Under the Same Sky ~ Ivalice

di whitemushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Credere ***
Capitolo 2: *** Procreare ***
Capitolo 3: *** Immagini ***
Capitolo 4: *** Scientifico ***
Capitolo 5: *** Cannoneggiamento ***



Capitolo 1
*** Credere ***





Credere

"Rispondimi, umano. In cosa credi?"
È incredibile come gli esseri fatti di carne siano così multiformi; potrebbero trascorrere altri tremila anni e non è poi così certo di riuscire a comprendere le loro dinamiche. Ad esempio cosa renda alcuni più resistenti di altri.
Gli umani più grandi, chiusi nelle loro armature, sono tutti morti. Il prezzo di entrare a Giruvegan, in fondo gli Altri potevano emettere solo quella sentenza.
Eppure quell'uomo è riuscito a resistere. "Cosa sei, un'allucinazione da Mist? Lo spero, perché non credo di essere il tipo da avere un'esperienza pre-morte ... o altre idiozie simili ..."
È vecchio, debole per di più. Quegli oggetti di vetro che indossa sul naso vogliono dire che i suoi occhi sono malati; i fulmini di Shemazai gli hanno bruciato la pelle e carbonizzato i vestiti, ma è vivo quando tutti gli altri guerrieri non sono altro che metallo fumante. Un respiro dolorante si intromette tra ogni parola, la vita a cui sembra tanto attaccato è più effimera di un granello di sabbia.
Ma, prima che quel cuore rovinato cada nel silenzio, ha bisogno di una risposta. Una risposta che nessuno degli Altri, di coloro che lo chiamano Eretico, può offrirgli. "Tu credi negli dèi, mortale? Affiderai agli Occuria la tua anima?"
"Sarai anche un'allucinazione da negalite ma ... spiacente per te ..." tossisce un fiotto di sangue scuro, si tiene il petto "...se pensi che io cambi idea solo perché sto morendo ..."
Ha visto molti umani cadere: tanti, innumerevoli, forse infiniti. Migliaia di volti si sono fatti largo nel Mist pur di svelare i segreti del Grande Cristallo e del cuore di Giruvegan, a molti ha quasi ha elargito la morte senza nemmeno accorgersene, lasciando che la propria magia entrasse nei loro polmoni e li distruggesse con un alito di fuoco. Si è piegato per vedere come finisce la vita mortale, in totale silenzio o in una lenta e crudele agonia ma mai, mai un giorno, ha sentito tante parole su delle labbra destinate alla fine.
"No ... non crederò mai in alcun dio. Non esistono ... né esisteranno. Esistono solo ... sì, solo fantasmi .... fantasmi di cui la gente ha bisogno quando non ha più nessuno da accusare per la propria sventura" dice.
Un secondo tremito lo attraversa, più forte di prima. La mano gli corre all'altezza del cuore ma, quando alza la testa, sembra sorridere come chi ascolta per la prima volta una bella storia. "E la mia anima ... è mia ... e se andrà da qualche parte ... sinceramente non me ne importa ..."
I suoi occhi si illuminano come se tutta la negalite di Ivalice gli stesse brillando nel petto.
"So di non farcela, mia cara allucinazione ... ma sappi che sono un uomo, e sono nato libero. Non esistono abbastanza bugie in grado di farmi piegare il ginocchio per sottrarmi la bellezza del cielo".
Forse gli Altri stanno ascoltando, forse no. Forse già tra le loro menti corre la paura per l'audacia di questo mortale, o forse le sue parole sono un brusio soffuso che si mescola nei grandi pensieri dell'esistenza alveare. Un piccolo insetto fastidioso caduto nella tela, una piccola crepa in grado di infrangere il cristallo di menzogne che da molti millenni è la loro unica e sola dimora. Parole che la sua coscienza stava da tempo elaborando in azione concreta ma che quel fragile essere di ossa e muscoli ha espresso molto meglio di qualunque Dio. Non ha mai smesso di amare il potere della voce dei mortali. "Invero il tuo discorso è concorde al mio pensiero, umano".
E, dove c'è pensiero, lì vi è coscienza. E dove esiste coscienza ogni bugia si perde nelle tenebre, perché la coscienza è vita e niente può arrestarla. Nemmeno delle ferite mortali, perché per curarle la sua magia è più che sufficiente. Il suo potere preme contro il petto dell'uomo e lo stringe forte, poi rilascia, poi lo stringe di nuovo finché esso non riprende a battere.
"Il mio nome è Venat. E, se cerchi la libertà, potrai ottenerla solo con me al tuo fianco".

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Capitolo 2
*** Procreare ***





Procreare

Se il flusso del pensiero alveare Occuria potesse assumere una forma comprensibile all’intelletto umano, Venat definirebbe il vortice mentale degli Altri come una massima derisione della ricerca della Verità. Che sia nella natura dei mortali bramarla, ciò è risaputo: uccidono, tradiscono, amano per essa, tendono la mano agli Occuria soltanto per avanzare di un miserrimo gradino lungo la scala del sapere.
Gli umani implorano, gli Occuria concedono.
Solo ciò che a loro interessa, s’intende: è intrinseco nei celesti bearsi delle preghiere dei più piccoli o scrivere la realtà su cui essi fondano chiese o massacrano i loro fratelli. Una regola di sudditanza che pone la sapienza come un peso o una spada.
Eppure con il dottor Cid questa legge sembra luce attraverso uno specchio; sebbene sia trascorso oltre un mese dal loro contatto il suo nuovo amico non ha mai cercato di conoscere da lui nemmeno uno spiraglio di Verità, quella stessa Verità che gli sottrae anche il sonno e lo logora con i suoi calcoli, lo studio, i libri ed il laboratorio operativo persino nel cuore della notte. Cid potrebbe rivolgergli la parola e trovare le risposte di cui ha bisogno, eppure preferisce afferrarle con la sua mente caduca nella più totale consapevolezza che essa da sola non potrà mai giungere alla meta imposta alla sua forma mortale. E, Venat ne prende consapevolezza, il fuoco della curiosità che viene saziato nelle loro lunghe discussioni non appartiene al dottor Cid.
“Mio fragile amico, un nuovo quesito si pone alla mia mente”.
Ieri hanno trascorso piacevoli ore discutendo sulla crescita dei peli sul volto di alcuni maschi umani; sebbene la questione di quell’argomento chiamato “estetica” sia ancora lontana dal suo comprendonio, Venat si accorge che vi sono mille cose che nessun Occuria potrebbe sapere nel circolo etereo di Giruvegan. “Desidero essere edotto sul sistema di procreazione umano. La vostra capacità di generare la vita partendo da voi stessi è un meccanismo complesso estraneo all’esistenza Occuria”.
“Venat, Venat, Venat …” risponde Cid, chiudendosi alle spalle la porta del laboratorio “…temevo che prima o poi me lo avresti chiesto. Ti avviso, sarà una cosa lunga”.

Zargabaath si chiude la porta dell’ufficio alle spalle, prendendo fiato per la prima volta dopo quasi quarantott’ore di servizio; l’idea di chiamare a casa e sentire come stanno i ragazzi lo sfiora, ma l’orologio gli rivela in maniera impietosa che a quest’ora staranno tutti dormendo e che forse dovrebbe fare altrettanto o domani non riuscirà a firmare nemmeno una licenza. E il fatto di aver sentito il dottor Cidolfus borbottare tra sé e sé “solo uno spermatozoo su mille ce la fa”, per di più gesticolando come un folle nel bel mezzo del corridoio, è un chiaro segno di come ormai il suo cervello stia partorendo allucinazioni uditive nella speranza di ottenere almeno un paio d’ore di sonno.
Zargabaath prende possesso dell’unica poltrona presente nell’ufficio e vi si accascia senza nemmeno slacciarsi l’armatura.


Guest star

Zargabaath: uno dei cinque Giudici Magister che combattono per l'impero di Archadia.

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Capitolo 3
*** Immagini ***





Immagini

Un flebile raggio di luce trova la sua strada in uno spiraglio della finestra; era stata sigillata, incantata per non far entrare nessuno, ma il chiarore del pomeriggio ha la meglio su qualsiasi ombra implorata dall’uomo e rimbalza su un vetro come quelli di quattro secoli prima, bloccato ad una cornice con sotto un’immagine prigioniera. Ombre e luci sono un concetto relativo per chi, come Venat, non affida la propria vista a dei globi oculari fatti di umor vitreo, ma sa che gli umani pongono nel buio tutto ciò che intendono nascondere: non è una reazione logica –la luce abbagliante è in grado persino di accecare- ma poche cose dei mortali in fondo lo sono.
Le tenebre di quella stanza abbandonata sembrano schiacciare il letto preparato come se attendesse il ritorno del suo padrone, i modellini di aereonavi, i giochi, la scatola dei colori aperta a metà. L’immagine ferita dalla luce mostra un viso più giovane, un sorriso caldo quasi innaturale sulle labbra del dottor Cid mentre china la testa verso un minuscolo umano avvinghiato alle sue braccia, premuto contro il torace come se nascondesse in sé tutti i tesori del mondo: sotto il vetro i viventi ripongono le cose più importanti, eppure la cornice dorme in quella camera abbandonata da tantissimi anni.
I mortali immergono nel buio ciò che fa male.
Quando torna al piano inferiore viene accolto dalla luce artificiale. Il suo amico ha trasformato una decina di stanze nel suo laboratorio personale; Venat attraversa la stanza ed i simulatori ionici mentre il dottor Cid affonda in una sedia con i dati del nuovo termocristallo a negalite riflessi sugli occhiali mentre scivolano sul monitor.
“Sono entrato in quella stanza che non apri mai. Non comprendo perché tu nasconda quelle cose”.
Normalmente il suo amico umano riesce a intavolare una conversazione con lui in ogni istante, anche mentre calibra il flusso energetico della negalite in un idroesplosivo, eppure adesso solleva lo sguardo dallo schermo senza più prestare attenzione ai dati. “Non riesci proprio a farti gli affari tuoi, eh?”
“Non è nella mia natura. Né nella tua”.
Ha visto migliaia di mortali erigere statue a loro immagine e somiglianza, uomini tradire per porre il proprio nome in una lista che darà loro gloria eterna. Ha sentito di donne e Vieira privarsi del cibo per apparire più attraenti agli occhi dei loro maschi, ma mai una volta negli ultimi tempi ha mai sentito Cid parlare con orgoglio di se stesso se non per qualche invenzione. “È l’assenza che ti fa male?”
“All’assenza ci si abitua, Venat”.
Si alza in piedi, chiudendo l’elaboratore con più forza del solito. Con un gesto che ha qualcosa di meccanico abbassa le luci del laboratorio, avvicinandosi alla finestra dove i colori di Archades si sovrappongono senza fine, un dedalo di persone che scorre senza sapere nemmeno dove sta andando. I suoi occhi corrono verso l’alto, quasi a cercare qualche aereonave solitaria che abbia il coraggio di superare i confini del cielo. “Alla delusione …”
Fa male, questo Venat lo può capire. Il sorriso che adesso attraversa il volto del suo compagno è una maschera improvvisata, ben diverso da quello nell’immagine che ancora riposa al piano di sopra, nell’attesa che i suoi padroni tornino a svegliarla. “… a quella invece no”.


Guest star

: Balthier (vero nome: Ffamran): il figlio del dottor Cid. Ha lasciato una promettente carriera da Giudice per diventare un aviopirata, disprezzando tutto ciò in cui Cid ha sempre creduto. La loro frattura appare insaldabile.

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Capitolo 4
*** Scientifico ***





Scientifico

              Mostro                                                         Orrore
Pensiero
                                                                                                                                                                                                                              Colpa
                                                 Scientifico

Tutto brucia in Venat.
Tutto è Mist, tutto converge nel suo corpo che non esiste.
Oltre la luce bianca la Strahl è un punto che si allontana, vira verso il basso e scivola sull’acqua fino a svanire nell’ultimo istante di gloria del faro di Ridorana, nell’energia sprigionata dalla Crisalide solare mentre arde e divora tutto ciò che non riesce a sfuggirle.
Adesso dovrebbe andare avanti come se nulla fosse. Non ha una forma pensata per elaborare sentimenti, eppure c’è qualcosa in lui che rimane ad osservare un punto del pavimento prima che esso venga travolto.
Erano saliti insieme in quel faro, scambiandosi commenti sulle ultime mode di Rozaria e sulla lentezza esasperante –persino per un Occuria- delle reazioni del Giudice Magister Gabranth. Cid aveva insistito per scalare a piedi l’intero edificio, ed una volta giunto davanti alla Crisalide era stato costretto ad ammettere di aver avuto una pessima idea. Venat si era riproposto di rammentargli di accettare la sua offerta di volare insieme la prossima volta che si fossero trovati davanti ad un edificio simile.
Ma Venat non riesce ad accettare l’idea che non ci sarà una “prossima volta”.
Cid ha affrontato ciò che rimaneva della sua famiglia senza chiedergli aiuto, armato solo della discutibile presenza di Famfrit. Ha offerto tutto se stesso al Mist della Crisalide solare per dare l’energia definitiva ai motori a negalite della Bahamut, alla sua scienza che aveva vinto le bugie delle false divinità.
Le parole ed i pensieri di quella battaglia entrano in lui, imbrigliati nella magia che sembra aver avvolto quelle immagini proprio come una crisalide e che adesso trasporta nel cielo tutto ciò che ne rimane di Cid e del suo sogno di liberare gli umani dalla loro schiavitù.
Perché Ffamran e la sua compagnia non abbiano compreso la grandezza del loro piano è un mistero. Un mistero strano.
Avrà modo di pensarci.
Ma non adesso.
Sta ancora fissando il punto dove Cid è svanito. Potrebbe rimanere così ancora per diverso tempo.
E non vi è nulla di scientifico in tutto ciò.

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Capitolo 5
*** Cannoneggiamento ***





Cannoneggiamento

I motori della Bahamut si accendono.
L'energia accumulata dalla negalite artificiale ruggisce nei canali di convoglio fino a scuotere il Mist stesso di cui Venat è composto, ma l'enorme astronave non vacilla ed è pronta alla seconda carica in meno di sette secondi.
E' perfetta. Lui e Cid l'hanno costruita insieme.
L'imperatore Vayne si allontana dal campo di battaglia per recuperare le forze: ha bisogno di tempo, ma quello Venat può procurarglielo. L'ambizione di quel piccolo uomo lo disturba, eppure solo lui sembra ancora ascoltare la fantasia sua e di Cid. Una fantasia che purtroppo è giunta alla fine.
Ecco gli eroi venuti a fermare il cannoneggiamento di Rabanastre: la principessa venduta agli Occuria per un pugno di promesse fantasma, il guerriero carico di rancore, la Vieira silenziosa ed i due straccioni. E poi lui, l'aviopirata.
Ha davvero gli stessi occhi di Cid.
Per la prima volta Venat si rende conto di voler distruggere un uomo anzi. Anzi, perché non distruggerli tutti?
Hanno rifiutato la salvezza.
Hanno rifiutato di essere liberi, di poter guardare il cielo da dominatori, si sono stretti tremando alle catene che per millenni li hanno resi poco più che schiavi degli Occuria. Hanno deriso ed ucciso l'unica persona che avesse provato ad aprir loro gli occhi, il suo stesso sangue e la sua stessa carne gli hanno dato le spalle preferendo l'illusoria libertà di un paio di motori veloci nel cielo, una libertà illusoria non dissimile a quella di un parassita che crede di poter comandare l'organismo che lo ospita. E, a questo punto, perché dovrebbe permettere a dei parassiti di esistere ancora?
Oltre la sala motori Vayne gli sta chiedendo un'ultima volta il suo potere.
Perderà.
O vincerà.
Non è poi davvero rilevante.
Venat riempie quel corpo di carne con il suo stesso Mist, unendosi a tutte le fibre del suo corpo, ad ogni frammento di ossa, ne torce ogni forma per farsi accogliere tutto e liberare un potere che schiaccerà con la furia di mille cannoni non solo Rabanastre, ma qualsiasi essere vivente che gli si parerà davanti ricordandogli che il sogno suo e di Cid è finito. Se il futuro che avevano sognato insieme per quel mondo si è trasformato in polvere non ha più senso amarlo e prendersene cura.
Cancellerà quegli uomini ingrati che non hanno compreso nulla e vivono nella presunzione di essere "liberi". Iniziando proprio da quell'aviopirata.


Guest star:

Vayne Carunas Solidor: l'imperatore di Archadia e l'antagonista finale di FF XII. Giunge ad allearsi con Cid e Venat per estendere il proprio potere sulle nazioni circostanti. Lui e Venat vengono sconfitti dal gruppo dei protagonisti
 


Cid e Venat
TEARS OF TRUTH

 

THE END

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