Il viaggio di una sirena

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allontanarsi ***
Capitolo 2: *** Re del mare ***
Capitolo 3: *** Psiche ed empatia ***
Capitolo 4: *** Richiesta di aiuto ***
Capitolo 5: *** Acque immote, acque agitate ***
Capitolo 6: *** Brividi nella notte ***
Capitolo 7: *** Testardaggine, orgoglio e tanta pazienza ***
Capitolo 8: *** Tensioni ***
Capitolo 9: *** Il trillo del diavolo ***
Capitolo 10: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 11: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 12: *** Stringimi forte amore ***
Capitolo 13: *** Gli stati dell'anima ***
Capitolo 14: *** La luce all'improvviso ***
Capitolo 15: *** I piccoli fuochi che riportano a casa ***
Capitolo 16: *** Epilogo - I doni del cuore ***



Capitolo 1
*** Allontanarsi ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Allontanarsi

 

Una fresca brezza e foglie d'autunno,
le giornate trascorrono lentamente.
Due guardinghi occhi solitari,
sorvegliano la vita.
Sentirsi la presenza tutt'attorno,
un animo tormentato,
una ferita incurabile.
Nessun rimpianto o promessa,
il passato è trascorso,
ma puoi ancora essere libera,
se il tempo ti renderà libera.
Adesso è tempo di aprire le ali,
di prendere il volo,
di provare la vita.
Dritta verso il sole rovente,
sei intrappolata in te,
ma puoi ancora essere libera,
se il tempo ti renderà libera.
Ma è una strada molto molto lunga da percorrere.
Comincia ad andare verso l'alto,
vedrai la luce,
essa splende da sempre.
Naviga attraverso i cieli cremisi,
la luce più pura,
la luce che ti rende libera,
se il tempo ti renderà libera.
Naviga stasera attraverso il vento e la pioggia,
stasera sei libera di volare,
e puoi ancora essere libera,
se il tempo di renderà libera.
E andando più in alto delle cime delle montagne,
e và alta come il vento inarrestabile.
E và alta.
Libera di volare stasera.
 

(Traduzione di You can still be free – Savag Garden)

 

 

 

La lezione con il suo adorato violino era stata pesante, ed anche se a Michiru piaceva da impazzire lasciar scivolare l'archetto sulle corde, si sentiva intorpidite tutte le dita. Iniziando ad essere piuttosto brava, il suo insegnante aveva deciso di alzare l'asticella ed il livello di difficoltà delle partiture era salito esponenzialmente con il passare delle settimane, tanto che adesso le risultava persino difficile ed un tantino doloroso, stringere un carboncino da disegno. Presto o tardi sarebbe arrivata anche per lei l'ora di decidere quale strada intraprendere per raggiungere il suo futuro; la musica o la pittura. Entrambe sorelle nella comprensione dell'esistenza umana e per lei entrambe importantissime per superare le difficoltà di una vita fatta di continui spostamenti. A causa del lavoro di suo padre, Viktor Clauss Kaiou, diplomatico svizzero di origine nipponiche estremamente tenuto in considerazione in ambito internazionale, Michiru e sua madre erano costrette a frequenti cambi di residenza, ma mentre per la donna la carriera di musicista la portava a viaggiare quasi senza sosta, stemperando gran parte del fastidio di un'adattamento continuo, per lei le cose non erano mai state facili. Per esempio non riusciva a farsi dei veri amici, ad affezionarsi ad un luogo o sentirsi parte di esso. Vedeva talmente di rado la sua Svizzera che non sentiva quasi più di appartenerle e più vicina ad essere una “cittadina del mondo”, Michiru bramava delle radici forti che la spingessero ad avere un posto da chiamare casa.

Camminando lungo il viale che portava alla villa che l'ambasciata elvetica della città ateniese aveva assegnato alla sua famiglia, Michiru guardò in direzione del porto del Pireo perdendo lo sguardo al blu marino in lontananza. Lui si, era sempre in lei. L'unico elemento presente in natura che riuscisse a calmare le ansie adolescenziali di una tenerissima ragazza, a volte anche troppo sensibile ai mutamenti del mondo che la circondava. Stringendo la custodia del suo violino tra le dita della mano destra, iniziò a farla dondolare leggermente percorrendo così un altro po' di strada prima di suonare al citofono ed aspettare che le venisse aperto. Poco meno di due minuti e la cuoca scese le scale che portavano all'ingresso, correndo poi a per di fiato lungo i cinquantina metri che la dividevano dalla ragazza.

Signorina Michiru... Per carità...”

Agapi, che succede?” Chiese puntando lo sguardo alla struttura in stile moderno che si estendeva dietro alle sue spalle.

La donna sulla quarantina le aprì il cancello bloccandola. “Suo padre... Non entri ora. E' furioso.”
“Dov'è mia madre?”

Dentro, ma...”

Michiru la scansò letteralmente da una parte lasciandole la custodia nelle mani iniziando a correre verso le scale. Spalancò la porta a vetri sapendo già a cosa avrebbe assistito.

Mamma!” Urlò prima di inquadrarla alla sua destra bloccata contro una delle pareti con le mani del padre al collo.

Lasciala papà.” Pregò lanciandosi sull'uomo, ma essendo piccola di statura e lui indubbiamente molto più forte di lei, si ritrovò il polso sinistro violentemente stretto nella presa di una delle sue mani.

Chi sei!? Che vuoi!?” Ringhiò.

Papà sono io, Michiru. Fermati... ti prego.” Ma le sue velleità vennero quasi subito interrotte da un grido. La morsa era scesa alle dita e le aveva piegato l'anulare all'indietro fino a spezzarlo.

Michiru cadde in ginocchio pervasa da un dolore lancinante.

 

 

Spalancò gli occhi stringendo istintivamente la destra alla mano gemella avvertendo sotto i polpastrelli la fede regalatale anni prima da Haruka. Un'anello piatto, alto circa cinque millimetri, dall'anima in oro bianco e le due estremità d'oro giallo. Lo guardò portandoselo alle labbra per baciarlo rannicchiandosi ancor più su se stessa.

Sorrise tristemente asciugandosi le lacrime che le stavano scendendo dagli occhi. Con il dito più debole da esercitare per un musicista, spezzato ed irrimediabilmente compromesso nei legamenti, le era risultato facile scegliere la carriera che avrebbe seguito. Aveva dovuto abbandonare il violino alla fine di quell'anno, ormai impossibilitata a bloccarne con fermezza le corde alla tastiera. Era come se una parte di se fosse morta facendola sentire di colpo più sola e vuota. Aveva scelto l'accademia d'arte, innamorandosi poi del restauro pittorico.

Il cellulare sul comodino suonò improvvisamente i Savage Garden nella loro You can still be free che Haruka si era ostinata a volerle mettere su al posto del suo consueto anonimo trillo e capì che era lei. Si ricompose per sembrare il più normale possibile.

“Pronto... Ruka.”

“Ben svegliata. Non dirmi che in questo giorno importantissimo sei ancora sotto le pezze!”

“Mmmm... Si.”

“Nuuuu. Ma come! Il suo amante la sta aspettando per essere esposto alla curia romana e lei dottoressa Kaiou che fa? Dorme!”

Michiru non potè che ridere alla vocina in falsetto che la compagna fece per ricordarle la presentazione che aveva in mattinata. La pala del Perugino era stata finalmente restaurata e lei, come prima operatrice, avrebbe dovuto presenziare alla sua ricollocazione museale in Vaticano.

“Ti amo.” Disse semplicemente provando nel cuore un'infinita riconoscenza per quella donna meravigliosa che era Haruka Tenou. Anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito, gioia della sua vita.

“Ecco. Che cos'hai combinato?” Chiese Tenou con malizia.

“Quanto sei antipatica. Mai possibile che quando ho voglia di essere romantica tu mi smonti come un castello di Lego!?” Si mise a sedere sul materasso tirando su col naso. All'altra non sfuggì.

“Che c'è Michi? Stavi piangendo?”

“No Ruka. No. E' solo un'infreddata. Qui fa molto più caldo che a Bellinzona e mi sono scioccamente scoperta.”

Dalla parte opposta il silenzio. Haruka sapeva del ritorno dei suoi incubi e non era affatto tranquilla quando erano costrette a dormire separate. Non che a casa potesse esserle molto d'aiuto, ma avendo il sonno leggerissimo aveva almeno la possibilità di svegliandola quando iniziava ad agitarsi troppo. Michiru cambiò radicalmente discorso alzandosi dal letto. “A proposito. Ieri ho visto Giò. Ti saluta e non vede l'ora di vederti.”

Indirizzare la conversazione verso l'amica funzionò. “Ma quanto è appiccicosa quella donna. L'ho chiamata dall'officina due giorni fa.”

“Se fosse per lei ti chiamerebbe tutti i giorni. Ti adora Ruka, ma lo sa che ti stranisci.”

“Ve bè, che c'entra, anche io le voglio bene, ma va sempre a finire che ci azzuffiamo. E poi adesso ho un sacco di lavoro da fare. La carena della nuova Panigale non decolla e non ho tempo anche per lei.” Si scusò imbarazzata.

Michiru sorrise. Vederle insieme era spassosissimo.

“Sai, credo che prima o poi dovrò affrontare con lei il discorso trasferimento.” Le confessò la bionda senza non poche riserve.

“Farle lasciare Roma sarebbe più che doloroso, ma sono d'accordo con te. Qui non ci sono gli sbocchi lavorativi adatti alla sua preparazione. E poi sarebbe bello vivere tutte e tre nella stessa città. Avete così tanto tempo da recuperare voi due.” Michiru entro in bagno osservando allo specchio le profonde occhiaie che aveva. Avrebbe dovuto truccarsi un bel po' per nasconderle.

“E tu quando torni?”

“Penso domani, nel primo pomeriggio.”

“Ottimo, allora ti vengo a prendere alla stazione con la tua Prius appena rimessa a nuovo dall'incidente. Rifare la fiancata è costato un pochino e ci sono volute settimane per trovare tutti i pezzi Toyota, ma è venuta davvero bene. - Cambiò il tono della voce lasciando che diventasse ancora più profondamente sensuale. - Mi sono stancata di dormire da sola.”

“Ma se sono partita due giorni fa!”

“E allora? Mi manchi!”

“E poi dici che sono gli altri ad essere appiccicosi.” La prese in giro prima di vedere l'ora sul dispay dell'orologio del bagno.

“Mamma mia, com'è tardi. Devo anche passare dal Cardinal Berti. Vuole che scendiamo ai musei insieme.”

“Appiccicoso anche lui! Salutamelo. Ci sentiamo dopo. Stendili tutti, come sempre! Ciao amore.”

“Sarà fatto. Ciao anima mia.” Riattaccando sospirò guardando di sottecchi la sua immagine.

Che faccia sbattuta che hai. Pensò affranta. Diamoci una mossa Michi o arriverai in ritardo e dopo il parto che è stato questo lavoro, non credo sia il caso.

E si infilò nella doccia dopo essersi tolta il pigiama ed averlo stranamente gettato in terra. Un'ora più tardi camminava sicura verso Porta Sant'Anna.

 

 

Il successo del restauro era sotto gli occhi di tutti, addetti ai lavori e non. Dopo l'intervento di pulitura e reintegrazione pittorica portata a compimento dalla dottoressa Kaiou, la Madonna con Bambino del Perugino era tornata a splendere di luce propria. In una delle sale dei Musei Vaticani adibita all'arte sacra della seconda metà del XV secolo, un piccolo gruppo di persolalità stava giustamente rendendo omaggio alla professionista che aveva permesso la rinascita di quell'opera d'arte.

“Dottoressa Kaiou lasci che le faccia i miei complimenti.” Un vaticanista abbastanza quotato le sorrise porgendole la mano che lei afferrò prontamente con sicura fermezza.

“Il merito non è mio, ma dell'artista. Comunque la ringrazio.”

“Sono tutti ampliamente meritati Michiru.” Fece eco il Cardinal Berti alle sue spalle.

“Eminenza, sappiamo entrambi che questo è stato un lavoro particolarmente complesso e non solo dal punto di vista tecnico, vero?” Disse ricordando all'uomo i mesi passati dove, vuoi per la malattia di Haruka prima, ed il suo incidente poi, i tempi della consegna della pala si erano dilatati a dismisura.

“L'importante è aver consegnato un lavoro ben fatto. Tutto il resto non conta più ormai.”

Lei non potè che ringraziarlo per l'ennesima volta.

“Ma la vedo stanca, va tutto bene?” Le mise paternamente una mano sulla spalla e la donna si affrettò a rassicurarlo. Non era il caso di fare di un sasso una valanga e poi quello che stava accadendo tra le pieghe del suo subconscio era solo affar suo.

Perchè non ne parli con Berti? Magari potrebbe darti qualche buon consiglio, le aveva suggerito la compagna e di tutta risposta Michiru non aveva preso la cosa neanche in considerazione. Aveva tagliato i ponti anche con il suo psicanalista, ritenendolo inutile e dannoso, figuriamoci se si metteva a raccontare il suo passato ad un prete. No, quello che le stava accadendo era un problema che avrebbe dovuto risolvere da sola. Anche se non sapeva ancora quando e, soprattutto, come.

“Ha nuovi impegni con la Santa Sede Dottoressa?” Chiese il vaticanista strappandola dai suoi pensieri.

“No. Devo tornare a Bellinzona dalla mia famiglia. Non posso più procrastinare il mio rientro in terra elvetica.”

“E' un vero peccato. - Disse avvicinandosi un po' troppo. - Perderemo quindi un bellissimo talento.” Lei sorrise nuovamente avvertendo un leggero senso di nausea. Non sopportava più di fingere che le cose o le persone di poco spessore la interessassero. Era da tutta la vita che cercava, studiava e si applicava per farlo. Per soddisfare gli altri. Per soddisfare un perbenismo che non tollerava più.

Avvertendo un forte giramento di testa si staccò da quell'uomo con una scusa banale, dirigendosi verso l'uscita della sala. Aveva bisogno di un po' d'aria. Si sentiva soffocare li dentro. Quella parte del museo era ancora chiusa al pubblico così riuscì a trovare una panca libera sedendovi appena in tempo per non cadere in terra.

Michi che ti sta succedendo?! Si chiese rabbiosa stringendo le mani a pugno sulle gambe mentre la schiena s'imperlava di sudore gelato. Non sarà una crisi di panico?! Ci mancherebbe...

Pochi istanti ed una forte stretta le arpionò la spalla. La sagoma del Cardinal Berti le riparò le iridi cobalto dai led dell'illuminazione. “Michiru lei non sta affatto bene.”

“Passerà Eminenza. Ho solo bisogno di stare seduta per un po'.” Pigolò chiudendo le palpebre.

Angelo Berti non era uomo da farsi convincere con quattro chiacchiere e due moine. In vita sua aveva sempre fatto della testardaggine la sua orifiamma ed ora non sarebbe stata certo una giovane donna a farlo desistere dall'idea che si era fatto.

“Ascolti, non mi dica che va tutto bene quando è palese che non sia affatto così. Abbiamo affrontato parecchie discussioni noi due, ma credo che questo abbia portato ad una certa fiducia e perciò mi creda se le dico di essere preoccupato. A casa procede tutto come sempre?” Vide la donna fare un cenno di assenso. “Ed allora è il corpo che non va.” Si sedette al suo fianco prendendole le mani.

“Non è mia intenzione intromettermi, ma Haruka lo sa?”

A quella domanda l'adrenalina di Michiru esplose nel cervello riportandola ad una lucidità insperata fino a qualche istante prima.

“Tornerò a casa domani. Non c'è morivo che si preoccupi.” Si alzò respirando profondamente.

Il suo disagio fisico era solo la diretta conseguenza della mancanza di sonno che aveva ormai in forma cronica da quasi due mesi e ostinandosi a rifiutare di prendere un qualsiasi medicinale non aiutava. In più pernottare fuori dal suo appartamento peggiorava ulteriormente le cose. Aveva infatti notato che quando dormiva a casa, nel suo letto, stretta al petto della sua compagna, era tutto ammortizzato, incubi e malesseri inclusi. Non che questo la consolasse. Michiru era una donna fatta ed anche parecchio intelligente. Sapeva che nei mesi nei quali la sua Ruka era stata male e si erano per forza di cose dovute separare, lei non aveva più avuto un solo incubo. Questo voleva dire soltanto una cosa; che con Haruka gli incubi del suo passato erano smorzati, ma comunque sempre presenti.

“Grazie Eminenza. - Gli stinse la mano cercando di sorridere. - Il suo interessamento mi commuove, ma le ripeto che non è nulla di preoccupante. Sono solo molto stanca.”

Lui la seguì alzandosi accigliato e non avendo peli sulla lingua disse a chiare lettere. “Come crede Michiru, ma non vedo come del buon sonno possa allontanare quella strana luce che ha negli occhi da qualche tempo. Non insisterò, ma si ricordi che in me troverà sempre un amico.”

“Lo so.” Disse guardandolo intensamente. Quell'uomo era sempre una sorpresa di comprensione.

 

 

Il tutore al dito le dava fastidio costringendola a portare la mano stretta in un foulard appeso al collo. Alexios, il marito di Agapi, l'aveva riportata a casa la sera stessa, ma al pronto soccorso le avevano già fatto capire che per riprendere una discreta mobilità della mano, avrebbe dovuto essere operata da li a breve. Una discreta mobilità. Questo voleva dire che molto probabilmente la sua carriera da violinista era finita ancor prima di iniziare pienamente.

Seduta in terra con le spalle poggiate ad una parete al buio della sua stanza, Michiru strinse la custodia del violino accarezzando con le dita della mano destra la targhetta di ottone con inciso il suo nome. Aveva detto ai medici di essere caduta per le scale e loro ci avevano creduto, anche perchè dopo che il padre aveva lasciato la presa alla mano l'aveva allontanata da se con un paio di calci, uno dei quali l'aveva presa alla testa lasciandole un vistoso ematoma sulla tempia.

Portandosi le ginocchia al petto strinse con maggior forza il raso blu notte. Perchè la sua vita stava cambiando tanto rapidamente?! Perchè non si riusciva a trovare una cura per suo padre?! Michiru già si figurava come sarebbe andata a finire anche quella volta; appena la crisi sarebbe scemata e lui tornato quello di sempre, per non farlo sentire responsabile di aver arrecato dolore fisico e morale alla sua bambina, la madre l'avrebbe costretta a mentirgli ancora una volta e lei avrebbe dovuto fingere. Fingere di non avere il terrore delle sue carezze. Fingere che non si aspettasse urla improvvise e scatti d'ira incontrollati. Fingere di non provare brividi ogni volta che si sedeva accanto a lei porgendole gioioso uno spartito nuovo appena compratole. Fingere che fosse sempre ed immancabilmente tutto perfetto.

Ma non lo è! Non lo è più da mesi! Pensò cercando di scacciare le lacrime che sentiva negli occhi. Si era stufata anche di piangere. Iniziava a non sopportare più quella sua umana debolezza ed anche se non poteva farne a meno, stava comunque cercando quotidianamente di essere più forte o almeno di sembrarlo. Aveva così preso l'abitudine di portare la maschera dell'indifferenza, soprattutto fuori casa, con le persone che non conosceva o a scuola, dove sapeva che per questo atteggiamento da “superiore”, come aveva sentito dire per i corridoi, molti alunni avevano iniziato a scansarla lasciandola sola anche al tavolo della mensa. Poco male, si era detta, eviterò di tradirmi con qualcuno.

Avvertì un paio di colpi ben piazzati al legno della porta e per istinto si alzò subito lasciando la custodia sul letto.

Si... Chi è?” Chiese avvicinandosi alla toppa per afferrare la chiave.

Mamma, sei tu?” E persa in quell'innocente speranza, aprì abbassando la guardia.

 

 

Si alzò facendo leva su un avambraccio mentre l'altro scattava verso l'alto a protezione del viso. Aspettandosi il colpo serrò gli occhi per qualche secondo, poi, non avvertendo che il suo respiro affannoso, li riaprì lentamente ritrovandosi nel suo appartamento romano. Si era addormentata sul divano, crollando dopo aver finito di preparare la sua ultima valigia. Disdetto l'affitto di quello che era stato il suo “appoggio” in terra straniera dall'estate precedente, era ormai pronta a fare definitivamente ritorno a casa.

“O Dio...” Lasciò che le uscisse dalle labbra mettendosi seduta per poggiarsi una mano al petto. Il cuore le correva all'impazzata.

Scosse la testa tossendo. “Non va... Così non va, Kaiou.”

Si alzò lentamente per andare in cucina. Si sentiva frastornata. Ormai iniziava ad essere sempre più difficile svegliarsi senza l'aiuto di Haruka. E pensare che quando un paio di mesi prima gli incubi erano tornati, non avevano quasi una forma o una logica. Si riducevano a sensazioni, magari orribili, opprimenti, ma solo sensazioni. Adesso ciò che faceva era rivivere spezzoni di un passato che credeva di aver sepolto anni addietro in uno dei cassetti della memoria e se la situazione fosse continuata così, avrebbe dovuto ricominciare a prendere pillole su pillole per ritrovare il suo equilibrio.

Portò una mano alla fronte madida di sudore aprendo poi il rubinetto della cucina. No, non voleva. Quello che proprio non riusciva a sopportare era di non avere il pieno possesso delle sue capacità logiche.

Non prenderò mai più niente che mi stordisca, mamma! Se fossi stata lucida forse...” Aveva promesso alla madre il giorno dopo la morte del padre e da quel momento Michiru aveva tollerato solo Aspirine, antibiotici e la sua “adorata” Tachipirina. Le avevano dato qualcosa per farla riposare solo quando aveva avuto un incidente in auto verso la fine dell'anno precedente, ma aveva perso i sensi durante l'impatto e non si era certo potuta opporre.

Prese un bicchiere d'acqua poggiandosi al ripiano. Proprio in quella cucina, il Natale passato, aveva affrontato con la compagna quel discorso, avendo avuto l'avvisaglia del ritorno del suo problema ed ora che ne aveva la certezza... doveva agire. E subito.

“Devo dirlo a Ruka.” Si ripromise non appena l'orario lo avesse permesso.

 

 

“Michi buongiorno.” Rispose pimpante in quel mercoledì mattina.

“A te amore. Stavi sotto la doccia?” Chiese conoscendo perfettamente ogni tappa mattutina della sua abitudinaria bionda.

“Appena uscita... Oggi devo accelerare. Vado a fare un sopralluogo e dei rilievi alla pista di Bremgarten con il capo Smaitter. Tra qualche giorno la riapriranno e potremmo riprendere a collaudare la nostra dolce bambina a due ruote. Si è stancata di una piastra da simulazione. Lei ha bisogno di correre libera, se no mi si stranisce e poi va a finire che mi ritrovo schiena a terra a masticare asfalto. Ma tranquilla sarò alla stazione per tempo, promesso. Quando arriva il diretto? Alle 14?” Michiru la sentì armeggiare con una delle ante del loro armadio e non sapendo da che parte cominciare, cominciò e basta.

“Haruka, non posso.”

“Cosa non puoi?” Chiese sfilando un paio di comodi Lavis dalla stampella.

“Non posso venire.” L'altra si fermò lanciando uno sfondone.

“Ma come... Hai ancora da fare? Che cos'altro vuole da te il Cardinal Berti?”

Michiru sospirò pesantemente. Era difficile. “Ascoltami bene. Non tornerò a Bellinzona. Ruka i miei incubi stanno peggiorando e non riesco più a tenerli sotto controllo. Devo fare qualcosa.” E dal repentino cambio di voce dell'altra capì che aveva la sua completa attenzione ora.

“Non scherzare. Lo sappiamo entrambe che quando sei fuori casa sono più vividi e violenti, ma passeranno quando riprenderai la tua vita qui.”

“Non sto affatto scherzando. Devo risolvere il problema e lo devo fare prima che diventino ingestibili.”

“Ma che cos'è successo?! Stai bene?” Chiese sedendosi sul bordo del loro letto. Michiru non aveva mai fatto così prima di allora.

“Si, sto bene, ma devo tornare a riposare. Il mio fisico ne ha bisogno.”

“E allora torna a casa. Ci penserò io a svegliarti quando...”

“Ruka, perchè non vuoi capire!? - Alzò la voce come non era suo solito fare. - Per quanto potrai reggere?”

“Per tutto il tempo che sarà necessario!” Cercò di imporsi alzandola anche lei.

“Non essere sciocca! Non è questa la soluzione e tu lo sai bene! Quando il tuo passato ti ha bussato alla porta, tu lo hai guardato dritto negli occhi. Non hai aspettato che tutto il dolore passasse da solo, o sbaglio?”

“Ma che cazzo c'entra questo!”

“Non essere volgare.” Disse tornando ad abbassare il tono.

Haruka respirò un paio di volte prima di chiederle scusa. Cercò allora la via della contrattazione. “Va bene, ho capito. Se non te la senti di venire a casa, vuol dire che chiederò al capo Smaitter un paio di giorni di permesso ed andremo dove vuoi tu e risolveremo questa cosa.”

Michiru sorrise. Quando la sua donna si impuntava a non voler capire non c'era verso di farla ragionare da persona matura qual era. “Un paio di giorni? Non credo basterebbero...”

“Va bene. Allora una settimana...”

“Haruka devo imbarcarmi. Non ho più tempo.” Tagliò corto già con il biglietto stretto in mano.

L'altra schizzò su dal materasso sentendosi una morsa alla gola. “Michi aspetta! Ma dove sei?!”

“All'aeroporto, Ruka. Questa volta devo affrontare i miei demoni da sola e sono sicura che appena finirai di avercela con me, capirai il perchè lo sto facendo.”

“Come all'aeroporto! Ma dove vuoi andare?! Michiru aspetta, non prendere decisioni affrettate.”

“Ruka.... Non preoccuparti, ti chiamerò presto. Ora devo proprio andare... Ti amo.” E mosse il dito sul dispay interrompendo la conversazione. Spense il cellulare andando verso il gate d'imbarco con la morte nel cuore.

“Michi...” Silenzio.

 

Atterrò all'aeroporto Internazionale di Atene due ore dopo non sapendo bene cosa fare. Era in fuga. Si sentiva braccata da se stessa ed aveva preso la decisione di imbarcarsi per la Grecia quasi all'ultimo momento. E ora? Cosa si aspettava di trovare in una città straniera, lontano dalla sua Svizzera, dal suo lavoro e soprattutto, dalla sua compagna? E poi perchè li e non altrove? Aveva viaggiato così tanto da ragazza.

Si guardò in torno non riconoscendo nulla di quel posto. Evidentemente nel corso degli anni gli ambienti avevano avuto delle ristrutturazione abbastanza importanti. Stringendo le labbra iniziò a dirigersi verso la zona del ritiro bagagli sentendo di stare perdendo passo dopo passo la baldanza.

Adesso giro i tacchi e torno a casa. Cerco un biglietto low cost per Trento. Dovrei riuscire a farcela per il primo pomeriggio. Poi chiamo Haruka e mi faccio venire a prendere, così avrà poco meno di un'ora e mezza per urlarmi contro. Saremo a casa in tempo per prepararle una buona cena e scardinare il suo nervosismo con un bel massaggio. Poi faremo l'amore e la terrò stretta a me per tutta la notte. Pianificò mentalmente continuando a camminare verso i nastri trasportatori, ma al pensiero della notte, del sonno e delle sue conseguenze, avvertì un brivido di paura serpeggiarle lungo la spina dorsale riprendendo nuovo vigore nel suo proposito.

Uscita dalla struttura aeroportuale prese un taxi cercando di ricordarsi il greco che aveva avuto modo di imparare a contatto con il personale che lavorava alla villa. Agapi la cuoca, suo marito Alexios e le due figlie Ami e la maggiore Khloe. Lei in quel periodo andava a scuola in un collegio Svizzero situato ad un paio di chilometri da casa, dove si parlavano prettamente il tedesco, l'inglese ed il francese e se non fosse stato per loro, nei due anni trascorsi in Grecia, non avrebbe imparato niente. Invece grazie a quella fantastica famiglia aveva potuto scoprire dell'Ellade la cultura casalinga, le usanze, i modi di dire e la lingua. In verità il dialetto ateniese. E proprio di quello si servì per farsi portare sulle colline dov'erano situate le ville delle famiglie alto borghesi e dei diplomatici stranieri. Il comprensorio di Pirix.

 

 

Anche di quel quartiere Michiru non ricordava molto. L'edilizia come le strade, si era evoluta. Il verde pubblico si era fatto più rigoroso e l'urbanistica, vent'anni prima ricca di enormi parchi privati, si era arricchita di edifici dalle forme moderne. Ferma davanti al cancello che quattro lustri prima era stata la residenza dei Kaiou, si guardò intorno provando una serie di emozioni contrastanti. Durante quel periodo aveva scoperto di se tante cose; prima su tutte il dispiacere per la perdita della capacità di suonare ad un certo livello. Un trauma equiparabile alla malattia nervosa del padre. Ma con esso aveva anche scoperto una forza interiore che non credeva di possedere, un'adattamento ed una costanza nella sopportazione che ancor oggi era un suo punto d'orgoglio. Tra quelle quattro mura aveva in fine scoperto l'amore, anche se non si sarebbe mai aspettata fosse per una ragazza di qualche anno più grande di lei, come aveva intuito che quel sentimento così potente, indicato da sua madre come una devianza, avrebbe allontanato la donna dalla figlia per sempre.

Bene, adesso che sono qui? Cosa ti dovresti aspettare Kaiou? Penso spostandosi dalla cancellata per andare verso il bordo del marciapiede.

Bella trovata. Bella trovata davvero. Questa volta ho agito senza pensare ed i risultati si vedono.

Avvilita alzò gli occhi da terra notando che una ragazza in sella ad un piccolo scooter giallo la stava fissando dalla parte opposta della carreggiata. Qualche altro secondo e facendo inversione le si affiancò. Spegnendo il motore e slacciandosi il caschetto le sorrise sgranandole addosso due fari azzurro cielo.

“Ma sei proprio tu?!”

Michiru aggrottò la fronte guardandosi un attimo alle spalle per poi tornare ad incrociarne le iridi.

“Non dirmi che ti sei dimenticata il greco! Eri così portata.”

Allora, visto che ce l'aveva proprio con lei, dovette per forza di cose risponderle. “Guarda, mi dispiace, ma credo che tu mi stia scambiando per qualcun altro.”

L'altra inclinò la testa continuando a sorriderle.

“La pronuncia è ancora buona, ma la memoria...”

“Mi stai mettendo in difficoltà.”

Allora la ragazza più giovane, dall'apparente età di trent'anni, con i capelli a caschetto tagliati corti, la carnagione scura e lo sguardo vispo, scese dal mezzo andandole davanti.

“Tu sei Michiru Kaiou, non è vero? - E ad un assenso continuò aumentando l'enfasi di quel luminosissimo sorriso. - Io sono Ami, la figlia di Agapi e Alexios Mizuno. Non ricordi?” Indicò con l'indice la villa alle sue spalle.

“Venti anni fa vivevamo tutti qui.”

Pian piano Michiru spalancò occhi e bocca rivedendo tra le spire dei ricordi una bambinetta di dieci anni, amante dei libri, della musica e della natura, che le ronzava spesso in torno.

“O Signore... Ma... Ami, si certo.”

 

 

Lo scooter andava veloce lungo la discesa che dal monte Pirix portava alla città grande, ovvero alle borgate periferiche di Atene.

“Vado troppo forte? Se hai paura rallento.” Le urlò confondendo la voce con quella del vento.

Troppo veloce? Michiru era talmente abituata alla velocità che le sembrava di stare facendo una passeggiata in tandem. “No, tranquilla. Ma che assurda coincidenza ritrovarci.”

“E già. Ora io e la mia famiglia viviamo vicino al porto. Abbiamo una piccola pensione, ma dovevo comprare un testo in una libreria specializzata poco distante dalla villa.”

“Ho capito. E cosa fai nella vita?”

“Sono all'ultimo anno di specializzazione. Sono un medico.”

“Ma è meraviglioso. Complimenti. Ricordo che da bambina eri molto studiosa. Si vedeva che se ne avessi avuto la possibilità avresti scelto qualcosa del genere.”

L'altra rise superando un paio di macchine. “Già. E tu? Sei diventata una violinista famosa come voleva tua madre? Ricordo che da piccola passavo ore nello studio di tuo padre a sentirti suonare.”
Ami veniva spesso a fare i compiti di scuola da loro, mettendosi buona buona seduta alla scrivania di Viktor mentre lei si esercitava. I genitori non le avevano mai detto che preso da un raptus nervoso, il signore aveva stroncato la carriera alla figlia. Era troppo piccola e facilmente influenzabile e perciò avevano optato per una pietosa bugia, dove la signorina si era rotta un dito nell'ora di ginnastica e che per tornare a poggiare l'archetto sulle corde sarebbe dovuta restare a riposo per qualche mese. Poi i Kaiou si erano trasferiti in Giappone e la piccola Ami non aveva più sentito la dolce melodia del suo violino.

“No. Ho scelto la pittura. Veramente sono una restauratrice pittorica.” Michiru vide dallo specchietto retrovisore il volto della ragazza sorprendersi, ma poi, tornando a fare attenzione alla strada, l'argomento per sua fortuna cadde.

“Senti Michiru se non hai ancora un posto dove pernottare perchè non vieni da noi? Non è ancora tempo di gite scolastiche ed alcune stanze della pensione sono vuote. Ai miei genitori farebbe un enorme piacere.” Offrì.

“Beh, in effetti sono ancora sprovvista di alloggio.”

“Perfetto! Allora tirniti forte.” E dirigendosi verso il Pireo le due donne puntarono decisamente sulla costa.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui e come mi ero ripromessa ho iniziato qualcosa di nuovo incentrato su Michiru. Cercherò di evitare di scoprire sin da subito troppe cose accadute “nell'Atto più grande” così che se qualcuno non l'avesse letto e volesse farlo, non avrà già tutto in mente. Farò comparire anche Ami, anche se qui non è propriamente uguale a quella che conosciamo, perchè è una ragazza greca e come tale devo cercare di strutturarla, ma è molto somigliante. Gli altri personaggi, molti di più che nel primo racconto, a parte Khloe e la stessa Ami, saranno meno descritti ed Haruka e Giovanna, soprattutto quest'ultima, non avranno il ruolo chiave avuto in precedenza, anche se pian piano compariranno.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Re del mare ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Re del mare

 


Michiru respirò l'odore di salsedine ed alghe sentendosi quasi commossa. Erano mesi che non aveva più avuto modo di avvicinarsi al suo immenso padre blu, come amava definirlo, ed ora che aveva la possibilità di toccarlo, di affondare i piedi nelle sue viscere sabbiose, di sentirlo andare e venire avvolgendole le caviglie in spire liquide, ora si, sentiva che forse quel viaggio ateniese avrebbe potuto farle del bene. Da quando si era affacciata nella piccola darsena dietro la pensione gestita dalla famiglia Mizuno, aveva sentito che un velo di amnistia era andato a posarsi sui suoi nervi scoperti e dopo tanto, avvertiva nell'essere di stare riguadagnando un po' di fiducia.

Era stata accolta come una parente, una neo figliol prodiga, ritornata da un lunghissimo viaggio, desiderosa solo di ricevere la pace perduta. Agapi l'aveva riconosciuta subito la “sua” signorina, rivedendo nello sguardo cobalto dell'adolescente di un tempo, quello fiero e maturo della donna di oggi. L'aveva abbracciata come una madre e lei aveva contraccambiato quella forte stretta avvertendo una felicità che aveva sorpreso la stessa Ami.

“Ragazza mia che piacere! Ti ho pensato tanto in questi anni.” Ed Agapi stessa si era spesso chiesta il perchè. Aveva voluto bene a quella creatura dolce ed affabile colpita dalla sorte in uno degli effetti più cari e fondamentali della vita; il padre, rendendosi conto che l'amore che aveva nutrito per lei in quei due anni passati a stretto contatto, non si era spento con la lontananza ed il silenzio di notizie certe, anzi, semmai si era accresciuto, arrivando a considerarla come una terza figlia. E ad una Michiru stordita da quella momentanea debolezza derivante dal mancato controllo del suo io interiore, aveva fatto un enorme piacere l'essere accolta così.

Alexios non era stato da meno. Appena tornato dal mercato con un carico di pesce e verdura, se l'era trovata davanti alla reception e sorridendo fieramente, non aveva potuto far altro che darle pacche su entrambe le spalle con cadenzata continuità.

“Oh Michiru, ma che donna ti sei fatta! Ti fermerai qui con noi per un po', vero?”

“Io veramente, non so se...”

“Niente ma e niente se, ragazza mia. E' veramente troppo tempo che non ci vediamo. Se non hai impegni improrogabili ti prego... resta.” E lei non aveva saputo ne voluto negarsi.

Ora era li, a farsi carezzare i piedi dall'acqua, attratta dal richiamo del mare come una sirena, ipnotizzata da quel frusciare continuo del vento tra gli scogli poco lontani e dal dondolio delle poche barche non ancora in rada.

“Finirai per ammalarti.” Disse la voce proveniente dalle sue spalle che lei riconobbe essere quella della giovane specializzanda.

Sorrise voltando il busto mentre alzava leggermente le spalle. “Mi è mancato troppo.”

L'altra le andò accanto stando però attenta a non bagnarsi. “Immagino, dalle tue parti il mare non c'è.”

“E no. Adesso dalle mie parti ci nevica.” E rise al brivido che scosse le spalle dell’altra.

“Per carità. Neve! Non so come tu faccia a vivere in un posto tanto freddo come le Alpi.”

Lo so io pensò rivedendo la faccia beata di Haruka nell'atto per lei quasi rituale della chiusura dei ganci a scatto degli scarponi. La sua meravigliosa Ruka.

“Papà si è permesso di portarti la valigia in camera. E' quella lassù. - Indicò. - Così potrai vedere il Pireo ogni volta che vorrai.”

Michiru la guardò con un misto di felicità e gratitudine, accorgendosi troppo tardi che una lacrima le era sfuggita dalle ciglia. Ami la raccolse con l'indice stringendo le labbra, ma non disse, ne chiese nulla. Per lei era palese che l'altra portasse una sofferenza. I suoi studi l'avevano già messa sull'avvisaglia. Quella goccia salata era solo l'ennesima riprova. Discretamente sorrise incamminandosi verso l'ingresso secondario.

“Su, andiamo. Penso che vorrai farti una doccia e cambiarti prima di pranzare.”

 

 

Non potendo farne a meno era stata sotto il getto d'acqua calda per una quantità sproporzionata di tempo. Con la fronte poggiata alle piastrelle decorate a mano del box, aveva lasciato che quel tepore benevolo le massaggiasse la pelle rigenerandola. Ma non appena aveva fatto leva sul maniglione cromato pronta ad uscire, un senso d'oppressione l'aveva assalita costringendola ad afferrare l'accappatoio e a rannicchiarsi sul letto.

“Ruka.” Aveva mugolato iniziando a piangere a dirotto. “Mi manchi da impazzire. Perdonami amore mio. Ti prego... di perdonarmi, ma... non potevo fare altrimenti.” E i singulti erano diventati intollerabili, perchè generati dalla consapevolezza di stare ferendo la compagna anteponendo i propri sentimenti a quelli dell'altra.

Avrei dovuto dirtelo in maniera diversa, magari lasciandoti il tempo di accettarlo. Ma tu avresti fatto il diavolo a quattro per seguirmi, pensò cercando di controllarsi. Stava indubbiamente crollando. La solita Kaiou non avrebbe mai permesso allo scoramento di abbatterla così.

La loro vita insieme era appena ricominciata ed ora toccava a lei dividerle nuovamente. Prendendo il cellulare sul comodino lo guardò intenzionata ad accenderlo. Poi si trattenne. Fissò lo schermo lasciato nero dall'imbarco all'aeroporto guardando in quel vuoto l'immagine riflessa del suo volto stanco.

“No, non posso. Non devo.” E riposandolo tornò nel bagno per sciacquarsi il viso ed iniziare a vestirsi.

Poco meno di venti minuti dopo stava per uscire dalla stanza quando qualcuno bussò. Andando ad aprire convinta che fosse Ami per il pranzo, si vide di fronte un'altra donna, riconoscendo in quel sorriso ormai cresciuto, il suo primo amore.

 

 

Khloe non era cambiata molto e solo leggeri segni su un viso, comunque ancora giovanile, lasciavano intendere che anche per lei gli anni erano passati. Le sorrise come aveva fatto un'infinita' di volte vent'anni prima, quando era diventata la sua ancora di salvezza, la protezione di un'amica più grande che man mano si era trasformata in qualcosa di più intimo e profondo.

“Ho sentito dire che la signorina Kaiou è tornata ad Atene, ma francamente avevo bisogno di vederlo con i miei occhi.” Iniziò poggiando una mano allo stipite della porta continuando a fissarla.

“Khloe...” Altro non riuscì a dire.

Sorpresa guardò la donna di un paio d'anni più grande non staccandole gli occhi di dosso. Era come se il tempo trascorso non lo fosse stato affatto. Stessa corporatura longilinea, stessi capelli lunghi, neri e ricci, stessi occhi profondamente scuri. Due perle incorniciate da folte e corpose ciglia. Il sorriso accattivante dalle labbra carnose.

L'altra piegò la testa da un lato alzando le sopracciglia con una finta espressione di sorpresa. “Ti ricordi ancora come mi chiamo kaiou? Per me è quasi uno shock.”

Michiru sorrise a sua volta avanzando nel corridoio per potersi chiudere la porta alle spalle. E pensare che una volta quel comportamento dolcemente sicuro aveva avuto la capacità di irretirla portandola a lambire e superare ampiamente i confini del piacere. Ora aveva solo l'effetto di farle inarcare verso l'alto gli angoli della bocca.

“Non mi sembra che tu ti sia stracciata le vesti nel cercarmi.” Rispose iniziando a camminare verso le scale.

Rimasta ferma sul posto Khloe ne osservò le spalle, poi quasi urlò nel dirle, “sei ancora più bella di quanto ricordassi Michiru.” E vedendola fermarsi una frazione di secondo per poi riprendere la via del pianerottolo, capì che tra loro il tempo era realmente passato.

 

 

Re del mare? Avete realmente chiamato questo posto... Re del mare?” Chiese Michiru sapendo cosa significasse il cognome Kaiou nella lingua del paese che i suoi avi avevano lasciato ormai un secolo prima, il Giappone, e godendo di una tale coincidenza, riprese ad ascoltare Agapi.

“Ci sembrava un nome appropriato visto la posizione che occupa. Mezza struttura poggia su palificazioni che affondano direttamente nell'acqua. Forse un po' troppo pretenzioso per una piccola pensione. Ma che diamine...” Ammise mentre le porgeva l'ennesimo piatto di stufato d'agnello.

“O no, basta ti prego. Non sono abituata a mangiare così tanto.” Alzò le mani in segno di resa.

“E lascia che ti dica che si vede ragazza mia. Sei magna. Certo non dico che dovresti assomigliare a me che son rotondetta, ma... almeno fai uno sforzo per prendere un paio di chiletti. Cosa dirà il tuo ragazzo se ti sciupi?” Disse adocchiando la fede parlando talmente veloce che l'altra si perse la metà frase rimanendo sguarnita di difese. L'ennesima mestolata cadde nel piatto e la ragazza strizzò gli occhi sorridendo.

“Lo fai apposta a parlarmi tanto svelta. Lo sai che sono fuori esercizio.”

“Mamma lasciala stare. Non costringerla a mangiare se non vuole.” Intervenne Ami, da sempre in guerra con i trigliceridi della madre.

“Non importa. Lo mangio volentieri. La tua cucina è sempre impareggiabile.”

“Agapi tua figlia ha ragione. Michiru è troppo educata per dirtelo. Non forzarla.” Si unì Alexios mentre la moglie faceva una smorfia ad entrambi andando a posare la pentola sui fornelli.

Una volta finiti di servire i pochi ospiti, avevano preferito mangiare in disparte e tutti insieme in cucina, approfittando per chiacchierare un po' e ricordare i vecchi tempi. Per Michiru era stato un inevitabile scotto da pagare. Aveva infatti dovuto raccontare delle nazioni nelle quali lei ed i suoi genitori avevano vissuto dopo il trasferimento del padre dall'ambasciata ateniese a quella della capitale del sol levante, dei successi internazionali della madre, della sua rinuncia a suonare il violino e della cosa più difficile di tutte; la morte di Viktor.

A quella notizia Alexios si era fatto scuro in volto. La donna aveva visto chiaramente le nocche della sua mano sinistra premute con forza sulla bocca, ricordando che i due uomini avevano instaurato un bel rapporto di collaborazione domestica, anche se non avrebbe mai immaginato che tra loro ci fosse stata anche una sincera amicizia. Forse per via delle similari radici orientali, o forse per i caratteri affini, ma sta di fatto che nel costatare una tale reazione, Michiru evitò di parlare del come il tutto era avvenuto.

“Mi dispiace. Avremmo dovuto avvertirvi, ma... E' successo una decina d'anni dopo che siamo andati via. Ammetto di non averci pensato, mentre mia madre..., era abbastanza sconvolta.”

“Non devi scusarti. Eravamo solo la famiglia che serviva nella vostra casa. Non avevate nessun obbligo verso di noi.” Agapi le strinse una mano lasciando che Michiru la guardasse debitrice.

“Lo sapete che ha scelto il restauro pittorico come carriera? Trovo sia bellissimo.” Intervenne Ami svicolando agilmente.

“Ricordo che eri molto portata anche per il disegno. E come vanno le cose?” Chiese la madre seguendo la scia della figlia.

Michiru convenne che il mestiere che aveva scelto le portava notevoli soddisfazioni. Non aveva abbandonato la pittura, anzi, aveva anche avuto modo di esporre in qualche galleria del nord Europa, ma salvaguardare il patrimonio artistico del suo, come di altri paesi, era impareggiabilmente gratificante.

“E che cos'è che ci saresti venuta a fare qui?” Improvvisamente Khloe ruppe il mutismo che l'aveva contraddistinta dal resto della famiglia fissandola come se tutto il mondo intorno a loro non ci fosse.

Michiru non si scompose, ma in realtà non sapeva come giustificarsi.

“Sarà venuta per lavoro, no?” Chiese Ami guardando la sorella maggiore.

“Beh, in verità. No. - Ammise senza voler iniziare un loop negativo di menzogne. Non con loro. - Diciamo che mi sto prendendo una pausa per... riposare un po'. Sono appena uscita da un periodo abbastanza stressante.”

Khloe sorrise furbescamente approfittando dell'appiglio per iniziare a sondare il pianeta sentimentale dell'altra. “Non sarà una pausa... amorosa, Kaiou?”

Michiru ne sostenne lo sguardo e con estrema naturalezza negò.

“Sotto quell'aspetto non potrei desiderare di meglio.” E la prima stoccata venne assegnata.

 

 

“Così non è una pausa amorosa. “ Disse Khloe mentre camminava al fianco della donna più giovane. Aveva insistito nel volerla accompagnare a fare un giro nei dintorni per farle visitare la struttura e Michiru aveva accettato, anche se mal volentieri. Non le stava piacendo il suo comportamento. Troppe allusioni. Frasi con spiccati doppi sensi. Tutte cose veramente poco indicate, soprattutto perchè fatte davanti alla sua famiglia. Cosa pretendeva adesso, di riprendere questioni lasciate in sospeso anni addietro? Se così fosse stato Michiru doveva fermare sul nascere qualsiasi approccio che l'altra avesse voluto riservarle.

“No, non lo è.”

“Ne sei proprio sicura Kaiou? Mi sembri strana. Si, quella stranezza che abbiamo noi donne quando siamo... in fuga da qualcosa.”

“E questo qualcosa dovrebbe essere Haruka?” Chiese stizzita. Non vedeva proprio perchè dovesse sentirsi in diritto di intrufolarsi nella sua vita privata come se non fossero passati vent'anni.

“Haruka... Dunque... è una donna.” Ne convenne arrivando a lambire la spiaggetta privata della pensione.

Sorrise divertita ed un tantino orgogliosa. “Allora lo vedi che avevo ragione?”

Michiru guardò l'orizzonte dove una grande nave da crociera si stava avvicinando al porto. Ricordava il giorno della sua “prima volta”. Ricordava la stanza di Khloe, i libri scolastici dimenticati sulla scrivania, la luce brillante smorzata dalle tende di mussola bianca mosse dal vento, le pareti dai colori pastello. E il caldo, l'afa di un'estate incredibilmente rovente, il sudore. Le loro pelli ormai recettive dopo le prime carezze. L'indecisione che l'aveva condotta sino a quel punto ed il timore di stare facendo la cosa sbagliata. E le parole sussurrate di lei, che cercavano di tranquillizzarla, di rilassarla. Lo vuoi anche tu Mich. Non c'è niente di sbagliato. Lasciati andare.

“Avevi ragione.” Confermò piatta sentendola ridere. Cosa questa che la stizzì ancora di più.

“Che ci sarebbe da ridere? Vuoi forse una medaglia per aver scoperto prima di tutti, me inclusa, la mia omosessualità?!”

Alzando le mani l'altra le chiese scusa. “Non era mia intenzione Mich.”

“Non chiamarmi a quel modo.”

“Eppure ricordo che una volta ti piaceva, ed anche... parecchio.” Si avvicinò iniziando ad accarezzarle i capelli portandone una ciocca dietro all'orecchio. Michiru non si scompose. Era ormai troppo adulta per provare imbarazzo per approcci di quel tipo. In un'altra occasione le avrebbero anche potuto far piacere, ma non ora, non li e non con il cuore impegnato.

“Cosa vuoi da me Khloe?” La sentì fermarsi. Aveva usato un timbro vagamente spazientito.

“Dovrei fermarmi Kaiou?” Chiese.

“Direi proprio di si.”

Da una delle finestre della cucina Ami sospirò rivolgendo lo sguardo alla spiaggia.

“Mamma, credo che Khloe finirà per farsi nuovamente male.” Disse mentre l'altra finiva di sparecchiare.

“Tua sorella è grande abbastanza per decidere se schiantarsi contro un muro o meno, amore.”

“Ma soffrì così tanto quando i Kaiou partirono.” La donna le andò accanto dando una rapida sbirciata fuori dal vetro.

“Che vuoi che ti dica? Anche se le parlassi farebbe comunque a modo suo. Al cuore non si comanda e lo sai tu per prima.” Le accarezzò una guancia. Quanto la sua piccola Ami aveva investito nella sua ultima relazione e quanto aveva perso quando era finita.

“Piuttosto è con Michiru che dovrei parlare, ma dopo tutto il tempo passato non saprei proprio come uscirmene. - Continuò tornando a pulire aiutata dalla figlia. - Hai notato che sguardo ha?”

“Si, ho notato mamma e anche io non saprei come potresti fare per non sembrare troppo invadente.”

“Forse hai ragione e poi non sono nessuno per lei. Magari tu...”

“Con gli studi che faccio non dovrebbe risultare troppo difficile approcciarmi alla sua psiche, ma devo comunque chiederle il permesso. Non voglio certo fare “giochetti” mentali proprio con lei mamma.”

 

 

Venerdì. Era venerdì ed ancora nessuna notizia. Haruka stava iniziando a diventare paranoica. Aveva toccato tutti i livelli possibili del supplizio umano. Dalla telefonata di Michiru era stata prima incredula, poi destabilizzata, furiosa, aggressiva, passando per angosciata, triste ed infine depressa. Ma non era ancora arrivata alla liberazione di un buon pianto. Ora se ne stava dall'alba seduta a gambe incrociate sul pavimento dello studio della compagna, a prendersi la sua bella dose di freddo, curva sulla schiena, con la testa bassa e l'I phone tra le mani.

Lo guardò sconsolata respirando l'odore di trementina proveniente dal tavolo da lavoro accanto a lei. Schermo irrimediabilmente spaccato.

Se fossi riuscita a tenere a bada i nervi... Dannazione! Lo aveva lanciato contro il muro nella tarda sera del giorno precedente, dopo l'ennesimo messaggio di utenza non raggiungibile, quando sentiva di essere in piena fase “furiosa”. Adesso si ritrovava nelle mani un pezzo tecnologico abbastanza costoso e soprattutto completamente inservibile.

Ti chiamo presto, le aveva assicurato l'altra. Ora anche se così fosse stato sarebbe stata lei ad essere irrintracciabile per almeno altre settantadue ore, visto che in quel venerdì ricadeva una festa elvetica e tutti i negozi di Bellinzona sarebbero stati chiusi per un weekend lungo. Non avendo il telefono fisso ora era veramente tagliata fuori da una bella fetta di mondo e con la compagna che non sopportava Skipe, non si sarebbero potute mettere in contatto in nessuna maniera fino a lunedì. Un'enormità di tempo.

“Deficiente!” Masticò mettendosi una mano sul viso. “Ma come m'è saltato in testa dico io. Ma perchè non penso alle conseguenze prima di fare le cose!?” E pensare che in pista le riusciva così bene. In tre anni di lavoro come collaudatrice alla Ducati, proprio grazie alla capacità che aveva sempre avuto nel calcolare il binomio rischi-conseguenze, non si era mai fatta male sul serio.

All'improvviso il campanello suonò un paio di volte allertandola. E se fosse stata lei di ritorno dalla sua folle fuga? No, avrebbe aperto con le chiavi. Pensò comunque alzandosi con una punta di speranza per andare a vedere chi fosse.

Arrivata alla porta girò la chiave aprendo lentamente. Una donna più bassa mani sui fianchi e sguardo omicida le mostrò di rimando una dentatura per niente rassicurante.

“Dì un po' Tenou..., ma ci siamo rincoglionite?”

 

 

Khloe non voglio farlo più.” Confessò alla ragazza più grande distesa accanto a lei.

Non ti è piaciuto Mich? Mi era sembrato di si.” Chiese poggiandosi sul gomito iniziando ad accarezzarle la pelle nuda dell'addome.

Si, mi è piaciuto, ma...”

Ma?” Continuò arrivando a lambirle il seno.

L'altra si alzò scansandole la mano e coprendosi il petto con le sue.

Che cos'è tutto questo pudore?”

Se i miei dovessero scoprirlo? O i tuoi?”

La sentì ridere e guardandola non potè che sgranarle addosso due occhioni da cucciolo. “Cosa avrei detto di tanto divertente?!”

Mich i miei sanno già dei miei gusti.”

E... non dicono nulla?” La vide scuotere la testa provando quasi un senso di invidia. I suoi non avrebbero mai usato la stessa comprensione. Ne era più che certa.

Si alzò dal letto iniziando a rivestirsi, facendolo lentamente, con movimenti accorti, non per essere seducente, ma per stare attenta a non farsi male al dito fasciato appena operato. Indossò l'intimo che l'altra le aveva sapientemente tolto, la camicetta bianca di lino e la gonna verde scuro a pieghe.

Mi fai impazzire quando sei in divisa scolastica.”

Michiru le voltò le spalle, ma sorrise all'idea di piacerle. ”Ora devo andare. Papà non sta bene e questo caldo non lo aiuta. Non posso star lontano troppo allungo.”

D'accordo Mich. Ma stai attenta. Ti ha già fatto troppo male.” La raggiunse stringendola per le spalle chiedendole quando si sarebbero potute rivedere.

Forse domani dopo le lezioni. Manca un professore e dovremmo rientrare un paio d'ore prima.”

Allora ti aspetto qui. Se non vuoi passare per il cancello principale, vai a quello di servizio. Ti farò trovare la porta della dispensa aperta. Da li si arriva in quest'ala della villa senza essere visti da nessuno.”

Michiru sentì le labbra calde e morbide di lei sfiorarle il collo e rabbrividendo aprì la porta uscendo velocemente per ritrovandosi in pochissimo tempo fuori dal piccolo complesso della dépendance.

Arrivando attraverso il giardino accanto al prospetto principale della villa e svoltato un d'angolo, si ritrovò nell'androne. Non c'era nessuno e così rallentò il passo approfittandone per ripensare a tutto quello che le era appena successo. Era stato bellissimo, dolcissimo e sconvolgente. A metà della scala che portava al piano delle camere da letto si fermò chiudendo le palpebre accarezzandosi le labbra, quando la voce di suo padre la ragiunse profonda.

Dove sei stata?” Chiese fissandola con lo sguardo chiaro dal pianerottolo ed il sangue le si gelò nelle vene.

Aprì gli occhi ritrovandosi pancia sotto nel letto della sua camera al secondo piano della pensione dei Mizuno e coprendosi la testa con il cuscino, cercò di difendersi dalla luce del primo mattino attendendo che i battiti cardiaci tornassero normali. Quella volta suo padre non l'aveva colpita, anzi. Si era comportato con lei come sempre; in maniera affettuosa. L'ennesimo cambiamento di quel labilissimo umore. Ma la fiducia di Michiru ormai era stata minata e bastava che ne avvertisse la presenza, ne sentisse l'odore del dopo barba o ne ascoltasse la voce, per gettarla in un panico che non poteva assolutamente manifestare.

Cos'hai fatto alla mano, tesoro mio?” Era arrivato a chiederle. Ed il suo sguardo era così preoccupato. Così triste. Così dolce.

Papà, pensò scaraventando con rabbia il cuscino lontano da lei.

Oltre al dolore fisico era stato quello a destabilizzarle i nervi da ragazza. Non sapere cosa sarebbe accaduto da li a poche ore. O giorni, o mesi. Viktor era riuscito per anni a tenersi stretto un lavoro di responsabilità come quello di Primo Consigliere anche “grazie” all'incoerenza assurda di quella malattia che lo rendeva assolutamente normale per lunghi periodi. La bravura della madre e di un paio di colleghi ben pagati avevano fatto il resto.

Voltandosi si ritrovò a guardare il soffitto e poi il comodino con il suo orologio. Aveva chiesto ad Ami di accompagnarla in un centro di telefonia mobile per farsi intestare un numero internazionale. Avrebbe chiamato la sua Ruka quella stessa mattina sperando con tutto il cuore di essere capita. Si alzò sentendosi come al solito le ossa peste, ma dopo un saluto al suo immenso padre blu sorrise dirigendosi verso il bagno vogliosa di una doccia.

 

 

“Ma che diamine ci fai qui Giò?” Chiese la bionda lasciandola entrare.

“Si! Decisamente ti sei rincoglionita Ruka. Ma come, non ricordi? Mi avete invitata per il weekend? Sei stata tu a dirmi che hai tre giorni di vacanza. Andiamo a sciare, mi hai detto. Ti faccio mangiare un po' di neve, hai minacciato. E ora mi lasci come un'imbecille ad aspettarti per due ore alla stazione?!”

Haruka ci pensò su un paio di secondi per poi mollarsi una manata sulla fronte. Aveva ragione. Che testa!

“Abbandonata come un cane. Ho provato a chiamarti, ma non sei raggiungibile. Michi meno che mai. Ma che mi combinate voi due?” Rimproverò iniziando a togliersi gli scarponcini aspettandosi di ricevere in cambio le sue pantofole. Ormai era come se fosse un po' anche casa sua.

Ma vedendo che la bionda non accennava a muoversi si fermò rimanendo in calzini. “Ruka... Che succede?”

L'altra si poggiò con le spalle al muro spostando la mano dalla fronte agli occhi. Stringendo i denti sentì di stare toccando pericolosamente il limite. No. Non doveva piangere di fronte a Giovanna!

“Scusa...” Le ginocchia cedettero lentamente ritrovandosi seduta a terra.

Giovanna le andò accanto preoccupata. “Haruka che hai? Stai male?”

“No...” Gli occhi iniziarono ad inondarsi di lacrime. Maledizione no!

“Cosa c'è allora!? Mi stai spaventando. Dov'è Michiru?!”

“Se n'è andata...” E nel dirlo a voce alta, nell'ascoltare quello che ormai era un fatto, la diga crollò, gli argini saltarono in aria e Tenou restò sguarnita. Portandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso tra le braccia iniziò a piangere come una bambina.

Oddio... Pensò Giovanna. “Ruka... non vi sarete mica lasciate, vero?” Chiese irrazionalmente, perchè azione troppo assurda per essere presa minimamente in considerazione.

Conosceva quelle due donne da poco meno di sette mesi e le aveva viste affrontare una grande battaglia per riconquistare la serenità che la malattia di Haruka aveva tolto loro, ma non avrebbe mai e poi mai messo in discussione l'amore che le legava. Troppo forte. Intenso. Maturo.

“No...” Mugolò tra un singulto e l'altro.

“Porca miseria Tenou. Ma che cazzo mi combini?!” Disse la donna più grande accarezzandole la schiena lasciandola sfogare prima che il cellulare non le squillasse nella tasca del giaccone.

L'afferrò pronta a riattaccare a chiunque, ma si fermò leggendo un numero internazionale. Ricordandosi quando Haruka l'aveva chiamata la prima volta da Bellinzona rispose anche se era un numero straniero.

“Pronto?”

“Giovanna?” E l’altra schizzò in piedi dirigendosi verso la sala da pranzo, ed abbassando la voce cercò di capire come muoversi con la bionda per non far danno.

“Michi sei tu?”

“Si... Giovanna sei a Bellinzona?” Chiese sperandolo. Era da quando aveva il nuovo numero che cercava di mettersi in contatto con Haruka non riuscendoci.

“Si. Sono appena arrivata... Ma cosa succede?! Non ho fatto in tempo ad entrare in casa che Ruka è sbottata a piangere a dirotto. Dove sei?! Ti prego, spiegami.”

All'altra sembrò di ricevere uno schiaffo in piena guancia. Piangeva. Il suo amore stava piangendo e la colpa era solo sua. Deglutì pregando l'amica di passargliela. “Giò, poi ti spiego. Per favore.”

Giovanna ubbidì tornando vicino alla porta d'ingresso e soffocando il microfono nella stoffa della giacca così che Michiru non potesse sentire, cercò di calmare una Tenou per lei inedita.

“Ruka basta. Stammi a sentire. Adesso risolvete tutto.”

“No... Non so dov'è. Non...” Ma francamente per quanto potesse provare non riusciva a parlare, respirare e piangere nello stesso momento.

“Ruka guardami. Dai, guardami. - Le tirò su il mento a forza meravigliandosi di non avere ancora preso un pugno in bocca. - Respira e calmati. Ora te la passo, ma stai calma.” Tirò fuori il cellulare sorridendo e cercando con la mano libera di tamponarle le lacrime.

Glielo portò all'orecchio e Michiru finalmente parlò. “Ruka... Ti prego non piangere. Anima mia, perdonami.” La voce era rotta, ma comunque determinata.

“Michi...” Disse prendendo l'apparecchio dalla mano di Giovanna che prima di allontanarsi, le lasciò un bacio sulla testa per scarmigliarle poi i capelli.

Michiru respirò profondamente cercando di prendere forza dal mare che aveva davanti. Seduta sulla sabbia umida della spiaggia privata della pensione, affondò la mano nei granelli afferrandone una manciata.

“Sei in collera?” Chiese pronta a tutto quello che l'altra le avrebbe vomitato contro. Ma con sua grande sorpresa dopo aver tirato su col naso, Haruka rispose lentamente di non esserlo ed alzandosi dal parquet andò verso la porta finestra della sala da pranzo per vedere lo scenario alpino imbiancato. Uscì sul terrazzo lasciando che l'aria fredda le riportasse la dignità liquefattasi con quell'assurdo pianto. Avvertendo le lacrime asciugarsi rapidamente si ricompose schiarendosi la voce.

“Sono delusa.”

“Lo so.” E non riuscì ad aggiungere altro. Restarono in silenzio per minuti, Haruka che ad occhi chiusi ascoltava il fischio del vento e Michiru che guardava il blu del mare. Capitava spesso che accadesse, che iniziassero i loro discorsi in quel modo, ognuna persa tra se e se. Poi toccò alla bionda farle la domanda che da due giorni continuava a ronzarle nel cervello. Dov'era?!

“Ruka... non...”

“Non puoi o non vuoi dirmi dove sei Michi? Hai forse paura che venga a prenderti?”

L'altra sorrise. Ne sarebbe stata capace, ma non si trattava di quello. “Mi credi se ti dico che mi manchi da mozzare il fiato?”

Haruka attese, poi con voce profondissima disse di si. Erano troppo legate perchè mentisse alla compagna prima e a se stessa poi.

“Mi sento tagliata fuori.”

“Lo capisco e mi dispiace. Quando eri in intensiva e stavi combattendo la tua battaglia io mi sono sentita nello stesso modo.” Avrebbe sfondato il vetro che le divideva a calci, se non fosse stato un rischio mortale per la sopravvivenza del suo angelo.

“Ma io non avevo scelta, mentre... tu ce hai.”

“Vorrei che tu fossi qui con me.” Ammise sapendo già le parole che avrebbe sentito.

“Non hai che da darmi un indirizzo.”

Mettendosi la mano ancora sporca di sabbia tra i capelli sorrise scuotendo la testa. “Proprio non riesco a spiegarmi. Vedi Ruka, ci sono battaglie che vanno affrontate da soli e credo che questa sia una di quelle. Quando sono a letto, la notte e mi sveglio da un incubo e sento il cuore che mi martella nelle vene e ho paura, vorrei che tu fossi al mio fianco, che mi stringessi e mi baciassi come sei solita fare. Ho voglia delle tue braccia attorno a me, delle tue carezze, dei tuoi sguardi. Ma, sono anche consapevole che la tua mancanza mi possa dare la forza per accelerare. Voglio mettere fine a tutto questo e lo voglio fare il prima possibile per tornare a casa da te.”

Questa volta Haruka azzerò l'orgoglio. “Ho capito.” Ammise poggiandosi al parapetto vinta. Aveva perso ancora.

“Mi chiamerai?”

“Certo che ti chiamerò Ruka.”

“Anche se avrai bisogno?”

“Soprattutto se ne avrò.”

“Allora va bene Michi. Fai come ti senti.”

“Grazie amore.”

“Michi, un ultima cosa. Ho avuto un... piccolo problema con l'iphone, perciò fino a lunedì... qui c'è Giò...” Lasciò cadere la frase tornando ad ascoltare la voce del vento.

 

 

Poggiata ad uno dei pilastri che davano verso la rimessa delle barche, Khloe fissò Michiru per tutto il tempo della telefonata, studiandone i movimenti, le espressioni e i gesti pacati. Intuiva chi potesse essere l'interlocutore della donna, come sapeva che avrebbe dovuto mettere tutta se stessa in quella che stava tornando ad essere per lei una dolce ossessione. Staccando la spalla dal cemento colorato d'azzurro si girò per tornare ad aiutare il padre e solo allora si accorse della presenza della sorella minore. Si guardarono senza dire niente, ma spostando le iridi da quelle scure della donna alla sagoma di Michiru a qualche decina di metri da loro, Ami le fece intendere che sapeva a cosa stesse mirando.

“Non credevo di essere tanto trasparente sorellina.” Disse andandole vicino per tornare poi ad osservare la donna straniera.

“Stai attenta Khloe, ho rischi di farti nuovamente male.” Avvertì.

“Stai tranquilla. Questa volta nessuno la porterà via contro la sua volontà.”

“Potrebbe essere lei a volersene andare.”

Allora Khloe le sorrise con una sicurezza che al medico non piacque per niente. “Non credo agli amori eterni Ami e lo sai bene. Ogniuno di essi ha un punto debole, un'impercettibile incrinatura... Ed io la troverò.”

“Per favore, lasciala in pace. Michiru ora ha altro a cui pensare.” Pregò avvertendo la mano calda della sorella sulla testa.

“Ti ripeto di stare tranquilla Ami. Se veramente l'amore che lega Michiru alla sua compagna è forte, farò solo una figura meschina, ma se così non dovesse essere, beh...”

Tornò a camminare sparendo subito dopo all'interno della struttura.

O Khloe. Che testa dura che hai.

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Capitolo 3
*** Psiche ed empatia ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Psiche ed empatia

 


Seduta ad uno dei grandi tavoli della biblioteca medica dell'Università Nazionale Capodistriana in compagnia di un paio di libri ed un Block Notes, Ami sospirò per l'ennesima volta continuando a far tamburellare il gommino della matita su una delle pagine aperte che stava consultando. Proprio non riusciva a concentrarsi in quella mattina di pioggia battente, dove tutto sembrava più uggioso e grigio di quanto in realtà non fosse. E si che a lei la pioggia era sempre piaciuta, fin da bambina e non solo per gli immancabili e proverbiali salti ludici nelle pozze d'acqua sporca, ma anche e sopratutto per il profumo di umido che iniziava a trasudare dalla terra sin dalle prima gocce. A quegli odori di natura che l'avevano accompagnata all'inizio della sua vita, se n'era presto aggiunto un altro e al trasferimento della famiglia Mizuno dalla campagna alla capitale ateniese, la fragranza del mare in tempesta era diventato uno degli odori che più la stimolavano. Ma quella mattina anche il matrimonio pioggia-mare sembrava non esserle affatto d'aiuto, anzi, sentiva di stare perdendo tempo ed energie che avrebbero potuto essere investite nella preparazione della sua tesi di specializzazione.

Tanto non potrò far nulla se prima non le parlo, si disse iniziando a scarabocchiare subito dopo la lista di appunti che era riuscita a stilare con le poche informazioni che aveva. Sentendosi la coscienza deformata dal tipo di studi che stava portando a termine, ma comunque consapevole di stare invadendo la privacy del campo emozionale di Michiru, rilesse mentalmente i punti scritti ripensando a come vi fosse giunta.

Erano tre giorni che lei e Kaiou si erano incontrate. Durante il primo giorno, quello che per ora le stava dando le indicazioni migliori e che aveva visto la straniera arrivare presso il Re del mare, Michiru si era commossa semplicemente nell'apprendere che Alexios le aveva riservato una stanza davanti al mare facendole poi la cortesia di portarle i bagagli in camera; azione questa abbastanza ovvia per un gestore di una pensione. Ami si era ricordata anche che immediatamente prima di quel fatto, lei e Michiru avevano accennato alla differenza tra il luogo dove la donna più grande viveva e il mare.

Gesto d'attenzione paterna. Reazione emotiva marcata. Possibile nostalgia di qualche cosa o di qualcuno.

Appena scesa per il pranzo, la specializzanda aveva poi notato nello sguardo di Michiru una inusuale lucentezza unita ad occhi leggermente arrossati. Sintomo di un pianto.

Probabile assenza di un effettivo controllo in risposta ad un'emozione o uno stato d'animo. Mancanza fisica o morale per qualcuno o qualcosa. Ricordo/i.

Durante il loro primo pranzo insieme, in cucina e perciò in un ambiente per molti versi rilassante e famigliare, in grado di mettere chiunque a proprio agio, l'ospite si era sbilanciata con il dire di stare prendendosi una pausa per riposare dopo essere uscita da una brutta situazione.

Ami segnò con un cerchio il terzo punto che con molta probabilità avrebbe potuto essere, non il problema vero e proprio, ma la causa scatenante di tutto il castello di carte che circondava la psiche di Kaiou.

Evento/i, situazione/i prolungate nel tempo a forte impatto di stress.

“Praticamente non ho in mano nulla tranne che un'ovvia nostalgia che molto probabilmente è legata alla condizione di distacco dalla sua compagna.” Sbuffò.

E se la sorella avesse avuto ragione? Se il rapporto di coppia della straniera avesse realmente avuto un'incrinatura? Se quella fosse una “semplice” quanto femminile fuga d'amore?

“No, non credo. Con tutto il rispetto Khloe, Michiru era troppo sicura di se quando ha affermato che su quel versante non ci sono problemi.” Disse a voce bassa controllando l'orologio ed iniziando a raccogliere le sue cose.

Ami, è inutile continuare a girare in tondo come un cucciolo di cane. Se vuoi veramente cercare di aiutare Michiru non devi far altro che parlarle. Si disse lasciando sul carrello adibito alle riconsegne i due tomi di psicoanalisi.

Varcata la porta della biblioteca si trovò nell'ambiente caotico di uno dei corridoi di smistamento che concatenavano le varie specializzazioni mediche. Cardiochirurgia, Urologia, Nefrologia, erano praticamente tutte concentrate in quell'unico edificio, tanto che il caos fatto del va e vieni di centinaia di medici, era all'ordine del giorno. E a lei tutto quell'insieme di umanità la innervosiva. Era patologicamente timida. Da sempre. Poco propensa alla vita sociale, amava la natura ed il silenzio, lo studio, la conoscenza, i dialoghi interiori, ed anche se questa condizione che lei definiva, castrante menomazione dell'essere, era andata smorzandosi con il crescere, rimaneva presente e la forzava ad un autocontrollo continuo quando si trovava in situazioni di folla. L'università con la presenza della più disparata gamma di persone, nel senso pratico e gli studi di psicologia scelti, in quello teorico-conoscitivo, l'avevano e stavano continuando ad aiutarla moltissimo.

Puntando lo sguardo al marmo policromo del pavimento tirò dritto andando a passo svelto verso le scale. Gli ascensori non erano neanche presi in considerazione. Mai trovarsi in posti affollati senza via di uscita. Una vigorosa spinta alle porte d'emergenza e giù, verso una delle molte uscite. Si era fatto tardi ed aveva un appuntamento con Michiru poco meno di venti minuti dopo, in centro, dove la donna avrebbe dovuto acquistare dei colori per conto di Alexios.

Uscì da una delle porte laterali appena in tempo per vedere uno splendido arcobaleno apparso tra le nuvole ed i tetti ateniesi. Stava spiovendo e lei non si sarebbe presa la solita inzuppata. Raggiunto il suo scooter zaino in spalla e togliendo la catena, la mise con cura dentro la sella estraendo i due caschetti all'interno. Uno per lei e l'altro che sarebbe servito per la sua passeggera. Messo in moto ed evitati alcuni studenti, varcò il grande cancello d'acciaio zancato dalle colonne di Pentelico sovrastanti le statue di Estia ed Atena, insinuandosi come una zanzara nel traffico cittadino.

Michiru la vide arrivare corrugando la fronte. Nulla da dire, la guida di Ami poteva dirsi parecchio “sciolta”. In sella sembrava un'altra persona. La donna più giovane le si fermò accanto e notando le due buste che l'altra teneva nelle mani non spense il motore.

“Hai già fatto?” Urlò per sovrastare il suono orrendo della marmitta.

“Il negozio di pittura che conoscevo è ancora al solito posto. Anzi, me lo ricordavo più piccolo.” Rispose e non mettendosi a raccontare che il titolare l'aveva persino riconosciuta attaccando un bottone di grandezza esagerata, le passo buste che l'altra prese mettendole sulla pedana tra le gambe.

“Ok, allora se non hai altri giri da fare si va a casa?” E ad un assenso Ami le cedette il secondo casco aspettando che salisse in sella.

 

 

Alexios terminò di agganciare l'ultima traversa del trabattello bloccandone con la forza di un tacco le ruote. Soddisfatto guardò la figlia fare altrettanto sorridendole entusiasticamente. Aveva avuto un'idea degna di uno stratega militare. Ovvero; la moglie aveva avuto un'idea degna di uno stratega militare e lui se n'era appropriato non capendola, ma avallandola.

“La stanza delle piscine coperte ha bisogno di una rinfrescata. Khloe mi daresti una mano?” Aveva esordito lui la sera precedente approfittando che la famiglia fosse ancora riunita in cucina.

“Per me non ci sono problemi pa. Come la vorresti dipingere?”

“Non saprei. Ora è azzurra e bianca, ma vorrei che non fosse tanto banale. Tu che ne dici cara?” Aveva chiesto alla moglie seduta poco distante nel rilassante compito di pulire fagiolini.

“Si, sono colori banali.”

“Ma sono i colori nazionali mamma.”

“Lo so Ami, ma appunto per questo ogni struttura li usa per piscine, palestre, barche, cabine. Praticamente li si usa per tutto. Ci vorrebbe qualcosa di diverso. Di unico. Che attragga la gente. Che la colpisca positivamente.” Così dicendo la donna aveva guardato la figlia più piccola spostando poi le iridi scure sulla persona di Michiru, che completamente assorta, la stava aiutando. Un lampo e la complicità tra madre e figlia aveva iniziato a far scintille.

“Giusto.” Aveva detto il medico convinta guardando la straniera. Quale migliore occasione di approcciarsi a lei se non con un lavoro manuale lento, impegnativo e piacevole come quello della pittura? “Un murales. Magari di quelli con uno sfondo che apre ad un finto esterno. Gli ambienti delle piscine sembrerebbero di colpo più grandi. Vero pa?”

“Beh si, però... Chi potrebbe farlo? Non conosco writers che possano aiutarci.”

Ma perchè gli uomini sono tanto tonti Signore Iddio?! Avevano pensato a sua insaputa le due donne.

“Potrebbe pensarci Michiru. Che ne dici cara?”

“Come Agapi? Scusa? Ero sovrappensiero.”

E così la straniera era stata abilmente ingabbiata dalle altre due con la scusa di uno dei lavoretti più simpatici e rilassanti per ammazzare il tempo del suo soggiorno ateniese. L'avevano “incatenata” come Andromeda ad un trabattello, ignara che Ami avrebbe sfruttato quel momento di pace e dedizione artistica per capire e, soprattutto, aiutare.

A Khloe invece erano brillati gli occhi, perchè avrebbe potuto lavorare al suo fianco per qualche giorno nella funzione, per la verità non troppo edificante, ma utilissima di imbianchina. Gravitare attorno a Michiru era quello che ora bramava più di tutto e presto o tardi avrebbe avuto la sua sciance. O almeno era quello che si augurava per la riuscita dei suoi piani di riconquista. Piani che Ami avrebbe fatto di tutto per rovinare, ne era certissima.

“Ok amore. Ora che è tutto pronto dobbiamo solo decidere se lavorare a rullo o a pennello.” Disse l'uomo e Khloe iniziando a guardarsi intorno mani ai fianchi, sorridendo di sottecchi già aveva la risposta. Pennello. Lavorazione più lenta. Molto, molto più lenta e tempi lunghi, molto, molto più lunghi.

Facendo finta di pensarci ancora qualche secondo, strofinandosi il mento nell'azione classica di un cogito di enorme importanza, la figlia convenne che il pennello sarebbe stato più indicato. “Andiamo di marzocca pa.”

“Va bene. Allora intanto che aspettiamo che Michiru e tua sorella tornino con i colori, vado in rimessa a cercare il tutto.”

“D'accordo. Io inizio a mescolare la lavabile.” Concluse sentendosi addosso un'euforia pazzesca.

 

 

Haruka si grattò la testa sistemandosi meglio davanti al portatile. Stava facendo finta di lavorare al progetto della Panigale 2018 da più di un'ora, vigliaccamente ed inesorabilmente china su un progetto che doveva, almeno nei piani iniziali, essere lasciato in ufficio fino al lunedì successivo e che invece stava biecamente utilizzando come azione difensiva contro un nemico immaginario uscito da chissà quale anfratto della sua pavida mente bacata. La bionda stava ostinatamente sforzandosi la vista sul monitor trincerandosi dietro un mutismo più che infantile, non volendo parlare con Giovanna dell'accaduto e sperando così che l'altra si stancasse prima di lei in quello che stava diventando il gioco del silenzio più lungo ed idiota della storia.

Non voleva proprio ammetterlo Haruka. Non voleva accettare il fatto che appena aveva incatenato i suoi occhi a quelli chiari dell'altra, il cuore le aveva sussultato nel petto e la sua anima inquieta aveva ricevuto un balsamo benefico che l'aveva spinta ad aprirsi completamente e a piangere. Piangere! Mai si sarebbe aspettata di farlo di fronte ad una persona che non fosse la sua Michiru. E mai avrebbe voluto farlo di fronte a Giovanna, perdendo così, a suo parere, una quantità industriale di preziosissimi punti figagine.

Mi sono rammollita. Nulla da dire. E' un fatto. Haruka Tenou, la grande, s'è rammollita. Penso' ripetendo la medesima cantilena che da minuti le stava frullando nella testa, cliccando sul mouse a caso, così, tanto per dare all'altra l'impressione di stare facendo qualcosa di estremamente impegnativo.

Masticò amaro guardando tra un ciuffo e l'altro della frangia la donna seduta al divano poco distante. Colpa tua Giò. Tua e delle tue stupidissime cellule. Si! Sono convinta che sono state loro a farmi diventare tanto femminuccia. Si sono mischiate alle mie e adesso sono un ibrido, come una macchina che non sa più se deve viaggiare a benzina o a GPL.

Michiru avrebbe sorriso vinta a quei pensieri astrusi da una logica incoerente e se Haruka avesse abbassato per un attimo l'indice del suo smisurato orgoglio, si sarebbe accorta per prima di quante fesserie stava partorendo la sua mente destabilizzata dall'assenza della compagna.

Mi hai infettata, ecco. Altro che salvato la vita. No, no... infettata è la parola giusta. Io che piango davanti ad estranei. IO! Sbattendo il mouse sul tavolo face alzare gli occhi dell'altra dal suo Ipad.

“Che ti prende? Rogne con la carena?”

Un grugnito di risposta e Haruka tornò a tuffarsi nelle sue congetture deliranti. Elucubrazioni mentali a pioggia! Guardando il davanzale del caminetto fermò i pensieri osservando la cornice con una foto che le ritraeva, ricordando, se ve ne fosse stato bisogno, chi in realtà fosse quella donna seduta ora sul divano.

Ma che cazzo stai pensando Tenou! Piantala con queste assurdità. Hai pianto... e allora?! E' di Giovanna che stiamo parlando, mica della prima sciacquetta che passa sotto casa. E non ti stai affatto comportando da persona educata. Prima la inviti e poi la lasci marcire sul divano con il bel sole che c'è fuori! Lo sai che muore dalla voglia di sciare e lo vuoi anche tu. Lo so che Michi non c'è e che sarebbe stato bellissimo farlo tutte e tre insieme, ma...

Afferrando un barlume di decorosa lucidità, la bionda si alzò dalla sedia andando nella camera da letto mentre Giovanna cercava di stirarsi i muscoli del collo. In verità a lei non interessava poi tanto dove andare, l'importante era stare con Haruka. Tutto il resto passava in secondo piano. Le andava bene anche così. Certo avrebbero dovuto parlare molto di più per conoscersi meglio e tentare di bruciare le tappe di un tempo rubato loro dalla sconsideratezza di un uomo, ma i rispettivi, testardi caratteri erano molto simili e questo già aiutava. In più c'era l'affetto, che a loro insaputa stava crescendo ogni giorno di più e che ormai le legava a filo doppio.

Un paio di minuti e Giovanna si trovò centrata in pieno da una giacca. Liberando la testa dall'indumento avvertì l'odore di mare tipico del profumo di Michiru.

“Forza Giò, muovi le chiappe che si va.” Esortò la bionda sempre tanto, tanto gentile.

“Si andrebbe dove?”

“Ti avevo promesso che ti avrei fatto mangiare un po' di neve ed io mantengo sempre le promesse, soprattutto quando sono importanti. Coraggio. Abbiamo già perso troppo tempo.”

“Ma non ti era entrato un problema in scuderia?” Chiese alzandosi mentre l'altra minimizzava con un ampio movimento della mano.

“Chi se ne frega... Aspetterà.” Anche perchè era una balla di proporzioni epiche.

“Ruka...” Giovanna guardò allora la giacca poco convinta.

“Che c'è!?”

“Ma... E' tutta rosa...”

 

 

A Michiru quel disegno proprio non piaceva. Lo trovava anonimo e palesemente banale. Erano ore che stava cercando d'inventarsi un qualcosa che la sua fantasia proprio si rifiutava di generare. Era sicura che sarebbe stato più facile, anzi, aveva accettato il lavoro al murales con pacato entusiasmo, proprio perchè convinta che ci avrebbe messo un niente a creare la bozza su carta e a riversarla poi sul muro. Niente di più falso! Due giorni e non aveva ancora prodotto nulla, tanto che Khloe e Alexios erano già alla seconda mano di bianco. Adesso Michiru stava sentendo montare la competizione contro se stessa e fosse cascato il cielo con tutte le stelle al suo interno, avrebbe portato a fine quel compito. Ormai i ritmi che teneva in pensione erano quelli del mangiare, del cercare di aiutare come poteva in cucina e di disegnare quel coso, come aveva iniziato a definirlo lei. Del dormire decentemente poi, proprio non se ne parlava.

Non ha ne capo... ne coda, Kaiou. Si disse stizzita strappando l'ennesimo foglio dal suo album, accartocciando l'obbrobrio e lanciandolo poi con stizza dietro le spalle. Colpita al petto Ami lo raccolse sorridendo nel guardarlo.

“Ma come, non sei soddisfatta neanche di questo?” Chiese stupita nello studiare con occhio ignorante il bellissimo tritone che tanto aveva disgustato la sua creatrice.

Colta in fragranza di reato Michiru sorrise a sua volta sentendosi in imbarazzo. Non voleva che altri la vedessero perdere il controllo.

“Non ti ho sentita arrivare.” Disse voltandosi verso l'altra cercando di ripararsi gli occhi dal sole.

Da sempre dotata di un orecchio finissimo, era raro che qualcuno riuscisse a coglierla alle spalle. Ogni tanto solo Hatuka e sua madre ci riuscivano e con provate difficoltà.

Ami le si avvicinò chiedendo se poteva sedersi un po' accanto a lei per godere della brezza marina e a un sincero cenno con la mano dell'altra si chinò sul tavolato del portico che dava sulla spiaggia privata.

“Che c'è Ami? Troppa confusione in cambusa?” Scherzò la donna più grande guardando poi in direzione delle piscine coperte. Tra il padre e la sorella maggiore s'era innescata una vera e propria gara a chi faceva più casino.

Alzando gli occhi al cielo, Ami inondò i polmoni d'aria prima di confessare. “Penso che ognuno dovrebbe fare il mestiere che gli compete...” E Michiru scoppiò a ridere quasi fino alle lacrime perchè notata una poderosa macchia di bianco proprio al centro della sua schiena.

“Ben ti sta! - Sogghignò. - Così impari a tirare in ballo la mia arrugginita fantasia artistica.”

“Oddio, credevo ti facesse piacere Michiru.” Si difese portandosi una mano alla bocca facendo comprendere all'altra di aver scherzato in maniera non del tutto appropriata.

Michiru non ricordava, o forse proprio non poteva sapere, che Ami non era, per così dire, un tipo molto “giocoso”, anzi, per lei il sarcasmo era spesso scambiato come nota di biasimo. Forse era anche per questo che era tanto brava nel suo lavoro, aveva una mente talmente matematica, pragmatica e razionale da rasentare quella maschile.

“Aspetta non fraintendermi cara. Io adoro dipingere, ma è tanto che non lo faccio più su commissione e credo di stare avendo una leggera crisi prestazionale.” Sfoderando un sorriso dolcissimo riuscì a tranquillizzare quasi immediatamente la più giovane.

“Se è per questo che sei così tanto critica nei confronti dei tuoi schizzi, ricordati che è solo un lavoretto per i miei. Nulla a che vedere con le alte schiere vaticane alle quali sei abituata.” Alzò le spalle un po' imbarazzata. La profondità degli occhi di Michiru l'avevano sempre messa in soggezione.

“Non è per questo. I tuoi non mi pagano ed io non pago loro per l'ospitalità. Perciò come vedi è un po' come se stessi facendo un qualcosa per la mia famiglia. Ma ogni lavoro che eseguo è importante e va affrontato con il massimo impegno e se non mi trovo ad essere soddisfatta su una prova, beh, c'è anche il rischio che continui a schizzare per giorni senza ricavarne un ragno dal buco.” Ammise.

A quelle parole e senza un apparente motivo, Ami Mizuno scattò in modalità “medico” trasformando radicalmente il suo approcciarsi all'amica. Guardandola negli stessi occhi che fino a qualche istante prima l'avevano quasi soggiogata, ne sostenne l'intensità iniziando a scavarne la tristezza.

“Forse se riuscissi a dormire di più e meglio, la tua fantasia ne gioverebbe.”

Non fu tanto l'affermazione in se per se, innocentissima sotto ogni punto di vista, ma la trasformazione radicale che la dottoressa ebbe nel porla. Michiru si ritrovò a sbattere gli occhi inarcando leggermente la schiena all'indietro. Da dove proveniva tanta sicurezza?!

“Non capisco.“

“Posso essere indiscreta nel chiederti da quanto tempo è che non ti fai un sonno filato di otto ore?”

Ci mancò poco che Kaiou non le sbottasse a ridere in faccia mandando al diavolo tutta la buona educazione impartitale da giovane. Otto ore filate?! Settimane? Mesi, forse?

“Con questo non sentirti presa in giro Ami, ma non credo di saperti rispondere.”

“Lo immaginavo. Purtroppo si vede.” Affermò non potendo non notare le occhiaie che iniziavano a risaltare anche sotto ad un sapiente trucco.

Michiru non se la prese. Si guardava allo specchio tutte le mattine. “E con questo cosa stai cercando di dirmi?” Chiese rendendosi conto di averla spiazzata.

“Allora sai cosa ti sta succedendo.”

“Non sono stupida.”

L'altra abbassò lo sguardo per rialzarlo immediatamente. “Non ho mai inteso offenderti. Ma vedi, non puoi sapere quante sono le persone che s'ingannano non riuscendo ad ammettere di avere un problema.”

Fu la competitività della donna più grande a parlare. Abituata a primeggiare in molte cose della vita, Michiru volle elevare il discorso portando la sua preparazione sullo stesso piano di quella di un medico, esponendosi così come non era solita fare. Anche questo assurdo passo poteva essere additato come un necessario, quanto urgente riequilibrio psico-fisico. Sbilanciandosi troppo ed offrendo praterie di analisi, confessò ad Ami di soffrire di sacche periodiche d'insogna già da parecchi anni.

“E da quanto esattamente?”

“Forse..., da sempre.” Rise mentre la specializzanda registrava mentalmente le nuove informazioni.

“E questo ti fa ridere?” Chiese vedendola bloccarsi di colpo.

“Ami, non è certo l'insogna il problema.”

“Ovviamente. Sotto la perdita del sonno cova sempre la brace di una serie di lacerazioni che non hanno ancora trovato il conforto della cicatrizzazione. E più questa avviene in maniera sporadica e più la causa è ben radicata nel nostro io.”

Il viso di Kaiou divenne di pietra e una volta resasi conto della vulnerabilità che lei stessa aveva messo sul piatto, reagì in maniera più fredda di quanto non avrebbe voluto. “Di un po', è forse la branca della psicanalisi quella che hai scelto come percorso formativo?”

“Scusa. Non avevo intenzione di usare le mie conoscenze per invadere la tua privacy.” E non sentendosi di aggiungere altro attese l'inevitabile reazione.

Michiru si alzò ritenendo quella conversazione esaurita. Sistemandosi le pieghe della gonna continuò a puntarle gli occhi addosso sapendo da sempre di avere nei cobalti una notevole un'arma di difesa.

Nel seguirne l'esempio, Ami cercò di riallacciare il contatto spezzatosi. “Ti chiedo di scusarmi Michiru, ma...”

“Ma?” Chiese stirando un sorriso quasi maligno sentendosi in vantaggio.

“Ma pur avendo da sempre difficoltà caratteriali abbastanza marcate, mi risulta curiosamente facile entrare in sintonia con la psiche delle persone. Credo sia una dote. Un dono. Mi riesce facile, non so.” Si stava trovando in difficoltà e iniziò a pensare a come avrebbe mai potuto esercitare un lavoro come quello se lei per prima era piena zeppa di manie, indecisioni e problematiche di diversa natura. Girando i tacchi dopo essersi scusata ancora una volta, fuggì letteralmente via dallo sguardo ormai glaciale dell'altra.

Kaiou si sentì trionfatrice di una battaglia che lei per prima avrebbe dovuto avere il coraggio di consegnare a colei che stava cercando di aiutarla, ma troppo presa dal turbine di emozioni negative riaffiorate nell'ultimo periodo a causa dei suoi incubi, non riconobbe subito quell'enorme sbaglio, provando anzi un'insana soddisfazione per aver dominato su un terreno che non era il suo.

Schizzando davanti al locale delle piscine coperte, Ami si portò la mano alla bocca provando a non piangere. Aveva sbagliato tutto. Aveva provato ad instaurare un contatto partendo dalla mente invece che dal cuore e Michiru si era chiusa a riccio. No, in verità no! Michiru si era difesa attaccando e colpendo finemente.

Si sentì bloccare il braccio e girandosi di scatto spalancò gli occhi sul viso della sorella maggiore, che avendola vista passare di corsa ed intuito che qualcosa l'aveva turbata, le era corsa dietro.

“Amore che c'è?”

“Non avrei dovuto... Gli studi sono una cosa e la pratica è un'altra...” Ammise chinando la testa vinta.

“Ma cosa stai dicendo? Ami spiegami.” E nel sentire la mano di Khloe sulla spalla la giovane donna le si gettò al petto vogliosa di un abbraccio.

 

 

“Si può sapere che cosa le hai detto?” Michiru si sentì spinta rientrando barcollando all'indietro nella sua camera. Khloe entrò sbattendo furentemente la porta.

“Bada Kaiou che se succederà un'altra volta, ti caccerò personalmente fuori dal Re del mare prima che tu possa capire da dove arrivino i calci!”

L'altra la guardò ad occhi sbarrati cercando di afferrare più parole possibili. Ma che cos'era impazzita?!

“Prima di tutto... parla più lentamente e secondo... datti una calmata e spiegami che diavolo vuoi da me.”

Khloe non aveva mai sopportato quell'atteggiamento freddo e distaccato da essere superiore che in passato ogni tanto aveva visto in lei, ed ora che lo ritrovava in una Michiru adulta e matura, sentiva di non poterlo tollerare.

“Non puoi venire qui a minare la fiducia di mia sorella... È chiaro!?”

Allora la straniera iniziò a capire. E così Ami era andata a piagnucolare tra le braccia della maggiore non avendo la forza per affrontare da sola la prima ritirata.

“Ascolta, è stata LEI a violare la mia privacy. Io mi sono solo difesa e se fosse una brava psicologa, le due mezze frasi che ci siamo scambiate non l'avrebbero minimamente turbata.”

L'autocontrollo di Khloe era sempre stato notevole ed anche in quel frangente non la tradì, bloccando l'enorme e compulsivo fremito che sentiva di avere nel palmo della mano destra. Avrebbe tanto voluto schiaffeggiarla, ma si accontentò di puntarle il dito al petto sibilando.

“Bada a te Kaiou... Non azzardarti mai più a fare giochetti con Ami. Non parlarle e viaggia lontano da lei. I miei ti adorano ed è per questo che per ora farò finta di niente. Ma bada a come ti muovi. Mi hai capita?”

“Non minacciarmi...”

“Mi hai capita?!”

Michiru la superò riaprendo la porta. “Vai fuori di qui.” Ed una volta ritrovatasi sola la richiuse per andare a sedersi sul letto.

 

 

Se oserà farlo nuovamente questa volta non resterò a guardare e la difenderò io, ma.” Disse Khloe mentre Agapi tamponava la ferita ai reni che il dottor Kaiou aveva provocato alla figlia.

Dovrebbe essere denunciato quel bastardo vigliacco!” Quella ragazzina neanche ancora ventenne era fuori di se.

Ancora negli occhi la sconvolgente scena di quell'uomo calmo e pacato che all'improvviso aveva afferrato la cinghia dei pantaloni rivolgendola con violenza inaudita contro la schiena della figlia, ed ora nelle orecchie aveva solo i singulti disperati della sua Mich, distesa sul letto dei coniugi Mizuno, mentre il padre era andato di corsa a chiamare la signora Flora.

Sta zitta Khloe e passami il disinfettante.” Un ordine più che una richiesta.

Ma mamma..., dobbiamo fare qualcosa.” Supplicò avvicinandosi alla donna che intanto non riusciva a staccare gli occhi dalla ferita a carne viva di forma rettangolare che lacerava la pelle della sua signorina.

Ho detto di stare zitta!” E la discussione per Agapi finiva li, perchè sapeva troppo bene quanto la figlia avesse ragione. Sapeva troppo bene che se non si fosse intervenuti, presto o tardi qualcuno si sarebbe fatto veramente male.

Non discutete a causa mia. Agapi... per favore. Mio padre... non è cattivo, ve lo assicuro. E' malato...” Michiru cercò di alzarsi, ma gli avambracci le sembravano privi di forza per il bruciore sordo alla schiena.

Ferma signorina, non si alzi. Khloe... il disinfettante!” Ma vedendo la figlia completamente inebetita dovette pensarci da sola, allontanandosi dal letto e non accorgendosi della piccola Ami che affacciatasi alla porta, era ora sgattaiolata nella stanza afferrando una mano di Michiru per stringergliela il più forte che poteva.

Ami...” La ragazza sospiro' girando la testa nella direzione della bambina cercando di sorriderle.

Non preoccuparti Michi, ora mamma ti cura. E' brava sai?! E quando sarò grande ci penserò io.” Una sicura sincerità che l'aveva intenerita.

Grazie àngelos, ma... spero che non ce ne sarà mai il bisogno.” Disse tornando a nascondere il viso nel braccio che portava piegato sotto al mento.

Dannazione! Khloe porta via tua sorella. Non voglio che veda la signorina in questo stato. Muoviti!”

 

 

Michiru sospirò mettendosi seduta sul materasso. Doveva essersi assopita dopo aver cacciato Khloe dalla camera. Sentiva di non essere più lei. Prima di cedere alla stanchezza e tornare sovrana del sovra mondo pseudo fantastico che le stava facendo rivivere il passato amplificandone le sensazioni, si era fermata a riflettere sulla conversazione avuta con Ami. Non si erano dette nulla di speciale, ma era stato l'atteggiamento che era riuscita a far emergere durante quelle poche frasi ad essere totalmente fuori luogo. Era palese che la specializzanda stava cercando solo di aiutarla e lei non era riuscita a capirlo, anzi, sentitasi minacciata si era difesa con una cattiveria che non riusciva a spiegarsi e per di più, nel farlo, aveva provato un senso sadico che ora nella ritrovata lucidità, le stava provocando disgusto e vergogna.

Doveva cercare Ami. Doveva scusarsi provando a riannodare quei fili che lei stessa aveva tagliato non accorgendosi della loro immensa importanza.

Uscendo dalla sua camera scese le scale salutando degli ospiti per fiondarsi verso le cucine. A parte un paio di camerieri non c'era nessuno. Allora guardò nel parcheggio e lo scooter di Ami era al proprio posto. In ultima battuta tentò in camera sua. Bussò ed attese fissando il pavimento. Qualche secondo e la porta si aprì.

Michiru stava per parlare quando rendendosi conto chi le stava dinnanzi, non avvertì alcun suono solleticarle le corde vocali.

Khloe la fissò socchiudendo gli occhi. “Vedo di non essere stata chiara. Hai compreso quando ti ho detto di viaggiare lontano da lei?”

“Hai usato un modo di dire dialettale, ma non mi nascondo dietro il dito della lingua. Ti ho capita benissimo.”
“Allora perchè sei qui?!”

“Dovrei parlare con Ami.” La sentì ridere vedendola avanzare.

“Non credo proprio. Sai dove se le può mettere le sue scuse signorina?” Ne anticipò le intenzioni.

“Khloe basta. Lasciala entrare.” Disse la specializzanda ferma al centro della stanza ed anche se mal volentieri la maggiore obbedì lasciandole spazio.

Una volta entrata Michiru guardò la più giovane stringendo le mani sul grembo. “Non sono venuta qui per chiederti scusa delle parole, ma di come te le ho dette Ami. - Scosse la testa onestamente incredula. - Non sono più padrona di me. Credo che se non avessi ricevuto un'educazione socratica fin da bambina, a quest'ora andrebbe anche peggio.”

“Lo credo anch'io. Accetto le tue scuse, ma in realtà sono io che avrei dovuto tenere a bada la mia empatia.”
“Ami... vorresti aiutarmi?” Una domanda a bruciapelo. Una domanda che lasciò entrambe le sorelle abbastanza interdette.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui. Haruka e Michiru sono destabilizzate. Ognuna per motivi diversi ed ognuna ha per fortuna accanto qualcuno che badi un po' a loro.

Non prendetevela se la nostra “straniera” ha sfogato la sua frustrazione su Ami. Il momento non è dei migliori, ma, soprattutto, penso che la stessa Ami abbia spalle molto più forti di quanto non si creda.

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Capitolo 4
*** Richiesta di aiuto ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Richiesta di aiuto

 



“Ami... vorresti aiutarmi?”

La straniera avanzò di un passo sentendosi avvilita. Non le era mai costato chiedere aiuto, ma questo valeva per Haruka, Giovanna e per pochissimi altri. Con le persone estranee o con le quali aveva scarsa confidenza, non era altrettanto facile. E mai lo sarebbe stato pienamente. Estremamente indipendente, Michiru tendeva ad affrontare la vita a modo suo e supportata da un carattere forte, riflessivo e testardo, si era sempre trovata vincitrice negli scontri più o meno pesanti che l'esistenza le aveva messo davanti.

Ma questa volta era diverso. Sapeva di non potercela fare da sola e spinta dal sottile legame che l'aveva unita ad Ami in un passato ai suoi occhi ormai lontanissimo, cedette all'ovvietà di una forzata quanto impellente richiesta di sostegno.

“Io veramente... non saprei.” Disse la specializzanda scambiando una rapida occhiata con la sorella rimasta immobile accanto alla porta.

A Michiru il gesto non sfuggì, ma non disse nulla. In effetti Ami aveva un'indole particolarissima, che per molti versi andava a cozzare con la sua, ma conosceva parte della storia della sua famiglia e non avrebbero perso tempo nel ricercare qua e la nel passato dei Kaiou, le cause del suo malessere.

“Non sei stata tu a criticarla come medico!?" A Khloe quella richiesta non piaceva. Le puzzava di fregatura.

“Che cos'hai in mente, Kaiou?”

“Nulla di ciò che credi, Mizuno. Non ho intenzione di giocare con la mente di tua sorella manipolandone la fiducia in se stessa... come qualche ora fa mi hai simpaticamente fatto notare.”

“Cosa? Khloe che cos'è questa storia?!” Chiese Ami intuendo che per l'ennesima volta la sorella non fosse riuscita a restare al suo posto.

Quanto le dava fastidio che, inconsciamente o meno, Khloe la considerasse ancora un cucciolo bisognoso di cure ed attenzioni. Lo aveva fatto anche alla fine della sua ultima relazione, quando aveva letteralmente preso a pugni l'uomo del quale Ami si era innamorata.

“O andiamo, lo sai che mi preoccupo. Come sai che questo è il mio modo di volerti bene, perciò non darmi addosso la croce.”

Michiru sorrise, ricordando una frase che qualche mese prima aveva detto ad un'altra sorella maggiore, allora completamente fuori controllo: il sangue è più denso dell'acqua. Quella tenerezza le fece ricordare del perchè, anni addietro, si era innamorata di Khloe. Quando voleva era di una dolcezza disarmante.

“Michiru ascolta..., ripeto a te quello che ho già detto a mia sorella. Tra lo studio e la pratica c'è un abisso ed anche se è una frase scontata, io sono riuscita a capirla veramente solo dopo che ci siamo parlate. Ammetto di avere avuto la pretesa di poterti aiutare, ma ora non credo di averne le basi. Vedi, per quel che ho potuto capire il problema che ti affligge è radicato in profondità. Te lo stai portando dietro da anni, tanti anni e sono convinta che qualche collega abbia già tentato di scardinare la tua sofferenza. Visto gli scarsi risultati ottenuti, cosa ti fa pensare che potrei aiutarti proprio io?”

Già, cosa? Michiru aggrottò la fronte puntando lo sguardo in un punto non meglio identificato della stanza.

Sembrò ragionarci sopra qualche secondo per poi rispondere con tutta la sincerità che sentiva nel cuore. Tornando a guardare la donna più giovane dovette per forza di cose argomentare la sua richiesta e provò con una semplice parola, a farle comprendere che se qualcuno avesse mai potuto aiutarla, questa sarebbe stata solo lei.

“Empatia.” E lasciò stare cose come la loro conoscenza, o l'impellente necessità di mettere un punto a quella storia.

“Empatia.” Ripetè la specializzanda rimarcando lentamente la sua dote più grande e pericolosa.

“Ok Michiru, possiamo provare, ma...”

“Ami no!” Intervenne Khloe.

“... ma dovrai fare quello che ti dico e quando te lo dico. Non per offenderti, ma il medico sono io e non voglio ritrovarmi una “paziente” che cerca di elevare le sue scarse e frammentarie nozioni di psicologia mettendole sullo stesso piano di quelle di una professionista solo perchè apprese da un'esperienza soggettiva. Che ne dici? Puoi riuscire a farlo? Puoi riuscire a fidarti così tanto di me da consegnarmi il tuo io lasciandomi fare il mio lavoro senza batter ciglio?” Chiese serissima lasciando intendere alle altre due donne di essere tornata in modalità “medico”.

Michiru sbattè le palpebre stupita per confessarle poi che quanto meno ci avrebbe provato.

“No. Non ci devi provare. Ci devi riuscire. Altrimenti non andremo da nessuna parte. E non dovrai avere fretta, perchè queste cose possono risolversi in due giorni, in due anni, come ... mai.”

Nel sentire quelle parole il primo impulso di Michiru fu quello di ringraziare e voltarsi per tornare in camenra a fare i bagagli, ma l'intelligenza, l'amore per Haruka, la voglia di riavere il suo equilibrio, di riprendersi il sonno, le schiacciarono l'orgoglio.

“Va bene.” Disse comunque convinta che avrebbe avuto margini di movimento.

Ben presto la dottoressa Kaiou avrebbe altresì compreso che con Ami Mizuno le contrattazioni non sarebbero mai state prese in considerazione.

 

 

“Assolutamente NO. Io non la prendo!” Meno di due ore ed il primo scontro tra dottore e paziente stava vedendo il suo apice nella stanza di quest'ultima.

Seduta sul letto con i pugni chiusi sulle gambe, Michiru non poteva che guardare con gli occhi iniettati di sangue la capsula bianca e blu che Ami le stava mostrando.

“Non è niente di trascendentale Michiru. Per favore.”

“Ti ho già detto di no!” E le nocche se possibile divennero ancor più bianche di quanto non lo fossero già.

La più giovane stava cercando di mantenere la calma, ma la testardaggine di quella donna stava rasentando la stupidità. Se queste erano le premesse, sarebbe stato meglio farla finita subito ed amiche come prima.

“Ascoltami. Ho capito che non vuoi prendere nulla che ti faccia perdere lucidità e ti ho anche spiegato come, per ora, non serve che io ne conosca il motivo, ma prima di tutto hai bisogno di dormire e questa capsula è l'unica cosa che può darti un po' di tregua e riallineare le tue funzioni cognitive.”

“Non sono una pazza!”

“Certo che non lo sei! Ma devi riequilibrare il sonno, la veglia e lo stato di coscienza, perchè lasciatelo dire, ora sei iper attiva.”

Ami s'inginocchiò di fronte alla donna. Michiru era quasi terrorizzata da quel piccolissimo oggetto. La vide iniziare a respirare più velocemente. Troppo velocemente.

“Stai andando in iperventilazione. Calmati...”

“Non posso perdere il controllo. Non posso perdere il controllo....” Iniziò a dire come un mantra serrando gli occhi e provando a respirare più lentamente.

Ami ne fu colpita. Quella donna aveva un notevolissimo autocontrollo. La signora Kaiou; ecco chi le aveva insegnato a non perderlo mai.

Qualche altro secondo e la straniera riaprì gli occhi tornando a guardarla. “Ti prego, Ami.”

Una supplica che all'altra scivolò addosso neanche fosse acqua. Zero contrattazioni.

“Ti garantisco che non è un medicinale forte. Non riposi da così tanto tempo che non ne hai bisogno. Perciò stai tranquilla, ok?!”

Voglio Ruka! Pensò Michiru ingenuamente chiedendo di poterla chiamare.

“La vorresti sentire ora? - E ad un assenso alzò le braccia sorridendo. - Non c'è nessun problema, anzi, mi sembra un'ottima idea.” Incoraggiò rialzandosi ed aspettando che finisse di calmarsi.

“Metto questa sul comodino, ma bada di non giocare sporco. Se non la prenderai me ne accorgerò quando tra una mezzoretta tornerò a vedere come stai. Chiaro?”

“Sono sufficientemente intelligente per aver compreso che è per il mio bene.” Ringhiò sommessamente ed aspettando che uscisse, afferrò il cellulare componendo il numero.

 

 

A Giovanna vibrò la tasca della giacca. Seduta sulla neve aspettando che Haruka tornasse da una pista nera che lei, in tutta franchezza, si era rifiutata categoricamente di fare, stava godendosi il sole e l'aria frizzante di quel giorno di fine inverno. Coprendosi gli occhi dalla luce cercò di vedere sul display chi fosse e una volta riconosciuto il numero dal prefisso straniero, rispose con entusiasmo.

“Pronto... Michi!”

Dall'altra parte una voce stanca, ma rincuorata dal sentire l'aria di “casa”. “Giovanna. Come stai?”

“Io bene, ma... la tua voce... Tutto apposto?” Giò era stata messa a conoscenza dalla stessa Michiru di quella “fuga” e conoscendo a larghi tratti la storia del rapporto tra l'amica ed il padre, aveva intuito, anche con l'aiuto di Haruka, che quel momentaneo allontanamento era l'ultima carta da giocarsi per tornare ad avere una pace interiore che quel legame aveva per vari motivi incrinato.

“Diciamo che è più dura di quel che credessi, ma tu? Voi? Cosa state facendo?” Dio quanto voleva parlare con la sua bionda.

“Siamo a Nara e credo che la tua donna stia cercando d'impossessarsi di tutta l'eredità prima del tempo.” Disse Giò provando a farla ridere. Ci riusciva sempre.

“E' un bel posto, ma non farti portare sulle piste nere, intesi?” Consiglio' non potendo evitare l'apprensione che sentiva di avere quando la risonanza della competizione che quelle due avevano dalla nascita risuonava incontrollabile.

“Ci ha già provato. Guarda ho dovuto puntare i piedi, anzi i tuoi sci e farmi riaccompagnare a valle da una moto slitta. Ruka è completamente fuori di testa! Comunque, è un po' che ci siamo lasciate e dovrebbe essere in contatto visivo tra qualche minuto. Puoi aspettarla?”

“Certo che posso.” Disse aggiungendo di raccontarle qualcosa. Una cosa qualunque.

Sospirando l'altra obbedì. Kaiou era crollata e dopo tutte le traversie che aveva dovuto affrontare durante la malattia di Haruka a Giovanna sembrava strano che fosse accaduto ora e non qualche mese prima.

“La tua donna si comporta con me come se fossi... una bambina di dieci anni. E' arrivata ad allacciarmi gli scarponi come se non fossi in grado di farlo da sola. Mi controlla anche quando vado nel bagno dei rifugi, perchè convinta che scivoli sui gradini e mi spacchi la testa. Credo che abbia paura che non veda gli alberi e ne centri uno. Per non parlare dello skilift! Tanto ha detto, tanto ha fatto nel cercare di farmi capire quando sganciarmi, che mi ha confuso le idee facendomi ribbaltare su un montarozzo di neve prima che mi venisse addosso e cascasse anche lei. -Sospirando continuò più lentamente. - Parliamo poi del fatto che essendomi innocentemente puntata alla fine di una pista non riuscendo piu' ad andare ne avanti ne indietro, ha avuto la bella idea di darmi un pò di spinta e calcolando male i tempi della mia reazione nel non voler più muovere un passo da dov'ero perchè esausta, mi ha fatto andare a sbattere contro un paio di americani. Pure grossi! Kaiou... la tua Ruka s'è trasformata in una... balia gialla ed aggiungerei anche alquanto pericolosa!” Concluse sentendola ridere piano.

“Grazie Giò, mi ci voleva... Come vorrei essere li con voi.“ Ammise dolcemente continuando ad immaginarsi Haruka e Giovanna appallottolate tra la neve.

“Lo vorrei anche io e non soltanto perchè vorrebbe dire che stai meglio, ma anche perchè per quanto possa fare, Ruka è sempre tanto triste.” Ammise vedendola arrivare scodando di gran carriera.

Che cazzona, si disse prima di alzarsi agitando a mezz'aria il cellulare.

“Michi sta arrivando. Vedrai che andrà tutto per il meglio. Tieni duro e mi raccomando, chiama sempre se serve, ok?” Salutò guardando la bionda alzarsi gli occhiali a specchio sulla testa rivelando così i suoi pazzeschi smeraldi.

“Pronto amore?”

“E se non fossi stata io?” Chiese Michiru divertita.

“E chi vuoi che mi passi quella casinista di Giovanna? Come stai?”

“Non lo so...” Ed iniziò a spiegarle per sommi capi che cosa stava succedendo ed al sentirsi dire - ma questa Ami sa quello che fa? - alzò le spalle poggiando poi pesantemente la fronte sul palmo della mano.

“Non ho altre alternative Ruka. Lei mi conosce, o meglio, conosce parte della mia storia ed ammetto che ha un modo del tutto nuovo di approcciarsi alla psiche delle persone. Potrebbe anche essere una buona cosa. Comunque ora come ora è tutto quello che ho.”

“Ok...” E la bionda non riuscì a dire altro.

”Non aveva ancora pienamente accettato quell'alzata d'ingegno ed anche se stava facendo di tutto per cercare d'immedesimarsi nella compagna per riuscire a capire, ancora provava moti di rabbia per essere stata esclusa. Non sapeva neanche dove fosse e aveva promesso che non glielo avrebbe più chiesto. Naturalmente si tenne questo turbine di emozioni per se anche se sapeva che Michiru intuiva benissimo quel disagio.

“Ora ho un compito sai?”

“A si?! E sarebbe?”

“Dormire.”

“Mmmmm....”

“Con l'aiuto di una capsulina.” Disse prendendola tra il pollice e l'indice.

Haruka comprese al volo anticipandone il desiderio. “Vuoi che rimanga con te finchè non ti addormenti?”

Michiru strinse i denti. Come riusciva quella donna a farla sentire sempre tanto amata?!

 

 

Khloe sospirò seduta sul letto scansando una ciocca di capelli dal viso di una Kaiou addormentata. Era impareggiabilmente bella e finalmente sembrava che su quel volto pallido fosse tornata una momentanea pace.

“Ce la farai a liberarla dai suoi tormenti, sorellina?!” Chiese alzandosi aiutandola a coprirla con la sovra coperta.

”Ami era dubbiosa, ma sapeva cosa fare. Aveva elaborato una serie di “sedute” che avrebbero cercato di farle fare il punto della situazione. Da li in avanti, la specializzanda avrebbe deciso il da farsi andando praticamente “a braccio”.

“Non so, non ho l'esperienza per dirti nulla, ma ci proverò con ogni mezzo. Su questo puoi starne certa.” Assicurò sfilando dalla destra di Michiru il cellulare per posarlo sul comodino.

Uscirono subito dopo lasciando che la donna ricaricasse finalmente le energie.

Come un orso riemerso dal letargo invernale, Michiru scese giù da basso circa tredici ore dopo, convinta di essersi persa una fetta di vita. Con nella bocca un retro gusto amarognolo che ricordava sin troppo bene essere la scia di un sonnifero, si affacciò alle porte della cucina di buon mattino non trovandoci che Agapi. Guardandosi in torno con aria assente cercò di ricordarsi cosa fosse accaduto. La discussione con Ami, l'accettazione del suo metodo, la telefonata ad Haruka. E poi? E poi... l'oblio; benedetto e rigenerante.

“Buongiorno àngelos, come mai tanto mattiniera?” Chiese sorridendo Agabi intenta a preparare la colazione.

Efficientissima, quella piccola donna rotondetta sarebbe riuscita a sfamare con la sola forza dei suoi avambracci un'intero plotone di fanteria.

“Ma..., non si è svegliato ancora nessuno?” Chiese sedendosi al grande tavolo posto al centro dell'ambiente. Avrebbe voluto aiutarla, ma sentiva di avere ancora bisogno di cinque minuti.

“Alexios è già andato al mercato del pesce, mentre le mie figlie...” Lasciò così intendere che non erano ancora rotolate fuori dalle lenzuola.

Strano, ricordava Khloe un tipo mattiniero. Nascondendo il viso nell'incavo delle dita, la straniera sospirò notando come si sentisse la testa pesante anche dopo una doccia. Ecco un'altra cosa del perchè odiasse quel tipo di farmaci. I postumi di una sbornia, che non aveva mai “assaporato” fino in fondo, le avrebbero dato sicuramente meno fastidi.

Sentì le mani di Agapi strofinarle energicamente le spalle e guardandola ne afferrò una d'istinto. “Mi manca mia madre.” Disse improvvisamente stupendosi di quella tenera confessione.

“Allora perchè non la chiami?”

“Perchè sarebbe... inutile. - Desolata abbassò gli occhi. - Non ha piacere a parlare con una figlia come me. Credo proprio di essere una gran delusione.” E rise amara.

Non si erano sentite neanche per il Natale appena trascorso e non lo avrebbero fatto neanche per il compleanno di Michiru, che sarebbe caduto da li a breve.

“O che sciocchezze! Come puoi essere una delusione?! Chi non vorrebbe una figlia come te?” Disse convinta con un leggero moto di stizza nel tono della voce.

Talentosa, affabile, bene educata, Michiru Kaiou avrebbe fatto la felicità di qualsiasi genitore.

“Mia madre...” E purtroppo era vero.

Non si trattava di nichilismo, ma di uno sguardo duro e ben consapevole su una realtà che per molti versi aveva visto i natali proprio all'interno della famiglia Mizuno. Michiru ricordava esattamente cosa Flora Kaiou le aveva urlato contro quando aveva sub dorato che tra lei e la figlia più grande della servitù c'era qualcosa di troppo intimo: non ti permetto di giocare a fare l'invertita! Ricordati che sei una Kaiou! Hai nel cognome che porti il tuo retaggio! E quando anni dopo erano rimaste sole, Michiru era esplosa non riuscendo più a tenere nascosto quello che era, ovvero una semplice donna che voleva, sentiva, provava a vivere la vita e l'amore a modo suo.

Agapi si sedette un attimo sulla sedia accanto e continuando a sentire la mano dell'altra nella sua, gliela strinse forte costringendola a guardarla negli occhi. “Non lo vuole proprio accettare, vero?”

“No.” Rispose semplicemente, capendo così che la donna sapeva della sua omosessualità.

Sarebbe stato bello avere una madre come lei ed un padre come Alexios. Per loro la primogenita era sempre stata perfetta, pur non rispecchiando pienamente i canoni stereotipati di una figlia.

“Come avete fatto ad accettare Khloe? Non l'avete mai, non so, messa in discussione per la sua sessualità?” Osò chiedere spinta dall'innocente desiderio di conoscere anche la prospettiva di altri genitori.

La donna illuminò allora il viso con un sorriso carico d'amore materno, rivelandole che sia lei che il marito non avrebbero mai scambiato quella peste della figlia per tutto l'oro del mondo.

“Mi sono chiesta tante volte se l'accettazione che Alexios ed io abbiamo sempre avuto nei confronti di Khloe fosse dettata dal fatto che non sia figlia unica, che le aspettative sul naturale allargamento di una futura famiglia, si sarebbero potute comunque concentrate su Ami, ma sono convintissima che l'avremmo “accettata” anche se fosse stata l'unica. Con questo però non voglio assolutamente giudicare tua madre, anche se mi risulta oltremodo difficile credere che non ti ami.”

Michiru sospirò pensando che Flora si era persino rifiutata di conoscere Ruka. Quattro anni e mai una visita, solo sporadiche telefonate e gioco forza era stato che Michiru avesse suo malgrado dovuto fare una scelta; o vivere a modo suo o vivere secondo il perbenismo di una società ristretta ed ottusa. Non si erano riavvicinate neanche quando ad Haruka era stata diagnosticata la leucemia e Michiru si era ritrovata sola, senza la possibilità di una valvola di sfogo, di un conforto, di un aiuto. Almeno fino all'arrivo nella vita sua e della compagna, di Giovanna Aulis.

“Giorno mà. - Khloe entrò nella cucina stropicciandosi un occhio con alle spalle la sorella. - O Kaiou, sei qui?!” Chiese guardandola di sottecchi notando il suo essere leggermente più riposata.

“Si parla del diavolo...” Disse la madre alzandosi dal tavolo pronta per ricominciare le sue faccende.

“Forza muovetevi voi due. Ci sono i clienti da servire ed i pasti per il pranzo da iniziare a preparare.” E seguita anche da una pensierosa Michiru, tutte e quattro iniziarono ad animare il cuore pulsante del Re del mare.

 

 

Michiru guardò incredula l'oggetto che Ami le stava porgendo. Un violino. Era il primo pomeriggio e le due donne avevano deciso di comune accordo d'iniziare l'opera decostruttiva a danno della piramide difensiva che la straniera aveva innalzato attorno alla sua psiche. In campo medico, Ami non era mai stata un tipo tradizionalista, ed anche se trovava nelle radici della psicoanalisi basi di conforto e tranquillità, la sua smisurata smania di conoscenza la spingeva a continue sperimentazioni. Così non aveva neanche preso in considerazione il “classico” lettino, una stanza chiusa o una serie di domande prestabilite, scegliendo per Michiru un approccio più naturale. Nel vero senso della parola.

Dandole appuntamento sul tetto del Re del mare, era sparita chissà dove lasciandola lungamente alla goduria del sole e della brezza capricciosa che era solita alzarsi verso le due del pomeriggio. Così dopo aver legato per svariati minuti le sue iridi blu a quello della distesa d'acqua che si apriva sul Pireo, Michiru iniziò ad avvertire nell'anima una pace che non sempre riusciva ad ottenere lontano da esso. Almeno fino a quando lo strumento musicale non l'era apparso stretto per la tastiera.

“Guarda cosa ho trovato?” Disse Ami entusiasticamente non sapendo cosa di li a breve avrebbe scatenato.

Alzando le sopracciglia, l'altra guardò con ritrosia il legno laccato facendo istintivamente un passo in dietro fino ad urtare il muretto del terrazzo. Che strano, si disse provando a ricordare da quanto tempo non aveva più avuto occasione di guardare un violino così da vicino.

“Cosa dovrei farci?”

Ad Ami non sfuggì la durezza di una voce generalmente sempre piuttosto musicale. Non badandoci alzò a mezz'altezza l'archetto e lo strumento aspettando che l'altra li prendesse.

“Non avrai scelto la carriera musicale, ma amatorialmente lo suoni ancora, corretto?” Chiese convintissima che la rinuncia di Michiru fosse stata dettata solo dall'ombra dei successi della carriera materna. Dovette ricredersi.

Michiru sorrise tristemente accarezzandolo. Quante ore aveva trascorso ad esprimere se stessa nelle note prodotte da quell'incredibile oggetto. Un amico. Il suo migliore amico.

“Suonare uno strumento musicale è un'attività che coinvolge completamente una persona, sia nei suoi aspetti psichici che motori. Dar vita alle note è il punto terminale di una lunga storia personale. - Mosse lo strumento verso l'altra incoraggiandola ad afferrarlo. - Forza Michiru, fammi sentire qualcosa.”

“Vorresti iniziare dalla fine per arrivare al principio?!”

“In verità è più la voglia di sentirti nuovamente, ma si... diciamo che il mio metodo è questo.”

Il medico non si sarebbe mai immaginata ritrosia. Michiru le voltò le spalle tornando a guardare il mare poggiando le mani sulla mensola in pietra. “Non posso.”

“Anche se non ci si esercita da molto tempo il corpo non dimentica. Non aver paura di fare una figuraccia. Ti ho portato qui per questo. E' il punto più solitario della struttura.”

“Non si tratta di paura, ma di... impossibilità fisica.”

Per nulla convinta l'altra incalzò. “Michiru, spero che non vorrai mettere sempre tanta ostinazione nelle idee che propongo. L'utilizzo del violino potrebbe aiutarti molto a ...”

“Non posso più suonare!” Urlò girandosi di scatto mostrandole la mano sinistra.

“Non ricordi che fui operata?”

“L'incidente? Ti ha menomata così tanto?” Chiese riabbassando lo strumento dispiaciuta.

“Certo, l'incidente.” E non potè trattenersi dal ridere.

“Guarda Ami. Osserva bene la mia mano. Ora ti mostrerò il perchè della fine della mia carriera.” Ed afferrando quasi con rabbia lo strumento, si portò la mentoniera sotto al viso impugnando l'archetto. Un gesto che non compiva da anni e che le venne naturale come fare un passo. Avvertì chiaramente un tonfo doloroso al cuore. La mano sinistra dalla presa decisa, ma gentile sotto al capotasto. Le dita sulle corde. Un respiro e Michiru lasciò che il crine scivolasse verso il basso. Ed Ami comprese. Alla prima sollecitazione l'anulare sinistro venne scosso da un leggero tremore saltando perdendo presa e costringendo così la donna a fermarsi di colpo dopo una sola, vibrante, cristallina nota.

“Mi dispiace. Non credevo che quella pallonata fosse stata tanto violenta.”

“Pallonata? A... è vero! E' stato questo che i tuoi hanno voluto raccontare alla piccola Ami. Che la signorina si era fatta male durante l'ora di ginnastica. Ma non è andata proprio così e visto che stai continuando a prendere mentalmente appunti da quando sei qui, è ora che tu sappia che uno dei traumi della mia giovinezza, della mia vita, è stato causato dalla violenza di mio padre e non da un banalissimo incidente scolastico.”

 

 

Non avrebbe voluto dirglielo così. In tutta onestà non avrebbe proprio voluto dirlo a nessuno. Neanche ad Haruka aveva spiegato per filo e per segno quello che era accaduto il pomeriggio di quel giorno, al ritorno da scuola, quando per salvare la madre aveva frapposto il suo corpo, se stessa, il suo futuro, all'ira di Viktor. Ora erano li, sul tetto della pensione, sedute sul lastrico solare con la schiena poggiata all'intonaco del parapetto, Michiru che raccontava come si erano svolti i fatti ed Ami che ascoltava, in maniera più coinvolta di quanto non avrebbe dovuto. Così la specializzanda iniziò ad avere basi solide per il suo lavoro, ricordando il prima persona flash del passato quali ad esempio, le improvvise ritrosie di Michiru nello stare sola con il padre, i suoi pianti disperati tra le braccia di khloe, la protezione di Agapi, che cercava di non perderla mai di vista, gli sguardi guardinghi di Alexios, sempre pronto all'intervento e i ritorni improvvisi dalle tourne della signora Flora. Man mano che Michiru raccontava Ami ricordava.

“E cosa provi per tuo padre?” Le chiese guardandola negli occhi aspettandosi di vederli lucidi, sbagliandosi nuovamente.

“Con molta probabilità Michiru non era mai riuscita a sfogarsi realmente, a lasciarsi tutto alle spalle e quella rabbia, quel dolore, quell'insieme caotico di emozioni, erano montate in lei, ingigantendosi e cristallizzandosi in una corazza che la stava portando al soffocamento.

“Non lo so.” D'impulso mentì senza capirne il motivo.

Ami la illuminò rassicurandola di non aver paura. “Dovrai letteralmente picconare la tua scorza protettiva Michiru. Ora come ora è soltanto una prigione. Perciò inizia con il cercare la verità, perchè mentendo a me, menti a te stessa.”

La donna più grande tornò a fissare il cielo ammettendo l'ovvietà del suo amore. “Non mi spezzo' il tendine con consapevolezza. Non fu colpa sua. Io amavo mio padre. E lo amo ancora.”

Sincera fino allo sfinimento Michiru poggiò la fronte sulle ginocchia esausta. Quanto tempo era passato da quando si erano sedute? Dieci minuti? Un'ora? Un anno?

“E per tua madre? Ora che sei adulta e che puoi capire meglio i suoi atteggiamenti nei confronti tuoi e di Victor, cosa provi?” Ma a quella domanda l'altra non seppe rispondere. Forse per onestà, per caparbietà, testardaggine, o presumibilmente per stanchezza.

“Va bene. Per ora è meglio smetterla qui. Penso che per oggi sia sufficiente.” Disse Ami rialzandosi e porgendole la mano.

“Ora sarà meglio rilassarsi un po'. Ho un'idea per farti scaricare tutte le energie negative accumulate. Ma avremo bisogno anche dell'aiuto di mia sorella. Spero non ti dispiaccia Michi.” Ed afferrandole la mano la issò letteralmente da terra.

“Cosa hai in mente di farmi fare?”

“Visto che il mare ti piace tanto e che la temperatura non è proprio bassissima...”

Afferrando a Michiru luccicarono gli occhi.

 

 

Seduta sul banco di legno della barca a motore con la quale Khloe portava i turisti in giro per le isole, Michiru lasciò che la mano toccasse l'acqua avvertendo un brivido. Aveva freddo e la muta che aveva stretta a fasciarle il corpo le dava fastidio e la faceva sentire nuda di fronte alle donne che stavano viaggiando accanto a lei, ma si sentiva anche viva, curiosa ed impaziente. Ami l'aveva in qualche modo “premiata”, ed ora erano dirette tutte e tre in uno dei parchi marini più belli della zona. Poco turistico ed in genere battuto solamente dai sub più esperti e dagli studiosi, conteneva sul fondo reperti archeologici quali antiche fondazioni ellenistiche, navi affondate durante la Grande Guerra, ed una quantità sterminata di pesci e coralli.

Ipnotizzata dal rumore del motore e dallo sciabordio dell'acqua sulla prua, Michiru non potè che ritrovarsi a pensare all'ultima vera vacanza fatta da lei ed Haruka a Santorini. Il sole brillante, i colori nitidi dalle incredibili sfumature, gli odori delle erbe che crescevano sui crinali che si univano a quelle medicamentose presenti nei giardini dalle case di calce bianca e blu. I suoni del vento che si univano a quelli prodotti dalla gente del luogo nel porto e nelle piazzette con i caffè all'aperto. La voce del suo immenso padre blu, che a volte urlava, ed altre le sussurrava leggermente, andando dalle orecchie al battito del suo cuore, donandole energia, stupore e meraviglia.

Amore mio, ma quanto può essere bello il mare!” Aveva detto durante quella vacanza alla sua bionda per poi correre come una bambina verso il bagnasciuga.

Io penso che sia tu a renderlo tale Michi. Senza di te sarebbe solo un'enorme pozza d'acqua.” Le aveva risposto dissacrante una Haruka per niente colpita da quella vastità.

E aveva riso Michiru, osservandole i capelli corti arruffati dalla salsedine, il viso cotto dal sole, la schiena incandescente coperta da una camicia di lino e la sabbia che ormai si era fatta strada dappertutto provocandole irritazioni varie ad ogni passo. Ma la sua Ruka l'amava troppo per non farle fare almeno una vacanza l'anno in una località balneare e se lei si piegava a metter su quelle tenaglie chiamate scarponi e quelle trappole che erano i suoi sci, l'altra usava la stessa cortesia lasciando che si trasformasse quasi in una sirena ogni qual volta i suoi piedi andavano a toccare un bagnasciuga.

Mi manchi, anima mia. Pensò avvertendo la barca rallentare fino a fermarsi accanto ad un arco roccioso che spuntava fuori dalle onde per quasi quattro metri.

Khloe gettò l'ancora mentre Ami preparava le bombole d'ossigeno. Era arrivato il momento di immergessi lasciando i problemi, le ansie ed i ricordi fuori dal suo elemento.

 

 

 

 

Note dell'autrice: D'accordo, d'accordo, ho capito. Qui Haruka mi sta diventando un po' troppo “panchinara” e credo che stia iniziando a scalpitare per volere entrare in campo a”giocare”. Ma il titolo di questa fanfiction è “il viaggio di una sirena”, non “donne e motori, gioie e dolori”, perciò....

Naturalmente sto scherzando. A presto.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Acque immote, acque agitate ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Acque immote, acque agitate

 



Sedute sul bordo della barca con addosso un paio di asciugamani a testa, Ami e Michiru avevano tremato per tutto il viaggio di ritorno. Khloe le aveva aiutate a salire a bordo, issandole nervosissima, conscia che non poteva certo dirsi la stagione giusta per una bravata come quella. Ma le due erano riemerse troppo felici, entusiaste e stanche, che in tutta onestà aveva finito per arrendersi limitandosi a mugugnare.

“State giù con la testa invece di ridacchiare come due sceme. Se vi verrà la febbre mamma mi ammazzerà!” Aveva detto e la voce urlata al vento era in parte stata coperta dal ronzare del motore e dall'infrangersi delle onde sulla chiglia.

Ma guarda tu cosa mi tocca fare, aveva pensato la donna intimamente soddisfatta dell'operato della sorella.

Michiru sembrava rinata e lo si era notato non appena era riemersa come un Kappa felicemente elettrizzato dalla spuma provocata dal rilascio dell'ossigeno del respiratore. Già, un piccolo Kappa, che non appena si era liberato la testa dalla prigionia del Neoprene, aveva rianimato i capelli con due rapidi movimenti del collo trasformandosi come per incanto in una splendida dea marina. Da par suo Khloe aveva dovuto far ricorso a tutto il suo autocontrollo per slacciarle con noncuranza la cintura zavorrata alla vita sottile, porgerle gli asciugamani ed aiutarla a togliersi le pinne. E ora non sarebbe più riuscita a cancellare l'immagine di Kaiou che saliva lentamente sulla barca dalla scaletta. Quel corpo perfetto imperlato da una miriade di goccioline scintillanti al tramonto. I capelli sgocciolanti che le ricadevano sulle spalle. Lo sguardo cobalto trafitto da una stanchezza “sana”. Benedetta.

Oddio santissimo... Pensa ad altro Khloe, pensa ad altro, per l'amor del cielo!

Avevano fatto cosi' ritorno al crepuscolo, accompagnate dal vociare dei gabbiani e dalle prime luci del porto. Agapi le aveva aspettate sul pontile, a braccia conserte, senza dire una parola, fulminando con occhi di brace la figlia maggiore e facendole cenno con il capo di seguirla. Ami aveva provato ad aprir bocca per discolparla, ma la madre l'aveva azzittita con un gesto per poi prendere a spintonare Khloe fin dentro la pensione.

Rimaste sole le due donne più giovani si erano incamminate con sveltezza verso le doccie. “Dovremmo fare qualcosa. Non è giusto che tua sorella si prenda tutta la colpa.”

“Lo so Michi. In fondo l'idea l'ho avuta io, ma lo sai com'è fatta nostra madre, no?! Ormai ha giudicato e condannato. Non c'è appello.”

Per nulla convinta e sentendosi parecchio in colpa, Michiru si era stretta nell'asciugamano fino a quando l'ambiente riscaldato degli spogliatoi non le aveva accolte ed ora era li, seduta su una panca, sentendosi finalmente meno oppressa.

“Erano anni che non m'immergevo. Non sono mai riuscita a convincere quel “ferro da stiro” di Haruka a venire con me e se non lo fai con qualcuno che conosci bene, non è la stessa cosa.” Disse allegramente appendendo la muta al gancio una volta liberatasi per fiondarsi poi sotto l'acqua calda della doccia.

“Non venirmi a dire che la tua compagna non sa nuotare?” Chiese Ami animata da una curiosità prettamente femminile.

“No, o meglio, è solita usare uno stile tutto suo; lo stile Tenou. Un incrocio tra il “cagnolino” ed una rana morente. Troppo poco per poterla portare a largo con una cinta piena di piombo e sperare di riportarla a riva sana e salva.” Kaiou inizio' a ridere fino a farsi uscire le lacrime nel rivedere con gli occhi della mente quell'atteggiarsi da dura, ridursi ad un buffissimo annaspare non appena le lunghe leve che erano le sue gambe, non bastavano più a tenerla sopra la linea di galleggiamento.

Devi amarla molto e hai avuto un coraggio enorme a spingerti fin qui da sola. - Pensò Ami iniziando ad insaponarsi i capelli. - O forse non è coraggio, ma disperazione. Pura e semplice. Profondissima e lacerante. Ti prometto che ti aiuterò cara.

 

 

Uno starnuto ed un poderoso moccolo tirato all'indirizzo dell'acqua che le si era appena versata addosso, riecheggiò tra i fornelli ed i pensili di casa Kaiou-Tenou. Haruka guardò il bicchiere con aria di sfida pensando che da li a tre secondi netti lo avrebbe lanciato contro il muro della cucina. O forse sarebbe stato più indicato fargli fare un audace carpiato giù per la tromba delle scale! Giovanna glielo tolse dalle dita appena finito in tempo.

“Poverino. Mi fa pena. Lascia che viva un altro giorno all'ombra di questo nostro sole texano.” Disse sorridendole imitando la voce di uno dei tanti “cattivi” che si trovano nei films western.

“Che?”

Chinando la testa vinta, l’altra la scosse aprendo la lavastoviglie. “Pubblico difficile questa sera...”

“Scusa, ma a volte proprio non ti seguo Giò.”

“Lo vedo Ruka. Volevo solo fare dello spirito. Lascia perdere. Allora, come facciamo per domani?”

Era domenica sera ed il lunedì successivo Haruka avrebbe ripreso il lavoro, i negozi sarebbero stati riaperti e il suo Iphon sarebbe stato portato a riparare rendendola cosi' nuovamente raggiungibile ed autosufficiente. Non c'era dunque più necessità che Giovanna continuasse a gravitarle intorno nella speranza di una chiamata di Michiru. La bionda voleva bene a quella piccola italiana di quattro anni più grande di lei, ma iniziava a sentirsi soffocare. Non era abituata ad avere gente per casa, ed anche se ormai l'altra si era ritagliata piccoli spazi discreti scelti con cura tra le mura domestiche, tre giorni filati appiccicate senza la mediazione di Kaiou iniziavano ad essere troppi.

Per l'altra valeva lo stesso discorso e visto il nervosismo crescente che la sua Ruka manifestava ogni tre per due contro cose e persone, lei inclusa, non vedeva l'ora di smettere i panni di una cabina telefonica ambulante per tornarsene a casa. Il legame che le univa si stava rafforzando, ma negli atteggiamenti, nei modi di fare e nei dialoghi solitari con le loro rispettive anime, rimanevano pur sempre figlie uniche e si sarebbero considerate tali ancora per lungo tempo.

“Domani il negozio che ripara gli Iphon apre verso le nove. Vorrei passare prima da li per poi lasciarti alla stazione. Il diretto per Roma dovrebbe arrivare verso le dieci. Poi scappo alla pista.” Concluse spiegando il suo lineare organigramma svizzero.

“Pista? Vorresti metterti in sella ad una moto?” Chiese l'altra leggermente stranita prima di pentirsi di aver dato fiato alle trombe.

“Che vorresti dire scusa?” Inquisí Haruka gelida.

“No, nulla.” Si affrettò a dire vigliaccamente lasciando però che l'espressione dubbiosa apparsale sul viso parlasse da sola e... senza autorizzazione.

“Credi forse che non sia in grado di controllare i nervi?”

“Non ho detto questo....”

“Ma lo hai pensato! Vero Giovanna?!” Ecco, quando la chiamava con il nome intero si profilavano guai.

“Perchè vuoi discutere?”

“Io non voglio discutere, vorrei solo che mi spiegassi il perchè, secondo la TUA innata dote di pilota ed ingegnere meccanico, non dovrei mettermi alla guida di una moto che ho progettato fin nei minimi particolari e che conosco... molto meglio di te!” Ecco la prima stoccata.

“Senti, sei nervosa e vuoi sfogarti con qualcuno. Ok, lo capisco.” Alzò le braccia in segno di resa. Fece peggio.

“Hai la pretesa di capirmi!” Abbaio' la bionda alzando pericolosamente il tono della voce non ricordando forse, che davanti non aveva la compagna, ma una donna con un carattere dannatamente simile al suo.

“Perchè, che ci sarebbe di strano Ruka?! Non posso capirti?”

“No! No che non puoi! Vieni qui e ti comporti come se ci conoscessimo da sempre solo perchè abbiamo qualcosa in comune. Non è così che funziona con me. Non puoi leggermi dentro... Non sei Michiru!” Secondo taglio di lama e questa volta molto più profondo del precedente. Giò avvertì il colpo, ma non arretrò.

“Lo so che non sono Michiru e non ho MAI avuto la pretesa di esserlo, ma si da il caso che TU, nel bene o nel male, faccia parte della mia famiglia! Perciò scusa tanto Haruka Tenou, se abbiamo molto più di un qualcosa in comune!”

“Basta con questa storia!” Sbattendo esasperata un pugno sul tavolo della penisola la fissò con degli occhi che l'altra non aveva mai visto e da per se Giovanna fece altrettanto, inchiodando l'acciaio delle sue iridi a quelle di una donna ormai furiosa.

Rimasero in stallo qualche secondo, poi fu l'indole pacifista della più grande a cercare un contatto che non fosse violento. “Ascoltami... E' vero che non ti conosco ancora bene, ma lo vedo come stai e mi sto solo preoccupando per te, credimi.”

“Non ce n'è affatto bisogno. So cavarmela benissimo da sola!” Terzo taglio e fine dello scontro.

Allora Giovanna fece dietro front pensando di andarsi a rinchiudere nell'unico posto della casa che non fosse “battuto” dal territorialismo dell'altra. ovvero il bagno degli ospiti e ci rimase fino a quando Haruka non decise di andare a sbollire i nervi in camera da letto.

 

 

Camminando lungo il corridoio che portava alle piscine coperte, Michiru si convinse che quello che stava per compiere fosse atto dovuto. Voleva ringraziare Khloe per aver contribuito a quel bellissimo pomeriggio e chiederle scusa per il sonoro rimbrotto che madre e poi padre, le avevano rivolto per tutta la durata del post cena. Cercava di non ritrovarsi mai sola con lei, vedeva perfettamente come la guardava, ma grata di quell'esperienza e con le barriere difensive abbassate dalla stanchezza fisica, cedette alla buona educazione non volendo attendere l'indomani mattina. La trovò a spazzare il pavimento e permettendosi di osservarla qualche secondo, lasciò che i ricordi tornassero alla sua adolescenza e all'amore di lei che tanto l'aveva sorretta in quei mesi difficili.

Fatte eccezioni per rare alzate di testa dovute più che altro all'impulsività della giovinezza, Khloe Mizuno era una ragazza d'oro, forte come la madre e riflessiva come il padre, dotata di un intuito fuori dal comune, di un attaccamento smisurato alle tradizioni della propria terra, protettiva nei confronti della sua famiglia e leale verso i suoi amici. Dal fortissimo istinto materno, aveva inizialmente preso la giovane Kaiou sotto la sua ala protettiva, diventando prima una consigliera ed una confidente, poi una buona amica, ed infine una sorella maggiore, arrivando a porre quasi sullo stesso piano lei ed Ami. Michiru non avrebbe saputo dire quando quella gamma di sentimenti avevano visto l'ennesima evoluzione, trasformandosi in passione, in attrazione fisica. Forse era avvenuto lentamente, una volta che il sottilissimo confine tra amicizia ed amore era stato oltrepassato a causa della stretta vicinanza, o forse all'improvviso. Magari v'era da sempre ed era stato soffocato dall'intelligenza di una Khloe che sapeva di stare “giocando” con il destino della propria famiglia. Innamorarsi della figlia dei signori! Se fosse stata scoperta avrebbe potuto essere la causa del crollo economico dei suoi genitori.

Ma l'attrazione che Khloe provava per Michiru aveva finito per provocare brecce lungo tutto il fronte della diga che aveva eretto attorno ai suoi sentimenti, ed una volta erosasi e schiantatasi al suolo, non aveva potuto far altro che dichiararsi alla ragazza più giovane e trascinarla verso l'abisso della perdizione.

Michiru sorrise appoggiandosi allo stipite della porta intrecciando le braccia com'era solita fare quando osservava. Anche se la cosa l'aveva spaventata a morte portandola alla negazione per anni, era stato merito di quella donna se aveva scoperto la sua sessualità e non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per questo.

“Per quanto continuerà a fissarmi la schiena signorina?” Disse improvvisamente la mora generando un leggero eco nell'ambiente vuoto delle vasche.

Michiru alzò le spalle rimanendo rigorosamente in zona franca. “Vedo che non hai perso il tuo intuito.”

“Non si tratta di intuito, ma di olfatto. Il profumo che usi ti si addice molto sai?” Si fermò dallo spazzare guardandola e sperando che rispondesse con un lo so, me lo regalasti tu prima che partissi per il Giappone, assicurandomi che mi avrebbe sempre ricordato il mare della Grecia, attese serrando le dita all'asta della scopa. Ma la straniera non le diede soddisfazione, anzi si limitò a sorridere nuovamente, ringraziandola e scusandosi per la valanga d'improperi che la madre le aveva rivolto contro.

“Figurati, non c'è di che. Lo sai che per Ami farei qualunque cosa. Vedo che ti ha fatto bene ed anche mamma lo ha notato, ecco perchè non me le ha suonate.” Disse ridendo.

Avrebbe voluto osare di più e molto anche, affermando, per esempio, che si sarebbe spinta a fare qualsiasi cosa anche per lei, ma sarebbe stato anacronistico e dannoso. Aveva infatti notato la freddezza di Kaiou di fronte ai suoi tentativi di riavvicinamento. La maturità sentimentale che ormai la straniera aveva acquisito necessitava di approcci ben più fini ed aggraziati.

“E' stato comunque un bel gesto Khloe, grazie.”

“Di nulla Michiru. Il saperti felice mi ripaga del freddo preso e del tempo speso. Te lo assicuro.” Ammise dolcemente tornando a voltarle la schiena riprendendo a spazzare.

Quella notte vinta dalla pesantezza dei muscoli, Michiru riuscì a riposare qualche ora in maniera del tutto naturale.

 

 

Il circuito di Bremgarten era un tracciato semi permanente, situato nei pressi dei sobborghi di Berna. Attualmente solo una piccola porzione era ad appannaggio delle prove su pista e solo per le moto. La Ducati aveva dovuto sudare per avere tutti i permessi statali necessari, ma da qualche anno, appena le temperature si alzavano, alcuni chilometri venivano aperti a giorni alterni per permettere ai nuovi prototipi di essere testati sull'asfalto senza doversi trasferire in Italia.

Grattandosi la testa Giovanna si guardò intorno con fare spaesato. Appoggiata ad un albero mani in tasca e sciarpa ben premuta alla gola, da ormai svariate ore si stava chiedendo del perchè il destino si stesse accanendo con tanta bastardaggine su di lei. E si che era una brava ragazza. Ma tutto le stava remando contro e lei era ancora in terra elvetica.

L'idea di partenza che quella zucca vuota di Haruka aveva cercato d'imporre al fato la sera precedente, era magicamente saltata per aria e tutto l'abile programmino che la bionda aveva così ben congeniato era andato in fumo. Appena entrata di gran carriera all'IphonClinic, l'operatore l'aveva guardata ad occhi sgranati non riuscendo proprio a figurarsi di come uno schermo avesse potuto ridursi in quello stato solo per una banalissima caduta.

“Signora, sembra che si sia schiantato, no che sia caduto.” Le aveva detto non sapendo di stare giocando con il fuoco.

“Si, va bene, come vuole lei, ma quanto tempo impiegherete per sostituirlo? Sarà pronto per questa sera o al più tardi domani mattina?”

Un'altra occhiata a quel pianto tecnologico ed il ragazzo aveva imposto cinque giorni.

“Cosa? Come cinque giorni! E' solo uno schermo!”

“No signora, è molto di più. Qui vedo lesioni anche alla scheda video e molto probabilmente il microfono è da buttare. E poi ci sarebbe una lista da seguire. Mi dispiace.”

“E questa lista comprende anche le urgenze?” Aveva provato colta dal panico.

“Assolutamente si.”

Haruka aveva allora chinato il capo vinta come se fosse stata abbattuta da un cecchino, ed in più, una volta uscita dal negozio e risalita in macchina dove una taciturna Giovanna non l'aveva neanche degnata di uno sguardo, aveva dovuto arrendersi alla necessità di chiederle di restare a Bellinzona ancora qualche altro giorno.

Ah, adesso hai bisogno di me! E se ti dicessi che non posso, brutta idiota che non sei altro?! Testarda, stupida zucca vuota del cazzo?! Le avrebbe voluto dire, ma non aveva potuto e nonostante le ferite subite, aveva ceduto per l'ennesima volta a quella faccia da schiaffi.

Ora Giovanna Aulis si ritrovava immersa in un ambiente completamente astruso dal suo mondo, dove uomini di ogni età andavano e venivano indaffaratissimi. Cercò con lo sguardo Haruka che a poche decina di metri stava controllando il tracciato assieme ad Henry Smaitter; il suo superiore. La tuta rossa e bianca calzata sul suo corpo longilineo e sodo, gli stivali saldamente piantati in terra, le mani che non riuscivano a smettere di sistemare con maniacale cura le dita guantate.

“Mi raccomando, stai attenta qui e qui. L'asflalro è buono, ma le gomme non danno ancora il grip che vogliamo. Non esagerare con il dar gas o rischi che ti sfugga. Ok? Haruka, mi stai ascoltando?” Una spintarella con la spalla contro quella di lei ed ottenne finalmente attenzione.

Accigliato lasciò che la donna desse un'ultima occhiata alla pianta della pista, per poi vederla prendere il casco lasciato penzolare sull'avambraccio e dirigersi verso la loro adorata bambina.

“Intesi Tenou?!” Urlò vedendola alzare un braccio.

“Si, si lo so Capo Smaitter!”

E così Haruka inforcò la sella partendo modestamente per i primi giri di collaudo e tutto andò bene per circa una mezz'ora. La Panigale rispose alle sollecitazioni meglio di quel che aveva dimostrato sulla piastra di simulazione, comportandosi egregiamente in curva, ma scodando leggermente sui rettilinei. Poi c'era una strana vibrazione sulla parte sinistra, verso la corona di trasmissione, proprio sopra il forcellone della sospensione.

“Capo Smaitter vibra a sinistra. Cosa dice l'algoritmo?” Chiese Haruka decelerando.

“Dice che hai ragione. Abbassa i giri e vedi se continua.” Consigliò dall'auricolare della radio.

Stefano e Patrik, il secondo pilota collaudatore, si guardarono. Il portatile non lasciava tanto all'immaginazione; la carena aveva qualcosa che non andava e la trasmissione ne stava risentendo.

“Non risponde. La vibrazione continua Capo.” Disse Stefano osservando le curve rosse avere picchi discontinui ed oscillazioni incongruenti.

“Va bene, fine dei test. Haruka riporta la cucciola alla base. Dovremo continuare a lavorarci sopra. - Ma nessun cenno.- Tenou hai sentito?!”

“Si.” Rispose lei continuando però ad accelerare.

Non essendo in contatto visivo, i tre uomini potevano fare affidamento solo sulle indicazioni date via radio e graficizzate dal portatile connesso in wi-fi con la moto e quest'ultimo diceva che Tenou stava dando gas invece che decelerare.

“Tenou, dannazione cosa stai facendo?! Piantala, è inutile continuare!” Ordinò Smaitter.

Neanche dieci secondi e l'algoritmo rilasciò un'impennata. Stefano sbiancò guardando in direzione della pista coperta dagli alberi.

“Cazzo! E' caduta!”

“Cosa?!”

“Capo Smaitter, Haruka è caduta!”

Michiru guardò il mare alzando di scatto gli occhi dal foglio da disegno. Le onde stavano gonfiandosi ed un malefico vento di levante aveva iniziato a soffiare con forza da est.

Haruka, pensò non sapendo neanche il perchè. Rimanendo immobile lasciò che il vento iniziasse a sferzarle il viso.

 

 

“Non è niente! Non mi sono fatta niente. Calmatevi.” Continuò a dire per tutto il tragitto che dal punto della pista dove aveva perso il controllo della due ruote, arrivava ai camper della scuderia.

“Sta zitta!” Le urlo' contro Smaitter bianco come un cencio mentre Stefano l'aiutava a camminare.

“La moto...”

“Quella si aggiusta Haru. Ora vediamo che ti sei fatta tu, piuttosto.”

“Non fare tanto il carino Stefano! Haruka noi due dobbiamo parlare e subito!”

“Ora no Henry. Vediamo prima che cos'ha. Poi è tutta tua.” L'assicurò Claudio Steer, medico e fisiatra della Ducati, che li stava aspettando alle scalette dell'automezzo adibito ad infermeria.

“Va bene, ma vedi di far presto. Se dobbiamo portarla al pronto soccorso voglio farlo prima di subito!”

“Sta tranquillo Capo.” E così dicendo entro' nel camper con la donna, lasciando gli altri a guardarsi in cagnesco mentre ritornavano sull'asfalto per sincerarsi delle “condizioni” dell'altra loro bambina.

In tutto questo Giovanna era rimasta in disparte. Tutto troppo rapido, si era resa conto del disarcionamento di Haruka solo quando aveva visto praticamente lo staff al completo correre verso un punto della pista. Abituati a capire la gravità delle cadute ad un primo colpo d'occhio, erano tutti abbastanza tranquilli. Solo Stefano sembrava preoccupato, mentre Smaitter tendeva più all'imbestialito e Patrik al soddisfatto. Gioco forza che ogni qual volta Tenou faceva cilecca, lui gongolava alla grandissima e capitando assai di rado, quale migliore occasione di rimarcare l'accaduto andando in giro faccia spavalda a gettar commenti?

Così fermandosi di fronte a Giovanna che intanto, a poca distanza dal camper, non aveva staccato gli occhi dalla porta metallica, con fare sicuro inizio' con una frase del tipo; guarda a chi ti accompagni, bell'affare che hai fatto.

"Ci conosciamo?" Chiese guardandolo sicura.

"Non credo..."

"E allora perché mi parli?!"

E con una spallata se ne liberò andando verso il camper medico dove all'interno Haruka stava venendo visitata.

“Allora dove senti dolore?” Chiese il fisiatra toccandole delicatamente il braccio sinistro ormai libero dalla parte superiore della tuta.

“Aih... Il gomito.”

“Ok, ora stai ferma.” E ad una brusca manovra del braccio lei strinse i denti soffocando un grido.

“Ottimo Tenou, niente pronto soccorso per questa volta. Hai rischiato di lussarti il gomito. Evidentemente nella scivolata ti sei istintivamente protetta con il palmo della mano sinistra. E' uno degli infortuni piu' ovvi. Ringrazia il tuo nume tutelare. Una settimana di tutore e tornerai a far danni in scuderia.” Sentenzio' sorridendole mentre iniziava ad immobilizzarle l'articolazione con una fascia elastica.

Seduta sul lettino per le emergenze del presidio medico mobile, Haruka si stava vergognando di se stessa. Attaccando una curva aveva staccato la frizione troppo presto ed il posteriore aveva scodato disarcionandola. Mossa da principiante. Mossa da idiota. Mossa alla Patrik. Sbuffando pesantemente si osservò la carne del braccio sinistro che nel frattempo stava diventando bluastra. Aveva mancato di rispetto alla moto, allo staff ed anche a se stessa. Il suo corpo era come un tempio; doveva tenerselo da conto.

“Senti Haruka, chi è qualla donna che ti sei portata dietro? La tua nuova fiamma?” Chiese il medico facendole vedere come si allacciava la fascia con il feltro stretch che le sarebbe servita per sostenere il braccio.

“Chi? No, per carità! E' solo... Bah, lasciamo perdere guarda.” Stizzita più dal dolore che dalla domanda, iniziò a sentire freddo. Certo il fisiatra non aveva lo stesso spirito di osservazione dell'oncologo Daniel Kurzh, ma scambiare Giovanna per la sua nuova ragazza era eccessivo.

“Come vuoi, ma sarebbe il caso che le dicessi qualcosa visto che è qua fuori con i tuoi vestiti in mano.” Consiglio' aprendo la porta e lasciando entrare Giovanna.

"Tutto apposto. Gentilmente l'aiuti a cambiarsi. Non deve muovere il gomito sinistro.” E richiudendosela alle spalle andò verso gli altri per aggiornarli sulle condizioni di quella gran testa di legno che era il loro primo pilota.

“Tutto ok Ruka?”

“Ho fatto una cazzata...” Ammise senza avere il coraggio di guardarla in faccia.

“Me ne sono accorta.” E posò gli abiti dell'altra sul lettino.

“No, non parlo della caduta. Quella ci stà. Ho staccato troppo presto, è vero, ma il posteriore è instabile. Sarebbe successo anche se fossi stata più concentrata e gli algoritmi lo confermeranno, così il Capo Smaitter la farà finita di sbraitarmi contro!”

Giovanna la guardò chinando leggermente la testa da un lato. “A cosa ti riferisci allora?”

“A te. A noi. Insomma, hai capito...”

“Mmmmm, basterebbe un scusa Giò ed amiche come prima.”

“Noi non siamo amiche!" Si lasciò scappare coprendosi gli occhi con il palmo della destra.

Iniziava ad avvertire un gran male al gomito. Iniziava a non tollerare più l'assenza di Michiru. Iniziava a sentire di stare sul punto di cedere allo sconforto per quella situazione al limite dell'assurdo.

Sentendo l'avambraccio di Giovanna serrato al collo, ne avvertì la presenza alle spalle. “E cosa saremmo allora?” Le sussurrò all'orecchio.

“Lo sai benissimo.”

“Io si. Sei tu che non lo vuoi accettare.”

“Non è vero...”

L'altra le andò di fronte iniziano ad infilarle la camicia nel bracio sano stando bene attenta a non farle male.

“Posso vestirmi da sola.”

“Come io so allacciarmi gli scarponi, ma te l'ho lasciato fare perchè ti faceva piacere farlo. Haruka, io non ho alcun problema nel dire al mondo intero che fai parte della mia famiglia, come non ho alcun problema nel sentirmi responsabile delle tue alzate d'ingegno che ogni giorno mi smascellano i nervi da quando sei entrata a far parte della mia vita. E' così che sono fatta. E' così che si fa nel mio branco. Ma anche se non pretendo da te la stessa riprova del legame che ci unisce, gradirei che almeno non lo negassi e che non mi trattassi sempre come un cane ogni volta che hai i nervi a fior di pelle.”

Togliendosi la mano dagli occhi per porgerle il braccio, la bionda la guardò incredula. “Ma tu proprio non capisci!”

“No! Illuminami.” E calzandole con attenzione la camicia alle spalle, inizio' ad allacciarle i bottoni al petto.

“Solo perchè non vado in giro a dire a tutti chi sei, non mi appiccico al telefono per ore a parlare del niente o non ti dico che ti voglio bene così tanto spesso come vorresti, non significa che non mi senta parte del tuo branco o che non ti voglia nel mio. Giovanna ti rendi conto di quello che mi sta succedendo? L'amore della mia vita mi ha lasciata per andarsene in Grecia. Si, Grecia. Ho visto il prefisso del numero. Mi ha mollata per cercare di risolvere una serie di problemi che ne stanno minando la salute ed ha deciso bene di escludermi da questa cosa. Ora, come credi mi senta io? Te lo dico subito; di merda e l'unica persona che vorrei mi aiutasse in questa situazione, sei tu. Ho pianto davanti a te. Mi sento in diritto di comportarmi normalmente di fronte a te, facendo anche la stronza a volte e te ne chiedo scusa, ma non ho blocchi inibitori quando siamo insieme. Io sono me stessa di fronte a te e non sento la necessità di mascherare le mie ansie o nasconderti i miei difetti e tu mi vuoi far credere che solo perchè non ti ci chiamo, io non ti consideri la mia sorella maggiore?!”

Slacciando lo stretch degli stivaletti per sfilandoseli con la punta dei piedi, saltò giu' dal lettino digrignando i denti dal dolore. “Sei ottusa Aulis e di me non hai ancora capito un emerito cazzo!”

 

 

Siamo spiacenti, ma il numero da lei composto non è al momento raggiungibile.” La stessa cantilena da tutta la mattina e Michiru iniziava ad essere insofferente. Un paio d'ore prima aveva avvertito una strana sensazione, un misto tra un leggero giramento di testa ed un latente senso d'ansia, che era scomparso subito, ma che le aveva lasciato addosso inquietudine. E nell'avvertire quell'ansietà aveva pensato ad Haruka ed immaginando dove fosse quella mattina, non si sarebbe sentita tranquilla fino a quando non l'avesse raggiunta telefonicamente. Ma tutto taceva. Sia il suo cellulare, sia che quello di Giovanna.

Tornando a schizzare sul blocco provò a concentrarsi sul compito che Ami le aveva assegnato mentre si trovava all'università.

“Vorrei che provassi a disegnare la musica rapportata alla tua famiglia.” Le aveva chiesto camminando a passo svelto verso lo scooter lasciandola interdetta.

“La musica?”

“Si. Vorrei che provassi a mettere su carta il binomio musica-famiglia e nel farlo, prova a ripensare ai momenti nei quali tu, tua madre e tuo padre, eravate felicemente insieme.”

“Ami, non credo che tra me e i miei vi siano mai stati momenti così intimi.” Aveva provato ad obbiettare, ma peggio di un caterpillar il medico non aveva sentito ragioni continuando per la sua strada

“Fa una passeggiata, vai all'Acropoli o in un museo. C'è un parco qui di fronte, insomma, schiarisciti le idee, perchè in tutta franchezza Michiru, non penso che nella tua infanzia o adolescenza non ci sia proprio niente in merito.” Ed accendendo il mezzo le aveva sorriso partendo a razzo.

Ed io penso invece che questa volta tu ti stia sbagliando. Si era detta con rammarico tornandosene all'interno del Re del mare.

Così aveva provato ad aggrapparsi nuovamente al suo immenso padre blu, non ottenendo però alcun suggerimento, anzi, aveva avuto l'impressione che la sua voce potente le portasse urlato il nome della compagna e nell'impellente necessità di sentirne la voce, si era deconcentrata. Non riuscendo in quel contatto telefonico aveva infine deciso di seguire il consiglio di Ami e di andare a farsi una passeggiata al parco poco distante. Grazioso e ben curato a quell'ora brulicava di vita infantile e sedendosi su una panchina, iniziò a godersi la normalità di quel posto fatto di giochi, schiamazzi, palle colorate e mamme con le carrozzine.

Era da tanto tempo che non si fermava a guardare dei bambini giocare. In genere la sua vita era strutturata su i binari del rapporto di coppia e su un lavoro spesso e volentieri solitario. I pochi amici che riusciva a frequentare non avevano figli e comunque non si era mai persa ad osservare le movenze dei cuccioli d'uomo per più del tempo necessario. Ora invece, si stava in un certo senso gustando il momento, apprezzando atteggiamenti ancestrali e puri, ridendo intimamente delle piccole e grandi scenate di gelosia che nascevano su quello o su questo. Giochi rubati, pianti improvvisati e risate incontrollate.

“Kaiou?!”

Michiru si girò di scatto strappata a quelle scene. Khloe le apparve madida di sudore stringendo due enormi buste della spesa. Guardandola corrugò la fronte mentre l'altra le sorrideva alzando le spalle.

“Papà si è dimenticato i dolci per la festa di questa sera. Ed è toccata a me la scarpinata fino alla pasticceria.”

“Festa?”

“Si, mia madre te lo ha accennato ieri. In questo periodo c'è la festa del Porto Grande ed ogni albergo e pensione di zona vi partecipa.”

Vero! Si disse guardando per terra.

“E tu che cosa ci fai seduta qui?” Chiese poggiando momentaneamente le buste sulla seduta di marmo. Era stanca morta.

“I compiti per oggi.” Rispose e scoppiarono a ridere.

“Posso sedermi un attimo? Credo di avere esagerato con il peso e non ho più il fisic du role di una volta.”

Un sorriso della straniera e Khloe si accomodò iniziando a respirare profondamente.

“E come sta andando... lo studio?”

“Visto che sono qui seduta a non far nulla. Maluccio...” E rise nuovamente.

La donna più grande sembrò bearsi di quel suono cristallino che tanto era cambiato nel corso degli anni. Più profonda e controllata, la risata di Michiru era comunque impareggiabile agli occhi del suo cuore e rendendosi conto di stare avendo sicuramente uno sguardo da imbecille, Khloe preferì puntare gli occhi ai mocciosetti che giocavano tra le altalene poco distanti.

“Ti sono sempre piaciuti i bambini. Perchè non ne hai ancora?” E a quella domanda per la verità abbastanza ingenua, Michiru la guardò come se avesse detto un'eresia.

Khloe capì sorridendo maliziosamente. “Non ti credevo tanto bigottamente cattolica.”

“Cosa c'entra la religione, scusa. Se non ho figli è perchè non voglio averne e non perchè il cattolicesimo vieta alle coppie gay di sposarsi e metter su famiglia. Se avessi voluto non mi sarei certamente fermata per questo.” Disse stizzita.

Quello era un discorso delicato che affrontava di rado e solo con la diretta interessata, ovvero la sua compagna. Quante volte avevano discusso a causa dell'ostinazione che la bionda aveva nel volerla madre a tutti i costi e lei, sapendo quanto Haruka avesse sofferto nel crescere senza una figura paterna, aveva sempre rifiutato di prendere in considerazione la cosa, pur soffrendone intimamente. Credeva fermamente che un bambino avesse il diritto di avere due figure ben distinte nella sua vita. Le sarebbe piaciuto essere madre e tanto, ma non avrebbe mai tollerato di privare in partenza un essere di quel rapporto speciale, solo a causa del suo egoismo.

“Scusa, credevo che fosse per questo. Sai, anche noi ortodossi abbiamo ancora un forte blocco religioso.”

No, non è per questo.” Si alzò lentamente cercando di non darle a vedere quanto quel discorso le desse un enormemente fastidio. Prendendo l'album ed una busta sorrise prima che quest'ultima non puntasse pericolosamente al terreno.

“Ma sono dolci o piombo fuso?!”

“Lascia stare Kaiou. Sei troppo delicata per lavori di fatica come questi.” Khloe fece per prenderle i manici dalle dita, ma l'altra le suggerì di afferrarne uno solo.

"Sono piu' forte di quanto pensi." Così facendo s'incamminarono silenziosamente verso il Re del mare, dividendo una busta di dolci, così come una volta avevano diviso una parte della loro vita.

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. Questo capitolo mi è venuto in scioltezza ed ho voluto far riapparire la nostra bionda un po' di più. Io l'avevo detto che scalpitava per entrare a giocare. Ho lambito un tema delicato come la famiglia e spero che nessuno si senta offeso per questo. E' un pensiero di Kaiou, frutto dell'esperienza avuta da Haruka. Tornando a noi, non prendetevela se ho chiamato Michiru Kappa (essere bruttarello, verde, squamoso, con una sorta di carapace sulla schiena, che nella tradizione nipponica abita fiumi, laghi e specchi d'acqua in generale), ma con la muta da sub non si è proprio... sexy, anche se poi con un paio di mosse, si è ripresa alla grandissima.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Brividi nella notte ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Brividi nella notte

 



La festa del Porto Grande si divideva in due parti ben distinte, quella estiva, in agosto, più turistica e commerciale, richiamo per tutta l'Attica e quella che ricadeva negli ultimi giorni di febbraio, molto più intima, ad appannaggio degli ateniesi, generalmente meno pittoresca, ma strutturata più sulle tradizioni territoriali che sul folclore dozzinale. Qui si potevano trovare veri e propri stand fieristici incentrati sul cibo e sull'arte locale, dove commercianti, ristoratori e settore alberghiero, s'incontravano scambiando merci e creando basi per sinergie economicamente sostenibili al fronte di una crisi che, anche se non drammatica come negli anni passati, era comunque sempre latente. Il gran vociare, gli odori, il brulicare di gente, avevano invaso fin dalle prime ore del pomeriggio tutta la strada principale che correva fasciando il porto. La Akti Rhemistokleous sembrava ora una cintura luminosa che stringeva le spalle della zona marittima; una muraglia difensiva ardua da superare per chiunque non fosse del luogo.

La famiglia Mizuno in mezzo a quel calderone si trovava come a casa. Camminando lentamente tra i banchi e salutando ogni commerciante come se fosse un parente americano ritrovato dopo anni, procedeva in branco lasciandosi condurre dalla corrente umana. Agapi accanto alla figlia più piccola e Khloe stretta al braccio di Alexios. Michiru subito dopo, li aveva osservati per minuti interi rivedendo in quell'atteggiamento delizioso, il comportamento che lei era solita usare con il padre ogni qual volta uscivano insieme per una passeggiata. Viktor che le offriva l'avambraccio e lei che vi si stringeva come se fosse stato uno scoglio. I sorrisi, i baci affettuosi sulla fronte, i discorsi impegnati e le battute di un uomo di spirito sempre pronto a buttarla sullo scherzo.

Michiru se n'era accorta subito; quella scena famigliare non la stava predisponendo ad una serata di relax, anzi, leggermente incupita, verso le ventidue aveva espresso ad un Alexios fiero capo famiglia di quel drappello di quattro donne, il desiderio di tornare al Re del mare. Ancora indaffarato con l'associazione di quartiere alla quale apparteneva, l'uomo aveva cercato di temporeggiare non sentendosi sicuro nel lasciarla tornare a casa da sola, ma vista l'insistenza, aveva lanciato alla figlia maggiore uno sguardo che lei aveva raccolto smettendo immediatamente di fare quello che stava facendo, ovvero ingozzarsi di psarokeftedes di pesce.

“Guarda Alexios che non v'è alcun bisogno di scomodarla. La pensione è qui vicino.” Aveva cercato di tamponare Michiru, ormai pericolosamente abituata ad avere Khloe in torno.

“Non esiste che tu vada da sola!”

“Non mi dispiace Mich, sono stanca e domani devo alzarmi presto.” Ancora quel diminutivo. Sospirando la straniera aveva capitolato.

Da par suo notata la ritrosia dell'amica, Ami aveva provato in tutti i modi ad accodarsi, ma fermata dalla madre con una scusa banale, l'aveva fissata contrariata non capendo.

“Ma, mamma...” Aveva detto sottovoce sentendo la mano della donna arpionarle il braccio.

“Lasciala fare amore.”

“Come lasciala fare?! Michi è fidanzata e...”

“Fidati di tua madre... Molto probabilmente tua sorella prenderà una portata in faccia, ma deve provare a togliersi questo prurito prima che diventi un'ossessione.”

E così il gruppo Mizuno si era diviso e spalla a spalla, le due donne stavano ora camminando a passo sostenuto verso casa illuminate dalla luce giallognola dei lampioni.

“Dio Kaiou, ti faccio così tanta paura da rischiare di fare brutti incontri pur di non rientrare sola con me?” Una domanda a bruciapelo che fermò immediatamente il passo dell'altra.

“Scusa?”

Ma Khleo se la rise contintinuando mentre prendeva a stringere con disinvoltura la cinghia della sua borsa. “ Non spalancare i tuoi begli occhioni fingendo stupore. Con me non attacca.”

E da esperta pescatrice qual'era decise di provare a fare di quella battuta di pesca un successo.

“E perché dovrei avere paura di te?” Michiru annusò la pastura inforcando la rete con tutte le scarpe rendendosi conto troppo tardi della “trappola”.

“E' palese che stai cercando in tutti i modi di starmi lontana. - In un certo senso era vero. - E mi chiedo il perché, visto che non credo di starti antipatica, ne di averti mai fatto qualcosa di male.” Rimarcò il mai sicura che l'altra ne avrebbe afferrato il vero senso nel ricordo dei loro passati scambi di pelle.

“Ti stai sbagliando Khloe.” Cercò di sottolineare tornando a camminare con passo svelto

“Ecco a cosa mi riferisco. Non te ne rendi conto, ma se potessi ti metteresti a correre pur di arrivare prima in pensione e rintanarti nella tua stanza.”

Si, Michiru voleva tornare alla pensione e si, avrebbe corso se non avesse portato i tacchi, ma, no, non per difendersi da approcci infantili come quelli, ma perché voleva chiamare Haruka prima che andasse a dormire. Sentiva un bisogno quasi fisico di ascoltare la voce profonda del suo amore.

“Come ti permetti di pensare anche solo lontanamente di capire cosa mi stia passando per la testa! Non credere che tutto il mondo giri in torno a te, Khloe!”

Per nulla colpita la donna più grande continuò ad issare la rete convintissima del fatto suo. “ Allora spiegami perché non vuoi starmi vicina. Io credo che tu senta attrazione e non lo voglia ammettere, Mich.”

Visto il suo continuo cercare un contatto, Michiru si era ritrovata costretta a non concederle più dello stretto necessario del vivere civile, ma non lo aveva fatto per paura di cederle, di tradire in qualche modo Haruka, piuttosto non voleva trovarsi nella sgradevole posizione di dover dire di no ad un approccio. Aveva voluto un bene immenso a quella donna e non voleva rischiare di ferirla.

“Ti stai sbagliando.” Ripeté dura abbassando la voce.

Una delle prerogative di Michiru era questa; nei momenti di crisi, di scontro, di discussione, non alzava quasi mai il timbro, bensì tendeva ad abbassarlo. Cosa che spesso mandava Haruka fuori dai gangheri.

“A si? - Chiese Khloe con malizia ritrovandosi pericolosamente vicina. - Ne sei sicura... Mich?”

Al tocco gentile, ma prepotente di Khloe sul suo viso, Michiru rabbrividì facendo scattare la mano allontanandola.

“Khloe… ti ho già fatto notare di non chiamarmi in quel modo. Sono trascorsi vent'anni e di acqua sotto i ponti ve n'è passata tanta, ma tu, come allora, proprio non vuoi capire. Perché stai cercando in tutti i modi di farti del male?!”

Questa volta Kaiou bloccò la pesca. Colpita dal ricordo di quell'addio straziante che aveva infranto il loro amore prima che avesse avuto modo e tempo di consolidarsi abbastanza per poter sopravvivere alla distanza, la donna più grande si mise le mani in tasca tornando a camminare. "Nulla da dire... La signorina negli anni e' diventata molto diretta."

“Khloe...” La chiamò desolata Michiru non avendo però alcuna risposta.

 

 

“Mamma mia se fai schifo!” Un rapido movimento del controller ed Haruka mandò in goal l'ennesimo attaccante.

“Ma vedi di farla finita. Hai solo un gran... CUORE, ecco tutto.” Giovanna quel gioco proprio non lo capiva. Voleva andare a destra ed andava in basso. La sua sinistra era un colpo di testa, un passaggio diventava uno scatto e tanto lo sapeva, che prima o poi, sarebbe arrivata a segnarsi da sola. Era solo questione di tempo. Ma dov'era andato a finire il buon vecchio Pakman ?!

“Chiamalo come vuoi, ma ti sto stracciando pur essendo menomata.” Rise soddisfatta guardando la fascia elastica che le stava immobilizzando il gomito.

Sospirando tornò a concentrarsi sullo schermo quando il cellulare di Giovanna iniziò a squillare ed il suo cuore a fremere. Una rapida occhiata allo schermo, un occhiolino e la maggiore le lancio' l'apparecchio che lei prese prontamente al volo mollando il controller sul cuscino del divano. Alzandosi la bionda si diresse verso la camera da letto prima di rispondere alla compagna.

“Michi?” E si richiuse la porta alle spalle.

“...Ruka. Ciao amore.”

L'altra si sedette sul letto sorridendo. Michiru aveva su di lei il solito controllo. Le bastava ascoltarne il suono della sua voce ed i nervi si placavano quasi all'istante lasciando che la tolleranza verso tutto e tutti tornasse ad invaderle la mente.

“Come stai?” Chiese Haruka sperando che ci fossero novità.

“Procede. Ho compitini giornalieri neanche fossi in procinto di sostenere un esame.” Le rispose spiegandole velocemente cosa Ami le aveva chiesto di fare in quella giornata.

“Mi sembra interessante. Potrebbe anche funzionare, non trovi?”

“Vedremo. Tu piuttosto?” Svicolò Michiru neanche troppo velatamente.

Certamente voleva metterla a conoscenza dei suoi “progressi”, ma voleva anche provare a ritagliarsi uno spicchio di normalità famigliare che quella situazione le aveva tolto. Le sarebbe piaciuto sentire come la giornata dell'altra era trascorsa o raccontarle come si era svolta la sua. Così, con tranquillità, com'erano solite fare tutte le sere. Continuando si fece curiosa.

“Ho provato a chiamarti al tuo numero, ma è sempre irraggiungibile. Ho telefonato a Giovanna, ma francamente non credevo stesse ancora da noi.”

Fino a quando non sarò nuovamente autosufficiente... O fino a quando una delle due non ucciderà l'altra nel sonno. Pensò la bionda storpiando le labbra.

“Credevo che oggi ti avrebbero riparato l'Iphone.”

“Lo credevo anch'io. Invece.... Diciamo che il danno si è rivelato più grave del previsto.” Al via la confessione della causa dello schianto che aveva quasi disintegrato lo schermo con conseguente prolungamento dei giorni che sarebbero serviti per renderlo nuovamente funzionante.

“Oh Ruka...” Fu l'unico commento che Michiru si sentì di fare con voce vibrata di dispiacere per essere l'inconsapevole causa dello scatto di nervi di una donna generalmente molto rispettosa degli oggetti che con tanto sacrificio riusciva ad acquistare.

“Allora, visto che Giovanna s'mmolerà ancora qualche giorno per permetterci di sentirci, dalle le chiavi della mia macchina, così che possa almeno muoversi quando tu sei al lavoro.”

Dovrò farlo per forza visto che non potrò guidare per un po’ e non ho alcuna intenzione di chiedere a nessuno della scuderia di scorrazzarmi in giro. Avrebbe voluto risponderle, ma non era sua intenzione dirle nulla in merito alla caduta.

“Amore... ti prego, perdonami.” Disse improvvisamente Michiru sospirando.

“Basta con le scuse Michi. Non ne posso più.” Le rispose la bionda con un filo di voce.

“Hai ragione. Ti dimostrerò con i fatti il mio dispiacere e voglio iniziare con il dirti dove sono.”

“In Grecia...” L'anticipò l'altra approfittando di un paio di secondi di silenzio.

“Sapevo che lo avresti capito subito non appena visto il prefisso del numero internazionale che ho attivato. Ma voglio dire... che sono ad Atene. Nella pensione che gestiscono i genitori di Ami.”

Atene?! Pensò completamente spiazzata. Si sarebbe aspetta l'isola di Santorini o al più le Cicladi. Terre che le avevano viste felici.

“Si. In realtà non l'avevo preventivato. Non avevo preventivato nulla Haruka. Ferma davanti al tabellone delle partenze, ho solo scelto una località che fosse discretamente vicina a casa e che, magari, avesse anche il mare.”

Il mare. La bionda si lasciò cadere con un tonfo ovattato sul materasso continuando ad ascoltare.

Così Michiru le raccontò delle sue reticenze e della voglia di rientrare immediatamente a casa una volta scesa dall'aereo, poi polverizzata dal terrore che ormai provava ogni volta che chiudeva gli occhi, dell'idea di tornare al comprensorio di Pirix, in dettaglio dell'incontro con la specializzanda, avvenuto per pura coincidenza sulla soglia della villa che una volta era stata dei Kaiou, dell'accoglienza dei genitori di Ami e del suo vivere ora al Re del mare. Le raccontò anche di Khloe, lasciando che Haruka la ricollegasse ai discorsi che a volte avevano fatto sui loro primi amori.

“Non voglio nasconderti niente e lei più di tutto. Sei sempre stata un tipo geloso, ed anche io lo sarei nel saperti sotto lo stesso tetto con colei che è stata la tua prima fiamma. Ma sei anche molto intelligente per capire che Khloe è il passato e tu... Tu amore, sei il mio presente.” E spero il mio futuro. Aggiunse mentalmente.

“Non adularmi Michi. Non ti nascondo che questa rivelazione mi fa incazzare parecchio.”

“Vorresti allora che ti avessi taciuto che la sorella maggiore di Ami è colei che mi portò a capire le mie tendenze e che ho, nel bene e nel male, amato da ragazzina?”

Il silenzio, pesante, nervoso, ed un no profondo, vibrato nell'oscurità della loro stanza.

“Amore sono passati talmente tanti anni e tutto è differente da allora. Io sono differente ed il mio cuore appartiene ad Haruka Tenou ora.”

“E lei? Lei è … differente?”

“E' irrilevante Ruka. Sarò crudele, ma ora m'interessa ciò che provo io e non quello che potrebbe provare lei. Stai tranquilla. Sotto questo punto di vista non sono mai stata tanto sicura, ed anche se ti sto facendo del male, se sto tenendoti fuori da questa situazione, ti chiedo di credermi se ti dico che sento di amarti ogni giorno di più.” Nel confessarsi Michiru sapeva di stare chiedendo alla compagna un sacrificio enorme e sperò con tutta se stessa che quella sincerità, venisse, se non apprezzata, quanto meno compresa.

Haruka sbuffò coprendosi gli occhi con l'avambraccio sano. Ora anche quest'ennesimo, dannatissimo, intollerabile pensiero. Aveva sempre “odiato” la donna che per prima aveva posseduto il cuore ed il corpo della sua dea e non le piaceva per niente saperla ancora una volta gravitante in torno alla sua orbita. Provò comunque a non pensarci, anche se sapeva che da quella sera in avanti ci avrebbe pensato di continuo.

“Ok Michi.” Sentì che avrebbe tanto voluto rispondere a quella botta di egoismo che sentiva di aver ricevuto da Kaiou, con la medesima bastarda moneta.

E se ti confessassi io qualcosa? Per esempio che oggi sono caduta perchè il pensiero di te è talmente intenso da deconcentrare la mia guida? E se ti raccontassi che al ritorno, in ufficio, Henry Smaitter mi ha fatto una lavata di capo assurda? E se ti dicessi che sono talmente tanto fuori di me che ho sbattuto Patrik al muro perché si è permesso di fare un apprezzamento su Giovanna? Tu Michi, come la prenderesti dall'alto della tua proverbiale lucidità?!Pensò Haruka ricordando con rabbia il pomeriggio appena trascorso.

Lei ferma in piedi di fronte alla scrivania del Capo tecnico Smaitter, braccio al collo e sguardo basso, mentre lui seduto dalla parte opposta continuava ad inveirle contro, più come sfogo per la paura presa, che per l'incidente in se per se. Da quando era tornata al lavoro dopo la malattia era diventato ancora più protettivo nei confronti della sua ragazza e nonostante ad Haruka facesse piacere, era anche consapevole che quel tipo di attenzioni paterne alle quali lei non era assolutamente abituata, a lungo andare avrebbe anche potuto portarla all'insofferenza.

“Perché diavolo sei tanto deconcentrata Tenou?! Hai rischiato l'osso del collo senza alcun motivo. Ma che ti prende?!” Le aveva urlato sbattendo il pugno un paio di volte. La vena del collo gonfia. Gli occhi celesti iniettati di sangue.

“Capo, il posteriore scoda. Sarebbe successo a chiunque di perdere il controllo.” Si era messa sulla difensiva convintissima di avere ragione.

“Ma che cazzo stai dicendo Haruka! Patrik sarebbe caduto. Stefano sarebbe caduto. Anche i nostri piloti più giovani della Superbike sarebbero caduti. Ma non Haruka Tenou. Ragazzina ascoltami bene, conosco il tuo modo di correre, i tuoi riflessi e la prontezza di spirito che caratterizza la tua visione mentale della pista e se ti dico che se fossi stata più concentrata avresti ripreso la scodata, stai pur certa che è così. Perciò vedi di sistemare i problemi che ti rendono tanto poco efficiente, perché fino ad allora tu in sella non ci torni!” E l'aveva sbattuta fuori prima che avesse avuto modo o l'ardire di controbattere.

In ultima battuta, il pomeriggio non si sarebbe potuto dire “magnificamente” concluso, se non avesse sentito quell'imbecille di Patrik ridacchiarle alle spalle affermando che, pur se meno bella della ragazza precedente, Tenou si portava a letto una femmina con un fondo schiena di egual valore. E lei non ci aveva visto più ed il collega era diventato il capo espiatorio di tutto; la fuga di Michoru, la frustrazione che la stava divorando, la caduta, il dolore fisico, quello morale. Protezione fraterna inclusa. Portando l'avambraccio destro sul collo dell'uomo lo aveva schiacciato al muro pronta a liberarsi la mano sinistra dal sostegno per piantargliela sul naso. Stefano era riuscito ad afferrarla per la vita appena in tempo strattonandola lontano.

“Pezzo di stronzo, devi sciacquarti la bocca prima di parlare di mia sorella! Hai capito Patrik?! E se ti permetterai ancora di guardarla...” Aveva abbaiato avvertendo il polso destro bloccato dalla forte stretta del mediatore.

Mortificato per la rivelazione, l'altro le aveva chiesto scusa, ma ormai la frittata era fatta. La zuffa sarebbe costata a Tenou una multa salata. Molto probabilmente a tre zeri e con un bel numero uno davanti. Ecco perché non era solita portare Michiru in scuderia. Ecco perché nessuno era solito portare le proprie compagne, amiche o sorelle, in scuderia. Si rischiava sempre di assistere a cose come quelle, perché in un ambiente come il loro gli apprezzamenti più o meno azzardati erano all'ordine del giorno e pur se non ci si trovava in un'officina di periferia, ma bensì in un distaccamento elvetico della grande casa automobilistica Ducati, si parlava comunque di uomini.

“Ruka...” Soffiò Michiru.

“Mmmmm....” Alzandosi dal letto la bionda si diresse verso la finestra guardando fuori. Nevischiava leggermente.

“Che tempo fa ad Atene?” Chiese rendendosi conto della banalità di quella domanda. Avvertendo un brivido alla pelle nuda delle braccia, attese.

“C'è il sole da giorni. La temperatura verso l'ora di pranzo arriva a toccare i diciotto gradi.” Rispose l’altra ascoltando lo scampanellio d'allarme del suo cuore.

Da quando in qua tra loro si parlava del tempo? Rabbrividì anche lei, ma provò comunque ad usare quella banalità per raccontarle dell'immersione “premio” fatta con Ami, ed anche se la bionda non sarebbe mai arrivata a comprendere quanto quell'esperienza le fosse stata di giovamento, provò comunque a descriverle le sensazioni che aveva provato quando, gettandosi dal bordo della barca, l'acqua le aveva frustato il corpo accogliendola nel suo mondo.

“Ruka, se avessi visto che colori... Continui colpi di luce che provocavano sfere biancastre su tutta la superficie ocra del fondo. Abbiamo esplorato anche una parte di un relitto della seconda guerra mondiale. Io credo ti sarebbe piaciuto, anche se non ami le profondità marine.”

“Non credo. Lo sai che l'acqua non è il mio elemento.” Haruka era sollevata nel sentirla tanto euforica per quell'esperienza, ma dentro sentiva di stare covando la brace dell'insofferenza.

Sembrava stesse parlando di una vacanza tra amiche, mentre lei se ne stava a casa, davanti ad una spolverata di neve, con la pelle delle braccia gelata, a rischiare un'infreddata. Sarebbe esplosa. Dio non avesse voluto, ma sarebbe esplosa da li a breve.

“Io invece credo di si. Ti piacciono le navi da guerra e quella che abbiamo visto è molto ben conservata e...”

“Kaiou basta! - Alzò la voce per abbassarla di colpo continuando - Ti prego..., basta.” Un alito. Toccandosi la fronte con le dita iniziò a massaggiarsela. L'altra capì.

“Vuoi che smetta di parlare?”

“... Si.”

E per un tempo indicibilmente lungo rimasero così, ad ascoltarsi i respiri, come spesso facevano abbracciate tra le loro lenzuola prima di accogliere il sonno.

 

 

La straniera era parecchio apatica. Ami l'aveva notato ancor prima d'iniziare a porgerle la prima di una serie di domande che aveva deciso di farle in quella mattina di sole.

“Hai avuto altri incubi?” Le chiese preoccupata.

“No, tranquilla. Non ho proprio dormito.” Rispose sorridendole tristemente.

La notte precedente era stata dura e forse per la prima volta da quando era in terra ellenica, Michiru si era resa conto di quanto il coltello che sapeva di aver affondato nella carne di Haruka, fosse penetrato in profondità. Il patimento della compagna a causa della sua alzata di testa, l'aveva in un certo senso destabilizzata, rimettendo in discussione tutta la voglia, la buona volontà e la speranza che nutriva in una completa “guarigione”.

Camminando lentamente sul bagnasciuga della spiaggetta privata dei Mizuno, Michiru si fermò guardando il mare dalla superficie leggermente increspata. Era sempre meglio disposta all'ascolto e al dialogo quando puntava i suoi occhi su di lui e questo al medico non era sfuggito, ecco perché si ritrovavano spesso nelle sue vicinanze.

“Ami ascolta. Non credo di poter restare.” La fissò cercando comprensione.

“E' accaduto qualcosa tra te e mia sorella?” Chiese l'altra allarmata sperando che Khloe non avesse fatto danni. In quel periodo Michiru era fragile. Perché nessuno della sua famiglia sembrava volerlo accettare?!

“No, lei non c'entra nulla. O meglio... Non direttamente.” Soffiando lievemente scosse la testa. Forse non era stata una buona idea parlare di lei ad Haruka.

“Spiegami o non potrò aiutarti Michi.” La vide sedersi sulla sabbia seguendola.

“Quando ieri sera sono ritornata in stanza ho chiamato la mia compagna. Forse ho sbagliato, ma le ho raccontato tutto, rivelandole dove fossi, cosa stessi facendo e ... Khloe. Avevo già parlato di lei ad Haruka, ma certo non si sarebbe mai aspettata che venissi a cercare aiuto proprio sotto al tetto dove vive. In verità non lo avrei creduto possibile neanche io, ma sta di fatto che non potevo e volevo nasconderle ulteriormente la parentela che vi unisce. Ami..., non l'ha presa bene.”

“Avete discusso?”

“No. In realtà no, ma vedi... - Gli occhi le si velarono di rimpianto - ...forse sarebbe stato meglio se mi avesse urlato contro tutta la frustrazione che ha, invece ha preteso da entrambe... il silenzio. Per la prima volta ho avvertito una distanza tra i nostri cuori. E non è per la lontananza fisica, abbiamo già affrontato una situazione simile quando si è ammalata. Haruka ha compreso perfettamente la necessità di questo viaggio, ma ho paura che il dolore che le sto provocando in nome della risoluzione dei miei problemi, stia in qualche modo minando la fiducia che ha sempre riposto nei sentimenti che nutro per lei. Non me lo ha detto apertamente, ma so che mi sta tacciando di essere un'egoista.” Concluse tornando a perdersi nella distesa azzurra.

La specializzanda iniziò ad incamerare informazioni e a tracciare conclusioni. Michiru aveva innalzato attorno al suo cuore una spessa muraglia e questo era un fatto assodato. La compagna era forse l'unica persona ad avere la capacità, la possibilità ed il permesso, di aggirarne i confini.

“E così vorresti mollare proprio ora? Michi non sono neanche dieci giorni che sei arrivata e tornare a casa ora, non soltanto non ti sarebbe di giovamento, ma rischierebbe addirittura di aggravare la situazione.” Confessò guardando gli occhi cobalto dell'altra spalancarsi.

“Stai scherzando? Come aggravare la situazione!? Vuoi farmi intendere che sono obbligata a rimanere qui!?”

Una sorta di panico s'impossessò di lei ed Ami dovette immediatamente mettere le cose in chiaro. “Aspetta e non arrivare a conclusioni affrettate. Lascia che mi spieghi. Hai presente quando un terreno non adibito alla semina deve essere preparato togliendo tutto il pietrisco che non lo rende fertile? Bene, con la tua mente è un po' come per un campo. La fatica che si compie all'inizio servirà per avere buoni frutti alla fine. Se alla prima pietra ci si ferma... bèh Michiru, quel campo sarà inservibile per sempre.” Pragmatica Ami continuò affermando che si sarebbe dovuto provvedere ad “arare” già da molto tempo la sua psiche, facendo tabula rasa di tutti i ricordi alterati dal dolore causati dalla malattia del padre, dal menefreghismo della madre e da comportamenti stereotipati che l'avevano condizionata e che più avesse continuato a non voler far fatica a rendere il suo campo fertile e più si sarebbe riempito di sassi ed impurità.

“Ora dipende da te cara. Lo sapevo che avresti voluto forzare i tempi per poter far ritorno dalla tua compagna, ma addirittura arrenderti...” Stuzzicò trovando la reazione.

“Non mi sto arrendendo! Non capisci che non voglio continuare a far del male alla mia Haruka?!” La zampata di una tigre.

Ami la spiazzò continuando a seguire il percorso della sua logica. “Ormai le hai già fatto del male. “

Michiru sentì gli occhi bruciare mentre l'altra le chiedeva di essere sincera. “Scusami se mi permetto, ma quale livello di amore lega il vostro rapporto?”

“Dopo quattro anni sentiamo ancora la necessità di addormentarci abbracciate.” E nel sentire quelle parole pronunciate con una semplicità disarmante, la specializzanda sorrise mettendole una mano sulla spalla.

“Allora non c'è nulla da temere Michi. Nulla!”

La straniera abbassò la testa serrando gli occhi sperando con tutta se stessa che l'altra avesse ragione.

“Dimmi Michi, hai fatto il disegno che ti avevo chiesto?”

“No.”

“Non hai neanche avuto un ricordo?”

“No.”

“Michiru...”

“Scusa... In realtà qualcosa mi è venuta in mente.” Rivelò ancora con il pensiero “sintonizzato” sulla sua bionda.

“Te la senti di parlarmene?”

Con parecchia reticenza la donna più grande iniziò a raccontarle del periodo nel quale lei, Viktor e Flora avevano vissuto in Cile, quando il padre era dislocato all'ambasciata di Santiago. Prima che la moglie partisse per una tourne in Europa, tutti e tre erano riusciti a partecipare alla Fiestas Patrias. Era stata quella, a detta di Michiru, l'ultima vera occasione che la sua famiglia aveva avuto per essere e comportarsi come tale.

“Avevo venticinque anni allora e mi ricordo veramente poco di quella giornata, ma ieri sera guardando Khloe che stringeva il braccio di vostro padre, come io ero solita fare con il mio, mi è venuta in mente quella giornata, i colori, gli odori del cibo sulle bancarelle, la musica dei flauti, la sfilata delle forze armate cilene, i caccia che solcavano il cielo terso di settembre. Non saprei dirti come si svolse la nostra giornata, ma so con assoluta certezza che ero pervasa da uno stato di grazia che non ho più raggiunto in loro presenza.”

“Quanto tempo dopo tuo padre è venuto a mancare?”

“Qualche mese. Per l'esattezza un anno e mezzo....”

“Dovremo affrontare anche questo prima o poi. Ne sei consapevole, vero?” Un pro forma, perché Michiru sapeva benissimo che quel grande trauma era una delle cause, o forse la causa, di tutto.

“Si.”

“Va bene, ma faremo un po' per volta e senza fare confusione. Ho bisogno di mettere ordine su quello che mi hai raccontato e tu alle tue emozioni. Ora però vorrei che dormissi un po'. Vieni, ti accompagno in camera.” Si alzò porgendole la mano, ma stirando le labbra l'altra fece da sola.

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. Piccola spiegazione su un piatto di streat food tipico greco: il psarokeftedes, ovvero polpettine di pesce, spesso il merluzzo, mischiato con patate, cipollotti tritati con aneto, il tutto “tempestato” di pangrattato, sale e pepe. Insomma, credo proprio una cosa buona.

Akti Rhemistokleous , una delle arterie che cinge il porto del Pireo. Ho pensato che poteva essere una bella location per una festa di quartiere.

Cambiando continente, abbiamo niente di meno che la festa delle forze armate cilene, ovvero la Fiestas Patrias (18/19 settembre). E si, Michiru ne ha visitati di posti e ne conosce di lingue.

Ps Credo che nel prossimo capitolo sarà Tenou a prendere le sembianze di un Kappa.

 

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Capitolo 7
*** Testardaggine, orgoglio e tanta pazienza ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Testardaggine, orgoglio e tanta pazienza

 



Il leggero odore di cloro le colpì le narici facendola tornare in un istante bambina, quando, uscita dalle elementari del suo quartiere, si dirigeva con i suoi compagni verso il pulmino che li avrebbe portati alla piscina comunale di zona. Giovanna si guardò intorno cercando di orientarsi. Si trovava nell'ala medica della scuderia Ducati, dove i piloti si allenavano e quelli indisposti cercavano di recuperare. Haruka le aveva detto che avrebbe finito la sessione di fisioterapia alle diciotto e da li in avanti la piscina sarebbe stata vuota. Domandandosi che razza di scherzo le stesse preparando quella zucca vuota di Tenou, si trovò ad osservare il grande punto rosso della piantina del piano terra dove campeggiava un voi siete qui, trascritto sia in italiano che in tedesco.

“Porta il costume olimpionico di Michiru. Lo troverai nel terzo cassetto del mobile in camera da letto.” Le aveva detto chiamandola al telefono un paio d'ore prima e lei, non capendo assolutamente il vero fine di quella richiesta, aveva obbedito non facendosi troppe domande, pregustandosi però, in maniera infida e marcatamente bastarda, la goduria che avrebbe provato se fosse riuscita a vedere la bionda indossare un costume di almeno un paio di taglie più piccolo del consentito.

Un insaccato! Aveva continuato a ripetersi lungo tutta la strada che dall'appartamento Tenou-Kaiou portava al complesso argento e rosso della casa automobilistica. Eppure Giovanna Aulis avrebbe dovuto ormai sapere che quella “gran bestia gialla” che era sua sorella minore aveva qualche rotella fuori posto, avrebbe dovuto ormai conoscere il suo bizzarro carattere, come avrebbe dovuto aspettarsi un qualcosa di assolutamente fuori di testa.

“Cerchi le piscine?” Una voce maschile già conosciuta, ma non pienamente identificata, la fece voltare.

Un bell'uomo, dall'apparente età di trentacinque, quarant'anni al massimo, moro, dalla carnagione chiara e due occhi castani estremamente caldi, le venne in soccorso appena in tempo. Le diciotto erano appena scattate.

“Sei venuta a prendere Haruka?! Stai attenta a non far tardi o te la farà pagare.” Disse ilare rendendosi però subito conto dal viso corrucciato della donna di essere stato troppo famigliare.

“Perdonami... Ci siamo già incontrati, non è vero?” Giovanna allungò la mano cercando di metterlo a fuoco. Non era mai stata fisionomista.

“Perdonami tu... Stefano Astorri Teigerh - e strinse deciso. - Ci siamo visti a Bremgarten... In pista.”

“Ecco! Adesso ricordo... Giovanna Aulis...”

“Lo so. La sorella maggiore di Haru.” Ed esplose un sorriso estremamente contagioso.

Facendo altrettanto la donna gli chiese d'indicarle le vasche e lui fece di più; si offrì di accompagnarla. Camminando per ambienti modernissimi dai colori chiari, arricchiti di poster e cartelloni raffiguranti moto e piloti di tutti i tempi e di tutte le categorie, Stefano guidò Giovanna non potendo non notare quanto molto del suo atteggiamento le ricordasse Tenou.

“Perché mi guardi così?” Domandò lei un tantino irritata.

Gli spazi che stavano percorrendo erano completamente vuoti ed ovviamente sconosciuti e non amava trovarsi in situazioni come quella con al fianco un perfetto estraneo. Gente come lei, nata e cresciuta in una metropoli, diffidava sempre di chi non conosceva vivendo continuamente sul chi va la, ed anche se il sorriso del tecnico sembrava sincero e nei modi era molto gentile, il garbo che stava usando, i gesti e le movenze, non sarebbero mai bastati a fare abbassare la guardia ad una lupa urbana come lei.

“Scusami, ma non capisco proprio come alcuni qui dentro non abbiano intuito subito chi fossi. Vi assomigliate parecchio. Tu e Tenou, intendo.”

“Mmmmm.... magari." Bofonchiò poco convinta sfiorandosi il naso per niente simile a quello della sorella.

La diffidenza non la fece sentire lusingata, anzi, quando vide Haruka in accappatoio ferma a mani conserte sulla porta di accesso agli spogliatoi, le sorrise sollevata.

“Cinque minuti di ritardo! Che fai, ti fermi a prendere il caffè e a parlare del più e del meno con i tecnici mentre io sono qui che ti aspetto?” Acidissima fulminò Stefano lasciando che Giovanna la superasse entrando.

“Non credere... è che mi sono semplicemente persa per strada. Il satellitare della Prius di Michiru è settato in tedesco... Lasciamo perdere e ringrazia il cielo che non mi sia ritrovata in Austria. ” Disse rivolgendo un cenno di saluto all'uomo.

Stefano contraccambiò spegnendo poi il sorriso che gli stirava le labbra non appena puntò gli occhi in quelli glaciali di Haruka. Ripensando alla zuffa tra lei e Patrick, fece per tornare serio ricordandole che alle diciannove e trenta ci sarebbe stata una seduta con un paio di piloti della Moto 3.

“Vedi di lasciare la piscina per quell'ora. A domani Tenou.” Si girò per andarsene a casa.

“Ok, grazie. A domani Teigerh.” E chiuse la porta degli spogliatoi.

Il caldo catturò la gola di Giovanna e dopo qualche secondo iniziò a togliersi la sciarpa sbottonandosi il giaccone.

“Porca miseria, non si respira qui dentro. Perché sbraiti tanto se poi non sei ancora pronta!?”

“Io sono già pronta! Sei tu a non esserlo.” Puntualizzò slacciandosi l'accappatoio, sfilandoselo e rivelando così il suo corpo perfetto fasciato da un Arena nero e arancio ancora bagnato fradicio.

“O... cacchio ... Ruka ...” Sgranando leggermente gli occhi l'altra constatò quanto quella donna fosse ben proporzionata. I punti figagine di Tenou stavano risalendo.

“Che c'è? Non hai mai visto una donna in costume? Dai muoviti..., prima che ci ripensi.” Arrossendo leggermente aprì un armadietto facendole cenno di posarci la sua roba.

Bene.... Cosa stava succedendo? “Mi illumini?”

Haruka si grattò la testa prendendo aria. Quanto poteva essere difficile. Guardando l'altra dritta negli occhi si piegò nel chiedere imbarazzatissima; “una volta ti sei vantata di aver fatto dieci anni di nuoto. Giò... insegnami. Per favore.”

 

 

Braccia conserte, sguardo torvo, schiena poggiata al piastrellato blu di uno dei lati corti della piscina priva d'acqua, Michiru da quella improbabile prospettiva, stava inchiodando da interi minuti lo sguardo al muro immacolato che avrebbe dovuto riportare l'ormai famoso murales “commissionatole” dalla famiglia Mizuno. Vero che tutti i più grandi professionisti delle arti umanistiche nel corso della loro carriera, prima o poi, incappavano nel famigerato blocco, ma il saperlo non la consolava affatto, semmai l'abbatteva ad ogni singolo tratto di matita. E più si sentiva abbattuta e meno rendeva. Meno rendeva e più si sentiva abbattuta. Un loop pericolosamente incentrato sul nichilismo. Michiru era una perfezionista ed una professionista dalle notevoli doti grafiche e non facendo loro affatto difetto, quando decideva di cimentarsi in un progetto gioco forza che questo prima o poi prendesse vita riempiendola di orgoglio. In quel particolare momento della sua giovane vita però, la vena artistica sembrava essersi completamente estinta. La tecnica era rimasta la stessa, ma era la fantasia nell'espressione onirica ad essersi azzerata. Questa consapevolezza, unita al sapere di avere una scadenza, al continuare a non dormire a sufficienza, all'insistenza di Khloe nel volerle stare vicina, ai compiti ed alla serie infinita di domande postele quotidianamente da Ami ed al silenzio agghiacciante di Haruka, la stavano trascinando all'apatia cronica.

Alla specializzanda tutto questo non era sfuggito e la cosa non l'aveva presa assolutamente alla sprovvista, anzi, il vederla meno aggressiva e più collaborativa, anche se spesso sconfortata, non poteva che spingere Ami ad osare sempre di più, ed anche se ancora all'inizio del suo percorso di guarigione interiore, la straniera stava reagendo al dissodamento della propria psiche in maniera del tutto normale. Ora bastava solo che Michiru non si arrendesse mollando tutto. Ci aveva già provato e ci stava provando a più riprese anche sul fondo di quella piscina, torturandosi con mille domande sul perché continuasse e non se ne volasse a casa sua e ci avrebbe provato ancora.

“Ma che ci fai li sotto Michiru?!”

Lei alzò lo sguardo lentamente incrociando quello dell'uomo. Alexios la guardò stupito passando dal cobalto degli occhi di lei al bianco del muro poco distante.

“Voi artisti siete ben strani.” Affermò scoppiando in una fragorosa risata che rimbombò per tutto l'ambiente, iniziando subito dopo a scendere le scalette in acciaio.

“Artisti? Non è che mi ci senta molto in quest'ultimo periodo.”

“Se non riesci ad avere la giusta ispirazione, non preoccuparti. Vuol dire che tinteggeremo a colore. Non sentirti costretta ad inventarti qualcosa.” La raggiunse ammettendo che quello era uno dei posti che sceglieva per starsene un po' solo a pensare.

“Naturalmente solo in inverno..., quando l'acqua non c'è.”

Michiru abbassò le braccia e le difese. In effetti circondato da tre donne, ognuna con un carattere ben segnato, il “nascondersi” li sotto era il minimo che lui potesse fare per non venire sopraffatto.

Alexios sbatté i palmi delle mani un paio di volte generando un leggero eco. “Hai sentito che acustica?!”

“Me ne sono accorta non appena ho disceso la scaletta.”

“Ti ricordi quando eri solita esercitarti con il violino nel cavedio della piscina della villa? Solo che essendo all'aperto, ogni volta che pioveva si riempiva d'acqua ed io e tuo padre dovevamo usare la pompa per renderne calpestabile il fondo.”

Lei lo guardò come se avesse appena parlato dello spaccato della vita di un'altra persona. Ci pensò su qualche secondo e poi scuotendo il capo confessò di non ricordare.

“Veramente!?” Sembrò stupirsene, perché nei periodi invernali di bel tempo, Michiru passava intere ore la sotto. Dopo lo studio del padre era il suo posto preferito per suonare.

“Vedi Alexios, sono parecchie le cose che non ricordo del mio passato e non mi riferisco solamente alla mia adolescenza vissuta qui ad Atene, ma anche agli anni successivi.”

“Capisco.” Disse lasciando poi che il silenzio ne invadesse lo spazio.

Restarono così, fermi, con le spalle poggiate al muro, fino a quando la donna non lasciò che un grazie risuonasse deciso.

“Per noi è una gioia averti al Re del mare. Michiru, puoi rimanere tutto il tempo che vuoi.”

“Questa volta non mi riferivo alla vostra ospitalità e comunque lo sai che ve ne sarò sempre grata, ma a tutte le volte che hai aiutato me ed i miei genitori. Anche se i ricordi si sono parecchio offuscati, quello che non ho mai dimenticato e la vostra presenza; di tutti e quattro, ed in particolare la tua, quando cercavi di proteggermi dagli scatti di mio padre.”

“Ma non ho potuto proteggerti quel giorno, quando ti ruppe il legamento del dito. Hai smesso di suonare per questo, vero?”

Michiru non confermò e lui continuò alzando la sua mano destra. “L'indice ed il medio. Ero un promettente calciatore. Giocavo in porta. All'età di vent'anni un infortunio mi ha precluso la carriera. Vedi, quel pomeriggio, quando ti accompagnai al pronto soccorso, capii subito la gravità dello stato nel quale verteva la tua mano. I medici non poterono che confermare quello che avevo già intuito. Dopo l'operazione ho sperato tanto in un tuo recupero, ma visto che non hai scelto la carriera di tua madre...” Lasciò cadere la frase perché ormai tutto era stato detto.

Michiru ricordava poco anche di quel pomeriggio, ed in tutta onestà non avrebbe saputo dire se gli incubi che le avevano risvegliato parte della memoria su quel giorno, fossero veri e propri ricordi, enfatizzazioni delle paure insabbiate nel corso degli anni, o entrambe le cose.

“Alexios... - Lo guardò dritto negli occhi e con voce tristissima rivelò. - Si è ucciso.”

Stirando le labbra in un sorriso doloroso, lui le accarezzò una guancia. “Lo so bambina.”

 

 

Era una giornata di sole ed Alexios ne avrebbe approfittato per potare il roseto che si estendeva sul lato posteriore della villa. Adorava il lavoro all'aperto e quell'aria frizzantina non faceva altro che caricarlo positivamente predisponendolo ad un buon servizio. Le rose quell'anno sarebbero state splendide, ne era sicuro. Così, carico dell'occorrente, si stava dirigendo a passo svelto verso il primo arbusto, quando la voce dei padroni lo raggiunse. I signori Kaiou stavano dando vita all'ennesima discussione. Voltandosi in direzione dello studio al piano terra, intravide dai vetri la signora Flora inveire contro il marito puntandogli l'indice al petto e dopo un paio di frasi, scomparire dietro una porta.

Francamente mortificato, Alexios strinse le labbra riflettendo. Non era riuscito ad ascoltare l'ultima parte di quella vibrata discussione, perché distorta delle finestre chiuse, ma era facile intuire quale fosse la pietra dello scandalo; la carriera della figlia. Michiru Kaiou era un'adolescente talentuosa e molto disciplinata. L'educazione socratica impartitale dalla madre l'aveva forgiata ad una carriera che sarebbe sicuramente risultata brillante, raggiungendo e perché no, superando come importanza quella della stessa Flora. Ma l'ombra della malattia nervosa del dottor Viktor stava minando da mesi la serenità che quella particolare famiglia aveva raggiunto trasferendosi nel paese ellenico e vista la presa di posizione della signora Flora nel voler tenere nascosta al marito la sua instabilità, inevitabilmente ne stava facendo le spese la ragazza. Costretta a mentire, ad accettare situazioni drammatiche che avrebbero provato anche un adulto, Michiru stava diventando per la madre un appiglio e questo agli occhi del clan Mizuno era intollerabile. A sedici anni non si poteva essere tanto forti da caricarsi sulle spalle anche i problemi dei genitori e per cosa poi? Per mantenere un lavoro di prestigio? Un tenore di vita notevolmente altro? La libertà di continuare a seguire gli spostamenti che una carriera come quella della signora Flora esigeva?

Alexios scosse la testa. Viktor era prima di tutto un buon amico ed anche se consapevole del fatto che, fino a quando avesse continuato ad essere il suo datore di lavoro fra loro ci sarebbe sempre stato un gradino di “disparità”, si avvicinò comunque alle finestre per accertarsi che tutto fosse a posto. Fu allora che il sangue gli si gelò nelle vene. Avvertendo un'ondata di adrenalina esplodergli nel cervello agì.

Guardando a terra trovò un sasso sufficientemente grande per infrangere uno dei due vetri, se ne servì, inserì la mano riuscendo ad afferrare la maniglia e con un movimento secco aprì issandosi sul davanzale di marmo. Sentì chiaramente le schegge vetrose penetrargli la carne di entrambi i palmi, ma non provò dolore. Entrò appena in tempo per strappare dalle dita di Viktor la Beretta calibro 9 che stava puntandosi alla tempia.

“Signore?! Siete impazzito?!” Urlò gettando l'arma lontano da loro.

“Cosa le sto facendo Alexios?” Chiese guardando l'altro con lo sguardo appannato dalla confusione.

“A chi si riferite?”

“Non starò facendo del male alla mia Michiru?”

 

 

La donna aveva ascoltato senza fiatare la confessione di quell'uomo addolorato, capendo finalmente tante cose, sia del padre, che di Alexios. Ecco perché il gestore aveva reagito con tanta costernazione alla notizia della morte di Viktor ed ecco perché quando era ancora in vita, sporadicamente e senza nessun preavviso, il diplomatico sembrava guardare la figlia con un inconsapevole e rassegnato senso di colpa.

“Credo che quel giorno tuo padre si fosse reso conto di qualcosa, come credo che nel profondo sapesse che la sua bambina fosse in pericolo. Perdonami Michiru, ma allora mentii anch'io. Non ebbi cuore di dirgli nulla. L'unica cosa che riuscii a fare fu gettare l'arma in mare. Se solo avessi immaginato. Se non mi fossi fatto forviare, allora forse...”

“Forviare? Da chi? Da lei?!” Chiese sapendo già la risposta.

“Tua madre tentò di fare qualcosa Michiru. Te lo assicuro. Ma allora la medicina non era tanto avanzata come oggi. Viktor cambiò farmaci, ma non si poteva costringerlo senza rivelargli tutto e Flora non voleva che sapesse.”

Era proprio quello che Michiru aveva sempre rimproverato alla madre; non di aver spesso scelto la carriera lasciando la figlia sola con un padre dai nervi fragili, era una situazione che aveva imparato a gestire e poi lo amava e non avrebbe mai rinunciato ad aiutarlo, ma quello di avergli taciuto quell'instabilità, spingendolo a continuare nel suo lavoro, spesso stressante e destabilizzante, di aver costretto lei a fingere che andasse tutto bene, che fossero una famiglia normale, quando di normale non v'era assolutamente nulla. Adesso sapeva che anche la famiglia Mizuno era stata inclusa in questa farsa d'autore.

“E' solo per fargli mantenere la carriera ed allontanarlo da un precoce pensionamento che mia madre gli ha mentito per anni. Che gli abbiamo mentito tutti! Se papà avesse saputo, si sarebbe lasciato curare, anche se contro voglia.”

“Non lo so ragazza mia. - Confessò dubbioso. - Viktor era un uomo testardo ed estremamente orgoglioso. Non credo avrebbe tollerato di se stesso una tale debolezza. - Sorrise. - Tu per vari versi gli somigli parecchio, ma essendo donna hai ereditato dalla natura l'intelligenza nel saper chiedere aiuto.”

Improvvisamente Michiru avvertì un forte dolore alle tempie, come se una scarica elettrica le avesse percorse. Digrignando i denti dal dolore si toccò la fronte rendendosi conto di vedere leggermente appannato. Qualche secondo e tutto cessò abbandonandola.

“Cara, tutto bene?” Chiese l'uomo poggiandole una mano sulla spalla.

“Si. Credo di si.”

“Forse è meglio che Ami ti dia un'occhiata. Vieni, ti accompagno nella tua stanza.”

 

 

Giovanna era allibita. Non aveva mai visto una tale mancanza di rispetto per lo stile libero e da purista del nuoto qual'era, avrebbe dovuto avere il coraggio di far finire quell'insulto abbattendo con una serie di pallonate quel bacarozzoide morente. Invece, da canaglia e perfida sorella maggiore quale il suo DNA le imponeva di essere, si stava divertendo un mondo e non potendo sbottare a ridere sguaiatamente, perché sarebbe stata uccisa in poco meno di trenta secondi o quanto meno lasciata all'addiaccio fuori dall'uscio di casa, aveva preso a fare smorfie grottesche alla Quasimodo provando a darsi un contegno.

Dopo quella prima vasca di prova, dove l'insegnante improvvisata aveva provato a capire da quale livello partire per arrivare (forse) da qualche parte, i punti figagine della grande Haruka Tenou, Primo Ingegnere e primo pilota collaudatore del distaccamento ticinese della gloriosa casa automobilistica italiana Ducati, si erano inesorabilmente disintegrati, eclissati, liquefatti, ed ora al posto della spavalda bionda, c'era solo un essere con due braccia, due gambe ed una testa, che molto probabilmente non sarebbe mai riuscito a capire fino in fondo il meraviglioso risultato raggiunto dall'evoluzione umana in millenni d'apprendimento e che prendeva il nome di coordinazione motoria.

Mio... Dio... Pensò vincendo l'impulso di gettarsi in acqua per aiutare quell'animale ad annegare. In piedi a bordo vasca, accappatoio sulle spalle, braccia conserte e sguardo incredulo, Giovanna ammise per l'ennesima volta che l'amore che Haruka provava per Michiru fosse immenso.

“Perché lo vuoi fare se non ti piace?” Le aveva chiesto prima che l'altra si lasciasse scivolare nell'acqua.

“Per Michi.” E la spiegazione, se poteva considerarsi tale, era finita li.

Santo, Santissimo Dio... Continuò scuotendo leggermente la testa mentre l'altra riusciva finalmente a guadagnare il bordo ansimando come una locomotiva a vapore.

“Allora?” Chiese Harika aggrappandosi al corrimano interno neanche fosse un salvagente.

Allora! Allora cosa? Si disse Giovanna accovacciandosi.

“Beh Ruka, a galla ci sai stare. Questo è un fatto. Altrimenti saresti gia' morta. - ed io non ti avrei salvata... - Ma considerarlo nuotare..., mi sembra un tantino azzardato.”

“Lo so! Altrimenti non saresti qui!” Stizzita la bionda guardò altrove vergognandosi come un cane.

“Non ti offendere. E' che... con le tue gambe potresti fare molto di più. Dai prova ancora.” Consigliò.

Se soltanto l'estate precedente un'anima pia le avesse predetto che da li a qualche mese si sarebbe ritrovata un istrice come sorella ed una fuggitiva come cognata, forse avrebbe anche potuto prepararsi meglio. Per esempio... partendo per uno dei poli!

Rialzandosi ed attendendo svariati giri di lancetta, Giovanna costatò che la situazione non era affatto migliorata, anzi, alla quarta vasca di quel nuotare, la pesantezza che Tenou iniziava ad avvertire nei muscoli diede vita ad un annaspare grottesco.

“Haruka... Haruka... HARUKAAAA” L'urlo riecheggiò per tutto l'ambiente. Doveva cambiare tattica.

“Che c'è?!”

“Aspetta.” E Aulis scese in campo, o per meglio dire, in vasca.

Lasciando l'accappatoio su una delle sedie poco distanti ed avvicinandosi al bordo per togliendosi le ciabatte, prese aria gonfiando il petto, si tuffò e riuscendo a percorrere una decina di metri in apnea, riemerse solo una volta arrivata al fianco dell'altra. La bionda si sentì mortificata.

“Non è che tu non sappia fare i movimenti, ma è la coordinazione che non c'è. E poi la testa va sotto il pelo dell'acqua, non sopra. Non stai disputando una gara di palla a nuoto. Coraggio. Ora ti afferro per le caviglie così vai solo di braccia.”

“Cos'è che afferri? No, no. Le caviglie no. Così vado giù come un piombo. Già dato. Cosa credi che Michiru non ci abbia già provato?”

Giusto. Rifletté Giò pensando ad un'altra opzione. Se soltanto si fosse rammentata gli insegnamenti dei suoi istruttori, ma non si ricordava neanche cosa aveva mangiato a pranzo figuriamoci esercizi svolti trent'anni prima.

“Ok. Proviamo un'altra cosa. Vieni. - Si avvicinarono al bordo. - Metti il collo di entrambi i piedi sopra il ferro del corrimano, al resto penso io.” E rivolgendo i palmi verso l'alto attese che Haruka vi poggiasse lo sterno.

Dalla parte opposta nessun movimento. Giovanna intuì cambiando nuovamente strategia. “Sempre che tu non abbia paura.” Ormai aveva capito com'era fatta sua sorella; la si doveva pungolare sull'orgoglio, niente di più e niente di meno e grugnendo poco convinta la bionda eseguì di mala voglia.

Un piede, poi l'altro, ma non appena l'addome avvertì le dita di Giovanna, contraendo i muscoli di tutto il corpo si ritrovo' ad andare a fondo come una pietra, ingurgitando acqua, cloro, saliva e male parole. Riemergendo la bionda iniziò a tossire come se non ci fosse un domani accorgendosi solo dopo una serie inenarrabile di sfondoni, che la sorella si stava massaggiando il mento.

“Ma che sei scema!? Vuoi rompermi il naso con quelle palanche che chiami mani? Datti una calmata Tenou!”

“Scusa. Non sono abituata ad essere toccata. Ma anche tu! Che cazzo d'esercizio mi fai fare!? - Sbraitò cercando di resistere al violento pizzicore che sentiva su per il naso. - E poi il braccio mi fa male.”

See! Inventatene un'altra. Devi provare a fidarti Ruka. Non ti farò andare giù se è quello che pensi. - Lasciò uscire le mani dall'acqua. - Immagina che siano di Michiru.”

Haruka scosse la testa affermando divertita che se non voleva ritrovarsi le sue di mani addosso, sarebbe stato meglio di no.

“Opss. Vero. Va bè. Riproviamo dai. E questa volta... calmina.”

Un piede, poi di nuovo l'altro e la bionda avvertì sullo sterno il contatto dei palmi dell'altra e cercando di resistere all'istinto d'irrigidirsi, allungò il tronco portando le mani in avanti.

“Ottimo, lo vedi che non stai andando giù?! Ora, orecchio sinistro sotto il pelo dell'acqua e gomito destro portato a novanta gradi verso il tuo fianco. E fai piano o mi becchi in pieno.” Primo movimento, poi secondo, poi terzo e senza accorgersene troppo, Haruka iniziò ad ascoltare le direttive della sua insegnante.

“Tieni il tronco fermo, stai muovendoti troppo. Scodi come la tua Panigale.” La buttò sullo scherzo notando però, che serviva.

Avvertendo i muscoli dell'allieva farsi più rilassati, Giovanna iniziò ad allontanarle le mani dal tronco. Lentamente. Molto lentamente. Poco meno di cinque minuti dopo aver iniziato quell'esercizio, Haruka stava a galla da sola sincronizzando braccia e tronco.

“E brava la nostra Tenou.” Disse soddisfatta portandosi entrambe le mani dietro la nuca in modo che l'altra intravedesse con la coda dell'occhio cosa era appena accaduto alla sua rete di sicurezza. Due secondi, ed appena la consapevolezza di stare “nuotando” da sola la colpì, la bionda imitò il Titanic andando a picco.

“E no! Che fai?!” Chiese afferrando la sorella riportandola all'aria e nuovamente acqua, cloro, saliva e male parole.

“Non... farlo... mai PIU'!” Intimò strizzando gli occhi cercando così d'impedire ad un liquido non bene identificato di uscirle dal naso.

“Cosa? Lasciarti compiere i movimenti corretti in piena autonomia? Stavi andando benone Ruka.”

L'altra grufolò per nulla convinta sentendosi esausta. “ Per oggi basta. Conta che è dalle diciassette che sono in acqua.”

Giovanna la guardò dirigersi lentamente verso la scaletta. Tutto qui?! “ Ammutinata del Bounty! Che fai, molli?!”

“Sono stanca! Conta che oggi io avrei anche lavorato. Perciò...” Ferale come sempre. Quando a Tenou prendevano a girare, lo facevano con la G maiuscola.

Giusto, Haruka non era mica un Architetto precario come lei. Giovanna sospirò lasciandosi andare a qualche bracciata di stile. Era una vita che non nuotava, ma non aveva affatto perso il suo smalto. Raggiungendo la scaletta vide che la bionda che stava fissando tra l'accigliato e lo stupito.

“Se vuoi fare un paio di vasche non ci sono problemi. C'è ancora tempo prima che arrivino gli altri.” La buttò li Haruka e Giovanna che stava per afferrare l'acciaio della scaletta, capì.

Mai che quella zucca vuota si piegasse a chiedere qualcosa in più dello stretto necessario e comunque mai in maniera chiara. Cosa ci sarebbe voluto a dire"scusa mi faresti vedere come sono i movimenti corretti?". Quella donna era testarda ed orgogliosa come lo era lei a vent'anni. Vent'anni e non trentasette suonati! Quanta pazienza. Stirando le labbra Giovanna spinse con forza le gambe sul piastrellato guadagnando un paio di metri e voltandosi cominciò a nuotare.

Afferrando l'accappatoio Haruka iniziò a prendere appunti mentali. In effetti il corpo della sorella aveva un asse perfetto, il tronco non si muoveva che lo stretto necessario per dar spazio alle bracciate, le gambe non si piegavano, il battere del dorso dei piedi era delicato, ma efficiente. Le braccia si allungavano al massimo mentre i palmi delle mani aggredivano l'acqua inclinandosi leggermente verso l'esterno prima di penetrarla. La testa rimaneva in linea con il corpo ed usciva solo fino a parte della bocca per poi scomparire nuovamente, ed il tutto sembrava non costarle nessuna fatica. Nulla da dire, ci sapeva fare. In vasca era brava al pari della sua Michiru.

Un paio di minuti e la donna più grande decise di uscire. Poggiando il piede alla pedata d'acciaio guardò l'altra. “Ruka mi aiuteresti? Ho un mezzo crampo.” Supplicò allungando la mano.

“Cos'è, non hai più il fisico...” Fulminea Giovanna le afferrò il polso destro strattonandola con forza e via, un sontuoso volo in acqua.

“Così la prossima volta eviterai di essere tanto bestia. Bestia che sei!”

 

 

Buongiorno amore, dormito bene?” Chiese l'uomo raggiante placidamente seduto al tavolo da pranzo quotidiano in mano.

Buongiorno a te papà. Si ho dormito benissimo.” Rispose lei abbracciandolo per poi stampargli un sonoro bacio sulla guancia fresca di rasatura.

Che cosa vuoi fare oggi?”

In che senso? Non capisco.”

Ragazzina, non mi dirai che ti sei dimenticata che giorno è oggi?” Scherzò toccandole la punta del naso con un indice sapendo benissimo che quella furbetta lo avrebbe sempre tenuto per il collo. E come non lasciarselo fare? Amava immensamente quello scrigno meraviglioso che era sua figlia.

Michiru illuminò il volto sfoderando un sorriso enorme. “Hai tutta la giornata?”

Certo. Oggi non lavorerei per nulla al mondo. Allora, cosa vuoi fare?” La vide poggiarsi la mano sinistra al mento cogitando con fare intellettuale. “Mmmm..., vediamo.”

Intanto che ci pensi sarà il caso che ti dia una cosa.” Disse ripiegando il giornale. Come gran parte delle donne, la figlia era lenta nel decidere come passare il tempo libero.

Dirigendosi verso l'anta in vetro del mobile posto alle sue spalle, Viktor l'aprì per prendervi una custodia di raso color blu notte.

Vieni qui amore. Ecco, prendi. Oggi compi quattordici anni e voglio che questo diventi tuo a tutti gli effetti.” Aprendo la parte superiore della custodia la girò mostrando alla ragazza il suo contenuto.

Papà, ma è il violino del nonno!” Urlò entusiasta non avendo neanche il coraggio di toccarlo. Lo aveva intravisto solo qualche volta, nelle mani dello zio, accordatore ed esperto liutaio, ma non avrebbe mai pensato che il padre glielo consegnasse così presto.

Non fare quella faccia incredula Michiru. Lo so che tradizione della famiglia Kaiou vuole che questo strumento passi di padre in figlio al compimento della maggiore età, ma... - alzò le spalle. - ... pazienza. Sei talmente portata che sarebbe un peccato aspettare ancora. Hai una facilità nel vibrato da fare invidia a musicisti più grandi di te. Io non gli ho mai reso giustizia. Ora tocca a te amore.”

Michiru aprì gli occhi sentendo qualcuno bussare alla porta. Svegliata in piena fase REM ebbe bisogno di qualche istante prima di capire cosa fare per rispondere a quel suono. Via la coperta, una gamba, poi l'altra, le pantofole. Alzarsi, infilarsi la vestaglia. Un altro paio di tocchi ed iniziò a connettere.

“Arrivo.” Sbiascicò infilando le dita di entrambe le mani nei capelli per cercare di ridargli il volume perso.

“Chi è?” Chiese convinta fosse Ami.

“Michiru sono Alexios. Buongiorno. Scusa se ti disturbo, ma vorrei darti una cosa prima di uscire.” La chiave girò e la porta si aprì rivelando due occhi ancora semi chiusi.

“Perdonami, stavi dormendo! Ami mi ha detto che il mal di testa va meglio. Oggi devo andare fuori città per un cliente e tornerò solo per cena e ci tenevo a darti il mio regalo.” Sfoderando un sorriso alzò l'oggetto; una scatola rettangolare abbastanza voluminosa.

“Lo so che non si presenta bene, ma non sono mai stato bravo nell'incartare cose.”

“Non capisco.” Improvvisamente, grazie a quella frase si rese conto di quanto la situazione fosse simile a quella appena sognata. Guardando meglio l'oggetto notò quanto quel contenitore fosse in un certo senso, famigliare.

Piegando la testa da un lato l'uomo sperò che la moglie non si fosse sbagliata. Non voleva fare gaffe. “Oggi è il sei marzo. Non è il tuo compleanno?”

“Oggi è il sei?! Non me n'ero accorta. Si..., oggi è il mio compleanno.”

“Bene, allora questo è per te àngelos.” E le porse l'oggetto.

“Alexios, non sarà mica...”

“Si bambina. Apparteneva a mia sorella. Ma prima di dire o fare qualunque cosa, ti prego di guardarlo con attenzione.”

Michiru aprì il contenitore lasciando che le due linguette metalliche di chiusura scattassero sotto la forza dei suoi pollici. Le apparve così un violino, non quello che le aveva dato in mano Ami, ma un'altro, molto meno provato e sicuramente, più amato. Di semplice fattura, il legno era ancora in splendide condizioni. Lo sfiorò leggermente e nel provare un fremito ritrasse immediatamente le dita tornando a fissare Alexios.

“Guardalo bene.” Invitò ancora alzando il contenitore.

Fu dopo averlo osservato realmente che Michiru si accorse di un particolare non da poco.

“La mentoniera è a destra.” E capì le intenzioni dell'uomo.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti. In questo capitolo, scritto di corsa per farlo “uscire” in concomitanza con il compleanno della nostra protagonista, sono tutti o quasi, testardi ed orgogliosi e qualcuno è paziente, o quasi.

Se vi siete trovati a leggere “l'atto più grande”, ma vi fosse sfuggito quanto, all'inizio, Giò si sentisse restia ad avvicinarsi a quella gran figona di Tenou, nel settimo capitolo è riportato un pensiero che ha lungamente e scioccamente portato nel cuore riferito ad Haruka - Che se ne farebbe una come lei, con una come me. Ecco, ora sappiamo tutti cosa, perche' vedere annaspare la bionda prima di andare affondo dev'essere una soddisfazione impareggiabile. :P

Ho voluto caratterizzare Alexios e mostrare Viktor com'era una volta. Se nel primo racconto i padri, il padre, è stato a tutti gli effetti un personaggio negativo ed alquanto dannoso, qui è, sono, tutto l'opposto. Se il secondo ha spezzato involontariamente la carriera della figlia pur amandola, allontanandola dal suo migliore amico, magari l'ateniese riuscirà a riavvicinarla ad uno dei suoi grandi amori. Chissà.

Comunque visto la data: buon compleanno sirena delle profondità oceaniche.

 

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Capitolo 8
*** Tensioni ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Tensioni

 



Per l'ennesima volta richiuse la custodia rettangolare e per l'ennesima volta la riaprì. Seduta sul suo letto con ancora la vestaglia indosso, vogliosa di una doccia che non riusciva ad affrontare, desiderosa di una colazione che il suo stomaco le intimava di andare a fare, persa in mille pensieri, sensazioni ed emozioni, Michiru continuava a guardare quell'oggetto senza avere il coraggio di arrendersi all'evidenza di volerlo stringere tra le mani. Un'attrazione fortissima, che ne modificava il respiro, rendendolo più ansioso, più impaziente nel rincorrere il successivo.

Alexios era stato chiaro anche non parlando. Aveva fatto spostare la mentoniera, così che le corde avessero potuto essere guidate dalla mano destra. Lo aveva fatto contraddicendo a tutte le regole del buon giudizio, perché a dispetto di altri strumenti come la chitarra, il violino nasceva tale e poteva essere suonato solo con quell'impostazione; sinistra sul capotasto e destra sull'archetto. Nessun professionista avrebbe mai osato fare altrimenti, destrorso o mancino che fosse.

Richiudendo la custodia la donna scosse la testa. Aveva già provato quella soluzione. Tanto, tantissimo tempo addietro. La sua carriera era stata spezzata, lo aveva capito benissimo ancor prima che il tutore le venisse tolto rivelando un dito ormai menomato nella forza, ed anche se avesse avuto la pazienza di ricominciare tutto da capo, nessuno avrebbe mai accettato in un'orchestra una musicista con un'impostazione a specchio. La madre era stata categorica; una Kaiou non si sarebbe mai resa ridicola sul palcoscenico. Una mannaia ferale che allora si era abbattuta sulla consapevolezza che ormai aveva della fine, non lasciando scampo ai suoi sogni adolescenziali.

In quel disgraziato frangente il talento che possedeva non l'aveva aiutata e la testardaggine insita nel suo carattere non era bastata a sorreggerla. Michiru Kaiou aveva dovuto arrendersi alla sua nuova condizione.

Riapri' lentamente la custodia. E' tutto solo da quando mia sorella non c'è più. Le mie figlie non si sono mai interessate di musica ed io non saprei neanche come impugnarlo. Accettalo, ti prego. Non c'è bisogno che venga suonato, vorrei solo che avesse un po' di compagnia. Che qualcuno si prendesse cura di lui. Le parole di Alexios le riecheggiarono nella testa. E' tutto solo... Tutto solo... E le sue mani afferrarono quell'oggetto tanto prezioso.

“E così saresti tutto solo, eh? - Disse rigirandoselo tra le dita. - Lo sono stata per molto tempo anch'io, prima che un angelo biondo entrasse a far parte della mia vita. Purtroppo non credo che saprei essere una buona amica. Non posso suonarti... Non più.”

Davvero suonavi il violino da ragazza? Mi sarebbe tanto piaciuto ascoltare la voce della tua anima riflessa nelle note. Le aveva detto un giorno la sua Ruka mentre Michiru era stata beccata a leggere di soppiatto un articolo su sua madre riportato in una rivista specializzata. Ed in quel ricordo trovò coraggio.

Chiudendo gli occhi concesse una pausa alla sua reticenza. I polpastrelli della sinistra iniziarono a percorrere la tavola armonica gustandosi la densità della lacca. Abbassando leggermente la testa sorrise riconoscendo una delle punte, poi virando decisamente verso la effe, fermò il tocco al ponte. Avvertendo un fremito aprì le palpebre lasciando che la mano destra agisse di volere proprio e sotto un'anarchia prettamente carnale, Michiru abbandonò le convenzioni inculcatele da giovane, liberando finalmente l'ancestrale bisogno di lasciarsi possedere dalla musica che dall'incidente ardeva in lei senza più sfogo. Non riuscendo a staccare gli occhi dal riccio, lasciò che le dita della mano destra percorressero gentili la tastiera fino a giungere sul capotasto. La sinistra corse all'archetto ancora dormiente dentro la custodia afferrandolo, ed alzandosi lentamente dal letto richiuse nuovamente gli occhi rendendosi conto di stare tremando.

Non poteva esserci un'impostazione corretta, perché semplicemente non esisteva. Postura, posizione delle braccia, dei gomiti, della testa, angolazione delle dita sulle corde, nulla. Tutto improvvisato. Tutto assolutamente ed autenticamente puro istinto. Come un cieco si affidò alle sensazioni tattili e come una nuova Helen in Anna dei miracoli, Michiru si concesse di scoprire il liquido vitale dell'acqua. Nella stanza vibrò una nota, poi una seconda e poi una terza, timide, quasi impaurite, come cerbiatti all'ombra del margine ultimo di un bosco.

Staccando il crine dalle corde riaprì gli occhi accorgendosi di stare piangendo. Dimenticando l'archetto nella mano sinistra mollemente abbandonata al suo fianco, la giovane donna avvertì chiaramente l'euforia invaderle le vene come liquido violento. Un sorriso sempre più marcato le illuminò il viso, mentre la gioia tornava finalmente ad accompagnarle il galoppo del cuore.

 

 

Il fattorino porse a Khloe la ricevuta da firmare ed una volta riavutala le consegnò il mazzo di fiori tornandosene verso il furgone. Orchidee blu. Splendide. Neanche troppo pretenziose nonostante il gran numero. Delicate. Di classe. La donna strinse le labbra fissando nome e cognome riportati sul biglietto infilato all'interno del cellofan che proteggeva il mazzo. Michiru Kaiou. Erano di lei, ne era sicura. Rientrando verso la reception, Khloe ebbe più volte la tentazione di gettarli via. Ad ogni passo, ogni respiro, ogni battito, sentiva di stare combattendo una battaglia. La coscienza le intimava di fare la cosa giusta, ma l'amore le urlava tutto l’opposto.

Gettali. Non lo verrà a sapere nessuno, sentiva.

Non sono quel tipo di persona. Non ho bisogno di mezzucci del genere per riconquistarla, rispondeva.

Continuò a lacerarsi così, salendo lentamente le scale fino al secondo piano e poi lungo il corridoio, verso la stanza della straniera, rimanendo in stallo per istanti interminabili davanti a quella porta bianca, decidendo di bussare solo dopo un'infinità di tempo. Qualche secondo e le fu aperto.

“Buongiorno Kaiou. Ben svegliata e... auguri.” Disse rendendosi immediatamente conto di quanto Michiru fosse radiosa in quella giornata di fine inverno.

“Buongiorno a te. Grazie. “ Finalmente vestitasi, le sorrise attendendo di sapere cosa volesse ed una volta che il mazzo di orchidee si presentò ai suoi occhi, capì ancor prima che l'altra parlasse.

“Non sono da parte mia.” Affermò quasi con un pizzico di vanto.

Michiru lo prese osservandolo abbassando poi lo sguardo. “Grazie doppiamente Khloe. Ti dev'essere costata.”

Scrollando le spalle fece una smorfia incamminandosi verso il pianerottolo. “Tieniti libera questa sera. I miei vorrebbero festeggiare.”

“Ci sarò.” Disse richiudendo la porta per poggiare il mazzo di orchidee sul letto. Aprendo delicatamente parte del cellofan estrasse il biglietto leggendolo.

O amore mio...

 

 

Quella mattina Haruka aveva dolori dappertutto, ma si era lo stesso alzata prima piazzandosi on line per ordinare un mazzo di orchidee blu. Era il compleanno della sua dea e adesso che ne conosceva l'indirizzo, avrebbe potuto farle recapitare un pensierino. Uno dei suoi fiori preferiti, accompagnato da un biglietto: eterno come il mio amore e blu come i tuoi occhi. Frase questa già usata con successo l'anno precedente, dopo l'incidente che aveva coinvolto la compagna e che comprendeva uno dei significati di quello splendido fiore, ovvero l'amore eterno, unito al colore dei suoi petali, quasi identico alle iridi di Michiru.

Appena terminata l'operazione, si era però sentita scivolare addosso un'incredibile tristezza ed ora si ritrovava seduta su uno degli sgabelli della penisola, con il suo bel tutore calzato a pennello, le mani mollemente dimenticate sulle gambe, la fronte poggiata al piano del tavolo. Una posizione quasi “fetale”, che stava trasformando con fare di darwiniana memoria, il trotterellante puledro di fanteria della dottoressa Kaiou, in una specie di bruco rannicchiato su se stesso.

Giovanna uscì dal bagno docciata, vestita e gioviale come sempre, pronta ad un ennesimo viaggetto alla guida di quello spettacolo a quattro ruote che era la macchina di Michiru, ed alla vista di quell'immagine, rimpianse di aver lasciato il cellulare con la sua compromettente fotocamera nei pressi della bionda. Sentendosi un agente del Mossad, una cacciatrice mascherata alla Assassin's Creed, le si avvicinò piano, desiderando fin dentro le viscere di piazzarle un ceffone tra capo e collo talmente forte da farle rimpiangere di trattarla da peste a minuti alterni, ma non appena la destra si levò in alto tagliando l'aria, la bionda le intimò di fermarsi o le avrebbe staccato la testa.

“Se fossi in te non lo farei Giovanna.” Disse posando l'avambraccio destro sul tavolo per far leva.

.

Alzando il capo e parte della schiena, Haruka digrignò i denti alla miriade di spilli che le stavano violentando ogni fascia muscolare del suo adorato corpo.

“Ma cos'hai?! Gli occhi laterali come le mosche?” E l'idea di pacca epocale si trasformò in carezza gentile.

“Sappi Tenou che non mi fai alcuna paura.” Le sussurrò poi all'orecchio andando verso i fornelli chiedendole dove fosse finita la colazione che toccava a lei preparare quella mattina.

“A fanculo...”

“Mmmmm.... E dove sarebbe questo garrulo posto? Non nella tua cucina vedo.”

Haruka la guardò allibita. Fresca, riposata, piena d'energia. “Ma non ti fa male proprio niente?” Domandò mentre l'altra provvedeva da sola per emtrambe inserendo le cialde nella macchina del caffè prendendo poi le tovagliette.

“Cos'è che dovrebbe farmi male?”

“Tutto...” E nuovamente giù la testa.

“Sei tu che ieri hai nuotato, non io. Per quel poco che sono stata in acqua...”

Sorrise quasi intenerita. E si, voler bene ad Harula era, in un certo senso, facile, perché quando abbassava le difese, smetteva l'immagine di dura, finiva di tirarsela, ed azzerava i suoi punti figagine, appariva come la ragazzona dolcissima desiderosa di attenzioni qual'era. Il che accadeva assai di rado. Per il restante tempo era una disgraziata che aveva nel tono profondissimo della voce, granate a pioggia prive della spoletta dal nome Kaiou. E la cosa che dava più fastidio di tutto, era che sembrava provare immenso gusto a dar vita a quella tracotanza coatta, che poi tutto era tranne vera superbia, perché mai come in quei giorni, forse comparabili solo a quelli passati a Zurigo, Haruka si era scoperta tanto fragile senza Michiru, cosa questa che la riempiva di rabbia. E più si sentiva vulnerabile e più se la prendeva con colei che ora le stava accanto.

In tutto questo Giovanna si trovava proprio nel centro del mirino, assorbendo pallettonate provenienti da ogni lato. Cercando di accettare la cosa. Provando a capire la solitudine della bionda. Stava sforzandosi in tutti i modi di non lasciarsi impressionare dal carisma della sorella che sembrava montare ogni giorno di più, come a voler dire: sono Haruka Tenou e non ho bisogno di nessuno, Kaiou per prima ed Aulis inclusa, ma era sempre più difficile, soprattutto ora che aveva l'occasione di vederla all'interno del territorio nel quale si sentiva più forte e fiera; la scuderia Ducati. Persino la sera precedente, all'uscita dalla piscina, mentre Haruka si stava facendo consegnare dal custode gli orari per trovare la piscina vuota, l’attenzione di Giovanna era caduta su un cartellone posto proprio all'entrata, dove campeggiava la foto per l'anno 2016/17 di tutta la scuderia, piloti in testa. Neanche a dirlo apposta Tenou era in prima fila, accanto a personaggi che lei aveva avuto modo di vedere solo nei telegiornali sportivi. E non sarebbe bastato vederla annaspare in acqua, o insonnolita stravaccata sul divano, o mezza nuda all'uscita della doccia, o davanti agli scaffali di un supermercato lista alla mano, perché prima o poi Giovanna sarebbe crollata e le paure avute nell'autunno precedente, quando Michiru aveva iniziato a parlarle della bionda, sarebbero riaffiorate.

“Che marmellatina vuoi oggi?” Chiese prendendo il pane ed i coltelli.

“Fanculo anche a loro. Buttale nel secchio. Mi sono rotta le palle di questa assurda dieta!”

Bene, la situazione stava caracollando nel triviale e Giovanna capì immediatamente di avere solo due strade possibili; quella facile che portava il nome di “fregatene Aulis che campi cent'anni” e quella ben più ardua e masochista del “fai la cosa giusta che sei la più grande”. Anche questa volta scelse male.

“La dieta sul frigorifero dice l'esatto contrario. Hai la visita di controllo dal dottor Kurzh tra qualche giorno. Dai, fai un ultimo sforzo Ruka.”

Di tutta risposta la bionda si alzò dallo sgabello passandole accanto ed arpionando la dieta, l'appallottolò tra le dita della mano destra scaraventandola nella pattumiera. “Ecco cosa penso della dieta. Sono stata sufficientemente chiara?!”

Giovanna sospirò non abbassando lo sguardo. “Cristallina.”

“Perfetto!” Rispose l'altra ritenendo la questione chiusa dandole le spalle ed iniziando ad armeggiare con la macchina del caffè.

Cos'era facile? Voler bene ad Haruka? E no, Giovanna questa volta non era disposta a cedere.

“Adesso mi fai la santa cortesia di dirmi che cazzo ti gira storto questa mattina.” Sparò tutto d'un fiato preparando le difese.

L'altra si girò lentamente. Gli occhi carichi di brace verde. “Lo vuoi proprio sapere? Oggi è il suo compleanno!”

E no, Kaiou. Questa non me la dovevi fare,pensò Giovanna corrugando la fronte. Capitolo chiuso e per tutto il resto della giornata le due evitarono caldamente di parlarsi.

 

 

Ami era furibonda. Non si era mai permessa di scagliarsi contro il padre, ma quello che aveva saputo quella sera le aveva fatto saltare i nervi, ed ora chiusa nella stanza dei genitori con la sorella a fare da “pacere”, stava dando sfogo a tutta la frustrazione che la sua famiglia era stata in grado di regalarle.

Era quasi notte fonda ed ancora stavano discutendo. La giornata della specializzanda era trascorsa tranquillamente, senza troppi scossoni. Università, pranzo in sede, correzione di parte della tesi con il suo relatore, ritorno alla pensione in tempo per aiutare la madre in cucina, ed infine cena; importantissima, perché in realtà era una mini festa di compleanno per Michiru. Quattro chiacchiere e poi il ritiro dei genitori e di Khloe, i quali ritmi di sonno per mantenere un'elevata efficienza lavorativa, dovevano obbligatoriamente rispettare una tabella ferrea. Così lei e la straniera ne avevano approfittato per parlare un po' e qui il medico aveva saputo cosa il padre aveva fatto la mattina presto. Michiru era in estasi, era riuscita a produrre tre note, sporche, fragili e poco convinte, ma pur sempre tre fantastiche ed impensabili note. Anche se parecchio spaventata dalla novità, non aveva certo nascosto ad Ami di provare una felicità ed un entusiasmo che poche altre volte aveva avuto.

L'amica aveva ascoltato senza apparenti emozioni, sondando il terreno emotivo dell'altra e notando un eccessivo, quanto naturale sbilanciamento sentimentale. Parafrasando l'immagine di una bilancia in precario equilibrio, improvvisamente caricata da un surplus di peso su uno dei suoi piatti, cercò di frenare in tutti i modi l'entusiasmo di Kaiou, preoccupata dalla possibile rottura dell'asta. Non vi era riuscita, anzi, Michiru sembrava essersi galvanizzata e come se fosse stata drogata da quel trittico di note, aveva iniziato a fare discorsi pericolosi del tipo; ormai la guarigione è vicina. Posso tornare a casa.

Niente di più falso! Niente di più dannoso!

E adesso che la donna più grande era andata a dormire spinta da chissà quali pensieri, Ami era una furia.

“Non capisco proprio perché avrei dovuto chiederti il permesso, Ami. E' solo un regalo.” Alexios era stanco e la boria della figlia lo stava innervosendo. Era in giro dalla mattina e voleva solo coricarsi.

“Il violino della zia! Le hai regalato il violino della zia!”

“E allora?! Tu non lo hai mai voluto. Che cos'è questa, una scenata di gelosia?!” Disse Agapi sedendosi sul bordo del letto. Era raro vedere la figlia minore in quello stato.

“Non dire assurdità mamma! Cosa vuoi che me ne importi! Perché non capisci?! Il violino è stato modificato perché Michiru torni a suonare.”

“Non hai cercato di farla suonare anche tu proprio qualche giorno fa?” Intervenne Khloe che sinceramente se ne fregava di quello che pensava la sorella.

Era stato meraviglioso rivedere negli occhi di Kaiou l'energia gioiosa che aveva da adolescente.

“Certo, perché non sapevo che non potesse più farlo. Cosa che nessuno in famiglia si è mai preso la briga di dirmi! Credete sia talmente delicata da spezzarmi come un grissino ad ogni brutta notizia o la vostra è solo saccenza? No ditemi... Lo vorrei sapere!”

“Cosa c'entra questo adesso?”

“C'entra mamma, c'entra eccome, perché se avessi saputo del suo problema alla mano e della vera causa che le ha interrotto la carriera..., primo, avrei evitato di passare per la deficiente della famiglia Mizuno e secondo, cosa che francamente mi interessa di più, dal punto di vista psicologico avrei agito in maniera del tutto diversa.”

Alexios sembrò rifletterci sopra. “Vuoi dire che facendole dono del violino di tua zia le ho causato danno?”

“Si.”

“No, aspetta un momento, ma l'hai vista?! Ha gli occhi che le brillano.” Disse Khloe a protezione del padre.

“Ma piantala anche tu! Non fai altro che girarle intorno, quando Michiru ha solo bisogno di essere lasciata in pace. Ma tu niente! Non lo capisci! Guarda Khloe, te lo dico di fronte a testimoni, lasciala stare!”

“Ami adesso basta. Porta rispetto a tua sorella.”

“Mamma faresti meglio a non intrometterti. - Ringhiò Ami alzando l'indice contro la donna. - Invece di fermare gli ormoni di tua figlia sembra che tu stia avvallando la cosa. Michiru ama la sua compagna e quello che le unisce è forse la cosa che tiene legato tutto l'impalcato di quello che resta della sua serenità interiore. Spezzando questo legame sarebbe la stessa Michiru ad essere spezzata.”

“Se veramente questo legame è tanto forte che paura hai Ami? Che danno mai potrei fare.” Chiese la sorella sorridendo beffarda. Quel discorso la stava ferendo.

“Non ho certo paura che ombre del passato rovinino un'unione che, ribadisco, è più che solida Khloe, ma ora Kaiou è fragile e le sue reazioni sentimentali potrebbero essere distorte.... Ti ripeto di starle alla larga. Se veramente ti è mai importato qualcosa di lei, ritirati.”

L'altra scattò in avanti con aria di sfida. Gli occhi neri carichi di collera. “Come ti permetti ragazzina...”

“Basta voi due!” Agapi inserì la sua notevole massa corporea tra le due.

“Ascolta Ami. - Alexios rimasto leggermente in disparte, alzò sulla figlia due occhi dolenti. - Spiegami come poso averle fatto del male.”

Il medico sembrò calmarsi di colpo. Non avrebbe voluto urlare. “Vedi papà, nel sentirsi nuovamente sicura di poter riavere il controllo su una cosa per lei importantissima come la musica, Michiru potrebbe pensare erroneamente di non aver più bisogno di aiuto e questo sarebbe un errore catastrofico per la sua psiche. Facciamo un esempio; sarebbe come se ora avesse la pelle esposta e vulnerabile dopo una brutta scottatura, ma non volesse coprirla con le bende, perché sicura di guarire solo con i raggi del sole. Cosa credi potrebbe accaderle?”

“Potrebbe contrarre un'infezione.” Terminò Agapi fissando a turno i due.

“Già. E sarebbe la fine.” Concluse Ami.

Alexios prese a sfregarsi la fronte mortificato. “ Ti assicuro cara che le mie intenzioni erano altre. Credevo di farle piacere.”

Accovacciandosi davanti al padre Ami gli offrì un sorriso riappacificatore. “Non lo metto in dubbio e credo che sia stato uno dei regali più belli della sua vita. Stai tranquillo. Se sarà necessario vedrò di porre rimedio. Ma vi prego, da ora in avanti cercate di non interferire.”

 

 

Il giorno dopo, di buon mattino, Ami Mizuno decise d'iniziare a giocare pesante. Costretta per forza di cose ad accelerare per non perdere il terreno fin li faticosamente conquistato, doveva provare a capire in fretta il perché della nascita e dello sviluppo nel tempo degli incubi di Michiru. Tutto ruotava attorno alla figura di Viktor Kaiou e questo era evidente, ma il suo suicidio ed il pessimo rapporto con la madre non potevano aver causato in Michiru danni permanenti tanto gravi. Doveva esserci qualcos'altro. In più, qual'era stata la causa scatenante a trasformare offuscati e sporadici sogni, in veri e propri incubi, frutto di rimembranze di spaccati di vita quotidiana? Perché poi quella benedetta donna si ostinava a non voler prendere mai, per nessun motivo, farmaci che avrebbero potuto alleviarle l'insonnia e la violenza del sonno?

Ami bussò alla porta della camera della straniera e non trovandola si diresse verso la spiaggia continuando a riflettere. Cosa aveva nelle mani? Dov'era giunta fino a quel momento? Poteva riuscire a collegare fra loro le informazioni che aveva sul passato dell'amica? Per prima cosa la malattia del signor kaiou, assolutamente imprevedibile e non gestibile, che aveva costretto un'adolescente a crescere di colpo. Il carattere schivo di Michiru l'aveva spinta ad isolarsi ancora di più, sia con i compagni di scuola, sia con la madre, spesso assente. Il crollo del piedistallo sul quale una figlia adorante aveva posto il padre, aveva iniziato a minare le certezze della vita di una giovane donna e l'essere costretta a mentire al genitore, le aveva fatto nascere nel cuore il senso di colpa. L'unico punto fermo rimasto a quella sedicenne, era stata la musica, la felicità nel darle vita, la consapevolezza di non essere mai sola, la certezza di una carriera e del rispetto ad essa correlato, la mancanza di paure nei riguardi del futuro. Una volta venuta a mancare quella, il cedimento prima o poi sarebbe stato inevitabile.

Per assurdo la figura positiva che in quel periodo aveva aiutato Michiru era stata la sorella maggiore. L'amore di Khloe l'aveva sorretta, almeno fino a quando questo era stato libero di manifestarsi. Il trasferimento dei Kaiou in Giappone aveva strappato a Michiru anche quell'ultima sicurezza.

Dai Mizuno. Fatti coraggio e procedi per gradi. Pensò intravedendola scarabocchiare sul suo album all'interno degli ambienti delle piscine coperte.

“Sei prevedibile Kaiou.” Entrando si accorse di quanto fosse umido quel posto rispetto al tepore primaverile che si respirava all'aperto. “Perché non sei fuori a goderti il sole?”

“Dimmelo tu. Non sono prevedibile?” E scoppiarono a ridere entrambe.

Michiru era di ottimo umore, tutta un'altra persona rispetto alla donna di qualche giorno prima.

“Credo sia per un puro fatto artistico. Per la prospettiva forse?” Ipotizzò Ami avvicinandosi e nel vederla arrivare l'altra richiuse velocemente il blocco facendo girare i fogli attorno all'asse dell'aspirale.

“Non sbirciare. Non sono neanche a metà.” Disse facendo un finto broncio ammettendo poi che quel giorno la luce le stava dando fastidio agli occhi.

La specializzanda non si sorprese. Il mal di testa che l'aveva colpita un paio di giorni prima, l'aveva indotta a prescriverle un leggero analgesico che però poteva indurre ad occhi delicati come i suoi una temporanea ipersensibilità alla luce. La straniera aveva accettato la pariglia senza batter ciglio.

“Curioso... - Continuò Ami. - Ti opponi con tutta te stessa ai tranquillanti e non agli analgesici.”

Michiru captò il sarcasmo, ma non cadde nella trappola. Sentiva la vena artistica tornarle lentamente nella mano e non voleva perder tempo con “giochetti mentali”.

“Se vuoi chiedermi qualcosa... Chiedi. E' così che funziona. Tu fai le domande e io, se posso, rispondo.”

Invece era caduta nella trappola, solo che non se n'era accorta. Ami stava cercando di capire se colpire subito duro o aspettare ancora qualche giorno. “Stavo solo facendo una costatazione. Mi sembra chiaro che tra un medicinale che azzera i sensi ed uno che blocca il dolore, la differenza sia lampante per tutti.”

“Bene.” Tornò a fissare la parete bianca.

No, Kaiou non era ancora pronta.

“Come vanno i sogni?” Continuò lasciando l'altra in contropiede. Il medico sembrava non seguire un filo logico quando le poneva domande.

“E' una conversazione tra amiche o tra... medico e paziente?”

“Non credo che in questo frangente dovrebbero esserci differenze, ma se serve a non farti trincerare dietro la tua barriera difensiva, diciamo la prima.”

Michiru cercò di non far trasparire il suo disappunto, ma non vi riuscì.

Ami sorrise. Quella donna era come un pesce schiacciato sul fondo dell'oceano, che per suo stesso volere si rifiutava di salire verso acque più luminose e calde. Per anni si era esercitata nel tenere i suoi sentimenti chiusi a macerare nel proprio perbenismo, ma era arrivato il momento che per non morire soffocata, si decidesse a palesare il proprio io al mondo.

“Ti da fastidio che ti faccia sempre domande, lo so, ma è il mio compito, anzi, il compito che tu mi hai chiesto di svolgere.”

“Lo capisco. Scusa."

“Non chiedermi scusa. Va benissimo così. Se ti da fastidio, esternalo. Dimmelo. Opponiti. Cerca di non tenere mai dentro le emozioni che provi.”

“Lo faccio da tutta la vita Ami. Non mi è facile fare diversamente.”

“Così stai soffrendo. Anche per questo la tua mente sta dando libero sfogo alla frustrazione che prova con gli incubi. Allora, come va il sonno?”

“Meglio, ma continuo a sognare cose... non molto piacevoli. Solo che nel farlo, ora ho la consapevolezza che non sia la realtà e sono tornata ad avere il pieno controllo. Con un po’ di fatica riesco a svegliarmi quando voglio.”

Una notevole notizia. “Sono fotogrammi ricorrenti o sempre diversi?” Ami iniziò a muoversi verso l'uscita e Michiru la seguì.

“E' come se il mio sonno stesse tornando alla condizione di qualche mese fa. Almeno per quanto riguarda gli incubi.” Le immagini erano tornate ad essere confuse.

“Trovi un filo conduttore in cio' che sogni?” Chiese Ami e ad un diniego sembrò perdersi per qualche secondo resettando l'intero programma. Lo sapevo! Sta ricevendo troppe stimolazioni esterne. Pensò iniziando a percorrere il viottolo che portava ad una piccola zona alberata, dove la luce del sole veniva filtrata da grandi pini marittimi e qualche tronco abbattuto garantiva sedute bucoliche che permettevano di godersi in tutta tranquillità la visione del mare.

Una volta arrivate, Michiru si sedette solcando la fronte con una vistosa ruga. “Perché ho come l'impressione che non proceda come vorresti?”

“Di solito non si mette un paziente a conoscenza delle conclusioni che il suo terapista riesce a redigere, ma stiamo affrontando questa situazione con grandi margini di movimento. La strada che devi percorrere è ancora lunga, Michi. - Ne approfittò per sottolineare il fatto che avesse ancora bisogno di aiuto. - Lo scopo che mi sono prefissa è quello di abbattere le tue difese inconsce per riuscire a far riemergere, rimuovendole, quelle parti di subconscio che ti stanno bloccando. Nel farlo in genere sono proprio i sogni i primi a scomparire.”

“Anche quelli normali.”

“Si.”

Michiru abbassò la testa, mentre l'altra le consigliava comunque di non abbattersi. Il processo di guarigione era lento, ma la donna più grande non voleva proprio accettarlo.

“Posso chiederti se rivordi cos'hai sognato questa notte?”

“Mio padre. Tanto tempo fa, quando era ancora in salute. Ma al risveglio ho perso gran parte del sogno, perciò non saprei dirti cosa facesse, ma sicuramente cose piacevoli." Ammise sorridendo.

“Capisco.”

“Così ci metteremo una vita. Voglio..., devo tornare a casa.” Si lasciò scappare.

Ami raccolse e ne approfittò per scavare ancora. “Haruka?” Chiese e l'altra mosse impercettibilmente la testa dando poi voce a quel movimento.

“Ieri ho ricevuto da parte sua un bellissimo mazzo di orchidee. Ero felicissima. Mi sarei aspettata di sentirla, ma... Devo tornare. Haruka non ce la fa più. Io non ce la faccio più.”

Il medico continuò cercando di riallacciare il filo delle informazioni a sua disposizione sulla compagna di lei. “Mi hai detto che avete già affrontato una situazione di lontananza simile a questa. Perché ora dovrebbe essere diverso?”

“Per tante ragioni. Prima di tutto io sono fuggita, mentre Haruka no.” E lentamente Michiru raccontò ad Ami tutto; la leucemia, Zurigo, la separazione forzata, il suo lavoro a Roma, il trapianto, i giorni d'angoscia e quelli della speranza e pian piano nella mente dell'altra, il mosaico si componeva rendendo tutto molto più chiaro.

Diciamo che mi sto prendendo una pausa per... riposare un po'. Sono appena uscita da un periodo abbastanza stressante.” Ricordò Ami.

Ecco cos'era stata la causa scatenante di tutto! Uno stress prolungato nel tempo, una persona amata sofferente e lei con il peso delle responsabilità, l'incapacità di uno sfogo e la solitudine della lotta, com’era accaduto con Viktor. Quella donna ne aveva passate talmente tante che era un miracolo constatare ancora saldezza nella sua mente.

“Ma avete dovuto affrontare tutto da sole?” Domandò cercando di rimanere il più asettica possibile. Non ci stava riuscendo e forse, solo con la pratica, Ami Mizuno avrebbe un giorno esercitato quella delicata pratica medica senza lasciarsi coinvolgere.

“Si. Haruka non ha, per così dire, una famiglia ed io...”

“La signora Flora?”

Questa volta Michiru rise e lo fece quasi con isteria. “Non si è degnata neanche di conoscerla la mia Ruka. Figuriamoci di aiutarmi ad aiutarla. Lasciamo perdere. Per fortuna quella disgraziata situazione ci ha reso una sorpresa. “ E fu il momento di parlarle di Giovanna.

“Se non ci fosse stata lei, Haruka si sarebbe spenta ed io sarei impazzita dal dolore. In più per me si è rivelata un'amica tanto preziosa, quanto unica.”

“Dimmi Michiru, con questa donna riesci a manifestare i tuoi sentimenti?”

L'altra ci pensò e poi muovendo la mano destra fece il gesto del “così così.”

“Ammetto di essermi aggrappata a lei spesso e volentieri a Zurigo. Sono anche riuscita a confessarle il suicidio di mio padre e l’ho fatto con estrema naturalezza, ma la lontananza non ci facilita il compito della conoscenza. Sento comunque la necessità di chiamarla e di parlare con lei, cosa che con altri amici non ho. Credo che sia la persona più simile ad una sorella che abbia.”

“Sa cosa stai cercando di fare qui?”

La straniera si passò allora una mano fra i capelli ammettendo che sarebbe stato difficile tenerglielo nascosto visto che attualmente si trovava assieme ad Haruka. “Se non fossi stata costretta dalle circostanze, non so se glielo avrei detto... Provo pudore nel fare quello che sto facendo. Provo... vergogna Ami. - Un'ammissione che le stava costando sforzo. - Non so se per chiunque si sottoponga a sedute di psicanalisi i sentimenti siano gli stessi, ma per quanto mi riguarda è quello che provo. In più, visto mio padre...” Lasciò cadere la frase. Era ovvio che si era spesso chiesta se la malattia nervosa di Viktor potesse essere ereditaria.

Posandole una mano sulla spalla, la specializzanda affermò convinta di stare tranquilla. “La reticenza nell'ammettere di essere in cura da uno psicologo colpisce più o meno tutti e nel tuo caso è ancor più giustificata. Comunque posso dirti con assoluta certezza che la tua mente è perfettamente sana Michiru.”

Si alzò sorridendole. “A parte tutto, il fatto che tu stia istaurando con questa Giovanna un rapporto tanto famigliare è un fatto estremamente positivo, anche se nato da un episodio della tua vita che non ha fatto che alimentare il tuo disagio interiore. Per quanto riguarda tua madre, beh, ti consiglierei di provare a riallacciare i contatti, ma so che questo comporterebbe l'azzeramento di tutto il rancore che ora propri per lei. Perciò per adesso, cerchiamo di concentrarci sul fatto che ha sbagliato, per tante ragioni, soprattutto per fragilità.”

“Una fragilità più marcata di quella di sua figlia?” Chiese disgustata alzandosi anche lei.

“Assolutamente. Kaiou tu sei molto più forte di quanto non si pensi. Ora però mi andrebbe un buon gelato. Ti va di fare una scappata in centro per gustarci un bombardamento ipercalorico?” Chiese con semplicità. Ami riusciva a capire quando era ora di fermarsi. Le sue sedute non avevano mai un lasso di tempo predisposto, iniziavano e finivano così, cercando di non far mai provare particolare pesantezza nella sua interlocutrice.

Michiru la guardò iniziare a ripercorrere la strada delle piscine. “Ma dovremmo andarci con il tuo scooter?” Chiese sollevata che quel supplizio fosse terminato e ad un assenso chinò la testa sperando che quel trabiccolo non le mollasse al centro di una delle tante carreggiate della città ateniese.

 

 

Una partita pazzesca! Epica. Il Barcellona aveva compiuto l'impresa entrando di diritto nella leggenda del calcio mondiale. Haruka e Giovanna erano euforiche, gasatissime, satolle dopo un paio di kebab ed accaldate dopo il trangugiamento di una chiara a testa. Senza alcun ritegno. Senza alcun controllo. Senza Kaiou a vegliare sul porcaio che quel divano era diventato con il passare dei minuti.

Questa volta la colpa era stata di Haruka, ma Giovanna l'aveva fomentata alla grandissima. Erano uscite dalla piscina verso le diciannove, sempre in religioso silenzio, sempre con la bionda nervosissima, anche se stanca morta e sempre con la sorella incavolata marcia anche dopo una sobria lezione di nuoto. Lungo la strada per le colline, accusando una fame atavica e visto che c'era la Champions League da gustarsi, la prima aveva “gettato sul tavolo” l'idea di una pizza d'asporto ed una birra. Fermandosi ad un semaforo, l'altra aveva finalmente sciolto la lingua dichiarando che un kebab con tutto dentro, cipolle incluse, sarebbe stata una zozzata ancor più goduriosa.

“Se la devi fare sporca, la devi fare sporca fino in fondo Tenou.”

“Ma Michiru non dovrà mai venirlo a sapere... Intesi Giò?”

“Ovvio compagna di merende. Dimmi la strada.“ E dirigendosi verso il centro città avevano compiuto il delitto perfetto, aggiungendo ai panini anche qualche polpetta speziata di dubbia provenienza, tanto Haruka quella sera non avrebbe dovuto baciare nessuno e quel nessuno non sarebbe mai venuta a conoscenza di nulla.

Sempre in silenzio avevano fatto ritorno a casa cambiandosi e mettendosi in tuta, accendendo il caminetto, apparecchiandosi davanti al pre gara, per poi iniziare a mangiucchiare in sincrono al calcio d'inizio. A metà panino era iniziato ad essere chiaro che quel divano di pelle bianca non sarebbe mai più stato lo stesso e a fine birra, il trogolo aveva avuto il suo pieno compimento nella più totale lordura. Francamente se Michiru avesse potuto assistere ad un tale mascolino scempio, non avrebbe avuto remore nel buttarle fuori casa entrambe. Ma si sa; quando il gatto non c'è...

Ora, dopo la gara, le interviste e gli highlights, complice lo stomaco pieno, la soddisfazione che Haruka stava provando per la zozzata consapevolmente fatta ai danni della compagna e l'alcool a fermentare nei sensi di entrambe, gli animi in casa Kaiou-Tenou erano notevolmente più rilassati.

“Non posso crederci. Che remontada! Ma perché non tifo una squadra come questa invece che quei quattro brocchi.” Disse Giovanna piazzata a gambe incrociate sulla seduta.

“Cambia squadra.”

“Cambia donna.” Come a voler dire impossibile.

La bionda sorrise continuando a guardare lo schermo. “Quasi, quasi.”

Ma l'altra lascio' che la diatriba scherzosa cadesse, perché sul piano Kaiou era già rimasta scottata la mattina. Così tornarono a guardare lo speciale post gara, con Giovanna a sfottere il PSG perdente ed Haruka a darle appoggio.

Tutto fino a tarda sera, quando improvvisamente la bionda si fece seria iniziando a pensare e a … ricordare. Quanto a Mattias sarebbe piaciuta quella partita. Avrebbe fatto salti a destra e a manca, esponendo fieramente la sua maglietta con il numero dieci, tritandola forse anche per giorni, sull'enorme fortuna di aver potuto assistere ad un evento simile.

Fortuna. Haruka si premette un dito contro le labbra fino a sentire i denti. Fortuna. Si ripeté avvertendo la mascella tremarle lievemente.

“Meglio iniziare a dare una pulita. Credo che dei pezzi di montone mi siano sfuggiti e se non vogliamo che inizino a belare proprio quando Michiru tornerà, sarà meglio trovarli.” Disse Giovanna alzandosi per andare in cucina.

Haruka le serrò il polso sinistro bloccandola. "Giò aspetta.”

Una voce tanto vibrata che l'altra lasciò morire la buffa espressione che aveva messo su. “Che c'è?”

Sospirando la grande Tenou chiese scusa alla piccola Aulis. Scusa di averla incatenata a Bellinzona per giorni. Scusa di essere diventata un pungiball per i suoi nervi scossi. Scusa di non essere capace di manifestarle la gratitudine che sentiva per il suo supporto. E la scusa che a Giovanna colpì più di tutte; ovvero di non essere una sorella decente.

“Ruka, ma che ti prende...”

La bionda scansò lo sguardo puntandolo alle fiamme nel camino. “Ho visto le prime partite del girone eliminatorio con un mio amico, a Zurigo. Era tifosissimo del Barcellona e sistematicamente le guardavamo insieme. Ero convinta che sarebbero state le ultime della mia vita. Ero convinta che non avrei vissuto altri tre mesi. Lui non c'è più, mentre io sono ancora qui e se posso guardare una partita di calcio, o provare ad imparare a nuotare o guidare la mia moto o lavorare, lo devo solo a te Giovanna.” Tornò a fissarla mentre l'altra ingoiava a vuoto.

“Non credo di avertelo mai detto davvero, ma... grazie. Grazie per avermi salvato la vita.”

Imbarazzatissima Giovanna iniziò a guardare per aria.

“Oddio Ruka. Non ti ho mica donato un rene.”

“Solo questa sera ho notato la cicatrice che hai sulla gamba destra. E' quella del prelievo, vero?”

“Sss... si, ma è solo colpa mia e della mia sconsiderata fuga. Non mi sarebbe rimasto alcun segno se avessi fatto come mi era stato imposto. Non fare quella faccia, dai.”

“Ti fa male?” Strinse ancora di più e Giovanna dovette inginocchiarsi.

“Haruka..."

“Ti fa male..." Rispose alla sua stessa domanda con quella che era ormai pura constatazione, perchè la bionda aveva notato già da qualche giorno che a volte la sera, soprattutto se stanca, la sorella involontariamente prendeva a massaggiarsi la coscia.

“Ma perché adesso cacci fuori questa storia?”

“Perché sono una stupida zucca vuota.” Disse abbracciandola con una tale dolcezza da lasciarla senza fiato.

E si, voler bene ad Haruka era, in un certo senso, facile.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qui. Non potevo lasciare Michiru senza il suo strumento, proprio non potevo. Sarà dura. Si arrabbierà, farà fatica, si scoraggerà e riprenderà, ma ce la farà, ne sono sicura.

Ami sta tirando fuori una grinta ed una valenza professionale che promettono una carriera brillante.

Haruka mi sta perdendo la bussola e sta tornando la guascona zotica che era prima che la sua dea iniziasse a darle una raddrizzata. E non mi riferisco alle porcate trangugiate a cena con quell'altra “salutista”. Saltella dalla grandezza della sua professione, alla fragilità della sua attuale condizione di cucciolo abbandonato.

Giovanna, come dicono alcune di voi, Santa Subito. In verità dev'essere al contempo meraviglioso e terrificante avere una sorella minore come Haruka, ma è un tipo testardo e credo che prima o poi arriverà a farsi apprezzare.

Mattias... Indimenticabile grillo parlante.

A prestissimo.

 

 

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Capitolo 9
*** Il trillo del diavolo ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il trillo del diavolo

 

 

Michiru sorrise guardando l'archetto. Ohi ohi Kaiou, sei proprio nei guai., si disse tornando a respirare correttamente.

Passati tre giorni da quando aveva fatto suonare il violino di Alexios per la prima volta. era ormai chiaro che riprendere a fare musica non sarebbe stata cosa facile, anzi. Le mani di un'adulta, con articolazioni per nulla esercitate, non avrebbero mai promesso risultati neanche lontanamente comparabili a quello che la perfezionista Michiru definiva decenza. Per non parlare della respirazione, completamente errata, priva di armonica assonanza con lo strumento. Solo l'intuito, nonostante tutto, era rimasto quello di un talento e sembrava l'unico a poterle dare il coraggio di continuare quella follia. Non aveva infatti trovato alcun problema nel far lavorare la mano destra come se fosse stata la sinistra. Ma per il resto. Era indiscutibilmente nei guai. Guai grossi. Si, perché aveva capito che riprendere non sarebbe giovato solo a lei, ma anche al suo rapporto con Haruka e con il mondo intero.

Rintanata sul fondo della vasca che ormai era diventato il suo rifugio artistico, sia pittorico che musicale, Michiru provò nuovamente la scala, non riuscendo però a tenere correttamente le ultime due note. Stringendo la mascella staccò immediatamente il crine dalle corde allontanando il violino dal mento. Come gran parte dei musicisti infatti, era sempre stata convinta che lo strumento “avvertisse” le influenze negative di colui o colei che lo stava suonando e Michiru, in quel preciso istante di negatività ne stava emanando parecchia.

“Non è colpa tua.” Sussurrò al legno sospirando al ricordo del sogno che aveva fatto la notte precedente.

“Se soltanto avessi potuto impugnarti allora...”

Quella serie di vivissime immagini che al risveglio l'avevano spinta a scendere nuovamente nel cavedio della vasca per esercitarsi, riemersero e chiudendo gli occhi riuscì a ricordare persino la musica che in quel sogno stava eseguendo. Giuseppe Tartini, sonata per violino in sol minore, un brano che ad orecchio inesperto sarebbe potuto apparire come una serie di virtuosismi di trascendentale freschezza come molti altri dello stesso periodo, ma che in realtà racchiudeva nelle sue note una difficoltà senza pari. E lei in quel sogno lo stava eseguendo davanti ad un pubblico ben ferrato in materia e pronto ad ogni genere di lodi o di critiche.

Non era un sogno sognato, ma come spesso le stava accadendo, un ricordo vero e proprio, perché una Michiru quindicenne, ormai veterana della classica, era riuscita realmente ad eseguire il così detto trillo del diavolo e lo aveva fatto con maestria e fatica, impegno, concentrazione e sudore. In quell'occasione aveva toccato il vertice della sua preparazione artistica. La madre, il padre, i conoscenti, i critici, incluso il suo insegnante, non erano stati avari di complimenti dopo quella prova e finalmente anche Flora Kaiou era stata veramente orgogliosa di lei.

Amore mio – le aveva detto – io stessa non avrei saputo fare di meglio. Sei stata superba.” E a quelle parole era seguito un abbraccio spontaneo che aveva riempito il cuore della figlia più degli scroscianti applausi che erano fioccati per minuti all'interno della piccola sala da concerti.

“Credo proprio che quello sia stato uno dei pochi complimenti che mia madre mi abbia mai fatto.” Rivelò allo strumento parlandogli come ad un amico.

Anche quella di parlare di se ad un violino che per lei era sempre stato un simbolo, poteva dirsi una terapia curativa.

“Accidenti se ero brava. Altro che cercare di eseguire una scala musicale con la mano destra.” E risuonò nella vasca una leggera risata triste.

“Beh Michi, cosa ti aspettavi? Vorresti forse stipulare un patto con l'inquilino dei piani bassi come diceva di aver fatto il Maestro Tartini? Allora si che torneresti ad essere quella di una volta.” Una nuova risata, questa volta divertita, all'indirizzo di quell'infantile quanto blasfemo capriccio.

Michiru guardò il muro bianco che avrebbe dovuto accogliere il murales al quale stava ancora lavorando. Anche quello andava a rilento, ma almeno l'arte grafica contenuta nella destra stava tornando. Almeno da quel punto di vista poteva consolarsi.

“Mi sento sola.” Dichiarò stentorea spostando le iridi cobalto nuovamente sul violino.

“Voglio sentirla.” Decise fregandosene dell'ora.

Inginocchiandosi ripose amorevolmente lo strumento nella custodia ed uscendo dal cavedio si diresse all'esterno estraendo il cellulare dalla tasca della gonna.

 

 

Henry Smaitter guardò la luce rossa del telefono a muro dell'officina lampeggiare e scocciatissimo andò a rispondere pensando subito a qualche rogna saltata fuori dagli uffici. Zigzagando tra i macchinari raggiunse l'apparecchio puntando fieramente lo sguardo ai tecnici alacremente impegnati nel lavoro mattutino. Alzando la cornetta rispose brutalmente con un che c'è, aspettandosi il solito “passa carte”. Invece dovette ricredersi e non appena riconosciuta la voce della sua interlocutrice, addolcì di colpo il timbro e la postura militaresca che lo contraddistingueva in ogni occasione.

“Michiru? O benedetta figliola, da quanto tempo. Tutto bene?”

“Buongiorno Capo Smaitter. Si, tutto bene e lei? - E ad un'affermazione positiva continuò chiedendo di Haruka. - Mi perdoni se disturbo, ma il nostro puledro di fanteria è li con lei per caso?”

Lo sentì ridere capendo di aver fatto centro. Aveva provato a chiamarla in ufficio, ma non avendola trovata aveva puntato decisa sul secondo luogo dove la sua compagna poteva trovarsi a metà mattina di un giorno lavorativo.

“E dove vuoi che sia quella zuccona. Ora te la passo. Spero di vederti presto per un caffè.” Affermò spontaneamente non immaginandosi certo che la donna non si trovasse a Bellinzona.

“Non mancherò. Arrivederci.” Ed attese mentre sentiva dalla parte opposta la voce dell'uomo urlare il nome di Tenou.

“Cosa?!” Haruka si tolse le cuffie antirumore gridando a sua volta per sovrastare il gracchiare di un tornio elettronico mentre lui, sbracciandosi per attirare la sua attenzione, le mostrava la cornetta facendole cenno di raggiungerlo.

O che palle. Cos'altro vogliono dall'amministrazione?! Si disse avendo già ricevuto un paio di solleciti mattutini per questioni burocratiche legate alla sua bella multa non ancora saldata.

Guarda un po' se devo cacciare fuori mille franchi per avere appiccicato Patrik al muro. E se gli avessi dato un pugno in bocca cosa mi avrebbero fatto? Sfilandosi i guanti in lattice e slacciandosi il colletto rosso della tuta da lavoro, continuò a lunghe falcate fino ad afferrare la cornetta dalle mani dell'uomo.

“Non fare quella faccia. E' la tua donna.” Avvertì l'uomo lasciandole la cornetta per tornare al lavoro.

Guardandola accigliata la bionda se la portò all'orecchio attendendo qualche secondo.

“... Ruka?”

Nonostante fosse passato il suo compleanno, era dalla sera della festa del Porto Grande che non si sentivano. Qualche messaggino, ma nulla più. Il giorno prima Haruka l'aveva avvertita con un paio di righe di essere tornata in possesso del suo Iphone e che da quel momento in poi, complice il fatto che Giovanna era ripartita per Roma per un lavoretto, sarebbe stata nuovamente raggiungibile. Ma Kaiou non aveva chiamato. Ora perché la disturbava al lavoro sapendo quanto questo la facesse uscire fuori dai gangheri?

“Michi, tutto bene?” Le concesse sentendosi irritata.

“Si, tutto bene. Volevo solo sentirti. Lo so che non dovrei farlo quando sei in officina, ma...”

“Ma?” L'interruppe provando un brivido lungo la schiena. Era forse accaduto qualcosa tra lei e quell'altra?

“Mi mancavi.”

“Ti mancavo...” Ripeté appoggiando la schiena al muro cercando di non essere troppo sarcastica. Ecco montare nuovamente il mostro dagli occhi verdi.

Era anche troppo ovvio che quelle battute nascondessero un disagio nella bionda e Michiru dovette far uso di tutto il suo diplomatico sangue freddo per continuare quella conversazione. “Ho ricevuto il tuo regalo. Grazie, sono splendide.”

“Di nulla. Come stai?”

La compagna guardò prima il mare ora disteso davanti a lei, poi la custodia che stava stringendo nella mano sinistra e sospirando disse un semplice bene per nulla convinto. Come andava? Sapeva davvero rispondere? Sentiva realmente di stare guarendo grazie a quel viaggio?

“Ne sei sicura?”

“No. Non lo so Ruka. In certi momenti mi sembra di aver fatto passi da gigante ed essere pronta a tornare. Altri... mi sento come se non avessi neanche iniziato.” E con quella frase alla bionda fu chiaro che non c'erano novità in vista ed il tempo nel quale la loro vita in comune avrebbe ripreso la normalità era ancora lontano.

Haruka cercò allora di addolcirsi. Non era giusto abbatterla ancora di più di quanto non lo fosse già.

“E' più dura di quel che credevi, vero?”

“...Già.” Ammise mettendosi seduta su uno dei muretti di sostruzione che segnavano il vialetto che portava alla spiaggia.

“Tieni duro, amore.”

Nel sentire la parola amore, Michiru poggiò la custodia a terra mettendosi la mano sul viso cercando di non scoppiare a piangere.

“Voglio tornare a casa, mi manchi da morire.” E le tremò la voce.

La bionda guardò apatica l'ambiente apparentemente caotico dell'officina Ducati. Computer, pezzi di ricambio, ruote, cerchioni; il suo mondo, il pianeta Tenou, la carriera che aveva scelto e che, grazie al cielo era stata chiamata dal destino e dalla fortuna, a vivere. Tutto inutile senza la sua dea. Tutto incolore. Tutto privo di sostanza.

“Michi... non mollare. Non puoi abbandonare tutto ora. Posso solo immaginare quanto sia difficile, ma non arrenderti. Lo so che non ti sto dando un aiuto concreto, semmai sto facendo tutto l'opposto, ma...”

“Non addossarti colpe che non hai Haruka. E' stata mia la scelta di partire e non mi sono neanche presa la briga di metterti a conoscenza di quello che stavo provando, che mi stava succedendo.”

“E' che sono... gelosa. Lo sai che è un mio limite, come sai che sono una persona che non ama rimanere in disparte. Ma in effetti il tuo disagio interiore riguarda la tua vita prima di noi, ed anche se volessi..., non credo che saprei esserti d'aiuto.”

“Sei gelosa di Khloe?”

“... Si - Sospirò - ma non solo perché è la tua ex, ma anche e soprattutto perché può starti accanto. Lei c'era quando tuo padre ha iniziato ad avere le crisi. C'era quando hai dovuto smettere di suonare. Può capirti. Può aiutarti. Scusa, sono un'idiota.”

Un'autocritica che la Tenou di un paio di anni prima avrebbe pensato, ma mai confessato, neanche alla sua donna. La sofferenza, la solitudine, la lotta che aveva dovuto affrontare per sopravvivere, l'avevano maturata e resa molto più empatica di quanto non fosse in precedenza.

Michiru sorrise strofinandosi gli occhi. “Ti ho già detto di stare tranquilla. Il passato è passato e poi non è Khloe che mi sta aiutando, ma Ami. E' lei il mio medico.”

Immettendo rumorosamente aria nei polmoni, il cavallino di fanteria sorrise dando vita all'ennesimo momento catartico di quelle interminabili giornate senza la compagna. “Michiru... Ti amo. - Ammise vergognandosi come sempre. - Come sono diventata banale.” Disse sentendola ridere piano.

“Sei un angelo. Sei il mio angelo.”

“Lascia che il tuo angelo torni al lavoro o il Capo Smaitter le urlerà contro per l'ennesima volta.”

“Ok. Ci sentiamo questa sera?” Chiese speranzosa.

“... Certo. Ciao Michi mia.”

“Ruka... Ti amo.”

 

 

Quando aprì la porta di casa l'accolse un ambiente freddo. Strano, perché quell'appartamento fin dal loro trasloco, aveva sempre emanato calore e senso di famiglia. Accendendo la luce del corridoio poggiò sbuffando la sua borsa da lavoro ai piedi della consolle, iniziando a sbottonarsi il giaccone per sfilarsi poi svogliatamente le scarpe. Era stanca. Era abbattuta. Una vera e propria giornata nata e vissuta sotto il segno carmico della schifezza cosmica. Mille franchi buttati nel gabinetto, la carena che proprio non voleva sentir ragioni di migliorare sfalsando algoritmi ogni tre per due e Stefano che aveva preso a farle capire quanto gli interessasse Giovanna.

Le uniche cose positive erano che aveva e avrebbe sentito Michiru, che finalmente si era disfatta del tutore riprendendo dal parcheggio Ducati la sua Mazda abbandonata dal giorno della caduta, ed il sapere che non avrebbe avuto quella scassa pifferi di Giovanna tra i piedi. Per quella sera niente nuoto, niente bevute di cloro, niente sorelle maggiori appiccicose schiave della sindrome dell'abbandono da “coccolare” e pronte, nascoste nell'ombra, a mollar ceffoni su poveri muscoli indolenziti da esercizi idioti. Che meraviglia! Doccia, maglia pulita, tuta, felpa, telegiornale, cena ed un fichissimo horror. Haruka Tenou voleva proprio gustarsela quella pace.

Così fece ed una volta arrivata davanti ai fornelli, in tutta coscienza iniziò a chiedersi se realmente avesse dovuto continuare a seguire la dieta o iniziare a fregarsene alla grandissima.

“Beh, ormai è nella pattumiera e non...” Ed invece eccola li, sul frigo, trascritta in bella calligrafia e piantata sotto la calamita come una bandiera sul pizzo di un'ottomila.

Rapida la prese staccandola dall'anta. “L'hai ricopiata?! Ma sei fuori?!” Abbaiò come se l'artefice di quell'assurdità fosse ancora al suo fianco.

In ultima battuta un appuntino scritto in piccolo le fece saltare la vena del collo; non fare la cazzona che poi Kurzh ti bastona. Baci, baci, G.

“Baci, baci?! Ma vuoi scherzare?!”

Guardò il foglio con stizza pronta ad aprire la pattumiera, ma poi lo rimise al suo posto stringendo le labbra. Neanche sua madre era mai stata tanto fastidiosa. Solo Michiru faceva di peggio, ma almeno la notte sapeva come farsi “perdonare”.

Grugnendo peggio di un muflone accaldato, Haruka si preparò da mangiare, si concesse una birra e si piazzò davanti al televisore fino alla fine dell'horror in bianco e nero che aveva deciso di guardarsi.

Porca miseria, non è la stessa cosa. Confessò a se stessa mentre scorrevano i titoli di coda. Ma che cavolo mi prende?!

Anche se stanca non aveva sonno e continuare a star ferma come una deficiente davanti allo schermo l'avrebbe intristita. Vista l'ora prese l'Iphone componendo il numero della compagna. Un paio di squilli e la sua voce calda tornò a cullarle lo spirito inquieto. Parlarono per quasi un'ora, di tutto, come non capitava ormai da tanto, troppo tempo e risero anche, fino a quando, sentendosi finalmente pronta al riposo, Michiru non la salutò dolcemente.

“Notte Ruka.”

“Notte Michi. Stai tranquilla, ok?!”

“Si amore. A... Ruka, chiamala se ti senti. Non fare l'orgogliosa come al tuo solito.”

“Ti riferisci a Giovanna?...”

"E a chi se no?!"

"So vivere da sola, sai!?" Rispose quasi stizzita.

"Non è per questo..."

"Mmmmm... A domani..."

"A domani."

E nuovamente la casa tornò ad essere “vuota”. Haruka non aveva mai fatto mistero con nessuno di amare la solitudine, ma ormai, dopo anni di convivenza, non poteva più considerarla un'alleata, bensì un'estranea. Non avendo mai avuto amiche intime fino all'arrivo di Michiru, non si era potuta godere la sensazione di complicità di un così profondo legame, dovendo aspettare anni prima di comprendere cosa significasse per una donna quel tipo di rapporto. La sua dea era diventata non soltanto la sua compagna e la sua amante, ma anche la sua migliore amica e ad Haruka stava benissimo così. Ma in quella sera di pioggerella persistente, dove per qualche scherzo bio climatico o effetto serra casalingo, le prime uova di zanzara avevano deciso di schiudersi andando a saziarsi delle sue braccia, complice il periodo di stress ed il tempo passato insieme, si rese conto infastidita da morire che nelle sue giornate, nel suo spirito e nei suoi pensieri, da qualche tempo aveva preso a sfarfallare anche un'altra figura femminile, entratale silenziosamente sottopelle e della quale sentiva l'assenza.

“Ma dai Tenou! Non è la prima volta che rimani da sola. Cosa ti manca, la compagna di giochi? Andiamo!”

Cercò di spronarsi alzandosi e mettendosi a fare i piatti nonostante la lavapiatti fosse praticamente vuota. Poi toccò alla cucina, pulita e riordinata per bene. Poi sotto le lenzuola per attendere il sonno, poi sopra, poi sotto nuovamente. Poi fuori per andare a prendersi dell'acqua. Poi sotto. Poi...

“O basta!” Abbaio' inferocita al soffitto afferrando il cellulare e componendo il suo numero. Alcuni squilli e rispose.

“Tenou, nostalgia della tua sorellona?”

“Ma vaffan...” Chiusa la telefonata e Iphone nascosto fra le lenzuola.

Cinque secondi e l’apparecchio vibrò. “ Che vuoi!?”

“Che vuoi tu!?”

“Ho sbagliato, non scodinzolare.” Si difese unghie e denti.

“Troppe lettere tra la G e la M. Patetica.”

Giovanna avvertì nuovamente la linea interrompersi. Ghignò richiamando.

Altri tre secondi e la stanza dell'appartamento di Bellinzona s'illuminò a giorno grazie allo schermo. Haruka rispose sentendo l'altra gioviale e velatamente soddisfatta.

“Vogliamo continuare per tutta la notte?” Chiese la maggiore divertita.

“Non prendermi per il culo Aulis. Chiaro?”

“D'accordo... Di grazia... allora, che volevi?”

Presa in contropiede Tenou non seppe che dirle. Iniziò ad annaspare come se fosse stata in vasca, accampando scuse deliranti prive di capo, coda e tutto quello che in genere sta nel mezzo, ed una volta finita quell'assurda arringa difensiva, le venne in mente la lista della dieta e giù improperi sul fatti gli affari tuoi!

“Fammi capire bene, mi stai chiamando a quest'ora indecente solo per rompermi l'anima per aver trascritto una dieta?”

“Perché non ti sembra una motivazione sufficiente?”

“No, proprio per niente.”

Silenzio.

“Ruka?”

“Mmmm...”

O Dio, nuovamente quell'atteggiamento tipicamente maschile del devi capire tu i miei silenzi, perché io proprio non intendo aprire bocca. “Te lo dico subito Ruka, non ho ancora il potere di comprendere i tuoi grugniti. Va tutto bene? Michi?”

“Michi sta.” Rispose mettendosi comoda sul cuscino.

Sta come!?” Chiese Giovanna facendo altrettanto rannicchiandosi nel suo letto.

Scoprendosi sorprendentemente loquace, la bionda iniziò a raccontarle alcuni dettagli della telefonata che aveva avuto con la compagna un'oretta prima, spiegandole come il processo di “guarigione” stesse avendo continue evoluzioni, ma come la stessa Michiru non riuscisse ad inquadrare quella situazione e come il tutto risultasse per le due dannatamente, faticosamente e perversamente lento. In più le parlò di Khloe e nel farlo se ne stupirono entrambe. Erano cose talmente personali. Alla fine di quello stranissimo, improvviso, ma per la bionda, necessario monologo, quest'ultima attese i pensieri dell'altra.

“Ho capito. Devo ammettere che non credevo fosse un problema psicologico di tale portata. Michiru deve stare facendo un grandissimo sforzo per cercare di risolverlo, ma credo che sia normale che si senta confusa e combattuta tra la voglia di tornare da te e la necessità di rimanere ad Atene, a maggior ragione se ha trovato una brava psicologa. Certo anche tu devi sentirti proprio come se fossi immersa in un otre di cacca, Ruka.”

“Già, il più calzante degli eufemismi.”

“Poi quella Khloe. Per come sono fatta io, gelosa come un toro, a vedermi con le mani legate fissa al pensiero che la mia donna viva accanto alla sua prima fiamma, darei di matto. Troppo calma stai.”

Haruka sbuffò grattandosi la testa. Non era quello il punto o non lo era del tutto. “Giò, non mi fotte se Khloe le da noia. Michiru è grande e grossa per tenerla a bada. - Mentì, perché un po' di timore comunque continuava ad averlo. - Il fatto è che sono cementata qui e non posso fare niente per aiutarla. Questa cosa mi fa uscire fuori dai gangheri.”

“Lo immagino. E' orrendo quando la persona che ami è costretta a giocarsi una partita tanto importante senza che tu possa intervenire.”

“Giò...” Sibilò dopo qualche secondo.

“Dimmi.”

“Quando stavo in intensiva anche Michi ha provato la stessa cosa.” Ammise.

L'altra confermò avvertendo nella voce della sorella la nodosità della tristezza. “Si Ruka, lo so. Quando ti sei trovata a lottare tra la vita e la morte ha provato un sentimento simile. Si sentiva impotente. Totalmente ed umanamente impotente. E sola, come credo ti senta tu in questo momento.” Osò.

Ed al ricordo di quella notte di speranza, morte, fughe e lacrime, Giovanna avvertì un brivido ghiacciato risalirle la colonna. Lei stessa si era sentita soffocare dall'angoscia, pur non capendo ancora quali sentimenti provasse per colei che aveva appena scoperto essere sua sorella minore. C'era da star male nell'immaginare la lacerazione emozionale che Michiru aveva vissuto. Bloccata sotto la mannaia di un countdown che avrebbe potuto dividerla per sempre dal suo amore.

“E se fosse stata anche colpa mia?”

“Colpa di cosa Ruka?”

“Si... Vedi... - La bionda aveva cercato in tutti i modi di dimenticarsi di quell'anno maledetto nel quale aveva dovuto per forza di cose delegare alla compagna gran parte delle incombenze domestiche e lavorative, spingendola a parlare con medici e farmacisti, caricandola in maniera eccessiva di pensieri e preoccupazioni. - Quando senti di stare perdendo la battaglia più importante della tua vita, beh, diciamo che le prime persone a risentirne sono quelle che ti sono piu' vicine. Sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo. Ho cercato di fare del mio meglio, ma molte volte, quando provavo dolore, angoscia, o... paura, non sono riuscita a controllare i nervi. Non ho mai sopportato l'impotenza e quella dannata malattia mi faceva sentire menomata. Michiru ha spesso dovuto assorbire le mie sfuriate e più lei cercava di starmi vicina, di sorreggermi e più io tendevo ad allontanarla. Quando me ne rendevo conto cercavo di darmi una controllata, ma a volte... E' stato un periodo brutto Giovanna. Davvero.” Un'ammissione limpida. Un'ammissione di responsabilità che spesso aveva fatto anche con la compagna, trovando immediatamente il conforto del “perdono”.

All'ascolto di quelle parole, il timbro della più grande si fece improvvisamente duro e profondo. “Non darti la croce addosso Haruka. Quello che hai fatto è perfettamente normale, umano e scusabile, ed è una cosa che purtroppo capita quando si vivono sofferenze come la malattia. Non credo però che sia stato questo ad incrementare la vulnerabilità di Michiru. Penso invece che abbia giocato un ruolo importante la mancanza di altre figure famigliari con le quali condividere quell'ansia. Ruka, non è del tutto normale che una donna che stia affrontando quello che ha affrontato lei, si appoggi ad un'altra che le è totalmente estranea come lo ero io.”

La bionda si rigirò nel letto posando la guancia sul cuscino della compagna. Lei aveva fatto lo stesso attaccandosi ad un bambino di dodici anni, considerandolo quasi come il suo migliore amico.

“Credi che se avessimo avuto entrambe una famiglia, Michiru avrebbe vissuto tutta quell'esperienza in maniera meno pesante?” Chiese e Giovanna confermò sicura il suo punto di vista.

“L'avrebbe vissuta più serenamente lei, come l'avresti fatto tu. Avreste avuto una valvola di sfogo e degli appoggi che sono mancati ad entrambe. La famiglia e gli amici sono le ancore della nostra esistenza. E' difficile farcela altrimenti. Ho capito che ad affrontare quella situazione eravate sole non soltanto perché accanto a voi non c'era mai nessuno, ma anche perché dopo il trapianto, Michiru mi ha chiesto espressamente di rimanere ancora un po' a Zurigo, ammettendo di sentirsi più sicura nell'avermi vicino. E ti ripeto che è strano visto che allora ci conoscevamo da neanche un paio di mesi.”

Dopo quella frase tra le due sorelle cadde il silenzio mentre ognuna delle due ripercorreva mentalmente quegli ultimi giorni d'estate, quando Haruka aveva deciso di provare a riprendersi la vita che stava per perdere.

“E ora?” Chiese piano la bionda coprendosi gli occhi con l'avambraccio.

“E ora niente Ruka. Quel periodo è passato, così com'è passato lo stress che avete accumulato. Mi permetto solo di suggerirti di provare a starle accanto senza pretendere da lei cose che ora non sente di riuscire a darti, come la vicinanza di spirito o la presenza fisica. Cerca di essere un po' più come generalmente è lei, ed un po’ meno come generalmente sei tu.”

Sorprendentemente la bionda non si offese a quella mezza critica, anzi arrivo' addirittura a ringraziarla.

“Credevo mi ci avresti mandato....”

“Non sono tanto infantile Giovanna. Tu credi che io non ti ascolti mai, ma non è così.”

L'altra prese la palla al volo come un cucciolo su un prato e volendo stemperare i toni, iniziò a lodarsi per la sua bravura.

“Sono proprio una big sister spacca culi. Ammettilo, ti ho stupita Tenou!”

“Stai scodinzolando un po' troppo Aulis.”

“Credo proprio di si e... mi piace da matti!”

“Contenta tu...”

“Haruka…”

“Eh…”

“Domani però torni in vasca…”

 

 

In breve arrivò la fine di marzo e la primavera ateniese iniziò ad esplodere in tutto il suo scintillante fulgore. Le piante, gli alberi, i prati, tutto sembrava stare prendendosi la libertà di ammantarsi delle più svariate tonalità di verde. Le giornate si stavano allungando e l'aria era sempre più calda, tanto che le escursioni in barca di Khloe con i primi turisti, avevano iniziato a farsi più assidue e prolungate e la sua presenza al Re del mare, meno frequente. Questo aveva portato Michiru a dedicarsi al murales, ai suoi esercizi serali con il violino e ai compiti che Ami continuava a darle giornalmente, senza doversi “guardare troppo le spalle”. Anche il medico aveva allungato le sue sedute con la donna, decidendo coscientemente di spostare di una sessione la discussione della sua tesi di specializzazione, per potersi così concentrare sull'ultimo nodo che la psiche della straniera proprio non voleva sciogliere. Michiru si stava impuntando apparendo più un asino lungo il selciato di una fiera di paese che una donna adulta. Ogni santa volta che si affrontava il discorso farmaci, si chiudeva a riccio e la cosa che inteneriva maggiormente, era che non lo faceva affatto con coscienza, anzi, sembrava più un riflesso condizionato che una cosa voluta. Se così non fosse stato la specializzanda avrebbe mollato la partita già molti giorni prima.

Ogni scusa stava diventando buona per eludere le domande in merito all'ostinazione che aveva nel non volersi servire dei canonici farmaci per dormire, ed Ami doveva ogni volta far forza sulla sua indole riflessiva per evitare di usare con Michiru un grimaldello troppo violento. E si che le sarebbe servito maggior aiuto per dormire, perché comunque, anche se non violenti come prima, di incubi ne aveva, ed il sonno, quello ristoratore, curativo, non la cullava. Ma nulla, su quella strada la cocciuta Kaiou proprio non voleva camminare, preferendo impegnarsi giornalmente in mille cose pur di arrivare a sera esausta e crollare qualche ora per poi ricominciare all'alba, tutto da capo.

Ed Ami aspettava paziente come un pescatore sulla riva del mare. Aspettava che fosse pronta, che arrivasse al limite, al punto di snervamento, di rottura, che fosse lei a sentire la necessità di aprirsi, il che non era assolutamente cosa facile e nonostante la stessa Michiru avesse compreso che quella era l'ultima matassa maligna che le opprimeva la mente e l'impediva di tornare a casa, la voglia di rivedere la sua compagna non era altrettanto forte se paragonata alla paura di ricordare il perché di quell'ostinazione. E più questo tira e molla tra le due proseguiva, più Ami aveva il timore che al momento della verità l'onda d'urto sarebbe stata violenta. Doveva tenersi pronta anche a questo.

Così intanto che Michiru lavorava al murales, aumentando giorno dopo giorno la forbice del così detto periodo di pace prima della tempesta, la specializzanda le gironzolava intorno con fare discreto, pronta al maremoto che prima o poi avrebbe spazzato le coste del Pireo. Così accadde che in un primo pomeriggio assolato di metà settimana, mentre la straniera se ne stava sul suo trabattello con pennelli e tavolozza tra le mani, Ami entrò nel locale delle piscine stringendo un quotidiano tra le mani.

“Michi hai letto le ultime?” Chiese vedendola voltarsi nella sua direzione. Lo sguardo stanco, ma soddisfatto.

Che cos'hai dentro se neanche la pittura riesce a lenirti l'anima pur amandola così tanto? Si disse mentre apriva la pagina degli spettacoli alzandola così che potesse leggerne il titolo. Gli occhi di Michiru corsero sul carattere scritto in grassetto mentre una ruga prendeva a solcarle la fronte.

La grande Flora Kaiou in visita ad Atene per un trittico di concerti nella capitale.” Lesse a voce alta posando poi lentamente tavolozza e pennello sull'acciaio del pianale.

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco… l'ultima frase mi è venuta adesso, di getto, senza permesso. Bene e ora che diamine c'entra la madre di Michiru? Non so cosa rispondervi. Veramente. Sono giorni che penso a come finire questo capitolo e ora, alle 19 di una sera come tante, mi entra nella testa questa donna, che poi non farà altro che allungare la storia ed incasinarmi i “piani” che a grandi linee volevo seguire per concluderla. Non è colpa mia. Parola.... Che poi, povera, l'ho dipinta come un'arpia bastarda, madre scellerata, dittatrice occulta, regina di tutti i mali. D'accordo, non si è comportata tanto da madre amorevole, ma per aver tirato su una brava ragazza come Michi qualche cosa di buono deve pur averlo, no?!

Intanto Giò ed Haru stanno istaurando un legame di “odio, amore” tipico di tutte le sorelle del mondo, il che mi fa sorridere e divertire da matti. Uso molto Giovanna per alleggerire le tensioni. Ha un carattere testardo ed ostinato, proprio come Haruka, ma è dotata di un grande senso dell'umorismo che credo sia il suo punto di forza.

Attenzione a Khloe. Devo renderla un po' più partecipe all'interno della storia. Per ora l'ho presentata solo come una scassa famiglie. Ma forse lo è? Mah….

Un inciso su Giuseppe Tartini (1692 - 1770) ed il suo Trillo del diavolo: probabilmente, a tutt'oggi ancora il brano più difficile per un solista di violino mai composto nella storia della musica. Immaginatevi Kaiou che lo suona e poi non ditemi che non vi ha messo i brividi.

A prestissimo Wolf.

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Capitolo 10
*** Faccia a faccia ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Faccia a faccia

 

 

 

La halle del King George era assiepata di giornalisti sin dalle prime ore del pomeriggio. Pur essendo un albergo a cinque stelle, indubbiamente tra i migliori della città, era raro vedere al suo interno un tale assembramento di persone. Si era arrivati addirittura a bloccare il traffico della zona pur di lasciar scendere in tutta tranquillità dalla limousine, il personaggio che tutta la critica ateniese stava attendendo con ansia da svariato tempo, ovvero Flora Steiner Kaiou; una delle icone della musica classica degli ultimi lustri. Vedova di un diplomatico svizzero, in passato aveva trascorso un paio d'anni nella capitale, ma non vi aveva più fatto ritorno, neanche per una breve visita di piacere o sotto i costanti inviti delle autorità e le pressioni del suo manager artistico ed attuale compagno, Paul J. Maiers. Questo comportamento era inesorabilmente passato agli onori della cronaca come superbia, menefreghismo e, cosa ancor più grave agli occhi del fiero popolo greco, disinteresse, tanto che alcuni giornali del settore ormai non perdevano occasione di sottolineare una qualsiasi mancanza dell'artista, anche e soprattutto se privata, perpetrando a suo danno una sistematica opera di denigrazione mediatica.

Così ormai su alcuni rotocalchi si poteva leggere di Flora Kaiou solo sulla base di veri o presunti flirt, tralasciando completamente, a danno dell'arte, le enormi doti musicali che la donna aveva da sempre. Di carattere roccioso, ma estremamente capace nel manipolare persone ed eventi a suo vantaggio, all'artista poco importava che si parlasse di lei in termini poco lusinghieri, ritenendo quei quattro scribacchini della carta stampata, persone assolutamente indegne della sua considerazione. La signora Kaiou aveva ormai raggiunto l'apice da anni ed era riuscita a rimanervi, componendo la sua musica o eseguendo sempre con maestria quella degli altri. Perciò non voleva o poteva certo badare a queste quisquiglie da novellini.

L'unica accortezza che aveva sempre usato di fronte ai paparazzi era stata verso la figlia, tenuta sempre in disparte, protetta, lontana dal mondo della musica che ormai non le apparteneva più, ma che l'aveva vista affacciarsi giovanissima alle sue luci e che con altrettanta velocità l'aveva pianta quando era tornata nell'ombra. Molti, in pratica tutti, avevano e credevano a tutt'oggi che Michiru Kaiou non fosse riuscita ad emergere in campo musicale perché priva del talento materno, soggiogata da una figura troppo importante per poter essere anche solo lontanamente raggiunta. Nulla di più falso. Nulla di più idiota. Nessuno sapeva la verità. Nessun giornalista sarebbe mai arrivato a capire le vere ragioni di quell'improvvisa scomparsa dalle scene. Tutto era stato cancellato. Prove, ricordi; tutto. Flora non avrebbe mai permesso che si lucrasse anche sulla figlia o sul suo Viktor.

Aprendo la porta scorrevole della sua suites luxury che dava sulla piscina privata della terrazza, Flora guardò sorridendo l'impareggiabile vista dell'Acropoli che si estendeva dinnanzi a lei. Non ricordava Atene tanto caotica e mal ridotta, ma il fascino che aveva sempre esercitato sulla sua indole teutone era rimasto immutato e ora, dopo le “cerimonie” di rito, i saluti ed una breve intervista, poteva finalmente rilassarsi un po' alla vista di quella meravigliosa magnificenza. Il Partenone, il tempio di Atena Nike, i Propilei bagnati dal sole pomeridiano come le spiagge lambite dal mare del Pireo. Che paese ricco di fascino e cultura.

“Flora, la cena verrà servita alle venti. Ho evitato di prendere appuntamenti così che tu possa riposare. Domani mattina alle dieci è prevista una conferenza stampa e la visita al Megaron Concert Hall. Se non ti dispiace io vorrei andarci un po' prima per controllare il palco con i tecnici delle luci. Flora?”

Paul, affascinante statunitense critico d'arte di diversi anni più giovane di lei, era ormai da un lustro il suo punto di riferimento, artistico e privato, un compagno ideale, pragmatico e preciso sul lavoro, passionale ed attento nella loro relazione. Avvezzo a qualche scappatella, era comunque sempre presente, discreto e nonostante sapesse tutto dei trascorsi famigliari di Flora, degno della massima fiducia.

Che si diverta pure, pensava la donna ogni qual volta lo vedeva fare gli occhi dolci a qualche piccola arrivista del loro mondo, perché pur di mantenere una stabilità emotiva, Flora avrebbe lasciato correre ancora e ancora, scendendo a compromessi di ogni tipo.

“Cara, ci sei?” Chiese andandole alle spalle per poi abbracciarle.

“Come? O scusami Paul, ero soprappensiero.” Sorrise accoccolandosi sul suo petto.

“Non dovevi accettare l'invito del Primo Ministro. Questa città ha una pessima influenza su di te.”

”Non dire sciocchezze. - Si sciolse dall'abbraccio iniziando a liberare dalle forcine i capelli che portava raccolti in uno chignon. - Cosa vuoi che mi faccia una città.”

“Allora perché hai deciso solo ora di accettare l'invito ad esibirti qui? Sono passati vent'anni.”

“Esatto vent'anni. Un tempo sufficientemente lungo per ricominciare a vivere.” Disse vinta guardando il cielo terso.

Sotto la stessa volta, nello stesso momento, a poche centinaia di metri da lei, un'altra donna, più giovane, ma con la stessa luce di febbrile stanchezza nello sguardo, la stessa corporatura, gli stessi capelli mossi come onde di spuma, stava osservando l'ingresso principale del King George scuotendo la testa. Al suo fianco l'altra fece capolino dall'ombra dove si erano nascoste per decidere il da farsi.

“Di qui non si passa Khloe.” Disse Michiru accarezzandosi il collo.

Che idea stupida aveva avuto. Che esigenza infantile. Voleva la mamma forse? No, voleva solo urlarle contro tutto il suo dolore, il rancore, il disagio che provava da anni.

“Ma non potresti semplicemente entrare nell'halle e dire alla receptionist chi sei?” Chiesea greca vedendosi di risposta due occhi di ghiaccio puntati contro.

“Certo, per poi dirlo anche ad un paio di giornalisti, così,... tanto per gradire. Ma ragiona!”

“Nessuno si ricorderà chi sei stata, mia cara Mich.” Tagliò offesa tornando a guardare in direzione del capannello di giornalisti che continuavano a bloccare l'ingresso.

Michiru respirò profondamente cercando di soffocare l'impulso di mollarla li su due piedi che prendeva a ribollirle dentro ogni qual volta sentiva quel diminutivo. Khloe si sentiva ferita e questo era assodato, ma continuare a prenderle a calci i nervi con quel suo modo di fare e quel nomignolo che proprio non voleva abbandonare, alla straniera sembrava eccessivo. Ma si sa; ancora una volta doveva fare buon viso a cattivo gioco, perché solo Khloe avrebbe potuto concretamente aiutarla nell'attuazione del suo piano. Anche se vista la situazione, non sapeva ancora come.

 

 

“Michiru hai letto le ultime?”

Ami non poteva immaginare che quell'articolo sarebbe stato la chiave di volta. Lo aveva intravisto distrattamente mentre aspettava un suo amico alla caffetteria dell'Università ed ora, dopo averlo letto e riletto più volte, lo stava mostrando alla donna più grande studiandone intimamente le reazioni.

La grande Flora Kaiou in visita ad Atene per un trittico di concerti nella capitale.” Michiru lesse il titolo posando lentamente pennello e tavolozza sul pianale di metallo afferrando poi il giornale.

Cosa diavolo sei venuta a fare qui mamma? Pensò dopo aver spulciato qualche riga intravedendo le prime critiche. Il suo greco scritto non era come il dialetto parlato, ma il senso di molte di quelle frasi era inequivocabile.

Finalmente l'artista si degna di riapparire nella capitale dopo più di vent'anni dal suo ultimo concerto ellenico.- Ed ancora. - Il tocco dell'archetto di una delle violiniste più quotate d'Europa, sarà ancora all'altezza della sua fama? Tutta la critica è in subbuglio.”

“La massacreranno.” Rivelò mentre scendeva dal trabattello riconsegnando ad Ami il giornale.

“Perché dici così? Tua madre è una professionista affermata e capace. I biglietti sono andati a ruba non appena messi in vendita.”

“Non intendo dire artisticamente. Le spareranno contro ogni sorta d'improperi giornalistici per aver atteso tanto a tornare ad esibirsi in Grecia. Ma lo sai quante volte si è fatta negare con il Ministro delle Attività Culturali? Un po' troppe per essere amata. Molti prenderanno a scusa la sua musica per colpirla nel personale.” Spiegò iniziando a pulire il pennello.

Le importava forse qualche cosa? Perché si sentiva d'un tratto turbata? Tanto lei non sarebbe stata toccata,. Come sempre.

La specializzanda afferrò quell'inquietudine al volo. “Vorresti vederla?”

“No!” Netto. Diretto. Definitivo?

Michiru si fermò guardando l'altra negli occhi ammettendo poi di non saperlo. Non vedeva la madre da un paio d'anni e non la sentiva da poco meno di uno. Ce l'aveva a morte con lei, per tante di quelle cose che a volte le risultava difficile ricordarsele tutte; Haruka, Victor, il suo non essere accettata come figlia perché gay. Ma forse proprio a causa della lontananza e dei silenzi di Flora, o forse per via del suo momentaneo disagio interiore, di quella orrenda fragilità che la stava logorando, ora Michiru stava avvertendo nel petto una sensazione strana, al limite di un riconciliante perdono.

“Il fatto che io stia male non vuol dire che voglia la mamma!” Borbottò teneramente non rendendosi conto di stare sembrando una bambina orgogliosa dimenticata fuori dalla soglia della scuola da un genitore ritardatario. Ami sorrise posandole una mano sulla schiena sentendola continuare.

“E poi chi mi garantisce che lei voglia incontrarmi?! Ricordati che ai suoi occhi sono sempre una sconsiderata che gioca a fare l'invertita con una donna che si crede una pilota professionista. E bada Ami che son parole sue.” Stizzita passò a pulire la tavolozza continuando a brontolare mentre la voce le diventava sempre meno sicura.

"E poi dopo tutto quello che sto ricordando, dopo tutto il male che ha fatto a mio padre, al tuo, ad Haruka... non si merita certo che vada nel suo albergo ad acquietarle la coscienza.”

“Perché dovresti acquietarle la coscienza scusa. Non vorresti invece urlarle contro tutta la rabbia che senti di avere dentro? Sarebbe liberatorio e ti farebbe un gran bene Michi.” Disse il medico sperando invece che le cose potessero andare in maniera differente. Era palese che all'amica mancasse la madre.

Michiru Kaiou non era tipo da rinfacciare niente a nessuno. Non aveva quel tipo di carattere ed era estremamente corretta. Tendeva a rimuovere i torti subiti o al massimo ad evitare le persone che gliene avevano fatti, Ami lo aveva capito fin troppo bene riscontrando questo lato caratteriale anche nello stranissimo rapporto che era venuto a crearsi tra lei e la sorella. Nonostante Khloe a volte si spingesse troppo oltre e necessitasse perciò di una strigliata per tornare al proprio posto, la straniera cercava di non farle mai del male, limitandosi a sparire dal suo radar per qualche ora.

Bloccandosi di colpo Michiru la guardò come se avesse appena avuto un'illuminazione divina. “In effetti non è una cattiva idea.” Si appoggiò pesantemente con le spalle alle traverse metalliche iniziando a riflettere.

Neanche per il mio compleanno ti sei fatta sentire! E' certo! Se fossi la più brava delle figlie, vero mamma?! Se mi fossi presa un uomo sfornandoti un paio di nipotini, se fossi comunque rimasta nel mondo della musica come mi avevi chiesto e nell'alta società come avevi consigliato, allora SI che ti saresti degnata di festeggiare il giorno nel quale hai messo al mondo questa tua povera figlia imperfetta! Urlò dentro l'anima stringendo la mascella.

“Già... Non è assolutamente una cattiva idea.”

 

 

“E adesso che vorresti fare?” Chiese la straniera alla donna acquattata assieme a lei dietro l'angolo di uno dei palazzi che davano sul King George.

“Lascia fare a me Mich. Te l'avevo detto che ti sarei stata d'aiuto no? Perciò... fidati.” Khloe armeggiò con la rubrica del cellulare innescando una telefonata.

“Vorrei ricordarti di non chiamarmi cos...” Un cenno con la mano per farla tacere ed iniziò a parlare.

“Yannis? Hei bello, come va? Si, si, è da una vita. Ascolta, lavori sempre alle cucine del King? Grandioso! Avrei bisogno di un piacere....”

Poco meno di venti minuti dopo le due donne si trovavano all'interno dell'enorme cucina del hotel.

“Non credevo avessi contatti del genere, Khloe.” Disse Michiru seguendo lei e l'amico su per una scala di servizio. In effetti entrambi facevano parte dell'enorme mondo dell'accoglienza turistica, ma quando le aveva chiesto di accompagnarla non avrebbe mai immaginato tanta destrezza. In tutta onestà non sapeva neanche perché le avesse chiesto aiuto.

Riflettendoci Haruka poteva aver ragione quando affermava che Khloe era l'unica a capire cosa realmente stesse provando e forse inconsciamente Michiru stava tendendo a vederla come un punto d'ancoraggio, un appiglio al quale aggrapparsi per cercare di far chiarezza ed ordine nella sua vita.

Arrivando al pianerottolo del primo piano Yannis si voltò verso l'amica dandole istruzioni. Se non volevano rischiare di essere scoperte dalla vigilanza dovevano agire separatamente. Michiru sarebbe dovuta entrare da sola all'interno della suites luxury. L'altra avrebbe dovuto aspettare ai piani più bassi e all’occorrenza, attirare su di se l’attenzione.

“E mi raccomando. Se doveste essere scoperte non fate il mio nome. Questo lavoro mi serve. Intesi?!” Disse il bel ragazzo moro venendo subito dopo raggiunto da una poderosa pacca sulla spalla.

“Tranquillo bello, per chi ci hai preso?! Te ne devo una!”

“Beh Khloe, se dovessi stancarti di stare con la tua ragazza... Io sono sempre disponibile.” Ci scherzo' su ridendo ed ammiccando nei confronti della straniera per poi sparire dietro ad una porta taglia fuoco.

“No, come ragazza!?” Chiese Michiru arpionata poi all'avambraccio dall'altra.

“Dai Kaiou, forza. Non badarci troppo.” E così dicendo iniziarono a salire le scale.

 

 

Un paio ti tocchi lievi alla porta e Paul sbuffando andò ad aprire.

“Hai ordinato qualcosa?” Chiese alla donna seduta su uno dei divani indaffarata a lucidare il suo strumento musicale.

“Assolutamente no.”

“E allora sono rogne.” Disse con la mano già sulla maniglia.

“Abbiamo già detto di non voler essere disturbati...” Ma la frase gli morì nella gola. Davanti a lui una bella donna dai capelli lunghi e mossi racchiusi da una coda di cavallo. Gli occhi di un blu intensissimo. Il viso tanto simile a quello della sua Flora, i lati della bocca piegati in un leggerissimo sorriso. Le mani sul grembo. La postura composta.

“Signor Maiers...”

“Michiru?!” Rimanendo di sasso per qualche secondo non la invitò ad accomodarsi fino a quando la voce di Flora non lo raggiunse scuotendolo dallo stupore.

“Paul... chi è?” Chiese piatta sempre intenda a curare il suo strumento. Non amava le improvvisate.

Nel sentire la voce della madre Michiru avvertì una morsa alla bocca dello stomaco, ma rimase impassibile di fronte all'uomo che lasciandole spazio, le fece cenno di entrare.

“Flora... “ La chiamò lui.

Fu allora che gli occhi delle due donne s'incontrarono. La madre si alzò lentamente dal divano mentre la figlia avanzava cautamente verso di lei.

“Michiru...” Dio mio com'era bella la sua ragazza. Elegante ed austera come lei, eppure semplice ed alla mano come il padre.

Lasciando il suo strumento su uno dei cuscini del divano allargò leggermente le braccia senza neanche rendersene conto e senza volerlo scientemente, Michiru lasciò che le gambe scattassero in avanti tuffandosi nel petto materno.

“Mamma.” Disse stringendo e sentendosi stringere fortissimo.

Com'era caldo il seno di sua madre, com'era bello sentire la sua voce, com'era incredibile quella sensazione di intensa famigliarità. Non doveva urlarle contro? Non voleva vomitarle tutto il rancore che stava covando da anni nella sua anima? Si sentì una stupida, sciocca, piccola ragazzina sentimentale, ma non poteva fare diversamente. Avvertì gli occhi bruciare e per pudore continuò a tenere premuto il viso sul maglione della donna respirandone l'odore come faceva da bambina. Sentiva le carezze della mano di lei al lato della testa, ed il suo respiro vicinissimo. Erano due anni che non si vedevano e che non si abbracciavano; molti di più. Forse dal funerale di Viktor.

Se solamente non avessi preso quel sonnifero, allora forse... Quella frase le fulminò la testa provocandole un dolore acuto, simile a quello avvertito qualche giorno prima. Digrignando i denti Michiru lo sentì scomparire mentre allontanava il viso dalla madre sciogliendo leggermente quel contatto.

“Michiru, cosa ci fai ad Atene?” Le chiese tenendole il mento con il pollice e l'indice della destra.

“E' una lunga storia mamma.”

Flora corrugò la fronte notando il viso stanco della figlia. Una luce triste le velava lo sguardo e si stupì nel pensare che potesse essere accaduto qualcosa alla donna con la quale conviveva.

“Va tutto bene Michiru?” Chiese inquisitoria.

“Si mamma.” No! Perché non glielo dici?! Sputa tutto fuori, Kaiou! Che sappia a cosa ti ha portato il fingere continuamente, il costruirti una barriera tra i tuoi sentimenti ed il mondo, di quanto stai male nel saperti non accettata, di quanto avevi bisogno di lei quando partiva lasciandoti sola, di quanto l’avresti voluta al tuo fianco quando Haruka stava male. Coraggio!

“Sono ad Atene per lavoro. Ho visto che hai in programma tre concerti e desideravo salutarti.” Vigliacca! Pensò rabbiosa vergognandosi di se stessa.

“Hai fatto bene cara, anche se avrei preferito essere avvertita. Lo sai che non amo i cambi di programma.” Eccola qua la vera Flora Kaiou!

“Già, scusa.” Disse liberando il mento dalle sue dita con un leggero movimento della testa.

Michiru avvertì l'ennesima mazzata datale in mezzo alla schiena. Era durato a sufficienza quell'idillio, adesso doveva ritornare alla realtà di un rapporto che per un essere umano, e non solo, è il più importante del mondo e che per lei rappresentava solo dolore e rimpianto. Idiota che ci aveva anche creduto.

“Di quale lavoro si tratta?” Chiese tornando a sedersi sul divano. Alla figlia non sfuggì l'oggetto che aveva accanto. Un violino stupendo.

“Allora?” Incalzò accorgendosi dello sguardo di meraviglia che stava riservando per il suo strumento.

Prendendolo tra le mani glielo porse come un sovrano con la spada da donare al suo campione. “Da quanto non ne tocchi uno?”

Da ieri sera. Avrebbe voluto dirle, ma lungi da lei. Si limitò a sorridere chinando leggermente la testa da un lato.

“E' incredibilmente bello. Complimenti.” Ma non lo prese. Si guardò invece l'anulare della mano sinistra protetto dalla fede regalatale da Haruka.

La donna fece altrettanto sentendosi irritata nel riconoscere in quell'anello un legame per lei incomprensibile. Riponendo lo strumento nella custodia e consegnandolo poi al compagno rimasto sino a quel momento in religioso silenzio, tornò ad osservarla attendendo la risposta alla sua domanda. Paul deglutì. Quelle due gli erano sempre apparse come due aspidi pronte a fronteggiarsi. Ora in posizione di veglia, apparentemente tranquille, ma pronte ad ergersi per surclassarsi.

“Allora, non vuoi dirmi a cosa stai lavorando?”

“Vedi io...” Ma un gran trambusto proveniente dal corridoio la fece voltare di scatto e pensare al peggio. Khloe!

“Ma che diamine sta succedendo? Paul, di grazia...” Lui obbedì ed una volta aperta la porta, la guardia adibita al piano si scusò dell'inconveniente assicurando che non c'erano problemi. Tra le mani, bloccata con un avambraccio dietro la schiena ed un polso serrato dalle dita di lui, Khloe si stava divincolando come un ossessa.

“Lasciami animale! Non ho fatto niente che meriti le tue zampaccie addosso.”

“L'ha sentita?! La lasci!” Intervenne Michiru fiondandosi verso l'energumeno stempiato. Fu allora che Flora la riconobbe.

“Khloe Mizuno... - Disse incredula per poi fissare inorridita la figlia. - Ma che cosa diamine significa?!”

Paul fece cenno alla guardia di lasciare la mora che una volta sentitasi nuovamente libera, prese a massaggiarsi il braccio provando un gran dolore. Uomini!

“Ti ha fatto male?” Chiese Michiru all'altra per poi tornare a guardare la madre che nel frattempo si era rialzata ed aveva fatto qualche passo nella loro direzione.

“Non significa nulla mamma. Khloe si è solamente offerta di accompagnarmi.” Ed era la pura e semplice verità. Ma tanto non avrebbe capito. E di fatti Flora consigliò duramente ad entrambe di andarsene e senza remore girò loro le spalle.

“Ma stiamo scherzando?! Signora Kaiou lei non ha neanche idea di quel che Michiru sta...”

“Khloe basta così!” Le intimò la straniera bloccandole il braccio con una presa ferrea, aggiungendo un ti prego, che ne smorzò l'aggressività.

“Sono contenta di averti vista in buona salute mamma. Spero di sentirti presto. Signor Maiers...” Piegando leggermente la testa in avanti salutando l'uomo rimasto fermo accanto alla porta e girando i tacchi si incamminò precedendo l'altra e la guardia.

“Flora...” Disse Paul sperando che si voltasse. Non lo fece.

 

 

“Ma ti vuoi fermare! Michiru...” La greca stava facendo fatica a starle dietro.

A passo svelto, sulla soglia della corsa, l'altra aveva preso a marciare con velocità appena solcata la porta secondaria del King. Avevano dovuto eludere i giornalisti anche per uscire, perché, contrariamente alle convinzioni di Khloe, la figlia di Flora Steiner Kaiou sarebbe stata sicuramente riconosciuta da qualcuno di loro, soprattutto se veterano della carta patinata. Pugni serrati come non era solita avere, sguardo fieramente dritto di fronte a lei, mascella rigida ed una vistosa ruga che in pratica le solcava tutta la fronte, la dottoressa Kaiou sembrava ora più l'Ingegner Tenou, che l'aggraziata donna di sempre. Si era addirittura arrotolata le maniche della camicia color panna che aveva deciso d'indossare quel giorno dal caldo insolito, proprio come avrebbe fatto Haruka, sciogliendosi poi i capelli non appena trovatasi all'aperto, perché almeno loro non fossero costretti a sentirsi prigionieri come si stava sentendo lei in quel momento. E si, sembrava proprio aver preso i tratti fisici e comportamentali della sua adorata bionda.

“Michiru, per favore.” Khloe decise di scattare arrestandone la fuga. Bloccatole un braccio la costrinse a fermarsi al centro di un marciapiede.

“Lasciami!” Le urlò contro voltandosi di colpo. Gli occhi lucidi. Lo sguardo sofferente.

“La macchina è dalla parte opposta.” Le indicò con il pollice sperando di fermarne il vortice emotivo nel quale si era cacciata.

“Non m'importa! Voglio andare a piedi. Ho bisogno di camminare.” Uno strattone e di nuovo libera di riprendere la marcia.

“Ma ragiona... Sono chilometri. Michiru!” La vide fermarsi di colpo gioendo intimamente per vittoria una frazione di secondo, dovendo però immediatamente ricredersi. Seguendo il filo dei suoi desideri l'altra le chiese l'ennesimo favore. Incredula Khloe ascoltò quella particolarissima richiesta.

“Ho voglia di bere!... Portami in un posto dove si beve.”

“Scusa...? Credo di non aver capito...”

 

 

Il pub che la donna più grande aveva scelto per l'insano desiderio delirante di Kaiou non era tanto distante dal Re del mare. Mossa questa che Khloe aveva deciso di muovere immaginando a cosa avrebbe potuto portare quel tardo pomeriggio. A quanto si ricordava Michiru non amava birre o vino, a maggior ragione i super alcolici, ancor più se ci si riferiva a droghe di media efficacia. In pratica era una “salutista” convinta. Anzi, esigeva da chi le stava accanto di seguire il suo stesso esempio. Perciò alla prima chiara sorseggiata dall'altra si ritrovò a storcere il naso per nulla convinta di quello che ai suoi occhi sembrava follia.

“Ma sei proprio sicura di quello che stai per fare?” Le chiese accarezzando con i polpastrelli di entrambe le mani le goccioline di condensa del suo boccale di birra.

Inalando nervosamente aria nei polmoni, Michiru la guardò per un attimo per poi tuffare le labbra nel luppolo. Un paio di copiosi sorsi ed il boccale si piantò rumorosamente sul legno del tavolo. Solo allora Michiru si concesse di guardarsi intorno. Il locale era piccolo, intimo e con poca clientela. Beh, ovvio, visto che non era arrivata neanche l'ora della cena. Era un pub come tanti altri. Legno, panche, bancone, spillatrici, pareti cariche di ogni sorta di cose messe a caso, luce bassa, musica alta, ma ancora sopportabile.

“Dove siamo?” Chiese apparentemente un tantino più calma.

“Dietro la pensione. - Rise sorseggiando la sua birra. - Non so cosa aspettarmi da questa tua alzata di capo Mich e se dovessi essere costretta a portarti in spalla, vorrei non fare una figuraccia stramazzando al suolo prima di arrivare sulla soglia di casa.” Un altro sorso e le rivelò che qualunque cosa fosse accaduta in quelle ore, nessuno sarebbe andato a darle fastidio. Nessun uomo le avrebbe ronzato intorno e nessuna battutina idiota all'indirizzo del suo bel corpicino sarebbe arrivata alle sue perfette orecchie da musicista.

“E' il locale di una mia amica. Lo gestisce con la sua compagna. Ti lascio immaginare che la clientela qui, specialmente a quest'ora, è molto... monotematica.” Rise nuovamente riferendosi a frequentazioni prettamente femminili.

“Ci mancherebbe anche che dovessi fare a pugni per proteggere la tua virtù.”

Michiru la guardò accigliata. “Credi veramente che non sarei in grado di difendermi da sola Khloe?”

“Si Mich.” Ancora quel diminutivo idiota! Glielo faceva apposta. Ormai Kaiou n'era certa.

“Ma si può sapere cosa ti ho fatto? Perché continui a trattarmi in questo modo?” Chiese stringendo il boccale talmente forte che si stupì di non riuscire a spaccarlo in mille pezzi. Aveva una carica nervosa pazzesca. Lo avvertiva in ogni fibra del suo corpo.

“In quale modo?” Beffarda e leggermente maligna, la greca la stava punendo, ed era più che ovvio che la causa fosse solo una.

“Lo sai benissimo, non trattarmi da idiota... ti prego. Urlami contro, inveisci pure, perché lo so di averti fatto male volendo mantenere le distanze tra noi, ma non continuare con questo atteggiamento Khloe... Non lo sopporto. Come non sopporto quel maledetto diminutivo che continui ad appiccicarmi addosso!”

“Allora lo sai che cosa mi hai fatto... Mich.” E Michiru scattò in piedi sentendo l'otre della sua pazienza colmo e trasbordante.

L'altra la fermò continuando a fissare il liquido nel suo bicchiere. Chiedendole scusa l'esortò a risedersi. Doveva dichiarare una tregua. Non era corretto comportarsi da bastarda proprio dopo aver assistito al comportamento che la signora Flora aveva riservato alla figlia. La osservò risedersi per poi iniziare a bere anche lei.

Dopo qualche minuto di silenzio Michiru le sorrise mestamente rivelandole che ogni tanto, un buon bicchiere di vino ed una birra davanti ad una bella pizza, se li concedeva volentieri anche lei.

“Tu con un calice di rosso? Proprio non ti ci vedo.” Ammise alzando un sopracciglio. Che scoperta.

“Scusa se mi permetto, ma dimentichi anche troppo spesso che non ci frequentiamo da anni. Sono cambiate parecchie cose. Sono cambiata io.”

“Già, me ne sono accorta.” Disse con leggera tristezza, chiedendole poi se era con lei che pasteggiava il nettare degli dei.

“Si, qualche volta prima di cena, soprattutto se è Ruka a rincasare per prima. Comunque preferisco il bianco.”

Ruka, ripeté la più grande nella testa. Un diminutivo estremamente dolce.

“E com'è? Intendo dire..., com'è lei?”

“Davvero lo vuoi sapere?” Rispose Michiru con un'altra domanda.

“Forse no.” Sorrise nuovamente tornando a bere riuscendo a finire quasi del tutto il suo boccale. Forse sarebbe stato il caso di spostare la conversazione su altri soggetti o sarebbe stata Kaiou a doverla portare in spalla, perché ora come ora, solamente stordirsi con l'alcool sarebbe servito a cancellare momentaneamente l'attrazione che, inesorabilmente e nonostante il suo comportamento glaciale, continuava a provare per quella donna fantastica.

Cercando il tatto che la natura non le aveva donato, Khloe le chiese allora di Flora e l'altra le confessò che la madre si era comportata con lei proprio come s'immaginava avrebbe fatto, solo che non si sarebbe certo figurata che l'avrebbe rivista accanto a colei che era stata la pietra dello scandalo lanciata vent'anni prima contro la sua famiglia. La donna peccaminosa che aveva condotto la figlia alla lussuria solcando oceani di perdizione.

Mizuno scoppiò a ridere serrando i dotti lacrimali con le dita. “O Dio mio! Ma davvero pensa questo di me?! Sarei una pietra?! Fantastico! Tua madre è uno spasso, Michiru.”

"Lascia che ti dica che hai un'idea molto distorta della parola spasso. Non sai che darei per avere una madre come la tua.”

Khloe le diede ragione. Agapi era una donna straordinaria, ma soprattutto una madre meravigliosa. Non aveva mai fatto pesare alla figlia la sua omosessualità, così come aveva sempre accettato le ragazze che frequentava e gli amici del quale si circondava. Pur desiderando che continuasse gli studi non aveva insistito troppo perché frequentasse l’Università, lasciandola libera di decidere da sola. Solo poche cose le erano state, in un certo senso “imposte”, ovvero la rettitudine, l'onesta ed il coraggio. Tutte doti che la madre, come d’altronde il padre, ritenevano inalienabili per un arcade e Khloe non aveva fatto fatica a perpetrarle tutte e tre, perché in fin dei conti da generazioni erano la linfa della famiglia Mizuno.

“Non ricordavo tua madre tanto fredda.” Rivelò ad un tratto notando che entrambe avevano i boccali vuoti. Facendo un cenno al ragazzo che serviva in quel momento al bancone guardò l'altra non fare obiezioni.

“Come potresti ricordarti qualcosa di lei se era sempre all'estero presa da qualche tournée.” Disse massaggiandosi la fronte.

“Hai mal di testa?”

“Si, un po'. Credo sia la tensione." Sospirando sorrise al cameriere porgendogli il bicchiere vuoto.

A Khloe non sfuggì. Era vero, Michiru Kaiou era cambiata e parecchio anche. Certo a sedici anni non si è ancora ne carne ne pesce, ma il carattere è ormai abbastanza formato. La signorina di una volta non solo non l'avrebbe mai seguita in un piccolo localino del porto, ma non si sarebbe neanche mai prestata ad aiutare un cameriere. Non che fosse snob, altezzosa o menefreghista, semplicemente non ci avrebbe pensato, non avrebbe letto in un gesto tanto semplice il succo del rispetto per il lavoro altrui. Michiru era sempre stata abituata al sacrificio, allo studio e alla dedizione, passando ore chiusa ad esercitarsi in una cosa che sapeva gia' fare perfettamente, nella quale eccelleva. Ma il quegli anni adolescenziali passati insieme non aveva mai manifestato sensibilità verso gli altri. Ora invece era totalmente diversa.

La sofferenza, si sa, può portare a due sole strade; la chiusura completa o l'apertura totale verso gli altri. Accidenti se sei diventata bella! E non solo fuori, ma anche dentro. Pensò sentendo sulle labbra un'irrefrenabile voglia di baciarla.

Cercò di non badarci. “Magari la morte di tuo padre l'ha portata ad inaridirsi.” Si permise.

“Forse, ma riguardo alle mie... tendenze, non ha mai manifestato comprensione, anzi. Quando intuì che tra noi c'era qualcosa di piu' profondo di un'amicizia, diede di matto. Ricordo che fece una scenata degna dei migliori melodrammi settecenteschi. Altro che la freddezza di questo pomeriggio.” Non era stato piacevole allora vedere nello sguardo della propria madre un sentimento non molto diverso dal disgusto.

“Mi dispiace, non ne sapevo nulla. Se avessi immaginato...”

Michiru fece un sorrisetto guardandola di sottecchi. “Che cosa avresti fatto Khloe? - Disse abbassando la voce. - Le avresti urlato contro il tuo amore per poi rapirmi?”

Ma la greca non trovò quell'uscita divertente. “Lo sai che se avessi potuto lo avrei fatto. Ci avevamo anche pensato, non ricordi? Ma c'era di mezzo la mia famiglia."

L'altra abbassò la testa chiedendole scusa. Aveva avuto una pessima uscita. Ritrovò nella memoria quei discorsi al limite dell'infantile, dove allora la parola amore era stata letta da quelle due ragazzette inesperte come la più grande delle certezze, ed una fuga, la più grande delle avventure possibili.

Non parlarono più per parecchio tempo, ed una volta finita anche la seconda birra, decisero di pagare ed incamminarsi verso la pensione. Ormai era l'ora di cena e la strada che portava al Re del mare si era andata via via spopolando. Le luci del porto risplendevano nel crepuscolo serale come piccole stelle colorate di giallo e quella particolare porzione del giorno che i professionisti della fotografia chiamano l'ora blu, era da poco iniziata proprio quando le due decisero di fermarsi un attimo a godersi il mare dal parapetto del marciapiede che costeggiava gli scogli frangiflutti. L'odore dei crostacei e delle alghe colpì le narici di Michiru facendole inarcare i lati della bocca all'insù. Adorava quella particolare fragranza che ai più dava un senso di marciume e nausea.

“Mi è sempre piaciuto tanto quest'odore.” Ammise gonfiando il petto come un segugio.

Si sentiva leggera. Benedetto sia l'alcool. Almeno per questa sera. Pensò continuando ad inalare iodio.

“Lo so.”

E fu allora che rapida Khloe le portò la destra alla vita costringendola a voltarsi leggermente verso di lei mentre simultaneamente compiva un passo per avvicinarsi.

Per la seconda volta nel corso di quella pesantissima giornata, Michiru si vide costretta a stare faccia a faccia con il suo passato. Prima sua madre. Ora Khloe. Sbattendo le palpebre inarcò leggermente il collo all'indietro per sottrarsi, ma trovandosi la schiena bloccata dal muretto ed il petto premuto da quello della donna più grande, non riuscì a svincolarsi in tempo per evitare il contatto. Le labbra di Khloe si posarono sulle sue con rispetto, ma senza possibilità di farsi negare in quello che fu un bacio intenso e prolungato.

 

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Capitolo 11
*** Sensi di colpa ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Sensi di colpa

 

 

 

Michiru non si mosse, non si difese, non tentò di divincolarsi, ne tanto meno ricambiò quel bacio, restò semplicemente ed implacabilmente immobile, sorpresa certo, ma tranquilla, come se quel gesto fosse la logica conseguenza di qualcosa già aspettato da tempo. La maturità di una donna non sta nell'età anagrafica, ma nell'esperienza e purtroppo o per fortuna, la vita a Michiru Kaiou aveva dato e tolto tanto, temprandola, rendendola consapevole di molte cose riguardanti se stessa, ed in prima istanza, dell'amore immenso portato ad Haruka Tenou. Quando Khloe allontanò a forza le sue labbra spezzando lentamente il contatto di quel calore, la straniera riuscì finalmente a guardarla. Non c'era rabbia, tenerezza, gioia o desiderio nei suoi occhi cobalto, ma solo dispiacere, perché stava per farle nuovamente del male come vent'anni prima.

Khloe capì quello sguardo abbassando il suo vinta. Non si sarebbe mai aspettata una reazione come quella. Uno schiaffo, male parole o, nella più rosea e folle delle fantasie, la cessione di quelle carnose estremità al desiderio che sentiva dentro da quando l'aveva rivista. Ed invece il corpo di Michiru aveva reagito a quel tocco con tranquilla apatia, come se fosse stato sfiorato da una brezza gentile, ma totalmente insignificante. Khloe avvertì il palmo della mano destra dell'altra sulla guancia e si costrinse ad alzare nuovamente il capo per rendere meno avvilente lo scoramento che stava provando.

“Mi dispiace Kaiou. Credimi se ti dico che non volevo mancare di rispetto a te o all'amore che ti lega a lei, ma... dovevo provare a riaverti nella mia vita. Mi capisci?” Chiese quasi supplicando.

Michiru non rispose che con un sorriso dolce. Comprensivo. Le voleva bene, anche se non in quei termini. Il primo amore non può essere scordato, ma spesso il posto al quale deve appartenere è solo il passato.

“Non è successo niente...” Fu l'unica frase che riuscì a formulare, perché dire altro sarebbe sembrato superfluo.

La greca sembrò scuotersi e facendo un profondo respiro scansò la guancia dal palmo dell'altra. “Credo non sia il caso che tu mi tocchi Kaiou. - Frapponendo una mano tra il suo petto e quello di lei fece un passo indietro perdendo il terreno guadagnato in precedenza. - Chiudiamola qui. Mi ritengo sconfitta.” Sorrise all'indirizzo di una donna svizzera mai vista che la stava portando a battere in ritirata.

“Il Re del mare è a meno di cento metri. Aspetterò qui finché non ti vedrò rientrare. Non chiedermi di portarti a casa, perché questa volta sento di aver bisogno io di bere.” E credo anche di compagnia. Pensò vergognandosi.

Khloe era una leonessa che dopo aver perso uno scontro, aveva bisogno di accovacciarsi nella sua tana per leccarsi le ferite.

“Lo capisco. Vorrei solo chiederti una cosa e poi non ne parleremo più. Ti sei sentita incoraggiata da alcuni miei comportamenti?”

L'altra scosse la testa in segno di diniego piegando le labbra in un sorriso. ”Non aver paura di aver tradito la tua donna spingendo il mio approccio con chissà quali atteggiamenti Michiru. Il mio carattere è sempre stato questo. Non mi arrendo neanche di fronte all'evidenza fino a quando non mi faccio del male.” Un colpetto sulla schiena per indirizzarla verso la pensione.

“Coraggio, muoviti Kaiou...”

La guardò mentre si allontanava illuminata dai lampioni. Le spalle rette, la camminata composta ed elegante. Sospirò pesantemente ficcandosi le mani in tasca con un gesto secco. Addio Mich, pensò e da quella sera si ripromise che non l'avrebbe mai più chiamata in quel modo.

Sentendosi svuotata da tutti gli avvenimenti della giornata, Michiru si coricò subito dopo cena, ma non prese sonno che a tarda notte. Verso le due del mattino iniziò a sudare, avvertendo brividi ed un lacerante mal di testa. Alle quattro Ami dovette somministrarle un antipiretico per endovena sperando di non dover chiamare un'ambulanza.

 

 

La testa le faceva un male cane. Anche quella sera la madre aveva deciso di defilarsi andando ad un vernissage di una mostra al centro o qualcosa di simile. Massaggiandosi le tempie controllò nuovamente che il padre si fosse addormentato ed una volta richiusa la porta della sua camera da letto, si diresse verso la propria percorrendo lentamente il pianerottolo. I passi ovattati dai tappeti persiani che ricoprivano il marmo l'accompagnarono fino alla finestra che dava sul giardino. Faceva freddo e l'umidità notturna avrebbe presto ricoperto di brina tutto il parco della villa. L'ennesima casa, l'ennesimo paese, le solite preoccupazioni. Si sentiva sola da morire Michiru, sola come un pesce in un acquario deserto, desideroso di evadere da quella prigione di vetro, di abbandonare tutto e tutti per riappropriarsi della sua vita.

Ma l'erede dei Kaiou l'aveva mai avuta una vita che non fosse stata quella della figlia perfetta, in una famiglia perfetta, inserita in un ambiente perfetto? No. Che cosa ci fosse fuori da quell'acquario lei proprio non lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto scoprirlo. E pensare che agli occhi dei più, lei appariva incredibilmente dotata; una dottoranda in Conservazione e Restauro, padroneggiante cinque lingue, tra le quali il greco ed il giapponese, di ottimo carattere, sempre a disposizione, sia per la famiglia che per gli amici. Insomma, un esempio da emulare, una donna d'ammirare, una creatura d'amare. Amore. Mai aveva amato, o per meglio dire, mai con tutta l'anima, con tutta se stessa. Qualche flirt, un paio di storie importanti, ma neanche tanto. Sempre e comunque all'ombra della clandestinità.

Ecco, a volerla dire tutta, la “pecca” in lei era quella di non provare attrazione per gli uomini. Aveva anche cercato, raccogliendo gli inviti di alcuni suoi coetanei particolarmente interessanti, ma proprio non aveva funzionato. E così si era arresa all'evidenza.

Aspettava l'amore vero Michiru, quello con la A maiuscola, quello atteso e bramato da ogni donna, quello che fa battere forte il cuore, tremare le gambe, quello per il quale si è disposti a scendere a compromessi. A cambiare. A soffrire.

Tornando a massaggiarsi i lati della testa decise che era ora di provare a riposare un po'. Quando la madre era fuori casa non riusciva a farlo. Aveva troppa paura che succedesse qualcosa. Una cosa qualunque all'indirizzo del padre. Era già accaduto un paio di volte in passato. Si richiuse la porta della sua stanza alle spalle girando la chiave nella toppa. Era esausta. La tesi del dottorato di ricerca si stava protraendo troppo. Non poteva permettersi di perdere tempo, voleva iniziare a lavorare e guadagnare sul serio. Basta stage e cantieri scuola. Basta bivaccare alle spalle della sua famiglia ed anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare il padre, sarebbe comunque andata a vivere da sola appena le condizioni l'avrebbero resa cosa fattibile.

Questa notte voglio dormire.” Disse a bassa voce come se fosse stato il più orrendo dei desideri.

Estraendo dal comodino un blister già pericolosamente iniziato, prese una pillola e la bottiglietta d'acqua che teneva sempre accanto al letto buttando poi giù il farmaco senza pensarci troppo.

 

 

Quando riaprì gli occhi trovò quelli di Ami fissi sull'orologio che portava al polso e le dita dell'altra mano premute sull'arteria del suo collo.

“Che succede?” Chiese cercando di sollevarsi sugli avambracci. Era sudata fradicia. Aveva sognato ancora e la testa le pulsava come un fastidiosissimo tamburo.

“Tranquilla Michi, ora va meglio. Hai avuto un attacco di febbre. - Le sorrise. - Ci hai fatto prendere un bello spavento.”

A quel plurale si accorse che nella sua stanza non c'era solo la specializzanda, ma anche la madre. Agapi seduta ai piedi del letto iniziò a massaggiarle le gambe.

"Non preoccuparti bambina, ora cerca di dormire.”

“Non voglio dormire. Ho freddo.” Disse tornando a poggiare la testa sul cuscino avvilita nel sentirsi tanto male.

La donna più grande comprese e chiedendole dove tenesse la biancheria si alzò per andarla a prendere. Sollevandola di peso le tolse il sopra del pigiama ed una volta asciugato il sudore che le si stava ghiacciando addosso, le infilò ed allacciò al petto l'indumento pulito. In tutto questo Michiru la lasciò fare ed una volta che l’altra ebbe finito, avvertì un bacio premuto sulla fronte ed un caldo abbraccio.

Angelòs andrà tutto bene.”

“Ma perché non è come te?” Chiese la straniera sentendo le lacrime scivolarle sulle guancie.

“Lei ti vuol bene, anche se a modo suo. Te lo assicuro. Ora mettiti giù.” E non potendo impedire alle palpebre di chiudersi nuovamente, Michiru cedette al sonno.

 

 

Michiru, la funzione inizierà tra un'ora. Dobbiamo andare.” Le disse la madre alzandosi dal bordo del letto della figlia.

Seduta al suo fianco l'altra la guardò non sentendone la forza. Era stata colpa sua e si sentiva addosso un senso d'angoscia talmente pesante da renderle difficile anche il semplice respirare.

Mamma, se solamente non avessi preso quel sonnifero, allora forse...”

Basta così! Non addossarti colpe che non sono le tue! Sarebbe accaduto lo stesso. Era destino.”

No che non lo era! Se non fosse stata così debole, se non avesse ceduto all'egoismo, se sua madre fosse stata li con lei e se lo avesse curato a dovere invece di spingerlo in un continuo lavoro logorante, forse suo padre non avrebbe compiuto quel gesto.

Avrei potuto fermarlo! Avrei dovuto fermarlo!” Urlò sbattendo i pugni sulle cosce.

 

 

Strinse le lenzuola serrando i denti, mentre Agapi le toglieva il panno ormai tiepido dalla fronte. “Sei proprio sicura che non dovremmo portarla al pronto soccorso?” Chiese angosciata alla figlia seduta dalla parte opposta del letto.

Non ce n'era affatto bisogno. Le avrebbero fatto esattamente ciò che le stava facendo lei e Michiru non avrebbe avuto la tranquillità che ora la sua mente esigeva. La straniera continuava ad alternare il nome del padre a quello della madre, ed era chiaro che stesse avendo un incubo dopo l'altro.

“Ma dove diamine è Khloe!?” Alzandosi dal letto, Ami provò a chiamarla nuovamente al cellulare.

Non era rincasata avvertendo che sarebbe rimasta a dormire fuori, segno certo che era successo qualcosa. Generalmente casalinga e marcatamente pantofolaia, quando Khloe cercava compagnia tra lenzuola sconosciute facendo le ore piccole, voleva dire che stava scappando da qualcosa e la sorella era riuscita a fare due più due non appena aveva visto a tavola la faccia di Michiru.

Porca miseria, ma vuoi rispondere! Pensò inferocita sentendo partire la segreteria telefonica.

Lasciatole un messaggio, Ami tornò a sedersi sul bordo del letto proprio mentre Michiru riapriva lentamente gli occhi.

“E' colpa mia.” Disse pianissimo tornando a lacrimare.

“Colpa di cosa?” Chiese il medico.

“E' colpa mia se mio padre è morto...” Strinse gli occhi per poi coprirseli con un avambraccio.

Spiazzata l'altra cercò spiegazioni, ma Michiru chiese solamente di poter vedere la madre. Qualche istante dopo il cellulare del medico squillò. Era Khloe.

“Ma si può sapere che cazzo vuoi?! - Ringhiò senza controllo. - Bada che questa volta ce le prendi! Hai capito ragazzina?!”

Respirando lentamente la piccola di casa Mizuno estrasse una Misericordia e colpì giù duro. Un paio di frasi e Khloe cadde al suolo ferita. “Michiru sta male. Torna subito a casa, idiota!” E riattaccò.

Meno di quaranta minuti dopo erano una di fronte all'altra nel corridoio davanti la camera della straniera.

“Che cos'è successo ieri? Che le hai fatto?!” Inquisì Ami fissandola a brutto muso.

“Ma che ha?!” Chiese stando attenta a non alzare troppo la voce visto che sul piano attualmente c'erano altre due camere occupate.

“E' febbre psicosomatica. Questo vuol dire che ha subito un forte stress. Ora dimmi per filo e per segno cos'avete fatto ieri. Perché vi siete viste, non è vero?”

E a Khloe non rimase altro che raccontarle tutto. Della posta sotto al King George, dell'incontro che Michiru era riuscita ad avere con la madre, del comportamento freddo riservatole e... del suo fallito approccio. Di rimando Ami ascoltò senza fiatare, annotando mentalmente tutto, tralasciando il bacio della sorella per concentrarsi sul comportamento della signora Kaiou.

“E' stato il mio approccio a ridurla così?”

La sorella minore provò pena. “Bene non le ha fatto, ma no. Tu non centri assolutamente nulla. Perciò non fare quella faccia, ma fammi capire bene. La madre di Michiru ha cambiato atteggiamento quanto ti ha vista?!”

“Non sono arrivata che a metà della loro conversazione. Non so cosa si siano dette prima che mi scoprissero. Comunque si, appena mi ha riconosciuta è diventata un pezzo di ghiaccio e ci ha sbattute fuori non volendo sentire ragioni.”

“Ok, ora è tutto più chiaro. Ascoltami Khloe, dobbiamo portare qui Flora Kaiou. Michiru ha bisogno di lei.”

“Di quella stronza?!”

“Di sua madre...”

 

 

Percorrendo la strada a ritroso, verso le sei del mattino Khloe si piazzò nei pressi della porta secondaria del King George sperando che quella donna rispondesse al numero della figlia. Usando la rubbrica del cellulare di Michiru che aveva portato via con se, attese più di dieci squilli prima che una voce femminile abbastanza assonnata non le rispondesse.

“Signora Kaiou... sono Khloe Mizuno. Mi perdoni se mi permetto di disturbarla a quest'ora, ma è una cosa piuttosto urgente.”

Dalla parte opposta un invito a proseguire.

“Michiru sta male e chiede di lei.”

Flora schizzò seduta sul letto. “Dove si trova ora?”

“Alla pensione che i miei genitori gestiscono nei pressi del porto. Ha la febbre molto alta ed il dottore dice che dovrebbe venire. Signora Flora... per favore.”

“Mi dia l'indirizzo preciso.” Disse l'altra mentre prendeva a spogliarsi della camicia da notte con una tale furia da stupire oltre che Paul, persino se stessa.

“Non si preoccupi dell'indirizzo. Ce l'accompagno io. Sono qui sotto, ma l'avverto che all'entrata credo ci siano ancora un paio di paparazzi. Non essendone sicura le consiglio di usare la porta secondaria. La mia macchina è proprio sul lato opposto della carreggiata.”

Così dicendo Khloe riattaccò sistemandosi più comodamente sul sedile della sua auto. Quella situazione aveva un qualcosa di paradossale. Neanche due ore prima si stava divertendo con una bella ragazzetta ed ora si ritrovava al freddo dell'alba, preoccupata da morire per Kaiou ed in procinto di prelevare da un albergo a cinque stelle classe superiore, una donna che verso di lei provava solamente schifo e rancore. Com'è che l'aveva definita? A si, pietra dello scandalo!

Bell'inizio di giornata Khloe. Bello davvero! Pensò sperando poi che nessun rappresentante della carta stampata riconoscesse la musicista e le seguisse.

 

 

“Ma sei fosse impazzita Flora! Dove vuoi andare a quest'ora!” Paul si contrappose scioccamente tra lei e la porta d'uscita della suitte. Forse non aveva ancora capito che stava avanzando troppe pretese, ed anche se da sempre scarsamente dotata di spirito materno, la sua compagna era pur sempre una madre.

“Paul lasciami passare!”

“Se fosse tutta una messa in scena? Una trappola giornalistica? Abbiamo visto entrambi che Michiru sta benone. Prova a pensare che potrebbe essere una vendetta di quella Khloe per il trattamento che le hai riservato ieri!”

Proprio perché aveva visto la figlia, Flora stava accettando la richiesta della greca. Quegli occhi, il suo sguardo sofferente. La sua ragazza non stava bene e questo lei lo aveva capito subito.

“Te lo ripeto Paul, lasciami passare!”

“Ti ricordo cara che hai degli impegni e delle clausole contrattuali da rispettare.” Si arrese facendosi da parte mentre lei lo rassicurava.

"Stai tranquillo!" Non avrebbe dovuto preoccuparsi di questo. Una Kaiou non avrebbe mai mancato alla parola data, ne ad una firma apposta in calce su un qualunque documento.

Quando cinque minuti dopo Flora si sedette al posto del passeggero allacciandosi la cintura di sicurezza, Khloe deglutì a vuoto un paio di volte. Le sorrise non trovando però alcuna risposta e mettendo in moto, si diresse verso il centro città sperando di passare inosservata.

 

 

La villa si era riempita di gente; la polizia, il medico legale, i domestici tirati giù dal letto dal gran trambusto. Da ogni parte persone che andavano e venivano. Confusione. Smarrimento. Ed in mezzo a quel vortice incomprensibile c'era lei, svegliata mezz'ora prima dai colpi disperati della madre sul legno della sua porta e che ora necessitava solo di capire cos'era accaduto a suo padre e perché non riuscisse ad entrare nello suo studio.

Non appena Flora riemerse dal silenzio spettrale di quella che era di fatto la stanza prediletta di Viktor, Michiru le corse incontro pregandola di poterlo vedere.

Mamma, cos'è successo?! Papà sta bene?”

Anche a distanza di anni Michiru avrebbe ricordato l'istante esatto nel quale la madre le aveva rivelato che Victor era morto impiccandosi alla travatura lignea del soppalco della sua biblioteca. Avrebbe ricordato le mani di Flora strette come morse alle sue braccia per trattenerla dall'impellente necessità di accertarsi personalmente di quella che ai suoi occhi di figlia, appariva una follia, come non avrebbe più scordato quella sensazione al limite del dolore fisico.

Voglio vederlo! Mamma... lasciami!” Ed un pianto disperato.

Ma Flora era più forte e tenace di lei. Mai avrebbe permesso a sua figlia d'imprimersi nella memoria la scena del corpo del padre ancora affisso a cinquanta centimetri da terra. Mai! A costo di essere odiata. A costo di esserlo per tutta la vita.

 

 

La mano di sua madre era così calda e stava stringendo la sua così forte che Michiru capì subito di essere riemersa nella realtà, ed anche se le sembrava assurdo che la donna si trovasse ora nella sua stanza al Re del mare, le sorrise cercando di prendere aria. Si sentiva ardere dalla febbre.

“Michiru...” Una carezza sulla guancia che la spinse a far leva sul gomito per provare a sedersi.

“No, resta giù.”

“Mamma, sei... qui.” Disse riuscendo ad abbracciarla nonostante si sentisse debole da morire.

“Ma siamo sicuri che non vada portata in ospedale?!” Chiese Flora rivolgendosi ad Ami. Non l'aveva ancora riconosciuta.

“Signora Kaiou si fidi del mio giudizio, per favore. Michiru meno vede un ospedale e meglio è.” Rassicurò.

Se quella donna l'anno precedente fosse stata un po' più vicina alla figlia, avrebbe capito da sola che molto dello stress che aveva portato Michiru al punto di rottura era dipeso dalla malattia della compagna. Fin quando la situazione fosse rimasta sotto controllo l'amica non si sarebbe mossa di li.

“Non voglio andare in ospedale.” Ribadì Michiru tra un respiro e l'altro.

Non voglio andare in ospedale Michi. Ricordò provando la voglia irrefrenabile di abbracciare la sua indomita bionda.

Nel giorno che aveva sancito il reale inizio del loro calvario e con parole pressoché identiche, Haruka aveva cercato d'impuntarsi la prima volta che l'era svenuta tra le braccia tra la cucina e la sala da pranzo.

Michiru si strinse alla madre mentre sentiva la sua voce confermarle piatta che ci sarebbe andata se la febbre, già parecchio alta, fosse ulteriormente salita.

“Non fare la bambina. Ora prova a riposare mentre io parlo con il medico. Su, coraggio.” Rimboccandole le coperte stava per allontanarsi quando Michiru le gelò il sangue.

“E' colpa mia se è morto. Mamma... è colpa... mia.”

“No Michiru! Perché non vuoi capire?! Perché non vuoi accettare che l'unica colpevole è stata la malattia di tuo padre.”

“Se fossi stata sveglia...” Provò per l'ennesima volta.

“Si era chiuso dentro e tu non avresti potuto far nulla...” E il tono autoritario della voce di Flora, che tante e tante volte aveva provato a far comprendere la realtà delle cose alla figlia, mise fine all'ennesima prova di forza, lasciando che Michiru tornasse ad arrendersi alla febbre.

 

 

Con la fronte tra l'incavo delle mani, seduta al tavolo della piccola cucina dell'appartamento della famiglia Mizuno, Flora Kaiou ricevette da Agapi una tazza di caffè fumante.

“Proprio come piace a me.” Ammise sorridendo all'altra donna.

“Le ho servito la colazione per due anni. Non se ne stupisca.” Disse gentilmente sedendosi a sua volta.

Aveva lasciato le incombenze della mattina ad Alexios e mentre Khloe vegliava Michiru, Ami avrebbe dovuto mettere la donna al corrente dei disagi della figlia. Avrebbe dovuto farlo la stessa Michiru, ma gli ultimi avvenimenti necessitavano di un violento cambio di programma.

“Visto il legame che lega tutta la sua famiglia a Michiru, penso sia il caso che ci diamo del tu Agapi. - Disse Flora guardando poi la specializzanda. - Così tu sei Ami. Non ti avevo riconosciuta.” Comprensibile. Era troppo piccola per essere presa in considerazione dalla padrona di casa.

“Signora Flora... lasci che le spieghi cosa sta succedendo a sua figlia. Ma prima sarà il caso che le racconti del perché si trova al Re del mare e come ho fatto a diventare il suo medico.” Iniziò Ami proseguendo a narrare per sommi capi il loro incontro davanti alla villa sulla collina di Pirix, l'invito a stare alla loro pensione per tutto il tempo nel quale si sarebbe fermata ad Atene e della richiesta di un aiuto medico necessario, quanto impellente.

“Mi sto specializzando in psichiatria e ho notato subito che sua figlia si sta portando dentro un disagio profondo dettato da alcuni avvenimenti e comportamenti che hanno caratterizzato la sua vita. Con questo non voglio assolutamente insinuare che Michiru abbia qualcosa che non va o che l'attuale fragilità che sta mostrando la sua psiche sia riconducibile in qualche modo a ciò che colpì il signor Viktor.” Sottolineò notando come alla parola psichiatria il colorito della donna seduta di fronte a lei fosse drasticamente cambiato.

“E' legato tutto alla morte del padre, non è vero?” Chiese Flora intuendo già la risposta.

La specializzanda mosse affermativamente il capo moro continuando. “Indubbiamente è stato uno shock che l'ha devastata, anche perché da quello che sta continuando a dire nel suo delirio febbricitante, crede fermamente che sia stata colpa sua. Ma ci sono altre cose che nel corso del tempo l'hanno destabilizzata; come la malattia della compagna e... - guardò un momento la madre immobile seduta tra loro. - e il vostro rapporto.” Ami si rese conto di trovarsi in una brutta posizione.

E di fatti l'altra scattò sulla difensiva come uno scorpione. “Della malattia che ha colpito quella donna non sono aggiornata e per quanto riguarda le motivazioni che mi spingono a tutt'oggi a non voler sapere nulla della sfera privata di Michiru, sono affari miei e se mai vorrò affrontare il discorso, lo farò solo con mia figlia.”

“E no signora Flora! Mi consenta di dirle che essendo il suo medico curante ora come ora sono anche affari miei. Ma in una cosa le do ragione; questo discorso dovrete affrontarlo insieme, ma le consiglio di farlo il prima possibile, perché in Michiru non sta venendo meno solo la stabilità interiore, ma anche quella fisica. E la febbre che l'ha colpita in queste ore è solo l'ultima avvisaglia, come l'insonnia, gli incubi che l'hanno preceduta che non la lasciano e la perdita di peso. E' bastato che la rivedesse per scatenare in lei un maremoto di proporzioni allarmanti.”

Flora rise in maniera quasi beffarda. “Cerco, adesso sarebbe solo colpa mia. Naturale! E' colpa mia se Michiru trova interesse per le donne. E' colpa mia se Michiru viene a trovarmi e ha un crollo nervoso. E' colpa mia se non ha appetito. Perché non diciamo anche che la leucemia che ha sviluppato la signora Tenou sia stato il frutto di qualche mia diabolica macchinazione, così da chiudere il cerchio?!”

Un attacco perché vistasi attaccata. Prevedibile. Ami reagì di conseguenza.

“Non ho assolutamente detto questo signora e non faccia la vittima con me! A quel che so ha un carattere forte ed è una donna troppo intelligente per usare questi puerili mezzucci.”

“Mezzucci?!” Inarcò il Telson della coda pronta a colpire.

Agapi decise che era ora di darci un taglio ed essere sincere.“Qualche giorno fa Michiru mi ha fatto una domanda, ovvero se come madre ho mai trovato difficile accettare Khloe per le sue tendenze in campo sentimentale. Flora parliamoci chiaro, tua figlia ti ama da morire, ma sa che non l'approvi.” Diretta come meglio le riusciva.

“Mamma!”

“No Ami, questi sono discorsi da madri... per favore. Non voglio sminuire la tua professionalità, ma credo che Flora abbia bisogno di un confronto con una persona che capisca perfettamente ciò che porta nel cuore.”

Stizzita la figlia si alzò per tornare da Khloe e Michiru. “Sta bene. Il mio l'ho detto.” Allargò le braccia ed accomiatandosi lasciò sole le due.

Una volta uscita, Agapi scosse la testa versando ad entrambe un'altro po' di caffè. “Non è più fumante, ma è meglio di niente. - Ed esplose uno dei suoi bei sorrisi. - Questa Ami me la farà pagare cara.”

“Hai minato la sua autorità medica di fronte ad estranei. Non ritengo sia mossa molto furba. Sei sempre stata pragmatica, ma poco accorta.”

“Le passerà, sta comunque facendo un ottimo lavoro assieme a tua figlia.”

Flora sospirò azzerando attacchi e difese. Vedere la sua ragazza in quello stato l'aveva sconvolta. “Come hai fatto ad accettare Khloe?” Chiese fissandole poi le iridi scure.

“Che strana domanda per una madre. Devo ammettere che all'inizio non è stato facile. Mio marito ed io ci siamo fatti mille domande, arrivando addirittura a mettere in discussione il nostro operato come genitori e tra i due è stato Alexios a soffrire di più. Per diverso tempo si è sentito in colpa arrivando a convincersi di non aver saputo dare a Khloe un'immagine maschile degna, che la portasse a vivere la sua sessualità come gran parte delle donne. Ma poi è stato l'amore a guidarci e nostra figlia ad insegnarci che in realtà per queste scelte a volte una vera e propria spiegazione non c'è.”

“Michiru adorava il padre. Era il sole e la luna del suo mondo.”

“Lo so e lo ha sempre difeso a spada tratta, non so se per una sua necessità o per la reale coscienza di saperlo malato, ma non ha mai alzato una critica nei suoi confronti. Almeno fin quando siate stati in Grecia.”

Flora prese due sorsi di caffè rivelando che Michiru aveva continuato a farlo anche dopo. "L'amore era reciproco e con molta probabilità Viktor non avrebbe battuto ciglio se avesse saputo delle sue devianze".

“Ecco è qui che sbagli mia cara. Non chiamarle devianze, ma scelte. Come sbagli a pensare che la tua ragazza non ami anche te. Ragiona; se non le interessasse nulla di ciò che pensa di lei sua madre non starebbe tanto male. E' un dolore che si porta dentro da anni e che la sta lacerando al pari del suicidio di Viktor.”

“Non lo so...”

“Flora, è te che vuole. E' te che cerca adesso. Nonostante il vostro rapporto non sia idilliaco, nonostante non vi vediate da tempo, nonostante tu non voglia accettarla e, soprattutto, accettare l'amore che ha trovato.”

Flora poggiò allora la schiena alla traversa della sedia sospirando. Per una come lei, cresciuta e vissuta in un mondo stereotipato, non era facile cambiare a sessant'anni.

“Lo si fa per i figli. Si cambia Flora, si cambia eccome.”

 

 

Giovanna aveva dormito male. Malissimo. Si era girata e rigirata nel letto sentendosi la testa persa in mille pensieri e le gambe elettriche, come vogliose di una corsa. Aveva anche sognato qualcosa che al risveglio aveva perso, ma l'inquietudine ed il nervosismo erano rimasti spingendola ad alzarsi prima del solito per prepararsi la colazione e buttarsi anima e corpo sotto l'acqua della doccia. Erano le nove e proprio non riusciva a darsi pace. Voleva chiamare Haruka, ma il buon senso e lo spirito di conservazione che la natura le aveva donato, la stavano spingendo a stare alla larga dal suo cellulare.

“Mi raccomando Giò. In scuderia stiamo preparando la gara per il Gran Premio d'Argentina. Non siamo partiti benissimo ed in classifica stiamo sotto, perciò qui è un delirio. Quindi... vedi di non rompermi le così dette facendoti prendere da attacchi nostalgici. Verrai su da noi per Pasqua. Intesi?!”

Che grandissima faccia tosta! Prima intimava e poi era lei a chiamarla a sere alterne sparandole minuti su minuti di telecronaca motociclistica su algoritmi, pistoni, pneumatici e cerchioni. Che poi, a dirla tutta, a Giovanna Aulis di moto non gliene era mai fregato un tubo.

Strofinandosi i capelli bagnati guardò nuovamente il cellulare avendo un'intuizione. Forse Kaiou avrebbe gradito un salutino. Da settimane Michiru aveva preso ad inviarle sms di buona giornata, ma erano un paio di giorni che non si faceva viva. Sperando che andasse tutto bene, Giovanna provò a chiamarla.

E fu allora che capì che forse era dotata di poteri speciali.

“Ehilà Kaiou, come stai, ti disturbo?”

“No...aspetta un … attimo.” E la voce estranea dall'accento assurdo e dall'italiano anche peggiore, iniziò a parlare in greco con una terza persona. Dopo qualche istante l'italiana avvertì il timbro caldo dell'amica.

“Giovanna, sei tu?”

“Michi? Tutto ok?” Chiese un tantino in imbarazzo.

“Si. Scusa. Ho avuto una nottataccia. Sono con un'amica che mi sta facendo un po' di compagnia.”

“Che c'è?! Ancora l'insonnia?”

“Diciamo di si. Non vedo l'ora di tornare a casa. Sei a Bellinzona?” Chiese sentendosi stanca, ma con la pelle più fresca.

“No. Haruka è indaffaratissima ed è meglio lasciarla in pace.” Rivelò.

Da qualche giorno si era buttata sul lavoro come uno squalo su un banco di pesci e non solo perché lo esigeva la Ducati, ma anche e soprattutto per non pensare a quanto schifosamente sola si sentisse.

“Giusto; il secondo Gran Premio della stagione.” Kaiou sorrise nel pensarla frenetica, nevrotica e concentratissima.

Riflette’. Ecco perché il suo angelo stava latitando un po'. C'erano dei periodi dell'anno dove riuscivano a vedersi si e no quando si coricavano. L'inizio del campionato motociclistico era uno di questi.

“Michiru sei sicura che vada tutto bene?” Domandò l’altra poco convinta.

Le “antenne” empatiche che Giovanna sentiva di avere sempre avuto nei confronti dell'amica stavano vibrando. Quella voce e la particolarissima cadenza che stava accompagnando quello scambio di battute non erano affatto normali.

Un si non del tutto sicuro. “Mi mancate. Mi mancate tanto.” Ammise sentendo qualcuno bussare alla porta. Khloe andò ad aprire lasciando che Flora entrasse.

“Michi quando rientri?”

“Spero presto Giovanna.” E pregando che quella potesse essere la più cristallina delle verità, la salutò augurandole buona giornata.

Dall'altro capo del telefono Giovanna guardò lo schermo diventare scuro poco a poco. C'era qualcosa che non andava più di quanto non andasse già. Perché Michiru aveva quella voce? Sembrava stesse male. Da quando era partita non l'aveva mai sentita così. In più quelle frasi criptiche; ho avuto una nottataccia. Sono con un'amica... Quale amica? Quella Khloe, forse?! La peluria delle braccia le si alzò all'improvviso e aprendo la rubrica si preparò all'ennesima lavata di testa.

 

 

Finalmente quasi del tutto sfebbrata, guardò la madre rialzarsi dal bordo del suo letto non credendo a quello che le sue orecchie avevano appena sentito. Aveva realmente capito bene?

“Michiru, appena finita la tournée dovremmo parlare. Abbiamo bisogno... - si corresse al volo. - ho bisogno di capire e tu dovrai aiutarmi.”

“Riguardo a cosa, mamma?”

“Riguardo a te e alle tue scelte. Non voglio più che debba sentirti rifiutata da tua madre. - Una carezza lieve sporgendosi poi verso di lei. - Purtroppo sono fatta così e non mi è mai stato facile riflettere su questa cosa, ma... se mi aiuterai... forse.”

“Mamma...” Non le sembrava possibile che le stesse parlando così, che la stesse accarezzando con tanta materna tenerezza.

Riappropriandosi dei tratti distintivi dell'austerità che la contraddistingueva in ogni occasione, Flora notò che si era fatto tardi.

“Ho una giornata fitta d'impegni, ma proverò a farti visita domani in giornata. Mi raccomando, segui le indicazioni del tuo medico. Mi sembra molto capace.” Disse all'indirizzo di Ami ferma accanto alla porta.

Paul era venuto a prenderla per portarla al Megaron Concert Hall. Non poteva far tardi o questa volta si sarebbe scatenata una guerra mediatica. Accomiatandosi dalle presenti uscì dalla stanza della figlia seguita da Agabi e Khloe.

“Ma cosa sta succedendo?” Chiese una Michiru sempre più stordita.

Possibile che un semplice malessere avesse spinto la madre a muovere quei passi che per vent'anni si era sempre rifiutata di compiere?

Ami allora le sorrise alzando le spalle. Tutto stava iniziando a “fluire”. La guarigione era iniziata e con grande meraviglia dello stesso medico stava riguardando anche Flora Kaiou.

“Non so che dirti, ma credo ci sia lo zampino di mia madre. Comunque cerchiamo di fare un passo alla volta. Michiru vorrei che ti fosse chiara una cosa; alle volte una persona può arrivare a darsi colpe che non ha semplicemente per proteggerne un'altra o, nel tuo caso, per non voler accettare la fragilità dimostrata da un padre nel non voler più continuare a vivere.”

L'altra comprese abbassando la testa. “Capisco ciò che intendi, ma... so che per compiere un gesto definitivo come quello ci si deve trovare, non soltanto in particolari condizioni mentali, ma anche fisiche. Il “coraggio” nell'agire ha un tempo limitato, che dura solo pochi minuti, passati i quali non si è più in grado di compierlo. - Tornò a guardare gli occhi dell'altra con ferma convinzione. - Se avessi potuto parlargli forse l'avrei convinto a desistere.”

Niente da dire; Michiru Kaiou aveva proprio un carattere testardo.

 

 

Inserendosi sulla corsia di sorpasso, Haruka premette con sicura dolcezza il piede destro sull'acceleratore sorpassando in scioltezza un paio di macchine. Decisamente la mattina era incominciata come una schifezza e se lo sentiva nelle ossa, sarebbe proseguita anche peggio. La macchina del caffè aveva deciso di tirare fuori i cartelloni dello Sciopero Operaio, puntando i piedi e rifiutandosi di erogare caffeina. Una dichiarazione di guerra recapitata all'astinenza di Tenou che era stata accolta come un'invasione di massa su larga scala. In più aveva dormito da cani, coricandosi tardissimo e svegliandosi rintronata come le capitava ad ogni ripristino dell'ora legale.

Maledetta macchinetta bastarda! Proprio ora dovevi decidere di tirare le cuoia!” Le aveva urlato contro indecisa se prenderla a martellate o scaraventarla fuori dal parapetto del terrazzo. E questa volta non ci sarebbe stata Giovanna a salvare il malcapitato oggetto.

Poi, vista l'ora, si era decisa a concederle altre ventiquattro ore di vita e schizzando a vestirsi con la velocità del vento, era poi uscita di casa a briglie sciolte. Ora, ruote inchiodate sulla statale, stava cercando di godersi la corsa verso lo stabilimento Ducati, lasciando che la sua RX-9 rombasse gioiosa e che il bel sole di quell'inizio di primavera le baciasse la pelle del viso.

Tornando sulla carreggiata di transito avvertì il cellulare e convinta fosse Smaitter che l'intimava di muovere le chiappe, accese il bluetooth che portava all'orecchio.

“Sto arrivando! Sto arrivando!”

“Haruka...”

“Ma chi è? Giovanna?!”

“Giorno...” Tre, due, uno... BANG!

“Ma che palle Aulis! Guarda, in tutta onestà credo che tu stia rasentando la patologia. Ma vuoi lasciarmi in pace... si o no!” Disse intravedendo i capannoni argentati della scuderia.

"Ruka, senti..."

"No! Senti tu. Ok che siamo sorelle e ok che dobbiamo imparare a conoscerci, ma ti prego, ti scongiuro, ti supplico, dammi pace! Ci siamo sentite due giorni fa e tutto è rimasto come all'ora. Ergo... lasciami respirare. Non sto piangendo ne strappandomi i capelli, perciò stai serena e...."

“Haruka stammi a sentire! Ho appena sentito Michiru.” E fu come se avesse mosso un bastoncino di fronte al naso di un cucciolo di Labrador. Attenzione massima.

“Ok... “

“Haruka... Valla a prendere.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Ho fatto del mio meglio per essere abbastanza rapida, perché ammetto di aver creato un po' di panico con le ultime battute del capitolo precedente. Anche le ultime di questo però... Già mi figuro poster con su scritto: Tenou vs Mizuno, la scazzottata del secolo! Io mi giocherei Tenou 3 a 1. Secca.

A parte gli scherzi, ho provato a riabilitare Flora, la quale non è in lizza per il premio della miglior madre dell'anno (premio che per inciso prevedo vincerà Agapi a mani basse), ma è fatta così, non possiamo farci nulla e comunque in circolazione si trova anche di peggio.

Ps Se questa volta le “antenne” di Giovanna avranno visto giusto, beh, lasciatemelo dire.... è un mito!

A prestissimo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Stringimi forte amore ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Stringimi forte amore

 

 

 

Inarcando la schiena chiuse gli occhi respirando profondamente. La giornata era magnificamente limpida, dall'aria quasi trasparente e tutto intorno sembrava presentarsi alla sua percezione visiva in forma più nitida e brillante. Riaprendo le palpebre, strinse leggermente le mani serrate dietro la schiena sorridendo alle onde. Se avesse creduto nella reincarnazione avrebbe sicuramente additato l'amore per il suo immenso padre blu ad una vita pregressa consumatasi tra le sue spire. Non si spiegava altrimenti quel viscerale rapporto. Con le caviglie immerse nell'acqua provò a muovere le dita dei piedi immobilizzate dalla sabbia, lasciando che il vento le facesse ondeggiare le pieghe della gonna premendole il tessuto del vestito color pesca al grembo ed al seno. Un altro respiro e lo avvertì quietarsi a poco a poco abbandonando la morbidezza dei riccioli dei suoi capelli.

“Michiru, perché sei in piedi?” Sentì la voce materna alle spalle ed alzando gli occhi al cielo intuì la ”paternale” appena dietro l'angolo.

Girando il busto sorrise alla donna che la stava raggiungendo sul bagnasciuga. “Me l'ha ordinato il medico.” Disse divertita dalla realtà del consiglio di Ami.

Ormai del tutto sfebbrata era, inutile che rimanesse ad incupirsi dentro le quattro mura di una camera quando fuori il suo elemento la chiamava a se. La febbre che l'aveva colpita, se pur violenta, era durata solo poche ore e non aveva nulla a che vedere con virus o ricadute fisiche, perciò un po' d'aria non avrebbe potuto che farle del bene.

Flora puntò gli occhi alle caviglie della figlia scuotendo la testa. “Potrei anche crederci, ma quelli?” Chiese indicando i piedi a mollo con un leggero movimento del mento.

“L'acqua non è affatto fredda come si direbbe per la stagione, tranquilla.” Ma uscì comunque non sfidando la madre.

Flora sembrava di buon umore ed era sempre meglio farla rimanere in quello stato di grazia quando si stava per affrontare una conversazione.

“Sei stata di parola. Sei venuta. Ti ringrazio.”

“Lo sai che cerco sempre di mantenere gli impegni.” La raggiunse posandole una mano sulla fronte per accertarsi che fosse fresca.

“Lo so, ma con la musica... non si sa mai. Hai avuto modo di saggiare l'acustica del teatro?”

“Naturalmente. E' perfetta. Mi ha impressionata, anche se molti colleghi me ne avevano già parlato un gran bene.” E con stupore della figlia, Flora la invitò a fare quattro passi lungo la linea del bagnasciuga.

Michiru prese le scarpe con la sinistra e la seguì in quell'insolita situazione.

“Ti farebbe piacere assistere alla prima? Posso invitare anche la famiglia Mizuno se vuoi.”

Anche Khloe? Avrebbe voluto osare pungolandola, ma non se la sentì. Era ancora troppo stanca per affrontare una probabile, ulteriore, logorante, lotta.

“Certo che mi farebbe piacere mamma. E' da tanto che non ti ascolto dal vivo.”

Flora si fermò afferrandole rapida le dita della destra e rivolgendo il palmo della mano all'insù, con occhio critico domandò da quanto avesse ricominciato a suonare. Michiru deglutì aspettandosi il peggio, ma non negò l'ovvietà dei segni che le quattro corde stavano tornando a regalarle sui polpastrelli.

“Da qualche giorno. Vedi, non sono calli ancora del tutto formati.” Sorrise dolcemente a quello che un tempo per la donna più grande era stato un affronto al decoro artistico. Suonare con la destra... Che eresia!

Inaspettatamente la madre non disse nulla, anzi continuando a tenere il palmo della figlia tra le mani iniziò a toccare delicatamente quei piccoli segni ricordando quanto entrambe una volta ne andassero fiere.

“Li ho visti ieri, quando ti tenevo la mano, ma francamente volevo che fossi tu a dirmelo. E stai trovando fatica?”

Non aspettandosi una tale domanda, Michiru rimase interdetta per qualche secondo per poi ammettere che il riprendere a fare una musica, quanto meno scolastica, si stesse presentando molto più arduo del previsto.

“Il problema cara è che sei stata un talento e, lasciatelo dire, anche molto caparbio. Non eri mai contenta, provando e riprovando fino a quando il tuo ego ti urlava di aver raggiunto la perfezione, il che ti costava non poca fatica. Se come credo il tuo spirito è rimasto lo stesso, farai una fatica doppia nel tentare di riappropriarti del ritmo musicale.”

“In realtà mamma, la maturità mi ha resa ancora più testarda. - Rise sommessamente a quello che per lei era spesso un punto d'orgoglio. - Perciò ti lascio immaginare come riesca ad affrontare quotidianamente gli esercizi. Però credo anche di essere diventata più paziente e meno perfezionista, il che bilancia le cose.”

Lasciandole la mano, Flora tornò a camminare. “Posso chiederti come ti sia venuta l'idea?”

“In verità è stato Alexios. - La vide fermarsi nuovamente con un'espressione più che stupita sul volto. - Mi ha fatto dono del violino della sorella ed anche se non mi ha detto nulla riguardo ad un suo utilizzo, il fatto che abbia modificato lo strumento spostando la mentoniera a destra mi ha spinto a credere che volesse chiedermi tacitamente di riprendere, una cosa che Ami stessa afferma essere importante al pari di una cura.”

“Molto giusto. La signorina Mizuno ha un dono e sarà un eccellente psichiatra, ma da Alexios... Non lo facevo tanto sensibile.” Sorrise guardandosi intorno.

Era veramente una bella spiaggia, nonostante le navi crocieristiche mostruose che s'intravedevano all'orizzonte e la nauseante caoticità di un porto grande come quello del Pireo a due passi.

“Hai sempre amato il mare, proprio come tuo padre. Forse sono le lontane origine nipponiche.” Confessò lei, svizzera doc.

“E' vero. Tu invece ami la montagna proprio come...” Si bloccò appena in tempo distogliendo gli occhi da quelli della madre. Nuovamente qualche passo verso il bagnasciuga.

“Come chi?” Inquisì intuendo il soggetto dal lampo di gioia intravisto per un istante nelle iridi della figlia.

“Non importa mamma.”

Flora respirò profondamente rimarcando mentalmente il suo proposito. Non voglio più che debba sentirti rifiutata da tua madre. Ricordò per poi chiederle come stesse la signora Tenou.

Michiru si volto' corrugando leggermente la fronte. Quanto sarebbe durata questa specie di conversione?

“Meglio. Molto. L'autunno scorso ha affrontato un trapianto di midollo ed in pratica stiamo aspettando solo l'ultima visita di controllo di maggio per lasciarci tutto alle spalle.”

Facendo una leggera smorfia con la bocca, Flora affermò convinta la sua ammirazione. Doveva essere una donna molto tenace se aveva avuto la forza per sconfiggere un cancro del sangue in età adulta.

Lentamente sua madre stava cercando di muovere qualche passo di riconciliazione e Michiru gliene fu grata. “Sei stata gentile ad avermelo chiesto, grazie.”

“Sa cosa sei venuta a fare qui?”

Oddio le sembrava Ami. “Si.”

“E perché non è qui con te?”

“Perché sono... In pratica sono scappata mamma. L'ho lasciata sola credendo fermamente che il riappropriarmi del sonno e dell’integrità fisica, dipenda soltanto da me e dalle mie capacità di lotta.”

“E' tanto che sei partita. Lo credi ancora?”

“Si.”

“E lei lo ha accettato?”

Michiru illuminò allora il viso con un sorriso marcatissimo. “E' testarda. Testarda e protettiva. Non è stato facile, ma non è stupida e mi ama.”

“E per amore si cerca di accettare tutto.” Concluse la madre riprendendo a camminare quando una domanda la colpì a bruciapelo.

“Anche di avere una figlia omosessuale mamma?” Michiru vide le spalle della madre irrigidirsi. Colpita e fine della tregua.

 

 

Haruka corrugò la fronte guardando le lettere rosse zancate alla facciata di quell'edificio dall'architettura strana. Ma porca miseria! Neanche si trovasse davanti un ideogramma. Quella lingua non l'aveva mai capita ed anche per questo aveva scelto il liceo scientifico invece che quello classico. Sbuffando rilesse sul Iphone le indicazioni estrapolate da Google per poi cercare dei punti di riferimento. Ma che! Le strade le sembravano tutte uguali; caotiche, caotiche ed ancora, caotiche!

All'improvviso il suo orecchio da meccanico venne però catturato da un suono agonizzante, tipo rantolo e tutto passò in secondo piano. Voltandosi a sinistra vide una BMW nera di grossa cilindrata ferma sul ciglio della strada con le quattro frecce accese, il cofano alzato ed un uomo dai capelli brizzolati, tagliati alla moda, con un completo scuro, che mani sui fianchi guardava all'interno con fare desolato. Rise intimamente avendo già intuito con quale problema quel tipo si stesse scornando. Tornando a guardare le lettere lo sentì parlottare con una donna che stava al posto di guida. Erano stranieri, dall'accento di lui, forse americani.

“Dovremo chiamare un taxi altrimenti rischiamo di fare tardi.” Disse l’uomo vedendo la compagna uscire dall'abitacolo.

“Non è possibile! Come possono macchine prese a noleggio avere tanti problemi?!” Ringhiò lei.

Questo inconveniente non ci voleva. La donna fulminò il compagno per poi togliersi gli occhiali da sole dal naso. Fu allora che inquadrò il bel giovane dai capelli dorati che li stava osservando di sottecchi a circa una decina di metri. Aveva stampato sulla faccia un sorrisetto per nulla utile a soffocare il nervosismo che le stava montando dentro.

“Perché non chiedi a quel ragazzetto di darci una mano? Magari ne capisce meglio di te di motori.” Consigliò lei e come tutti gli uomini lui fece finta di non aver sentito. Chiedere aiuto? Mai, soprattutto se riferito al mondo dei motori.

Esasperata prese il così detto toro per le corna facendo cenno al ragazzo di avvicinarsi.

“Visto che ti stiamo facendo tanto divertire, che ne diresti di darci una mano?” Disse il inglese intuendo dall'incarnato, dalla statura e dal colore dei capelli, che fosse uno nordico europeo.

Haruka si avvicinò mettendosi i Ray-ban sulla testa, rivelando così i due smeraldi che celava dietro le lenti. L'altra sbatté le palpebre impressionata, notando la delicatezza dei lineamenti del volto. Era una ragazza?!

“Cara, lascia perdere. Chiamo un taxi così la facciamo finita.”

“No aspetti. - Lo fermò la bionda con un gesto non riuscendo a staccare lo sguardo da quello della donna più grande. - Se mi permette ci penso io. Se mi trova un cacciavite a stella, un set di chiavi inglesi e mi da cinque minuti...” Lasciò cadere la frase.

Quella donna aveva un non so che di famigliare ed un colore delle iridi quasi identico a quello della sua dea, solo un po' più chiaro. Per questo e per l'amore che portava per i motori, aggiungendo un po' di superbia per la situazione ed un pizzico di spocchia, Haruka poggiò la borsa da viaggio accanto al parafango sfilandosi lo spolverino di pelle. Arrotolandosi le maniche della camicia nera, prese il cacciavite che l'uomo aveva estratto dal kit trovato nel portabagagli e mano poggiata sul cofano fece mentalmente il punto della situazione sentendosi osservata da entrambi. Ora che la rotondità del seno era evidente, per i due era oltremodo curioso vedere una donna tanto a suo agio davanti ad un motore.

“Allora, vediamo se ho ancora il tocco.”

“Come ancora. Ma sai cosa stai facendo ragazza?” Chiese ansioso l'uomo pensando ad un possibile danno ed alla conseguente multa da pagare al concessionario.

“Certo che si, non si preoccupi signore. Di norma lavoro con le moto, ma non mi tiro mai in dietro di fronte alla richiesta d'aiuto di una BMW. Sicuramente è il corpo farfallato e la valvola IAC che sono sporchi. C'è una spia accesa sul cruscotto, non è vero?” Chiese ed una volta controllato, lui confermò.

“Ok.” Haruka scollegò la batteria smontando poi il tubo d'immissione dell'aria del corpo farfallanto.

Due mosse, qualche bullone ed estrasse la piccola valvola IAC guardandola con aria sorniona. “Piccola carognetta, sempre tu a dar noia, vero?” Le disse pensando chissà perché alla sorella per poi guardare l'uomo fermo mano a “conca” intento a reggerle le viti ed i bulloni.

“Ha un panno pulito o un fazzoletto?”

“Ci penso io.” Intervenne l'altra donna sporgendosi nell'abitacolo per armeggiare con la sua borsa.

“Ho solo un pacchetto di fazzoletti usa e getta.”

“Ottimo signora, grazie. Attenta a non sporcarsi.” Disse prendendoli delicatamente dalla mano dell’altra ed iniziando a pulire l'interno cilindrico di alloggiamento.

”Avrei bisogno di uno spray adatto per togliere le impurità, ma ci dobbiamo accontentare.” Ricollegando tutti i connettori, Haruka chiese all'uomo di provare ad accendere il motore e mentre si puliva le mani, ascoltò il rombo della BMW con goduriosa soddisfazione.

“La spia non lampeggia più!” Disse lui sporgendosi all'esterno con fare sollevato.

“Bene. Tutto fatto. Mi raccomando però, andate da un meccanico appena possibile, perché questa è un'operazione da farsi massimo ogni trentamila chilometri o si rischia di rimanere a piedi.“ Concluse chiudendo il cofano per riprendere poi spolverino e borsa.

“Grazie, ci ha salvati.” Disse lei studiandone i lineamenti. Bella. Davvero una gran bella donna.

“Di nulla, anche se... Beh vede, il taxista che mi ha accompagnata ha provato a farsi capire, ma...”

“Sta cercando la pensione il Re del mare?” La bloccò l'altra notandone la faccia stupita. Come età avrebbe potuto essere sua figlia.

“In verità si, signora.” Ammise vedendosi indicato l'edificio bianco a più piani con un fronte di piante molto curato a circa cinquanta metri da loro.

Sulla facciata la scritta che non era riuscita a decifrare che presumibilmente riportava il nome della pensione in ellenico.

“E pensare che ce l'avevo proprio davanti. Grazie.” Fece per accomiatarsi quando la donna più grande le chiese se fosse italiana.

“No, svizzera, signora. Il mio accento inglese è terribile, lo so, ma le assicuro che con il tedesco me la cavo molto meglio.” Ci scherzò su e tornando a calarsi gli occhiali da sole sul naso fece per voltarsi.

Fu allora che la donna la stupì. E non poco. “Lei è la signora Tenou, non è vero? Haruka Tenou.”

Togliendosi lentamente i Ray-ban li lasciò abbandonati nella mano destra mentre aggrottava leggermente la fronte.

“Mi perdoni... ci conosciamo?” Per assurdo che fosse, Haruka non aveva mai visto foto recenti della signora Kaiou. Michiru non ne aveva.

“La troverà in spiaggia.” Disse e voltandosi raggiunse l'uomo rimasto nell'abitacolo ed arpionando la cintura di sicurezza gli intimò di partire.

Si staccarono velocemente dal marciapiedi e mentre Paul guardava fisso la strada, Flora tornò ad inforcare gli occhiali.

“Come hai fatto a riconoscerla?” Chiese pensando ancora una volta a quanto la compagna fosse intuitiva e dotata di una spiccatissima capacità d'osservazione.

Ma Flora non rispose, forse perché intimamente neanche lei sapeva come avesse potuto riconoscere in quel bellissimo viso d'angelo, una donna che non aveva mai visto. Una cosa l'aveva colpita in Tenou, una cosa che spiccava più del colore pazzesco degli occhi, del viso regolare, dei capelli ribelli o della postura dritta e fiera dalle proporzioni pressoché perfette, ovvero lo sguardo; una limpida purezza, rara da trovarsi negli adulti.

Era stata gentile e disponibile con due perfetti estranei ed anche se l'aveva spinta l'amore per i motori, un po’ di superbia e, perché no, anche il gusto di una sfida, a Flora quella donna intimamente le era piaciuta. Apparentemente diversissima dalla figlia, avrebbe però anche potuto completarla.

Interessante. Si disse rendendosi conto di quanto fosse stata errata l'idea che si era fatta di lei in tutti quegli anni. Non era un mostro disconosciuto da Dio ed allontanato dagli uomini, una persona viscida, sgradevole, o licenziosa, anzi, Haruka le era apparsa una gran brava ragazza, ed improvvisamente provò sincero piacere nel saperla finalmente tornata in salute. Fu così che l'ennesimo pezzettino della reticenza di Flora Kaiou nei riguardi della compagna della figlia, scomparve.

Haruka rimase ferma come uno stoccafisso per un minuto buono iniziando a provare una strana sensazione d'ansia. La troverà in spiaggia. Si riferiva forse alla sua Michiru? E mentre era in pieno trip mentale avvertì il cellulare vibrarle nella tasca posteriore dei jeans e sorridendo una volta riconosciuto chi fosse, rispose.

“Ciao Michi mia.”

Michiru si sedette sulla sabbia affondando i piedi nel tepore della tarda mattina. La madre era appena andata via e la conversazione non era stata delle più facili. Questa volta la colpa era stata sua. Non aveva voluto aspettare, non aveva voluto essere cauta come generalmente era, ed aveva sparato a zero senza controllo. Non era da lei.

 

 

“Allora non mi rispondi mamma? Hai detto che per amore si cerca di accettare, dunque?”

“Michiru non forzarmi la mano.” Un'imposizione più che un consiglio.

“Non sto forzando nulla. Credo di avere il diritto di poterti fare questa domanda!"

“Non posso accettarlo così su due piedi.”

“Sono Più di vent'anni che lo sai mamma. Vent'anni!”

Flora tornò a guardarla negli occhi, ma questa volta sembrava aver ceduto lo scettro del comando alla figlia. “L'unica cosa che posso garantirti è che ci proverò, anzi, ci sto già provando. Te l'ho detto, dopo la tournée avremo tempo per parlare di questo come di tuo padre. Altro non posso proprio fare. Cerca di capirmi.”

L'altra abbassò la testa. Aveva preso a desiderare che le cose potessero andare più velocemente, perché sentiva di non avere più tempo, perché voleva tornare a casa dal suo amore e tutti, incluso il suo corpo, sembravano volerle remare contro.

“Voglio ritrovare il mio equilibrio mamma, ti prego, aiutami.”

Flora allora si scoprì. “Io proprio non capisco Michiru, non ci riesco. Come puoi amare una donna e rinunciare a tutto quello che un normale rapporto di coppia potrebbe regalarti?” Finalmente! Non ci voleva tanto.

Scoppiando in una risata liberatoria Michiru allargò le braccia facendo a sua volta una domanda. “Ma cosa credi abbia instaurato con Haruka se non un normale rapporto di coppia?! Facciamo le stesse cose che facevate tu e papà, o che fanno tutte le coppie etero del mondo.” Iniziò ad enunciarne alcune usando le dita delle mani per contarle.

“La costringo ad andare dove non vuole come facevi tu con lui. Cerca di accontentarmi facendo le cose che mi piacciono e che non piacciono a lei, proprio come quel pover'uomo. Mi piego a vedere la casa devastata da pezzi di motore e modellini vari sparsi qui e la in un crescente casino rinfacciandoglielo quotidianamente, proprio come facevi tu per le sue canne da pesca. Ognuna di noi ha compiti ben precisi per la casa, la spesa, il cucinare, il pagare le bollette ed il presenziare alle riunioni di Condominio. L'unica differenza tra il vostro rapporto ed il nostro sta nel fatto che essendo due donne, abbiamo un modo di vedere la vita, le cose e gli spazi, abbastanza simile, ma per il resto...- Si fermò avendo un'intuizione scioccante, e se...- Mamma, non ti starai riferendo al sesso spero.”

“Michiru Kaiou, non essere volgare!” Voltando il viso altrove Flora rimarcò alla figlia la sua intenzione di non voler proseguire quella conversazione.

“E no, aspetta. La proseguiamo e come la conversazione. Non può ridursi tutto a questo!” Incalzò.

“Ho detto che non intendo proseguire questa...”

“Piantala mamma!” Quasi urlò e se ne stupì talmente da bloccarsi nel guardare gli occhi sbigottiti dell'altra.

“Credo di stare per ricredermi sulla metodologia di cura che la dottoressa Mizuno sta usando su di te cara. Sei cambiata. Dove le hai lasciate le buone maniere?”

A fanculo. Stava per dire, ma avrebbe provocato solo l'indignazione dell’altra non arrivando a nulla. Cercando di calmarsi tornò ad usare un tono di voce più pacato, ma altrettanto irreprensibile.

“Ascoltami, credo di capire. Forse pensare ad una figlia che fa l'amore con un'altra donna non sarà il sogno di ogni madre, ma non credere che per un figlio immaginarsi i suoi genitori fare altrettanto sia la cosa più fantasmagorica del mondo!”

“Michiru!”

“Il sesso è una cosa importante mamma, ma non è alla base del nostro rapporto. Tra me ed Haruka ci sono centomila altre sfaccettature che vorrei tu conoscessi. Non fossilizzarti su una cosa sola.”

“Non dovrei fossilizzarmi sul fatto che non potrà mai donarti la gioia di una gravidanza?!” Colpì giù duro e le carte si trovarono magicamente tutte sul tavolo.

Michiru sbatté le palpebre socchiudendo gli occhi mentre l'ascoltava continuare. “Vuoi veramente rinunciare alla bellezza di essere madre per un rapporto che potrebbe finire tra un anno o prima? I compagni se ne vanno cara, ma i figli rimangono legati a te per sempre.”

Toccandosi il collo sentendosi leggermente in imbarazzo, Michiru sorrise guardando altrove. “Oddio mamma, ma la credi realmente questa cosa?” No, perché il nostro rapporto non sarebbe proprio come te lo stai figurando. Aggiunse non dando però voce a quest'ultimo pensiero per non ferirla.

Ma come se fosse stata in grado di leggerle la mente, Flora la guardò tristemente. “ A parte rare eccezioni.”

“Mi dispiace mamma, ma non sono d'accordo.”

“Lo immaginavo.”

“Comunque vorrei che tu sapessi che se non ho dei figli è perché sono io a non volerne. Perciò almeno in questo, non dare la colpa alla mia Ruka, per piacere.”

 

 

“Come stai amore?” Chiese alla sua bionda scusandosi poi per averla disturbata sul lavoro.

“Bene. E' bello sentirti, mi mancavi. Qui tutto come sempre e tu cosa stai facendo?” Le respose Haruka scendendo alcuni gradini in pietra.

“Nulla di che. Ho appena avuto una conversazione al limite dell'assurdo con mia madre.”

"Con chi?” Si bloccò sentendo la gola restringersi guardando poi verso la strada.

“Mia madre è qui ad Atene per dei concerti ed io ho avuto la brillantissima idea di scambiare quattro chiacchiere con lei.” Sbuffò sonoramente.

L'altra riprese a camminare. “A si? Spettacolo!”

“Puoi dirlo forte! Abbiamo parlato di … sesso.”

“Di che?” Un'altra brusca fermata ed una nuova occhiata alla linea della strada ormai posta sopra di lei di circa sei metri.

“Hai capito benissimo amore. Del grande e peccaminoso sesso tra donne.”

O porca puttana. Pensò la bionda iniziando ad avere paura di avere appena fatto un casino. E se la donna dagli occhi tanto simili a quelli della sua compagna fosse stata... Ma perché era così poco fisionomista. Dannazione?!

“Ruka, ci sei?” Chiese Kaiou non sentendola più.

“Si, si. Ma... com'è che ci sareste arrivate a codesto tabù, Michi mia?” Domandò intravedendo la spiaggetta privata della pensione.

“Lascia stare, il discorso è lungo, tortuoso ed alquanto stupido, te lo assicuro Ruka. Comunque, sta di fatto che mia madre si è appena defilata con la scusa di un appuntamento importantissimo. E' venuto a prenderla il signor Maiers ed è schizzata via come inseguita da Cerbero in persona.”

“Il signor Maiers sarebbe il suo compagno, ricordo bene? E magari è un uomo dai capelli brizzolati, fascinoso, alla moda e che indossa eleganti completi Armani?”

“Bhè, non saprei se oggi indossasse un completo, perché non è sceso in spiaggia, ma in genere, si, veste Armani, ha i capelli brizzolati ed è un bell'uomo. Sei perspicace amore.” Concluse gioiosa mentre l'altra mandava un altro sfondone al cielo.

No, sono un'idiota! Penso accaldata.

Mi perdoni... ci conosciamo?”

La troverà in spiaggia.”

Haruka poggiò la borsa e lo spolverino sopra un muretto iniziando poi a togliersi le scarpe. Eccola li la sua dea, seduta sulla spiaggia a godersi il suo adorato mare.

“Michi, devo andare. Stefano ha bisogno di aiuto.” Disse cercando di essere convincente.

“O certo Ruka. Ci sentiamo presto. Ti amo.”

“Fai la brava e... Michi, non dar retta agli sconosciuti che potresti incontrare sulla spiaggia, intesi?” La sentì ridere mentre riattaccava. Un paio di grossi respiri per cercare di controllare i battiti del cuore e si diresse lentamente verso il bagnasciuga.

Michiru sorrise guardando la foto sullo schermo. Quanto mi manchi. Pensò infilandosi il cellulare nella tasca vedendo un ombra sovrastare la sua. Sentendo una voce provenire da un paio di metri dietro di lei s'irrigidì leggermente.

“A proposito Michiru... Ti amo anch'io.”

Spalancando gli occhi e girandosi di scatto si trovò contro sole una figura resa ancora più alta dal suo stare seduta, slanciata, in maniche di camicia e con un paio di jeans neri dalle tasche con i risvolti rossi che conosceva benissimo, perché era stata proprio lei a comprare. Difendendosi gli occhi dalla luce, si alzò lentamente non potendo credere che quella fosse la realtà.

“Sei vera?” Chiese quasi con paura perché era assurdo che si trovasse proprio li davanti a lei.

“O mammina, spero di si, altrimenti vorrebbe dire che siamo entrambe fuori come un balcone." Ammise Haruka allargando le braccia per accoglierla.

“Amore mio.” Michiru le saltò al collo aggrappandosi con tutta la forza che aveva.

“Hei Michi, fai piano.” Consiglio' ridendo per poi alzarla da terra per farle compiere mezzo giro in aria.

“Amore, amore, amore mio grande...” Mugolò Kaiou nell'incavo del suo collo respirandone l'odore.

Era talmente inebriante quel contatto, che Haruka trovò fatica a privarsene. Riuscendo finalmente a guardarla in viso, sorrise come non faceva da settimane, illuminandosi come se fosse la prova vivente della raffigurazione di una Madonna nordica. Quanto poteva essere bella la sua dea e solamente ora che se la trovava tra le braccia riusciva a capire quanto maledettamente le fosse mancata. Tutta quella frustrazione, quel disagio, il nervosismo, la distrazione, tutto rappresentava la faccia della stessa moneta; l'abbandono.

“Ma che ci fai qui?” Chiese Michiru non lasciandole pero' il tempo per rispondere.

Arpionandole i capelli attiro' alle sue quelle labbra per troppo tempo bramate. Che meraviglioso sapore avevano e quanto potere stavano esercitando sui battiti del suo cuore. Se con Khloe era stato come avvertire una brezza insignificante, con Haruka sembrava stare sul punto di cedere alla forza devastante di un uragano.

“Non sei arrabbiata?” La chiese la bionda una volta che la bocca di Michiru decise di lasciarla andare.

“Assolutamente no. Una parte di me sperava che tu compissi questo viaggio nell'istante esatto nel quale ti ho detto dov'ero.”

“Meno male. Ero già pronta ad uno dei tuoi micidiali scappellotti.” Ammise per poi ridere alla faccia contrariata di una Kaiou colta in castagna.

Guardandola attentamente sotto la luce del sole, Haruka notò in Michiru il viso abbronzato e gli occhi leggermente meno stanchi. Piegando la testa da un lato si gustò il sorriso di rimando.

“Vedo che la vacanza ti ha fatto bene. – Le strinse i fianchi sollevando le sopracciglia. - E noto con piacere che hai messo su anche un pò di ciccia buona.”

Lo scappellotto tanto agognato le arrivò prontamente fulmineo sul collo. Con una donna mai uscirsene con una frase sull'età o sul peso e questo alla bionda proprio non entrava in testa.

“Non è vero!”

“Si che lo è!” Strinse con più ardore.

“Stupida...”

“Anch'io ti amo.” E si persero nell'ennesimo bacio.

 

 

Michiru rise così di gusto che Haruka quasi se ne commosse. Da quanto non la vedeva tanto felice ed euforica. Se ne stavano sedute sulla spiaggia da ormai una ventina di minuti, accoccolate l'una nelle braccia dell'altra ed in quel lasso di tempo la bionda aveva cercato di spiegarle il “cosa” l'avesse spinta ad infrangere la tacita promessa di non raggiungerla sulle coste greche.

“E' stata Giovanna?!” Una nuova risata mentre continuava a stringere il pugno sul tessuto della camicia di Haruka come se avesse il timore che nel lasciarlo lei potesse dissolversi.

“Si... Ma che ne so! Mi ha detto “valla a prendere” ed era cosi' convinta che non ho battuto ciglio.”

“Ma le hai chiesto il perché?”

“Certo. L'ho sommersa di domande. Lei le ha ascoltate tutte e quando le ho intimato di parlare mi ha ripetuto ancora più decisa “valla a prendere!” A quel punto non ci ho capito più nulla e sono partita per la tangente. Ho chiesto un permesso in scuderia e ho prenotato il primo volo utile per Atene. Credo che necessitassi solamente di una scusa e di qualcuno da incolpare se ti fossi arrabbiata. E chi meglio di Giovanna?!”

“Ruka!”

“Tanto lo so che non te la saresti mai presa con lei. Vi siete coalizzate per farmi uscire fuori di testa, perciò non fare la protettiva, che quella rompipalle sa difendersi benissimo da sola.”

Michiru sorrise a quella piccola gelosia regalandole l'ennesima carezza. “Non mi inizierai a far domande in merito a quale delle due io voglia più bene, vero?”

L'altra tirò su con le spalle affermando sicura che qualche punto di margine ancora era certa di possederlo. “Perché Giò non potrebbe mai farti provare questo.” E la baciò con tale intensità che la sentì azzerare la forza nei muscoli abbandonandosi completamente tra le sue braccia.

Una volta riemersa da quell'estasi con l'addome stretto come in una morsa di calore, a Michiru non rimase altro che darle ragione tornando a respirare con regolarità. “D'accordo Ruka, hai vinto tu.”

“Vorrei ben vedere.” Concluse tronfia ghignando della sua performance.

“Ma siete all'inizio del campionato. Quanto puoi rimanere?” Le chiese iniziando a pensare seriamente di fare armi e bagagli per seguirla a casa.

“Ventiquattro ore. Tanto mi ha concesso Henry. Domani alle nove devo stare in ufficio.”

“Ma Ruka... è un'ammazzata! Avresti dovuto chiamarmi prima d’imbarcarti.”

“Per sentirti dire che va tutto bene, di non preoccuparmi e di avere ancora un po' di pazienza? No Michi. Questa volta no. Mi mancavi veramente troppo. Lo sai quanto mi sono sforzata per cercare di rispettare le tue scelte, ma... scusami.”

“Non importa amore, va bene così. Sono immensamente felice e grata che tu sia qui. E' che mi preoccupo per te. Non mi piace saperti in pista quando non dormi a sufficienza e poi lo sai che l'ora legale tu non la vivi in maniera, per così dire, sveglia.”

A proposito di preoccupazioni motociclistiche, Haruka sentiva di avere un peso sulla coscienza che necessitava di essere epurato dalla comprensione dell'altra. Aveva pensato cose non molto onorevoli sulla sua dea, soprattutto durante la prima settimana del suo allontanamento, arrivando addirittura a colpevolizzarla per la sua caduta in pista. Non era stato giusto. Cercò allora di spiegarsi ed una volta finita la confessione fu l'altra a chiedere scusa.

“Non ho pensato abbastanza alle conseguenze di questo viaggio. Avresti potuto ammazzarti su quella pista. Lo so che quando hai delle preoccupazioni acceleri per schiarirti le idee ed è per questo che ti nascondo sistematicamente le chiavi della tua Ducati per tutta casa.” Azione che faceva saltare i nervi alla bionda ancora di più.

“Bhe Michi, in questo frangente la colpa è stata mia. Sappi però che grazie a quel piccolo disarcionamento ho avuto modo di affinare la mia tecnica di nuoto.”

La risata incontrollata che ne seguì, la ferì. “Adesso perché ridi scusa?!” Chiese sapendo già la risposta.

“No Ruka mia, non sto ridendo di te, ma... con te...”

“Ti sembra forse che io stia ridendo?” Rimarcò fintamente seria.

Lo sapeva di far schifo in acqua, anche se quella piccola sirenetta avrebbe ben presto ricevuto una sonora lezione. Aveva solo bisogno di allenarsi un'altro paio di settimane.

L'ennesimo bacio. “Ruka, mi piace vederti annaspare prima di andare affondo.”

“A grazie, ben gentile.” Disse prima che la sua attenzione venisse catturata da una piccola barca dalla chiglia colorata a strisce bianche e blu che stava passando a pochi metri dalla riva con alcune persone a bordo.

Michiru la riconobbe subito prima ancora di scorgere Khloe saldamente ferma al comando. Stava rientrando da un'escursione con un gruppo di turisti francesi. Poco meno di dieci minuti e sarebbero passati di la per far ritorno alla pensione. Stringendo le labbra si alzò porgendo ad Haruka la mano.

“Vieni amore. Devo dirti una cosa.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. L'ennesima frase lanciata a cavolo. Lo so. Scusatemi, ma se non faccio così poi la storia mi si fa appallante, no? A parte gli scherzi, è stato un capitolo di incroci, dove forse (e sottolineo il forse) Flora sta iniziando a cedere all'evidenza di un amore forte ed incondizionato come quello che ha trovato la figlia e chissà, magari un giorno potrebbe anche arrivare a gioirne come ogni genitore dovrebbe fare. E poi Haruka quando ci si mette è anche una personcina a modo.

Adesso vediamo un po', però, come la personcina a modo reagirà di fronte alla figura di Khloe. Ci sarà un incontro (di boxe) o Michiru deciderà di tenerle lontane? Non lo so ancora. Vedremo.

Per coloro che adorano quel piccolo fumetto dal nome di Giovanna Aulis, sappiate che comparirà ancora per dar noia alla nostra bionda e forse rimarrà con lei sino alla fine di questa storia, che sta via via per concludersi.

Un saluto e a presto.

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Capitolo 13
*** Gli stati dell'anima ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Gli stati dell'anima

 

 

 

Khloe teneva saldamente la barra direzionale del motore cercando di non dare a vedere quanto quel gruppo di francesi le stessero per far saltare i nervi. Erano pur sempre clienti, ma non potevano continuare a comportarsi come un branco di scimmie ammaestrate solo perché paganti professori universitari. Erano partiti all'alba, quando il sole stava appena iniziando a fare capolino tingendo il blu del cielo di quel giallo un po' biancastro tipico di quell'ora e tornavano ora quasi per la mezza, cotti dalla stanchezza e dalla salsedine, ma euforici per le bellezze marine che erano riusciti a studiare. Ancora con la muta in dosso, i quattro francesi, due donne e due uomini, tutti professori di ruolo all'Università statale di Parigi, avevano tenuto un comportamento compito e sobriamente transalpino fino al momento dell'immersione, iniziando a schiamazzare subito dopo aver fatto ritorno a bordo e svaccandosi in un chiacchiericcio molto poco degno, non appena la greca aveva messo in moto il motore Honda della sua imbarcazione. Ora, quasi del tutto scomparsa a metà del viaggio di ritorno, la pazienza socratica di Khloe stava li li per cedere.

Amava il mare, ma non quel lavoro. La gente le piaceva, ma durante gli anni passati a contatto con clienti di ogni tipo, aveva riscontrato l'avvisaglia di una maleducazione via via sempre più marcata, soprattutto nelle nuove generazioni e soprattutto in persone come quelle che, in teoria, avrebbero dovuto dare il buon'esempio perché acculturate. Agapi glielo ripeteva spesso che un pezzo di carta non rendeva ne più intelligenti, ne più rispettosi del lavoro altrui e agli occhi della figlia il sapere che avesse ragione faceva tristezza. Accelerando leggermente così che il rollio quietasse almeno in parte il continuo via vai di quei quattro scemi e li costringesse quanto meno a star seduti e composti, puntò decisa la prua verso il pontile di attracco alla spiaggia della pensione. Mentre stava aspettando che i professoroni di città finissero la loro immersione, aveva chiamato la sorella al cellulare per conoscere le condizioni di Michiru e sapeva che l'avrebbe trovata nei pressi della spiaggia, perciò gettò un occhio sulla linea di costa per vedere di scorgerne la figura.

Si era “ritirata”, è vero, ma non poteva impedire al suo cuore di godere nell'accarezzarne la bellezza con lo sguardo. Ed infatti eccola li, a circa una trentina di metri da lei. Ferma in piedi con il braccio proteso verso un'altra persona. Khloe ridusse gli occhi a due fessure scure. Ma chi poteva essere? Michiru non amava essere disturbata da estranei quando si trovava sulla spiaggia o nel locale piscine a lavorare al murales. E dunque?

Cercando di avvicinarsi ulteriormente, rallentò i giri dell'elica fissando l'estraneo che, afferrata la mano dell'altra, si issava in piedi. Alto! Era alto e slanciato, ma con una corporatura poco robusta per essere un uomo. Poi Khloe puntò l'attenzione su un particolare; i capelli, o per meglio dire, il loro colore. Biondi, molto vicini al dorato e nessun visitatore residente in quel momento al Re del mare li aveva. Ne era sicura.

E' lei! Pensò avvertendo i battiti del cuore modificare totalmente il ritmo generico usato fino a quel momento.

 

 

“Vieni amore. Devo dirti una cosa.” Ed afferrando la mano dell'altra Michiru l'aiutò ad alzarsi.

Togliendosi la sabbia dai calzoni con schiaffi secchi Haruka le sorrise maliziosa. Conosceva Michiru e sapeva cosa aspettarsi da lei, per questo non disse nulla mentre prendeva a seguirla camminando verso le scale in pietra che aveva percorso poc'anzi per raggiungerla sul bagnasciuga. Arrivarono ad un piccolo terrazzamento con alcune panchine ed un paio di tavoli protetti dal sole dai folti rami di un pino e li si fermarono godendo della quiete di quel piccolo spazio.

“Ohi ohi Kaiou. Da quale spaventoso pericolo mi stai allontanando?” Chiese divertita facendo scattare la testa a destra e a sinistra come un suricato ritto sulla tana.

“In realtà sei tu il pericolo.” Rispose sorridendo mentre si appoggiava al bordo di uno dei tavoli lasciando i palmi delle mani sulle tessere musive di vetro colorato che ricoprivano il pianale con disegni floreali.

Non sapeva cosa aspettarsi da quelle due teste calde se si fossero incontrate senza uno stato cuscinetto a dividerle e vedendo la forte personalità e la bellezza di Haruka, con molta probabilità Khloe se ne sarebbe uscita con qualche battutina all'indirizzo di quel bacio rubato.

Con le mani nelle tasche posteriori, Tenou la guardò con stupore. “Io?”

“Esatto. Tu.”

“Oddio, mi hanno chiamata in parecchi modi, a volte neanche tanto lusinghieri, ma mai pericolo. E si che faccio un mestiere particolare Michi.” Ridendo capì da quello sguardo profondissimo che nella sua dea stava salendo una certa apprensione.

Michiru sospirò non sapendo da quale verso prenderla. Non voleva rovinare le poche ore a loro disposizione innescando uno stupido, quanto inutile litigio, ma non le avrebbe tenuta nascosta una cosa tanto importante.

“Sono un po' stanca di confessioni.” Ammise dolcemente guardando il mare.

“Inizia con il dirmi chi dovrebbe aver paura di me.” Suggerì avvicinandosi di un passo.

“Khloe.” Tornò a guardarla e la bionda capì.

“Ci ha provato?!” Disse per la verità neanche troppo sorpresa e Michiru confermò stirando le labbra ed alzando di pochissimo le spalle.

“Ma che gran brutta...”

“Ruka!” La bacchettò afferrandole un braccio per tirarla a se.

“Non difenderla!”

“Non la sto difendendo. Sai che non mi piace che tu dica, beh, quello che stavi per dire. - Estraendole a forza una mano dalla tasca iniziò a massaggiarglila con i polpastrelli della sua - Ascolta, ci ho già pensato io. Volevo solamente che tu lo sapessi. ”

“Me lo avresti detto anche se non fossi venuta?” Una leggera punta di rabbia mista a sarcasmo.

“Certamente e lo sai. Il nostro rapporto è basato sulla fiducia, anche se non lo avrei mai fatto per telefono, bensì al mio ritorno.”

Staccando il contatto visivo con le iridi della compagna, Haruka guardò lontano chiedendole quando e, soprattutto, cosa fosse accaduto fra loro.

“Due sere fa... Un singolo bacio, che non avrei permesso se fossi stata più accorta, lo riconosco.” Sentì la mano della bionda irrigidirsi per poi chiudersi a pugno.

“Ruka, guardami.” Alzandolo dal piano del tavolo, le mise l'altro palmo sulla guancia costringendola a ridarle gli occhi.

Valla a prendere. Quella frase fino a quel momento criptica scavò la percezione di Tenou diventando improvvisamente cristallina. “L'hai detto a Giovanna!?”

“Come? No! Cosa c'entra Giò adesso!”

“... Nulla. In ogni caso è meglio che non veda questa Khloe o...”

“...o? Cosa sono un osso da difendere zanne al vento? Ti ho già detto di averci pensato io Ruka. Non ti basta?”

L'altra ritrasse la mano per andarsi a sedere sul muretto che dava sulla spiaggia tre metri sotto alla piazzola artificiale.

“Ma fammi il piacere Kaiou. Immagino come tu abbia risolto la questione. Un sorriso ed amiche come prima.” Malignamente veritiera iniziò a far dondolare una gamba mentre l'altra rimaneva piantata a terra.

Mani nelle mani Haruka continuò a guardare altrove fino a quando non avvertì la presenza della compagna a pochi centimetri dal fianco.

“Preferiresti che ti dicessi di averla schiaffeggiata?”

“Si!” Ringhiò minacciosa scattando il viso verso il suo.

“Il tuo ego ne sarebbe più compiaciuto?” Chiese vedendola voltarsi un'altra volta verso la distesa azzurra.

“Piantala Michiru, non trattarmi da zotica.”

“E allora non comportarti come tale!” Sbottò sinceramente stufa di quel comportamento.

Aveva ormai perso il potere d'assorbimento che aveva contraddistinto il suo relazionarsi con il mondo fino a quel viaggio. Non era più una spugna e se da una parte le faceva una gran paura, perché poteva causare negli altri reazioni non volute, dall'altra era meravigliosamente liberatorio.

Haruka la guardò perplessa. Un misto tra lo stupito e l'offeso.

“Sinceramente credevo capissi Ruka, pensavo che proprio per l'amore che nutri per me saresti riuscita a comprendere l'azione di Khloe. Ti ho già detto che la sua passionalità è molto simile alla tua, ma ti ho anche rivelato quanto mi porti rispetto. E' arrivata a scusarsi.”

“Ti porta tanto di quel rispetto che non ha impedito alle sue labbra di appiccicarsi alle tue!”

Esasperata da quello che iniziava a sembrarle il mantenimento ad oltranza di un puntiglio infantile, Michiru le chiese cosa avrebbe fatto lei se si fosse trovata a vivere quella situazione. Haruka ci pensò su un attimo per poi ammettere candidamente. “E che avrei fatto?! Ci avrei provato Michi...”

Allargando le braccia l'altra si allontanò tornando a poggiarsi al tavolo. Incrociandole poi al petto attese la sbollita. Tempo un paio di minuti e la bionda tornò molto più tranquilla.

“Sta di fatto che la cosa mi da fastidio lo stesso.”

“Non dirlo a me. Comunque se ti può consolare, è stato abbastanza... irrilevante.” Rivelò riferendosi alle sensazioni provate a quel contatto e come una bambina vittoriosa ll bionda sembrò goderne.

“In effetti... irrilevante è un aggettivo che mi aggrada.” Si alzò per tornarle davanti.

Michiru scosse la testa sospirando. Che ragazzaccia si era scelta per compagna. “Accidenti a te Ruka. Quando fai così non ti sopporto.” E stringendosi al suo petto affondò il viso nel cotone della camicia.

“Non è colpa mia se sono gelosa.” Ammise per stamparle poi un bacio sulla fronte.

“Haruka..., sono tanto stanca. Prima il ricordo di mio padre che non mi lascia mai, poi Khloe, mia madre e i suoi discorsi al limite dell'assurdo e adesso tu. Sembra che più necessiti di pace e meno ne riceva da coloro che dicono di amarmi e volere il mio bene.” Tornando a nascondere il viso nel petto della bionda la sentì irrigidirsi capendo troppo tardi di averle causato dolore.

Oltre a non essere più una spugna, Michiru sentiva di avere anche i riflessi emotivi leggermente rallentati, come se si stesse risvegliando da un letargo decennale non riuscendo ancora a fare il punto della situazione. In pratica non era più in grado di trattenersi dal dire ciò che il suo cuore provava.

“Scusami Michiru. Hai ragione. Sono venuta qui per farti sentire la mia presenza ed il mio sostegno e come al solito mi sto comportando da egoista.”

“Ssss... Basta amore. Non parliamone più. Vorrei solamente rimanere così per un po'. Ti dispiace?”

“No, Michi mia.” E la strinse ancora più forte a se.

Da una delle finestre della reception che davano sul terrazzamento, Khloe guardò in maniera apparentemente distaccata tutta la scena. Sentiva dentro al petto una serie di emozioni contrastanti. Se da una parte l'immaginare della sua Michiru felice per quell'improvvisata la faceva stare bene, dall'altra il vederla tra le braccia di un'altra, concederle quelle stesse labbra che le erano state precluse con tanta determinata freddezza e magari donarle nel breve anche qualcos'altro, la faceva impazzire. Certo che Kaiou se l'era trovata proprio bella l'anima gemella. Nulla da dire. Non avvertendo Ami alle spalle trasalì quando sentì la sua mano sulla spalla.

“Intendi presentarti?”

“Vuoi che mi prenda a sberle? E' più alta di me di almeno dieci centimetri.”

“Non ti hanno mai spaventato dieci centimetri.”

Khloe la guardò sorridendo ed abbracciandola le chiese se quella “sorpresa” avrebbe potuto aiutare o compromettere il percorso di guarigione di Michiru.

“Indubbiamente si amano e non può che trarre forza dalla sua compagna. Spero solo che non le venga in mente di seguirla. Ora che la signora Flora è qui ad Atene, abbiamo un'occasione unica di chiudere il discorso riguardante il signor Viktor. Sciolto questo nodo Michiru sarà in grado di guarire da sola, lentamente e senza più alcun problema.”

“E per la questione spinosa che riguarda il suo rapporto con la madre?”

“Bèh, mi sembra che questa mattina Flora sia venuta a trovare la figlia no?”

“Mmmmm....”

“Comunque lascia che ti dica che tra te e quella stangona bionda trovo la mia sorellona molto più affascinante. E' troppo nordica per i miei gusti.”

Ridendo l'altra alzò le spalle e tornando a guardare fuori vide che le due donne erano andate via.

 

 

Haruka volle portare Michiru a pranzo fuori, ma non conoscendo nulla di quella città, si lasciò guidare dalla più giovane che decidendo di non spingersi troppo lontano dal mare, optò decisamente per una grigliata di pesce in una trattoria sulla spiaggia che le era stata indicata da Alexios durante la festa del Porto Grande. Qui la bionda l'aggiornò su quanto era accaduto a Bellinzona durante la sua assenza. Per esempio di quanto i vicini chiedessero di lei, di come il manutentore del loro comprensorio si fosse rotto un braccio durante la potatura di uno degli abeti che davano sul parcheggio condominiale e della “bella” multarella che gli uffici Ducati le avevano imposto di pagare per la stupida sconsideratezza di aver appiccicato al muro il secondo pilota collaudatore. A quest'ultima notizia Michiru reagì tirando su pesantemente con il naso chiudendo gli occhi e contando fino a dieci.

“Dovrebbe essere Giovanna a pagare mille franchi, non io. E' lei che se ne va in giro con i jeans aderenti.”

“Haruka... bevi un po' di vino che ti fa bene.” Consigliò Kaiou riempiendole il bicchiere di bianco.

“Guarda che non sto cercando di tirarmene fuori sai?! Lo so che la colpa è stata mia, ma è lei che va rimorchiando imbecilli a ogni dove.”

“Ma chi? Giovanna? La stessa Giovanna che conosco anch'io? Stiamo parlando di una donna che sovente indossa Kombat e polo macchiate di calce. Haruka stai diventando paranoica ed un tantino opprimente.”

Michiru vide la compagna scuotere la forchetta per niente convinta addentando poi l'ennesima rondella di Totano. “Mica vero. Senti questa; Stefano non fa che chiedermi di lei e sono sicura che a Giò la cosa non dispiaccia.”

Due secondi e l'altra scoppiò a ridere coprendosi la bocca con una mano. Gelosa! Haruka era gelosa della sorella. "Amor mio, lascia che ti riveli una cosa; se non te ne fossi accorta, Giovanna è una bella donna e anche se afferma di star bene da sola è normale ed umanissimo che ogni tanto punti a divertirsi un po'.”

“Ovvero?”

“Sai a cosa alludo. Tua sorella è grande, grossa e vaccinata, lascia che si diverta se vuole. Passi per gli apprezzamenti poco carini di quello stupido di Patrik, ma Stefano Astorri è degno di considerazione, non trovi?”

“No. Non vorrai imparentarti con lui spero?”

“Imparentarmi?! Ho parlato di divertimento non di matrimonio.” Disse allibita dalla fantasia galoppante della bionda e mentre stava pulendosi la bocca con il tovagliolo la sentì borbottare un ci mancherebbe.

“Vuoi che lasci mia sorella nelle mani del primo venuto?”

“Ma si può sapere cosa ti è successo ? Non ti sei mai comportata così. Sei la prima a dire che dovrebbe uscire di più, che dovrebbe fare nuove conoscenze. La chiami zitella acida ogni tre per due e ora?” Sempre più divertita da quell'insolita scenetta che Tenou le stava regalando, Michiru tornò a mangiare non riuscendo però a togliersi un sorrisetto sfacciato dalle labbra.

Haruka dovette cedere. Galeotto fu l'allontanamento della sua dea e la rottura del suo Iphone. Da quel momento in avanti l'era diventato sempre più difficile pensare alla sua vita senza quella fastidiosa bestia tra i piedi. Gli sfoghi, le discussioni, i “giochi” di un silenzio pupesco, i momenti catartici e quelli divertenti, le lunghe chiacchierate al telefono fino a tarda sera. La lista di Kurzh!

“Colpa mia anche per quella, ma trascriverla corredandola di appuntini e “baci baci”. Dai, un po' di serietà!”

Michiru tornò a ridere tenendosi la fronte. La compagna stava sopportando quel periodo anche grazie a Giovanna ed alle sue dolcissime stranezze e forse anche la maggiore aveva trovato in quel periodo di forzata unione, uno spiraglio per iniziare a non temere più il carisma di Haruka.

“Amore, stavo pensando che potresti farla venire da noi finché non torno, che ne pensi?” Chiese vedendola bloccarsi una volta recepita l'ultima parola.

Questo voleva dire solo una cosa; che Michiru non intendeva seguirla. Posando le stoviglie sul bordo del piatto la bionda sospirò iniziando a picchiettare l'unghia di un dito sul vetro del bicchiere.

“Sapevo che non saresti ritornata a casa con me, ma non ti nascondo che un po' ci sparavo.”

“Non sai che voglia ho di riappropriarmi della vita di tutti i giorni. Non credevo di arrivare a sentire nostalgia persino delle Alpi, ma voglio riuscire a portare a fine il lavoro del murales, ti ricordi, te ne ho parlato. Non posso ricambiare la loro ospitalità e l'affetto che mi stanno dimostrando con la mia inoperosità. In più devo cercare di risolvere con mia madre, soprattutto ora che si trova così vicina a me, fisicamente ed emotivamente. I miei sogni sono diventati discontinui e frastagliati. Ci sono notti che compaiono, altre no e questo per Ami è sinonimo di guarigione. In pratica devo battere il ferro finché è caldo.” Disse non accennando però dell'attacco di febbre avuta meno di quarantotto'ore prima e il senso di colpa per la morte del padre che ancora si portava sulle spalle.

“Mi sembra giusto. Sono stati splendidi con te, soprattutto questa Ami. Sei molto più serena... nonostante la tua stupida bionda. - Ammise Tenou per poi proseguire alzando le sopracciglia con aria pentita. - Visto che siamo in tema di cose stupide, credo di averne combinata un'altra delle mie. Tua madre...”

Michiru sbiancò ed una volta finito il racconto del “salvataggio” della BMV presa a noleggio, scosse la testa lentamente.

“Il signor Maiers ha molte buone qualità, ma non ce lo vedo proprio a sporcarsi le mani di grasso, perciò dimmi che non hai fatto sfoggio di quel ghigno irrispettosamente tronfio che monti su ogni volta che hai occasione di far vedere ad un uomo come si tratta un motore.”

La bionda alzò le spalle. Se era dotata, era dotata.

“Ruka... un conto è sentirsi portati per una cosa ed un altro è sbatterlo in faccia a chi non ha il tuo stesso talento. Hai fatto il ghigno irrispettosamente tronfio. - Respirò profondamente. - E lo hai fatto al compagno di mia madre. Fantastico.”

“Sarei stata sicuramente più umile e più rispettosa - mimò le virgolette a mezz'aria - se l'avessi riconosciuta, ma ho avuto modo di vedere solo qualche foto di Flora e risalgono tutte a vent'anni fa. Non puoi pretendere che me la ricordi.”

“Con la fisionomia dei volti non sei mai andata d'accordo. Lasciamo perdere. Almeno hai reso un servizio ad un bel motore.” E la vide stirare le labbra muovendo la testa energicamente convinta. Due occhioni da bambina bellissimi.

Rifiutandosi di sperimentare l'espressività espressa da un espresso greco, scelsero di chiudere il pranzo con due bicchierini di Mirto gelato, ed una volta pagato il conto uscirono per fare una breve passeggiata. Tra il tempo che Haruka avrebbe impiegato per tornare in aeroporto e tutta la trafila per l'imbarco, rimanevano a loro disposizione neanche quattro ore. La bionda avrebbe tanto voluto passarle tra le braccia della sua dea, ma il posto? Mai in un motel, mai in maniera frettolosa e mai in forma approssimativa. Mai! Era talmente tanto tempo che non stavano insieme che sarebbe stato quasi peggio iniziare una cosa senza poi “goderne” a pieno.

“A cosa stai pensando?” Le chiese Michiru stringendola sotto braccio mentre camminavano lentamente sul marciapiede del lungo mare.

“Che non abbiamo preso il desser.” Disse sentendosi la pelle scottare sapendo benissimo che non era per effetto del sole.

“Possiamo prenderlo al Re del mare... se vuoi.” Consigliò languida.

Haruka si fermò guardandola negli occhi. Erano carichi di desiderio. Accidenti Kaiou... e non guardarmi così! Pensò tossicchiando.

“Non hai paura che mi scontri con la greca?”

“Assolutamente no.”

“E non sarebbe irrispettoso verso i Mizuno?”

“Beh, non credo. Li adoro, ma non sono la mia famiglia ed anche se lo fossero, non sono una sedicenne in cerca di un anfratto per far cosacce con la sua compagna di banco."

"Giusto."

”E poi non innescheremmo certo una bomba facendo saltare tutta la pensione in aria.”

Un sorrisetto maliziosamente al limite del perverso stirò le labbra della bionda. “Ne sei sicura?”

 

 

Volo 942 per Trento delle venti e dieci, ultima chiamata.”

La voce stentorea dell'alto parlante non lasciava alle due altro tempo. Michiru aveva insistito per accompagnare Haruka in taxi così da prolungare di qualche ora il loro stare insieme. Ora ferme l'una dinnanzi all'altra, fronte contro fronte, sulla soglia della zona d'imbarco, sentivano di non avere la forza per lasciarsi. Tra le due Haruka sembrava la più scombussolata. Tanto audace e decisa nel “guidare” i loro scambi di pelle, tanto maledettamente esitante ora che doveva girarsi e sciogliersi dalle braccia della sua compagna.

“Ruka... devi andare.” Cercò di scuoterla contraddicendo lei per prima a quelle parole.

Michiru teneva le dita di entrambe le mani arpionate alla vita dell'altra ed anche se sapeva di doverla abbandonare, una parte del suo subconscio sembrava non volere accettare la cosa.

“Ruka.” Ripeté continuando a sentire il calore della fronte della bionda sulla sua.

“Lo so.” Disse aprendo gli occhi per prenderle poi le mani e staccarle lentamente dalla sua maglietta.

Le aveva lasciato sotto il cuscino la camicia nera. In quel cotone era inpresso il suo odore e sapeva che a Kaiou avrebbe fatto piacere averlo una volta che si fosse coricata per la notte.

“Mi chiami quando arrivi a Bellinzona?”

“Certo Michi.” Confermò più che convinta sentendo le labbra di lei premute sulle sue.

“Mio Dio, mi manchi già. - Michiru guardò la porta d'imbarco per poi continuare. - Tornerò presto. Ciao amore mio grande.”

L'altra le lasciò le mani afferrando la borsa e stirando le labbra in quello che era più un ghigno che un mezzo sorriso, si girò dirigendosi verso una delle l'hostess adibite al controllo. Lo sapeva Haruka che sarebbe stato difficile lasciarla andare, ma quell'azione si stava rivelando una delle cose più dolorose mai compiute da quando si erano conosciute. Senza voltarsi indietro, alzò il mento fieramente decisa a non lasciare che lo scoramento le invadesse il cuore e camminando si diresse verso l'aereo che l'avrebbe riportata a casa.

 

 

Con il mento poggiato svogliatamente sul palmo della mano destra, Haruka fissava l'enorme distesa blu scuro che si estendeva sotto l'ala del suo Boing 747. Il crepuscolo aveva quasi definitivamente ceduto alla sera, ed i colori fuori dall'abitacolo si erano fatti tutti uguali, confondendo la linea del cielo con quella del mare per dar vita ad un unico, immenso elemento. Cielo e mare. Diversissimi, ma agli occhi di Haruka mai così intrinsecamente e meravigliosamente legati. Come loro due; Tenou e Kaiou.

Quando dopo qualche minuto l'oscurità avvolse definitivamente il mondo esterno, il vetro del suo oblò le rimandò l'immagine di una bellissima donna dallo sguardo triste e pensieroso. Erano state ore intense, particolari e totalmente inaspettate, nate e consumatesi con l'aiuto di sentimenti contrastanti, ma tutti legati saldamente all'amore che provava per la sua Michiru. Preoccupazione, ansia, trepidazione, gioia, gelosia, accettazione, eccitazione, dolcezza e tristezza. Nove stati per nove momenti che avevano cadenzato il tempo ritagliato a fatica da due strade che non vedevano l'ora di ritornare ad unirsi.

Dopo la frase di Giovanna, era stata la preoccupazione a farla scattare verso l'ufficio di Henry Smaitter per chiedere, supplicare, un giorno, uno soltanto, da dedicare interamente alla sua famiglia e vedendo quegli occhi verdi da bambina, a quell'uomo burbero era bastata la promessa di tornare il giorno successivo per accontentarla. Durante il volo di andata l'ansia le aveva attanagliato le viscere come una morsa e sensi di nausea sempre più marcata l'avevano accompagnata sino al prospetto principale del Re del mare, dove una trepidazione quasi adolescenziale si era fatta strada in quello stesso malessere trasformandolo in gioia profonda, vera, immensa, esplosale dentro alla sola vista delle spalle di colei che amava più di se. Ma Haruka non sarebbe stata Haruka senza che la “compagna” dagli occhi verdi, il mostro famelico dei bei sentimenti altrui, non le avesse falcidiato lo spirito con vagheggiamenti indegni di una mente lucida e matura, così la gelosia, grande nemica di ogni rapporto, era tornata a batterle sulla spalla per ricordarle di stare sempre in guardia. L'accettazione, amica preziosissima, le aveva invece suggerito di voltare pagina ed andare avanti, perché tutto è divenire.

Sicuramente meno scalmanata di quando aveva vent'anni, l'eccitazione era, alla sua età, diventata gestibile e bene indirizzata. Le poche ore che aveva potuto passare tra le braccia della sua dea, erano state complete ed intimamente appaganti, come una doccia gelata dopo un bagno di sudore e l'infinita dolcezza di ogni gesto immediatamente successivo a quel vortice di passione, era stato lenitivo ed indimenticabile. Ora però, seduta al suo posto tra sconosciuti di ogni nazionalità, era arrivata lei, arcigna, vigliacca, silenziosa. La tristezza, quella vera, stava lacerandole il cuore come se fosse stato di burro ed Haruka si sentiva sola, tremendamente sola. Non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarla a casa. Nessun sorriso, nessun ciao amore, ben tornata.

Un respiro più pronunciato degli altri e tornò a poggiare la schiena alla poltroncina incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi cercò di imprimersi nella memoria ogni azione, gesto e parola, compiute ed ascoltate durante il corso di quelle ore ormai passate.

 

 

Michiru ringraziò il tassista prendendo il resto ed uscendo mestamente dall'abitacolo. Guardando la scritta in ellenico ormai accesasi, spostò l'attenzione al mare poco distante. Una coltre pesante l'era entrata nel cuore e ora le stava soffocando ogni singolo battito. Da quando aveva osservato quelle spalle fiere allontanarsi lentamente per il corridoio dell'imbarco, aveva preso a desiderare in maniera quasi irrazionale di seguirle ed afferrarle per non lasciarle più, ed anche se ormai le poteva vedere solo con gli occhi della mente, quella sensazione di necessario contatto non accennava a scomparire.

Quella giornata era stata incredibilmente intensa, vuoi per sua madre, con la quale aveva innescato discorsi al limite del paradossale se paragonati al rapporto asettico che avevano da sempre, vuoi per il meraviglioso regalo che Haruka le aveva fatto. Si decise a muovere i primi passi verso l'entrata della pensione non volendo neanche sfiorare con gli occhi la piccola piazzola posta al lato di uno dei prospetti secondari della struttura che le aveva viste insieme. Aprendo la porta a vetri della pensione avvertì il vociare della clientela ormai in procinto di mettersi a tavola per la cena ed il caldo appiccicoso dell'umidità marina. Sorrise sapendo cosa avrebbe detto la sua bionda di quel clima così poco congeniale ai suoi geni alpini. Evitando una famiglia, si accorse dell'arrivo di una scolaresca spagnola e corrugando la fronte intravide Khloe dietro al bancone impegnata con l'assegnazione delle camere. Addio alla pace, soprattutto notturna. I loro sguardi s'incrociarono per un attimo. La greca le simulò il gesto del portarsi una forchetta alla bocca e Michiru scosse la testa facendole capire che sarebbe andata subito a dormire. Un sorriso come saluto e Khloe tornò a dar retta a quel branco di adolescenti scalmanati. Michiru sapeva che le aveva viste rientrare alla pensione. Era stata egoista a scegliere il Re del mare per avere un po' di intimità con la sua bionda? Può darsi. Ma era stato meraviglioso riavere Haruka stretta al petto.

Una volta salita in camera e chiusasi la porta alle spalle, Michiru si sedette sul letto lasciando che la mano corresse sulle lenzuola ancora disfatte fin sotto al suo cuscino. Ed eccola li, dove Haruka gliela aveva lasciata prima di uscire per andare ad aspettare il taxi.

“Così respirando il mio odore scaccerai via tutti i brutti sogni.” Le aveva detto facendole un occhiolino. Dolcissima donna testarda.

Ed in effetti, cullata da quel profumo si addormentò non sognando nulla fino a quando, verso la mezzanotte Haruka non la chiamò.

 

 

Il cellulare squillò proprio mentre era in procinto di salire sul cestello di un “ragno” da 32 metri. Sbuffando e stando bene attenta a non sbattere per l'ennesima volta la testa alla traversa di ferro che ne bloccava l'accesso, Giovanna fece cenno all'operaio di attendere un attimo e con un saltello tornò scarponi ben piantati sull'asfalto. Visto sul display il nome ed il viso di quella bionda imbronciata allergica ad ogni tipo di scatto fotografico, che in teoria doveva essere sua sorella, ma che in pratica era sparita per quattro giorni, rispose mantenendo nella voce un piglio alquanto professionale.

“Pronto, Architetto Aulis... con chi ho il piacere?”

Dalla parte opposta Haruka guardò la cornetta del telefono del suo ufficio socchiudendo gli occhi.

“Qui è l'ufficio del Primo Ingegnere collaudatore della casa automobilistica Ducati del distaccamento elvetico di Bellinzona.... deficiente!”

Giovanna si agganciò l'elmetto al moschettone della cinta continuando la diatriba. “Non ho il piacere di conoscere nessun Primo Ingegnere collaudatore della casa automobilistica Ducati del distaccamento elvetico di Bellinzona… deficiente sarai tu!”

“Ok, ok, scusa. Facciamola finita qui.” Disse sapendo di aver mancato con Giovanna. Era sparita non dicendole nulla in merito al suo viaggio lampo in Grecia.

“Scusa per cosa?” Indomita.

“Lo sai.”

“Scusa per cosa... Ruka?” Ripeté piatta come un padrone in procinto di dare una giornalata sul muso del suo cucciolo perché trovato con una pantofola in bocca.

Questa non gliel'avrebbe fatta passare senza delle scuse decenti. Anche lei era preoccupata per Kaiou ed anche se aveva ricevuto dall'amica una telefonata la mattina successiva alla sua “toccata e fuga” di Tenou e sapeva perciò che era andato tutto bene, quella gran bestia gialla non si era neanche degnata d'inviarle uno straccio di messaggio.

Alzando gli occhi al cielo Haruka roteò la sua poltrona di cento ottanta gradi piazzandosi davanti alla finestra che dava sulle guglie ancora imbiancate delle sue adorate montagne. “Scusa per essere sparita e non averti detto di aver seguito il tuo consiglio partendo per raggiungere Michiru.” Confessò di mala voglia.

“Meglio.”

“Guarda che so che ti ha chiamata e conoscendola ti avrà' ringraziata a sufficienza.”

Questa volta toccò a Giovanna alzare gli occhi al cielo. “Tenou… cosa desideri a codesta ora della mattina? Ovvero... che voj ?!”

“Volevo sapere quando finiscono i lavori che stai dirigendo in quel Condominio del quale mi hai accennato?” Chiese mentre prendeva a spulciare la sua agenda di pelle verde.

“Domani, perché.”

“Tempismo perfetto! Come stai messa a strumenti di rilevazione metrica?”

Ma che domande fa? Pensò prima di rammentarle che essendo un tecnico, non ne era proprio del tutto sprovvista.

“Tenou, con chi credi di parlare? Dimmi piuttosto perché me lo stai chiedendo?”

“Perché per la gara mondiale di metà maggio, i “galletti” hanno modificato la pista con un paio di curve in più ed io devo andare al circuito di Le Mans per fare delle rilevazioni. Se ti va potresti accompagnarmi dandomi una mano.”

Giovanna rimase interdetta. Voleva il suo aiuto?

“Ma che alla Ducati siete a corto di personale?” Chiese tra il serio ed il faceto.

“Non fare domande stupide, certo che no! E' solo un'occasione per stare... - Si bloccò virando come un piroscafo di fronte ad uno scoglio. - E' solo un'occasione. Insomma Goovanna, ti interessa o no?!”

“Certo che m'interessa, ma ti avverto che di rilievi di strade non ne so poi molto.”

“Per quello lascia che ci pensi io. Imparerai presto. Ascolta, francamente non riesco a venirti a prendere con la macchina perché devo chiudere delle cose qui, ma se riesci a saltare sul treno per Bellinzona domani pomeriggio dopo la consegna del cantiere, sarai alla stazione verso le dieci. Mangiamo una cosa al volo al ristorante, ci facciamo una bella dormita e poi si parte all'alba. Staremo fuori un... tre giorni circa. Tutto spesato naturalmente.”

Sempre più interdetta, l'altra accettò la proposta e dopo un rapido saluto Haruka riattaccò sorridendo soddisfatta. Si sentiva stranamente elettrizzata ed additò questa nuova benedetta euforia al fatto di non svolgere da sola un lavoro che in due sarebbe stato più veloce, meno noioso e più stimolante. Piccolo cucciolo alpino! Non voleva proprio accettare che quello stato di grazia natogli improvvisamente dopo giorni di apatia lavorativa era dovuto al pensiero del primo, vero viaggio che stava per intraprendere con la sorella maggiore.

Giovanna guardò l'operaio che la stava aspettando sul cestello sigaretta in bocca. “Problemi Architè?” Le disse con marcato accento dell'est Europa.

“Speriamo di no Vasili. Speriamo di no.” E tornando a calzare il suo elmetto si diresse come un piccolo fante verso la sua personale trincea, che poi altro non era che un cestello incrostato di vernice di uno Spider 32.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Si, lo so, lo so, alcune di voi volevano il sangue. Dai non si poteva. Haruka l'avrebbe tritata alla povera Khloe. Non la stava prendendo bene e se l'avesse vista... altro che suricato sulla tana; Panzer d'assalto! Michiru potrebbe fare la maestra delle elementari, perché quanto a pazienza, nonostante il periodaccio, non la batte nessuno! A breve gli ultimi capitoli di questa piccola storia. Intanto godiamoci i casini che Haruka e Giovanna andranno a seminare in Francia e gli scontri tra Flora e la figlia.

Un salutone.

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Capitolo 14
*** La luce all'improvviso ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La luce all'improvviso

 

 

 

Un altro paio di pennellate e si accorse di aver finito il colore sulla tavolozza. Michiru sorrise soddisfatta scendendo dal trabattello per avere una migliore prospettiva. Aveva quasi terminato il suo murales. Qualche altro giorno e avrebbe potuto ritenere l'opera pronta per essere consegnata ai Mizuno.

Aveva composto gli strati pittorici di quell'immagine pensando ad Haruka e colore dopo colore, aveva goduto nell'immaginare la faccia di sincera ammirazione che sicuramente le avrebbe messo su una volta vistolo. In verità l'idea di partenza era nata da un mezzo litigio. Qualche settimana prima, durante una telefonata serale fattale dopo l'euforica immersione con Ami nel parco marino a qualche miglia dalle rive del Re del mare, Michiru si era sentita dire dalla compagna di non poter capire cos'avesse provato, quali sensazioni e quali emozioni una ninfa d’acqua come lei avesse sentito nell'abbandonarsi completamente a quell'abisso e allora aveva provveduto disegnando quelle imagini.

E come la sua Haruka, tante altre persone impossibilitate a raggiungere quei fondi, con la sua opera forse avrebbero potuto capire almeno un pò l'incredibile senso di libertà scaturita da un'esperienza simile. Portare un piccolo pezzettino di quel parco acquatico sulla terra ferma, riproducendo il più fedelmente possibile, i colori e le immagini che aveva potuto vedere laggiù quel giorno, era sembrata a Michiru una bellissima idea. I colpi di luce provenienti dalla superficie, le sfere biancastre che come impronte deformate giocavano a rincorrersi l'una con l'altra sul fondo ocra picchiettato di conchiglie, i pesci noncuranti che continuavano a gironzolare tra le correnti e parte di quella chiglia che settant'anni prima era stato un incrociatore greco, ormai ridotta a scheletro eroso dalla salsedine e casa di crostacei multicolori. Tonalità blu di ogni sfumatura, unite ai grigi, ai rossi e ai gialli. Ebbene si, Michiru era proprio soddisfatta.

Sentendo bussare ad una delle vetrate vide Ami farle cenno di aprirle la porta finestra che dava sul viale interno. Aveva dovuto iniziare a chiudersi dentro per non vedersi gente spuntare fuori da ogni dove. Con la primavera la pensione stava andando riempiendosi.

Posando tavolozza e pennello corricchiò fino al vetro lasciando girando la chiave per far poi scorrere il telaio sulle guide. La donna più giovane le sorrise mostrandole una busta bianca con l'intestazione e le lettere dorate del King George. “Appena arrivati!” Disse sapendo che sarebbe stata capita al volo.

I biglietti per la prima del concerto di Flora al Megaron Concert Hall.

“E quanti sono?” Chiese lasciandola passare per poi richiudere a chiave. Credeva, sperava che la madre glieli avrebbe portati di persona. Illusa.

“Non so. Non l'ho aperta del tutto, perché credo ci sia un messaggio per te.” E porgendole la busta la guardò aprirla prontamente con un paio di gesti secchi.

Contò i biglietti costatando che fossero cinque. Uno anche per Khloe dunque, pensò Michiru leggendo poi il biglietto che li avvolgeva ad alta voce. Non aveva alcun problema a farlo in presenza di Ami.

Scusami, ma gli impegni sono più pressanti del previsto e non sono potuta passare a consegnarteli di persona. Ti chiamerò quanto prima. Mamma.”

Facendo una smorfia si mise il foglietto nella tasta del camice da lavoro riponendo poi con cura i biglietti nella busta riconsegnandola all'altra. “Li tieni tu?!”

“Ok. Mia madre vorrebbe ringraziarla.”

“Non c'è ne bisogno, ma se proprio ci tiene potrà farlo di persona alla prima. Sono biglietti top class, che permettono di accedere anche al palco e ai camerini.” Spiegò tornando verso il murales.

Perché Michiru avvertiva nervosismo? Si sentiva come una drogata in crisi d'astinenza. Prima troppo e adesso niente. Voleva forse la mamma?!

“Michi, che c'è?” Chiese il medico.

Era dall'attacco di febbre che le due non avevano più avuto occasione di parlarsi, perché dalla partenza di Haruka, in pratica Michiru aveva iniziato a “vivere” nelle piscine per poter finire il suo lavoro, con tanti saluti alle loro benefiche chiacchierate.

“Non lo trovi destabilizzante?”

“Cosa, il comportamento di Flora?”

“Si!”

Ami le andò vicino poggiandosi al trabattello. “In tutta onestà... no, anzi, a me sembra che tua madre stia reagendo proprio come stai facendo tu da gran parte della vita.” Una risposta che alle orecchie dell'altra sembrò una critica e neanche troppo velata.

Stizzita chiese spiegazioni che il medico diede senza batter ciglio. “Anche tua madre ha sensi di colpa. Sta scappando. Da una parte vorrebbe riavvicinarsi a te e dall'altra è spaventata, ed accampa scuse per star lontana da quello che prova. Anche se in tutta onestà, credo che la preparazione di un concerto sia realmente molto faticoso ed impegni gran parte della giornata.”

“Già. - Ammise accettando onestamente la critica rivoltale. - Ma se vuoi, il tempo per una telefonata o un sms lo si trova sempre.” Ferale finalmente riuscì a guardarla negli occhi.

Aveva evitato di farlo sapendo che la specializzanda avrebbe sicuramente fatto caso alle occhiaie di sonno che le erano riapparse sul viso.

E prontamente Ami non mancò. “Non hai dormito o hai fatto l'ennesimo incubo?”

No, si ricomincia. Pensò la più grande esasperata.

“Ti avverto che non ho alcuna intenzione di parlare di ciò che ho sognato questa notte!” Disse guardandola storto.

Ma Ami da quell'orecchio non voleva sentire.

“Michiru... stai facendo come tua madre.” E a quelle parole avvertì la struttura metallica del trabattello vibrare.

Uno scossone con entrambe le braccia e Kaiou esplose. “Basta! Non ne posso più!” Urlò disperata.

Piegando la schiena in avanti poggiò la fronte al pianale metallico. Quello che aveva sognato era solo affar suo!

Dalla reazione troppo esagerata Ami capì molte cose, in pratica tutto. “Hai sognato nuovamente Victor? Questa volta è stato un sogno o un ricordo?”

Ascoltandola continuare per nulla intimorita, Michiru la fissò con uno sguardo carico di rabbia. “Ho detto basta...”

“Il girarci in torno non fa che lacerarti. Affrontalo una volta per tutte.”

Cercando di respirare più lentamente per dare un freno ai battiti nel petto, la straniera tornò ad appoggiare la fronte al metallo e qui attese di calmarsi. In vita sua esplosioni di rabbia non ne aveva quasi mai avute e comunque era sempre riuscita a gestirsi non perdendo il controllo di se. Ammise a se stessa che questa volta era andata molto vicina al baratro.

“Ho sognato. Non era un ricordo.” Dichiarò dopo circa un minuto continuando però a tenere la fronte bassa.

Ami le lasciò altro tempo e quando Michiru fu pronta, le chiese di raccontarle cosa avesse sognato.

“Non lo immagini? - Disse storcendo la bocca, ma non ricevendo dall'altra alcun segnale, continuò chiudendo gli occhi per focalizzare. - Ero davanti alla porta dello studio di mio padre e sapevo cosa stava per fare. Urlavo. bussavo con tutta la forza, fino a ferirmi le mani, il legno si macchiava di sangue, ma lui non rispondeva. Poi... un rumore.” Finalmente alzò la testa per guardare l'altra. Gli occhi lucidi.

“Il tonfo di qualcosa che cade in terra. Con molta probabilità... una sedia.”

Ami sospirò mentre Michiru tornava a curvare le spalle in quella posa contrita.

“Devo farti una domanda Michi. Se non avessi preso quel sonnifero e avessi realmente potuto raggiungere quella porta, come credi avresti bloccato quell'evento?” Doveva riuscire a farle ammettere una volta per tutte che la morte di Viktor non era assolutamente dipeso da lei.

“Parlandogli.”

“E cosa credi gli avresti detto?”

“Che lo amavo. Che quello che stava per fare non aveva senso. Che se si fosse tolto la vita avrei dovuto continuare la mia senza di lui.”

“E credi che ti avrebbe ascoltata?”

“Non lo so! Forse.”

Ami avvertì un fremito ed un comando interiore; insisti!

“E dimmi, ti ha mai riconosciuta quando era soggetto ad una crisi?”

“No, mai.” Disse pianissimo.

“E se avesse voluto continuare nel suo proposito?”

“Glielo avrei impedito con la forza.”

“Come?”

“Sarei entrata.

“Si chiudeva mai nel suo studio lasciandoti fuori?”

“Assolutamente no e...” Michiru si bloccò come se grazie a quella serie di scambi verbali, avesse di colpo iniziato a razionalizzare.

“Perciò in quel frangente anche se fossi scesa e ti fossi trovata davanti alla porta del suo studio...?” Chiese l'altra trattenendo il respiro.

“Non avrei potuto fare nulla...” Dichiarò Michiru quasi con pudore.

Cosa confermatale anche dalla madre. Si era chiuso dentro e tu non avresti potuto far nulla.

“Oddio Ami...”

“Ora comprendi cos'è realmente successo. Lo hai sempre saputo, è che non potevi ammettere che l’uomo che amavi e rispettavi così tanto, potesse compiere un gesto irrazionale come quello. Colpevolizzando te, affrancavi lui, Michiru. Ma anche i genitori hanno le loro fragilità ed esserne consapevoli non sminuisce quello che proviamo per loro.”

Era finita. Dopo vent'anni di supplizio psicologico, era finalmente finita. Michiru non era certo una stupida ed avrebbe potuto servirsi molto prima del forte raziocinio datole dalla natura, ma non ne aveva avuto il coraggio, preferendo scappare dalla verità tentando di proteggere l'immagine che aveva di suo padre finendo per soffrire le pene dell'inferno, piuttosto di ammetterne le labilita' che la malattia aveva scavato nella mente di Victor.

Ami lasciò che si sfogasse, che piangesse sommessamente le ultime lacrime di quella disgraziata storia che l'aveva allontanata dalla sua terra, dalla sua casa e dagli affetti più cari.

 

 

Dodici ore di macchina, tanto era durato quel viaggio iniziato male e proseguito peggio, ed in quel lasso di tempo Giovanna sentì di stare a più riprese sul punto di eruttare come un super vulcano.

Era iniziato tutto all'alba. Causa un black-out che aveva interessato la zona del Canton Ticino la notte prima della partenza per la città di Le Mans, tutte le sveglie di casa Tenou-Kaiou si erano ritrovate in tilt non attivandosi per le cinque, ora concordata per la sveglia. Così le due sorelle avevano continuato a sbavare sui loro reciproci cuscini ben oltre le sette e mezza. Crogiolandosi nel calduccio della sua copertina come se fosse stata la protagonista di una striscia dei Peanuts, Giovanna aveva dormicchiato fino alle otto, quando un urlo agghiacciante seguito da una serie d'improperi all'indirizzo di divinità nordiche forse mai realmente esistite, l'avevano costretta a tirarsi su dal materasso del divano letto appena in tempo per vedere Haruka spalancare la porta agitatissima.

“Cazzo! Cazzo! Cazzissimo! Giovanna muoviti è tardi!”

Buongiorno! E da li già si doveva intuire come sarebbero andate le cose.

Ma perché fare programmi, se tanto prima o poi arriva la sfiga a disfarteli?! Possibile che Ruka ancora non lo capisca? Aveva pensato fiondandosi verso il bagno degli ospiti evitando di scontrarsi con l'altra.

Così una volta in autostrada verso Zurigo e da li, dritte fino alla frontiera con la Francia, a circa metà del tragitto, era andata consumandosi la seconda “sciagura”.

Ravvisato uno scossone proveniente dalla parte posteriore destra della sua Mazda, la bionda aveva sgranato gli occhi capendo immediatamente il problemuccio. Avevano forato. Nulla di più semplice per una come lei, si era detta la maggiore che la sera precedente aveva saputo come Tenou si fosse trasformata nella paladina di tutti i motori salvando una BMV dalle grinfie di un incompetente. Certo, cosa facilissima, se fatta al sole, con il bel tempo, non sotto una pioggia torrenziale. Un'altra ora di supplizio.

La scena era stata più o meno questa; Giovanna intenta a reggere un ombrellino che satebbe stato inutile anche se sul ciglio di quell'autostrada si fosse trovata da sola ed Haruka, accovacciata in cinque centimetri d'acqua, che mani serrate su una chiave a crociera tirava moccoli al cielo, alla terra e a tutto ciò che ci viveva nel mezzo.

Una volta finita l'operazione, sempre più scorata, Tenou aveva imboccato la prima stazione di servizio e da li i bagni, per cambiarsi e sistemarsi alla bene e meglio i capelli là dove, in teoria, ci si asciugavano le mani. Per il metro e sessanta di Giovanna tutto facile o quasi, ma per un metro e settantacinque come la bionda, la cosa si era palesata più ardua del previsto. Sentendosi la testa ridotta come due spolverini, le due avevano poi preso un caffè degno del miglior campo di cicoria transalpino, risalendo in macchina senza fiatare.

In fine verso il Comune di Le Mans, un incidente qualche chilometro avanti a loro le aveva costrette a più di quaranta minuti di blocco totale. Motore spento. Braccia conserte. Pensieri omicidi.

Se becco chi ci sta portando rogna, parola mia che gli tiro il collo! Aveva pensato Giovanna stando bene attenta a non respirare troppo forte per non attirarsi contro le ire funeste dello spolverino dalla zazzera bionda seduta al posto di guida.

Arrivate in albergo prenotato loro dalla Ducati, la situazione si fece leggermente più rosea quando dopo una doccia rigenerante, Haruka diede alla sorella il bomber della scuderia e ricordandole che da li fino alla fine del lavoro sarebbe stata come una di loro, si diressero a cena in perfetto stile women in red.

Sembrava più rosea, ma in realtà l'apocalisse le stava aspettando proprio dietro l'angolo, perché non appena varcata la porta d'accesso al ristorante interno, Haruka a mo di segugio, avvertì l'aria mefitica e l'olezzo del nemico gallico, puntando i piedi e masticando un vaffa.

Ora, in un albergo nei pressi della mitica pista di Le Mans, stava per andare in scena l'ennesima sfaccettatura di quel viaggio nato male e proseguito peggio.

“Tenou, ma guarda un po' che sorpresa.” Sentì provenire dalla sua sinistra. Una voce fastidiosa, dall'accento franco e dallo stesso poderoso potere di un gesso sulla lavagna.

Non è possibile! Pensò sfoderando uno dei sorrisi più ipocriti mai prodotti negli ultimi tempi. “Blank, anche tu qui!?”

Dominik Blank era un normanno proveniente dalla Yamaka. Cresciuto nella piccola officina di famiglia, si era fatto strada come Ingegnere grazie alla sua bravura, al fascino e a doti “politiche” che Haruka, in tutta onestà, invidiava perché non sue. Si conoscevano da circa quattro anni e da quando le loro strade si erano incrociate sulle piste, non avevano perso occasione per darsi noia, facendosi scherzi anche abbastanza infantili e piuttosto pesanti, l'ultimo dei quali era andato ad appannaggio della bionda, onde per cui sapeva che il prossimo tiro mancino sarebbe spettato a lei. Vedendolo seduto accanto ad un suo amico, del quale però non ricordava il nome, ebbe una gran brutta sensazione.

“Giovanna, non dar confidenza più del dovuto.” Disse sottovoce per poi recarsi verso i due uomini che, alzandosi all'unisono, le salutarono con mani protese.

“Allora Haruka, qual buon vento? - Chiese mentre indicava il compagno di scuderia. - Ti ricordi di Philip?”

“Certamente. - Spudorata mentirosa. - Mi porta lo stesso vento che ha spinto voi della Yamaka. La modifica al tracciato, Dominik.”

Una grassa risata per poi fissare Giovanna ferma dietro alla sorella. “Chi sarebbe la tua amica?”

“Questa è mia sorella, l'Architetto Giovanna Aulis.” Pronunciò con una punta d'orgoglio tanto che l'altro lasciò partire dalle labbra un mezzo fischio compiacendosi per la scelta della casa rivale.

“Adesso la Ducati si serve persino di architetti paesaggisti! Pronti a tutto per riprendervi dalle ultime cadute, vedo.” Prima presa per i fondelli.

Haruka stirò le labbra e non volendo dargli soddisfazione lasciò correre. “Se non vi dispiace... Il viaggio è stato lungo e siamo affamate. Con permesso.” Si congedò reprimendo l'impulso di saltargli al collo per strapparglielo a morsi.

Andarono a sedersi il più lontano possibile mentre un cameriere portava loro l'acqua e la carta dei vini.

“Cerchiamo di non bere troppo. Domani mattina dobbiamo stare il pista abbastanza presto e non voglio rischiare di fare lo stesso casino di oggi. Per rimetterci in paro con la tabella di marcia ed arrivare qui per cena, ho spinto tanto e sono esausta. In più mi sta montando un mal di schiena feroce.”

“Avremmo potuto darci il cambio se fossimo venute con la macchina di Michiru.”

“Ci avremmo messo il doppio del tempo. Vai a due all'ora quando guidi quell'ibrida.”

L'altra fece una smorfia rammentandole che non amava correre con i veicoli degli altri, soprattutto se assenti, per poi cambiare discorso e chiederle perché quei due francesi della Yamaka le stessero fissando ridacchiando a più riprese.

“Stanno preparando qualcosa, ecco perché, ed io non sono in vena di goliardie.”

Neanche cinque minuti ed il cameriere arrivò portando un cestino di pane, una bottiglia di bianco ed un paio di piatti coperti.

“I signori del tavolo quattro avrebbero piacere di offrirvi uno dei nostri piatti tipici. Prego...” E scoperchiò.

O Dio dell'universo, pensò Giovanna coprendosi la bocca con la destra.

O porca zozza, pensò Haruka alzando le sopracciglia al piatto fumante di escargot.

“Buon'appetito.” Ed il ragazzo sparì nella cucina poco distante.

Dal tavolo “rivale” iniziarono a salire risatine e per non ammettere di provare uno schifo immenso per quelle creaturine tanto viscide, Haruka si girò verso di loro facendo un cenno di ringraziamento con la testa.

“Spero tu gradisca Tenou.” Sfotté lui convinto d'aver già vinto.

“Blank sei sempre tanto... premuroso. Grazie.” E tornando a guardare il viscidume pensò velocemente a come uscirne illesa.

“Le hai mai mangiate?” Chiese a Giovanna che intanto non riusciva a staccare gli occhi dal piatto.

“Credi che in vita mia abbia partecipato a cose tipo survivor? Certo che no!”

“Bèh è ora. Iniziamo con il toglierle dal guscio.” Suggerì non ricordando esattamente come si facesse.

“Le vuoi mangiare?!” Domandò l'altra sporgendosi in avanti.

“Non gliela lascio la soddisfazione di una vittoria tanto facile!” Sospirò iniziando ad inserire una sorta di specillo metallico dentro il guscio.

Tirata fuori la prima creaturina, Giovanna la guardò per poi scuotere la testa. “Non mangio ciò che mi fissa.”

“Si che la mangi.”

“Ruka... ha gli occhietti...”

La bionda si arrese lasciando andare specillo e forchetta prendendo un grosso respiro. “Così non mi aiuti.”

“C'è poco da aiutare! Guarda, hanno anche le antenne. No! Il lumacone, no! E che cavolo! Ma che vengo dall'Italia per farmi prendere per il culo dal primo francese che passa?! Dammi piuttosto il cestino del pane.”

“Rimpinzarti di mollica non manderà via quel saporaccio metallico, te lo assicuro.” Deglutì rivelandole di averle dovute assaggiare una volta.

“Ed è un'esperienza che non ripeterai sorella. Se il francese vuole giocare sporco gliela faccio passare io la voglia di riderci alle spalle. Passa il pane e tira fuori tutte ste cose.” Disse cercando di nascondere i suoi movimenti dietro alla stazza della bionda.

“Che intenzioni hai?” Chiese iniziando ad eseguire.

“Quando ero più giovane, mentre la gran parte dei miei coetanei si facevano una vita sociale fuori di casa, io passavo i miei pomeriggi davanti alla televisione. Hai mai visto Mr Bean? - Haruka negò continuando l'operato di eviscerazione. - Non importa, ma sappi che il mio oziare adolescenziale ti sta per salvare Ruka.”

Una baguette! Quale pane più meravigliosamente adeguato per compiere il suo piano delittuoso. Iniziando a svuotare con sapienza le porzioni deposte nel cestino, Giovanna arrivò a creare tante piccole "casette", dentro le quali, ad una ad una, ci infilò le lumache. Una lumaca, un pezzo di pane. Poi, con l'aiuto di un'agilita' manuale sorprendente, una volta richiuse le fette con la mollica, tutto torno' in bell'ordine nel paniere. Piatti svuotati. Cestino intonso.

“E come direbbero qui... e voilà, le ge son fe.” Sorrise posando sulla tovaglia di cotone bianco una mano sopra l'altra. Alla Kaiou.

Ad occhi sgranati Haruka richiuse la bocca fino a quel momento rimasta leggermente aperta.

“Te l'ho detto... non è una mia idea, altrimenti sarei un genio. Ora però sarà meglio filarsela prima che qualcuno se ne accorga.” Alzandosi si riappropriò della giacca rossa e bianca, rimettendo a posto la sedia. L'altra la seguì poco convinta.

Sporgendosi indietro e posando un gomito sulla traversa della sedia, Dominik guardò Haruka venirgli incontro e poi i due piatti vuoti lasciati solitari sulla tavola. Le aveva mangiate?

“Tenou che piacere costatare che la nostra cucina è stata di tuo gradimento.” Disse pensando che avesse comunque fatto uno sforzo sovrumano per finirle. Se non si era cresciuti con quel sapore era difficile accettarlo sul palato.

“Graditissima, grazie ancora. Ci vediamo in pista.”

“Naturalmente.” La guardò allontanarsi per poi far cenno al cameriere di portargli un altro cestino per il pane.

“No, aspetti signor Blank, mi permetta. - Rimasta indietro Giovanna afferrò il loro cestino con fare sicuro. - Sarebbe un peccato. Tanto erano deliziose le escargot che ci avete così carinamente offerto, che io e mia sorella non abbiamo minimamente pensato al pane. Troppo golose, lo riconosco.”

“Veramente... Bèh grazie Architetto. Spero di rivederla domani in pista.” Sorrise prendendo il vimini intrecciato.

Un saluto civettuolo e la donna raggiunse Haruka già vicina alla porta. “A francese... mò magnatelo te er lumacone.” Bofonchiò cercando di non tradirsi perché intravistolo afferrare voglioso un pezzo di pane.

Da quella sera per Giovanna Aulis, l'Ingegner Blank divenne... er lumaca.

 

 

Michiru seguì il resto del pubblico alzandosi in piedi per l'ennesimo e questa volta conclusivo, applauso. La prima di Flora era stata un incredibile crescendo di emozioni sonore, tanto che anche il direttore dell'orchestra si era spesso elettrizzato durante quelle due ore di pura affinità classica. Vi erano stati anche un paio di assoli, uno all'inizio ed uno alla fine del concerto, e due bis, urlati a gran voce da un pubblico praticamente in visibilio. Il primo di Mozart, il secondo una composizione giovanile della stessa artista. Un brano semplice se paragonato a quelli che l'avevano preceduto, ma ricco di armonico sentimento, di vibrante patos. Flora teneva a quel brano tanto che non l'aveva mai suonato in pubblico e non perché se ne vergognasse, ma perché apparteneva alla sua famiglia ed al ricordo che aveva di essa. Apparteneva a Victor, a Michiru e ad una lei più giovane.

Appena erano state lanciate nell'aria immobile della cavea le prime note, l'orecchio assoluto della figlia le aveva riconosciute subito, sobbalzando per poi portarsi una nocca alla bocca in maniera tanto rapida che Ami, seduta alla sua sinistra, l'aveva guardata non capendo. E continuando a tenersi premute le labbra in una posa tra il sorriso ed il pianto, Michiru aveva finito per chiudere gli occhi.

Solo dopo qualche secondo l'amica, dandole un colpetto sul braccio con il gomito, le aveva fatto riaprire le palpebre e a quel gesto una piccola e discreta lacrima aveva accarezzato la guancia di Kaiou perdendosi poi nella piega del mento.

“Michi che c'è?” L’altra non aveva risposto, ma portando la destra sul suo braccio, glielo aveva stretto come a volerla rassicurare.

Quel brano si intitolava semplicemente Occhi e Flora l'aveva composto durante l'allattamento della figlia, quando le due non facevano altro che guardarsi adoranti. La donna l'aveva scritto pensando alle iridi innamorate di Victor e a quelle sognanti della sua bambina. Era stato quello il primo pezzo di classica che Michiru aveva ascoltato e spesso, soprattutto quando non riusciva a dormire o nelle sere di riunione famigliare, Flora lo suonava guardando quel piccolo frugolo perdersi nel fascino di quelle note.

Finita l'esecuzione Ami era scattata in piedi, con la madre e la sorella, mentre l'amica lo aveva fatto lentamente, come a richiamare forza nelle gambe, asciugandosi con il dorso della mano le gote umide osservando Flora inchinarsi verso il pubblico per dirigersi poi dal direttore d'orchestra che, da prassi, le aveva baciato la mano come Primo Violino.

 

 

Un paio di colpi alla porta del camerino e Paul andò ad aprire sapendo già chi fosse. Era stato molto chiaro con la sicurezza; soltanto poche persone avevano l'autorizzazione per passare la zona filtro ed accedere all'area riservata agli artisti. Una di queste era Michiru Kaiou.

Ed infatti una volta aperta, il sorriso della donna lo contagio’. “Signor Maiers, buona sera.”

“Michiru che piacere. Prego, si accomodi.” Esordì eseguendo un ampio gesto d'invito e un dejavu, ricordò il primo giorno greco al Kin George, quando l'aveva fatta entrare nella suites luxury.

Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente, ne era più che convinto. Anche se Flora non ne aveva fatto parola, aveva intuito che la famosa sera del malessere della figlia, il rapporto tra le due si era rinsaldato.

“Flora si sta cambiando. Allora, spero che i posti siano stati di vostro gradimento.”

“Si, i migliori che si potessero sperare. Grazie ancora per averci fatto recapitare i biglietti.”

“Io ho solo eseguito. Lo sa che il tutto è stata un'idea di Flora.”

Certo che lo sapeva, ma sapeva anche che l'organizzazione di tutto l'evento ricadeva interamente sulle spalle di quell'uomo ed era stato oltremodo gentile ad interessarsi tanto e tanto celermente.

“In effetti devo ammettere che senza le sue capacità di gestione degli eventi, la mia fama non sarebbe tanto elevata.” Flora comparve dalla porta della saletta da bagno con in dosso un abito più comodo di quello splendore esibito in scena.

“Ciao Michiru, hai trovato difficoltà con la sicurezza? Di questi tempi l'asticella dei controlli ha dovuto alzarsi e di parecchio.” Chiese mentre Paul si congedava per andare in sala stampa.

Un sorriso, una stretta di mano e l'uomo si dileguò.

Michiru tornò allora a guardare la madre scuotendo la testa. “Affatto. Tutto perfetto. A proposito; ti porto i saluti di Alexios. Si scusa per non essere potuto venire, ma la pensione non poteva restare senza entrambi i gestori ora che si sta riempiendo per le vacanze pasquali. Anche Agapi è dovuta tornare subito dopo la fine del concerto. Avrebbe voluto ringraziarti di persona, ma non se l'è sentita di fare ancora più tardi. La mattina ha la sveglia all'alba, ma ti manda questo. - Ed estraendo un biglietto dalla borsa continuò porgendoglielo. - Mi ha detto di dirti “da madre a madre” convinta che avresti capito.”

L'altra lo prese e leggendolo sorrise richiudendolo con estrema accortezza. “O Agapi Agapi. Sarebbe stata un'ottima amica se avessi avuto l'umiltà di starla a sentire più spesso.”

Michiru alzò le sopracciglia divertita. Un'autocritica? Incredibile.

Flora le fece cenno di servirsi di un succo mentre abbandonava il foglietto sul piano della specchiera. “Se vuoi serviti pure cara. Puoi rimanere qualche minuto o devi scappare?” Chiese guardandola nella sua posa composta; schiena ben dritta e mani abbandonate sul grembo.

“Tranquilla. Non ho problemi di orario.” Rispose ricordando le parole di Khloe che sapeva in macchina con la sorella nei pressi dell'ingresso principale.

Prendetevi tutto il tempo che vi serve, Kaiou. Mamma tornerà in taxi e se sarà necessario, Ami ed io resteremo ad aspettarti anche tutta la notte. Non sarebbe stato necessario, ma Michiru avrebbe approfittato di quella gentilezza per stare un po’ con sua madre.

Flora andò a sedersi su un divanetto mentre la figlia si perdeva a guardare il violino usato per il concerto. Era già stata catturata dal magnetismo di quell'oggetto quando lo aveva visto al Kin George.

“Mi hai stupita mamma. Non credevo che avresti eseguito in pubblico il nostro brano.”

“L'ho fatto perché sapevo che eri in sala. Consideralo un pensierino per il tuo compleanno. Anche se molto in ritardo. - Ed osservando con quanta ammirazione la figlia stava continuando a guardare quello strumento, prosegui' quasi con imbarazzo. - Ti confesso che questa volta avrei voluto usare quello di tuo nonno, ma... non me la sono sentita. E' tuo e non ne ho il diritto.”

L'altra si voltò incredula. Lo aveva ancora? Erano anni che non aveva più avuto occasione di vederlo. Sinceramente credeva fosse andato perduto in qualche trasloco.

“L'ho conservato per anni, ma non ti ho mai detto nulla perché pensavo che non potendolo usare avresti sofferto nel saperlo ancora in mano alla famiglia. Ogni tanto ne registro il timbro usandolo ed accordandolo, per non lasciarlo rovinare dall'inattività. Ma non mi fa piacere farlo.” Per Flora era come profanare il legame tra padre e figlia. Anche se ne portava il cognome lei non era una Kaiou.

“E' un gesto bellissimo. Solo il cuore sensibile di una musicista poteva compierlo. Grazie mamma.” Disse sedendosi mentre la sentiva ridere.

“Mio Dio cara. Sensibile proprio no. Non è da me!” Cercò di sviare tornando a guardarla e chiedendole come stesse.

“Molto meglio. Decisamente. Sono un paio di notti che dormo serena. Credo... - Distolse le iridi come colpita da un improvviso pudore. - Credo di aver lasciato andare definitivamente l'anima di papà.”

Flora si drizzò sulla schiena arpionandosi le mani. Ecco perché gli occhi della figlia erano tanto cambiati dall'ultima volta che si erano viste sulla spiaggia. Ora emanavano una qualche ritrovata armonia interiore.

“Avevi ragione tu mamma. Non fu colpa mia.” E bastò per far capire alla madre.

Poggiandosi sui cuscini della spalliera, Flora rivelò che anche per lei la fase di guarigione da quell'evento era stata lenta ed avvilente. “Michiru, la scorsa notte ho parlato sembrando di sapere perfettamente il fatto mio, ma per arrivare a dirti quelle frasi con convinzione ho dovuto lavorarci su anch'io. Dopo la morte di tuo padre mi sono colpevolizzata come te e l'ho fatto per anni e non soltanto verso di lui, ma soprattutto verso di te. Se fossi rimasta a casa? Una domanda che mi ha perseguitata per tanto tempo e che forse, come madre, mi perseguita ancora oggi. Ma dentro di me ho anche altri quesiti, come; se non avessi spinto Victor ad ammazzarsi di lavoro? Se mi fossi accontentata di seguire un tenore di vita più basso o semplicemente, se avessi accettato un marito che cambiava nel carattere diventando sempre più dipendente dai farmaci? Sempre meno il Victor del quale mi ero follemente innamorata da ragazza e sempre più una persona che non capivo, che non accettavo e della quale a volte avevo paura? E se Michiru avesse avuto una madre presente, come sarebbe stata la sua vita? Avrebbe fatto scelte diverse? Avrei potuto aiutarla nel farle?”

Nelle ultime domande la figlia lesse la sua omosessualità. Consapevolezza questa che aveva portato Michiru ad andarsene di casa una volta sepolto il padre.

“Allora tu lo amavi ancora?”

“L'ho sempre amato cara, anche se con il passare degli anni non avvertivo più nel petto quel sacro fuoco che per esempio vedo in te quando parli della signora..., di Haruka.”

Michiru strinse i denti avvertendo un brivido. L'aveva chiamata per nome. Non lo aveva mai fatto e nel suo volto non c'erano sentimenti come il disgusto o il rancore.

“Ma sono un'egoista. Lo sono sempre stata e credo che non cambierò mai questo mio lato oscuro, perciò si, mi porterò la colpa per non aver saputo capire tuo padre per tutta la vita, anche se ho imparato a convivere con le mie domande. - Stirando le labbra distolse lo sguardo impacciata. - Invece, per quanto riguarda te sono stata vigliacca. Almeno a mia figlia avrei dovuto stare accanto. Ma ero troppo presa da questa mia ossessione che ha il nome di carriera. E dove mi ha portata? Ho tutto questo, ma in fondo non ho niente.”

“Mamma...” A quelle parole Michiru le si avvicinò un poco mettendole una mano su una delle sue.

Ma Flora s'irrigidì. Non era avvezza all'essere compatita. “Parliamo un po' di te invece. Quando affermi di stare molto meglio è una tua alzata di testa o te lo ha detto la dottoressa Mizuno?” Pungolò e conoscendo il carattere della figlia aspettò l'inesorabile reazione.

Puntuale un broncio e negli occhi la determinazione di chi sa di non aver bisogno del permesso di altri per fare ciò che ritiene giusto per se. “Sono io che non ho più incubi e che sento di essere tornata in me, ma se ti fa piacere sappi che è d'accordo anche lei.”

Flora rise di gusto. La sua ragazza aveva un caratterino niente male, ma aveva trovato pane per i suoi denti. Voleva fare la “bambina grande”? Perfetto.

“Cosa non faresti per tornare a casa da lei, vero Michiru?”

Un improvviso rossore e la figlia tolse la mano per guardare altrove. Cosa diamine intendeva dire?

“Oh.... adesso sei tu a provare pudore cara? Dopo tutto quello che mi hai sbattuto orgogliosamente in faccia durante la nostra ultima conversazione?”

Abbassando la testa Michiru chiese scusa. Era stata davvero molto sfacciata.

“Comunque, ammetto che sia una donna estremamente interessante. - Vide gli occhi della figlia diventare enormi dallo stupore sentendosi in diritto di continuare. - Bada Michiru, questo non vuol dire che le mie reticenze nei confronti del vostro rapporto siano cadute. Sto solo affermando l'ovvietà. Haruka è una donna affascinante, molto bella e credo sia anche intelligente, onesta e leale, ma di controparte è strafottente, arrogante e credo abbia una punta di saccenza troppo marcata.”

“Lo so. Mi ha raccontato del signor Maiers ed anche se non lo ha fatto apposta, con il suo comportamento da so fare tutto io gli ha mancato di rispetto.”

“Lo ha trattato da stupido omino ignorante. Ed il bello è che lo ha fatto con estrema gentilezza.” Concluse secca e la figlia non replicò.

Qualche secondo e Flora incrociando le braccia al petto, le rivelò una cosa che Michiru non avrebbe mai più dimenticato per il resto della vita.

“Già, è strafottente ed arrogante, ma è tipico dei cavalli di razza. Lo sono anche io. Michiru... - la guardò dritta negli occhi. -... hai scelto bene.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Come dire “tutto bene quello che finisce bene”. Beh dovevo dare a Flora una chance per diventare meno odiosa, no? Diciamo che l'abbiamo presa per stanchezza, dopo un concerto e dopo aver conosciuto la nostra bionda. Il fascino Tenou ha colpito ancora ed ha affondato la corazzata “madre” alla stragrande.

E' stato un capitolo abbastanza pesante per Michi, soprattutto la prima parte, ma i nodi sono venuti al pettine e spero che, se fra voi ci dovesse essere una psicologa, si muova a pietà. Non e' la mia specializzazione. Ho fatto del mio meglio. Kaiou ha dovuto concentrare in poche settimane quello che in genere si fa per una vita intera. Almeno credo.

Stemperata la pesantezza di ricordi di vita brutti con quelle due casiniste in trasferta. Mi sono rifatta alla puntata di Mr Bean dove al ristorante nasconde pezzi di carne alla Tartara ovunque. Pane incluso. Giovanna non sta bene di testa e avvolte lo dimostra pienamente!!!

Non mangio ciò che mi fissa.”

Si che la mangi.”

Ruka... ha gli occhietti...”

Così non mi aiuti.”

 

Un salutone a tutti.

 

 

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Capitolo 15
*** I piccoli fuochi che riportano a casa ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

I piccoli fuochi che riportano a casa

 

 

 

La zona accoglienza posta all'ingresso della pista era piena di gente, uomini per lo più, di ogni nazionalità. Dodici team suddivisi in tre giorni, ognuno con a disposizione quattro ore di tempo per le rilevazioni.

Giovanna si guardò intorno cercando di non dare a vedere quanto si sentisse fuori posto. Una sensazione simile a quella provata al circuito di Bremgarten, ma accentuata dal sapere di non essere accerchiata dalla “famiglia lavorativa” di Haruka, bensì da “rivali” sportivi, pronti a tutto pur di lasciarti indietro. Spesso incollata al fianco della sorella, osservava avida ogni suo gesto, sentendosi intimamente orgogliosa di lei. Quanto poteva essere bella la bionda immersa nel suo ambiente, completamente a suo agio nello stringere mani, nel ricevere pacche affettuose sulle spalle o sorrisi di stima, nello scambiare brevi frasi di circostanza in inglese. Felice, Haruka era felice e pienamente consapevole del fatto che lo stare nuovamente a contatto con gran parte dei tecnici che sovente aveva visto sulle piste fino all'anno precedente, era da considerarsi un dono.

In pratica tutti i team avevano saputo che l'Ingegner Tenou aveva dovuto ritirarsi momentaneamente dall'attività e, gira che ti rigira, le voci sulla malattia che l'aveva colpita erano circolate tra i box, dispiacendo tanti. Era un tecnico molto ben voluto ed una pilota stimata. La notizia del ritorno alla piena vita lavorativa del fuego del viento, era stata accolta con molta positività da tantissime persone.

“Team Ducati.” Urlò un uomo attempato emergendo da una pedana posta in fondo alla stanza mentre prendeva due bedge da una scatola poggiata sul piano della scrivania.

“Haruka Tenou...”

“Eccola...” Rispose la bionda alzando il braccio sogghignando mentre avanzava a testa alta tra i colleghi.

Cazzona. Pensò Giovanna seguendola a ruota.

“Ingegner Tenou, per voi Ducati abbiamo due nominativi. Il suo e... - leggendo rapidamente la lista che stringeva tra le mani identificò il secondo soggetto. - l'Architetto Giovanna Aulis. Un documento ed una firma qui per la consegna dei cartellini, prego.” E porgendole la penna la guardò scrivere mentre ne apriva il Passaporto. Stessa cosa fece con Giovanna.

“Mi raccomando non girate per la struttura senza pass di servizio. Allora, qui sono segnate le fasce orarie dell'accesso alla pista. La Ducati potrà eseguire i rilevamenti domani dalle 14 alle 16, dopo il team Yamaka, ed il giorno successivo, dalle 10 alle 12, subito prima della Red Bull. Vi prego di rispettare orari e tempistica. Troverete la Golf Car a voi assegnata nel box numero 7.” Concluse porgendo ad Haruka il foglio e a Giovanna cartellino e documento.

“Ok, grazie.” Disse rileggendo le porzioni di tempo loro assegnate per imprimersele nella memoria mentre scendeva con un saltello dalla pedana.

Fu allora che, sempre con gli smeraldi degli occhi fissi al foglio, non vide il team successivo franando addosso a Dominik Blank. Er lumaca la guardò profondamente stirando un sorrisetto per niente rassicurante.

Mani ai fianchi di lei le consigliò di guardare avanti. “Opsss Tenou. Stai attenta. Non è il caso che una buontempona come te si distragga.”

Colta alla sprovvista e sentendosi toccata, Haruka scattò all'indietro con un rapidissimo movimento del busto. Lasciandola andare, ma non abbandonando quella smorfia da iena, il rivale le passò accanto dirigendosi con il compagno verso la scrivania dell'organizzazione. L'incontro morì li. Pessimo segno. Fulminandolo con lo sguardo, Giovanna si sentì chiamata dall'altra seguendola poi all'esterno della struttura.

Stai attenta. Non è il caso che una buontempona come te si distragga.” Ed Haruka seppe che la vendetta di Blank per le lumache traditrici non avrebbe tardato ad abbattersi su di loro.

 

 

Già, è strafottente ed arrogante, ma è tipico dei cavalli di razza. Lo sono anche io. Michiru. Hai scelto bene. Quell'ultima frase proprio non riusciva a togliersela dalla testa. Non voleva. Non poteva. Troppo potente. Troppo esaustiva. Troppo meravigliosa.

Si girò nel letto ponendosi su un fianco e rabbrividendo si tirò fin sopra all'orecchio la coperta. L'avere una camera con vista sul mare aveva i suoi vantaggi, ma se da una parte era incredibilmente rilassante sentirsi cullati dal suono delle onde, l'avvertire i polmoni invasi dallo iodio, il godere giornaliero di quel manganese a volte profondissimo, altre quasi cristallino, dall'altra si doveva fare i conti con l'umidità micidiale di quella stagione. Michiru sorrise nel buio della sua camera. Dolce scotto da pagare per sentire il suo immenso padre blu sempre accanto a lei. Le sarebbe mancato. Terribilmente. E per assurdo che fosse, le sarebbe mancata anche sua madre. Si erano salutate qualche ora prima non potendo fingere che da li ad un prossimo incontro sarebbe passato parecchio tempo. La partenza di Michiru era infatti imminente e gli impegni di Flora altrettanto pressanti.

Hai scelto bene, riecheggiò nuovamente. “O mamma...” Disse piano ricordando lo sguardo serissimo di Flora mentre continuava.

“Hai sempre avuto un carattere forte ed indipendente, ma anche riflessivo ed accomodante. Non lasciarti schiacciare dalla sua personalità, mi raccomando.” E così dicendo si era alzata pronta per congedarsi.

Non aveva più la resistenza di una volta e dopo una prima tesa come quella, iniziava ad accusare la stanchezza.

Si lo so. Haruka non è docile, ma è anche una donna di una dolcezza disarmante e nell'ultimo anno è cambiata talmente tanto che a volte la sensibilità che dimostra mi lascia senza fiato. Pensò stringendosi tra le braccia immaginando fossero le sue. Haruka... e sentendo arrivare il sonno sospirò profondamente. Aspettami amore.

 

 

Erano in procinto di arrivare alla curva chiamata La Chapelle quando il cart elettrico a due posti ebbe un sussulto ed agonizzando come un bacarozzoide, spirò. Pigiando più volte sull'acceleratore, Haruka serrò il volante tra le dita per poi guardare l'orizzonte in cerca di una risposta. L'illuminazione arrivò da Giovanna seduta al posto del passeggero.

“Inutile che sfondi il pedale, Ruka. La batteria è andata.” Disse laconicamente convinta del fatto suo attirandosi addosso solo disappunto.

Dall'assegnazione delle fasce orarie per le rilevazioni sul campo, contro ogni previsione nefasta di Tenou, era andato tutto bene. Le due sorelle avevano pianificato il lavoro da farsi e la bionda aveva saggiato di sottecchi l'abilità di Giovanna con il programma che avrebbero usato per la restituzione grafica. Poi, una volta finito e visto il tempo loro rimasto del dolce far niente, ne avevano approfittato per godersi la città di Le Mans, scoprendo anche nuovi interessi in comune, sicuramente ereditati dal padre, visitando il museo Archeologico e la cattedrale gotica di San Giuliano. Scaricandosi un'applicazione fotografica che le avrebbe aiutate nel lavoro dell'indomani, si erano buttate anima e corpo nell'ennesima sfida facendo una rapida escursione tra le campagne e le cittadine vicine, duellando metaforicamente sul numero di oggetti curiosi o difficili da trovare che sarebbero state in grado d'immortalare con le rispettive fotocamere. Come in un safari nostrano, avevano “snidato” nell'ordine; vespa, cinquecento, mucche, cavalli, pecore, sbarre di caselli, trattori, Ducati e via discorrendo. “Partite” vinte, prima dall'una e poi dall'altra, che non avevano fatto altro che aprire lo stomaco di due fameliche carnivore.

Così prendendo estremamente sul serio il termine street food, avevano trangugiato come suini ogni sorta di porcherie trovate sui banchetti di un mercato, concentrandosi poi nell'acquisto ruffianamente mirato da parte di Tenou, di qualche pensierino per una Michiru che al suo ritorno l'avrebbe inesorabilmente bacchettata per la latitanza nel loro appartamento di quella cosa chiamata “sorella” pulizia.

Dormito senza non pochi imbarazzi iniziali per via della camera in comune, docciate, vestite e rifocillate per l'ennesima volta durante il corso di quelle ore, in quello splendido pomeriggio di primavera si erano dirette al circuito con la macchina piena di pesanti strumenti di rilevazione. Su tutti uno Scanner da svariate migliaia di franchi, un cavalletto, due paline, due portatili e cancelleria varia.

Giovanna aveva aiutato la bionda ad “incollarsi” circa venti chili di materiale, convinta che una volta arrivate al box numero 7, avrebbero caricato tutto sulla Golf Car salutando così la fatica fisica.

Nulla di tanto distante dalla realtà che le stava ora costringendo per forza di cose ad una fermata non preventivata dalla parte opposta degli uffici, sotto al sole e in un punto totalmente inutile della pista.

“Di tutte le problematiche elettriche che potrebbe avere questo giocattolo, mi vuoi spiegare perché dovrebbe essere proprio la batteria?!” Disse Haruka scendendo agilmente per andare verso il cofano ed aprirlo.

Il miracolo di Santa BMV accade una volta sola nella vita. Questa è una macchinina elettrica... cazzona. Pensò nervosamente l'altra rovistando nel cruscotto in cerca della radio di servizio che in genere ogni cart aveva in dotazione. Mai una volta che Tenou le concedesse la ragione o almeno il beneficio del dubbio.

“Se proprio lo vuoi sapere ho lavorato come caddy in un circolo di golf e so riconoscere il rumore di una batteria che saluta il mondo dei vivi prima di entrare in quello dei morti.” Radio trovata.

“Ma che sorpresa!” Rispose beffarda la minore constatando quanto poco ci si raccapezzasse tra tutti quei cavi elettrici.

Il problema poteva essere in ogni dove e con qualunque forma e per la prima volta in vita sua dovette arrendersi nell'ammettere di non sapere cosa fare di fronte ad una scocca, delle ruote ed un motore.

“Ma porca zozza!” Borbottò richiudendo il cofano mentre la sorella lanciava una maledizione.

“Che c'è?!”

"Le batterie! La radio non ha le batterie.” Disse Giovanna guardandola.

Ebbero così la certezza che il team Yamaka aveva compiuto l'ennesima mossa nello scacchiere della sfida Tenou - Blank e che nel pensare ad ineluttabili sfighe cosmiche, non ci si sbagliava mai più di tanto.

 

 

Lanciando l'ennesimo sasso tra le radici di un pino ad una diecina di metri da quello dove stava ora poggiando le spalle, Haruka sentì la suoneria rispondendo di malavoglia senza neanche verificare chi fosse.

“Si.” Laconico.

Dalla parte opposta Michiru sbatté le palpebre stupita. “Ruka?”

Drizzando la colonna, la bionda sorrise addolcendosi di colpo. “Michi mia.”

“Disturbo?” Chiese guardinga riponendo i documenti nella borsa.

“No. Non esattamente. No...” Grattandosi la testa sospirò guardando verso la strada di servizio fra gli alberi dove una quindicina di minuti prima si era incamminata Giovanna.

“Se hai da fare ci sentiamo con più calma.” Disse Michiru e l'altra negò con maggior convinzione poggiando nuovamente la schiena al tronco resinoso.

“Scusami amore, ma sono nel pieno di una piccola emergenza.” E si prese qualche minuto per raccontarle tutto.

“E perché non siete andate entrambe agli uffici?” Kaiou era stata avvertita di quel viaggio, ma l'idea che Haruka aveva avuto nel farlo con la sorella era nata solo in un secondo momento, perciò si stupì positivamente del fatto che avesse chiesto a Giovanna di aiutarla in una cosa tanto seria come il suo lavoro.

“Perché l'attrezzatura costa svariati soldini e mentre Giò è un ospite, io facendo parte della Ducati ho l'assicurazione e se dovesse accadere una qualunque cosa al materiale saremmo coperte. In più tutta questa roba pesa un casino e non ce l'avremmo mai fatta a trasportare tutto a piedi in tempi brevi. Ci serve per forza un'altra Golf Car. ” Terminò sbuffando lanciando un altro sasso.

“Riuscirete a terminare le rilevazioni per tempo?” Chiese sapendo quanto la compagna odiasse lavorare con la mannaia di una scadenza sul capo.

“Abbiamo diritto ad una proroga, perché è compito dei manutentori della pista farci avere un mezzo in piena efficienza. Comunque c’è ancora un discreto margine temporale e Giovanna lavora molto bene. Devo ammettere che con il programma di restituzione grafica è più veloce di me.”

Michiru alzò le sopracciglia divertita.”Ma non mi dire, Ruka. E' un complimento quello che sento?”

“Per favore Michi. E' solo la verità. - Abbassò la voce. - Comunque vedi di non farmi fare brutte figure dicendoglielo. Lo sai che poi mi scodinzola e non la smette più di gongolare.”

Ridendo l'altra continuò mettendo ordine sul comodino. “Lo sai che l'ho terminato?” Dichiarò aspettando qualche secondo la reazione della compagna.

Haruka scattò sull'attenti sentendo il cuore sobbalzare. “Il murales?”

“Già... Torno presto Ruka.”

“Quando?”

“Prestissimo...” Rispose. Non le avrebbe mai detto la data precisa, perché era sua intenzione ricambiare la bellissima sorpresa che le aveva fatto venendola a trovare ad Atene, con la stessa stupenda pariglia.

“Dopo la prima, sei riuscita a parlare con tua madre? Mi detesta ancora più di prima, vero?”

“Certo non hai fatto nulla per attirarti addosso le sue simpatie e questo lo sappiamo entrambe, ma devo dire che la sua reazione dopo l’averti vista è stata completamente diversa da quella che mi sarei mai immaginata.” E si sentì rispondere un ho fatto colpo, seguito da una risata incontrollata.

“Haruka piantala!”

La bionda continuò a ridere mettendosi una mano sul collo. Alzando la testa puntò lo sguardo alle chiome verdi che coprivano parzialmente lo spazio del cielo. “Lo sapevo che se mi avesse incontrata anche solo una volta, avrei fatto breccia nel suo cuore di donna...”

“Ma la finisci?! Non scherzare con il fuoco. Mia madre è uno scorpione e non è mai saggio cantar vittoria. Comunque si, le sei... piaciucchiata.”

“Sono troppo, troppo figa.” Cantilenò prendendo a giocare con un bastoncino facendolo rotolare in avanti ed in dietro sotto la suola dell'anfibio.

“Si, si, va bene. Ora però ti lascio, devo andare. Salutami Giovanna e cercate di stare lontane dai guai. Mi raccomando Ruka.”

“Ricevuto Michi. Quando torni ti racconteremo tutto.”

“Va bene. Ciao amor mio.” E chiuse.

Ti racconteremo tutto. Pensò beandosi intimamente di quel plurale che in un passato neanche troppo lontano la sua compagna non avrebbe mai usato. Alzando gli occhi guardò la stanza che era stata sua soffermandosi qualche istante sulla finestra, sfogo della vista e dell'anima, poi afferrando il trolley si diresse verso la porta.

Riponendo l'Iphone nella tasca interna del suo giubbotto, Haruka avvertì un ronzio proveniente dalla pista e voltandosi intravide una Golf cart arrivare di gran carriera. Pensando a Dominik strinse la mascella preparandosi alla presa per i fondelli. Quando uno dei manutentori le suonò due colpi di clacson ricominciò a respirare più agilmente.

“Ci avete messo poco.” Convenne vedendo Giovanna al fianco dell'uomo. Parcheggiando in scioltezza dietro al mezzo in avaria i due scesero in sincrono.

“Ha visto che eravamo in panne dalle telecamere a circuito chiuso. Quando sono arrivata stava per venire ad aiutarci e non ho neanche dovuto sforzarmi troppo nel cercare di farmi capire.” Ammise sorridendo. Stava per prendersi l'ennesima soddisfazione.

Afferrando dal posteriore del veicolo una batteria, l'uomo andò verso il loro cart ed armeggiando scollegò quella in sito per poi alloggiare e ricollegare i cavi d'avviamento a quella nuova. Una volta salito e messo in moto, il loro mezzo redivivo partì facendo qualche metro. Chiudendo leggermente gli occhi Giovanna stirò le labbra talmente trionfante che Haruka non si sentì soltanto battuta, ma umiliata.

“Tutto a posto. Era la batteria. In genere quelle che montiamo sono sempre cariche. Scusate per l'inconveniente.” Disse il manutentore in perfetto quanto non richiesto francese e risalendo sul suo cart si dileguò dalla parte opposta da dov'erano arrivati.

“Sempre simpatici da queste parti.” Borbottò la bionda tornando alla guida mentre l'altra continuava a fissarla divertita. Partì sentendosi due occhietti beffardi puntati contro.

“Allora? qual era il problema?”

“Giovanna bada, se non ti togli immediatamente quell'espressione cretina dalla faccia te le suono.”

“Non oseresti...”

“Mettimi alla prova.”

“Ed io lo dico a Michiru, così con il sesso hai chiuso...” Minacciò la maggiore serissima vedendola arrossire in meno di un nano secondo.

Haruka inchiodò sgranando gli occhi e dopo un imbarazzatissimo sguardo tornò a guidare non proferendo più parola.

Basta poco per metterti a catena, sorella. Pensò divertita Giovanna.

Ed iniziando a capire quanto la bionda fosse timida, soprattutto in merito a certi argomenti, per il restante pomeriggio, cena inclusa, si sentì una regina appagata da mille vittoriose battaglie.

 

 

Alexios aveva insistito nel volerla accompagnare con la sua macchina ed Ami lo aveva seguito. Non l'avrebbero mai lasciata partire da sola e “scortandola” sin quasi all'imbarco, era un modo per elaborare un distacco che sarebbe durato parecchio.

Michiru aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per tornare a trovarli presto, non appena le vacanze estive le avrebbero concesso un po' di tregua da un lavoro che doveva assolutamente essere ripreso, ma conoscendo la reticenza di Haruka per l'acqua, sarebbe stato arduo rivedersi tutti a stretto giro. In più c'era Khloe e non sarebbe stato saggio farle incontrare. Non ancora almeno.

Già, Khloe. Michiru non era riuscita neanche a salutarla. Aveva comunicato ai Mizuno l'intenzione di partire subito dopo il concerto, qualsiasi piega avesse preso il suo incontro con la madre e la greca non aveva battuto ciglio. Sapeva fingere bene Khloe, talmente bene che Michiru non si era resa conto che mentre si salutavano dopo essere ritornate dal Megaron Concert Hall, ognuna diretta verso la propria stanza, per la donna più grande quello scambio di sguardi era equivalso ad un addio. Troppo orgogliosa per vederla andar via, ancora troppo sentimentalmente coinvolta per affrontare un distacco potente come quello che un aeroporto può dare. Non avrebbe avuto la forza per vederla partire così e Michiru, la quale aveva affrontato una separazione simile soltanto pochi giorni prima, aveva compreso non offendendosi, anzi, chiedendo ad Agapi di salutarla.

“Dille che...” Ma non aveva saputo come continuare.

Cosa le avrebbe potuto dire per lenire la sua sofferenza? Che le dispiaceva di non provare più amore, ma solo affetto? Che sarebbero rimaste amiche? Che per lei ci sarebbe sempre stata? No, ipocrisia di pensiero. Michiru non avrebbe potuto esprimere ciò che aveva dentro senza apparire banale o meschina. Eppure era ciò che sentiva. Khloe le sarebbe sempre stata cara.

“Stai tranquilla angelòs, ha la scorza dura, ma ha anche bisogno di tempo per farsene una ragione. Non farci caso se è andata a rintanarsi da qualche parte, perché avrebbe finito con il piangere e non è da lei farlo in pubblico.” Aveva detto quella saggia donna abbracciandosela forte al petto.

“Mi raccomando, chiama qualche volta. Lo sai che è come se avessi due madri.”

E Michiru l'aveva stretta a sua volta sentendosi più triste di quel che avrebbe mai voluto.

Alzandosi dalla poltroncina, Alexios chiese alle due donne sedute se fossero state vogliose di un caffè.

“Vado al bar a prendere qualcosa. Volete niente ragazze?”

“Non è il caso che rimaniate qui fino alla chiamata del volo. Alexios, la pensione è a pieno regime e dovresti essere presente e tu Ami, hai già perso fin troppo tempo nello starmi dietro.” Disse Michiru un tantino in imbarazzo.

“Ma stai scherzando? Ho fatto talmente tanta esperienza con il tuo caso, che se avessi il coraggio mollerei l'argomento della mia specializzazione puntando tutto su di te Michi.” Rise l'altra per stemperare mentre il padre tossicchiava fintamente serio.

“Vedi di prendere questo pezzo di carta ragazzina. - S'intromissione il padre per poi sorridere bonario. - Michiru ci fa piacere e lo sai e poi è un modo per farmi perdonare. Ho latitato. Non sono stato molto d'aiuto come invece hanno fatto le “mie” ragazze.”

Aveva già denunciato a Michiru questa sua convinzione e continuava ad averla. Alla donna parve un'eresia gnostica. Guardando la custodia del violino che come bagaglio a mano non abbandonava mai di vista, scosse la testa afferrandogli le dita.

“Un padre non avrebbe saputo fare di meglio.” E vedendolo sorridere nuovamente lo lasciò andare verso il punto ristoro più vicino.

“Hai un potere enorme su questa famiglia Michi.” Rivelò l'amica piegando la testa da un lato.

“Mi avete dato così tanto calore e sostegno, disponibilità e forza, che non saprò mai come sdebitarmi Ami. E tu più di tutti. Solo ora che tutto sta tornando al suo posto, mi rendo conto che quando sono partita l'ho fatto senza sapere cosa stessi facendo. Se non mi avessi trovata, avrei girato a vuoto e molto probabilmente... mi sarei persa.”

Ami aveva acceso piccoli fuochi per ricondurla a casa.

“Ma sei tu che hai avuto l'umiltà ed il coraggio di chiedere aiuto.” Disse vedendo le spalle dell'altra alzarsi leggermente.

“Forse, ma sta di fatto che ti devo tanto e te ne deve anche Haruka.”

“Sai, mi sono ritrovata spesso ad immaginare come sarebbe stata la vita se le nostre famiglie non si fossero divise.”

“Credo bella. Indubbiamente diversa. Sicuramente più ricca.” Ammise Michiru mentre dai megafoni partiva il primo avviso del volo che avrebbe preso da li a breve per tornare in Svizzera.

 

 

Khloe alzò lo sguardo l'ennesima volta sul quei colori vividamente colti. Non riusciva a guardare quell'immagine per più di qualche secondo senza sentirsi bruciare gli occhi. Seduta in terra davanti al muro che accoglieva l'opera che Michiru aveva dipinto, gambe raccolte al petto, braccia serrate alle ginocchia, schiena in avanti come se un macigno di proporzioni bibliche le stesse incurvando forzatamente le spalle, si sentiva avvilita e sola. Sapeva che in quei minuti l'aereo che l'avrebbe riportata a casa stava preparandosi per rullare sulla pista di decollo. Quanto avrebbe voluto fermare quel moto e quanto si sentiva un'imbecille nel desiderare quell'utopica follia.

“Fai proprio pena Khloe Mizuno.” Disse a mezza voce sezionando con le iridi i colori che si espandevano per tutta la parete.

Poi qualcosa scritta nella parte inferiore del lato sinistro ne colpì l'attenzione. Alzandosi stancamente si diresse verso quella macchiolina nera che, man mano che si avvicinava, prendeva sempre maggior consistenza e leggibilità. Khloe alzò i palmi di entrambe le mani poggiandole sul muro ed eccola li, la riconobbe immediatamente come la sua firma, quella vista anni addietro sui tanti fogli che componevano il suo album di schizzi. Una M ed una K poste ai lati dell'asta di un piccolo tridente stilizzato. La donna sospirò chinando nuovamente la testa e lasciandola così, inerme e dimenticata, avvertì finalmente le lacrime liberarsi dal dolore dei suoi occhi.

 

 

Erano le ventidue passate quando la Mazda RX-9 guidata da una Tenou esausta fino all'inverosimile solcò il cancello condominiale del comprensorio. Svolta a sinistra, pollice premuto sul telecomando, attesa e giù per la rampa fino ai box. Parcheggio, stiratina alle vertebre della colonna, carezza alla sua dolce Ducati e chiusura serranda.

La bionda e Giovanna, entrate in ascensore più morte che vive, si guardarono soddisfatte. Il lavoro era andato bene ed a parte l'intoppo del sabotaggio di Blank, comunque mai del tutto verificato, avevano ricostruito la nuova pista graficizzandola con dovizia di particolari, riuscendo persino a spedirla all'ufficio tecnico di Bellinzona prima della loro partenza, avvenuta quella stessa mattina.

Haruka ci teneva che Giovanna facesse bella figura di fronte ad Henry Smaitter, perché in mente aveva un'idea, ovvero cercare di farla entrare in scuderia come collaboratrice esterna. Sarebbe stata un'opportunità unica e l'avrebbe tolta da una precarietà lavorativa intollerabile per una professionista capace come stava dimostrando si essere. Naturalmente di tutte queste elucubrazioni la maggiore non sapeva e non avrebbe dovuto sapere nulla o la sua paranoia nel dover affrontare un passo importante come il trasferimento in un altro paese, avrebbe rischiato di mandare tutte le fantasie della bionda all'aria.

All'apertura della porta scorrevole uscirono sentendosi le gambe intorpidite. La più provata delle due era senz'altro la pilota, che aveva macinato circa duemila chilometri in quattro giorni. Le faceva male tutto. Schiena, gambe, spalle e... orecchie, si orecchie, perché per evitare colpi di sonno, verso la fine del viaggio Giovanna aveva iniziato a soverchiarla di parole e, soprattutto, di domande.

“Mi sanguinano i timpani.” Disse Haruka infilando la chiave nel nottolino della blindatura.

“Preferivi addormentarti per farci schiantare contro qualche pilone?”

“Avrei preferito del Metal sparato a bomba.”

“E perché non lo hai messo su?!”

“Perché avresti sicuramente avuto da ridire....” Si fermò di colpo notando che la chiave non girava.

L'altra la guardò stupita. “Non mi dire che non hai chiuso, Ruka?!”

Certo che aveva chiuso e a quattro mandate. Oppure no?

“Andavamo di corsa, ma non posso essermene dimenticata.” Corrugando la fronte aprì lentamente l'uscio. Il buoi del corridoio ed improvvisamente la luce a ferirle le iridi chiare.

“Certo che non te ne sei dimenticata Ruka. Ci sarebbero mancati anche i ladri nel delirio che siete riuscite a lasciarvi dietro.” Disse Michiru ferma al centro della sala da pranzo a braccia conserte.

“Sono due giorni che vi aspetto e tanto mi è servito per rendere questa casa nuovamente presentabile.”

Haruka dilatò gli occhi mentre le dita della mano sinistra si aprivano lasciando i manici della sacca.

“Sei tornata!” Urlò Giovanna facendo per andarle incontro, venendo pero' bloccata da un gesto perentorio.

“Le scarpe!” Una vigilessa davanti ad un incrocio.

“Che?” Chiese mentre la bionda eseguiva come se nulla fosse.

“Giovanna per cortesia... Le scarpe. Ho dato la cera questa mattina e non vedo perché dobbiate arrivare voi a vanificare tutto il mio lavoro.”

“Fa come ti dice.” Consigliò piatta Haruka mentre prendeva le loro pantofole dal ripiano sotto la consolle.

“Ma siete fuori?!” Guardandole confusa Giovanna iniziò a tirarsi i lacci degli anfibi borbottando.

Proprio non stava afferrando la situazione. Forse in Grecia c'era stato un litigio?

Rimasta in calzini, Haruka allargò le braccia scocciata. “Contenta Kaiou? Sono stanca e non ho voglia di mettermi a discutere, ma sappi che la casa è stata lasciata in disordine per motivi che vanno oltre la mia volontà.”

“Certo Tenou, c'è sempre qualcosa che va oltre la tua volontà.” Rispose di rimanendo in quella posa composta che tanto stava impressionando Giovanna.

“Che vorresti dire?” Haruka venne avanti tirandosi giù la lampo della giacca.

“Voglio dire che trovo oltremodo irrispettoso vivere come maiali in una casa che non è una cloaca. Ho trovato delle scaglie di carne ormai essiccata tra i cuscini del divano! E non capisco come sia stato possibile non accorgersene visto che tu, Giovanna, lo hai usato come letto per giorni.”

La più grande delle tre si fece piccina alzando una mano. “Colpa mia. Ammetto.” Guardando la sorella inarco' le sopracciglia. Dovevano essere i “famosi” pezzi di montone del galeotto Kebab spazzolato senza pietà qualche settimana prima.

“Te l'avevo detto Ruka, che dovevamo pulire o quella carne avrebbe belato la sua presenza.” Ed a testa bassa si sfilò anche lei la giacca per appenderla ordinatamente all'entrata.

“Ditelo subito; devo trovarmi una stanza in albergo o posso continuare a sentirmi di casa anche se ho contribuito a renderla un casino?” Chiese guardandole alternativamente e fu davanti a quegli occhi dispiaciuti che le altre due scoppiarono finalmente a ridere.

“Oddio Giò quanto sei facile da prendere in giro.” Disse Michiru allargando le braccia per accogliere la compagna che stringendola forte la baciò con dolcezza.

“Ben tornata a casa anima mia.” Soffiò nell’orecchio lasciandole poi la fronte adagiata nell'incavo del collo.

Il suo profumo, i suoi respiri, le dita sottili serrate tra i fili dorati dei suoi capelli. Erano tornate nuovamente un corpo unico.

“Ma andate al quel paese... tutte e due! Ed io che ci casco sempre. Un giorno arrivo e trovo questa piagnona disperata e te sparita nel nulla. Torni e montate in un bater di ciglia questo teatrino... Dite un po'... per chi mi avete presa?!”

Michiru rise allargando il braccio lasciato libero facendo segno con la mano di raggiungerle. “Su Giovanna. Uno scherzo innocente, anche se dei pezzi non identificati di qualcosa che una volta deve aver respirato li ho trovati veramente.”

“Mi ha portato sulla cattiva strada, Michi.” Piagnucolò la bionda continuando a godersi le meritate carezze.

“Non è vero! Sei stata tu a dire che delle nostre porcate culinarie, Michiru non avrebbe mai dovuto sapere nulla!” Fece il verso mentre Haruka la guardava storto.

“Basta voi due. La legge è tornata in città. Dai, vieni qui e fatti abbracciare. Mi sei mancata anche tu, sai?” Ed accogliendo anche l'amica Michiru si sentì finalmente a casa.

Quell'avventura l'aveva cambiata, molto probabilmente in positivo, questo solo il tempo lo avrebbe confermato, ma sentiva di poter affrontare la vita in maniera diversa, libera dalle imposizioni del passato, dai sensi di colpa, dai ricordi dolorosi, che sarebbero rimasti in lei, certo, ma non più in forma di quiescenza pronti a colpirla a tradimento, ma sotto una più naturale e sana consapevolezza. La sua famiglia era cresciuta accogliendo un nuovo membro, ed anche se aveva reputato fin da subito Giovanna una ragazza speciale, forse perché recante lo stesso sangue della sua Ruka, ora era palese che la considerasse una delle persone più importanti della sua vita. In più aveva ritrovato quello scrigno meraviglioso che erano i Mizuno ed avrebbe fatto tutto il possibile per evitare alla lontananza di dividerli ancora da lei.

Quel viaggio e le sue laceranti confessioni le avevano restituito anche una madre, donna difficile certo, caparbia, con un carattere criptico e dominante, che verosimilmente non sarebbe mai cambiato, ma che grazie ad un affetto riemerso dal naturale rapporto madre – figlia, avrebbe lentamente aiutato la prima ad accettare in toto le scelte della seconda.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ci siamo quasi, CORAGGIO. Siamo alla fine di questo piccolo spaccato di vita. Un altro paio di “sorpresine” che le nostre due eroine vorranno farsi a vicenda e poi via… verso nuove avventure.

A prestissimo|

 

 

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Capitolo 16
*** Epilogo - I doni del cuore ***


Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Epilogo – I doni del cuore

 

 

 

Michiru terminò di struccarsi ben oltre la mezzanotte. Eccitatissime, lei e Giovanna si erano piazzate sul divano iniziando a cicalare fin quando all'amica non le si erano letteralmente chiusi gli occhi, mentre una taciturna Haruka aveva preferito prepararsi un caffè con altre fantasie per la testa, sedendosi poi sul piano del caminetto per bearsi dell'immagine radiosa che la sua compagna sembrava emanare da ogni centimetro quadrato del corpo. Era incommensurabilmente bella la sua dea, bella e serena. Una condizione che raramente la bionda aveva riscontrato durante i loro quattro anni di vita di coppia.

In quelle settimane di forzata lontananza, per quel viaggio Haruka aveva spesso ceduto alla rabbia e alla frustrazione, ma ora, nell'osservare quanto beneficio avesse portato la terra ellenica a Michiru, non poteva che darsi della stupida, orgogliosa, egoista testa vuota.

Lasciato lo spazzolino nel bicchiere accanto a quello di Haruka, Kaiou sorrise guardandosi allo specchio. E si, andava molto, molto meglio. I segni scuri che le avevano accompagnato la pelle del viso solcandolo a più riprese erano un ricordo, ed anche l'idea stessa della notte e del consequenziale sonno non la spaventava più.

Spense la luce del bagno chiudendosi la porta alle spalle.

“Ruka, stavo pensando che in mattinata vorrei...” Ma le parole le si spensero nella gola non appena gli occhi si posarono sul grande letto a due piazze.

Haruka era crollata e come un cucciolo aveva preso la strada del riposo senza neanche rendersene conto. Le si erano semplicemente chiuse le palpebre mentre la stava ascoltando parlare di lavoro. Su un fianco, con ancora il sotto della tuta bianca che in genere usava per casa e la t-shirt che aveva indossato per tutto il santo giorno. La testa adagiata sul cuscino, le braccia abbandonate su una parte considerevole del lato in genere occupato dall'altra, appariva ora così; un angelo biondo inerme nel loro letto finalmente non più vuoto.

“O anima mia.” Sospirò dolcemente andando a rimboccarle le coperte per poi coricarsi a sua volta.

Stando attenta a non svegliare il suo bizzoso puledro di fanteria, Michiru ricordò improvvisamente una frase detta ad Ami come risposta ad una domanda riguardante la forza del loro legame; Dopo quattro anni sentiamo ancora la necessità di addormentarci abbracciate. Una verità tanto benedetta quanto impellente, che la portò a posare la mano destra sulla vita dell'altra per chiudere poi anch’essa gli occhi e sentirsi finalmente appagata. Per quella notte e per tutte le seguenti, non avrebbe più avuto nelle orecchie il suono del mare, ma quello ritmico e vitale prodotto dai respiri del suo amore.

 

 

Le bolle rilasciate dal suo respiratore andarono ad unirsi a quelle dell'uomo dalla muta nera che stava risalendo lentamente accanto a lei. Michiru gli fece segno con il pollice vedendolo annuire di risposta. Tutto stava procedendo bene. Un'altra decina di metri e sarebbero arrivati in superficie. All'improvviso un tocco gentile, ma deciso sulla spalla. Haruka le mostrò il quadrante del suo Scuba lasciandole intendere di voler proseguire l'immersione. Possibile che da quando l'aveva portata la prima volta nel mondo della disciplina subacquea, ogni volta che si ritrovavano a dover risalire da una lunga escursione come quella, faceva storie?

Michiru scosse decisa la testa facendole capire che non avevano più tempo e l'altra dovette rassegnarsi proseguendo la lenta risalita di decompressione.

Finalmente arrivati a scorgere la chiglia della barca, l'uomo vi passò sotto andando verso la poppa dove si trovava la scaletta. Pochi secondi e le due donne lo raggiunsero arpionandone con una mano l'acciaio cromato.

Haruka fu la prima a togliersi il respiratore inondando finalmente le narici fino a quel momento strette dalla maschera. Ecco, se una cosa delle immersioni proprio non riusciva a sopportarla era quella di dover respirare con la bocca.

Che spettacolo! Perché siamo risaliti così presto? Avevamo ancora una decina di minuti.”

Amore non lagnarti sempre. Le correnti si sono rafforzate e non era più possibile proseguire in sicurezza.” Le rispose la compagna porgendo la mano al padre.

Haruka, Michiru ha ragione. Per oggi basta così.” Disse Victor mentre aiutava la figlia a salire.

"Sempre così voi due. Ogni volta che ci si diverte...” Mezza imbronciata la bionda si slacciò la bombola direttamente in acqua mentre l'uomo la prendeva a bordo. Via anche la cintura zavorrata.

Ci saranno altre immersioni. Porta pazienza.” Una risata profonda di lui e la donna meno esperta si arrese.

Ok. ok. Hai vinto tu Victor. Ma almeno lasciami andare avanti. Lenti come siete...” Facendo leva sui quadricipiti la bionda si diede lo slancio dall'ultimo piolo della scaletta.

Un paio di bracciate a lento giro per poi partire a razzo come al suo solito verso la riva.

Michiru la guardò sconsolata. “Da quando ha imparato a nuotare non la si tiene più. Non che l'acqua sia diventato improvvisamente il suo elemento, ma...”

Ma si vede che si diverte un mondo quando è sotto. Non rimproverarla, perché vedi Michiru, la tua Ruka ha gli stessi occhi pieni di stupore che avevi tu quando ti portavo a fare snorkeling da bambina.” Concluse guardando anch'egli la linea della costa di Santorini.

Che devo fare con quella capocciona papà?” Chiese sorridendo avvertendo la mano del padre sulla guancia.

E cosa devi fare ragazza mia?! Amarla.” E scoppiando a ridere entrambi tornarono a guardare la costa.

Michiru aprì lentamente le palpebre sentendosi fissata. Gli smeraldi di Haruka la stavano scrutando come due avidi scanner. Seduta sulle ginocchia tra le lenzuola, chinò leggermente la testa arruffata da un lato lasciando una smorfia sulle labbra.

“Buongiorno.” Disse Kaiou stropicciandosi un occhio.

“A te."

"E' tanto che sei sveglia?"

"No. Ma dimmi, cosa stavi sognando di tanto meraviglioso da farti sorridere nel sonno?” Chiese curiosa. Non era mai accaduto.

Kaiou si bloccò pensandoci un attimo, poi ricordando tornò a dipingere le labbra all'insù. “Mio padre.”

“Oh... e visto l'espressione sul tuo viso dev'essere stato bellissimo. Mi sorprende.”

“Non devi. Sono giorni che non ho più incubi, anzi. E la vuoi sapere una cosa? Stavamo facendo un'immersione e c'eri anche tu.” La sentì ridere e corrugando la fronte si tirò su a sedere.

“Era proprio un sogno allora.” Disse la bionda infilandole le dita tra i capelli per attirarla a se e baciarla.

“Certo è che se volessi imparare a nuotare, almeno una parte potrebbe trasformarsi in realtà, Ruka mia.”

“Questo non accadrà mai. - Soffiò sottovoce per continuare più languida. - Come non accadrà mai più che mi addormenti come un sasso prima di saperti al mio fianco. Avrei tanto voluto fare l'amore, ma le forze mi hanno tradita. Scusami Michi.”

“Non devi chiedermi scusa. Da ora in avanti avremo tante di quelle notti.”

“E mattine e pomeriggi e...”

La compagna la fermò baciandola a sua volta per poi riportarla all'ordine. “Si, si, abbiamo capito Tenou. Ora giù dal letto e vai a guadagnarti il pane.”

“Mmmm... Si, Michi mia.”

 

 

Una quindicina di minuti più tardi, Giovanna le mise al corrente della sua intenzione di partire quello stesso giorno, attirandosi addosso il nervosismo mattutino della sorella che non afferrando il perché di tanta fretta, le boicottò per contrappasso l'intera colazione.

“Il fatto che Michiru sia tornata non vuol dire che stiamo cacciandoti di casa, Giovanna!” Disse sistemandosi più comodamente sullo sgabello della penisola.

“Lo so Ruka. E' che ho la convocazione per la partita del fine settimana. Sono di servizio e come ti ho già detto in altre occasioni, non posso mancare.”

“Non difendi certo il mondo e non vedo perché tu non possa dirgli di no qualche volta.” Acida non riuscì a controllarsi parlando prima di pensare.

Non amava che Giovanna facesse quel secondo lavoro. Troppo pericoloso, mal pagato e per lei completamente insufficiente al fine di garantire la sicurezza di un evento sportivo.

La maggiore raccolse l'offesa contrattaccando. “Siamo in piena emergenza terrorismo e credi che la mia unità si gestisca da sola?! Sotto di me ho quindici persone.”

“Allora siamo tutti più sicuri se il sergente Aulis guida l'armata!” Infierì accettando la zuffa.

“Haruka...” Intervenne Michiru a far da pacere.

“E' un lavoro al quale tengo e nonostante mia sorella pensi sia inutile, io so che non lo è affatto. In ultima istanza... scusa se guadagnare un po' di soldi non mi fa proprio del tutto schifo, Tenou.” Ed alzandosi da tavola finì le ultime gocce di caffe per andare a lavarsi la tazzina.

“Lo sai che per la miseria che prendi il gioco non vale la candela! Perché non ti trovi un lavoro qui. Uno alla tua altezza. Uno che ti dia delle soddisfazioni maggiori.”

“Ti ho già detto di non essere ancora pronta per lasciare tutto. L'Italia, gli amici, il resto della famiglia Aulis. - Che poi era anche la sua, ma quello era un altro discorso ed assai più spinoso. - Comunque pensala come vuoi e dammi anche della deficiente come al tuo solito.”

“Non ti ho mai dato della deficiente.” Cercò di difendersi sapendo di stare scivolando come un geco su uno specchio.

“Certo che lo hai fatto. Anzi, lo fai continuamente non fidandoti mai di ciò che dico o faccio. Ma va bene così, perché ho capito sbattendoci le corna che sei una persona diffidente.” Disse tranquilla dandole le spalle.

Michiru guardò severa Haruka che sbuffando chiese scusa. “Non è che sia diffidente nei tuoi confronti, è che lo sono verso tutti... Mi dispiace.”

Posando il canovaccio, Giovanna si voltò poggiandosi al granito. “Dovresti fidarti di più di me.”

“Lo so, ma non mi è facile. Te l'ho già detto. Ho passato tutta la vita a cavarmela da sola e fino ad ora ho permesso solo a lei di mettermi in discussione.” Ammise indicando Michiru che si permise di aggiungere che il fatto che lavorasse in un posto altamente sensibile le spaventava e che il desiderio di entrambe era di farla vivere accanto a loro.

“Io vi ringrazio, ma potrebbe accadermi qualcosa anche qui.” Terminò alzando le spalle dirigendosi verso il bagno. Chiudendo la porta lasciò che la sorella esplodesse.

“Che discorso del cazzo!”

“Haruka!”

Esasperata la bionda sbatté un palmo sul tavolo. “Scusa amore, ma quando ci vuole...”

“Quando ci vuole, si parla pulito! Comunque dilla tutta Giovanna, a parte il discorso del tuo trasferimento a Bellinzona, torni a casa anche e soprattutto per lasciarci un po' da sole, non è così?!” Disse Kaiou con il tono di voce più sostenuto in modo che la più grande potesse sentire dall'altra stanza. Ormai aveva inquadrato il carattere di quella donna con la testa più dura di un pezzo di Teak.

“Anche e soprattutto... L'ospite è come il pesce ed io sono di troppo. La bionda qui, è assai più timida di quanto non voglia ammettere se si affrontano certi argomenti a luci rosse.” E ridacchiando iniziò a spogliarsi per una rapida doccia.

“Che deficiente!” Urlò l'altra presa in causa per poi vedersi il viso di Giovanna far capolino dalla porta.

“Visto che mi dai della deficiente? Come volevasi dimostrare.” Sfotté per poi richiuderla.

“Non la sopporto più. Adottiamo un cucciolo ed abbandoniamo lei al primo incrocio.” Borbottò come una vecchia comare avvertendo le braccia della compagna stringerla da dietro e riderle sulla pelle della nuca.

“Mi mancavano i vostri siparietti amorosi.”

“No Kaiou, non ti ci mettere anche tu...”

 

 

Michiru guidava senza fretta diretta allo stabilimento Ducati. Subito dopo pranzo aveva accompagnato Giovanna alla stazione per recarsi poi dal vicario della Cattedrale che le aveva consegnato uno dei dipinti che non aveva potuto restaurare alla fine dell'anno precedente per via della Pala del Perugino. Infine, ricevendo una strana quanto criptica telefonata dalla compagna, aveva preso la strada per l'interland domandandosi perché dovesse raggiungerla alle piscine della scuderia.

Parcheggiando la sua Prius proprio accanto alla Mazda di Haruka e togliendosi gli occhiali da sole, si guardò in torno con fare curioso. Sapeva dove andare, perché aveva accompagnato spesso la bionda alle sedute di fisioterapia.

Pur facendo un lavoro abbastanza impegnativo, Tenou non si era mai fatta realmente male, ma le crinature e le ossa che si era rotta in carriera, con l'età iniziavano a necessitare di periodiche sedute lenitrici.

“Quando cambia il tempo mi fa male dappertutto.” Si lamentava una volta su due mentre Kaiou non perdeva occasione di rinfacciarle scherzosamente di essere più giovane, anche se solo di un anno.

Entrando nella zona accoglienza Michiru chiese alle receptionist dove fosse l'Ingegner Tenou avendo così conferma che si trovasse ancora in acqua. Ringraziando ed uscendo dalla struttura principale, iniziò a percorrere il vialetto che portava al complesso delle palestre ed in meno di cinque minuti raggiunse lo spogliatoio femminile trovandolo però vuoto. Provò allora a chiamarla al cellulare e non appena sentì un armadietto suonare capì decidendo di sfidare l'afa ed il cloro. Togliendosi la giacca ed appendendola ad un gancio di una panca, si diresse verso la vasca usufruendo delle ciabattine di cortesia.

“Sei arrivata!” Sentì vedendola seduta su una sedia accanto al bordo.

“Ruka, perché sei ancora in costume? Pensavo avessi finito." Chiese mentre la bionda si alzava togliendosi l'accappatoio.

“Il tempo... Credo stia cambiando Michi. Continua a farmi male il costato anche dopo una buona mezzora di idromassaggio.” E le andò in contro con fare rassegnato.

“Povero il mio cavallino di fanteria.” Se l'abbracciò Michiru non badando al fatto che fosse bagnata fradicia.

“E' la vecchiaia...” Rispose sentendosi scarmigliare i capelli.

“Vuol dire che tornate a casa ti farò un po’ di coccole così da far passare questa brutta bua.”

“Mmmmm... E' un programma intrigante. Allora dovrò prima sdebitarmi in qualche modo.” Le strinse forte le spalle continuando con il dirle di non infervorarsi troppo per quello a cui avrebbe assistito da li a breve.

“E ti prego Kaiou di non essere troppo critica. Ricorda che ho avuto poco tempo e che mi è costato tanta fatica, sacrificio e pesantissime prese per i fondelli!. Dopo questo preambolo strabuzza la vista e tieniti forte.” Annunciò stentorea rimettendosi la cuffia per poi tuffandosi a candela dal bordo.

“Ma che vuol dire?!”

Ma Haruka non rispose. Con l'acqua che le arrivava al petto prese un profondo respiro sentendosi come prima di un esame e facendosi coraggio scivolò a pelo iniziando a nuotare. Prima bracciata. Seconda bracciata. Terza bracciata. Tieni fermo il busto, non piegare le gambe, non sbattere il dorso dei piedi. L'acqua va aggredita, ma rispettata. Accarezzala quando le dita la solcano. Tieni la testa bassa Tenou. Tieni la testa bassa! Sentiva la voce di Giovanna che la spronava, le consigliava, la pungolava, la lodava e pretendeva. Se ci riesce un bambino, ci riuscirai anche tu. Sei mia sorella diamine; il nuoto ce l'hai nel DNA. Avanti Ruka, muovi quelle gambe e pensa a quando mostrerai tutti i tuoi progressi a Michiru.

“O Dio Santo...” Portandosi per un istante la mano alla bocca, Kaiou la seguì con lo sguardo iniziando poi a camminare sul bordo vasca. Concentratissima e neanche troppo esitante, Haruka arrivò dalla parte opposta serrando la mano ad uno dei blocchi di partenza.

Un considerevole respiro per godersi la soddisfazione della riuscitissima sorpresa. “Ammettilo, ti ho stupita al pari di Atene... Allora, cosa ne pensi?”

“Io non..., ma chi? Quando?”

“Poche domande e molto confuse vedo.” Disse divertita mentre Michiru si toglieva le ciabattine con gesti decisi per poi tuffarsi di testa vestita di tutto punto.

“Kaiou che fai?!” Se la ritrovò davanti in tre secondi. Le iridi ardenti di emozione.

“Ruka hai imparato a nuotare!”

“Ma i vestiti...”

“Cosa vuoi che me ne importi! Dimmi quando hai deciso di imparare una cosa che odi da sempre.”

“Ho deciso la notte che abbiamo discusso al telefono, ti ricordi? Mi parlasti dell'immersione con Ami. Michiru non voglio che tu debba più soffrire a causa delle mie paure, perciò se il mare ti provoca piacere e ti fa sentire meglio, vuol dire che le vacanze le passeremo sulle sue coste. Ovunque tu vorrai. Non sono ancora brava, lo so, ma conto di riuscire a far bene quanto prima almeno lo stile libero, per poi segnarmi al corso base per snorkeling. Non raggiungerò mai il tuo livello, ma sarò in grado di seguirti sopra o sotto l'acqua di qualunque oceano presente sul pianeta. Te lo prometto.“

L'altra scosse la testa. Il suo amore in acqua! Per lei! Solo per lei. Il sogno della notte precedente sarebbe diventato una realtà.

“Ti amo Haruka Tenou!” Urlò nell'ambiente vuoto stringendosi a lei.

“Michi... ti prego. Adagio! Qui non si tocca.” S'irrigidì arpionandosi al blocco di partenza come una cozza ad uno scoglio.

“Non preoccuparti amore. Se mai dovesse succedere che il mare reclami il mio angelo, ci penserà la sua sirena a riportarlo in superficie.”

 

 

Erano tornate a casa assaporando nuovamente quei gesti carichi di famigliarità che come coppia erano solite fare. Si erano fermate al supermercato vicino casa per un po' di spesa, dedicandosi poi alla cena ed apparecchiando senza fretta la tavola della sala, avevano mangiato leggero e bevuto del buon vino, mentre Haruka saziava a piccole dosi la curiosità della sua dea raccontandole delle lezioni di nuoto con la sorella e quanto quest'ultima le avesse dimostrato una pazienza sconfinata ed affetto a profusione.

“Non mi ha affogata anche se sono stata spesso una bastarda cronica e questo l'ho apprezzato molto. Sai quanto possa diventare intrattabile se non riesco a far bene una cosa.” Ammise iniziando a sbucciarsi una mela.

Seduta accanto a lei, Michiru storse la bocca. L'amica era riuscita la dove lei aveva fallito. “Sono anni che cerco d'insegnarti a nuotare, ma tu niente. Poi arriva lei e si compie la magia. Devo confessarti di essere un po' invidiosa.”

Scoppiando a ridere la bionda cercò di minimizzare. “Adesso chiamarla magia mi sembra esagerato. Non facevo poi così schifo.”

Ma guardando il viso dal sorriso sardonico dell'altra ammise che si, faceva proprio schifo. “Mi ha chiamata bacarozzoide giallo per giorni. E' stato umiliante...” E questa volta toccò a Michiru ridere.

“Forse ci voleva proprio Giovanna per spingerti a riuscire la dove eri convinta di fallire. Con il fisico che hai il nuoto dovrebbe riuscirti la cosa più facile del mondo.”

Ognuna delle due sorelle aveva paura di deludere le aspettative dell'altra, ma questo limite le stimolava positivamente a dare sempre il massimo. Stancante, ma tutto sommato produttivo.

“E' solo che con te non provo la competizione che sento con lei. Con te non devo dimostrare niente, non più. Tu mi ami per quella che sono. Con lei invece è tutto ancora da costruire e non volevo che pensasse di avere una sorella che se la fa sotto in trenta centimetri d'acqua. - Tornando a guardarla continuò quasi con timidezza. - Però è stato un bene. Non è che l'acqua proprio non mi piacesse e' che … mi vergognavo di non riuscire a fare quello che riuscivi a fare tu.”

“E' per questo che te ne stavi sempre in spiaggia a cuocerti al sole accampando mille scuse pur di non seguirmi, lo so. Guarda che ti conosco Ruka.” La vide ghignare arrossendo leggermente.

“Già.”

“Ed è proprio per questo che la tua sorpresa vale più di un tesoro. Però sappi che anche io ho dovuto piegare l'orgoglio prendendo forza dal mio cuore.” Posando il tovagliolo sulla tavola si alzò andando verso il suo studio.

“Dove vai?” Chiese Haruka posando il coltello nel piatto iniziando ad azzannare uno spicchio di mela.

Dopo qualche secondo Michiru ne uscì tenendo in mano una custodia di raso rettangolare.

“Cos'è!”

“Un pensierino per... noi. Per me e per te, che da sempre vuoi sentirmi suonare, ma che purtroppo per colpa di questo non hai mai potuto. - Le mostro l'anulare sinistro fasciato dallo scudo della sua fede dorata. - Però anche io devo farti un preambolo. Porta pazienza e sappi che il livello che un giorno raggiungerò con la mano destra, non sarà mai lontanamente equiparabile alla destrezza che avevo con la sinistra.” Aprì afferrando il violino regalatogli da Alexios.

Michiru lo accarezzò afferrando l'archetto e portandosi la mentoniera al viso chiuse gli occhi lasciando che il crine vibrasse sulle corde. Haruka poggiò silenziosamente lo spicchio nel piatto deglutendo. Guardando la postura di altri violinisti l'aveva spesso immaginata con quello strumento tra le mani, ma per quanto la sua fantasia fosse fervida, non era mai riuscita a far scaturire da quella visione alcun suono. Nel sentire ora quelle semplici note avvertiva nel petto il cuore stranamente agitato e quando Michiru terminò il suo elementare, ma sincero assolo, serrando la mascella si alzò respirando profondamente l'aria ancora carica dell'energia scaturita da quello strumento.

“Cosa te ne pare?” Chiese quasi sussurrando sentendosi emozionata per l'offerta di quel dono.

Rimanendo ferma con le braccia dimenticate lungo i fianchi la bionda incatenò i suoi occhi a quelli di lei. “Ti amo Michiru Kaiou.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ecco qua. Il secondo capitolo della mia, nostra storia è terminato. Mi sono concessa un po' di tenerezze finali, non potendo però rinunciare ai consueti buffi siparietti.

Concedetemi un ringraziamento tutto speciale a coloro che mi hanno seguita e recensita, dandomi spesso lo slancio per continuare ed il coraggio di mettene su carta la mia fantasia.

Proprio per queste amiche speciali, ho pensato ad un terzo racconto, questa volta un po' diverso dai primi due, sempre introspettivo, ma credo più complesso, sia come storia, che come ambientazione.

le trincee dei nostri cuori, sarà molto più avventuroso e crudo, non sarà ambientato solo nel nostro tempo e rispecchierà i sentimenti, le caratteristiche umane, le labilità ed i punti di forza dei personaggi che avete dimostrato di amare nelle prime due storie.

Mi impegnerò a fare un buon lavoro e spero di non deludervi. Per adesso vi lascio con un GRAZIE enorme per la vostra dedizione.

A presto!!!

UB Wolf

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