Bull

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap 10 ***
Capitolo 11: *** Cap 11 ***
Capitolo 12: *** Cap 12 ***
Capitolo 13: *** Cap 13 ***
Capitolo 14: *** Cap 14 ***
Capitolo 15: *** Cap 15 ***
Capitolo 16: *** Cap 16 ***
Capitolo 17: *** Cap 17 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Quello era l’ultimo anno prima della maturità.
Era passato tanto tempo da quel giorno eppure quando si avvicinava quel periodo, lui si sentiva molto peggio del solito.
Tutto era tornato apposto, ma quella calda giornata estiva gli aveva causato una profonda frattura.
Il che era un vero peccato, considerando il passato.
Erano così uniti e una sciocchezza aveva distrutto ogni cosa.
Lo ricordava ancora.
Aveva ancora negli occhi quella figura che correva tra i campi, salvo poi scontrarsi con quello che si era verificato dopo pochi minuti.
Si era trasferito nell’appartamento di suo zio, uno squallido monolocale dove sperava di ritrovare la pace.
Un equilibrio che aveva perduto e che difficilmente sarebbe stato in grado di recuperare.
Non perché non lo volesse, ma per la sua incapacità di afferrare quel desiderio.
5 lunghi anni erano già volati via.
E lui era sempre stato nella più totale solitudine con quell’orribile ricordo.
Avrebbe tanto voluto farlo scomparire, ma non poteva.
Quel giorno aveva impresso a fuoco nella sua mente e nel suo cuore un marchio dal quale non poteva divincolarsi.
Niente più risate e sollievo, ma solo tanta rabbia.
Non voleva arrivare a tanto, ma dopo aver perso tutto, quella era l’unica possibilità.
Tutto perché voleva rincorrere quel folle desiderio.
Aveva imparato solo che quando qualcuno perdeva tutto, poi non aveva più nulla da perdere.
Nessuno comprendeva la sua sofferenza e il cancellare quel sogno lo aveva reso ancora più infelice.
Un sogno che era naufragato subito dopo.
Caduto con quel volo di pochi metri.
Era tutta colpa della scuola se si era ridotto così.
Tutta colpa loro se stava per perdere ogni cosa.
Se non avesse dovuto studiare, non avrebbe patito tutto quel dolore.
Il male che lo attanagliava non gli avrebbe mai fatto visita e non sarebbe stato costretto a rinchiudersi nella sua sofferenza, fatta di rancore verso il proprio corpo.
Voleva essere il migliore, ma il destino era stato crudele.
Proprio il destino si era divertito a scombussolare le sue ambizioni, donandogli di volta in volta un profondo tormento e una rabbia sempre più crescente.
Sembrava una bomba sul punto d’esplodere, salvo poi interrompere il conto alla rovescia.
Riusciva a trattenersi dai suoi folli intenti, ma quelli che lo infastidivano non erano così fortunati.
Poteva essere migliore di così, ma chi voleva esserlo, dopo quello che aveva causato?
Non ne aveva bisogno.
Quel sogno era andato e lui era diventato un teppista che terrorizzava, come tanti, la sua vecchia scuola.
Prima odiava la violenza.
Con l’errore commesso aveva cambiato idea.
Quel giorno la violenza gli tese una mano e lo fece sentire meno inutile.
Le risse erano come le ciliegie: una tirava l’altra e lui si trovava sempre in mezzo.
Era stato lo stesso odio a convincerlo.
Tutti avevano bisogno di conquistare la calma e lui l’aveva trovata dopo un lungo cercare.
Quella era l’unica soluzione che lo aveva conquistato.
Succedeva solo per pochi istanti, ma sufficienti per attingere alla droga della calma.
Si sentiva bene, quando gli altri tornavano a casa devastati dal dolore che lui provava ogni giorno.
Poi si chiudeva nella sua angusta stanzetta e i sensi di colpa tornavano a galla impietosi.
E questi lo torturavano.
Combatteva per farli stare zitti, menava le mani e si sentiva ancora peggio.
Mai soddisfatto e mai felice.
Raramente trovava riposo e dormiva solo quando assisteva alle lezioni soporifere dei suoi insegnanti.
Quelle sì lo costringevano a buttarsi sul banco e a chiudere gli occhi, ben sapendo che nessuno avrebbe mai osato risvegliarlo dal suo magico, momentaneo equilibrio.
 
Tutto ciò però non durava a lungo, ma questo non gl’importava poi molto.
Aveva motivo di odiare anche i professori.
Tutti quei vecchi gli scartavetravano le palle.
Erano logorroici, ripetitivi, noiosi e chiassosi.
Uno su tutti era motivo di rottura e quello era il prof di matematica.
Un 50enne che viveva ancora con la madre, occhiali grossi due dita, quasi completamente calvo, alto quanto un tappo da spumante e rotondo come una botte.
Il resto non valeva la pena d’essere sottolineato.
Era anche il vicepreside della struttura e se ne vantava.
Come se fosse fantastico restare oltre l’orario consueto e sputare sentenze nei vari colloqui.
Tutti passavano tra le sue fauci e lui spartiva lodi e rimproveri in base al suo pessimo umore.
Alcuni ragazzi, per lui, erano come spazzatura che si accumulava agli angoli delle strade.
E quel ragazzo lo sfidava e non si scomponeva.
Sempre in ultima fila a dormire, a fissare il vuoto, oppure a guardare il nulla del giardino, mentre quello spiegava cose inutili.
Ogni tanto osservava il suo zaino che lo istigava alla violenza.
Avrebbe tanto voluto tirarglielo sulla testa per poi andarsene a casa, ma quello era un pensiero poco ricorrente.
Infatti, quel giorno era stravaccato sul suo banco, mentre il compagno cercava di seguire la lezione.
In quella classe non era l’unico ad abusare della scarsa forza del professore e le ore passavano con uno scambio serrato di bigliettini dove ognuno scriveva quello che voleva.
L’essere animato con cui condivideva il banco quella mattina era stranamente attivo, ma quella non era una novità.
“Scott finita la lezione quello della sezione C vuole vederti.” Quelle poche parole lo avevano risvegliato.
Rialzò subito la testa, incrociando gli occhi del professore.
Era inutile chiedergli spiegazioni, tutti sapevano cos’era successo la settimana prima.
Quella inoltre era stata l’unica volta in cui aveva avuto a che fare con il tizio che doveva incontrare.
“Quindi il risultato dell’espressione è 4.”
Sentì solo la voce del professore ripetere la soluzione dell’esercizio, ma quel gracchiare lo infastidiva.
Infatti, gli rivolse un’occhiataccia come a fargli capire che doveva chiudere il becco.
Non riusciva a riflettere, se qualcuno interrompeva il flusso dei suoi pensieri con problemi inesistenti.
“Morte?” Si chiese, negando con il capo.
“Amicizia?” Negò di nuovo.
“Vendetta?” Cenno d’assenso.
“Non gli sarà bastata la ripassata dell’ultima volta.” Borbottò a bassa voce, deluso per la motivazione che quel tipo avrebbe usato per incontrarlo nuovamente.
Mancavano pochi minuti e avrebbe scoperto tutta la verità.
Era ancora troppo presto, ma volle lo stesso osservare verso il giardino.
Aveva anche osservato il cielo e ovviamente le piante che decoravano quel grigio Istituto.
Era quasi estate, ma nel suo cuore sarebbe sempre stato inverno.
Un inverno che non sarebbe mai cessato e dal quale non poteva né fuggire, né nascondersi.
“Signor Riddle vuole ripetere l’ultima formula che ho appena spiegato?”
Era di nuovo lui.
Quello lo osservava dalla lavagna con la tipica bacchetta di legno in mano.
Gli altri studenti non si voltarono nemmeno a guardarlo ben immaginandosi la faccia da demone che aveva assunto.
Occhi spiritati, ghigno malvagio e un’aura maligna e oscura ad avvolgere tutto il suo corpo.
Era sempre lui a essere beccato da quello.
Probabilmente perché non faceva mai nulla, oppure perché sembrava dormisse in piedi.
Gli rivolse un’occhiata, una scrollata di spalle e gli lasciò continuare la spiegazione.
Di solito bastava poco perché tornasse a scrivere, ma quel giorno doveva avere le sue cose.
“Le ho chiesto di ripetere.”
“Sua madre non le ha ancora comprato i fumetti? È per questo che è così nervoso?” Chiese senza mostrare paura, mentre i compagni ridacchiavano divertiti.
L’uomo, rosso in viso, picchiò la bacchetta sulla cattedra e tutti tornarono in silenzio.
“Vuole andare dal Preside?”
“Non vedo l’ora.”
Il vecchio non raccolse quell’ennesima provocazione e si girò di nuovo verso la lavagna.
Non aveva intenzione di dannarsi il fegato con uno come lui, anche se Scott lo odiava solo per la sua materia e per l’aspetto insignificante che si ritrovava.
La matematica, almeno per lui, era l’inutilità più assoluta.
Eppure quel vecchio era l’unico che gli teneva testa e che non si era arreso all’evidenza.
Doveva saperlo che era una perdita di tempo, ma lui continuava a provarci.
Gli rivolse un’altra domanda.
Il giovane non rispose, concentrò il suo sguardo verso l’orologio posto alla parete, quasi fulminandolo e poi piazzò i suoi occhi grigi sull’insegnante.
“È finita.” Questa fu la sua risposta.
La campanella aveva fatto il resto.
Quel suono che alle 8 era orribile, nel primo pomeriggio diventava una soave melodia.
Prima ti pugnalava alle spalle con l’inizio delle lezioni e poi ti liberava con gioia.
L’uomo stanco e avvilito appoggiò il gesso sulla scrivania, raccolse i suoi libri e uscì senza lasciare compiti ai ragazzi.
Aveva ben altro per la testa.
Doveva metabolizzare quella sconfitta personale e poi aveva un colloquio urgente con alcune famiglie che volevano iscrivere i loro pargoli all’Istituto.
 
Gli altri, con l’uscita del vecchio, erano già scappati, ad eccezione del rosso che aveva i suoi buoni motivi per andarsene con calma.
Raccolto lo zaino, se lo mise in spalla e con passo lento iniziò ad aggirarsi per la scuola.
Quel breve tragitto era essenziale per farlo riflettere.
La fretta era sempre stata una cattiva consigliera e quando era a scuola, riusciva a pensare solo quando era solo.
Non voleva che qualcuno lo vedesse pensieroso e tanto meno desiderava che qualcuno riuscisse a leggere dentro di lui.
Ne avrebbero ricavato un immagine sbiadita e completamente fuori luogo.
L’esatto opposto di come appariva normalmente durante le poche ore di lezione.
In quel momento tanti pensieri affollavano la sua mente.
Stava passando dalla scuola, agli esami, al cibo e all’incontro con il tizio del cancello in pochi secondi.
Sapeva che non sarebbe stata una visita di piacere e mentre scendeva le scale, si era soffermato sui dettagli della rissa precedente.
Ripensava agli errori commessi e alle debolezze palesate.
E poi era tornato al passato.
Quegli anni erano volati con la sua tipica, inutile, semplicità giovanile.
Se solo l’avessero visto a distanza di tanto tempo.
Aveva quasi fatto un salto in avanti e poi era tornato nei posti infimi della graduatoria.
Ora voleva solo trascinare con sé nel pantano tutti quanti.
D’avanzare e migliorare non se ne parlava nemmeno.
Eppure tutto ciò era nato diversamente.
Era vicino alla maturazione, ma poi si era involuto.
Nemmeno ricordava bene quel cambiamento così drastico.
Ricordava solo che aveva preso il controllo della scuola con una strategia ben curata.
In terza e in quarta poteva essere il leader, ma aveva preferito aspettare.
Solo in quinta aveva deciso di reclamare ciò che gli spettava.
Avrebbe esercitato quel ruolo per poco: giusto il tempo di capire se valesse la pena continuare o no.
Credeva ne sarebbe stato soddisfatto, ma qualcosa gli diceva che doveva aspettarsi anche una sensazione di malessere.
Si era preparato a lungo come era prevedibile dalla sua fama di stratega.
Dopotutto aveva sempre un piano e delle capacità superiori alla media.
Lui si beava di ciò.
Era considerato il genio e il braccio armato della scuola.
Ciò che gli andava era al sicuro.
Ciò che lo infastidiva, aveva vita breve.
 
Ancora qualche gradino e poi sarebbe arrivato all’ingresso.
Diede una rapida occhiata ai tizi che stavano alla zona delle macchinette.
Si trattava di alcuni ragazzini che mangiavano qualcosa e di alcuni professori che stavano sorseggiando un po’ di caffè.
Il ragazzo giunto alla porta, si guardò intorno e poi si avviò verso il cortile.
Nessuno lo avrebbe mai seguito e lui stesso non desiderava altro che la pace.
Il chiasso, la frenesia e il casino non erano i suoi compagni ideali.
A un giro in discoteca preferiva una bella rissa e alle oche giulive che incontrava per i corridoi, preferiva una birra gelata.
Era tutta qui la compagnia che ricercava.
Ora però gli importava solo dell’idiota che doveva picchiare.
Sarebbe stato uno scontro tra teppisti della peggior specie.
Tra membri della feccia.
Tra quelli considerati minacce della scuola e colpevoli di ogni tipo di reato.
Anche se per loro era sufficiente un bell’occhio nero con cui divertirsi.
Uno dei tanti passatempi di Scott era il riempire di lividi e occhi neri tutti gli sventurati che gli si facevano sotto.
Tutti quelli che gli rompevano le palle e che osavano farsi beffe del suo carattere.
Infatti, solo in pochi erano al sicuro e anche i più forti erano destinati a una dura lezione.
La strafottenza e la stupidità non vincono mai.
Avrebbe impartito un chiaro esempio di quanto male potesse fare, quando qualcuno lo disturbava.
Credeva che una volta fosse sufficiente, ma si era sbagliato.
Perfino quello che aveva ripassato, desiderava un’altra visita in infermeria.
Voleva altro dolore, prima di tornare a casetta per farsi medicare dalla sua cara mammina.
Si chiedeva quanto si potesse essere stupidi.
Era da persone anormali comportarsi così.
Nemmeno quel ghigno che gli solcava il viso era normale.
Nemmeno quel suo sguardo di sfida lo era.
Tutto lasciava trasparire un qualcosa di poco normale, ma per Scott ormai nulla lo era.
Nulla poteva essere considerato normale.
Non dopo quello che aveva combinato in quella calda giornata estiva.
 



Angolo autore:

Sono tornato!
Per vostra immensa sfortuna.
Innanzitutto vi auguro un buon anno.

Ryuk: Sarà orribile, considerando che ci sei anche tu.

Modestamente.
E comunque gli aggiornamenti saranno ogni giovedì e lunedì.
Credo.
Qualora cambi idea, vi avvertirò in anticipo.
Se me lo ricordo.

Ryuk: E lasciatela una piccola gratificazione a questo stupido autore.

Stupido?
Ora facciamo i conti!
E comunque...alla prossima (quanto mi mancava dirlo).

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Aveva intuito che c’era qualcosa sotto.
Non poteva esserci un motivo diverso per quel ghigno.
Fu quando rialzò lo sguardo che ottenne la risposta.
4 tizi erano pronti a lottare per lui.
Questi si erano posti davanti all’idiota e fungevano da barriera insuperabile.
Un’altra delusione per Scott che sperava in un combattimento pulito e senza aiuti esterni.
Lo rendeva felice solo la consapevolezza di potersi divertire più del solito.
E sicuramente il punk, di cui si notavano soprattutto i lividi sul volto, non si era scelto i primi sprovveduti.
In tutto questo Scott aveva imparato soltanto che Duncan era un tipo ostinato, tanto da pretendere una rivincita.
Lui era pronto ad accontentarlo per una seconda lezione, ben sapendo che sarebbe stata seguita da una terza, da una quarta, da una quinta e forse anche da una sesta.
Era una testa dura, anche se doveva ammettere che quell’ostinazione era ammirevole.
Comunque una domanda gli venne spontanea.
“Perché lo fa?” Si chiese, appoggiando lo zaino.
 
Non poteva essere così stupido dal tenere disperatamente al ruolo di teppista.
Doveva esserci qualcosa che lui ignorava.
Dopo aver riposto anche il cellulare nella borsa, ficcò le mani nei jeans e si avvicinò a quel piccolo gruppetto che per tutto il tempo non l’aveva perso di vista.
Lui, essendo il nuovo teppista della Pahkitew, non aveva di certo paura di loro.
Aveva una fama da proteggere in quella scuola, anche se talvolta era ”buono” con gli avversari meritevoli di rispetto.
“Scott, abbiamo un conto in sospeso.” Gli fece notare Duncan, mentre i suoi amici si preparavano.
“Se tu facessi una vacanza, in quale posto andresti?” Borbottò, fissandoli con il solito ghigno strafottente.
“Non penserai di spaventarci.” Sbuffò uno degli amici del punk.
“Forse.”
“In tal caso…sotto ragazzi!” Urlò quello che doveva essere il secondo del gruppo.
Scott era così abituato alle risse che li vedeva muoversi quasi al rallentatore.
Certo il vantaggio numerico li rendeva difficili da battere, ma con un po’ di pazienza avrebbe trovato una possibilità.
Schivò un calcio di un biondino svampito, si abbassò appena in tempo per evitare i pugni di quello con la tuta rossa e di quello con il fischietto e scivolò alle spalle dell’omaccione di colore.
La scelta più saggia sarebbe stata quella di sbarazzarsi di quell’energumeno, ma anziché perdere tempo con i pesci piccoli, volse la propria attenzione verso il punk.
Infatti si avventò come una furia su di lui.
Era riuscito ad atterrarlo e a tirargli qualche pugno, prima che gli altri riuscissero a bloccarlo.
Il biondino e quello con il fischietto gli bloccarono le braccia, mentre i due rimasti liberi iniziarono a riempirlo di pugni.
Questi non avrebbero fatto male a una mosca e anzi avevano la dannata capacità d’infastidirlo.
Era stato percosso, preso anche a calci, avevano cambiato più volte esecutori, ma lui non avvertiva dolore.
Si stava solamente annoiando.
“Spaccategli la faccia.” Ordinò imperioso il punk e uno di quelli che lo trattenevano, fece come gli era stato chiesto.
Il tizio con il fischietto si prese, quindi, la responsabilità di cominciare.
Iniziò con una serie di colpi, salvo poi fermarsi per controllare il suo operato e per riprendere fiato.
Aveva aperto una lieve ferita sullo zigomo destro e sul labbro inferiore.
Si cambiarono ancora e uno riuscì anche a fargli sanguinare il naso.
Il ragazzo di tutto ciò sentiva solo un lieve bruciore, anche se gli altri erano soddisfatti del loro operato.
Erano convinti d’averlo battuto e d’aver restituito a Duncan il posto che aveva perso.
“Ti arrendi?” Gli chiese il punk, mentre due ragazzi continuavano a tenerlo fermo.
Il rosso era solo infastidito.
Se quello era il massimo che sapevano fare, lui era deluso da quelle speranze malriposte.
Si aspettava molto più dolore.
Non avevano preso in considerazione, nemmeno per un secondo, la possibilità che lui stesse aspettando solo per farli spompare.
“Avete già finito? Che delusione.” Rispose poco prima d’avvertire altri pugni sullo stomaco.
“E ora?” Borbottò quello dalla tuta rossa.
Scott non rispose.
Fu quando sentì qualche pugno sul volto che si risvegliò dallo stato di trance in cui era caduto.
“Ti arrendi?” Gli chiesero di nuovo.
Scott non rispose e anzi sputò in faccia al ragazzo che aveva davanti.
Questi si asciugò il volto, si girò verso il capo con sguardo da pazzo e aspettò un cenno d’assenso che Duncan.
“Non deve più rialzarsi.” Riprese quello che aveva subito l’affronto dello sputo.
Scott si ritrovò a sorridere.
Erano convinti di vincere, ma non sapevano che lui stava solo aspettando un loro errore.
Fu quando ridussero le persone intente a bloccarlo che gli donarono una via d’uscita.
Con un solo uomo a tenerlo fermo poteva liberarsi a occhi chiusi, ma preferì attendere ancora qualche secondo.
In questi pochi attimi si chiese perché tutto finisse sempre allo stesso modo.
Perché tutti dovessero fallire miseramente.
Alcuni cercavano delle aperture nella sua difesa, altri abbassavano la guardia, prestandogli il fianco e infine c’erano quelli che dopo pochi colpi subiti chiedevano pietà.
S’inginocchiavano ai suoi piedi e lui rispondeva in base al suo pessimo umore.
Negli ultimi tempi solo Duncan era stato risparmiato e lui lo aveva ripagato nel peggiore dei modi.
Aveva abusato della sua scarsa fiducia.
Se l’avesse saputo non si sarebbe mai mostrato così clemente nei suoi confronti.
“Muori!” Urlò uno di loro, alzando una spranga di ferro e risvegliandolo nuovamente.
Scott alzò gli occhi e sorrise.
In una frazione di secondo tirò una gomitata allo stomaco del ragazzo che lo teneva fermo e, quindi, si ritrovò libero.
Evitò il colpo per un pelo e la furia che tratteneva, poteva trovare la pace.
Il ragazzo con la spranga cercò un nuovo colpo all’altezza della gola senza cogliere di sorpresa il rosso.
Era riuscito ad abbassarsi e a retrocedere di qualche passo.
Gli altri, ad eccezione del punk, non erano rimasti fermi e infatti si fiondarono tutti contro il giovane, il quale riuscì a scansare i primi colpi e a mandare KO il primo nemico.
Ricordava solo che il biondo era capitolato subito anche perché era uno di quelli che si era stancato di più.
Finito con il primo, tirò una violenta gomitata al tizio che cercava di afferrarlo alle spalle e subito dopo lo colpì violentemente al viso e poi alla gola.
“E anche il secondo è andato.” Borbottò, sfoggiando un ghigno diabolico e girandosi verso quelli ancora in piedi.
Sbadigliò loro in faccia e caddero nella sua provocazione.
Si fecero sotto senza un’idea ben chiara con l’arma abbandonata al suolo e presto recuperata da Scott che poteva contare su un sostegno non indifferente.
 
Non che facesse differenza.
Ottenuta la spranga, Scott la puntò con fare minaccioso verso i suoi aguzzini e li invitò ad avanzare.
Il rosso sapeva che in pochi minuti tutto sarebbe finito.
Fino a quel momento aveva scherzato, ma ora era in ritardo e non voleva più sprecare il suo tempo.
“Avete paura?” Chiese, ridendo appena.
“Non pensare di spaventarci.” Intervenne quello con il fischietto.
“Io vi ho solo avvertito.”
Nonostante tutto erano ancora sicuri di vincere e il rosso era quasi dispiaciuto di dare loro una brutta notizia: lui non si sarebbe mai fatto battere.
Non si sarebbe dato alla fuga e non avrebbe conosciuto il sapore della sconfitta.
Inoltre aveva già deciso chi sarebbe stato il terzo a crollare.
Appoggiò la spranga al suolo e si concentrò sugli ultimi rimasti.
Dopo aver evitato alcuni pugni, si avviò verso l’energumeno di colore e lo colpì alla bocca del stomaco.
Piegato dal dolore aveva perso la lucidità e la guardia, fornendo al nemico la possibilità di mandarlo a dormire.
Un colpo sotto il mento l’aveva fatto stramazzare al suolo.
Con il crollo di Lightning erano rimasti solo in due a portare avanti quella follia.
Rinfrancato dall’ennesimo caduto, Scott gli rivolse un ghigno di superiorità.
Ormai era chiaro che non vi sarebbe stata via d’uscita.
Scott si stava divertendo, anche se non aveva considerato una piccola variabile.
Uno dei ragazzi svenuti si rialzò e lo colpì, provocandogli un attimo di appannamento.
“Ben fatto Tyler.” Urlò Duncan.
“Tyler…non lo sai che è disonorevole colpire alle spalle?” Bofonchiò il rosso, tastandosi la testa.
Quel colpo azzerò la poca calma rimasta.
Di una cosa dava atto a Duncan e ai suoi: erano i primi ad averlo messo in seria difficoltà.
Si girò di scatto e si scagliò come una furia verso il ragazzo che lo aveva colpito a tradimento.
Erano bastati pochi pugni perché quello con la tuta rossa non mettesse più il becco nei suoi affari.
Eppure Scott non era soddisfatto.
Voleva aumentare il suo dolore.
Raccolse la spranga e colpì con forza il polso sinistro di Tyler.
Aveva sentito il punto di rottura e godeva per quella sensazione che gli attraversava tutto il corpo.
“Ancora voi due.” Riprese, poggiando lo sguardo verso Duncan e quello con il fischietto.
Proprio quest’ultimo si avvicinò al rosso, piazzandosi come ultima difesa.
“Io sono cintura nera di karate.” Borbottò, sperando d’intimorire il ragazzo.
“Mi sembri solo un pivello.”
“Fatti sotto e lo scoprirai.”
“Bene…tu meriti una fine migliore.” Con uno scatto bruciante gli si era avvicinato e lo aveva afferrato alla gola, strozzandolo.
“Sai quanti secondi può resistere il tuo corpo prima di svenire?” Gli chiese, alzandolo di qualche centimetro dal suolo.
Scott gli rivolse l’ennesima occhiataccia e constatò che lui era solo un gran chiacchierone.
Un vero karateka si sarebbe liberato in un attimo e Brick non lo era.
“Nemmeno io.” Borbottò il rosso, facendolo cadere.
Si voltò quindi verso l’ultimo dei suoi nemici.
“Come posso farti male?” Si chiese, mentre Duncan indietreggiava.
“Fermati.” Mormorò Duncan, mentre il rosso aveva raccolto la spranga da terra.
“Perché dovrei?” Gli chiese.
“Mi arrendo.”
“Troppo comodo.” Borbottò, avvicinandosi e alzando l’arma per colpirlo.
Duncan credeva d’avvertire un dolore lancinante e come riflesso incondizionato chiuse subito gli occhi.
Quando li riaprì era ancora in piedi e Scott aveva gettato la sbarra dietro una siepe.
“Perché non mi hai finito?” Chiese con timore.
“Perché ti sei arreso.”
“E se…”
“Con quello che hai passato, ora so che non mi avresti colpito.”
“Come?” Gli chiese.
“Me lo sentivo.” Borbottò, ghignando appena.
“Sei strano.” Constatò Duncan, mentre tirava un sospiro di sollievo.
Se fosse tornato a casa con un altro occhio nero, la madre sarebbe diventata una iena e sarebbe stata capace di tenerlo nella baracca per tutto il periodo estivo.
“Anche tu.”
“Posso chiederti il perché ti sia trattenuto solo con me?”
“Perché hai già provato la mia forza.” Rispose il rosso con il solito ghigno.
“E loro?”
“Loro erano una nuova sfida.” Borbottò, passando oltre i corpi distesi dei ragazzi e raccogliendo il suo zaino.
“Peccato che Tyler debba andare all’ospedale.” Riprese Duncan, osservando l’amico.
“Odio quando qualcuno mi colpisce le spalle e volevo dargli una lezione…forse ho esagerato.”
“Sul serio?”
“Se avessi voluto fargli male, gli avrei rovinato l’estate.” Sussurrò, sostituendo il ghigno con un raro sorriso.
“Ti ringrazio.” Riprese il punk, avvicinandosi ai corpi svenuti dei suoi amici, cercando di risvegliarli.
“A presto, Duncan.” Borbottò, uscendo con lentezza dal cancello, lasciando il punk perso nei suoi pensieri e intento a soccorrere i suoi compagni.




Angolo autore:

Ringrazio le 2 anime che hanno recensito questo capitolo e spero che qualcun altro trovi il tempo per gratificare gli sforzi di Ryuk.

Ryuk: Vi scrivo nel Death Note.

Io lo farei se fossi in voi.

Ryuk: Ricorda la data del prossimo appuntamento.

Lo stavo per fare.
Dunque...
Lunedì 9?

Ryuk: Sì.

Ok.
Lunedì 9 aggiornamento di questa storia se Ryuk non mi scrive nel suo Death Note.
E beh...alla prossima.

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Il rosso si avviò verso il suo appartamento, mentre il sangue continuava a colare copiosamente.
Durante il viaggio si era messo a tastare le zone martoriate dallo scontro.
Solo la testa gli faceva male, per il resto stava discretamente bene.
Il colpo alle spalle era stato in grado di mandarlo in tilt per pochi attimi e i tagli ricevuti si stavano chiudendo bene.
E pensare che avrebbe potuto uscirne indenne se si fosse dato subito all’attacco.
Non l’aveva fatto solo perché voleva conoscere gli amici di Duncan.
Leggermente sadomasochista secondo gli altri.
Terribilmente furbo secondo la sua modesta opinione.
Nonostante barcollasse come un ubriaco, si sentiva tranquillo.
Erano più le volte che passeggiava con il volto tumefatto, di quelle prive di smorfie di fastidio e di noia.
Inoltre riusciva a vederne anche l’aspetto positivo.
Gli altri teppisti avrebbero notato le sue ferite e l’avrebbero lasciato tranquillo.
Non che gli dispiacesse menare le mani di nuovo, ma una seconda rissa a distanza di pochi minuti avrebbe potuto mandarlo all’ospedale e inoltre, data la poca distanza dall’estate, preferiva evitare grane inutili.
Lo faceva solo perché l’avventura scolastica sarebbe finita a breve.
Lui era sempre stato il tipico studente che passava l’anno con un calcio nel sedere e con una media da schifo.
Eppure i professori non sembravano troppo preoccupati.
Quelle rarissime volte che aveva usato la sua materia grigia, aveva dimostrato d’essere preparato.
Le risse erano il suo unico problema.
E anche di questo i professori sembravano sorpresi.
Duncan aveva i suoi amici, ma lui non si era mai fatto affiancare da nessuno.
Nonostante tutto, nessuno aveva ancora osato sfidarlo, anche a causa dei suoi occhi in grado di raddrizzare i più scalmanati.
Si chiedeva il perché nessuno capisse il suo bisogno di pace.
Era quando si chiudeva in casa che abbandonava la maschera da duro e si stendeva a osservare il soffitto.
Voleva solo essere ignorato.
Gli altri, però, lo mettevano in mezzo e lui li ripagava a suo modo.
Faceva capire loro che era solo colpa di un destino crudele.  
Lui non avrebbe mai avuto nulla da ridire; nemmeno se fosse stato raggiunto da un colpo di pistola al cuore o alla nuca.
Sapeva di sbagliare, ma quel vicolo cieco gli aveva svelato una nuova strada.
 
Era passata una settimana dalla rissa e Duncan era diventato la sua ombra.
Lo seguiva ovunque e lo consigliava su ogni cosa.
Dal cibo, ai vestiti e perfino le ragazze da evitare e quelle da conoscere.
“Mi segui sempre, eh?” Gli chiese una volta, mentre il punk gli copriva le spalle.
“Sì certo…dove vai tu, vado io.”
“E perché?”
“Perché mi hai riempito di botte. Quando uno mi riempie di botte, io mi ci affeziono.” Rispose con un ghigno, facendo sorridere anche Scott.
“Chissà perché con te mi è riuscito e con gli altri no…”
“Scusa, ma perché sei sempre da solo?”
“Perché non ho trovato nessuno che valesse la pena conoscere.”
Per molti i 2 erano simili.
Nonostante fossero agli antipodi e si conoscessero da poco, andavano molto d’accordo.
Duncan era amico di quasi tutta la scuola e non era in grado di starsene in disparte.
Feste, discoteca, assemblee e vecchi ritrovi: era sempre in giro a divertirsi.
Scott era l’esatto opposto.
Chiuso, sigillato, introverso e impossibile da scalfire: l’identikit perfetto per un criminale.
“Almeno le prime prove sono andate bene.” Sbuffò il punk, cercando di parlare della miseria di 10 punti che avevano totalizzato.
Nonostante tutto i professori sul loro comportamento continuavano a tenere una visione piuttosto distorta, considerandoli quindi dei delinquenti della peggior specie.
Eppure i due non si erano mai comportati male con loro.
Non erano i tipi che rigavano auto o squarciavano i copertoni.
Si accontentavano di poco.
Nascondere gli zaini, fare apprezzamenti un po’ troppo spinti verso qualche giovane supplente e svignarsela durante le gite per divertirsi.
Di musei e statue ne avevano fin sopra i capelli e preferivano rimorchiare piuttosto di fare i bravi scolari.
Il rosso non era il tipo da molte conquiste, tutta colpa dell’aura oscura che emanava.
Duncan invece non sapeva cosa significasse un no come risposta ed era come una calamita per le ignare vittime che, sognando una relazione amorosa, finivano per ricevere una ripassata e nulla più.
Non l’aveva mai ammesso, ma preferiva una sera da una botta e via a un qualcosa di complicato.
“Già.” Borbottò il rosso, ripensando alla sfiga dell’estrazione della lettera per il colloquio.
Gli altri se l’erano cavata molto meglio.
Brick sarebbe stato il primo.
Geoff e Duncan verso metà lista.
Tyler e Lightning poco dopo.
E lui per ultimo.
“Come pensi che andrà a finire all’Università?” Chiese il punk.
“Ho scelto Psicologia.”
Anche per lui sembrava strano, ma quella era l’unica soluzione che aveva considerato interessante.
Era stato lo stesso prof di scienze a indicargli una simile possibilità.
Lui ci aveva solo riflettuto e l’aveva considerata come un’ottima scelta.
“Io Ingegneria.”
“Conosci già i prof?” Gli chiese Scott.
“Ho beccato un certo Hatchet.”
“Hatchet…”Ripeté il rosso, cercando di collegare quel cognome a qualche suo conoscente.
“Non ne so nulla.” Borbottò il punk.
“Sarà comunque noioso.”
“Bisogna stare attenti: l’Università non è da sottovalutare.”
“Se lo dici tu.”
“E in Psicologia?” Gli chiese Duncan, facendolo ghignare.
“Le solite cose: professori stralunati, bidelle pazze, supplenti giovani e carine. Credo sia una pacchia.”
“Ho sempre sognato di trovarmi qualche bella neo laureata come insegnante.” Mormorò il punk.
“Pervertito.”
“Se ti capitasse l’occasione faresti finta di nulla?”
“Certo che no, ma non lo urlo ai quattro venti.” Rispose il rosso, facendo annuire l’amico.
“E dove?”
“Dove cosa?”
“Dove andresti con la supplente?” Chiese di nuovo il punk.
“La scuola avrebbe il suo lato trasgressivo, ma potrei sempre dire che ho bisogno di alcuni ripassi.
Lei m’inviterebbe a casa sua, qualche moina e poi…hai capito insomma.”
“Credo che prenderò in prestito questa strategia.” Soffiò Duncan dopo aver finito di sghignazzare.
“Fai pure.”
“Spero solo di non toppare.”
“Se dovessi renderti conto d’aver sbagliato, fino a dicembre puoi cambiare percorso.”
“Davvero?” Chiese scettico il punk.
“I prof l’hanno ripetuto fino allo sfinimento.” Sbuffò, innervosito per quell’idiota senza memoria che gli era capitato come guardia del corpo.
“Non lo sapevo.”
Era appena finita quella giornata e i due si ritrovarono a passeggiare davanti alle macchinette e dopo una rapida occhiata, uscirono dall’Istituto.
Avevano sceso le scale in silenzio.
Avevano varcato la porta in silenzio.
Ora stavano passeggiando per il parco ancora in silenzio.
Era questo che sorprendeva il rosso.
Duncan non era mai silenzioso, ma a Scott quel momento di pace non dispiaceva affatto.
Finalmente non gli scassava le palle con domande, ansie, paure e problemi relativi alle donne che voleva trapanare.
E anche quell’idea che gli aveva dato sulle supplenti forse era meglio tenersela per sé.
Con un po’ di fortuna avrebbe potuto trovare un bocconcino interessante, ma non ci sperava troppo.
“Stavo pensando a una cosa.” Riprese Duncan.
“Quale?”
“E se provassimo a comportarci così anche all’Università?”
“Interessante.” Soffiò il giovane, riflettendo su quella proposta che non aveva vagliato.
“Otterremo il rispetto che meritiamo.”
“Ed essendo il vostro capo avrei il diritto di precedenza con le ragazze?” Chiese divertito il rosso.
“Forse.”
“Non sono il tipo che si prende la ragazza di un altro.” Sbuffò, risollevando il morale del punk.
“Per fortuna.”
“Comunque dovremo stare attenti a quello che comanda e che controlla le cose.”
“Perché?” Chiese Duncan.
“Potrebbe essere più forte di me.” Rispose sinceramente, distanziando di qualche passo l’amico.
“Non credo e poi finché sarai dalla nostra parte, tutti saranno costretti a spostarsi.”
“Non è così semplice.”
“Un pugno in un occhio e capiranno chi comanda.”
“Hai mai pensato, Duncan, che un piano possa fare la differenza tra un calcio in culo e una vittoria?” Domandò il rosso, voltandosi verso l’amico che non sembrava per nulla intimorito.
“Nessuno è così pericoloso.” Sbuffò il punk.
“È questa la piccola differenza che c’è tra noi.”
“Davvero?”
“Tu non studi le conseguenze dei tuoi gesti ed io invece sono fin troppo preciso.”
“È per questo che sei tu il capo. Un gregario non sarebbe in grado di pensarci.” Riprese il punk, accendendosi una sigaretta e porgendone una anche al rosso che rifiutò il suo dono.
“E quando eri tu il capo che facevi?”
“Lottavo e basta.”
“E ti cacciavi in guai che potevi evitare.” Riprese il rosso, sottolineando ancora la sua scarsa propensione al sfruttare il cervello.
“Brick me lo diceva spesso.”
“Magari Brick avesse la tua forza. A questo mondo chi ha cervello non ha muscoli e chi ha muscoli non ha cervello.”
“E tu allora?” Gli chiese.
“La mia è solo esperienza.”
“Quindi?”
“Potrebbe essere qualcosa di diverso dal solito.”
“Mal che vada, faremo finta di niente.” Sussurrò il punk, quasi volesse esorcizzare quel timore.
“Bisogna ipotizzare anche il fallimento.”
“Ti piace molto studiare gli altri?” Chiese il punk con un ghigno fastidioso.
“Lo faccio solo per evitare guai.”
“Temi di averne?”
“Il rischio è sempre dietro l’angolo.” Rispose il rosso, facendo annuire lievemente l’amico.
“Credo tu abbia già deciso.”
“Solo per questa volta.”
“Certo, boss.”
Boss.
Si sentiva soddisfatto per quel rispetto che gli mostravano.
Quel soprannome non era male e dopo essersi divisi al solito semaforo, il rosso si ritrovò a ripensare a quella proposta.
Durante il breve tragitto avevano discusso di altro, ma ora che era da solo, poteva analizzare tutto con calma.
Seminare il terrore e guadagnarsi il rispetto fin dal primo giorno sarebbe stato meraviglioso.
Se glielo avessero proposto ai tempi delle medie, ci avrebbe riso su, ma non era più come quello sciocco bamboccio.
Tutto era cambiato e se quelli l’avessero visto, sarebbero scappati di corsa.
“Intanto supererò questo esame e poi vedremo.”
Era raro che lo pensasse, ma Duncan a volte era un vero genio.
 
Libertà e sollievo.
Era questo ciò che si respirava usciti da scuola dopo aver superato con sofferenza il colloquio.
Se avesse studiato fin dall’inizio e non si fosse costretto a sbirciare qualche minuto prima di entrare poteva passare l’esame senza sforzarsi troppo.
Era l’ultimo prima dell’estate.
Duncan e Brick gli avevano promesso che lo avrebbero aspettato.
Infatti erano fermi impazienti al cancello e ascoltavano il ticchettare dell’orologio del secondo con ansia.
Ogni tocco sembrava far presagire il peggio.
Superati i 50 minuti ogni secondo poteva essere decisivo,
E quel ritardo per uno sfaticato era insolito.
Nessun professore interno avrebbe desiderato tenere un asino per più di 45 minuti durante il colloquio.
Anche 5 minuti in più poteva mostrare qualcosa che tutti volevano nascondere.
Uno scaldabanchi non tiene la pressione e non riesce a tenere un confronto intellettuale per troppo tempo.
“Vuoi vedere che lo fregano.” Borbottò innervosito Brick, mentre il punk manteneva la sua proverbiale calma.
Se ce l’aveva fatta lui che era lo schifo della società, sempre a zonzo e senza un punto fisso, poteva farcela anche il rosso che, a suo modo di vedere, era il tipico ragazzo scuola-casa.
Non l’aveva mai beccato in giro, nonostante i voti poco esaltanti.
“I vecchi ingoiano i denti se ci provano.” Riprese Duncan, sapendo che i professori non avrebbero rischiato.
Se fosse successo, si sarebbero vendicati.
Uno per volta e di notte.
Dopotutto usciti dalla scuola, non erano più i loro ragazzi e se gli avessero fatto ingoiare un paio d’incisivi, al massimo potevano beccarsi una denuncia contro ignoti.
“Oppure gli buchiamo le ruote.”
Brick tirò fuori un temperino affilato e lo mostrò all’amico che rispose con un semplice ghigno.
Duncan lo prese in mano quasi pensasse fosse fatto di plastica, ma sfiorandolo con un dito aveva capito che faceva sul serio.
Era dannatamente affilato e forse lo aveva preparato proprio durante le ore di lezione.
“E poi gli roviniamo la carrozzeria.”
Era sottointeso l’utilizzo di un cacciavite in quel caso.
Avevano un sacco d’idee, ma speravano di non doverle usare.
Non perché temessero le conseguenze delle loro gesta, ma perché questo avrebbe trovato riscontro nei loro timori.
La bocciatura di Scott significava la mancata esecuzione di quel piano cui stavano lavorando.
“Potremmo anche imbrattargli la casa.” Propose Duncan, tirando fuori da uno zainetto una bomboletta spray rossa.
Il punk voleva solo utilizzarla.
Sprecarla per imbrattare un muro fuori città o la casa dei suoi ex professori…per lui era lo stesso.
Se Duncan aveva ripreso quella brutta abitudine, Brick era tornato ad allenarsi con maggior enfasi e durante le sue scorribande si faceva accompagnare da Lightning e Tyler.
Il primo era uno scansafatiche palestrato, tutto muscoli e niente cervello, ma i suoi pugni facevano comunque male e il suo gancio poteva trainare una roulotte.
Del secondo sapeva solo che aveva esagerato sul polso.
I medici erano stati chiari… frattura e gesso per un mese.
E non era solo questo a innervosirlo.
Infatti, durante le sue innumerevoli dormite in classe, Geoff e Brick rovinavano il gesso con scritte alquanto offensive.
Non appena si risvegliava, prometteva un bagno di sangue, ma alla fine non faceva mai nulla per farsi rispettare.
“Oppure potremmo imbrattare la casa e la macchina.”
Brick era sempre in grado d’ingigantire i piani degli altri e di questa dote Scott non ne era a conoscenza.
A essere sinceri non sapeva quasi nulla del passato degli altri membri.








Angolo autore:

Rieccomi con l'aggiornamento così come avevo promesso.
So che molti di voi si chiederanno il perchè non sia a scuola.
Dunque...
Da dove cominciare?


Ryuk: L'autobus non è passato.


Esattamente.
Non avevo voglia di andarci e poi un giorno in più per riposare non mi fa male.
Detto questo, ringrazio chi ha recensito/seguito la storia fino a qui e avverto che il prossimo capitolo uscirà giovedì 12 sul tardi (temo).
Alla prossima.

 

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Durante l’attesa erano giunti anche Geoff e gli altri.
In ritardo come al loro solito.
Tutta colpa della pigrizia di Tyler che quando beveva un goccio di troppo, finiva a dormire come un ghiro e la giornata di sciopero dei mezzi aveva fatto il resto.
Non potevano lasciare da solo il boss e tutti si sarebbero ritrovati nella stessa Università.
Scott sarebbe diventato il leader indiscusso e avrebbero seminato il panico per 5 lunghi anni.
Tutto sarebbe cambiato in quella scuola e solo il loro impegno per arrivare a uno schifosissimo 18, sarebbe rimasto intatto.
“Finalmente.” Borbottò Brick, avviandosi verso i suoi amici.
“Colpa dello sciopero.” Intervenne Geoff.
Raggiunsero quindi Duncan che per tutto il tempo aveva studiato la porta d’ingresso.
Quella lunga attesa era snervante.
Pensava che il rosso fosse uscito dal retro, come faceva abitualmente quando voleva tirare pacco e non era interessato alla lezione.
“Sta uscendo.” Disse semplicemente il punk, scorgendo la zazzera rossa.
Anche gli altri erano sollevati nel vederlo, anche se durante la fase d’avvicinamento non sembrava poi troppo felice.
“Com’è andata?” Chiese Geoff, mentre il rosso li superava e si avviava verso il vecchio parco.
“62 fottuti punti.” Rispose con un ghigno, facendo ridacchiare i suoi amici.
“E ora che facciamo?”
“Picchiamo i drogati, Lightning.” Borbottò Brick.
“Andiamo.” I ragazzi si avviarono quindi verso il parco, ma per loro sfortuna non c’era nessuno.
Erano in piena estate e di certo i tossici avevano cercato un luogo più fresco per passare le giornate.
Si sedettero su una panchina e decisero di far passare un po’ di tempo, in attesa che arrivasse mezzogiorno.
“Così ti hanno chiesto i poeti maledetti.”
“Uno schifo di argomento.” Riprese Tyler, mentre gli altri sghignazzavano divertiti.
“Dannati autori stralunati.” Sbottò il punk, accendendosi un’altra sigaretta.
“È già mezzogiorno e non abbiamo ancora fatto niente.”
“Hai così tanta fretta di tornare a casa, Tyler?” Chiese Geoff, mentre l’amico si rialzava con fatica dalla panchina.
Tyler dopo essersi messo il gesso al polso e aver benedetto tutti i santi del Paradiso, non era incazzato con Scott e anzi lo aveva quasi ringraziato.
La scusa dell’ingessatura era un’ottima arma per rimorchiare le ragazze.
Quelle si avvicinavano con una scusa e si poteva fare una bella conversazione.
“È solo che devo andare in pizzeria con un vecchio amico e non voglio portarmi dietro lo zaino.”
“Beh…credo sia ora di andare.” Riprese il rosso, alzandosi anche lui dalla panchina.
“Ascolta Scott…avevo pensato che quest’estate potreste venire nella mia casa al mare. Troviamo qualche bella ragazza, facciamo baldoria e ci divertiamo fino a settembre. Che ne dici?” Chiese Brick, rivolgendosi al capo.
Gli altri sapevano di quel programma e pur di svagarsi avevano già dato il loro consenso.
“Passo.”
“Perché?” Chiese Tyler.
“Quest’anno vado in Svezia.”
“Che culo.” Riprese Lightning, immaginandosi tutte le bionde che sarebbero passate nel letto del rosso.
“Sicuro che non vuoi qualcuno che ti faccia compagnia?” Chiese Duncan, vagando con la mente a chissà quali meraviglie.
“Ti piacerebbe.”
“Mandaci qualche foto.” Ordinò imperioso Tyler.
“Non posso perché ci tengo alla vostra salute.”
Restarono ancora per un po’ insieme e poi si divisero per tornare ai loro impegni.
Gli altri si sarebbero preparati per le vacanze al mare, dove si sarebbero divertiti un mondo, mentre il rosso avrebbe pensato ad altro.
“Schifo di estate.” Pensò poco prima di rinchiudersi nel suo appartamento.
Come ogni anno avrebbe ripetuto il solito programma che si trascinava da quando aveva finito le medie.
Un’unica uscita settimanale e poi sempre al sicuro.
Non sarebbe mai andato in Svezia e sarebbe rimasto per tutto il tempo in quello schifo di monolocale.
Sarebbe uscito solo per fare la spesa e poco altro.
Per lui ogni giorno sarebbe stata una noia.
Almeno durante il periodo scolastico poteva ammazzare il tempo in qualche modo, ma l’estate azzerava anche le risse.
“Dannata stagione del cazzo.” Brontolò, imprecando contro la sfiga che gli era capitata.
E quando pensava di uscire e di spassarsela in giro, i sensi di colpa tornavano imperiosi.
Era da quasi 5 anni che era costretto così.
Non c’era un attimo che non pensava a quella faccenda e anche quando parlava o menava, vedeva sempre quei pochi fotogrammi.
Aveva provato a cancellarli dalla sua vita, ma con pessimi risultati.
Aveva cercato di riempirsi d’impegni pur di non rifletterci, ma quel pensiero sarebbe sempre tornato.
E anche se una vocina lo pregava di riavvicinarsi, lui non aveva il coraggio di fare alcun passo di quell’irta collina.
Voleva solo che quel ricordo svanisse.
Per colpa sua aveva quasi perso la cosa più preziosa che gli fosse mai capitata.
E ora andava avanti senza una meta precisa, pensando solo agli innumerevoli esami che avrebbe dovuto affrontare.
3 mesi di noia, questo era il rischio che avrebbe corso.
Ma non era solo quella questione a farlo stare in pensiero.
C’era un qualcosa a cui non riusciva a dare un nome.
Tuttavia se c’era una cosa che aveva imparato in così tanti anni di solitudine, era che sforzarsi non era importante.
Ben presto avrebbe compreso la soluzione migliore e avrebbe agito di conseguenza.
 
Inizio settembre, ritrovo fissato davanti al parco degli spacciatori.
Gli altri non erano molto cambiati e anche Scott sembrava lo stesso di giugno.
Camminava lentamente verso Duncan e gli altri, anche se la solita aria da incazzato con il mondo era rimasta intatta.
Inoltre non dormiva da diversi giorni e ciò alimentava la sua rabbia.
“Merda di ventilatore.” Si ritrovò a imprecare verso metà agosto quando quell’aggeggio anteguerra lo aveva lasciato senza refrigerio.
Poteva comprarne uno nuovo, ma in quel periodo la città era deserta e i negozi di elettronica erano chiusi.
Era stato costretto, quindi, a morire di caldo e a ingaggiare una guerra con zanzare fameliche.
In tutto questo aveva perso di vista la cosa essenziale: dormire.
Ma in quei mesi non aveva smesso di pensare ai suoi amici.
Brick e gli altri erano stati al mare e avevano trovato modo di divertirsi.
Ridevano soprattutto di Tyler che con le donne non ci sapeva proprio fare.
Bionde, brune, rosse: a loro importava solo di divertirsi.
Ne erano passate di creature meravigliose nei loro letti e avevano cuccato alla grande.
Duncan era il virtuoso dell’abbordaggio e non a caso era considerato un Casanova.
Cambiava ragazza ogni giorno, a volte…in poche ore.
Tyler era l’esatto opposto.
Era riuscito solo a portarsi in camera una bionda tutta curve che era finita con il dormire senza consumare nulla.
Aveva promesso conquiste a non finire, ma aveva solo rimediato il numero della ragazza.
Anche Brick era stato fortunato e si concentrava sempre sulle stesse pollastre.
Perfino Lightning, quello che doveva essere il più tranquillo del gruppo, era finito a fare più conquiste di Tyler.
Per il primo mese aveva combinato poco o nulla, ma complici gli scherzi e le rotture di palle dei suoi amici, aveva iniziato a farsi più intraprendente.
E infine Geoff che dando sfoggio della sua eleganza, aveva trovato l’amore.
Da quando aveva promesso alla sua Bridgette di mettere la testa apposto, aveva lasciato perdere tutte le altre, con grande felicità di Duncan che si fiondava sulle prede rimaste libere.
Non che al punk importasse, tanto si faceva di tutto.
Anche quelle che erano già impegnate, ma si trattava di serate da una botta e via.
Ben poche ragazze erano riuscite ad evitarlo…solo quelle che avevano un po’ d’intelligenza e che avevano dei gusti più raffinati erano riuscite a scamparsela.
“Bella Scott, come butta?” Chiese Geoff, stranamente su di giri per il ritorno a scuola.
Gli altri lo avevano fissato fin dall’inizio con sguardo rabbioso e lui fischiettava contento come se avesse appena vinto alla lotteria.
“Non te la sei ancora fatta.”
“Almeno la sua ragazza non si è addormentata come quando l’avevi portata in camera per divertiti.” S’intromise Brick, prima che Duncan riuscisse a dare il colpo di grazia.
“L’unica volta buona sei finito in bianco e sei rimasto fesso.”
“Io ho pure il suo numero e sono il suo ragazzo, meglio di così.”
La discussione si concluse cosi…con Tyler costretto a mettere la coda in mezzo alle gambe e a rassegnarsi per la cocente delusione.
Il rosso rivolse un’occhiata torva a Geoff, mentre gli altri già temevano il peggio.
Quell’aria da teppista si era come ingigantita  e nessuno ne capiva il motivo.
“Uno schifo.” Rispose con il solito ghigno.
“E in Svezia?”
“Ho ancora la testa a quelle meraviglie. E voi?” Chiese, osservando tutti i suoi amici.
“Io mi sono fatto quasi tutte le ragazze della spiaggia.” Riprese, il punk, mentre gli altri aspettavano il loro turno.
“E tu Brick?”
“Sono stato più selettivo e mi sono tenuto caldo sempre le stesse pollastre.”
“Cosa vorresti dire a proposito?” Chiese Duncan, pensando che quella fosse una frecciata ai suoi danni.
“Mancava poco e ti facevi pure le vecchie.”
“Non è vero.”
“Scusa amico, ma Brick ha ragione. Non ti ricordi più di quella 40enne con un balcone da urlo? Cosa faceva? Ah...sì: l’avvocatessa.
E il marito? A casa, mentre te la rigiravi come un calzino.”
“E ti ricordi di quella da 35 anni? Biondina, faccia da angelo, ma diavolo sotto le coperte. Ricordo anche che non te la sei fatta solo una volta, ma con lei hai continuato a darci dentro per almeno una settimana.” Riprese Tyler, continuando il discorso di Lightning.
“E non dimenticatevi di quella sera con i botti. Si è portato in camera 2 belle tipe, una bionda tutto pepe e una mora da capogiro. Ho sentito urlare fino all’alba e mi avete disturbato con le ripetizioni di lingua alla rossa che avevo trovato.” Borbottò Brick, facendo ridere tutti i suoi amici.
“Maledetti.” Mormorò il punk prima di mettersi a ridere con tutti gli altri.
“Beh anch’io mi sono fatto due tipe insieme quest’estate, che c’è di male?” Chiese il rosso, inventandosi di sana pianta ogni dettaglio sui corpi fenomenali che gli erano capitati.
“Hai capito il nostro capo.” Sussurrò Geoff.
“E tu Lightning?” Scott spostò quindi la sua attenzione al ragazzone il quale continuava a sorridere inebetito.
“Io non ho fatto nulla di particolare per il primo mese, ho solo gettato l’esca e poi mi sono trovato con qualche bella pollastrella nel letto.”
“Quindi sei stato selettivo come Brick…eccellente. E tu Geoff?” Chiese di nuovo il rosso.
“Io mi sono fidanzato e mi sono assicurato…”
“…una corsia privilegiata?” Chiese il rosso, interrompendo il ragazzo.
“Volevo dire una bella compagnia, ma va bene anche così.”
“E tu Tyler?” Già da quando aveva posato i suoi occhi grigi sul ragazzo, gli altri avevano iniziato a ridacchiare.
“Ho beccato una bella tipa e me la stavo per trapanare…”, ma venne interrotto da Brick che non ce la faceva più a starsene zitto.
“Peccato che la tipa avesse sonno e l’abbia mandato in bianco.”
Era da un po’ che Scott non rideva e sentiva che stava quasi per morire.
Non si erano accorti dell’orario che si era fatto e fu solo quando videro un gruppetto dell’Università passare che si resero conto della perdita di tempo.
Duncan si era svegliato non appena aveva visto due pollastre passare a pochi centimetri da loro, ma i due energumeni che avevano affianco non sembravano molto raccomandabili.
Nonostante fossero dei bei bocconcini, il punk aveva preferito abbandonare quelle prede, ma se si fosse ripresentata l’opportunità ne avrebbe approfittato.
Erano quasi le 8 e tanto per cambiare erano, di nuovo, in ritardo.
Tanto valeva fingere d’essere bravi e diligenti per poi mostrare il loro vero volto.
Scott aveva sentito alcune voci in quel periodo.
Di come fosse difficile spodestare il gruppo dell’ultimo anno, ma sentiva che potevano farcela.
Con un sorriso convincente e con lo zaino leggero si avviarono lentamente verso le loro aule.
Varcarono il cancello giusto in tempo per sentire la prima campanella e ognuno cercò la sezione di sua appartenenza.
Anche se avevano corsi diversi si sarebbero sempre sostenuti perché avrebbero ottenuto rispetto e potere anche in quella scuola.
I teppisti che giravano per la scuola non avevano nulla di particolare.
Questo era quello che pensava.
Appena entrato, aveva dato un’occhiata veloce alla sezione e si era avviato verso la sua aula.
Avvistato un ottimo banco in ultima fila con visione ottimale verso la finestra, lo aveva occupato con furia, poco prima di mettersi a dormire, in attesa del prof.
Nessuno avrebbe potuto distoglierlo dai suoi intenti criminali e presto tutti avrebbero sentito parlare del demone rosso che terrorizzava la Bredford.


Angolo autore:
Puntuale come al mio solito ecco l'aggiornamento.

Ryuk: A quanto pare sta andando discretamente.

Non dirlo troppo forte.
E poi c'è ancora il quesito sul perchè Scott si torturi in questo modo.

Ryuk: Anche se a quasi nessuno importa.

Cerca di creare un po' di interesse.
Cosa avrà mai fatto per essere così depresso e cattivo?
Ovviamente accettiamo scommesse.

Ryuk: Perchè non rendiamo le cose più interessanti?

Tanto chi legge non recensisce e quindi puoi inventarti qualsiasi cosa.
Spara pure.

Ryuk: Chi si avvicina di più al motivo di dolore di Scott potrà chiederci di scrivere una one-shoot con alcuni personaggi di questo fandoom.

Non mi sembra originale.

Ryuk: I personaggi verranno scelti dal vincitore e anche alcuni dettagli che desidera vengano introdotti.

Del tipo?

Ryuk: Finale positivo/negativo e altro ancora.

Vabbè.
Tanto per me è uguale.
Onde evitare di esagerare con l'angolo, vi saluto.
Alla prossima!

(Mah...una storia a scelta dei recensori...che idea del cavolo).

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


In tutto questo tempo Scott aveva imparato qualcosa sui suoi amici.
E non si trattava solo di cose positive, ma anche di situazioni terribili.
Di Duncan tutti sapevano veniva da una situazione famigliare alquanto disastrata.
Il padre era un ubriacone cinquantenne, perennemente al verde e senza uno straccio di lavoro.
Occupazione che aveva quando aveva messo incinta la madre del punk, la quale per colpa di quella seconda gravidanza fu costretta ad abbandonare il ruolo di segretaria nell’azienda di un suo amico.
Il vecchio, così lo chiamava lo punk, non era un tipo raccomandabile.
Un rompipalle violento e sadico.
Quando era piccolo lo temeva molto, dato che sapeva che ogni pretesto era valido per subire botte e non solo.
Schizofrenia.
Così il medico che l’aveva in cura aveva stabilito quei disturbi.
Era alquanto strano che potesse permettersi una scuola quasi di prim’ordine, ma la madre l’aiutava molto con le spese.
Aveva ricominciato a lavorare e per arrotondare era costretta a “divertirsi” con il direttore.
Duncan aveva anche una sorella, ma questa aveva preso tutto dal vecchio.
Da lui aveva preso anche lo stesso vizio e ne aveva aggiunti un paio.
Quando il punk aveva appena 14 anni, lei aveva già assaggiato e sniffato per la prima volta la droga.
Con la maggiore età quella aveva iniziato a sperperare denaro per il gioco d’azzardo e s’era rovinata con le sue mani.
Almeno non era manesca come il vecchio e lui era l’unica roccia su cui la madre faceva affidamento.
Ma tutte le botte e le sofferenze che aveva patito lo avevano profondamente cambiato.
Già dalle medie era violento.
Se la prendeva con i bambinetti viziati che gli capitavano a tiro e gli rubava soldi, merenda e cellulare.
Aveva notato che quando si comportava bene finiva sempre con il fare la figura del fesso e aveva deciso di cambiare.
Era stanco di vederla piangere nella sua stanza.
Lui doveva pur trovare un modo per aiutarla.
Rivendeva il cellulare in giro, guadagnando poco e i soldi li donava alla madre.
A lei raccontava che li trovava sempre per strada, affermando che aveva una fortuna sfacciata.
La merenda la consumava, risparmiando anche sul poco denaro che la donna le passava.
Lui sì che li teneva con cura.
La madre era convinta che il figlio fosse un angioletto, ma se avesse saputo di tutti i problemi che causava e delle minacce agli altri bambini, sarebbe morta di crepacuore.
A scuola s’impegnava sempre al massimo, anche se questo macchiava la sua reputazione da mastino teppista, ma i professori di quello che faceva fuori non erano interessati.
Poteva anche spacciare droga o darsi ai furti, tanto non era un loro problema.
Finché s’impegnava non avevano nulla da ridire.
Lui però, nonostante le grandi promesse, non si sarebbe mai spinto a tanto…avrebbe solo scatenato risse e cercato di mettere da parte più denaro possibile.
Senza il rosso, però, Duncan sarebbe stato destinato a tornare in ultima fila all’Università e sapeva che forse solo all’ultimo anno sarebbe potuto salire in cattedra.
Scott era il suo asso.
Era colui che lo avrebbe spinto in vetta e pazienza se quello era solo il secondo posto…se ne sarebbe fatto una ragione.
 
Se Duncan era così messo male…c’era qualcuno nei suoi amici che viveva come un Dio.
Brick veniva da una situazione agli antipodi.
Una famiglia nell’alta società che lo amava.
Aveva tutto, ma è come se non avesse avuto nulla.
Duncan, per esempio, aveva una madre che lo amava, ma lui aveva solo l’aridità dei soldi.
Lui non riusciva a sentirsi parte di quella famiglia.
Dopotutto in ogni famiglia vi era una pecora nera e lui, anche essendo figlio unico, rappresentava alla perfezione quel simbolo che gli avevano appiccicato sopra.
Tutti si aspettavano che seguisse le orme del padre e per questo gli era sempre stato imposto un certo comportamento.
L’etichetta da bravo figlio di papà però gli pesava molto e più cercava di staccarsela di dosso, più gli si attaccava sotto pelle.
Non era in grado di sopportare quei finti sorrisi.
Quell’ipocrisia dovuta al denaro che passava dal portafoglio di un ladro alle mani di un altro ladro.
Quella vita lo disgustava da anni.
Era da quando era piccolo che disprezzava la ricchezza.
Era da quando passava il Natale, le feste e i compleanni da solo.
Tutta colpa degli affari e questi erano collegati con il denaro.
Poi era entrato in quello studio.
Aveva spulciato quei documenti come se li conoscesse da una vita e come se ci avesse sempre lavorato e aveva capito in quali affari sporchi i suoi genitori erano invischiati.
Il padre era solo un pupazzo.
Inconsapevole di esserlo, ma era comunque un pupazzo.
Un pupazzo nelle mani dei pezzi grossi, i quali erano solo le puttane di un’altra persona.
Tutto il potere confluiva in quell’omuncolo che aveva incontrato ad una festa.
Questo era un altro dei motivi per cui non sopportava quella squallida esistenza.
Un’esistenza che era scritta nel suo futuro.
Peccato si fosse ripromesso di evitare quella contaminazione.
Odiava quella situazione per un motivo in particolare: i suoi amici.
Loro vivevano nella spazzatura e lui doveva vivere, per forza, a contatto con il denaro.
Fu a questo punto che giunse all’amara verità.
Aveva due possibilità per uscirne.
La prima lo disgustava.
Doveva obbedire, diventare il successore del padre, salire in cattedra, abbassare il prezzo dei prodotti e non diventare la puttana del capo ed evitare di farsi contaminare dal denaro fetido che avrebbe manipolato.
La seconda non poteva applicarla.
Perché se l’avesse fatto non sarebbe riuscito nei suoi intenti.
Gli sarebbe piaciuto staccarsi e vendere la società una volta che il suo vecchio si fosse ritirato.
Aveva visto molte persone finire sul lastrico a causa di quel bastardo ingordo e a costo di farsi uccidere era pronto anche ad iniziare una guerra.
Quell’omuncolo con i suoi soldi poteva permettersi avvocati da milioni, ma prima o poi avrebbe fatto un passo falso e lui doveva solo aspettare il momento opportuno.
Purtroppo aveva sbagliato fin dal principio.
Onde evitare, aveva scelto di dimostrarsi poco incline agli affari del padre ed era solo per il suo bene che non aveva avvertito chi di dovere.
Ben presto i genitori si sarebbero defilati a causa della pensione.
Una bella soffiata alla polizia sarebbe stata la giusta punizione per quel padrone baffuto.
Come detto, lui a differenza dei suoi amici stava bene economicamente e spesso offriva loro la merenda con grandi dimostrazioni e urla d’affetto.
Non era apprezzato solo per il suo portafoglio, ma anche per il suo carattere.
Tutti sapevano che era ricco, ma non se ne approfittavano per questo.
Era impossibile odiarlo, il suo buon cuore era sufficiente, ma era ancora più umano con le persone che reputava degne di fiducia.
Non si arrendeva mai ed era sempre pronto a lottare anche nelle condizioni più disparate.
Convinto della sua forza era stato il primo ad autoproclamarsi leader della scuola al terzo anno.
Poi era comparso Duncan e quest’ultimo lo aveva schiacciato come un insetto.
Lo aveva spazzato via, ma gli aveva offerto una seconda opportunità.
“Unisciti a me.”
Erano queste le parole che gli riferì, mentre allungava una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Non voleva rischiare.
Se si fosse rifiutato, avrebbe potuto prenderla male e poi era quello che desiderava anche lui.
“Perché?” Aveva chiesto, mentre lo guardava dal basso.
“Ho bisogno anche del tuo aiuto.”
Brick pensò a quella proposta per pochi secondi.
Non aveva nulla da ridire.
Era stato sincero.
Era rimasto colpito dalla sua forza ed era un motivo valido per accettare.
Quella collaborazione avrebbe aiutato entrambi e convinto di ciò, afferrò con forza la mano del suo nuovo amico.
Chi li aveva visti, era rimasto sorpreso.
Fino a qualche attimo prima erano pronti a mandarsi all’ospedale a vicenda, ma da quel giorno divennero inseparabili.
Avevano anche brindato con una birra per la formazione di quell’alleanza assai particolare.
Era gennaio ed era nato il primo gruppetto di teppisti della scuola.
Scott manteneva ancora un basso profilo e fu solo quando la società di Duncan si ingrandì con l’ingresso degli altri 3 membri, che lui iniziò a scalare le gerarchie.
Brick poteva considerarsi il terzo uomo della squadra del rosso.
 
Lightning era entrato nel gruppo di Duncan perché era solo.
Non aveva amici.
Lui credeva che essendo appena arrivato, fosse dovere degli altri dargli una mano.
Credeva che esistesse una sorta di amor proprio per aiutare qualcuno che ne aveva veramente bisogno.
Invece tutti lo evitavano.
Non ne capiva il motivo.
Dopotutto si era appena trasferito e non era colpa sua se era indietro sulle materie.
Era arrivato al punto di credere che la colpa, se così poteva essere definita, era da ricercare nelle sue umili origini da artigiano.
A volte, durante le lezioni, diventava paranoico.
Credeva che nessuno lo volesse come amico solo per via del colore della pelle oppure solo perché sembrava più grande degli altri.
Non era il razzismo il problema.
Il vero problema era la stupidità di quelle sciocche persone.
A far pena non erano gli studenti, ma i professori.
Quelle teste di cavolo non avevano insegnato nulla ai ragazzi.
Se gli insegnanti non ti considerano nemmeno di striscio, perché i ragazzi dovevano aiutarlo?
Perché dovevano vederlo sotto un’altra luce, se nessuno compiva quello sforzo?
Non ne valeva la pena.
Solo un pazzo poteva cercare di comunicare con lui.
Un pazzo che si configurava bene con la descrizione oggettiva di Duncan stesso.
Fu durante una ricreazione che il punk notò il gigante buono isolato dal mondo.
Era sempre solo e Duncan era spiazzato da quella situazione.
Raramente incontrava qualcuno che gli provocava pietà e quel ragazzo era il primo di quella scuola che quasi lo spingeva ad avvicinarsi per chiedere se andasse tutto bene.
Provava un immenso dispiacere verso quello che sembrava un bravissimo ragazzo.
Aveva solo bisogno di una spinta per farsi apprezzare, ma se nessuno lo sosteneva o cercava di spronarlo, alla fine sarebbe rimasto solo a fissare il cielo.
Certo era bello estraniarsi da un mondo falso e pieno di pregiudizi, ma se non si cerca di far cambiare idea agli altri, si resta falliti per tutta la vita.
Tutti lo guardavano dall’alto in basso ed era escluso da ogni attività solo per il suo povero vestiario.
Come se fosse colpa sua di non essere nato con la camicia.
Ignorato e solo.
Eppure Duncan aveva posto i suoi occhi sul ragazzone da qualche tempo.
All’inizio non ci aveva fatto troppo caso, ma poi vedendo che la situazione perdurava, gli era nata una strana idea.
Chi meglio di un escluso può avere bisogno di un vero amico?
E lui era pronto a dargli un aiuto.
Era solo e per questo aveva chiesto al suo vice di non studiarlo superficialmente.
“Brick posso chiederti un favore?“
“Tutto quello che vuoi capo.” Rispose subito, offrendo parte della sua merenda al punk, il quale rifiutò quella cortesia.
“Quel ragazzo sembra interessante.” Borbottò Duncan.
“Cos’hai in mente?”
“Vorrei solo capire se lui è forte come sembra.”
“Io ho la soluzione perfetta.”
“E quale sarebbe?” Chiese il punk, fermandosi per fissare negli occhi l’amico.
“Potrei picchiarlo.”
Quella sarebbe stata la possibilità perfetta se anche Lightning fosse stato un bullo, ma Duncan non voleva arrivare a tanto.
Non voleva essere considerato anche da quel ragazzo alla pari di un delinquente.
Colpito da un’altra idea da lui considerata geniale, si girò per osservare dove si fosse nascosto Lightning.
Quest’ultimo aveva percorso pochi metri, si era seduto all’ombra di un albero e stava consumando con lentezza il panino che aveva preparato prima di andare a scuola.
Duncan credeva non fosse ancora pronto per una rissa.
Dovevano approcciarsi con cautela, per non spaventarlo troppo.
Quel piano che aveva appena studiato, gli avrebbe permesso di capire se valesse la pena correre quel rischio o se fosse meglio lasciarlo tranquillo.
“Stavo pensando d’invitarlo nel nostro gruppo.”
“Sei tu il capo.”
“Ho bisogno della tua opinione.”
“Potrei studiarlo per un po’…tanto per farmi un’idea.”
“E per quanto?” Chiese il punk, sapendo di potersi fidare di uno come Brick.
“Una settimana?”
“Poi mi dirai cosa ne pensi.”
 
I due passarono il resto della ricreazione a parlottare tra loro, dando spesso un’occhiata Lightning che non si era più mosso dal momento in cui aveva finito di mangiare.
Lui sarebbe sempre stato lì a fissare il cielo, tranne nei giorni di pioggia, dove lo si trovava in aula a guardare il panorama dalla finestra.
Fu in uno dei giorni soleggiati di gennaio che Brick gli si avvicinò.
Era scivolato silenzioso vicino a lui e solo il rumore di un legnetto spezzato lo aveva risvegliato.
Con quel rumore insolito Lightning si era girato.
Anche se non gli aveva mai rivolto la parola prima d’allora lo conosceva abbastanza bene.
In quella scuola le voci tendevano a circolare in fretta e sapendo la sua natura, aveva già pensato al peggio.
Non era raro che lo stesso Lightning s’intimorisse per qualche sciocchezza.
Notando Brick aveva iniziato a temere per la sua vita.
Credeva che volesse picchiarlo oppure che volesse sbeffeggiarlo come facevano spesso i bambinetti della sua classe.
Tutto in lui era motivo di scherno.
Dal vestiario umile, alla sua timidezza e perfino il suo insolito accento veniva preso di mira.
“Posso sedermi?” Borbottò Brick.
Lightning credeva di esserselo sognato.
Non credeva possibile che uno come lui potesse rivolgergli la parola.
Infatti si guardò intorno, credendo che quella domanda non fosse rivolta a lui.
Era sicuro che presto sarebbe spuntato dal nulla qualcuno che lo avrebbe preso in giro.
E invece non c’era nessuno.
Stentava a crederci.
Non immaginava che qualcuno ce l’avesse proprio con lui.
Gli unici che gli rivolgevano la parola erano i professori e solo durante il breve appello mattutino.
Il resto era silenzio.
“Se non ti disturba stare con me.” Rispose.
“Figurati…questo è uno dei miei posti preferiti.”
“Sei sicuro?”
“Non preoccuparti…a proposito io sono Brick.” Riprese, allungando la mano verso il ragazzo.
“Lo so.”
“Non credevo d’essere famoso.” Ridacchiò il giovane.
“Molti dicono che siete pericolosi.”
“Pericoloso è chi uccide, non chi si difende.”
“Non saprei.” Sussurrò Lightning, temendo una brutta reazione.
“Allora…hai un nome?”
“Sì scusa, mi chiamo Lightning.” Borbottò, stringendogli la mano con forza.
“È una delle prime volte che ti vedo qui.”
“Forse perché tutti mi stanno lontani.”
“I nuovi non sono mai ben visti.” Sbuffò Brick, facendolo annuire.
“Non mi hanno mai ascoltato e sono sempre stati indifferenti nei miei confronti.”
“Brutti bastardi.” Mormorò, studiandolo con attenzione.
“Mi giudicano ancor prima di conoscermi.”
Brick preferì far passare qualche secondo, dando il tempo al ragazzo di calmarsi un po’.
“Lo fanno con tutti.”
“Anche con voi?” Chiese stupito il ragazzo.
“Per loro siamo lo schifo della scuola, ma non m’importa.”
“Mi piacerebbe essere come te, ma non ci riesco mai.”
“Ognuno è speciale per quello che ha.” Lo rincuorò il ragazzo, sorridendogli.
“Già.”
“Siamo sulla testa barca.” Sorrise Brick.
“Così sembra.” Borbottò Lightning.
“Siamo così simili che potremmo aiutarci.”
“Come?” Gli chiese.
“Questo pomeriggio potremmo andare alla sala giochi e prenderci una pizza?”
“Non posso.“
“Perché?”
“Non posso usare i pochi soldi che ho alla sala giochi.” Borbottò il ragazzo.
Lightning credeva di perdere anche l’unico amico che era riuscito a trovare, ma Brick non era un tipo che si arrendeva facilmente.
Infatti lui poteva contare su una cosa che l’altro non aveva: il portafoglio pieno di soldi.
Brick, infatti, per nulla preoccupato da quelle parole, gli rispose con un sorriso.
“Non c’è problema.”
“Davvero?” Gli chiese stupito Lightning.
“Sono di famiglia benestante e qualche spicciolo non sarà una grave perdita.”
“Non vorrei approfittarmene.”
“Ho sempre preferito il divertimento e un buon amico al denaro.”
“Ogni tanto però.” Tentò Lightning, facendolo annuire
“Certo.” Lo rassicurò Brick.
Se qualcuno avesse mai detto a Lightning che avrebbe incontrato un amico del genere, probabilmente gli avrebbe riso in faccia.
E invece per una volta la fortuna sembrava sorridergli.
Infatti, quello che considerava impossibile, si stava avvicinando sempre più.
 
Lightning rinfrancato da quella risposta aveva accettato la sua proposta e avevano passato il pomeriggio insieme a divertirsi.
L’andazzo proseguì per una settimana, così come aveva stabilito Duncan e al termine di essa il punk aspettava l’analisi del socio.
Quel martedì si avvicinò con calma al luogo dove i due stavano parlando e si sedette al loro fianco.
“Allora Brick…cosa ne pensi?” Lightning non si era nemmeno accorto della presenza del punk e l’aveva notato solo dopo aver sentito la sua voce.
“Non picchiarmi.” Urlò istintivamente il ragazzone, mentre Brick e Duncan sorridevano divertiti.
“Non voglio picchiarti, ma solo offrirti l’opportunità di diventare importante e di non guardare più gli altri dal basso.” Ribatté con prontezza il punk.
“Non posso.”
“Sei felice di essere un perdente?” S’intromise Brick.
“Brick lascia perdere…”
“Se vuoi restare uno sfigato per tutta la vita, continua ad accettare d’essere escluso senza motivo.” Sbottò con rabbia.
“Cosa dovrei fare?” Chiese Lightning che stava iniziando a farsi corrompere dalle parole di Brick.
“Devi solo difenderti quando gli altri ti attaccano.”
“Tutto qui?” Borbottò, mentre il punk iniziava già a cantare vittoria.
“Si tratta solo di stare insieme e di aiutarsi nel momento del bisogno.”
“Ci sto.” Si convinse, stringendo la mano di Duncan.
“Benvenuto nel nostro gruppo.”
“E ora che facciamo?” Chiese la nuova recluta.
“La nostra società è piccola, ma ha un alto tasso di aggressività ed espansione e quindi faremo delle eliminatorie.”
“Che cosa intendi dire?” Mormorò preoccupato Brick.
“Qualcuno potrebbe unirsi a noi e di conseguenza la nostra forza aumenterebbe ancora.” Si spiegò, riferendosi ad alcuni gruppetti isolati che lottavano per scalare le gerarchie.
“Chi prendiamo?”
“Domani lotterò con Geoff e chi vince si prende il gruppo.” Rispose il punk, mantenendo la sua solita tranquillità.
Anche Lightning aveva intuito che se il capo si metteva in testa qualcosa non c’era verso di fargli cambiare idea e aveva accettato la sua scelta.
Sapeva che avrebbe vinto, ne era certo e infatti l’indomani quando Geoff si rialzò dalla polvere, accettando la stretta di mano del punk, non ne fu sorpreso.
 
Tyler e Geoff erano come fratelli e andavano incredibilmente d’accordo.
Si aiutavano fin dalle elementari e in tanti anni di sfide e competizioni si erano sempre sostenuti a vicenda.
La loro situazione economica era discreta.
Non vivevano nei bassifondi della gerarchia come Duncan o Lightning e non erano nemmeno figli di papà come Brick, ma le loro famiglie vivevano discretamente bene.
Tyler, ex pugile mancato, costretto a rifiutare il suo sogno solo perché dotato di scarsa disciplina.
Quando suonava il gong non si fermava e se si ritrovava al suolo era convinto che fosse corretto attaccare anche alle spalle.
Era per questo che non lo volevano più nelle palestre della città e lui per sfogarsi picchiava chiunque gli capitasse a tiro.
La differenza tra Tyler e Geoff stava tutta qui.
Tyler era sadico e amava la violenza e il biondo per non lasciare da solo l’amico s’era fatto contaminare.
Era finito anche lui a combattere e grazie agli insegnamenti dell’amico era diventato abbastanza abile.
Il suo punto forte era da ricercare nei riflessi e in forza era pari al suo maestro.
Era solo per questo che Geoff fece da portabandiera nella rissa con Duncan e solo alla fine, studiando i suoi movimenti e la sua intelligenza, aveva compreso di non essere all’altezza del punk.
Credeva che nessuno mai li avrebbe più disturbati e infatti per quasi 2 anni erano rimasti incontrastati.
Poi Scott si era svegliato e non c’era più spazio per loro.
La banda aveva cambiato leader e ogni membro si sarebbe comportato come sempre.
Il gruppo si basava sull’aiuto reciproco e sull’amicizia: elementi che non avevano mai conosciuto in passato.




Angolo autore: Rieccomi, anche se in ritardo.


Molti avranno creduto che mi fossi dimenticato di aggiornare e invece non è così.


Ryuk: Siamo stati troppo impegnati.

Esatto.
Altra noia da aggiungere è che questo doveva essere il capitolo precedente, ma una svista mi ha fatto pubblicare l'altro.
Poco male perchè sono riuscito a recuperarlo.
Detto questo vi saluto.
Alla prossima.
 

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Per Scott il primo giorno d’Università non si discostava da come se l’era immaginato.
Nulla d’emozionante e dall’ultima fila aveva notato ben poco di cui essere sorpresi.
Un professore stralunato che osservava tutti i suoi alunni con uno sguardo propenso a minacciarti di morte.
“Parecchio inquietante.” Pensò quando lo vide entrare, avvolto da una giacca nera.
Aveva osservato tutti i suoi compagni di corso e poi era sprofondato nel mondo dei sogni.
Tanto sapeva che il primo giorno non avrebbero spiegato nulla.
Dopo nemmeno 3 ore era già vicino al cancello.
Durante quei pochi minuti aveva squadrato il capo della scuola e lo sfidava con lo sguardo.
Duncan e gli altri arrivarono dopo pochi minuti.
“Ehi boss.”
“Cosa ne pensi?” Chiese Brick, mentre il rosso sbadigliava annoiato.
“Fin troppo facile.”
“Quindi?”
“Possiamo agire anche subito…se vi va.”
Non era il piano che aveva preparato, ma Scott era convinto delle sue capacità.
Infatti si avvicinò con calma a quel gruppetto, seguito a poca distanza dai suoi amici.
Si posizionò a pochi passi e sputò sul volto del boss che era intento a fumare.
“Sei in cerca di rogne moccioso?” Chiese uno degli energumeni, scattando in piedi, mentre il capo si puliva il volto.
“Può essere.”
“Tutto bene, boss?”
“Sì…non l’ha fatto apposta, vero?” Chiese il nemico con un’occhiataccia.
“E invece l’ho fatto apposta.” Rispose il rosso, sputando di nuovo.
“Vuoi morire?” Gli chiese uno di loro.
“Zitto idiota.” Rispose prontamente Brick.
“Che cazzo vuoi bambino?”
“Ehi…stronzo, tu non puoi parlargli così.” Intervenne Duncan, difendendo l’amico.
Ben presto anche gli altri si avvicinarono per difendere la propria squadra.
“Dove volete morire?” Soffiò il capo.
“Al vecchio parco…lontano da occhi indiscreti.”
“E sia…fai strada.” Riprese, recuperando lo zaino e seguendo il giovane.
Fu quando giunsero a destinazione che i due gruppetti si divisero, concedendosi qualche minuto per riflettere.
“Cosa volete infine?” Chiese il braccio destro nemico.
“Il controllo completo della scuola.”
Il gruppo scoppiò a ridere, mentre il loro capo continuava a studiare il rosso che aveva davanti.
“Guardali capo, 5 ragazzini che puzzano di latte.” Disse il più stupido del gruppo con un sorriso da beota.
“Non vi conviene sottovalutarci.” S’intromise Brick che stava già dando di matto.
“Non ci direte che eravate il gruppo più forte delle superiori, vero? Perché se è così state perdendo il vostro tempo.” Borbottò il capo nemico.
“Sprecare uomini non è divertente.” Riprese Scott in tutta risposta.
“Cosa ci proponi recluta?”
“Io contro di te. Chi vince piglia tutto e chi perde si rassegna. Niente interventi esterni.” Rispose il rosso che credeva di poter dare sfoggio a tutte le sue capacità.
“Ci sto.”
“Ma capo…” Borbottò uno dell’altro, venendo completamente ignorato.
“Iniziamo?” Chiese il rosso, mentre il nemico si preparava e alzava la guardia.
“A te la prima mossa, principiante.”
“Prima i vecchi.”
L’avversario si avventò come una furia contro il ragazzo, mentre gli altri gli lasciavano ampio raggio d’azione.
Per un po’ di tempo il rosso preferì subire i pugni del nemico, alzando una guardia insuperabile e schivando le mosse avversarie.
“Tieni capo.” Urlò uno degli avversari esterni, lanciando al nemico una mazza da baseball.
“Ehi, ma questo è contro le regole.” Brontolò Brick assistendo impotente a quella situazione.
“Ti sbagli Brick, Scott non ha inserito questa regola e possono fare come vogliono.”
“Duncan, ma…”
“Il tuo amico con il piercing ha ragione.” Intervenne uno degli altri ragazzi.
“Fottiti.” Bisbigliò il punk senza farsi sentire.
Il rosso vedendo quella mazza non si preoccupò e anzi invitò il nemico a farsi sotto.
Non era preciso e non aveva la stabilità necessaria per risultare pericoloso.
Si concedeva troppe aperture che potevano essergli fatali..
L’unica mossa andata a segno era solo di striscio e quella lieve ferita aveva risvegliato l’animo burrascoso di Scott.
“È finita.” Bisbigliò Scott, facendo capire ai suoi amici che mancava poco.
“Non credo.” Alzò di nuovo l’arma, concedendo un’apertura elementare.
Con uno sgambetto, il rosso lo aveva atterrato e iniziò un lento pestaggio.
Gli aprì un taglio sul labbro inferiore e riprese il controllo della mazza.
La osservò con attenzione e si girò verso gli amici del suo avversario e rivolse loro un altro ghigno.
“Se volete che questo abbia fine, arrendetevi.” Disse, riavvicinandosi al corpo del nemico.
Non voleva ucciderlo e non voleva infliggergli il colpo finale.
Aveva deciso di sedersi davanti a lui, per il momento.
“Bastardo.” Bisbigliò nei confronti del rosso che non sembrava colpito da quell’offesa.
“Ti offro l’opportunità di arrenderti.”
“Perché dovresti?”
“Perché ti ho dimostrato la mia superiorità.” Rispose, allungando la mazza verso l’avversario, quasi come se volesse aiutarlo a rialzarsi.
“Hai mai pensato che potrei arrendermi e colpirti alle spalle?”
“Non lo faresti.”
“E questo come lo sai?”
“Macchieresti il tuo onore.”
Dopo aver combattuto in tante risse, Scott aveva imparato a leggere nella mente degli altri e ne capiva il comportamento.
“Onore?”
“Quando ti hanno passato la mazza sembrava non ti piacesse usarla, ma sei stato costretto a farlo perché non ti consideravi alla mia altezza.”
“Non potevo credere che esistesse qualcuno più forte di me.”
“Vedi amico a questo mondo esiste sempre qualcuno più forte di te e questo vale anche per me.”
“È per questo che mi offri questa possibilità?”
“Sei ancora in tempo per evitare di finire all’ospedale e poi con un occhio nero tutti ti chiederanno chi è stato. Tu farai il mio nome e mi aprirai il mondo.”
“Ed io cosa ci guadagno?” Chiese, rialzandosi in piedi.
“Passeresti il tuo tempo in pace e senza seccature.”
“Ci sto.” Il rosso strinse la mano del ragazzo e i suoi amici lo aiutarono a tornare a casa.
“E ora che si fa?” Chiese Brick, mentre gli avversari si voltavano, poco prima di scomparire dietro i palazzoni.
“Nulla.”
“Potresti spiegarti meglio?” Nessuno riusciva a capire le parole del rosso.
“Se instaurassi da subito una dittatura, tutti avrebbero paura e nessuno cercherebbe più di spodestarci.”
“E quindi?”
“Io e Duncan abbiamo deciso di scogliere il gruppo.”
“Ci state dicendo che dobbiamo separarci?” Chiese con paura Tyler.
“Scott non ha detto questo.”
“Per me va bene.” Disse semplicemente Geoff, adducendo al fatto che Bridgette non era felice di sapere che il ragazzo era un rissaiolo.
Senza Geoff anche Tyler e Lightning si erano tirati indietro e ben presto anche Duncan e Brick lasciarono il gruppo.
Sarebbero rimasti amici, ma avrebbero smesso il ruolo da teppisti.
Scott aveva promesso che in caso di emergenza avrebbe chiesto aiuto, ma difficilmente sarebbe stato così.
Non voleva che pagassero per i suoi sbagli.
Avevano troppo da perdere stando con lui e lo faceva solo per il loro bene.
Dopo essersi salutati, il rosso era tornato a casa e aveva iniziato a medicarsi.
“Perché l’ho fatto?” Si chiese, mentre si riempiva di cerotti.
“Perché vuoi cambiare.”
Rispose la sua coscienza, colpendo sull’infelicità che quella vita gli provocava.
 
A distanza di pochi giorni aveva capito d’aver fatto bene a sciogliere il gruppo.
In seguito le risse erano diventate noiose.
Erano noiose quando era da solo e non osava immaginare come sarebbero state se gli altri fossero ancora stati al suo fianco.
Eppure non aveva smesso di osservarsi in giro.
Picchiava, ascoltava con disinteresse le lezioni e scrutava la situazione di tutti.
Ancora non ci credeva.
Gli sembrava impossibile che tutto potesse cambiare così in fretta.
Gli altri erano diventati degli agnellini.
Perfino Duncan si era arreso.
Era diventato un debole, ma questo non era un suo problema.
Sapeva che in caso di necessità poteva tirare fuori gli artigli.
Alcuni erano cambiati perché pensavano al futuro, altri perché avevano risolto i problemi del passato.
Il primo che gli veniva in mente era Brick.
Lui sì che era stato bravo.
Aveva modificato la sua vita.
Aveva convinto il padre sulla non trasparenza di quello strano omuncolo.
Lo aveva fatto riflettere e il suo vecchio lo aveva denunciato.
Si era andati per vie legali e il baffone aveva perso alla stragrande.
Anche la vita di Lightning era migliorata.
Dopo l’incontro con Brick e Duncan non aveva più motivo di considerarsi il brutto anatroccolo.
Aveva imparato a difendersi e a rispondere a tono.
Duncan non era più un casanova, ma era diventato selettivo.
Soffriva di pene d’amore per una ragazza dark che lo aveva stuzzicato fin da subito.
Non che a Scott importasse, ma gli indizi erano lampanti.
Si era allontanato dai suoi amici, mantenendo comunque la solita aura maligna.
Tyler era riuscito a rintracciare la bionda delle vacanze e l’aveva ritrovata all’Università.
Una svampita di prima categoria, ma con un balcone da urlo.
Quella Lindsay e quel Tyler…che genio, aveva trovato l’oro, anche se l’aveva sfruttato male durante l’estate.
Geoff?
Troppo impegnato con la sua surfista.
Erano così spaventosi.
Facevano i piccioncini ovunque e si mandavano messaggi a non finire.
Tutti avevano ricevuto ciò che volevano.
Brick aveva eliminato la figura marcia del baffone.
Lightning si era trovato buoni amici anche nel suo corso universitario.
Geoff passava le sue giornate con Bridgette.
Duncan soffriva per Gwen, la quale era ben lontana da quelle che cascavano nel letto del punk.
Era proprio il suo carattere intraprendente e poco convenzionale ad averlo stuzzicato.
Inoltre quando la vedeva rivolgersi agli altri ragazzi, stranamente avvertiva una forte avversione.
Perfino Scott aveva notato tutto ciò.
“Sei geloso.” Gli bisbigliò una volta, poco prima di fermarsi alle macchinette.
Il punk, senza smettere d’osservare la ragazza, gli si era avvicinato e lo aveva preso in disparte.
“Cosa vuoi?” Gli chiese Scott che non aveva voglia di passare la ricreazione con i suoi problemi sentimentali.
“Non sono geloso.”
“Certo…come no.”
“Dubiti della mia parola?”
“Ascolta Duncan, non m’interessa sapere cosa provi per lei, ma il tuo sguardo non mente.”
“Ah sì?”
“Vedi…se ammettessi che Gwen ti piace, non ci sarebbe niente di male.”
“È vero che mi piace, ma non sono geloso.”
“Se ti piace una ragazza, la gelosia viene da sé.”
“Se sai tutto questo perché sei single?”
“Lascia perdere.”
“Io credo che quella possa fare al caso tuo.” Riprese il punk, additando una che parlava a raffica.
“No grazie.”
“Che ne dici di quella?”
“Rompiscatole.”
“E quella?” Chiese indicando una bella preda.
“Non sono il tipo che può farsi la supplente senza problemi.”
“E quella?”
“Non sono disperato e non ho bisogno della vecchia Preside.”
“Ma cosa cerchi infine?”
“Te lo dirò quando la troverò. Guarda che se non ti sbrighi, Gwen ti lascia indietro e non vorrei che il tipo di prima si divertisse, mentre sei distratto.”
Il punk era già scappato, seguendo la ragazza e fornendo una risposta sufficiente.
Era innamorato.
Scott non si sarebbe mai comportato come quell’idiota di Duncan.
Sapeva che se avesse trovato qualcuna che gli piaceva, l’avrebbe detto subito, senza troppi giri di parole.
Peccato che nessuno l’avrebbe mai voluto.
E poi quella spada di Damocle gli pesava molto.
“Qualsiasi cosa tocchi finisce male.” Gli disse il suo lato oscuro.
Tutto ciò che finiva tra le sue grinfie faceva una brutta fine.
Forse era meglio per lui non cercare nemmeno la sua metà.
Se si fosse innamorato, sarebbe finito con il farla soffrire e non poteva permetterselo.
Preferiva non trovarla mai, piuttosto che deluderla.
Con questi pensieri si avviò verso la sua aula, dove il prof di psicoanalisi avrebbe iniziato a spiegare gli argomenti per l’ennesimo esame.
Finora ne aveva affrontati un paio e aveva sempre ottenuto un punteggio superiore ai 20 punti.
Buoni voti e pace interiore.
Avrebbe potuto fare di più, ma preferiva accontentarsi e aspettare esami più impegnativi che avrebbero dimostrato le sue capacità.
In quel periodo era ancora il teppista più pericoloso della scuola e non aveva mai smesso gli abiti da giustiziere.




Angolo autore:


Eccomi con l'aggiornamento.
Giusto per non dimenticarmene, ringrazio coloro che stanno leggendo e recensendo la storia.


Ryuk: Prossimo capitolo lundì 23.


Credo lo sappiano ormai.
Beh...non ho nulla da aggiungere.
Se non...alla prossima!
 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Due anni dopo.
In quel breve lasso di tempo Scott era ancora più malvagio.
Sembrava fosse il diavolo sceso in terra e tutti si scostavano, quando lo vedevano avvicinarsi.
Degli altri, il rosso sapeva ben poco.
Lightning aveva dato un esame dietro l’altro e si era fatto un sacco di amici, alcuni anche nell’alta società.
Tyler era diventato il fidanzato di Lindsay che, se possibile, era ancora più svampita degli anni precedenti.
Geoff non aveva smesso neppure per un attimo di essere attaccato alla sua Bridgette e Scott quando li notava, preferiva cambiare strada.
Voleva evitare a tutti i costi di ammalarsi a causa di quei due che si sbaciucchiavano allo sfinimento.
“Idioti.” Pensava, incrociando qualche tenera coppietta a scambiarsi baci e carezze.
Lui poteva dimostrare la sua forza e l’aveva già fatto innumerevoli volte, ma contro amore e cazzate simili, non poteva farcela.
Erano come funghi.
Quelle coppiette comparivano all’improvviso, per poi sciogliersi in tempi ragionevoli e per poi ricomparire con maggior vigore.
“Legare la propria vita con quella di un’altra, non può che causare problemi.”
Era su questo mantra che rifletteva in continuazione.
Perché questa è la verità.
Lui per rafforzare la sua tesi prendeva come esempio un qualche suo amico.
Se la ragazza di cui erano innamorati, fosse andata con un altro e li avesse mollati, cosa sarebbe successo?
Sofferenza a non finire e immensa delusione.
Per scacciare questi pensieri camminava per i corridoi, senza seguire una meta precisa, tornando al passato.
Era una ferita ancora fresca e sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di chiedere scusa.
Duncan, invece, era a un punto morto.
Gwen non si era ancora accorta del suo interesse e anzi finiva sempre con l’ignorarlo.
“Ciao ritardato.” Disse il rosso, passando davanti al punk, mentre questi si guardava intorno.
“Scott.”
“Hai risolto qualcosa?” Non voleva farsi gli affari dell’amico, ma voleva solo rigirare il coltello nella piaga.
“Un cazzo.”
“Come al tuo solito.”
“Non so più che fare.”
“Hai fatto come ti ho consigliato?” Chiese il rosso, appoggiandosi al muro, mentre Duncan consumava velocemente il suo panino.
“Le ho scritto una lettera, ma non mi ha neanche risposto.”
“Sei un idiota. Quando parlavo di fare qualcosa di carino, non intendevo una lettera. Sei proprio un ritardato.”
“Fottiti Scott.”
“Lo sapevo che devo sempre risolvere io i vostri problemi. Prendi per esempio Tyler…lui sì che ha trovato l’oro.” Borbottò, rifacendosi alla bella fidanzata che si era trovato.
“Ma quella è una svampita.”
“Tutte le donne lo sono almeno un po’.”
“Quindi mi stai dicendo che devo trattarla da stupida?” Mormorò il punk, evitando accuratamente di farsi sentire da una ragazza che era appena passata a pochi centimetri da loro.
“Ma sei fuori? Se lo fai ti ritrovi all’ospedale. Devi conquistarla con qualcosa di speciale.”
“E sarebbe?”
“Regalale qualcosa, offrile la merenda…insomma comportati da gentleman e non da psicopatico che vuole farsi tutte le donne di questo mondo.”
“Quindi devo mostrarle il mio lato tenero.”
“Sì, ma vedi di non piangere. Le donne amano i ragazzi che manifestano i loro sentimenti, ma detestano quelli che piangono in continuazione.”
“E tu questo come lo sai?” Il punk non poteva credere che l’amico fosse ancora single, ma questo probabilmente era dovuto alla sua pessima fama.
“Non lo so.”
“Sei sicuro che non ti piaccia nessuna della scuola?” Chiese di nuovo Duncan, rivolgendogli un ghigno.
“Non sono così disperato da cercare l’anima gemella.”
“Io sono preso molto meglio di te.”
“Quelle che ti sei portato a letto non sono anime gemelle, ma al massimo puoi considerarle come passatempi innocenti.”
“Comunque Gwen sa della mia esistenza.”
“Ma non a sufficienza.”
“Purtroppo.”
“Ehi…ho un’idea vecchio, ma tu devi reggermi il gioco.”
“E sarebbe?” La curiosità del punk era lampante, ma il piano che il rosso aveva preparato, avrebbe spinto la ragazza dall’amico.
“Fidati.” Il rosso si allontanò, lasciando Duncan perso nei suoi pensieri.
Il piano a cui aveva pensato era magnifico e quando notò la ragazza in lontananza, decise di dare inizio alla recita.
“Fottuto Duncan.” Borbottò, cogliendo di sorpresa anche Gwen che per qualche ragione, voleva sapere cosa centrasse il compagno di banco con quel tipo.
“Se entro domani non mi restituisce il prestito, lo massacro e lo mando all’ospedale.”
Bastò questo alla ragazza per tornare in classe e per chiedere spiegazioni all’amico con cui condivideva il banco.
“Ehi Duncan.”
“Che c’è Gwen, qualche problema?” Chiese seguendo, per una volta, i consigli preziosi che l’amico gli aveva dato.
“Ho sentito che hai problemi con Scott e che gli devi molto denaro, è vero?”
“Questo deve far parte del suo piano.” Pensò lui all’istante, mentre annuiva alla domanda della ragazza.
“Ho sentito che domani vuole picchiarti se non saldi il prestito.”
“Vorrà dire che dovrò difendermi.” Riprese il ragazzo, sorridendo alla ragazza.
“Ma quel teppista è pericoloso e ti consiglio di evitarlo.”
“Non preoccuparti, l’ho già affrontato diverse volte e sono sempre riuscito a tenergli testa.”
“Davvero?”
“Lo conosco dalle superiori e ci siamo mandati all’ospedale a vicenda.”
“Quanto è passato dall’ultima rissa?” Chiese, facendolo riflettere per qualche attimo.
“Alcuni anni.”
“E pensi di farcela?”
“Non lo so. Lui si è sempre tenuto in allenamento, mentre io mi sono parecchio arrugginito.”
“Allora perché non rinunci e non gli restituisci i soldi che ti ha prestato?” Domandò Gwen, abbassando appena la voce per non farsi sentire dagli impiccioni dei suoi compagni di classe.
“Gli ho spesi e non posso restituirli con facilità.”
“Mi dispiace.”
“Non preoccuparti, almeno la degenza in ospedale non sarà male se mi vieni a trovare.” Le disse, per poi avviarsi in giardino.
Quel pomeriggio Scott aveva dato appuntamento al punk nel suo monolocale e i due si ritrovarono a discutere su come uscire da quella situazione.
“Non posso vincere, altrimenti non vivrei più in pace.” Sbottò Duncan dopo che il rosso aveva discusso di una soluzione poco credibile.
“E se vinco io, non posso non farti male.” Riprese Scott, cancellando da un foglio quell’opzione assurda.
“Non potresti atterrarmi e basta?”
“Tutti sanno che quando vinco non faccio prigionieri.”
“E la soluzione sarebbe?”
“L’unica potrebbe essere la restituzione del denaro che poi ti darò indietro.”
“Ma così passerei da stupido e da chiacchierone.” Borbottò Duncan che non sembrava per niente soddisfatto dalle idee dell’amico.
“Preferisci farti picchiare a sangue?”
“Se questo significasse stare con Gwen, allora sì.”
“Sappi che sei tu a chiedermelo, ma vedi d’impegnarti.”
“Certo.”
“Avremmo bisogno però di qualcuno che sparga la voce e dovremmo iniziare solo finite le lezioni.”
“Pensi anche tu a quello che penso io?” Chiese Duncan.
“Che il marrone non è il mio colore?” Riprese, guardandosi la giacca che si era comprato qualche settimana prima.
“Lindsay e Bridgette potrebbero spargere la voce.”
“Perfetto. A domani e ricorda niente colpi bassi.”
Il punk uscì quindi dall’appartamento dell’amico, lasciando quest’ultimo intento a studiare per il prossimo esame.
Nonostante fosse impegnato a Scott lottare con Duncan non dispiaceva poi tanto.
Era l’unico rivale degno di questo nome che aveva affrontato.
Ed era l’unico che lo aveva spinto quasi al limite.
Sapeva che si era parecchio arrugginito e per rendere la sfida più interessante doveva dargli un piccolo vantaggio.
Se l’avesse affrontato al massimo delle sue capacità, lo avrebbe spazzato via dopo pochi secondi dall’inizio.
 
L’indomani in tutta la scuola era un gran parlare.
Non si parlava delle elezioni per i rappresentanti, ma della rissa che avrebbe messo di fronte i due teppisti più pericolosi della scuola.
Nessuno seguiva le lezioni, tutti erano concentrati con i loro pronostici.
C’era chi dava vincente Scott con una prestazione schiacciante e chi invece credeva ciecamente nella vittoria sofferta del punk.
“Dovete farlo per forza?” Chiese Geoff, mentre passava la ricreazione con Scott, piuttosto che con la sua ragazza.
“Ovvio.”
“E pensi che questa sia la soluzione migliore?”
“O così o Duncan diventa lo zimbello della scuola.” Riprese il rosso, alzando gli occhi al cielo.
“Vacci piano con lui.”
“Non temere…non gli farò troppo male.”
“E se Gwen intervenisse?”
“Non preoccuparti.”
“Hai pensato a tutto?” Chiese di nuovo il biondo, mentre il rosso faceva mente locale sugli ultimi dettagli.
“Certo.”
“Contenti voi.”
“Tanto lo so che non vedi l’ora di assistere allo spettacolo.” Detto questo il rosso si avviò verso la sua aula e quelle poche ore che mancavano passarono in fretta.
La campanella della fine delle lezioni era appena suonata e Scott con passo lento, ma deciso si avviava verso il cancello.
Prima di arrivarci, però, Brick e Lightning lo avevano pregato di ripensarci, ma non badò alle loro parole.
Non lo faceva per loro, lo faceva solo per Duncan.
“Hai portato i soldi?” Chiese, rivolgendosi al punk che lo aspettava con impazienza.
“Non li ho.”
“Sai cosa significa tutto ciò, vero?”
“Sì. Devo pagare questo ritardo.” Rispose con fermezza, mantenendo lo sguardo fisso sull’amico.
Il rosso si avvicinò al punk e lo fissò negli occhi prima di tirargli un debole pugno.
Duncan non si aspettava un inizio del genere e infatti alzò prontamente la guardia.
Non curandosi affatto della propria difesa, Scott continuava a colpire, scontrandosi con le mura ferree dell’avversario.
“È da tanto che noi due non lottiamo, vero?” Chiese con un ghigno Duncan, mentre il rosso continuava a studiare i movimenti prevedibili del ragazzo.
In tutti quegli anni non aveva mai cambiato strategia, mentre Scott era sempre rimasto attivo.
Cambiava tecnica in base all’avversario.
Se era un avversario agile e basso preferiva farlo sfogare per attendere il momento opportuno.
Se era uno stangone colpiva agli arti inferiori, indebolendolo poco alla volta.
Se era un armadio preferiva farlo boxare per poi colpire con rapidità.
“Sei diventato debole come una checca.”
“E tu sei cinico come l’ultima volta.”
“Passategli una mazza.” Il rosso si allontanò per pochi secondi e si rivolse a Brick che fece come gli era stato chiesto.
“E questa per cosa sarebbe?” Chiese, afferrando l’arma con forza non capendo a cosa gli servisse.
“Mi sei inferiore e non voglio una sfida noiosa.”
“Quindi mi consideri noioso?” Chiese il punk profondamente offeso.
“Le tue capacità sono noiose.”
“E quindi mi consideri un’incapace?”
“Non sei mai stato un grande combattente.”
Perfino l’abilità con l’arma che gli avevano passato era rimasta la stessa.
Sembrava che il tempo si fosse bloccato, peccato che il rosso sapesse bene come rispondere.
Conosceva alla perfezione le aperture che Duncan gli dava e per i primi colpi aveva preferito schivare ed evitare ogni affondo.
Alternava due colpi portati al busto, uno sopra alle spalle vicino alla testa e uno ravvicinato agli arti inferiori, se possibile alle caviglie.
Tutte le volte gli lasciava un spiraglio allettante e sperava che se ne accorgesse.
Peccato che non gli desse mai retta.
“Dovresti coprirti di più. Mi lasci troppo spazio sul fianco destro.” Mormorò Scott, dando tempo al punk di riprendere fiato.
“Taci!” Gli ordinò senza spaventarlo.
Un altro assalto e un ulteriore perdita d’energia.
Sembrava si divertisse a spomparsi a quel modo.
Scott voleva anche insegnargli qualcosa, ma l’orgoglio del punk era uno scoglio insuperabile.
Un ulteriore tentativo vicino alla spalla e uno sbilanciamento eccessivo che non poteva non sfruttare.
Se non l’avesse fatto potevano considerare la rissa come una farsa.
E questa era l’ultima cosa che i due volevano.
Con un veloce sgambetto l’aveva atterrato e aveva preso l’arma contundente.
“E questo mi sembra che chiuda la faccenda.” Riprese il rosso, mentre l’altro si rialzava.
“Perché non mi colpisci?”
“Perché sei debole.”
“Fallo.” Riprese, abbassando ogni difesa.
“Ti accontento.” Alzò quindi il bastone, ma quando era sul punto di colpirlo alla testa si era paralizzato per qualche secondo.
Un attimo che per Duncan sembrò un’eternità e che gli permise di disarmarlo e di recuperare l’arma contundente.
Nemmeno Scott poteva crederci.
Aveva esitato e questo era un errore che non doveva commettere in alcun caso.
“Allora non sei uno sprovveduto come pensavo.” Era l’unica cosa che poteva dire per non perdere la faccia.
Se avesse ammesso candidamente l’errore, sarebbe passato come un incapace.
Lo aveva sottovalutato, ma non era uno sbaglio grave.
“Questo incontro non è ancora finito.”
“E invece finisce ora.” I due ragazzi si voltarono verso il luogo da cui proveniva la voce e videro avanzare una ragazza.
“E tu chi sei?” Chiese il rosso, scrutandola con attenzione.
“Gwen.” Disse Duncan, sbiancando alla sua vista.
“Lascialo in pace.” Ordinò imperiosa, frapponendosi tra i due.
“Perché dovrei?”
“Combattete solo per soldi? Dimmi quanto ti deve e ti salderò di persona.”
“100 dollari.” Rispose.
“Per così poco? Tieni.” Allungò una piccola busta che afferrò con forza, riponendola nella tasca dei jeans.
“Duncan…sei proprio una pippa.” Riprese il rosso, mentre gli altri si allontanavano annoiati.
“Taci.”
“Se ti piace così tanto difenderlo perché non vi mettete insieme? Siete più uguali di quanto non sembri.”
“Perché?” Chiese il punk, fissandolo negli occhi.
“Credi che non osservi che giri fanno i miei soldi? Dovresti spiegarmi cosa ci facevi una settimana fa nel negozio di profumi.”
“Non posso.”
“Devo pensare che hai speso i miei soldi per la tua ragazza?” Chiese, facendo arrossire Gwen per qualche secondo.
“Non sono la sua ragazza.”
“Invece credo che sia così. Ora me ne vado, ma ricordate una cosa. La prossima volta non sarete così fortunati e se non finite ciò che iniziate, potreste finire male.”
Il rosso si avviò quindi verso casa, lasciando i due giovani ai loro impegni.
L’indomani venne a sapere da voci sicure che il punk e la dark erano usciti insieme e avevano passato tutto il pomeriggio a chiacchierare.
Secondo voci altrettanto certe, Duncan e Gwen erano una coppia quasi fissa e i due erano usciti a braccetto anche al termine di quelle lezioni.




Angolo autore:

Sono leggermente in ritardo, ma pazienza.


Ryuk: Tartaruga.


Non ho tempo da perdere con uno shinigami idiota e quindi a giovedì.
A presto.
 

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


“Buongiorno.” Disse, presentandosi alla vecchia Preside, mostrandole anche i pochi documenti che gli avevano consegnato nella sua vecchia scuola.
“Per quale motivo si è trasferita in questa scuola?” Chiese la donna, curiosando nel dossier della fanciulla.
“Ero vittima di bullismo e non riuscivo più a stare in pace.”
“Capisco.”
“Credo che i programmi siano piuttosto simili.” Borbottò la ragazza, mentre la Preside continuava a fare ricerche, osservando anche il computer.
“Sì, terzo anno Psicologia, sezione C, può iniziare da oggi.” Disse, porgendole la cartellina e facendole strada per il corridoio.
“C’è qualcosa che dovrei sapere della mia nuova classe?”
“Sono tutti bravi ragazzi, ma tieniti alla larga da quello con i capelli rossi.”
“Perché dovrei?”
“Perché è molto pericoloso.” Dopo questa spiegazione sommaria la ragazza preferì zittirsi.
Se era stato ritratto in quel modo così orribile, forse era il caso di seguire il consiglio della Preside.
La donna bussò con forza alla porta dell’aula in questione, costringendo il professore ad aprire.
Si ritrovò davanti la Preside che affidò alle sue cure la ragazza.
“Nuova ragazza, falle conoscere la classe.” Disse semplicemente, poco prima di tornare al suo ufficio.
Il professore rientrò con affianco la giovane e dopo aver controllato il suo nome sul registro, iniziò con le dovute presentazioni.
“La signorina Holsen si è appena iscritta al nostro corso e dovete avere pazienza dato che è appena arrivata.”
Tutti annuirono convinti, ad eccezione di Scott che era troppo preso a dormire per accorgersi di qualcosa.
Si svegliò solo quando aveva sentito il professore fare il suo nome.
“Ti siederai vicino a Scott, quel ragazzo con i capelli rossi.”
La ragazza, dalla faccia che aveva fatto, non era felice di quella disposizione, ma seguendo le indicazioni dei compagni e la zazzera di quello strano colore, finì con il sedersi vicino al ghiro.
Lui le rivolse una breve occhiata, troppo breve, perché lei se ne rendesse conto.
Non era la prima volta che le capitava di condividere il banco con un compagno con quell’aspetto, anche se quest’ultimo aveva passato l’intera lezione a dormire.
Sapeva che i ritardati dei suoi compagni non avevano capito la spiegazione del prof e tanto l’avrebbe ripetuta per ancora una settimana.
Tutto per dare loro tempo d’imparare bene quell’argomento e per permettere alla neo-arrivata d’inserirsi.
Fu quando lei si alzò che lui sollevò lo sguardo dal banco.
Poteva vedere indistintamente la figura del prof che sistemava la cartellina e che veniva raggiunta dalla compagna.
“Scusi, ma avrei bisogno di una mano con lo studio.” Borbottò lei, mentre il professore si toccò l’ispida barba e osservando i banchi rimasti vuoti durante la ricreazione, trovò il ragazzo perfetto.
“Scott è il migliore della classe e se lo prenderai per il verso giusto, non ti dirà di no.”
Era la seconda volta in poche ore che la fortuna l’aveva abbandonata.
Passi essere capitata nella stessa aula del teppista più minaccioso della scuola, ma essere la sua compagna di banco e aver bisogno del suo aiuto iniziava a essere troppo.
“Non c’è nessun…”
“Se vuoi avere una possibilità solo Scott ti può aiutare.”
“Ma la Preside ha detto…”E venne interrotta di nuovo dal professore che non capiva il motivo di tanta paura.
Scott non gli aveva mai suscitato il benché minimo timore e credeva che tutte le voci che si sentivano a scuola fossero inventate.
“Lei non conosce il ragazzo e ti garantisco che con lui non correrai alcun pericolo.”
“Se lo dice lei.”
“Vede signorina, Scott è quello che non è.”
Abituata com’era ai suoi pensieri contorti, non aveva capito nulla di quelle poche parole e fissava l’insegnante alquanto dubbiosa.
“Cioè?”
“Lo capirà da sola.”
Detto questo anche il professore era uscito, lasciandola con la sola compagnia di Scott che dall’ultima fila continuava a dormire.
Lei non sapeva se accettare quel consiglio, ma se era bravo come si sentiva in giro, allora era in buone mani.
Si avvicinò e si sedette al suo posto, senza smettere un attimo di fissarlo.
“Cosa ti serve Dawn?” Sussurrò il ragazzo, sentendo il suo sguardo addosso e senza spostarsi nemmeno di un millimetro.
“Ci conosciamo?” Chiese lei visibilmente preoccupata.
“Bel modo di salutare un vecchio compagno delle medie.” Rialzò la testa, sbadigliando e spostò i suoi occhi grigi sulla ragazza che non vedeva da una vita.
Era cambiata molto in quegli anni.
Si era fatta leggermente più alta e non credeva che quel tappo potesse diventare una donna.
“Scott?”
“Ti ricordi di me, bene.” Non si aspettava un abbraccio da parte sua, anche perché era l’unica ragazza che l’avesse mai fatto.
Nessuno lo aveva mai notato in compagnia di una ragazza e l’improvvisa comparsa di Dawn avrebbe potuto far crollare il suo castello di carte.
“Come potevo dimenticarmi di te?”
“Sono passati molti anni e non si può pretendere nulla dal tempo.”
“Colpa tua che non ti sei più fatto sentire.”
“Già.”
“A proposito, dov’eri finito?”
“Ho avuto delle faccende da risolvere.”
“Davvero?”
“Molti problemi fastidiosi.”
“È per questo che non mi hai più chiamato?” Chiese con tono seccato.
“Non sapevo cosa dirti e cosa inventarmi.” Borbottò il giovane, mentre lei si era subito rasserenata.
“L’importante è esserci ritrovati.”
“E la tua salute?” Chiese, ricordandosi della salute cagionevole della ragazza.
“Perfetta.”
“Non sei cambiata affatto.”
“Nemmeno tu sei cambiato rispetto alle medie.” Mormorò la ragazza, risedendosi al suo posto.
“Io sì, ma tu sei sempre uguale.” Riprese il rosso, alzandosi dal posto e gettando nella pattumiera l’involucro della merenda.
“Non è vero, anch’io sono cambiata.”
Scott non riusciva a capire quell’improvviso cambiamento.
Quando l’aveva detto lui, aveva sempre annuito, ma affermando che era cresciuto, in automatico anche lei voleva che la riconoscesse come una donna.
“Nel corpo, ma non nello spirito.”
“Qui ti sbagli…sono stata vittima di bullismo nella precedente Università e ho cambiato sede solo per restare tranquilla.”
“E ti sei trovata con un amico teppista in mezzo ai piedi.” Riprese con un sorriso appena accennato.
“Amico sì…teppista non credo.”
“Comunque sia, se ti serve un aiuto in qualcosa non esitare a chiedere.”
“Avrei bisogno di un aiuto con le materie.”
“Lo immaginavo.”
“Ti pagherò per il tempo che perderai.”
“Non occorre.”
“Ma io…”
“Ascolta Dawn. Credo che dopo la faccenda della tua vecchia scuola tu abbia paura, vero?” Le chiese, tornando a sedersi, incrociando gli occhi chiari della ragazza.
“Un po’.”
“Da oggi ti aiuterò, fino a quando non sarai in grado di cavartela.”
“Non vorrei esserti d’impiccio.”
“Figurati, saresti la prima ragazza che ho come amica in questo posto.”
“E le altre?”
“Sono un teppista e non c’è nessuna che mi voglia.” Rispose, buttando al suolo la cartella con i libri, mentre lei ridacchiava divertita.
“Quindi? Tu da me o io da te?” Domandò lui.
“Se non ti dispiace vorrei studiare nel tuo appartamento. Da me c’è troppo casino e non riesco a concentrarmi.”
“Come preferisci.”
I due restarono a parlare per tutto il tempo del percorso universitario e di come era stato il periodo delle superiori.
Lei era stata per cinque anni alla Greidos, una scuola di ragazzi prodigio con una media altissima.
Ne era uscita benissimo per poi finire in una sede universitaria da incubo.
Ragazze che sembravano più delle puttane con minigonne e tacchi a spillo e che si facevano chiunque.
Le loro prede erano in particolare i prof che potevano corrompere per un voto migliore nelle prove.
I ragazzi sembravano tutti fatti e strafatti e quelli che volevano sciogliersi dalla catena, erano disturbati a non finire.
Per alcuni anni era stata la vittima sacrificabile, ma dopo un periodo di esaurimento nervoso, la madre aveva deciso di cambiare scuola.
Si era informata e aveva sentito della Bredford Institute dove la figlia avrebbe passato un periodo di pace.
“E così sei passata con un 95? Solita secchiona.” Borbottò lui, facendola ridere di gusto.
“E tu?”
“62 maledetti punti.” Rispose, facendola ridere ancora di più.
“Ti sembra divertente?” Chiese, mentre lei non riusciva più a trattenersi.
“Scusa…è solo che alle medie mi eri superiore e mi sfottevi in continuazione.”
“Lo sapevo che non dovevo comportarmi da idiota.”
“E ora mi sei di nuovo davanti.” Riprese lei, mentre lui seguiva più i suoi discorsi che le chiacchiere del prof di Psicologia.
“Ma questo solo perché sei capitata in una scuola di mostri.”
“Lo so.”
“Se ci fossi stato io quella scuola non ti sarebbe sembrata un Inferno e avrei demolito quelli che ti scassavano.”
“Non importa, il passato ormai è andato. Ora guardiamo al futuro.”
“Hai ragione.”
Per qualche minuto si erano zittiti, solo per seguire un ragionamento piuttosto complesso del professore.
Una cosa che per loro era abbastanza elementare e infatti Dawn lo distolse dai libri per porgli un’altra domanda.
“Ti sono mancata?” Domandò, facendolo sussultare.
“Sì.”
“Alla fine sei più tornato a vedere i vecchi prof?”
“Ogni volta che volevo farlo, qualche imprevisto me lo impediva.”
“Ho capito.”
“Cosa volevi chiedermi infine?”
“Lo hai più visto Mike?” Chiese di nuovo lei, mentre lui riponeva un libro nello zaino.
“È da una vita che non lo vedo. Perché me lo chiedi?”
“Perché si è messo con Zoey.”
I due ragazzi di cui stavano parlando, erano gli unici ex compagni delle medie che non stavano sulle palle a Scott.
“Incredibile, il mondo si fa sempre più strano.”
“L’ho pensato anch’io quando me l’hanno detto.”
“Per quanto tempo pensi che riusciranno ad andare d’accordo?”
“Non vorrai provarci con Zoey spero.” Ridacchiò divertita, mentre lui la fissava con una strana aura.
“Ma neanche se fosse l’ultima donna del Pianeta.”
“Pensavo rispondessi di sì.”
“No grazie, preferisco evitare.”
Il rosso si stava rendendo conto che in tutte quelle ore ciò che gli era mancato in tutti quegli anni, era qualcuno con cui chiacchierare e Dawn non era noiosa come Bridgette e Lindsay.
Per fortuna che le aveva ascoltate poco, altrimenti sarebbe andato via di testa.
Una fissata con la tavola da surf e con la protezione di povere bestioline indifese, mentre l’altra troppo occupata con il suo corso di Moda e per studiare i nuovi abiti e rossetti.
Troppo noiose per i suoi gusti.
Quelle poche ore volarono in fretta e i due si ritrovarono a passare per il parco che Scott usava come scorciatoia.
“Chi è quella?” Chiese Duncan, notando i due avviarsi fuori dal cancello, chiacchierando e ridendo come matti.
Non aveva mai visto l’amico così e credeva seriamente di aver preso un abbaglio.
“Un’amica di Scott.” Rispose prontamente Brick.
“Ma quello non ha amiche.”
“È quella che è appena arrivata per il corso di Psicologia.” Si ritrovò a dire Gwen.
“Sembra che vadano d’accordo.” Borbottò il punk, mentre la dark si attaccava al suo braccio.
“Mai sottovalutare il rosso.” Mormorò Geoff che si era appena unito all’allegra combriccola.
“Suvvia Geoff, non potrà mica fare il teppista per tutta la vita.” Sbuffò Tyler.
“Infatti era ora che mettesse la testa apposto.” Ghignò Brick senza convincere del tutto il biondo.
“Per me vi sbagliate e Scott la considera solo come una vecchia amica.” Nicchiò Duncan.
“Parla quello che ci ha messo anni per mettersi con Gwen.”
“E quando ha usato quello stratagemma? Davvero patetico.” Ridacchiò Tyler che era giunto al momento opportuno per sentire tutto il dialogo, ma che aveva preferito starsene in silenzio.
“Quale stratagemma?” Chiese Gwen, guardando tutti gli amici del suo ragazzo.
“Non ti ha detto niente?”
“Cosa doveva dirmi Brick?”
Duncan non sapeva come uscirne vivo e sperava di trovare una scappatoia da quella situazione imbarazzante.
“Forse che la rissa con Scott era prevista e si erano messi d’accordo in precedenza?” S’intromise Lindsay, mentre il punk la fulminava con lo sguardo.
Era proprio questo che voleva evitare.
Non voleva che la sua love story con Gwen naufragasse per un’innocua bugia.
“È vero Duncan?” Domandò, spostando lo sguardo verso gli altri e facendogli intendere che dovevano sloggiare.
Quella che era sempre stata una certezza per la dark si era trasformata in un’immensa fregatura.
Ora voleva solo confrontarsi con lui e aveva bisogno d’essere tranquilla e senza gente intorno.
“Sì.”
“Perché l’hai fatto?”
“Volevo che ti accorgessi di me e non volevo essere ignorato. Credevo avresti cambiato idea sul mio conto se Scott mi avesse picchiato un po’ e per restare con te ero pronto a tutto.
Quando ti ho detto che ti amavo, mi hai riso in faccia e credevo l’avresti fatto di nuovo.
Poi sei intervenuta e la tua compagnia mi ha riabilitato del tutto.”
“Hai finito?” Chiese la ragazza.
“Sì.”
“Come pensi di esserti comportato nei miei confronti?”
“Come un idiota.”
“E avresti fatto tutto questo solo per me?”
“Sì.”
Il punk non aveva nemmeno il coraggio di alzare la testa e quando la vide allontanarsi, aveva capito che non aveva più speranze con lei.
“Ehi cosa ci fai ancora lì? Non vieni con me al bar?” Gli chiese con un sorriso, mentre lui assumeva un’espressione da beota.
Senza farselo ripetere due volte la raggiunse e i due si avviarono verso il solito bar.
 
Scott aveva sempre pensato che le ragazze fossero delle scocciature pettegole e doppiogiochiste, ma aveva capito di aver esagerato.
Aveva riunito nella stessa categoria tutte quelle con cui aveva avuto a che fare.
“Scott e la tua fidanzata?”
“Cos’è questa mania, vi siete messi tutti d’accordo?”
“Non è una mania…volevo solo parlare.”
“Sì scusa hai ragione. Non ho nessuno in mezzo alle scatole, ma tanto meglio così. E tu?”
“Io? Direi nessuno che merita il mio tempo.”
“Ma c’era qualcuno, vero?”
“No. Forse un’amicizia, ma niente d’eccezionale.”
“Capisco.” Borbottò poco prima di varcare il cancello del parco pubblico.
“Riguardo la scuola, devi sapere che il prof di oggi era il migliore della nostra sede.”
“E la Preside?” Chiese la ragazza che voleva sapere il motivo per cui lo considerasse un teppista.
“Mi considera un teppista solo perché le ho versato addosso per sbaglio un po’ di caffè.”
“E tu lo sei?”
“Non posso sapere cosa sono, sono le persone che mi circondano che devono deciderlo.”
“E tu come mi consideri?” Mormorò la ragazza, mentre lui continuava a guardare davanti a sé.
“Sei l’unica persona che mi considera come un essere umano e questo lo apprezzo molto.”
“Quindi?”
“Mi stai dando una possibilità: cosa che gli altri non avrebbero mai fatto.”
Non si aspettava da lui quella risposta, ma non le importava.
Lui non era il teppista che dimostrava, ma c’era un qualcosa che cercava di nascondere con tutte le sue forze.
Quella maschera psicologica che aveva applicato sul suo volto avrebbe fregato chiunque, ma non lei.
E solo ora comprendeva le parole del professore di Psicologia.
Anche lui doveva esser riuscito a capire qualcosa e per questo motivo profetizzava la calma.
Fu, però, quando alzò lo sguardo e osservò oltre una panchina che la felicità di quelle poche ore svanì.
Quello non doveva essere lì.
Era lui il motivo per cui si era trasferita.
E iniziò a tremare.






Angolo autore:


Lo so, lo so: questa volta sono puntuale.
Pubblico ad un orario decente e non alle 21-22.


Ryuk: Sei sempre così impegnato.


Finalmente un po' di suspence.
E chi sarà a far tremare Dawn?
Di certo non il mio prof d'Elettrotecnica (ma questa è un altra faccenda).


Ryuk: Niente spoiler, prego.


Già, già.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito la storia fino a questo punto.
Voi su chi puntate (chi sarà mai quello che non doveva essere presente)?


Ryuk: Boh...


Non mi dilungo troppo.
Vi saluto e prometto di pubblicare per lunedì.
Alla prossima.
 

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Non poteva credere ai suoi occhi.
Piuttosto di vedere quel bastardo avrebbe preferito cavarsi gli occhi, tanto quella faccia gli faceva schifo.
Credeva che la lontananza fosse la pietra tombale per quel rapporto che lui credeva d’aver stabilito.
Era convinta che data la distanza di quasi 25 chilometri tra le due scuole, lui non si sarebbe fatto più vivo e non l’avrebbe più seguita per tutto il tempo.
E invece, puntuale come solo uno stalker potrebbe essere, eccolo al vecchio parco.
Iniziava a dubitare perfino di Scott e credeva che i due fossero in combutta tra loro.
Sapendo che usava sempre la stessa scorciatoia credeva che il rosso l’avesse venduta al nemico.
Il bastardo che era comodamente seduto alla panchina, intento a fumare, le aveva rovinato la vita e nemmeno quando era a casa, protetta dal mondo esterno, riusciva a stare in pace.
Quello la bersagliava di telefonate e aveva cercato diverse volte di sbarazzarsi di quel tipo.
Aveva provato con una denuncia per stalking.
Risultato: zero.
Aveva avvertito la polizia, ma quelli non avevano alzato un dito.
Mancavano le prove o qualcosa di simile avevano borbottato gli agenti.
Rimasta con un palmo di naso l’unica possibilità era quella di ignorare l’aguzzino con pessimi risultati.
Aveva cambiato numero di cellulare almeno 5 volte e lui riusciva sempre a ricontattarla.
Lo detestava e per lei era strano provare simili sentimenti.
Non odiava nessuno, ma quello era in grado di risvegliare tutta la sua rabbia.
Sperava che lo lasciasse in pace non appena avrebbe visto il rosso, ma quello, dopo essersi accorto della sua presenza, sfidava Scott con lo sguardo.
“Lo conosci?” Chiese il rosso che aveva intuito che c’era un qualche problema.
Mai nessuno l’aveva sfidato da lontano in quel modo, ma il giovane non avrebbe mai abbassato lo sguardo nei confronti di un marmocchio troppo cresciuto.
Lo aveva capito dalla sua reazione che giudicava eccessiva.
Tremava come una foglia, non parlava più e cercava di distogliere lo sguardo da qualsiasi cosa.
E l’unico che poteva ridurla così era quello lì.
“È il motivo per cui mi sono trasferita.” Borbottò, piagnucolando.
“Ho capito.”
Scott aveva inteso la situazione, ma credeva che quello non avesse spina dorsale per affrontarlo.
Infatti oltrepassò la panchina indenne e fu quando si girò che la vide bloccata da quel tizio.
Sapeva che era spaventata, indifesa e incapace di reagire.
Non serviva che glielo chiedesse e infatti tornò subito indietro.
“Cosa pensi di fare?” Il rosso non aveva intenzione di attaccare briga, ma quello andava in cerca di rogne.
“Fatti i cazzi tuoi.”
Lei non parlava, immobilizzata dalla stretta e osservava i due ragazzi che si scannavano con lo sguardo.
“Sono cazzi miei dato che lei è una mia amica.”
“Questa puttana sarebbe cosa?”
“Ascolta non so cosa ti abbia fatto, né tantomeno so cosa gli hai fatto tu, ma se non la lasci, ti farò molto male.” Continuò, mostrandogli un ghigno poco rassicurante.
“Questa puttana era di mia proprietà e lei ha deciso di andarsene perché non voleva la mia compagnia.”
“Io non ti volevo.” Bisbigliò appena, rendendosi udibile a fatica.
“Hai sentito? Lasciala in pace.”
“Lei non ha la libertà di dire queste cose perché è la mia bambolina e non può rifiutarsi.” Strinse quindi con maggiore forza il polso, facendola quasi urlare.
Dawn non voleva dargli la soddisfazione di piangere, ma si sentiva nei guai.
Iniziava a credere che Scott non volesse difenderla e stava sommando sempre più dolore.
“Ora basta.” Scott caricò il braccio e il suo pugno si stampò sul volto del ragazzo.
Con quel colpo perse per un breve istante il controllo del suo corpo.
Un attimo più che sufficiente perché allentasse la presa e che aveva permesso alla ragazza di rifugiarsi alle spalle del rosso.
Lei aveva capito di averlo giudicato in fretta e poi l’amico non abbandonava mai nessuno in difficoltà.
Era questo che le piaceva, uno dei grandi pregi che lei aveva sempre ammirato.
Metteva sempre il bene degli altri prima del suo, spesso a scapito della propria felicità e salute.
Le voci della scuola, se erano vere, potevano essere in grado di calmare quel bastardo.
In fin dei conti Dawn non voleva poi molto: ricercava solo un periodo di pace e che quell’incubo avesse fine.
“Hai segnato la tua condanna a morte.” Riprese l’altro, rialzandosi a fatica e sputando un filotto di saliva mischiata con il sangue.
“Me lo dicono tutti, ma poi puntualmente mi deludono.”
“Tu non sai con chi hai a che fare.”
“Dimmi qualcosa che non so.”
“E tu, puttana, sappi che finirai male. Questa è una promessa.”
“Provaci se ci riesci.” Lo sfidò Scott, avanzando un po’ e iniziando a studiare quella nuova seccatura.
Inizialmente tentò con una serie di affondi, evitando al minimo la possibilità di scoprire il fianco.
Aveva ottimi riflessi e dopo qualche pugno mal portato, decise di stare un po’ sulla difensiva.
Voleva conoscere la sua resistenza e voleva fiaccarlo un po’.
Per la prima volta lottava seriamente per qualcosa o meglio per qualcuno.
Era la prima volta da quando era un teppista che s’impegnava per una persona che non fosse sé stesso.
E per la prima volta non gliene fregava nulla della fama: voleva solo vincere per proteggerla.
“Quella puttana non merita di vivere.” Borbottò l’avversario, mentre Scott s’incupiva.
“Cosa ti ha fatto?” Chiese il rosso, sapendo che così faceva il gioco dell’avversario.
Gli avrebbe permesso di recuperare fiato ed energie, ma al contempo avrebbe trovato una buona strategia con cui spiazzarlo.
“Mi ha rifiutato e non mi ha dato nessuna possibilità.”
“Non eri il mio tipo.” Disse semplicemente la ragazza per difendersi dalle accuse dello stalker, ma lui la zittì con lo sguardo.
“L’hai sentita?” Riprese offeso l’altro.
“Non capisco come tu possa vivere sputtanandoti in questo modo. Se avessi la tua brutta faccia, finirei con il desiderare di non essere mai nato.” Riprese il rosso, guardando disgustato il tizio che aveva davanti.
Sentendo quelle parole, l’altro era scattato come una molla e aveva cercato di colpirlo, cogliendolo di sorpresa.
Gli tirò un pugno, aprendogli una vecchia ferita sulla fronte, costringendolo a inginocchiarsi.
Il moro convinto d’aver vinto, si era avviato sicuro verso la sua preda.
Era convinto che il rosso si fosse già arreso, ma Scott non aveva nemmeno cominciato.
L’altro invece, orgoglioso e fiero, aveva estratto un coltello e si era avvicinato a Dawn con l’intento di vendicarsi e di minacciarla.
Nel vedere ciò lei si era come paralizzata, mentre Scott si era subito rimesso in piedi, ricoprendo la distanza che l’altro aveva lasciato tra loro.
“Il solito codardo che minaccia le donne. Mi fai pena.” Disse, tirandogli un pugno alla schiena.
Colpire alle spalle, per lui, era sempre stato un atto disonorevole, ma ora non gliene fregava un cazzo delle regole.
“Sei un codardo.” Riprese l’altro rialzandosi in piedi.
“Potrai darmi lezioni di coraggio solo quando la smetterai di andare in giro con il coltello. È più codardo uno che usa un’arma contundente piuttosto di uno che colpisce da disarmato alle spalle.”
“Tutte balle.”
“Credi in quello che ti pare, ma dopo oggi, nessuno ti riconoscerà più.”
Il moro si aspettava, quindi, un assalto, ma quella non era la strategia del nemico.
Scott voleva solo restare sulla difensiva, per il momento, cercando qualcosa con cui sconfiggerlo.
In tutto ciò la situazione si era come calmata.
Entrambi non osavano muoversi e Dawn continuava ad osservare la scena da dietro un albero.
Scott manteneva una guardia alta e molto attenta e il nemico aveva utilizzato la strategia a specchio.
Strategia che il rosso conosceva a menadito.
L’aveva patita una volta contro un avversario delle superiori, ma era riuscito a fregare anche quel pollo.
Poteva rimanere così anche per mezzora, ma l’altro aveva una fretta indiavolata e infatti sbuffava in continuazione.
Senza il minimo preavviso si era fatto sotto di nuovo con uno scatto fulmineo, ma con altrettanta rapidità si era svincolato dalla contromossa del rosso e correva verso la ragazza.
“Che codardo.” Si ritrovò a dire, mentre lo inseguiva per la seconda volta.
Sapeva che stava facendo il gioco dell’avversario, ma non si aspettava una strategia così furba.
Dapprima aveva sprintato per poi rallentare di colpo.
Credeva fosse stanco, ma aveva toppato alla grande.
Quando il rosso fu a portata di tiro, il moro si girò e lo colpì al volto, beccandolo sulla bocca e facendogli sputare molto sangue.
Quella era una mossa che non aveva considerato, ma non aveva riscontrato troppi danni.
Il moro continuò con i soliti pugni, ma non avevano più l’intensità dell’inizio.
Erano notevolmente calati di potenza e forse non era il fenomeno che si credeva.
Non sembrava abituato alle risse e dopo qualche colpo portato con successo, iniziava ad avere il fiatone.
Nemmeno i suoi vecchi amici erano così malmessi e sembrava un piccolo felino che cercava di ruggire.
Era di una tenerezza disarmante, ma il rosso non si faceva commuovere per così poco.
Infatti Scott si avvicinò, eludendo i pochi colpi che riusciva a sganciare e iniziando a colpirlo come una furia.
Non badava a dove colpiva e il moro iniziava a mostrare i primi segni di resa.
Una guardia sempre più bassa, un viso costellato di ematomi e lividi: questi erano indizi più che lampanti.
Scott lo stava distruggendo.
Con una delle poche mosse che aveva imparato a judo, era riuscito a metterlo KO e lo fissava con un ghigno di superiorità.
“Ti prego.” Bisbigliò, mentre il rosso si avvicinava con lentezza.
“Dovevi pensarci prima d’iniziare.”
“Tienitela pure quella, non m’interessa più.”
“Mi stai dicendo che non le romperai più le scatole?” Chiese il rosso, mentre l’altro cercava, senza riuscirci, di tirarsi in piedi.
“Sì, la lascerò in pace.”
“In tal caso ti darò un incentivo in più per non disturbarla.”
Scott raccolse quindi lo zaino che aveva lasciato in parte e lo aprì, tirando fuori una spranga di ferro.
Dallo zaino del nemico estrasse il cellulare e dopo averlo appoggiato al suolo, lo colpì diverse volte, riducendolo in polvere.
“Ops, quello doveva essere il tuo cellulare.” Gli gettò quello che restava della SIM e della batteria a pochi centimetri dal volto.
“Perché l’hai fatto?”
“Così non potrai disturbarla, ma non ho finito.”
“Che vuoi farmi?” Chiese, mentre Dawn poco per volta usciva dal suo nascondiglio.
Osservava con attenzione le mosse sicure e imprevedibili del rosso e nonostante le lezioni di Psicologia non comprendeva i suoi pensieri.
“Ti metto in guardia.” Detto questo tirò fuori il coltellino che aveva tolto al ragazzo e dopo essersi seduto sopra di lui, lasciò qualche lieve taglio sul volto del giovane.
“Sappi che se dovessi venire a sapere che Dawn viene ancora disturbata dalla tua presenza, ti ucciderò.”
Quella minaccia era più che sufficiente e si rialzò dal corpo ferito del nemico, riponendo la spranga nello zaino.
Gli rivolse un ultima occhiata e dopo aver raccolto la cartella e tenuto il coltellino come trofeo di guerra, si avviò verso il suo appartamento, seguito dalla ragazza.
 
Quest’ultima da quando l’aveva visto, credeva che nemmeno Scott riuscisse a tenergli testa.
Nemmeno quando uscirono dal parco lei si era tranquillizzata e anzi si guardava ossessivamente alle spalle.
Aveva una paura matta che quello si fosse rialzato e li stesse seguendo.
Il rosso non dubitava affatto del suo lavoro e sapeva che non si sarebbe mai tirato su.
Qualcuno avrebbe dovuto chiamare l’ambulanza e quel brutto ceffo per un po’ sarebbe stato impegnato.
Si sentiva sicuro e potente.
Inoltre al moro non conveniva andare alla polizia.
Primo perché la denuncia gli si sarebbe ritorta contro.
Secondo perché c’era la testimonianza di Dawn.
Terzo perché aveva agito per legittima difesa e in ultimo la madre della ragazza sapeva cosa aveva patito la figlia ed era pronta a combattere legalmente per la sua integrità.
“Ti ringrazio Scott.” Si erano appena seduti a un tavolino di un bar, data l’improvvisa stanchezza del rosso.
Lei non aveva perso tempo a pulirgli la ferita con alcuni fazzoletti di carta, mentre lui continuava a ripetere che non serviva e che stava benissimo.
“Tranquilla.”
“Ma per colpa mia ti sei ferito.”
“Non preoccuparti, l’ho fatto con piacere.”
“Aspetta…vieni qui.” Il ragazzo non capiva cosa volesse e infatti allungò la testa nella sua direzione.
“Il mio salvatore merita un premio e quindi…”
Per ringraziarlo lo aveva baciato su una guancia e lui sentendo quel dolce contatto si era ritratto imbarazzato.
Se qualcuno lo avesse visto, si sarebbe rovinato la reputazione.
Però non era male ricevere un premio di quel genere e le rivolse un altro sorriso.
“Non so che dire…grazie.”
“Suvvia Scott, non mi dirai che nessuno ti ha mai baciato.”
“Se non ho mai avuto la ragazza vuol dire che nessuno mi ha mai baciato.” Era un pensiero così semplice che credeva logico anche per lei.
“Non ci avevo pensato.”
“Lo immaginavo.”
Scese un silenzio imbarazzante sui due, interrotto solo dall’arrivo di un cameriere che voleva recuperare gli ordini.
Quando l’insospettabile cameriere dalla chioma viola scomparve, Dawn si era fatta convinta che fosse il caso di raccontare la parte di storia che aveva accuratamente nascosto.
“Senti Scott…”Da come aveva cominciato doveva trattarsi di una faccenda seria e il rosso la guardava con attenzione.
“Non qui.” Le disse semplicemente, mentre lei non capiva riguardo cosa si fosse incupito.
“Volevo…”
“Se vuoi parlarmi di quel tipo è meglio farlo a casa mia. Ci sono troppe persone che ascoltano e non voglio che vengano a sapere di questa faccenda.”
La ragazza non ci aveva pensato, ma era stupita dalla scelta di Scott.
Gli doveva una spiegazione, ma aveva l’aria di uno che non si faceva troppi problemi ad ignorare qualcosa.
Anche se lei avesse combinato un guaio, il rosso l’avrebbe sempre difesa perché era la prima regola che rispettava.
Sostenere sempre gli amici.
 
Era cambiato molto dal periodo delle medie.
Così timido, insicuro, impacciato e dopo tanti anni aveva trovato il coraggio e si era fatto intraprendente.
E anche la carineria di considerarla un’amica e di proteggerla dall’idiota di prima.
Inoltre si era impegnato di badare a lei e di prenderla sotto la sua ala protettiva.
E infine aveva pagato anche il pranzo a base di toast.
Era davvero un bravo ragazzo e Dawn si sentiva protetta stando con lui.
Dopo essersi rialzati, si avviarono verso l’appartamento del ragazzo che distava circa 10 minuti.
Non voleva farsi gli affari di Scott, ma l’unica cosa che le sembrava strana era che avesse adottato quel comportamento violento.
E ancora più strano le sembrava che non tornasse alla sua fattoria.
Sapeva quanto fosse legato alla sua collina e alla sua famiglia, ma non poteva conoscere la verità.
Lui aveva capito che si era trovato una ragazza curiosa come poche, ma non gl’importava.
Non l’avrebbe mai sostituita perché Dawn era unica.
Nessun’altra ragazza era così.
Nonostante l’immensa fiducia che riponeva nella giovane, Scott si era ripromesso di non dirle nulla.
Non voleva rovinarle l’esistenza…non a causa di ciò che aveva provocato.
“Se lo venisse a sapere perderei anche lei.” Pensò poco prima di aprire la porta, mentre lei aspettava con calma che Scott la invitasse a entrare.
Dawn aveva accettato il suo invito anche per un altro motivo.
Oltre a volergli raccontare il suo passato, voleva conoscere i dettagli della storia dell’amico.
E si era ripromessa che non se ne sarebbe andata fino a quando non avesse capito qualcosa.
Comunque si fosse concluso quel pomeriggio Dawn sapeva che sulla segretezza di Scott poteva sempre contare.










Angolo autore:


Questa volta io e Ryuk siamo di fretta e non siamo riusciti a rileggere nemmeno mezza riga.


Ryuk: Studio e influenza non si conciliano poi molto bene tra loro.


Ed eccoci qui: privi di energia e senza voglia di fare.
Comunque vi ringrazio per aver recensito gli scorsi capitoli e spero per giovedì di tornare in buona forma.


Ryuk: Smettila di scrivere e pubblica che sono stanco.


Ok.
Alla prossima!
 

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Capitolo 10
*** Cap 10 ***


I due si accomodarono quindi sopra il letto del ragazzo, non prima che Scott mettesse un po’ ordine nel suo appartamento.
In quei pochi istanti di silenzio, Dawn non aveva trovato nessun punto di partenza.
Prima d’entrare, quando erano ancora al bar, si era preparata un certo discorsetto, ma questo era subito naufragato.
Tra l’ambiente protettivo in cui si trovava e il suo sguardo magnetico, lei aveva dimenticato ogni cosa.
E pensare che l’aveva ripetuto diverse volte e sembrava sempre filare alla perfezione.
Credeva fosse facile ammettere la verità e liberarsi di un peso opprimente, ma in verità le risultava quasi impossibile.
Scott non aveva ancora calcato la mano solo per timore di ferirla e anche perché non si era mai trovato nella condizione di dover consolare qualcuno.
Tuttavia non potevano passare il pomeriggio in quel modo e con molto sforzo, lui trovò il coraggio di cominciare.
“Cosa ti è successo, Dawn?”
“Non vorrei che pensassi male di me.”
“Se non vuoi dirmelo, non importa.” La rassicurò, mentendo a sé stesso.
In verità il rosso voleva sapere tutto, ma non se questo la faceva soffrire.
Scott la considerava troppo fragile per portare da sola un peso di quelle portate.
Lei però non si diede per vinta.
Si sgranchì la voce e poi abbassò lo sguardo, fissando il letto su cui era seduta.
“Tutto è iniziato il primo giorno dell’Università, quando mi si è aperto un mondo davanti agli occhi.
Il mio più grande problema è sempre stato quello di riporre la fiducia nelle persone sbagliate e tu lo sai, Scott.
Trent non sembrava così stronzo.
Era così sicuro, intelligente: un tipo brillante.
Non credevo che per me iniziasse un incubo.
Ho cercato di tenere le distanze e di fargli capire che non ero interessata alle sue avances con i risultati che hai visto.
Non so perché, ma dopo un po’ ha iniziato a prendermi di mira e ha aizzato contro di me alcune sue amiche.
Per quanto abbia tentato d’evitarlo, la paura mi convinse ad andarmene dalla mia vecchia scuola.
Avevo subito di tutto, ma quando ha cercato, durante una festa, di approfittarsi di me, non sono più riuscita a rimanere lì.
Ho avuto paura e non sono riuscita a scappare.
Trent mi aveva bloccato e sapevo a cosa andavo incontro.
Solo l’arrivo imprevisto di un professore ha interrotto quello che stava diventando un incubo.
Da quel giorno non sono più andata a scuola e dopo poco mi sono iscritta alla tua Università.
Il resto della storia lo conosci.”
Il rosso aveva ascoltato con attenzione tutta la storia e quando lei si fermava per asciugarsi le lacrime o per riprendere fiato, lui continuava a sorriderle.
Non la giudicava in nessun modo.
Lei era la vittima di una serie di circostanze poco piacevoli cui nemmeno lui poteva trovare rimedio.
Di per sé si era ficcata in un bel guaio che ora Scott cercava di risolvere a suo modo.
“Ha provato a violentarti.” Mormorò Scott per timore di ferirla ulteriormente.
“Sì e non ha mai smesso d’infastidirmi. Per colpa sua ho dovuto saltare molte lezioni, ma adesso sono felice e credo che quello non mi darà più fastidio.” Tentò, cercando il lato positivo anche di quella brutta abitudine.
“Perché non ero presente per proteggerti?”
“Non è colpa tua, Scott.”
“Non riesco a farmene una ragione.”
“Io…”
“Se noi 2 fossimo rimasti in contatto, allora avrei potuto far qualcosa e difenderti.”
“Ma non è successo.” Borbottò Dawn.
“Se dovesse rompere ancora, ti difenderò io.” La rassicurò il rosso, facendola annuire.
“Perché dovrebbe darmi ancora fastidio?” Chiese la giovane, mentre il rosso cercava una risposta valida.
“Un ragazzo respinto non metabolizza la sconfitta e continua a credere di meritare una seconda possibilità.”
“Io non voglio stare con uno così.”
“Potrei sbagliare, ma credo sia meglio che tu segua un mio consiglio.”
“Quale? Farei qualsiasi cosa pur d’evitarlo.”
“Qualsiasi?” Domandò il rosso, fissandola intensamente negli occhi e facendola arrossire.
“Forse.”
“Devi imparare a difenderti.”
“Ma io odio la violenza.”
Il rosso sapeva bene che era così.
Non l’aveva mai vista offendere qualcuno, né tantomeno alzare le mani.
Lei cercava sempre la via del dialogo, anche se questo spesso portava a non risolvere i problemi.
Tuttavia quello che l’unico consiglio valido che lei poteva adottare per difendersi da quello stalker insistente.
“Allora dovrai stare sempre al mio fianco, ma un giorno dovrai cavartela da sola.”
“Non sarai sempre con me?”
“Un teppista può sempre incontrare qualcuno che lo piega per sempre.”
“Ma tu sei fortissimo.” Riprese lei senza smettere di guardarlo negli occhi.
Quella tonalità di grigio così rassicurante, la faceva sentire in pace e lui si ritrovò ad accarezzarle con dolcezza una guancia, quasi a farle capire che stava sbagliando.
“A questo mondo esiste sempre qualcuno più forte di te e questo vale anche per me.”
“Ho capito.”
“Tutto qui?” Chiese il giovane.
“Non è abbastanza, secondo te?”
“Dawn…” Brontolò, sollevando lo sguardo al soffitto.
“Io…”
“Ti conosco fin troppo bene e so quando stai mentendo.”
“Però…”
“Ci dev’essere ancora qualcosa, anche se non posso obbligarti in alcun modo di continuare.”
“Non c’è altro.” Ribatté, intestardendosi.
“Se lo temi vuol dire che è riuscito a farti male, vero?”
“Sì.” Borbottò, riabbassando lo sguardo.
Non era nelle sue intenzioni farla soffrire e, infatti, Scott le rialzò il viso, facendole capire che mai se la sarebbe presa con una persona che aveva già sofferto abbastanza.
“Non temere.”
“Te lo dico solo perché sei tu a chiedermelo.”
“Lo so.”
“Ha cercato di violentarmi diverse volte, ma sono sempre riuscita a evitarlo, ad eccezione della festa.
Lì se non fosse stato per il prof sarei finita male.
Prima aveva provato a picchiarmi e ha reso la mia vita un inferno.
Fallivo le prove d’esame a causa sua e ordinava alla prof di Psicologia di mettermi un pessimo voto.
Quella stronza e Trent avevano una relazione e questa era una cosa risaputa.
Mi ha ordinato di concedermi a lui, altrimenti addio promozione.
Non ho mai accettato le loro minacce e allora ha iniziato ad alzare il tiro.
Trent aveva tutta la scuola tra le sue mani: uno era sottomesso perché aveva una relazione con una collega, un’altra se la faceva con gli alunni.
Insomma se vai nella mia vecchia Università, ti diranno che è Trent a comandare.
Perfino un professore ci ha provato con me, solo perché quello glielo aveva ordinato.
Immagino che quel bastardo avrebbe raccolto qualche prova e poi Trent mi avrebbe ricattato.”
“Sapevo che dovevo ucciderlo.” Borbottò il rosso, mentre la ragazza iniziava a piangere.
Era un pianto liberatorio e non le importava nulla se Scott l’avesse considerata una frignona.
Lui non aveva patito ciò cui era stata costretta, ma l’amico non aveva mai abbandonato il suo sorriso rassicurante.
“Non piangere.” Le disse, abbracciandola.
“Sei al sicuro adesso.”
Liberandosi di quel peso, si era resa conto che il ragazzo aveva perfettamente ragione.
Trent sarebbe stato un lontano ricordo e nella nuova Università era Scott a dettare legge.
Tuttavia un qualcosa la colpì e interruppe quel breve momento di pace.
Un dubbio la portò a staccarsi da lui, cercando una risposta sincera dal suo salvatore.
“Scott, ma tu sei il capo della scuola?”
“Perché vuoi saperlo?”
“Perché dopo quello che ti ho raccontato, ho paura che tu possa comportarti come Trent.”
“Credi davvero che potrei mai deluderti in questo modo?”
“No.”
“Vedi Dawn, anche se sono un teppista, questo non significa che sia come Trent. Posso sembrare poco raccomandabile, ma non farei mai una cosa simile.”
“Grazie Scott.”
“Ho aiutato alcuni miei amici a fidanzarsi e se fossi senza scrupoli avrei distrutto questi legami.
Tu però sei speciale e non devi rendere conto a nessuno, nemmeno a quello.
Coltiva ciò che sei e non nasconderti mai.”
Non gli piaceva essere così saggio e non gli piaceva far piangere le persone.
Dawn, però, era da troppo tempo che tratteneva la frustrazione dentro di sé ed era finita con lo scoppiare.
Aveva avuto spesso il desiderio di piangere, ma per non dare soddisfazione a Trent aveva sempre finito con il chiudere tutto.
Scott invece sapeva far leva su tutto ciò e apriva poco per volta le valvole dei suoi sentimenti.
Intanto pensava a consolarla, asciugandole gli occhi e sorridendole.
Era più felice in quelle poche ore che negli ultimi anni di scuola.
“Scusa Scott, ma perché abiti qui?” Chiese Dawn, sperando di scoprire qualcosa sul suo conto.
Non voleva impicciarsi dei suoi affari, ma le sembrava strano che lui ricercasse la solitudine.
Aveva sempre detto che restando da solo sarebbe diventato matto e le sembrava assurdo che fosse cambiato così.
Inoltre era da un po’ che stavano in silenzio e lei non voleva iniziare subito a studiare.
Lei voleva tutt’altro.
Voleva parlare con lui e se fosse avanzato un po’ di tempo, si sarebbero messi a studiare.
Di certo il rosso non si aspettava una simile domanda.
Quella semplice richiesta aveva risvegliato il suo ricordo sopito e sentì un peso allo stomaco.
Si era dimenticato di quella faccenda per poche ore, ma ora si sentiva preda dei rimorsi.
Il magone che lei aveva spazzato via, era stato recuperato e se possibile era ancora più pesante di prima.
“Per la vicinanza all’Università.”
“E non senti la mancanza della tua famiglia?”
“Un po’.”
“Da quanto tempo è che non li vedi?”
“Troppo.”
Lei era sempre stata sincera nel raccontare la sua storia e lui non voleva mentirle.
Per la prima volta aveva trovato qualcuno con cui confidarsi senza che questi lo considerasse un mostro.
“Cosa vi è successo?”
“Non lo so, ma non importa.”
Sentiva che presto tutta la verità sarebbe uscita e il rosso non la considerava in grado di sopportare tutto il suo passato.
Era appena uscita da una brutta faccenda e lui non voleva rigettarla nello sconforto.
“Sì che importa.”
“Quando impari a comprendere ciò che ti circonda, ti sentirai subito meglio.”
“E questo cosa significa?”
“Che, forse, dovrei darti io qualche lezione di autodifesa.”
“Ma non mi…ehi non cambiare discorso.” S’imbronciò lei, facendolo ridacchiare appena.
“Sei così spontanea che basta un complimento per coglierti impreparata.”
“Stai forse dicendo che sono una stupida?” Chiese, mentre lui negava con il capo.
“Non sei una stupida, ma non posso raccontarti il mio passato. Non sei ancora pronta.”
“Mi nascondi qualcosa?”
“Non sei tu il problema, ma sono io l’errore.”
“Perché non ti esprimi chiaramente? Non ti capisco.”
“Dubito che qualcuno possa riuscire a capire che cosa mi passa per la testa, perché... perché non lo capisco neanche io.”
“Me lo racconterai quando ti sentirai pronto.” Borbottò lei.
Per Dawn, giunti a quel punto, era inutile continuare.
Di certo non si sarebbe sciolto in quel pomeriggio, ma aveva ancora molti mesi per capirlo.
Voleva avere la sua fiducia, ma non poteva costringerlo.
Poteva solo attendere con calma che quel segreto non lo rovinasse troppo.
La Psicologia era chiara a proposito.
Quando si cerca di chiudersi al mondo esterno si giunge alla soglia dell’autodistruzione e la ragazza non voleva raccogliere i pezzi del rosso.
Voleva aiutarlo, così come lui l’aveva sostenuta.
“Iniziamo con Pitch.” Riprese lui, tirando fuori dalla cartella, il libro della prima materia che gli era capitato sottomano.
“Matematica?” Chiese lei, osservando la sfilza di numeri che Scott aveva ricopiato.
“Equazioni, cosa che abbiamo fatto alle superiori.” Borbottò, passandole il quaderno che dopo aver ricopiato alcune formule e nozioni, aveva già appreso abbastanza.
Si trattava di argomenti che conosceva bene e infatti si accontentò di prendere nota di alcuni esercizi che poi avrebbe concluso una volta giunta a casa
Il rosso tirò fuori quindi un librone che riguardava la Psicologia nell’età giovanile.
“L’interpretazione degli incubi.” Disse sfogliando le ultime pagine, mentre la ragazza prendeva nota degli argomenti e li confrontava con quelli della sua Università.
I due corsi non erano così differenti e aveva ben poche cose di cui aggiornarsi.
“Argomento magnifico.”
I due passarono almeno un’ora a confrontarsi sulle varie teorie e in ultima trovarono anche il tempo per discutere delle loro idee.
Quelle poche ore erano volate, donando ai 2 dei momenti di sollievo e divertimento.
In tutto ciò, fissando l’orologio, fermo alle 18, Scott si era ripromesso di accompagnarla a casa.
Quell’ora non era consigliabile per una ragazza così fragile e scossa.
Sapeva che la loro città non era simbolo di sicurezza e voleva evitarle ulteriori brutte avventure.
Qualche idiota, vedendola sola e indifesa, avrebbe potuto importunarla, ma la sua presenza era sufficiente per tenere tutti alla larga.








Angolo autore:


Finalmente rieccomi con l'aggiornamento.


Ryuk: Sorpresa...Trent è il cattivo.


Scelta bizzarra, ma necessaria.
Trent mi sembrava, e non scherzo, l'unico che potesse coprire il ruolo di cattivo così egregiamente.


Ryuk: Non dilungarti troppo.


Hai ragione.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito la storia fino a questo punto e vi confermo l'appuntamento dell'aggiornamento per lunedì.
Alla prossima.
 

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Capitolo 11
*** Cap 11 ***


Scott aveva passato finalmente un pomeriggio senza essere attanagliato dai rimorsi e non credeva che Dawn fosse diventata così interessante.
Non si rendeva minimamente conto che si stava avvicinando alla fonte del suo malessere, con l’unica eccezione rappresentata dalla direzione che avrebbe percorso.
“E tua madre come sta?” Chiese, mentre si avviavano verso il bivio.
“Non è cambiata. Dovrei essere la sua roccia, ma con la faccenda di Trent ho capito che non sarò mai forte quanto lei.”
“Se ti dà fastidio, potrei essere io la tua roccia.” Mormorò il giovane, mentre lei arrossiva.
“Non vorrei infastidirti.”
“M’infastidisce di più questa chiusura. Se hai bisogno di me, non devi avere paura. Io non giudico le persone e se posso aiutare, lo faccio senza ricercare nulla in cambio.”
“Quello che brontola sempre mio padre.” Continuò la ragazza, mentre il rosso la fissava incuriosito.
Era questo che gli piaceva di lei.
Dawn non era superficiale come le altre ragazze e anzi aveva sempre qualcosa d’interessante di cui parlare.
“Che dice?”
“Che non devo curarmi del giudizio altrui e che se un amico ha bisogno di una mano, non c’è motivo di rifiutarsi.”
“È molto saggio.”
Non aveva mai avuto il piacere di conoscerlo bene e lo aveva intravisto un paio di volte.
Durante il periodo delle medie ricordava che ogni tanto gli dava qualche strappo a casa, ma il suo lavoro spesso lo costringeva per molti periodi lontano dalla sua famiglia.
Se fosse stato presente, il gigante avrebbe ucciso quasi sicuramente Trent, ma durante i pochi giorni di ferie, la consorte e la figlia non l’avevano mai seccato con una faccenda così inquietante.
Inoltre il moro quando sapeva del ritorno del capofamiglia preferiva svanire ed evitare amare sorprese.
“Non hai paura delle conseguenze?” Gli chiese la giovane, senza che lui riuscisse a capire di cosa stesse parlando.
Aveva creduto che la domanda riguardasse il padre della ragazza, ma dal tono abbattuto e dall’umore sembrava centrasse qualcun altro.
“Di cosa parli?”
“Trent è nell’alta società e i suoi avvocati potrebbero distruggerti.”
“Se solo ci prova, lo porterò con me all’Inferno.”
“Non sei pentito del tuo gesto?” Ricominciò Dawn.
“Neanche un po’.”
“Ma non lo temi?”
“Se volesse denunciarmi, dovrebbe spiegare ogni cosa alla polizia e ci sono le minacce e molti testimoni che potrebbero salvarti. Non gli conviene giocare alla guerra se non sa nemmeno contro chi combattere.”
“Mia madre sarà felice di vederti.”
“Porgile i miei saluti.”
“Credi di cavartela così a buon mercato? Tu entrerai con me e riceverai i suoi ringraziamenti.”
Non era una semplice richiesta: era un ordine.
Lui doveva solo rispettarlo, se voleva vivere in pace, ma non si aspettava di certo che una ragazza lo mettesse con le spalle al muro.
Più il tempo passava più vedeva la sua reputazione da teppista andare in pezzi.
Se nella scuola si forse sparsa la voce, avrebbe vissuto un pessimo periodo.
Sarebbe stato costretto a tornare il despota che era stato nei primi mesi e non doveva più dimostrare pietà.
Stava diventando un mollusco privo di spina dorsale e mai gli era capitato di lottare per una ragazza.
Anche se non c’era mai stata nessuna ragazza che avesse richiesto il suo aiuto.
Le fidanzate dei suoi amici erano abbastanza protette e lui interveniva solo quando la faccenda si faceva spinosa.
“Addio reputazione da teppista.” Sbuffò, cercando nella tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette.
Era da un pezzo che non fumava, ma quando era nervoso e stressato aveva necessità di riempirsi di nicotina.
Inutile cercare se le ultime gliele aveva fregate Duncan.
“Se ti piace così tanto la vita da teppista perché mi hai difeso?”
“Perché avevi bisogno di me e…non so nemmeno io il perché sia diventato un teppista.”
“E non puoi semplicemente smettere di esserlo?”
“Non saprei cosa diventare.” Sbuffò annoiato.
“Perché non torni il ragazzo che eri alle medie?”
“Parli di quello che si faceva mettere i piedi in testa da chiunque? Mi dispiace, ma non lo rivedrai più.”
“E allora perché non ricominci da zero?”
“Sono teppista da una vita e la scuola ha bisogno di me. “Ricominciò, mentre lei s’incupiva sempre più.
Era da quando aveva risposto alle prime domande che si era fatta seria e non sembrava più la ragazza di qualche attimo prima.
“Non hai mai pensato che la tua felicità possa venire prima degli altri?”
“Non farmi la predica. So bene che è così, ma non potrei mai cambiare.”
“Allora ti aiuterò io. Tu mi darai lezioni di autodifesa ed io cercherò di sostenerti. Ci stai?”
Accettare quella proposta significava avercela sempre attaccata, ma ormai era tardi per lamentarsi.
L’aveva presa sotto la sua ala e non poteva lamentarsi se lei metteva delle condizioni al loro ”rapporto”.
Anche se sostenerla, non era un fatto terribile.
“E sia.”
I due parlarono ancora un po’ delle lezioni d’autodifesa che la ragazza avrebbe imparato, lasciando ovviamente l’onere a Scott di spiegarle in teoria cosa doveva fare.
Sembrava restia a colpire i suoi aggressori, ma doveva comportarsi così…se desiderava rimanere in pace.
Fu quando giunsero al cancello della sua piccola villetta che i due si zittirono.
Lei non sapeva come presentarlo alla madre e aveva timore che la donna lo giudicasse male.
Anche Trent era entrato in quella casa, accolto come un gentleman, per poi subito dopo dimostrarsi un infame.
E non poteva mettere la mano sul fuoco che la madre lo accogliesse come il salvatore della patria.
Non poteva essere sicura che la madre lo trattasse come uno di famiglia.
Il fatto di conoscersi dalle medie poteva essere utile, ma preferiva non sottovalutare troppo la padrona di casa.
Lui, nonostante apparisse come un tipo poco sveglio, aveva capito tutto alla perfezione.
Aveva chiesto apposta alla ragazza di potersene andare.
Sentiva con sicurezza che la donna l’avrebbe trattato con diffidenza e freddezza.
“Vieni entra.” Borbottò la giovane, aprendo la porta e trovando la madre ad aspettarla.
“Ti sembra l’orario perfetto per tornare a casa, signorina?”
Neanche uno straccio di chiamata e lei, per tutto il pomeriggio, era rimasta a fissare la porta d’ingresso con apprensione.
“Scusa mamma…è che ho trovato un amico e ho passato un po’ di tempo con lui.”
“E chi sarebbe?” Chiese dubbiosa, mentre il rosso aspettava ancora sull’uscio senza sapere se entrare oppure andarsene.
“Buonasera signora.” Mormorò, rendendosi udibile a fatica.
Lei già dal suo sguardo si era fatta un’idea del tipo.
Non avrebbe mai accettato che sua figlia frequentasse un simile individuo ed era pronta a cacciarlo di casa a malo modo.
“E lui chi sarebbe?”
“Lui è Scott…il ragazzino delle medie con cui passavo il mio tempo. Ora studia alla mia stessa facoltà e mi sta aiutando a recuperare le materie.”
“Non sarà come Trent, voglio sperare.” Disse, poco prima che un bambino uscisse dal salotto e si attaccasse alla gamba della sorella.
Vedendolo così gioioso tutti si erano come dimenticati delle parole della donna per concentrarsi su quel tenero fagottino che correva.
Scott non appena lo vide, iniziò a sentirsi strano.
Non sentiva il bisogno di avere figli…per quello c’era ancora molto tempo, ma era un legame.
Il legame che univa Dawn al bambino gli ricordava il passato.
Ricordava qualcosa di quando era più giovane.
Un qualcosa che però era meglio evitare.
Ricacciò indietro le lacrime, evitando che qualcuno si accorgesse di quel momento d’appannamento.
“E lui chi è?” Chiese il bambino, staccandosi da Dawn e osservando il ragazzo.
“Un amico.” Mormorò la sorella, mentre prendeva in braccio il fratello.
“Il tuo ragazzo?”
La madre guardò subito spaventata i due giovani con Dawn che era subito diventata rossa e Scott che negava con decisione.
Non avrebbe mai permesso che la figlia sprecasse il suo tempo con uno così ed era pronta a distruggere il legame che li univa.
“No, sono solo un amico. Lo sai… anch’io ho un fratellino e gli voglio molto bene, nonostante sia una peste. Tu sei l’ometto di casa e proteggi tua sorella e tua madre, vero?” Chiese con un sorriso, accarezzando il capo del bambino e scompigliandogli i capelli.
“Sì…finché papà non torna.”
“Ti piace il calcio?”
“Lo adoro.”
“E la scuola?”
“Non mi piace.” Rispose il bambino, sbuffando.
“Piccolo birbante, mi sei simpatico.”
“Quand’è che ti metti con mia sorella?”
La tipica curiosità dei bambini non lasciava scampo al rosso, il quale per salvarsi, iniziò a ridere.
“Non sono il suo tipo.”
“Perché? Non ti piace?” Chiese, rivolgendosi alla sorella, la quale non sapeva come rispondere.
La donna li fissava con uno sguardo che non sembrava promettere nulla di buono.
“Perché è già impegnato.”
“Tua sorella ha ragione.” Riprese il rosso, sperando che si rassegnasse.
“E che problema c’è? Lasciala e mettiti con mia sorella.”
“Ora basta, credo che tu sia stanco.” Borbottò la donna, prendendo in braccio il bambino e portandolo nella sua stanza, mentre questi non sembrava felice di abbandonare il suo nuovo amichetto.
“Non credevo avessi un fratello.” Ricominciò il ragazzo che era rimasto da solo con Dawn.
“Una peste adorabile.” Riprese la ragazza, sorridendo.
La donna mentre saliva le scale, pensava alle parole del figlio.
Non avrebbe mai permesso che Dawn uscisse con quel coso rosso e non era per niente felice di quella scelta.
A ogni gradino malediceva la scarsa attenzione della ragazza che non sapeva scegliere delle compagnie raccomandabili.
Trent ne era un esempio più che lampante e non voleva che lei si rovinasse a causa di quel teppista.
“Che figlia degenere.” Pensava, scendendo le scale e avviandosi verso il salotto, intuendo che Dawn lo avrebbe fatto accomodare sul divano.
Non si aspettava che passando davanti alla porta d’ingresso il marito l’abbracciasse.
Sapeva che era oberato di lavoro, ma con tutte le ferie che aveva guadagnato, il datore aveva deciso di tenerlo tranquillo per un mese.
Senza nemmeno pensarci aveva preso la macchina ed era subito tornato a casa per fare una bella sorpresa alla consorte e ai figli.
“Ciao cara.”
“Sei tornato.”
“Sì e dove sono Dawn e il marmocchio?” Chiese, guardandosi intorno.
“Flash è in camera sua e Dawn è con un ragazzo che non m’ispira fiducia.”
L’uomo sapeva che la moglie spesso ingigantiva i fatti e voleva conoscere quell’individuo che non era degno della figlia.
Infatti con passo lento e felpato entrò in salotto e vi trovò il rosso intento a sfogliare una rivista, mentre la figlia era in cucina a preparare qualcosa da bere.
“Dunque…saresti tu.” Mormorò l’uomo, spaventando il ragazzo che si era subito alzato dal divano.
“Buonasera.” Tentò inutilmente.
“Sei un amico di Dawn?” Chiese il padre della ragazza.
“Sì.”
“È a causa tua che ha fatto tardi?”
“Aveva bisogno di una mano per ambientarsi e mi ha chiesto aiuto. Mi rendo conto che è tardi, ma spero che non ve la prendiate con lei. Non volevo che tornasse a casa da sola e mi sono offerto di accompagnarla.”
Il rosso non poteva credere a quello che stava dicendo.
Non sembrava più il teppista che terrorizzava la scuola e davanti ai suoi genitori si era come rimpicciolito.
“Quanto vuoi per lasciarla in pace?” Borbottò la donna, mentre il rosso la osservava sbigottito.
“Come prego?”
“Quanti soldi vuoi per lasciarla tranquilla?”
“Lasci che la aiuti, la prego.”
“Mia moglie sta cercando di dirti che non si fida di te.”
“Lo immaginavo. Comunque continuerò ad aiutarla che voi lo vogliate oppure no e senza i vostri soldi. Vi auguro una buona serata.”
Avrebbe tanto voluto decantare le sue gesta, ma non ne aveva il coraggio.
Non credeva di riuscire a provare timore davanti a loro e iniziava a dubitare della sua figura.
Infatti uscì velocemente e tornò verso la sua abitazione, senza nemmeno salutare l’amica.
 
Dopo qualche minuto lei era tornata in salotto con un vassoio colmo di dolcetti e di bibite frizzanti.
Appena rivide la figura paterna non poté che abbandonare il vassoio sul tavolino per poi abbracciare il padre.
“Ciao papà.”
“Ciao principessa.” Disse, mentre le accarezzava i capelli.
Guardandosi intorno cercava di scorgere la figura di Scott, ma con scarsi risultati.
“Dov’è Scott?”
“È andato via.” Rispose prontamente la madre e la figlia s’intristì.
Mai le era capitato di sentirsi così triste e non credeva che, la felicità provata, fosse merito del rosso.
“Perché? Volevo ringraziarlo.”
“Ringraziarlo?” Chiese il padre, sedendosi sul divano.
“Lui mi ha aiutato.”
“E come ti avrebbe aiutato, signorina?”
“Perché lo tratti con così tanta freddezza, mamma?”
“Perché mi ricorda molto un ragazzo che t’infastidisce spesso.”
“Chi è che infastidisce la mia bambina?” Chiese il padre, abbandonando la sua aria benevola e facendo comparire un’aura maligna.
“Mamma…hai iniziato tu e ora risolvi la faccenda.” Borbottò la ragazza, mentre la donna iniziava a sentirsi in difficoltà.
“Sai caro, ho dovuto cambiarla d’Università.”
“Cosa?” Alzò la voce, credendo d’aver sentito male.
“C’era un ragazzo che la importunava in continuazione,  che ha provato a violentarla e lei aveva paura di continuare a stare in quella scuola.”
L’uomo si era subito alzato dal divano e sembrava propenso ad uccidere quel disgraziato.
Lo avrebbe scuoiato vivo perché aveva osato toccare la sua bambina e nessuno doveva farlo.
“Dove sta?”
“Non importa.”
“Nostra figlia ha ragione…lascia perdere.”
“DOVE SI TROVA?” Urlò, spaventando le due.
“All’ospedale.” Mormorò la ragazza.
“Vivo?” Chiese nuovamente.
“Sì.”
“E come ci è finito?” Ricominciò la donna che credeva di essersi persa qualche passaggio.
“È per questo motivo che volevo ringraziare Scott.”
“Che cosa avrebbe fatto?” La madre aveva appena finito di preparare la tavola, ma per tutto il tempo aveva seguito il discorso della figlia.
Non credeva potesse fare qualcosa di buono ed era ancora convinta che quello fosse un tipo poco raccomandabile.
“È stato lui a mandarlo all’ospedale. Quei lividi che aveva sul volto se li è procurati questo pomeriggio. Lo abbiamo incontrato al parco, Trent ha iniziato a molestarmi e Scott non riuscendo a sopportarlo, mi ha difeso.”
“Quel ragazzo non m’ispira fiducia.” Borbottò il padre cercando d’imitare la consorte, facendole capire che l’aveva giudicato con troppa superficialità.
“Ha detto che mi proteggerà fino a quando non sarò in grado di cavarmela da sola.”
“Devi imparare a difenderti.” Mormorò il padre, fissando la consorte che sembrava avvilita per quello sbaglio..
“Me l’ha detto anche lui. Vorrebbe che imparassi un po’ d’autodifesa.”
“Ha ragione.”
“Ma io detesto la violenza.”
“Lo sappiamo, ma lui?” Chiese la madre.
“Lui è un teppista, ma non è come gli altri. Vuole che ce la faccia da sola perché dice che non potrà difendermi in eterno.”
“Forse ha ragione.” Borbottò il vecchio.
“Vorrebbe che imparassi a difendermi.” Ripeté di nuovo la ragazza, mentre il padre annuiva sempre più convinto.
“E sarà lui a spronarti e a sostenerti?” Chiese il padre.
“Credo di sì.”
“Ma perché proprio lui? Non possiamo chiedere a qualche palestra d’allenarla?” Tentò la donna.
“Non conoscono nostra figlia e solo il ragazzo conosce le sue potenzialità nascoste.”
“Sì però…”Riprese la donna, cercando di convincere il marito che quell’idea non era la migliore.
“A me sta bene, ma deve trattarti con cura.” L’uomo rivolse quindi una gelida occhiata alla moglie.
Un’occhiata che non ammetteva repliche e la consorte fu costretta ad accettare.
Non poteva permettersi di ribattere.
Sentiva d’aver sbagliato e mentre tornava in cucina per controllare il forno, ripensava a quello che il rosso aveva fatto per sua figlia e capiva che aveva un po’ esagerato.
Sapeva d’aver esagerato.
Era stata troppo apprensiva, ma in sua difesa poteva affermare che il ricordo di Trent era ancora vivo tra quelle mura.
“È un bravo ragazzo, nonostante tutto.” Pensò, riflettendo su ciò che aveva fatto per Dawn.
Dopotutto lui l’aveva protetta e aiutata e se quel teppista rendeva felice sua figlia, lei non avrebbe mai avuto più nulla da ridire.
Finché la sua bambina sorrideva, non avrebbe più messo il becco tra loro.
Per questo decise di dargli il beneficio del dubbio e una sola possibilità di far breccia anche nel loro cuore.
Erano circa le 19 quando tutti si ritrovarono a mangiare, ma nessuno osò più far parola di Trent e del "massacro" a cui la ragazza aveva assistito.


Angolo autore: Oggi non ho troppa voglia di scrivere.


Ryuk: Strano.


Ringrazio chi legge e recensice.
Spero non ci siano errori e che tutto sia chiaro.
Alla prossima (giovedì).


 

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Capitolo 12
*** Cap 12 ***


Scott si chiedeva perché fosse così stupido.
Non riusciva a trovare una risposta ad una domanda che continuava a torturarlo.
Perché si era offerto d’aiutarla?
Non aveva nulla da rimpiangere sulla faccenda di Trent, ma non aveva mai osato aiutare gli altri con lo studio o insegnargli un minimo di autodifesa.
Ficcò di nuovo le mani nei jeans con la speranza di trovare una sigaretta, ma le tasche erano vuote.
Era una fredda sera di gennaio e si avviava con la sua solita lentezza verso lo squallido monolocale.
Ben poca gente in giro a quell’ora, ma per loro era come invisibile.
Sembrava avesse scritto sulla fronte che lui era un teppista e quell’etichetta lo rendeva fiero.
Se lo avessero visto in compagnia di una ragazza avrebbe perso tutta la sua fama e avrebbero potuto prendersela con lei.
Era l’unico che considerava l’onore come un marchio fondamentale e preferiva evitare di utilizzare colpi bassi pur di vincere.
Gli altri non erano così, ma fino a quando avesse avuto fiato in corpo non ci sarebbe stato nulla da temere.
Con tutte le risse cui aveva partecipato, si chiedeva come avesse fatto a evitare gli ospedali, ma sapeva che al mondo c’era qualcuno molto più forte di lui.
“Che noia.” Borbottava, mentre ripensava alla giornata che aveva affrontato e mentre si accingeva ad aprire la porta.
Era tardi per studiare e dopo aver mangiato qualcosa, si buttò a dormire.
 
L’indomani alle 6 era già in piedi e questo perché doveva passare a prendere qualcuno.
Non si sarebbe mai sognato di lasciarla da sola e anche se i suoi genitori non lo volevano intorno, non gliene fregava nulla.
Aveva promesso che l’avrebbe protetta e fino a quando non sarebbe stata in grado di cavarsela, era sotto la sua responsabilità.
“Perché devo svegliarmi a quest’ora?” Si disse, mentre tirava un pugno alla sveglia e si trascinava in cucina per fare colazione.
Tempo mezzora ed era già per strada e si avviava con passo lento verso la villetta della ragazza.
“Speriamo sia sveglia che non ho voglia di arrivare in ritardo.” Pensò, mentre si appoggiava al muretto e aspettava impaziente che lei uscisse.
I vecchi erano stati chiari: la villa per lui era off-limits.
Poi la vide.
Era vestita come il giorno precedente e non si era nemmeno accorta della sua presenza, tanto che si ritrovò costretto a seguirla a breve distanza.
Sembrava assorta nei suoi pensieri, altrimenti non si sarebbe spiegato quella scarsa attenzione.
Poi si mise a canticchiare qualcosa e sembrava stranamente felice.
La faccenda del giorno precedente non aveva lasciato troppi strascichi.
“Siamo di buonumore questa mattina.” Bisbigliò, facendola girare.
Lei non appena lo vide sgranò gli occhi per la sorpresa e senza fare troppo domande gli si affiancò.
“Ciao, ma che ci fai qui?”
“Devo proteggerti e ricorda che venerdì pomeriggio avrai la prima lezione d’autodifesa.” Borbottò, prendendola in controtempo.
Non avevano ancora parlato di quelle lezioni e le sembrava troppo presto per cominciare.
“Non è presto?”
“Non posso sapere per quanto potrai ancora vedermi.”
“Perché non facciamo sabato mattina?”
“Sabato può esserci la seconda lezione.” Riprese.
“E lo studio?”
“Prima la testa e poi il corpo.”
“Non ti arrendi mai?”
“Se ti secca puoi rispondermi di no.” Per il rosso non c’erano problemi.
Era solo un consiglio, ma se un giorno fosse rimasto assente, nessuno l’avrebbe difesa.
“E va bene, allenami.”
“Perfetto e lascia che ti spieghi qualcosa della nostra Università.”
“E sarebbe?” Chiese, cercando di capire dagli atteggiamenti del ragazzo cosa nascondesse.
“Nonostante sia un teppista, ho anch’io alcuni amici e sarebbe meglio che rimanessi sempre con loro. Te li presenterò alla ricreazione e comportati bene.”
“Non sono una bambina.”
“Hai ragione, ma devi sapere che quando sarai in grado di difenderti non dovrai più rivolgermi la parola.”
Su quella regola era intransigente.
Sapeva cosa sarebbe successo se una ragazza gli fosse stata vicino.
Gli altri delinquenti si sarebbero vendicati su di lei ed era per questo motivo che rivolgeva raramente la parola a Duncan e agli altri ragazzi.
“Perché?”
“Perché sei una ragazza e non mi conosci così bene.”
“E quello che hai fatto per me?”
“Nulla d’importante. 10 lezioni e sarai pronta.”
“Così poco?” Chiese.
“10 lezioni e non di più.”
“Perché non vuoi nessuno?” Mormorò, rendendosi udibile a fatica.
“Lo capirai, ma è ora di muoversi.”
Per il resto del tragitto restarono in silenzio e anche durante le ore di lezione non ebbero modo di parlare.
Scott troppo preso a recuperare le ore di sonno in arretrato e Dawn troppo impegnata a seguire i professori.
Fu solo con l’arrivo della ricreazione che il ragazzo si era svegliato e sfoggiando il solito ghigno aveva avvertito per tempo l’amica di prepararsi per conoscere i fenomeni da baraccone che poteva considerare amici.
“Andiamo prima che il punk si fumi anche il pacchetto.” Riprese, sospirando e ficcando le mani nella tasca dei jeans.
“Ma non è che non mi vogliano?”
“È vero che sono sciroccati, ma non fino a questo punto.”
“Teppisti?”
“Ex teppisti.” Rispose, osservandosi intorno.
Sperava di trovarli vicino alle macchinette, ma probabilmente si erano spostati in giardino dove potevano guardare le loro moto.
“E che tipi sono?”
“Sciroccati, ma simpatici.”
“Fidanzati?”
“Alcuni sì, altri no.”
“E tu cosa ne pensi?” Chiese di nuovo la ragazza, mentre Scott si prendeva un po’ di tempo per riflettere.
“Non posso dirti come la penso perché ognuno ha la sua opinione.”
Erano appena giunti in giardino e l’aria fredda penetrava nelle ossa.
Il ragazzo sbuffava in continuazione, mentre lei tremava come una foglia e il rosso si chiedeva perché non seguisse mai le sue indicazioni.
“Hai freddo?” Le chiese, osservandola con attenzione.
Per quanto fingesse di star bene ogni tentativo era inutile, anche se Scott non aveva intenzione di metterla in imbarazzo.
Non davanti a così tanta gente.
Se le avesse ceduto il giubbotto si sarebbe rovinato ancora di più, ma se avesse fatto finta di nulla, avrebbe mantenuto l’aria da teppista imperturbabile, facendola ammalare.
“No.”
Alcune volte una risposta così era sufficiente al rosso per lasciar perdere, ma quello non era il caso.
Infatti si tolse il giubbotto e lo adagiò sulle spalle della ragazza, mentre i pochi alunni assistevano sbigottiti alla scena.
“Guarda cosa mi tocca fare per aiutarti. Gli altri penseranno che sia diventato una femminuccia.”
“Grazie.”
Il sorriso che lei sfoggiava era più che sufficiente ed era una risposta anche per quelli che lo additavano come un leader senza attributi.
Dopotutto era l’unico teppista credibile della scuola e nessuno era in grado di tenergli testa nemmeno fuori dalla struttura.
Non si proclamava come il più forte del mondo, ma non era nemmeno una checca.
Almeno stare con gli altri suoi amici non gli sembrava così male.
Potevano accogliere la compagna nei migliori dei modi e potevano consigliarla su cose che lui preferiva ignorare.
Scott tuttavia sapeva che lei avrebbe sempre rinnegato la violenza.
Non vedeva plausibile la possibilità che una come Dawn alzasse un dito per difendersi.
Avrebbe sempre preferito subire piuttosto che ferire qualcuno ed era pronto a scommettere che si sarebbe inventata di tutto pur d’evitare una sua lezione.
Non perché fossero impossibili, ma solo perché erano tutto fuorché leggere.
Fu quando uscirono insieme dal cancello che intuì cosa avesse in mente.
Per far saltare uno pseudo appuntamento è necessario litigare con la persona con cui si deve uscire.
E per qualche motivo Dawn aveva tirato fuori i pessimi scherzi che le faceva da ragazzino e che l’aveva portata a provare odio nei suoi confronti.
Scott, in verità, sapeva che quella era solo una tecnica articolata per evitare di difendersi.
   Lui doveva solo portare pazienza.
Una dote meravigliosa che lei però non aveva in natura.
Infatti, come se non bastasse, dovette ascoltare un fiume di paure, ansie e speranze uscire dalla sua bocca.
Lui che ne aveva fin sopra i capelli era costretto a ingoiare anche quella parte.
Non ce la faceva più ad ascoltare tutti senza che nessuno gli chiedesse cosa avesse da nascondere.
“E tu?” Si era perso tutti i lunghi monologhi di Dawn e si ritrovava tutte le volte senza una scusa valida.
“La vita è una fregatura e tra un po’ avrai la prima lezione.”
Non gl’importava molto sapere se era la risposta alla sua domanda o se riguardasse tutt’altro.
Voleva solo essere lasciato in pace.
“Se ti secca avermi intorno puoi dirmelo subito.”
“Sì e ora andiamo.”
“Non ho intenzione di essere ignorata da te e quindi me ne vado.”
“Fai come ti pare.” Borbottò, seguendola fino alla sua villetta.
Fu solo quando la vide entrare che tirò un sospiro di sollievo e poté tornare a casa.
Passando per il parco sperava di trovare un po’ di tranquillità, ma quella giornata poteva continuare solo nei peggiori dei modi.
Infatti, seduto su un’altalena, vi era un bambino che lui conosceva bene.
Si avvicinò con molta calma e si sedette sul posto libero affianco a lui.
“Ciao Flash.”
“Scott?”
“Non eri a casa?” Chiese il rosso, vedendo gli occhi arrossati del bambino.
“No.”
“Cosa hai fatto?”
“Niente.”
“Se non avessi niente, non saresti qui.” Borbottò, dondolandosi appena.
“Sono scappato.”
“Sei troppo giovane per scappare.”
“Non sono più un bambino.” Riprese, imbronciandosi appena.
“Cosa hai combinato?”
La giornata da psicologo non era ancora finita e ora doveva sorbirsi le lamentele del bambino.
Un bambino che gli ricordava tanto quel giorno e quanto fosse stato stupido.
“Ho fatto cadere un ricordo di mia sorella e non voglio che lei lo sappia.”
“E credi che fuggendo si possa risolvere ogni cosa?”
Chiese, senza ottenere risposta, costringendo quindi a continuare.
“Io sto scappando da una vita e fidati non è il massimo. Quando mi comporto bene nessuno lo capisce, ma è una parte che devo affrontare da solo. Credimi…la fuga non risolve i problemi.”
“Io…”
“Se anche scappassi cosa risolveresti? Non pensi a tua sorella e ai tuoi genitori? E poi di quale ricordo si tratta?”
“Una statua.” Borbottò il bambino che aveva ascoltato con interesse le parole del ragazzo.
“Posso sempre accompagnarti a comprarne un’altra.”
“E lo faresti per me?”
“Certo.”
Il rosso dopo essersi alzato, aspettò per qualche istante che anche il bambino facesse lo stesso e poi andarono verso il centro.
Girovagarono senza meta per buona parte del pomeriggio e solo verso le 17 riuscirono a trovare un oggetto molto simile all’originale.
I due erano sulla via del ritorno, ma Flash aveva ancora qualcosa da chiedere al rosso.
“Ti piace mia sorella?”
“Anche se ti rispondessi, non potrei aspettarmi nulla in cambio.”
“Sì o no?”
“Abbastanza.” Rispose, scompigliandogli la testina bionda.
“Se non lo dici, non lo saprà mai.”
“Lascia che sia lei a decidere.”
 
Se Scott aveva passato un pomeriggio diverso dal normale, di certo i genitori e la sorella di Flash iniziarono a dare di matto e Dawn per prima si era già messa a cercarlo.
Aveva guardato ovunque.
A casa dei suoi amici.
Nel parco.
Alla sala giochi.
Nei bar.
Aveva ribaltato quasi tutti i negozi come un calzino senza ottenere alcun risultato.
Aveva chiesto in giro se avessero incrociato il fratello da qualche parte, ma niente.
Sembrava che Flash fosse scomparso dalla faccia della terra.
Sconfitta e demoralizzata stava facendo ritorno a casa.
Già sentiva la madre piangere e il padre che chiamava mezzo mondo pur di trovare il piccolo.
Fu quando si girò un ultima volta prima di aprire il cancello che vide una piccola figura avanzare affiancata da una ben più alta e rassicurante.
Senza riflettere troppo si avvicinò ai due e non appena vide il fratello, lo prese subito in braccio.
“Dove sei stato? Mamma e papà sono in pensiero.”
“Mi dispiace.”
“Perché te ne sei andato?” Chiese di nuovo senza rivolgere nemmeno un occhiata al rosso.
“Perché volevo farti un regalo.”
“Un regalo? Per me?”
“Sì.” Rispose, porgendole un pacchetto che lei aprì all’istante.
“Non dovevi.”
“Poi ho incontrato Scott e mi ha riaccompagnato a casa.”
“L’ho fatto volentieri e ora devo andare.” Borbottò, prima di girarsi e di tornare al suo monolocale.
La ragazza non gli rivolse nemmeno un saluto, mentre il bambino continuava a sbracciarsi, ringraziandolo per quello che aveva fatto.
Lei invece era parecchio innervosita.
Non poteva credere che tra tutte le persone al mondo, Scott era l’unico ad aver trovato il fratello.
Era tutta colpa sua.
Ma colpa di cosa?
Lui l’aveva protetta da Trent senza chiedere nulla in cambio e gli aveva riportato Flash senza che nessuno glielo chiedesse.
E lei aveva dato tutto questo per scontato.
Dawn si era resa conto d’essere stata ingiusta con lui e anche quando il fratellino parlò del suo incontro con il rosso, non aveva smesso di colpevolizzarsi.
E non bastavano quelle parole dure come il cemento, ma doveva anche subire le domande imbarazzanti del bambino.
Infatti fu con la scusa di leggere una favola che Dawn si ritrovò ad ascoltare le domande di Flash.
“Ti piace Scott?”
“Sì, non è male.”
“Ma se lui è da solo perché non ci provi?” Chiese, facendola arrossire.
“Perché non so se sia amore.”
“Amore? Dagli un bacio e lo scopri.”
“Non funziona così alla nostra età. Bisogna trovare la persona che ti mette al primo posto e che ti protegge senza chiedere nulla in cambio e che sappia amarti.”
“E lui non lo fa?”
“Lo ha fatto.”
“E allora? Dagli un bacio.” Borbottò di nuovo, sistemandosi meglio sotto le coperte.
“E se non gli piaccio?”
“Gli piaci.”
“Però…”
“Studia con lui, parlaci e bacialo. È così semplice.”
“Va bene principino.” Disse, chiudendo la luce e augurandogli la buonanotte.
Durante quelle poche domande si era sentita molto in imbarazzo e pensando a Scott aveva sentito il cuore martellarle nel petto.
Non poteva credere di provare qualcosa per quel tipo.
Uno che non aveva scrupoli, ma che aveva anche un lato tenero.
 


Angolo autore: Scusate se pubblico a quest'ora, ma tra un po' devo uscire.

Ryuk: Non ha avuto nemmeno il tempo per rileggere il capitolo.

Inizio a fidarmi della tua grammatica, Ryuk.

Ryuk: Che onore.

Non usare il sarcasmo con me, shinigami troppo cresciuto.
E comunque ringrazio tutti coloro che leggono e seguono la storia.
Alla prossima.

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Capitolo 13
*** Cap 13 ***


 
Scott invece credeva che i suoi buoni propositi fossero naufragati sul più bello.
Per oltre 2 giorni il rosso era rimasto a casa e solo perché non aveva intenzione di rovinarsi l’esistenza.
Tornò a scuola di venerdì e tutto sembrava normale.
Tanto casino, poca voglia di studiare, molti ragazzi che sbavavano dietro a qualche bel culo: le solite cose.
Appena giunto in classe, si sistemò al suo solito posto e senza rivolgere la parola a nessuno, iniziò a dormire.
Con quello che aveva fatto, credeva di meritarsi un qualche ringraziamento, ma probabilmente il destino pensava non lo meritasse.
Di come passava la giornata non gl’importava nulla, ma con tutto quello che aveva fatto, lei lo ripagava così.
Quelle poche parole…quelle rassicurazioni: un’immensa sciocchezza.
Aveva creduto alle sue promesse.
Alle promesse di una ragazza.
Era stato così stupido.
Sapeva che lei poteva pugnalarlo alle spalle e questi erano i risultati.
Sconfitto e umiliato su tutta la linea.
Passò quei 2 giorni chiuso nel suo squallido monolocale.
Nemmeno la domenica, giorno che usava per uscire e per liberare la mente, era stata sfruttata e per tutto il tempo aveva fissato il soffitto.
Un turbinio di pensieri lo torturavano.
Doveva fingere indifferenza, ma voleva sapere come stava.
Doveva tenerla lontana eppure voleva sapere se tutto andava bene.
L’orgoglio…quel maledetto, gli impediva di uscire, d’andarla a trovare, così tanto per passare il pomeriggio.
Se fosse uscito, avrebbe ammesso che aveva bisogno della sua compagnia e avrebbe fatto la figura dello stupido.
Chi avrebbe mai potuto desiderare una bestia?
Dopotutto si era solo illuso d’essere importante ed era caduto su quelle finte promesse.
Lunedì avrebbe saputo ogni cosa.
Doveva solo aspettare.
Aspettare di ritrovarsi davanti un’amara sorpresa.
 
“Ragazzi questo è il vostro nuovo compagno di corso: Trent Lambert.”
La sfortuna l’aveva bersagliato negli ultimi periodi.
E ora doveva aggiungere anche quel maledetto nella sua Università.
Non poteva credere che quello fosse animato da tanto odio, da poterlo spingere fino a quel punto.
Dawn, seduta vicino a lui, non era però spaventata come la prima volta.
Forse perché credeva che lui fosse cambiato.
Solo Scott sembrava fissato con il suo mantra: le persone non cambiano mai.
Nonostante avesse deciso di lasciarla libera, ora doveva di nuovo porsi dinanzi a lei.
Quel Trent non era un tipo raccomandabile.
Poteva benissimo fingere d’essere un amicone, per poi, all’improvviso, colpire alle spalle.
Se perfino Duncan e Brick lo avevano messo in guardia, ecco che la faccenda iniziava a diventare davvero preoccupante.
In più si aggiungeva anche il fatto che lei si ostinasse a non prendere lezioni di autodifesa.
Scott si chiedeva se sapesse a cosa stava giocando.
Poteva capitare che lui rimanesse a casa o che venisse chiamato per qualche impegno dell’ultimo minuto e allora chi mai si sarebbe frapposto per difenderla?
Lui sapeva che non poteva farci nulla.
“Non voglio!” S’impose nuovamente lei, mentre Scott la pregava di ripensare a quelle lezioni.
“Tu non vuoi capire.”
“La violenza non risolve le cose.”
“Dawn, io non posso proteggerti per sempre.”
“Sì che puoi.”
“Perché sei così cocciuta?” Borbottò sconsolato.
“Secondo me è cambiato.”
“Il tuo senso di fiducia verso gli altri è incredibile.”
“Tutti possono cambiare, considerando che ci sei riuscito anche tu.”
“Io sono cambiato in peggio, ma fidati che migliorare, per uno che prova solo odio, è quasi impossibile.”
“Non dire così.”
“Io ho provato entrambe le sensazioni e a oggi posso dirti che uno mosso dalla rabbia non può diventare buono.” Sbuffò il rosso, mentre l’accompagnava alla sua villetta.
“Fai come meglio credi.”
“Domani metterò in chiaro le cose con Trent e vedrò cos’ha da dire.”
 
Infatti l’indomani, così come aveva promesso alla ragazza, si era confrontato con lui, ma non ne aveva cavato un ragno dal buco.
Non sapeva nemmeno se era buono o cattivo, a essere onesti, e per il momento aveva deciso di estendere il suo credo d’innocente fino a prova contraria.
Qualora avesse fatto qualcosa, lui si sarebbe mosso e avrebbe sistemato la faccenda com’era solito fare.
Questo per il primo mese.
Poi vide l’irrimediabile.
Fu quando lo vide tentare d’alzare le mani sulla sua Dawn che lui non riuscì più a trattenersi.
Chiuse la porta dell’aula dietro di sé e lo malmenò per bene, mandandolo all’ospedale.
Dopo quell’ultima ripassata, Scott ebbe la certezza che Trent non si sarebbe più presentato.
Aveva lasciato messaggio ai professori che lui aveva intenzione di cambiare Università, senza che nessuno ne capisse il motivo.
Solo lui, Scott e Dawn sapevano la verità.
E suoi banchi di scuola non poteva che fissarla con sguardo deluso.
Lei aveva riposto le sue aspettative in una persona e puntualmente aveva sbagliato.
Sperava almeno che avesse imparato qualcosa da quell’ennesima lezione.
“Con quello che hai fatto non dovremmo vederci più.” Esordì lui, facendola sussultare.
“Non dire così.”
“Forse devi andartene lontano da me, prima che diventi come Trent.”
“Non accadrà.”
“Dovresti avere paura di farti vedere fuori scuola con me.”
“Non me ne frega niente di quello che pensano gli altri. L’ho capito tardi e poi con te mi sento al sicuro. Mi sento protetta e non potresti mai deludermi perché non ne sei in grado.”
“Se lo dici tu.”
“Allora?”
“Allora che?”
“Non mi hai ancora risposto. Vieni o rifiuti l’invito?”
“Credo che tu abbia già deciso per entrambi.” Ridacchiò appena.
“Quindi è deciso.
“Ti chiedo comunque scusa.” Borbottò il rosso.
“E per cosa?”
“Con la scusa di dare fiducia a Trent, non ti ho protetto a sufficienza.”
“Non preoccuparti…parleremo di questo quando mi darai la prima lezione.” Sorrise, accettando la sua proposta.
Quelle poche ore di scuola non furono molto pesanti e i due si ritrovarono come il solito a fare la passeggiata che li separava dal monolocale del ragazzo.
Dopo aver fatto un breve pranzo, il rosso liberò il minuscolo salotto del suo appartamento per avere lo spazio necessario per allenarsi.
Il luogo era angusto, ma sufficiente per i due.
Prima di cominciare però diedero una rapida occhiata agli esercizi che dovevano svolgere e dopo averli risolti, ripresero a parlare dal punto in cui si erano interrotti durante la lezione di Psicologia.
“Con queste lezioni non sarei più esposta a molti pericoli.”
“Lo so.”
“Ricorda comunque che l’impegno deve rimanere costante e ti chiedo scusa nuovamente per averti esposto a qualche pericolo evitabile.”
“A me non interessa ciò, ma vorrei sapere il perché non metti la tua felicità prima di quella degli altri.”
“Dovrei cominciare a farlo, ma non ci riesco mai.” Borbottò, avvicinandosi all’armadio.
“Forse ci riusciresti se ti liberassi del blocco che stai tenendo.”
“Blocco?” Chiese, voltandosi, ma continuando ad armeggiare tra le magliette.
“Nascondi qualcosa.”
“Nessun segreto mi dispiace per te.”
“Non sei il ragazzo che ho conosciuto.” Soffiò appena, lasciandolo intento a cercare qualcosa.
“Perché lo credi?”
“Se me lo chiedi vuol dire che è vero.” L’aveva fregato e lui non se ne era nemmeno accorto.
“Può essere.”
“Cos’è successo al ragazzo con cui ho passato i migliori anni della mia vita?” Chiese di nuovo, cogliendolo di sorpresa.
Quello era un argomento che non poteva affrontare senza guardarla negli occhi e infatti socchiuse le ante e si riavvicinò.
“Non tornerà più.”
“Perché?”
“Perché è molto meglio così, credimi.”
“Cosa mi stai nascondendo?”
“Se te lo dicessi, capiresti tutto e sarebbe sbagliato.”
“Se me ne parlassi sarebbe più facile.”
La tentazione di confidarsi era tanta, ma non poteva farla star male.
Un giorno forse sarebbe stata pronta, ma quello non era il momento opportuno.
“Parlare…perché dovrebbe importarti?”
“Perché siamo amici.” Rispose prontamente senza abbassare lo sguardo e carezzandogli una mano.
“Non per spegnere il tuo entusiasmo, ma io ti conosco e una porta chiusa non è piacevole.”
“Non ti ho mai chiuso la porta in faccia.”
“Lo hai fatto eccome.” Riprese, mettendo in dubbio la sua parola e facendola riflettere.
“Quando?”
“2 secondi fa. Hai dubitato di te stessa e così facendo hai dubitato anche di me.” Continuò fino a quando non decise di rialzarsi per tornare a rovistare in mezzo ai suoi vestiti.
Lei invece credeva stesse scappando e non voleva lasciarlo fuggire così facilmente
“Non andartene.”
“Perché dovrei? Questa è casa mia e dobbiamo allenarci.”
“Devi dirmi la verità.”
“Non vuoi sapere la verità, vuoi solo conoscere il mio segreto per poi dirlo a tutti. Ti conosco fin troppo bene e non sei così diversa dalle altre.”
“È per questo motivo che sei un bullo? Vuoi talmente differenziarti dagli altri che hai accettato di essere un teppista?” Gli chiese, alzandosi anche lei dal letto e andandogli alle spalle.
“Io posso essere ciò che voglio, ma tu non puoi capire.”
Non credeva di trovarsela alle spalle, ma si accorse della sua presenza solo quando sentì il suo abbraccio.
Mancava poco e si sarebbe commosso, ma non poteva mostrarsi così debole dinanzi a lei.
“Ti prego.”
“Non puoi portare questo peso.”
“Promettimi che un giorno me lo dirai.”
“Perché dovrei?” Chiese, continuando a cercare.
“Perché tu mi vuoi bene e se non mi racconti la verità, io non seguirò più le tue lezioni.”
“Forse.”
“D’accordo. Che cosa stai cercando?” Riprese, cercando di sbirciare oltre l’amico.
“Tieni.”
“A cosa mi serve?”
“Sei vestita troppo pesante e non vorrei che ti rovinassi il vestito. L’allenamento è sia teorico che pratico e quindi devi essere leggera come una piuma.” Borbottò, dandole le spalle e permettendole di cambiarsi d’abito.
“Cominciamo?”
Il ragazzo invitò quindi l’amica al centro del salotto e iniziò subito con la prima lezione.
“Quando una donna si difende può utilizzare anche i colpi bassi. Dita negli occhi, colpi sotto la cintura, pestoni, spray al peperoncino: sono tutti consentiti.”
“Quindi?”
“La prima cosa che devi fare quando qualcuno t’immobilizza è quella di liberarti e scappare. Scappa sempre e non guardarti mai indietro.”
“Potresti essere più chiaro?”
“Cerca di bloccarmi.” Propose subito, dandole il tempo per pensare a qualcosa.
“In questo caso devi afferrare il polso e fare leva con forza. Una volta libera scappi lontano, capito?”
“Credo di sì.”
“Procediamo.”
Il giovane le andò subito alle spalle e le passò una mano lungo la cintura e un’altra a tapparle la bocca.
Sapeva bene che non poteva imparare i movimenti al primo colpo e ci sarebbe voluto un bel po’ prima che fosse pronta.
“L’altro polso.” Bisbigliò, correggendo sul momento l’errore.
“Così?” Chiese applicando poca forza.
“Sì. Ora con più forza che puoi.” Ordinò, ripetendo la stessa posizione di prima.
La ragazza nell’atto di liberarsi si sbilanciò troppo all’indietro e il rosso non aspettandosi nulla di tutto ciò si ritrovò a cadere di schiena.
Era davvero leggera come una piuma.
Non pesava nulla, nonostante fosse atterrata sopra il suo corpo.
Poi si girò.
Come se l’avesse aspettato da una vita e si perse nel celeste dei suoi occhi.
“Tutto bene?” Chiese con un po’ d’apprensione.
“Non preoccuparti.”
Inconsapevolmente l’aveva avvolta nelle sue braccia e più si ordinava di lasciarla libera e di rialzarsi, più la stringeva a sé con forza.
“Cosa fai?”
“Prova a liberarti.” Rispose con un caldo sorriso.
“Non mi hai ancora insegnato come fare.”
“Aguzza l’ingegno.” Bisbigliò appena, mentre lei cercava di divincolarsi dal suo abbraccio.
Per circa 5 minuti provò ad uscire e a scivolare fuori, ma poi sconfitta dalla strategia del rosso, si arrese.
“Non ce la faccio.”
“Vorrà dire che staremo così per sempre.” Disse, mentre lei arrossiva per l’imbarazzo.
“Ma…”
“Hai una parte del corpo totalmente libera che puoi sfruttare e che non posso bloccare.”
“Davvero?” Chiese, guardandolo negli occhi.
“Rifletti…io sono un killer e tra qualche secondo ti bloccherò con un braccio e con la mano libera ti ucciderò. Cosa faresti per salvarti da morte certa?”
“Non lo so…”
“Devi attenerti al mio giochino se vuoi liberarti. Svuota il corpo e la mente e immagina che io sia Trent.” Borbottò, stringendola ancora più forte.
“Se ci fosse qualcosa per terra potrei…”
“Perderesti solo energie. Devi assolutamente trovare un punto debole e sfruttarlo per toglierti dai guai.”
“Ti prego…”
“Non puoi sperare che qualcuno si ravveda durante un assalto e ti restano pochi secondi per reagire.”
“Cosa devo fare?” Chiese di nuovo, mentre lui continuava a negare con il capo e l’avvolgeva ancora più forte.
“Se non trovi la situazione in un minuto, rigiro la situazione a mio vantaggio e farò come si è comportato Trent alla festa di cui mi hai parlato.” Non voleva ferirla, né colpirla così duramente, ma doveva riuscirci.
I suoi occhi erano sinceri e se non avesse trovato la soluzione, avrebbe portato a termine quella promessa.
Spalle al muro e la concentrazione che lascia posto all’istinto.
“Dita negli occhi?” Propose, cogliendolo di sorpresa.
“Esatto. In questo caso le dita negli occhi sono il primo passo.”
“E poi?” Scott voleva sapere come se la sarebbe cavata, mentre allentava la presa.
“Se non ti blocca in nessun altro modo, scappa lontano, altrimenti colpisci forte alla gola.”
“Perfetto, impari piuttosto in fretta.”
La ragazza finalmente libera si rialzò, offrendo una mano anche all’amico che l’afferrò con forza.
Non credeva imparasse così in fretta, ma aveva davanti a sé ancora quegli occhi chiari.
Quegli occhi da cerbiatto lo avevano spiazzato e sentiva un po’ di calore all’altezza del petto che si stava spargendo per il resto del corpo.
Sapeva di non essere in perfetta salute e credeva fosse una delle conseguenze del suo stile di vita malsano.




Angolo autore:


Ho sonno!


Ryuk: È per questo che non hai letto il capitolo?


Mi annoi, Ryuk.


Ryuk: Dato che non lo fai tu, ringrazio tutti coloro che leggono.


Alla prossima.
 

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Capitolo 14
*** Cap 14 ***


Tutta colpa della sua sbadataggine e della mancanza di riflessi.
Si era chiesto cosa potesse andare storto e Dawn gli aveva fornito la risposta in pochi secondi.
Non capiva nulla di quella sensazione.
Non l’aveva mai provata in vita sua e non sapeva nemmeno come comportarsi.
Se fosse stato solo avrebbe avuto un sacco di tempo per rifletterci, ma la sua presenza lo destabilizzava.
In pochi secondi tutte le certezze erano svanite e si sentiva perso.
Era giunto sul punto di pensare se anche i suoi amici avevano mai provato ciò.
Il desiderio folle di restare sempre insieme a una persona, di non farla andare via e di abbracciarla per tutta la vita.
Il sogno di combattere contro i pregiudizi degli altri solo per raggiungere la felicità.
Si era completamente dimenticato di lei, ma presto se ne sarebbe ricordato.
“Scott?” Chiese di nuovo, passandogli la mano a poca distanza dal volto.
Stava fissando il nulla e non era in grado di trovare risposta al dubbio che lo assillava.
Perché si sentiva così?
Perso nel vuoto dei suoi occhi e perché continuava a ripensare alle parole di Flash?
Non le aveva mai considerate.
Credeva che fossero prive di ogni fondamento.
Del resto come può una bestia sapere cos’è l’amore?
Sempre che di amore si parlasse.
Non poteva averne la certezza.
“Sì?” Borbottò sovrappensiero.
“Dovresti insegnarmi un’altra tecnica.”
“Hai degli occhi stupendi.”
Si era fatto sfuggire quella semplice frase.
Una frase che non poteva valere nulla per lei, ma ormai era tardi per rimangiarsi tutto.
Dawn non se lo aspettava, arricciò le labbra in un dolce sorriso e arrossì appena.
“Grazie.”
“La prossima tecnica…prova a bloccarmi frontalmente.” Propose, mentre lei si avvicinava intimorita.
Sembrava avesse paura, ma non sapeva nemmeno lei di cosa.
Era la prima volta che qualcuno gli faceva un complimento, ma lui anche il caso lo faceva solo per rivedere le sue perle e nulla più.
Voleva battere quella sensazione e voleva farlo in grande stile.
Peccato che fossero sempre i suoi occhi a vincere e Dawn lo beccava sempre nel momento meno opportuno.
“Ci sei?”
“Scusa. Devi sempre evitare di farti afferrare e se per qualche motivo riesce a strangolarti, devi utilizzare la rotazione del corpo così come ti ho insegnato.”
“Perfetto.”
“La regola è la stessa, anche se ti strangola da dietro, ma in questo caso puoi prendergli le dita e usare lo svantaggio a tuo vantaggio.”
Scott quindi gli mostrò la tecnica corretta e come appiccarla al meglio per rallentare l’avversario.
Non credeva imparasse così in fretta e l’aveva considerata troppo in anticipo.
“Potresti mostrarmi un’altra tecnica?” Gli chiese, mentre lui continuava a perdersi nei suoi occhi.
Si deconcentrava fin troppo spesso e tutte le volte si dava dello stupido per quelle pessime figure.
“Quando ti afferra il polso, devi usare una delle leve che ti ho mostrato. Purtroppo non sono bravo in teoria e la pratica vale molto di più.”
“Ho capito.”
Scott gettò quindi un’occhiata sconsolata alla sveglia che aveva sulla scrivania e subito si sentì come morire.
Perché il tempo passava così in fretta quando si divertiva.
“Beh si è fatto tardi. Credo sia ora di tornare a casa.”
Erano circa le 18 ed erano quasi 2 ore che si stavano allenando senza sosta.
“Tieni, vai a farti una doccia.” Le disse porgendole l’accappatoio e i vestiti di riserva.
“Sì mamma.” Borbottò, facendolo sorridere.
“Guarda che dopo tocca a me e se non vuoi arrivare tardi, ti conviene muoverti.”
Riprese, mentre si asciugava un po’ di sudore che scendeva dalla fronte, sedendosi sul divano del salotto.
Fu solo quando sentì l’acqua scorrere che prese a farsi alcune domande.
Perché si sentiva così strano?
Perché non riusciva a togliersela dalla mente?
L’unica risposta era tutta nella sua figura.
Non riusciva più a immaginarla come un’amica e davanti a sé vedeva solo una donna.
Una bellissima donna.
Non troppo alta, né troppo bassa e sicuramente non aveva delle curve mostruose che tutti gli uomini ricercavano.
Aveva un qualcosa di unico.
Un qualcosa che gli permetteva di sorvolare su certe mancanze fisiche.
Non che gli importasse.
Iniziava a vederla ovunque.
Seduta vicino a lui.
Distesa sul suo letto a leggere un libro con un pigiama leggero.
In piedi ad abbracciarlo.
Non riusciva a dimenticarla.
Fu quando sentì l’acqua smettere di scorrere e quando sentì le sue braccia cingergli la schiena che tornò in possesso delle sue capacità mentali.
“Come sto?” Gli chiese, aggirando il divano, ponendosi a pochi centimetri da lui e mostrandosi vestita allo stesso modo di come era giunta all’appartamento.
“Sei uguale a prima.”
   “Non noti niente di diverso in me?”
Erano stati separati per pochi minuti e non notava nessun cambiamento in lei.
“Sì, come ho fatto a non notarlo?”
“Cosa?”
“Ti sei fatta un pochino più alta o mi sbaglio?” Chiese con un sorriso sarcastico, facendola sorridere.
“Non mi sono allungata né accorciata neppure di un millimetro, mi dispiace per te.”
“Ero convinto fossi più bassa.”
“Non noti niente di diverso sul mio volto?”
In effetti qualche dubbio gli era venuto quando era scappata in bagno con la borsetta, ma aveva preferito starsene zitto.
“Staresti meglio senza trucco, ma pazienza.”
“Quindi le ragazze truccate non ti piacciono?”
“No, non è questo. È solo che non riesco a riconoscerti così.”
“Sono brutta, vero?”
Il ragazzo non capiva perché tutti la menassero con quella stupida storia.
Perché tutti dovevano sempre soffermarsi sull’aspetto esteriore, cancellando ciò che avevano dentro?
“Assolutamente no.”
“Ehi Scott, posso dirti una cosa?” Bisbigliò a bassa voce.
“Sarebbe?”
“Siamo in ritardo.”
Il rosso lanciò subito un occhiata alla sveglia e in pochi secondi sparì nel bagno.
E pensare che voleva fare tutto con calma, ma lei aveva rovinato tutti i piani.
Lei che si era seduta sul divano e rifletteva sulle ultime parole dell’amico.
“È molto cambiato.” Pensò, mentre si guardava intorno.
Stando con lui si sentiva protetta e apprezzava molto la sua sincerità.
Era raro trovare un ragazzo cui importasse qualcosa di un’amica senza che avesse pensieri perversi sul come portarsela a letto.
E come l’aveva ripagato?
Non aveva mostrato alcuna fiducia in lui.
Tutti i consigli che gli aveva dato, erano stati come cancellati e forse doveva fare qualcosa per dimostrargli che quello non era tempo perso.
Si sarebbe allenata ancora più intensamente e poi avrebbe seguito un po’ di più le sue parole.
Per prima cosa si tolse il trucco che aveva provveduto a mettersi e poi iniziò a dare un occhiata alle materie di studio.
Forse una risistemata ai suoi appunti non sarebbe stato tempo perso e lo avrebbe ripagato in minima parte dei suoi sforzi.
Non aveva molto denaro e questo era il massimo che poteva fare per lui.
Il problema che la tormentava però era un altro.
Lui cos’era?
Lo aveva sempre considerato come un ottimo amico, ma alla luce degli ultimi avvenimenti non ne era più sicura.
Lui uscì dalla doccia e si avviò verso il divano, nonostante il ritardo che avevano accumulato.
Si voltò quindi a guardarlo.
“Sei proprio una sciocca.” Borbottò, rialzandosi e lasciandola confusa.
“Perché?”
Non rispose nemmeno e dopo aver messo mano a un cassetto della scrivania, tirò fuori un fazzoletto.
Si avvicinò quindi a lei e prese ad asciugarle le lievi tracce di trucco che non era riuscita a togliere.
“Non dovevi toglierlo.”
“Mi avevi detto che non ti piaceva.”
“E ti sembra un motivo valido per farlo? Non dovresti badare a ciò che dicono gli altri.”
“Ma tu non sei come loro.” Borbottò, facendolo sorridere.
“Sarà…”
Il ragazzo quindi si avviò verso la sua stanza e dopo essersi vestito, aspettò che Dawn fosse pronta.
Prima di andare in bagno era lei ad essere in vantaggio e non poteva credere che ci mettesse delle ore solo a prepararsi.
Credeva che i ritardi fossero prerogativa solo di alcune ragazze non di tutte quelle con cui aveva a che fare.
“Non sei ancora pronta?”
“Non mettermi fretta.”
“Dirò ai tuoi genitori che sei una tartaruga.”
“Parla il bradipo.” Sbuffò, mentre terminava di sistemarsi i capelli.
Scott non comprendeva il perché passassero delle ore a specchiarsi.
Cosa avevano per odiare così tanto la loro immagine?
“Non restare troppo allo specchio; noteresti solo difetti che non hai e finiresti con il fare tardi.”
“Difetti? Perché hai parlato di difetti?”
“I difetti sono solo frutto della nostra fantasia e tu sei perfetta così come ti mostri. Non hai bisogno di trucco, di gioielli o di vestiti particolari per dimostrarti speciale.
Tu speciale lo sei da sempre…è che non te ne sei mai accorta.”
“Davvero?”
“Sei più speciale di quanto sembri. Chi avrebbe il coraggio di parlare con me sapendo che sono un teppista della peggior specie, in particolare dopo la brutta avventura che hai vissuto?”
Riprese, abbassando la testa, come se fosse tutta colpa sua.
Si sentiva colpevole…di nuovo.
Colpevole…come con la storia del fratello.
“Non dire questo. Ognuno è speciale a suo modo e poco importa ciò che pensano gli altri. Per me sei un eroe.”
Disse, avvicinandosi e abbracciandolo.
“Eroe?”
“Non hai mai avuto paura di dimostrarti per quello che sei e mi hai difeso nonostante tutto.”
“Comunque è meglio andare prima che si faccia notte.”
I due quindi uscirono dall’appartamento con umori decisamente diversi.
La giovane era elettrizzata.
Finalmente avrebbe presentato come si deve l’amico alla sua famiglia e avrebbe passato un po’ di tempo in pace e senza rotture di alcun genere.
Lui invece si sentiva come intimorito.
Tutte le volte che vedeva quel gigante del padre di Dawn si sentiva come una formica.
Sembrava quasi ti scuoiasse vivo se osavi restare a pochi centimetri dalla sua principessa e tutte le volte era costretto a ritrarsi come spaventato.
“Con la faccenda di Trent, cosa ha fatto tuo padre?” Gli chiese quasi subito.
 “Ha urlato come un pazzo e mi ha dato della credulona.”
“Davvero?”
“Ha detto che non sono in grado di scegliermi nessun buon amico, che dovrei essere un po’ meno svampita e lunatica e che dovrei smetterla di vivere nel mio mondo.”
“Un po’ eccessivo.”
“Quindi credi che sia vero e che abbia ragione?” Riprese la ragazza, mentre sul volto del rosso si delineava un sorriso appena accennato.
“Tutti sono un po’ svampiti e lunatici e anche tu lo sei.”
“E ti pareva che dovessi remarmi contro.” Sbottò, facendolo sorridere ancora di più.
“Non arrabbiarti per così poco.”
“Non dovrei?”
“Io sono manesco, noioso, rompiscatole e uno stronzo di prima categoria, ma alcuni miei pregi cancellano tutto ciò. Io vedo davanti a me una ragazza che possiede moltissime qualità, ma da cui non si può pretendere la perfezione.
La perfezione poi non esiste.”
“Diventerai un bravo psicologo.”
“Può essere.”
 
Dawn non credeva che esistesse qualcuno in grado di far crescere qualcuno e poi la sua vicinanza la rassicurava.
Stando con lui si sentiva ancora più donna, altro che i ragazzini con cui aveva avuto a che fare gli anni precedenti.
Trent?
Un marmocchio viziato convinto che con il denaro si potesse ottenere ogni cosa.
Forse la luce che aveva sempre aspettato con ansia, apparteneva a Scott e l’avrebbe sempre ricondotta a lui.
Forse Flash aveva ragione.
L’amore non era così male, ma non poteva averne la certezza.
Tra tutte le ragazze della scuola doveva pur esserci qualcuna che gli piaceva.
Aveva poche chance per far breccia nel suo cuore, ma nessuno poteva portargli via il suo Scott da sotto il naso.
“Suo Scott?” Si chiese, restando vicina all’amico.
Non aveva mai pensato ad una simile possibilità.
E come poteva dirgli quella verità?
L’avrebbe presa per pazza.
Con quale coraggio gli avrebbe rivelato i suoi sentimenti.
“Scott ti amo.”
Come poteva dire una simile sciocchezza?
Le avrebbe solo riso in faccia.
Così avrebbe subito una seconda umiliazione.
Non poteva farsi spezzare un’altra volta il cuore, ma se l’avesse visto con un’altra, sarebbe scoppiata di gelosia.
E lei non era capace di sconfiggere la gelosia.
Specie se quella avesse avuto un certo fascino.
Cosa poteva vederci in lei un ragazzo?
Al massimo qualcuno con cui passare una piacevole mezzora.






Angolo autore:


Leggermente in ritardo, ma comunque riesco ad aggiornare.


Ryuk: Hmmpf!


Scusate, ma Ryuk oggi è legato.
Scriverò solo io.
Vi ringrazio per aver recensito fino a qui e vedete di non farmi arrabbiare.
Generosi, chiaro?
Detto questo vi saluto e vi rinnovo l'appuntamento a lunedì.
Alla prossima.


P.S. Non credete che senza Ryuk si stia meglio?
Facciamo un referendum per togliermelo dai piedi?
 

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Capitolo 15
*** Cap 15 ***


Peccato che la strada fosse ancora lunga.
Scott ne aveva di domande da sorbirsi e di ragionamenti contorti da ascoltare.
“E la fidanzata?”
Tra tutte le domande quella era la peggiore.
L’aveva sentita un sacco di volte e puntualmente faceva la figura dell’idiota.
“Credi che in un mese le cose possano cambiare?”
“Può essere.”
“Se ti dico che non c’è nessuno, mi lasci tranquillo?”
“Mi sembra strano che tu sia ancora single.”
“Potrei farti lo stesso discorso.” Riprese il rosso, mentre i due giungevano finalmente al bivio.
Quel bivio lo avvertiva che mancavano ancora pochi minuti e poi avrebbe finito di stressarlo.
“Non c’è nessuno che mi voglia.”
“Dicono tutti così.”
“Vuoi che parliamo delle nostre compagne di corso?”
Si sentiva sempre più nei guai.
Compararla a una di quelle ragazze o decantarne le lodi poteva rappresentare la sua fine.
“Sono tutte noiose.” Borbottò infastidito.
“Perché non ne vuoi parlare?”
“E perché tu ne vuoi parlare?”
“Cos’è questo blocco?”
“Io non ho nessun blocco.” Riprese spazientito da quel terzo grado che durava da quando erano usciti dall’appartamento.
“Sì che è un blocco.”
“Dawn ora basta…”
“Chi vuoi tenere lontano con questo comportamento?”
“Tutti quanti, va bene?” Sbuffò stanco di quella conversazione, deprimendola e bloccandola sul posto.
Fu quando si voltò che la vide ferma e capì che forse aveva leggermente esagerato.
Non voleva ferirla in quel modo, ma con lei finiva sempre così.
C’era sempre un motivo che li portava a litigare, a distanziarsi e a farlo sentire uno stupido.
L’aveva trattata male, di nuovo, nonostante si fosse ripromesso che non sarebbe più successo.
Lei che non aveva nessuna colpa doveva subire quei repentini cambi d’umore.
Scott era sempre stato un lupo solitario ed era difficile riabituarsi all’avere qualcuno vicino.
Era stato invisibile per molti anni e finiva sempre con il prendersela con l’unica persona che lo stava aiutando.
Si riavvicinò con calma, pensando a cosa poteva dirle per risvegliarla.
“Cosa c’è che non va?”
“Mi vuoi ancora o vuoi che me ne vada via per sempre?”
“Ma che domande mi fai? Devi starmi vicina, fino a quando non sarai autonoma.”
“Lo fai solo per questo? Lo fai per non sentirti in colpa?”
“Non lo so e forse lo capirò quando sarà tardi.”
Non sapeva proprio come risponderle.
Lei meritava molto di più di un insensibile bastardo e solo quando avrebbe raggiunto la felicità…solo allora avrebbe potuto vivere in pace.
“Con qualsiasi persona io passi la mia vita nulla potrebbe cancellare il passato e forse è per questo che da troppo tempo m’illudo che tutto vada bene.”
“Cosa stai blaterando?”
“Nulla…lascia perdere.”
“Un giorno riuscirò a fartelo dire.”
“T’invidio. Magari avessi la tua sicurezza.”
“Nelle risse non ti spaventi mai.”
“Nell’ultima avevo paura di perdere tutto e di non vedervi più.”
“E tutto questo l’hai fatto solo per me?”
“Lo hai detto tu stessa che spesso pongo la felicità degli altri prima della mia, senza accorgermi di quanto faccia male.”
“Ma se vuoi rendere tutti felici perché ci tieni lontani?” Chiese, cogliendolo in controtempo.
“Quello che credete che sia felicità non è altro che un’illusione. La sfortuna tende sempre a prendersela con le persone che non se lo meritano.”
“Tutto qui?”
“Se sapessi la verità, saresti la prima a starmi lontano.”
“E perché non me la racconti?”
“Non capiresti.”
“Cosa non capirei?”
“A volte succedono delle cose terribili e tu non puoi farci niente per evitarle. Quindi perché preoccuparsi?”
“Perché ti sta uccidendo e se non permetti a me o a qualcuno di aiutarti finirà male.” Alzò la voce, cercando di risultare convincente e di metterlo alle strette.
“Credi che puoi venire qui, intrufolarti nella mia mente e farmi spifferare ogni cosa? Tu non hai capito cosa ho passato e non capiresti mai. Ti burleresti di me e scapperesti via.
Nessuno può capirmi, nemmeno tu.”
“Insieme possiamo sconfiggerlo.” Riprese, alzando sempre più la voce.
“Non fare promesse che non puoi mantenere.”
“Andiamo.” Ordinò imperiosa la ragazza, mentre Scott negava con il capo.
“Sono sicuro che vi siate sforzati molto per organizzare un’ottima cena, ma non posso.”
“Ancora con questa storia?”
“Sì.”
“I miei genitori non sanno nulla del tuo passato e questa cosa ti farà crescere.”
Inutile discutere.
Una scrollata di spalle fu più che sufficiente.
Dopo aver dato spettacolo in mezzo alla strada ora doveva pure seguirla come un cagnolino.
Si era proprio rammollito.
 
I due entrarono in casa con la giovane che faceva gli onori di casa, mentre il padre e Flash aiutavano la madre con gli ultimi preparativi.
Nell’attesa Scott si ritrovò nella camera dell’amica e si sentiva come un pesce fuor d’acqua.
“Mettiti pure comodo, mentre mi cambio d’abito.”
“Non sarebbe il caso che io aspetti fuori?” Propose il rosso che iniziava a sentire un po’ di caldo.
Se il vecchio lo avesse beccato, mentre spiava la figlia nell’atto di cambiarsi, sarebbe morto.
“Resta pure, non c’è problema.”
Le diede le spalle, ma la tentazione di sbirciare era davvero forte.
Di certo la porta che aveva chiuso a chiave poteva concedergli una qualche libertà e poi non sarebbe morto nessuno se avesse dato una leggera occhiata.
Pochi secondi e sarebbe stato felice.
Non chiedeva mica la luna, si accontentava di così poco.
Girò con lentezza la testa, mentre quei pensieri gli avevano fatto salire il sangue alla testa.
Era quasi paonazzo e poco per volta si ritrovò completamente nella sua direzione.
Fu quando anche lei alzò la testa che i due si ritrovarono a fissarsi negli occhi.
“Mi stavi guardando?” Gli chiese intimorita, mentre abbassava il capo.
“Non l’ho fatto apposta.”
“Però l’hai fatto. Mi potresti aiutare con la cerniera? Non ci arrivo.”
Era uno di quei vestiti con la zip che si chiudeva dietro la schiena, in un luogo irraggiungibile per chiunque.
Solo con l’aiuto di qualcuno poteva chiuderla e lui era l’unico presente.
Si alzò e fece come gli era stato chiesto.
Certo che la tentazione di girarla e di baciarla non era mai scomparsa.
Eppure aveva il terrore di subire uno schiaffo, ma se non avesse rischiato sarebbe finito con il recriminare per tutta la vita su quell’occasione perduta.
Infatti la rigirò subito e lei si ritrovò spiazzata da quel comportamento.
Sentiva il cuore che martellava e si chiedeva di cosa avesse bisogno.
“Questa volta non ti sei messa il trucco.”
Le fece notare il ragazzo che si faceva sempre più vicino, mentre lei si ritrovava ad indietreggiare, trovandosi addosso all’armadio.
“Non guardarmi così, mi fai paura.”
“Così come?”
“Sembri una belva affamata.” Borbottò, facendolo sorridere.
“Esagerata come al solito.”
“Allora perché mi guardi ancora così?”
“Non lo so.”
“Forse il tuo cuore vuole dirci qualcosa.” Riprese, sbattendogli una grossa verità.
“Ma cosa vai a pensare? È solo che ho visto una bella ragazza e nient’altro.”
“Ho capito. Allora è per questo che mi hai fissato: solo perché hai visto una bella ragazza. Se lo vuoi sapere ci sono tante belle altre donne in giro e non mi va di passare per un giocattolo.”
“Adesso basta.”
Sentire quelle poche parole l’aveva fatto arrabbiare.
Lei non sarebbe mai stata un giocattolo per lui e infatti, la prese e la spinse sul letto, stanco di tutte quelle chiacchiere inutili.
Lei non sarebbe mai stata così.
“Cosa pensi di fare?” Gli chiese visibilmente intimorita per quel cambio di comportamento.
“Zitta.” Le ordinò, avvicinandosi.
Il suo intento gli era finalmente chiaro.
Lui voleva provare con Dawn ciò che gli altri chiamavano amore.
Voleva vedere quegli occhi più da vicino.
Voleva assaggiare quelle labbra così invitanti che gli chiedevano di tuffarsi senza pensarci.
Voleva conoscere i suoi sentimenti.
Era sempre più vicino alla verità e poi avrebbe compreso ogni cosa.
Se era amore, lo avrebbe capito subito, mentre se si trattava di una semplice attrazione, si sarebbe scusato e sarebbero tornati a essere amici come prima.
Sentiva ormai il respiro sulla sua pelle e sembrava sempre più affannata.
E poi era rossa come un peperone.
Forse era il segno che anche lei apprezzava o forse si stava solo vergognando.
“Ti prego Scott, non farmi male.”
Non voleva farle nulla.
Voleva solo sentire il gusto delle sue labbra e sentirsi finalmente in pace.
Anche lei sembrava volerlo.
Con tutto quello che le aveva insegnato, poteva liberarsi senza nessun problema.
E invece non si opponeva.
Sembrava desiderare ardentemente quel bacio.
 “Dawn, Scott è quasi pronta la cena. Venite giù.”
Era il momento meno opportuno.
Tra tutte le persone che potevano interromperli, proprio il vecchio che bussava alla porta.
“Arriviamo papà.” Riprese la ragazza, mentre l’amico si scostava e scendeva dal letto.
“Mi dispiace, Dawn. Non so che mi è preso.” Bofonchiò dispiaciuto, abbassando il capo.
“Scusami anche tu. Credo di averti provocato senza saperlo.”
“Forse.”
“Andiamo.” Intervenne la ragazza, mentre Scott non sembrava essersi ancora ripreso del tutto.
Lui riuscì solo a bloccarle il polso e a scoccarle un bacio sulla guancia per poi scendere di corsa le scale.
“E quello per cos’era?” Bisbigliò la diretta interessata, mentre lui la faceva sedere con galanteria al suo posto.
“Un incentivo per il nostro piccolo segreto.”
“Capisco.”
“Ehi Scott…ami mia sorella?” Si erano quasi dimenticati di quel piccolo mostriciattolo.
Flash era terribile con quelle domande imbarazzanti.
Sembrava fosse in grado di leggere in anticipo ciò che accadeva a sua sorella e vederla di buonumore poteva essere riconducibile solo al ragazzo.
Era ancora rossa, ma il bambino sembrava sapesse la verità.
 
Il resto della cena passò con lentezza esasperante.
Il vecchio per oltre mezzora parlò del suo lavoro, di quanto stressante sia il contatto con i clienti e di quante pretese avessero su un determinato prodotto.
Sparò un sacco di numeri privi di logica che per Scott erano inutili e di cui non capiva nulla.
Poi fu il turno della consorte che parlò di com’era la figlia da piccola, imbarazzando e infastidendo la stessa Dawn, di come la vita da casalinga fosse parecchio noiosa e di un sacco di notizie che al rosso importavano relativamente.
Preferì ascoltare la giornata di Flash.
Almeno quella non era noiosa ed era breve.
Doveva solo stare attento a quando il piccolo parlava d’amore e di cose simili.
Bastava poco e il gigante lo avrebbe ridotto in polvere.
Se avesse saputo che il rosso provava qualcosa per Dawn e che anche lei sentiva qualcosa nei suoi confronti, sarebbero stati rovinati.
Non che avesse qualcosa contro il ragazzo, ma dopo quello che avevano vissuto con Trent era normale che ci andassero con calma prima di accogliere un uomo in quella casa.
 
Per fortuna che l’indomani sarebbe stata una giornata piuttosto leggera.
Lui dormì per quasi tutta la durata delle lezioni, mentre lei si sforzava di seguire i professori senza farsi sfuggire nemmeno una virgola.
Si chiedeva come facesse a superare brillantemente gli esami senza studiare e senza prendere appunti, ma l’amico l’aveva sempre rassicurata.
Tutti i libri erano stati memorizzati nel suo cervello.
Si ritrovarono come al solito durante il viaggio di ritorno e da lì all’appartamento del rosso.
Durante il viaggio si chiedeva cosa sarebbe successo.
Era la prima volta che sarebbero stati da soli dopo la faccenda in camera sua e Dawn non sapeva cosa pensare.
Credeva che si sarebbe comportato come gli altri uomini.
Gli sarebbe saltato addosso e addio pace.
Invece dopo aver aperto la porta e aver sistemato il salotto, gli fece un leggero ripasso delle tecniche che aveva imparato in precedenza.
Sembrava che avesse dimenticato ogni cosa, mentre lei si chiedeva come fosse possibile.
Quel momento, seppur interrotto bruscamente, le aveva fatto passare la notte in bianco.
Come il pomeriggio precedente si ritrovarono a fare la doccia e mentre lui finiva di lavarsi, Dawn si avviò verso la sua scrivania, dove notò qualcosa di strano.
Era l’unica foto che aveva visto in tutta la casa e forse poteva far parte del suo segreto.
Fu quando si ritrovarono per strada che lei iniziò a fargli un terzo grado completo.
“Era tua la foto che ho visto sulla scrivania?”
Si aspettava di tutto durante il viaggio di ritorno, ma non quella domanda.
Si chiedeva come avesse fatto a notarla, dato che per tutto il tempo avevano pensato ad allenarsi.
Una vecchia cornice carica di significati che lui avrebbe sempre tenuto e che non avrebbe mai dimenticato.
E non l’aveva solo notata, ma aveva pure fatto centro con il suo segreto.
“L’hai vista?”
“Certo che l’ho vista.”
“Sapevo che dovevo nasconderla, ma non mi sembrava giusto.” Brontolò, facendola sorridere.
“A cosa è legata?”
“Non te lo posso dire.”
“Al tuo segreto?” Chiese di nuovo senza lasciargli un attimo per riflettere.
“Ti prego Dawn, lascia perdere. È un qualcosa che non puoi conoscere.”
“Non chiuderti così…anche se sembro debole, sono sicura di farcela e non ti deluderò.”
“Non posso.”
“Se ti raccontassi i miei segreti, tu mi parleresti di quella foto?” Chiese di nuovo.
“Non sei una che si arrende facilmente.”
“Forse sono cocciuta quanto te.”
“Hai ragione.”
“E quindi?”
“Quella foto fa parte della storia che ti dovrò raccontare.” Borbottò, cacciando nuovamente le mani nelle tasche dei jeans.
“È un qualcosa di triste?”
“Può essere.”
“Ma…”
“Non parliamo di questo, non in una serata così bella. Chiedimi qualcos’altro.” Borbottò abbattuto, ricordandosi di ciò che gli era capitato.
Aveva quasi dimenticato il passato, ma questo era tornato con prepotenza a fargli visita.
“Immagino che la mossa da disteso dell’altro giorno non facesse parte del repertorio.” Riprese, ridacchiando divertita.
Non si aspettava d’essere preso in contropiede e infatti l’aveva inventata sul momento.
“Era una contromossa al tuo sbilanciamento.”
“Davvero?”
“In una rissa l’avversario di solito ha sempre una seconda strategia e devi imparare che anch’io potrei averne una.”
Dawn non si aspettava di certo una simile risposta e il resto del viaggio passò tra le solite cose riguardanti la scuola.
Dopo quelle poche lezioni a Scott non importava più nulla della reputazione da teppista e anzi voleva solo uscire pulito dall’Università, dimenticando il suo passato da delinquente.








Angolo autore:
Spero che Ryuk abbia scritto qualcosa di sensato.


Ryuk: Fidati.


L'ultimo che ha detto così, mi ha deluso parecchio.
Posso solo sperare e ringraziare chi leggerà l'obbrobrio di Ryuk.
Ultima nota aggiuntiva: mancano 2-3 capitoli alla fine.


Ryuk: Ma tanto io ho già finito altri lavori.


Quindi dovrete sopportare le sue schifezze per un bel po'.
Detto questo vi saluto, sperando che non vi siano grossi errori.
Alla prossima.
 

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Capitolo 16
*** Cap 16 ***


“Vuoi entrare?” Gli chiese, quando giunsero alla sua villetta.
“Non serve.”
“Ascolta Scott, domani a che ora devo venire per la lezione?”
L’indomani sarebbe stato il primo giorno di riposo del week-end e quindi avrebbero passato buona parte del loro tempo insieme.
“Verso le 10.”
“Non vuoi salutare Flash?”
“Lascialo tranquillo. Ci vediamo domani.”
“Certo.”
La ragazza entrò quindi nella sua bella villa, mentre lui s’incamminava lentamente verso la sua abitazione.
Peccato che lui non avesse fatto i conti con Dawn.
Quella foto le era rimasta impressa nella mente e ricordava abbastanza bene la figura dei genitori del suo amico.
Infatti, quando fu sicura che il ragazzo era già lontano, lei uscì di nuovo e si avviò al bivio.
Girò quindi nella direzione opposta e iniziò l’irta salita che la separava dalla fattoria.
Suonò alcune volte al campanello e ad aprirle venne una giovane donna sui 30.
“Chi è lei?” Chiese subito, notando Dawn con il fiatone dovuto alla corsa che aveva appena fatto.
“La casa Riddle?”
“Sì.”
“La famiglia di Scott Riddle?” Ripeté per maggiore sicurezza.
“Mio fratello.”
“Sono venuta qui perché sono una sua compagna di classe.”
Non ci fu nemmeno bisogno di invitarla a entrare che Alberta la prese per un braccio e la fece subito passare.
“Come sta?” Le chiese subito, mentre anche i genitori si accomodavano vicino al tavolo.
“Abbastanza bene.”
“E a scuola?” Intervenne il padre, mentre la consorte prendeva dal frigo qualcosa da bere.
“Molto bravo.”
“E la fidanzata?” Chiese di nuovo Alberta.
“Credo sia single.”
“Lasciate parlare un po’ la signorina prima di tartassarla di domande.” Brontolò la donna più anziana che per tutto il tempo era rimasta in silenzio.
“Come vi ho detto sono un’amica di vostro figlio e vorrei sapere il perché è così strano.”
“Non ti ha detto nulla?” Chiese Alberta, guardandola fissa negli occhi.
“Mi ha detto solo che c’è una storia che un giorno mi racconterà.”
“Dicci la verità…lo ami, vero?” Borbottò il padre che aveva capito qualcosa del suo strano comportamento.
Mai nessuna ragazza era andata a fare loro visita in quegli anni e nemmeno quelle che si professavano grandi amiche del diretto interessato.
“Non lo so.”
“Inutile negare. Sei la prima ragazza che viene a chiederci di lui e se fossi solo un’amica, non saresti venuta qui. Tu vuoi essere qualcosa in più per lui.” Riprese l’uomo, mentre anche le altre due donne annuivano convinte.
“Se non si apre però è difficile anche per te.” Prese parola Alberta, facendola annuire.
“Vorrei solo capire cosa gli è successo.”
“Vuoi sapere solo questo o tutta la storia?” Riprese il padre.
“Mi basterebbe poco per aprirlo.”
“Lo ami?” Borbottò di nuovo la madre.
“E questo cosa centra?”
“Rispondi. Lo ami o la fai per pietà?” Chiese di nuovo Alberta, mentre Dawn arrossiva appena.
Non sapeva se quello fosse amore, ma gli indizi che aveva raccolto sembravano confluire tutti su quella verità.
Era stata felice quando lo aveva visto.
Si era sentita protetta quando l’aveva aiutata con Trent.
Si sentiva apprezzata quando riceveva i suoi complimenti, nonostante il tipo complicato che aveva davanti.
Restava colpita quando lui metteva sempre la felicità sua e degli altri prima di ogni cosa.
E senza dubbio ammirava molto i suoi preziosi consigli nelle lezioni d’autodifesa.
Non l’aveva mai ammesso a nessuno, ma da quando si erano salutati alle medie, lei senza di lui non era mai stata più in pace.
Sognava in segreto di rivederlo, di riabbracciarlo e di diventare qualcosa in più di una semplice amica.
Per lei, Scott era sempre presente ed era giunto il momento di ricambiare il favore.
“Non so nemmeno io cosa provo.”
“Prova a pensare all’ultimo momento che avete vissuto insieme e avrai la risposta.” Riprese la donna più anziana.
“Mi stava aiutando e mi piaceva.” Borbottò lei in preda alla vergogna.
“Credo tu sia innamorata.” Ripeté l’uomo.
“Sì.”
“E se conosco mio fratello anche lui deve provare qualcosa per te.”
“Mi potete raccontare il perché è così misterioso?” Chiese di nuovo, soffermandosi sulla sorella.
“Non posso sapere se riguarda o meno una certa faccenda, ma è da quasi 9 anni che non lo vediamo più.”
“Così tanto?”
“Sì.” Borbottò il vecchio.
“Ma perché si comporta così?”
“Noi possiamo solo dirti che riguarda suo fratello, ma il resto te lo deve raccontare lui.”
“Credete che me lo dirà?” Chiese, rivolgendosi sempre alle donne della famiglia.
“Anche se è complicato, lui si fida di te e ti dirà la verità. Posso darti un consiglio? Se non ti vuole dire nulla, devi metterlo con le spalle al muro.” Intervenne il vecchio.
“Non appena saprò qualcosa…verrò a farvi visita.” Disse poco prima d’uscire.
Ritrovatasi in strada con il vento fresco a scompigliarle i capelli, ripensò a quelle poche parole che aveva ottenuto.
Suo fratello?
Scott si era isolato per un motivo che riguarda il fratello.
Questo era un buon inizio e se si fosse giocata bene le sue carte avrebbe ottenuto facilmente una risposta.
Voleva solo sapere cosa gli era successo e non era sua intenzione rigirare il coltello nella piaga.
Non ne sarebbe mai stata capace, ma Scott doveva svuotarsi di quel peso.
Solo così avrebbe potuto passare un periodo di tranquillità, senza rimorsi e senza essere schiacciato continuamente da quel peso.
 
L’indomani, puntuale come un orologio svizzero, lei era già dentro il suo appartamento, ma non aveva intenzione di allenarsi.
Non subito almeno.
Appena entrata si era cambiata subito d’abito con una maglietta che Scott aveva tirato fuori qualche minuto prima, ma dopo essersi posizionata in un punto tranquillo della stanza si era come fermata.
“Qualcosa non va?” Le chiese subito, leggermente preoccupato per quel cambio d’umore.
Era entrata allegra come al solito e dopo qualche minuto sembrava che stesse per andare ad un funerale.
Un clima pesante che non era affatto ideale per un allenamento intensivo.
Infatti lui l’aveva subito capito e si era seduto comodamente, aspettando che si scomponesse e tornasse com’era in principio.
“Devo raccontarti un segreto.” Riprese bisbigliando.
“E di cosa hai paura? Dimmelo, ti ascolto.”
“Vorrei dirtelo in un orecchio.”
Il rosso non riusciva proprio a capire cosa fosse quel repentino cambio d’umore.
E pensare che stava studiando Psicologia proprio per comprendere le persone che lo circondavano.
“Avanti.” Borbottò, alzandosi dalla sedia e ponendosi a poca distanza dalla ragazza.
Non capiva che bisogno ci fosse a mantenere tutta quella segretezza.
Nessuno li avrebbe potuti sentire, ma per evitare ogni problema, decise di accontentarla.
Lo faceva solo per lei e perché voleva rivedere i suoi occhi.
Quegli occhi: lo stavano stregando di nuovo e non riusciva a dirle di no.
Era da qualche ora che ripensava sempre a lei, anche quando dormiva non riusciva a togliersela dalla testa.
Quello sguardo carico di dolcezza lo aveva sconfitto.
A pochi centimetri dal suo volto e in attesa che lei spiccicasse parola.
Stava aspettando che lei le dicesse di questo segreto e non si aspettava un simile gesto.
Non appena le fu vicino, lei prese il suo volto e lo baciò senza pensarci.
Lei lo amava e non le importava nulla della sua reazione.
Non sentì nessuno segno di allontanamento e anzi dopo qualche attimo stava approfondendo quel delicato contatto.
Aveva sempre desiderato una donna che non fosse né bella, né brutta, ma quell’angelo che lo stava baciando era quanto di più bello potesse desiderare.
Fu quando si staccò che la vide.
Dopo quel bacio era ancora più bella e non appena riprese fiato, si fiondò di nuovo su quelle calde labbra.
Troppo tempo era passato da quando l’aveva desiderata e nessuno poteva rovinare il loro amore.
Si sentiva come in Paradiso e se quello era un sogno sperava che durasse per l’eternità.
Restarono attaccati per alcuni interminabili istanti, saziandosi l’uno delle labbra dell’altro.
“Credo che per oggi la lezione sia meglio saltarla.” Propose divertito il rosso, mentre risistemava i pochi mobili del suo appartamento.
“Domani.”
“Certo.”
“Ancora.” Riprese, tirandolo a sé e baciandolo di nuovo.
Scott finalmente si sentiva felice.
Aveva aspettato anni per trovare la sua metà e non aveva nessuna intenzione di mandarla al diavolo.
Finalmente a distanza di tanto tempo era la prima cosa bella che gli era capitata.
Prima di allora giudicava l’incontro con Duncan e con gli altri come una benedizione, ma questo era anche meglio.
“Mi ami?” Le chiese, mentre lei annuiva, attingendo di nuovo dalle labbra invitanti del ragazzo.
“E tu?” Chiese, staccandosi e aspettando la sua risposta.
“Un bacio credo sia la risposta migliore.”
Il tempo non passava affatto e i due si stavano beando di quell’intenso momento di pace.
Si baciavano come se non si vedessero da un eternità e avevano trovato anche il tempo per passare tutta la giornata insieme.
Tante ore costellate da attenzioni per l’altro e tanti baci bollenti che riempivano il tutto.
Fu solo verso le 16 che Dawn si ricordò del motivo principale della sua visita, ma non sapeva come porgli quella domanda.
Temeva che considerasse quei baci come una sorta di anticipo per il suo segreto ed era giunta al punto di credere che lui potesse considerare tutto ciò come il frutto di un complotto.
Un complotto che lei aveva organizzato alle sue spalle e che serviva solo a stabilizzarlo.
Eppure si sentiva in dovere di farlo e voleva alleggerire ancora di più il rosso.
“Scott posso farti una domanda?”
“Chiedimi pure tutto quello che desideri.” Rispose subito con un sorriso, avvicinandosi per cercare un bacio, ma restando deluso dal suo blocco con una mano.
“Mi ameresti anche se la domanda non ti piacesse?”
“Certo.”
“Quale sarebbe il segreto che nascondi?”
Per un breve istante si era come spento e non sapeva come continuare.
“Segreto?”
“So che riguarda tuo fratello.”
Abbassò istintivamente il capo come se si aspettasse qualcos’altro.
“Puoi dirmi la verità perché ti amo e se resti in silenzio mi fai molto male.” Borbottò, sperando di sbloccarlo del tutto.
“Mio fratello…l’ho quasi ucciso.”




Angolo autore: Son di corsa.

Ryuk: Come sempre.

Non ho avuto il tempo di rileggere il capitolo, anche se ricordo che qui dovrebbe venir fuori la verità.
Scott è cambiato a causa del fratello.

Ryuk: È cambiato perchè ha fatto qualcosa al fratello.

Già.
Lunedì prossimo ultimo capitolo e poi inizieremo con un nuovo progettino.
Giovedì prossimo ovviamente se ricordo d'annotarlo.
Altrimenti son guai.

Ryuk: Me ne ricorderò.

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Capitolo 17
*** Cap 17 ***


Non riusciva a crederci.
Possibile che quelle parole fossero uscite proprio dalla sua bocca?
Sapeva che era un tipo violento, ma prendersela con suo fratello forse era stato eccessivo.
“Ti va di parlarmene?”
Non serviva che glielo chiedesse.
Quel peso stava diventando insostenibile anche per lui e forse era il caso di ascoltare i consigli che ne sarebbero seguiti.
Perché sapeva bene che lei glieli avrebbe dati.
Lui era la sua roccia, ma per una volta aveva bisogno di piegarsi e di sentire qualcuno che gli diceva la sua opinione.
“Eravamo vicini agli esami delle medie e il primo giorno ho iniziato a studiare. Quel giorno era il compleanno di mio fratello e ovviamente non vedevamo l’ora di festeggiare.
Avevamo pensato a tutto.
La torta, i regali, il ritorno a casa di Alberta dall’Università.
Ero troppo preso…troppo stupido per stare con lui.
Non so cosa sia successo, ricordo solo che il pallone era rimbalzato sul tetto e che era caduto sul bicchiere che avevo vicino.
Tutto bagnato, ho preso il pallone e l’ho calciato.
È finito in mezzo alla strada e mio fratello è stato investito.
Tante operazioni chirurgiche, tanto dolore e tanta sofferenza.
Avevo quasi ucciso mio fratello.
Il bambino più buono e dolce di questo mondo.
La polizia, gli infermieri…tutti che ti guardano e sembrano ti dicano che sei colpevole.
Colpevole.
Assassino.
Maledetto.
Tutta colpa mia…mia.
Non volevo ucciderlo, volevo solo allontanare quella palla.
Non volevo arrabbiarmi con lui e non volevo farlo soffrire.
Così siamo andati all’ospedale, lo hanno salvato per un pelo e dal giorno del mio trasferimento non l’ho più visto.
Ho chiuso con tutto.
Il mondo non era più mio.
Ho perso i migliori anni della mia famiglia per quello stupido esame.
E così sono diventato un mostro.
Ho iniziato a picchiare le persone per sfogare la mia rabbia, ma i sensi di colpa tornano sempre impetuosi.
Tutto sbagliato.
Non dovevo comportarmi da stupido, ma temevo di far male ancora a mio fratello.
Qualsiasi cosa io tocchi finisce con il morire.
È per questo che non volevo rischiare e preferivo stare solo.”
“Mi vuoi far male?” Gli chiese subito, mentre si asciugava gli occhi.
Anziché essere lui a piangere e a farsi consolare era finita che era lei a versare lacrime amare.
L’aveva costretto a svuotarsi di quel peso e aveva ragione.
Era un qualcosa che da soli era difficile da portare, ma insieme potevano riuscirci.
“No.”
“Non sono morta stando con te e non voglio staccarmi da te.”
“Non temi che possa succederti la stessa cosa?”
“Non essere stupido. Anche se morissi non sostituirei nulla di questo momento perché tu sei l’incidente più bello che potesse capitarmi.
Lo so che ti sembrerà stupido, ma perché continui a distruggerti?”
“Per paura.”
“Perché non vai a trovare tuo fratello?”
Non si aspettava quella reazione.
Si era subito ritratto come spaventato e probabilmente non si sentiva ancora pronto.
“Temo non voglia perdonarmi.”
“Siete fratelli e se lui ti voleva bene, vedrai che continuerà a volertene.”
“Tu dici?”
“Certo.”
“Possibile che avessi bisogno di te per sentirmi meglio?” Chiese, cercando di cambiare discorso.
“L’amore non segue una direzione precisa e finché sarò con te, il resto non conta.”
“Sei diventata anche molto matura.”
“Non sono più la bambina che conoscevi.”
“Lo vedo…sei diventata una bellissima donna.” Disse, facendola arrossire e cogliendola impreparata.
“E tu un brav’uomo.”
“Dopo quello che ho combinato, mi sembrava impossibile.”
“Non m’importa il tuo passato, io voglio solo il tuo presente e il tuo futuro.”
“Per sempre?” Chiese, abbracciandola e versando qualche lacrima che le bagnava l’abito.
“Per sempre insieme.”
Si era fatto tardi e se i genitori non l’avessero vista tornare sarebbero stati in apprensione come l’ultima volta.
 
Il ricordo di cosa stavano per combinare con Flash era ancora vivo in Dawn e non voleva farli stare in pensiero.
La testa gli diceva di andarsene, ma il cuore gli ordinava di restare con Scott e di amarlo per tutta la notte.
A malincuore fu costretta ad alzarsi, ma quella giornata non era ancora conclusa.
I due uscirono dall’appartamento del rosso mano nella mano e al ragazzo non gl’importava più nulla di quello che pensavano gli altri.
Era pronto a rinunciare anche al ruolo di leader della scuola piuttosto di restare con lei.
Se avesse tenuto entrambe le cose sarebbe finita con la vendetta.
Qualcuno avrebbe potuto prendersela con Dawn e non voleva che lei soffrisse e si facesse male a causa di ciò.
“Scott…domani ti voglio portare in un bel posto.” Borbottò la giovane, mentre lui la guardava di sottecchi.
“E dove vuoi portarmi?”
“Una sorpresa è una sorpresa e non voglio rovinarla.”
“D’accordo. Saremo da soli?”
“Sì.” Rispose con un pizzico di malizia, rendendo strano il giovane.
Non vedeva l’ora di rivederla e di stare tranquillo.
“E i tuoi genitori e Flash?”
“Sanno già che sono con te e poi non sono preoccupati.”
“I vecchi la sanno lunga.” Borbottò divertito il giovane.
“E anche mio fratello. Ieri mi ha fatto il terzo grado e gli ho confessato che ti amavo. Se ti piace, bacialo. Ha detto questo, pensando che fosse sufficiente.”
“Anche con me ha fatto lo stesso.”
Lo sapevano tutti di quell’attrazione e loro erano stati per tutto il tempo senza rendersene conto.
Meglio tardi che mai.
Erano circa le 19 quando la ragazza aprì la porta della sua villa e dopo aver regalato un ulteriore bacio al fidanzato, andò subito a monopolizzare il telefono.
La madre preoccupata per tutto il tempo che passava attaccata all’apparecchio si era avvicinata, ma riuscì solo a sentire poche parole.
“Domani mezzogiorno.”
Tutto qui.
Non sapeva se stesse parlando con Scott, se fosse un appuntamento con un’amica, non sapeva se fosse un incontro con altri ragazzi: lei era completamente all’oscuro della faccenda.
“Tutto ok?” Chiese, mentre la ragazza annuiva e saliva di corsa in camera.
“È innamorata.” Intervenne il fratello, vedendo Dawn stranamente di buonumore e su di giri.
“Lo credo anch’io.”
Avere una donna sempre allegra è una benedizione per ogni uomo che la incontra.
Peggio di una donna incazzata c’è solo il diavolo fatta persona.
L’indomani i due si ritrovarono per una lezione d’autodifesa.
Più che d’autodifesa…direi una sessione intensa di baci e carezze.
Ben pochi minuti spesi per gli allenamenti e se avessero continuato con certi ritmi dopo un mese non avrebbe imparato nulla.
“Andiamo?” Borbottò la giovane.
“A quest’ora?”
Mancava mezzora a mezzogiorno e si chiedeva chissà quale luogo avesse da mostrargli.
“Prima di andare ti devo bendare.”
Quanti ragazzi hanno sognato di girare bendati per la città.
Lui era scettico, ma si fidava di lei.
Fece come gli era stato chiesto e i due si ritrovarono a passeggiare.
Dawn sapeva che il fidanzato conosceva bene la città, ma facendo un giro più largo del solito probabilmente non avrebbe mai collegato le zone.
Non era difficile capire dove si trovasse, ma preferiva stare in silenzio e comprendere il perché si comportasse così.
 
Un campanello che suona.
Una donna che scende di corsa dalle scale, affiancato da un giovanotto.
E lei che gli sfila la benda.
Appena ritrovata la luce si era trovato davanti tutta la sua famiglia.
Il padre con l’indomabile sigaretta e con il pizzetto.
La madre con un fazzoletto ad asciugarsi gli occhi e qualche ruga.
La sorella che era diventata a tutti gli effetti una donna e che spingeva avanti un ragazzo e quest’ultimo che lo fissava dal basso.
Il fratellino era cresciuto ed era diventato un bel giovanotto.
Sembrava fosse passato un giorno dalla sua fuga, ma erano passati anni e non poteva sapere cos’era cambiato nella fattoria.
“Ciao famiglia.” Bisbigliò non sapendo che altro dire.
Era quello il saluto che rivolgeva ai suoi genitori quando entrava e il sentirglielo dire aveva evocato in tutti molti bei ricordi.
“Questo è il mio regalo di fidanzamento.”
Disse semplicemente la ragazza, stringendogli una mano e chiedendogli quasi il suo perdono.
“Grazie.”
“Scott?” Gli chiese il fratello, mentre questi si girava a guardarlo e si abbassava un po’ per abbracciarlo.
“Sono tornato e non vi lascerò più.”
“Perché te ne sei andato?”
“Conosce la storia?” Chiese, rivolgendosi al padre che dopo aver spento la sigaretta, rispose con un cenno del capo.
“Sì, la conosco.”
“Avevo paura che mi avresti tenuto lontano. Non volevo farti soffrire e avevo timore di ogni cosa. Ho finito con il tenerti lontano dalla mia vita, capendo solo ora che così facendo ti facevo ancora più male. Potrai mai perdonarmi?”
“Ti aspetti che accetti le tue scuse?” Mormorò con un ghigno.
“Sempre se lo desideri.”
“Sei migliorato a calcio o sei rimasto il solito incapace?”
Il rosso non si aspettava una simile domanda e infatti si voltò a fissarlo confuso.
“Non guardarmi con quella faccia. È ovvio che ti perdono.”
Tutte le lacrime che aveva trattenuto in quei lunghi anni, scivolarono sulla maglia del fratello, mentre anche Alberta e i genitori si riunivano in un unico abbraccio.
Abbraccio da qui Dawn non era stata esclusa.
Si sentiva finalmente in pace.
Aveva ottenuto il perdono del fratello.
Aveva ricevuto l’amore di Dawn e non aveva nulla da recriminare.
“E tutto il resto?”
“Quale tutto il resto Scott?”
“Hai qualche problema fisico con l’incidente?” Chiese imbarazzato, temendo la risposta.
“Ho solo una cicatrice molto figa che attira le donne.”
“Razza d’idiota.” Borbottò, tirandogli un lieve pugno d’affetto sulla testa.
“E tu? Come va con le conquiste?”
“Ho ritrovato Dawn.”
“Ritrovato?” Chiese la diretta interessata.
“Temevo d’averti perso.”
“Io l’ho sempre saputo.” Riprese il giovane, abbracciando anche la fidanzata del fratello.
Tutto era finalmente perfetto ed era riuscito con molta fatica a ricucire ogni cosa.
 
10 anni dopo.
I genitori di Scott erano notevolmente invecchiati e continuavano a tirare avanti la baracca.
I ritrovi con i genitori di Dawn erano assai divertenti e andavano molto d’accordo nonostante tutto.
Trent era diventato il capo della società del padre e le lezioni che aveva ricevuto dal rosso gli erano servite parecchio per mettere la testa apposto.
Da viziato figlio di papà era riuscito a diventare molto maturo e non cercava più rogne o cose simili.
Perfino con le ragazze usava il guanto di velluto con il timore che se si fosse comportato da despota, qualcuno avrebbe potuto fargliela pagare molto cara.
Flash, il fratellino di Dawn, affrontava con successo il terzo anno delle superiori e sembrava voler proseguire la carriera di meccanico.
Era rimasto comunque un ragazzo spensierato e molto dolce.
Il fratello di Scott si era iscritto all’Università e completava un esame dietro l’altro con una facilità disarmante.
Era riuscito anche a trovarsi una fidanzata, nonostante la fama da casanova che aveva ereditato geneticamente.
Gwen e Duncan erano andati a convivere insieme ed erano propensi a fare un piccolo pensierino per un eventuale matrimonio.
Lui, abile ingegnere e lei segretaria in una piccola ditta di manutenzione ordinaria.
Tyler aveva effettivamente trovato l’oro con la sua Lindsay e nonostante fosse svampita, il tutto si era coronato con un matrimonio perfetto.
Lui lavorava nell’azienda del padre di Brick, mentre lei continuava con frenesia il suo percorso di moda.
Brick accettando il ruolo del padre come capoufficio aveva conosciuto una bella ragazza ed era caduto abbastanza bene.
La sua bella Jo era un tipo particolare, ma adatto ad una testa calda come lui.
Lightning era finito con il diventare un Professore delle medie e sembrava avesse abbandonato il comportamento da scavezzacollo che aveva da giovane.
Geoff era volato con la sua meravigliosa surfista ed entrambi convivevano felicemente e avevano allargato la famiglia.
Un piccolo marmocchio che non faceva che piangere in continuazione.
E Scott?
Non lo immaginate?
Scott si era sposato con Dawn non appena avevano finito entrambi l’Università.
La proposta l’aveva fatta nel vecchio parco, luogo in cui era sbocciato il loro amore.
Lui era diventato un buon psicologo e la moglie si occupava dei figli.
Dapprima avevano cominciato in quel minuscolo monolocale e poi con i primi stipendi avevano provveduto a trovarsi una sistemazione migliore.
 
Spesso durante la notte si svegliava e spostava la mano per verificare che tutto fosse vero.
Anche a distanza di molti anni lo faceva e quando la guardava non poteva crederci.
Quando guardava nell’altra metà del letto, la vedeva e non poteva credere che tra tutti gli uomini presenti, quell’angelo l’avesse scelto.
L’unico uomo che era ferito e violento era finito con l’unica creatura che potesse curarlo e che potesse farlo vivere in pace.
La ferita era stata curata e tutto per merito suo.
L’avesse trovata prima era questo il suo unico rammarico, ma ringraziava comunque il destino per quel dono.
“Amore cosa fai?” Chiedeva, accendendo spesso la luce e trovandoselo vicino.
“Ho voglia di te.” Bisbigliava ogni volta, avvicinandola e abbracciandola.
“I bambini stanno dormendo.” Riprendeva con malizia.
“Sarà il nostro piccolo segreto.”
Una luce che si spegne.
Una gioia inesprimibile.
Una sensazione di appagamento.
La gioia dei sensi.
E un’altra notte di passione che li travolge.




Angolo autore: Finalmente sto strazio ha fine.


Ryuk: 17 capitoli?


Non sarai superstizioso Ryuk.
Io adoro portare sfortuna alle persone.
E ora vi do un'altra bella notizia.
So che avevo detto che sarei tornato a pubblicare questo giovedì, ma ho deciso di prendermi una settimana sabbatica.
Sapete: ho problemi in inglese e non voglio essere rovinato.


Ryuk: In poche parole deve studiare per portarla al 6.


Spero che una settimana sia sufficiente.
Di tanto in tanto tornerò per dare qualche occhiata in giro, ma nulla di più.


Ryuk: rocchi ovviamente ringrazia tutti coloro che hanno recensito.


Già.
Ho ricevuto ottimi consigli e pure qualche idea per il futuro.
E ora posso anche andare.
Una settimana di ferie da questo sito mi ci voleva proprio.
Alla prossima miei sventurati lettori (anche se è solo Ryuk a pubblicare sti obbrobri e quindi sareste, tecnicamente, i suoi sventurati lettori).
 

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