La fiamma degli Immortali

di Jill_BSAA
(/viewuser.php?uid=125040)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1- Disperazione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                              - Prologo -



Le fiamme ci avvolgevano completamente.
Potevo sentire il sentore dolciastro delle carni bruciate, l'odore ferroso del sangue fresco, gran parte del quale era sparso sul mio corpo, trofeo di tutti i nemici che avevo abbattuto dall' inizio dell' attacco.
Nonostante davanti ai miei occhi si aprisse solo un panorama di disperazione e dolore, una vaga ebrezza mi invadeva le membra indolenzite spingendomi a combattere ancora senza preoccuparmi per l'incolumità della mia stessa vita, perchè di lì a poco non ne avrei più posseduta una tuttavia il mio spirito combattivo continuava ad ardere nel mio corpo. Continuai a camminare, nella mano destra sentivo la presa stretta sulla mia spada, potevo percepire l'elsa premere e sfregare contro la mia pelle, una sensazione familiare e rassicurante. Scavalcai il corpo di un nemico ed un altro di essi entrò nel mio campo visivo, ero sola eppure un sorriso arrogante si aprì sul mio volto, strinsi di più la presa sull'elsa e portai la lama davanti al mio corpo, quando la bestia grugnì correndomi incontro il mio corpo si mosse da solo. Tranciai il braccio destro del Demone con un fendente e con un secondo colpo lo abbattei completamente, lasciandolo al suolo rantolante. Mi ero trovata molte volte in questa situazione, i demoni Sorok erano i nostri peggiori nemici dall'alba dei tempi, ma ora erano entrati a migliaia nelle nostre terre, e noi non potevamo più tenerli a bada. Mi asciugai velocemente un rivolo di sangue che mi colava dal volto, sangue nemico, e continuai a camminare lasciando che lo sguardo vagasse sul panorama desolato. Tutte le grandi abitazioni erano crollate, i negozi bruciati, cadaveri di amici e nemici giacevano al suolo e constatai con un brivido che quella sarebbe stata, forse, la fine. Improvvisamente un clangore vicino di armi mi risvegliò dal torpore dei miei pensieri. Mi lanciai in una corsa selvaggia e in breve tempo fui davanti a tre persone, due Demoni ed un uomo che riconobbi senza batter ciglio. 
"Arcais! ".
Gridai, cercando di attirare la sua attenzione e quella dei suoi assalitori ma i due erano troppo impegnati a menare pesanti colpi d'ascia sullo scudo dell'uomo. Con un balzo fui dietro a loro, il primo lo uccisi conficcandogli la punta della spada a fondo nel torace, dove sapevo esserci il cuore, mentre il secondo si girò e con un urlo mi getto a terra con un calcio ben piazzato contro il mio torace. Volai per diversi metri prima di ricadere rovinosamente a terra, sbattendo la schiena contro pietre crollate da qualche struttura vicina, gemetti lasciando andare la spada ma non feci in tempo a vedere il mio compagno fracassare il cranio del Demone con un colpo delle propria mazza.
"Stai bene?".
La sua voce era roca per lo sforzo della battaglia.
"Credo di si...".
Gemetti, afferrando la sua mano e rimettendomi in piedi, ripresi la mia spada e tornai al fianco di Arcais.
"Sono troppi.." 
Constatai deglutendo un groppo alla gola che altro non era che il sentore della sconfitta imminente.
"Proprio tu stai pensando ad arrenderti?"
Nonostante stessimo per morire potevo sentire la sua spavalderia venir fuori da quel sorriso che le illuminava il volto.
"Lei non potrà salvarci questa volta".
Sospirai abbassando lo sguardo, amareggiata.
"Non percepisco la sua presenza, questa è la fine".
Sospirai ancora una volta, conscia di aver detto la verità e voltai lo sguardo dal volto dell'uomo per fissarlo sull' enorme vortice nero che si stava per abbattere su di noi, potevo percepire il male sprigionarsi ad ogni nemico che vomitava fuori insozzando e macchiando maggiormente quello che era rimasto di Liria, il nostro mondo.
"Perfino la Grande Madre ci ha abbandonati".
Sentì la sua mano stringersi intorno alla mia che tremava leggermente, era la prima volta che perdevo in tutta la mia vita.
"Talia..."
Scossi il capo abbozzando un sorriso che voleva soltanto rassicurare l'altro.
"Va tutto bene".
Ripresi nuovamente una posizione di guardia, in attesa che i nuovi Demoni si abbattessero sui nostri scudi ma non accadde. Tutto si fece nero e persi la cognizione del mio corpo e della mia coscienza .
La  Madre, al fine, non ci aveva abbandonati.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1- Disperazione ***


                                           
                                                           - Disperazione -






Intorno a me iniziai a percepire nuovamente gli odori ed i suoni che mi circondavano, sebbene indistintamente. Quelle poche informazioni mi assicurarono che, in qualche modo, mi ero allontanata dalla battaglia poichè non percepivo più lo stridere delle armi e le urla. Il ricordo improvviso di quella guerra mi diede una fitta al cuore e la colpa di non essere morta con il mio popolo mi oppresse fino a far uscire una lacrima che mi rigò il volto per qualche istante prima di finire oltre il limitare del mento. Sommessamente recitai una preghiera per le anime dei denfunti e cercai di allontanare quei pensieri di morte dalla mia mente, già troppo confusa e frastornata. 
Decisi di alzarmi, smettendo di piangermi addosso ma sentì qualcosa di viscido ed estremamente rugoso sulla guancia ed il mio corpo reagì quasi per istinto, tirai un pugno alla cosa o persona che era sopra di me, per autodifesa. In risposta al mio colpo, estremamente fiacco, sentì belare e i passi concitati di qualcosa che si allontanava, una pecora che mi aveva scambiato per un pasto gustoso.
Inspirai profondamente scoprendo che i polmoni mi dolevano, che  il capo mi girava e che ogni singola fibra del mio corpo era avvolta da un dolore insopportabile che mi faceva lacrimare. Gemetti, ma in maniera disperata cercai di aprire gli occhi e quando lo feci, il panorama intorno a me girò per qualche istante prima che ogni elemento tornasse al proprio posto.
Provai ad alzarmi ma quel movimento improvviso e repentino mi strappò un ulro, mi morsi il labbro inferiore, resistendo alla voglia di tornare a stendermi sull'erba verde sulla quale mi trovavo. MI guardai intorno, disorientata, non conoscevo nessuna terra che corrispondesse a ciò che, ora, avevo davanti agli occhi. Mi trovavo in un campo molto esteso dove il bestiame stava pascolando, dove il verde brillante dell'erba ed il colore variopinto dei fiori erano cos' brillanti da farmi venire la nausea, perfino l'aria era frizzante e il suo contatto con il mio viso era estremamente piacevole. Mi misi in piedi, non senza molta fatica, e riuscì a muovere qualche passo prima di ricadere malamente al suolo, sbattendo violentemente le ginocchia contro il terreno e a stento riuscì a trattenere un conato di vomito, ingollando saliva carica di bile più e più volte prima di provare nuovamente a rimettermi in piedi. Finalmente ce la feci dopo vari tentativi ed inizia ad incamminarmi alla cieca verso quello che sembrava un lontano villaggio.
Ero sola, le miei armi non erano con me e, per questo, mi sentivo estremamente vulnerabile, i vestiti laceri riuscivano quasi a stento a coprire il mio corpo e soprattutto emanavo un cattivissimo e pungente odore. Avevo fame e mi sentivo debole e stancaa, le mie labbra erano arse da una sete cocente.
Quando misi piede nel villaggio, un piccolo barlume di speranza si accese nella mia mente e nel mio cuore, qualcuno avrebbe potuto aiutarmi e spiegarmi in quale posto fossi capitata. Spostai lo sguardo sui pochi presenti, il villaggio  era formato da poche case poste a formare un cerchio in mezzo al quale era presente un'aia, probabilmente si trattava di una fattoria piuttosto grande. Un bambino si attaccò alla gonna della madre nel vedermi, nascondendosi dietro le sue gambe.
"Mamma, ancora i vagabondi? Ma il papà non gli aveva vietato di infestare casa nostra?"
Quella parola mi ferì come un colpo in pieno viso, io che ero stata una delle più grandi sacerdotesse del mio tempo venni chiamata con l'appelativo di vagabondo,  cercai di replicare ma dalla gola uscì solamente un gorgoglio senza senso ed il bambino, impaurito scappò verso la sua casa.
Camminai ancora, muovendo pochi passi, tutti mi guadavano con circospezione e paura, non li biasimavo dovevo avere un aspetto terrificante. Poco dopo sentì il terreno venir meno sotto i miei piedi, gli occhi si serrarono e svenni, ancora una volta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3641105