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di shoomie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4.2 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


'Ti dona che è un incanto, cara. I tuoi caratteristici fianchi larghi si notano appena, guarda qua. Meraviglioso!'
Millie Carson era nota per l'aridità dei suoi complimenti e Tamara lo sapeva meglio di chiunque altro.
La donna infatti altre non era che la sua futura suocera e anche ufficiale organizzatrice del suo matrimonio. 
Tamara aveva accettato di buon grado ogni decisione da lei presa non appena si era resa conto che neanche con un mutuo trentennale avrebbe coperto le spese di quello che per i Carson era un matrimonio standard. 
Il suo futuro marito Leo era di fatti il futuro erede delle Carson Industries e prossimo brillante sindaco di New York City secondo i vaneggiamenti del suocero.
'Il velo Natasha.'
La voce di Millie la ridestò e dopo ben trentasette prove, e altrettante modifiche ogni volta, poté finalmente ammirare il suo costosissimo abito.
Lo scollo a cuore metteva in risalto il suo seno prosperoso e scopriva la manciata di lentiggini che le macchiavano l'epidermide del petto e che si diradavano man mano sino a raggiungere le spalle dove erano decisamente più concentrate ed evidenti, mentre pizzo di un bianco candido esaltava la sua pelle mediterranea rendendola ancor più splendida.

Tutto sommato la scelta di un abito a sirena non si era rivelato disastroso come immaginava e anche i suoi 'caratteristici fianchi larghi' non ne avevano risentito troppo. 
'Avresti dovuto lasciarmi combattere di più per la grandezza dei diamanti sulla scollatura, Tamara.'
Tamara non replicò non ne ebbe il tempo, la voce dell'assistente che si stava occupando di lei annunciò il dettaglio finale: il velo.
Il leggero fruscio provocato dal movimento della stoffa le aveva reso l'udito quasi ovattato e mentre si guardava allo specchio non riusciva a pensare a niente se non a quanta strada aveva fatto e a tutto quello che si era lasciata alle spalle volente e non. 
Era orgogliosa di se stessa di come non si fosse fermata quando sognando ad occhi aperti non aveva taciuto le sue ambizioni anche se la rendevano antipatica agli occhi altrui. 
Lei aveva trasformato il sogno in realtà e questo la ripagava di tutto.
Alle sue spalle la suocera controllava che tutto fosse in ordine solo due parole le giunsero chiare dal suo bisbigliare: 'Perfetta. Per-fet-ta.'
Lo aveva scandito con una chiarezza che l'aveva fatta rabbrividire. 
Lo era veramente? Poteva ancora migliorare?
'Adesso vorrei spogliarmi, per favore. Ho degli appuntamenti importanti che non posso rimandare oltre.'
Freddamente scansò la mano della giovane commessa con la quale le offriva il solito flûte di champagne e scese dalla pedana su cui era stata immobile per più di quaranta minuti senza fiatare.
Si diresse al camerino senza aggiungere una parola seguita da Natasha la quale in religioso silenzio la liberò prima del velo e successivamente dell'abito. 
'La prossima volta che ci vedremo sarà per ritirarlo definitivamente. Che emozione!'
Esclamò con sguardo sognante la commessa ma da parte di Tamara non ricevette nient'altro che un insolito mugolio di approvazione. 
Quando fu nuovamente dentro il suo abito di Valentino e ai piedi ebbe le amate Louboutin si lasciò andare ad un lungo sospiro prima di abbandonare definitivamente il camerino e raggiungere la suocera nella stanza accanto.
'Devo assolutamente portare l'anello a lucidare prima della cena con i Sullivan non voglio che Brie si senta nuovamente a suo agio nel dirmi che la pietra le pare opaca.'
Il diamante da 14 carati sul suo anulare brillava di luce propria e guardarlo la emozionava ancora come la prima volta. 
Leo non era un uomo estremamente romantico, esattamente come non lo era lei, ma doveva ammettere che la proposta che le aveva fatto l'estate di un anno prima sullo sfondo di una Capri al tramonto ancora le faceva sentire le farfalle nello stomaco.
'Oh cara sono desolata..'
Le parole di Millie le giunsero totalmente inaspettate e sinceramente esagerate per un affermazione del genere, ma qualcosa nel suo tono le diceva che non si riferiva affatto alla banale vicissitudine dell'anello.
'Tutto bene? Millie ti vedo pallida.'
Tamara le si era avvicinata con una premura che non aveva mai rivolto alla suocera ma in quel frangente non le sembrava il caso di non esitare.
'Mentre eri in camerino ha chiamato al tuo telefono una certa Dottoressa Miranda Reynolds del Memorial Hospital di Lafayette, oh mia cara tuo padre è morto questa mattina per un attacco cardiaco.'
Come un pugno dritto allo stomaco ti toglie il respiro anche quella notizia fece vacillare la funzionalità dei polmoni della donna che s'accasciò sulla poltroncina totalmente sconvolta.
Suo padre era morto. 
Il suo caro papà se ne era andato alla vigilia di uno degli eventi più importanti della sua vita e non ci sarebbe stata più nessuna marcia nuziale, nessun brindisi o ballo padre-figlia. 
'Un po' d'acqua, veloci.'
'No, sto bene devo solo prendere una boccata d'aria. Usciamo.'

Una volta fuori dall'atelier fece il numero della propria segreteria telefonica e ascoltò gli svariati messaggi lasciati a nome di una certa Constance che nel corso di quegli anni si era presa cura di suo padre. 
 Si sentiva sollevata nel sapere che non era solo, che qualcuno si era preso cura di lui. 
Fu il pensiero di quella faccia scavata a farle scendere una lacrima e il terrore di dover tornare a 'casa' quello che le fece bloccare.
'Prenoterò un volo per domani. Credo proprio che alla cena dei Sullivan, Leo debba andare da solo. Grazie Millie ma adesso devo proprio andare.'
Liquidò qualsiasi plausibile domanda stesse per farle la donna con un gesto veloce del braccio attirò su di se l'attenzione di un tassista che in breve accostò al marciapiede per farla salire.


Rientrata a casa gettò in valigia il tubino nero di Chanel per il funerale e qualche capo sportivo per i giorni seguenti.
Non era ancora al corrente di quanto sarebbe stata costretta a rimanere, anche se nutriva forti speranze di poter tornare a casa subito dopo il funerale, ma soprattutto cosa sarebbe stata costretta a sopportare. 
Soddisfatta di quanto aveva selezionato si abbandonò finalmente ad un lungo ed isterico pianto  che la condusse in un profondo sonno dal quale si risvegliò ormai a notte inoltrata. 
Sola.
Sola come mai prima lo era stata.
Sola perché adesso lo era veramente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La funzione era stata breve e semplice. 
Al suo arrivo in verità era già tutto pronto e disposto per quella giornata.
Il padre aveva lasciato specifiche disposizioni alle onoranze funebri e persino al sacerdote che aveva celebrato il funerale.
Tamara avrebbe voluto fare di più, sinceramente avrebbe voluto semplicemente fare qualcosa visto che come le era stato fatto notare era tutto apposto.
Isaiah Jones era sempre stato un uomo dalle pallide ambizioni ed erano veramente pochi i lussi che si era concesso nella sua vita uno di questi era sicuramente quello di potersi vantare con chi che sia della sua giovane e promettente figlia.
Tamara salutò il giovane parroco del paese e a passo lento si diresse verso l'uscita del cimitero, aveva stretto abbastanza mani per quel giorno.
Era luglio inoltrato e come al solito in quel periodo le temperature raggiungevano picchi così alti da rendere il semplice moto respiratorio uno sforzo a dir poco sovrumano ed i vestiti scuri parevano attrarre in maniera ancor più decisa i raggi su di lei, le sembrava di star per impazzire.
Odiava questo luogo, lo detestava con tutta se stessa, le mancavano i coffee shops di New York, le vaste boutique e la biblioteca.
Cosa avrebbe dato in quel momento per un caffè shakerato freddo nemmeno lei lo sapeva.
Scacciò con il dorso della mano un fastidioso moscerino che continuava a ronzarle intorno finendo per attirare involontariamente l'attenzione di un'anziana donna.
'Tu devi essere Tamara.'
'Sarebbe bello poter ribattere con altrettanta sicurezza ma sfortunatamente lei sa chi sono io ma io non so chi sia lei.'
Classico della sua persona adorava mettere in difficoltà il prossimo, soprattutto se non ben accetto, già agli albori di una possibile conoscenza.
'Sono Constance, io mi prendevo cura di Isaiah di tanto in tanto.'
E dunque era lei la donna del mistero.
Dalla voce si sarebbe aspettata una donna robusta e magari con i tratti un po' mascolini invece quella che si trovava difronte era una graziosa donna di mezza età, minuta e ben curata. 
Ci voleva poco a pensare che molto probabilmente suo padre e quella donna avessero avuto una relazione e di certo Tamara non avrebbe potuto biasimarlo.
Sua madre se ne era andata che lei era molto piccola e l'uomo non si era mai dato per vinto nonostante la vita di batoste gliene avesse procurate molte. 
Se Tamara era diventata qualcuno in parte lo doveva anche a suo padre, il primo ad aver creduto in lei.
No, mentiva.. c'era chi era stato subito certo del suo valore ma fu Isaiah a combattere perché avesse il meglio dal suo avvenire.
'Ma certo!' Esclamò allungando la mano nella borsetta senza aggiungere null'altro. 
Dopo una breve ricerca afferrò il libretto degli assegni e la penna sistemata nel fodero compilò i dovuto campi e poi sollevò lo sguardo verso la donna che pareva confusa.
'A chi devo intestarlo? Constance..? Immagino che prendersi cura di mio padre abbia gravato su di lei e tolto tempo alla sua vita quotidiana. Lo prenda come un ringraziamento anche da parte sua.'
L'anziana parve accigliata, la fissava come se d'improvviso le fossero spuntate le corna.
Che avesse dato troppo per scontato che i soldi le potessero bastare?
'Tuo padre mi ha parlato molto di te in questi anni. Ti ha descritta sempre come una donna forte ed indipendente, insomma una vera forza della natura. Era fiero di quello che eri diventata, che fossi una di quelle che ce l'aveva fatta. Mi sono presa cura di Isaiah perché gli volevo bene, per gratitudine e per rispetto non certo per denaro. Volevo semplicemente conoscere la donna di cui Isaiah era tanto orgoglioso ma ciò che vedo in questo momento è solo una sciocca donnetta di città che è brava solo a staccare assegni. Buona giornata Signorina Jones non mi aspetto che sia stato un piacere per lei conoscermi, di certo per me non lo è stato.'
Nella mano tesa, Tamara, ancora stringeva l'assegno mentre fissava la schiena della donna allontanarsi e la sua figura farsi man mano più piccola e sfocata.
Era scioccata, il suo rientro forzato a Norwood non era iniziato proprio nel migliore dei modi e come se il destino non si fosse già accanito abbastanza contro di lei alle sue spalle una voce la fece sobbalzare.
'Condoglianze, Tammy. Isaiah era un uomo come pochi hanno battuto questa terra e Dio mi è testimone se lo dico con affetto nonostante gli schiaffi che mi sono preso a causa tua.'
Il cuore le martellava nel petto ad un ritmo assordante e uno strano formicolio alla base della nuca la faceva sentire ancora più a disagio.
Non era necessario che si voltasse per capire a ci appartenesse quel suono rauco e basso.
Erano passati dieci anni ma la sua voce sembrava ancora la stessa, forse solo un po' più profonda.
Lo sentì avvicinarsi, era alle sue spalle e l'aveva capito dall'odore pungente della sua colonia dozzinale da discount, ma solo quando di certa di aver riacquistato almeno parte di se stessa che si voltò.
Cole era lì difronte a lei come aveva follemente sperato dieci anni prima e adesso non sapeva che dire. 
'Te li eri meritati tutti, però.' 
Tamara aveva sorriso come era solita fare nelle vuote conversazioni durante le cene sfarzose che sua suocera era solita dare. 
Con l'indice scansò una ciocca di capelli sfuggita all'elaborato chignon e senti la pelle del viso bruciare.
Che fosse del sole tutta la colpa non era pronta a giurarci. 
Anche Cole aveva sorriso a sua volta e anche nel suo volto non vi era nessuna inclinazione particolare o desidero di fingere che fosse felice di rivederla.
'Non ti ho visto durante la funzione..'
'C'era molta gente e io me ne sono stato in disparte.'
Aveva tagliato corto, ma infondo c'era veramente qualcosa da dirsi?
'Adesso devo andare.'
L'imbarazzo adesso era più che palpabile e Tamara non gradiva per nulla quella situazione così come pareva non sopportarla il suo interlocutore.
'Certamente. Ciao.'
Poi l'aveva semplicemente superata senza nessun altro accenno, la donna si era voltata per un breve istante a fissare la sua figura allontanarsi da lei. 
C'era qualcosa di strano in lui e non parlava tanto del comportamento quanto dell'aspetto.
Quel pensiero l'aveva tormentata per tutto il tragitto verso casa c'era qualcosa che non riusciva ad afferrare, un particolare che le sfuggiva e la cosa la faceva innervosire; decise comunque di non dargli ulteriore importanza non era una cosa che la riguardava più da tempo ormai.
La consapevolezza la trafisse come una lancia in pieno petto e per la seconda volta in quella giornata si era ritrovata a pregare che finisse tutto al più presto così da poter tornare a casa sua, a New York dove ad aspettarla vi erano solo le certezze di una vita che valeva la pena di essere vissuta. 

'Pronto Millie?'
La voce della suocera rimbombava dentro le sue orecchie mentre si palesava una lunga ed estenuante conversazione fatta di molte concessioni da parte sua e poche da parte della donna su quello che sarebbe stato il tavolo dei dessert il giorno del suo matrimonio. 
'Lascia che prenda qualche appunto.'
Sospirò come una scolaretta annoiata, suo padre era appena morto ma questo non avrebbe certo fermato i preparativi del matrimonio dell'anno infondo a Tamara andava bene anche così ci sarebbe stata tutta la notte per riflettere, per addentrarsi nel passato e per fare i conti con se stessa.



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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Aveva passato una nottata infernale tra il caldo che le faceva appiccicare le coperte addosso e le zanzare che le ronzavano intorno, il tutto seguito da un mal di testa degno delle peggiori post-sbronze adolescenziali. 
Tamara era felice che fosse finalmente sorto il sole, di starsene ancora rinchiusa dentro quella casa non se ne parlava.
Fortunatamente la sua mattina sarebbe stata sostanzialmente piena e densa di emozioni, era pronta a giurarlo.
Subito dopo la funzione, infatti, era stata contattata dal notaio a cui era stato affidato il testamento del padre, Miss Ava Simmons l'attendeva quella mattina alle 10 nel suo studio per la lettura ufficiale.
Baton Rouge distava un'ora di macchina da Norwood quindi non aveva molto tempo da perdere, avrebbe fatto colazione una volta in città e magari avrebbe anche pranzato lì.
Si era buttata sotto la doccia per una veloce quanto necessaria rinfrescata e dopo essersi sistemata i capelli e  spolverata un po' di trucco sul viso tanto per ravvivare il suo incarnato era passata alla scelta di un outfit adeguato.
Non aveva portato con se una grande quantità di vestiti tanto meno uno adatto ad un appuntamento del genere, dopo tutto non aveva neanche preso in considerazione l'idea che suo padre si potesse essere rivolto ad un notaio per fare testamento.
Cosa avesse in mente di lasciarle proprio non lo sapeva.
Suo padre era sempre stato un uomo di modesti natali e anche nel corso della sua vita era rimasto tale, di certo in quei dieci anni non aveva fatto nessun tipo di fortuna, bastava guardare come era ridotta la casa. 
Dopo aver considerato vari abbinamenti e anche l'idea di indossare l'abito usato al funerale aveva optato per un look semplice ed informale, non che avesse molte altre alternative, caratterizzato da un paio di jeans aderenti ed una canottiera nera che le ricadeva morbida sul corpo abbracciando le sue forme generose. 
Il tutto abbellito dalle sue amate Louboutin, uno stiletto nero lucido più bello che comodo soprattutto se si deve guidare un pick-up vecchio di trent'anni.
La strada che portava a Baton Rouge scorreva in maniera lineare e senza troppi intoppi, alla radio Patience dei Guns and Roses riempiva l''abitacolo.
Startene seduta lì dentro, però, al posto del guidatore e non del passeggero le metteva addosso una certa tristezza mista a nostalgia.
Suo padre era solito accompagnarla a scuola con quel trabiccolo e ogni mattina prima di andare a lavorare si raccomandava con lei di stare attenta e di non perdersi nulla della lezione così una volta a casa avrebbe potuto raccontargliela.
Lui aveva sempre creduto nell'istruzione, lui che aveva smesso di studiare a quindi anni per andare a lavorare in fabbrica e tante cose non le aveva neanche mai sentire, credeva che l'unico modo per scavalcare il muro di quella cittadina fosse proprio grazie alla conoscenza.
Era stato un padre eccezionale, presente e rispettoso. 
Sfortunatamente Tamara non aveva preso niente da lui se non qualche tratto fisico di poco conto, aveva invece ereditato l'insoddisfazione della madre e il bisogno di andarsene. 
Ricordava a malapena il suo viso ma l'espressione di suo padre mentre la guardava andare via per sempre era ancora impressa nella sua mente, forse perché dieci anni addietro -quando pensava di non essere visto- lo aveva scoperto immobile seduto sul letto con  il biglietto aereo tra le mani e tutto il peso del mondo sulle spalle.
Quanto la solitudine aveva giocato a sfavore del suo povero cuore? 
Si era sentito abbandonato, certamente, ma era diverso;  lei non lo aveva abbandonato come la moglie.
Lei aveva lottato per portarlo con se una volta affermatasi nel campo dell'editoria, ma lui aveva preferito Norwood mentre lei lo aveva cancellato persino dalla sua biografia.
'Era diverso.'
Mormorò pensierosa, tirando il freno a mano. 
Nei minuti successivi in cui rimase in auto a pensare a cosa rendesse diverso l'uscita di scena di sua madre e la sua partenza, Tamara, inorridì nel constatare che non ve n'era nessuna.
Entrambe avevano egoisticamente pensato solo a loro stesse e adesso lui era morto. 
Le lacrime spingevano per uscire, quel fiume in piena andava liberato ma non era quello il momento.
Le ricacciò indietro e sollevò lo sguardo nella direzione dello specchietto retrovisore per controllare di essere in ordine: la presentazione era tutto anche in quei casi.

Baton Rouge era una boccata d'aria fresca rispetto a Norwood.
Era sicuramente più vissuta, pittoresca e anche se i marciapiedi non erano gremiti come quelli di New York trovava rassicurante l'idea che non vi fossero sempre le stesse facce, non che in quei due giorni avesse frequentato molto la cittadina e i suoi abitanti.
Lo studio di Ava Simmons era locato in una pittoresca palazzina proprio alla fine di un'impegnativa salita che la fece arrivare ancor più sudata e affannata di come si era svegliata quella mattina.
Apprendere che l'aria condizionata era guasta di certo non aveva migliorato la situazione. 
Ingannò l'attesa sbrigando qualche lavoretto lasciato indietro in quei due giorni, uno su tutti leggere le svariate email inviate del suo editore e risponde a tutte le altre inerenti agli ultimi dettagli per il matrimonio.
Suo suocera era un caterpillar e in certe situazioni ma ci teneva a metterla al corrente, o a fingere che fosse importante per lei saperlo, delle decisioni che aveva preso in merito ai tavoli, ai fiori, al suo odio per il beige e via discorrendo.
Le dieci arrivano in un battibaleno e con un paio di brevi falcare la segretaria la raggiunse e la scortò sino all'ufficio del notaio dove le si palesò difronte una donna sui quaranta con un fisico da modella e dei lunghi capelli biondi che le ricordavano Claudia Schiffer nei ruggenti anni '90.
'Buongiorno Signorina Jones, mi permetta anzi tutto di porgerle le mie più sentite condoglianze. 
Non posso dire di aver conosciuto bene suo padre ma per come l'aveva accuratamente descritta mi sembra già di conoscerla.'
Alla frase di rito era seguita una breve stretta di mano ed infine si erano sedute per la lettura del testamento.
'Ne è sicura? Voglio dire è tutto qui?'
Tamara era sconvolta, c'era mancato poco che le togliesse di mano l'atto e lo strappasse proprio difronte ai suoi occhi.
Ava Simmons colse l'isteria nella sua voce, si tolse gli occhiali da vista e con cura appoggiò entrambe le mani sui fogli che contenevano le ultime volontà del defunto Isaiah Jones, piantò le iridi chiare in quelle di Tamara creando intorno a loro una certa elettricità.
'Signorina Jones queste sono le volontà di suo padre e lei è liberissima di agire come meglio crede, nessuno può impedirglielo in quanto è stata designata come unico erede, mi permetta solo però di dirle che questa cosa aveva valore per suo padre. Lui credeva che lei avesse bisogno di un posto dove tornare, dove sentirsi sicura, un contatto con il passato diciamo così. Non sottovaluti la questione. Ad ogni modo le auguro buona fortuna, Miss Jones, per tutto.'
In maniera sincronizzata si erano alzate e si erano salutate con una decisa stretta di mano, Tamara aveva così lasciato lo studio notarile con un forte senso di sconforto e l'amaro in bocca.
Non riusciva a capire cosa potesse essere passato per la testa del padre quando aveva deciso di lasciarle la casa, un'incombenza non da poco e che lei non voleva assolutamente.
Suo padre era l'ultimo legame rimastole a Norwood ma adesso lui era morto e anche quel cordone era stato reciso per sempre, perché farle una cosa del genere?
Perché coinvolgerla forzatamente in una responsabilità che non voleva?
Era furiosa, furiosa con lui perché non aveva accettato di raggiungerla a New York quando era ancora in vita e perché continuava a tenerla legata ad un passato che non le apparteneva più anche adesso che era morto. 
Aveva insistito, Dio sapeva per quanto tempo aveva cercato di convincerlo che New York non era poi tanto male e che così sarebbe stato tutto più facile per entrambi.
Gli aveva parlato dei Natali che avrebbero potuto passare di nuovo insieme, dei nipotini che avrebbe potuto conoscere e vivere giorno per giorno ma non c'era stato verso di convincerlo. 
E adesso se ne usciva con un trucchetto degno dei più astuti truffatori, adesso le dava un ancora per poter rimanere in contatto con lui e con il loro passato.
No, non ci sarebbe cascata. 

Per tutto il viaggio di ritorno aveva evitato di pensare a quanto accaduto, ma una volta tornata a Norwood la rabbia era nuovamente esplosa dentro di lei.
Fissava i volti delle persone per strada e le dava la nausea il pensiero che in quel posto niente fosse cambiato.
Era come un loop infinito.
C'erano ancora le stesse case, gli stessi colori sbiaditi, gli stessi punti d'incontro, anche la gente era sempre la stessa.
I figli erano subentrati ai genitori e portavano avanti le attività di famiglia o ne ricoprivano i ruoli come era successo ad Ethan Ross che aveva preso il posto di meccanico che era stato del padre nell'officina di Ash Bates adesso gestita e controllata da sua figlia Anna oppure come Jimmy Arthur che aveva rilevato il ristorante dei genitori e ci lavorava insieme a sua moglie.
Quella gente non aveva mai lasciato Norwood, aveva continuato a vivere lì, sposarsi lì e a procreare lì.
Tutti quei ragazzi che avevano condiviso con lei l'adolescenza, gli anni del liceo, si erano accontentati di una vita mediocre, in un posto mediocre, instaurando tra di loro relazioni e mettendo al mondo figli; era come un brutto film che non riusciva a smettere di guardare. 
Sapeva che tutti lì in un modo o nell'altro la giudicavano, l'aveva capito il giorno del funerale di suo padre.
Per tutto il tempo si era sentita osservata in maniera fastidiosa ed era difficile considerando che aveva passato gli ultimi otto anni sotto una lente d'ingrandimento ma stavolta era diverso. Loro non la fissavano perché erano ammirati, lo facevano perché anni addietro aveva promesso -senza farne un segreto con nessuno- di non fare più ritorno lì sostenendo che avere la possibilità di andarsene e non coglierla era da stupidi.
Quell'anno fu solo lei a lasciare alla cittadina e a quanto pareva anche l'ultima.
Con una lentezza esasperante aveva raggiunto il ristorante di Jimmy Arthur con l'intento di mettere qualcosa sotto i denti e successivamente di fare una spesa veloce. 
Il locale era sempre lo stesso, forse leggermente rinnovato negli interni ma niente di particolarmente sostanzioso, persino la disposizione dei tavoli era la stessa.
Una cosa che invece non ricordava erano le foto degli anni dell scuola che erano appese al muro, dall'entrata si estendevano per tutta la parete sino alla mensola dei premi.
'Ci siamo aggiudicati il campionato quell'anno e dato ma festa più catastrofica di sempre, se non sbaglio.'
Tamara si voltò e trovò difronte a se un omone che faticò a ricollegare a Jimmy, il ragazzino smilzo che si occupava del giornale scolastico, ma ogni dubbio fu spazzato via quando sul suo viso apparve un enorme sorriso, i denti storti e ingialliti messi in bella mostra, era sicuramente JimmyGum.
'Ricordo la vittoria della nostra squadra ma nemmeno la metà della festa che ci fu dopo.'
Risero insieme e in totale spontaneità si lasciò travolgere dal suo abbraccio e i ricordi la investirono come in treno in corsa; fortunatamente il ristoratore non le diede il tempo di immergervisi troppo a fondo offrendole prontamente la specialità della casa e rendendola sua gradita ospite.
'Immagino che un'insalata qui non sia neanche nominabile!!'
Gli urlò dietro prima di vederlo sparire nella cucina da dove proveniva un invitate profumo di carne arrostita e di frittura.
Quel tipo di alimentazione non faceva più parte della sua routine da tempo e alla vigilia del matrimonio a maggior ragione. 
Scivolò sulla panca accanto a lei accomodandosi al tavolo da sei posti e si sentì patetica a pranzare da sola, sospirando fece scivolare l'indice sul menù senza leggerlo realmente l'attenzione fu totalmente calamitata altrove quando il grattare della porta d'ingresso fu seguito da un fischio.
Kate, la moglie di Jimmy, si affacciò alla finestrella che univa la cucina alla zona predisposta al pubblico e gridò al cuoco di preparare 'il solito'.
Incuriosita dilungò il collo per capire di chi si trattasse solo per maledirsi poco dopo con la testa nascosta dietro il menù.
'Ecco Tammy.. la specialità della casa.'
Ancora quel nomignolo.
Jimmy lasciò il piatto sul tavolo e in un breve lasso di tempo l'attenzione fu tutta su di lei e l'altro unico cliente della tavola calda.
'Cole! Il solito giusto?'
La breve conversazione si era svolta proprio accanto a lei che mal dissimulava le occhiate che stava lanciando ad entrambi, per rendere il tutto ancor più drammatico e comico al tempo stesso i due uomini si sedettero al suo stesso tavolo. 
'Eravate la coppia più bella della scuola.'
Era stato Jimmy a prendere la parola dopo un relativamente breve silenzio che aveva solo accresciuto l'imbarazzo di entrambi, solo il gestore del locale pareva non averlo percepito.
'Nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo su una vostra possibile rottura.
Eravamo tutti certi che ve ne sareste andati entrambi da qui, insieme e vivere felici chissà dove. Fa strano pensare che avremmo perso. Chissà perché vi siete lasciati poi..'
Fu più un pensiero espresso ad alta voce quello con cui Jimmy aveva lasciato il loro tavolo per occuparsi delle ordinazioni, ma né lei né Cole sembravano aver abbandonato il discorso con la stessa naturalezza.
Sentiva i suoi occhi addosso, la scrutavano e la denudavano al tempo stesso.
Lo stomaco contratto in una morsa cancellò definitivamente il suo appetito.
Lui la fissava ancora, in silenzio: le frugava dentro, le faceva a brandelli l'anima senza dire una parola.
I suoi occhi glielo chiedevano. 
Le chiedevano perché si erano lasciati, perché all'improvviso sembrasse tutto così stupido e poco importante.
Quei dieci anni avevano cancellato solo apparentemente i sentimenti provati, anche la delusione era ancora lì fomentata dal rancore e tutte quelle domande senza risposte erano tornate a galla nella sua memoria.
Il cellulare squillò proprio nel momento più opportuno e Tamara non esitò a rispondere. 
Tutto pur di levarsi di dosso quello sguardo e tutte le sgradevoli sensazioni che le procurava.
Gli occhi di Cole la costringevano a fare i conti con se stessa, con la se di dieci anni prima, e questo a lei non piaceva affatto.
'Leo! È successo qualcosa?'
Frettolosamente aveva abbandonato il tavolo e anche il locale per rifugiarsi in un'altra chiamata pronta a salvarla dal naturale sconforto in cui Norwood - costantemente - la gettava. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


'E' tutto un casino, Leo.'
Sospirò esausta lasciandosi cadere sul sedile del pick-up.
Dall'altro capo del telefono il suo futuro marito le stava esponendo la lunga lista di lati positivi che avrebbe potuto ricavare dal lascito del padre, ma tutto quello che Tamara sentiva erano solo una serie di parole senza senso.
Gli occhi di Cole erano ancora impressi nella sua mente, erano scuri come li aveva lasciati  ma più profondi e dolorosamente più tristi. 
C'erano molte cose che Tamara ancora non sapeva a proposito del suo passato e la cosa la logorava tanto quanto le parole di Jimmy.
'Sarò costretta a rimandare la partenza, lo sai vero?'
Sospirò poggiando la fronte contro il volante, sconsolata.
Leo non appariva affatto preoccupato anzi, considerava quel viaggi come qualcosa di spirituale che l'avrebbe aiutata in quale modo aiutata ad abbracciare definitivamente l'idea che niente la legava più a quel posto. 
Ma lei lo aveva già fatto anni addietro, solo che lui non lo sapeva.
'Ti amo anche io. Fa buon viaggio e bevi champagne anche per me.'
Chiusa la chiamata fece scivolare la mano nella direzione del blocco di accensione e ruotata la chiave partì senza guardarsi indietro.
Lo stomaco brontolava ma cercò di non dargli troppo peso, un giorno senza pranzo non l'avrebbe certo uccisa probabilmente insieme alla mancata colazione l'avrebbe solo resa più debole ed irascibile.
Da quel poco che aveva afferrato nella conversazione con Leo, lui le aveva suggerito di far ristrutturare la casa e solo successivamente provare a venderla.
Doveva ammettere che come idea non era niente male, infondo seppur scettica era consapevole che la presentazione attuale della casa avrebbe attirato più una setta religiosa che una famiglia.
Avrebbe dovuto cercare un'impresa di costruzioni disposta a seguire il suo progetto e magari a portarlo a termine anche prima del suo matrimonio, in maniera tale da togliersi di mezzo quell'incombenza una volta per tutte.
Con ritrovato entusiasmo affondò il piede sul acceleratore e aumentò di una marcia ma il risultato non fu affatto quello sperato, anzi tutt'altro.
L'improvviso mal funzionamento dei comandi costrinse la donna ad accostare al più presto mentre mano a mano perdeva velocità e controllo sul veicolo.
Una volta al sicuro sul bordo strada spense l'auto e subito dopo provò a riaccenderla ricevendo come risposta un prolungato rumore stridulo e niente di più.
Sconsolata scese dal pick-up per controllare da cosa derivasse quell'improvviso blocco e nonostante non vi capisse niente decise di fare quello che le pareva più ovvio.
Sollevò con una certa fatica il cofano e fu subito investita da una pesante aria calda seguita da un denso fumo bianco che le pregiudicò la vista per qualche secondo.
Nell'indietreggiare aveva difatti perso l'equilibrio, mal poggiando la pianta del piede, finendo per cadere rovinosamente a terra.
E come se non vi fosse limite al peggio constatò che il suo sedere non era stato l'unico ad accusare il colpo ma anche il tacco dello stiletto che penzolava staccato per metà dalla base.
'Questo è troppo. Questo è veramente troppo.'
Lo avrebbe gridato se non fosse stato per quella minima parte di amor proprio che ancora conservava gelosamente dentro di se.
Da quando era tornata a Norwood le erano capitate solo disgrazie ed il pensiero di dovervi rimare ancora per un tempo indefinito le faceva attorcigliare lo stomaco dalla rabbia.
Con la morte nel cuore afferrò il tacco e lo strattonò abbastanza forte da staccarlo definitivamente, dopo di che con una certa classe - o almeno così sperava che fosse- si era rialzata e zoppicando verso l'auto aveva afferrato cellulare, borsa e il testamento rimettendosi in marci. 
La strada da fare per arrivare a casa non era poi così lunga ma di certo nelle condizioni in cui era lo sarebbe diventata.
Aveva deciso di togliersi definitivamente le scarpe dopo qualche metro, era già stanca a causa dello sforzo di mantenersi in equilibrio e l'abitazione paterna le pareva irraggiungibile.
Quello si che sarebbe stato uno spunto per il suo prossimo libro, una giovane donna che cammina a piedi nudi per la strada con solo il 30% di batteria e neanche un po' di segnale; a questo punto un serial killer spuntava dalla boscaglia circostante pronto ad ucciderla.
Non era proprio il suo genere ma magari in futuro avrebbe potuto puntare anche un thriller.
Nella sua mente mulinavano immagini di questa giovane donna intenta a scappare da una misteriosa presenza che non si palesava mai totalmente ma che la costringeva a vivere in un rigido stato di ansia, sempre pronta a correre, a fuggire il più lontano possibile.
Una volta a casa avrebbe appuntato sul tablet l'idea che le era appena venuta in mente e che in un certo qual modo la stava fomentando. 
Si era ritrovata più volte a controllare alle sue spalle se vi fosse qualcuno che la seguiva e a rimproverarsi della sua stupidità ogni qualvolta il rumore di un rametto calpestato la faceva sobbalzare mandandole il cuore in gola.
Si domandava se quella paura di essere seguiti valesse solo nel caso specifico di persone o anche di sentimenti mai realmente svaniti.
Fu in quel preciso istante, totalmente, immersa nei suoi pensieri che aveva smesso di ascoltare i suoni provenienti al di fuori della sua testa aveva trovato una certa pace interiore.
Quando il suono prolungato di un clacson aveva squarciato il brusio nella sua mente, aveva gridato spaventa.
Di scatto si era voltata per rimbrottare contro il pazzo che si divertiva a tormentare in quel modo una semplice passante, e magari anche a lanciargli una scarpa tanto che c'era, ma ogni insulto morì all'interno della sua gola.
'Che ci fai qui?'
Si era alzato il vento, se ne era accorta solo adesso, lei teneva ancora lo stiletto nella mano sollevata pronta a colpirlo mentre con l'altra cercava di tenere a bada la la frangia che le copriva la visuale quando lui abbassò il finestrino. 
'Ho visto il pick-up fermo in strada, sali!'
Ci fu un lungo momento di esitazione, la Chevrolet Camaro nera era la stessa di un tempo. 
Sean, il padre di Cole, era morto sul posto di lavoro folgorato durante una misurazione dell'impianto elettrico in un cantiere edile, quando lui era poco più di un ragazzo.
Quell'incidente lo aveva reso duro con se stesso, arrabbiato con il mondo e spento per sempre quella scintilla di spensieratezza che lo aveva sempre caratterizzato.
La Camaro era stata la sua ancora di salvezza nei giorni più bui, se ne era preso cura come si fa con le cose preziose e -apparentemente- tutt'ora lo faceva. 
C'era stato un tempo, anni addietro, in cui si era sentita gelosa di quell'auto dove non si poteva bere, mangiare o poggiare i piedi sul cruscotto. 
Cole diceva sempre che quell'auto era la costante che il destino gli aveva portato via con la morte di suo padre.
C'avevano fatto l'amore per la prima volta, sul sedile posteriore, era estate, e la pelle dei sedili faceva attrito con la loro.
L'amplesso più scomodo della sua vita ma anche il più dolce e sincero, parevano essere passato cent'anni da quella dolcezza.
'Sali, cazzo.'
L'imprecazione da parte dell'uomo la ridestò bruscamente dai suoi ricordi e per una volta nella sua vita era grata della sua poca pazienza.
La spaventata la maniera in cui ogni angolo di quel posto, ogni dettaglio o persone la facesse scivolare con grande felicità nel vortice dei ricordi.
Con passo spedito si era gettata in strada e aperta la portiera scivolò sul sedile del passeggero.
Provò da subito una piacevole sensazione di comfort nel poter distendere le gambe e lasciar riposare i piedi. 
Deliziata chiuse gli occhi per qualche secondo. 
'Ho mandato Gale a prendere il pick-up di tuo padre per fargli dare una controllata, domani dovresti passare da lui.'
Con un occhio aperto e l'altro chiuso si stiracchiò distrattamente gettando sul ventre le Louboutin e la borsa, constatò con se stessa che era stato gentile ma a Tamara del pick-up non importava poi molto, c'era qualcosa che non le quadrava. 
L'aveva forse seguita? 
Chiederlo a se stessa non avrebbe sciolto i suoi dubbi, dunque si fece coraggio. 
'Mi stavi seguendo?'
La domanda arrivò a bruciapelo constatò dall'espressione sorpresa sul suo viso, ma niente che le facesse intendere di aver ragione.
'Cristo, no.'
Replicò stizzito e Tamara tornò a fissare la strada difronte a loro.
D'accordo, era stato stupido da parte sua pensarlo e ancor di più domandarlo.
'Scusami. È che da quando sono qui.. niente! Lascia perdere è solo una sciocchezza.'
L'ombra di un sorriso apparve sulla sua bocca ma si spense in fretta, difronte a lei il paesaggio sembrava diverso dentro quell'auto, meno malinconico. 
Forse era solo giunto il momento di accettare che il passato era passato anche in un luogo dove tutto sembrava essersi fermato.
Lei non era più Tammy, l'adolescente iperattiva e vogliosa di crescere alla svelta e lui non era più il promettente giocatore di football con una lucente carriera difronte a se.
Quella luce di speranze condivise si era spenta per entrambi una sera di fine agosto e niente l'avrebbe più riaccesa.
'Non è mia intenzione perseguitarti. Norwood è troppo piccola per evitarci.'
Lo aveva visto insaccare le spalle con la coda dell'occhio, quindi era questo che lui voleva?
Evitarla?
'Era più facile quando ero a New York.'
Il tono solitamente piatto della sua voce tradiva una certa tensione per la sia risposta.
'Non è quello che ho detto.'
Allora non parlare per enigmi, protestò dentro la sua testa.
'Ho saputo che ti sposi. È patetico se ti faccio le mie congratulazioni?'
Questa volta fu lui a coglierla alla sprovvista e non fu neanche molto brava a nasconderlo.
'Solo se non sono sincere.'
Replicò indossando uno dei suoi migliori sorrisi.
Le congratulazioni di Cole erano come uno schiaffo in pieno viso anche se non ne capiva il motivo, magari anche lei doveva farle a lui. Il fatto che al suo dito non ci fosse nessuna fede non significava che non ci fosse una donna nella sua vita.
Si accorse di non sapere nulla di lui, quei dieci anni erano buio totale per lei.
Tamara non aveva mai più domandato nulla a suo padre, le ci erano voluti mesi per accettare la loro rottura e almeno due anni per essere pronta ad aprire il suo cuore a qualcun'altro.
Leo era arrivato alla fine di un anno terribile e aveva portato con se la primavera dei suoi anni migliori.
Nel momento in cui aveva deciso di chiudere quella parte di cuore che sarebbe sembra appartenuta a Cole, Tamara aveva ripreso a vivere.
Era stato inevitabile.
La svolta a sinistra aveva reso visibile il traguardo del suo viaggio, il tetto della casa paterna si intravedeva già oltre le fronte di alcuni alberi.
Percorsero l'ultimo tratto del viale alberato in silenzio e quando Cole frenò pochi metri prima del vialetto l'unica cosa che uscì dalla sua bocca furono poche parole di rito.
'Ti ringrazio per il passaggio, ancora una volta mi hai salvata.'
Poi successe qualcosa nella sua testa, non seppe esattamente cosa la spinse a farlo ma ancor prima che il cervello potesse registrare le sue azioni, la sua bocca si era poggiata, delicata, sulla guancia ispida di Cole. 
Un bacio leggero come il venticello che penetrava dal finestrino aperto e le accarezzava la nuca.
C'aveva messo tanto a mettere da parte qualsiasi sentimento, positivo o negativo, nei suoi confronti e con il tempo gli era anche risultato facile tenere la mente lontana dagli anni più felici della sua giovinezza, ma adesso lui era difronte a lei e la esponeva alla sgradevole consapevolezza che infondo infondo non se n'era mai andato.
Stava per scendere dall'auto, cercando in ogni modo di ritrovare se stessa e le sue difese, quando lui le aveva afferrato il bracco costringendola ad arretrare nuovamente con la schiena contro il sedile.
'Aspetta..'
Si era poi sporto nella sua direzione, poteva sentire il suo fiato sfiorarle la bocca e in un gesto di mortale meccanismo si era sporta a sua volta.
Che volesse baciarla?
Lei voleva baciarlo?
Voleva sentire il sapore della sua bocca matura contro la sua?
La risposta era un chiaro campanello d'allarme ma era troppo ipnotizzata dal nero dei suoi occhi per farsi indietro. 
Trattenne il fiato socchiudendo gli occhi, alla ricerca di qualche motivo per fare lei il primo passo e poi accadde qualcosa.
Qualcosa che non aveva preso in considerazione.
'Le costolette in salsa agrodolce di Jimmy, ha insistito per darmi anche la tua porzione. Ho sentito il tuo stomaco brontolare diverse volte durante il viaggio, prendile.'
Dal sedile posteriore aveva tirato fuori una busta bianca con le credenziali del locale di Jimmy, il leggero strato di sudore sulla sua pelle si era ghiacciato nel constatare quanto sciocca era stata e la busta difronte ai suoi occhi lo sottolineava.
Dieci anni, dieci anni erano passati e lei non aveva ancora capito che le favole erano solo favole e i principi non esistono né in groppa ad un cavallo né a volante di una Camaro.
Furiosa con se stessa afferrò la busta di carta e scese dall'auto, senza voltarsi percorse a piedi nudi il vialetto di ghiaia, una volta dentro casa chiuse con un sonoro tonfo la porta d'ingresso e vi poggiò la schiena contro, maledicendosi.
Dieci anni per ricostruirsi una vita e le erano bastati dieci secondi per.. per fare cosa?
Niente.  
E niente sarebbe dovuto continuare ad essere. 
Presto sarebbe tornata alla normalità, doveva solo pazientare e tenere a bada la nostalgia.

Era ormai calata la sera su Norwood e Tamara se ne stava seduta sul portico di casa a fissare il tablet su cui solitamente lavorava ai bozzetti e alle idea per il suo nuovo libro, tra di essi vi era un file protetto e costudito come un tesoro.
Un libro anch'esso che non avrebbe mai preso posto su nessun scaffale, un libro a cui lei non aveva ancora dato una finale.
Quella stesura, mai corretta, mai privata o arricchita di dettagli, era stata la prima cosa che aveva scritto una volta giunta a New York.
A quell'epoca il dolore era ancora fresco e la mente non faceva altro che andare lì a quel pensiero fisso, a quell'amore che non aveva trovato un continuo.
Aveva troncato il racconto nel giro di un paio di settimane dopo aver scritto ininterrottamente ogni giorno e lo aveva fatto semplicemente perché era in quella precisa manciata di parole che la sua realtà si era bloccata.
Lo aveva gettato tutto lì, il suo dolore, il suo amore, in un vecchio quaderno e solo anni dopo aveva trovato il coraggio di trascriverlo al computer.
Non era al livello dei suoi scritti attuali, la forma era scarsa e la punteggiatura non era sempre messa al punto giusto, ma quando si era rivista quelle parole sotto gli occhi si era sentita in dovere di riscriverle esattamente come le aveva trovate. 
Sapeva di doverlo alla se stessa diciottenne per  rispettare il suo dolore, e lo aveva fatto senza odiare nessuna parola, nessuna imperfezione, nessuna virgola fuori posto. 
Non aveva guardato alla forma ma alla sostanza e quanto nonostante gli anni che erano passati ancora si rivedesse in quella serie di emozioni che avevano segnato un periodo altalenante fatto o di eccessi di svago o di totale solitudine.
L'ultimo accesso al file risaliva ad un anno fa e ricordava perfettamente cosa l'avesse spinta a farlo.
La proposta di Leo era giunta inaspettata, anche se dopo sette anni di fidanzamento era certa che prima o poi sarebbe arrivata, e rileggere quelle parole le avrebbe garantito -in qualche modo- la sicurezza necessaria per affrontare un passo così importante.
Le ricordava che un salto nel vuoto lo aveva già fatto e che quel salto l'aveva condotta a lui, il suo futuro marito, nel bene e nel male.
Suo padre le aveva lasciato quella casa credendo che un ponte con il passato fosse necessario al fine di una vita felice in qualsiasi altro luogo senza sapere che lo aveva sempre avuto.
L'indomani avrebbe iniziato a raccogliere tutte le cose inutili presenti in casa e a donare il superfluo, una volta ripulita avrebbe affidato il progetto di ristrutturarla ad un'impresa di Baton Rouge.
Si sarebbe liberata definitivamente di quell'incombenza mettendo lo stabile sul mercato ad un prezzo abbordabile e da quel momento in poi Norwood sarebbe stato per lei solo un ricordo. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


'L'importante è che prima risolviate il problema delle tubature, il tetto reggerà un altro giorno.
No, Bruce, mi stia a sentire i lavori sono iniziati da cinque giorni ormai è io tra meno di una settimana mi devo sposare non ho il tempo materiale per stare dietro a tutto, lo capisce?'
Nell'auricolare la voce del tecnico che si occupava del progetto di ristrutturazione risuonava alta e a tratti affannata.
Se lo immaginava a sbraitare contro il telefono paonazzo in volto e con lo sguardo iniettato di sangue.
Sfortunatamente per Tamara i lavori procedevano a rilento a causa di alcune tubature rotte che avevano accresciuto negli anni i danni presenti nelle fondamenta, inoltre c'era il tetto che dopo un'attenta perlustrazione sembrava richiedere molto più di una semplice sostituzione delle tegole esterne ma addirittura di alcune travi.
Insomma niente di quanto aveva preventivato era ancora stato messo in atto, tranne per le piastrelle della cucina sostituite in tempo record.
Quella era la prima mattina in cinque giorni che si prendeva libera, il desiderio di farsi una corsetta e scaricare così tutto lo stress accumulato durante le lunghe liti con il capo progetto si era fatto sentire già alle prime luci dell'alba.
Il relax era durato ben poco, non erano nemmeno le nove e l'avevano chiamata già quattro volte.
Esasperata si limitò a fare un po' di corsa sul posto cercando di sbrigare quella faccenda nel più breve tempo possibile.
'Bruce, la sto pregando, dica al suo team di controllare le tubature e di ricominciare i lavori dalle fondamenta. 
Non mi interessa quello che crede, lo ha sentito anche lei il geometra se non  procediamo con l'impianto idraulico si rischia il collasso della struttura.'
Esasperata riprese la sua corsa, era stato ingenuo da parte sua credere che allontanarsi dalla zona dei lavori le avrebbe in qualche modo garantito un po' di pace ma ancor più sciocco era stato affidarsi ad un misogino come Bruce Keller.
Semplicemente lui non credeva nella sua capacità di prendere decisioni e quindi nella sua autorità su tutto ciò che riguardava la proprietà che suo padre le aveva lasciato, sfortunatamente per lui Tamara non era affatto una a cui si poteva dire di star zitta.
Bruce Keller aveva trovato pane per i suoi denti questo era certo, come lo erano le imprecazioni che tuonavano dentro l'auricolare.
Se ne era uscito con un ''contatterò il Signor Monroe il più presto possibile. Buona giornata.''
'Buona giornata a lei, Bruce. È sempre un piacere.'
Aveva ironizzato prima di chiudere telefonata.
Stava per svoltare oltre il cancello d'ingresso del cimitero quando fu colta da una strana sensazione che la costrinse in un certo senso a fare marcia indietro.
Tolse l'auricolare dall'orecchio e si incamminò nella direzione del luogo sacro.
In religioso silenzio si guardò intorno leggendo di tanto in tanto i nomi sulle lapidi, suo padre era stato sepolto alla fine nel viale all'ombra della Chiesa adiacente.
Si piegò per sfiorare con la mano la foto posta sulla pietra, scivolando sulle lettere che componevano il suo nome.
Accanto a lui non c'era nessuno e non ci sarebbe mai stato, nessun parente per lo meno.
'Tamara!'
La voce del parroco Davis tuonò alle sue spalle strappandola alla sua preghiera silenziosa.
'Buongiorno, sono venuta a vedere come stava.'
Un mezzo sorriso toccò la bocca di entrambi ma fu lui a fare il primo passo invitandola a proseguire la passeggiata con lui.
Non era esattamente un luogo in cui potersi sentire a proprio agio ma qualcosa le diceva che nessun luogo lo sarebbe stato, voleva dirle qualcosa ne era certa.
'Tuo padre venne da me a dirmi che ti saresti presto sposata, qualche mese fa. Ti ho battezzata io quindi comprenderai la mia sorpresa quando ho saputo che la cerimonia non si sarebbe tenuta qui.'
Quindi era di questo che voleva discutere della location?
Ci mancava solo un prete permaloso per incorniciare quella mattinata perfetta. 
'Leo, il mio futuro marito, non è un tipo amante della campagna.'
Padre Davis annuì sorridendole con il suo solito fare cortese e Tamara cercò di fare lo stesso anche se quella situazione non le piaceva affatto.
'Capisco. Ho saputo anche che stai ristrutturando la casa di tuo padre. Hai intenzione di venderla?'
Ancor prima di poter mettere a punto una risposta misurata e semplice Tamara aveva già pronunciato quella frase.
'Non le sfugge proprio niente, vero?'
L'anziano sollevò lo sguardo su di lei, non pareva indignato come si sarebbe aspettata anzi il tono pacato con cui le si rivolse la fece sentire doppiamente in colpa per come gli si era rivolta.
'Non prenderla a male figliola, è un paesino piccolo la gente parla e poi non stai facendo niente di male. Isaiah era molto orgoglioso di te. Tu lo hai reso molto felice.'
Lo aveva fatto davvero?
A lei pareva di ricordare solo una serie di videochiamate tutte uguali dove lo aveva guardato invecchiare in solitudine senza fare niente.
'Tutti qui abbiamo tifato per te.'
Questo proprio non riusciva a crederlo, ma infondo come poteva dubitare di un uomo di fede?
'La vita è andata avanti per tutti, chi più chi meno ha raggiunto i suoi scopi e adesso è felice. Tu sei felice, Tamara?'
Solo qualche giorno fa avrebbe risposto senza esitazioni e se adesso non lo faceva non era perché effettivamente non lo fosse, era solo sconvolta.
Gli occhi erano fermi su una lapide sbiadita che riportava un nome a lei familiare. 
'Sarah Dawson è morta?'
Padre Davis annuì con fare grave, sfiorando la barba incolta con le dita, le fece cenno di seguirlo ancora una volta.
La condusse alla fine della proprietà sotto il muro di cinta, per sedersi accanto a lui su una panchina in marmo.
'Nove anni fa, ormai. La poveretta si è tolta la vita, che Dio l'abbia in gloria.'
Il più devoto tra i due si fece il segno della croce mentre lei si limitò a tornare a respirare dopo una lunga apnea.
Nove anni. Suicidio. Cole.
Parole sconnesse balenavano nella sua mente seguiti da flash che le mostravano una donna sana e soprattutto stabile.
Sarah Dawson era stata la madre che non aveva mai avuto oltre ad essere una delle donne più forti che avesse mai conosciuto.
Ma a quanto pareva non era così.
Suicidio. Era impensabile.
Suo padre non le aveva mai parlato di niente del genere, perché se avesse saputo..
Poi ricordò. 
Era stata lei a vietargli di parlare di Cole o qualsiasi cosa lo riguardasse. 
Lo aveva fatto per salvaguardare se stessa dal dolore che le avrebbe causato sentirlo parlare di lui, della sua vita che andava avanti anche senza di lei e così facendo non c'era stata possibilità per nessuno dei due di confortarsi a vicenda.
Da quanto dolore avrebbe potuto salvarlo se non fosse stata così egoista? 
Non lo avrebbe mai saputo perché quei dieci anni non le sarebbero mai più stati restituiti.
'Com'è successo?'
L'anziano sacerdote puntò lo sguardo sulla stuola di lapidi che si estendevano a perdi occhio difronte a loro e con tono grave iniziò il suo racconto.
'Abuso di psicofarmaci. Alla fine ne ingerì una dose tale da esserle fatale. Povera donna.
La comunità ne rimase distrutta. 
Cole, era poco più di un ragazzo quando si è ritrovato completamente solo al mondo. Isaiah lo ha aiutato moltissimo negli anni successivi alla morte di Sarah. 
A volte credo che se Cole non ha passato quasi metà della sua vita in carcere sia solo grazie a tuo padre, erano molto legati. 
Lui lo spronava ad impegnarsi e lo aiutava ad andare avanti.
Anche tu eri molto legata alla cara Sarah,  se non ricordo male.
Ci sorprese molto non vederti tra gli uomini e le donne che il giorno del suo funerale vennero a renderle omaggio.'
Era veramente troppo in un giorno solo. 
Si sentiva atterrita, arrabbiata e tradita.
'Io.. io non lo sapevo, Padre Davis. Io non ne sapevo nulla.'
La mano ruvida e ossuta del sacerdote si posò sulla sua e in qualche modo le infuse la calma necessaria per non cadere nel peggior attacco di panico della storia.
Continuava ad immagazzinare aria ma questa pareva non raggiungere i polmoni nella maniera dovuta, allora chiuse gli occhi e cercò di pensare a qualcosa che la rilassasse e che la portasse per qualche secondo lontana da quella realtà terrena.
'Lo sospettavo, mia cara. Lo spettavo.'
Aprì gli occhi e ruotò il collo nella direzione dell'uomo domandandosi perché le avesse affibbiato un tormento del genere.
'Adesso devo andare.'
Scattò in piedi nel l'esatto momento in cui il cellulare prese a squillare.
'Ci rivedremo presto, figliola.'
Non lo credeva davvero ma questo non lo disse ad alta voce, si limitò sorridere e a riprendere la sua corsa.
'Bruce sarò a casa entro mezz'ora per piacere mi dia un po' di respiro e scelga lei i campioni che preferisce per la tinta esterna della casa.'
Scocciata accese la modalità aerea così da essere totalmente irraggiungibile e godersi un po' di libertà.
Decise di deviare il suo percorso nella direzione  opposta a quella a che l'avrebbe condotta a casa nel minor tempo possibile, ma aveva bisogno ancora di qualche minuto in solitudine.
Le parole di Padre Davis l'aveva scossa nel profondo, mostrandole una realtà che adesso rimpiangeva fosse venuta alla luce.
Lei e Cole si erano amati tanto e questo per Tamara era sacro, non importava se era una amore adolescenziale e quindi per molti di poco conto, lei era certa che se ne avessero avuto l'occasione avrebbero continuato a maturare quel sentimento rendendolo sempre più forte giorno dopo giorno.
La sorte era stata ingiusta con loro, adesso lo sapeva. 
Adesso comprendeva che il dolore era di entrambi, che a soffrire non era stata solo lei.
Il suono stridulo di un fischietto richiamò la sua attenzione e quando spostò lo sguardo alla sua sinistra riconobbe subito l'immenso campo da football adiacente alla scuola.
I cori delle Cheerleader la riportarono alla memoria i giorni passati ad esercitarsi sul retro di casa per dare il meglio durante le partite, per far sentire tutto il suo sostegno alla squadra e al suo amato capitano. 
Da dove era riusciva a malapena a scorgere qualche caschetto bianco così a passo svelto scese la breve scalinata che portava al parcheggio per le auto dei genitori che assistevano alle partite e raggiunse la prima parte della recinzione.
Poggiò entrambe le mani sulla rete e socchiude gli occhi cercando di mettere a fuoco le figure dei giocatori che si muovevano come schegge impazzite sul campo incoraggiati dai cori di qualche cheerleader.
La figura di spalle accanto alla panchina doveva essere sicuramente il coach, da come si sbracciava ed agitava poteva dedurre che qualcosa non stava andando per niente come lui voleva.
Fu quando lo sentì inveire contro il gruppetto di ragazze che si ritrovò a sorridere trovando estremamente familiare quella scena.
Come capo cheerleader, Tamara, si era presa diversi rimproveri da parte del coach Thomas che durante gli allenamenti non gradiva affatto la loro presenza, soprattutto prima di una partita importante. 
Poi accadde qualcosa che la fece tornare seria, quando l'uomo che fino a pochi minuti fa era rimasto di spalle si voltò lanciando a terra il blocco che reggeva tra le mani seguito subito dopo dal capello che portava sulla testa.
Cole, il promettente giocatore di football, faceva il coach nella loro vecchia scuola?
Quella mattinata era stata fin troppo rivelatrice.
Fece per andarsene ed invece si ritrovò a combattere con la maglietta impigliata nella rete.
Cercò delicatamente di far muovere il tessuto così da limitare i danni quando sollevando lo sguardo si rese conto che il campo si era svuotato è una figura familiare stava avanzando nella sua direzione andò nel panico.
'Maledizione!'
Sibilò tra i denti, continuando a tirare.
Ogni volta che stava in compagnia di Cole dava il peggio di se stessa, sapeva essere un meccanismo di difesa ma adesso che era venuta a conoscenza di parte del suo passato non voleva essere cattiva.
Man mano che lui si avvicinava parte della sua lucidità andava a farsi benedire e finì per fare qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.
Con un poderoso colpo di fianchi unito ad una buona dose di forza nelle braccia: tirò.
Il rumore della stoffa squarciata le riempì le orecchie, era decisamente libera adesso.
Non si scomodò a raccogliere il lembo rimasto appeso alla rete semplicemente diede le spalle al campo e corse verso l'uscita del parcheggio.
Una volta in strada abbassò lo sguardo nella direzione della maglietta, lo sfregio trasversale lasciava scoperto parte del suo stomaco ma era certa che il peggio fosse passato.
Quando si fu allontanata abbastanza dalla scuola si fermò a fare un po' di stretching prima di riprendere la  corsa, aveva promesso a Keller che sarebbe tornata in mezz'ora e all'improvviso l'idea di avere un battibecco con lui le appariva quasi invitante. 
La stradina secondaria che stava imboccando altro non era che un suggestivo viale alberato e all'ombra di quelle fronde Tamara si dimenticò completamente del percorso da fare per tornare a casa. 
Con passo sicuro scivolò in mezzo alla fila di alberi e si lasciava alle spalle la lingua d'asfalto, fino a perderla completamente di vista.
Si fermò qualche secondo per godersi i rumori della natura che la circondava, non ricordava di aver mai provato tanta pace come in quel momento.
Quello che ricordava invece era che da qualche parte, addentrandosi ancora di più nel bosco, c'erano delle suggestive cascate naturali dove da ragazzina andavano a fumare e bere.
I rumori di quella natura selvaggia la sovrastarono, sollevò lo sguardo in alto e poi chiuse gli occhi per bearsi di quei suoni.
'Adesso sei tu ad evitarmi, ammesso che io l'abbiamo mai fatto.'
Soffocò lo spavento sul palmo di una mano voltandosi furiosa.
Non era affatto divertente ritrovarselo alle spalle sempre nei luoghi più silenziosi è appartati.
'Sta volta mi hai seguita, però.'
Si voltò incrociando le braccia sotto il seno, guardandolo storto. 
'Solo perché sei scappata. L'idea che faccia il coach ti ha scandalizzata a tal punto?'
Lui la vedeva esattamente come tutti gli altri, una snob, un'inaffidabile, ecco quale era la verità. 
'Tutto di questo posto mi sconvolge.'
Se era la peggiore versione di se stessa che ambiva tanto a vedere perché non dargliene un assaggio.
Un accenno di risata uscì dalla bocca di Cole.
'Senti, ehm.. non è da incoscienti abbandonate degli adolescenti per fare una scampagnata nei boschi?'
Abbassò lo sguardo sul terreno calciando un ramoscello rinsecchito, le parole di Padre Davis ancora le rimbombavano nelle orecchie. 
In quegli otto giorni si erano visti a malapena, insomma tutti incontri molto brevi e densi di silenzi imbarazzanti, e avevano accuratamente evitato ogni argomento che rivangasse in qualche modo il loro passato con il risultato che adesso si sentiva come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
'Avevo comunque finito. La prossima settimana abbiamo una partita importante e i ragazzi andavano motivati. Un trucchetto che ho rubato al  buon vecchio coach Thomas.'
Lo aveva osservato per tutto il tempo senza ascoltare realmente, aveva guardato la barba di due giorni e i capelli raccolti in un codino mettevano in evidenza alcuni precoci capelli bianchi.
Aveva poco più di trent'anni ma pareva consumato.
La vita era stata brutale con lui.
Il destino lo aveva privato dei genitori troppo in fretta e adesso che anche suo padre era morto sentiva di condividere con lui quel dolore.
'Perché non me l'hai detto?'
Quelle parole uscirono fuori dalla sua bocca senza neanche accorgersene, come una diga che mostra le prime crepe e lascia fluire dosi sempre maggiori di acqua.
'È una partita Tamara, non credevo ti interessasse il torneo di football del Liceo.'
Era palese che la prendesse in giro ma comprendeva anche di non essere stata molto chiara, probabilmente l'improvviso cambio di umore lo aveva mandato in confusione e sperava che lei rivelasse qualche particolare in più.
'Parlo di tua madre. Perché non me l'hai detto?'
Non era pronta per quella conversazione poiché sapeva che si sarebbero inevitabilmente riaperte vecchie ferite, ma non poteva tirarsi indietro ora.
Non c'erano scuse per farlo, erano in mezzo al bosco nella più totale solitudine nessuno li avrebbe interrotti, sarebbe stata solo una loro decisione.
L'attesa di una risposta la stava logorando ma lo sguardo vuoto di Cole le preannunciava che la verità non li avrebbe resi più liberi dal loro passato.
'Non volevo che tornassi indietro. Tuo padre mi teneva aggiornato dei tuoi progressi e poi un giorno smise di farlo e io smisi di domandargli di te. Era diventato patetico e doloroso per entrambi. Sapevo che se mai ti avessi detto di mai madre saresti tornata qui, per rimanere o addirittura per rinunciare a ciò che ti aspettava.'
Distolse nuovamente lo sguardo ricordando quel primo anno a New York, sola, spaesata ma determinata a raggiungere quanto si era prefissata.
Aveva lavorato duro quell'anno sia per mantenersi da sola sia per andare avanti con la sua vita.
Cole non mentiva quando le diceva che se glielo avesse detto lei sarebbe tornata indietro. Lei avrebbe smosso i mari, invertito da sola i poli se solo Cole glielo avesse chiesto. 
'Perché mi hai lasciata partire da sola? Non hai avuto neanche le palle di dirmelo in faccia che avevo cambiato idea. Ti ho aspettato per ore in quell'aeroporto e per mesi ho fatto lo stesso dopo essermi sistemata a New York. Era il nostro sogno e tu lo hai rovinato.'
Era stata così arrabbiata con lui, per così tanto tempo lo aveva odiato per non essersi presentato in quel fottuto aeroporto a dirle che aveva cambiato idea.
Sarebbe partita con la consapevolezza che non l'amava abbastanza o più semplicemente che aveva finto che il sogno di Tamara fosse anche il suo, invece no.. l'aveva lasciata lì da sola a domandarsi cosa fosse andato storto.
Per due anni si era fatta quella domanda è adesso pretendeva una risposta, così da poter andare definitivamente avanti.
'Perché non sei venuto?'
Era più che decisa a non piangere, le lacrime sarebbero risultate inappropriato oltre che inutili, ma non poté fare nulla per il tono supplichevole con cui gli rivolse nuovamente quella domanda.
'Perché non ho potuto.'
Sollevò le braccia al cielo, come se quella fosse l'unica verità. 
E forse lo era, forse non era vero che aveva smesso di amarla o che non aveva mai creduto nel loro progetto, ma aveva bisogno di molti più dettagli per uscire dal buio in cui si trovava.
'Quando le dissi che saremmo partiti per New York subito dopo la fine dell'estate, mia madre, era al settimo cielo. Ci aspettavano grandi cose e lei lo sapeva. Ma era una donna estremamente fragile e man mano che i giorni passavano e la fine della scuola si avvicinava la vedevo appassire. Non avrei potuto lasciarla da sola, era troppo fragile.
Il girono della partenza percorsi la strada da qui all'aeroporto a grande velocità, volevo confessarti che non sarei potuto partire con te perché mia madre aveva bisogno di me qui. 
Ti ho guardata da fuori, eri così euforica, saltellavi intorno a tuo padre e gli baciavi il viso per ringraziarlo, anche lui stava facendo un grosso sacrificio a lasciarti andare ma -come me- non te lo disse mai, così persi tutto il coraggio accumulato durante il viaggio è me ne andai. Pensai che sarebbe stato meglio per te partire da sola e odiarmi piuttosto che vederti restare per starmi vicino e guardarti perdere colore ed entusiasmo ogni giorno in una vita che non ti sarebbe mai appartenuta.'
Il cuore aveva improvvisamente accelerato i battiti, Cole l'aveva amata, amata a tal punto.
'Avresti dovuto lasciar scegliere me..'
Singhiozzò portando il dorso della mano sulla bocca, cercare di contenersi adesso sarebbe stato inutile se non addirittura impossibile. 
Questa volta fu lui a distogliere lo sguardo.
Affondò le mani nelle tasche dei jeans e insaccò le spalle sottolineando con quel breve silenzio che ormai era troppo tardi per qualsiasi cosa.
'Poi cos'è successo?'
La storia non era finita lì e non parlava solo della morte di Sarah avvenuta un anno più tardi da quel fatidico evento, ma anche di qualcosa di ancor più intimo che lo aveva costretto a restare lì in maniera definitiva.
'Il dolore di perdermi si è trasformato in senso di colpa per avermi trattenuto lì con lei, per questo si è tolta la vita. 
Voleva rendermi la libertà che mi era stata negata.'
Ogni barriera tra di loro era stata definitivamente abbattuta, adesso lo sentiva.
Ma il racconto di Cole non era ancora finito.
'Volevo venire da te, implorarti di perdonarmi e spiegarti quel che era successo ma non mi fu possibile.'
Confusa aggrottò la fronte facendo qualche passo in avanti lo intimò di continuare, non voleva lasciare volontariamente porte aperte a nuovi sospetti.
Entrambi, l'uno difronte all'altro a breve distanza, poggiarono una spalla contro il tronco dell'albero più vicino; pareva quasi che quella conversazione li avesse stremati.
Ci voleva un gran fisico, in effetti, per sopportare la verità.
'Ho avuto un incidente. Ero ubriaco, lo ero spesso in quel periodo, stavo attraversando la strada quando un auto mi ha investito. 
Sono stato soccorso subito ma ero messo veramente male.
Quando mi sono risvegliato mi hanno detto che la gamba sinistra, in particolare, aveva subito un numero maggiore di danni e che i tempi di ripresa sarebbero stati lunghi ma che comunque non sarei mai tornato a camminare o correre come prima. 
Ogni possibilità di avere un futuro come giocatore di football professionista si è frantumato in quell'esatto momento. 
Ho portato un tutore per molto tempo e ancora oggi a volte faccio fatica ad arrivare a fine giornata senza qualche antidolorifico. 
Ero un rottame, sono un rottame, non avrei potuto offrirti niente se non la vita di un infermiera a tempo pieno. Questo è tutto.'
I pezzi a disposizione di quel puzzle fatto di omissioni erano esauriti, adesso il quadro era completo e far finta di niente non sarebbe più stato possibile.
Adesso riusciva a leggere nuovamente l'animo di Cole, ogni sfumatura di dolore e rabbia, era facilmente ricollegabile a ciascuno dei tragici eventi che avevano costellato la sua giovinezza. 
Quando dolore avevano celato l'uno all'altro, quante omissioni avevano riempito il vuoto di quei dieci anni passati lontani a vivere vite diverse. 
Ne era valsa la pena?
'Avrei voluto sapere. Avrei voluto essere al tuo fianco. Anche come una semplice amica.'
Non c'è stato neanche un giorno in cui io non abbia pensato a te, negli anni sarà potuta variare la frequenza ma c'era sempre qualcosa che mi portava a pensarti nel corso delle mie giornate, aggiunse mentalmente. 
'Cazzo Tamara, sei l'ultima persona che vorrei mi fosse amica.'
In una falcata Cole inghiottì la distanza tra di loro e l'azzerò definitivamente quando le cinse la vita con un braccio e la strinse a se.
Ci volle meno di qualche secondo che quell'innocente contatto ne scaturisse un altro dando il via ad una serie di azioni inaspettate.
Saldamente stretta a lui sollevò il viso e questa volta non ci fu esitazione da parte loro, Cole si fiondò sulla sua bocca guidandola in un bacio forse poco romantico ma che ben riassumeva il desiderio di entrambi di essere esattamente lì l'uno per dell'altro. 
Avvinghiati si lasciarono scivolare via di dosso ogni inibizione e anche il buon senso che -forse- fino ad ora li aveva guidati.
Si erano liberati dei vestiti con urgenza, gettandoli a terra e su di essi -al centro di quella foresta solitaria- si erano abbandonati alla passione che nonostante tutto ancora lì univa.
Lo fecero per loro stessi, fu un atto di umano egoismo.
Tamara gemeva e si abbandonava completamente al tocco, al corpo maturo, di Cole come se il tempo si fosse effettivamente fermato e in quei dieci anni non fosse successo niente per cui valesse la pena fermarsi.
Non pensò a niente se non ai loro corpi uniti, ai loro cuori che battevano all'unisono e alla loro bocche che si cercavano come gli assetati cercano l'acqua.
Si cibarono l'uno del respiro dell'altro, raggiungendo il culmine del piacere insieme.
Il pudore le sopraggiunse poco dopo, il tempo di riprendere fiato e si era già alzata per rivestirsi.
A meno di sette giorni dal matrimonio aveva tradito.
'Questo non significa niente, lo sai vero? Io sto per sposarmi.'
Balbettò cercando con lo sguardo la maglietta, tutto pur di non guardarlo negli occhi mentre lo diceva.
Lui si sollevò in piedi e cominciò a rivestirsi a sua volta. 
'Trovo difficile considerarlo niente, ma se ti preoccupa la possibilità che quel pagliaccio in giacca e cravatta che stai per sposare lo venga a sapere sprechi fiato. Non sono il tipo, dieci anni fuori da qui non ti da il diritto di dubitarne. Inoltre, guarda il lato positivo, il tuo damerino non verrà mai qui.'
La bocca di Cole sfiorò nuovamente la sua, rendendolo ancora più sprezzante e spocchioso ai suoi occhi. 
Si stava beffando di lei e dei suoi timori o semplicemente le voleva far intendere che anche per lui non era stato niente di più di una semplice scopata.
'Leo non è un pagliaccio ma su una cosa siamo d'accordo, non lo porterò mai qui.'
Replicò acidamente prima di abbassarsi a raccogliere il cellulare e l'auricolare.
Era decisamente ora di tornare a casa, con due ore di ritardo sulla tabella di marcia, inoltre non c'era motivo di tirare la questione troppo per le lunghe. 
Quel che è detto è detto e quel che è fatto, bhè.. sarebbe rimasto tra di loro.
'E' troppo poco macho per vedersela con un po' di caldo e qualche zanzara?'
'Smettila di ringhiare, Cole, non è una gara a chi ce l'ha più lungo.'
Tagliò corto. 
'No, infatti, ma sarei comunque curioso di sapere chi vincerebbe.'
Concluse sollevando la zip dei jeans con un sorrisetto soddisfatto sul volto. 
'Vuoi un passaggio?'
'Sì, ho bisogno di farmi un bagno, sempre che il Signor Keller me lo permetta.'
Sbuffò pensando che con quell'uomo ogni giorno era una lotta e che era stata proprio quella mentalità ristretta, secondo il quale una donna non sarà mai abbastanza brava come un uomo, a farle sognare - sin da ragazzina - di allontanarsi al più presto da chi l'avrebbe sempre vista come una sconsiderata ad avere così tanti sogni in serbo per se stessa.
Keller, come tanti altri adulti coetanei di suo padre se non ancora più vecchi, la vedevano come una minaccia, come qualcosa di ingestibile e quindi la catalogavano come anomala.
Di certo la fuga di sua madre non aveva agevolato il suo percorso, era quasi destino -secondo alcuni- che lei seguisse le sue orme.


Il viaggio di ritorno fu relativamente breve e all'insegna del rock, la passione per le vecchie band non era mai passata di moda per loro due. 
Di comune accordo decisero di non toccare più l'argomento, avevano avuto la loro occasione e l'avevano sprecata. 
Non ci sarebbero state seconde occasioni, neanche per sbagliare ancora. 
'Ci tengo a dirti che per quel che può valere io ti ho amata veramente, Tamara e che non ti avrei mai ferita in modo intenzionale. Il destino è stato crudele con noi.'
Il rumore provocato dal freno a meno sancì la fine della corsa, Tamara guardò oltre il parabrezza con una certa malinconia; probabilmente adesso il destino avrebbe smesso di metterli continuamente l'uno sulla strada dell'altro.
Ora che chiarezza era stata fatta che motivo c'era di scontrarsi ancora?
'Adesso lo so.'
Non era necessario aggiungere altro, andava bene così, si era appena chiuso il cerchio più importante della sua vita che sperava l'avrebbe resta più pronta per un'altra tutta nuova.
Fu in quell'instante che tra gli operai muniti di elmetti notò la figura prestante del suo futuro marito.
Senza esitare aprì lo sportello e si diresse a passo concitato nella sua direzione.
Cosa ci faceva lui lì?
'Leo?'
'Tamara, amore mio, ho provato a chiamarti più volte per avvertirti ma avevi sempre il telefono staccato. Fortunatamente io ed il Signor Keller abbiamo ammazzato l'attesa discutendo su alcune importanti modifiche da apportare alla casa di tuo padre.'
Giusto! La modalità aerea era ancora attiva, penso tra se e se.
Il volto di Bruce Keller illuminato da un sorriso sembrava quasi appartenere ad un altra persona, guardava Leo come un messia.
Ancora una volta il maschilismo di quell'uomo la stupiva e disgustava al tempo stesso.
'Cosa hai fatto alla maglietta?'
'Ho avuto un piccolo incidente, si è rotta mentre facevo jogging in mezzo al bosco.'
Minimizzò servendogli una mezza verità.
'Tamara, il cellulare.'
Gli occhi di Leo intercettarono la figura di Cole molto prima che lei potesse voltarsi.
Prese un bel respiro e socchiuse gli occhi, era stanca di quei colpi bassi da parte di qualche entità superiore. 
Afferrò frettolosamente il telefono e lo strinse al petto, guardando a turno i due uomini che l'affiancavano.
Il giorno e la notte.
Leo le cinse la vita con il braccio e l'attirò al suo fianco, sorrise con il suo solito fare affascinante.
'Leo Carson, molto piacere.'
Ci fu un breve, ma consistente, momento di silenzio da parte di Cole e Tamara tornò a respirare regolarmente solo nell'attimo in cui si strinsero la mano.
'Cole Dawson.'
Quella situazione era così paradossale che stentava a credere che fosse vera, questo fino alla fatidica domanda.
'Come vi conoscete tu e Tamara?'
Il panico la colse così all'improvviso da gettarla nel buio più totale, lei che era diventata una maestra a ribaltare situazioni scomode o conversazioni troppo imbarazzanti che quasi sempre le si presentavano durante cene dai suoceri o nelle le interviste.
'Oh bhè, io e Tamara eravamo..'
'..studiavamo nello stesso liceo.'
L'intervento apparve meno forzato di quanto si era immaginata e fortunatamente niente nel volto di Leo tardiva l'ombra di qualche dubbio.
Non sapeva perché avesse mentito, o meglio omesso, sui loro trascorsi e a quanto pareva neanche Cole lo comprendeva.
'Già. Adesso devo andare è stato un piacere conoscerti.'
'È stato un piacere. Torno da Keller, ci vediamo in casa.'
Il futuro marito le afferrò il viso tra le mani avvicinandola al proprio per lasciarle un casto bacio sulle labbra, dopodiché si allontanò fischiettando.
Quando voltò il capo per scusarsi, Cole aveva già raggiunto l'auto e stava abbandonato il vialetto.
Doveva rassegnarsi, le cose non sarebbero mai state meno complicate di cosi, non fin quando lei sarebbe rimasta a Norwood. 
Ormai rimasta sola non le rimase che girare i tacchi e dirigersi verso casa, il tempo aveva subito un improvviso rovesciamento: minacciava di piovere.




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Capitolo 6
*** Capitolo 4.2 ***




'Trovo ingiustificata la tua pretesa di rimanere a Norwood questa sera.'
Era infastidita e non si sarebbe preoccupata di nasconderlo per tutta la durata della serata.
L'idea di starmene seduta a bere drink scadenti, sotto una luce al neon, solo per dare soddisfazione al suo fidanzato non le andava a genio e quindi non si sarebbe neanche impegnata a rendere piacevole la serata.
'Mi eccita l'idea che qui tutti ti conoscano. Insomma a New York nessuno sa il nome dei baristi, qui invece è consuetudine.'
'Forse perché c'è solo Milo, qui. Sarebbe impossibile dimenticarsi come si chiama.
E nemmeno lo sai cosa darei per bere un Manhattan servito da un barista di cui non mi interesserebbe ricordare il nome.'
Leo sospirò, non era contrariato per io suo comportamento anzi pareva divertito. Si sedette sul letto guardandola attraverso il riflesso dello specchio su cui si stava truccando e poi continuò: 'Non mi sono mai interessato a questo posto, lo ammetto, ma non puoi incolparmi se adesso che sono qui la curiosità di vedere dove sei crescita mi tocchi particolarmente.'
Tamara lasciò cadere il pennello con cui aveva steso un velo di cipria sulla specchiera e ruotò il busto per poterlo guardare in faccia, era sincero lo capiva dall'inesistente malizia nei suoi occhi ma questo non rendeva più piacevole la cosa.
Lo aveva sempre tenuto all'oscuro di Norwood, sapeva dove era nata e cosa avesse comportato per lei crescere in un paesino così piccolo ma Leo in otto anni di fidanzamento non vi aveva mai messo piede.
Quel luogo la rendeva così vulnerabile ed incline a fare errori che non voleva più ripetere, quell'improvvisata da parte del suo futuro marito aveva messo in chiaro che lei è Cole non si sarebbero mai più dovuti avvicinare.
Lasciarsi andare alla passione era stato un errore grave alla vigilia del matrimonio e non sarebbe più successo ma intanto quelle immagini avrebbero continuato a tormentare la sua mente chissà per quanto tempo.
'Come vuoi! Ma al primo aneddoto imbarazzante sulla mia adolescenza che spunta fuori prendo e me ne vado.'
Conosceva troppo bene la gente di Norwood e spettegolare rappresentava quasi un secondo lavoro per loro.
Lui rise e alla fine anche Tamara lo fece, forse se per tutta la serata avesse messo da parte ogni timore questa si sarebbe rivelata addirittura divertente.
Ma c'era una cosa che non aveva detto al compagno e che in un certo modo poteva far la differenza, l'aver definito Cole come un semplice studente che aveva condiviso con lei l'aula di inglese era stata una mossa sciocca.
Lo aveva detto senza rifletterci, o meglio domandandosi a cosa avrebbe potuto pensare Leo sapendola in compagnia del suo ex fidanzato.
Aveva combinato un bel casino.
'Leo io devo dirti una cosa.'
L'uomo era impegnato ad abbottonarsi la camicia e non sollevò neanche lo sguardo si limitò ad un mugolio di approvazione. 
'Io..'
Si morse il labbro inferiore indecisa sul da farsi. Certo la cosa migliore sarebbe stata dire la verità ma ammettere di aver mentito, ora, avrebbe sicuramente scaturito maggiori sospetti.
Non era in grado di dire quelle parole.
'Si, mia cara?'
'Io non credo che questo Versace non sia adatto per una serata del genere e poi non sono sicura che un décolleté sia il giusto abbinamento.'
Era decisamente troppo in tiro per una banale serata nell'unico bar di Norwood ma Leo aveva insistito tanto che lo indossasse, perché gli abiti senza spallini per lui erano come una sorta di afrodisiaco e perché amava le lentiggini sul suo petto che invece lei tendeva a nascondere. 
'Sciocchezze, sei uno schianto. Nessuno noterà mai cosa porti ai piedi si fermeranno molto prima.'
Rise porgendole galantemente il braccio.
Lasciata l'abitazione furono costretti ad una passeggiata notturna in quanto aveva completamente dimenticato di andare da Gale a riprendere il pick-up di suo padre e po a Norwood non vi erano molte altre alternative, a Norwood i taxi erano inesistenti.
Tutto era talmente concentrato e la possibilità di raggiungere i diversi punti di ritrovo a piedi era certamente più vasta che in una qualsiasi altra città di provincia. 

Le luci avevano iniziato a farsi visibili già a distanza di qualche metro, le insegne al neon lampeggiavano creando in atmosfera quasi da film noir. 
Il locale di Milo era locato alla fine della strada, difronte la chiesa e accanto al ristorante di Jimmy, la musica jazz fluttuava fuori dalle quattro mura dipinte di un rosso mattone e dove alcuni motociclisti stavano condividendo qualche birra. 
Leo le aprì la porta e non appena mise piede dentro il bar fu colpita da quante persone vi fossero, il bancone era completamente ricoperto di corpi appoggiati alla ricerca di un buon drink, mentre la zona più appartata cantava di soli due tavoli liberi.
La musica era così alta che faticò a comprendere cosa il compagno le stesse chiedendo in quel momento, vedeva la sua bocca muoversi senza afferrare mezza parola.
'Cosa ti va di bere?'
Le urlò nuovamente, Tamara scosse il capo e si sporse porgendogli l'orecchio.  
'Cosa prendi?'
'Ahh, un Manhattan o altrimenti una birra.'
Mentre Leo si addentrava tra la folla di persone presenti al bancone, Tamara aveva invece proseguito alla ricerca di un tavolo.
Raggiunta la fine della sala si lasciò cadere sulla sedia dell'unico tavolo libero rimasto e si guardò intorno.
Nella sala dominava l'azzurro, i giochi di luce creati da qualche macchinario ben nascosto ricordavano i fondali marini mentre la parte più nascosta del locale era adibita a sala giochi.
Un tavolo da biliardo, tra tutti, spiccava in mezzo alla stanza illuminato da una potente luce bianca. 
Riusciva a distinguere perfettamente il colore delle palle ancora in gioco e nonostante la musica alta lo schiocco delle stecche che cozzavano contro la sfera bianca e ne colpiva un'altra.
I ragazzi, poco più che ventenni, si scambiavano incoraggiamenti a vicenda e di tanto in tanto si fermavano per tracannare un po' di birra.
'Tamara Jones! Tamara Jones sei proprio tu?'
Confusa abbandonò l'oggetto delle sue osservazioni per seguire il suono di quella voce squillante e incredula.
La bocca le si spalancò nel riconoscere chi le stava davanti.
'Maggie? Maggie Lawrence?'
Scattò in piedi nell'esatto momento in cui lei le si gettò tra le braccia.
Maggie e lei erano state grandi amiche al tempo del liceo, due inseparabili.
Ma quella che aveva davanti agli occhi non era la stessa Maggie che aveva conosciuto anni addietro, difronte a lei adesso c'era una leggiadra ragazza di cinquantadue chili al massimo con dei folti capelli biondi e dei denti bianchissimi.
Era incantevole. 
Delicata come una bambola di porcellana, dalla pelle finissima e chiara come il latte, faticava ad accostare quell'immagine a quella di una ragazzina in sovrappeso con l'apparecchio ai denti e le trecce sempre rigorosamente dietro le spalle.
'Sei..'
Non trovava le parole per descriverla, era grave considerato che con le parole si guadagnava da vivere.
'Diversa, lo so. E anche tu lo sei.'
'Trovi?'
Le domandò sorridendole in una maniera così genuina che faticò a cedere di esserne ancora capace. 
'Assolutamente. Sei sempre stata la più sofisticata tra le due e guardato adesso. Sembri una diva del cinema.'
Sbagliava a dire che era diversa, il suo aspetto lo era ma non il suo animo.
Era ancora dolce e disponibile. 
Tamara sentiva di potersi rilassare in sua presenza, sentiva che non la stava giudicando per non essersi fatta più sentire è che non la biasimava neanche per averlo fatto.
'E tu quella più buona, Maggie.'
Aveva temuto il confronto con quelli che l'avevano conosciuta, immaginandosi isolata, quando invece aveva trovato solo gentilezza da parte di quelle poche persone con cui aveva avuto anche fare.
Era lei la mela marcia, non loro e adesso lo sapeva.
'Oh, dammi un momento, il mio accompagnatore è in difficoltà.'
In una frazione di secondo era scomparsa tra la gente e questo le aveva dato il tempo di ricomporsi e notare che l'accompagnatore di Maggie non era l'unico ad essere in difficoltà, il sul era addirittura sparito.
Allungò il collo cercando di scorgere il suo fidanzato e agitò la mano nella sua direzione quando finalmente lo intravide con in mano due grossi bicchieri di birra.
'Perdonami, cara, ma avevano finito qualsiasi tipo di alcolico che non fosse la birra. Ti stai annoiando?'
Le domandò facendole scivolare sotto il viso il boccale che afferrò prontamente con la mano.
'No, anzi, ho rincontrato una vecchia amica che mi piacerebbe farti conoscere.'
'Sono pronto. Dov'è?'
Le domandò guardandosi attorno così come fece lei prima di scattare in piedi.
Maggie si voltò proprio in quell'istante e con un grosso sorriso stampato in volto e in gin tonic nella mano destra si avviò nella loro direzione.
Le fece cenno di accomodarsi e la bionda scivolò sulla sedia difronte a lei senza farselo ripetere due volte.
'Leo lei è Maggie, la mia migliore amica ai tempi del liceo. Lui invece è il mio futuro marito.'
Si strinsero la mano scambiandosi i soliti convenevoli per poi dedicare loro un brindisi alla felice unione.
'Cole! Cole! Sono qui..'
Il sorso di birra ancora presente nella sua gola rischiò di farla strozzare a sentir pronunciare quel nome.
Quante possibilità vi era che si trattasse di un omonimo? Pensò tra se e se conoscendo già la risposta.
L'entusiasmo di aver ritrovato una vecchia amica si spense nell'esatto momento in cui l'uomo con cui aveva condiviso un intimo passato e anche un'ora abbondante avvinghiata a lui in mezzo al bosco, quella mattina, si avvicinò al loro tavolo.
La mano di Maggie carezzò l'avambraccio dell'uomo invitandolo a sedersi al loro tavolo, inizialmente rifiutò creando una certa confusione nella bionda.
'Avanti non farti pregare.'
Mostrarsi restia a condividere il tavolo con loro avrebbe solo peggiorato le cose e considerando che Maggie sapeva tutto di lei e Cole probabilmente il discorso sarebbe uscito comunque con o senza di lui a sederle accanto.
Si era pentita di aver mentito anche se il pentimento non era stato così forte da infonderle un po' di coraggio oltre che di buon senso.
Cole si sedette accanto a Maggie con lo stesso disagio con cui Tamara sedeva al fianco di Leo, anche se il suo fidanzato era totalmente rapito da quel che lo circondava per accorgersene. 
'Allora quando vi sposerete?'
'La settimana prossima.'
Gridò in risposta Leo, cercando di sovrastare la musica, afferrando la mano della sua futura moglie per stringerla nella sua con un sorrisetto compiaciuto sul volto.
Tamara sorrise imbarazzata, per la prima volta da quando avevano annunciato il fidanzamento si ritrovava ad essere imbarazzante nel stare al centro dell'attenzione.
'State insieme da molto tempo? Oh, ma guarda tu che anello. Leo Carson tu si che hai gusto.'
La bionda si era sporta per ammirare il grosso diamante che portava al dito e lei non aveva fatto altro che fissare la figura scostante di Cole, oltre la sua spalla spalle. 
'Tamara?'
Leo richiamò la sua attenzione e allora fece velocemente cadere lo sguardo sull'anello per poi annuire.
'Otto anni, ormai. Un'eternità.'
Scherzò cercando di portare avanti quella conversazione nella maniera più brillante possibile, come le era stato insegnato, in maniera di spostare l'attenzione solo su ciò che voleva.
'Oh, si.. l'abito da sposa è un Carolina Herrera fatto su misura. Non dirò nient'altro alla presenza del mio futuro marito, non voglio che la sfortuna ci perseguiti.'
Afferrò il bicchiere della birra e lo portò alle labbra, una lunga sorsata le rinfrescò la gola.
Il resto della serata passò in maniera liscia e coinvolgente, nonostante Cole fosse il più silenzioso del gruppo e Maggie conoscesse diversi aneddoti su di lei non accennò nulla sulla sua passata relazione con il suo accompagnatore.
Era quasi l'una di notte e i due uomini erano stati coinvolti in una partita a biliardo che le sembrava infinita, come la quantità di pettegolezzi che Maggie Lawrence era riuscita a tirar fuori.
'E questo è tutto.'
Per fortuna!, esclamò mentalmente tracannando l'ultimo sorso del suo gin tonic per ordinarne un altro con più gin che tonic.
'Sai non è stato facile, qui, dopo di te.'
Quella era la prima cosa che le confidava qualcosa che riguardava strettamente loro ed il sentimento che le aveva unite in passato.
Tamara aveva dimenticato in fretta quello che era rimasto a Norwood, reinventandosi e creandosi nuove cerchie di amicizie ma Maggie era stata per lei era stata la parte sensibile che le era sempre mancata e che tutt'ora sapeva di non possedere.
'Quando te ne sei andata le cose sono cambiate drasticamente anche per Cole.
Mi sono presa cura io di lui dopo l'incidente.
È stato il periodo più oscuro della sua vita, tutt'ora credo che non l'abbia superato.'
Sentirla parlare in quel modo dell'incidente di Cole le provocò uno strano fastidio, avevano condiviso un momento intimo che andava ben oltre ogni sua comprensione. Molto più di quanto avrebbero mai potuto condividere loro.
'Sono un'infermiera e di dolore ne vedo tutti i giorni ma con Cole fu diverso. 
Aveva da poco perso sua madre e quell'incidente gli aveva portato via anche la possibilità di reggersi sulle sue gambe. 
I mesi successivi all'intervento e per quasi tutta  la riabilitazione lo guardavano perdersi d'animo senza poter far niente per cambiare la situazione.'
La guardava giocherellare con l'oliva nel suo Martini cercando di celare il malessere che le provocava quel racconto.
Avrebbe voluto esserci lei al posto di Maggie? Sì e odiava sapere di essere stata volontariamente esclusa dalla vita di Cole, soprattutto in un momento tragico come quello che aveva vissuto.
Ma c'era qualcosa che detestava ancora di più, che la infastidiva tanto da farle venire il mal di stomaco. 
Qualcosa di sottile che non riusciva ad afferrare.
'Quando è tornato a camminare per la prima volta senza l'ausilio dei bastoni, ho visto in lui la scintilla della speranza prendere di nuovo vita. Sfortunatamente il medico che non gli aveva dato molte speranze all'inizio confermò che le probabilità di tornare a giocare rimanevano nulle, nonostante i progressi fatti per lui non ci sarebbe stato più nessun futuro tra le stelle del football. 
Era cambiato tutto.
La sua intera vita era da riscrivere, fu in quell'istante che capii di volerne far parte.'
Ed eccola lì, la nebbia scomparve e tutto fu improvvisamente nitido, cristallino. 
'Ti sei innamorata di lui..'
Erano prime parole che pronunciava da quando era iniziato il racconto ed erano amare come l'odio che provava per se stessa e la sua debolezza.
'Si. Credo di esserlo sempre stata, ma lui amava te e quando tu te ne sei andata hai lasciato nel suo cuore una ferita che non si rimarginerà mai. Mi sono spesso domandata se non ci si sia buttato di proposito sotto quell'auto, se non l'avesse fatto per colpa tua.'
'Cosa stai farneticando, Maggie?'
Sibilò cercando di mantenere un comportamento almeno all'apparenza civile, l'ultima cosa che voleva era attirare l'attenzione in quel momento.
'Sto solo dicendo che devi liberarlo dal tuo incantesimo. Sono stanca di vederlo stare male per te, anche se non lo ammette io so che è così. Lascialo andare. Sposati e sii felice con il tuo bellimbusto, mostrati irraggiungibile. Lascia che torni a vivere e ad amare liberamente.'
Aveva capito bene dunque? 
Le stava accusando di aver costretto Cole a non amare nessun'altra donna nonostante lei non facesse più parte della sua vita?
Era una sciocchezze eppure non poteva far a meno di pensare che tra di loro non c'era mai veramente stato un momento in cui avevano messo un punto alla loro storia.
Ma lei era andata avanti quindi era giusto che anche lui lo facesse e se Maggie aveva ragione e la causa di quel suo malessere era veramente lei allora doveva rimediare.
'Io credo che tu abbia bevuto un po' troppo, non sei del tutto lucida. 
Non puoi incolpare me se Cole non ti ama.'
Si morse la lingua quando era ormai troppo tardi.
L'espressione sul volto di Maggie cambiò totalmente rendendole quasi difficile sostenere il suo sguardo.
Era stata scorretta e se ne pentiva, sfortunatamente il pentimento sarebbe servito a ben poco anche questa volta.
Tamara si sporse e le afferrò una mano ma lei si ritrasse subito, adirata.
'E non amerà mai nessun altro fino a quando tu continuerai ad essere quella che sei. Una debole. Credi che non l'abbia vista la faccia che hai fatto quando ci siamo presentati insieme? O come lo guardavi mentre stilavi la lunga lista dei dettagli sul tuo matrimonio? 
Lo tormentavi quando non c'eri e continui a farlo adesso che sei qui perché a te non importa di nessuno se non di te stessa.
Spero che il tuo enorme ego ti tenga calda la notte una volta che te ne sarai andata incurante dei danni che ti sei lasciata alle spalle.'
'Io, io non ti permetto di parlarmi così. 
Tu non sei nessuno per dirmi queste cose.'
La rabbia che le ribolliva dentro non lasciava spazio alla ragione, Maggie la stava dipingendo come un essere repellente e cattivo.
Distruttiva come le piaghe lo furono per l'Egitto ma lei non avrebbe mai fatto volontariamente del male a Cole, questo era un aspetto che Maggie parevano non voler comprendere.
'Invece tu chi sei per scombussolare le nostre esistenze?'
Serrò la mascella trovandosi impotente e muta difronte quella domanda.
Distolse lo sguardo ricacciando indietro le lacrime, non avrebbe mai mostrato le sue debolezze né a lei né a nessun altro.
Quando risollevò lo sguardo i due uomini stavano abbandonando il tavolo da biliardo con le tasche più leggere ma due grandi sorrisi stampati sul volto, per qualcuno la serata si era rivelata realmente divertente.
'Allora, signorine, l'argomento calinente del momento?'
Leo sapeva essere estremamente affascinante nei suoi modo di fare, così plateali ma mai di cattivo gusto, stonava in quel contesto -in quel posto- ma non era mai stata tanto grata di averlo al suo fianco come quella sera.
'Tamara mi stava dicendo di non essere mai stata tanto felice come in questo periodo della sua vita, vero?'
Malvagia, sibilò mentalmente.
'È vero. Si. È proprio vero.'
Mormorò dopo una breve esitazione trangugiando famelica il gin tonic nel suo bicchiere.
Maggie Lawrence era cambiata in quegli anni, ed era impossibile non notarlo. 
Il cambiamento più evidente era infatti quello estetico che la rendeva gradevole allo sguardo, con quella pelle trasparente e quei i capelli biondi come il grano ricordava un dipinto ad olio.
Era bella come un frutto di stagione; ma se si guardava più affondo, oltre l'estetica, si sarebbe presto intravisto il marcio al suo interno, abilmente nascosto da sorrisi garbati e battute divertenti.
Maggie era sempre stato quel serpente velenoso che aveva difronte agli occhi o il tempo l'aveva resa tale? 
'È tardi! Vorrei andare a casa.'
'Ma certo, amore mio. Ho abusato anche troppo della tua pazienza.'
Amabilmente le porse la mano e lei non esitò a aggrapparsi a lui per mettersi in piedi.
'È stata una bella serata.'
'Concordo con te, Maggie.'
Si salutarono definitivamente una volta nel parcheggio del locale quando la bionda si era avvicinata per baciarla sulla guancia, come un Giuda in gonnella, prima di salire in auto e dileguarsi nella notte.
Sfortunatamente con lei non se ne andarono anche le parole che le aveva detto e i dubbi che le aveva insinuato nella mente.
Era veramente tutta colpa sua?

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 ***


'Lancia quella dannata palla, McDugal.
Cristo, lanciami quella maledetta palla, zucca vuota!'
Cole non era certo noto per la sua pazienza e a pochi giorni da una delle partite più importante per il campionato studentesco ancora meno.
'Si, coach.'
La palla rotolò sino ai suoi piedi e con un grugnito si abbassò per raccoglierla.
'Contro chi credi di giocare il giorno della partita? Eh? Un branco di manichini? Rispondi.'
Gli gridò contro mettendo a tacere il brusio degli altri componenti della squadra, il ragazzo difronte a lui abbassò lo sguardo cercando di trovare il coraggio necessario per rispondergli.
'No, coach.'
'E allora perché giochi come se sperassi di trovarti difronte dei fantocci? 
Quelli non ci mettono niente a buttarti a terra, hai capito? 
Devi essere veloce, non devi avere esitazioni. 
Ogni esitazione corrisponde ad un punto regalato e io non ho intenzione di permettertelo, ragazzino. 
Sei il capitano perché hai del potenziale ma non sei insostituibile, quindi lancia questa cazzo di palla come sai di poter fare o giuro che ti sbatto fuori.'
Cole sapeva essere un allenatore molto duro ed in particolar modo lo era con chi sapeva avere un vero e proprio dono, esattamente come McDugal. 
Era uno dei tanti insegnamento che il suo ex Coach gli aveva lasciato in eredità e che ad oggi ancora riuscivano a scuotere gli animi dei giovani atleti, il suo compreso.
Ogni volta che teneva tra le mani quel pallone la voglia di giocare lo logorava e il senso di impotenza finiva per schiacciarlo.
'Andatevene adesso, per oggi può bastare. Tornate a casa, studiate per i test, cercate di riposarvi e soprattutto non bevete. Capito Miller?'
Un coro di risate si levò in aria e svariate allusioni sulla veridicità delle sue parole colpirono il mal capitato Miller, che con tono solenne giurava di non aver mai toccato alcool.
Quando il campo si fu svuotato, Cole si prese qualche secondo per ammirarne i colori e la sua vastità.
Un tempo che ad oggi sembrava lontanissimo aveva percorso quel campo correndo come un folle, gustandosi la sensazione che dava la consapevolezza di essere bravo in qualcosa.
I cori delle cheerleader, le grida dei tifosi, quei sogni che lo volevano in uno stadio con i grandi del football e che riscaldavano le sue notti.
A vent'anni era diventato uno storpio, un rottame incapace di andare a pisciare da solo senza crollare per lo sforzo di arrivare in bagno.
Aveva disprezzato se stesso e la sua vita per molto tempo dopo la convalescenza e non molto era cambiato in quegli anni, il dolore si era attenuato ma la ferita interiore che l'incidente gli aveva lasciato non si sarebbe mai rimarginata. 
Guardò nuovamente all'orizzonte e si sentì ancora una volta come quel ragazzino pieno di sogni e speranze. 
Uno dei palloni usati per l'allenamento catturò la sua attenzione lo raggiunse con l'iniziale idea di rimetterlo insieme alle altre attrezzatura ma quando lo strinse tra le dita sentì il bisogno di compire un lancio.
Tolse il capello e lo piegò infilandolo nella tasca posteriore dei jeans, afferrò la palla in maniera salda compiendo tutti i movimenti che precedevano il lancio vero e proprio in maniera meccanica e ben calibrata e poi rimase immobile fino a quando il pallone non gli scivolò via dalla dita.
Era inutile, per anni ci aveva provato e per anni non era riuscito a compire un lancio completo, la paura del fallimento che lo avrebbe messo definitivamente e inequivocabilmente difronte alla sua disfatta lo spaventava a tal punto.
Rimase immobile per diversi minuti a fissare il pallone difronte ai suoi piedi con il desiderio pressante di calciarlo via, di calciare via i suoi dolori e i demoni interiori che lo perseguitavano.
Senza ragionare aveva caricato tutta la forza sulla gamba malandata e lo aveva colpito con rabbia gettandolo contro la rete che delimitava la fine di quella mattonella verde.  
La fitta alla gamba sinistra fu così forte da farlo tremare interiormente, chiuse gli occhi cercando di concentrarsi su qualcosa che rendesse quelle ondate di dolore meno aggressive. 
Stringeva la gamba tra le mani imprecando per la sua stupidità, gli occhi ludici per lo sforzo di mantenersi in piedi e difronte a lui un tratto di strada che avrebbe dovuto per forza percorrere da solo. 
Come un animale ferito si era trascinato sino alla recinzione e appoggiato ad essa aveva raggiunto il cancello d'uscita. 
Raggiungere l'auto nel parcheggio principale della scuola voleva dire percorrere tutto l'enorme corridoio e anche la breve, ma si ardua, scalinata all'ingresso.
Con la fronte imperlata di sudore e il fiato corto si appoggiò con la schiena ad uno degli armadietti, cercando di distendere la gamba e di evitare così di collassare proprio dentro l'edificio.
'Cazzo.'
Imprecò tra i denti stringendo forte gli occhi quando si rimise in marcia, nell'auto custodiva un flacone di antidolorifici che lo avrebbero certamente aiutato.
A pochi passi dalla grossa porta verde allungò la mano per afferrare ed abbassare velocemente la maniglia, con la spalla la aprì e si gettò fuori dalla scuola.
La Camaro nera era l'unica rimasta nel parcheggio, individuarla fu più semplice che raggiungerla, con mano tremante aveva aperto la portiera ed era scivolato dentro tirando un lungo respiro di sollievo.
Rimase qualche secondo immobile prima di allungare il busto nella direzione del vano portaoggetti posizionato sotto il cruscotto e aveva iniziato a cercare quel flacone arancione come un dannato.
'Cazzo! Cazzo.'
Con le mani colpì ripetutamente il volante imprecando, furioso.
Dopo aver sbollito la tensione ed essersi fatto forza aveva messo in moto e si era gettato nella disperata corsa verso casa.
Erano passati quasi nove anni e mezzo e ancora non riusciva a fare a meno di quelle pastiglie, almeno una volta al giorno doveva prenderne una.
Sembrava quasi che qualsiasi cosa influenzasse la percezione che aveva del dolore, storpiandolo e amplificandolo per mille.
Sapeva di avere un problema ma non così grave come quello dei tossici di strada perché a lui servivano per guarire da quel dolore, o almeno questo era quello che si raccontava.
Percorse la strada verso casa a tutta velocità, sentiva che sarebbe impazzito se non si fosse sbrigato.
Detestava quella sensazione ancor più del dolore stesso, si sentiva così debole a non riuscire a combattere o a sopportare. 
Ma forse era il solo epilogo che una vita fatta di rinunce e perdite poteva dargli.
Era certo che vi fosse un limite alle sofferenze che una persona possa superare e lui era oltre il limite già da molti anni.
Schiacciato dalle ombre del suo passato, dal ricordo degli uomini e delle donne che non facevano più parte del suo presente e da quel futuro incerto che ogni mattina filtrava dalla sua finestra con l'arrivo del sole.
Imboccò la solita stradina secondaria che gli dava la possibilità di godersi la pittoresca immagine del lago circondando da alberi altissimi.
La casa che aveva acquistato sei mesi prima si erigeva propio ai piedi di quel lago, a qualche metro di distanza da un pontile ormai inutilizzato, e rappresentava per Cole il suo personale angolo di paradiso.
Il tempo lì si fermava o comunque scorreva più lentamente per lasciargli il tempo di godere dei colori sgargianti del tramonto di quasi giugno.
Spento il motore lasciò andare la testa contro il volante, prese un lungo respiro per prepararsi mentalmente al dolore che avrebbe infiammato la sua gamba una volta messo il piede a terra. 
Aprì lo sportello e reggendosi al tettuccio si apprestò ad uscire.
La mascella serrata e un rivolo di sudore che gocciava lungo la sua tempia sottolineavano lo sforzo appena fatto. 
Un lungo brivido gli percorse la spina dorsale, sollevò lo sguardo nell'esatto momento in cui la donna seduta nella sua veranda si mise in piedi.
Incrociò il suo sguardo e ne fu rapito.
Ne era sempre stato rapito e dubitava che in un prossimo futuro avrebbe smesso di essere così.
Tamara sarebbe potuta tornare tra altri dieci anni e lui sarebbe stato ancora incantato dal suo sguardo curioso, pronto a divorare tutto quello che la circonda.
Ciò che nel suo sguardo non voleva vedere era la pietà, per questo il suo tempismo era totalmente fuori luogo.
Cercò di non zoppicare in maniera troppo evidente, serrando la bocca per non imprecare e tenere la schiena ben dritta per conservare almeno in apparenza un po' di fiducia in se stesso.
'È stato Padre Davis a dirmi che adesso vivi qui.'
In passato era accaduto spesso che tra di loro non vi fosse bisogno di chissà quante parole per comprendersi, a volte -come in quel caso- erano bastati solo pochi sguardi.
Cole aveva annuito e superandola era entrato in casa, alle sue spalle la porta ancora aperta valeva come un invito a seguirlo.
'Cole, stai bene?'
La sua voce era come un soffio, il dolore era troppo acuto per dare retta a qualsiasi altra cosa gli stesse intorno.
Febbricante e con la vista appannata aveva percorso tutto il corridoio ed in salone e poi si era gettato sul cassetto della cucina alla ricerca del suo sacro Graal. 
'Cole!'
Ancora una volta non si voltò o curò di risponderle, doveva prima fare qualcosa per se stesso poi si sarebbe occupato di carezzare il suo ego o di fare qualsiasi altra cosa gli avesse voluto chiedere.
Quando finalmente intravide il flacone seppellito sotto diverse cianfrusaglie lo afferrò e con forza cercò di svitare il tappo, un'altra imprecazione gli sfuggì tra i denti quando lo sforzo risultò del tutto inutile.
Con le dita tremanti e la pazienza ormai esaurita lanciò il flacone contro il muro ma neanche in quel caso il tappo si svitò.
La mano di Tamara scivolò sul suo braccio, per un attimo aveva quasi pensato che fosse solo un'allucinazione e che lei non fosse veramente lì con lui.
L'aveva vista piegarsi a raccogliere il contenitore di plastica arancione e aprirlo.
Le pasticche scivolarono sul palmo della sua mano, due a due, ne strinse una tra le dita e rimise le altre dentro la confezione.
Tornò da lui stringendo la pastiglia tra il pollice e l'indice, la fece vagare sotto il suo sguardo sofferente e poi l'avvicinò alla sua bocca.
La ingoiò senza l'ausilio dell'acqua e in quell'esatto momento percepì il sangue fluire nuovamente all'interno delle sue vene, la mente rischiarata e quella foschia davanti ai suoi occhi dissolversi.
Il viso di Tamara a pochi centimetri dal suo.
Se fosse stato quello il giorno della sua morte non se ne sarebbe minimamente curato, erano state le sue dita a dargli la pace che bramava.
'Vieni con me.'
Non ancora del tutto a riparo dal dolore, Cole, aveva accettato di appoggiarsi a lei per raggiungere il salotto.
Lo aiutò a scivolare nella poltrona reclinabile che spesso usava anche come letto e poi gli si era seduta accanto, con le ginocchia poggiate sul pavimento, sfiorandogli la fronte bollente come si fa ai bambini quando sono piccoli. 
Un gesto che aveva sempre amato e una premura che lei gli aveva sempre riservato nei momenti difficili.
'La mia Tammy..'
Sussurrò sistemandole una ciocca dietro l'orecchio, fece scivolare la mano dietro la sua nuca e avvicinò il viso della donna al suo.
La mente sgombra di qualsiasi pensiero era una conseguenza così piacevole, anche lo sguardo se non del tutto vigile era meno sfocato.
La bocca della donna che aveva follemente amato a pochi centimetri della sua, poteva sentire il suo fiato caldo sfiorargli le labbra.
'No..'
Fu un sussurro, un rumore appena accennato poteva persino essere tutto nella sua testa ma poi la mano di Tamara scivolò dal suo viso al petto e con una leggera pressione lo costrinse a stendersi nella poltrona.
'Perché?'
Gli sembrava così banale chiederlo ma non aveva potuto esimersi.
Cosa voleva allora? 
'Non sono qui per questo, Cole.'
Si passò una mano sul viso cercando di rimanere concentrato, sentiva gli occhi farsi pesanti, di quel passo avrebbe perso il tramonto.
'Non possiamo parlarne adesso. Guarda come sei ridotto.'
'Mi hai detto che avrei dovuto farti scegliere. 
Guarda qua! È questo che sono. È questa la vita che avresti fatto se avessi scelto me.'
Rise amaramente, doveva mandarla via perché sapeva che quell' ipotetica conversazione non sarebbe andata a finire bene. 
'Cole, smettila.'
'No, smettila tu. È giusto il modo in cui è andata, Tamara. 
Non guardarmi con quegli occhi lì, non siamo i personaggi di un tuo libro, le cose nella vita reale prendono pieghe inaspettate e non sempre si finisce a condividere un caffè a Central Park parlando di un possibile futuro insieme. 
Questa è la vita vera.
Questa!!'
Esclamò sollevando il pantalone sino al di sopra del ginocchio mostrandole la lunga cicatrice che gli era rimasta dopo l'incidente e senza vergogna o pudore afferrò la sua mano per far sì che toccasse davvero il suo dolore.
'Questa è la cosa più reale che posseggo.
Hai fatto bene ad andare avanti, qualsiasi cosa ti passi per quella testa devi sapere che l'unica verità è questa.
Io sono così per colpa mia, solo per colpa mia.'
Era certo di aver toccato il tasto giusto, ancora una volta senza il bisogno di troppe parole, il suo viso contratto, lo sguardo ferito ma non abbastanza da mostrare il pianto che la inondava dentro.
'Devi farti aiutare, Cole.'
'Devo solo dormire, Tamara.'
Le palpebre erano diventate improvvisamente così pesanti, le immagini sfocate e lo sforzo di rimanere cosciente totalmente vano.
Avrebbe perso il tramonto per quel pomeriggio.


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Capitolo 8
*** Capitolo 6 ***



Tamara difficilmente perdeva così tanto tempo nel decidere qualcosa. 
Era sempre stata una persona istintiva quindi il fatto che fosse dentro quel pick-up da venti minuti, a fari spenti, a fissare una casa mezza illuminata, di notte, senza trovare il coraggio di uscire e presentarsi alla porta.
Le era costato molto quel pomeriggio andare da Padre Davis, sempre molto informato su quanto accadeva ai suoi parrocchiani, a chiedere informazioni sulla nuova abitazione di Cole e adesso che era lì le sembrava tutto così sciocco.
Erano passati due giorni ormai dal loro incontro al bar di Milo ma le parole di Maggie erano ancora impresse nella sua mente.
Era stato a Cole a lasciarla, o meglio a metterla difronte a fatto ormai compiuto, allora perché si sentiva in parte responsabile della sua cattiva sorte?
La voce alla radio informava gli ascoltatori che erano appena scattate le dieci ovvero il giusto orario per prendere una decisione.
Scese dal pick-up con la mente affollata di dubbi, non sapeva come giustificare la sua presenza ne cosa avrebbe potuto dire per incanalare un discorso come quello.
Strofinò le mani sudaticce sul jeans che indossava e raggiunse il portico cercando di convincersi che ormai era troppo tardi per cambiare idea.
Stava per bussare quando notò che la porta era in realtà aperta, poteva essere interpretato come un segno.
Magari era il destino o forse era solo l'aria afosa di Norwood che ancora una volta voleva facesse i conti con il suo passato, questa volta nella speranza di cancellare ogni ombra proveniente da esso una volta per tutte.
'Cole?'
Lo chiamò per accertarsi che fosse in casa, nessuna risposta.
Si guardò intorno, l'auto era parcheggiata nel vialetto e le luci del piano inferiore erano accese doveva per forza essere in casa.
Inoltre la porta era aperta, quindi..
Si addentrò nell'abitazione con cautela, magari era in compagnia, meglio non fare troppo rumore in caso di fuga.
Superato il corridoio scarsamente illuminato si ritrovò nel vasto salone arredato in maniera molto minimal che però sapeva perfettamente di lui, si limitò a guardarsi intorno ferma dove era, ma di Cole nemmeno l'ombra. 
Stava per andarsene quando la curiosità si insinuò in lei, infondo non era certa che sarebbe mai tornata lì si giustificò.
Avanzò di qualche passo scrutando minuziosamente l'ambiente che la circondava, gli scaffali in legno scuro, le sedie sparse a casaccio, vestiti e giornali lasciati sul pavimento insieme a bottigliate birra e bicchieri vari.
Infondo alla stanza proprio accanto alla grande porta finestra un'unica e rovinatissima poltrona in pelle, la riconobbe immediatamente ci si era seduta milioni di volerle su quel bracciolo proprio accanto a suo padre.
Doveva averla regalata a Cole quando si era trasferito, era plausibile conoscendolo.
Per lui una casa nuova aveva bisogno di un oggetto speciale da sistemare prima di ogni altro, in quel modo sarebbe stata sua sin da subito, e lei seduta su quel bracciolo non era stata solo accanto a suo padre. 
'Tamara?'
'Dio, mi hai spaventata.'
Si voltò alla sua sinistra incrociando subito la sua figura, aveva i capelli bagnati, i piedi nudi e i jeans slacciati.
Tra le mani una t-shirt blu e lo sguardo confuso.
'Che ci fai qui? Fammi indovinare, Padre Davis ti ha detto dove trovarmi.'
Lo guardò infilarsi velocemente la maglietta e abbottonarsi i jeans sorpreso dalla sua visita inaspettata ma non così tanto della fonte a cui si era rivolta.
Probabilmente era solo fortuna quella di Cole, Padre Davis era sicuramente il più informato e quindi il più affidabile in certi casi.
'Sembra quasi che te lo aspettassi di vedermi.'
Lui sorrise di sbieco scuotendo il capo.
'Diciamo che è come se fossi già stata qui.'
Tamara aggrottò la fronte confusa. 
Non era certa che stesse molto bene, anche se dall'aspetto si deduceva il contrario. 
'Ti ho disturbato? Posso ripassare.'
'No, ero fuori a farmi una doccia, non preoccuparti.'
'Hai la doccia esterna?'
'Cosa vuoi, Tamara?'
Sbuffo spazientito e lei gli fece eco sistemando la tracolla sulla spalla.
Come si domanda ad una persona se ha tentato di uccidersi senza riaprire vecchie ferite?
'Questo posto mi sta manipolando. 
Io vorrei comportarmi normalmente ma non ci riesco.
Sono rimasta ferma fuori casa tua per venti minuti prima di decidermi ad entrare e se tu non fossi spuntato fuori all'improvviso neanche sarei rimasta. 
Il fatto è che non riesco a smettere di pensare ad una cosa e questa mi sta logorando.
Tu sei felice?'
Lo vide aggrottare la fronte confuso. 
Doveva provare ad esprimersi meglio, magari iniziando a mettere in ordine le parole che le vorticavano in testa. 
'Il fatto è che tu sei l'ultimo legame che mi è rimasto qui. 
Rappresenti tutta quella parte di vita che ho cercato di reprimere e che oggi non voglio più dimenticare. 
Tu mi hai detto la verità e mi hai liberato di un fardello che non volevo più portare, tutta quell'amarezza e lo sconforto provato negli anni successivi al trasferimento sono scomparsi nel momento in cui mi hai raccontato come sono andate veramente le cose.'
Fece una pausa, doveva riprendere fiato. 
Lo sguardo di Cole non era più insostenibile, adesso.
Era vero quello che gli aveva detto. 
Lui l'aveva liberata di un peso inimmaginabile e per questo -e molto altro- gli sarebbe stata grata.
Afferrò le sue mani stringendole tra le sue, trovandole ruvide a contatto con il suo palmo morbido, non mollò la presa.
'Io voglio che tu sia felice, Cole. 
La donna a cui un giorno affiderai il tuo cuore sarà la persona più fortunata di questo mondo te lo posso garantire perché c'è stato un tempo in cui ho pensato che il compito di renderti felice fosse il mio, mi dispiace di non averlo portato a termine ma forse era questo il nostro destino.
Forse la nostra felicità dipende da altri.'
Ammise sconfitta. 
'Tamara.. Io non so cosa ti abbia detto Maggie ma se non ricambio i suoi sentimenti non è a causa tua, smettiamola com questi discorsi.'
Sentenziò ritirando le mani dalla sua stretta e voltandole le spalle.
Lo guardò raggiungere il tavolo da fumo in legno e afferrare il pacchetto delle sigarette, con nonchalance se ne portò una alla bocca senza però accenderla.
'Lei è convinta che il mio incidente non sia stato un caso, ma lo è. Crede che se nonostante il suo bell'aspetto io non voglia avere una relazione con lei sia per colpa tua, ma non lo è.
Il fatto è che Maggie è mutata esteriormente ma dentro è rimasta sempre la stessa fragile ragazzina che non accetta la vita così come è preferendo di gran lunga costruirsi una realtà parallela dove tutto va come lei desidera.'
La sigaretta si muoveva su e giù tra le sue labbra mentre le parlava, era un movimento quasi ipnotico.
Mentre lei se ne stava immobile lui raggiungeva l'altro capo della stanza nella direzione del camino dove afferrò un pacchetto di fiammiferi dalla mensola sopra di esso.
Fece scivolare il cerino sulla superficie ruvida del muro incendiandosi immediatamente, dopodiché lo avvicinò alla sigaretta e ne bruciò la prima estremità.
Come una scena da film in bianco e nero, pensò tra se e se.
'Perché allora lei crede che tra di voi potrebbe esserci qualcosa?'
'Dopo l'incidente lei mi è stata molto vicina e..'
'E siete finiti a letto insieme, ho capito.'
Concluse il discorso ancor prima che lui potesse formularlo nella sua testa.
Ignorò quella fastidiosa fitta allo stomaco che le prendeva ogni volta che lo immaginava in balia di qualche altra donna.
Era un disastro, una contraddizione continua.
Voleva saperlo felice senza però letteralmente saperlo. 
'È successo una volta sola e me ne sono pentito subito.'
Come se facesse la differenza, lo ammonì mentalmente.
'Le parlerò, non ti infastidirà più.'
Sospirò facendo uscire il fumo dal naso e strofinandosi gli occhi con le dita della mano libera, lei annuí.
'Adesso dovrei andare.'
'Certamente, il tuo Yankee ti starà aspettando.'
'Leo è tornato a New York.'
'Che peccato, ci mancherà.'
Tamara scosse il capo, non doveva per forza cedere alle sue provocazioni.
'Buonanotte Cole.'
'Aspetta, dai. Stavo scherzando.'
Ne dubitava ma infondo non aveva poi così tanto fretta di tornare a casa, nessuno la stava aspettando e quelli erano gli ultimi giorni di libertà anche per lei.
'C'è la luna piena, il lago e un pontile in disuso. Fammi compagnia.'
Il resto della serata la passarono a ridere come due ragazzini, senza troppi pensieri per la testa e una paio di birre in corpo.
I racconti dei tempi andati si dilungarono sino a quasi l'alba, il tempo volava e non faceva rumore quando stavano insieme.
'Perché non sei andata con lui?'
Le domandò ad un certo punto e lei insaccò le spalle.
'Sono i suoi ultimi giorni da uomo libero, è giusto che se li goda adesso.'
La brezza fresca le carezzò la pelle nuda delle spalle facendole venire la pelle d'oca.
'Sai cosa mi piacerebbe fare? Vivere questi cinque giorni come se avessi ancora diciotto anni, prima di adempiere ai miei doveri di moglie e nuora.'
Potremmo addirittura farlo insieme, sai?'
Lo guardò cercando di capire dalle sue espressioni quanto la ritenesse sciocca ad avere simili desideri, ma nulla nel suo viso le diceva che fosse una cattiva idea.
'New Orleans non sembra più irrealizzabile come dieci anni fa.'
La sorpresa si impossessò del viso di Tamara, trasformandolo.
New Orleans doveva essere la tappa iniziale del loro viaggio insieme, prima di New York e prima del diploma. 
Un week-end solo per loro, un posto dove essere adulti insieme.  
Un sogno rimasto nel cassetto.
'Fai sul serio?'
'Un finale degno di un libro, no?
Partiamo domani, alle nove.'
Eccolo il salto nel vuoto che aspettava.
Che sensazione magica, infondo erano gli ultimi  giorni da donna libera anche per lei e poi era da tanto che voleva vedere le luci di New Orleans, con lui. 

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