2. Ceneri e Piume

di Levyan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come Essere Nati E Risorti Insieme ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 3 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 1 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 2 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 4 - San Martino pt. 1 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 4 - San Martino pt. 2 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 1 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 2 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 1 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 2 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 3 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 1 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 2 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 3 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 1 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 2 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 1 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 2 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 3 ***
Capitolo 24: *** Epilogo - Perdersi In Un Mondo Esterno ***



Capitolo 1
*** Prologo - Come Essere Nati E Risorti Insieme ***


Ceneri e Piume
Prologo: Come Essere Nati E Risorti Insieme
 
 
Petalipoli, Hoenn
5 ottobre, stesso anno degli eventi dello special Omega Ruby e Alpha Sapphire
 
Lino stava in piedi, immobile, sull’uscio della casa dei suoi genitori, con gli occhi ricolmi di lacrime e le occhiaie scavate nei suoi pallidi zigomi. In mano teneva stretta una Ball al cui interno era celato un Flygon, quel Flygon che Norman gli aveva regalato anni prima, quando lo aveva incontrato ad Orocea. Grazie a quel Pokémon era riuscito a raggiungere la Torre dei Cieli e a risvegliare Rayquaza assieme al padre del suo miglior amico. Il suo mentore.
Per molto tempo aveva ricordato con malinconia quel giorno. Le emozioni che tornavano a galla quando ripensava a tale impresa erano fortemente contrastanti: la sensazione dovuta al fatto che il suo maestro avrebbe sicuramente preferito Ruby al suo posto, la gratitudine nei confronti di quell’uomo per aver riposto la sua fiducia in lui e per averlo fortificato in quel modo, la delusione che gli rievocava il pensare a se stesso come ad un Dexholder, cosa che non era mai stato, ma che avrebbe desiderato con tutta la sua anima.
‒ Norman ‒ mormorò.
E in quel momento, davanti a lui, quasi tutto il popolo della sua cittadina era sceso per strada nell’oscurità di quella tiepida notte. Tutti rivolti verso la Palestra che era appartenuta al leggendario Inseguitore della Forza. La persona migliore che lui avesse mai conosciuto.
Nelle spire del buio punteggiato da un cielo luminoso e senza nuvole, un secondo firmamento ondeggiava lentamente per la strada. Migliaia di candele, semplici lumi stretti tra le mani di chi, durante il breve periodo della sua permanenza, aveva imparato a conoscere Norman.
Petalipoli piangeva la scomparsa del suo Capopalestra.
E così Lino, che nell’intenzione di aggregarsi al gruppo aveva deciso di non versare lacrime e uscire anche lui per dare un ultimo saluto a Norman, non era riuscito ad oltrepassare il vialetto di casa senza commuoversi.
Il ragazzo si fece forza, raccolse gli ultimi frammenti di animo che aveva in corpo e si portò avanti senza sentire il peso dei propri passi sul selciato.
Si mosse in una galleria ipnotica di luci fioche e spiraleggianti. Vide volti di persone che conosceva, le quali, consce del legame che univa Lino a Norman, lo guardavano con sincera pietà negli occhi. Udì i commenti pregni di ammirazione di numerosi Allenatori locali che avevano fatto tesoro degli insegnamenti del loro Capopalestra nel corso degli anni.
Tuttavia, il suo cervello non riuscì a trattenere nulla. Lino si ritrovò senza sapere come in mezzo alla folla, davanti alla porta della Palestra, paralizzato alla vista della sua esile figura riflessa nella porta di vetro di quest’ultima. Proprio lì dove solitamente vedeva Norman immobile ad attenderlo per una nuova sessione di allenamento.
Accanto a lui, si materializzò una sagoma conosciuta, anche questa la vide dal riflesso. E un brivido gli corse lungo la spina dorsale. Aveva le braccia incrociate sul petto, gli occhiali occultavano il suo sguardo e teneva stretto in mano il cappello che portava sempre con sé. Ruby tratteneva con fatica le emozioni. Forse si era anche lui ripromesso di non piangere se non in solitudine.
Il ragazzo si trovava lontano da Hoenn quando lo avevano avvertito del fatto che un incendio si era portato via le due persone che lo avevano messo al mondo, devastando casa sua ad Albanova.
‒ Lino ‒ lo chiamò con la voce piegata dalla forza dei singhiozzi che non si era concesso. ‒ devo parlarti… ‒ mormorò.
 
 
Iridopoli, Hoenn
21 marzo, l’anno seguente
 
Ai Capipalestra era concesso sfidare la Lega Pokémon in qualsiasi momento. Molte altre volte era accaduto che un Capopalestra decidesse di mettersi alla prova e cercare la vittoria contro Superquattro e Campione. Lo stesso Adriano, ben sei anni prima aveva detronizzato Rocco conquistando il mantello di tessuto bianco che contraddistingueva il più forte Allenatore della regione di Hoenn. Per poi lasciare di nuovo il titolo al suo predecessore.
Qualcuno, quel giorno, aveva fatto lo stesso.
Anche il Metagross di Rocco tornò sconfitto nella sua sfera. Il suo sesto Pokémon, il suo ultimo Pokémon. Il Campione emise un sospiro colmo di comprensione. Sentiva dentro di sé la delusione che provava nei confronti della sua persona, ma allo stesso tempo sapeva che non c’era nessuna vergogna nell’ammettere la propria sconfitta.
E una seconda volta vedeva il mantello del campione strappato dalla propria schiena. Una persona normale si sarebbe abbattuta psicologicamente già dopo la prima. Lui no, invece.
Lui era fatto d’acciaio.
Ma come tutti sanno, anche l’acciaio si piega dopo un po’. E a piegarlo era stato quel ragazzo che sorprendendo tutti aveva ottenuto il titolo di Capopalestra che era appartenuto a suo padre.
Ruby riprese fiato. Flygon, il Pokémon che gli era stato donato da Lino tempo prima e che un tempo era stato proprio di Norman, rientrò nella sua Ball, parecchio affaticato per lo scontro.
‒ La vittoria è tua, Ruby, sei il Campione della Lega della regione di Hoenn ‒ annunciò Rocco.
Il ragazzo, stranamente taciturno come si era mantenuto per tutta la lotta, camminò fino al centro del campo facendo lo slalom tra i crateri, le buche e le crepe create dai loro Pokémon nella foga dello scontro.
Rocco lo imitò. I due si strinsero la mano e il perdente si privò del simbolo della sua carica, cedendolo a Ruby. Il ragazzo non indossò subito il mantello, se lo poggiò sulla spalla e guardò Rocco dritto negli occhi. Non portava gli occhiali, quel giorno, lasciò che i loro sguardi si incrociassero genuinamente, senza alcuna barriera a dividerli.
Rocco vide uno strano bagliore nelle sue iridi del colore del rubino, ma non disse nulla. Lo condusse nel silenzio generale alla sala d’onore e gli illustrò tutte le procedure necessarie per la registrazione della sua Scheda Allenatore. Ruby le eseguì con pazienza e precisione.
Infine, Rocco lo portò, sotto gli sguardi rispettosi nei confronti del loro nuovo sovrapposto di Drake, Fosco, Frida e Ester all’ufficio del Campione nella sede della Lega di Iridopoli.
Ruby, concluso il tour introduttivo alla sua nuova vita, commentò soltanto: ‒ Come prima cosa, al mio posto, intendo raccomandare Lino per la carica di Capopalestra di Petalipoli.
Rocco non rimase stupito, lì per lì cacciò un sorriso inconsistente.
‒ Dovrà comunque superare l’esame e registrarsi all’Associazione Pokémon ‒ lo informò.
‒ Lo ha già fatto ‒ ribatté Ruby con sicurezza. ‒ Mentre noi lottavamo, ho ordinato che venissero testate le sue capacità per un eventuale rimpiazzo ‒ quindi assottigliò lo sguardo. ‒ Sono certo che abbia già superato l’esame.
E così fu: Lino divenne il nuovo Capopalestra di Petalipoli, Ruby prese la corona del Campione e Rocco rifiutò per la seconda volta di essere declassato a Superquattro, prese invece in mano il suo desiderio di migliorare e partì per Holon.
Ovviamente, la Lega di Hoenn non sarebbe mai più tornata quella di prima.
 
 
Albanova, Hoenn
20 settembre, lo stesso anno
 
Sapphire si chiuse la porta alle spalle. Il suo rientro a casa non era stato udito da nessuno.
Nessuno, viveva sola con suo padre, non che fossero poi tante le persone all’ascolto in attesa del suo ritorno. Comunque, essendo entrata a casa alle tre di notte era felice di non aver svegliato il professor Birch.
Cacciò uno sbadiglio lunghissimo, avrebbe voluto fare una sorpresa al genitore che non la aspettava per quel giorno. Era di ritorno dalla regione di Unima, nella quale aveva passato due mesi alla conquista delle palestre assieme ad Emerald e Blue.
Sorrise pensando alla parola Dexholder. E senza rendersene conto aveva già preso dal mobile che era in salotto la foto che aveva scattato il reporter che aveva seguito le vicende sue e dei suoi amici al Parco Lotta cinque anni prima. C’erano i Dexholder di Kanto, Johto e poi Ruby ed Emerald che con lei formavano il trio di quelli di Hoenn. Tutta gente tosta, gente con cui poi nel tempo aveva stretto un legame sempre più forte.
Quella sera si sentiva un poco malinconica, ma probabilmente era a causa del sonno. Decise che era il momento di riposare. Si scolò quasi mezzo litro di latte freddo direttamente dal cartone preso dal frigo quindi, con passo felpato, si diresse verso camera sua. Posò sul comò la borsa su cui aveva fissato le otto medaglie di Unima e si svestì gettando i suoi abiti a terra. Serpeggiò sotto le coperte con addosso la biancheria intima e una maglietta di quattro o cinque taglie più grande di lei che le arrivava quasi fino alle ginocchia. Era la prima cosa che le sue dita avevano trovato dentro il cassetto dei panni. Fu avvolta dalle spire del sonno quasi istantaneamente.
Dormì serena per parecchie ore. Verso le sette del mattino, suo padre diede uno sguardo alla sua camera, scoprendola appisolata nel suo letto, sorrise sorseggiando il cappuccino che aveva in mano. Ormai sapeva come comportarsi con Sapphire, da due mesi a quella parte ogni mattina aveva l’abitudine di controllare se la figlia fosse tornata a casa di nascosto durante la notte. La lasciò dormire in pace e si dedicò ad altro.
Sapphire aprì gli occhi stuzzicata dal sole verso le undici e mezza. Stiracchiò i muscoli e si scoprì cercando di far assorbire al corpo un po’ di quel piacevole tepore di cui l’aria era pregna. Settembre si avvicinava al termine, ma ad Hoenn era ancora estate. La ragazza respirò a pieni polmoni, aria di casa, aria di compleanno. Scattò in piedi.
Il lembo inferiore della maglietta che aveva utilizzato come pigiama le svolazzava attorno alle cosce come un vestito. Uscì dalla camera, si appese affacciandosi al corrimano delle scale e sporgendosi con metà del busto verso il piano inferiore.
‒ Pa’, sono tornata! ‒ esclamò felice.
Intravide suo padre in cucina intento a spruzzare riccioli di panna montata su una torta dal colorito marrone sicuramente promettente.
‒ Non sai quante ricette ci sono su internet sotto la voce “torte da preparare in meno di tre ore” ‒ commentò l’uomo facendosi spuntare un sorriso. ‒ Ben tornata e buon compleanno, pestifera ‒ la salutò.
Sapphire si ritirò su e decise che prima della torta forse era un’ottima idea quella di darsi una lavata. Era un abitudine che aveva preso dal momento in cui aveva ripreso a vivere nella villetta che lei e il padre condividevano ad Albanova e non più nella capanna sugli alberi del Bosco Petalo. Tutto sommato lo trovava rilassante. Una seccatura, ma comunque rilassante. Tolse la t-shirt e la biancheria ed entrò nella cabina doccia del suo bagno. Terminata la doccia, ne uscì insieme ad una fitta nebbia di vapore acqueo che si diffuse in tutta la stanza, si avvolse in un asciugamano celeste e ne strinse un altro più piccolo attorno alla sua ribelle chioma castana. In attesa che il tessuto assorbisse l’acqua rimasta sul suo corpo, controllò la placca di gommapiuma incorniciata e appesa al muro su cui aveva applicato tutte le medaglie guadagnate durante gli anni. Un gran numero, per una della sua età.
Sorrise.
Si alzò e decise di indossare qualcosa di decente. Mise un paio di slip puliti e di sopra la maglietta dentro la quale aveva dormito quella notte, rimase senza il reggiseno, non che ne avesse per forza bisogno, non era una ragazza particolarmente prosperosa, ma avere il busto libero e comodo dentro una maglietta gigante le dava un senso di libertà e freschezza incredibile. Aveva ancora i capelli bagnati quando tolse l’asciugamano che aveva messo in testa, ma diede ugualmente due passate di spazzola alla faccia delle doppie punte. Pensò di asciugarli col phon, ma iniziava a diventare impaziente nei confronti della torta che la stava aspettando al piano di sotto.
“Se stamattina devo proprio fare la femmina” pensò. “…almeno devo farla bene” e si convinse ad asciugarsi i capelli con cura e pazienza. Quando spense l’asciugacapelli aveva la faccia tutta rossa per il caldo e la chioma impazzita che esplodeva da tutte le parti. Uscì dal bagno e posò gli occhi su un pezzo di stoffa rosso che aveva lasciato appeso allo specchio. Lo prese. E la dolce curva del suo sorriso si appiattì un poco. La sua vecchia bandana.
Sono sicuro che ti staranno bene.
Aveva detto Ruby quando le aveva donato quella assieme al resto del completo la prima volta. Ricordò per quale motivo l’aveva messa lì, tastò il tessuto con le mani e rivolse verso di sé la parte interna. La portò fino al naso, ne assaporò l’odore. La strinse a sé.
Le faceva bene, ogni tanto, le ricordava che quel ragazzo era effettivamente esistito nella sua vita e non se lo era immaginato.
Non parlavano da parecchio tempo, lei e Ruby, da quasi un anno. Ricordò il giorno in cui il Ruby tanto fissato con le Gare e l’eleganza dei propri Pokémon aveva deciso di prendere il posto di suo padre come Capopalestra di Petalipoli, e ci era riuscito con gran facilità. La parentesi era durata poco, il suo allenamento doveva portarlo oltre.
E mentre lei cercava di ristabilire un contatto con quello che sembrava ormai un bambino intento a sfogare la sua sofferenza nella lotta, lui diventava sempre più forte, tanto da sconfiggere i Superquattro della regione e anche Rocco, alla fine.
Una volta divenuto Campione, probabilmente aveva pure scordato che faccia avesse Sapphire. Miglior Coordinatore e Allenatore di Hoenn allo stesso tempo, era come se fosse stato la fusione di due persone diverse… come se avesse in sé lo splendore la classe di Adriano e la potenza distruttiva di Rocco.
E lei che si lamentava di non riuscire mai a vederlo… ora soltanto entrando in edicola almeno due o tre riviste patinate con sopra la faccia di Ruby le saltavano subito all’occhio.
Suo papà aveva detto: “ognuno sfoga il dolore in maniera differente”. Ma era difficile credere che uno che faceva da testimonial per gli spot di vari brand di vestiti, che era il giudice delle competizioni nazionali alle quali non partecipava per rispetto degli altri concorrenti, che aveva persino messo il suo nome su una fragranza maschile di una firma costosissima non dava proprio l’idea di star affrontando i suoi fantasmi, ecco.
Sapphire gettò la bandana sul letto. Non la indossava da parecchio, la ripugnava. Così come la ripugnava vedere ogni volta il faccino perfettamente rasato e curato di Ruby sul cartellone pubblicitario di un paio di jeans Levi’s, per un intervista esclusiva su SInnoh tv, per un commento personale ad un nuovo musical di Sciroccopoli.
Si accorse di star bollendo. Un po’ per il phon e un po’ per la rabbia. Un po’ di aria di Hoenn le avrebbe fatto bene. Spalancò la finestra ed uscì in balcone. Cercò di tornare a sorridere a quella luminosissima giornata stringendo con entrambe le mani la ringhiera e respirando profondamente a pieni polmoni.
Ma ovviamente anche lì qualcosa andò storto.
‒ Ehi… ‒ mormorò qualcuno accanto a lei.
Non si voltò neanche. Normalmente avrebbe reagito con prontezza di riflessi ad un intruso che si presenta sul balcone del primo piano di casa sua senza una buona scusa da raccontarle. Tuttavia, conosceva troppo bene quella voce. Rispose con indifferenza, mentre il suo cervello andava a mille per cercare di capire quante possibilità ci fossero che proprio lui si presentasse senza preavviso al suo balcone proprio in quel momento.
Sì, naturalmente, si trattava di Ruby. Sapphire lo scrutò con la coda dell’occhio, vide la sua figura longilinea appoggiata al muro, portava una maglietta nera dal colletto inquieto per via della brezza e dei pantaloni scuri con dei dettagli rossi che morbidamente avvolgevano sulle sue gambe snelle. In testa un casco di capelli più lunghi di quanto mai li avesse lasciati crescere, anche loro in continuo movimento. Ai piedi delle semplici Converse rosse.
Lei invece era mezza nuda e da quella prospettiva offriva anche uno spettacolo particolarmente sfacciato del suo lato b. Lentamente, per non dare nell’occhio, ritirò il bacino sulla stessa linea della spina dorsale e riprese una postura, per così dire, elegante. Ruby si fece avanti e si appoggiò anche lui, ma con i gomiti, alla ringhiera.
Ora Sapphire poteva vederlo meglio anche in faccia. Ovviamente non aveva un velo di barba, una macchia sulla pelle o un brufolo, ma riusciva bene a distinguere l’immagine della cicatrice che aveva sulla fronte. Ovviamente dovette impegnarsi per far tornare il respiro regolare dopo avervi posato gli occhi sopra.
‒ Che ci fai qui? ‒ domandò lei cercando di essere più distaccata possibile.
‒ Pensavo di venire a farti gli auguri di compleanno ‒ mormorò lui.
Sembrava sincero, privo di secondi fini o altro. Certo, un ragazzo sincero che però per mesi l’aveva completamente ignorata.
Mimò una smorfia lievemente indignata: ‒ E hai anche deciso di perdere tempo per fare questa cosa? ‒ domandò velenosa.
‒ Pensavo solo che ne valesse la pena ‒ ribatté lui.
Sapphire bofonchiò e fece per rientrare in casa.
‒ Aspetta ‒ la fermò lui. ‒ Solo un secondo.
La ragazza dagli occhi blu, seccata, gli diede una chance e si fermò con la mano ancora stretta sulla maniglia della finestra.
Ruby scosse la testa e fissò il terreno. ‒ Vorrei parlarti di tante cose ‒ disse. ‒ ma non posso proprio farlo… ‒ sussurrò con un filo di voce. Quindi si infilò una mano in tasca. ‒ Però ti ho portato un reg…
‒ Ma smettila ‒ sputò lei schifata rientrando in casa e chiudendo la finestra.
Ruby non provò neanche a fermarla, gli era sfuggita dalle mani come una saponetta bagnata. Rimase fuori dal balcone con la testa bassa e la mano immobile sul dono che avrebbe voluto darle.
Sapphire scappò dalla stanza facendo bene attenzione a sbattere la porta abbastanza forte da far giungere a Ruby il rumore. Si appoggiò con la schiena sul legno di quest’ultima.
‒ Sapphire, che succede? ‒ domandò suo padre dal piano di sotto.
‒ Niente… niente pa’ ‒ rispose lei. Si morse la lingua, aveva tirato fuori una voce ben poco sicura di sé dalla sua gola gonfia di emozioni soffocate.
‒ Tutto a posto? ‒ domandò il genitore intuendo qualcosa.
‒ Sì, tutto a posto… ‒ ancora la voce tremolante. Strinse la maniglia, di getto riaprì la porta. Ruby era scomparso. Trasse un sospiro di sollievo. No, il sospiro si spezzò a metà del suo corso d’essere.
‒ Uh? ‒ Sapphire notò un qualcosa legato alla ringhiera del suo balcone, proprio nel punto in cui era appoggiata lei poco prima.
Uscì fuori e lo esaminò. Una bandana nuova, sicuramente cucita a mano da Ruby. Era di colore nero, anzi, più nero del nero. Al suo centro spiccava la classica Poké Ball stilizzata di una tinta blu scintillante. La ragazza ammise di trovarla carina, ma soltanto dopo aver superato il primo impulso di gettarla giù e farla volare via. Poi, si accorse finalmente che in mezzo ai due lembi del nodo che saldava la bandana alla ringhiera c’era intrecciato anche il filo di un gioiello. Era dello stesso colore della bandana, perciò non l’aveva notato.
Slegò il tessuto, separò i due oggetti ed esaminò il monile. Era una semplice collana, dalla catenina in stoffa di colore neutro, il pendente era costituito da una sola pietra dalla forma romboidale. La ragazza rimase stupita. Stranamente quell’oggetto le ricordava qualcosa.
Poi le venne in mente che Ruby non le avesse mai regalato gioielli, quel ragazzo l’aveva sempre sorpresa: tutto ciò che faceva, anche la più stupida delle azioni, si rivelava poi rivolto verso uno scopo più profondo. Oppure no, forse aveva mollato anche lui, forse era cambiato e adesso invece di regalarle vestiti che era sicuro le sarebbero stati bene le regalava gioielli. Stupidi gioielli.
Sapphire stringeva in mano quella collana insieme alla bandana che Ruby aveva utilizzato per assicurarla al suo posto. Il regalo del nuovo Ruby, quello che non le piaceva, avvolto nel regalo del vecchio Ruby, quello che… beh.
Non riusciva a capire, non riusciva veramente a capire.
Poi l’occhio le cadde su qualcosa che prima non aveva notato: una sottile scritta ricamata in filo blu proprio sopra la trapunta interna della bandana.
Chi è nato una volta sa già come risorgere
Una freccia di nostalgia la infilzò nel petto e una mazza di dubbi le colpì la nuca. Rientrò in casa non senza dare un’ultima occhiata al cielo circostante in cerca della sagoma del ragazzo che pochi istanti prima si trovava sul suo balcone, senza trovarvi nulla. Gettò bandana nuova e collana sul letto come aveva fatto prima e si diresse in bagno per bagnarsi il viso con qualche manata di acqua fresca.
Senza fare menzione dell’incontro, scese al piano di sotto riappiccicandosi alla ben e meglio una fattispecie di sorriso in faccia, suo padre aveva finalmente terminato la sua torta di compleanno.
‒ Hai fame? ‒ domandò l’uomo affettando il dolce.
‒ Non immagini quanto ‒ rispose lei entusiasta.
‒ Beh, oggi puoi concederti tutto il cibo che vuoi, piccola ‒ le sorrise dandole un buffetto sulla guancia.
Lei ricambiò il sorriso e affondò la prima cucchiaiata nel morbido impasto di colore brunito.
‒ Hai sentito la notizia? ‒ domandò il padre sedendosi di fronte a lei.
Sapphire lo guardò con aria interrogativa, aveva la bocca piena, non poteva rispondere.
‒ Hanno organizzato il prossimo Campionato Pokémon Internazionale, si svolgerà ad Holon tra un anno… ‒ illustrò Birch. ‒ Perché tu e i tuoi amici non vi iscrivete al torneo? ‒ propose con un sorriso gioviale.
Lei annuì titubante. Era più un incitamento a continuare il discorso che una risposta affermativa. Poi notò che il prof, facendolo strisciare sul tavolo con la sua mano, le aveva avvicinato una busta delle lettere blu. La ragazza la prese e la aprì. Era un biglietto di andata, soggiorno e ritorno dalla regione di Holon per le due settimane in cui si sarebbe tenuto il torneo.
‒ Buon diciottesimo compleanno, Sapphire ‒ sorrise il padre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 1 ***


Capitolo 1: Una Scatola Di Cartone pt. 1
 
 
Porto Alghepoli, Hoenn
19 giugno, un anno dopo
Due giorni al Campionato Internazionale
 
Sapphire stringeva tra le dita il ciondolo che le aveva regalato Ruby. Non sapeva quale strana forza l’aveva spinta a portarlo con sé, soprattutto dal momento che lei non portava gioielli come principio assoluto. Tuttavia si trovava lì, con una mano sul trolley che conteneva tutti i suoi bagagli e l’altra stretta sul cristallo blu che aveva appeso al collo.
La ragazza era tutta immersa nei suoi pensieri, quando vide in lontananza la sagoma di una persona che conosceva bene. Le andò incontro.
‒ Perché devo essere sempre io quella che aspetta?! ‒ domandò furente ad un assonnatissimo Emerald.
Il ragazzo eluse la sua frustrazione con indifferenza: ‒ Sbrighiamoci, o partiranno senza di noi… ‒ e la oltrepassò lasciandola con un palmo di naso.
I due salirono sulla M/N Providence, gigantesca nave, ultimo progetto del Capitano Remo. Quella era l’imbarcazione che li avrebbe condotti a Holon. I due Dexholder entrarono nelle loro cabine, o meglio, Sapphire entrò nella propria ed Emerald la seguì.
‒ Quanto lusso, sul ponte prima ho visto una tizia con un Furfrou dalla pelliccia più curata dei tuoi capelli ‒ la prese in giro il biondo.
‒ Non mi inquieta tanto quello ‒ fece lei guardando fuori dall’oblò verso l’infinita distesa azzurra del mare. ‒ quanto i giornalisti che si aggirano per tutta la nave, lo sai come funziona a Holon, sì?
‒ Finché non mi infastidiscono mentre combatto, possono farmi tutte le domande che vogliono, per quanto mi riguarda… ‒ mormorò Emerald.
‒ Il primo che prova a puntarmi una telecamera contro invece torna a casa dentro un salvagente ‒ sibilò la dolcissima Sapphire.
‒ Non dovresti preoccuparti così tanto ‒ suggerì lui.
‒ Sì, invece. Non sopporto la televisione ‒ dichiarò categorica.
I due cominciarono a scomporre le valige. Emerald tornò nella sua stanza. Si incontrarono poco dopo sul ponte, seduti al bancone del bar. Sapphire aveva in mano una granita celeste di un qualche gusto esotico e indefinibile, Emerald stava ancora aspettando il suo frappè al mango.
‒ Hai mica sentito Green, Gold e gli altri? ‒ domandò la ragazza.
‒ Green poco, Gold fin troppo… ‒ commentò ironico lui.
‒ Scemo. Intendo per sapere dove incontrarci e roba del genere ‒ chiarì Sapphire.
‒ Dai, arriveremo domani a notte tarda, abbiamo tempo per preoccuparci di certe cose ‒ rispose Emerald. ‒ Certo, un viaggio su una nave del genere dovrebbe durare un mese o giù di lì, hai visto che ci sono tre piscine diverse una delle quali con l’idromassaggio? Grazie ‒ la barista gli aveva servito il frappè.
‒ No, ero più interessata ai Campi Lotta in realtà ‒ rispose calma lei.
‒ Se fai sempre le stesse cose finirai per consumarti ‒ le puntò la cannuccia contro.
Sapphire non rispose. Emerald sospirò. Aveva intuito che qualche contorto pensiero si attorcigliava su se stesso nel complesso cervello femminile con cui stava conversando, ma l’ultima delle cose che aveva voglia di fare in quel momento era chiederle cosa non andasse.
‒ Qualcosa non va? ‒ domandò coraggioso.
‒ Ho dimenticato le Ball in cabina ‒ lo liquidò lei.
Emerald trattenne le esultanze e si concentrò sulla bevanda mentre la ragazza accanto a lei lasciava lo sgabello e il bicchierone di granita azzurra ancora mezzo pieno. Sapphire tornò bofonchiando nella sua stanza, la valigia era aperta ma ne erano stati estratti solo lo spazzolino, la cintura delle sfere e il portafoglio.
Senza guardare, come cercando di autoconvincersi che non stesse veramente cercando quell’oggetto, estrasse “casualmente” dalla valigia la bandana nera e blu regalatale da Ruby per il suo compleanno l’anno precedente. Rilesse la scritta lasciata dal ragazzo nella parte interna: “Chi è nato una volta sa già come risorgere”. Criptico, ermetico. Ci rimuginava sopra da una decina di mesi. Chissà cosa aveva voluto dirle, il signorino? La annusò come si annusa un tartufo pregiato e la ripose a posto scrollando la mano. Era tutto lì, tutta la sua vita: le sue vecchie bandane e quelle nuove, la sua Scheda Allenatore che citava le molteplici fatiche compiute nelle tante terre che aveva attraversato da quando aveva dieci anni, il suo Pokédex, emblema del suo ruolo nel complesso ecosistema dell’Allenamento Pokémon, simbolo del suo legame con la famiglia e con gli amici. Tutto dentro di sé, in un involucro fragile come una scatola di cartone.
Bussarono alla porta. Sapphire aprì sperando si trattasse di gente gradevole.
‒ Aspetti a iscriverti ai banconi di sopra per non scoraggiare tutti gli altri aspiranti partecipanti al torneo? ‒ le chiese con un sorriso luminosissimo Crystal, la sua collega e amica di Johto.
‒ Chris! ‒ la abbracciò lei, felice di vederla.
‒ Emerald mi ha chiamato poco fa perché si annoiava, è da prima di salpare che vi cerco, lo stordito non aveva capito che anche io mi sarei imbarcata qui ‒ la informò uscendo dall’abbraccio.
‒ Non lo sapevo neanch’io a dire il vero…
‒ Non fa niente, in mezzo a questo mare di gente ti ho trovata lo stesso. Allora, com’è andata a Sinnoh? ‒ le domandò tirandola fuori dalla sua cabina e portandola a camminare sul ponte, alludeva al viaggio nella regione del nord che l’amica aveva compiuto nei mesi precedenti alla conquista delle medaglie in compagnia di Gold.
‒ Ah… esilarante e imbarazzante allo stesso tempo.
‒ Beh, è Gold, è il suo marchio di fabbrica ‒ sorrise quella con un velo di malinconia.
‒ Iscrivermi, hai detto? ‒ cambiò argomento Sapphire.
‒ Sì, ci sono i banchi d’iscrizione alle Internazionali dall’altra parte, questa rotta è stata allestita in occasione del torneo, quindi…
‒ Tu hai già fatto?
‒ Non so se ho davvero voglia di partecipare, sono specializzata nell’indebolire i miei avversari senza mai mandarli davvero al tappeto ‒ rise.
‒ Lo so, lo so, ma per un’occasione del genere… per poter almeno dire di aver partecipato.
‒ Ma sì infatti, non vorrei perdermi questa occasione ‒ sorrise incrociando le braccia all’altezza del grembo. Aveva un corpo leggero, particolarmente snella, fatta eccezione per i fianchi e le cosce ben torniti, alta quanto Sapphire, avvolta in un vestitino leggero, portava i capelli legati una coda all’altezza della nuca.
Erano arrivate fianco a fianco fino ad una zona del ponte occupata da una intricata e rumoreggiante matassa intricata di popolo. Sia Sapphire che Crystal ebbero un moto di fastidio a quella vista. Aggirarono la folla. Dal poco che riuscivano a vedere sembrava che, al centro di quel maremoto di colli che si allungavano per vedere meglio, inviati di tutte le televisioni mondiali stessero intervistando, interrogando, infastidendo sia coloro che confermavano le proprie iscrizioni al Campionato sia gli inviati del comitato organizzativo.
‒ Tutta questa roba… ‒ fece Sapphire riferendosi al groviglio di persone. ‒ è la fila?
‒ No, scherziamo? Quasi tutti fan di Allenatori famosi, gli iscritti sono tanti ma non è che ogni singolo essere umano su questa nave ora voglia partecipare ‒ negò categorica Crystal.
‒ Meno male, e allora dov’è che comincia la fila?
Le due riuscirono a trovare, a malincuore dato che avrebbero preferito iscriversi in un altro momento, l’inizio della coda che contava davanti a loro ancora una dozzina di persone. Iscriversi non era un processo brevissimo, soprattutto per via degli invadenti e potenzialmente denunciabili reporter che ronzavano attorno agli Allenatori. Dopo alcuni minuti si aggregò alle ragazze, superando coloro che si erano a loro volta accodati dietro con la scusa che le due gli stessero tenendo il posto, Emerald.
Odio la televisione e vieni ad iscriverti a quest’ora? ‒ domandò pungente all’amica.
‒ Dove sei stato? ‒ gli chiese Crystal.
‒ Mi ha fermato un tipo, ha riconosciuto il conquistatore del Parco Lotta di sei anni fa, all’edizione inaugurativa.
‒ Sei diventato vintage, Rald? ‒ lo punzecchiò.
Il biondo le lanciò un’occhiata omicida.
‒ Dite che si sono rialzati gli standard dall’ultimo Torneo Internazionale? ‒ si intromise Sapphire mutando la conversazione. La risposta cedette alcuni secondi alla riflessione dei due interlocutori.
‒ Considera che l’ultima edizione si è tenuta prima della vera e propria formazione dell’Associazione Pokémon, la maggior parte degli Allenatori sapeva sì e no usare una MT… ‒ commentò Crystal. Lei era una maestra, ci teneva a certe cose.
‒ Ha ragione, se in questa edizione parteciperanno pure Capipalestra, Superquattro e Campioni un livello generale abbastanza alto è d’obbligo ‒ continuò Emerald.
‒ Ho letto che ogni Allenatore in base al proprio livello potrà saltare un determinato numero di gironi ‒ spiegò la castana. ‒ quelli che si presentano con otto o meno medaglie saranno i primi a sfidarsi, ai pochi che vinceranno tra loro si aggregheranno possessori di numero compreso tra nove e ventiquattro medaglie più i Capipalestra e gli Assi dei Parchi, nel terzo girone entrano i possessori di venticinque-quarantotto medaglie più i Superquattro e i conquistatori di almeno un Parco Lotta e infine nel quarto girone coloro che hanno quarantanove o più medaglie e i Campioni.
‒ Insomma, tu entri al quarto girone, giusto Zafferano? ‒ chiese Emerald.
‒ Sì e, cavolo… non chiamarmi in quel modo!
‒ Parti avvantaggiata, eh…
‒ Non metterla così, con questa tipologia di torneo l’Allenatore più forte del mondo anche se non ha una singola medaglia con sé può arrivare in finale, la difficoltà è crescente, ma per uno che sarebbe comunque arrivato agli ottavi di finale il primo, il secondo girone e così via sono ostacoli da saltare a piè pari.
‒ Ma tu devi fare meno lotte, matematicamente è scorretto.
‒ In realtà è lo stesso concetto della Torre Lotta che ti piace tanto, non conta il numero di lotte che fai se i tuoi Pokémon vengono ricaricati di volta in volta, e inoltre la difficoltà crescente serve a bilanciare gli scontri in base agli Allenatori.
‒ E poi lei avrà meno tempo per abituarsi agli occhietti e alle grida di quattrocentomila persone più spettatori da casa puntati su di lei, non è tutto oro quel che luccica… ‒ sussurrò Crystal in difesa dell’amica.
In quel momento l’ultimo Allenatore che separava Sapphire dal bancone iscrizioni se ne andò via con fare derelitto per la il troppo poco tempo che le telecamere gli avevano concesso.
‒ Nominativo? ‒ chiese un operatore con gli occhi puntati su un monitor mentre cinque o sei suoi colleghi operavano con quaderni, cellulari, altri computer e persino calcolatrici. Il bancone era ordinato, ma lo staff sembrava una brulicante famiglia di insetti.
‒ Sapphire Birch.
Beccata. Quello tolse gli occhi sottili dallo schermo e la fissò stupito abbassandosi gli occhiali. Il branco di giornalisti, fotografi e cameraman piovve su di lei come attratto magneticamente. Per fortuna avevano la decenza di non fare domande o commenti durante il processo di iscrizione e si limitavano a riprendere, scrivere appunti e fare foto. La ragazza si limitò a sembrare allegra e a non guardarsi intorno spaesata, le tornò difficile quando notò che alcune scene venivano mandate in diretta su dei megaschermi sparsi in punti strategici della nave sintonizzati su canali che seguivano l’evento del Campionato Pokémon Internazionale ventiquattro ore su ventiquattro, con commenti, supposizioni, opinioni di esperti e interviste, dirette e biografie sui partecipanti.
‒ Provenienza?
‒ Albanova, Hoenn.
‒ Età?
‒ Diciotto anni.
‒ Giorno di nascita?
‒ Venti settembre anno…
Andarono avanti con dati da carta d’identità che avrebbero potuto facilmente estrarre dalla sua Scheda Allenatore. La volevano tenere lì davanti per più tempo possibile, l’operatore doveva sentirsi una specie di ragazza in bikini pronta a dare il via alle auto di una corsa clandestina nelle vie notturne di Austropoli. E in effetti i reporter facevano a spallate per l’inquadratura migliore e la pole position per piazzare il proprio microfono davanti alla bocca di Sapphire. Innocentemente parlando.
‒ La Scheda Allenatore ‒ chiese il tipo.
Calò il silenzio più assoluto, la massa di gente che accerchiava la scena sembrava essersi messa in pausa come fosse un film, il brusio proveniente dal resto del ponte della nave si chetò, persino i frenetici inviati del comitato smisero di annotare cose, registrare dati e sistemare conti dietro il loro bancone.
‒ Medaglie ‒ domandò l’addetto alla registrazione cercando evidentemente di estrarre materiale per le telecamere, dal momento che aveva il suo completo ID cartaceo nella mano.
‒ Sessantaquattro, conquistatrice delle regioni di Hoenn, Kanto, Johto, Sinnoh, Sidera, Unima, Kalos, e Adamanta…
Panico. Urli, strepiti, fischi di apprezzamento, applausi e persino esternazioni tipo “Sapphire, sposami!” si levarono dalla folla in un clamore generale che fece perdere quasi tutti e due i timpani alla ragazza ma che allo stesso tempo le tinse gli zigomi tondeggianti della ragazza di un rosso intenso. Flash di macchine fotografiche a raffica mentre avvicinava la mano a quel faccino un poco timido e imbarazzato che fa strage di cuori in televisione.
Quando il caos si fu finalmente calmato, il tipo restituì alla ragazza la scheda non dopo averle rivolto altre due o tre domande che però non ottennero lo stesso successo della domanda sulle medaglie; tranne forse quella sulla classe Allenatore, la cui risposta “Dexholder” sapeva però di esotico e non di eccezionale come la esorbitante cifra di traguardi da lei conseguiti. La verifica del documento, della foto tessera per i connotati e della firma erano andate a buon fine. Sapphire si ritrovò in mano un pass magnetizzato che la definiva nientemeno che “Allenatrice Rango S” e sotto citava “Girone numero 4” con la coccarda del Campionato, il simbolo della regione di Holon, la sua foto e il suo nome.
Si sentì una giocatrice di basket professionista quando ebbe appena un doppio passo per allontanarsi dalla fila prima che…
‒ Come si sente ad essere una delle più giovani Allenatrici che abbiano raggiunto questo livello mai nella storia?
‒ Reputa che il Pokédex possa diventare uno strumento di ampia diffusione nel caso in cui un Dexholder si distingua particolarmente in questo Campionato?
‒ Cosa ne pensa degli Shedinja? Dovrebbero o no essere proibiti in un torneo ufficiale?
‒ A che gusti le piace il gelato?
A questa domanda fece una smorfia stranissima, tipo quelle che escono la mattina appena svegli ripensando al folle sogno appena girato testa che lentamente cade nel dimenticatoio.
‒ Per quale motivo ha scelto di non assumere alcun agente che curi la sua figura pubblica o gestisca la sua presenza mediatica
A quel punto ebbe quasi l’impulso di rispondere con un calcio fortissimo nel calcagno di quel giornalista, ma si trattenne. Muovendo la bocca come per tentare di rispondere qualcosa a quella tormenta di domande, si mosse ondeggiando in malo modo verso la sua cabina e senza aspettare Emerald e Crystal vi si serrò dentro tenendo fuori i simpaticoni grazie alle spesse porte d’acciaio della privacy. Non se ne pentì neanche quando vide coi suoi occhi in un servizio serale la faccia da ebete che aveva fatto mormorando qualcosa come “scusate, ho da fare” e chiudendo la porta della sua stanza sul naso di un reporter. Aveva avuto la conferma di ciò che più temeva, quel giorno. Lei non si era mai interessata a roba come pubblicità e immagine mediatica, ma con la fama che, volente o nolente, aveva ottenuto diventando una degli Allenatori più decorati al mondo, tutto l’interesse e la fame di scoop della stampa si era riversata su di lei. Non poteva più evitare niente di tutto ciò, non nell’aria di Holon, la regione dei VIP. Era un povero agnellino davanti alle telecamere, non osava rispondere più in malo modo dopo un incidente avuto a Kalos con un fotografo ossessionato da lei, ma non aveva idea di come gestire il grande carico di gente interessata a lei che aveva dato prova della propria esistenza in tale occasione.
Ne parlò a Chris e Emerald durante un rinfresco verso sera. La ragazza non aveva subito la stessa valanga dopo essersi iscritta, nel contesto del puro duello Pokémon non era tra i più temuti, ma dopo essersi fatta riconoscere e aver dato prova di avere un Pokédex qualche dozzina di giornalisti si era fiondato pure su di lei. Emerald invece, stella dei Parchi Lotta di tutto il mondo, aveva gestito l’eccesso di fama alla grande dimostrando esperienza e sangue freddo in quelle circostanze. Certo, non era stato assaltato da reporter rabbiosi come Sapphire, era comunque una star di secondo piano rispetto all’amica, ma aveva avuto lo stesso la sua fetta di attenzione.
‒ È perché hai anche il faccino dolce… ‒ tentò di sminuire Crystal addentando un muffin.
Sapphire la trafisse coi suoi occhi di ghiaccio della morte. Crystal guardò altrove.
‒ Dovresti godertela finché puoi, non duri più di tanto se sei solo brava ma non prendi nessun ruolo tipo… che ne so? Campione della Lega… ‒ mormorò Emerald in tono evidentemente cupo.
Sapphire avvertì la tonalità della sua espressione ed evitò di ribattere.
‒ Silver dovrebbe già trovarsi a Holon ‒ intervenne Crystal. ‒ Gold invece non ho idea di dove sia.
‒ Al posto giusto ‒ disse una voce dietro di loro. ‒ come sempre.
Gold comparve alle loro spalle con un sorriso a sessantaquattro denti stampato in faccia e un bicchiere lungo e sottile di Taittinger Nocturne pieno di bollicine. Crystal lo fissò sorpresa, Emerald e Sapphire accolsero l’amico.
‒ Come diavolo hai fatto a salire sulla nave? Al molo non c’eri ‒ domandò la catcher.
‒ Tartarughe marine ‒ rispose quello nascondendosi in tasca la Ball di Togebo.
‒ È legale per un Allenatore salire su una nave a metà del viaggio? Adesso non mi dirai che esiste una specie di tariffazione per passeggeri raccolti in mezzo alla strada, giusto? ‒ commentò Emerald.
‒ In realtà… ‒ Gold mostrò il biglietto mezzo stropicciato di categoria “Allenatore vagante”. ‒ è esattamente così.
Gold, coi suoi capelli che sembravano dover esplodere, la sua camicia dai mille colori molto poco discreta e la sua collana floreale, si aggregò al gruppo. Per prima cosa si recarono di nuovo al banco iscrizioni dove il ragazzo dagli occhi d’oro, investito come Sapphire dalla valanga di reporter, gestì il tutto con la massima freschezza, lasciando tutti gli inviati sazi di informazioni e ritrovando mezz’ora dopo i suoi tre amici al buffet al quale erano tornati causa noia e fame. Il resto del tempo scorse leggero tra un drink e un aneddoto circa l’ultima annata di viaggi interregionali condotti da Gold o Sapphire. Sul tardi ognuno tornò alla propria cabina e si gettò in branda in attesa dello sbarco che sarebbe avvenuto il giorno seguente.
 
Sapphire si alzò prestissimo. Il sole sorgeva placido e la nave solcava acque tanto calme da sembrare fatte di vetro. La ragazza uscì sul ponte, lo trovò gradevolmente deserto, incrociò giusto un paio di inservienti che con in mano stracci fradici che la salutarono sorridendo. L’avevano riconosciuta, la Conqueror, uno dei Dexholder.
Camminò ascoltando gli strilli dei Wingull a caccia della colazione, avvertì anche lei un certo languorino. Si era stretta la cintura delle Ball attorno agli shorts di jeans che portava sotto ad una canotta color papavero. Aveva intenzione di portare la sua squadra a scaldarsi i muscoli in uno dei rettangoli di Allenamento, ma pensò che avrebbe avuto tutto il tempo necessario anche dopo un buon cornetto e un cappuccino. Fece l’errore di rivolgersi al barista maschio tra i due che erano in servizio, il tipo la squadrò con fare seducente e le disegnò dei petali di rosa nella schiuma. Lei evitò il suo sguardo per tutto il tempo e, presa dalla fretta, fece pure esplodere una bustina di zucchero nel tentativo di aprirla.
Due minuti dopo aveva già sceso sul bordo di uno dei Campi Lotta. Lesse tutte le normative che la sensibilizzavano al rispetto dell’ambiente circostante e della quiete degli altri passeggeri evitando mosse quali Terremoto o Ondaboato. Si ritrovò a far lottare Toro, il suo Blaziken e Kiruru, il suo Gallade, in un silenzioso ma letale corpo a corpo in cui le sue indicazioni si limitavano a piccole correzioni della difensiva dell’uno o dell’altro. Si rallegrò del fatto che nessun fotografo fosse nei paraggi, quello sarebbe stato oro per loro ma l’avrebbe resa prevedibile agli occhi di eventuali futuri avversari. Andò avanti schierando Dono contro Aggron, ma li ritirò subito entrambi rendendosi conto che la più discreta delle loro mosse aveva fatto dondolare la nave. Fece tornare in campo Gallade e Blaziken, ma stavolta permise loro di affrontarsi nelle loro forme Megaevolute. Iniziava a permettersi l’utilizzo di mosse un po’ più distruttive quando la sua solitudine fu di colpo spezzata.
‒ Vacci piano con Psicotaglio, ti squalificano al torneo se spezzi in due i Pokémon dell’avversario ‒ e Gold per la seconda volta apparve all’improvviso alle sue spalle. Aveva un bicchiere di succo di pompelmo nella mano destra e nella sinistra un tovagliolo con scritto un numero telefonico, presumibilmente quello della barista.
‒ Era mica un complimento, quello? E che ci fai alzato prima di mezzogiorno? ‒ rispose lei con un sorriso seccato.
‒ Non so… era mica un buongiorno, quello?
Per un momento cadde il silenzio tra i due.
‒ Allora, che sei venuto a fare qui? ‒ domandò lei.
‒ Avevo voglia di passeggiare assieme ai miei Pokémon ‒ rispose Gold mettendo una mano sulla cintura delle Ball.
‒ Intendi renderti utile oppure posso continuare da sola in santa pace? ‒ chiese quindi Sapphire facendosi spuntare un velo di allegria sul volto.
‒ Fammi posto, dai.
E cominciarono a far lottare i loro Pokémon cercando di non demolire tutto ciò che avevano attorno. Gold dopo un certo tempo propose di mettersi in pratica in uno delle modalità di Allenamento che aveva maturato con Red in cima al Monte Argento molti anni prima: i due avrebbero dovuto scontrarsi con un Pokémon ciascuno sferrando le mosse più deboli e meno efficaci nei confronti dell’avversario. I due non tentavano questo esercizio per la prima volta, lo avevano già fatto a Johto e a Sinnoh, avendo viaggiato assieme in quelle regioni.
‒ Pilo, Fogliamagica!
‒ Togebo, Forzasfera!
Tropius fu colpito da una bolla di energia pura che gli scalfì appena le squame mentre Togekiss riuscì ad evitare la tempesta di foglie scatenatagli contro con un paio di vertiginose virate.
‒ Lo sai che quando lotti mi spaventi? ‒ fece ad un certo punto Gold cadendo in malo modo in mezzo alla situazione.
Sapphire prese una tinta indefinibile. ‒ Come scusa?
‒ Sei minacciosa, sembra che tu voglia saltare addosso all’avversario e addentarlo al collo furiosamente ‒ spiegò quello.
‒ Non capisco.
‒ A te piace lottare, giusto Sapphire?
‒ Certo che mi piace… ‒ rispose come fosse ovvio.
‒ Togebo, Ondashock!
Verdebufera!
Stavolta fu la mossa di Gold ad andare a vuoto, Sapphire riuscì a sballottolare il Pokémon avversario dall’altra parte del campo.
‒ Eppure sembra che tu faccia uno sforzo immane, lo sai? ‒ esordì una seconda volta il ragazzo.
‒ Scusami?
‒ Ti piace lottare, Sapphire?
La ragazza esitò. ‒ Gold, te l’ho già detto, la smetti di…
Forzasfera!
Fu colta alla sprovvista, Tropius incassò un secondo attacco.
‒ Pilo, rispondi con Energipalla!
‒ Togebo, difenditi!
La bolla di energia verde impattò contro il petto del Pokémon di Gold che resistette all’impatto senza cedere minimamente.
‒ Basta così, rientra ‒ e il ragazzo dagli occhi d’oro mise fine alla battaglia.
‒ Gold non puoi lasciare le cose così su due…
‒ Ho voglia di un gelato, forse torno tra un po’ ‒ e si congedò in fretta come era arrivato.
Sapphire rimase lì come un’idiota, con gli occhi fissi sulla porta dietro cui era sparito Gold.
 
Verso le nove e mezza, la ragazza di Hoenn si rese conto che il flusso di persone cominciava ad aumentare. Al quinto spettatore occasionale che si fermava lì nei pressi e cominciava a fissarla a bocca aperta come fosse una spogliarellista smise di far lottare i propri Pokémon e tornò nella sua cabina dove si rinchiuse in doccia.
Alle dieci era sul ponte e cercava le facce di Emerald e Crystal in mezzo alla folla. Non impiegò molto a trovare la Dexholder di Johto, il suo corregionale invece era praticamente invisibile tra tutte quelle persone. Vide che si trovavano davanti ad uno dei maxi schermi e lo fissavano parlottando tra loro con espressione atona. Trovandosi poco dietro di loro, istintivamente Sapphire portò lo sguardo alla trasmissione.
Al centro dello schermo c’erano una decina di personaggi che camminavano su un tappeto rosso in mezzo ad una pioggia di flash di macchine fotografiche e schiacciati da entrambi i lati da folle ululanti: i Campioni delle Leghe Pokémon. Davanti a tutti Red, che portava una casacca bianca e dei bermuda floreali, seguito da Ruby, con indosso una camicia bordeaux e dei pantaloncini neri, più dietro Camilla, Iris e tutti gli altri. C’era grande festa a Vivalet, la capitale di Holon, i massimi esponenti delle lotte Pokémon del mondo erano giunti nella regione. Subito dopo scorse una ripresa in cui tutti loro lasciano le impronte delle mani in un calco di cemento ancora fresco appena sotto la titanica statua di un allenatore che stringe in mano una trofeo che ricorda una Poké Ball e che dovrebbe essere proprio la coppa del vincitore del Campionato Internazionale. Stacco. Una anchor man cominciò a parlare del reale inizio dei festeggiamenti nella regione ospitante il torneo. L’interesse di Sapphire si disperse.
Stavano per sbarcare a Holon, mancava un solo giorno all’inizio di tutto. Era il momento di iniziare a percepire la tensione.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 2 ***


Capitolo 1: Una Scatola DI Cartone pt. 2
 
 
La M/N Providence attraccò al porto di Vivalet a mezzogiorno in punto. Sapphire, Gold, Emerald e Crystal scesero sulla terraferma, si immersero nel caos. C’era grandissimo movimento per le vie della città, la capitale di Holon non aveva mai ospitato tanti turisti in una sola volta. Era una calda località costiera, come del resto l’intera regione, e quel ventesimo giorno di giugno era popolata principalmente da personaggi con grandi cappelli, ciabatte e costumi da bagno.
‒ Andiamo a farci un bagno anche noi? ‒ propose Emerald.
‒ Non sarebbe una cattiva idea… ‒ approvò Gold.
Anelando la fresca acqua che li attendeva, raggiunsero l’hotel in cui avrebbero alloggiato. Era un palazzo celeste che si affacciava sul lungomare dal quale spuntavano grossi balconi di vetro.
Dopo poco si erano già sistemati nelle loro stanze, raggiungerle non era stata la cosa più facile del mondo, in mezzo a quel brulicante formicaio pieno di bambini che supplicano i genitori di scendere in spiaggia e signori in vestaglia che si lamentano per il clima torrido. Sapphire buttò la sua valigia sulla moquette e la aprì per sistemare al meglio le sue cose, quindi scappò in balcone e si poggiò sulla ringhiera ad osservare il mare. Aveva voglia di rilassarsi e smettere di pensare a tutto il casino che avrebbe affrontato nei giorni a seguire, ma la cosa non gli riusciva particolarmente semplice. Si trovava al sesto piano e da lì la spiaggia sembrava talmente tanto affollata da farla sudare pure a distanza. Per fortuna a quell’altezza soffiava una piacevole brezzolina fresca.
Da quello che sapeva, in giornata sarebbero arrivati in hotel pure i suoi amici di Kanto assieme a Silver. Era felice di poterli rivedere tutti, soprattutto per un’occasione del genere. Decise di scrivere a Blue per chiederle a che ora sarebbe arrivata, accese il PokéNav. Il destino le andò incontro e le fece trovare una decina di suoi messaggi non letti. Le aveva scritto che sarebbe arrivata verso nel pomeriggio assieme a Green e agli altri Capipalestra della sua regione, mentre Silver e Yellow avrebbero già dovuto trovarsi lì nel momento in cui loro sarebbero arrivati loro della M/N Providence. La ragazza si rallegrò ed uscì fuori dalla sua camera per raggiungere il resto del gruppo. Dietro la porta si imbatté in Crystal che presumibilmente era venuta a chiamarla.
‒ Abbiamo trovato Silver e Yellow di sotto, scendi per pranzo?
Lei annuì contenta e si precipitò in ascensore. Si unì al tavolo dei cinque Dexholder proprio di fronte a Silver e accanto a Yellow che la accolsero sorridendo. Si era accaparrata al self service un bel vassoio pieno di cibo all’apparenza squisito e tra un carpaccio di salmone, una birretta gelida e un po’ di risate tra amici tutti si ingozzarono in maniera spropositata.
‒ Stasera dobbiamo organizzare qualcosa con gli altri, d’accordo? ‒ propose Gold. ‒ Giusto per scaricare la tensione per domani.
‒ Secondo me faresti meglio a riposare invece, e poi tu domani neanche combatti… ‒ lo contestò Crystal
‒ È una questione di rito, Chris ‒ intervenne Emerald.
‒ Io non ci vedo nulla di male ‒ buttò lì la timida Yellow.
‒ Direi di aspettare gli altri, poi si vedrà ‒ fece Silver.
‒ Quando dice così significa che è d’accordo ma non vuole darlo a vedere ‒ rise il suo rivale dagli occhi dorati.
‒ Io vorrei riscaldarmi un po’, ma non penso che una serata fuori potrebbe farmi tanto male… ‒ mormorò Sapphire.
‒ Più calda di così, gioia? ‒ la provocò Gold prima di incassare un violento calcio sulla tibia da parte di Crystal.
‒ Vediamo, dai ‒ si arrese la Catcher. ‒ Magari neanche riuscite ad uscire che vi precipitano addosso elicotteri di giornalisti…
Nel post pranzo, quasi tutti si godettero il torpore. Gold si appisolò su un divanetto, Emerald lo imitò, Crystal e Yellow si stesero in costume sulle sdraio accanto alla piscina dell’hotel immerse nella lettura, Silver e Sapphire decisero di facilitare la digestione passeggiando un po’. Il caldo era micidiale, il fulvo portava una maglietta senza maniche grigia e un costume da bagno a pantaloncino di tipo hawaiano, Sapphire era in shorts e canotta. Lei portava la bandana a mo’ di cerchietto e lui si era legato i capelli in un codino. Scelsero di muoversi con i piedi a mollo nell’acqua della riva del mare per evitare di sciogliersi lentamente come scamorze su una padella. I bagnanti erano quasi tutti sotto gli ombrelloni o a casa a quell’ora, regnava una calma innaturale.
‒ Quindi pensavo… perché non provarci? Insomma, io Capopalestra, non è malaccio… ‒ stava spiegando lui.
Sapphire, ascoltandolo, lo studiava attentamente. Era snello, longilineo quasi come Ruby, ma i capelli lunghi e gli occhi chiarissimi gli davano un qualcosa di elfico.
‒ Quindi intendi fare proposta per il posto?
‒ Non so, è tutto al completo e ora come ora è difficile fondare una palestra da zero, ci vogliono parecchi soldi e le conoscenze giuste…
Aveva viaggiato assieme a lui e Crystal per la regione di Kalos. Le aveva già raccontato in quell’occasione di tale idea. Secondo Sapphire, inconsciamente cercava di imitare suo padre nell’unica cosa ammirevole che avesse fatto in vita; Silver non era il tipo da avere l’ambizione della fama e se lo fosse stato certamente non avrebbe cercato di ottenerla diventando Capopalestra.
‒ Domanda scema: hai già deciso il tipo?
‒ Non so, pensavo di fare come Green quando poi lui stesso mi ha fatto notare che ho una innata predilezione per il tipo Buio.
‒ Certo se la metti così allora c’è un posto libero come Capopalestra di quel tipo, hai conosciuto Luna, a Costa Mirach, Sidera?
Entrambi sorrisero. Il soggetto in questione era chiaro a tutti e due.
‒ Tu piuttosto, potresti aspirare ad una carriera da Campione con la forza che ti ritrovi…
Sapphire non rispose.
‒ Ci hai mai pensato?
‒ Non lo so, in realtà, non è che sia proprio il mio sogno.
Silenzio. Si erano fermati. Silver si incupì per un istante. ‒ Vuoi tornare indietro? ‒ le domandò.
Sapphire mosse appena la testa su e giù.
‒ Andiamo, dai.
La ragazza raggiunse le amiche sulla riva della piscina dell’hotel. Crystal si era appisolata, Yellow le sorrise chiudendo il libro che stava leggendo non appena la vide. Sdraiata con i piedi a mollo le sembrava quasi una sirena, la bionda ragazza del Bosco Smeraldo. Piccola e delicata, curvilinea e luminosa. Sapphire le si sedette accanto.
‒ Tra poco dovrebbero arrivare Green, Blue e Red ‒ le disse.
‒ Lo so, spero che riusciranno a staccarsi le telecamere di dosso il signor Campione e mister Capopalestra… qua a Holon sembrano star del PokéWood.
‒ Ma anche voi che non siamo membri dell’Associazione Pokémon non è che ve la passiate tanto bene, ho visto.
‒ Blue ha fatto la cosa migliore ad accodarsi a loro, nessuno la infastidisce se si nasconde dietro a quei due personaggi…
‒ No, sono io quella che sta meglio, mi conoscono in tre e nessuno mi infastidisce.
‒ Sai che non pensavo ti saresti iscritta…
‒ Beh, è andata come quella volta alla Cupola Lotta con Emerald, c’erano tutti i Dexholder, non siamo noi se non siamo al completo ‒ sorrise.
‒ Già, spero che riusciranno ad aggregarsi pure quelli là…
‒ Sì.
E Sapphire percepì la punta di malinconia nella voce di Yellow. ‒ Con Red? ‒ domandò senza troppe cerimonie.
Yellow sospirò. ‒ Niente di niente, non ci vediamo spesso ma quando ci vediamo lui sembra felice.
‒ E tu?
‒ Io sono al settimo cielo, ma non so se può funzionare, in realtà. Ci conosciamo troppo bene.
‒ Non dovrebbe essere un incentivo?
‒ Scherzi? Sembra che mi guardi come si guarda una sorella minore.
‒ Ma tu fai qualcosa che gli faccia capire come ti senti, siete tanto uniti… magari coinvolgilo in qualcosa che lo faccia distrarre dai suoi impegni di Campione.
‒ Non so, ora che ho l’allevamento a Kanto ho provato io a distrarmi un po’, ma mi sono resa conto che neanche più quello mi dà relax…
Sapphire si illuminò. Le tornarono in mente le parole di Gold: “Ti piace lottare?”
‒ Prova a… ‒ e si interruppe, mancando anche lei di una reale soluzione al problema.
‒ Cosa?
‒ Non lo so, in realtà.
‒ Anche tu così, eh?
Sapphire non annuì, ma non negò neanche.
‒ Dev’essere più difficile per te, io ogni volta che perdo di vista Red per un po’ di tempo penso quasi di essere stanca di aspettarlo, ma poi una giornata con lui sembra far tornare tutto come ai primi giorni… ‒ Yellow si rese conto che Sapphire aveva preso una preoccupante aria accigliata. Abbassò lo sguardo e tornò al suo libro.
La ragazza di Hoenn invece si alzò in piedi e se ne andò senza guardarla né congedarsi. Passando per la hall dell’hotel si imbatté in una matassa di persone che portavano armate di cellulari, fotocamere, Poké Net e qualsiasi altra cosa permettesse loro di riprendere o immortalare la situazione. Comprese subito. Discreta e non distratta dalla voglia di fare video e foto, cominciò a fare lo slalom tra la gente fino a raggiungere un punto dal quale le fosse possibile osservare con facilità. Una limousine si era appena fermata davanti alla porta d’ingresso dell’hotel, la portiera si aprì, Red mise un piede fuori e ne uscì con un gran sorriso stampato in faccia, lo seguì Green e infine Blue. Erano riusciti a farsi piazzare in quell’hotel. Un’interminabile ovazione si levò dalla folla, i tre Dexholder si mossero attraverso un’isterica capanna di persone adoranti. Nessuno di loro si accorse di Sapphire, anche se le passarono accanto. Lei li vide sfilare davanti a sé uno alla volta. Red, con gli stessi vestiti che gli aveva visto indossare in tv quella mattina, portava i capelli nerissimi scompigliati come sempre, Green, con il suo ciuffo castano che sfidava la forza di gravità era sensibilmente più sobrio nell’abbigliamento, guardava davanti a sé con senza quasi sbattere le palpebre e muovendosi con le mani in tasca. Quei due baldi giovani erano amatissimi dalle folle, non solo per la loro fama di grandissimi Allenatori, quanto anche per l’immagine forte e atletica che davano. Infine, dietro i due la ragazza scorse lo sguardo di Blue che ogni tanto si lasciava andare a qualche occhiolino rivolto alla folla, non ricordò di averla mai vista più bella. Un velo di eyeliner e un tocco di mascara amplificavano la luce dei suoi occhi in maniera quasi innaturale, il suo corpo splendidamente scolpito in forme tondeggianti e morbide era avvolto in un vestitino leggero di color viola scuro che terminava in una breve gonna che raggiungeva le sue cosce toniche. I suoi fluenti capelli castani ondeggiavano senza mai scomporsi dalla loro piega, accecando qualche malcapitato con i loro riflessi chiarissimi. Blue non era Capopalestra né tantomeno Campione, ma con la scusa di farsi accompagnare in qualità di amica si era affilata ai due uomini per raggiungere Holon. La ragazza di Hoenn li vide scomparire in ascensore scortati da due inviati della Lega locale, mentre un terzo mostrava alla tipa della reception le tessere che confermavano che la loro organizzazione avrebbe saldato il conto della permanenza in hotel.
Ben presto la voce si diffuse, pure gli altri Dexholder, persino Gold ed Emerald che erano ancora bellamente appisolati durante l’arrivo delle star, vennero a sapere che i loro amici erano arrivati.
‒ Dici che dovremmo andare noi da loro? ‒ domandò Crystal sorseggiando un milk-shake al bar del pianterreno.
‒ Non penso… ‒ rispose Emerald.
‒ Ci sono i bodyguard davanti alle loro camere ‒ informò Silver.
Sapphire semplicemente non disse nulla e aprì il suo Poké Nav. Trovò un messaggio da parte di Blue: “Sali” diceva.
Abbandonò il bancone mormorando solo: ‒ Io provò a dare un’occhiata…
Giunse al tredicesimo piano, si ritrovò in un fresco corridoio arieggiato dalle pareti color blu mezzanotte e illuminato solo da alcune barre luminose poste all’angolo in basso dove le mura incontravano il pavimento. Percorse tutta quella galleria passando davanti a porte di suite estremamente distanziate tra loro finché non raggiunse un’uscita in vetro che dava su un balcone ampio tre volte la sua stanza. Uscì.
‒ Oh, ce ne hai messo di tempo… ‒ mormorò Blue che le comparse davanti all’improvviso. Si stava spazzolando i capelli e non aveva più il vestito di prima ma indossava un pareo che lasciava intravedere il bikini attraverso la trasparenza.
Sapphire la guardò, poi dovette lottare per non tornare con gli occhi puntati sul panorama che quella terrazza d’alta quota offriva.
‒ Blue, ti aspettavo da ieri! ‒ esclamò lasciandosi stringere in un abbraccio dalla sua amica.
‒ Hai visto che roba? Di sotto intendo? Qua a Holon sembrano pazzi.
‒ Assurdo, e io che pensavo di aver avuto il peggior impatto con la folla di tutta la storia…
Blue sorrise carezzandole la guancia con delicatezza. ‒ Immagino il motivo per cui ti stiano tanto appresso.
‒ Non esagerare, non so se ti sei resa conto dell’espressioni che fanno quando ti guardano.
Sapphire arrossì lievemente. ‒ Perché mi hai fatta venire qui?
‒ Avevo voglia di parlare con te in privato.
Sapphire sorrise. Aveva viaggiato per Alola, Unima e Sidera in compagnia di Blue, in tutto quel tempo aveva sviluppato con lei un rapporto particolare, la percepiva come una sorella maggiore, era come se ognuna di loro conoscesse tutto dell’altra.
‒ Capisco, Green e Red sono ancora in stanza? ‒ domandò lei.
‒ Green e Red ora scenderanno e staranno col resto del gruppo, noi li raggiungeremo in seguito ‒ spiegò quella appoggiandosi alla ringhiera.
‒ Sei stata con Red e Green per un po’ di giorni, che tipo di vita fanno quelli come loro in queste occasioni?
Blue rise. ‒ Red prende la cosa come un gioco… Green ormai ci ha fatto l’abitudine… è strano, sono tutti ricchi da far schifo quelli che gli ronzano attorno. Una foto qua con il ministro di non so cosa, una stretta di mano là all’assessore di non so che altro… accogliere le sfide degli Allenatori è l’unico momento di riposo per loro.
‒ Tutto un lavoro di immagine?
‒ Esatto, tutto un lavoro di immagine ‒ Blue la guardava con l’aria di chi aveva capito cosa ronzava per la testa al suo interlocutore. ‒ Non penserai ancora a lui, vero?
‒ No ‒ rispose Sapphire all’istante. ‒ Ma ogni tanto mi torna in testa, sai com’è…
Blue sospirò con fare di rimprovero. ‒ L’ultima volta quando vi siete parlati?
Sapphire sentì l’amarezza delle parole. ‒ Nove mesi fa, era il mio compleanno, mi ha regalato questa ‒ e mostrò il ciondolo con la pietra celeste attaccato al suo collo.
‒ E tu?
‒ L’ho scaricato in malo modo…
‒ Ma porti la collana che ti ha regalato. E hai anche una nuova bandana a quanto vedo ‒ aggiunse ben sapendo chi fosse il sarto creatore delle bandane di Sapphire.
Sapphire arrossì di nuovo.
‒ Stavo pensando… ‒ esordì Blue prendendo un altro tono. ‒ prima agivo come se dovessi in qualche modo dimostrare di essere all’altezza di Green, di Red o di qualsiasi altro maschio avessi contro… ho capito solo dopo che non c’era bisogno di dimostrare nulla a nessuno.
Sapphire rialzò lo sguardo e lo puntò negli occhi celesti di quella, poco più chiari dei suoi.
‒ Alla fine ci sei solo tu ‒ le diede un buffetto sul naso con la punta delle dita. ‒ Deve valere così tanto quel ragazzo per te...
‒ Doveva ‒ la corresse Sapphire.
‒ Perché? Mica è morto… ‒ le strizzò l’occhio.
Sapphire volle ribattere, ma fu preceduta dall’arrivo di tutto il resto del gruppo guidato da Green e Red che avevano condotto anche gli altri sulla terrazza panoramica del piano d’élite. Sapphire corse incontro a Green e Gold e li salutò dando un bacio sulla guancia a entrambi. Avevano uno strano sorriso, tutti e due, come se si stessero godendo ogni momento da persona normale assieme agli amici di sempre assaporandone il gusto quasi nostalgico. E forse era proprio così.
Dopo un minuto scarso di convenevoli e saluti, Gold propose di sedersi e bere qualcosa, ma Gold lo precedette.
‒ Non qui.
‒ Abbiamo pensato di farvi vedere l’unica cosa per cui valga la pena di avere il trattamento speciale riservato a Campioni e Capipalestra ‒ spiegò Green.
‒ Tutti in costume ‒ consigliò Red.
Tutti e nove indossarono indumenti adatti alla balneazione, si diressero fino al pianterreno, abbandonarono l’hotel e furono condotti dai due verso un sottile e abbandonato braccio di costa. Camminarono su una sabbia bianchissima, a est erano schermati da una scogliera e a ovest la spiaggia era vuota per qualche altro centinaio di metri. C’erano solo loro, un largo baldacchino sotto al quale era stata piazzata un lungo tavolo, nel punto più lontano dalla riva invece stavano delle cabine e delle docce.
A tutti loro si aprì un mondo. La tensione per il Campionato, lo stress per la pressione mediatica, la stanchezza per il viaggio sembrarono sparire. Tutto sembrò sparire in una nuotata, una partita a beach volley. Tutti tirarono fuori pure i loro Pokémon in modo da farli rilassare all’esterno delle loro claustrofobiche Poké Ball. E il pomeriggio scorse rapidamente, ben presto il cielo cominciò a farsi più rossiccio e il sole lentamente si avvicinò alla linea dell’orizzonte verso occidente.
‒ Avete degli asciugamani? ‒ chiese Sapphire uscendo fradicia dall’acqua.
Red gliene passò uno prendendolo da dentro la cabina. Era in microfibra, si impregnava parecchio ma asciugava a velocità impressionante. Sapphire se lo avvolse attorno dopo essersi fatta una doccia.
‒ Siete riusciti a farmi distrarre dal mio allenamento, comunque, è un’impresa difficile ‒ disse al Campione di Kanto intercettandolo.
Quello si voltò. ‒ Credimi, rendono molto di più dopo un pomeriggio di relax in spiaggia… ‒ scherzò quello.
‒ Hai trovato questa cosa delle interviste e delle foto tanto più sfibrante di una giornata da Campione?
‒ Di una giornata da Campione con le interviste e le foto? ‒ ironizzò lui.
Sapphire sorrise alla battuta.
‒ Per fortuna dovrebbe ridursi l’ammontare dei miei compiti dopo il mio distacco dalla regione di Johto.
‒ Ah, ci siete riusciti alla fine?
‒ Sì, i Superquattro rimangono gli stessi per entrambe le regioni, ma il ruolo di Campione e il compito di svolgere tutte le mansioni di amministrazione della Lega nella regione di Johto adesso spettano a Lance.
Nella voce di Red c’era una punta sottile di stanchezza. Sapphire non mancò di notarla.
‒ Siamo felici che tu possa essere il rappresentante di Kanto, stai iniziando a stancarti?
‒ No, non mi lamento del mio lavoro.
‒ Lavoro, lo chiami?
‒ Dipende… ‒ gli occhi di Red si posarono sul gruppo dei suoi amici che usciva dal mare ridendo, Green che prendeva Blue sulle spalle e Gold che trovava ogni istante buono per lanciare il pallone a Crystal. ‒ quando lo facevamo per il solo gusto di farlo era tutto diverso. Ma andare in giro a sfidare Capipalestra non ti paga le bollette… ‒ mormorò.
‒ Ti manca tutto questo?
‒ Mi manca, certo.
Sapphire cercò di seguire la linea del suo sguardo per capire se stesse guardando Yellow o no. Ovviamente la cosa non le riuscì.
‒ Ma penso di poter fare qualcosa d’ora in poi, non so… provare a vederci più spesso, cercare qualche giornata in cui siamo tutti liberi e inventarci robe tipo questa.
‒ Vorrei potervi portare in qualche luogo di Hoenn, una volta…
‒ Oh, sono sicuro che si potrebbe fare.
‒ Tu dici?
‒ Ovvio, serve solo un po’ di… organizzazione… ‒ concluse la frase con un tono malinconico. Red era sempre stato quello più felice alla vista di tutta la squadra dei primi Dexholder riunita. Era uno che faceva piani, proposte, sogni. Ma ultimamente il sistema andava contro di lui. Quante cene non realizzate, quanti compleanni a sorpresa mai festeggiati, quante vacanze insieme andate a monte. Per fortuna sembrava bastasse un pomeriggio per scordare tutti i piani fatti assieme mai portati a termine.
‒ Tirate fuori l’alcol che qua Silver comincia ad avere sete ‒ lo canzonava Gold.
‒ Sì, certo, ma prima ti accompagniamo a letto ‒ gli rispondeva il rosso.
All’imbrunire, quando le nuvole cominciavano a tingersi di un rosa tenue, numerosi camerieri vestiti di bianco cominciarono a scendere direttamente dall’hotel e a portare luminosi vassoi e secchi pieni di ghiaccio e bottiglie alla tavola. Come falene attratte dalla fiamma, tutti si precipitarono verso le vivande, alcuni ancora avvolti nell’asciugamano, altri con addosso un paio di pantaloncini o una canotta in più. Il più entusiasta era Emerald.
Si erano seduti tutti, i camerieri erano spariti ed era stato portato del cibo pure per i Pokémon quando Red, seduto a capotavola, si alzò in piedi e diresse verso il cielo la mano che stringeva il calice pieno di vino bianco. Gli occhi di tutti i presenti erano su di lui.
‒ A tutti noi ‒ enunciò. ‒ domani sarà una giornata come un’altra, andrà tutto bene, finché saremo tutti uniti.
Gold fece finta di avere un conato, Blue ridacchiò e Green alzò gli occhi al cielo.
‒ …e per quanto per alcuni possa sembrare smielato ‒ proseguì il Campione in tono di rimprovero. ‒ credo di parlare a nome di tutti dicendo che siete una delle cose migliori che mi sia mai capitata.
‒ Vi voglio bene, amici ‒ spuntò fuori Yellow alzando il bicchiere come Red.
Silver stupendo tutti fu il terzo ad unirsi al brindisi. Lo seguirono Emerald e Crystal.
‒ Chi ci ammazza, a noi? ‒ e pure Gold entrò in scena.
‒ Non siamo tanto male… ‒ lo imitò pure Green.
Blue aveva gli occhi lucidi, anche lei alzò il calice. Sapphire si accodò immediatamente.
‒ Vi auguro il meglio, e non per il torneo o altro… ‒ proseguì Red. ‒ …il meglio per sempre. Grazie di tutto.
Tutti bevvero. La cena cominciò ufficialmente, il cibo era, ovviamente, dieci volte migliore di quello mangiato a pranzo. I brindisi che Gold proponeva per qualsiasi cosa gli passasse per la mente davano alla serata quel tocco di trash che non guastava mai, Emerald cominciò a cacciare fuori canti tradizionali totalmente a caso man mano che il suo bicchiere si svuotava e poi si riempiva sempre più frequentemente, Blue era quella che sapeva raccontare storie migliori, soprattutto quando di mezzo c’erano personaggi incontrati per strada che avevano tentato con lei un approccio non propriamente parrocchiale. Il cibo cominciò a terminare, i vini e lo champagne erano alla seconda ripresa. Ormai il cielo si era scurito del tutto e l’unica cosa che illuminava la situazione erano le candele che Red aveva romanticamente acceso dopo il sopraggiungere dell’oscurità e le luci lontane della città di Vivalet che si preparava ad accogliere il più grande evento Pokémon degli ultimi dieci o venti anni.
Sulle ultime tutti cominciarono ad alzarsi dalla tavola, a Yellow venne la geniale idea di accendere un falò sulla spiaggia e con un po’ di impegno e olio di gomito riuscirono ad avere la loro fiamma tribale in poco tempo. Tutti vi si sedettero attorno sorseggiando le ultime scorte di acqua di fuoco che avevano e alternando con balli improvvisati e totalmente scoordinati. Qualcuno proponeva di dormire sulla sabbia sopra agli asciugamani, segno che il sonno e le due o tre ore dopo la mezzanotte cominciavano a premere sulle loro palpebre.
Sapphire aveva la testa che girava, c’era Crystal accanto a lei che dormiva avvolta in un telo da mare, Gold ed Emerald ridevano assieme ad un ben poco sobrio Silver mentre Blue e Green vagavano da una parte all’altra della spiaggia come lei. Sulla scogliera, poco lontano, stava Red con una Yellow distrutta che teneva la testa poggiata sulla sua spalla. Guardavano la luna.
Quando Blue scelse di tornare in camera per chiudere gli occhi decentemente e svegliò Crystal per suggerirle di permettersi lo stesso lusso, la ragazza di Hoenn rimase sola con Green che giocava con le braci di un fuoco ormai spento.
‒ Ti vede, eh ‒ esordì lei con il ragazzo dagli occhi color giada sedendoglisi accanto. ‒ …come la guardi ‒ con molta probabilità era lo champagne a parlare in buona fede per lei.
‒ Mh, cosa? ‒ le chiese quello. Neanche lui era troppo asciutto.
‒ Blue ‒ spiegò. ‒ non ti darà mai la soddisfazione di fare la prima mossa.
‒ Ma quale prima mossa? Ci conosciamo da duemila anni, non è storia, la nostra.
‒ Non mi sembra una motivazione valida ‒ fece Sapphire portando lo sguardò a Yellow e Red, che nel frattempo si erano avvolti l’una nelle braccia dell’altro, e facendo sì che Green la seguisse.
‒ Blue è affascinante e intelligente ma non ha regole, non ho tempo di stare dietro ad una come lei…
‒ Eppure lo fai.
La risposta di Green si fece attendere. Le loro voci erano melliflue e rilassate, ma la pausa fu troppo lunga perché ci potesse essere un’altra risposta da parte di Green.
‒ E lei te lo lascia pure fare… ‒ proseguì Sapphire.
‒ Bah, penso che meno ci mettiamo in mezzo, meno rischiamo di fare stronzate…
La ragazza dondolò su se stessa. ‒ Lo pensavo anche io, ma mi pare che tu abbia già passato quella fase, ora sei più morbido, no?
Green si imbronciò leggermente.
‒ Blue si è divertita e sa come divertirsi quando vuole. Ma ora cerca serietà, avete pure ventidue anni, non potete continuare a giocare ‒ la lasciva saggezza della brilla Sapphire metteva a disagio il Capopalestra di Smeraldopoli.
Green gettò qualcosa nel fuoco, forse un sasso, forse una conchiglia. ‒ Non so se mi va, magari è il caso che io mi trovi qualcun altro… ‒ il ragazzo si alzò e fece per andarsene.
Sapphire si incupì. ‒ Che ti trovi qualcun altro per convincerti ad ignorare Blue? ‒ Sentì Green fermarsi e percepì la sua titubanza nel rispondere.
‒ Forse sì ‒ e si allontanò.
Sapphire attese qualche minuto da sola, poi salutò gli altri e si diresse verso l’hotel. Si buttò sul suo letto felice, felice per la serata meravigliosa e per aver degli amici del genere. Era stanca, ma stanca dal divertimento. Si fece una doccia e, dopo essersi asciugata, chiuse gli occhi con indosso una maglia troppo grande per lei e gli slip. Strinse la bandana al suo petto.
Era felice, sì, ma nella sua scatola di cartone mancava qualcosa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 1 ***


Capitolo 2: ludi circenses pt. 1
 
 
Sapphire aveva le palpebre pesanti. Tutti i Dexholder si erano svegliati tardi e avevano pranzato alla ben e meglio. Un poco più rinvigoriti, si erano portati all’Holon World Stadium, la gigantesca arena costruita per l’occasione proprio al centro della cittadina. Le strade erano intasatissime, il sole picchiava duro e ovunque sembrava di avere attorno il triplo delle persone in preda alla foga e al delirio. Fortunatamente, la criniera di reporter infoiati si era decimata, evidentemente tutti si trovavano dentro per intervistare gente più interessante o per ottenere il posto ideale nella tribuna stampa. Green e Red avevano lasciato il resto del gruppo, dovevano essere presenti fin dall’inizio in veste di professionisti.
‒ Ho bisogno di acqua, tanta acqua ‒ mormorò Blue accanto alla ragazza di Hoenn.
‒ A chi lo dici, spero che questa cosa finisca subito…
Erano in fila, una fila che scorreva in maniera alquanto fluida, ma pur sempre una fila. Non sarebbero entrati in mezzo alle tribune, ovviamente, c’erano delle terrazze riservate ai partecipanti al torneo e su quelle loro si sarebbero adagiate durante il primo girone di lotte che si sarebbe tenuto in quella giornata. Da fuori, lo stadio era già abbastanza imponente, era una costruzione in cemento massiccia e dalla forma ellittica tutta decorata con giganteschi stendardi raffiguranti gli stemmi delle regioni. Sopra al cancello principale, invece, troneggiava il gigantesco sigillo della regione di Holon: una Poké Ball semi-romboidale che ricordava la forma dell’isola. Durante il viaggio che li aveva portati allo stadio, i ragazzi si erano resi conto di una cosa: Holon aveva pochissimi residenti e quei pochi abitavano tutti in periferia. La città, come presumibilmente tutto il resto della regione, viveva di turismo e i suoi abitanti lavoravano in ristoranti, bar, hotel e altre attrazioni. Faceva strano camminare per Vivalet, sembrava quasi di stare in una specie di parco divertimenti a tema urbanistico.
‒ Vai, tocca a te ‒ sussurrò Sapphire a Blue.
La ragazza mostrò la tessera al tipo del banco di smistamento. Risultava essere un Allenatrice di rango A, quindi di un livello più bassa di Sapphire. Tutto a livello teorico, ovviamente, la ragazza di Hoenn aveva semplicemente vinto più medaglie di lei nel mondo.
‒ Terzo piano, tribuna partecipanti ‒ disse l’uomo.
Sapphire avanzò e imitò Blue. Mostrò la tessera che la etichettava Allenatrice rango S, quello verificò tramite un qualche dispositivo scanner, sorrise alla ragazza e la indirizzò: quarto piano, attico della tribuna partecipanti.
Pure lei entrò, udì alle sue spalle Crystal mostrare il badge da Allenatrice rango C, ossia con meno di otto medaglie. La ragazza di Johto non si era mai impegnata nei duelli, ma aveva un Pokédex che contava più di settecento specie catturate e anche una discreta fama da non agonista del Pokéathlon. Sapphire avanzò lungo un corridoio scuro fino a raggiungere una biforcazione, a destra l’ascensore, a sinistra le scale. Quarto piano aveva detto il tipo all’entrata. Forse era meglio prendere l’ascensore. Vi entrò, premette il tasto e attese. L’ascensore si fermò. Le si aprì uno spiraglio su una stanza incredibile. Tutta bianca, una parete era costituita interamente da vetrate che davano sullo stadio. C’era l’aria condizionata, una gradevole frescura invadeva ogni angolo di quel luogo. Si rese conto di essere in un edificio in qualche modo incastonato all’interno delle tribune dello stadio. Sotto di lei vedeva le folle deliranti distribuite su spalti con numerosissime gradinate, tutti raccolti attorno ad un ampio terreno rettangolare suddiviso in due aree con il simbolo di una Poké Ball piazzato al centro. Grossi monitor visibilissimi anche con la forte luce del sole e posizionati su tutti i quattro cardini dello stadio mostravano scene prese a caso da altri tornei o da eventi con protagonisti alcuni Allenatori di grande fama. La ragazza dagli occhi blu si guardò attorno. C’era un tavolo imbandito per un rinfresco, un corridoio che portava da qualche parte e dei divani, su cui trovò distesi dei personaggi di cui conosceva molto bene il nome.
‒ Sapphire! ‒ la salutò Red. ‒ Benvenuta.
La ragazza era ancora a bocca aperta. Intenta a versarsi un bicchiere di champagne c’era Camilla, Campionessa di Sinnoh. Accanto a Red sedevano Iris e Lance, che stavano chiacchierando animatamente quando lei era entrata. Di fianco intravide Nardo, ex Campione di Unima comunque ammesso tra i rango S, che conversava con Zack e Antares, venuti rispettivamente da Adamanta e Sidera. Il suo sguardo scivolò leggermente su una pozzanghera d’olio quando vide pure Ruby, in piedi accanto a Diantha, con cui aveva evidentemente appena smesso di parlare per puntare gli occhi sull’ultima arrivata, Sapphire.
‒ Ah, ho atteso con ansia di potermi confrontare con te, ragazza ‒ le venne incontro Camilla. Era una donna splendida, vestita in maniera sobria con dei capelli biondi chiarissimi che le ricordavano una cascata di sottili filamenti d’oro ‒ Sei parecchio famosa anche tra i piani alti, lo sai? ‒ e le porse un bicchiere pieno di quel liquido tutto bollicine.
‒ Oh, grazie ‒ accettò timida.
‒ Non ringraziarla, secondo i giornalisti quassù ci stiamo barricando dietro i divani intenti a lanciarci occhiatacce ostili ‒ intervenne Nardo strappandole un sorriso.
‒ Sapphire ‒ le si presentò davanti con un gran sorriso Iris, dalla carnagione scura in netto contrasto col vestitino color crema che portava. ‒ si dice molto di te… pure tu sei una dei portatori del Pokédex, giusto?
Le sembrava strano che la sua fama si fosse propagata tanto. Le venne in mente che forse era davvero così degna di ammirazione, dato che oltre a lei non c’era nessuno su quel piano che non fosse un Campione.
‒ Io, ehm, sì ‒ non era mai stata una gran parlatrice, tantomeno che con sconosciuti che sembravano sapere tutto di lei.
‒ Non vedo l’ora di conoscere la tua vera forza… ‒ concluse quella di Unima.
‒ Conosco alcuni dei suoi compagni ‒ intervenne Lance salutando Sapphire con un cenno del capo. Lance era il Campione di Johto, condivideva la Lega dell’Altopiano Blu con Red, ma incarnava il ruolo di Primo Allenatore solo nella sua regione. ‒ Gente tosta, i Dexholder…
‒ Non le mettete pressione ‒ disse qualcuno dalle retrovie. ‒ Fatela sentire come fosse a casa propria…
Era Zero, maschio alfa degli Allenatori di Pokémon di Holon stessa. Portava una felpa nera senza maniche sopra ad una maglietta monocromatica bianca, sotto indossava dei pantaloni di cotone abbastanza semplici, anch’essi neri. La fissava serio coi suoi occhi grigi color nebbia, aveva una barba rada e poco curata scura quanto i suoi capelli. Giovane, nessuno l’avrebbe mai giudicato tanto più anziano di Red.
‒ Zero sta cercando di sembrare umano, la sua Lega non partecipa per pietà della nostra autostima in quanto suoi colleghi ‒ intervenne ilare Antares, Campione della piccola regione di Sidera, coi suoi capelli di un insolito blu raccolti in una coda di cavallo.
Il movimento causato dalla sua entrata sfumò in fretta. Tutti tornarono a chiacchierare piacevolmente e a godersi il rinfresco. Zack, Campione di Adamanta, avvicinò la ragazza di Hoenn. Lei lo scrutò dalla testa ai piedi. Era atletico, aveva pressoché lo stesso fisico di Red, ma i suoi occhi verdi le ricordavano il colore delle foglie intrise di rugiada la mattina presto.
‒ Sembra che siano tutti pieni di sé, ma in realtà sono pezzi di pane ‒ esordì. ‒ Zachary Recket, credo che non ci siamo mai parlati prima ‒ le porse la mano.
Lei la strinse.
‒ Tra poco dovrebbe iniziare l’evento ‒ sorseggiò dal suo bicchiere. ‒ e noi ci annoieremo parecchio.
‒ Hai qualche amico che partecipa al torneo? ‒ domandò lei.
‒ Un paio, tu?
‒ Sì, quasi tutti… ‒ rise.
La ragazza si mosse appena verso le pareti in vetro. Gli spettatori più vicini la notarono subito ed esultarono verso di lei, la foga si sparse a macchia d’olio contagiando sempre più persone, tutti si voltavano a guardarla e gridavano il suo nome o facevano foto. Lei salutò un tantino imbarazzata. Seriamente erano bastate quattro o cinque telecamere puntate contro per farle ottenere tanta fama tra le persone?
‒ Come fate a sopportare questo tutto il tempo? ‒ domandò a Zachary Recket che nel frattempo le si era avvicinato scatenando una seconda ondata di grida.
‒ Non lo facciamo ‒ spiegò semplicemente alzando il bicchiere in direzione degli spettatori in modo da ricambiare il loro calore. ‒ Dopo un po’ ti ci abitui, basta rendersi conto che sono persone proprio come te… ‒ spiegò lui.
‒ È così strano.
‒ Certo, ti adorano, sei una specie di leggenda per tutti loro.
Sapphire sorrise.
‒ Zack, ti dispiace? ‒ disse una voce da dietro le loro spalle. Sapphire avvertì una fortissima fitta allo stomaco.
‒ Oh, figurati ‒ e il Campione di Adamanta si spostò da lì.
Ruby comparve accanto alla sua ex rivale e migliore amica. Un boato fragoroso quanto quello emesso dalla folla per Sapphire e Zack messi assieme si levò dagli spalti. Ormai si era diffusa la voce che in quella terrazza c’erano i pezzi grossi. Nove mesi erano passati dall’ultima volta che i due avevano parlato, e lei gli aveva chiuso la finestra in faccia. Certo, in quell’occasione ne erano passati dieci dalla volta ancora prima.
‒ Tanta gente, eh? ‒ fece lui.
‒ Tanta gente, sì ‒ ripeté atona lei.
‒ Quasi due anni per vincere tutte quelle medaglie? Non avresti potuto fare di meglio ‒ la elogiò quasi ironicamente.
Lei non ribatté.
‒ Perché non sei mai venuta alla Lega di Hoenn? ‒ chiese.
‒ Perché avrei dovuto? Non è mia intenzione diventare Campione.
‒ Capisco… ‒ Ruby girò i tacchi per andarsene.
‒ Non era neanche la tua ‒ mormorò Sapphire fermandolo.
Ruby si prese del tempo per ribattere. ‒ Hai ragione, non lo era…
‒ E di sicuro uno non cambia idea così radicalmente a causa della morte dei genitori ‒ la ragazza non sapeva da dove le venissero quelle parole. Non era mai stata delicata, ma neanche così cruda. Percepì il sussulto di Ruby, per la prima volta lo vedeva abbandonare quella sua innata sicurezza.
‒ Ci sono scelte che uno deve compiere, ad un certo punto – era più serio, la sua voce aveva perso quella tinta serena che lo contraddistingueva.
‒ Immagino ‒ rispose la ragazza cercando utilizzare la voce più distaccata che le riuscisse. ‒ Tanto chi è nato una volta, sa già come risorgere ‒ sibilò con ironia crudele.
Ruby tacque. Quindi fece una risatina. ‒ Bella collana… ‒ e se ne andò.
Sapphire arrossì, aveva completamente dimenticato di avere al collo il ciondolo blu zaffiro che le aveva regalato lui. Mostrare di portarlo era come dargliela vinta. Lo prese tra le mani, se lo strappò di dosso e lo ficcò in tasca. Indignata, uscì dalla stanza e scese le scale. Decise di andare a fare gli auguri a Crystal e Yellow che erano le uniche del loro gruppo che quel giorno avrebbero combattuto. Le incontrò al primo piano, in una terrazza simile alla sua ma molto più grande, posta ad un’altitudine totalmente diversa e piena come un uovo di personaggi sconosciuti ai più. Sapphire si mosse in mezzo ad Allenatori la cui età media non superava i diciotto anni, quindi era più o meno in mezzo a dei coetanei. Tutti la guardavano e qualcuno un po’ più arrogante la additava pure, riconoscendola. Ovunque passasse lei, si creava il silenzio. Si rese conto che c’era veramente tanta gente là dentro, forse anche un centinaio di Allenatori. Ma giustamente, persino qualsiasi principiante che aspirasse a vedere il proprio nome nell’albo dei partecipanti e che non si curasse di perdere al primo incontro si era iscritto. La ragazza prestò realizzò che nei confronti di quei “novizi”, affatto paragonabili a Crystal e Yellow che non si erano mai gettate nelle lotte in palestra ma avevano esperienza e talento coi Pokémon, provava una strana sensazione. La guardavano come fosse ciò che più ammirassero al mondo e la cosa un po’ la rendeva orgogliosa e un po’ la faceva sentire a disagio.
‒ Sapphire! ‒ esclamò una voce conosciuta.
Crystal e Yellow le si presentarono uscendo dalla massa di ragazzi.
‒ Eccovi ‒ Sapphire le abbracciò.
‒ Ho sentito che dovrebbero già essere stati sorteggiati gli abbinamenti ‒ comunicò Yellow.
‒ Bene, in bocca al lupo, allora ‒ augurò quella.
‒ Sì, veglia su di noi da lassù… ‒ scherzò Crystal.
“A breve verrà mostrato il tabellone degli incontri, si consiglia a tutti gli Allenatori di rango C di prepararsi a lottare” disse una voce robotica proveniente dall’etere.
Sapphire notò che tutti cominciavano ad avviarsi verso il corridoio laterale che aveva visto anche al suo piano. Realizzò che esso dovesse portare agli spogliatoi, o qualcosa di simile.
‒ Va bene, vi lascio, date una bella lezione a tutti, eh ‒ si congedò la ragazza.
La salutarono entrambe prima di dirigersi pure loro dentro quel corridoio. Sapphire rimase sola nella tromba delle scale. Riprese l’ascensore e salì di nuovo al quarto piano. La stanza dei pezzi grossi la aspettava mezza vuota come prima.
Nell’esatto momento in cui la porta dell’ascensore si aprì, tre forti spari uno dopo l’altro risuonarono nello stadio. Giochi pirotecnici, serviva ad allertare il pubblico dell’inizio effettivo del torneo. Tutti i rango S si avvicinarono alle vetrate e guardarono giù verso l’arena. Un presentatore rinchiuso in una qualche tribuna stampa cominciò a parlare al microfono.
“Benvenuti, signore e signori al dodicesimo Campionato Pokémon Internazionale, sotto il sole di Vivalet, siamo quasi duecentomila dentro l’Holon World Stadium più tutti i quattro milioni di telespettatori che ci seguono da casa…” e l’entusiasta introduzione dell’evento durò per fortuna poco limitandosi allo stretto necessario delle informazioni. “…ecco a voi, il tabellone degli incontri del girone C, abbiamo ben duecentocinquantasei partecipanti, esso è suddiviso in cinque turni e vedrà otto vincitori alla sua conclusione, i quali avranno accesso al girone successivo. Ricordiamo che quest’oggi a scontrarsi saranno gli Allenatori che hanno vinto fino ad un massimo di otto medaglie, quindi dai novizi fino a quelli che potrebbero avere accesso ad una Lega Pokémon…”
Sapphire non lo seguiva più, era occupata a fissare la proiezione del tabellone che appena dopo essere essersi illuminata su uno dei maxi schermi dello stadio era comparsa in scala molto più piccola su una delle pareti della stanza. Sembrava che quei muri bianchissimi fossero anche dei display. La ragazza cercò in mezzo a quei cento o centocinquanta partecipanti i nomi di Crystal e Yellow. Le trovò entrambe, si trovavano contro due Allenatori il cui nome le suonava del tutto sconosciuto e dopo sì e no due minuti le fuggì anche di testa.
Una troupe composta da due cameraman ed due microfonisti comparve all’interno della stanza dei pezzi grossi. Ignorati da tutti i presenti, cominciarono a sistemare le loro attrezzature.
“…quelli che si svolgeranno saranno incontri a tre Pokémon per Allenatore, non è permesso l’utilizzo di alcuno strumento da parte dell’Allenatore né di Pokémon non registrati nella scheda Allenatore. Ad ogni partecipante sono concessi fino a tre cambi per ogni incontro…” proseguiva intanto il presentatore. “…tutti ovviamente si scontreranno nel Campo Lotta di terreno neutro, friabile ma compatto, asciutto ma permeabile…”
Sapphire si accorse della troupe appena penetrata nel loro piano.
“…saranno anche proiettati in diretta i commenti degli Allenatori di rango S che entreranno solo nell’ultimo girone…”
Tutti compresero il motivo della presenza degli operatori televisivi.
Tra un boato del pubblico, una convocazione più che entusiasta da parte del telecronista, un tema musicale mandato dagli altoparlanti, gli scontri cominciarono. Sapphire rimase stupefatta quando si rese conto che, accanto al tabellone che nel frattempo era rimasto al suo posto proiettato sul muro, comparvero numerose altre schermate raggruppate in tre colonne, una per ogni incontro. Alcune davano viste prospettiche o a volo d’aquila dello scontro, altre riportavano invece tutti i dati resi pubblici a proposito degli Allenatori occupati nelle lotte. Da quella stanza, oltre alla vista dal vivo i cui suoni arrivavano a loro un poco ovattati ma comunque chiari, avevano le telecronache di ogni incontro e le riprese in contemporanea da ogni angolazione possibile. La ragazza sperò vivamente che pure quelli dei piani di sotto avessero tale privilegio.
Pian piano, con lo scorrere degli incontri e l’incedere del pomeriggio, la troupe cominciò a chiamare uno alla volta tutti i presenti per un commento tecnico ed esperto a proposito di un evento particolare o della comparsa di un presunto Allenatore-rivelazione. Per fortuna, Sapphire era la meno ricercata dagli inviati. Era l’idolo delle folle, certo, ma non imprimeva allo spettatore il senso di autorità di un Campione della Lega. Nardo era quello che più faceva ridere tutti, Antares pure ci riusciva, Camilla, Lance e Diantha erano il più possibile seri e tecnici, Iris, Red e Zack restavano neutri mentre Ruby non poteva fare a meno di esprimere una personale opinione pure a proposito della classe o dell’eleganza di alcuni Pokémon impegnati nello scontro. Zero non veniva mai chiamato.
La sera arrivo presto, quando fu il momento dello scontro di Yellow, Red si avvicinò alla vetrata guardando con attenzione ogni singola mossa dei due sfidanti. Aveva chiesto che non le fosse chiesta alcuna opinione a proposito dello lotta. Yellow affrontò un ragazzo un po’ più alto di lei ma che non dimostrò di essere tanto più maturo. Vide cadere al tappeto solamente uno dei suoi Pokémon, poi vinse lo scontro con Omny, il suo Omastar. Red, che aveva seguito tutto lo scontro quasi senza mai sbattere le palpebre, esultò con contegno.
Poco dopo fu il turno di Crystal, ancora una volta Red si appostò accanto all’amica per seguire lo scontro con attenzione. Crystal vinse senza perdere neanche un Pokémon.
‒ Ok, bene così… ‒ mormorò Red.
E in effetti stavano seguendo dall’inizio quel girone solo per le loro due amiche, il resto era solo un susseguirsi di lotte tra principianti, prevalentemente. Poco interessante e avvincente. Il torneo andò avanti. Dopo poco tempo le due Dexholder giunsero al secondo scontro, che vinsero entrambe naturalmente, e ancora più tardi al terzo, dal quale ancora una volta uscirono vincitrici. La sera stava per scendere ormai, era tardi. Per fortuna la struttura dello stadio permetteva a tutti gli spettatori di muoversi liberamente o di uscire per poi rientrare in seguito, le gallerie che correvano sotto gli spalti erano inoltre dotate di ogni comodità come bagni e ristoranti. Era un’arena costruita per seguire eventi della durata di minimo tre ore, costringere tutta quella gente in un solo posto tutto quel tempo sotto il sole di giugno avrebbe potuto essere denunciato in quanto crimine contro l’umanità.
Si era fatto tardi, i partecipanti che col primo scontro si erano dimezzati, erano rimasti decimati ancora due volte. Rimanevano solo trentadue Allenatori quando sia Red che Sapphire si resero conto di una cosa: il prossimo scontro di Yellow e Crystal, vedeva proprio Yellow contro Crystal.
Le ragazze di Kanto e Johto si avvicinarono al Campo Lotta convocate dal presentatore. Sapphire era certa che tutti i suoi amici stessero fissando con sguardi ansiosi quell’incontro che di lì a poco sarebbe iniziato. Crystal e Yellow si scambiarono un’occhiata fugace.
Vennero giù i loro primi Pokémon: Gravy, ossia Golem, per la bionda di Kanto e Arckee, ovvero Arcanine, per la mora di Johto. Tutto iniziò con un Devastomasso di Golem che lasciò al Pokémon Leggenda ben poca voglia di continuare. Arcanine rispose con Turbofuoco, mossa che inflisse danni minimi ma intrappolò l’avversario impedendogli di tornare dalla sua Allenatrice. Era una tattica, quella di Crystal, che sostituì Arckee con il suo Hitomonee. Pugnorapido prevenne Pietrataglio avversario e Centripugno mandò Golem al tappeto. Il secondo Pokémon di Yellow fu Kitty, il suo Butterfree. Cominciò con Raffica che fece momentaneamente perdere l’equilibrio a Hitmonchan, quindi un subdolo Aerasoio stroncò ogni sua reazione sul nascere. Ma Hitmonchan si rialzò e riuscì a indirizzare un Gelopugno contro il nemico che però resistette stoicamente, lo investì per risposta con la potenza di uno Psicoraggio scagliato dalle sue antenne e lo mandò KO. Tornò Arckee dal lato di Crystal. Prima sostituzione per Yellow che cambiò Kitty con Omny. Surf di quest’ultimo investì Arcanine facendolo soffrire parecchio, ma il Pokémon non si arrese e si slanciò in un violentissimo Extrarapido che fece ruzzolare a terra Omastar. A poco però servì la sua grinta quando un potente Idropulsar lo scaraventò dall’altra parte del campo mandandolo a terra. Ultimo Pokémon per Crystal: Meganee, il suo Meganium. Omastar fu vinto all’istante da un micidiale Solarraggio che sfruttò l’energia solare accumulata in tutta la giornata estiva. Kitty tornò in campo.
Yellow era in vantaggio di tipo, ma il suo Butterfree aveva già subito ingenti danni.
‒ Chiudiamola qui, Chris, Ronzio!
Un forte suono simile al battito di un paio di ali si diffuse ovunque, raggiunse le orecchie di Meganium danneggiandola.
Radicalbero! ‒ Crystal aveva reagito d’istinto con la prima mossa che le era venuta in mente.
Tralci e radici della larghezza di un braccio umano cominciarono a fuoriuscire dal terreno, alcuni afferrarono Butterfree e altri la puntarono come armi letali pronte a far fuoco. Il rumore cessò. Sembrava che Kitty fosse prossima ad uscirne sconfitta quando un coloratissimo Segnoraggio colpì Meganee in pieno petto. Ma non c’era niente da fare, il dislivello era troppo perché fosse colmato, con un letale Foglielama Kitty andò finalmente al tappeto, Crystal era la vincitrice dell’incontro. Yellow non osò guardare in direzione di Red, ma apparentemente prese la cosa con un sorriso e una risata. Red pure, d’altra parte.
Sapphire notò la somiglianza delle reazioni e non poté fare a meno di sorridere anche lei.
Ci furono un altro paio di incontri, tra cui il quinto di Crystal, prima della fine del torneo che giunse con precisione svizzera ad esattamente sette ore dall’inizio: alle ventidue e diciassette. I vincitori del primo girone erano otto, tra di loro c’era la Catcher di Johto, e tutti avevano vinto ben cinque incontri. Ai vincitori fu consegnata una targa commemorativa, i loro nomi e le loro facce rimasero proiettate sui maxi schermi per tutto il tempo della chiusura.
Lo stadio cominciò a svuotarsi, le ultime parole strappate ai pezzi grossi dai giornalisti erano quelle più sostanziose ma anche più assonnate. Alla fine verso le undici meno un quarto tutti i Dexholder erano di nuovo in hotel. Crystal e Yellow sembravano due stracci, dalla stanchezza. Qualcuno aveva provato ad essere delicato con Yellow, ma appena lei lo notava cercava di far capire come prendesse sul ridere la sconfitta e fosse felice per la sua amica che invece era passata al girone successivo.
Scese la notte fonda. Tutti loro si trovavano sulla terrazza dell’ultimo piano, Yellow si era addormentata sulla spalla di Red, tutti gli altri si godevano la piacevole brezza serale. Nessuno parlava, si udiva solo in lontananza il caos delle strade sottostanti miniaturizzato rispetto alla loro situazione si serenità. Avevano pure chiesto di spegnere le luci del balcone e del corridoio per potersi godere il cielo talmente stellato da non sembrare una distesa nera puntellata di bianco ma un tavolo bianco un po’ sporcato di nero.
‒ Dite che domani sarà più interessante? ‒ domandò ad un certo punto un assonnatissimo Gold.
‒ Ci sottovaluti ‒ mormorò di risposta Green.
Andarono a dormire di lì a poco. Il giorno seguente si sarebbero affrontati i vincitori del primo girone, i Capipalestra, gli Assi del Parco e pure gli Allenatori un po’ più esperti che avevano vinto già un buon numero di medaglie.

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Capitolo 5
*** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 2 ***


Capitolo 2: Ludi circenses pt. 2
 
 
Sapphire si trovò di nuovo, alla stessa ora del giorno prima, infilata dentro quella tribuna-terrazza assieme agli altri pezzi grossi. La voce del presentatore tornò a propagarsi per tutto lo stadio sovrastando le ovazioni del pubblico. L’introduzione fu più breve di quella del giorno precedente, bisognava soltanto puntualizzare che quel giorno ai vincitori del girone precedente si sarebbero aggiunti i Capipalestra provenienti da tutte le regioni fuorché Holon, gli Assi dei Parchi Lotta di tutto il mondo e gli Allenatori con un numero di medaglie compreso tra nove e ventiquattro. La maggior parte dei Dexholder che non aveva ancora un impiego stabile, si era dilettato a sfidare le palestre in giro per il mondo: Sapphire ne aveva conquistato un numero spropositato; Gold e Blue sarebbero entrati al girone seguente dal momento che avevano superato la quota di ventiquattro, solamente Silver; che aveva sfidato Capipalestra a tempo perso, avrebbe lottato quel giorno. E ovviamente anche Green, in qualità di Capopalestra di Smeraldopoli.
Avendo già augurato buona fortuna ai due amici, Sapphire si mise a scrutare il tabellone appena proiettato sul muro. Si rese conto di conoscere quasi tutti quei nomi, settantadue di quelle persone lei le aveva già affrontate. Poi c’erano gli otto vincitori del giorno prima, i boss dei parchi lotta e infine una trentina di Allenatori per lo più ignoti alla gran parte ma che evidentemente negli anni si erano impegnati abbastanza da conquistare tutte quelle medaglie. Il numero era drasticamente più basso rispetto a quello degli sfidanti sconosciuti del primo turno poiché pochi erano quegli stoici che abbandonavano la propria regione per andare a lottare in palestra anche nelle altre, se lo facevi eri o un rampollo di una qualche famiglia importante o un Dexholder.
Gli incontri cominciarono.
Il pubblico era estasiato: il livello si era rialzato parecchio rispetto al giorno prima, le lotte erano spettacolari e devastanti e almeno questa volta i commentatori, ossia gli Allenatori di Rango S, avevano osservazioni interessanti da fare sulle tattiche o sulle trovate geniali di certi lottatori. Tra tutti si distinsero particolarmente Corrado, il Capopalestra più forte si Sinnoh, Sandra, la sorella di Lance e Adriano, che era stato Campione di Hoenn. Ovviamente anche Green fece il suo figurone. Crystal resistette per due turni prima di finire contro Alfredo e cedergli il turno. Lei accettò la sconfitta con una risata di rammarico, ma il pubblico le comunicò il suo sostegno con uno dei boati più forti che avesse mai emesso durante tutto l’evento. Aveva realizzato comunque un risultato migliore di tutti quelli che avevano passato il girone assieme a lei e che avevano perso alla prima lotta. E anche di tutti i trenta Allenatori entrati con in mano più di otto medaglie che morsero un duro boccone di realtà comprendendo che i Capipalestra non utilizzano tutto il loro potere nelle lotte contro gli sfidanti, poiché devono soltanto testare che le loro abilità abbiano raggiunto un certo livello. Rimase di loro solamente Silver che si giostrava in mezzo a quelle bestie fameliche con il suo marmoreo broncio di serietà.
Sapphire notò che Ruby era interessato ad uno in particolare dei suoi Capipalestra: Lino. Il ragazzo che era stato allievo di Norman aveva preso il suo posto come leader di Petalipoli non appena Ruby era riuscito a divenire Campione sconfiggendo Rocco. Era incredibile, sembrava che le qualità di Norman si fossero come impiantate in lui ma anche che quest’ultimo avesse quasi paura di utilizzarle. Fece finta di ignorare o rispondeva solo con un leggero cenno di assenso alle occhiate che Lino gli lanciava attraverso il vetro dopo ogni vittoria.
‒ Papà non è mai stato particolarmente estroverso, ma si capiva che avesse visto la grandezza in lui ‒ lo sentì dire a Red.
Notò anche che era la prima volta dopo tanto tempo che vedeva i due Campioni-Dexholder rivolgersi la parola. Le sembrava strano, ma non le dava più di tanto fastidio. Notò l’espressione di Red, troppo concentrata sulle lotte per dimostrare ben che minima attenzione a Ruby. E come poteva biasimarlo, ciò che avveniva sotto i loro nasi era uno dei più grandi spettacoli che mai si fosse visto. E sicuramente pure il pubblico lo aveva notato, già dall’inizio della giornata tra la folla spiccavano striscioni e bandiere di sostegno alla regione intera o ad un singolo Capopalestra.
In quel momento Sapphire lo notò: ogni combattente era vestito in maniera casual o caratteristica del personaggio che si era costruito, ma indossava una fascia attorno al braccio o al collo o a dove gli paresse più gradevole che raffigurava lo stemma della sua regione. Tutte uguali, solo utilizzate in maniera diversa, di sicuro consegnate dall’organizzazione. La ragazza si rese conto all’improvviso di sentire un forte legame nei confronti di Adriano, Alice e Lino, gli unici Capipalestra di Hoenn rimasti in gara. Era forse appartenenza?
Certo, viaggiava fuori Hoenn da parecchio, ma era la sua casa, la sua terra natia. Aveva esplorato la regione in lungo e in largo dai suoi dodici ai suoi sedici anni in compagnia di Ruby, prima degli eventi legati al meteorite che senza il loro intervento avrebbe distrutto il pianeta. Ne conosceva ogni piega e ogni anfratto. Ad Hoenn aveva pianto, ad Hoenn aveva gioito. Da Hoenn era cominciata la sua storia come Conqueror. Ad Hoenn aveva anche conosciuto i suoi migliori amici, in quella fantastica e pericolosissima giornata al Parco Lotta.
Hoenn era una regione meravigliosa, la perfetta unione di terra e mare, e Sapphire si sentiva parte costituente di essa. All’improvviso desiderò di avere una fascia come quella, pensò che forse le sarebbe stata consegnata prima di iniziare a lottare.
‒ Forza ‒ mormorò quasi spontaneamente, appiccicata al vetro e concentratissima sullo scontro che stava svolgendosi in quel momento: Camelia da Sciroccopoli contro Adriano da Ceneride. Entrambi i loro Pokémon erano un manifesto di grazia e bellezza, ma Adriano la surclassò spaventosamente nonostante lo svantaggio di tipi. La ragazza esultò e non poté non far vagare lo sguardo nella stanza desiderosa di incontrare la figura di Ruby in cerca di una sua reazione di qualche tipo. Lo trovò davanti all’obbiettivo della telecamera degli inviati della tv.
‒ Adriano è un Allenatore validissimo, e anche un maestro delle Gare Pokémon, ha tutto il mio sostegno di ex allievo in questo torneo anche perché spero di poterlo affrontare dopodomani nel mio girone… ‒ stava dicendo il ragazzo. Era più serio che mai, sembrava fiducioso nel suo vecchio maestro.
Sapphire ripensò del mantello che gravava sulle spalle del Campione di Hoenn. Quel mantello era appartenuto per lungo tempo a Rocco, per poi passare ad Adriano, tornare al suo vecchio possessore e alla fine migrare fino a Ruby. Rocco, ricordò, aveva rifiutato di essere declassato a Superquattro e si era ritirato in Allenamento alle Cascate Meteora come la volta precedente. Ma dopo quello non aveva mai riprovato ad accaparrarsi il trono una terza volta, era invece volato fino a Holon dove aveva preso un appartamento per fare richiesta di essere assunto come Capopalestra. E lo era diventato: Rocco Petri, Capopalestra di tipo Acciaio nella città di Altelia e proprietario della Devon Spa dopo la morte del padre. Nessuno di Capipalestra di Holon però aveva partecipato a quel torneo, così come i Superquattro e il Campione della regione.
Erano ormai arrivati al terzo turno, il penultimo, rimanevano sedici partecipanti tra i quali figuravano ovviamente Green e Silver.
“Per il primo incontro che decreterà uno dei vincitori del girone B…” tuonò ad un certo punto il presentatore. “Green, Capopalestra di Smeraldopoli contro Palmer, Boss Torre del Parco Lotta di Sinnoh e Johto!”
Il Dexholder uscì dal corridoio degli Allenatori stirando i muscoli, con gli occhi fissi sul terreno di combattimento e la fascia con il sigillo della regione di Kanto stretta al braccio appena sotto la spalla. Batté due colpi con la mano su di essa per poi alzarla con due dita su in simbolo di vittoria verso la tribuna che alzava più striscioni col nome della regione scritto sopra, un’ovazione interminabile si levò da quei quartieri. Il biondo Palmer gli comparve di fronte, gli sorrise e pure lui si mise al suo posto all’altro estremo del campo, con la doppia fascia di Sinnoh e Johto a mo’ di sciarpa.
Fu dato il permesso di iniziare, un Milotic venne fuori per la fazione di Baldo e un Porygon-Z per quella di Green.
Falcecannone! ‒ fu il primo ordine di Green.
Dragopulsar! ‒ quello di Palmer.
Fuochi d’artificio, le due mosse si scontrarono senza però raggiungere l’avversario. Ci fu un secondo rapido scambio di attacchi andato a vuoto tra i due finché Green non riuscì a precedere l’avversario con un attacco Tripletta.
Milotic non subì troppi danni, ma rimase paralizzato. Palmer non si lasciò intimidire, con uno sforzo immane impresso sulla sua Idropompa il Pokémon Tenerezza riuscì centrare il nemico.
Scarica! ‒ intervenne però Green.
E il primo Pokémon nemico sembrava dover cedere.
Surf! ‒ esclamò Palmer.
La risposta di Green fu rapida, con Conversione2 Porygon ne uscì quasi illeso trasformandosi in un tipo Erba.
Solarraggio! ‒ aggiunse prontamente il Capopalestra.
Vittoria assoluta. Milotic cadde al tappeto con dignità dopo aver resistito a ben tre potenti mosse avversarie. Palmer fece una smorfia e lo scambiò con Dragonite. Green imitò il cambiò, mandando in campo Charizard.
Tra i due rettili cominciò uno scontro ad alta quota composto per lo più da artigliate feroci e violente codate. Gli Allenatori si limitavano a dare alcune sporadiche indicazioni ogni tanto, ma nel frattempo nessuno dei due aveva ancora utilizzato una mossa speciale.
La zuffa proseguì per un po’ finché Green non colse un attimo particolare in cui Dragonite stava prendendo la carica contro il nemico con le ali nella loro massima apertura e ‒ Ondacalda! ‒ ordinò a Charizard.
Il forte vento torrido non inflisse danni ingenti all’avversario ma gli fece perdere l’equilibrio, cosa che permise al Capopalestra di sferrare un secondo colpo: Dragopulsar.
‒ Pietrataglio! ‒ Palmer era su tutte le furie.
Charizard fu colpito in pieno dalle aguzze rocce lanciate dal Pokémon Drago, ma non cedette.
Oltraggio! ‒ continuò quindi il Boss Torre.
Dragonite si scagliò contro l’avversario già tentennante raccogliendo ogni sua singola energia. Charizard rovinò sul terreno, ma non ebbe tempo di riprendere fiato, un secondo crudele affondo di Dragonite gli strappò un ruggito di dolore. Charizard era a terra, Dragonite stava tornando ad alta quota.
Muro Di Fumo! ‒ fu l’ordine di Green.
In un istante, una cortina di caligine nera e densissima coprì tutta l’area del combattimento. Dragonite, implacabile, tornò giù a gran velocità per l’ultimo affondo prima della confusione. Ma nessuno udì tonfi o ruggiti. In poco tempo, il fumo si diradò. La scena che tutto il pubblico si ritrovò a fissare in presa all’ansia strappò ad ognuno dei presenti un grido di esultanza data la sua epicità. Charizard era sparito, al suo posto era comparso uno Scizor dall’armatura scintillante che stringeva Dragonite per il collo con una delle sue chele micidiali. La mossa usata era Ghigliottina. Lo suggerivano gli occhi di Dragonite che avevano perso la loro tetra luce di furore e si erano invece svuotati di tutta l’energia. Dragonite era KO.
Il Boss Torre trasse un lungo sospiro e sembrava dover imprecare da un momento all’altro. Ma si calmò. Tutti i suoi commenti furono riassunti da un sorriso di sfida rivolto al suo avversario. Cresselia sostituì Dragonite negli avamposti del suo esercito. Green era più carico che mai. Venne in campo avvolta in nastri di energia luminosa più splendida che mai.
Forbice X!
‒ Psicotaglio!
Green era in vantaggio tecnico, con un Pokémon Coleottero-Acciaio, ma Cresselia era pur sempre un Pokémon leggendario. E con una certa predilezione per la difesa, anche.
Lo scontro si svolse lentamente, Scizor non riusciva ad evitare il grosso delle mosse avversarie, finendo a terra spesso, ma rispondendo con violenza incredibile attraverso gli ordini del suo Allenatore. Green era deciso a vincere, ma Palmer sembrava particolarmente sicuro del proprio asso nella manica.
Quando tutti e due erano evidentemente affaticati, uno scontro tra un Metaltestata e uno Psicoshock fece crollare il terzo Pokémon di Green. Non era stata una mossa particolarmente potente, ma solo la goccia che fece traboccare il vaso, la fatica si sentiva da entrambi i lati. Il Capopalestra di Smeraldopoli era deluso, avrebbe voluto concludere la partita senza ricorrere di nuovo a Porygon-Z. Lo mandò di nuovo in campo.
Raggiaurora! ‒ esclamò Palmer ricordando la conversione del Pokémon avversario al tipo Erba.
Segnoraggio!
Le due emanazioni di energia si sfiorarono, andando a segno entrambe. E mentre il pubblico tratteneva il fiato per sapere se uno dei due Pokémon avrebbe riaperto gli occhi per primo decretando il vincitore, Green ebbe l’intuizione.
Porygon-Z tornò nella sfera, esausto e al suo posto si mostrò Charizard, distrutto ma ancora cosciente. Dal lato opposto del campo, Cresselia non dava cenni di vita.
“Il vincitore è Green, Capopalestra di Smeraldopoli!”
Caos dalle tribune.
‒ Sì! ‒ si lasciarono sfuggire assieme Sapphire e Red.
Green, senza perdere il suo piglio di serietà, si rivolse verso le terrazze di partecipanti e guardò Furio, suo ex maestro, uscito al turno precedente. Fece un cenno col capo, quello rispose annuendo fiero. Palmer strinse la mano al suo avversario e accettò la sconfitta di buon grado, per i suoi standard almeno.
Gli scontri che si tennero subito dopo non furono meno emozionanti: Corrado da Arenipoli vinse Cyprian da Grecalopoli, Adriano da Ceneride sconfisse Blaine dall’Isola Cannella. Alfredo da Mogania batté la sua vicina Sandra da Ebanopoli. Cassandra da Idresia, Capitale di Sidera, abbatté Edel da Fractalopoli e infine Aristide da Boreduopoli mandò a casa Alice da Forestopoli. Fu uno spettacolo assistere allo scontro tra Baldo, Re Piramide di Hoenn, e Lt. Surge in cui il primo vinse in maniera esagerata grazie alla sua squadra composta dai tre Regi. Per l’ottavo e ultimo posto di vincitore, si sarebbero affrontati il Dexholder Silver e Lino, successore di Ruby e Norman.
Lo scontro fu intenso, ma quando rimasero soltanto il Cacturne del Capopalestra contro il Kingdra di Silver Ruby si strinse sempre più le braccia al petto come per sostenere con le sue forze la squadra di Lino. Sapphire non riusciva a comprenderlo, ogni volta avere a che fare con Ruby era per lei un’esperienza parallela alla realtà.
Quel ragazzo i cui modi eleganti e un po’ vanesi erano diventati il marchio di fabbrica del suo personaggio, in certi momenti sembrava fare a cambio come in una staffetta col Ruby serio e determinato di qualche anno prima. Qualche anno prima. Quando ancora lui non era sulla copertina di tutte le riviste, sulle varie pagine di gossip, sulle pubblicità delle acque di colonia.
Lino tentò in tutti i modi di sconfiggere il fulvo dagli occhi d’argento, ma la squadra di quest’ultimo ebbe la meglio. Kingdra ne uscì affaticato ma vincitore. Ruby si precipitò fuori dalla terrazza.
Sapphire, che lo fissava con sospetto dall’inizio dell’incontro quasi perdendosi l’intera lotta, lo seguì. Era la prima volta che Ruby abbandonava la terrazza dei pezzi grossi.
Si trovava su una rampa di scale a metà strada tra il terzo e il secondo piano quando udì sotto di lei la voce di Lino che, spezzata da singhiozzi asciutti, balbettava qualcosa.
‒ M-mi dispiace, io… non… s-scusa…
‒ Calma ‒ tuonò Ruby deciso.
Lino si zittì, sembrava aver smesso di respirare.
‒ È tutto ok, posso risolvere la questione, non devi preoccuparti, ok? Guardami.
‒ Ruby, ti prego, non permettere che…
‒ No. Andrà tutto bene.
Sapphire, sempre più confusa, udì i passi di Ruby che risalivano le scale. Allungò una mano alla sua destra e ringraziò qualsiasi divinità le venne in mente quando, premendo il bottone dell’ascensore, si rese conto che quest’ultimo fosse già al suo piano. Vi entrò e premette il tasto con l’uno sopra. Scomparve prima che Ruby potesse accorgersi di lei.
Quella sera in hotel si svolse in maniera del tutto differente da quella prima. La giornata era stata molto più movimentata di quella precedente, Crystal aveva subito una sconfitta gloriosa che era stata persino ricordata dai commentatori del post gara come uno degli scontri più emozionanti del girone, Green e Silver erano riusciti ad arrivare tra gli otto vincitori e a passare al girone successivo. C’era allegria nell’aria. Tutti si concessero un brindisi entusiasta anche se assonnato. Gold non mancò di elogiare la bravura di Silver nelle lotte per poi passare velocemente alla sua influenza sulle giovani fan perse di lui. Andarono a dormire tutti soddisfatti, con l’entusiasmo ancora nelle vene.
 
Una terza giornata di fila nella terrazza dei pezzi grossi per Sapphire. Quel giorno, oltre agli otto vincitori del giorno prima avrebbero combattuto i Superquattro di tutte le regioni, i conquistatori di almeno un Parco Lotta e gli Allenatori con un numero di medaglie compreso tra venticinque e quarantotto. Quindi, del suo gruppo di Dexholder, Green, Silver, Emerald, Gold e Blue. Scendendo a dare una pacca di incoraggiamento a tutti, la ragazza si rese conto che i vincitori salivano al piano successivo dopo aver passato il girone. Trovò la terrazza dei rango A molto più libera di quella del piano di sotto, seppe in seguito che essendo di trentasei il totale dei Superquattro e di otto il numero dei rango B promossi, con l’aggiunta degli Allenatori esterni che avevano conquistato quel posto grazie a medaglie o vittorie dei parchi, il numero arrivava appena a sessantaquattro. Quindi si sarebbero svolti tre turni prima di decretare gli otto selezionati che sarebbero andati avanti.
Ricominciò tutto esattamente come il giorno prima, ma più caotico, più rumoroso, più intenso. Tutti coloro che erano arrivati a quel punto godevano di una discreta fama. Persino gli Allenatori non dell’Associazione Pokémon che al turno precedente Sapphire aveva etichettato come sconosciuti, erano parecchio famosi invece stavolta. Forse di più quelli che avevano vinto ai Parchi Lotta. Si rese pure conto, la ragazza, che l’età media si era rialzata parecchio e c’erano molti veterani dai capelli lievemente sbiancati in mezzo a quei sessantaquattro allenatori rango A. Poi l’occhio le cadde su una ragazza: era giovanissima, aveva i capelli scuri e gli occhi dal colore scintillante. Il suo volto era curato e dai tratti nobili.
Quella, probabilmente sentendosi osservata, si voltò verso di lei. Il suo sguardò si riempì di luce più di quanto già non lo fosse già prima. Le venne incontro.
‒ Tu devi essere Sapphire Birch ‒ fece quella. La sua voce era calma e serafica, con un accento distinto.
‒ Ehm… sì ‒ rispose lei.
‒ Il mio nome è Platinum Berlitz ‒ si presentò. ‒ e sono una dei Dexholder di Sinnoh.
Sapphire non poté trattenere un’espressione di gioia geneticamente modificata. Era felice di sapere che ci fossero altri Dexholder ma aveva sempre creduto che il suo gruppo di amici detenesse fieramente quel titolo.
‒ Piacere, ecco ‒ ebbe l’illuminazione ‒ ho sentito parlare di te, hai conquistato il Parco Lotta di Sinnoh l’anno precedente.
Quella annuì.
‒ Sì, ti conosco, vieni, ti presento ai miei altri colleghi ‒ E la accompagnò da coloro che aveva appena salutato.
Il volto di Platinum si riempì di una sorta di controllato stupore quando questa incontrò tutti quei Dexholder insieme. A livello fisiognomico dimostrò di conoscerli tutti. Ma i cinque ebbero purtroppo poco tempo per parlare, il presentatore cominciò con la solita introduzione del girone della giornata, Sapphire dovette risalire in fretta e gli altri furono costretti a prepararsi.
‒ Buona fortuna, Platinum! ‒ esclamò la ragazza di Hoenn vedendola andare via.
Era una ragazza impressionante, con un portamento elegante ed era stata abbastanza brava da entrare nello stesso girone di gente come Emerald o Blue nonostante avesse solo tredici anni. Sapphire pensò più a lei che ai suoi amici tornando di sopra.
‒ Ho incontrato una Dexholder di Sinnoh, si chiama Platinum ‒ disse a Red trovandolo davanti alla vetrata.
‒ La conosco di fama ‒ annuì. ‒ Hai presente Palmer, quello contro cui Green ha rischiato quasi di perdere?
Sapphire annuì.
‒ Lei lo ha battuto alla Torre Lotta, dopo quarantanove lotte consecutive.
Sapphire ebbe un sussulto di stupore.
Fu mostrato il tabellone degli incontri, proprio per primo venne chiamato Emerald a scontrarsi con Mirton, dei Superquattro di Unima. Il biondo vinse quasi senza alcun problema. Passarono il primo turno pure Gold, che batté Malva da Kalos, Silver che ebbe la meglio su Frida da Hoenn, Blue e Green che sconfissero rispettivamente Cassandra e Karen. Anche Platinum riuscì a vincere contro Aristide e andò avanti. Al secondo turno, con rammarico di tutti i loro amici, dovettero affrontarsi Silver e Blue. Ogni singolo Dexholder di Kanto, Johto o Hoenn conosceva l’affetto che legava i due, ovviamente secondo tutti non ci sarebbe potuta essere eventualità peggiore. Tuttavia, si erano già tutti preparati ala possibile sfida contro un proprio amico, quindi sia Blue che Silver inghiottirono l’amaro boccone e scesero in campo. Lo scontro vide Feraligatr, Rhyperior e Honchkrow contro Clefable, Nidoqueen e Blastoise e sprigionò un’energia incredibile. Sotto gli occhi attoniti di tutti i loro compagni, Silver e Blue furono più che violenti e spietati.
Silver ne uscì vincitore per poco, con ancora il suo Honchkrow ancora in piedi. Blue, digerita immediatamente la sconfitta, si diresse verso l’amico al centro del campo e lo abbracciò.
‒ Sei stato bravo, Silver ‒ gli sussurrò all’orecchio.
Ovviamente le telecamere notarono il sottile movimento delle sue labbra e nelle ore seguenti i più disparati opinionisti della televisione provarono ad identificare le parole della ragazza che aveva concesso un simile gesto di tenerezza a colui che l’aveva sconfitto. Blue si riprese in parte scoppiando a ridere a crepapelle leggendo le varie teorie che circolavano sul web.
Negli incontri successivi si portarono al terzo turno con una vittoria pure Emerald, Gold, Green e Platinum. Erano rimasti solo in sedici. Quando un paio di scontri alzarono l’entusiasmo della gente ancora di più, per quanto possibile: Vulcano e Corrado, amici da sempre, si affrontarono e fu proprio il Capopalestra ad uscirne vincitore. Nardo non si trattenne dallo scherzare dicendo “potrebbero anche scambiarsi i ruoli” non rendendosi conto di essere stato più che equivoco, data percepibile differenza di stipendio tra i due. Quindi Luciano abbatté Bruno per vantaggio di tipo, come suggerì qualcuno. Tuttavia dopo poco Koga riuscì a vincere Catlina, sfatando tale voce. Green vinse il Superquattro di Sidera, Algol e Silver sconfisse quello di Kalos, Narciso. Gli altri vincitori del girone furono Drake, Superquattro di Hoenn, Baldo, Re Piramide che non intendeva arrendersi e infine Adriano, che sconfisse Platinum. Dopo che l’ultimo suo Pokémon cadde a terra, ella rimase per qualche istante ferma sul posto. Sembrava scossa internamente dal desiderio di piangere senza però mostrare alcun sentimento al di fuori. Adriano le corse incontro con volto serio. Le prese la mano e, inginocchiandosi la baciò dolcemente.
‒ È stato un onore, signorina, la vostra fama non mente ‒ le sussurrò.
Erano pochi a chiamarla così, a conoscerla per ciò che aveva fatto davvero e darle del voi. Platinum comprese subito che qualcuno aveva parlato ad Adriano delle sue avventure e rimase piacevolmente sorpresa. Se ne andò con un sorriso serafico stampato in volto. Ovviamente anche quella del baciamano fu una delle scene che fecero parlare di più i commentatori sia durante che dopo l’evento. Sapphire si rese conto che nei momenti vuoti, per quanti pochi fossero, venivano mandati sui maxi schermi i replay delle scene più avvincenti e commoventi del torneo. Se ne rese conto solo in quel momento perché l’abbraccio di Silver e Blue e il baciamano di Adriano e Platinum fu sparato con la frequenza di uno spot pubblicitario su una tv satellitare.
“Siamo qui per l’ultimo incontro di oggi che ci darà l’ottavo, l’ultimo vincitore del girone A…”
Sapphire si rese conto che mancava effettivamente ancora una lotta. Cercò lo sguardo di Red e, incrociandolo, comprese che pure lui se ne era completamente dimenticato. Gold contro Emerald. Era incredibile quanto fosse facile distrarsi dal tenere d’occhio il resto del tabellone in mezzo al tifo per i propri corregionali, il sostegno per gli amici, gli scossoni emotivi di certe scene particolarmente emozionanti e il caos generale dell’evento.

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Capitolo 6
*** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 3 ***


Capitolo 2: Ludi circenses pt. 3
 
 
Scesero in campo il biondo di Hoenn e il moro di Johto. Si fissarono a lungo.
‒ Quando voglio so essere delicato… ‒ gli disse ironico Gold.
‒ Tieniti la delicatezza per le tue amichette, ora si gioca duro ‒ ribatté Emerald.
‒ Abbiamo passato i lati della mappa?
‒ Proprio così, qui ci sono i mostri ‒ rispose Emerald cogliendo il riferimento.
Dusknoir contro Ambipom, fu il primo testa a testa. I due sfidanti si guardarono prima di poter chiamare una singola mossa e, come fosse tutta una commedia, ritirarono il proprio Pokémon all’istante in perfetta sincronia. Normale-Spettro, due tipi che non possono praticamente toccarsi.
Togekiss contro Sudowoodo, e stavolta lo scontro partì in quarta.
‒ Togebo, Forzasfera!
‒ Sudowoodo, Frana!
Partì un incontro che lasciò entrambi i Pokémon senza forze, finché la vena bastarda di Gold non venne fuori davvero.
‒ Togebo, Ondashock, mancalo!
Emerald, calcolatore perfetto nelle lotte Pokémon, fu ingannato dalla succulenta mossa di tipo Elettro che gli era stata appena servita, di riflesso usò Mimica senza neanche pensarci. Poi si rese conto che il comando di Gold non poteva intendere davvero quello che sembrava.
Togekiss, infatti, anziché Ondashock utilizzò Cediregalo. Cedendo all’avversario un bel niente, che era quello che aveva addosso. Sudowoodo, invece, copiando la mossa ed eseguendola nell’immediato, consegnò molto generosamente la sua Baccacedro al Pokémon di Gold. Togekiss ne fu parecchio felice, recuperò un bel po’ di salute e stese il nemico con una Forzasfera rinvigorita sotto la mascella caduta a terra di Emerald e di tutto il resto dello stadio.
‒ Tattica, bro’ ‒ mormorò Gold riempiendo l’unico momento di silenzio a cui tutto il torneo avesse mai assistito.
‒ Quanto sei…
Emerald non concluse la frase e mandò in campo Dusknoir. Il Pokémon Pinza fu colpito da un Eterelama ma evitò di smuoversi dalla sua posizione. Mise invece KO l’avversario con un paio di ignorantissimi Tuonopugno.
Gold non si abbatté minimamente e fece scendere in campo Explo, il suo Typhlosion. Con un potente Lanciafiamme riuscì a causare danni notevoli all’avversario.
Furtivombra! ‒ ordinò Emerald confidando nella rapidità della mossa.
Ruotafuoco sul posto! ‒ e il Pokémon Eruzione di Gold riuscì a scamparla rendendo incandescente l’aria che lo circondava.
Ad Emerald venne l’idea.
‒ Ancora Furtivombra poi Gelopugno e Tuonopugno!
Ciecamente fiducioso nel suo Allenatore, Dusknoir comparve una seconda volta alle spalle di un infuocato Explo. Sferrò a mo’ di tenaglia i due pugni sull’avversario che, assieme alle fiamme generate dal nemico formarono una fattispecie di attacco Tripletta fatto in casa. Caso volle che Typhlosion rimanesse paralizzato da quella strana reazione che amplificò la possibilità dei pugni di Dusknoir di indurre effetti speciali.
Sciagura!
Typhlosion sembrò avvertire un dolore fortissimo lungo la spina dorsale e si contorse in pose terrificanti, la mossa raddoppiava di potenza se l’avversario soffriva di condizioni collaterali.
‒ Explo, Incendio! ‒ l’ultima carta di Gold.
Protezione! ‒ mossa banale ma efficace. Il soldato di Emerald non cedeva il passo e approfittò del momento che il nemico si concesse per recuperare stendendolo definitivamente con un potente Pugnodombra.
Gold si morse le labbra, il suo team leader era KO. Togekiss tornò in grande stile tentando un Extrasenso che mandò quasi al tappeto l’avversario.
Aeroattacco!
‒ Gelopugno!
Il Pokémon alato si diresse con tutta l’energia che in quel momento il suo corpo era capace di sprigionare in picchiata verso Dusnkoir. Dal canto suo, il fantasma prese il tempo per intercettarlo con le sue forti braccia. Lo scontro risuonò forte in tutta l’arena. Togekiss aveva colpito Dusnkoir che però, tenace fino all’ultimo, era riuscito pure a martellarlo con il suo pugno criogenico. Tutti e due andarono al tappeto. KO doppio.
Emerald e Gold trassero un sospiro in sincrono. Erano tanto simili quanto diversi, quei due. Da quando si erano conosciuti erano riusciti a litigare e ad andare d’accordo praticamente ogni giorno. Certo era che Emerald fosse uno dei pochi che veramente si divertiva con Gold e anche che Gold fosse uno dei pochi che lo avevano trattato davvero come un amico senza il bisogno di grandi dimostrazioni melodrammatiche di quanto fosse importante il rapporto tra due persone. Si guardarono colmi di sfida. Agonismo e competizione ardevano nei loro occhi.
‒ Aibo!
‒ Sceptile!
Il Pokémon di Gold affondò con un immediato Doppiosmash che fu evitato prontamente da quello di Emerald. La lucertola rispose con un micidiale Foglielama che rasò il pelo del primate.
Comete, distrailo! ‒ esclamò Gold.
Il ragazzo ben conosceva l’abilità di Emerald di reagire quasi a comando o di prevedere le mosse avversarie. Quindi fece ciò di cui lui solo era capace: fece fallire una mossa infallibile. Le comete si abbatterono sul terreno. Colpì quindi alle spalle con Sgomento e sfruttò il momento in cui Sceptile tentennò per affondare un violento Stordipugno. Il telecronista che ormai aveva rinunciato da tempo a descrivere le contorte strategie campate per aria del ragazzo dagli occhi d’oro, non era più ascoltato da nessuno. Persino i rango S avevano smesso di parlare, esterrefatti dal suo stile unico e assurdo.
Solarraggio!
Un fascio di luce concentratissima fu scagliato da Sceptile contro l’avversario. Ambipom venne colto alla sprovvista. Cadde a terra. Ma non era finita.
Scattò in piedi appena in tempo per evitare un probabilmente fatale Energipalla. Rimbalzo, fu la sua risposta.
Sceptile non poté opporsi, Ambipom lo mise in ginocchio con un doppio colpo delle sue code in caduta.
Entrambi i Pokémon ansimavano e si guardavano in attesa della prossima mossa.
‒ Che strategia hai ora, Emerald?
Emerald fissò Gold, quasi al tappeto proprio come lui. Aveva incontrato un degno competitor, qualcuno che vincesse tutte le sue tattiche. Scosse la testa affranto. Non aveva niente.
Radicalbero ‒ mormorò soltanto.
Gold impiegò un po’ per realizzare. Aibo era troppo stanco per schivare o difendersi. Abbassò gli occhi. ‒ Comunque non mi piacciono i tuoi capelli… ‒ gli fece.
Grosse piante evocate dal terreno cinsero il suo Pokémon mandandolo a terra esausto in un batter d’occhio. Gold aveva appena perso.
Il silenzio più greve cadde nell’arena. Gold aveva zittito per due volte duecentomila persone in meno di pochi minuti. Gli spettatori non gridarono subito, anzi, non gridarono affatto. Partì invece un applauso che cominciò a scrosciare sui due lottatori come un copioso diluvio. Gold camminò incontro ad Emerald, i due si batterono il pugno e mettendosi a vicenda una mano sulla spalla, salutarono tutta l’ellissi di folla adorante che avevano attorno. A quel punto, solo a quel punto poté partire l’urlo. Non era un boato di sostegno nei confronti del vincitore né di pietà per lo sconfitto. Era vero e proprio caos. Per Gold e per Emerald allo stesso tempo.
‒ Avanti, Rald ‒ sussurrò Gold al suo amico. ‒ sforzati di piacergli.
 
Quella sera, tutti al mondo avevano già visto i replay delle scene che avevano consacrato Gold come icona di quell’edizione del torneo. Il ragazzo se ne andava a testa alta e non solo, anche con due pugni alzati al cielo e uno dei più grandi sorrisi sloga-mascella che avesse mai fatto. Emerald, dal canto suo, non aveva perso smalto dopo aver battuto il nuovo beniamino di tutti. Invece, circolavano su tutti i tipi di social media la foto di loro due che, stringendosi come due compagni d’armi, salutavano la folla. Persino sotto forma di meme.
Essendoci state meno lotte, erano riusciti a tornare in hotel per cena. Erano sulla spiaggia offerta ai residenti d’élite dall’hotel, quella della festa del primo giorno, e ancora le vibrazioni erano fortissime.
‒ Questa sera ce lo meritiamo davvero! ‒ esclamò Emerald in preda alla foga con l’intera boccia di champagne in mano. Tutta la tavolata lo guardava.
‒ Non come gli ultimi tre giorni in cui abbiamo scroccato e basta… ‒ aggiunse Gold sotto sotto.
‒ Non come gli ultimi tre giorni in cui abbiamo scroccato e basta ‒ ripeté lui. ‒ a Blue e Gold che ci lasciano ma rimarranno sempre con noi…
La pessima scelta di parole portò le mani di tutti i maschietti presenti alle loro parti basse.
‒ …a Green, Silver e pure a me, che domani prenderemo un sacco di botte! ‒ finì la frase gridando a pieni polmoni.
Le risate di tutti e il cozzare di bicchieri, bottiglie e tutto ciò che venne in mente ad ognuno si mischiarono in un casino generale che terminò un paio di ore dopo nel sonno più profondo in cui ogni singolo individuo era sprofondato nel proprio letto.
 
Furono le trombe, i clacson e le grida della folla a svegliarli il giorno dopo. Sapphire, Emerald, Silver, Green e Red si presentarono nella terrazza dei pezzi grossi dopo essersi stretti in un abbraccio di incoraggiamento con il resto del gruppo. All’interno di quella stanza trovarono tutti i Campioni che Sapphire sentiva parlare da tre giorni più gli otto vincitori del girone precedente che, insieme a Green, Silver ed Emerald, erano Baldo, Corrado, Adriano, Drake e Koga. L’arena sembrava tre volte più piena, non erano tribune quelle che le correvano attorno ma bolge dell’inferno. Gli striscioni avevano raggiunto i venti metri di lunghezza e i cinque di altezza, i palloncini sembravano oscurare il cielo e le ragazze avevano cominciato a lanciare capi d’abbigliamento intimo. Era quasi il tramonto, essendo molti di meno gli incontri da disputare per quel girone, si era preferito spostare l’orario in un momento della giornata più fresco e piacevole.
Dopo un istante in cui tutti al mondo trattennero il respiro, fu estratto il tabellone che contava la miseria di diciannove partecipanti al torneo finale: dieci Campioni, uno dei quali non più in carica, otto vincitori del girone precedente e Sapphire.
Emerald era finito contro Ruby, Green contro Camilla, Silver contro Iris, Red contro Lance e Sapphire contro Adriano. I primi erano i due Dexholder di Hoenn, che senza rivolgersi la parola si avviarono lungo il corridoio che li avrebbe portati al Campo Lotta. Ruby, che non indossava cappelli da un anno circa, prese la fascia con il sigillo di Hoenn di colore diverso da tutte le altre e la legò attorno alla fronte. Aveva saputo che molte persone, vedendolo diventare Campione con uno dei copricapo da lui cuciti, avevano pensato all’inizio che si trattasse di una fascia e che lui avesse i capelli tinti di bianco. Voleva giocare con i suoi fan.
Emerald mise piede sul campo e un boato scoppiò immediatamente, Ruby fece il suo ingresso e fu lo stesso. I due si guardarono negli occhi per la prima volta da troppo tempo. Emerald non sapeva cosa provare nei confronti del suo... ex amico? Vecchio amico? Non sapeva neanche come chiamarlo.
“Benvenuti, signore e signori, al girone finale del Campionato Pokémon Internazionale, la prima sfida…” cianciava il presentatore mentre nessuno dei due sfidanti lo ascoltava.
‒ Non ti lascio vincere, stavolta ‒ mormorò Ruby. Sorrideva, ma in modo strano. Non era un sorriso distaccato, ma neanche un ghigno crudele. Sembrava sereno.
‒ Io non ti lascerò perdere, invece.
Ci fu uno sguardo reciproco. Uno sguardo di comprensione. Emerald sentiva che, nonostante lui avesse abbandonato tutti i suoi amici e avesse preso le sembianze di un’altra persona, nella sostanza poco o nulla era cambiato. Forse.
I Pokémon furono mandati in campo. Flygon, dal lato di Ruby, contro Snorlax, dal lato di Emerald. Quel Flygon era appartenuto a suo padre, che lo aveva donato a Lino, che lo aveva a sua volta restituito a lui.
Dragartigli!
Megapugno!
Il dragone fu estremamente veloce e graffiò il braccio di Snorlax all’altezza del gomito, eludendo la randellata.
Dragospiro!
Un iridescente soffio infuocato investì l’immobile Pokémon Sonno. I danni furono minimi, in compenso però gli fu inflitta una scomoda paralisi. Ruby voleva evidentemente giocare sulla rapidità.
Panciamburo! ‒ comandò Emerald. Che già volesse giocarsi il Pokémon?
Snorlax cominciò a battere con veemenza i pugni sul ventre. Emise un forte ruggito di rabbia.
Dragartigli!
Flygon era abbastanza vicino.
Sdoppiatore!
Senza muoversi, Snorlax attutì l’impatto con Flygon con l’energia della sua mossa. Il drago fu scaraventato indietro per diversi metri, ma ancora non cedette. Emerald non nascose la sua parziale delusione, forse contava di mandarlo al tappeto con quella mossa, ma proseguì lo stesso con la sua tattica.
Riposo e poi Russare! ‒ il suo guerriero aveva subito parecchi danni ed era pure paralizzato, ma il sonno curò tutti i suoi mali. E quando Flygon sembrava spacciato di fronte alla mossa che Snorlax poteva eseguire da addormentato, Ruby lo fece rientrare.
‒ Ruru, Mangiasogni! ‒ diede l’ordine al suo Pokémon prima ancora di mostrarlo all’avversario. Aveva previsto la tattica danno-ricarica.
Un’elegantissima Gardevoir fluttuò fuori dalla Poké Ball e precedette il nemico succhiando tutta l’energia vitale che gli era rimasta con la sua infida mossa succhia-energia. Snorlax non si svegliò neanche, cadde a terra KO. Evidentemente i pochi istanti di dormita non gli erano bastati a recuperare tutti i suoi PS.
Emerald ingoiò il boccone.
‒ Dusknoir! Distortozona!
Tutt’a un tratto, Gardevoir cominciò a muoversi lentamente mentre Dusknoir divenne estremamente rapido a dispetto della sua mole.
Pugnodombra! ‒ fu un fulmine. Un potentissimo montante sferrato dallo spettro colpì la delicata Ruru.
Psichico! ‒ mossa semplice ma inarrestabile, una forte emicrania mandò in pappa il cervello di Dusknoir.
Palla Ombra!
Esclusiva!
Zero a zero, dal corpo del fantasma non uscì alcuna emanazione di energia negativa. Si rese conto che non poteva competere con quella Gardevoir, nonostante la priorità delle proprie mosse.
Destinobbligato! ‒ ordinò Emerald.
Aveva cambiato tattica. Ma Ruby non volle dargli la soddisfazione.
Cuorardore!
Ruru si spense in un istante, sacrificandosi a beneficio del prossimo Pokémon del suo Allenatore. Emerald si morse la lingua. Flygon tornò in campo più carico di prima e si scagliò in un violentissimo Dragofuria verso il nemico. Distortozona era terminata, Flygon si era mosso più rapidamente.
Gelopugno!
Ruby non intervenne. Il cazzotto di Dusknoir gli aveva quasi abbattuto il Pokémon dal momento che si trovava ancora nel raggio d’azione del nemico.
‒ Basta, Dragobolide! ‒ Ruby pensò di decretare la fine.
Furtivombra e Legatutto!
Il movimento di Dusknoir fu simile a quello della mossa che aveva paralizzato l’Explo di Gold. Lo spettro comparve subito alle spalle del nemico, quindi lo chiuse tra le sue braccia intrappolandolo. Le meteore evocate da Flygon si diressero per loro natura verso il bersaglio, la devastante pioggia cadde aprendo grossi crateri nel terreno. Colpiti entrambi, sia Flygon che Dusknoir cedettero.
Quando il polverone si diradò, dagli spalti si levò un grido atono.
I serissimi sguardi di Emerald e Ruby si incrociarono ancora una volta e gli ultimi due Pokémon che scesero in campo furono Sceptile e Milotic.
‒ Mimi, Surf!
Mossa praticamente inutile. Affilato e simile allo scafo di una nave, il Pokémon Foresta giunse in un solo salto al nemico e affondò nelle sue squame un letale Fendifoglia che non mandò al tappeto Milotic solo grazie alla sua abilità Pelledura.
Sceptile atterrò dal suo lato del campo fradicio e con le zampe immerse in una pozzanghera ampia quanto tutta l’arena ma soddisfatto per il colpo sferrato.
‒ Ha perso… ‒ mormorò con rassegnazione Sapphire dalla terrazza. Lei si ricordava bene dello scontro tra i due Dexholder al Parco Lotta. Solo Red la sentì, ma lì per lì non comprese, pensava si riferisse a Ruby.
Bora ‒ la voce del Campione di Hoenn fu un sussurro, ma il glaciale vento evocato dal suo Milotic cominciò a sibilare forte, cupo e devastante.
Il rettile era coperto d’acqua. Emerald si trovò all’istante con uno Sceptile completamente ibernato dal suo lato del campo. Il suo volto non lasciava repliche.
Ruby aveva vinto.
Il boato del pubblico fece vibrare cielo e terra. Ruby aprì le braccia come per spiccare il volo, Emerald cadde in ginocchio.
Pochi minuti dopo i due tornarono alla loro postazione. Un paio di Campioni si complimentarono con Ruby, Diantha gli fece i complimenti per l’eleganza dei suoi Pokémon e Camilla elogiò quel Dragobolide. Una cupola di Dexholder invece si strinse attorno ad Emerald che cercò di contrarre gli zigomi in un sorriso, ma senza riuscirci. Sapphire lanciò un’occhiata allo sguardo distaccato di Ruby che non aveva neanche rivolto gli occhi verso i suoi ex compagni.
Ruby vide Zachary Recket, Campione di Adamanta, comparire accanto a lui.
‒ Il ragazzo che hai battuto ha un Pokédex, giusto?
‒ Sì ‒ rispose Ruby senza batter ciglio.
‒ Lo conoscevi bene?
Ruby temporeggiò, si incupì. ‒ A quanto pare ‒ mormorò alzando le sopracciglia.
Zack scosse la testa. ‒ Mi dispiace.
‒ Come lo so… ‒ e mandò giù un bicchiere di champagne.
Il pubblico era caldo, gli incontri proseguirono. A scontrarsi furono Antares, Campione di Sidera, e Baldo, ad uscirne vincitore fu proprio il Re Piramide che sembrava una specie di leggenda venuta dal nulla a quel punto. Per terzi si scontrarono Lance e Red che in una lotta spettacolare e senza esclusione di colpi fecero quasi mettere a piangere il telecronista. Il Dexholder riuscì a surclassarlo, risollevando il morale generale del suo gruppo. Fu il turno di Drake e Corrado. Vinse Drake e la parentesi gloriosa di Corrado come Capopalestra giunto tra i Campioni conobbe la fine con un interminabile ovazione del pubblico. Poi ci furono un paio di colpi inaspettati: Silver e Green sconfissero rispettivamente Iris e Camilla. Il loro rientro fu accolto con l’entusiasmo più alto che il gruppo avesse dimostrato dall’inizio di quella giornata.
Ormai Sapphire sarebbe stata la prossima a combattere. Contro Adriano, l’uomo di Alice, la sua vecchia insegnante. Quello che aveva rinunciato per amore di lei al ruolo di Campione. Quando la ragazza fu chiamata, si alzò meccanicamente e camminò verso il corridoio da cui aveva visto uscire tutti. Aveva le sue Poké Ball strette alla cintura e sentiva i suoi Pokémon pulsare di energia all’interno. Uscì dalla stanza lasciandosi il mondo alle spalle, accanto a lei solo il suo avversario e di fronte a lei una porta. Era un ascensore. Lo prese senza emettere parola. Nessun tragitto in ascensore le era mai sembrato tanto lungo. Poteva avvertire le vibrazioni del pubblico persino dall’interno di quella angusta cabina. Tutti avevano atteso, tutti erano ansiosi. Il mondo voleva vedere ciò che la Conqueror era capace di fare. L’unica Allenatrice di rango S a non essere un Campione. Era una grossa responsabilità, certo. La porta le si aprì sul Campo Lotta su cui avrebbe combattuto oltre il limite delle proprie possibilità. Fece un passo avanti e trasse un sospiro, un altro passo e fu finalmente fuori. Un boato la travolse. Il calore e le emozioni del pubblico erano tutt’un’altra cosa da lì. Erano più invadenti.
Si guardò attorno più spaesata che mai. Dispersa a guardare quelle duecentomila anime che la fissavano e gridavano, urlavano, strillavano. Lei era Sapphire Birch.
Prese posizione, aveva la collana ancora in tasca. Si rese conto che era diventata caldissima.
‒ Te lo meriti davvero, il titolo di Campione ‒ mormorò Emerald.
Ruby stava in piedi di fronte al vetro, fissava la ragazza dagli occhi del colore dello zaffiro. L’altro Dexholder gli aveva rivolto la parola, cosa che non si era aspettato affatto. Notò che si era comunque ben guardato dal farlo in presenza di Sapphire.
‒ Grazie, Rald… ‒ rispose.
‒ Perché hai mollato tutto?
‒ Tutto, cosa?
‒ Noi, il Pokédex, insomma… i tuoi amici.
Ruby rimase zitto per un po’.
‒ Ruby, rispondimi.
‒ Non posso, Emerald.
‒ Che vuol dire non puoi?
‒ Vuol dire che non posso! ‒ senza volerlo aveva gridato.
Ruby si guardò attorno, tutti lo fissavano, era caduto il silenzio sulla terrazza. Il ragazzo contò uno ad uno tutte le facce rivolte verso di lui. Tutti. Da Camilla a Red, da Green a Diantha, da Silver a… mancava qualcuno.
Zero, il Campione di Holon, era scomparso. O meglio. Ruby fece mente locale. No, non lo aveva proprio visto quel giorno, nella foga della situazione. L’Allenatore più forte del mondo non era mai giunto all’arena, il giorno della finale del campionato. Si rese conto che tutta la messinscena era finita, che i giochi erano finiti, che il torneo era finito.
Corse via. Ed Emerald gli tenne dietro.
‒ Ruby, che cosa sta succedendo?
Il ragazzo stava scendendo le scale in fretta, non si curava di lui.
‒ Ruby!
Niente, il biondo faceva fatica a corrergli dietro.
‒ Rubin Harmonia!
I passi del ragazzo si bloccarono.
‒ Smettila ‒ sussurrò.
‒ Di fare cosa? ‒ chiese Emerald.
‒ Di far finta di essere comprensivo.
Quello scosse la testa. ‒ …non sto fingendo.
‒ Emerald.
‒ Dimmi.
‒ Sono successe molte cose in questi due anni, molte cose di cui faccio fatica a parlare… molte cose di cui mi vergogno.
Il biondo seguiva le sue parole con attenzione.
‒ Ma adesso ho bisogno che tu torni di sopra e smetti di seguirmi. Spero solo di essere abbastanza forte da solo, vi ho già messi abbastanza nei guai.
Emerald non capiva.
‒ Per favore ‒ lo supplicò.
Quello annuì lentamente, salì con riluttanza un paio di gradini prima di scomparire dietro la seconda rampa di scale. Ruby attese alcuni attimi.
‒ Andrà tutto bene ‒ mormorò con la voce meno sicura che gli fosse uscita negli ultimi dieci anni sperando che l’amico potesse ancora sentirlo. Emerald si fermò, quindi riprese la salita fino a scomparire dal suo raggio di percezione. Lo aveva sentito.
Ruby tornò a scendere le scale.
Sapphire, nel frattempo, si stava rendendo conto che il calore che quella pietra che lei aveva in tasca era reale. Bruciava, ardeva, sembrava quasi essere fatta di magma vivo. Non si trattenne e la tirò fuori. Pulsava ed emanava quella strana forza. La vedeva risplendere di un’antica luce proprio nella sua mano. Ormai non sentiva più niente.
Adriano non la stava guardando, tutte le duecentomila persone intorno non la stavano guardando, lei non era al Campionato Pokémon Internazionale. Tutto il caos era sparito, tutta la tensione era sparita. Tutto era sparito.
E poi un ruggito spezzò il mondo. Dal cielo scuro ma privo di nubi di una sera estiva, si proiettò un intenso lampo di luce verde. Un gigantesco dragone comparve sopra le loro teste, spalancò le fauci ed emise un secondo grido infernale. Si muoveva nell’etere come fosse parte di esso, latrava al cielo sovrastando le urla terrorizzate delle persone che avevano appena assistito alla sua comparsa.
Rayquaza strinse la bocca, si voltò e la spalancò subito dopo rilasciando un raggio di energia luminosissima dritto in direzione delle tribune appena dietro di lei. Sapphire chiuse gli occhi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 1 ***


Capitolo 3: Il Grande Gatsby pt. 1
 
 
Tra le grida, il panico e il baccano generale, sì udì un suono sordo, come quello di un impatto su una superficie morbida. Sapphire aprì gli occhi. Accanto a lei c’era Ruby, in una mano aveva una Poké Ball l’altra era stretta attorno a un piccolo oggetto che la ragazza non identificò immediatamente. Davanti al ragazzo, un’immobile Gardevoir avvolta in una mistica aura celeste. Stava usando Psichico. Con quella mossa aveva bloccato il fascio di energia di Rayquaza che avrebbe travolto sia Sapphire che tutte le tribune dietro di lei. L’energia si disperse. Ruru poté distendere i muscoli.
Sapphire si rese conto molto lentamente di non essere morta. Realizzò di essere ancora in quello stadio vibrante dal panico e dagli urli della gente. Giovani e anziani, maschi e femmine, tutti erano nel raggio d’azione del dragone e potenzialmente in pericolo di vita. Non trovò una spiegazione a il caos in cui tutto era piombato così all’improvviso. Ma si fece forza. Il suo cervello mandò due o tre impulsi ai muscoli delle gambe che smisero di tremare, le braccia raggiunsero la bocca e il diaframma tornò a svolgere il suo lavoro permettendole di respirare. Si rese conto che Ruby le stava urlando qualcosa. Lo guardò facendo intendere che non avesse capito. Ricominciò a percepire i suoni.
‒ La pietra, dammela!
Non capì.
‒ Sapphire, dammi la pietra!
L’impulso agì prima della ragione. Con un movimento scattoso e brusco la ragazza lanciò a Ruby il ciondolo che un anno prima proprio lui le aveva regalato.
Rayquaza ebbe come un sussulto quando Ruby strinse le dita attorno a quel piccolo oggetto, si contorse e prese qualche decina di metri di quota. Caricò un secondo attacco.
Dragobolide, intercettalo! ‒ e Ruby lanciò la sfera di Flygon il quale, ruggendo, evocò in un istante un diluvio di meteore di energia che mitragliarono Rayquaza non danneggiandolo quasi per nulla ma facendogli perdere la concentrazione e mandando a vuoto la sua mossa.
‒ Ruby, che cosa sta… ‒ Sapphire si rese conto di aver riacquistato la parola.
‒ Scappa! ‒ la interruppe lui. ‒ Vattene, scappa, posso fermarlo, vai!
‒ No, aspetta, io…
‒ Flygon, portala via!
Il lucertolone non esitò. Afferrò una disperata Sapphire alla vita e volò lontano a gran velocità. La ragazza poté girare il collo un’ultima volta per vedere Ruby tornare con lo sguardo al Pokémon Stratosfera alto nel cielo. Rayquaza aveva identificato il suo nemico, scese in picchiata proprio verso il ragazzo. Gardevoir non avrebbe potuto fermarlo, stavolta. Ruby tirò fuori il resto della sua squadra: Mightyena, Milotic, Delcatty e Castform comparvero lontani da lui, dove aveva lanciato le loro Ball. Swampert gli si parò davanti come una muraglia. Gelopugno fu il suo ordine. E un violentissimo montante colpiva Rayquaza appena sotto la mandibola lasciandogli spesse lastre di ghiaccio attorno al collo. Il Pokémon non prese l’affronto particolarmente bene. Non indietreggiò e sputò una sfera di energia bluastra verso il primo obbiettivo che gli parve particolarmente sensibile: le terrazze dei partecipanti. A quel punto anche gli occhi di Ruby divamparono di terrore. Ma la fortuna aveva altri piani per loro. I Campioni e gli altri Allenatori della terrazza del quarto piano avevano sfondato il vetro ed erano usciti allo scoperto con l’evidente intenzione di unirsi alla battaglia. Con un numero indefinito di attacchi lanciati in contemporanea, avevano vinto facilmente l’offensiva del dragone.
Sapphire comprese di non poter restare con le mani in mano. Tirò Pilo, il suo Tropius, fuori dalla Ball e si divincolò in modo spasmodico per venire fuori dalla stretta di Flygon. Ci riuscì e cadde in groppa al suo Pokémon Frutto, il quale virò vertiginosamente per invertire la propria direzione di volo. Flygon tentò di inseguirli.
Ruby era fiancheggiato da Lance, Camilla, Iris e da tutti gli altri Dexholder. Lottavano insieme, bersagliavano Rayquaza con molteplici colpi provenienti da ogni direzione in modo tale che quest’ultimo non avesse tempo di riprendere fiato. Era contenimento, non lotta vera e propria.
‒ Toro! ‒ esclamò Sapphire facendo volare verso il campo la sfera della sua Blaziken. Si unì alla lotta sotto lo sguardo truce del ragazzo con la cicatrice.
Fronteggiarono il dragone per una discreta mezz’ora, finché un suo latrato di sconfitta sembrò annunciare la loro vittoria. Lo stadio era stato evacuato, le persone si trovavano al sicuro. La maggior parte della popolazione si era rifugiata in posti sicuri e stabili. Non c’erano morti o feriti. Tutti gli Allenatori che avevano contribuito a placare Rayquaza tirarono un sospiro di sollievo quando questo sembrò accasciarsi a terra senza più energie. Un breve sospiro di sollievo. Il Pokémon si era spento troppo in fretta.
Gli occhi stanchi di tutti i presenti, Dexholder e Campioni, furono investiti da un secondo intenso bagliore verde, tutti rimasero accecati. Il mugolio di resa di pochi istanti prima si trasformò in un ruggito iracondo. E dalla luce emerse un nuovo Rayquaza trasformatosi nella sua forma Megaevoluta avvolto in un velo di energia pura. Le spire del dragone fendettero l’aria e questo, alzandosi in alta quota, reagì con violenza come se volesse uscire fuori da una prigione. Il suo attacco un ultimo raggio di energia spaccò il cielo in due. Sfondò le tribune vuote, vinse la resistenza del cemento, investì abitazioni e palazzi lasciandone poco più che deformi carcasse. Una profonda ferita che si estendeva lungo l’intero centro di Vivalet fu il marchio con cui Rayquaza sottomise l’essere umano quella sera. Gli Allenatori avvertirono un secondo spostamento d’aria.
I loro occhi si riabituarono alla vista quando già i loro cervelli avevano risolto l’equazione. Ritrovarono un gigantesco buco che aveva causato il crollo di un’intera tribuna e un orribile scorcio su un macabro panorama di devastazione. Strade scorticate dal terreno, automobili in fiamme, edifici sradicati o ridotti in cumuli di lamiere. Un terribile silenzio imponeva il suo peso sullo stomaco dei presenti.
Blue, Red, Sapphire, Silver e tutti gli altri si guardarono prossimi all’isteria. Dietro di loro, in lontananza, c’era una sorta di bozzolo alto nel cielo scuro: un rettile serpentino che fluttuava nell’aria tutto avvolto all’interno di una bolla di gas. Qualche grido si levava dalle macerie. Pianti, urli, gemiti. Tutti destinati a soffocare in quella nebulosa quiete nel giro di pochi istanti.
Nessuno parlò, nessuno osò proferir parola. Tutti tornarono con i piedi per terra. Ruby cadde in ginocchio. Solo Emerald lo avvicinò, di tutto il gruppo.
Era in piedi, poco dietro di lui. Rimase in silenzio per un interminabile istante.
‒ È più forte… ‒ mormorò quello sentendolo prossimo a sé.
‒ Che cosa sta succedendo? ‒ domandò il biondo.
‒ Sapevo che sarebbe arrivato ‒ rivelò atono Ruby. ‒ ho le due gemme, quelle che oltre a controllare Groudon e Kyogre dovrebbero permettermi di renderlo vulnerabile, ma non sono riuscito ad entrare in contatto con lui e a vincerlo…
Emerald trattenne il respiro.
‒ È più forte… ‒ ripeté l’amico.
Un ruggito portò il gelo al sangue di tutti. Ma ancora niente, Rayquaza stava recuperando energie nell’ozono che era capace di produrre, ma ancora non era pronto a tornare all’attacco.
‒ Dobbiamo fare qualcosa ‒ disse Red. ‒ Avanti, cerchiamo i superstiti ‒ cercò di esortare gli altri.
Il Campione di Kanto corse in soccorso dei pochi individui ancora vivi dispersi nelle macerie. Nella titubanza generale, lo seguirono prima due, poi cinque, quindi nove, infine tutti gli Allenatori che avevano lottato nello stadio. Solo Ruby e Sapphire rimasero al proprio posto davanti a quel cratere dalla forma affusolata rimasto sulla città. Passarono secondi interminabili dopo i quali pure la ragazza si mosse.
‒ Non potevi fermarlo… ‒ mormorò facendo attenzione che Ruby la sentisse. Quindi passò oltre senza attendere risposta e senza degnarlo di uno sguardo.
Il ragazzo strinse la terra che aveva tra le dita. Si rese conto di avere ancora in mano il ciondolo con lo zaffiro la cui cordicella stava stritolando i suoi polpastrelli e la seconda gemma, il rubino, naturale e non tramutata in un gioiello. Entrambe le pietre reagirono, il suo corpo le aveva già assorbite e digerite una volta, quindi esse erano naturalmente attratte da lui.
Ruby fece un respiro profondo, calmò l’animo e distese i muscoli. E nella sua mano era rimasta giusto la cordicella che aveva assicurato la gemma blu al collo di Sapphire per un anno intero. Il rubino e lo zaffiro erano entrambi spariti.
Si sentì pervadere da quella sensazione una seconda volta nella sua vita. Il calore del cratere più attivo e il gelo dell’abisso più profondo in contrasto sulla sua pelle e nella sua carne. Non era forte come la volta scorsa, i due Leggendari della terra e del mare erano sopiti e per fortuna sarebbero rimasti tali per molto tempo. Eppure, l’energia che empaticamente avvertiva dalla presenza di un destissimo Rayquaza fluiva nelle sue vene come provenisse dal suo stesso sangue. A confermare il mutamento, sottili ma luminose righe simili a tatuaggi solcavano le sue braccia. Un complesso disegno di linee blu e rosse si intrecciava sul suo petto. Lo sentiva, ma nessuno poteva rendersene conto finché portava i suoi vestiti.
Mise una maglia con le maniche lunghe per coprirsi, tanto non era più capace di avvertire il caldo o il freddo, il suo corpo aveva appena assunto la capacità di termoregolarsi. Non tornò dagli altri, prese invece tutti i suoi Pokémon e si diresse alla macchina di cura più vicina, erano tutti stremati.
Nel frattempo, tutti si prodigavano per dare una mano. C’erano mura da assicurare per evitare ulteriori crolli, persone da salvare e mandare in un luogo più sicuro, feriti da medicare e, purtroppo, cadaveri da raccogliere. Almeno quelli ancora integri.
Ambulanze, Allenatori, Capipalestra e persino volontari spuntati fuori dal nulla corsero in aiuto delle vittime. Qualcuno riuscì a salvarsi in extremis, recuperato per il rotto della cuffia dagli audaci strumenti medici. Altri morirono proprio come erano morti tutti gli altri. Ma con la morte davanti al volto e non nascosta infidamente dietro l’angolo. Tutto era immerso in un aria torrida e satura del calore dell’acciaio fuso, delle carni bruciate e del cemento sgretolato. Polvere, vetro e sangue, era il terreno su cui si muovevano tutti coloro che tentavano di salvare la vita a qualcuno.
Il numero dei morti raggiungeva appena la tripla cifra. Era un centro cittadino turistico, quelle travolte non erano abitazioni. Gli edifici inagibili furono rapidamente isolati con metri e metri di nastro di sicurezza. L’area fu sgombrata. Ci furono le ultime grida, gli ultimi lamenti, gli ultimi commenti degli afflitti giornalisti piombati a pochi minuti dall’apparente scomparsa di Rayquaza.
‒ Bisogna evacuare la città, l’area non è sicura…
La cantilena cominciò a suonare nelle tv, negli altoparlanti, nelle radio. Tutto era precipitato nel caos. Mentre mezzo mondo fissava lo schermo con gli occhi spalancati davanti alla gravità del disastro, le linee telefoniche erano intasate dalle telefonate di migliaia di famiglie che cercavano un segno di vita, un sussurro del proprio parente che era in vacanza ad Holon proprio in occasione del torneo. Molti genitori poterono bearsi di sentire la voce del proprio figlio vivo e vegeto, alcuni non ebbero tale piacere.
Quando ormai un nuovo giorno si accingeva a sorgere, tanti avevano già abbandonato Vivalet. Altri erano direttamente fuggiti da Holon. La paura era forte. I lamenti si sovrapponevano. I feriti venivano trasferiti in ospedali lontani, la matassa che nel cielo sembrava predire un’imminente seconda catastrofe era divenuta visibile solo con il ritorno della luce. La paura si trasformava in terrore e i lamenti in grida.
Sapphire camminava sull’asfalto sgretolato della strada percorribile più vicina all’incidente. Poco lontano da lei, un gruppo di ragazzi cercava di cambiare il bendaggio di un loro amico il cui polpaccio era rimasto maciullato sotto alcune lamiere. Lo avrebbero condotto in un ospedale, se solo le ambulanze non fossero state tutte piene. Sapphire li raggiunse.
‒ Posso darvi una mano? ‒ chiese. Aveva girato il mondo in otto anni di vita da Allenatrice scalando monti, solcando mari e attraversando foreste. Sapeva fare una fasciatura decente.
I ragazzi della comitiva la guardarono con i loro occhi incavati e stanchi. Erano più o meno suoi coetanei, venivano da Alola a giudicare dalla tinta scura della loro pelle macchiata qua e là da polvere e sudiciume. Erano sicuramente alcuni di quelli rimasti per dare una mano.
‒ Ecco fatto ‒ strinse il nodo nel punto in cui la tensione non avrebbe premuto sulla ferita. Non si aspettava un grazie, ma questo arrivò comunque. Fisso i volti di sopravvissuti. L’avevano riconosciuta, si capiva da come la guardavano.
‒ Cercate di raggiungere un luogo sicuro ‒ disse loro facendo finta di nulla.
Fece per andarsene, ma uno di quelli la trattenne: ‒ ce la farete a fermarlo?
A parlare era stato il ragazzo ferito, quello a cui lei aveva applicato le bende.
Sapphire si morse il labbro. Avrebbe voluto rispondere che non lo sapeva, che aveva paura e che anche lei probabilmente se ne sarebbe andata al più presto.
‒ Ce la metteremo tutta ‒ rispose però qualcuno al suo posto.
E dietro di lei era improvvisamente comparso Red. Il ragazzo aveva i vestiti logori e stringeva in mano una strana borsa. I ragazzi riuscirono a rialzarsi per zoppicare in un altro luogo. Red aveva dato loro un sottile bagliore di speranza.
‒ Che cosa hai intenzione di fare? ‒ gli domandò Sapphire quando il gruppo si era allontanato abbastanza.
‒ Dobbiamo stancarlo.
‒ Prima che ci uccida?
‒ È un’idea di Crystal, vuole catturarlo, non so perché non ci abbiamo pensato prima ‒ e mostrò la borsa piena di tutte le Ball vuote che era riuscito a reperire.
Sapphire comprese immediatamente che quella non era una buona idea. In realtà quadrava tutto, ma sapeva che c’era un ombra in quel piano. Ci arrivò.
‒ Dove sono gli altri?
In poco tempo raggiunsero il resto del gruppo dei Dexholder. A parte lei e Red, erano otto quando Sapphire finì di contarli e per un istante si illuse che si fosse aggregato pure Ruby. Poi comprese che in realtà si trattasse di Platinum, la Dexholder di Sinnoh che aveva conosciuto il giorno prima. Alcuni di loro erano seduti su alcune croste di cemento cadute a terra, poco lontano dallo stadio. Tutti erano ridotti male sia per lo scontro con Rayquaza sia per l’improvvisata operazione di soccorso a cui avevano partecipato. I suoi amici la accolsero con un amaro sorriso accennato.
‒ Red ti ha già informato del piano? ‒ domandò Crystal che sembrava la più determinata.
‒ Non funzionerà ‒ tagliò corto lei.
Un marmoreo silenzio cadde violentemente sul gruppo.
‒ Platinum, tu sei troppo giovane, devi andartene ‒ cominciò poi a dire rivolta alla tredicenne.
Quella non sapeva come reagire.
‒ Sapphire ‒ intervenne Green. ‒ Perché di preciso non deve funzionare?
Silenzio.
‒ Rayquaza dovrebbe essere addormentato. Non si sveglia mai se non per placare le lotte tra Groudon e Kyogre e entrambi sono immersi nel sonno, ora ‒ spiegò cercando lo sguardo di approvazione di Emerald.
‒ E come mai… tutto questo? ‒ domandò Silver.
‒ Qualcuno deve averlo già catturato ‒ dedusse Blue.
‒ Esatto ‒ confermò Sapphire. ‒ Deve appartenere già ad un altro Allenatore.
Calma cimiteriale. Qualcuno provò a soffocare la propria respirazione ansiosa tirando su col naso o deglutendo.
‒ Quindi l’unica strada è sconfiggerlo? ‒ domandò Crystal.
‒ O trovare il suo Allenatore ‒ realizzò Gold.
Tutti lo guardarono.
‒ Attaccava con coscienza, sapeva dove dirigere i propri colpi e chi e che cosa colpire, evidentemente chi lo controlla è nei paraggi… ‒ spiegò.
‒ Perché dovrebbe rimanere in un luogo tanto pericoloso? Non potrebbe aver dato l’ordine di distruggere e basta? ‒ obiettò Silver.
‒ Non è nella natura di Rayquaza la distruzione, il suo scopo è fermare i cataclismi, non provocarli ‒ contestò la Dexholder di Hoenn.
‒ Sapphire ‒ si fece avanti Red. ‒ Esiste un oggetto in grado di controllare Rayquaza simile alla Gemma Blu e alla Gemma Rossa?
‒ Io… non so…
‒ Sì, la Gemma Verde, lo smeraldo creato dal team finanziato da mio padre. Servì per assoggettare Rayquaza durante il periodo in cui fu sottoposto a dei test ‒ esclamò Platinum.
Tutti tacquero. Sapphire ricordò. La famiglia Berlitz aveva finanziato il progetto di studio sul Pokémon Stratosfera, fu vicino al loro laboratorio che il Salamence di Lyris tanto tempo prima attaccò lei e Ruby e liberò accidentalmente il leggendario. Da lì partì tutta la sua parabola, da lì partì la via crucis di Norman, Capopalestra di Petalipoli che per anni si era caricato di una colpa non sua ma appartenente a suo figlio.
‒ Ha ragione ‒ mormorò con un filo Emerald. ‒ L’avevo io, la persi molti anni fa…
Tutti i presenti avvertirono una forte fitta allo stomaco.
‒ Quindi è fuori discussione ‒ concluse Platinum sconsolata.
‒ Al contrario ‒ si illuminò Sappihire. ‒ Ora sappiamo come fa il nostro nemico a manovrare Rayquaza.
Girando la frittata, alla fine qualcosa era venuto fuori.
‒ Ma quali benefici ci porta questa informazione?
‒ Se tanto mi dà tanto, la Gemma Verde reagisce a contatto con le altre Gemme come quella Rossa e quella Blu si attraggono tra loro ‒ aggiunse la ragazza.
‒ Ma non abbiamo detto che si tratta di una gemma artificiale? ‒ domandò Green guardando Platinum, portatrice di tale informazione.
‒ Infatti ‒ si intromise qualcuno nella conversazione. ‒ le Gemme non sono attratte dallo smeraldo che controlla Rayquaza.
Ruby era comparso dietro di loro, teneva ben in vista i tatuaggi, simbolo che le due Gemme erano state assorbite dal suo corpo.
‒ …ma la respingono.
Non fu accolto con calore da nessuno dei presenti, Gold lo trattò con sufficienza mentre Blue lo squadrò velenosa. Emerald non riuscì proprio a guardarlo e Sapphire non sapeva se provare disprezzo o odio.
‒ Ho le due Gemme con me, se volete che Rayquaza sia fermato, aiutatemi a raggiungerlo…
Emerald notò come era cambiato il suo piano da quando aveva parlato con lui sulle scale qualche ora prima e il ragazzo gli aveva chiesto di andarsene e lasciarlo agire.
‒ Il ciondolo… ‒ sibilò Sapphire. ‒ Era la un frammento, il nucleo della Sfera Blu, vero?
Ruby annuì. Nessuno dei Dexholder capì di cosa stessero parlando.
‒ Perché lo hai dato a me?
‒ Perché se le due sfere sono insieme tendono a fondersi, come hai appena detto, e unirsi al primo essere vivente che interagisce con loro, se sono insieme. Non potevo custodirle entrambe. Un corpo viene lentamente ma irreparabilmente corroso quando tiene dentro di sé le sfere come sto facendo io in questo momento. Ricordi Max e Ivan?
‒ E se non l’avessi portato?! ‒ questa volta gridò.
‒ Ero sicuro che l’avresti tenuto sempre con te… ‒ fu la risposta di Ruby.
Sapphire si sentì inondare dal rossore e in quel momento desiderò tanto di poter prendere a sprangate il ragazzo con uno grosso pezzo di metallo rimediato dalle macerie.
‒ Ripeto, dovete aiutarmi, fermiamo Rayquaza assieme, sono l’unico che può farlo, ma non ci riesco da solo… ‒ ripetè Ruby.
‒ Un ultima cosa, come mai avevi la risposta già pronta? ‒ domandò Green dubbioso. ‒ Rayquaza attacca senza motivo e senza preavviso e tu hai casualmente con te le due Gemme capaci di fermarlo…
Ruby si fissò i piedi, trasse un sospiro.
‒ Non posso dirvi come, ma sapevo già dell’attacco.
Gelo. E un rancore profondo si accese negli animi dei presenti.
‒ Quindi lo sapevi, ma non hai detto niente a nessuno! ‒ lo aggredì Blue.
‒ Non potevo fare neanche questo…
Niente spiegazioni, solo informazioni criptiche. I Dexholder guardavano Ruby con odio. Tutti sapevano della vicenda tra lui e Sapphire e tutti erano a conoscenza del fatto che lui avesse abbandonato la compagnia per affidarsi ai propri interessi personali e alla propria carriera nel mondo dello spettacolo. Solo Platinum se ne stava in disparte, senza chiedere chiarimenti per via della percepibile aria di tensione che aleggiava in quella discussione.
E un altro ruggito fece tremare i loro cuori. Questa volta più forte, più cattivo, più profondo. Rayquaza era quasi pronto per il secondo attacco.
‒ Sentite, so che cosa pensate di me e che cosa pensate io sia diventato negli ultimi due anni di assenza, ma ora tutto questo non c’entra un bel niente! ‒ esclamò Ruby per la prima volta risentito e non indifferente di fronte all’astio dei propri ex amici. ‒ Volete salvare Vivalet e poi tutta Holon, bene, allora agite con me! Altrimenti potete anche andarvene e restare a fare il broncio per tutto il tempo!
Ognuno era rimasto lievemente spiazzato da una reazione tanto violenta.
‒ Sono stato assente, è vero. Vi ho nascosto queste informazioni, è vero. Ho sbagliato i calcoli permettendo a Rayquaza di uccidere delle persone va bene è vero! ‒ riprese fiato. ‒ Ma ora tutto ciò che posso fare è riprovarci e tentare di fermarlo una seconda volta, ho i mezzi, voi siete quel passo che mi manca alla riuscita.
Red annuì in maniera quasi impercettibile. Lo seguirono i consensi di Yellow, Gold, Blue, Emerald e infine Crystal. Silver e Green mormorarono un ok. Sapphire rispose di sì guardando altrove.
Platinum non parlò. Sapphire le aveva detto di andarsene e stava aspettando una seconda opinione.
‒ Platinum, tu almeno mettiti in salvo ‒ fece tetra la ragazza sottolineando la propria mancanza di fiducia in Ruby.
‒ Fa’ come ti dice ‒ la sorprese proprio il ragazzo aggiungendosi.
‒ Io rimarrò ‒ ribatté ferrea lei. ‒ Voglio dare una mano.
Altro intermezzo silenzioso. Il vento sibilava tra le carcasse degli edifici e il sole si levava lentamente dall’orizzonte con la calma placida di una serena alba estiva. Come non fosse successo niente, proprio come non fosse successo niente.
Nessun veterano si oppose, nessuno le diede contro. Loro erano tutti maggiorenni, lei aveva compiuto da poco i tredici anni, ma nessuno di loro aveva atteso di crescere prima di sgominare team malvagi, fermare cataclismi e meteoriti, distruggere organizzazioni criminali. E pure la stessa Platinum aveva già passato parecchi guai nella sua regione.
‒ Rayquaza tornerà all’attacco, non sappiamo dove, ma presumo che attaccherà di nuovo luoghi a gran concentrazione di esseri umani. Dobbiamo trattenerlo qui, nella zona già evacuata. Voi dovrete distrarlo, a me dovrebbe bastare un singolo contatto fisico ‒ cominciò a spiegare Ruby.
‒ Dovrebbe? ‒ chiese Green.
‒ Dipende dal tocco…
‒ In che senso?
‒ Se mi azzanna tecnicamente è contatto fisico, ma non credo di poter fare più tanto, a quel punto…
Organizzarono alla buona un attacco da tutti i fronti, una strategia per attirare Rayquaza in più punti distraendolo da Ruby che si sarebbe mosso in groppa a Latios, in modo tale che la sua capacità di curvare la luce li avrebbe resi invisibili agli occhi del nemico. Latias nel frattempo avrebbe fatto ricognizione nei paraggi in modo tale da cercare un eventuale presenza, così per identificare colui che stesse controllando Rayquaza.
Agire presto significava attaccare un nemico la cui energia non era al massimo, il che si sarebbe dimostrato un vantaggio. Tutti si misero in posizione. Emerald carezzò i due draghi che Ruby aveva richiamato con il Flauto Eone e chiese a Latios in particolare di fare attenzione.
‒ Conto su di te ‒ sussurrò il biondo a Ruby mentre nessuno degli altri Dexholder poteva sentirlo.
Il più grande rimase stupito da tali parole, nessuno dei suoi ex compagni aveva dimostrato tale fiducia, e tantomeno avrebbe dovuto dimostrarla Emerald che poco prima aveva avuto prova della sua fallibilità. Lo vide dare una pacca di conforto a Gold e poi tornare a concentrarsi sul suo compito alzando due dita nei suoi confronti. Ognuno partì in volo su un Pokémon, avrebbero colpito a mezz’aria eludendo i colpi facilmente.
Ruby era già scomparso agli occhi di tutti.
Volarono a gran velocità fino a posizionarsi in tre gruppi attorno alla bolla di ozono prodotta da Rayquaza, che nel frattempo aveva raggiunto la grandezza di una grossa mongolfiera.
‒ Ora! ‒ gridò Green.
E dieci attacchi della tipologia di Raffica, Tifone e Bora cominciarono a soffiare via con violenza tutto il gas nel quale il Pokémon si riposava. La figura serpentina e intrecciata di Rayquaza venne allo scoperto. E lì, cominciò l’assalto vero e proprio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 2 ***


Capitolo 3: il grande gatsby pt. 2
 
 
Rayquaza si trovava nella sua forma tradizionale. Fu sorpreso dai primi attacchi che il gruppo di Dexholder volanti gli aveva rivolto, ma riuscì ad eluderne la maggior parte strisciando aerodinamicamente nella cortina di nuvole poco sotto di lui. Sembrava capace di nascondere tutta la sua enorme massa con immensa semplicità. Luce verde, di nuovo. Stavolta attenuata dalle fitte nuvole in cui serpeggiava il dragone.
‒ Si Megaevolve, state attenti! ‒ esclamò Sapphire.
‒ Ruby, sbrigati! ‒ fece Gold.
Il ragazzo volava su Latios che si era reso invisibile curvando la luce attorno a sé e creandosi una sorta di barriera-specchio. Avrebbe dovuto raggiungere Rayquaza e stabilire con lui un contatto che gli permettesse di controllarlo con le Gemme.
‒ Latios è più veloce di Rayquaza, dovremmo essere in vantaggio ‒ mormorò Crystal.
Un flash e a tutti sembrò di scorgere la silhouette del biscione verde in mezzo alle nuvole. L’attacco Incendio del Charizard di Green sfondò quella sezione di cielo, aprendo un grosso foro negli altocumuli.
‒ L’avete visto anche voi? ‒ chiese il Capopalestra dopo essersi reso conto di aver mandato un colpo a vuoto.
‒ Stava prendendo quota ‒ annuì Red. ‒ Ruby…
Un esplosione si dipanò per tutta l’area fin sopra le loro teste. La detonazione aveva causato un movimento d’aria tanto forte da far rischiare ai Dexholder di cadere dai loro destrieri alati. Tutti loro si guardarono torvi e spaventati.
Poi una sagoma nera spuntò dalle nuvole cadendo quasi senza attrito verso il terreno lontano. Era Ruby i cui vestiti erano completamente carbonizzati nella parte superiore del corpo. Era svenuto, la sua pelle era rimasta scottata qua e là nell’esplosione. Latios non era con lui. Precipitava solo ed esanime.
Emerald si lanciò in picchiata per intercettare il corpo dell’amico ‒ In qualche modo Rayquaza lo ha individuato… ‒ esclamò.
‒ Fermati! ‒ gridò qualcuno.
Strano. Era la voce di Ruby, ma non proveniva dal suo corpo.
E poi dalle nuvole alla destra di Emerald spuntò il dragone. Diretto con le fauci spalancate verso il corpo del Campione di Hoenn. Accadde tutto in un lampo. Rayquaza si inarcò tentando di azzannare Ruby, ma per uno strano scherzo dello spettro visivo questo scomparve, e le mascelle del leggendario si chiusero attorno al nulla. La coda del Pokémon però colpì violentemente Emerald nello slancio che perse la cavalcatura e cadde nel vuoto. Ruby tornò visibile appena dietro il nemico, era in groppa a Latios. Sotto gli occhi inermi di tutti i Dexholder scese al volo in groppa a Rayquaza e si aggrappò alle sue placche. Red e Crystal si erano già lanciati verso il basso per acchiappare al volo Emerald, ma un brusco movimento del dragone che si era reso conto dell’inganno li costrinse a effettuare un giro più lungo.
‒ Emerald, salvatelo! ‒ gridò Ruby.
La sua voce era roca, sembrava star tendendo tutti i suoi muscoli fino al limite della propria resistenza. E i risultati si mostrarono. Rayquaza si bloccò a mezz’aria. Era come paralizzato, anzi, sembrava tremare appena.
Ci fu un mormorio da parte di Sapphire, ma nel disordine generale nessuno la udì. Le toccò ripeterlo più forte, perché qualcuno le desse retta: ‒ Sta per colpire…
‒ Cosa? ‒ domandò Green svegliandosi da quella catalessi in cui per la sua testa ronzava la convinzione di non poter fare nulla in quel momento.
‒ Rayquaza, sta per scaricare tutta la sua energia, dobbiamo intercettarlo! ‒ gridò la ragazza.
Tutti si mobilitarono. E ovviamente, come parlando del diavolo, il corpo di Rayquaza si attorcigliò con un guizzo. Il dragone scese in picchiata verso terra.
‒ Vuole disarcionarlo! ‒ esclamò Blue.
‒ Non ci riuscirà, voi pensate solo a bloccare i suoi attacchi! ‒ ribatté Sapphire.
Ruby infatti interruppe ancora una volta i movimenti di Rayquaza e per un secondo lungo attimo il suo corpo si bloccò nell’aria come trattenuto da una forza esterna e invisibile. Un’intensa luce si dipanò dalle strisce sul corpo del Pokémon. Ruby ebbe un sussulto. Il suo corpo parve brillare e unirsi all’organismo del rettile per un brevissimo attimo.
Un boato venne dal ventre del Pokémon leggendario, un ruggito più furioso, forte e violento di tutti i precedenti. Quindi tutto cadde. Dal cielo cominciarono a piovere meteore di energia violacea. Una seconda apocalisse sembrava doversi rovesciare su Vivalet quel giorno.
Emerald riaprì gli occhi. Si trovava sugli spalti dello stadio. Aveva brevemente perso conoscenza mentre cadeva ed era stato preso al volo da Red e Crystal. Ma subito si rese conto che, potendo scegliere, avrebbe preferito rimanere svenuto. Un firmamento di luci che precipitavano verso di lui comparve al suo risveglio. Energia pura, proiettili di distruzione scagliati dalla furia di Rayquaza. Precipitavano implacabili.
In mezzo a queste, Ruby controllava il dragone e lo cavalcava verso il terreno. Sembrava lui a controllarlo, forse quel gigantesco attacco Dragobolide era stato l’ultimo sforzo di Rayquaza prima di arrendersi.
Uno stormo di Dexholder volanti comparve nel caos. A questi si unirono subito Crystal e Red che non si fecero attendere per tornare in volo. Tutti i ragazzi stavano attaccando una per una le meteore di luce. Sfaldandole, impedendo loro di cadere a terra. I fasci di energia scomparivano uno dopo l’altro, ma la massa ancora ben nutrita si avvicinava sempre più alla città.
Ruby scese dal dragone, era atterrato poco lontano da Emerald: i due di Hoenn erano nello stadio in cui fino a poche ore prima si stava svolgendo il torneo, ma il moro camminava sulla terra della zona di lotta, mentre Emerald era sulle tribune. Rayquaza rimase immobile, ormai sottomesso al suo volere.
Emerald vide Ruby aprire le braccia e chiudere gli occhi. Rayquaza, in collegamento con lui, abbassò le palpebre a sua volta e cacciò un ruggito. E ad un tratto le meteore cambiarono direzione. Tutte stavano curvando la propria traiettoria in direzione di Ruby, verso il centro dello stadio, l’unico luogo che poteva essere bombardato senza che nessuno in città subisse conseguenze. Emerald comprese il piano dell’amico.
‒ Ruby, no!
Il ragazzo si rese conto di lui: ‒ Scappa! ‒ esclamò senza abbassare le mani.
‒ Non devi morire per questo! ‒ gridò Emerald.
Ruby non ribatté. Emerald era lontano, nella parte più alta degli spalti, non sarebbe stato colpito né avrebbe potuto dargli fastidio.
Ormai un centinaio di metri separavano le meteore dal terreno. Tutti i Dexholder che erano ancora in volo, si resero conto della situazione. Quella pioggia avrebbe devastato lo stadio, ma i danni sarebbero stati limitati a quell’area. Avevano sfoltito al meglio quel diluvio, il loro lavoro era compiuto. Solo all’ultimo istante si resero conto che il bersaglio delle meteore altri non era che Ruby che si era piazzato come fulcro al centro perfetto dell’arena.
Yellow cacciò un urlo. Red ebbe l’impulso di gettarsi a capofitto per prenderlo. Sapphire sentì il suo cuore fermo balzarle in gola.
E poi la luce della distruzione. Il metallo si accartocciò, la terra si aprì, il cemento franò. Tutti i vetri dello stadio esplosero. Le prime file degli spalti si sradicarono. L’arena fu devastata da quel numero infinito di fasci di luce che si erano concentrati tutti in quell’unica zona. Quando il rombo dell’esplosione si dissolse, rimase solo fumo.
E fu il silenzio.
Alcune timide gocce di pioggia cominciarono a picchiettare su Vivalet. Pioggia vera. Acqua. Le gocce si moltiplicavano a velocità impressionante. Il fumo cominciava a diradarsi mentre nell’aria si diffondeva il lieve stridore del metallo rovente. Tutti i ragazzi scesero sulla terraferma. Quando i loro piedi toccarono il terreno che era stato massacrato dalle meteore i loro piedi avvertirono il calore altissimo attraverso la suola delle scarpe. La terra, bollente, cominciava a rigettare la pioggia sotto forma di vapore acqueo. Tutto cominciò a schiarirsi, il fumo stava scomparendo.
I Dexholder, a testa bassa, incontrarono il corpo immobile di Rayquaza. Distrutto. Le squame strappate, le spire torte in maniera orribile, le placche spezzate, le fauci spalancate e immobili. Non si muoveva più, era patito sotto il suo stesso potere.
E poi, nel grigiore, i loro occhi che avevano abbandonato il macabro spettacolo del rettile morto sul terreno videro una debole luce verde. Le gambe di Sapphire si mossero automaticamente, così come quelle di tutti gli altri.
Mezza Poké Ball a terra, l’emisfero rosso, tutta ammaccata e senza più il bottone di apertura. Poi la luce divenne sempre più vicina.
Un cubo di energia, una barriera dalla forma perfetta di un dado. Al suo interno due sagome: un Mr. Mime e un essere umano tremante: Ruby. La barriera si dissolse. Il Pokémon che aveva protetto il ragazzo cadde esanime sul terreno, non respirava più. Era il Mr. Mime di Emerald.
‒ Ruby! ‒ esclamò Sapphire gettandosi su di lui. Non lo toccò, non lo abbracciò, si accovacciò a terra e cercò di saggiare che il suo corpo fosse ancora in funzione.
Nessun altro Dexholder si mosse. Davanti alla triste morte di un Pokémon, nessuno si muove mai. Nessuna parola rivolta al sopravvissuto, nessuno dette segno di essere felice o infelice di vederlo ancora vivo.
Ruby tornò a respirare. E dalle sue labbra uscirono sette sole lettere che defibrillarono il cuore di tutti i presenti: ‒ Emerald…
Blue si guardò intorno, Green e Silver rialzarono Ruby perché anche lui facesse da vedetta, Sapphire e Gold fecero per andare a cercarlo. Platinum tentò di scomparire. Solo Crystal e Red erano immobili. Loro avevano portato a terra l’amico. Guardavano impietriti il punto in cui sarebbe dovuto essere.
Tutti seguirono il loro sguardo. Il gruppo si mosse. Ruby tolse le braccia dalle spalle dei due di Kanto e prese a zoppicare in solitudine, quindi le sue gambe tornarono a funzionare decentemente, anche se a fatica.
Giunsero alla tribuna su cui Emerald era stato portato dopo il salvataggio dalla caduta. Non trovarono la tribuna, ma un groviglio di metallo e lamiere. Almeno per le prime dieci file di posti. Poi il cemento aveva retto quasi decentemente e, salendo, gli spalti sembravano sempre più integri. Solamente i sedili erano tutti saltati via. Emerald era stato posato quasi alle ultime posizioni, doveva essere vivo. Magari un po’ scombussolato. O al limite ancora svenuto.
Poi si levò un lamento. Ruby era a capo del gruppo e cadde a terra sul ginocchio sinistro. Tutti lo videro digrignare i denti per trattenere le lacrime. Red abbracciò Yellow cercando di risparmiarle lo spettacolo. Sapphire rimase immobile come una statua mentre perdeva colore. Tutti gli altri cercarono di socchiudere gli occhi e di guardare altrove.
Davanti al Campione di Hoenn che era sopravvissuto, ferro e cemento: la prima parte degli spalti tutta sgretolata. E in mezzo alle macerie, il corpo esanime di Emerald.
Alcuni si permisero di lasciar scorrere alcune lacrime. Altri non si concessero tale privilegio. Nella quiete generale spezzata dai soli singhiozzi e dal cadere della pioggia che si faceva sempre più forte, si levò un sibilo. Rapidi come jet, i due Pokémon Eoni comparvero nel cielo. Scesero in mezzo ai Dexholder e vegliarono sull’amico caduto. Per la prima volta tutti videro i due scendere a terra e smettere di levitare. E per alcuni minuti, il mondo si fermò.
Green si fece coraggio. Cominciò a spostare i ferracci che circondavano l’amico. Red lo imitò, tutti lo imitarono. Ruby si trovò a cercare di sollevare un pannello di metallo assieme a Gold. Ebbe il tempo di vedere il suo volto straziato seppur non rigato da alcuna lacrima. Mormorava qualcosa.
Si avvicinò meglio per sentire: ‒ stupido… stupido… stupido…
Crystal tentò di dare una mano restando in disparte. Il suo sguardo intercettò quello di Ruby per un istante e subito si curvò altrove. Poi tornò su Ruby. Era imbronciata e nonostante fosse bagnata dal pianto e dalla pioggia, la sua rabbia sembrava tanto ribollente da far evaporare l’acqua.
 
Fuori dallo stadio, una cortina di persone si era lentamente raccolta: quasi tutti i partecipanti al torneo e alcuni degli spettatori che non erano fuggiti. In prima fila davanti all’uscita, c’erano Corrado e Baldo, seguiti da tutti gli altri Capipalestra e da molti giovani Allenatori. La pioggia scendeva debole ma sembrava non volersi fermare.
All’uscita dei Dexholder, dal gruppo si levò un lamento accorato, tutti tenevano gli occhi sulle dieci persone che varcavano il cancello dello stadio ormai distrutto. Due di queste, tenevano dei corpi tra le braccia. Il primo era Red, che reggeva un esanime Mr. Mime. Il secondo era Green, che invece portava lo stesso Emerald. La folla si aprì per lasciarli passare. Tutti.
Videro la barcollante andatura di Ruby, i passi avanzati con le gambe e lo sguardo nel vuoto da un’assente Sapphire, la figura rigida di Crystal che sembrava doversi spezzare da un momento all’altro. E tutti dietro di loro, con la testa bassa e le braccia rigide lungo il corpo.
Dalla folla non si levava alcun rumore. Si udiva solo lo scalpiccio delle scarpe dei presenti sul terreno bagnato.
Lino intercettò Ruby e cominciò a camminargli accanto. Tentò di parlare: ‒ L’avete…?
‒ È morto ‒ lo interruppe il ragazzo. ‒ Rayquaza è morto.
E anche tra i due cadde il silenzio, Lino si fermò rimanendo indietro e tenendo gli occhi sull’amico che si allontanava sempre più. In mezzo alla folla, inizio a diffondersi un brusio.
‒ È morto, ha detto che è morto…
‒ Lo hanno sconfitto.
‒ Un Pokémon leggendario è stato ucciso…
Così come erano comparsi sotto gli occhi dei presenti, tutti i Dexholder scomparvero. Nessuno disse nulla, nessuno fece nulla.
 
L’ambiente era afoso e odorava di disinfettante. Fuori il sole dava il massimo che quel venticinque giugno gli permettesse di dare al fine di perforare il suo impermeabile di nubi. La pioggia pareva essersi calmata, ma il cielo non accennava a prendere un colore che fosse diverso dal bianco. Tutti i Dexholder erano nell’ospedale Centrale di Vivalet, reduci da un giro di rapide visite che avevano saggiato la loro condizione fisica.
Red picchiettava fissava intensamente il suo bicchiere di caffè, mentre Yellow stava in silenzio con la testa sulla sua spalla, Green teneva le braccia conserte e sembrava star facendo la guardia a qualcosa, Blue non parlava, continuava a spalmare una pomata biancastra sul braccio destro che era stato colpito a bruciapelo da uno dei colpi di Rayquaza. Gold lanciava una pallina da tennis contro il muro, questa sbatteva contro il terreno per poi tornare a lui, Silver teneva un braccio attorno alle spalle di Crystal che era l’unica ancora in lacrime. Sulla soglia di quella stanza colma di grandi Allenatori, Sapphire sostava impietrita davanti al display del suo Poké Nav. Platinum fece il suo ingresso con discrezione e si posò il più possibile vicina alla ragazza di Hoenn. Ruby non c’era.
“…dell’ultima vittima di questo tragico evento, uno degli Allenatori più amati del torneo. Ha infatti perso la vita nello scontro che ha permesso agli undici Allenatori Dexholder di sconfiggere Rayquaza, Emerald…” Gold aveva smesso di giocare con la pallina e aveva acceso il televisore.
“…l’Holon World Stadium è stato completamente demolito nel corso del combattimento con Rayquaza…” il ragazzo aveva cambiato canale.
“…si sono fatti accertamenti sulle condizioni del dragone che risulta essere clinicamente deceduto. Il suo corpo è stato portato nel centro di ricerca Pokémon globale di Vivalet, dove sarò studiato e…” altro canale ancora.
“…sembra che intanto tutta Hoenn sia stata scossa da un debole sciame sismico. Non sembrano esserci stati morti né danni ingenti, tralasciando il crollo di alcuni vecchi edifici disabitati di Forestopoli…”
‒ Fermo ‒ mormorò qualcuno intercettando Gold che era già pronto a cambiare di nuovo canale.
Tutti si voltarono verso colui che aveva alzato la propria voce. Era Ruby che sembrava essere appena apparso sulla porta, proprio accanto ad un’immobile Sapphire.
“…pare inoltre che le scosse sismiche abbiano causato un forte movimento dei mari sommergendo completamente Ciclamare e costringendo gli abitanti della periferia di Bluruvia ad evacuare dalle loro abitazioni. Intanto, in rete, già circolano voci a proposito di una presunta connessione di questo evento inaspettato con la morte di Rayquaza. Linea allo studio per il servizio in diretta sulle macerie di Vivalet” terminò la anchorwoman.
‒ Ruby, non succede niente a Hoenn, vero? ‒ chiese Green senza un filo di emozione nella voce.
‒ No, sia Groudon che Kyogre sono addormentati ‒ rispose lui.
‒ Come lo sai?
‒ Lo so.
Gli occhi verdi del Capopalestra di Smeraldopoli fissavano quelli color brace del Campione-Idol di Hoenn.
‒ Lo so e basta ‒ ribadì Ruby.
Il ragazzo girò i tacchi e fece per andarsene.
‒ Sapevi anche che saresti stato capace di fermare Rayquaza… ‒ mormorò Sapphire sentendolo passare accanto a lei. ‒ …e che non ti sarebbe servito il nostro aiuto… ‒ proseguì. ‒ …ma prima ancora sapevi che quel mostro avrebbe attaccato. Ora dimmi perché l’unica tua certezza fondata doveva proprio essere quella relativa a questa catastrofe! ‒ gridò.
E tutti tacquero. Sapphire stringeva i pugni, Ruby era immobile e non lasciava trapelare alcuna sensazione dal suo sguardo.
‒ Ruby, che cosa ci stai nascondendo? ‒ Silver chiari in una domanda il dubbio di tutti.
L’interrogatorio cadde, la tensione non accennava a distendersi ma l’enfasi sì, man mano che i secondi passavano senza un responso da parte del ragazzo.
‒ Rubin Harmonia? ‒ chiese un medico materializzandosi appena oltre la porta.
Il ragazzo annuì dando ascolto all’uomo in camice.
‒ Prego, venga con me, abbiamo i risultati delle analisi ‒ e sfruttando l’occasione, il Campione di Hoenn uscì di scena.
Una nuova quiete cadde tra i Dexholder. Quasi tutti si mordevano le labbra per essersi fatti sfuggire in tal modo la loro preda.
‒ È colpa sua ‒ sbottò Gold lanciando il telecomando che aveva in mano. ‒ ci nasconde qualcosa di vitale, non può continuare a farlo.
Gli sguardi di tutti andarono al terreno. Tranne quelli di Crystal.
‒ No, non può ‒ mormorò la Catcher rompendo il suo pianto e stupendo tutti. ‒ E deve pagare… ‒ i suoi occhi erano gonfi e le sue parole suonavano taglienti.
Sapphire abbandonò quella stanza. Riuscì con non poca difficoltà a trovare l’uscita dell’ospedale e si fece forza per l’ultima volta. Il numero era già stato digitato, lei premette il tasto chiamata.
Dopo due squilli, la voce di Birch rispose dall’altro capo della linea.
‒ Sapphire, stai bene! Grazie a Dio, piccola…
‒ Sì, papà, per me è tutto ok. Scusa se non ho potuto rispondere alle altre chiamate…
‒ Non preoccuparti, sto vedendo tutto ora in tv.
Silenzio.
‒ È incredibile, vero? ‒ riprese il professore.
‒ Sì, lo è…
‒ Povero ragazzo, Emerald.
Sapphire si lasciò sfuggire un singhiozzo. ‒ Non meritava di finire così…
‒ Io… lo so, piccola… cos’è successo di preciso? Scusami, ma i servizi del telegiornale non sono abbastanza…
‒ Ruby era l’unico in grado di fermare Rayquaza ‒ lo interruppe lei. ‒ Emerald si è sacrificato per lui, perché Ruby ne uscisse vivo, è rimasto sotto le macerie.
‒ Mio Dio…
‒ Ruby aveva le sfere, Ruby sapeva tutto.
‒ Che cosa dici? Davvero? ‒ domandò il prof.
‒ Sì, e continua a non dirci niente.
Birch sospirò. ‒ Quel ragazzo è così cambiato…
Entrambi lasciarono la parola all’altro.
‒ Siamo riusciti a raccogliere il Pokédex di Emerald, il disco interno è ancora intatto, vuoi che te lo invii?
‒ Oh, ehm… sì, grazie…
‒ Lo mando subito, poi ho intenzione di rimanere qui a dare una mano.
‒ Va bene, sii forte, piccola.
‒ Sempre. Ciao papà.
E la ragazza riagganciò. Atona, vuota, la sua voce. Sapphire riprese a respirare dopo aver prolungato la sua apnea per tutta la durata della chiamata. Si rese conto di non aver chiesto a suo padre come stesse dopo quella scossa passata su Hoenn, di non aver neanche domandato il suo parere circa la sua permanenza a Holon e di non avergli neanche dato altre parole di conforto. Quell’uomo aveva rischiato di perdere sua figlia e aveva perso uno dei suo dei suoi Dexholder. Si sentì una figlia modello, in quel momento.
All’interno della tasca posteriore aveva davvero la scheda di memoria del Pokédex di Emerald. Una placchetta magnetizzata targata Devon, col blasone di Hoenn e il numero tre in cifre romane scritto sopra. Poi, lungo il fianco, una sottile scritta evidentemente aggiunta in seguito:
THE CALMER
Sapphire tornò dai suoi amici. Lungo il percorso gli sguardi la perquisivano da cima a fondo, la studiavano, la esaminavano. I feriti, i medici, i visitatori. Tutti avevano gli occhi su di lei. Lei era una dei guerrieri che avevano sconfitto il dragone. La cosa non sembrava darle fastidio, anzi, probabilmente lei neanche se ne stava accorgendo. Il momento era particolare, l’ospedale era frenetico, ma i feriti più gravi erano stati già messi in sicurezza. Se le prime fasi del disastro erano ancora pregne di terrore e ansia, da quando Rayquaza era stato sconfitto la speranza era tornata ad illuminare gli animi. Le vittime non sarebbero mai tornate in vita, la città non si sarebbe ricostruita da sola, ma adesso tutti ricominciavano a guardare avanti.
‒ Hai parlato con il professore? ‒ domandò Gold non appena Sapphire si rifece viva.
‒ Sì, sto per spedirgli la scheda del Dex di Emerald ‒ rispose senza entusiasmo.
‒ Vengo con te ‒ si invitò quello.
Tutti lo imitarono. Non un solo Dexholder rimase seduto al suo posto. Il gruppo raggiunse compatto il Trasferitore della sala d’attesa dell’ospedale. Lì fu inserito nell’apposita porta la scheda di memoria e nella capsula vicina le cinque Poké Ball rimase che componevano il team di Emerald insieme al defunto Mr. Mime. Il computer elaborò mentre Sapphire inseriva le credenziali per un invio rapido al laboratorio del Professor Birch ad Albanova.
Un debole ronzio si diffuse nell’aria. Attorno alle Ball cominciò a calare un lieve velo di luce celeste.
“Emerald, nato il trentuno maggio… residente a Porto Selcepoli…” mormorava la voce del computer.
La luce aumentò di intensità, il ronzio cominciò a scomparire. Quando tutto si concluse, le Poké Ball erano scomparse e la scheda di memoria era stata svuotata. Nove Dexholder riuniti lì attorno, una nidiata di giornalisti furtivi dietro, Latios e Latias che, mascherati da esseri umani, assistevano in lacrime, Ruby che osservava dalla distanza, nascosto dietro un angolo, senza comunque sfuggire agli obbiettivi di un paio di reporter più attenti. Un Dexholder se n’era andato.
‒ Addio, Rald ‒ mormorò Sapphire.
Silenzio. In quel momento, c’era silenzio.

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Capitolo 9
*** Capitolo 4 - San Martino pt. 1 ***


Capitolo 4: San martino pt. 1
 
 
Sapphire uscì fuori dall’ospedale. Aveva bisogno di una boccata d’aria. Aria pura. Trovò soltanto polvere. Aria pesante e satura, difficile da respirare, difficile da mandar giù.
Erano le prime ore della sera, il cielo cominciava a prendere una fievole tinta rossastra, il sole a nascondersi dietro l’angolo dell’orizzonte. Il mare era calmo, i Wingull erano tornati a stridere. La zona transennata era stata riaperta, almeno nei primi tratti. Operai a cavallo di macchine ed escavatrici avevano iniziato a lavorare sulle macerie. Appena fuori dal centro erano state allestite alcune piccole tendopoli per i pochi rimasti senza dimora. Ormai non vi era più bisogno di soccorso urgente, la situazione si stava stabilizzando. Gli aiuti arrivavano dalla buona volontà delle persone e dalla solidarietà delle altre regioni.
‒ Come stai? ‒ le domandò Blue comparendole alle spalle.
La ragazza sembrò quasi colta alla sprovvista.
‒ Momento di riflessione? ‒ provò ad indovinare la donna di Kanto.
‒ Figurati ‒ ribatté Sapphire infastidita.
‒ Non ricordavo fosse tanto brutto ‒ commentò Blue mentre guardava il panorama di distruzione.
‒ Cosa? Il disastro?
‒ No, il senso di impotenza.
Sapphire prese tempo.
‒ È qualcosa a cui devi abituarti, facciamo combattere i nostri Pokémon e diventiamo famosi, ma non siamo niente in confronto a tutto questo… basta tanto così e neanche sappiamo reggerci in piedi sulle nostre gambe.
‒ Che filosofa… ‒ commentò Blue alzando le sopracciglia. ‒ Non avrei mai sentito dire certe cose alla vecchia Sapphire.
‒ Quale vecchia Sapphire?
‒ Quella che diceva quello che pensava senza tergiversare troppo attorno al nocciolo del discorso.
Sapphire la guardo storta.
‒ A cosa pensi? ‒ le chiese infine Blue.
‒ Penso dobbiamo capire cosa sta succedendo qui. Ruby si tiene i suoi segreti per sé e intanto la gente muore. Voglio arrivare al fondo di questa vicenda.
‒ Troppo facile, non siamo mica in un videogioco…
‒ Lo so ‒ Sapphire non riusciva a staccare gli occhi dalle macerie informi che si erano riversate sul terreno.
‒ Sembra di essere tornati indietro, vero?
‒ Sì, è tutto come prima.
‒ Qual è il tuo piano, allora?
Sapphire si morse il labbro. ‒ Non… non ne ho idea…
‒ Sapphire, ti prego, tu sei l’unica a conoscere abbastanza bene Ruby da poterlo convincere a spiegarci che cosa sta succedendo.
‒ No, io non lo conosco più.
Blue sembrò quasi intenzionata a schiaffeggiarla.
‒ Per favore, ragazza! Dacci una mano e smettila di comportarti come se tutto il male del mondo fosse stato riversato su di te! ‒ girò i tacchi e se ne andò via scalciando un qualche pezzo di metallo rimasto a terra.
Sapphire non ebbe la forza di reagire. Non si aspettava quella violenta reazione, non certo da Blue.
Si voltò a guardarla mentre affondava furiosamente i passi lontano da lei. Era sotto stress e parecchio stremata, la capiva. Decise di seguirla.
 
Red uscì fuori dall’ufficio del primario. Aveva gli occhi sbarrati e stringeva in mano una cartella di colore giallastro. Si appoggiò con le spalle al muro, sentiva che le gambe avrebbero ceduto da un momento all’altro. Trasse un lungo respiro. Niente, i polmoni sembravano rifiutarsi di accumulare anche solo lo stretto necessario di ossigeno di cui il suo corpo aveva bisogno. Aveva la gola secca e i muscoli privi di ogni energia. Non aveva alcuno dei suoi Pokémon con sé, e ringraziò il cielo, altrimenti la loro ansia e il loro nervosismo avrebbe messo ancora più alla prova la sua psiche.
Solamente quando l’ultimo brivido fu passato lungo la sua spina dorsale il suo cervello tornò a ragionare. Mise la cartella del responso nella borsa, la nascose bene. Cercò il bagno più vicino.
Quando entrò il pungente tanfo sovrastato da un ancor più acre odore di disinfettante gli penetrò nelle narici. Il Campione di Kanto impiegò numerosi lunghi istanti per capire se dovesse svuotarsi o no la vescica. Optò per il no. Passò le mani sotto uno dei rubinetti e questo attivandosi le irrigò con un forte getto d’acqua. Si buttò qualche manata di gelo liquido sul volto.
Si guardò allo specchio con il volto ancora fradicio e gli occhi vuoti che non riuscivano ad uscire da quell’oblio in cui erano caduti.
“Sii forte” disse una voce nella sua testa.
Senza rendersene conto un singhiozzo era fuggiascamente uscito dalla sua gola. Red si spaventò, non avrebbe dovuto piangere. Tuttavia, quando la pressione cominciò a salirgli lungo le guance fino a giungere ai suoi occhi, non poté trattenere una smorfia di disgusto.
La sua bocca si aprì e le sue corde vocali cominciarono a vibrare. Sputò fuori dai polmoni tutta l’aria che essi contenevano.
Gridò. Non curandosi di chi avrebbe potuto sentirlo. Gridò.
Cinque minuti dopo era fuori dal bagno. La camicia era a posto, i pantaloni sistemati e si era persino pettinato i capelli con le mani. Il suo volto era quello del Red del giorno prima. Sorridente, calmo, maturo. In fin dei conti era pur sempre il Campione di Kanto.
Tornò nella sala d’attesa dove tutto il suo gruppo lo stava aspettando. Vide una Blue imbronciata e a braccia conserte che era seduta con la schiena appoggiata alla spalla di Green. Silver dal canto suo sembrava essere la sua fotocopia, stessa posizione, stesso sguardo. Crystal poco lontano da lui sedeva con tutti i muscoli tesi mentre fissava con odio viscerale la copertina di una rivista, i suoi occhi sembravano doverla perforare da un momento all’altro. E no, non vi era nessun Ruby in prima pagina, ma probabilmente quel giornalino era la prima cosa che il suo sguardo aveva trovato oltre il vuoto. Gold era lontano che conversava con Platinum nella maniera più sobria che gli avesse mai visto fare. Sapphire non c’era.
‒ Amore ‒ Yellow aprì le braccia andandogli incontro. ‒ È tutto ok?
Red la guardò dritta negli occhi. Pensò a quanto fosse bella e a quanto fosse bello baciare le sue labbra. Desiderò di urlare ancora.
‒ Sì, tutto ok ‒ rispose.
La gente scorreva attorno a loro: pazienti, medici, infermieri, visitatori. Red sentiva solo il sangue pulsargli sulle tempie e il cuore battergli talmente forte da dargli l’idea di star per colpire Yellow. I due si staccarono. Appena in tempo perché Red intravedesse tra la folla, appena oltre la sua ragazza, una faccia conosciuta.
‒ Guarda chi è venuta a trovarci ‒ sussurrò a Yellow.
 Quella voltandosi individuò subito la faccia di Misty tra la folla. Fece una smorfia che il ragazzo non poté vedere.
‒ Red! ‒ esclamò la Capopalestra di Celestopoli individuandolo.
Corse dal ragazzo e gli saltò tra le braccia. Yellow prese vistosamente le distanze.
‒ Stai bene, state tutti bene ‒ trasse un sospiro di sollievo mandando lo sguardo anche a Green e gli altri.
Yellow non intervenne perché capiva sia che Misty poteva non sapere ciò che era sbocciato tra lei e Red negli ultimi tempi sia che la ragazza fosse rimasta troppo tempo in ansia per un ragazzo di cui era sempre stata cotta. Tuttavia, non poteva negare che la sua espansività nei confronti del moro le desse non poco fastidio.
‒ Sì, grazie per essere venuta, noi siamo a posto ‒ le rispose Red.
Il volto della giovane si illuminò di un sorriso radioso che affondò nell’abbracciò dell’amico. Poi quella luce sparì per un’istante.
‒ Mi dispiace per Emerald…
‒ Lo so.
E Misty fu soltanto la prima di un interminabile processione di Capipalestra e amici dei Dexholder che si presentarono dentro quell’ospedale per dar loro un abbraccio, salutarli, accertarsi che stessero bene o solamente dirgli grazie. Pian piano la zona cominciò a riempirsi di parole e di traffico di visitatori.
 
Nel frattempo, Sapphire era ancora fuori dall’ospedale. Camminava, sentiva ogni singolo pezzo di cemento che passava sotto le sue sneakers, cercava di far scendere l’aria nei polmoni. L’ultima volta che la sua psiche era stata sottoposta ad un trauma tanto forte lei aveva perso il quasi totale utilizzo delle corde vocali. Ricordava bene quei giorni, la settimana in cui avevano avuto a che fare con la pioggia di meteoriti. Lei e Ruby avevano superato anche quello, insieme.
‒ Che coraggio hai avuto ‒ esclamò una voce alle sue spalle.
Era Alice, Capopalestra di Forestopoli e un tempo sua istruttrice.
‒ Ciao, maestra ‒ la salutò Sapphire con un barlume di sorriso in volto.
Quella scosse la testa.
‒ Niente maestra, mi hai superata ormai da anni.
‒ Grazie.
Le due si strinsero in un maturo abbraccio. Sapphire era sinceramente felice di vederla.
‒ Ho saputo di Emerald…
Quella fievole serenità che era comparsa nell’animo della ragazza fu smorzata all’istante.
‒ Scusa… io… ‒ Alice se ne rese conto.
‒ Niente, va tutto bene, mi dispiace solamente che il suo sacrificio sia stato vano.
Alice fece una smorfia di disappunto: ‒ Che cosa intendi dire?
‒ Ecco… Ruby…
‒ Ruby sta bene, l’ho visto uscire dall’ospedale proprio pochi minuti fa, sembrava di fretta.
Sapphire cambiò espressione: ‒ Ruby se ne sta andando?
‒ Sì, lui…
‒ Perdonami, Alice, ma ho un impegno importante ‒ Sapphire le voltò le spalle.
Alice fece appena in tempo ad abbozzare una sorta di sorriso.
‒ Va bene, dolcezza, volevo dirti che sono contenta che tu stia bene. Hai avuto un gran fegato lassù.
‒ Grazie, davvero ‒ la ringraziò toccata.
Sapphire cominciò a correre. Avrebbe dovuto intercettare Ruby, era la priorità che quel ragazzo rimanesse rintracciabile. Allo stato attuale vi era per lui la situazione più comoda per andarsene, con le telecamere ancora impegnate con i servizi sulla catastrofe e poco dirette verso le star come loro.
‒ Tropius!
Il Pokémon Frutto spalancò le ali permettendole di salire a cavalcioni sulla sua schiena. In quel momento ricordò il motivo per cui era debitrice alla sua insegnante: le tecniche di volo che aveva imparato da lei. Il rettile salì di quota dando a Sapphire una panoramica sulla situazione circostante. Ai suoi occhi balzò per prima la vista del gigantesco squarcio lasciato dal colpo di Rayquaza. Sembrava proprio una cicatrice che spezzava l’armonia di una città come Vivalet. Poi però tornò a concentrarsi. Vivere in mezzo alla natura le aveva fatto sviluppare dei sensi acutissimi, infatti individuò il Flygon di Ruby con in groppa il proprio Allenatore quasi immediatamente nonostante avesse raggiunto la quota di settecento metri da terra.
Sussurrò un ordine all’orecchio di Pilo e quest’ultimo ritirò le ali per scendere in picchiata. Ruby si trovava poco lontano dall’ospedale, volava verso il quartiere d’élite, dove probabilmente era l’hotel nel quale aveva alloggiato durante i giorni del torneo. Decise a che punto intercettarlo: appena sopra un vicoletto che sembrava abbastanza isolato da permetterle di strillare contro quel ragazzo senza problemi. Comunicò il piano d’azione al suo Pokémon e questo aggiustò la rotta.
L’aria le scompigliava i capelli e la costringeva a tenere gli occhi socchiusi, calcolò la distanza che intercorreva tra Ruby e il terreno, il sibilo del vento la stava quasi assordando. Precisione millimetrica. Sapphire scese dal suo Tropius senza alcuna paura, mise un piede su Flygon, afferrò Ruby per la collottola e lo tirò giù con sé verso il terreno. Certamente non era miss Delicatezza di Hoenn, lei. Il ragazzo finì a terra, strappandosi i pantaloni, lacerandosi la maglia e spaccandosi entrambe le lenti degli occhiali. Sapphire, atterrando con equilibrio da manuale, credette di vederlo perdere qualche goccia di sangue.
‒ Che cazzo ti salta in… ‒ provò a dire Ruby.
‒ Stammi a sentire, stronzo! ‒ Sapphire lo tirò su solo per gettarlo addosso al muro del vicolo. ‒ Dove credi di andare?
‒ Sapphire, tu sei fuori di testa…
‒ Esattamente, sono fuori di testa e ti conviene non farmi arrabbiare!
‒ Mi hai rovinato tutti i…
‒ Non me ne frega un cazzo! ‒ e gli assestò un ceffone che probabilmente era stato udito da tutto il quartiere.
Ruby tacque. Aveva il lato destro del volto completamente rosso e guardava la sua ex amica con odio.
‒ Mettiamola così, la colpa è tua per tutto, per la morte di tutti quegli innocenti, per la morte di Emerald e per la morte di Rayquaza, mi capisci? ‒ e lo spinse una seconda volta contro il muro. ‒ Ma dato che sapevi tutto questo prima che accadesse allora io pretendo il tuo aiuto che è il minimo che tu possa darmi dopo quello che hai combinato, ok? ‒ e lo prese ancora per la maglia cercando di essere più minacciosa possibile.
Ruby girò di novanta gradi, e Sapphire con lui, giusto per non avere più le spalle al muro.
‒ Dopo che avremo risolto questa faccenda per me puoi anche andare a farti fottere.
Ruby sembrò accusare la cosa: ‒ Cerchiamo di darci una calmata… ‒ mormorò provando a togliersi di dosso le mani della ragazza.
‒ Ah! ‒ esclamò quella scaraventandolo via da sé. Il suo tocco era stato rovente.
Ruby inciampò su uno scatolone che era a terra e fini addosso ad una recinzione. La sua schiena affondò in un groviglio di filo spinato arrugginito e, cacciando un urlo, il ragazzo si contorse e finì a terra in mezzo ad una pozza formata dal suo sangue misto al lerciume che c’era a terra.
‒ Oh cazzo! ‒ esclamò Sapphire rendendosi finalmente conto di aver a che fare con un essere umano fatto di carne.
‒ Sapphire, porca miseria ‒ Ruby sbatté un pugno a terra. Era ancora vivo e cosciente.
La ragazza provò ad andargli incontro per fare qualcosa, ma di nuovo, toccandolo, ottenne solo di scottarsi la mano come se l’avesse posata su un vassoio appena uscito da un forno. Si ritirò emettendo un gemito.
E quasi si rifiutò di credere a ciò che si manifestò davanti a lei. La sofferenza scomparve sostituita dallo stupore.
Dalla schiena di Ruby si levò un lieve odore di carne bruciata. La sua pelle emise lo sfrigolio di un pezzo di metallo rovente immerso nell’acqua. Del vapore avvolse la sua figura dolorante e ansimante a terra.
Ruby tremava e sembrava star soffrendo parecchio.
Poi, davanti agli occhi esterrefatti di Sapphire, le sue ferite si cauterizzarono all’istante e il suo sangue smise di uscire. Tutti i graffi e i tagli che Ruby aveva sul suo corpo si chiusero. Al loro posto, complessi disegni formati da linee rosse e blu si aprirono un solco nella sua schiena.
Quando il processo terminò, Ruby smise di respirare a fatica, e si rialzò davanti ad una quasi terrorizzata Sapphire.
‒ Che diavolo è appena successo? ‒ domandò lei.
Ruby testò alcuni movimenti per saggiare che tutto fosse a posto.
‒ Questo è Groudon ‒ rispose solo. ‒ le Gemme hanno diversi effetti sul mio corpo, tra cui la possibilità di sistemarmi le ferite con il fuoco.
‒ Stai scherzando? ‒ fece incredula Sapphire.
‒ Che cosa hai appena visto?
La ragazza non rispose.
Ruby annuì: ‒ Ora che ti sei calmata… la risposta è no.
Sapphire fece un rewind mentale per tornare alla rabbia di istanti prima. Evitò stavolta di mettere le mani addosso al ragazzo, ma gli urlò comunque in faccia: ‒ Vuoi prendermi in giro? Ruby, sono morte delle persone!
‒ E né io né tu possiamo resuscitarle! ‒ rispose lui.
Ruby tolse la maglia ridotta a brandelli. Sapphire ebbe appena il tempo di vedere tutto il corpo snello di Ruby coperto centimetro per centimetro da linee e disegni rossi e blu prima che questo prendesse dalla borsa che era rimasta sul suo Pokémon una maglietta nuova. La ragazza fece finta di niente, doveva fissarsi in testa che Ruby non fosse una vittima della situazione.
‒ Senti, mi dispiace e sì, lo sento il bruciante senso di colpa se proprio vuoi saperlo ‒ proseguì il ragazzo. ‒ Ma ora non possiamo fare più niente e peggioreremo solo la situazione se io non mi affretto ad andarmene ‒ fece per tornare su Flygon.
Sapphire tornò definitivamente in sé. ‒ Non posso lasciartelo fare ‒ mormorò. ‒ Ruby, ti prego.
Il ragazzo mise il paio d’occhiali di riserva che teneva nello zaino. Questi avevano una montatura meno alla moda e delle lenti più spesse. ‒ No.
E Flygon spiccò il volo in una frazione di secondo, tanto veloce da dare quasi alla ragazza l’impressione averlo visto scomparire.
‒ Stronzo! ‒ esclamò lei stridula.
Il suo Tropius era apparso dietro di lei qualche istante prima. Pure lei fu rapida a tornare in volo. Non vide alcun Flygon nei dintorni. Guardò meglio.
‒ Eccoti… ‒ mormorò individuando un supersonico Latios che volava come una freccia fendendo le nuvole al suo passaggio. La ragazza sapeva bene che se era presente Latios, nei dintorni avrebbe trovato pure sua sorella. ‒ Latias! Latias, dove sei? ‒ esclamò a voce altissima.
Timidamente, si mostrò a lei una figura rossa e bianca. La dragonessa aveva gli occhi lucidi.
‒ Riesci a stare dietro a tuo fratello? ‒ chiese saltandole in groppa e facendo rientrare Pilo.
Quella fece una smorfia. Era restia, non voleva muoversi.
‒ Ti è stato detto di non ascoltarmi… non è vero?
Quella abbassò il capo.
‒ Per favore, Ruby te lo ha detto per non farsi seguire, io invece voglio solo trovare colui che ha ucciso Rald ‒ alla pronuncia del suo nome, lo sguardo di Latias si rinvigorì. ‒ Per favore…
Il Pokémon Eone prese la sua decisione, si mise in posizione per dare il tempo a Sapphire di assicurarsi al suo corpo. E in meno di un millesimo di secondo aveva raggiunto una velocità tale da far tornare Ruby visibile agli occhi della ragazza.
‒ Eccolo! ‒ esclamò Sapphire. ‒ Dobbiamo prenderlo!
Latias spinse di più. La sua forma aerodinamica passava attraverso l’aria con estrema facilità, l’Allenatrice che la guidava si era posizionata più aderente possibile a lei in modo tale da non opporre resistenza. “Trovare chi ha ucciso Rald”. Quello stava pensando, quel pensiero la alimentava.
E in un blitz temporale si ritrovò a pari merito con suo fratello Latios che in groppa stava portando Ruby.
‒ Ruby devi fermarti! ‒ esclamò Sapphire.
Il ragazzo si mostrò infastidito dalla sua veemenza.
‒ Te lo sto chiedendo come vecchia amica, per favore!
‒ Un po’ difficile chiamare vecchia amica una che fino a poco fa mi ha gettato giù dal mio Pokémon per picchiarmi! ‒ ribatté lui.
‒ Andiamo, da quando sono io quella che si è comportata di merda tra noi due?!
Lui non rispose.
Allora parlò Latias, che emise il suo acuto verso nell’intento di comunicare con suo fratello. Disse qualcosa. Sapphire comprese che gli stava comunicando le sue intenzioni, allora la esortò a continuare. La ragazza vide Latios aprire gli occhi, ragionare. La sua espressione era quasi confusa. Ma il buon senso e la fiducia ebbero la meglio, il dragone rallentò. Ruby si trovò immobile a mezz’aria di fronte a Sapphire.
‒ Digli di scendere ‒ intimò lei a Latias.
Quella provvide. Pochi secondi e tutti e due gli Allenatori di Hoenn erano sul tetto di una casa circondati dai mansueti fratelli Eone.
‒ Ruby, per favore, se non vuoi ascoltare me almeno ascolta tutti gli altri: Green, Yellow, Crystal… abbiamo tutti bisogno di sapere che cosa sta succedendo.
‒ Sapphire, devo mantenere il silenzio per la sicurezza di tutti!
‒ Nessuno saprà che ci hai rivelato queste cose.
‒ Sì, sono sicuro che saranno proprio le persone sbagliate quelle che verranno a saperlo.
‒ Ruby, ti prego ‒ Sapphire parlava col vento sulla pelle e la luce del tramonto riflessa sui suoi capelli. ‒ Non posso chiedertelo da amica, voglio chiedertelo come pagamento per avermi fatto passare i due anni più brutti della mia vita ‒ il suo sguardo era duro, i suoi occhi umidi.
Ruby trasse un lungo e profondo respiro. Si mise le mani tra i capelli e chiuse gli occhi. ‒ Va bene… ‒ lo disse quasi senza voce.

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Capitolo 10
*** Capitolo 4 - San Martino pt. 2 ***


Capitolo 4: San Martino pt. 2
 
 
Ruby tacque e si sedette sul bordo del tetto, i piedi nel vuoto e le mani sulle tegole. Di fronte a lui solo la città tinta dall’arancione del tramonto e ancora più lontano la linea in cui il cielo si gettava nel mare. Sapphire lo imitò sedendosi accanto a lui.
‒ Ti sto per dare delle informazioni molto importanti ‒ puntualizzò il ragazzo.
‒ Lo capisco ‒ assicurò Sapphire.
Ruby prese ancora fiato. ‒ È stato un uomo che tu conosci bene ad organizzare questo attacco: Zachary Edward Roland… ‒ il ragazzo scandì ogni singola parola.
‒ Zero, il Campione di Holon, avrebbe organizzato una strage nella sua capitale?
‒ No, cioè… sì. Lui è fuori di testa, non so per quale motivo lo abbia fatto ma so che non ha scrupoli, ricordi quel Zero che hai incontrato alla Terrazza?
Sapphire annuì.
‒ Quello non è Zero, lui è senza pietà e non si fa problemi davanti a nulla. Ho saputo di Rayquaza perché ho avuto una soffiata da una persona molto vicina a Zero, diceva che uno dei suoi Superquattro, partito alla ricerca della Gemma Verde, era riuscito nella sua impresa. Nel momento immediatamente successivo a questo ritrovamento, Zero ha fatto richiesta alla Federazione per organizzare una prossima edizione del Torneo Internazionale qui ad Holon. Ha fatto costruire l’Holon World Stadium per l’occasione, non ha badato a spese. Non poteva essere una coincidenza.
Sapphire non parlava, si limitava ad ascoltare con la bocca semiaperta e gli occhi fissi sul volto contrito di Ruby che invece preferiva guardare il tramonto.
‒ Quando l’ho saputo, ho deciso di ritrovare le altre due gemme per contrastare il potere di Rayquaza dandone a te una per tenermi al sicuro fino a quel momento.
‒ Aspetta, Ruby, a proposito di questa soffiata venuta da una persona molto vicina a Zero… stai parlando di Rocco, vero?
Ruby annuì desolato.
‒ Siete ancora in buoni rapporti? Dopo quello che gli hai…
‒ Io non gli ho fatto niente! ‒ Ruby non poté trattenersi. ‒ Ha deciso lui di andarsene, io non l’ho mai cacciato via. È stato come la prima volta, con Adriano.
‒ Rocco credeva in quella Lega, e la Lega credeva in lui. Era sicuramente il miglior Campione che Hoenn avesse mai avuto.
‒ Credi che mi faccia piacere sentirti dire queste cose?
‒ Credi che mi faccia piacere vedere il ragazzo… il mio vecchio miglior amico che prende in mano la mia casa e la trasforma in una trasmissione televisiva?
‒ Senti, sai che ti dico, lascia stare, ti ho detto quello che volevi sapere e adesso posso andarmene ‒ il ragazzo scattò in piedi.
‒ Sì, vattene, vattene ancora una volta!
Il ragazzo fingeva di non sentirla, prese la Poké Ball di Flygon e si preparò a tornare in volo.
‒ Pensavo che sarebbe cambiato qualcosa se ti avessi spinto a parlare, pensavo che avresti finalmente chiarito il perché di questi due anni in cui per me non sei rimasto altro che un posto vuoto!
Ruby ebbe un sussulto. Le parole di Sapphire sembravano averlo colpito dritto nello stomaco trafiggendolo a morte. Per qualche istante gli mancò il respiro.
‒ Beh, forse ti sbagliavi…
‒ Certo che mi sbagliavo. Ma grazie, comunque, avevo proprio bisogno di togliermi questo dubbio, sai, mi impediva di dimenticarti… ‒ Sapphire fu truce.
Ruby sembrò avere un mancamento. I suoi muscoli si ammorbidirono e il suo respiro affannoso si fece inesistente. Non riuscì a far uscire Flygon e per poco non fece cadere anche la Ball a terra.
‒ Non avevo altra scelta ‒ mormorò con un filo di voce.
‒ In che senso? ‒ domandò Sapphire.
‒ Dovevo farlo per forza ‒ continuò.
‒ Si ha sempre una scelta, chi ti ha obbligato?
Ruby si voltò. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore e dava l’idea di dover scoppiare a piangere da un momento all’altro. ‒ Io detesto quello che sto facendo, io odio la Hoenn che mi hanno costretto a creare, ma era l’unica speranza per tenere vivi tutti voi…
La rabbia di Sapphire sembrò sciogliersi appena.
‒ Qualcuno che non posso sconfiggere ‒ e, chiamato Flygon, gli saltò in groppa e volò via.
Sapphire rimase lì, immobile, per dei secondi interminabili. Nella sua testa molti fili si ricollegarono, alcune vicende presero un'altra forma. Le venne in mente il temerario pensiero di inseguirlo in groppa ad un Pokémon Eone, ma la ragione ebbe la meglio e decise di lasciarlo da solo. Lo fissò sparire nel cielo volando via alla massima velocità, chino sul proprio Pokémon.
 
‒ Buonanotte, ragazzi… ‒ salutò Platinum.
Quasi tutto il gruppo le rispose, lei se ne andò con la stessa espressione sconsolata di tutti sul volto.
Tutti i Dexholder erano ancora nella sala dell’ospedale. Stavano aspettando i responsi delle analisi degli ultimi due di loro e avevano perso un po’ di tempo per parlare con quei due giornalisti che si erano avvicinati attratti dal gruppetto di persone che si era formato con l’affluire dei visitatori.
‒ Penso che anche io e Yellow ce ne andremo ‒ mormorò Red.
‒ Io ho bisogno di bere ‒ fece poi Crystal alzandosi.
‒ Ti faccio compagnia ‒ si propose Blue.
I quattro designati lasciarono la situazione.
Per qualche istante, esclusi i bip delle macchine e lo scalpiccio dei mocassini degli infermieri sul pavimento lucido, regnò il silenzio.
Poi dopo poco giunsero in una busta pure i fogli destinati a Silver, questo saggiò quello che era sicuro essere un responso rassicurante, prese e se ne andò.
‒ Green, ho bisogno del tuo aiuto ‒ mormorò Gold dopo un po’.
‒ Ah, è per questo che sei rimasto.
‒ Ho una pista.
Il Capopalestra di Smeraldopoli fece capire con lo sguardo di essere interessato.
‒ Platinum Berlitz mi ha rivelato che in un laboratorio di Hoenn, precisamente quello in cui Rayquaza era contenuto tanti anni fa, un team di scienziati finanziati dalla sua famiglia ha creato la Gemma Verde, una pietra capace di controllare approssimativamente quel leggendario. Il terrorista potrebbe avere utilizzato quella per attaccare Vivalet. Se noi potessimo tornare lì e riattivare quei macchinari c’è la possibilità che riusciamo ad ottenere più informazioni, o nel migliore dei casi a tracciarla ‒ spiegò il ragazzo.
Green non lo aveva mai visto così serio. Lo trovava inquietante, a dire il vero.
‒ Va bene, e perché ti servirebbe il mio aiuto?
Gold indicò la sua cintura. ‒ Porygon-Z, il laboratorio ora è un rudere, sia che ritroviamo lì un computer che possa esserci utile, sia che dobbiamo cercarlo per conto nostro, allora avremo bisogno dei suoi poteri.
Green diede cenno di aver capito.
‒ Partiamo domani, all’alba, lasceremo un messaggio agli altri.
‒ Perché tutta questa fretta?
Gold non rispose e si limito ad assecondare il suo sguardo.
Green in un certo senso lo capiva. Tutti erano rimasti sconvolti, in particolar modo lui, Sapphire e Crystal. La ragazza di Hoenn era scomparsa da quel pomeriggio, Crystal si stava ubriacando con qualche alcolico di bassa lega da qualche parte lì attorno e Gold aveva deciso di condividere con lui uno dei suoi folli piani solitari. Non lo aveva mai visto così scosso e così poco… Gold.
‒ Va bene, vado a preparare i bagagli ‒ il Capopalestra si alzò in piedi e si avviò per la sua strada. Un medico lo intercettò in mezzo alla gente per dargli i risultati delle sue analisi. Per fortuna, lui se n’era dimenticato. Evidentemente il piano di Gold aveva conquistato un piano di rilievo nella sua tabella dei pensieri. Chissà se era un bene o un male.
E, alla fine, pure Gold si decise ad andarsene.
 
Sapphire trasse un lungo sospiro di desolazione.
Dopo esser tornata all’ospedale, non riuscendo a trovare nessuno, si era messa a cercare i suoi amici. Era venuto fuori, dalla testimonianza di Green che era stato l’unico che si fosse degnato di risponderle al PokéNav, che erano già andati tutti via da parecchio. E l’uomo le aveva detto che mentre Yellow, Red, lui, Silver e Gold erano tornati in stanza, Crystal e Blue si trovavano sicuramente nel bar più vicino.
E sì, le aveva trovate. In una bettola dal tanfo disumano ancora aperta per chissà quale grazia divina. Crystal era stravolta su un tavolino, ubriaca lercia, Blue sedeva accanto a lei con i capelli ridotti ad un disastro e numerosi graffi sulle guance e sulle braccia.
Sapphire entrò nel locale.
‒ Ehi, è la serata delle star, questa ‒ commentò il barman vedendo entrare la terza celebrità nell’arco di poco meno di un’ora. ‒ Signorina Birch, si lasci offrire un brandy ‒ era un uomo di mezza età con un sorriso che si apriva la strada a colpi di zappa in mezzo alla sua faccia rugosa e ispida.
‒ Non sono qui per bere, ma per riprendere loro ‒ disse serissima guardando quei due cadaveri che sembravano le sue amiche.
‒ Mh, lei ha iniziato tracannando whiskey e non si è più fermata ‒ indicava Crystal. ‒ poi quando un ragazzo ha cercato di portarla con sé in bagno, la sua amica che era ancora lucida ha fatto di tutto per impedirle di seguirlo. Ed è stato così che si è ridotta ad un cencio. La scena si è ripetuta un paio di volte e lei continuava a dirle di rimanere a bere finché tutte e due non hanno iniziato a fare talmente tanto schifo da risultare repellenti pure per Gregory ‒ e con lo sguardo si rivolse ad un ometto dal pancione prominente che, seduto al bancone proprio lì accanto, scrutava il suo triplo rum vacuamente, sembrava dover vomitare da un momento all’altro.
‒ Che schifo… ‒ commentò Sapphire esterrefatta. ‒ Le porto via, quanto ti devo? ‒ chiese mettendo mano al suo portafogli.
‒ Figurati, ragazza, se non fosse per voi tutta Vivalet non sarebbe qui ‒ rispose quello lucidando un bicchiere.
Sapphire annuì e sorrise, grata.
A sentire quelle parole, Gregory sembrò svegliarsi da quel coma profondo. Il beone le rivolse lo sguardo confuso e cercò di mettere a fuoco il suo volto.
‒ Ma tu eri lì quando quel mostro è stato fermato ‒ singhiozzò con la sua voce gracchiante.
Sapphire accennò un sì.
Quello cominciò gradualmente a ridere. ‒ Ah, abbiamo un’eroina stasera a bere qui con noi! ‒ esclamò facendo sussultare tutto il bar.
Sapphire era a disagio.
‒ Dai, ragazzi, guardatela, è proprio qui… cioè, è proprio lei!
Pian piano, tutti i bevitori che quella sera si erano rifugiati in quel locale disgustoso, cominciarono ad alzare la testa dal tavolo e dai loro bicchieri. E Sapphire dedusse che all’entrata delle sue due amiche tutti dovevano essere molto distratti, perché qualcuno cominciò pure ad additare Blue e Crystal come se le vedesse per la prima volta. Tra la folla si levavano cose come “ma sono proprio loro”, “guardale, da quanto sono qui?”, o “dici che quella con gli occhi azzurri si lascia offrire da bere?”. E tutti i clienti cominciarono a riconoscerle e ad alzare le voci nei loro confronti.
Poi, accadde l’inaspettato: da un angolo nascosto del bar partì un cadenzato battito di mani. Risuonarono da soli i primi timidi clap, ma ben presto tutti seguirono la corrente e un copioso applauso si riversò sulle tre Dexholder, due delle quali erano troppo sfatte per rendersene conto. Qualcuno alzò delle grida, alcuni fischiarono. Quando la loro identità era saltata all’occhio di tutti, subito la gratitudine del popolo era esplosa dalla folla.
‒ È per te? ‒ chiese Blue ad una Sapphire che si rese conto in quel momento che la sua amica era sveglia.
‒ No ‒ rispose Sapphire. ‒ è per noi.
La vide sorridere, anche se annebbiata dai fumi dell’alcool. ‒ Dobbiamo tornare?
‒ Se riesci a camminare…
‒ Certo che ci riesco, ma portare Crystal sarà compito tuo.
‒ Va bene ‒ rispose lei guardando quello straccio penoso che era la sua amica. Da quello che il barman aveva raccontato, quella non era stata una delle sue serate migliori.
‒ Oh, Sapphire ‒ proseguì Blue. ‒ Non ho permesso a nessuno di toccarla ‒ disse indicando l’amica di Johto.
La ragazza cercò di dare una ricomposta a Crystal, nel farlo passò una mano sui suoi leggins trovandoli tutti lacerati e strappati in corrispondenza dell’inguine. Impiegò un po’ per decidere se essere crudele o delicata con Blue ‒ Sei stata brava ‒ le rispose poi. Delicata.
E le tre ragazze tornarono all’hotel, Sapphire si caricò per tutto il percorso il corpo annichilito di Crystal mentre Blue la seguiva barcollando e inciampando ad ogni marciapiede. In qualche modo, la Dexholder di Hoenn trovò la via per rimetterle entrambe a letto e, verso un orario che non si concedeva neanche durante il resto dell’anno, andò a dormire.
 
“Knock-knock”
‒ Silver!
“Knock-knock”
Il fulvo aprì gli occhi lentamente. Scosse la testa che gli sembrava essere avvolta in una fitta nebbia. In mano aveva ancora la bottiglia di Jack Daniel’s vuotata la sera prima. La sua stanza era meno ordinata del solito, lui aveva addosso un paio di boxer e una maglia bisunta. Si alzò dal letto, aveva dormito veramente poco.
‒ Silver! ‒ chiamò ancora la voce da fuori la porta.
E subito il ragazzo ricordò come mai fosse sveglio. Gettò la bottiglia nel cestino, nascose quei pochi panni sporchi che aveva lasciato sulla poltrona, mise un paio di bermuda decenti. Fuori dalla porta della sua stanza trovò una preoccupatissima Yellow.
‒ Che diavolo succede? ‒ domandò scazzato.
‒ Green e Gold sono spariti! ‒ espose quella frenetica.
Silver guardò l’orario: le otto e ventidue. ‒ E questa novità valeva la levataccia? ‒ chiese sarcastico tentando di chiuderle la porta in faccia.
‒ Ascoltami! ‒ lo bloccò lei. ‒ Sil, che diavolo avranno in mente quei due?
Il fulvo la guardò. Era ancora scossa, probabilmente non riusciva a capirla perché per lui l’alcool aveva certamente contribuito a digerire la situazione. Per lei no, a quanto ne sapesse. Fece un esame di coscienza e chiese: ‒ Red?
‒ È in stanza, lo chiamo?
Silver annuì: ‒ chiama tutti.
Cinque minuti dopo, Yellow aveva già riunito l’intera squadra dei Dexholder rimasti attorno al tavolino nella terrazza dell’ultimo piano. In qualche modo aveva lanciato giù dal letto pure Crystal e Blue che all’inizio non volevano saperne nemmeno di aprire gli occhi.
‒ Come vi ho detto, Green e Gold sono spariti stamattina, dobbiamo cercare di capire che cosa potrebbero avere in mente ‒ esordì la bionda che sedeva accanto al suo ragazzo.
Blue si stropicciava gli occhi e Crystal aveva la faccia spiaccicata contro il tavolo, Silver sgranocchiava del pane tostato e Sapphire controllava il PokéNav. Attirò l’attenzione di tutti quando incontrò un messaggio che reputò importante.
‒ È di Green ‒ disse. ‒ “io e Gold stiamo cercando una roba, speriamo di riuscire a portare a termine qualcosa di utile, siamo a Hoenn” ‒ citò.
Tutti tacquero.
‒ Tutto qui? ‒ domandò Yellow.
Ognuno dei presenti aprì il proprio terminale. Ovviamente ognuno dei presenti aveva ricevuto lo stesso messaggio.
‒ Direi niente panico, quindi? ‒ propose Sapphire.
Ci fu un debole e viziato consenso generale. Qualcuno guardò male Yellow per essersi preoccupata per un nonnulla.
‒ Io invece devo parlarvi di una cosa importante ‒ prese in mano il discorso la castana di Hoenn. ‒ Ieri ho parlato con Ruby.
Crystal ebbe un sussulto, Blue smise di dondolarsi sulla sedia e Silver rischiò di strozzarsi.
‒ Sei seria? Ci sei riuscita? ‒ domandò Red con un filo di voce.
‒ Sì, e mi ha spiegato delle cose importanti.
Ci fu un parlottare diffuso.
‒ Non so se qui è il luogo adatto a parlarne… ma comunque. La causa dell’incidente è Zero.
La dichiarazione evocò lo stupore e il parlottare generale.
Di tutto il marasma intervenne solo Silver: ‒ Sapphire, mi stai dicendo che quel ragazzo avrebbe organizzato una specie di attentato terroristico nella sua stessa città. Oltretutto con un Pokémon leggendario?
‒ Ruby sapeva quando e come sarebbe arrivato Rayquaza, non ci piace ma è sicuramente una fonte attendibile.
Morì sul nascere ogni possibile contestazione venuta in mente ai presenti.
‒ Ha mandato uno dei suoi Superquattro a cercare la Gemma Verde, il gioiello che dona un approssimativo controllo su Rayquaza, l’intuito mi dice che questo Superquattro sia Murdoch, essendo specializzato nel tipo Drago ‒ entrò nella precisazione la ragazza.
‒ E il motivo di questo folle gesto? ‒ volle domandare Red.
‒ Non lo sa nemmeno lui. Lo so che è poco su cui lavorare, ma…
‒ È niente su cui lavorare ‒ intervenne con voce frustrata Crystal. Le sue occhiaie erano vistose e si capiva dal suo sguardo che i postumi della sbronza la tenevano ancora stretta tra le loro scomode braccia. ‒ cosa dovremmo fare? Entrare alla sede della Lega e gridare senza alcuna prova o sicurezza che il colpevole di una catastrofe di dimensioni epiche è il Campione in carica, peraltro l’Allenatore più forte vivente, e che ad agire per suo conto sia stato un suo sottoposto? ‒ chiese retorica e velenosa.
‒ Abbiamo la soffiata che Rocco ha mandato a Ruby.
‒ Non basterebbe comunque, è poco più che un’indiscrezione… ‒ Blue difese la teoria di Crystal.
‒ Andiamo a parlare con Rocco ‒ propose Yellow, logica.
Silenzio generale, ognuno valutò l’opzione.
‒ Non è una cattiva idea ‒ mormorò Sapphire per prima.
Crystal annuì vitrea, Blue la imitò, e Red acconsentì tacendo.
‒ Un attimo ‒ intervenne Silver. ‒ come facciamo con Gold e Green?
‒ Chiamiamoli, informiamo anche loro ‒ aggiunse diplomatica Yellow.
Silver annuì prendendo il suo PokéGear. Scelse il contatto di Gold. Attese alcuni secondi. Nessuna risposta. Mormorò un “idiota”. Ritentò con Green. Attese ancora. Niente. Stavolta tacque.
‒ Manda loro un messaggio, potrebbero aver preso l’aereo e non avere segnale ‒ quel giorno Yellow si sentiva ponderata e riflessiva.
Silver scrisse per una ventina di secondi muovendo le dita velocemente sullo schermo del piccolo dispositivo da polso.
‒ Fatto ‒ annunciò una volta finito.
‒ Bene, vogliamo partire subito verso… la città di cui Rocco è Capopalestra? ‒ riprese l’unica bionda del gruppo.
‒ Altelia, e comunque proporrei di partire appena pranzo, qualcuno ha bisogno di dormire un altro po’ ‒ intervenne Sapphire mandando un’occhiata di rimprovero a Crystal e Blue.
Tutti furono d’accordo, anche perché magari in quel modo sarebbe arrivata in tempo un’eventuale risposta da parte di Gold e Green. Conclusa la discussione, Yellow, Red e Silver scesero al piano di sotto per mangiare, mentre sopra rimasero solo Blue, Crystal e Sapphire.
‒ Hai notato quanto è cupo Red? ‒ domandò la ragazza di Hoenn quella di Kanto.
‒ Sì ‒ sussurrò quella.
‒ Non avrei mai detto che uno come lui potesse rimanere così male per un evento del genere, per quanto triste...
‒ E infatti, non è per Emerald, né per l’accaduto in generale.
‒ Che cosa intendi ‒ Sapphire la guardò strano.
‒ Intendo che il nostro Campione di Kanto nasconde qualcosa che lo turba.
Sapphire titubò. ‒ Tu lo conosci da più tempo di tutti noi, in effetti, ha mai fatto così altre volte?
‒ No ‒ rispose Blue. ‒ ed è per questo motivo che dev’essere qualcosa di veramente orribile ‒ spiegò, tetra.
Sapphire rimase male, lì per lì. ‒ Senti, vai a riposare, ora… ‒ le consigliò. ‒ dopo forse gli chiederemo qualcosa.
‒ Se ci fosse una qualche cosa che lo preoccupa, anche la più terribile del mondo, non vorrebbe darci pensieri.
‒ Come Ruby… ‒ pensò Sapphire lasciando uscire un filo di voce.
‒ Eh? ‒ chiese Blue.
‒ Niente.
Blue la guardò titubante. ‒ Mh… va bene, io vado a dormire, poi ho una vasca idromassaggio al piano di sotto che mi aspetta ‒ si congedò Blue.
‒ A dopo.
A ragazza ancheggiò verso la sua stanza, lasciando sola sulla terrazza Sapphire assieme ad un’invisibile Crystal.
‒ Come Ruby? ‒ domandò la Dexholder di Johto cogliendo quasi di sorpresa l’amica.
Sapphire non rispose. Aveva percepito tutta l’ostilità nella voce di lei e, guardandola in faccia, altro non riusciva a vedere che disprezzo e odio per se stessa e per la situazione in cui era finita.
‒ Che cos’ha quel ragazzo che non va che lo ha portato ad ammazzare in questo modo barbaro Emerald e altre centinaia di persone?
‒ Lo so, Crystal, è terribile…
‒ No, Sapphire, tu l’hai lasciato andare via. Ti ostini a non capire quanto noi abbiamo perso per colpa sua.
Sapphire non poteva fare a meno di pensare alle ultime cosa che Ruby le aveva detto. La situazione non era delle più comode, né per lei, né, da come aveva capito, per il ragazzo.
‒ Non possiamo procurarci un altro nemico, ora come ora.
‒ Lui è già nostro nemico, non riesci a capirlo?
‒ No, lui ha combattuto dalla nostra parte.
‒ No, noi abbiamo combattuto dalla sua perché abbiamo avuto il buon senso di non lasciarlo morire da solo contro quel mostro! ‒ esclamò la Catcher. ‒ …che col senno di poi, sarebbe stata la cosa giusta da fare ‒ sibilò lasciando Sapphire da sola sulla terrazza e rientrando nella sua stanza.
 
‒ Dice che Sapphire è riuscita a parlare con Ruby ed è uscito fuori da una soffiata di Rocco che il colpevole dell’incidente è Murdoch, Superquattro di Holon, che agiva per conto del Campione, Zero. Intenti sconosciuti. Inoltre andranno a parlare con Rocco proprio oggi ‒ lesse Gold tenendo con una mano il PokéGear e con l’altra la valigia.
‒ Quindi, che facciamo? ‒ domandò Green.
I due si erano imbarcati sul primo volo diretto a Hoenn rimasto con due posti vuoti, riuscendo ad evitare la epocale fila per il check-in. Stavano facendo scalo all’aeroporto di Fiordoropoli quando Gold aveva acceso il suo PokéGear per leggere i messaggi arrivati.
‒ Ormai stiamo per imbarcarci per Hoenn, no? ‒ fece il ragazzo di Johto con leggerezza.
‒ Sì, per cercare qualcosa che sappiamo già dove si trova…
‒ No, a questo punto le ricerche in quel laboratorio potrebbero aiutarci a capire come fermare quel folle.
‒ Rayquaza è morto, non c’è poi molto da fermare.
Gold sbuffò. ‒ I culi delle ragazze di Hoenn sono un buon motivo per rimanere…
‒ Vaffanculo, Gold ‒ mormorò il Capopalestra.
‒ Ah già, tu sbavi ancora dietro a lei ‒ lo sfotté maligno.
‒ Senti, io torno a Holon, magari là troverò qualcosa di davvero utile da fare ‒ girò i tacchi Green.
‒ Aspetta, credo di avere un’idea ‒ si illuminò Gold.
‒ Vai, spiegamela ‒ lo esortò Green.
Quello sorrise, malintenzionato.

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Capitolo 11
*** Capitolo 5 - Turntablism pt. 1 ***


Capitolo 5: Turntablism pt. 1
 
 
Sapphire non poté evitare di rendersi il pranzo tre volte più amaro. Crystal era stata cattivissima nei confronti di Ruby, e probabilmente la sua parte razionale le dava ragione. Tuttavia, il ragazzo che era la causa della situazione in cui Hoenn annaspava aveva fatto in tempo ad impiantare nella sua testa un grosso dubbio. Aveva detto di doverlo fare per forza, aveva detto che era l’unico modo per tenere vivi tutti loro. Quanto di ciò che le era stato riferito era vero?
Non poteva saperlo, o comunque non lo avrebbe mai scoperto facilmente. Eppure, aveva la fievole impressione che un colloquio con Rocco l’avrebbe aiutata a comprendere qualcosa in più anche a proposito di Ruby e di ciò che era accaduto a Hoenn negli ultimi due anni. Non parlava con Rocco da parecchi mesi, vuoi per il suo recente trasferimento a Holon e vuoi per il fatto che Sapphire, negli ultimi tempi, era stata in movimento perpetuo tra le regioni. Aveva visto città costruite nella roccia, grotte scintillanti, montagne giganti e innevate, foreste intricate e selvagge. Pochi avrebbero creduto al fatto che la risposta a ogni suo malessere potesse averla una persona che lei conosceva fin dalla tenera età.
Certo, persino il sole poteva essere un’incognita, a quel punto. Eppure Sapphire si sentiva bene a sperare.
La ragazza infilò il vassoio del self service nel carrello delle stoviglie sporche. Abbandonò in fretta la mensa e tornò nella sua camera all’ultimo piano. La sua valigia era stata ricomposta quella mattina stessa e vegliava su quella stanza dall’alto del letto sfatto su cui era stata lasciata. Sapphire voleva andarsene al più presto, lasciare quel luogo e rivedere qualche faccia amica. Tuttavia sapeva bene che non avrebbe trovato i vecchi sorrisi su quelle facce, non avrebbe trovato serenità o gioia. E la cosa la spaventava. Dentro. Fuori era invece decisa e determinata.
Cinque minuti dopo, era nell’atrio dell’hotel. Era una bella giornata, torrida come le precedenti, anche se il fumo e la polvere offuscavano un po’ il sole. Tutti i membri della squadra di Dexholder si presentarono in orario. C’era l’inseparabile coppia Red-Yellow, la delicata Platinum, Crystal che non si fece alcun problema a non salutarla e Silver, serio e ombratile come al solito. Tutti pagarono il conto dell’hotel e lasciarono le chiavi delle stanze alla reception.
‒ Ci siamo tutti? ‒ furono le prime parole del rosso.
‒ Possiamo andare ‒ gli rispose Sapphire.
La comitiva partì alla volta di Altelia, città poco lontana da Vivalet, anch’essa affacciata sulla costa. Sarebbero giunti lì in pullman che era, in quel momento, il mezzo di trasporto pubblico più sicuro e meno affollato. Stazioni, porti e aeroporti pullulavano infatti di turisti nervosi e viaggiatori stralunati. Avrebbero impiegato più o meno due ore.
Nel silenzio generale, il gruppo si raccolse in corrispondenza di una fermata, attese alcuni minuti per poi salire sull’extraurbano indirizzato verso la loro meta. Stranamente nessuno aveva seguito i loro movimenti all’uscita dall’hotel, persino i reporter e i giornalisti avevano iniziato a demordere, spinti dalla voglia di fuggire o dal bisogno di raccogliere servizi a proposito di altre novità in giro per la metropoli. Invece, quasi tutto il bus sgranò gli occhi al loro cospetto. Non uno, non due ma ben sei Dexholder tutti insieme. Gente famosa, gente importante. Un ragazzino seduto dietro al sedile che Silver decise di occupare aveva una luce talmente intensa negli occhi da far spavento. Chiese timidamente un autografo all’Allenatore dai capelli rossi mentre il fratello adolescente bolliva dall’imbarazzo. Il Dexholder di Johto abbozzò un’espressione felice e scrisse il suo nome sul cinturino del PokéNet, proprio come il suo fan aveva chiesto. Non era di certo il primo autografo che Silver avesse mai concesso. Ma sicuramente il più strano. Tutto sommato era felice di vedere che la gente aveva ancora voglia di sorridere per esser riuscita a parlare con i propri idoli, anche dopo tutto ciò che era successo, anche dopo tutto il dolore. Cercò comunque di non farsi vedere dai suoi amici mentre passava la mano tra i capelli del ragazzino. Per Yellow il viaggio scorse tranquillo, tutto all’infuori di lei sembrava essersi inclinato di quarantacinque gradi: come ogni ragazza, trovava che la spalla del suo uomo fosse il posto più comodo su cui poggiare la testa. Red fissava invece l’asfalto che scompariva metro dopo metro sotto il loro mezzo di trasporto. Era inerte, silenzioso. Cosa assolutamente insolita per un Red. Crystal tenne tutto il tempo le pupille puntate sull’orizzonte: il mare a est dell’isola di Holon. Chiaro, illuminato dal sole che da lui si allontanava progressivamente. I riflessi della luce sull’acqua danzavano con le onde: loro non avevano paura di Rayquaza, loro non sentivano alcuna molletta stretta alle coronarie che impedisse al flusso sanguigno di portare via il ricordo di Emerald. Scoprì presto che fissare il mare era l’unico modo per non strangolare il sedile che aveva davanti. Platinum era invece seduta accanto a Sapphire. La signorina Berlitz stava sommariamente raccontando alla sua ultima amica la storia vissuta a Sinnoh con gli altri due Dexholder locali, suoi amici. Pearl e Diamond, si chiamavano.
‒ Ah, sì, ho letto qualcosa su di loro da uno degli schedari di mio padre… ‒ Sapphire sembrava alla ricerca di qualcosa all’interno della sua memoria.
‒ Strano, da quello che mi ha detto il Professor Rowan, raramente condivide i suoi dati e le sue ricerche con gli altri esperti regionali ‒ commentò Platinum.
Sapphire aveva sprazzi e immagini di quelle poche righe che aveva appena avuto il tempo di leggere molti mesi prima. Forse aveva fatto scorrere gli occhi su un file rimasto aperto sul monitor del genitore, forse aveva inavvertitamente preso una di quelle schede al posto di un foglio di suo personale interesse. Ricordava qualcosa a proposito di un idea, qualcosa come un progetto: “Arbor Vitae”, le pareva si chiamasse.
‒ Nah, tabula rasa ‒ si arrese. ‒ Che dicevi su di loro?
E Platinum proseguì la narrazione della sua epopea. Le parlò della sua regione, depositaria delle più antiche leggende riguardanti Pokémon che controllano tempo, spazio, caos e ordine, le parlò dei laghi e di come questi fossero la dimora di spiriti puri che si narra avessero dato all’uomo la volontà, la sapienza e le emozioni. Sapphire aveva già sentito tutte queste cose, durante il suo rapido soggiorno a Sinnoh. Aveva impiegato quasi due mesi per rastrellare ogni medaglia di quella regione. Ma lo aveva fatto col cuore appesantito e la mente dispersa e impegnata a pensare ad altro. Scoprire queste cose da Platinum fu per lei agrodolce.
“Volontà, conoscenza, emozioni…” stava pensando qualche momento dopo il termine di questa sua conversazione. Accanto a lei c’era ancora Platinum che, accompagnata dalla sua solita grazia, si era addormentata rannicchiata sul suo sedile.
“Volontà: parlare con lui, ora, subito… conoscenza: ben poco, ma abbastanza da dargli una sola possibilità per spiegarmi tutto... emozioni: meglio lasciar perdere…” ormai non lo negava neanche più a se stessa. Non ne aveva più voglia.
La corriera corse traballando fino alle porte di Altelia. L’insegna che portava il nome della città spuntava a lato della strada principale e sembrava fatta di legno perfettamente imbiancato. Sapphire ebbe appena il tempo di studiarla, prima di rendersi conto di esser stata catapultata in un altro periodo storico. Strabuzzò gli occhi. Veniva da Vivalet, coi suoi edifici di vetro e le sue forme geometriche ma irregolari, ma si ritrovò immersa in una sorta di paese portuale mediterraneo appena uscito dal diciannovesimo secolo. Le strade di Altelia erano in mattoncini grigiastri e squadrati, le case sembravano sorgervi spontaneamente: il complesso urbano sembrava esser stato costruito tutto nello stesso momento, da alcune facciate dei palazzi che mai oltrepassavano i tre piani spuntavano morbidi reticoli di rampicanti e le viottole, tutte poste ad un’altezza differente a causa della natura irregolare del borgo, erano striate dalle ombre degli edifici che lentamente diventavano sempre più lunghe, avvicinandosi sempre più alla riva del mare.
‒ Holon, signori… ‒ commentò qualcuno tra i Dexholder.
La regione non finiva mai di stupirli, per attirare il turismo di ogni tipologia, era stata costruita da zero e mediava elementi provenienti da ogni dove, nel mondo. Tutto artificiale, tutto finto: boutique, negozi e luoghi di ristoro, era ciò che si trovava in quegli edifici, mai abitazioni familiari. E forse era proprio questo il suo fascino.
‒ Capisco perché Rocco abbia scelto di trasferirsi in questa città ‒ commentò Sapphire, ammirando la piattissima distesa del mare che ricordava tanto l’oceano a est di Hoenn del quale si aveva una vista mozzafiato dalla sede della Lega. “O necessita di questa vista per ricordarsi ogni giorno della sconfitta, o vuole solamente rimanere legato alla sua regione natale, come se temesse di dimenticarla” pensava la ragazza.
‒ Ragazzi ‒ Silver aveva con se una cartina, gentilmente dotata dal simpatico conducente.
 
In un quartiere poco più a sud, sorgeva un edificio costruito in pietra. La targa sulla statua alla sinistra della porta recava l’incisione:
“Palestra di Altelia
Capopalestra: Rocco Petri
Medaglia: Tempra”
Accanto, il romboidale emblema della regione di Holon, la Poké Ball dalla forma dell’isola. Nell’edificio, specificatamente nella sua stanza, il suo ufficio personale, sedeva un uomo dai capelli celesti e la carnagione pallida. Aveva una sottile camicia bianca di lino che si insinuava negli stretti pantaloni viola, un tempo parte di un vestito più elegante. Alle dita molteplici anelli, quasi tutti semplici cerchi metallici e neutri, senza pietre o iscrizioni. Rocco era solito giocare con quello dell’indice destro, quando era nervoso. E da qualche giorno, l’anello non conosceva pace. L’uomo afferrò il bicchierino di liquore che era sulla scrivania e lo mandò giù tutto d’un sorso. Un calore gli pervase le viscere, a partire dalla gola e dallo stomaco. Sbloccò il cellulare e inviò due messaggi ad un contatto il cui avatar era una bella donna bionda in bikini che si faceva il bagno nelle acque di Spiraria, a Unima. Si alzò in piedi, sistemò il colletto della camicia e si avviò verso l’atrio ancora prima che un campanello squillasse, acre e robotico, nell’aria silenziosa della palestra.
Dietro la porta trovò sei ragazzi, tutti diversi, tutti uguali. Riconobbe quella che avrebbe dovuto salutare per prima, quella che ricordava meno peggio. Aveva gli occhi celesti come lo zaffiro orientale e i capelli castani raccolti in una coda. Fece i convenevoli nei confronti degli altri e chiese educatamente qual buon vento portasse quella schiera di ragazzi.
‒ Non proprio “buon” vento ‒ rettificò Sapphire, che sembrava quella più indicata per parlare con un ex Campione di Hoenn.
‒ Già, ho visto tutto il caos degli ultimi avvenimenti ‒ Rocco fece loro cenno di entrare e sistemarsi, li fece sedere tutti nell’ufficio. La stanza era spaziosa e le veneziane permettevano un’illuminazione fresca ma diffusa, di sedie ce n’erano già abbastanza. ‒ Abbiamo raccolto quasi mille anime in preda al terrore, la città ha conosciuto tanta gente nuova.
‒ Siamo qui per farti alcune domande ‒ spiegò Sapphire.
‒ Tutte quelle che volete, e io che mi aspettavo che prima o poi qualcuno sarebbe entrato per la medaglia ‒ sorrise, ironico.
‒ Sì tratta di Ruby.
Rocco era stato avvertito da una sua collega che sei ragazzi particolarmente telegenici erano diretti verso la sua città e che una di loro lo conosceva bene. L’uomo aveva ipotizzato cosa mai potesse chiedergli una ragazza come Sapphire, ma la soluzione non gli era piaciuta, per questo si mostrò sorpreso nel sentir nominare il nome del ragazzo, attuale Campione di Hoenn e suo successore.
Tutti aspettavano con ansia una sua reazione che non fosse il silenzio. Lui valutava se offrire da bere o no. Decise di sì.
E mentre ognuno degli ospiti sorseggiava un liquame diverso dal proprio bicchiere, Rocco pensava a cosa potessero cercare di tanto importante oltre quella piccola pallina che era nella sua testa e che rimbalzava da mesi sulla sua ghiandola del buon senso, causandogli un fastidio ossessivo e costante.
‒ Ruby sapeva dell’attacco di Rayquaza, prima che questo si facesse vivo ‒ argomentò Sapphire.
‒ E vi ha detto che la soffiata è arrivata da me ‒ continuò la frase Rocco.
‒ L’ho dedotto.
Rocco annuì, comprendendo che Sapphire stava facendo riferimento a qualcosa di cui avrebbe voluto parlare in privato. ‒ Insomma, mi è arrivata una voce e ho riferito a Ruby quello che avevo sentito…
‒ Rocco, per favore ‒ Sapphire lo guardò negli occhi. ‒ Ho bisogno di informazioni precise, quello che è successo non può essere ignorato.
L’uomo indugiò per alcuni istanti. Dodici occhi puntati su di lui, ogni coppia curiosamente colorata corrispondentemente al nome del suo possessore. Sapeva che di lì a poco avrebbe fatto la cosa giusta e avrebbe parlato. E si stava odiando per questo.
‒ Zero è folle, Campione responsabile e serio, grande genio del leading e della lotta Pokémon, ma ha una mente che sembra dover esplodere da un momento all’altro. Sono stato allertato da una persona che è stata capace di bloccare i suoi progetti di distruzione fino ad un certo punto, ma non è stata in grado di fermarlo quando ha pensato di scatenare Rayquaza. A quel punto ha deciso di dirlo a me, perché io avvertissi Ruby ‒ spiegò sommariamente.
Ai Dexholder sembrava uno spiraglio di sipario aperto.
‒ Il nome di questa persona, Rocco ‒ non era una domanda, quella di Sapphire.
‒ Kalut, una delle persone più vicine a Zero, forse una delle poche menti che riesca a comprendere la sua follia.
‒ Che strano nome ‒ osservò Platinum.
‒ Hai detto che ha impedito più volte a Zero di uccidere ‒ proseguì Sapphire.
‒ Quella è la sua missione.
‒ Obbedisce agli ordini di qualcuno? ‒ Sapphire sembrava capire l’antifona della situazione.
Rocco sorrise nostalgicamente. ‒ Kalut non obbedisce agli ordini di nessuno, ma sta prestando la sue capacità a servizio della giustizia.
Tutti i Dexholder si guardarono titubanti, avevano ricevuto parecchie informazioni in poco tempo, i loro cervelli continuavano a rielaborare. Solo Sapphire teneva gli occhi gelidamente puntati su Rocco: aspettava che il discorso tornasse a toccare Ruby. Ma Rocco lo aveva capito, e non voleva parlare davanti a tutti.
‒ È tutto… ‒ scrollò le spalle il Capopalestra.
 
Centinaia di chilometri più a sud ovest, a Ciclamipoli batteva forte il sole. Sarebbe stato possibile cuocere una bistecca sulla rovente pista di atterraggio del Boeing targato Hoenn Airways che aveva trasportato Green e Gold. I due erano stati sbalzati di un fuso orario, il che voleva dire che si trovavano un’ora indietro rispetto ai loro amici che ancora si trovavano a Holon. Due volte avevano letto sull’orologio “ora di pranzo” e due volte Gold aveva pranzato. La prima volta in aereo, con uno dei buonissimi e convenientissimi pasti di linea, la seconda all’aeroporto, con una focaccia gigante, altrettanto salata. Green si era chiesto quanti dannati stomaci avesse.
‒ Quindi direzione Torre dei Cieli?
‒ Esattamente.
I due spiccarono il volo non appena furono fuori dall’aeroporto, Gold su Togekiss e Green su Charizard.
E in poco tempo scorsero in lontananza un’ombra lunga e sottile che sembrava congiungere la terra con le nuvole. Di tutti i diversi popoli che avevano camminato sulle terre e navigato sulle acque di Hoenn, Braille, Alfa e Draconidi, il monumento poteva esser stato eretto in qualsiasi momento della storia.
‒ Eccola là! ‒ esclamò Gold perché Green lo sentisse nonostante il frastuono causato dallo sferzare dell’aria sui loro corpi che volavano a velocità elevatissime.
‒ Quanti piani sono?
Cinquanta, sapeva bene Gold, ma era anche informato circa il brutto avvenimento che ne aveva mozzato la cima. Sta di fatto che non conosceva il numero preciso. ‒ Tanti ‒ rispose.
Il Capopalestra di Smeraldopoli e il Dexholder di Johto giunsero insieme all’isolotto su cui la torre si erigeva. L’architettura era maestosa, costruita in una pietra calcarea di colore giallognolo, a pianta triangolare ed elevata oltre la linea visibile. Con i piedi sulla sabbia dell’isolotto, i due Allenatori si sentivano estremamente piccoli.
‒ Era la dimora di Rayquaza, e il Pokémon è stato svegliato qui ben due volte, dal team di ricercatori finanziato dai Berlitz, undici anni fa, e dal Lino che era accompagnato dal padre di Ruby, sei anni fa. In corrispondenza dell’evento del meteorite che rischiava di distruggere la terra, due anni fa, Rayquaza si è invece destato da solo, pare che abbia distrutto lui i piani più alti. Se è tornato a riposare prima dell’attacco a Vivalet, sicuramente lo ha fatto qui e quindi colui che lo ha svegliato con la Gemma Verde, deve averlo fatto all’ultimo piano di questa torre.
Green rimase sorpreso. ‒ Hai studiato, Gold ‒ ironizzò.
‒ Ultimo piano, ti si tapperanno le orecchie e sarà difficile respirare ‒ concluse lui tornando in groppa al suo Pokémon volante.
Green lo imitò e dopo una vertiginosa salita i due tornarono a poggiare i piedi sulla diroccata cima della torre. Avevano patito un gelo infernale e più di una volta avevano rischiato di cadere, comprendendo la ragione per cui tutti la scalavano a piedi, quella costruzione, o alla peggio la attraversavano in volo passando per l’interno. Green non mancò di far notare a Gold la stupidità della loro ultima azione. Ma si interruppe quasi subito. I due tremavano ancora per la temperatura artica e per le sferzanti correnti che si sfogavano a quell’altitudine, quando una bruttissima immagine attirò i loro sguardi.
Una capanna formata da alcuni pennuti bianchi e neri si agitava caoticamente in un angolo. Erano dei Mandibuzz, Pokémon saprofagi.
‒ Stanno mangiando ‒ affermò Green con sicurezza.
‒ Ora c’è da capire che cosa ‒ proseguì Gold.
E presto la risposta apparve chiara quanto prevedibile. I Dexholder mossero alcuni passi verso il banchetto e in un istante gli uccellacci svolazzarono via, come dinnanzi alla presenza di un predatore. Comparve quello che fino a due secondi prima era oggetto del loro beccare e strappare: un cadavere indubbiamente umano sdraiato sulla pancia spolpato per la maggior parte. Parecchie ossa erano scoperte e in determinate zone la necrosi era già avanzata. Gold si prese un attimo, mentre Green ebbe un sussulto. I due si avvicinarono per studiare il corpo, osservarono la nuca scorticata su cui forse una volta erano spuntati dei capelli, la schiena piena di buchi dalla quale puntavano scapole e spina dorsale, le cosce che avevano offerto la maggior quantità di carne agli spazzini.
‒ Che cosa orribile… ‒ commentò Green.
Ma il peggio doveva ancora venire agli occhi di entrambi. Solo dopo alcuni minuti di contemplazione notarono che, strette attorno alle caviglie e ai polsi del cadavere, c’erano dei fitti nastri di ragnatela che lo ancoravano al terreno.
‒ Significa… ‒ Gold digrignava i denti. ‒ che lui era ancora vivo quando gli uccelli hanno iniziato a cibarsi…
‒ Cominciando dalla schiena, la sua agonia è stata prolungata all’inverosimile.
‒ Giriamolo ‒ suggerì ad un certo punto il ragazzo di Johto.
‒ Cosa?
‒ Giriamolo, voglio vederlo in volto ‒ ripeté.
Green non poteva immaginare di doverlo fare davvero. Ma si convinse. Charizard, facendo attenzione a non dare fuoco al corpo, bruciò le ragnatele che lo tenevano prono. Gold lo ribaltò e, nel farlo, il braccio destro del corpo rimase a terra, troncandosi all’altezza della spalla. Ai due apparve l’altro lato della medaglia. Un torace intatto, un bacino privo di qualsiasi graffio, un volto pallido e su cui il dolore aveva scavato un’espressione orribile, ma ancora perfettamente integro.
‒ Oh Cristo… ‒ esclamò Green.
‒ L’hai riconosciuto?
Silenzio. E un cenno di assenso.
Si trattava di Murdoch, il Superquattro di Holon che, su ordine di Zero, avrebbe scatenato Rayquaza contro Vivalet.
 
‒ Parla Red ‒ rispose con voce seria il Campione di Kanto.
‒ Abbiamo un qualcosa che dovreste assolutamente vedere ‒ disse Green.
‒ Lì a Hoenn?
‒ Qui a Hoenn.
Tutti i Dexholder e Rocco fissavano Red, che aveva ricevuto una chiamata nel bel mezzo della loro conversazione. Lo videro alzare le sopracciglia, aggrottarle, impallidire, appoggiarsi allo schienale della sedia come se potesse avere un mancamento da un momento all’altro.
‒ Va bene, grazie, riferisco anche agli altri, ottimo lavoro ‒ riagganciò balbettando.
Tenne gli occhi fissi nel vuoto, Red, mentre riferiva a tutti i presenti ciò che Green e Gold avessero trovato sulla cima della Torre Dei Cieli.
‒ Morto… ‒ mormorò Rocco. ‒ Non può essere una coincidenza, sono sicuro che è stato lui a controllare Rayquaza… perché mai qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo in modo tanto brutale?
‒ Non ne ho idea, siamo sicuri che sia stato un delitto efferato e non una sorta di suicidio o sacrificio rituale? ‒ suggerì Platinum, stupendo tutti.
‒ Magari lo sforzo cui è stato costretto per tenere Rayquaza sotto la propria volontà lo ha ucciso ‒ tentò Silver.
‒ Ragazzi ‒ intervenne Green, che era ancora in linea, in vivavoce dall’apparecchio di Red. ‒ era legato al terreno e sul volto aveva ancora l’espressione del dolore, questa non può essere altro che un esecuzione.
Ognuno tacque.
‒ Rimane solo… il motivo per cui questo Murdoch avrebbe meritato una morte tanto atroce ‒ riprese Sapphire.
‒ Forse proprio perché è stato lui a causare quel disastro? Non diamo per scontato di avere dalla nostra parte solo gente per bene… ‒ intervenne Crystal, attirando ogni sguardo su di sé. ‒ Magari qualcuno ha ben pensato di amministrare la propria giustizia e vendicare le centinaia di morti ‒ proseguì.
La sua voce, che era diventata molto simile ad un sibilo dal momento della morte di Emerald, suonò tagliente e gelida.
‒ Dando per scontato che, su ordine di Zero, sia lui il vero colpevole del risveglio di Rayquaza ‒ ripartì Green. ‒ chi poteva essere a conoscenza di questo fatto?
‒ Io, e vi posso assicurare che non farei mai una roba del genere ‒ disse Rocco. ‒ E Zero stesso ‒ l’uomo riversò il peso del corpo all’indietro con tutta l’aria di volerli lasciar ragionare, senza intervenire per un po’.
‒ Aspetta, Kalut? ‒ tentò Sapphire. ‒ Hai detto di aver ricevuto da lui la soffiata, è il tipo capace di perpetrare simili azioni? ‒ domandò.
‒ Non lo so, ma non penso…
‒ Inseriamolo in lista sospettati, per ora ‒ suggerì Red, cominciando poi a spiegare a Green chi fosse costui.
‒ Anche Ruby conosceva i piani di Murdoch ‒ sibilò Silver, tenendo gli occhi fissi su Crystal. ‒ E lui era l’unico ad essere già salito sulla Torre e a conoscerla a fondo.
Tutto tacque, il brusio che si era levato si dileguò nell’etere. Un brivido di sospetto gelò la schiena di ognuno.

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Capitolo 12
*** Capitolo 5 - Turntablism pt. 2 ***


Capitolo 5: Turntablism pt. 2
 
 
‒ Quindi è probabile che Ruby abbia ammazzato Murdoch in quel modo orribile? ‒ fece Green.
‒ La Torre Dei Cieli è territorio suo e inoltre sappiamo che era a conoscenza dei piani di Murdoch ‒ elencò Silver.
‒ Green, da quanto tempo è lì il cadavere? ‒ chiese Sapphire volendo portare nuove informazioni al brainstorming che era in corso.
‒ A giudicare dallo stato di degradazione, meno di due giorni ‒ rispose quello attraverso il PokéGear.
‒ Ho parlato con Ruby ieri sera, dovrebbe essere partito nell’istante appena seguente con un volo privato per compiere l’omicidio in tempo ‒ suggerì la ragazza di Hoenn.
‒ Nei fatti, avrebbe potuto farlo... ha un jet privato ‒ chiarì Crystal, velenosa.
‒ Mettiamo in conto che sia stato lui, allora ‒ parlò stavolta Rocco. ‒ perché mai avrebbe deciso di togliere di mezzo Murdoch ora che il disastro è ormai stato causato?
La sua razionalità fece titubare tutti i presenti.
‒ Può non piacerci, ma Ruby non è uno stupido né un bambino, neanch’io vedo un motivo che lo avrebbe spinto a tanto ‒ disse Sapphire.
‒ Rocco, voglio sapere di più a proposito di Kalut ‒ proferì Red, facendo scendere il silenzio.
Qualcuno cominciò ad annuire per mostrare consenso nei confronti del Campione di Kanto. Ormai, quella di Kalut era l’unica pista seguibile nell’unanimità.
‒ Qualcuno qui ha bisogno di delucidazioni, a quanto pare… ‒ disse una voce alle loro spalle.
Camilla, la Campionessa di Sinnoh, comparve nella stanza. Platinum si illuminò, conosceva quella donna fin troppo bene e la ammirava dal profondo del suo cuore. Le sorrise elegantemente e la Campionessa rispose.
‒ Ce ne hai messo di tempo ‒ la accolse Rocco alzandosi.
L’uomo abbandonò la sua posizione lasciando il posto a Camilla, che però preferì poggiarsi alla scrivania più che alla sua poltrona. I presenti, passati i convenevoli, cominciarono a rivolgerle sguardi di riverenza e serietà. Camilla li squadrava tutti, da capo a piedi; conosceva abbastanza bene Red e Sapphire, il primo era un Campione come lei, la seconda era balzata sotto tutti i riflettori del mondo con la sua presenza tra i rango S al torneo. Eppure, ognuno di loro aveva una faccia conosciuta. Loro avevano impedito a Rayquaza di radere al suolo Vivalet, e il background di ognuno era colmo di imprese mitiche compiute negli anni: erano degli eroi. Di fronte a quei sei ragazzi, lei, fiera Campionessa di Sinnoh che deteneva gloriosamente il titolo da anni, si sentiva piccola e debole. Ma di certo non lo lasciò intendere a nessuno dei presenti.
‒ Vorrei congratularmi con ognuno di voi per quello che avete fatto a Vivalet ‒ pronunciò con gli occhi fissi nel vuoto, la sua voce era matura e dolce al tempo stesso. ‒ Ci sono un paio di assenze, noto.
‒ Gold e Green a rapporto, siamo in diretta da Hoenn ‒ esclamò il ragazzo di Johto in vivavoce dal PokéGear mettendo ognuno in imbarazzo. Si avvertì movimento, un brusio di fondo molto simile a quello creato da due persone che litigano a bassa voce. Qualcuno credette di sentire una roba contenente le parole “Camilla”, “bionda” e “pezzo di”.
‒ Ruby è… impegnato ‒ spiegò Rocco capendo che l’allusione di Camilla superasse i due Allenatori che erano in collegamento PokéGear.
‒ Veramente, da più o meno due anni a questa parte, nessuno di noi è in buoni rapporti con Ruby ‒ puntualizzò Sapphire, paladina dell’onestà.
Camilla intese, accennò un sorriso, prese un respiro.
‒ Siete venuti qui per parlare con Rocco, state indagando a proposito dell’attentato ‒ proferì la Campionessa di Sinnoh. ‒ E proprio Rocco mi ha chiesto di venire qui, quando ha saputo che eravate giunti ad Altelia.
Nessuno dei Dexholder riusciva a capire dove volesse andare a parare Camilla.
‒ Perché aveva intuito ‒ proseguì lei. ‒ che avreste fatto delle domande a cui avremmo avuto l’autorità di rispondere solo insieme.
‒ E così è stato ‒ concluse Rocco.
Gli occhi grigi della Campionessa oscillavano tra i loro volti. Li studiava, cercava di carpire anche la minima caratteristica del loro animo. Era sempre stata ottima nel decifrare le persone che aveva davanti, non avrebbe sicuramente fallito con loro.
‒ Kalut, di cui Rocco vi ha parlato con approssimazione, era una delle persone più vicine al Campione Zero. Lui per molto tempo ha svolto perfettamente il suo lavoro, trattenendo la follia di Zero dal compiere azioni come quella a cui tutti abbiamo assistito. Purtroppo, da pochi giorni i due si sono persi di vista, Zero ha tagliato ogni legame con Kalut e i risultati di ciò li abbiamo potuti riscontrare in quello che è avvenuto a Vivalet ‒ ripeté la donna.
‒ Rocco ci ha già spiegato tutte queste cose ‒ puntualizzò Sapphire.
‒ Bene, innanzitutto, Zero vuole togliere di mezzo tutti gli Allenatori più potenti, e con potenti intendo capaci di influenzare la massa, politicamente e socialmente ‒ lo sguardo di Camilla era fisso su Red, eroe moderno, modello per la maggior parte degli aspiranti Allenatori, Campione di Kanto, una leggenda vivente. Ovviamente, quest’ultimo non poté non sentirsi a disagio.
‒ Perché vuole farlo? ‒ domandò giustamente Sapphire.
‒ Non siamo a conoscenza delle motivazioni che lo spingono a tanto ‒ mormorò Camilla.
‒ È assurdo, l’Allenatore più forte della terra aveva intenzione di uccidere tutte quelle persone e nessuno fa niente ‒ intervenne Gold.
‒ Ti sei risposto da solo, è l’Allenatore più forte della terra ‒ lo contrastò la Campionessa.
‒ Ma come si può lasciare che questo giri ancora a piede libero dopo tutto ciò che è successo?
‒ Ovviamente, tutti i suoi piani sono segreti, noi siamo solo stati capaci di anticiparlo grazie a Kalut. Altrimenti avremmo già avuto le prove per fermarlo ‒ spiegò la donna.
Per un momento ci fu il silenzio nella stanza.
‒ Perché ha attaccato uno stadio pieno di civili, se voleva uccidere solo determinate persone? ‒ domandò Blue, razionalmente.
‒ È qui la stranezza, la risposta potrebbe trovarsi proprio nel cadavere che i vostri amici che sono a Hoenn hanno trovato
‒ Zero è spregiudicato, ucciderebbe i suoi avversari e le persone che reputa debbano morire senza onore e pietà, ma morirebbe anziché far del male a coloro che lui reputa innocenti ‒ la donna stava dimostrando di avere una profonda conoscenza del soggetto, persino Rocco pendeva dalle sue labbra.
‒ La reazione di Rayquaza… ‒ tentò Red.
‒ Rayquaza ha perso il controllo, stiamo parlando di un Pokémon che ha miliardi di anni, l’unica cosa capace di ucciderlo si è dimostrata essere la sua stessa forza, non avrebbe mai permesso ad un uomo solo di indirizzare le sue azioni ‒ lo contrastò Camilla, severa. ‒ E soprattutto, Zero non avrebbe mai permesso a Murdoch di commettere una strage…
Sapphire non respirava più, ormai, ascoltava ciò che quella conversazione le proponeva con espressione vuota.
‒ Zero ha spiegato con precisione i suoi intenti a Murdoch, ma quest’ultimo ha fallito, portando Rayquaza ad uccidere civili e innocenti, cosa che gli è costata la vita ‒ riassunse.
‒ Quindi sarebbe stato Zero stesso l’autore di questo scempio? ‒ domandò Gold, in collegamento dalla Torre Dei Cieli.
‒ Sì, intenzionato a punire il suo sottoposto che centinaia di innocenti hanno pagato con la vita.
‒ Questo è ciò che fa Zero, è senza pietà, se reputa che le sue vittime meritino di morire.
Tutti gli ascoltatori rimasero esterrefatti, ma un minimo rincuorati. La colpa non gravava più sulle loro spalle, anche se una tremenda realtà era venuta fuori da ciò che Camilla aveva spiegato loro.
‒ Che cosa significa di preciso che Kalut è una delle persone più vicine a Zero? ‒ proferì Silver nel silenzio generale. ‒ E come può un folle come Zero essere divenuto Campione?
Tutti i presenti si scambiarono degli sguardi come a domandarsi l’un l’altro se seriamente nessuno se lo fosse chiesto.
Camilla fece lo slalom con le pupille tra tutti loro, scannerizzandoli fin dentro i vestiti. Guardò Rocco, si scambiò con lui uno sguardo vacuo, ma che pareva di intesa. Tornò ai Dexholder. Tutto taceva, stranamente pure Gold era zitto.
‒ Accadono molte cose alle nostre spalle ‒ mormorò.
Rocco si gettò in gola un altro bicchierino. Ne offrì uno pure a Camilla, che rifiutò.
‒ Tante cose che neanche a noi sono state pienamente rivelate, dai nostri informatori.
Un brivido gelido attraverso gli scheletri dei presenti.
‒ I vostri informatori?
Rocco annuì sconsolato: ‒ Sappiamo solo ciò che ci è stato riferito come chiarimento per far quadrare la storia di Rayquaza… e farla giungere a Ruby.
‒ Perché informatori al plurale? ‒ domandò Green dal PokéGear.
‒ La loro identità, esclusa quella di Kalut, fa parte del segreto ‒ sorrise Camilla.
Silenzio di riflessione, alcuni istanti si sprecarono.
‒ Scusatemi ‒ Red si alzò improvvisamente e fece per uscire. Yellow, stupita, gli stette dietro.
Tutti lo osservarono scomparire dietro la porta, nessuno parlò.
‒ C’è altro che sentite il bisogno di chiedermi? ‒ proseguì Camilla.
‒ Sono veramente poche le informazioni su cui fare qualche domanda ‒ fece notare Silver.                                                                                                                                                                        
‒ Vogliamo sapere tutto ‒ Blue fu più diretta.
Camilla la guardò aggrottando le sopracciglia sopra i suoi grandi occhi celesti.
‒ Insomma, abbiamo fatto l’impossibile per le nostre regioni contro ogni genere di minaccia e pericolo e adesso che possiamo finalmente agire con cognizione di causa, e non allo sbando come abbiamo sempre fatto, nessuno viene a dirci nulla? ‒ fu chiarissima.
‒ Appunto per questo, in questo caso potrebbero non essere richieste le vostre doti ‒ Camilla era molto formale. ‒ Mi dispiace, ma forse credono che ciò che stia accadendo ora sia ben più grande di voi…
‒ È tutto? ‒ sibilò Crystal delusissima.
‒ Per ciò che ci è concesso dirvi, sì ‒ ammise la bionda.
Tornò la calma nell’atmosfera cupa generale, ognuno era rimasto male nel profondo del suo animo per aver imboccato tale vicolo cieco. Per primo si interruppe il collegamento con Green e Gold che si congedarono con uno svogliato saluto. Poi alcuni dei Dexholder cominciarono ad alzarsi per uscire fuori dalla palestra, dopo aver ringraziato sia Rocco che Camilla.
Rimase soltanto Sapphire. Rocco non le staccava gli occhi di dosso, se la ragazza fosse stata appena più insicura a proposito della ferrea morale dell’uomo, avrebbe sicuramente pensato a tutte le cattive intenzioni che il suo sguardo sembrava celare. Camilla, invece, sembrava non vederla. I loro occhi si incrociarono solo dopo vari istanti.
‒ Ruby ‒ mugolò lei. ‒ Ruby c’entra qualcosa con questa vicenda?
Camilla non rispose, si limitò a fissarla nel modo penetrante della madre che fissa il figlio quando ha appena combinato un disastro. Dalle sue labbra strisciò fuori un qualcosa che parve suonare come “non so dirtelo” e tanto bastò a farle alzare i tacchi da quella stanza soffocante. E anche Sapphire se ne andò.
‒ Continueranno a cercare, lo sai questo? ‒ disse la donna rivolgendosi a Rocco, quando era ormai sicura che gli ospiti si fossero levati di torno.
‒ Certo che lo so, sono i Dexholder, sono una stirpe di ficcanaso.
‒ In un certo senso, spero riescano a scoprire qualcosa che anche a noi è sfuggito, ho fiducia in loro.
‒ Camilla, stiamo parlando della Faces, è un’organizzazione di stato.
‒ Andiamo, loro sono tra gli Allenatori più conosciuti della terra, loro sono lo stato.
‒ E in un certo senso questo rappresenta una grossa falla del nostro sistema… insomma, se qualsiasi uomo è capace di costruirsi un impero basato sui propri Pokémon, la ragione è in mano al potere.
‒ Ti ricordo che, da sempre, gli Allenatori più forti sono quelli che riescono a stabilire un legame interno e perfetto con i loro Pokémon. Cosa impossibile se si sfruttano i loro poteri per prevalere sugli altri.
‒ Non lo so, speriamo bene.
‒ Altrimenti, che cosa ci resta? ‒ fece, sorridendo.
 
‒ Chiamiamo Green ‒ ordinò Sapphire raggiungendo gli altri fuori dalla palestra.
‒ Perché? Ha appena riagganciato ‒ ribatté Silver.
‒ Chiamalo.
Convincendosi, il fulvo ricompose il numero e passò il dispositivo a Sapphire.
‒ Oh, che c’è ancora?
‒ Ragazzi, ho bisogno di voi.
‒ Sapphire, che cosa ti serve?
‒ Riuscite mica a rintracciare Ruby da quelle parti? Sono sicura che sia tornato ad Hoenn. Devo urgentemente parlare con lui.
‒ Ehm… suppongo di sì…
‒ Grazie, riferitevi per prima cosa a Iridopoli o comunque andate a parlare con un Capopalestra, contattatemi appena lo avete raggiunto.
‒ Va bene, ti faremo sapere.
La chiamata terminò.
‒ A che cosa ti serve? ‒ domandò prontamente Silver riprendendo il suo PokéGear.
‒ Mi servono alcune informazioni particolari.
Il rosso la guardò storto. Poi scrollò le spalle.
‒ Piani? ‒ domandò Platinum sviando il discorso.
Nessuno si fece avanti con prontezza.
‒ Intendiamo continuare con l’indagine?
‒ Su che cosa? Sappiamo il motivo di tutto il casino, non ci resta che trovare Zero ‒ intervenne Crystal, decisa.
‒ Io pensavo di cercare Kalut, più che Zero ‒ propose Silver. ‒ Zero è forte, innegabilmente forte, e instabile, da come abbiamo appreso da Rocco. Inoltre non avrebbe senso andare a trattare con uno che aveva intenzione di ucciderti. Kalut potrebbe invece rivelarsi un alleato e magari condurci agli “informatori” di cui parlava Camilla.
‒ Ok ‒ Red intervenne dal consenso generale, con la solita voce vuota che aveva nell’ultimo periodo. ‒ che cosa abbiamo su Kalut?
‒ Sappiamo che è legato a Zero…
‒ Nient’altro?
‒ Credo che la sua vicinanza al Campione basti… ‒ fece Silver. ‒ Cerchiamolo su internet, di sicuro è un personaggio famoso se è vicino a Zero.
Red accese il PokéNet che i suoi privilegi da Campione gli avevano permesso di ricevere in anteprima qualche mese addietro, si connesse a Google e digitò il nome di Kalut, scritto in tutti i modi che la sua pronuncia lasciassero intuire: Caloot, Khalot, Calut, Qalout, Kalut. In ognuno dei casi: nulla, scoprì il significato di diversi termini appartenenti a lingue che mai aveva sentito nominare e conobbe il nome di località lontane e sconosciute. Niente lo collegò ad una persona reale, tantomeno ad una che avesse a che fare con Zero.
‒ Non esiste, se internet non lo conosce, non esiste ‒ commentò ironicamente Blue.
‒ Dev’essere un consigliere che agisce nel backstage più totale, magari il suo è anche un soprannome ‒ provò Silver.
‒ Se andassimo direttamente alla sede della Lega di Holon? ‒ propose Sapphire.
‒ Nella tana del lupo?
‒ No, sentite, siamo ragionevoli, cosa possono farci?
Qualcuno la guardò titubante.
‒ Abbiamo reporter che ci seguono ovunque andiamo, siamo delle star in questa regione, sui giornali c’era la nostra faccia dopo la prima pagina che parlava di Rayquaza.
‒ Non ha tutti i torti ‒ la appoggiò Silver.
‒ Che ne dite?
 
Due minuti dopo erano già in viaggio per tornare a Vivalet, riprendere le loro cose. Si sarebbero indirizzati verso la sede della Lega il mattino seguente. Il viaggio sarebbe stato molto più lungo. Il rientro fu silente e privo di avvenimenti interessanti, Platinum li lasciò non appena mise piede in città, i restanti sei ragazzi raggiunsero l’hotel in cui avevano alloggiato per tutto il periodo del Torneo. Il sole stava ormai per tramontare e una lieve brezzolina cominciava a sfiorare la pelle di tutti. La giornata era gradevolissima, Vivalet si era ormai purificata dalle polveri alzate dal gigantesco disastro e il lutto cittadino si era ormai smorzato con la ripresa dei lavori che avrebbero dovuto risollevare la città. Tutto sembrava tornare lentamente in vita e, mentre i vertici dell’informazione e della sicurezza nazionale erano intenti a giocare la più grande partita di scaricabarile della storia, il popolo tornava a respirare le madri e le vedove si asciugavano le lacrime, gli uomini attraversavano quel dolce periodo in cui si illudono di amarsi gli uni con gli altri. Sapphire ci pensava profondamente, quando si rese conto che avrebbe trovato una simpatica sorpresa ad attendere lei e i suoi amici davanti all’entrata del residence.
‒ Giornalisti ‒ evidenziò Silver notando la capanna di ometti distinti in mezzo alla folla che aspettavano pronti all’azione. ‒ Oggi non hanno ancora avuto tempo di portare a casa del materiale da noi.
Coraggiosi, i Dexholder affrontarono il problema di petto. E i cacciatori di scoop targati “press” non si lasciarono scappare l’opulento boccone: sguainarono reflex, microfoni e taccuini.
‒ Sapphire, è vero che Ruby è il suo ex? Come si è conclusa la vicenda?
‒ Dove si trovano Green e Gold, il gruppo ha avuto delle rotture?
‒ Red, perché non si trova a Kanto in questo momento critico?
‒ Platinum, che cosa pensa la sua famiglia di questa sua vocazione alla vita spericolata?
‒ Silver, che balsamo utilizza?
La pioggia di domande cadde su di loro copiosa e devastante, alcuni di loro fecero di tutto per rispondere in maniera esaustiva, sincera ed educata (le tre cose non sempre coincidevano, anzi, quasi mai) e dopo un discreta mezz’ora riuscirono a percorrere quei pochi passi di marciapiede che li avevano separati dall’entrata sicura del loro residence. Si resero conto che, nel frattempo, una piccola cortina di gente si era radunata attorno a loro, gridando, esultando e applaudendo ad ogni risposta involontariamente epica che uno di loro tirava fuori. Ovviamente, un coro di sostegno lì accompagnò mentre scomparivano all’interno dell’hotel. Avrebbero potuto chiedere dei soldi al proprietario di quel posto per tutte le foto che ritraevano loro con l’albergo sullo sfondo, eppure, avevano la sottile sensazione che era stato proprio il direttore a convocare i giornalisti. In che altro modo avrebbero potuto scoprire il luogo in cui alloggiavano, altrimenti?
Ogni Dexholder tornò in camera sua, Sapphire si chiuse la porta alle spalle e cercò di non pensare allo sguardo gelido di Crystal che l’aveva accompagnata per tutto il giorno, Blue scomparve stranamente silenziosa, Crystal si vanificò allo stesso modo di Silver, Red e Yellow si chiusero in camera e sembravano i più sereni della compagnia.
 
‒ Cosa ne pensi, amore?
Yellow era intenta a spazzolare la sua lunga chioma bionda mentre lo specchio imitava tutti i suoi movimenti. Red era sul letto, guardava il biancore dell’intonaco di fronte a sé e il suo guardo vacuo non pareva accennare ad emozione alcuna.
‒ Red, che cosa succede? ‒ la ragazza si girò verso di lui. ‒ Sei strano da un bel po’.
Quello agitò una mano: ‒ non siamo proprio nel periodo più bello che io ricordi.
‒ Che cos’hai, Red? ‒ insistette.
Un sospiro.
‒ Che succede?
Red scattò in piedi. Yellow non poté che seguirlo con gli occhi.
‒ Dovrei essere a Kanto, in questo momento, ho dei lavori da portare a termine.
‒ Che cosa significa?
‒ Che devo ricostruire, voglio lasciare qualcosa alla Lega… cazzo… non avevo mai pensato a un’eventualità simile.
‒ Red, che vuoi dire?
‒ Dovrò pur avere qualche idea, voglio dare tutto a Kanto, voglio… voglio…
Red tremò.
‒ Che ti succede…? ‒ chiese la ragazza, terrorizzata.
‒ Lasciami solo.
Yellow raggelò.
‒ Lasciami solo, per favore… vattene.
E in quel momento, nel terrore che quella situazione aveva infuso nel suo animo, Yellow credette di vedere una lacrima rigare la guancia del suo ragazzo.
‒ Red…
Il Campione di Kanto, con gli occhi fissi nel vuoto, inclinò la testa verso la sua borsa, come ad indicargliela. Yellow comprese con qualche istante di ritardo. Raggiunse la tracolla, ispezionò il contenuto e notò una cartella di colore giallo acceso, di carta liscia e plastificata. La aprì. E un sospetto le morse lo stomaco con le sue fauci. Non guardò neanche la RM, passò direttamente al foglio scritto. Lesse ghiacciando sempre più ad ogni sillaba.
Red aveva un glioblastoma multiforme. Un tumore al cervello. Incurabile.

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Capitolo 13
*** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 1 ***


Capitolo 6: Il mondo dei grandi pt. 1
 
 
“…mentre tutti si chiedono: dov’è Zero in questo…”
“…la regione piange, ma ogni singolo civile che ha perso la vita in questa sventurata…”
“…la nomina di una nuova Capopalestra. Vivalet sarà rappresentata da una nuova medaglia che…”
“…Ruby è finalmente tornato nella sua terra natia, pare che ancora una volta il Campione di Hoenn abbia in mente il prossimo…”
Celia vagava tra un canale e l’altro, i TG notturni le davano la sterile sensazione di non essere la sola persona sveglia a quell’ora. Non riusciva a prendere sonno, non riusciva a prendere sonno decentemente da più o meno un anno. Le sue occhiaie permanenti rendevano abbastanza l’idea. Il sesto giorno di settembre dell’anno precedente, quando lei aveva era ancora un’illusa sedicenne, il suo genitore adottivo era morto in ospedale per un’insufficienza polmonare. Lei era rimasta un’intera estate inguaiata in una vicenda molto più grande di quanto si sarebbe mai aspettata, era divenuta l’allieva di Antares e aveva perso i contatti con il suo fratellastro. In poco più di una settimana, mezzo mondo le era crollato addosso. Per fortuna lei era sempre stata una donna molto forte. Una ragazza, sarebbe più corretto dire.
Affondò la sigaretta in quel nido di cicche che era il suo posacenere. Bevette due sorsi d’acqua solo per far sfrigolare in gola il sapore del fumo, tossì tre volte.
Fissò per dieci minuti la sequenza degli spot pubblicitari in televisione prima di alzarsi dal divano. Aveva indosso soltanto i suoi slip e si trovava nella camera dell’hotel più lussuosa che avesse mai visto. Succede così quando diventi uno dei Capipalestra della regione di Holon e di punto in bianco ti trasformi da celebrità a divo. Le era permesso di fumare all’interno della camera, ma era più o meno certa che nessuno avrebbe avuto da ridire nemmeno se avesse voluto chiedere al servizio in camera un paio di strisce di coca.
Fissò il suo letto. Fissò l’essere umano che dormiva sopra il suo letto.
“Questo ce l’aveva più grosso di quello della volta scorsa” pensò. “Ma aveva un corpo meno muscoloso.” Non che per lei facesse poi molta differenza.
Afferrò i pantaloni che il tipo aveva lasciato sulla moquette e glieli gettò in faccia con la delicatezza di un carpentiere, svegliandolo. Quello cominciò subito a borbottare, stropicciandosi gli occhi.
‒ Fuori, va’ ‒ proferì solamente lei afferrandolo per un braccio e spingendolo giù dal letto.
Quello faticava a capire, mormorava qualcosa tipo “aspetta”, “oh, che fai?”, “calmati”. Poi finalmente si convinse a non opporre resistenza.
‒ Levati dalle palle, dai ‒ proseguì Celia.
Quando il ragazzo, i suoi vestiti, gli involucri dei preservativi e una bottiglia di champagne di consolazione furono finalmente fuori dalla porta della suite, Celia decise di chiudere la porta.
‒ Aspetta, mi richiami? ‒ chiese quello ancora mezzo addormentato.
Celia neanche rispose e gli sbatté la porta in faccia. La TV era ancora accesa, era andata in onda una fiction repellente su due famiglie rivali che si contendono il possedimento di un Magikarp dorato. Celia non la spense, ma si gettò sul letto. Le faceva ancora male il culo, per questo ficcò la testa sotto il cuscino e fece finta di essere in una spa sotto le mani sapienti di un massaggiatore iberico.
Ovviamente il suo PokéNet cominciò a squillare. Lei lo artigliò malamente e rispose maledicendo col tono di voce chiunque ci fosse dall’altra parte della chiamata.
‒ Chi è? ‒ suonò tombale.
‒ Celia, è Antares ‒ rispose il Campione della Lega di Sidera.
‒ Vaffanculo, sono le tre e un quarto.
‒ So benissimo che non dormi.
‒ Che vuoi?
‒ Abbiamo trovato Latios.
Lei si bloccò. Erano in linea tramite PokéNet, il che significava che Antares le stesse parlando in codice. Abbiamo trovato Latios. Anche inteso come: abbiamo trovato tuo fratello, Xavier.
 
‒ È incredibile… ‒ commentò Silver.
‒ Spero vivamente che sia uno scherzo, tutto questo sta prendendo una piega comica ‒ proseguì Blue.
I due, in compagnia di Platinum e Crystal, si trovavano nella mensa del residence. Era mattina, attorno a loro i turisti circolavano nella bolgia del self service per accaparrarsi la fetta di bacon più croccante. All’appello, oltre a Green e Gold che si trovavano ancora a Hoenn, mancavano Red e Yellow. Erano scomparsi quella notte, dopo che ognuno dei Dexholder li aveva visti andare a dormire la sera prima nella stessa camera. E poi puff.
‒ Effettivamente Red era un po’ strano, ultimamente ‒ commentò Sapphire.
Gli altri la ammonirono con gli occhi. Erano tutti strani, dopo la morte di Emerald e la strage di Vivalet, nessuno di loro aveva potuto evitare di uscirne destabilizzato.
Platinum li aveva raggiunti in mattinata e, in mezzo ai grandi, si faceva quasi trasparente. Tratto non tipico del suo carattere che tendeva invece ad adattarsi a qualsiasi contesto. Eppure, non riusciva ad amalgamarsi con quel gruppo. Aveva immaginato tante volte dei Dexholder provenienti dalle altre regioni. Gente forte, degna di fiducia, sicura. Aveva immaginato una sorta di armata perfetta, coesa e inarrestabile composta da guerrieri più che da allenatori. Aveva immaginato degli uomini più che maturi abituati ad affrontare qualsiasi tipo di pericolo e temprati in ogni singolo aspetto della propria personalità. Aveva trovato un gruppo che ha mantenuto unità e sanità mentale per due giorni e non un secondo di più. Poi uno era morto, gli altri avevano litigato, uno sembrava aver tagliato tutti i ponti parecchio tempo prima, e ora cominciavano pure a sparire. Di questo passo, non sarebbe rimasto alcun Dexholder sano di mente nel giro di pochissimo tempo.
‒ Dobbiamo cercarlo? ‒ domandò Platinum al gruppo.
Crystal grugnì lievemente seccata. Dovevano cercare tutto, tutto era nascosto: Kalut, Zero, le informazioni di Rocco, Ruby e alla fine pure Red e Yellow.
‒ Non credo proprio… ‒ rispose Silver.
Tutti notarono che i suoi occhi erano fissi su uno degli schermi della hall. Portarono lo sguardo alle immagini trasmesse. Come degli automi, tutti e cinque i Dexholder rimasti si appropinquarono meccanicamente al televisore. Nessuno notò qualcosa che avrebbe potuto stupire Silver a quel livello, fino a quando, tra i titoli in scorrimento delle notizie:
Il Campione di Kanto convoca una conferenza stampa all’Altopiano Blu per le 13:00 di oggi.
‒ Almeno sappiamo dov’è… ‒ mormorò Sapphire.
‒ Perché se n’è andato così di fretta e senza dirci niente? ‒ chiese Silver.
‒ Ciò che tutti ci stavamo appunto chiedendo ‒ intervenne Blue.
In poche parole, decisero unanimemente di non intervenire e di attendere la conferenza, che avrebbero seguito in diretta dal tg. Tutto ciò, senza evitare di risparmiare del tempo e quindi avviandosi verso la sede della Lega di Holon. Sapphire, controllando il PokéNav, si accertò che ci fosse un Centro Pokémon in cui si sarebbero potuti fermare per l’ora di pranzo e per seguire la conferenza. Ovviamente, ne trovò uno, era ad Holon, la terra del servizio turistico.
Ognuno tornò in stanza a ricomporre la propria valigia, Platinum lo aveva già fatto prima di raggiungerli quella mattina, nessuno pagò uscendo dall’hotel, era tutto pagato dalla Lega. Optarono per fare la strada a piedi, cosa che sembrava passata di moda tra le nuove generazioni di Allenatori ma che non faceva mai male per ricordare i vecchi tempi. La passeggiata partì nel silenzio generale, sarebbero giunti al Centro per mezzogiorno e mezza, mantenendo un buon passo.
Tutti loro faticavano a guardarsi in faccia. Gli eventi dell’ultimo periodo erano piombati addosso alla loro psiche con assurda violenza. Chiunque avrebbe trovato difficoltà a gestirli allo stesso modo. Ancora insopportabile era la presenza dei giornalisti-stalker che sembravano pedinarli fin dalla loro uscita da Vivalet. Erano fastidiosi ma, secondo i piani, fondamentali per rendere intoccabile la loro presenza.
 
‒ Il dispositivo di localizzazione Pokédex elaborato da Oak dovrebbe funzionare ‒ fece Green tappando di qua e di là sulla sua enciclopedia digitale.
‒ Solo io penso che questa cosa faccia molto “moglie sospettosa”? ‒ commentò Gold.
‒ Tecnicamente è violazione della privacy, preferirei non utilizzarlo, ma purtroppo non abbiamo altro su cui basarci per trovare Ruby.
Gold lo fissava sorridente e malizioso. ‒ Sai che un oggetto come questo potrebbe essere veramente utile in certe occasioni?
‒ Per questo lo sto usando.
‒ E Oak invece sa che in altre potrebbe essere estremamente pericoloso?
‒ Per questo non si sogna nemmeno di dartelo.
‒ Simpatico, il giorno che tu e tuo nonno comprenderete le mie doti sarò già lon…
‒ Zitto, l’ho trovato.
‒ Hai trovato il suo Pokédex, non credo che lo porti più con se da tempo, ormai.
‒ Per ora abbiamo questo su cui basarci: Ciclamipoli, è nel quartiere ovest.
I due Dexholder spiccarono il volo sui loro Pokémon, avevano dormito in un piccolo ostello di Porto Selcepoli, passando inosservati alla maggior parte dei reporter della zona. Non avevano saputo nulla della sparizione di Red, tantomeno della conferenza stampa indetta per quel pomeriggio; o meglio, Green lo avrebbe scoperto se avesse dato un’occhiata al suo PokéGear. Inoltre non conoscevano i piani dei loro compagni che avevano deciso di condurre l’indagine per conto loro direttamente alla Lega di Holon. Erano in cerca di Ruby, Sapphire aveva chiesto la loro collaborazione per entrare in contatto col ragazzo che una volta era la persona per cui lei aveva provato l’affetto più grande della sua vita.
Raggiunsero Ciclamipoli in men che non si dica, sorvolando la pista ciclabile che riluceva sotto la luce del sole. Scesero nella capitale e cominciarono a camminare discretamente per la strada, Green dava ogni tanto un’occhiata alla mappa del suo Pokédex per controllare che la direzione fosse quella giusta. Erano scesi a Ciclamipoli Ovest, che secondo molti abitanti della città stessa non fa parte di Ciclamipoli. La periferia, organo vitale ma non indispensabile di un’urbe: un po’ come uno dei reni di ogni essere umano.
Gold camminava fissando la gente, Green osservando i muri. Entrambi notarono stranezze e si invitarono reciprocamente a partecipare alla scoperta. Green fece un cenno e Gold si trovò davanti un murales gigantesco ed epico: raffigurava la regione di Hoenn riprodotta con minuzia geografica circondata dal lungo corpo di Rayquaza rampante. Una sola scritta:
RICORDATE
‒ Hanno percepito molto la loro perdita?
‒ Più di quanto immaginassi, Hoenn era evidentemente molto legata a quel Pokémon…
Rimasero ad ammirare l’opera per alcuni minuti, prima di tornare alla realtà. La curiosità che, pochi minuti dopo, Gold invitò Green a vedere era invece molto meno spettacolare. Una scena patetica che sembrava essere uscita da una bacheca di Facebook, per quanto improbabile: un signore tarchiato, dall’altra parte della strada, camminava tenendo sopra la testa un grosso cartello rettangolare e scritto. La scritta:
Salvatevi dalla furia della natura. Lasciate Hoenn.
Questo soggetto passava e le reazioni dei passanti erano di tre tipologie: chi lo ignorava, chi si complimentava con lui, chi scoppiava a ridere rotolandosi a terra. Insomma, ai due ragazzi bastò camminare per altri quattro isolati per rendersi conto di una certa realtà grazie a biglietti appesi alle porte dei negozi chiusi, televisioni sintonizzate su trasmissioni locali accese nelle vetrine, signore petulanti che chiacchieravano a voce alta. Una certa fetta di popolazione, a Hoenn, era rimasta tanto sconvolta dalla morte di Rayquaza da essersi convinta di attendere un’imminente collasso gigantesco capace di radere al suolo la regione. La valvola che aveva permesso la diffusione iniziale di questa credenza era stata quella debole scossa manifestatasi proprio dopo il decesso del dragone. Gli apocalittici erano emersi dalla folla, una discreta fetta della popolazione era fuggita, i più rassegnati predicavano per smuovere le folle dallo scetticismo nei confronti di tale credenza.
Con Rayquaza morto, Hoenn sarebbe caduta presto, diceva il popolo. I due Dexholder non poterono far altro che scuotere la testa pensando a ciò. Entrambi trovavano interessante la capacità che avesse la massa di essere manipolata e agitata. In ogni caso, continuarono la propria ricerca, fermandosi ogni tanto per sorridere amaramente di fronte a preghiere pubbliche di massa e fughe dell’ultimo minuto effettuate dai cittadini meno scettici.
Presto giunsero alla posizione indicata dal software di Green sulla localizzazione Pokédex. Sembrava assurdo, ma probabilmente Ruby lo aveva ancora con sé. E se il GPS non mentiva, si trovava proprio alla sede del canale HC One, il network primario della TV di Hoenn. Il palazzo si stagliava nella sua gigantesca figura vitrea e svettante tra gli scrostati edifici della Ciclamipoli Ovest. L’alta recinzione impediva ai writer che avevano operato su tutto il resto del quartiere anche solo di avvicinarsi al sontuoso grattacielo. Due grosse statue di ottone raffiguranti figure forse molto importanti nella fondazione della compagnia imponevano un certo senso di inferiorità a chiunque volesse entrare lì.
‒ Green ‒ esordì Gold senza staccare gli occhi dall’entrata.
‒ Dimmi.
‒ È il momento di farti capire perché ho chiesto a te di seguirmi e non a qualcun altro.
‒ Spiegami.
‒ La tua discreta ma non eccelsa fama è un passe-partout che non attira assalti mediatici.
L’occhiata con cui Green rispose fu ciò che di più gelido Gold vide mai nella sua vita. Tuttavia, l’amico non si sottrasse al suo ignobile compito.
I faccini di Gold e Green erano ben accetti in un’azienda in cui l’obiettivo primario era attirare l’attenzione della massa. Con la scusa di parlare con un certo produttore che aveva contattato nei giorni precedenti i due Allenatori per un servizio sul Torneo che persino la segretaria comprese essere un’invenzione, i due riuscirono ad intrufolarsi nella sezione programmazione. Rivelarono solo in seguito di essere alla ricerca di Ruby, ma la cosa non si rivelò necessaria, lì dentro loro potevano sentirsi come bambini alla propria festa di compleanno. Qualcuno dice che il prezzo della fama non è ripagato dall’amore dei fan, quanto dal servilismo dei signori.
‒ Tredicesimo piano, quarta sala a destra, montaggio ‒ li indirizzò la donna con occhiali e chewing-gum.
I due Dexholder si resero conto che persino l’ascensore sapeva di femmina, dentro quel palazzo. Inoltre, la musichetta che risuonava all’interno era stata composta da una pop star lanciata da quella stessa azienda, ne erano sicuri. Le porte automatiche si aprirono sul tredicesimo piano, notarono subito le piastrelle di colore più scuro e le finestre più strette. La poca luce si adattava perfettamente al poco rumore che vi era su quel piano. Tutto sembrava notturno e quieto, lì nessun foglio volava e nessun pubblicitario gridava perché gli fosse servito il secondo Manhattan. Quello era il reparto montaggio.
‒ Devi scegliere qualcosa di forte e sereno, il film deve infondere sicurezza, quindi come colonna sonora serve qualcosa che ricordi un evento gradevole, l’ultima Gara Speciale di Verdeazzupoli, ad esempio ‒ sentirono mormorare da una voce ben conosciuta che era dietro l’angolo.
Subito davanti a loro comparve il faccino dai lineamenti sottili di Ruby, Campione di Hoenn e direttore della pubblicità a tempo perso, in base a ciò che avevano appena visto. Accanto a lui, un uomo che mai avrebbero scoperto essere uno dei compositori della compagnia. L’ex Dexholder sbiancò vedendoli. L’omino con cui stava discutendo scomparve dalla situazione.
‒ Green, Gold ‒ si stupì lui. ‒ Non mi sarei mai aspettato di trovarvi qui.
‒ Ne eravamo sicuri, dobbiamo parlarti ‒ tagliò corto quello dagli occhi verdi.
Ruby si guardò attorno. ‒ Datemi un minuto ‒ e passò oltre. Non tradì insicurezza, era nel proprio mondo.
Lo seguirono mentre raggiungeva una stanza della quale nessuno si era preoccupato di chiudere la porta. Al suo interno trovarono due operatori che lavoravano davanti ad un computer con dei programmi che sicuramente costavano più dei pc. Ruby sussurrò qualcosa all’orecchio del primo e posò sul tavolo un foglio con delle scritte frettolose e caotiche.
‒ E sì, lo sharing di venerdì era soddisfacente, quindi lavoriamo su quel progetto, programmalo allo stesso orario ‒ puntualizzò a quello, abbandonando lo studio.
Green e Gold cominciavano a capire. Ruby era uno dei Campioni più apprezzati e famosi di sempre, almeno tra il popolo, perché era un genio nel marketing. Era sempre stato bravo a “piacere”. E, come nelle gare Pokémon, aveva capito come proporre il proprio personaggio alle masse. La sua Lega era una delle più fiorenti che Hoenn avesse avuto da anni, ormai, il segreto era proprio nel suo Campione che aveva capito come farla amare dalla gente e farla piacere a tutti. Per questo gli Allenatori importanti di Hoenn erano anche star nazionali e divi famosissimi.
‒ Sono vostro per un po’ di tempo ‒ disse quindi a loro, prendendoli in disparte.
Erano in una delle sale ricreative, dove erano state piazzate delle piante esotiche, delle macchinette che erogavano snack e bevande e dei divanetti.
‒ Sapphire voleva entrare in contatto con te.
‒ Ah. E perché ha delegato voi?
‒ Ci trovavamo a Hoenn per altri motivi.
‒ Capisco, per voi è tutto a posto? intendo, dopo ciò che è successo a Vivalet.
Green e Gold si guardarono strano. Entrambi si domandarono se Emerald fosse effettivamente suo amico o no. Ruby sembrava incredibilmente calmo e sereno e aveva chiesto loro di quel disastro incredibile come se si fosse trattato di una barzelletta.
‒ No, non è per niente a posto ‒ lo fronteggiò Green. ‒ Ma non siamo qui per parlare di questo.
‒ Aspetta ‒ si intromise Gold, stranamente serissimo, con un’espressione che lasciava intuire che il suo pugno avrebbe piacevolmente voluto raggiungere i denti di Ruby. ‒ Ruby, ti rendi conto che tu hai la libertà di andare dove ti pare e piace senza delle telecamere di sicurezza puntate addosso solamente perché noi siamo gli unici a sapere che tu, per un certo qual motivo, sapevi in anticipo che Rayquaza avrebbe attaccato Vivalet?
Ruby non rispose, ma scambiò la faccia da ebete che aveva tenuto fino a quel momento con un’espressione più corrucciata e attenta.
‒ Ci sono stati dei morti, a noi non frega niente di te o di Sapphire, non stiamo parlando in veste di suoi amici o di tuoi ex compagni. Qui c’è molto di più in ballo.
Nel pronunciare tali gelide parole, Gold era balzato in piedi e aveva assunto una posizione inarcata su Ruby. Voleva saltargli addosso. Green, se non fosse rimasto stupito dalla sua insolita reazione, si sarebbe preparato ad intercettarlo.
‒ Sì, lo capisco, Gold ‒ mormorò il Campione di Hoenn a bassa voce.
‒ Allora non fare il finto tonto con noi e tantomeno con lei, se hai ancora un briciolo di umanità da qualche parte.
Nel gelo che si era creato, chiamarono Sapphire con il dispositivo di Ruby, il quale lo mise subito all’orecchio. Green gli intimò di attivare la videochiamata, ma lui rifiutò candidamente con una scusa che nessuno ascoltò.
 
Il sole batteva forte, il silenzio era imperfetto, l’aria era innaturale. La cadenzata orchestra di passi che il gruppo Blue-Crystal-Silver-Platinum-Sapphire creava avanzava lentamente nella artificiale vegetazione di Holon. La direzione era quella della Lega. Tutti loro si guardavano attorno dall’inizio del viaggio. Posavano gli occhi sulle cortecce perfette e lucide, sulle rocce coperte di morbidissimo muschio, sulla stomachevole serenità dei Pokémon selvatici che spuntavano dalla vegetazione, sui sentieri di erba pettinata lastricati ciottoli regolarmente circolari.
Lo squillo di una chiamata suonò quasi rassicurante, in quella messinscena.
‒ È Ruby… ‒ mormorò Sapphire, intuendo. Il contatto era infatti diverso da quello che lei possedeva, ragion per cui aveva mandato Green e Gold a fare da intermediari.
 
‒ Sapphire.
‒ Ruby, ti hanno convinto a farti sentire, vedo.
‒ Non è stato difficile per loro.
‒ Poche storie, piuttosto, parliamo di cose importanti.
La ragazza stava mantenendo la massima naturalezza. Sembrava addirittura distaccata.
‒ Abbiamo parlato con Rocco, te lo ricordi? Quello che ti ha detto che Vivalet sarebbe stata rasa al suolo. Beh, dopo qualche indagine e un po’ di discussione siamo arrivati alla conclusione che nessuno a parte Zero può aver lasciato il cadavere di Murdoch, che si sarebbe occupato di inviare il dragone allo stadio, sulla cima della Torre Dei Cieli. Adesso…
‒ Non ho tempo ora, Sapphire, ti ho chiamato solo per dirti che non ho tempo di parlare con te ‒ la interruppe Ruby, trasudando il proprio disagio da ogni bugia.
Sapphire si sforzò di non spezzare il PokéGear nella propria mano.
‒ Tu sei veramente impressionante, come osi dirmi che non hai tempo per…
‒ Perdonami, ma adesso sono veramente occupato.
Ruby, sotto lo sguardo attonito e furente di Green e Gold, ebbe il fegato di chiudere la chiamata in faccia ad una Sapphire che imprecò acidità inaudite contro di lui e scagliando il dispositivo a terra. Il Campione si alzò, fece per lasciare la stanza e fu sbrigativo nel far intendere con un gesto ai due Dexholder che era il momento, per loro, di andarsene.
‒ Ruby, Cristo santo, io ti rompo quel faccino da rivista che hai! ‒ sbottò Gold facendo voltare tutto il corridoio del piano tredici.
Il ragazzo gli teneva le spalle, camminava svelto, sembrava andare in una direzione precisa. Alle calcagna, un duo di rabbiosi Allenatori che non si lanciavano contro il suo corpo solo per dignità personale.
‒ Stai fermo, non provare a…
Ruby svoltò un angolo. Il trio si trovò davanti ad una porta di vetro dal grosso maniglione antipanico sulla quale brillava il simbolo dell’uscita di sicurezza. Dava su una scalinata di metallo, una semplice scala antincendio. Stupendo ma aumentando la rabbia dei due al suo seguito, la aprì premendo con forza sulla barra verde.
Un fortissimo allarme scattò in tutto il palazzo, il silenzio tombale del reparto montaggio che era stato spezzato dalle invettive di Gold fu di nuovo ucciso brutalmente. In conclusione, tutti e tre i ragazzi si ritrovarono a guardarsi negli occhi sulla rampa di una scala antincendio con in sottofondo il gracchiante, continuo e fortissimo suono dell’allarme del palazzo.
Ruby si fermò e si lasciò circondare. Non si concesse un attimo. Le sue parole furono forti e scandite, tanto da giungere alle orecchie dei suoi amici nonostante il baccano.
‒ Le linee sono intercettate, io non posso mettermi in contatto con nessuno, la FACES mi sorveglia, non parlate con me di Zero o di altri membri dell’opposizione, ho le mani legate, dovete sbrigarvela da soli.
L’allarme tacque, qualche impiegato aveva persino imboccato le vie di sicurezza, ma si intuì subito che c’era stato un errore. Ruby si scusò scherzando sulla propria disattenzione, fulminando con gli occhi chiunque avesse il coraggio di guardarlo con un minimo bagliore di curiosità.
‒ Mi dispiace, grazie per avermi riferito, comunque ‒ salutò Ruby, falso e formale, indirizzando i Dexholder verso l’ascensore. Sia Green che Gold avevano taciuto per interi minuti. Ciò che Ruby aveva fatto li aveva lasciati interdetti e insoddisfatti, non sapevano come inquadrare un comportamento del genere. Uscirono dal palazzo nel silenzio più freddo. Solo quando i loro piedi toccarono di nuovo il marciapiede ebbero il coraggio di guardarsi per cercare nell’altro un’opinione riguardo agli eventi appena accaduti.
Green non parlò, Gold nemmeno.
Poi, mentre gli occhi di Green tornavano lentamente ad assottigliarsi e a perdere il loro stupore, il cuore di Gold cominciava a pompare sangue sempre più caldo ad un ritmo in costante crescendo.
‒ Green, fai uscire Charizard e Pidgeot ‒ ordinò, deciso.
‒ Che cosa hai intenzione di fare? ‒ scosse la testa. ‒ In ogni caso, no.
‒ Fai come vuoi, se vuoi evitare i poliziotti, però, dai retta a me ‒ il ragazzo di Johto aveva già entrambe le mani sulle sue Poké Ball.
‒ Gold, non provarci neanche ‒ Green era quasi minaccioso.
Il Dexholder di Fiordoropoli sembrò calmare per qualche istante il suo spirito indomito.
‒ Sai benissimo che possiamo cavarcela… ‒ cercò di spiegare.
Si rese conto che per la prima volta cercava di giustificare razionalmente e in maniera pacata una delle sue bravate. Green gli aveva imposto il suo rifiuto troppo fermamente, comprese che niente lo avrebbe mosso.
‒ Tu non estrai quel Pokémon e non porti via Ruby con la forza in nessun modo, ok?
‒ Ok… ‒ acconsentì debolmente Gold.
I due cercarono di mantenere un profilo basso, tornando a passeggiare per le vie di Ciclamipoli, con il peso della sconfitta gravoso sulle spalle e indecisi sul da farsi.

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Capitolo 14
*** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 2 ***


Capitolo 6: Il Mondo Dei Grandi pt. 2
 
 
Sapphire fissava la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non era riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare di nuovo con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la Lega Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si trovavano seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui non avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi chilometri più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio. Avevano ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon. Stentando a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare per capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un ladro. Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con Green si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua “buona azione” quella mattina.
‒ Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver si mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non comunicava da giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒ È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒ Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒ Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒ Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra noi. Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire, Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate potesse sentirlo.
Blue si sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio amico. Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri. Tacque immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente l’annuncio televisivo entrò in suo soccorso.
“…in diretta dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura mostrò il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore sedeva un contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate maligne a destra e sinistra.
Tutti i Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in live all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le altre autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una stanca Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per posizionarsi davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici riconobbero bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva dormito due ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e che si era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato capace di farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto i riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo che solo alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red aveva qualcosa di importante da dire.
‒ Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo sguardo del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti coloro che si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒ Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi rendo conto che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del surreale. Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti, fin quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si prese una pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati ben calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già tutto questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di farlo, ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella voce. ‒ Le indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda. Tuttavia, mi rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per annunciare le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi cuori si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha bisogno di me.
Un esplosione di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo, presto ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi erano stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di Vivalet e le sue dimissioni.
Ci fu qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi, qualche azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande Red di Biancavilla.
Blue stringeva la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso. Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva puntando lo sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata perse di senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati sottoposti li aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red, ormai, nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒ Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒ Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak sapevano niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒ Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒ Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue, nel frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli occhi di Sapphire.
‒ Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno, evidentemente avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒ Capisco…
‒ Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima, il segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire pensò immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la rude scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del Centro Pokémon per potersi riaccendere.
‒ Ossia?
‒ Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire cominciava già a bollire.
‒ Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒ pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non può parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒ Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒ È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che ci ha fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire aveva iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso, all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre sue azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva dei segreti, dei segreti importanti.
‒ Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒ Mh, ossia?
‒ Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒ Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒ Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒ Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo bene i privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒ Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒ Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due spalle che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒ Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori dalla porta di vetro del Centro Pokémon.
In effetti, due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto caso, ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒ Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒ Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua sorveglianza. Non posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa vogliono questi due…
‒ Va… bene.
‒ Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒ Buona fortuna…
‒ Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire riagganciò.
‒ Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire incrociò il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
 
Il caos generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui camminavano svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro gate. Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di idee regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava il terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata sulla folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato essere tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più totale. I turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici raddoppiavano le dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒ Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse Sapphire, accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva fatto venire a prenderla.
‒ Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei suoi accompagnatori.
‒ Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le due Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra meno preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel cuore.
‒ Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva non sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒ Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒ Lo spero, veramente.
Le due si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone di potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla relativamente alla vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di informatori, di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più proiettato sulla vicenda.
Platinum, dal canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe stata meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche informazione importante.
Sapphire osservò il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue, Silver e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta alla sua valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei nel discorso.
‒ Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di un’organizzazione come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il Campione di una delle Leghe più solide.
‒ Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒ Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una scusa per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per questi due anni ‒ fece Sapphire.
‒ Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto che Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei troppo diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò. Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco e ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di cosa lei provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia, nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del ragazzo, aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata troppo ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok, facciamo una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto che si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li riconoscevano talmente tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano abbastanza educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto, ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le tracce che avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒ Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori più “importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo, finché non riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la Faces, che è legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby abbia evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce l’unica pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒ La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut sarebbe stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒ Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a Sapphire ‒ dovessi avere torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il loro aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola: prima di agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso loro. Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla carica di Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il suo “cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran combattente, ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il volo scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il pilota pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana. Crystal tacque dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente conto del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald e mai conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una delle persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili. Loro non avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per piangere i morti.
‒ Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒ Dimmi.
‒ Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒ Tutto ok.
Sembrava non voler comunicare.
‒ Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒ Lo so, anche a me.
‒ Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo bisogno anche di te.
‒ Io ci sono.
‒ Fisicamente, sì.
‒ Non capisco cosa intendi.
‒ Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒ Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che rincuorò Blue circa la sua emozionalità.
‒ Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come te per Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒ Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre nella sua testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto crescere nell’orfanotrofio, che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe altissime per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli occhi di tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura al Parco Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo su una brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che sarebbero divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒ Non tenerci rancore.
‒ Non lo farò.
Crystal sorrise. E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito la corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto fosse ancora ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒ Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒ tentò in un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal non rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒ Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di voce.

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Capitolo 15
*** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 3 ***


Capitolo 6: il mondo dei grandi pt. 3
 
 
Ritrovarsi con Gold e Green fu semplice. Tutti chiesero ai due come fossero sfuggiti ai due figuri che li avevano seguiti fino al Centro Pokémon.
‒ Erano agenti Faces, abbiamo fatto finta di niente e ci hanno pedinato per un paio d’ore. Poi sono scomparsi ‒ stava raccontando Gold durante la cena.
‒ Potrebbe essere stata solo una tecnica intimidatoria, tipo strategia del terrore ‒ ipotizzò Sapphire.
‒ Sicuramente, non tentavano nemmeno di tenere un basso profilo, era un avvertimento, sgarra una seconda volta e ti facciamo fuori.
‒ Abbiamo una possibilità con Lino ‒ ripeté in presenza del Capopalestra di Smeraldopoli. ‒ Ma prima preferirei capire se quegli agenti Faces che vi hanno seguito sono ancora in ascolto o no.
‒ Quelli erano solo delle pedine, non servivano ad intercettare informazioni importanti, solo a dirci di rimanere fuori dalla vicenda.
‒ Ciò significa che hanno capito che Ruby vi ha informati.
‒ No, non credo lo abbiano compreso appieno. Solo che gli eventi avvenuti all’HC One erano molto sospetti.
‒ La Faces sorveglia Ruby… ‒ mormorò Sapphire tra sé e sé pensando a ciò che il ragazzo aveva detto l’ultima sera a Vivalet. Era stato costretto ad allontanarsi da lei e da tutti gli altri… poiché costretto da qualcuno che non poteva essere sconfitto. Che si fosse trattato proprio della Faces? Ma a quale scopo? Perché questa avrebbe dovuto desiderare che Ruby si separasse dai suoi amici? Inutile continuare a bucherellarsi il cervello, servivano le informazioni che sicuramente Lino avrebbe potuto dare loro.
Nella tavola calda in cui si erano fermati, la televisione era sintonizzata su un telegiornale. Nessuno di loro ci aveva fatto caso, quando ad un certo punto una notizia attirò l’attenzione dei Dexholder.
‒ State a sentire ‒ li esortò Silver.
“…ieri, una seconda terribile tragedia si è abbattuta sulla Lega di Holon, dopo gli avvenimenti del ventiquattro giurno: ha perso la vita in un incidente stradale Fenix, anche lui Superquattro della regione…”
‒ Ancora non sanno di ciò che è accaduto a Murdoch ‒ mormorò Blue.
‒ Non potevamo attirare l’attenzione di tutto il mondo ritrovando “accidentalmente” il cadavere ‒ ribatté Green.
“L’uomo sembra aver perso il controllo dell’automobile che è andata fuori strada, cadendo poi in una scarpata. Fenix sembra essere morto sul colpo, in ogni caso, stanno procedendo gli accertamenti della polizia” e intanto, sullo schermo, passavano le immagini dell’asfalto strisciato dalle gomme proprio in corrispondenza di un tratto di strada mancante di guard-rail. I cespugli e le fronde sembravano esser stati schiacciati violentemente e si intravedeva il catorcio che una volta forse era stato una bella BMW nera nuova di zecca.
“…nessuno degli altri Superquattro ha voluto lasciare dichiarazioni, tantomeno ci sono stati interventi da parte del Campione, Zero…”
‒ Un altro morto tra i Superquattro di Holon ‒ sospirò Sapphire.
‒ Quante possibilità c’erano? ‒ disse, con voce cupa, Green.
 
Tempo un quarto d’ora e l’intera squadra era sulla rotta per Petalipoli. Avevano dormito nella capitale perché lì erano scesi dall’aereo. La cittadina che ospitava la palestra di cui Lino era leader distava poco se raggiunta in volo sulla groppa dei loro Pokémon. E scorse altro tempo vuoto, il fischio dell’aria e le condizioni generali non permisero a nessuno di loro di spiccicare parola durante tutta la traversata.
All’atterraggio, apparve a loro l’immagine di una pittoresca città dell’entroterra. Era composta principalmente di prati costellati da migliaia di fiori di differenti specie e colore, qualità da cui prendeva il nome. Tempo addietro, era stata firmato un decreto che impedì la costruzione di strade all’interno del centro vitale di Petalipoli, lasciando l’asfalto alle vie di comunicazione esterne e alla periferia. Si resero immediatamente conto che per questa ragione la città vantava una morbidezza unica e un silenzio che era impossibile da trovare in un qualsiasi agglomerato urbano che fosse tagliato da una e una sola strada. Si mossero tra le casette di legno alle quali faceva da sfondo un piccolo stagno o il fitto bosco che circondava tutta la città. Sapphire sapeva bene come guidarli, la palestra era vicina. La raggiunsero dopo poco, l’edificio in vetro e metallo si accostava poco allo stile del resto dell’architettura urbana, ma era stata costruita in un periodo in cui si teneva più al rendere simili tutte le palestre tra loro, invece che ad uniformarle allo stile della cittadina in cui sorgevano.
Sapphire si fermò a meditare prima di entrarvi. Molti anni prima, precisamente sei, in quella palestra aveva sconfitto il padre di Ruby. Purtroppo, un ricordo carino e nostalgico come quello le era stato rievocato nella mente dalla grossa statua di Norman realizzata in suo onore poco dopo la morte. Il bronzo che ricalcava perfettamente l’immagine dell’uomo era posto accanto nello spiazzo di fronte alla palestra, sopra un piedistallo. Brillava alla fioca luce della sera, ma sembrava allo stesso tempo impolverato e dimenticato. Due anni erano passati dalla morte di Norman, due anni dal giorno in cui Ruby aveva tagliato i contatti con loro.
Insieme, per rispetto, si avvicinarono a leggere la targa memoriale.
“Quando la più grande eredità di un padre è l’esempio del vero coraggio”
Sapphire sapeva bene che a consigliare quella frase fosse stato Lino, diffondendo poi la voce che era stata tutta un’idea di Ruby. La verità era che il ragazzo che ora portava il mantello del Campione della Lega non aveva desiderato neanche piangere la morte dei genitori. Forse aveva creduto di apparire debole, in ogni caso per un periodo rifiutò tutto e tutti, concentrandosi solo sull’Allenamento e sull’auto-miglioramento. I suoi genitori non erano mai morti, erano solo usciti dalla sua vita per permettergli di fare un passo avanti.
‒ Che uomo era Norman? ‒ chiese Blue.
Sapphire aveva ben vividi in mente i ricordi del vecchio di Ruby. Ricordava il loro rapporto complicato, il loro singolare modo di risolvere una questione familiare, il loro legame più profondo di quanto chiunque potesse immaginare.
‒ Era un uomo d’acciaio, non l’ho mai visto sorridere né gratificare nessuno in alcun modo. Eppure, ha scalato le montagne per e fatto l’impossibile per le persone che amava.
‒ Se n’è andato assieme alla moglie a causa di un incendio, giusto?
‒ Sì…
‒ Strana la vita, a volte.
‒ Già.
Il gruppo dei Dexholder entrò nell’edificio. Il look in stile dojo era rimasto, nonostante quella palestra si fosse notoriamente spenta. La leggenda de “l’inseguitore della forza” si era conclusa. Lino era un buon Capopalestra e si era meritato il titolo a pieni voti, ma non avrebbe mai raggiunto la fama del grande Norman. Fatto sta che, a quanto sembrasse, era stato proprio Ruby a raccomandare Lino per quel ruolo. Per questa ragione i Dexholder avevano motivo di credere che lui sapesse qualcosa che li avrebbe aiutati a portare avanti le indagini.
‒ Mi hanno detto che probabilmente sareste venuti qui ‒ li salutò il ragazzo dai capelli verdi vedendoli entrare dalla porta di vetro.
Sapphire ammirò l’interno della palestra che era rimasto invariato a com’era l’ultima volta che lei vi aveva messo piede. Il dojo creato da Norman era rimasto tale e quale, gli stessi tatami, le stesse placche in legno di bambù. Il Capopalestra li aveva aspettati al centro della prima stanza, con indosso un kimono leggero da allenamento.
‒ Ciao, Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒ Come stai? ‒ chiese dolcemente lui, che comunque aveva ancora un rapporto decente con la ragazza.
‒ Abbiamo bisogno di alcune informazioni ‒ esordì Green, cancellando il tentato approccio morbido dei due.
‒ Tu sei il Capopalestra di Smeraldopoli, giusto? ‒ chiese Lino, conoscendo già la risposta. ‒ Mi fa piacere di vedere che almeno voi abbiate deciso di collaborare, da quello che ho visto i Dexholder non se la stanno passando proprio bene, negli ultimi tempi ‒ nella sua voce era percepibile una lieve ostilità.
‒ Non è un momento facile ‒ intervenne Sapphire, per impedire agli altri di rispondere a tono. ‒ per questo abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
‒ Preferisco parlarne a quattr’occhi, se per te non è un problema ‒ ribatté Lino, seccato.
‒ Va bene ‒ rispose lei, frenando l’impeto di rispondere dei suoi amici. ‒ Andiamo nel tuo ufficio?
 
La stanza del Capopalestra era un ibrido tra uno sgabuzzino e una sala d’onore. Sui mobili erano accatastati centinaia di trofei e altri riconoscimenti placcati, appese al muro c’erano i ritagli di giornale e le foto che ricordavano i periodi di gloria di quella palestra. Eppure, non mancavano simpatiche scope appoggiate al muro, cartacce e scartoffie rovesciate a terra e su tutto il ripiano della scrivania e persino qualche attrezzo da allenamento rotto abbandonato in un angolo. Sapphire si sedette su una delle due sedie semplici, dall’altro lato della scrivania, Lino sprofondava nella grossa poltrona girevole.
‒ Dimmi tutto, Sapphire ‒ fece Lino accennando ad un amaro sorriso.
‒ Mi spieghi cosa ti è preso di là? Perché sei stato tanto acido? ‒ domandò lei.
‒ Lo so, lo so, scusami…
Sapphire non capiva.
‒ Ti giuro che era tutto involontario.
La ragazza annuì debolmente ‒ Ok, non soffermiamoci su questo, perché preferisci parlarne in privato?
Lino non accennò risposta. Ma i suoi occhi fissi su Sapphire parlavano al suo posto.
‒ Ok, come facevi a sapere che saremmo venuti da te a chiedere informazioni?
‒ Ruby è il Campione, ricordi?
‒ Sì, ma…
‒ Lui riesce a sapere tutto ciò che vuole, quando vuole.
Sapphire era stupita. Ma era lì per ottenere delle informazioni e Lino era suo amico, quindi le avrebbe ottenute nel modo più indolore possibile.
‒ Puoi dirmi che cosa ti aspetti che io ti chieda?
‒ Più o meno, ma preferisco che tu mi faccia le tue domande…
‒ Va bene ‒ comprese la ragazza.
‒ Perché Ruby ti ha chiesto di prendere il posto di Capopalestra?
‒ Perché credeva che fossi quello che lo meritava di più, il migliore allievo di suo padre ‒ rispose non senza un velo di orgoglio.
Purtroppo a Sapphire non interessava ciò, quindi passò avanti.
‒ Hai avuto più contatti con Rocco?
‒ No, non dopo la sua partenza per Holon.
‒ Sai qualcosa di Kalut?
‒ Mai sentito questo nome…
Rocco, Kalut. Sapphire aveva terminato gli spunti con cui estrarre qualche informazione importante da Lino. Sembrava dovesse rinunciare.
‒ Che cosa ti ha detto Ruby allo stadio, proprio dopo la tua sconfitta al torneo? ‒ domandò ricordando la discussione che lei aveva udito tra i due per le scale, il giorno prima della venuta di Rayquaza. Lino si era scusato con Ruby per qualcosa, ma lui lo aveva rassicurato affermando di poter riparare al suo errore.
Il volto del ragazzo allora riprese vita. Quella era una domanda alla quale poteva rispondere. ‒ Ruby aveva ricevuto l’avviso circa l’attacco che sarebbe avvenuto ‒ disse sapendo bene che Sapphire ne era già a conoscenza. ‒ Fatto sta che Ruby mi aveva comunque chiesto di arrivare molto in alto in classifica, non avrei dovuto perdere contro Silver.
Sapphire aveva aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle. Ruby aveva chiesto a Lino di arrivare in una posizione alta nella classifica del torneo, nonostante sapesse che tutto sarebbe stato interrotto.
‒ Sembravi distrutto, Lino…
‒ Lui l’aveva presa come una questione di vita o di morte…
‒ Dimmi di più.
Lino prese un profondo respiro. ‒ Non posso ‒ sussurrò poi.
Sapphire tacque. ‒ Che cosa sai dirmi della Faces? ‒ riprese poi.
La reazione del Capopalestra fu esattamente quella che Sapphire si aspettava: Lino aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione insicura.
‒ Non… non so. Si occupano di sicurezza e quella roba lì ‒ rispose Lino con falsa ignoranza.
‒ Ah ‒ Sapphire era sicura che stesse mentendo.
‒ Ok, procediamo ‒ ordinò quindi la ragazza.
Lino vide comparire dalla porta il Capopaletra di Smeraldopoli seguito dal suo Porygon-Z. Sapphire fece un cenno per intimargli di tacere. Porygon si alzò in volo e osservò attentamente la stanza, individuò un bersaglio e si gettò a capofitto su di esso. Scomparve smaterializzandosi proprio in prossimità della scrivania di Lino.
‒ Ok, è il momento ‒ pronunciò Green dopo alcuni secondi.
‒ Perfetto ‒ Sapphire fece la propria parte. ‒ Lino, abbiamo trenta secondi e poi si accorgeranno che il sistema di cimici è stato hackerato, spiegami tutto, velocemente, la Faces non può sentirti.
Quello sembrò perdere il fiato. Arrancava, ma sembrava essere dentro alla situazione.
‒ Ti prego! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
‒ Loro controllano le nostre azioni, Sapphire. La Faces sta sfruttando la Lega di Hoenn, indirizzano ogni movimento, danno indicazioni su quale azione deve essere compiuta e in che modo.
‒ Perché lo fanno?
‒ Non lo sappiamo, Ruby non ha mai potuto condividere certi segreti con noi, lo tengono per la gola.
‒ Lo hanno fatto diventare Campione?
‒ Sì, hanno bisogno di lui.
‒ Che cosa hanno cercato di fare?
‒ Tutto questo ‒ fece, agitando le braccia. ‒ Costruire un impero più ricco e più radicato, non so per quale motivo.
‒ Qualcuno che si è opposto dev’esserci.
‒ Sì, ma a fronteggiarli veramente è stato soltanto…
‒ Il tempo è finito ‒ proferì Green, interrompendoli.
‒ Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒ …soltanto chi se n’è andato ‒ concluse quello, con un’innocente allusione.
‒ Grazie ‒ scandì Sapphire un pochino delusa.
I due Dexholder lasciarono frettolosamente la stanza del Capopalestra.
La ragazza di Hoenn salutò Lino in maniera sommaria e uscì prima di tutti dalla palestra. Quello non capì il motivo di tale reazione. Green si limitò a promettere agli altri una sintesi circa l’accaduto e a congedarsi insieme al resto del gruppo. In pochi secondi erano di nuovo in aperta città intenti ad inseguire Sapphire.
Lei non voleva altro che sparire di lì. Aveva fatto un altro buco nell’acqua. Tutto era tornato a dati che già conosceva o che avrebbe potuto dedurre e il cerchio si era chiuso con un indirizzamento verso Rocco. “Chi se n’è andato”, Rocco era l’unica persona che si era ribellata alla politica della Faces. E casualmente anche l’unica persona che avevano già interpellato e che aveva già rivelato essersi una fonte di informazioni praticamente nulla. Non possedevano altre piste, non possedevano altre idee. Quando ciò fu chiarito pure con i suoi compagni, Sapphire non poté sopportare di leggere ulteriore delusione nei loro occhi.
Era ormai ora di trovare un posto in cui dormire. Ormai la luna era alta nel cielo e le stelle trasformavano il chiarore in una vera e propria luce. Ciclamipoli aveva acceso i bracieri che delimitavano le strade, le uniche luci che non sfigurassero in mezzo a quell’ambiente floreale e fiabesco. Privi di speranza e di energia, i Dexholder decisero di raggiungere il letto. Green poté prendere una stanza per tutti in un hotel situato poco lontano. Si salutarono tutti, si dissero senza crederci che il giorno dopo sarebbe andata diversamente, e già avevano la coscienza abbastanza leggera.
 
Due ore dopo, Sapphire era in piena fase di dormiveglia. Non riusciva a trovare il sonno, non sapeva come dimenticare quell’ennesimo fallimento. Si sentiva sola.
‒ Sei inquieta ‒ disse qualcuno dalla penombra.
Lei si prese uno spavento clamoroso.
‒ Che cosa ci fai nella mia stanza?! ‒ gridò nei confronti del Ruby che si era piazzato davanti alla porta della camera. Le aveva fatto prendere un colpo.
‒ Ho qualcosa da dirti.
‒ E per farlo entri nella mia stanza di soppiatto a notte fonda come un ladro?
‒ Veramente questo hotel è mio ‒ ribatté lui, arrogante.
‒ Sei ancora più odioso le poche volte che ti fai vivo.
‒ E tu sei ancora più stupida le poche volte che decidi di fare di testa tua.
Sapphire si alzò dal letto. Aveva una maglia di tre taglie più grossa a mo’ di vestito e gli slip, ma tanto quel ragazzo aveva avuto modo di vederla in una mise ben più intima. Camminò verso di lui con fare minaccioso, puntò i piedi a pochi centimetri dalla sua faccia.
‒ Tu non hai il diritto di giudicarmi, sei l’ultima persona che si merita di parlare di me così a questo mondo ‒ gli sibilò.
‒ Non sono qui per parlare di questo, comunque ‒ la evitò lui, spostandosi da quella posizione scomoda.
‒ E che cosa vuoi dirmi?
‒ Rimani fuori dalla vicenda ‒ le ordinò Ruby.
‒ Scordatelo ‒ rise Sapphire.
La scena era tragicomica. Lei aveva in volto i segni di giorni affrontati con poche ore di sonno. Lui sembrava uscito ora dal set per le riprese di uno spot televisivo. E forse era così. Nella stanza buia filtrava la luce della luna tagliata a fettine dalle serrande a pannelli. Il silenzio era la quiete urbana, con suoni di clacson in lontananza, cantilene di ubriachi e guaiti di cani randagi che provenivano dall’esterno.
‒ Se fossi entrato qui dentro per ucciderti, come la prenderesti? ‒ domandò Ruby senza paura alcuna.
‒ Ti farei uscire a calci nel culo ‒ rispose pronta lei.
‒ Invece sto cercando di aiutarti, Sapphire.
‒ Io sto cercando di aiutare gli altri.
‒ Non capisci.
‒ Allora fammi capire.
Ruby aveva notato il repentino cambio di tono nella voce della ragazza. La rabbia era scomparsa, lasciando il posto all’esasperazione.
‒ Cerchi di salvare la situazione a Vivalet, sei criptico e non lasci capire a nessuno cosa ti succede, scompari all’improvviso e poi riappari due anni dopo nella mia stanza. Racconti che ti hanno costretto, che sai che avverrà una catastrofe, ma non riveli nient’altro.
‒ È complicato.
‒ Abbiamo mai affrontato insieme qualcosa di semplice?
Ruby tacque.
‒ Dimmi soltanto una cosa ‒ riprese Sapphire ormai al limite della sua sopportazione. ‒ se mai deciderai di svelarmi i tuoi segreti, di farmi capire che cosa è successo in questi due anni, riuscirei mai a perdonarti?
Era buio, per cui Ruby dubitò persino delle sue lenti a contatto, ma gli parve di vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Sapphire. Passarono secondi eterni. Lei credette quasi di vederlo sparire senza ricevere una risposta. La verità era che Ruby stava pensando a cosa rispondere. E mai una domanda lo aveva colto tanto alla sprovvista.
‒ Sei ancora la ragazza che conoscevo e di cui ero innamorato, quindi sì. Saresti capace di perdonarmi.
Sapphire sospirò, allungò le mani verso il ragazzo e si lasciò avvolgere dal suo tenero abbraccio. Non percepiva il suo odore, la sua pelle e il suo corpo da così tanto tempo da temere di averlo ormai dimenticato.
‒ Mi manchi… ‒ mormorò lei.
Era una ragazza, aveva imparato a percepire certe cose: nella sua stretta, il ritmo delle pulsazioni di Ruby si era moltiplicato. Il suo cuore aveva preso a battere più forte. Senza volerlo e senza rendersene conto, si ritrovarono a letto insieme. Fecero di nuovo l’amore dopo due lunghi anni, tornarono a ad assaporarsi reciprocamente come due ragazzini, godettero di ogni odore, di ogni bacio, di ogni punto di contatto dei loro corpi. Ruby sapeva come farla impazzire, lei sapeva cosa concedergli. Entrambi erano consci che ciò non avrebbe rimesso a posto niente, tantomeno ricostruito qualcosa. Lei sapeva bene di dover tornare a detestarlo, lui di dover riprendere a nasconderle la verità, non appena entrambi avrebbero raggiunto l’orgasmo. Si stavano sfogando e allo stesso tempo stavano impedendo ai propri conflitti di generare altro dolore. Si unirono al di fuori di Hoenn, al di fuori di Zero e della Faces, al di fuori di Vivalet e al di fuori di tutto ciò che stava succedendo al mondo. L’universo sarebbe potuto esplodere, loro non se ne sarebbero accorti.
Erano tornati bambini, insieme. Fuori dal mondo, fuori dal mondo dei grandi.

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Capitolo 16
*** Capitolo 7 - Malibu pt. 1 ***


Capitolo 7: Malibu pt. 1
 
 
Il sole faceva capolino dagli spiragli delle persiane. Sapphire lasciò che la sua luce le aprisse dolcemente gli occhi.
Si ritrovò in un letto sfatto, all’interno di una camera d’hotel che non conosceva, senza la minima cognizione di che giorno o che ora fosse. Verificò allungando un occhio verso la sveglia digitale che era sul comodino. Erano le nove e mezza del ventinove giugno. Si sentiva incredibilmente riposata, come se avesse recuperato energia dopo un incredibile sforzo. Effettivamente era passato parecchio tempo dall’ultima volta che qualcuno era riuscito a farla stare sveglia fino a così tardi per fare sesso.
Stirò ogni muscolo facendo le fusa nel letto ovviamente vuoto e tentò di alzarsi. Cercò eventuali messaggi o tracce lasciati da Ruby ma tutto ciò che era rimasto dopo quella notte, lo aveva Sapphire addosso. Era la camicia nera del ragazzo, di seta, con le iniziali ricamate dentro:
R.H.
Ossia Rubin Harmonia. Era stata sicuramente realizzata su misura da qualche sarta esperta che si era fatta pagare una fortuna. Ruby aveva giustamente rinunciato a recuperarla, per non svegliare la ragazza. Sfilare le camicie di dosso alle persone era difficile persino per lui. E intanto, Sapphire rideva sempre più pensando all’immagine di Ruby che volava via in groppa ad un Flygon a petto nudo alle prime luci del mattino. Poi perse immediatamente il sorriso quando ripensò all’immagine del corpo del ragazzo. Il suo petto, aveva potuto constatarlo quella notte, era solcata da migliaia di tatuaggi: linee rosse e blu che indicavano che l’organismo avesse assorbito le gemme dentro di sé. Il centro focale di queste linee era lo sterno, le ramificazioni andavano poi a scemare man mano che ci si allontanava da esso, le più lunghe raggiungevano le spalle o la vita. Il complesso disegno ricordava in qualche modo una sorta di insetto con un esorbitante numero di zampe sottili e lunghissime. Lui stesso aveva detto che, se i due cristalli avessero dovuto riunirsi, il suo corpo avrebbe iniziato un lento processo di corrosione e decadimento. Si costrinse a non pensarci. In qualche modo, quella mattina si era svegliata serenamente, ma a poco a poco si stava riavvicinando alla realtà piena di merda che aveva abbandonato la sera precedente.
Si fece una doccia, giusto per togliersi di dosso l’odore di Ruby.
Mezz’ora dopo era scesa al piano di sotto, per riunirsi con gli altri. Ovviamente trovò le facce da funerale del giorno prima che nemmeno una abbondante colazione poteva trasformare in sorrisi.
‒ Non abbiamo più una pista ‒ fece notare Blue, sconsolata.
‒ Dovremmo prelevare Ruby con la forza e interrogarlo ‒ ripropose Gold.
‒ Sarebbe inutile, adesso l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un ostaggio ‒ lo criticò Green.
‒ Cercare Kalut? ‒ ribatté.
‒ Abbiamo già provato, non esiste nessuno al mondo che risponda a quel nome, da dove inizieremmo? ‒ lo informò Blue.
‒ Che idea avete, allora?
Nessuno parlò.
‒ Forse c’è una minima possibilità ‒ mormorò Sapphire.
Tutti i presenti finirono con gli occhi su di lei. A tutti pareva che la ragazza si fosse svegliata dal lato giusto del letto, quella mattina.
‒ Murdoch viene ucciso, poi Zero, colpevole dell’omicidio, sparisce… a distanza di due giorni, muore pure Fenix, altro Superquattro di Zero… potrebbe non essere stato proprio un incidente ‒ elencò. ‒ Rocco e Camilla non avevano detto che ora che Kalut non è più con Zero, non c’è più nessuno che riesca a domarlo?
Si poteva percepire all’orecchio il rumore dei meccanismi dei cervelli di tutti i presenti che cercavano di distillare una deduzione.
‒ Non hai torto, cerchiamo gli altri Superquattro ‒ propose Blue, entusiasta dalla nuova strada da percorrere.
‒ Dopo gli ultimi avvenimenti, è difficile che si trovino alla Lega ‒ ricordò Green. ‒ Sapphire, chiama Rocco, vedi se lui sa dove potremmo trovarli.
 
‒ Avete avuto una buona idea ‒ approvò l’ex Campione di Hoenn, dal suo ufficio di Altelia. ‒ Ma non so se è effettivamente la cosa migliore, si tratta pur sempre dei sottoposti dell’uomo che, a Vivalet, avrebbe voluto lasciare di voi solo una macchia sul terreno.
‒ Tu dicci quello che sai ‒ rincarò Sapphire.
‒ È poco sicuro.
‒ E io sono maggiorenne, mamma.
‒ Vi abbiamo dato delle informazioni riservate per aiutarvi o per mandarvi a morire?
‒ Rocco, abbiamo bisogno di trovare Tiana e Axel, per ora loro sono l’unica pista che possiamo seguire ‒ Sapphire era ferma e decisa e il suo interlocutore, sotto sotto, sapeva di star solo temporeggiando prima di cedere alle sue insistenze.
‒ Senti, facciamo una cosa, io vi dico dove è possibile che riusciate a trovarli, tu mi prometti che non andrai a cercare nessuno ‒ trovò un compromesso per tenersi la coscienza pulita.
‒ Se ti fa sentire meglio, ok.
‒ So bene che non manterrai la promessa ‒ chiarì l’uomo gettandosi in gola un bicchierino di cognac, dall’altra parte della linea.
‒ Non lo farò.
‒ Axel ha una Villa a Olivinopoli, se è vero che si sono allontanati da Holon, lo troverai sicuramente lì. Altrimenti smettete di cercare e tenetevi alla larga da tutti e due.
‒ Grazie, Rocco ‒ asserì Sapphire, attaccata al PokéNav.
‒ Non ringraziarmi, mi fa sentire in colpa.
‒ Ok.
‒ Fa’ attenzione…
Presero ovviamente il primo volo per Johto che partisse da Ciclamipoli. Sarebbero scesi all’aeroporto di Fiordoropoli attorno alle tre del pomeriggio, era poi previsto anche un viaggetto in groppa ai loro Pokémon volanti che li avrebbe lasciati a Olivinopoli per le tre e mezzo circa.
Sapphire, in aereo, si autoconvinse che prima o poi quei continui cambi di altitudine le avrebbero rotto i timpani e scombussolato la circolazione. E poi sentiva ancora addosso i postumi del cambio di fuso orario dell’ultimo viaggio.
Ma sapeva bene che niente sarebbe cambiato per tutto il corso della sua vita da Allenatrice. Spostarsi tra regione e regione era la normalità, anzi, era quasi divenuto usuale. Purtroppo funzionava così: le mete che piacevano a lei, quelle piene di Allenatori, medaglie e sfide, erano tutte oltremodo isolate. Sinnoh distava da Kanto così come Hoenn distava da Unima. E così via, piccole e lontane regioni che lei e i suoi amici erano abituati a percorrere a piedi in un mese o due, realtà ristrette, rese comode e percorribili al fine di agevolare e perpetrare la tradizione più diffusa nella sua nazione: la sfida alle Palestre. E poi le grandi città, le industrie, il tessuto urbano: tutta roba opportunamente nascosta e mimetizzata.
‒ Hai visto Sapphire? Sembra più sorridente oggi ‒ sussurrò Blue a Green, i due erano seduti vicini, mentre la Dexholder di Hoenn stava nella fila di posti adiacente.
‒ Non ci avevo fatto caso ‒ rispose lui con fare distratto.
‒ E la sua camera sapeva di sesso ‒ aggiunse, sapendo che il maschio che era suo interlocutore avrebbe drizzato di più le antenne.
‒ Quando ci sei entrata? ‒ chiese allora Green, preso all’amo.
‒ Prima di uscire, le ho dato una mano con la valigia.
‒ Avrà trovato tempo per farsi rimorchiare, ieri sera, beata lei ‒ commentò Green, malato come tutti.
‒ Nella sua regione? Difficile, lo avrebbero scritto sul giornale.
‒ E allora che pensi?
‒ Escludo Lino ‒ mise le mani avanti, Blue.
‒ Come minimo.
‒ Non mi viene in mente nulla.
‒ Potresti pure aver sbagliato ‒ la stuzzicò Green.
Il loro parlare a bassa voce non riusciva ad attirare la distratta attenzione di Gold e Silver, il primo dormiva e il secondo giaceva nella sua solita calma turbolenta. Totalmente distaccata era invece Crystal, la quale non scambiava che qualche parola abitudinaria coi suoi amici da giorni, ormai. Tutti lo avevano notato, qualcuno aveva provato a parlarle, nessuno ne aveva tratto risultati. Era oltremodo nervosa e furente per la morte di Emerald. Bolliva in una silenziosa rabbia celata, come una pentola a pressione che, prima o poi, si sarebbe decisa ad esplodere.
‒ Lei è quella che è rimasta più sola ‒ commentò Green, parlando sempre di Sapphire. ‒ Insomma, noi, Silver, Red… ci conosciamo da così tanto. Lei chi ha?
‒ Non dovresti essere così negativo. Siamo una squadra, ma prima di tutto siamo amici ‒ lo riprese la ragazza.
‒ Sì, siamo colleghi divenuti amici nel tempo. È abitudine, non affinità. Condividiamo i nostri impegni, non le nostre passioni.
‒ Secondo me è proprio qui che ti sbagli ‒ ribatté allora la castana. ‒ Siamo tutti diversi, questo è vero, ma è un fatto positivo. Inoltre abbiamo vissuto insieme i momenti più importanti delle nostre vite. E lo abbiamo fatto per nostra scelta, non per costrizione.
‒ Ah, sì. Ricordo quando siamo rimasti pietrificati insieme, oppure tutte le volte che abbiamo rischiato di morire per fare la cosa giusta. Tutti si amano nel pericolo, è come in un film americano, hai presente?
‒ Sei uno stupido, il lavoro ti ha reso noioso.
‒ Tu invece sei diventata tenera, queste amicizie ti hanno ammorbidito ‒ ribatté calcando sulla parola “amicizie”.
Blue era stata toccata nel vivo ‒ Credi che sia il tuo lato duro e distaccato che mi abbia spinto a letto con te ogni volta? Cos’è, una specie di gioco erotico per te? ‒ disse, con tono normale.
‒ È solo la verità, non puoi affidarti a nessuno. Prima o poi quel qualcuno o sparisce o si dimentica di te o muore.
‒ Pensi che tutti siamo come Ruby? ‒ Blue alzò leggermente la voce, attirando l’attenzione di Sapphire che aveva udito fuggevolmente il nome del ragazzo che aveva lasciato entrare dentro di sé quella notte.
‒ Abbassa la voce… e comunque no, penso soltanto che nessuno di loro possa salvarti la vita: siamo sempre soli, alla fine.
Blue sbuffò, provando il sentore del disprezzo per quella persona con cui stava parlando, ‒ Secondo me invece hai solo paura ‒ fu vicinissima a lui, sussurrò quelle parole al suo orecchio. ‒ Ora che vedi il pericolo, hai paura di perderli perché ti sei affezionato ad ognuno di loro.
Green non ribatté. La ragazza decise di alzarsi per sparire in bagno per qualche minuto. Si voltò all’ultimo verso il ragazzo per ribadire il concetto.
‒ E comunque non credevo tu fossi tanto insensibile, nessuno di loro potrà salvarmi la vita, ma sicuramente tutti me l’hanno cambiata. E in meglio ‒ e andò via.
Il resto del viaggio scorse nel silenzio totale, persino tra i due di Kanto.
Furono tutti a Olivinopoli per l’orario stabilito. Già dal primo momento risultò evidente che Gold e Silver si sentissero più a casa. Crystal invece accennò quasi ad un’ombra di serenità. Esagerando, anche lei era felice di rivedere la sua terra, ogni tanto.
Seguendo le indicazioni di Rocco e affidandosi a qualche elenco telefonico, articolo di internet e chiacchiera locale, scoprirono che la villa che risultava appartenere al Superquattro Axel era quella in stile Tony Stark che giaceva sulla costa frastagliata e rocciosa dell’isola. Una roba poco economica, sicuramente. Olivinopoli era un po’ come Spiraria a Unima: un resort per i ricconi. Il clima era molto simile, lì neanche l’inverno riusciva ad abbassare la temperatura drasticamente. L’oceano era uno spettacolo, il panorama di più. La villa dava inoltre verso sud est, per godere dell’alba senza prendersi il sole in faccia. La costa rocciosa non permetteva di uscire dal lato mare, ma permetteva di osservare i surfisti che si esibivano, un centinaio di metri più lontano.
‒ Che facciamo, bussiamo piano o bussiamo forte? ‒ scherzò Gold che era già solleticato dall’idea di demolire il patrimonio che sicuramente sarà costata quella costruzione.
‒ Neanche per sogno, idiota ‒ lo richiamò Silver.
‒ Io ho un’idea ‒ si intromise Sapphire, che quel giorno era fin troppo creativa. ‒ Ma forse sarebbe più il caso di spiare dentro di nascosto, prima. Giusto per capire che cosa abbiamo davanti.
‒ Ok, era ovvio, ma qual è l’idea? ‒ la stimolò Gold.
‒ La massima naturalezza e la limpidità, tanto che potrebbe farci Axel? Se facciamo capire alla stampa che ci troviamo qui, non può neanche toccarci.
‒ Non è male ‒ commentò Green. ‒ Per il sopralluogo mi mobilito io, concedetemi mezz’ora, ritroviamoci di fronte al Centro Pokémon ‒ e sparì sul suo Charizard.
‒ Che facciamo nel frattempo? ‒ domandò Gold, notoriamente impaziente.
Ognuno di loro trovò impiego. Sapphire telefonò a suo padre per aggiornarlo, Blue fece lo stesso col professor Oak. Silver, Gold e Crystal, invece, sparirono misteriosamente.
Quando Green tornò, pronto a riferire tutti i dati che aveva ottenuto, trovò un circolo di persone annoiate.
‒ Allora ‒ esordì. ‒ la villa è messa in sicurezza da alcune guardie che girano costantemente all’esterno. Sono tutte armate, ovviamente, ma non dovrebbero costituire un problema, se dovessimo entrare in veste di normali ospiti. Ovviamente, se ci sono le guardie Axel dev’essere all’interno, ma c’è un'altra auto parcheggiata all’esterno, non è una delle sue, quelle le tiene nel garage sotterraneo. Comunque è una Jaguar rosa perlaceo, da maschio mi vergognerei a portare una macchina come quella. Deduco che sia quella di una probabile moglie/fidanzata ‒ il resoconto di Green era abbastanza dettagliato. Avevano trovato il loro obbiettivo. Ed erano pure sicuri che qualche reporter aveva diretto la sua attenzione verso di loro. Per questa ragione, erano intoccabili.
‒ Possiamo procedere, siamo qua per indagare dopo la vicenda di Vivalet, la morte di Fenix e sulla sparizione di tutto il resto della Lega di Holon, non sospettiamo di lui o dei suoi colleghi fin quando la cosa non si fa evidente ‒ ricordò a tutti Sapphire. ‒ E non tiriamo in ballo Ruby e la Faces, se non ce n’è bisogno ‒ aggiunse, con una frecciata.
Entrare in una villa sorvegliata da una guarnigione di guardie vestite di nero fu una delle esperienze più strane che fosse mai capitata ad ognuno di loro. Dovettero perquisirli prima di farli anche solo avvicinare al citofono. Nessuno di loro comprese il motivo di tanta sicurezza, ma non si fecero domande. Erano persone importanti e Axel, o chi per lui, li invitò cordialmente ad entrare.
Si ritrovarono in un salotto dal soffitto altissimo nel quale risuonava il cristallino suono di una fontana da interni.
Attesero alcuni minuti con un cameriere che offrì loro qualsiasi tipo di bevanda. Solo dopo quell’accoglienza greca videro presentarsi davanti a loro un soggetto la cui età era poco deducibile ma aleggiava tra i venti e i trenta. I capelli erano castani chiari, quasi biondi, aveva un paio di Rayban da vista sul naso e celava il suo fisico né gracile né muscoloso sotto un abbigliamento casual: una maglietta e dei bermuda. Axel li squadrò tutti con occhi attenti.
‒ Non aspettavo visite, mi dico stupito ‒ esordì.                                                                                              
‒ Perdona il nostro arrivo improvviso, Axel, non ci conosciamo ma siamo sicuri che tu sappia già chi siamo ‒ rispose Green, facendosi portavoce del gruppo.
‒ Ovvio, e ho pure intuito il motivo per cui vi trovate qui ‒ era uno di quelli con la risposta pronta, si annotò mentalmente ognuno di loro.
‒ Forse no ‒ ribatté allora Green.
Axel si incuriosì. Si sedette su uno di quei divanetti di pelle bellissimi ma scomodi come poche cose al mondo. Era proprio di fronte a loro e sorseggiava una tisana: Axel, Superquattro della Lega di Holon, collega di due morti e sottoposto di un terrorista.
‒ Sai, stiamo indagando su quello che è successo a Vivalet, non potevamo farne a meno.
‒ Ah, Vivalet, che sciocco ‒ si picchiettò le tempie con le dita. ‒ Vi porgo i miei ringraziamenti per aver fermato Rayquaza, io sono stato costretto dai miei agenti ad allontanarmi subito dopo l’attacco. È stata una terribile tragedia, ma senza di voi si sarebbe potuta trasformare in un disastro di dimensioni ben maggiori.
‒ È stato dovere ‒ borbottò Gold.
‒ Comunque, stiamo seguendo una delle poche piste possibili e siamo rimasti colpiti dalla sparizione dell’intera Lega di Holon e poi, con quello che è successo ieri... ‒ spiegò Green.
Axel sembrò concedersi un attimo. Pensava a Fenix, ma il suo cervello lavorava più di quanto lasciasse intendere.
‒ Effettivamente, capisco come un avvenimento simile possa aver insospettito molti.
‒ Holon ha conosciuto l’inferno, la sua Lega è scomparsa ‒ lo accompagnò Green.
‒ Avete delle idee su chi possa essere il responsabile?
Prima bugia, ogni Dexholder individuò la finta ingenuità di Axel. Sapevano bene che lui era a conoscenza del piano di Zero, voleva solamente capire quanto fossero vicini alla verità. Era buon segno, poiché significava che non erano stati seguiti nel loro processo di investigazione. D’altra parte, però, ricordava loro che, seduto amabilmente su quel divanetto a sorseggiare una tisana da una tazza etnica in terracotta proveniente da Alola, c’era il complice di un assassino. Non sapevano ancora da che parte stesse il Superquattro, e lo avrebbero scoperto soltanto rischiando la pelle, ma nessuno di loro quella mattina si era alzato dal letto con l’intenzione di entrare nella tana del lupo: ragion per cui avevano già deciso unanimemente di mantenersi generali con lui, in modo tale da non infastidire un eventuale complice di un pluriomicida.
Abbiamo qualche idea, ma stiamo cercando di fare luce sul quadro generale ‒ rispose innocentemente Green.
‒ Ok, allora vi aiuto: è stato Zero ‒ disse con massima naturalezza. Aveva bluffato, voleva capire quanto a fondo i suoi interlocutori fossero scesi.
I Dexholder rimasero inverosimilmente spiazzati.
‒ È un criminale, è il responsabile della morte di Fenix e sono certo che abbia ucciso pure quel poveraccio di Murdoch ‒ stava rincarando la dose senza alcuna paura delle conseguenze. ‒ Zero va fermato, la Lega di Holon ormai non esiste più.
‒ Aspetta, aspetta… che significa tutto questo? ‒ lo interruppe Green, tenendogli il gioco.
‒ Zero sta cercando tutti noi, ora ‒ chiarì, lasciando senza far luce su nulla.
Green assottigliò lo sguardo.
‒ Va bene, dobbiamo intervenire immediatamente per fermare Zero ‒ si intromise Sapphire. ‒ E da quanto ho capito siamo anche sulla strada giusta. Axel, se è vero quello che hai detto su Zero, abbiamo bisogno che tu ci dia una mano e continui a dirci tutto ciò che sai ‒ esclamò con decisione.
‒ Sì, Zero aveva intenzione, come immagino già saprete, di fare una strage di tutti i maggiori Allenatori presenti all’Holon World Stadium. Ha costretto Murdoch ad agire per suo conto, poi lo ha eliminato per cancellarne le prove. Per fortuna, da quanto ho capito, una soffiata a proposito del suo piano è arrivata a Rocco e successivamente a Ruby, che ha potuto ostacolarlo insieme a voi, purtroppo non senza conseguenze…
‒ Stiamo cercando di raggiungerlo e fermarlo, dobbiamo solo capire la motivazione che spinge le sue azioni ‒ continuò Sapphire.
‒ Forse occorre che capiate come stanno realmente le cose, prima ‒ precisò Axel convocando il maggiordomo. ‒ Bernard, chiama la nostra ospite ‒ ordinò.
Stupendo tutti, comparve all’interno del quadretto un ultimo soggetto: una bellissima donna dalla carnagione color caffellatte. Vestiva anche lei casual, con un pareo e degli shorts, ma la sua bellezza colpì ognuno dei presenti. La riconobbero, lei era un po’ più conosciuta, visivamente, rispetto ad Axel: si trattava di Tiana, ultima Superquattro di Holon. Evidentemente, la proprietaria della Jaguar rosa parcheggiata fuori.
La bellezza salutò tutti introducendosi elegantemente nella situazione.
‒ Zero è arrivato al punto di rivolgersi persino contro di noi ‒ spiegò, gelido, Axel. ‒ Siamo fuggitivi.
E un forte rumore di vetri infranti colse tutti alla sprovvista. Bernard, il maggiordomo di Axel, cadde a terra, con il buco di una pallottola nel collo. Entrò in casa attraverso la vetrata appena infranta una delle guardie vestite di nero che sorvegliavano l’esterno della villa. Era grosso e piazzato, brandiva una calibro quarantacinque dotata di silenziatore che maneggiava con dei guanti di pelle. Puntò minacciosamente l’arma contro Axel e fece fuoco.

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Capitolo 17
*** Capitolo 7 - Malibu pt. 2 ***


Capitolo 7: Malibu pt. 2
 
 
Schermoluce. O Barriera. O forse Protezione. Probabilmente nessuno di loro lo avrebbe mai scoperto, sta di fatto che la pallottola si disintegrò a mezz’aria, contro un invisibile muro di luce. Tuttavia l’uomo vestito di nero che aveva sparato ad Axel, presumibilmente un infiltrato nella scorta della sua villa a Olivinopoli, non era solo. Immediatamente tutte le guardie cominciarono a sfondare porte e finestre della proprietà per accerchiare gli Allenatori che erano all’interno.
Cazzo, dobbiamo andarcene! esclamò il Superquattro.
A quel punto il loro salvatore si palesò. A generare quella barriera che aveva evitato al piombo di raggiungere il proprio Allenatore era stato un minaccioso Magnezone che si era nascosto tutto il tempo levitando al piano di sopra. Il Pokémon lanciò una scarica che lasciò l’agente infiltrato a terra svenuto.
Che diavolo succede, Axel? esclamò furente Tiana.
Avete addosso roba metallica? chiese quello.
Nessuno lo stette a sentire. Il caos che era scoppiato in meno di pochi secondi avrebbe colto di sorpresa anche l’uomo più calmo del mondo.
Avete addosso roba metallica? ripeté, rabbioso per la mancata risposta.
Dalla matassa dei sei Dexholder che tiravano fuori alla ben e meglio i loro Pokémon nella speranza di fronteggiare gli agenti vestiti di nero che iniziavano a fare capolino dalle vetrate rotte e dalle altre stanze, non si levò alcuna risposta.
Ah vaffanculo! Axel impartì un ordine preciso al proprio Magnezone.
Il Pokémon generò un fortissimo campo magnetico che attirò tutti i soprammobili e i componenti metallici della casa, aprì ogni cassetto dal pomello metallico, rovesciò sedie e sgabelli e strappò ogni arma dalle mani delle guardie. Il salone era ora tutto a soqquadro, ma nessuno avrebbe sparato loro contro. In tutto questo, Crystal aveva perso due forcine per i capelli, Blue un braccialetto e Gold la felpa a causa della cerniera lampo.
Dobbiamo scappare! ordinò quindi Axel.
Le guardie avevano perso le loro armi da fuoco, Magnezone le aveva tutte scagliate fuori dalla finestra, e non si fecero scrupoli a tirare fuori l’arma di riserva: le loro Poké Ball. Così, grazie ai Pokémon da sfondamento di tutti i presenti, calciando un Arcanine di qua e un Manectric di là, gli otto Allenatori cominciarono a farsi strada nella calca di nemici.
Axel sfondò una delle vetrate che dava sull’oceano ordinando a Magnezone di scagliarvi contro due guardie. Probabilmente quei due poveracci sarebbero morti cadendo in acqua da quell’altezza. Ad ognuno fu comunque permesso di uscire fuori e saltare sul proprio Pokémon volante. E così i Dexholder più i due Superquattro di Holon che volavano uno su Zapdos, l’altra su Swanna, presero una debita distanza dalla villa. Qualche guardia sembrava in procinto di salire sulla propria cavalcatura alata per inseguirli, ma Axel prevenne ogni possibilità. Fece un cenno con la mano e gridò qualcosa. E immediatamente divampò una inquietantissima luce gialla da casa sua. Decine di potenti esplosioni detonarono attorno alle fondamenta della sua villa. Erano degli Electrode che utilizzavano Autodistruzione.
Aspetta, che cazzo stai facendo? lo richiamò Green.
Troppo tardi, ormai l’edificio sembrava un castello di carte sotto il soffio del vento. Il cemento si sgretolò, i vetri esplosero, le fondamenta si sradicarono. La villa di Axel crollò nel mare in pochi secondi, polverizzandosi e accartocciandosi su se stessa. Il mare accolse tonnellate e tonnellate di resti e macerie colorandosi di una fitta schiuma biancastra e agitandosi paurosamente. E tutti loro, guardando senza poter agire in nessun modo, sapevano che decine di uomini erano rimasti intrappolati all’interno di quella valanga che si era riversata nell’acqua.
 
Porca puttana, Axel, che diavolo hai combinato? gridò Sapphire al Superquattro.
Tutti gli Allenatori erano atterrati sulle coste di una delle isole vorticose, poco lontano. Ancora scossi da ciò che era appena successo, avevano poggiato i piedi per terra, o meglio, sulla sabbia, prima possibile. Tanto era difficile che ci fosse anche solo uno di quegli agenti che avesse ancora voglia di inseguirli.
Mi aspettavo una reazione, la scorta mi era stata mandata da Zero. Sapevo che mi si sarebbero rivoltati contro, non li ho rifiutati per non destare sospetti, ma ho preso le mie precauzioni si giustificò quello.
Ma stiamo scherzando? Quante persone hai ucciso senza neanche pensarci? intervenne Blue attaccando Axel a sua volta.
Dodici, dodici guardie con due Pokémon ciascuna, se vuoi saperlo! ringhiò quello, severo, attirando lattenzione di tutti. E non pensare che l’abbia fatto a cuor leggero, stiamo per entrare in guerra con queste persone, loro non si fanno scrupoli a ucciderci, noi non possiamo mettere a repentaglio la pelle per dare loro clemenza. Inoltre, ora che ci penso, se li avessi lasciati vivi, loro avrebbero comunicato a Zero che sapete della sua responsabilità circa Rayquaza, Murdoch e Fenix e che siete sulle sue tracce. Dovreste pure ringraziarmi.
Ognuno tacque.
Volete che vi spieghi che cosa è successo veramente? Bene, statemi a sentire la sua rabbia cominciava a sbollire. Zero ha macchinato tutto riguardo alle faccende di Vivalet: Murdoch, costretto da quel folle, ha fallito nel controllare Rayquaza. È scomparso, certamente ucciso, per punizione.
I Dexholder si scambiarono degli sguardi di approvazione, la teoria di Camilla era stata confermata.
A quel punto, Zero ha iniziato ad indagare su noi altri Superquattro, credendo che volessimo tutti tradirlo come crede abbia fatto Murdoch. È accecato dalla rabbia e ha intenzione di eliminare ogni possibile minaccia, adesso noi come voi. Io e Tiana siamo venuti qui a casa mia, lontana da Zero, sperando di temporeggiare e inventarci qualcosa sospirò e riprese fiato. Come vedete non è servito a molto
Che cosa sta cercando Zero, esattamente? domandò allora Green.
Il controllo, Zero sta eliminando tutti gli Allenatori più potenti e influenti, vuole che tutto ciò che loro rappresentavano confluisca in un solo punto focale: Holon.
In un istante, tutto il disegno fu più chiaro ai presenti.
L’isola di Holon: una piccola regione, ma un grandissimo parco divertimenti proseguì Axel. Gli Allenatori si sarebbero rivolti contro la Lega che si era costruita la più grande immagine di sé, la catastrofe avrebbe attratto le attenzioni di tutto il mondo e dopo qualche tempo dei nuovi turisti. La Lega come mondo dello spettacolo: avrebbe attratto tutto il flusso mediatico e l’influenza degli altri Allenatori più grandi, una volta scomparsi quelli frammentati per le altre regioni. Pensate al più stupido degli esempi: se tutti quegli Allenatori avessero perso la vita all’Holon World Stadium, dove sarebbe stato costruito il loro monumento alla memoria? Dove sarà comunque costruito per quei poveri innocenti che sono morti?
Ogni Dexholder conosceva bene la risposta, in cuor suo.
E in fondo, alla fine di tutto, quale sarebbe stata l’unica Lega ancora in piedi? Axel aveva aperto loro gli occhi.
Possibile che nessuno di loro era riuscito a rendersene conto, fino a quel momento?
Quindi questo è l’obiettivo di Zero, perché gli informatori di Rocco e Camilla non hanno subito comunicato loro tutto? si domandò Green senza attendere una risposta.
Un attimo, Axel si intromise Sapphire. Che ruolo ha, in tutto questo, la Faces?
Quello alzò un sopracciglio, non comprendendo. Tiana, che gli si era affiancata per tutto il discorso, reagì con la stessa ignoranza.
Non sapete proprio niente?
Non capisco cosa dovremmo sapere…
Sapphire sospirò sconsolata. Si voltò verso gli altri Dexholder. Da come si guardavano, comprendevano di star pensando tutti la stessa cosa. Forse la vicenda di Hoenn era soltanto un’altra storia per niente collegata a ciò che stava accadendo con Zero. Senza dirsi una sola parola, avevano già deciso, si sarebbero concentrati solo ed esclusivamente su Holon, per ora. Ruby, Lino e la Faces potevano aspettare.
Axel, vogliamo dare una mano, Zero va fermato e ti assicuro che ci sono molti Allenatori validi disposti ad aiutarci disse Sapphire.
Bene, la cosa migliore è rimanere uniti, ora. Purtroppo però sarà abbastanza complicato mettere i bastoni tra le ruote a Zero mormorò quello.
Che cosa abbiamo su di lui, sappiamo dove trovarlo, quali sono i suoi punti deboli, qualcos’altro?
Veramente poco, ma possiamo dirvi tutto ciò che sappiamo rispose Tiana.
 
Un’ora dopo, nel laboratorio di Borgo Foglianova, sei Dexholder e due Superquattro sfuggiti alla morte più di una volta sedevano attorno ad una bibita fresca. Il Professor Elm era stato felice di rivedere i suoi ragazzi, affezionarsi a uno di quei bastardi, per una persona qualsiasi, significava ansia e paura di non rivederli più dopo l’ultima volta che si sono chiusi la porta di casa alle spalle.
Zero ha un talento naturale, bisogna riconoscerlo. Lui è incredibilmente potente, chi non lo ha mai visto combattere non può saperlo puntualizzò Tiana. Fatto sta che la sua principale arma è la sua instabilità mentale. Non solo lo rende imprevedibile, ma anche incontrollabile e privo di giudizio. Le persone che lui reputa meritino la morte difficilmente si salvano, anche perché ricorre a qualsiasi metodo, Pokémon o no, per farle fuori.
Il rassicurante discorso della Superquattro aveva congelato il sangue a tutti.
In poche parole siamo fottuti? domandò Blue.
No, ricordiamoci sempre che Zero è forte, ma anche solo aggiunse quella.
Sì, dillo alle guardie che per poco non ci ammazzavano tutti… commentò Silver.
Abbiamo per caso visto Zero, con loro? domandò Axel, sottile. Zero agisce da solo, quando delega altri al suo posto, non si immischia mai, ma quando entra in gioco in prima persona, lo fa in solitaria precisò il Superquattro.
Ci state dicendo che la cosa migliore da fare sarebbe che noi attaccassimo Zero quando lui scenderà in campo? domandò Gold.
Vi stiamo dando delle direttive, voi potete farne ciò che volete.
Non so, attaccare direttamente Zero mi sembra stupido, posso dirlo? fece quello. Anche se gli farebbero bene due calci in culo.
Io ho bisogno di pensare… Sapphire scattò in piedi.
Vengo con te la seguì Blue.
Le due ragazze lasciarono il laboratorio strisciando fuori dalla porta. Nessuno cercò di fermarle, non si fronteggia mai una donna esasperata. Crystal, la quale era rimasta zitta tutto il tempo, come ormai era consuetudine, si alzò e decise di relegarsi in una delle camere. Rimasero solo Gold, Green e Silver insieme ai due Superquattro di Holon, la temperatura era scesa di qualche grado e l’entusiasmo generale si era corroso.
Che cosa è successo al vostro amico Red? chiese Axel, come se dovesse sembrare amichevole per approcciare.
Non lo sappiamo fu la quasi indignata risposta di Green.
Notando lo stupore suo e di Tiana, Silver decise di precisare: Lui e la sua ragazza sono scomparsi una mattina, così, senza dire nulla. Quello stesso giorno, Red ha organizzato una conferenza stampa in cui ha dato le proprie dimissioni facendo una forte allusione alle ultime vicende avvenute.
E voi come intendete reagire? domandò Tiana con fare materno.
Credo di parlare per tutta la mia squadra quando dico che ora come ora non abbiamo la testa per questa faccenda. Si vedrà, ma per adesso dobbiamo risolvere un’altra situazione ingarbugliata tagliò corto Silver.
L’imbarazzo in cui cadde la situazione placò ogni rumore. Si udiva solo il suono che emetteva Gold masticando il collo della sua maglietta.
‒ Voi conoscevate Zero personalmente? ‒ domandò Green ai due Superquattro, come per educazione.
‒ Sì ‒ annuì Tiana, che sembrava la più provata dei due. ‒ all’apparenza sembra un ragazzo normale, a tratti simpatico. Ma non permette a nessuno di leggere nella sua testa o di avvicinarsi troppo a lui. Credo abbia subito dei forti traumi, o altro, sarebbe l’unica spiegazione per la sua doppia personalità.
Voi non avete mai fatto niente per fermarlo? ‒ domandò Silver. ‒ Da quanto tempo Zero occupa il ruolo di Campione? Un anno? Possibile che non abbiate avuto voglia di opporvi a lui, magari denunciandolo o qualcosa del genere?
‒ Era la cosa più sicura ‒ rispose prontamente Axel.
I tre Dexholder non capirono.
‒ Poco tempo dopo la sua salita al potere, Zero conobbe un ragazzo. Si chiamava Kalut ‒ cominciò Tiana.
Il sentir pronunciare quel nome, riaccese una lampadina nei loro cervelli.
‒ Sembrava, in un certo senso, essere riuscito a placare la follia e sete di distruzione di Zero. Non so in che circostanze i due si fossero conosciuti, ma Kalut era costantemente in compagnia del Campione. Sembravano molto legati. Durante la permanenza di Kalut alla Lega, Zero sembrava aver abbandonato i piani per Vivalet ‒ spiegò Axel.
Ciò che era stato raccontato loro era vero, allora: c’era un’unica persona capace di fermare la follia di Zero.
‒ Kalut quindi viveva alla Lega? ‒ domandò Green.
‒ Sì, Zero gli aveva concesso uno degli appartamenti.
‒ E poi che cos’è successo?
‒ Hanno litigato ‒ proferì Tiana. ‒ abbiamo assistito ad una delle più violente liti mai viste. Zero sputava fuoco, era il suo lato peggiore, quello che stava mostrando. Persino Kalut aveva perso la pazienza e lui aveva una personalità molto più tranquilla di quella di Zero.
‒ Quindi Zero se n’è andato?
‒ Non l’abbiamo mai più visto ‒ rispose Axel.
‒ Sapete per che cosa litigassero? ‒ indagò Green.
‒ No.
La risposta lo lasciò lievemente spiazzato.
‒ Non avete sentito niente? Nemmeno un’ombra di discussione?
‒ Oh, no. Hai frainteso. Loro non si urlarono contro ‒ precisò Axel. ‒ Lottarono con i loro Pokémon, e finiti quelli si presero a botte ‒ spiegò, come se fosse la cosa più normale al mondo.
 
All’esterno, Blue e Sapphire camminavano lungo la riva del mare che bagnava le coste di Johto da un lato e quelle di Kanto dall’altro.
Che cosa ne pensi, Blue? domandò la Dexholder di Hoenn senza scollare gli occhi dall’orizzonte.
A proposito di?
Tutto questo, in generale.
Io… Blue temporeggiò. Ti prego, possiamo parlare di altro?
Sapphire comprese la situazione della sua amica e le venne incontro. Come… come va con Green?
Blue fece la faccia di chi si vede passare dalla padella alla brace.
‒ Sinceramente non lo so, lui è più complicato di una femmina. Lo sai com’è, Green…
Sapphire annuì debolmente.
‒ Fa il duro, ma non vuole davvero trattarti male e... non riesco a capire che cosa voglia davvero, possibile che dopo tutti questi anni non abbia ancora deciso cosa fare della sua vita?
‒ Tu che cosa vorresti? ‒ le chiese Sapphire.
‒ Non lo so, all’inizio era bello: avere qualcuno con cui sfogarsi senza per forza doversi impegnare. Anche i nostri fidanzamenti settimanali, alla fine, erano delle sciocchezze, era tutto un gioco. Poi arriva il momento in cui inizi a pensare che in tutta una vita tu sei riuscita a divertirti qua e là, ma non hai portato a termine nulla…
‒ E ti senti uno schifo ‒ proseguì Sapphire.
‒ E ti senti uno schifo ‒ confermò Blue.
“Stanotte ho scopato con Ruby” avrebbe voluto dire Sapphire, che sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno. Ma non lo fece, era certa che l’avrebbe presa male. Quindi entrambe lasciarono scorrere il silenzio di transizione tra una conversazione e un’altra.
‒ Che cosa pensi sia accaduto a Hoenn? ‒ domandò allora Blue.
‒ In che senso?
‒ Nel senso… cosa pensi ci sia dietro a tutto quello schifo? La Faces, Ruby, Lino…
‒ Non so, non so cosa pensare. Io… ‒ Sapphire sapeva che aprirsi in quel modo l’avrebbe costretta a subire una lunga e pesante ramanzina. ‒ Io non riesco a pensare che Ruby abbia voluto fare tutto questo.
‒ Sei ancora così legata a lui?
‒ Sarò sempre così legata a lui.
‒ Non so, secondo me non… dovresti. Non è la cosa… giusta.
In maniera completamente inaspettata, Blue scoppiò a piangere. Sapphire assistette ad una scena rara come quella senza sapere minimamente come reagire. Si era sentita così parecchie volte, negli ultimi tempi, impotente di fronte al mondo che si sgretolava davanti a lei. E Blue che lacrimava copiosamente, cercando di soffocare ogni gemito e coprendosi il volto con la mano, la faceva sentire ancora inutile, impotente, debole.
‒ Blue, che succede? ‒ chiese con un pallido filo di voce.
Forse era lo stress accumulato, forse le forti emozioni degli ultimi giorni, forse qualcosa che Sapphire aveva detto senza preoccuparsi delle conseguenze.
‒ È tutto ok, davvero… ‒ provò a rispondere quella.
C’era una sorta di regola nel mondo che obbligava le persone affrante e distrutte a rispondere ciò a chiunque fosse interessato a loro.
‒ Blue, ti prego ‒ la supplicò per una risposta.
Gli occhioni celesti di quella, per quanto gonfi e umidi, le sorrisero. Amaramente, ma le sorrisero. Allora Sapphire comprese. Blue non aveva mai avuto fiducia nelle persone, le poche volte che aveva deciso di affidarsi ai suoi amici, il mondo le era sempre caduto addosso. Silver era l’essere umano che lei sentiva più vicino, ma il suo affetto la distruggeva, riportandole alla mente tutti i momenti più brutti della sua vita. Sapphire, al contrario, aveva provato un sentimento troppo grande perché Blue potesse solo immaginarlo. E così, il vederli insieme rendeva Blue felice, generando un piccolo, empatico calore dentro di lei. Ma vedere il loro legame spezzato uccideva ogni sua speranza. Blue invidiava Sapphire, in un certo senso. Ma odiava ancor di più vederla sola e triste. Lei odiava quel mondo grigio che si era costruita attorno negli anni, quel mondo in cui non esistevano più i buoni, quel mondo in cui lei era costretta a vivere.
‒ Non fa niente, mi deve pure tornare il ciclo, scusami… ‒ banalizzò tutto.
‒ Vogliamo rientrare?
‒ Aspetta, aspetta un momento ‒ temporeggiò, asciugandosi le lacrime.
Quando le due ragazze rientrarono, Crystal era uscita dalla sua stanza e Silver aveva iniziato a preparare il thè. Nessuno aveva trovato una soluzione a niente. Tutto era ancora fermo in un limbo di angoscia e debolezza. La stessa impotenza che tutti loro avevano provato di fronte a Rayquaza, al corpo morto di Emerald, al ritiro di Red, alla morte di quei poveracci a Olivinopoli. Axel era in piedi e osservava le miriadi di cianfrusaglie che il laboratorio conteneva, come ognuno fa quando si sente a disagio in casa altrui, facendo finta di osservare attentamente l’angolino delle scope o il lettore DVD rotto.
Poi qualcosa ruppe quel silenzio tombale che si era creato nella stanza: la suoneria del cellulare di Axel. Il trillo fu udito da tutti. Il Superquattro estrasse il telefonino dalla tasca e lesse. Tiana lo vide perdere colore e cominciare a respirare a fatica in un istante. Il ragazzo sembrava aver appena visto la foto del suo bambino di cui non sapeva nulla.
‒ Statemi tutti a sentire ‒ disse, con voce insicura. Attirò l’attenzione di quelle sei anime maledette che si trovavano lì con lui.
‒ Che succede? ‒ domandò Green, attento.
Zero intende attaccare l’Altopiano Blu ‒ lesse a voce alta. ‒ È il numero di Kalut.
Fu faticoso metabolizzare il tutto.
‒ Tutto qui? ‒ domandò Green.
Puntuale come la morte, un secondo messaggio arrivò al cellulare di Axel.
Tra venti minuti.

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Capitolo 18
*** Capitolo 7 - Malibu pt. 3 ***


Capitolo 7: Malibu pt. 3
 
 
‒ Ripetimi perché ci stiamo fidando ciecamente? ‒ domandò Gold, in groppa a Togekiss, sulla via per le cascate Tohjo.
Axel aveva ricevuto un ben poco rassicurante messaggio circa un imminente attacco di Zero all’Altopiano Blu. Il mittente era Kalut e tutto lo squadrone aveva deciso di mobilitarsi sulla base di quelle poche righe di testo.
‒ Perché Kalut è una delle poche persone che potrebbe meritare la nostra completa fiducia, per il momento è l’unico che ha agito come avremmo agito noi ‒ spiegò Green.
‒ Potrebbe?
‒ Sì, ci stiamo basando su un messaggio, ma non mi interessa. Se è l’unica strada, è l’unica strada.
‒ Bah…
Otto Allenatori in groppa ad altrettanti Pokémon volanti raggiunsero la grotta delle cascate Tohjo in pochi battiti di ali.
‒ Rapidi, scavalcare richiede troppo tempo ‒ li spronò Axel.
Le due pareti di acqua furono oltrepassate in modi profani e a dir poco ingiuriosi per la sacralità di quel luogo. Due minuti dopo, erano già dall’altra parte.
Ripresero le cavalcature alate per eludere il varco di transizione e sorvolarono nostalgicamente la Via Vittoria.
‒ Avvisiamo Lance e gli altri! ‒ ordinò Green. ‒ Quanto tempo abbiamo?
‒ Non ne avete ‒ rispose una voce.
E tutte le finestre del palazzo della Lega esplosero. Una roboante esplosione per poco non sfondò i timpani ai presenti. L’onda d’urto fece crollare parecchi marmi, sbilanciò gli Allenatori che si trovavano ancora in volo, sfoltì gli alberi più vicini.
Ognuno dei presenti rimase col cuore in gola. Il loro cervello si spense per qualche attimo, tentando di accettare l’orribile visione. E così, mentre le fiamme cominciarono a rodere l’edificio dall’interno, tutti e otto gli Allenatori atterrarono sconsolati. Green era pallido, Sapphire sembrava dover cedere sulle proprie gambe, Crystal aveva ricominciato a tremare. Tornò finalmente il silenzio, rotto solo dallo scoppiettare delle fiamme e dallo sgretolarsi di alcune mura. Blue percepì la mancanza del proprio battito cardiaco. Altri morti, altre vite innocenti. E soprattutto, a quel punto Zero non avrebbe potuto distruggere altri posti più importanti per lei. La casa dei suoi genitori forse, a meno che non l’avesse già distrutta.
‒ Axel, Kalut diceva sul serio… ‒ mormorò Tiana, prima di essere perforata da due affilatissime ed invisibili lance.
Davanti agli occhi attoniti dei presenti, la bellissima Superquattro di Holon emise un grido soffocato e si accasciò a terra con due buchi nel torace da cui fluivano copiosi fiotti di sangue. Cadde in una pozza rossastra e non si mosse più. Dietro di lei, comparve un Deoxys. Si trovava nella sua forma offensiva e le due lance che avevano ucciso Tiana altro non erano che i due flagelli che costituivano il suo braccio destro.
‒ L’altro, ora ‒ ordinò la voce che comandava il Pokémon DNA.
E mentre Axel rivedeva scorrere come un film la propria vita, una barriera di energia si interponeva tra lui e le appuntite estremità di Deoxys. Il suo braccio si fermò a pochi centimetri dai suoi occhi.
‒ Fermati, Zack.
Alle spalle dei Dexholder, era apparso un giovane dai capelli bianchi. Aveva un fisico mediamente muscoloso, indossava una maglia nera senza alcun disegno e teneva le mani nelle tasche dei bermuda. Non aveva scarpe. Kalut si mostrò ai presenti. Attorno a lui: uno Xatu, che sembrava nella sua massima concentrazione, intento a bloccare Deoxys, e un Arcanine. Non disse nulla, né fece alcun cenno e il suo secondo Pokémon partì per attaccare l’essere che aveva appena assassinato Tiana. La scena sembrava assurda, ma quel grosso canide sputafuoco cominciò a colpire severamente l’umanoide psichico facendolo indietreggiare di parecchio. Poi, il ragazzo guardò Xatu che alzò il becco in direzione di un punto indefinito.
‒ Ti ho trovato ‒ mormorò.
Dalla coltre di foglie, emerse Zero, il Campione di Holon. Ognuno dei presenti aveva visto il suo volto un innumerevole numero di volte, ma mai nessuno aveva potuto riprenderlo con quelle guance scavate, quelle occhiaie e quella follia negli occhi. L’uomo più potente della terra scrutò Kalut da testa a piedi, i due si incamminarono l’uno contro l’altro, come dei duellanti del far west.
‒ Kalut, quelli non erano venti minuti… ‒ ringhiò Axel, quando il ragazzo gli passò accanto.
‒ Mi dispiace per Tiana, non sono arrivato in tempo ‒ ribatté semplicemente il giovane dalla chioma color neve.
Quello, esasperato, si accasciò sul cadavere dell’amica e gridò fuori la sua frustrazione.
‒ Intendete darmi una mano? È per questo che vi ho chiamati ‒ chiese, rivolto ai Dexholder.
Quelli impiegarono un pochino per comprendere di avere davanti l’uomo che rappresentava la chiave di tutto e contemporaneamente quello che invece concretizzava il più grande pericolo della terra.
‒ Non posso affrontare Zero da solo ‒ ammise Kalut.
Nel frattempo, Arcanine e Deoxys si separavano, il primo era malconcio mentre il secondo sembrava in perfetta forma. E così, con un paio di sguardi gelidi, sullo sfondo del palazzo della Lega in fiamme, Zero si preparava ad affrontare i suoi avversari. Axel riuscì a portare via il cadavere di Tiana in tempo, prima che il Pokémon DNA controllato da Zero cominciasse a fronteggiare ben sette nemici contemporaneamente.
 
Circa venti minuti dopo, la Ferrari bianca di Lance inchiodò sullo spiazzo di ghiaia retrostante la sede della Lega. L’uomo scese nervosamente dall’auto, ma non mollò la presa sulla portiera per evitare di vacillare. Aveva individuato il fumo nero a chilometri di distanza, ma non aveva voluto credere all’ovvio fino a quel momento. Ebbene, di fronte ai suoi occhi, l’Altopiano Blu: macerie e resti di un palazzo divelto dall’esplosione che i pochi abitanti locali avevano potuto udire. Qualche grosso pezzo di materiale da costruzione era ancora avvolto nelle fiamme, mentre le mura di mattoni erano tutte state frantumate e trasformate in un polveroso puzzle di tessere tutte uguali. Ormai, la carcassa dell’edificio sembrava reggersi in piedi per miracolo, perdendo qualche pezzo qua e là, continuando a decadere progressivamente.
Il cellulare del Campione squillò nella sua tasca. Lui lo estrasse e rispose.
‒ Dovete venire qui, è peggio di quanto pensassi ‒ proferì, senza cercare vie più dolci.
Riagganciò senza salutare, prese a correre per aggirare l’edificio distrutto, verso il viale di ingresso. Aveva percepito dei rumori e li aveva riconosciuti immediatamente: qualcuno stava ancora lottando.
Più o meno un quarto d’ora prima, una telefonata che non si sarebbe mai aspettato aveva mandato in mille pezzi la sua giornata. Lance si trovava nella sua villa quando una delle guardie del transito tra la Lega e il Percorso 23 aveva iniziato a strillare alla cornetta qualcosa a proposito di una gigantesca esplosione e una colonna di fumo che si era levata dalla zona dell’Altopiano. L’uomo si era immediatamente Allarmato, aveva spinto forte sull’acceleratore della sua auto per divorare il percorso tra la sua villa di campagna, nella zona limitrofa a quella del Bosco Smeraldo, e la Lega Pokémon delle regioni di Kanto e Johto.  E così, come se dopo gli avvenimenti di Vivalet e le dimissioni di Red la sua vita non potesse diventare più complicata, si stava preparando ad affrontare il responsabile dei uno dei più inaspettati atti di terrorismo degli ultimi tempi.
 
‒ Traditore ‒ sibilò Zero mentre il suo Deoxys trafiggeva lo stomaco di Axel con uno dei suoi flagelli.
Per un attimo, per un solo attimo, Kalut aveva distolto l’attenzione dal Pokémon DNA, e quella minuscola frazione di tempo era costata la vita ad un'altra persona. Davanti a lui, con un grido esasperato, il corpo dell’ultimo Superquattro di Holon rimasto si accasciava esanime.
‒ Figlio di puttana! ‒ esclamava Sapphire mandando il suo Blaziken verso Zero nel tentativo di colpirlo. Il ragazzo si mosse neanche, Suicune entrò tempestivamente in suo soccorso generando delle cristalline barriere di ghiaccio luminescente e bloccando sul nascere l’offensiva del Pokémon.
Zero aveva combattuto valorosamente utilizzando solo tre Pokémon dall’inizio della lotta: Deoxys, Suicune e Darkrai. Tutti esemplari unici catturati in circostanze misteriose. Nessuno ricordava ci fossero quei nomi nella sua squadra, non aveva mai utilizzato Pokémon così particolari dall’inizio della sua carriera. Eppure, il Campione di Holon aveva tenuto testa a più Allenatori tutti insieme sfoggiando uno dei più efficaci arsenali mai visti sulla terra. Kalut sembrava l’unico in grado di anticipare le sue mosse, ma non era riuscito a sferrare neanche un colpo, trattenendosi per poter proteggere efficacemente gli altri compagni, Zero era un mostro e quei Pokémon erano troppo potenti. E così, nessuno dei Dexholder era riuscito a penetrare le sue difese, nonostante nessun Pokémon fosse andato KO, la lotta sembrava essere pari se combattuta in sette contro uno.
Poi, un istantaneo lampo di luce in direzione di Zero. Quello ebbe il tempo di accorgersene per schivare la fiammata che era stata diretta contro di lui, ma l’improvvisa vampa non poté non sfiorargli il braccio destro. Accennò ad un minimo dolore digrignando i denti e si voltò, come ogni altro combattente, verso la fonte dell’attacco. Vide Lance con al seguito un minaccioso Dragonite pronto a unirsi alla mischia.
E lo sguardo dell’Allenatore più forte del mondo cambiò improvvisamente. Parve più docile, più calmo. Sembrava che pure il dolore della scottatura fosse scomparso.
‒ Via, adesso ‒ esclamò.
E Deoxys si trasferiva immediatamente alle sue spalle. Darkrai e Suicune scomparvero per fatti loro, Zero sfruttò il potere di teletrasporto del Pokémon DNA per vanificarsi in meno di un istante. Due morti, una breve scazzottata, un edificio distrutto. E Zero era di nuovo irraggiungibile, scomparso nel nulla come polvere nel vento.
‒ Che diavolo è successo?! ‒ ringhiò Lance con la tensione che pompava nei ventricoli al posto del sangue. ‒ Quello era Zero, che cosa ha fatto?!
Davanti a lui: i Dexholder, tutte facce più o meno conosciute, un individuo che non aveva mai visto prima e due cadaveri che ben riconosceva essere due dei Superquattro di Holon. L’individuo sconosciuto fu il primo a farsi avanti. Aveva dei curiosi capelli bianco perlaceo, dei vestiti del tutto inadatti alla situazione drammatica e i piedi scalzi che poggiavano sull’erba morbida.
‒ Chi sei tu? ‒ gli domandò Lance prima che questo potesse aprire bocca.
Kalut lo squadrò e sospirò, voltandosi verso gli altri. ‒ Probabilmente l’arrivo di Lance vi ha salvato la vita… ‒ disse.
 
Pochi minuti dopo, la situazione era diventata ingestibile. L’arrivo dei Superquattro dell’Altopiano Blu che erano stati convocati per emergenza da Lance aveva solo preceduto quello delle forze dell’ordine, dei giornalisti e dei vigili del fuoco. La zona era stata messa in sicurezza e, in mezzo alla calca, le persone che erano state trovate sul posto si erano ritrovate accerchiate dalle guardie. Lance aveva spiegato ciò che aveva visto, grazie anche alla testimonianza dell’uomo che lo aveva allertato, e dai Dexholder fu sollevato ogni sospetto. Furono gettati dei teli sopra ai cadaveri di Tiana e Axel, i giornalisti cominciarono a immortalare ogni momento di quel formicaio che una volta poteva ricordare una scena del crimine.
Dentro un tendone improvvisato dalle forze di soccorso, vi erano sei sconsolati Dexholder seduti su degli scatoloni che alternavano sguardi vacui verso il terreno e occhiate fuggevoli rivolte a Kalut. Green sembrava dover saltare da un momento all’altro come una molla, Crystal lo aveva iniziato a fissare come da qualche giorno fissava Sapphire. Nessuno sembrava capire quell’enigmatico individuo che camminava a piedi scalzi e si guardava attorno con i suoi occhi profondi.
‒ Volete chiedermi molte cose ‒ esordì il ragazzo dai capelli bianchi, prendendoli in contropiede.
Silenzio, solo il brusio della folla di sottofondo.
‒ La vostra è una situazione spinosa, per la prima volta il mondo non dipende da voi ma stranamente state facendo di tutto perché questa responsabilità torni a gravare sulle vostre spalle… ‒ balbettò come se stesse pensando a voce alta. Nessuno lo comprese pienamente. ‒ Si tratta delle vostre forti personalità egocentriche oppure solo di un intensa forma di masochismo? O altruismo? O magari entrambe, che differenza fa? ‒ rise.
‒ Chi diavolo sei tu, Kalut? ‒ domandò Silver con aria stupefatta.
Il ragazzo dai capelli bianchi si calmò improvvisamente. Non gli era mai stata posta quella domanda.
‒ Hanno detto di me molte cose, ma sei il primo che lo chiede direttamente a me ‒ mormorò.
‒ Che cosa c’entri con Zero? ‒ chiese, più diretto, Green.
‒ Io lo sorveglio: gioco con lui, lo tengo buono, lo faccio divertire in modo da tenerlo calmo ‒ rispose.
‒ Giochi con lui? ‒ Gold notò subito la stranezza.
‒ Gioco, il gioco aiuta molto le persone: rilascia serotonina, aiuta molto l’organismo, calma il cervello…
‒ Impedisce di distruggere le città ‒ Green lo affrontò sul suo terreno.
‒ Stiamo parlando di Zero, grande Capopalestra di Smeraldopoli, non di tua sorella Margi.
Green decise che lancetta del barometro della sua pazienza era andata troppo oltre la soglia consentita. Ancora poco e avrebbe mollato un manrovescio al ragazzo.
‒ Che diavolo c’entri tu con lui? ‒ Blue volle balzare dritta al punto.
‒ Oh ancora siete lontani dalla soluzione, quanta fiducia mal riponiamo al giorno d’oggi ‒ li prese in giro Kalut.
Rimasero tutti attoniti.
‒ Zero vuole il controllo sulle regioni, intende sottometterle con la paura e la forza ‒ proferì, stufo, Silver. ‒ Non ci serve alcuna soluzione, vogliamo solo impedirglielo.
I suoi compagni annuirono, Silver si era correttamente fatto portavoce delle intenzioni del gruppo.
‒ State sbagliando tutto ‒ lo stroncò Kalut. ‒ Zero ha solo bisogno di aiuto per ritrovare la calma e io posso riuscirci. Non vuole nulla di tutto ciò che avete detto.
Le espressioni esterrefatte che gli comparvero davanti spiegavano più o meno quanto fosse alle loro orecchie assurda tale affermazione.
‒ Zero ha commesso un genocidio ‒ ringhiò Sapphire, furente.
‒ Zero ha commesso un errore ‒ ribatté Kalut.
‒ Kalut, ti preghiamo ‒ Green teneva gli occhi chiusi e si massaggiava la fronte nel debole tentativo di mantenere la calma. ‒ spiegaci che cosa sta succedendo.
Tornò la quiete, il ragazzo sembrava riflettere sulla domanda che gli era stata appena posta.
‒ Ho fatto giungere a Rocco e Camilla delle informazioni quasi completamente vere. Per loro, Zero aveva intenzione di uccidere gli Allenatori più importanti servendosi di Rayquaza. Tutto questo doveva essere funzionale all’intervento di Ruby, che era l’unico in grado di opporsi al Pokémon Leggendario…
‒ Non è vero ‒ si indispettì Sapphire.
‒ Sì, per questa cosa sì, ma non impelaghiamoci in altri discorsi. Ho fatto in modo che loro due si attivassero sulla base di questa informazione poiché Zero mi era sfuggito di mano, dopo l’ultima crisi non sono più stato capace di controllarlo. Lui è fuggito ‒ proseguì.
Tutti pendevano impazienti dalle sue labbra, Sapphire invece non poteva fare a meno di pensare a ciò che Kalut le aveva detto.
‒ E Zero non hai mai avuto intenzione di uccidere quelle persone ‒ puntualizzò.
‒ Ma… l’ordine di risvegliare Rayquaza… ‒ tentò Blue.
‒ Zero voleva avere il potere di controllare Rayquaza, ma non sappiamo per quali scopi. Ha delegato Murdoch per questo. Il suo errore è stato fidarsi di lui ‒ Kalut parlava lentamente, lasciando che la verità riempisse la stanza e la tensione accompagnasse le sue parole. ‒ Murdoch e gli altri Superquattro hanno tradito Kalut, utilizzando Rayquaza per attaccare quei civili. Zero, al momento opportuno sarebbe stato incastrato. Io ho allora colto la palla al balzo, giocando dalla loro parte, facendo credere che anche io pensassi che Zero fosse il responsabile. Per questo ho dato la colpa a lui, quando ho informato Rocco e Camilla. Solo così potevo continuare ad avere dalla mia parte i Superquattro di Holon. Poi, Zero ha deciso di iniziare a sterminarli. Mi era sfuggito, l’unico modo per ritrovarlo era seguire Tiana e Axel, prima o poi li avrebbe ritrovati per ucciderli.
Tutti i presenti ricordarono le parole di Camilla: Zero uccide solo coloro che secondo lui meritano di morire, i traditori che avevano causato quello sterminio erano degni obiettivi. Il Campione di Holon non li aveva mai costretti a nulla, si era sempre fidato di loro. Axel aveva mentito, di nuovo, per una ragione ancora ignota.
‒ Facci capire, Axel e Tiana hanno tradito Zero e tu li hai utilizzati come esche? ‒ domandò Green.
‒ Io avrei lasciato che li trovasse soltanto per individuare lui, sarei riuscito a proteggerli entrambi. Ma Zero mi ha anticipato, ha voluto attrarre noi da lui facendo esplodere l’Altopiano Blu.
‒ Così non è stato.
‒ No, non ci sono riuscito… Zero sta diventando sempre più incontrollabile, non mi aspettavo che avesse quei Pokémon e che fosse diventato tanto forte, di solito riesco a fronteggiarlo. Ma lui era sicuro di riuscire a vincere.
‒ Quindi se prima non era ancora quel mostro spietato che avrebbe fatto a pezzi centinaia di persone senza batter ciglio, lo sta comunque diventando ‒ chiese Gold.
‒ Praticamente sì, ma possiamo ancora calmarlo.
‒ Kalut, che cosa volevano i Superquattro che intendevano incastrare Zero? ‒ domandò Sapphire, arrivando al nodo principale.
Dall’entrata del tendone fece capolino Lance: ‒ Uscite, dobbiamo farvi alcune domande ‒ poi indicò Kalut con lo sguardo. ‒ anche a te ‒ e sparì.
‒ Devo andarmene ‒ decise allora Kalut. ‒ Vi contatterò io se saprò altro sui movimenti di Zero. Dobbiamo riuscire a fermarlo, ma ora non so come convincere tutti del fatto che Zero non sia il diretto responsabile.
‒ Aspetta ‒ intervenne Gold. ‒ Può non aver causato lo sterminio di Vivalet, ma ha ammazzato quattro persone, per poco non uccideva pure noi e inoltre ha appena fatto esplodere la Lega Pokémon.
‒ Sì, il che doveva solo metterci in allerta per portarci da lui, non è morto nessuno nell’esplosione. Zero uccide solo chi merita di morire.
Kalut sapeva ciò che diceva, i Dexholder credevano alle sue parole. Purtroppo c’erano ancora molti punti interrogativi: le cause che spingevano Kalut a fare ciò che stava facendo, l’obiettivo dietro il tradimento dei Superquattro, le reali intenzioni di Zero.
‒ Non posso spiegarvi ora ‒ Kalut decise di uscire dalla parte opposta della tenda e scomparire in mezzo alla vegetazione.
A poco servirono le proteste dei Dexholder. Il ragazzo scomparve rapido e silenzioso come un serpente. Videro uno Xatu seguirlo in volo da lontano.
Dall’altra parte, la sera stava scendendo. Ormai l’area era stata messa in sicurezza, le decine di reporter che erano confluite sul luogo non aspettavano altro che spiegazioni. E queste ultime dovevano pure essere particolarmente caute, dopotutto i Dexholder erano stati ritrovati sulla scena di un attentato. Era notte fonda quando anche l’ultimo dei giornalisti decise di demordere. A quel punto, sulla scena, restavano solo Lance, i poliziotti e i Dexholder.
Il Campione di Kanto, con vari giorni privi di sonno che gli gravavano sotto gli occhi, prese i Dexholder da parte.
‒ Che diavolo è successo? Che cosa ci faceva Zero in questa situazione? ‒ domandò, più nervoso che arrabbiato.
Si fece avanti Green, per parlare con lui da pari a pari: ‒ Zero è fuori di testa, lo è sempre stato e ora sta peggiorando. Hai visto cosa è successo ai suoi Superquattro? È stato lui, dobbiamo riuscire a trovarlo per mettergli i bastoni tra le ruote.
Nessuno capì se Lance lo stesse ascoltando o no, aveva uno sguardo vacuo che combatteva contro la pesantezza delle sue palpebre.
‒ Il ragazzo di prima, chi era? Dov’è finito?
‒ Lui è l’unica persona capace di fronteggiare Zero, si chiama Kalut. Non può… apparire in pubblico.
Sentendo quel nome, una fievole luce si accese negli occhi del Campione, ma in pochi ci fecero caso. Sta di fatto che evitò di insistere.
‒ Io… non capisco, perché ha attaccato l’Altopiano Blu?
‒ Voleva attrarre qui delle persone.
‒ Chi?
‒ Quelli che i medici hanno portato via dentro un sacco nero, Lance.
 
Circa un’ora dopo, i Dexholder si erano già allocati nelle camere del gigantesco laboratorio di Biancavilla, a casa Oak. Il Professore era fuori, ma Margi li aveva accolti con tanto entusiasmo. Aveva avuto modo di conoscere tutte quelle facce nel corso degli anni, era felice di averli a casa per un po’, anche se la situazione non era delle migliori. Lance, poco prima, si era raccomandato di fare il possibile per trovare Zero e non esitare a chiamarlo in caso di bisogno. Aveva bisogno anche lui di qualche lume da seguire, dentro questa vicenda.
Sapphire ci rifletté parecchio. Lance si era ritrovato il doppio delle responsabilità addosso e la metà delle forze su cui contare, nel corso di pochissimo tempo. Le sarebbe piaciuto fare qualcosa, ma tutto sembrava distoglierla dall’obbiettivo principale. Ruby, la Faces, Red, dovevano essere tutti messi in secondo piano. Zero era ancora in libertà e loro lo avrebbero fermato.

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Capitolo 19
*** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 1 ***


Capitolo 8: caramelle e sconosciuti pt. 1
 
 
‒ Mi dispiace molto per Emerald ‒ commentò Margi. ‒ Dev’essere stato difficile per tutti voi...
La donna che sedeva al tavolo con Silver, Blue e Green era la sorella maggiore di quest’ultimo, la prima nipote del professor Oak. Differentemente da Green, lei aveva scelto il percorso dello studio della fauna Pokémon, ereditando il camice del nonno. Così, dopo aver fondato un proprio laboratorio a Sidera, aveva avviato la sua personale attività di ricerca. Ogni tanto, però, in assenza di Samuel, si occupava lei della sede centrale e dell’allevamento di Biancavilla. Alla fine, era sempre e comunque casa sua.
‒ Ma sì, se n’è andato da eroe ‒ sorrise Blue, cercando di sdrammatizzare.
‒ È bello rivedere tutti qui, sono contenta che stiano bene ‒ disse Margi, con voce più bassa, a suo fratello.
‒ Non sarà per molto, abbiamo ancora un lavoro da compiere ‒ rispose quello.
‒ Ma non sarebbe meglio che vi fermaste per un po’?
‒ Non adesso, non ad un passo dalla fine.
Margi si incupì e subito dopo tornò a sorridere, forse fingendo. Quello era suo fratello e quelli erano i suoi amici, prima o poi avrebbe digerito di vederlo sempre invischiato in faccende più grandi di lui.
‒ Non avere paura, ce la caveremo ‒ la rassicurò, in uno dei suoi rari momenti di tenerezza, Green.
In salotto, sdraiato sul divano, si trovava un assonnatissimo Gold. La poltrona era invece occupata da Sapphire. I due studiavano ciò che i telegiornali avevano deciso di trasmettere circa gli avvenimenti del giorno prima, in mezzo a tutti i titoli catastrofisti e agli interventi di varie personalità di spicco dell’ambiente, non figurava mai il nome di Zero. I Dexholder conoscevano bene la storia e pure Lance lo aveva visto con i propri occhi, ma non avevano prove, dimostrazioni o moventi. Qualche trasmissione meno altolocata aveva avuto l’intuito di connettere in qualche modo l’assassinio di tutti e quattro gli Allenatori d’élite di Holon con il disastro di Vivalet, ma nessuno era riuscito a cucirvi pure la colpevolezza di Zero, che invece era più votato come potenziale prossima vittima.
‒ Che palle, metti qualcosa di più interessante ‒ si lamentò Gold agitandosi.
Sapphire, di tutta risposta, gli gettò il telecomando e uscì dalla sala.
‒ Oh ma che ho detto? ‒ gli sentì borbottare.
Erano tutti nervosi, tutti incazzati, tutti con la tensione alle stelle.
Sapphire si sedette sulle scale che portavano al piano superiore e, tappando sullo schermo di uno dei tablet di casa Oak, digitò il nome di Ruby sulla barra di ricerca di Google. Si sentiva un idiota totale quando lo faceva, ma era solo curiosità, la sua. Trovò, tra le notizie più recenti, una breve intervista che il ragazzo aveva rilasciato a proposito dell’attacco all’Altopiano Blu. Aveva assicurato la sua piena solidarietà e vicinanza, il suo appoggio per la ricostruzione, il suo impegno per l’indagine sul colpevole e poi aveva sciorinato un discorso sulla resistenza a questi atti di terrorismo psicologico che, destabilizzando il sistema, ottengono esattamente l’effetto desiderato.
Le sembrava assurdo, i ricordi che aveva di Ruby in testa erano tanto vari da farlo sembrare quasi un’invenzione del suo cervello: prima erano rivali, poi innamorati, poi salvavano il mondo insieme, poi litigavano, poi lui diventava una pop-star, poi la cercava di nuovo, fermava Rayquaza rischiando la vita, diventava una sorta di creatura incandescente e invulnerabile, la scopava comparendo nella sua camera di notte e infine rilasciava interviste di convenzione realizzate da un qualche addetto al suo posto. Doveva essere bello vivere una vita da Ruby, di sicuro ci si annoiava molto poco.
Sapphire trovò particolarmente difficili da mandar giù le gallerie di foto scattate a tradimento al ragazzo in cui si intravedeva il suo nuovo tatuaggio sul collo. E quelle poche linee che erano riuscite a generare dozzine di articoli di gossip, erano in realtà molto più di questo. Lei conosceva gli effetti che quelle sfere potessero avere sugli umani e intuiva quindi che Ruby, in quel preciso istante, stava deteriorandosi sempre più in profondità. Anzi, non capiva ancora come mai il suo cervello non avesse già ceduto, magari tutto dipendeva dallo stato in cui si trovavano i Pokémon Leggendari connessi ai gioielli: Groudon e Kyogre riposavano entrambi, assopiti sotto terra ad Hoenn.
Stava sfogliando gli articoli più beceri e stomachevoli che parlavano del ragazzo dagli occhi brace quando Crystal le comparve accanto come uno spettro, intenta a scendere al piano di sotto dalla sua camera.
‒ Buongiorno ‒ le disse, svogliata.
‒ ‘Giorno ‒ rispose quella.
‒ Hai dormito bene, Crys? ‒ chiese, tentando di scacciare quell’aura gelida che ultimamente si portava dietro.
La Dexholder di Johto non rispose e raggiunse la cucina. Sapphire lasciò correre, cosciente della situazione che la ragazza stesse vivendo. La osservò sedersi a tavola e versarsi del caffè. Sola, taciturna, triste. Intanto, Silver aveva raggiunto Gold sul divano. I due cominciarono a parlare di qualcosa a bassa voce, e Sapphire non intendeva origliare. Posò invece il tablet e salì a rivestirsi, le era venuta voglia di uscire.
Qualche minuto dopo, camminava già sulla soffice erba dell’allevamento di Oak. Il professore aveva costruito quella sorta di safari molti anno prima, prendendo la decisione di cominciare a tenere le varie specie di Pokémon che possedeva libere in un posto simile al loro habitat. Certo, gestire quel giardino era col tempo divenuto anche l’hobby di un anziano signore, ma tra i ragazzini di Biancavilla ormai già c’era l’abitudine di giocare in mezzo ai Caterpie e ai Pidgey del professore. In quel momento però, ad entrare in quell’ordinato ecosistema, non era una bambina. Era una ragazza con qualche anno in più, un paio di pantaloncini di jeans e una maglietta nera, i capelli raccolti in una coda disordinata e i piedi scalzi a contatto con il terreno. Gli Spinarak si nascondevano sotto la propria roccia, mentre i Sentret la avvicinavano con cautela. Sapphire ne accarezzò un paio, poi cercò con lo sguardo la propria squadra di Pokémon, che aveva lasciato a riposare lì la sera prima. Erano tutti, nessuno gridava e attorno a lei nulla stava esplodendo. Quindi, si sentiva felice.
‒ No, non ho dormito bene ‒ mormorò Crystal comparendo dietro di lei.
Sapphire si voltò, senza sapere cosa ribattere.
‒ Non dormo bene da giorni, se vuoi saperlo ‒ continuò la Catcher.
La Dexholder di Hoenn prese una profonda boccata d’aria ‒ Mi dispiace, Crys. È per Emerald?
‒ È per come lo abbiamo trattato ‒ precisò.
‒ Che vuoi dire?
‒ Emerald ha scelto di sacrificarsi per salvare una persona che neanche si comporta più come un nostro amico ‒ nel suo tono c’era delusione e rassegnazione.
‒ Lo avrebbe fatto per chiunque, sai bene com’era.
‒ Non con Ruby.
‒ Sì invece,
‒ No, quel ragazzo ha nascosto a tutti noi ciò che sapeva e ha preferito agire da solo, come al solito.
‒ Lui è fatto così.
‒ Sì, Sapphire, ce lo hai raccontato molte volte ‒ ormai le stava praticamente parlando ad un palmo di distanza. ‒ Ci hai già raccontato di come fosse bravo a caricarsi di tutte le responsabilità, testardo ma altruista. O forse solo egocentrico.
‒ Adesso si parla di come abbia voluto sfruttare quel momento per gloriarsi di essere di nuovo un eroe?
‒ No, Sapphire ‒ singhiozzò Crystal. ‒ Si parla di come tu stia difendendo ancora così strenuamente un falso amico, un impostore, un bugiardo ‒ ogni parola era come una pugnalata per la Dexholder di Hoenn.
‒ Io non…
‒ Perché lo fai?
Calò il silenzio. Si udì solo il battito d’ali di un Butterfree che, infastidito dalla situazione, cercava un posto più tranquillo.
‒ Perché lo fai? Perché lo difendi? ‒ ripeté quella.
‒ Perché ho fiducia in lui… e così dovremmo averne tutti ‒ rispose, quasi sincera, Sapphire.
‒ Ok ‒ Crystal annuì debolmente, con lo sguardo vacuo.
‒ Che cosa vorresti? Che non credessi più in lui? Non è una scelta.
‒ Lo è sempre, è sempre una scelta. Se per te fidarti di quel ragazzo significa ignorare i tuoi amici, persino quando questi muoiono davanti ai tuoi occhi, io decido di tirarmi fuori da questa faccenda ‒ annunciò, riprendendo con sé i Pokémon che anche lei aveva lasciato nel giardino.
‒ Aspetta, che cosa vuoi dire?
‒ Che me ne vado a Vivalet, là potrò dare una mano a chi ne ha bisogno davvero ‒ spiegò, attaccando le Ball alla cintura.
‒ Crystal, non dire stronzate, dobbiamo rimanere uniti ‒ cercò di fermarla Sapphire.
‒ Non avete bisogno di me, potete occuparvi di Zero da soli ‒ e le voltò le spalle.
‒ Crystal, Crystal. Aspetta ‒ la prese per un braccio.
‒ Lasciami.
‒ Ascolta, io so che cosa stai provando, ma non lasciarci per questo.
‒ Tu non hai idea di come mi senta! ‒ e così la Dexholder di Johto le mollò un ceffone sulla guancia destra.
Sapphire si trasse indietro, ferita.
‒ Addio.
Sapphire la lasciò andare via, era troppo decisa e imperterrita. Crystal prese le sue cose, le infilò nella valigia e lasciò la casa. Gli altri Dexholder furono immediatamente messi in allerta dai suoi atteggiamenti, ma entrarono nel panico quando la videro oltrepassare la soglia con il trolley che trottava al suo seguito. Blue non ebbe il coraggio di fermarla, non dopo ciò che le aveva sentito dire in aereo. Silver, invece, le corse dietro. Cosa che avrebbe stupito una Crystal che non fosse stata accecata dalle lacrime di rabbia che quella vicenda le aveva scaturito.
‒ Aspetta ‒ le si pose davanti.
‒ Anche tu? Che cosa volete da me? ‒ mugolò lei.
‒ Non farlo ‒ disse soltanto Silver.
‒ Vuoi lasciarmi in pace?
‒ Spiegami perché vuoi andartene, calmati ‒ le intimò.
Crystal singhiozzò due o tre volte ‒ Non abbiamo fatto nulla per Emerald, noi…
Silver la lasciava parlare, apparentemente distaccato.
‒ L’abbiamo lasciato morire come un cane ‒ Crystal cercò di trattenersi, ma le parole le si strozzavano in gola.
‒ Non abbiamo potuto fare niente.
‒ È colpa nostra, Silver. Ruby sapeva tutto, lui… noi non siamo stati abbastanza attenti e così Rald…
E Crystal scoppiò a piangere sul petto dell’amico. Piangeva nervosamente e senza alcuna paura di sembrare debole. Tutto il dolore e lo stress fluivano fuori dal suo corpo sotto forma di lacrime. Silver, dal canto suo, sostenne il peso del suo corpo stringendola a sé. Crystal balbettava qualcosa, pronunciava il nome di Emerald e chiedeva scusa. Chiedeva scusa come se qualcuno oltre a Silver potesse sentirla.
‒ Passerà ‒ balbettò Silver, senza riuscire a dire altro.
E così rimasero per un tempo interminabile. Una valigia solitaria, con accanto due poveri ragazzi a cui la vita non aveva avuto paura di mostrare il suo lato peggiore. A pochi metri di distanza, il resto della compagnia che osservava impotente.
Qualche manciata di minuti più tardi, Silver aveva finito di comporre la propria valigia. Crystal sarebbe partita e lui la avrebbe accompagnata. Destinazione: Vivalet, obbiettivo: aiutare. Era la scelta migliore per la ragazza, che sapeva di non poter rimanere lì senza tornare preda di una crisi. Sapphire li salutò in lontananza mentre si avviavano verso l’aeroporto di Zafferanopoli in volo sui propri Pokémon. Certo, nessuno aveva preso bene quella decisione: perdere altri due membri della squadra avrebbe condizionato definitivamente la loro coesione, ma tutti riconoscevano l’importanza di quel distacco, per Crystal. E poi, fino alla prossima notizia di Kalut, nessuno di loro avrebbe avuto molto da fare. Ciò che era meglio fare, a quel punto, era distrarsi per poi tornare a riflettere.
E così, rimasti solo in quattro, i Dexholder si ritrovarono al tavolo della cucina insieme a Margi per riflettere sul da farsi. Convennero insieme che, con Zero scomparso e Kalut in avanscoperta sulle sue tracce, potevano solamente aspettare.
‒ Io voglio tornare, per il momento, a Smeraldopoli ‒ annunciò Green. ‒ Devo sistemare delle cose alla palestra.
‒ Io ho bisogno di un momento di calma, voglio rivedere i miei ‒ si aggregò Blue.
Gold e Sapphire si guardarono, desolati.
‒ A questo punto torno a Hoenn, troverò sicuramente qualcosa da fare… tu, Gold?
Per la prima volta nella storia della sua vita, il ragazzo dagli occhi d’oro si trovò senza una risposta pronta. Sapphire impiegò un po’ per dedurre la sua indecisione.
‒ Ho da fare anch’io ‒ mormorò, guardando altrove.
‒ Ok, allora è deciso ‒ riprese Green. ‒ Ci ritroveremo quando uno di noi sarà di nuovo contattato da Kalut.
Ogni Dexholder lasciò quel laboratorio. Sapphire in direzione dell’aeroporto, Blue verso la casa dei suoi genitori e Green verso la sua palestra. Gold rimase solo, davanti a quel piccolo casolare dimenticato nella natura, portava la sua valigia nella mano destra e la Ball di Togekiss nella sinistra.
‒ Uno per fare le cose bene deve farsele da solo ‒ borbottò, salendo in groppa al suo Pokémon volante.
Poco tempo dopo, Gold stava bussando alla porta di casa di Lance. Il Campione dell’Altopiano Blu la aprì nel giro di pochi secondi.
‒ Che ci fai qui? ‒ era diventato sospettoso dopo gli eventi della Lega. Si trovava con indosso una tuta fradicia di sudore, stava facendo allenamento.
‒ Vorrei farti qualche domanda, Lance.
Quello lo squadrò con diffidenza.
‒ Riguarda Red.
Qualche minuto dopo, si trovavano nella sua palestra. Sorseggiava un qualche integratore con l’asciugamano sulle spalle e Gold osservava i bilancieri.
‒ Ti ha detto qualcosa prima di mollare tutto? Nel senso, ti ha fatto capire che questa sarebbe stata la sua scelta o lo hai visto agire di punto in bianco?
‒ Red era con te fino al giorno precedente alle sue dimissioni.
‒ È sparito una mattina… così dal nulla.
‒ Senza dare nessuna impressione prima?
‒ Non so, era grigio, ma lo eravamo tutti, dopo Vivalet.
‒ No ‒ rispose alla fine Lance. ‒ Non mi ha fatto sapere nulla. Mi ha chiamato quella mattina stessa, stava per tornare con il suo jet. Ha detto “sono costretto a prendere questa decisione, tutti lo capiranno al momento opportuno”, lo ricordo bene. Non ho fatto resistenza, era deciso come non lo avevo mai visto. E ora pure Yellow è sparita con lui…
‒ Dev’essere successo qualcosa, non è il tipo che si fa sconvolgere da un evento come Vivalet. Ha visto morire tanta gente e ha rischiato la vita in modi più pericolosi.
‒ Gold, perché stai indagando su questo?
Il Dexholder si prese il proprio tempo. Lance gli aveva offerto un bicchiere di bourbon ma ancora la sua lingua non era abbastanza sciolta per poter parlare delle sue paure.
‒ Kalut, Red, Zero, la Faces… stanno succedendo troppe cose tutte insieme. Ho bisogno di qualche lume da seguire.
Lance era esterrefatto, non aveva mai visto Gold in quelle condizioni. Serio, preoccupato, indeciso.
‒ Ascoltami, Gold ‒ riprese allora il Campione di Kanto e Johto. ‒ forse ho qualche informazione che potrebbe servirti.
Quello gli fece cenno di star prestando.
‒ Da Campione, le condizioni necessarie che mi obbligherebbero di dimettermi all’istante sono essenzialmente due: ricatto e senso di colpa. Non ci sarebbero altre motivazioni capaci di spingermi a tanto.
‒ Quindi intendi dire che Red potrebbe essere stato convinto da qualcuno che lo ha minacciato oppure che abbia qualche scheletro nell’armadio che sta tornando allo scoperto?
‒ Conosciamo entrambi Red, non ci sarebbe motivo per cui dovrebbe provare un senso di colpa tanto forte. È la persona più onesta che io conosca.
‒ Capisco… ‒ mormorò Gold. ‒ Qualcuno lo sta costringendo, allora.
 
Qualche ora dopo e qualche centinaio di chilometri più a sud est, dopo uno squallido pranzo in aereo, Sapphire era ormai giunta a casa. Durante il check-in aveva avuto tempo di aggiornare Platinum su tutti gli ultimi eventi. La ragazzina di Sinnoh si era preoccupata tanto per loro. Purtroppo, non era ancora riuscita a trovare niente a Sinnoh, ma per gli altri Dexholder era meglio così: quell’impiego la teneva lontana dal pericolo.
“Terrore a Kanto e Johto, ma questo ultimo e misterioso atto di terrorismo perpetrato nei confronti della Lega dell’Altopiano Blu per fortuna non ha mietuto vittime…” diceva la presentatrice del notiziario, sul televisore della cucina di casa Birch.
Il professore era intento ad addentare il panino che avrebbe dovuto essere il suo parco e ritardatario pranzo, quando qualcuno suonò il campanello. L’uomo si alzò in piedi e raggiunse la porta, aprendola con sospetto.
‒ Ciao pa’ ‒ mormorò la sua bambina, sulla soglia di casa.
Padre e figlia si unirono in uno stretto abbraccio.
‒ Da quando entri dalla porta?
Sapphire rise.
Dieci minuti dopo, il tempo necessario per ristabilirsi a casa, Sapphire sorseggiava un infuso di erbe che il professor Birch le aveva preparato. L’arte della tisana era ormai una tradizione per loro.
‒ Allora, come sta la mia figlia spericolata? ‒ chiese teneramente l’uomo.
‒ So che siamo vicini alla soluzione… ‒ Sapphire sorseggiava dalla sua tazza sovrappensiero. ‒ Devo soltanto capire cosa sta succedendo realmente dietro tutto questo.
La ragazza spiegò a suo padre la intricata vicenda dei Superquattro che avevano tradito Zero per incastrarlo. L’uomo seguiva con attenzione le sue parole.
‒ Secondo me ‒ si intromise. ‒ Nessuno di loro stava agendo per proprio conto, insomma, che motivo avevano di mettere nei guai Zero?
‒ Dici che ci potrebbe essere qualcosa di più grande, dietro?
‒ Dico che quando si trama per spodestare un potente, c’è sempre un altro pronto a prendere il suo posto.
‒ Axel? No, lui non era adatto a quel ruolo.
‒ Chiunque fosse, non si sarebbe mai buttato nella mischia.
‒ Sì… solo… ‒ Sapphire ebbe un’illuminazione.
‒ Hai qualche idea? ‒ chiese il suo vecchio, vedendo la luce accendersi nei suoi occhi.
‒ Forse…
Sapphire finì la tisana in silenzio, poi salì al piano di sopra. Accese il pc, aprì Google Chrome. Digitò “Vivalet 24 giugno” e selezionò la categoria “notizie”.
Lesse dell’incidente, della morte di Emerald e della strage dei civili, del decesso di Rayquaza e della distruzione dello stadio. Lesse vari articoli e in ognuno di questi era più volte sottolineato quanto l’intervento di Ruby fosse stato provvidenziale e salvifico. Il Campione di Hoenn era acclamato dalla maggior parte dei siti di informazione e dei quotidiani online come il principale salvatore di Vivalet. Non era errato, Ruby era stato il perno su cui si era svolta la situazione. Tuttavia, il sentore di intuizione che Sapphire aveva avuto, si stava trasformando in un forte campanello d’allarme.

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Capitolo 20
*** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 2 ***


Capitolo 8: Caramelle e sconosciuti pt. 2
 
 
Cassandra cliccò sull’icona a forma di cornetta del telefono accanto al contatto. Portò il dispositivo all’orecchio. Attese per il tempo di due o tre suoni.
‒ Dimmi ‒ rispose una voce femminile dall’altra parte.
‒ Aurora, credo sia arrivato il momento di preoccuparci.
‒ Perché dici questo? ‒ c’era rassegnazione nella sua voce.
‒ Kalut è entrato in azione attivamente, sono certa che quelli che hanno lavorato con lui vorranno capire che cosa sta succedendo.
‒ Può eluderli come ha fatto sempre, è Kalut, per Dio…
‒ Sai bene che non può farlo, non con loro.
E Aurora lo sapeva, sapeva bene che era difficile e poco conveniente tenere dei Dexholder all’oscuro dei fatti.
‒ Qual è il piano, allora?
‒ Attualmente si sono sfaldati e attendono l’allerta di Kalut, raggiungi uno di loro, ti guiderò io.
‒ Siamo sicuri di ciò che sto per fare? Parlo per tutta l’organizzazione.
‒ Certi, al cento per cento. Non c’è altra strada ormai. Ti mando i file del ragazzo che devi agganciare.
‒ Va bene.
‒ Richiamami, ciao.
E la telefonata tra le due Capopalestra si interruppe. La prima: Cassandra, Capopalestra di Idresia, a Sidera. La seconda: Aurora, Capopalestra di Porto Stellaviola, a Holon. Complici da anni, amiche da molto di più. Aurora aprì la casella della posta, cliccò sulla prima mail.
“Luogo di origine: Borgo Foglianova
Abilità più sviluppate: combattimento, cattura
Segni particolari: è solito sfruttare una stecca da biliardo in molteplici occasioni…”
 
Green aveva lasciato Biancavilla quella mattina. Sedeva alla sua scrivania pensieroso, con un bicchiere di brandy in mano. Era in chat con Blue, che invece si trovava dai suoi.
“Riesci a rilassarti?” le chiese.
“Per niente, mi sono già pentita di essere venuta qui, avremmo potuto fare qualcosa in questo momento morto” rispose lei.
“Prova a bere qualcosa.”
“Sì, sicuramente. Adesso è proprio il momento adatto.”
Il ragazzo, ignorando la sua disapprovazione, prese la bottiglia e versò altro liquido ambrato nel suo bicchiere.
“Avremmo potuto cercare informazioni sulla sparizione di Red.”
Nessuno di loro sapeva che in realtà ci stesse già pensando Gold. Forse, se lo avessero saputo, si sarebbero sentiti degli amici ancora peggiori.
“Hai ragione…”
“Secondo te che cosa gli è successo?”
“Non possiamo saperlo, ma ho qualche idea.”
“Spiegami.”
“In realtà credo che anche tu abbia avuto questa impressione…”
 
Ad Albanova, il pomeriggio era scorso in fretta, anche per via del jet-leg. Sul far della sera, Sapphire stava spulciando tra i documenti di suo padre. L’ufficio di quell’uomo era diverso da tutti gli altri: un caos generale simile solo a quello che sua figlia creava nella propria camera, un pavimento perennemente sporco e spesso interrato, una quantità imponente di foto sviluppate appese al muro. Questo era il professor Birch.
La ragazza aveva libero accesso a tutte quelle documentazioni. Nonostante non avesse mai avuto una particolare affezione verso le cose da leggere, si ritrovava spesso a controllare lì, ultimamente. Ritrovò la foto dei tre Dexholder di Sinnoh: accanto alla sua amica Platinum c’erano due ragazzi dallo sguardo non particolarmente sveglio. Ricordò i nomi Pearl e Diamond. Avrebbe voluto conoscere i suoi colleghi lontani, ma in quel momento l’ultimo dei suoi obbiettivi era mettere nei guai anche dei ragazzini.
Spulciò ancora un po’, trovando i documenti riguardanti i Dexholder di Unima, Kalos e Alola. La storia si faceva interessante, quelli di Unima avevano la sua età, forse erano pure al torneo senza che lei potesse riconoscerli. Stranamente, in quella regione erano stati arruolati quattro possessori del Pokédex. Si avventurò tra i documenti che li riguardavano, rimase paralizzata a fissare le schede che parlavano di uno dei primi Dexholder di quella regione: un certo Black. Tra i dati, c’era una data di morte. Il ragazzo, stando a quei documenti, si era sacrificato per aiutare la sua compagna.
Quindi Emerald non era stato il primo Dexholder a perdere la vita.
Sospirando, passò avanti. Trovò i dati riguardanti lei e i suoi amici. Lesse anche quelli, fissando in mente i gruppi sanguigni di tutti, per ogni occasione. Poi, al termine della cartella, trovò una portaschede molto particolare. Il primo foglio, nel frontespizio, diceva:
Progetto ARBOR VITAE
Creato dai sottoscritti professori Pokémon: Samuel Oak, Joshua Elm, Nicholas Birch…
‒ Quello è materiale riservato ‒ la distrasse suo padre, sulla porta della stanza. ‒ Anche per mia figlia.
‒ Che cos’è? ‒ chiese lei, riponendo il foglio.
‒ Se te lo dicessi non sarebbe più riservato ‒ l’uomo prese la cartella e quei fogli e li portò via con sé.
‒ Dai, non mi hai mai nascosto niente!
Birch rise: ‒ Lo so, sbagliando.
‒ Ti prego, papà ‒ piagnucolò lei.
Il professore rifletté per qualche attimo. ‒ Ma non devi dirlo a nessuno dei tuoi amici.
Sapphire esultò.
‒ Il progetto Arbor Vitae è un’idea ancora molto lontana dalla realizzazione nella quale dovremmo concentrarci tutti noi professori Pokémon delle varie regioni, come avrai già letto. Si prefigge come scopo quello di far smettere alla piccola Sapphire di farsi i fatti altrui ‒ la prese in giro, lasciando la stanza.
‒ Dai! ‒ si lamentò lei.
Distraendosi immediatamente, tornò a spulciare nei documenti. Dopo poco trovò le schede che le interessavano: i dati raccolti su Ruby durante la sua vita da Dexholder. In base alle stime psicologiche realizzate dal professore, Ruby era fondamentalmente una persona egocentrica, ma capace di operare per il bene degli altri. Probabilmente era spinto anche in quel campo dall’auto gratificazione. Tuttavia, questa sua attenzione nei confronti della propria persona sembrava scomparire quando Ruby si trovava a dover agire per il bene di determinate persone specifiche. Poi Sapphire studiò bene ciò che era stato scritto circa la sua ascesa al potere come Campione della Lega. Il ragazzo era divenuto più attento alla propria carriera e maniacale nel controllo dell’immagine mediatica. Questo suo comportamento era stato interpretato come una risposta dura al trauma della perdita dei suoi genitori. In altre parole, un atteggiamento puerile che tornava a galla dalla personalità matura e analitica del ragazzo.
E poi la Faces, informazioni che suo padre non possedeva ma che Sapphire sapeva stessero condizionando la vita di Ruby. Quale mistero si celasse dietro la sua storia, ancora era uno dei più grandi dubbi della ragazza. Tuttavia, voleva avere fiducia nel ragazzo e sperare che un giorno o l’altro lui sarebbe tornato indietro e le avrebbe dato qualche spiegazione.
Si rese conto di aver quasi dimenticato ciò che era venuta a cercare: le schede dei Pokémon posseduti.
Estrasse quella di Flygon, uno dei più potenti esemplari utilizzati dal ragazzo. Il Pokémon era stato donato da Norman a Lino molto tempo prima, poi quest’ultimo lo aveva riconsegnato a Ruby, dopo la morte del genitore. Scelta particolare, sicuramente motivata, ma che costituiva uno dei pochi elementi su cui Sapphire avrebbe potuto indagare. Purtroppo, per farlo, avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Yellow o Lance, il che risultava abbastanza complicato, al momento. Non vedeva altre piste, eccetto la ricerca di Ruby in prima persona, che non era il migliore dei piani.
 
Gold aveva raggiunto Secondisola. Il villaggio era piacevolmente affacciato sul mare e la brezza serale estiva creava il clima perfetto, un toccasana per le malattie. Nella parte più isolata, vicino alle scogliere, Red aveva fatto costruire la propria villa, qualche anno prima. Questa era una proprietà di medie dimensioni posizionata su un altopiano boschivo, vi si accedeva tramite un viale alberato e il panorama a cui dava l’occhio era tra i migliori di tutta la regione. Era stato più volte all’interno e ricordava abbastanza bene la planimetria.
Ciò lo aiutò a muoversi senza essere visto da eventuali custodi o abitanti. Si era già accertato che Red non fosse all’interno tramite il programma di localizzazione del Pokédex che aveva di nascosto scaricato dal dispositivo di Green, dopo la loro vicenda a Hoenn. Secondo il GPS, Red si trovava a Unima, il posto più lontano possibile da casa sua. Gold ignorava cosa ci stesse facendo, voleva solamente indagare all’interno della casa dell’amico. Era certo che prima di sparire, Red e Yellow fossero tornati in quella villa.
Non trovò guardie, ad occuparsi della sicurezza dei suoi membri era l’istituzione della Lega, ragion per cui l’abitazione di un Campione congedato non era più sorvegliata. Il ragazzo dagli occhi d’oro salì agilmente al piano superiore aggrappandosi al balcone. Con l’aiuto di Ambipom spalancò le porte di vetro senza lasciare impronte o rompere serrature. L’allarme non era installato, i pochi che avrebbero potuto degnamente irrompere a casa di Red erano di certo forniti di strumenti o Pokémon capaci di eludere ogni sistema di sicurezza. Gli altri, anche non conoscendo questa particolarità, non osavano fare irruzione nella villa di uno degli Allenatori più forti del mondo. Si ritrovò esattamente nello studio di Red: lo dimostravano le vetrine piene di trofei, i portamedaglie completati appesi al muro, le foto e i ritagli di giornale con personaggi famosi di ogni genere e sorta. Trovò carina la riproduzione in scala della statua in cui Red fu trasformato dal Darkrai di Sird anni prima. Il marmo, scolpito in poche copie da un famoso scultore di Johto secondo l’immagine del ragazzo, lo raffigurava a petto nudo con Yellow in braccio. Gold ricordava bene quella triste sorte che toccò, oltre che quei due, pure Blue, Green e Silver. Grazie all’aiuto suo e dei Dexholder di Hoenn, tutti loro furono liberati da quella trappola durante gli eventi che sconvolsero l’inaugurazione del Parco Lotta.
‒ Sentimentale… ‒ borbottò, ricordando la loro avventura.
E così, il giovane fece per avvicinarsi alla scrivania di Red. Accese il computer e aprì i cassetti, assicurandosi di rimettere tutto al proprio posto, una volta conclusa l’indagine. Controllò, durante l’avvio del Mac, pure il cestino dell’immondizia. Non riuscì a individuare nessun elemento di interesse.
Dopo essersi divertito per qualche minuto ad indovinare la password di accesso al computer dell’amico, non essendoci riuscito, lo spense. A quel punto, ormai sconsolato, individuò una cartella giallo ocra depositata su uno degli scaffali. Red non era caotico. O meglio, quella stanza era il suo tempio quindi si trovava in perfetto ordine nonostante fosse gestita da un uomo. Proprio per questo, quella cartella che si trovava lievemente dislocata rispetto agli altri elementi nella stanza sembrava parecchio sospetta.
Improvvisamente ricordò dove lo aveva già visto: quella era una delle cartelle cliniche dell’ospedale di Vivalet, ognuno di loro ne aveva ricevuto una con i responsi della propria visita dopo gli eventi di Rayquaza.  Allungò la mano per afferrarla.
Poi un rumore.
Ambipom era già pronto al combattimento, piazzato sulle zampe, e Gold si guardava attorno guardingo per individuare l’intruso.
‒ Non si ruba a casa degli amici ‒ disse una voce femminile.
‒ Non ci si introduce nelle case degli sconosciuti ‒ ribatté Gold a tono.
‒ Dai, davvero mi troveresti minacciosa?
Una ragazza apparve davanti a Gold, come uscendo da dietro un pannello trasparente. Non dimostrava più di vent’anni, aveva dei lunghi capelli celesti e vestiva un top a righe bianche e nere e una minigonna. Era bellissima.
‒ Dolcezza, non puoi avere queste sembianze e comparire a casa delle persone, potresti essere fraintesa ‒ scherzò Gold.
‒ Oh, ma io voglio essere fraintesa.
Gold cercò di distrarsi, scacciando i cattivi pensieri. ‒ Scusa, ma questa è casa di un mio amico, quindi devo fermarti e farti qualche domanda.
‒ Sì, ti stavo seguendo, se è questo ciò che ti interessa.
‒ E?
‒ E ho bisogno di parlarti, tanto sono sicura che tu abbia già capito chi sono, Sherlock ‒ insinuò lei, avvicinandosi alla luce.
Gold effettuò qualche rapido collegamento, poi la riconobbe: Aurora, una Capopalestra di Holon.
 
‒ Arrivo subito, Gabriel ‒ e faceva due salti a destra, per sistemare la fasciatura di un ragazzino. ‒ Attenta con quel coso, Colette ‒ e compariva provvidenzialmente per salvare una bambina che minacciava di estrarre l’ago della propria flebo. ‒ Sono subito da te, Martin ‒ e si avvicinava ad un terzo marmocchio, cui doveva essere somministrato un analgesico particolare.
Crystal si muoveva lesta come una gazzella tra quei pazienti in miniatura. Silver, che pure cercava di dare una mano a modo suo, la osservava incredulo. La ragazza non aveva parlato con i suoi amici per giorni, poi, di punto in bianco, era tornata ad essere pimpante ed energica.
Segretamente, il rosso la ammirava. Vedeva la speranza e la serenità nei bambini che lei aiutava. Crystal non permetteva che questi avessero paura, conosceva tutte le loro abitudini e i loro gusti, manteneva la promessa di portare le caramelle a chi avesse mangiato tutti i broccoli. Silver si rivedeva in quei bambini: feriti, orfani, soli. Ma lui non aveva mai avuto la fortuna di conoscere una Crystal, al suo tempo. Lui era cresciuto con una maschera che non poteva togliere, in gabbia nel suo freddo stanzino, abbandonato da tutti.
Per questo cercava di sorridere a quei ragazzini. Avrebbe gridato in faccia ad ognuno di quei mocciosi che la vita sarebbe andata avanti, che le loro cicatrici non sarebbero scomparse ma che loro avrebbero potuto vivere di nuovo, che i loro genitori non sarebbero resuscitati ma che ci sarebbero state tante altre persone pronte a dargli l’affetto di cui avevano bisogno. Ma era Crystal quella che brava in queste cose.
Lui, purtroppo, ci credeva poco. E così, si limitava a distribuire il cibo, sistemare le loro cose, lavare i panni.
Nel frattempo, la sua amica prendeva in braccio Jimmy che piangeva perché sua madre non era stata tirata fuori dalle macerie dell’hotel in cui alloggiavano e cercava di farlo sorridere, parlandogli di come sarebbe divenuto un Allenatore fortissimo, che avrebbe salvato tanti altri bambini come lui.
Tutto questo, mentendo spudoratamente: Jimmy era rimasto paralizzato dalla vita in giù, e avrebbe passato la vita su una sedia a rotelle.
‒ Silver, puoi prendere altre garze? ‒ le chiese l’infermiera Crystal.
E il fulvo la fissava con sguardo vacuo. Lei aveva i capelli raccolti e un grambiule decorato da un motivo floreale. Sorrideva. Per la prima volta, dopo la morte di Emerald, sorrideva.
‒ Silver, le garze! ‒ e schioccava le dita.
‒ Subito ‒ si scusava lui, correndo al lavoro.
Ore dopo, si stavano rilassando in uno degli ostelli messi a disposizione dei corpi di soccorso. Tra i soccorritori volontari si respirava la responsabilità e la soddisfazione, ma anche l’opprimente senso di angoscia. Vedere quelle scene, quelle facce, quegli occhi avrebbe devastato la psiche di chiunque. Le zone turistiche di Vivalet erano diventate dei formicai di infermieri, medici, soccorritori. Chi poteva aiutare, lo faceva senza remore. Chi aveva bisogno di soccorso, veniva subito accolto. Era questo ciò che permetteva a Crystal di rimuovere ogni cattivo pensiero dalla sua mente, anche solo per una giornata.
Nel frattempo, gli operai avevano cominciato a lavorare con le macerie, nel quartiere limitrofo. C’era da ripulire il gigantesco disastro di un intero stadio e varie decine di edifici ridotti in pezzi da Rayquaza. Per fortuna, non si udiva più alcun lamento provenire da quella landa sterile. Tacevano gli ultimi corpi che venivano ritrovati in mezzo alla polvere e alle lamiere: pallidi, grigi, spenti.
‒ Vado a farmi una doccia ‒ annunciava Crystal. ‒ Puoi ordinare la cena? Vorrei riattaccare subito.
‒ Sì… certo ‒ annuiva Silver, docile come non mai.
E la guardava con la coda dell’occhio mentre si sfilava la canotta ed entrava nel bagno abbassandosi le bretelle del reggiseno. Si sentiva sciocco, si sentiva Gold. Ma era così strano ciò che provava in quel momento, che gli rimaneva difficile persino concepirlo. Si distrasse chiamando la pizzeria più vicina e ordinando una margherita e una capricciosa.
Crystal uscì dal bagno poco dopo, proprio mentre Silver chiudeva la porta con i cartoni delle pizze in mano.
‒ Capricciosa, come piace a te ‒ le disse lui, prima che potesse chiedere.
‒ Grazie, Sil.
Il rosso notò immediatamente una nota bassa nella sua voce, ma ci fece poco caso. Crystal era uscita dal bagno con indosso solamente un asciugamano a mo’ di vestito, il che aveva attratto la gran parte della sua attenzione. La ragazza prese dei vestiti leggeri e tornò in bagno per cambiarsi, aggiunse però un secondo asciugamano in testa, avvolto attorno ai capelli.
‒ Buon appetito ‒ augurò all’amico, sedendosi.
A quel punto Silver se ne rese conto. Aveva la carnagione arrossata tipica del post doccia, ma quegli occhi gonfi erano inconfondibili. Crystal aveva pianto. E anche parecchio. lo aveva fatto da sola, in bagno, quando nessuno poteva vederla. Decise di non farle notare l’evidenza della cosa, la avrebbe messa a disagio.
‒ Sei fantastica ‒ le disse invece, pensando fosse la cosa più giusta.
Lei lo guardò titubante, era insolito ricevere un complimento da lui.
‒ Là fuori, con i ragazzini, sei eccezionale…
‒ Grazie ‒ rispose lei sorridendo teatralmente.
Silver si sentì scaricato.
‒ Crystal, non fingere, capisco quello che stai provando ora… voglio cercare di starti vicino.
‒ Perché mi parli come se dovessi rassicurarmi? ‒ domandò allora lei, aprendosi un pochino di più.
‒ Perché credo che non ci sia niente di male nell’accettare l’aiuto di qualcuno ‒ spiegò il fulvo, andando contro ad ogni sua tipica abitudine.
Crystal lo guardava come si guarda la propria casa dopo esser stati via per anni.
Poggiò la testa sulla sua spalla. Silver si fermò. La guardò. Crystal sollevò il capo per incrociare i suoi occhi argentei. Lo baciò sulle labbra.
Non scoprì mai il motivo di quel gesto. Forse lo aveva fatto per sentirsi più sicura, forse per ringraziarlo, forse perché ne aveva semplicemente bisogno.
In ogni caso, quella sera non tornarono a lavoro, né finirono di cenare.
 
Kalut spense ogni pensiero negativo. Il suo Arcanine gli si era accoccolato attorno, tenendolo al caldo. A poca distanza, c’era invece Xatu. Si trovavano sulla cima di una montagna. La temperatura era rigida e il silenzio profondo.  Kalut meditava seduto a gambe incrociate, modellando i flussi di pensiero della propria mente come fluidi in assenza di gravità.
Cercava di inserirsi nella mente di Zachary, che aveva avuto modo di studiare e ispezionare da cima a fondo per molti mesi.
“Rabbia, tradimento, vendetta…” pensava. “Dolore, amici, bugie.”
“Ci sei quasi” lo aiuto Xatu, Pokémon millenario, in collegamento mentale con lui.
“Kanto… Hoenn… Unima…”
“Continua così” fece Xatu.
“Ultima. Chance. Distruzione, Nemici.” realizzò.
“Le tue sinapsi sono più potenti di quanto qualsiasi uomo possa immaginare, Kalut…” commentò Xatu.
“Non c’è bisogno di dirlo, ma di dimostrarlo” ribatté lui.
“Allora, avviserai i Dexholder?”
“Zero vuole colpire una delle sedi centrali FACES, ce ne sono tre: a Zafferanopoli, a Porto Alghepoli e ad Austropoli. Non posso essere in tre posti contemporaneamente, devo allertarli per forza.”
“Va bene, e quanto tempo hai?” il Pokémon eterno sembrava quasi un professore che interrogava il proprio alunno. E in un certo senso era così.
“Poco tempo: agirà domani sera” rispose Kalut, alzandosi e preparandosi a tornare a valle.

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Capitolo 21
*** Capitolo 9 - Notturni pt. 1 ***


Capitolo 9: Notturni pt. 1
 
 
Noi non abbiamo paura di niente.
Crystal lo aveva detto a Jimmy, dopo aver spiegato per quale motivo dovesse assentarsi da un momento all’altro. Era arrivata solo il giorno prima, ma i bambini si erano già affezionati a lei. E anche a quello coi capelli rossi che sembrava suo amico. I due, tenendosi per mano, presero il primo aereo per Porto Alghepoli, non sapendo se quello sarebbe stato il loro ultimo viaggio.
Circa due ore prima, attorno alle sette di mattina, Green li aveva contattati con urgenza. Crystal si era svegliata nuda, avvolta in una coperta e stretta tra le braccia di Silver. Il ragazzo aveva mugolato, tornando a dormire. Lei aveva risposto al telefono. Green aveva spiegato di come Kalut lo avesse contattato. Aveva riassunto la previsione del ragazzo dai capelli bianchi e così aveva formato dei gruppi.
Tre sedi da difendere, tutte e tre papabili obiettivi del prossimo attacco di Zero, sei Dexholder più Kalut e due alleati: Blue, Green e Gold, che erano ancora a Kanto, avrebbero difeso Zafferanopoli. Sapphire era a Hoenn ma non poteva stare da sola, quindi Silver e Crystal la avrebbero raggiunta in poco tempo, essendo i più vicini, il luogo da proteggere era a Porto Alghepoli. Rocco e Camilla, in ultimo, erano già in aereo in direzione Austropoli, allertati da Kalut in contemporanea con Green. Tutti e tre i luoghi sensibili erano sedi della FACES. Il che era ironico, trovavano tutti i Dexholder: Zero avrebbe attaccato dei civili stavolta. E per quale motivo? Perché andare contro ai propri principi? Non era l’uomo della giustizia sommaria, ma pur sempre giustizia? Kalut però non si era diluito in spiegazioni. Lui sarebbe stato il jolly, nell’operazione. Avrebbe raggiunto il luogo dell’attacco non appena Zero si fosse mostrato. Per lui era semplice percorrere chilometri in poco tempo, per gli altri un po’ meno. Fatto sta che, ovviamente, tutto il gruppo aveva in ogni caso il compito di convergere nel primo luogo attaccato.
‒ Crys ‒ Silver le stringeva la mano, mentre l’aereo decollava. ‒ Andrà tutto bene.
Nessuno dei due ci credeva. Erano terrorizzati.
Sapphire aveva invece lasciato casa in groppa a Tropius, per raggiungere Porto Alghepoli in volo.
Suo padre, una volta compresa la storia, aveva pensato di provare a fermarla. Ma aveva visto il fuoco nei suoi occhi, niente le avrebbe impedito di farsi avanti e anche lui si era immediatamente morso la lingua per aver solo pensato di far agire sua figlia da vigliacca. L’aveva abbracciata più forte che potesse, con il battito cardiaco a ritmo disumano. Aveva pregato che facesse attenzione e che tutto andasse per il verso giusto, poi l’aveva lasciata andare, guardandola diventare un puntino nel cielo di quella mattina. Con l’angoscia a fargli compagnia.
Chilometri più a nord ovest, Green e Blue erano immediatamente accorsi a Zafferanopoli, incontrandosi. Gold era risultato irraggiungibile fin da quella mattina e ancora doveva conoscere tutta la vicenda. Dal telefono di Green partivano telefonate ogni minuto verso il ragazzo dagli occhi d’oro.
Invece, in volo sopra le loro teste, c’erano Rocco e Camilla. I due potenti Allenatori erano nel volo di linea diretto ad Austropoli più mattiniero che esistesse a Holon. Rocco teneva le gambe accavallate e fissava il vuoto con occhi vacui, Camilla teneva il broncio, decisa, ferrea. Si scambiavano qualche parola ogni tanto. Si rassicuravano, poi si rendevano conto di sembrare due adolescenti.
 
Il primo gruppo a riunirsi al completo fu quello di Porto Alghepoli, il che era una fortuna, dato che Hoenn era la regione più orientale il cui fuso orario era quindi in anticipo rispetto alle altre. Era quasi ora di pranzo e Zero, per le previsioni di Kalut, avrebbe attaccato verso la discesa del buio. Crystal fu accolta freddamente dalla ragazza di Hoenn. Con Silver successe lo stesso. I due erano giunti lì mano nella mano, e Sapphire evitò ogni domanda. Era stata data loro la raccomandazione di mantenersi discreti. Per questo si erano piazzati attorno al tavolino di un bar, evitando ogni sguardo ma vigilando su tutta la situazione circostante. L’edificio FACES di Porto Alghepoli era un alto grattacielo con finestre di vetro riflettente. Era protetto su due lati da dei costoloni di roccia naturali creati dalla formazione a gradoni della città. Il quartiere era leggermente dislocato rispetto al centro urbano, si trovavano invece sul versante est del massiccio, quello che dava sul mare. La periferia di Porto Alghepoli.
‒ Abbiamo un piano? ‒ domandò Silver.
‒ Aspettare, suppongo ‒ rispose Sapphire.
‒ Per fermare Zero, intendo.
Sapphire scosse debolmente la testa. Era sterile di qualsiasi buona idea, in quel momento. Aveva persino rischiato di pronunciare le parole “contatto Ruby per farci aiutare” davanti a Crystal. Aveva avuto modo di assaporare tutta l’ostilità di quella ragazza nei giorni precedenti, ma la capiva perfettamente. E anche Crystal si era resa conto di aver sbagliato a trattare in quel modo la sua amica. Ma nessuna di loro aveva intenzione di scusarsi, si scambiarono reciprocamente il messaggio tramite i loro sguardi. Gli occhi chiarissimi di Crystal guardavano Sapphire con un debole tono dispiaciuto, quelli cerulei di Sapphire cercavano di esprimere comprensione.
‒ Aspettiamo ‒ sussurrò Crystal, adagiandosi sulla spalla del fulvo.
 
Poche ore dopo, a Zafferanopoli era già pomeriggio inoltrato. Blue e Green attendevano Gold da parecchio tempo, ormai. Loro pure si erano stabiliti sul tavolino di un bar e in più avevano ordinato un aperitivo. La sede FACES che avrebbero dovuto proteggere era proprio al centro del quartiere della borsa, il che poneva sulle spalle una responsabilità ben più grossa e metteva nelle loro mani tesoro più fragile da proteggere.
‒ Kalut? ‒ chiese Blue, senza sapere di cos’altro parlare.
‒ Non si è ancora fatto sentire, dopo stamattina.
‒ Credi che ci possiamo fidare di lui?
‒ Non abbiamo altra scelta e poi per ora si è meritato la nostra fiducia.
Blue si appoggiò al cornicione, osservando la strada dall’alto.
‒ Sei preoccupata per Red? ‒ domandò Green.
‒ Sì, sappiamo bene che non è da lui sparire così all’improvviso.
‒ Lo ha fatto più volte: anni fa quando rimase congelato, quando tutti fummo pietrificati da Sird…
‒ No, no. Non così.
Blue era sinceramente in ansia per la situazione e ciò permeava chiaramente dal suo tono di voce. Green cercava invece di mostrarsi più distaccato. Forse era per la sua indole poco vigliacca, forse era per ostentare coraggio davanti a Blue.
‒ C’è qualcos’altro dietro, non può accadere tutto allo stesso tempo in questo modo… ‒ concluse Blue.
Poi si udì una suoneria. Era il cellulare di Green.
‒ Gold si è fatto vivo? ‒ chiese Kalut dall’altro capo del collegamento.
‒ No, non riesco a contattarlo.
‒ Ok, ormai non c’è più tempo, provvedo io. Attiva la modalità collegamento.
‒ Scusa? ‒ domandò Green.
‒ Il PokéGear, entra in modalità collegamento.
Green, titubante, gli diede ascolto. Effettivamente trovò impostazioni particolari che non aveva mai visto prima sul suo dispositivo, non capiva come ciò potesse essere accaduto. Kalut non smetteva mai di stupirlo.
Attivò l’opzione indicata dal ragazzo e improvvisamente cominciò a sentire la voce di Silver e di Rocco. Il primo si trovava a Porto Alghepoli, il secondo era appena sceso dall’aereo ad Austropoli. Era in collegamento in diretta con gli altri, dislocati in vari posti lontani. Potevano aggiornarsi al momento su qualsiasi novità e Zero avrebbe potuto parlare con loro senza doversi ripetere ogni volta.
‒ Ci siamo tutti? ‒ chiese il ragazzo dai capelli bianchi.
Tre responsi positivi, uno da Unima, uno da Kanto e uno da Hoenn.
‒ Perfetto, trovo il modo di contattare Gold in modo da indirizzarlo a Zafferanopoli ‒ proseguì Kalut. ‒ Manteniamo il collegamento tutto il tempo, se qualcuno di voi vede qualcosa di sospetto, lo faccia presente.
Altre tre risposte positive. E Kalut scomparve.
‒ Xatu, devo riuscire a trovare Gold ‒ fece il ragazzo dai capelli bianchi rivolto al suo Pokémon Magico.
I due erano sulla cima di una torre radio, ad Aranciopoli. Il pomeriggio era ormai inoltrato, l’aria marina era tiepida e frizzante.
“Vuoi provare la stessa tecnica che hai utilizzato per Zero?”
‒ No, non lo conosco abbastanza bene. Stavo pensando invece al programma di localizzazione del Pokédex. Green non può usarlo perché deve tenerlo nascosto agli altri, ma se riuscissi a sfruttarlo io…
“Ruberesti il Pokédex di Green?”
‒ Ho altra scelta?
Kalut aveva intanto indossato un auricolare bluetooth connesso al gruppo di comunicazione, grazie a tale dispositivo egli sentiva in tempo reale tutta la conversazione degli altri senza che loro sentissero lui. Se avesse desiderato intervenire, gli sarebbe bastata la pressione di un tasto.
“Allora andiamo” lo esortò Xatu. “Dobbiamo spremere ogni secondo.”
Kalut annuì chiamando il suo Skarmory che svolazzava a qualche decina di piedi di altezza sopra la tua testa. Il volatile dalle piume metalliche lo caricò in groppa e prese la direzione di Zafferanopoli.
Vi giunse poco dopo, scendendo sul tetto di un edificio. Individuò immediatamente i due Dexholder di Kanto seduti al tavolino di un locale. Scese in strada appendendosi ai cornicioni e, sotto l’occhio vigile di Xatu che lo allertava telepaticamente quando lo sguardo dei due ragazzi era puntato su di lui, si avvicinò sfruttando la folla come nascondiglio naturale. Ormai distava poche decine di metri da loro.
“Tu tratti tutta questa vicenda come un gioco…” gli sussurrò Xatu mentalmente.
“Perché, come dovrei trattarla?”
“Non so, stai mettendo in atto un piano di spionaggio solo per velocizzare un po’ le operazioni.”
“Quale piano? Sto improvvisando.”
“Non cercare di stupirmi, posso vedere il futuro, niente mi stupisce.”
“Posso solo immaginare la tristezza…”
“Ok, non puoi stupirmi, ma riesci ancora a spiazzarmi qualche volta.”
“Scommetto che questa non l’avevi vista.”
Kalut entrò nel bar, si infilò dentro la cloakroom dei dipendenti quando nessuno lo stava guardando e indossò a velocità lampo la tenuta di un cameriere. Uscì afferrando il primo vassoio che gli capitò a tiro, vi erano stati poggiati tre bicchieri di prosecco e una vaschetta di olive, lasciò uno dei bicchieri su un tavolo a caso. Giunto al tavolo dei due Dexholder, servì il prosecco e le olive.
‒ Offre la casa ‒ mormorò. ‒ per due leggende come voi… ‒ aggiunse, a voce più alta.
Inevitabilmente, mentre Kalut voltava le spalle, un paio di ragazzini si resero conto di star passando vicino al tavolo di Blue e Green, due dei più forti allenatori del Torneo di Vivalet. Fecero loro le feste e supplicarono una foto. Allora il cameriere-Kalut si offrì ben volentieri di scattarla con il telefono di uno di loro, per farlo lasciò il vassoio sul tavolo. Essendo nascosto dietro il cellulare, nessuno fece caso al volto del fotografo. Scattò la foto e la mostrò subito, tanto per distrarli. Fece cadere il vassoio dal tavolo, si chinò per raccoglierlo e, approfittando della disattenzione generale, sottrasse il Pokédex dalla borsa di Green.
“Ardito, ti sei superato…” commentò Xatu.
Rientrò nel bar, riprese i suoi vestiti e, entrando in bagno, uscì dalla finestra. Tornò immediatamente sul tetto del palazzo dove era rimasto il suo Pokémon. Aveva la refurtiva, era rimasto in incognito, aveva impiegato un tempo minimo.
Imparare tutto ciò che è possibile imparare ‒ formulò, parlando col volatile.
“Potresti scriverci un libro.”
‒ Non lo farò, vero? ‒
“No.”
‒ Meno male… ‒
“Ok, controlla la posizione di Gold, adesso.”
Perché sei divertito? ‒ chiese il ragazzo aprendo l’enciclopedia Pokémon.
Inserire la password
‒ Vaffanculo ‒ imprecò il ragazzo. ‒ E ora?
“Ora aspetti che il fato faccia il suo dovere, Gold comparirà.”
‒ Maledizione, devo mantenermi più attento.
“Io penso che tu debba contattare Aurora, potrebbe avere qualcosa da dirti.”
Kalut non ci pensò due volte. Xatu poteva vedere il futuro, aveva imparato che i suoi suggerimenti erano sempre indizi verso la soluzione. Tecnicamente, un Pokémon Eterno come lui non dovrebbe dare suggerimenti sul futuro ai mortali. Ma Kalut era, per sua stessa ammissione, l’essere umano più unico e intelligente che lui avesse mai seguito, ragion per cui era ammesso uno strappo alla regola ogni tanto. Solo sulle piccole cose, quelle alle quali prima o poi sarebbe comunque arrivato.
‒ Sì, era con me… ‒ rispose la ragazza alla domanda di Kalut.
‒ Potevi dirmelo ‒ ribatté lui.
‒ Non ho avuto tempo, stamattina ho dovuto fare tutto di fretta.
Dall’altro capo della telefonata, Aurora sembrava essere al volante: Kalut riusciva ad udire in sottofondo il ronzio del motore e il sibilo dell’aria che penetrava dal finestrino.
‒ Capisco… allora, che cosa gli hai spiegato?
‒ Gli ho spiegato tutto, come hai detto di fare tu.
‒ Bene.
‒ Non darà problemi, stamattina. Gli ho pure anticipato cosa fare.
‒ Ho capito, hai fatto bene.
‒ Riuscirete a fermare Zero? ‒ chiese poi Aurora, cambiando completamente tono di voce.
‒ Sì, ne sono certo. Ma non potremo fare nulla per evitare che la legge lo consideri un criminale. Almeno non ancora…
‒ Mi dispiace per lui, Kalut. So che gli volevi bene.
‒ Non preoccuparti, lo tireremo fuori dai guai.
Ci fu un istante di silenzio tra i due.
‒ Dove trovo Gold?
‒ Vi troverà lui, gli ho spiegato come inserirsi nelle comunicazioni del vostro gruppo.
E proprio in quel momento, Kalut udì una voce nuova nell’auricolare.
‒ Intendevate fare una festa senza di me? ‒ chiese il ragazzo dagli occhi d’oro con aria sorniona.
‒ Gold, maledetto… dov’eri? ‒ lo attaccò Green.
‒ Avevo da fare… piuttosto, credo che stiamo tutti aspettando la stessa persona.
‒ Ti hanno già spiegato la situazione? ‒ chiese Silver.
‒ Sì.
‒ Quindi ti hanno già detto che devi piazzarti alla postazione di Zafferanopoli.
‒ Perché?
‒ Come perché? Per Zero, idiota.
‒ Ah, già… devo aspettare Zero alla sede FACES di Zafferanopoli, che scemo…
‒ Gold non prendermi in giro ‒ lo minacciò il fulvo.
‒ Non ti prendo in giro, dolcezza… è solo che penso sia inutile andare ad aspettare Zero alla sede FACES quando lo ho qui a pochi metri di distanza da me ‒ e rise.
A tutti gelò il sangue nelle vene.
‒ Che diavolo stai dicendo? ‒ intervenne Rocco.
‒ Gold, dove ti trovi ora? ‒ chiese Green.
‒ Zafferanopoli, September Avenue, numero civico 218B, aspetto il mio Martini ad un bar, Zero ha invece ordinato… un Latte Mumu… in quello adiacente. Lui non sa che sono qui e che lo osservo, porta una giacca di pelle nera e un paio di pantaloni cargo rossi.
‒ Arriviamo immediatamente ‒ allertò allora Green.
‒ No! ‒ esclamò Zero introducendosi nella conversazione.
‒ Come no?! Dobbiamo agire in anticipo! ‒ ribatté il Capopalestra di Smeraldopoli.
‒ Zero ha intenzione di attaccare di notte, abbiamo ancora tempo, adesso sappiamo dove si trova. Gold continuerà a pedinarlo per non perderlo… intanto tutti gli altri prendano il primo volo e raggiungano Zafferanopoli. Insieme avremo più probabilità di sottometterlo senza danni collaterali. Ricordate che dovremo combatterlo in mezzo ad un centro abitato ‒ sciorinò Kalut.
‒ Porca miseria, ha ragione ‒ ammise Rocco.
‒ Sono d’accordo ‒ appoggiò Silver.
‒ Mh, va bene… ‒ acconsentì Green. ‒ Ma fate in fretta.
‒ Gold, tieni gli occhi fissi su Zero ‒ ribadì Kalut.
‒ Come se avesse una quinta ‒ rispose lui.
Gli altri membri della squadra, che avevano seguito la discussione dai propri compagni, avevano già cominciato a preparare l’occorrente per l’ennesima traversata in aereo. Passò il tempo di preparare un bagaglio con l’essenziale e raggiungere l’aeroporto a Ciclamipoli e già ad Hoenn si era fatta tarda sera. Sapphire, Silver e Crystal avevano acquistato i biglietti sul posto, avrebbero fatto la coda per il check-in, ma la situazione li aveva obbligati ad acquistare dei titoli di viaggio esclusivi e costosissimi che permettessero loro di imbarcarsi in fretta e furia.
Stessa situazione a Unima, ma Rocco e Camilla si trovavano agevolati: avevano preso il jet privato di lei, Rocco non ne disponeva più dopo aver perso la carica di Campione, e si erano messi in volo in poco tempo. Tuttavia, il percorso che avrebbero dovuto macinare era più lungo, quindi sarebbero arrivati bene o male alla stessa ora.
Era passato parecchio tempo. Gold era rimasto tutto il tempo seduto a quel bar, con lo sguardo puntato su Zero che non muoveva un muscolo da ore. Blue e Green si erano invece spostati, salendo sul tetto del palazzo più vicino al loro obbiettivo. Lo scrutavano dall’alto, pronti a ricorrere ad ogni loro arma per fermarlo. Kalut aveva fatto qualcosa di simile. Ma non si era piazzato in una posizione di vantaggio. Era invece seduto a gambe incrociate sull’insegna gigante che sovrastava una palazzina, all’inizio della via. Vedeva in lontananza Green, Blue, Gold e Zero. Ma loro non vedevano lui. Rifletteva, cercava di capire cosa avesse in mente quel folle del Campione di Holon, inserendosi nella sua testa.
Perché mostrarsi? Perché non preparare niente? Perché rimanere lì tutto il tempo?
Qualcosa sembrava sospetto in tutta quella situazione, qualcosa non andava. Aveva già svolto ogni calcolo e analizzato ogni eventualità: sarebbe riuscito a catturare Zero al cento per cento da quella posizione, forse pure evitando quei due o tre morti tra la folla di civili.
‒ Siamo al gate ‒ allertò Silver.
‒ Noi in volo ‒ ribatté Rocco.
‒ Noi in posizione ‒ si aggiunse Green.
‒ A me fa male il culo ‒ chiarì Gold. ‒ Prossima volta voglio un bar con le sedie più comode.
‒ Aspettate… ‒ mormorò Zero.
Fece appello ad ogni sua capacità deduttiva.
‒ Gold, che cos’aveva ordinato Zero? ‒ chiese, rapidissimo.
‒ Un Latte Mumu ‒ ricordò lui.
‒ Toccalo ‒ ordinò. ‒ Anzi, colpiscilo.
‒ Cosa?
Nessuno riusciva a stare dietro al ragionamento del ragazzo.
‒ Blue, Green, preparatevi ad intervenire nel caso in cui dovessi sbagliarmi.
‒ Che cosa sta succedendo? ‒ chiese Silver che nel frattempo non capiva nulla. Si era fermato sulla pista, in procinto di salire sul velivolo, insieme alle altre due Dexholder.
‒ Gold, colpiscilo! ‒ ringhiò Kalut.
‒ Porca puttana ‒ imprecò Gold, chiamando Ambipom e ordinandogli di attaccare il ragazzo seduto a quella sedia così poco distante da lui.
‒ Gold, non farlo ‒ esclamò Green.
Purtroppo, l’autorità di Kalut era superiore alla sua, e poi il primate dal pelo viola era ormai a metà strada, con una coda pronta a colpire e l’altra come contrappeso.
La folla si aprì, un ragazzo sulla ventina era stato scaraventato sul marciapiede dalla forza di un Ambipom, rotolando goffamente con il clangore della sedia metallica in sottofondo. Ci fu il silenzio generale, un po’ di movimento tra chi si fece da parte e chi cercò di avvicinarsi alla vittima.
Poi, sotto gli occhi attoniti di tutti e gli sguardi vigili e allarmati di Blue, Green, Kalut e Gold, Zero tornò in piedi all’improvviso. Rise. Emise luce propria.
La sua forma cambiò, rivelandone la vera identità.
‒ Era uno Zoroark. Silver, Crystal, Sapphire. Non Partite ‒ scandì Kalut con il tono della massima emergenza. ‒ Rocco, Camilla, cambiate direzione.
Silver buttò la valigia a terra, Crystal aveva già un piede nell’aereo e uno sulla scaletta.
‒ Torniamo indietro! ‒ esclamò. ‒ Ora! ‒ Sapphire e Crystal non capirono immediatamente.
‒ Cazzo! ‒ esclamò Rocco, ancora sospeso in aria nel jet di Camilla.
‒ Rocco… ‒ mormorò lei, girando verso di lui il pc con cui stava navigando.
Sul monitor era aperta la pagina del giornale online “HC One”. Vi erano delle foto in allegato e un video che riportava la scena di quella che sembrava l’esplosione di un edificio. Raggelò leggendo soltanto il titolo:
Attacco terroristico a Porto Alghepoli. Il salvataggio tempestivo del Campione. Lo scontro ancora in corso.

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Capitolo 22
*** Capitolo 9 - Notturni pt. 2 ***


Capitolo 9: Notturni pt. 2
 
 
“Non attaccate mai per primi. Se si prende tempo, cambiate Pokémon o perderete. Non cercate di prenderlo d’anticipo, ma evitate le azioni troppo banali” li aveva allertati Kalut. “Impeditegli di comunicare con i suoi Pokémon, limitate la sua possibilità di sfruttare il terreno di scontro a proprio vantaggio” aveva invece consigliato.
I Dexholder si erano preparati duemila schemi in mente, ognuno dei quali sarebbe teoricamente stato in grado di sovvertire le sorti della battaglia contro Zero a proprio favore. Purtroppo per lui, Ruby non aveva udito nessuno di questi preziosi avvertimenti.
Zero, alle venti e trentadue, aveva fatto terra bruciata attorno alla sede dell’organizzazione FACES di Porto Alghepoli. Non aveva colpito il palazzo, lo aveva solo circondato. Era sceso dall’alto, in groppa ad un Braviary, aveva lanciato sul campo di battaglia un Lycanroc, uno Scizor e un Druddigon. Intendeva utilizzarli come guarnigione per penetrare nel palazzo, ma si era trovato davanti tutti i membri della squadra di Ruby. E così, mentre i due Allenatori erano impegnati a fulminarsi a vicenda con lo sguardo, i loro Pokémon avevano cominciato a scannarsi senza pietà alcuna. I loro colpi avevano messo in allarme la città intera: un Martelpugno di Swampert, eluso da Lycanroc, aveva trasformato un auto parcheggiata in un cartoccio di lamiere; un Dragopulsar di Druddigon, deviato da Flygon, aveva fatto esplodere tutte le finestre del secondo piano del grattacielo; un Forbice X di Scizor, evitato da Mightyena, aveva scrostato cinque metri quadri di asfalto stradale.
 
­­− ­Prendete le correnti tiepide, passando sul mare. A quest’ora dovrebbe essere la condizione più rapida per volare. Quando avrete raggiunto Porto Alghepoli probabilmente Ruby sarà già stato sconfitto, due di voi dovrebbero tenere Zero occupato mentre il terzo si occuperà dei civili e dei feriti. Non so che cosa abbia in mente di preciso, ma sono quasi sicuro che il suo piano preveda l’eliminazione totale della sede FACES. In ogni caso, pensate ai civili, lasciatelo demolire il palazzo, se riuscite a impedire che ferisca le persone – spiegava Kalut nella comunicazione condivisa. Era rivolto a Silver, il quale riportava tutto a Crystal e Sapphire. I tre erano in volo: le due ragazze sul dorso di Tropius e il fulvo sulle ali di Honchcrow. Stavano letteralmente mangiando il percorso tra Ciclamipoli e Porto Alghepoli. Sapphire teneva la schiena inarcata e il corpo perfettamente aderente alle squame del suo Pokémon per guadagnare aerodinamicità. Guardava il puntino lontano che era il loro obbiettivo e pregava di non star di nuovo andando ad assistere ad un’apocalisse come quella di Vivalet. Ruby era intervenuto alla svelta, anticipando Zero, il che faceva supporre che qualcuno, nella FACES, si era reso conto dell’imminente attacco all’ultimo momento, mandando a chiamare il loro guerriero migliore. Vincolato alla Federazione per chissà quale ragione. Eppure, nessuno di loro riusciva a comprendere. Da che cosa era stato tradito Zero? Quale indizio aveva permesso a Ruby, o a chi per lui, di prevedere l’attacco a Porto Alghepoli? Ciò che pesava sulla coscienza della ragazza era la loro disattenzione. Il fallimento della meticolosa mente di Kalut che non era arrivata a studiare ogni minima sfumatura della situazione.
E poi c’era il sibilo dell’aria, il quale sferzava gli zigomi della Dexholder di Hoenn come una lama affilatissima. Tutto attorno era silenzio, al centro del mondo solo lei, il suo Pokémon e il nemico.
 
In città, le persone fuggivano, i telefoni cominciavano a digitare il numero della polizia. Intanto, Zero sembrava non riuscire ad avanzare. Ruby, schierato come un oplita davanti all’entrata del palazzo, non accennava a fare un passo indietro. Il ragazzo sembrava volergli saltare addosso per malmenarlo, come fossero anche loro due Pokémon. La sede FACES era piena di lavoratori che avrebbero già dovuto timbrare il cartellino per la fine del loro turno di lavoro. Quella giornata era sembrata fin troppo noiosa e ripetitiva, si era proprio avvertito il bisogno di un minaccioso assassino pronto a far crollare un palazzo sopra alle loro teste. I poveracci non riuscivano a fuggire, nonostante la resistenza del Campione di Hoenn stesse dando loro un gran quantitativo di tempo. Non vi era un’uscita sul retro o una scala antincendio e l’unica porta principale era già stata sfondata una volta, prima che il Milotic di Ruby intervenisse contro quel minaccioso Lycarnoc. Ad ogni modo, la fuga non era sicura.
Ruby se ne rese conto, ma provare a spingere il nemico all’angolo era molto più facile a dirsi che a farsi. Impose alcune condizioni di complicazione ai Pokémon avversari, ma ogni strategia era inaffidabile e facilmente contrastata dall’intelligenza strategica di Zero: il congelamento di Druddigon durò pochi istanti, poi Scizor attirò un Fuocobomba di Castform e lo evitò all’ultimo sciogliendo il blocco di ghiaccio dell’alleato; il vapore creato da Milotic non riuscì ad ostruire la vista dei nemici, poiché Braviary lo scacciò via con le sue forti ali; le rocce affilate evocate da Flygon non limitavano il movimento, Druddigon le afferrava e le lanciava come proiettili. Lo scontro sembrava alla pari e perdurava su un caotico equilibrio da quasi venti minuti.
Poi, il Campione di Hoenn commise un errore: tentando di spostare la lotta sul lato destro, senza quindi forzare la posizione di Zero ma cambiando solo l’angolazione, mostrò il fianco per un istante, accorgendosi troppo tardi dei tre civili intrappolati all’interno della macchina al lato della strada. Zero era troppo vicino a loro, Druddigon era impegnato in un corpo a corpo con Milotic e se avesse vinto avrebbe potuto distruggere involontariamente l’auto, ammazzando due signori e un ragazzino. Ruby si rese conto della situazione con un istante di ritardo: gridò un ordine a Milotic per farlo spostare, ma non poté evitare il colpo di Scizor che era comparso sulla sua destra.
Il crostaceo gli chiuse la chela attorno alla spalla, avvicinandosi pericolosamente al collo. Ruby percepì il metallo acuminato lacerargli la pelle attraverso i vestiti e mordere tenacemente la sua carne. Zero aveva mirato direttamente a lui. Poi, la seconda chela del Pokémon, chiusa a pugno, lo colpì fortissimo sullo stomaco, scaraventandolo qualche metro indietro. Non riuscì ad alzarsi, perdeva molto sangue e gemeva di dolore.
Zero ebbe campo libero, i suoi avversari, preoccupati per il proprio Allenatore e privati di una guida, andarono al tappeto in poco tempo.
Il Campione di Holon si avvicinò minaccioso al palazzo, lasciò i suoi Pokémon a fare la guardia e vi entrò incedendo con terribile calma. Ruby era a terra con la sua squadra, per le strade c’era il caos, davanti a lui sostava una tremolante massa di inutili impiegati che non sarebbero riusciti a fermarlo neanche se lo avessero attaccato tutti insieme, il palazzo FACES era in suo possesso.
 
Pochi minuti dopo, Silver, Crystal e Sapphire giunsero sulla scena. Scesero al volo dai propri Pokémon atterrando sull’asfalto della strada martoriata dalla lotta di Ruby e Zero. Videro il palazzo FACES, il grattacielo di vetro le cui finestre erano state tutte infrante fino al quarto piano circa. L’ingresso era divelto, così come le decine di macchine spazzate via dai loro parcheggi che occupavano la strada. Vi era il deserto, una scialba folla di persone sembrava osservare da lontano la situazione, priva del coraggio di farsi avanti e della paura sufficiente per darsela a gambe. Sapphire individuò subito il corpo di Ruby disteso sulla strada. Il ragazzo si muoveva appena, cercava di alzare la testa per guardarsi intorno. Cercava i suoi Pokémon. Questi ultimi, similmente al loro Allenatore, erano tutti a terra, privi di energie.
−Ruby! – esclamò lei, gettandosi sull’amico.
Esaminò il suo corpo: la maglia nera che portava era stata forata in più punti, come se qualcuno gli avesse inflitto diverse pugnalate. Sapphire, non senza difficoltà, gliela tolse. Inorridì di fronte alla visione del suo torace: i tatuaggi lineari e perfetti generati dalle gemme erano spezzati in più punti, la carne era lacerata lungo una parabola precisa e i tagli arrivavano in profondità. Stava perdendo molto sangue.
−Cazzo−esclamò la ragazza. – Chiamiamo qualcuno, chiamiamo un’ambulanza! – gridò ai suoi compagni.
− No – gemette Ruby, digrignando i denti. – Bisogna fermare Zero.
Sapphire non capì. Il ragazzo aveva parlato, il che era un bene. Tuttavia non si capacitava di come potesse avere tale priorità persino in una condizione del genere.
− È là dentro – mugolò il ragazzo.
− Ruby, cazzo, devo portarti… −improvvisamente la ragazza ricordò.
I due si guardarono negli occhi. Ruby comprese di esser stato capito.
− Riesci a rifarlo…? – chiese lei.
− Adesso sì – rispose lui, con voce più ferma.
E la ragazza udì ancora quel rumore sfrigolante di metallo rovente immerso in acqua. L’odore di bruciato era coperto dalla puzza di asfalto e polvere. Davanti agli occhi di nuovo esterrefatti di Sapphire, ogni lacerazione sul corpo di Ruby si chiuse spontaneamente. Le sue ferite vennero istantaneamente cauterizzate e trasformate in linee colorate simili a quelle del suo tatuaggio. Ruby aveva il fiatone ed un colorito strano. Quel processo sembrava parecchio doloroso.
Sapphire fece due passi indietro, Silver e Crystal fissavano la scena muti ed esterrefatti. Non avevano mai visto i tatuaggi di Ruby, e ciò li aveva spiazzati un po’, ma dovettero convincersi di non star sognando tutto, quando videro il ragazzo rialzarsi dalla sua pozza di sangue, sano, seppur barcollante.
− Per quello che so ha con sé uno Scizor, un Lycanroc, un Druddigon e un Braviary – spiegò Ruby con tono affaticato. −Insieme dovremmo fermarlo.
− Che diavolo è appena successo? – chiese Silver.
− Le gemme… hanno degli effetti collaterali – spiegò Ruby sommariamente, rimettendosi la maglia. – Dobbiamo muoverci.
I quattro Dexholder, dopo aver somministrato qualche Revitalizzante alla squadra di Ruby, entrarono nel palazzo.
− Aveva intenzione di distruggerlo, perché non lo ha ancora fatto? – chiese Sapphire.
− Potrebbe essere sceso ai piani sotterranei per piazzare qualche ordigno? – tentò Crystal.
− Non penso, di solito utilizza solo i propri Pokémon. Sinceramente non so cosa abbia in mente, ma dobbiamo trovarlo nel minor tempo possibile – fece il ragazzo.
− Kalut sarebbe utile in questo momento – commentò Silver.
− Aspettate – Ruby chiamò all’appello Gardevoir. – Riesci a individuare tutte le persone che sono dentro questo palazzo? Dovresti individuare una mente molto somigliante a quella di Kalut – le chiese. Il Pokémon acconsentì e chiuse gli occhi, concentrandosi sull’obiettivo.
− Ci sono altre persone? – chiese Sapphire, allarmata.
− Sì, tutti i dipendenti che lavoravano qui, credo li stia tenendo in ostaggio.
− Merda… − commentò Crystal.
Gardevoir emise un verso. Ruby comprese e chiuse gli occhi, percependo le informazioni inviate del Pokémon.
− Ok – annuì. – Ci sono più di cento persone rinchiuse nei piani sotterranei, dovremmo farle uscire tutte. Zero si trova invece all’ultimo piano, è da solo.
− Io scenderò a liberare gli ostaggi – disse Crystal. – Siete voi i più forti, dovete affrontare Zero.
Aveva ragione, ma Ruby ebbe un dubbio.
− Potrebbe aver messo alcuni Pokémon a guardia degli ostaggi, non sarebbe tanto stupido da lasciarli soli. Forse faremmo meglio a dividerci in un due coppie – spiegò.
− Ok, non perdiamo altro tempo, io scendo con Crystal – annuì Silver.
− Non appena avrete tirato fuori le guardie, raggiungeteci – li esortò Sapphire.
− Va bene.
− Fate attenzione – aggiunse Crystal, rivolta a Ruby e Sapphire.
Li aveva guardati con occhi dolci, pur nel pericolo. Non aveva ancora perdonato Ruby né tantomeno si era riappacificata con Sapphire, ma sapeva di essere dalla loro stessa parte e di tenere alla loro salute. Alla fine, anche loro erano i suoi migliori amici.
E così, due Dexholder di Hoenn si avviavano verso l’esterno per raggiungere il piano più alto in volo, mentre i due di Johto imboccavano le scale di corsa, verso la posizione degli ostaggi.
− Come sapevi che avrebbe attaccato qui? – domandò Sapphire, lanciando la Ball di Tropius. – Anzi, come sapevi che Zero avrebbe dovuto attaccare?
− Kalut… lui ha scelto di allertare anche me. Poi un agente della sicurezza interna mi ha rivelato la posizione di un individuo molto somigliante a Zero, una manciata di minuti prima dell’attacco – spiegò lui.
− È un mostro.
− No, è un avversario come un altro. Dobbiamo solamente concentrarci.
− Ruby, stavi morendo fino a due minuti fa!
− Ma non sono morto. Senti… possiamo farcela, puoi farcela. Sei più brava e più forte di quanto tu creda, sei diventata molto più abile di quanto tu sia mai stata, non aver paura. Ho fiducia in te – le disse, prendendola per le braccia.
Sapphire rimase stupefatta. Ruby l’aveva gettata giù dal suo stesso Tropius per non farla lottare contro Max e Ivan, sette anni prima, e quando la Devon aveva scoperto la faccenda del meteorite, tempo dopo, aveva scelto di tenerla all’oscuro di tutto. Quel ragazzo aveva sempre scelto di caricarsi delle responsabilità al posto degli altri, per non mettere a rischio le persone a cui teneva. E ora, dopo così tanto tempo e dopo due anni di silenzio, le stava dando tutta quella fiducia. Sapphire si sentì piena di qualcosa che non riuscì a descrivere. Dalla sua bocca non uscirono parole. Si gettò al collo di Ruby e lo baciò sulle labbra, si strinse a lui più forte di quanto avesse mai fatto.
− Andiamo – la esortò lui, staccandosi dopo una manciata di secondi.
Sapphire aveva un sorriso assolutamente inadatto alla situazione stampato in faccia, quando salì in groppa al suo Tropius. I due Allenatori si staccarono dal terreno vincendo la forza di gravità. Ruby volava sul suo Flygon. Cominciarono a passare rasente alle vetrate, piano dopo piano, avvicinandosi sempre di più alla vetta.
 
Numerosi metri più in basso, Silver e Crystal stavano lottando contro un Darkrai la cui forza spropositata minacciava di far tremare tutto l’edificio. Lei aveva mandato in campo Hitmonchan mentre Silver stava utilizzando Feraligatr. Il Pokémon sembrava combattere come se avesse avuto un Allenatore a guidarlo. Teneva d’occhio tutto, riusciva a prevedere i movimenti dei nemici, elaborava tecniche complesse per abbattere le difese avversarie. Ma Crystal e Silver non si lasciavano intimorire. Avevano lottato insieme un numero esorbitante di volte, conoscevano i rispettivi punti di forza e punti deboli bene quanto i propri. Riuscivano a combinare le proprie forze.
Certo, lottare in un parcheggio non era comunque il massimo, il nemico riusciva a mimetizzarsi ai loro occhi trasformandosi in un’ombra bidimensionale e tentando agguati alle loro spalle. In ogni caso, riuscivano a tener testa al Pokémon Leggendario e pure ad assestargli qualche affondo violento, quando l’occasione lo permetteva.
− Gelodenti! – e Feraligatr attaccava.
Darkrai diventava un’ombra, allora Hitmonchan caricava un Centripugno con cui colpire il primo oggetto che si fosse mosso attorno a lui.
Il nemico emergeva dall’oscurità e cercava di utilizzare Vuototetro su Feraligatr, ma il potente maglio di Pokémon di Crystal lo scaraventava decine di metri più indietro.
− Sembra funzionare, dobbiamo continuare con questo ritmo – esclamò Silver.
 
− Che schifo… siamo così inutili… − si lamentava Blue.
Lei, Gold e Green si trovavano in volo su un aereo di linea che avevano praticamente preso per un secondo di anticipo. Entro circa un’ora sarebbero arrivati a Hoenn, ma erano ben lontani dal potervi giungere in tempo per essere d’aiuto nella lotta. Per questa ragione Green si massaggiava le nocche che aveva quasi distrutto prendendo a pugni mura e saracinesche e Blue si martoriava massacrandosi le unghie con i denti, Gold aveva invece creato dei coriandoli con il menu di bordo. Tutti e tre sentivano il bisogno di gridare come bambini. Eppure, non potevano far altro che aspettare e immaginare cosa stesse succedendo in quel momento a Porto Alghepoli.
Rocco e Camilla erano nella stessa situazione, solo che loro cercavano di annegarla lentamente nel bourbon. Il pilota del jet della Campionessa di Sinnoh, non senza molteplici problemi, aveva dovuto effettuare una deviazione. Il calcolo del carburante, della condizione e delle capacità del motore, tuttavia, lo avevano obbligato a rinunciare. Non avevano possibilità di raggiungere Hoenn. Non sarebbero entrati in battaglia. E questo li faceva star male.
La maggior parte delle persone rifuggono il pericolo e la difficoltà. Al contrario, gli Allenatori che hanno dovuto vivere in prima persona delle battaglie gigantesche come loro, non erano capaci di stare fermi. Non che cercassero il rischio e le battaglie, erano solamente degli spiriti ardenti e poco portati al relax e alla debolezza.
 
− Ci siamo! – esclamò Ruby.
All’ultimo piano della sede centrale FACES di Porto Alghepoli, un Tropius e un Flygon cavalcati da due Allenatori sfondarono le vetrate penetrando negli uffici. Ruby e Sapphire si ritrovarono in una stanza arredata in legno massello e pavimentata da una moquette morbidissima. Non c’era anima viva.
Imboccarono la porta, attraversarono un corridoio finché, guardandosi intorno, intravidero l’unica luce accesa. Proveniva da una stanza rivolta nell’ala sud, preceduta da un lungo corridoio tappezzato di quadri, ritratti e foto.
− Eccolo – mormorò Ruby correndo verso l’obiettivo.
Sapphire gli tenne dietro. Attraversarono il corridoio e svoltarono l’angolo, irrompendo nella stanza con le Poké Ball pronte ad essere lanciate.
Si trovarono davanti qualcosa che mai avrebbero potuto immaginare. L’ufficio apparteneva sicuramente ad un pezzo grosso, forse all’uomo più importante lì dentro. Aveva mobili in mogano e una vista sul mare veramente invidiabile. Era arredata alla perfezione e pulitissima, tranne per un particolare: un quadro era stato malamente lanciato a terra, nascondeva una cassaforte il cui sportello era stato lasciato aperto. In mezzo alla stanza, sotto la luce del lampadario, stava Zero. Solo, senza nessun Pokémon, disarmato.
Aveva un fascicolo di foglio nella mano e sembrava averlo appena letto.
Piangeva.

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Capitolo 23
*** Capitolo 9 - Notturni pt. 3 ***


Capitolo 9: Notturni pt. 3
 
 
 
− Riesci a vederli, Xatu? – chiese al suo Pokémon.
“Zero è all’ultimo piano, Ruby e Sapphire lo hanno raggiunto. Nei piani sotterranei ci sono invece Crystal e Silver che lottano contro un Dakrai. Credo stiano cercando le persone...
− Che persone?
“Civili… terrorizzati… si trovano appena sotto di loro.”
− Non posso aiutarli, non ora, devo occuparmi di Zero.
“Quindi raggiungiamo l’ultimo piano?”
− Sì – rispose il ragazzo dai capelli bianchi.
Kalut aveva raggiunto Porto Alghepoli in tempi strettissimi, considerato che appena quarantacinque minuti prima si trovava a Zafferanopoli. Era sul tetto del centro commerciale e, un centinaio di metri più lontano, vedeva il palazzo FACES. Si preparava ad entrare in soccorso dei Dexholder per fermare Zero una volta per tutte.
“Kalut, aspetta…” mormorò ad un certo punto Xatu.
− Che succede?
“Non ti ho ancora detto cosa sta succedendo…”
 
− Andiamo, forza! – esclamò Silver. Il suo Feraligatr colpiva violentemente il Darkrai nemico, lo scontro stava volgendo leggermente a vantaggio suo e di Crystal. − Idropompa!
Il Pokémon Neropesto scomparve. L’oscurità a intervalli del parcheggio sotterraneo in cui stavano lottando era un ottimo espediente per nascondersi per un Pokémon come lui. Tuttavia, i suoi agguati erano divenuti ormai prevedibili e l’Hitmonchan di Crystal si era trasformato in una perfetta retroguardia pronta ad intercettare ogni singolo movimento sospetto. Stavolta però, Darkrai non tentò di prendere alla sprovvista Feraligatr o Hitmonchan.
Silver udì un urlo acutissimo, la eco di quel parcheggio amplificò la potenza di quel grido. Silver si voltò immediatamente.
− Crystal – sussurrò.
La ragazza aveva commesso un errore: invece di mantenersi nelle zone illuminate dalle luci al neon, aveva mezzo un piede in una zona d’ombra. Forse si era solo distratta, forse se ne era scordata, forse la violenza della lotta l’aveva costretta a fare un passo indietro involontariamente.
Aveva una grossa e affilata appendice nera conficcata nella coscia destra, un tentacolo fatto di pura oscurità le aveva trafitto la carne. Quella era l’unica parte del suo corpo che era entrata nell’ombra, ma secondo lei faceva già abbastanza male.
− Crystal! – gridò Silver, gettandosi verso di lei.
La lama d’ombra serpeggiò fuori dalla ferita, Crystal cadde a peso morto sul terreno e Silver la soccorse. Il sangue cominciò a fuoriuscire copioso, a terra si formò in pochi istanti una grossa pozzanghera. La situazione era preoccupante, ma tra il sangue, le grida di Crystal e la lotta che, anche senza le loro indicazioni, continuava ad imperversare, Silver mantenne la lucidità. Il fulvo prese gli elastici con cui Crystal si era legata i capelli e li utilizzò come lacci emostatici stringendoli nella parte alta della coscia. Prese la sua maglietta e la avvolse attorno alla ferita, premendo forte sui due fori da cui sgorgava il liquido ematico.
− Andrà tutto bene.
Tutto questo, non riusciva a calmare il dolore della ragazza. Chiamò allora Weavile e ordinò di raffreddare la ferita, in modo da diminuire l’afflusso sanguigno e dare un minimo di sollievo alla ragazza.
− Non è successo niente, ti porterò in ospedale.
Crystal continuava ad ansimare. Aveva le lacrime agli occhi e stringeva il braccio di Silver come fosse stato l’ultimo appiglio prima del vuoto.
−Ti prego, farò di tutto per salvarti.
A quel punto, Silver si rese conto di trovarsi davanti ad una scelta: fuggire con Crystal tra le braccia e avere un buon margine di possibilità di salvarla oppure pensare agli impiegati, salvando centinaia di persone, ma perdendo di certo Crystal.
 
Zero sembrò non curarsi della presenza di Ruby e Sapphire nella stanza. I due, dal canto loro, non sapevano assolutamente come muoversi. Si erano preparati a dover affrontare l’Allenatore più forte del mondo, ma lo avevano trovato lì, da solo, al centro della stanza, con un foglio in mano e il volto rigato di lacrime.
Con lo sguardo più umano che gli avessero mai visto fare, Zack alzò gli occhi in loro direzione. Si asciugò le lacrime con le dita. Guardò il pavimento come un bambino che ha appena combinato un disastro.
− Teneva tutto in cassaforte, il bastardo… − commentò, alzando il mento in segno di disprezzo verso la scrivania.
Ruby e Sapphire erano ancora pietrificati.
− Mi è toccato irrompere dentro un palazzo – ringhiò.
− Zero… − tentò Ruby. – se hai ottenuto quello che volevi, puoi lasciar andare i civili.
− No, mi dispiace, loro moriranno tutti – negò il Campione di Holon accennando una risata, come fosse la cosa più normale del mondo.
− Aspetta, perché dovresti farlo? Qual è il tuo obiettivo? – Ruby cercava di mantenere la calma.
Zero scrutò il personaggio che aveva davanti. Fece qualche passo in sua direzione.
− Io ti ho fatto uccidere dal mio Scizor, Ruby, e non hai neanche un graffio…
− Zero, ti chiedo di rispondermi, altrimenti sarò costretto ad utilizzare le maniere forti – lo minacciò Ruby.
Zero tacque. Aggrottò le sopracciglia e annuì.
− Va bene – sussurrò.
Il pavimento tremò sotto i piedi dei presenti, il palazzo sembrò dondolare come una torre di costruzioni. Ruby e Sapphire furono colti di sorpresa, ma Zero non fece la minima piega.
− Lo senti? – domandò Zero. – Sono io che comando qui! – gridò loro il ragazzo.
− Che diavolo hai in mente?
− Oh, niente di particolare, solo i miei Pokémon pronti ad abbattere questo gigantesco castello di carte dalle fondamenta – stavolta aveva lui il coltello dalla parte del manico.
− Tu non puoi…
− Sì io posso.
Zero sospirò. Ruby teneva fissa la posizione, coprendo Sapphire col suo corpo.
− Non credere che sia io il cattivo, ragazza – disse lui, rivolto alla Dexholder. – Il tuo amichetto lì… ha pure lui qualcosa da raccontarti.
− Che cosa stai dicendo? – chiese Sapphire, senza sapere come rivolgersi ad un genio omicida fuori di testa.
− Dico che ci troviamo qui per una ragione ben precisa, no? Niente va mai lasciato al caso. Ti sei chiesta perché ho colpito la multinazionale che controlla la Lega di questo buffone qui davanti? Non hai mai pensato di fare qualche connessione?
Sapphire era ormai incuriosita. Ruby taceva, con espressione provata in volto.
− Però effettivamente nemmeno lui ha colpa… è solo un disperato, proprio come tutti…
− Zero, dicci che cosa vuoi e che scopi hai – riprovò Ruby.
− Io voglio che questo posto diventi polvere, amico mio… − rispose Zero. – Mi hanno portato via tutto, mi hanno fatto sembrare un assassino, mi hanno dipinto come un mostro. E allora va bene, sarò il mostro che hanno creato.
− Parli della bugia a proposito di Murdoch? – intervenne Sapphire.
Zero si mostrò stupito.
− Cosa sapete?
− Sappiamo che i tuoi Superquattro ti hanno tradito e incastrato, ci è stato detto da una persona.
− Oh, il giovane Kalut… beh, voi gli avete creduto?
− Ha dimostrato di meritare la nostra fiducia – rispose la ragazza.
− Beh, effettivamente ha ragione. Murdoch ha ucciso tutte quelle persone a Vivalet sapendo che poi la colpa sarebbe ricaduta su di me, Fenix, Axel, Tiana… erano tutti d’accordo per farmi arrestare.
− Noi ti crediamo, Zero, possiamo fare qualcosa…
− Beh, sì, alla fine ho soltanto ucciso quattro persone, demolito l’Altopiano Blu, abbattuto il palazzo della FACES e fatto una strage dei suoi uomini… mi rilasceranno sicuramente.
− Perché hai deciso di diventare un criminale? Perché non hai scelto di dimostrare la tua innocenza?
− Perché è così che loro ti maneggiano! – esclamò lui con tanta forza nei polmoni da mettere quasi paura ai due Dexholder.
− Ti mettono nei guai, ti distruggono… poi ti tendono la mano al momento giusto. Se sono la tua unica speranza, possono sfruttarti a loro piacimento – spiegò Zero.
− Di chi parli, quando dici loro? – chiese Sapphire.
Zero non rispose subito, lasciò parlare Ruby. Il Campione di Hoenn si era zittito dopo l’accusa di Zero e, fino a quel momento, aveva taciuto.
− Della FACES – rivelò il Dexholder.
− Bravo, risposta esatta, figlio di Norman.
Tale appellativo causò un piccolo spasmo al ragazzo, come se fosse stato punto all’improvviso.
− Ruby, che cosa intende? – chiese Sapphire.
− I miei Superquattro erano agenti FACES. Avevano l’ordine di boicottarmi fin dall’inizio. Io non lo sapevo, non l’ho capito subito… − spiegò Zero. – Ero una minaccia, per la FACES, perché ho scalato fino alla vetta del potere con il solo obiettivo di distruggerla, loro lo hanno scoperto in qualche modo, mi sono fidato delle persone sbagliate.
− E perché volevi distruggerla?
− Per questo – disse passando loro il fascicolo che stava leggendo fino a poco prima.
Ruby lo prese con cautela, lo alzò in modo che anche Sapphire potesse leggere con lui.
 
Silver teneva Crystal stretta a sé. La ragazza continuava a perdere sangue, nonostante il suo intervento di soccorso. Stava per prendere una decisione quando qualcuno comparve alle sue spalle.
− Portala via, qui ci penso io… − mormorò Kalut.
Silver si voltò, comprendendo di aver appena ricevuto una grazia dal cielo.
− Sbrigati, o non durerà a lungo.
Il ragazzo corse sulla via del ritorno. Aveva Crystal in braccio che gemeva e diventava sempre più pallida. Fece una, due, tre, quattro rampe di scale senza mai fermarsi. Poi avvenne qualcosa: il terreno tremò sotto i suoi piedi, il palazzo sembrò doversi sgretolare da un momento all’altro. Cadde dell’intonaco dal soffitto, qualcosa si mosse nell’ombra.
Il ragazzo ebbe appena il tempo di posare a terra la debole Crystal senza farle del male e prendere una Ball dalla propria cintura. Una creatura si avventò contro di lui, famelica. Per fortuna, fu abbastanza rapido da chiamare il suo Feraligatr che lo difese dagli artigli di un ferale Lycanroc.
Se fosse stato un minimo meno attento, sarebbe sicuramente morto, e di conseguenza anche Crystal. Il Pokémon Lupo che aveva davanti sembrava eccitato all’idea di affondare le sue zanne in lui. Era uno dei Pokémon di Zero, quindi temerlo era giusto e saggio. Ma Silver aveva deciso che nulla gli avrebbe impedito di salvare la ragazza.
− Cascata! – ordinò al suo Pokémon.
 
Professor Roland. Soggetto 01: Zackary Edward Roland.
Unione del genoma Pokémon e del genoma umano in fase embrionale.
− Bello, vero? – chiese Zero. − Un padre malato, amante solo di se stesso e del suo lavoro… un paio di calcoli. E così una persona talmente arrogante da non limitarsi a distruggere la tua vita, no… io sono stato creato per una sperimentazione! – gridò, in preda all’ennesimo sbalzo di umore.
− È la verità, questa? – domandò Ruby. – Sono andate così le cose?
− Sì, Ruby, io sono l’esperimento di mio padre. La FACES spinse perché fossi creato, la FACES comandò quell’uomo perché mi costruisse.
− E vuoi vendetta, per questo? – chiese Sapphire.
Zero sorrise. Lo fece in maniera quasi tenera.
− Sembrerebbe la cosa più ovvia, già… ma non è così – scosse la testa. – La vendetta è precisa e prevedibile, è una reazione, è il karma che colpisce al contrario. Io sono più colui che intende impedire che tutto questo avvenga. Questa creazione di mostri, di uomini in provetta, la FACES non può avere il dominio pure sugli esseri umani. Non ne ha il diritto!
− E per questo intendi uccidere dei civili? Degli uomini innocenti? – chiese Sapphire.
− Sì, hanno provato a distruggermi, ci sono riusciti, tutto ciò che posso fare è dimostrare che avevano ragione… sono un criminale. Ma sono un criminale spinto dal desiderio di annientarli per quello che hanno fatto. E quanto tutti crederanno che io abbia agito per vendetta, indagheranno sulla FACES, capiranno cosa sta succedendo…
− Kalut, hai ragione, la FACES va fermata, ma non uccidendo dei civili… − riprovò Ruby.
− Mi dispiace, io non ho nulla contro di voi… si, forse ti ucciderò, Ruby. Ma non qui, non ora, a meno che tu non decida di restare all’interno del palazzo.
 
− Darkrai è stato battuto, sto facendo uscire gli ostaggi dall’uscita del parcheggio. Silver, tu e Crystal siete fuori? – domandò Kalut sul gruppo di comunicazione. Il ragazzo aveva spalancato l’uscita per le auto che era stata sigillata da Zero.
− Ci siamo quasi.
− Hai preso la strada più lunga, datti una mossa, Zero vuole distruggere questo posto per intero.
− Non è così semplice, dannazione.
 
− Mi dispiace, Zero, dobbiamo comunque impedirti di distruggere questo posto – disse Sapphire. Ruby chiamò all’appello Swampert, lei fece lo stesso con Gallade.
Zero si coprì la faccia con la mano.
− Sono lusingato, ma non potete fare niente, non sarò io a dare gli ordini stavolta. È già tutto programmato, i miei Pokémon sanno già cosa fare… − alzò le spalle.
I due Dexholder non parlarono. Ebbero seriamente paura, capirono di non poter fare niente e di aver solo perso tempo fino a quel momento.
Altra scossa, il palazzo tremò come una gelatina.
− Tardi… troppo tardi – mormorò il ragazzo.
− Ti fermeremo comunque, Zack – gli fece Sapphire, con la voce più insicura mai modulata.
 
“Kalut, intervieni all’ultimo piano” fece Xatu.
“Che succede?” chiese lui.
“Prova ad immaginare…”
“Merda.”
Il ragazzo dai capelli bianchi, fatti uscire tutti i civili, saltò in groppa a Xatu che lo condusse fino all’ultimo piano in poco tempo. Vide immediatamente la scena che si era prefigurato: Ruby e Sapphire intenzionati a portare via Zero per consegnarlo alla legge.
− Fermi! – esclamò Kalut, comparendo alle loro spalle. – Lasciatelo andare.
In quel momento, tutto il palazzo cominciò a crollare. I civili erano fuori, Silver era sicuramente già uscito.
− Cazzo, Kalut, che ti salta in mente? – chiese Ruby.
− Fidatevi di me, arrestarlo significa fare il loro gioco.
Il palazzo cominciava a dondolare pericolosamente, i vetri si rompevano, gli oggetti cadevano da sopra le scrivanie, i muri iniziavano a sgretolarsi.
− Vuoi scherzare? Tu per primo parlavi di fermarlo – fece Sapphire.
− Non così, non arrestandolo.
− Che significa?
− Significa che Kalut ci serve libero, e che le forze dell’ordine sono la FACES, ormai. Non possiamo fidarci, spero vi abbia spiegato cosa sta succedendo. Dobbiamo averlo dalla nostra parte e non dalla loro.
Ruby guardò Kalut, poi fissò Zero, poi cercò risposte negli occhi di Sapphire. Non sapeva come fare, non riusciva a capire quale fosse la cosa giusta da fare.
 
L’ultima Idropompa, e anche Lycanroc andò al tappeto. Silver ordinò a Feraligatr di caricarlo in spalla perché anche quel Pokémon fosse tratto in salvo. Mancavano ancora un po’ di piani all’uscita. Il ragazzo fece altre rampe di scale, con l’aria che nemmeno entrava o usciva più dai polmoni. Sentiva il sangue pulsare sulle tempie e le gambe bruciare come tizzoni ardenti. Si trovò davanti all’uscita, quando tutto cadde.
L’intero pavimento del primo piano crollò davanti alle vetrate, quasi colpendo Silver e Feraligatr in pieno. Il ragazzo non poteva muoversi bene, gli era difficile persino mantenere l’equilibrio, a causa della sorta di scossa sismica che era in corso. Vedeva i muri crollare, i pavimenti che si aprivano fino a mostrare il piano sottostante. Le colonne torcersi su loro stesse e il cemento sgretolarsi.
− Ti amo – le sussurrò, sperando che fosse ancora abbastanza sveglia da sentirlo.
Con le sue ultime forze, correva verso l’uscita con Crystal in braccio quando un pezzo del soffitto di staccò di netto sopra di lui.
Il ragazzo fu colpito, rovinò a terra e lì rimase, svenuto, stretto sulla ragazza come ultimo spasmo di coscienza.
Feraligatr era dietro di lui, lo aveva visto cadere e perdere i sensi.
 
− Ah, vaffanculo! – esclamò Ruby.
− Che cosa dobbiamo fare? – si domandò Sapphire.
− Mi occupo io di lui, mettetevi in salvo – fece Kalut. – Non possiamo consegnarlo alla legge, lo capite?
Il Campione di Holon, trattato come merce di scambio, taceva e seguiva la conversazione con un’espressione divertita in volto, ma nessuno ci faceva caso. Di nuovo, Ruby e Sapphire si guardarono negli occhi. E così si convinsero. Riuscirono a trovare la forza nei loro rispettivi sguardi.
− Faremo come dici tu – mormorarono, lasciando Zero nelle mani del ragazzo dai capelli bianchi.
− È la scelta giusta – commentò lui, guardandoli negli occhi.
I Dexholder cercavano avidamente una piccola ombra di sincerità nel suo sguardo, ma gli occhi di Kalut erano indecifrabili, lo erano stati dal loro primo incontro: due perle vitree che sembrano sempre osservare ogni particolare di qualsiasi situazione. Avevano fatto l’impossibile per fermare Zero e all’ultimo momento il loro alleato più importante aveva rivelato di voler tenere in libertà il loro nemico, si stavano sentendo terribilmente in colpa. Eppure lo guardavano mentre Kalut lo accompagnava verso una vetrata infranta per farlo fuggire con sé.
Poi accadde qualcosa: il ragazzo dai capelli bianchi sussurrò qualcosa all’orecchio di Zero. Questo si voltò verso Ruby e Sapphire.
− Avete perso qualcuno? – chiese, con uno sguardo di dolore puerile negli occhi.
− Un nostro amico è morto a causa di tutto questo – rispose Ruby. – Si chiamava Emerald ed è stato ucciso da Rayquaza. So che è stato Murdoch a causare il disastro a Vivalet, ma sei stato tu ad aver portato tutto questo.
Zero sembrava per la prima volta toccato dalle sue parole, lo stava ascoltando con attenzione.
− Non sei nostro nemico, ma voglio che tu sappia che molti innocenti sono morti a causa di tutto questo e uno di loro, in particolare, si è sacrificato per me, era una delle persone migliori al mondo – concluse.
Il sorriso sul volto di Zack era decaduto. Ciò che Ruby aveva detto lo stava facendo rimuginare su qualcosa. Tuttavia, ebbe poco tempo per farlo, quando Kalut lo prese e lo gettò nel vuoto. Braviary intervenne tempestivo, prendendolo al volo, e Xatu lo affiancò. Kalut e Zero scomparvero nell’oscurità della notte.
 
Gli abitanti di Porto Alghepoli assistettero ad una scena epica e drammatica. Il grattacielo FACES, il più alto della città, si sgretolò su se stesso. Implose scomparendo in una nuvola di polvere. Dalla sua sommità, comparvero due puntini verdi: un Flygon e un Tropius. Le loro cavalcature erano due Dexholder, che atterrarono tra la folla ammassata per le strade, in mezzo alle prime linee. Si era creato, attorno alla zona dell’incidente, un ampio cerchio di ambulanze, volanti, giornalisti. La notte di Porto Alghepoli era ormai colorata dalle luci blu della polizia e dai flash delle macchinette fotografiche, si avvertiva il caos tipico della folla: schiamazzi, chiacchiere, casino.
I due, finalmente in salvo, cercarono Silver e Crystal. Si guardarono attorno, chiesero ai passanti, gridarono a voce alta il loro nome. Poi lo videro: dalla nuvola di polvere, uscì una sagoma di grosse dimensioni.
Sapphire lo riconobbe subito: era il Feraligatr di Silver.
Gli corse incontro e vide molto di più. Il rettile portava i corpi del suo Allenatore e di un Lycanroc sulla spalla destra e nel braccio sinistro stringeva Crystal in posizione fetale. Li aveva portati fino a lì caricandosi di tutto il loro peso, nonostante avesse addosso i segni e la fatica di ben due battaglie. Il Pokémon lasciò i corpi ai paramedici e si gettò a terra per riposarsi. Era coperto di una mistura di sangue e polvere. Sia Silver che Crystal grondavano: lui dalla testa e lei dalla gamba. Immediatamente furono caricati su un’ambulanza che partì a razzo verso l’ospedale più vicino.
Sapphire e Ruby, che avevano seguito la scena da qualche metro di distanza, si accorsero si starsi tenendo la mano. Rimasero stretti l’uno a l’altra in mezzo a tutto quel caos, quella polvere.
Rimasero uniti nella folla, immobili, silenziosi, notturni.

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Capitolo 24
*** Epilogo - Perdersi In Un Mondo Esterno ***


Epilogo: Perdersi In Un Mondo Esterno
 
 
L’aeroporto di Ciclamipoli era un inferno. Il traffico di valige e persone soffocava come una cappa di aria consumata.
− Siamo arrivati troppo tardi… −commentò Blue, abbassando il PokéGear con aria sconsolata.
− Che succede? – chiese Green.
− Dobbiamo raggiungere l’Ospedale Civile di Porto Alghepoli, subito – ordinò lei.
− E la sede? – domandò Gold, stranamente serissimo.
− È un cumulo di macerie… − spiegò la ragazza.
 
− Sapphire! – esclamò la castana abbracciando l’amica, al centro del corridoio dell’ospedale.
− Dov’è Gold? – chiese la Dexholder di Hoenn, rispondendo all’abbraccio con riluttanza.
− Che succede? Dove sono gli altri? – chiese Blue, terrorizzata all’idea di una risposta.
Gold e Green comparvero al seguito della ragazza.
− Stai bene? Abbiamo visto che cos’è successo… − fece Green.
Sapphire non rispose. Guardava Gold.
− Sono entrambi in sala operatoria – disse. – Sono gravi.
 
− Rispondi, cazzo! – esclamò Ruby gettando il cellulare a terra.
Si trovava fuori, sotto le stelle oscurate dalle numerose luci dell’ospedale, come unica compagnia un infermiere. Il numero chiamato a vuoto era quello di Kalut.
− Latios, trovalo – ordinò.
L’infermiere mutò la propria immagine e al suo posto apparve il drago bianco e azzurro.
− Segui la traccia psichica di Kalut, dovresti riuscirci.
Il Pokémon acconsentì, volando via a velocità supersonica.
 
La corsia era in fibrillazione. Alcuni ostaggi, feriti da Zero nel confuso susseguirsi degli eventi, erano stati ricoverati. Tuttavia, nessuno di loro aveva riportato lesioni gravi o mortali. Non era la condizione dei pazienti ad allarmare i medici, ma gli avvenimenti da cui essi erano reduci. Pochi minuti prima, tremando nei loro camici, avevano seguito la diretta delle riprese condotte nella zona del grattacielo FACES. L’azione eroica di quattro Dexholder aveva preceduto il crollo dell’intero palazzo. Nessun morto, dicevano i reporter, gli ostaggi erano stati tutti salvati grazie al provvidenziale intervento dei ragazzi, tuttavia l’immagine della torre di vetro e cemento che collassava su se stessa aveva impressionato fortemente tutti gli spettatori. Inoltre, Zero era fuggito, il pericolo era ancora vivido.
− Andrà tutto bene… − si ripeteva Sapphire.
Blue fissava il vuoto, Green taceva immobile, Gold non trovava pace e continuava ad alzarsi per cercare una posizione più comoda. Ogni medico che passava nei pressi dei quattro Dexholder era bersagliato dalle loro occhiate che attendevano avidamente il responso di uno dei chirurghi. Le ore passavano, ormai fuori era notte inoltrata, eppure vi era ancora silenzio.
Ruby riapparve, rientrando in cerca dei suoi amici. Questi lo videro giungere tra loro e lo guardarono per un brevissimo istante solo per verificare che fosse veramente lui. Tutti tranne Sapphire, che lo invitò a sedersi accanto a lei. Prima che il ragazzo potesse risponderle, un chirurgo si avvicinò al gruppetto. Ognuno si rivolse verso di lui con la massima attenzione, come bambini attorno ad un vassoio di biscotti.
− Chi è qui per Silver? – chiese ingenuamente l’uomo in camice.
I Dexholder scattarono in piedi come delle molle, accerchiando l’uomo.
− Ecco, ha subito un grave trauma cranico dovuto alla caduta di alcune macerie – balbettò quello. − e abbiamo fatto il possibile per limitare i danni, ma il paziente è entrato in stato di coma. Non possiamo prevedere se e quando ci sarà una riabilitazione…
Blue rimase paralizzata, Gold lo stesso. Sapphire si voltò e si mise le mani tra i capelli, non riuscendo a credere alla situazione, Green non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento. Ruby era rimasto immobile fin dalla comparsa del chirurgo.
− Ci dispiace molto – mormorò questo, andandosene.
Blue rimase fissa in posizione per un tempo indeterminato, Gold si voltò e, imprecando, calciò una delle poltroncine scaraventandola contro il muro. Tutta la corsia tacque, fissandolo. Lui non se ne curò e si sedette a terra con la schiena al muro. Blue cominciò a piangere silenziosamente.
In quelle condizioni disumane, attesero ancora. Il sonno e la stanchezza non erano più fattori destabilizzanti per loro. Green non spiccicava una parola da ore, Blue aveva ancora il volto rigato dalle lacrime e Sapphire fissava il vuoto seduta accanto a Ruby. Gold, invece, giaceva ancora seduto a terra, con la testa china e le braccia poggiate sulle ginocchia.
Il chirurgo si ripresentò a loro, chiedendo se volessero vedere Silver. Acconsentirono tutti, tranne Gold e Blue. I due rimasero nelle loro posizioni senza parlare o muoversi. Per rispetto, i loro amici non misero bocca, lasciandoli lì senza insistere.
Green, Sapphire e Ruby entrarono invece nella stanza del Dexholder dagli occhi d’argento. Coraggiosamente, sostennero la visione: non era tumefatto o malridotto, aveva solo delle fasciature e dei fissatori che stabilizzavano la posizione del suo collo. Giaceva immobile nel letto, pallido e spento. I suoi capelli rossi erano disposti ordinatamente, ma erano stati rasati in maniera rude sulla nuca per favorire le incisioni dei chirurghi. Era collegato a qualche macchinario che probabilmente lo teneva in vita, risuonava nella stanza il costante bip dell’elettrocardiogramma. Poteva sembrare addormentato, ma soltanto ad un occhio ingenuo. Silver era quel tipo di persona che dorme con un occhio aperto, attento al minimo suono pure nelle fasi di sonno più profondo. Quando dormiva sembrava concentrato in un’azione complicatissima.
In quel pietoso stato di coma, invece, la sua espressione era serafica e tranquilla. Vi era un candore mai visto nel suo viso caratterizzato da una costante espressione di diffidenza e preoccupazione.
I ragazzi entrarono nella stanza e subito si resero conto di voler uscire. Nessuno parlò, nessuno fece movimenti eccessivi, nessuno respirò durante gli istanti che passarono lì dentro con quello che tanto sembrava il cadavere del loro amico. A salvarli da quella situazione fu la figura di un secondo medico che si affacciò sulla porta.
− Si tratta di Crystal – disse questo, più perspicace del collega di prima.
Ormai pronti a tutto, i Dexholder lo seguirono. Si aggregarono al gruppo pure Blue e Gold che, conservando l’espressione nera e il silenzio tombale, avevano abbattuto la loro dimora di solitudine per sapere qualcosa in più della loro amica.
− Ha subito una grave emorragia a causa della recisione dell’arteria femorale – disse il chirurgo. – siamo riusciti a impedire il dissanguamento, adesso è in condizioni stabili – un sottile velo di positività tornò nei ragazzi. – …ma la gamba destra era ormai andata in necrosi.
 
Simili ad angeli custodi apparvero a Crystal i suoi amici. Due sedevano, uno era crollato con la testa appoggiata al bordo del letto, altri due erano in piedi fissi e immobili. La ragazza riaprì gli occhi lentamente. Non lo sapeva, ma i suoi amici avevano atteso per ore quel momento. Dopo la chiamata del medico, avevano ottenuto il permesso di rimanere con lei fino al risveglio.
− Silver… − sussurrò la ragazza rientrando nel mondo reale.
− Crys – si ridestò Gold. – Ci sei? Come ti senti?
Sapphire e Ruby sembravano accennare ad un sorriso patetico. Gli altri neanche si lasciavano andare a tanto.
− Che è successo? – chiese Crystal con un filo di voce.
− Crys è… tutto finito, siamo vivi – cercò di rassicurarla Sapphire.
La ragazza riprendeva pian piano coscienza di ciò che aveva attorno. Un passo dopo l’altro, la sua espressione si faceva sempre meno vacua. Accennò quasi ad un sorriso, quando un’orribile sensazione le gelò il sangue tutt’ad un tratto.
 
I ragazzi erano fuori dalla porta. Crystal, in preda ad un pianto isterico, li aveva cacciati via, supplicandoli e gridando di lasciarla sola. Riuscivano a sentire i suoi singhiozzi smorzati dalla morfina e il suo pianto spezzato e interminabile. Ognuno di loro aveva fissa in testa la sua espressione talmente incredula e scandalizzata da mettere paura. La ragazza aveva mosso la mano e alzato la testa quanto le era bastato. Sotto il lenzuolo del suo letto d’ospedale, era riuscita a scorgere una singola forma, dove sarebbero dovute essere due le sagome visibili sotto il suo lenzuolo. Era scoppiata in una crisi, per quanto le sue scarse energie le permettessero e i medici erano dovuti intervenire con i sedativi, poi avevano rassicurato gli amici affermando di dover concedere a Crystal il tempo necessario.
Intanto, i ragazzi sostavano lì come degli stoccafissi. Non sapevano come agire, non sapevano cosa dire, non potevano non sentirsi in colpa per non essere finiti al loro posto.
Ad un certo punto, un infermiere passò davanti a Ruby, guardandolo intensamente, sparendo dietro l’angolo del corridoio. Il Campione di Hoenn si mosse, avviandosi verso l’uscita. Sapphire, senza neanche pensarci, lo seguì. Ruby attraversò mezzo ospedale, seguendo il ragazzo, fino a giungere ad un’uscita nascosta posizionata sul retro, accanto ad uno sgabuzzino serrato. Il ragazzo mise piede fuori, Sapphire gli comparve alle spalle. Stava sorgendo il sole, si trovarono in un ombreggiato spiazzale abbandonato, circondati dal complesso ospedaliero. L’infermiere che avevano seguito era scomparso, ma un Latios volava via in lontananza. Ruby se lo aspettava, si guardò attorno e intravide Kalut seduto sul davanzale di una finestra, poco sopra le loro teste.
Il ragazzo dai capelli bianchi guardava con rammarico ai due Dexholder di Hoenn.
− Ho saputo che cosa è successo ai vostri amici – disse loro, scendendo a terra con un salto. – Mi dispiace…
Sapphire lo fissava stupefatta, Ruby cercava di evitare il suo sguardo.
− Dove lo hai portato? – chiese Ruby andando dritto al punto.
− In un posto sicuro – rispose Kalut, stando al gioco.
− Lo abbiamo inseguito, abbiamo rischiato la vita, perso degli amici e lo abbiamo fermato, meritiamo di sapere dove si trova – rivendicò il ragazzo.
− A Sinnoh, con degli alleati – fece allora l’altro.
Sapphire si piazzò tra i due, entrando in gioco all’improvviso: − Parlate di Zero come se non si trattasse di un criminale! Che diavolo avete nel cervello?!
− Sapphire… − tentò Ruby.
Sapphire un cazzo! Silver è in coma e Crystal ha perso una gamba, è stato lui a far crollare quel palazzo sopra di loro! Lo capisci che continuare a fidarci di questo qui – e indicò Kalut – ci porta solo guai?!
− Calmati – le intimò Kalut con voce tranquillissima.
− No! Mi avete parlato della FACES ma state trattando tutta questa vicenda come se non ci fossi dentro anche io ormai… e così tutti gli altri! – esclamò, furente. – Voglio sapere tutto, anche quello a cui ha accennato Zero su di te, Ruby! Avete la minima idea di quello che è successo… Emerald, Silver… − il suo tono di voce si abbassava progressivamente, spezzandosi ogni tanto a causa dei singhiozzi.
I maschi rimasero in silenzio, lasciando che continuasse a sfogare lo stress accumulato.
− Sapphire – ritentò Ruby, rimuginando su ciò che lei aveva richiesto loro, si accorse di non sapere cosa dire.
− Va bene – acconsentì allora Kalut, stupendo entrambi.
Il trio si accampò sul tetto dell’ospedale che era illuminato dal sole nascente. Era tradizione, ormai, sedersi sui tetti per raccontarsi le storie.
− Zero vi ha già spiegato qualcosa sulla FACES – esordì Kalut. − lei si innesta all’interno del sistema, controlla le persone, giostra il mondo a proprio vantaggio. Lui ha voluto provare a distruggerla, prendendo il potere massimo, ma la FACES ha giocato d’anticipo, contrastandolo tramite i Superquattro, che si sono finti suoi alleati fin dall’inizio del suo mandato. Poi sapete come si sono svolti i fatti: Rayquaza e Vivalet, Zero scopre ciò che nascondono i suoi alleati, li fa fuori uno per uno, ma credo che non servano altri dettagli, conoscete molto bene i fatti.
Sapphire sbuffò, sprezzante, rievocando le immagini fisse nella sua testa della villa di Olivinopoli che crollava sotto le esplosioni e della morte atroce di Axel e Tiana, ammazzati a sangue freddo dal Deoxys di Zero.
− Zero si trovava in un periodo difficile. Lui ha un concetto molto particolare della giustizia, ma è anche perfettamente razionale. Ero sicuro che fosse in preda ad una crisi a causa di un litigio avuto con me – rivelò, stupendo entrambi gli ascoltatori. – Non mi sbagliavo, ha agito in maniera audace e impulsiva. Poi vi ha spiegato su cosa ha iniziato a basare la propria strategia: l’attacco alla sede FACES avrebbe dovuto attrarre l’attenzione di tutto il mondo, qualcuno avrebbe indagato sul movente di tale gesto, portando alla luce tutti gli intricati segreti della Federazione – proseguì Kalut.
− Avrebbe ucciso quelle persone? Gli impiegati, intendo – chiese Sapphire.
− Era sicuro che avremmo tentato di fermarlo, tant’è che ci ha anche anticipati con quello Zoroark a Zafferanopoli, inoltre lo avete trovato privo di armi, no? – spiegò il ragazzo.
− Aveva previsto anche che avremmo avuto due amici in condizioni gravi in ospedale? – sibilò Sapphire, arrabbiata.
− Si trovava all’apice della sua crisi, ripeto, vi ha permesso di fermarlo ostacolandovi comunque con i suoi Pokémon, il suo cervello continuava a litigare con se stesso… − chiarì Kalut.
− Questa non è una scusante – ribadì lei.
− Lo so, ma lasciatemi spiegare, Zack è un’arma potentissima da rivolgere contro la FACES, io e lui siamo… legati, diciamo, abbiamo bisogno di lui. Ha gli stessi nostri obiettivi, dovrà solamente capire dove si trova il limite da non superare.
− Parli di un noi – notò Ruby. – Di chi si tratta?
Kalut sospirò. Tacque, lasciando qualche secondo di silenzio.
− Dei tuoi avversari – esclamò Gold apparendo dietro di loro.
Kalut accennò un sorriso, si voltò seguendo l’esempio di Ruby e Sapphire. Si trovarono faccia a faccia con Gold, Blue e Green. Avevano un’espressione cupa in volto. Tutti quanti.
− Che succede? – chiese il Campione di Hoenn percependo l’aria di ostilità.
− Raccontaci tu che cosa succede, Ruby – gli chiese Gold.
Il ragazzo corresse i propri sensori. Non percepiva ostilità, ma rassegnazione. La sua voce sembrava quella di una madre rivolta ad un figlio appena colto con i buchi sulle braccia.
− Sei stato informato? – domandò Kalut.
− Aurora, lo sai bene – annuì Gold.
− Sì, lo ammetto, lo sapevo già.
− Quindi cosa sapete? – domandò Ruby rivolto sia a Kalut che a Gold.
− Loro erano certi che la FACES ti avesse reclutato… − spiegò Gold. – Ma quando noi siamo venuti a cercarti, abbiamo notato qualcos’altro… o no?
Ci fu il silenzio.
− Ruby, di che parlano? – chiese Sapphire, sentendo un brivido salire lentamente lungo la sua spina dorsale.
− La FACES mi ha obbligato – chiarì Ruby.
Il mondo si zittì, in ascolto del ragazzo. A Sapphire smise anche di battere il cuore.
− Mi hanno spianato la strada, mi hanno chiesto di diventare Capopalestra e poi Campione, di diventare il leader di Hoenn – la sua espressione era indefinibile, sembrava star confessando i propri peccati ad una folla di giudici. – Altrimenti, avrebbero fatto a voi… ciò che hanno fatto ai miei genitori.
Si levò un mugolio generale. Solo Kalut rimase impassibile.
− Ti hanno ricattato? – precisò Gold. – E noi eravamo la merce?
Ruby guardava a terra, rivolgendo ogni tanto gli occhi al suo interrogatore. Non aveva però il coraggio di alzare lo sguardo verso la sua destra, incrociando quello di Sapphire.
− Cristo… − commentò Blue, scuotendo la testa.
− Ho in mano il controllo di Hoenn, sono il Campione e il primo Coordinatore, ero il volto perfetto per apparire ovunque e gestire ogni canale di mercato, propaganda e informazione della mia regione. Grazie a me, sono riusciti a diffondersi a Hoenn, prendendone il controllo – concluse. – Non ho avuto la forza di oppormi…
Ci fu un secondo momento di stallo.
− Loro ti ordinano cosa fare? – chiese Gold.
− Mi hanno chiesto di agire per loro conto più e più volte… sono costretto a farlo.
− Sei un loro burattino… sei nostro nemico – concluse Gold.
− Nessun componente della Resistenza pensava fosse andata così, nel tuo caso – precisò Kalut. – Di solito la FACES corrompe e compra le persone, non le ricatta.
− Ma era tutto credibile, ho sempre cercato la fama… − proseguì Ruby. – Sarebbe stata la solita storia del ragazzo che diventa famoso e abbandona gli amici, tutto poteva essere partito dal trauma subito alla morte dei miei genitori. Neanche voi avete indagato o sospettato… ero la persona perfetta per quel ruolo – chiarì.
− La FACES ha messo su una gigantesca messinscena – mormorò Blue.
− Mi dispiace… − commentò Ruby. – Sono stati due anni terribili.
− Ruby… − sussurrò Sapphire.
I due riuscirono a guardarsi negli occhi. Lei era a metà tra la paura e la commozione. Si fissarono per un lasso di tempo interminabile. Nessuno parlò, nessuno si mosse.
− La Resistenza è attualmente l’unico corpo con l’obiettivo di sovvertire il dominio della FACES, prima che sia troppo tardi. Aurora, un membro, come me, ha spiegato tutta la situazione a Gold, due giorni fa, perché lui la spiegasse anche a loro – aggiunse Kalut, riferendosi a Green e Blue.
− Noi prenderemo parte a questa causa, ci hanno spiegato che cosa ha in mente la FACES, vogliamo aiutare – mise in chiaro Green, parlando per Gold, Blue e sé. – Tu saresti un aiutante fondamentale, avere dalla nostra parte uno dei membri fondamentali dei progetti della FACES… potrebbe garantire degli ottimi vantaggi.
Ruby rifletté su tutta la situazione. Mettersi tanto a rischio con la FACES alle costole poteva risultare pericoloso, quasi suicida, ma era sciocco continuare a eseguire i loro ordini. Ora che tra le fila nemiche si erano annoverati anche i suoi più cari amici, sarebbe stato inutile combattere sperando di non dover mai affrontare nessuno di loro.
− Potete darmi del tempo da solo? – chiese il ragazzo.
Gold e Green annuirono, Blue non lo guardò. Vide una sorta di pentimento in loro, la coscienza di aver commesso degli errori di valutazione. Lo avevano dimenticato, dopo due anni. Ingannati, erano caduti nella trappola.
− Ruby, aspetta – lo fermò Sapphire, mentre lui accingeva già ad andarsene.
Quello si voltò, all’ascolto.
− Perché te ne sei andato? Perché non hai continuato a fare quello che la FACES ti richiedeva mantenendo i contatti con noi? – gli domandò, con gli occhi lucidi.
Lui era mesto, in volto.
− Ho trasformato la mia Lega in una schifezza, i Superquattro sono personaggi da copertina, vado a trasmissioni per idioti su una televisione che diffonde merda che serve da distrazione per le masse… − mormorò, con gli occhi fissi a terra. – Io non riesco ancora a guardarvi in faccia – rise, con espressione distrutta.
Ruby si voltò e abbandonò il tetto, lasciando Kalut e i quattro Dexholder da soli.
Sapphire aveva ripreso a respirare, lentamente, passo passo.
− Devo lasciarvi – annunciò Kalut, chiamando Latios che si trovava in lontananza. I Dexholder si stupirono del fatto che avesse la capacità di comunicare con quei Pokémon senza Flauto Eone, solo Emerald ne era capace. − Se entrerete anche voi nella Resistenza, avrete un bel po’ di cose da imparare. Dovrete rivolgervi ad Aurora.
Quelli annuirono, vacui.
− Mi dispiace per i vostri amici… Zack non riesce a dormire per questo.
I Dexholder rimasero stupiti.
− Non scherzo, è così.
− Kalut – lo chiamò Blue. – Zack è tuo fratello?
Nessuno seppe mai da dove fosse uscita tale intuizione: forse era l’istinto femminile di Blue che aveva notato quel forte legame, forse la sua mente aveva collegato l’abilità inumana di Zero alla mente superiore di Kalut, forse invece lei stava rivedendo in Kalut e Zero ciò che erano una volta lei e Silver.
− Una specie – annuì Kalut. − È complicato – e fece il primo vero sorriso che i Dexholder gli videro fare dal giorno in cui si erano incontrati. – Ci rivedremo – disse, con sicurezza.
I Dexholder lo guardarono volare via sul rapidissimo Latios.
Ormai il sole era sorto, un nuovo giorno era iniziato.
 
− Mi dispiace, Sil… − mormorò Yellow.
La ragazza stringeva la mano al corpo in stato comatoso del Dexholder. Ai piedi del letto, c’era invece un Red la cui immagine sembrava esser stata stropicciata come un foglio di carta. Era pallido e mesto, con gli occhi stanchi e le occhiaie. Vestiva completamente in nero, non riusciva a guardare colui che era sdraiato sul lettino.
− Dobbiamo andarcene – mormorò Red, parlando alla sua ragazza.
− Vorrei passare da Crystal – si oppose lei.
− Non possiamo, è sveglia, nessuno deve sapere che siamo stati qui.
− Red, ti prego…
Quello si coprì il volto con la mano e girò le spalle.
− Posso capire che cosa provi… − mormorò lei.
− No, non puoi capirlo affatto – la accusò. – Io non ero lì. Sono stato un amico di merda.
− Non puoi darti la colpa per tutto, lo sai com’è la situazione… − provò a consolarlo lei.
− Sì, e so che il mio lavoro non è ancora finito.
− Mi dispiace tanto, Red.
Quello tacque per alcuni secondi. − Resta – le disse poi. − Torna da loro, non sei obbligata a seguirmi.
Yellow cominciò a scuotere la testa.
− Non posso farti questo, non posso trascinarti con me, fammi l’ultimo favore e torna con gli altri.
− Non voglio abbandonarti…
− Yellow – la fissò negli occhi. – te lo sto chiedendo io. Avranno bisogno del tuo aiuto.
La ragazza non poté trattenere le lacrime.
− Quindi è un addio? – domandò. – Vogliamo lasciarci così?
− Mi dispiace… − mormorò Red.
− Andrà tutto bene? – chiese lei, ormai ridotta ad un cencio.
− Sì, te lo prometto.
Non aveva il coraggio di abbracciarlo. Non le riusciva praticamente alcun movimento. Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, gli unici suoni erano i bip dell’elettrocardiogramma.
 
Crystal era sotto sedativi, sdraiata nel suo letto. Blue, Green e Gold sapevano che avrebbe impiegato tanto tempo a svegliarsi, ma ne avrebbe impiegato molto di più per accettare ciò che era accaduto a lei e a Silver. Entrarono nella stanza, sincerandosi che la ragazza fosse addormentata, fissarono sorpresi la figura esile che stava accanto al letto della loro amica.
− Yellow… − mormorò Blue.
− Ehi – saluto quella, con gli occhi gonfi dal pianto.
 
Ruby sedeva su una panchina e percepiva la brezza del mare con la pelle. A dieci metri di distanza da lui, c’era una ringhiera che precedeva il vuoto. La salsedine impregnava l’aria e, dal fondo del promontorio, si udiva lo scrosciante suono dell’acqua che sbatteva sugli scogli.
Poi il ragazzo udì uno sbattere di ali. Giunse accanto a lui un grosso Tropius che portava in groppa una ragazza. Questa ragazza si sedette accanto a lui sulla panchina e, arrossendo come un peperone, poggiò la testa sulla sua spalla.
− Buon compleanno – gli sussurrò la ragazza. Sapphire aveva seriamente rischiato di dimenticare che fosse arrivato il due luglio.
Lui non rispose, ma accennò un sorriso.
− Mi dispiace per tutto… − mormorò lei.
− No, sono stato un’idiota, non ho fatto nulla per oppormi a loro.
− Che cosa potevi fare?
− Avere fiducia in voi, farmi aiutare e combattere il problema al principio. Ho voluto agire da solo, come al solito. È per questo che gli altri mi detestano ora.
− Non ti detestano…
− Sapphire, ti prego…
La ragazza non ribatté.
− Mi sei mancato, Ruby.
− Anche tu.
− Significa che sei tornato?
− Non so cosa significa.
− C’è ancora tanta strada da fare… non andartene, non più.
Per qualche istante si udì solo il mare sbattere sulla roccia.
− Non me ne andrò – rispose Ruby.
 
 
Ceneri e Piume
Fine

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