L'amore è (decisamente) cieco

di Opalix
(/viewuser.php?uid=1985)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mr. & Mrs. Malfoy ***
Capitolo 2: *** (Kind of) strangers in the night ***
Capitolo 3: *** Have you met Miss Weasley? ***
Capitolo 4: *** It's not that you're attractive ***
Capitolo 5: *** Devil in a blue dress ***
Capitolo 6: *** Such a night ***
Capitolo 7: *** Professional secret ***
Capitolo 8: *** Gentlemen prefer blinds ***
Capitolo 9: *** Bye bye baby ***
Capitolo 10: *** How to devorce from a millionaire ***
Capitolo 11: *** From Draco with love ***
Capitolo 12: *** Christmas Carol ***
Capitolo 13: *** Come fly (only) with me ***
Capitolo 14: *** Fly me to the moon ***



Capitolo 1
*** Mr. & Mrs. Malfoy ***


DECLAIMER: niente di mio, nemmeno le comparse.

AVVERTIMENTO: questa storia è da classificarsi AU in quanto non tiene conto dell’esistenza di quell’allucinazione collettiva che ha preso possesso delle ultime pagine di Harry Potter and the Deathly Hallows (l’epilogo, “diciannove-o-qualcosa-del-genere anni dopo”)

CAPITOLO 1: Mr. & Mrs. Malfoy

PRECETTO DI PRYCE-JONES
“Quando sei stufo di te stesso, sposati e stufati di qualcun altro.”

“Draco, io voglio il divorzio.”

Petulante.
Anche quando riusciva a dire qualcosa di assolutamente sensato, Pansy era sempre e comunque petulante.
Draco alzò distrattamente un occhio dalle pergamene che ricoprivano la sua scrivania per prendere atto della – molesta – presenza della sua adorabile mogliettina.
Certo, pensò, non si poteva negare che Pansy Malfoy, nata Parkinson, fosse estremamente decorativa. Era una ragazza di aspetto piacevole, gusti raffinati e maniere impeccabili quanto il suo pedigree, ed era una ragazza che poteva essere resa felice con frequenti, costosi regali e relativamente poco impegno. Quando l’aveva sposata, sei o sette anni prima, aveva pensato che sarebbe stato così carino averla intorno, accompagnarla alle serate eleganti, sentire le sue chiacchiere ogni mattina a colazione, e ascoltare il puntuale resoconto dei pettegolezzi di società ogni sera a cena.
Peccato che quel delizioso fiore di serra si fosse trasformato, negli anni, in un rampicante parassita e velenoso, in grado di risucchiare piano piano la pazienza e la buona volontà di cui Draco credeva di essere dotato. Oltre alle sue finanze.
Ed ora quel gatto persiano di razza purissima se ne stava in piedi, al centro del suo ufficio, tronfio nella sua pelliccia alla moda, e dall’alto dei suoi tacchi puntava sul marito il musetto atteggiato in una smorfia sprezzante.
“Mi sembra opportuno,” concesse Draco, riabbassando lo sguardo.
Mrs. Malfoy piantò una mano sul fianco e raddrizzò ulteriormente la schiena.
“Potresti prestarmi attenzione mentre ti parlo di cose serie!”
Il marito sospirò e ripose la lunga piuma di cigno; appoggiò stancamente i gomiti sulla scrivania e si decise a concedere a Pansy l’attenzione che lei aveva preteso con tanto garbo e gentilezza.
“Non preoccuparti, è difficile ignorarti quando spalanchi la porta del mio ufficio con tanta grazia e delicatezza. Per inciso, cara, ti ho chiesto mille volte di non usare quei tacchi in queste stanze: il parquet di quercia rossa è delicato.”
Pansy scrollò le spalle con indifferenza.
“Ho già contattato il mio avvocato.”
“Thed è il MIO avvocato, Pansy.”
“E cosa te lo fa pensare?”
Draco sollevò un sopracciglio.
“Il fatto che le sue parcelle sono indirizzate a Draco Malfoy?”
Pansy avanzò di gran carriera e sbattè i palmi aperti sul mogano della scrivania. Il marito fu costretto a ritrarsi di qualche centimetro, per portarsi a distanza di sicurezza dagli artigli laccati di rosso.
“Theodore farà esattamente quello che gli dico!”
“Possibile,” riflettè Draco, “dipende da cosa gli prometti per dopo il divorzio, suppongo.”
“Non osare!”

Ecco.
Convenientemente arrabbiata, Pansy smetteva di essere petulante.
E diventava… assordante.
Draco si massaggiò la fronte, infastidito.
“Tesoro, per cortesia, non strillare, lo sai che mi da il mal di testa. In fondo non ho detto nulla di male: se Thed sceglierà di lavorare per te, io troverò un altro avvocato. Non è un problema. Ora ti prego, dovrei davvero finire di sbrigare la corrispondenza, possiamo parlarne a cena come due persone civili?”
Pansy si raddrizzò, recuperando il suo autocontrollo, e sorrise. O qualcosa del genere.
“Certo. Hai ragione. La cena è alle sette, caro, come sempre.” disse con calma, inclinando graziosamente la testa. I capelli neri, che ricadevano sull’occhio sinistro in un’onda studiata, nascosero il lampo di trionfo che passò nel suo sguardo.
Andandosene, Pansy si fermò un istante sulla porta e lanciò uno sguardo al marito al di sopra della spalla.
“Draco?”
“Si, Pansy?”
“Voglio la tenuta in Bretagna. E l’attico su Diagon Alley.”
Draco chinò la testa per nascondere un sogghigno.
“Ci vediamo a cena, cara” disse, riuscendo a dare alla propria voce un tono vagamente rassicurante. Sentì le scarpe ticchettare sul pavimento e, quando alzò lo sguardo, Pansy era sparita.

SECONDA LEGGE DI GUITRY:
“Se uno ti porta via la moglie, la miglior vendetta è lasciargliela.”

Draco fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere di martini e cercò di rilassare le spalle contratte. Vide la persona che stava aspettando entrare trafelata nel pub e guardò l’orologio, con aria infastidita: le sei e quaranta.
“Sei in ritardo.”
Theodore Nott lasciò cadere il mantello bagnato di pioggia sulla poltroncina e si sedette, per nulla intimidito. Nonostante l’aria quasi esausta e i capelli neri arruffati dall’umido autunno inglese, il completo elegante e la camicia immacolata al di sotto di quel pizzetto curato gli conferivano un aspetto serio e distinto, ringiovanito appena dagli occhi di un celeste smagliante. Con quegli occhi da principe azzurro, Theodore sembrava guardare il mondo con il continuo divertimento di un ragazzino troppo cresciuto.
“Lo sai che lavoro fino a tardi.” Alzò una mano per chiamare la cameriera, “un martini anche per me, piccola. Veloce: il signore, qui, ha fretta di tornare dalla mogliettina.”
Draco storse la bocca, disgustato.
“A proposito di mogliettina. Immagino che Pansy ti abbia contattato.”
Thed si appoggiò allo schienale della poltrona e lo guardò di sottecchi.
“Subito al sodo, Draco? Dov’è finita la diplomazia Slytherin?”
“La sto risparmiando per i tempi di carestia.”
Thed rise di gusto e prese a mordicchiare l’oliva del suo martini.
“Ok. Dimmi che devo fare allora. Sei tu che mi paghi.”
Draco poggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita sotto al mento, il viso atteggiato in un’espressione esageratamente calcolatrice.
“Puoi farle da avvocato,” concesse.
Thed piegò la testa da un lato.
“E tu?”
“Ne troverò un altro.”
“Non ne troverai uno migliore di me per le cause civili. Pochi sono disposti a lavorare per Malfoy.”
“Non mi interessa. Voglio che ottenga tutto quello che vuole, purchè si tolga dai piedi. Occupati solo che abbia la custodia assoluta di Melanie. Un lavoro pulito, senza scandali.”
“La custodia di Melanie? Sei sicuro?”
Una visione di una bambina bruna, dai grandi occhi da birbante e un vezzoso fiocco di velluto rosso legato ai capelli attraversò la mente di entrambi. Draco alzò le spalle e si accese una sigaretta. Theodore si sporse verso di lui sul tavolo.
“Questo significa che se lei decidesse di andare a vivere dall’altra parte del mondo, potrebbe farlo e portarsi dietro la piccola.”
Malfoy soffiò uno sbuffo di fumo e allargò un braccio con aria annoiata.
“Andiamo Thed. Non ti aspetterai che creda che quella bambina è figlia mia, spero.”
Theodore distolse lo sguardo di scatto, imbarazzato, e Draco sogghignò.
“Non è nemmeno tua, sta tranquillo, sarebbe più intelligente se lo fosse. Ascolta,” abbassò la voce “non ho intenzione di dire nulla al giudice sul modo in cui Pansy prodiga i propri favori all’esterno del sacro vincolo, ma posso assicurarti che so tutto quello che c’è da sapere. Voglio un divorzio rapido e indolore: lei non deve uscirne come la moglie adultera, non voglio sospetti, anzi non voglio nemmeno che se ne parli in giro se posso evitarlo… falle da avvocato, falle ottenere la custodia di Melanie, un assegno mensile esorbitante, l’attico a Diagon Alley, e tutto quello che vuole. Tutto, sono stato chiaro? Toglimela dalle palle: non voglio più sentire i suoi tacchi sul mio fottuto parquet per il resto della mia vita. Poi puoi tenertela: a quel punto sarà così ricca che potrà pure mantenerti.”
“Draco…”
Malfoy alzò una mano.
“Non mi interessa, Thed. Sul serio. E adesso devo andare: ho promesso a mia moglie di essere a casa per cena.”
“Aspetta!”
“Che c’è?”
“Lei vorrà anche la tenuta in Bretagna.”
Draco sogghignò, aggiustandosi la spilla del mantello sulla spalla.
“Quelle tenute sono intestate a mia madre, Theodore. Se le vuole, dovrò andarle a chiedere a lei….”
Lo sguardo raggelato di Theodore Nott seguì il mantello nero di Malfoy che si allontanava, fendendo la folla con l’arroganza di chi ha quello che a tutti gli altri manca: i soldi. Tanti.

DETTO POPOLARE
“La vipera che morsicò mia suocera morì avvelenata.”

Il mattino dopo.

Gli uomini di casa Malfoy avevano notoriamente un mirabile senso estetico nello scegliersi le mogli.
Da un po’ di tempo Draco riteneva però che il DNA Malfoy avesse qualcosa di fallato – un istinto primordiale o forse una mancanza di esso - che portava inesorabilmente gli uomini della famiglia a sposare delle autentiche vipere travestite da belle donne.
“Mamma,” sospirò Draco, rivolgendo un saluto all’esemplare splendidamente conservato di pura razza Black che gli si era materializzato davanti. A stento si trattenne dal nascondersi sotto la scrivania e tapparsi le orecchie come un bambino: uno spessore di dieci centimetri di mogano massiccio non avrebbe comunque fornito un isolamento acustico adeguato nel caso in cui Madama Narcissa avesse deciso di esprimere la propria opinione. E ad occhio e croce era esattamente quello che stava per fare.
“Draco, esigo una spiegazione.”
Narcissa Malfoy, nata Black, gli stava davanti col mento sollevato e le mani sui fianchi, puntando i tacchi nel pregiato parquet; Draco pensò che le donne della sua vita lo avrebbero presto costretto a far sostituire quel particolare asse di legno. Da quell’ufficio lussuoso dirigeva da anni il vasto impero finanziario Malfoy, con abilità e intelligenza… ma gli esemplari femminili della sua famiglia continuavano ad essere ben al di là della sua giurisdizione.
Le donne saranno la tua rovina, vecchio mio. Ti strapperanno anche la pelle, e poi diranno che è insufficiente per fabbricare un coordinato borsa e scarpe.
“Riguardo a cosa, mamma?”
I palmi di Narcissa si abbatterono sulle carte di Draco facendolo sobbalzare sulla sedia. La sensazione di deja-vu si intensificò di pari passo con il suo mal di testa.
“Non fare l’imbecille con me, Draco. Ho saputo del divorzio.”
“Oh, Pansy è venuta a confidarsi con te? Che carine…”
Narcissa si tirò indietro di scatto, disgustata.
“Ma assolutamente no!” esclamò, “l’ho saputo dagli elfi domestici, mi sembra chiaro.”
Draco maledì mentalmente quelle dannate bestie e si ripropose di schiantarne sei o sette non appena gli sarebbero capitati a tiro.
“Bene, dunque sai già quello che c’è da sapere. Cos’altro desideri da me?”
“La promessa che tutto si svolgerà nel modo più silenzioso e pulito possibile.”
“Sarà così. Ho già disposto tutto.”
Madama Narcissa sembrò calmarsi e si sedette con grazia sulla poltrona, scrutando il figlio che le offriva un portasigarette d’argento.
“Voglio essere chiara, Draco,” ribadì accendendosi la sigaretta, “non ho lavorato tutti questi anni per ristabilire l’onore e il buon nome di questa famiglia, per poi vederlo gettare alle ortiche perché ti sei stancato della tua mogliettina. Per quanto petulante, Pansy è una ragazza rispettabile e benvoluta in società. Sua madre e la sua cricca ci servono. Non possiamo permetterci di perdere il rispetto che abbiamo ottenuto da quando tuo padre ci ha fatto la grazia di farsi condannare.”
“Farò tutto quello che posso perché Pansy se ne vada da questa casa senza lamentarsi con la stampa. Non ci saranno pettegolezzi e nessuno tirerà fuori dal cappello figli illegittimi o amanti bisognosi di soldi. D’altra parte, formalmente è stata lei a chiedere il divorzio…”
“E tu avresti dovuto negarglielo! L’apparenza è tutto per gente come noi: io sono ancor sposata a tuo padre, nonostante il Wizengamot mi abbia fatto la cortesia di sbatterlo ad Azkaban!”
Draco sogghignò.
“Si. E sei anche fedele quanto una novella sposina: hai cambiato cinque giardinieri negli ultimi tre anni perché non ti piaceva come curavano le rose.”
Narcissa arricciò il nasino aristocratico.
“Le persone che decido di ricevere nei miei appartamenti privati non ti riguardano, Draco” snocciolò freddamente.
“Ma mi riguardano quelle che mia moglie decide di ricevere nei miei! Cosa avrei dovuto fare? Permetterle di dare il mio nome ad altri due o tre piccoli bastardi solo perché la società la considera ancora una moglie perfetta?”
“La società può ancora rovinarci!” Narcissa si alzò e prese a passeggiare avanti e indietro, agitando nervosamente la sigaretta. “Oh, lo so Draco! Vorrei soltanto che quella ragazzina fosse stata una moglie migliore per te! Un divorzio gestito male potrebbe gettarci di nuovo nel disprezzo…”
Aveva ragione, e Draco lo sapeva, conosceva le parole nascoste tra quelle imprecazioni lamentose. Da quando Potter aveva fatto sì che Voldemort lasciasse questa valle di lacrime, i giornali non facevano che riportare futili pettegolezzi dell’alta società, come se non ci fosse altro di interessante al mondo. Eppure bastava un’ombra, un lieve sospetto di crudeltà o spregiudicatezza, un comportamento poco meno che impeccabile… bastava un minimo errore per rigettare nel disprezzo e nell’ignominia una famiglia che un tempo era stata implicata con Voldemort. Anche dopo morto, definitivamente morto, quel mostro riusciva a seminare zizzania.
Draco si alzò e posò una mano sulla spalla esile della madre.
“Lo so perfettamente, mamma, ma non preoccuparti. Sto già predisponendo tutto: il divorzio sarà rapido e il più possibile indolore, io mi comporterò da perfetto gentiluomo e darò a Pansy tutto ciò che desidera. Non sono i soldi che ci mancano. E Pansy si comporterà come si conviene ad una donna della sua classe, andandosene da questa casa il più in fretta possibile… Sa che ha troppo da perdere: non credo sarebbe difficile dimostrare che non sono il padre biologico di Melanie, anche se preferirei non dover arrivare a tanto. Thed mi aiuterà, è il miglior divorzista in circolazione.”
Narcissa strinse gli occhi grigi.
“Terrai come avvocato l’amante di tua moglie?”
“No. Thed sarà l’avvocato di Pansy.”
Si guardarono per qualche istante negli occhi, due paia di occhi così simili tra loro, e si sorrisero con aria diabolica.
“Perfetto, Draco… davvero perfetto! Poi non ci resterà che trovarti una seconda moglie adeguata a…”
Draco nascose a malapena un’espressione di orrore puro, “Mamma! No! Toglietelo dalla testa.”
“Ok, ok…” lo blandì Madama Narcissa agitando una mano. Se Draco la conosceva bene la metà di quanto pensava, nel cervello di Narcissa stava prendendo forma la lista di tutte le purosangue nubili in circolazione, rigorosamente in ordine di reddito. “Una cosa per volta, caro. Oh, regala a Pansy quell’attico su Diagon Alley… ormai è così demodé avere un appartamento in centro…”
“Ci avevo già pensato, mamma” rise Draco, “il problema potrebbero essere le pretese di mia moglie sulle tenute in Bretagna…”
Narcissa alzò un sopracciglio.
“Che provi a strapparmele...”

LEGGE DEL FATO
Ognuno di noi ha una donna che gli è stata destinata dal fato. Se riusciamo a evitarla, siamo salvi.

Sera tardi, uno qualsiasi dei giorni successivi.

Draco non era ancora riuscito a capire la differenza tra i ricevimenti di società e un tentato omicidio di massa nel pieno di una parata carnevalesca. Fondamentalmente, le signore facevano a gara nello sfoggiare costosissimi, nonché improbabili, abiti d’alta moda, mentre i signori passavano il tempo a desiderare di strangolarsi a vicenda con le impeccabili cravatte. O a strangolare le proprie mogli.
Lanciò un’occhiata a Pansy che sventolava la mano sinistra mentre chiacchierava animatamente con altre donne – delle quali sapeva avrebbe dovuto ricordarsi i nomi e chi avevano sposato, ma per questo c’era sempre stata Pansy al suo fianco, un po’ come un’agenda telefonica da portarsi in giro, però più carina. Sulla mano sinistra di Pansy brillava un diamante dalla caratura quasi imbarazzante, il regalo che lui le aveva fatto in occasione del il loro matrimonio, sette anni prima… gli si strinse la gola ripensando a quel giorno ormai lontano in cui aveva creduto che non si sarebbe mai più sentito solo, che avrebbe avuto qualcuno, qualcun fatto solo per lui da cui tornare la sera, qualcuno a cui pensare mentre era fuori e passava davanti ad un fioraio, qualcuno il cui viso si sarebbe illuminato per un regalo inaspettato. Per sempre.
Draco si concesse di allentare appena la cravatta ma la sensazione di strangolamento non accennò ad attenuarsi. Incontrò gli occhi di sua moglie e le lanciò uno sguardo che lei conosceva bene, il segnale che avrebbe dovuto liberarsi con gentilezza delle sue interlocutrici e raggiungerlo; Pansy accennò con il capo di aver afferrato e cominciò a scusarsi con quella sua cortese affabilità, frutto di anni e anni di duro allenamento sociale.
“Che c’è, caro?”
“Ho bisogno di andarmene. Riesci a scusarmi con i Greengrass senza che quella vecchia tartaruga cominci a spettegolare?”
La voce bassissima, la mano posata mollemente sul fianco della moglie, lei che gli sistemava con un gesto quasi affettuoso il nodo della cravatta… abitudini distratte, la facciata di un matrimonio perfetto da mostrare al mondo, frammenti di quelle maschere che si indossano anche in privato perché toglierle è troppo faticoso.
“Certamente. Dove vai?”
Draco pensò che se lei avesse fatto una scenata e gli avesse detto di risolversi da solo le sue fottute paturnie, forse avrebbe anche potuto pensare di provare a conquistarla di nuovo. Forse con un diamante ancora più imbarazzante… una pietra così grossa che avrebbe avuto bisogno di un elfo domestico per portarsela in giro.
“In ufficio, probabilmente. A domani, tesoro.”
Pansy gli baciò la guancia a beneficio delle signore – vecchi avvoltoi spelacchiati che erano i cento occhi di quel mostro chiamata “società” – e gli rivolse un sorriso freddo.
“Non lavorare fino a tardi.”

Draco Malfoy amava camminare.
Questa era una delle tante verità che preferiva tenere nascoste: una cosa tanto volgare non si addiceva a un gentiluomo della sua levatura. Nessuno del suo ceto sociale si sarebbe mai sporcato la suola delle scarpe nelle pozzanghere della vecchia Londra, né tantomeno infangato l’orlo del mantello sul selciato di una Diagon Alley mezza deserta, a quell’ora tarda della serata.
Ma Draco Malfoy amava camminare, anche e soprattutto di notte. In quel momento gli sembrava che le vocette bastarde dei suoi martoriati neuroni si quietassero, insieme al fastidioso e insistente ronzio prodotto dalle persone da cui era attorniato durante la giornata. Silenzio: dentro e fuori.
I rumori del mondo, quella parte di mondo così estranea alla sua vita, non sembravano infastidirlo: le risate degli uomini all’uscita del pub, le chiacchiere dei rari passanti, gli incantesimi sussurrati sulle scope perché nessuno le rubasse mentre i proprietari si concedevano burrobirre calde al Paiolo Magico… se tante persone insieme dicono le stesse cose, in fondo, è come se nessuno dicesse nulla. Purchè avessero la buona grazia di non strillargli nelle orecchie.
Puntò la bacchetta al proprio viso e mormorò un incantesimo di dissimulazione, per rendere i propri capelli meno biondi, i lineamenti meno aristocratici, gli abiti meno ricercati… non era una vera e propri maschera, chi lo conosceva bene avrebbe potuto identificarlo ugualmente, ma l’incanto smorzava i toni e lo rendeva meno appariscente in mezzo alla plebe che frequentava il locale in cui stava per entrare. Funzionava bene: nessuno degnava di uno sguardo quello strano e solitario straniero che saltuariamente veniva a bersi un firewhisky in santa pace.
Il locale era affollato, caldo e rumoroso; sotto la luce dorata maghi e streghe più o meno giovani si stringevano attorno a tavoli di legno consunti, boccali e bicchieri gocciolanti svolazzavano sulle teste degli avventori, e sbrigativi incantesimi di pulizia venivano strillati dalle cameriere non appena un tavolo veniva liberato. Draco si sedette in disparte, fece un ceno alla cameriera e prese ad osservare le persone attorno a lui, ai tavoli o sulla piccola pista da ballo… un vecchio grammofono levitava a mezz’aria vomitando a tutto volume un gracchiante rock’n’roll delle Sorelle Stravagarie.
La sua educazione e il suo status sociale gli imponevano di mostrarsi al mondo con il viso atteggiato in una maschera di noia perenne, come se nulla all’infuori di se stesso e della propria brillante esistenza fosse degno del benché minimo interesse. Un dettaglio trascurabile che l’esistenza di Draco Malfoy fosse in realtà una solenne rottura di palle.
Il suo sguardo si posava sugli altri astanti con una sorta di clinico interesse: distaccato e, allo stesso tempo, curioso. Osservava gli uomini e le donne della sua età, persone che vivevano con molta più difficoltà, che dovevano fare i conti con l’affitto, con i figli, con i medimaghi e con quei pochi galeoni che si ritrovavano in tasca… persone infinitamente più sfortunate di lui. Osservava i loro visi aprirsi in sorrisi, illuminarsi per le risate, rabbuiarsi di preoccupazione, ammorbidirsi di dolcezza per la moglie al proprio fianco. Lui sentiva di non provare mai nemmeno la metà di quelle sensazioni… e se anche le avesse provate, gli era stato insegnato che era così volgare manifestarle apertamente!
In fondo alla sala, sulla piccola pista da ballo, una coppia che si scatenava in un rock’n’roll attirò la sua attenzione. Lui era alto, largo di spalle e ben piazzato ma non particolarmente muscoloso; il viso sorridente non era né bello né elegante, ma abbastanza virile e regolare… e portava stampata nei grandi occhi buoni da pastore tedesco la forza d’animo e la stentorea lealtà che contraddistingueva alcuni bravi Gryffindor. Neville Paciock. Draco incurvò le labbra in un sorrisetto stupito… uno dei mitici eroi-per-caso della Seconda Guerra, uno di quei diciassettenni pronti a morire, leali fino alla morte, piccoli cavalieri senza paura ma col mantello pieno di macchie, paladini della resistenza come solo la torre di Griffyndor ne riusciva a sfornare.
Una figuretta piccola e agile seguiva Paciock in veloci giravolte, facendo ruotare la gonna leggera e ampia. Finita la musica, si appoggiò al braccio del suo cavaliere ridendo e cercando di sistemarsi i capelli con le dita, senza ottenere il minimo successo. Il colore del suo abito era così fuori moda che avrebbe fatto arricciare il nasino di Pansy a venti metri di distanza, e il taglio di quella gonna era abbastanza babbano da risultare quasi volgare. Una pioggia di capelli rosso fuoco le ricadeva sulla schiena, e quel rosso era un marchio inconfondibile: Weasley.
Draco soffocò una risata incredula e un sorso di firewhisky finì nel buco sbagliato.

LEGGE DELL’IDRAULICA CIBERNETICA DI LUBARSKY
C’è sempre una nuova falla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** (Kind of) strangers in the night ***


CAPITOLO 2: (KIND OF) STRANGERS IN THE NIGHT

LEGGE BIBLICA DI WILDE
Il libro della Vita inizia con un uomo e una donna in un giardino. E finisce con l’Apocalisse.

Nella grande veranda coperta in cui la famiglia Malfoy era solita sorseggiare il caffè di prima mattina – l’alba delle dieci e un quarto, su per giù – l’aria era impregnata del profumo sofisticato delle orchidee, i fiori preferiti di Pansy. Le grandi vetrate, in parte nascoste dalle foglie lucide e dai fiori bianchi e rosati, lasciavano entrare in quel piccolo paradiso fiorito la luce velata di quel mattino nebbioso.
Draco lanciò un’occhiata al di sopra del Daily Prophet per vedere la Signora fare il suo ingresso, con la mandria al seguito – quattro cagnolini di aspetto vagamente topiforme, rumorosi, molesti… aggressivi a livello dei malleoli.
“Buongiorno, Draco” salutò Pansy.
“Buongiorno, Pansy…” rispose il marito, allontanando uno dei mostriciattoli con la punta della scarpa, “tieni le tue bestie lontane dai miei pantaloni, per cortesia: devo uscire.”
“Bon Bon, vieni qui! Vanya! Stai vicino a me, piccola, non preoccuparti…”
Draco abbassò il giornale e guardò la moglie passeggiare davanti alle sue meravigliose orchidee, accarezzandone qualcuna. Era piccola, Pansy, non arrivava nemmeno al metro e sessanta, ma quel che c’era era… ben distribuito. L’abito semplice fasciava i seni abbondanti e i fianchi torniti, e il colore rosso-violaceo della stoffa faceva risaltare la sua pelle bianca e i suoi capelli neri: un insieme di contrasti che era parte del fascino che esercitava sugli uomini. I suoi occhi scuri, grandi e umidi in mezzo a quel viso di perla, sembravano sempre promettere il mondo, e non rivelavano nulla di ciò che avrebbero chiesto in cambio… Era un’affamata pianta carnivora, travestita da candida e raffinata camelia.
Melanie entrò di corsa nella veranda, inciampò su uno dei cani e ruzzolò rovinosamente sul pavimento. La bambina strillò, il cane abbaiò, Pansy esalò un gemito preoccupato… Draco si portò le dita alle tempie, pregando che la piccola non cominciasse a piangere. Melly sollevò sul “padre” gli occhioni castani, sgranati e già velati di lacrime e la sua bocca tremolava come per scoppiare in un pianto dirotto.
Oh, no.
“Melly, tirati su, ho un regalo per te!” disse Draco.
Il vecchio trucco. Funzionava sempre: Melanie balzò in piedi, strofinò il ginocchio con una mano e corse ad aggrapparsi ai pantaloni di Draco con le manine sporche di polvere, marmellata e pelo di cane. Draco si astenne dall’imprecare e fece apparire un pacco con un enorme fiocco argentato; il fiocco si sciolse mandando piccole scintille colorate che fecero strillare la bambina di gioia. Dal pacco emerse un piccolissimo manico di scopa, la misura più piccola in commercio, Draco aveva dovuto farla arrivare dalla Spagna. Al di sopra degli strilli felici di Melly la voce fredda di Pansy raggiunse le sue orecchie, con un tono che non lasciava presumere nulla di buono.
“Draco, non ti pare un po’ prestino per iniziare a volare? Ha poco più di tre anni: vuoi che si rompa l’osso del collo?”
Che insolenza. Ecco cosa otteneva per aver concesso pure il proprio nome ad una piccola bastarda.
“Non diventare ansiosa, cara,” sospirò, “è praticamente un giocattolo, non credo che possa staccarsi più di un metro da terra.”
Melanie salì a cavalcioni sulla scopa, fece un giro attorno al tavolo librandosi incerta all’altezza delle cosce della madre. Tentò di atterrare vicino alla sedia di Draco ma la scopa sembrò non obbedirle: ruzzolò di nuovo sul pavimento e il manico di legno lucido la colpì sulla testa nel punto esatto in cui un enorme e grottesco fiore di vernice rosa adornava il cerchietto sui riccioli bruni. La bambina scoppiò a piangere disperatamente e Pansy corse in suo aiuto, lanciando un’occhiataccia a Draco, che aveva ripreso a massaggiarsi le tempie.
“Su, tesoro, hai tanti anni per imparare, non piangere”
Draco sollevò un sopracciglio: l’unica persona che aveva visto compiere un atterraggio altrettanto rovinoso da una scopa era un ragazzo bruno di diciannove anni che avevano assunto come giardiniere tre o quattro anni prima – com’è che si chiamava? Rolan, Rowin… Rowland! John Rowland. Il suo pollice verde era pessimo quanto il suo equilibrio sulla scopa, più o meno. Ma dal modo in cui Pansy lo osservava mentre innaffiava a petto nudo si poteva supporre che avesse altre doti. Era molto probabile che Melanie non avesse poi tante speranze di migliorare nel volo.
Pansy suonò un campanello e un elfo domestico vestito da nanny sbucò dal nulla per accompagnare la piccola, ancora frignante, nella sua stanza. Pansy seguì Melanine con uno sguardo affettuoso, poi si sedette e riprese a fare colazione.
“Ti sei alzato tardi stamattina,” disse a Draco, con indifferenza, “dove sei stato ieri sera?”
Draco ritornò a guardare il giornale, ma i suoi occhi si rifiutavano di focalizzarsi sulle parole. Era tornato molto tardi la sera prima, sapeva che Pansy sapeva, nonostante non dormissero più insieme da più di due anni, non c’era nulla di cui la Signora non fosse a conoscenza.
“Mi sono assopito sulla poltrona in ufficio” rispose.
Pansy strinse gli occhi neri e lo scrutò per un istante; Draco sollevò il viso e sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi si girò a fissare le orchidee, perso nei suoi pensieri.

LEGGE DI CHEVALIER:
“Non innamorarti mai di una persona con una luce più fioca di quella che ti serve per sceglierti un vestito.”

La sera prima.

“La signorina permette un ballo?”

Se Draco Malfoy fosse cresciuto tra le sottane di mamma Weasley sarebbe stato opportunamente istruito sul come contare fino a dieci, e magari mordersi anche la lingua a sangue, prima di emettere suoni. Ma il signor Malfoy era stato educato da una molto meno presente Madama Narcissa per cui, a parte strangolarsi con un sorso di firewisky, cosa che – sfortunatamente – non sembrava averlo ucciso, non fece assolutamente nulla per aumentare le proprie chance di mettere in fila quattro parole sensate.
Di conseguenza, il signor Malfoy si avvicinò a Ginevra Weasley con questa brillante uscita.
“La signorina permette un ballo?”
Il tono aveva un che di ironico senza essere offensivo, l’atteggiamento era accattivante, la mano tesa era invitante. Se lui non fosse stato Draco Malfoy e lei non fosse stata Ginevra Weasley, la situazione non sarebbe stata scabrosa nemmeno la metà. Lui sarebbe stato un perfetto gentiluomo, lei una graziosa fanciulla che avrebbe accettato con un bel sorriso, avrebbero ballato, si sarebbero presentati e, con ogni probabilità, il Paciock di turno se ne sarebbe tornato solo soletto al suo lettuccio. Data la situazione – e poiché Draco dubitava fortemente che l’incanto di dissimulazione avrebbe fregato gli occhi e la memoria della Weasley - si sarebbe beccato l’equivalente legale di una Cruciatus. Se qualcuno gli avesse chiesto cosa lo avesse spinto a compiere quella sconsiderata azione probabilmente si sarebbe visto rivolgere uno sguardo vitreo da schiopodo sotto formalina.
Quello che stava per succedere, però, non avrebbe potuto prevederlo nemmeno Sibilla Cooman. O magari si… ma solo dopo sei bicchieri di acquaviola.
Se fosse stato Draco a ballare con una graziosa ragazza e qualcuno avesse avuto l’ardire di avvicinarsi e fare quella proposta cretina, il malcapitato sarebbe stato opportunamente fulminato con lo sguardo. Neville Paciock invece rivolse all’estraneo la sua tipica occhiata da Golden Retrivier bisognoso di coccole, le sopracciglia appena aggrottate in una espressione di dubbio, ma senza la minima ombra di sospetto o di malizia.
Beh, ok: era praticamente una vita che non si incontravano. Era normale che non lo avesse riconosciuto, con quell’incantesimo di leggera dissimulazione addosso… In fondo era fatto apposta. E poi, in un certo senso, era consolante che Paciock non lo avesse mai guardato così intensamente da imprimersi le sue eteree sembianze nella memoria.
Però Draco ci rimase male.
E ci rimase ancor più male quando la Weasley, invece di soffiare come una gatta e sfoderare le unghie per cavargli gli occhi, si guardò intorno con un’espressione persa, vagamente spaurita.
Paciock le strinse il polso con affetto, quasi per rassicurarla, e si schiarì la gola.
“Beh… se la signorina ha ancora voglia di ballare,” disse, senza troppa convinzione, “non vedo perché no.”
Spinse gentilmente Ginevra Weasley nella direzione del biondo estraneo e solo allora le lasciò la mano.
“Sono al tavolo, Gin, ti aspetto” mormorò, poi alzò lo sguardo, così disgustosamente gentile che Draco sentì quasi un conato di vomito, “per cortesia, la riaccompagni a quel tavolo laggiù, dopo.”
Malfoy alzò un sopracciglio: la riaccompagni al tavolo? Cos’era, una bambina di sei anni?!?
La Weasley gli stava davanti e sembrava fissare un punto invisibile al di sopra della sua spalla, l’aria palesemente imbarazzata e un sorriso forzato sulle labbra; proprio in quel momento partì un vecchio brano jazz, lento ma non troppo, e la ragazza alzò le mani verso di lui.
“Non dovevamo ballare…?”
La mano sinistra di Ginny Weasley si muoveva lentamente nell’aria, cercando l’appoggio della sua spalla, mentre la destra aspettava ferma che lui la prendesse. Le sue dita sfiorarono la stoffa della camicia di lui, all’altezza del cuore, e poi proseguirono verso l’alto fino a posarsi al fianco del colletto.
“Sei alto!” esclamò sottovoce.

COROLLARIO ALLA LEGGE DI MURPHY
“Sorridi. Domani sarà peggio.”

Come un automa, Draco prese la mano che stava ferma a mezz’aria e cominciò a camminare verso il centro della pista. Era una bella fortuna che sapesse ballare alla perfezione, perché se il suo cervello avesse dovuto anche pensare a muovere i piedi in quel momento forse si sarebbe surriscaldato.
Ginny seguiva i suoi movimenti senza fatica e sembrava pure che quella musica le piacesse. I suoi occhi scuri si muovevano nel nulla, il suo sorriso era imbarazzato, il suo silenzio pieno di domande curiose e di aspettativa… Nessuna di queste emozioni era tra quelle che Draco si era aspettato di veder passare sul quel viso, non in sua presenza.
Certo, Draco aveva dato per scontato che lei lo avrebbe guardato in viso e riconosciuto: lo avrebbe scrutato per un po’, poi i suoi occhi si sarebbero stretti, sarebbe arrossita, le sue guance sarebbero rientrate come dopo aver assaggiato un limone e un salutare, rassicurante, sguardo di puro disgusto si sarebbe abbattuto su di lui. In tutto questo, era ancor più scontato il fatto che lei lo avrebbe… visto.
Come diamine aveva fatto a non rendersi conto che quella ragazza era diventata cieca?!?

“Something in your eyes was so inviting…”
Frank Sinatra
“Strangers in the night”

Ginny Weasley si schiarì la voce. Oppure soffocò una risata. Impossibile dirlo.
“Non si può dire che tu sia un uomo di molte parole…” disse, sorridendogli più apertamente.
Forse il griffyndorianesimo è contagioso. Altrimenti non si sarebbe potuto spiegare perché improvvisamente Draco Malfoy decise di rispondere dicendo la verità.
“Mi dispiace,” rispose, cercando di assumere un tono naturale, “da lontano non mi ero reso conto, sono rimasto… stupito.”
Ginny rise, scuotendo i riccioli rossi. “Oh, ti riferisci ai miei occhi! Scusami tu: mi capita così raramente di incontrare persone che non sanno della mia cecità.” Dopo un istante aggiunse, senza troppa convinzione, “se ti imbarazza possiamo smettere di ballare, non mi offendo.”
“No, figurati. Voleva essere un complimento… Non si nota, ti muovi alla perfezione. Hai questo problema da… dalla nascita?”
Recuperando il controllo di se stesso, Draco riusciva a dare alla sua voce la giusta nota di innocente curiosità… Nel frattempo i suoi poveri neuroni facevano gli straordinari cercando un modo per uscire da quella ridicola situazione senza scoprirsi.
La Weasley inclinò la testa da un lato. “Ho perso la vista quattro anni e mezzo fa” disse sottovoce, “Ma… sei straniero?”
“Perché?”
“È stato l’anno in cui il Puddlemore ha vinto il campionato. Ero cacciatrice, mi sono infortunata durante quella finale. Un bolide e… di solito la gente si ricorda quella storia, sono stata sul Daily Prophet per settimane.”
Draco si sforzò di ricordare. Quattro anni e mezzo… Era in Germania per affari quell’estate; e quando era tornato Pansy era incinta. Di certo non aveva avuto tempo di leggere la cronaca sportiva. “Oh…” finse di fare una faticosissima radice quadrata di due più due, “dunque tu sei Ginevra Weasley, la fidanzata di Potter.”
Il sorriso sulle labbra della Weasley si raffreddò un pochino.
“Anche quello risale a circa quattro anni fa.”
Dunque Potter non ronzava più nei paraggi, e a giudicare dal fatto che la Weasley non sembrava intenzionata ad aggiungere altri dettagli, la questione non doveva essere finita con una stretta di mano. L’eroico Potter che scappava spaventato davanti alla prospettiva di doversi occupare di una ragazza cieca… A Draco veniva da ridere. Forse l’idea che la sua fidanzata non potesse più guardare, adorante e sbavante, i suoi famosi occhioni verdi lo destabilizzava. E dire che, se non altro, lui avrebbe potuto continuare a guardare lei…E, nella modesta e spassionata opinione di Draco Malfoy, non era per niente un brutto guardare. La Weasley era piccolina più o meno quanto Pansy, ma sembrava ancora più minuta a causa delle scarpe piatte che indossava; il fisico era privo di curve mozzafiato, ma snello e tonico. Il viso, pur senza l’eleganza regolare e altezzosa di quello di Pansy, era piacevole, con quel sorriso luminoso, le labbra piene e sexy, e il naso dalla curva impertinente all’insù. Il suo vero fascino però – e Draco avrebbe baciato appassionatamente un dissennatore piuttosto che ammetterlo – stava in quei capelli, di un rosso intenso, quasi volgare, che ricadevano in onde morbide e spettinate sulla schiena, accarezzando invitanti la mano di lui che la guidava nel ballo. Non poteva essere considerata una bella donna, non nel senso comune dell’espressione, ma aveva una grazia spontanea da ragazzina e un fascino un po’ selvatico, misterioso senza affettazione, che rappresentava per Malfoy un’eccitante novità. Che Potter fosse un coglione non era certo una news da prima pagina, ma era rassicurante poter trovare ancora nuove ragioni per ritenerlo tale.
“E…” riprese Ginny interrompendo la sua brillante valutazione clinica, “posso sapere con chi sto ballando?”
Draco boccheggiò un paio di volte come una tonno appeso all’arpione, indeciso sul da farsi.
Dirle il suo nome avrebbe provocato l’atteso scoppio d’ira funesta, avrebbe significato ritornare per un attimo ai bei vecchi tempi, quando stuzzicare i gryffindor lo faceva sentire vivo e appagato. Rigirò quella tentazione tra la lingua e il palato per qualche secondo, ma quello che gli uscì dalle labbra era completamente diverso da quello il suo cervello gli suggeriva.
“D… Dan.”
Ginny sorrise e mormorò “ molto piacere, Dan” e Draco, guardando stupito quel sorriso, si sentì più vivo di quanto non si fosse sentito da anni.

SECONDA LEGGE DI SODD
Prima o poi, la peggiore combinazione possibile di circostanze è destinata a prodursi.

Riassumendo, il povero Draco Malfoy si era cacciato di sua spontanea volontà in una situazione che definire imbarazzante sarebbe stato un pallido eufemismo: stava ballando con una ragazza che lui una volta conosceva, ma al tempo in cui lui la conosceva questa ragazza non era cieca, e del resto al tempo presente quella stessa ragazza era anche molto diversa da come la ricordava, il che lo portava anche a dubitare della propria memoria… Ma anche la ragazza un tempo lo conosceva, mentre ora non lo riconosceva per niente, sebbene lei avesse la scusante di essere diventata, appunto, cieca. Quella ragazza pensava di essere famosa, e probabilmente lo era stata (in un passato più recente di quello in cui Draco l’aveva conosciuta), ma era lui, Draco, ad essere entrato in un pub sotto incantesimo di dissimulazione in modo che anche l’accompagnatore della suddetta ragazza, anche lui una vecchia conoscenza, non l’aveva riconosciuto, tanto che se ne stava al tavolo, seguendo come un cane da guardia la sua ragazza (fidanzata? moglie? amica? amante?... mah.) che ballava con uno – secondo lui – sconosciuto.
Il punto era che il finale che Draco aveva immaginato quando aveva ben pensato di dare inizio a tutto ciò, non prevedeva assolutamente che Ginny Weasley non lo riconoscesse. Né tantomeno prevedeva che Ginny Weasley non gli sembrasse, in quel momento, nemmeno lontanamente ripugnante quanto ricordava (ripeto, al tempo in cui la conosceva)… Ma certo, a conti fatti, capelli rossi a parte, non gli sembrava nemmeno Ginny Weasley. Quindi, sì, da quella brillante situazione Draco non solo non sapeva come uscirne, ma non era nemmeno del tutto sicuro di volerne uscire. Chiedere l’aiuto del pubblico… pardon, dei propri neuroni, in quel momento era proprio escluso: nulla, nella sua testa platinata, pareva mandare impulsi di sorta.
A corollario di tutto ciò, e senza la minima cognizione di causa, Draco aveva fornito generalità false. E la Weasley che già non aveva riconosciuto lui, non aveva nemmeno mostrato di… saper riconoscere una balla.
Non contento di essersi infilato brillantemente in un tunnel senza uscita, Draco pensò bene di procurarsi anche un bel treno in arrivo contro cui schiantarsi.

“Il signore con cui ballavi prima è tuo marito?”

Tendenzialmente, gli Slytherin sapevano come godersi la vita in pace e condurre i propri loschi affari senza procurarsi troppe rogne. Anche nei casi in cui la vita li costringeva ad impicciarsi dei fatti degli altri, gli Slytherin riuscivano a farlo sempre con le dovute maniere ed evitando, in ultima analisi, di coprirsi di ridicolo.
Al tempo in cui (ed era lo stesso tempo passato in cui Draco conosceva la Weasley), nel tentativo di far fuori un amabile vecchietto, Draco Malfoy aveva messo sottosopra mezza Hogwarts, distrutto un bagno pubblico e quasi ammazzato un paio di tirapiedi di Potter, il mondo avrebbe dovuto capire che Lucius Malfoy aveva sbagliato qualcosa nell’educazione dell’erede.
Nel tempo presente, un Draco Malfoy cresciuto, sposato, opportunamente cornificato e quasi divorziato, stava a guardare la Weasley trattenere un sorrisetto sornione e si malediceva mentalmente per aver anche solo formulato una tale idiozia. L’idea di averla anche pronunciata a voce alta stava dando il colpo di grazia alla mucosa del suo stomaco.
“Un buon osservatore avrebbe notato che non c’è nessun anello sulla mia mano sinistra,” fece notare la Weasley, “io invece ho sentito qualcosa di metallico qui, tra le tue dita.”
Visto che quella sera la buona vecchia falsità sembrava tradirlo, Draco si rassegnò a dire, di nuovo, la verità: non era la fede nuziale quella che portava al dito. Non voleva certo rischiare di perderla, dato che aveva promesso a se stesso di lanciarla in una fogna di Diagon Alley il giorno stesso in cui avesse ottenuto il divorzio.
“È soltanto un vecchio anello di famiglia.” Draco aprì la mano e lasciò che le dita di lei scorressero sul sigillo dei Malfoy, che teneva girato verso il palmo. Dubitava che lei, per quanto ovviamente abituata ad utilizzare il tatto come senso primario, avrebbe riconosciuto il disegno dell’aquila trafitta.
“Oh…” fece lei, sfiorando l’anello d’argento cesellato, “devi provenire da una famiglia importante…”
“È una domanda interessata?”
“Perché?”
Draco le fece fare una giravolta a tempo di musica e, quando la riprese, la abbracciò più stretta.
“Vuoi sapere se sono ricco?”
Ginny sollevò la testa e sorrise di nuovo.
“Vuoi sapere se sto cercando un buon partito?” lo rimbeccò.
Risero insieme, ma Draco sentì una goccia di sudore gelido scorrergli sulla fronte quando si rese conto che stavano… flirtando.
“Neville è soltanto un amico, comunque…” buttò lì Ginny, con studiata indifferenza.
Altra goccia di sudore.
Stava flirtando con Ginny Weasley, l’ex fidanzata di Potter.
“Sarà meglio che ti riporti da lui, però… Non posso requisirti per tutta la sera.”
Si. Era decisamente meglio rallentare. Se l’avesse riconosciuto forse a questo punto l’avrebbe davvero ammazzato.
“Non hai un’amica da presentargli?” rise Ginny, mentre lui la guidava verso il tavolo.
No. Ho una moglie da piazzare al miglior offerente, però.
Aveva una moglie e, ufficialmente, anche una figlia… Estava flirtando come una ragazzino idiota con l’ex fidanzata del suo pseudo-peggior nemico che non vedeva da ere geologiche.
Oh. Al diavolo.
“Senti, quando posso rivederti?”
La rossa sorrise, e questa volta fu come se in quegli occhi ciechi brillasse finalmente qualcosa.
“Dimmelo tu.”
“Prendi la metropolvere e scendi al numero 47 di Diagon Alley, domani verso le quattro. Puoi farlo?”
“Certo che posso.”
Draco le strinse la mano.
Vuoi farlo?”
“Dipende. Cosa ci sarà domani alle quattro al 47 di Diagon Alley?”
“Io sarò lì.”
“Allora ok.”
Il 47 di Diagon Alley era l’attico che Pansy si sarebbe presa con il divorzio.

MOTTO DI NIXON
Se due torti non fanno una ragione, prova con tre.

*******

Si ringraziano Johnny e Savannah per la concessione d’uso dei nomi dei cani.
Si ringrazia Eva Longoria per il prestito del giardiniere di Wisteria Lane.

Rompo il silenzio stampa del primo capitolo per ringraziare tutti per il caloroso “bentornata” che ho ricevuto. Non pensavo che qualcuno si ricordasse ancora di me, ma mi pare EVIDENTE che quando cerco di dare l’addio alle fanfiction c’è qualcosa nel mio cervellino che non registra l’evento e – prima o poi – mi costringe a tornare.
Questa fanfiction, come avrete notato, è sullo stile comico-romance, quindi non aspettatevi pretese di profonda introspezione o una particolare caratterizzazione psicologica dei personaggi. Spero però che vi faccia ridere quanto fa ridere me.
Un ringraziamento speciale a Chiara, la mia beta, e anche tanti auguri di compleanno visto che siamo già a tiro.

Ho ingrandito il font, spero sia più leggibile. Mi spiace di non averci pensato prima ma sono troppo pigra per badare allo styling.
Nelle recensioni, molte di voi hanno scritto che questo Draco è “più maturo/adulto da quello a cui vi avevo abituate”. Personalmente… non credo. Ma voglio lasciarvelo conoscere senza influenzarvi. Posso solo dire che non amo ripetermi e questa è la caratterizzazione che mi ha ispirato stavolta. D’altra parte anche il Draco di Legend e il Dorian di Frost at Midnight erano diversi dal vostro preferito di DF e LFF.
Grazie a chandelora, Alyenda, seven, Vulcania (meglio?), Saty (Tesoro!!! ^__^), Nana92, vega, klaretta, Danyy, maecla, MaD WorLd e Magical_Illusion (ciao cara piccola edera! Grazie!!).

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Have you met Miss Weasley? ***


CAPITOLO 3: HAVE YOU MET MISS WEASLEY?

“Dove vai?”
“Ho delle commissioni da fare.”

Prima regola del bravo marito: se stai dicendo una balla a tua moglie, cerca di rimanere il più possibile sul vago.
D’altra parte, questo ficcare l’aristocratico nasino nei suoi affari era un atteggiamento fastidioso, e anche volgare. Non che lui potesse sinceramente rispondere che stava andando a comprare le sigarette, primo perché lui non fumava, e secondo perché in effetti stava andando ad un “appuntamento” con una donna che non era la sua legittima consorte… Ma lui almeno le aveva sempre usato la cortesia di non chiederle dove andasse.
“Prima che tu te ne vada…”
Cosa, per Merlino, cosa! Cosa diavolo doveva fare prima di andarsene per i dannati cavoli suoi, ancora?
“Che c’è?”
Pansy si era alzata dalla sua poltrona e lo stava raggiungendo con studiata lentezza. Gli parve che sua moglie lo stesse guardando un po’ male, ma decise di non crucciarsene più di tanto, in fondo poteva anche aver sbagliato a truccarsi.
“Non rispondermi in questo modo, Draco. Sembra che negli ultimi giorni tu abbia perso tutte le tue buone maniere.”
No. Lo stava proprio guardando male.
“Ho fretta, Pansy. Tutto qui.”
“Problemi al lavoro?”
“No.”
Lo guardava sempre più storto.
“Ok. Volevo solo che sapessi che ho visto Thed e mi ha detto che sei d’accordo col fatto che mi faccia da legale.”
Te l’ha detto tra un “si, ti prego, così” e un “si, si, ancora”?
“Ti avevo già assicurato che non ci sarebbe stato nessun problema.”
Draco fece per gettarsi il mantello sulle spalle e prendere la via della porta di casa, ma era evidente che Pansy non aveva finito.
“Si, caro, infatti… vorrei soltanto capire come mai Thed mi ha detto che potrebbero invece esserci dei… disguidi con le tenute in Bretagna.”
Gli occhioni neri erano sgranati, le labbra rosse semiaperte in un’espressione di innocente stupore, come se proprio non riuscisse a capire quali problemi ci potessero essere nel consegnarle le chiavi della dispensa di una tenuta da miliardi di galeoni, così, su due piedi. In fondo, mica stava chiedendo la luna.
“Non c’è nessun problema, tesoro.”
Nel senso che quelle tenute di mia madre sono e di mia madre restano. Non è affatto una questione complicata.
“Dunque sei d’accordo che io e Melly abbiamo quel castello, giusto? In fondo per una bambina è così salutare vivere in campagna…”
Draco chiuse con uno scatto la spilla del mantello e se la assestò sulla spalla, poi si sporse per baciare la moglie sulla guancia.
“Non crucciarti con questi dettagli, Pansy. Vedrai che Thed ed io riusciremo a sistemare le cose nel modo più giusto e soddisfacente per tutti.”
“Ma, Draco…”
“Devo scappare, cara. Mi dispiace.”
Come mai quel corridoio sembrava sempre così lungo?!?

TEOREMA DI WILDE
Bigamia significa una moglie di troppo. Monogamia anche.

L’attico su Diagon Alley era moderno, confortevole e caldo. Era stata Narcissa ad arredarlo, con il suo gusto impeccabile, sette anni prima… Era stato il suo regalo di nozze: non voleva che i ragazzi incominciassero la loro vita coniugale in un maniero grande e scuro, pieno di stanze vuote ed echi di vite passate. Per non parlare dell’arredamento in stile gotico-decadente, anzi gotico-fatiscente, marchio di fabbrica del discutibile gusto della prozia Elladora.
Sul divano di morbida pelle color avorio avrebbero potuto dormire comodamente quattro persone godendosi il calore di un enorme camino (la beneamata prozia avrebbe di certo commentato, con deliziata soddisfazione, che in quel camino avrebbe potuto arrostire cinque o sei elfi domestici contemporaneamente). Draco gettò sul divano il mantello umido per la nebbia, contemplando la grande sala, perso nei ricordi agrodolci di un passato che non sentiva nemmeno suo. Si allentò la cravatta e la sfilò nervosamente, lasciandola cadere di fianco al mantello: non riusciva più a sopportarla, aveva sempre l’impressione di portare al collo un cappio che poteva essere tirato da un momento all’altro da un non-meglio-precisato qualcuno. Slacciò qualche bottone della camicia nera e solo allora gli parve di poter respirare liberamente.
Draco si lasciò sprofondare sul divano. Un grande specchio sulla parete di fronte rifletteva la sua immagine: una figura completamente vestita di nero spiccava sul pallido ammasso di cuscini, appoggiata sui gomiti, e con un ginocchio posato mollemente sul bracciolo. Appoggiò la guancia contro lo schienale, assaporando ad occhi chiusi la sensazione di pace e silenzio; sulla guancia, contro la pelle fresca del divano, sentiva i capelli pizzicargli il viso… Avrebbe dovuto decidersi a tagliarli, a ventotto anni non era più il caso di giocare al bello e dannato, con quelle ciocche dorate che gli nascondevano gli occhi. Quando riaprì gli occhi la figura nello specchio gli restituì lo sguardo: pensieroso, vagamente nervoso, sebbene i lineamenti regolari del viso esprimessero soltanto calma e distacco.
Ricordi, come grumi di polvere e ragnatele, passavano nella sua mente: Pansy che si osservava con sguardo critico in quello specchio, prima di uscire; Pansy che si calava sull’occhio un cappellino nero e gli sorrideva, maliziosa; Pansy che sistemava un enorme mazzo di orchidee rosa sul tavolo della sala da pranzo; Pansy che rideva, accoccolata sul tappeto davanti al camino, avvolta in un maglione bianco che lui le aveva portato dall’Irlanda, le fiamme del camino che accendevano di riflessi rossi e mogano i suoi capelli scuri. Draco ricordava quella sera: le aveva regalato un mantello foderato di pelliccia argentea e le aveva promesso di portarla a Parigi per Natale. Il francese di Pansy era pessimo quanto la sua cucina e sentirla balbettare qualche frase smozzicata con quell’orribile accento li aveva fatti ridere… Probabilmente l’amava, in quel periodo: era così bello crederla felice.
L’orologio sul camino battè le quattro e Draco si riscosse. Il ricordo di Pansy perse consistenza e un altro viso apparve nella sua mente: capelli spettinati, di quel rosso violento contro la pelle chiara, efelidi dorate su un naso all’insù e occhi scuri, persi nel vuoto. Perché l’aveva invitata? O meglio: cosa diavolo gli era saltato in mente?
Forse l’aveva invitata proprio per cercare di capire perché aveva avuto l’istinto di invitarla. Un po’ contorto, magari… Ma era la formulazione logica che più si avvicinava alla realtà. Voleva rivederla, e non ne capiva il motivo, quindi aveva deciso di rivederla per cercare di capire perché voleva rivederla. Impeccabile.
Oppure, il fatto che quella donna fosse diventata cieca aveva risvegliato in lui l’equivalente maschile del complesso della crocerossina. Si passò una mano sulla fronte. Si, certo. Ci mancava solo questa.
Si alzò in piedi e prese due bicchieri dal mobile bar. Li stava riempiendo di ghiaccio quando uno schiocco secco nel camino attirò la sua attenzione: Ginny Weasley, avvolta in un mantello verde scuro, apparve dal nulla.

“Have you met miss Jones?
Someone said as we shook hands,
She was just miss Jones to me.”
Frank Sinatra
“Have you met miss Jones?”

Draco rimase per qualche istante ad osservarla in silenzio, con la bottiglia di whisky in mano… Avrebbe raccontato a se stesso all’infinito che stava osservando le reazioni di lei, con curiosità. In realtà era ovviamente lui a non sapere come reagire.
Ginny uscì con cautela dal camino, sfiorando i gradini con la punta del piede prima di compiere ogni passo. Si passò le mani sul viso e sui capelli raccolti sulla nuca, si rassettò alla meglio il mantello, poi restò ferma, le mani abbandonate lungo i fianchi, gli occhi fissi nel buio e un’espressione di attesa sul viso. Era probabile che questa fosse la sua abitudine, quando si trovava a materializzarsi in un luogo che non aveva mai visto… Di certo era il comportamento più sensato, se non altro per evitare di inciampare o farsi del male. Draco si avvicinò e le prese una mano, in silenzio.
“Dan?” chiese la donna.
“Tranquilla. Sono io.”
Le spalle di Ginny si rilassarono impercettibilmente.
“Non c’è nessun altro?”
Draco rimase interdetto. Il tono di Ginny non lasciava capire se fosse spaventata dall’eventualità di essere sola con lui, un uomo che in fondo nemmeno conosceva, o se volesse soltanto sapere se c’erano altre persone nella stanza.
“Ci sono soltanto io,” rispose cercando di dare alla voce un tono allegro e rassicurante, “rilassati: non ho intenzione di squartarti e vendere i tuoi reni al mercato nero.”
Ginny rise, ma non accennava a muoversi. Draco la spinse con gentilezza verso il divano facendole fare qualche passo.
“C’è un divano davanti a te, accomodati” disse, e restò a guardarla mentre con la mano localizzava il divano. Ginny si tolse il mantello e si sedette, lentamente… Eppure non era così impacciata la sera prima, pensò Draco, forse un po’ di imbarazzo la rendeva meno sicura di se stessa e dei suoi movimenti in un ambiente estraneo. Indossava un abito rosso scuro, dalla gonna ampia che copriva le gambe fino appena sotto il ginocchio; le stesse scarpe piatte che aveva indossato per ballare la facevano sembrare un po’ una bambina.
Aveva una piccola macchia di fuliggine sullo zigomo e Draco allungò la mano per toglierla delicatamente, prendendosi per quella carezza più tempo di quanto non fosse necessario.
“Avevi un po’ di fuliggine” sussurrò, e sorrise tra sé vedendola arrossire. Era un sacco di tempo che non cercava di sedurre una donna (sempre che fosse quello che stava cercando di fare, ma non era sicuro di volerla davvero pensare in quei termini: il concetto stesso di sedurre Ginny Weasley era destabilizzante) e non sembrava essere poi così fuori allenamento dopotutto. “Vuoi qualcosa da bere?”
“Si, grazie.”
“Perfetto.”
Draco tornò a mobile bar e versò un po’ di liquore nei due bicchieri; Ginny continuava a passarsi le mani sul vestito, lisciando la gonna e sistemando le pieghe.
“Stai benissimo, non preoccuparti” le disse Draco.
Ginny rise, imbarazzata. “Scusami, è così imbarazzante! Sono sempre così preoccupata di avere macchie sul vestito o i bottoni allacciati male…”
“Tranquilla, è comprensibile,” le rispose, mettendole il bicchiere freddo vicino alla mano, “ma ti assicuro che non hai un capello fuori posto.”
E invece si che ce li aveva i capelli fuori posto, tante piccole ciocche di quel rosso brillante che sfuggivano alle forcine mal sistemate e incorniciavano il suo viso… Ma Draco pensò che, ripulita e pettinata come una signora, non sarebbe stata altrettanto attraente.
“Come scegli i vestiti?” chiese, con sincera curiosità.
Ginny agitò una mano. “Li riconosco al tatto.”
“Si, ma… quando vai a comprarli, come fai a sapere se ti stanno bene?”
“Per ora non è un problema... Ricordo quello che mi stava bene prima dell’incidente: cerco di scegliere cose simili a quelle che portavo. Tra qualche anno diventerà più difficile… Invecchierò, e non avrò la più pallida idea del mio aspetto.”
Da come aveva stretto la mano a pugno sulle pieghe della gonna, era evidente che quel pensiero la turbava molto più di quanto volesse dare a vedere. C’era qualcosa di molto dignitoso in quella sincerità pacata: non nascondeva il problema né la difficoltà nell’accettarlo, e non presentava al mondo quella facciata di stoico coraggio tipico dei Gryffindor, ma cercava con tutta se stessa di non farsi abbattere.
“Scusami” mormorò Draco, “non era mia intenzione intristirti.”
“No, non preoccuparti!”
Il sorriso era di nuovo là, dietro al vetro del bicchiere, dolce e un po’ ammiccante. Draco avvertì un certo masochistico piacere in quell’osservazione clinica delle reazioni di Ginny.
“Sono curioso, vorrei chiederti di te… ma si finirebbe a parlare della tua vita prima dell’incidente e non vorrei che fosse penoso.”
“Non è penoso,” rispose la donna, “ma potresti cominciare tu a parlarmi di te.”
Perfetto.
Meraviglioso.
E ora che mi invento?

LEGGE DI HERMANT
La menzogna uccide l’amore. La sincerità ancora di più.

Qualche giorno dopo.

Volendo (ma proprio volendo), poteva anche essere considerata una bella donna.
E poi Draco doveva ammettere di aver sempre avuto un certo debole per quelle con gli occhi grandi e scuri.
Figura discretamente snella, bei riccioli castani raccolti da un fermaglio elegante sulla nuca, lunghe ciglia appena toccate dal mascara… Dal tailleur pantalone nero (mediamente economico, di certo non fatto su misura) sbucava una camicetta azzurra che ringiovaniva il viso troppo serio.
Peccato che appena avesse aperto bocca…
“Buonasera Malfoy. La tua segretaria mi ha costretto a spostare due appuntamenti per te, oggi pomeriggio: la puntualità sarebbe stata gradita.”
Appunto.
Dolce e affabile quanto una tazza di latte cagliato.

“Buonasera, Granger.”
Avvocato Granger, signor Malfoy…” lo corresse la donna posando i gomiti sulla scrivania “oppure Mrs. Weasley, se preferisci.”
Draco alzò gli occhi al cielo.
Ma per favore…
“Come preferisci, avvocato. Del resto è per la tua professione che sono qui, non certo per contendere le tue grazie a quel somaro di Weasley.”
Hermione Granger decise di ignorare la provocazione e riprese a sfogliare alcune delle scartoffie che riposavano in mucchietti ordinati sulla sua scrivania.
“Prima che tu dica qualunque cosa, Malfoy,” disse evitando accuratamente di guardarlo in faccia, “sono costretta a ricordarti che l’avvocato Theodore Nott è il legale della famiglia Malfoy. Ora, per quanto io possa ritenermi immensamente lusingata da questa tua visita, non è eticamente corretto che io riceva informazioni sul caso in esame, se non a seguito di una comunicazione ufficiale in cui l’avvocato Nott dichiara di non volersi occupare del suo assistito nell’ambito del suddetto caso.”
Soltanto dopo aver enunciato tale verdetto Hermione Granger ritenne opportuno sollevare la testa e puntare su Draco Malfoy un freddo sguardo di attesa. E non era chiaro se attendesse una sua risposta o la sua subitanea, dolorosa dipartita proprio lì, sotto i suoi occhi.
Per tutta risposta, Draco alzò un sopracciglio.
“Carino. Te lo sei imparato a memoria mentre mi aspettavi?”
Sul naso della Granger apparvero alcune rughe di disgusto.
“Ok, ok…” fece Draco, “Thed mi aveva avvertito che saresti stata un modello di correttezza e pedanteria. Qui c’è la tua dichiarazione ufficiale, con tutti i timbri e le firme che ti servono. E adesso mettiti nell’ordine di idee di ascoltare, altrimenti impiegheremo una vita e Weasley dovrà prepararsi la cena da solo.”
Hermione non si degnò di trattenere un’espressione schifata, ma prese la pergamena che Draco le porgeva e la lesse velocemente. Agitò la bacchetta posata sulla tavola e una cartellina colorata si sollevò da un ripiano e svolazzò fino a lei; la scritta “Draco Malfoy” apparve sulla copertina ed Hermione ripose al suo interno la dichiarazione di Nott. Dietro la scrivania, alle spalle della donna, uno scaffale faticava a reggere il peso di centinaia di cartelline tutte uguali ed Hermione inserì la nuova cartella in corrispondenza della lettera M.
“Ti ascolto, Malfoy” disse, prendendo un foglio per appunti. Draco scosse la testa e si sporse verso di lei.
“Lasciatelo dire, avvocato Granger, hai già fatto un errore madornale.”
“Scusa?”
“Hai già infilato la mia pratica in mezzo ai tanti casi di recupero crediti che hai accumulato su quello scaffale, ma non credo che tu abbia afferrato bene il concetto. Se accetterai il caso, non soltanto darai a me e la mia famiglia la precedenza assoluta, ma ti assicurerai anche che nulla di quello che finirà in quella cartella uscirà da questo ufficio o dall’aula del tribunale. Io non sono un cliente come gli altri.”
“Ti sbagli, Malfoy: tu sei esattamente un cliente come gli altri, per me.”
“Io triplico la tua parcella.”
Hermione fece un gesto come per scacciare un insetto con la mano.
“La mia parcella è quella definita dalla legge. E non è parlando di soldi che mi convincerai ad accettare il caso.”
Convincerti ad accettare il caso? Ci sono avvocati che salterebbero al mio comando pur di seguire le mie pratiche, con l’onorario che sono abituato a pagare ai miei legali.”
“E allora perché sei qui?”
“Ho le mie ragioni. E no, non ti riguardano.”
La donna sospirò eallargò le braccia, esasperata.
“Non si arriva da nessuna parte in questo modo, e non ho intenzione di far tardi solo perché ti ritengo un testardo egocentrico, tronfio earrogante. Perché non parliamo del caso, così posso dirti se posso e voglio aiutarti? È lecito sapere almeno di che cosa si tratta?”
Draco strinse gli occhi e inclinò la testa da un lato, pesando le parole.
“Mia moglie vuole il divorzio.”

Se la notizia la stupì, Hermione riuscì a nasconderlo molto bene. Ma era molto più probabile che la questione non le facesse né caldo né freddo, davvero. Oh, ma era ovvio: la Granger mica leggeva la pagina del gossip.
“Che io sappia, Nott è sempre stato un ottimo divorzista. Posso sapere perché ha deciso di non occuparsi della causa?”
“Perché rappresenterà mia moglie.”
Questa volta Hermione spalancò gli occhi.
“Beh, non mi stupisco che tu ti sia dovuto rivolgere a me, pochissimi avvocati si sarebbero messi contro di lui in una causa di divorzio.”
“Accetti il caso?”
“Non ho motivo di non farlo: è una causa civile, e Mrs. Malfoy di certo non ti accuserà di omicidio. Ma se dovrò trovarmi davanti l’avvocato Nott avrò bisogno di molte informazioni e di aver accesso ai documenti relativi agli eventuali accordi prematrimoniali, devo sapere le motivazioni che hanno spinto la signora a presentare istanza di divorzio…”
“Calmati Granger, non diventare troppo zelante nel ficcare il naso nei miei affari.”
“Ti serve o non ti serve un buon avvocato, Malfoy?”
Draco sogghignò e le parlò con velenosa dolcezza.
“È già tutto sistemato, Granger. Thed farà ottenere a Pansy tutto quello che lei potrebbe ragionevolmente aspettarsi da un divorzio, e farà in modo che la causa si chiuda in fretta e col minor polverone possibile. Non voglio pubblicità negativa per la famiglia Malfoy, né tantomeno per Pansy. Non mi serve a nulla un buon avvocato, mia cara Granger… Mi servi tu perché sei così caritatevole e politically correct e rappresenterai un’ottima facciata per la nostra famiglia.”
Hermione si alzò in piedi e lo guardò come avrebbe guardato il cadavere putrefatto di un verme schiacciato sulla poltrona. Malfoy se ne stava tranquillo e beato sotto il peso di quello sguardo chiedendosi se prima o poi quei buoni e coraggiosi Gryffindor avrebbero realizzato che le occhiatacce di disgusto non avevano mai ammazzato nessuno.
“E adesso dimmi come potrei non sentirmi offesa da questa idiozia!”
Uh, fuoco e fiamme…
“Pensando al mucchio di soldi che guadagnerai facendo pochissima fatica…” le suggerì, molto ragionevolmente, mentre si alzava e si riallacciava il mantello sulla spalla. “Ti farò avere una relazione contenente le indicazioni per l’udienza e tutto quello che ti servirà sapere, o quasi. Per ogni altro dettaglio, l’ufficio di Thed è praticamente dall’altra parte della strada. Ma se fossi in te non mi presenterei là senza un appuntamento: potresti sorprenderlo a sbattersi mia moglie sulla scrivania.”

REGOLA DI ROSTAND
Non sentirti in colpa per quello che hai pensato di tua moglie: lei ha pensato molto peggio di te.

Pansy uscì dal camino e abbracciò con uno sguardo quasi affettuoso l’ampio salotto dell’attico che era stato la prima dimora della giovane coppia Malfoy.
Amava quell’appartamento.
Nonostante fosse stato arredato da quella vipera platinata di sua suocera.
Nonostante la tendenza del momento, per l’alta società inglese, fosse quella di ritirarsi nei lussuosi manieri di campagna, lei amava la centralità di quell’attico. Amava aprire la finestra e guardare dall’alto la plebe londinese che si affannava sulle strade di Diagon Alley: non si sarebbe mescolata con loro per nulla al mondo, ma le piaceva la sensazione di osservarli, appunto, dall’alto.
Amava quel divano che occupava un’intera lunga parete, così ampio, morbido e regale; amava il grande tappeto e l’enorme specchio… Quella stanza, così come ogni altra camera dell’attico, era piena di piacevoli ed eccitanti ricordi.
Certo, gran parte di quei ricordi avevano come protagonista il suo caro maritino… Ma in fondo non le dispiaceva: Draco era stato un buon amante, quando c’era. Ma il suo lavoro lo portava spesso lontano da casa e Pansy era una donna che non sopportava né la noia, né tantomeno le attese. Così corpi diversi si erano alternati a quello snello di Draco nelle immagini riflesse dal grande specchio, tra le lenzuola dell’enorme letto matrimoniale, o nella vasca da bagno circondata dalla luce sensuale di centinaia di candele.
Pansy si guardò intorno: chiaramente Draco non era lì, non c’era nessuno, a parte gli elfi domestici che dormivano nella cucina. Ma il suo distratto marito doveva essere stato nell’appartamento non troppo tempo prima: sullo schienale del divano c’era una cravatta grigia, ancora parzialmente annodata. La donna rimise la testa nel caminetto.
“Puoi venire.”
Poi si sedette sul divano, le gambe accavallate e le braccia allargate sullo schienale. Dopo qualche secondo Theodore Nott saltò fuori dal camino, agile come un gatto, e le sorrise. Ma Pansy non sorrise a sua volta. Anzi, non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
“Hey…”
Pansy alzò una mano e gli fece cenno di stare zitto. Thed si grattò il mento, perplesso: poteva anche sbagliarsi, ma gli sembrava proprio che Pansy stesse fiutando l’aria. Aveva il naso un po’ arricciato, tra l’altro. Eppure non gli sembrava di sentire nessun odore particolare.
“Pance…”
“Zitto!”
Pansy infilò una mano sotto la propria coscia ed estrasse qualcosa di piccolo e appuntito, che evidentemente le stava pungendo la pelle… Almeno quanto un fantomatico odore le stava pungendo le narici.
“Cos’è?”
“Una molletta” fece Pansy, a metà tra lo stupito e il soddisfatto.
“E…?”
Pansy lo guardò finalmente in faccia, mentre una luce diabolica baluginava nei suoi occhioni neri.
“E non è mia.”

*******

Grazie a Chiara, che stavolta ha corretto poco, ma che mi spinge a continuare a scrivere questa idiozia… tesoro, spero che almeno tu ti faccia volentieri due risate!
Visto che alcune me lo hanno chiesto, le leggi di Murphy che inserisco sono prese dai vari libretti di Arthur Bloch. E comunque anche internet trabocca. Più avanti inserirò citazioni da telefilm o cose del genere. La colonna sonora, finora, è principalmente del mio caro vecchio Frank.
Grazie a Magical_Illusion, Danyyy, koki, seven, la sorella maggiore di seall, Curiosity (bentornata anche a te), Saty (Verga e Ungaretti mi sono sempre sembrati dei gran segaioli mentali… scherzo! Tesoro, sei sempre una delizia da leggere!), cl33 (sono così riconoscibile?), puffolapigmea (grazie per il bentornata! È un piacere rivedere anche te.), vega (l’ironia stavolta non è poi così sottile, spero di far ridere proprio apertamente!) e Vulcania (ci avevi pensato anche tu ad accecarne qualcuna? Beh, dopo un po’ mica si sa più cosa inventarsi… io pesco da tutto per trovare ispirazione. Grazie mille e un bacio!).

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** It's not that you're attractive ***


CAPITOLO 4: IT’S NOT THAT YOU’RE ATTRACTIVE

Erano le nove di sera alla Tana. Un vento gelido fischiava tra le fronde degli alberi e faceva sbattere le vecchie imposte. La signora Weasley supervisionava con occhio di falco che le spugne incantate pulissero e sciacquassero le stoviglie con la dovuta cura. Il signor Weasley fumava la pipa sulla sua poltrona, con un libro tra le mani, godendosi il momento di relax… O meglio, cercando di godersi il momento di relax, cosa alquanto complicata, finchè la figlia continuava a girare come un’anima in pena per tutta la casa, urtando con le ginocchia ogni sedia o spigolo, e chiamando con voce lamentosa la sua decrepita Puffola Pigmea, che probabilmente si era ritirata in qualche angolo a morire di vecchiaia in santa pace.
“Ginny, tesoro…” tentò il povero signor Weasley, “sono davvero convinto di aver cercato bene oggi pomeriggio, cara… forse dovresti lasciar perdere.”
“Ma è la mia puffola!” puntualizzò la ragazza.
“Certo, cara, lo so. Ma era anche molto vecchia per essere una puffola… Ne compreremo un’altra, se non salterà fuori. O magari si è solo addormentata da qualche parte.”
Ginny urtò un calderone che evidentemente era spostato di una manciata di millimetri dalla sua abituale posizione. Il calderone urtò uno sgabello, che rotolò fino a fermarsi contro la gamba del tavolo, quest’ultimo traballò quel tanto che bastava per rovesciare il vaso di fiori posato su di esso, l’acqua si sparse sulla tovaglia ricamata di Nonna Prewett, mentre il vaso precipitava rovinosamente a terra, infrangendosi con un fracasso infernale.
Dal calderone ribaltato rotolò fuori una spelacchiata pallina lanuginosa che andò a fermarsi sui piedi di Ginny, spalancò due enormi occhi terrorizzati e rimase lì a tremare. Molly Weasley osservò il disastro e pensò che, decisamente, era ora che sua figlia si trovasse un altro fidanzato.

La valutazione del danno fu interrotta da un bussare furioso del becco di un barbagianni sul vetro della finestra della cucina. Molly aprì la finestra, il rapace si sporse dal davanzale quel tanto che bastava per lasciar precipitare sul pavimento un grosso involto di carta colorata, poi volò via lasciando chiaramente capire che in una topaia come quella non avrebbe assaggiato nemmeno un biscottino.
Il grosso pacco si rivelò un mazzo di dodici rose bianche e rosate, accuratamente incartate in modo che il volo e il vento non le rovinassero. Molly lanciò un’occhiata rapida al biglietto appuntato al nastro del bouquet.
“È un mazzo di fiori per Ginny” disse, con poco entusiasmo.
Bianche e rosa, pensò sconsolata.
Bah. Uno spasimante con un minimo di cervello le avrebbe mandate rosse.
Ginny si avvicinò con prudenza, cercando di non tagliarsi i piedi con i cocci del vaso. Prese tra le braccia il grande bouquet che la madre le porgeva e sfiorò i petali vellutati dei boccioli; dal mazzo si sprigionava un profumo intenso di rose, una fragranza dolce e fresca come la rugiada in un mattino di primavera.
“Sono rose, vero? Da parte di chi?”
Molly prese in mano il biglietto e controllò il mittente.
“Un certo Dan Jordon. Lo conosci?”
Ginny non fece in tempo a rispondere perché il biglietto saltò via dalle mani di Molly e si aprì a mezz’aria come una strillettera. Istintivamente la signora Weasley indietreggiò con un balzo, ma dalla busta uscì soltanto una voce calma ed educata.

“Ho visitato metà dei fiorai di Londra per trovare le rose più profumate. Non sono del colore che io avrei scelto, ma ho ritenuto più importante trovare dei fiori che tu potessi apprezzare davvero. Spero che il pensiero sia gradito. Sarò via per lavoro per qualche giorno, ma vorrei incontrarti di nuovo sabato mattina, al Paiolo magico alle dieci: sarò ad attenderti all’uscita della Metropolvere.
A presto,
Dan.”

Molly Weasley si stava letteralmente fregando le mani.
“Che tono gentile e di classe…” commentò, con finta noncuranza, “Dove hai conosciuto questo giovane, cara?”
“A ballare, qualche settimana fa… Ero uscita con Neville. Non è delizioso questo profumo, mamma? Li metterò nel vaso grande…”
“L’hai appena rotto, il vaso grande, Ginny.”
Ma Ginny, senza ascoltarla, si avviò con aria persa e sognante verso la sua stanza.
Arthur Weasley si grattò il mento, perplesso, mentre guardava la moglie che si accingeva a raccogliere i cocci rotti del vaso e sospirava felice tra sè.

LEGGE DEL CAPITANO PENNY
Si può fregare tutti per un certo periodo, e qualcuno per sempre, ma non si può mai fregare la mamma.

Draco scese le scale dell’ingresso di Malfoy Manor, allacciandosi pigramente una cravatta di seta sulla camicia blu scuro. L’ampio androne era silenzioso e scuro, nonostante le grandi vetrate: il cielo, fuori, era grigio cupo e prometteva pioggia. Draco prese al volo il mantello ben spazzolato che l’elfo domestico gli porgeva e infilò il corridoio che collegava il corpo principale della villa all’ala laterale in cui viveva e regnava Madama Narcissa.
Dopo aver più o meno felicemente sistemato l’erede ed essersi assicurata che il marito se ne stesse ad Azkaban per il resto dei suoi giorni, Narcissa aveva preso sotto la propria giurisdizione quell’ala in disuso del grande maniero e l’aveva eletta a sua fissa dimora, intraprendendo un’opera di restauro e decorazione che aveva dato lavoro a un numero esorbitante di muratori, restauratori, falegnami, carpentieri e giardinieri.
L’entrata dell’adorato unigenito non sembrava una ragione sufficiente perché Madama distogliesse gli occhi da ciò che stava guardando: la supervisione dei lavori che si stavano svolgendo in quel momento sulla parete sud del salone calamitava tutto il suo interesse.
“Che ne dici di questa sfumatura, caro? Io non sono del tutto convinta.”
Draco alzò gli occhi e il suo campo visivo fu occupato dalla figura di un ragazzo bruno in jeans aderenti e petto nudo che, arrampicato su una scala in equilibrio precario, passava ritmicamente sulla parete un pennello imbevuto di vernice color albicocca. Quando il ragazzo si chinò per intingere di nuovo il pennello nel secchio di vernice, uno strappo nei jeans mostrò agli astanti un’ampia porzione del fondoschiena abbronzato. Draco pensò bene di distogliere lo sguardo e portarsi una mano alla tempia.
“Non lo so, mamma… ma se non ti convince perché non hai prima fatto delle prove usando la bacchetta come farebbe una strega normale?”
Narcissa lo gelò con un’occhiata.
“E perché non dovrei offrire possibilità di onesto lavoro a questi ragazzi? Jackson è così disponibile nell’aiutarmi a ridecorare questa casa.”
Draco annuì, senza battere ciglio.
Eh si, bisogna dare qualcosa di onesto da fare al povero Jackson.
“Volevi dirmi qualcosa, Draco? È strano vederti in piedi così presto il sabato mattina…”
“Ho delle commissioni da fare stamattina” fece Draco, ignorando deliberatamente lo sguardo scrutatore di sua madre, “volevo solo informarti che ho saputo la data dell’udienza preliminare per il divorzio: sarà…”
“Tra venti giorni, lo so. Ho saputo che l’avvocato Granger ti farà da legale: ottima scelta caro, parleranno tutti così bene di te.”
Draco si astenne dal sospirare; doveva immaginarlo che sua madre avrebbe saputo tutto prima ancora dei diretti interessati.
“Ok, perfetto. E poi volevo dirti che Pansy starà fuori dai piedi per qualche giorno, parte oggi pomeriggio per una vacanza con Melanie.”
“Bene, immagino sia un sollievo per te non averla attorno in questo periodo.” Narcissa si voltò a squadrare il figlio dall’alto dei suoi tacchi a spillo. “Suppongo anche che non sia necessario consigliarti di aspettare che le trattative per il divorzio siano concluse prima di intrattenere altre compagnie femminili, soprattutto qui in casa.”
Draco sollevò un sopracciglio, incredulo, e Jackson scelse quel momento per saltare giù dalla scala con l’agilità di un gatto, facendo guizzare gli addominali scolpiti, punteggiati da goccioline di vernice. Sul viso abbronzato, dai lineamenti regolari e mascolini, brillavano due begli occhi color nocciola e un sorriso accattivante da fotomodello.
“Ho finito la prima mano, Signora Malfoy. Se mi permette, vado a mangiare qualcosa prima di iniziare con la seconda.”
“Fai pure, Jackson” concesse la Signora Malfoy, facendo scorrere lo sguardo sulle spalle quadrate e sui pettorali scolpiti.
Jackson si allontanò .
Narcissa seguì con gli occhi il movimento delle sue natiche da nuotatore.
Draco seguì lo sguardo di Narcissa, poi lanciò un’occhiata a Jackson e pensò che quei jeans erano troppo piccoli di almeno una taglia. Improvvisamente sentiva un po’ di acidità di stomaco.
Figurati se doveva farsi dare dei consigli da sua madre…
“Mamma, quel ragazzo dovrebbe essere ancora a scuola, invece di stare qui a… dipingerti i muri.”

Brian: “How old are you, really?”
Justin: “20… 19… 18…”
Brian: “What is this, a missile launch?”
Justin: “17.”
Queer as Folk, Season 1, Episode 1

Ginny uscì dal camino del Paiolo magico insieme ad altre tre o quattro persone: era chiaro che la fermata del Paiolo magico le era familiare perché scese i gradini con sicurezza e si mise da parte per aspettare il suo accompagnatore.
“Ginevra.”
Draco la prese per mano e lei sorrise, riconoscendo la voce.
“Ciao! Grazie per le rose, Dan! Hanno un profumo meraviglioso, riempie tutta la mia stanza! Sei stato davvero gentile a cercare dei fiori così profumati, per me!”
C’era tanta semplice sincerità in quel ringraziamento che anche Draco si ritrovò a sorridere impercettibilmente, e fu lieto che l’incanto di dissimulazione non permettesse a nessuno di riconoscerlo in mezzo alla gente. Il sorriso di Ginny era così aperto e ingenuo, da non lasciare alcun dubbio su quanto quella semplice attenzione l’avesse colpita e resa ansiosa di rivederlo per ringraziarlo personalmente… E era solo un mazzo di fiori che sua madre non avrebbe giudicato degno nemmeno di decorare una scrivania. Draco pensò a quanto sarebbe stato facile per un uomo con i suoi mezzi, assicurarsi un sorriso come quello ogni giorno.
“Non è stato nulla. Vogliamo andare?”
Ginny cercò il suo braccio e sorrise di nuovo.
“Dove andiamo di bello?”
“Londra babbana,” rispose Draco spiando la sua reazione, “ho trovato i biglietti per una matinée.”
“Uno spettacolo?”
“Un concerto. Musica classica. Ti piace?”
“Certo!”

Uscirono da Diagon Alley e si trovarono tra i babbani che correvano avanti e indietro, trafelati come loro solito, tra una fermata della metropolitana e l’altra. Draco aveva trasfigurato il suo mantello in una giacca di foggia più moderna, ma il cappotto scuro e gli stivali di Ginny si adattavano perfettamente all’ambiente.
Passando davanti a un fioraio Draco si fermò qualche istante, pescando dalla tasca dei pantaloni qualche sterlina. Il tempo e la necessità avevano smorzato la sua repulsione nei confronti dei babbani: c’erano stati momenti, quando ancora tutti lo additavano come il figlio del mangiamorte, in cui l’anonimato di cui godeva in quella grigia Londra al di fuori di Diagon Alley gli era sembrato quasi confortante.
Un attimo dopo chiuse le dita di Ginny attorno allo stelo di una fresia. La ragazza si portò il fiore al viso e ne respirò il profumo.
“È buonissimo!”
“È una fresia. Bianca. Vuoi che ti aiuti ad appuntarla al cappotto?”
Ginny spezzò il gambo del fiore con attenzione e lo infilò tra i capelli, sopra l’orecchio sinistro.
“Come sto?” chiese, continuando a sorridere.
Beh. Ovviamente era ridicola.
Per il fatto che era novembre, per il fatto che indossava un cappotto di panno nero e che… Andiamo, chi è che va in giro per Londra con un fiore bianco tra i capelli?!?
Ma quel contrasto (il bianco del fiore, il nero del cappotto, e il cremisi intenso dei capelli) la rendeva attraente in un modo in cui Draco non aveva mai pensato di poter considerare attraente una donna: vistoso, divertente… libero. Ginny era libera di fare ciò che voleva, era libera di essere spettinata, di avere un baffo di fuliggine sul naso, e di mettersi un fiore tra i capelli in inverno, quando l’aria non faceva che promettere neve, e stava recandosi all’opera. E di sembrare per questo (o nonostante questo) ancora più giovane e graziosa.
“Sembri una ragazzina,” disse Draco, senza fare in tempo a frenare la lingua, “appena uscita da Hogwarts. Non dimostri la tua età.”
“Allora posso aspettare ancora un po’ a preoccuparmi delle rughe che non vedo!” rise Ginny.

“It’s not that you’re attractive
but, oh, my heart grew active
when you came into view…”
Frank Sinatra
“I’ve got a crush on you”

All’uscita dal teatro, Ginny sorrideva e ciarlava come una gazza, senza la minima signorilità.
“Merlino, che meraviglia! Quel violinista suonava così… meravigliosamente! Scommetto che era anche un bel ragazzo! Era un bel ragazzo?”
“Questione di gusti, credo. Quel pizzetto aveva un che di vagamente caprino. Immagino che un altro ragazzino gay possa anche trovarlo attraente…”
“Oh, beh… Allora avremmo dovuto portarci Harry Potter!”
Draco si strozzò con un inesistente granello di polvere fluttuante per caso davanti alla sua bocca e si bloccò in mezzo alla strada, tossicchiando.
“Come prego?”
Ginny rise forte.
“Sto scherzando! Oh Dio, cosa darei per vedere la tua faccia!”
Meglio di no. Se non altro perché i conati di vomito non mi rendono giustizia.
“Era solo una delle tante balle uscite sui giornaletti scandalistici quando trapelò la notizia che non stavamo più insieme. Alcuni scrissero che Voldemort si era reincarnato, l’aveva posseduto e l’aveva fatto diventare così cattivo da lasciare la fidanzata cieca, sola e indifesa. Altri scrissero che era diventato gay ed era scappato con Draco Malfoy.”
Ugh.
“Immagino che la verità sia molto meno… esotica.”
O per lo meno, lo spero.
“L’ho lasciato io. Se l’è presa per un po’, ma poi ha trovato una ragazza carina, si è sposato e ha messo al mondo un paio di pargoli che mi chiamano zia Ginny. Che noia, eh?”
Draco non avrebbe potuto essere più concorde.
“Beh, che ne dici se andiamo a pranzo da qualche parte, così mi racconti qualcos’altro di te?”
Invece di raccontarmi particolari della vita dello Sfregiato di cui preferirei non essere al corrente.
“Si sta così bene fuori, l’aria profuma quasi di neve… Perché non ci prendiamo un panino e facciamo una passeggiata?”
Veramente Draco aveva pensato a un ristorantino francese, ma se la signorina desiderava una salsiccia chi era lui per contestare?

Ginny aveva la preoccupante capacità di continuare a ciarlare incessantemente anche mentre mangiava. E camminava. Vergognandosi di se stesso come uno schiopodo in piena muta, Draco si rese conto che la cosa non lo irritava quanto avrebbe dovuto.
Malfoy venne così ad apprendere molto più di quanto avesse mai lontanamente desiderato sapere sulla famiglia Weasley e sui vari animali domestici annessi… Fratelli, cognate e nipoti di Ginevra compresi. I protagonisti di quel racconto sconclusionato non lo interessavano minimamente, ma era affascinato da Ginny, dall’espressività anomala del suo viso privo di sguardo, dal suo mutevole umore, quel passare senza fatica dalla timidezza all’espansività. Era intrigante il modo in cui Ginny affrontava quella vita a metà… Come un uccello che, privato delle ali per volare, impara a zampettare nell’erba con una dignità maggiore dei suoi simili in salute. Ma non era certo così stupido da credere che quella pacata serenità fosse giunta senza il pagamento di un dazio molto salato.
Ginny restò in misericordioso silenzio per qualche secondo, poi gli strinse leggermente la mano sul braccio.
“Devo averti rintronato con le mie chiacchiere…” mormorò.
“Un po’…” ammise Draco.
Ginny rise sommessamente, un suono dolce, sexy con naturalezza, senza essere affettato. Draco conosceva donne che si erano allenate per anni per poter riprodurre una risata del genere.
“Scusami, davvero. Mi capita così di rado di poter chiacchierare con qualcuno che non è già al corrente di ogni singolo avvenimento della mia vita...”
“Non preoccuparti. Non mi dispiace: sono abituato a donne che scelgono così attentamente ogni singola parola e il tono con cui pronunciarla, da farti pensare che non ci sia nulla nella loro esistenza che sia degno di essere raccontato con sincerità.”
“Oh…l’alta società…”
“Esattamente. Proprio con quel tono.”
Risero insieme mentre si sedevano su una panchina.
“Senti…” disse Ginny, tornando seria, “Posso chiederti…?”
Sembrava tornata di nuovo sulle spine, come qualche giorno prima quando si era seduta sul suo divano preoccupata per le pieghe sul vestito che non poteva vedere.
“Che c’è?”
“Volevo…” alzò una mano, ma si fermò vicino al viso di lui, “posso guardarti?”
Draco rimase interdetto per qualche secondo, poi capì.
Beh. O la va o la spacca.
Mica poteva tirarsi indietro, non sarebbe stato educato. Voleva toccargli la faccia, non palpargli il sedere.
Prese la mano fredda di Ginny e la posò sulla propria guancia. La donna sorrise e gli sfiorò il naso, poi scese lentamente sulla bocca, sul mento e risalì sugli zigomi ossuti e sulla fronte… Quando le sue dita gli sfiorarono le palpebre Draco chiuse gli occhi.
“Di che colore sono?”
“Grigi,” sussurrò Draco.
Le dita di Ginny salirono di nuovo ed incontrarono una ciocca di capelli che cadeva, liscia e morbida, sulla fronte.
“E questi?”
Draco trattenne il respiro. Poi sganciò la caccabomba.
“Biondi.”
Ginny si congelò per un brevissimo istante, ma sorrise quasi subito.
“Wow. Chissà che sguardo…” mormorò.

PRIMA LEGGE DI ARTHUR
Le persone che ti piacciono pensano immancabilmente che tu gli ricordi qualcuno.

*******

Si ringrazia Susan per il prestito dell’imbianchino Jackson, al secolo Gale Harold.

Poiché più di una di voi mi ha detto di non digerire, o di non aver inquadrato ancora Ginny… forse è un po’ pretenzioso dire che la cosa è voluta, ma il punto è che non l’avete inquadrata perché è Draco a non averla ancora inquadrata. Vi avevo abituato a storie in cui è Ginny il primo protagonista introdotto, poi di solito i un modo o nell’altro arrivava Draco e vedevate lui attraverso gli occhi di lei. Per forza di cose qui ho dovuto fare il contrario ed è stata la cosa più difficile dell’ideare questa trama.
Grazie a Ciii, yellowrose (grazie mille davvero! Per curiosità la long fic a cui ti riferisci qual è?), rebby, parisienne (sinceramente non è tra le mie priorità sapere con chi se la spassa Potter… magari più avanti mi verrà in mente, ma ti dico già da subito che un’illustre sconosciuta, non rilevante ai fini della storia), Vulcania (molto onorata di essere il tuo cocktail rinfrescante per l’estate! Grazie!), Danyyy (non so esattamente quanto sarà lunga, più o meno come Legend credo, non ho più la forza di scrivere tragedie greche…), cl33 (grazie per i complimenti sullo stile! Non aggiorno con una regolarità maniacale perché il lavoro mi impegna abbastanza, ma faccio il possibile per non far passare troppo tempo tra un aggiornamento e l’altro… conta ogni 10-15 giorni, non dovrei sforare di più! Un bacio!), Saty (Tesor, tu sai quanto amo Frank, non mi lascio sfuggire un’occasione per venerarlo apertamente! No, non credo che racconterò per filo e per segno quali colossali balle abbia raccontato Draco a Ginny, in fondo non è rilevante, no? Mi piace raccontare alcune scene e lasciarne intendere altre. Grazie come sempre per le recensioni esilaranti!), seven (sempre prodiga di complimenti! Grazie mille!), Curiosity (Draco non è esattamente comprensivo… Draco e rassegnato a Pansy e, in ultima analisi, non gliene frega un cavolo. Grazie, cara!!! Baci!).

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Devil in a blue dress ***


NdA. Il titolo del capitolo è quello di un film noir degli anni ‘90.
Questo capitolo è un elogio all’abitudine più deliziosamente trash della fanfiction italiana di descrivere gli abiti delle protagoniste nei minimi particolari. Tanto per fare le cose in grande io l’ho piazzata direttamente in un negozio di vestiti.

CAPITOLO 5: DEVIL IN A BLUE DRESS

Qualche giorno dopo.

Il caminetto nell’ufficio di Draco Malfoy fece “pop”.
Negli uffici delle persone importanti, i caminetti fanno “pop” molto spesso.
Draco Malfoy non alzò nemmeno un sopracciglio, l’elfo domestico addetto avrebbe potuto prendere il messaggio… di certo non si poteva pretendere che lui rispondesse personalmente a tutte le comunicazioni.
Purtroppo il viso che era apparso nel camino apparteneva ad una donna che era abituata a ricevere la dovuta attenzione e no, non aveva intenzione di trattare un povero elfo come una comune segreteria telefonica.
“Malfoy, voglio parlare con te non con i rappresentanti del tuo regime schiavistico.”
Draco roteò gli occhi e ruotò la poltrona in modo da fronteggiare il cipiglio di Hermione Granger con il dovuto rispetto. Accavallò le gambe e inclinò gentilmente la testa.
“Avvocato. A cosa devo il disturbo?”
“Al fatto che sono, appunto, il tuo avvocato e che devo sapere se hai intenzione di presenziare all’udienza preliminare, martedì prossimo?”
Draco liquidò la cosa con un gesto distratto della mano.
“Non credo, dovrebbe svolgersi tutto senza intoppi. Segui il copione e concedi a Thed tutto quello di cui abbiamo parlato. Non vedo perché dovrei perdere tempo.”
“Come preferisci. Ma la signora Malfoy sarà in aula.”
Questo attirò finalmente l’attenzione di Draco.
“Pansy?”
Hermione si accigliò.
“Fino a divorzio avvenuto è ancora lei la signora Malfoy, temo.”
“E perché mai Pansy dovrebbe presenziare?”
“Non lo so, ma l’esperienza in fatto di cause di divorzio mi dice che dovresti fare in modo di infilare l’udienza nella tua affollatissima agenda.”
“L’esperienza?”
“L’esperienza. Gli studi che ho fatto, la pratica della professione… sono un avvocato, Malfoy, nel caso ti fosse sfuggito. E no, non strillo “obiezione” quando mi prude la palla sinistra come fa il tuo amico Nott. Comunque, fammi sapere entro domani se deciderai di venire. E adesso perdonami, ma devo portare mio figlio dal medimago, prima che il suo raffreddore si trasformi in una bronchite che mi costringerà a far seguire il tuo caso dal mio tirocinante.”
E sotto lo sguardo disgustato di Draco Malfoy, il viso dell’avvocato Granger sparì in una nuvola di fumo e scintille.

DEFINIZIONE DI ROBERTS
Amore vuol dire non dover mai dire: lavateli tu i tuoi fottuti calzini.

Sabato mattina, tre giorni prima dell’udienza.

“Lo sapevo, dovevo dare ascolto a mia madre! Mi ha sempre insegnato a non accettare passaporte dagli sconosciuti!”
“Non sono uno sconosciuto.”
“Quasi. E comunque non vuoi dirmi dove siamo arrivati, quindi è più o meno lo stesso. Sei solo fortunato che io sia cieca, non pensare che in caso contrario ti avrei permesso di bendarmi.”
Draco rise, mentre apriva la porta e faceva entrare Ginny con una leggera pressione sulla schiena. Aveva un modo gentile e discreto di guidarla in spazi che lei non conosceva, una educata cortesia che non la faceva mai sentire a disagio o di peso. Pertanto, Ginny si lasciò docilmente spingere attraverso un corridoio e sentì subito di essere in un locale ben riscaldato, che profumava di pulito e di nuovo… un negozio, probabilmente. Sotto le scarpe sentiva la morbidezza della moquette.
Bonjour, Monsieur.”
Ginny si girò appena nella direzione da cui era venuta la voce.
Bonjour Colette.”
“E questa incantevole madamoiselle è la cliente speciale di cui mi aveva parlato?”
Sebbene parlasse un ottimo inglese, Colette aveva un accento francese piuttosto pesante. Doveva essere in Inghilterra da poco, pensò Ginny. E comunque… cliente speciale di cosa, esattamente?
“Colette, ti presento madamoiselle Ginevra Weasley.”
La voce di Draco, nonostante la consueta freddezza, stentava a trattenere l’ilarità. Ginny sollevò una mano, incerta, e Coletta la afferrò con una presa gentile ma ferma.
“Benvenuta a Parigi, madamoiselle. Sarà un piacere aiutarla a cercare l’abito più adatto.”

Abito.
Parigi.
Parigi…?!?
“Dan?”
La voce di una femmina di razza Weasley può, in determinate situazioni, assumere un particolare tono di minaccia tale per cui anche i più coraggiosi Gryffindor della storia avrebbero sudato freddo sotto il peso di una sola sillaba. Chiaramente, Draco non era avvezzo a prestare attenzione a queste veniali sfumature, per cui liquidò la cosa con il suo, opinabile, savoir fare.
“Sorpresa sorpresa…” soffiò nell’orecchio di Ginny.
“Dan, forse non hai capito, non so proprio come ti sia saltato in testa di portarmi fino a Parigi per questo, l’abilitazione di quella passaporta ti deve essere costata una follia… ma non ho bisogno e non ho intenzione di accettare la tua elemosina. La mia famiglia sarà poco benestante, ma mi ha educata bene. Non accetto che il primo bel faccino che passa mi compri un vestito.”
Draco si accigliò, preso in castagna da quella manifestazione di orgoglio tipica degli straccioni Weasley. Ok, forse avrebbe dovuto aspettarselo. Però non gli sembrava mica naturale che una donna degna di chiamarsi tale rifiutasse un vestito d’alta moda francese o un paio di scarpe firmate…
“Colette, vuoi scusarci un momento, per cortesia? Credo che la sorpresa abbia confuso madamoiselle.
“Prego! Preparo qualcosa da bere nell’atelier.”

“Ginny…”
Prepara qualcosa da bere?! In che diavolo di negozio mi hai portato?!? Cos’è, un posto d’alta moda?”
Draco le prese una mano.
“Veramente si. Ma non è questo il punto.”
Ginny si divincolò e si allontanò di qualche passo.
“Ah no? Non stai ostentando la tua ricchezza facendo così? I fiori profumati sono più che sufficienti, mi rendono felice, sono un pensiero gentile e apprezzato. Certo, immaginavo che tu fossi di famiglia così altolocata da poterti permettere ben altro, ma comprarmi un vestito d’alta moda, che tra l’altro non potrò nemmeno vedere…” la voce le si ruppe in gola, ma non era sul punto di piangere. Draco si rese conto che era soltanto offesa e umiliata.
“No, Ginevra, hai frainteso…”
“Ho frainteso? Ci conosciamo si e no da tre settimane e vuoi spendere una follia in galeoni per comprarmi un abito da sera… cosa dovrei pensare? Che non sono abbastanza elegante e ti vergogni di me quando usciamo insieme? Oppure che vuoi soltanto divertirti a trattarmi come una bambola per poi togliermi il bel vestito che mi hai comprato e infilarti nelle mie mutande…”
A quel punto, qualcosa nel cervello di Draco dovette ritenere che la questione stava andando troppo oltre. Oppure gli stava solo dando sui nervi la scenata. Fatto sta che la prese per le spalle e le tappò la bocca… non con la mano.
Ergo, Ginny Weasley dovette starsene zitta per forza.
E chissà perché, con le labbra di Draco posate sulle sue, non aveva poi tutta questa voglia di continuare a protestare.
Sentendo che non si ribellava, Draco allentò la presa sulle spalle e una mano salì sulla nuca, infilandosi tra i capelli. Poi, dolcemente, interruppe il bacio e le accarezzò le tempie con le dita.
“Siamo in un luogo pubblico, non mi sembra il caso di dare spettacolo…” mormorò.
Ginny arrossì, e sembrava avere qualche difficoltà a respirare. La mano del mago era ancora posata sulla sua guancia e rendeva difficoltoso anche il ricordare per cosa esattamente gli stava strillando contro.
“Mi lasci parlare, adesso? Bene,” la voce di Draco era sommessa, ma lei sentì che stava trattenendo un sorriso. “Ammetto che comprarti un vestito di seta per poi avere la soddisfazione di farlo scivolare via dalla tua pelle… è un pensiero che mi ha sfiorato. Ma non è quello il punto. Volevo portarti a Parigi, regalarti qualcosa che probabilmente nessuno ti ha mai regalato prima e poi accompagnarti in un ristorante in cui farti assaggiare sapori che non conosci. E per quanto riguarda la questione assolutamente idiota dell’”elemosina”… Colette sta tornando e non ho intenzione di discutere di denaro in modo tanto volgare davanti ad estranei. Desidero farti un regalo, è forse un delitto?”
“No, ma…”
“Niente ma. Colette, sei davvero gentile…” Draco prese un bicchiere di limonata fresca dal vassoio che la commessa gli porgeva e chiuse le dita di Ginny attorno ad esso.
“Grazie,” mormorò Ginny, imbarazzata.
Madamoiselle è pronta per provare qualche abito?” chiese Colette.
Madamoiselle non è mai stata più pronta di così. E sono certo che tu hai già in mente qualcosa di adatto.” Draco prese Ginny per mano e si accinse a seguire la commessa nell’atelier. “Fidati di me,” sussurrò.

“Dunque.” Colette parlava con tono professionale, educato ma conciso. “Ho considerato la sua figura e credo che un corto sarebbe appropriato, o magari qualcosa appena sotto il ginocchio. Un lungo non è mai l’ideale per le figure molto minute”
“Ehm, non saprei…” Ginny era chiaramente imbarazzata. Non sentiva più Draco al proprio fianco, girò un po’ la testa come per cercare di ascoltare.
“Sono qui. Sul divano” disse Draco, vedendola in difficoltà. “Non voglio starvi tra i piedi, ma non aver paura, Colette ti aiuterà a provare tutto ciò che desideri.”
Colette le prese con gentilezza una mano e la posò sulla stoffa lucida dell’abito che reggeva in mano.
“Come può sentire questa seta è leggera, e sono assolutamente certa che questo verde petrolio sarà un incanto con la tonalità dei suoi capelli. La parte superiore è ricamata con piccoli cristalli verdi e azzurri. Ha una scollatura profonda e si allaccia dietro alla nuca, lasciando scoperte le spalle e gran parte della schiena.”
“Cosa…? No, non posso portarlo.”
Colette passò la mano di Ginny sulla scollatura.
“è profonda, ma non volgare. Credo che l’ideale sarebbe provarlo, così potrà sentirselo addosso. Se lo sentirà eccessivamente scollato, proveremo un diverso tipo di allacciatura.”
“No, no, non è il caso. Dan, lo sapevo che era una pessima idea, ti prego… lasciamo perdere, non sono il tipo per queste cose.”
Nonostante il tono pacato e deciso, Ginny era decisamente impaurita. Anzi, era proprio terrorizzata. Draco le fu accanto in un attimo, confuso.
“Ginny, che c’è? È solo un abito… prendilo come un gioco, non sei obbligata a comprare nulla se non te li senti bene addosso…”
Certo, che una donna non trovasse nulla di proprio gusto in uno degli atelier più chic di Parigi rasentava l’assurdità, ma…
“Non capisci. Non posso mettermi abiti da sera, non posso più mostrare le spalle.”
Nei grandi occhi vuoti brillavano lacrime che Ginny non avrebbe permesso a se stessa di versare, ma la sua voce tradiva l’imbarazzo e la profonda umiliazione.
Draco cercò di calmarla accarezzandole le spalle.
“Ginny, che vuoi dire?”
Ginny sospirò e, quando si decise a parlare, lo fece a bassa voce, quasi vergognandosi di quello che stava per dire.
“Durante l’incidente sono atterrata sugli spalti. Le schegge di legno e i chiodi mi hanno praticamente distrutto la spalla destra. Il fatto è che i medimaghi hanno pensato prima al buco che il bolide mi aveva fatto in testa, ovviamente. Quando hanno potuto iniziare a curare la spalla gran parte delle schegge aveva fatto infezione e, nel cercare di guarirmi, non sono riusciti ad evitare delle grosse cicatrici.” Ginny si passò le mani sulla fronte e gettò indietro i capelli. “Non le ho mai viste ma non devono essere un gran spettacolo da vedere. Le sento su tutta la spalla, la parte superiore del braccio e scendono sulla schiena. Devo essere orribile…”
Draco deglutì. Non si era aspettato una cosa del genere. Seriamente, magari da ragazzino avrebbe dato la sua Nimbus 2000 pur di mettere un qualsiasi membro della famiglia Weasley in quella situazione, ma stavolta proprio non era COLPA SUA. Ecco.
“Ginny mi dispiace, non avrei immaginato…” la abbracciò e rivolse uno sguardo di scusa alla commessa che si era ritirata educatamente in un angolo. “Colette, ti prego di accettare le mie scuse, ma…”
Ma Colette era davvero una che sapeva fare il suo lavoro. E sapeva anche quando era il caso di intervenire in una discussione privata tra clienti. In fondo, nessuna donna meritava di non poter più indossare abiti da sera per il resto della propria vita, sarebbe stata un’inutile crudeltà.
Oh, mais c’est absurde! Le scollature asimmetriche sono di grande tendenza quest’anno, e penso di avere précisement quello che fa per madamoiselle! La spalla destra, vero?”
E detto questo corse via.
Draco sorrise, soddisfatto. “Beh, se quello che è andata a prendere è précisement quello di cui madamoiselle ha bisogno… non vedo perché non dovresti fare un tentativo.”
Ginny scosse il capo, rassegnata e sollevata allo stesso tempo.

Colette ritornò pochi minuti dopo.
“Di questo abito abbiamo anche le versioni in nero e rosso, ma credo che questo blu oltremare scuro sia perfetto.” Di nuovo prese la mano di Ginny e la passò sulla stoffa. “è un raso di seta, abbastanza lucido ma non pesante; è drappeggiato sulla spalla destra, e le pieghe si possono puntare in modo da coprire quanto serve. La spalla sinistra è scoperta. Direi che possiamo andare in camerino a provarlo, sarò felice di aiutarla.”
E detto questo Colette scortò Ginny dietro una tenda senza troppe cerimonie.

“You’re all dressed up to go dreaming
Now don’t tell me I’m wrong…”
Frank Sinatra
“Moonlight becomes you”

L’abito di raso scivolava sul corpo di Ginny come una seconda pelle, lucido e cangiante sotto la luce al neon del negozio. Il blu scuro rendeva i suoi capelli ancora più rossi, tanto era violento il contrasto. La stoffa si arricciava sulla spalla destra, in un drappeggio semplice fermato da un fiore di stoffa della stessa tonalità… le pieghe scendevano sul braccio, lasciando appena scoperto il gomito, e un lembo di seta cadeva sul lato della schiena. L’abito sfiorava le ginocchia e le gambe, già snelle, erano rese incredibilmente sexy dalle scarpe blu dal tacco alto.
“è perfetto…” mormorò Draco, alzandosi dal divanetto.
Colette mise una pochette in tinta in mano a Ginny, che la sfiorò con reverenza, quasi avesse paura di romperla.
Involontariamente si era rivolta verso un grande specchio, che ora restituiva l’immagine di una donna elegante e ricercata, diversa dalla Ginny che Draco aveva visto ed imparato a conoscere nelle ultime settimane. L’eleganza dell’insieme avrebbe richiesto i capelli raccolti e un viso truccato… tuttavia, la cascata di capelli sciolti, rossi come un tramonto d’estate, che arrivava a baciare la stoffa drappeggiata dell’abito, le donava un minimo di scompostezza, come un neo su una maschera bianca, o una nota stonata in una melodia. L’imperfezione in grado esaltare un’opera d’arte.
“è tutto così… lussuoso…” sussurrò Ginny, cercando la presenza di Draco al proprio fianco.
Draco si portò alle sue spalle e osservò la figura nello specchio, rapito, forse per la prima volta nella sua vita, dall’aspetto di una donna. In fondo si era sempre aspettato di vedere Pansy ordinata e perfettamente elegante. Era scontato che sua madre, anche alle sei del mattino, non avesse un capello fuori posto. Non avrebbe mai sognato di poter pensare che Ginny Weasley, infilata, probabilmente per la prima volta, in un semplice abito da cocktail, potesse avere un’aria più raffinata di tutte loro.
Colette, si allontanò con discrezione, soddisfatta del proprio lavoro.
Draco accarezzò la spalla nuda di Ginny e avvicinò il proprio viso all’orecchio di lei.
“Sai di essere davanti ad uno specchio?” le sussurrò.
“Questo posto sarà pieno di specchi… ma tanto a me non servono.”
“Posso essere il tuo specchio se vuoi…”
Ginny rabbrividì.
“Come…?”
Il braccio destro di Draco le cinse la vita, avvicinando i loro corpi al limite della decenza.
“è blu… come il cielo al crepuscolo, prima di diventare del colore della notte. Ma è lucido, e in alcuni momenti può avere riflessi azzurri e argentati, oppure diventare quasi nero. Un colore così ricco e scuro che contrasta con la tua pelle chiara e tu fa sembrare bianca e fragile, come una fata. Ti scivola addosso come un liquore denso alla luce della luna, e lascia intuire quanto il tuo corpo sia… desiderabile. Ma non lascia vedere nulla. Sei più elegante e raffinata di qualsiasi donna che io abbia mai visto.”
“D… Dan.” Ginny esalò una risatina tremante, “stavolta devo essere io a ricordarti che siamo in un luogo pubblico.”
Draco rise e posò un bacio sulla guancia di lei.
“è un abito bellissimo. E tu sei incantevole, puoi credermi. Ed ora chiamiamo Coletto che ti aiuti a toglierlo, così ce lo portiamo a Londra.”
“Dan, non so nemmeno quanto cost…”
“Costi quello che vuole. Io stasera voglio vedertelo addosso.”
E possibilmente… togliertelo.

LEGGE DI LEAUTAUD
L’amore non sa che farsene delle qualità morali.

La sera stessa.

“Oh, per Merlino! Si può sapere dov’è finita Hermione?!?”

Ginny Weasley stava per avere una crisi isterica.
Molly Weasley stava valutando la possibilità di avere una crisi isterica a sua volta. In alternativa avrebbe potuto prendere a sberle sua figlia, così magari la crisi isterica non sarebbe venuta a nessuna delle due. O per lo meno la figlia se ne sarebbe rimasta ferma per il tempo necessario a chiudere la cerniera di quel benedetto vestito.
“Tesoro, te lo chiedo per favore, stai ferma un secondo!”
“Mamma devo essere al paiolo magico alle otto!”
“Ne sono perfettamente consapevole cara, visto che lo stai ripetendo da ore. Sono soltanto le sette e un quarto!”
“Ma Hermione deve aiutarmi a truccarmi!”
“Hermione sarà qui in un minuto. Ora, per amor del cielo, stai ferma o ti faccio uscire con le mutande al vento!”

Parecchie imprecazioni dopo il vestito si lasciò misericordiosamente allacciare e qualcuno si decise a bussare alla porta della camera da letto di Ginny. Hermione entrò salutando allegramente suocera e cognata, poi trattenne il fiato.
“Merlino! Ginny tesoro, quell’abito è meraviglioso, sembri uscita da una rivista di moda!”
Molly si strofinò le mani.
“Hai visto che bello, Hermione? È un regalo del suo nuovo fiancée, viene proprio da Paris!”
Ginny si batté una mano sulla fronte.
“Hermione, per amor del cielo, ignorala! Devi truccarmi per bene, non posso mettermi un abito da sera e darmi due pennellate di fard alla cieca!”
Herm si mise a ridere e scortò Ginny davanti al tavolino della toilette.
“E questo nuovo fiancée ha un nome o lo scopriremo soltanto a nozze avvenute?”
“Non è il mio fidanzato. Non so nemmeno se posso dire che è il mio ragazzo… Comunque si chiama Dan Jordon.”
“Jordon. Mai sentito. Chiudi gli occhi.” Hermione prese a spennellare di cipria il viso di Ginny. “Si è trasferito qui da poco?”
“Non lo so, in realtà. È uno che viaggia molto per lavoro, deve avere uno o due anni più di me e già dirige l’azienda di famiglia.”
“Ferma che ti metto un po’ di matita sugli occhi.”
“Non troppa! Se poi sbava come faccio ad accorgermene?”
“Non sbaverà. Non ricordi l’incantesimo fissante? Lo usavi anche tu una volta.”
“Ah, si… è passato un sacco di tempo.”
Hermione si pentì di averle ricordato che una volta poteva truccarsi e pettinarsi da sola per andare alle feste, ma ormai era fatta… con Ginny ogni argomento poteva nascondere un’insidia, ogni parola poteva, seppur involontariamente, risvegliare quella malinconia che la ragazza si sforzava in tutti i modi di nascondere. L’unica soluzione era cambiare argomento.
“Se questo Jordon ha frequentato Hogwarts dovremmo ricordarcelo…”
“Non lo so. È di famiglia altolocata, credo, può essere che l’abbiano mandato a studiare da qualche altra parte…” fece Ginny con indifferenza, “sai, ha un anello con lo stemma di famiglia, però non sono riuscita a capire che disegno vi sia inciso.”
Hermione annuì, rimuginando tra sé, mentre cercava il mascara nero tra le mille cianfrusaglie di Ginny.
“Come mai non ti viene a prendere a casa?”
“Oh, Herm, sei peggio di mia madre! Ci conosciamo da tre settimane, immagino sia troppo presto per cacciarsi volontariamente nella fossa delle belve!”
“Oh…” Herm dovette buttarsi due conti sugli invadenti fratelli di Ginny, e concludere che la cosa era perfettamente ragionevole, “capisco.”

Quando Ginny scese le scale, incerta sui tacchi altissimi, Ron sollevò lo sguardo e per poco non lasciò cadere a terra la bambina di due anni che aveva in braccio.
“Ginny! Per Merlino, dove hai preso quel vestito? Dove credi di andare?”
Se Ginny avesse potuto, avrebbe sicuramente alzato gli occhi al cielo.
“Ronald, è un regalo. Sto andando a cena fuori con un uomo, e mi sono messa un abito da sera. Che problema hai?”
“Beh… non sembri tu. Dovresti cambiarti.”
Ginny aveva rinunciato da tempo a cercare di seguire la logica mentale di suo fratello. Hermione invece, in qualità di moglie, si sentì in dovere di manifestare la sua disapprovazione.
“Ron, sei un idiota. E metti giù Rosie, non vedi che le stai stropicciando tutto il vestitino?”
Ron borbottò qualcosa a proposito del fatto che qualcun altro tra i presenti avrebbe dovuto stare attento a non farsi stropicciare il vestito dagli sconosciuti, ma posò obbedientemente la figlia sul tappeto.
“Beh, io vado” fece Ginny avvicinandosi al caminetto.
“Divertiti!” trillarono Molly ed Hermione, quasi all’unisono.
Una volta sparita Ginny, Ronald si rivolse alla moglie.
“Credi che dovrei indagare su chi è questo tizio?”
Hermione roteò gli occhi.
“Sei un auror, Ronald, non un investigatore privato!”

“Non bisognerebbe mai regalare a una donna qualcosa che non possa indossare la sera.”
Oscar Wilde

Più o meno nello stesso momento. Un appartamento (non un attico) in Diagon Alley.

La luce dorata delle candele creava giochi di ombre e riflessi sulla pelle sudata della donna sdraiata sul letto. Theodore Nott, nudo come mamma l’aveva fatto, faceva tintinnare il ghiaccio in un bicchiere di scotch, mentre ammirava Pansy stiracchiarsi con grazia felina al suo fianco. Un sorriso soddisfatto e crudele piegava le labbra di lei.
Thed passò il bicchiere freddo sulla sua schiena, facendola rabbrividire.
“Come mai così soddisfatta?”
Pansy alungò una mano e sfiorò il petto dell’uomo con un’unghia laccata di rosso, lanciandogli un’occhiata in tralice.
“Quello che abbiamo appena fatto non potrebbe essere una ragione sufficiente?”
“No, tu hai altro in mente, oggi. Potrò essere innamorato pazzo di te, Pance, ma non sono del tutto scemo.”
Se Thed fosse stato un po’ più sveglio in fatto di donne avrebbe letto in quegli occhi calcolatori ciò che Pansy, educazione permettendo, avrebbe risposto in quel momento: quando compri un toro da monta al mercato del bestiame, la prima cosa che prendi in considerazione NON è decisamente il suo acume. La donna sospirò e si allungò verso il comodino, avendo cura, nel processo, di strofinarsi ben bene sul corpo sudato dell’amante. Prese una busta gialla priva di mittente e ne sfilò una fotografia, sventolandola a quattro centimetri scarsi dagli occhioni blu di Theodore.
Thed spalancò i suddetti occhioni e si battè una mano sulla fronte.
Draco. Sei proprio un coglione.

*****************

Grazie a MaD World, seven, Yukiko_Chan (grazie mille!), Magical_Illusion (in bocca al lupo per gli esami!), puffolapigmea, Saty (non ho mai preteso di essere una scrittrice, ma so di certo che non scriverei se non potessi far ridere e se non fossi in grado di creare delle atmosfere con le canzoni e le citazioni. Quello che i grandi ci hanno dato non vedo il motivo di non usarlo! Un bacio, cara!!!), chandelora (dovrai aspettare ancora… grazie!), Danyyy (il sole estivo, addirittura… speriamo che arrivi davvero il sole che ho voglia di ferie. Grazie!), Sally90 (ciao cara!! Che carino risentirti!), Curiosity (un po’ ci hai preso riguardo a Draco, un bacione!), talpy, Brix_89 (di scene divertenti quante ne vuoi, ho voglia di ridere in questo periodo!), yellowrose (non so se questa si possa classificare long-fic… di solito quando parlano della “long-fic di Opalix” si riferiscono ai deliranti 40 capitoli di DF+LFF… non ho mica più l’età di scrivere cose così lunghe. Questa sarà circa come Legend, non più di 12-13 capitoli, credo. Sto invecchiando! Grazie per i complimenti!).

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Such a night ***


CAPITOLO 6: SUCH A NIGHT

Non bisogna mai cercare di capire una donna. Le donne sono delle immagini; gli uomini sono dei problemi. Se vuoi sapere che cosa una donna veramente intenda (il che comunque è sempre pericoloso) guardala, non ascoltarla.
Oscar Wilde

La cucina giapponese è in realtà una subdola forma di condizionamento mentale: tutti quei rotolini, pacchettini, bocconcini sembrano costruiti esattamente per far fare agli innamorati delle cose estremamente stupide. Per esempio, infilare sensualmente un rotolino di riso bollito e pesce crudo nella boccuccia spalancata della moglie/fidanzata/amante di turno.

Draco distolse lo sguardo disgustato dai due ragazzi seduti al tavolo, al di là della vetrina del ristorante giapponese. Grazie a Dio, Ginny si era lasciata portare senza fare storie nel ristorante francese dal quale erano appena usciti ed aveva mangiato dal proprio piatto, con le proprie posate. I suoi movimenti lenti e misurati, diretta conseguenza della cecità, facevano sì che Ginny possedesse una compostezza e una signorilità che di certo non erano frutto della sua educazione marchio straccioni-Weasley.
Abbassò lo sguardo sulla donna al proprio fianco. Si attaccava al suo braccio, cercando di nascondere la vaga incertezza nel camminare sui tacchi alti, il mantello nero sventolava attorno alle sue gambe, celando l’abito di seta blu che le aveva regalato. Un fermaglio di cristalli scintillava alla luce dei lampioni, e tratteneva i morbidi riccioli rossi che normalmente avrebbero incorniciato il viso come piccole fiamme. Il viso di Ginevra era incredibilmente espressivo, in un modo del tutto diverso da ciò che aveva considerato espressivo fino a quando l’aveva conosciuta (o riconosciuta, ma quella era un’altra storia e Draco non era sicuro di voler pensare davvero al fatto che la donna appesa al suo braccio era la stessa Ginny Weasley che gli aveva fatto più di una dolorosa fattura nei bei tempi andati…).
Strano pensare a quante frasi di uso comune, quante descrizioni facevano riferimento a ciò che lei non possedeva più: sguardi che si rabbuiano, che si illuminano, sguardi affettuosi, perplessi. Occhiatacce. Occhi che baluginano di rabbia, che scintillano di felicità, che si spalancano di stupore, che si alzano al cielo per l’esasperazione.
Gli occhi sono in grado di parlare una lingua che va al di là delle parole. Ma certo, non se sei cieco.
Gli occhi di Ginny non avevano nulla da offrire: lo sguardo di un cieco è uno sguardo… muto.
Eppure… Eppure sul suo viso riusciva a palesarsi una tale diversità e complessità di emozioni da lasciare Draco incantato, perso nell’osservazione delle reazioni di lei. La bocca di Ginny poteva schiudersi in una quantità incredibile di sorrisi diversi e di piccole smorfie che sarebbero risultate ridicole su qualunque altra donna. Il viso intero, quell’ovale pallido addolcito dall’attaccatura dei capelli a forma di cuore, aveva una mobilità impressionante.
Era l’esatto opposto di una maschera. Il suo perfetto contrario.
Gli occhi erano pozzi neri e inanimati, mentre il resto di lei – di tutto il suo essere – compensava ampiamente quella mancanza di vitalità.

Era una sensazione sconosciuta, quella di poter guardare una donna… Osservarla, studiarne ogni piccolo particolare, ogni singola espressione, senza che lei potesse accorgersi di essere praticamente sotto esame.
“Mi stai fissando.”
Come non detto.
“Come te ne accorgi?”
Ginny agitò la mano libera in un gesto vago.
“Sensazione. Il rumore del tuo respiro, probabilmente. Non lo so: quando sei cieco percepisci di più, immagino.”
Draco annuì, ma continuò a guardarla (incurante del fatto che sarebbe stato opportuno guardare dove stavano andando, considerato che la sua accompagnatrice era cieca).
Come sarebbe passata la rabbia su quel viso? Come l’avrebbero deformato la delusione, la collera… la sofferenza?
Beh, vecchio mio, per quanto riguarda la rabbia, immagino che lo scoprirai presto.
Prima o poi avrebbe dovuto comunque dirle chi era.
Già era stato un pazzo a lasciare che le cose andassero così avanti tra di loro, proprio nel periodo del divorzio. Ma… davvero, non era colpa sua. Non aveva mai avuto intenzione di trasformare un flirt nato per scherzo o per noia (o perché era fondamentalmente un coglione) in una relazione con tanto di fiori e regali (condita da un’abbondante spolverata di coglionaggine). Non era mai stata sua intenzione nemmeno quella di prendersi gioco di lei… Cioè, certo, era sempre stato un po’ uno stronzo (e un coglione) ma certe cose, tipo l’approfittarsi della cecità di una donna, andavano decisamente oltre.
Ovviamente, non era mai stata sua intenzione neanche quella di ritrovarsi con una cotta da manuale, tale che un cotechino la vigilia di Natale in confronto a lui era da considerarsi una crudité.
Era cotto.
Era successo nell’arco di pochi giorni. Prima la sensazione di libertà, il poter essere qualcun altro per una volta soltanto, l’idea intrigante di sapere tanto del passato di lei e nulla del suo presente. Poi era venuto il brivido, il fascino pungente del pericolo: vederla, parlarle, toccarla… e sapere che lei glielo permetteva soltanto perché non poteva vedere chi effettivamente aveva davanti. E, infine, era arrivata la consapevolezza: indipendentemente dal fatto che quella donna fosse Ginny Weasley, stare con lei gli piaceva. Lei gli piaceva. Era praticamente ossessionato da quei capelli rossi e scomposti, dalla sua risata spontanea e sexy, dalla sua dolcezza e semplicità.
Sarebbe rimasto ad osservarla per ore senza perdere interesse. Era capace di perdere la cognizione del tempo quando pensava a cosa avrebbe potuto farle piacere, a quale fiore profumato avrebbe potuto regalarle stavolta. Le avrebbe regalato un armadio intero pieno di vestiti, le avrebbe comprato diamanti, pellicce, scarpe firmate, se fosse stato abbastanza scemo da pensare che era quello che Ginny voleva (era coglione certo, ma non fino a quel punto).
Se tutto ciò significava essere cotti, allora sì che era cotto. Cotto come un cotechino.
E i cotechini, si sa, non brillano per astuzia.

“Andiamo a bere qualcosa nel mio appartamento?”

LEGGE DI JERROLD
L’amore è come il morbillo: più tardi arriva peggio è.

Un’altra cosa destabilizzante di Ginny era il fatto che lei non si guardava mai attorno.
Quale donna, entrata nell’appartamento di un uomo, non avrebbe cominciato a guardare in giro? Quale donna non sarebbe entrata di filato nel bagno per curiosare nel suo armadietto?
Una che non poteva vedere niente, appunto.
Ginny stava seduta sul divano, le gambe accavallate uscivano provocanti dal vestito di seta, e teneva il bicchiere freddo appoggiato alle labbra: una posa naturalmente sensuale, priva di affettazione. Il leggero rossore sulle sue guance pallide tradiva un certo imbarazzo.
Draco si sedette al suo fianco e accarezzò il polso di lei, appoggiato sullo schienale di pelle. La pelle era bianca, setosa, piccole vene azzurrine pulsavano appena sotto la superficie, il battito del cuore appena accelerato.
“Sei imbarazzata?” mormorò.
Ginny si morse le labbra contro il vetro del bicchiere, ma subito accennò un sorriso.
“Si.”
“È perché ti ho regalato il vestito, il fatto che siamo qui, qualcosa che ho fatto stasera…?”
Ginny scosse il capo. “No. Tu sei… Tu mi fai sentire bene. Sei attento, ma non mi tratti come una menomata. Mi sento bene con te, davvero.” Un sorriso vagamente malizioso le incurvò le labbra. “Ho deciso che per una sera voglio approfittare di te, e lasciarmi viziare. Mi hai fatto sentire una principessa stasera, in quel ristorante.”
Draco aprì la bocca per dirle non è stato nulla, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato come sminuire quello che lei sentiva. Per lei non era affatto “nulla”, e Draco capì che era giusto così. Voleva che per lei non fosse “nulla”, non era suo desiderio che i suoi regali, i posti in cui la portava fossero “nulla”.
“Sono contento che tu abbia deciso di comportarti come una signora di classe e lasciarti corrompere.”
Ginny ridacchiò.
“Ah si? Quindi è una corruzione. E cosa ti aspetti da me in cambio di questa meravigliosa serata?”
Draco le posò una mano sulla guancia e le vece voltare leggermente il viso. Le sue labbra sfiorarono quelle della donna in un bacio lento, sensuale, consapevole… completamente diverso da quello rubato e frettoloso che si erano scambiati la mattina al negozio. Si prese tutto il tempo necessario per farle capire, piano piano, quanto la desiderava. Ginny schiuse le labbra al suo bacio, arrendevole, ma la mano che posò sul petto di lui tremava leggermente.
“Che c’è?” sussurrò Draco sulla bocca di lei.
“Dan, io…”
Draco sbattè le palpebre, sentendosi chiamare in quel modo: per un attimo si era dimenticato che lei lo conosceva come Dan Jordon. Si allontanò e le accarezzò il viso.
“Non sei obbligata a restare qui, Ginny, se non vuoi. Il camino è collegato alla metropolvere, puoi tornare a casa in qualunque momento e…”
“No!” Ginny gli aveva preso la mano e l’aveva stretta forte per interromperlo. “No, non è questo, io… voglio restare qui. È che… Oddio, ora mi prenderai per una sciocca!”
“No, non potrei, ho avuto a che fare con sciocche vere e proprie e ti assicuro che sono fatte in modo diverso.”
Ginny rise di nuovo, ma si alzò in piedi e prese a sistemarsi alla meglio i capelli sfuggiti al fermaglio, un altro gesto che sembrava esprimere imbarazzo.
“Ginny, sul serio, che c’è che non va?”
La donna sospirò e lasciò cadere le braccia, voltandosi nella sua direzione.
“Dopo l’incidente sono stata al San Mungo per mesi e, quando sono tornata a casa, ormai le cose con Harry non andavano più…” si interruppe e scosse la testa. Draco alzò un sopracciglio: dove diavolo voleva andare a parare tirando in ballo Potter proprio in quel momento? Ginny allungò una mano verso di lui e lui la afferrò prontamente.
“Non sono mai stata con un uomo da quando non posso più vedere, Dan…” sussurrò, arrossendo ancora di più, “Non so cosa aspettarmi, non so… come fare.”
Draco rimase praticamente paralizzato. Tutto si era aspettato, tranne quello. Un sorrisetto soddisfatto si disegnò sulle sue labbra e fu lieto che lei non potesse vederlo.
“Ginny…”
“Sei deluso, vero? Chissà cosa stai pensando.”
“E perché mai dovrei essere deluso?” rise Draco, mentre si alzava in piedi la stringeva tra le braccia. La sensazione di far scorrere le mani sul corpo di lei, velato soltanto dalla seta lucida, gli procurò un brivido lungo la schiena. “Sei bellissima, Ginny. Sei così affascinante che non so veramente cosa pensare di quel cretino di Potter che non è stato in grado di tenersi stretto quello che aveva. Peccato per lui, tanto meglio per me… Io voglio che stare con me, per te, sia importante. Quello che c’è da scoprire, lo scopriremo insieme.”
Ginny gli sorrise, gli occhi scuri fissi su un punto imprecisato vicino al nodo della cravatta di lui. “Fidati di me,” sussurrò Draco.
Le mani di lei trovarono la sua cravatta e la tirarono verso il basso, costringendolo a piegarsi verso il basso. “Non credi che allora questa sia ora di toglierla…?”

”La felicità di un uomo ammogliato dipende dalle donne che non ha sposato.”
Oscar Wilde

Probabilmente per la prima volta nella sua vita, Draco realizzò l’esatto significato del detto popolare “fare i conti senza l’oste”.
Dopo che Ginny aveva espresso il motivo del proprio imbarazzo, lui si era preparato (non senza un certo compiacimento) ad avere a che fare con una donna insicura, da guidare sulla via della perdizione con l’abilità consumata di un viveur mondano quale era. Tranquillo e sicuro, aveva rispolverato i propri trascorsi da vitellone e si era accinto a fare gli onori di casa alla signorina con… le dovute forme.
Quello con cui non aveva fatto i conti era che Ginny, le mani, le usava per guardare.
E quella sera la signorina pareva aver deciso di volerselo guardare per bene il caro vitellone.
Da cima, a fondo.

Data la situazione, Draco aveva subito calcolato che slacciarsi la cravatta con lenta, sensuale nonchalance, o dilettarsi in altre simili pleasantries, non sarebbe servito allo scopo. Anche la sempre in voga trombata occhi-negli-occhi, un classico degli ex giocatori di quidditch abituati a tenere gli occhi sulla pluffa, non avrebbe qui trovato applicazione. Ma… ok, tutto ciò non lo aveva certo spaventato, era un uomo di mondo in fin dei conti: non era come se lui non si fosse mai scopato una donna bendata. Era certo di potersi inventare qualcosa.
Ginny però, non era semplicemente una donna bendata. Il tatto era, insieme all’udito, il senso principale su cui faceva affidamento, e quattro anni di cecità avevano affinato oltre misura la sua sensibilità fisica. Toccarla significava far vibrare una delicata e fremente corda di violino, tesa nel desiderio di essere abilmente suonata. Lasciarsi toccare… era permetterle di osservare ogni linea del corpo, ogni curva e spigolo, consentirle di creare nella sua mente l’immagine dell’uomo che aveva tra le braccia; significava lasciarsi tormentare da quella dolce curiosità, all’infinito, per tutto il tempo che lei avesse ritenuto necessario.
Le dita di Ginny si lasciarono guidare da quelle di Draco nello slacciare i piccoli bottoni della camicia, ma quando i palmi della ragazza si posarono sul suo petto nudo e cominciarono la loro lenta, sensuale esplorazione, Draco dovette riconsiderare da cima a fondo i propri calcoli.
Il letto, per esempio, era fuori discussione: se non si dava un regolata non avrebbe fatto in tempo nemmeno a buttarla sul divano che era si e no a mezzo metro di distanza. Intanto le mani di Ginny avevano già raggiunto il suo ventre e sembravano intenzionate ad osservare minuziosamente tutti i muscoli addominali. Draco interruppe il bacio e trasse un respiro profondo, chiedendosi se valeva la pena rovinarsi la digestione pensando a qualcosa che coinvolgesse sua madre, l’imbianchino e un barattolo di vernice… così, giusto per precauzione. Scelse invece di rivolgere la propria attenzione alla seta che ancora avvolgeva Ginny, contando da 100 all’incontrario per recuperare un minimo di autocontrollo. La cerniera sul fianco scivolò verso il basso sotto la mano esperta di Draco e, piano piano, sempre più centimetri di pelle bianca emersero dalla stoffa blu che li celava.
La cosa più sensuale di un abito di seta, pensò Draco, è il modo in cui scivola via dal corpo di una donna, dapprima lentamente, poi sempre più veloce, con quel fruscio inconfondibile, fino a ritrovarsi come uno straccetto appallottolato attorno a tacchi delle scarpe. E come una Venere che emerge dalle acque, il corpo della donna si rivelava all’improvviso, in tutta la sua bellezza e fragilità.
Draco abbassò gli occhi sulla spalla destra di Ginny, e probabilmente fu la cosa giusta da fare: un moto di compassione per quanto quella ragazza doveva aver patito nel non vedere le proprie cicatrici, immaginando probabilmente di essere un mostro, gli fece recuperare il controllo di se stesso. Accarezzò la pelle segnata e ruvida, e avvicinò le proprie labbra all’orecchio di lei.
“Sei bellissima,” mormorò, cercando di mettere in quelle parole tutta la propria sincerità.
Ginny si strinse a lui e gli permise di farla sdraiare sul grandissimo divano. Il peso del corpo di Draco su di lei, e la sensazione della pelle di lui contro quella delicata del suo seno, le strapparono un sospiro. Con le mani fece scivolare via la camicia di Draco dalle spalle, dalle braccia e dai polsi, senza lasciare intoccato un solo centimetro di pelle… voleva vedere tutto, e avrebbe guardato non solo con le mani, ma anche con le labbra, e con tutta la superficie del suo corpo a contatto con quello di lui, che sembrava non essere mai abbastanza.

Passò davvero un sacco di tempo, probabilmente ore (o forse sembravano tali solo nella mente un po’ annebbiata di lui), prima che tutti i vestiti finissero sul pavimento, e Draco credeva di essere diventato matto. Quando finalmente si ritrovò dentro di lei e sentì il suo gemito soffocato contro la propria spalla, rischiò di mandare alle cozze in un istante gli infiniti preliminari, rendendosi conto che anche quella parte di Ginny lo stava guardando.
Draco non era mai stato uno stinco di santo: erano, si, due anni e mezzo che non andava a letto con sua moglie, ma non è che non avesse trovato dove sfogare i propri salutari istinti, nel frattempo. Pensava di potersi ritenere discretamente allenato, tutto sommato.
Ma Ginny sembrava fatta apposta per mettere in discussione ciò di cui ogni uomo non vorrebbe mai e poi mai dubitare. Dentro di lei Draco si era sentito sull’orlo del precipizio, come un pivello alle prime armi che deve ricorrere ad ogni espediente, compresa la nonna in mutande, pur di non bruciare tutte le tappe e arrivare in casa base in un unico, umiliante, scatto. Ci volle tutta la sua autodisciplina per resistere quel tanto che bastava per sentirla gemere sempre più forte, per sentirla stringere a se la sua schiena tremante per lo sforzo, perché lei si inarcasse contro di lui e piantasse le unghie nelle sue spalle… per poi lasciarsi andare, e collassare su di lei a corto di fiato come un cinquantenne che ha corso la maratona.
“Mio Dio…” borbottò, sollevandosi a fatica, per evitare di schiacciarla sotto il proprio peso.
Ginny ridacchiò, anche lei ansimante. “Quello non lo dovrebbero dire le ragazze?”
Draco rotolò su un fianco, ridendo, e si tirò Ginny sul petto, stringendola a sé. “Infatti sarebbe carino, per l’integrità del mio ego, che tu ora dicessi qualcosa del genere.”
Ginny avvicinò il viso all’orecchio di lui e sospirò, mormorando deliziata “Oh, mio Dio…”.

“The moon was bright, oh how so bright
It was, it really was, such a night
The night was alight with stars above
Oh-oh when she kissed me
I had to fall in love.”
Elvis Preasley
“Such a night”

“Vuoi avvertire a casa che non ti aspettino alzati?” mormorò Draco nell’orecchio di Ginny.
Sdraiati sul divano, ancora mezzi nudi ed avvolti in un plaid, stavano godendosi il calore del grande camino che Draco aveva acceso. La mano di lui accarezzava incessantemente la schiena di Ginny e i capelli rossi, sciolti in una cascata di morbide onde sul suo petto.
“Sono grande, Dan… Nessuno mi sta aspettando alzato.”
Quand’era esattamente che sentirsi chiamare da lei con quel falso nome aveva cominciato a dargli fastidio?
“Pensavo che, data la tua condizione, i tuoi familiari fossero più protettivi nei tuoi confronti.”
“Lo sono. Ma ho cercato di mettere loro dei limiti. Non ho intenzione di rispettare un coprifuoco o rendere conto dei miei spostamenti come una quindicenne. Essere cieca mi limita già abbastanza di per sé.”
Le fiamme del camino erano l’unica fonte di luce nella sala ed accendevano di riflessi dorati non solo i capelli di Ginny, ma anche la pelle bianca punteggiata di lentiggini. Guardarla, in quel totale abbandono di amanti spossati, fece conoscere a Draco un sentimento di cui non aveva forse mai avvertito la potenza: la malinconia. Ginny era un fuoco fatuo rifugiatosi momentaneamente tra le sue braccia, effimero e sfuggente, che sarebbe scappato lontano al primo soffio del vento della verità. Ciò che aveva trovato con lei sarebbe scomparso, come i fuochi fatui scompaiono all’alba, lasciando dietro di sé l’odore putrescente dell’odio che lei avrebbe provato per lui. La solitudine, allora, sarebbe ritornata ad essere la sua discreta, ma opprimente, compagna.
“Cosa ti manca di più?” mormorò Draco.
“Gli sguardi,” rispose Ginny, “gli occhi della gente. Posso sentire i sorrisi nelle parole… Ma non potrò mai più vedere gli occhi di qualcuno illuminarsi per un regalo, splendere di gioia. Sembrano tutte frasi fatte e scontate, ma non puoi renderti conto di quanto siano reali finchè quelle che fino al giorno prima ti sembravano piccole banalità quotidiane non ti sono precluse per sempre. Non posso sapere se hai distolto lo sguardo dalla mia spalla, schifato, quando mi hai tolto il vestito.”
Draco la strinse forte.
“Come puoi anche solo pensarlo?”
“Non ho mai visto le mie cicatrici. Nessuno avrà mai le palle di dirmi quanto effettivamente sono orrende. E io non posso leggere la verità nei loro occhi… Non ti rendi conto di quanto sia facile mentirmi.”

Un nodo alla gola.
A quanto pareva era destino che quella sera Draco si rendesse conto del significato letterale di alcune frasi fatte di uso comune. Celando la propria amarezza con l’abilità consumata di un attore mondano, abbassò le labbra sulla spalla destra di Ginny.
“Puoi leggere la verità sulle mie labbra…” sussurrò, baciando dolcemente le cicatrici.

ASSIOMA DI PLATONE
L’amore è una grave malattia mentale.

Tre giorni dopo, il martedì mattina dell’udienza preliminare.

Draco ascoltava a malapena lo sproloquiare della Granger che esponeva, logorroica come suo solito, gli accordi per il divorzio al giudice. Stravaccato sulla panca dell’aula di tribunale, osservava Pansy con la coda dell’occhio e pensava che il sorrisetto soddisfatto della moglie non prometteva niente di buono.
Fin da quando si era alzato, si era reso conto che in quella giornata qualcosa sarebbe andato storto. E no, non c’entrava il fatto che scendendo dal letto non aveva trovato la ciabatta sinistra, e che gli elfi domestici sembravano essersi improvvisamente dimenticati come fare un caffè che somigliasse ad un caffè. Se si fosse chiamato Harry Potter, avrebbe di certo cominciato a pensare che il barboncino nero che Madama Narcissa aveva comprato e liberato nel giardino di casa fosse in realtà il Gramo sotto mentite spoglie… Ma lui non era Harry Potter, pensò Draco, cercando di tranquillizzarsi. La sua concezione di qualcosa di storto comprendeva, ad esempio, anche il fatto che tornato a casa avrebbe scoperto che gli elfi domestici avevano sbagliato a lavare la sua camicia preferita, cosa di certo tragica, ma plausibilmente rimediabile (uccidendo un paio di elfi e commissionandone una nuova al sarto). Draco prese a giocherellare con la piuma d’aquila della Granger, cercando di darsi un tono.
Finito lo sproloquio della Granger, il delegato del Wizengamot chiese alla controparte se gli accordi finanziari erano soddisfacenti.
Thed adesso risponde di sì e questa pagliacciata può avere fine, pensò Draco.
Thed però si alzò in piedi e chiese al giudice il permesso di mostrare dei documenti rilevanti ai fini dell’udienza. Draco guardò la Granger con aria interrogativa, ma la Granger non potè fare altro che aggrottare le sopracciglia e drizzare le antenne (figurativamente).
Thed consegnò al giudice un pacchetto di fotografie e disse, con voce chiara e tranquilla, che i documenti comprovavano il tradimento del Signor Malfoy nei confronti della moglie e che, di conseguenza, gli accordi finanziari proposti dall’avvocato Granger non erano consoni.
“A beneficio della mia cliente, chiedo che gli accordi vengano riveduti contemplando il risarcimento dei danni morali perpetuati alla Signora Malfoy. Il risarcimento che proponiamo alla corte consiste nella possibilità per la signora Malfoy di crescere la figlia Melanie Malfoy in un luogo salutare. Considerata la cagionevole costituzione della bambina, e la sua necessità di aria aperta, chiedo che alla Signora Malfoy vengano attribuite le tenute di campagna che la famiglia Malfoy possiede in Bretagna. Se questo non dovesse essere possibile, mi vedo costretto a chiedere a beneficio della mia cliente, Malfoy Manor stessa.”
Draco si battè una mano sulla fronte, sconvolto. Tutto sommato forse quel esemplare di dubbia forma canina era davvero il Gramo.
La Granger, che era un po’ più reattiva di lui, saltò in piedi e chiese al giudice di aggiornare l’udienza per poter conferire con il proprio assistito. Il giudice accordò una settimana di tempo. Poi la Granger si girò verso Draco e si piantò le mani sui fianchi.
“Scommetto che adesso ti serve un buon avvocato, vero?”

MURPHY’S LOVE LAW
When a man wants his wife to hear, she doesn't listen.
When that same man doesn't want his wife to hear, of course she's all ears.

*******

Un attimo di cordoglio per ricordare i leggendari vitelloni romagnoli, razza ritenuta purtroppo (o per fortuna?) in via di estinzione.

Grazie a chandelora, yellowrose, Saty (quella che Pansy fa vedere a Thed non era una lettera ma una fotografia, ti sei persa un pezzo. Credo che questo capitolo sia quello che aspettavi con ansia, ma ho deciso di buttarla sul comico, altrimenti avrei fatto un doppione di DF e non mi pareva cosa… un bacio tesoro, sei spettacolare come sempre!), Brix_89 (ci avevi ppreso, ma non era difficile, dai. Un bacio e grazie!), Vulcania (tutta la parte della descrizione del vestito era più uno sfizio personale che qualcosa di effettivamente utile alla storia: mi è sempre sembrata un’abitudine da fanfiction così deliziosamente trash quella di descrivere i vestiti delle protagoniste! Narcissa partirà alla carica il prossimo capitolo, e non preoccuparti, farà faville. Un bacio!), Danyyy, Curiosity, DarkStar (ti ringrazio per gli apprezzamenti su Ginny! Ho voluto fare un Draco un po’ più coglione questa volta, per rendere la storia più comica: è qualcosa che mi ballava in testa da tempo, in fondo il Draco originale è un po’ un deficiente, ricco e viziato. A presto!), Summer_Black (il tuo commento sul velo di malinconia ci ha preso in pieno, e in questo capitolo credo sia ancora più evidente. Grazie per la bella recensione!), Fanny (Ti aveva sfiorato l’idea di iniziare DF? Per carità, è troppo caldo! Scherzo! Grazie per la bella recensione, Narcissa è anche il mio personaggio preferito qui e spero di darle ancora più spazio. Grazie ancora e un bacione!), seven (sono sempre contenta di vedere cosa vi piace e non vi piace delle storie, quindi le tue recensioni dettagliate sono sempre graditissime. Buone vacanze! Io invece resto a casa quindi andrò avanti con la storia… ti aspetterà al tuo ritorno).

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Professional secret ***


CAPITOLO 7: PROFESSIONAL SECRET

“Non puoi cavalcare due cavalli con un culo solo.”
Dal film “Tutta colpa dell’amore”

Lo stesso giorno dell’udienza preliminare, ma più tardi.

“Entra, avanti!”
L’avvocato Granger spalancò la porta del suo ufficio con una manata e strillò a Draco di entrare. Era evidente che se non fosse stata così educata avrebbe facilitato il procedimento con un calcio nel sedere. Draco mosse qualche passo malfermo e si richiuse piano piano la porta alle spalle. Hermione aveva sbattuto sulla scrivania un pacchetto di fotografie, copie di quelle portate da Nott, che il giudice le aveva fornito.
“Io vorrei davvero sapere cosa ti è saltato in quella testa vuota!” strillò l’avvocato, mettendosi le mani nel capelli, “ma no, certo! Tu sei Draco Malfoy! Non potevi aspettare di essere divorziato prima di portarti in giro la tua futura seconda moglie, o la tua amante, o una zoccola pagata… no, tu devi sempre fare quello che il tuo microcervellino partorisce! I piccoli imbecilli quando crescono diventano… GRANDI E GROSSI IMBECILLI!”
“Granger stai esagerando,” tentò di farle presente Draco, ma senza troppa convinzione, “che vuoi fare, tirarmi un pugno?”
“Non tentarmi. Sapevi che stavi per divorziare, ma è mai possibile che non ti sia venuto in mente di usare un po’ di discrezione?”
“Io sono stato molto discreto!”
“Si, più o meno come Paris Hilton…” borbottò Hermione, sedendosi alla scrivania.
“Chi?”
“Nessuno, lascia perdere.”
“Oh Granger, andiamo! Mia moglie si porta a letto mezza Londra, ha addirittura messo al mondo una figlia che, palesemente, non è mia… che volevi, che per tutti questi anni io mi mettessi a fare il monaco tibetano?”
Hermione sospirò, stancamente.
“L’arancione ti starebbe di merda. Ma non è quello il punto,” brontolò. “Le foto che Nott ha portato al giudice sono tutte recentissime e tutte della stessa donna: è chiaro che non hanno prove di tue eventuali relazioni extraconiugali precedenti, altrimenti avrebbero presentato quelle!”
Draco la guardò, grattandosi un sopracciglio, perplesso.
“Malfoy, ragiona! Farti passare per un marito ripetutamente infedele durante diversi anni di matrimonio sarebbe stato molto più sicuro per Pansy, piuttosto che affidarsi a una relazione le cui uniche prove sono datate successivamente alla presentazione dell’istanza di divorzio.”
Draco allargò le braccia, “ok, ma allora non capisco quale sia il problema. Dimostriamo che Melanie non è mia figlia e Pansy non potrà più avere nessun diritto su Malfoy Manor.”
La Granger accavallò le gambe e lo scrutò per qualche secondo prima di rispondere.
“Malfoy, sei stato tu a dire che il divorzio doveva svolgersi con meno polverone possibile. Non sono esperta delle dinamiche di società, ma tu hai dato il tuo nome a quella bambina: se adesso, dopo quattro anni, cominci a lagnarti che non è figlia tua e che tua moglie ha fatto la zoccola sotto il tuo tetto per così tanto tempo… cosa credi che si dirà in giro?”
“Non ci crederanno,” ammise Draco, sconsolato, “nonostante le prove, Pansy ne uscirà comunque come la moglie maltrattata. Siamo stati troppo implicati con Voldemort in passato: il mostro sarò sempre e comunque io.”
“Si, lo penso anch’io,” fece Hermione, con clinico distacco. “E Nott è troppo bravo per non approfittare anche del fatto che il tuo lavoro ti porta a viaggiare spesso. Di fronte alle prove schiaccianti della tua non-paternità, la giuria potrà soltanto sentire pietà per la povera Parkinson, così sola e abbandonata da arrivare a…”
“…prendersi come amante il giardiniere” concluse Malfoy.
Hermione alzò un sopracciglio, ma non fece commenti.
“Comunque, mostrarti al mondo come il povero maritino cornuto non servirebbe… non so nemmeno se basterebbe a farti conservare la casa. Se poi vuoi mantenere il rispetto della società dobbiamo fare molto di più. Bisogna screditare tua moglie completamente, fare in modo che sia lei il mostro. Sei disposto a fare questo?”
Malfoy sbuffò, incredulo.
“Non fare domande cretine, Granger. Tu piuttosto, ne sarai capace?”
“Non fare domande cretine, Malfoy...” gli fece il verso Hermione.
“L’hai detto tu: non sei esperta delle dinamiche di società. Nott ci è cresciuto in mezzo.”
“Si. E ne è venuto fuori un avvocato che non è in grado di tenerselo nelle mutande quel tanto che basta per non farsi coinvolgere dalla propria cliente. Io non ti sfiorerei nemmeno con i guanti, Malfoy, con tutto il rispetto ma mi fai un po’ troppo schifo.”
“La cosa è reciproca Granger, non temere. Qual è la tua idea quindi?”
Hermione strinse gli occhi.
“Pensare, per ora. E parlare con tua madre.”
Draco questa volta saltò in piedi, un’espressione di puro terrore sul viso.
“Mia madre?!?”
“Tua madre. O devo dedurre che è così affezionata a Pansy da non voler aiutare il suo adorato figlioletto nei guai?”
“Mia madre spezzerebbe il collo a Pansy se solo trovasse il modo di farlo senza sporcarsi le dita. Il problema è che, dopo quello che è successo, spezzare il mio potrebbe sembrarle ancora più interessante. Che c’entra mia madre? Non possiamo lasciarla fuori da questa storia?”
“Beh, lei è una vera esperta di dinamiche di società, no? Ci sarà utile. Quando posso parlarle?”
Draco sospirò e si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona.
“Se pensi che non si possa evitare… quando vuoi, suppongo, ma dovrai essere tu a venire al Manor.”
“Nessun problema. Domattina suonerò alla tua porta, allora.” Hermione prese in mano il pacchetto di fotografie e cominciò a sfogliarle. “Chi è la rossa, comunque?”

ESTENSIONE DI BALDWIN ALLA LEGGE DI FREAK
L’amore è cieco ma la sfiga ci vede benissimo.

Per uno strano scherzo del destino, la misteriosa donna dai capelli rossi era inquadrata quasi sempre di spalle nelle fotografie che Nott aveva presentato al giudice. Un cappotto nero, un paio di semplici stivali, una cascata di capelli rossi, un po’ arruffati. Hermione le sfogliò distrattamente. Per la maggior parte delle inquadrature gli amanti clandestini si tenevano per mano, in una di esse Draco sussurrava qualcosa nell’orecchio alla ragazza. Poi, finalmente, una fotografia inquadrò il profilo impertinente della ragazza, colta in una risata, la testa gettata all’indietro.
Hermione impallidì e si tappò la bocca con la mano.
Draco allontanò impercettibilmente la sedia e si guardò le punte dei piedi.
Hermione imprecò.
Draco, sempre guardandosi le punte dei piedi, pensò che era una vera vergogna che una donna come l’avvocato Granger conoscesse tali parole.
Hermione scattò in piedi e strillò “Malfoy!”.
Draco alzò lo sguardo dalle punte dei piedi e saltò i piedi, cercando di guadagnare la porta.

“Colloportus!”
Hermione avanzò minacciosamente verso Malfoy che – era evidente – sembrava avere tizzoni ardenti sotto le belle scarpe firmate.
“Brutto, idiota, bugiardo, bastardo d’un… Malfoy!” strillò.
Draco si grattò la nuca cercando di darsi un tono.
“Oh, Granger, andiamo… se dico che gli Weasley mi fanno schifo mi date del razzista, e se ci esco, con la Weasley, non va bene lo stesso…”
“Ti sei fatto chiamare Dan Jordon!” strillò ancora più forte l’avvocato.
“Si, beh…” il tono di Malfoy cercò di farsi ragionevole, “non è che sarebbe uscita con me se le avessi detto chi ero. Ma a parte il nome…”
“A PARTE IL NOME?!?” Hermione alzò le braccia al cielo, chiedendo pazienza. O forse no. “Malfoy, di tutte le cose…” la donna sembrò per un attimo a corto di parole e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, scuotendo la testa, il viso pallido come un fantasma. Quando riprese a parlare lo fece con gelida calma, fissando su Draco uno sguardo assassino che avrebbe fatto battere in ritirata anche il povero, vecchio Godric.
“Di tutte le cose che avrei mai potuto pensare di te, di tutte le… stronzate che avresti mai potuto fare, non avrei mai nemmeno lontanamente immaginato che tu potessi arrivare a tanto. Ad approfittare di una ragazza che non può difendersi dai tuoi schemi, che non ha speranza di tutelarsi contro le tue sporche menzogne. Sei un verme molto più viscido di quanto avrei mai potuto concepire. E quello che è peggio è che non hai la più pallida idea di quello che Ginny ha passato quattro anni fa, non sai nulla di lei, non puoi capire quanto bisogno abbia di essere protetta e rassicurata. Mi fai schifo, Malfoy.”
Le ultime quattro parole caddero sulla testa di Draco come pesanti blocchi di ghiaccio dagli spigoli aguzzi. E se ci fosse stato qualcuno in ascolto, avrebbe potuto sentire il cranio di Malfoy suonare decisamente vuoto.
Ci sarebbe voluto qualcuno con un pelo sullo stomaco ben più folto di quello di Draco per non sentirsi un esserino disgustoso e rivoltante sotto il peso delle parole di Hermione Granger. Non potendo, ovviamente, vantare immacolate intenzioni, il ragazzino viziato che ancora viveva nel cuoricino nero di Draco Malfoy, mise fuori la testa platinata e se ne uscì con un petulante “Granger, tu non capisci.”
“Ah, non capisco?” fece la Granger, ancora più gelidamente. “E cosa ci sarebbe mai da capire, Malfoy? Il motivo recondito? Non mi interessano minimamente le tue ragioni, non voglio sapere per quale assurdo motivo tu abbia messo in piedi questa sceneggiata, ma quello che so è che non permetterò che Ginny ne subisca le conseguenze! Hai mentito sulla tua identità a una ragazza che non può vedere. Grazie al cielo, Ginny ha una famiglia che veglia su di lei e che la vista ce l’ha ancora.”
“Sei un avvocato Granger! Sei vincolata al segreto professionale, non puoi dire niente a Ginny!”
Hermione lo squadrò con disgusto, senza scomporsi. Doveva dargli atto che era meno stupido di quello che sembrava, ma lei non era certo una da farsi mettere i bastoni tra le ruote da un damerino qualunque.
“Non posso dirle che il misterioso ammiratore da cui riceve fiori e regali è Draco Malfoy, no. Ma sono l’avvocato soltanto di Draco Malfoy, nulla mi impedisce di avvertire Ginny che Dan Jordon è un patentato bastardo. Adesso infila quella porta prima che mi decida a farti una fattura. Non voglio sentire la tua voce prima di domattina.”

“Call me irresponsible,
yes I’m unreliable,
but it’s undeniably true,
I’m irresponsibly mad for you.”
Frank Sinatra
“Call me irresponsible”

La sera stessa, al 47 di Diagon Alley.

Ginny uscì dal camino scendendo i gradini con la sua solita attenzione. “Dan?”
Draco la raggiunse in un balzo, le prese le mani e le strinse forte, studiando il viso della ragazza.
“Sono io.”
Ginny sorrise e Draco si decise a stringerla a sé: l’abbraccio doveva avere un che di doloroso o disperato, perché Ginny alzò le mani e le posò sul viso di lui, cercando di capirne l’espressione.
“Hey, che c’è?” mormorò.
“Niente,” mentì lui, “avevo voglia di vederti.”
Solo lei riusciva a dare ad un sorriso una piega amara e farlo comunque restare un sorriso, così bello da spezzarti il cuore.
“Si. Anche io ne avrei voglia, di vederti.”
Le dita di Ginny si mossero leggere, sfiorando le labbra sottili, gli zigomi, e la fronte nascosta dalle ciocche di capelli biondi ancora umide per la doccia. Draco rimase immobile e chiuse gli occhi, che in quel momento erano cupi e tristi, e avevano lo stesso colore delle nubi prima di un temporale.
“Sei preoccupato.”
Le parole appena sussurrate si persero quasi nel rumore della pioggia che batteva sul tetto. Tra le sue braccia Ginny era piccola ed esile, e la luce del camino giocava sui suoi capelli da fata, facendo sembrare il suo viso come avvolto dalle fiamme. Guardarla faceva male, sapendo che stava per sfuggirgli dalle mani come un sogno. Draco sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, dirle qualcosa… qualcosa di vero, che lei avrebbe potuto ricordare dopo che tutte le menzogne fossero uscite allo scoperto. La famiglia Weasley non avrebbe impiegato molto a trovare il modo di smascherarlo, non aveva più tempo, ormai. Un altro uomo forse si sarebbe arreso e, vero o non vero, le avrebbe detto che l’amava e le avrebbe fatto promettere di ricordarselo sempre.
Ma il diavolo, si sa, fa le pentole senza i coperchi.
E Draco non aveva la più pallida idea di come tenercela, Ginny, dentro la pentola. Sapeva soltanto che la pentola gli sarebbe sembrata ancora più grande e vuota, una volta che la fata che ora l’abitava fosse volata via.
“No. Sono solo stanco,” disse, cercando le labbra di lei, “è stata una giornata pesante.”

“Fornite alle donne occasioni adeguate e le donne potranno fare tutto.”
Oscar Wilde

La mattina dopo.

“Mio figlio è un cretino.”
Madama aveva parlato con un tono conversativo, accompagnando la constatazione con un elegante movimento della mano ingioiellata. L’avvocato Granger, che aveva appena finito di esporre i fatti, annuì convinta.
“Non avrei saputo esprimermi con maggiore accuratezza, signora Malfoy.”
Draco, sprofondato nella poltrona in dolce intimità con una fetta di torta al cioccolato, cominciò a sentirsi di troppo in quel tripudio di reciproca comprensione.
“Tu sei d’accordo con noi, vero Draco?” chiese Narcissa, con dolcezza.
Draco annuì passivamente, senza proferire verbo perché aveva la bocca troppo piena.

Jackson scelse proprio quel delizioso momento di armonia familiare per entrare nel salone e scaricare rumorosamente a terra cinque secchi di vernice. (L’inquietante dicitura “PEPPERMINT GREEN” faceva bella mostra di sé sull’etichetta dei grossi barattoli.)
L’aitante e abbronzato imbianchino, vestito come suo solito di ciò che restava di un vecchio paio di jeans, si asciugò un improbabile sudore dal collo e dalla fronte e si caricò la scala sulla spalla destra. Madama Narcissa gli rivolse un sorriso smagliante.
“Jake, caro… ti dispiace cominciare dalla parete ovest? Stiamo ancora facendo colazione e non vorrei che l’odore della vernice ci rovinasse l’appetito…”
“Nessun problema, Signora Malfoy” fece il ragazzo.
Mentre si dirigeva verso il luogo assegnatogli, Jackson sfilò, ancheggiando, davanti alla povera Hermione, il cui sguardo non riuscì proprio ad evitare di posarsi sugli strappi posteriori dei jeans (sicuramente un cimelio degli ormai morti e sepolti anni settanta) – e, di conseguenza, sulle porzioni di sode chiappe in bella mostra attraverso di essi. Hermione spalancò gli occhi e il suo viso si fece di una gradevole tonalità di rosso amarena. Distolse in fretta lo sguardo e riprese a sfogliare le sue carte con rinnovato zelo.
Narcissa, al contrario, non si fece scrupolo di seguire pigramente il posteriore di Jackson mentre posizionava la scala e si preparava a tinteggiare per l’ennesima volta la parete opposta del salone.
Hermione si schiarì la gola.
Draco inghiottì a fatica il boccone che stava masticando e posò la restante porzione di torta sul tavolino, allontanandola da sé con un gesto che aveva un che di disgustato.
Mamma…
Narcissa lo fulminò con un’occhiata.
“Finisci la torta, Draco. Io e l’avvocato Granger dobbiamo decidere come rimediare alle tue idiozie.”
“Si infatti, è il motivo principale per cui sono venuta qui stamattina,” disse Hermione, il viso ancora arrossato, voltando rigorosamente le spalle alla parete sulla quale Jackson stava passando con misurata lentezza il grosso pennello. “Il suo consiglio e la sua esperienza sono fondamentali in questa fase, signora Malfoy. Come ho già esposto a suo figlio ieri, se le vostre intenzioni sono sempre quelle di non perdere il rispetto dell’alta società magica inglese, dimostrare che la bambina non è figlia del signor Malfoy non sarà sufficiente.”
“No, è ovvio. Sono passati quattro anni, Draco avrebbe dovuto agire prima, o non agire affatto.”
“Oh, ma agiremo…” fece Hermione, dolcemente, “soltanto, per screditare Pansy Malfoy non sarà sufficiente che Draco si faccia compatire come il maritino cornificato. Ma credo di aver trovato l’eventuale arma segreta.”
“Credo di capire, non c’è bisogno che mi spieghi altro, avvocato” la interruppe Narcissa, con uno sguardo di aperta ammirazione.
Draco nascose la testa fra le mani. Che due donne si capissero al volo, era normale. Che sua madre ed Hermione Granger riuscissero a capirsi senza bisogno di parole… era probabilmente un presagio della prossima apocalisse. E lui sarebbe morto nel grande cataclisma senza aver capito una mazza.
“Pensa che possa funzionare?”
“Ne sono assolutamente convinta!” ribadì Narcissa, alzandosi in piedi.
“E adesso dove vai?” chiese Draco, senza eccessiva speranza di ricevere una risposta.
Narcissa lo guardò dall’alto in basso.
“A procurarmi una veletta di pizzo nero, ovviamente. Avvocato Granger, è stato un vero piacere. Lo sarà ancora di più se convincerà mio figlio che è nel suo miglior interesse mantenere un comportamento moralmente irreprensibile durante le prossime fasi del processo.”
E dal suo tono di voce era chiaro che la perdita di Malfoy Manor e del rispetto sociale sarebbe stata una bazzecola paragonata a ciò che aspettava Draco se avesse pensato di agire diversamente. Mentre usciva a passo di marcia dal salone, Marcissa Malfoy puntò la bacchetta verso i secchi di vernice e la scritta “PEPPERMINT GREEN” sparì in uno sbuffo di fumo, sostituita dalla dicitura “CHERRY PINK”.
“Jackson, lascia perdere e vieni ad aiutarmi con i mobili da portare al piano superiore. Domani ricominci da capo con il nuovo colore.”

“And now, if you’ll excuse me, I’m going to hell.”
Queer as Folk

“Ron, caro?”
“Mf… ‘sa vuoi?”
“Dormivi, caro?”
“…”
“Beh, scusa se ti ho svegliato, tesoro…”
“’mione… che c’è…”
“No, niente, caro.”
“Ok, ok… sono sveglio, adesso.”
“Oh, bene. Volevo solo dirti… ti ricordi quando mi hai chiesto se era il caso che tu facessi delle indagini su Dan Jordon?”
“… chi?”
“Dan Jordon. Quello con cui esce tua sorella.”
“mia sorella?”
“Ginny! Ron, sei sveglio per davvero?!?”
“…mf. Si, si sono sveglio. Dan Jordon. Ginny. Indagini. Si.”
“Beh, io ti avevo detto di lasciar perdere, sai, però…”
“però?”
“è che sono venuta a sapere alcune cose sul lavoro, non che Dan Jordon sia mio cliente, sai, però si viene a conoscenza di varie cose facendo l’avvocato, e…”
“Hermione, ho sonno, sono le due del mattino… non puoi dirmi semplicemente che è successo?”
“Ma è proprio quello il punto! Non posso. Segreto professionale.”
“E?”
“E allora, io temo che quest’uomo non sia esattamente una toccasana per Ginny nella sua situazione.”
“La picchia?!?!”
“Ma no, cosa ti viene in mente! È solo che ho come l’impressione che questo tizio non sia quello che dice di essere, ecco. Perciò pensavo…”
“Cosa?”
“Pensavo che, ecco, se tu ed Harry, al di fuori dell’orario di lavoro, sia chiaro, scopriste per caso qualcosa su questo tizio, voi non sareste legati al segreto professionale.”
“Al di fuori dell’orario di lavoro.”
“Si, caro, sempre che per te non sia un problema…”
“No, non è un problema. Lavoro già nove ore al giorno, ma non è un problema.”
“Certo, se pensi di non avere tempo…”
“Ma no, che dici, le ore sono 24…”
“Ok, è solo che pensavo che il benessere di Ginny ti stesse a cuore… ma se non ne hai voglia…”
“Va bene, Hermione, domani ne parlo con Harry.”
“Certo, se Harry ti dicesse che non è il caso…”
“Andrà bene…”
“Ma se ti dicesse che gli auror non possono…”
“BUONANOTTE HERMIONE!”

***********

Prima di tutto, nello scorso capitolo mi ero dimentica un ringraziamento (essenziale) alla persona che, via sms, mi ha scritto “questa Ginny è così trash che quasi mi viene voglia di chiamarla Virginia”.

Una risposta generale alle recensioni: ci sono stati commenti contrastanti sul fatto che questo Draco sia un po’ fuori canon (Fanny), non affatto OOC (Danyyy), diverso da quello perfetto e sempre padrone delle situazioni tipico delle ff (Curiosity), davvero IC (Dalhila)… Nessuno se ne abbia a male, ma se devo proprio essere sincera non sono cose che mi interessano davvero. Mi fa piacere che la storia vi coinvolga abbastanza da farci un paio di ragionamenti sopra, ma devo ammettere che faccio un po’ fatica a decidere cosa sia canon e cosa no, ormai. Per esempio sono talmente affezionata alla Draco’s Trilogy che per me una ragazza dai capelli rossicci e gli occhi verdi può essere un Blaise perfettamente canon… Comunque, questa volta avevo voglia di fare un Draco un po’ pirla e questo è quello che è uscito. Se dovessi dire quel’è il Draco che più potrebbe essere la naturale continuazione di quello della Rowling, forse non sarebbe nessuno tra quelli di cui ho scritto. E poi mi sembra molto complicato decidere se una storia è canon o non lo è quando è ambientata in un tempo in cui i personaggi sono tutti già cresciuti: il processo di crescita in sé provoca cambiamenti. Detto questo, sono stata molto contenta di ricevere tante recensioni carini e voglio ringraziarvi tutte e mandarvi un bacio enorme.

Fanny: tesoro, hai sostituito l’harmony trash estivo con una fanfiction trash a 40 capitoli come DF? Le tue elucubrazioni sul fatto che Ginny sappia che Dan non è davvero Dan sono state carine… non ho intenzione di risponderti però, è una sorpresa. Se sei appassionata di processi e avvocati credo allora che rischio seriamente di deluderti… non ho la più pallida idea di come si svolgano i divorzi in realtà, perché sono una povera umile biotecnologia, quindi ci sono serie possibilità che io dica grosse idiozie a riguardo. Ma lo scopo è quello di far ridere, non di mettere in piedi un processo verosimile. Grazie davvero per la recensione, un bacio!
Danyy: il motivo per cui ciò che resta di Tom Felton (seriamente, mangia quel povero ragazzo?) si sia sentito in dovere di vestirsi Armani da capo a piedi per andare ad ammazzare un vecchietto ancora mi sfugge… (e poi è Blaise quello che venera Giorgio, non Draco, come Savannah ci ha diligentemente istruite). Divertenti le tue divagazioni, ma non ti rivelo niente. Un bacio e grazie!
Summer Black: lascia perdere Risalita dall’Inferno, è scritta con i piedi. Beh, fammi poi sapere cosa ne pensi, se davvero hai voglia di andarti a leggere la mia produzione pseudoartistica. Baci e grazie!
Emiemi: grazie!
Saty (2X): tesoro, sei sempre più pazza, ma forse è il caldo. Sto sudando freddo all’idea che DF ti abbia fatto diventare formalmente donna. Ma lasciamo perdere. Non è assolutamente vero che i miei Draco sono spesso senza vestiti, sono dicerie: in Frost non l’ho svestito neanche una volta. Draco spaparanzato in un’aula di tribunale è tutto quello che ti auguro per il tuo praticatantato, tesoro. La tua analisi logica e grammaticale nella seconda recensione è stata da 30 e lode, cara. Però il tuo delirio sulla frase “puoi leggere la verità sulle mie labbra” mica l’ho capito, eh. Un bacio enorme tesoro, resti sempre la mia coccola preferita!
Seven: no, non credo che Draco l’avesse guardata Ginny, ai tempi della scuola. Tutta la riflessione su quello che le manca è basata sui modi di dire che coinvolgono gli occhi, e che sono tipici delle persone vedenti… non è riferito a lei personalmente. Grazie mille!
Vulcania: lasciamo perdere il cibo finlandese, sono tornata a casa odiando il salmone con tutto il mio cuoricino. Si, l’appartamento è sempre quello, mi sono scordata di scriverlo a inizio paragrafo. Mi dispiace di non riuscire ad aggiornare tutte le settimane ma il lavoro mi impegna abbastanza e non ho sempre tempo per applicarmi… si, i capitoli li scrivo volta per volta perché sono una donna da ultimo minuto, però quando inizio a scrivere una storia significa che ho già molte pagine del mio quadernetto (familiarmente Malefico Taccuino) piene di schemi di capitoli, scene abbozzate, descrizioni scritte eccetera, quindi so già perfettamente dove voglio andare a parare. Poi di volta in volta, organizzo il capitolo da postare. Grazie per la recensione, spero di aver soddisfatto la tua curiosità!
Yellowrose: grazie!
DarkStar: sono stata molto felice nel leggere i tuoi complimenti riguardo alla non volgarità della scena dello scorso capitolo. Grazie, grazie davvero!
Melodie: grazie mille per la bella recensione, mi è piaciuto lo “strano ma azzeccato il ritmo”! Si, si, finirà bene, non preoccuparti, la mia passione per le storie tragiche si è esaurita con Trapped, non ce la faccio più fisicamente. Questa è una storia comica prima di tutto e, come mi fa notare sempre la mia beta, ultimamente sembro aver anche perso la pessima abitudine di mandare al creatore Ron Weasley. Un bacio!
Chandelora: grazie!
Nymph: grazie cara! Le citazioni sono poi le leggi di Murphy, l’unico mio impegno è quello di cercare la più adatta alla situazione!
Curiosity: non avrei definito Pasy “algida”, vista la sua passione per gli aitanti giardinieri, ma si, decisamente Ginny deve aver fatto scoprire a Draco una nuova dimensione dell’atto. Non evaporare troppo che con questo caldo poi non ti si trova più… per quanto riguarda “Polvere nel raggio di sole”, si era mia, l’avevo pubblicata, poi me ne sono pentita perché conteneva riflessioni un po’ troppo personali e l’ho tolta dall’archivio. Mi fa comunque piacere che ti sia piaciuta al punto da stamparla. Buone vacanze e grazie!
Dahlila: la tua recensione mi ha fatto particolarmente piacere per il tuo commento sul fatto che mi sono presa le responsabilità di accecare la Weasley. Si, anche io credo che non sia un limite affatto, e cercare di far percepire questo aspetto è una sfida interessante! Il rischio era quello di farne uscire una storia troppo lagnosa e tragica, ma credo di aver superato lo scoglio con un po’ di comicità. Grazie mille, davvero!
Vega: grazie per la “grazia sopraffina”, mi sono sentita una leggiadra ballerina sulla tastiera! Ma le tue recensioni sono sempre carinissime, ormai ti “conosco” da un sacco di tempo! Buone vacanze e un bacione!
Talpy: grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Gentlemen prefer blinds ***


Scusate il ritardo, sono stata un po’ in vacanza e l’ultimo pezzo ha richiesto più tempo di quanto avessi preventivato.

CAPITOLO 8: GENTLEMEN PREFER BLINDS

“If a girl spends all her time worrying about the money she doesn’t have, how will she find any time for being in love?”
From “Gentlemen prefer blondes”

“Ma come Draco, non sei ancora pronto?!?”
Pansy era apparsa in tutto il suo splendore alla porta dell’ufficio di Draco, piantando bene i tacchi sulle assi di pregiato parquet. Draco, sprofondato nella poltrona e nascosto, per quanto era possibile, dietro a un bicchiere di firewhisky, sentì una fitta al fegato, come se quei tacchi si fossero conficcati appena sotto il suo torace invece che sulla lucida quercia rossa. In alternativa, poteva essere un principio di cirrosi epatica, ma forse su quello era meglio non soffermarsi troppo: se ti sposi certe cose le devi mettere in conto.
“Sono pronto, non preoccuparti…” borbottò, racimolando le energie mentali necessarie per staccare il culo dalla poltrona.
Pansy guardò con aperto disgusto il papillon slacciato ai lati del colletto e la giacca dello smoking buttata disordinatamente sulla scrivania. “Alzati avanti. Ti allaccio quel affare, quando ti fai il nodo da solo a metà serata è sempre storto…” sospirò.
Draco accantonò l’idea di ribellarsi alle dita agili della moglie.
“Non ne ho voglia, Pansy. Non riusciamo proprio ad esimerci da questo impegno?”
Pansy sgranò gli occhioni come di fronte ad una delle più grosse eresie mai sentite pronunciare in vita sua. “Si tratta di uno dei ricevimenti clou della Stagione, Draco. Non capisco come tu possa anche solo pensarlo.”
Era appena novembre, e la “Season” londinese non aspettava nessuno. Tantomeno i Malfoy.
“Ma non abbiamo una figlia debuttante da mettere sul mercato, a quanto mi risulta… o devo già cercare di mettere in vendita te?” chiese Draco con un guizzo di ironia del tutto fuori luogo.
Lo sguardo di risposta di Pansy avrebbe potuto gelare un paio di gironi infernali – peccato che invece Draco continuasse a sentire un gran caldo, strozzato com’era da quel maledetto cravattino.
“Non siamo ancora divorziati, Draco. Non ho la minima intenzione di commettere un suicidio sociale presentandomi senza accompagnatore al ballo in onore della figlia di Flint. Infilati la giacca, fammi vedere quanto sei riuscito a stropicciarla.”
Draco si mise la giacca e lasciò che Pansy stirasse le pieghe con abili colpetti di bacchetta. E pensare che non molti anni prima riusciva anche a divertirsi a quegli stramaledetti ricevimenti. Lanciò a Pansy un’occhiata, al di sopra delle propria spalla: scintillante nel suo abito di seta e pizzo, ingioiellata come una principessa e deliziosamente truccata… come sempre del resto. Pansy non lo aveva mai fatto sfigurare, era una delle cose che lo aveva spinto a sposarla. Con lei al proprio braccio avrebbe potuto andare dovunque e incontrare chiunque, con la assoluta e incrollabile certezza che lei avrebbe indossato l’abito adatto per l’occasione, sorriso nella maniera più indicata, detto la frase giusta al momento giusto.
In quel momento pensò che forse gli sarebbe piaciuto presentarsi al dannato ballo con una prostituta racimolata in Nocturn Alley, senza farle cambiare vestito. Almeno si sarebbe fatto due risate. Sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo davvero, era ovvio – a suo tempo, il Cappello Parlante aveva guardato dentro la sua testa e, poco ma sicuro, non aveva nemmeno lontanamente valutato la possibilità di spedirlo al Gryffindor. Una consapevolezza ammirevole, certo… ma questo non riusciva ad esimerlo dal sentirsi morto dentro.
Una volta – beata ingenuità – aveva ritenuto che un ricco infelice fosse un ossimoro. In fondo con i soldi, nulla ti è precluso… un minimo di gusto e ricercatezza nella scelta dei regali e anche l’amore e la venerazione di una moglie potevano diventare beni acquistabili con relativa facilità. In fondo, se una donna non deve preoccuparsi di nulla di concreto e può spendere tutti i soldi che vuole in qualunque capriccio, le resta tutto il tempo del mondo per innamorarsi del proprio marito…
Si, come no. Tu le regali un bracciale di diamanti, quella si sdilinquisce per venti minuti scarsi, ti dice che ti ama da impazzire, poi appena ti volti si fa mettere incinta dal giardiniere. (Forse fare in modo che dovesse annaffiare di persona quelle maledette rose sarebbe stata una mossa più azzeccata… se non altro non le avrebbe lasciato il tempo fisico di far danni, viste le dimensioni del rosaio di Malfoy Manor.)
Ecco, la questione della figlia illegittima: quella era probabilmente la cosa che gli aveva dato più fastidio. Non che si fosse mai fatto illusioni sulla fedeltà di Pansy, per carità. Non era nato ieri e non faceva Potter di cognome, grazie al cielo. Aveva sempre ritenuto la fedeltà assoluta una merce decisamente sopravvalutata: a che pro, in fondo? Se le faccende venivo condotte con discrezione e nessuno ci soffriva, non vedeva il motivo di piantare scenate per certe sciocchezze. Ma quella questione del rimanere incinta di un altro uomo… ecco, si poteva dire, che quella gli era andata un pelino di traverso.
Se Pansy gli avesse portato quel minimo di rispetto necessario per salvare almeno le apparenze, avrebbe avuto cura di mettere al mondo un figlio legittimo, almeno come primogenito! Persino sua madre aveva sempre evitato di partorire figli a destra e a manca…
E poi, parliamone: alla veneranda età di 28 anni, lui, un purosangue con un pedigree che avrebbe fatto invidia a qualsiasi cavallo da corsa arrivato dritto dritto dagli Emirati Arabi, non era ancora riuscito a trasmettere i propri immacolati cromosomi alla successiva generazione. Un vero colpo per il suo già martoriato ego.
Cristo Santo, anche Potter alla fine della fiera era riuscito a farsi una famigliola felice. Non che i bambini gli fossero mai piaciuti, anzi, sotto una certa età gli facevano anche un po’ schifo… però il pensare a quanto la propria vita mancasse di sugo gli metteva una certa amarezza.
E l’amarezza, opportunamente annaffiata di firewhisky, sboccia in malinconia.

“Credi che Thed sia al corrente del fatto che non sarai mai in grado di amarlo?”
Il rumore della bacchetta di Pansy che precipitava sul parquet fu quasi assordente nell’improvviso silenzio dello studio. La donna sollevò uno sguardo sconvolto sul marito, ma Draco stava fissando un punto indefinito, oltre la scrivania, oltre la finestra che dava sul parco… oltre il tempo presente. Gli occhi, grigi come il mare in inverno, erano fissi su un punto imprecisato, a metà tra il passato rimpianto ed il futuro che avrebbe potuto essere… fissi eppure vaganti, come nuvole impazzite, tra ricordi sbiaditi e desideri mai avverati.
Era stato infranto un tacito patto, una regola non scritta.
Non si recrimina, non si accusa, non si fanno allusioni. Mai. E mai e poi mai sul piano sentimentale. Era una condicio sine qua non per la buona riuscita di un matrimonio dell’alta società… o di un divorzio, per quel che valeva.
Forse, in quel momento in cui fissava sbalordita il profilo remoto di Draco, Pansy si rese conto che qualcosa, già da tempo, si era rotto dentro il suo perfetto marito da esposizione… forse. Probabilmente. Ma Pansy non era una donna qualunque, e di certo non era una donna facile all’emozione. Era fredda, calcolatrice, acuta; Pansy teneva per sé i propri pensieri e mostrava al mondo soltanto ciò che, vero o falso che fosse, poteva risultarle utile, nel breve o nel lungo periodo. Era una vipera che, se attaccata, sapeva benissimo dove colpire… senza alcun riguardo per la condizione dell’avversario.
“E tu credi che quella stracciona possa amarti per qualcosa di diverso dai tuoi soldi?” ribatté, dosando il veleno con accurata precisione.
Draco si riscosse, quasi tornando al mondo reale. Guardò Pansy e sollevò le sopracciglia: non si era aspettato che la sua adorata consorte riconoscesse la donna delle fotografie.
“Caduta di stile, Pansy…” mormorò. Ginny i miei soldi nemmeno li vede – letteralmente.
“Oh, la mia è una caduta di stile?” rise Pansy, “Draco, non immagini nemmeno… scoprire della tua liason è stato quasi più esilarante di quando Zabini è scappato per sposare quella ballerina americana… com’è che si chiamava? Ah, si: Lorelei. Lorelei Lee! Dio, anche il suo nome è volgare…”
Pansy gli volse le spalle e si avvicinò allo specchio per aggiustarsi la piccola tiara di brillanti che scintillava sui suoi capelli neri. “Anzi, mi correggo…” disse, dopo aver finto di pensarci, “Questa idiozia è ancora più ridicola, se possibile: se non altro quell’oca bionda aveva un indiscutibile gusto per i gioielli. Dubito seriamente che la Weasley sappia distinguere un diamante da un fondo di bottiglia. Ad ogni caso, spero per te che tu abbia abbastanza sale in zucca da non far arrivare questo scandalo in società…”
Draco si avvicinò e la squadrò dall’alto in basso. L’ultima frase di Pansy sembrava avergli fatto recuperare la concentrazione e la freddezza.
“Mi stai minacciando, Pansy cara?” le chiese Draco, gelido, mentre le teneva il mantello foderato di pelliccia con una cortesia ostentata che era di per sé un insulto.
Pansy, per nulla intimidita, si lasciò posare l’indumento sulle spalle, ma allontanò le mani di Draco che si erano strette attorno al suo collo per allacciare gli alamari preziosi del mantello.
“Non serve. Devi solo ringraziare la tua stupidità se ti trovi in questa situazione: sei stato tu a portare la tua relazione extraconiugale in luoghi così visibili. Credevo che tua madre ti avesse educato meglio di così, ma è chiaro che il giorno in cui lei predicava la discrezione tu pensavi ad altro.”
“Forse non mi interessava tenere segreta questa relazione… ci hai pensato?”
Pansy gli rivolse un sorriso di compatimento.
“Questa infatuazione ti passerà, caro…” gli disse dolcemente, “quando sarai impegnato a pensare ai soldi e alle case che hai perso a mio favore per il tuo stupido errore di valutazione, non avrai più tempo per crederti innamorato di una pezzente come quella. Io, d’altra parte, avrò tutto il tempo che mi serve per amare quel tesoro di Theodore come vorrà…”

“If I’d observe all the rules, I’d never got anywhere.”
Marilyn Monroe

Tardo pomeriggio. Tre giorni all’udienza.

La porta dell’ufficio si spalancò all’improvviso ed Hermione sollevò lo sguardo dalle carte che stava studiando. Madama Narcissa marciò nell’ufficio con un sorriso smagliante, togliendosi i guanti, seguita da un Jackson caracollante sotto il peso di diversi pacchi e buste scintillanti.
“Avvocato!” trillò Narcissa, togliendosi anche il cappellino e accomodandosi sulla poltrona. Forcine decorate di perle e brillanti trattenevano i capelli biondissimi in un’acconciatura elegante e alla moda. Alamari incrostati di pietre preziose chiudevano il mantello scuro e scintillavano alla luce del sole invernale che entrava dalle finestre. Gli occhi, dello stesso grigio argenteo di quelli di Draco, brillavano di ozioso divertimento, come se il mondo – quell’ufficio, quella scrivania, Hermione Granger stessa… - non fosse altro che un ridicolo teatrino dell’assurdo che prendeva vita davanti a lei…
Hermione strinse la mano alla donna e si astenne dal commentare la presenza del povero ragazzo rimasto in piedi vicino alla porta. Se non altro, questa volta era vestito… anche se considerare indumento quel maglione aderente che si tendeva sui pettorali era forse un po’ eccessivo.
“Signora Malfoy…”
“Ero in giro per acquisti e ho pensato di venire di persona a dirle che ho trovato qualcosa che ci sarà molto utile” disse Narcissa, porgendo ad Hermione un pezzo di pergamena.
L’avvocato Granger osservò per un istante il foglietto e poi sorrise a sua volta. Quella donna era decisamente brillante.
“Sono le persone che penso che siano?”
“Li ho già contattati e convinti a testimoniare.”
Hermione pensò che non voleva davvero sapere in che modo Narcissa potesse aver convinto chicchessia a fare qualunque cosa…
“Meraviglioso,” disse soltanto, “è un vero piacere avere a che fare con clienti che sanno come rendersi utili, invece di impegnarsi per far diventare il mio lavoro ancora più ostico. Non dev’essere stato facile rintracciare queste persone.”
Narcissa inclinò il capo, con un sorrisetto saputo.
“Oh, al contrario: sono una padrona di casa estremamente efficiente, avvocato Granger, e mi piace tenere un registro di tutte le persone che prima o dopo hanno lavorato nella mia casa o nel mio giardino… non si sa mai, può sempre tornare utile.”
Non specificò cosa esattamente intendeva per “utile” ed Hermione preferì non indagare.
“Sono ammirata, signora Malfoy.”
Madama Narcissa si alzò in piedi e prese a riaggiustarsi il cappellino sui capelli biondi, con un lieve sorriso di superiorità che aleggiava sulle labbra truccate. Era aggraziata in ogni movimento, altezzosa ma immancabilmente cortese, e il suo viso non recava pesanti tracce dei segni del tempo, sebbene fosse chiaro che non aveva fatto uso di incantesimi per conservarsi giovane e bella: ogni cosa di lei era signorile quanto ci si doveva aspettare da una donna della sua posizione.
Ma quell’incantevole pacchetto non ingannava nessuno sull’effettiva pericolosità del suo contenuto: Hermione non si sarebbe mai sognata di sottovalutare Narcissa Malfoy, nonostante la sua copertura di frivolezze, maniere adorabili e il contorno di bei ragazzi, sempre mezzi nudi. Narcissa scrutò attentamente l’avvocato Granger e questa le restituì lo sguardo senza vacillare; qualcosa in quello scambio, sembrò convincere la donna più anziana a giocare a carte scoperte.
“Non è necessario adularmi, avvocato. Ho fatto ben altro per la mia famiglia durante gli anni passati, e continuerò a farlo finché quello scapestrato di mio figlio non dimostrerà di essere in grado di prendersi cura di se stesso e dei propri interessi. Rispetto la tua intelligenza, e proprio per questo… Hermione, se posso permettermi tanta confidenza, voglio che tu capisca che non avrei remore a pugnalarti alle spalle con il tacco delle mie Manolo se questo potesse servire a tutelare gli interessi della mia famiglia.”
Hermione si alzò a sua volta e annuì con tranquillità.
“Può credermi, signora Malfoy: non la stavo adulando. So riconoscere una persona che sa usare al meglio i mezzi a propria disposizione e il mio era un complimento sincero. So perfettamente che non ci siederemo a prendere un caffè da buone amiche una volta che il processo sarà finito, ma una scelta casualmente azzeccata di Draco ci ha messe dalla stessa parte della barricata e questo mi rende la sua alleata più preziosa, per ora. Anche io so usare i mezzi a mia disposizione, e userò questi nominativi che mi ha portato al meglio delle mie possibilità… a cominciare da subito.”
“Da subito? Che intendi fare?”
“Andare a porgere i miei omaggi a Theodore Nott.”
Narcissa infilò i guanti senza preoccuparsi di nascondere un sorriso crudele e soddisfatto.
“Ti auguro una fruttuosa giornata, avvocato!” trillò dolcemente mentre usciva.
Jackson trotterellò dietro la padrona come un adorabile cagnolino da riporto, facendo bella mostra di un altrettanto adorabile fondoschiena attraverso gli strappi dei pantaloni. Hermione si ritrovò a pensare che il caro Jackson, con ogni probabilità, passava le sue notti ad allargare i buchi.

“A kiss on the hand may be quite continental,
But diamonds are a girl best friends!
A kiss may be grand
But it doesn’t pay the rental…”
From “Gentlemen prefer blondes”

Poco dopo.

“Avanti!”
L’avvocato Nott non si voltò nemmeno per vedere chi stesse entrando nel suo ufficio. Perso nella contemplazione della propria immagine allo specchio (certo, quale avvocato che si rispetti non ha nel proprio ufficio un enorme specchio per rassettarsi la camicia e rifarsi il nodo alla cravatta…), stava sistemandosi i bei capelli neri sulla fronte, la cravatta (slacciata) che pendeva dal colletto della camicia (stropicciata).
L’immagine di Hermione, appoggiata con noncuranza allo stipite della porta, apparve nello specchio. Thed per poco non inciampò nei propri piedi, pur essendo fermo – cosa alquanto complessa nonché profondamente umiliante.
“Avvocato Granger…” esalò, “non ti aspettavo.”
Hermione osservò la camicia e la cravatta slacciata con un sorrisetto sarcastico.
“Mi pare evidente,” disse, “ma nessuno può negare che io abbia un tempismo perfetto, non credi? Pensa se non mi fossi attardata a fare due chiacchiere con Luna mentre prendevo il caffè e fossi piombata qui un quarto d’ora prima...”
Theodore Nott si riallacciò la cravatta e si sedette alla scrivania.
“Non capisco di cosa tu stia parlando.”
“Ne sono sicura…”
Hermione si sedette a sua volta e accavallò le gambe, guardandosi intorno con fare ozioso.
“Suppongo che tu sia qui per conto di Draco,” disse Thed, vagamente sulle spine.
La donna si riscosse e fece finta di ricordarsi solo in quel momento per quale motivo si fosse presa il disturbo di attraversare Diagon Alley e bussare alla porta del suo ufficio.
“Oh, si, che sbadata…” fece apparire un foglietto di pergamena e lo lasciò cadere sul tavolo di Thed. “Stavo quasi per dimenticarmi, pensa un po’. È la lista dei testimoni che si presenteranno all’udienza, lunedì prossimo.”
Hermione Granger non era brava a far finta di essere un’oca. Nonostante gli occhioni scuri da Bambi e i boccoli da Biancaneve sciolti sulle spalle, c’era qualcosa di troppo profondamente intelligente in lei, un’acutezza che traspariva dal suo sguardo e dal suo intero aspetto, perchè potesse davvero permettersi di fare la finta tonta: era chiaro come il sole che non si sarebbe dimenticata nemmeno la spazzatura sulla porta di casa. Ma non per questo la sceneggiata mancava di utilità: ciò che traspariva da quella misera esibizione era infatti che Hermione Granger era talmente sicura di se stessa da potersi permettere di giocare al gatto e topo. Nello specifico caso, a Thed spettava il ruolo del topo.
Theodore conosceva bene l’avvocato Granger, più di una volta l’aveva vista all’opera sebbene raramente si fossero trovati uno contro l’altra, e mai per una causa così socialmente importante. Quella pretesa bamboleggiante ebbe un preciso effetto su di lui: un rivolo di sudore freddo sgorgò dalla sua fronte, scivolò sul naso e cadde come un sassolino di trecento quintali sulla pergamena su cui era vergata, in calligrafia nitida e ordinata, la lista dei testimoni. L’ultimo nome della lista gli provocò anche un involontario (e decisamente poco virile) tremolio del labbro inferiore: Narcissa Black Malfoy.
“C’è qualcosa che non va, Teddy? Posso versarti un bicchiere di brandy?”
“N…” Thed si schiarì la voce e riuscì a mettere insieme una parvenza di sorriso, “no, tutto benissimo, figurati. Bene. Ecco. Si… adesso la lista la metto nella cartella. Ok. Desideravi altro, Hermione? Avresti potuto comunicarmi la lista via gufo… ti sei disturbata…”
Hermione sfoggiò un sorriso smagliante e scosse la testa. “Ma figurati! È così carino fare un giretto e incontrare qualche vecchio compagno di studi, qualche volta… Ma che bell’orologio!”
Thed cadde dalle nuvole e abbassò lo sguardo sul Rolex nuovo di zecca che fasciava il suo polso sinistro: un orologio che gridava “soldi!” ad ogni ticchettio delle lancette d’oro, mentre tanti diamantini brillavano come piccoli svergognati, incastonati nell’acciaio del cinturino. Lo sguardo di Hermione si spostò sulla carta da regalo stropicciata e sul nastro scintillante che fuoriusciva dal cestino della spazzatura, al lato della scrivania. Thed ebbe almeno la decenza di ficcarsi in tasca la mano sinistra.
“Oh, ma che regalino meraviglioso… non sapevo fosse il tuo compleanno! Chi è stato?”
Thed guardò fuori dalla finestra. Maledette donne.
“Non è il mio compleanno.”
“Oh, allora… aspetta, fammi indovinare!” continuo Hermione, implacabile, con lo stesso diabolico sorriso stampato sulla faccia, “la deliziosa Mrs. Malfoy ha deciso di dimostrarti la sua gratitudine per l’ottimo lavoro svolto durante l’udienza preliminare!”
Hermione si sporse sulla scrivania, puntando lo sguardo dritto dritto nelle iridi blu da cherubino di Nott. “Che dici,” mormorò con velenosa dolcezza, “se anche io faccio un buon lavoro, il signor Malfoy mi comprerà quei deliziosi orecchini di brillanti che ho visto da Cartier?”

Era evidente che Nott non sapeva cosa dire. Un osservatore maligno avrebbe anche potuto insinuare che era… arrossito. Ma no, doveva essere soltanto un effetto della luce obliqua del tramonto. Hermione Granger però non era tipo da rigirare il coltello nella piaga facendogli notare quella debolezza. E del resto, Nott stava riuscendo a mettersi in imbarazzo perfettamente da solo.
“Sai Thed,” esordì dopo qualche minuto di silenzio, “a Hogwarts si diceva che Slitheryn fosse una fucina di zoccole d’alto bordo. È quasi carino vedere confermati questi piccoli pregiudizi adolescenziali.”
“Oh, ma piantala! Ho sette anni di onorevole carriera alle spalle, non sarà per un regalo di una cliente soddisfatta che mi farai passare per un… un venduto.”
“Soddisfatta da cosa, esattamente?” rise Hermione. “Ma si, sei di certo un professionista irreprensibile. Il giorno della lezione sul non-portarsi-a-letto-la-cliente-specialmente-se-è-sposata avevi l’influenza, non è vero?”
“La mia relazione con Pansy non ha nulla a che vedere con la mia professionalità.”
Hermione lo osservò per qualche istante di sottecchi, poi si alzò e si gettò sulle spalle il mantello.
“No, hai ragione” sussurrò, “proprio nessun conflitto di interessi. Ci vediamo lunedì, avvocato Nott, buona serata.”
Uscendo dall’ufficio richiuse la porta alle proprie spalle. Mentre scendeva le scale infilò la mano nella tasca del mantello e un inconfondibile click echeggiò sul pianerottolo deserto.

Alexis:” Can't see you very well. I don't know if you're kidding.”
Nick: “Just listen to my voice. I'm not kidding.”
From “Ice Castles” (movie, 1978)

Sabato mattina.

“Dove diavolo mi hai portato stavolta? C’è dell’erba qui…”
Draco rise, stringendo Ginny al proprio petto. Il suono della propria risata che si perdeva nell’aria gelida e tersa di quel mattino di Novembre gli era così estraneo che quasi sussultò. Sapeva che erano gli ultimi momenti che passava con lei, sapeva che non doveva lasciarglielo capire (perché poi? Perché non riusciva a trovare il coraggio di dirle la verità, bruciandosi così l’ultima speranza che aveva di convincerla a restare? ), sapeva che sarebbe tutto finito, come portato via dal primo fiocco di neve… si sentiva pieno di malinconia e non avrebbe dovuto essere in grado di ridere. Ma stare con lei aveva questo effetto: tutto passava in secondo piano, tutte le maschere cadevano, lasciando solo la serenità che lei era in grado di trasmettergli.
“è una sorpresa…”
“L’ultima volta che mi hai fatto una sorpresa mi sono ritrovata a Parigi.”
“E ti è così dispiaciuto, alla fine?”
“No,” concesse Ginny sorridendo, “ma qui è più freddo, e c’è vento…”
Draco la sollevò da terra e le fece fare mezzo giro, strappandole una risata.
“Meglio se c’è vento…”
Le prese la mano e le fece toccare qualcosa sospeso a mezz’aria. Qualcosa di duro, lucido e freddo. Ginny si fece seria, quasi impaurita, mentre sfiorava il legno liscio del manico di scopa.
“Dan…” mormorò.
Draco la abbracciò da dietro.
“Avanti, non hai voglia di sentire questo vento tra i capelli?” le sussurrò nell’orecchio.
“Dan, io… non posso. Come…” scosse la testa, cercando di allontanarsi da lui, “no, non puoi farmi fare questo…”
“Provaci.”
“No.”
“Ginny…”
“No!”
Ginny riuscì a divincolarsi e Draco vide che aveva le lacrime agli occhi e tremava leggermente.
“Non posso,” ribadì, respirando pesantemente, “capisco che hai le intenzioni migliori del mondo, davvero, ma io ho fatto un volo di quasi cento piedi da una Nimbus ed è stata l’ultima cosa che ho visto nella mia vita… io non posso, Dan. Non posso farlo.”
Draco la lasciò parlare. Non si era aspettato una risposta diversa, in fondo quella donna aveva avuto un trauma e di certo nessuno, nella sua famiglia di menti eccelse, aveva pensato a rimetterla in aria il più presto possibile, prima che la paura si tramutasse in un cronico terrore.
Ma lui non era uno zotico Weasley.
“Quella non è una Nimbus.”
Ginny aprì la bocca e la richiuse, scuotendo la testa. “Non è questo il punto.”
“No, infatti. Ma questo non cancella il fatto che non sia una Nimbus. È un nuovo modello, viene dagli Stati Uniti. È stato progettato apposta per volare in sicurezza anche in due. Non ha l’agilità delle Nimbus, né la velocità se è per quello, ma ha tutta una serie di sofisticati incantesimi… in sostanza è impossibile perderne il controllo, rallenta incredibilmente la caduta in caso di danni, e altre cose del genere.”
Ginny sospirò. “Quindi hai pensato di spendere la follia che questo giocattolo deve essere costato… pensi che sarà questo a convincermi?”
“No, ma potrebbe aiutare.”
Draco si avvicinò e la abbracciò di nuovo, portandola vicino alla scopa.
“Io non ti lascerò cadere,” le sussurrò prima di baciarla, “te lo prometto. Non cadrai.”

Stretta tra le braccia di Draco, Ginny si aggrappava ai suoi avambracci, così convulsamente che, il giorno dopo, Draco sapeva vi avrebbe trovato dei lividi. Non che gli importasse.
“Pronta?”
“No.”
Draco rise e fece alzare la scopa, piano piano, lasciandole assaporare la sensazione del vento che iniziava a scompigliarle i capelli.
“Paura?”
“Terrore. A quanto siamo?”
“Siamo si e no a due metro da terra. Da quando siamo diventati dei dilettanti?”
“Da quando ho perso la vista cadendo da trenta metro di altezza, forse?”
“Tu non sei mai stata una dilettante, Ginny. Ricorda com’era sfrecciare tra gli anelli, imprendibile, irraggiungibile…”
“Me lo ricordo. Credi che non faccia male pensarci?”
“Sono certo che fa male pensarci. Andiamo su?”
Ginny esitò, appoggiò la testa contro la sua spalla e sospirò.
“Su.”
“Forza allora.”

Ginny sollevò il viso e lasciò che il vento le percuotesse la faccia e le aggrovigliasse i capelli. (Ci sarebbero volute ore per sciogliere i nodi, quando giocava li teneva sempre strettamente legati.) Nella sua mente l’immagine dello stadio del Quidditch, visto dall’alto, così in alto da sentirsi invincibili… l’ultima immagine che il suo cervello aveva registrato. Il vento era caldo quel giorno di fine estate, faceva sventolare la divisa leggera, la pluffa era pesante tra le sue mani e lo sguardo era determinato, fisso sugli anelli e su quel portiere da strapazzo che aveva l’ardire di mettersi tra loro. E poi… soltanto il buio. Per sempre.
“Mio dio…” sussurrò, piangendo.
Tremava ancora da capo a piedi, ma le mani avevano allentato la presa sulle braccia di Draco.
“Tutto bene?”
“Non lo so.”
“Vuoi fermarti?”
“No.”
Draco spinse la scopa un po’ più in alto, un po’ più forte, e sentì Ginny trattenere il fiato.
“Senti il vento?”
Il profilo di Ginny si stagliava contro il cielo mentre salivano, il naso e le guance arrossate per l’aria fredda. La sensazione di fendere l’aria sembrava più intensa ora che non c’erano immagini a distrarla. La sua bocca si aprì in un sorriso, per la prima volta da quando aveva toccato la scopa:il vento le parlava, a lei, a lei soltanto che non aveva altro su cui concentrarsi e poteva ascoltare… era come se, in quel suo modo gelido e sgarbato, sbattendole contro la faccia, il vento le stesse dicendo “bentornata”.
“Non hai idea di cosa senta… è fantastico. E terrificante.”
“Andrà tutto bene. Non ti lascerò cadere.”
“Lo so,” rispose Ginny, “che dici, può andare in picchiata questo giocattolo da dilettanti?”

PRIMA LEGGE DI GUITRY
Le probabilità di incontrare qualcuno che conosci aumentano quando sei con qualcuno con cui non vuoi essere visto.

Poco dopo, al Paiolo Magico.

Si stavano salutando all’ingresso della Metropolvere.
Lei era una bella donna, dai capelli di un cremisi intenso, sciolti e spettinati sulle spalle, gli occhi grandi e scuri e un viso da bambola irlandese. Lei era cieca e sia appoggiava al suo accompagnatore con evidente confidenza, con la massima fiducia. Lei… era sua sorella.

Ron Weasley appoggiato ad una colonna del Paiolo Magico, il viso nascosto dal boccale di burrobirra che stava fingendo di bere, attese che la folla si muovesse quel tanto che bastava per permettergli di vedere anche il misterioso accompagnatore di Ginny.
Era biondo. Di quel biondo chiarissimo, quasi argenteo, che generalmente si vede solo sulle riviste di moda. Il profilo, severo ed elegante, ammorbidito dalle onde scomposte dei capelli troppo cresciuti, si stagliava contro il legno scuro che rivestiva le pareti; la bocca accennava una risata, le guance erano arrossate dal freddo e negli occhi chiarissimi, fissi sul viso di Ginny, brillava qualcosa di molto simile alla dolcezza.
Quelle iridi grigie si alzarono verso di lui e Ron, sconvolto, impiegò un secondo di troppo a nascondersi.
Malfuretto.
Lenticchia.
Merda.

Si era dimenticato l’incantesimo di dissimulazione.

Ginny lo salutò e si volse per entrare nel camino. Draco la guidò sui gradini, tenendola per mano, guardandola come se volesse imprimersi a fuoco nella memoria il suo aspetto di quel giorno: vestita del mantello verde, i capelli rossi scarmigliati e il viso acceso dell’eccitazione del volo.
Quando fu il momento di lasciarla andare, si chiese per un istante che cosa avrebbe fatto se lui invece l’avesse stretta ancora, quella mano, se l’avesse trascinata fuori dal camino, se l’avesse abbracciata fino a farle male e se le avesse – solo allora – detto chi era. Se le avesse detto che era Draco Malfoy, e che l’aveva sedotta per noia, perché non sapeva cosa fare, perché… non lo sapeva neanche lui il perché. Poi le avrebbe detto che l’amava, certo, perché in fondo era vero, ma non era quello il punto. Il punto era che lui era Draco Malfoy, e da quello non poteva scappare.
Lasciò che le loro dita si sfiorassero un po’ più a lungo di quanto fosse necessario, come per trattenere una briciola del calore di lei sulla propria mano congelata dal vento… poi lei si allontanò e sparì nel camino, in una vampata di fumo e scintille.
Draco Malfoy, senza guardarsi attorno, marciò fuori dal locale.

“There are no flowers in this empty place,
And, scared the butterfly would starve,
I forced a window wide,
Cupped my two hand around her fluttering self,
Feeling her wings kiss my palms so gentle,
And put her out, and watched her fly away.”
Neil Gaiman
“The hidden chamber”

**********

CREDITS: Lorelei Lee è il personaggio di Marilyn ne “Gli uomini preferiscono le bionde”.“

Bentornate dalle vacanze!
E soprattutto: Jackson lo volete già in troppe, giù le zampe.

Grazie a chandelora, vega, Danyyy (magari rivalutare Ron dopo il film è un concetto eccessivo… se non altro è cresciuto mentre Harry è rimasto inesorabilmente nano. Che tristezza.), Nymph, Saty (ok, ti ho fornito la scena per cui hai sdilinquito su msn… fammi sapere se è all’altezza delle aspettative! Baci!), Summer_Black, puffolapigmea (no, Draco DECISAMENTE non capisce una mazza…), Myosotis, yellowrose, Vulcania (come vedi, non sempre riesco a postare “in così poco tempo”… faccio quel che posso. Baci e grazie!), ScarletAngel (non esattamente: sono stata a Helsinki per un congresso e non ho visto quasi nulla… ma sono stata istruita sui mille e uno modi per cucinare il salmone!), Jaiky (grazie per il bentornata!), seven (più che mansuetudine temo sia coglionaggine…).

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Bye bye baby ***


CAPITOLO 9: BYE BYE BABY

“Story of my life, I always get the fuzzy end of the lollipop.”
From “Some like it hot” (movie, 1959)

Domenica mattina.

Ron passeggiava avanti e indietro con quei maledetti stivali con le borchie che erano tremendi sulle assi del pavimento della cucina, le davano sempre il mal di testa. Hermione le aveva chiesto di sedersi sul divano, si era assicurata che fosse comoda, e adesso, mentre parlava, le teneva le mani.
Avrebbe dovuto capire che quello che seguiva non le sarebbe piaciuto.
Nel senso che avrebbe potuto capirlo anche se Hermione non se ne fosse uscita con la classica frase “quello che sto per dirti non ti piacerà”.

Aveva fatto scivolare via le mani dalla stretta della cognata, silenziosamente, per poi intrecciare le dita tra le pieghe della sottana. Lo sguardo che non era uno sguardo era fisso nel nulla, più del solito, come se, in effetti, cercasse di guardare al di là del buio che l’accompagnava ogni momento.
“Ginny, mi dispiace. Non hai idea, davvero, di quanto avremmo voluto evitarti tutto questo…”
Ginny la interruppe, con una voce piatta e inespressiva che non le apparteneva.
“Si, lo immagino.”
Hermione guardò Ron come per chiedere aiuto, e lui si avvicinò, appoggiandosi allo schienale del divano.
“Gin-Gin, ci dispiace davvero tanto, ma non potevano permettere che…”
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Gin-Gin. Non lo sopporto.”
“Ok. Ginny. Capisci che non potevamo lasciare che le cose andassero avanti? Tra l’altro non riesco proprio a capire come Neville non l’abbia riconosciuto… hai detto che la prima volta che l’hai incontrato eri con lui, no?”
“Nemmeno io l’ho riconosciuto,” fece Ginny. Sembrava soprappensiero, come se in realtà quello che le stavano dicendo non la riguardasse più di tanto, e avesse ben altro per la testa, quindi perché non si levavano dalle palle, per cortesia?
“Ma Ginny, nessuno te ne sta facendo una colpa!” disse Hermione, abbracciandola con fare materno, “è ovvio che tu non potevi farci nulla. È stato lui a raccontarti un sacco di balle, senza alcun riguardo per la tua condizione.”
La sua condizione.
Certo.

Ginny si liberò dall’abbraccio con gentilezza e si alzò in piedi. Incespicò più volte, fece cadere una sedia che spaventò a morte Grattastinchi, poi finalmente riuscì a imboccare le scale e sparì nella sua stanza.
Ron la seguì con uno sguardo truce; Hermione sospirò.
“Credi che sia molto scossa?”
“Certo che è scossa,” fece Ron, spettinandosi i capelli con una mano, “non hai visto quanto inciampava?”
Maledetto Malfoy. Era tutta colpa sua.

“Bye bye baby,
Remember you are my baby…”
From “Gentlemen prefer blondes” (movie, 1943)

Qualche ora dopo, al 47 di Diagon Alley.

Ginny uscì dal camino e attese, immobile.
Draco si avvicinò per prenderle la mano, come faceva sempre ma, non appena le sue dita sfiorarono quelle di lei, Ginny si scostò come se qualcosa di bollente le fosse stato appena versato sulla mano. Nel movimento brusco inciampò nel gradino dietro di lei e sarebbe caduta nel camino, se Draco non fosse corso a sostenerla. Le mani di Ginny sulle braccia di lui tremarono, mentre ritrovava un appoggio sicuro, e poi si staccarono, restando sospese a mezz’aria.
“Non toccarmi,” mormorò, “per favore.”
Draco la lasciò con attenzione e si allontanò di un passo.
“Ieri mi hai detto che ti fidavi di me.”
“Ieri ti chiamavo Dan… non Draco Malfoy."
“Deduco che tuo fratello ti abbia rivelato il grande mistero.”
“L’ironia mi sembra fuori luogo…” protestò debolmente Ginny.
“Si, hai ragione…”

Lo scomodo silenzio che scese tra di loro pesava come un macigno. Draco la osservò con attenzione – forse perché concentrarsi su quel clinico interesse che aveva contraddistinto le prime fasi della loro relazione gli impediva di sentire quanto l’aria gli stesse cominciando a mancare.
Quante volte si era chiesto come sarebbe apparsa la rabbia su quel viso così mobile ed espressivo, come si sarebbe deformato per il disprezzo ed il dolore… beh, a pensarci avrebbe dovuto essere ovvio. Il viso di Ginny non era deformato per niente, la sua fronte era liscia come sempre, le labbra distese, le palpebre rilassate sugli occhi ciechi, ma la vita era scomparsa da quel viso: ogni espressione… andata. Era diventata una maschera, fredda e bianca; attorno agli occhi vuoti anche le lentiggini parevano sparite.
“Perché sei venuta?”
Perché “volevi vedere con i tuoi occhi”… è così che si dice?
“Non lo so,” mormorò Ginny, “volevo sentirtelo dire, forse.”
“Che cosa? Io sono Draco Malfoy?
“Forse.”
O forse no.
Ti amo, Ginny.

“Oppure vuoi che mi giustifichi?”
“Dan…”
Draco” la corresse, con stizza, “non sopportavo più che mi chiamassi con quel nome.”
“Sei stato tu a inventarlo, non io.”
“Già…” Draco si riavviò i capelli con le dita, come per tenerle occupate, perché la voglia di abbracciarla e schiaffeggiarla allo stesso tempo era troppo forte. “Allora, vuoi che mi giustifichi, vuoi che ti dica perché, vuoi che implori perdono… cosa? Cosa vuoi da me?”
La sua voce doveva suonare così aggressiva che Ginny fece un passo indietro; Draco sentì chiudersi una morsa gelata, a mezza via tra il cuore e la gola.
“Scusami,” disse, cercando di mettere nel proprio tono di voce tutta la sincerità possibile.
Ginny scosse la testa, e Draco si avvicinò di nuovo.
“Sono spiacente per averti mentito, Ginny… davvero,” le sfiorò il viso con le dita, una lieve carezza.
“Sapevo che mi stavi mentendo. In fondo, lo sapevo.”
Draco annuì e si schiarì la gola; quando riuscì a parlare nella sua voce c’era un’amarezza quasi tangibile.
“Si, beh…” mormorò, “e pensare che forse sei stata la persona con cui sono stato più sincero in vita mia.”

Dopo qualche secondo Ginny cercò l’entrata del camino con le mani tese.
“Puoi aiutarmi?” chiese.
Draco la prese per mano per guidarla nel caminetto e la guardò sparire, come aveva fatto il giorno prima, con un macigno sul cuore e la sensazione di essersi fatto molto più male di quanto ne aveva fatto a lei.

“…so, if I wished, I could just follow you,
tasting the blood and ocean of your tears. I’ll wait instead,
here, in my private place, and soon I’ll put a candle
in the window, love, to light your way back home.”
Neil Gaiman
“The Hidden Chamber”

Lunedì, il giorno dell’udienza (finalmente).

Hermione lo aspettava appoggiata alla scrivania, le braccia conserte, e le dita che picchiettavano nervosamente sulla manica del tailleur. Draco saltò fuori dal camino con un balzo, rassettandosi con noncuranza i capelli. Era vestito da gran signore, come sempre del resto, con quelle camicie e giacche che sembravano aver scritto “sono fatta su misura per Draco Malfoy” sul retro di ogni cucitura; la cravatta grigia, la sua preferita, quella che accendeva di riflessi argentei i suoi occhi grigi, era annodata con gusto impeccabile sotto il colletto bianco. Si gettò il mantello sulla spalla e si rivolse ad Hermione, il viso atteggiato nella consueta espressione di noia totale.
“Granger…”
Hermione lo squadrò da capo a piedi.
Si. Sbruffone ed arrogante come sempre.
Ma non era difficile notare che stava evitando di guardarla negli occhi.

“Alla buonora, Malfoy. Stavo per mandare una squadra di Auror a prelevarti.”
Draco alzò gli occhi al cielo.
“Tutta questa acidità è richiesta dalla tua professione, o è un trattamento speciale nei miei riguardi?”
“Tu che cosa credi?” fece lei, assicurandosi di avere tutto il materiale necessario nella sua ventiquattrore.
“Oh, secondo me stai mascherando l’attrazione animalesca che senti per me…”
Hermione prese la passaporta dalla scrivania e gliela porse, incenerendolo con lo sguardo.
“Sto per vomitare.”
Draco spalancò gli occhi esageratamente.
“Nausea? Sei incinta, Granger? Eppure non ho mai avito l’onore…”
“Malfoy!” strillò Hermione, sbattendogli in mano il fermacarte, “siamo in ritardo! Non hai più voglia di divorziare o ti diverti solo a farmi perdere la pazienza?!”
Le ultime sillabe si persero nello strappo della passaporta che li catapultava dentro il Ministero, proprio davanti all’aula di tribunale in cui si sarebbe tenuta l’udienza.

“Comunque era solo una domanda…” brontolò Draco a mezza voce, appoggiandosi al muro per non cadere, mentre si risistemava (ancora) i capelli. Hermione lo scrutò per dieci secondi buoni e poi la luce della comprensione si fece strada nel suo cervello.
“Tu,” sibilò incredula,“tu… Malfoy, tu sei ubriaco!”
Draco le agitò un dito teso sotto il naso.
“Mi pare come minimo dovuto,” le disse, sempre evitando di guardarla negli occhi, “non si festeggia un giorno speciale come questo senza una buona bottiglia.”
“Oh, per Merlino!” Hermione schiaffeggiò la mano di Malfoy e lo tirò da parte trascinandolo per una manica. Proprio in quel momento la delegazione di sette maghi del Wizengamot che avrebbe presieduto l’udienza stava attraversando il corridoio per entrare in aula.
“Malfoy, li vedi? Il caso sarà sottoposto al giudizio di quella delegazione, lo sapevi questo? Come cavolo ti è venuto in mente di ubriacarti prima dell’udienza?! Che impressione pensi di dare al giudice, mentre io e tua madre abbiamo lavorato come pazze per farti passare per il marito perfetto?!”
“Beh? E non sono perfetto? Non trovi che questa giacca mi renda estremamente serio e affascinante?”
Il fatto che mentre lo diceva stesse girando su se stesso, pavoneggiandosi come una drag queen… beh, non era esattamente rassicurante. Hermione si trattenne a stento dal mettersi le dita tra i capelli e tirare forte. Agguantò invece la cravatta di Draco, incurante del fatto che la seta si stropiccia con una facilità impressionante, e lo costrinse ad abbassarsi in modo da guardarlo finalmente negli occhi.
“Ascoltami bene, Malfoy. Ora tu vai a lavarti la faccia, e bada bene che l’acqua sia bella fredda. Poi mi raggiungi in aula, ti siedi, e mi fai il favore di stare fermo e zitto per tutta la durata del processo. Fermo e zitto, sono stata chiara? Fai il morto, chiudi gli occhi e pensa all’Inghilterra, non mi interessa. Quello che ti pare purchè tu non valuti nemmeno lontanamente la possibilità di aprire bocca, ok?”
“Sai Granger, ogni tanto mi ricordi mia madre…”
“Che meraviglia…” borbottò Hermione, voltandosi per entrare in aula, “vai a lavarti la faccia, subito.
“Granger!” la richiamò Draco.
Hermione si voltò: questa volta gli occhi di Draco cercarono i suoi e sembrava avere un’espressione un po’ più intelligente.
“Come sta Ginny?” chiese Draco sottovoce.
Hermione inclinò la testa con uno sguardo indecifrabile.
“Non sono affari tuoi, non credi, Draco Malfoy? Pensa al tuo divorzio adesso. Oppure hai cambiato idea?”
Draco le restituì un’espressione profondamente disgustata. Avrebbe potuto essere il pensiero di Pansy, oppure il suo fegato che stava dichiarando disfatta, difficile dirlo. Ad ogni modo Draco si voltò e se ne andò alla ricerca di una toilette.
In ogni altra situazione Hermione gli avrebbe augurato di tutto cuore di inciampare, cadere di testa dentro un cesso ed affogarsi, facendo, in definitiva, un grosso favore a tutti quanti. Nel caso specifico si limitò a sperare che l’acqua fosse particolarmente gelida e che lui ritrovasse la strada per l’aula di tribunale in tempo per il verdetto.

“Say one thing about our marriage: if there is such a thing as an un-jackpot, I’ve hit it.”
From “We are not married” (movie, 1952)

Draco osservò la propria immagine, riflessa nello specchio macchiato del bagno del Ministero. Il viso diventava via via più nitido, mano a mano che l’acqua fredda faceva il suo effetto e gli rendeva più facile concentrarsi.
Divorziare.
Era qui per divorziare.
E poi avrebbe potuto lanciare quel maledetto anello nelle fogne di Nocturn Alley dove, con un po’ di fortuna, sarebbe finito in pasto ai topi, esattamente dove meritava di stare.

La Granger gli avrebbe fatto tenere la casa, la villa e tutto quanto... ne era certo. D’altra parte si era alleata con sua madre, e non s’era mai visto, a memoria di mago, che una femmina di pura razza Black non ottenesse precisamente quello che voleva. Era una vera fortuna che Narcissa non avesse mai voluto le sue palle su un piatto d’argento… finora.
Ok, ora doveva solo aspettare. E sperare che tutto fosse il più breve e indolore (per lui) possibile.
Aspettare e starsene zitto: quello probabilmente era in grado di farlo, erano anni che lo faceva, aveva un buon allenamento. E poi sarebbe stato libero.
Il viso di Ginny sembrò apparire per un istante di fianco al suo: pallido, con quegli occhi scuri che guardavano il nulla… o forse guardavano verso quel debole ma luminoso legame, quella fiducia che aveva avuto in lui e che era stata spezzata, prima ancora che lui potesse provare – solo provare – a dirle la verità.
Ma se la sarebbe ripresa.
Ne era convinto. O magari ne era convinto il vino che aveva bevuto, ma non aveva importanza: ci avrebbe fatto i conti a divorzio avvenuto. Col vino e con Ginny.

Entrò nell’aula, faticando a mettere a fuoco le pochissime persone presenti: la discrezione era fondamentale, soprattutto considerata la piega che avevano preso gli eventi, per cui c’erano soltanto pochi eletti ad assistere alla disfatta… di Pansy o di Draco che fosse.
Sua madre mancava, sarebbe arrivata più tardi, adorava le entrate da gran diva.
C’era la Granger, seduta sull’orlo della panca, intenta a risistemare le sue carte. Alcuni riccioli scuri erano sfuggiti dallo chignon legato stretto sulla nuca, ma lei era troppo concentrata per accorgersene.
C’era Thed. L’infame. Non era concentrato, non avrebbe mai permesso al proprio avversario di pensare che lui provasse anche solo un briciolo di apprensione per il processo che stava per svolgersi. Stravaccato sulla panca, l’aria rilassata al limite della strafottenza, osservava la Granger da lontano... ma qualcosa lo preoccupava: Draco, che lo conosceva da anni, poteva intuirlo senza sforzo. Era palese, un terremoto interiore che vibrava appena sotto quella finta pigrizia con cui socchiudeva gli occhi assonnati.
E poi c’era lei.
La zoccola d’alto bordo. La cortigiana che si aggirava per le sale dell’alta società, con l’aria angelica di una novella Principessa Anna di ritorno dalle sue vacanze romane. Lei, che della falsità aveva fatto un’arte e del tradimento un gioco d’azzardo. Lei, che sull’apparenza aveva costruito una vita per entrambi, calpestando tutto ciò che avevano di vero, tranne i diamanti. Lei, sua moglie. Ancora per poco.
Pansy voltò la testa e lo guardò.
Buffo come alla fine delle cose, si ripensa sempre all’inizio… a quando Pansy era tutto ciò che aveva sempre voluto in una moglie. Ora, tutto quello che voleva era togliersela dai piedi.
Le rivolse un cenno della testa, un inchino appena accennato, così cortese e beffardo da costituire un insulto peggiore di uno sputo in faccia.
Addio, cara… non aspettarmi per cena.
Pansy non mostrò di cogliere la provocazione; gli voltò le spalle, e posò la mano sinistra sulla manica di Thed, che sedeva al suo fianco. Poteva sembrare un gesto casuale, ma Pansy mosse le vezzosamente dita, come per attirare l’attenzione di Draco – e di tutti i presenti – sul fatto che su quel anulare non splendeva il solito diamante.
A Draco prudevano le mani dalla tentazione di farle vedere a sua volta un dito. Il medio.
Purtroppo la Granger sembrava leggergli nel pensiero quel giorno, perché si voltò e lo fulminò con lo sguardo, indicando, con un gesto perentorio della mano, la panca al proprio fianco. Draco si avviò in silenzio, ricordando a se stesso - anzi ripetendoselo un po’ come un mantra - che era un serpente e, come tale, doveva saper aspettare.
A pensarci bene, cara, non aspettarmi proprio.

************

NdA. I film citati hanno tutti Marilyn Monroe come protagonista.

Lo so che è cortino, ma ho fatto dei cambiamenti all’ultimo momento nello schema e ho pensato di mettere tutto il processo nel prossimo capitolo, che spero di riuscire a pubblicare presto!
Grazie a vegani, chandelora, seven, Nymph, Saty (ti adoro piccola cara, hai trovato vestitini adeguati per l’inverno?), Summer_Black, kpotter (Grazie mille, proprio una bella recensione! Harry? Ma no perché?!?… Harry porta sfiga, non ce lo voglio!), Guenevere (beh, se alla mia veneranda età e con tutte le fanfiction che ho scritto ancora non sapessi usare il verbo avere come la lingua italiana richiede sarei proprio da buttare a mare! Comunque mi hanno fatto piacere i tuoi complimenti, grazie mille!).

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** How to devorce from a millionaire ***


CAPITOLO 10: HOW TO DEVORCE FROM A MILLIONAIRE

“Signor Draco Malfoy?”
Draco guardò Hermione, che annuì impercettibilmente. “Presente.”
Il Decano del Wizengamot storse il naso rugoso, Hermione imprecò in silenzio.
“Signor Malfoy, mi vedo costretto a pregarla di non essere irrispettoso nei confronti dei rappresentanti del Wizengamot.”
Draco aprì la bocca, ma l’unghia aguzza dell’avvocato Granger gli si conficcò nella coscia, perciò si ritrovò costretto ad annuire in silenzio. Il Decano srotolò una pergamena e la scorse velocemente. “Signor Malfoy, lei è stato accusato dalla Signora Malfoy di adulterio. Di conseguenza, in sede di divorzio consensuale, l’avvocato Nott ha richiesto, a beneficio della signora Malfoy, un assegno di mantenimento superiore ai duemila galeoni mensili, la proprietà di un attico in Diagon Alley e di una tenuta nobiliare in Bretagna. Durante questa settimana di sospensione dell’udienza l’avvocato Granger, legale del signor Malfoy, ci ha fatto pervenire documenti riguardanti la suddetta proprietà, che ne certificano l’intestazione alla signora Narcissa Black Malfoy. Non essendo di proprietà del marito, tali tenute non possono essere oggetto di negoziati in sede di divorzio. Avvocati, mi confermate la correttezza delle informazioni in mio possesso?”
Hermione e Theodore assentirono all’unisono, e il decano riprese a leggere dai propri documenti.
“Ci risulta quindi che l’avvocato Nott abbia richiesto che la residenza di campagna della famiglia Malfoy, denominata “Malfoy Manor”, venisse ceduta alla signora Malfoy, in quanto genitore affidatario dell’unica figlia ed erede del Signor Malfoy. Anche questo è corretto?”
Di nuovo, Hermione e Nott risposero affermativamente.
“Benissimo. Dalle comunicazioni durante questa settimana di sospensione dell’udienza risulta che l’avvocato Granger e il suo assistito rifiutano l’accordo di divorzio consensuale proposto dall’avvocato Nott. L’avvocato Granger ci ha inoltre comunicato una lista di testimoni che desidera interrogare alla presenza di questa Delegazione per dimostrare che le richieste dell’avvocato Nott sono eccessive e non consone alla reale situazione della famiglia Malfoy. Avvocato Granger, può procedere.”

TEOREMA DI GINSBERG
1. Non puoi vincere
2. Non puoi pareggiare
3. Non puoi nemmeno abbandonare

“Chiamo a testimoniare il signor John Rowland.”
I presenti si voltarono a guardare l’aitante giardiniere che entrava in aula: bruno, alto, con quegli occhi ambrati che sembravano fatti apposta per irretire povere, disperate casalinghe… con l’aiuto di quelle spalle incredibilmente ampie e squadrate, e quei bicipiti che il lavoro di zappa (e non solo) manteneva tonici e allenati, ovvio. Pansy lanciò un’occhiata a Theodore, poi alzò gli occhi al cielo. L’avvocato Granger salutò il giardiniere con una stretta di mano, il giudice gli fece giurare di raccontare solo la verità e finalmente quelle braccia rubate all’agricoltura poterono trovare riposo sul banco dei testimoni.
“Signor Rowland, lei ha prestato servizio come giardiniere presso Malfoy Manor a partire da circa cinque anni fa, per un periodo di 15 mesi, è corretto?”
“Si, è corretto.”
“E durante quel periodo ha avuto modo di conoscere la signora Malfoy?”
John Rowland sembrò interdetto. Forse aveva motivo per non essere sicuro di aver capito la domanda…
“La signora Pansy Malfoy…” si sentì in dovere di precisare Hermione.
“Si,” rispose John.
“L’ha conosciuta soltanto come datrice di lavoro?”
“No.”
“E come definirebbe allora il suo rapporto con la signora Malfoy?”
“Siamo stati amanti.”
Hermione agitò la bacchetta, sorridendo, e un’immagine traslucida di Melanie Malfoy apparve a mezz’aria, fluttuò di fianco al signor Rowland e rimase a farsi ammirare dai vecchietti del Wizengamot. Gli anziani maghi spalancarono gli occhi di fronte alla somiglianza: gli occhi grandi e neri di Pansy brillavano al centro di un visetto tondo (che nulla aveva della finezza dei lineamenti dei Malfoy) incorniciato da una corona di riccioli che avevano lo stesso colore – un castano ricco e lucente – dei capelli di John Rowland. Anche la bocca della bimba sembrava rubata dal viso del bel giardiniere, mentre il suo sorriso smagliante non avrebbe potuto essere più lontano dal sogghigno gelido di Draco Malfoy.
Pansy si irrigidì, e Theodore saltò in piedi strillando “Obiezione!”.
Ti prudeva una chiappa, Nott?
“Accolta. Avvocato Granger, la signora Malfoy ha scelto di non coinvolgere la figlia nell’istanza di divorzio, in quanto minorenne. Sono costretto a chiederle di far sparire quell’immagine.”
La Granger rivolse alla giuria un amabile sorriso di scusa e agitò di nuovo la bacchetta per far sparire l’ologramma. Tanto ormai l’avevano già vista…
“Mi perdoni, Vostro Onore. In ogni caso è tutto. Lascio il testimone all’avvocato Nott.”

Nott si alzò e passò molto vicino alla Granger mentre si incrociavano al centro dell’aula.
“Questa non la dovevi fare,” le sussurrò.
“Oh, risparmia il fiato: potrai dirmelo alla fine.”

Nott si avvicinò a John Rowland con fare amichevole.
“Signor Rowland, ho soltanto un paio di semplici domande per lei. Durante tutto il periodo in cui è stato impiegato presso Malfoy Manor, il signor Malfoy era a casa molto spesso?”
“No.”
“Saprebbe dirci, più o meno, quanto tempo il signor Malfoy passava a casa con la moglie?”
“Non saprei. Poco… stava via per settimane intere. Prima che lasciassi l’incarico rimase all’estero per più di quattro mesi.”
“E può dirci se ha avuto l’impressione che la signora Malfoy si sentisse triste, o patisse la solitudine a cui il marito la sottoponeva?”
Mi disse di sentirsi sola…”
“Non ho altre domande, Vostro Onore,” concluse Nott, senza nemmeno far finire la frase al povero John, con un tono che diceva chiaramente vedete-quanto-quel-mostro-ex-mangiamorte-ha-fatto-soffrire-la-povera-mogliettina?
“Grazie avvocato. Signor Rowland, è libero di andare. Avvocato Granger, può chiamare il prossimo testimone.”

Uscendo dall’aula John Rowland incrociò sulla porta un altrettanto aitante e bruno giovanotto, il secondo testimone, appunto. Uno qualsiasi dei presenti di sesso maschile, guardando la misura delle spalle dei due cari ragazzi, pensò di certo che non avrebbe mai voluto trovarcisi in mezzo. Le donne presenti forse pensarono qualcosa di completamente opposto.
Il testimone, un certo Johnny Caruso, si qualificava come idraulico di fiducia di Malfoy Manor. Hermione condusse ancora l’interrogatorio durante il quale i maghi del Wizengamot appresero che il caro Johnny – che parlava con un pesante accento italiano e ammiccava in continuazione con quegli occhi neri e penetranti da latin lover – lavorava per Malfoy Manor da diversi anni e alla domanda “come definirebbe il suo rapporto con la signora Malfoy” rispose candidamente che “dava alla cara signora una spolverata quando questa sentiva il bisogno di un vero uomo tra le lenzuola”.
Pansy ebbe la decenza di fingersi molto concentrata su un’unghia rotta nella mano sinistra, mentre Draco non riuscì ad esimersi dal lanciarle un’occhiata palesemente schifata. Hermione fu sul punto di domandare se Malfoy Manor avesse una lavatrice e se questa lavatrice si rompesse molto spesso, ma realizzò che non era una argomento adatto ad un’aula di tribunale e decise che l’interrogatorio poteva considerarsi concluso.
L’avvocato Nott condusse il contro-interrogatorio in modo analogo a quello precedente, ottenendo le stesse, precise risposte, per poi lanciare ad Hermione un’occhiata tipo visto?-cosa-credi-di-ottenere? Hermione si limitò a sorridere amabilmente, come in realtà stava facendo dall’inizio dell’udienza.

Hermione chiamò il suo terzo testimone, tale Ivan Petrenko.
L’armadio di muscoli, dotato di capelli biondissimi e penetranti occhi di ghiaccio, che si materializzò all’entrata dell’aula, sembrava uscito fresco fresco da una miniera ucraina. Draco si ritirò impercettibilmente sulla panca. Ricordava molto bene quel ragazzo che aveva lavorato come giardiniere a Malfoy Manor per qualche mese; Draco aveva sempre avuto l’impressione che più che annaffiare il rosaio, Ivan avrebbe potuto estirpare l’intero filare di platani a mani nude, se gliene fosse saltato il ticchio.
Una strana sensazione di deja-vu dovette impadronirsi di tutti i presenti, dal momento che interrogatorio e controinterrogatorio si svolsero in maniera pressoché identica a quelli che avevano avuto luogo precedentemente.
Quando il minatore russo si alzò dal banco dei testimoni, che scricchiolava sotto i suoi uno e 90 di muscoli, Hermione cominciò a chiamare il suo quarto testimone, Monsieur Maurice Dariaux, parrucchiere di fiducia della signora Pansy Malfoy. Un ragazzo alto e snello, dall’aria incredibilmente bohémienne, apparve sulla soglia dell’aula, al che Thed si alzò in piedi come morso da una tarantola.
“Obiezione!” strillò, “qualunque cosa l’avvocato Granger voglia tentare di dimostrare, non ci sono prove a carico della signora Malfoy, a parte le dubbie dichiarazioni di un paio di operai. Senza contare che il signor Malfoy avrà sicuramente accumulato decine di relazioni extraconiugali in tutti questi anni di viaggi…”
“Obiezione, tendenzioso!” strillò a sua volta Hermione, “l’avvocato Nott sta facendo illazioni. L’unico adulterio di cui sussistono le prove risale ad un periodo successivo la presentazione dell’istanza di divorzio.”
“Accolta,” rispose l’anziano mago, rivolgendosi ad Hermione, “mentre la sua è respinta, avvocato Nott. L’avvocato Granger ha diritto ad interrogare tutti i testimoni che ritenga opportuni, tuttavia sono costretto a chiederle, avvocato Granger, quanto esattamente è lunga questa lista? Tutti noi vorremmo essere a casa almeno per ora di cena, e credo che il suo punto sia stato afferrato da tutta la delegazione.”
Hermione sorrise a Theodore, inclinando la testa con un vago accenno di civetteria; Theodore incominciò a sudare, comprendendo che aveva fatto esattamente il gioco di Hermione.
“Oh, in questo caso direi che possiamo saltare tre o quattro interrogatori e passare direttamente al mio ultimo testimone. La signora Narcissa Black Malfoy.”

LEGGE DI MURPHY SUL SESSO
“Questo non ti farà male, te lo prometto.”

Il silenzio calò in aula, all’improvviso.
Madama Narcissa aspettava che tutti gli sguardi si rivolgessero a lei, in attesa sulla soglia, per cimentarsi nella sua migliore entrata da star. (Draco nel frattempo scuoteva la testa di nascosto, chiedendosi cosa mai avesse fatto di male… Ok, cercare di fare secco il preside di Hogwarts non era stato un piano così brillante nell’ottica di guadagnarsi il paradiso, ma quella situazione – riflettè, figurandosi il vecchio mago del Wizengamot nei panni di Nostro Signore – non era forse una punizione un tantino eccessiva?!?)
Madama fece il suo ingresso in aula con calcolata lentezza, avvicinandosi al banco dei testimoni con il fare triste e dignitoso di una giovane vedova che percorre la navata per dare l’ultimo addio al caro marito estinto. L’impeccabile tailleur nero faceva risaltare il pallore d’avorio della sua pelle e anche i capelli biondissimi, raccolti in uno chignon severo sulla nuca, sembravano sforzarsi, senza riuscirci, di brillare un po’ meno. Gli occhi grigi come l’acciaio parevano perforare la veletta di pizzo nero calata sulla parte superiore del viso, come a nascondere i segni lasciati da una notte insonne di lacrime inconsolabili.
(Hermione lanciò un’occhiata di sottecchi ai vecchietti del Wizengamot, quasi aspettandosi di sorprenderne qualcuno ad asciugarsi con un fazzoletto qualche lacrimuccia di commozione.)

Lo sguardo di Narcissa si abbassò su Pansy mentre le passava di fianco, con un’espressione di scherno e condiscendenza al tempo stesso, come a dirle povera dilettante, adesso guarda come si gioca sul serio. Pansy strinse i pugni, fumante di rabbia, e si piantò le unghie laccate nel palmo, aspettandosi il peggio.
Narcissa si sedette con sussiego al banco dei testimoni e strinse le mani in grembo, come per trattenere un dolore troppo grande per il suo povero cuore già duramente provato. (Hermione non potè fare a meno di pensare che quella donna avrebbe dovuto recitare a teatro.)
“Signora Malfoy,” esordì Hermione, “può parlarci del matrimonio di suo figlio con la signora Pansy Malfoy?”
“Oh…” si lamentò Narcissa, scuotendo la testa, sconsolata, “avrebbero potuto essere così felici… Da ragazzi erano fatti l’uno per l’altra, e Draco era così innamorato di Pansy. È un vero peccato che la sua generosità e la sua lealtà verso la famiglia siano stati così mal ricambiati.”
“Può spiegarci che cosa intende con questa affermazione, Signora Malfoy?”
Narcissa si piegò verso Hermione e si mise una mano sul cuore, con fare addolorato.
“Io avevo avvertito Draco di non stare così tanto tempo lontano da casa! Gli avevo consigliato, più e più volte, di passare più tempo con sua moglie, di delegare parte dei viaggi di lavoro… Gli avevo detto che di certo a Pansy non sarebbe importato di possedere una pelliccia in meno, ma che una moglie vuole più di tutto stare con suo marito! Draco mi ha sempre risposto che Pansy meritava tutto ciò che poteva desiderare e che lui doveva lavorare molto, non soltanto per poterle assicurare lo stile di vita che meritava in quanto signora Malfoy, ma anche per mantenere il prestigio della famiglia e dell’azienda. Dopo che suo padre…” Narcissa si interruppe, e trasse dalla borsetta un fazzolettino, ricomponendosi, “dopo quel brutto incidente in cui mio marito dimostrò così poca considerazione per la sua famiglia, Draco desiderava che lui e sua moglie fossero benvoluti e rispettati. La lealtà verso la famiglia è tutto per mio figlio.”
(Hermione non poteva che ammirare tanta faccia tosta. Era strabiliante quanto riuscisse a sembrare sincera dicendo idiozie tanto colossali.)
“Ha affermato che tutta questa encomiabile fosse in realtà mal riposta…”
“Pansy non si è dimostrata all’altezza della devozione di Draco per la sua famiglia. Io ero a casa mentre mio figlio viaggiava per lavoro. Ho potuto notare, da tante piccole cose, come Pansy, ad un certo punto, non fosse più una… moglie fedele.”
Mentre parlava, il viso di Narcissa si era fatto serio e compunto, ed era riuscita anche a simulare un certo imbarazzo nell’alludere alle relazioni extraconiugali della nuora. (Hermione avrebbe voluto applaudire…)
In quel momento Thed dovette avere un altro attacco di prurito improvviso.
“Obiezione! Questo argomento è già stato ampiamente discusso in precedenza.”
“Accolta. Avvocato Granger, la prego… si fa tardi.”
“Benissimo. Signora Malfoy, ha mai parlato dei suoi sospetti con suo figlio al ritorno dai suoi viaggi?”
“Si certo. Più di una volta ho cercato di fargli presente che Pansy probabilmente si sentiva sola e che era portata a cercare compagnia al di fuori del vincolo matrimoniale, ma Draco non ha voluto ascoltarmi. Mio figlio non è mai stato un angelo, per carità, non sono qui a negare che anche lui abbia commesso i suoi errori in questo matrimonio… ma Draco si è sempre rifiutato di vedere il male nelle poche persone a cui riservava il suo affetto, così come ha sempre venerato suo padre nonostante tutto. E poi c’è stata quella faccenda di… di Melanie…”
Narcissa Malfoy arrossì.
Hermione e Draco spalancarono gli occhi, increduli, ma per fortuna la Grenger si riprese immediatamente.
“Oh, a proposito di Melanie, la figlia di Draco Malfoy… Avevo dimenticato un documento che potrebbe essere interessante per la corte.” Hermione, maledicendo graziosamente la propria imperdonabile distrazione, fece volteggiare un foglietto di pergamena sul banco del delegato del Wizengamot. “Si tratta del test di paternità di Melanie Malfoy, in cui si attesta che Draco Malfoy non può essere il padre biologico. Comunque, dicevamo, signora Malfoy… come ha visto evolversi il rapporto tra suo figlio e la signora Pansy Malfoy in seguito alla nascita di Melanie?”
“Oh, è stato così triste… Draco era in viaggio sempre più spesso, non era colpa sua certo, l’azienda stava diventando importante. E io…” Narcissa chinò il capo, simulando un lieve e imbarazzato singhiozzo, “io non potevo davvero affezionarmi a quella bambina. Vede avvocato, Melanie non assomiglia per niente a Draco. È così umiliante per la nostra famiglia sapere che tutti sospettano che…” Madama si portò al viso una mano guantata, coprendosi la bocca, e scosse la testa, “non riesco a parlarne, mi perdoni avvocato.”
(Hermione faticò non poco a restare seria davanti a quella manifestazione di profonda e dolorosa delusione… Draco, già da tempo, era crollato con la testa sul banco. )
“Non si preoccupi, signora Malfoy, non era così importante. Vostro Onore, non ho altre domande.”
“Bene, avvocato Granger…” il vecchietto del Wizengamot rivolse uno sguardo accorato e compassionevole a Narcissa, “signora Malfoy, è in condizioni di proseguire con il controinterrogatorio? Possiamo fare una pausa se preferisce…”
Narcissa scosse la testa e si ricompose con dignità.
“Grazie Vostro Onore, ma preferisco continuare ora. Ce la farò, non permetterò che l’onore di mio figlio sia messo in dubbio a causa dei sentimentalismi di una madre affezionata…”
(Draco, ora, avrebbe voluto sbatterla la testa su quel banco. )
“Perfetto. Avvocato Nott, può procedere con il contro interrogatorio.”

Era evidente, dalle pezze bagnate sulla camicia di Theodore, che questi stava sudando freddo.
“In realtà non ho molte domande per la Signora Narcissa Malfoy, Vostro Onore… ma vorrei comunque riportare l’attenzione della corte sul fatto che Draco Malfoy è accusato dell’unico adulterio di cui si abbiano le prove…”
“Obiezione!” strillò Hermione, “un test di paternità negativo costituisce una prova di adulterio.”
“La figlia in questione ha quasi quattro anni, mentre…”
“Ah, un figlio illegittimo cade in proscrizione? Non mi risultava…” fece dolcemente la Granger, senza lasciarlo finire.
“Obiezione accolta” fece il vecchietto, “avvocato Nott, la prego di procedere con il contro interrogatorio. In alternativa torni a sedersi e andiamo tutti a casa…”
Dall’espressione provata del vecchio mago, era chiaro che la sua prostata reclamava attenzione, dopo tante ore passate a sedere su quella cattedra.
Theodore sospirò.
“Signora Malfoy, era a conoscenza della relazione extraconiugale di suo figlio con quella ragazza di modesta estrazione sociale?”
“Ne sono venuta a conoscenza circa una settimana fa. Vista la sincerità innata di mio figlio e la sua lealtà verso quella che poteva considerare ancora la sua famiglia, posso dedurre che sia un’amicizia molto recente.”
“Signora Malfoy, si attenga ai fatti.”
Narcissa guardò Thed dall’alto in basso, con un certo sussiego.
“In tal caso, posso solo dirle cioè so: in seguito alla decisione di divorziare, Draco ha incontrato questa donna, una povera ragazza che ha perso la vista in seguito ad un incidente. So che si sono frequentati. Non posso dirle altro.”
Thed si sentì congedato e ritornò a suo posto con la coda tra le gambe.

FORMULA DI GLYME PER IL SUCCESSO
Il segreto del successo è la sincerità. Se impari a fingerla, ce l'hai fatta.

“Avvocato Granger, possiamo dedurre che i suoi testimoni siano finiti, finalmente?”
“Oh, Vostro Onore, avrei soltanto un’ultima persona da interrogare, se me lo permettete…”
Il povero vecchietto sospirò rassegnato. “Proceda pure…”
“Vorrei chiamare a testimoniare la signora Pansy Parkinson Malfoy.”

Di nuovo, il silenzio scese in aula, pesante come un macigno, e tutti gli sguardi si rivolsero verso Pansy. Questa si alzò, cercando, inutilmente, di imitare l’atteggiamento altezzoso della suocera, e raggiunse il banco dei testimoni… lo sguardo che rivolse ad Hermione avrebbe potuto gelare almeno un paio dei peggiori gironi dell’inferno.
“Signora Malfoy, ho una sola domanda: è vero o non è vero che lei ha una relazione con l’avvocato Theodore Nott?”
Pansy spalancò gli occhioni scuri.
“Assolutamente no!”
Hermione sorrise, rivolgendosi alla delegazione di vecchi maghi.
“Vostro Onore, chiedo il permesso di utilizzare un’apparecchiatura babbana allo scopo di mostrare una prova interessante ai fini dell’udienza.”
“Ha il permesso, avvocato… ma spero non sia una cosa molto lunga! Questa è un’istanza di divorzio, non un processo per omicidio!”
“Farò in un attimo…”
Hermione fece apparire un vecchio registratore, inserì una cassetta, e premette il pulsante di avvio. Dalle casse uscì, un po’ gracidante, la voce di Theodore Nott che affermava: “…la mia relazione con Pansy non ha nulla a che fare con la mia professionalità!”
Dopo qualche minuto di silenzio, Hermione rivolse alla giuria uno sguardo che diceva palesemente e-voi-volete-fidarvi-di-gente-così?
“Io ho concluso, Vostro Onore.”
“Avvocato Nott, vuole contro-interrogare?”
Pansy fulminò Thed con lo sguardo, e questi si limitò a scuotere la testa, con un’aria da cane bastonato… piuttosto commovente, in verità.
“Non ho nulla da chiedere, Vostro Onore.”
“Bene!” approvò il vecchietto, “allora se non vi dispiace accomodarvi fuori, noi ci riuniremmo per formulare il verdetto.”

LEGGE DELLA RELATIVITÀ DI BALLANCE
La lunghezza di un minuto dipende dal lato della porta del bagno da cui ti trovi.

“Insomma quanto ci mettono?!?”
“Oh, stai zitto...” risposero all’unisono Narcissa ed Hermione. Draco si allontanò da loro di un passo, e le guardò come se l’anticristo si fosse appena materializzato lì, in mezzo a loro.
Hermione si passò una mano sulla fronte e sospirò.
“Malfoy, conta che, prima di formulare il tuo verdetto, otto o dieci vecchi maghi devono fare a turno ad andare a svuotarsi la vescica, per poi tornare e raccontarsi a vicenda dei loro problemi di prostata e calcoli renali. Dà loro un po’ di tempo…”

Almeno venti minuti più tardi, un gruppo di vecchi maghi canuti si pronunciava a favore del signor Draco Malfoy. Alla ex signora Malfoy veniva richiesto di accettare un ragionevole assegno mensile e uno degli appartamenti di famiglia, a discrezione del signor Malfoy.
Né Draco né Narcissa si lasciarono andare in eccessive reazioni di piacere alla notizia della vittoria schiacciante; tuttavia Draco, rivolgendosi sottovoce a Pansy, non potè trattenersi dal consolarla con voce carezzevole.
“Non preoccuparti, cara: aggiungerò un paio di zeri alla cifra stabilita dalla giuria. Non sia mai che tu debba iniziare a farti pagare...”

LEGGE DI LAFFITTE
Un idiota povero è un idiota, un idiota ricco è un ricco.

******

Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto pochissimo tempo… è un bruttissima cosa dover lavorare per vivere, peccato che non si trovino più tanti miliardari da sposare.
Un grazie a Saty che mi ha supervisionato la stesura del processo!
Ringraziamenti.
Chandelora: tutte adoriamo Narcissa…
Vulcania: hai espresso la tua perplessità sulla scena tra Draco e Ginny… beh, era esattamente quello che volevo quando l’ho scritta, lasciare in sospeso, con l’amaro in bocca, con un po’ di rabbia per queste due persone che faticano ad esprimere quello che sentono, chi perché non ci è abituato, chi per paura di restare troppo ferita… i chiarimenti verranno, non preoccuparti. La malinconia è un male necessario per questo tipo di storia, scritta con uno stile ironico e cinico. Un bacio e un grazie a te e alla tua seconda personalità! Ciao!
Seven: spero che l’entrata da star non ti abbia deluso! Un bacio!
Summer_Black: non sta a me dire se Ron è idiota come Harry… vedremo più avanti, no? Luna… no, non credo, a meno che non mi serva in una certa scena laterale che ho in mente. Ciao e grazie!
Saty: hai riconosciuto il Ron di DF in quegli stivaloni? Non ci avevo fatto caso, attacchi di nostalgia, è il mio inconscio che esterna… come al solito le tue recensioni sono spettacolari, sono proprio contenta che alla fine la scena tra Draco e Ginny, così come quella tra Hermione e Ginny, abbia avuto l’effetto che volevo. Un bacio tesoro!!!
Yellowrose: sono un’amante delle citazioni, le mie storie nascono attorno a quelle, per questo sono così azzeccate e centrali nella storia. Amo Neil Gaiman alla follia: la poesia “The Hidden Chamber” da cui ho preso i brani inseriti negli scorsi capitoli, è nella raccolta “Fragile Things”, se ti interessa. Ciao!
Francy70: grazie mille, anche per la recensione a Only one sweet moment (a proposito, era riferita a tutta la storia, compreso Legend, o soltanto al missing moments descritto nella one shot?). Spero di pubblicare abbastanza in fretta, ma il lavoro impegna comunque e non riesco più ad essere così regolare come quando studiavo.
Altovoltaggio: grazie mille, recensione splendida! Quel “sofisticata” mi ha fatto proprio tanto piacere.
Curiosity: grazie! Sono proprio contenta do averti fatto ridere!!! Anche io adoro il “think of england”, mi fa sempre morire dalle risate quando lo trovo scritto da qualche parte.
Maricuccia: grazie cara! A presto!
Nha: eccolo qui! Grazie e ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** From Draco with love ***


CAPITOLO 11: FROM DRACO WITH LOVE

L’ingresso del pub era ostruito da una colorata accozzaglia di mantelli umidi di pioggia, dal pungente odore di cane bagnato. Draco aspettava con calma, come chiunque, che il gruppo di persone riuscisse ad entrare, l’arrogante impazienza celata dietro il muro gelido della sua espressione.
Il chiacchiericcio degli avventori.
Il rumore dei bicchieri sbattuti sui tavoli.
Tintinnio di brindisi, strillati per sovrastare la musica.
Colpi di tosse. Risate.
Ma nella mente di Draco echeggiava soltanto il suono argentino della fede nuziale che precipitava nel buio di un tombino di Notturn Alley.

Una volta entrato, i colori e i suoni di quella parte di mondo, così rumorosa e vivida, lo assalironocon prepotenza. Era lì che aveva incontrato Ginny la prima volta, quasi due mesi prima… sembrava una vita. Era così cambiato da quando l’aveva conosciuta… Era ridicolo che a fargli cambiare il modo di guardare il mondo fosse stata una ragazza che non poteva più guardare proprio nulla.
Si guardò intorno, mentre si sedeva al suo tavolo d’angolo.
No, non c’era. Non si era aspettato di trovarla del resto…
Era venuto al pub, guidato da uno strano istinto, a metà tra la noia e la malinconia. E un pizzico di amara nostalgia.
Il firewhisky gli bruciava piacevolmente la gola, che si chiuse, provocandogli un accesso di tosse, quando un volto sogghignante gli si parò davanti all’improvviso. Theodore Nott si sedette a cavalcioni di una sedia, proprio di fronte a lui, e sbatté il proprio boccale sul tavolo.

“Ancora con quel trucchetto del glamour, vecchio mio? Non sai che è un po’ demodé mascherarsi per venire a confondersi con la plebe?”
Draco respirò profondamente e gli rivolse un’occhiata di sufficienza.
“Invece farsi la moglie degli amici non passerà mai di moda, suppongo… Dove hai lasciato Pansy, stasera? A guadagnarsi il pane anche per te?”
Thed storse il naso, “Oh, Draco, andiamo… dovresti essere superiore a queste battutine indispettite. In fondo è andata come volevi, no? Ti sei liberato di una moglie e di una figlia in un colpo solo.”
“Mi sono liberato anche di un avvocato” precisò Draco, puntiglioso come suo solito.
“Beh, si… lo immaginavo. Mi dispiace sai?” continuò a ciarlare Theodore, per nulla intimidito. “Non pensavo che le cose sarebbero andate in questo modo…”
“Non pensavi che l’avresti preso in quel posto dalla Granger? Ma smettila, nemmeno tu sei così scemo. Oppure non pensavi che ti avrei licenziato dopo che ti sei fatto mia moglie?”
Thed alzò gli occhi al soffitto.
“Draco, a te, di tua moglie, non potrebbe fregare di meno.”
“E la cosa è ricambiata, a quanto ne so, ma non è quello il punto.”
“Ah no? E qual è?”
“La Granger è dieci volte più brava di te. Il fatto che ti portavi a letto mia moglie mi da una scusa eccezionale per cambiare avvocato.”
“E pensi che la Granger accetterà?” fece Thed, scettico.
Draco scosse le spalle, scolandosi un altro bicchiere di firewhisky, tutto d’un fiato.
“E perché no? Va così d’accordo con mia madre.”

“Comunque, cosa ci fai qui?” chiese Draco, dopo qualche minuto.
“Tua madre mi ha chiesto di tenerti d’occhio.”
Draco appoggiò il bicchiere sul tavolo con tale delicatezza da incrinarne il fondo, bestemmiando in rispettoso silenzio. Certo, ormai avrebbe dovuto rinunciare da tempo a stupirsi dei crimini premeditati di sua madre… Si trovava sempre in quella condizione in cui sapeva che avrebbe dovuto chiedere qualcosa tipo “perché”, ma in realtà non era sicuro di volerlo davvero sapere.
“Vuole soltanto essere tenuta al corrente, nel caso tu avessi ricominciato a vederti con la tua ragazza cieca,” si sentì in dovere di spiegare Theodore.
“Cos’è, Pansy non ti basta più, e ti sei arruolato tra i beau di mia madre per arrotondare lo stipendio?” si informò debolmente Draco.
Theodore rise. “Sai, eri il mio cliente principale, devo cercare di rifarmi una clientela facoltosa se tu mi lasci a piedi…”
In effetti il ragionamento non faceva una grinza, ma Draco ora era più che sicuro di non voler sapere altro, e si alzò in piedi, gettando un paio di galeoni sul tavolo.
“Dove vai?”
“Non lo so. In qualche posto in cui non corro il rischio di vedere la tua faccia o quella di mia madre.”

“How glad the many millions
Of Annabelles and Lillians would be
To capture me…”
Frank Sinatra
“I’ve got a crush on you”

Draco vagava come un’anima in pena per il party (cercando di restare il più possibile all’ombra delle colonne o confuso tra la folla), con un bicchiere vuoto in mano, pregando ogni divinità di cui avesse anche solo sentito parlare che lo champagne non fosse finito.
Sua madre lo aveva costretto a partecipare a quella tappa del campionato del mondo dell’idiozia… pardon, della Season, per “tastare il terreno”. In poche parole, voleva vedere se il divorzio da Pansy avesse minato la loro posizione sociale.
A giudicare dal modo in cui sua madre sorrideva smagliante, trillando e squittendo come una ragazzina il giorno di Natale, lo status sociale della famiglia Malfoy non doveva essersi spostato di una virgola, nonostante l’eliminazione della più giovane Signora Malfoy dall’albero genealogico (grazie al cielo, Madama Narcissa non era cruenta come la defunta e compianta signora Black e si era limitata a far evanescere il nome di Pansy dal delicato ricamo dell’arazzo).
Nello specifico però, lo status di Draco Malfoy era cambiato nel giro di un mese da “giovane gentiluomo”, passando per “povero cornuto”, per arrivare al novello “scapolo d’oro” della società magica londinese. Questo cambiamento preoccupava non poco il povero diavolo perché, nonostante lo jogging mattutino e le domenicali partitelle di quidditch con i vecchi compagni di Slitheryn, Draco era certo di non avere più il fiato necessario per sfuggire a quel tipo di attacco. Attacco che si presentava, per la precisione, sottoforma di giovani donzelle in età da marito, splendenti di sete e gioielli, che lo rincorrevano con un agilità insospettata visti i loro tacchi 14, e si appendevano alla sua giacca, ripetendogli all’infinito quanto fossero onorate di poter finalmente ballare con lui, un uomo di così nobile e antica famiglia, così affascinante ed altero... alcune asserivano addirittura di sentirsi tutte frementi all’idea di essere scortate al buffet da un uomo così cortese ed elegante (e Draco dubitava seriamente che quelle povere ragazze, messe all’asta dalle rispettive madri durante la Stagione, conoscessero l’esatto significato di parole come “altero” o “fremente”).
Il novanta percento di quelle ragazze assatanate erano sguinzagliate al suo inseguimento dalla stessa Narcissa. L’ultima che gli era stata presentata era Annabelle Flint, sorella minore di quel troglodita di Flint che era qualche anno avanti a lui ai bei tempi di Hogwarts. A giudicare dal volto bovino e dai grandi occhi vacui, quella povera ragazza doveva essere stata maledetta, non soltanto dalla scarsa grazia ed eleganza dei lineamenti dell’antica casata, ma anche dall’infelice scelta del nome di battesimo. La profondità psicologica della mucc… ehm, della ragazza, arrivava giusto giusto a permetterle di annuire, sfarfallando ad arte le lunghe ciglia, ad ogni idiozia che uscisse dalla bocca di Draco, che comunque si era limitato ad offrirle un analcolico alla fragola.

“Draco, caro!”
Precisamente.
Draco valutò per un istante la possibilità di far finta di non aver sentito, ma conosceva Madama Narcissa dalla bellezza di 28 anni suonati e sapeva che le possibilità di riuscita erano piuttosto scarse.
Il buffet era troppo lontano. Il cestello dello champagne ancora più distante.
Sospirando, Draco si volse a fronteggiare la sua personale maledizione senza perdono.
“Si, mamma.”
Narcissa Malfoy, inguainata in raso nero e ingioiellata con la classe sontuosa di una regina, era accompagnata da un bozzolo di trine e raso color rosa caramella, alta su per giù quanto uno Schiopodo troppo cresciuto, e altrettanto ripugnante.
“Che party meraviglioso, vero caro? Dobbiamo assolutamente fare i complimenti alla signora Tiger, prima di andarcene!”
“Senza dubbio, mamma.”
Con ogni probabilità la signora Tiger, essendo troppo stupida anche per organizzare una colazione per tre persone, si era affidata ad un’agenzia di organizzazione eventi, ma sarebbe stato inopportuno farlo notare a sua madre. Soprattutto considerando il fatto che, a giudicare dagli occhi porcini e l’espressione corrucciata del fagotto rosa che la accompagnava, erano sicuramente in presenza di un membro della famiglia Tiger.
“Tesoro, volevo presentarti la cara, adorabile Lillian. È una cugina di secondo grado del tuo amico Vincent!”
Mentre Draco racimolava abbastanza forza di stomaco per stringere la mano dell’adorabile Lillian, come educazione richiedeva, Narcissa continuava a trillare.
“Pensa che Lillian era promessa fin dall’infanzia al povero, povero Gregory Goyle… è stata una vera tragedia che quel ragazzo sia morto in quel modo terribile.”
Draco represse un conato di vomito.
“Sono assolutamente certa che voi due avrete tantissime cose di cui parlare!” concluse Narcissa, battendo le mani, prima di andarsene per i fatti suoi, lasciando il povero Draco con le castagne sul fuoco.

PRIMA LEGGE DELLE LETTERE
Le lettere d’amore andrebbero sempre dettate alla segretaria.

Draco passeggiava su e giù per il suo ufficio, agitando come un ossesso una rosa rossa nell’aria (come avrebbe voluto fare con una bacchetta, pronunciando le due magiche paroline, nella direzione della sua beneamata progenitrice) e, di conseguenza, sentendosi infinitamente cretino. Oltre che dall’intenso amore filiale che lo animava da quando aveva divorziato (cioè, da quando sua madre si era assunta l’ingrato compito di cercare un partito adeguato alla posizione ora vacante di Mrs. Malfoy), Draco si sentiva in quel momento invaso anche da una rabbiosa frustrazione.
Il motivo di tanto astio risiedeva, ahimè, nel fatto che Ginny pareva essersi tramutata in nebbia.
Aveva ripetutamente provato a contattarla: nella maggior parte dei casi un qualunque membro della famiglia Weasley si era premurato di aggredire la sua faccia comparsa nel camino con qualunque oggetto contundente si trovasse nelle vicinanze. Un paio di volte era stato più fortunato, e si era ritrovato davanti il cipiglio di disapprovazione di Molly Weasley, che gli rispondeva che Ginny non era in casa, e che anche se ci fosse stata di certo non avrebbe voluto parlargli, quindi perché non la smetteva di chiamare?
Aveva provato ad appostarsi - letteralmente – nei luoghi in cui poteva ragionevolmente pensare di incontrarla... inutile. L’aveva vista da lontano, una volta, in un negozio di Diagon Alley, ma era insieme a Lenticchia e, chissà perché, a Draco non era parso proprio il caso di andare a cercarsi guai.
Di conseguenza aveva deciso di scriverle una lettera.
Erano tre giorni che ci pensava e, francamente, avrebbe potuto arrivarci anche prima.
Il problema delle lettere d’amore patinate era il tono falso e ampolloso che rischiavano sempre di assumere… e quella non era che la minore delle complicazioni.
Draco non era uno stupido.
Certo, non poteva verosimilmente affermare di essere stato del tutto sveglio in determinati momenti della sua vita, ma, checchè ne pensasse Madama Narcissa, Draco Malfoy non era scemo per niente. Ed era perfettamente consapevole del fatto che una lettera scritta a Ginny Weasley non avrebbe potuto essere una lettera qualunque, e avrebbe dovuto contenere in dosi massicce alcune cosette come il rimorso, la spiegazione sincera e la richiesta di perdono.
Tutte quisquilie che Draco non aveva la più pallida idea nemmeno di come sillabare.

Camminava dunque su e giù, dicevamo, come un povero disperato che ha perduto la propria musa, gettando occhiatacce risentite alla penna prendiappunti in fremente attesa sul tavolo. Se non fosse che l’aveva usata per migliaia di lettere di lavoro, e che quindi la conosceva bene da anni, avrebbe giurato che quella maledetta penna gli stesse ridendo in faccia.
“Cara Ginny…” esordì per la duecentesima volta, “anzi no, Mia carissima Ginny…”
La penna scribacchiò, obbediente.
Mi manchi…
La penna si bloccò, emettendo uno squittio di disapprovazione, l’estremità piumata che vibrava in preda ad un malcelato disgusto. Draco fermò il suo vagabondare su e giù per il tappeto, preoccupato.
“No, aspetta… forse non va bene. Proviamo così: cercare di spiegare com’era la mia vita prima di conoscerti… sarebbe come cercare di raccontare i colori a un cieco.
La penna parve accartocciarsi su se stessa, squittendo in preda a preoccupanti spasmi. Draco annusò la rosa con fare pensoso.
“Un po’ fuori luogo, eh?”
La povera penna si espresse con un debole fischio, e Draco sospirò, rassegnato.
“Ok, ok ho capito… adesso non interrompermi più, facciamo sul serio. Si inizia con la poesia... È strano pensare che non ti vedo da un intero mese… Ho visto la nuova luna, ma non ho visto te. Ho visto aurore e tramonti, ma non il tuo bellissimo viso.”
Questa volta la penna si espresse con un sospiro di sollievo, e prese a scrivere alacremente, sotto la dettatura sicura di Draco, che continuò: “…e ora la sincerità. I pezzetti del mio cuore spezzato sono così piccoli che passano per la cruna di un ago. Dal primo momento in cui ti ho conosciuta hai sovvertito la mia vita, il modo in cui guardo il mondo, il mio mondo. Che senza di te mi sembra più buio di una notte di Natale passata in solitudine, come sarà la mia se tu non vorrai concedermi un’altra possibilità. Voglio spiegarti, voglio che tu capisca. E non ti nasconderò nulla stavolta…”

And now that you’re far ad away,
I’m sending a letter today…

Un foglio di pergamena – scritto piccolo – dopo, la penna si sarebbe asciugata il sudore dalla fronte, avesse avuta una fronte da asciugare.
“Ed ora la chiusa, con la speranza: la speranza mi guida, la speranza che quando sparisci dalla mia vista non sarà stata l’ultima volta che ti ho guardata. Con tutto l’amore di cui dispongo. Firmato…
Draco si fermò e fissò la rosa che teneva in mano da più di mezz’ora.
Già. Come firmarsi?
Draco Lucius Malfoy” scandì, prendendo una decisione drastica, “e poi aggiungi, sotto: qualunque nome io abbia utilizzato in passato.
Si avvicinò alla scrivania e lanciò un’occhiata al foglio scritto fitto fitto. La penna prendiappunti si ritirò sul calamaio, per permettergli di rileggere il testo, come faceva sempre con le missive di lavoro, ma questa volta Draco arrotolò la lettera con un colpo di bacchetta e la chiuse subito con la ceralacca e il sigillo di famiglia. Agguantò la penna e scrisse sul plico il nome del destinatario – Ginevra Weasley – con la sua grafia chiara e svolazzante.
Legata la pergamena alla zampa del suo barbagianni, lo guardò volare via, chiedendosi, con una certa perplessità, se si fosse appena tirato un’altra zappa sui piedi.

REGOLA DI ROUSSEAU
Per scrivere una buona lettera d’amore, bisogna iniziare senza sapere che cosa si vuole dire e finire senza sapere che cosa si è scritto.

Ovviamente, Ginny ricevette la lettera alla presenza della famiglia Weasley al gran completo, cognate, nipoti e parenti acquisiti compresi. Grazie al cielo Draco aveva avuto l’accortezza di non incantare la missiva perché parlasse da sola, ma l’arrivo del plico, elegantemente siglato e chiuso con lo stemma della famiglia Malfoy, riuscì comunque a sollevare un “mormorio” degno di un errore di arbitraggio ad una finale dei Cannoni.
Con la missiva stretta saldamente tra le mani e le tempie martellate da un incipiente mal di testa, Ginny cercò di approfittare della confusione generale – le voci di Ron e Fred sovrastavano il cicaleccio, discutendo a toni da stadio sulla possibilità di recapitare a Draco Malfoy la testa mozzata del povero barbagianni a mo’ di monito – per guadagnare le scale e, in seguito, la propria stanza, in cui chiudersi per decidere in pace il da farsi.
Ma la Tana era una dimora piuttosto piccola, e i Weasley una famiglia piuttosto grande, e la combinazione delle due rendeva il percorso verso le scale irto di ostacoli semoventi e dotati di estremità potenzialmente prensili. Per l’appunto, le mani di Hermione le agguantarono un braccio prima che potesse allontanarsi di mezzo metro dal divano.
“Vuoi che venga di sopra con te a leggertela?”
Ginny dovette mordersi la lingua per non risponderle male, più che altro perché, facendo due conti, decise che, in quel momento, farsi scortare da Hermione il più possibile lontano da quella gabbia di matti era decisamente il male minore.
“Non ho ancora deciso se voglio sapere cosa c’è scritto,” rispose, prendendo tempo, “ma saresti molto gentile ad aiutarmi ad arrivare in camera senza inciampare in qualche bambino. Mi sta venendo il mal di testa con queste urla.”
Una volta raggiunta la stanza di Ginny, Hermione lasciò la ragazza misericordiosamente sola, senza insistere più di tanto… e grazie al cielo, perché soltanto dopo due giorni Ginny giudicò che l’interesse generale per LA lettera fosse sufficientemente sbollito.
Trovando un momento di relativa pace alla Tana, Ginny Weasley cacciò la testa nel camino e strillò a Harry Potter che aveva bisogno del suo aiuto, quindi le facesse il favore di venirla a prendere e portarla il più lontano possibile da ogni membro respirante della famiglia Weasley. Harry Potter, seguendo alla lettera la regola numero uno del Breviario dell’Eroe, salutò moglie e figli e saltò sulla scopa per andare a salvare la donzella in pericolo.

For so many years we were friends…

Una volta che Ginny gli ebbe spiegato a grandi linee la situazione, Harry Potter, famoso per le sue decisioni rapide e istintive, si caricò la fanciulla sulla scopa e, sordo alle sue proteste, se la portò a casa.
In qualunque altra circostanza, un uomo che avesse osato portare a casa dalla propria moglie la donna che era stata l’amore della sua vita prima di sposarla, sarebbe stato tacciato di scarsa, se non inesistente, sensibilità, nonché di pessime maniere. Ma Harry Potter non era un uomo comune, e sua moglie nemmeno… infatti Luna Lovegood Potter, vedendo Ginny scendere dalla scopa del marito (strillandogli contro), corse a buttarle le braccia al collo.
“Luna, tesoro, Ginny resta a cena. Ha bisogno di una vacanza dalla famiglia.”
Luna battè le mani, felice.
“Ma certo! James sarà felicissimo. Tu che sei cieca potrai aiutarlo a scovare tutti i nargilli che ci sono nella sua cameretta.”

La casa dei Potter era allegra, calda e rumorosa… nel modo in cui può essere rumorosa una casa in cui vivono due genitori giovani e due bambini di uno e tre anni. James aveva per Ginny e per la sua cecità un’inspiegabile adorazione, tale che giocava ad essere lei, camminando con gli occhietti chiusi e sbattendo la testa contro ogni spigolo.
Per una strana ed assurda evoluzione del loro rapporto, tra Ginny ed Harry era nata un’amicizia naturale e pacifica, in cui lui riusciva ad avere cura della ragazza in un modo fraterno ed affettuoso. Il disagio che avevano provato l’uno nei confronti dell’altra subito dopo l’incidente, e che li aveva portati inesorabilmente alla rottura della loro storia d’amore, era sparito, principalmente grazie a Luna.
Luna che sapeva sdrammatizzare le complicazioni e i sensi di colpa di Harry Potter, facendoli svanire in una bolla di sapone colorata come le sue piccole pazzie. Era stata Luna a riavvicinarli, con garbo e discrezione, ricordando loro la forza che avevano tratto l’uno dall’altra nei momenti difficili del passato, e costringendoli a mettere da parte l’insofferenza che li aveva separati quando non sapevano più come rapportasi con se stessi e con la cecità di lei.
Luna, amica e sorella, che un giorno si era portata a casa Ginny e l’aveva ufficialmente trasformata nella “zia” preferita della nuova generazione di piccoli Potter – degni figli dell’eroe, a detta di Ginny, pronti a diventare nel giro di qualche anno la principale piaga sociale del mondo magico.

Seduto sul divano, mentre la moglie era sparita nella cameretta dei bambini per metterli a letto, Harry scrutava Ginny attraverso gli occhiali, indeciso sul da farsi.
“Sei sicura? Non vorresti che fosse qualcun altro a leggerla? Ron o Hermione… o magari Luna.”
Ginny storse il naso.
“Oh, ti prego…leggi e basta. Non commentare, non giudicare, non inserire commenti personali. È così complicato?”
“Va bene.”
Harry si aggiustò gli occhiali e respirò profondamente, poi spezzò il sigillo e prese a leggere.

So maybe the chance for romance
Is like a train to catch before it's gone
And I'll keep on waiting and dreaming
You're strong enough
To understand…

Voglio spiegarti… anche se gran parte di quello che ho fatto, e che sento nel cuore, mi è ancora incomprensibile. Quando ti ho vista, quella sera che ballavi, non so cosa mi sia preso. Non sapevo che fossi cieca, non era mia intenzione ingannarti: probabilmente volevo solo litigare, volevo qualcosa di diverso, che mi facesse sentire un po’ più vivo della noia mortale in cui si era trasformata la mia esistenza. La tua cecità mi ha spiazzato e quando mi hai chiesto il mio nome non sono stato capace di dirti la verità.
Il fatto che tu non sapessi chi sono mi ha permesso di comportarmi con te come un uomo qualunque può fare con una bella donna incontrata per caso, mi ha permesso di uscire dalla parte del “Draco Malfoy” che recito da sempre. Mi piaceva stare con te, mi piaceva farti dei regali, stupirti, vederti sorridere. Forse per molte persone è una sensazione comune, ma per me non lo era, e mi sono lasciato trascinare: dopo un po’ non potevo più fare a meno di vederti, di mandarti dei fiori, di pensare a te… Non mi importava che tu fossi una Weasley, ma soltanto del fatto che eri una donna che mi piaceva e che stare con te mi faceva dimenticare il resto della mia vita.
È così che sono rimasto incastrato nella bugia che ti ho raccontato: il mio nome… Nel momento in cui ti avessi detto chi ero, il bel sogno sarebbe finito e mi sembrava di non poterlo sopportare. Non volevo vedere la rabbia o la delusione sul tuo viso; in qualche modo egoistico, odiavo l’idea di farti piangere con la stessa facilità con cui ti avevo fatto ridere. Ma quella è stata l’unica bugia che ti ho raccontato. Tutto il resto, il modo in cui ti ho trattata, ogni abbraccio, ogni parola che ti ho detto… ero sincero, forse più sincero di quanto non sia mai stato in vita mia, e te l’ho detto l’ultima volta che ti ho vista.
E ora ti scrivo questa lettera, chiedendoti di poterti parlare, di avere l’opportunità di dirti personalmente che ti amo… in un modo in cui non credevo nemmeno fosse possibile amare. Mi rendo conto che non ho il diritto di chiederti di fidarti di me e concedermi una seconda chance, ma non posso fare a meno di sperare… che quando sparisci dalla mia vista non sarà stata l’ultima volta che ti ho guardata.

“Si firma con il suo vero nome: Draco Lucius Malfoy” concluse Harry, riportando lo sguardo su Ginny.
Draco scriveva come se non avesse niente da perdere, come se avesse messo in quella lettera tutto ciò che pensava una donna potesse desiderare: la poesia, la sincerità, il rimorso… la speranza.
Poteva suonare falsa, melensa, pretenziosa. Ma Harry aveva colto emozioni vere tra quelle righe, parole e concetti che forse Draco Malfoy nemmeno conosceva, ma che erano comunque scritte, per chi sapeva e voleva leggerle, negli spazi tra le sillabe. Ed ora Harry si chieda quanto altro avesse colto Ginny, con quella sua sensibilità estrema: lei che gli aveva parlato, che lo aveva baciato, abbracciato… lei che, pur sapendo che le stava mentendo, si era lasciata andare a quella relazione finchè Ron ed Hermione non l’avevano costretta ad ammettere la realtà. Come sarebbe andata se non avessero cercato di interferire? Tutto sarebbe sbollito in una nube di fumo, forse. O forse no.
Ricordava quando Ron gli aveva detto che dovevano indagare sul fidanzato di Ginny: aveva avuto il sentore che sarebbe stato forse il caso di farsi gli affari propri, così, tanto per cambiare… ma quando Hermione si metteva in testa una cosa, era una causa persa tentare di convincerla del contrario.
Ed ora Ginny si mordeva l’unghia del pollice, ripetendo probabilmente dentro di se le parole che aveva appena sentito. Imperscrutabile come al solito, il suo sguardo che non vedeva nulla era fisso nel vuoto… forse leggendo quelle parole che non erano scritte sulla lettera, ma solo nel suo cuore.
“Vuoi rispondergli? Posso scrivere se vuoi…”
“No.”
“L’hai più visto o sentito dopo quel giorno?”
“No. So che ha provato a contattarmi a casa… ovviamente non crederai che possa mettermi a parlare con lui davanti alla famiglia più invadente della storia magica inglese.”
Harry rise, rendendole la lettera.
“E comunque Hermione mi ha detto che il suo appartamento a Diagon Alley è passato alla moglie dopo il divorzio, e lui è quasi sempre in viaggio per lavoro. Anche se Malfoy ha detto di volerla assumere come avvocato fisso, lei non l’ha più visto dopo il processo…” riprese Ginny, in tono piatto, “anche volendo, e non sono sicura di volere, non saprei dove cercarlo.”
Luna entrò in quel momento nella stanza e attirò l’attenzione di Harry con una mano, lanciandogli un’occhiata che significava chiaramente che aveva sentito tutto e che il suo caro maritino era invitato a fare qualcosa se non voleva ritrovarsi a dormire sullo zerbino. Harry annuì sorridendo, strizzandole un occhio.
“Per quanto riguarda il cercarlo, lascia fare a me…”
“Harry, l’ultima volta che uno di voi Auror ha messo il naso lentigginoso nei miei affari, ha solo complicato le cose!” sbottò Ginny.
Herry le arruffò i capelli, ghignando.
“Il mio naso non è lentigginoso.”

“Serena says he just disappears: Poof! I'm going to find out where he's poofing to.”
Blair’s line, in “A southern gentleman prefers blondes”, Gossip Girl, Season 2.

*******

Il testo della canzone disseminato per il capitolo è quello di “From Sarah with love”, Sarah Conor, da cui ho preso anche il titolo.
La scena della lettera (e anche parte del testo) è presa dal film “Il destino di un cavaliere” (2001), con ei fu (sigh sigh) Heath Ledger… un personale omaggio.

Ringraziamenti e risposte:
Altovoltaggio: grazie per i complimenti! Le citazioni sono un po’ una mia fissa, non so se mi conosci da tempo o se hai letto soltanto questa, ma le mie storie spesso nascono attorno alle citazioni: è da lì che prendo ispirazione, le scelgo di scrivere e costituiscono lo scheletro dei capitoli. È un metodo un po’ di comodo, ma per me è un gioco divertente. No, non posso dire di conoscerle tutte a mente, ma ho la fortuna di avere un’ottima memoria quindi, quando ho bisogno di una citazione, so perfettamente in quale libro/canzone/film, e a che punto, andarla a cercare. In questo caso, uso principalmente le canzoni di Frank (che conosco a memoria) e le leggi di Murphy, che si trovano ovunque su internet o sui libri di Arthur Bloch, o le massime di Oscar Wilde. Spero di aver soddisfatto la tua curiosità. A presto!
Seven: Grazie mille, sei davvero carina!
Chandelora: e perché avrei dovuto insultarti?!? Piuttosto, cara, usa meno abbreviazioni da sms: sarò un po’ demodè, ma sul serio, questa volta ho faticato a leggere! Grazie e ciao!
Frency70: allora grazie mille per trovare qualche momento per “restare bambina” insieme a me leggendo fanfiction!!! Baci!!!
Yellowrose: Grazie a te per la recensione!
Summer_Black: Draco ci sta provando… vedremo come andrà a finire! Ciao!
Maricuccia: sono contenta che t pensi valga la pena aspettare un po’ per i miei capitoli! Grazie per i complimenti!
Nha: grazie!
Danyy: mai visto Law and Order, io. Mi annoiano da morire quei telefilm. Parte del merito per il processo va a Saty, che mi ha dato qualche consiglio. I modelli di Pansy invece sono miei (magari!). Baci!
Saty: per te non ci sono parole, come al solito. Spero che il tuo PC sia guarito e che tu possa tornare presto on-line! Fatti sentire cara, un bacio!
Grifondor: faccio quello che posso! Grazie!!!
Vulcania: La parte romantica sta arrivando… già qui con la lettera siamo scadute nel melenso. Un bacio e a presto!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Christmas Carol ***


CAPITOLO 12: CHRISTMAS CAROL

Nel momento in cui Draco Malfoy aveva ricevuto il biglietto dell’avvocato Granger che lo pregava di recarsi al suo ufficio per firmare alcune carte, aveva iniziato a prepararsi mentalmente una quantità di battute sarcastiche, sul fatto che la Granger non poteva più fare a meno di lui eccetera eccetera, scadendo nella volgarità. Così si era presentato con un ghigno stampato in faccia e la cravatta slacciata in modo allusivo, pronto a dar fuoco alle polveri… non aspettandosi di trovare, varcata la soglia dell’ufficio, il suo personale incubo infantile, il fantasma del suo Natale passato, a dondolarsi pigramente sulla sedia di Hermione.

Harry – sono l’eroe dei vostri sogni – Potter, con le braccia incrociate dietro la testa e gli stivaloni d’ordinanza di pelle di drago posati sull’immacolata scrivania dell’avvocato Granger, rivolse a Draco un esagerato sorriso di benvenuto. I più famosi occhi verdi del mondo magico lo fissavano con un certo maligno divertimento, mentre Draco imprecava tra sé e sé, pregando che la sedia cedesse ed Harry Potter gli facesse il favore di spaccarsi la testa davanti ai suoi occhi.

“Malfoy,” esordì l’eroe, “capisco che tu sia attratto da me, ma non è necessario farsi saltare il nodo alla cravatta…”
Draco bestemmiò a bassa voce e fece scivolare via la cravatta dal collo con un gesto così brusco che questa schioccò nell’aria come una frusta. Il sorriso di Potter si allargò.
“Come va?” chiese allegramente, “Niente aneurismi? Niente malattie incurabili?”
“Non ancora, Potter. Ma stare in tua compagnia per altri dieci secondi potrebbe sopperire alla mancanza…”
“Di umore celestiale, insomma…”
“In caduta libera verso il raptus omicida,” confermò Draco, sedendosi, “ho sentito che hai già rifornito il mondo di eredi. Non credi che sarebbe il caso di renderli orfani? Altrimenti mancheranno loro le basi per poter aspirare ad emulare il famoso padre…”
Harry si scompigliò i capelli con fare pensoso. “Non lo so, Malfoy. In realtà pensavo di aspettare che tu mettessi al mondo un nuovo Oscuro Signore… se no con chi mai potrebbero giocare?”
Draco si portò una mano alla fronte, esasperato. Harry capì che lo stava facendo per nascondere con il braccio la risata che, suo malgrado, gli stava spuntando sulle labbra.
“Andiamo Potter, facciamola finita e dimmi cosa vuoi. E non rifilarmi che passavi di qui per caso.”
“Beh,” fece Harry, rimettendo la sedia in posizione verticale, con un tonfo che fece vibrare le assi del pavimento, “potrebbe anche essere: Hermione è ancora mia amica, no?”
“Appunto,” borbottò Draco sospirando.
“Si, insomma, a volte gli amici fanno degli errori, giusto?” fu la sibillina affermazione di Harry.
Draco strinse gli occhi e guardò di traverso l’ex bambino sopravvissuto: fissava lo sguardo, parzialmente nascosto dagli occhiali, fuori dalla finestra… pensoso, con un vago sorriso che gli aleggiava sulle labbra.
“Sono qui per Ginny,” buttò lì Harry, con lo stesso tono distratto con cui gli avrebbe fatto notare che fuori stava nevicando, ma era normale, perché era Dicembre, quindi non era esattamente una gran novità.
Draco sbattè una mano aperta sul tavolo, facendo poi forza su di essa per rialzarsi in piedi.
“Potter, per l’amor del cielo, non è un po’ tardi per la gelosia?!? Mi risultava ti fossi sposato con un’altra, quindi fammi il favore…”
“…di farmi gli affari miei, lo so. Torna a sederti, Malfuretto, tanto lo sai che ficcare il naso è il mio sport preferito. E non era mia intenzione farti una scenata di gelosia, non preoccuparti.”
Malfoy borbottò che più che preoccupato si riteneva disgustato, ma si risedette, squadrando Potter con aperta diffidenza.

“È difficile avere a che fare con Ginny, sai?” attaccò di nuovo Potter, sorridendo come un gatto che il canarino non l’ha ancora preso, ma lo acciufferà di certo e, nel frattempo, è così divertente rincorrerlo!
“Potter…”
“È difficile,” continuò Harry, ignorandolo, “perché hai sempre l’impressione di doverla proteggere da qualunque cosa che possa farle del male, da tutto ciò che possa pungere, tagliare, bruciare… e poi a volte esageri, senza neanche accorgertene, e finisci col farle più male che bene impedendole di cavarsela da sola nella cose in cui ne sarebbe ancora in grado, forse anche meglio di te.”
“Sarà così per voi che siete geneticamente incapaci di farvi gli affari vostri!” sbottò Draco, piccato, “io non ho mai avuto questa impressione!”
Harry agitò una mano. “Questo probabilmente può aver giocato a tuo favore,” disse, liquidandolo distrattamente, “ma, come stavo dicendo prima, a volte gli amici fanno degli errori. Anche se non significa che siano meno amici. Ron ed Hermione avevano solo paura che Ginny arrivasse troppo vicino a qualcosa che poteva bruciarla.”
Draco sospirò e si portò le mani alle tempie.
“Sai Potter, dovrei essere io quello subdolo e contorto. Perché non mi dici cosa vuoi?!? Mi stai dando il mal di testa.”
“Io,” rispose Potter puntando fieramente un dito al proprio petto, “devo verificare quanto effettivamente bruci, Malfoy.”

POSTULATO DI BOLING
Se sei di buonumore, non preoccuparti. Ti passerà.

Dopo qualche minuto di silenzio Draco annuì e fece per alzarsi di nuovo.
“Si, Potter… ma certo. Ovviamente. E adesso se vuoi scusarmi, per quanto la compagnia sia delle più esilaranti, penso sia il caso di rinunciare all’intrattenimento…”
“Malfoy, sta seduto.”
“Guarda Potter, francamente…”
“Malfoy, se ti dicessi che mi ha mandato Ginny?”
Draco si bloccò e lo guardò per qualche istante.
“Ti direi di non dire stronzate perché se Ginny avesse voluto dirmi qualcosa avrebbe avuto più di una occasione per farlo.”
“Ma andiamo, non avrai creduto seriamente che Ginny potesse parlare con te alla presenza dei suoi familiari! Il concetto di “privacy” della famiglia Weasley è… discutibile, l’avrai capito.”
“Si ma…”
“Ma cosa? Ginny si fida di me, ti sembra così strano?”
“Si.”
Harry rise, come se in realtà quella risposta se la fosse aspettata. Malfoy si accigliò.
“Potter, seriamente, perché non dici quello che devi dire, a cui sta girando attorno da quando sono entrato da quella porta, e la facciamo finita? Davvero, ogni minuto che passa mi riesce sempre più difficile stare a guardarti mentre ti dondoli sulla sedia e resistere alla tentazione di farti sbattere la testa sul pavimento.”
“Sperando che si rompa una volta per tutte?”
“Dubito di essere tanto fortunato. Con ogni probabilità il trauma cranico finirebbe per farti diventare ancora più pedante.”
“Ma se sono anni che non ci vediamo!” piagnucolò Harry fingendosi offeso.
“…e fino a poco fa avevo la speranza che potessero diventare decenni.”
Harry rise, il suo molesto buonumore per nulla intaccato dalle frecciate di Draco.
“Ok, ok… ma il punto è, vedi, che non so esattamente cosa dirti. Non è così semplice capire cosa Ginny vorrebbe e cercare di fare la cosa giusta per lei. Dopo aver saputo cosa c’era scritto nella tua lettera, Ginny voleva parlarti… o almeno ascoltarti. Di questo sono sicuro, ma… il punto della questione è come farvi incontrare senza correre il rischio che uno qualunque dei suoi fratelli…”
“Aspetta, frena frena! Che significa… se non è stata sua madre o che so io, chi esattamente le ha letto la lettera?”
Harry rispose con un sorriso esagerato.
Draco sbattè la testa sul tavolo, privo ormai anche della volontà di trovare una bestemmia adeguatamente volgare.
“Molto espressiva, Malfoy” ridacchiò Potter, godendosela un mondo, “ah, e volevo anche dirti… non ti è passato per l’anticamera del cervello che ad aver infastidito Ginny potesse essere stato il fatto che tecnicamente eri sposato con un’altra, piuttosto che il dettaglio di averle detto che ti chiamavi Dan?”
Malfoy spalancò gli occhi.
“Potter, sono divorziato.”
“Non è vero: stavi divorziando. Dicono che nella testa di una donna le due situazioni siano ben distinte.”
Draco fece un’espressione disgustata, “e da quando, esattamente, sei diventato un esperto, Potter?!? Mi risulta che tu ti sia lasciato scappare Ginny, qualche anno fa.”
“Si,” confermò Potter, “ma a me poi è andata bene. Al contrario, nel tuo caso, considerata la cotta vergognosa che ti sei preso alla tua età, lasciartela scappare sarebbe una grossa… anzi direi colossale, stronzata.”

LEGGE DI JERROLD
L’amore è come il morbillo: più tardi arriva peggio è.

“E quindi sei qui per dare la tua benedizione, per dirmi che se la faccio soffrire mi staccherai la testa, eccetera eccetera… toccante Potter, davvero. Ma trascuri un piccolo dettaglio: a questo punto non so se Ginny mi vorrà ancora. Quindi, visto che tanto mi sono già umiliato più di quanto avrei mai immaginato possibile, la tua proposta sarebbe…?”
“No, io non ho nessuna proposta! Come ti ho detto prima io spero, per il futuro divertimento dei miei figli, che tu metta al mondo un malvagio erede Slytherin… e l’idea che questo succeda con Ginny mi fa anche un po’ schifo, se devo essere sincero. Quindi il massimo che io posso fare, appurato che non riusciresti a farle alcun male perché sei cotto come un cotechino il giorno di Natale, e la cosa, credimi, è molto più esilarante di quanto pensi, è recapitare la donzella in un luogo a bassa probabilità di incontro di Weasley. Poi saranno tutti affari tuoi. Sii creativo.”
Harry scribacchiò qualcosa su un foglietto e lo passò a Draco.
“Fatti trovare puntuale. Non è gentile far aspettare una ragazza cieca.”

A quel punto della conversazione Malfoy stava decisamente per vomitare. Si alzò, gettando a Potter un’occhiata indecifrabile, a metà tra il disgustato e il terrorizzato.
“Solo una curiosità, Potter… Cosa hai fatto per farti lasciare?”
Harry sorrise.
“Sai, per quanto si possa amare una persona, non sempre quella che si ama da ragazzi è la persona giusta con cui passare la propria vita da adulti, Malfoy. È un po’ triste, in effetti… ma sarebbe divertente vedersi avverare il contrario, no?”

LEGGI DI EHRMAN
1. Le cose andranno peggio prima di poter andare meglio.
2. Chi ha detto che le cose andranno meglio?!?

Mentre Draco usciva dalla porta lanciando a Potter l’ultima occhiata glaciale (tanto per ribadire il concetto, pensava), Hermione Granger sbucò da una porticina laterale guardando Harry con un sorriso complice.
“Come pensi che sia andata?”
Harry la guardò ridacchiando.
“Francamente non ne ho la più pallida idea,” assicurò tra un singhiozzo e l’altro, “ma è stato troppo divertente!”
“Harry!” sibilò Hermione con le mani sui fianchi.
Harry saltò in piedi, scaraventando la sedia a gambe all’aria con la sua nota delicatezza. “Non preoccuparti Herm, andrà tutto per il meglio. Se la caveranno da soli: devi dare più fiducia a Ginny.”
“Harry stiamo organizzando qualcosa senza prima averle chiesto il permesso. Di nuovo.”
“Si ma questa volta l’idea è stata mia, non tua…” le fece presente Harry, infilandosi la giacca di pelle di drago con il distintivo da tenente degli auror ricamato sulla schiena.
Hermione si passò una mano sulla fronte. “Allora siamo a posto,” borbottò, “il mondo magico è al sicuro: ci pensa Harry Potter…”
Harry, uscendo, le mostrò il dito medio al di sopra della propria spalla, mentre la sua risata rimbombava sulle scale. L’avvocato Granger, ridendo a sua volta, gli lanciò un fermacarte di pietra che, sfortunatamente, riuscì soltanto ad ammaccare l’uscio.

TEOREMA DI ROWLAND
Ci vogliono vent’anni a una donna per fare del proprio figlio un uomo, e venti minuti a un’altra donna per farne un idiota.

“Draco, caro!”

Draco si immobilizzò sulle scale, come colpito a tradimento da un Petrificus totalus, pensando che non aveva più la forza nemmeno per pensare un’imprecazione adatta. Facendo violenza su se stesso, si voltò per fronteggiare il leggiadro incedere di Madama Narcissa – il fantasma del suo Natale presente, in effetti -, il cui sorriso smagliante presagiva l’arrivo di una pessima notizia.
“Ho invitato Lillian Tiger e sua madre per il tea, caro. Mi aspetto che tu sia presente, sarebbe una vera mancanza di rispetto nei confronti di quell’adorabile fanciulla… e per cortesia, Draco, ti ho detto mille volte che non è il caso di andare in giro senza cravatta, con la tua posizione. Onestamente! Credevo di averti educato meglio di così.”
“Mamma…”
“Vieni qui… quella giacca è un disastro!”
“Mamma!”
Narcissa sgranò gli occhi davanti a cotanto ardire.
“Cosa…!”
“Non ho intenzione di sposare Lillian, Annabelle, Clarabella o qualunque altra mucc… ragazza di buona famiglia tu abbia contattato nell’ultimo mese!”
Narcissa spalancò la bocca truccata con lo sdegno della più pura virtù oltraggiata.
“Draco, è soltanto un tea! Non vorrai di certo insinuare che io…”
“Non sto insinuando, mamma: ne sono assolutamente certo! Tu e quelle maledette arpie che non hanno nulla di meglio da fare che mettere le figlie all’asta. Avranno dieci anni in meno di me!”
“E proprio per questo potrebbero affezionarsi a te molto più di quanto abbia mai fatto Pansy!” ribadì Narcissa.
Draco scosse la testa, scendendo di un paio di gradini per non costringere la madre farsi venire il torcicollo.
“Mamma, sto parlando seriamente: smettila di voler governare la mia vita!”
Narcissa si piantò le mani sui fianchi, rivolgendogli uno sguardo omicida che avrebbe gelato il deserto del Sahara.
“Mi pare evidente che tu non sei in grado di gestire la tua vita. Io, se non altro, penso al futuro e alla rispettabilità di questa famiglia.”
Draco si conficcò con forza le unghie nei palmi, reprimendo l’istinto di rompere la balaustra con un pugno. Anche perché, considerando che era composta di colonnine scolpite di marmo di Carrara del diametro di almeno venti centimetri ciascuna, era molto probabile che ci avrebbe rimesso la mano.
“Mamma, te lo dico di nuovo. Sul serio, non voglio sposare nessuna di quelle ragazze. Nemmeno se tu ne trovassi una che non somiglia ad una scimmia con un attacco di acne. Nemmeno se portassero in dote mezzo Whilshire. Non sposerò nessuna di loro per il semplice fatto che sono innamorato di un’altra… quindi, se mai rimetterò piede in una chiesa, sarà per sposare Ginny, non… la mucca di Milka!”
“Oh, ma per favore…! Non puoi parlare sul serio!”
“Sono serissimo, te lo assicuro.”
“Beh, frequentala, esci con lei… nessuno te lo impedisce ora! Ma tra questo e sposarla… nemmeno la conosci!”
“E Lillian la conosco, forse?!?”
“Io conosco sua madre!”
“E allora sposala tu!”
“Ma non dire idiozie!”
“E allora non dirle nemmeno tu. Se vuoi che venga al tuo tea lo farò per farti un favore, ma non mostrerò alla ragazzina il giardino delle rose, come sicuramente era tua intenzione che io facessi, né la porterò a fare una passeggiata sul laghetto. Togliti dalla testa che io mi prenda per moglie una qualunque delle figlie delle tue amiche. A meno che tu non voglia farti amica la signora Weasley.”
E, seguito dallo sguardo disgustato di Madama Narcissa, Draco se ne andò a rinchiudersi nel proprio studio, riflettendo sul principio fisico di azione-reazione, e su tutti i possibili modi lenti e dolorosi in cui Narcissa avrebbe potuto farlo a pezzi e decorare con i suoi miseri resti il grande albero di Natale di Malfoy Manor.

****************

Scusatemi immensamente per il mostruoso ritardo, ma il lavoro è stato un po’ più impegnativo del solito. So che questo capitolo è cortino ma farò di meglio con il prossimo prometto… volevo tenere il dialogo tra Draco e Ginny per il capitolo 13. Che spero di postare come regalo di Natale, cosa che però non posso assicurarvi perché la mia capa è un po’ una Narcissa rediviva e capirete che è impegnativa da gestire.
Grazie mille a tutte: maricuccia, frency70, Grifondor, chandelora, altovoltaggio (il comportamento di Ginny si spiegherà quando sarà lei a poter dire la sua, non preoccuparti!), Summer_Black, maecla, seven, Danyyy (no, non siamo in Legend, anche se quella storia mi resta sempre molto nel cuore… qui le cose andranno diversamente, ma ci sarà un happy end comunque, tranquilla!), Saty (come sempre per te un pensiero speciale), Curiosità, animegirl91, nefertari83, BlaSt (mon trésor…. Ti adoro come sempre. E mi raccomando, non far colare Marylin Manson sul pavimento, se no con tutto quel cerone chi cavolo pulisce poi?!?!).

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Come fly (only) with me ***


CAPITOLO 13: COME FLY (ONLY) WITH ME

PRINCIPIO DI LUPOSCHAINSKY SUGLI APPUNTAMENTI
Se sei in anticipo, non verrà.
Se sei puntuale, dovrai aspettare.
Se sei in ritardo, se ne sarà andata.

Con un quarto d'ora accademico di ritardo rispetto agli accordi presi, Potter atterrò sul prato dietro la dependance di Malfoy Manor frenando con gli speroni degli stivali sul terreno gelato. La scopa si arrestò in testacoda, fendendo l'aria fredda con un fischio stridulo.
Tipico.
Draco si chiese distrattamente se quell'idiota avesse aerografato il manico di scopa con teschi alati, disegni tribali e finezze simili, ma decise che non gli avrebbe dato la soddisfazione di osservare più da vicino. Anche perchè il manico della scopa era coperto dalla sottana del secondo passeggero, aggrappato saldamente alla vita di Potter, cosa che lo stava già facendo discretamente imbestialire.
Harry aiutò Ginny a saltare giù dalla scopa, sorreggendola per la vita, e lanciò a Draco uno sguardo in tralice. Disse qualcosa nell'orecchio di Ginny e Draco vide la ragazza annuire appena, poi, misericordiosamente, il grande eroe del mondo magico fece impennare la scopa e si levò dai piedi.

“Malfoy?”
Draco sfiorò la mano di Ginny con la propria per farle capire dove si trovava.
“Sono io.”
“Si, lo so. Harry mi ha detto che mi aspettavi. Dove siamo?”
“Nel parco di casa mia. Dietro la dependance, oltre il laghetto.”
Ginny scrollò le spalle con indifferenza.
“Tanto non ho mai visto casa tua, né tanto meno il parco...”
“Era solo per dirti che siamo abbastanza lontani da casa per poter parlare liberamente.”
“Perchè, c'è ancora tua moglie in casa?”

“Look, are you interested in whether I'm married or not?!?”
“Oh, I'm not interested at all.”
“Well, I'm not!”
“That's very interesting!”
From “Some like it hot”

Ecco.
E così l'insolenza era uscita, finalmente. E Draco non poteva nemmeno dire di non essersela cercata.
Chinò la testa.
“No,” rispose stancamente, “l'unica donna che potrebbe esserci in questo momento è mia madre. E, credimi, è più che sufficiente per farmi provare il desiderio di trovarmi il più lontano possibile dal portone di casa.”
Dopo qualche secondo di silenzio Draco riprese a parlare, con un tono più amaro di quanto intendesse. “Non sono più sposato e non ti ho mai considerata una... una amante clandestina. Non ho mai nascosto la nostra relazione. Se ci tenevo a tenerti fuori da quella parte della mia vita era soltanto perchè quello che avevo con te mi sembrava troppo prezioso... e troppo fragile per buttarlo in pasto a quelle bestie, fameliche di pettegolezzi, dell'alta società. Te lo ripeto: sono divorziato. Ufficialmente.”
“Da qualche giorno,” ribattè Ginny, con più di una punta di ostilità.
“Ginny, il mio matrimonio con Pansy è finito da anni!” rispose Draco, alzando la voce, “Per Merlino, ha pure messo al mondo una figlia che potrebbe essere di chiunque tranne mia! Pensi che sia la data scritta sul certificato di divorzio a decretare la fine di un matrimonio?!?”
Ginny sospirò, scuotendo la testa.
“No, hai ragione,” sussurrò, “ma sarebbe stato più semplice crederti se mi avessi detto fin dall'inizio che stavi divorziando e che...”
“...che sono Draco Malfoy?”
La donna annuì.
“E allora che sarebbe successo? Avresti continuato a ballare con me quella sera? O avresti strillato al tuo cavalier servente di toglierti di dosso quel lurido, perfido, figlio di un mangiamorte, eccetera eccetera?!”
Ginny si mosse come per cercare un appoggio attorno a sé, ma erano nel bel mezzo di un prato gelato e non c'era nulla che potesse darle sicurezza. E non voleva cercare la mano di Draco, non se lo sarebbe permessa.
“Non lo so,” mormorò.
“Già. Appunto.” fece Draco, “Non mi pento di averti mentito quella sera, Ginny. La sincerità è una cosa meravigliosa per chi non ha nulla di cui vergognarsi nel proprio passato. Ma sfortunatamente non è il mio caso. Non siamo tutti immacolati e puri di cuore, sai? Se mi fossi concesso il lusso della sincerità non avrei avuto la possibilità di conoscerti, di stare con te... e non vi rinuncerei. Se potessi tornare indietro rifarei mille volte lo stesso errore, se vuoi considerarlo tale.”
“Per te il fine giustifica i mezzi, vero? E che avresti fatto poi? Continuato a mentirmi per mesi, anni?!?”
“No!” urlò Draco. “Ginny, ma mi stai ascoltando?!? Se ti hanno letto quella maledetta lettera come puoi pensare una cosa simile... non sto dicendo di aver fatto la cosa giusta, dannazione! Avrei dovuto dirti la verità molto prima che tu venissi a saperla da altri, avrei dovuto trovarne il coraggio quando mi sono reso conto di essermi innamorato di te!” Draco si passò una mano sui capelli, cercando di calmarsi. “Sto cercando di dirti che, comunque, aver avuto la possibilità di starti vicino... solo per quello ne è valsa la pena! Ci sono mille cose che sono successe negli ultimi mesi che cambierei se potessi, ma cercherei lo stesso un modo, anche sbagliato, per conoscerti! E tu adesso vieni qui, offesa e risentita perchè ufficialmente ero sposato con una donna con cui non avevo una relazione che potesse chiamarsi tale da anni, e te ne vai bellamente in giro in groppa alla scopa del maledetto Potter... quando sono stato io, io a riportarti su una scopa! È di me che ti sei fidata per tornare a volare!”
“Che cosa?! Come diavolo ti permetti di fare tu una scenata a me?!?”
“Sono geloso, Ginny! Maledizione, non riesci proprio a capirlo?!? Non puoi sforzarti di capire che, per quanto sbagliata e incasinata possa essere stata la nostra relazione, ti amo... ti amo e dovrebbe essere questo che conta, alla fine. Mi dispiace di averti fatto sentire tradita, ma non ti ho mai mentito sui miei sentimenti! E invece, quando le cose sono andate male è da lui che sei corsa subito, vero?!”
“Perchè di Harry posso fidarmi!” strillò Ginny, “lui non mi mentirebbe mai, non è capace di mentire, di fingere... come hai fatto tu!”
Draco strinse i pugni perchè altrimenti l'avrebbe strangolata.
“E allora perchè non sei rimasta con lui finchè potevi...” sibilò, “è facile amare in questo modo vero? Senza rischiare niente, senza mettersi in gioco... solo perchè tu sei la povera ragazza che ha avuto un terribile incidente e lui non riesce a lasciarsi scappare la chance di aiutare una damigella in difficoltà...”
“Lascia Harry fuori da questa storia, lui non c'entra.”
“No, infatti. Sei tu il problema: appena qualcosa non è perfetto non va più bene per te... è così che è finita anche la tua storia con Potter? Non eravate più la coppia perfetta, perchè tu ormai eri cieca, fallata... quindi hai deciso che non faceva più per te. Ma il problema sei tu, Ginny. Sei tu che hai paura.”

Ginny aprì la bocca un paio di volte, troppo offesa e sconvolta per riuscire a ribattere. Come diamine si permetteva lui, un lurido Slytherin, di venire a parlare a lei di paura e di coraggio? Come diavolo...
“Ginny...”
La donna scostò la mano da quella di lui come se scottasse. Lacrime di rabbia le riempivano gli occhi ciechi, ma era evidente che stava facendo uno sforzo enorme per controllarsi e restare calma.
“No. No, Draco. Sei tu che non capisci, sei tu che sei troppo... sei tu quello cieco tra noi due” disse a bassa voce, “Io non posso permettermi di amarti.”
“E questo che diavolo significa?”
Ginny gli rivolse un sorriso amaro, il viso atteggiato ora in un'espressione di quieta tristezza.
“Amare una persona significa metterle nelle mani il potere di farti più male di ogni altro al mondo… non ci hai mai pensato, vero? No, non sarebbe da te. Amare vuol dire sapere che l’altro ha il potere di spezzarti il cuore. E fidarti abbastanza da avere la certezza che lui, quel potere, non lo userà mai. La fiducia è tutto, ed è ancora di più per quelli come me… innamorarmi di te…” la voce le si spezzo in gola e scossa la testa, come per recuperare il filo del discorso. “Quando si dice che si affida la propria vita alla persona alla quale si dona il proprio cuore… sembra un luogo comune, ma pensa a quanto potrebbe essere vero nel mio caso. Se stessimo insieme io, la vita, te la affiderei davvero. Fisicamente.”
“E non puoi permetterti di fidarti di me perché hai scoperto che sono Draco Malfoy?!?”
“Oh no… in realtà credo di averlo saputo da tempo…” Ginny fece una specie di risatina. “Nessuno dice Potter in quel modo, con quel tono, quel misto di disgusto ed esasperazione!”
Draco sorrise amaramente tra sé.
“E allora perché…?” mormorò. E poi, vedendo che Ginny restava in silenzio, la prese per le spalle, attirandola vicina. “Sapevi che ti mentivo, sospettavi chi in realtà fossi e sei stata con me ugualmente… eppure quando qualcuno ti ha dato quella certezza, tu sei scappata. E ora dici che on puoi fidarti di me: perché? Perché non puoi concedermi una seconda possibilità?!? Non sai nulla che già non sospettavi! Ginny, ti prego. Aiutami a capire, non mi arrenderò stavolta.”
Ginny scosse la testa di nuovo, sospirando.
“Te l’hanno portata via loro la seconda possibilità. Hanno portato via a me la possibilità di decidere se concedertela!”
Draco impiegò qualche secondo a capire chi erano loro. Weasley. La Granger. I maledetti ficcanaso.
“Non capisci? se loro non mi avessero voluto rivelare il grande tradimento,” Ginny storse la bocca, come se avesse appena masticato qualcosa di amaro, “tu avresti dovuto dirmi la verità, prima o poi. Nel bene o nel male. In quel momento avrei potuto capire se potevo fidarmi… ora non ne ho più la possibilità. Come potrei? Qualunque cosa tu dica non sarebbe spontanea, non potrò mai avere la certezza che non stai recitando per giustificarti!”
“Nessuno lo sa mai, Ginny! Fidarsi vuol dire questo! Ti sei fidata di me quando ti ho portata a volare!”
“Stavolta mi stai chiedendo troppo: è della mia vita che stai parlando, non di un volo su una scopa.”

“Come fly with me,
we'll fly, we'll fly away”
Frank Sinatra
“Come fly with me”

“No.”
“No cosa?”
“No, non lo accetto. Non ti sto chiedendo troppo. è il tuo modo di pensare che è troppo contorto!” Le parole di Draco, e il suo tono, erano tornati aggressivi… ma le mani sulle spalle di Ginny erano protettive, come se fossero lì ad evitare che lei potesse cadere e andare in mille pezzi. “Non dovrebbe essere così complicato credermi quando ti dico di amarti!”
“La mia vita intera è complicata, Malfoy. L’ho dovuto accettare anni fa.” La risposta di Ginny doveva essere fredda, ma riuscì a suonare soltanto triste.
“Ma io posso fare in modo che non lo sia!” urlò Draco, tirandola ancora più vicina. “Ginny, è come per il volo: devi solo lasciarti stringere e dire di si! Ti dimostrerò che è sufficiente.”
Ginny continuava a scuotere la testa, ricacciando indietro le lacrime con uno sforzo sovrumano, raschiando il fondo della propria dignità.
“Ginny...” Draco cercò le parole che potessero farle capire, “Io potrei portarti a Parigi a comprare vestiti ogni volta che vorrai, potrei fare arrivare da tutto il mondo i fiori più profumati, potrei fare in modo che non ci sia un solo spigolo aguzzo in cui tu possa sbattere. Posso costruirti un'intera casa in modo che tutto sia accessibile e semplice per te! Posso darti tutto quello che vuoi... tutto. Voglio darti tutto. E la sola cosa che voglio per me stesso è che tu ci sia. Che tu sia con me.”
Ginny gli rivolse un sorriso triste e amaro tra le lacrime.
“Tipico di te: credi che siano i soldi che hai a disposizione a potermi rendere la vita facile? A fare in modo che io possa fidarmi di te?”
“No. Quelli possono soltanto rendere felice me se riescono farti sorridere o a renderti l'esistenza più serena. Fidarti di me è una cosa che devi riuscire a fare da sola... io posso solo difendere la mia causa. E soltanto il cielo sa che non ho mai detto a nessuna donna quello che ho detto a te oggi... io sto rischiando, sto buttando alle ortiche tutto il mio orgoglio sperando che sia quella la strada per convincerti. Ma non posso tornare indietro e cambiare quello che è successo.”

LEGGE DI BEVILACQUA SULLA SEDUZIONE VERBALE
“Più parli a vanvera, più fai centro.”

Draco non avrebbe saputo dire esattamente se Ginny sembrasse colpita o meno dalle sue parole, ma se non altro aveva smesso di sembrare sull'orlo di una crisi di pianto. Doveva essere un buon segno.
“Credo che questa sia la prima volta nella storia che uno Slytherin si permette di dare della codarda a una Griffyndor...”
Draco le accarezzò le spalle con dolcezza.
“Non ho detto che sei una codarda, Ginny. Sei la persona più forte e coraggiosa che io abbia mai visto, e lo penso davvero. Ma trovare la forza di sopportare l'incidente, la tua condizione, e tutto ciò che implica... forse ha dato fondo per un po' alla tua voglia di rischiare.”
“Forse. O forse l'ha esaurita del tutto...”
“Io spero di no,” sussurrò Draco.

Ginny posò una mano su quella di lui, con un sospiro.
“Riportami a casa, Malfoy... per favore.”
“Vorrei che questa fosse casa tua. Basterebbe una passeggiata per riportarti a casa.”
“Basta!” disse Ginny, “Non dire... non dire troppo. Quello che ci siamo detti è sufficiente per ora. Adesso fammi tornare a casa mia, ti prego.”
Draco sospirò. “Come vuoi. Se è di tempo che hai bisogno, lo capisco. Ma non è così facile liberarsi di me... ricordati che quello che sta arrivando potrebbe diventare il nostro primo Natale insieme. Cerca di immaginarlo, di immaginare tutti quelli che possono venire, mentre rifletti.”

LEGGE DI ORTON
Dio è un uomo, preferisce le bionde.

Da dietro la tenda appena scostata di una finestra del secondo piano di Malfoy Manor due occhi grigi e freddi seguivano l'intera scena con l'ausilio di un piccolo binocolo da teatro.
Madama Narcissa, avvolta in una lussuosa veste da camera di seta blu, non aveva potuto, ovviamente, sentire cosa suo figlio e la ragazza dai capelli rossi si erano detti... ma la sua esperienza di vita e la sua grande intelligenza calcolatrice le avevano permesso di ottenere una incredibile quantità di informazioni dalla semplice osservazione della coppia che parlava nel prato.
E la più evidente, la più immediata, di queste informazioni era la catastrofica cotta che suo figlio si era preso per la donna cieca. Anzi, chiamarla cotta, probabilmente era riduttivo... quella ragazza dai capelli rossi aveva preso i pochi neuroni superstiti del suo malaugurato figlio e li aveva mandati a farsi un giro nel Tamigi. Con una lapide da sei quintali appesa al collo.
Una volta incamerata, senza battere ciglio, questa pessima notizia, Narcissa aveva rivolto la propria attenzione alla ragazza in questione, cercando come sempre una soluzione o una possibilità di volgere la situazione a vantaggio della propria famiglia.

Ginevra Weasley limitava al massimo i movimenti involontari del proprio corpo... probabilmente una diretta conseguenza della sua cecità. Di conseguenza tutta la sua figura emanava una delicata compostezza, non esattamente signorile, ma di certo elegante. Per raggiungere quel grado di controllo doveva esserle stata necessaria una grande disciplina interiore, una qualità di cui qualunque donna di classe aveva una disperato bisogno. Non era una giovane donna sofisticata nell'aspetto e nelle maniere come lo era stata Pansy, ma la sua educazione, se quel poco che ricordava di Molly Weasley era corretto, doveva essere comunque impeccabile.
La particolarità di Madama Narcissa era la assoluta mancanza di gelosia o ammirazione che metteva in quell'osservazione critica della donna di cui, a quanto pareva, suo figlio si era innamorato come uno studentello. Non stava cercando di capire cosa in Ginny potesse aver acceso la fiamma nel cuoricino arido di Draco, nemmeno le interessava. Così come pretendeva da Draco il massimo rispetto per la propria privacy, provava la più totale indifferenza nei confronti della vita sentimentale di suo figlio. Non metteva in dubbio che Draco e Ginny avrebbero potuto essere felici insieme, anche perchè non le passava nemmeno per l'anticamera del cervello di porsi una domanda tanto inutile. Il punto focale della questione era, considerata la fissazione di Draco a fare di quella ragazza la sua prossima moglie, capire se Ginevra Weasley sarebbe stata una disgrazia per la posizione sociale della famiglia Malfoy o no.
Ginny amava Draco, quello era chiaro come il sole, nonostante il dialogo tra i due poveri innamorati non stesse procedendo nel migliore dei modi, a quanto poteva giudicare Narcissa dal suo punto di osservazione. Francamente trovava tanta palese infatuazione abbastanza ridicola. Quella ragazza avrebbe dovuto stemperare quella sua innata sincerità se non voleva diventare carne da macello in società... ma Ginevra Weasley sembrava possedere sia intelligenza che forza di volontà. Era un potenziale notevole.

Narcissa scostò il piccolo binocolo dal viso e lasciò ricadere la tenda davanti alla finestra. Romeo e Giulietta si stavano allontanando e lei aveva ottenuto le informazioni che desiderava: ora queste informazioni avrebbero dovuto essere ponderate... nel silenzio della sua testa.
Dopo, però.
Prima aveva bisogno di rilassarsi un po'.
Si volse verso il grande letto a baldacchino: da un groviglio di lenzuola di seta candida sbucava un braccio abbronzato e muscoloso. Da sotto una massa di riccioli scuri posati sul cuscino un paio di intensi occhi color nocciola la fissavano ammiccanti.

Narcissa incurvò le labbra in un sorriso compiaciuto.
Dopo.

LEGGE DI CARDIFF
L’amore perfetto spesso arriva col primo nipotino.

********

Ormai è inutile che io mi scusi per il ritardo... sono imperdonabile!
Una piccola nota: mi sono resa conta che il mio exploit del capitolo precedente che ha visto l'inserimento di Harry Potter in una veste un po' inconsueta ha sollevato qualche commento (qualcosa mi è arrivato anche in forma privata via mail ma preferisco rispondere pubblicamente). Vorrei soltanto ribadire che la questione IC/OOC non è mai stata di particolare interesse per me e mi sembra ormai un pochino logorroica. Scrivo fanfiction da più di 5 anni e ormai mi sembra che i confini tra cosa è OOC e cosa non lo è siano sempre più sfumati. Soprattutto non sono mai riuscita ad applicare questa distinzione alle storie ambientate molti anni dopo la fine dei libri originali, che, ricordiamolo, hanno come protagonisti degli adolescenti, non degli uomini fatti.
Si, è vero, nella saga della Rowling Harry non è uno sbruffone (mah, insomma... punti di vista), e non ha un senso dell'umorismo particolarmente brillante. Ma la storia originale è finita, Harry ha assolto il compito gravoso che pesava sulla sua triste infanzia e adolescenza, e grazie al cielo Voldemort ha lasciato questa valle di lacrime, compianto da molti. Chi può dire come Harry affronta il resto della propria vita che ora, finalmente, può vivere senza l'ombra di un destino predefinito? Se vi piace la versione in cui Harry resta traumatizzato a vita e diventa sociopatico, “Frost at Midnight” è a vostra disposizione (ed è scritta secondo me anche meglio di questa), mentre qui ho voluto dargli una possibilità di riprendersi e diventare un uomo normale, che sa divertirsi con una certa malizia, sa fare battute, ha deciso che si può vivere senza rivangare continuamente il passato, e sa voler bene alla ragazza che è stato il suo primo amore.
Per i puristi della saga probabilmente entrambe le versioni sono da considerarsi OOC, ma allora anche il semplice fatto di ignorare l'epilogo della Rowling e mettere insieme Draco e Pansy all'inizio, rende la storia Alternative Universe. Se serve a rendere più tranquillo qualcuno metterò l'indicazione OOC o AU, ma francamente mi sembra un po' eccessivo per una fanfiction di certo non epocale che ha come unico scopo quello di far ridere.
Detto questo procedo a rispondere singolarmente ai vostri commenti:
Nefertar83, puffolapigmea, francy70, maricuccia, vega, nha, Danyyy: grazie! Buon anno a tutte, anche se con un po' di ritardo.
Lady Of Darkness: ciao cara, è bello risentire qualcuno della “vecchia guardia”! Spero tu stia bene! Un grosso bacio e grazie mille per i tuoi complimenti sempre graditi.
Seven: sempre molto gentile cara! So che sono imperdonabile per questi miei ritardi nell'aggiornamento ma faccio davvero del mio meglio... ho avuto una vita un po' movimentata ultimamente. Ma scrivere è sempre una cosa che mi rende felice. Sono contenta che tu trovi i miei personaggi “rivalutati in modo diverso ma in fondo sempre loro”. Un bacio e grazie!
Summer_Black: spero che questa spiegazione di Ginny ti sia piaciuta. Grazie e un bacione!
Chimessi: tesoro adorato, tu sai bene perchè ci ho messo tanto ad aggiornare... ti mando un grosso bacio!
Altovoltaggio: hai ragione, forse la mucca di Milka potevo risparmiarmela ma l'immagine mi faceva ridere! Farsi desiderare non è una tattica credimi... ho sempre amato essere puntuale negli aggiornamenti ma non sempre il tempo è abbastanza.
Saty: tesoro, so che mi sono fatta di nebbia, ti scriverò una mail più tardi per spiegarti la situazione... so che comprenderai! Un bacio!
Vulcania: ciao cara, non preoccuparti, non mi sono sentita le orecchie tirate per niente, come ho già spiegato sopra la questione IC/OOC non mi tocca tantissimo... come vedi ho ascoltato il tuo consiglio sul ritardare la pubblicazione piuttosto che pubblicare qualcosa di cui non ero convinta. Se hai visto una differenza tra i primi capitoli e gli ultimi non è stata assolutamente una mancanza di voglia o ispirazione (anche questo capitolo era abbozzato da tempo) ma una mancanza di tempo libero per concentrarmi abbastanza sulla stesura definitiva. Per quanto riguarda Narcissa spero che qui si sia spiegata meglio la situazione. A presto!
Ryta Holmes: che adorabile deja vu! Ciao cara, sono proprio contenta di averti risentita. Grazie cme sempre per le tue parole attente e gentili. Anche io mi diverto un sacco a scrivere questa storia (che comunque è già agli sgoccioli). A presto e un bacione!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Fly me to the moon ***


CAPITOLO 14: FLY ME TO THE MOON

23 Dicembre, antivigilia di Natale

“Ginny per amor del cielo!”
Ginny girò la testa verso la direzione dalla quale aveva sentito arrivare la voce.
“Che c'è?!?” chiese allargando le braccia. In fondo mica stava facendo niente: erano almeno venti minuti che se ne stava immobile di fianco alla finestra dell'ufficio di Hermione... si certo, era cieca e non poteva certo guardare fuori, ma le piaceva la sensazione del vetro freddo e appannato vicino al viso. La aiutava a pensare. Non è che stesse disturbando.
“Ormai è una settimana che passi qui tutti i pomeriggi, per Merlino! Quando pensi che finirà questa storia?!?”
“Oh, devo essere così fastidiosa mentre me ne sto zitta in un angolo! Qui c'è silenzio!
“Ginny, sappiamo perfettamente tutte e due che non sei qui per il silenzio!”
“Ah no? Vuoi provare tu a riflettere su qualcosa con mia madre che ti ronza attorno?”
Hermione annuì in silenzio dovendo ammettere, almeno a se stessa, che Ginny non aveva tutti i torti... ma non era quello il punto.
“Andiamo, Ginny, dal tempo che te ne sei stata qui ad appannare il vetro avresti potuto riflettere sull'Iliade intera e vedere già Ulisse sulla strada di casa.”
“Ho bisogno di prendere in tranquillità una decisione importante,” disse Ginny, con un certo sussiego.
“No, tu hai bisogno di parlare con Draco e te ne stai qui ad aspettare che lui abbia bisogno di parlare con me per poter fingere che ops, capitavi qui per caso.”
“Non è vero!”
“Oh, si che lo è.”
“No. E comunque, visto che ti do tanto fastidio, adesso me ne torno a casa.”
“Ginny, piantala di fare la bambina!”
Ginny si appoggiò alla parete con la mano, facendo cadere una cornice con la fotografia di Ron e Rose in riva al mare.
“E che dovrei fare allora per convincerti che ho solo bisogno di pensare?” chiese, stizzita.
“In effetti potresti smetterla di pensare e fare qualcosa,” la rimbeccò Hermione, agitando la bacchetta per far tornare integro il vetro della cornice.
Ginny fece uno strillo esasperato, “che cosa?!? Cristo santo, COSA!”
“Chiamalo tu! Va da lui, mandagli una lettera... ma fa qualcosa! Se vuoi litigare ancora con lui, fallo! Ma almeno non startene qui a farti crescere la muffa sotto le scarpe mentre potresti mettere fine a questa agonia, in un modo o nell'altro!”
La rossa aprì la bocca e la richiuse un paio di volte, prima di brontolare a mezza voce, “beh, grazie per il chiaro e inequivocabile consiglio. In pratica non mi hai detto nulla.”
“Tesoro, devo ricordarti che l'ultima volta che mi sono permessa di ficcare il naso nei fatti tuoi ho combinato, come Harry mi ha fatto più volte notare, un completo casino?”
“Si ma...”
Hermione la prese per mano e la fece sedere sul divanetto in fondo allo studio, vicino al caminetto.
“Ginny, tu non parli, non dici niente a nessuno, non posso sapere cosa provi per lui... come potrei darti un consiglio se non ho la più pallida idea di cosa senti?”
“Non è quello il punto.”
“Ah no?”
Il viso di Ginny si addolcì un poco, come colpito da un pensiero troppo emozionante per restare chiuso dietro al muro dei suoi occhi vuoti.
“Tu non sai come mi ha fatto sentire...” sussurrò, “era così reale. Non potrò mai sapere fino a che punto è in grado di fingere quella sincerità.”
“Nessuno lo può sapere.”
“Si, lo ha detto anche lui...”
“Ginny, Malfoy potrà essere un arrogante imbecille, e su questo non ho il minimo dubbio, ma non è propriamente scemo. Tutto quello che posso dirti è che credo che lui ti ami... chiunque l'abbia guardato in faccia mentre il tuo nome saltava fuori nel discorso potrebbe dirtelo. Probabilmente tu sei stata l'unica cosa che non ha, in effetti, pianificato attentamente in tutta la sua vita. Lo sai, la tua famiglia potrà anche non approvare, ma...”
“Ma che si tirino tutti un'Avada Kedavra in fronte...” brontolò Ginny a mezza voce.
Hermione scoppiò a ridere.
“Precisamente. Solo tu sai quello che conta per te, nel tuo cuore. Ginny ora fammi il favore di toglierti dai piedi, così posso finire di lavorare senza la tua ansia che rende l'aria irrespirabile. Devo tornare a casa ad aiutare Rose a decorare l'albero.”
Ginny si irrigidì, piccata.
“Io non sono ansiosa!”
“No, infatti: sei soltanto ansiogena. Malfoy è sicuramente nel suo ufficio a quest'ora, perciò entra in quel camino e sparisci.”

Osservazione di Renard
L’amore è come una clessidra: quando si riempie il cuore, si svuota il cervello.

Draco, in effetti, era nel suo ufficio.
Questo però non significava che le faccende che doveva sbrigare prima di Natale stessero procedendo più di tanto: il mucchio di corrispondenza che ingombrava la sua scrivania non si era abbassando di un millimetro nelle ultime tre ore. La penna prendiappunti ronfava sonoramente appoggiata al calamaio.
Draco stava martoriando con la punta del tagliacarte il legno pregiato della scrivania, lo sguardo pensieroso fisso sul piccolo albero di Natale che adornava lo scaffale di fronte a lui – lucette multicolori che si accendevano a intermittenza, gioiose e insistenti, come ad offrire un pestifero contrappunto al suo umore mesto e malinconico.
Prese la bacchetta e, con aria truce, fece apparire un piccolo, scintillante puntale argenteo sulla cima dell'alberello, evidentemente ancora incompleto.

Un sonoro pop! annunciò la comparsa di qualcuno nel caminetto. Draco girò lo sguardo, estremamente scocciato, per vedere chi fosse così maleducato da apparire nel suo ufficio privato senza annunciarsi. Con la bocca aperta, l'insolenza che stava per uscirgli dalle labbra bloccata lì, tra la lingua e il palato, vide apparire la figura minuta di Ginny, avvolta nel suo consunto cappotto nero.

Ginny cercava con le mani il muro del camino, indecisa sul da farsi.
“Malfoy?” chiamò, imbarazzata.
Draco fu al suo fianco in un istante e la aiutò a scendere.
“Draco” la corresse.
Ginny sospirò esasperata, ma le sue labbra si aprirono in un sorriso.
“Come vuoi...”
C'era l'eco di mille parole non dette, là, nella pausa tra quelle poche sillabe casuali... Ogni risposta, ogni rassicurazione che Draco avrebbe voluto sentire era lì, come una scatola piena di scintillanti ornamenti per l'albero di Natale, per un nuovo abete che sarebbe cresciuto e, negli anni, avrebbero decorato insieme...
Forse, un giorno, le avrebbe chiesto di pronunciare a voce alta quelle parole.

In other words: please be true,
in other words: I love you.

L'aveva presa per mano per aiutarla a scendere e ora sembrava riluttante a lasciarla, come se lei avesse potuto sparire se non l'avesse tenuta stretta a sé, ancorata a quel suo mondo finto, fasullo, che soltanto la presenza di lei riusciva a rendere reale.
Non era ancora sicuro di potersi considerare felice che lei fosse venuta.
Ginny era imprevedibile, poco ma sicuro.
Ma Draco, per qualche strano motivo – forse perchè durante la sua miserabile vita era riuscito più volte a salvare capra e cavoli, in barba ai pronostici contrari e ad un Oscuro Signore che lo voleva, nella migliore delle ipotesi, morto – era diventato, crescendo, un uomo dotato di un certo ottimismo.
“Però,” mormorò continuando a guardare, quasi incantato, il viso di Ginny, sul quale balenava un incerto sorriso, “è stato celere...”
“Chi?”
“Babbo Natale.”
Ginny aggrottò le sopracciglia, confusa.
“Non sai che se esprimi un desiderio quando metti il puntale sull'albero di Natale, quello si esaudirà entro l'anno nuovo?”
“E?”
“Beh, è soltanto l'antivigilia. E tu sei già qui.”
Un lampo di emozione passò sul viso di Ginny, ma passò e lei sorrise, maliziosa.
“E chi ti dice che, dopo aver riflettuto, io non sia venuta qui per darti definitivamente il ben servito?”
Lei, che sapeva rendere un sorriso più eloquente di mille stupide parole.
Draco la abbracciò e se la tirò più vicina.
“Non mi interessa: io avevo chiesto solo di poterti rivedere.”
“Oh, in tal caso...” Ginny gli strinse le braccia al collo, “potrei trattenermi il tempo necessario per vedere cosa mi hai regalato per Natale...”
Lei, che sapeva rendere immensamente importante una parola non detta, mentre le sue labbra pronunciavano irrilevanti idiozie.
“Quale Natale?” sussurrò Draco, “questo, il prossimo... quello che arriverà tra vent'anni?”
“Oh, sai, il Babbo Natale della mia infazia è sempre stato piuttosto avaro...” fece Ginny con noncuranza, “ho una lunga lista di desideri da esprimere...”
Draco rise e, quando le sue labbra si posarono su quelle di lei, Ginny sentì che non riusciva a smettere di sorridere.

In other words: hold my hand,
in other words: baby, kiss me.

“Ginny...”
“Ssh, non dire niente: non avevi detto di esserti già umiliato abbastanza? Adesso chiudi il becco e portami fuori a volare.”
“Adesso?”
“Adesso, domani... per i prossimi vent'anni...”
“Sai che c'è una tempesta di neve in arrivo?”
“Con te, correrò il rischio.”

Fly me to the moon
Let me play among the stars
Let me see what spring is like…


EPILOGO: MALFOY'S WAY

24 Dicembre, vigilia di Natale.

Il grande atrio di Malfoy Manor brulicava di vita sotto lo sguardo vigile di Madama Narcissa.
Le chiappe abbronzate di Jackson facevano bella mostra di sé mentre, abbarbicato sulla scala, ridipingeva la parete ovest di un rosso brillante, molto natalizio.
Dalla cappa del camino sbucavano, precariamente coperte da una paio di jeans sdruciti e macchiati di fuliggine, due chiappe altrettanto sode che, con ogni probabilità, appartenevano a uno zelante, nonché prestante, spazzacamino.
Due baldi giovani che, a giudicare dalla bella mostra che facevano del petto nudo e scolpito, non pativano minimamente il freddo dell'inverno, stavano appoggiando due scale a pioli ai lati di un immenso abete collocato proprio al centro dell'atrio e si accingevano a decorarlo con i festoni rigurgitanti dagli scatoloni ai loro piedi.
Il fischiettare allegro del giovane spazzacamino – I may be a tiny chemney sweep... - e il tintinnare delle campanelle che venivano tirate fuori dagli scatoloni e appese alle fronde dell'albero, contribuivano, insieme all'intenso profumo di abete e allo scintillio delle decorazioni, a rendere l'atmosfera festosa e spensierata.
Madama osservava, soddisfatta, il rapido svolgersi dei lavori quando il portone di ingresso si spalancò. Si volse, con l'intenzione di pregare chiunque fosse entrato di venire a disturbarla in un momento più consono, e restò di stucco, trovandosi davanti nientepopodimenochè il suo brillante figliol prodigo, che recava per mano la sua ultima conquista.
“Draco...?” il tono vagamente interrogativo con cui aveva pronunciato il nome dell'amata prole lasciava intuire senza ombra di dubbio il seguito sottinteso: sarà il caso che tu abbia una spiegazione più che soddisfacente per questa improvvisata, Draco caro.
“Mamma,” salutò Draco, inclinando appena la testa, senza staccare gli occhi da quelli gelidi e calcolatori di sua madre, “ti presento Ginevra Weasley.”

Narcissa scrutò entrambi i ragazzi per alcuni secondi che sembrarono eterni, per poi soffermarsi sul viso del figlio, il cui sguardo rispondeva al suo con una nuova fermezza, da uomo cresciuto.
Una battaglia mentale, un gioco a chi dei due sarebbe riuscito a rendere quel grigio delle iridi sempre più simile al colore degli aghi di ghiaccio che decoravano le grandi vetrate.
Ginevra Weasley.
Era una scelta di Draco, così come lo era stata Pansy, ma negli occhi del ragazzo che, un giorno di tanti anni prima, aveva detto “è ovvio che la sposo, mamma, che altro pensavi?”... no, non c'era quell'intensità, non c'era quella sfida. Quella decisione. Aveva detto “questa è Ginny Weasley”, ma avrebbe potuto dire “questa è la donna della mia vita, la sposerò domani”... il tono e l'espressione sarebbero stati gli stessi.
Draco aveva fatto errori in passato – oh, se ne aveva fatti – e lo sapeva: li conosceva uno per uno, tutti quegli errori così grossi da non poter fare a meno di portarne il peso, li conosceva come Narcissa conosceva il colore e il periodo di fioritura di ognuna delle sue amate rose. Forse in passato era stato un codardo, un irresponsabile, un arrogante e, come lei gli aveva fatto presente più volte e senza remore, uno stupido. Ma ora...

Yes, there were times, I'm sure you knew,
When I bit off more than I could chew,
But through it all, when there was doubt,
I ate it up and spit it out.

Draco mantenne lo sguardo alto, gli occhi fermi, fissi in quelli di Narcissa. Poteva vedere i pensieri scorrere veloci, il calcolo frenetico, eppure controllato ed efficiente, che prendeva vita dietro lo sguardo gelido.
Inspiegabilmente, Narcissa abbassò le ciglia truccate e le labbra si incurvarono per un istante, assumendo una piega enigmatica, a metà tra il dolce e l'amaro... come i ricordi di giovinezza, che col tempo sembrano scivolare via tra le dita, inconsistenti come la sabbia più fine.
Forse era stanca: stanca di predisporre la vita, sua e delle persone attorno a lei, in modo da conseguire uno scopo. Stanca di imporre, più o meno sottilmente, la propria volontà. Forse per una volta aveva calcolato che concedere fiducia a quel figlio scapestrato avrebbe potuto essere un rischio non eccessivo.
Forse aveva calcolato che stavolta la sua ferrea volontà avrebbe trovato un ostacolo troppo faticoso da abbattere a picconate.
Forse.

Regrets? I've had a few,
But then again, too few to mention.
I did what I had to do
And saw it through without exemption.
I planned each charted course -
Each careful step…

All'improvviso, successe qualcosa che nessuno dei due Malfoy avrebbe mai previsto.
Ginny ruppe il silenzio, tendendo la mano destra davanti a sé, nella direzione di Narcissa.
“Signora Malfoy, se ha finito di disapprovare in silenzio, direi che potremmo stringerci la mano per preservare almeno un'apparenza di educazione.”

Draco, per poco non si strangolava nel suo stesso respiro.
Senza preavviso, però, Narcissa sfoderò un enigmatico sorriso. Forse Ginny aveva detto la cosa giusta... giusta per cosa, non era dato saperlo. O forse Narcissa, davvero, aveva deciso di concedere a Draco la propria fiducia.
Strinse la mano di Ginny.
“Sono deliziata di conescerti, Ginevra!” trillò, “Sedetevi ragazzi, faccio portare del tea.”

I've loved, I've laughed and cried,
I've had my fill - my share of losing.
But now, as tears subside,
I find it all so amusing.

Considerata la sua estrazione sociale, Draco doveva ammettere che Ginny se la cavava piuttosto bene con l'aristocratichese.
Era riuscita a prendere un tea con Madama Narcissa Malfoy, senza che le perfette maniere da padrona di casa di quest'ultima riuscissero a metterla in soggezione, chiacchierando con lei di mille piccole cose senza, in effetti, dire assolutamente nulla.
Nonostante l'estrema facilità con cui Narcissa avrebbe potuto mettere Ginny in difficoltà sfruttando la sua condizione di non vedente, con grande sorpresa di Draco, Madama si comportò invece in maniera ineccepibile, sfoderando quella delicata cortesia in grado di mettere chiunque a proprio agio, frutto della rigida educazione al galateo a cui ogni ragazza di buona famiglia era sottoposta fin dalla prima infanzia.
“Se gradisci dei pasticcini alla frutta sono proprio davanti a te, Ginevra...” disse Narcissa, quasi distrattamente, come se fosse abituata a fornire a chiunque indicazioni sulla posizione delle vettovaglie sul tavolo.
Mentre lo diceva seguiva con uno sguardo compiaciuto il progredire dei lavori sull'enorme albero di Natale che, sotto i loro occhi, si stava trasformando in una gigantesca accozzaglia di lucette e palline scintillanti.
Proprio in quel momento fece il suo ingresso nell'atrio un ragazzo aitante, con i jeans strappati e infangati fino a metà coscia, una camicia color kaki altrettanto sporca e un cappello da cowboy dal quale sfuggivano lunghi capelli biondi. Sorreggeva una fioriera colma di meravigliose stelle di Natale, rosse e bianche, che avrebbe richiesto lo sforzo congiunto di due uomini normali per essere trasportata con quella facilità. Stava per appoggiare la fioriera a lato dello scalone quando Madama Narcissa, che dimostrava così di essere sempre molto attenta a ciò che succedeva nella sua casa, espresse il suo disaccordo.
“No, Tristan, per favore...” lo richiamò a voce appena più alta del normale, “quella deve andare in cima alla scala, se non ti dispiace. Qui a pianterreno vorrei le due fioriere grandi con le composizioni di agrifoglio... uno da ogni lato.”
Draco, che dava le spalle allo scalone, si voltò appena in tempo per vedere il caro Tristan assentire con un sorriso obbediente, ricaricarsi in spalla l'enorme vaso con un guizzo più che evidente dei bicipiti scolpiti, e accingersi a collocarlo trentacinque gradini più in alto.
Deglutì rumorosamente il proprio tea, scottandosi l'esofago.
Sua madre, invece di rimproverarlo per la maleducazione, gli rivolse uno sguardo in tralice.
“Almeno questa volta non dovrai preoccuparti per l'avvenenza dei miei giardinieri, no?” gli disse, prima di alzarsi e avviarsi su per le scale, proprio dietro al cowboy.
“Dove vai?” le chiese Draco precipitosamente, spostando lo sguardo atterrito da lei a Tristan e viceversa.
Narcissa si volse, scoccandogli uno sguardo piccato.
“Per tua informazione, ho moltissime cose da fare per organizzare il tuo secondo matrimonio! Mi pare evidente che siamo terribilmente in ritardo se volete sposarvi a capodanno!”
“Ma noi non abbiamo mai detto di...”
Narcissa lo zittì con un gesto distratto della mano.
“Ci sono mille persone da chiamare subito. Il catering farà un sacco di storie per il preavviso così breve, e anche il fioraio... Dio solo sa quanto è difficile trovare orchidee bianche di questa stagione, e con il colore dei capelli di Ginevra è ovvio che il rosa e il viola sono fuori questione. E poi stavo pensando che sarebbe appropriato scegliere un tema profumato oltre all'armonia cromatica, per il ricevimento... sarebbe così innovativo! Oh, ho mille cose da fare… e voi due ragazzi avrete il matrimonio più invidiato degli ultimi vent'anni!”

THE END.

Forse non vi aspettavate un finale così, ma questo è l’unico modo in cui io vedevo la fine della storia! Scusate se ci ho messo tanto, ma ho dovuto consegnare la tesi di dottorato perciò non arrabbiatevi… anzi, fatemi l’in bocca al lupo! ^__^
NdA: la canzone che ho scelto per l’ultimo capitolo è “Fly me to the moon”, mentre quella dell’epilogo è “My Way”, entrambi dei successi di Frank.
Tristan è un omaggio al Brad Pitt di “Vento di Passioni”, che ho rivisto per caso l’altro giorno e non ho potuto fare a meno di vedere nel piccolo harem di Madama.

Mi sono divertita a scrivere questa storia e mi dispiace di essere stata incostante nell’ultimo periodo. Vi ringrazio tutte per avermi seguito e vi mando un grosso bacio! Il bacio più speciale va a Chiara, Euridice e Savannah, le tre Grazie, e a Saty!

Altovoltaggio: grazie! Se Narcissa ti è sembrata il miglior personaggio, spero che questo finale ti sia piaciuto!
Francy70, nefertari83, maricuccia, karyn1986: grazie a tutte, specialmente per gli apprezzamenti su Narcissa, che spero vi abbia colpito positivamente anche stavolta.
Saty: tesoro, sai quanto ti adoro! Un bacione!
Seven: un grazie enorme anche te!
Summer_Black: grazie, sono contenta che quella frase ti abbia colpita!
Vulcania: apprezzo la serietà che metti nel recensire, e ti ringrazio per i commenti sempre puntuali e attenti, ma ti assicuro che, per quanto riguarda la prima questione, devi aver travisato qualcosa. Non vorrei continuare una discussione che ritengo abbastanza inutile, ma non amo che mi si mettano in bocca parole che non ho mai nemmeno pensato di pronunciare: non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di “credermi un’autrice compiuta” anche perché non mi ritengo un’autrice punto (se mai una fanwriter, ma per essere autori bisogna aver pubblicato qualcosa e le uniche pubblicazioni di cui posso vantare la “maternità” si trovano sull’Applied Environmental Microbiology è questo fa di me soltanto una scienziata), né tantomeno che “tutti siano degli emeriti scemi e io l’unica che capisce qualcosa di scrittura”. Di conseguenza, se io devo abbassare la cresta, tu dovresti forse abbassare un po’ il tiro. Io ho solo fatto presente che sono anni che scrivo su efp perciò ho visto discussioni sulla questione IC/OOC (riferite sia a me personalmente sia ad altri fanwriter) andare avanti per più tempo di quanto non fosse consono e non approdare a nulla, quindi la ritengo una questione un po’ sterile. Ho anche spiegato perché, in mia opinione, questa fan fiction non è OOC: non credevo di fare nulla di male. La tua accusa di non sapermi mettere in discussione mi sembra del tutto fuori luogo, anche perché durante gli ultimi cinque anni ho sempre risposto educatamente a chiunque mi abbia mai fatto notare qualcosa che non andava, e ho sempre tenuto in considerazione i consigli di chi recensiva per poter fare di meglio nelle ff successive. Non so cosa ci si aspettava da me perché io dimostrassi di “mettermi in discussione”. Che stravolgessi completamente la fan fiction? Comunque, visto che sono troppo pigra per impuntarmi su qualcosa, ho aggiunto l’avvertimento. Grazie comunque per essere arrivata in fondo a leggere un fan fiction che non ti convinceva del tutto e mi dispiace per il piccolo disaccordo che abbiamo avuto.
Stellina e Sissichi: è molto bello ritrovarvi anche se la storia è già finita!!! Un bacio enorme e un grazie a tutte e due!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=364051