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di theethee_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ció che non si vede ***
Capitolo 2: *** In onda ***
Capitolo 3: *** Domande ***
Capitolo 4: *** Mi devi delle risposte ***
Capitolo 5: *** A piccoli passi ***
Capitolo 6: *** Non sarà facile ***
Capitolo 7: *** Passi falsi? ***
Capitolo 8: *** La verità? ***
Capitolo 9: *** Hope ***
Capitolo 10: *** Sai di felicità ***
Capitolo 11: *** Una luce che non voglio spegnere ***
Capitolo 12: *** Flipper? ***
Capitolo 13: *** Incontri ***
Capitolo 14: *** Un passo ***



Capitolo 1
*** Ció che non si vede ***


 
Dove ho messo le chiavi? Perché  si devono nascondere sempre? Eppure sono sicura fossero sul tavolo della cucina, le metto sempre lì. 
Cerco in modo disperato il mazzo facendo volare parecchi fogli a terra. Una volta tornata a casa li raccoglierò. Okay, è vero, dico semepre così ma non lo faccio mai, per questo forse la mia casa è un casino... forse eh. 
Mi guardo un attimo in torno: okay, senza il forse. 
Intanto scopro di avere le chiavi in mano da mezz'ora e di averle cercate inutilmente. Bene, ho già sintomi da cinquantenne in menopausa a diciannove anni. 
Mi scaravento fuori dal mio appartamento, chiudo la porta e corro. Letteralmente. 
Sono in ritardo, come al solito. Ormai le persone che mi conoscono ci sono abituate, ma oggi è uno di quei giorni in cui non si può essere in ritardo, ma questo non è bastato a spronarmi per evitare l'inevitabile. 
Salgo in macchina e sfreccio verso il luogo d'incontro, una volta arrivata ad accogliermi trovo Andrea, il mio editore nonché padre acquisito. Ormai sono più in casa sua che nella mia, e sento più volte lui che mio padre vero e proprio. 
-Pensavo di dover inventare una scusa improbabile per coprire il tuo ritardo, invece te la sei cavata con un ritardo di cinque minuti, wow!- dice sarcastico. 
-Ma con qualche multa per eccesso di velocità- rispondo. 
-Tieni, questa è una traccia per le risposte alle domande che ti farà, dacci una lettura veloce- mi porge il foglio. 
-No grazie, ho tutto in testa, non devo copiare da nessuna parte le mie risposte- rispondo dirigendomi verso l'ingresso laterale della libreria. 
C'è poco da dire: sono emozionata. È la prima grande catena di librerie che mi ospita per un'intervista sul mio libro. 
Ho già rilasciato interviste, ma questa è decisamente diversa. Le altre erano semplici interviste alla radio o sui giornali specializzati, questa è un botta e risposta con tanto di pubblico attento e interessato, venuto qua solo per me e per sentirmi. Ecco, il pubblico mi mette agitazione, non sono mai stata una persona da discorsi pubblici o da comizi, e anche solo rispondere a delle semplici domande davanti a qualche persona mi mette ansia. 
Non ci devo pensare, questa è una grande occasione e devo rimanere concentrata sull'intervista. Devo essere rilassata, far sentire il pubblico a proprio agio, ma senza perdere di vista l'obbiettivo: far conoscere e apprezzare il libro e la mia persona, per quanto sia impossibile l'ultima cosa. 
Andrea sbuffa sonoramente alle mie spalle -Sei davvero testarda. Almeno cerca di non dire cose inappropriate! Ti ricordo che se questa intervista avrà un po' di risonanza, riuscirò a farti girare tutta l'Italia e non solo! Ma deve andare bene- continua a camminare al mio fianco. -Hai capito?- 
-Si lo avevo capito anche senza che tu me lo dicessi- rispondo.
Nello stesso istante mi trovo davanti una bionda stangona, vestita tutta in tiro con un cartellino attaccato alla camicia. Spero vivamente non sia lei a farmi l'intervista, ci sarebbe un confronto tra me e lei, e io perderei. Lei bellissima, truccata, capelli perfetti, neanche una cosa fuori posto, tacchi vertiginosi e una manicure perfetta. Io bassa, struccata, con addosso una semplice camicia e dei pantaloni che per fortuna si intonano con la camicia, e delle semplici vans. Okay che la mia età mi da il diritto di non essere troppo elegante, ma io sono troppo esagerata, me ne rendo conto. Ma che ci posso fare? Mi sento a mio agio solo così, quindi eccomi. 
-Benvenuta Signorina Cerati, il relatore la sta aspettando vicino alla sala congressi. Intanto vuole dell'acqua? Del caffè? Oppure se deve darsi una sistemata il bagno è in fondo a destra..- interrompo quella vocina stridula. Dio, già non la sopporto. 
-Vorrei solo iniziare la mia intervista- rispondo secca. 
Mi guarda di storto -Mi segua- 
Seguo la bionda e finalmente incontro chi mi farà l'intervista, un uomo sulla quarantina, ben vestito. Ha in mano un microfono, il mio libro e dei fogli, é intento a sistemarsi la camicia. 
-Non è il caso di mettersi in tiro, non penso ci sia molta gente- dico scherzosamente porgendo una mano. Voglio sempre essere simpatica o perlomeno non odiata da chi mi fa le interviste, potrebbe non andare a mio vantaggio. 
Ride sonoramente -In realtà la sala è piena signorina! Ha poca fiducia nelle sue capacità, direi- sorride e mi stringe la mano. -Sono Francesco, è un piacere conoscerla e intervistarla, andiamo?- 
-Andiamo!- rispondo sorridendo. 
lo seguo attraverso una porta, saliamo tre scalini ed ecco l'agitazione che si fa sentire appena vedo la sala gremita, con neanche un posto vuoto. Mi manca il respiro. 
Vedo Francesco sedersi sulla sedia a destra, mi dirigo verso quella al fianco dove noto esserci un microfono. lo prendo in mano e mi siedo. 
Forse dovevo salutare il pubblico mentre entravo, o forse no. Non so bene come funzionino questi meccanismi, in ogni caso ormai è tardi, sorrido e mi guardo intorno. Tanti giovani, penso della mia età, e altrettanti più grandi. Non potevo neanche lontanamente immaginare che un giorno molto vicino sarebbe accaduto tutto questo. 
-Buongiorno a tutti, io sono Francesco e ho a che fare con i libri da quando sono nato, ma li recensisco solo da quando ho imparato a scrivere, tranquilli- dice scherzando -a parte gli scherzi, recensisco libri sì, ma mai mi era capitato di intervistare una scrittrice giovanissima e talentuosa. Abbiamo il piacere di avere con noi Chiara Cerati, che a soli diciannove anni ha pubblicato il suo primo libro, un primato che pochi hanno. Oggi parleremo con lei di questo libro, che ogni ora diventa sempre più conosciuto e apprezzato, "Ciò che non si vede"-  
Scatta un applauso. Mi batte il cuore all'impazzata e ora tutti gli occhi sono su di me. 
-Grazie Francesco, ma ti dimentichi che un D'Annunzio sedicenne mi ha battuto per quanto riguarda "primo libro pubblicato"- dico al microfono ridendo. Il pubblico ride. Bisogna smorzare un po' la situazione, no? Non so mai come rispondere ai complimenti. 
-Hai ragione, mi ero dimenticato della biografia di tanti autori del passato- dice ridendo. -Non cambiamo argomento però... Non ti senti fortunatissima per quello che sta accadendo? Insomma, diciannovenne, una casa editrice decide di pubblicare il tuo libro e vende moltissime copie. Sei fortunatissima, non negarlo!- sorride e mi guarda.
-Sì lo ammetto sono fortunatissima. Ammetto anche che salendo qua, e vedendo tutti voi- indico il pubblico, -qua seduti pronti ad ascoltarmi, mi ha dato la prova che sono fortunata. Però ora Francesco, non farmi sembrare un mucchio di fortune e coincidenze, un po' di sudore c'è!- dico ridendo. 
-Vero vero. Infatti volevo chiederti come è nata l'idea del libro, pochi alla tua età decidono che il loro sogno è quello di diventare scrittori, direi!- 
-Non farò il solito discorso  del tipo che i miei coetanei devono leggere libri, appassionarsi alla letteratura, o trovare il piacere della scrittura. No, assolutamente. Io sono felice che i libri e la scrittura siano una cosa per pochi. Quindi incito la loro maggioranza a continuare a sballarsi in questo anno di libertà dopo il liceo, ma amo la minoranza che è anche ben rappresentata qui oggi. Io ho deciso di scrivere prima di tutto perché amo la scrittura e perché pensavo fosse la cosa giusta ed adatta a me, tutto qua. Il resto è venuto da se, io ci ho messo solo me stessa e tanta volontà, era il mio sogno e ci sono riuscita.- 
-E la trama? È insolita per una persona della tua età- chiede. 
-È strano perché questo lo pensano in molti, ma per me è del tutto normale. Penso sia la cosa più giusta quella di far raccontare un problema attuale come l'omofobia, ai giovani. Gli adulti di solito sono più rigorosi e poco aperti, ma soprattutto sono ben rappresentati. Mi spiego meglio: i parlamentari e politici rappresentano più i quarantenni e cinquantenni che i ventenni. Io per esempio non mi sento rappresentata dalla classe politica attuale. Quindi le idee degli adulti vengono già sbraitate in TV dai politici per quanto riguarda il mondo dell'omosessualità, in pochi ascoltano le idee differenti dei giovani. Per questo ho deciso di farlo tramite le parole e la loro forza, anche perché trovo che sia un problema molto più complesso di quanto appaia. Ma nel libro non c'è solo questo, ma anche le difficoltà, l'amore e gli intrighi politici, poiché la protagonista è una parlamentare- scatta un applauso. 
Le domande continuano ad incentrarsi sul libro, fino a quando non si da il via libera alle domande  libere tra cui, ovviamente, mi viene chiesto quale sia il mio orientamento sessuale, se io sia fidanzata o no, e se scriverò qualcosa di nuovo. Le prime due domande le ho prontamente evitate con delle battute, sono cose private e non voglio parlarne. 
Si da il via al firma copie, che dura davvero un eternità, perché ci sono moltissime persone, ma questa è la parte che ho sempre sognato fin quando ero piccolina.
Una volta finito saluto tutti, compreso lo staff e mi reco da Andrea. 
-Ottimo, non ho nulla da rimproverarti tranne che parli troppo poco di te, sei la persona più seguita e cliccata sui social da un mese, non puoi far la misteriosa per sempre- mi dice ridendo. 
 
Tornata a casa ad aspettarmi c'è il mucchio di fogli che ho fatto cadere oggi pomeriggio e altre cose sparse ovunque. Un miagolio si sente in lontananza, Paride ha fame. Lui è il mio compagno di scrittura: un gatto peloso e ciccione tutto nero con degli spruzzi oro, che si sdraia sempre sui miei fogli quando decido che l'ispirazione va tradotta in qualcosa di concreto. 
Lo coccolo e poi riempio la sua ciotola.
Intanto squilla il mio cellulare: mia madre. 
-Ciao mamma! Come stai?- 
-Ciao piccola! Allora com'è andata? C'era tanta gente? Ti hanno fatto brutte domande o scomode? Lo sai che non devi rispondere a tu-
-Calma respira!- la interrompo -C'era molta gente ed è andato tutto bene. Mi dici come stai? Il babbo?- 
-Io bene, il babbo bene, ma sai come la pensa sul tuo libro..- 
Già, mio babbo non ha accettato che la sua bambina diciannovenne facesse un libro che racconta di una giovane parlamentare omosessuale. L'omosessualità non è una cosa da raccontare. Abbiamo litigato moltissimo per questo, ma non mi sono fermata, e non mi farò rovinare la giornata perfetta da lui. 
-Lo so e non mi importa, mamma. Ora vado che sono molto stanca, un bacio- mi risponde e attacco il telefono. 
Sospiro. 
Ricordare certi momenti è brutto, ti crea un dolore e delle fitte allo stomaco che nessuna parola può descrivere. 
Ma quello che fa più male è dover tener tutto dentro, costantemente. 
 
Mi sdraio comodamente sul divano e decido di cercare se, su Twitter, ci sono dei pareri sulla presentazione del libro. 
Scorrendo noto che ci sono parecchie foto di libri autografati, qualche commento positivo e poi ne noto uno particolare. A scriverlo è una famosa giornalista di una testata nazionale importantissima: Alice Fortini. 
"Ciò che non si vede, è un bel libro. Il problema sta nella persona che l'ha scritto: una bambina che si crede grande perché conosce la letteratura e la politica, ma che alle domande private non ha il coraggio di rispondere. Beh, cara, ci vediamo domani faccia a faccia in TV." 
Domani ho la mia prima intervista TV della mia vita e ci sarà lei ad intervistarmi. 
Lascio cadere il telefono sul divano, sbuffo e guardo il soffitto. 
Questo è un bel problema. 

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Capitolo 2
*** In onda ***


Spalanco la grande porta vetrata. Con lei si apre un gran sottofondo di telefoni che squillano all'impazzata, stampanti che lavorano, persone che parlano al telefono e un grande via vai di tacchi. 
Riconosco subito la voce di Marta, la mia segretaria. -Ecco il suo caffè, il giornale di oggi e gli impegni della giornata- mi consegna il tutto e in cambio io le porgo la mia ventiquattr'ore. 
Oggi al lavoro è una di quelle giornate infernali, quelle in cui non puoi neanche respirare o ragionare su quello che stai facendo, devi solo andare avanti a lavorare per scappare il prima possibile. 
Improvvisamente mi ricordo che no, stasera non si torna a casa dopo il lavoro in redazione, dannazione. Sbuffo sonoramente entrando nel mio ufficio. 
Ogni giovedì sono impegnata con il mio programma sulla rete nazionale, intervisto qualche politico con carenza di attenzioni, ascolto qualche protesta di animalisti senza freni, qualche scrittore che non venderebbe neanche una copia se non avessi la pietà di invitarlo al programma. 
-Marta hai trascritto la scaletta per l'intervista di stasera?- chiedo in preda al panico. Se dovessi tenere la scaletta che ho scritto ieri sera, con una calligrafia più che pessima, stasera non capirei nulla dei geroglifici scritti su quel foglio.
-Sì signorina, saranno là stasera. Ma prima di dedicarsi a stasera, deve controllare le bozze dei giornalisti, tagliare di duecento parole il suo pezzo, e poi rich- la interrompo. 
-Perché mai dovrei tagliare di duecento parole il mio pezzo?- dico incredula, alzandomi dalla sedia. 
-Ordini del direttore, io riporto solo...- dice guardandosi i piedi. 
Esco dal mio ufficio e mi dirigo furiosa dal direttore. 
Povera Marta, lei non ne può nulla, anzi senza di lei sarei persa. Quindi è inutile e controproducente prendermela con lei, un giorno potrebbe farmela pagare versandomi del caffè bollente in faccia. Non deve essere una cosa piacevole. 
-Perché dovrei tagliare il mio pezzo?!- dico entrando nel suo ufficio senza preavviso. 
-Ma l'educazione Fortini? L'abbiamo persa tanto tempo fa con la simpatia e tutto il resto di umano?- mi risponde arrabbiato e sarcastico. 
-Il mio pezzo è quello che da un anno fa andare avanti la baracca, fosse per quei giornalisti lì- mi giro indietro ed indico tutta quella massa di giovani che ci mettono un giorno per scrivere un annuncio di morte, -questo giornale sarebbe travolto dalla mediocrità e non venderebbe le copie che vende. Quindi non taglio un bel niente- dico tutto d'un fiato. 
Lui ride. -Sei bravissima nel tuo lavoro, ma il tuo carattere è insopportabile, sai? Lo devi tagliare perché a quanto pare un tuo collega "mediocre" ha fatto un'intervista "mediocre" a Chiara Cerati, e ti giuro che è così interessante che non voglio tagliare neanche una parola, quindi tu ti togli qualche parolina. Buon lavoro!- mi saluta con la mano. 
Quanto odio quell'uomo. E quanto odio Chiara Cerati. 
 
                                                                              •••
-Allora stasera è il grande e tanto atteso momento, eh?- mi chiede con una voce emozionata, dall'altro capo del telefono.
-Sì e sono qua davanti allo specchio a fissare me e i vestiti appesi nell'armadio, nulla va bene!- piagnucolo.
È davvero un trauma, non so cosa mettermi. Il mio armadio non è certo adatto per i talk show, è adatto per i concerti e per andare sullo skateboard. In più ho visto tante volte come la Fortini è vestita in tv: vestiti, tacchi, e se non mette dei vestiti mette altre cose che non so neanche definire con termini tecnici, che però la fanno risultare bellissima e perfetta. 
In poche parole non ho speranze, le persone faranno subito un confronto tra la barbona, cioè io, e la magnifica Fortini.
-Metti quella canottiera nera con il colletto bianco! Ti sta così bene- dice riportando la mia attenzione al mio obbiettivo. 
Come dire di no ad una voce così dolce? In più ha appena detto che sto bene, quindi ovviamente la metterò. 
-Vada per quella, ma se domani escono brutti commenti su come ero vestita, sarà tutta colpa tua sappilo!- l'ammonisco scherzosamente e la sento ridere. 
Non so che farei senza la sua presenza nella mia vita. C'è sempre e per qualunque cosa, e so che stasera mi guarderà da casa sua. Non è bellissimo che ci sia qualcuno che ti sostiene sempre e comunque? Lo è. Lei c'è e fa il tifo per me, non mi giudicherà mai. Non è al mio fianco sempre, ma è più vicina che mai. 
-Ti guarderò, lo sai?- 
-Lo so, grazie- dico sognante. 
Lei che guarda me e solo me, me la immagino. Vorrei vedere tanto l'espressione del suo volto durante quel momento. 
-Non ti preoccupare per la Fortini, sanno tutti come è fatta, farà l'antipatica. Ma tu sai essere più stronza di lei!- dice alludendo a episodi che ricordo molto bene. 
-No lei mi supera di gran lunga. Se io sono stronza in certi casi, lei lo è cento volte di più. È proprio insensibile, se sa che nella tua vita c'è qualcosa che ti ha causato dolore non farà altro che farti domande su quello. Domande cattive, eh!- 
-Non hai mai detto niente che ti possa incriminare, e non hai neanche fatto nulla. Non ti potrà chiedere cose tanto strane- mi tranquillizza. 
-Odio parlare di me stessa. E mi farà domande solo sulla mia vita privata, lo so. Era una minaccia quella là- dico alludendo al tweet. Ma in realtà ho davvero paura. 
-Devo andare, ti chiedo scusa. Ti guarderò. Non lasciarti intimorire da nessuno! Mi manchi moltissimo, ciao- chiude la chiamata.
Non mi da neanche il tempo di rispondere, che caso che è quella ragazza. 
Mi butto sul letto pensierosa. Alessia, mia cara Alessia. Sbuffo. 
Con lei è tutto complicato: sulla carta siamo migliori amiche da quattro anni. In pratica non si sa cosa siamo, io di certo non provo amicizia e lei... Lei non si sbilancia mai, non dice mai qualcosa che possa farmi intendere un sentimento. Ci tiene tantissimo a me, questa è la cosa sicura. 
L'ho conosciuta ad un concerto ed è stata subito amicizia. Abitiamo in due città diverse ma abbiamo avuto modo di vederci spesso. Abbiamo condiviso tante cose, ma soprattutto io la conosco benissimo e lei conosce me, conosce tutto di me. O quasi tutto. Di certo non sa che sono cotta di lei da molto tempo, ma non lo dirò se non sono sicura che ricambi. Sa della mia sessualità ma non del sentimento. Non voglio rovinare tutto, l'amicizia, la fiducia. Quindi rimango qua ogni giorno a guardare il soffitto e a chiedermi cosa provi per me. 
Certi giorni è davvero dura andare avanti con questo peso. 
 
Il timer sta mandando il conto alla rovescia. Quando scatterà lo zero le telecamere si accenderanno e io sarò in diretta nazionale. 
Okay hai un minuto per calmarti, Chiara. 
Stringo forte la collana che mi ha regalato Alessia. Dammi la forza di parlare una volta che tutto inizierà, ti preeeego.
Chiara non devi avere paura della Fortini, è una persona come un'altra. 
No in realtà è un mostro. Vorrei urlare e scappare a gambe levate. 
Troppo tardi.
0. 
Dannazione.
Spunta un sorriso smagliante sul mio volto, in realtà sono terrorizzata. 
-Buona sera telespettatori! Io sono Alice Fortini e stasera sono in compagnia di una ragazzetta davvero promettente, Chiara Cerati!- 
Ecco, tutto è iniziato. Io ho il cuore in gola e non riesco a dire una parola, ho la salivazione azzerata ma in compenso lei è così naturale, rilassata e sorridente. Come avevo già previsto la Fortini è vestita in modo impeccabile. Ha un vestito nero che risalta perfettamente le sue forme: ha un fisico invidiabile. Alta, snella, gambe lunghe, braccia fini ed eleganti, al polso dei braccialetti che sembrano esser stati ricamati su di lei, capelli castani lunghi e leggermente mossi che con gli occhi verdi che si ritrova sono la perfezione di un corpo già perfetto.
-Buonasera- riesco solo a dire, fissandola negli occhi. 
Lo studio è davvero dispersivo, io non so bene dove guardare. Io e lei siamo sedute ad un tavolo molto grande con al centro uno schermo su cui vedo le immagini di articoli di giornale, la copertina del libro e una foto (brutta) mia. Tutto consiste in questo tavolo, il resto sono solo finte pareti bianche con delle scritte e un mucchio di telecamere accese che puntano in diverse angolazioni. 
Tutto questo mette agitazione ma, come se non bastasse, la sua figura davanti a me mi rende impacciata e in soggezione. 
Sono ufficialmente nei casini. 
-Io su Chiara Cerati so tutto, sul suo libro "Ciò che non si vede" anche. Ma per chi non la conoscesse faccio un piccolo sunto. Chiara Cerati nasce a Torino, da una famiglia di campagnoli. Si può dire?- dice guardandomi, e sfidandomi -Frequenta il Liceo Classico come una studentessa modello e come una ragazza raccomandabile e poi durante l'estate della maturità, pubblica un libro. Beh è davvero una sorpresa che una ragazzina dal nulla pubblichi un libro, no? Ed ora questo libro è primo nella classifica italiana, quindi sta vendendo un mucchio di copie. Un gran successo! A chi vuoi dire grazie per questo, Chiara? Al tuo editore o a mammina e papino?- 
Ecco le famose frecciatine di Alice Fortini, signori e signore.
Rido per smorzare la situazione.
-In realtà ringrazio i miei compagni per avermi messo in ultima fila per gli ultimi tre anni di liceo, così ho potuto tranquillamente lavorare indisturbata!- dico scherzosamente. 
-Non darmi dei brutti insegnamenti ai bambini a casa, dai!- dice. 
Okay pensavo peggio, ma ho scansato la prima domanda. 
-Il tuo libro è bellissimo e ti faccio i miei complimenti- riprende -Ma la tua biografia è un po' scarna... Che ne dici se parliamo di quella? Scommetto che i nostri telespettatori hanno già riempito Twitter di domande. Partiamo da quelle- 
Sul tavolo elettronico spunta una scritta. 
-"È il tuo editore che ti ha creata o il talento lo avevi già?", chiedono- dice lei leggendo. 
Domanda cattiva, mi chiedo chi sia lo stupido che ha pensato una cosa del genere. 
-Andrea?!- rido -Non mi ha creata, mi ha supportata solo. Se mi avesse creata dovrei sottostare a tutte le sue imposizioni, ma poveretto, non lo ascolto mai. La sua casa editrice ha pensato che il mio libro valesse un investimento e mi ha fiancheggiato un editore. Tutto qua- rispondo. 
Spunta un'altra scritta sul tavolo. La Fortini legge.
-"Ti vesti come una lesbica, manca solo il taglio di capelli corti e poi ci sei. Dai ammettilo, lo sei!"- 
Cerco di nasconde le mie emozioni. Spero non sia spuntato un rossore visibile sul mio viso, perché dentro sto andando a fuoco. 
Rido sonoramente. 
-Se fossi lesbica mi sentirei fortemente offesa da questa generalizzazione e dal luogo comune. Comunque mi spiace ma i miei lunghi capelli non li taglierei per nulla al mondo, amico!- rido forzata. 
-Bene direi che è ora della pubblicità- e le telecamere si spengono. 
                                                                               •••
Non ci sto trovando gusto. Chiara Cerati non si lascia andare e non si arrabbia, anzi mi tiene testa e scherza. Non è così che doveva andare. 
Mi lascio andare sulla sedia. 
La guardo. Beve dal suo bicchiere e ringrazia mille volte l'assistente per la cortesia. Si sistema i capelli scuri e mossi, e controlla l'ora. Sono stata troppo dura con lei, l'ho capito solo ora che la guardo e la sento rispondere davanti a me. Ho fatto scegliere solo domande cattive o che comunque la mettono in cattiva luce quando, invece, basta guardala per capire che questa ragazza è buona e gentile.
Non è come i politici che di solito si siedono su quella sedia, corrotti e che si infuriano per ogni minima cosa. Lei non ha nulla da nascondere, è innocente e sta semplicemente vivendo ciò che sogna. 
Manca un minuto al ritorno in studio. 
Scorro il dito sul tavolo sperando che la prossima domanda, non sia come le precedenti, ma magari sugli studi o il futuro. 
Guarda il tavolo con occhi sbarrati, diventa visibilmente rossa e mi guarda impaurita. 
Cosa può esserci mai scritto? 
Leggo velocemente. 
"Tuo padre ti ha cacciata di casa per ciò che sei, e ha fatto bene" 
Sento l'assistente fare il conto alla rovescia 
Lei scuote il capo impaurita.
In onda. 



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Okay, giusto qualche appunto. Ringrazio chi ha letto il capitolo introduttivo e chi l'ha recensito, davvero. 
Era da molto molto tempo che non scrivevo una storia e, visto che ho un momento di relax prima dell'inizio dell'università, ho deciso di iniziarne una. 
Se c'è qualche errore vi prego di segnalarlo e io lo correggerò. Dopo molto che leggi lo stesso capitolo non vedi più nessun errore quindi è probabile qualcosa non vada, se è così vi chiedo scusa in anticipo.
Spero che il faccia a faccia non vi abbia delusi o comunque che vi sia piaciuto! 
Tenterò di aggiornare il più in fretta possibile e di utilizzare al massimo i giorni liberi, spero di riuscirci. 
Grazie a tutti, alla prossima! 

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Capitolo 3
*** Domande ***


 
Mi torturo nervosamente le dita. Mi ero ripromessa di non farlo più, di non rovinarmi più le dita per il nervosismo. 
È successo tutto così velocemente che non ho capito davvero cosa sia successo. 
Sono chiusa nel camerino da non so quanto.
Ora che dovrei fare? Cosa dovrei dire? 
Chissà se qualcuno si è accorto di qualcosa.
Speravo che una volta trasferita il mio passato rimanesse in quel paesino di provincia, tra le mura di quella casa. Sono stata proprio una stupida a pensarlo, il passato ti perseguita, quello che hai fatto e detto non verrà dimenticato da nessuno. 
La cattiveria delle persone non ha mai fine, chi non tiene a te troverà sempre il modo per far si che il tuo passato ti perseguiti. 
Ma è ormai ora che ci faccia i conti con il mio passato. 
Mi alzo dalla sedia, prendo le mie cose, faccio un sospiro. Apro la porta del camerino e mi guardo intorno. 
C'è un lungo corridoio trafficato da assistenti, presentatori e tecnici. Fermo un assistente e chiedo: -Sa dov'è il camerino di Alice Fortini?-  
L'assistente ci pensa un attimo -In fondo a destra, la prima porta-. 
Percorro subito il lungo corridoio scansando tutte le persone indaffarate che lo percorrono. Giro a destra ed ecco la porta. Una porta bianca ed anonima con affissa una piccola targhetta color oro, con su scritto "Alice Fortini". Ecco, ci siamo. 
Prendo un bel respiro e busso. 
Nessuna risposta. 
Aprimi, ti prego. Ti devo almeno un grazie. 
Mi muovo nervosamente. 
-Penso sia ormai andata a casa- dice una voce alle mie spalle. 
È una ragazza che avrà più o meno la mia età: vestiti sgargianti, occhiali con una montatura all'ultima moda e un sorriso grandissimo. Penso sia l'assistente della Fortini, perché durante le pause pubblicitarie, prima e dopo la puntata era sempre vicino alla Fortini con fogli e bicchieri d'acqua. 
-Ah, capisco..- dico chinando il capo.  Volevo anche chiederle il perché. Il perché l'ha fatto.
Pensavo che la Fortini mi odiasse, o che comunque non le stessi molto simpatica. L'ho pensato dal tweet e ne ho avuto la conferma con le domande della prima parte della puntata, ma poi... Poi ha avuto un cambio. Perché? 
-Sa dove posso trovarla? Sa dove abita?- 
 
Percorro il viale alberato fino a quando, al posto degli alberi, non trovo dei grandi archi antichi. Okay è il centro storico, dovrei essere più o meno giusta. L'assistente, Marta, mi ha detto che una volta sotto l'arco dovevo oltrepassare due incroci e suonare al 29. 
Cammino velocemente, è davvero tardissimo. Probabilmente non risponderà o se risponderà mi insulterà e farà scendere ogni santo che c'è in cielo. Non posso però aspettare, perché stasera è stata buona con me e devo ringraziarla subito. 
Prendo il cellulare in mano, le undici e mezza, cavolo. Vedo un messaggio di Alessia: "Ti ho vista. Ho visto anche la mia collana, che onore! Mi spieghi che magie hai fatto alla Fortini durante pubblicità? P.s. Te l'avevo detto che la canottiera ti stava da dio" 
Sì Alessia, mi stava bene ma io sono una sbadata e sono uscita senza una felpa e ora sto letteralmente morendo di freddo. 
Sorrido beata nel leggere che mi ha vista. Il mio cuore fa le capriole. 
Però ora, Alessia, non ho tempo di rispondere, sono al 29 della via principale di Torino.
 
•••
 
Faccio un ultimo sorso. Poso la bottiglia di vetro sul tavolino del salotto. 
Che gran fottuto male alla testa.
Mi alzo svogliata e mi dirigo verso la cucina. 
Inciampo in non so neanche cosa -Cazzo cazzo, che male santo dio!- e sbatto il ginocchio contro qualcosa. Vedo tutto girare, mi serve qualcosa che faccia smettere la mia testa di pulsare. Noto una bottiglia di vodka ancora intatta sul ripiano della cucina. -Questa funziona ancora meglio delle medicine- dico mentre la apro e ne scolo mezza. Mando giù e faccio una smorfia di dolore. 
Barcollo fino al divano insieme alla mia fidata medicina, e mi lascio cadere. 
Butto giù un altro sorso. 
Perché il mio stupido cervello non smette di pensarci? Perché non ti spegni una volta per tutte e mi lasci in pace? 
Vedo ancora quelle dannate immagini. Il suo volto sorridente, sento una sua carezza sulla guancia, un leggero bacio in fronte. Poi cosa è successo? Me lo chiedo ogni momento, ogni sera, ogni notte. Come può averti fatto del male? 
Sento una lacrima scendere sulla mia guancia destra.
Bevo e finisco tutta la vodka. So che ho esagerato ma è l'unico modo che ho per affrontare tutto questo. 
Fisso le tre bottiglie vuote sul tavolino, stanotte sarà una lunga notte.
Sento suonare il citofono. Ma chi cazzo può essere? Sarà qualche stupido ragazzino che si diverte a fare gli scherzi a mezzanotte. Trovatevi un passatempo migliore, o una ragazza! 
Non mi alzo ma dopo pochi secondi suona di nuovo. Mi alzo barcollando è arrabbiata rispondo: -Avete finito di divertirvi nel svegliare la gente, stupidi ragazzetti?- dico tutto d'un fiato. 
Mi aggrappo alla maniglia e attendo una risposta. 
-Emh, in realtà, c-cioè, mi scuso ma io..-  questa è la voce di Chiara Cerati. Cosa ci fa a casa mia? Non è il momento di visite, e per le sue visite non è mai il momento. Sono stata buona con lei ed ora inizia già a rompere e ad appiccicarsi. Io non le ho dato confidenza, perché lei ora piomba a casa mia in piena notte? 
-Chiara è mezzanotte, non è un buon momento- biascico, tentando di non far sentire che sono ubriaca marcia. 
-Ti devo solo dire una cosa, davvero- 
Sbuffo, mi distraggo e perdo l'equilibrio. Per tenermi mi aggrappo al citofono e per sbaglio pigio il tasto di apertura della porta. 
"No cazzo, non deve salire!", penso maledicendomi. Non riesco neanche a star in piedi, e non può vedere le bottiglie vuote o farà domande. 
Cammino goffamente fino al tavolino cercando di non cadere, afferro le bottiglie vuote ma una mi cade rompendosi in mille pezzi. Stasera è una serata no, e io sono un disastro, è tutto un disastro. 
Sento bussare.
Ci mancava la ragazzina. 
Dio santo che casino infinito.
 
•••
 
Busso. 
Ho notato che è un palazzo bellissimo, di quelli antichi, con le pareti affrescate e gli scalini consumati dal passaggio. Il portone era in legno pesantissimo e da direttamente sulla strada principale. Deve essere uno di quegli appartamenti bellissimi, antichi e soprattutto grandi. 
Chissà com'è la casa si una giornalista. Piena di giornali, viste, notiziari e siti sempre aperti? Sono davvero curiosa. 
Secondo me l'ho svegliata o era appisolata sul divano, perché aveva una voce molto strana. Strano anche che mi abbia aperto senza insultarmi in ogni lingua conosciuta, ma c'è sempre tempo per quello e sento che quando aprirà la porta lo farà. Fino ad ora è stata anche troppo buona con me visto il suo rinomato carattere. 
-Dimmi quello che tieni tanto a dirmi alle 23:45, forza- dice aprendo di poco la porta. Riesco a vedere metà del suo viso, e non è decisamente quello che ho visto nella puntata. Ha uno sguardo malinconico, occhiaie, trucco sfatto e capelli lasciati al caso. 
-Beh io volevo ringraziarti per aver fatto sparire la domanda prima che qualcuno la vedesse, cioè non so come sdebitar-
-Prego non c'è di che- mi interrompe e fa per chiudere la porta.
-Ehi no aspetta, volevo dirti ancora delle cose, ma tu sei visibilmente ubriaca- blocco la porta con il piede e le mani, e spingo per aprire -Lasciami entrare, non stai bene- 
Fa poca resistenza, mi guarda con uno sguardo assente, tipico di chi è ubriaco, si porta le mani sulla bocca e poi corre via. 
Spalanco la porta e mi guardo velocemente in giro. Vedo delle bottiglie vuote e dei cocci di vetro a terra. È così che passa il tempo la più giovane e rinomata giornalista d'Italia? 
Sbuca da un corridoio barcollando e biascicando qualche parola. -Scusa un contrattempo- 
Le vado incontro per sostenerla -Abbiamo bevuto un po' troppo con gli amici?- dico per non rendere la situazione ancora più spiacevole. 
Ride e poi si accascia sul divano. Indossa una semplicissima tuta che però rende il suo corpo comunque bellissimo. La sua faccia però non dice lo stesso, è distrutta.  Occhi spenti ed assenti. 
-Ora per favore sta ferma, e non scendere da lì se no i tuoi bellissimi piedi diventeranno pieni di schegge- dico ridendo. 
Cerco il necessario per pulire aprendo ogni cassetto e anta della grandissima cucina. 
Su una cosa avevo ragione, la casa è grandissima. All'ingresso c'è un salotto con ampie finestre, una libreria colma di libri e dischi sulla sinistra, e una piccola scrivania a ridosso dell'enorme finestra che si affaccia sulla via principale. Due divani grandi e la televisione, riempiono il resto dello spazio. Sulla destra si apre la grande cucina super moderna e minimale come il resto dell'arredamento che posso vedere.
Trovato l'occorrente, brutto via le bottiglie vuote e raccolgo per bene i cocci. 
Mi chiedo perché sia questo stato, e con chi ha bevuto fino a star male. Non ci ho mai trovato senso nel bere fino a vomitare, perché lo si fa? Perché stare male per tutta la notte per due ore di felicità, o meno? 
Mi giro a fissarla. Dorme. 
-Ehi bella addormentata, devi cambiarti e andare a letto- annuisce in modo stanco. 
La aiuto a mettersi seduta prendendola sotto le spalle, come si fa con i bambini più pigri. Involontariamente le alzo un po' la felpa scoprendo un lembo di pelle chiarissima macchiata da un grosso livido. Sgrano gli occhi. Alzo, questa volta volontariamente, la felpa per veder meglio. Scopro che il livido si estende anche dietro la schiena. -Sei caduta? Ti fa tanto male? Ci hai messo qualcosa?- dico tutto d'un fiato e preoccupata. 
Si ricopre velocemente e arrabbiata mi allontana con le mani.
-Come ti permetti?- urla. Mi spinge violentemente verso l'ingresso. 
-Alice, sei caduta o te lo hanno fatto?- apre la porta e mi scaraventa fuori. 
Tento di bloccare la porta che si chiude. 
-Rispondimi!- ma la porta si chiude. 
-Te lo hanno fatto?- chiedo dando due pugni contro la porta. 
Urlo inutilmente e nel vuoto. Non ricevo risposta. 

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Capitolo 4
*** Mi devi delle risposte ***



Dopo ieri sera non so sinceramente cosa pensare. 
Anzi una cosa è certa: Alice Fortini è lunatica e di sicuro nasconde qualcosa. 
Prima mi odia visibilmente e non fa nulla per nasconderlo, anzi, mi lancia frecciatine sulla televisione pubblica, e dopo fa tutta la gentile e mi fa entrare in casa sua. 
Tra l'altro dopo aver varcato quella soglia pensavo di esser stata catapultata in un universo parallelo dove la Fortini è ubriaca fradicia e, secondo me, non perché ha fatto festa con i suoi amici. Se ci fosse stata una festa non ci sarebbe stato tutto in perfetto ordine e le bottiglie sarebbero state decisamente di più. Le ha bevute da sola e questo mi preoccupa moltissimo. 
Cosa spinge una persona, appena tornata da un lavoro che in molti sognerebbero, a bere fino a stare male? In più da sola, senza il motivo di un festeggiamento o neanche spinta da amici. 
Che nasconda qualcosa è chiaro, no? Sia lo stato malinconico e triste della sua bevuta, sia quel livido. Appena l'ho notato il suo atteggiamento è cambiato. Okay che da ubriachi si è molto altalenanti e suscettibIli, ma mi ha letteralmente buttato fuori di casa appena l'ho visto. Non ha neanche spiegato o risposto alle mie domande, quindi ovviamente nasconde qualcosa.
Scrivo romanzi è vero, mi piace fantasticare ed ingigantire nella mia mente le situazioni, ma trovo solo questa spiegazione. 
Spero vivamente non sia come dico io. 
Ho tantissime domande in testa e io devo avere delle risposte. 
Oggi non ho nessuna presentazione, nessuna intervista e diciamo che il resto conta poco... Quindi ho deciso di prendere la mia macchina ed andare a casa della Fortini.
Ma ora sono qua davanti a pensare se è davvero la cosa giusta da fare. 
Io non reagirei bene se una persona volesse sapere qualcosa della mia vita, soprattutto se questa persona non mi conosce minimamente. Già i miei amici non conoscono i particolari della mia vita perché io stessa non li voglio raccontare e svio magnificamente le domande. Solo Alessia sa di più, è l'unica.
Eppure io mi sto esattamente comportando da impicciona con Alice Fortini, che non conosco e con cui non ho alcun tipo di legame. Perché sento questo bisogno? Il bisogno di aiutarla o di sapere che succede? Non è niente per me se non una persona passeggera che ho incontrato e che dopo quell'intervista non avrei più rivisto. 
È una di quelle sensazioni, sento che c'è qualcosa che non va, lo sento e basta. Non mi dovrei affidare alle sensazioni, ho sempre sbagliato tutto seguendole, e se non tutto quasi. Ma non ho niente altro nella mia vita a cui aggrapparmi se non i sentimenti, quindi il cuore, e le sensazioni che ho. Il cuore mi ha portato dove sono e le sensazioni hanno creato il contorno. 
Mi fermo davanti al portone e qualcuno apre la porta, sarà un vicino. Entro dentro evitando che la porta si chiuda e salgo le scale. Arrivo davanti al portone e aspetto. 
Sono le 7 e 30 del mattino, di sicuro andrà per le 8 in ufficio o al massimo più tardi. 
Cosa devo fare? Suonare? Oppure scappare via a gambe levate prima che mi uccida per essere di nuovo qua? 
Sento dei rumori in casa. È dentro. Il panico sale dentro me, devo solo chiederle un po' di cose, dai Chiara ce la puoi fare.
Tutte le mie buone intenzioni si frantumano di fronte alla sua sagoma che mi si para davanti di colpo. Apre la porta ed eccola, in tutta la sua bellezza statuaria, Alice Fortini. Vestita bene, impeccabile, con degli occhiali da sole all'ultima moda e con un riflesso azzurro che copre totalmente il suo sguardo. 
-Tu?- mi chiede alzando un sopracciglio. 
-Emh io, sì.. Beh io- questo che sta uscendo è un balbettio pietoso, Chiara? La tua parlantina formidabile, la tua diplomazia... dove sono finite? Come fa una ragazza qualunque a mettermi così sotto pressione? 
-Ti dico una cosa io- dice venendo contro di me, superandomi e chiudendo la porta dietro di se con due giri di chiavi -Io ho un lavoro e se non arrivo puntuale mi licenziano. Ora non so come funzioni per voi scrittori di successo, se dovete importunare la gente alle sette del mattino intanto che aspettate la vostra botta di ispirazione, ma io devo andare-
Simpatica, già alle sette e mezza di mattina è acida come un limone. 
Chiama l'ascensore. Mi metto accanto a lei e prendo fiato.
-Non ti voglio importunare, okay? Voglio solo risposte, ti ricordi di ieri sera?- 
La porta si apre, lei entra. 
-Ti devi solo dimenticare di ieri sera, così ti dimentichi anche di faccende tipo domande e risposte- 
Schiaccia il bottone del piano terra e la porta fa per chiudersi. 
Infilo il piede nell'apertura facendo riaprire la porta. 
La sento sbuffare sonoramente. 
-Ti ho detto che ho un lavoro, non sono fortunata come te che pubblico un libro e sono ricca per l'eternità, devo lavorare- 
Mi catapulto dentro l'ascensore. 
Lei sarà testarda ma io di più, molto di più. 
-È riservato ai condomini- mi dice in tono cattivo. 
-Dalle tue risposte posso capire che ti ricordi benissimo di ieri sera, non mi chiedi neanche scusa per avermi buttata fuori di casa?- 
-Non dovevi stare in casa mia, non chiedo scusa- 
-Mi hai aperto tu- ribatto.
Sbuffa, non sa più cosa rispondere perché ho ragione. 
-In realtà non volevo aprirti- 
-Ma lo hai fatto. Quindi ora rispondi alle mie domande o al lavoro non ci vai- dico pigiando il bottone per il blocco dell'ascensore. 
-Cosa fai?- alza la voce -Ci sono altre persone che devono usare questo ascensore e io DEVO andare al lavoro per forza- 
Fa per schiacciare il bottone di sblocco ma la fermo. 
-Rispondimi, oppure questo coso mortale non si muove- 
-Risponderò a tutto, ma in macchina, o farò tardi, hai la mia parola- 
Lascio che l'ascensore riprenda la sua corsa. 
Chiara 1 - Alice Fortini 0. 
 
•••
 
Ci mancava anche questa grana oggi. 
Già mi sono dovuta truccare tantissimo per togliere ogni traccia della mia sbronza, in più ho passato la notte in bianco a pensare a quello che era accaduto la sera. 
Si stava prendendo cura di me. L'ho seguita con lo sguardo tutto il tempo. La sua sagoma scura ha risvegliato cose che pensavo sepolte. L'ho guardata cercare le cose, pulire, guardarmi con uno sguardo interrogativo ma che diceva anche "non ti giudico, ti voglio aiutare", mi sono sentita curata da qualcuno dopo anni. 
Era così una bella sensazione. 
La vodka faceva si che Chiara fosse la mia lei, non era Chiara ma, in quel momento, era lei. Tutto sembrava rimandare a lei: come mi guardava, il fatto che mi stesse aiutando e che fosse lì per me. Questo non andava bene, perché Chiara è Chiara e non è lei. Non ero lucida. 
Poi ha visto il mio livido, uno fra i tanti, e non potevo farla rimanere. Già ero sbronza, già la vedevo sotto una luce non giusta e in più aveva visto quello che nessuno doveva vedere. Ma cacciarla è stato sbagliato.
Una catastrofe insomma. 
E ora è venuta a casa mia e so perché. In realtà  non vuole le mie scuse, o meglio, non vuole solo quelle. Vuole sapere perché ero ubriaca e il perché del livido. 
Perché vuole sapere? Perché si interessa a me? Vuole scoprire il mio punto debole e vendicarsi delle piccole frecciatine fatte? 
La guardo. Bassetta, magrissima, avvolta in una felpa della Vans che le va fin troppo larga perché non rende giustizia alle sue forme. Punta i suoi occhi color miele per terra e appena incrocia i miei occhi noto uno sguardo di scuse. Si butta nelle cose e poi si trova a disagio o pensa di aver sbagliato tutto, mi sembra funzioni così questa ragazzina. 
Con questo sguardo da cucciolo ferito non è venuta certo a cercare vendetta. 
-Sali davanti, non far caso alle scartoffie- le dico indicandole la mia auto. 
Si ferma a fissarmi.
-Ti sei comprata questa macchinona facendo la giornalista? Perché se è così redditizio ci dovevo fare un pensiero-
"Questo è un incentivo per stare zitta e non dire nulla" volevo rispondere. 
-Io lavoro sodo, non come qualcun altro che invece di lavorare vuole provare le brezza dello stalking- dico ridendo. 
Mi devo preparare delle risposte credibili alle domande che mi farà. 
Non può e non deve sapere nulla. Lei non è niente per me. Il fatto che l'abbia ricondotta a lei per un attimo, è solo perché ero ubriaca marcia e piena di dolore. Chiara non deve entrare nella mia vita e non deve sapere nulla di niente. Sa già dove abito, è già troppo.
Salite in macchina accendo la radio. 
-Alice Fortini ascolta i Muse in macchina?- dice incredula. 
-Sì e non si toccano o tolgono, capito? È una regola- alza le mani come per dire "mi arrendo e non lo farò", sorrido per quel gesto.
Mi si chiude lo stomaco di fronte a queste scene di quotidianità. Ma non ci devo pensare, non ora. 
-In realtà ti volevo ringraziare- dice rompendo la melodica voce di Bellamy. 
-Ringraziare?- non capivo dove voleva arrivare. 
-Sì. Sai la domanda nella tua intervista, quella che hai beh.. Nascosto- 
-Se ti preoccupa il fatto che io lo vada a dire in giro, beh non ti preoccupare. Non dovevi fare tutta questa strada per chiedermi di non dirlo a nessuno, non lo dirò- mi guarda con aria interrogativa. 
-No! Sono venuta qua per ringraziarti, per non avermi tartassato con una domanda così difficile- 
-Mi ero stufata di quel gioco e di metterti in difficoltà, dopo un po' mi annoia- mento. 
La verità è che la capisco. Capisco come ci si può sentire ad avere i riflettori addosso e aver costantemente paura che il passato trapeli nelle riviste di gossip e che ti rovini la carriera appena cominciata. O che la tua vita privata diventi pubblica. Io ho passato i miei primi tre anni di giornalismo importante a cercare di cancellare la mia famiglia. La famiglia che mi ha buttato in mezzo a una strada, il padre drogato che non accettava le mie scelte, la fidanzata. Ho nascosto tutto, ogni cosa, per far si che il mio sogno si realizzasse. 
Quindi non potevo fare un torto così grande ad una ragazzina così innocente e all'inizio della propria, brillante, carriera. 
Non sembra essere convinta. 
-Prima ci trovi gusto a mettermi in difficoltà e tutto ad un tratto no?- risponde seria. 
-Sono fatta così- dico -Finito l'interrogatorio?- 
-Vorrei sapere che hai fatto, visto che appena tocco qua- dice toccandomi il livido -Sussulti di dolore. E non voglio scuse, ti dovresti far vedere, è bello grosso-
-Ma sei pazza?!- urlo di dolore -Fa male! Ed è dovuto ad una caduta, e poi scusa ma cosa ti frega?- la guardo male. Nessuno si deve impicciare della mia vita. 
-Mi frega perché ti fa male ed è grosso! E non puoi essere semplicemente caduta- 
-Che ne puoi sapere tu di me? Se sono caduta o no? Ti ho detto che sono caduta, questo ti deve bastare- 
-Sei davvero lunatica sai? Prima mi tratti male, poi bene, poi male e poi mi escludi. Mi stavo solo preoccupando- dice ferita -Accosta per favore- 
Ho fatto un casino e lei è molto suscettibile devo dire, quasi melodrammatica.
-Chiara non è così, è che ci sono cos- mi interrompe. 
-Ho detto accosta per favore- 
Accosto. 
Non mi saluta, scende. 
Complimenti Alice Fortini, un'altra persona che ti odia. 
 
•••
 
Volevo solo aiutare, dannazione.
C'era il caso di far così? 
Ha pensato che fossi lì per chiederle di stare zitta e non dire a nessuno quello che sa. Come si permette di pensare che io sia un genere di persona che si abbassa a quello? 
Per me può anche dire tutto se ci tiene tanto, ma la mia principale intenzione era ringraziare e chiedere perché l'ha fatto. Niente di più. 
Volevo solo aiutarla, perché ovviamente ha un problema. Quel livido per una caduta può essere, ma la sua reazione no. Quella non è la relazione di chi si è fatto male cadendo, ma di chi nasconde qualcosa. 
Calcio distrattamente una lattina a terra. 
Che rabbia. 
 
Dopo un'intera giornata dal mio editore, ho la testa che mi scoppia. Non ero tenuta ad andare dalla casa editrice ma, visto tutto il lavoro che stanno facendo per me, volevo rendermi utile. 
Ho concordato con Andrea molti punti sui futuri show case nelle librerie, interviste, apparizioni ad eventi e poi mi ha accennato che dovrei pensare al prossimo libro. 
Di già? Dovrei amministrare e gestire tutte le interviste e via dicendo e scrivere? Non sono abituata a scrivere così.  
Tra mattina e pomeriggio è stata una giornata intensa. 
Ho deciso che Alice Fortini può rimanere nel suo mondo e io devo rimanere nel mio, non ne voglio più sapere, parlare e avere a che fare. Le ho offerto il mio aiuto o appoggio, i miei ringraziamenti e lei mi ha trattato male. Da molto tempo ho deciso che chi mi tratta male non deve restare nella mia vita che ha, già di suo, abbastanza difficoltà e tristezza. Altri dolori gratuiti non ne voglio. 
Entro nella lunga via alberata dove si trova la mia casa. Percorro il vialetto illuminato da graziosi  lampioni. 
Mi dirigo verso il mio portone giocherellando con il portachiavi a forma di tartaruga. 
Noto una persona seduta appoggiata ad esso, con la schiena rivolta verso il legno. Capelli lisci appena mossi, vestiti che erano perfetti ma che ora sembrano averne viste di tutti i colori. 
Affretto il passo, è la Fortini, ne sono sicura. Indossava quei vestiti stamattina. 
Cosa ci fa qua? Appena mi riprometto di non avere a che fare con una persona eccola che spunta. 
-Ehi Fortini, cosa ci fai qua al freddo? Stai bene?- 
Mi abbasso alla sua altezza. Mi guarda triste, colpevole. Ha il trucco rovinato, le guance rosse. 
Le prendo una mano e faccio per tirarla su. Ed è lì che capisco che ha bevuto, non si regge in piedi. Allora è un vizio? 
-Dobbiamo salire le scale, ce la fai?- le chiedo preoccupata. 
Mi annuisce tirando su con il naso. 
Con fatica arriviamo in silenzio alla mia porta. Apro e la accompagno sul divano. Torno lì poco dopo con una maglietta e un pantalone, non ho di meglio da proporle dal mio armadio. 
-Andiamo in camera mia, ti cambi e ti metti a letto e riposi. Domani niente lavoro- l'ammonisco giocosamente. 
Annuisce con uno sguardo di scuse.
La guido in camera e le dico che deve cambiarsi, ma non si muove di un millimetro.
-Ti aiuto a togliere le cose, mi giro e ti vesti okay?- 
Iniziò a spogliarla evitando di osservare. 
È lì che vedo l'impensabile. Il suo corpo è pieno di lividi. Dal bacino fino al seno è piena di segni, ne ha anche alcuni sulle cosce. Una caduta? Certo come no Fortini, hai detto una bugia bella grossa. 
Chi le ha fatto questo? Perché è di nuovo ubriaca? 
-Vestiti- le dico voltandomi per evitare di continuare a fissare quel corpo segnato dalla violenza.
-Grazie Ele- 
Ele? Da oggi sono Ele, okay. La sbornia fa male alle persone. 
-Non avrei voluto ti accadesse nulla, scusami- aggiunge mentre faccio per uscire dalla stanza. 
Che cosa sta farneticando? 
-Dormi, Fortini- 
Mi devi delle risposte, Fortini.

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Capitolo 5
*** A piccoli passi ***


Un vibrare continuo mi risveglia dal sonno profondo.
Sento un dolore lancinante alla schiena: mai dormire su un divano scomodissimo. 
Mi stropiccio gli occhi e poi incontro la luce del giorno. Ho dormito davvero poco e proprio ora che dormivo beatamente in una posizione accettabile, qualcuno mi chiama. 
Guardo il telefono: Alessia. 
Mi ero totalmente dimenticata di lei. Rispondo subito, sperando non sia troppo arrabbiata per la mia assenza. 
-Buongiorno!- la sua voce trilla dall'altra parte del telefono. 
-Buongiorno- biascico con una voce più da morta che da viva. 
-Eravamo nel mondo dei sogni eh, principessina?- 
-Non mi chiamare così! Ho avuto una nottataccia, posso permettermelo- dico sbuffando. In realtà ogni nomignolo che mi appioppava mi piaceva da morire, o comunque non mi infastidiva. Neanche questo mi dava fastidio, nulla mi da fastidio con lei. 
-Ecco perché non ti sei fatta sentire, avevi da far festa in giro- dice scherzosamente, ma so che in realtà è offesa. La parte "malata" del nostro rapporto è proprio questa. Se una non sente l'altra, si sente esclusa ed offesa, ma in realtà non siamo una coppia quindi non dovrebbe accadere nulla del genere. In ogni caso, non sopporterei questa possessività neanche in una coppia. Non sono la tipa che vuole stare sempre con la sua dolce metà, ma guai se lei esce con amici o simili. Però appunto con Alessia è diverso, è sempre tutto diverso. Quindi siamo involontariamente possessive, pur non  essendo una coppia. La differenza è che lei palesa questa sua gelosia e io no, io devo tenere sempre tutto dentro. Sospiro.
-Figurati niente uscite, ho solo dormito male. Mi spiace non averti sentito ma ero davvero stanchissima ieri sera- appena finisco la frase vedo una sagoma muoversi dietro di me. La guardo: è la Fortini. Non sembra neanche abbia avuto una sbornia colossale ieri sera, è mai possibile? Pantaloncini, maglietta, capelli perfetti. Guardo me stessa subito dopo. Pigiama imbarazzante, capelli arruffati e, immagino, una faccia orribile.
-Tranquilla- dice rassegnata. 
Nello stesso momento Alice apre il frigo alla ricerca di qualcosa. Fai come se fossi a casa tua eh, Fortini. 
-Ehi, sei in compagnia? C'è Andrea?- chiede probabilmente perché ha sentito la finezza di miss giornalista acida. 
-Emh cosa?- Panico. Se le dico di Alice è la fine, se la prenderà a morte. Ha dormito anche qua, no non posso dirlo. -No è... Paride che sai, ne combina sempre qualcuna. Sono sola, tranquilla. Ma tu non dovresti essere a lezione all'università?- svio la questione.
-Sì. Sto per andare, buona giornata!- ricambio il saluto e stacco. Sospiro per il pericolo appena scampato.
-Si mente su chi c'è in casa e chi si è fermato a dormire, solo alla propria mamma o al proprio ragazzo- dice l'ospite mentre si versa del latte in una ciotola. 
-Non era nessuno dei due- dico sentendomi avvampare dentro, spero non si noti da fuori.
-Non ci credo ragazzina, sei rossa come un peperone- 
Beccata in pieno. 
-Fai pure come se fossi a casa tua eh, vuoi anche dei cereali già che ci siamo?- chiedo leggermente irritata per il suo comportamento. 
-Si grazie!- risponde tutta felice.
Sta facendo finta di nulla. Come può fare così? È venuta ubriaca a casa mia, piena di lividi, pensava fossi un'altra persona e non mi sta spiegando il perché. 
Non ha neanche chiesto scusa per il disturbo. 
Che arroganza. 
Le porgo i cereali. 
È lei stavolta a spezzare il silenzio. 
-Questo è il posto dove vivi dopo che.. Beh-
Capisco cosa intende, e mi fa tenerezza. Non sa come esprimersi. La grande giornalista Alice Fortini che non trova le parole. Che non trova parole abbastanza delicate per la mia situazione, mi sento quasi importante. 
-Si vivo qua. È piccolino, non troppo vicino al centro ma neanche lontano. Non è come la casa in cui abitavo ma ci si abitua- dico con una lieve punta di amarezza. 
Mi manca quel posto. È da moltissimo che non ci metto piede. Dopo tutto quel che è successo non ho avuto più il coraggio, nè di pensare a casa mia nè di metterci piede. 
-Da sola?- chiede con una punta di preoccupazione. 
-No, lui mi tiene compagnia e mi difende dai ladri!- rido ed indico Paride.
Guarda la palla di pelo che è sul divano. 
-Il tuo bodyguard questa notte non mi ha dato tregua, voleva dormirmi in faccia, la pagherà cara- dice con tono di sfida.
-È abituato a dormire con me- dico divertita. 
-Come mai tuo padre ti ha cacciato?- dice mostrandomi uno sguardo preoccupato. 
-Dipende se questa è un'intervista di Alice Fortini o se sto facendo due chiacchiere con Alice- rispondo. 
-Ormai il nostro rapporto non ha più nulla di professionale, che dici?- ridacchia. -Non sono quel tipo di giornalista, anche se potrei apparire così- 
Mangia una cucchiaiata di latte e cereali. I suoi occhi verdi mi scrutano pensierosi, vorrei sapere cosa c'è dentro quella testa, cosa sta pensando e perché ora sembra essermi amica. È così altalenante che non riesco a starci dietro, o almeno so che mi stancherò se ci proverò. 
-Diciamo che non siamo mai andati d'accordo. Il nostro rapporto è sempre stato conflittuale: pensieri diversi, sogni diversi. Lui voleva farmi vivere la vita che non ha potuto vivere lui, e io ovviamente non volevo quello che voleva lui. Puoi pensare che sia una fase adolescenziale, ma credimi non lo è. Poi c'è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma in realtà era una palese scusa, ormai ero abbastanza grande per andarmene e eccomi qua- dico sospirando. Lo avevo appena detto. Ho appena detto a una perfetta sconosciuta una buona parte di una delle cose che mi fanno più male in vita mia: mio padre. 
In realtà è tutto più complicato di così, ma ho tralasciato i particolari. Magari se io mi aprirò con lei, di conseguenza lei lo farà con me. Dopo quello che ho visto ieri era, non posso rimanere inerme. 
-La goccia è la tua sessualità- dice lasciandomi spiazzata. Prende altri cereali e li versa, senza staccarmi quei due occhi verdi e profondissimi di dosso.
-Come? No- rispondo fredda. 
-La domanda diceva "per ciò che sei", o è quello oppure vieni da Marte- dice molto tranquillamente. Sorride con un sorriso spontaneo, un sorriso bellissimo. Di quelli sinceri, quelli che dicono tutto e che ti entrano nel cuore. 
-È vero, hai ragione. È per quello- sputo tutto insieme.
In meno di dieci minuti ho confessato le uniche due cose che mi ero ripromessa di non dire a nessuno. Avevo promesso che le avrei lasciate in quella casa, lontane da qua, che la mia bocca e la mia mente non avrebbero mai più rivangato quel dolore, che ormai il mio presente e il mio futuro erano la scrittura. 
E invece Alice Fortini mi ha cambiato tutti i miei piani. 
Dannazione. 
 
•••
 
Sorrido amara. 
Proprio come pensavo. 
La mia mente viene catapultata a molti anni fa. Mio padre incapace di stare in piedi che mi urla ogni sorta di insulto. Come poteva sua figlia essere lesbica? Come? Sei una vergogna, ripeteva. La vergogna in realtà era lui. Lui che era un drogato, lui che aveva fatto scappare la moglie, lui che non era capace di essere un padre. E invece io ero la vergogna della famiglia, certo come no. 
Mi vengono in mente le immagini di me con una valigia in mano che lo guardo farsi sulla sedia l'ennesima dose. L'ultimo saluto alla casa che mi ha cresciuta, a quella casa maledetta. 
Silenzio.
-Ti.. Ti da fastidio? Che io.. Beh..- chiede titubante avvicinandosi a me. 
Rido sonoramente. 
-No assolutamente. Stavo pensando che un padre non dovrebbe mai far una cosa del genere alla propria figlia, dovrebbe amarla qualunque siano i suoi gusti sessuali. Mi spiace per ciò che ti è accaduto- le sorrido tornando seria. 
Mi spiace, lei è solo una ragazzina e non si meritava di certo questo. Ma il suo successo è prova  di quanto sia forte. 
-Ti ringrazio molto, la sanno in pochi questa cosa e non capisco perché l'abbia detta a te, ma ne sono felice- dice diventando rossa. 
Quanto è innocente questa ragazza? Così sincera, dolce. Dice le cose con una voce talmente bassa e timida che non capisco come possa suo padre averle fatto del male. 
Il sole che si fa spazio tra le veneziane illumina sul suo volto rendendo i suoi occhi color miele ancora più brillanti. 
-Che bel pigiamino che indossiamo eh! È così che speri di conquistare le ragazze?- dico ridendo.
-Ehi, tiene caldo- trova la scusa e fa la finta indispettita. 
Vi assomigliate tantissimo. Chiara si atteggia esattamente come facevi tu con me. Ti preoccupavi per me, cercavi un appoggio, facevi la finta arrabbiata. Dio se mi manca tutto questo, dio se mi manchi tu. 
-Ti devo chiedere un favore- dico tornando seria. 
Annuisce curiosa. 
-Posso stare da te oggi? Non posso andare a casa e non posso andare a lavorare, ti chiedo solo  questo. Ma ti prego non chiedermi perché, scommetto che non lo vorresti sapere- 
Lui non mi deve trovare e qua non mi troverà mai. Ieri sera sono scappata da lui perché non riuscivo più a sopportare tutto quello, sono corsa a casa e bere mi sembrava l'unico modo per non sentire il dolore. Il dolore lancinante che ancora adesso sento da ieri sera. Il dolore alle ossa, ai muscoli, sono tutto un livido. Dopo aver bevuto ogni bottiglia presente in casa mia ho pensato che anche lì poteva trovarmi, così sono scappata e qua nessuno mi avrebbe trovato.
Ma non è questo l'unico motivo per cui sono venuta qua. Volevo scusarmi con lei, non dovevo reagire male alla sua offerta di aiuto, ma il mio carattere non è abituato alle richieste di aiuto. Mi chiudo a riccio se qualcuno vuole aiutarmi e conoscermi.
In più volevo venire qua. Sì, volevo. Perché Chiara mi ricorda lei, e non riesco a non pensarla, o  non pensare all'innegabile somiglianza che c'è tra loro. Non riesco a starci lontana vista questa somiglianza. 
-Non ci saresti andata comunque vista la colossale sbronza di ieri sera!- dice sfoderando un tipo indice che mi punta contro. 
-Che mammina- rispondo sbuffando.
-Però facciamo un patto- 
 
 
 
Deglutisco. 
Perché ho accettato? Si aspetterà delle risposte, spiegazioni e io non sono in grado di darne ora. 
"Mi dovrai spiegare. Sai bene cosa. E nota, non ho messo un limite di tempo, ma sappi che fino a quando non mi darai spiegazioni ti starò con il fiato sul collo" mi ha detto in tono serio e quasi comprensivo. 
Mi sono cacciata in un bel pasticcio, ed ora mi trovo seduta sulla sua auto con i suoi vestiti addosso, dirette verso la sua casa editrice, che a quanto ho capito è il quartier generale di tutto ciò che riguarda il libro e il suo lavoro. 
Ho pregato perché mi lasciasse a casa sua, potevo anche mettere in ordine, cucinare qualcosa nel mentre o guardare la TV comodamente. Ma niente da fare, è una testarda. Ha risposto che non devo stare sola mai. E che devo essere la sua ombra. 
Ma non ero io quella più grande, la donna in carriera, tra le due? Ora sono diventata l'adolescente che ha combinato un casino e che per punizione deve sempre stare con la mamma. 
-Ma che razza di musica ascolti?- dico spegnendo la musica.
-Ma ohu! Sono i Bring Me The Horizon e non si spengono- 
Sbuffo mentre riaccende la musica. Io loro proprio lì odio, che palle. 
-Secondo me si chiederanno subito perché indosso i tuoi vestiti- dico pensierosa.
Mette la freccia e svolta in una strada super trafficata. 
-Non si accorgeranno minimamente che sono miei. Nessuno fa caso ai miei indumenti anonimi, al massimo tu sarai strana per il fatto che indossi dei semplici pantaloni e una camicia- ridacchia. 
Poi torna seria di colpo. 
-Dammi il tuo numero, in caso ci dovessimo perdere di vista- 
-È così che rimorchi le ragazze?- rido, sperando che non sia seria.
-No, e dammi il tuo numero-
In un'altra vita deve essere stata un comandante dell'esercito questa ragazzina.
-Va bene- alzo le mani in segno di resa -Dammi il tuo telefono che te lo salvo e mi salvo il tuo- 
Così magari se la accontento non mi farà domande.
-Abbiamo un telefono arcaico eh?- dico vedendo uno dei primi modelli di telefono touch.
Scende dalla macchina e mi urla -Muoviti!- 
-Okay comandante, subito-
Mi tira un'occhitaccia. 
Entriamo sotto il grande arco antico e saliamo delle scale in marmo bellissime. 
Il palazzo deve essere davvero molto antico, resto quasi a bocca aperta vedendo tutti gli affreschi che ricoprono le pareti. 
-Lo so, si sente questo effetto la prima volta. Io ero paralizzata da tanta bellezza- sorride continuando a salire. 
Attraversiamo un'altra porta ed ecco che conosco un mondo a me nuovo: quello dell'editoria. 
Persone che vanno a vengono frettolosamente, scrivanie piene di libri, editor alle prese con le copertine. 
Entra nel suo ufficio, si siede e subito dopo di noi si accodano un uomo e due donne. 
Faccio attenzione a stare vicino a Chiara, perché in mezzo a questi volti nuovi mi sento persa. 
-Buongiorno Chiara- dice l'uomo -E buongiorno Fortini. Qual buon vento?- 
-Emh..- balbetto. 
-Alice Fortini sta facendo un articolo su di me e mi ha chiesto se poteva stare con me oggi, quindi abbiamo un ospite- dice venendo in mio aiuto. 
Che aiuto poco proficuo però. La fulmino con lo guardo. Non voglio di certo fare un articolo su di lei, dannazione.
-Allora dovrò sicuramente leggerlo non appena uscirà- dice l'uomo. 
Ecco ora dovrò scriverlo davvero. 
 
 
Dopo aver sbadigliato tutta la mattina ascoltando discorsi strani su libri, copertine, locandine, firma copie si è deciso per fare una pausa pranzo. 
Ringrazio dio!
E assolutamente non voglio mangiare con l'editore di Chiara. Non la lascia respirare, non ho potuto neanche scambiare due parole con lei. Andrea, se ho capito bene, trova librerie dove fare show case, pianifica le giornate della scrittrice e le sue interviste. Pare quasi un burattinaio, e la cosa mi inquieta un po'. Chiara ha solo 19 anni ed è davvero sola, non dovrebbe essere lui a decidere i suoi movimenti, le interviste ed il resto. Dovrebbe essere lei la mente di tutto. 
Mi fa strano che lei permetta questo. Non mi è sembrata la tipa che si fa manipolare, che segue le idee imposte, che si adegua o fa ciò che si ci aspetta che faccia. 
Lo guardo uscire dall'ufficio, non mi sta simpatico. E io non sto simpatica a lui, mi ha lanciato delle occhiate poco belle da quando ho messo piede in questo ufficio. 
-Lo so è noioso- esordisce Chiara buttandosi sulla sedia -È la parte più noiosa di tutte. Organizzare, mettersi ad un tavolo e decidere. Vorrei solo fare le presentazioni, incontrare intellettuali che abbiano letto il libro e invece passo le giornate così- sbuffa.
-Beh ora è tempo di mangiare ed uscire da qui- le dico alzandomi in piedi e porgendole una mano. 
Mi sorride. 
Prende la mia mano e fa forza per alzarsi. 
Ci dirigiamo fuori dal palazzo.
-Ti porto dove io vado sempre a fare la mia pausa pranzo, ti giuro che non te ne pentirai- 
Mi segue in silenzio. 
Arriviamo nella piazza principale. Amo la mia città. Mi lascia sempre a bocca aperta. 
La piazza a quest'ora è piena di gente, il che la rende ancora più affascinante. 
Ci sediamo al solito posto. 
-Una piadineria?- mi chiede stranita. 
-È la piadina più buona di Torino, mia cara- rispondo.
-Non lo metto in dubbio, ma non immaginavo tu venissi in posti del genere-
-E dove pensavi che andassi?- 
-In un ristorante per vip, di quelli super super super!- dice facendo una voce quasi da bambina.
Questo posto, questa innocenza mi ricorda solo te. 
Rido nel sentire quella frase, in realtà rido per nascondere la malinconia che dilaga dentro me. 
Dopo aver ordinato, finalmente le piadine fumanti arrivano e il mio stomaco festeggia non appena sente il profumino che emanano. 
Durante il pranzo il silenzio regna.
Mia mamma diceva che, quando il pranzo è buono, nessuno parla perché sono tutti intenti a mangiare. Ho notato che questa frase è, molto spesso, vera.
Per tutto il pranzo l'ho guardata, dico la verità. 
Tutta intenta a non sporcarsi, a rispettare il galateo, a ripiegare il tovagliolo, tutta posata ed educata. Proprio come lo eri tu, tutto in Chiara mi rimanda a te. 
Si sposta i suoi capelli lunghi e mossi indietro, scoprendo un collo ossuto e chiarissimo, che quasi sembra scolpito nel marmo. 
Involontariamente resto a fissarlo. 
-Mia madre è andata via di casa quando io avevo undici anni, mio padre è come il tuo- spunto tutto ad un tratto -Si giocano il premio per Peggior padre- sorrido amaramente.
Rimane stordita dalle mie parole. 
-Io non potevo neanche immaginare..- 
-Le facciate si chiamano così, perché c'è sempre qualcosa dietro- 
-Ora vivi ancora con lui?- chiede timida. 
-No, non più- dico alzandomi -Il conto lo pago io- 
E vado alla cassa. 
Di colpo mi sento afferrare il braccio con forza. Una forza che conosco fin troppo bene. 
Il cuore incomincia a battere all'impazzata spaventato. 
Il respiro si blocca e i miei occhi non vogliono vedere. 
-So sempre dove trovarti, ricordatelo- 
Mi volto, anche se tutto il mio corpo cercava di impedirmelo. 
-Non ti conviene toccarmi, non sono sola- dico con poca voce e decisione, impaurita. 
-Lo so, ma prima o poi lo sarai e pagherai per quello che è successo l'altra sera- 
Deglutisco.
 
•••
 
Mi sento un po' più vicina a lei, anzi mi sento vicinissima in realtà. 
Ha detto poco, ma lo ha detto. Ora siamo quasi pari in quanto a cose dette. 
E a dirla tutta sembra quasi voglia diventare mia amica. 
Ora le devo anche un pranzo, mi dico mentre la vedo arrivare in fretta e furia da dentro il locale.
Ha un'aria molto diversa rispetto a quando l'ho lasciata.
Che abbia avuto problemi con il conto o con il cameriere? 
La guardo in modo interrogativo.
Punta i suoi occhi verdi nei miei e in modo severo dice: -Vieni con me, subito- 
Ora capisco ancora di meno. 
-Ma ehi ch- non riesco a finire la domanda che mi agguanta per un braccio e mi trasporta praticamente verso la casa editrice e più precisamente dov'è parcheggiata la mia macchina.
-Ehi, ma che modi sono Fortini?- chiedo leggermente irritata dal suo comportamento.
-Il cameriere è stato uno stupido, mi ha fatto arrabbiare-
Uhm, ci credo poco.
-Ma non eri praticamente di casa lì?- 
Fa spallucce. 
La fissò negli occhi aspettando ulteriori spiegazioni che non arrivano. In risposta ho solo le sue iridi verdi, di un verde profondissimo, e delle pupille che, impazzite, guardano tutto tranne che i miei occhi. 
Non riesce ad essere credibile. 
 
Per tutta la giornata non ho fatto domande. 
Lei si è seduta alla scrivania e ha iniziato a scrivere, penso, un articolo. Io l'ho controllata tutto il tempo. Nel mentre che scrivevo il mio intervento per il festival della letteratura, le tiravo delle occhiate per controllarla. 
Era serissima, super concentrata. Capelli dietro le orecchie, che scoprivano leggermente le sue lentiggini chiarissime che non avevo mai notato. Mordicchiava la matita e faceva le orecchie al foglio. 
Sinceramente? Sinceramente sono curiosa di sapere cosa ha scritto. Ma aspetterò, non voglio darle questa vittoria, sento che sarebbe troppo contenta e vittoriosa se ammettessi che mi interessa il pensiero ha su di me. 
Ora guarda fuori dal finestrino, andiamo a casa, prende le sue cose e torna a casa sua.
-Chiara- spezza la meravigliosa voce del cantante dei Red Hot Chili Peppers -Hai proprio dei bei gusti musicali- e poi torna a guarda fuori.
Una volta arrivate a casa prende i suoi indumenti.
Sento vibrare.
Un messaggio da Alessia. Ultimamente ci stiamo sentendo davvero poco, e ciò mi dispiace moltissimo. 
Sorrido tantissimo leggendo il suo messaggio.
-E quel sorrisone a chi lo stiamo facendo, eh?-
Chiara sei stata beccata in pieno. 
Rido.
-Chiara..- dice guardandomi diritta negli occhi.
Annuisco. 
-Posso rimanere ancora qua? Ti prego, ti pago da mangiare, ti aiuto a lavare le cose, ma ti prego non farmi andare a casa- mi dice preoccupata.
-È perché vivi ancora con tuo padre e allora non vuoi tornare?- 
-No vivo sola ma...- dice, non concludendo la frase. 
Perché non dici le cose cara Alice Fortini?
-Non ti preoccupare puoi rimanere quanto vuoi, davvero. Però ti scongiuro non farmi dormire sul divano- dico ridendo.
-Ci dormo io!- 
-No gli ospiti non si devono spaccare la schiena. Se sei una brava ragazza dividerai il letto matrimoniale con me, in modo equo- dico calcando il finale della frase. 
-Pensavo che i flirt si fossero fermati al numero, invece sei una che va subito al sodo- dice scherzando ed infine accetta -Va bene-
Nel mentre che è in bagno a cambiarsi, io faccio lo stesso in camera. 
E mi fermo a pensare che tutto ciò è dannatamente strano ed inusuale. 
Non siamo amiche, ma lei sa parti molto importanti della mia vita e io della sua, anche se solo poco penso. In più, è la seconda notte che dorme a casa mia, stasera dormiremo insieme. 
Io non ho mai dormito insieme a nessuno, neanche insieme alle mie amiche. 
Solo Paride dorme con me. 
Il mio cuore inizia a battere forte per l'ansia. 
La prima volta che dormo con qualcuno dormo con una quasi sconosciuta, benissimo Chiara. Buon inizio.
E mi raccomando, stai dalla tua parte.
Penso che comunque tantissimi ragazzi vorrebbero essere al mio posto, ora. 
Appena entro nel letto Paride mi viene vicino. 
-Oh no, quella palla di pelo no eh! Non lo sopporto- 
Ridacchiò vedendola incrociare le braccia sotto il seno. 
-Attenzione perché poterebbe offendersi dopo una frase del genere- dico facendo scendere delicatamente il micio.
Paride mi spiace ma gli ospiti vincono sempre. 
Ci infiliamo a letto con molto imbarazzo. 
Spengo la luce. 
Rimango immobile e posso sentirla respirare chiaramente. 
-Io dormo sempre verso destra- dice mettendosi sul fianco, con il viso rivolto verso di me. 
Sorrido al buio. 
-Allora buonanotte- dico timidamente. 
-Buonanotte e grazie-
Appena chiudo gli occhi cado in un sonno profondo.
 
 
Sento un piagnucolio quasi impercettibile. 
Piano piano mi sveglio.
Alice sta piangendo in silenzio, con dei singhiozzi piccolissimi.
Mezza addormentata mi avvicino lentamente. 
Non mi sembra un sogno. Sta piangendo davvero e la poca luce che proviene da fuori illumina le sue guance bagnate. 
La stringo a me. 
Piange ancora. 
Mi riaddormento immediatamente. 
 
_________________________________________
Allora, buona sera. 
Per prima cosa mi scuso per il clamoroso ritardo. 
Ho iniziato l'università, ho avuto un trasloco burrascoso e non sono riuscita a trovare il tempo necessario per scrivere.
Ringrazio chi sempre recensisce. Le recensioni sono ben accette, sia per consigli  che critiche, ma almeno mi fanno capire se procedo bene o no. 
Quindi grazie. 
Se c'è qualche errore di battitura ditemelo che è l'una e quindi è tutto molto probabile.
Ci tenevo a dire che nomi e situazioni sono completamente inventati, anche i luoghi di Torino sono molto a random. 
Per il resto se qualcuno di voi lettori avesse Tumblr, io avrei piacere di seguirlo, quindi fatemi avere il vostro url.
Alla prossima :D 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Non sarà facile ***


La luce attraversa timida le persiane. Sento il calore del sole sulle mie guance. 
Apro gli occhi, un braccio circonda la mia vita. 
Cazzo. E ora? 
Dolcemente scivolo via dal letto e do una rapida occhiata a Chiara. Dorme beata, faccio un sospiro di sollievo. Esco dalla stanza e mi dirigo in cucina. 
Devo farmi perdonare per tutto il disturbo che sto recando a Chiara. Dormo a casa sua, la seguo al lavoro, mi deve accudire come una bambina, il minimo che possa fare è la colazione. 
Cosa mangerà Chiara Cerati per colazione? 
Questa è una buona domanda. 
Incomincio a cercare latte, cereali, fette biscottate e marmellata. Tutto ciò che può essere commestibile alle 8 del mattino e lo metto sul tavolo insieme alla tazza. 
Nella mia verso del latte freddo al quale aggiungo dei cereali. Devo mangiare veloce, o in redazione per le 8:30 non ci arriverò mai più. 
Mi guardo intorno. Da quanto tempo non preparavo la colazione per qualcuno? Da quanto tempo non dormivo con qualcuno? Da troppo troppo tempo. Da troppo tempo non ho più io il controllo sulla mia vita. 
Finisco il latte e lascio un bigliettino sul tavolo per Chiara, devo correre a casa e poi al lavoro. 
 
Giro le chiavi nella toppa con il fiatone. Ci ho messo dieci minuti, ce la potrei fare ad arrivare in tempo senza che il mio capo si arrabbi di nuovo con me. 
Apro la porta e rimango paralizzata.
È li che sorseggia dell'acqua frizzante sul mio divano.
-Non te ne sei neanche accorta che l'ultima volta che sono stato qui ho preso le tue chiavi di scorta, che tieni nel secondo cassetto della scrivania?- 
Ridacchia. 
Chiudo la porta. 
-Dovresti fare attenzione- dice alzandomi e venendomi incontro. Si ferma a pochi centimetri dal mio viso. 
So già cosa sta per accadere. 
-Devo andare al lavoro, si staranno già chiedendo dove sia- dico cercando di scansarlo. Una mano mi stringe il braccio. 
-Devi smetterla di non tornare a casa tutte le sere. È scortese non rispettare gli appuntamenti- dice con tono duro. 
-Io non ho nessun appuntamento con te, sei tu che ti presenti qua- rispondo con tono altrettanto duro. 
-So dove dormi, non ci andare più. Sappiamo bene come è finita l'ultima volta che hai dormito da una ragazza- mi sfiora la guancia con due dita.
Il mio cuore si ferma, c'è troppo dolore nel ricordare. Troppo. 
-Devo andare a lavorare- 
-Ci vorrà pochissimo- sorride baciandomi il collo. 
 
•••
 
 Paride salta sul letto con la sua solita eleganza. 
-Sei un trattore quando fai le fusa, micio- dico sbuffando. 
Apro gli occhi, leggo l'ora: 8:30. 
Alice non c'è, si starà sistemando o lavando. 
Esco dalla camera e mi guardo in giro. La sua giacca e la sua borsa non ci sono più. Vado in cucina e rimango a bocca aperta. 
La tavola è apparecchiata con ogni sorta di biscotti e marmellate che ho in casa. 
C'è un foglietto. 
"Grazie mille di tutto. Piazza Carignano ore 13." 
Okay, mi ha invitato di nuovo a pranzo e ha mi ha ringraziato? Mi devo ritenere molto fortunata. 
Mangio pensando in quale posto possa mai portarmi questa volta. L'altra volta era una piadineria, questa volta... Un kebabbaro? Rido sonoramente. Non ce la vedo Alice Fortini mangiare un kebab con un vestito da 200 euro addosso, un trucco perfetto e capelli impeccabili. 
Beh un giorno dovrei portarla dal mio kebabbaro di fiducia e godermi questa scena in diretta. 
Il suono del mio telefono mi risveglia dai miei pensieri. Stavo facendo programmi di giornate con Alice Fortini? Ma cosa mi dice il cervello? 
Un messaggio. 
"Mi puoi chiamare?" 
Sembra molto serio. 
Compongo il numero che ormai conosco a memoria. 
"Ehi, tutto a posto?" 
"Sì, ma ho una proposta" la sento sorridere per telefono. 
"Spara Alessia, che sto già in ansia" 
"Questo weekend: tu, io e la tua magica Torino"
Mi manca il respiro. Le parole. La capacità di ragionamento. 
Finalmente la vedrò di nuovo? Finalmente non attraverso uno schermo, non attraverso un telefono? 
Il mio cuore batte fortissimo.
 
•••
 
Mi sistemo prima di scendere dalla macchina. Sospiro.
Ce la puoi fare ad affrontare questa giornata, Alice. Ce la puoi fare. 
Salgo le scale velocemente. 
Arrivo nel mio ufficio e subito Marta mi consegna il solito giornale, il caffè è una lista degli impegni. 
-Marta mi devi fare un piacere enorme- 
-Mi dica- 
-Devi far cambiare la serratura di casa mia. Ecco le chiavi della macchina e di casa.- dico sporgendo i due mazzi. -Dopo fatti fare delle copie della nuova chiave e riportamele. Dopo di che puoi andare tranquillamente a casa, basta che mi fa questo piacere, per favore- 
Devo aver utilizzato un tono di supplica che mai ho utilizzato prima, perché Marta mi sta guardando con uno sguardo che è un misto tra lo spaventato e il sorpreso. 
-Si va bene, lo farò, ti chiamo appena ho aggiornamenti sulla tua serratura- esce dal mio ufficio. Mi siedo sulla sedia.
La porta si riapre. 
-Mi sono dimenticata di dirti una cosa- pende fiato. -Ti ricordi quel parlamentare che avevi mascherato con quell'articolo bomba? Il giro di soldi nella regione e le mazzette da capogiro?- 
Mi blocco. Annuisco senza guardarla in faccia. Sento la gola bruciare. 
-Venerdì pomeriggio vuole essere intervistato. Esclusivamente da te. E vuole essere pubblicato sull'edizione della domenica, così che tutti leggano quello che ha da dire-
La guardo incredula.  
Annuisco di nuovo. 
-Non farti intimorire da un corrotto del genere- 
Ed esce.
Mi faccio intimorire da lui ogni giorno. 
Tiro un pugno sulla scrivania. 
 
•••
 
-Fortini- è Marta che mi scuote dai miei pensieri -È arrivato. Lo faccio entrare?- 
-Sì, chiedi se vuole del caffè. Io ho bisogno di caffè-, dico sistemandomi la collana. Magari un caffè corretto sarebbe anche migliore.
Ed eccoti. Entri con il tuo sguardo che farebbe cedere chiunque ai tuoi piedi. 
Un giovane politico votato per le sue idee innovative, vince e stravince su tutti. Ma poi una giornalista ancora più giovane di lui e con ancora meno esperienza, lo fa affondare. Che smacco eh? 
Sorseggi il tuo caffè, sento il tuo sguardo pesante su di me. Di sicuro starai ridendo con te stesso per tutte le mie reazioni, per la mia tensione e paura. 
-Poteva scrivertela chiunque altro questa dannata intervista, perché me?- 
-Lo sai che mi piaci- si siete sulla serie di fronte -Poi non trovi ironico che la giornalista che mi ha fatto crollare mi faccia ritornare a galla?- 
-Ho solo raccontato la verità. E poi non ti è successo assolutamente nulla, doveva accaderti di peggio- dico con tono sprezzante. 
-Ma la verità non la racconti quando dici come hai avuto quelle informazioni-
-Inzia a parlare di ciò che vuoi che dica nell'intervista- dico arrabbiata.
-Ma perché non lo diciamo una volta per tutte che sei venuta a letto con me per avere quelle informazioni? Che hai probabilmente frugato in casa mia per averle? E che poi, una volta avuto ciò che cercavi mi ha detto: "scusa sono lesbica e ho una ragazza"?-
Le scelte sbagliate di perseguitano per tutta la vita. 
Lui è stata la mia unica mossa sbagliata e mi perseguita ogni giorno. Non mi lascia vivere. 
 
•••
 
L'ansia incomincia a divorarmi. 
Ho deciso di fare questo grande passo domani. 
Domani sarà il giorno
La mia vita deve finalmente intraprendere l'ultimo grande cambiamento. Ora che la ho tra le mie mani, ora che posso scegliere, sbagliare o vincere è il momento giusto. Devo dire ad Alessia tutto ciò che provo, tutto ciò che sento quando lei è con me. Com'era la mia vita prima di lei e come lo è adesso. Cosa è stata e cosa è. Ma soprattutto, cosa può essere per me. 
Voglio solo la sua felicità, solo quello. Quindi qualunque sarà la sua risposta, basta che la renda felice. 
Ma io non riesco più a rimanere in questo limbo. Non ora che tutto sembra andare più o meno bene, non ora che sono sistemata e pronta per qualcosa di stabile. Anzi, voglio qualcosa di stabile, qualcosa da far crescere con me, qualcosa che mi dia riposo da tutto ciò che è il mondo. 
Nel mentre che il mio cervello si autoconvince su ciò che accadrà domani, i miei occhi scivolano tra i palazzi signorili di Torino, tra i bar colmi di gente e le piazze illuminate. 
Passo sotto un portico super frequentato e mi maledico subito dopo per questa scelta. 
Il mio pensiero si rivolge ad Alice, nel mentre che il semaforo è rosso. Non si è mai presentata a a quel famoso pranzo delle 13. 
Non risponde alle mie chiamate e in redazione dicono che non è raggiungibile: ha un importante articolo da scrivere. 
Dico che poteva almeno avvisare che al pranzo non sarebbe venuta. Non per gentilezza, visto che la possiede a tratti, ma almeno per rispetto. L'ho comunque aiutata per quanto potevo e per quanto si è voluta far aiutare. 
Nello stesso istante il mio sguardo cade su un cartello fuori da un nuovissimo bar in centro. Parlano di un menù niente male per il pranzo, potrebbe essere un buon posto dove portare Alessia domani, penso. 
Do una veloce occhiata all'interno ed ecco che vedo Alice Fortini che butta giù un bicchierino colmo di alcool molto probabilmente. 
Il mio cervello quando la vede non ragiona più e, indispettito per il suo comportamento, mi fa camminare direttamente verso di lei. 
-Pranzo alle 13 avevi detto, vero?- sputo -Sarei morta a forza di aspettarti- dico con una leggera punta di ironia. Anche volendo non riuscirei ad essere cattiva con lei, e non capisco il perché. 
-Ne faccia anche uno per lei, ne ha bisogno- dice ridendo. 
La guardo male. -Ma che fai, bevi superalcolici alle otto di venerdì sera?- 
-Si e ora anche tu- dice portandomi davanti il bicchiere che il barista ha fatto per me. 
-No io non bevo, grazie- 
-Bene, allora lo bevo io- dice trascinando il bicchiere verso di se.
-No!- la blocco -Sei già troppo brilla!-
Ride di gusto. Una risata che contagia anche me.
Si blocca di colpo. 
-Assomigli troppo ad una persona che conoscevo qualche anno fa- fissa il bicchiere vuoto -Neanche lei mi avrebbe fatto bere a quest'ora- sorride amara. 
Mi avvicino. -Questa persona avrebbe fatto bene, quindi dovresti ascoltare sia me che lei- sorrido.
Si volta, mi guarda e dice -Da domani, forse- fissa il mio bicchiere -Mammina, allora... Lo bevi o no quello?- 
Prendo in mano il bicchiere e butto giù tutto insieme il suo liquido, che immediatamente inizia a farmi bruciare la gola. Devo aver fatto, credo, una smorfia orribile perché Alice riprende a ridere senza sosta. 
Tra una risata e l'altra esclama: -Un altro per tutte e due e poi ti pago il conto, belloccio!- 
-No forse non hai capito che l'ho bevuto solo per non farlo bere a te, non ne voglio un altro!- 
-Quindi adesso me ne vuoi far bere due, Cerati?- mi guarda con aria di sfida. 
Porge il bicchiere per brindare e dice sottovoce: -Scusami, davvero. Non volevo darti buca. Ma c'è questa cosa e questa cosa è dannatamente complicata, non voglio tu rimanga coinvolta. Sei così innocente e dolce che non te lo meriteresti- 
Rimango senza parole per queste parole. Innocente e dolce? L'ha detto a me? Alice Fortini? 
Brindo. Buttiamo giù tutto d'un fiato.
-Accetto le tue scuse, ma almeno potevi avvisarmi. Sembravo una tale idiota lì, sola e ad aspettarti!- dico ridendo -Ma non credi che neanche tu meriti questa cosa complicata che ti sta accadendo?- chiedo.
-No me la merito. Ed è questo il principale problema..- 
-Potrei aiutarti se tu mi dicessi di cosa si tratta, lo sai che ti aiuto volentieri, anche se hai quasi finito tutti i miei cereali- ridacchio. 
-Grazie ma ne rimarresti scottata da tutta questa faccenda- risponde seria -E tu come stai? Perché stai bevendo con me di venerdì sera?-
Ci penso. 
-Penso proprio per non pensare a ciò che sto per fare- 
Alza le mani in segno di resa e dice: -Se mi vuoi baciare fai pure, ma io non sono la tipa da relazioni serie eh!- 
Rido, che idiota. -Sei bellissima, ma no- 
Fa una faccia da finta delusa. 
-Sai quando prendi coraggio e decidi di fare un passo per te importante, ma poi poche ore prima il coraggio ti viene a mancare e i dubbi la fanno da padroni?- 
Mi scruta con serietà, mi fissa. 
-Chi è la fortunata?- 
Come ha fatto a capirlo? Come riesce sempre a capire tutto ciò che succede in me? Sono così prevedibile? 
-Una persona speciale- rispondo vaga con un sorriso. 
-Spero ti tratti come meriti, spero nel meglio- lascia cinquanta euro e se ne va. Senza salutare, senza lasciar trasparire nessun sentimento. 
È ufficialmente molto lunatica. 
 
••• 
 
Perché Alice ci sei rimasta male? Cosa ti aspettavi? Che provasse a che solo curiosità verso di te? 
Sei tu la prima che l'ha respinta. Che l'ha trattata male. 
È gelosia quella che provi? Delusione? Quel groppo alla gola che provi quando sei con lei è semplicemente perché assomiglia troppo ad Elena. Ma la illuderesti soltanto, perché lei è Chiara non Elena, e lei non si merita questo. Non si merita la tua vita distrutta o i tuoi problemi. Ma la serenità. 
Scuoto la testa per zittire le voci nella mia testa. 
Entro in casa, mi butto alla scrivania. 
Scrivo.
"Vorrei partire dal principio; dire a tutti cosa è davvero accaduto, cosa sta accadendo e dirvi le mie speranze su cosa accadrà, ma non sarà facile." 
 
______________
Esordisco sempre con delle scuse, mi dispiace. 
Sono accadute delle cose nella mia vita privata che mi hanno tolto ogni voglia di scrivere sull'amore e ogni cosa connessa. 
Non riuscivo a scrivere e per scrivere male ho lasciato perdere. Poi ho scritto questo capitolo lo trovo accettabile ma ditemi voi com'è. Scusate per gli errori di battitura, scrivere da un tablet è un massacro. 
Grazie per aver aspettato. Non faccio più promesse però. 
Reflect_
 

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Capitolo 7
*** Passi falsi? ***


-Arrivederci- dico uscendo all'edicola.
Perchè Alice Fortini sta comprando il giornale per cui lavora? Semplice: per convincersi di aver fatto la cosa giusta. 
Distendo il giornale sul cofano della macchina ed eccolo. Il mio articolo è in prima pagina come concordato, rileggo in fretta il titolo. Tiro un pugno sul cofano. 
Ho fatto, di nuovo, tutto ciò che lui desiderava. Mi sono di nuovo piegata ai suoi metodi. Non ho reagito. E per cosa? Per paura. 
Mi professo davanti a tutti come la ragazza che ce l'ha fatta da sola, che ha imparato da sola dai propri, come una delle giornaliste più giovane d'Italia. Ma poi cosa sono davvero? Una ragazza sola, che ha basato tutta la sua carriera su un meccanismo meschino e squallido, che non riesce neanche a rialzarsi da sola. Non riesco neanche a combattere per prendere la mia vita migliore. 
Butto il giornale in un cestino e rientro in macchina subito dopo. Alzo gli occhi al cielo, tentando di trattenere le lacrime invano. Faccio un lungo respiro, ricaccio tutto dentro. Scaccio le lacrime dalle guance. 
Fai finta di niente Alice, sei così brava a farlo.

•••

-Questa leccata di culo della Fortini non me l'aspettavo- dice portando le tazze nel lavandino.
La guardo muoversi dentro la mia cucina: mi sembra quasi un sogno. Alessia, nella mia casa a Torino che mi prepara la colazione. 
I suoi occhi mi fissano curiosi e ritorno al presente. 
Sposto i miei occhi sul giornale. -Alessia, è semplicemente un'intervista- dico girando la pagina -Ha riportato le parole dette da lui. Qua è lui che sta prendendo per il culo tutti, sperando che la gente dimentichi tutti i suoi giri loschi, cosa che sicuramente farà..- sospiro.
-È vero, io non ne so nulla di politica e scrittura...- dice sedendosi sul divano con me -Però ammettilo, quelle domande non sono le domande “alla Fortini” cui tutti siamo abituati. Non l'ha neanche messo in difficoltà! Potevo farle anche io quelle domande- sbuffa. 
Rido. 
-La prossima intervista a lui la farai tu, allora! Hai detto che è anche un bell'uomo, no?- 
-Beh.. guardalo!- indica la foto. -È' carismatico e affascinante, sono sicura che tutte le ragazze pensino questo di lui – si difende. 
-Beh io no!- 
-Tu sei tu!- dice alzandosi e andando in bagno ridacchiando. 
La guardo sparire dietro la porta. 
Mi rilasso un attimo. 
Ieri Alessia è arrivata a Torino e io ero, ovviamente, agitata come non mai. Ma non appena ho incrociato i suoi occhi color nocciola, ho capito che non avevo nulla di cui preoccuparmi. Lei è la persona che mi conosce meglio al mondo, forse anche meglio di me stessa. È lei che mi ha sempre supportato in tutto e, soprattutto, a qualunque condizione. 
Dovevo solo essere me stessa, come lo sono sempre stata con lei. 
Dopo esserci sciolte in un abbraccio, che mai ho bramato così tanto, l'ho accompagnata nel mio appartamento che lei vedeva per la prima volta. Dopo le miriadi di coccole che si è preso il micio, abbiamo trascorso tutto il giorno per le vie del centro. Le ho fatto da guida tra i bellissimi palazzi di Torino, fra le vie più nascoste, tra i musei più belli e le viste mozzafiato. 
Una volta stremate siamo tornate a casa, abbiamo provato a cucinare qualcosa di commestibile ma con scarsi risultati. Abbattute dalla nostra disfatta contro i fornelli, abbiamo ordinato una pizza, che abbiamo divorato davanti ad un buon film: V per Vendetta. 
Volevo non finisse mai. Stare vicino a lei, seguirla in ogni suo quotidiano movimento.. è un paradiso. 
Addormentarsi è stato facile: tra la stanchezza accumulata lungo tutto il giorno, il suo calore dietro la mia schiena e il suo respiro che si infrangeva regolarmente sulla mia spalla, in poco tempo ero già tra le braccia di Morfeo. 
Dopo ieri penso che a volte quello di cui abbiamo realmente bisogno è una persona con cui condividere ogni parte di noi, ma soprattutto con cui condividere le gioie della nostra vita. 
-Ehi bella addormentata!- Alessia mi si para davanti -Io sono pronta e tu? Non mi sembra- 
Mi riporta sulla terra. 
Corro in camera e mi vesto alla velocità della luce. Fuori splende un sole d'autunno che scalda il cuore, ed è proprio ciò che ci vuole per i miei piani di oggi. Carichiamo i suoi bagagli nell'auto, così non siamo obbligate a tornare a casa per prenderli.
Prendiamo la macchina e, senza che io anticipi nulla, parcheggio davanti alla casa editrice. Oggi ovviamente è chiusa, ed è proprio questo che l'ho portata oggi. Una volta entrate Alessia capisce dove siamo ed esclama: -Così questo è il tuo regno, eh?-, si guarda intorno. Mi ha sempre chiesto di farle vedere il posto in cui lavoro, il luogo dove tutto questo duro cammino è iniziato e dove viene pianificato. Ho pensato che farla aspettare per portarla di persona, un giorno, sarebbe stato molto meglio delle mille foto che potrei mandarle.
-E' bellissimo- dice assorta nei suoi pensieri. Sta continuando a fissare le pareti e le volte affrescate.
-Sapevo che ti sarebbe piaciuto-, dico sorridendo. Alessia ha sempre amato l'arte in ogni sua forma. Dai dipinti, alla musica, alla scrittura. Infatti, in lei ho trovato la 
persona che poteva capire il mio amore per la scrittura e la forza che hanno le parole. Essere amiche è stato facile viste le molte cose in comune, ed ora eccoci qua. Due persone intrecciate da un legame che nessuna delle due riesce a definire, troppo legate per essere amiche ma troppo timide per volere di più.
-Ora capisco, perché ti chiudi qua dentro la maggior parte del giorno… farei lo stesso anche io! Mi fai vedere il tuo ufficio?- mi chiede speranzosa.
La faccio entrare nel mio ufficio e nota subito gli scatoloni pieni di copie del libro, locandine, fogli volanti.
-Cavolo, così sembra davvero serio il tuo lavoro- ride.
Prendo un respiro profondo e sputo: -Sai volevo che sapessi una cosa, prima che la sappia chiunque altro-. Mi guarda curiosa e annuisce.
-Pensavo di fare un seguito… un secondo libro. Pensi possa essere una buona idea o un azzardo?-
Mi mostra un sorriso enorme.
-Lo sai, sono sempre stata molto sincera con te- si fa di colpo seria. -Non sarà una cosa facile, indubbiamente. Ma visto il tuo talento, ce la farai sicuramente. Poi, anche se gli altri ti dicessero di non farlo, se è quello che vuoi lo devi fare-
La abbraccio forte. Lei mi stringe.
Ecco perché la trovo perfetta. Ha sempre le parole giuste per me, il giusto avvertimento, ma soprattutto crede in me qualunque scelta io faccia.
Mi sento molto meglio: aver condiviso un mio pensiero che mi assillava da molto tempo, mi ha alleggerito il cuore.
Decidiamo di uscire dalla casa editrice e di goderci il sole e l'aria fresca.
Per tutto il tragitto in macchina cantiamo a squarciagola le nostre canzoni preferite, perché entrambe ci rendiamo conto che il tempo sta per scadere. Alessia tra poche ore tornerà a casa e io tornerò alla mia vita monotona. Dobbiamo sfruttare ogni secondo. Devo sfruttare questa occasione.
Ovviamente anche il posto dove stiamo per andare ora è ignoto ad Alessia, voglio che sia una sorpresa. Spero possa essere una piacevole sorpresa.
La guardo camminare curiosa. I suoi occhi color nocciola, illuminati dai raggi del sole, li rendono ancora più belli e profondi. Mi rivolge un sorriso sincero.
Quando si rende conto che l'ho portata al Valentino, il parco di cui tanto le ho parlato durante le nostre chiamate infinite, sorride ancora di più.
Cosa si può volere di più al mondo? Se non il sorriso della persona più importante che hai, rivolto esclusivamente a te.
-Sapevo che ci tenevi e in questa stagione è anche più bello-
Le foglie incominciano a cambiare colore, tutto il paesaggio diventa una tela dai mille colori, dalle mille emozioni. Proprio come Alessia, un'anima che mi regala mille emozioni, mille brividi e amore.
Passeggiamo con tranquillità nel parco che sembra non avere mai fine. Intorno a noi la natura la fa da padrona: alcune foglie scendono delicate dagli alberi, gli scoiattoli cercano del cibo arrampicandosi sugli alberi, l'acqua che scorre nei piccoli ruscelli fa da sottofondo a tutte le nostre chiacchierate.
Troviamo una panchina che è rivolta verso il Po, così decidiamo di riposarci e goderci la vista sul fiume. Il discorso ritorna sul mio secondo libro.
Alessia chiede curiosa: -Hai già idea su come farlo continuare?-
-In realtà ho diverse idee, proverò a sviluppare quelle più interessanti. Così riuscirò a capire dove possono portare-
-Mi pare un'ottima idea-
-Anche perché il libro è uscito da poco, non c'è fretta. Ma in ogni caso sarà un lavoro lungo ed impegnativo, mi toglierà molto tempo ed energie. Quindi è meglio partire per tempo, direi-
-Mi sono già abituata al fatto che il tuo lavoro ti toglie tempo- dice Alessia guardando altrove, con tono freddo.
Rimango senza parole a quella risposta.
Le tocco la spalla in modo tale da far cadere il suo sguardo su di me.
-Cosa intendi dire?-
La guardo negli occhi. Il mio stomaco incomincia a chiudersi dalla paura. Paura di rovinare questo momento.
-Che è tutto cambiato da quando abbiamo finito i nostri rispettivi licei. Tu hai deciso di intraprendere quest'avventura e lo sai anche tu: è molto difficile ed estenuante. Sei sempre a lavorare, a discutere i particolari e se non lavori ti devi riposare, oppure devi preparare qualche intervento, qualche intervista. Non abbiamo più tempo per noi.. ecco la conseguenza di questa tua scelta-
La guardo confusa. Mi aspettavo di tutto ma non queste parole.
-Alessia io credo semplicemente che dopo aver finito il liceo, sia io che te abbiamo deciso come continuare la nostra vita. Questo è solo lo scorrere della nostra vita, quella che abbiamo deciso di intraprendere una volta finito il liceo-
Mi interrompe: -Quindi io dovrei stare qua a vedere te che, piano piano, riesci ad essere chi vuoi, a costruirti, e nel mentre guardare il nostro rapporto che cambia totalmente, senza fare nulla?- il suo tono si sta alzando.
Anche io cambio il tono. -Non dobbiamo cambiare le nostre vite in funzione del nostro rapporto, ma è il nostro rapporto che si deve adattare alle vite che abbiamo scelto!-
-Stai dicendo che io devo adattarmi alla tua nuova vita-
-Non sono l'unica che ha preso una decisione dopo il liceo, anche tu hai scelto di proseguire gli studi, non sei l'unica tra le due che si deve adattare, tutte e due dobbiamo adattarci!- penso che il mio tono si stia alzando, -Io ci tengo moltissimo al nostro rapporto, non vorrei mai e poi mai che qualcosa lo scalfisse, ma non puoi attribuirmi una colpa che non ho!-
-Non siamo uguali a prima, io e te, e di certo non è colpa mia, non sono io che sto diventando una scrittrice semi famosa!-
-Senti, Alessia, abbiamo passato momenti bellissimi in questi giorni. Non lasciamo che i nostri stupidi capricci rovinino le cose. Calmiamoci e riflettiamo  sulle cose che ci stiamo dicendo. Sei la persona più importante della mia vita, sei.. Sei molto di più della mia migliore amica. Sei decisamente molto di più, per questo dico che non farei mai nulla per farti stare male, dobbiamo solo adattarci alle nostre nuove vite!-
Mi guarda in silenzio. L'ho detto, l'ho finalmente detto. Sperando forse di salvare la situazione, di non farla arrabbiare ulteriormente. Eppure, anche se è la persona più importante della mia vita, non riesco ancora a capire come possa aver detto quelle cose. Le uniche cose che immaginavo di non sentire mai uscire dalla sua bocca. Non posso rinunciare alla mia vita per qualche ora di più con lei, come lei non può rinunciare ai suoi studi per me. Non sarebbe giusto da entrambe le parti. Dobbiamo crescere e capire che noi non siamo il centro del mondo, e soprattutto, che ora non possiamo permetterci sbagli. Non siamo al liceo, dove in ogni caso sai che il prossimo anno sarai ancora chiuso lì dentro, quindi è inutile preoccuparsi per il futuro. Ma quando finisci, cosa succede? Che non hai più certezze, te le devi costruire. Nessuno ti aiuta sul lavoro, non hai nessun insegnante di fiducia, non hai niente se non quello che ti crei tu. Il centro dei tuoi pensieri diventa il come fare a lavorare, dove lavorare, come pagare la bolletta, come incentivare le vendite del tuo libro e via dicendo. Tutto il resto si deve adattare, ci sono delle priorità. Pensavo che Alessia, vista la sua maturità, la pensasse allo stesso modo. Mi sbagliavo, di grosso. Devo risolvere questa cosa, non posso permettere che la persona che mi piace non sia d'accordo con lo stile di vita che ho scelto.
-Non è un capriccio! È ciò che penso e che ho tentato di tenermi dentro il più possibile- sospira -E ora mi dici dal nulla che ti piaccio? Che sono importante per te? Tutto questo non lo dimostra, niente di quello che stai facendo lo dimostra-
Il mio cuore si spezza. Anni passati a cercare di darle tutto l'amore che provo, anni passati a cercare di renderla felice con i miei pochi mezzi, mille rinunce e questo è il ringraziamento.
-Chiara, dammi le chiavi dell'auto, prendo i miei bagagli e me ne vado a casa-
Ora non sento altro che il sapore del dolore misto a rabbia, in bocca.

•••

Il piacere nel girare Torino alle due di pomeriggio, non è descrivibile a parole. La città è vuota, tutti sono nella fase after-pranzo, gli studenti più sfortunati stanno correndo a lezione, non c'è anima viva. I portici enormi della via principale, di solito colmi di gente, sono spopolati e i negozi ancora in pausa pranzo.
Un piede dopo l'altro incomincio a ripensare alla giornata di oggi. Leggere l'articolo che ho scritto è stata una sconfitta personale, non dovevo scriverlo. Anzi, non dovevo neanche creare la situazione in cui sono. Situazione che mi mette sotto ricatto, incapace di poter agire come voglio. Ho sbagliato tutto da principio.
Sospiro.
Devo, in qualche modo, riguadagnarmi la posizione che avevo prima di tutto questo casino. Non intendo la posizione che gli altri vedono, quella non è cambiata, ma la posizione mia personale, nella mia vita. Quella in cui decido di fare la giornalista, decido di portare ogni giorno articoli al mio attuale capo nella speranza di avere un posto in quel giornale, in cui decido di scavare nelle storie più controverse. E fermarmi qua, non voler a tutti i costi dimostrare di essere migliore di tutti andandomi ad infilare in un casino enorme.
Vorrei ritornare a un anno e mezzo fa, dove esisteva solo la mia carriera e le persone che amavo di più al mondo.
Riuscirò ad uscire da questa situazione nello stesso modo in cui me la sono sempre cavata da sola.
Tirando su lo sguardo noto un'altra sagoma, l'unica che sta percorrendo la mia stessa via. Noto qualcosa di famigliare. Una ragazza bassa, capelli mossi, stretta in un giubbotto di pelle corto e grigio. Chiara? Quando si avvicina e i miei occhi incontrano i suoi color del miele, la riconosco. Accenna un piccolo sorriso. Immagino non sappia come comportarsi con me. La nostra conoscenza, sia professionale che non, è davvero strana. Questo per colpa mia. Ho fatto solo casini, usando la sua gentilezza quando ne avevo bisogno, non accettando il suo aiuto per paura. Poi, venerdì sera ci siamo incontrate per caso in centro ed fu un raro momento di tranquillità tra noi. Lei non faceva domande e io non ero troppo stronza con lei.

Avrei voluto evitare di incasinare i nostri rari incontri, ma a quanto pare mi è impossibile non incasinare le cose.
Una volta che ci siamo raggiunte, si ferma poco distante da me.
-Ti fai una passeggiata, Fortini?- tira fuori un sorriso tiratissimo,
quasi obbligato. Noto come il sole renda i suoi occhi, in certi punti, quasi dello stesso colore dell'ambra.
-Con questo sole chi resiste chiuso in casa? Sembra di essere di nuovo in estate- sorrido, togliendomi gli occhiali da sole.
Noto subito che per quando i suoi occhi possano essere belli, non sono luminosi e felici come sempre. Anche il suo comportamento non è il solito, non avrebbe fatto cadere la conversazione così altrimenti.
-Anche tu in giro, eh?- e io sono davvero pessima in queste situazioni. Non so mai cosa dire per far ripartire una conversazione.
Si passa dolcemente una mano tra i capelli, -Io, sì umh, sì un giro per il centro- risponde vaga.
-Ti va di continuare il tuo giro con me?-
Magari potevo rimediare agli errori fatti e instaurare un rapporto normale.
-Certo- risponde senza essere troppo entusiasta.
Riprendiamo a camminare.
-Allora come va?- chiedo curiosa.
-Tutto normale, ti ringrazio. Ho visto il tuo articolo in prima pagina, complimenti- risponde.
So benissimo che sono dei falsi complimenti, o almeno, dei complimenti di circostanza. Giusto per commentare l'articolo. Penso di non aver mai scritto un articolo peggiore di quello e lei da scrittrice lo avrà sicuramente capito.
Tralascio i miei pensieri e rispondo: -Grazie, ne ho scritti di migliori. Ma ogni tanto bisogna accontentare il capo- ridacchio leggermente.
-Immagino che si debba fare, sì. Meglio non mettersi contro il boss- le strappo un piccolo sorriso.
Rimaniamo qualche minuto in silenzio, godendoci la tranquillità del momento.
-Alla fine quel grande passo di cui parlavi come è andato?- chiedo. Ricordo bene il momento in cui ho capito che in questo grande passo c'entrava una ragazza. Involontariamente e senza nessun motivo, il mio cuore ha perso qualche battito. 
-Domanda di riserva?- dice rivolgendomi un sorriso triste.
-Eh no, non puoi scampartela così! Non c'è nessuna domanda di riserva. Sputa il rospo!- rispondo.
-Ti ricordo che noi due abbiamo un patto,  io sto ancora aspettando risposte da te! Fino a quel momento non aspettarti risposte da me- dice rivolgendomi uno sguardo di sfida.
-Ciao Fortini!- mi saluta prendendo la traversa che porta a casa sua. In sottofondo sia io che lei ridiamo.
Ho perso questo round.

________________________________________________________
Ecco un nuovo capitolo. 
Allora, come potete vedere Alessia si è dimostrata la persona che in realtà è, ovvero quella che non accetta di cambiare e non vede nessuna colpa nelle sue scelte, ma solo in quelle di Chiara. Quindi, come reagirà/ha reagito Chiara? Cosa succederà al loro rapporto, che Chiara ha sempre descritto come perfetto, ma che poi forse non è proprio così perfetto. Ma soprattutto, come mai Alessia ha quasi ignorato (anzi, non ha risposto) alla dichiarazione di Chiara? 
Mi scuso per eventuali errori, ditemi cosa ne pensate! Vi aspetto al prossimo, spero di fare presto. 

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Capitolo 8
*** La verità? ***


Due settimane.
Due eterne settimane.
Due settimane in cui il mondo ha giustamente continuato a scorrere, ma la mia vita si è fermata. Si è fermata a due settimane fa, su una panchina di un parco. Tutta la mia anima è rimasta là, pietrificata e congelata. Con lei anche il mio cuore, spezzato e calpestato dalla persona più importante della mia vita.
Mai avrei pensato ad un risvolto del genere.
È vero, nessuno mi dava la certezza che Alessia ricambiasse i miei sentimenti, ma non mettevo in dubbio la mia amicizia con lei. Non ho mai messo in dubbio il forte legame che ci univa.
Soprattutto, non mi aspettavo le sue parole, dette con una freddezza chirurgica, dette con cattiveria. Non poteva pretendere che rinunciassi alla mia vita per lei! Neanche l’innamorato più folle chiederebbe una cosa del genere al suo grande amore della vita. Se davvero provi amore, se davvero ci tieni, allora vuoi solo la felicità dell’altro incondizionatamente. Sei disposto a tutto pur di vederlo felice, pur di vederlo realizzare i suoi sogni.
Io sarei disposta a tutto pur di vedere Alessia felice, a tutto. A questo punto anche a sparire dalla sua vita, se è questo che vuole. Avrei fatto qualsiasi cosa per vederla sorridere come tante volte ho visto, per vederla gironzolare in casa mia. Più in generale per averla nella mia vita. Ma a quanto pare, abbiamo visioni distanti, anzi quasi parallele: un punto d’incontro non lo troveremo mai.
Così sono qua, in casa mia, chiusa da settimane nell'attesa di un suo messaggio. Forse dovrei essere io a scriverle? Oppure a chiamarla? Eppure io ormai ho detto tutto ciò che ho da dire, non saprei neanche cosa chiederle o dirle.
Ho cancellato tutte le interviste programmate. Per fortuna erano solo due, ma ho comunque voluto cancellarle e trovare due date ideali più avanti.
Fortunatamente, Andrea non ha fatto troppe domande. Probabilmente ha sentito la mia voce distrutta, quasi spaccata da tutte le lacrime che ho versato in questi giorni, che al mio “non sono nello stato mentale per farle, ma le farò appena starò meglio” non ha esitato a cancellarle.
D'altronde non ho mai espresso questa volontà da quando lavoro con lui, neanche quando ero a letto con la febbre oppure quando stavo davvero male. Quindi penso che anche lui abbia compreso la gravità della situazione.
Su Twitter ho aggiornato chi mi segue dicendo semplicemente: “Quando succede qualcosa che non si può ignorare, bisogna affrontarlo. Recupererò queste due interviste il prima possibile”. Questo è semplicemente bastato a tutti e ne sono felice. Ho ricevuto solo supporto e tantissimi auguri per qualsiasi cosa debba affrontare.
Nel bene e nel male, ora mi rimangono solo i miei fan come conforto. Le mie amicizie dopo la fine del liceo si sono dissolte. Probabilmente in parte per mio volere, in parte per loro volere e soprattutto perché mi sono trasferita lontano dalla mia città natale. Tutto, dopo il liceo, ha cominciato a ruotare intorno ad Alessia. Non che prima fosse diverso, non che prima non esistesse solo lei per me tra i miei “veri amici”. Però finito il liceo non mi sentivo obbligata a socializzare, a mantenere i rapporti, di conseguenza è rimasta solo lei nella mia vita come amica.
Grande sbaglio, lo so. Se c'è una lista di cose che assolutamente non si devono fare, beh rimanere con una sola migliore amica per cui hai una cotta che non ricambia, è sicuramente in quella lista. Ma cosa ci posso fare ora? Niente, ormai è troppo tardi. Ormai sono sola, sola ad affrontare tutto, sono l'unica spalla su cui posso piangere.
Quindi continuo a rilegge i tweet di supporto e cerco di andare avanti con quelli.
Paride mi risveglia di colpo da questo flusso di coscienza/ramanzina interna, con un miagolio quasi disperato. Ha sempre fame questo gatto!
-Arrivo arrivo- gli dico sbuffando.
Mi alzo svogliatamente dal divano, srotolandomi dalla mia coperta preferita. Gli riempio la ciotola e incomincia a mangiare.
Nello stesso istante il mio telefono vibra. Il mio cuore batte all'impazzata. Da una parte spero che sia Alessia, dall'altra spero che non lo sia.
Apro il messaggio.
“Mi dispiace tu abbia cancellato le tue interviste, spero non abbia a che fare con quello che successo tra noi. Però, Chiara, devo essere sincera con te: non posso ricambiare ciò che provi per me. Sei solo un’amica, la mia migliore amica ma niente di più. E neanche provandoci potrei ricambiare, perché io non sono come te. Probabilmente la miglior cosa da fare e chiudere qua la nostra amicizia. Tu ci staresti troppo male e non riusciresti a voltare pagina, e io non voglio vederti soffrire. Spero che tu possa capire le mie ragioni, lo spero davvero”
Dal momento in cui ho capito di essere innamorata di lei, in quel preciso istante in cui ho preso coscienza di tutto, ho temuto che un giorno potesse dirmi queste parole. Dopo anni, la mia paura più grande è diventata realtà.
Rimango pietrificata. Rileggo più volte il messaggio. È proprio questo quello che vuole? Vuole davvero che io sparisca? Vuole davvero che io risulti come un fantasma nella sua vita, qualcosa che c'è stato ma che ora non esiste più?
Quel “non sono come te” riecheggia nella mia testa, perché sembra detto con un tono dispregiativo? Perché lo sento così?
Rabbrividisco al solo pensiero, al solo pensare ad una vita senza di lei, senza la sua presenza, i suoi consigli e la sua quotidianità fusa nella mia.
Nello stesso istante il campanello suona.
Faccio una faccia stranita. Io non aspetto nessuno! Soprattutto alle nove di sera di una tristissima domenica. Una domenica che ricorderò per sempre.
Beh chiunque sia può stare lì fuori, ora non ho voglia di vedere nessuno.
Il campanello suona di nuovo e con più decisione.
Ma allora insistiamo!
Mi dirigo verso la porta e la apro.
Davanti a me vedo una scena che ha dell'assurdo: Alice Fortini con un pacco di pop-corn, del gelato ed un film in mano.
-Scusa se sono piombata senza preavviso, ma ho visto il tuo tweet e volevo ricambiare tutti i favori che mi hai fatto. Non so cosa sia successo, ma il gelato e Wes Anderson possono risolv-
Non la lascio neanche finire. Mi butto tra le sue braccia e semplicemente la abbraccio. La abbraccio fortissimo, per essere precisi. Nello stesso istante incominciano a rigarmi in volto delle lacrime calde. Volevo tutto, ma non mostrarmi debole davanti a lei. Invece eccomi qua: a piangere involontariamente tra le braccia di una quasi sconosciuta, una lunatica che un giorno è gentile e l'altro mi odia, una persona che non mi vuole spiegare i suoi problemi, una persona che non si vuole far aiutare ma che poi si fa aiutare, una persona che non sopporterei mai ma che, per qualche strano motivo, voglio conoscere, aiutare e far entrare nella mia vita. Una persona che, ora, c'è.
 
•••
 
Cerco di fare qualche passo avanti, ma con Chiara ancora attaccata al mio collo diventa difficile.
Avere le mani occupate, in questi casi, non è proprio il meglio.
Alla fine riesco ad entrare in casa e chiudermi la porta alle spalle.
-Ehy Chiara… va tutto bene, sono venuta qua apposta- cerco di calmarla almeno un po'. Ma niente da fare, continua a piangere senza sosta sulla mia spalla.
La situazione è quasi comica, io con in mano pop-corn, gelato e film che cerco di muovermi per la stanza per posare i viveri; lei che piange disperata e non si accorge della mia goffaggine.
Finalmente riesco a posare il tutto sul mobile della sala.
Chiara singhiozza ancora, ma niente più lacrime. La stringo forte a me.
Mai avrei detto che una ragazzina così tenace potesse essere distrutta in questo modo. Così addolorata da buttarsi tra le mie braccia. Perché diciamolo, i nostri trascorsi sono molto altalenanti e strani, quindi pensavo mi odiasse per i miei comportamenti. Proprio per questo sono venuta qua, per cercare di farmi perdonare. Ma invece appena apre la porta si fionda tra le mie braccia. È davvero così sola da dover ripiegare sulla mia presenza? Non ci credo.
-Chiara…- dico spezzando il silenzio. Ancora nessuna delle due si era mossa dalla posizione.
-Scusami- dice staccandosi da me, come se si fosse di colpo resa conto di cosa è successo.
-Non ti devi scusare. Anzi, sono venuta qua apposta per vedere come stavi- dico con un sorriso.
-Scusa per questa scena pietosa- dice coprendosi la faccia con le mani e asciugandosi le guance.
-La smetti di scusarti? Siamo tutti umani, alcuni avvenimenti ci fanno più male di quanto vorremmo-
Rimane in silenzio a guardarmi.
Intanto il suo gatto decide di strusciarsi tra le mie gambe.
-Ti riconosce già- dice con un piccolo sorriso.
-Sa che si deve far perdonare visto che mi ha dormito in faccia. Ruffiano- il sorriso si allarga.
-Ho portato gelato, pop-corn e film. Da cosa vuoi cominciare?- chiedo.
-Scusa! Sono una sbadata! Siediti pure, prendo delle ciotole per il gelato. Tu intanto metti il film!- dice volando in cucina.
-Allora andiamo giù di zuccheri e grassi?- dico scherzosamente.
-Ovviamente! Che domande sono? È l’unica cosa che mi consolerà sempre- dice tornando con due ciotole e cucchiaini.
-Spero che il film tu non lo abbia ancora visto!-
-Cos’è?- chiede curiosa.
-Grand Budapest Hotel- dico sorridendo infelice.
-Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai visto!- dice buttandosi sul divano. Mi porge un lembo della coperta e il film inizia.
Quando le nostre ciotole finiscono, decido che tanto vale mangiare direttamente dalla vaschetta. Lei sembra gradire l'idea. Affonda il cucchiaino nella vaschetta senza staccare lo sguardo dallo schermo.
Invece io la scrutò di nascosto.
Pigiama, viso stanco, occhi di chi ha pianto tanto… vorrei davvero sapere chi ha ridotto questa innocente ragazza in questo stato emotivo. Vorrei davvero saperlo solo per dirgli quanto è stato stronzo egoista e orribile.
-Il film è alla tv-
Beccata in pieno.
Visibilmente rossa torno a guardare il film.
 
Una volta finito spegniamo la tv.
-Ti è piaciuto?- chiedo per spezzare l’imbarazzante silenzio.
-Bellissimo! Particolare, simpatico ma anche triste. E le immagini sono favolose, uno stile unico- dice sorridendo.
-Vedo che concordiamo su questo punto- rispondo.
-Questi li apriamo?- chiede indicando i pop-corn.
-In realtà io pensavo di andare a casa. È tardi, non volevo trattenermi troppo-
Mi guarda un po’ delusa.
-Io non ho limiti di orario… e poi, sinceramente, non voglio rimanere sola- guarda in basso, vedo un leggero rossore sulle sue guance.
Ho notato una particolarità: ogni volta che è sincera, che dice qualcosa di pensato, ragionato ed intimo, immediatamente le sue guance diventano rosse. Ma non un rossore tipico della vergogna, è un rossore diverso. Appena visibile, un rossore che ti dice “ti sto dicendo una cosa molto importante”, il è bellissimo e delicato.
-Okay, allora apriamoli- dico aprendo il pacchetto. -Non ti lascio sola, promesso. Ma non posso di nuovo dormire qua- dico gentilmente.
Non voglio davvero essere un peso come lo sono stata qualche settimana fa. Non voglio neanche metterla in mezzo a situazioni che non la riguardano e che le darebbero solo inutili pensieri. Quindi devo iniziare da capo la nostra amicizia, sempre che lei voglia almeno questo tipo di rapporto da me.
-Va bene, spero di sopravvivere senza di te stanotte- mi dice scherzosamente.
-Poi dai, non penso tu sia così sola e disperata da volermi in casa a tutti i costi- dico altrettanto scherzosamente.
Cala un silenzio agghiacciante.
Complimenti Alice, sai sempre come rovinare ogni cosa.
-In realtà è così- dice fredda.
La guardo. Non so davvero cosa dire.
-Cioè non in quel senso! Nel senso, non disperata tanto da volerti qua, quello lo voglio davvero- ecco che ritorna il rossore. -Però sono davvero sola. Sola come non mai- dice guardando altrove, con uno sguardo incredibilmente triste.
-Dai, non dire così. Nessuno è davvero solo. Ci si sente spesso soli, è vero. Ma molte volte è una nostra sensazione che, però, non rispecchia la realtà- dico posandole delicatamente una mano sulla spalla. -Scommetto che qualcuno c’è, magari tu ora non lo vedi, magari non lo vuoi vedere, ma c’è-
-Sai, l’ho sempre pensata come te- mi risponde. -Però, devi credimi, non c’è nessuno ed è davvero così. Non so neanche perché lo sto ammettendo. Ho sempre avuto così tanta paura di questo momento… perché sapevo che sarebbe arrivato presto o tardi, però è così. Lo sto ammettendo: sono semplicemente sola- dice ritornando a guadare il vuoto.
Decido che non resta che abbracciarla forte. Così la stringo tra le mie braccia.
Una creatura così semplice, innocua, tenera, ma al contempo distrutta, sola, abbandonata. Mi dispiace, mi dispiace moltissimo. Per questo le regalo questo abbraccio sincero, per farle capire che sola non è. Un abbraccio che non regalavo da tantissimo tempo a nessuno, ma che involontariamente ho deciso di dare a lei.
Finalmente provo di nuovo quella bellissima sensazione di avere del calore da proteggere tra le braccia.
Mi stacco da lei, a dirla tutta avrei voluto che non finisse mai.
-So che vale poco, ma se hai bisogno hai me- dico sincera.
-Vale molto credimi… soprattutto ora-
-Non volevo chiedertelo, ma la situazione è molto più grave di quanto immaginassi… cosa è successo Chiara?- chiedo con gentilezza.
-Fortini, così non vale però- ridacchia. -Arrivi nel momento del bisogno, con il mio gelato preferito un film e dei pop-corn, mi asciughi le lacrime e poi mi chiedi cosa è successo. È davvero difficile non rispondere a questa domanda, credimi! Soprattutto visto tutto quello che ho appena elencato- sbuffa. -Però ti ricordo che abbiamo un patto. Non me ne sono dimenticata, sai?-
-Quindi non riceverò risposta fino a quanto io non risponderò alle tue domande- rispondo.
Tenace e furba la ragazza.
-Esattamente- dice seria.
Mi metto a ridere.
-Ehy, non credere che mi diverta a fare questo gioco! Vorrei solamente parlare e sfogare tutto quello che ho dentro, però davvero… io voglio delle risposte alle mie domande, Fortini. Soprattutto perché sono domande importanti. Se no la risposta non si farebbe attende così tanto, no? Inoltre, tra di noi- si ferma un attimo. -Tra di noi è tutto coì strano e complicato, non trovi? Tu mi odi, poi mi aiuti, poi mi odi di nuovo e ora eccoti qua a consolarmi. Neanche mi conosci bene! Mi conosci come mi conoscono gli altri, ovvero per il mio libro, per l’intervista che mi hai fatto, tutto qui.
Poi ti trovo a casa tua ubriaca, poi ti ritrovo davanti a casa mia di nuovo ubriaca, stai da me due notti perché non puoi tornare a casa chissà poi per quale motivo. Non fraintendere, mi ha fatto molto piacere aiutarti e lo rifarei se tornassi indietro, perché è stato bello conoscere una “nuova Alice” esattamente come lo sei ora! Però, è strano. È così strano che mi fa venire il male alla testa. E io ho solo bisogno di chiarezza ora come ora-
Finalmente finisce di parlare, butta fuori tutto questo discorso contorto senza quasi prendere fiato. Lo sputa tutto su di me e ha ragione, ha ragione su ogni singolo punto. Ogni fottuto singolo punto.
Lei ha fatto tanto per me, mi ha aiutato senza chiedere, senza fare la ficcanaso, mi ha semplicemente capita ed aiutata. Vuole solo aiutarmi ancora di più, ma per fare questo deve prima avere delle risposte. Ha ragione, ha semplicemente ragione.
Dall’altra parte anche io voglio sapere cosa le è successo, chi l’ha ridotta così, perché voglio aiutarla. Voglio dimostrarle che può contare su di me, che non è sola come crede di essere.
Però se decido di rispondere alla sua domanda, Chiara verrà catapultata in un mondo che non le appartiene, in un mondo in cui non deve entrare, un mondo che la può segnare in modo definitivo.
Bisogna dare una svolta alla situazione. Ma in che modo? Sembra che non ci sia via di scampo. Io devo parlare in modo tale che possa aiutarla ora che ne ha più bisogno.
Sospiro sonoramente.
Afferro il mio telefonino che ho abbandonato sul tavolino davanti alla tv.
Mi alzo dal divano, mi dirigo verso la porta.
-No Alice, non andartene come fai sempre. Non abbandonarmi senza risposte ma solo con ulteriori dubbi… non farlo. Non posso sopportarlo di nuovo- mi dice quasi pregandomi.
Sorrido amara.
-Facciamo un patto- esordisco.
Mi scruta con curiosità.
-In questi giorni scriverò l’articolo su di te che il tuo editore ormai aspetterà con ansia. Se ti piacerà allora ci rivedremo e ti spiegherò ogni cosa, risponderò ad ogni tua domanda, se invece non ti piacerà allora ognuno per la sua strada-
Sorride felice.
-Affare fatto-
Ovviamente le piacerà. Perché lo dico? Perché scriverò un articolo positivo, ovvero la verità nuda e cruda. Perché Chiara è così: positiva. Per questo ho messo l’articolo di mezzo, solo per guadagnare tempo. Tempo che userò per capire come dire ciò che dovrò dire.


•••
 
È da domenica sera che ogni giorno compro il giornale nella speranza di trovare l’articolo di Alice Fortini su di me. Eppure ancora nulla.
Scendo le scale e mi dirigo verso il giornalaio più vicino. Oggi sarà il giorno giusto? Questi giornalisti sono lenti a scrivere, eh! Ormai è giovedì, cosa aspetta?
Incomincio a pensare che la sua sia stata solo l’ennesima bugia. Un’altra illusione come quasi tutte le precedenti. Magari lo ha solo detto per farmi stare zitta, per togliermi di mezzo, per non affrontare la questione quella sera.
Finalmente riesco a comprare la mia copia e guardo subito la prima pagina. Scorro velocemente il primo titolo: solita politica.
Ma… sorpresa! Al fondo della pagina c’è quello che cerco. Un articolo firmato dalla Fortini, un articolo su di me. Scorro fino alla pagina segnata.
Una foto della copertina del mio libro, un titolo bello grosso e importante, ma soprattutto tante colonne scritte dalla scrittrice più giovane e in voga d’Italia.
Rimango congelata sul posto.
Non ci posso credere.
Allora non ha mentito! Ha finalmente mantenuto la sua parola.
Inizio a leggere.
Rimango estasiata dalle parole usate, da ciò che dice su di me, su come lavoro, sulla mia persona. Dalla magia e dalla bravura di questa giornalista.
Arrivo al fondo: “Chiara Cerati è, in poche parole, una creatura che con le sue parole può dare tanto a tutti noi, può insegnarci sentimenti e meccanismi nascosti nel nostro cuore, ma soprattutto può darci una sfaccettatura che oggigiorno è quasi scomparsa: la romantica tenacia nel voler qualcosa e raggiungerlo”
Trattengo il respiro.
Compongo il suo numero sul telefono.
Risponde.
-Fortini, mi devi un incontro-

Ancora una volta mi ritrovavo nel suo appartamento.
Questa volta le circostanze sono nettamente diverse. In primis: nessuno è ubriaco. Inoltre io sono qua per tutt’altro scopo, il che mi solleva in parte.
-Quindi ti è piaciuto- mi dice.
-Decisamente. Sei stata fin troppo buona-
-No, sono stata semplicemente sincera- sorride un poco. Sembra tesa. -Vieni, siediti- mi indica il grosso divano in salotto.
Obbedisco.
-Chiara, cosa preferisci bere? Una coca-cola, una birra? O acqua?-
-Una coca è perfetta, grazie- rispondo gentilmente.

•••
 
Sono qua che tento di fare la persona calma e tranquilla, ma non credo di riuscirci molto.
Le porgo la coca-cola e mi siedo poco distante da lei, sempre sul divano.
Sospiro.
Sorseggio la birra.
Okay, Alice, calma. Non è difficile basta che parti dal principio e vai avanti. Non ti giudicherà, vedrai.
Balle! Lo farà, lo farà eccome!
Scuoto la testa. Devo zittire i miei pensieri.
-Chi te li ha fatti?- esordisce di colpo.
La guardo stranita. Vuole partire già così? Da lì?
Faccio per rispondere, ma non so davvero da dove partire.
-Non sei semplicemente caduta, vero?- chiede.
-No..- riesco a rispondere solo questo.
Prendo coraggio, prendo fiato.
-In realtà Chiara, prima di iniziare vorrei dirti una cosa. Vorrei dirti che tu non c’entri nulla con questo mondo, nulla con quello che sto per raccontarti. E che per nulla al mondo dovrai entrarci, dovrai averne a che fare. Devi solo chiedere, io ti risponderò perché te lo devo e perché te l’ho promesso. Però una volta che avrai sentito le risposte, non dovrai fare nient’altro. Hai capito? Promettilo-
Mi guarda dubbiosa.
-Okay, non farò niente-
-Bene. Promettimi anche che non inizierai a guardarmi con occhi diversi- chiedo quasi con un tono pietoso.
-Lo prometto-
Sospiro.
-Non avevo nessuna laurea in giornalismo, arrivavo da un liceo classico e non avevo mai fatto esperienze in un giornale vero e proprio, il massimo era stato il giornalino del liceo. Però ogni giorno andavo in redazione e mi piazzavo davanti alla porta con i miei articoli in mano, pregavo chiunque di farmi parlare con il loro capo. Probabilmente qualcuno di loro non mi sopportava più, quindi ha chiamato il capo redazione che mi disse: “Sa fare un caffè? Perché se può sprecare tutte le sue giornate davanti a questa porta, può rendersi utile portandomi del caffè”. Così era iniziata la mia esperienza lì: come segretaria non pagata. Continuavo a portare articoli sulla politica, articoli di cronaca, ma mai nulla andava bene. Fino a quando un giorno qualche giornalista non aveva finito il suo articolo e quindi c’era uno spazio vuoto. Mi diede la possibilità di scrivere qualcosa su un’importante riforma. Doveva essere accattivante, presuntuoso e fuori dal comune. Non semplice come richiesta! In un’ora lo avevo finito. Rimase stupefatto. Mi diede un posto come giornalista poco dopo, ma un pessimo posto. Dovevo recensire le partite di calcio femminile locali. Dopo qualche mese già non ne potevo più, io non ero fatta per quello e lui stesso lo sapeva. Mi serviva qualcosa di epico con cui guadagnarmi un posto migliore.
Una sera, dopo il lavoro, decido di fermarmi in un bar e prendermi una birretta. Il lavoro mi aveva spossato, mi serviva una ricompensa. Arrivata al bar, subito un ragazzo mi mette gli occhi addosso. Lo notai immediatamente, perché odio lo sguardo degli uomini su di me. Un ragazzo sui 30 anni, giovane e carismatico. Dopo poco si mette a fare due chiacchiere con me. Inutile dire che gli piacevo, che provava attrazione verso di me. Inutile dire anche che l’attrazione non era per niente ricambiata. Incomincia a parlare a ruota libera. Scopro che lavora in parlamento, incomincia a vantarsi della paga, del lavoro facile e ben retribuito, dei favori che riesce a fare ripagati con profumate mazzette. Lì capisco che avevo la mia notizia bomba per il giornale. Lui stava parlando e si stava vantando, stava dicendo tutto solo per rimorchiarmi e portarmi nel suo letto quella sera. Così lo accontentai, andai a letto con lui quella sera. E anche quelle seguenti, feci così per un paio di settimane. Ci vedevamo spesso, ma non sempre. Lui otteneva quello che voleva e io anche. Mi servivano solo delle prove cartacee dei suoi loschi affari ed era fatta. Una notte, mentre dormiva, le trovai. Così chiusi i ponti con lui, con una semplice ma sincera scusa: sono fidanzata. Ed era la verità, a quel tempo lo ero. Ero talmente accecata dalla mia voglia di primeggiare, di arrivare prima, di essere la migliore che ho scordato che stavo facendo del male a me stessa, alla mia dignità di donna e che, al contempo, stavo ferendo irreparabilmente la persona che amavo. Quando lui scoprì la verità, che ero una giornalista, che ero fidanzata e che lo avevo usato per informazioni, si infuriò. Quando lesse il giornale mi cercò in tutti i modi, era infuriato. Poi ci fu il processo, lo condannarono. Ovviamente,  grazie a tutte le conoscenze che aveva la sua pena era stata ridotta al minimo. Ma purtroppo per me le cose non finirono lì. Ora, ancora oggi, è arrabbiato con me. Rivendica su di me… il suo possesso- mi manca il respiro. Dirlo è così difficile. Sento un dolore lancinante ai polmoni.
-Lui vuole farmela pagare per quello che ho fatto, vuole ricordarmi che è lui che decide le regole del gioco. Mi ricorda ogni giorno lo schifo di persona che sono, sono la giornalista che ha avuto il suo grande boom per delle informazioni rubate, rubate con del sesso. E lui… lui.. tramite quello mi ricorda che… non sono ancora perdonata. Io non voglio, non voglio avere a che fare con lui, non voglio toccarlo, non voglio…- una lacrima scende prepotente sulla mia guancia. Guardo le mie ginocchia, la vista si fa offuscata, le lacrime riempiono i miei occhi. I polmoni bruciano, non so neanche se sto respirando. La gola è in fiamme.
-Non voglio e quindi mi obbliga, io non voglio…- incomincio a piangere senza volerlo. -Vorrei solo tornare indietro e non fare quello sbaglio enorme. Vorrei solo vivere una vita senza ricatti, senza violenza, senza una continua paura degli altri, senza incentivi per stare zitta, fatta di normalità… di nuovo con lei-
Sento solo delle braccia che mi stringono forte e un calore che ha quasi il profumo di casa.
 

Okay so che sembra essere passata un’eternità, anzi è passata sul serio.
Vi chiedo scusa, sono successe cose più grandi di me e sul serio, stavolta non son problemi di cuore, sono davvero problemi. Quelli che non puoi raggirare, quelli che pensi non arrivino mai a te o a i tuoi cari.
Per fortuna ho una persona vicino che mi ha aiutato tanto e che mi ha anche spronato a scrivere questo capitolo. Spero che le sorprese nella mia vita siano finite, così potrò aggiornare con più regolarità.
Beh, che dire, se ci sono errori ditemelo è tardi quindi potrebbero essercene.
Alice finalmente parla. Come reagirà Chiara?
Aspetto recensioni, consigli su come continuare.
Un abbraccio a tutti voi che seguite. Grazie. 

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Capitolo 9
*** Hope ***


Non so esattamente da quanto dura questo silenzio.
Un silenzio che non è per niente silenzioso. Alice sta piangendo ininterrottamente da minuti e minuti. Non penso abbia intenzione di fermarsi ed è giusto così.
Non posso neanche immaginare quante volte ha dovuto trattenere queste lacrime, quante volte ha dovuto nascondere i suoi lividi, quante volte ha dovuto indossare la maschera del “va tutto bene”.
Quindi ho deciso di stringerla forte e di lasciarla sfogare. Fino a quando non smetterà di piangere non dirò un parola, perché il silenzio è l’unica azione abbastanza rispettosa che possa darle ora. Perché, sinceramente, non so neanche io che parole usare. Mi aspettavo di tutto, ma non questa storia, non questi eventi e queste conseguenze. Pensavo che il padre fosse l’artefice dei lividi, visto che a quanto pare non è una tra le migliori persone sulla terra.
Invece, di colpo, scopro tutto questo mondo dietro un muro altissimo e robusto che si chiama Alice Fortini. Un muro che ha dovuto subire di tutto, che ha dovuto incassare ogni genere di colpi, subire maltrattamenti ogni giorno. Un muro che si è innalzato sempre più, a mano a mano che le violenze continuavano. Ogni violenza e ogni minaccia significano mattoni in più.
Così ha creato, sia un muro tra lei ed il mondo per non far vedere ciò che sta accadendo, sia un qualcosa che assorbe il suo dolore.
Questo muro poi è stato decorato e abbellito, creandone una facciata degna di una villa super lusso. Una facciata di quelle costruite bene, nei minimi dettagli, una che sembra incrollabile.
Ma ecco la facciata di Alice Fortini che crolla, qui tra le mie braccia, davanti ai miei occhi.
Si stacca lentamente da me, piangendo ancora.
-Alice, devi sfogarti, devi buttare tutto fuori una volta per tutte- dico con il tono più dolce che riesco a tirare fuori.
-Lui… lui ha- ricomincia a piangere forte.
Mi lancio di nuovo su di lei, la stringo forte. -Puoi dirmi tutto, io non ti giudico-
Si appoggia sulla mia spalla, ormai fradicia delle sue lacrime.
-Lui l’ha fatta sparire, non so dove sia, non so se…- singhiozza. -Se le ha fatto del male, cosa le ha fatto, chissà cosa le starà facendo…- si dispera ancora di più.
Le massaggio forte la schiena.
-Ehy, ehy. Ora fai un bel respiro e cerca di calmarti- dico tentandomi di staccare da lei, ma in risposta sento solo che mi stringe ancora più forte a sé.
-Voglio solo andarti a prendere un bicchiere d’acqua, torno subito- allarga la presa.
Vado in cucina e riempio un bel bicchiere d’acqua. Questo di sicuro la aiuterà a calmarsi.
Ricordo che da piccolina, ogni volta che cadevo dalla bicicletta e mi sbucciavo le ginocchia, non facevo altro che piangere ininterrottamente. Ma tutto finiva con un abbraccio dalla mamma e un bel bicchiere d’acqua.
-Tieni, bevi piano- le dico porgendole il bicchiere.
La scruto. Neanche in quelle sere, quando era ubriaca, l’ho vista ridotta così.
Da questo si capisce come tutto sia più grande di lei, come sia diventato insopportabile.
-Grazie- riesce solo a dire questo. Le sorrido dolcemente. È un cucciolo che ha bisogno di attenzioni, di essere aiutato, di essere salvato da questa situazione che ha dell’inverosimile.
-Chi non sai dove sia?- chiedo gentilmente mettendomi di nuovo vicino a lei. Ho capito che tra tutto il discorso ha nominato una “lei” ma non ho capito a cosa si riferisse e cosa c’entrasse con lui ed Alice.
-Lei, la mia ragazza di allora- dice tutto d’un fiato.
Rimango paralizzata da questa affermazione. Queste sono davvero tante informazioni in un unico momento per il mio povero cervello.
Annuisco seria, direi che questo è il problema minore ora Chiara. Il problema sta nel lurido bastardo che la riduce così ogni volta che vuole e che continua a farla franca.
-Okay, e dove pensi che sia?-
-Non lo so… non appena lui ha scoperto tutto, l’ha minacciata. Poi lei è scomparsa, lui l’ha fatta andare via. Lui l’ha tolta dalla mia vita perché vuole essere il solo ad avermi, lui… è stato lui, chissà che le ha fatto Chiara, le avrà fatto del male, tutto per colpa mia… tutto per il mio egoismo! Ho rovinato tutto, mi sono rovinata con le mie stesse mani, l’ho rovinata e questo mi distrugge, io… l’amavo- dice quasi come se fosse uno sfogo senza capo né coda, riprendendo a singhiozzare.
Poi di colpo mi fissa, occhi sbarrati quasi impauriti.
-Tu, tu te ne devi andare al più presto, ora- dice alzandosi di colpo dal divano e girovagando come una pazza per il salotto. - Devi andartene, subito, se lui ti vede ti farà del male, tu te ne devi andare. Ora- dice quasi in panico.
La prendo per le spalle, la fermo.
-Alice, guardami- mi fissa colpevole. -Non vado da nessuna parte e per nessun motivo. Ora ci sediamo di nuovo e parliamo di cosa devi fare ora. Sarà una lunga nottata-
Annuisce debolmente.
So che forse dovrebbe semplicemente andare a dormire, riposarsi, staccare la testa però non posso sprecare questa occasione.
Dopo tutto quello che mi ha raccontato non posso star qua seduta ad osservare. Non posso e non voglio. Inoltre sono sicura che Alice dopo questa serata mi eviterebbe a qualunque costo continuando a vivere in quest’incubo che non si merita.
Quindi devo trovare una soluzione ed immediatamente.
Ci mettiamo sedute sul divano, la avvolgo in una coperta che ho trovato e inizio a parlare.
-Alice, innanzitutto ti dico che mi dispiace. Lo so che è una frase che non cambierà le circostanze, so che è una frase che usano tutti anche quando, in realtà, non sono dispiaciuti. Ma ti posso dire che io lo sono davvero e che questa è la cosa più sincera che io ti abbia mai detto fino ad oggi. Te lo dico con il cuore in mano: mi dispiace. Non ti meriti nulla di tutto ciò, niente di quello che ti ha fatto. Se pensi di meritartelo perché hai “rubato” delle informazione in un metodo poco etico, beh allora sei fuori strada. Tu non hai obbligato nessuno a fare ciò che non voleva, tu non hai picchiato nessuno e neanche minacciato nessuno. Sei solo stata più furba di lui, sinceramente. È lui nel torto qua, okay? Mi credi? Rispondimi-
-Sssì- dice poco convinta.
-No Alice devi esserne convinta. Non devi dirmi sì solo perché così sto zitta e me ne vado. Perché tanto non me ne vado. Tu l’hai mai obbligato, ricattato, minacciato o picchiato?-
-No, mai-
-Allora non hai fatto niente di male. Avevi solo paura, come chiunque altro al tuo posto. Quindi sei stata zitta, hai subito tutto in silenzio e dio… mi dispiace così tanto. Non avresti dovuto affrontare niente del genere da sola-
Sospira.
-Ritornando a lei…-
-Elena-
Ora lentamente incomincio a capire tutto.
Una sera, quando era ubriaca ha iniziato a dire cose strane e a chiamarmi “Ele”. Ricordo molto bene anche la frase “non avrei voluto ti accadesse nulla, scusami” ora capisco a cosa si stesse riferendo.
Povera Alice.
-Sai dove potrebbe essere? Potrebbe aiutarci ad affrontare questa cosa-
-Non lo so… non so dove sia. Il suo telefono è staccato dal giorno in cui è sparita-
Le lacrime tornano sul suo viso.
Le porgo dei fazzoletti. Sorride dolce.
-Okay allora se Elena non si sa dove sia, c’è solo una cosa da fare-
-Cosa?-
-Andare a denunciare tutto-
-NO!- dice alzando la voce di colpo.
-Alice… dobbia-
-No Chiara! Te l’ho detto, tu dovevi ascoltare e poi tornare a casa. Non devi fare niente. Hai le tue risposte, ora puoi andare-
-No Alice, stavolta non mi butti fuori di casa, non mi tagli fuori! Se non lo denuncerai tu, lo farò io-
-Tu non puoi capire! Non sai con chi hai a che fare! Chiara questo non è un gioco, questo non è il tuo libro sulla politica, non è finzione- sospira -Questa è la verità, la fottuta realtà in cui viviamo e lui ti può distruggere, fare del male, può fare di te quello che vuole. E la farà franca in ogni caso! Non devi metterti contro di lui, tu non c’entri nulla… tu sei… così innocente, non dovevi conoscere tutto questo-
Le lacrime ricominciano.
-Alice se non volessi aiutarti non sarei qua ora, avrei ascoltato le risposte e me ne sarei andata dimenticando tutto quello che mi hai detto. Sono qua perché voglio conoscere tutto questo, voglio aiutarti- dico.
-No, noi non faremo nulla-
-Sì Alice, la tua vita non deve e non può continuare così- dico ferma. -Domani andremo a denunciare tutto-
-No Chiara! La mia carriera andrà in mille pezzi! Tutti scopriranno come ho ottenuto quelle informazioni, la mia reputazione si distruggerà! Sarò messa al pari di una qualsiasi puttana, tutte le donne e ragazze d’Italia che ora mi ammirano per il mio lavoro, mi denigreranno… questa è la sola che mi è rimasta Chiara. Ho solo più la mia carriera, ti prego non portarmela via-
-Alice! Nessuno penserà quello di te, tutti penseranno a quello che ti ha fatto per anni quel bastardo! Lo stupro è una cosa che la società di oggi non tollera in nessuna maniera, in nessun circostanza, sarai supportata-
A sentire la parola “stupro” i suoi occhi si fanno di nuovo pieni di lacrime.
 -Mi hai capita?- chiedo abbracciandola.
-Non voglio perdere tutto, l’ho già perso tanto tempo fa-
-Non riaccadrà, te lo prometto- dico sorridendo. -Ora devi andare a dormire, così ti riposi e domani mattina con calma e lucidità finiamo di parlare. Io dormirò sul divano, non voglio lasciarti qua da sola con quell’essere a piede libero in giro-
Annuisce.
-Chiudi a chiave la porta, controlla le finestre- mi dice.
-Lui… ha le chiavi di casa?-
-Le aveva… cioè, le aveva rubate. Ma ora ho fatto cambiare la serratura-
Sospiro sollevata.
-Tu vai a letto, io chiudo tutto, ricordati l’acqua-
-Tu vieni a letto con me- mi risponde.
Ridacchio.
-Non in quel senso- dice quasi imbarazzata.
-Lo so, Fortini. Ma il divano è abbastanza grande-
-No Chiara, stai già facendo troppo-
-Okay- in realtà mi dispiace lasciarla sola a letto dopo tutto quello che ha dovuto subire, dopo questa intensa nottata.
-Vieni ti mostro la camera- mi dice aprendo la porta. -Cerco qualcosa di comodo in cui puoi cambiarti-
Mi guarda intensamente. Gli occhi ancora gonfi di ha pianto… tutto. Ogni sentimento, ogni situazione dimenticata, ogni violenza, tutto. Ha pianto finalmente tutto.
-Tieni, questi dovrebbero andarti, a me non vanno più- mi dice. -Il bagno degli ospiti è da quella parte-
Mi indica una porta e mi dirigo subito in bagno.
Chiudo la porta dietro di me e mi appoggio ad essa. Sospiro.
Probabilmente è il sospiro più profondo che io abbia mai fatto.
So davvero quello che sto facendo?
Io, Chiara Cerati, una ragazzina di diciannove anni che, fino a poco tempo fa, viveva in una provincia dimenticata da Dio, catapultata nel mondo dei “grandi” da un momento all’altro. Una ragazzina che, è vero, sa molte cose nonostante la sua giovane età, ha fatto uscire un libro, fa interviste, interventi, ma questo… questo è un altro paio di maniche. È un problema più grande di lei, ben più grande di lei. Se vedessi da fuori una situazione del genere, direi che la ragazzina in questione è spacciata.
Scuoto la testa, mi butto dell’acqua gelida in faccia cercando di svegliare il mio cervello, cercando fare qualcosa, non so neanche io cosa.
Voglio sul serio mettermi in mezzo a questa faccenda? Sono sicura di voler cercare di aggiustare la situazione? Di aggiustare Alice?
Mi asciugo. Sospiro di nuovo.
Devo autoconvincermi che andrà tutto bene, tutto per il meglio. Riuscirò a tirarla fuori da questa situazione, solo… non so ancora come.
Indosso i vestiti che mi ha dato Alice, una maglietta e dei pantaloncini, e mi dirigo in camera sua.
La trovo già nel letto, fissa il soffitto in silenzio.
Mi infilo nel letto con imbarazzo.
Spegne la luce, sempre in silenzio.
-Buonanotte- dico.
Nessuna risposta.
La mia stanchezza si fa subito sentire e in pochi minuti mi addormento.

•••

Fisso la sveglia sul mio comodino.
Le quattro.
Che diventano le cinque, poi le sei e poi finalmente il sonno ha la meglio su di me.
Alice dormi, magari questo è solo un sogno, magari ti svegli e scopri che non è successo nulla, scopri che era solo un lungo, lunghissimo, incubo.
Alice… dormi che il sole sorge per tutti.

Mi sveglio quando ormai il sole penetra tra le mie veneziane.
Sembra che il sole sia già alto, quindi dev’essere tardi. Mi giro dall’altra parte e scopro che Chiara non è nel letto con me.
Mi stropiccio gli occhi.
Vedi? Se n’è andata. Ha avuto le sue risposte e ti ha abbandonata qua. Ha saputo tutta la storia ed è semplicemente scappata. Probabilmente ora le fai solo schifo, probabilmente ti considera solo un’altra persona bugiarda, falsa e costruita. Ti ha abbandonato. D’altronde tutti farebbero lo stesso al suo posto. Chi vorrebbe starti vicino sapendo queste cose? Eh, chi? Nessuno. Nessuno vorrebbe avere a che fare con questa situazione. E così se n’è andata e, anzi, ha fatto solo bene. Ti ha lasciata qua perché è quello che meriti, perché tu meriti tutta questa situazione e meriti quello che ti sta accadendo.
Mi metto a sedere sul letto.
Ripenso a tutta la serata di ieri. Ripenso a quando ho preso coraggio e ho risposto alla sua chiamata, quando ho deciso di non dire più nessuna bugia, di essere sincera.
E se ripenso a quando ho detto tutto, mi sento solo… patetica. Io che faccio la vittima, ma in realtà la colpa è solo mia. Io non sono la vittima, sono l’artefice.
All’improvviso ricordo tutti gli abbracci che ci siamo scambiate, tutte le carezze che mi ha dato, tutta la sua gentilezza e dolcezza. Anche se è scappata da questo grande, enorme, casino, non mi pentirò mai di averle detto tutto. È la miglior persona a cui potessi dirlo.
Sospiro.
Ormai tanto lo sa, Alice. Non ce nulla da fare, se vorrà venderti alla stampa lo farà, se ti vorrà evitare lo farà, se ti vorrà cancellare… beh farà anche quello.
Mi alzo, mi dirigo verso il bagno della mia camera. Mi lavo con dell’acqua fredda, per svegliarmi meglio visto che non ho chiuso occhio.
Ripensare ad ogni singola cosa non aiuta a dormire di certo.
Dopo una doccia gelata l’unica cosa che mi resta da fare è fissarmi allo specchio.
Perché le hai detto tutto Alice? Perché hai confessato il tuo più grande segreto che, invece, dovevi tenere solo per te? E non dire che lo hai fatto solo perché così il tuo debito con Chiara sarebbe stato saldato e lei avrebbe cominciato a confidarsi con te. Non dirlo, perché lo sai è solo una mezza verità quella.
Fisso il riflesso delle mie iridi davanti a me.
È solo quello che ti dici per dormire la notte.
Anzi, non riesci neanche a far quello.
Ammettilo a te stessa, lo hai detto anche e soprattutto perché tutto questo sta diventando semplicemente troppo. È troppo per te, quindi hai parlato, hai sputato la verità su una ragazzina che ora, come minimo, sarà scappata via dalla paura.
Ammettilo.
Sospiro.
Sì, lo ammetto.
L’ho fatto perché tutto questo sta diventando ingestibile. Non riesco più a deglutire questo amaro ogni sera, non riesco più ad andare avanti. E allora ho visto Chiara, lei ha visto i lividi e le sue domande, le mie bugie, il suo patto… era tutto diventato ingestibile, innegabile.
Però volevo davvero adempiere alla mia parte della promessa per aiutare di conseguenza Chiara, volevo davvero sapere chi l’ha ridotta in questo modo.
Ma in ogni caso ormai è troppo tardi.
Il danno è fatto.
Quando la redazione lo saprà, sarà la mia fine.
Cavolo, la redazione! Devo avvisare Marta che oggi non passerò in ufficio e di cancellare ogni impegno fino a quando non cambierò idea.
Cerco disperatamente il mio telefono.
Devo averlo lasciato sul divano ieri sera, tra tutto quel casino non mi sono accorta di averlo dimenticato in giro.
Mi dirigo in salotto alla ricerca del telefono.
-Buongiorno dormigliona!- sento una voce provenire dalla cucina.
La mia mente ora sente anche le voci, bene. Sono proprio ad un altro livello di pazzia, mista ad ansia e panico.
Continuo a cercare invano.
-Se stai cercando il tuo telefono è qua, la tua assistente non faceva altro che telefonarti questa mattina, quindi ad un certo punto ho risposto-
Alzo lo sguardo ed è lì che vedo i suoi occhi color dell’ambra fissarmi quasi preoccupati ed impauriti.
-Cosa ci fai qua?- chiedo incredula.
-Sono rimasta a dormire qua, non ricordi?- mi chiede stranita. -Stamattina dormivi pesantemente, quindi ho pensato di preparare la colazione. Peccato che siano tre ore che aspetto che qualcuno si svegli… Ti dispiace se ho risposto alla tua assistente? Era davvero preoccupata per te, ha detto che devi finire un articolo, voleva ricordartelo. Ha anche dett-
-Ferma- dico con tono deciso.
Ha cominciato a parlare a macchinetta del più e del meno, come se nulla fosse. Come se non fosse mai successo nulla, come se ieri sera non fosse mai esistita.
Noto che si sta torturando le mani nervosamente. È agitata.
-Perché non te ne sei andata?- mi guarda con fare interrogativo. -Perché sei rimasta qua, perché mi hai preparato la colazione, perché stai parlando della mia assistente come se nulla fosse accaduto?- chiedo.
Rimane quasi senza fiato.
Strabuzza gli occhi. -Io… cercavo di alleggerire la situazione- dice. -Non so esattamente cosa fare- dice quasi con tono colpevole.
-Grazie per aver risposto a Marta. Grazie anche per la colazione-
-Le ho detto che stavi poco bene, così in caso anche domani puoi startene in pace-
-Hai fatto bene, grazie.-
Mi siedo a tavola e lei fa lo stesso. È mezzogiorno e stiamo facendo colazione, dopo tutto ciò che è successo ieri sera. Il tutto diventa sempre più strano e surreale.
Mangiamo in silenzio.
-Come stai?- mi chiede quasi impaurita
-Bene- rispondo vaga. Bugie, altre bugie.
-Voglio la verità, non quello che sei abituata a dire per coprire il... Tutto- dice seria.
-Io... Non so come sentirmi- sospiro. –Non volevo dirti nulla, ma al contempo sono felice di averlo fatto, ma anche impaurita, solo che non ti meriti niente di questo e non volevo metterti in mezzo, ma la verità è che non ce la facevo più, anzi è una mezza verità perché l'ho detto anch-
-Ehy calmati, voglio che tu sia sincera con me d'ora in poi, però non impazzire- in interrompe sorridendo. -Dimmi una cosa per volta, con calma. Vedrai che sarà più facile-
-Io non so parlare con le persone- dico.
-Ma non è vero! Te la cavi benissimo con tutti quei politici direi-
-Ma con loro non parlo di me e soprattutto non parlo di… questo. Parlo di cose inutili e superflue in confronto. Non ho mai parlato con nessuno di me- ammetto.
-Allora ascoltami. Vai per punti, dimmi una cosa alla volta- mi sorride ancora.
-Non volevo metterti in mezzo. Tu non c'entri nulla e sappi che puoi andartene quando vuoi, anche ora se lo ritieni giusto- le dico seria.
-Alice, non so più come ripetertelo, non me ne vado-
Bevo un po’ d'acqua per calmarmi.
-Sei una splendida persona- dico dal nulla.
-Anche tu lo sei, per questo non meriti quello che ti sta accadendo. Capisci?-
-Non concordo con te, ma in ogni caso ti ringrazio-
Sorride felice.
-Sai cosa dobbiamo fare ora, vero?- annuisco colpevole. So che devo andare a denunciare tutto, lo so. Ma ho paura delle conseguenze. La mia carriera verrà distrutta, la mia persona anche, tutti sapranno tutto, ogni singola cosa. E io non sono pronta, non lo sarò mai.
-Ora non ci pensare, goditi questo giorno libero. Intanto pensa a come potresti fare, a come preferisci fare e a quando. Io sarò lì ad aspettare- rimango senza parole.
Mi ha ascoltata, mi ha capita, non mi ha abbandonata, mi lascia il mio spazio, mi lascia il mio tempo, però rimane comunque vicina. Tutto questo senza che io abbia chiesto nulla, senza che io l'abbia pagata di restare o di aiutarmi. Lo fa perché lo vuole.
Ecco chi vorrei essere, ecco chi volevo essere all'inizio di tutto. Volevo essere come lei, volevo essere lei. Una ragazza forte, intelligente, che si sa misurare, che sa quando farsi da parte, quando è il suo turno. Invece io non ho saputo fare niente del genere. Io volevo tutto e subito, perché mi sentivo in dovere di averlo. Doveva essere mio. Allora ho dato ascolto ai miei patetici bisogni e sono rimasta sola, ferita, colpevole, con la sola compagnia del mio dolore nel cuore e nella testa. E allora ho cominciato a chiedermi ogni mattina perché mi dovevo alzare, perché davvero dovevo vivere questa vita. Chi me lo faceva fare? Venti minuti nel letto a cercare la forza per andare avanti ogni mattina, la forza di indossare la maschera e proseguire sul cammino su cui tutti volevano vedermi. Peccato che ero io a non voler più camminare lì.
Intanto il dolore non faceva che aumentare, ogni volta che lo vedevo era una ferita in più. Ma ora, ora è troppo. Ora non ho più sangue da versare, né per lui né per me stessa.
Ora devo solo trovare qualcosa che mi faccia di nuovo concentrare su una cosa che si chiama “speranza”, e penso di averla davanti.
•••

Sento la tensione galleggiare in aria.
Sento i suoi sentimenti anche a distanza: ha paura. Ha paura e lo si legge nei suoi occhi, nelle sue movenze, nella tensione che si sente quando la abbracci. Ha quasi paura che tutte le altre persone siano come lui.
Dopo aver mangiato in silenzio, Alice si è rintanata in camera sua per un tempo lunghissimo. Ad un certo punto mi stavo quasi preoccupando per lei. Poi come se n’è andata è ricomparsa, ancora in pigiama, senza trucco e avvolta in una coperta. Si è messa sul divano, ha acceso la tv ma non l’ha guardata. Si è coricata e ha fissato il soffitto per ore, poi finalmente si è addormentata.
Ora dorme, ma comunque non ha un’espressione tranquilla. È comunque, ancora, in tensione. Una tensione visibile anche ora. Rannicchiata sotto la coperta, quasi come se si stesse proteggendo da tutto quello che sta accadendo.
Approfitto di questa situazione per fare la telefonata che avevo intenzione di fare da stanotte.
Vado in bagno, così se Alice si sveglia non potrà sentirmi facilmente.
Compongo il numero.
-Chiara!- esordisce la voce maschile dall’altra parte del telefono.
-Andrea, ti disturbo?-
-No assolutamente. Che succede? Sembri preoccupata-
-Lo sono infatti. Ma non ti preoccupare, niente che mi riguardi per questa volta. Gli impegni che devo recuperare saranno recuperati- lo rassicuro. -Il problema ce l’ha una persona a me cara e a me servono dei consigli-. Avevo appena detto “persona a me cara”? Sì, decisamente sì.
-Dimmi tutto, farò il possibile-
-Questa persona ha subito… no cioè sta subendo violenze. Violenza domestica, abusi sessuali, minacce… capisci?- chiedo intimorita.
-Chiara… mi spiace molto- mi dice serio. -Capisco la situazione, io in cosa posso aiutarti?-
-Solo che non so cosa fare per aiutarla. Le ho già detto che deve andare a denunciare il tutto, però come puoi immaginare il processo non è semplice: ha pura. Eccome se ne ha-
-Chiara hai fatto bene a dirle così, perché è quello che dovrà fare. Conosco delle associazioni che aiutano le donne soggette a violenze e seguono tutto l’iter della presa di coscienza, della denuncia e del processo. Posso darti numeri ed indirizzi, sono le persone migliori a cui rivolgersi. Ci abbiamo lavorato spesso con loro per vari progetti, ti posso garantire che sono persone serie e che hanno aiutato tantissime donne-
-Non so se lei voglia, già per dirlo a me ci è voluto un sacrificio e coraggio enorme, però in ogni caso mandali, saranno sicuramente utili- spiego.
-Però magari ora che ha te vicino le verrà più facile farsi aiutare-
-Lo spero, voglio solo che esca da questa storia. E che ne esca da vincitrice, perché quello che le sta facendo quell’uomo è… indicibile-
-Lo spero. Sei davvero coraggiosa Chiara. Per qualsiasi cosa ci sono, sappilo-
-Grazie Andrea, sei stato molto utile-
-Di nulla. Hai letto l’articolo della Fortini? Bello vero? È stata un’ottima pubblicità, devo andare a ringraziarla in redazione. Dovresti ringraziarla anche tu-
Sospiro impercettibilmente.
-Lo sto già facendo-
Eccome se lo sto facendo, Andrea.

Dopo aver chiuso la chiamata con Andrea torno in salotto. Alice è ora scoperta, probabilmente si è mossa nel sonno e ha spostato la coperta.
Mi avvicino per metterla a posto.
Le rimbocco le coperte e nello stesso istante lei si sveglia. Spalanca gli occhi e mi guarda terrorizzata. Mi spinge lontano con forza. Non capisco che cosa sta succedendo. Perché mi ha spinto via? Cosa ho fatto di sbagliato? 
Mi guarda ancora terrorizzata. Forse stavolta per quello che ha fatto.
-Scusa, io…- continua a guardarmi terrorizzata. -Io pensavo che tu fossi..-
Capisco senza che mi dica di più.
-Stai tranquilla, non ti preoccupare. Volevo solo coprirti-
Mi guarda colpevole.
-Va tutto bene?- chiedo timida.
-Sì, scusa se mi sono addormentata. Stanotte non ho dormito molto-
-Come mai?-
-Niente solo tanti pensieri e tutti insieme. Ma ci sono abituata, è normalità-
-Hai deciso cosa intendi fare…?-
Mi guarda pensierosa. Direi che non ha ancora deciso cosa fare e non voglio metterle pressione.
-Non è per metterti fretta, solo per.. capire-
Annuisce impercettibilmente.
-Ho parlato con qualcuno, mi ha dato dei contatti. Associazioni che ci possono dare una mano, che possono aiutarti sia fisicamente che psicologicamente… sai ti aiutano a fare la denuncia, ad affrontare ciò che ne consegue e via dicendo-
-No- mi risponde secca.
-No?-
-No, non ci serve nessun aiuto da nessuno-
-Sei sicura?-
-Sono sicura- dice sospirando. -Sono in grado di camminare e andare a denunciare il tutto da sola-
-Certo, ne sono sicura. Ma era solo perché magari loro aiutano sempre donne nelle tue condizioni, di conseguenza sanno come comportarsi, come tutelarti e difenderti in un certo senso…- cerco di argomentare.
-Sono sopravvissuta fino ad ora, direi che ce la posso fare-
Stavolta sono io ad annuire.
Poi riprende: -Andiamo a denunciarlo-
La guardo scossa. Così dal nulla?
-Andiamo. Ora o mai più-


“Ora o mai più” disse. Dopo quella frase si è andata a cambiare, poi si è messa seduta alla scrivania a fissare il vuoto per un tempo indefinito. Ha raccolto un mucchio di fogli e siamo salite in macchina. Una volta arrivate abbiamo aspettato in silenzio. Che cosa abbiamo aspettato non lo so neanche io. Forse il coraggio? Forse quella voce interiore che ti dà la forza in queste situazioni?
So solo che continuava a fissare il vuoto con i suoi occhi tristi e senza speranza. Quelli veri, quelli della vera Alice. Una ragazza che sta cercando il coraggio di mettere fine a tutto. Gli occhi di una persona normale, che ora, qua davanti a me, non deve fingere.
I suoi occhi correvano da una parte all’altra della macchina, a volte guardavano fuori. Si fissava intensamente nello specchietto, forse per trovare quel briciolo di coraggio che le mancava.
Poi dal nulla è scesa dalla macchina dicendomi un semplice “Stai qua”. Dopodiché è sparita all’interno dell’edificio.
Ed eccomi qua.
Sola in macchina ad aspettare, a sperare che Alice Fortini stia facendo il “grande passo” un passo difficile, lunghissimo e doloroso. Sinceramente? Avrei preferito andare dentro con lei. Anche solo per esserci. Per farle forza, per aiutarla. Ma probabilmente in questo momento doveva e voleva essere da sola. Immagino volesse essere lei a riprendersi in mano la propria vita tramite questo gesto, ed è giusto così.
Continuo a fissare il grande portone nella speranza che la Fortini esca il prima possibile. Posso tranquillamente dire che sono in ansia, in fermento e in agitazione. Non so perché, dovrei essere indifferente eppure… eppure sono qua a preoccuparmi per lei.
Sospiro sonoramente.
Finalmente, dopo parecchio tempo, vedo la sagoma di Alice spingere le porte ed uscire dall’edificio. Mi risveglio dai pensieri che mi assillano e metto in moto la macchina.
In silenzio sale in macchina e mi dice: -Andiamo a casa- con una freddezza mai vista.
Alice Fortini ha ricostruito la sua facciata.

•••

Durante tutto il tragitto sto in silenzio.
Non riesco a fare altro.
Sento Chiara pensare fino a qua. Sento il suo cervello che elabora mille teorie su ciò che è successo là dentro. So che vuole farmi tantissime domande ma, per ora, dovranno aspettare. Dovrà aspettare.
Ora come ora, l’ultima cosa di cui ho bisogno è di ricordare cosa ho fatto e cosa è successo in quell’ufficio.
Siamo ferme al semaforo.
Mi fisso le mani. Tremano ancora. Esattamente lo stesso tremolio che avevo quando ho firmato il foglio. Continuo a fissarle.
Smettetela di tremare. Smettetela!
Non smettono, anzi peggiorano.
Smettetela, Cristo! Stupido cervello smettila, smettila ti prego.
Nello stesso istante tiro un pugno alla portiera al mio fianco.
Chiara si gira immediatamente verso di me. Leggo nel suo sguardo paura mista a preoccupazione.
-Scusa, io non volevo…-. Sono le prime parole che mi vengono in mente. Non so neanche io perché ho fatto questo gesto. È stato del tutto involontario. Non volevo. Volevo solo smettere di tremare, di essere debole, di essere… così.
Nello stesso istante accosta.
-Alice, mi hai spaventata- mi dice dolcemente. -Va tutto bene? Cosa è successo? Cosa ti ha fatto la portiera?- dice cercando di sdrammatizzare.
-Io… niente. È che- dico alzando le mani davanti alla sua faccia. Una volta capito, mi guarda preoccupata. Noto con piacere che il tremolio è ancora aumentato rispetto a prima.
-Alice, calmati- mi dice prendendomi le mani tra le sue. Il contatto brucia. E per brucia intendo proprio brucia, frigge, è di un calore insopportabile. Stringe le me mani. Incomincio a fissare le sue mani attorno alle mie e immediatamente mi passano davanti agli occhi tutte le volte in cui lui mi bloccava le mani con tutta la forza che aveva.
Istantaneamente sfilo le mie mani dalle sue. -Non mi tocc-, non riesco neanche a finire la frase.
-Scusa. Io volevo solo calmarti, ma penso di aver fatto l’effetto opposto- mi guarda colpevole.
-Scusa è che- mi blocca sul nascere.
-Non mi devi motivare ogni cosa che fai o dici, Alice- sorride comprensiva. -Cosa posso fare per aiutarti?-
-Non voglio tremare- è l’unica cosa a cui riesco a pensare ora.
-Non devi, ormai la faccenda si sta chiudendo. Hai fatto un grande passo e lui pagherà per quello che ha fatto. Non ti può più far del male ora-
-Volendo può farmene-
-No Alice, la prima cosa che faranno sarà tutelarti. Stabilire delle restrizioni e misure preventive-
-Lo spero-
-Vedrai, lo faranno-
Annuisco cercando di essere convincente.
La macchina riparte e Chiara guida verso casa.
Mi fisso le mani.
Hanno smesso di tremare.


Una volta arrivate a casa Chiara si catapulta in cucina. Immagino abbia fame e che voglia cucinare.
Ma so anche che non c’è nulla in casa. O al massimo… molto poco, ecco.
Infatti poco dopo si sporge dalla cucina dicendo: -Ordiniamo una pizza?-
Annuisco solo.
-Margherita?- chiede.
Annuisco ancora.
Fisso la scrivania vicino a me.
Cosa dovrei fare ora? Cosa dovrei sentire?
Dovrei aspettare che accada qualcosa a lui?
Dovrei sentirmi meglio? Libera? Felice? Preoccupata?
Non sento nulla.
Sono vuota, svuotata. Dentro di me non è rimasto niente, lui mi ha tolto tutto e continua a togliermi tutto anche quando tento di buttarlo fuori dalla mia vita.
Anche quando tento di riprendere la mia vita in mano, quando tento di chiudere un capitolo niente riesce a smuovermi. Nulla riesce a ridarmi la sensazione di essere di nuovo viva.
Niente.
Quindi devo semplicemente aspettare? Aspettare un processo che non sarà equo, che non sarà visto dal resto delle persone come quello che realmente è. Sarà solo uno scandalo. Niente di vero, nulla di più che qualche articolo sui giornali di gossip.
Ecco come sarà visto, come puro e solo gossip.
Nessuno si fermerà sulla gravità delle azioni, nessuno capirà ciò che è realmente successo.
Nello stesso istante capisco che sarà una di quelle notizie che faranno muovere giornalisti su giornalisti, ovviamente non per i giusti scopi, ma comunque ci saranno giornalisti davanti a casa mia, davanti al mio posto di lavoro. Sarà uno tuono, un lampo, una bomba in mezzo alla tranquillità degli ultimi tempi.
Devo prevenire tutto questo.
Devo fare in modo che la bomba scoppi in modo controllato. La vera notizia deve essere ciò che ha fatto lui, ciò che gli uomini fanno segretamente nelle proprie case alle proprie donne che dicono di amare. La notizia deve essere un uomo di politica che ricatta una giornalista, che fa violenza psicologica su una giovane ragazza solo perché l’ha preso in giro e si è ridicolizzato a causa sua.
Quella deve essere la notizia. Non il gossip, gli intrighi, il mio passato o il suo passato. Le sue fidanzate o le mie, la mia famiglia o la sua. Nulla di questo deve essere la notizia.
-Le pizze arrivano alle 20 in punto- dice Chiara sedendosi sull’altro divano.
La guardo interrogativa.
-Cosa?- mi chiede. -Queste patatine le ho trovate in cucina, ma posso condividere lo giuro- dice sporgendomi il pacchetto.
-No, mi chiedevo… se ti dovessi dire qualcosa di rilevanza nazionale che faresti?-
-Umh… un articolo? Un post su Facebook? Un’intervista? Un video? Non so, io non ho tanti seguaci, ma tu di sicuro saresti ascoltata in qualsiasi modo-
Ed è lì che capisco cosa devo fare per evitare che ognuno si faccia la sua idea sulla faccenda.
Afferro il telefono. Compongo il numero che ormai, dopo anni, so a memoria.
Appena risponde non la lascio parlare.
-Marta, vieni a casa mia è urgente. Tranquilla c’è una pizza per te- e chiudo.
Chiara mi guarda stranita.
-Di dispiacerebbe ordinare una pizza in più?- chiedo quasi scherzando.

Mentre aspettiamo le pizze e l’arrivo di Marta, Chiara tenta di fare conversazione.
-È andato tutto bene, oggi pomeriggio? Sai… la denuncia- mi chiede timida.
-Se ti chiedi se ho avuto coraggio, sì stranamente lo avuto- rispondo indifferente.
-E come ti senti ora?-
-Non sento niente-
-Non senti nulla?- mi guarda strana.
-Nulla-
-Vedrai che appena avrai la certezza che tutto andrà per il meglio, sarai più serena-
-In realtà sto bene così. Non provare nulla è una fortuna per certi versi. Sai non devi pensare più di tanto, non devi interpretare quello che il tuo cuore sta cercando di dirti, non devi fare… nulla. La tua vita è piatta sì, ma forse ora va bene così-
-Beh un sentimento oggi l’hai provato: il coraggio-
-Solo perché c’eri tu- ammetto quasi sottovoce.
Mi guarda stupida. Apre la bocca per dire qualcosa ma, nello stesso istante, suonano il campanello.
Marta ha salvato la situazione.
Chiara apre la porta e ci troviamo una Marta tutta sorridente con due pizze in mano.
-Oh, salve- dice stupida dalla presenza di Chiara.
-Ciao- risponde lei timidamente.
-Ho incontrato il fattorino per le scale e gli ho evitato di fare scalini inutili- dice entrando in casa. -Stai meglio Alice?- mi chiede preoccupata.
-Umh, grossomodo- rispondo vaga. -Sediamoci e mangiamo-
Tra un trancio di pizza e l’altro Chiara fa le solite domande di circostanza a Marta: “quanti anni hai?”, “com’è fare l’assistente della Fortini?”, “sei di queste parti?”, eccetera eccetera eccetera.
Dopo aver finito di mangiare e dopo aver ripulito tutto Marta fa l’inevitabile domanda scomoda.
-Alice, come mai mi hai fatta venire qua di corsa?-
-Ho bisogno del tuo aiuto- ammetto.

Dopo aver spiegato a Marta la mia idea, ovviamente senza scendere nei dettagli, ha posizionato la mia fotocamera nel posto più appropriato e ha controllato la posizione delle luci. La sua esperienza come fotografa del suo liceo ogni tanto viene utile.
Le mani inconsciamente mi tornano a tremare.
-Okay, dovrebbe andare bene. Ho messo a fuoco su di te ma non su ciò che hai alle spalle, così rimane un po’ più privato- dice fissandomi negli occhi. Non ha ancora capito cosa voglio fare.
Annuisco.
-Accendi la fotocamera sulla modalità video e toglietevi dall’inquadratura-
E così fa.
La piccola spia sulla macchina incomincia a lampeggiare. Guardo Chiara un’ultima volta che mi fa segno di andare, di parlare, che la macchina sta registrando.
Prendo un grosso respiro.
-Buonasera a tutti. Non sono solita fare questo genere di cose, però questa volta non sapevo come altro fare. Ho deciso di registrare questo video per comunicarvi una notizia per me importante e che presto, molto presto, sarà importante anche nel campo della politica, dell’opinione pubblica e chissà cos’altro. Voglio dirvi tutto, ogni dettaglio così come sta, nella pura e limpida verità. Voglio farlo perché, credetemi, si scatenerà un delirio mediatico disastroso su quello che vi sto per dire. Quindi voglio evitare che la notizia venga portata avanti da miei stimabili colleghi che, però, non sanno come sono andati davvero gli eventi, che quindi potrebbero travisare il tutto e non focalizzarsi su ciò che è davvero importante. Lo faccio perché penso che tra tante persone che mi seguono e leggono, che ne siano molte che ci tengono a sapere i fatti così come sono e come li ho sempre trattati nella mia ancora corta carriera.
Quindi eccomi qua, a parlare davanti ad una fotocamera come i più rispettabili youtuber, per raccontarvi una cosa enorme. Questa “cosa enorme” è una semplice domanda. Una domanda che sta in fondo alla mia gola, che mi soffoca il sangue che va al cervello, che mi risuona nelle orecchie continuamente ogni volta che me la pongo… “Merito davvero tutto questo?”
La risposta che sono riuscita a darmi solo oggi è: “No, non lo merito”.
Mi merito la paura, quella paura che ti paralizza tutto il corpo? Quella paura che mi rende incapace di reagire, che mi rende colpevole di tutto? No non la merito.
Mi merito di essere solo un semplice oggetto da picchiare, usare a proprio piacimento, gettare e poi riprendere perché ci si annoia? No non lo merito.
Mi merito di vivere in un continuo incubo creato da lui? Mi merito i lividi sul corpo, le mani che mi stringono i polsi, le minacce, i ricatti, i regali per incentivarmi a stare zitta? Li merito? No non li merito.
Mi merito di vivere nell’angoscia che da un momento all’altro, dietro l’angolo, lui si palesi e mi trascini a casa sua come le altre volte e faccia di me cosa vuole, di nuovo? No non lo merito.
Nessuna donna merita di essere abusata, violentata, ricattata e trattata come un oggetto qualsiasi.
Non mi merito di essere picchiata e poi violentata, nessuno di noi lo merita.
Forse alcuni potranno pensare che io invece lo meriti, solo perché ho incastrato questo personaggio qualche anno fa seducendolo. Aveva bevuto troppo e aveva parlato troppo. Mi ero concessa a lui nella speranza di ricevere qualche informazione in più, qualche scoop per fare colpo sul mio capo. Lui stupidamente cadde nella trappola. È bastata una notte per farlo cantare come un gallo di prima mattina. Mi ha raccontato ogni cosa, ogni truffa che faceva, ogni giro losco con i suoi amichetti parlamentari. Beh, ne approfittai. Feci l’articolo della mia vita, il mio capo mi diede ogni tipo di promozione, perfino le autorità si congratularono e ringraziarono.
Beh…- sospiro.
-Penso che ormai tutti voi abbiate capito a chi sto facendo riferimento e va bene così. Voglio che voi sappiate tutto, ogni singola cosa.
Se alcuni di voi pensano che io me lo meriti per aver commesso un errore, allora siete al suo livello. Qualcuno mi ha detto, non poco tempo fa: ma tu hai mai picchiato lui? L’hai mai ricattato?, no mai. L’ho solo ferito con le parole, l’ho solo fregato.
Ma questo non è piaciuto a lui. Così sono iniziate le violenze, le minacce. Sono arrivata a farmi sei o sette docce al giorno per cercare di togliermi dalla pelle quello che mi faceva. Mi fregavo con tutta la forza che avevo in corpo, a volte fino a farmi male, perché mi sentivo sporca, macchiata… ferita. A volte usavo persino dei guanti per evitare il contatto con la mia pelle.
E lo ammetto, non ho avuto il coraggio di dire nulla fino ad ora. Sono una codarda? Forse. Oppure avevo solo paura, paura che le sue vendette sarebbero arrivate più forti e pesanti. Ho addirittura temuto per la mia vita.
Nessuno si è mai accorto di nulla e, attenzione, non ne faccio una colpa a nessuno. Anche perché ero io a non mostrare nulla agli altri, però vi chiedo solo di fare attenzione… di fare come ha fatto una persona speciale con me e di non fermarsi alle apparenze, di non fermarsi al “sono solo caduta” di scavare, di essere testardi e di continuare a chiedere con costanza e tenacia. Perché sicuramente ci saranno altre donne là fuori nella mia stessa situazione, o forse in situazioni anche peggiori. Quindi non arrendetevi con loro, battetevi per loro che non hanno più forza perché qualcuno ha tolto loro tutto, ogni emozione.
Con questo videomessaggio non voglio fare la vittima, non voglio essere etichettata in qualsiasi modo, voglio solo mettere in pratica il mio lavoro: fare la giornalista. Questo è quello che sto facendo ora, vi sto riportando dei fatti con delle mie opinioni, nulla di più. Spero soltanto che abbia l’effetto sperato, ovvero che voi capiate cosa c’è di sbagliato in tutto questo.
Vi ringrazio per aver ascoltato fino a qui, vi ringrazio se appoggerete il mio cammino contro di lui e vi ringrazio anche solo se rimarrete in rispettoso silenzio.
Ringrazio me stessa ma soprattutto chi ha avuto la forza necessaria per non arrendersi su di me.
Grazie e buona serata-
Nello stesso istante sento solo un caldo e forte abbraccio.
Dal denso profumo di mela verde la riconosco: Chiara.
Le braccia di Chiara mi avvolgono strette.

 

Salve salve salve. È quasi l’una di notte ed eccoci qua con un nuovo capitolo.
Prima cosa: è stato molto difficile da scrivere. Ho cercato di documentarmi per rendere il tutto più autentico e spero di esserci riuscita. O comunque cercate di farmi passare qualche sbaglio.
Seconda cosa: ho preferito evitare di descrivere il momento della denuncia perché non sapevo effettivamente come funzionasse la denuncia ecc ecc. Se c’è qualche errore ditemelo!
Terza cosa: buon Natale! (in ritardo), e buon Capodanno (in anticipo)! <3 è il primo anno che festeggio il natale lontano dalla mia città natale (Torino per l’appunto! Proprio lo scenario di questa storia. Ho voluto rendere omaggio a Torino proprio perché ormai sono anni che sono lontana da lì), ho sempre vissuto i miei primi due anni da universitaria lontano da casa mia, ma quest’anno sono davvero molto lontana e non sembra ma la cosa si fa sentire. Quindi è stato un Natale strano. Spero il vostro sia andato meglio.
Ah! Ho notato scrivendo questo capitolo di come si senta il fatto che parlo inglese ogni giorno della mia vita. Ogni tanto mi vengono frasi con un ordine sbagliato e via dicendo, vi prego non fatemene una colpa L  e anzi, magari ditemelo così correggo la frase!
Non siate timidi, aspetto le vostre recensioni.
Un abbraccio.

p.s. ho promesso un viaggio alla mia dolce metà in gennaio, quindi non so se riuscirò ad aggiornare presto. 

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Capitolo 10
*** Sai di felicità ***


Un mese dopo.
Giro le chiavi nella toppa. Una volta entrata in casa un profumo di cucina cinese mi invade le narici prepotente. Una voce che in questo mese ho imparato a conoscere molto più a fondo, spezza il silenzio.
-Com’è andata?-
-Ero l’unica donna in mezzo a cinque maschi zoticoni ed ignoranti-
Marta quasi si fa andare di traverso gli involtini primavera che sta mangiando. -Li hai battuti spero!- dice lei spostandosi un po' e facendomi spazio sul divano.
-Ovvio che li ho battuti, con le parole non mi batte nessuno- rispondo ironicamente.
Mi risponde con un semplice pollice alzato. Poi riprende: -abbiamo ordinato cinese anche per te- mi dice offrendomi una scatola
-Un pranzo niente male, grazie- dico con gratitudine.
-Prego- ecco che ritorna quella voce. Quella voce fredda e distaccata, quella che speravo di non sentire mai più con questo preciso tono.
Cerco di trattenere i mie pensieri e di cambiare argomento.
-Cosa stiamo guardando?- chiedo.
-Qualche serie TV sconosciuta, come al solito- mi risponde Marta.
-Guarda che non sei mica obbligata a guardarla. Anzi, potresti andare a fare la spesa, coì questa sera evitiamo di andare sul giapponese-
Immediatamente Marta si alza. -Okay spesa sia- dice impaurita vestendosi, per poi andarsene alla velocità della luce.
-Potresti trattarla meglio, sai?- le dico seria. -Sta facendo di tutto per aiutarti, Alice-
-Nessuno vi obbliga a stare qua. Anzi, non l’ho mai chiesto-
Entrambe sapevamo che quella sera tutto sarebbe cambiato. Anzi, soprattutto lei, sapeva che questa notizia sarebbe stata come un’onda anomala che in piena notte si abbatte su una cittadina dormiente.
Però come l’onda anomala non è evitabile, neanche questo lo è ora. Nulla di ciò che sta accadendo è sotto il nostro controllo. Ma, cosa ancora più importante, Alice sapeva benissimo che questa è una di quelle cose per cui non puoi tornare indietro. Non puoi prendere un telecomando e far ricominciare il film da capo. Non puoi andare indietro nel tempo e cambiare la situazione, semplicemente non si può cancellare quello che è stato. L’onda è arrivata e ora si sta abbattendo sulle case, non si può scappare, ormai è troppo tardi.
Così era stato quella sera: uno tsunami.
Appena Marta si è resa conto di ciò che stava raccontando Alice di fronte all’obbiettivo, non voleva crederci. Il senso di colpa l’ha subito presa a braccetto come le nipoti fanno con le nonne anziate e non l’ha più lasciata. Si è anche lasciata andare a qualche lacrima di troppo, che ha notevolmente destabilizzato Alice.
Marta faceva altro che scusarsi. Scusarsi per non aver visto, per non aver capito. Per non essersi fatta qualche domanda quando Alice le aveva fatto sostituire la serratura di casa, per non essersi accorta dei lividi ben nascosti. Infondo era la persona con cui passava più tempo in ufficio, era la sua assistente da quando Alice era diventata la giornalista più brava dopo il direttore ed era sempre, comunque e ovunque con lei.
Ma tutte e due abbiamo capito come fosse stata brava a nascondere il tutto. Quindi non era colpa sua, non era colpa di nessuno. L’unica colpa l’aveva un uomo solo e ora tutti sapevano chi fosse. E per tutti, intendo proprio tutti.
Perchè l’unica frase che ha detto Alice è stata: -Marta, pubblica questo video in ogni profilo che ho-
E così ha fatto.
Solo venti minuti dopo aver pubblicato il video su ogni account ufficiale di Alice Fortini, il web stava già impazzendo. Il telefono di Alice non faceva altro che illuminarsi per ogni notifica che arrivava, quindi praticamente stava sempre acceso.
Mentre Marta continuava a scusarsi quasi in modo sistematico, riempiendo il silenzio che aleggiava in casa, io me ne stavo in cucina a guardare. Ero come un arbitro che guarda il gioco ed è pronto ad intervenire quando si fa troppo fisico e falloso. Alice sembrava non prestare attenzione a nulla, probabilmente stava solo pensando e sperando che tutte le notifiche che stavano arrivando fossero positive.
E lo erano. Per la prima volta dopo tanto tempo Alice ha dormito sonni tranquilli. Quasi fosse sollevata, libera e leggera. Nessun peso la opprimeva più durante il sonno.
Ma il web non ha dormito quella notte.
Tutti, fan, colleghi giornalisti del giornale, persone normali, causali, addirittura qualche politico avevano condiviso il video. Alice Fortini era dappertutto. Continuavo a monitorare i commenti, le opinioni condivise su twitter e, per fortuna, erano tutte di supporto. O comunque la maggior parte. Tutti si chiedevano quale razza di mostro possa far male ad una ragazza per vendetta, tutti auguravano ad Alice il meglio in ogni frangente della sua vita. Tutti sapevano quello che lui aveva fatto a lei e lo stavano condannando per questo.
Il vero problema arrivò il mattino seguente.
Alice dormiva in camera sua, rintanata e schiva come al suo solito, Marta si era addormentata sul divano e io sulla sedia, ancora con il telefono in mano e in una strana posizione.
Tutte e tre siamo state svegliate da continui colpi contro la porta di casa di Alice, il campanello non smetteva un secondo di suonare. Dopo essere balzate tutte e tre sulla sedia -anzi su quella solo io- ci siamo guardate come si guardano tre bambine perse nel bosco prima del tramonto. “Che cazzo sta succedendo e cosa dovremmo fare?”
Poi, dopo aver sentito chiasso dalla porta d’entrata, notai che non proveniva solo da lì. Il mio sguardo puntò fuori dalla finestra, ed è lì che vidi ciò che non avevo calcolato e previsto: una marea di persone riversata in strada, stretta davanti al portone, che cercava di farsi avanti.
Non dovevamo preoccuparci dell’opinione pubblica, perché ovviamente era dalla nostra parte. Non dovevamo preoccuparci dei colleghi di lavoro o del direttore, perché Alice non aveva violato nessun tipo di legge nel sapere del famoso scandalo politico. E di certo non dovevamo più preoccuparci di lui, che ad Alice non si poteva avvicinare per nessun motivo visto il suo ordine restrittivo.
Dovevamo preoccuparci dei giornalisti che erano ora attaccati alla porta di Alice e che avrebbero fatto di tutto pur di intascarsi per primi due parole sulla persona del momento: Alice Fortini. Tutti lì pronti per lo scoop, per qualche dichiarazione shock di Alice Fortini, tutti ammassati davanti al portone di casa.
Inutile dire che non si sono scoraggiati. Notte e giorno erano e sono lì davanti ad aspettare qualche mossa sbagliata o qualche scatto rubato dalle finestre.
E se non vedevi nessuno in strada, beh loro erano nascosti nelle macchine parcheggiate, come mi aveva fatto notare la stessa Alice.
Per i primi due giorni neanche io e Marta siamo potute uscire da casa di Alice.
Alice che ormai era diventata quella di sempre. Una ragazza fredda e distaccata, circondata da quel muro che aveva ricostruito in un sola notte dopo averlo fatto crollare con tanta fatica. Probabilmente si era arresa, arresa al fatto che qualsiasi decisione lei prendesse non avrebbe avuto il riscontro che sperava e pensava. Era scoraggiata dagli eventi, scoraggiata perché aveva capito che loro avrebbero fatto di tutto per violare la sua sacrosanta vita privata. Inutile dire che aveva ragione. Eravamo circondate da squali pronti ad azzannarci e questo lei lo sapeva bene.
Ma se Alice da una parte si era arresa, io dall’altra no. Niente mi avrebbe messo al tappeto, non dopo tutta questa fatica. Non sarebbero stati un branco di giornalisti da quattro soldi a mettermi in difficoltà.
Ero riuscita a farmi breccia tra la diffidenza e le difficoltà di Alice, facendole fare ciò che era più giusto per la sua vita, quindi tutto questo non poteva semplicemente finire così.
Ovviamente in questo mio piano avevo trascinato con me anche Marta, perché era l’unica persona che mi poteva aiutare e che, a quanto pare, Alice aveva considerato affidabile tanto da registrare il video in sua presenza e con il suo aiuto.
Quindi c’era un unico modo per aiutare Alice a non ricadere nelle vecchie abitudini solitarie e silenziose: fare della sua casa il nostro quartier generale (non che per i primi due giorni avessimo avuto scelta).
Finalmente riuscimmo ad estrapolare un patto bello solido e promettente. Potevamo stare con lei, ma ad una sola condizione: i giornalisti non dovevano vederci. Beh, non era una clausola semplice a dire il vero, visto e considerato che la casa era circondata da giornalisti instancabili. Ma questo non ci fermò di certo: era l’unico patto che poteva uscire dalla bocca di Alice quindi dovevamo accettare.
Lo stesso giorno ci aggirammo silenziosamente per le scale alla ricerca di una qualche soluzione.
L’illuminazione ci venne dal portinaio: ci disse che c’era un entrata sotterranea e una dal retro per chi aveva i parcheggi nel cortile interno. Bingo! Era fatta. Avremmo parcheggiato la macchina dietro casa di Alice, proprio in un’altra via per non destare sospetti, saremmo venute a piedi nel cortile interno per poi entrare dal retro.
Sulla carta e in linea teorica era un piano perfetto.
In realtà?
Era stupendo e funzionava a meraviglia.
Così ogni giorno utilizzavamo questo passaggio segreto per arrivare a casa di Alice, che sembrava sorpresa dal nostro ingegno.
Avevamo addirittura fatto dei “turni” ad insaputa della Fortini. Quando Marta andava a lavorare io magicamente apparivo davanti alla porta di Alice e bussavo tre volte (successivamente aveva addirittura deciso di darci le chiavi di casa). Mi portavo da scrivere, preparavo gli incontri con Andrea, interventi o semplicemente leggevo. Quando ero io invece a dover andare ad interviste o incontri Marta teneva compagnia ad Alice.
Quello che non sappiamo e che non sapremo mai è se ad Alice effettivamente fa piacere la nostra presenza o se sta vivendo questo momento come se stesse scivolando su di sé, impotente di fermarlo e cambiando.
-Lo so che non ci hai obbligato a stare qua per tutto questo mese. Lo stiamo facendo per aiutarti, devi solo farti aiutare. Capito? Proprio come hai fatto un mese fa, fatti aiutare e andrà tutto bene-
-L’ultima volta che mi sono fatta aiutare sono finita con la casa circondata da giornalisti senza poter mettere un piede fuori casa per quattro settimane- dice spegnendo la televisione.
Ha ragione, ha tristemente ragione.
Avevo promesso che sarebbe andato tutto bene, che denunciare il tutto le avrebbe cambiato la vita in meglio. Ma solo lei aveva davvero pensato alle conseguenze vista la sua posizione nella società, io l’avevo solo vista come una donna usa semplice e qualunque donna, ma non lo è.
Mi sento di colpo impotente, di nuovo, per l’ennesima volta.
Sospiro sonoramente, penso mi abbi sentita forte e chiaro. I suoi occhi chiari mi seguono.
-Direi che è ora di aprire gli scuri, non puoi stare al buio per il resto della tua vita- dico dirigendomi verso le finestre.
-No Chiara, non aprire o ti vedranno- mi dice con tono preoccupato.
Bisogna fare qualcosa per farla muovere, per farla reagire.
Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa.
-Non interessa, sono stanca. Sono stanca almeno quanto te! Sono qua a casa tua per starti vicino, non devo nascondere niente perché non stiamo facendo nulla di sbagliato. Prima o poi si stancheranno di stare lì ad aspettare qualcosa che non avverrà mai- dico spuntando fuori tutti i miei pensieri.
-No Chiara, non si stancheranno mai, lo so. Lo so perché io sono come loro, io sarei lì sotto come loro… anzi avrei già trovato un modo per scassinare la serratura e prendere ciò che voglio per il mio articolo. Sono una giornalista, non mi stanco mai nell’aspettare quella che reputo la mia notizia. Loro sono come me, non se ne andranno fino a quando non avranno ciò che vogliono-  per la prima volta Alice fa un discorso più lungo di due parole.
Questo mi sconvolge quasi.
-Bene allora diamo loro ciò che vogliono-
Prendo il cappotto autunnale e lo indosso. Apro la porta e mi precipito per le scale.
Avranno ciò che vogliono, ci puoi giurare.
Arrivo dalla porta del palazzo, la apro e la luce del sole di colpo mi investe.
Nessuno stava prestando attenzione alla porta principale, forse si spettavano solo un altro condomine uscire.
Ma quando i primi si rendono conto che Chiara Cerati è uscita dalla porta del palazzo di Alice Fortini tutti mi corrono addosso con i microfoni in mano. Per fortuna il portinaio capisce in tempo cosa sta per accadere e li tiene abbastanza lontano da me.
Le telecamere mi fissano ed inquadrano, la gente spinge, mille domande mi arrivano al secondo.
Quando capiscono che non sono intenzionata a rispondere alle loro domande, ma sono io a voler parlare non fanno altro che stendere le braccia e avvicinare i microfoni a me.
-Sono qua solo per dirvi una cosa molto semplice e sincera: andatevene da qua. Dietro la porta di quell’appartamento che vi siete divertiti a bussare ad ogni ora del giorno e della notte, c’è un donna. Una normalissima donna che ha bisogno di due cose che le sono state negate per tanto tempo: rispetto e tranquillità. Se siete qua per darle nessuna di queste due cose, allora potete andarvene. Perché quella ragazza ha subito già troppo, nessuno di noi può immaginare o capire cosa ha dovuto sopportare e subire. Visto che siete anche suoi colleghi, vi chiedo solo di rispettarla e  di lasciarla in pace, di lasciarla finalmente tranquilla perché si merita, dopo questo lungo cammino che ha fatto, un po’ di pace. Se cercate risposte allora andate dall’onorevole, oppure aspettate la sentenza che ci sarà tra un mese, lì troverete tutto ciò che cercate. Se volete solo gossip, allora potete andare all’inferno- dico con una schiettezza mai vista.
Immediatamente mi arriva una domanda: -Cosa ci fa lei nell’appartamento della Fortini?-
-La mia amica ha bisogno di aiuto e io intendo darglielo. Se volete portarle rispetto allora dovreste andare via e aspettare pazientemente una sua dichiarazione, solo così potete aiutarla. Non facendo li sciacalli di fronte a casa sua-
Giro le spalle a tutti.
Ecco servito il piatto forte del giorno: vendetta. Gelata.

•••

-Bene direi che la questione l’abbiamo risolta- esordisce come se nulla fosse una volta chiusa la porta alle sue spalle.
Sembra uno di quei giudici che condanna un prigioniero. È così abituato a farlo da essere normalità ai suoi occhi. Dov’è finita la Chiara Cerati timida di fronte alle mie domande, timorosa nel far sapere i particolari della sua vita privata, quella che era sull’orlo delle lacrime perché si sentiva sola? Seppellita anche lei da quello che sta succedendo, da tutte queste sconvolgenti reazioni. Probabilmente ha dovuto accantonare il suo essere debole per me. Per fami forza, per aiutarmi. Ha dovuto mettere su una corazza e io non sarò mai in grado di ripagarla per quello che sta facendo.
L’unica cosa che automaticamente faccio ora è stringerla in un abbraccio sincero, un abbraccio che non davo da tanto e che ancora mi fa bruciare la pelle come ogni altro tipo di contatto.
Posso quasi sentirla sorridere dietro le mie spalle.
Mi stacco lentamente da lei e l’unico guardo che mi rivolge è uno felice.
-Quindi sei mia amica?- le chiedo solamente.
-Alice, sono stata tua amica dalla prima volta in cui stupidamente ho messo piede in questo appartamento-
-Lo ricordo- dico. -Se non fosse stato per quel stupido gesto di invadenza della mia privacy, non saremmo qua ora- ammetto finalmente sia a me stessa che a lei.
Ridacchia piano.
-Sei ritornata quella di sempre?- mi chiede e io la guardo interrogativa. -Perché l’Alice fredda e imbronciata non riesco a sopportarla- mi dice guardandomi negli occhi.
-Non credere che comunque la tua sia stata una mossa furba. Ora ci sei anche tu in mezzo a questa faccenda e- mi fermo accendendo la tv su un canale a caso -tutti parleranno anche di te, ovunque e chissà per quanto tempo- dico quasi con un senso di colpa.
-Non mi importa Alice, non ho detto niente di sbagliato. Sono stata solo schietta e decisa. È l’unico modo per domare voi giornalisti- dice quasi come battuta.
-Non sottovalutarli- dico seria.
-Tu invece li stai sopravvalutando e stai facendo esattamente il loro gioco. Ti vogliono indifesa e debole. Vogliono che tu sia stanca del loro assedio per farti parlare più in fretta-
Probabilmente ha ragione, io stessa aspetterei che la mia “vittima” non ne possa più e che, estenuata, mi racconti tutto.
-Non dare loro questa soddisfazione, Alice. Sei una ragazza furba, intelligente, sei ancora la giornalista più brava e giovane d’Italia. Loro non vedono l’ora di dimostrare il contrario- continua.
Annuisco decisa in risposta.
-Bene, allora se vogliono giocare… giochiamo- dico seria. Vado verso le finestre e le apro. -È ora di aprire questi scuri dopo giorni di luce a led. Mi dai una mano?-
Sorride fiera.
Si avvicina all’altra finestra e la apre, pronta ad aprire li scuri.
-Vai- dico solo.
Quasi simultaneamente apriamo tutte le finestre, l’aria fresca dell’autunno mi arriva diritta in faccia. Cerco di non prestare attenzione a tutti i giornalisti sotto di noi che sembravano intenti a caricare tutte le loro attrezzature nelle macchine. Non hanno subito notato che stiamo aprendo gli scuri e le finestre, che ci stiamo mostrando in un’azione quotidiana, perché quando impugnano la macchina fotografica forse è già troppo tardi.
Richiudo le finestre.
Se mi hanno fotografato, non importa. Se hanno catturato la mia faccia distrutta da notti insonne, non mi importa. Questa sono io, sono quello che ho vissuto e sto vivendo. Sono forte nonostante tutto.
Sono forte, grazie a qualcuno.
Poso i miei occhi sui suoi color dell’ambra, finalmente meno preoccupati e cupi.
-Questa è l’Alice che conosco-
Sorrido imbarazzata.
-Com’è che me ne vado via mezz’oretta e voi fate le paladine della giustizia asfaltando quei giornalisti?- dice Marta entrando in casa mia quasi correndo.
Una risata esce dalla mia bocca e anche da quella di Chiara. Forse era la prima volta in un mese di quasi convivenza, che si lasciava andare davanti a me con qualcosa di poco professionale e colloquiale. In fondo ero ancora tecnicamente il suo capo.
Ma ora, proprio non mi importa. Mi ha aiutato così tanto e così duramente che non devo e non posso riprenderla per una stupidaggine del genere.
Continuiamo a ridere per la sua entrata e per la sua frase.
-Ridete pure, ma anche io volevo il mio momento di gloria- dice incrociando le braccia in modo buffo.
-Puoi sempre entrare dall’entrata principale, così avrai il tuo momento di gloria-
Sbuffa. -Non sanno neanche chi io sia, Chiara è famosa, io no-
Chiara continua a ridere sotto i baffi.
-Ti metterò nei ringraziamenti della mia biografia, dai- le dico scherzosamente.
-Ma che le hai fatto mentre ero via?- chiede rivolgendosi a Chiara.
-Io? Niente! Tutta farina del suo sacco-
Ridiamo di nuovo tutte e tre.
Oggi deve essere un nuovo inizio, lo deve essere per forza.


Il giorno della sentenza era arrivato più veloce del previsto.
Dal giorno in cui finalmente avevo reagito erano cambiate tante cose.
Quel giorno, grazie a Chiara, era stato uno spartiacque. Non lo era stato il giorno in cui ho denunciato tutto, non lo era stato il giorno in cui ho detto tutti cosa stava accadendo, lo era stato proprio quando Chiara mi aveva dato l’esempio di cosa dovevo fare e di come dovevo comportarmi. Mi aveva fatto vedere che stare chiusa in casa non avrebbe aiutato, guardare serie tv inglesi neanche, l’unica cosa che mi avrebbe aiutato era io stessa. E così è stato.
Quella sera stessa avevo cominciato a ringraziare i miei fan, le persone che mi avevano dato supporto anche solo una semplice frase, insomma… tutti. Passai quasi tutta la sera su twitter a leggere e a rispondere a tutti i messaggi di supporto. Mentre rispondevo, notavo come tante donne e ragazze avevano subito violenze di ogni genere, da quella fisica a quella psicologica, stalking e ricatti.
In quel momento ho capito.
Ho capito che dovevo essere il modello per chi ha subito la mia stessa storia. Dovevo essere quella persona a cui guardare e dire: “Voglio essere così”. Immediatamente i miei pensieri andarono a Chiara, quella dolce e gentile ragazza che non conoscevo neanche così bene ma che stava dormendo accanto a me sul divano. Forse lei era stata il mio modello?
Il giorno seguente mi presentai al lavoro.
Senza commenti o nessun tipo di annunci mi infilai subito nel mio ufficio. Dietro di me, come al solito, Marta che mi aveva accompagnata da casa mia.
Sentivo gli occhi indiscreti della gente su di me. Percepivo anche la loro compassione. Chiusi le tende e iniziai a lavorare come avevo sempre fatto negli anni precedenti.
Nei giorni seguenti il mio ufficio si riempiva gradualmente di fiori dal profumo dolciastro. Tutti regali di colleghi, fan, lettori e donne qualsiasi perse in qualche parte d’Italia. Mi mostravano il loro affetto e io per gratitudine ogni sera li caricavo in macchina e li portavo a casa. Alcuni li davo a Marta e Chiara, da portare nelle loro case, altri li tenevo per me.
Il giorno in cui ne ricevetti di più fu quello seguente alla pubblicazione del mio editoriale sulla violenza. Avevo scritto queste poche colonne con tutto il mio cuore. Avevo scritto di quanto sia difficile e di quanto faccia male. Mi ero aperta ai lettori con un solo scopo: essere il modello da seguire, essere colei da cui prendere esempio.
Speravo di aver fatto la cosa giusta e forse i fiori che riempivano il mio ufficio erano una risposta affermativa.
Quel giorno decisi di scattare una foto al mio ufficio riempito da fiori bellissimi. Decisi di metterla ovunque, di nuovo. Se volevo essere un modello, dovevo anche espormi ed essere “socialmente attiva” - così l’aveva definito Marta.
@AliceFortini: Grazie per tutto l’affetto che mi regalate.
Con tanto di foto allegata.
Era la mossa giusta da fare.
Per tutto il mese successivo Chiara era rimasta con me e con lei anche Marta. Ora il clima era diverso, meno teso, l’aria era meno pesante e più rilassata. Probabilmente loro stesse si erano abituate a venire a casa mia, perché ormai era quasi un appuntamento quotidiano.
Ovviamente per me e Marta era tutto più semplice, lavorando insieme ci era automatico partire e tornare a casa mia. Ora che poi i giornalisti avevano abbandonato le loro postazioni era tutto più semplice.
Per Chiara invece la situazione era molto diversa. Dopo essersi esposta così tanto per me, anche per lei le conseguenze erano arrivate veloci come una lettera da Hogwarts. Anche casa sua era stata assediata per qualche giorno dai giornalisti, ma ben presto abbandonarono la causa. Perché? Perché Chiara Cerati non si nascondeva. Andava ad eventi, incontri, conferenze, quindi bastava andare ad una presentazione ed il gioco era fatto. I suoi incontri non erano frequentati solo più da fan, ma anche da giornalisti incalliti. Le uniche domande che le facevano erano su di me, sulla nostra amicizia, su come sto, su chi mi aiuta, se la mia famiglia sa qualcosa, se la mia famiglia esiste. Inutile dire che Chiara era allo stremo delle forze e della sopportazione.
Ma all’ultimo incontro che fece, circa due settimane fa, diede spettacolo. Si era talmente arrabbiata con chi faceva domande non pertinenti al suo lavoro e al suo libro, che li ha di nuovo cacciati a calci in culo con le parole.
Da quel giorno di sono calmati.
Anche lei era diventata un punto di rifermento per tante persone che la ringraziavano per il suo aiuto e per la sua tenacia nei miei confronti.
Io cercavo di ringraziarla ogni giorno per quello che stava facendo, ma mi sembrava sempre troppo poco.
Così l’unica cosa che mi rimaneva era offrirle un posto sicuro e accogliente dove rifugiarsi quando non ne poteva più. Quel posto poteva essere solo casa mia, dove loro mi hanno accudito e rinforzato e dove ora potevo tenere d’occhio Chiara.
La sentenza era andata in mio favore, sebbene nessuna teste avesse assistito alle vere e proprie violenze, c’erano abbastanza prove per dire che era stato lui e che doveva pagare per questo. Probabilmente le prove schiaccianti furono le testimonianze di Marta e Chiara. La prima diceva di aver dovuto cambiare la serratura del mio appartamento sotto mia nervosa e impaurita richiesta, la seconda diceva di aver visto lividi e segni dei maltrattamenti. Io dall’altra parte ho fatto il possibile per spiegare ogni dettaglio doloroso di quello che è avvenuto. Forse è stata la parte più devastante di tutto il processo. Lui che mi guadava con i suoi occhi carichi d’odio, di sete di vendetta, io che cercavo di non lasciarmi andare, di essere forte. Non mi poteva più fare male. Non poteva più.
Tornate a casa, spossate dalla lunga giornata che abbiamo sopportato, ci accasciamo sul divano.
Tutte e tre sospiriamo quasi in coro.
Prendo il telefono.
            @AliceFortini: oggi c’è stata un piccola vittoria per tutte quelle donne che non l’hanno avuta. Grazie di cuore per la vicinanza.

-Vedo che hai imparato ad essere social- mi dice Marta scherzando.
-Scusate devo rispondere a mia madre, oppure si preoccupa come al solito- dice Chiara.
Annuiamo gentilmente.
Da quello che avevamo capito, non appena la mamma di Chiara aveva visto la faccia di sua figlia su ogni telegiornale e sito, era andata in panico. Chiamava sua figlia praticamente ogni giorno chiedendo come stesse andando e se ci fossero novità. Diciamo era preoccupata per la figlia e di come stesse gestendo i giornalisti e la “fama”. Ma mai si era presentata a casa sua o qua per vedere se fosse, effettivamente, tutto a posto. Probabilmente si fidava.
-La mia pausa è finita, dice Marta. Il direttore mi vuole al lavoro oggi pomeriggio- dice quasi sbuffando.
-Salutamelo- dico scherzando.
-Con molto piacere- dice alzando gli occhi al cielo.
Saluta con un cenno Chiara, che si trova nella cucina a parlare al telefono.
Mentre aspetto che Chiara finisca le sue faccende famigliari accendo la tv.
Ripensandoci Netflix può darci il giusto riposo. Netflix and chill, no? Così decido di accenderlo e di aspettare.
Involontariamente sento quasi tutta la conversazione di Chiara.
-Mamma non mi interessa-
-Ti ho detto che non mi interessa quello che pensa-
-Non importa, sto solo aiutando un’amica-
-Sì mamma, te lo giuro!-
Non devo origliare, non è da me farlo.
Non voglio essere maleducata, però non voglio neanche che Chiara abbia problemi con la sua famiglia per essersi esposta ai media per difendermi. Non vorrei creare subbuglio nella sua vita più di quanto non ne abbia già fatto.
Sospiro.
Sono un costante problema per le persona che mi stanno accanto. Anche ora, che tutto dovrebbe andare a meraviglia, sono comunque il problema della situazione.
La mia vita era un casino al principio, e non vedo perché questa condizione dovrebbe migliorare nel tempo. Anzi, sembra peggiorare.
-Scusa, rompe le palle come al solito- dice sedendosi di nuovo sul divano che ormai trova familiare. -È solo preoccupata, cerca di capirla-
Annuisce solamente. -Hai optato per Netflix vedo?-
-Mi voglio rilassare un po’. Mi fai compagnia?- chiedo.
-Volentieri- mi risponde con un sorriso.
 
•••

Avevamo optato per “Little miss Sunshine”.
Però ero solo più io a guardarlo ora. Alice si è addormentata solo una ventina di minuti dopo l’inizio. Non voglio svegliarla, perché merita un po’ di riposo anche lei. Ma non voglio neanche vedere il film senza di lei.
Decido comunque di far andare avanti il film, ma non ci presto attenzione. Allungo una mano e afferro il telefono. Giro sui vari social network e rispondo a qualche fan come al solito.
Dopo la mia “asfaltata” ai giornalisti  di un mese fa, la mia popolarità era aumentata in modo esponenziale. Mi fa piacere ovviamente, anche se avrei preferito accadesse per un altro motivo.
Di colpo sento un peso sulla mia spalla. Mi giro lentamente e vedo solo una massa di capelli castani appoggiati su di me.
Sorrido.
Probabilmente non è in una delle posizioni più comode per lei.
Cerco di spostarla lentamente, facendo attenzione a non svegliarla. Quando la sposto, capisco che l’unica posizione possibilmente comoda è appoggiarle la testa sulle mie gambe. Prendo un cuscino e lo faccio.
Ritorno al mio solito cazzeggio, intanto scambio qualche messaggio con Andrea che finalmente aveva capito chi fosse l’amica in pericolo che dovevo aiutare. In questi mesi mi aveva aiutato a tenermi calma. Tra i miei impegni e Alice, la situazione non era semplice. Era un via vai e un correre continuo da una parte all’altra della città. Ma per fortuna Andrea mi aiutava, mi dava qualche passaggio, mi portava il pranzo quando ero troppo presa dal ricordarmi che le persone normali alle 13 mangiano e via dicendo. Insomma, era stato una vera e propria benedizione.
Il film è ormai ai titoli di coda quando Alice ritorna tra noi: -Cavolo scusami, mi sono addormentata- esordisce stropicciandosi gli occhi.
-Ehy, non ti preoccupare. Ne avevi bisogno- le rispondo gentile.
-Ho preso la parte del chill troppo letteralmente- dice alzandosi.
Non ho minimamente idea di cosa stia parlando. La guardo stranita.
-Cavolo non ci credo, ho pure invaso il tuo spazio personale! Sono un disastro-
Rido di gusto.
-In realtà ti ho messo io così- ammetto. -Eri malamente appoggiata sulla mia spalla, ho pensato che così saresti stata più comoda-
Vedo del rossore comparire sulle sue guance.
-Scusa lo stesso per essermi addormentata- dice in modo sincero.
Sorrido in risposta.
-Stavo pensando…- esordisce di nuovo.
-Alice Fortini pensa mentre dorme?- dico dispettosa.
-Io penso sempre- mi risponde ironica. -Stavo pensando che voglio ringraziarti-
-E per cosa, scusa?-
-Per cosa? La lista sarebbe infinita, Chiara- mi risponde. -C’è un ristorante brasiliano a mezz’ora di macchina da qua. Se hai voglia di sopportare la mia musica in macchina ti ci posso portare-
-Mi stai invitando a cena, Fortini?-
-Sì, sto invitando Chiara Cerati a cena- mi dice seria.


Ed eccomi di nuovo davanti al mio armadio a cercare dei vestiti appropriati per Alice Fortini. Era successo all’inizio di tutto e sta succedendo di nuovo oggi. Oggi in cui la sua vita deve essere cambiata e deve iniziare in un modo positivo e nuovo.
La sto maledicendo internamente.
Mi ero fatta convincere dopo aver sentito “all you can eat di sola carne”, lì mi ero persa e avevo accettato immediatamente. Forse avevo seguito troppo il mio stomaco e meno la mia testa, ma ormai il danno era fatto.
In più non mi dispiace continuare a passare del tempo con Alice, sebbene il peggio sia ormai passato. Trovo giusto continuare la nostra amicizia, anche se d’ora in poi il legame che ci unirà sarà il sentimento in sé e non l’aiuto che voglio darle. Quindi tutto sommato la combo carne + Alice mi va bene.
Il problema stava solo nei miei vestiti.
Alice è sempre impeccabile, anche nelle situazioni più casual e tranquille. Persino in casa, con la sola tuta addosso, sapeva essere sempre perfetta. È questo che mi mette un po’ d’ansia: il suo essere sempre perfetta e posata per ogni situazione al confronto con i miei pantaloni e magliette.
Sospiro.
Non importa, infondo è solo una semplice cena.
Mi infilo i miei pantaloni blu, quelli che considero “eleganti”, mi abbottono la mia camicia grigia e mi sistemo un po’ i capelli.
“Sto partendo da casa, tieniti pronta”, mi scrive.
Prendo borsa, chiavi e mi catapulto fuori da casa.
Riconosco la bellissima macchina di Alice parcheggiata davanti a casa mia.
-Spero di non averti fatto aspettare- dico salendo.
-No, tranquilla. Sono appena arrivata, siamo state coordinate-
Ringrazio tutti i santi per questo.
-Sei pronta? Andiamo?-
Annuisco felice.
-Puoi scegliere la musica- dice dopo un po’.
-No, sono curiosa di sentire cosa ascolti tu di solito-  rispondo.
-Io amo la musica rock inglese, sai tipo i Muse, i Pink Floyd, Alt-J, Arctic Monkeys…-
-Approvo. Anche a me piacciono!- dico alzando il volume.
Ascoltiamo la musica in silenzio per il resto del viaggio. La vedo tamburellare a tempo le dita sul volante.
Finalmente è tutto calmo e tranquillo. Questa sembra di nuovo una vita normale.
In men che non si dica siamo già arrivate. -È questo il posto- mi dice mentre parcheggia e spegne la macchina.
-Sembra carino- dico sincera.
-Lo è! Ma soprattutto è pieno di carne-
Una volta entrate, ci fanno accomodare. Il posto non è troppo affollato, ma per essere durante la settimana è decisamente pieno, soprattutto visto che si trova in un paesino fuori dalla grande città.
Ordiniamo il famoso menù all you can eat e, tra una parola e l’altra, arriviamo a quel punto in cui tutte e due ci accasciamo sulla sedia dicendo “Sono pienissima”.
-Pensi che ci sia ancora un po’ di spazio per un drink, lì dentro?- indicando la mia pancia.
-Ma se devi guidare!- rispondo svelta.
-Ma tu no! Poi una birra dopo un pasto non ha mai ucciso nessuno- dice.
-Va bene, ma prenderò solo una coca-cola-
Sbuffa.
Andiamo alla cassa a pagare: ovviamente ha voluto offrire lei a tutti i costi.
Che testarda!
Una volta uscite la brezza fresca dell’autunno mi colpisce facendomi venire qualche brivido.
-Conosco un bel pub, qua vicino-
Una volta entrate ci ritroviamo nel classico ambiente da pub. Arredamenti e bancone in legno scuri, spillatori per la birra ovunque e una musica rock di sottofondo.
Prima di sederci ci avviciniamo al bancone per ordinare.
Alice mi anticipa e dice: -Due leffe bionde, grazie-
Le prende e ci avviamo al tavolo.
La guardo di storto.
-Non muori per una birra, Chiara!-
-Ma io non la volevo- rispondo.
-Dai, so che in realtà la vuoi-
-La birra mi fa uno strano effetto- ammetto.
-Ovvero?-
-Mi stende subito- dico imbarazzata.
Ride sonoramente.
-Beh hai tempo per dormire in macchina e stanotte- mi risponde prontamente. -Allora, tua mamma è ancora preoccupata per te?- mi chiede buttando già un sorso di birra.
Faccio lo stesso. Ammetto che sia buona e che non ne bevevo una da molto tempo.
-Ma è sempre preoccupata, è normalità- dico semplicemente.
-È una cosa bella- dice solamente.
Annuisco. -I tuoi non si sono fatti sentire dopo tutto questo subbuglio?- non so se sia la domanda migliore da farle.
Ride amaramente. -Figurati! Io non sono neanche più la loro figlia-
Le sue parole sono quasi dette con disprezzo.
-Mi dispiace Alice, io non volevo parlare di questo argomento. Era per fare pura conversazione-
-La conversazione non può essere solo su argomenti felici. Credo che io e te siamo l’esempio vivente di questa frase- dice seria alludendo a tutti i discorsi che abbiamo affrontato da quando ci conosciamo.
-Non vedo mia madre da quando ho undici anni- riprende. -Non si è fatta viva nei momenti migliori della mia vita, non vedo perché dovrebbe farlo ora che la situazione è difficile e delicata. Mio padre dall’altra parte, se non è già morto di overdose è un miracolo. Quindi probabilmente ora è ancora fatto di qualsiasi cosa esista al mondo- dice fissando il bicchiere riempito a metà dalla birra.
-Però ce l’hai fatta lo stesso anche senza di loro- dico cercando di trovare il lato positivo di tutto questo.
Annuisce convinta. Bevo un sorso.
-Quindi non ti lamentare per tua mamma, ti vuole solo bene- dice.
Alice ha ragione, mia mamma è solo preoccupata perché ci tiene alla mia sicurezza e al mio benessere. Se non mi volesse bene non mi telefonerebbe con costanza per assicurarsi che tutto vada per il meglio.
-Hai ragione, infatti ne sono felice anche se a volte faccio trasparire il contrario-
Mi sorride felice.
-Lo sai che abbiamo un patto, vero?- chiede dal nulla. -Io ti dovevo dire cosa succedeva nella mia vita, ma tu dovevi dirmi cos’è successo quel giorno in cui hai deciso di cancellare i tuoi impegni per il mese successivo, lo stesso in cui piangevi senza sosta- dice riportando la mia mente a quei giorni tristi.
Annuisco, so di cosa sta parlando. Lo ricordo bene.
-Solo che dopo aver sganciato la bomba ci siamo concentrate solo su di me fino ad oggi… quindi adesso che tutto sembra essersi risolto è ora di adempiere alla tua parte del patto- aggiunge seria.
-Cosa vuoi sapere?- chiedo quasi impaurita.
-Chi ti ha ridotto in quel modo?- chiede diretta.
-Una persona a me cara-
Mi guarda di storto, come se stesse dicendo: “Vuoi spiegare meglio o devo farti mille domande?”.
-Okay, okay. Lei era la persona più importante della mia vita, sai? Hai presente quando tutto incomincia a girare intorno a quella persona, quando senti solo lei, quando vedi solo lei, quando paragoni gli altri solo a lei? Lei è il tuo solo metro di misura, il tuo solo hobby, la tua sola persona compatibile. Ecco, la situazione era questa, ma anche più complicata perché abitavamo in due città diverse. Eppure per quattro anni non ci siamo scoraggiate e per quattro anni lei ricambiava tutto questo, ma quando ho deciso di aprirmi a lei ho scoperto che lo ricambiava ma solo di un gradino dietro al mio. Il mio era praticamente amore, ma per lei ero solo l’amica più importante della sua vita- bevo un sorso. -Abbiamo chiuso la faccenda talmente male che ho finito per odiarla, anzi penso di odiarla ancora adesso. Probabilmente il mio sentimento si era già rovinato da tempo, ma ero comunque ancora offuscata dalla speranza che potesse ricambiare e migliorare il tutto… mi sono illusa e ne ho pagato le conseguenze-
Mi guarda seria.
-Mi spiace molto Chiara. Non ti vedo come la persona che possa odiare qualcun altro, quindi se la odi è perché ti ha fatto molto male. Per questo motivo non ti merita, se c’è una cosa che ho capito è che chi ti tratta male non ti ama, chi ti abbandona non ti ama. Quindi non meritava la nobiltà del tuo sentimento- mi dice.
-Hai ragione, ma l’ho capito troppo tardi- dico finendo la birra.
-Hai molto tempo per rimediare, non ti affliggere-
Dopo aver parlato ancora un po’ di lavoro e musica, usciamo dal pub e torniamo a casa in macchina. Una volta parcheggiata la macchina davanti a casa mia, scende con me e mi accompagna davanti al portone.
-Vuoi salire? Potremmo finire il film che abbiamo cominciato oggi- le chiedo gentilmente.
-Ma è mezzanotte e mezza Chiara!- mi risponde guardando l’orologio al suo polso.
-Eh bhe? Siamo giovani! Non ho sonno e in più mi sono abituata alla tua presenza, non so se riesco a starne senza-
Ecco la birra che parla! Porca birra!
Mi guarda stupita dalla tue parole.
-Ho capito cosa intendi con “stende”- ride. -Va bene, ma appena finisce il film vado via alla velocità della luce-
Una volta entrate a casa ci mettiamo subito sul divano, accendiamo la tv e facciamo partire il film.
L’unica luce che arriva è quella del televisore, che illumina il viso concentrato di Alice. Mi perdo in lei e la scruto, occhi chiari, linea della mascella di una perfezione assurda, le cavicole fanno capolino dal suo maglione dandomi quella voglia di passarci il dito sopra e seguirne il profilo.
-Cosa c’è?- mi chiede beccandomi in pieno.
-Niente, le tue clavicole sono scoperte- mi lascio scappare questo piccolo particolare.
-Lo so, il maglione ha il collo largo. È fatto così- dice ridacchiando un po’.
Mi rannicchio sotto la coperta.
-Cos’è tutta sta timidezza? Credevo che la birra ti facesse l’effetto contrario- dice ridendo ancora.
-Ohh, zitta e guarda il film- le rispondo ironicamente.
Invece mi continua a fissare. Mi rimetto di nuovo seduta. Cos’è questa una sfida? Mi metto a fissarla anche io.
La luce che cambia colore e forma, fa diventare il suo viso quasi come un quadro interattivo. I suoi occhi sono puntati sui miei, i miei al contrario scorrono su tutto il suo viso.
Timidamente appoggio le dita sulle sue clavicole sporgenti. Ne seguo il profilo. Lei quasi trasalisce al contatto.
-No Chiara…- dice con un filo di voce.
No? No alla mia mano sulla sua pelle?
Mi rendo conto del confine che ho superato e subito mi faccio indietro.
Faccio per ritornare al film quando una mano calda sia appoggia sulla mia guancia, facendomi ritornare nella posizione di prima. Neanche il tempo di capire cosa sta succedendo che due labbra calde si appoggiano sulle mie, una mano si appoggia tra i miei capelli. È un bacio sensibile, dolce e quasi timido che stavo cercando di ricambiare come (non) sapevo. Possono essere passati secondi o minuti ma comunque ci stacchiamo. Mi guarda negli occhi e mi sorride dolce per poi avvicinarsi di nuovo a me per baciarmi di nuovo. Questa volta con meno timidezza, con le labbra che si incastrano perfettamente tra loro. Prende il mio labbro superiore tra le sue labbra, lo cura con delicatezza facendomi aprire la bocca ulteriormente. Le nostre lingue incominciano a cercarsi e rincorrersi, intanto il mio cuore batte a mille.
Ci stacchiamo nuovamente e io cerco di dire quello che mi preme: -Scusa, io non ho-
-Shh- mi dice prendendomi tra le sue braccia e trascinandomi vicino a se.
Ci ritroviamo coricate sul divano. Nessuna guarda l’altra, tutte e due riprendiamo la visione del film.
Sento il suo calore dietro di me, sento il suo respiro tra i miei capelli, poi cinge un braccio attorno a me.
-Chiara, sai di felicità-
 

Signori e signore (okay secondo me siete tutte ragazze, ma non vorrei fare discriminazioni involontarie)… finalmente è arrivato il fatidico bacio! È stata una slow-burn davvero lunga, lo ammetto. Però dai io amo le cose lente, costruite, quindi non me ne volete.
Spero che comunque questo capitolo vi piaccia, ho notato che l’altro ha ricevuto poche recensioni. C’era qualcosa che non vi ha convinto? Perché potete benissimo parlarmene.
Se c’è qualche errore segnalatemelo perché è mezzanotte ed un quarto, e ho subito giorni interi di studio reclusa in casa quindi non posseggo più molta sanità mentale.
Tra l’altro come ha anticipato la carissima 5AM_ abbiamo deciso dopo lunghe chiacchierate su tumblr di fare un crossover tra le nostre due storie quando le coppie saranno ben salde. La sua storia è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3478261&i=1 e a me piace molto. I suoi personaggi sono belli e soprattutto sarebbe bello farle incontrare per qualche capitolo. Quindi vi coniglio di leggerla per avere un’idea dei personaggi.
Spero di ricevere pareri da voi lettori.
Un abbraccio dalla mia cameretta piena di libri, nella fredda Dublino.

p.s. Lettrice con la passione per The 100, ti ho vista, ho visto le storie sulla serie che segui e grazie di cuore per avermi rimesso voglia di The 100 e per avermi ricordato della bellezza clexa. (questa parte sa un po’ di stalking)



 

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Capitolo 11
*** Una luce che non voglio spegnere ***


-Che ore sono?- chiedo mugugnando. Tento di aprire gli occhi ma non ci riesco.
-Shhh, dormi, sono solo le 4- risponde lei.
Sento un braccio che si allunga, il brusio in sottofondo cessa di colpo. Qualcosa di leggero e caldo si appoggia a me e mi copre.
Cerco di usare tutte le forze che ho in corpo per aprire gli occhi ma non ci riesco.
Dopo pochi minuti sono di nuovo tra le braccia di Morfeo.

Quando mi sveglio non trovo più, dietro di me, il calore che avevo lasciato quando ho chiuso gli occhi accidentalmente la sera prima.
Tengo ancora gli occhi chiusi.
Se fosse un sogno? Se mi fossi immaginata ogni cosa?
In tal caso sarebbe opportuno continuare a vivere il sogno e tenere gli occhi chiusi. Non affrontare la realtà che mi aspetta.
Tenendo ancora gli occhi chiusi ripenso a tutto ciò che è successo: è tutto vero. Anzi… verissimo. Il bacio, un bacio dato di colpo, con timidezza e imbarazzo, i teneri gesti che l’hanno seguito. Tutto vero.
Però la mancanza del corpo di Alice dietro di me non mi dà la sicurezza che vorrei ora. Sicurezza che tutto sia accaduto e che stia ancora accadendo.
Di colpo un rumore di pentole mi risveglia dal flusso di pensieri.
Okay, o Alice è ancora dentro le mura di casa mia, oppure i ladri si vogliono fare una carbonara.
La seconda opzione mi sembra un po’ da film fantozziano, quindi Alice è ancora qua.
Bene.
Apro gli occhi lentamente.
Mi ritrovo nello stesso identico posto di ieri sera, sotto una coperta calda.
Prendo un lungo respiro.
Qualsiasi cosa succeda adesso, non posso far altro che affrontarla.
Ormai ci sono dentro fino al collo, non posso tornare indietro e neanche vorrei sinceramente.
Mi alzo dal divano.
Addosso ho gli stessi vestiti di ieri sera e, appena mi alzo, mi rendo conto che dormire in jeans non è stata un’idea meravigliosa. Neanche dormire su un divano in due è la miglior idea del mondo.
Subito una voce dalla cucina mi raggiunge: -Buongiorno!-
Mi avvicino velocemente alla cucina.
-Ehi, ciao- le dico imbarazzata entrando in cucina.
-Ho pensato che avessi fame una volta svegliata- mi dice indicando la tavola imbandita di biscotti, marmellate e altre delizie.
-Ci hai visto giusto, sto morendo di fame- dico sedendomi. Mi verso del tè bollente nella mia tazza e poi nella sua.
Iniziamo a mangiare velocemente. La luce pallida e fioca, tipica dei mattini d’autunno, ci illumina.
Il silenzio la fa da padrone.
Forse Alice vuole dimenticare ciò che è successo ieri sera? Magari sta facendo l’indifferente per quel motivo. Può essere che lei voglia, ma io di certo no. Non voglio dimenticare e lasciare in un angolo buio il bacio che ci siamo scambiate.
-Abbiamo dormito vestite- le dico spezzando il silenzio, forse non con la miglior frase che potessi scegliere.
Sorride. -Ti sei addormentata e non volevo svegliarti. Dopo pochi minuti anche io mi sono addormentata. È stata una giornata stancante, siamo scusate-
-Potevamo almeno fare lo sforzo di andare a letto, la mia schiena ne sta risentendo-
-Impossibile, io ero comodissima- mi dice sorseggiando il suo tè.
-Aspetta qualche ora e anche la tua schiena chiederà pietà- le rispondo pronta.
Lei ricambia ridendo di gusto.
-Oggi hai da fare?- mi chiede con un goccio di timidezza che traspare dalle sue guance rosate.
-In realtà devo portare delle bozze all’editore-
Annuisce seria. -Capito. Quando tornerai a casa?-
-Penso dopo pranzo- le rispondo.
Si gratta la testa come se stesse pensando a qualcosa, escogitando un piano diabolico. -Cosa avevi in mente?- continuo.
-Uhm, ti va di andare in un posto?-
-Un posto?- la guardo stranita. Essere più precise no, eh?
-Sì un posto. Ad un'ora e un quarto da qua-
La guardo ancora curiosa.
-Credimi è bello. Vale la pena sopportare la mia musica durante il tragitto- dice cercandomi di convincere.
-Okay ma solo se scelgo io la musica-
Annuisce sbuffando.
Ho vinto io direi.
-Okay allora passo a prenderti dopo pranzo, tu mandami un messaggio quando sei a casa- mi dice alzandosi e raccogliendo la sua roba sparsa nell’appartamento.
Annuisco sentendo quell’ordine. -Tu dove vai?- le chiedo cercando di sentirmi parte della sua vita.
-In ufficio, il mio capo mi vuole parlare- mi dice seria vestendosi con la sua giacca.
-Spero niente di grave- le dico preoccupata.
-No, figurati sarà su qualcosa che devo scrivere- dice approcciandosi alla porta. -Allora ci vediamo dopo?- mi dice. Mi avvicino a lei e le apro la porta.
-Certo, a dopo-
Che cosa dovrei fare ora? Che azione si suppone io debba fare? Soprattutto, devo farlo io o deve farlo lei? Un bacio sulla guancia o no? Ma d’altronde noi cosa siamo? Non ci frequentiamo, non usciamo insieme, non siamo… niente.
Improvvisamente un abbraccio mi scalda il corpo e prima che possa reagire è già finito. Okay, forse siamo due persone che si scambiano abbracci.
In ogni caso c’è un’unica certezza: Alice Fortini ha prontamente evitato l’argomento più delicato, ovvero il bacio.

•••
 
-Fortini, prego siediti-
Faccio come mi dice. I suoi cambi di umore sono ormai un’abitudine. Un giorno è una iena con me e l’altro è un uomo gentile e delicato. Quale dei due sia il vero direttore? Mai capito. Forse è meglio così. Se lui non fosse così freddo e rigido non sarebbe temuto. E se non sei temuto sappiamo tutti come finisce: ti superano e ti scavalcano.
Quindi il direttore è così: imprevedibile. Nello stesso modo è imprevedibile il motivo per cui mi ha chiamata d’urgenza nel suo ufficio.
-Come stai?- mi chiede.
Mi scappa una risata sonora e amara. Ora tutti mi chiedono come sto, che ironica la situazione.
-Vedo che niente ti cambia- dice toccando il suo pizzetto bianco. Si appoggia meglio alla sua comoda sedia da ufficio in pelle e si mette a guardare fuori dalla finestra.
-Come mai mi hai chiamato così di corsa?- chiedo senza troppi giri di parole.
-Ho una proposta- gira la sedia e il suo sguardo ritorna su di me. -So che la televisione pubblica ti tiene molto impegnata, trovare gli ospiti, gestirli, dire ai tuoi giornalisti di fare determinati servizi per quella sera, non è semplice. È un impegno notevole che sai portare avanti benissimo. Soprattutto ora… che tutti guarderanno la tua trasmissione appena ritornerai in onda. Per questo voglio darti un nuovo compito nel giornale-
Sono forse finita in un universo parallelo? Il capo che mi dà una promozione di sua spontanea volontà correlata da complimenti. Sono davvero stupita.
-Cavolo, domani arriverà una tempesta mai vista prima- dico sedendomi più comodamente sulla sedia.
Ridacchia sotto i suoi baffi bianchi.
-Voglio che tu abbia posto in prima pagina, magari un rettangolo tutto tuo verso il basso. Il tuo editoriale. Puoi parlare di ciò che vuoi. Lo scandalo di Panama? Puoi. La nuova riforma della giustizia? Vai. Gli oscar o il premier a torso nudo sullo yatch? Quello che vuoi. Basta che tu sia tu: tagliente, forte, libera, invincibile perché hai sconfitto il tuo aguzzino-
Mi acciglio.
-Sconfitto il mio aguzzino?-
-Sì sai, tutta quella storiella che hai raccontato. Tu ne sei uscita vincitrice, lo hai sconfitto-
Sorride di sbieco, quasi malignamente. Lo scruto nei suoi movimenti. Le sue parole non smettono di risuonarmi in testa già dal momento in cui chiude la bocca. Storiella, la mia è una storiella. Ho vinto, ho vinto un premio in una storiella da quattro soldi. Sento il sangue ribollirmi nelle vene, il cuore pulsare arrabbiato in gola, il respiro farsi corto.
-Non era uno scontro, non era una gara, io non ho battuto nessuno. Io sono la vittima, sono chi ha perso in questa “storiella” come la chiami tu. Sono invincibile perché ho vinto il primo grado di una causa? Sono invincibile perché ho dichiarato le violenze? Non sono invincibile per questo. Sono invincibile perché ancora ho una dignità e non accetterò quello che stai dicendo. Mi dai carta bianca perché sai che tutti leggerebbero un articolo di Alice Fortini. Lo leggerebbero ancora di più se potesse parlare di cosa vuole, vero? Hai ragione, non ti do torto. Ma non leggeranno un articolo del genere sul tuo giornale. Perché me ne vado. Mi licenzio dal giornale che leggevo a 10 anni con mia nonna, dal giornale per cui stravedevo, dal giornale per cui ho lavorato ogni secondo della mia vita. Mi licenzio perché non voglio una promozione per essere la donna del momento, per essere una mossa di marketing. Lo ero anche prima, ma tu sei troppo all’antica per lasciare spazio agli altri. Io non sono invincibile. Io non ho vinto nulla, mi sono solo ripresa la mia vita. La stessa vita che qualcuno mi aveva rubato. Non ho vinto nessun premio e mi viene ribrezzo pensare che una persona intelligente come te, possa anche solo pensare quello che ha detto- mi alzo dalla sedia. Mi metto a girovagare per l’ufficio. Sta davvero accadendo tutto ciò?
Mi metto una mano tra i capelli, sbuffo.
-Dio santo… ma ti rendi conto di quanto è superficiale e maschilista il tuo pensiero? Di quanto tu faccia schifo? Mi vuoi usare. Mi potresti dire che sono abituata a farmi usare, ti darei ragione. Ma farmi usare senza che tu capisca cosa voglia dire per una donna uscire da un circolo fatto di paura, violenza, terrore… no non lo accetto. Trova qualcun altro che stia al tuo gioco, trova qualcun altro disposto a passare le notti qua dentro, trova qualcun altro che faccia splendere questo posto come lo facevo io- mi avvicino alla porta.
Lui si alza dalla sua sedia.
-Alice, mi sono espresso male! Tu sei una grande donna, per questo ti promuovo. Non volevo sminuire quello che ti è successo-
-Dovevi dire “grande giornalista donna”, se proprio volevi convincermi a restare-
Esco dall’ufficio. Il sangue mi ribolle nelle vene furioso.
-Ma cosa pensi Fortini? Che altri giornali ti prenderanno per dei motivi diversi dai miei? Tutti ti vogliono per questo motivo!- urla il direttore in mezzo al corridoio.
Gli altri giornalisti si girano simultaneamente verso di lui. Dai loro piccoli cubicoli cercando di inquadrare la situazione.
Rido forte in modo che tutti e, soprattutto lui, senta chiaramente una sola cosa: Alice Fortini non ha bisogno di lui.
Entro nel mio ufficio.
Anzi forse dovrei chiamarlo ex-ufficio.
-Che cosa è successo là dentro?- mi chiede Marta con gli occhi sgranati.
-Me ne vado-
-In che senso? Te ne vai dalla redazione? Per sempre? O ti prendi un giorno libero?- dice spaventata e preoccupata, senza quasi prendere fiato.
-Per sempre- dico prendendo giusto le cose più importanti e mettendole in una scatola.
-Cosa? Ma sei matta?- mi chiede disperata.
-Tranquilla se vuoi puoi venire con me, ovunque io vada. Se non mi vuoi seguire, posso capirlo. Qua hai un posto sicuro e io non so ancora dove andrò. In tal caso, il tuo ultimo compito è di far imballare da qualcuno la mia roba tra queste quattro mura e farmela portare a casa quanto prima-
Annuisce silenziosa.
Prendo la mia scatola con dentro il mio computer, piccoli ricordi, qualche foto, qualche articolo a cui sono affezionata e il mio portamatite. Il resto può aspettare.
Percorro il lungo e grande corridoio gremito di segretarie e giornalisti che impietriti guardano la scena. Alice Fortini se ne sta veramente andando dal suo amato giornale. Dal posto di lavoro che sognava da sempre, dal posto che l’ha vista crescere e maturare.
I loro guardi mi penetrano la pelle. Posso sentire le loro domande: “chissà cos’è successo?”, “avrà fatto arrabbiare il capo come al solito”, “il capo l’ha mandata via?”, “no, ho sentito che si è licenziata”, “una delle sue solite scenate da megalomane, tranquilli”.
Appena si aprono le porte dell’ascensore una voce da dietro mi blocca.
-Alice, qua da sola non ci resto neanche morta!- dice Marta infilandosi nell’ascensore con me.
Rido non appena si chiudono le porte.
Lei si unisce alla mia risata genuina.
-I traslocatori ti portano la roba domani mattina a casa tua-
-Non ce la farei senza di te-
Ora si ricomincia da zero.
Di nuovo da zero, ma con un altro spirito.
Marta ride compiaciuta.


Scrivo velocemente sul mio telefono.
@AliceFortini: “Non faccio più parte del mio fedele giornale. I miei articoli non li troverete più lì e non so ancora dove andrò a scrivere. Spero mi seguiate comunque.”
E subito dopo continuo.
@AliceFortini: “Intanto la mia trasmissione ritorna in onda. Vi aspetto giovedì alle 21, solito canale. #nuoviinizi”
La porta della mia macchina di colpo si apre.
Un odore famigliare mi avvolge come una coperta calda in un giorno di pioggia.
Vaniglia.
Respiro forte per assaporarla.
-Ciao- mi dice non appena entra. Aspetta che mi giri verso di lei. Una giacca di pelle grigia e stretta la protegge dal freddo autunnale, dei pantaloni neri le fasciano le gambe in modo delicato. I suoi capelli mossi e scuri le ricadono dolci sulle sue spalle. Vorrei poter inseguire il percorso di quelle onde delicate con le mie dita.
I suoi occhi color ambra mi risvegliano da quel viaggio mentale, che forse supera un po’ i limiti.
-Ciao- dico mettendo in moto.
Mi avvio lungo l’autostrada silenziosamente.
-Mi sono licenziata- dico dal nulla rompendo la canzone che Chiara ha messo.
-Che cosa?- dice sporgendosi verso di me.
Annuisco.
-Come mai?- mi chiede seria.
-Lui… non ha capito nulla di quello che è successo, mi vuole usare e io non starò al suo gioco- dico tentando di nascondere la mia emozione nel condividere un avvenimento importante della mia vita. Spero che il tremolio nella mia voce non si noti.
-Okay, non metterei mai in discussione le tue scelte. Sei una ragazza molto intelligente! Quindi se hai preso questa decisione, c’è un motivo importante. Vorrei solo capirlo meglio-
Prendo un respiro e inizio a spiegarle la situazione.
Le spiego di come ha definito ciò che mi è accaduto come “storiella” e di come mi abbia dato una promozione solo per vedere più copie del giornale.
-Capisci? Ha minimizzato tutto. Come se io fossi una qualsiasi altra persona, di un qualsiasi articolo di cronaca. Non la persona che ha visto crescere a maturare tra le pagine del giornale! Ecco… lì ho capito che non voglio essere il tipo di giornalista che è lui. Stando lì sarei solo diventata come lui e non voglio. Non lo voglio per nulla al mondo. In più, il modo in cui mi ha trattato mi ha dato fastidio. È un tale maschilista! Non so perché non l’abbia capito prima, non so perché ero ancora là dentro a sperare che i miei meriti venissero riconosciuti perché tali e non perché sono una “vincitrice” o la “donna del momento”-
Sbuffo sonoramente.
Un leggero tocco sulla spalla mi risveglia da tutta quella rabbia accumulata.
-Sfogati, devi buttare fuori le cose-
-L’ho fatto, ti ringrazio per avermi ascoltata-
Mi sorride dolce.
-Hai fatto bene, Alice. Hai fatto bene ad affrontarlo visto quello che ti ha detto. Hai vinto ma non nel modo che il tuo capo intende e stare là, significava accettare la sua visione. La sua visione è sbagliata, hai vinto una seconda vita libera da quell’uomo, non una coppa per aver lottato all’ultimo sangue contro di lui. Non era uno scontro, tu non potevi tirargli un pugno per contrastare i suoi calci-
Sentire quelle parole, questi discorsi, mi crea istantaneamente una morsa allo stomaco. Scommetto che i miei occhi sono lucidi e che Chiara se n’è già accorta.
La sua mano calda si appoggia alla mia sulla leva del cambio.
-Hai fatto bene Alice, non ti preoccupare. Sei una brava giornalista e tanti altri giornali ti vorranno con loro!-
Annuisco sorridendo sincera.
-Invece il tuo editore che ti ha detto?-
-Uhm, niente di che in realtà- dice vaga. -Dovrei iniziare un nuovo libro. Però sono in dubbio-
-Tra cosa?- chiedo.
-Se fare un secondo libro oppure uno nuovo, indipendente dal resto-
-Dipende da cosa vuoi tu, non il tuo editore-
-Sì lo so. Infatti lui sta aspettando pazientemente una mia decisione, mi appoggia qualunque sia-
-Bene, è giusto così. Tu su quale dei due libri hai idee già pronte?-
-Tutte e due-
Wow, una scrittrice che non si ferma un attimo.
-Beh, allora direi che devi decidere quello che preferisci-
-Mi piacerebbe continuare, ma potrebbe non essere all’altezza del primo. Sarebbe solo un rovinare sia il primo che il secondo, così facendo-
-Secondo me sei all’altezza di farlo. Se vuoi puoi fare qualsiasi cosa tu ti metta in testa di fare, secondo me. Però prenditi il tempo che ti serve per decidere. Soprattutto senza pressioni, decidere sotto pressione non porta mai alle giuste risposte-
Annuisce felice per le mie risposte e torna a guardare la strada.
Mentre esco dall’autostrada Chiara realizza dove stiamo andando.
-Oh cavolo! Io ho sempre sentito parlare di questi posti-
-Ci sei mai venuta?- chiedo sorridendo
-No, non ho mai avuto l’occasione! È parecchio lontano da dove abito-
Sorrido felice.
Sono contenta non ci sia mai venuta, è un posto splendido e questa secondo me è la stagione più bella per visitarlo.
Ci addentriamo tra le strade strette e piene di curve. Una dietro l’altra saliamo e finalmente arriviamo in cima alla piccola collina. Parcheggio nel grande spazio fatto di una ghiaia chiara e fine.
Usciamo dalla macchina e Chiara, come una bambina, corre per affacciarsi dalla grande balconata recintata con un legno scuro.
Davanti ai nostri occhi si apre un paesaggio che toglie il fiato.
Intere colline si sovrappongono l’una sull’altra, ricoperte da manti che sfumano dal giallo al rosso intenso dell’autunno. Qualcosa di verde ancora resiste, altro invece è già marrone.
I colori si mischiano e si rincorrono sotto un cielo che oggi è cristallino, di un azzurro chiaro ma luminoso.
-Quelle sono tutte viti?- dice incredula.
Annuisco in risposta.
I suoi occhi vagano tra i filari e si specchiano nei diversi colori dell’autunno, alcuni di loro sembrano quasi simili al colore delle sue iridi.
-Non è possibile-
Ridacchio alla vista della sua reazione.
-Wow- continua. -È uno spettacolo incredibile-
-Trovo sia uno dei posti più suggestivi che io abbia mai visto. Soprattutto in questa stagione- le dico mettendomi le mani in tasca e appoggiando la schiena alla barriera di legno.
-Quindi che progetti abbiamo?- mi chiede con la gioia che brilla nei suoi occhi.  
-Potremmo visitare quel castello laggiù- le dico indicandolo in lontananza. -È molto bello! Poi per il resto possiamo fare qualsiasi cosa tu voglia-
Uno sguardo pensieroso mi assale.
-Anche tipo, visitare una cantina?- mi chiede grattandosi la testa.
-Se vogliamo sì-
Sorride contenta e risaliamo in macchina. Guido verso il castello e finalmente ci addentriamo tra corridoi regali e camere sfarzose.
Chiara segue il percorso proposto dai cartelli con la mappa del castello stretta tra le sue mani. La controlla di tanto in tanto.
Legge i pannelli delle informazioni con curiosità e mi riporta la parte più interessante. Legge di qualche affresco e subito i suoi occhi lo cercano sulle pareti antiche.
La osservo silenziosamente per tutta la visita.
Il suo viso meravigliato illumina ogni stanza in cui mette piede, le sue mani delicate e lisce arrotolano la brochure nervosamente per poi distenderla, le sue labbra dischiuse, leggermente aperte, di un rosa chiaro e delicato. Quelle labbra che avevo finalmente toccato con il più dolce dei gesti.
Sospiro nel ricordare quel momento.
-Ehi, sei tra noi?- mi chiede di colpo Chiara riportandomi a terra.
-Sì, scusa stavo pensando-
-Beh, il giro è finito! Che facciamo ora?-
Ridacchio nel sentire questa domanda. È davvero una bambina in gita scolastica!
-Potremmo visitare una cantina, però conoscendo il tuo rapporto con l’alcool direi che è meglio mangiare prima- dico incamminandomi per le stradine ciottolate del paese. -Conosco un posto che è sia un ristorante, sia una cantina-
Ci avviamo verso il posto, parlando della meravigliosa bellezza medievale del paese.
Arrivata parlo con il cameriere che, riconoscendomi, acconsente alle mie strane richieste.
Cenare in uno dei tavoli più richiesti non è facile. Non è semplice neanche chiedere al gestore un tour nelle cantine dopo la cena. Eppure, a volte, il mio viso conosciuto porta dei vantaggi.
Prendiamo il menù del giorno e mangiamo in silenzio. Tutte e due ci perdiamo nel vedere il sole che scende lento sopra le viti, che infuoca il cielo e brucia le foglie con nuovi colori. Rimaniamo incollate a questo spettacolo della natura, fino a quando il sole non scompare lasciando dietro di sè una luce quasi violacea che si proietta sulle nuvole.
Nessuna parola esce dalle nostre bocche.
-Alice- mi chiama Chiara che sta ancora guardando il cielo colorato dal tramonto.
-Sì?-
-Questo è un appuntamento?-
La sua domanda quasi mi fa andare di traverso i ravioli al vino che sto mangiando. Poso gentilmente la forchetta e smetto di mangiare. Il suo sguardo ritorna sul mio, quasi intimorito dalla mia possibile risposta.
-Vuoi che lo sia?- le chiedo.
-Forse…- mi dice soltanto. Istantaneamente le sue guance si colorano di un rosso leggero. È imbarazzata.
Le sorrido dolce. Posso capirla. Posso capire il suo stato di confusione, posso sentire tutte quelle domande nella sua testa, posso perché le ho anche io.
-Io penso che dovremmo parlare, che dici?-
Annuisce seria. -Di cosa?-
-Di questo- dico indicando noi due. -Di noi, di quello che è successo e succederà-
-Cosa succederà?-
-Niente che non concordiamo- rispondo. -Senti, so che ti senti confusa, che non capisci cosa vuoi e cosa senti. Lo so perché provo le stesse tue emozioni. Eppure in tutto questo caos ho una sola certezza: tu sei il mio pensiero costante, la mia quotidianità e sono sicura di questo. Tu sei stata la mia forza, la scintilla di speranza che mi ha aiutato a superare tutto ciò che mi è successo. Sei una luce che non voglio lasciar spegnere. Dopo tutto quello che abbiamo passato, tra burrasche, momenti di tranquillità e gioia, voglio solo averti accanto. Se vorrei che questo fosse un appuntamento? Sì, lo vorrei. Vorrei che fosse il nostro primo appuntamento, il primo di tanti. Però, tra tutte queste parole c’è un “ma”. Questo ma sono io stessa, è la mia vita, anzi… la nostra vita, i nostri ruoli pubblici e quant’altro. Eppure, voglio essere sincera con te. Il “ma” è la mia difficoltà a fidarmi di nuovo delle persone, a toccarle, a volerle completamente nella mia vita. Il difficile è per me sentire due braccia che mi stringono e cercare di convincere il mio cervello non mi vogliono fare del male, che non vogliono stringere fino a soffocarmi, il difficile è prendere la mano di qualcuno per stringerla e non bloccarla. Capisci? Tutto questo è un incubo bellissimo, ma rimane comunque un incubo. Io non voglio farti entrare in questo vortice assurdo se non ne sei pienamente consapevole! Quindi ti ho portato qua perché volevo vedere questo posto speciale con te e creare almeno questo ricordo, se non potremo più costruirne altri- dico tutto d’un fiato cercando di liberare tutto il peso che mi opprimeva il cuore.
Il coraggio di incontrare lo sguardo di Chiara non lo ho. Io, Alice Fortini, donna forte, indipendente, inscalfibile, che non regge lo sguardo di una ragazzina. Eppure, comunque lo vogliate interpretare è così: il mio punto debole è lei ormai.
-Alice, io non so cosa dire- mi risponde solamente.
Sospiro quasi con un tono disperato.
-Anzi, so cosa devo dirti- prende un respiro e continua. -Vorrei dirti che so a cosa sto andando incontro ma la verità è che non lo so. Non so niente, non so neanche da quando ho cominciato a provare un affetto particolare verso di te. Non so niente perché io non ho mai avuto nessun tipo di esperienze, neanche le più banali. Nascere e crescere in una piccola città di provincia non è facile, soprattutto se si è gay e non lo si può dire, non lo si può dimostrare e vivere. Di conseguenza, puoi immaginare come sia andata a finire. Non ho mai provato, sperimentato e vissuto l’amore e i suoi derivati. In nessuna maniera. Per questo non so a cosa sto andando in contro e non so come aiutarti. Quindi se il tuo problema è un abbraccio, un tocco, una carezza, il mio è dimostrare i miei sentimenti con un bacio o con una frase. Voglio anche io metterti di fronte ai miei “problemi” e difetti, perché vorrei davvero che questo fosse un appuntamento. Perché la tua presenza è ormai una certezza nelle mie giornate a cui non voglio rinunciare, voglio che questo non sia l’ultimo nostro ricordo insieme, ma uno di tanti. Però, tu cosa vuoi da me?-
-Tutto-
Istantaneamente le sue dita si appoggiano sulla mia mano fredda. Il suo calore mi inonda e riscalda. Mi continua a guardare dolcemente infondendomi la giusta dose di coraggio per non interrompere il contatto.
-Se ti guardo negli occhi non ho paura che sia un contatto…- lascio la frase in sospeso nella speranza che capisca cosa intendo.
-Allora puoi farlo ogni volta che ne hai bisogno- mi risponde con una voce bassa quasi roca.
-Chiara, non mi importa del fatto che non hai avuto esperienze, non mi sarebbe importato neanche se tu ne avessi avute. Voglio solo averti con me. Il modo, il quando, il come, non mi importano. Possiamo affrontare i nostri ostacoli, ma solo con te nella mia vita posso riuscire a superare i miei. Ti potrà suonare come una profezia, come un’esagerazione, eppure è vero. E credimi essere sincera e del tutto onesta con gli altri per me è difficile, ma penso tu lo sappia già. Ma con te voglio esserlo perché lo meriti. Meriti la sincerità che magari qualcun altro non ti ha dato. Ho raccontato e svuotato ogni centimetro del mio cuore, per te Chiara-
Il suo sorriso si fa immediatamente più largo.
-Alice, mi piace ogni centimetro del tuo cuore allora-
Questa volta sono io a sorridere come mai prima d’ora.
Poi continua: -Voglio solo che le cose vadano con calma… possiamo magari uscire, come oggi e conoscerci meglio? So che le parti più importanti e ingombranti delle nostre vite le conosciamo già, eppure non so il tuo colore preferito, i tuoi gusti di gelato preferiti, se dormi a destra o a sinistra del letto, se hai paura di volare, oppure se hai mai visto Il signore degli anelli… e io voglio conoscere ogni cosa. Dalla parte più importante di te, alle sciocchezze. Voglio conoscerti per apprezzarti totalmente e voglio farlo passando del tempo con te. Che ne dici?-
-Dico che questo è il primo di tanti appuntamenti ed è ora di celebrarlo con del buon vino-

… and there is a light, don’t let it go out


 


Buonasera lettori! Dite grazie al mio professore che mi ha bocciato al parziale se questo capitolo esce prima del previsto! (stronzo) A parte i lamenti accademici, eccoci con un nuovo capitolo. Spero sia di vostro gradimento, un po’ diabetico però certe cose ci vogliono. Soprattutto se è quasi san valentino e magari qualcuno di voi è single! È magari un po’ corto rispetto al precedente ma non volevo far succedere troppe cose tutte insieme. Quindi prometto che il prossimo sarà più lungo!
Abbiamo Alice che si licenzia (ragazzi che esempio di femminismo, penso di amarla segretamente) quindi dalla prossima dovremmo seguire la ricerca del lavoro e questa nuova avventura con Chiara, tra gli ostacoli che si sono confessate. Beh, la conversazione (simile) è realmente avvenuta nella mia vita, quindi sono parecchio emozionata di riportarla grossomodo qua. Spero vi piaccia.
Se pensate che non funzionino così le relazioni, abbiamo punti di vista diversi: senza conoscenza per me non esiste amore vero verso l’altra persona, quindi le due prima di etichettarsi come qualcosa si conoscono a fondo fino ad innamorarsi. Questo è ovviamente il mio punto di vista, possiamo discuterne!!
Possiamo discuterne su tumblr, se mi date il vostro nome vi aggiungo volentieri.
Passo e chiudo, scusate per gli errori.
Aspetto recensioni e commenti sulla frase di canzone finale.
Un abbraccio caldo.

p.s. chi riconosce il posto vince un qualcosa di segreto.

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Capitolo 12
*** Flipper? ***


Quel giorno il buon vino aveva fluito nei nostri corpi come non mai.
Avevamo passato in rassegna tutta la cantina con un tour privato. Alice Fortini aveva i suoi contatti, possiamo dirlo forte e chiaro.
Il tour era durato tantissimo: avevamo visto tutto il processo che la cantina faceva dal singolo acino d’uva fino al prodotto finale, ovvero la bottiglia che racchiudeva un costosissimo vino. Ovviamente gli assaggi non erano mancati. Dopo aver visto i vecchi metodi, le vecchie botti in rovere, dopo aver ascoltato la storia antichissima della cascina, eravamo arrivate alla degustazione.
Non che io ci capissi molto di vini.
Anzi, la guida esaltava i diversi aromi all’interno del liquido, diverse tonalità di colore, diversi sapori dovuti alle diverse botti in cui era preziosamente custodito. Eppure, per me, erano tutti identici. Il sapore lo trovavo esattamente uguale al bicchiere bevuto cinque minuti prima e l’unico giudizio che potevo dare era quello sui manicaretti che mangiavamo bevendo il vino.
Dall’altra parte Alice annuiva convinta sentendo ciò che ci faceva notare la giovane guida. Annusava il liquido rosso scuro, riconosceva gli aromi, faceva domande e ogni tanto si girava per controllare che tutto andasse bene. Mi chiedeva di tanto in tanto: “Senti questo retrogusto di ciliegia? Lo adoro, magari ne compro una bottiglia”, peccato che ripeteva la sua volontà di comprare una bottiglia ad ogni degustazione.
Finito il percorso io, di vino, ne avevo fin troppo in corpo. Ero arrivata al limite massimo di alcool che il mio fegato poteva processare in una giornata. Non sono mai stata una gran bevitrice, quindi una semplice degustazione era già troppo per me. Incominciavo a sentirmi un po’ sopra le nuvole, come se stessi galleggiando, chiaro segno che non dovevo deglutire nient’altro se non acqua.
Così feci. Acqua per tutto il resto della serata.
Ormai era tardi, la notte era già calata da parecchio tempo, il tempo di mettersi in macchina e guidare verso casa era quasi giunto.
Alice teneva in una mano una borsa, con le due bottiglie che aveva deciso di comprare. La scelta non era stata semplice: aveva ascoltato i pareri del giovane ragazzo nello shop della cantina fino ad arrivare a tre possibili bottiglie.
Io fissavo la scena incredula.
Tutta questa indecisione per delle bottiglie di vino? Vino tra l’altro tutto simile se non uguale?
Esagerata.
Neanche stesse per comprare una casa.
-Chiara che ne dici? Questo o questo? Quale ti piaceva di più?- chiedeva facendomi vedere le due bottiglie che aveva rispettivamente nella mano sinistra e in quella destra.
Volevo ridere, però cercai di trattenermi. Stava chiedendo a me? Pessima mossa.
-Non lo so proprio- risposi.
-Non sei proprio d’aiuto-
Alla fine, dopo un’attesa abbastanza lunga, è riuscita a decidersi e a prenderne solo due. Questo solo perché l’ho minacciata: “Alice, non prenderne tre. Due direi che bastano per questo giro”.
Non so perché ma ho il terrore di rivederla nello stesso stato in cui l’ho conosciuta: seduta sul suo divano davanti a bottiglie di vino e superalcolici, ai suoi piedi cocci di vetro e la sua pelle segnata da lividi inconfondibili. Ho il terrore che l’alcool possa farla ricadere negli stessi brutti pensieri e pessime emozioni in cui l’ho trovata ormai mesi e mesi fa.
Penso che lei stessa abbia avvertito, dai miei sguardi e dal mio comportamento, questa mia paura.
Per questo motivo quella sera, alla cantina, non ha opposto resistenza e si è accontentata di due costose bottiglie di vino pregiato.
Passeggiando per le vie strette e illuminate con vecchi lampioni, che rendevano tutto incredibilmente arancione e caldo, un vento delicato ci abbracciava. Questione di settimane e avrei dovuto cambiare la mia giacca con quella invernale.
Parlammo ancora di quanto questo posto fosse suggestivo e magnifico.
Entrammo in macchina silenziosamente, forse nessuna delle due aveva intenzione di andarsene via da quel mondo. Era anche logico. Il ritorno a casa significava solo una cosa: ritornare in quei casini che erano le nostre vite. Alice alla ricerca di un lavoro, io che mi dovevo dividere tra la scrittura e gli impegni che ancora l’attuale libro mi procurava.
In tutto questo c’era anche il segreto e silenzioso patto che ci eravamo fatte: continuare la nostra conoscenza, continuare a frequentarci perché nessuna delle due voleva staccarsi dall’altra, nessuna voleva lasciare l’altra sola di fronte ai propri problemi e alla propria vita.
Era un patto non da poco.
Con tutti i nostri impegni, di sicuro non sarebbe stato facile coltivare e far nascere la nostra relazione come avevamo immaginato nelle nostre menti, che su questo punto erano d’accordo. Eppure l’avevamo fatto, avevamo deciso che di tornare indietro non se ne parlava.
Io ne ero felicissima, lo ammetto.
Però chiudendo quella portiera, lasciavamo alle spalle, aldilà di quella lamiera, un mondo in cui per mezza giornata eravamo state spensierate e felici, lontane dalla nostra città piena di insidie e trappole, lontane dalle nostre vite complicate. Dove eravamo state noi stesse fino in fondo. Lei, sincera come io in sole poche occasioni l’avevo vista e io coraggiosa, temeraria, avevo confessato uno dei miei segreti più intimi a lei.
Durante il viaggio continuammo a parlare del più e del meno, niente di troppo serio ma nulla di troppo stupido. L’argomento più interessante, che mi ha dato modo di conoscere un altro lato di Alice, è stata l’astinenza da concerti.
A quanto pare Alice non va ad un concerto da due anni. Io probabilmente sarei già morta al suo posto. Chi riesce a restare per due anni senza cantare le sue canzoni preferite a squarcia gola, ballare liberamente tra persone con la tua stessa passione e vivere la musica in prima fila? Alice Fortini, ma io di no di certo.
Le ho spiegato di come i concerti siano la spinta che praticamente mi fa andare avanti da quando facevo il liceo. Sono come la benzina per una macchina, mi danno la giusta carica di adrenalina e vita che mi serve per affrontare la mia quotidianità. Dopo un concerto mi sento rigenerata e pronta ad affrontare qualsiasi cosa. Insomma, senza concerti morirei.
Infatti essermi trasferita, dalla provincia a una grande città, mi ha dato solo moltissime nuove possibilità di andare a concerti, sentire musica dal vivo, apprezzare gli artisti di strada e vivere la musica in modo più semplice e diretto.
Alice, mi spiazza dicendomi che fino a qualche anno fa era come me. Viveva di musica e giornalismo, aveva le giuste persone con cui condividere queste passioni e non faceva altro che frequentare locali in cui riusciva a trovare buona musica live.
Un’altra particolarità di Alice Fortini è stata scoperta.
Arrivate a casa, cerco di farla salire in tutti i modi. L’idea di saperla a casa da sola dopo una giornata insieme non mi piaceva. Avevamo trascorso delle bellissime giornate insieme, staccarci semplicemente anche per poco, non mi rassicurava. Non riuscivo a pensare che dovessimo dividerci visto che passare del tempo con lei era un piacere e non una tortura.
Però giustamente non potevamo passare ogni singola notte insieme e dopo il suo -Domani mattina ho un sacco di appuntamenti, devo svegliarmi presto e prepararmi al meglio-, mi convinsi che sarei sopravvissuta senza il suo calore a riscaldarmi.
Ci salutammo con un tenero e imbarazzato bacio sulle labbra. Uno di quelli soffici e leggeri, delicato e casto.


•••                                •••

-Fortini, il suo tweet mi ha semplicemente sbalordito-
Accavallo le gambe e mi metto comoda.
Sarà una lunga e noiosa conversazione.
Sorrido all’uomo davanti a me.
-Penso che sentirò questa frase uscire dalla bocca di molti- rispondo.
-Lo penso anche io- dice ridendo.
-Mi ha stupido il suo velocissimo messaggio però- dico sincera. -Pensavo che i miei colleghi spersi per l’Italia mi avrebbero dato qualche giorno in più di ferie e invece… eccomi qui, il giorno dopo l’essermi licenziata, in un’altra testata a parlare con un altro direttore-
-Spero di non aver disturbato le sue vacanze, Fortini- dice serio.
-No, stia tranquillo. Che ne dice di passare subito al sodo e lasciar perdere i convenevoli?-
Ride dopo aver sentito la mia frase tagliente.
-Ho solo un convenevole ancora: come mai si è licenziata? Cosa è successo?- mi chiede curioso.
Sorseggio l’acqua dal mio bicchiere con un sorriso stampato in faccia.
Uno.
Conto nella mia testa quanti mi rivolgeranno questa domanda.
-Non penso che siano discussioni da fare con estranei, per di più giornalisti come me- dico fredda. -È una questione tra me e il direttore, niente che possa interessare al pubblico. Ho preso la mia decisione, le motivazioni per cui l’ho fatto sono futili soprattutto per lei. Se mi vuole con se mi offra qualcosa, non pensi agli errori che ha fatto lui. Perché se vuole sapere con tutta questa curiosità cosa è successo tra noi, l’unica motivazione è perché ha paura di ripetere lo stesso sbaglio, non crede?-
Sorride in modo quasi amaro.
Deglutisce e socchiude gli occhi. Si lascia andare sulla sua sedia in pelle, sospira.
-Io la adoro quando è così acida e diretta- ammette tornando a guardarmi negli occhi. -Vorrei che lei avesse un posto che le piace qua, quello che preferisce in realtà. Abbiamo perso dei giornalisti, perché hanno preferito il web alla carta, quindi ci sono molti posti liberi ora come ora-
Annuisco curiosa, poi prosegue: -In realtà io la vedo molto bene sul lato politico, ma forse a lei non piace più visti alcuni precedenti…- dice lasciando intendere l’inevitabile.
-In realtà io amo la politica esattamente nella stessa misura di un tempo-
-Quindi la quotidianità politica le andrebbe bene come proposta? È il suo miglior “lato”, signorina- dice fiero della sua proposta.
-Dovrei pensarci su, ho molti altri appuntamenti ed incontri in questa settimana- dico cercando di farmi promettere qualcosa di più.
-Vedo che nessuno dei miei colleghi è rimasto con le mani in mano- ridacchia. -Avrà un ufficio nell’angolo dell’edificio, una vista magnifica tra l’altro, tutto suo-
-Vorrei portare con me anche la mia assistente-
-Può avere un’assistente dei nostri se preferisce- propone.
-Preferirei la mia, mi conosce da tempo e sa già la mia routine di scrittura e ciò di cui necessito- le dico seria.
-Una richiesta un po’ particolare Fortini… le dirò cosa posso fare-
Ci congediamo cordialmente.
Appena le porte dell’ascensore si chiudono sospiro. Tutti i colloqui e gli appuntamenti saranno delle trattative a rialzo? Delle contrattazioni?
Forse non avevo totalmente previsto tutte le conseguenza.
La suoneria del mio telefono mi riporta alla realtà.
-Marta?- dico.
-Ciao Alice, com’è andata?-
-Un leccapiedi-
-Uomini…-
-Puoi dirlo forte. Prossima tappa?-
-Ti mando l’indirizzo per messaggio- mi dice pronta.
-Grazie, speriamo in bene-
-C’è Chiara qua con me. Mi sta aiutando a mettere a posto tutti gli scatoloni che ci hanno portato dal tuo vecchio ufficio-
Sento una voce inconfondibile in lontananza: -Quante cianfrusaglie hai?-
Rido di gusto nel sentire quella frase.
-Buona fortuna anche a voi-
-Passa di qua per pranzo, prepariamo qualcosa anche per te-
-Grazie, lo farò di sicuro. A dopo-

Erano stati giorni pensati, se non pesantissimi.
I colloqui e gli appuntamenti si erano dimostrati tutti piatti ed uguali. Tutti mi volevano con loro, tutti speravano che rivelassi il perché me ne fossi andata pronti a pubblicare la notizia. D’altronde erano stati gli stessi giornali e giornalisti che avevano assalito casa mia alla ricerca dello scoop dell’anno, non potevo aspettarmi un comportamento diverso.
La ciliegina sulla torta era stata la stancante serata di oggi.
Riprendere il programma televisivo non era stato semplice. La mia sostituta, una giornalista ormai conosciuta nell’ambiente da molti anni, aveva preso più che degnamente il mio posto e aveva fatto un lavoro straordinario. È vero, gli ascolti erano un po’ calati, ma è normale in una situazione del genere. Lei aveva comunque tenuto testa a tutte le domande che le venivano fatte sulla mia situazione e non la ringrazierò mai abbastanza per il rispetto che mi ha portato.
Prima della diretta è venuta a salutarmi. Avevo detto a Marta di prendere un mazzo di fiori per lei, perché di sicuro sarebbe passata a salutarmi e augurarmi buona fortuna.
Ci avevo visto giusto.
A mezz’ora dalla diretta si era presentata davanti alla porta del mio camerino, ha bussato e io ho aperto cordialmente.
Tra qualche parola e l’altra le ho dato il mazzo di fiori. Lei è rimasta incantata da questo gesto, probabilmente non sia aspettava nulla dall’acida Fortini.
-Buona fortuna Alice, spero tu ti sia ripresa totalmente-
-Grazie mille, sei davvero gentilissima. Grazie per tutto il lavoro che hai fatto mentre non c’ero. È stato un piacere guardarti da casa!-
-Fortini, ma cosa dici! Io ti ho solo sostituita, il lavoro lo hai fatto tu prima di andare via per questa piccola vacanza-
-No, dico sul serio, grazie mille. Anche per tutte le volte in cui non hai messo bocca o alimentato i pettegolezzi che giravano su di me durante quest’assenza-
-Di nulla, tu avresti fatto lo stesso al mio posto. Poi siamo tra donne no? Dobbiamo supportarci- mi ha detto con un sorrido sincero.
Poco prima della diretta una notifica di Twitter attira la mia attenzione:
 
@RicciardiOfficial: Passo il testimone alla proprietaria originale. Bentornata Alice! Grazie per i fiori.


In allegato una bellissima foto del mazzo di fiori.
Di certo non mi aspettavo nulla del genere, ma non potevo chiedere un “nuovo” inizio migliore.
La puntata era andata bene, gli ascolti erano saliti a livelli altissimi.
Gli ospiti che avevo scelto erano stati proprio come volevo, avevano saputo intraprendere discussioni senza litigare o diventare irrispettosi. Li avevo scelti per far capire al pubblico che il taglio della trasmissione non era cambiato per nulla: politica, attualità, sociale erano sempre gli argomenti portati avanti da me.
Su twitter gli apprezzamenti erano giunti alla velocità della luce, il che mi rassicurava un po’.
Mi butto sulla sedia all’interno del mio camerino.
Per fortuna domani è venerdì e il week end è vicino.
A parte tutta la fatica e la tensione, essere di nuovo a pieno ritmo, avere di nuovo il mio programma tv mi rendeva felice. La mia vita era di nuovo quella di prima, o quasi.
Qualcuno di colpo bussa alla mia porta socchiusa.
Strano.
Avevo detto a Marta di andare tranquillamente a casa una volta finita la trasmissione. Ormai erano le undici e mezza ed era finita da mezz’ora.
-Avanti, è aperto- dico alzandomi, pronta a ricevere la persona dietro la mia porta.
-Ho pensato avessi bisogno di zuccheri- dice quella entrando.
Appena entra la riconosco subito.
Potrei riconoscere le sue movenze, la sua voce e il suo profumo anche ad occhi chiusi.
Sorrido dolcemente alla sua visione.
-Hai pensato il giusto. Vieni, chiudi la porta- dico sedendomi sul piccolo divanetto in pelle appoggiato al muro. Le faccio segno di sedersi di fianco a me, e così fa.
-Ciambelle- mi dice sorridendo dolcemente.
Ne addento una e un verso di piacere esce dalla mia bocca ancora piena.
Chiara ridacchia vedendo questa scena. -Mi sembravi la tipa da ciambelle effettivamente- dice continuando a ridere.
Tra un morso e l’altro mi dice: -Ti ho visto da casa- mi guarda negli occhi. -Ero così fiera di te-
Sentendo quelle parole il mio cuore perde qualche battito per strada, poi accelera per riprendere ciò che ha perduto. Finalmente queste parole coronano tutti gli sforzi fatti per arrivare fino a qua. Sentirle dire queste parole, mi riempie di felicità. Una felicità vera, di quelle genuine e spontanee. Quel genere di felicità che non potresti raggiungere in nessun altro modo, mai e poi mai.
-Grazie, nessuno me l’ha mai detto nessuno- le sue braccia di colpo mi circondano e mi stringono con forza. Non una forza brutale a cui ero abituata da ormai anni, una forza di quelle che dice: non ti lascio andare per nulla al mondo.
-Bene, allora te lo dico io per la prima volta- mi sorride baciandomi delicatamente. Il suo odore mi invade e le mie labbra improvvisamente sanno di cioccolato fondente.
Non potrei chiedere di meglio.
-Pensi che potremmo avere un po’ di tempo per noi questo weekend?- mi chiede timidamente.
-Certo!- rispondo contenta. -Anzi! Speravo proprio nell’arrivo del weekend- ammetto.
-Ah sì? Che avevi in mente di fare?- mi chiede curiosa.
-In realtà quello che vuoi tu, a me basta un po’ di pace e tranquillità. E magari un po’ di compagnia a casa mia- le dico cercando di farle capire che passare il weekend con lei che gironzola in casa mia, non sarebbe male.
-Hai visto casa tua com’è?- mi chiede ridacchiando.
La guardo con uno sguardo interrogativo.
In queste sere sono ritornata a casa, però non avevo neanche fatto caso al resto. L’unica cosa che vedevo era il letto e la mia stanza. Mi catapultavo di corsa nella mia stanza, una doccia veloce e via nel letto. La mattina, stessa cosa ma al contrario. Neanche mangiavo colazione ultimamente, la prendevo direttamente in giro per la città.
-Penso ci siano un po’ di scatoloni- dico pensierosa.
-Un po’? È sommersa. Pensa che ne abbiamo svuotati parecchi!-
Sospiro, neanche me ne ero accorta. La vita aveva assorbito tutta me stessa ultimamente, neanche più ci pensavo agli scatoloni dell’ufficio.
-Okay, mi sa che sabato so cosa farò. Oppure cerco di trovarmi un lavoro entro il weekend e li spedisco tutti nel mio nuovo ufficio- potrebbe essere una tattica molto proficua.
-Devi lavorare e mettere a posto, pigrona- mi dice giocosamente, dandomi una leggera spinta con la sua spalla.
Sbuffo sonoramente.
-Dai, ti darò una mano- le sorrido contenta in risposta. -A proposito di lavoro, oggi un giornalista de La Repubblica mi ha intervistato. Dopo l’intervista mi ha chiesto come stavi, ma senza doppi fini, così giusto perché ha notato la nostra amicizia. Mi ha detto di darti il suo biglietto da visita- dice sporgendomi il piccolo bigliettino di carta bianca. -Ha detto di chiamarlo, vuole parlare con te-
Rimango senza parole da quella frase.
-Wow- riesco solo a dire.
-Magari se fai una buona impressione vorranno averti con te, sarebbe un colpo grosso- dice sorridendo.
La ringrazio nel modo più semplice e sincero possibile.
Dopo pochi minuti siamo davanti alle nostre macchine parcheggiate.
-Buonanotte- le dico dolcemente.
-Buonanotte a te- mi risponde salendo in macchina.
La guardo mettere in modo.
A malincuore parte e guida verso casa.
Io faccio la stessa cosa.
Separarsi da qualcuno non è mai stato così difficile.

Il giorno dopo arriva in fretta.
“Finalmente è venerdì” penso istintivamente.
I miei appuntamenti si sono diluiti un po’ e incomincio a respirare.
Cammino svelta fino alla fermata del tram.
Potrei andare a piedi ma il freddo incomincia a fermare la mia buona volontà, quindi questa mattina ho preferito i mezzi per i miei spostamenti.
Rileggo l’indirizzo che mi sono segnata poco prima.
Mi infilo velocemente tra le porte del tram non appena quelle si aprono. Il calore mi riscalda immediatamente. Lascio che la frenesia delle persone, dell’ultimo giorno della settimana, trascini me e i miei pensieri sui binari del tram.
Non appena arrivo alla mia fermata, scendo con davvero poca voglia. Appena il freddo accarezza il mio viso stringo la mia sciarpa e inizio a camminare per la grossa via del centro.
I grandi archi di Via Roma mi circondano, riesco ad intravedere in lontananza Piazza San Carlo nel suo splendore mattutino.
Non ci sono tante persone in centro la mattina, per questo è un piacere godersi questi attimi di tranquillità immersa nel fascino storico del centro città.
Arrivata all’indirizzo mi sento un po’ spaesata. Dove dovrebbe essere la sede? Qua ci sono solo negozi di lusso. Mi guardo intorno cercando di capire se questa è una presa in giro, oppure dovrei davvero vedere l’insegna del famoso giornale.
Dopo un po’ di ricerche noto con piacere un portone curato e dall’apparenza molto costoso. Decido di fidarmi delle apparenze e vado vicino.
Finalmente trovo ciò che è di mio interesse.
Certo che non si vogliono far scovare, eh!
Suono.
Aprono senza neanche chiedere chi è.
Salgo le scale fino a quando non vedo una grande porta vetrata. Sentendo un vociare che riconoscerei a miglia di distanza, capisco di essere nel luogo giusto.
Davanti a me si apre il classico scenario che avevo imparato a conoscere nei dettagli, in ogni sua sfumatura: scrivanie e cubicoli, computer e schermi con ogni sorta di telegiornale che parla a ruota libera, persone al telefono, segretarie che portano i caffè ai loro capi, qualcuno che sbuffa, altri che si sfilano la cravatta snervati.
Il mio mondo, quello per cui vivo insomma.
Quindi una testata nazionale grossa come questa non lavora in modo diverso da come sono abituata.
Cerco di fermare qualcuno per poter chiedere informazioni.
-Salve, dovrei incontrare questo collega- dico mostrando il biglietto da visita.
-Certo, vieni- dice cordialmente.
Ci districhiamo tra le molte persone nei corridoi.
Mi lascia davanti a due porte di vetro opaco. Su di esse c’è scritto il suo nome e di fianco: Caposervizio.
Uh, un pezzo grosso devo dire.
-Grazie- dico gentilmente.
Il ragazzo annuisce e prosegue.
Tiro un sospiro.
Busso.
-Avanti!- una voce mi risponde.
Timidamente apro le spesse porte di vetro.
-Buongiorno- dico entrando nell’ufficio che trovo pieno zeppo di libri. Tento di catturare qualche titolo. Istantaneamente capisco che sono tutti libri di economia.
Il mio cervello incomincia a elaborare molte domande. Un caposervizio di economia? Può essere.
Davanti ai miei occhi si palesa, di colpo, la sua figura.
Occhiali vintage, ma all’apparenza costosi, camicia azzurra, una cravatta color ghiaccio. Capelli corti leggermente brizzolati, baffi arricciati e due occhi di un verde scintillante.
-Signorina Fortini, grazie per essere venuta con questa rapidità!- mi dice.
-Grazie a lei per l’ospitalità e può chiamarmi Alice- dico cordialmente.
-Alice, puoi chiamarmi Francesco- annuisco.
-Ho incontrato Chiara Cerati per metterci d’accorso su un’intervista qualche giorno fa, che poi ha fatto ieri con un mio collega, nel frattempo le ho chiesto come stavi. Spero che questo non ti dispiaccia, però ho seguito al tua vicenda con interesse- dice.
Rimango sbalordita dalla sua sincerità, cosa assai rara ultimamente.
Annuisco aspettando che continui.
-Oh che sbadato! Vuole del caffè? Sono subito partito in quarta senza neanche fare le solite cortesie!- dice ridendo.
Rido con lui. -Non si preoccupi, sono a posto-
Annuisce. -Comunque, Chiara molto gentilmente mi ha detto che sta meglio e che ha deciso di lasciare la redazione. Guardi, non mi interessano i motivi! Io stesso ho lasciato da giovane molte redazioni prima di stabilirmi qua, quindi posso capirti-
Wow, sono colpita.
-Proprio in questi giorni il caposervizio dell’ambito politico ha lasciato il suo posto per motivi personali. Prima che lei si faccia strane idee, no non voglio metterla come caposervizio. Non lo voglio fare perché non sono io il direttore di questa redazione, quindi non posso prendere questo tipo di decisioni. Secondo, non mi sembrerebbe giusto che una nuova arrivata scavalchi redattori che sono qua da un anno o più. Di conseguenza penso di promuovere un redattore a caposervizio, quindi ci sarebbe un posto vuoto come redattore, deve solo convincermi che lei è la persona giusta- mi spiega con un sorrido.
Mi siedo meglio sulla sedia.
-Francesco, come prima cosa ti ringrazio ma non per il posto che mi stai offrendo, ma per aver evitato le solite domande o battute su quanto è successo ultimamente nella mia vita e carriera. Ti ringrazio perché per tutta questa settimana ho solo sentito persone disposte a darmi tutto ciò che volevo pur di essere nel loro giornale. Io questo tipo di trattamento lo odio, credimi. Sarei la nuova arrivata e come ho già fatto anni fa, è giusto che mi guadagni una posizione dentro la redazione, quindi sono d’accordo con te su tutto- dico d’un fiato.
-Ovviamente sarei molto felice nel far parte di questa redazione. Quando Chiara mi ha dato il biglietto da visita ero già contenta al solo pensiero che il mio nome vi sia passato per la testa.  Quindi qualsiasi decisione tu prenderai, sappi che io sono felice anche solo per questa piacevole chiacchierata tra colleghi. Non lo nascondo, farei di tutto per lavorare qua. Anzi, in generale farei di tutto per ritornare in una redazione, perché lo ammetto: mi manca troppo-
Francesco ridacchia.
Io sorrido sincera.
-In realtà Alice, visto quello che mi hai detto penso di aver già deciso- mi spiazza. -Vorrei davvero che tu stessi con noi, devo solo più parlarne con il capo-
-Grazie, allora-
-E di che!- dice facendo spallucce. -Hai altre domande?-
-A dire il vero ho questa idea che mi gira in testa da stanotte- mi annuisce curioso. -Vorrei aprire un blog, un blog tutto mio. Ci sono parti di ciò che voglio raccontare che non sono adatte ai giornali e soprattutto vorrei arrivassero ad un pubblico più ampio. Internet è la risposta. Grazie alla mia trasmissione ho moltissime persone che mi seguono con passione, quindi penso possa uscire qualcosa di davvero bello, uno scambio di idee genuino e educativo. Mi sembri la persona giusta con cui parlarne, perché vorrei davvero raccontare le mie esperienze e sfogare una parte di me che da giornalista non posso fare-
Si arriccia un baffo e annuisce più di una volta.
-Mi sembra un’idea niente male, Alice. Ciò che scrivi ha sempre un seguito, la gente ti apprezza per il tuo carattere forte e senza paura… ciò che hai da dire su te stessa dev’essere qualcosa che leggerebbero con curiosità, secondo me. Per me puoi farlo, l’importante è che arrivi con degli articoli per il giornali e rispetti le scadenze che ti darà il tuo caposervizio- dice sinceramente.
-Grazie per la sincerità- sorrido. -Penso di avere una richiesta-
-Dimmi-
-Se venissi a lavorare qua, potrà venire con me anche la mia assistente?-
Si arriccia di nuovo il baffo, ma questa volta il sinistro.
-Okay, questa faccenda è più complicata ma vedrò di sistemarla. Al massimo dovrai dividerla con qualcuno-
Felice di quella risposta, mi congedo dopo poco.
Forse è una svolta.
Forse è la svolta.


•••                                •••

La musica si propaga in tutto l’appartamento.
Canticchio sottovoce la canzone che conosco praticamente a memoria.
-Questi fogli dove dovrebbero andare?- chiedo.
Lei si alza da terra, dove prima stava a gambe incrociate cercando di capire che fogli si possono buttare e quali no.
-Umh- mugugna venendo verso di me.
I suoi capelli castani sono legati in modo disordinato, lasciando cadere qualche ciuffo ribelle sul suo collo magro e i suoi occhi scintillano alla luce del sole, rendendoli ancora più verdi. Indossa una semplice tuta nera, persino larga per i suoi standard e forse troppo maschile, eppure rimane comunque bellissima. Potrebbe vestirsi con qualsiasi indumento, in ogni io la apprezzerei.
Si gratta la testa e dice: -Buttali, non mi servono-, poi ritorna alla sua postazione, si siede per terra, incrocia le braccia e continua il suo lavoro sbuffando.
Di certo Alice non aveva intenzione di passare il suo sabato mattina e pomeriggio così, ma doveva fare questo lavoro. Quindi l’ho praticamente obbligata a farlo oggi, così si toglie ogni pensiero e si può godere a pieno il fine settimana. Lei però non l’ha presa altrettanto bene, non fa altro che sbuffare come una bambina di sei anni.
Per smorzare la situazione ho deciso di mettere un po’ di musica, ma non sembra funzionare.
Continuiamo a svuotare gli scatoloni per ore interminabili, però finalmente iniziamo a vederne la fine. Ne mancano solo più cinque e sembrano cianfrusaglie che potrà mettere come soprammobile o appendere su qualche parete.
-Non ne ho più voglia- dice appoggiando la schiena al retro del divano.
-Dai Alice, ne mancano pochissimi!-
Sbuffa ancora.
-Sono le due e non abbiamo ancora mangiato!- dice incrociando le braccia.
-Non fare così- dico scherzando. -Finisci e poi mangiamo in santa pace- cerco di ricattarla in qualche strano modo.
Si trascina verso di me senza però alzarsi dal pavimento, con un ghigno dipinto in faccia.
-Dai facciamo pausa- mi dice con una vocina innocente e dolce, quasi sottovoce.
Continuo ad impilare i fogli fuori dallo scatolone cercando di non darle retta.
Quando le sue labbra toccano il mio angolo della bocca, quasi trasalisco.
Questo si chiama: giocare sporco.
-Alice, lavora!- dico con un misto di imbarazzo e ironia.
-Mhhh- risponde.
-Lo so non ne hai voglia, ma se finisci ordiniamo la pizza- cerco di convincerla ancora.
Non ricevo risposta, sento solo che le sue labbra si spostano lungo la mia mandibola e scendono verso il mio collo scoperto. Sorrido di riflesso.
-Okay, anche una alla nutella-
Ridacchia contenta perché ha avuto ciò che sperava e si rimette a lavorare.
Scuoto la testa rassegata.
Sicuramente sa come avere ciò che desidera.
Durante il nostro pranzo decisamente poco sano, la suoneria del telefono di Alice rompe il silenzio.
Sbuffa, qualcuno osa disturbarla mentre mangia la pizza… che affronto!
Si alza dalla sedia e corre verso il suo telefono.
Il mio sguardo cade istintivamente sul suo slancio atletico, sulle sue gambe lunghe e ovviamente sul suo fondoschiena scolpito. Oooops.
Scuoto la testa e ritorno alla mia pizza.
Intanto Alice si riavvicina alla cucina, passeggiando per il soggiorno.
-Oh salve!- dice felice al telefono.
Ascolta attentamente la conversazione, poi sorride di colpo. Ringrazia l’altra persona e butta giù.
Mi guarda felice.
Mi alzo istintivamente dalla sedia. Sento che è successo qualcosa di importante e le cose importanti si affrontano in piedi.
Si avvicina lenta a me, come se volesse farmi soffrire un po’ prima che sappia la notizia.
-Qualcuno ha un nuovo ufficio che la aspetta lunedì- mi dice, abbracciandomi di slancio.
La accolgo tra le mie braccia e la stringo forte.
Rimango senza parole di fronte alla notizia. -Sono felicissima per te!- dico con sincerità.
Lei, in risposta, non si stacca da me.
-È merito tuo Chiara! Senza il tuo contatto non avrei avuto nessun colloquio dentro quella redazione- ammette.
-Ma figurati, lui ti voleva parlare. Io sono stata solo un tramite- dico staccandomi da lei e guardandola negli occhi.
Mi sorride felice. -Bisogna festeggiare-
Ridacchia felice e si fionda di nuovo sulla pizza, sorridente.
Io faccio lo stesso.
Poi mi blocco.
-Aspetta- dico appoggiando il ginocchio alla sedia. -Questo vuol dire che dobbiamo inscatolare tutte le cose che abbiamo appena tolto da lì?-
Mi guarda con uno sguardo terrorizzato. -Emh…-
Stavolta sono io quella a sbuffare.

•••                                •••

-Una sala giochi?- chiede stupita.
-Non è una sala giochi qualsiasi- dico quasi sconvolta. -È una sala giochi arcade, di quelle vecchio stile! Tipo anni novanta, capito?-
Si illumina. -Il flipper!-
Rido di gusto. Poi ritorno a guardare la strada. -Sì c’è anche il flipper-
-Io sono una campionessa, credimi. Quando ero piccola, accendevo il computer di mio padre e giocavo tutto il tempo con il flipper- dice ridacchiando.
Mentre racconta questo piccolo episodio, capisco di voler sapere per ogni giorno che passa, qualcosa di più su di lei. Qualcosa di intimo, i ricordi di un’infanzia ormai finita da tempo, qualche episodio divertente della sua adolescenza e tante altre piccole cose.
-Vedremo se mi batterai- dico sfidandola.
Una volta arrivate iniziamo a giocare tranquillamente, qualche classico gioco, qualche battuta sul fatto che a ping pong non ci sa proprio fare.
Poi, per la sua felicità, arriviamo al flipper.
Lo ammetto, ci sa fare. Ma non mi batterà mai.
La prima sfida la vinco io, la seconda lei.
Ogni tanto le nostre mani si sfiorano e i brividi scorrono liberi sulla mia pelle.  
Vorrei davvero che potessimo comportarci come una vera coppia che sta uscendo insieme. Scambiarci tenerezze in pubblico e non, teneri baci d’addio di fronte alla nostra porta, tenerle la mano nella tasca della mia giacca perché fa troppo freddo… quella normalità che da tanto non vivo e chissà per quanto non vivrò ancora.
Mi poggia delicatamente la sua mano sulla mia. Mi sorride dolce come se avesse intercettato i miei pensieri. Un sorriso che dice: non ti preoccupare.
Lo so che lei ha capito la mia situazione. Non ho mai detto nulla di me in pubblico, nessuno ha mai saputo della mia precedente relazione e tutti sanno di ciò che è successo nella mia vita negli ultimi anni. Le persone sanno il peggio che mi è successo, ma non il meglio, non la felicità che sto provando e che ho provato in passato. Sbuffo al solo pensiero. Questa è una parte così delicata della mia vita, che quasi incomincia a starmi stretta.
Dall’altra parte, però, non devo farmi troppi problemi. Neanche Chiara ha mai parlato al pubblico della sua omosessualità, proprio come me. Quindi in teoria siamo nella stessa identica situazione.
Scommetto che anche lei vorrebbe avere di più, avere più libertà e una vita di coppia normale, però per averla dovremmo fare un passo che per me, ora, è troppo grande.
Mi avvicino al suo orecchio: -Ti sto stracciando, forse è meglio andare a casa- dico provocatoria.
Annuisce ridendo. -Facciamo finta che non sia mai successo- risponde.
-Umh, questo è tutto da vedere- dico ironicamente.
Saliamo in macchina tra una battuta e l’altra.
Metto in moto e ci dirigiamo verso casa canticchiando le canzoni che passano in radio.
-Scusami- esordisco.
Chiara abbassa la musica.
Noto, con la coda dell’occhio, la sua faccia interrogativa.
-Per cosa?- chiede preoccupata.
-Vorrei che avessimo una vita di coppia normale… vorrei che non ci dovessimo nascondere dentro le mura di casa nostra, vorrei che non ci dovessimo trattenere dal baciare l’altra, vorrei che fosse tutto normale, alla luce del sole- sputo fuori quasi come fosse uno sfogo.
Sento la sua mano che scorre lungo il mio braccio accarezzandomi.
-È che si è appena conclusa la fase più brutta della mai vita, l’incubo è finalmente finito. Questo soprattutto grazie a te e vorrei che tutti lo sapessero, vorrei che tutti sapessero che la persona che mi ha aiutato è la stessa che mi sta rendendo felice ora. Lo vorrei davvero Chiara, devi credermi- sospiro.
Continuo. -È che sarebbe troppo, sarebbe davvero una pressione che non riuscirei a sopportare. Questa, ora, è una parentesi felice e io non voglio finisca, non voglio chiuderla. Nessuno deve rovinare quello che siamo ora, quello che stiamo attraversando… perché io sono finalmente felice. Non voglio che i giornalisti ci assalgano di nuovo, non voglio dover dare spiegazioni, non voglio combattere per riavere la mia vita e la mia privacy. Capisci? Non ce la faccio adesso-
-Alice… nessuno ci obbliga a definirci, a fare grandi passi, a fare cose che non ci sentiamo di fare- mi risponde con dolcezza. -Tra l’altro stiamo ancora lavorando su noi stesse come individui e su di noi come coppia, o sbaglio? Stiamo cercando di affrontare le nostre paure e i nostri problemi insieme. Finché non avremo risolto tutto tra noi, finché non ci sarà una calma piatta, non penso che rendere il tutto pubblico sarebbe una buona idea. Non credi?-
Annuisco in risposta.
-Non ci pensare ora. Sei felice?-
Annuisco ancora.
-Anche io lo sono. Un giorno lo saremo ancora di più, se lo vorremo. Però dobbiamo andare per gradi, uno scalino per volta-
Le sorrido.
Ha sempre le parole giuste al momento giusto.
Parcheggio sotto casa sua, la accompagno davanti al portone.
-Grazie per la serata Alice, mi sono davvero divertita- mi dice timida. -Vuoi salire?-
-Grazie a te! No, è tardi e sono parecchio stanca… tutti quegli scatoloni mi hanno distrutto- ammetto.
-Buonanotte Alice, sono felice per il tuo nuovo lavoro-
-Tutto merito tuo- dico lasciandole un casto bacio sopra le sue labbra fredde.

•••                                •••

La suoneria del mio telefono mi sveglia di colpo.
Che ore sono?
Il sole non sembra essere alto.
-Pronto?- rispondo senza neanche leggere il nome sopra lo schermo.
-Chiara-
È Andrea. A quest’ora di mattina? Ho dimenticato qualche scadenza?
-Andrea. Hai bisogno?-
-Quando pensavi di dirmelo Chiara?-
Il mio sguardo si fa preoccupato.
-Che cosa?-
-Dov’eri ieri sera?- mi chiede con tono serio.
-Ero con Alice Fortini. Perché?- chiedo mettendomi a sedere sul letto.
-Perfetto… perfetto!- dice con tono arrabbiato. -Quando pensavi di dirmelo? Sono cose che io dovevo sapere, ho il diritto e il dovere di saperle!- quasi urla.
-Andrea, calmati non so questo cosa possa c’entrare, non capisco cosa sta suc-
-Ci sono foto Chiara, foto di te e Alice! Io dovevo saperlo, dovevi dirmelo-
-Andrea non è come sembra, non è… è la mia vita privata quella!- dico andando in panico.
-Chiara non esiste vita privata quando diventi un personaggio di interesse nazionale!-
-Fai qualcosa, toglila, fai qualcosa Andrea… fai qualcosa- dico quasi con tono disperato.
-Non posso Chiara! Ormai è sul internet, ormai tutti l’hanno vista-
Non può essere.
 


Buongiorno carissime persone!
Scherzi a parte, sono riuscita a scrivere questo capitolo prima del previsto e spero che vi piaccia. Tranquilli il drama vero e proprio non sta ancora per arrivare, prima voglio far passare un po’ di luna di miele tra le nostre due protagoniste! Però spaventarle un po’ non fa male, no?
Aspetto pareri e recensioni, idee su come le due possano risolvere il problema che è appena nato, e quello che volete! Vi invito a seguirmi su Tumblr: https://fyrstaa.tumblr.com ho già parlato con molte di voi lettrici e ne sono così felice! Però se volete semplicemente rimare aggiornati sulla mia vita da italiana a Dublino, su dove metterò il pacco da 13 chili che mi arriverà dall’Italia… seguitemi!
Tra l’altro ho incominciato ad accennare l’argomento musica che ci darà l’occasione di conoscere nuovi personaggi (due presi da questa bellissima storia http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3478261&i=1 che vi invito a leggere)
Bene, credo sia tutto. Ahhh no scherzo, notiziona delle notizione: sto tornando a casa per qualche giorno! Torno nella mia Torino e sono contentissima. Mi mancava molto (questo si nota perché ho messo vie e tram all’interno di questo capito, di solito evito ma mi mancaaaa), spero di sopravvivere a cene tra parenti e arrivare presto con un nuovo capitolo. Ci vediamo sotto la Mole per un caffè!
Un abbraccio a tutti voi.
Aspetto pareri <3

 

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Capitolo 13
*** Incontri ***


-Prendiamo la mia macchina- dice di colpo.
-Perché? Dove vuoi andare?- chiedo spaventata.
-Senti: visto che non ti risponde l’unica cosa che rimane è andare là e risolvere la questione. Non possiamo stare con le mani in mano e vedere il peggio arrivare- dice serio.
Sbuffo.
Cerco di nascondere il terrore che sento nei miei occhi.
Esco di casa con un respiro affannoso ed agitato.
Forse quello che ho sempre temuto sta per accadere e io non sono neanche minimamente preparata.
Le conseguenze saranno peggiori di quelle che mi sono sempre immaginata? Probabile. Perché funziona sempre così tra l’immaginazione e la realtà: nella realtà è tutto molto, sempre, peggio.
-Funziona ancora l’entrata segreta?- mi chiede lungo il tragitto.
-Sì, utilizzo solo quella- rispondo.
Lui annuisce seriamente.
-Andrea… è molto grave la situazione?- chiedo preoccupata.
-Forse potremmo schivare questo colpo, ma non pensare di poter schivare colpi per sempre-
Arrivati alla sua porta, busso delicatamente.
Nessuna risposta.
Riprovo un po’ più forte. -Alice apri, sono Chiara- dico cercando di rimanere calma.
Ancora niente.
Il panico incomincia ad invadere i miei polmoni, causandomi un bruciore fastidioso.
Avrà visto la foto, avrà letto i commenti e ora non vorrà più parlarmi.
Se c’è una cosa che ho capito di Alice Fortini è che, per tutto questo tempo, ha voluto tenere nascosta la sua sessualità ad ogni costo. Ora, questa foto, poteva rovinare tutti i suoi sforzi.
Mi giro e incrocio lo sguardo di Andrea. Mi guarda preoccupato.
Decido di chiamarla, quasi le mani mi tremano mentre compongo il numero.
Sento il telefono suonare a vuoto dall’altra parte della porta.
Poi all’improvviso sento dei passi lenti, muoversi verso la porta.
-Non voglio nessun tipo di aggeggio per la cucina e neanche scoprire la vostra religione rivoluzionaria che vi porta a bussare le porte la domenica mattina. Anche Dio si è riposato la domenica, cavolo!-
Alzo gli occhi al cielo, sempre la solita.
-Alice, sono Chiara-
La porta si apre immediatamente.
Davanti a me trovo un’Alice addormentata, occhi stanchi e capelli raccolti in una coda disordinata. Di colpo la abbraccio, lei in compenso mi guarda come chi non sta capendo nulla di ciò che succede.
-Mi fa molto piacere questa sveglia, ma dovevi portare anche lui?- chiede sottovoce, mentre siamo ancora abbracciate.
Appena mi stacco mi rivolge uno sguardo interrogativo. Fissa Andrea con uno sguardo che quasi lo penetra.
-Ho lavorato fino a tarda notte e st- dice per poi essere interrotta da Andrea.
-Facci entrare, ti spiegheremo tutto- dice la voce alle mie spalle.
Annuisco per farle capire che ha ragione.
Entriamo nel suo appartamento che ormai conosco fin troppo bene.
Mi siedo sul divano e lei sulla poltrona davanti. Andrea invece decide di stare in piedi.
-Scusate se sono ancora in pigiama, però qualcuno mi ha buttato giù dal letto… ora potete dirmi perché?- chiede.
-Scusa Alice, non sarei piombata qua senza preavviso se non fosse importante…- dico cercando di introdurre il discorso.
-C’è una foto di voi due che vi baciate. È sul web, su Twitter, su ogni giornale online che esista-
Alice lo fissa incredula.
Spalanca gli occhi e deglutisce più volte a vuoto.
Il suo sguardo che ho imparato a leggere, si posa poi su di me. Si può dire dai suoi occhi, che è preoccupata almeno quanto me. Lo so, lo sento.
Si mette a sedere più dritta, come se si preparasse a ricevere il colpo.
-Andrea, il tatto!- lo riprendo.
-Senti, come volevi dirlo? Sono il tuo manager e dobbiamo risolvere la questione subito, oppure sarà troppo tardi-
Torno a fissare Alice.
La sua espressione è seria, quasi di marmo.
Posso sentire i suoi pensieri da qua.
-Senti manager, vai in quella stanza laggiù e chiuditi dentro. Perché devo parlare con Chiara- dice Alice, puntando il dito verso la stanza.
Andrea sbuffa ma esegue.
Alice respira a fondo.
-Alice, ascoltami- esordisco. -So cosa stai pensando, lo sto pensando anche io… Innanzitutto scusami, sono stata io ieri a baciarti e a farmi riaccompagnare a casa come una bambina di seconda superiore, potevo benissimo andare a piedi… ma non sapevo ci fosse qualcuno, ho fatto ciò che ritenevo naturale e ti chiedo scusa. Sei arrabbiata? So che hai sempre voluto lasciare questa parte di te lontano dai riflettori e scu-
-Sì- mi risponde bloccandomi.
-Sì cosa?-
-Sì, sono arrabbiata- mi dice spiazzandomi.
Il mio cuore inizia a battere velocemente e le mie mani iniziano a tremare.
Come tutto si può spezzare in un secondo, ecco come.
-Con il mondo, con il mondo che non ci lascia in pace neanche un secondo, che non si fa i cazzi suoi ma che invece si deve fare i nostri… Per cosa poi? Uno scatto rubato ad una vita altrui che finalmente poteva essere tranquilla-
Mi risponde con tono rassegnato.
-Vieni qua- le dico dolcemente.
Si mette a sedere di fianco a me, i miei occhi si perdono nei suoi occhi stanchi. Stanchi di combattere, stanchi di non aver attimo per respirare e stanchi di dover provare agli altri sempre qualcosa.
-Lo risolveremo, come sempre da quando ci conosciamo- le dico per tranquillizzarla.
-Tu hai visto la foto?- mi chiede giocherellando nervosamente con il lembo della mia camicetta.
-Effettivamente no- rispondo.
In tutto questo trambusto mi sono dimenticata della parte più importante: la foto in sé.
-Allora vediamola- dice calma.
-Era davvero necessario chiuderlo nella stanza degli ospiti?- chiedo ridacchiando.
-No- mi risponde ridendo a sua volta. - Però ho sempre voluto un manager da comandare a bacchetta, volevo provare questo brivido-
-Se vuoi te lo regalo-
Scoppiamo di nuovo a ridere.
-Manager! Puoi uscire!- urla ridendo.
-Ho un nome sai?- dice lui arrabbiato.
-Non vuoi essere chiamato con la tua nobile carica?- scherza ancora la bionda.
-Non capisco perché la prendi così alla leggera, dovresti essere preoccupata-
-Fammi vedere la foto. Se è davvero grave come dici allora mi dispererò con te- dice lei.
-Twitter è pieno, basta aprirlo-
Apriamo tutti e tre Twitter quasi contemporaneamente.
Una marea di notifiche inondano i nostri telefoni, la nostra home page è piena di tweet sulla foto incriminata e finalmente la vedo.
La fisso.
La luce gialla del lampione vicino al portone di casa mia illumina nitidamente dei capelli biondi, si intravedono le mie gambe dietro le sue, ma il mio viso è nascosto dalla testa di Alice. Il mio braccio cinge la sua vita. Queste sono le uniche cose che la luce, nella foto, illumina. Il resto è buio e poco riconoscibile. Il portone di casa mia si intravede appena, infatti.
Da questa angolazione sembra quasi un abbraccio più che un bacio.
-Potrebbe essere una qualsiasi bionda che abbraccia una ragazza- esordisce Alice spezzando il silenzio. -Poi non si vede neanche il presunto bacio, direi che hanno proprio sbagliato angolazione- commenta ancora.
Ridacchio in sottofondo sentendo il tono di sfida che sfodera Alice verso il giornalista che ha scattato la foto.
-Non c’è nulla da ridere!- mi riprende Andrea. -O dite la verità oppure la negate, a me non mi interessa. Però fatelo. Decidete!-
Ritorno a fissare Alice che sta leggendo i vari commenti del web.
-Uno scrive: “Quella bionda sembra la mia ragazza”- scoppio a ridere istantaneamente.
Ci perdiamo tutte e due nella lettura dei commenti.
La maggior parte delle persone ironizza sulla foto e su come si voglia ingigantire ogni cosa che la Fortini faccia. Altri dicono che l’hanno sempre sospettato e altri ancora dicono di lasciare in pace Alice nella sua nuova vita, nessun altro scandalo deve toccare la ragazza.
-Neanche loro ci credono a ‘sta storia- commento.
-Però altri stanno scommettendo ingenti somme di denaro sul fatto che siamo noi- dice lei ridendo di nuovo.
-Dici? Io vedo solo commenti sul tuo culo- dico stuzzicandola.
-Ehy!- mi dice spintonandomi giocosamente.
-Cosa? È la verità!- dico difendendomi.
Intanto Andrea gira in tondo nervosamente davanti a noi, picchiettando ritmicamente le dita sul retro del suo telefono-
-Puoi sederti? Mi gira la testa nel vederti fare la trottola- dice Alice con tono ironico.
Sbuffa e si siede dove prima si trovava Alice.
-Per risolvere la questione la prima cosa che devo chiedervi è se state insieme o no- chiede lui molto seriamente.
Rispondiamo praticamente all’unisono.
Io con un sì netto e lei con un secco no.
Immediatamente mi giro e la guardo interrogativamente, quasi di storto.
-Devo andare di nuovo in punizione?- chiede Andrea con un tono leggermente ironico ma anche spaventato.
-Non ne abbiamo mai veramente parlato- dice Alice spiegando la sua risposta.
-Ha ragione- annuisco. -Stiamo solo uscendo insieme, non vogliamo correre- dico con un velo di imbarazzo.
Non avevo immaginato di dirlo ad Andrea in queste circostanze, ma ecco la prova che la realtà è molto peggio della nostra immaginazione.
-Okay- risponde lui sospirando. -In ogni caso, dovevi dirmelo. Non sono tuo padre, sono il tuo manager. Devo sapere queste cose per far si che la tua carriera continui come ci siamo prefissati, però io ti devo conoscere e tu devi dirmi tutto. Beh quasi tutto, ecco. Quindi, voi due piccioncine, dovete incominciare a parlare con me di situazioni potenzialmente pericolose dal punto di vista mediatico-
-Anche io? Io che c’entro!- dice scocciata Alice.
-Ho detto che accetto obiezioni? No- risponde serio.
Io ed Alice annuiamo simultaneamente.
-Bene. Ora decidete voi cosa rispondere. L’unico consiglio che vi do è quello che forse, visto che dalla foto non si può dire con certezza che siate voi, essere indifferenti può essere la risposta giusta- dice calmo.
-Lo penso anche io- dico subito dopo. -Non voglio negare, sarebbe da stupidi. Perché se un giorno vorremmo dirlo al mondo, tutti ci chiederebbero perché abbiamo mentito in passato e io odio mentire- dico seria.
-E non possiamo ammettere perché non abbiamo preso una decisione neanche noi stesse. Prima voglio sistemare la mia vita, poi quella che vedono gli altri non il contrario- aggiunge la bionda.
Il suo ragionamento è vero e, soprattutto, è ciò che avevamo concordato quel giorno.
Il silenzio ci avvolge di nuovo.
Si possono sentire i nostri cervelli pensare ad una soluzione.
-Allora ignoriamo il tutto e di sicuro tutti se ne dimenticheranno- dico seria.
-Ho un’idea migliore- dice di colpo Alice prendendo il suo telefono e iniziando a scrivere decisa.
Dopo poco un suo nuovo tweet compare sulla mia bacheca.

@AliceFortini: “Apprezzo le vostre capacità investigative, però potevate fare una foto migliore. Si vede che il giornalista non lavora in una vera redazione”
@AliceFortini: “Gli consiglio di lasciare in pace le persone che lavorano per rifarsi una nuova vita, magari dopo potrei spiegargli cos’è il giornalismo”



Rido alla vista dei tweet.
-Non ho smentito, non ho approvato, l’ho solo preso in giro. Che ne dite, facciamo colazione?- dice lei tranquillamente.
-Beh, è un modo per rispondere- dice Andrea serio. -Vi lascio alla vostra colazione. E Chiara?-
-Sì?- rispondo.
-Domani, nel mio ufficio-
Annuisco prima che lui sparisca dietro la porta d’entrata.
Becco Alice alzare gli occhi al cielo.
Alzo le spalle in risposta.
-Non sei felice che la prima persona a sapere di noi sia il tuo manager?- chiede Alice ridacchiando.
Stavolta sono io ad alzare gli occhi al cielo: -Non sai quanto-, dico alzandomi dal divano e dirigendomi in cucina.
-Ehy, ma ci sono davvero quei commenti sul mio culo?- chiede ridendo.
Io dalla cucina rispondo. -Cosa devo rispondere per evitare il tuo solito discorso sul potere delle tue corse mattutine?-
Scoppiamo a ridere insieme.



Stranamente la faccenda si era chiusa lì. Tutti avevano riso della risposta tagliente dei Alice, io compresa. Avevo anche condiviso con tanto di faccine con le lacrime agli occhi.
Alice aveva avuto una buona idea, perché effettivamente nella foto non si vedeva nulla, non si capiva che eravamo noi due e soprattutto non si vedeva nessun bacio.
Insomma c’erano troppe cose non evidenti per arrendersi o per essere spaventate.
In fondo era la nostra parola contro quella di un “giornalista” che Alice aveva distrutto con poche parole.
Per di più Alice godeva oramai del massimo rispetto possibile, dai colleghi e da tutte le persone sul web e non. Quindi le sue parole difficilmente venivano messe in discussione.
Probabilmente è per quest’ultimo motivo che Andrea aveva smesso di farmi domande sul nostro rapporto e quella foto. Dopo la piccola ramanzina del lunedì, in cui ha ripetuto le solite cose, non ha più detto neanche una frase al riguardo. Penso che anche lui abbia paura sotto sotto: non si può negare che il suo essere tagliente ed acida fa sempre parte della sua persona. Sono le qualità che più mostra agli altri, sebbene con me non lo sia. Ma con il resto del mondo è, ancora, la classica Fortini. Una giornalista fatta e finita: dalle palle quadrate, dalla lingua tagliente e dal cervello sveglio.
So la cento per cento che ad Alice, Andrea non va a genio. Lo trova noioso, con mille paranoie e sempre troppo sull’attenti quando qualcosa mi riguarda. Ho cercato in tutti i modi di farle capire che quello è il suo lavoro, che qualcuno deve controllarmi e fare i miei interessi, ma niente. Da buon spirito libero e da giornalista con la G maiuscola, non capisce il concetto.
Forse con il tempo potranno finalmente apprezzarsi.
Per il resto della settimana avevo lavorato alla conclusione delle trame iniziate da ormai un bel po’ di tempo. Finalmente le avevo finite ed ero molto fiera del mio lavoro, così fiera da portarle subito al mio quartier generale.
-A me piacciono- dice Andrea ripassandomi i fogli.
-Anche a me, però sono davvero indecisa- dico mordendomi il labbro.
-Ho un’idea. Prima di parlarne con l’editor e sai com’è quando ci si mette…- dice alludendo a tutto l’iter attraversato con il mio primo libro -Prendiamo qualche persona a caso qua in mezzo e facciamo leggere le trame a loro, così vediamo il responso-
Faccio spallucce per dargli il via.
Poco dopo torna con quattro baldi giovani che sembrano appena usciti da un aperitivo molto hipster.
-Okay, lui è Marco il mio grafico preferito, lei è Francesca che corregge le bozze e poi abbiamo Federico e Lorenzo dal piano marketing. Ora spiega tutto- mi dice Andrea.
-Ciao ragazzi, grazie per aver accettato questa pazza idea- dico ridacchiando. -Siamo indecisi sulla direzione da dare al mio prossimo libro. Abbiamo ristretto il campo a due possibili trame, ma siamo ancora in dubbio! Vorremmo che leggeste le due trame che hanno già tutti i particolari necessari, la storia è ben delineata... e abbiamo bisogno del vostro giudizio oggettivo-
Annuiscono simultaneamente e iniziano la lettura con un sorriso.
Mentre gli altri leggono io ed Andrea decidiamo di prenderci un caffè alla macchinetta in fondo al corridoio.
-Mi sorprende ogni volta questa macchinetta. È così buono questo caffè- dico sorseggiandolo.
-Abbiamo avuto una bella idea- dice lui riferendosi ai quattro ragazzi.
-Tu l’hai avuta! Spero apprezzino le trame-
-Credimi, li conosco da quando sono arrivati qua. Sono ragazzi d’oro, amano lavorare in questo posto e leggere ciò che pubblichiamo-
Sorrido felice.
Di colpo la suoneria del mio telefono spezza la nostra pausa caffè.
Leggo il nome sullo schermo e istantaneamente il mio sguardo si fa preoccupato.
-Pronto?-
-Ciao, tesoro!-
-Ehy, mamma che sorpresa!- dico lanciando uno sguardo spaventato ad Andrea che subito si defila.
Decido di andare sul balconcino dove di solito i fumatori fanno la loro pausa sigaretta, per parlare liberamente.
-Ti disturbo?- mi chiede raggiante.
-No, ero con Andrea. Stavamo discutendo un paio di cosette- rispondo calma.
-Oh non volevo disturbarti, se vuoi chiamo dopo-
-No mamma tranquilla, dimmi tutto-
-Come stai? In queste ultime due settimane non mi hai chiamato!-
-Mamma, ma se ti ho riempito di foto del Valentino con i bellissimi colori dell’autunno!- sbuffo.
-Beh, non è la stessa cosa-
-Scusa scusa, sono stata un po’ impegnata-
-Sai pensavo di prendere il treno domani mattina e venire a trovarti- mi dice spiazzandomi..
-Davvero?- dico cercando di mascherare la mia preoccupazione.
-Sì, caccio un po’ di vestiti pesanti in valigia e in due ore sono lì da te-
-Valigia?- chiedo ancora.
-Pensavo di stare fino a lunedì-
Okay, questo è panico.
Panico puro.
-Perché?- chiedo seriamente preoccupata per il risvolto che sta prendendo la conversazione.
-La tua mamma non può venire a vedere dove vive la figlia?-
-C-certo mamma che puoi. È che in questi due anni non hai mai espresso la tua volontà nel venire, quindi pensavo fosse successo qualcosa- dico spiegando.
-Tesoro, ti ricordo che sono io ad averti aiutato con il trasloco- dice ridendo.
-Va bene, va bene- dico lasciando perdere il discorso. -Quando arrivi?­-
-Domani mattina alle 11-
-Allora ti aspetto in stazione mamma, a domani!-
Ci salutiamo e stacchiamo la comunicazione.
Questa conversazione è stata la conversazione più strana mai fatta con mia mamma.
Torno alla velocità della luce da Andrea, che sta parlando con i ragazzi.
-Scusate, un imprevisto che si chiama “mamma”- dico con un sorriso. -Avete letto le due trame?-
Tutti annuiscono.
-Velocissimi, cavolo!- dico incredula. -Cosa ne pensate?- chiedo curiosa.
-Vai Francesca, parti tu- dice uno dei ragazzi.
-Allora, partendo dal presupposto che sono astata io a correggere le tue bozze del precedente libro, vorrei davvero leggere il continuo. Anche perché, giustamente, il finale di quello prima era molto ambiguo… non si sa effettivamente come vada a finire. Un continuo sarebbe perfetto da un finale del genere- dice concludendo.
-Davvero hai corretto le mie bozze?- dico con il sorriso.
-Sì, Chiara. Io ho fatto il primo giro di bozze!- dice tutta orgogliosa.
-Oddio, bellissimo non lo sapevo!- esclamo felice.
Mi risponde con un sorriso.
-Marco, vai tu- dice Andrea.
-La nuova trama è decisamente molto più entusiasmante di un possibile continuo… la location è un po’ alternativa, il personaggio è mooooolto scomodo. Dai non c’è paragone! È come paragonare paint con photoshop!-
Rido al paragone.
-Grazie, lo terrò a mente!-
-Fede?- chiede Andrea.
-Dal punto di vista del marketing un secondo libro venderà comunque più di uno lanciato dal nulla. Tutti quelli che hanno letto il primo, anche solo per curiosità leggeranno il secondo. Potresti anche scrivere che lei va insieme ad Indiana Jones a cercare tesori, lo leggerebbero comunque- dice ridendo e sistemandosi gli occhiali alla moda sul naso.
-No, Fede non ha ragione!- interviene Lorenzo. -Se poi non è bello quanto il primo, un futuro terzo libro non venderà mai quanto il primo! Tutti si ricorderanno del secondo libro non all’altezza del primo e tu BOOM, tagliata fuori dal mercato in tempo record- dice mimando una bomba che esplode.
-Mi vuoi dire che siamo in parità, Lorenzo?- chiedo rassegnata.
-Devi decidere tu!- mi risponde lui con un sorriso.
Dopo qualche chiacchiera di circostanza Andrea ci abbandona e io accompagno i ragazzi all’uscita del palazzo, poiché ormai a minuti chiuderà.
-Grazie mille per l’aiuto ragazzi, siete stati fenomenali!- dico felice.
-Di nulla Chiara! Noi dopo ci vediamo al pub per bere qualche birra, ti aggreghi a noi?- chiede Francesca con un sorriso.
Ripenso mentalmente ai miei impegni. Alice è impegnata in redazione per la stesura del suo articolo questa sera.
-Ci sono! A che ora e dove?-
-Al Luxe, alle 21:30! Ti aspettiamo!-

•••                                •••

Scrivere, scrivere, scrivere.
Ecco cos’è stata questa giornata per me.
Devo finire questo articolo per lunedì, oppure inizierò già subito a dar fastidio al capo.
Mi manca solo una dannata conclusione, Dio… possibile che sia così difficile?
Continuo a cancellare le ultime frasi e a riscrivere.
La barra di word continua a lampeggiare davanti ai miei occhi.
Pensa Fortini, pensa.
Guardo l’ora.
Le 18.
Ho tempo fino alle 23 per consegnarlo e far sì che sia sul giornale di lunedì.
Sospiro a fondo e riprendo a scrivere.
Di colpo la suoneria del telefono riempie il mio cubicolo.
-Pronto?-
-Porto notizie disastrose- risponde la voce dannatamente famigliare dall’altro capo con tono ironico.
-Ma ciao- sorrido sentendo l’incipit. -Quali notizie disastrose- dico prendendola in giro.
-Mia mamma mi ha appena telefonato e se lei telefona, vuol dire che porta solo cattive notizie-
-Non pensi di star esagerando? È normale che ti telefoni-
-Fortini: tu. Non. Sai-
-Io. Non. So.-
Sbuffa dall’altra parte del telefono.
-Beh quindi, che ti ha detto?- chiedo curiosa.
-Che ha preso i biglietti per il treno e domani mattina sarà qua-
La cosa mi spiazza.
-Perchè ho il sentore che manchi un “fino a”?-
-Fino a lunedì-
Sbuffo sonoramente.
-E il nostro week-end, maglioni, patatine e film?-
-Brutte notizie, pigrona mia…-
-No, Chiara, io aspettavo questo week end da tutta la settimana- piagnucolo.
-Ho un’idea. Visto che, a quanto pare, questa giornata è ad un livello di stranezza inaudita, dei colleghi mi hanno invitato in un pub con loro…-
-Uhhh, Cerati, ti stai facendo amici al lavoro finalmente?- chiedo stuzzicandola.
-Daiii, stupida che sei! Mi hanno aiutato in una missione super segreta. Comunque pensavo che, non appena finisci il tuo articolo, potresti passare dal pub, potremmo andare nel tuo appartamento, recuperare il week-end perduto… e dimenticarci che esiste un domani-
Sorrido sentendo la sua idea.
-Approvo in pieno, a dopo-
Ora ho qualcosa per cui finire questo dannato articolo alla velocità della luce.
 
Guardo l’ora.
22:45.
Rileggo per l’ennesima volta il lavoro, come sempre.
Mando in stampa l’articolo e aspetto pazientemente. Quando la stampante finisce prendo i fogli e li lascio sulla scrivania del caporedattore. Domani lo leggerà e lo approverà, oppure lo straccerà.
Sospiro.
Sapevo che ricominciare da capo avrebbe richiesto un dispendio di energie non indifferente però non lo aspettavo così duro. Credevo fosse il solito lavoro di sempre a cui mi ero abituata negli ultimi due anni della mia vita, ma invece qua è tutto più caotico e veloce.
Non c’è tempo per il mio solito caffè la mattina, non c’è tempo per chiedere consigli a Marta sul da farsi, non ci sono semplici chiacchiere di cortesia con politici o investitori, non c’è la mia posizione da “giornalista importante” che possedevo prima. È giusto, l’ho accettato ed è giusto così. Ma non ero più abituata a questa continua competizione tra colleghi: il primo che arriva scegliere l’articolo, quello più veloce a rispondere al capo in sala conferenze si prende lo scoop, quello che ha l’intervista in esclusiva ti guarda di storto come se volessi rubargliela. Ecco, non ero più abituata a questa voglia di combattere come leoni in gabbia.
Sono nata da queste battaglie a colpi di frasi e interviste, quindi posso benissimo tornare in gioco.
Devo solo volerlo.
E lo voglio.
Scendo velocemente le scale e saluto qualche collega che ancora impagina l’edizione successiva.
Scrivo un veloce messaggio a Chiara e metto in moto.
Arrivata al pub, entro e cerco subito il volto di Chiara.
Giro tra i tavoli e all’improvviso mi sento chiamare. Mi volto e incrocio i suoi occhi felici che fanno coppia con un sorriso sincero.
Raggiungo il loro tavolo e mi siedo accanto a Chiara, salutando tutti i presenti.
Mi rispondono raggianti e mi piazzano subito una birra sotto il naso.
-Chiara, non ci avevi detto che la tua amica era la Fortini! Caspita!- dice ridendo una ragazza magra e alta, con i capelli scuri e lunghi, legati con una splendida treccia. Il suo sorriso contagia tutto il tavolo e Chiara ride alla battuta. Poi continua: -Piacere, io sono Francesca-.
-Il piacere è tutto mio- rispondo cordialmente.
-Lui è Lorenzo- dice Chiara al mio fianco, indicando un ragazzo con i capelli rossi vestito con un bel maglioncino e una camicia colorata che si intravede appena. -Invece loro sono Federico e Marco-
-Piacere! Alice- dico salutando i due ragazzi rimanenti.
-Uhh, ti conosciamo! Seguiamo il tuo programma tv- dice Federico.
-Wow, spero vi piaccia-
-Sì, è un buon modo per riempire i giovedì sera… perché diciamocelo ci sono certi giorni della settimana che non hanno proprio senso- dice lui, scatenando le risate di tutti.
-Come fai a dire che certi giorni non hanno senso?- lo prende in giro Francesca.
-Beh, perché… perché non ha senso il giovedì! È triste, monotono, lì nel mezzo della settimana che bah!-
Ridiamo tutti in coro ancora.
-Per me è il martedì! Io odio il martedì!- dice poi Marco dal nulla.
Francesca alza gli occhi al cielo e sorseggia la sua birra.
Forse per dimenticare il discorso.
Mi giro per incrociare lo sguardo di Chiara. Appena lo intercetto mi sorride dolcemente, quasi come se dicesse: grazie di essere passata.
Mentre gli altri parlano animatamente io chiedo a Chiara: -Allora, come stai?-
-Bene grazie, tu? Sei riuscita a finire l'articolo?-
-Sì, poco prima della scadenza. Spero vada bene- dico con un tono preoccupato.
-Tranquilla, sei brava è innegabile. Quindi se non gli piace puoi sempre riprovarci, hai le capacità e prima o poi sfornerai qualcosa che gli piace-
Chiara sa sempre come rincuorarmi, anche solo temporaneamente. Sa sempre come calmarmi e tranquillizzarmi, senza darmi però false speranze. Ha questa grossa capacità di aiutarti a superare gli ostacoli ma al contempo riesce a dirti: fai attenzione laggiù ce n'è un altro.
Non penso se ne renda conto, eppure, questa è una qualità preziosa che in pochi conoscono e possiedono. In molti ti aiutano, è vero, anche se forse è un'azione che tutt'oggi è più unica che rara. Però non neghiamo l'evidenza: la maggior parte delle volte è un aiuto con un secondo fine, un credito che gli altri vogliono avere nei tuoi confronti per poi chiederti qualcosa in cambio alla prima occasione che trovano e questo non è aiutare. In pochi però ti aiutano e ti fanno rimanere con i piedi ben saldati a terra, con uno sguardo attento al prossimo attacco che il mondo ti può sferrare.
Da quando ho conosciuto Chiara, ho rivoluzionato il concetto di “aiuto”. Lei è gentile e premurosa in un modo unico: lo è per natura. Questa sua connotazione ce l'ha dentro di sé, fa parte del suo carattere.
Resto ammaliata ogni volta dalle sue semplici frasi che, però, ti mettono pace e tranquillità. Anche questa volta, con un sorriso e qualche parola ha dissolto i miei dubbi e, soprattuto, mi ha dato la forza per riprovarci se non andrà come ho pianificato.
Sorrido e la ringrazio silenziosamente.
-Tu che hai fatto oggi?- chiedo curiosa.
-Uhhh abbiamo svolto una missione super segreta, vero ragazzi?- chiede al resto del gruppo.
Alzo un sopracciglio curiosa.
-Già!- risponde felicissimo Lorenzo.
-Quindi non posso sapere nulla? Neanche un accenno?- chiedo ancora.
-Cosa ci dai in cambio?- chiede Francesca divertita.
-Un altro giro?- dico ridendo.
Annuiscono tutti contenti e nel mentre chiamo il cameriere.
-Parlate ora!- dico con finta autorità non appena le birre arrivano.
-Chiara ha dei dubbi sul suo nuovo libro e noi l'abbiamo aiutata!- dice Francesca prima di buttare giù un sorso di birra scura.
-Tutto qua?- chiedo esterrefatta. –Pensavo fosse una cosa più entusiasmate!-
Guardo di storto Chiara.
Lei ridacchia.
-No, questo è molto entusiasmante nel nostro lavoro!- ride Marco.
Tutti si battono il cinque tra loro ridendo.
-Ho capito, mi avete fatto credere che fosse una missione super segreta solo per farvi offrire altra birra!-
Scoppiano tutti a ridere.
-Abbiamo organizzato tutto mentre arrivavi- dice Lorenzo felice.
-Ah! Me la pagherete... E da te- dico indicando Chiara, -non me lo sarei mai aspettato- dico facendo la finta arrabbiata.
Scoppia una risata generale.
Poco dopo ci ritroviamo nella mia macchina, Chiara felice al mio fianco, musica in sottofondo e io che guido verso casa mia.
-Sono proprio simpatici- dico sinceramente.
-Vero?!-
-Dovresti uscire più spesso con loro, ti ho vista genuinamente felice-
-Perché sono stata bene con loro e sto sempre bene con te-
A sentire quella frase i brividi mi salgono lungo la schiena. -Anche io sto sempre bene con te. Mi spiace che ultimamente siamo state tutte e due impegnate e divise. Volevo recuperare questo weekend ma...- ridacchio.
-Lasciamo stare!- dice sbuffando.
Arriviamo a casa e subito Chiara si butta sul divano.
Prendo una coperta, due bicchieri d'acqua e la raggiungo alla velocità della luce.
-Sai dovremmo iniziare una serie TV e fare del venerdì sera una serata tutta dedicata a noi e netflix- propone Chiara con un sorriso a trentadue denti.
Annuisco felice. -Basta che non sia una di quelle tue cose da nerd, con teletrasporti, alieni oppure battute a sfondo Star Wars-
In tutta risposta mi fa uno sguardo triste nella speranza di dissuadermi.
-Beh potremmo ved-
-No!- mi blocca.
-Ma non sai cosa stavo per dire- dico incrociando le braccia.
-Niente House Of Cards!-
Rimango sbalordita. -Ma come facevi a saperlo!!-
-Sei ovvia- ridacchia.
-Okay allora qualcosa che possa piacere a tutte e due- dico triste.
-C'è solo una serie TV che può riunire sotto il suo tetto i nostri mondi differenti... Game of Thrones- dice mettendo in play la prima puntata.
-Ehy io ho già visto le prime due stagioni- protesto.
-E beh? Io le prime quattro. Lo ricominciamo-
-Ma ci metteremo una vita!-
-Vuoi dire che pianifichi di lasciarmi presto? Mi concedi solo la prima stagione o anche la seconda?- dice ironica.
-Perché stiamo insieme?- chiedo anche io ironicamente nel sentire il suo “lasciarmi”.
Diventa rossa all'istante non appena realizza quello che ha detto. Io rido genuinamente.
-No, cioè no ovvio lo so era in senso figurato, no? Capisci? In quel senso- dice impacciata gesticolando per aria.
Rido ancora più forte vedendo la scena.
-Cosa ridi?- poi dice con tono finto arrabbiato.
-Mi fai morire quando pensi di aver detto qualcosa di sbagliato e tenti di riparare- rispondo asciugandomi le lacrime agli occhi.
Mi guarda ancora male.
-Possiamo dare un nome alla... Cosa. Così non ti sentirai più in colpa- dico alzando un sopracciglio.
-È questo il modo in cui vuoi ufficializzare il tutto? Con sotto la sigla di Game Of Thrones?- ribatte sarcasticamente.
-Per una nerd come te dovrebbe essere un paradiso- dico ridacchiando.
-Infatti potrebbe esserlo- dice cercando di non ammettere la sua felicità.
-Vuoi essere la mia ragazza?- chiedo stranamente senza vergogna, solo con tanta ansia in corpo. Non pensavo potesse avvenire così in fretta, così stranamente. Eppure sta accadendo. Sul divano di casa mia, noi sotto un plaid a quadretti e una serie TV davanti agli occhi.
-Anche se comporterà vedermi in loop House of Cards, accetto- dice con un sorriso felice puntando i suoi occhi ambrati sui miei. Niente è più bello di questa visione, niente conta di più di questo e niente è paragonabile alla sua bellezza.
Mi lascia un tenero bacio sulle labbra, com’è ormai nostra abitudine. Si distende di fianco a me, io dietro di lei. Vicine come non mai, i nostri occhi verso la televisione e le nostre mani intrecciate. Come sempre, ogni contatto che la mia pelle ha con quella di Chiara, brucia, brucia come non mai. Forse, una parte di me deve ancora capire che questo contatto non mi lascerà mai scottata, mai usata e mai con dei lividi. Questo è il massimo contatto che riesco a darle, questa è la massima parte di me che il mio cervello e il mio cuore mi lasciano gestire.
Stringo la sua mano nella mia, come per farle capire che io ci sono, che io ora sono la sua ragazza ovvero una nuova parte di sè su cui contare, un suo prolungamento che sarà sempre qua per appoggiarla.
Sono la sua ragazza, ripeto fra me e me.
Le bacio una spalla dolcemente, un bacio che finisce sul suo maglione morbido.
-Penso che ti concederò fino alla terza stagione, ma non di più- dico scatenando le nostre risate più sincere.
 
 
Quando la mattina la sveglia suona, Chiara lascia andare un sospiro. Si gira, si accoccola sul mio petto e torna a dormire.
La guardo silenziosamente.
Quando la stessa sveglia suona dieci minuti dopo, lascio andare una risata silenziosa nel vedere il suo viso contrariato. Ancora con gli occhi chiusi dice: -Dimmi che non è vero-
Mette il viso sotto le coperte e appoggia la sua testa sopra la mia pancia.
-Non respirerai a lungo là sotto e presto dovrai affrontare la realtà-
Dico ridacchiando dolcemente.
Quando, pochi minuti dopo, riemerge l'ennesima sveglia suona.
Per fortuna se ne imposta già un bel po'!
-Altri cinque minuti- di implora senza aprire gli occhi.
-Ah non guardare me, non è mia madre quella che arriva con le valigie!-
Sbuffa sonoramente.
Le bacio la testa e poi aggiungo: -Stai qua che io preparo la colazione-
Annuisce e io scappo in cucina.
Il tempo di preparare tutto e torno in camera.
-Dormigliona, la colazione-
Lei si alza, mi fissa dolcemente: -Potrei abituarmi a tutto questo-
-La colazione a letto? No, cara, non abituarti... Perché ti butterò giù a forza di solletico-
Dico mentre addenta una fetta biscottata e mi guarda preoccupata.
Ridacchio e mangio il mio pane, burro e zucchero.
-La marmellata è centomila volte più buona che quello- mi dice.
-Attenzione che certe affermazioni sono pericolose, potrei lasciarti per certe opinioni- scherzo.
-Certo che... Wow. Mi sento fortunata. La maniaca dell'ordine Alice Fortini mi fa mangiare a letto! Non hai paura delle briciole?!- dice prendendomi in giro.
Alzo gli occhi al cielo e apro l'armadio.
-Io devo andare a correre e tu a prendere la tua mammina, l'ho fatto solo per velocizzare il processo visto che qualcuno non si vuole mai alzare dal letto!-
 
•••                                •••


Leggo il grande cartellone elettronico: binario sedici.
Mi incammino verso il binario e intravedo il treno arrivare.
Non appena ho abbandonato Alice alla sua maledetta corsa mattutina, sono corsa a casa a mettere in ordine il tutto. Mi ero dimenticata di aver lasciato una marea di fogli e giornali sparsi per tutta casa, per non parlare della lavatrice che dovevo fare ma di cui mi sono bellamente dimenticata. Così, non appena ho realizzato, sono corsa via con una fetta biscottata ancora in bocca.
Gentilmente Alice mi ha consigliato di prendere la sua macchina e di guidare fino a casa mia visto che lei non l'avrebbe usata, per fare prima. Ma ehi, forse lei ha troppa fiducia in me o considerazione... Io quel coso enorme non lo so parcheggiare! Quindi ho optato per le mie gambe, che non si devono parcheggiare da nessuna parte.
Per fortuna in stazione ci sono venuta in macchina, se no sarei morta in mezzo alla strada… e come morte non è un granché.
Ho fatto anche io la mia corsa mattutina” scrivo giocosamente ad Alice.
“Ti sentirai subito meglio, buona fortuna con tua mamma! Se hai bisogno chiama” sorrido alla gentilezza della ragazza.
Non appena i passeggeri iniziano a scendere cerco subito il volto di mia mamma tra di loro. Un senso di agitazione mi pervade.
Non appena riconosco il suo viso, l'abitazione si fa ancora più forte. Un caldo abbraccio mi circonda subito dopo: -Ciao tesoro!- ridacchio, ho sempre odiato questo nomignolo.
-Ciao mamma, tutto bene il viaggio?- chiedo staccandomi da lei.
-Oddio ma sei cresciuta tantissimo! E sei cambiata, che hai fatto hai capelli?! Sono diversi!- dice tutta entusiasta.
-Mi spiace deluderti ma sono sempre la stessa ragazza bassa con i capelli ribelli- dico ridendo.
Le mi guarda contrariata e ride poco dopo.
-Dammi la valigia, mamma- dico prendendole il trolley dalle mani. –Parcheggio vicino ovviamente non ce n’era- dico uscendo dalla stazione e procedendo verso la macchina.
-Beh almeno posso godermi il caos della città- dice lei vedendo il corso principale della città tutto intasato di macchine e tram, pedoni che aspettano il verde e biciclette impazzite.
-Ah, il sabato è così. Nessuno deve lavorare eppure tutti si dimenticano che possono stare a casa a dormire- dico scatenando le sue risa.
Una volta entrate in macchina, lei subito mi chiede: -Penso che questa macchinina sia utile qua in città, vero?-
Annuisco seria. –È fantastica, si guida benissimo e sembra fatta per stare in città. È il miglior investimento che abbiamo fatto- sorrido rivolgendomi a lei.
-Hai anche imparato a guidare in questo intricato e caotico mondo stradale... Non so come fai!- mi dice.
-O imparavo, o imparavo. C'è poco da fare!-
Arrivate davanti a casa, parcheggiamo ed entriamo subito dopo.
-Uhh, non è cambiata di una virgola dal giorno in cui ti sei trasferita-
-Probabilmente è solo più disordinata- rido. -Vieni posa tutto qua, la camera degli ospiti è tutta tua mamma-
Dopo esserci sistemate parliamo del da farsi. -Potremmo mangiare in giro, vedere la città, prendere un bel gelato nella mia gelateria preferita e poi... Non so vediamo!-
Sorride raggiante e accetta la proposta.
Arriviamo in centro con un paio di fermate del tram. Giriamo le principali piazze che lei conosce sì, ma non poi così bene. Decidiamo di entrare in qualche museo e intanto mi racconta di casa, dei pasticci che succedono in famiglia e delle news amorose dei miei cugini.
-Alessio non è proprio cambiato- dico ridendo. Era un rubacuori all'epoca e lo è ancora adesso. Fare strage di cuori sembra essere il suo scopro primario.
Tra una parola e l'altra decidiamo di ristorarci con una bella pizza.
-Quindi il libro sta vendendo bene?- mi chiede.
-Umh, sì. Nel senso sta seguendo la classica curva di vendite come era previsto, anzi sta reggendo ancora bene dopo tutto questo tempo! Andrea è contento e io anche, abbiamo fatto moltissime ristampe, e tra poco dobbiamo trovare un'altra strategia di marketing per rialzare le vendite-
-Sono proprio contenta Chiara... Hai fatto tanti sforzi per riuscirci. È giusto che ora tu venga ripagata-
-Grazie mamma- dico. –Direi che ora è il momento di vedere il famoso Valentino che ami a distanza da tempo... Anche perché sono gli ultimi giorni buoni per vederlo: siamo alla fine dell'autunno-
Annuisce felice.
Giriamo il parco tranquille, parlando del più e del meno, sorridendo felici agli scoiattoli che incrociano la nostra via. I colori sono ancora bellissimi. Il rosso e il giallo tentano di combattere tutte le tonalità del marrone, tentano di non farsi prendere da loro, ma tra poco sarà inevitabile. Si coloreranno anche loro e poi cadranno com'è giusto che sia, un nuovo inizio deve partire da una fine, non c'è nessun'altra via e nessun'altra scorciatoia.
Il fiume, impassibile, non risente dei cambiamenti di stagione ed è sempre maestoso. Incombe sulla città, ne fa da cornice ma è sempre lì, una costante naturale che ci ricorda di come non possiamo raggirare la natura.
-Ora capisco perché vieni spesso qua-
Annuisco felice.
Pensavo peggio, pensavo che essendo stata lontana dalla mia famiglia per tanto tempo non riuscissi più a stare con loro, non riuscissi più a capire il loro pensiero. Avevo paura che, essendo io stessa cambiata molto, essendo io stessa reduce da esperienze di vita che ti cambiano totalmente, gli altri potessero vedere questi cambiamenti e non accettarli. O ancora peggio, non sopportare il fatto che loro non siano cambiati e che stiano sempre nel loro recinto senza spingersi mai oltre.
Forse avevo più paura del secondo fatto che altro. Avevo paura che la mia opinione e i miei ideali, fossero mutati in modo drastico, talmente drastico, da non accettare più i pensieri e le convinzioni non aggiornate degli altri.
Ma con mia mamma non sta succedendo, non sta accadendo nulla di quello che avevo tanto temuto quindi posso lasciar andare un sospiro di sollievo.
-La mia gelateria preferita non dista molto da qua, andiamo!- dico con tono da capo scout.
Dopo un bel gelato rigenerante torniamo a casa a piedi e non appena il sole scende, ci stringiamo nei nostri cappotti istintivamente. Ci godiamo la città ancora un po’.
-Tra poco è dicembre, metteranno le luci natalizie-
-Oh sì!- rispondo felice. -Sono così belle, Ma! Cambiano la città totalmente, devi per forza venire a vederle- dico contenta.
Entrate in casa ci spaparanziamo sul divano, un po’ d'acqua e via sotto una coperta calda. Accendiamo la TV e mettiamo il primo film a caso.
Durante la pubblicità, vediamo lo spot pubblicitario di Alice e della sua trasmissione. Un sorriso sincero nasce sul mio viso sentendo la voce fuori campo dire: Alice Fortini, ogni giovedì alle 21 su questo canale, vi racconterà uno spaccato di società da occhi diversi. Non mancate!
Mia mamma sa che ho aiutato Alice. Lo sa perché ha visto la mia sfuriata davanti al portone della Fortini contro i giornalisti, su ogni giornale e telegiornale esistente. E quando la faccia di tua figlia finisce dappertutto non puoi ignorare nulla. Immagino già le voci nella mia città natale “avete visto la figlia dei Cerati sul Tg?” “Era molto arrabbiata” “A mia figlia non permetterei mai una cosa del genere”. Così, dopo la mia sfuriata in televisione, è arrivata la sua per telefono.
-Chiara che stai facendo?! Anche se sei una scrittrice non puoi permetterti di fare certe figure!- mi urlò al telefono. Dopo il suo flusso di preoccupazioni, ramanzine senza capo né coda, finalmente mi lasciò spiegare. Non appena venne a sapere di ciò che stava passando Alice, mi ha subito capita. Magari non del tutto, magari non ha capito come io ci fossi finita in mezzo a tutta questa faccenda (neanche io saprei spiegare questo punto), però ha capito che il mio animo non poteva rimanere inerme di fronte a una tale situazione. Mia mamma mi conosce, mi conosce perché mi ha fatta e cresciuta, quindi sa anche che sua figlia non sarebbe rimasta ferma per nulla al mondo, avrebbe difeso la giornalista ad ogni costo. Ha accettato, ha accettato che io mi fossi mossa per aiutarla, forse con un sospiro di rassegnazione però... ha accettato.
Io ormai non ero più con lei da molto tempo, di conseguenza prendevo le mie decisioni, non ci poteva fare nulla. Non più.
-Sta meglio?- mi chiede timida.
-Sì, è stata dura ma sta meglio- rispondo sinceramente.
-Sei stata coraggiosa- mi dice.
-Può essere, ma sono solo stata giusta. Lei, al mio posto avrebbe fatto lo stesso- dico quasi come se stessi pensando tra me e me.
Il silenzio cala di nuovo tra di noi.
La TV mi guarda e io, invece, mi perdo tra i miei pensieri.
Come avevo previsto, non abbiamo parlato e neanche lontanamente menzionato mio padre. Il suo nome è stato accuratamente raggirato e nascosto in ogni nostra conversazione, soprattutto in ogni sua conversazione.
Perché io, diciamolo, non ho niente da dire su mio padre ma lei ci vive insieme da trent’anni.
Probabilmente pensa che evitando di parlarne possa farmi meno male o che possa eliminare quello che è successo.
Sorrido inconsciamente.
Ha sempre cercato di proteggermi, a volte anche nei modi peggiori. Però, in fin dei conti, l’intento di mia madre è sempre stato quello: proteggermi. Anche ora che sono lontana da casa da parecchio tempo, che ho la mia vita indipendente e staccata dalla loro, tenta di proteggermi dai pensieri e dalle azioni di mio padre.
Credo che nella sua testa sarò sempre l’adolescente liceale che cerca di affrontare gli ideali di suo padre a testa alta e con dignità.
Mi ricorderà per sempre con le valigie in mano pronta a provare a lui che aveva torto. Torto su tutto.
Sospiro inavvertitamente.
-Hai fame?- mi chiede sentendo il mio sospiro.
-Mangiamo!- dico pur di evitare un possibile interrogatorio.
Se solo capisce i miei pensieri, se solo coglie ciò a cui stavo pensando è la fine.
Ci mettiamo immediatamente ai fornelli e mezz’ora dopo la nostra pasta è pronta.
-Hai imparato a cucinare bene, brava!-
Ridacchio. Immediatamente i ricordi mi inondano. In casa mi prendevano sempre in giro per la mia incapacità ai fornelli. Ero sempre quella che “non sa cucinare neanche un uovo fritto”, oppure quella che doveva trovarsi per forza un uomo che sapesse cucinare.
Quando mi sono trasferita mia mamma era talmente preoccupata per il mio sostentamento (e per la mia sicurezza) che mi telefonava ogni giorno per sapere se avevo mangiato e se ero ancora viva.
-Beh, anche in questo mi sono dovuta arrangiare. O imparavo, o non mangiavo-
-Oppure mangiavi solo panini in giro- stavolta è lei che ride.
-Forse abbiamo esagerato un po’ con le porzioni- dico appoggiandomi svogliatamente sullo schienale della sedia. -Sono pienissima-
-Dopo tutta la lunghissima camminata che ci siamo fatte direi che un po’ di carboidrati non ci possono fare male-
Annuisco con un sorriso.
-Uh, cavolo! Mi sono dimenticata di una cosa!-
Corro nella camera degli ospiti e ritorno in un lampo. -Cosa?- chiede lei curiosa.
-Niente… di aprirti la valvola dei termosifoni, di notte incomincia a fare freschetto da queste parti. Ma di solito la chiudo perché non ci sta nessuno- spiego mentre metto il termostato sul 4.
-Ma come, non inviti nessuno qua a fare festa? Nessun’amica o collega? Oppure non so un gruppo di amici…-
-No mamma, non ho avuto molto tempo per farmi degli amici- rispondo con la verità.
-Eppure la Fortini ho visto che la frequenti- dice con tono serio.
-Beh, sì- non so mentire, quindi cerco solo di dire la verità senza sbilanciarmi troppo.
-Uscite spesso?- mi chiede ancora.
-Ogni tanto- rispondo vaga.
Sospira sonoramente. Guarda in giro, posa lo sguardo sui mobili della cucina ed evita i miei occhi.
Mi acciglio preoccupata.
-Tesoro… una mamma riconoscerebbe sua figlia dappertutto, anche sulla copertina di un giornale di gossip, anche se la foto è sgranata. Ho visto crescere queste tue mani e le saprei riconoscere tra mille, lo stesso vale per le tue gambe esili esattamente come quelle di tuo padre, oppure le tue braccia e il tuo polso magro che tutti ti hanno sempre invidiato- dice vuotando il sacco.
Mi siedo di nuovo al tavolo.
Il cuore inizia a battere veloce, quasi dolorante.
So a cosa si sta riferendo.
Alla foto, a quella maledettissima foto per cui tutti avevamo concordato sul “non si capisce che siamo noi”. Nessuno di noi aveva pensato a mia madre e al fatto che mi avrebbe riconosciuta tra mille altre persone.
Improvvisamente sento solo più freddo sulla mia pelle, un freddo fatto di ansia.
-Quindi è per questo che sei venuta fin qua? Per vedere se era vero- dico con un misto di delusione e risentimento.
-No, tesoro. È solo uno dei tanti motivi, ma è stato l’episodio che mi ha fatto convincere-
-Mamma, potevi dirmelo da subito- le dico cercando di rimanere tranquilla. -Ti avrei risposto-
-Avevo paura che mi mentissi-
-Lo sai che non so mentire- scrollo la testa.
-Lo so Chiara. Eppure quando ho visto quella foto, quando ho visto il tuo nome dappertutto… sai, non mi sono mai sentita così distante da te. Mi sono sentita parte di un altro mondo, universo o addirittura di una realtà parallela! Ero distante, distante anni luce da te… e so che non è colpa tua, è colpa mia e di papà-
Appoggio i gomiti sul tavolo e faccio un respiro profondo.
-Ascoltami mamma- dico cercando di risultare dolce e comprensiva. -Non devi mentirmi, va bene? Potevi dirmi “ehy, mi sono spaventata vedendo che i paparazzi ti seguono! Voglio venire a vedere che combini”, perché credimi ti avrei accolto nello stesso modo. Io voglio che almeno tra noi due il rapporto sia limpido come il cielo di Luglio. Quindi… davvero mamma, puoi dirmi perché sei qua, puoi dirmi che vuoi venire senza una ragione se è così, ma puoi anche dirmi che la ragione è quella foto-
-Te l’ho detto, quella foto mi ha solo fatto correre più velocemente-
-Mi spiace tu ti senta distante da me e dalla mia vita, eppure ho fatto di tutto per tenere i contatti. Ma la situazione con Alice era delicata, difficile da spiegare e quando il mio intervento era uscito sulle tv, non ero ancora riuscita a chiamarti. Sono stati mesi intensi, mamma. Pieni di tensione, lacrime, decisioni importanti, momenti felici ma anche momenti in cui abbiamo avuto paura. Sia io che Alice, ma anche Adrea e Marta, l’assistente di Alice. Quindi se magari ho omesso qualcosa non l’ho fatto con cattiveria, ma solo perché pensavo non fosse importante per voi-
-Sì, l’ho capito e lo sai che ero felice di quello che stavi facendo per lei-
-Lo so e ti ringrazio per il supporto che mi hai dato-
Mi sorride genuinamente finalmente.
-Quindi Chiara sei tu in quella foto?- dice timorosa.
-Mamma, l’hai anche detto tu che mi hai riconosciuto!- dico quasi con ironia.
-Beh lo so ma voglio sentirlo da te, sono venuta fin qua apposta!-
Rido. -Allora vedi che sei venuta fin qua per questo?!-
-Una mamma non può essere preoccupata per la figlia?- si cerca di difendere.
Alzo gli occhi al cielo e le mie guance vanno a fuoco. Quasi letteralmente.
-Sì mamma sono io in quella foto- ammetto con paura.
-E lo sapevo- dice con fare trionfante.
La guardo scocciata. È questa la reazione che sta avendo? Un “ho vinto io, ci ho azzeccato”?
Sono sconvolta.
Non pensavo che tutto questo potesse prendere questa piega inaspettata.
-Cos’è ci hai fatto una scommessa sopra?- chiedo sconcertata.
-No! Ma volevo vedere se questi occhi ancora ci vedono bene o no- dice con un sorriso.
La guardo senza parole.
-Beh, non mi dici i dettagli?- chiede curiosa.
-Non sei arrabbiata?- chiedo timorosa.
-Forse un po’. Avrei voluto saperlo in altro modo: è brutto vedere tua figlia sui giornali e poi leggere i suoi messaggi in cui non nomina neanche lontanamente il motivo per cui il suo nome è sulla bocca di tutti. Ho pensato che mi credessi stupida in un primo momento… è stato un po’ brutto ma ormai è fatta, non possiamo cambiare il passato- dice sincera.
-Scusa- sputo senza pensarci un secondo.
-Chiara- dice appoggiando la sua mano sulla mia, -Non importa. Ora raccontami-
-Niente, che ti devo dire?!-
-Da quanto?-
-Poco, poco. Quando quella foto è stata scattata ci stavamo ancora frequentando, per quello non abbiamo detto nulla a riguardo… nulla era deciso tra noi, quindi non potevamo e volevamo dire nulla, capisci? Sai è stata così carina! Abbiamo concordato di uscire e conoscerci meglio, di fare le solite uscite e i soliti appuntamenti che tutte le coppie fanno usualmente, e lì ho capito che Alice è la persona più rispettosa che conosco. Quando ho proposto questa cosa pensavo mi prendesse per una stupida ragazzina della provincia, invece mi ha capita. Anzi, la pensava come me. Quindi nulla, usciamo, ci divertiamo, guardiamo film e mangiamo fuori. Siamo tutte e due molto impegnate eppure siamo riuscite a darci una forma, un nome e niente… a mettere in chiaro le cose tra noi- dico facendo uno strano riassunto di tutta la storia, con un sorriso imbarazzato dipinto sul mio volto.
-Quindi siete fidanzate?- chiede seria.
Annuisco in imbarazzo.
-Sono felice per te, Chiara. Lei mi sembra una donna alla tua altezza-
-Magari sono io a non essere alla sua- dico dubbiosa.
-Non essere sciocca, non ti avrebbe mai scelto se non fossi alla sua altezza. Ha visto in te le tue qualità e quelle bastano per convincere chiunque-
Proprio vero che le mamme non vedono nessun difetto nei propri figli.
Scuoto la testa e sorrido felice.
-Sai mi ha portato nelle Langhe, mi ha fatto fare un tour privato in una cantina e mi ha offerto una cena spaziale- dico ricordando quei bei momenti.
-Ohhh, tuo padre non ha mai fatto niente del genere per me!- dice imbronciandosi.
Rido sentendo quella frase.
Il discorso non si sposta da Alice per tutta la sera.
Parliamo del suo lavoro, di come si trova, del suo pensiero sul mio libro e sul mio lavoro, del suo appartamento in centro e della sua macchina bellissima.
-Quindi la approvi?- chiedo speranzosa.
Sebbene nella mia famiglia tutto può essere burrascoso e caotico mia madre è una costante. È quella colonna portante a cui aggrapparti se tutto va a rotoli.
Quando è mancata mia nonna, quando ci ha lasciato di colpo in una notte calda d’estate, quando la donna che stimavo di più al mondo, quella che mi aveva viziato e sgridato durante tutta la mia infanzia ed adolescenza mi ha lasciato senza preavviso, senza prepararmi a ciò che stava per accadere, mia madre era lì. Quando i miei compagni del liceo mi prendevano in giro per i miei gusti musicali, quando ho fatto il primo viaggio verso “quell’amica incontrata su internet”, verso Alessia, verso una cosa che conoscevo ma che al contempo mi era così ignota, lei era lì per supportarmi.
Quando dissi di colpo, una sera, davanti ad un piatto di minestra che ero gay lei era lì. Intenta a capire le mie motivazioni, che mi scrutava per capire il mio stato d’animo, per cercare di quantificare per quanto tempo ho tenuto tutto dentro. Lei è la stessa persona che, dopo aver cercato di accettarmi, ce l’ha fatta e ha cominciato a chiedermi genuinamente i dubbi che aveva, le cose che “non le tornavano”. Lei è stata quella che mi ha detto: “mostrami il tuo mondo, perché è l’unico modo che ho per capirti a fondo”.
Ma soprattutto è la stessa persona che quando ho detto: “Ho scritto un libro. 300 pagine di mie parole e vogliono pubblicarlo”, ha risposto con: “Se ci credi fallo, però sappi che è una tua responsabilità”.
Lì mi ha fatto capire che esserci non bastava, che un genitore non è una presenza fisica e basta. È qualcuno che ti supporta, che tenta di arrivare a te in qualche modo. Magari non è il modo in cui sognavi, magari vorresti di più, ma ci sta provando. Ma soprattutto è qualcuno che ti mette di fronte alla verità: il libro era una mia responsabilità. Non era un gioco, non era un’idea passeggera. Doveva essere qualcosa in cui credere fino in fondo, oppure sarebbe stato solo un gran dispendio dei miei stessi soldi che lei aveva messo da parte tutta la vita per darmi un futuro. Se buttavo nel cestino quel futuro era soltanto colpa mia.
Insomma, lei è la persona che mi ha fatta crescere nel modo giusto, la persona che mi ha dato dei principi, una persona che è la mia colonna portante. E io voglio che lei sia felice per me, anche solo per una piccolissima parte della mia felicità.
-Solo se domani a pranzo me la fai conoscere- risponde.


 
•••                                •••

-Okay, non dare di matto-
-Che succede?-
-Mia mamma vorrebbe conoscerti e pranzare con te domani- sputa di colpo.
-Cosa?- chiedo incredula.
-Senti, non ti preoccupare. Va bene? Tu porta le tue gambe lunghe e una buona bottiglia di vino-
Silenzio.
-Alice?-
Faccio ancora silenzio cercando di elaborare ciò che mi ha detto Chiara.
-Perché mai mi vorrebbe incontrare?-
-Alice, fai due più due per favore-
Oh.
Certo.
Ora il panico è aumentato a livelli esponenziali.
Incomincio a girare come una trottola per il soggiorno, infilandomi la mano tra i capelli sistematicamente.
-E quando inizia a fare la maratona tra i divani è grave-
Dice prendendomi in giro ma mantenendo un tono particolarmente serio.
-Alice ho afferrato, ho fatto una mossa sbagliata… cancella tutto, le dico che devi lavorare- mi dice tagliando corto.
-No, Chiara. È solo che…-
-Ho capito fidati. Abbiamo appena definito le cose tra noi e presentarti mia madre è forse un passo un po’ troppo lungo. Tranquilla ho capito, ci ved-
-Che non mi succedeva da tantissimo tempo- la blocco. -Ecco cosa succede-
-Alice, posso capire, possiamo inventare una scusa-
-No, assolutamente. Voglio conoscerla- dico con tono fermo.
-Sicura? Se è troppo me lo puoi dire tranquillamente-
-Sono sicura, però mi dovrai aiutare… penso di essere un po’ arrugginita-
-Tranquilla, porta qua quei tuoi occhioni e sarai sua. È questa la tua arma segreta con le ragazze, no?- ironizza facendomi ridacchiare piano.
-Ovvio, ovvio- dico. -A che ora devo venire domani?-
-Mezzogiorno?-
-Perfetto- rispondo calma.
-Grazie-
-Per cosa?- chiedo curiosa.
-Per questo, vuol dire tanto per me e soprattutto per lei-
Ridacchio ancora.
-Lo faccio con piacere, buonanotte-
Ci salutiamo affettuosamente e poi mi butto nel letto.

I miei occhi si aprono non appena il suono della sveglia arriva nelle mie orecchie.
Fisso il soffitto bianco sopra di me.
Cerco con una mano la sveglia sul comodino, la spengo subito dopo.
Mi stropiccio gli occhi e sbuffo.
Una bella doccia può darmi la forza che mi serve per affrontare questa giornata.
Mi alzo svogliatamente e con tutte le mie forze mi trascino nella doccia.
L’acqua calda mi accarezza, i miei pensieri volano su quello che devo fare prima di andare da Chiara.
Mi lavo veloce rendendomi conto che non ho poi tutto ‘sto tempo a disposizione.
Mi vesto con le prime cose che vedo e mi catapulto fuori dall’appartamento. Mentre metto in modo faccio mente locale: vino, dolce e qualcosa che mi inventerò mentre farò le altre due cose.
Passo le due ore seguenti correndo nervosamente da un negozio all’altro, cercando di superare i “guidatori della domenica” che vanno a spasso per le strade della città.
Io mi chiedo, se non hai voglia di guidare, se non hai voglia di andare a pranzo dalla tua zia antipatica, stattene a casa no? Non far scattare due semafori solo perché sei impegnato a giocare a Candy Crush sul telefono evitando le urla di tua moglie.
Suono il clacson nervosamente vedendo uno che non vuole passare neanche con il verde.
Decido di fermarmi dal mio fiorista di fiducia e prendere un mazzo di fiori per la mamma di Chiara.
-Ciao Alice, è da un po’ che non ti vedo- mi sorride non appena entro.
-Ciao Sandro, non sai quanto ho sperato fossi aperto stamattina-
Ridacchia. -Chiudo a mezzogiorno la domenica! Però domani mi riposo, ricordati- mi dice sorridendo.
-Me lo segno!- dico felice.
-In cosa posso aiutarti?- chiede.
-Un mazzo di fiori…- dico mentre penso a qualche altro particolare da dargli.
-Per che occasione?-
-Sono invitata ad un pranzo- spiego.
Mi fa segno di seguirlo nel retro e lo seguo.
Il retro del suo negozio è la parte che amo di più. Una piccola porta in vetro porta ad un cortiletto interno, con mura di pietra consumate su cui si arrampicano diverse piante. Le mura proteggono le varie specie di fiori e piante di ogni genere.
Prende alcuni fiori e mi fa vedere un ipotetico mazzo.
-Forse dovevo dire che devo fare colpo su una mamma?- dico scatenando le sue risa.
-Sì, è un dettaglio importante-
Continua la sua ricerca e ritorniamo nel negozio.
Abbellisce il tutto con il suo tocco magico e i piccoli dettagli.
Mi fascia il mazzo.
-Ah, sei sempre fantastico- dico pagandolo.
Lo saluto cordialmente e corro a casa.
Ho un’ora per decidere cosa mettermi.
Arrivata sotto casa vedo una figura familiare.
Marta.
Sta suonando il campanello.
Parcheggio e mentre esco dalla macchina la chiamo.
-Ah ecco dov’eri sparita!-
Mi dice salutandomi da lontano.
Prendo tutta la roba che ho comprato e goffamente mi avvicino al portone.
-Ehi, ti do una mano- mi dice gentilmente.
Saliamo le scale silenziosamente.
Arrivate alla porta la ringrazio.
-Di nulla! Dove vai con fiori, vino e pasticcini?-
Alzo gli occhi al cielo mentre posiamo tutto sul tavolo.
-Lasciamo stare!-
Mi tolgo velocemente la giacca.
-Passavo solo per darti questo- mi dice sporgendomi il caricatore del telefono.
-Oh grazie!- dico prendendolo.
-L’avevi dimenticato sulla tua scrivania, ho pensato ne avessi bisogno- mi dice con un sorriso.
-Sì, grazie! Qua a casa ne ho un altro, però è di riserva. Grazie grazie- dico ansiosamente senza quasi prendere fiato tra una parola e l’altra.
Mi guarda preoccupata.
-Stai per avere un crollo emotivo? Un attacco d’ansia? Stai bene?- mi chiede con fare preoccupato.
La guardo pensierosa. -No, non sto molto bene-
Si gratta al testa.
-Beh, questo è un problema. Che succede?-
Incomincio a girare per il salotto nervosamente.
-Ho un pranzo importante e non so cosa mettermi- ammetto.
-Su, andiamo nella grande cabina armadio della Fortini e risolviamo questo “grosso” problema- mi dice prendendomi in giro. -Nessuno mi paga per tutti questi straordinari-
-Ti puoi prendere un pasticcino di nascosto, dai- dico aprendo l’armadio.
-Oh, che grande ricompensa- mi prende in giro.
Dopo aver messo a soqquadro il mio armadio tra “no, troppo formale”, “no questo sembra che stai andando a fare yoga”, “Un vestito da sera a pranzo? Non si può vedere”, siamo arrivate ad un punto d’arrivo.
-Sì, questo è bello ed è al contempo informale in giusto. Ti approvo-
Mi sistemo meglio il maglioncino bordeaux sopra la camicia nera, e annuisco convinta.
-Ripetimi un po’, su chi devi fare colpo?- dice alzando un sopracciglio.
-Io? Cos… io non ho detto che devo fare colpo-
Sbuffa annoiata.
-Sì vede- dice seria. -E poi lei dovrebbe essere la giornalista- continua ironicamente.
-Davvero Marta, nessuno-
Alza le mani in segno di resa e si alza dal letto.
Guardo l’orologio al polso. -Cavolo devo andare o arriverò in ritardo- dico prendendo la mia giacca.
-Ricordati la roba sul tavolo!- mi urla Marta dal salotto.
Corro in salotto e prendo tutta la roba.
Vino? C’è.
Dolce? C’è.
Prendo in mano le chiavi e il mazzo di fiori.
Marta mi apre la porta e corriamo giù per le scale.
-Ti calmi? Ci arrivi in tempo-
-Devo attraversare tutto il centro per arrivare a casa di Chiara- mi lascio scappare.
Me ne pento immediatamente.
-Ora capisco molte cose- dice ridacchiando.
-Cosa?!-
-Niente Fortini, niente- dice con un ghigno stampato in faccia.
Rimane sul marciapiede mentre carico la roba in macchina.
Mi fissa ridacchiando.
Salgo in macchina e poi faccio scendere il finestrino.
-Cosa ridi Marta?-
-Oh, niente davvero. Il tuo maglioncino dice già tutto-
Mi dice andandosene via.
Rimango a fissare il vuoto per un tempo indefinito, bocca spalancata e cervello fermo.
Okay, questo non me lo aspettavo.
Cosa voleva intendere con questa frase buttata lì?
Mi ha lasciato senza parole e io di parole ne trovo sempre.
Ne dovrò trovare quando parlerò con lei ma, per ora, devo trovare il coraggio per resistere a questa già lunga giornata.
 
 
Dopo una mezz’ora mi trovo davanti alla porta di Chiara.
Una porta che ho varcato moltissime volte, per cui alcune volte avevo addirittura le chiavi.
Ad aspettarmi un alloggio che conosco quasi quanto il mio che però, adesso, mi spaventa solamente.
Prendo un grosso respiro.
Mi sbottono il giubbotto e mi metto a posto i capelli.
Suono il campanello e immediatamente il mio cuore batte all’impazzata.
Cavolo, io, Alice Fortini, abituata a stare in tv, a controbattere in diretta ai politici, pronta a fare domande difficili nelle interviste, l’Alice che non ha peli sulla lingua, che non si fa nessun tipo di problema nel dire e fare ciò che ritiene più giusto, ora ha paura di una mamma? Di un pranzo?
Io che so sempre raggirare ogni situazione con le parole, io che so cavarmela sotto stress e non solo, sto sudando dall’ansia?
Non mi riconosco neanche più.
La porta davanti a me si apre e il sorriso caldo di Chiara mi accoglie.
Mi perdo nei suoi occhi che subito mi rassicurano.
Ci stringiamo in un abbraccio timido, forse perché non siamo abituate a scambiarci segni di affetto davanti ad altre persone.
Dolcemente mi sussurra: -Stai tranquilla-
Le sorrido in risposta ed entro dell’appartamento.
Chiara, mi prende gentilmente la giacca e la appoggia sull’attaccapanni in salotto.
Dalla cucina spunta una donna sulla cinquantina: bassa, vestita in modo semplice ma d’effetto, gli stessi occhi di sua figlia e lo stesso tipo di capelli. Non potrebbero essere scambiate per niente altro se non madre e figlia.
Mi sorride e viene verso di me.
Il suo profumo vanigliato mi inonda quando mi stringe la mano e mi bacia le guance salutandomi.
-Ciao Alice!- mi dice intanto.
-Salve, Signora Cerati- dico ricambiando.
-Oh, puoi chiamarmi Aurora!-
Annuisco sorridendo.
-Questi sono per lei- dico porgendo il mazzo di fiori ad Aurora. -Grazie per l’ospitalità-
-Ma che belli!- dice lei prendendoli immediatamente. -Grazie Alice, non dovevi. Accomodati è quasi pronto-
Prima di sedermi mi rivolgo a Chiara, che è visibilmente agitata. -Ho portato del vino e del dolce. Meglio metterlo in frigo però. Se mi dai l’apribottiglie apro il vino- dico con un sorriso.
-Non dovevi-
-Shhh- le dico in risposta.
-Mamma! Alice ha portato vino e dolce! Direi che ci vuole viziare-
Sua mamma ride mentre è ai fornelli. -O vuole semplicemente celebrare-
Sorrido genuinamente.
-Sedetevi, che la pasta è pronta- dice Aurora mettendo la pentola in tavola.
Chiara la mette nei rispettivi piatti e si siede come capotavola. Davanti a me si siede sua mamma.
-Ha un profumo delizioso, signora- dico gentilmente.
In realtà l’ansia mi sta mangiando tutto l’appetito che ho.
Un dolore profondo allo stomaco mi sta ricordando perché sono così agitata.
Un leggero tremore mi prende le mani e inconsciamente il mio panico si estende ancora di più.
-Speriamo anche un sapore!- dice lei scherzando.
-Buon appetito- dice contenta Chiara.
Il silenzio si fa sentire subito dopo.
Tutte e tre iniziamo a mangiare silenziosamente. Un silenzio tutt’altro che confortante per me.
La mia mente non fa altro che pensare: “Alice! Dì qualcosa!”
-Oh è buonissima!- esordisco.
È davvero buona ma la mia agitazione non me la fa gustare come vorrei.  
-Davvero mamma, è sempre troppo buona-
-Vecchia ricetta di famiglia- dice lei contenta in risposta.
Ecco di nuovo il silenzio.
-Chiara mi ha detto che è venuta qua in treno? È andato bene il viaggio?- chiedo non avendo altre idee.
-Sì, grazie. Non ero più abituata ma mi ha fatto piacere vedere la città e mia figlia-
-Lo immagino- dico con un sorriso.
La conversazione va avanti anche durante il secondo. Si parla del libro di Chiara e del mio lavoro.
-Chiara mi ha accennato al fatto che hai cambiato redazione-
-Sì, ho avuto dei dissapori con il mio vecchio capo. Ho preferito cambiare aria- decido di tenerla sul vago. Non so effettivamente quanto Aurora sappia di tutta la faccenda che mi ha colpito. Di sicuro sui telegiornali avrà saputo dello “scandalo”, ma non so cosa ne pensi o se Chiara le abbia dato ulteriori informazioni. Quindi preferisco non parlare troppo e farla semplice.
-A volte cambiare, anche se è rischioso, fa bene a noi stessi- dice con uno sguardo comprensivo. -Un po’ come un atto di guarigione-
Guardo Chiara che mi rivolge un sorriso rassicurante.
-Buonissimo questo vino- esordisce Aurora.
-Alice ne sa parecchio di vini- mi rivolge uno sguardo Chiara.
Ridacchio nervosamente. -Oh, no Chiara è troppo buona. Ho solo avuto la fortuna di avere degli amici che mi hanno insegnato alcuni segreti-
-Siete andate nelle Langhe, no?- chiede curiosa.
Il mio volto diventa immediatamente rosso.
Allora Chiara le ha detto proprio tutto.
Mi imbarazzo ancora di più nel ricordare quella magnifica sera, quelle parole che ci siamo scambiate con intimità e sentimento.
Tento di trovare le parole che rimangono incastrate nella mia gola.
-S-sì- riesco a dire.
-Abbiamo anche fatto una visita privata- dice felice Chiara.
-Non ricordavo che ti piacesse il vino, mi sa che sono rimasta indietro…- dice la madre lanciando una frecciatina ironica a sua figlia.
Lei risponde alzando gli occhi al cielo.
Io rido sotto i baffi senza farmi notare.
-Alice, sai che Chiara ha avuto un periodo della sua vita in cui voleva fare l’inviata per i telegiornali?-
Mi scappa una risatina.
La tensione lentamente cala e abbandona il mio corpo.
-Mamma…- tenta di bloccarla lei.
-Cosa?! È vero! Aveva questa idea in testa dai suoi 10 anni fino ai 14. Da bambina faceva pure i finti servizi televisivi in camera sua-
Rido di gusto. -Cavolo, potevi essere una mia collega!- dico ironizzando.
Lei sbuffa in risposta.
Continuiamo a parlare di più e del meno, dell’infanzia di Chiara e delle sue difficoltà con le tabelline e del suo amore non corrisposto per i gatti che la graffiavano sempre.
-Dolce?- chiede Aurora felice.
Tiriamo fuori i pasticcini e iniziamo a mangiarli.
-Mhhh fantastici- dice Chiara con tono compiaciuto.
-Mai assaggiati così buoni!- dice sua madre.
-È una delle migliori pasticcerie di Torino, penso di non aver mai mangiato paste e torte buone come quelle che fanno loro-
Dopo esserci godute il dolce e aver finito il vino ci spostiamo sul divano.
Non appena ci sediamo il telefono di Chiara squilla.
-È Andrea, scusatemi-
Sua madre annuisce comprensiva.
-Il nuovo libro la impegnerà molto- dice lei quasi pensierosa.
-Immagino di sì- rispondo seria. -Ci tiene molto, quindi lo sarà ancora di più-
-Vero. Quando si mette in testa qualcosa nessuno la può dissuadere e se non è perfetto, se non è come vuole lei, sarebbe capace di riscrivere tutto da capo-
Scoppiamo a ridere tutte e due.
La conosciamo bene entrambe da sapere che questa è una perla verissima.
-Chiara mi ha spiegato cosa è successo nella tua vita- dice lei ad un tratto in tono serio.
La guardo timidamente aspettando un continuo.
-Non so come vi siete conosciute, so che sono cose vostre, ma da quanto ho capito è stato un caso…- continua.
-Un caso fortunato- puntualizzo.
-Volevo solo dirti che mi dispiace per quello che ti è accaduto, sono contenta che mia figlia sia rimasta al tuo fianco- mi dice appoggiando una mano sopra la mia.
Il suo calore mi arriva direttamente al cuore.
Tento con tutte le forze di non ritirare la mano, di non badare al contatto che brucia, di concentrarmi su altro.
-Senza sua figlia non sarei qua- dico semplicemente. In questa frase posso sentire tutto il dolore che sto provando.
Tento ancora di tenere la mia mano ferma. Tento di non far vedere il mio sforzo e ricomincio a parlare: -Mi ha aiutata molto, anzi, mi ha aiutata in tutto il percorso. È stata la forza che mi mancava, è stato un incontro fortuito che mi ha cambiato la vita in modo positivo… non vorrei mai tornare indietro. Tutto quello che ho fatto, tutto quello che ha letto su di me dai giornali è accaduto perché sua figlia continuava a bussare alla mia porta ogni sera per aiutarmi. Non mi ha mai giudicata, mi ha solo e sempre ascoltata, capita e aiutata-
-Sì, è proprio mia figlia- dice lei sorridendo. -Sono felice che abbia trovato una donna carismatica e forte come te-
Sorrido ringraziandola implicitamente.
-Sappi che potrai sempre contare sul mio aiuto. Forse la famiglia di Chiara non è perfetta, però io e lei cerchiamo di rimediare agli errori di altri- dice facendo riferimento a qualcosa che vagamente già so.
Non penso che Aurora sappia di questo, infatti non la interrompo.
Poi continua: -Ti prego… non ferirla. Sia tu che lei avete subito già troppe delusioni e difficoltà per la vostra giovane età, non fatevi del male-
-Non lo farei mai Signora- le dico guardandola negli occhi. -Ci teniamo tutte e due all’altra persona e non in un modo superficiale. Chiara mi ha visto nel periodo più difficile della mia vita e non vuole che io ci ricaschi, e io non voglio che lei finisca in un posto così buio- dico sinceramente.
 
•••                                •••
 
-Grazie Andrea, prometto che recupero il lavoro di domani, martedì- dico staccando la conversazione.
Ho lasciato da sole quelle due, cavolo!
Corro verso il salotto dove assisto ad una scena che ha dell’incredibile.
Mia mamma che stringe in un tenero abbraccio Alice.
Mi godo la visione di questa scena dolce.
Non so che parole si siano scambiate, ma mia madre ha un volto felice e rilassato.
Mi soffermo di più sulla figura di Alice.
Noto subito di come la sua mano sinistra sia in tensione: pugno chiuso e nervi tesi.
Noto di come il suo corpo e la sua faccia sia in ansia.
Capisco subito la situazione.
-Oh, avete fatto amicizia vedo!- dico interrompendole.
Mi sorridono.
Alice con un sorriso strano.
-Mamma perché non ti godi un po’ la città, mentre noi laviamo i piatti? La domenica dopo pranzo è il momento perfetto!-
Si infila subito la giacca e dice uscendo: -Alice, sei una ragazza fantastica per la mia bimba!-
Scuoto la testa sentendo quella frase.
Finalmente la porta si chiude.
-Forse ha bevuto un po’ troppo, d'altronde faceva quattordici gradi- dico cercando di smuovere quella faccia tesa.
-Ehi tutto bene?- chiedo non ricevendo risposta. -Ti ha detto qualcosa di strano?-
Scuote la testa.
Le prendo una mano tra la mia.
Lei la sfila immediatamente.
-Alice…- dico vedendo la reazione.
-Mi ha preso la mano, mi ha abbracciato…- inizia.
-Ha l’abitudine di essere un po’ melodrammatica, scusala- dico cercando di rassicurala.
-Non ci riesco-
La guardo stranita.
-Non riesco a sopportare il contatto con le persone. Perché brucia, come fuoco, mi fa male, me lo sento fin nel cuore. Non riuscivo a non pensare alla sua mano sopra la mia, a come mi facesse male, non riesco a distrarmi… non ci riesco. Sento pungere, sento caldo io..-
Dice quasi sull’orlo di una crisi.
-Alice, guardami- dico cercando di distrarla. I suoi occhi verdi e cupi mi fissano distanti. -È normale, l’avevano detto che sarebbe capitato. Sarà difficile ma non insormontabile, ti devi di nuovo abituare ad un contatto… normale, okay?-
Mi guarda con uno sguardo disperato.
-Non riuscirò mai a darti ciò che vuoi- mi dice triste.
-Io voglio solo quello che puoi darmi e credimi tutto questo è già tantissimo, è qualcosa che non ho mai vissuto e che mi fa felice ogni giorno. Insieme riusciremo a superare questo piccolo intoppo, okay? Devi solo staccare i ricordi che hai e crearne di nuovi- dico cercando di sembrare convincente.
Mi annuisce più decisa.
-Dammi la mano- le dico dolcemente.
Stringo la sua mano dentro la mia.
-Ti dà fastidio?- chiedo.
-Un po’-
-Ascoltami. Sono Chiara, la tua ragazza- dico per la prima volta ad alta voce. -E ti prendo per mano perché voglio sentire il tuo calore mischiarsi al mio, perché voglio che tu sia parte di me, perché voglio mostrare al mondo che siamo unite da qualcosa di profondo, va bene?-
Sorride stringendomi la mano.
-Associa questo- dico fissando le nostre mani incastrate. -a questo- dico baciandola timidamente sulle labbra.
Mi sorride felice.
-Non so come farei senza di te-
-Lo so, lo so- rispondo tutta fiera.
Scoppiamo a ridere tutte e due.
-Sicura che non ti abbia minacciato?- le chiedo con ancora le nostre mani intrecciate.
-No, è stata molto carina-
-Questi giorni diventano sempre più strani- dico sospirando.
-Non so perché, ma avevo una paura nera. Solo ora ho capito che non mi voleva uccidere- ammette lei ridacchiando.
-Uhhh, Fortini questo non lo sai. Magari è tutta una messa in scena la tua-
Mi guarda ferita. -Ma tu da che parte stai?!-
Faccio spallucce.
Stavolta è lei a catturare le mie labbra.
Niente tensione e niente paura è questo che il suo bacio riesce a trasmettermi.
-Scusa devo cercare di memorizzare a cosa è associato il tenersi per mano…-

 

Buonasera genteh!
Eccoci ad un nuovo capitolo, lo so è lungo. Eppure l’ho scritto e mi sentivo di fermalo qua e non prima, ma neanche dopo.
Spero vi piaccia, mi spiace per avevi fatto attendere un po’ ma sto vivendo un momento un po’ complicato: sto dando gli ultimi esami, sto cercando il tema per la mia tesi, il relatore… e intanto sto cercando di mantenere la mia relazione a distanza nel migliore dei modi.
Tra esami e tutto il resto sono riuscita a scrivere questo capitolo. Sinceramente? Non mi ha convinta. La qualità non è come il mio solito standard, sarà lo stress, i pensieri o non so… ma non mi ha convinto più di tanto. Spero di aver trattato i temi nel modo giusto perché la figura della madre di Chiara, è la mia stessa madre. Abbiamo un rapporto strano, mi prende in giro e vuol sapere ma al contempo siamo distaccate come le due in questo capitolo. Per il mio coming out ha davvero detto le parole che ho scritto, e tutt’ora mi capisce e supporta.
Ho voluto mantenere questo richiamo.
Aspetto davvero con ansia i vostri commenti perché mi fanno sempre capire come sto andando!
Un abbraccio a tutti, grazie per aver letto.


 
 

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Capitolo 14
*** Un passo ***




drin drin: solo un piccolo appunto. So che d’estate si è presi dalle vacanze e tutto un po’, però questo capitolo e lungo quindi godetevelo per bene. Per favore, ditemi nelle recensioni che ne pensate perché per me è davvero importante. Buona lettura!

-Alice è molto gentile! Non doveva proprio accompagnarci in stazione- dice mia mamma tutta contenta.
-Mamma, se l’ha detto è perché lo fa volentieri. Tanto deve andare in ufficio ed è lì vicino- dico sorridendo.
Lei mi annuisce convinta in risposta.
-Stavo pensando che non dovresti dare tutti quei vizi al tuo gatto!- dice poi dal nulla.
Alzo gli occhi al cielo. -Oh, dai mamma! Farlo dormire nel mio letto non è un vizio-
-Ma farlo salire sul tavolo sì- dice seria.
Io sbuffo e poi continua: -Alice è contenta che quella palla di pelo si infili nel vostro letto e dorma tra voi due? Non penso- dice con un sorrisetto che non le ho mai visto.
Per fortuna scorgo la macchina della mia ragazza all’orizzonte ed esclamo: -Eccola!-, costringendola a lasciar perdere il discorso intrapreso.
Alice si parcheggia davanti a noi e scende immediatamente.
Vedendo lo sguardo di mia madre, penso che anche lei sia rimasta sorpresa dalla bellissima e lussuosissima macchina di Alice. eh, mi sa che capiti un po’ a tutti: una giovane ragazza con una macchina costosa e bellissima? Non è roba da tutti i giorni.
-Buongiorno!- ci saluta cordialmente lei venendoci incontro. Prende le valigie e le carica con facilità in macchina.
Ci mettiamo in viaggio e subito mia madre la ringrazia per il gesto.
-Alice non dovevi mica accompagnarci! Chiara ormai guida molto bene e io mi fido-
Lei ridacchia.
-Sì so che guida molto bene, infatti mi piace farmi scarrozzare da lei a volte! Però non è un problema, Aurora. Devo andare in redazione ed è proprio lì vicino, in più lo faccio con piacere-
Mia mamma risponde con un sorriso sincero.
-Lo sai che non manca tanto alle vacanze di natale e al compleanno di Chiara?- chiede lei con un palese secondo fine.
-Sì lo so, ormai manca poco!-
Io, seduta dietro, sbuffo sonoramente.
Perché per mia mamma è sempre stato un evento importante, il mio compleanno? Io odio i compleanni, le feste di compleanno e tutti i tipi di derivati.
-Eccola che sbuffa!- dice girandosi verso di me. -Non capisco cos’abbia mia figlia contro il giorno in cui è nata-
-Avrei una lista di motivazioni piuttosto lunga e corposa…- dico ironicamente.
Alice scoppia a ridere divertita.
-Sai Alice, a casa nostra è tradizione fare l’albero l’otto Dicembre e poi aspettare la mezzanotte per fare gli auguri a Chiara-
-Più che tradizione è un dispetto annuale che mi propinano- commento ancora acidamente.
Questa volta è mia mamma a sbuffare.
Intanto Alice continua a ridere sotto i baffi.
-Comunque, dovresti aggregarti a noi quest’anno, Alice-
Rimango spiazzata dall’invito di mia mamma.
Mia mamma che invita una persona appena conosciuta ad un importante pranzo di famiglia? Strano.
Penso proprio di essere finita in un universo parallelo.
-Aurora, io la ringrazio infinitamente per l’invito, però penso che sarei di troppo-  dice Alice con umiltà.
-Ma non dire sciocchezze! Il no non è contemplato come risposta- dice lei con tono serio.
-Allora direi che non ho scelta. La ringrazio immensamente-
-Figurati! Così ho un’altra spalla che mi aiuterà a dar fastidio a Chiara durante il giorno del suo compleanno-
Sbuffo per l’ennesima volta.
La coalizione della morte.
Anzi, forse peggio.
-Poi non trovi che il suo gatto sia un po’ viziatello?- chiede ritornando sul discorso di prima.
Ormai è ufficiale: mia mamma sta cercando di fare squadra con Alice.
Ovviamente la vittima sarò solo ed esclusivamente io.
-Beh… devo concordare con lei- dice Alice lasciandomi sola ed indifesa. -Ma quello che mi continuo a chiedere fin dal primo giorno in cui ho avuto il piacere di conoscere il suo gatto è: perché un gatto ha nome e cognome? In più il cognome di Paride è “Fish” che vuol dire pesce. Che senso ha?- chiede ironicamente lei a mia mamma come se io, seduta nei sedili dietro, non esistessi.
Quanto sta durando questo eterno viaggio in stazione?
-Mah guarda, non chiedermelo… ci ho rinunciato dal primo momento che l’ho vista guardare con occhi sognanti quella palla di pelo. Te l’ha detto come mai e quando l’ha preso?-
L’altra scuote la testa in risposta.
-Arriviamo qua a Torino con gli ultimi scatoloni da portare nel suo nuovo appartamento. In stazione c’era questa ragazza che regalava gattini appena nati. Ovviamente la signorina vede la scritta, poi la scatola piena di gattini e poi vede Paride… e addio! Ha cominciato a dire che non potevamo lasciarlo lì, che anche noi dovevamo fare la nostra parte per aiutare la cucciolata e che sicuramente un po’ di compagnia non le poteva far male. In poche parole, mezz’ora dopo c’era anche un batuffolo di pelo dentro quella nuova casa-
Io ridacchio da qua dietro nel ricordare quella strana giornata.
Pioveva fortissimo e noi eravamo cariche di valigie e borse, quindi eravamo già con i nervi a fior di pelle a causa del viaggio scomodo e della camminata sotto la pioggia che ci aspettava. Eppure, quando ho visto quei cuccioli il mio cuore ha smesso di pensare alla casa che mi stavo lasciando alle spalle e alla nuova avventura pericolosa che stavo per iniziare, ma ha iniziato a immaginare una vita con un compagno di dormite e di coccole.
Dopo aver lasciato i nostri bagagli a casa e dopo aver discusso una buona mezz’ora con mia mamma, che dentro di sé non vedeva l’ora di accarezzare quel batuffolo, siamo andate a prenderlo quasi correndo. Appena ho visto quel musetto nero sporcato da piccole macchie marroni che sembrano quasi oro, ho capito che lui sarebbe stato il mio compagno in quella nuova avventura.
-Sì, questo comportamento è proprio da Chiara!- risponde la mia ragazza ridendo in unisono con mia mamma.
-Paride e FIsh sono due nomi che ho sempre voluto dare ad un gatto- dico tentando di spiegarmi. -Un gatto che non ho mai avuto grazie a chissà chi… così ho colto l’occasione e ho dato tutti e due a lui. In più, Paride Fish suona dannatamente bene-
Le due davanti a me si guardano e poi scoppiano a ridere sonoramente.
Io sbuffo di nuovo, invece.
Sì, sono proprio finita in un universo parallelo.
Decisamente.
Quando Alice ci lascia davanti alla stazione, prontamente prende le valigie di mia mamma e la saluta con rispetto. Dall’altra parte Aurora rinnova il suo invito.
Quando Alice si gira verso di me, mi lancia uno sguardo dolce e un sorriso genuino. Io la saluto con un semplice abbraccio e ci dividiamo di nuovo.
-Binario 14- dico a mia mamma guardando il grande tabellone davanti a me.
Ci dirigiamo verso il treno e dico: -Hai davvero invitato Alice al pranzo dell’8 dicembre?- dico cercando di capire le motivazioni dietro la proposta.
-Certo! Mi sta simpatica!- risponde lei raggiante.
-Mamma sono felice che andiate d’accordo! Ma non pensi a p-
-Papà?- mi blocca.
Annuisco timidamente.
-Deve incominciare ad affrontare la realtà: sua figlia sta con una ragazza bellissima ed intelligente e sua moglie è solo felice di questo-
Mi stupisco della sua risposta. -Mamma, non sei mai andata contro il volere di papà durante tuti questi anni. Perché proprio ora? Ora che tanto sono lontana da casa e lui non si può più imporre su di me?-
-Perché ti ho vista finalmente felice, Chiara. Inoltre, come ho già detto, abbiamo già sprecato troppo tempo ad essere lontane e distaccate, non voglio più continuare- mi risponde genuinamente.
Le rispondo con un abbraccio sincero, l’unica via che trovo all’altezza delle sue parole. Un “grazie” mi esce dalle labbra quasi sottovoce.
Lei mi sorride e ci salutiamo poco dopo.
La guardo salire sul treno.
Mi piace questo universo parallelo, penso.

•••                                •••

-Fortini!- una voce maschile mi richiama dall’altra parte del corridoio.
Mi siedo composta sulla sedia da ufficio e butto giù il caffè bollente.
-Arrivo!- urlo in risposta.
Cammino lungo il corridoio trafficato evitando gli altri giornalisti che a testa bassa leggono le varie bozze del giorno camminando verso i loro cubicoli. Il caffè bollente incomincia a farsi sentire lungo la mia gola che fa a fuoco.
-Dica- esordisco facendo capolino nell’ufficio del capo redattore.
-Ho deciso di spostare il suo articolo verso le prime pagine e non verso la fine come avevamo previsto… non so se ha visto- mi dice serio.
-No, non ho avuto occasione di leggere l’edizione di oggi perché sto già lavorando a qualcosa di nuovo- dico timidamente.
-Mi piace questo spirito!-
Io rispondo con un sorriso sincero.
-Si può avere qualche anteprima?- chiede lui con un sorrisetto.
-È un’intervista-
Lui alza un sopracciglio con sguardo curioso.
Mi alzo e lo lascio così, su due piedi, sorridendo anche io con il suo stesso ghigno.
Dovrà aspettare anche lui come tutti gli altri.
Mentre torno alla mia scrivania intercetto Marta che è super indaffarata.
-Marta, cercavo proprio te- dico sorridendo. -Mi servirebbe un piacere-
-Alice lo sai vero che non sono più la tua segretaria personale?- ironizza lei.
Ma so che vorrebbe esserlo di nuovo. -Non vuoi far finta che tu lo sia ancora per i prossimi 20 minuti?-
Lei mi guarda curiosa. -Di cosa hai bisogno?- mi chiede subito dopo.
-Ce l’hai ancora quel contatto in Tribunale?-
Mi guarda interrogativa. -Sì! Perché?-
-So una cosa che in pochi sanno e se facciamo veloce possiamo avere lo scoop- dico prendendo il cappotto e facendo segno a Marta di seguirmi.
Usciamo nel freddo dicembre che immediatamente ci accarezza il viso nella sua morsa gelata.

-Ora Fortini, questa me la devi spiegare- dice Marta uscendo dal Tribunale.
-Spiegare cosa?-
-Come hai fatto a sapere di tutta questa storia prima di chiunque altro!-
Ridacchio.
-Ho la fortuna di abitare qua vicino e inoltre di essere passata proprio mentre la Digos entrava nel palazzo. Se la Digos entra in un tribunale può essere solo per un motivo- dico seria.
-Qualche magistrato è in pericolo-
-Bingo!- esclamo felice entrando in macchina.
-E noi abbiamo anche un’intervista con il suddetto magistrato- sogghigna lei.
Io annuisco orgogliosa del nostro materiale.
-Ma aspetta… come mai sei passata così presto di qua? Sei arrivata in ufficio solo un’ora più tardi!- mi dice lei.
-Dovevo portare la mamma di Chiara in stazione- dico vagamente.
-Perché tu dovevi portare in stazione la mamma di Chiara?- chiede con sguardo interrogativo.
Mi squadra curiosa.
-Ci deve sempre essere un perché?- chiedo a mia volta.
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo.
Poi lei sussulta sul sedile del passeggero e sgrana gli occhi. -Non dovevi fare colpo su Chiara, ma sulla mamma di Chiara! Il che è ancora più importante!-
-Cos…? Che stai dicendo? La tua fantasia corre un po’ troppo, Marta- dico sperando che il rossore che sento dentro di me non stia colorando anche le mie guance.
-Non corre per niente, a forza di lavorare con una giornalista anche io ho imparato ad indagare…- dice lasciandomi un pizzicotto sull’avambraccio.
-Ahi! E questo per cos’era?- esclamo dolorante.
-Perché non me lo hai detto!- incrocia le braccia arrabbiata.
-Perché non possiamo ritornare alla fase in cui mi portavi il caffè e mi chiamavi Signorina Fortini?- sbuffo.
-Quella fase è passata da un po’ di tempo!- dice ancora imbronciata. -Alice, da quanto tempo ci conosciamo? Dall’inizio della tua carriera. Potevi dirmelo!-
Alzo gli occhi al cielo.
-Ma dire cosa?- sono ormai esasperata. Marta sa sempre come sfinirmi.
-Che te la fai con la mamma di Chiara!-
Sgrano gli occhi. -Ma sei pazza?! Non me la farei mai con la mamma della mia ragazza!- esclamo inorridita.
-Ecco quello che volevo- mi sorride lei con un ghigno malefico e con uno sguardo da vincitrice.
Maledetta me! Tiro un pugno leggero sul volante.
Come hai fatto a finire nella trappola della tua stessa segretaria? Fortini, stai perdendo colpi questo è ormai chiaro.
-Non è come sembra!- mi fermo al semaforo rosso.
-Alice, non incominciare- mi blocca. -Si vede da lontano miglia. Anche se lo ammetto, lei è molto più palese di te. Quando è venuta da me a chiedere aiuto per quel video, con quegli occhi da orsacchiotto morbidoso che dicevano “dobbiamo aiutarla a tutti i costi” oppure quando era perennemente preoccupata per te e per la tua udienza… ah! Per non parlare di quando tu la guardi con occhi sognanti e ti perdi nel tuo mondo di arcobaleni, oppure quando messaggiate come due adolescenti. Potrei continuare e la lista è lunga Fortini-
-Non messaggiamo come due adolescenti!- tento di difendermi.
-Ah sì? Ho visto chiaramente i meme che vi mandate quando, invece, dovresti scrivere articoli di giornale- sorride di nuovo, sicura di te.
-Questo è spiare Marta!-
-Hai finito con le accuse? Quella sotto accusa qua sei tu!- mi punta il dito contro.
Sgrano gli occhi.
-Non mi hai detto nulla! Non hai detto nulla alla tua segretaria! Capisci quanto è grave? Io sono la tua Donna e tu sei l’Harvey Specter della situazione- continua.
Il mio sguardo si posa su di lei. -Guardi Suits?- chiedo curiosa.
-Ma chi non guarda Suits?- mi guarda sconcertata. -Ma non è questo il punto. Harvey, tu devi dirmi tutto perchè ti puoi fidare della tua Donna. E non è “donna” come intendi tu ma Donna, come quella segretaria che spacca il culo a tutti-
-Ti stai calando un po’ troppo nel personaggio…- dico quasi spaventata.
-Di nuovo: non è questo il punto, Alice. A parte le battute, potevi dirmelo perché ti puoi fidare di me. Ti conosco da sempre e sei il mio punto di riferimento in mezzo a questo mondo maschilista e arrogante. Credimi, se fossi più aperta con il mondo che ti segue diventeresti un punto di riferimento anche per loro, anzi diventeresti ancora più importante di quanto tu non sia già. Chi ti piace e come ti piace, non cambierà mai la mia visione di te. Per me sarai sempre la giornalista dura e invincibile che mi ha insegnato tutto e questa nuova parte di te mi insegnerà solo nuove lezioni-
Rimango senza parole dal discorso di Marta.
Il mio cuore trema perché lei è la prima persona che mi dice qualcosa di così profondo.
Il mio sogno, fin da ragazzina, è sempre stato quello di essere qualcuno. Di avere il potere di spiegare i miei ideali e pensieri, ed essere ascoltata per davvero. Essere un modello per altre donne e ragazze, e forse questo stava accadendo proprio sotto i miei occhi senza accorgermene. Eppure, Marta è arrivata per fare luce.
-Sono davvero un punto di riferimento?- chiedo timidamente.
-E penso non solo per me- dice annuendo.
Il silenzio regna sovrano e una volta che ci parcheggiamo di fronte alla redazione rimaniamo sedute in macchina silenziosamente.
Non avevo mai pensato di essere un riferimento per Marta.
Sapevo, grazie ai miei fan, che il sogno di un’Alice dodicenne si stava lentamente realizzando ma avere qualcuno in carne ed ossa, qua vicino a me, che dice “sei sempre stata il mio punto di riferimento” beh, è tutt’altra storia.
-Ti ringrazio per le tue parole, Marta- dico sinceramente spezzando il silenzio. -Ho sempre sognato di diventare una donna alla quale altre donne si ispirano, però sentirlo dire da te… che mi conosci da anni e meglio di tanti altri colleghi e fan, è una sensazione bellissima. Una di quelle che non scorderò mai, una di quelle per cui non saprò mai come ripagarti-
Lei mi risponde con un sorriso genuino. Si sistema gli occhiali sul naso e dice: -Mi puoi ripagare continuando a fare ciò che stai facendo, senza paura né vergogna-
Annuisco decisa.
Neanche io voglio smettere questa continua battaglia che mi spinge giorno per giorno verso un nuovo limite da superare. Ne ho appena superato uno, con l’aiuto di Marta e Chiara, sono pronta a superarne altri all’infinito se dovrò. Perché voglio che l’Alice dodicenne sia fiera dell’Alice adulta e cresciuta.
Quando riprendo fiato per rispondere, la ragazza al mio fianco mi interrompe: -Tranquilla, non lo dirò a nessuno-
Sorrido felice che abbia capito la mia richiesta ancora prima che io potessi farla.
Scendiamo dalla macchina vittoriose e torniamo in redazione.
Busso alla porta del mio capo e dopo pochi secondi entro con il foglio dell’intervista in mano. -Le piace una notizia dell’ultimo minuto che abbiamo prima di ogni altra testata? Con annessa un’intervista speciale?- esclamo con un sopracciglio alzato.
Lui mi guarda sconcertato. -Scrivila al computer alla velocità della luce!- sorride contento.
-Consideralo già fatto!- dico avviandomi verso l’uscita.
Mentre riapro la porta lui mi chiede: -Fortini, come hai fatto?-
-Spirito di osservazione e l’aiuto di una segretaria formidabile- dico con un ghigno. -Ah, e resti tra noi… quella segretaria è molto più brava del 50% dei suoi giornalisti al primo anno-
Esco con un sorriso dipinto in volto.
Posso sentire la sua mascella che cade a terra, da qua.
Ritorno alla mia postazione e subito Marta arriva da me esordendo con: -Allora?- chiede speranzosa.
-Abbiamo fatto colpo è rimasto a bocca aperta-
Lei sogghigna felice.
Dopo neanche una decina di minuti l’articolo è pronto. La notizia viene messa su ogni nostra piattaforma e, invece, l’intervista viene mandata dagli impaginatori e sarà sul numero di domani. Io e Marta ce l’abbiamo fatta.
Mi trovo in piedi di fianco alla mia scrivania quando, una mano pesante e forte, si appoggia sulla mia spalla e mi tocca con durezza.
La mia pelle sussulta al tocco, la mia mente si offusca e sento il mio corpo come se non mi appartenesse più. La paura mi sale fino al cervello, un dolore lancinante mi afferra la gola e la mia vista di colpo si fa quasi buia.
-Complimenti Fortini- dice la voce maschile dietro a me.
Le mie mani tremano incontrollate e l’unica cosa che riesco a vedere è il suo volto maligno. Questi occhi marroni e scuri che mi perseguitano da sempre, riesco solo a sentire la sua voce “Fortini, fai la brava stavolta o te ne pentirai”, a sentire il suo tocco ruvido sulle mie gambe.
Il fiato diventa corto e sento bruciare la pelle sotto al suo tocco.
-Va tutto bene?- mi chiede poi ancora togliendo finalmente la sua mano da lì.
Quando la toglie, in pochi secondi capisco dove sono andata con la mente e mi impongo di svegliarmi da quell’incubo ad occhi aperti.
Quando incrocio gli occhi di lui, il mio respiro si calma. È solo il tuo capo Alice, è solo il tuo capo. Nessun altro di tua conoscenza.
Respiro a fondo.
-Tutto bene grazie- dico prendendo la mia giacca e abbandonando l’ufficio.

Suono il campanello decisa.
-Ehy- mi saluta l’altra con un sorriso dolce.
-Ciao- ricambio lo sguardo, tentando di mascherare il mio stato d’animo. -Ah, adoro il caldo di casa tua. Fuori fa freddissimo-
-Per questo la cena è bella calda che ci aspetta-
Dopo una cena tranquilla e buonissima, ci sediamo sul divano e accendiamo svogliatamente la tv.
-Complimenti per il tuo articolo!- dice lei rompendo il silenzio-
-Grazie. Però è stato merito di Marta- rispondo sinceramente.
Le nostre gambe si toccano e si sfiorano di tanto in tanto.
Poco dopo Paride ci viene a fare compagnia arrotolandosi sulle gambe di Chiara. -Non capisco perché non venga mai sulle mie di gambe- esordisco.
-Forse perché la prima volta che lui ha cercato di dormire con te, tu non l’hai presa tanto bene…-
-Mi voleva dormire in faccia!- cerco di trovare qualche scusa.
Lei si mette a ridacchiare e fa spostare il gatto sul cuscino al suo fianco.
Si mette ancora più vicino a me e appoggia la sua testa alla mia spalla, giocando distrattamente con i miei capelli.
Quando la sua mano, stanca del gioco che sta facendo, si appoggia sulla mia gamba la mia anima sussulta di nuovo sperando che il mio corpo non faccia lo stesso.
Ripenso al discorso fatto qualche giorno fa con Chiara e del mio problema che oggi è diventato non solo una situazione mentale, ma anche un’ansia reale.
Dentro la mia testa mille pensieri scorrono parallelamente senza una meta o via d’uscita.
Se questo fosse un problema più grande di quanto pensi?
Se non riuscissi più a tornare la persona di prima?
Non sarò mai una buona compagna per Chiara, non sarò mai una guida per lei e lei dovrà sempre prendersi cura di me.
Scuoto la testa mentalmente cercando di rimettere tutto in ordine.
-Ti sento pensare da qua- dice lei di colpo.
-Scusa- tento di dire senza risultare patetica.
-Dimmi-  alza la testa dalla mia spalla e mi guarda negli occhi.
-Oggi è successa una cosa- dico senza ricambiare il suo sguardo.
Sento così tanta vergogna in me, che non riesco neanche a sostenere i suoi occhi meravigliosi sui miei. Tutta l’inadeguatezza, a volte, esce nei momenti meno opportuni e a tratti, ad ondate, che mi spezzano le gambe ogni volta. Oggi è successo con il mio capo e ora, con Chiara, sta succedendo un’altra volta e in un’altra forma. Se oggi era paura, ora è vergogna, disagio, imbarazzo.
Lei si alza e si mette a gambe incrociate vicino a me.
Attende silenziosa le mie parole. Mi ha sempre riservato questo trattamento speciale: “ti aspetto, parlami quando sei pronta”, dal primo giorno che ci conosciamo.
-Penso di aver avuto un attacco di panico- dico senza fermarmi.
Lei mi guarda con uno sguardo preoccupato, quello tutto suo che ho imparato a conoscere fin da subito. Quello che aggrotta le sopracciglia e si mordicchia dolcemente il labbro inferiore inconsciamente.
-Ero sovrappensiero e di colpo ho sentito una mano su di me. Ho rivisto i flash di ciò che succedeva quando lui mi chiamava per cognome e mi appoggiava una mano sulla spalla. Ho risentito la sua voce nella mia testa e il mio sguardo si è perso in un buio inimmaginabile.  Ho sentito freddo, poi bruciore, poi rabbia e dolore… tutto questo insieme. Quando poi ho realizzato che era semplicemente il mio capo tutto ha smesso di impazzire-
Lei mi guarda con occhi sgranati.
Neanche lei immaginava che potesse succedere tanto. Non pensava che una vicenda del genere potesse lasciare un solco così profondo. Invece, il solco lo ha lasciato. Ha lasciato una ferita sanguinante che non so come curare, se non in parte.
-Mi spiace per ciò che ti è successo- mi dice con tono dolcissimo.
Parla sottovoce, quasi come fossimo in un luogo sacro. -Non posso neanche immaginare come ti senti-
-Per un attimo non ero in questo mondo Chiara, ero in un flashback di cui potevo sentire il dolore-
Dico guardando nel vuoto, cercando di dissociarmi da tutto e tutti.
-Alice, ascoltami. Purtroppo, è normale. È una delle tante reazioni a ciò che ti è accaduto, è causata dallo stress che hai subito, dal trauma e da tutto ciò che ne consegue…- tenta di rassicurarmi.
-Non sarò mai più la persona che ero prima- dico debole. -Ho costantemente paura, sono costantemente in ansia e in allerta. Quando una persona si avvicina a me la mia più grande preoccupazione è non sussultare come una bambina al suo tocco-
Chino la testa arrendendomi.
Arrendendomi al fatto che mi ha rotta.
-Mi ha rotta- ripeto inconsapevolmente ad alta voce.
-Ascoltami, ascoltami perché ti dico tutto questo con il cuore. Sì, lui ti ha rotta e cambiata ma solo tu puoi rimetterti in sesto. Per quanto poco ne so, sei già molto più brava di moltissime altre donne là fuori che hanno subito ciò che hai subito tu. Sei stata forte, hai denunciato tutto, hai ripreso la tua vita ed il tuo lavoro, sei autonoma e di nuovo indipendente. Ora, tutte le sensazioni che hai provato fanno parte di una fase molto delicata che da affrontare da sola è dura, molto dura. Né io né te abbiamo le competenze per farlo. Per quanto tu voglia uscire da tutto questo, se non sai come fare non ne uscirai mai e magari ti farai solo del male-
Sta dicendo che non sono in grado di guarirmi? La guardo di sbieco pronta a risponderle.
-Non mi guardare così, lo sai che ho ragione. Bere litri di vodka ti ha aiutato? Avevi la casa piena di alcool quando ci siamo conosciute. Ha migliorato la situazione? No. Era un semplice modo per evadere, una reazione comune a ciò che stavi passando. Ti ripeto: secondo me, sei fortissima. Sei già lontana chilometri dal punto di partenza, hai scalato già montagne altissime. Ma ora c’è l’Everest, il K2 e quel che ti pare. Senza allenamento, senza una guida, pensi di potercela fare? Io sarò sempre qua con te, anche se tu non vorrai, anche se il tuo umore sarà schifoso, anche se il mio tocco ti porta in posti oscuri… io sarò qua per riportarti nella luce, nella realtà di adesso-
Mi sorride dolce, quasi con le lacrime agli occhi.
Le sue iridi colorate mi fissano delicatamente.
-Non ti merito… non ti merito perché non potrò mai e poi mai essere un tipo di persona normale, una fidanzata che ti può dare tutto, non arriveremo mai a condividere ogni cosa tra noi-
Un filo di voce esce dalla mia bocca.
La consapevolezza che non sarei mai più riuscita ad avere una relazione con nessuno, ce l’ho dal primo momento in cui lui ha messo le mani su di me. Perché ogni tocco sulla mia pelle mi riporta là: sul suo letto, sopra le sue lenzuola, oppure nella sua macchina dove mi baciava contro la mia volontà, oppure nel mio ufficio dove mi stringeva il polso fino a farmi male.
Come potevo pensare di intraprendere una relazione?
Come ho potuto pensare che con Chiara sarebbe stato diverso? È vero, in tutte le carezze che ci siamo scambiate non ho mai avuto nessun attacco di panico. Ma se fosse solo un caso fortuito?
-Ci meritiamo perché lo vogliamo. Ci meritiamo perché il caso ci ha donate l’una all’altra. Ti merito perché sei una persona meravigliosa, perché sei la persona che io ho sempre cercato, perché mi guardi con dolcezza, perché mi porti nella mia gelateria preferita, perché metti le mie canzoni preferite in macchina, perché sei bellissima, perché sei intelligente e dinamica, perché sei invincibile. Sta a te non farti scalfire. Vuoi davvero che lui vinca ancora? Vuoi davvero rinunciare alla tua vita per lui? Lui non ha rinunciato a niente mentre ti faceva del male e ora sta pagando. Tu hai già pagato un conto che non era tuo. È ora di vivere per davvero, Alice. Devi farlo perché te lo meriti-
Una lacrima solitaria scivola sulle mie guance. Un sorriso strozzato è tutto ciò che posso offrire a lei. Un pianto liberatorio nasce spontaneo dalla mia gola e le sue braccia mi avvolgono come a proteggermi.
Dopo svariati minuti di silenzio, dopo mille pensieri e voci nella mia testa mi stacco da lei.
Mi guarda preoccupata.
-Non voglio che lui vinca. Non l’ho lasciato vincere prima e non lo farà ora-
Guardo Chiara con uno sguardo che vuol dire solo “dimmi cosa posso fare”.
-Quando mi hai confessato tutto ciò che stava succedendo, ho cercato informazioni dappertutto. All’inizio pensavo fosse una buona idea rivolgersi ad un’associazione, poi però il sentiero ci ha portato lungo una via diversa… che, ammetto, ti è stata molto più utile e ti ha letteralmente salvato. Dall’altra parte avevo cercato qualche psicologo specializzato e consigliato per questo genere di cose- rimango allibita da tutta questa faccenda. Si era informata di tutto? Per me?
Si alza e cammina verso la sua scrivania. Prende un foglio e me lo sporge.
-Questa è una lista di nomi. Sono tutti validi e bravissimi, fidati di me. Sta a te scegliere ora: stare in questa situazione per sempre oppure cercare una guida per scalare l’Everest?-
Leggo velocemente i nomi.
Non pensavo Chiara avesse fatto tutto questo per me, non credevo avesse pensato ad ogni aspetto e conseguenza di ciò che era successo.
Sgrano gli occhi con ancora in mano il foglio stampato.
Lei mi guarda preoccupata, come se si aspettasse un mio giudizio, un commento negativo o chissà cosa.
Io sorrido. È l’unica risposta che riesco a fornire ora come ora, ora che sono inondata da una moltitudine di diversi sentimenti e il mio cervello pensa sedici cose diverse al secondo.
-Li guarderò con attenzione e deciderò- dico con semplicità.
-Non sei obbligata ad andarci solo perché lo penso io, prima devi volerlo tu stessa. Se tu pensi sia inutile, è ancora più inutile che ci vada perché butteresti dei soldi fuori dalla finestra. Devi essere convinta, pronta a raccontare tutto ed ascoltare dei consigli, solo così sarà utile-
Ci stringiamo in un abbraccio sincero e lunghissimo.
Ho finito le parole per questa creatura così dolce e gentile.
Nessuno si è mai preoccupato per me in questo modo così profondo. Nessuno.
Mentre siamo ancora intrecciate dico: -Sai che sei molto palese quando mi guardi?-
Lei si stacca e mi rivolge uno sguardo interrogativo.
-Marta, ti ha beccato e ha capito tutto-
Lei spalanca gli occhi e diventa rossa. -Ha detto che sei palese e che messaggiamo come due adolescenti-
Scoppiamo a ridere insieme.
-In effetti ci mangiamo più gif che altro- dice lei tra le risate. -Quindi ci ha beccate?-
-In pieno- rispondo.
-Beh prima il mio agente e poi la tua segretaria… il prossimo così sarà? L’impaginatore di Repubblica oppure la stagista della casa editrice?-
Una risata cristallina mi arriva all’orecchio. -Punto sulla stagista-
Mi unisco alla sua risata.


Da quella sera, la frenesia di Dicembre era arrivata puntualissima: il primo del mese la città si era vestita con luci di Natale, manifesti a sfondo natalizio ed era popolata da persone indaffaratissime nel cercare i regali di Natale.
Non avevo mai notato di come la gente partisse in anticipo. Questo, forse, perché io ero sempre in ritardo. L’unico regalo di Natale che facevo era quello per Marta, che puntualmente compravo il 24 in preda al panico. Per il resto, acquistavo sempre del vino per la cena di Natale che si faceva insieme a tutta la redazione.
In pratica, non dovevo fare decine di regali e l’unico che dovevo fare, veniva acquistato all’ultimo secondo.
Ma quest’anno è tutto diverso: il mio rapporto con Marta è cambiato nettamente. Da colleghe strette, siamo passate ad amiche strette in una sera.
Chiara compie gli anni il 9 dicembre e in redazione c’è questa moda del Secret Santa, per cui devo fare un regalo ad un perfetto sconosciuto.
Insomma, Fortini deve darsi una mossa e darsela subito.
Per non toglierci nulla Chiara si è indignata nel sapere che in casa mia non ho l’usanza di fare l’albero di Natale e che le decorazioni sono off limits, quindi si è offerta o meglio, mi ha imposto, di lasciarle l’incarico di creare una casa natalizia. Come contrariare due occhietti sognanti? Non si può.
Quindi, mentre Chiara compra decorazioni, finti abeti e non voglio sapere che altro, io mi divido tra: negozi, scrittura e… la preparazione psicologica per l’incontro con la famiglia di Chiara.
Sbuffo nel pensare a cosa potrà accadere quel giorno. Conoscendo, in parte, la storia del padre le mie proiezioni mentali non sono molto rassicuranti.
Cerco di cacciare quei pensieri sul nascere, ed entro nell’ennesimo negozio del centro.
La vera domanda di questi giorni è: cosa regalare a Chiara?
Non volevo fare un regalo unico, perché poi sarebbe stato brutto aprirlo a Natale ovvero in ritardo per il suo compleanno, e altrettanto brutto aprirlo il 9, ovvero in anticipo per Natale.
Quindi io e i miei neuroni eravamo arrivati alla conclusione di fare due regali separati.
Bene.
E poi? Quali?
Chiara sembra essere a posto in fatto di vestiti, visto che non ha mai espresso necessità di fare shopping perché in mancanza di capi. In più, i nostri gusti in fatto di vestiti sono palesemente diversi, quindi avrei fatto più danni che altro. Forse, sbagliare il primo regalo, non è un buon esordio.
Tolti i vestiti dalla lista, nel prossimo punto c’è la sua più grande passione: i libri. Regalare libri ad una scrittrice alle prese con la stesura del suo secondo romanzo è una mossa giusta? La mia logica mi suggerisce di no. Sarà già stressata per quello e la sua giornata sarà già piena di scrittura per poter leggere una volta arrivata a casa. Qualcosa mi dice che si coricherà sul suo divano e si guarderà l’ennesima serie tv.
L’abbonamento Netflix? Lo ha già ed è pagato fino alla fine dei suoi giorni praticamente.
La passione secondaria di Chiara è la musica, ma io non me ne intendo per nulla. Anzi, per essere precisi la amo, ma semplicemente come ascolto. Non seguo tutte le dinamiche di concerti, concorsi, tour, significati e via dicendo. Invece Chiara, al contrario, segue ogni piccolezza. Conosce ogni retroscena, segue su Twitter ogni componente e addirittura la crew che li accompagna nel tour. Insomma, tutto un altro livello di “amo la musica”.
Facendo delle rapide ricerche su internet ho notato che alcune di quelle band sono in tour e che prossimamente passeranno in Italia.
Dopo averla spiata abbastanza ho capito che ultimamente un album era fisso in casa sua, così ho deciso di comprare i biglietti per quella band e scartare le altre.
Ammetto che, durante questa fase investigativa, questa band aveva impressionato anche me. Dopo che Chiara aveva messo qualche nuova canzone della band in salotto, qualche giorno fa, mi erano subito entrati in testa. Di conseguenza ho scaricato l’intera discografia in men che non si dica. Insomma… non mi dispiaceva neanche andare al loro concerto.
Un regalo su due era fatto, ma il secondo?
Giro il negozio cercando di trovare qualcosa di adatto con pochi risultati.
Di cosa ha bisogno Chiara Cerati? Cerco di fare mente locale e di ricordare qualche frase che possa aver detto.
Ricordo il suo bisogno di cuffie nuove. Così decido di dirigermi verso quel reparto. Le scruto dubbiosa. Direi che come regalo di Natale potrei fare di meglio, penso facendo una smorfia.
Continuo a girare nel reparto elettronica nella speranza di vedere la luce.
Nel girovagare senza metà il mio sguardo si posa su uno scaffale pieno di cofanetti.
“Cena per due”, “Vacanza al mare”, “Attività e sport”, leggo. Incomincio a frugare tra i diversi tipi di attività proposta nella speranza di trovare qualcosa di carino.
Una vacanza di due giorni ce la potremmo anche permettere durante queste vacanze di Natale che non saranno tanto vacanze per nessuna delle due, no?
Alla fine trovo quello azzeccato.
I due regali sono fatti.

•••                                •••

Alice ha insistito perché andassi a casa sua stasera e io di certo non mi sono opposta.
Appoggio la marea di borse davanti alla porta della mia ragazza e suono.
Lei mi apre con un sorriso e mi aiuta a portare tutto dentro.
-Non dirmi che…-
-Oh sì- rispondo fiera.
Lei alza gli occhi al cielo e torna in cucina. -Mi riempirai la casa di decorazioni, quindi?-
-Certo, le ho comprate apposta per te! A casa mia le ho già messe ed è tutta natalizia- dico fantasticando. -Ho anche preparato una playlist di canzoni di Natale!-
Lei scuote la testa in risposta. -Questo bel lavoro lo faremo al nostro ritorno, vero?- chiede preoccupata.
Annuisco in risposta e lei esulta.
Mangiamo tranquillamente raccontandoci le nostre rispettive giornate.
Le racconto di come Paride ha già iniziato a puntare l’albero di Natale e le sue palline. Sono sicura che al nostro ritorno, quell’albero sarà caduto e sprovvisto delle sue decorazioni.
Lei mi informa, poco contenta, del Secret Santa nella redazione e di come il suo nome sia un completo sconosciuto, per cui ha deciso di prendergli un cd e di chiudere la questione.
-Domani a che ora partiamo?- mi chiede.
-Umhhh, verso le 9? Così saremo là per le 11, in tempo per aiutare con il pranzo e non troppo in anticipo per farti tartassare da mia mamma-
Lei ridacchia nervosamente infilandosi sotto le coperte pesanti e calde.
Spegniamo le luci e poco dopo siamo tutte e due nei nostri sogni.


-Okay, allora sei sicura che Marta viene a cibare Paride in questi due giorni?- chiedo in agitazione.
Lei, bellissima, chiusa in un cappotto blu, appoggiata allo stipite della porta d’ingresso ride per la mia agitazione.
-Sì, Chiara. Per la decima volta: ieri le ho dato le chiavi di casa tua e spiegato cosa il principino vuole e a che ora-
Annuisco velocemente e cerco le ultime cose da infilare nella piccola valigia.
La chiudo e mi guardo intorno.
Cavolo, sta davvero per succedere?
Sì.
Io e la mia ragazza stiamo andando a trovare i miei genitori.
Faccio un respiro profondo e poi esordisco: -Possiamo partire-
Ci infiliamo nella macchina di Alice in perfetto orario, usciamo dal centro città con un po’ di fatica ma, una volta entrate in autostrada, il viaggio diventa liscio.
La musica me l’ha lasciata scegliere a me, come fa sempre per i viaggi un po’ più lunghi del solito.
-Bene, cosa devo sapere riguardo la Famiglia Cerati?- chiede lei con un sorriso. -Cioè cosa devo aspettarmi?- precisa.
-Beh, niente di che! Siamo una famiglia normale. Mia mamma l’hai già conosciuta e quindi sei già pronta al suo comportamento esaltato ed esagerato. Cucinerà tantissimo quindi preparati a non rifiutare nulla di ciò che ti viene messo nel piatto, perché potrebbe offendersi! Sicuramente ci saranno anche alcuni parenti stretti a cui tengo molto, come alcuni miei cugini, ma ti assicuro non sono tanti. E poi c’è mio padre, ecco, so che ti stai preoccupando per lui e la sua possibile reazione, ma credimi è arrabbiato con me non con gli altri. In più, in mezzo a tutta questa gente, non si azzarderà a dire nulla. Mia mamma mi ha assicurato che papà non sarà un problema e che lei è dalla nostra parte. Prima di partire mi ha detto che lui lo deve capire che sia con le buone, o con le cattive- dico tentando di rassicurarla.
Non voglio metterla in agitazione, ma neanche dire che mio padre ci accetta.
Non ci accetta, ma si limiterà questa volta.
Lei annuisce silenziosamente senza staccare lo sguardo dalla strada.
-Comunque ho portato del vino, spero ce ne sia abbastanza per tutti- dice lei cambiando discorso, forse per evitare di rimarcare brutti ricordi dovuti a mio padre.
-Tu ormai sei la donna del vino- dico stampandole un bacio veloce sulla guancia.
Il viaggio continua tra qualche canzone e qualche lamentela nei confronti delle altre macchine.
Quando arriviamo alla nostra uscita le faccio un cenno e lei imbocca l’uscita.
Entriamo nella città che conosco da sempre: una semplice città di provincia spersa nel verde e nelle risaie, una di quelle città tra le tante e come le tante.
Dentro? Niente di speciale. Un centro storico, parchi, un’area moderna e una antica.
Dentro quelle case i soliti comportamenti degli abitanti che avevo imparato a riconoscere e a odiare. Avevano una linea di pensiero che non sopportavo: la maggior parte delle persone non capiva che oltre questa città c’è qualcosa di più grande, ci sono altre nazioni, mille opportunità e differenze sociali, era come se vivessero in un recinto, confinati qua. Oltre al recinto? Probabilmente per loro c’è solo un burrone, quindi non ti azzardare ad oltrepassarlo. Insomma, non si può uscire dai confini prescelti.
I discorsi dei miei coetanei non si allontanavano mai dal solito schema: “Io voglio trovarmi un lavoro, una ragazza e metter su famiglia qua, non partirei mai per andare all’estero” “Chi viene qua deve rispettare le nostre regole oppure se e torni da dove viene.” “I gay? Che la smettano di voler ancora diritti, io un bambino non lo do nelle loro mani, è innaturale. Che facciano quello che vogliono ma non in pubblico”. Non sottolineo neanche perché appena ho potuto, me ne sono andata di corsa da questo genere di posti.
Io non sono fatta per un cammino prescelto, per stare in uno schema prefissato. Già solo le mie passioni erano diverse dalle loro, poi le idee, poi gli ideali, poi le priorità, poi la mia idea di futuro. Scrivere un libro? Un futuro impensabile per il 90% delle persone di questa città, essere scrittori vuol dire niente e tutto per loro. È uno di quei mestieri e lavori che nessuno comprende, uno di quelli che sta nella fascia “Sì è un lavoro che ti può piacere, ma che non ti darà da mangiare”. Immaginate, dunque, come potevo sentirmi un pesce fuor d’acqua durante la mia vita qua. A parte la mia diversità fondamentale, c’erano anche altri problemi: gli amici. Quelli che consideravo amici, lo erano, ma solo superficialmente. Nessuno di loro sapeva i particolari della mia vita privata, la relazione con la mia famiglia oppure tante altre piccole cose che mi avrebbero resa diversa da loro. Era questa l’amicizia che avevamo. Una di quelle belle, per carità, una di quelle che ti lascia ricordi divertenti da raccontare in giro, ma anche una di quelle che ti lascia dell’amaro in bocca perché non è stata vera fino in fondo.
Per fortuna a salvare queste situazioni c’erano tre cose: la lettura, la scrittura e Alessia.
Per quanto l’allontanamento con Alessia fosse stato brusco, lei mi ha salvata dalla maggior parte dei problemi e delusioni che questa città portava con sè. Era un angolo segreto dove mi rifugiavo.
Ma il grande rifugio nascosto è stata la scrittura, che dopo molti sforzi, mi ha portato dove il mio cuore voleva stare: lontano da qua.
Do le indicazioni ad Alice sulla strada da seguire e quale svolte prendere.
Ci addentriamo nel centro storico e poi, finalmente, arriviamo a casa mia.
-Che posto carino- esordisce visibilmente nervosa.
-Stai tranquilla, okay?- cerco di tranquillizzarla per quanto possibile.
Lei annuisce, fa per scendere dalla macchina ma la blocco e le regalo un dolce bacio sulle labbra.
Usciamo dalla macchina e non appena il freddo ci avvolge prendiamo subito le giacche abbandonate sui sedili dietro.
Tiriamo fuori dal bagagliaio le nostre piccole valigie e tutti i sacchetti con i vari regalini per i parenti. Alice prende il vino ed il dolce che aveva comprato, e ci dirigiamo verso la porta di casa.
Apro il piccolo cancello nero e percorriamo il breve vialetto ciottolato ai cui lati si trova il tanto amato giardino di mia mamma che però, ora in dicembre, non ha nessun fiore o pianta.
Arriviamo alla porta d’entrata e subito, tutte e due, ci sistemiamo involontariamente.
Suono il campanello piano e aspetto pazientemente.
Ad aprirci mia mamma, con il grembiule addosso e un sorriso a trentadue denti.
Ci abbraccia di slancio tra un “Che bello che siete venute!”, “Avete fatto benissimo!”, “Scusate il disordine, ma quando si cucina…” e l’altro.
Entriamo in casa e posiamo la roba di lato.
Per quanto mi senta estranea nella stessa casa che mi ha cresciuta, tento di mascherare la mia sensazione e guidare Alice che è nettamente più spersa di me.
Dopo averle spiegato che questo è il salotto e che la sala da pranzo è poco più in la, ci dirigiamo verso il vociare che sentiamo sia dalla cucina che dalla sala da pranzo.
Prendo la mano di Alice e la stringo. Lei mi guarda dubbiosa, capisco subito cosa vuole intendere.
-Dopo averlo detto ai miei genitori, ho dato loro il permesso di dirlo ai parenti anche se ormai ero partita e lontana da casa. Ormai non avevo più nulla da nascondere…- spiego.
Lei annuisce e mi stringe la mano a sua volta.
La osservo sempre con un piacere che credo non mi andrà mai via. Indossa dei pantaloni neri eleganti e a vita alta, una cintura di pelle scura le stringe i fianchi magri. Una camicia bianca a righe sottili nere si infila sotto i pantaloni e due spille argentee luccicano agli angoli del colletto. I suoi capelli biondi le cadono sulle spalle in un modo perfetto e le sue mani, curate, sono adornate da sottili anelli.
Uno spettacolo mozzafiato.
Entriamo in cucina e tutti gli occhi sono puntati su di noi.
Delle braccia mi avvolgono subito e dalla voce riconosco istantaneamente la persona: mia cugina Valentina. Ricambio l’abbraccio lunghissimo e sento le nostre labbra distendersi in un sorriso felice.
-Da quanto tempo, cugina!- mi dice ancora attaccata a me.
-Troppo- ammetto.
Ci stacchiamo e lei subito non perde tempo: -Non mi presenti?-
-Scusami! Valentina questa è Alice, Alice questa è mia cugina Valentina. Siamo praticamente cresciute insieme!- dico felice.
Le due si scambiano una stretta di mano e un “piacere”, che Alice dice quasi sottovoce.
-A tavola ci conosceremo meglio, Alice!- dice lei tornando alle sue mansioni di disposizione del tavolo.
Mia mamma continua cucinare mentre parla con mia zia, felice.
Poco dopo anche lei ci viene a salutare e a conoscere la bionda. Un’altra nella lista di parenti da salutare è andata.
Ci trasferiamo in salotto dove, mio cugino, mio zio e mio padre discutono animatamente sull’ultimo acquisto della Juventus.
Mi schiarisco la voce per attirare la loro attenzione tutti e tre puntano i loro occhi su Alice.
Uomini… c’era da aspettarselo.
Mio cugino è il primo a muoversi per salutarmi. -Cuginettaaaa!- dice a braccia aperte per poi abbracciarmi e stamparmi due baci sulle guance.
Lui è più grande di me e all’interno della famiglia, è sempre stato un punto di riferimento: intelligente, buono e con un cuore enorme. Da pochi anni si è trasferito in Germania per lavoro, quindi, anche lui come me deve fare i conti con una famiglia lontana.
-Paolo! Sei ormai un crucco a tutti gli effetti?- chiedo scherzosamente.
-Oh sì! Ormai mi hanno conquistato!-
Scoppiamo a ridere tutti e due.
-Piacere io sono Alice- dice la ragazza al mio fianco non appena gli occhi del ragazzo si posano sul suo viso.
Lui sorride e ricambia il saluto mettendosi a chiacchierare sul fatto che lui legge ogni articolo che Alice scrive.
Intanto, ne approfitto per andare a salutare i due rimasti. Mio zio mi accoglie nelle sue braccia stringendomi forte a lui. -Bentornata!-
Poi il mio sguardo punta quello di mio padre e mentre mio zio corre da Alice, io e lui ci salutiamo in modo educato e razionale.
Sicuramente non è così che mi immaginavo il nostro incontro dopo anni di distanza, eppure è così che sta andando: finto interessamento, distacco totale e pura falsità.
-Come stai?- mi azzardo a chiedere mentre mi abbraccia per puro dovere.
-Normale- mi risponde freddo. Il “Tu?” non è contemplato nella nostra conversazione.
-La mamma mi ha detto che finalmente hai un po’ di tempo libero dal lavoro- dico ancora educatamente, nella speranza di sbloccare qualcosa che si è bloccato ormai tempo fa.
-Sì, mi riposo un po’- risponde lui. I suoi occhi verdi, visibilmente invecchiati dall’ultima volta che li ho incrociati, si posano dietro di me sulla figura di Alice. Si sistema i capelli brizzolati, sempre tagliati nel solito modo: l’unico che gli ho visto da quando ho memoria.
Si sta preparando per andarla a salutare.
Immagino immediatamente la conversazione tra mia mamma e lui, le frasi di disappunto sulla mia condotta e sulla mia scelta, oppure le urla arrabbiate di lui e quelle difensive di lei. Chissà cosa avrà pensato quando la mamma gli ha detto di lei, di cosa è successo tra noi due. Perché sono sicura che lei gli abbia detto ogni cosa. Quel giorno al binario, mi sembrava così determinata a fargli cambiare idea, che era al contempo disperata.
E quando mia mamma perde la pazienza e si dispera, diventa ancora più decisa di prima.
-È la cosa più preziosa che ho- gli dico mentre si pulisce gli occhiali sul suo maglioncino. -Non rovinare tutto-
-Voglio solo capire perché- dice andando verso di lei.
Lo seguo a ruota preoccupata.
Quando bussa sulla spalla di Alice, lei sorride nervosamente, ma solo io riesco a vedere queste sfaccettature in lei.
-Buongiorno signor Cerati- offre la sua mano delicata a lui.
Lui la stringe con la sua solita decisione da imprenditore e la saluta a sua volta.
-Grazie per l’invito. È un piacere trascorrere un giorno di festa con la famiglia di Chiara-
Lui risponde con un sorriso falso, ma anche questa è una particolarità che per fortuna Alice non può cogliere.
-Si figuri Alice, mia moglie mi ha parlato molto di lei-
-Spero bene!- cerca di sdrammatizzare.
-Può darsi- dice lui, bevendo il suo aperitivo analcolico. -Magari dopo il pranzo potremmo fare due chiacchiere-
Lei annuisce silenziosamente e lui torna da mio zio.
I suoi occhi verdi mi guardano paralizzati dalla paura.
-Stai tranquilla, non può fare nulla. Ormai non sono più sotto il suo controllo e l’ha capito anche lui. Vuole solo capire cosa ho trovato in te-
-E io dovrei convincerlo che hai trovato solo cose positive- manda giù un groppo di saliva preoccupata.
-Beh… è la verità- le dico lasciandole un piccolo bacio sull’angolo della bocca.
Immediatamente mi rendo conto del gesto fatto e del luogo in cui sono, eppure realizzo che non è più un problema dal giorno in cui, a fine liceo, ho detto tutto ai miei genitori.
Non dovevo più nascondermi da nessuno, non qua in famiglia.
Anche se la presenza di mio padre non va a mio favore, sono determinata a fargli vedere che non ho paura né di lui, né dei suoi giudizi, né quelli degli altri. Questo è l’unico modo per impormi su di lui, è questa è l’unica buona occasione che il fato mi ha regalato da due anni a questa parte.
Ora o mai più, in poche semplici parole.

Quando mia mamma ci dà il segnale, ci sediamo tutti a tavola.
Alice rimane al mio fianco e vicino a lei mia cugina. Davanti mio zio, mia zia e mio cugino. Ai lati, come capitavola mia mamma e mio papà.
Ovviamente mia mamma è prontamente seduta al lato più vicino alla cucina.
I mille antipasti preparati da mia mamma guarniscono il tavolo e subito tutti iniziano a prenderli.
Io, capendo l’imbarazzo e la difficoltà in cui si trova Alice, le incomincio a sporgere qualcosa che so le piace.
Lei ricambia il mio gesto con occhi dolci: un grande grazie silenzioso.
Il discorso si posa subito sul cibo e sul fatto che “Aurora cucini sempre troppe cose!”, oppure sulle mille possibili modifiche alle ricette e ai piatti fattibili.
Io e Alice rimaniamo in silenzio, osservando questa scena.
Se Alice si sente “fuori dal cerchio”, io lo sono forse di più.
Una volta facevo parte del cerchio, una volta ero l’anima più attiva della famiglia, contando anche quella allargata.
Ora invece, la successione degli eventi mi ha allontanato in modo irrimediabile.
Probabilmente capisco anche perché mio cugino o i miei zii, non mi facciano domande: mio padre non vuole sentir parlare del libro e tantomeno della mia nuova vita a Torino.
Valentina rompe il nostro estraniamento con una domanda per Alice: -Allora Alice, ammetto che non seguo il tuo programma televisivo, però da quando Aurora mi ha informata… lo guardo sempre!-
Il volto di Alice si illumina immediatamente. Sorride felice. Un sorriso che le esce solo quando qualcuno le fa qualche complimento sul suo duro lavoro. È un sorriso diverso, non è come quello che rivolge a me o a qualcun altro, è un sorriso fatto di sudore, nottate passate a scrivere e soprattutto determinazione.
-Ti ringrazio Valentina, mi fa sempre piacere sentire che qualcuno apprezza il mio lavoro. Non è facile esser una giornalista donna di questi tempi…- risponde lei.
-Ci credo! Ormai questo paese torna indietro di anni, in soli pochi minuti- entra nel discorso anche mio cugino.
Così Alice chiede: -Chiara mi ha detto che vivi in Germania, giusto? Penso tu riesca a trovare solo difetti in noi ora- dice con il giusto tono di ironia.
-Beh.. di sicuro non tornerei in Italia per ora- dice lui ridacchiando.
Sua mamma lo guarda sconsolata.
Riconosco quello sguardo perché è lo stesso che aveva mia mamma per tutto il periodo del mio trasloco. Uno sguardo rassegnato. Rassegnato all’idea che sua figlia sarebbe stata lontana da casa, rassegnato all’idea che in fondo era il momento di lasciarla andare perché il suo cuore sapeva: era la svolta giusta per il futuro di sua figlia e per la stessa.
Mia zia rivolge lo stesso sguardo a mio cugino da anni, ormai.
Il discorso si sposta sull’esperienza tedesca e vengo a scoprire da Alice, che ha fatto molti viaggi in quelle zone, ma che Berlino rimarrà sempre nel suo cuore. La guardo curiosa dopo queste scoperte, dovrò chiedere spiegazioni approfondite.
Al termine del pranzo infinito, noi baldi giovani, ci offriamo per lavare i piatti visto che in casa Cerati la lavastoviglie è un elettrodomestico abominevole a detta di qualcuno.
Così, io, Alice e i miei cugini ci mettiamo subito a lavoro in cucina lasciando che gli adulti si riposino in salotto.
Valentina lava, Alice asciuga e io metto a posto. Mio cugino invece sparecchia la tavola e ripone gli avanzi in frigo.
Noto come Alice si sia rilassata non appena abbiamo abbandonato i miei genitori e zii. Probabilmente è rimasta in tensione tutto il pranzo.
Mi sento immediatamente colpevole. L’ho obbligata a fare un passo troppo grande e di certo la situazione con mio padre non aiuta.
La voce di Valentina alla mia sinistra mi scuote dai miei pensieri facendomi cadere a terra di nuovo.
-Allora, ora che non ci sono i grandi posso chiedervelo- dice con un ghigno. -Da quanto state insieme?- chiede curiosa.
Io e Alice scoppiamo a ridere. -Qualche mese- rispondo. -Non teniamo un vero e proprio conto preciso- ridacchio.
È vero. Non abbiamo mai visto “l’anniversario” come un evento irrinunciabile. Sì è un giorno che ricordiamo con piacere, ma non sentiamo l’esigenza di festeggiare ogni settimana o mese che passa.
-Come!? Se io stessi con una star della tv terrei il conto eccome!- dice lei con fare sconvolto.
-Ora non dire “star della tv” se no poi se ne vanta per tutto il giorno- dico io alzando gli occhi al cielo.
La bionda ridacchia in risposta. Tipico, so che dentro di lei il suo ego si sta gonfiando.
Tutti noi ci uniamo a lei, felici.
-Allora, domani è il tuo compleanno cuginetta!- dice il ragazzo scompigliandomi i capelli.
-Già mia mamma non vede l’ora di imbarazzarmi di nuovo…- il mio tono esce fuori rassegnato di fronte ai futuri possibili eventi.
-Dai, non potrà andare male quanto il tuo sedicesimo compleanno!- scoppia a ridere Valentina.
La fulmino con lo sguardo e mi appunto di dirle di stare zitta ogni tanto.
-Perché?- chiede la mia ragazza curiosa.
-Niente, è stato un pessimo compleanno- dico io tagliando corto.
-Può essere che una serie di sfighe l’abbia colpita senza fine…-
-Tipo la macchina che passa e ti infradicia e tu che entri dentro casa, incazzata, bagnata, e tutti che ti urlano “Sorpresa”… ma tu odi le sorprese- sputa mio cugino aggiungendosi a mia cugina.
Li maledico tutti e due mentalmente per poi sbuffare sonoramente.
-Sentite, io odio le feste a sorpresa!- cerco di difendermi.
-L’abbiamo capito quando ci hai risposto un “vaffanculo”- ridono i due insieme.
Alice intanto si sta sbellicando dalle risate.
-Era stata una giornata pesante! Avevo dovuto subire un’interrogazione a sorpresa… quindi di sorprese e avevo avute già abbastanza- sbuffo. -E voi smettetela di mettermi in imbarazzo!-
Tutti ritornano alle loro mansioni tra una risatina e l’altra. Poi sento Alice dire sottovoce a Valentina: -Se ti lascio il mio numero me ne racconti altre? Ti prego-
Le scaravento lo straccio che ho in mano addosso e lei sobbalza.
-Guarda che ti sento!-
Lei si gira con quello sguardo finto arrabbiato che però farebbe paura a chiunque.
-Cerati...-
-No, niente solletico Fortini…-
Quando le mani di mio cugino raggiungono i miei fianchi capisco che ormai è troppo tardi e che la mia morte è vicina.
I tre si annientano su di me e inizio a ridere senza smettere.
Quando finalmente mia mamma, probabilmente sentendo le mie risate senza fiato, entra in cucina tutti ci fermiamo terrorizzati.
-Siete tornati quindicenni… ho capito- alza gli occhi al cielo. -Chiara, che ne dici se fai fare un tour della casa ad Alice?-
Io annuisco immediatamente.
Ci ricomponiamo e Alice mi segue velocemente per le scale.
-Beh, qua c’è la camera di miei genitori- dico indicando la prima porta a destra. Continuo a camminare per il corridoio decorato da repliche di quadri famosi.
-Qua lo studio di mio padre, che ovviamente è off limits perché è un maniaco dell’ordine e se gli sposti un foglio probabilmente andrebbe in panico-
Quando finalmente apro la porta di camera mia, un fiume in piena di ricordi si apre con lei e mi investe.
Un uragano di emozioni mi travolge.
Niente è cambiato da quando sono andata via da questa città, neanche ciò che è appeso alle pareti. Il letto a soppalco, in legno chiaro, è ancora lì come un tempo. Contorniato da ogni sorta di foto, scritta in greco antico e copertina di album. La scrivania è esattamente come l’ho lasciata: bianca, lunga e pulita perché non riuscivo a scrivere se non era completamente sgombra da tutte le cianfrusaglie inutili. L’armadio probabilmente racchiude tutti gli indumenti che ormai non metterei più, ma che per tanto tempo ho adorato.
La libreria, forse ora un po’ impolverata, custodisce tutti i giornali di politica e informazione che compravo prima di entrare in classe. Per non parlare dei grandi classici che avevo letto e riletto: 1984 probabilmente ha ancora tutti quei segnapagina e le sottolineature che avevo fatto durante le cinque o sei riletture.
Immediatamente sento il mio cuore stringersi in una morsa quasi letale.
Per quanto io fossi distaccata da questo mondo, ha ancora un effetto su di me. Un effetto non da poco.
-Oh, sono entrata nel mondo della Cerati- mi dice la voce alle mie spalle.
Io resto ancora senza parole.
Tutto questo è surreale.
probabilmente la mia faccia parla per me, perché dopo pochi secondi Alice mi chiede preoccupata se va tutto bene.
-Sì, ho solo bisogno di riposarmi dal lungo pranzo-
Lei mi annuisce dubbiosa.
Salgo la scala in legno. -Vieni, ci stiamo tutte e due-
-Non ho mai avuto un letto matrimoniale nella mia cameretta- esclama lei quando si corica sul comodo materasso.
Io ridacchio in risposta.
-Dai, Chiara, dimmi tutto su questa stanza- mi dice mettendosi comoda.
Io incomincio a guardarmi intorno cercando di capire da che parte iniziare.
-Vedi questa scritta in greco?- lei annuisce. -Significa “vita”. Se noti, sulla parete di fronte ce n’è un’altra. Vuol dire “morte”. So che puoi trovarlo un po’ macabro, eppure mi è sempre servito un “post-it” sul fatto che c’è un inizio ed una fine. Ed è utile per molteplici motivi. Il primo è perché mi ha spinto a non arrendermi e a trovare il tempo per fare ciò che realmente volevo, perché mi ricordava di non perdere tempo, di non buttarlo poiché è contato. Inoltre perché quando mia nonna è mancata, è mancata una parte di me e dentro il mio cuore provavo solo senso di colpa per non aver trascorso abbastanza tempo con lei negli ultimi suoi anni di vita. Queste due scritte mi ricordano che se amo una persona devo stare con lei più tempo possibile-
-Non è un ragionamento macabro, anzi è molto giusto- mi sorride dolcemente.
-Invece qua di fianco ci sono tutte le copertine dei miei album preferiti, qua alcuni cd di band sconosciute autografati- dico indicando la parete al nostro fianco.
-Sotto invece, dalla scrivania ci sono le foto che ho fatto durante le varie gite, citazioni di libri, canzoni, oppure semplice frasi che mi venivano in mente durante le giornate… dentro un cassetto della scrivania ci deve essere ancora la bozza cartacea del romanzo…- dico sospirando un po’.
-Immagino non sia facile tornare qua dove tutto è cominciato- dice lei guadando il vuoto del soffitto.
Scuoto la testa.
-Se io tornassi nella mia umile e minuscola cameretta, nella mia casa, se passassi in quelle vie… probabilmente rimarrei senza parole, con un senso di ansia infinita, con un magone che mi mangerebbe dentro. Dentro camera mia ci sono ancora moltissimi miei ricordi, della vita che avevo prima di lasciare casa, i miei libri del liceo e dell’università, i miei vestiti preferiti, i miei vinili e il mio giradischi. Per non parlare di tutti i diari nascosti tra l’enciclopedia che mio nonno mi aveva regalato con tanto sudore e fatica! Non so neanche se quella casa sia ancora di mio padre, oppure c’è un’altra ragazza dentro quelle quattro mura color carta da zucchero, chiaramente dipinte perché mio papà sperava in un maschietto. Bhe, avrà di che ridere leggendo quei diari…-
Io ridacchio nel sentire questa battuta. -Che c’è scritto?- chiedo curiosa.
-Solo quanto odiavo la mia insegnante di matematica e invece di come trovassi particolarmente interessante la ragazza che gestiva il circolo dei poeti. Caso strano partecipavo a tutti gli incontri durante la prima superiore e la seconda… non avevo ancora ben capito qualcosa di molto importante su di me- dice ridendo a coprendosi il viso dall’imbarazzo.
Io la seguo nella sua risata.
Si accoccola sulla mia spalla non appena la risata svanisce.
-Non ti preoccupare se ti senti strana, è normale- dice sottovoce.
Rimango in silenzio riflettendo sulle parole che mi ha appena detto Alice.
Forse questo è il primo momento in cui i nostri passati si sono sentiti più vicini che mai, si sono messi in parallelo e si sono specchiati uno dentro l’altro trovando una situazione simile dall’altra parte. Una situazione fatta di ricordi lasciati a metà come una canzone che non finisci perché il tram è arrivato alla tua fermata. Se io li ho lasciati lì per inseguire il mio futuro, lei li ha lasciati lì perché non aveva altra scelta che scappare per realizzarsi.
Poco dopo il mio sguardo ricade di nuovo su Alice, che sonnecchia rilassata sulla mia spalla.
La lascio fare, tanto non abbiamo molto da fare, fuori tira un vento gelido e la mia voglia di uscire in queste strade piene di ricordi è praticamente inesistente.
Mi accoccolo a mia volta su di lei, chiudendo gli occhi e riposandomi.

•••                                •••

Quando Aurora bussa alla porta, capisco che io e Chiara abbiamo dormito per parecchie ore.
La mia mente si rifiuta di aprire gli occhi e quando sento che Chiara risponde alla madre con un “shhh”, comprendo di avere ancora qualche minuto per me.
-Dobbiamo alzarci?- blatero sottovoce.
-Sì, è quasi ora di cena- mi risponde lei accarezzandomi i capelli.
Uno sbuffo esce istantaneamente dalle mie labbra.
-Dai, non manca molto alle vacanze-
Con quel pensiero ci alziamo dal letto e ci rimettiamo un po’ a posto.
Poco dopo scendiamo in salotto. Ad aspettarci ci sono solo i genitori di Chiara.
Il mio cuore incomincia ad agitarsi nel mio petto.
Essere sola con loro due mi mette ansia, molta ansia.
Tento di ritrovare, dentro me, la mia classica caratteristica: essere coraggiosa. Per quanto io stia a frugare, non riesco a trovarla ora, non riesco mai a trovarla quando sono coinvolte persone a cui tengo.
Una persona normale, dovrebbe trovare il coraggio di fare qualsiasi azione, di sfidare qualsiasi destino la attenda, per le persone a cui tiene, no? A quanto pare, non funziona così per me.
Più tengo a qualcuno più il mio coraggio viene a mancare. Mi rifugio in un angolo a guardare inerme la loro vita che scorre, senza buttarmi in mezzo alla corrente e nuotare con loro.
Forse, un po’ di questo mio istinto è cambiato con l’arrivo di Chiara. Ma neanche troppo.
-Valentina e gli altri ci raggiungeranno dopo cena, per montare l’albero- dice Aurora con un sorriso. Poi continua: -Alice, hai voglia di andare con lui a prendere il vino in cantina?- mi chiede indicando il padre di Chiara.
Annuisco con un sorriso falsissimo.
Se c’è una persona che temo in questo instante è lui. Ha quest’aura di mistero, di cattiveria e severità che lo segue come una nuvola.
Scendiamo silenziosamente le scale in pietra che penso portino alla cantina o al garage. Lui mi mostra la strada e, alla fine delle scale, apre una pesante porta in legno.
Il freddo invade le mie ossa quasi istantaneamente. Davanti a me vedo solo scaffali e scaffali che incorniciano uno stretto passaggio. Posso notare che su questi scaffali, su cui non c’è neanche un granello di polvere, siano impilati ogni sorta di vasetti di vetro, contenitori, che racchiudono ogni tipo di marmellata.
Quando questo piccolo e corto corridoio finisce, un minuscolo spiazzo si apre davanti a me. Una serie di bottiglie un po’ impolverate vengono tenute in delle celle frigorifere. Quando leggo gli anni sulle bottiglie scure, rimango esterrefatta. Un “wow” mi esce automatico dalla bocca.
-Anche io ho una piccola passione come te- dice mentre le guarda tutte le sue bottiglie con sguardo fiero.
-È impressionante- dico ancora con un filo di voce.
-Il 68 per questo vino è una grande annata. Vedi? Questa bottiglia è numerata, quindi è stata fatta apposta per essere invecchiata. Dentro queste celle tengo la temperatura che le cantine mi hanno detto di tenere, le controllo periodicamente- annuisco religiosamente sentendo questa spiegazione. Quando ne sceglie una apre velocemente la cella e poi la richiude altrettanto velocemente. -Questa penso possa andare bene per l’occasione-
Sulla via del ritorno non passiamo più per le scale, ma usciamo dal garage e passiamo dal giardino dietro la casa.
-Lo vedi quel grosso stabilimento su quella collina?- chiede come se questo freddo non lo stia toccando affatto.
-Sì, è decisamente grosso- commento.
-È mio. Essere imprenditore ti porta ad essere lontano da casa, a fare viaggi di lavoro, nottate in ufficio a curare i bilanci per evitare ogni sorta di problema e chissà quante altre cose… sai, così mi sono perso ogni cosa di mia figlia. I saggi della scuola, i campeggi, a volte anche i compleanni. Ma di sicuro mi sono perso lei. L’ho persa così tanto tempo fa che ora capirla mi è impossibile. Eppure la sai un’altra cosa? L’ho fatto per darle un futuro. Eppure nessuno ti spiega quando sei un genitore, che non esserci per creare un futuro ai tuoi figli equivale a fargli odiare il futuro che stai creando per loro, perché senza la tua presenza loro non ti capiranno mai e tu non capirai mai loro. Devi stare con loro e aiutarli a costruire il loro futuro- dice senza fermarsi continuando a guardare quello stabilimento grigio e imponente.
-Posso dirle io una cosa?-
Lui annuisce, sempre con quello sguardo severo che ormai per me lo caratterizza.
-Non esserci come padre è molto diverso da quello che ha fatto lei. Non esserci come padre è un padre che ti lascia a te stessa in ogni passo della tua vita, che ti dice che non vali nulla, che i tuoi pensieri sono tutti sbagliati. Che si buca la pelle in salotto mentre tu guardi la tv, che quando tua mamma lo lascia lui decide di bucarsi due volte al giorno. Questo è un pessimo padre, non lei. Lei può ancora rimediare agli errori fatti, basta volerlo, mi creda. È vero, Chiara non ha buone parole per lei, ma non mi ha mai detto “non perdonerò mai mio padre”, quindi una chance ce l’ha anche lei-
Lui annuisce senza guardarmi in volto. Da quell’umile gesto capisco che il mio messaggio è arrivato forte e chiaro.
Entriamo in casa e la tavola è già tutta imbandita.
La cena procede liscia, a volte mi permetto anche di fare delle comande al padre di Chiara sulla sua azienda, lui risponde dettagliatamente e con garbo. Così facendo riesco anche a lanciare un segnale sottointeso a Chiara: è andato tutto bene là sotto.
Quando il campanello suona ci rendiamo conto che la nostra cena di è dilungata in chiacchiere e vino, forse per un po’ troppo tempo.
Con l’arrivo dei cugini di Chiara, inizia il montaggio dell’albero.
Chiara se la ride sotto i baffi mentre aiuto Valentina con l’albero.
-Lo sapete che Alice odia le decorazioni di Natale?-  dice ridacchiando.
Con lo sguardo la fulmino istantaneamente.
No, Chiara, non portare fuori questa questione imbarazzante ora. Per favore.
-Cosa?!- replica sua mamma dall’altra parte della stanza. -Alice è il Grinch?-
Dentro di me, sbuffo sonoramente. Ma per fortuna il mio corpo si trattiene e nessun suono esce dal mio corpo.
In compenso, Chiara e Valentina sogghignano alle mie spalle.
Decido che la miglior risposta è continuare a tirare fuori palline colorate dalle scatole impolverate. -Sto facendo ammenda ai miei peccati, aiutandovi stasera- dico cercando di non peggiorare la situazione.
Loro scoppiano in una risata e dopo due ore buone di canzoni di natale, alberi montati, candele natalizie e chiacchierate superficiali, gli addobbi sono posizionati e pronti per l’arrivo di Babbo Natale.
Chiara soddisfatta dice: -Abbiamo fatto un bellissimo lavoro-
Aurora felice, si siede sul divano di fianco a suo marito, il quale ci ha osservate di nascosto per tutta la sera. Forse stava riflettendo sul breve ma intenso discorso che abbiamo intrattenuto fuori al freddo? O forse mi sta solo scannerizzando, trovando mille difetti e motivi per cui sua figlia non dovrebbe avere neanche lontanamente a che fare con me.
Beh, se sta davvero pensando alla seconda possibilità è meglio che mi goda questi momenti.
Poco dopo ci ritroviamo tutti quanti sul divano, tutti quanti aspettiamo la mezzanotte.
Immagino che Chiara non sia felice del fatto che questa tradizione non si sia ancora spezzata. Forse immaginava che essendo lontano da casa da molto tempo, non avrebbe più dovuto subire questa “tortura”, come dice lei.
Eppure eccoci qua, nel bene o nel male, qua. In questo salotto ora tutto illuminato da lucine ad intermittenza, verdi, blu, rosse, oro, con foto di famiglia sparse in ogni angolo, arredato con quelle cianfrusaglie tipiche delle madri, quei ricordini presi nei negozi di souvenir che i parenti ti portano dai viaggi all’estero. Un salotto vissuto veramente, di certo non come le mie quattro mura torinesi, sterili, bianche e distaccate.
-Okay ragazzi, tiriamo fuori il Moscato che è quasi il compleanno di qualche pulcina qualsiasi- dice Valentina alzandosi dal divano.
Tutti ridacchiamo nel sentire quel soprannome, lei risponde alzando gli occhi al cielo e sbuffando.
Guardo l’orologio che ho al polso: mezzanotte meno dieci.
Insomma, ci siamo.
-Okay, Moscato e bicchieri- dice la cugina rientrando in salotto. -Cuginetta, tocca a te stappare- le dice porgendo la bottiglia di vino a Chiara.
Il suo sguardo spaventato mi fa quasi ridere inavvertitamente. Uno sbuffo esce di nuovo dalla sua bocca.
Quando scatta la mezzanotte proprio come si usa fare per Capodanno, Chiara si alza e con difficoltà apre la bottiglia. Quando il tappo esce fuori dal collo di vetro tutti esultano e urlano “Auguri!” quasi in coro.
Lei, visibilmente imbarazzata dalla situazione versa il contenuto della bottiglia nei bicchieri di vetro con attenzione, sibilando un grazie.
Noi beviamo con serenità il liquido frizzante e subito Aurora commenta su quanto sia diventata grande la sua bambina, un processo inevitabile ma che a sentire dalle sue parole non ha ancora pienamente accettato.
Quando la conversazione si spegne, Valentina prontamente indica i regali a Chiara che si inginocchia sul tappeto beige pronta a spacchettarli.
-Inizia dal mio o mi arrabbio!- esclama la cugina con ironia.
Io rimango seduta sul divano, godendomi questa tenera visione: una Chiara che sembra essere tornata una bambina di dodici anni con gli occhi di chi spera di ricevere un regalo da “grandi”.
Il regalo di Valentina si rivela essere un bellissimo maglione blu, con disegni delicati bianchi, proprio del genere che Chiara adora. Il cugino invece le ha regalo un libro appena uscito e i genitori un’infinita di DVD da vedersi durante tutto questo freddo inverno. Quando arriva al mio regalo, Chiara guarda curiosa la busta di carta colorata, poi posa su di me i suoi occhi color miele. Io le sorrido incoraggiandola ad aprire la busta.
Quando la apre e vede i biglietti, un sorriso enorme si apre sul suo dolce viso. Un sorriso genuino come tutte le parole che spende nei miei confronti, un sorriso felice che in questa giornata ero riuscita a vedere solo per pochi attimi.
-Oddio non ci credo! Due biglietti per gli Alt-j! Come facevi a saperlo?- mi dice abbracciandomi stretta.
-Dopo che l’hai messa in ripetizione continua per mesi, ho intuito ti piacessero!- dico scatenando le risate di Valentina.
-Grazie mille Alice- mi sussurra dolcemente all’orecchio.
Io sorrido perché è l’unica cosa che mi resta da fare.

-Signora Cerati, io davvero la ringrazio per l’ospitalità e per la fantastica giornata di ieri- dico ad Aurora con gentilezza.
-Non dire sciocchezze Alice! È stato un piacere per me, e sarai sempre la benvenuta- mi risponde.
Le lascio un ultimo sorriso rivolgendomi poi al padre: -Grazie di tutto signore, spero non abbia recato troppo disturbo-
-Nessun disturbo- dice lui soltanto.
Esco fuori dalla porta aspettando Chiara dagli scalini di casa.
Sento sua mamma dirle di fare attenzione, di andare piano in macchina e via dicendo. Ridacchio sottovoce. Quando Chiara saluta il padre, lui la avvolge in un abbraccio silenzioso. Che sia forse un cambio di rotta?
Nel giro di pochi secondi ci ritroviamo nella mia macchina, pronte per partire.
-Quindi, posso sapere dove stiamo andando?- chiede lei rassegnata.
-Ovviamente… no- rispondo sogghignando.

•••                                •••

Quando finalmente Alice si ferma per parcheggiare la macchina, capisco che siamo arrivate.
Questi ultimi due giorni sono stati un vortice di emozioni, di ore che passano veloci, di momenti lunghi come eternità. Mi sono sentita come su due pianeti diversi con differente forza di gravità: un momento ero pesante, ancorata al terreno e al passato che veniva a galla da quei muri; un altro ero leggera, volavo senza fatica tra i ricordi spensierati di quando ero a casa, tra la mia famiglia senza dolore o segreti.
Ora che ho messo piede fuori da quella casa e che abbiamo salutato i miei genitori, non so neanche se quello che ho vissuto è stato reale o solo un sogno. Sembra qualcosa di surreale, lontano e offuscato. I ricordi e le ore si mescolano insieme, si fondono velocemente uno con l’altro. Chissà quando finirà questa sensazione.
Mi guardo subito intorno e scendo di fretta, nella speranza di capire dove ci troviamo.
Davanti a me un mucchio di colline anonime si ammassano, senza darmi risposte.
Incomincio ad innervosirmi un po’, perché non riesco a capire il piano di Alice, e cosa ha organizzato per il mio compleanno. Cerati, spremi le meningi!
-Non è per dire eh, ma non sempre quello che cerchi è davanti a te… a volte è dietro di te- mi dice la sua voce alle mie spalle.
Mi giro e finalmente vedo le mura di un antico castello, delle torri composte da mattoni visibilmente vecchi. La struttura è talmente imponente da lasciarmi senza fiato.
Ci dirigiamo verso l’entrata e, dopo pochi passi, due scale regali avvolgono la grossa porta d’entrata sopraelevata rispetto al terreno ghiaioso.
Una volta entrate, l’aspetto è regale, delicato e prezioso. Ogni castello deve regalare queste emozioni a chi entra, eppure le decorazioni sul soffitto, sulle porte e il pavimento di marmo chiaro, mi mettevano i brividi ugualmente.
-Il ristorante è da questa parte- mi dice lei. -Avremo tempo dopo a fare un giro turistico-
-Ristorante? Sei pazza?!- dico guardandola sconcertata.
-Sì, vorrai ben mangiare no?-
-Ma.. dentro un castello Alice! Dentro questo castello?-
Lei mi guarda come dire: e dove se no?
Lascio che mi guidi verso il ristorante, meravigliandomi ancora di dove mi abbia portata a mangiare per il mio compleanno.
Quando si annuncia al cameriere, lui ci porta prontamente al nostro tavolo.
La stanza dove siamo è esattamente una di quelle del castello. Non so che funzione avesse nel passato, ma a giudicare dai mille lampadari che pendono sopra le nostre teste sarà stata una sala da ballo o da pranzo, decisamente sfarzosa ed elegante.
Mentre mi perdo nei dettagli delle pareti di seta, ricamate con un fine motivo floreale, Alice mi riporta sulla terra facendomi ordinare ciò che più decido.
-Non dovevi portarmi in un posto del genere, Alice. Lo sai che a me basta stare insieme in un qualunque posto sulla Terra per essere felice… anche senza castello- dico con un pizzico di ironia.
Lei scuote la testa ridendo. -Era da molto tempo che volevo visitare questo castello. Quando ho scoperto che possiede un ristorante interno, non ho potuto resistere-
Ridacchio perché conoscendola so che ha perfettamente ragione. Alice ha poche passioni, ma i luoghi storici, suggestivi, dove può anche trovare del buon vino, fanno parte di queste passioni.
Il pranzo procede liscio e tranquillo, perse tra i nostri discorsi e pensieri su questi giorni intensi.
Alice mi racconta di come abbia trovato piacevole l’atmosfera a casa mia e che forse potremmo invitare i miei cugini a casa mia per una cena qualche volta.
-Allora mio padre non ti ha spaventato più di tanto?- chiedo.
Lei ride sonoramente. -Ho una paura fottuta di tuo padre! Il suo essere autoritario trasuda da ogni poro… è peggio di qualsiasi capo che abbia mai avuto-
-Oh sì, conosco molto bene quella parte autoritaria che non lascia spazio a vedute che non siano le sue- dico con freddezza ricordato le enormi litigate in cui non accettava mai il mio punto di vista.
-Chiara, non posso neanche immaginare cosa tu abbia dovuto passare in quel periodo della tua vita. Un genitore che non accetta una figlia è forse il dolore più grande che proverai, però… ascoltami. Penso che tu sia stata arrabbiata con lui per molto tempo, moltissimo e non fraintendermi avevi ragione. Però ora cosa ti resta in mano? Solo delusione, una delusione amara perché tu non hai un padre come tutti gli altri hanno. Non hai una famiglia unita, non puoi tornare a casa quando vuoi, non puoi fargli una sorpresa e non sai neanche cosa regalare ai tuoi genitori per Natale. Non è triste?- mi chiede seria.
-Lo è- dico esausta.
-Forse lui è stato arrabbiato con te per molto tempo, esattamente come te. Forse non ti capirà mai del tutto, però è deluso quanto te… posso dirlo da come ti guarda. Quindi è tempo di una chiacchierata tra adulti feriti, è ora di dirsi tutto quello che si prova, penso che anche lui abbia un peso notevole con cui convivere. Chiara, mi hai aiutato tanto e anche oltre quello che era di tua competenza, prendi questo consiglio come la mia intenzione di aiutare te stavolta. Devi risolvere questa situazione, metterci una pietra sopra una volta per tutte. Devi parlarci perché sono sicura che ti stupiresti delle parole che ha per te- dice tutto d’un fiato.
Rimango esterrefatta da queste parole, dalla cura con cui Alice mi sta accarezzando la mano sul tavolo, dalla delicatezza del suo consiglio, dalla voglia di vedermi stare meglio.
Sorrido dolce al pensiero che, finalmente, qualcuno si sta preoccupando per me. Questo non succedeva da anni e anni, avevo quasi dimenticato come ci si sentiva.
La sua mano si stringe prudentemente alla mia, si intreccia senza dolore o fretta. I suoi occhi aspettano una mia risposta, una qualunque parola.
-Ci proverò- è l’unica cosa che riesco a dire ora.
Quando questa sensazione di anormalità scivolerà via dalla mia anima, avrò la mente lucida per affrontare questo grande ostacolo nella mia vita.
Rimaniamo qualche istante così, perse nelle nostre teste affollate, con gli occhi fissi sulle nostre mani intrecciate.
Poi finalmente, capisco tutto.
-Sai una cosa Alice? Sì forse io devo risolvere con mio padre, forse sono io che devo fare il primo passo e sentire cos’ha da dire dopo anni di silenzio. Solo così potrò andare avanti davvero nella mia vita. Però sai cos’altro c’è? C’è il fatto che per colpa sua, per colpa di tutti, sono sempre rimasta nascosta, timorosa di far vedere agli altri chi sono, la mia vera me, quella che tu ormai conosci alla perfezione. Lui mi aveva messo in testa una paura non quantificabile sulla reazione che avrebbero avuto gli altri sapendo di me, così ho vissuto nell’ombra evitando domande sulla mia vita privata, evitando di intercorrere nel discorso “amore” con gli amici al bar perché loro mi avrebbero chiesto la mia esperienza e io non ne ho mai avuta una perché spaventata dal dire cosa e chi sono. Mi ha fatta diventare una codarda e io non voglio più esserlo- dico senza fermarmi.
Lei mi guarda con occhi sognanti, felice di queste parole. Le sue iridi verdi mi scrutano alla ricerca di una conclusione.
-Se voglio essere un esempio per qualsiasi altra ragazza là fuori, devo dire ciò che mi è successo e perché è successo. Non voglio che nessuno si trovi nella mia situazione, voglio che la evitino per quanto possibile. Se voglio buttarmi alle spalle mio padre devo anche distaccarmi totalmente da lui e oggi è il giorno da cui non sarò più una codarda come vuole che io sia, ma sarò la persona che sono-
Il sorriso più bello che possa mai trovare mi si apre davanti agli occhi.
Faccio una veloce foto alle nostre mani intrecciate, il gesto più comune e intimo che ci si possa scambiare tra innamorati.
La pubblico ovunque, perché tutti devono sapere che non sono più schiava di nessun pensiero altrui.

 

Ahhh ragazzi eccoci!
Lungo, intenso, difficilissimo da scrivere perché l’ho scritto durante la stesura della mia tesi, la laurea, il mio trasloco e tantissime altre faccende anche difficili. Avevo a un passo da me il lavoro dei miei sogni che è scivolato via così com’è arrivato, quindi tra tutte queste emozioni sono riuscita a scrivere questo che spero vi sia piaciuto. È lungo, lo so, eppure non volevo staccarlo a metà, in più volevo farmi perdonare per la lunga assenza.
Tutto il resto che ho da dire lo potete trovare qua: https://fyrstaa.tumblr.com/post/163489202928/tra-il-resto-oggi-mi-sono-laureata-ovvero-ho
Grazie per la lettura aspetto le vostre opinioni, siate buoni! 
Un bacio 

 

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