Speranza e Rinascita

di Recchan8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Risveglio - Atto 1: Kunzite ***
Capitolo 3: *** Risveglio - Atto 2: Passato ***
Capitolo 4: *** Risveglio - Atto 3: Jupiter ***
Capitolo 5: *** Presenze - Atto 1: Confronto ***
Capitolo 6: *** Presenze - Atto 2: Chiave ***
Capitolo 7: *** Presenze - Atto 3: Anomalie ***
Capitolo 8: *** Presenze - Atto 4: Mars ***
Capitolo 9: *** Tarocchi - Atto 1: Sailor Earth ***
Capitolo 10: *** Tarocchi - Atto 2: Bugiardo ***
Capitolo 11: *** Tarocchi - Atto 3: Ferita ***
Capitolo 12: *** Tarocchi - Atto 4: Aperitivo ***
Capitolo 13: *** Tarocchi - Atto 5: Fraintendimento ***
Capitolo 14: *** Confusione - Atto 1: Cellulare ***
Capitolo 15: *** Confusione - Atto 2: Sconosciuto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Venti potenti imperversano e abbattono tutto ciò che incontrano.

Onde marine si infrangono con infinita violenza sulle coste.

Tuoni e fulmini squarciano il cielo.

Piogge infinite si riversano sulla terra.

Lingue di fuoco lambiscono tutti gli esseri viventi.

Il tempo di distorce.

Le civiltà vengono distrutte.

La luce della luna si affievolisce, fino a scomparire.





 

 

Non temete, anime flagellate dal fato avverso.

Dopo la fine ci sono sempre speranza e rinascita.

La sottoscritta, protetta del pianeta del silenzio, la guerriera della morte e della rinascita, Sailor Saturn, con la rinascita di questo mondo dona a voi, tristi anime, una seconda possibilità.









 



NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti! Questa è la mia prima fanfiction su Sailor Moon; non ho mai scritto niente su quest'opera >w< Oggi ho finito di vedere la terza stagione di Sailor Moon Crystal e una piccola idea ha subito preso a ronzarmi in testa... 
Cosa sarebbe potuto accadere se Sailor Saturn avesse distrutto la Terra e l'avesse ricreata? Magari gli Shitennou...!
Eheheh. Da qui è nato il mio proposito di creare una fiction, una What-If? e AU, in cui gli Shitennou hanno avuto una seconda possibilità per fare qualcosa che non vi dico ma che è facilmente indovinabile.
Spero di avervi incuriositi abbastanza :> Questo, purtroppo, è solo un piccolo e misero prologo.
Data la sessione d'esami estiva (e vista la quantità di fanfiction che porto avanti su questo sito), l'aggiornamento di "Speranza e Rinascita" non sarà regolarissimo >w< 
Grazie a chiunque deciderà di dare fiducia a questa fic e a me :>>>
Alla prossima! ^^

 

 

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Capitolo 2
*** Risveglio - Atto 1: Kunzite ***


I corsi all'università erano iniziati da poco più di una settimana, ma Kunibert stava già iniziando a stufarsi della sua nuova vita. Una città da scoprire, un appartamento tutto per sé, nuove conoscenze... Kunibert si sentiva al tempo stesso elettrizzato e incredibilmente deluso; sapeva che nel giro di pochi giorni si sarebbe abituato alle novità e la sua esistenza sarebbe sprofondata nuovamente nel baratro della monotonia e della banalità.
Quella notte, però, qualcosa cambiò.
Si svegliò di soprassalto. Avvertiva un caldo infernale pervadergli il corpo, e un fitto e acuto dolore alla testa sembrava non volere permettergli di tornare a dormire. L'eco di una voce pacata ma autoritaria gli risuonava nelle orecchie.
"...Una seconda possibilità".
Come in un loop, quella frase continuava a riprodursi nella sua mente. Kunibert, con un gesto deciso, si tolse di dosso il leggero lenzuolo e scese dal letto. Con una mano premuta contro la fronte grondante di sudore, il giovane si precipitò in bagno e si sciacquò il viso con dell'acqua ghiacciata. Guardò il suo riflesso allo specchio, e un ragazzo dagli occhi grigi e dai capelli bianchi gli restituì l'occhiata spaesata. Kunibert si passò una mano tra i capelli, facendola poi scivolare lungo la nuca rasata; si tastò titubante i lati della testa, anch'essi rasati, e tornò a giocherellare distrattamente coi capelli che era solito fonare e acconciare con cura.
-”Va tutto bene”- mormorò al proprio riflesso. -”Capita a tutti di fare degli incubi, no?”-.
Inspirò profondamente ed espirò rapidamente, cercando di svuotare i polmoni il più possibile. Il mal di testa era scemato, e così quel fastidiosissimo eco. Kunibert, dopo essersi ripetuto per l'ennesima volta che andava tutto bene, lasciò il bagno e tornò in camera, buttandosi sul letto e passando un minuto buono a rigirarsi tra le lenzuola sfatte, spiumacciando il cuscino e cambiano continuamente posizione. Sbuffò e si costrinse a chiudere gli occhi. Pazienza, prima o poi sarebbe riuscito a riprendere sonno.
Nel silenzio della notte, un gratificante ma inquietante ammonimento venne sussurrato alle orecchie di Kunibert.
...Tristi anime, una seconda possibilità”.

 

 

-”Non vorrei risultare volgare, ma cazzo, cos'hai combinato stanotte?”-.
-”Non sono riuscito a dormire...”-.
-”Be', si nota”-.
Tutte le mattine, dal martedì al venerdì, Kunibert e Dacre si davano appuntamento per le sette e mezza davanti al bar La Cartella per andare a lezione insieme. I due si erano conosciuti un mese prima nella coda per la segreteria universitaria; entrambi si trovavano laggiù per l'immatricolazione. Da quel giorno, dopo aver scoperto di essersi iscritti alla stessa facoltà (Scienze Politiche), si erano tenuti in contatto ed erano diventati amici.
Kunibert si sistemò gli occhiali da sole sul naso per nascondere le profonde occhiaie che gli cerchiavano gli occhi grigi e si strinse nelle spalle. Dacre si passò distrattamente una mano sui corti capelli neri e fece schioccare la lingua.
-”Abbiamo appena cominciato e già ti riduci a fare le ore piccole sui libri?”- disse sistemandosi su una spalla lo zaino arancione. -”Cazzo Kun, siamo solo a ottobre! Guarda che la sessione invernale comincia a dicembre”-.
Kunibert roteò gli occhi e non rispose; non ne aveva la forza.
I due ragazzi presero a camminare lungo Corso Nazionale, la via principale del centro storico di Site, una larga strada pedonale costeggiata di negozi e bar. Kunibert mal sopportava la parlantina senza freni di Dacre, ma quella mattina si ritrovò ad apprezzarla notevolmente; sembrava essere l'unica cosa in grado di sovrastare quella maledetta voce che gli infestava le orecchie dalla notte.
...Dona a voi, tristi anime, una seconda possibilità”, aveva detto poco prima che Kunibert raggiungesse l'amico all'appuntamento giornaliero. Ogni volta un nuovo pezzo veniva aggiunto all'ammonimento.
-”Dacre, hai idea di come si possa guarire dalle allucinazioni uditive?”- gli domandò a bruciapelo, interrompendo il fiume in piena di parole dell'amico.
Il ragazzo moro si zittì e ci pensò su qualche secondo.
-”Psicofarmaci”- rispose come se fosse una cosa ovvia. -”Psicofarmaci come se non ci fosse un domani. E' per questo che non hai dormito?”-.
Si fermarono al semaforo situato poco prima del Ponte di Mezzo, uno dei nove ponti che attraversavano il fiume Benno, il fiume che divideva in due parti Site. Dacre lanciò un'occhiata a Kunibert, attendendo una sua risposta. Il ragazzo dai capelli bianchi, più alto di Dacre di una decina di centimetri, indurì la mascella.
-”E' lo stress”- lo rassicurò il giovane moro con un'alzata di spalle. Il semaforo pedonale divenne verde e i due attraversarono la strada, proseguendo poi lungo il marciapiede destro del ponte. -”Ti sei trasferito da poco in una nuova città e vivi da solo in un appartamento. Secondo me è lo stress”- ribadì guardando distrattamente le gabbianelle che galleggiavano sulla superficie del fiume.
Kunibert non ne era convinto. Per niente. Era sempre riuscito a tenere sotto controllo lo stress; mai nella vita gli era capitato di aver avuto una crisi emotiva o psicologica. Kunibert era, sostanzialmente, un ragazzo dai nervi d'acciaio. Eppure quella maledettissima voce lo stava mandando in paranoia. Lo preoccupava, lo inquietava, lo spaventava...
...Lo rassicurava.
Cosa c'era di rassicurante in una voce sconosciuta che continuava a cantilenare una frase in continua espansione e apparentemente senza senso? Non ne aveva idea.
Possibile che io sia impazzito da un giorno all'altro?”.
-”Non hai una bella cera”- constatò Dacre quando arrivarono davanti alla Facoltà di Scienze Politiche.
Kunibert sorrise forzatamente. Non stava per niente bene. Una tremenda nausea gli aveva attanagliato lo stomaco e sempre più frequenti brividi gli scuotevano la schiena. Diede all'amico il proprio zaino nero e gli disse di andare a prendere i posti in aula.
-”Vado un attimo al bagno. Torno subito”- spiegò incamminandosi a passo spedito verso i bagni del piano terra.
Dacre, rimasto in mezzo al corridoio con due zaini in spalla, aggrottò le sopracciglia, perplesso, e fece come Kunibert gli aveva detto.
I bagni erano vuoti. Kunibert aprì il rubinetto di uno dei quattro lavandini e mise entrambi i polsi sotto il getto freddo dell'acqua. Alzò il capo verso l'alto e chiuse gli occhi, facendo dei bei respiri profondi. Forse doveva tornarsene a casa. Evidentemente non era nelle sue condizioni psicofisiche migliori. Sarebbe riuscito a seguire le lezioni? Odiava dover chiedere gli appunti ai suoi compagni di corso.
Tolse i polsi da sotto l'acqua e si sciacquò il viso e il collo. La pelle quasi diafana delle sue mani si era arrossata. Alzò gli occhi per guardarsi allo specchio, pronto a impallidire di fronte alle sue schifose occhiaie, ma quando si accorse che l'immagine riflessa non era la sua, fece qualche frettoloso e spaventato passo all'indietro, e dovette reggersi alla porta di una delle toilette dietro di lui per non cadere a terra.
...Con la rinascita di questo mondo dona a voi, tristi anime, una seconda possibilità”, mormorò la voce.
Kunibert non capiva: il giovane che lo stava fissando dall'altra parte dello specchio sembrava proprio lui, ma... Com'era possibile? Il suo riflesso portava indosso una semplice divisa militare bianca dalle rifiniture argentate e un lungo mantello bianco appuntato sulle spalle da due spille di platino; i capelli, bianchi come quelli di Kunibert, erano lunghi e lisci, e gli ricadevano lungo le spalle; alle orecchie del suo riflesso pendevano due orecchini argentati.
Istintivamente, Kunibert alzò un braccio, ma il giovane nello specchio non seguì il suo movimento; questo lo fissava negli occhi con uno sguardo autoritario e duro, quasi tagliente. Voleva domandargli chi fosse, cosa stesse succedendo, ma le parole gli morirono in gola quando il ragazzo riflesso alzò un dito e scrisse un nome sulla superficie dello specchio che lo separava da Kunibert. Il giovane dai lunghi capelli candidi svanì come sabbia mossa dal vento e le lettere da lui tracciate brillarono per qualche secondo di una luce argentata.
-”...Kun... zi... te...”- lesse lentamente Kunibert.
Gli bastò pronunciare quel nome ad alta voce per ricordare tutto.
La sua mente venne come rischiarata dalla luce di un lampo improvviso e davanti ai suoi occhi prese a vorticare un numero infinito di immagini, di scene di sangue e violenza, di amore e odio, di tristezza, rimpianto e rimorso, di speranza e rinascita.
Kunibert si accasciò al suolo, boccheggiando, col cuore che batteva all'impazzata e il respiro affannoso. Come aveva potuto dimenticare tutto? Come aveva potuto permettere che le sue memorie venissero sigillate?
Una solitaria e silenziosa lacrima scivolò lungo la sua guancia.
Doveva ritrovare i suoi compagni.
Doveva ritrovare il suo Principe.
Doveva ritrovare lei, l'amore della sua vita.
Si alzò lentamente in piedi, le gambe ancora un poco tremanti, e volse gli occhi grigi verso il proprio riflesso.
-”Il mio nome è Kunzite, comandante dei Quattro Generali Celesti. Sfrutterò la seconda possibilità da te gentilmente concessa per redimere la mia anima dai peccati della mia vita precedente”- disse.

 

 

Sulla superficie di un lontano e silenzioso pianeta, la Guerriera della Morte e della Rinascita sorrise.

 

 

 









NOTE DELL'AUTRICE
Non mi sembrava carino lasciarvi con soltanto un prologo, così mi sono data da fare e ho scritto il primo capitolo di questo mio nuovo progetto. Già, nonostante sia la reincarnazione di Kunzite, Kunibert non ha il suo stesso taglio di capelli; volevo portare un po' di novità, così ho rivisitato l'aspetto delle reincarnazioni. Anche gli altri Shitennou avranno un taglio diverso di capelli? Lo scoprirete ;) 
Per questa fic, ho deciso di adattare la versione italiana di "Shitennou", ovvero "Quattro Generali Celesti"; mi sembra suoni un po' meglio.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo inizio :)
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 3
*** Risveglio - Atto 2: Passato ***


La prima cosa che Kunibert fece una volta terminate le lezioni fu andare al centro piercing in Via Massaneo per farsi i buchi alle orecchie. Dacre aveva provato a dissuaderlo, continuando a insistere sul fatto che “gli orecchini sono sempre stati da finocchi”. Kunibert non gli aveva dato ascolto; sentiva il bisogno di possedere qualcosa che lo avvicinasse il più possibile all'uomo che era nella sua vita precedente. Kunzite aveva due bellissimi pendenti argentati e Kunibert, non appena si fosse levato gli orecchini chirurgici, se ne sarebbe comprato un paio il più possibile simile a quelli che aveva visto indossare al suo riflesso.
Nonostante fosse completamente contrario a quella improvvisa decisione, Dacre aveva accompagnato l'amico al centro piercing; sperava che la vista della pistola avrebbe fatto scappare Kunibert con la coda tra le gambe. Purtroppo per lui, serviva ben altro per spaventare l'amico dai nervi d'acciaio.
-”Belli, davvero”- commentò sarcasticamente Dacre una volta che furono usciti dal centro piercing.
Kunibert si toccò i lobi delle orecchie in fiamme e si strinse nelle spalle. Che lo prendesse in giro quanto voleva, tanto a lui non importava. Dacre non poteva capire. Guardava la propria immagine riflessa nelle vetrine dei negozi di Via Massaneo e sorrideva sommessamente. Nei suoi occhi grigi brillava una fortissima luce, la determinazione di un valoroso comandante deciso a ritrovare i compagni perduti.
-”La pianti di fissarti?”- lo riportò alla realtà la voce scocciata di Dacre. -”Come sei vanitoso! Peggio di una ragazza!”-.
-”Sei invidioso?”- lo punzecchiò Kunibert assottigliando gli occhi.
Dacre fece schioccare la lingua e scosse la testa.
Lui invidioso di Kunibert?
Assolutamente sì.
A Dacre non era mai andato giù il fatto che ogni donna che i due ragazzi conoscevano sembrava avere occhi solo per Kunibert, per i suoi capelli argentati, per il suo sguardo di ghiaccio, per il suo fisico atletico e per i suoi modi impeccabili. Quando era in sua compagnia, Dacre svaniva. La luna aveva deciso di benedire Kunibert con la sua luce argentata e a Dacre era concesso solamente di vivere nascosto nella sua ombra.
-”Dovresti imparare a essere un po' più umile”- borbottò il ragazzo moro.
Kunibert non capì. Gli lanciò un'occhiata interrogativa, ma Dacre la ignorò e tornò immediatamente a essere la solita persona col sorriso stampato sulle labbra.
L'ombra appena passata nello sguardo di Dacre non sfuggì agli occhi di Kunibert. Il giovane dai capelli argentati provò a instaurare con lui un contatto visivo, ma fu tutto inutile; gli occhi di Dacre erano sfuggevoli come non lo erano mai stati. Kunibert fu tentato di piantare i piedi per terra e di obbligarlo a vuotare il sacco, ma sapeva che sarebbe stata solamente una perdita di tempo: Dacre era un ragazzo dannatamente cocciuto.
I due amici, una volta giunti in fondo a Via Massaneo, si salutarono: Dacre girò a destra, attraversò il Ponte della Perdita e si tuffò nel Viale delle Tacce, un lungo viale alberato che costeggiava il fiume Benno; Kunibert, invece, girò a sinistra, percorse Via dei Licei e passò davanti all'entrata del bar La Cartella. Lanciò una rapida occhiata dietro al bancone e storse un poco la bocca quando vide quel ragazzo castano intento a preparare due caffè a una coppia di turisti. Il ragazzo in questione, avvertendo una strana presenza, alzò lo sguardo e incrociò gli occhi grigi di Kunibert. Sorrise.
-”Ciao Generale!”- lo salutò sventolando una mano.
Kunibert, leggermente stizzito, ignorò la presa in giro del ragazzo e se ne andò, le mani ficcate nelle tasche dei jeans.

 

 

Tutte le mattine, dal martedì al venerdì, Nehemias, una tazzina da caffé in una mano e un panno pulito nell'altra, osservava Dacre e Kunibert trovarsi, salutarsi e incamminarsi verso l'università. Corso Nazionale e La Cartella erano luoghi situati in posti turisticamente strategici; la quantità di persone che Nehemias vedeva ogni giorno era impressionante. Non dotato di una memoria fotografica e noto tra i colleghi per il suo atteggiarsi da superiore e da uomo vissuto, solo un volto si era da sempre distinto in mezzo alla folla e si era impresso nella sua mente: quello di Kunibert. Nehemias non sapeva spiegarne il motivo, ma, da quando lo aveva visto per la prima volta, ogni volta che lo incontrava avvertiva un fastidiosissimo senso di déja-vu; la mente gli si annebbiava per qualche secondo, lo stomaco veniva attanagliato da una dolorosa morsa, e un rivolo di sudore freddo gli correva lungo la schiena. Nel corso dei giorni aveva imparato a nascondere questo suo senso di disagio dietro a una ben costruita facciata di goliardia, ma il viso di Kunibert, con i suoi risoluti e altezzosi occhi grigi, lo perseguitava anche nei sogni, insieme a una delicata ma autoritaria voce.
...Con la rinascita di questo mondo dona a voi, tristi anime, una seconda possibilità”.
Anche quel pomeriggio, intento a servire due clienti, aveva dovuto fare il possibile per non mostrare il proprio turbamento causato dalla vista di Kunibert.
La situazione stava cominciando a essere davvero pesante.

 

 

Ricordava tutto.
Tutto.
Quella maledetta e fatale notte di terrore in cui un fiume di sangue scarlatto aveva inondato e macchiato la splendida terra argentata del Silver Millennium e il fertile e rigoglioso terreno del Golden Kingdom, quando il cuore spezzato di una donna terrestre era diventato il triste ma potente ricettacolo dell'entità malvagia che aveva condotto tutti alla morte. Come aveva potuto dimenticare le grida dei due popoli trucidati da una furia inaudita? Come aveva potuto dimenticare quel raggio di luce che correva lungo la lucida lama della spada che aveva trafitto il petto del Principe Endymion? Adesso, la folle risata sguaiata di Beryl risuonava nelle sue orecchie. La Principessa Serenity si suicidò, perché una vita vissuta senza Endymion non era degna di essere chiamata tale. Uno a uno aveva visto i suoi compagni cadere, divorati da un ammasso di corpi e da un torrente di sangue. A nulla valsero gli sforzi delle protette dei pianeti, le belle guerriere che vestono alla marinara: anche loro, giovani donne nel fiore degli anni, perirono sotto i colpi scatenati dall'entità malvagia Queen Metallia. Solo alla Guerriera dell'Amore e della Bellezza fu concesso qualche attimo di vita in più. Davanti ai suoi occhi passarono delle immagini che non avrebbe mai voluto rivedere: mani tremanti di rabbia, lacrime cristalline su guance sporche di sangue, labbra rosee contratte in una smorfia di odio; una donna demoniaca trafitta dalla Spada di Cristallo d'Argento Illusorio e lei, la sua dea che si voltava a guardarlo per l'ultima volta.
Come aveva potuto farle poi del male? Come avevano potuto, lui e gli altri tre Generali Celesti, farsi manipolare dalla reincarnazione della bestia che aveva distrutto il loro regno? Come avevano potuto macchiare così l'onore del loro principe e della Regina Serenity, colei che aveva loro concesso la reincarnazione?
Kunibert, steso sul letto, incrociò gli avambracci sul volto e pianse. Le lacrime che gli rigavano il viso erano piene di rabbia e frustrazione.
Non ti domandi per quale motivo la tua anima sia stata richiamata sulla Terra una seconda volta?”, si insinuò dolcemente nella sua mente la voce di Sailor Saturn. “Quale infausto evento si sia presentato?”.
-”Ti supplico di parlarmene”- mormorò Kunibert.
Fu la venuta dell'invasore Master Pharaoh 90. La risonanza dei tre Talismani mi evocò. Il destino della Terra era stato scelto. Ruotai la mia falce, Silence Glaive, verso il basso, e la Terra venne distrutta e ricreata. E' questo il mio dovere in quanto Guerriera della Morte e della Rinascita”.
L'immagine del corpo dei suoi cari dilaniato e distrutto da forze oscure si piantò nella sua mente. Kunibert serrò la mascella e ricacciò indietro le lacrime. Chissà se Venus, almeno quella volta, era morta col sorriso sulle labbra...
Vi ho concesso una nuova possibilità perché siete anime degne di lode. Volgi lo sguardo al presente, Kunzite, perché i tuoi compagni sono più vicini di quanto tu possa immaginare”.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Risveglio - Atto 3: Jupiter ***


Da quando le sue memorie si erano ridestate, Kunibert aveva iniziato ad avvertire delle losche presenze nella sua città. Temendo che si potesse trattare di una nuova minaccia, aveva più volte tentato di mettersi in contatto con Sailor Saturn, l'unica persona che oltre a lui era a conoscenza della verità passata. Purtroppo, però, non era così facile evocare la Guerriera della Morte e della Rinascita, neppure per una “semplice” discussione telepatica; solo Sailor Saturn poteva decidere quando degnare Kunibert della propria presenza mentale. Il giovane dai capelli argentati si era rassegnato: se quella era la volontà della bella Guerriera, lui non vi si sarebbe opposto; in quanto comandante dei Quattro Generali Celesti avrebbe fatto affidamento sulle sue sole forze.
E su quelle dei propri compagni.
Se solo riuscissi a trovarli”, pensò disegnando con forza una X sul quaderno degli appunti.
Dacre, seduto alla sua destra, lanciò una rapida occhiata al compagno e, pensando che volesse fare una rapida partita a filetto, si apprestò a disegnare la griglia sul quaderno dell'amico. Kunibert lo guardò accigliato.
-”Comincio io”- disse il ragazzo moro sottovoce.
-”A fare cosa?”-.
-”Non vuoi giocare a filetto?”- domandò Dacre indicando la grande X con la punta della matita. Kunibert aggrottò la fronte e scosse lentamente la testa. -”Allora si può sapere cosa stai facendo? Non è da te essere così distratto a lezione”-.
Kunibert, un lieve ed enigmatico sorriso sulle labbra, posò la penna sul proprio quaderno e si strinse nelle spalle. Dacre non riuscì a dare un senso alla tacita risposta dell'amico. Odiava quando Kunibert faceva il misterioso; in quei casi il ragazzo dagli occhi grigi adottava una sorta di mal velata superbia che lo mandava in bestia. Dacre schioccò la lingua e tornò a seguire il professore. Guai a lui se si fosse azzardato a chiedergli gli appunti della lezione a fine giornata!
Kunibert, con la coda dell'occhio, vide Dacre borbottare qualcosa. Che se la fosse presa per il suo comportamento serafico? Impossibile. Dacre non era il tipo di ragazzo che si sarebbe offeso per una scempiaggine simile. Diede un'occhiata al display del cellulare e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: mancavano finalmente solo quindici minuti al termine delle lezioni, e ciò significava che Kunibert avrebbe potuto iniziare la ricerca dei suoi compagni. Fece vagare lo sguardo per l'aula, soffermandosi sui volti annoiati dei suoi colleghi. Chissà, magari tra di loro si nascondeva una delle Guerriere Sailor... Iniziò a squadrare dalla testa ai piedi tutte le ragazze bionde, nella vana speranza di incrociare gli occhi blu della sua dea.
Due parole pronunciate al microfono dal professore lo riportarono alla realtà.
-”E' tutto”-.
Immediatamente gli studenti si alzarono dai loro posti e iniziarono a mettere le loro cose nello zaino, nella borsa o nella valigetta. Dacre e Kunibert imitarono i loro compagni, senza però l'uno degnare l'altro di uno sguardo.
Perché mi sento così a disagio?”, si domandò Kunibert chiudendo la cerniera del suo zaino nero.
Dacre si chiese esattamente la stessa cosa. Ultimamente si sentiva spesso infastidito dagli atteggiamenti dell'amico. Se qualcuno, in quel momento, gli avesse chiesto di descrivere Kunibert con tre aggettivi, Dacre avrebbe risposto: Superbo, altezzoso ed egocentrico”. Forse si era sbagliato, la loro non era una vera amicizia...
-”Sei... Sei a piedi?”- gli domandò Kunibert un poco titubante.
-”Sì, ma devo passare da mia nonna. Ci vediamo domani alla Cartella”- tagliò corto. Si mise lo zaino in spalla e lasciò l'aula, le spalle ricurve in avanti e le mani ficcate nelle tasche dei jeans.
Kunibert serrò la mascella. Cosa gli era preso? Che Dacre avesse avvertito il suo distacco a causa dei ricordi recuperati? Si guardò i palmi delle mani e si toccò i lobi delle orecchie. Possibile che dopo aver riacquistato le sue memorie il suo atteggiamento nei confronti del ragazzo moro fosse cambiato? E se fosse stata addirittura la sua intera personalità a cambiare?
Era corretto considerare Kunibert e Kunzite la stessa persona?
Chi sono io in questo momento?”.
La testa iniziò a girargli, mentre la sua vista venne annebbiata da una miriade di puntini luminosi danzanti. Afferrò immediatamente la spallina dello zaino e si precipitò fuori dall'aula prendendo a spallate un paio di persone. Doveva uscire da quel luogo chiuso e afoso; agognava l'aria aperta e il tiepido sole di ottobre. Fece di corsa i pochi scalini del portone della Facoltà di Scienze Politiche e si gettò in strada, in via Cherubini, allontanandosi subito dagli appena formatisi gruppetti di studenti. Si infilò nella prima traversa che trovò e iniziò a rallentare il passo, fino a fermarsi. Deglutì il groppo che gli si era formato in gola, ma il peggio, purtroppo, non era ancora arrivato. Con un braccio dal gomito tremante, Kunibert si resse al muro mentre continui e forti tremiti gli scuotevano il corpo. Con la mano libera si deterse la fronte dal sudore freddo. Strinse i denti e provò a muovere qualche passo in avanti. Qual era la causa di quel suo fortissimo e improvviso malessere? C'era un negozio a circa duecento metri da lui; di quale tipo di negozio si trattasse, Kunibert non fu in grado di capirlo: la vista gli si era annebbiata. Facendo appello a tutte le sue forze, alzò le gambe pesanti come colonne di marmo e, una mano sempre appoggiata al muro, si trascinò in avanti. Le sue ginocchia avevano assunto la stessa consistenza di un budino. Kunibert crollò e si accasciò a terra in maniera scomposta.
Ma porca puttana” fu l'ultimo pensiero del ragazzo prima di chiudere le palpebre pesanti.

 

 

Fu la voce di una ragazza a svegliarlo. Accompagnata dalla musica di una radio, stava cantando una canzone che risultò familiare alle sue orecchie. Un forte profumo di fiori aleggiava attorno a lui. Aprì gli occhi e vide che dal soffitto, tutti attorno alla luce, pendevano dei vasi dai quali strabordavano delle piante variopinte. Si tirò su a sedere e il panno che aveva adagiato in fronte scivolò sul suo grembo.
-”Oh! Ti sei ripreso!”- esclamò una voce alle sue spalle. La radio venne immediatamente zittita e una ragazza con indosso un grembiule rosa confetto si avvicinò al divanetto sul quale Kunibert era stato messo a riposo. -”Come ti senti?”- gli domandò.
Kunibert sbatté un paio di volte le palpebre e tentò di mettere a fuoco il volto della ragazza; la penombra che avvolgeva l'ambiente non gli era per niente d'aiuto. La ragazza col grembiule rosa parve rendersene conto e andò a premere l'interruttore della luce.
-”Scusami, stavo chiudendo il negozio”- si giustificò sorridendo. -”Sono le otto di sera”-.
-”Il... negozio?”- ripeté Kunibert. Si guardò attorno e finalmente capì: si trovava in un negozio di fiori. Ecco spiegate le piante appese al soffitto e il profumo dolciastro che serpeggiava fino alle sue narici. Quando i suoi occhi grigi iniziarono a funzionare correttamente, Kunibert notò una quantità spaventosa di fiori, piante e bonsai disseminate per il negozio.
-”Io sono Mackenzie, piacere”-.
-”...Kunibert”-.
La ragazza, i lunghi capelli mossi e castani tirati indietro sul lato sinistro della testa, si sedette accanto a Kunibert, il quale fissò sbigottito i suoi occhi color smeraldo.
-”No, non sono rasati!”- disse toccandosi i capelli. -”Li ho solo tirati indietro e fermati con delle mollette. Guarda, sono a forma di perle!”-.
-”Non ti stavo guardando i capelli”- borbottò Kunibert.
Mackenzie spalancò gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata.
-”Cosa ci faccio qui?”- le domandò.
-”Un mio cliente, dopo essere uscito dal mio negozio, ti ha trovato svenuto in fondo alla via. Lui e dei passanti sono accorsi in tuo aiuto e ti hanno portato da me. Stai bene adesso? Cosa ti è successo?”-.
Kunibert annuì più volte, sia per convincere la ragazza che per convincere se stesso. E così alla fine era svenuto... Menomale qualcuno lo aveva soccorso. Certo che svenire in mezzo alla strada non era nel suo stile.
-”Ti sei sentito male all'improvviso?”- insistette.
-”Non ho pranzato oggi”- mentì Kunibert alzandosi in piedi sotto lo sguardo verde della ragazza. -”Ho avuto un calo di zuccheri”-.
-”Sei molto bianco”- constatò Mackenzie sfiorandogli un polso con le dita.
A quel contatto il corpo di Kunibert reagì: una lieve scarica elettrica si propagò nel suo corpo. Risalì lungo il braccio, percorse la schiena e raggiunse la testa, dove si conficcò come un ago appuntito. Una serie di immagini passò velocemente davanti ai suoi occhi, e il giovane, dopo un battito di ciglia, apprese tutto.
-”Tu...”- iniziò con voce tremante. -”Tu sei...!”-.
Non fece in tempo a terminare la frase che la vetrina laterale del negozio si infranse con un suono assordante, e una miriade di schegge impazzite si disperse nell'aria. Istintivamente Kunibert si gettò su Mackenzie e i due rotolarono a terra. Kunibert alzò la testa e si guardò attorno. Mackenzie, con una forza insolita per una ragazza della sua fisionomia, si liberò della protezione di Kunibert e scattò in piedi.
-”Chi mi ha spaccato la vetrina?!”- tuonò. -”Non avete idea di quanto mi sia costato far partire questa attività!”-.
Mackenzie non ricevette risposta. Dopo il rumore del vetro infranto era calato un inquietante silenzio. La luce saltò di colpo e i due ragazzi si ritrovarono al buio. Sfortunatamente, la via nella quale era situato il negozio di fiori era priva di illuminazione artificiale.
-”C'è qualcuno?!”- domandò Mackenzie.
C'era qualcosa che non andava. Kunibert le posò una mano sulla spalla e la sua presa ferrea fece voltare la ragazza.
-”Stammi vicina”- mormorò. -”Avverto una strana presenza”-.
Qualcosa si mosse ai loro piedi. Un'ombra nera, più nera dell'oscurità, serpeggiò tra le schegge di vetro e i cocci dei vasi. Risalì lungo la parete e si arricciò attorno al cavo della luce da soffitto. Kunibert afferrò Mackenzie per un polso e la tirò indietro; la ragazza, in tutta risposta, si divincolò e gli si piazzò davanti.
-”Mackenzie, cosa stai facendo?!”-.
L'ombra nera cambiò consistenza e prese a cadere al suolo sotto forma di pesanti gocce vischiose che, una volta venute a contatto col pavimento, si amalgamarono insieme fino a comporre un'alta, snella e affilata figura umanoide, dalle braccia decisamente troppo lunghe e brillanti occhi scarlatti puntiformi. Sul petto dell'inquietante essere, come tracciato col sangue fresco e colante, spiccava un cerchio diviso in quattro spicchi da una croce greca. I due ragazzi rimasero per un attimo paralizzati alla vista del mostro. Kunibert strinse i pugni e serrò la mascella. Sapeva benissimo che avrebbe dovuto fermarsi a combattere la sconosciuta minaccia, ma non era sicuro delle sue capacità; non sapeva se sarebbe stato in grado di proteggere Mackenzie. Ferendo il suo orgoglio da Generale, prese con decisione la mano della ragazza e si precipitò verso l'uscita del negozio.
-”Non ci penso nemmeno!”-. Mackenzie piantò i piedi per terra e si oppose a Kunibert. -”Dobbiamo affrontare quel mostro! Cosa succederebbe se facesse del male a qualcuno?”-.
-”Mackenzie, non sei nelle condizioni adatte a...!”- provò a fermarla.
La ragazza scosse la testa e sorrise.
-”Sei proprio una femminuccia”- lo beffeggiò. Gli diede le spalle e spalancò le braccia. Un potente fulmine, grazie alla vetrina sfondata, colpì il mostro in pieno. La luce del lampo, per un momento, rischiarò il negozio a giorno. Mackenzie si voltò; i suoi occhi verdi erano pieni di coraggio e sulla sua fronte brillava il simbolo astrologico del pianeta Giove.
-”Non è da te lasciar fare il lavoro sporco a una fanciulla... Kunzite”-.











NOTE DELL'AUTRICE
Ed ecco che la prima Guerriera Sailor fa la sua comparsa: Mackenzie, Makoto nella sua vita precedente, alias Sailor Jupiter :D Pensavate che non ci sarebbe stato nemmeno mezzo nemico, vero? E INVECE >:) 
Continuate a farmi sapere cosa ne pensate! Tranquilli, siate sinceri che non mordo :>
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 5
*** Presenze - Atto 1: Confronto ***


Kunibert si sentì afferrare con forza per un polso. Mackenzie lo guidò attraverso il negozio; con un salto scavalcarono la vetrina infranta e si precipitarono in strada. L'essere nero si voltò di scatto verso di loro, gli occhi che brillavano come due rubini colpiti dalla luce del sole; il suo corpo, a causa del fulmine di Mackenzie, produceva piccole e frequenti scariche elettriche.
-”Prima lo eliminiamo e meglio è”- disse la ragazza togliendosi il grembiule di dosso e gettandolo di lato. -”Sei d'accordo con me, Generale?”-.
Kunibert osservò la creatura prestando attenzione a ogni suo minimo particolare. Sentiva i muscoli in tensione e i sensi amplificati. Inspirò dalle narici la pesante tensione che aleggiava attorno a loro e si sentì, dopo tanto, tanto tempo, vivo.
-”No”- rispose.
-”No?!”- ripeté Mackenzie sorpresa.
Il mostro scattò fuori dal negozio e si frappose tra i ragazzi. Kunibert schivò il fendente con un salto, mentre Mackenzie approfittò dell'occasione per bloccare il braccio del mostro con una presa di arti marziali.
-”Sei proprio una femminuccia!”- ripeté la ragazza lanciando un'occhiata tagliente a Kunibert. Si voltò, piantò i piedi per terra e, usando il braccio dell'essere come una leva, lo fece scivolare sulla propria schiena e lo sbatté a terra. Il rumore del tonfo sordo riecheggiò nell'aria.
Per un momento le labbra di Kunibert si incurvarono in un fugace sorriso. Aveva avuto fortuna ad aver incontrato Jupiter: tra tutte le Guerriere Sailor era quella che possedeva più forza d'animo e coraggio delle altre.
-”A terra!”- ordinò Mackenzie al mostro puntandogli un dito contro. Si spolverò le mani e si voltò verso Kunibert. -”Hai visto? Non ho neppure avuto bisogno di trasformarmi. E' stata una passeggiata!”-.
L'essere, inaspettatamente, si sciolse in una pozza nera e si solidificò in posizione eretta alle spalle di Mackenzie. Kunibert scattò verso la ragazza, la afferrò per la vita e la tirò via dalle grinfie del mostro. I due rotolarono per terra per qualche metro.
-”Stai bene?”- le domandò allarmato.
Mackenzie annuì. Guardò il nemico e si morse il labbro inferiore. Forse lo aveva sottovalutato. Un corpo fatto di una sostanza in grado di passare in pochi secondi dallo stato liquido a quello solido (e viceversa) costituiva una gran bella rogna.
-”Dobbiamo costringerlo a tornare allo stato liquido”- disse Mackenzie rialzandosi. -”Solo allora i miei fulmini potrebbero avere effetto”-.
-”Trasformati”- rispose Kunibert, gli occhi grigi fissi sul mostro che, lentamente, avanzava strascicando i piedi.
Mackenzie interpretò l'ordine di Kunibert come una risposta d'assenso e alzò la mano destra verso il cielo; ancora non poteva sapere che il ragazzo dai capelli argentati, in realtà, aveva un altro piano in mente.
-”Jupiter Power, Make Up!”- gridò Mackenzie. Il suo corpo venne avvolto da brillanti e fragorosi fulmini, e quando questi si diradarono la Bella Guerriera dell'Amore e del Coraggio fece la sua comparsa.
-”Un diversivo”- disse Kunibert prima che Sailor Jupiter potesse parlare. -”Ho bisogno di guadagnare tempo”-.
Sailor Jupiter fece oscillare lo sguardo dalla creatura nera a Kunibert. Aggrottò le sopracciglia, un poco stupita dalla richiesta del Comandante dei Quattro Generali Celesti. Quando poi i suoi occhi verdi scivolarono sulle mani strette a pugno di Kunibert, capì: il giovane stava cercando di evocare i propri poteri da tempo sopiti. Sailor Jupiter si batté un pugno sul cuore, con fare mascolino, e sorrise.
-”Lascia fare a me!”-.
Kunibert la ringraziò silenziosamente. La guardò pararsi di fronte al mostro e spalancare la braccia.
-”Flower Hurricane!”-.
In mezzo a quell'uragano di petali di rose rosse Kunibert, per un momento, vide Venus danzare: i lunghi capelli dorati mossi dal vento, l'elegante e raffinato abito del colore del sole che si muoveva seguendo le linee sinuose del suo corpo, i suoi movimenti ipnotizzanti e i bellissimi occhi blu come due zaffiri che si riducevano a due fessure divertite. Avrebbe donato la sua vita pur di rivedere la sua dea.
Io te l'ho restituita a tale scopo”, gli fece notare la voce debole di Sailor Saturn.
Il miraggio si infranse e gli occhi grigi di Kunibert tornarono a vedere lo scontro tra la protetta di Giove e la misteriosa creatura dal sinistro simbolo scarlatto tatuato sul petto. Il ragazzo si guardò i palmi delle mani e, dopo aver preso un bel respiro, chiuse gli occhi. Sapeva di poterlo fare, era nelle sue capacità; si trattava solamente di ricordare come attivare i suoi poteri.
Creare una bolla contenitiva... Non dovrebbe essere così difficile”, si spronò.
Spalancò gli occhi e alzò un indice contro il mostro.
Niente.
Ci riprovò.
Ancora niente.
Sailor Jupiter, nel frattempo, era passata agli attacchi elettrici.
-”E' più resistente di quanto pensassi!”- gridò per sovrastare il fragore dei suoi fulmini.
O forse siamo noi a essere un po' arrugginiti” si ritrovarono a pensare entrambi.
-”Adesso passiamo alle maniere forti! Jupiter Coconut Cyclone!”-.
La potente sfera che Sailor Jupiter lanciò sembrò andare a segno. Colpì il mostro all'altezza dello stomaco e lo trascinò all'indietro per qualche metro. Una nuvola di polvere e detriti si alzò dalla strada e sia Kunibert che Sailor Jupiter si coprirono il volto con un braccio. La Bella Guardiana balzò all'indietro e affiancò il Generale. I due si scambiarono un'occhiata perplessa che, pochi istanti dopo, ebbe una risposta: non appena il polverone si diradò, videro il Jupiter Coconut Cyclone inglobato nell'addome del nemico.
-”Ha liquefatto solamente una parte di sé mantenendo solido tutto il resto...”- constatò Sailor Jupiter con gli occhi verdi sbarrati.
La sfera di energia ed elettricità risalì lungo il petto del mostro, attraversò la spalla e discese lungo il braccio destro, fino a piazzarsi al posto della mano.
-”Lo sta per lanciare!”- gridò Sailor Jupiter.
Ora o mai più”.
Kunibert puntò nuovamente l'indice contro il mostro e sperò di riuscire nel proprio intento. Una barriera a forma di sfera si materializzò attorno all'essere e lo intrappolò al suo interno.
-”Ci sei riuscito!”- esultò la ragazza.
Ce l'aveva fatta. Strinse i pugni lungo i fianchi e osservò la sua creazione librarsi da terra di qualche metro. Al suo interno il mostro si era liquefatto e come una prorompente onda di pece nera stava tentando di infrangere la barriera. A ogni suo colpo il corpo di Kunibert veniva scosso da lievi tremiti. Doveva concentrarsi e fare appello a tutte le sue forze per impedire al nemico di liberarsi. Mackenzie abbandonò i panni da Sailor Jupiter, si mise le mani sui fianchi e fece un grande sospiro di sollievo.
-”E adesso?”- domandò al ragazzo.
-”Voglio sapere se possiede il dono della parola”- rispose.
Mackenzie strinse le labbra e corrugò la fronte. Pensò si trattasse di un desiderio insolito da parte di Kunzite, ma lo accontentò: si avvicinò alla bolla sospesa a mezz'aria e vi diede un paio di colpetti con le nocche. L'impazzita pozza nera assunse subito la sua forma solida umanoide e si spiaccicò contro la barriera in un fallito tentativo di attacco. Mackenzie si lasciò sfuggire un gridolino di spavento e fece un balzo all'indietro. Si voltò verso Kunibert e scosse la testa.
-”Non ha nemmeno una bocca”- gli fece notare. -”Non penso sappia parlare”-.
Kunibert tentò di nascondere la propria delusione. Se l'essere non era in grado di fornire informazioni sulla sua natura, sui suoi simili o su di un eventuale “capo”, costituiva solo spazzatura inutile. Mackenzie vide gli occhi grigi del ragazzo adombrarsi, ma prima che potesse impedirgli di compiere quel gesto troppo impulsivo era già troppo tardi: Kunibert alzò la mano destra verso la barriera e la chiuse di scatto; la bolla si rimpicciolì di colpo, stritolando al suo interno la creatura nera, fino a scomparire nel nulla. Mackenzie spalancò gli occhi e aprì le braccia, totalmente contrariata.
-”L'hai detto tu stessa che non poteva parlare”- le fece notare Kunibert con leggerezza.
-”Però...!”- provò a ribattere.
Kunibert coprì in pochi passi la distanza che li separava e le posò pesantemente una mano sulla spalla; Mackenzie trasalì a quel contatto.
-”Devi raccontarmi ciò che sai”- le ordinò con voce ferma.
Mackenzie abbassò lo sguardo a terra.
-”Non c'è molto da dire... Per giorni e giorni ho sentito dentro la mia testa la voce di Sailor Saturn. Allora non l'avevo riconosciuta, non avevo alcuna memoria delle mie vite passate. Ho compreso tutto solo nel momento in cui ti ho sfiorato. Il contatto con te mi ha illuminata: so chi sono e so cosa è successo in passato...”-.
-”Mi stai dicendo che non hai la più pallida idea di dove si trovino le altre Guerriere?”-.
Mackenzie scosse la testa.
-”E tu non sai dove siano i tuoi compagni?”- gli domandò con un velo di tristezza nella voce. -”Dove si trovi... Nephrite?”-.

 

 

Nehemias si mise la tracolla in spalla e uscì dal bar tramite la porta sul retro, quella riservata al personale. Fece il giro del locale e si piazzò davanti all'ingresso in trepidante attesa della collega. Attraverso la porta a vetro la vide dare un'ultima e rapida pulita ai tavoli, mettere a posto le tazzine da caffé che Nehemias aveva dimenticato nella lavastoviglie, e lanciargli una veloce e timida occhiata. Il ragazzo si ficcò una sigaretta tra le labbra e sorrise, distogliendo lo sguardo. Amava stare fermo a guardarla, lo avrebbe fatto per ore e ore, senza stancarsi mai. La giovane, dopo aver tirato giù la saracinesca, sparì nel retro e ne uscì qualche minuto dopo. Nehemias gettò a terra il mozzicone di sigaretta e la abbracciò stretta, affondando il viso nei suoi capelli azzurri. Si attorcigliò attorno alle mani le sue due code basse, la tirò dolcemente verso di sé e la baciò.
Avrebbe passato tutta la sua vita al suo fianco se non fosse stato per quella misteriosa voce suadente che da giorni continuava a ripetergli che quello che stava facendo era sbagliato.

 









NOTE DELL'AUTRICE:
Non essendo un genio nello descrivere le scene di combattimento, questo capitolo mi ha richiesto molto più tempo del previsto. Vi chiedo scusa >w< 
Finalmente Kunibert ha trovato uno dei suoi alleati, o meglio, una, che, purtroppo, non sa niente degli altri loro compagni. Nehemias è sospetto, così come la sua ragazza *ride*
Chissà che origine ha il fantomatico mostro dal simbolo scarlatto...
Grazie a tutti per aver letto anche questo nuovo capitolo :>
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 6
*** Presenze - Atto 2: Chiave ***


La storia era destinata a ripetersi. Nietzsche aveva ragione.
Un nuovo nemico aveva fatto la sua comparsa: la tranquillità della città era in pericolo, così come la sua nuova vita. Se n'era accorto durante lo scontro con la creatura misteriosa: i suoi poteri non si erano ancora risvegliati del tutto. Con Mackenzie al suo fianco era riuscito a salvarsi e ad annientare il nemico, ma senza di lei...
...Senza di lei sarebbe riuscito a sopravvivere?
A questo pensava Kunibert mentre, seduto ai tavolini esterni del bar La Cartella, rigirava il cucchiaino nella tazzina di caffè. I pomeriggi erano ancora abbastanza lunghi e il clima docilmente permissivo: Kunibert indossava semplicemente una t-shirt e un giacchetto nero di pelle. Portava gli occhiali da sole calati sugli occhi perché le occhiaie da notti insonni non lo avevano ancora abbandonato.
Quella stessa mattina si era ritrovato Mackenzie sotto casa. Come avesse fatto a scoprire il suo indirizzo era un mistero. Gli aveva lasciato il suo numero di cellulare e lo aveva spiazzato con una offerta di lavoro.
-”Diventa mio dipendente. Ti offro un posto da commesso al mio negozio di fiori!”-.
La scusa era stata che in tale maniera avrebbero avuto modo di vedersi più spesso, di collaborare nello scambio di informazioni e di unire le forze nella non tanto remota possibilità di un secondo attacco da parte di una creatura nera. Kunibert aveva tentennato. La prospettiva di guadagnarsi qualche soldo lo attirava, ma, dall'altra parte, non era sicuro di riuscire a gestire un lavoro e l'università. Alla fine Mackenzie gli aveva proposto un orario di lavoro perfettamente plasmato e adatto all'orario delle lezioni. Kunibert non poteva che accettare.
Li troveremo”, pensò posando il cucchiaino sul piattino di ceramica bianca. “Li troveremo tutti”.
Finì il caffè e prese in mano il cellulare. Nessun nuovo messaggio, né da parte di Mackenzie, né da parte di Dacre, il quale, meravigliando Kunibert, aveva saltato tutte le lezioni di quel giorno senza avvisarlo; Kunibert lo aveva aspettato per venti minuti davanti a La Cartella.
Probabilmente si è offeso per come mi sono comportato ieri”.
Dacre era un giovane particolarmente permaloso. Non c'era da sorprendersi se il motivo del suo silenzio fosse stato proprio quello.
Qualcuno spostò la sedia e si sedette al tavolino di Kunibert senza fare troppi complimenti. Il ragazzo dai capelli bianchi trasalì e lanciò un'occhiata scocciata alla persona che aveva invaso il suo spazio personale. Il giovane seduto dall'altra parte gli fece l'occhiolino e sorrise con una sigaretta stretta tra le labbra.
-”Sapevo che ti avrei trovato qui, Generale”- disse annuendo compiaciuto.
Kunibert bloccò lo schermo del telefono e lo appoggiò sul tavolino, visibilmente stizzito e infastidito. Quello che si trovava di fronte era il ragazzo castano del bar, quello che aveva inspiegabilmente preso a chiamarlo “Generale” nonostante non fossero per niente in confidenza.
-”Non stai lavorando”- disse Kunibert squadrandolo da dietro le lenti scure degli occhiali da sole.
-”No, oggi è il mio giorno libero”- rispose l'altro accendendosi la sigaretta e allungando una mano al tavolo accanto per prendere il posacenere. Kunibert seguì i suoi movimenti con una smorfia di fastidio dipinta sul volto. Nehemias se ne accorse ma fece finta di niente. Quell'arrogante ragazzo dagli occhi grigi non poteva minimamente immaginare quanto coraggio gli ci fosse voluto per mettersi a sedere al suo stesso tavolo. Nehemias aveva delle domande, delle strane e allucinanti domande, ed era convinto che Kunibert fosse l'unica persona in grado di fornirgli delle risposte.
-”Buon per te. Io invece devo andare a lavoro; per cui, se vuoi scusarmi...”- disse Kunibert alzandosi e mettendosi in spalla la tracolla.
-”Aspetta!”- saltò su Nehemias. -”Posso... Posso sapere come ti chiami?”-.
Kunibert ridusse gli occhi a due fessure e si irrigidì. Cosa diavolo voleva quel ragazzo da lui? Alzò il mento e storse la bocca. Forse i suoi orecchini, i due pendenti argentati, davano agli altri un'immagine sbagliata di lui? Possibile che Dacre avesse ragione?
-”Giusto per mettere le cose subito in chiaro, sono etero”- sbottò.
Nehemias spalancò gli occhi e arrossì di botto. Per la prima volta in tutta la sua vita era stato scambiato per un omosessuale. Scoppiò a ridere, provocando un moto di stizza in Kunibert, e indicò una ragazza all'interno del bar.
-”Oh be', lo sono anch'io! La vedi quella tipa coi capelli azzurri? E' la mia ragazza”-.
Kunibert seguì con lo sguardo l'indice di Nehemias e individuò la ragazza in questione. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, e Kunibert avvertì una fastidiosa sensazione all'altezza dello stomaco. Spostò lo sguardo su Nehemias, ancora in piedi di fronte a lui con la sigaretta in mano.
-”D'accordo...”- disse lentamente. -”Mi chiamo Kunibert. Allora, si può sapere cosa vuoi?”-.
-”Kunibert...”- ripeté Nehemias sottovoce. Quel nome gli diceva qualcosa, era sicuro di averlo già sentito da qualche parte. Sicurissimo, altrimenti come avrebbe potuto provocargli quel senso di familiarità e di nostalgia? Tese una mano di fronte a sé e sorrise. -”Io sono Nehemias, piacere”-.
Kunibert ignorò il gesto cordiale del ragazzo moro e continuò a guardarlo in cagnesco. Non gli erano mai andati a genio i tipi troppo espansivi. Aveva bisogno del suo spazio vitale e nessuno aveva il diritto di invaderlo; nessuno, tranne la sua Dea.
-”D'accordo, Nehemias: visto che sono in ritardo, possiamo parlare un'altra volta?”- tentò di tagliare corto Kunibert.
-”E-Ecco...”- balbettò Nehemias preso in contropiede.
-”Perfetto”- disse subito Kunibert. -”Alla prossima”- lo salutò, e si eclissò il più rapidamente possibile.
La ragazza dai capelli azzurri, che aveva assistito a tutta la scena dall'interno del bar, uscì e raggiunse il giovane castano. Gli posò una mano sulla spalla e lo baciò su una guancia.
-”Non è andata bene, vero?”- gli domandò.
-”Per niente”-.
La ragazza si sedette al posto di Kunibert e, dopo essersi lanciata una rapida occhiata attorno, si chinò in avanti.
-”Nem, ancora non capisco perché pensi che quel ragazzo possa comprenderti”-.
Nehemias guardò i suoi occhi azzurri e sorrise debolmente.
-”Non lo so”- sospirò.
La ragazza allungò una mano e gli accarezzò dolcemente una guancia. Nehemias le prese la mano e le baciò il dorso.
-”Stai tranquillo. Prima o poi le risposte che cerchi arriveranno, ne sono sicura. Adesso torno a lavorare. Ci vediamo stasera”- gli disse.
Nehemias annuì.
-”Grazie, Amina”-.

 

 

-”Eccoti, finalmente!”- esclamò Mackenzie non appena Kunibert mise piede nel negozio. -”Ero indecisa se chiamarti o meno, ma a quanto pare non ce n'è stato bisogno”- disse strizzandogli l'occhio. -”Stamattina ho chiamato la ditta per...”-.
Kunibert, fingendo di ascoltare e di seguire il resoconto della mattina di Mackenzie, oltrepassò il bancone e andò a posare la tracolla nel retro. Riemerse qualche secondo dopo e si accasciò sul divanetto sul quale il giorno prima era stato adagiato da Mackenzie e dal famoso cliente che l'aveva trovato svenuto in fondo alla strada.
-”Benissimo”- la interruppe dopo un po'. Non ne poteva più del suo continuo chiacchiericcio. -”Domani vengono a riparare la vetrina. Eccellente. Adesso passiamo a cose più importanti: hai qualche novità?”-.
Mackenzie gli lanciò un'occhiataccia coi suoi grandi occhi verdi; odiava essere interrotta. Incrociò le braccia al petto e sbuffò. Kunibert era proprio come se lo ricordava; o meglio, come ricordava Kunzite: autoritario, arrogante e glaciale. Del resto, quali altre doti avrebbe dovuto possedere il comandante dei Quattro Generali Celesti?
-”Non so, potrebbe interessarti una mia teoria riguardo la nostra situazione?”- gli chiese con fare vago.
-”Direi di sì”- le rispose come se fosse una cosa ovvia.
Mackenzie sorrise compiaciuta e si piazzò di fronte a Kunibert, le mani posate sui fianchi e una viva luce negli occhi. Ci aveva ragionato tutta la mattina; era sicurissima che avrebbe lasciato Kunibert a bocca aperta.
-”Io credo che le nostre memorie sopite siano nascoste dentro a una, diciamo, camera”- iniziò a spiegare. -”Questa camera ha una porta, e questa porta una serratura. Sailor Saturn è l'artefice della serratura. Fin qui mi segui?”-. Kunibert si massaggiò il mento, pensoso, e annuì. -”Ovviamente per aprire la porta serve conoscere la struttura della serratura. Le parole ricorrenti di Saturn costituiscono la serratura. Adesso, affinché la porta si apra, cosa serve?”-.
-”Una chiave...?”-.
-”Esattamente”- confermò Mackenzie puntandogli un dito contro. -”E la chiave, mio caro Kunibert...”-.
-”...Sono io”- concluse il ragazzo dai capelli bianchi.
-”Detto in parole povere, tu hai il potere di risvegliare le memorie di coloro che sentono la voce di Saturn, ovvero dei nostri compagni”-.
Il ragionamento di Mackenzie aveva senso. Tutto quadrava. Lui, il primo ad aver riacquistato i ricordi delle sue vite precedenti, aveva il compito di risvegliare i Generali e le Guerriere. Chissà perché, tra tutti, Sailor Saturn aveva scelto proprio lui...
-”Per concludere la mia teoria, stando a quello che è successo a noi, credo che tutto quello che basti per riacquistare la memoria sia avere un qualunque tipo di contatto fisico con te. Troviamo le persone che riescono a sentire le parole di Sailor Saturn e il gioco è fatto”-.
-”Più facile a dirsi che a farsi”- mormorò Kunibert. -”Il mio incontro con te è stato del tutto...”-.
-”...Casuale?”- prevedé la ragazza il resto della frase. Scosse la testa con veemenza -”Non ne sono convinta. Siamo tutti destinati a ritrovarci. E' scritto nel nostro DNA: non possiamo esistere gli uni senza gli altri; a maggior ragione adesso che è comparsa una nuova minaccia per la Terra”-.
Kunibert sapeva che Mackenzie aveva perfettamente ragione. Una volontà “superiore” aveva predisposto la loro rinascita; aveva donato loro una seconda possibilità, perciò era scritto nel destino che si sarebbero tutti riuniti.
Come è giusto che sia”, pensò.
Improvvisamente il pensiero gli tornò allo strano ragazzo del bar. Come aveva detto di chiamarsi? Nehemias? Il suo comportamento era davvero insolito.
Capelli castani, profondi occhi marroni...”. Pensandoci bene, non gli era del tutto estraneo. La sua immagine si sovrappose con un ricordo in particolare, e fu allora che Kunzite se ne rese conto. Si morse il labbro, costringendosi a non aprire bocca a riguardo e a non rivelare immediatamente la folgorante scoperta a Mackenzie.
-”Qualcosa non va?”- gli chiese questa notando il suo repentino cambio d'espressione.
-”Stavo solamente pensando a un modo per identificare le persone che sentono la voce di Saturn”- mentì con una perfetta faccia di bronzo.
Mackenzie fece un sorrisone e, come suo solito, si batté una mano sul petto.
-”Ce la faremo!”-.
Chissà come avrebbe reagito Mackenzie, la forte, orgogliosa e coraggiosa Sailor Jupiter, se avesse saputo che il suo amato Nephrite dormiva tra le braccia di una ragazza dai capelli azzurri...










NOTE DELL'AUTRICE:
So che molti di voi avevano ormai perso le speranze, eppure sono finalmente e ufficialmente tornata :D La sessione d'esami si è conclusa e adesso posso finalmente dedicare un po' più di tempo alle mie storie. 
Spero che anche questo capitolo vi piaccia. Per domande, chiarimenti e minacce di morte, sapete come contattarmi >:)
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 7
*** Presenze - Atto 3: Anomalie ***


Che Nehemias fosse Nephrite era ormai un dato di fatto. Kunibert non se n'era accorto subito, ma la verità prima o poi viene a galla, e questo era esattamente ciò che era successo. Rimaneva soltanto da trovare il modo giusto per dire a Mackenzie che il suo amato esisteva, era sano salvo e amava un'altra donna.
Quella è capace di farmi piombare un fulmine in testa”.
Quella stessa mattina aveva seguito le lezioni attentamente, prendendo appunti e senza distrarsi. Dacre, normalmente seduto di fianco a lui, aveva preso posto tra le ultime file. Quando i loro sguardi si erano per un attimo incrociati durante un quarto d'ora accademico, Kunibert aveva tentato di raggiungere l'amico, ma Dacre si era defilato con un sorriso tirato sulle labbra. Il ragazzo dai capelli argentati avrebbe voluto seguirlo, bloccarlo e obbligarlo a sputare il rospo, a chiedergli cosa ci fosse che non andava, ma sotto sotto lo sapeva benissimo: era cambiato. Kunibert non era più “Kunibert lo studente di Scienze Politiche”, ma “Kunzite il Comandante dei Quattro Generali Celesti”.
Il tardo pomeriggio, volato in un attimo, l'aveva trascorso al negozio di Mackenzie. Lei lo pagava, e a Kunibert qualche soldo in più non dispiaceva per niente. Con un certo fastidio si era accorto di non saper gestire una vendita senza l'aiuto di Mackenzie. Non sapeva assolutamente niente riguardo piante, fiori, concimi, fioriture, potature... Niente di niente.
Sulla via del ritorno si era fermato in una libreria a comprare un manuale per il giardinaggio e un'enciclopedia sulla flora, la stessa enciclopedia che, alle otto e mezza di sera, stava sfogliando attentamente sul terrazzo del suo appartamento.
-”Come fa Jupiter ad amare questa roba?”- si domandò arricciando le labbra. -”Belli sono belli, per carità, ma sono così...”-.
Fragili. Come gli esseri umani. Ci vuole tanto impegno e tanto amore per crescerli, ma basta poco per farli perire.
Si soffermò sulla figura di una paphiopedilum. Se non ricordava male, il nome derivava da Paphos, la città cipriota nella quale, secondo una leggenda, era nata Venere. Chiuse di scatto l'enciclopedia e rovesciò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi e sospirando. Nonostante ricordasse i suoi capelli dorati, i suoi occhi blu, il suo sorriso meraviglioso e sincero, e la sua soave voce, Kunibert non riusciva a rievocare il ricordo a cui teneva di più, il più importante: era passato così tanto tempo che Kunzite non rimembrava più il delicato tocco delle mani di Venus sul suo corpo. Si portò le mani alla testa e strinse i denti, impedendosi di urlare dalla frustrazione.
-”Dove sei, amore mio?”- sussurrò con rabbia disperata.

 

 

Mackenzie amava il suo piccolo appartamento, ma ancora di più amava il fatto che si trovasse nello stesso edificio del suo negozio: lavoro al piano terra, vita privata al terzo piano. Non poteva chiedere di meglio. Per qualche tempo aveva rimpianto l'assenza di un terrazzo, ma pian piano si era abituata a questa mancanza. Le finestre erano ampie e luminose, perfettamente in grado di colmare la mancanza di un balcone.
Con ancora i capelli bagnati e l'accappatoio addosso, andò a sedersi al tavolo in cucina. Lì, vicino al portatovaglioli, abbandonata come un oggetto qualunque, stava la sua Penna di Trasformazione. Mackenzie allungò una mano e, con esitazione, la prese. Se la rigirò tra le dita per qualche minuto, in un silenzio di seria riflessione, e poi la lasciò nuovamente cadere sul tavolo. Si passò una mano tra i capelli e sbuffò. Ricordava perfettamente come, nelle sue due vite precedenti, quella Penna era lo strumento che permetteva a lei e alle altre Guerriere di trasformarsi; eppure, per qualche assurdo motivo, in questa vita non aveva alcuna utilità: si trattava di una semplicissima penna dall'inchiostro verde. Quando qualche giorno prima era stata attaccata dalla strana creatura nera, si era trasformata semplicemente invocando il potere di Giove. Non aveva la Penna con sé. Quale significato aveva tutto ciò?
-”Saturn, a che gioco stai giocando?”- mormorò sconsolata.

 


Quando Kunibert se ne accorse era ormai troppo tardi. Qualcosa di viscido e nero si era attorcigliato attorno alla sua caviglia e con insistenza stava cercando di trascinarlo giù dal terrazzo. Il ragazzo cadde dalla sedia e finì per terra. Riconobbe immediatamente quel nero purissimo e imprecò sotto voce. Ce n'erano altri, il mostro dell'altro giorno non era l'unico! Doveva avvisare Mackenzie, doveva dirle di raggiungerlo! Dov'era il suo cellulare? Una mano dalle dita lunghe e sottili artigliò la ringhiera del terrazzo e la creatura nera fece capolino. Gli occhi rossi brillavano minacciosi e puntavano Kunibert. L'enciclopedia era caduta per terra con lui. Non avendo altre armi a disposizioni, il giovane la prese e iniziò a colpire il tentacolo col dorso del pesante libro. Il mostro, dopo un po', mollò la presa e ritirò la terminazione contusa. Kunibert approfittò del momento per ritirarsi in casa e chiudere la portafinestra del terrazzo. Corse in camera sua, frugò nello zaino e tirò fuori il cellulare.
-”Mackenzie, ne è comparso un altro!”-.
-”Un altro cosa?”- domandò la ragazza dall'altro capo del telefono.
-”Un altro...!”-. La finestra alle sue spalle si infranse e la mano artigliata lo afferrò e lo trascinò fuori.
-”Kunibert! Kunibert!”- gridò Mackenzie dal telefono abbandonato sul pavimento.
Questa volta la creatura era enorme. Aveva allungato le gambe per raggiungere il quarto piano del complesso. Senza proferire parola, avvicinò l'ostaggio al petto. Kunibert vide il petto del mostro liquefarsi e separarsi, rivelando una cavità dalla quale colava senza sosta la sostanza di cui era fatto il nemico. Il giovane provò a divincolarsi, ma non ebbe successo. Il secondo tentativo, più ragionato, andò a segno. Se la scorsa volta era riuscito a intrappolare la creatura nera in una bolla, forse quella barriera poteva essere usata anche per difesa. Kunibert creò una barriera sferica attorno a sé che fece esplodere la mano nera. La sostanza molliccia schizzò da tutte le parti. Kunibert, ancora all'interno della sua barriera, iniziò la caduta verso il basso e finì in mezzo alla strada. La sfera protettiva si infranse come vetro, ma i frammenti scomparvero nel nulla. Il nemico mostruoso si ridimensionò accorciando le gambe e tornò a fissare Kunibert. Mosse qualche passo in avanti con un'andatura incerta e traballante. Sembrava meno risoluto del suo predecessore.
A quel punto fece una cosa che lasciò Kunibert esterrefatto: parlò.
Una cavità rotonda simile a una bocca si aprì sulla sua faccia, appena sotto gli occhi puntiformi, e da essa uscì un suono gutturale poco chiaro.
-”Ti... Ti...”- sembrava dire. -”Ku... Ti...”-.
Subito dopo aver pronunciato quei monosillabi, il mostro nero come la pece perse la struttura solida e si liquefò, diventando una pozzanghera nera e sparendo nel sottosuolo. Kunibert, gli occhi di ghiaccio spalancati, non riuscì ad aprire bocca. Guardò prima la finestra del suo appartamento, poi il punto nel quale il nemico era scomparso. Non l'aveva attaccato, aveva cercato di... rapirlo?
Un improvviso rumore tintinnante riportò Kunibert alla realtà e lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto e si trovò davanti una ragazza dai liscissimi capelli corvini legati in una coda alta, una miriade di braccialetti di metallo ai polsi e uno strano mazzo di carte in mano. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza alzò un sopracciglio, sorridendo altezzosamente.
-”Le carte lo avevano predetto”- esordì. -”Un giorno avrei incontrato un giovane dai capelli argentati perseguitato da sentimenti, emozioni e fantasmi, un ragazzo che avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Allora, Kunibert della kunzite, lo farai? Cambierai la mia vita?”-.

 

 

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Capitolo 8
*** Presenze - Atto 4: Mars ***


-”Allora, Kunibert della kunzite, lo farai? Cambierai la mia vita?”-.
La ragazza dai capelli corvini lo guardò altezzosa mentre, mescolando il mazzo di tarocchi nelle mani dalle dita affusolate e dalle unghie laccate di rosso, gli si avvicinava con passi rapidi e decisi. Il rumore dei suoi tacchi a spillo riecheggiava per la strada silenziosa.
-”Non ti avvicinare”- le ordinò Kunibert tendendo il braccio davanti a sé.
La ragazza si fermò e sbuffò spazientita. Spostò il peso sulla gamba destra e fece schioccare la lingua, visibilmente seccata.
-”Come sai il mio nome?”- le domandò Kunibert cauto. Nonostante la sua mente volesse indietreggiare e mantenere una distanza di sicurezza, il suo corpo non si mosse di un centimetro. La giovane emanava un'aura travolgente, quasi visibile da quanto era potente.
-”Io non so niente”- rispose con un'alzata di spalle. -”Sono loro a sapere tutto”- spiegò alzando una carta e mostrandola a Kunibert. -”Io mi limito a interpretare i loro messaggi. Non è una cosa da tutti, sai? Serve un animo forte e un certo legame col Kamaloka”-.
-”Col...?”-.
-”Kamaloka”- ripeté. -”Il mondo astrale”-.
Il giovane dai capelli argentati tese una mano per prendere la carta ma la ragazza gliela tolse da sotto il naso e la infilò nel mazzo; dopodiché se lo mise nella tasca dei pantaloni neri e si posò le mani sui fianchi. Si guardò intorno e arricciò il naso.
-”Hai intenzione di stare a fissarmi ancora per molto? Cos'è che non capisci?”- gli domandò scorbutica.
Kunibert scosse il capo e si portò una mano al viso. Ancora scosso dall'improvviso e del tutto inaspettato attacco dell'essere nero, non riusciva a stare dietro alla ragazza mora. Cos'è che aveva blaterato fin'ora? Qualcosa riguardo ai suoi tarocchi che sanno cose che lei non sa...?
-”Non... Non capisco chi tu sia”- le disse con sincerità ed esasperazione.
La ragazza incrociò le braccia al petto e roteò gli occhi.
-”Dio, come sei ottuso!”- si lamentò a denti stretti. -”Avresti dovuto riconoscermi subito”-. Si alzò la manica della giacca e porse il polso a Kunibert, il quale lo guardò senza capire. -”Toccami, Kunibert. Toccami, affinché io possa riacquistare i miei ricordi perduti”-.
Kunibert spalancò gli occhi grigi e fissò sbalordito il volto serio della ragazza. Questa, sempre tendendo il braccio verso Kunibert, con la mano libera si sciolse la coda e lasciò che i lunghi capelli neri le ricadessero sulla schiena. Solo allora davanti agli occhi del comandante dei Quattro Generali Celesti si sovrapposero due figure: quella della ragazza dei tarocchi e quella della combattente più passionale che avesse mai conosciuto.
-”Anche tu qui...”- mormorò.
-”So di essere qualcuno, ma al tempo stesso non so chi sono”- disse la giovane con frustrazione. -”Ho abbandonato la mia vecchia vita per tuffarmi a capofitto in questa avventura. Ti prego, ragazzo della kunzite, aiutami”-.
Kunzite, dopo aver intrecciato i suoi occhi con quelli violetti della ragazza, le afferrò con sicurezza il polso.
-”Sei la bentornata”- le disse, e chiuse gli occhi. Una piacevole sensazione calda si propagò nel suo corpo, come una fiamma che, nata dal petto, irradiava il suo calore in ogni direzione.
Quando Kunibert riaprì gli occhi vide splendere il simbolo di Marte sulla fronte della giovane dai capelli corvini.

 

 

Erano trascorsi quindici minuti da quando la comunicazione con Kunibert era stata bruscamente interrotta; le sue ultime parole erano state “Un altro...!”. Mackenzie si era immediatamente tolta di dosso l'accappatoio e si era trasformata in Sailor Jupiter. Poco prima di lasciare il suo appartamento aveva lanciato un'occhiata alla Penna di Trasformazione, indecisa se portarla con sé o se lasciarla sul tavolo della cucina.
E' solo una penna”, aveva pensato spalancando la finestra e lanciandosi nel buio della notte alla ricerca del compagno in pericolo.
Trovò Kunibert nella via di casa sua in compagnia di una ragazza dai lunghi capelli neri. Dopo aver saltato di palazzo in palazzo e volteggiato nella notte, Sailor Jupiter atterrò alle spalle di Kunibert e si scostò i capelli castani dal viso.
-”Cos'è successo?!”- domandò allarmata.
Kunibert si voltò e le sorrise. Le indicò la ragazza mora e questa si fece avanti legandosi i capelli in una coda alta. Sailor Jupiter, dopo un attimo di confusione, la riconobbe e si coprì con le mani la bocca spalancata
-”Ti sono mancata, Jupiter?”-.
-”Mars!”- esclamò Sailor Jupiter correndole incontro. La abbracciò e la sollevò in aria. -”Mars! Ti abbiamo trovata!”- quasi gridò con le lacrime agli occhi.
-”E' stata lei a trovare noi”- spiegò Kunibert sorridendo.
Sailor Jupiter, messa a terra Mars, la afferrò per le spalle e spalancò gli occhi verdi.
-”Come ci sei riuscita?!”-.
-”Tre mesi fa, ordinando la cantina di mia nonna, ho trovato un mazzo di tarocchi. Quando l'ho preso in mano ho sentito la voce di Saturn dirmi che mi aveva donato una seconda possibilità e che quelle carte mi avrebbero guidata verso il mio destino. Ho imparato a leggere i tarocchi e un giorno loro mi hanno detto di trasferirmi qui e di cercare colui che avrebbe cambiato la mia vita”-.
-”Ma è favoloso!”- commentò Sailor Jupiter esaltata. Abbracciò nuovamente Mars e si rivolse a Kunibert. -”Hai visto? Ci stiamo riunendo!”-.
Kunibert sorrise, ma in quel piccolo gesto si nascondeva una punta di malinconia. Mackenzie aveva trovato una delle sue compagne, mentre lui... Nephrite stava a pochi centimetri, era vicino, vicinissimo, ma allo stesso tempo distante anni luce. Sarebbe bastato sfiorarlo per fargli tornare la memoria, ma Kunibert aveva una domanda, un dubbio atroce, e non era certo di voler saperne la risposta.
Distante pochi passi, guardò Mackenzie fare le feste come un cagnolino alla compagna. Strinse i pugni lungo i fianchi e si fece forza.
La ricerca dei loro compagni era ancora solo all'inizio.

 

 

Era da qualche settimana che non si sentiva bene.
Ogni mattina si alzava con un opprimente peso nel petto e faceva fatica ad alzarsi dal letto e a uscire di casa; ormai lo faceva più per inerzia che per altro. Strascicava i piedi, teneva la schiena e le spalle curve, lo sguardo abbassato a terra e le sue mani erano costantemente fredde. Quando era in facoltà faceva di tutto per mostrarsi al meglio della sua forma: nascondeva il disagio dietro a una perfetta maschera e sorrideva.
Presto il disagio fisico crebbe e contaminò la sua mente.
Si auto-diagnosticò una forma di depressione e tentò in tutti i modi di distrarsi e di sollevare il proprio morale; ma quel tremendo peso nel petto non accennava a voler andarsene e nel giro di poco tempo i suoi occhi, che si erano fino a quel momento sforzati di vedere il mondo sotto una luce positiva, cedettero e persero.
Il mondo, per lui, era solo un orribile buco nero.
Voleva essere aiutato. Era convinto che da qualche parte esistesse qualcuno in grado di tendergli una mano e di aiutarlo a rialzarsi, ma nessuno sembrava intenzionato a farlo. Si sforzò. Andò in cerca di una mano, di un appiglio abbastanza solido da sostenere lui e il suo peso, ma quelle piccole e fragili sporgenze che era riuscito a trovare non erano state in grado di reggerlo.
La sua maschera, però, era indistruttibile.
Il colpo di grazia arrivò quando meno se l'aspettava. Come una silenziosa stilettata nel basso ventre, quella persona lo gettò nel buio più totale.
Quella persona, sconosciuta fino a pochissimo tempo prima, divenne il centro del mondo; lui, incapace di chiedere aiuto eppure desideroso di ottenerlo, sprofondò nella disperazione.
L'ultimo appiglio crollò e Dacre cadde.



















NOTE DELL'AUTRICE
Non avete idea di quanto sia frustrante essere costretti ad aggiornare una volta ogni morte di papa. Purtroppo le cose non cambieranno, gli aggiornamenti procederanno moooolto a rilento. Mi dispiace veramente tanto, ma l'università e gli impegni irl sono quel che sono :/ Spero possiate perdonarmi :(

Ma parliamo della storia! La seconda Guerriera Sailor ha fatto la sua comparsa, la fu Rei Hino! Anche Nephrite bazzica per la città, ma Kunibert/Kunzite non è sicuro di volerlo risvegliare.
Avete capito per quale motivo?
Contemporaneamente, abbiamo scoperto che Dacre non se la sta passando bene; anzi, non l'ha mai fatto.

Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

P.S. Se non volete aspettare fino al prossimo aggiornamento per conoscere il nuovo nome di Rei, chiedetemelo pure: sarò più che felice di "concedervi" questo piccolissimo spoiler <3

 

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Capitolo 9
*** Tarocchi - Atto 1: Sailor Earth ***


Il mattino seguente Kunibert saltò le lezioni all'università e si presentò alla fioreria di Mackenzie alle dieci, come da accordo. Quando entrò, la campanella posta sopra la porta a vetri trillò e annunciò il suo arrivo. Mackenzie, col suo grembiule rosa legato attorno alla vita, fece capolino dal retro e salutò il ragazzo dai capelli argentati.
-”Sapevo di poter contare sulla tua puntualità!”- lo elogiò.
Kunibert si tolse lo zaino dalle spalle e lo adagiò per terra, vicino a un vaso che conteneva un bellissimo esemplare di orchidea viola. Mackenzie si mise le mani sui fianchi ed esortò Kunibert a guardare il lavoro svolto con perfezione dal vetraio.
-”Mi hanno sistemato la vetrina in un lampo!”- gongolò avvicinandosi al vetro che qualche giorno prima era stato frantumato dalla misteriosa creatura nera. -”E non ho dovuto sborsare una lira! Ho scoperto di essere coperta dall'assicurazione contro atti vandalici!”-.
-”Che fortuna”- commentò Kunibert senza troppo trasporto.
-”Lo so!”- saltò su Mackenzie tutta contenta. -”Possiamo distruggere il negozio quante volte vogliamo!”-.
Cristo...”, si lamentò silenziosamente il ragazzo. “Che razza di ragionamento è?!”.
Gli occhi verdi di Mackenzie caddero sullo zaino di Kunibert e la ragazza inarcò un sopracciglio. Kunibert lo notò e si strinse nelle spalle.
-”Dopo pranzo vado a lezione”- spiegò. -”Non posso saltare troppe ore”-.
Mackenzie sorrise ma Kunibert notò una certa diversità in quel gesto.
-”Noto che l'università resta per te una priorità”-.
I grigi occhi di ghiaccio del comandante dei Quattro Generali Celesti trapassò Mackenzie da parte a parte. Kunibert non parlò, le sue labbra non emisero alcun suono, ma quell'improvviso e pesante silenzio fu più che eloquente per Mackenzie.
-”Devi solo accettare la realtà”- gli disse mesta.
-”Kunibert non salterebbe mai un intero giorno di lezioni”- sussurrò Kunzite lanciando una rapidissima occhiata al suo riflesso sulla vetrina.
Le parole del giovane colpirono Mackenzie con la stessa forza di un'improvvisa valanga. Lo guardò con estrema dolcezza e avvertendo un triste dolore al petto. Si tolse il grembiule e lo adagiò sul bancone, andò ad appendere il cartello “Chiuso per malattia” alla porta del negozio e, dopo un attimo di esitazione, abbracciò Kunibert. Gli passò le braccia attorno al collo e lo strinse a sé. Sentì il corpo di lui irrigidirsi per la sorpresa.
Kunibert chiuse gli occhi. Il profumo di rose di Mackenzie gli risalì lungo le narici e gli procurò un inaspettato senso di calma e di tranquillità. Alzò le braccia tremanti e le posò sui fianchi della Guerriera di Giove. Quanto doveva sembrare patetico per farsi consolare in un modo così poco fiero da Mackenzie? Sentì le lacrime arrivargli agli occhi e strinse le palpebre cercando di non farle fuoriuscire.
-”Posso immaginare quello che provi”- sussurrò Mackenzie. -”Fin'ora hai vissuto credendo di essere Kunibert. Ti sei creato una rete di affetti e l'hai vista sgretolarsi di fronte ai tuoi occhi solo perché la tua vera identità è un'altra. Siamo tutti sulla stessa barca, Kun. Non sei solo”-.
Mackenzie sussultò quando, improvvisamente, Kunibert rispose al suo abbraccio. Sentì il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente, come se stesse lottando contro se stesso per non fare qualcosa.
Piangere”, pensò la ragazza.
-”No, the party don't start 'till I walk in!”- cantò Mars spalancando la porta della fioreria e facendo sobbalzare i due ragazzi all'interno.
Mackenzie arrossì di botto e spinse via Kunibert, il quale, coprendosi il viso con un braccio, si voltò verso il bancone e diede le spalle alla nuova arrivata. Mackenzie gli lanciò un'occhiata di sottecchi e vide che anche lui era arrossito dall'imbarazzo. Mars alzò un sopracciglio e guardò prima Mackenzie e poi Kunibert.
-”Scusate, ho interrotto qualcosa?”- disse gesticolando e facendo tintinnare i suoi braccialetti di metallo. -”Non so, tipo una relazione clandestina e completamente sbagliata?”-.
-”Ma-Ma-Mars!”- saltò su Mackenzie scuotendo la testa. -”Come ti viene in mente?!”-.
Mars si guardò le unghie e si strinse nelle spalle.
-”Calmati, Jupiter, stavo solo scherzando”- sbuffò. -”Credi non mi sia accorta che stavi piangendo? Ehi, ragazzo della kunzite, dico a te!”-.
-”Non stavo piangendo”- ribatté Kunibert tirando su col naso.
Mars lanciò un'occhiata a Mackenzie come a dire “Che ti dicevo?” e raggiunse Kunibert. Gli posò una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi. I suoi occhi grigi arrossati dal pianto la mandarono in bestia.
-”Tu, il comandante dei Quattro Generali Celesti, ti sei ridotto a piangere come una femminuccia: da non credere!”- esclamò. -”Questo è il momento di agire, non di piangersi addosso! Jupiter, diglielo anche tu!”- ringhiò rivolta alla compagna.
-”I-Io credo che piangere sia liberatorio e non possa che far bene”-.
-”Cosa mi tocca sentire...!”- si lamentò Mars pestando un tacco per terra. -”Siamo combattenti celesti, non persone ordinarie! Smettetela di farvi assalire da stupidi sentimenti irrazionali e vedete invece di aggiornarmi sulla situazione!”- li riprese con forza. Si lasciò cadere sul divanetto del negozio e, dopo aver tirato fuori una lima dalla borsetta di pelle nera, prese a limarsi con cura le unghie. -”Insomma, cosa mi sono persa?”-.
Mackenzie boccheggiò e cercò con lo sguardo il supporto di Kunibert. Il ragazzo, in tutta risposta, si passò una mano tra i capelli e sospirò rumorosamente; ancora non riusciva a credere di essersi fatto vedere in quelle condizioni non solo da Jupiter ma anche da Mars.
-”Ti serve un fazzoletto, tesoro?”- lo beffeggiò Mars con un sorriso cattivo.
-”Mi serve che tu stia zitta”- le ringhiò a denti stretti.
Mars smise per un attimo di limarsi le unghie e spalancò un poco gli occhi violetti. Annuì compiaciuta e con un gesto della mano fece intendere che da lì in avanti non avrebbe più aperto bocca.
-”Mackenzie, raccontale cosa è successo in questi ultimi giorni”- disse alla ragazza castana indicando l'altra con un cenno del capo.
-”Mackenzie?”- ripeté Mars con una smorfia. -”E' così che ti chiami in questa vita?”- le domandò. -”Nome... particolare”-.
-”Ti avevo detto di star zitta”- la bacchettò Kunibert.
-”Non ce la faccio, è più forte di me”- si giustificò con un'alzata di spalle. -”Fattene una ragione”-.
Kunibert si strinse il setto nasale tra due dita e chiuse gli occhi. Mackenzie, vedendolo visibilmente irritato, lo invitò a spostarsi nel retro.
-”Me ne occupo io, okay?”- gli sussurrò posandogli una mano sulla spalla.
Kunibert annuì e si eclissò sotto gli sguardi delle due Guerriere. Mackenzie, dopo essersi accertata che Kunibert avesse chiuso la porta, si voltò di scatto verso Mars e la fulminò con lo sguardo. Letteralmente.
-”Ahia!”- saltò su Mars toccandosi il braccio sinistro colpito dalla scossa elettrica.
-”Come puoi comportarti così? Non vedi che non sta bene?”- le domandò indicando la porta del retro.
-”Nessuno di noi sta bene”- le fece notare Mars. -”Ognuno sta affrontando la verità in modo diverso, ma il suo è sbagliato”-.
Mackenzie si passò una mano sul viso e strinse i denti. Non ricordava che discutere con Mars fosse così difficile e snervante.
-”Chi sei tu per giudicarlo?”-.
-”Una ragazza con la testa sulle spalle, una mente lucida e un chiaro obiettivo da raggiungere”- rispose agitando in aria la lima per le unghie.
-”Mars...”- mormorò Mackenzie esasperata.
-”Mi chiamo Regina”-.
Mackenzie la guardò di sottecchi e fece schioccare la lingua. Non poteva ricevere un nome più adatto alla sua altezzosa e bellicosa personalità. La ragazza castana decise di seppellire l'ascia di guerra e si sedette a fianco alla compagna. Regina intuì la volontà di Mackenzie di sospendere momentaneamente la loro discussione e mise nella borsetta la lima. Si schiarì la voce e si mise le mani sulle ginocchia, volgendo il capo verso Mackenzie, seduta alla sua destra.
-”Sono qui per ascoltarti”- le disse.
Mackenzie iniziò il suo resoconto partendo dal giorno in cui Sailor Saturn le aveva parlato per la prima volta. Raccontò a Regina del primo incontro con Kunibert, del loro scontro col mostro nero e dell'inutilità della Penna di Trasformazione; le spiegò che nonostante tutti fossero in grado di udire la voce di Saturn, spettava a Kunibert il compito di risvegliare le Guardiane Sailor e i Generali Celesti: solo lui, grazie anche al più banale contatto fisico, aveva la capacità di riportare alla luce le vecchie memorie. Regina ascoltò Mackenzie mescolando il mazzo di tarocchi da cui non si separava mai. Accarezzò le carte con cura, prestando particolare attenzione a non piegare gli angoli. Mackenzie, mentre le parlava, guardava rapita i movimenti delle mani di Regina.
-”Hai detto che il mostro nero presentava uno strano simbolo rosso, giusto?”- domandò Regina appoggiando le carte sul divanetto.
-”Un cerchio diviso in quarti, sì”- confermò Mackenzie.
-”Così?”- chiese Regina disegnando in aria il simbolo. La ragazza castana annuì. Regina abbassò gli occhi sulle ginocchia e si portò due dita al mento. -”Sembrerebbe il simbolo astrologico della Terra”- mormorò pensosa.
-”Un simbolo astrologico? Come i nostri?”-.
-”Già... Che strano”- disse Regina alzandosi e iniziando a camminare per il negozio.
-”Sailor Earth?”- domandò Mackenzie seguendola con lo sguardo.
Regina le scoccò un'occhiataccia e fece schioccare la lingua.
-”Non esiste alcuna Sailor Earth”- ribatté. -”Le Guerriere Sailor esistono per proteggere la Principessa Serenity e il Silver Millennium. La Terra, in teoria, non sarebbe di nostra competenza; lei ha i Quattro Generali Celesti”-.
-”Makoto l'ha difesa”- disse Mackenzie con gli occhi verdi che le brillavano di orgoglio.
Regina alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
-”Usagi, Ami, Rei, Makoto e Minako hanno difeso la Terra”-.
-”Lo so”- borbottò Regina alzando gli occhi al cielo. -”Ma io sto parlando delle nostre origini, delle origini delle Guerriere Sailor. Certe vole il tuo senso della giustizia è davvero fastidioso”-.
Mackenzie prese le parole di Regina come un complimento e scoppiò a ridere. Regina scosse la testa, rassegnata. Tornò a sedersi sul divano e prese nuovamente in mano i suoi tarocchi. Lanciò un'occhiata al bancone del negozio e, senza esitazione, lo raggiunse.
-”Cosa vuoi fare?”- le chiese Mackenzie curiosa.
-”Ho bisogno di stare da sola per concentrarmi. Potresti raggiungere Kunibert? Vi richiamerò quando avrò finito”- rispose Regina senza guardarla.
-”Vuoi consultare i tarocchi?”-.
-”Sì. Sono sicura che potranno darci un grosso aiuto”-.
-”D'accordo”-.
Mackenzie si alzò dal divano e andò sul retro. Regina chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Posizionò il mazzo di carte sul bancone e, sempre a occhi chiusi, prese a spargerle sul ripiano di marmo; dopodiché le raccolse nuovamente in un mazzo e le sistemò, una a una, sul bancone. Si focalizzò sulla domanda a cui stava cercando una risposta e, con decisione, rigirò la prima carta.
Gli Amanti, carta rovesciata”, pensò Regina. “Un'unione negativa, separazione e rottura... In poche parole, un sentimento totalmente negativo”.
Puntò la seconda carta e la girò: la Torre, rovesciata anch'essa.
Forte inimicizia, odio”.
La Torre rafforzava il significato espresso dalla carta degli Amanti. Regina si morse il labbro inferiore. C'era qualcuno in quella città che stava provando un odio devastante nei confronti di una certa persona; in più, come se non bastasse, forse stava avendo luogo un'unione illecita, un amore proibito.
Che si stia riferendo a Mackenzie e a Kunibert?”, si domandò. “Impossibile. No, il significato degli Amanti deve senz'altro essere il sentimento negativo”.
Regina stava per girare la terza e ultima carta quando si accorse che una di esse presentava una maggiore inclinazione verso sinistra rispetto alle altre. La ragazza dai capelli corvini sapeva benissimo che segni del genere non potevano essere ignorati e che significava che quella carta voleva comunicarle qualcosa. La girò e sussultò.
-”L'Angelo... Rovesciata anche questa...”- mormorò con un fil di voce.
E' stato scoperto un comportamento biasimabile e la vendetta di chi l'ha subito sta per abbattersi sul colpevole”.
Regina si lasciò cadere sullo sgabello e fece vagare lo sguardo pensoso per il locale pieno di piante e fiori. Le tre carte scoperte la fissavano dal bancone e, minacciose, la esortavano a scoprire il prima possibile la verità.
Sostanzialmente qualcuno sta cercando vendetta”, iniziò Regina a ragionare. “Sta cercando vendetta contro una persona che ha avuto un... sì, diciamo un comportamento scorretto e imperdonabile nei suoi confronti...”.
-”Allora non mentivi quando dicevi di saper leggere i tarocchi”- disse Kunibert appoggiando i gomiti sul bancone.
Regina lanciò un gridolino di spavento e per poco non cadde dallo sgabello.
-”Cosa ci fai qui?! Tornatene nello sgabuzzino!”- gli sbraitò contro. -”Non vedi che sono impegnata?!”-.
-”Scusami, Regina, ma non ne potevamo più di stare chiusi nel retro”- sorrise Mackenzie affiancando Kunibert.
Regina agitò le mani, provocando un fastidioso tintinnio metallico.
-”Fate come vi pare, basta che stiate zitti”- disse frettolosa.
-”Dobbiamo stare zitti?”- domandò Kunibert. -”Non ce la faccio, è più forte di me. Fattene una ragione”- disse riducendo gli occhi grigi a due fessure.
Regina andò su tutte le furie e gli puntò un indice contro.
-”Tu!”- gridò. -”Tu...!”-.
Lui”.
Stando a quanto Mackenzie le aveva raccontato, sembrava che il target preferito dalle creature nere fosse proprio Kunibert; durante il secondo attacco erano addirittura andate a cercalo a casa sua.
-”Tu hai avuto un comportamento biasimabile”- disse lentamente Regina continuando a indicare Kunibert. -”Sei tu il destinatario di tutto questo odio!”-.
Kunibert storse la bocca e aggrottò le sopracciglia.
-”Cosa avrei fatto?”- domandò confuso.
-”Ma perché? Qual è la causa del sentimento negativo?”- si domandò Regina ignorando Kunibert e dandogli le spalle.
Mackenzie guardò preoccupata Regina e gettò un'occhiata ai tarocchi. Vide la carta degli Amanti, quella della Torre e quella dell'Angelo. Sbuffò e si passò una mano tra i capelli.
-”A te dicono qualcosa?”- domandò a Kunibert indicando le carte.
-”Sinceramente niente”- rispose il giovane dai capelli argentati.
Mackenzie fece spallucce.
-”Regina ha detto che il simbolo rosso del mostro è il simbolo astrologico della Terra”-.
-”Davvero?”- disse Kunibert sorpreso.
-”Già” annuì la ragazza. -”Ho ipotizzato che esistesse una Sailor Earth ma Regina ha detto che è impossibile che esista perché i difensori della Terra siete voi Quattro Generali Celesti, non...”-.
-”Ho capito! Ho finalmente capito! Kunzite”- esclamò Regina voltandosi di scatto e protendendosi verso Kunibert. -”In quanto comandante dei Quattro Generali Celesti, ti sei macchiato di un crimine gravissimo! Come hai potuto non rendertene conto?!”-.
-”Regina, che stai dicendo?”- saltò su Mackenzie. Guardò allarmata Kunibert e vide che il ragazzo stava stringendo i pugni lungo i fianchi.
-”Ho commesso un crimine?”- domandò quasi sottovoce.
Regina si portò una mano alla fronte e prese a camminare avanti e indietro lungo il bancone.
-”Quelle creature nere sono agli ordini di colui di cui hai tradito la fiducia, di una figura la cui importanza è inestimabile”-.
-”Principe Endymion!”- boccheggiò Kunibert.
Regina scosse la testa e sia Mackenzie che Kunibert la guardarono sconvolti.
-”Mi sto riferendo a una figura ancora più importante del Principe. Tutti noi l'abbiamo tradita, ma tu, comandante dei Quattro Generali Celesti, sei più colpevole di chiunque altro. Era tuo il compito di proteggerla e, sfortunatamente, sei venuto meno al tuo dovere”-.
-”Mars, io non capisco...!”- disse Kunibert con frustrazione.
Regina sospirò e, dopo essersi morsa il labbro, alzò gli occhi violetti e li puntò in quelli di Kunibert.
-”Come Generale della Regina Beryl hai tentato di conquistarla ingiustamente... Non hai presenziato alla battaglia contro Master Pharaoh 90, non hai impedito il risveglio di Sailor Saturn e, di conseguenza, non hai fermato la sua distruzione”- spiegò con gravità. -”Tu l'hai tradita, Kunzite, tu hai tradito la Terra; e adesso il suo spirito vendicatore ti sta cercando”-.
-”Sailor Earth!”- sussurrò Mackenzie.

 

 











NOTE DELL'AUTRICE
Sorpresona, sorpresona: un nuovo capitolo pubblicato a pochi giorni dall'ultimo aggiornamento :D Essendo a ridosso delle festività sono riuscita a ritagliarmi un po' di tempo per scrivere (in più devo ammettere di sentirmi particolarmente ispirata in questi giorni) :>
Le carte di Regina hanno descritto uno scenario funesto: la Terra vuole vendicarsi di Kunzite. I tarocchi le hanno anche detto che sta avendo ruolo una relazione illecita, ma ovviamente la nostra Mars non può sapere a chi le carte si stiano riferendo >:)
Ho deciso di pubblicare subito il capitolo come una sorta di regalo di Natale. Spero lo apprezzerete <3
Buone feste a tutti!
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 10
*** Tarocchi - Atto 2: Bugiardo ***


Kunibert fissava con occhi vitrei la pagina bianca del suo quaderno. Il professore, microfono alla mano, parlava a vuoto mentre il ragazzo dai capelli argentati non faceva altro che ripensare alla teoria catastrofica di Regina secondo la quale Kunzite avrebbe scatenato l'ira e la conseguente vendetta della Terra. Il posto accanto al suo era vuoto; lo era da giorni. Dacre continuava a sedersi tra le ultime file dell'aula. Anche quel pomeriggio, durante la lezione delle 14:15, il ragazzo moro si era seduto in fondo. Kunibert lo aveva visto ma aveva deciso di lasciarlo perdere; del resto aveva cose molto più importanti di cui preoccuparsi, come un terribile spirito vendicatore.
Secondo la percezione sfasata di Kunibert, la lezione durò pochissimo e le pagine del suo quaderno rimasero intonse. Kunibert, avvertendo il tramestio prodotto dai suoi colleghi, si risvegliò come da uno stato di trance e guardò sbigottito il quaderno. Batté un pugno sul banco e sospirò rumorosamente.
Ho buttato un'altra giornata di lezioni nel cesso!”, pensò con rabbia.
Stava mettendo le sue cose nello zaino quando una pallina di carta lo colpì alla nuca. Kunibert si voltò, pronto a dirne quattro al simpaticone che aveva osato lanciargli una pallina di carta, ma le parole gli morirono in gola quando si rese conto che la persona in questione era Dacre. Il giovane moro lo salutò con un cenno del mento e si alzò, raggiungendo l'amico. Kunibert, spiazzato dall'audace iniziativa di Dacre, rimase seduto al suo posto con lo zaino sulle ginocchia.
-”Ehi”- esordì Dacre con un sorriso tiratissimo.
-”...Ciao”- rispose.
-”Stai bene?”-.
Kunibert alzò un sopracciglio e scoccò un'occhiataccia a Dacre.
-”Dovrei essere io a chiedertelo”- gli fece notare. -”Sono tre giorni che mi eviti. Si può sapere che cazzo ti è successo?”-.
Dacre chiuse gli occhi per un paio di secondi, e quando li aprì indossò la sua maschera perfetta. Si grattò la nuca e fece un sorriso a trentadue denti.
-”Diciamo che è un periodo in cui a casa mia non tira una bell'aria”- spiegò. -”Pare che i miei vogliano separarsi”-.
-”Ah”- fu tutto quello che Kunibert riuscì a dire.
Nonostante la brutta notizia appena appresa, il ragazzo dagli occhi grigi si sentì sollevato: finalmente aveva scoperto cos'era che stava tormentando l'amico. Per giorni aveva pensato di essere la causa del male di Dacre, così come del suo; il rinvenimento dei ricordi perduti lo aveva mentalmente deviato, allontanandolo dalla realtà e dalla quotidianità che aveva condiviso con Dacre. Si sentì in colpa per averlo trascurato e gli sorrise a sua volta.
-”Suppongo tu non la stia prendendo bene”- commentò.
Dacre scoppiò in una risata sarcastica.
-”In realtà adoro vedere i miei genitori mandarsi a quel paese tutte le sere!”-.
Kunibert si portò una mano al viso.
-”Sì, be', no, suppongo... Scusami”- balbettò.
Dacre, dopo averlo tranquillizzato, gli diede una pacca amichevole sulla spalla e lo esortò ad alzarsi.
-”Ci prendiamo un caffè?”- gli propose ammiccando.
Kunibert si grattò la nuca e strinse le labbra.
-”Tra mezz'ora inizia il mio turno di lavoro...”- iniziò dispiaciuto.
-”Tranquillo, non sono snob come te!”- lo interruppe il ragazzo moro. -”Mi accontento anche di un caffè delle macchinette!”-.
Il volto di Kunibert si illuminò. Si mise lo zaino in spalla e seguì Dacre fuori dall'aula, fino alla zona riservata ai distributori automatici collocata nei pressi dell'ingresso della facoltà. Si misero in fila, attesero il loro turno e, parlando, ammazzarono il tempo.

 

 

Quando Kunibert rientrò in casa aveva un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro. Teneva un sacco a Dacre, e il pensiero di aver finalmente chiarito il misunderstanding lo aveva messo di buon umore.
Lasciò le chiavi sul mobiletto del telefono vicino all'ingresso e andò dritto in camera da letto. Dal secondo attacco dei Soldati di Sailor Earth (questo era il nome che Regina e Mackenzie avevano affibbiato ai mostri neri) Kunibert non aveva ancora fatto riparare il vetro della portafinestra che dava sul terrazzo. Gettò lo zaino sul letto e abbassò le tapparelle: era l'unico modo per non patire il freddo durante il tardo pomeriggio e la notte. Si tolse le Vans nere coi piedi e, dopo aver acceso la luce da scrivania, accese il computer portatile. Accedette a Facebook e si ritrovò a dover controllare una decina di notifiche, due richieste d'amicizia e una richiesta di messaggio. Ignorò le notifiche generiche, accettò l'amicizia di Mackenzie e di Regina e, accigliato, aprì il messaggio che una certa Amina gli aveva inviato.
Mi sei familiare...”.
La ragazza, dopo una breve ma cortesissima presentazione, gli chiedeva un grosso favore: incontrare lei e il suo fidanzato quella sera stessa in Piazza delle Tavole per un aperitivo.
-”Perché dovrei farlo?”- domandò Kunibert sottovoce.
Cliccò sul nome della ragazza e visualizzò il suo profilo. Andò nella sezione “Informazioni” e vide che, oltre a essere una studentessa universitaria come lui, lavorava come cameriera presso il bar La Cartella...
Ah, sì, ecco dove ti ho già vista”.
...E che era impegnata con...
Kunibert spalancò gli occhi, imprecò e si passò pesantemente una mano sul volto. Appoggiò il gomito sulla scrivania e si massaggiò il setto nasale, irritato, disperato e, in realtà, un poco curioso. Per quale motivo Amina, la ragazza di Nehemias, voleva prendere un aperitivo con lui? L'ossessione di Nehemias per Kunibert era sensata: se, come il comandante aveva ipotizzato, Nehemias era la reincarnazione di Nephrite, allora il ragazzo castano doveva aver ricevuto la chiamata di Sailor Saturn e doveva, come si suol dire, star navigando in un mare magnum; ma Amina cosa c'entrava?
Vuoi vedere che le ha parlato dei suoi strani sogni?”.
Riaprì la chat e la fissò per qualche minuto, indeciso sul da farsi. Come primo passo, optò per l'accettare la richiesta di messaggio; decise che in ogni caso le avrebbe risposto, anche per declinare l'invito. Notò, dal piccolo pallino verde accanto al nome, che Amina era online. Doveva darle una risposta il prima possibile, altrimenti che figura ci avrebbe fatto?
Accettare o non accettare? Kunibert era sicurissimo che Nehemias fosse Nephrite ma non capiva come fosse possibile che si fosse innamorato di un'altra ragazza che non fosse Jupiter. Era dunque possibile dimenticare persino i propri veri sentimenti? Si sentì mancare pensando a Venus invaghita di qualcun altro.
Non è assolutamente possibile!”.
Il suono delle notifiche della chat lo informò dell'arrivo di un nuovo messaggio da parte di Amina: “Ti prego. A Nehemias farebbe molto piacere”.
Intrecciò le mani e premette i pollici sulle labbra, gli occhi grigi ridotti a due fessure taglienti. Non aveva scelta: doveva accettare l'invito e incontrare un Neprhite che aveva perso la retta via e, soprattutto, la testa; del resto spettava a lui, il comandante, accertarsi che i suoi commilitoni e compagni non perdessero di vista la luce. In passato era già venuto meno al suo dovere, e adesso non era intenzionato a ripetere lo stesso errore.
Ma era pronto a incontrare Nephrite e la ragazza che era riuscita a soppiantare Jupiter? Sarebbe riuscito a sostenere una conversazione a tre? L'esuberanza impacciata di Nehemias non gli andava molto a genio e non aveva la più pallida idea di che tipo di personalità avesse la ragazza dai capelli azzurri. A malincuore, e mettendo da parte il suo orgoglio, si arrese all'evidenza: aveva bisogno di un supporto, di una spalla. Dacre era ovviamente fuori discussione. Certo, i due si erano riappacificati, ma l'amico e collega era completamente estraneo alla faccenda; aveva bisogno di qualcuno che conoscesse la bizzarra e tragica situazione in cui si trovavano lui e Nehemias.
Che bello avere pochi amici!”, pensò con sarcasmo.
Non prese nemmeno in considerazione Mackenzie: portare Jupiter ad assistere a un appassionato bacio tra Nephrite e un'altra ragazza avrebbe condotto alla fine del mondo. L'unica persona che avrebbe potuto dargli una mano era l'irriverente e dannatamente altezzosa Regina. Kunibert chiuse gli occhi e sospirò. Sarebbe riuscito a sopportare una serata con lei e Nehemias? Doveva.
Rispose ad Amina prestando particolare attenzione alla scelta delle parole; voleva che fosse chiaro fin da subito che non aveva intenzione di fare tardi e che non si sarebbe presentato da solo.
Verrà anche la mia ragazza”, scrisse con un certo fastidio.

 

 

Gli aveva detto che stava passando un brutto periodo.
Tra i suoi genitori, che per anni si erano amati, si era intromessa una donna, a quanto aveva potuto capire una cara amica di sua madre, e il matrimonio tra i suoi genitori stava per naufragare. Mentre sua madre sfogava la rabbia su stoviglie e ornamenti, e suo padre tentava di difendere e proteggere quella poca dignità che gli era rimasta, sua sorella, una povera studentessa del liceo, si era chiusa a riccio e aveva innalzato attorno a sé una barriera di silenzio. La situazione in casa era invivibile, ma lui non aveva la possibilità di andarsene, né economica né morale. Chi si sarebbe preso cura di sua sorella? Chi sarebbe stato vicino a sua madre? Chi avrebbe fatto da intermediario con suo padre?
Dacre abbassò gli occhi sulla chiave appena inserita nella toppa del portone verde scuro. Inclinò la testa di lato e guardò lo specchio alla sua sinistra. Non aveva mai capito perché qualcuno avesse voluto appendere uno specchio al muro del pianerottolo del condominio.
-”Sei un bugiardo?”- gli domandò il suo riflesso.
Dacre distolse gli occhi e sorrise.

 

 

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Capitolo 11
*** Tarocchi - Atto 3: Ferita ***


I suoi fiori preferiti erano le rose, esattamente quelle di colore rosa. Makoto portava degli orecchini a forma di rosa rosa, ma Mackenzie aveva deciso di non comprarne un paio simile. Nonostante volesse farlo, non poteva rimanere attaccata al passato per sempre. Adesso aveva una nuova vita, un nuovo nome e un nuovo lavoro. L'unica cosa che non avrebbe cambiato per nessuna ragione al mondo era il suo amore per Nephrite.
La porta di vetro del negozio si aprì e il campanellino posto sopra l'anta trillò, annunciando l'ingresso di un cliente.
-”Buonasera!”- disse la donna. Cercò con lo sguardo Mackenzie ma non la trovò.
-”E' nel retro”- disse Regina, seduta sul divanetto con le braccia incrociate, le gambe accavallate e lo sguardo fisso nel vuoto.
-”Eccomi!”- si mostrò Mackenzie pulendosi le mani al grembiule rosa. Riconobbe la cliente e si affrettò a tornare da dove era venuta. -”Ho tutto pronto!”-.
Regina si isolò dalla conversazione e sprofondò ancora di più nel divanetto. Ciò che i tarocchi le avevano detto continuava a ronzarle in testa. Non riusciva a darsi pace, aveva la sensazione di non aver recepito tutti i messaggi che le carte volevano darle. Gli Amanti la preoccupava, e non poco.
Qualcosa mi sfugge, ma cosa?”.
La donna ringraziò Mackenzie e, prima di andarsene, salutò Regina. La ragazza, tutta presa dai suoi pensieri, non rispose. Mackenzie e la cliente si scambiarono un'occhiata imbarazzata, e la donna uscì dal negozio.
-”Non mi piace”- borbottò Regina dopo qualche secondo di silenzio.
-”Perché? Io la trovo una signora molto piacevole”- rispose Mackenzie dispiaciuta.
-”Non mi stavo riferendo a lei”- chiarì stiracchiandosi le braccia. Sospirò e si accasciò nuovamente sul divanetto. -”Tutta questa storia, la nostra storia... Possibile che ci sia sempre qualcosa che non va? Mai una volta che si possa vivere in pace”- si lamentò.
Mackenzie non rispose. Regina aveva perfettamente ragione: pareva che tutti loro fossero destinati a lottare in eterno, anche oltre la fine dei tempi.
-”I nostri sacrifici sono necessari al bene comune”- disse Mackenzie piano.
La ragazza dai capelli corvini roteò gli occhi e fece schioccare la lingua, particolarmente seccata.
-”Quindi mi stai dicendo che noi dobbiamo sacrificarci per la Terra, il Silver Millennium e chi più ne ha più ne metta. Ma a noi chi ci pensa? Jupiter, chi si preoccupa e si sacrifica per noi?”-.
Regina fissò negli occhi Mackenzie finché quest'ultima non distolse lo sguardo e lo abbassò a terra. Vide un disagio che non era suo nei movimenti dell'amica e capì di averle appena posto una domanda che non le era mai passata neanche per l'anticamera del cervello. Per Jupiter era naturale immolarsi per il bene comune: Giove simboleggiava la Giustizia.
-”Quello che sto cercando di dirti è che a volte penso che tutto questo non sia giusto”- riprese Regina soppesando attentamente le parole. -”Nessuna di noi ha avuto modo di scegliere la propria vita. Non fraintendermi”- aggiunse subito. -”In fondo sono contenta di essere una Guerriera Sailor, ma... Cazzo, Jupiter! Sono morta due volte per persone che manco sapevano chi io fossi! E io non sapevo chi fossero loro! Vorrei... Vorrei solo, almeno per una volta, vivere come voglio”-.
Mackenzie si tolse il grembiule, lo piegò lentamente e lo ripose sul bancone. Raggiunse Regina e si chinò. Le prese con dolcezza le mani e gliele strinse.
-”E' vero: non abbiamo avuto scelta, siamo nate Guerriere Sailor e, mi dispiace, ma da Guerriere Sailor moriremo quante volte sarà necessario”- disse con fermezza.
-”Io lo capisco, Jupiter, davvero, ma non è giusto”- sussurrò Regina. Agli angoli dei suoi occhi a mandorla si accumularono lacrime di rabbia.
-”Sono sicura che un giorno il testimone passerà a qualcun altro, ma finché sarà in mano nostra dovremo esserne fiere e portarlo con orgoglio”-.
Regina ritrasse le mani e si asciugò coi mignoli gli occhi, attenta a non rovinarsi il trucco. Si rimproverò per essersi mostrata debole di fronte a Mackenzie e un poco si pentì di aver dato voce ai suoi pensieri per nulla nobili.
-”Mi dispiace...”- si scusò con gli occhi bassi.
Mackenzie sorrise e l'abbracciò.
-”Stai tranquilla, ti capisco”- cercò di consolarla. -”Ma sono certa che tutto si sistemerà”-.
L'anima della forte e passionale Mars era ferita.

 

Regina aveva da poco lasciato la fioreria di Mackenzie quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.
-”Pronto?”- rispose senza guardare il nominativo della chiamata.
-”Mackenzie è con te?”- le domandò subito la voce di Kunibert.
Regina si voltò a guardare la vetrina del negozio.
-”Sono appena uscita dal negozio. Se hai qualcosa da dirle, perché non chiami direttamente lei?”- rispose brusca. -”Non amo fare il Cupido della situazione”-.
Sentì Kunibert sbuffare.
-”Forse perché è con te che voglio parlare?”-.
-”Allora perché mi hai chiesto di lei?”-.
-”Ci siamo svegliate col piede sbagliato?”- la punzecchiò Kunibert.
Regina, temendo che il ragazzo potesse accorgersi del suo turbamento e delle emozioni che l'appena conclusa discussione con Mackenzie le aveva lasciato, si schiarì la voce e cercò di darsi un contegno.
-”Io mi sveglio sempre col piede sbagliato”- gli rispose a tono.
-”Ascolta, ho un favore da chiederti”- cambiò argomento Kunibert. -”Forse non ti piacerà. Vorrei che tu mi accompagnassi a un aperitivo con altre due persone”-.
Regina spalancò gli occhi e si bloccò in mezzo alla strada.
-”Stai scherzando?”-.
-”Non è questa la parte peggiore”-.
-”Ah, c'è dell'altro?”-.
Dall'altro capo del telefono Kunibert esitò.
-”Vorrei che ti fingessi la mia ragazza”-.
Regina si staccò il cellulare dall'orecchio e lo guardò sbalordita. Si voltò nuovamente verso la fioreria e fu tentata di tornare indietro e di dire a Mackenzie che il grande comandante dei Quattro Generali Celesti aveva appena annegato il cervello in una vasca di vodka e che si era bevuto tutto, cervello, vodka e pure la vasca.
-”Regina, non dire niente a Mackenzie”- disse Kunibert allarmato, come se avesse intuito i pensieri di Regina.
Regina si infilò in un vicolo, come se avesse paura che la sua voce potesse raggiungere Mackenzie all'interno del suo negozio.
-”Si può sapere che diamine sta succedendo?!”- sussurrò con nervosismo.
-”Mi farai questo favore o no?”- la incalzò Kunibert. -”Per ora non posso spiegarti molto, vorrei che vedessi coi tuoi occhi come stanno le cose”-.
Kunibert non poteva o non voleva spiegare? La voce di Kunibert sembrava tradire una certa preoccupazione e, nonostante non le andasse molto di accettare, decise di dare una mano al Generale Celeste che pareva dare di matto.
-”D'accordo”- si arrese la ragazza. -”Posso almeno sapere perché Mackenzie deve restare all'oscuro di tutto?”-.
-”No”-.
Regina sbuffò. Tornò sulla strada principale e riprese a camminare, dirigendosi verso casa.
-”L'appuntamento con gli altri è per le 19 in Piazza delle Tavole. Vuoi che ti passi a prendere?”-.
-”Dio, no!”- rabbrividì Regina. -”Non stiamo insieme per davvero!”-.
-”La mia era solo gentilezza”- ribatté Kunibert freddo. -”Ci vediamo più tardi”-.
Regina terminò la chiamata e mise il telefono nella borsa. Nel farlo le sue dita sfiorarono il mazzo dei tarocchi che portava sempre con sé. Prese una carta, come faceva sempre quando era in cerca di risposte o quando non si sentiva tranquilla. Tirò fuori la mano dalla borsa e girò la carta.
La carta degli Amanti, rovesciata, apparve di fronte ai suoi occhi.

 

 

 





NOTE DELL'AUTRICE:
In realtà questo capitolo e il successivo formano un unico macrocapitolo che ho dovuto dividere a causa della sua lunghezza eccessiva. Il prossimo capitolo (o meglio, la seconda parte del macrocapitolo) verrà caricato a breve; mi mancano giusto poche righe per concluderlo :>
Ho sempre paura di sfociare nell'OOC, sapete? Gestire la psiche e descrivere le varie sfaccettature caratteriali dei personaggi non è mai stato il mio forte. Eppure si può dire che Kunibert non sia Kunzite, o che Regina non sia Rei: questo, in realtà, è uno dei temi centrali della mia fanfiction.
Aspetto recensioni e pareri da parte vostra! <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 12
*** Tarocchi - Atto 4: Aperitivo ***


Nonostante a lui non piacessero molto, sua madre aveva insistito affinché nell'armadio di Kunibert ci fossero almeno tre camicie: una bianca, una nera e una celeste. Da quando si era trasferito a Site, Kunibert non ne aveva indossata una nemmeno per mezza volta. Erano ancora perfettamente stirate e piegate, spinte in fondo a uno dei cassettoni dell'armadio e sepolte sotto strati di maglioni a trama spessa e maglioncini. Recuperò quella bianca, la preferita di sua madre, la indossò e, fissando la sua immagine allo specchio, iniziò ad abbottonarla lentamente.
Che cosa si aspettava esattamente da Regina? Che arrivasse con una bacchetta magica e che ripristinasse lo status quo? Si convinse di aver fatto la scelta giusta. Non poteva andare a quell'appuntamento da solo; aveva bisogno di una spalla e di qualcuno che, come lui, reputasse quella coppia innaturale e totalmente sbagliata.
Finito di abbottonarsi la camicia, prese il giacchetto di pelle, se lo mise su una spalla, controllò di avere il portafoglio e le chiavi di casa, e uscì, chiudendo a chiave la porta. Scese le scale del condominio tenendo lo sguardo sulle scarpe nere e uscì in strada. Sospirò guardando il cielo e pensò che se fosse stato un fumatore si sarebbe fumato una sigaretta consolatoria. Si immaginò Sailor Saturn osservarlo dal suo pianeta e ridere delle sue disavventure. Cancellò subito quell'immagine.
Saturn non sa ridere”.
Fuori faceva più freddo del previsto. Kunibert indossò il giacchetto di pelle e si diresse in Piazza delle Tavole. Percorse Corso Nazionale tenendosi sul lato destro nonostante tutta la via fosse area pedonale. Fece lo slalom tra le varie persone che stavano passeggiando e che stavano entrando e uscendo dai negozi. Prese il telefono in mano per essere pronto a rispondere a un'eventuale chiamata di Regina.
Se mi dà buca la ammazzo”, pensò un poco spaventato. L'idea di affrontare da solo Nehemias e la ragazza dai capelli azzurri lo terrorizzava.
Attraversò il ponte e quando fu nei pressi del punto di ritrovo si sentì afferrare per un braccio. Regina lo trascinò in una stradina perpendicolare e lo fulminò con un'occhiataccia. Kunibert notò che si era messa in tiro: sotto il cappotto dai bottoni dorati, una minigonna a vita alta di finta pelle nera le fasciava i fianchi, e una blusa di tulle bianco lasciava intravedere il reggiseno nero; un appariscente rossetto color rubino spiccava sulle sue labbra contratte in una smorfia seccata.
-”Mi sono sempre chiesto come facciate voi Guerriere Sailor a combattere su quei trampoli”- commentò guardandole le immancabili décolleté col tacco da dodici centimetri di Mars.
-”Mi auguro per te che si tratti di una faccenda seria”- sibilò Regina alludendo all'imminente aperitivo.
Il volto di Kunibert si rabbuiò.
-”Non hai idea di quanto lo sia. Ma adesso ascoltami: non fare niente di avventato, resta nella parte e, soprattutto, non dare in escandescenza”-.
-”Che sei, mia madre?”- disse Regina incrociando le braccia al petto. -”Guarda che so relazionarmi, cosa credi?”-.
-”Non si direbbe”- commentò Kunibert lanciando continue occhiate alla sua destra e infilandosi il cellulare in tasca. -”Merda!”- borbottò a un certo punto. -”Li ho visti passare. Sono arrivati”-. Mise le mani sulle spalle di Regina e la fissò negli occhi violetti. -”Conto su di te”-.
La prese per mano e, senza aspettare una sua reazione, la trascinò fuori dalla stradina. Regina, dopo essere quasi inciampata nei suoi tacchi, riacquistò l'equilibrio e, anche se controvoglia, si immedesimò nella sua fastidiosissima parte. Prese Kunibert a braccetto, si strinse il suo braccio al petto e tentò di dare un'aria contenta e spensierata al suo viso.
Piazza delle Tavole era uno dei tre centri della movida universitaria di Site: una piazza dalla forma quadrata e dal perimetro porticato in cui, praticamente ogni sera e soprattutto il venerdì e il sabato, era possibile incontrare una grande parte della gioventù della città, in particolare universitaria. I locali situati sotto ai portici, calato il sole, mettevano tavoli e sedie in piazza, in modo tale da avere dei posti in più per i clienti. Al centro della piazza stava il simbolo di Piazza delle Tavole: un albero di Natale che, per qualche assurdo motivo, ogni anno il Comune dimenticava di rimuovere.
-”Eccoli”- sussurrò Kunibert a Regina indicando con un cenno del mento l'albero. -”Sono loro due. Il tipo castano e la ragazza coi capelli azzurri”-.
Regina seguì con lo sguardo l'indicazione di Kunibert e individuò i loro compagni di aperitivo. Il ragazzo pareva più alto di Kunibert e stava fumando una sigaretta mentre la ragazza, bassina e con indosso un vestitino floreale a sfondo nero, si stava guardando attorno visibilmente in ansia.
-”Nessuno le ha detto che i codini bassi sono passati di moda?”- commentò Regina stringendo le labbra.
Kunibert le scoccò un'occhiataccia.
-”Regina, ti prego”- la implorò. -”Tieni a freno la tua linguaccia”-.
Regina alzò gli occhi al cielo e sentì il braccio di Kunibert scivolarle via. Vide il ragazzo dai capelli argentati infilarsi un paio di guanti senza distogliere gli occhi dalla coppia sotto l'albero.
-”Perché te li sei messi?”- domandò Regina.
-”Per precauzione”- rispose Kunibert enigmatico. -”Adesso andiamo”-.
Regina e Kunibert uscirono dai portici e attraversarono la piazza. Amina fu la prima a vederli. Posò una mano sul braccio di Nehemias e gli disse che Kunibert e la sua ragazza erano arrivati. Nehemias, preso alla sprovvista, gettò a terra il mozzicone di sigaretta e lo spense con il tacco della scarpa.
-”Buonasera”- salutò Amina con un dolce sorriso sulle labbra. -”Vi ringrazio per aver accettato il nostro invito. Tu devi essere la ragazza di Kunibert”- si rivolse a Regina.
A quelle parole sia Regina che Kunibert si irrigidirono.
-”Esatto”- dissimulò Regina. -”Mi chiamo Regina, piacere”- sorrise a sua volta tendendole una mano.
-”Io sono Amina e lui è il mio ragazzo, Nehemias”-.
Nehemias tese la mano a Regina e la ragazza la strinse sotto gli occhi agitati di Kunibert.
-”Abbiamo prenotato un tavolo al Voltapagina”- comunicò efficientemente Amina, quasi fosse stata una segretaria personale. -”Ne preferite uno dentro al locale o fuori?”-.
-”Fuori”- rispose subito Kunibert. Aveva bisogno di stare all'aria aperta. L'idea di stare seduto dentro a un locale e circondato a distanza ravvicinata da altre persone lo mandava in agitazione.
Amina ordinò ai tre di aspettarla fuori. Entrò al Voltapagina, parlò con un cameriere e si fece assegnare uno dei tavolini esterni.
-”Possiamo accomodarci”- disse sorridendo e indicando uno dei tavoli più lontani dall'ingresso del locale. Regina e Kunibert si sedettero subito mentre Nehemias, facendo sfoggio della sua cavalleria, scostò la sedia per Amina e si sedette dopo di lei.
-”Ti facevo un tipo più galante, generale”- disse Nehemias ridendo.
Kunibert, punto sul vivo, si irrigidì. Come aveva potuto dimenticare le buone maniere? Se Venus si fosse trovata al posto di Mars glielo avrebbe fatto notare, e giustamente. Si mosse a disagio sulla sedia e si giustificò spiegando che alla sua ragazza davano particolarmente fastidio i comportamenti troppo romantici e galanti. Regina, memore degli avvertimenti e delle raccomandazioni di Kunibert, gli diede corda e confermò tutto. Nehemias parve colpito.
-”Si vede che sei una persona indipendente e dal carattere forte”- disse a Regina.
-”Spero sia un complimento”- gli ammiccò.
Arrivò lo stesso cameriere con cui aveva parlato Amina e, armandosi di penna e taccuino, domandò se i ragazzi avessero già deciso cosa ordinare da bere.
-”Per me un Daiquiri”- disse subito Amina.
-”Prego, prima le signorine”- disse Nehemias accompagnando le parole con un gesto elegante della mano rivolto a Regina.
Kunibert irrigidì la mascella e i suoi occhi grigi si ridussero a due fessure. Trovava veramente fastidioso il comportamento esasperatamente da galantuomo di Nehemias.
Mi sta facendo passare per un cafone”, si disse ripensando alla storia della sedia.
-”Un Negroni”- disse Regina dopo averci pensato su un poco.
Kunibert fece per parlare ma Nehemias lo precedette e si guadagnò l'attenzione del cameriere.
-”E due mojito”- ordinò.
Il cameriere appuntò le ultime note e disse loro che, una volta portati i cocktail e pagato il conto, avrebbero potuto beneficiare del buffet dentro il locale.
-”Il prezzo della bevuta comprende anche il buffet”- spiegò.
Dopo che il cameriere dalla maglia nera se ne fu andato, Nehemias si accese una sigaretta e si avvicinò il posacenere che stava al centro del tavolino.
-”Qui fanno il mojito migliore della città”- disse elettrizzato. -”Devi assolutamente assaggiarlo!”-.
-”Ti ringrazio del consiglio”- borbottò Kunibert.
Io odio il mojito”, pensò con stizza.
Avvertendo una certa tensione, Amina si attivò e prese a fare conversazione con Kunibert, raccontandogli del bar, chiedendo dell'università e cercando di coinvolgere Nehemias. Regina si accorse che gli sforzi di Amina erano mirati a far conversare i due ragazzi.
L'obiettivo della serata era far conoscere quei due?”, si domandò.
Osservò Nehemias sforzarsi di sorridere e di apparire tranquillo. Qualcosa lo preoccupava e lo agitava, era evidente. Amina, dai grandi occhi azzurri, era per lui una colonna portante: i due si tenevano continuamente per mano, come se da quel gesto dipendesse la loro vita. Regina prese il cellulare dalla borsa e scrisse un messaggio a Kunibert, intrappolato in una conversazione che sentiva tutto fuorché piacevole.
Il ritorno del cameriere con le ordinazioni segnò un momento di pausa. Kunibert, che aveva sentito il cellulare vibrare, ne approfittò per posarlo sul tavolo.
-”Regina, non ti azzardare a pagare”- sibilò Kunibert prendendo il suo portafoglio. Voleva farla pagare a Nehemias per averlo messo in ridicolo davanti a due ragazze.
-”E chi si muove?”- rispose Regina alzando le mani.
Kunibert e Nehemias pagarono il conto. Amina si alzò e chiese a Regina di accompagnarla al buffet.
-”Andiamo prima noi”- disse sbrigativa. -”Per voi non è un problema, vero?”- disse guardando sia Kunibert che Nehemias.
-”Stai tranquilla!”- rispose Nehemias alzando un pollice. -”Fate in fretta che ho fame!”- rise poi.
Amina e una riluttante Regina si allontanarono, ma non prima che Regina indicasse a Kunibert il cellulare. Il giovane recepì il messaggio e si apprestò a leggere ciò che Regina gli aveva scritto.
Perché ho l'impressione che 'sti due siano terribilmente in ansia? Si può sapere chi sono?”, diceva il messaggio di Mars.
Kunibert iniziò a digitare una risposta breve e sbrigativa ma si accorse che il touchscreen del cellulare non rispondeva agli input. Si guardò le mani inguantate e fece schioccare la lingua.
-”Se hai freddo perché hai chiesto un tavolo all'esterno?”- ruppe il silenzio Nehemias.
-”Non ho freddo”- rispose Kunibert senza guardare il ragazzo negli occhi. -”Ho un... problema alle mani”-.
Nehemias strinse le labbra e annuì. Non fece altre domande, si limitò a osservare Kunibert e a radunare tutto il coraggio di cui era dotato per introdurre un argomento spinoso. Kunibert intuì la difficoltà che Nehemias stava incontrando ma non fece nulla per aiutarlo: non si sentiva ancora pronto a liberare i suoi ricordi, e ancora non aveva ascoltato il parere di Regina.
Mi dispiace, dovrai soffrire ancora per un po' ”.
Lanciò un'occhiata disperata verso l'entrata del Voltapagina e si domandò per quale motivo Regina e Amina ci stessero mettendo così tanto.

 

 

Amina, con una flebile voce delicata, continuava a parlare e a raccontare di sé, di come avesse iniziato a lavorare come cameriera al bar La Cartella per contribuire alle spese dell'università, di come avesse scelto il corso di laurea in Ingegneria Informatica, di come avesse conosciuto Nehemias, di come Nehemias fosse disturbato da ricorrenti sogni che Amina aveva finito col definire “inquietantemente premonitori”, di come a volte le paresse di vedere il proprio riflesso “diverso”. Il volto di Regina era una maschera cerea; la bocca dalla lingua tagliente era sigillata e i suoi occhi violetti, solitamente vigili e taglienti, erano persi nel vuoto.
-”Ti senti bene?”- le domandò Amina posandole una mano sulla spalla.
No, non stava bene. Non stava assolutamente bene. Strinse le dita attorno al piattino di plastica che teneva in mano, colmo di pizzette, bruschette e tramezzini. La plastica si piegò, il piatto si spezzò e il cibo si rovesciò per terra. Regina boccheggiò, scosse lievemente la testa e guardò per terra. Un improvviso nodo allo stomaco le fece venire la nausea e voltò le spalle al buffet e al cibo caduto per terra.
-”Chiedo scusa”- mormorò stringendo le braccia al petto.
-”Regina, va tutto bene?”- le domandò nuovamente Amina.
La testa le si fece pesante e le orecchie le presero a fischiare. Mosse qualche passo in avanti, incerta e traballante. Amina la afferrò per un braccio e la sostenne, impedendole di cadere a terra. Un cameriere preoccupato si avvicinò alle due ragazze e domandò se ci fosse bisogno di un'ambulanza.
-”Assolutamente”- rispose subito Amina.
-”No, non serve”- disse invece Regina. -”Ho un calo di pressione, sto bene. Fammi sedere, Amina”-.
Il cameriere e Amina sostennero Regina fino a un tavolino e la aiutarono a sedersi. Le fu subito portato un bicchiere d'acqua e il volume della musica del locale venne un poco abbassato. Regina si accasciò sullo schienale della sedia e chiuse gli occhi. I battiti folli del suo cuore le risuonavano nelle orecchie, così come le parole di Amina circa la sua vita. Alzò le palpebre pesanti e le lanciò un'occhiata di sottecchi. Si morse il labbro inferiore e sospirò rumorosamente. Amina le avvicinò il bicchiere con l'acqua e la invitò a berne qualche sorso.
-”Sto bene, davvero”- insistette Regina respingendo il bicchiere. -”Mi dispiace averti spaventata”-.
Il volto pallido di Amina riprese colore e la ragazza sorrise.
-”Nessun problema, non devi scusarti. Vuoi che vada a chiamare Kunibert?”-.
Kunibert. Lo sapeva? Se n'era accorto? Probabilmente era quello il motivo per cui le aveva chiesto di accompagnarlo: voleva che incontrasse Amina. Eppure qualcosa non le quadrava: Kunibert sembrava più interessato a Nehemias che ad Amina.
-”No, non importa...”- mormorò tirando su la schiena. Si schiarì la gola e, presa da un'altra fitta alla testa, chiuse per un momento gli occhi. -”Posso... Posso chiederti una cosa?”-.
-”Regina, bevi un po' d'acqua”- si preoccupò la ragazza dai capelli azzurri.
-”Sì, la bevo”- disse Regina agitando una mano. -”Posso però chiederti una cosa?”
-”Certo”-.
-”In che rapporti siete con Kunibert? Tu e Nehemias”-.
La domanda diretta di Regina sorprese Amina e la giovane spalancò gli occhioni azzurri.
-”Lui è... Ecco... E' un cliente abituale del bar e... Sì, insomma, siamo più o meno coetanei...”- borbottò arrossendo di colpo.
-”Perché hai voluto a tutti i costi questo appuntamento?”-.
-”I-Io...”-.
-”Rispondi”- le ordinò con voce ferma.
Amina fece un sorriso tirato e abbassò gli occhi.
-”Non penso mi crederesti se ti dicessi la verità”-.
Regina allungò una mano e afferrò il polso di Amina. Lo strinse con forza, costringendo la ragazza dai capelli azzurri a guardarla. I suoi occhi, due specchi d'acqua purissima, erano spaventati, quasi terrorizzati.
-”Tu ricordi qualcosa, vero?”- mormorò Regina.
Amina tentò di ritrarre il braccio e di liberarsi dalla stretta di Regina.
-”Di cosa stai parlando? M-Mi fai male...!”-.
-”Hai dei dubbi? Hai sognato qualcosa di strano? Dimmi la verità”- la incalzò.
Amina, atterrita e confusa, non aprì bocca. Non capiva cosa fosse improvvisamente successo alla ragazza di Kunibert, che cosa avesse scatenata questa improvvisa reazione.
Regina strinse i denti e si costrinse a ricacciare indietro le lacrime.
-”Amina, non farlo”- disse poi lasciando improvvisamente la presa. -”Non ricordare”-.
Quegli occhi di quel colore così insolito ma al tempo stesso bellissimo si impressero nella memoria di Amina. La giovane, guardando Regina che veniva trascinata per un braccio fuori dal locale da Kunibert, pensò che mai e poi mai avrebbe dimenticato la forza e la disperazione che quei due occhi violetti le avevano trasmesso.
Non ricordare”, le aveva detto.
Sembrava proprio una supplica.
Regina l'aveva implorata di non ricordare.
Ma cosa? Cosa non doveva ricordare?

 









NOTE DELL'AUTRICE:
Come promesso, ecco la seconda parte del macrocapitolo :D
Nel piano di Kunibert si è aperta una falla che verrà chiarita prossimamente. Regina ha intuito qualcosa e ha deciso di agire di propria iniziativa. Come reagirà il Comandante dei Quattro Generali Celesti a questa insubordinazione?
A presto (si spera) col prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 13
*** Tarocchi - Atto 5: Fraintendimento ***


-”Che cazzo ti è preso? Eh?!”-.
Regina, con la schiena e le spalle attaccate all'umido intonaco di un vecchio palazzo non molto lontano da Piazza delle Tavole, non batté ciglio. La vicinanza del volto irato di Kunibert non la faceva sentire a suo agio, per niente, ma non voleva che il ragazzo se ne accorgesse. Kunibert batté un pugno sul muro, vicino alla testa di Regina, e serrò la mascella. La ragazza strinse gli occhi e incassò il capo nelle spalle.
-”Vuoi rispondermi?”- sussurrò lui cercando, con scarso successo, di contenere la sua rabbia.
Regina aprì prima un occhio e poi l'altro. Pensò che il freddo e distaccato Kunzite non si sarebbe mai comportato così. Il braccio teso di Kunibert tremava e una minacciosa vena aveva preso a pulsare nella sua tempia destra. Le persone attorno a loro giravano alla larga, avvertendo la tensione che aleggiava tra i due e non volendo avere niente a che fare col ragazzo dagli occhi di ghiaccio che sembrava essere a poco così dal fare una strage.
-”Perché non mi hai detto la verità?”- gli domandò sfidandolo con lo sguardo.
Kunibert tolse la mano dal muro, fece un passo indietro e, passandosi pesantemente una mano sul volto, si guardò attorno come se fosse in cerca e in trepidante attesa di aiuto.
-”Me lo stai davvero chiedendo?”- disse allargando le braccia. -”Pensaci, Regina. Usa quella cazzo di testa che ti ritrovi e prova ad arrivarci da sola!”- sbraitò picchiettandosi l'indice alla tempia.
Regina si irrigidì e spalancò gli occhi violetti. Lo scatto d'ira di Kunibert l'aveva talmente sconvolta che si era persino dimenticata di offendersi per l'insulto appena piovutole addosso. Kunibert intuì i pensieri della giovane dai capelli corvini. Chiuse gli occhi, si strinse il setto nasale tra l'indice e il pollice e sospirò rumorosamente.
-”...Wow”- riuscì a dire Regina dopo un minuto di tesissimo silenzio. -”Inquietante”-.
Kunibert le lanciò un'occhiataccia fulminante. Le diede le spalle e si portò una mano alla bocca. Pensò che far conoscere Nehemias a Regina non era stata una buona idea. Fare affidamento su Regina non era stata una buona idea. Mars era una ragazza intuitiva e impulsiva, completamente inadatta all'osservazione e al ragionamento. Avrebbe chiesto l'aiuto di Mackenzie se in gioco non ci fosse stato Nephrite.
-”Perché hai agito di testa tua?”- le domandò dopo un po' con voce stanca.
-”Perché non mi hai detto la verità?”- insistette la giovane.
-”Saresti andata a dire tutto a Mackenzie”-.
Regina incrociò le braccia al petto e fece schioccare la lingua. Il tintinnio dei braccialetti di metallo infastidì Kunibert.
-”Mi stai confondendo con Venus, per caso? Non sono una pettegola”-.
Al solo sentir pronunciare quel nome, il cuore di Kunibert ebbe un sussulto. Il ragazzo, istintivamente, si portò una mano al petto. Non aveva detto niente a Regina per la pura e semplice paura che Mackenzie, in un modo o in un altro, venisse a sapere che Nephrite l'aveva sostituita; in realtà si fidava di Mars.
Regina iniziò a intravedere delle crepe sulla dura e apparentemente impenetrabile corazza di Kunibert. Il ricordo di Kunzite si era imposto con forza sulla sua mente e sulla persona di Kunibert, nascondendo ciò che il ragazzo dai capelli argentati, in quella nuova vita, era diventato.
Perché tutti si ostinano a guardare il passato?”.
-”La situazione, come hai potuto vedere, è complicata”- disse Kunibert dopo un po'. Si sfilò i guanti e se li infilò alla buona nelle tasche dei pantaloni. -”E tu non l'hai di certo migliorata”- aggiunse con un'occhiataccia. -”Cosa volevi da Amina? L'hai terrorizzata”-.
-”L'ho solo messa in guardia”- ribatté Regina alzando il mento.
-”Oh, ma certo!”- esclamò il ragazzo con sarcasmo. -”Come se potesse capire!”-. Girò su se stesso e irrigidì le mani all'altezza del volto. -”Amina, il tuo ragazzo non è chi pensi che sia ed è destinato a proteggere la Terra!”- scimmiottò Regina.
Regina, stizzita, si staccò dal muro e avanzò di un passo verso Kunibert.
-”Perché, non è la stessa cosa che lei...?”-.
Regina si zittì improvvisamente e serrò le labbra. Distolse lo sguardo dagli occhi grigi di Kunibert e lo gettò a terra, su quei maledetti e sgangherati sampietrini su cui inciampava tre volte sì e una no. Capì, in pochi secondi, di aver frainteso tutto; capì di aver sbagliato target e di aver scoperto qualcosa che era sfuggito a Kunibert, troppo impegnato a preoccuparsi del suo compagno per rendersi conto di aver preso, per ironia della sorte, due piccioni con una fava.
Due piccioncini.
Gli Amanti. I tarocchi glielo avevano detto! Non si stavano riferendo a Mackenzie e a Kunibert, ma a quei due ragazzi, a Nehemias e ad Amina! Ecco perché Kunibert non voleva che Jupiter entrasse in contatto con Nehemias! Il loro amore era sbagliato, un errore, un...
...Un abominio?”, si interrogò corrugando la fronte e dando le spalle al perplesso Kunibert.
Che diritto aveva di giudicare i loro sentimenti? Anche se avevano perso i loro ricordi, i sentimenti che provavano l'uno per l'altra erano sinceri. Perché rovinare la loro relazione e le loro vite, dannarli a un'eterna lotta ingrata, obbligarli a ricordare e a soffrire? Regina pensò di aver commesso un gravissimo errore; non sarebbe mai dovuta partire alla ricerca del ragazzo della kunzite.
Se potessi tornare indietro nel tempo...”.
Sentì il corpo irrigidirsi e un moto di rabbia e rimpianto pervaderla. Kunibert la chiamò e le posò una mano sulla spalla. Dal suo tono di voce Regina capì che il ragazzo stava iniziando a preoccuparsi. Infastidita, si scrollò di dosso la mano di Kunibert e si voltò a guardarlo. Eccolo lì, il comandante dei Quattro Generali Celesti, Kunzite; l'uomo a cui importava solo di ritrovare Venus; la persona che utopisticamente credeva alla durata eterna dell'amore. Gli angoli della bocca rubino di Regina si contrassero in una smorfia di disgusto.
-”Che ti prende?”- le domandò Kunibert allarmato.
Così sicuro e convinto dei propri ideali... Kunibert non avrebbe mai permesso a Nehemias e ad Amina di restare insieme; Mackenzie non avrebbe mai permesso loro di rinunciare al proprio dovere.
-”Siete degli egoisti del cazzo”- sussurrò Regina con disprezzo.
Kunibert, confuso dallo stranissimo comportamento della ragazza, sbatté le palpebre un paio di volte e non riuscì a rispondere alle parole cattive appena sentite. L'occhiata che gli lanciò Regina era carica di odio, più del solito. Ripercorse rapidamente la conversazione, domandandosi cosa avesse potuto far arrabbiare Mars. Regina, guardandolo boccheggiare, scosse la testa con derisione.
-”E' inutile che ci provi. Tu e Jupiter non potete capire”-.
Guardando Regina allontanarsi camminando sui tacchi come una top model, Kunibert, nonostante il momento tragico, non poté fare a meno di constatare di non aver mai assistito a un ragequit elegante e d'effetto come quello appena eseguito dalla ragazza dai capelli corvini. Non le corse dietro, non ci provò nemmeno; sapeva benissimo che se lo avesse fatto lei lo avrebbe letteralmente incenerito.
Non riuscì a capire cosa l'avesse fatta infastidita così tanto.
Non riuscì a capire perché, semplicemente, non poteva farlo.

 

 

Mackenzie non amava la vita notturna. Non era una ragazza da aperitivi, da locali con musica dal vivo e nemmeno da discoteche. Odiava quei luoghi e detestava chi ne era un assiduo frequentatore. Nonostante sua nonna le dicesse sempre di non giudicare qualcuno dalle apparenze, Mackenzie non poteva farne a meno: per lei le prime impressioni erano importantissime.
Quando, con in mano il libro comprato il giorno prima in quella piccola libreria in Corso Nazionale che amava tanto, si avvicinò alla finestra che dava sul fronte della fioreria, vide un ragazzo starsene in piedi in mezzo alla strada. Nonostante la serata non fosse delle più fredde, indossava un parka verde militare e ai piedi portava degli anfibi. Aveva le mani infilate nei tasconi del parka e a Mackenzie parve che stesse fissando proprio la sua finestra. Inquietata ma al tempo stesso incuriosita, la ragazza, dopo averci riflettuto per qualche secondo, spalancò le ante della finestra. Posò il libro per terra e si appoggiò coi gomiti al davanzale. L'aria fredda della sera le smosse i capelli castani.
-”Qualcosa non va?”- gli domandò con un sopracciglio alzato.
Il ragazzo scosse la testa e sorrise.
-”Mia madre ha ricevuto in regalo una pianta di questo negozio. Una pianta molto bella. Volevo vedere che tipo di negozio fosse”-.
Ovviamente è un fioraio, imbecille”, avrebbe risposto Regina; ma Mackenzie, troppo gentile e disponibile per prendere in giro qualcuno senza motivo, sorrise a sua volta, senza scherno.
-”Un negozio di fiori”- rispose.
Il ragazzo inclinò la testa di lato.
-”Fin qui c'ero arrivato”- disse ridendo. -”Non sapevo ci fosse un negozio del genere in questa zona. Soprattutto, non sapevo fosse gestito da una ragazza così bella. Per caso... ci siamo già visti da qualche parte?”-.
Mackenzie sussultò.
-”In che senso?”-.
Il ragazzo si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo, come se ciò che stava per dire lo mettesse particolarmente a disagio.
-”Non spaventarti, ma è come se ti avessi già incontrata prima”-.
Mackenzie si sentì come se fosse stata appena investita da un treno in corsa. Quelle parole... Sicuramente non poteva essere un caso che un individuo misterioso, a quell'ora della sera e nel preciso momento in cui si era avvicinata alla finestra, si fosse palesato e le avesse detto quelle parole.
...Come se ti avessi già incontrata prima”.
Era ormai notte e l'illuminazione era scarsa, non riusciva a distinguere il volto dello sconosciuto, ma lei, dentro di sé, lo sapeva bene: solo una persona avrebbe potuto parlarle in quel modo, una persona che Jupiter stava attendendo da quando aveva recuperato la memoria.
Mackenzie, in uno slancio improvviso carico di gioia e speranza, si staccò dal davanzale, afferrò le chiavi di casa e corse fuori, saltando gli scalini delle scale e fiondandosi fuori dal portone di casa. Quando uscì in strada il ragazzo misterioso non c'era più; svanito, con una rapidità impressionante. Al suo posto, adagiato sul grigio selciato, c'era un piccolo fiore azzurro dai petali a punta. Mackenzie lo riconobbe subito (del resto era il suo lavoro) e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Le mani tremanti di emozione della ragazza raccolsero e strinsero al petto quel piccolo nontiscordardimé.
Sua nonna glielo diceva sempre: mai giudicare un libro dalla copertina.
Mackenzie si sarebbe presto accorta di quanto sua nonna avesse ragione.











NOTE DELL'AUTRICE:
Sono tornata con un nuovo capitolo in cui assistiamo alla presa di coscienza di Regina e a una misteriosa interazione di Mackenzie con un ragazzo sconosciuto. Vorrei davvero poter scrivere e aggiornare con maggiore costanza, ma mi risulta sempre difficile a causa dei vari impegni che ho (in primis l'università) :/
Grazie a tutti per seguire la mia storia <3
Alla prossima! ^^

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Capitolo 14
*** Confusione - Atto 1: Cellulare ***


Si sedette sul divano rosso e drizzò la schiena, muovendosi un po' a disagio e schiarendosi la voce. La piccola televisione a schermo piatto era lì, davanti a lui, spenta e silenziosa. La fissò coi suoi penetranti e chiari occhi azzurri. La visuale si annebbiò, lasciando nitido solamente il televisore. Si concentrò, svuotando la mente e desiderando con tutto se stesso che lo schermo si accendesse. Aveva i muscoli del collo in tensione, i denti serrati in una morsa fortissima.
Poteva farcela, sapeva di esserne in grado.
Si immaginò un filo sottilissimo che, partendo dalla sua fronte, andava a collegarsi alla televisione, mettendo così in comunicazione i due estremi. Eccolo, il filo mentale era pronto, nitidissimo nella sua immaginazione.
Bastava solamente...
-”Che stai facendo?”- domandò una voce divertita alla sua destra.
Spaventato, sussultò e distolse gli occhi dalla televisione, perdendo la concentrazione e mandando all'aria gli sforzi dei passati dieci minuti.
-”Niente”- si affrettò a dire imbarazzato. Si alzò dal divano e, a capo chino, andò a rintanarsi nella sua camera, dove sapeva che il coinquilino non si sarebbe mai azzardato a seguirlo.

 

 

Erano trascorsi dieci giorni da quando Jadran aveva scoperto di riuscire a muovere e ad animare gli oggetti metallici, meccanici ed elettronici: elettrodomestici, mezzi di trasporto, cellulari, computer e semplici oggetti di metallo. Gli bastava desiderare ardentemente che il cucchiaio della colazione si mettesse a saltellare sul tavolo, ed ecco che quello lo faceva veramente. Qualche giorno prima era riuscito a impedire a una macchina di investire un gatto.
Jadran ne era rimasto sconvolto. Mai avrebbe pensato che dei poteri del genere potessero realmente esistere; mai, in realtà, avrebbe pensato che potessero esistere dei poteri in generale! Iniziò a chiedersi se si trattasse di una capacità ricevuta alla nascita e sviluppatasi in seguito, se qualcuno gliela avesse donata o se, addirittura, non fosse uscito di senno.
La risposta a tutti i suoi interrogativi arrivò qualche giorno dopo.
Jadran aveva legato la bicicletta a una rastrelliera in Piazza Petrarca e si stava avviando in una copisteria a ritirare delle fotocopie quando, passando davanti alla vetrina di un bar, aveva intravisto con la coda dell'occhio un'immagine che il suo cervello designò come “sbagliata”: una ragazza minuta dai capelli corvini a caschetto abbigliata come una marinaretta. La cupa divisa che indossava era sulle tinte del viola scuro e le sue mani piccole e sottili reggevano quella che a Jadran era parsa una specie di falce. Il ragazzo biondo era rimasto impietrito di fronte a quella misteriosa apparizione perché subito si era reso conto che quella mistica ragazza aveva sostituito il suo riflesso.
...Con la rinascita di questo mondo dona a voi, tristi anime, una seconda possibilità”, aveva poi sentito mormorare da una flebile voce.
Nei giorni successivi la voce si era fatta sempre più insistente e assillante; Jadran si sentì più volte come un pirata tartassato dal proprio pappagallo parlante. Il ripetitivo sussurro che accarezzava le sue orecchie lo accompagnava ovunque e lo esortava e riunirsi a coloro che venivano da lei definiti “compagni”. L'unico motivo per il quale non si era ancora rivolto a uno psichiatra era il suo strabiliante legame con gli oggetti meccanici e metallici. Sapeva che si trattava di qualcosa di straordinario e di inspiegabile, per cui, dopo qualche giorno, si era arreso alla presenza monotona della voce della ragazza con la falce.
Suppongo sia il prezzo da pagare per aver ricevuto questi poteri”.

 

 

-”...E allora io gli ho detto che, per me, poteva benissimo andarsene a fanculo!”-.
Il gruppetto di ragazzi scoppiò a ridere fragorosamente. Jadran rise così tanto che per poco non gli cedettero le ginocchia. Il suo coinquilino, il ragazzo che aveva appena terminato di raccontare quel divertentissimo aneddoto, lo sorresse per un gomito e, sghignazzando con lui, gli levò di mano la birra.
-”Cerca di non rovesciartela addosso come la settimana scorsa!”- lo rimproverò Phil, più brillo di lui.
Jadran si asciugò gli angoli degli occhi e fece schioccare la lingua, stringendosi nelle spalle.
-”Hai paura che monopolizzi la lavatrice?”- disse un altro ragazzo a Phil. -”Devo ricordarti chi è quello che riesce a macchiarsi la maglietta ogni fottutissima volta che mangia il gelato?”-.
Phil puntò un dito contro l'amico e lo guardò da sopra la montatura degli occhiali, lanciandogli quella che, secondo lui, doveva essere un'occhiata minacciosa.
-”Guarda che serve una certa abilità per farlo!”- disse con una punta di orgoglio.
Tutto il gruppo scoppiò nuovamente a ridere. Jadran approfittò dell'ilarità generale per riprendersi la birra dalle mani di Phil. Ne bevve un sorso e fece vagare lo sguardo per Piazza delle Tavole. Da quando si era trasferito a Site e aveva conosciuto Phil, tutti i fine settimana usciva con gli amici per andare a farsi un paio di birre in Piazza delle Tavole. Gli piaceva quel posto.
-”Ehi ehi!”- esclamò a un tratto Phil prendendo Jadran a gomitate per ricevere la sua attenzione. -”Guarda quei due”- disse indicando una coppia rintanata in una viuzza che sfociava in Piazza delle Tavole.
Jadran seguì l'indice dell'amico e aguzzò la vista, cercando di mettere a fuoco le due figure che, apparentemente, non sembravano divertirsi. La ragazza, con le spalle al muro, guardava fissa il ragazzo, il quale, indemoniato, faceva avanti e indietro e gesticolava come posseduto dal demonio.
-”Avrà scoperto che la sua ragazza lo tradisce”- commentò Phil con noncuranza. Finì la bottiglia di birra in un sorso e guardò Jadran, stringendosi nelle spalle. -”A chi non è mai capitato?”- buttò lì la domanda retorica, allontanandosi poi per andare a buttare la bottiglia di vetro nel cestino.
Jadran annuì distratto, completamente preso da quei due ragazzi che si erano volutamente isolati dal resto del mondo per scannarsi a vicenda. La ragazza, dai lunghi capelli neri raccolti in una coda alta, dopo un primo momento di smarrimento, si era ripresa ed era passata al contrattacco. Teneva testa all'aggressivo ragazzo dai capelli argentati.
Sembra una pantera...”, pensò Jadran con la bocca socchiusa.
A un tratto vide la ragazza scuotere la testa e piantare in asso il ragazzo, andandosene con lo stesso incedere di una modella di fama mondiale.
-”Ah, se n'è andata?”- chiese Phil affiancando Jadran.
Jadran non rispose al coinquilino. Guardò la propria birra, confuso e con uno strano impulso che sentiva risalirgli lungo il corpo. In un lampo, come folgorato dall'ispirazione della vita, spinse contro il petto di Phil la bottiglia di birra e gli ordinò di tenerla. Phil lo guardò stralunato.
-”Torno subito”- fu tutto quello che disse prima di farsi largo a spallate tra la folla di Piazza delle Tavole.
-”Ehi!”- gli urlò dietro Phil. -”Guarda che se non torni in breve tempo me la bevo!”-.
Sapeva dove sbucava la strada presa dalla ragazza. Fece un percorso alternativo per non incappare nel ragazzo dai capelli argentati. Nel mezzo della corsa si domandò per quale motivo lo stesse facendo. Perché stava correndo a perdifiato per raggiungere una ragazza che manco conosceva? Le persone per strada, vedendolo alquanto sconvolto, si scansavano subito per permettergli di passare; credevano fosse ubriaco.
Esattamente come aveva previsto, incrociò la ragazza vicino alla gelateria che faceva angolo. Si fermò, pietrificato da quella soave visione. Vista da vicino era veramente bella. Jadran riprese fiato e osservò la ragazza camminare a passo svelto su degli altissimi tacchi. Il ticchettio delle sue scarpe riecheggiava rabbioso per l'aria, come ad annunciare il suo arrivo. Jadran, assecondando ancora una volta il suo istinto, si gettò in strada e, facendo slalom tra un paio di persone, raggiunse la ragazza mora. La prese per un braccio e la fermò.
-”Come cazzo ti permetti?!”- saltò su lei liberandosi dalla presa del ragazzo biondo e scoccandogli un'occhiata feroce. Lo guardò sconvolta, sorpresa e irritata. Si allontanò di qualche passo e lo squadrò da capo a piedi. -”Che vuoi?”- domandò burbera.
Jadran ritrasse le mani e boccheggiò, non sapendo cosa dire. Si guardò attorno nervoso, balbettò un paio di scuse e si eclissò rapidamente, dicendo che l'aveva scambiata per un'altra persona.
Jadran tornò in Piazza delle Tavole con la coda tra le gambe, dandosi più volte del cretino e domandandosi per quale assurdo motivo si fosse ficcato in quella situazione imbarazzante. Trovò il suo gruppo di amici ad attenderlo, più ubriachi di prima e, ovviamente, più molesti.
-”Te l'ho finita, Jad!”- sghignazzò Phil agitando in aria la bottiglia di birra vuota. -”Sei riuscito a beccarla?”- gli sussurrò vicino al viso. Jadran arricciò il naso per il forte odore di birra.
-”Sì, ma...”-.
-”Le hai lasciato il numero?”- insistette l'amico barcollando e passando un braccio attorno al collo di Jadran.
-”No, ma avrei tanto voluto farlo”- sospirò.

 

 

-”Che modi!”- ringhiò Regina a denti stretti percorrendo la via come una Furia. -”Quanta maleducazione!”-.
Che diamine voleva quel ragazzo biondo? Prenderla per un braccio e fermarla? Inaccettabile. Nessuno si poteva permettere di toccarla così.
Si fermò, batté un tacco per terra e sospirò, esasperata e sfinita.
-”Che serata di merda”- borbottò aprendo la borsa e prendendo il cellulare. Sbloccò lo schermo e alzò un sopracciglio nel vedere che quel palo in culo di Kunibert non le aveva scritto nemmeno mezzo messaggio di scuse.
-”Ah, ma guarda come ti asfalto io”- disse con lo sguardo pieno di odio e rancore.
Aprì la rubrica per cercare il numero di Kunibert quando, sorpresa, si soffermò su di un numero che aveva salvato senza nome. Corrugò la fronte, confusa.
E questo da dove spunta fuori?”, pensò aprendo il contatto. A parte il numero di cellulare, nessun'altra informazione era stata salvata.
Fece per cancellarlo quando il suo pollice indugiò un po' troppo sul touchscreen, quel poco che bastava per farle cambiare idea.
Chissà, potrebbe essere divertente”, si disse compiaciuta.
Infilò il telefono nella borsa, si scostò la coda dalla spalla e, impettita e altezzosa, si incamminò verso casa.
















ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti, salve a tutti!
Suppongo che molti di voi (o tutti, ahahah!) pensavano che mi fossi dimenticata di questa fanfiction e/o avessi abbandonato l'impresa. E INVECE NO, invece eccomi qui con un altro capitolo che apre una nuova fase della storia, "Confusione".
Due nuovi personaggi sono appena stati introdotti, uno, ovviamente, più importante dell'altro ;) Suppongo abbiate tutti capito chi sia in realtà Jadran, giusto? >:) 
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento <3 Come sempre, se voleste lasciare una recensione o un breve commento, io ne sarei più che felice ^^
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 15
*** Confusione - Atto 2: Sconosciuto ***


-”Grazie a lei e buona giornata”- disse Kunibert con un sorriso fintissimo e un breve cenno del capo.
La donna dai capelli platinati rispose con entusiasmo e uscì dal negozio di Mackenzie con in braccio un esemplare di quella che la grossa enciclopedia acquistata qualche giorno prima da Kunibert indicava come Pachira aquatica. Il ragazzo, non appena la cliente se ne fu andata, abbassò gli angoli della bocca e fece schioccare la lingua. Guardò il proprio debole riflesso alla vetrina del negozio e si domandò come avesse fatto il comandante dei Quattro Generali Celesti a ridursi in quello stato: commesso di una fioreria costretto a indossare un grembiule rosa confetto e a sorbirsi dalla mattina alla sera le lamentele della proprietaria e di un'egocentrica cartomante. Cosa avrebbe detto il Principe Endymion se l'avesse visto in quelle condizioni pietose? E i suoi compagni?
Il suo viso si indurì di colpo al ricordo della sera precedente, di Nehemias e della sua ragazza, una fanciulla che, ahimè, non era Jupiter. Si passò una mano sul volto, espirando rumorosamente e alzando gli occhi al cielo, come in cerca di un aiuto divino. L'unica persona che, forse, avrebbe potuto dargli una mano era Saturn, ma la Bella Guerriera della Morte e della Rinascita non si faceva sentire da giorni; era come sparita, risucchiata dalle tenebre del suo lontano pianeta.
-”Mi risveglia, mi dà il potere di fare altrettanto coi miei compagni e sparisce, senza spiegare un cazzo”- borbottò sedendosi sullo sgabello del bancone. -”Bella merda”-.
Il campanellino posto sopra la porta d'ingresso trillò e Kunibert scattò in piedi, sperando con tutto se stesso che il cliente in arrivo non lo avesse sentito lamentarsi.
-”Buongiorno!”- disse prontamente. Il sorriso tirato e di cortesia svanì immediatamente dalle sue labbra quando si accorse che la persona appena entrata era Mackenzie. -”Alla buon'ora, Jupiter”- sospirò alzando un sopracciglio bianco.
La ragazza, scesa dal proprio appartamento con indosso un semplice paio di jeans skinny e una t-shirt bianca con lo scollo ovale, lo guardò di sfuggita e gli rispose con un distratto saluto. Si accasciò con poca grazia sul divanetto, appoggiandosi allo schienale imbottito e rovesciando la testa all'indietro. Kunibert, da dietro il bancone, la guardava incuriosito dal suo comportamento assente.
-”Devo supporre che sia successo qualcosa?”- azzardò. -”Non è da te ritardare in negozio ed essere così”- le fece notare indicandola con un gesto sbrigativo della mano.
Mackenzie, che teneva gli occhi chiusi, socchiuse una palpebra e lanciò una strana occhiata verde a Kunibert. Per quanto all'apparenza si stesse mostrando calma e rilassata, in realtà stava cercando di tenere a bada dentro di sé un uragano di emozioni. Quel pensiero, quella ormai certezza, l'aveva tenuta sveglia per tutta la notte, facendola fantasticare sull'immediato futuro e rendendola una ragazza piena di speranza; una speranza forte e verdissima, come i suoi occhi che adesso, come brillanti e preziosi smeraldi, stavano riflettendo la loro luce sul volto scettico di Kunibert.
-”Non sono una persona molto empatica”- disse seccato. -”Per cui ti pregherei di piantarla di fissarmi in quel modo. Parla, per cortesia. Cos'è successo?”-.
A quel punto Mackenzie non riuscì più a trattenersi. Scattò in piedi e coprì con un paio di ampie falcate lo spazio che separava il divanetto dal bancone. Si chinò in avanti, appoggiò i gomiti sul ripiano e afferrò le mani di Kunibert. Il ragazzo, colto alla sprovvista, si irrigidì e, istintivamente, inarcò la schiena nel vano tentativo di allontanare il proprio volto da quello emozionato e fin troppo elettrizzato di Mackenzie.
-”Stai... Ti stanno... Hai delle scintille sulla faccia”- balbettò Kunibert.
-”E chissenefrega!”- esclamò Mackenzie. -”Devo dirti una cosa, Kun”- sussurrò con entusiasmo.
-”Va bene, ma potresti...?”- disse Kunibert a denti stretti cercando di liberarsi dalla presa ferrea della ragazza.
-”Credo di averlo trovato!”-.
Kunibert smise di lottare e socchiuse le labbra, guardando Jupiter confuso. Improvvisamente sentì freddo e un rapidissimo e solitario brivido gli percorse la schiena. Si schiarì la gola, a disagio.
-”Di chi stai parlando?”- chiese. La bocca gli si era a un tratto seccata.
Mackenzie, completamente cieca di fronte a quello che chiunque avrebbe definito “terrore sul viso”, lasciò le mani fredde di Kunibert e spalancò le braccia.
-”Nephrite!”- trillò con voce acutissima.
Kunibert boccheggiò, in cerca delle parole più adatte per rispondere alla proprietaria del negozio. Guardò oltre le spalle di Mackenzie, pregando silenziosamente che qualcuno entrasse da quella maledetta porta e lo salvasse.
-”Sei strano”- disse Mackenzie dopo essersi resa conto della strana e allarmata espressione del volto di Kunibert. Lasciò le mani del ragazzo e si allontanò dal bancone di qualche passo. Ridusse gli occhi a due fessure e squadrò l'amico da capo a piedi.
Kunibert si tolse il grembiule rosa e girò attorno al bancone, piazzandosi davanti a Mackenzie. Si asciugò i palmi sudati delle mani sui jeans, schiarendosi la voce e preparandosi al peggio. Aveva un sacco di domande da porre a Jupiter, prima tra tutte per quale motivo non fosse infuriata come una bestia.
Un attimo”.
-”...Sei felice?”- disse incredulo. -”Perché non sei arrabbiata?”-.
Mackenzie lo guardò allibita. Strinse gli occhi e scosse lievemente la testa. Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-”Che razza di domanda è?”- gli chiese con voce improvvisamente acuta.
-”Lui sta...”- iniziò Kunibert. Si zittì quasi subito quando, osservando meglio gli occhi verdi della ragazza, intuì che Mackenzie non sapesse veramente niente dell'attuale condizione di Nephrite. Non sembrava per niente turbata, ma anzi, era al settimo cielo, convinta di aver ritrovato l'amore della sua vita. Kunibert non riusciva a capire. L'unica spiegazione plausibile e possibile era che avesse scambiato qualcuno per Nephrite.
-”Quando è successo?”- le domandò.
Mackenzie si sorprese del repentino cambio di espressione di Kunibert. Fino a un attimo prima sembrava, cosa insolita per lui, spaventato: i suoi occhi grigi erano sbarrati e il suo sguardo stralunato vagava per il negozio, specchio dei suoi pensieri turbolenti. Credeva che la notizia del ritrovamento di uno dei Quattro Generali Celesti, di un suo compagno, l'avrebbe reso più che felice. Mackenzie sapeva che Kunibert aveva preso molto seriamente il compito affidatogli da Sailor Saturn, come era giusto che fosse. Perché allora aveva reagito in quel modo così strambo?
-”Sei strano, Kun”- mormorò sospettosa.
Kunibert fece un gesto spazientito con la mano e prese Mackenzie per le spalle, costringendola a sedersi con lui sul divanetto.
-”Rispondi alla mia domanda”- la esortò.
La ragazza dagli occhi verdi si scrollò di dosso le mani del fu Kunzite e lo guardò torva.
-”Ieri sera, qua davanti”-.
-”Cosa?”-.
Le guance di Mackenzie si colorarono di rosso e la ragazza si portò entrambe le mani al viso, arrossendo violentemente al ricordo della sera precedente.
-”Mi sono affacciata alla finestra e l'ho visto. Era lì, in mezzo alla strada, e stava fissando la mia finestra”-.
Ma ieri sera Nephrite era con me...”, pensò Kunibert. Che si sia presentato sotto casa di Mackenzie dopo la conclusione disastrosa dell'aperitivo? Certo, possibile. Ma in tal caso... Che fine aveva fatto Amina?
-”Era solo?”- chiese Kunibert con lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
-”Sì”- cinguettò Mackenzie. -”Ricordo che indossava un paio di anfibi neri e un giaccone verde militare. Ci siamo scambiati qualche parola e poi mi ha detto che aveva l'impressione di avermi già incontrata”-.
Nell'udire la descrizione dell'abbigliamento di quello che Mackenzie aveva identificato come Nephrite, i muscoli di Kunibert, fino ad ora tesi come una corda di violino, si rilassarono, sciogliendosi come neve al sole. Il ragazzo si accasciò sul divano e si passò una mano sul volto, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.
Non era lui. Nehemias aveva delle sneakers bianche e un giacchetto di jeans scuro.
-”Dio, grazie...”- sussurrò Kunibert sentendosi più leggero.
Ma allora... Allora chi era lo sconosciuto che si era presentato sotto casa di Mackenzie?
-”Jupiter, perché pensi si sia trattato di Nephrite?”- le chiese cautamente. -”Non l'hai nemmeno visto in faccia”- le fece notare con più tatto possibile.
-”Mi ha lasciato un fiore, Kun!”- continuò la ragazza con occhi sognanti. -”Un nontiscordardimé!”-.
-”E' solo un fiore, chiunque potrebbe dartelo...”-.
Mackenzie scattò in piedi come una molla. Guardò Kunibert dall'alto, coi pugni chiusi lungo i fianchi e gli occhi lucidi. Tirò su col naso, si passò il dorso della mano sugli occhi e puntò un dito contro Kunibert.
-”Potresti per una buona volta smettere di essere così rigido e cinico?”- disse a denti stretti.
Mackenzie sapeva bene che Kunibert aveva ragione, che chiunque era potenzialmente in grado di regalarle un fiore e di dirle quelle parole, ma lei ci aveva creduto. Aveva trascorso tutta la notte a pensare al suo amato, crogiolandosi in un brodo di giuggiole e pensando col sorriso sulle labbra di averlo finalmente trovato. Le mancava, Nephrite le mancava tantissimo; da quando le sue memorie si erano ridestate avvertiva la sua mancanza ogni giorno.
-”Tu più di ogni altro dovresti capirmi”- furono le sue ultime disperate parole prima di girare i tacchi e uscire dal negozio. Sbatté con forza la porta e Kunibert temette di vedersela scardinare a cadere davanti agli occhi.
Oh, grandioso!”, pensò sprofondando ancora di più nel divanetto.
Nel giro di praticamente un giorno era riuscito a farsi detestare sia da Mars che da Jupiter, le due Guerriere Sailor più toste e testarde. Non era certo nei suoi piani. Mai avrebbe voluto creare conflitti interni, soprattutto vista la costante minaccia dei Soldati di Sailo Earth. Dovevano restare uniti, fare fronte comune e, per una buona volta, mettere da parte i sentimenti. Stavano tutti e tre venendo meno ai loro doveri, accecati da emozioni e passioni certamente lecite ma, in quel momento, fuorvianti. Mackenzie doveva essere davvero disperata per scambiare un tizio qualunque per Nephrite.
Kunibert si batté una mano sul ginocchio, si rialzò e tornò al suo posto dietro al bancone. La giornata era ancora lunga e il negozio, purtroppo, non si gestiva da solo.
Mi domando però chi sia lo sconosciuto di Jupiter...”, pensò dando il buongiorno a un nuovo cliente.














ANGOLO AUTRICE
Non vi aspettavate un aggiornamento così presto, vero? Eheheh! Avendo quasi finito la sessione e trovandomi con molto tempo libero, sono riuscita a scrivere e a pubblicare il nuovo capitolo :> 
Il nostro povero Kunibert è riuscito a inimicarsi sia Regina che Mackenzie; impresa non da poco!
Nella speranza che a causa delle mie prolungate assenze non vi siate annoiati della storia, vi ringrazio per il supporto <3 
Lasciate qualche recensione, se vi va; a me farebbe molto piacere ricevere le vostre opinioni :>
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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