava le sue labbra, eppure fu certa di essere stata ascoltata – Gajeel sentiva molte cose, ma raramente ascoltava, rubando i suoni al vento. Non aveva realmente pensato di esprimere la sua domanda a voce, semplicemente le era uscita, resa flebile dall’incertezza che la neonata idea portava nella sua mente.
«Cosa?» L’espressione del Dragon Slayer era oltremodo stupita dalla richiesta priva di qualsiasi senso o riferimento che potesse aiutarlo a comprendere.
«I piercing», chiarì. «Posso toccarli?»
Gajeel la guardò, ancora un’espressione interrogativa sul volto: cosa voleva dire con quella domanda? E per quale motivo l’aveva posta? Gajeel non capiva e rimaneva immobile e muto a guardarla, aspettando qualsiasi segnale che potesse aiutarlo, dagli un indizio utile ad interpretare la peculiare richiesta che gli era stata fatta.
Ma non c’era nulla da interpretare.
Levy alzò lo sguardo, fissandolo a sua volta, in attesa di risposta. Dopo qualche secondo, però, la sua determinazione cominciò a venire meno, sostituita da un immane imbarazzo che s’inoltrava nella sua testa. Cosa diavolo le era saltato in mente, per porre quella domanda ad alta voce? Non sapeva darsi una risposta.
Stava per abbassare lo sguardo e scusarsi con un filo di voce, adducendo a qualche scusa banale come sentire se fossero caldi o che altro – quella, tra l’altro, era una davvero pessima scusa – quando Gajeel l’aveva interrotta ancor prima che potesse cominciare.
«Perché no», aveva bofonchiato, masticando le parole. Si era voltato, anche lui leggermente imbarazzato dalla situazione. Il sommesso russare che proveniva da due delle tende del campo non aiutava a far scemare quell’emozione.
Così Levy, aiutandosi a strisciare sul suolo con le gambe, incurante dei pantaloncini già sporchi di terra, si avvicinò al ragazzo. Le sue mani erano così delicate che Gajeel a malapena si accorse che i suoi polpastrelli gli si erano posati sulla pelle, se non fosse stato per un brivido che percorse il suo corpo per intero; un brivido molto piacevole, notò. Quella stessa sensazione sembrò avvolgere anche Levy, fermando le sue mani per un istante. Dopodiché, lieve come il battito d’ali di una farfalla, riprese a toccare il metallo che imperlava il braccio di Gajeel.
La sua espressione era concentrata, estasiata, a momenti, ed i suoi occhi tradivano eccitazione mentre cercava di cogliere qualcosa. Sollevò lo sguardo e sorprese Gajeel al guardarla con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra, che si dipinse anche su quelle di Levy un momento prima che allontanasse le mani dal suo braccio e si facesse poco più distante.
Seguì qualche minuto di silenzio, in cui a dominare furono il bubolare lontano di un gufo ed il più prossimo crepitio delle braci. Al frusciare delle foglie scosse dal vento, convennero che fosse tempo di andare a dormire.
«Grazie», disse Levy, voltandosi verso di lui. «Buonanotte.»
Gajeel impiegò qualche attimo, ma alla fine rispose: «Buonanotte.»
 
Alle nove del mattino, Gajeel era ancora malamente steso sul divano, addormentato, e Lily faceva altrettanto, raggomitolato sulla sua pancia.
Uno dei tanti volumi che Levy lasciava a casa loro si era rivelato scritto in una lingua a loro comprensibile e, in un moto di noia assoluta e mancanza di opzioni, si erano immersi, scettici, nella lettura. Avevano passato la notte insonne a causa di quel libro, troppo interessante per essere semplicemente chiuso con il proposito di continuarlo. Il libro, abbandonato a terra dalle mani molli di Gajeel, era rimasto aperto sulla pagina che non avevano terminato di leggere, quando, all’alba, erano stati vinti dalle lusinghe di Morfeo.
Un timido bussare non passò inosservato alle finissime orecchie del figlio di Metallikana, che, non troppo sveglio, si era alzato facendo cadere Lily.
Masticando imprecazioni sul fatto che c’era gente che dormiva, Gajeel si diresse alla porta, aprendola con quanto più fastidio potesse manifestare. L’irritazione fu però immediatamente scacciata quando si rese conto di chi fosse sulla soglia della sua porta.
«Oh».
Levy interpretò quel suono come “scusa, non credevo fossi tu”.
«Buongiorno, Levy», disse, scostandosi per farla entrare.
«Buongiorno» rispose lei, riservando un saluto anche a Lily che, seduto ancora sul divano, si massaggiava la testa dolorante per la caduta.
Gajeel si diresse in cucina, offrendole qualcosa da mangiare e preparandosi una tazza di tè, quantomeno per acuire i sensi oltre il torpore residuo del sonno.
«Un po’ di tè anche per me, grazie. Mi dispiace di averti svegliato.» Si guardò un po’ attorno, notando il suo libro aperto sul pavimento. «Stavi leggendo?» osservò, contenta.
Gajeel buttò un occhio al volume ed accennò un ghigno: «Mi hai passato la malattia, Gamberetto. Io e Lily siamo stati alzati a leggerlo fino all’alba. È dannatamente interessante» ammise. Si strofinò un occhio con la mano chiusa, poi la teiera fischiò e, da perfetto padrone di casa, Gajeel servì il tè con qualche biscotto.
«Zucchero?»
«Sì, grazie.»
Lily li raggiunse in quel momento e Gajeel servì anche lui, nel mentre che si accomodava al bancone della cucina. Salutò Levy con un cenno della zampa, ancora troppo intontito dal sonno, e ringraziò il ragazzo con uno della testa.
Gajeel addentò un biscotto. «Come mai così mattiniera, Gamberetto?», disse, sottintendendo che, come sempre, a meno che non ci fosse un motivo, avesse passato la notte insonne a leggere, proprio come lui e Lily.
«Non so, mi sono svegliata presto e ho pensato di passare. Tu a quest’ora di solito sei sveglio, a differenza mia», ridacchiò per l’ironia della situazione.
Le rispose con un mugugno d'assenso, troppo assonnato per una risposta più articolata, ed inzuppò un nuovo biscotto. Quei cosi erano dannatamente buoni; sarebbe tornato a Crocus solo per comprarne un altro pacchetto. 
Rimasero un po' in silenzio, nel mentre che Levy masticava parole, smaniosa di comporre la frase migliore per introdurre l'argomento. Si rendeva conto che fosse un'idiozia, ma per lei era stata una decisione molto calcolata, tanto da essere quasi imbarazzante. Gajeel, ignaro, continuava io suo sonnolento mangiare.
Alla fine prese coraggio: «Li hai fatti tu? Nel senso, da solo?», chiese, indicando i piercing. La voce impastata dal biscotto la fece sembrare una delle solite domande del tutto casuali che le uscivano di getto, spinte dalla curiosità e dalla voglia di conoscerlo. Ai primi tempi, la cosa lo destabilizzava, non avvezzo a condividere sé stesso – nessuno se n'era mai curato, dopo Metallikana. Ora, invece, quelle domande gli facevano nascere ghigni che volevano essere sorrisi e rispondeva, felice che lei chiedesse, che le interessasse davvero
«Certo» rispose, un moto d’orgoglio a gonfiargli il petto ed un ghigno a colorargli il viso, improvvisamente un poco più libero del torpore del sonno.
«Beh… non è che ne faresti anche a me?»
Parte del biscotto che Gajeel stava per addentare fece un rumoroso tuffo nel tè.
Levy finse di non notare lo sguardo sorpreso del ragazzo e puntualizzò: «Sì, mi piacerebbero come i tuoi all’orecchio.» Si scostò una ciocca di capelli sfuggita alla fascetta, assicurandola dietro all’orecchio. Non fu un gesto voluto ma Gajeel si trovò a fissare quell’orecchio, immaginandolo imperlato di metallo come le sue. Quell’immagine gli piacque immensamente.
«Certo, nessun problema, Gamberetto.»
Levy giunse le mani e sfoggiò un sorriso radioso: «Grazie, Gajeel!»
«Ghihihi.»
Lily guardò prima i due, esterrefatto dalla conversazione alle sue orecchie quasi surreale, poi buttò un occhio sul fondo della sua tazza e decise che, forse, tornare a dormire fosse la soluzione migliore.
 
Stavano seduti l'uno di fronte all’altra su uno dei tanti tavoli della Gilda in uno degli angoli, lontani dalla bolgia che, normalmente, avrebbe coinvolto Gajeel. Quel giorno, invece, erano entrambi stanchi. Gajeel aveva insistito perché gli leggesse un libro scritto in una lingua che lui non sapeva interpretare, incuriosito dalle meravigliose illustrazioni che costellavano le pagine del volume. Quando la voce di Levy si era affievolita e il suo corpo si rilassò, Gajeel si rese conto che era davvero tardissimo. Svegliati dall’insistente bussare di Natsu, che reclamava il Dragon Slayer per un’inezia, si erano diretti in Gilda, per chiedere a Mirajane il suo magico rimedio. Si erano quindi accasciati su quel tavolo e non si erano più mossi.
La voce squillante di Lucy risvegliò i tre dallo stato comatoso in cui sentivano di essere caduti.
«Levy!» la richiamò, con tono stupito, incredulo.
Con lentezza, la ragazza alzò la testa, guardando truce l’amica. Le evidenti occhiaie fornivano un indizio su come avesse passato la notte e la medesima condizione di Gajeel le forniva una conferma, ma non era quello il dettaglio su cui tutta l’attenzione della maga celeste era focalizzata.
«Cosa?»
«Il tuo orecchio!»
Levy dovette soppesare le parole dell’amica per qualche secondo, tentando di comprendere il significato delle sue parole. Si toccò quindi l’orecchio, incontrando i cinque pezzi di metallo nuovi di zecca che le adornavano l’orecchio.
«Oh, sì. Me li ha fatti Gajeel. Belli, vero?», sorrise radiosa.
Lucy strabuzzò gli occhi e Lily intercedé in suo favore, dicendole che nemmeno lui ci aveva creduto quando la richiesta era stata avanzata dalla turchina, una mattina come quella. Lucy, ancora, non poteva crederci.
«Da quando lui», disse indicando Gajeel, che ancora aveva la testa poggiata sulle braccia incrociate a formare un cuscino, «legge? Intendo, senza che sia tu a leggere per lui.»
Levy scrollò le spalle e si scusò, prima di assumere la stessa, identica posa di Gajeel e tentare di scacciare il pulsante mal di testa.
Lucy rimase lì, in piedi, con Lily che la guardava comprensivo.








 
Angolino della Tata
Buonsalve!
Eccomi di nuovo, puntualmente in ritardo!
Oggi sono qui con un Day One che spero sia un po' diverso dal solito, ecco, e che vi sia piaciuto :3
Questa sera non ho molto da dire, quindi la chiudo in fretta ringraziando, come sempre, NanaLuna per il suo supporto, MaxB ed Elygattina per aver recensito lo scorso capitolo :3
Un bacio, 
Tata




 
 

 

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Capitolo 3
*** Day Two ***







Gajevy Week – 2017
 
 


Day Two ~ Longing




Gajeel sospirò, passandosi una mano tra i lunghi e ribelli capelli color dell’ebano. Le sue dita incontrarono quasi subito le ciocche intrecciate dalle sapienti mani di Levy.
Il panorama che la finestra dell’albergo offriva non era la ridente Sarajevo che si vedeva nelle foto delle vacanze e nelle cartoline. La via su cui si affacciava era imbrattata di sangue e detriti e dalla neve sporca che ancora non voleva sciogliersi, come se qualcosa o qualcuno volesse congelare la guerra che si consumava da troppo tempo.
Distolse lo sguardo, impossibilitato a sopportare oltre quella vista sebbene ne fosse oramai avvezzo: aveva combattuto in guerra e ne era uscito, solo per tornarci e raccontarla. Lo posò sui fogli scritti nella sua calligrafia più frettolosa, quella guidata dall’ispirazione del momento, e sulle istantanee che la sua polaroid sputava, orripilata quanto lui, ogni qualvolta usciva a lavorare. Quelle foto testimoniavano la guerra, la fossilizzavano in un’immagine che lui e tutte le vittime che aveva mietuto speravano che presto sarebbe stata un indelebile, doloroso ricordo.
Solo una differiva dalle altre: la luce del tramonto che inondava le due figure in primo piano, abbracciate ad un passo dal ciglio delle bianche scogliere di Dover. Quell’istantanea ritraeva lui e una ragazza più piccola e mingherlina dai corti, ribelli fili turchini fermati da una fascetta, in un bellissimo abitino azzurro. Lui ghignava, Levy sorrideva. Sul retro, la calligrafia rotonda di Levy aveva impresso una scritta che lo fece sorridere: The Beauty and the Beast, 1992.
Il ghigno che gli era nato, spontaneo, sulle labbra al ricordo di quella splendida estate ebbe vita breve; s’affievolì quando nella sua mente balenò il pensiero di dove quella minuta ragazza si trovasse in quel momento, lontano da lui. Eppure, fino a quel momento erano sempre rimasti insieme, avevano seguito ogni caso insieme. Capiva il perché della scelta di Makarov, sapeva che Levy era un’ottima giornalista, ma non riusciva a scrollarsi di dosso l’immenso senso di vuoto che la sua assenza gli procurava – la nostalgia di casa sua.
Posò la foto e raccolse la sua tazza di tè, ancora bollente. Ne bevve un sorso e, irradiato di quel calore che gli ricordava quello del corpo minuto e gentile di Levy addosso al proprio, si rimise a vergare di nuove parole la carta bianca.
 
 
 
La penna vomitava frasi d’indignazione e fredda, malcelata rabbia. Levy stentava a credere all’orrore cui aveva avuto ordine di dar voce. Sperava che in qualche modo il suo articolo sortisse qualche effetto in favore di una nuova pace.
E invece, nemmeno le Nazioni Unite erano rimaste a guardare.
Quella notte era di guardia, attenta ai feriti stesi sul pavimento della grande hall. Più di mille persone spaventate, private di tutto da quell’ingiusta, inutile guerra civile. I lamenti si propagavano nella sala, eco della sofferenza che stava logorando ognuno di loro.
Era stata inviata lì per riportare l’urlo disperato di quella gente ed ora stava in ginocchio accanto ad una donna che dormiva con le guance solcate dalle lacrime: aveva appena perso sua figlia e il braccio.
Levy posò a terra il taccuino consumato e prese dal reggiseno un’istantanea: due ragazzi abbracciati nella luce del tramonto. La teneva lì per averla più vicina al cuore, per essere certa di non perderla mai. La guardò, un sorriso amaro e nostalgico sulle labbra: erano passati solo due anni, eppure le sembrava un ammontare di tempo troppo lungo da essere misurato, così come il mese che aveva passato lì in Ruanda, lontana da Gajeel.
Si sfiorò gli orecchini, freddo acciaio incastonato nel suo padiglione auricolare. La facevano sentire, in qualche modo, più vicina a quel ragazzo che pareva esattamente il suo opposto: alto, forte, scontroso e burbero, con un’innata passione per il nero e per il metallo, pieno di cicatrici di guerra e le mani grandi e callose.
Le ricordò strette alle sue, più piccole, macchiate dell’inchiostro della sua stilografica preferita e dal sangue dei feriti di guerra di cui si faceva portavoce. Immaginò le sue mani, gelate dall’aria fredda della sera, rubare il calore quelle di lui. Sfiorò i calli che le indurivano, immaginando quelli che le ricordavano casa sua – loro – piena di libri, metallo e fotografie. Si era sentita a casa anche nell’albergo raffazzonato di Sarajevo, quando lui era con lei.
Sorrise, malinconica, carezzando nuovamente gli orecchini e poi l’istantanea; il suo sguardo corse alle grandi finestre, uno scorcio sull’immenso, limpido cielo stellato. Accennò un sorriso, forte di una nuova speranza. Rimise la foto al suo posto, accanto al cuore.
Riprese carta e penna e, su un nuovo foglio, iniziò a scrivere. Sarebbero tornati a casa, lo sapeva.



 
Due cose due da parte della Tata
Buonasera!
Allora, in queste note vorrei spiegare un filo la situazione specialmente quella di Levy: lei si trova in Ruanda, dove nel 1994, per circa 100 giorni, ci fu un terribile genocidio, una sorta di guerra civile operata da una tribù contro un'altra e i suoi stessi moderati. L'hotel nominato è stato aperto dal direttore per accogliere dei perseguitati e salvò circa 1200 persone dal massacro.
La situazione di Gajeel è, invece, ripresa dal libro "Venuto al mondo" che ambienta parte della narrazione in quegli anni.
Quindi... Niente, era solo per chiarire un filo la siatuazione.
Spero davvero che vi sia piaciuta e ringrazio moltissimo MaxB per aver letto e commentato anche lo scorso capitolo.
Il prossimo tarderà ancora, dato che sono ancora in alto mare per quanto riguarda la stesura.

Spero a presto,
Tata

 

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Capitolo 4
*** Day Three ***







Gajevy Week – 2017
 
 


Day Three ~ Pillow Talk



 
Quando aveva iniziato a baciarla, le sue labbra erano ruvide, seccate dall’aria gelida delle sere invernali, così come le sue guance apparivano fatte di neve, lisce e gelide. Ora, invece, il colore rosso le dominava e le labbra della sua Levy apparivano morbide e umide a contatto con le sue. Le passò una mano sulla coscia, portandola più vicina a sé ed ansimando. Scie di baci lasciate poco prima bruciavano ancora sulle loro pelli roventi a contatto, che si scontravano ad un ritmo preciso, regolare, veloce. Le loro mani, invece, vagavano libere, esplorando quei corpi che sapevano già di conoscere a memoria, già divorati, sfiorati, vissuti, senza mai averne abbastanza. Le guance erano rosse e i volti sorridenti, appagati. Le gole infiammate dai gemiti che nemmeno si sforzavano di trattenere.
Era madido di sudore ed i capelli si attaccavano alla fronte; le guance rosse ed un ghigno felice, soddisfatto.
Gajeel si voltò verso la ragazza al suo fianco. Levy aveva la stessa espressione estasiata e dolce. Non l’avrebbe mai detto, ma quel sorriso rendeva felice anche lui.
Mosse le braccia per avvolgerla e stringerla maggiormente a sé ed il ghigno gli sfiorì sulle labbra quando le sue dita incontrarono un lembo di pelle rigonfia.
Ricordava quella ferita come se fosse ancora davanti a lui, sanguinante, appena inferta, mentre la ragazza perdeva lentamente coscienza. Si era imposta, stoica nonostante la fatica tra Max ed un fendente nemico, parandolo con uno scudo magico. Ma la magia si era spezzata, all’ultimo, deviando la lama quel tanto che bastava per salvare entrambe le vite. La spada aveva lacerato la carne e Levy era caduta in ginocchio. Max era svenuto e Levy era stesa a terra, ferita ed inerme, mentre il soldato nemico alzava la spada per vibrare un nuovo colpo. Lily aveva fatto appena in tempo a stordirlo e a lanciare la spada lontano da loro.
Ora, una linea più chiara serpeggiava sulla sua pelle, partendo appena sotto il seno sinistro e terminando sul lato opposto, sopra l’ombelico.
In momenti come quello, Gajeel vi si soffermava spesso, percorrendola col tocco lieve delle dita o con quello più morbido ed umido delle sue labbra. Le sue mani erano immobili, ferme su quella linea rigonfia, così come il suo volto era fossilizzato in un’espressione assorta, malinconica, immagini si susseguivano nel vuoto di fronte ai suoi occhi.
Levy sapeva bene cosa stesse accadendo nella mente di Gajeel; era successo già molte altre volte che si estraniasse così, distratto da un dettaglio che lo riportava al passato dominato dall’ombra. Ogni volta che la toccava, Levy percepiva un attimo d’esitazione, come se si stesse assicurando di non ferirla ancora. Sapeva quanto gravasse su di lui il ricordo del loro primo incontro.
Gajeel si era avvicinato e si era stretto a lei, poggiando la testa sul suo petto e Levy aveva posto la mano sulla sua nuca, carezzandogli piano i capelli. L’altra l’aveva portata sulla sua guancia. E si era avvicinata ancora di poco, per sentirlo più vicino, per fargli sentire che lei era lì con lui.
Il tocco di Gajeel si arrestò gradualmente e levò il viso verso quello di lei; uno sguardo carico di lacrime che non si sarebbero riversate, bloccate dalla dolcezza scorta nello sguardo di Levy, pieno delle conferme che in silenzio reclamavano i suoi occhi. Le labbra di Levy si piegarono lievemente verso l’altro, in un mesto, consolatorio sorriso che presto s’irradiò sul volto dell’altro. Bisbigliò un ringraziamento roco e ovattato e tornò a bearsi delle dita sottili della ragazza tra i suoi capelli. Non permetteva a nessuno di toccarli ma Levy era l'eccezione a qualsiasi regola avesse o si fosse mai imposto. Adorava quando le mani della ragazza andavano a sfiorargli la nuca in dolci carezze.
Gajeel strusciò un po' il viso addosso a lei, in un goffo tentativo di ricambiare il gesto. Levy ridacchiò, solleticata dalla sua guancia morbida, abituata al metallo liscio che, ormai tiepido, la sfiorava.

 
Angolino della Tata (veloce, che non ha come al solito tempo)
Buonasera!
Finalmente aggiorno con questo cortissimo Day. Spero che nonostante questo vi sia piaciuto :3
È venuto un po' così, anche se il prompt era "Pillow Talk", alla fine è uscito un "parlare senza parlare" o kind of.
Ringrazio MaxB che mi segue e continua, gentilissima, a recensirmi (passerò a leggere la tua Week, appena la scuola mi da tregua T^T)

Un bacione, 
Tata
 
 
 

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