Carry On, Fairy Tail

di Nightkey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A mezzanotte ti verrò a prendere (Gerza) ***
Capitolo 2: *** Perché tu sei il mio più caro amico ***
Capitolo 3: *** Perché non riesci vedermi? (Gruvia) ***
Capitolo 4: *** La Caduta della Disperazione Scarlatta ***
Capitolo 5: *** Il mio nome è Erza (Gerza) ***
Capitolo 6: *** Arrivederci, Master! ***
Capitolo 7: *** Coraggio contro Paura ***



Capitolo 1
*** A mezzanotte ti verrò a prendere (Gerza) ***


Tipologia: Missing Moment

A mezzanotte ti verrò a prendere e insieme danzeremo sotto le stelle

La sala era gremita di gente. Un complesso musicale stava suonando in fondo alla stanza, fornendo una base sulla quale danzare. Numerosi corpi scivolavano dolcemente sulla pista, avvolti in strati e strati di morbida stoffa colorata, al ritmo di musica. Le coppie di ballerini andavano tutte a tempo, come fossero burattini manovrati da qualcun altro: prima un passo a destra, poi uno a sinistra e infine una capovolta. Erano sincronizzati, come se fino a quel momento si fossero esercitati per fare quello e nient’altro. Leggeri, come piume.
Erza ne restava sempre colpita. Si era spesso domandata come un mucchio di sconosciuti, se riuniti sotto lo stesso tetto, potessero trasformarsi in un  vero e proprio corpo di ballo. Peccato che quella regola non valesse per tutti. Se Erza spostava lo sguardo dal centro della pista le era possibile intravedere una chioma rosa ondeggiare assieme a un gatto blu, decisamente fuori tempo. Metteva i piedi a casaccio, tentando inutilmente di provar ad andare a tempo. Dietro lui, un mago senza camicia sembrava urlargli di stare più attento e di evitare di pestare i piedi alle altre persone, come era accaduta alla bionda seduta poco distate dai tre, intenta a massaggiarsi i piedi. Finalmente sembrava che tutti si stessero divertendo. Come se la minaccia dei draghi avvenuta solo giorni prima, fosse stata solo frutto di un brutto incubo. Come se quella catastrofe non fosse mai esistita.
Lei era sulla soglia,  immobile  ad attendere il suo cavaliere, torturando tra le mani un pezzo di carta ingiallito. Per la ventesima volta quella sera, rilesse le parole incise con l’inchiostro blu su quel pezzetto di carta. Anzi no, non le rilesse. Le recitò perché ormai le conosceva a memoria.

“A mezzanotte ti verrò a prendere,

e insieme danzeremo sotto le luci delle stelle.

Una sola volta, un’ultima volta, prima che il fato

mi strappi dalle tue braccia e mi  porti lontano da te.

G.”

G.
Erza conosceva solo una persone la cui iniziale del nome fosse la G e che sarebbe dovuta stare lontana da lei. Non poteva nemmeno farsi vedere in quella sala in realtà, stracolma di membri del consiglio che gli davano la caccia. Per questo aspettava sulla soglia. Una volta individuata la chioma bluastra l’avrebbe condotto nel punto della sala più affollata. Dove loro due non sarebbero stati altro che macchie indistinte danzanti in mezzo a tante altre.

Gettò un’occhiata all’orologio posto in alto, al centro della grande sala. Un minuto a mezzanotte. 
Strinse le mani e si lisciò il vestito in un gesto nervoso. Poi portò le mani ai capelli e si assicurò che l’elaborata acconciatura di Lucy fosse ancora perfetta. Aveva confidato solo all’amica del suo incontro. In modo che potesse tenere gli altri lontano da lei, onde evitare che con le loro urla avrebbero attirato l’attenzione sul suo cavaliere. Il gong dell’orologio la riportò alla realtà. Drizzò le spalle e con meticolosa attenzione, stavolta, fece scorrere lo sguardo su ogni persona presente nella sala. Ma nei minuti che seguirono non vide nessuna chioma azzurra, nessun tatuaggio rosso, nessuno districarsi dalla folla per venirle incontro. Abbassò il capo e diede le spalle alla sala. Si incamminò fuori dal palazzo. All’improvviso quelle mura erano diventate troppo soffocanti. Poteva percepire delle mani avvolte attorno ai suoi polmoni che premevano, per farle buttare fuori tutta l’aria. Una lacrima le corse giù dall’occhio buono e l’asciugò in un batter baleno.
Una volta fuori, si sentì meglio. Il silenzio, la quiete. Tutte cose che l’avrebbero aiutata a schiarire i suoi pensieri. 
Alla fine lui aveva deciso di non presentarsi. Si sentì una grossa stupida, aveva passato la maggior parte del suo tempo ad attendere qualcuno che evidentemente aveva deciso di non presentarsi. 
Inspirò.
Andava già meglio. Adesso aveva bisogno di camminare e di sedersi per un po', aveva i piedi indolenziti da tutto quello stare ferma. E da quelle scomodissime scarpe con i tacchi alti. Si fermò sotto un albero del grande giardino che circondava il palazzo. Si sedette. 
E restò in silenzio, sola nella notte ad ascoltare in lontananza le melodie provenienti dal castello. 
Poi udì una voce familiare:
Sei in ritardo.
Alzò il capo e arrossì. Sotto un manto di stelle c’era lui. Vestito con un semplice smoking  scuro che sembrava mettere in risalto i suoi occhi enegmatici, quella sera indecifrabili. I capelli, quei capelli, ondeggiavano selvaggiamente spinti da leggere brezze di vento. 
Non lo aveva mai trovato così bello. Così…perfetto.Socchiuse gli occhi, elaborando le sue tre semplici parole. Lei non era in ritardo, semmai lo era lui. A meno che lei non avesse frainteso tutto. La sala in cui si teneva il ballo aveva una cupola trasparente che le permetteva di guardare il cielo. Le stelle. Erza aveva pensato subito a quello quando aveva letto il messaggio la prima volta. E se invece lui aveva inteso per tutto questo tempo il vero cielo stellato?
Erza sorrise tra sé e sé. Che sciocca che era stata. 
Si alzò, stavolta con gli occhi puntati sui suoi piedi. Si riequipaggiò con la sua “Armatura del Samurai” e, puntando una katana sotto il mento dell’uomo, lo spinse contro un albero. Tutto successe in un lampo, senza dare a lui il tempo di reagire.
Il vestito, i capelli, era sparito tutto. In quel momento c’erano solo lei, la sua furia e l’uomo che desiderava più di ogni altra cosa. Il ragazzino che da bambina le aveva rubato il cuore. Lo stesso che aveva tentato di ucciderla e che poi crescendo aveva cercato di redimersi. L’uomo che quella volta stava provando a baciarla e poi si era interrotto, dicendole che aveva una ragazza. 
Aveva una ragazza.
Come aveva fatto a dimenticarlo? Si era davvero illusa che quella sera sarebbe potuto accadere qualcosa di diverso? 
Ferita, ecco come si sentiva. E umiliata, per aver aspettato tutto quel tempo immobile.
Era furiosa. 
-Mi hai fatto sentire una stupida. – ringhiò la maga. I suoi occhi ardevano furiosi. Bramosi ed egoisti. La parte razionale di lei, la parte che riguardava la mente stava per essere offuscata. Nelle sue orecchie rimbombava solo il suono del suo cuore. Un cuore che batteva furioso, desideroso. 
Lui era suo. Lo desiderava così tanto.
Gerard socchiuse gli occhi e inspirò. -Erza - la ragazza fu percorsa da numerosi brividi che le scossero il corpo. Poi lui aprì i suoi occhi e li inchiodò in quelli di lei. La mano che teneva la spada puntata alla gola ebbe un sussulto. - Mi dispiace.
Lei chinò il capo. In una scintilla le spade sparirono e permise a lui di allungare una mano per toccarle una guancia. 
Le alzò il volto percorrendole brevemente i lineamenti della guancia vellutata e poi con l’altra mano, afferrandole un braccio, l’avvicinò e strinse a sé. Eliminando ogni distanza. Le sue labbra erano così vicine al suo orecchio che quando parlò le senti formicolare. - Mi dispiace così tanto.
Si scostò un po’ da lei e senza mai lasciarla andare e cominciò a muovere i primi passi di danza. La ragazza dalla chioma scarlatta si lasciò trascinare. Adesso danzavano, come una delle coppie di quella sala. Come aveva desiderato lei tutta la sera. Senza il timore di doversi nascondere, senza il timore di essere visti. Perché erano solo loro e la luce delle stelle.
Danzarono, danzarono, danzarono. 
La furia, la tensione, l’ondata di gelosia… era tutto sparito.
Adesso c’erano solo lui e lei.
Erza non ricrdava per quanto tempo andarono avanti, ma quando lui l’avvicinò di nuovo a sé, cingendole i fianchi, e le lasciò un morbido bacio sulla guancia capì che era arrivato il momento. Non appena il corpo di Gerard si allontanò di nuovo dal suo, percepì il freddo impossessarsi di lei. Penetrarle nelle ossa, in profondità. Sacciando via il calore corporeo di lui. Per un solo momento si sentì come se le avessero rubato qualcosa di fondamentale. Come se, senza quel calore, il suo corpo non potesse funzionare bene.
Dove andrai? - lo lasciò andare, tenendolo solo per una mano. Si guardarono negli occhi per dei secondi. Entrambi pieni di malinconia, avvolti da un alone di tristezza.
Te ne ho già parlato. Ho una missione da portare a termine. - Lei annuì e lui si voltò. Il suo tono di voce era morbido.
Tornerò, ogni qual volta  ne avrai bisogno. - le lasciò la mano. Quella cadde lungo il fianco dell'uomo e si chiuse a pugno. 
E sparì sotto la luce delle stelle.

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Capitolo 2
*** Perché tu sei il mio più caro amico ***


Tipologia: What else
(E se Gray avesse usato davvero l'Ice Shell? Finale altenativo per il capitolo 523)

Perché tu sei il mio più caro amico

Correnti d’aria soffiavano impetuosamente su entrambi i maghi. L’aria circostante stava gradualmente diventando gelida, scendendo verso le temperature più basse. Fiocchi di neve,  chicchi di grandine e stalattiti di ghiaccio stavano cominciando a ricoprire la zona circostante. Cristalli di ghiaccio tappezzavano il corpo del mago nero. Aveva la bocca leggermente aperta e dalla quale fuoriuscivano nuvolette d’aria. Le sue mani, coperte di brina, stavano cominciando a perdere sensibilità.
Per te è la fine, Zeref. - ringhiò Gray, senza perdere di vista il suo nemico. 
La tua vita… - il mago nero stava annaspando, provando a proteggersi inutilmente dal ghiaccio. - E il tuo ricordo svaniranno per sempre. Ice Shell… Questa magia di ghiaccio sigilla il nemico e null’altro!
Gray non vacillò. Nemmeno quando quelle parole, vere e reali, gli tirarono uno schiaffo in faccia. Come a volerlo spingere a riprendersi. A interrompere ciò che stava per fare. A riflettere per un momento davvero sulla sua scelta. Ma Gray ormai aveva preso una decisone.
Una decisione che gli sarebbe costata parecchio e per cui non avrebbe mai avuto tempo per pentirsene.  Non gli importava se i suoi amici lo avrebbero dimenticato… non gli interessava se ciò avrebbe permesso di saperli al sicuro e senza un ulteriore sofferenza. Senza un ulteriore corpo privo di vita su cui piangere. Non potevi soffrire per qualcosa che non ricordavi, giusto? Non avrebbe solo cancellato la sua esistenza… ma anche parte del loro futuro dolore. 

“Lo faccio per loro”
Non mi ucciderà - insiste' il corvino, tentando inutilmente di persuaderlo. Il ghiaccio gli aveva bloccato le gambe, rendendogli impossibile alcun movimento.
Se lo facessi, - Gray avanzò di un passo. I suoi occhi ardevano di determinazione mentre la temperatura intorno a loro continuava a scendere vertiginosamente. - morirebbe anche Natsu. E non posso permetterlo.
Natsu. Quel nome gli procurò un groppo alla gola. Deglutii a fatica, spingendo giù quel boccone amaro. Nella sua mente si stavano sovrapponendo due immagini. La prima , quella che aveva difronte: il mago nero in difficoltà e incapace di reagire. Un immagine abbastanza gradita dato che per la prima volta era il corvino ad avere le spalle al muro. E la seconda, marchiata a fuoco nella sua mente, l’immagine di lui e Natsu che combattevano l’uno contro l’altro in scontro inutile. Al posto di aiutarsi. Di difendere la loro famiglia. Si era lasciato accecare dal suo odio contro E.N.D, contro quella guerra e aveva lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento sul cervello. Che lo mettesse contro il suo amico.  Il suo più caro amico.
Si vergognava. Non aveva forse promesso a Juvia di impegnarsi a vendicarla? A mettere fine a quella stupida guerra? E prendersela col suo migliore amico non era di certo la cosa giusta da fare. Non era colpa di Natsu se era, in parte, un demone. Nè era stato lui a uccidere prima i genitori di Gray e poi Ur. Era sempre stata colpa di Zeref. Quante persone avevano sofferto a casa sua? Quante avrebbero sofferto in futuro se gli avesse permesso di vivere ancora? Non voleva saperlo. Voleva solo mettere un punto a tutta questa situazione.
Il cuore gli si strinse in morsa. Percepiva degli aghi punzecchiarlo, premergli sin in profondità, lì dov'era più sensibile. Socchiuse gli occhi, concentrando nelle mani le ultime briciole di magia ed energia rimastagli.
E’ per questo che ti sigillerò per sempre! - urlò, spalancando le braccia.  Una ciclone di gelo li circondava, soffiando forte sui due e ricoprendo di ghiaccio tutto ciò che toccava. Tutto ciò che li circondava. 
Ma quale eternità? Il ghiaccio prima o poi si scioglierà e allora io ritornerò!
Gray sorrise. Lo stesso sorriso che gli si dipingeva sul volto quando sapeva di avere la vittoria in pugno, comunque sarebbe andata. 
Fino ad allora regnerà la pace, no? Fairy Tail ha vinto!
Un urlo di vittoria e disperazione proruppe dalle sue labbra. Un urlo straziante, colmo di angoscia e speranza. Un grido che diceva che in un modo o nell’altro, Fairy Tail se la sarebbe cavata e che il suo sacrificio era solo il primo passo. Un primo passo vero la fine della guerra, verso un futuro più luminoso. Verso la speranza.
E poi tutto attorno a loro cominciò a vorticare velocemente e a tingersi di bianco.

Le gambe gli cedettero e Gray crollò in ginocchio, annaspando. Gli doleva il corpo dappertutto, dalla testa alle punte delle dita dei piedi. Sollevò il capo e non vide altro che bianco. Dov’era finito? Dietro di lui qualcuno gli poggiò una mano sulla sua spalla, costringendolo a voltarsi. Una figura a lui familiare si stava materializzando nel suo campo visivo. Era l'immagine di una donna esile. Portava i soliti vestiti con cui per anni si era abituato a vederla e col solito taglio corto di capelli che le incorniciava il viso, comprendole in parte il volto triste.
Ur… - sussurrò.
Gray, un ragazzo come te non può rinunciare a vivere. - la sua voce malinconica rimbombò nelle orecchie del ragazzo, procurandogli un senso di angoscia. Lui scosse il capo e alzando leggermente la testa, la guardò sorridendo appena. - Ormai ho preso la mia decisone…  - chiuse gli occhi. Non riusciva più a percepire il suo corpo, poteva sentirlo dissolversi. Tramutandosi e diventando ghiaccio. - Non c’era altro modo. Io… ero accecato dai miei sentimenti. I miei amici e Natsu… ho cercato di ucciderli. Non c’è più posto per me alla gilda! - adesso stava piangendo. Copiose lacrime salate scendevano giù dai suoi occhi, percorrendogli il viso pieno di tagli.
Fermo - Ur era davanti di lui e lo guardava afflitta. Gli posò una mano su una guancia, asciugando le sue lacrime. - Fermo, non devi… Gray!
Fino alla fine, Grazie Ur. 
“Natsu…mi dispiace, amico. Non avrei voluto che andasse a finire così”.
E una luce bianca lo avvolse esplodendo.

- Fermooo ! - Natsu stava urlando, il cuore che gli batteva forte contro il petto. Era preoccupato, preoccupato per qualcuno. Qualcuno che si trovava all’interno della Gilda e in compagnia di Zeref. Ma non appena varcò la soglia della Gilda non poté fare a meno di sentirsi confuso. Era sicuro, almeno fino a qualche minuto prima, di aver percepito due auree magiche distinte. E poi di averne percepita una sola, così forte da sovrastare l’altra. Ma ora che era lì, di fronte ai fatti… non riusciva a darsi una spiegazione logica.
Zeref, il mago nero, era immobile. Congelato e bloccato in un enorme blocco di ghiaccio. Aveva le mani davanti il volto, incrociate come a voler bloccare un attacco. Ma in quella stanza oltre a lui non c’era nessuno. Eppure, Natsu le aveva sentite. Due potenti auree. Due odori diversi e poi all’improvviso… il nulla. Tutto era stato cancellato, come se non fosse mai esistito.
Come se si fosse immaginato il tutto.

No, non pteva essersi immaginato tutto. Era certo di quello che aveva sentito e sentiva tutt'ora. Natsu percepiva una strana sensazione, proprio lì in un angolino vicino al cuore. Una sensazione fastidiosa, che gli provava disagio. Era come se qualcuno gli avesse conficcato un uncino e adesso lo stesse tirando cercando di strappargli qualcosa di importante da esso. Qualcosa di essenziale senza la quale non era sicuro di poter vivere. Eppure era lì, sano e pieno di energie.
Natsu!  - la voce di Lucy lo richiamò, strappandolo dai suoi pensieri. - Che cos’è successo?
Il rosato scosse la testa, incerto. Poggiò una mano contro il blocco di ghiaccio e socchiuse gli occhi. Incendiò una mano, per provar a sciogliere quel blocco ma non servì a nulla. Il ghiaccio restò li dov’era, solido e gelido.
Chi sarà stato? - Happy lo raggiunse, spiando il grosso blocco da dietro le sue spalle.
Abbiamo già visto qualcosa di simile - Lucy sfiorò il blocco, meditando. La sua mente che lavorara frenetica, cercando di ricordare dove avesse già assistito a un simile incantesimo - All’isola di Galuna!
Vuoi dire che qualcuno ha usato quella magia?
Ice Shell - sussurrò Lucy. Poi nei suoi occhi sembrò passare una scintilla. Un’idea prese forma nella sua mente e il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore e orrore. Le mani presero a tremarle. - Leon! - balbettò. Le gambe le cedettero e finì a terra, fissandosi le mani. - Do- dobb... dobbiamo avvisare Blue Pegasus…
-
No.- sentenziò il rosato. -  Sento il suo odore, lui è ancora vivo.
Lucy alzò il volto, all’improvviso leggermente rincuorata. - E allora chi può essere stato? Solo lui e Ur sono a conoscenza di questa magia.
C’era una parola sulla punta della lingua del mago, un nome che non riusciva a pronunciare.  Lo sentiva lì, sulle labbra pronto per essere gridato. Ma più si sforzava di emettere quelle parole, più quel nome, quella parola scivolava via da lui. E se si sforzava di ricordare, la testa cominciava a girargli. C’era qualcosa che non andava. Qualcosa di importante che aveva dimenticato o che stava dimenticando.
Perlustrò con lo sguardo ancora una volta l’imponente blocco di ghiaccio finché ai suoi piedi non notò qualcosa. Un oggetto d’argento e brillante. Si chinò a raccoglierlo. Era una collana con una piccola croce come pendente. Era fredda, proprio come quell’imponente blocco di ghiaccio. Natsu la strinse fra le mani e per un momento, un solo momento, udì delle parole.
“Prenditi cura di loro, Natsu”. 
Qualcosa, veloce come un fulmine, nella sua mente scattò e delle lacrime, senza che lui ne avesse il controllo, cominciarono a rigargli il volto mentre il cuore si piegava e contorceva in preda al dolore. Crollò in ginocchio, all'improvviso senza più aria nei polmoni. 
- Natsu! Natsu, che ti prende? - Happy lo stava chiamando, ma in quel momento per il mago la voce dell'amico risultava lontana. 
- Natsu... - Lucy fece per avvicinarsi ma il mago la bloccò con un gesto della mano.

Poi delle parole uscirono fuori dalla sua bocca, isenza sapere bene a chi le stesse per rivolgere.
Maledetto bastardo… Non so come hai fatto o che magia hai utilizzato ma sei riuscito a cancellarlo. A eliminare il tuo ricordo dalle nostre memorie. La mia mente potrà anche non ricordare il tuo nome, il tuo volto e chi fossi. Ma il il mio cuore non ti dimenticherà mai. Se questo era il tuo modo di impedirci di soffrire ancora…  Hai sbagliato. Perché una parte di me, quella legata a te non smetterà mai per un momento, per infiniti secondi di ricordarti e di soffrire. Perché qualunque cosa fossimo, noi eravamo amici, no? E la nostra amicizia, ne sono sicuro, era più forte di ogni magia. Avrei sistemato tutto. Avremmo potuto sistemare tutto assieme...
Se solo fossi arrivato in tempo..

Dovevi vivere, stupido ghiacciolo

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Capitolo 3
*** Perché non riesci vedermi? (Gruvia) ***


Tipologia: Missing Moment
Perchè non riesci a vedermi?

Entrò nella sua stanza senza accendere la luce. 

Quella sera, prima di lanciarsi sul letto, si guardò allo specchio appeso in un angolo della camera. Le luci colorate dell’albero di Natale alle sue spalle, le fornivano quel poco di luminosità che le permetteva di scorgere il suo riflesso colorato al buio. Osservò il suo candido volto tingersi un po’ di blu, di giallo, rosso o verde. 
Sospirò, pizzicandosi le guance. Un po’ per farvi affluire del colore, un po’ per cercare di svegliarsi. Di riscuotersi dal suo torpore. Tracciò il profilo del suo volto prima con gli occhi  e poi con le mani percorrendone lentamente ogni curva, ogni dettaglio tondeggiante o spigoloso.
Non aveva mai capito cosa avesse di sbagliato. Cosa ci fosse in lei che non andava. Forse erano le grosse e viola occhiaie dovute alle notti insonni? Quelle poteva coprirle con del correttore. Forse era il suo naso, troppo minuscolo. O magari i capelli? I suoi monotoni capelli lunghi e azzurri. Se li avesse tagliati o colorati, sarebbe cambiato qualcosa? Scosse la testa. No, non sarebbe cambiato nulla. In passato l’aveva già fatto e lui non aveva accennato a nessun cambiamento nei suoi confronti.  Forse, allora, era dovuto al suo carattere.  Al suo bizzarro e lunatico carattere. Forse era troppo appiccicosa, o forse non lo era abbastanza. 
Forse, forse, forse A Juvia stava per scoppiare la testa!
Distolse lo sguardo e con un salto si fiondò sul letto. Nascose il volto in un cuscino e chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
Forse non era lei il problema, dedusse alla fine. Probabilmente in lei non c’era nulla che non andava. Era lui a farla sentire così. Così dannatamente sbagliata. Una nota stonata. Una risposta errata in mezzo a tante altre corrette. Il risultato errato di un' equazione matematica.
Strinse il cuscino al petto e si rannicchiò, accoccolandosi sotto le calde coperte. Fuori il vento soffiava forte, facendo tremare e tintinnare le finestre. Dietro le sue palpebre cominciò a delinearsi un' immagine. La sua mente stava disegnado, facendosi trascinare dalla sua immaginiazione. Intravedeva il vicolo di una strada. Stava nevicando, piccoli fiocchi di neve ricoprivano il suolo di quella strada. Con i suoni che provenivano da fuori, non le fu difficile immaginare che quelle immaggini fossero reali. Proprio nel bel mezzo della strada c’era un ragazzo. Riusciva a vederne solo il profilo. Era alto, muscoloso e con la testa ruotata leggermente nella sua direzione. I folti capelli scuri gli ricadevano disordinatamente sul volto, coprendogli parzialmente buona parte del delicato viso. Era immobile. La stava guardando, eppure allo stesso tempo, non sembrava affatto. I suoi occhi sembravano guardarla attraverso, come se lei non ci fosse affatto. Come se in quel momento lei si fosse dimenticata di prendere consistenza e non fosse altro che acqua limpida.
Limpida e trasparente. 
Gray-sama - mormorò contro la federa del cuscino. - Perché non riesci a vedermi? 
Le sue parole aleggiarono nella stanza, fuggendo via e mescolandosi col suono del vento. Riaprì gli occhi e si guardò le mani, per assicurare a se stessa che lei era lì. Visibile e concreta. Le strinse a pugno e si stropicciò gli occhi. 
Però con lui non era sempre stato così, riflettè dopo. C’erano delle volte in cui la guardava. In cui lui era consapevole della sua presenza, della sua vicinanza e del bene che gli voleva. E in quei momenti, in quei rapidi e fugaci momenti, lui le sorrideva. Per essere un mago specializzato in una magia di ghiaccio, la magia del freddo e del gelo, era capace di rivolgerti il più caldo dei sorrisi. 
Ricordava ancora la prima volta, quella  prima volta, in cui gliene aveva regalato uno. Al loro primo incontro, alla loro prima battaglia.
Era distesa a terra e lui la guardava con le labbra leggermente increspate a formare un sorriso.
Come ti senti, ti sei rinfrescata? - le stava chiedendo. Juvia era stordita, l’ultimo attacco l’aveva disorientata. La sua mente era annebbiata e i suoi occhi non riuscivano a vedere altro se non gli occhi scuri di lui. Poi lui si era voltato a guardare il cielo e, imitandolo, lei si era resa conto di una cosa. Incredula, aveva sbattuto più volte le palpebre. Il cielo era sereno, azzurro. Era inondato di una luce che non aveva mai visto. Percepiva i caldi raggi del sole scaldarle il corpo stanco...
Ricordava ancora poi, il momento in cui si era voltata. Quanto faticò a distinguere la luce emanata dal sole da quello del ragazzo. Nonostante fossero nemici, lui era lì a sorriderle. Quella volta lui non l’aveva sconfitta. Quella volta lui l’aveva liberata. Liberata dalle sue paure, dalle sue incertezze e insicurezze. Liberata dalla sua tristezza.  

Era diventato il suo punto fisso. Il suo porto sicuro. Delle volte pensava che sarebbe anche potuto caderle il cielo addosso ma, se lui avesse continuato a sorriderl in quel mode, avrebbe trovato la forza per sorreggerlo con le sue esili mani. 
La paura, l’ansia… tutto scemava, scompariva, se al suo fianco c’era lui.
Anche se lui a volte non si rendeva conto della sua presenza, come le era successo quella sera.
Riaprì gli occhi e li spostò sull’albero di Natale. Ai suoi piedi c’era un pacchetto minuscolo. Un regalo per il suo Gray-sama. Sorrise appena ricordando tutto il tempo impiegato per farlo.  Era un regalo stupido il suo, una parte di lei continuava a ripeterselo. Una sciarpa per il mago di ghiaccio, per il mago che anche alle più basse temperature stava a torso nudo e che non percepiva mai il freddo.
Però in quella sciarpa lei aveva tessuto anche tutto l’affetto che nutriva per lui. E, anche se probabilmente lui non l’avrebbe mai indossata, quella si sarebbe comunque rivelata un' occasione d’oro per lei. Un’occasione per dichiarargli ancora tutto l’amore che provava per lui, per togliergli il paraocchi e fargli vedere che lei era lì. Solida e consistente. Pronta a sorreggerlo proprio come lui faceva con lei. A liberarlo dal suo demone interiore, proprio come lui aveva fatto con lei.
E a scaldarlo nei momenti in cui avrebbe sentito freddo con la sua sciarpa.
Cullata da quei pensieri richiuse gli occhi, sorridendo.

- Buonanotte, Gray-sama.

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Capitolo 4
*** La Caduta della Disperazione Scarlatta ***


Tipologia: And If

 


La Caduta della Disperazione Scarlatta

Il suo corpo tremava, percorso da spasmi. Nonostante fosse coperta da innumerevoli tagli, riusciva ancora a reggersi perfettamente in piedi. Non sarebbe bastato quell’insulso attacco a sconfiggerla. Ad abbatterla.
Dopotutto lei era Eileen Berserion.
Aveva vissuto per oltre ben quattrocento anni. Era sopravvissuta a due guerre e le aveva vinte entrambe. La prima contro i draghi; e la seconda, quando era stata costretta a combattere contro il suo cuore, contro colui che amava e contro il popolo che aveva faticosamente protetto, arrivando a mettere a repentaglio la sua stessa vita. Se solo, pensò, quella volta l’avessero ascoltata. Avrebbe mostrato loro che non era pericolosa. Avrebbe trovato un antidoto per il seme di drago che stava crescendo dentro di lei. Ci era riuscito il drago che aveva cresciuto quella mocciosetta, ci sarebbe arrivata anche lei. Dopotutto aveva creato lei la magia del Dragon Slayer e lei avrebbe trovato una soluzione. Una cura. 
Se solo le avessero dato una possibilità… Scrollò la testa. Ormai era troppo tardi e lei non aveva tempo da perdere. Doveva mettere fuori gioco i suoi nemici e andare avanti. Sarebbe sopravvissuta anche alla terza di guerra. Il suo poteva anche essere un corpo maledetto, ma era resistente e traboccante di magia. Si lasciò sfuggire un ghigno, una risata isterica che si diffuse per tutto il suo corpo. Quella sfida la eccitava. Aveva trovato pane per i suoi denti e questo l’accendeva.
Strinse le mani a pugno e fece un passo avanti verso i suoi nemici. I suoi occhi erano febbricitanti. Era fuori di sé. 
Com’è possibile? - la bambina dai capelli blu non credeva ai suoi occhi. Avrebbe voluto reagire, correre ad aiutare l’amica distesa poco più avanti rispetto a lei ma non riusciva a muoversi. - Sembra che quel colpo non le abbia inflitto nulla…
Eileen ormai era in capace di percepire dolore. Non riusciva a sentire più nulla. 
Il dolore… l’aveva consumata. Aveva scacciato via da lei ogni cosa, ogni emozione e stato d’animo. La sua mente, la sua povera mente era stata la prima vittima. Il dolore l’aveva corrotta, sino ad offuscarla. A quel punto la razionalità l’aveva abbandonata. Nella sua testa c’era spazio solo per la follia. Era diventata matta per l’infelicità. Per aver sopportato sulla pelle anni e anni di sofferenze. Le due guerre, la sua trasformazione, l’abbandono della figlia… non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva agito come una persona normale. L’ultima volta che fosse stata davvero felice. 
Ma adesso non le importava più niente. Voleva solo portare a termine la sua missione.
Si chinò a raccogliere la katana della figlia da terra. Poi incantò le sue mani per farle smettere di tremare.
Basta con i giochetti, mocciosa… 
Avanzò di un passo verso la figlia distesa a terra. Quella aveva il volto premuto contro la terra, inzuppata dal loro sangue. Dal sangue della guerra. Poi fece un altro passo. E un altro ancora. Erza non poteva muoversi. Le aveva frantumato ogni singolo osso del corpo. Che madre era quella che trattava la figlia in questo modo?, le sussurrò una vocina nella sua testa. Eileen non le badò e la mise a tacere.
No, lei non era più sua madre. Non lo era più da molto tempo.
Non lo era più da quando la sua mente aveva smesso di funzionare. Certo, per un periodo l’aveva amata. L’aveva amata come ogni madre ama la propria figlia. Più di se stessa, più di ogni altra cosa.  L’aveva protetta, l’aveva protetta sempre fin da quando era nel suo grembo. Non avrebbe permesso a nessuno di alzarle un dito contro, neanche al padre. Quando l’avevano chiusa in quella cella… non c’era stato momento che non avesse trascorso a pensare a cosa avrebbe potuto insegnare alla figlia o tutto quello che avrebbero potuto fare assieme. A sopravvivere, per lei.
Questo prima dell’inizio della sua trasformazione permanente. Prima di compiere il primo passo verso la follia, allontanandosi dalla razionalità. Adesso per lei quella giovane ragazza non rappresentava solo che un intralcio. Un involucro che non era riuscita a sfruttare.
Se le cose fossero andate diversamente probabilmente…  probabilmente non si sarebbe trovata in quella situazione. E probabilmente sua figlia non sarebbe diventata la forte guerriera che era. “Titania”, la chiamavano. La forte e bella regina delle fate. Sua figlia non avrebbe dovuto possedere nessun altro titolo diverso da quello. Non che la cosa le importasse più di tanto. Avrebbe potuto chiamarsi in infiniti modi diversi e lei non ci avrebbe nemmeno badato. Dopotutto non erano altro che sconosciute. E il suo cuore di pietra non provava più nulla da tempo per lei. Forse l’ultima volta che aveva provato qualcosa era stato il giorno in cui l'aveva abbandonata. E se quello fu il suo ultimo e disperato gesto materno, di una madre che ama incondizonatamente la propria figlia, quella era anche stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. “Lo faccio per lei”, si era detta.
L’ultima goccia di dolore che la portò verso l'eterna follia. 
Non c’era più nessuno che l’amava.  Era così infelice. Chi avrebbe amato un mostro? Chi?
Forse sua figlia ci sarebbe riuscita, se gliene avesse dato l’occasione tanti anni fa. Il sangue del suo sangue, sarebbe riuscita ad amarla? Qualunque fosse stata la risposta, ormai era troppo tardi.
Per te finisce qui. Arrenditi e basta. 
Le poggiò la punta della spada e spinse. Poteva sentire il suono della carne che si lacerava. La ragazza non emise alcun suono. Anzi, si limitò a sorridere.
Cos-a? - percepì il sangue ribollire nelle vene. Cosa aveva quella ragazza che non andava? Perchè non stava urlando? Sentì la rabbia invaderla, prendere il controllo su di lei.- Perché diamine stai ridendo? Perché? Ho sofferto per quattrocento anni… non farmi esitare proprio adesso. E’ vero, tu sei mia figlia e un tempo ti ho anche amata… Ma non ridere. Smettila di sorridere!
La sua mente era invasa di ricordi. Ricordi che pensava di aver cancellato.
- Non mi arrenderò! - urlò l'altra.
Erza flette il braccio e si diede una spinta verso l’alto. Colpì la madre in pieno viso con una testata, nonostante la spada conficcata nella carne e il bruciore che le si propagava dappertutto. Eileen fu spinta indietro dall’impatto e incespiscò.  - L’ultimo gesto di una persona disperata - mugugnò mentre la figlia crollava di nuovo a terra.
E cominciò a ridere, spruzzando sangue dalla bocca. Aveva sangue dappertutto e quello sembrava non voler smettere di uscire.
Peccato - sussurrò. - Allora scacco matto.
E corse da lei. Con la Katana alzata e il sangue che usciva copiosamente dalle  labbra. Il cuore che le batteva forte, impazzito. In quel battito accelerato però c’era qualcosa che non andava, aveva un suono iregolare. I suoi occhi erano bianchi, privi di alcuna espressività. Vuoti. Accecati dalla rabbia e di quanto avesse perso. E le sue risate impregnavano l’aria mentre l’altra aspettava la fine. Non riusciva più a muoversi o almeno a spostarsi veloce come volesse.  Poi successe tutto ad un tratto. Eileen fece per calare la katana e qualcosa andò storto. Dentro di lei qualcosa aveva smesso di funzionare improvvisamente. Qualcosa di importante. Difficile dire se si trattasse di cuore o cervello, perché smisero di funzionare nello stesso momento. E la katana le scivolò dalle mani mentre il suo corpo cadeva su di essa.
Silenzio. Passarono dei secondi prima che una delle due ragazze avesse coraggio di parlare.
Erz… Erza-san, cosa? - La voce di Wendy risultava lontana. Ovattata.
Erza non riusciva a sentire nulla. Solo il suono del suo cuore pulsante rimbombarle rumorosamente nelle orecchie. E la paura. La paura impregnare l’aria, mescolandosi alle risate macabre e al puzzo di sangue. La stessa paura che aveva notato negli occhi della madre mentre cadeva a terra morta. Con mano tremante si trascinò fino al corpo della donna, stando ben attenta. L’altra era immobile, distesa a terra in un modo innaturale. Il sangue continuava a sgorgarle dalla bocca formando una pozzanghera scarlatta assieme ai suoi capelli.  Quella non si muoveva. Non respirava più. E mentre la mente di Erza, frenetica e scioccata, cercava di elaborare a quanto aveva assistito, dalla sua bocca uscirono solo due parole. 
Due parole che non avrebbe mai pensato di pronunciare.
Addio… Madre.



Angolo Autrice:
Buonsalve maghi! Come molti di voi, credo, non ho apprezzato l'idea di Mashima riguardo la sconfitta di Eileen, così ho creato questo "Ad If" in cui ho riscritto la mia personale visione della sconfitta di questo personaggio. Nessun Nakama Power, nessun salvataggio esterno e nessun power up. E' stato tutto naturale. 
Spero possiate apprezzare la mia idea. A presto!

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Capitolo 5
*** Il mio nome è Erza (Gerza) ***


Tipologia: Missin Moment (Gerza)
Tra la Saga della Torre del Paradiso e la Saga degli Oracion Seis

Il mio nome è Erza

Quella notte del terzo martedì del mese Gerard stava ancora sognando. 
Non che avesse altra scelta dopotutto. Da quel giorno… da quell’incidente con l’Etherion era l’unica cosa che fosse in grado di fare. Faceva diversi sogni ricorrenti, tutti distinti l’un dall’altro e non avevano mai nulla a che fare col precedente. 
A volte era un capitano di una grande nave di pirati alla ricerca di un tesoro ambito in tutti i mari; altre volte era un ninja che si impegnava per portare a termine le missioni affidategli dal suo villaggio o, ancora, era un cantante di successo mondiale. Altre volte invece era se stesso, un comune ragazzo che si ritrovava a vivere semplici giornate. C’era però una costante in tutti questi sogni. Un elemento ricorrente, sempre presente. Una costante che ormai Gerard aveva imparato a riconoscere in ogni suo viaggio onirico. Gerard l’aveva rinominata la ragazza dei sogni, perché lei era sempre lì. Un volto familiare in mezzo a tanti altri sfocati o sconosciuti. Delle volte i suoi sogni giravano proprio attorno alla sua misteriosa figura, in altri invece, quando non era lei la protagonista, era una semplice spettatrice. 
Era un membro del suo equipaggio quando era lui un pirata con un buffo cappello di paglia o lei era la ragazza che chiedeva il suo aiuto quando lui era invece un ninja.
I suoi sogni potevano anche essere diversi, mutare nel corso dello svolgimento ma… lei era costantemente lì. Una parte di Gerard si chiedeva chi fosse, perché il suo subconscio continuava a mostrargliela ovunque. Era stata una persona importante nella sua vita? Prima che entrasse in coma? Prima che perdesse la memoria? Ma, sopratutto, esisteva davvero?

Il ragazzo non ne aveva idea.
Uno dei suoi viaggi onirici ricorrenti, nonché suo preferito, era proprio quello in cui l’aveva notata la prima volta. 
Il sogno cominciava sempre in quel modo. 
Si trovava al villaggio di RoseMary e passeggiava tra le vie trafficate finché il suo naso non veniva solleticato da un invitante profumo di dolci appena sfornati. Seguiva il profumo, percorrendo quella strada che ormai conosceva a memoria mentre sorrideva all’anziana donna che gli porgeva un gelsomino o chinandosi a raccogliere il trenino che il bambino aveva fatto involontariamente cadere correndo finché non si fermava davanti la vetrina della pasticceria. 
Ed eccola lì, così bella da sentirsi mozzare il fiato. 
Quando la incontrava era sempre nella stessa identica posizione. Col busto leggermente chino in avanti, così da permetterle di poggiare il volto dai tratti graziosi sulla mano sinistra. Con la mano destra portava piccole porzione del dolce alle fragole verso le minuscole e rosee labbra. E anche da quella distanza riusciva a notare come, assaporando la dolcezza di quella torta, le sue labbra si distendevano a formare un sorriso e le guance le si tingevano di rosso. I morbidi capelli scarlatti le ricadevano come una cascata fin sotto le spalle, splendenti e ardenti come lingue di fuoco e in netto contrasto col candore del chiaro vestito che indossava. 
Gerard la osservava curioso memorizzandone ogni movimento, curva e dettaglio. Non riusciva a spiegarselo ma ogni muscolo, tendine o fibra del suo corpo sembravano essere calamitati da lei. E in quel momento lui si sentiva un satellite che le orbitava attorno poiché attratto dalla sua forza di gravità. Terminato il dolce, gli occhi color nocciola di lei cominciavano a percorrere pigramente il locale soffermandosi prima sulla vetrina con esposti altri dolci alle fragole e poi sul volto del ragazzo. Negli occhi del ragazzo dai capelli color cobalto che la osservava. E lui, come ogni volta nonostante ormai se lo dovesse aspettare, arrossiva e si voltava, nascondendosi dove non poteva più esser visto. 
Poi il sogno si sgretolava e lui fluttuava via verso la prossima destinazione. Verso la prossima avventura onirica. Senza avere mai il tempo per poterle parlare, per poterle rivolgere la parola o chiederle semplicemente il nome.
La cosa più strana per lui però fu constatare dell’essersi pian piano, sogno dopo sogno, innamorato di quella misteriosa figura. Non era certo quando fosse accaduto. Se quella volta al bar o quella volta in cui si trovava al parco. Era seduto sul prato e con la schiena premuta contro un albero. E lei era lì, una semplice ragazza che passeggiava in mezzo a quel verde nel suo prendisole colorato.
Forse si era innamorato della misteriosa ragazza quando inavvertitamente lei gli aveva versato un caffè addosso e scusandosi gli aveva rivolto un sorriso tenerissimo. O quella volta in cui avevano danzato assieme perché erano le uniche persone rimaste senza cavaliere e damigella. O ancora quella volta in cui era inciampato e le era finito addosso, a pochi centimetri dal suo semplice viso e dalle morbide labbra.
No, non ne aveva idea di quando si fosse innamorato di lei. Ma su una cosa era sicuro.: avrebbe continuato a innamorarsi di lei ogni volta che l’avrebbe incontrata. O sognata.
A volte immaginava di svegliarsi e che, ad aspettarlo, proprio accanto al suo corpo c’era lei. Gli piaceva pensare che in un modo o nell’altro lei esistesse e che da qualche parte in quel vasto e reale mondo lo stesse aspettando. Bramandolo come il suo cuore bramava lei. Desiderandolo quanto lui voleva lei. E forse amandolo, quanto lui la amava.
E se poi invece si fosse svegliato e lei non ci fosse stata? Avrebbe retto al colpo? Sarebbe sopravvissuto al duro colpo di una straziante verità? Che al fin fine forse era tutto frutto della sua fantasia… E in quel caso, avrebbe mai avuto o trovato la forza di svegliarsi? Avrebbe avuto la forza di vivere in un mondo dove lei non esisteva?
Allontanò quei tristi pensieri provando ad immerggersi in una nuova avventura onirica.
Gerard non riconobbe quel sogno. Tutto era diverso, nuovo e più cupo. Come al solito non aveva idea di dove si trovasse ma qualcosa in quel luogo aveva l’aria dannatamente familiare. Sentì il petto stringersi in una morsa e il corpo irrigidirsi. Come a volergli dire di stare attento. Che quel luogo non era affatto sicuro e he non lo era mai stato. Si guardò le mani minuscole.
Adesso era un bambino e portava delle manette alle mani. Poco distante da lui c’era una bambina che stava piangendo. Gerard non la riconobbe subito ma non appena le fu vicina, gli fu subito chiaro di chi si trattasse. Gli si accostò e le poggiò una paffutella mano sull’esile spalla di lei.
Per la prima volta da quando aveva cominciato a sognarla sembrava stesse per avere la possibilità di parlarle. Inspirò ed espirò. Poi prese coraggio e domandò:
Ehy, va tutto bene? - la ragazza smise di singhiozzare e si stropicciò gli occhi. Alzò il volto bagnato e lo osservò curiosa. Calde lacrime che circondavano gli occhi scuri. Gerard le sorrise e le porse una mano. - Perché piangi?
Io… mi sono persa. Delle persone cattive mi hanno portata qui e adesso sono tutta sola in questo posto buio. - La sua voce era dolce e morbida, come una carezza. Lei si sfregava le mani nervosamente sulle ginocchia, tremando. Sembrava voler cancellare la sua presenza da quel tetro posto. Come se con quel gesto sarebbe sparita da lì.
Ma nulla era mai così facile.
Lui si chinò poggiandole adesso entrambe le mani sulle spalle. - Adesso ci sono io qui con te. Non sarai più sola.
D- davv-ero?
Certo, puoi contare su di me. - si guardò attorno, provando ad ispezionare il luogo. Peccato che non riuscisse a distinguere bene cosa lo circondava perché il sogno aveva cominciato già a sgretolarsi. Probabilmente si trovava all’interno di una grotta e lui doveva sbrigarsi, doveva provare a portarla fuori da quel luogo anche se era tutta finzione. Anche se lei dopo non avrebbe mai ricordato nulla di quel gesto. Sentiva il bisogno di proteggerla a qualunque costo. Riportò i suoi occhi nocciola sulla figura della bambina. - Su adesso asciugati quelle lacrime e fammi un sorriso. - Lei indugiò portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie, titubante.
Dove siamo? Perché abbiamo queste? - domandò lei indicando le manette.
Non lo so ancora, ma ho intenzione di scoprirlo. Mi aiuterai?
La ragazza rimase in silenzio per un momento, scrutandolo in quei profondi occhi marroni. Poi finalmente sorrise e il cuore di Gerard fece una capriola. Da bambina era ancora più carina, pensò. - Andiamo. - Lo prese per mano e si rialzò.
Io sono Gerard. - parlò - Posso sapere il tuo nome?
Il mio nome è Erza.
E il sogno si dissolse in una pozza nera, strappandogli la mano di Erza dalla sua mentre lui invano gridava il suo nome e precipitava.
Quella notte del terzo martedì del mese Gerard non stava più sognando. 
Quando finalmente riaprì gli occhi, con le testa pulsante e stordita si rese conto di tre semplici cose.
Uno: non era solo. Vicino a lui c’era una bambina dai capelli blu e dal volto preoccupato assieme atri individui dall’aria per nulla rassicurante e la faccia contratta in un ghigno.
Due: non riusciva a ricordare nulla. Nè come ci fosse arrivato, né cosa stesse facendo o sognando prima, né il suo passato, né chi fosse.
Tre: ricordava solo una parola, solo un suono, solo quattro lettere. Erza.

 

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Capitolo 6
*** Arrivederci, Master! ***


Tipologia: Missing moment 
(Post guerra con Alvarez)
Arrivederci, Master!

 

Quel mercoledì mattina, sotto l’ottavo albero di ciliegio in fiore, Erza stava seduta su una panchina di legno. Aveva le mani strette a pugno poggiate sulle ginocchia, il volto rivolto verso il basso e coperto dalla cascata dai ciocche scarlatte. Quel giorno non stava indossando la sua solita armatura, ormai non ne aveva più bisogno. Perché nessuna armatura poteva più proteggerla da quella ferita.
Anche se lo sapeva… inizialmente l’aveva comunque negato. Aveva ritenuto impossibile, in un angolo della sua testa, solo l’idea che potesse accadere, nonostante sapesse che questo passo facesse parte del ciclo della vita. Che ne fosse una parte integrante.
L’aveva negato perché preferiva mentire a se stessa piuttosto che dare ascolto a una verità tanto amara.
Aveva negato l’arrivo di quel momento, perché finché avesse avuto la mente concentrata in altro o impegnata a far altro… quel momento non sarebbe mai arrivato. Non avrebbe mai dovuto viverlo.
L’aveva negato così tante volte a se stessa che non si era più resa conto di vivere in una grossa e grassa menzogna. Se avesse potuto, avrebbe continuato a negarlo. Perché una parte di lei era stata presa alla sprovvista, non era ancora pronta e non riusciva a crederci.
Perché era più facile negarlo piuttosto che accettarlo.
Nonostante tutto fosse già avvenuto davanti i suoi occhi.
E il solo pensare che non lo avrebbe più visto all’interno della gilda… quel solo pensiero la feriva in mille modi diversi.
Non lo aveva neanche detto ad alta voce, perché se lo avesse detto sarebbe diventato tutto più reale. E in quel momento lei voleva solo scappare dalla realtà.
Lo stomaco le si contorceva, minacciando di far risalire su la colazione o quello che ne restava della cena della sera precedente. La sensazione di nausea la pervadeva, facendole provare disgusto e ribrezzo per ogni odore che le ricordava il cibo. Una parte di lei avrebbe voluto vomitare. Rimettere tutto ciò che conteneva lo stomaco e forse anche il dolore che provava. Solo per avere la sensazione di potersi sentire più leggera. Con un macigno in meno sulle sue forti spalle.
L’avrebbe fatta sentire svuotata, libera da ogni sensazione ed emozione amplificata.
I suoi occhi erano immobili, vacui. Concentrati su una zolletta di terra. Come se in quella zolletta ci fosse stato qualcosa di così bello da dover essere ammirato senza batter ciglio. Ma la verità era che lei non la stava davvero guardando. Vi guardava attraverso, come se fosse una finestra verso un altro mondo. Una finestra sui suoi ricordi più chiari di lui. Tutti i sorrisi che le aveva rivolto. Tutte le volte che l’aveva incoraggiata, protetta o fatta riflettere. O, ancora, tutte le volte che l’aveva fatta ridere. Quando da bambina gli aveva dato una casa, una famiglia. Lui l’aveva sempre aiutata… e lei non aveva potuto fare nulla. Se non guardare mentre la vita glielo portava via.  
Le lacrime scorrevano copiose, cadendo sul prato ai suoi piedi come le foglie del ciliegio. E per una volta non le importava di nasconderle, non le importava se qualcuno l’avesse vista. Avrebbe pianto finché non avesse avuto più acqua in corpo e finché non avesse avuto più alcuna energia. Lui non c’era più e lei aveva bisogno di gridare e urlare al mondo il suo dolore.  Che nulla era giusto in quel mondo. Che non doveva andare a finire così. Che la vita era stata ingiusta, crudele e si anche troppo frettolosa. Che la vita gli aveva strappato via l’unico vero genitore che avesse mai avuto.
Era come se le avessero tolto la terra sotto i piedi e lei stesse pian piano precipitando senza sapere dove sarebbe arrivata. Alla deriva in quell’oceano di tristezza.
Nelle sue orecchie rimbombava ancora quel suono. La cacofonia della verità. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce ma, in quel momento, avrebbe potuto giurare di aver sentito il suo cuore spezzarsi. Non era come il rumore dello spezzarsi delle ossa (e quello lo conosceva bene), era… diverso. Una sensazione estranea e nuova l’aveva pervasa. Le si era mozzato il fiato per qualche secondo, non riuscendo più a ricordare come si respirava. Poi una sorta di voragine, di vuoto si era aperto proprio lì dove un tempo c’era qualcosa che vi batteva e pulsava sangue e ossigeno. Ma in quel momento si era ritrovata incapace di produrre alcunché. E poi, magicamente, aveva ripreso a respirare insicura su quanto fosse successo ma più determinata che mai a porre fine a quella maledetta guerra.
Ed era quello che era riuscita a fare assieme ai suoi compagni.
Quel mercoledì sera, quando Gray la raggiunse, la trovò rannicchiata ai piedi dell'ottavo ciliegio in fiore. Non stava più piangendo, ma stava dormendo. Aveva il volto ancora umido ma finalmente aveva trovato un po’ di serenità.
- Chissà se ci starà guardando da lassù… - aveva mormorato Gray stendendosi accanto a lei per ammirare il cielo trafitto di stelle. Avrebbe atteso che l’amica si fosse svegliata prima di spiegarle perché avesse deciso di raggiungerla nonostante lei, precedentemente, avesse intimato a tutti di non seguirla.
Quando più tardi, finalmente, lei riaprì gli occhi, notò il compagno seduto accanto a lei intento a contare le stelle.
- Gray… - mormorò con voce rauca. Le bruciava ancora la gola a causa delle precedenti urla. Avrebbe gradito un bel bicchiere d’acqua. Tossì. - Cosa ci fai qui? -Il mago le mostrò uno zaino e ne tirò fuori due oggetti: una barretta di cioccolata e un berretto di stoffa a righe azzurre e arancio. Erza lo riconobbe immediatamente e percepì le lacrime ricominciare a formarsi alla base dei suoi occhi. Batté le palpebre più volte, provando a cacciarle via. Non voleva ricominciare.  Il ragazzo le porse un quadratino di cioccolata e lei lo rifiutò. Aveva ancora lo stomaco chiuso, annodato su se stesso. Non sarebbe riuscita a mandarne giù nemmeno un pezzo… e anche se ci fosse riuscita l’avrebbe rigettato.
- Perché hai quello? - indicò il cappello.
- Laxus ha pensato che fosse il caso che anche tu lo salutassi…
- Sai è così strano… - si portò le ginocchia al petto e vi nascose il volto, cingendole con le braccia. - parte di me è fermamente convinta che da un momento all’altro lui possa saltare fuori. Ma lui se n’è…
- NO! - Il tono di Gray la costrinse a guardarlo negli occhi. Sollevò il capo e studiò il suo volto. Aveva gli occhi umidi e pieni di lacrime. La sua faccia era contratta in una smorfia di dolore. - Una volta mi hanno detto che finché noi lo ricorderemo, lui continuerà a vivere nei nostri ricordi… - fece una pausa e poi gridando continuò: - Erza, Lui è qui. Con noi, in questo momento. Hai capito?
Erza non rispose. Per la prima volta quel giorno rivolse uno sguardo al cielo e alla sua vastità, meditando sulle parole di quello. E rendendosi conto che lui non avrebbe voluto vederla così. Lui non avrebbe apprezzato vedere i suoi figli continuare a piangere. Non aveva forse punito qualcuno una volta, proprio perché li aveva fatti soffrire in simil modo?
E forse Gray aveva ragione. Avevano già perso molti amici, ma tutti continuavano a portare il loro ricordi con sé, ovunque stessero andando. Poi, infine decise che fosse il momento di provar a sorridere.  Di ricominciare a vivere per lei e per lui. - Si, hai ragione.
Il mago gli porse il berretto. - Sei pronta?
Lei inspirò e prese in mano il cappello stringendolo contro il suo petto. Si alzò.
- Pensando a te, ovunque tu sia… Fairy Tail continuerà ad andare avanti e io con lei. Io… ti ringrazio. Grazie per quello che mi hai dato e per quello che mi stai ancora dando! E chissà… forse un giorno ci rincontreremo e staremo di nuovo tutti sotto lo stesso cielo stellato… - il vento cominciò a soffiare impetuosamente. Lasciò andare il cappello.
- Arrivederci, Master!

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Capitolo 7
*** Coraggio contro Paura ***


Tipologia: What else?
E se Lucy fosse intervenuta nella battaglia contro August?
Paura contro Coraggio

Lucy stava correndo. 
Una mappa nella sua mente le stava fornendo le coordinate per raggiungere il posto nel minor tempo possibile. Sapeva benissimo dove stava andando e non aveva tempo da perdere, i suoi amici avevano bisogno di lei. Nelle sue orecchie rimbombavano ancora le parole del primo Master: parole dove la pregava di affrettarsi a raggiungere i due compagni di squadra, in quanto la sua magia avrebbe potuto capovolgere le sorti della battaglia contro August. Gildarts poteva anche essere il mago più forte della Gilda di Fairy Tail, ma il suo tipo di magia contro il nemico sembrava non aver alcun effetto. Al contrario di quella di Lucy e Cana, magie di tipo holder che non poteva copiare e d annullare. Svoltò a destra, poi due volte a sinistra, schivò i resti di quel che restava di un edificio e infine seguì una strada dritta per una decina di minuti prima di giungere sul luogo di combattimento. Quando vi arrivò, nessuno sembrò notare la sua presenza tanto immersi erano nel conflitto.
Con i polmoni che le andavano a fuoco per l’eccessivo sforzo della corsa precedente, si costrinse a respirare una grossa boccata d’aria prima di agire. Davanti lei, Cana e Gildarts stavano lottando contro August e nonostante avessero trovato un punto debole, sembravano comunque in difficoltà. Cana stava sferrando le sue tecniche più potenti, costringendo il mago ad arretrare solo di qualche passo. Le carte incantate che gli stava lanciando contro, procuravano al nemico solo dei graffi superficiali, come se la pelle di quello fosse composta da diamanti. Diamanti così duri e resistenti da restare quasi inscaffibili. A Lucy all’improvviso fu più chiaro perché la magia dell’amica non sarebbe bastata. Non quella volta. Da sola non ce l’avrebbe mai fatta e Gildarts aveva esaurito i suoi assi nella manica. Doveva intervenire al più presto. 

Però adesso che era lì, il suo corpo la stava tradendo. Tremava come una foglia secca e fragile spinta dal vento, sentendo l’adrenalina, che poco prima l’aveva invasa, abbandonarla per far spazio al terrore.
Lucy aveva sempre trovato strane le sensazioni che la paura generava. Milioni di impulsi viaggiano  attraverso il tuo corpo verso il sistema nervoso, trasportando un unico comando. Un unico messaggio: muoversi, agire. Cogliere l’attimo per far qualcosa cosa pur di toglierti da quella situazione spinosa che tanto ti impaurisce. Ma per qualche assurda ragione, per Lucy, tale messaggio non arriva mai o, almeno, non subito. E’ come se questi impulsi venissero ostacolati da qualcosa, come se attorno al tuo cervello si ereggesse una grossa barriera che impedisce al cervello di farsi raggiungere dai messaggi. Così il tuo corpo resta fermo, immobile come una statua di marmo. Incapace di fare alcun che se non tremare. Tremare come scosso da brividi di freddo. Senti il sudore  freddo sulla tua pelle formarsi e colare. Ti si mozza anche il respiro per qualche minuto, come se anche il messaggio di dover respirare non arrivasse più alla mente e il tuo cuore batte all’impazzata, troppo velocemente. Così forte da temere che possa esploderti nel petto. E allora poi apri la bocca. Inspiri ed espiri finché dentro di te tutto non si stabilizza. Tutto torna ad essere regolare e a funzionare per come si deve. Chiudi gli occhi e chiami verso te tutto il tuo coraggio. Cominci a immaginare figure rassicuranti. Possibili pezzi di futuro che potrebbero realizzarsi se solo trovi la forza di agire. E così cominci a scacciare via la paura. Combattendola con immagini e ricordi positivi. Ti dimentichi del terrore che ti attanaglia e la barriera attorno la tua mente si abbassa piano piano così da permettere ai messaggi di giungere finalmente a destinazione. Dopo muovi un passo, poi un altro e un altro ancora. Stai già correndo e non te ne rendi nemmeno conto. Certo, la paura non ti ha abbandonato  del tutto ma l’hai nascosta dietro una maschera coraggiosa.  Dietro l’idea che dopo tutto sarà finito e non sarà altro che un lontano ricordo. Impedendole di venire fuori, di far vedere al nemico quanto in realtà stai tremando.
E in quel momento, era proprio quello che Lucy stava facendo. Stava ripensando al suo percorso con Fairytail… a tutte le battaglie, le lacrime e le risate fatte assieme ai suoi amici.
Poggiò istintivamente una mano sul suo mazzo di chiavi e trasse un respiro profondo. “Forza Lucy!” si ripeté. Poteva percepire il calore che i suoi compagni stellari emanavano, infondendole anche il loro di coraggio. Qualunque fossero state le sorti di quella battaglia, loro ci sarebbero stati per lei e con lei avrebbero combattuto fino alla fine. 
Adesso toccava a lei. Adesso toccava a lei mostrare quanto valesse e che avrebbe potuto anche tener testa a uno come August. Se non aveva gli strumenti non poteva copiare. Non poteva annullare la sua magia. Certo poteva ancora evitarla ma lei sarebbe stata più veloce.
Sfilò una chiave dal suo mazzo e urlò:
Apriti portale dello Scorpione, Scorpius! 
Un essere umanoide, metà umano e metà scorpione fece la sua comparsa. Con un urlò di battaglia inondò il campo di sabbia, accecando temporaneamente il nemico. Doveva guadagnare tempo per escogitare un piano.
Lucy! - esclamò Cana sorpresa. Raggiunse l’amica seguita dal padre, annaspando. - Cosa ci fai qui?
Vi do una mano, no? - sorrise lei con determinazione. “Se sorrido nessuno noterà che in realtà mi tremano le gambe dalla paura, no?”. Si voltò verso Gildarts. - Su, gli altri contano su di noi. - Sfilò la chiave del toro ed evocò lo spirito. - Stardress!
Hai già un piano? - Lucy tornò indietro con la mente. Alla sua prima vera battaglia. Quella dove per la prima volta aveva utilizzato quella magia. E poi ritornò con la mente al ricordo dei Matau Embu, all’ incontro contro Flare. C’era solo una magia che poteva usare e se l’avesse usata assieme ai suoi spiriti… August non avrebbe potuto bloccarla. Era un'idea folle, che l'avrebbe richiesto più magia ed energia di quelle che possedeva, ma in quel momento era la loro ultima speranza.
Una specie. - decretò infine. - Tenetevi pronti. Sussurrò ai compagni la sua folle strategia e non appena la sabbia si disperse, tornarono all’attacco.
Forza Taurus, andiamo! - colpirono il mago con tutta la loro forza. Lui, preso alla sprovvista, ruzzolò via, finendo con la schiena a terra. Ma non sembrava aver accusato alcuna ferita.
E tu chi saresti? - Lucy deglutì, indossando la  maschera più spavalda che possedesse. Gli occhi di August osservarono la figura della bionda, soffermandosi sul suo mazzo di chiavi. - Oh sei quella Lucy di cui parlava prima… - sogghignò - Non hai comunque abbastanza potere magico per fermarmi, posso percepirlo.
“Lo so già, ma voglio comunque fare la mia parte. Per provare a fermarti”. 
August la colpì allo stomaco, spingendola indietro. Le gambe di Lucy cedettero, mentre del sangue fuoriusciva dalle sue labbra. Se lo asciugò con il dorso della mano e ringhiò: - Apriti portale del leone, Loki!
Come hai osato colpire Lucy?! - All’unisono Taurus e Loki colpirono il nemico, non lasciandogli tempo di schivare il colpo. Lui finì a terra, battendo violentemente la schiena contro il duro terreno.
E la battaglia ricominciò, presto assumendo uno schema ciclico. Su un fronte Lucy apriva e chiudeva due portali differenti dei suoi spiriti stellari a una velocità assurda: Virgo continuava a togliere il terreno dai piedi al nemico  ogni qual volta che lui vi atterrava, mentre Cana e Taurus lo colpivano; se lui provava a schivare i loro colpi, Loki piombava giù dall’alto assieme a Caprico per assestare i loro colpi più forti. Ogni qual volta che August attaccava, Orologium e Ariel intervenivano per far loro da scudo. Lucy mutava i suoi Strardress tirando colpi e utilizzando la sua frusta incantata mentre Sagittarius copriva a tutti loro le spalle con le sue frecce ogni qual volta che veniva evocato. Gildarts non era di meno. Lo colpiva a suon di pugni, utilizzando quelle parti del corpo che ancora funzionavano. Non utilizzò più la magia, non era ancora arrivato il momento. Sull’altro fronte, finalmente l’uomo cominciava ad indebolirsi. La pelle del nemico sembrava finalmente cominciare a lacerarsi, mostrando rivoli di sangue e tagli sparsi ovunque.
La battaglia sembrava aver assunto uno schema ripetitivo, finché August, stanco di quella cantilena infinita, non si decise a modificarlo per porgli fine definitivamente:
Io sono nato con un grande potere magico… - si stava rialzando, togliendosi di dosso i residui delle pietre sotto cui era finito. Taurus gli corse contro, provando a menare un fendente ma fu spinto via dal mago, obbligando Lucy a chiudere il portale. Poi continuò: - ma l’ho gettato via. L’ho rinnegato. Ed ho raggiunto il muro che ogni essere vivente viene chiamato ad affrontare. Tutta la mia vita è stata salvata da sua maestà ed è per questo che, anche se questo corpo dovesse cadere, il più potente mago degli Spriggan 12, August distruggerà questo paese con il suo potere.
E quando la terra cominciò a tremare Lucy capì che era arrivato il momento di giocare l’ultima sua carta. Di mettere in atto il suo piano, la loro ultima speranza. Con mano tremante aprì il portale dei Gemelli, chiedendo ai due mostriciattoli di imitarla. All’improvviso però qualcosa andò storto. Non riusciva più a respirare, il sangue sembrava più non fluire come avrebbe dovuto. La terra sotto i suoi piedi di stava cominciando a sciogliersi, impedendole di stare in piedi o di trovare un punto stabile su cui poggiarsi. Era la magia di August. Lucy percepì il terrore tornare a impadronirsi di lei,  lo stomaco aggrovigliarsi e bruciarle dolorosamente. Stava soffocando.
- Ragazzi mi sentite?! - la voce del Master le giunse alle orecchie. - E’ un’emergenza! Usate tutto il vostro potere per difendervi… di questo passo Magnolia.. scomparirà! - poi seguì un colpo di tosse e silenzio. 
A Lucy non era rimasto molto tempo… né molta energia. Tossiva e sputava sangue, incapace di far smettere al proprio corpo di tremare. Lacrime cominciarono a sgorgare dal suoi occhi, mentre la paura stava cominciando ad impossessarsi ancora del suo corpo. Cana e Gildarts poggiarono una mano sulle sue spalle, incoraggiandola ad andare avanti. Vedeva nei loro occhi il loro terrore, la sua stessa difficoltà a respirare. Ma erano lì a sorriderle, ad incitarla per andare avanti col suo piano. Così con le loro mani sulle sue spalle e il loro potere magico che stava cominciando a scorrere nelle vene della maga come da sue istruzioni, quest’ultima chiuse gli occhi e congiunse le sue mani con quelle di Gemini. Poi richiamando a sé quelle vecchie parole, recitò: 
- Voi che coprite il cielo, voi che aprite i cieli. Stelle infinite nel cielo, mostratevi nel vostro splendore. Oh Tetra Biblos, io sono una dominatrice delle stelle. Completa la tua forma e apri per me i tempestosi portali… delle 88 costellazioni! - l’aria attorno a loro tremava, come percorsa da numerose scariche elettriche. Spalancò gli occhi e li inchiodò in quelli di August.  - Luce! Urano Metria!
E il campo di battaglia che li circondava esplose.


Continua...

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