Long Live The King

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** That Day ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** That Day ***


Teardrop on the fire
Of a confession
Fearless on my breath
Robert
 
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Avrebbe dovuto pensarci, chiedersi il perché di quell’appuntamento nel parco col banalissimo pretesto di parlare. Avrebbe dovuto non fidarsi, nonostante l’istinto gli dicesse che suo fratello non avrebbe mai potuto fargli del male.
 
Del resto, Liam era il suo fratellino. Non poteva odiarlo, non così.
 
Avrebbe dovuto pensare meglio, alle conseguenze delle proprie azioni. All’aspettare, prima di ferire qualcuno.
Eppure, la solitudine avrebbe dovuto renderti più saggio, Robert..
 
Dobbiamo parlare.
Detto con quello sguardo, l’argomento della discussione poteva essere uno soltanto: Kathryn.
 
Aveva raccolto il respiro, lentamente. Ed aveva annuito, confermando luogo ed ora.
Liam gli aveva voltato le spalle, scomparendo alla sua vista per tornare viso a viso soltanto adesso, coi piedi affondati nell’erba umida, a due passi dall’albero in cui Robert nascondeva il suo whisky.
Le mani tremavano appena, lo sguardo era fisso nel suo e trasudava rancore.
 
- Di cosa vorresti parlare? - si mantenne leggero ed indifferente. Suo fratello si limitava a spostare lo sguardo lontano. Ne seguiva la direzione, intercettando una figura femminile. Capelli biondi malamente raccolti sotto un cappellino da baseball, l’abbigliamento che meno poteva aspettarsi addosso a Kath.
Jeans e maglione. Non l’aveva mai vista, vestita così.
 
Aggrottò le sopracciglia, rivolgendosi al fratello e trovandolo ancora impassibile. Tornò alla donna, ai suoi passi in avvicinamento.
Il cuore gli salì alle tempie, quando sollevò le mani e fra le dita comparve una pistola.
 
LIAM!!
 
L’istinto fu quello d’avventarsi sul fratello, spingendolo a terra per metterlo al riparo.
- Tutto bene?
Quello annuì appena, lasciandogli vedere perle di sudore sulla sua fronte.
- Chi diav-?
 
Robert si alzò di scatto, pronto a fronteggiare l’aggressore.
Il primo proiettile lo sorprese come un fulmine in un cielo sereno.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Sarah
 
Il principe ereditario.
 
L’avevano pagata tremila sterline per uccidere il prossimo re d’Inghilterra.
 
Le mani di Sarah tremavano, ora che aprendo quella busta incontrava la foto del bersaglio insieme a quel pacchetto di banconote.
E’ così alto, il prezzo per la tua libertà?
 
Aveva preso il respiro, lentamente, come fosse l’ultimo, muovendo i propri passi indietro da quel polveroso pub verso il misero alloggio che condivideva con altre due ragazze nel sobborgo di Hackney.
Due passi dalla metro, parecchi chilometri da qualunque posto di lavoro avesse trovato in quegli ultimi dieci anni. Ed i soldi non bastavano mai.
 
I principi reali apparivano su ogni copertina che Debbie osava portare in quelle due stanze, e la giovane giamaicana non faceva che fantasticare. Su lusso, carrozze e capricci, criticando o lodando il look della principessa Eleanor come fosse stata una vecchia compagna di liceo.
Carol le teneva spago, controllando quasi con ossessione le avventure dei maschi della casa reale, mormorando frasi poco educate all’indirizzo delle ragazze che venivano paparazzate al loro fianco.
 
A lei non era mai interessato nulla, della famiglia reale. Non le importava nulla di nessun personaggio famoso, a dire il vero. La ricchezza le dava ribrezzo, la spocchia fastidio. Fin da quando il capitano d’industria per cui lavorava suo padre l’aveva mandato sul lastrico, spingendolo al suicidio e trasformandola in una dei tanti orfani di Londra.
 
Aveva conosciuto la strada, Sarah. La strada, l’abbandono, la miseria di quei pochi lavori saltuari che era riuscita ad avere, un anno via l’altro, quando andava bene.
La fama, il lusso, la ricchezza non l’avevano mai sfiorata neppure per sbaglio. Ma non aveva niente da invidiare a nessuno.
 
Poi quel giorno, più o meno un anno prima.
Il padrone del ristorante l’aveva convocata per darle l’ultimo assegno, dicendole con rammarico che non poteva più permettersi di pagare anche lei. L’aveva raccolto e nascosto nel cappotto senza dire una parola, aveva depositato il grembiule ed era uscita come sempre dalla porta sul retro.
Quel pomeriggio, il vicolo sembrava più puzzolente del solito, il cielo più grigio.
Aveva appena perso il primo ed unico punto fermo della sua vita.
 
Aveva vagato a testa bassa fra le strade, senza riuscire a farsi domande o darsi spiegazioni, mescolandosi fra la folla della City. Fino a quando non aveva urtato qualcuno.
 
Un uomo. Altissimo, fasciato in un cappotto scuro. Fermo sulla sponda del fiume, appoggiato in disparte ad ammirare la compagna che volteggiava più in là, fra le bancarelle dei bijoux.
- Oh.. mi scusi.- Sarah era scattata indietro, e lui non aveva reagito come di solito facevano i signori della Londra Bene nei confronti di una misera cameriera dall’aria dimessa come lei. Non aveva sbottato, né le aveva gridato: guarda dove metti i piedi!
Un sorriso, le aveva fatto appena cenno di no con la testa, a dire: non fa niente. Ed era tornato ad ammirare quella che appariva come la luce dei suoi occhi.
 
Sarah pensò che avrebbe dato la vita, per un uomo che la guardasse così.
 
Il cuore di colpo in gola, senza alcuna spiegazione, quando ritrovò quel viso fra le pagine dell’ennesimo rotocalco di Debbie.
La misteriosa biondina che ha rapito il cuore del principe Robert recitava quell’articolo a tutta pagina, associato ad un’immagine rubata di quell’uomo che, ne era certa, era lo stesso urtato lungo il fiume.
 
Ricordava di aver voltato il giornale, con poca grazia, a faccia in giù sul tavolo di cucina.
 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Sarah
 
Carol era una ragazza dalle mille risorse.
Quelle, ed un’agenda piena di numeri telefonici da mandare in crash il cellulare.
Un sorriso dei suoi, un paio di chiamate, e le aveva trovato il meglio che potresti desiderare.
Già, le aveva detto proprio così, trascinandola davanti allo specchio e cominciando a tirarle i capelli con la spazzola. Che in tempo di crisi anche una chiamata per rimpiazzare uno sguattero del catering poteva valere oro.
- Basta che ti presenti un po’ meglio di come sei messa di solito, e il gioco è fatto – le aveva annunciato, con tono solenne, frugandole nel guardaroba fra una smorfia e l’altra. Poi l’aveva pettinata, truccata e costretta ad un tailleur preso in prestito insieme ad un tacco dieci, e l’aveva accompagnata all’appuntamento col datore di lavoro. Per sgranare gli occhi come un pesce, quando Damian aveva pronunciato il nome del posto in cui si sarebbe tenuto l’evento per cui aveva un bisogno disperato di quel +1.
- Palazzo reale? Oh, mio Dio! – aveva radunato i palmi contro le guance, rivolgendosi poi a lei – Sarah, hai capito? Servirai le tartine alla regina!
 
Lei aveva risposto con un’alzata di spalle. Regina, re o sceicco, per lei non faceva nessuna differenza.
Sempre di tartine si trattava.
 
Del palazzo reale era riuscita a vedere le mura esterne, il cancello dell’entrata di servizio e il giardino in cui si sarebbe tenuto il rinfresco, legato ad un qualche evento di cui tutti sembravano essere al corrente tranne lei. Tre metal detector, una perquisizione e mille inutili chiacchiere dopo, era a confezionare e disporre tovaglioli in un angolo in cui probabilmente nessuno sarebbe andato neanche per sbaglio.
 
Un sospiro, raccogliendo le cuffiette dalla tasca del tailleur e dando un senso a quella giornata.
 
And we danced all night to the best song ever
We knew every line, now I can't remember
How it goes but I know that I won't forget her
'Cause we danced all night to the best song ever

 
Robert
 
Una ragazza.
C’era una ragazza del catering, all’angolo est del giardino grande. Preparava tavoli in un posto defilato, quasi inutile. Sollevava un tovagliolo, lo piegava secondo uno schema preciso, lo inseriva in un cerchietto d’argento e lo posizionava.
 
Muovendo il sedere a tempo di musica.
 
Sorrise, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Aveva visto fare una cosa del genere solo a sua sorella, e mai in quel modo così disordinato e spontaneo.
 
I said, "Can I take you home with me?"
She said, "Never in your wildest dreams"..

 
Adesso la tipa canticchiava, lasciando danzare libero quel codino biondo. Occhi chiusi, un tovagliolo via l’altro a farle da microfono.
Fino a quando, terminato il materiale a disposizione, non fu costretta ad aprire gli occhi per andarlo a cercare lungo il tavolo. E lo vide.
 
Congelata. Completamente congelata sul posto, come avesse appena affrontato un fantasma.
 
- No, tranquilla. E’ tutto a posto.- le disse, muovendo appena la mano e lasciandosi andare a ridere.
- Perdono, vostra altezza, io..- lui avanzava, lei sfuggiva, spostando lo sguardo dappertutto.
- Ti faccio così paura? Oggi che gli artigli li ho lasciati a palazzo?
- Sì, signore.. cioè no, signore.. io..
- Perché prepari quaggiù? Gli invitati non-
- Eseguo gli ordini, vostra altezza.- una volta al riparo oltre il tavolo, lei sfilò e nascose velocemente le cuffiette.
- Ah. Va bene. Io vado. Goditi.. la musica.
 
Si girò a guardarla un paio di volte, allontanandosi e continuando a sorridere. Piccola. Piccola e bionda, l’aria da brava ragazza dei sobborghi, di quelle nobili abbastanza da far saltare dalla sedia sua madre se mai ne frequentava.
Come Kathryn, la donna che amava ma che non avrebbe mai potuto essere la sua regina.
 
Si ritrovò a cercare il suo viso, fra la servitù impegnata a portare calici e rimpiazzare le tartine. Senza riuscire a darsene spiegazione.
 
Era il primogenito del re. Lei una cameriera.
Non avrebbe mai saputo neanche il suo nome.
 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Sarah
 
Non aveva raccontato nulla, alle amiche, dell’incontro ravvicinato con l’affascinante erede al trono. Perché non le importava, perché non le avrebbe comunque cambiato la vita.
Ma il cuore era riuscito a balzarle alle tempie, meno di una settimana dopo, incrociando il suo viso nell’ultimo posto in cui avrebbe voluto vederlo.
 
Non c’era angolo in cui non campeggiasse una locandina o non trasmettessero quelle immagini in TV.
Il primogenito del re, il principe Robert Henstridge, era rimasto ucciso in un incidente aereo durante un’esercitazione militare.
Al silenzio del lutto, all’atmosfera sospesa era seguito qualcosa di ancora peggio, solo pochi mesi dopo, quando anche il padre aveva seguito la sua sorte, brutalmente assassinato per la strada, a due passi dal palazzo.
L’assassino era stato trovato e lasciato in balia della folla, sottoposto a linciaggio.
 
Lo stesso trattamento che avrebbero riservato anche a lei, ora che muoveva i propri passi verso il parco del palazzo reale nascondendo una pistola nel retro dei jeans.
 
Liam
 
Lo odiava. Lo odiava ferocemente, con tutto sé stesso.
Suo fratello era tornato dal mondo dei morti ed in un colpo di vento gli aveva portato via tutto quello che era riuscito a costruire dopo mesi di sacrifici e compromessi.
Non era giusto. Non era giusto che si prendesse tutto, così, senza incontrare nessun ostacolo.
 
Neanche gli hashtag e l’apprezzamento della gente erano riusciti a salvarlo; il re non c’era più, e sua madre era troppo presa dalle apparenze, dal potere e dagli amanti per fermarsi a guardarlo senza leggere in lui più che una pedina per i giochi di potere.
Forse sarebbe meglio che morissi io.. era stato il suo ultimo pensiero, dopo la notte del match.
 
Continuerai a rialzarti.. e io continuerò a mandarti al tappeto, anche se non è quello che voglio..
Nella voce di Robert c’era il gelo, la consapevolezza di tenere fra le dita un potere a cui lui non avrebbe mai potuto arrivare. La forza di chi sa che un fratello minore non sarà mai nessuno, di fronte ad un trono.
E gli aveva distrutto il cuore, scivolando via abbracciato alla donna che amava.
 
Anche Kathryn. Anche lei, non gli era bastato mettere le mani su tutto il resto. Era rimasto a guardarlo, il sangue sulle labbra e il dolore che prendeva sempre di più le sembianze della rabbia.
Odio, vendetta.
Non vivrò più nella tua ombra, fratello.. 

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Sarah
 
Era cominciato tutto con un pacchetto.
Dopo il lavoro perso al ristorante ed un paio di occasioni volanti con i catering su chiamata, aveva cominciato a disperarsi. Il salvadanaio era inesorabilmente vuoto, e non bastavano le rassicurazioni delle ragazze a non farle temere di restare in mezzo ad una strada.
 
L’occasione sbagliata arrivò con una birra al polveroso pub davanti a cui era sempre passata senza mai entrare.
 
Il suo nome era Andrew, le era apparso come un tipo gentile nonostante l’aria rude dello scaricatore di porto. Le aveva offerto quella birra dopo averla osservata a lungo, in attesa che qualcuno la raggiungesse al bancone, le aveva raccontato qualcosa di sé tanto per socializzare.
- Forse io ti posso aiutare.- le aveva detto, ormai a pinta finita – ho un amico, giù ai docks, che cerca ragazzi che lo aiutino con la consegna della posta. Se può interessarti, vieni domattina in questo posto.
Le aveva segnato un indirizzo su un foglietto, ed era stato l’inizio della fine.
 
Quel tizio le aveva affidato un pacchetto, pagato alla consegna venti sterline. Poi i pacchetti erano diventati due, tre. Sarah consegnava e non faceva domande, muovendosi più che poteva a piedi per risparmiare i soldi della metro.
Un mese, due. Ed aveva potuto ricominciare a pagare l’affitto.
Poi c’era stato quel giorno, il giorno in cui uno dei suoi piccoli carichi era andato rotto, rivelandole il contenuto. Droga.
Andrew ed il suo amico trafficavano droga per le vie di Londra, e lei non era più disposta ad accettare quelle condizioni.
Li aveva affrontati, loro l’avevano fatta seguire e picchiare. I due tizi che l’avevano mandata all’ospedale le avevano distrutto casa e rubato tutto quello che riuscivano a trovare.
I risparmi di una misera vita, la sua e quella delle compagne.
 
E per evitare di finire in mezzo ad una strada, s’era ritrovata nella metro, a mendicare fra un colloquio fallito e quello successivo.
 
Liam
 
Aveva un’aria pesta, triste e delusa più della sua. Eppure gli occhi apparivano fieri, nel suo tendere la mano.
 
Una ragazza di non più di trent’anni, di quelle che normalmente non avrebbe neppure notato, abituato com’era ai party ed agli abiti firmati.
Ma ora era triste, pesto e solo come lei. E non aveva più nessuno con cui parlare.
 
Il treno veniva annunciato, arrivava e la poca gente sulla banchina vi scivolava dentro con la fretta di chi non vede l’ora di tornare a casa.
Liam non aveva nessuna fretta; lui da casa era appena scappato, in testa aveva una gran confusione e addosso solo dolore, dolore e rabbia. Sua madre non l’avrebbe sicuramente ascoltato, ormai era noto anche agli estranei, da quale parte stesse in quel duello fra fratelli. Suo zio era riuscito a sibilargli parole che avevano incrementato il rancore verso Robert.
Kathryn gli aveva voltato le spalle, scivolando addosso a quello che avrebbe dovuto essere un amore dimenticato.
 
Il treno ripartiva, lasciandolo deglutire a vuoto senza nulla a cui dare pugni e poi gridare.
Solo la ragazza restava lì, ritirando la mano e quelle poche monete in una tasca.
- Ehi..- le si avvicinò, lasciandole sollevare uno sguardo interrogativo – no, non sono uno sbirro, tranquilla. Posso.. posso stare un po’ qui con te? – frugò in tasca, tendendole un paio di sterline – tieni. Non è molto, però..
- Stai- stai bene? – quella indicò il sangue sulle sue labbra, lui non riuscì a mentire.
- No, non sto bene. Per niente.
- Hai.. bisogno d’aiuto?
 
Aiuto. Tu.. vuoi aiutare me?
La voce nella sua testa si trasformò in una smorfia a sopracciglia aggrottate.
- Credo sia tu quella che ha più bisogno d’aiuto. O sbaglio?
La ragazza sollevò le spalle, lasciando vagare lo sguardo intorno.
- Sei qui per scelta o per necessità? – le chiese, d’impeto, ritrovandosi poi a dover fare un passo indietro – no, scusa.. non volevo. Adesso sembro un giornalista da tabloid.
Sollevava le mani, sedendosi accanto a lei a gambe incrociate, e rimanendo per un lunghissimo istante a fissare il manifesto che, proprio di fronte a loro, recitava un cubitale #KingLiam.
- Che c’è? – vedendolo così assorto, la ragazza si piegò appena ad indagare verso il suo viso.
- No, niente.- lui scosse appena la testa, lei seguì il raggio del suo sguardo e sorrise:
- Per chi dei due?
- Scusa?
- Per chi dei due staresti, se lasciassero votare a noi? Le mie coinquiline sarebbero completamente d’accordo con quel manifesto lì.
- E tu?
- Oh.. a me non interessa. Re Robert, Re Liam.. il mio destino è comunque quello di non arrivare a fine mese.
- Hai- hai perso il lavoro?
- Sì. E mi sono cacciata in un guaio via l’altro. Se io e le mie amiche non troveremo tremila sterline entro venerdì, i tizi con cui mi sono compromessa non ci lasceranno in pace, perderemo la casa e finiremo sulla strada.
 
Liam sentì qualcosa aprirsi dentro il suo cuore.
L’occasione. L’occasione perfetta, la persona perfetta. La ragazza non aveva niente da perdere, in fondo. Neppure se diceva di no.
 
- Io.. io posso darti tremila sterline. Ma.. ho bisogno che tu faccia una cosa per me.
- Scusa, ma non credo-
- Non ti verrò più a cercare, promesso. Avrai le coordinate domani sera, passa da questo posto..- cercò nella giacca, trovò un bigliettino con il nome di un locale – in serata, dopo le otto. Chiedi di Meg, lei ti dirà come fare. Una cosa sola, promesso. E non ci saremo mai visti.
 
Tremila sterline. Tante, troppe per un semplice pacchetto da portare.
Avrebbe dovuto semplicemente rifiutare. Ma ne sarebbe andato della sua vita e del suo futuro.
 
E poi, l’unica cosa che ormai riusciva a fare era cacciarsi nei guai.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Sarah
 
Trovò il bar facilmente, bypassò il sorriso di plastica della biondina che serviva ai tavoli e chiese di Ruth.
Le si presentò una donna robusta in camicia di flanella, una specie di versione femminile di Andrew. E già questo avrebbe dovuto destarle dei sospetti.
Sarah prese fiato ed annuì, quando la donna le indicò la porta verso il retro e le disse:
- Aspettami nel cortile.
 
Una pistola. Le mise fra le mani una pistola e quei soldi, chiedendo se l’avesse mai usata.
Sì, ricordava di sì, fra un pacchetto e l’altro per gli uomini del porto, ma solo sulle lattine disordinate che gli amici di Andrew posizionavano sui muretti di cemento, per farla esercitare.
- Bene; qui hai le tue istruzioni.- la tizia le si avvicinò con fare incombente e minaccioso – porta a termine la missione, potrai tenere i soldi ed avrai i documenti per espatriare. Scappa, e ti verremo a cercare.
 
Aveva deglutito, a vuoto, annuendo e cercando di sostenere il suo sguardo.
 
Solo una volta rimasta nel silenzio di quel cortile, osò aprire il pacchetto e quella foto le fece salire un brivido lungo la schiena.
 
Liam
 
La ragazza avanzava nell’erba, lentamente, mentre Robert si accasciava a terra in preda all’incredulità ad al dolore.
Fu al secondo colpo, che dovette spostare lo sguardo. Il corpo di suo fratello sussultava in risposta al sibilo del silenziatore, si piegava fronte a terra.
 
E lui ora capiva quanto orribile fosse ciò che aveva fatto.
 
Uno sguardo alla ragazza, terrorizzato almeno quanto il suo. Un cenno di sì, ad ordinarle implicitamente di finire il lavoro.
Lei s’inginocchiava sulla sagoma di Robert e la spostava a portarlo col viso al cielo, scoprendo macchie di sangue fra i lembi del cappotto, nere sulla camicia immacolata dell’erede al trono.
 
Sollevava gli occhi, trovava quelli di Liam sbarrati, fissi in quelli liquidi e persi del fratello. Poi appoggiava la canna sul petto di Robert, premendo appena. In alto, a sinistra.
 
Il ragazzo fu costretto voltare le spalle e fuggire. Lontano, oltre il limite visibile, a dare di stomaco nell’erba fino a sentire fra le labbra il sapore del sangue.
 
Sarah
 
Tutti e due. I figli del re d’Inghilterra erano entrambi ad una manciata di passi da lei, immersi nell’erba e nella pace di quel tramonto un po’ velato.
 
Sai quello che devi fare si disse, forzandosi a proseguire, mentre una parte di sé continuava ad imprecare contro l’altra, quella con la pistola.
Il piano. Il principe doveva morire dando al popolo l’illusione di aver salvato la vita al fratello, difendendolo da un attentatore. Liam avrebbe ottenuto il trono e lei un biglietto aereo e un passaporto falso per scomparire. Più tremila sterline, per iniziare una nuova vita lontano dalla strada e dalla miseria.
Nessuno avrebbe mai scoperto il colpevole.
 
Aveva sollevato le mani, puntato la canna al fratello minore. Reazione scontata, quella di Robert. Per un fratello e per un militare.
Aveva atteso che si sollevasse, abbassando appena la guardia, ed aveva premuto il grilletto.
 
Il primo colpo gli aveva tagliato lo stomaco, piegandolo a terra per il dolore. Il tempo di sollevare gli occhi, di capire cosa stesse succedendo. Lei aveva continuato ad avanzare ed aveva esploso il secondo, costringendolo con la fronte a terra.
L’aveva raggiunto e voltato, lentamente, aspettando un cenno d’assenso che non era tardato ad arrivare, nonostante il viso di Liam fosse in fiamme.
 
Ed ora in lui riconosceva perfettamente il ragazzo della metropolitana. Nessuna traccia del ricco e felice principe fotografato dai tabloid.
 
Gli occhi dell’erede al trono si perdevano nel vuoto, un filo di sangue rigava la sua guancia.
Sarah raccolse il fiato, appoggiò la canna all’altezza del cuore.
 
Il colpo di grazia non andò mai a segno.
 
Non puoi. Non puoi. Non lo puoi uccidere. E’ un essere umano. Non puoi andare così a fondo, Sarah.
 
La mano tremava, spostava l’arma da quel corpo, l’appoggiava a terra. Uno sguardo verso il bosco; l’altro non c’era più.
Sola. Era rimasta sola con l’uomo da cui un milione di attimi fa aveva desiderato essere guardata con amore e devozione. In quegli occhi la luce si spegneva, e solo per colpa sua.
L’unica cosa che riuscì a fare fu sfoderare il cellulare e comporre quel numero, prima di dare le coordinate per l’anonima vittima di uno scontro a fuoco.
 
L’urlo delle sirene le arrivò alle spalle che era già lontana.

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Robert
La ragazza. Era la ragazza del catering, l’avrebbe riconosciuta fra un milione.
Continuava a comparire in quei flash davanti a lui, chiara e terrorizzata contro il nero del cielo.
Forse stava sognando. Forse era ancora su quell’isola, ora avrebbe aperto gli occhi ed avrebbe ritrovato l’accampamento di fortuna, la sabbia e le stelle.
Forse era morto, e questo era il suo purgatorio. Un viso d’angelo da guardare senza avere la forza per sfiorarlo, e quel dolore lancinante a tagliargli il petto in due.
 
No. I morti non possono provare dolore.
 
Presto! Del sedativo per sua altezza reale!
La voce era chiara e definita, accanto a lui. La voce di sua madre. Apriva gli occhi, pian piano, cercando di non essere ferito da quella luce. Le mani tremavano, il resto del suo corpo era come inchiodato a qualcosa di tiepido, morbido. Il dolore era insopportabile, contro il petto.
Sua madre ora compariva alla vista, sovrapponendosi e confondendosi all’immagine della biondina del catering. Oltre il suo viso perfettamente truccato, compariva in disparte la figura di Liam, il viso in fiamme e l’aria di chi vorrebbe essere ovunque tranne che lì.
 
- Come tuo padre, come tuo padre.. hanno cercato di uccidere anche te.. a tanto è arrivato, l’odio per la nostra famiglia..- sua madre continuava a lamentarsi, a cercare motivazioni, a dare colpe. Sua sorella faceva capolino nella stanza e dietro di lei era tutto un tripudio di flash e domande della stampa. Nessuno si premurava di fermarli, di mandarli via. Nessuno provava a smettere di recitare.
 
Chiudeva gli occhi, mentre il suo corpo continuava a dolere, tremare, chiedere pietà. E c’era l’immagine di quella ragazza, ad aspettarlo. Lei, il buio. I suoi occhi carichi di terrore.
Perdonami.. perdonami.. continuava a ripetere quella voce, leggera come un soffio.
 
Poi, il sedativo richiesto dalla regina. E tutto si fece nero.
Liam
 
Erano passati sei giorni, suo fratello era sveglio e cosciente, nonostante trascorresse la maggior parte delle giornate protetto dai sedativi.
Qualcuno aveva proposto di farlo parlare con la stampa, altri con la polizia. Sua madre affermava che qualunque cosa potesse ricordare, anche il minimo particolare, sarebbe stato di vitale importanza per l’individuazione e la cattura dell’aggressore.
 
Liam sarebbe scappato. Lontano, ovunque, ora che il senso di colpa affiorava con tutta la sua prepotenza togliendogli il sonno.
Ma non riusciva a scollarsi da quell’angolo, dal silenzio di quella stanza.
 
Lo sguardo di Robert vagava lontano, come se la sua mente fosse stata da un’altra parte. La sua voce rarefatta, le parole pochissime. Aveva chiesto che rimanessero tutti fuori dalla porta, l’aveva chiesto per favore.
Sua madre era scattata lontano dal letto, quasi indignata per quella debolezza. Come se l’erede di un re non avesse il diritto di soffrire, di essere umano.
- Per favore..- aveva ripetuto Robert, voltando quello sguardo liquido vero la finestra. Solo un mormorio, che aveva costretto la testa di Eleanor a chinarsi ed il suo corpo a scivolare via.
 
Fece l’atto di seguirla, ma quella voce lo bloccò con le dita sulla maniglia:
- No.
- Scu- scusa? – aggrottò le sopracciglia, tornando indietro di una manciata di passi, ma senza avvicinarsi.
- Tu no, Liam.- lo sguardo di suo fratello ora si spostava, arrivando a trafiggerlo.
Il cuore diretto in gola. Sapeva. Quegli occhi non fingevano, non cercavano compromessi. L’aveva vista, contro il buio, sopra di sé. Aveva visto l’indifferenza con cui lui le aveva permesso di esplodere un secondo colpo senza difenderlo, senza fare niente.
L’aveva visto fuggire, lasciandolo con la canna di una pistola puntata al petto.
 
- Devi trovarla.- gli disse, e lo sguardo si faceva penetrante e duro.
- Trovare.. chi? Kath è già-
- Lo sai, Liam. La ragazza. La devi portare da me.
- Robby..
- Sei stato tu, sparrow.. e so il perché.
- Mi dispiace, io.. se potessi tornare indietro, io..
- Lo so, fratellino. Ma sarebbe bastato dirmelo..- ora la voce si faceva incrinata, lo sguardo liquido. E si spostava di nuovo lontano, oltre la finestra – è stata qui. Ieri. So di voi due. Bastava dirmelo, Liam.. lei non mi guarda più come prima..
- Mi dispiace..
- Lei ama te.. è giusto che stia con te.. ma non avrai la corona.- Robert lo guardava di nuovo, ed il tono si faceva rancoroso e disperato – mai.
- Va- va bene, è.. è giusto; io-
- Trova quella ragazza. Niente polizia, niente stampa. Voglio che la porti da me.
 
Un brivido, lungo la schiena.
Quello non era un per favore, né la richiesta di un fratello. Quello era un ordine del re.
Annuì appena, e scivolò via da lì.

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Sarah
 
La metro delle otto aveva appena lasciato il binario, la stazione si svuotava, lasciandola sola con l’ultima manciata di monete e la compagnia delle mattonelline di ceramica che ricoprivano il tunnel.
Il manifesto con gli hashtag era stato coperto, lo schermo a lato binario ripeteva in continuazione le solite ultime news sullo stato di salute dell’erede al trono, inframezzandole col meteo e con le notizie sul traffico.
 
- Non è tutto vero.
Quella voce oltre le spalle la fece trasalire. E l’immagine che le comparve accanto era quella di un principe cadetto ancora più pesto e stropicciato che quello della notte in cui avevano stretto il patto che aveva rovinato ad entrambi la vita.
- Sapevo che ti avrei trovata qui.- Liam si avvicinava, lei per istinto arretrò fino a trovarsi spalle al muro.
- Avevi detto che mi avresti lasciato in pace.
- Non hai completato la missione.
- Non.. non posso uccidere una persona, Liam! – uno sguardo intorno, abbassare la voce ad un sibilo – non importa se è un ladro, o un banchiere.. o tuo fratello.. io- è un essere umano, io non posso-
- Lo so, Sarah.- lui le arrivò addosso e le appoggiò entrambe le mani sulle spalle, fissandola negli occhi con aria triste e colpevole – ho fatto un casino. Lui mi ha portato via la persona che amo, e io ho fatto un casino. Poi ho coinvolto te, che non avevi colpa di niente, e ora-
- E ora cosa? Sei qui con la polizia?
- No. Ma lui.. li mi ha.. lui vuole che ti porti in ospedale.
- Per- perché?
- Ti ha riconosciuto, Sarah.
 
Una mano sulla bocca, il respiro che se ne andava.
- No.- tese l’altra mano e lo allontanò, scuotendo la testa e scivolando verso l’uscita – no..
- Sarah, ti prego. Ha detto niente polizia e niente stampa. Non.. non credo ti voglia denunciare.
- Liam, è del prossimo re che stiamo parlando! Hai solo la vaga idea di-?
- Abbassa la voce, per favore..- lui le si fece di nuovo addosso, guancia a guancia, mentre la stazione si animava di nuove presenze e lo schermo annunciava un treno in arrivo – vieni con me. Ti aiuterò, costi quello che costi. Te lo prometto.
Un sospiro, lento e pesante. Un cenno di sì con la testa, e si lasciò trascinare.
 
Due fermate di metro, stando attenti che nessuno lo riconoscesse. Poi, l’ingresso dell’ospedale assediato dalla stampa e dalla folla.
- Maledizione! – Liam sbottò, facendo dietro-front – non possiamo passare; ci vedrebbero, e-
- Ho un’idea. Vieni.- un cenno, e lei si fece seguire verso l’area di carico della lavanderia – ho un paio di amiche, qui. Ci ho lavorato per qualche mese, tempo fa. Speriamo che ci siano ancora..
 
Furono maledettamente fortunati: oltre l’oblò, il suo agitare la mano ebbe la risposta sorridente di Angie, una delle assistenti con cui aveva condiviso tutte le pause pranzo fino alla scadenza del contratto.
Angie rispondeva, lei attirava verso l’oblò la testa di Liam. Lui metteva su una smorfia di disappunto, Angie cacciava un gridolino. Sarah le faceva cenno di tacere con l’indice teso davanti al naso.
- Sei.. cosa ci fai qui con-? Oh, vostra altezza..
- Cerchiamo un’entrata alternativa, Angie – Sarah spinse il giovane oltre la porta aperta – deve salire da suo fratello, ma là davanti c’è il mondo.
- E vi.. vi conoscete?
- Ha lavorato al catering.. a palazzo.- replicò lui, lasciandosi tirare via dalla biondina, verso le scale di servizio.
 
L’intraprendenza della donna da strada scomparve di botto, allo svoltare in quel corridoio.
 
Ancora giornalisti, quelli accreditati o i più temerari. Il lord ciambellano cercava di fare da portavoce, Liam si fece largo a spintoni trascinandola praticamente di peso fino a quella porta.
Le dita sulla maniglia, il suo corpo a spingere l’anta e poi a richiuderla dietro di sé.
 
E spingere Sarah al centro della scena, sotto gli occhi dell’intera famiglia reale.
 
- E questa chi è, Cenerentola? – Cyrus le si fece incontro, carico di sarcasmo, squadrandola dalla testa ai piedi, per poi voltarsi verso il letto in cui era steso l’altro nipote – ma non era il principe, a risvegliare con un bacio la sua bella? Mi sono perso qualcosa?
- Fuori.- la voce di Robert si fece sentire forte e chiara, mentre il suo sguardo era diventato di ghiaccio.
- Robert..- la regina si sollevò di scatto dalla poltrona su cui si era accomodata, chiedendo implicite spiegazioni.
- Fuori. Tutti.
 
Di nuovo il tono di un ordine. Sarah fu la prima, ad intrecciare fra loro le mani e sfuggire, ma non riuscì a muovere più di un paio di passi.
- Tu no. Liam.- un cenno, leggerissimo, e l’erede al trono imponeva al fratello di trattenerla e portarla avanti, più vicina al letto – lasciala. Puoi andare.
 
Sola. La porta si chiudeva e lei rimaneva sola.
Davanti all’uomo a cui aveva sparato.
 
L’istinto fu quello di abbassare il viso, stringendo ancora di più le mani contro il petto. Raccolse il respiro, lentissima, ed attese. Ordini, urla, minacce.
Non ottenne nulla di tutto questo.
 
- Perché? – le chiese quella voce, mantenendosi impassibile. Lei non riuscì a rispondere.
- Perché? – ripeté lui, con lo stesso tono e quel gelo negli occhi.
- Mi dispiace..- si morse le labbra, arretrando di un paio di passi e desiderando scomparire – mi dispiace..
- Lo so.- il tono di quella voce ora cambiava, facendosi più velato – vieni qui.
Sollevò gli occhi, e vide una mano tesa.
- Vostra altezza, io-
- Ho detto vieni qui.- lui la lasciò arrivare accanto al letto – togli quella giacca, siediti.
Le vide tremare le mani, nell’eseguire ed appoggiarsi sulla poltrona come fosse stato un letto di spine.
- No. Qui.
Quella mano accarezzava le lenzuola, a pochissima distanza dai fianchi del principe. Esitò ancora, continuando a torcere le mani senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
- Ti voglio qui..
- Sarah.
- Sarah. Vieni qui.
 
Un brivido, nell’ubbidire e sedersi sul bordo del letto, quasi a contatto col suo calore. Un altro, più forte, quando quella mano le raggiunse il fianco e prese ad accarezzarlo, lentamente.
- Non c’è la polizia, non ci sono i giornalisti. Non c’è nessuno a linciarti come hanno fatto con Ted Pryce. Siamo io.. e te. Voglio solo sapere perché.
- Io.. mi sono cacciata in un guaio, perché non avevo un lavoro né i soldi per pagare l’affitto, e.. e mi hanno minacciata.. io.. avevo bisogno di quei soldi; ho- ho saputo cosa dovevo fare solo quando mi hanno dato quella foto e la pistola, io.. mi dispiace..- Sarah abbassò il viso, lo nascose fra le mani e scoppiò a piangere – mi dispiace..
- No, Sarah. Io voglio sapere perché.. perché non mi hai dato il colpo di grazia. L’ho sentita, sai. La canna della pistola, puntata al cuore. Ma non l’hai fatto.
- Io.. io non posso uccidere una persona, vostra altezza. Non posso. Non-
- Vieni qui.
 
La voce si faceva dolce, ora. Compassionevole. Quella di un uomo che l’aveva perdonata.
Sollevò le braccia, lentamente e a fatica, arrivando a contenerla e raccogliendosela addosso, forzando la sua volontà di sfuggire ed arginando le sue lacrime con delle minuscole carezze.
- Merito la stessa fine di Ted Pryce..- mormorò quella voce, ridotta ad un soffio, contro la sua spalla.
- No, Sarah. Hai solo bisogno di essere protetta.
- Ho premuto il grilletto per uccidervi, io-
- No. Non l’hai fatto. Sono qui.
Si scostò appena, quanto bastava per poter leggere di nuovo nei suoi occhi. E non vi trovò più nessuna traccia di rancore.
Lo stesso sguardo che gli aveva visto rivolgere ad un’altra, quel giorno lungo il fiume.
 
- Cosa- cosa volete che faccia?
- Soltanto che resti con me.
 
Gli rispose annuendo, leggera, continuando a torcere le dita fra loro.
- Chiudi la porta.- le disse lui – non voglio che nessuno ci disturbi.
Lei eseguì, e tornando indietro lo trovò impegnato nel chiamare suo fratello, raccomandandogli con dolcezza di andarsene, di riposarsi e lasciarlo riposare.
- Ne avete bisogno. Io sto bene, ho una valida e premurosa assistente. Ci vediamo domani.- il principe riponeva il cellulare, oltre la parete si potevano sentire i giornalisti che sgomberavano e la fioca protesta della regina. Le labbra stirate in un sorriso, le spalle che si muovevano con un po’ di fatica, a trascinare il resto del suo corpo più verso destra, lasciando spazio ed indicandolo a lei – vieni.
- La.. vostra assistente?
- Diremo la verità un’altra volta, Sarah. Vieni. Stenditi qui con me. Hai bisogno anche tu, di riposare.
- Non.. non mi denunciate?
- Io e chi? – lui ora sorrideva più aperto, vedendola esitare e tendendo la mano – dai, vieni. Puoi toccarmi, sai. Non sono cattivo come può sembrare.
Lei si accomodava al suo fianco, accettando di stendersi sulle lenzuola ma rimanendo rigida e con le mani rannicchiate a pugno contro il petto. Lui continuava a sorridere e scuoteva lentamente la testa, acchiappandola ed attirandosela addosso.
 
Poteva sentire il battito del suo cuore, sotto il viso. Il cuore dell’uomo che non era riuscita ad uccidere.
E la parte di sé armata di pistola scompariva, lasciando l’altra a rilassarsi. Sollevata. Felice.
 
- Non mi racconti qualcosa di te, Sarah-?
- Grant.- replicò, leggera, a quella voce – Sarah Grant, vostra altezza.
- E sì, sono decisamente alto.- lui la sentì ridere, sommessa, e continuò a parlare, senza perdere la presa sulle sue spalle – sai.. mi piaci. Sì, anche se mi hai sparato. Non hai avuto scelta. Quella l’ha fatta mio fratello per te.
- Gli farete-?
- Niente. Il senso di colpa è già abbastanza, per lui. Credo sia sollevato, del fatto che tu non abbia portato a termine la missione, sai.
- Mi.. mi avete visto..
- Sì. Il tuo viso. Ho continuato a vederlo per giorni, chiedendomi perché. Perché la ragazza del catering del party di primavera fosse lì, che cosa le avessi fatto di male per puntarmi una pistola al petto. Poi.. una mattina è venuta a trovarmi Kathryn. Ero ancora poco lucido, credo di aver capito solo mi dispiace e io amo tuo fratello. E.. in un attimo, tutti i pezzi sono andati al loro posto. Io.. sono tornato pensando di potermi riappropriare di tutto quello che avevo, che tutto tornasse come prima.. non può tornare nulla, come prima, io.. sono tornato nella mia stanza e dormo a terra, come quando ero là.. non riesco.. non riesco ad adattarmi e.. e poi sei comparsa tu. Sono in un letto d’ospedale, ho una flebo nel braccio..- sollevò appena il destro, in un sospiro – lì fuori c’è il finimondo, e tutti vogliono sapere, vogliono vedere.. mia madre vorrebbe portarmi le telecamere, sedersi qui accanto e piangere, per suscitare pietà e farmi ottenere punti nella corsa alla corona.. non.. non importa a nessuno di me.
- Non è vero, vostra altezza.- replicò lei, piegandosi in modo da poterlo guardare negli occhi – là fuori pregano, aspettano vostre notizie. C’è un sacco di gente che vi ama.
- Non intendo l’erede al trono, intendo.. me. Ricordi cos’hai detto, prima?
- Prima?
- Sì. Che non potevi uccidere una persona. Non hai detto un principe, ma una persona. Non l’avresti fatto neanche se fossi stato un mendicante. Ecco, Sarah.. io voglio che tu rimanga, perché.. perché sei l’unica a cui importa di me. E smettila, di chiamarmi vostra altezza. Per favore.
- E come dovrei-? Io.. voi siete tutto, e io niente.. due ore fa chiedevo la carità alla stazione della metro.. sono così piccola..
- Un granello di senape, Sarah. Posso.. posso esserlo anch’io, insieme a te?
- Potete essere quello che desiderate.
- Bene; allora..- lui appoggiò il viso contro i suoi capelli, sollevando lo sguardo – allora desidero tornare indietro. Desidero il party di primavera, quel tavolo inutile nel parco. E quella ragazza che lo apparecchiava sculettando a tempo di musica.
- Oh.. non l’avete dimenticato.. che brutta figura..
- Eri bellissima, invece. Libera da ogni obbligo e da ogni etichetta, felice. Sembravi in volo. Ti ho invidiato. Ti avrei invitato a ballare, se fossimo stati soli. Io non sono mai stato libero come te. Ma promettimi che lo faremo, prima o poi. Me lo devi, Sarah.. sei in debito, con me. E il tuo debito è piuttosto elevato, quindi direi che ora sei mia.
Robert
 
Ecco. Gliel’aveva detto, ed ora la biondina rannicchiata contro il suo petto lo fissava con gli occhi sgranati e le mani ancora più strette fra loro.
 
- Hai sentito bene; sei mia.- sorrise, osando allungarle un bacio sulla fronte e lasciandola arrossire – sarai la mia assistente e io ti proteggerò da quelle persone. Hai un posto dove stare?
Quella testina bionda faceva segno di no, contro la sua spalla.
- Vivi per la strada?
- Io.. non ho portato a termine la missione, non ho i soldi e ho perso la casa.. sto.. sto dormendo all’ostello della carità, ma non so per quanto potrò-
- Manderò Liam a prendere le tue cose. No, non rifiuterai. Sei mia, ricordi? E devi obbedire al tuo re. Riposa, ora; ne hai bisogno più di me.
 
Non si ribellava. Doveva essere stanca, stanca da morire. Non provava più a scivolare via, ad opporre resistenza. Le appoggiò un altro bacio sulla fronte, leggero, tendendo la mano a raccogliere le sue.
E rimanendo ad ascoltare i suoi respiri.
 
Perdono. Suonava così dolce, addosso a lei. Chiuse gli occhi, e per la prima volta il sonno non gli portò una sua immagine stravolta dalle lacrime.
 
Al posto del buio, c’era la luce. E Sarah indossava la corona della regina.

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Sarah
 
Erano passate sei settimane dal suo ingresso in quella stanza d’ospedale, ed ormai aveva smesso di chiamarlo vostra altezza, quando non si trovavano circondati da estranei. Cosa che Robert cercava di ottenere sempre più spesso, sollevando la mano ed imponendo quel fuori che ormai non era più neanche per favore.
Li faceva uscire, lasciando alla sua nuova assistente l’onere di chiudere la porta ed aspettandola con le mani tese.
Lei lo prendeva un po’ in giro, mimando un inchino, aiutandolo a sollevarsi ed a muovere qualche passo in giro, fino a quando dolore e debolezza non gli mettevano lo stop.
 
La regina masticava amaro, obbedendo a quel comando, ed aveva iniziato ad indagare in via privata, per capire cos’avesse a che fare un’umile cameriera del catering con suo figlio.
Quella biondina aveva un passato di elemosina e lavori saltuari, era totalmente priva di sangue blu a scorrerle nelle vene.
E l’erede al trono passava troppo tempo con lei.
 
- Sai.. mia madre-
Quella mattina, Robert non sembrava sereno come al solito, nel muovere quei pochi passi avanti ed indietro fra letto e finestra.
- Sta indagando su di me. Lo so. E so anche com’è iniziato tutto.
- Sai-?
- L’ha postato tua sorella. Il video, intendo. Quello in cui re Cyrus si prende gioco di un’umile rappresentante del popolo arrivata in ospedale a porgere gli omaggi del paese al principe ereditario.
- Fortuna che dopo l’ho fatta uscire.
- Già. Fortuna. Ma la mia faccia è comparsa in tutti i notiziari e su tutti i rotocalchi; ha sicuramente rafforzato la tua immagine presso l’opinione pubblica, segnando un punto a tuo favore nella corsa alla corona, ma non ci vorrà molto, prima che quella.. Ruth si faccia pubblicità estraendo dal cilindro il mio nome.
- Ma lei non lo sa, il tuo nome.
- La mia faccia l’ha vista, come l’hai vista tu. E scommetto che sa anche arrivare al mandante.
- Non ci arriverà. Glielo impedirò.
- Non importa, Robert. Per la gente, sarò per sempre quella che ha cercato di uccidere l’erede al trono.
- No. Sarai la disperata che, costretta a farlo, ha rifiutato. Sarai la donna che mi ha salvato, e io l’uomo che ti ha perdonato.
- Un’altra perfetta mossa politica. Complimenti, vostra maestà.
- Sto parlando seriamente, Sarah..- lui si faceva triste, leggermente più grigio, nel raccoglierle le mani – se mai dovessero arrivare a te, convocherò una conferenza stampa. Dirò semplicemente la verità. Ed è questa, la verità: mi hai risparmiato, non importava chi fossi. Io ti ho perdonato. Ho voluto conoscerti, mi sono innamorato di te. E se il consiglio voterà in mio favore, sarai la mia regina.
 
Il tono della sua voce non rispecchiava un ordine, piuttosto una preghiera.
Era sincero, e lo sguardo che le sollevava addosso era quello che aveva sognato, in quella lontanissima sera di un milione di giorni fa.
 
Fu costretta ad abbassare il proprio, stringendo forte le dita fra le sue.
- Tu sai che non ne sono degna. Lo sai meglio di me. Ci sono delle regole, le devi rispettare.. come non potevi mostrarti in pubblico con Kathryn, ora non-
- Ora è diverso, Sarah. Ho vissuto su un’isola, ho perso la speranza di tornare a casa. Ho visto la morte, ho provato il dolore. E non importa, se ci sono delle regole, se sei completamente contro l’etichetta. Il tuo sangue ha lo stesso colore del mio, sai. Siamo due granelli di senape. E se il prezzo per la corona sei tu, sono libero di rifiutare.
- Robert..
- Lascia che mia madre indaghi. Non sono il solo, ad avere dei segreti.
- Non ci sono solo i segreti.
- La gente ti amerà, come ti amo io. Beh, meno di quanto ti amo io. Ma lo farà.
- Tutti, a parte la regina.
Lui ora sospirava, scuotendo lentamente la testa e mordicchiandosi le labbra.
- Non importa cosa pensa lei. Non importa più. Non a me; a me interessa solo quello che pensi tu. Quello che senti, tu. A me interessa solo sapere che mi ami. Non il principe, me.
 
Robert
 
Sollevava quello sguardo sul suo, raccoglieva il fiato e stirava le labbra in un sorriso, prima di lasciargli provare il sollievo di quella carezza sul viso.
 
- Che accidenti di pozione mi avete dato, vostra altezza? Sono completamente stregata da voi..
- Non è una risposta, Sarah.- le disse, dolcemente, cercando di non interrompere quel contatto contro la pelle.
- Io amo te. Non il principe, amo te. Ma questo non cambia la realtà: Sarah Grant non sarà mai degna, di stare accanto ad un re.
- Questo sta a me, deciderlo.
- Certo. E so che farai la scelta giusta, non ti butterai a capofitto in una follia.- qualcuno bussava alla porta, lei vi si dirigeva ignorando il suo sguardo di disapprovazione – se il consiglio voterà a tuo favore, cambieranno molte cose.. vostra altezza.- un breve inchino alla regina, e tornava a parlare con lui – non perderete la vostra fida assistente, di questo potete essere certo.
- Non cambierò quello che penso in omaggio all’etichetta.
- Scusate.. Robert, di che state parlando? – sua maestà interveniva, sfilando il cappotto ed affidandolo alla ragazza.
- Del tuo inopportuno indagare sul passato di Sarah.
- E’ mio dovere, come madre e come regina. Non possiamo accogliere sotto il nostro tetto cacciatrici di dote, ladre, o-
- O assassine.- la ragazza le terminò la frase, e gli lasciò gelare il sangue nelle vene.
- C’è qualcosa che non so?
 
Diglielo. Recitava il cenno di Sarah, mano tesa verso di lui.
Una sfida. Gli stava proponendo una sfida, a verificare se fosse sincero, quando affermava che l’avrebbe protetta. Le mani si strinsero a pugno, contro i fianchi. Stirò le labbra in un sorriso.
Coraggiosa, dolce, scaltra. Non temi neppure me. Sarai perfetta, mia regina..
 
- Che dovresti dirmi, Robert? - sua madre insisteva, accomodandosi sulla poltrona ed accavallando le gambe.
- Se il consiglio voterà a mio favore, lady Grant sarà alla mia destra.
- Lady Gra-? Di che stai parlando? Lei non è-
- E la gente l’amerà, perché da loro è venuta e perché conosce il popolo. Perché è saggia, è solida. Perché io la amo.
- Mi stai dicendo che la tua segretaria-? – la donna scattava in piedi, senza nascondere tutta la propria irritazione.
- La donna che mi ha salvato la vita, quando avrebbe dovuto cancellarla. La donna a cui ho concesso il perdono del principe e il mio cuore.
- Lei.. lei è- è quella che-?
- Sì. E non farai scoppiare nessuno scandalo; sarebbe controproducente per la nostra immagine, soprattutto ora. Ma quando indosserò la corona..
 
Sarah non rispondeva al suo sorriso, non c’era gioia né orgoglio nei suoi occhi.
La verità era che aveva ragione lei: non c’era posto per una donna priva di sangue nobile, alla sua destra.
E non importava il suo perdono, né come la pensasse il suo cuore.
Non poteva essere la sua regina.
 
E il vederla scivolare via, in silenzio e con gli occhi lucidi, aveva lo stesso effetto di quel proiettile nel cuore.
 
Sarah lo amava. Oltre il limite, più di quanto lui la ricambiasse. Disposta a farsi da parte e lasciarlo libero, a scomparire.
 
Quando si presentò al consiglio, seduto accanto alla propria famiglia, si ritrovò a raccogliere il respiro, preparandosi a rispondere di no.
 

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Sarah
 
Il suo posto.
Se l’era domandato un milione di volte, quale fosse il suo posto nel mondo.
 
Non era il pavimento della metro, forse neanche la casa a cui aveva dovuto dire addio. Ma neanche questo palazzo, dove tutto sembrava ripeterle continuamente che era un corpo estraneo.
Quando l’aveva confidato a Robert, solo pochi giorni prima, la risposta era stata:
- Sei un granello di sabbia dentro la conchiglia. Estranea, fastidiosa. Tanto che la conchiglia ti rifiuta e per sbarazzarsi di te ti nasconde. E diventi una perla.
 
Faceva sembrare tutto facile, lui. Le battute al vetriolo di quello zio mitomane ed ubriaco, i bronci di Eleanor, gli sguardi velenosi della regina.
Le sorrideva. Il sorriso devoto e felice che desiderava, da una vita. Quello che ora sentiva di non meritare.
Non avevano più affrontato il discorso sul suo posto accanto al trono, con suo grande sollievo. Il ritorno a palazzo del principe ereditario aveva scatenato il solito polverone mediatico, subito rimpiazzato dall’attesa del verdetto del consiglio e da un groviglio di mille altre cose totalmente superficiali.
I giornalisti televisivi chiocciavano in sottofondo, giocando a scommettere sul look della regina. Il fiato di tutti era sospeso in attesa di una conferma e dell’incoronazione.
Sola nella sua stanza, Sarah preparava la lettera di dimissioni.
 
Meglio così. E’ giunto il momento in cui Cenerentola riprende il suo posto accanto al focolare. E’ giusto così. continuava a ripetersi, bagnando il foglio con le lacrime e costringendosi a riscrivere tutto da capo.
Poi, qualcuno bussò alla porta, sommesso ed insistente, convincendola ad andare ad aprire.
 
Jasper sollevò lo sguardo ed incontrò un viso rosso e gonfio, tutto l’opposto di quello dell’allegra Sarah-che-ride-sempre.
- Tutto bene? – le chiese.
- Sì.- replicò lei, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia.
- Sicura?
- Sì, piccolo gorilla. Che vuoi?
Lui piegò appena il viso, lasciandosi scappare un minuscolo sorriso. Uno dei suoi.
- Sei desiderata. Nel salone delle cerimonie, dal re.
- Ha deciso di licenziarmi pubblicamente?
- Non hanno eletto Cyrus. Non hai sentito la campana, stanotte?
- Io.. non ho aspettato sveglia.
- Beh, metti anche la giacca, e vieni. Devi essere giù con noi, e in uniforme.
 
Un sospiro, lento e pesante, prima di chiudersi la porta alle spalle e seguirlo, lungo quel corridoio che sembrava non finire mai.
- Tutto bene? Non sembri propriamente felice..- le disse lui, voltandosi appena e procedendo due passi avanti – eppure, dovresti. La corona è andata a quello che ti protegge, non a quello che ti insulta ad ogni occasione buona, ricordandoti da dove vieni.
Lei rispose con un’alzata di spalle.
- O c’è qualcosa che non so?
- Non sei l’unico, ad avere segreti, sai.
- Dovrai fare un passo indietro come ho fatto io con Eleanor?
- La questione è un po’ più complicata, amico mio. Stavo preparando le dimissioni.
- Ah.- lui sollevò appena il naso, aprendole la porta di servizio che dava sull’angolo a nordest del salone – almeno le tue saranno volontarie.
- Ti hanno-?
- Licenziato. Ieri sera. Sono qui solo su richiesta di Liam, per evitare uno scandalo. O qualcosa del genere.
Adesso le spalle le sollevava lui, indicandole il resto del personale in attesa spalle al muro.
 
Rosie le fece cenno con la mano, lei scivolò ad affiancarla. Uno scambio di sorrisi; emozionato quello della collega, carico di lacrime il suo. Tanto da essere costretta a spostare subito lo sguardo verso il centro della scena.
L’erede al trono vestiva la grande uniforme, ed aveva le spalle coperte di ermellino. Avanzava a passi lenti e solenni, scortato dalla madre, fra due ali di dignitari ed i loro mormorii.
Lo sguardo alto, orgoglioso, deciso. Si fermava di fronte al trono e sul damasco lo attendeva la corona.
 
Sarah raccolse il fiato, arretrando di un passo ed appiattendo la schiena contro il muro. Una lacrima a rigarle la guancia, chiudere le palpebre per non vedere, desiderare di scomparire all’istante.
La favola aveva un lieto fine, ma questo non poteva includere lei.
 
Una leggerissima gomitata, all’altezza dello stomaco. Riaprì gli occhi e trovò il sopracciglio alzato di Rosie, il suo viso che accennava al centro della scena.
Robert aveva voltato lo sguardo, fermandolo nella loro direzione. Aveva incontrato il suo, accennava un sorriso, annuiva appena.
Sei qui – sembrava dire – sei con me. Mi sostieni, ce la posso fare.
Le parole che aveva usato lei, al contrario, per convincerlo a muovere i primi passi all’ospedale.
 
Rispose a quell’annuire, e rimase ferma ad ammirarlo mentre la regina calava sulla sua testa la corona, mentre il capo del Consiglio proclamava la formula della consacrazione e il nuovo re prestava solenne giuramento davanti a Dio e alla nazione.
Ora le lacrime le impedivano di vedere qualunque cosa.
 
Piegò il viso a terra, premendo maggiormente le spalle contro il muro, come a cercare un sostegno.
Non se ne accorse neppure, del movimento attorno a sé. Rosie che si spostava, la gente intorno che chinava la testa in segno di rispetto. L’immagine alta e fiera del re di fronte a lei, a due passi soltanto.
Un’altra gomitatina la costrinse a sollevare lo sguardo e lo trovò lì, che sorrideva.
 
Piegò le ginocchia ed il viso, torcendo le mani fra loro.
- Un grazie particolare per il vostro sostegno, lady Sarah.- disse quella voce, solenne e leggera.
- E’ un privilegio ed un onore, servirvi, vostra maestà.
Sollevò il viso, incontrando una ruga ad increspare quel sorriso. E fu in quell’istante che Robert fece un gesto completamente inaspettato: piegò le ginocchia ad arrivare alla sua altezza, tese le dita a raccoglierle il viso.
- Il privilegio è il mio, lady Sarah. Per questo vi vorrei alla mia destra, sulla balconata.
 
Alla mia destra. Non aveva detto con me, o accanto a me. Aveva detto alla mia destra, ed il significato di quelle parole era uno, ed uno soltanto.
Alla mia destra. Come mia regina.
 
Spostò lo sguardo oltre di lui ed incontrò quello totalmente sgranato della regina Helena, immersa nei mormorii.
- Il posto alla vostra destra è per la regina.- rispose, velata, chinando appena il capo ad indicarla.
- Lo so meglio di te.
- Io sono la vostra assistente, vostra maestà. Se desiderate che resti al vostro fianco e vi sostenga, siate certo del mio appoggio e della mia totale fedeltà. Ma il posto alla vostra destra non è per me, è per la regina.
Lo vide sospirare, annuire. Come gli aveva visto fare tutte le volte in cui l’aveva contraddetto o non lo aveva assecondato in qualche piccolo capriccio. Robert comprese l’eloquenza di quello sguardo, si alzò in piedi e le tese la mano:
- Come desiderate, lady Sarah. L’invito è sempre aperto.
 
Accettò il sostegno di quella mano, si sollevò, piegò il viso ed attese che scivolasse verso la balconata per accodarsi, ultima fra tutti, al suo seguito.
 
La gente esultava, sventolava bandiere. Il clima era di gioia e di festa, e Sarah tornò a premere la schiena contro il muro, cercando di non essere neppure notata.
 
Robert
 
Non voleva.
Semplicemente non voleva perderla, non voleva dirle addio.
 
E quando a mezzanotte la campana aveva rintoccato in suo favore, un brivido gli aveva percorso la spina dorsale, lasciandolo chiudere gli occhi e tirare il fiato.
Sua madre l’aveva interpretato come un segno di sollievo, e si era appoggiata al divano accarezzandogli una gamba e sorridendo, seguita dall’abbraccio della sorella.
 
Liam s’era limitato ad un cenno d’assenso, mantenendosi a distanza e poi allontanandosi oltre la porta.
 
- Ehi.- l’aveva raggiunto a metà corridoio, appoggiandogli una mano sulla spalla per convincerlo a fermarsi – aspettami.
Liam aveva sollevato le mani, scuotendo la testa e rispondendo infastidito:
- Cosa vuoi?
- Ho bisogno di un favore.
- Chi devo screditare, ora? Perché la mia risposta la sai: no.
- Devi trovarmi un modo. Un- un modo per rompere il cerimoniale.
- Scusa?
- Sei stato perfetto; il tuo suggerimento sul discorso davanti al consiglio mi ha fatto avere-
- Ma se prima che la campana suonasse hai gridato ai quattro venti che sarebbe stata colpa mia, la tua eventuale sconfitta!
- Perdonami.
- Và al diavolo, vostra maestà. Sono stanco, di essere trattato come il tuo tappetino.
- Hai fatto bene.
- Cos-?
- Fossi stato in te, io non avrei aspettato così tanto, a farmi ammazzare.- gli era venuto spontaneo abbassare il viso, mordicchiandosi appena le labbra – sai.. hai ragione tu. Sono tornato dal nulla e non ho fatto che distruggere quello che ho trovato. Le vostre vite, i vostri equilibri.. ci sono momenti in cui avrei preferito che Sarah avesse portato a termine il suo lavoro. Domani indosserò la corona, e dovrò dirle addio per.. per sottostare a regole a cui una parte di me si ribella.
- Si.. ribella. Suona quasi divertente, detta da te.
- Tu l’hai messa sulla mia strada, tu mi aiuti a tenerla. Direi che me lo devi, sparrow.
Senza fiato. Suo fratello era rimasto completamente senza fiato. Probabilmente credeva di dover rinunciare a qualcos’altro, di dover ingoiare l’ennesimo passo verso l’ombra.
- Mi stai chiedendo-?
- Sei orribilmente bravo, con le parole. Voglio che Sarah resti con me. Voglio che sia la mia regina. E che questo non crei uno scandalo di dimensioni bibliche già al mio primo giorno di regno. Aiutami. Per favore.
 
Liam aveva preso a camminare su e giù, davanti a lui. Passi nervosi e dita a torturarsi la nuca.
- Dobbiamo.. ci devo pensare.- aveva concluso, regalandogli una notte senza sonno.
 

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


Liam
 
- Non basta semplicemente.. che parli al cuore della gente? Sarah è una di noi, lui non deve fare altro che presentarla e lasciarla fare. La ameranno. La ameremo tutti.- Kathryn gli aveva raccolto le mani, intrecciando le dita alle sue sul tavolo del soggiorno. Sguardo pieno di fiducia, voce carica di dolcezza ed entusiasmo.
- Quando stava con te, non voleva neppure che ti vedessero, in pubblico.- rispose, con un filo di rancore.
- Perché non mi amava come ama lei. E io non lo amavo come amo te. Sono scelte, Liam. Credo che tuo fratello sia parecchio motivato, basta vedere come la guarda. Credo che se qualcuno si opponesse, lui sarebbe pronto a deporre la corona scegliendo lei.
- La dovrebbe lasciare a me.
- E credo che questa sia la sua idea.
 
Il cuore diretto in gola, mentre abbassava lo sguardo.
Aveva fatto del male a suo fratello, condannandosi ai sensi di colpa. E lui l’aveva perdonato. Senza tante inutili parole.
 
L’alloggio di Sarah appariva silenzioso: porta chiusa a chiave, nessun movimento o rumore percepibile.
Aveva sollevato il pugno, pronto a bussare, poi aveva rinunciato, tornando sui propri passi e raggiungendo la stanza del fratello.
Due paggi lo aiutavano ad indossare l’uniforme, in quello sguardo alto e fiero Liam poteva leggere una luce che prima aveva visto solo in suo padre.
Era giusto. Era giusto così, che fosse Robert, fra loro due, quello a dover portare il peso della corona. Anche se equivaleva a dover dire addio per sempre all’amore della sua vita.
E questo pensiero aveva inaspettatamente il potere di pungergli il cuore come una spina.
 
Spinse l’anta, rispondendo con un silenzioso cenno al sorriso del fratello. Quello congedò i paggi e concentrò la propria attenzione su di lui:
- Hai trovato qualche appiglio legale valido?
- No, mi dispiace.- vide morire completamente quel sorriso, mentre il viso dell’erede al trono si abbassava smascherando il suo dolore. Un sospiro, tese la mano verso il braccio di Robert ma quello si ritrasse – senti, io.. io non so come rimediare. Devo ancora chiederti perdono per-
- Non importa. Non importa più.
- Robbie, io.. credo che l’unica cosa che puoi fare è chiederle di stare alla tua destra, ed una volta sulla balconata lasciare la parola a lei. Se conquisterà la gente, non avrai bisogno d’altro. Il cerimoniale e l’etichetta potranno andare a farsi fott-
S’interruppe, strizzando le labbra in una smorfia:
- Sto esagerando.
- No, che non stai esagerando – qualcosa si riaccese, nel sorriso di Robert. Gli scivolò accanto, una mano sulla spalla ed un filo d’orgoglio nello sguardo – grazie, fratellino.
 
Robert
 
Sua madre lo attendeva lungo il corridoio che li avrebbe portati al salone. La raggiunse, appoggiò il suo braccio sul proprio e continuò a camminare, senza dire una parola.
- Ti vedo sereno – lei raccolse il respiro, lenta e felice – finalmente..
Si limitò ad annuire, senza guardarla.
- Va tutto bene? Mi sarei aspettata un po’ più.. entusiasmo. Va bene che hai maggiore autocontrollo, rispetto a tuo fratello, ma.. cielo.. hai finalmente ciò che ti spetta di diritto, la corona per cui hai combattuto tanto.. oggi i tuoi desideri si avverano, dovresti essere raggiante almeno quanto me! O mi sono persa qualcosa?
- Non hai perso niente, mamma.- rispose, tornando a rifugiarsi nel silenzio, di fronte ai dignitari che lo aspettavano per vestirlo dell’ermellino. E voltò le spalle, precedendola oltre l’ingresso del salone.
 
La cercò con lo sguardo, rivolgendosi all’angolo in cui erano schierati il ciambellano, gli assistenti di palazzo ed il personale della sicurezza. Non trovò il suo viso, e per un istante si fece fortissimo il desiderio di voltare i passi e fuggire. Poi individuò lo sguardo cupo di Jasper, lo chiamò con un cenno delle dita.
- Vostra maestà.- quello si fece avanti, piegando il viso in un minuscolo inchino.
- La signorina Grant? – gli chiese, mormorando al suo orecchio.
- Non è uscita dalla propria stanza, signore.
- Andresti tu a prenderla? Dille che la desidera il re.
- Subito, vostra maestà.
Il giovane si allontanava, lui forzava i propri passi a farsi più lenti e solenni, mascherando la tensione dell’attesa.
 
Riuscì a sorridere di nuovo solo quando la vide scivolare accanto a Rosie. Piegò le ginocchia ed il viso, attese che la voce del cerimoniere mettesse il sigillo al suo destino. E la cercò di nuovo, non appena ebbe la corona sulla testa e l’inchino dei dignitari.
Lei, prima di tutto. Prima delle regole, dell’etichetta. Prima dell’immagine e dei doveri.
 
L’unica che cancellava i veli ed in lui leggeva l’uomo, prima che il re.
 
La mano di sua madre lo guidava verso la balconata, verso la prima apparizione che il nuovo monarca doveva al popolo. Lui bloccò i passi di fronte a quell’uniforme nera, infrangendo con un solo gesto secoli di cerimoniale.
 
- E’ un privilegio ed un onore, servirvi, vostra maestà.- recitava Sarah, inchinandosi al proprio sovrano. Non riuscì a resistere, ed in un attimo era in ginocchio di fronte a lei. Alla stessa altezza, viso a viso. E chi se ne fregava dei mille mormorii di disappunto oltre le spalle. L’avrebbe baciata, in quell’istante, trascinandola con sé e mostrandola al popolo con orgoglio.
Sarah preferiva giocare secondo le regole, ribaltando i ruoli e proteggendolo, con la dolcezza di quel rifiuto.
 
Il posto alla vostra destra è per la regina.
 
Il suo passo indietro, il suo silenzioso ti amo.
 
Aveva sorriso, includendola a tradimento nel discorso rivolto al popolo ed immaginando la reazione piccata di sua madre. Aveva voltato lo sguardo e Sarah era nell’angolo più lontano e defilato.
 
Voi siete tutto, e io non sono niente..- recitava quella voce, calda di lacrime, nella sua testa.
Non è vero, Sarah..- rispose, silenzioso, stirando le labbra in un sorriso e mandando definitivamente in pezzi il cerimoniale.
Un passo indietro, nel mormorio collettivo e fra gli scatti dei flash. Un passo indietro, a tendere la mano e raccogliere la sua:
- Alla mia destra.
- Non potete farlo, vostra maestà..- ora le lacrime sfuggivano senza più controllo – io.. io non sono-
- Ne sei degna più di quanto credi, lady Sarah.
 
Sarah
 
Il giovane re salutava, prendeva la parola, ringraziava per le preghiere ed il sostegno. E di nuovo, inaspettato, rompeva il cerimoniale con un sorriso:
- E devo dire grazie, un grazie immenso e particolare, alla donna senza il cui sostegno non sarei qui, oggi. Alla donna che ha visto in me l’uomo prima del principe, che ha sorretto i miei passi e mi ha sopportato nel momento peggiore. Senza se e senza ma. Perché sì, è vero. Il sangue ha per tutti lo stesso colore. 
 
- Vai.
Una voce, all’orecchio, quasi un sospiro. Sarah voltò lo sguardo ed incontrò quello motivato e severo della regina Helena.
- Maestà..
- Ho detto vai.- quella tendeva la mano, invitandola ad avanzare.
- Non posso accontentarvi, vostra maestà. Quello è il vostro posto, io non sono nessuno.
- Non è un ordine, Sarah. Lui ha scelto la sua regina.- quella indicò le spalle del figlio – e quella sei tu. Umile ed innamorata abbastanza da farsi da parte, quando è necessario per il suo bene. Sarai una grande regina, migliore anche di me. Ma ora è necessario che tu stia alla sua destra, che la gente ti veda. Che ti ami e ti rispetti. Dimostra a tutti che vali la scelta del re d’Inghilterra.
 
Ne sei degna più di quanto credi, lady Sarah.
Quella mano si tendeva verso la sua, e non c’era un ordine, nel verde di quegli occhi. Piegò il viso, raccolse il respiro ed azzerò le distanze, lasciandosi accogliere dal calore del corpo dell’uomo che amava.
 
Un sorriso, un cenno d’assenso.
- La mia e vostra futura regina, lady Sarah Grant.- a quella voce calda ed orgogliosa, la folla rispondeva con un boato. E lei li ringraziò con l’ultimo gesto che ci si sarebbe mai aspettato da una sovrana.
Non salutò con la mano, come aveva visto fare mille volte a corte. Non le venne neppure in mente. Chinò il viso, poggiò la mano sul cuore. Lenta e leggera, come a dire sono al vostro servizio. Poi la sollevò di nuovo, la portò alle labbra ed inviò alla folla un bacio.
 
Dieci secondi, ed il suo gesto era nella top ten in giro per i social.
Finalmente una regina che ci rispetta titolava quel tweet che nelle retrovie fece sorridere Eleanor.
 
- Ehi! – li vide rientrare e, senza preoccuparsi di etichetta o di convenevoli, andò loro incontro a passo spiegato – dieci secondi.
- Scusa? – suo fratello aggrottava le sopracciglia, ancora mano nella mano con una stravolta Sarah.
- Il tempo che ci ha messo la tua regina a diventare più popolare di te, Robbie.- quella voltò lo smartphone, sorridendo peperina – il suo inchino ha già fatto il giro del pianeta. E’ nato l’hashtag #QueenSarah.
- Lasciami indovinare: sei stata tu.
Eleanor sollevò le spalle, riuscendo a scroccargli un abbraccio e l’ennesima breccia nel protocollo.
- Cielo, quanto sei felice.. stai.. stai facendo luce! E tu?
 
Sarah scosse appena la testa, prendendo il respiro come se fosse rimasta per minuti in apnea.
- Sconvolta. L’hai sconvolta, Robbie.- quella allungò una gomitatina all’indirizzo del re – stai seriamente rischiando di far secca tua moglie prima del matrimonio! Sei pessimo. Venite, vostra altezza reale. Devo trovarvi un abito adatto per la conferenza stampa, che credo che il migliore in vostro possesso sia quello che indossate.
 
Sarah abbassò lo sguardo, deglutendo amaro. Eleanor aveva perfettamente ragione.
 
- Ma possiamo sempre rimediare.- mantenendo quell’aria peperina, la principessa le acchiappò il braccio e la trascinò con sé, col sottofondo imperativo della voce di sua madre:
- Uno dei miei, Eleanor, non uno dei tuoi!

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


Robert
 
Bellissima. Come Cenerentola al ballo, da sperare che non svanisse allo scoccare della mezzanotte.
Lo lasciò ridere, di fronte alla minuscola smorfia con cui sollevò la gonna ai lati per non inciampare.
 
- Tutto bene?
- Non credo che il mio cuore regga fino a domani, Robert. Ha ragione tua sorella: sei pessimo.
- Eri pronta a scomparire, mia regina?
- Stavo preparando le dimissioni, quando mi hai mandato Jasper.- replicò lei, con un pizzico di pepe.
- Sul- sul serio?
- Sul serio. Il mio posto non è-
- Bene. Dimissioni accettate, da questo momento non sei più la mia assistente.
- Ti odio. Tantissimo.- un pugnetto sulla spalla, il broncio da bambina.
- Credo che ti bacerò, in conferenza stampa.
- Non oserai.- ora gli puntava davanti l’indice, costringendolo a raccoglierla fra le braccia e meritando un bacio fra i capelli – oh, beh. Così è meno sfacciato. Così può andare, vostra maestà. Andiamo?
- Dopo di voi, mia regina.
 
Una grandine di flash li investì, al loro ingresso nella sala delle conferenze. Sarah si guardava intorno affascinata e meravigliata, ma non sembrava avere più paura.
Neanche quando quella domanda la investì in pieno come un’ondata in alto mare.
 
- Vostra maestà, da quanto appreso tramite i social, avete scelto come vostra regina la donna che solo pochi mesi fa vi portava in ospedale l’omaggio del popolo e veniva derisa da vostro zio. La stessa donna che avete assunto come assistente personale. La conoscete veramente?
- Che cosa intende dire, miss Gale? – rispose con cortesia alla giornalista, ma non riuscì a mascherare quella vena d’irritazione nella voce.
- Intendo dire.. lady Grant non ha sangue nobile. Che si sappia, non è propriamente una lady.
 
Voltò lo sguardo verso la donna al proprio fianco, aspettandosi una reazione sopra le righe. Niente. Sarah intrecciava le dita e le stringeva appena, come le aveva visto fare tutte le volte in cui era stata sotto pressione. Ma il suo viso si manteneva alto e tranquillo.
La vide piegarlo appena, chiedere il permesso con un cenno e allo stesso modo le concesse la parola.
 
- Permettetemi di rispondervi in prima persona.- la sentì replicare, leggera – e sì, avete ragione. Non sono una nobile, non la sono mai stata. La mia vita ha avuto alti e bassi, ho percorso più volte a piedi le vie di Londra, come tutti i cittadini di questo Paese rimasti in grave difficoltà con la crisi economica. E, mi creda, ci sono stati tempi duri che non augurerei al peggiore dei miei nemici. Momenti che mi hanno portato ad un passo dal cancellare una vita e dal distruggere la mia. Persone che, approfittando della mia disperazione e della mia ingenuità, mi hanno messo una pistola fra le dita chiedendomi di uccidere l’erede al trono.
 
Il mormorio di alzava, nella sala. Altri flash, mentre i giornalisti prendevano compulsivamente appunti e il cuore gli balzava in gola.
 
- Sarah..- la mano sul fianco di lei ora tremava – ti prego.
- No.- fu la risposta, velata – è nostro dovere essere sinceri, con la nazione. E’ nostro dovere dare loro la verità. Sono la donna mandata ad uccidere il principe Robert Henstridge. La donna che non ha portato a compimento la missione, perché è colma di difetti, ma mai, mai potrà uccidere un uomo. E non conta chi lui sia: il sangue ha lo stesso colore per tutti. Meritavo di essere trattata come Ted Pryce, lo merito ancora. Il senso di colpa mi accompagnerà per tutta la vita. Ma l’uomo che ho accanto ha voluto perdonarmi, e continua a farlo ogni giorno. Ha letto in me qualcosa che non sono capace di vedere neppure io. A me, che sono minuscola al suo confronto, ha donato il suo cuore. A me ha teso la mano, chiedendomi di restare alla sua destra. Questa mattina io volevo fuggire. Non era giusto, non ne sono degna. Io amo l’uomo che è, ma è questa, la verità. Non lo merito, non l’ho mai meritato. Come non sono degna di diventare la vostra regina.
 
Silenzio. Ora nella sala regnava un silenzio colpevole e sospeso, di fronte a quei suoi occhi fieri e lucidi di lacrime.
Le scivolò addosso, piegando il viso contro il suo collo e chiudendo gli occhi.
 
Nella sala si aprì lo scroscio di un applauso.
 
Sarah
 
Il coraggio di una regina. Titolava la prima pagina del Times, la mattina dopo. E la concorrenza era agguerrita ad armi pari, riportando una per una le sue parole.
Eleanor volteggiava fra i corridoi, mostrando a tutti il decollo preso da #QueenSarah e le migliaia di messaggi di sostegno e solidarietà per la prima regina del popolo che il Regno Unito avesse mai visto.
 
La sua porta restava chiusa, la stanza in silenzio nel tepore del primo mattino.
 
Robert l’aveva accompagnata indietro osando l’ennesimo spregio all’etichetta, abbracciandola alle spalle ed accogliendo la sua testa contro la spalla.
Non avevano scambiato una parola, isolandosi dal resto della famiglia per tutta la sera. Lui l’aveva raggiunta sotto la luce della luna e coccolata a lungo, prima di raccoglierla ed appoggiarla sul letto come fosse stato un fragilissimo cristallo.
E poi le si era steso accanto, nascondendola fra le proprie braccia.
 
- Sono stata meravigliosa, vero? – dopo un istante infinito, fece vibrare di nuovo la propria voce contro il suo petto – è bastato un attimo, per rovinare il giorno della tua incoronazione e mandare in frantumi la tua immagine.. la regina perfetta..
- Assolutamente il contrario, Sarah.- replicò lui, costringendola a sollevare il viso ed a guardarlo – e non sono il solo, a pensarlo. Guarda.- raccolse il cellulare dal comodino, si mise a scorrere le ultime news – sei stata sincera col tuo popolo, ti adorano. Ma io di più.- un bacio sulla fronte, uno sulle labbra - andrà tutto bene.
- La fai sempre sembrare facile, tu..
- Io? Sarah, ma ti sei guardata intorno? Mia madre ti ha chiesto di prendere il suo posto. Il suo posto, capisci? Non ti ha mai guardato con tanta ammirazione.. a dire il vero, non ha mai guardato nessuno, in quel modo. E quella giornalista? Accidenti, l’hai sotterrata.. credo ti affiderò tutte le mie conferenze stampa, d’ora in poi.
- Oh, grazie.. lo comprenderemo nel tuo recupero crediti?
- Sì. Forse. Continua a ricordare che sei mia.
- Ah. Che vorrebbe dire-?
- Che mi devi uno di questi – un altro bacio – e uno di questi. E di questi.
Le sue labbra si spostavano sul collo, sulla spalla, e poi giù lungo quanto della sua pelle fosse nudo al suo sguardo. Occhi negli occhi, il sorriso complice. Le sue mani sul viso, poi a segnare il profilo di quelle spalle solide e forti.
Le dita del re scendevano a spogliarla, rubandole l’accesso ai suoi angoli più intimi e segreti. E il sorriso era quello del suo uomo perfetto, mentre la stringeva al proprio calore e la portava lontano con sé.
 
Nocche sulla porta, a risvegliarli nel tepore del primo mattino. L’anta che si apriva senza nessuna richiesta di permesso, sorprendendoli ancora nudi ed intrecciati fra le lenzuola.
Il sospiro della regina Helena, il suo scuotere la testa.
 
In quale lingua ti si devono ricordare i tuoi doveri? Cielo, è completamente andato..
 
Robert raccoglieva i propri vestiti, velocemente e chiedendo ragguagli, cercando disperatamente di salvare la propria credibilità.
A lei non restava che ridere, occhi negli occhi con la suocera.
 
E levati dai piedi, che io e la tua futura regina dobbiamo cominciare a discutere di guardaroba.

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