Il Prezzo Del Potere - Tragicommedia In Quattro Atti Sull'Ineluttabilità Del Destino

di Lady R Of Rage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione: Casualità ***
Capitolo 2: *** Atto I: Riconoscimento ***
Capitolo 3: *** Atto II: Predestinazione ***
Capitolo 4: *** Interludio: Realizzazione ***
Capitolo 5: *** Atto III: Presa Di Posizione ***
Capitolo 6: *** Atto IV: Azione ***
Capitolo 7: *** Epilogo: Retribuzione ***



Capitolo 1
*** Introduzione: Casualità ***


Il Prezzo Del Potere - Tragicommedia In Quattro Atti Sull’Ineluttabilità Del Destino


Introduzione: Casualità 
 
Alphys aveva chiamato per la terza volta, e Mettaton non la sopportava più.
L’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era della sua tensione e del suo continuo panico agitato. Voleva bene alla scienziata, o almeno ne era convinto, ma a volte sentiva davvero di non tollerarla affatto.
L’Umana era ormai giunta alle porte del MTT Resort. Aveva prenotato una camera per la notte e mangiato ogni sorta di delizie al MTT Resort. Ad Alphys, per telefono, aveva detto che sarebbe andata avanti due giorni dopo. A quanto pare aveva bisogno di accumulare dei soldi per una certa armatura in un certo villaggio, e ci avrebbe messo un po’.
“Benissimo” aveva pensato Mettaton. “un giorno di vacanza per me”.
Lontano da Alphys, lontano dai suoi dipendenti che ormai conosceva a memoria, lontano da quell’ambiente tutto uguale. Con la prospettiva di scappare dal Sottosuolo ormai sempre più vicina, i luoghi della sua routine gli sembravano ancora più noiosi e grigi del normale. Così, per non “morire di noia”, era scappato via di nascosto in cerca di luoghi dove non era mai stato prima. 
Per muoversi in incognito, Mettaton usava la propria forma EX. La batteria era ancora inefficiente, ma se non c’era un pubblico a guardarlo poteva permettersi di razionarla evitando piroette e passi di danza. In quel modo restava acceso anche per ore intere, giusto il necessario per godersi un bel pomeriggio fuori. 
Per non far vedere il suo nuovo corpo al pubblico, lo copriva con un mantello nero col cappuccio.
“Meravigliosamente drammatico” pensava guardando la sua immagine riflessa negli specchi di ghiaccio. Assomigliava tremendamente al Traghettatore (o era una Traghettatrice?), ma con un fascino indubbiamente maggiore, e due gambe che avrebbero fatto invidia anche alla più affascinante delle modelle.
Si era fatto traghettare in un’area remota della zona innevata del Sottosuolo: un punto tranquillo, lontano dal soffocante clamore dei fan, dove rilassarsi quanto voleva, godendosi la sensazione di fresco della neve sul proprio corpo e il silenzio ovattato dell’isolamento. Ma soprattutto, pregustando senza ritegno la sua prossima vittoria.
“L’umana verrà domani al Core”. pensò. “Io la affronterò, la sconfiggerò, prenderò la sua anima, e… tutto quello che ho sempre desiderato sarà mio. Libertà… stardom… milioni di persone mi guarderanno!”.
Era tutto premeditato, nel minimo dettaglio. Forse Alphys gli sarebbe mancata un po’… e forse anche Napstablook… e Shyren, magari… ma cosa gli importava? Tre persone non erano nulla paragonati alle folle che lo avrebbero adorato se tutto fosse andato come previsto. 
Aveva passato giorni interi a sognarlo, mentre il resto del Sottosuolo dormiva ignaro di ciò che li attendeva.
Avrebbe ucciso la bambina, prendendo l'anima dal suo corpo come un gioiello in suo tributo. Avrebbe superato re Asgore e la Barriera. E poi...
"«Signore e Signori, ecco il momento che stavate aspettando». Il sipario si apre. Le luci del palcoscenico rutilano in ogni direzione.
«Per la prima volta per voi... la grande e unica star del Sottosuolo...». Il pubblico grida e applaude. Chiamano il mio nome, urlano fino a sgolarsi per me.
«L'irresistibile... meraviglioso... delizioso...». Eccomi, eccomi che appaio. Le urla si fanno sempre più forti. Il pubblico mi ama. Mi venera.
«MET-TA-TON!».
E qui le urla si fanno così forti da soffocare persino i pensieri."
Esultò mentalmente, rotolandosi nella neve senza pericolo di danneggiarsi. Era completamente impermeabile, dopotutto, e ormai stanco del caldo soffocante di Hotland. Il freddo lo esaltava, lo completava. Sentiva quasi un’affinità con neve e ghiaccio. 
"Quando sarò una star sulla terra, mi farò procurare una vasca di ghiaccio che farò riempire ogni giorno. Sarà un toccasana per i miei sistemi".
Ad un tratto, la sua mano urtò qualcosa sotto la neve. Qualcosa di morbido, dalla consistenza plastica.
Mettaton scattò a sedere, caricando d’istinto il cannone nel suo braccio. Guardando meglio si accorse però che si trattava, semplicemente, di un astuccio di plastica trasparente. Era chiuso ermeticamente da una chiusura lampo e conteneva un mucchietto di fogli di carta rosa.
Mettaton sbatté le palpebre, allungando la mano verso lo strano oggetto. “Non è mio. Dovrei rimetterlo dove stava” pensò accarezzando la plastica con la mano guantata. 
Eppure non lo rimise a posto. Si limitò a guardarlo per vari minuti, senza parlare, continuando a sbattere le palpebre e riflettendo dentro di sé in cerca di una motivazione valida per non aprirlo. Convenne alla fine che non resisteva alla curiosità.
-Solo una sbirciatina. Che male fa? Dopotutto sono una star: posso permettermi di osare una volta ogni tanto.-
Aprì l’astuccio ed esaminò il contenuto, seduto a gambe incrociate nella neve, usando il proprio mantello come una tovaglia da picnic. C’erano cinque fogli in tutto, scritti con una penna rosa glitterata su carta rosa pastello. La calligrafia era un grazioso corsivo tondeggiante.
Mettaton trasalì. C’era qualcosa di familiare in quella scrittura.
Troppo familiare.
“Questa persona scrive proprio come me” pensò, lievemente irritato. Nessuno poteva permettersi di rubargli la sua unicità.
Poi si accorse che dietro a ciascuno dei fogli era stata spillata una fotografia. Voltò di spalle il foglio che teneva in mano e trasalì nuovamente.
-Non è possibile…- esalò, le mani che tremavano tanto da rischiare di far cadere il suo tesoro in mezzo alla neve.
Era una sua foto. Lo raffigurava nella forma EX, raggiante come una vera stella, adagiato per traverso su un grande trono, abbigliato con un lungo mantello viola e una grande corona dorata. Stringeva nella mano uno scettro adorno di pietre preziose, e levava le gambe al cielo, ridendo di gusto.
Una didascalia nella parte bassa recitava le parole “27 Gennaio 201X: Incoronazione di Re Mettaton I”.


Angolo Della Lady:
Io non lo capisco, il King Mettaton ending. Non mi stupirei se Toby Fox si fosse pentito di averlo inserito.
Va bene, quasi tutti i personaggi del gioco hanno commesso degli errori: Asgore con le anime umane, Undyne con l'Empress Undyne Ending in cui dichiara guerra all'umanità (e sì, scriverò una #MTTBrandVitaDiM... anche su quel finale), Alphys con gli Amalgamati e così via. Almeno secondo me, però, essere un dittatore totalitario e uccidere/imprigionare/far sparire dalla circolazione chi non lo venera non è un piccolo difetto che sviluppa ulteriormente il personaggio: è un crimine, e non può essere giustificato. 
Cosa voleva FARE, con quel finale? C'è gente che già non tollera Mettaton senza bisogno di quel finale, per ragioni che vanno dal fatto che ha ferito Alphys e Napstablook, al fatto che ha sostituito la statua memoriale di Asriel con una di sé stesso, alla battuta "So what if a few people have to die? That's show business, baby!". 
Forse si aspettava che fossimo noi fan ad esplorare quel finale e mostrare della profondità in esso? Ma figuriamoci. Delle opere d'arte tridimensionali e complesse con Mettaton? Scherzi? Per un sacco di fanartist è solo una scusa per disegnare Mettaton stravaccato sul trono con gli stivali alzati, o che impugna una motosega sogghignando "bow down, bitches". La cosa più triste che gli fanno fare è piangere perché ha perso due followers. Le opere compless e complicate? Tch, quelle sono per Sans.
Quindi, diciamocelo: questo è il mio modo di risolvere/liberarmi di quel finale. Ho scelto di impostarlo come qualcosa a metà tra una rottura della quarta parete e un What If!, in cui tiro fuori uno dei miei headcanon sulle timelines, che spiegherò nei prossimi due capitoli.
Spero che vi piaccia. Ci vediamo presto per il Primo Atto.
Lady R

 

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Capitolo 2
*** Atto I: Riconoscimento ***


Atto I: Riconoscimento

"The actor playing the King is awful. I mean, really bad. I guess he's supposed to be, like, this really complex character, but he just has sort of these weird mood swings, and out of nowhere goes nuts, and none of it's convincing and it all sounds so silly."
(Nostalgia Critic - Disneycember: Maleficent)

“Re Mettaton I?”.
Mettaton era troppo basito per commentare. Sapeva che avrebbe dovuto ridere, o urlare, ma non riusciva a scatenare nessuna reazione nel proprio viso.
Per essere un fotomontaggio, era davvero realizzato bene. Non vedeva nessun segno di contraffazione. Sembrava una foto vera in tutto e per tutto. Perché era stata lasciata in quel punto, poi? In mezzo alla neve, in un punto isolato dove non veniva mai nessuno: un luogo bizzarro per conservare i propri segreti. Forse quella persona aveva la sue buone ragioni per fare di quel punto il suo antro privato, ma a Mettaton quelle ragioni non importavano.
Continuò ad esaminare la foto e i fogli scritti, cercando di capire cosa significassero.
“Che sia qualche follia dei miei fan?”. Doveva essere l’unica possibilità. Qualche fan particolarmente esaltato che si era divertito a scrivere un fotoromanzo con lui protagonista. In tal caso, però, come faceva a sapere della forma EX? Non l’aveva mai mostrata a nessuno, e aveva fatto sempre di tutto per non essere visto da nessuno nei momenti in cui la sfoggiava. 
Sicuramente era colpa di Alphys. Mettaton gliel’aveva detto, tante e tante volte, di conservare il segreto per lui. Figurarsi, però, se quella sciocca era in grado di fare un favore a un amico che fosse uno.
“Me la vedrò dopo con lei” decise, sbottando nella propria testa. Quegli appunti erano troppo succulenti, ormai, per essere lasciati da parte.

Caro diario,
Oggi è una bellissima giornata. 
Non ci crederai mai: dopo la morte di Asgore il Sottosuolo ha me come suo successore.
Non sono sicuro di sapere perché abbiano scelto proprio me. Non ho alcuna esperienza in fatto di politica: tutto quello che so fare è intrattenere.
Comunque vada, sono molto eccitato. Avrò bisogno di un consiglio, di una nuova guardia, e naturalmente di un look tutto nuovo. Ho disegnato alcuni modellini che piaceranno senz’altro a tutti quanti. Sarò un sovrano spettacolare, me lo sento nei circuiti. Potrei mettermi a ballare di gioia.
Voglio che tutto il Sottosuolo sappia che grande re hanno scelto nella mia persona. Riempirò tutto il regno di mie immagini. Aiuole che formano il mio nome. Cancelli scolpiti nella forma del mio sorriso. E il mio programma in rotazione, ogni momento, su tutti i canali.
Lo adoreranno, ne sono certo. 
Ora ti devo lasciare, caro diario. Devo andare a raccontare ad Alphys la bella notizia. Una ragazza intelligente come lei merita un posto di rilievo nella mia corte. Sarà il mio modo di farmi perdonare per averla trattata così male negli ultimi tempi.
Spero davvero che apprezzi.
Ci vediamo presto.
Mettaton.

Il robot sbatté gli occhi
“Io? Successore di Asgore? Proprio io?”. Ridacchiò sfogliando la pagina. A volte, durante i suoi numerosi sogni ad occhi aperti, si era immaginato nei panni di un re, ma esserlo davvero? Sembrava così eccitante ed esaltante, meglio di qualunque ruolo da protagonista. 
Comandare, ordinare, esigere… si leccò le labbra, affascinato dall’attrattiva.
Qualunque stramba storia essa fosse, andava letta fino in fondo. Infilò il foglio rosa nella custodia di plastica e passò al secondo. La foto raffigurava sempre lui (o meglio “Re Mettaton I”… doveva ancora abituarsi a quell’insolito appellativo) in piedi su un lungo tappeto rosso. Stavolta, oltre a mantello e corona, portava anche un lungo abito rosa, con uno strascico da almeno tre metri. Notò ridacchiando che Burgerpants arrancava alle sue spalle, reggendolo a fatica con le zampe.
Ai suoi fianchi c’era una coppia di scheletri in giacca e cravatta. Uno era alto e magro, l’altro basso e paffuto, ma tutti e due portavano completi identici, occhiali da sole neri ed auricolari nei punti in cui avrebbero dovuto esserci le orecchie. Riconobbe gli amici di Alphys, gli scheletri di Snowdin: aveva visto la loro casa sporgere da sopra gli alberi mentre veniva traghettato verso il suo posto segreto.

Caro diario,
Il mio regno sta andando avanti a gonfie vele. Tutti mi adorano, mi salutano per strada, gettano fiori ai miei piedi, mi acclamano come un salvatore.
Sono molto orgoglioso di me. Non credevo che applicare l’intrattenimento alla politica avesse effetti così positivi.
L’unico problema è che Alphys non mi ha perdonato.
O forse l’ha fatto, ma io non lo saprò mai: non sono riuscito a trovarla. Ho cercato per tutto il laboratorio, chiamando il suo nome nella tenebra, ma nessuno è arrivato.
Sono spaventato, mio caro diario. Temo davvero che sia accaduto l’inevitabile. 
No, non mi rassegnerò. Continuerò a farla cercare. Deve essere viva. Ho bisogno di lei.
Ho parecchi problemi di hardware, adesso. Sans fa del suo meglio per aiutarmi e ripararmi, ma non ha la sua precisione. A volte sento ancora dolore dopo i controlli.
Sans e suo fratello Papyrus sono i miei agenti. Sono due scheletri, vengono da Snowdin Town ed erano amici di Alphys e Undyne. Io non li conosco ancora tanto bene, ma mi stanno discretamente simpatici. Papyrus mi adora; Sans un po’ meno. Non amo la sua compagnia. Mi guarda come se sapesse cose su di me che non dovrebbe né vorrebbe sapere.
Adesso vado, caro diario. Sono tornate le guardie dalla ricognizione. Forse hanno trovato degli indizi su dove è finita Alphys.
Ti farò sapere
Re Mettaton I

“Tipico di Alphys scappar via di fronte ai problemi” pensò Mettaton riponendo il secondo appunto. L’autore degli appunti misteriosi doveva conoscerla bene, per descrivere il suo carattere in modo così azzeccato. Era lui che sembrava non conoscere del tutto. 
“Perché dovrei preoccuparmi di una scappatella di Alphys? Ormai la conosco bene: a volte sente quell’assurdo bisogno di scappare a nascondersi. Non la cerco neanche più, quando lo fa”.
Nella terza foto, Re Mettaton I era seduto nella sala del trono, arredata con un gusto barocco che il robot apprezzò immediatamente. Il trono era stato arricchito con smalti colorati, nei colori del bianco, del nero e del rosa. Alle pareti era stata messa una carta da parati rosa pastello, luccicante di porporina; il pavimento era lastricato di marmo candido, anche se a giudicare dai ciuffi d’erba che sporgevano attraverso le piastrelle, in precedenza c'era stato un giardino. Il lampadario era di cristallo delle Cascate, e lasciava sul corpo androgino del robot, fasciato da un abito nero con lo spacco, tracce di luce iridescente. 

Diario mio caro,
Ogni giorno che passa mi sento meno adeguato. Non so cosa mi stia succedendo. Sto commettendo un errore dopo l’altro, e nonostante tutto non riesco a smettere.
Alphys non è ancora tornata. Ho sguinzagliato guardie e soldati a cercarla per tutto il Sottosuolo. Devono trovarla, devono portarla da me. Non può avermi abbandonato. Non può aver fatto ciò che credo abbia fatto.
Sono stanco, caro diario, e credo davvero di star impazzendo. Stamattina, nella piazza centrale di New Home (che ho fatto ribattezzare mesi fa “New Mettaton”), uno dei vecchi del Sottosuolo non si è inchinato al mio passaggio. Quello che è accaduto dopo… oh, faccio fatica a descriverlo.
Non ci ho visto più, diario. Mi sono gettato su di lui, afferrandolo per il carapace. Ho urlato qualcosa, non ricordo cosa. C’entravano le parole “traditore” e “insubordinazione”. 
Poi ho caricato il cannone e…
Oh, diario mio adorato. La polvere ancora riempie i miei interstizi.
Polvere vecchia, polvere nuova: la sento che mi contamina come un virus. Non so quante volte ho agito così: cerco di controllarmi, ma ogni volta ci ricasco. Perché non riesco più a tollerare il pensiero della gente? Perché mi sto comportando in questo modo? Non volevo essere un tiranno, non volevo far soffrire il mio popolo. Questo non è il comportamento di una star.
A Papyrus, io e Sans diciamo che la gente che scompare va in vacanza. Suo fratello mi ha chiesto così e io non mi sono permesso di dire altrimenti. Papyrus sembra crederci. Speriamo che sia vero: almeno una persona che mi apprezza genuinamente deve restare.
Il mio unico vero conforto, adesso, è trascorrere il tempo con mio cugino Napstablook. Nonostante mi guardi anche lui con quell’aria, come se vedesse nel profondo del mio animo e si accorgesse del mostro che sto diventando, la sua musica mi rassicura. Credo che mi voglia bene nonostante tutto e gliene sono grato. 
Adesso devo andare. Ho un’apparizione pubblica fra un quarto d’ora. Sans ha scritto per me un bellissimo discorso da pronunciare.
Re Mettaton I

Mettaton rischiò seriamente di trasalire ad alta voce.
Che razza di storia era quella? Rappresentarlo nei panni di un assassino, di un tiranno? Come osava, l’autore o autrice della storia, offendere in tal modo la sua reputazione? 
Chiunque fosse, poi, sapeva davvero troppe cose su di lui. Cose che nessuno avrebbe mai dovuto sapere: Napstablook e la sua musica significavano troppo per lui perché andasse a sbandierarli ai quattro venti. Gli umani chiamavano quel tipo di persone stalker, per quel che sapeva, e sapeva anche che molte star tendevano ad incontrarli, ma non ci teneva affatto a sperimentare la sensazione. 
Ormai la curiosità era inarrestabile. Mettaton mise mano alla quarta fotografia: se avesse potuto sbiancare sarebbe stato pallido come il gesso.
La foto raffigurava una statua di Alphys, di pietra violacea probabilmente presa dalle rovine, con ai piedi una piastra in ferro scolpito, che si rivelò essere esattamente quello che Mettaton pensava che fosse. Fu in quel momento che i fogli cominciarono a spaventarlo. 

Diario, mio tesoro,
Ormai non c’è modo di nasconderlo: Alphys è morta.
Oggi ho trovato il coraggio di entrare nelle stanze nascoste del laboratorio. Ho abbattuto la serratura con una cannonata e sono scivolato nel profondo del sotterraneo.
Ho trovato polvere, mucchi di polvere molliccia che non riconosco. Non voglio sapere cos’è successo ai mostri che la composero.
Ho trovato una lettera accanto a uno dei mucchi di polvere, dentro una busta. Non ho trovato il coraggio di aprirla, ma ho capito. Ho capito tutto, e mi sono sentito mancare.
Il Sottosuolo è infelice, stanco di vedermi in ogni angolo e sentirmi parlare. Mi sento così in colpa, non immagini neanche. Ormai piango sempre più spesso, e quando mi passa, per sfogarmi, finisco col prendermela con qualche altro innocente.
Non mi piace più nulla, ormai. La musica mi deprime, trascorrere il tempo con Sans e Papyrus mi nausea, cantare e ballare mi stucca, e nemmeno Napstablook è in grado di confortarmi. Ogni volta che lo vedo, il mio senso di colpa si fa più forte. Non riesco più a incontrarlo: so che ne soffre, ma non posso permettermi altrimenti.
Perdonami, diario mio adorato, se ungo le tue pagine con le mie brutte lacrime nere. Sono davvero disperato, e tu sei l’unico confidente che mi è rimasto.
Ti lascio, mio amico. Sans è al telefono. Credo sia l’umana. Devo fingere, devo mostrarmi felice. Almeno lei deve ricordarmi in modo glorioso.
Ci vedremo presto.
Re Mettaton I

“Santo cielo… quanto dramma”.
Ogni nuovo capitolo inquietava Mettaton più del precedente. Una morte ogni tanto era la benvenuta negli show, per aggiungere quel certo pizzico drammatico che teneva i fan incollati allo schermo televisivo, ma quello che stava leggendo era davvero troppo. Tutti i suoi show finivano sempre con un obbligatorio lieto fine, con gioia e amore per tutti quanti. Quella storia, invece, sembrava destinata a risolversi soltanto nel peggiore dei modi.
Quell'autore, poi, sapeva troppe cose: il Vero Laboratorio, gli Amalgamati, persino il colore delle sue lacrime. Chiunque fosse doveva averlo spiato davvero tanto, troppo a lungo.
“I miei fan sanno essere davvero inquietanti, se vogliono” Prese in mano l’ultimo foglio e fece per guardare la foto. Quella volta non riuscì a trattenersi dal trasalire in modo visibile. 
Nell’ultima foto, il corpo nudo di Mettaton era stato adagiato su un palco di legno, circondato da una folla di mostri vestiti di stracci. Giaceva in ginocchio, con i polsi legati dietro la schiena e il collo appoggiato su un’incudine. I capelli erano scompigliati, il corpo intriso di ruggine, gli occhi socchiusi, ed era chiaro che aveva pianto. Alle sue spalle, una figura incappucciata di nero stringeva con candide zampe canine una grossa alabarda, in procinto di calarla sul collo dell’androide ai suoi piedi.
Mettaton non era il tipo da vergognarsi per una foto di nudo, ma non aveva la minima idea di come avesse fatto l'autore o autrice della storia a procurarsene una. Di tutti i fotomontaggi, quello era senza dubbio il più convincente. L’aria appesantita dal fumo delle torce, le ombre lunghe e nere che si profilavano sul patibolo, e le lacrime marroni sul volto del condannato erano uno dei migliori capolavori della fotografia che avesse mai visto. Poteva quasi percepire il proprio dolore mentre il sé stesso della foto si preparava ad essere decapitato. 
“Che qualcuno mi salvi in corner” pensò. Poi passò alla parte scritta.
Qualunque conclusione si aspettasse, sicuramente non era quella che trovò.

Caro diario,
Questo sarà il mio ultimo appunto. Ormai è chiaro come il giorno: sono stato un sovrano terribile, ed è ora che paghi il mio scotto.
La folla che mi amava, ora mi odia. Circonda il palazzo reale come un’orda di demoni; impugnano torce, forconi, bastoni. Chiamano il mio nome, ma non mi stanno acclamando. Vogliono la mia pelle.
Ebbene, così sia. Ho commesso numerosi errori, rovinato un regno con il mio ego maledetto. Ucciso innocenti, dannato famiglie intere, e portato alla morte la persona che amavo come una madre. Non sono un re, non sono una stella, non sono nulla. Sono un individuo egoista e crudele, e come tale andrò a morire. Spero che sia almeno il gran finale che credevo di meritare.
Ma ad un’ultima speranza mi aggrappo prima che la folla mi abbia. 
L’altra sera, Sans mi vide piangere nel balcone, appoggiato alla colonna che sorreggeva la tettoia. Mi prese per i polsi e mi condusse a letto, e per farmi calmare mi raccontò una storia. 
Mi disse che questo mondo si regge su delle linee temporali che avanzano e si interrompono, ricominciando daccapo quando meno ce l’aspettiamo. Ogni volta che accade, non ricordiamo nulla di ciò che è accaduto prima. Lui ci è già passato decine di volte, ormai non gli importa più nulla.
Non so come Sans sappia queste cose. Credo che c’entri quel suo strano padre, il dottor Gaster. Comunque sia, non ha importanza. Gli credo. Prima che il mio regno si concluda in questo inglorioso ultimo atto, gli ho chiesto un ultimo desiderio. È sempre stato un individuo estremamente pigro, ma non può negarmi questo favore. 
Mi disse, quella notte, che egli conosce i punti del Sottosuolo nei quali la linea temporale non può scorrere. Gli ho chiesto di distribuire questi messaggi in quei luoghi, in modo che se il me stesso che verrà (oh, ingenuo piccolo automa, cosa credevi di fare? Quanto mi manchi, non lo sai) verrà a sapere di quello che il me di adesso ha combinato, e possa impedire che accada di nuovo. 
Ascoltami, se puoi. Credi a quello che leggi. E te ne prego: non commettere questi miei errori.
Animo, adesso. È giunta l’ora. 
Blooky, mio dolce cugino: mi dispiace causarti questa sofferenza, ma non ci sono alternative. Non disperarti troppo per me: per come stanno le cose, non merito di essere pianto da nessuno.
Addio, mio unico amico. La folla mi reclama all’esterno del palazzo. È tempo che li raggiunga.
Mettaton

La pagina del diario scivolò via dalla mano di Mettaton e cadde silenziosamente sulla neve.


Angolo della Lady
Siamo arrivati al Primo Atto, e la situazione inizia a ingarbugliarsi. Ho cercato di dare a questo capitolo un'accezione da thriller di amnesia. Avrete presente, sicuramente, film come The Number 23, in cui Jim Carrey inizia lentamente a identificarsi con il protagonista del thriller che sta leggendo, o The Forgotten, in cui tutti gli amici di Julianne Moore sembrano essere convinti che il suo defunto figlio non sia mai esistito. In breve, storie in cui il/la protagonista si trova ad affrontare una situazione che sembra trascendere lo spazio-tempo in cui tutti gli indizi del mistero puntano proprio contro di loro.
Ora, questi film sono famosi per i loro finali tirati fuori dal nulla (ve li anticipo, se volete, via messaggio privato), ma spero comunque che, quando nel prossimo Atto si vedrà la spiegazione del mistero, sia coerente con il gioco e con le regole del mondo di Undertale. 
Inoltre, come avete notato, questo è il primo capitolo che scrivo in generale in cui la citazione iniziale proviene da uno YouTuber e non da una canzone. Ho deciso che l'unica fanfiction che avrà la citazione fissa in ogni capitolo sarà A Luci Spente, che in questo momento è preda a un tormentoso procedimento di riediting e che si sta trasformando da teen-drama incentrato solo su Mettaton e sui suoi sentimenti in racconto corale che raccoglie un foltito gruppo di personaggi e un intreccio di storie e tematiche diverse. Il focus rimane su Mettaton, naturalmente (come nella fanart su cui la storia è basata), ma ci saranno più trame secondarie e molti, MOLTI più personaggi. Anche Cuore Elastico usava la dinamica delle citazioni a inizio capitolo, ma dato che il riediting della sua trama la sta rendendo decisamente lunghina, mi sa che dovrò cancellare quelle che ho messo. Le conserverò di nuovo per A Luci Spente.
Il mondo degli YouTuber mi affascina relativamente. Non amo affatto gli skits, e i gameplay mi interessano più in base al gioco che al giocatore (per questo non mi vedrete a seguire, per esempio, gente come PewDiePie e JackSepticEye). L'unica eccezione è rappresentata da Ukiekooki, ma solo perchè mi sono presa una sbandata colossale per quello stronzetto ombrettato e per i suoi cosplay in drag. Di solito seguo YouTube per le recensioni: di film d'animazione (AniMat, CellSpex), animazione televisiva (LewToons, MrEnter), musica (Rock Critic, ARTV, The LP Club, e il mio rivale SpectrumPulse) e naturalmente cinematografia e cultura popolare, nella forma del geniale Nostalgia Critic e della sua ricca crew. La recensione di Maleficent, rilasciata nel 2014, fa parte di un ciclo tuttora in corso, per cui ogni anno, per il mese di Dicembre, Doug recensisce dei film della Disney. Credetemi quando vi dico che i suoi commenti sull'attore che interpreta Re Stefano sono fondati: è assolutamente tremendo e per questo benedico il doppiaggio italiano. Tuttavia, appena ho sentito questa frase, mi è subito venuto in mente il King Mettaton Ending, e ho deciso di lasciarla lì come una piccola perla iniziale.
Cercherò di finire presto il Secondo Atto.
A presto e grazie.
Lady R

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Capitolo 3
*** Atto II: Predestinazione ***


Atto II: Predestinazione

Si sentì cadere in avanti sulla neve senza potersi controllare. 
Affondò con tutta la faccia nei mucchi di neve riempiendo di bianco ogni cosa. Di solito il bianco gli piaceva, ma in quel momento gli parve di essere coperto da un sudario. 
Si rialzò di scatto, affamato di un’aria che non gli serviva. Dovunque si voltasse gli pareva di vedere un pericolo: gli aghi di pino erano spade e fioretti puntati verso di lui, i cristalli di neve mani ceree pronte a ghermirlo, e l’acqua del ruscello nascondeva due fauci nere che lo avrebbero ingoiato intero come un cane con un uccellino.
Raccolse da terra il mantello e vi ci si avvolse come un mendicante sotto le stelle. Cercò di alzarsi da terra, ma le gambe cedettero e piombò di nuovo in ginocchio. La reazione istintiva fu quella di alzare la testa, come per proteggersi da un colpo di grazia. 
A quel punto Mettaton capì che ne aveva abbastanza. Strisciò fino al ruscello, immergendo le mani nell’acqua gelida, poi ne raccolse un po’ nei palmi e se la gettò sul viso con forza.
Non gli importava, a quel punto, di rovinare il trucco. Aveva bisogno solo di tornare lucido. 
Prese un profondo respiro, premendosi i guanti freddi sul volto. Per qualche minuto dondolò avanti e indietro, nel silenzio, assaporando l’aria gelida sulle sue papille artificiali. 
La calma e l’isolamento del luogo gli diedero conforto e lo aiutarono a calmarsi presto, persino prima di quanto si aspettasse. Si alzò da terra a fatica, traballando sulle gambe, e si calò sul volto il cappuccio del mantello.
Era il momento di vederci chiaro.

Era venuto spesso a Snowdin in incognito, e come sempre nessuno dei cittadini lo riconobbe. Si mosse rasente ai muri, con circospezione, voltandosi dall’altra parte e coprendosi il volto con un lembo di stoffa non appena qualcuno si avvicinava troppo. La mano destra, quella del cannone, aveva iniziato a formicolare. Provò a grattarla contro il proprio fianco senza risultati.
La casa fu facile da trovare. Era l’edificio più grande della città, addobbato a festa con un intrico di lucine natalizie. Aveva un’aria accogliente, ma Mettaton non ne fu rassicurato.
Allungò la mano sul batacchio, esitando.
“È solo uno scherzo, un lurido scherzo”. Alphys gli aveva parlato spesso dei suoi amici scheletri e di quanto Sans amasse fare scherzi alla gente, anche di cattivo gusto. Diceva anche che era pigro, però: troppo pigro per un dispetto così complicato.
Alla fine prese il coraggio di bussare alla porta. Pochi secondi dopo una figura tozza e paffuta, avvolta in una felpa blu col cappuccio, aprì la porta esibendo un sorriso smagliante.
-Ehilà, Mettaton. Che bella sorpresa! Io sono Sans. Sans lo scheletro. Sei di passaggio qui a Snowdin?-
Per un attimo, l’idolo robotico rabbrividì nel notare come lo scheletro avesse riconosciuto la sua forma EX. Gli tornò poi alla mente che l’aveva già vista, e parecchie volte. 
Capì che doveva liberarsene il prima possibile.
-Sono di passaggio, e in incognito. Voglio fare una visitina a un mio grande fan.-
Sans ridacchiò. Mettaton cercò di leggere una qualsivoglia espressione nel suo volto, ma le orbite illuminate di azzurro apparivano imperscrutabili anche a un macchinario prodigioso come lui.
-In realtà il fan è mio fratello, ma non ti chiuderò fuori per questo. Entra pure a scaldarti e a rifocillarti: dovremmo avere da qualche parte le pile che fanno per te.- disse lo scheletro. Aprì la porta del tutto e accennò a Mettaton di entrare. La sua disponibilità bastò a rilassarlo almeno in parte.
“Mi siedo, mi scaldo, cambio le batterie, poi gli mostro l’astuccio e mi faccio confessare ogni cosa. Sarà facile come bere un bicchiere di lubrificante. Tanto dramma per nulla: sono sempre il solito.”.
Appese il mantello a una gruccia, poi raggiunse con le mani l’interruttore sulla propria schiena. La sua forma EX era impeccabile, ma qualcosa gli diceva che l’altra lo avrebbe bendisposto in modo migliore. 
Sans era un padrone di casa indolente, ma tutto sommato cortese. Gli offrì da sedersi e gli permise di attaccare il proprio cavo a una spina alla parete.
-Papyrus sta facendo la spesa. Tornerà fra una mezz’oretta. Vuoi sentire qualche battuta per ingannare l’attesa?-
Mettaton rivolse lo sguardo al sorriso di Sans. Sembrava ragionevole, dopotutto. 
“Ora o mai più” pensò.
-Volevo chiederti una cosa, in realtà. Una cosa un po’ strana, ma… diciamo, importante per me.-
-Chiedi quello che vuoi.- rispose lo scheletro, sorridendo bonariamente. Mettaton smise di tormentarsi le dita, e si impose di andare dritto al punto.
Estrasse l’astuccio dal suo comparto interno e lo sbatté sul divano in mezzo a loro.
-Cosa sai dirmi di questo?-
Si aspettava che lo scheletro ridesse delle sue parole, o lo guardasse con ilarità e confusione. Quello che accadde fu l’opposto. Il suo sorriso si mutò istantaneamente in un’espressione corrucciata. Per la sorpresa, il robot quasi trasalì.
“Sai cose che non so?” domandò intimidito. 
-Vieni in cucina.- disse. -Dobbiamo parlare in privato.-
Mettaton odiava ricevere ordini, men che meno da uno sconosciuto, ma in quel momento lo avrebbe seguito anche a occhi bendati, se fosse stato necessario. Scivolò alle spalle di Sans verso una porta in un angolo senza fare commenti, e lasciò che lo scheletro reggesse la porta per farlo passare. Di solito apprezzava le galanterie, ma in quel momento non riuscì a impedirsi di rabbrividire.
Sans prese una sedia da un tavolo al centro della stanza e ne indicò un’altra al suo ospite.
-Così hai trovato gli appunti, eh?- domandò. Mettaton annuì muovendo lo schermo su e giù. 
-Brutta storia, questa. Di tutti i punti in cui dovevi andare a fare la tintarella da star, proprio quello dovevi scegliere.- Scrollò le spalle, sospirando. -Credo che tu abbia capito che non si tratta di un fotoromanzo creato da qualche fan con tanto tempo da perdere.-
-So cosa non è.- sibilò Mettaton. -Quello che vorrei sapere è cos’è.-
Avrebbe voluto aggiungere “e cosa significa per me”, ma non osò parlare oltre. Ogni gesto di Sans lo inquietava: aveva i nervi tesi al massimo e non perdeva d’occhio un suo gesto.
-Tieniti forte, allora, perché lo dirò tutto d’un fiato.-
Mettaton annuì muovendo lo schermo su e giù. Sans strinse le mani l’una nell’altra. 
-Sono pezzi di un futuro che è già avvenuto. Una linea temporale che si è riavvolta su sé stessa per ricominciare daccapo. Un futuro in cui, a seguito della morte di Asgore e Undyne, il popolo del Sottosuolo sceglie te come nuovo sovrano. È almeno la quinta volta che capita. A volte mio fratello Papyrus è con me, a volte no. Ormai conosco a memoria tutto il suo sviluppo. Credo che sia giusto che tu lo sappia, perché se sopravviverai all’umana, accadrà proprio questo.-
Mettaton rischiò di perdere l’equilibrio.
-Undyne… Undyne è morta?-
Si sentì mancare. Undyne, l’eroina del Sottosuolo. La guerriera determinata che era stata sua vicina di casa ai tempi delle Cascate, colei che Alphys aveva amato sin dal primo momento…
Era morta. 
Una bambina l’aveva uccisa e presto sarebbe venuta per lui.
Quando tornò a guardare Sans, il suo sguardo glaciale lo fece irrigidire. Avrebbe voluto scappare via a tutta forza, ma non osò farlo. Aveva ancora troppe domande senza risposta.
-Undyne è morta, e Asgore la seguirà presto. Domani affronterai l’Umana nel CORE: lei ti ucciderà, oppure passerà oltre e ti lascerà vivere. In quel caso la tua batteria si scaricherà nello scontro: Alphys ti riparerà, ma quando riprenderai conoscenza, lei sarà morta suicida.-
Le parole di Sans rimbombarono nella testa di Mettaton, mescolandosi con quelle del suo diario. Era un canto di accusa e non sembrava voler smettere.
-No!-
Mettaton sentì la terra mancargli sotto la ruota e cadde all’indietro verso il pavimento della cucina. Un attimo prima di sfracellarsi, una forza impalpabile lo afferrò da sotto, sorreggendolo. Sans aveva sollevato la mano, e un flusso blu circondava le dita ossee.
“Telecinesi. Solo i mostri migliori riescono a controllarla”. Lasciò che Sans lo aiutasse ad alzarsi, sollevandolo fino a fargli riguadagnare la posizione eretta. Si accorse di avere un grosso nodo in gola e che la sua vista si stava annebbiando. Sans si avvicinò a lui, prendendogli le mani nelle proprie.
-Mi dispiace. So cosa stai provando. Ogni tanto anche mio fratello fa una brutta fine.-. 
Mettaton annuì, deglutendo metaforicamente. Non riusciva a credere a quello che aveva udito. Undyne morta era un grande dolore. Alphys morta era metà della sua anima che se ne andava in pezzi.
Alphys lo aveva creato dal nulla. Aveva reso possibile tutti i suoi sogni più profondi. Lo aveva compreso, sostenuto, aiutato nei momenti di sconforto… E lui l’aveva lasciata morire. 
“Non può essere vero, non deve… eppure lo è. Lo è, e tu lo sai.”
Sans lo condusse verso il divano nel salotto e lo aiutò a sdraiarsi. Si lasciò guidare come una macchina senz’anima, senza parlare, trattenendo a fatica l’isteria. 
-Hai molto da assorbire.- disse lo scheletro gentilmente. -Capisco che tu sia sconvolto, ma non voglio che tu dia nulla per scontato. Quando eri re hai fatto cose orribili e io le ho viste tutte. Spero che tu sappia cosa significa per me accoglierti in casa mia dopo tutto questo.-
Mettaton annuì, sospirando tristemente. Non riusciva più a sopportare quel dialogo e poteva percepire dal sudore sulla fronte di Sans che anche lui stava attraversando un momento poco piacevole. Tuttavia, un’ultima curiosità lo stuzzicava.
-Parlami della mia morte. E non lasciare fuori niente.- 
Lo scheletro lo guardò fisso: -Non è una storiella piacevole.-
-Dimmelo, Sans. Dimmi tutto!-
Sans si sedette dal lato opposto del divano. 
-Ero là il giorno in cui ti sei consegnato a loro. Mi hai dato l’astuccio contenente gli appunti e mi hai detto di lasciarlo in uno dei punti del Sottosuolo in cui la Linea Temporale non scorre. Poi sei uscito dal castello a mani alzate e hai permesso ai ribelli di legarti e incappucciarti. In quelle condizioni ti hanno confinato in uno dei capanni di guardia, mentre saccheggiavano il palazzo e facevano a pezzi tutti i tuoi poster. Due giorni dopo il patibolo era pronto.-
-Mi hai visto morire?-
-Sì, ho assistito alla tua esecuzione. Non ho mai visto i mostri così arrabbiati. Ti hanno tirato contro di tutto e chiamato in tutti i modi. Uno dei cani aveva persino una frusta. Ma tu… l’hai gestita bene. Non una parola, non un grido, nemmeno un singhiozzo, non davanti a loro. Persino quando ti hanno costretto a sfilare nudo lungo tutta New Home prima di condurti al patibolo non hai battuto ciglio. Un ultimo atto eccellente, devo dire. Dopo la tua esecuzione ho adempiuto alla mia promessa. Le fotografie le ho aggiunte di persona: un mio amico di qui era il tuo fotografo ufficiale, e lui non è il tipo che rifiuta i favori. Non sarebbe “gentile”.- 
Fece una pausa, senza perdere d’occhio il robot. -Papà chiamava “Luoghi Epurati” i punti in cui la Linea Temporale non scorre. Ho scelto la zona di Snowdin perché mi sembrava la più sicura da sguardi indiscreti. Di solito laggiù vengono solo i cani, e a loro non interessano plastica e carta.-
Mettaton si lasciò ricadere sui cuscini, cercando di riordinare i pensieri. Provò ad immaginare la scena, sensazione per sensazione. Le urla della folla ridotta allo stremo. Le scintille che vorticavano nell’aria secca del Sottosuolo. La consistenza scabra delle corde attorno ai polsi. Il suo respiro solitario al di sotto del cappuccio. Lo schiocco della frusta. La sensazione di impotenza, umiliazione, della pubblica nudità. Sentì i brividi scorrergli nei circuiti.
“Dovrei odiarli, per avermi fatto questo”. Eppure non vi riusciva. Riconosceva molti dei visi nell’ultima foto, ma il desiderio di vendicarsi non era sbocciato. 
Qualcuno da odiare c’era, in quella faccenda, ma non era nel pubblico. 
Doveva esserci una scappatoia. Ingoiò la paura e si impose di parlare con voce salda.
-Devi aiutarmi a uscire da questa situazione. Io non permetterò che accada di nuovo. Io non sono Re Mettaton I. Non sono un tiranno. Io non… non oserei mai…-
Si interruppe: c’era qualcosa di stonato nel suo tono di voce. Mettaton capì dallo sguardo di Sans che anche lui lo sapeva. Capì anche che da quel momento non l’avrebbe più consolato.
-Sapevo che avresti parlato così, e ho già pronta una risposta per te: non puoi evitarlo. È un punto fisso della nostra storia. Domani, nel CORE, tu affronterai la bambina. Se le sopravviverai, Mettaton morirà e Re Mettaton I nascerà dalle sue ceneri. -
Se fosse stato nella forma EX, Mettaton avrebbe sentito le lacrime pungergli le palpebre. 
-Aiutami… fermam…fermalo. Devi fermarlo!- supplicò, giungendo le mani verso lo scheletro come se fosse stato un altare sacro.
Sans si alzò dal divano: -Ci ho provato la prima volta. Mi hai buttato giù dalla scalinata con un calcio e mi hai detto di tornarmene nella mia bara.- 
Mettaton si accorse di non riuscire a respirare. Per un attimo, la stanza si spense. Cadde all’indietro nei cuscini, tremando come un macchinario inceppato.
Sans sospirò. Scese dal divano e scosse la testa con gesto rassegnato.
-Mi dispiace. Per te, e soprattutto per il Sottosuolo, ma ormai le cose stanno così.-
Mettaton non riuscì a formare una parola. Portò le mani allo schermo, guardando impotente attraverso le dita Sans che si allontanava su per le scale.
-Ti lascio qualche minuto per riprenderti.- 
Mettaton tentò di urlare, ma il suo amplificatore riuscì solo a gracchiare qualche suono di disperazione. Non osò nemmeno alzarsi dal divano: ormai era chiaro che Sans non gli avrebbe detto nulla di più. Credette di svenire, di morire addirittura. Forse lo avrebbe voluto, ma non lo capiva. Non capiva più niente, eccetto una singola cosa: si odiava.
Si gettò tra i cuscini, nascondendo lo schermo sotto di essi, e scoppiò in un pianto incontrollabile.

Angolo della Lady:
Ho sottoposto questo capitolo a una massiccia revisione. La mia prima caratterizzazione di Sans mi sembrava decisamente troppo fredda e crudele verso Mettaton. È comprensibile che non sia super felice di vederlo, considerando quello che ha fatto in passato e tutte le persone che ha ferito, ma mi pareva lo stesso troppo "cattivo", dandogli la colpa diretta per la morte di Undyne e rifiutando di aiutarlo con un atteggiamento meno rassegnato e più opposto. Ormai è stanco di vivere all'infinito la stessa storia, e odia il King MTT Ending per ovvi motivi, ma un po' di simpatia verso Mettaton doveva dimostrarla, considerando che per la prima volta trova qualcuno che capisce cosa si provi a rivivere la propria vita. Inoltre ho aggiunto la chicca di farlo parlare in Comic Sans, cosa che non posso fare con suo fratello quando arriverà. Troverò un surrogato.
Vi starete chiedendo perchè Mettaton si dispiace per la morte di Undyne e di Alphys, ma non di Asgore. Lo vedremo presto, quindi non gridate all'OOC da subito. Ormai è chiaro che è sconvolto, e il prossimo capitolo (che non sarà il Terzo Atto, bensì un Interludio per stabilizzare la posizione di Mettaton e dargli il tempo di assorbire del tutto la notizia) spiegherà meglio i suoi sentimenti ambivalenti e il suo desiderio di rivalsa.
Ah, e ci sarà Papyrus, anche se OVVIAMENTE non si tratterà di una Papyton.
Un bacio a tutti e a presto.
Lady R


 

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Capitolo 4
*** Interludio: Realizzazione ***


Interludio: Realizzazione

Non sapeva per quanto a lungo avrebbe pianto, ma sapeva che l’aveva fatto fino a svuotarsi. 
L’odio cresceva, si acuiva, gli stringeva le viscere come una mano giunta a soffocarlo. 
“Che faccio? Che faccio? Adesso cosa faccio?” si chiedeva freneticamente in mezzo a singhiozzi convulsi. Aveva preso a pugni i cuscini del divano, sbattuto la testa contro il materasso, urlato così tanto e così forte da far raschiare l’amplificatore nella sua gola. Ma che importava? Re Mettaton I meritava quello e altro.
Il ludibrio e le umiliazioni non lo spaventavano più: di fronte alla prospettiva di diventare un tiranno e un assassino ogni inquietudine che mai avesse avuto impallidiva completamente. Non gli importava più nemmeno dell’umana, o della possibilità di salire in Superficie con la sua anima. Tutto quello che aveva, voleva ed era gli sembrava misero e ripugnante. 
E si odiava, si odiava…
“Devo andarmene per sempre”. Se non ci fosse stato lui, nemmeno Re Mettaton I avrebbe potuto esistere. “È l’unico modo, lo so, lo sento…”.
Pensò alle Cascate. Alla Discarica, dove spesso Alphys si ritirava a riflettere. Ci era venuto spesso anche lui, quando era ancora Happstablook. C’era un promontorio che dava su un baratro senza fondo. L’acqua scorreva oltre il bordo e scendeva giù, giù, sempre più giù, fino a svanire per sempre… proprio come anche lui avrebbe voluto fare…
“No, non pensarlo. È sbagliato. Pensa ai tuoi fan… pensa ad Alphys, a Blooky… Ne soffrirebbero così tanto…”
Ma avrebbero potuto superarlo. Avrebbero dovuto, per il bene di tutti. Meglio nessuno al governo che uno come lui.
Mugugnò. Avrebbe dovuto alzarsi dal divano, ma non vi riuscì. Non aveva voglia di fare niente. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto su quel divano per sempre. Si sarebbe infilato sotto i materassi, coprendosi tutto con i cuscini e con il rivestimento, svanendo per sempre dalla sua vita e dal suo destino. 
“Una star che si nasconde. Il fondo del barile”. 
Ad un tratto, un tocco sulla spalla lo fece sobbalzare. Si tirò su in mezzo ai cuscini, di scatto, levando le mani al  soffitto come se di fronte a lui ci fosse stato il plotone d’esecuzione.
Tutto quello che vide, invece, fu uno scheletro alto, vestito in modo vistoso, che lo guardava con espressione eccitata stringendo l’una nell’altra due mani coperte da grossi guanti rossi. 
“Papyrus”. Il nome del fratello di Sans gli balenò in mente. E ricordò anche un altro particolare: era un suo grande fan. 
-Non ci posso credere, abbiamo Mettaton in casa! È incredibile! In casa nostra… la più grande star del Sottosuolo…- Gli strilli estatici dello scheletro, che sembrava sul punto di mettersi a saltellare sul posto come un Pyrope, traboccavano di eccitazione pura e genuina. 
Per un attimo, Mettaton pensò di scendere dal divano e interagire con lui. Una chiacchierata con un fan gli avrebbe sicuramente fatto bene all’umore. Ma un attimo dopo si ricordò che Mettaton non c’era più: al suo posto c’era Re Mettaton I, il dittatore triste dalle mani sporche di polvere, e lui non meritava alcun fan. 
-No!-. Portò le mani al volto, ritraendosi il più possibile verso lo schienale del divano. Papyrus lo guardava con aria interrogativa, e la sua espressione di spaesamento fu una pugnalata secca e profonda. “Io dovrei far sorridere i miei fan, non allontanarmi da loro”.
-Non guardarmi… ti prego… non parlarmi! Non merito di… non devo, non posso…-. “Una stella non balbetta in questo modo”. Si accorse di aver ricominciato a piangere forte; anche senza lacrime visibili, i singhiozzi si udivano chiari e distinti. 
-Non ti senti bene?- L’espressione di Papyrus avrebbe potuto sciogliere tutta la neve di Snowdin, da quanto era piena di calore. -Su, vieni qui.-
E detto questo, lo scheletro allungò le mani verso di lui, circondandolo in una stretta
Il robot si irrigidì. “Non può, non deve.”. Lui era Re Mettaton I: abbracciarlo significava assentire a tutte le atrocità che aveva commesso. Significava voltare le spalle alle vittime della sua furia, alle decine di mostri gettati in carcere, e alla dolce Alphys, che più di tutti aveva pagato la follia di suo figlio. Cercò di fare resistenza, ma il muro alle sue spalle non gli lasciava via d’uscita. Le manopole rosse di Papyrus lo presero da dietro la schiena e lo trassero verso il petto dello scheletro, invitandolo ad affondare lo schermo nel suo body da battaglia bianco. 
-Non agitarti, Mettaton.- sussurrò dolcemente la voce stridula, ma gentile, di Papyrus. -Qualunque cosa sia, adesso la risolviamo insieme. Sono un tuo grande fan: per me è un piacere aiutarti.-
-N-no…- Mettaton deglutì, ma non riuscì ad allentare la stretta. -Non puoi… non puoi aiutarmi… ormai è fissato… è deciso…-
-Shhh…-.
La mano di Papyrus si appoggiò sullo schermo. -Sei molto scosso. Mi dispiace che tu stia male. Hai problemi con uno show, per caso? Io non me ne intendo, ma voglio comunque aiutarti.-
Mettaton non riuscì a proferire parola. Papyrus gli appariva troppo ingenuo, troppo dolce, per poter essere turbato con le nefandezze di Re Mettaton I. Sentiva che avrebbe dovuto andarsene in quel preciso istante, infilare la porta e sigillarsi nella propria camera finché l’umana non se ne fosse andata. 
Ma aveva paura, troppa paura per ragionare. E la presenza di Papyrus di fianco a lui, suo malgrado, gli dava un immenso conforto. 
“Tu non puoi odiarmi, non puoi sapere quante cose orribili ho fatto. Mi adori per quello che tu credi che io sia. È giusto che tu te lo goda, prima che il disastro abbia inizio.”
Si lasciò andare alla stretta dello scheletro, abbandonando ogni resistenza. Ormai aveva abbandonato ogni ipocrisia: se quello che stava per succedere era vicino come sentiva, avrebbe dovuto concedersi almeno un po’ di conforto per non piombare nell’isteria dal primo momento. Si sentiva spezzato dentro, come se qualche circuito nel suo corpo fosse venuto a mancare, e se avesse potuto sarebbe scappato via, rinchiudendosi in camera a piangere e strapparsi i capelli. 
Ma non lo fece. Aveva un bisogno disperato di un po’ di conforto, e un fan era la persona perfetta per ricordargli che, nonostante tutto, anche lui poteva essere amato.
Papyrus si mise più comodo sui cuscini, senza staccare lo sguardo dal robot di fianco a lui.
-Quando hai un problema, dovresti parlarne con quelli a cui vuoi bene. Io ho sempre mio fratello Sans su cui contare, o la mia amica Undyne.- “Undyne è morta. Tu non lo sai, ed è giusto che continui a non saperlo.” -Tu con chi parli, quando sei giù?-
-Con la dott…- Mettaton si interruppe. Alphys non ci sarebbe stata più fra poco. La consapevolezza lo fece ammutolire, e rimase a fissare Papyrus con aria inebetita.
Lo scheletro alto tacque per qualche momento. Poi riprese: -Puoi parlarne con me. Ti ascolto quanto vuoi. Sono sicuro che sei un eccezionale conversatore.-
-Su questo non ci sono dubbi.- Mettaton riuscì a imporsi di fare una battuta, e si sentì improvvisamente leggero nel vedere il suo interlocutore che sorrideva. 
-Il problema è che non mi sento bene con me stesso. Sono… sono una persona cattiva. Diciamo così. E non so come fare a smettere.-
Papyrus appariva basito.
-Una persona cattiva? Ma perché mai, Mettaton? Sei così simpatico, vivace, espressivo, bishounen…-
“…crudele, egoista, sanguinario, assassino, codardo…”
-…elegante, carismatico e dolce. Cosa c’è di cattivo in te?-
-Non capiresti, mi dispiace.- sospirò Mettaton. -Non sono assolutamente come sembro. Non sono come dici tu. Ho fatto delle cose orribili… ho ferito i miei amici…-
Sentì l’aria abbandonargli il corpo, e dovette appoggiarsi a fatica sullo schienale del divano.
-Ognuno può essere una buona persona, se solo lo desidera.- disse Papyrus. Si sedette al suo fianco e gli circondò la spalla col braccio. -Tu ti senti cattivo, ma se volessi, potresti essere la persona più buona di tutte. Persino più buono di Re Asgore in persona.-
“Così dice.”. Mettaton sospirò ancora, stringendosi nelle braccia come se le viscere rischiassero di scivolargli via dallo stomaco. L’espressione di Papyrus avrebbe potuto illuminare una stanza, da quanto appariva accesa e radiosa. “Potrebbe avere ragione. Potrebbe davvero esserci per me una possibilità, se solo lo voglio.”
Sans lo aveva lasciato sul divano a piangere, un’azione che se commessa da qualcun altro lo avrebbe fatto inalberare, ma non riusciva a odiarlo. In fondo, Re Mettaton I se lo meritava. Era lui che odiava, a lui era rivolto il suo disprezzo. Quello che Mettaton voleva disperatamente sapere era quanto spazio ci fosse davvero fra lui e il tiranno triste. Forse erano davvero due facce della stessa medaglia, il passato dello stesso futuro. O forse no.
Forse Re Mettaton I era solo… una possibilità. Una scelta, come nei quiz: poteva essere selezionato, oppure trascurato in favore di un’altra possibilità più invitante. Sans aveva vissuto la realtà di Re Mettaton I troppe volte per concepire una possibilità di cambiamento: lui no. Per lui era qualcosa di nuovo e inaspettato, e anche nel pericolo, Mettaton amava le novità.
“Re Mettaton I non sapeva cosa lo aspettava. Era sciocco, emotivo, accecato dal rimorso e dall’avidità. Io ho la fortuna di conoscere in anticipo la mia sorte: posso almeno provare a prenderla in mano.”
Soffocò gli ultimi singhiozzi e prese la mano di Papyrus. Lo scheletro alto si voltò a guardarlo, sorridendo quanto prima.
-Credo di sentirmi meglio.- disse Mettaton. -Mi è passato tutto.-
-Sono molto felice.- esclamò Papyrus. -Ti ammiro davvero tanto, e vederti triste mi ha fatto davvero male. Se vuoi, puoi restare per cena. Posso prepararti degli spaghetti con i bulloni.-
“Io non mangio bulloni.” pensò Mettaton. “E nemmeno spaghetti”. Ma non lo disse: sospirò un’ultima volta, e stringendo le proprie mani l’una nell’altra si rivolse di nuovo a Papyrus. 
“Governerò, se mi tocca. Ma non come Re Mettaton I, bensì come Mettaton. Ho solo bisogno di una guida, e so già dove potrei trovarla.”
-Papyrus.-
-Sì?-
-Potresti farmi un piccolo favore?-

Angolo della Lady:
Per questo capitolo ho fatto abbastanza fatica. Ero sicura di dover mettere un capitolo incentrato su Papyrus, perché avevo davvero delle belle idee per farli interagire. Ormai è chiaro che non amo la Papyton, e cerco di tenerla lontano da questa storia, ma un'interazione mi sarebbe piaciuta davvero. Mettaton ha affrontato la durezza ineluttabile di Sans, e adesso si trova nelle mani di Papyrus, che gli fa cambiare umore con facilità. Non credo ancora che abbiano tanta chimica, ma per lo meno 
Sì, Mettaton si odia. Ma adesso ha voglia di reagire, e nel Terzo Atto vedremo la sua azione. 
Sì, Mettaton deve soffrire perché lo dico io.
Accetto teorie sul piano che è venuto in mente a Mettaton per salvarsi la vita.
A presto.
Lady R

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Capitolo 5
*** Atto III: Presa Di Posizione ***


Atto III: Presa Di Posizione

Quando arrivarono alla fine del corridoio, Mettaton si fermò e si rivolse a Papyrus dopo minuti interi in cui erano stati in silenzio. 
La Persona del Fiume era stata più che felice di traghettare i due mostri verso New Home. Da lì, lo scheletro aveva fatto da navigatore, conversando incessantemente su Sans, su Undyne, su Alphys, sull’umana, su sé stesso, e persino su . Mettaton l’aveva seguito a poca distanza, stringendo le dita attorno ai lembi del mantello, ritraendosi appena qualcuno si avvicinava, e supplicando nella sua testa chiunque potesse sentirlo che le sue speranze non fossero infondate.
Si fermarono sotto l’uscita, guardandosi in modo strano sotto le luci dorate della Sala del Giudizio. Poi Mettaton si tolse il cappuccio ed estrasse da un suo comparto interno un piccolo specchietto pieghevole.
-Segui il corridoio fino in fondo.- disse Papyrus. -Lo troverai laggiù nella stanza coi fiori, non ti puoi sbagliare. Ti riceverà sicuramente. Sei sicuro che non vuoi che venga con te?-
-No, tesoro.- rispose Mettaton. Iniziò a ravviarsi i capelli, guardandosi nello specchietto.
-Torna pure a casa. Tuo fratello avrà bisogno di una buona cenetta, dopo una giornata passata a non lavorare.-. Papyrus aveva parlato così tanto, che ormai Mettaton rubava le sue espressioni abituali.
-Vorrei dirti che… questa nuova forma è bellissima, assolutamente bellissima. Ti sta così bene, e…-
-Non ora, tesoro. Per favore.- Mettaton allungò la mano verso lo scheletro. -Non sono davvero dell’umore giusto.-
Lo scheletro annuì. -Buona fortuna, Mettaton.-
Poi si voltò verso l’altro capo del corridoio e si allontanò di corsa.
Mettaton sospirò, riponendo lo specchietto. 
-Ormai non si torna indietro.- si disse.
Si incamminò lungo il corridoio, stringendosi nel mantello come per proteggersi dal freddo.

Aveva incontrato Asgore Dreemurr una volta sola, quando era ancora una simpatica scatoletta chiacchierina, e di lui non ricordava quasi niente. La sua memoria robotica annoverava un muso bianco e peloso, due occhi luminosi occhi verdi, e un massiccio tridente appoggiato in un angolo.
Non fu del tutto certo su come reagire, dunque, quando il re gli si avvicinò calorosamente, stringendogli una mano con dignitosa amicizia.
-Non ti avevo riconosciuto, Mettaton. Questa tua nuova forma è davvero magnifica, ti sta d’incanto. Cosa ti porta da queste parti?-
-Vorrei porvi delle domande, con vostra licenza.-
Slacciò la fibbia del mantello e cominciò a sfilarselo, cercando di leggere il volto del suo re.
“Alphys dice che costui sarebbe un individuo simpatico e gioviale, ma io non lo conosco quanto lei. So soltanto che ha ucciso degli umani, e su questo punto di vista non posso permettermi di biasimarlo, dato che anche io l’avrei fatto. Speriamo che per una volta, lei non mi abbia mentito”.
Ma il caprone sorrise, annuì, e lo guardò con un’aria priva di qualunque malizia.
-Non sono mai stato a un’intervista… ma penso di poterci riuscire. Risponderò volentieri a tutte le tue domande.-
-Sono in incognito, Vostra Maestà. Non si tratta di un’intervista né di un servizio. Vorrei parlarvi cordialmente da suddito a sovrano.-
Mettaton ripiegò il mantello sul braccio destro e si avvicinò al re con cauti passi, cercando di non calpestare i fiori del giardino coi suoi pesanti stivali col tacco.
-Vi chiedo inoltre di parlare in una stanza più raccolta, Vostra Maestà. Non mi sento a mio agio, ultimamente, e preferirei esporvi i miei pensieri in un luogo discreto.-
Asgore rimase titubante per un attimo; poi annuì nuovamente, e allungò la grossa e pelosa mano verso quella di Mettaton, coperta da un guanto di finissima seta candida.
-Vieni pure nel mio salotto. È molto gentile da parte tua venirmi a trovare. Qui è molto solitario, e un carattere come il tuo ravviverà sicuramente questi paraggi.-
-Vi ringrazio, Vostra Maestà. Purtroppo in questo momento non sono in vena di complimenti.
Aveva scelto di indossare la sua forma EX, in gran segreto, nella convinzione che Asgore si sarebbe fidato meglio di lui se avesse avuto un volto per mostrare le proprie emozioni anziché fissarlo in modo impersonale con uno schermo di lucette. Per un attimo aveva temuto che il sovrano si sentisse ingannato dalle sue espressioni, che per quanto il grosso caprone ne sapeva potevano benissimo essere frutto di una mimica recitativa. Più parlava con Asgore, però, più si convinceva che non c’era nulla di indagatorio, né di lontanamente sospettoso, nel modo con cui lo guardava. Capì che lo vedeva come un suddito qualsiasi in cerca di consigli, non come un attore che recitava una parte, e gliene fu così grato che dovette trattenersi dall’abbracciarlo in ringraziamento.
-Chiamami pure Asgore e dammi del tu. Sei mio ospite.-
Capì che Asgore si era accorto che era infelice e stava tentando di metterlo a suo agio. Lasciò che il Mostro Boss lo conducesse per un lungo corridoio, a ritroso verso la sua casa. Mettaton non aveva fatto tanto caso all’arredamento, passando di là per la prima volta, ma mentre seguiva Asgore fino al salotto si rese conto di quanto essa fosse disadorna e umile. Sembrava la dimora di un uomo qualsiasi, nemmeno tanto ricco. Gli tornò in mente la terza foto dell’astuccio, quella nella stanza dalle pareti rosa, e si sentì incredibilmente crudele e frivolo.
-Hai davvero un’aria triste.- commentò Asgore dolcemente quando si sedettero al tavolo del salotto. I fiori dorati nel vaso al centro emanavano un profumo dolciastro, che i sensori di Mettaton colsero e riconobbero immediatamente. Era il profumo di Alphys, e l’ennesima riprova del suo irreparabile egoismo.
Asgore aveva una teiera pronta, e dal beccuccio fuoriusciva un sottile getto di fumo. Mettaton non poteva bere, ma rimase comunque a guardare il re mentre versava il suo tè in una tazza.
-Sono un po’ giù, senza dubbio. Si tratta di questioni personali, probabilmente non ti interessano. Noie da star.- rispose Mettaton. 
“Non posso dirglielo. È giusto che non sappia nulla.”. Su questo, l’androide era graniticamente determinato. “Non oso pensare a cosa farebbe se sapesse che il suo successore potrebbe essere un tiranno. Mi ucciderebbe, o peggio. Dovrò usare tutta la mia parlantina per ottenere ciò che mi serve senza ferirlo”.
Asgore annuì in modo comprensivo. -Quando mi sento triste, nulla mi rilassa più di una bella chiacchierata. Di cosa volevi parlarmi, Mettaton? Sono felice di ascoltarti.-
Mettaton si passò una mano nei capelli. Guardò Asgore nel profondo dei suoi occhi, che avevano una calda tonalità di marrone, e parlò.
-Ho una sola domanda da porti. Secondo te… quali sono le caratteristiche di un buon sovrano?-
Asgore tacque, per pochi attimi, massaggiandosi la barba con la mano pelosa. Aveva un’aria così ingenua e innocente, ma nonostante tutto, nemmeno Re Mettaton I avrebbe osato nuocergli.
Poi riprese, e Mettaton si raddrizzò sulla sedia rigido come uno spillo.
-Io credo, Mettaton, che un buon sovrano sia innanzitutto una persona in grado di fare sacrifici. Qualcuno che sa porre il bene collettivo al di sopra del proprio, al punto da lottare per esso e… se necessario, anche annullarsi.-
Mettaton non perse tempo ad analizzare l’ombra che aveva velato gli occhi scuri di Asgore.
“Io non sono sicuramente in grado di fare questo.” pensò, stringendosi nelle spalle. La prospettiva era decisamente sfavorevole, per come il dialogo era iniziato: lo spirito di sacrificio era qualcosa che Mettaton era ormai disposto ad ammettere di non avere.
Deglutì, studiando i disegni del pelo sul muso dei Asgore.
-Ma lo spirito di sacrificio… è così fondamentale?-
Asgore annuì, dilatando le narici: -Credo che sia la caratteristica essenziale di un buon re: quella che distingue più di tutte un re degno del suo nome da un misero tirannello che…-
Il re si interruppe, e Mettaton non lo biasimò: non osava studiare l’espressione nella quale il suo volto metallico si era contratto. 
-Non ti senti bene?- domandò Asgore, allungando tempestivamente le mani verso il suo volto. Gli tastò la fronte con il palmo, come un bambino febbricitante, e Mettaton ridacchiò nonostante tutto: era quasi impossibile sentirsi inquieti parlando con lui. 
-Hai la batteria scarica? Oppure è l’olio che…-
-Sto bene, davvero. Sono solo un po’ provato dagli ultimi tempi.- Mettaton si passò una mano nel ciuffo, guardando mestamente verso il tavolo. “Un re che si lascia interrompere: ho davvero fatto bene a parlarci”. -Questo discorso… dello spirito di sacrificio, mi inquieta parecchio. Sembra così…-
-Difficile?- il sorriso di Asgore era largo e limpido come uno specchio. -Dipende tutto da te. Io non credo nella sfortuna e in concetti simili: penso che quello che una persona è, dipende solamente da lui o da lei.-
Mettaton annuì, implorando la stretta nel suo stomaco artificiale di allentarsi. Ormai beveva le parole di Asgore come olio, e se ne sarebbe nutrito anche a costo di sentire sulla lingua il sapore del fiele.
-Un mio compagno d’arme, Gerson delle Cascate, diceva sempre così: “se non ti dai da fare con le stoviglie, non aspettarti di trovare la pappa pronta.”-
Qui, Mettaton dovette stringere le mani attorno alla sedia per smettere di tremare. Gerson era stato uno dei suoi vicini quando ancora era Happstablook. Avevano chiacchierato, ogni tanto, in certi momenti in cui aveva avuto bisogno di allontanarsi da Napstablook e dalle lumache. A volte lo aveva persino sentito cantare. Ma gli appunti di Re Mettaton I parlavano chiaro: lui lo aveva ucciso. E per cosa, poi? Per non essersi prostrato al suo passaggio. “Quale mostro pretende una cosa simile?”.
Prese un profondo respiro, pregando che Asgore non si fosse accorto del panico nei suoi occhi. “Se ne esco vivo, parola d’onore: devo offrirgli qualcosa.”
-Ma se posso chiedertelo, Mettaton… come mai hai tanta curiosità in fatto di governo?-
Aveva previsto una domanda simile. Non batté ciglio, e diede la risposta che si era preparato. 
-Per il Sottosuolo.- disse calmo. -Voglio rendermi davvero utile per la comunità. Fare del bene, capite? Offrire qualcosa di più che dei balletti in televisione.-
“Chissà com’era lo show di Re Mettaton I. Anche se mi farebbe malissimo, vorrei tanto vederlo. Me lo immagino, tutto luccicante e sorridente, che balla spargendo polvere in giro a ogni posa.”
-Undyne ci difendev… difende dagli umani con la sua forza; Alphys ci sostiene con la sua intelligenza. Tu ci governi con rettitudine e bontà. Io so solo cantare e posare. Credo di poter fare di meglio.-
-Tu dici?-
Asgore sorrise di nuovo. Ogni sorriso appariva luminoso e onesto come il precedente. Solo guardandolo, Mettaton si sentiva al sicuro. Re Mettaton I, nelle foto, non gli assomigliava affatto. Le sue labbra erano fredde, sottili; il suo sorriso era artefatto e privo di emozioni.
-Eppure, io penso che il tuo show sia benefico per tutti noi quanto lo sono le lance di Undyne.- 
-Non lusingatemi, vostra maestà. Sono soltanto una macchina anti-umani. Ho parecchi limiti d’azione.-
-Non una semplice macchina. Alphys mi ha parlato molto di te. Hai un anima come tutti quanti noi. Fu questo ad attrarmi, di te. Hai del calore vitale nel tuo corpo. Come tutti noi.-
-Ma la mia mente è quella di una macchina.- Mettaton sussurrò quelle parole senza neanche guardare Asgore in faccia. -Un oggetto programmato per uccidere umani.-
“Ultimamente mi dedico ad altro, tipo a cannoneggiare a morte la gente che non mi adora, ma a volte mi occupo anche degli umani.”. Preferì non nominare Happstablook: ormai sapeva che Re Mettaton I lo teneva prigioniero da tempo, una mano guantata premuta sulla bocca e un braccio telescopico stretto come un cappio attorno al piccolo corpo rosa. Poteva quasi sentirlo piangere dentro di lui, implorando la libertà. A ogni singhiozzo Re Mettaton I stringeva più forte la presa.
-Io non sarò un tecnico- riprese Asgore -Ma so per certo che non è così. Anni fa, quando mio figlio Asriel…-
Asgore tacque per un attimo, guardando il soffitto, respirando più forte nel silenzio pesante della stanza. Poi si rivolse di nuovo al suo ospite, tormentandosi le dita. 
-Quando era più piccolo, io e mia moglie gli regalammo per il compleanno un umano meccanico. Era un oggetto delizioso, perfetto nei minimi particolari, e lui poteva controllare i suoi movimenti con un telecomando che teneva in mano. Lo faceva camminare, saltare e combattere. Poteva farlo muovere per ore e ore.-
Mettaton si intenerì: adorava i giocattoli umani. Non aveva mai avuto figli e non poteva comprendere cosa significasse per Asgore estrarre quel ricordo. Poi pensò ad Alphys, e si sentì di nuovo mancare. “È questo che hai provato …mamma?”
In preda al panico tornò a guardare il muso sorridente del suo re: -Ma tu… tu, Mettaton, tu non hai alcun telecomando. Tu ti muovi libero come e dove vuoi. Nessuno ti comanda, nessuno ti manipola. Sei un robot, ma la tua anima pulsa come le nostre. E vedo nei tuoi occhi che sei leale e coraggioso come tutti i nostri guerrieri.-
-Sono belle parole.- disse Mettaton. -Purtroppo non mi rassicurano. Non c’è nulla di leale o coraggioso nel fare balletti in televisione. So cucinare, cantare e ho delle belle gambe. Che salvezza può portare al Sottosuolo?-
Asgore sorbì piano un sorso di tè. -Io conosco il mio popolo. Alcuni di loro ancora ricordano com’era la vita al di sopra della Barriera, prima della Guerra. Sono tristi, annoiati… privi di prospettiva. La libertà non sembra ancora giungere. Chissà fra quanto tempo cadrà qui un settimo umano.- Mettaton preferì non dirgli che un settimo umano era caduto da poco, e si limitò ad annuire, chiedendosi dove Asgore stesse andando a parare. 
-Ma tu… tu rappresenti qualcosa, per loro. Una speranza. Qualcosa da seguire e ammirare. Apprezzo molto la costanza con cui ti dedichi al tuo compito per il bene dei tuoi fan. So che i tuoi programmi li rendono molto felici… li consolano, li rilassano. Hanno qualcosa di nuovo da aspettarsi dalla vita. Qualcosa che non avrebbero mai avuto se non fosse stato per te. Se posso permettermi… credo davvero che potresti essere un buon sovrano.-
Mettaton trattenne il fiato, incapace di proferire parola. Un re che sapeva zittire una star con tanta grazia doveva essere davvero un re eccezionale. 
E fu in quel momento che capì che poteva farcela. 
“Il Sottosuolo ha bisogno di me. Mi merita, mi apprezza. Hanno contratto con me un debito che devo e voglio pagare. Qui hai fallito, Re Mettaton I. Credevi di essere il creditore del tuo pubblico, e non a caso, quel pubblico ti ha insegnato a stare al tuo posto. Una star, una vera star, è un eterno debitore. Per ogni applauso ricevuto, deve rendere cento volte tanto. Lo fa col sorriso sulle labbra, senza mai provarne rimorso. E così farò anche io: il mio debito è immenso, ma sento di poterlo saldare. Dopotutto, non è tanto diverso dallo spirito di sacrificio”.
Sentì le lacrime salire ai suoi occhi. Se avesse potuto, sarebbe scoppiato a piangere in quel momento, tra le braccia di Re Asgore Dreemurr, soffocando nel suo vello morbido tutte le emozioni che ogni secondo venivano alla luce dentro di lui.
Ma non pianse, perché ogni attimo che passava, la paura e l’impotenza scivolavano via come neve ormai disciolta, e si disperdevano lontane lasciando il posto a una ritrovata speranza. 
“Re Mettaton I grida e batte i pugni, rinchiuso in una cella da qualche parte dentro di me. Lasciamolo gridare: se tutto va come deve, fra qualche tempo non lo sentirò più.”.
-È il caso che vada, Vostra Maestà.- disse alzandosi dal tavolo. -Ho uno show molto importante, domani mattina. Devo concludere le prove il prima possibile.-
Avrebbe seguito il copione di Alphys, stavolta. Niente Attacco Del Robot Killer, niente rivelazione, niente bombe e niente discorso finale. Avrebbe fatto felice la sua amica come da dovere. La Superficie poteva aspettare: aveva un regno da governare nel Sottosuolo.
-Ti ringrazio per la visita, Mettaton. È stato bello trascorrere tempo assieme.-
-Sono io che devo ringraziarvi, Vostra Maestà. Non avete idea del servigio che mi avete reso.- Mettaton raccolse il mantello piegato da sopra la sedia e se lo drappeggiò sulle larghe spalle. -Cercherò di fare tesoro il più possibile delle vostre parole e della vostra saggezza.-
Prima di calare nuovamente il cappuccio sulla propria testa si voltò un’altra volta verso di lui.
-Spero di vederti presto, Mettaton.- disse Asgore.
“Non credo che ci vedremo mai più, invece”.
Fece per inchinarsi per il congedo, ma ad un tratto, qualcosa dentro di lui cedette. 
L’androide sentì la sua testa farsi vuota, come se una bolla d’aria ne avesse riempito le cavità. Dilatò gli occhi, allungando il braccio verso Asgore.
Poi sentì le gambe cedere sotto il suo peso.
Si accorse di essere disteso a terra, sullo stomaco, coperto per metà dal mantello.
Intravide Asgore accorrere nella sua direzione, chinarsi a terra, allungare la mano verso di lui.
-Non mi sento…-
L’immagine del re si scompose in un mosaico di colori indistinti, per poi rimescolarsi in una cappa di nero che lo avvolse completamente, spegnendo ogni luce e soffocando ogni suono.

Angolo della Lady:
Rapido, perché dopodomani ho un esame universitario e ho SONNOh.
Il dialogo fra Mettaton e Asgore doveva essere dall'inizio il punto focale della storia. La primissima scena che sapevo avrebbe fatto parte di una fanfiction sul King Mettaton Ending chiamata Il Prezzo Del Potere era il dialogo con Asgore. Il resto è venuto dopo. 
Avrò riscritto questa scena almeno tre volte, e nemmeno adesso sono sicura di non aver scritto un'ammucchiata di clichè. Sono abbastanza soddisfatta del risultato, tutto sommato. Ho persino cercato qualche fanart e fanfiction per ispirarmi, ma ho trovato solo le zozzerie cosmiche di Dongoverlord, che shippa Asgoton e disegna robaccia smuttosa. Per non parlare poi di una fyccyna dove un Mettaton con organi femminili chiedeva a un "daddy" Asgore di "intrattenerlo" facendo di lui il suo "sextoy". Ma io boh...
Se avete consigli miglioratori da darmi, fatelo. La storia sta per finire, e Mettaton è di nuovo in grossi, grosserrimi guai.

Lady R
 

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Capitolo 6
*** Atto IV: Azione ***


Atto VI: Azione


-Sta r-riaprendo gli occhi…-
Una grossa macchia gialla era china su di lui. Una voce inconfondibile chiamava il suo nome. 
-M-mi senti, Mettaton? Stai bene?-
Sbatté gli occhi, cercando di abituarsi alla penombra. Si accorse di essere seduto su un lettino operatorio, ancora nella forma EX. La macchia gialla si condensò, formando il volto di Alphys.
-Dimmi q-qualcosa!- esclamò, il labbro che tremava mentre allungava le mani verso di lui.
-Sto bene.- rispose Mettaton, voltandosi a sedere. -Sto bene. Non preoccuparti per me. Sto davvero, davvero bene.-
Non aveva mal di testa, né la nausea: si era ripreso in fretta. Si accorse che Asgore sedeva su una sedia nell’angolo del laboratorio, reggendo la corona sulle ginocchia. 
-Ti ha p-portato qui quando sei svenuto.- spiegò Alphys. -Ti ha portato in braccio fino al mio laboratorio. Era molto preoccupato per te.-
-Sono contento che sia qui.- Mettaton si voltò verso di lui, invitandolo ad avvicinarsi con un gesto della mano. 
-Vorrei dirvi qualcosa, vostra maestà.-
Asgore si alzò dalla sedia, appoggiando la corona sul piano, e si diresse verso il lettino. -Che cosa? Sono sempre felice di ascoltarti, lo sai.-
-Vorrei dirvi…-
Mettaton esitò, scrutando l’espressione di Alphys.
-…che è giunto il momento di ABDICARE!-
E prima che Asgore potesse dire alcunché, il robot sollevò il braccio col cannone carico.
Sparò un colpo, due colpi, tre colpi, sorridendo come un bambino davanti al suo programma preferito. Sentì un grido provenire da Alphys, ma non se ne curò.
-Tu…- Asgore non fece nemmeno in tempo a finire la frase. Mettaton vide una scintilla rossa formarsi nelle mani del sovrano che nelle sue intenzioni sarebbe dovuta trasformarsi nel suo tridente. Ma prima che l’arma fosse apparsa, il caprone si dissolse in un mucchio di polvere senza una parola. La sua anima rimase a fluttuare a mezz’aria per qualche secondo, ma un quarto colpo di cannone la disintegrò subito dopo.
-Che cos’hai fatto!- Alphys cadde in ginocchio nel mucchio di polvere, allungando le zampe verso di essa. Lacrime scendevano lungo il suo muso, ma i suoi occhi erano incendiati dall'ira.
-Sono un robot assassino, tesoro. Questo è ciò che faccio.- sibilò Mettaton senza smettere di sorridere. Allungò la mano con il cannone verso il volto della scienziata; un globo rosa, annunciatore di un nuovo colpo pronto, prese forma nella sua bocca. -Adesso il re sono io. E chiunque oserà dire il contrario farà la fine del caprone.-
Abbassò il cannone, fissando la scienziata dritta negli occhi: -Abbandona questo triste laboratorio, Alphys. Vieni via con me. Sarai la mia regina. Insieme governeremo su tutti quanti.-
-Ti voglio bene, Mettaton. Sei come un figlio per me.- sussurrò Alphys asciugandosi le lacrime. -Ma il mio amore per te non mi impedisce di vedere la tua follia. Non posso seguirti, non stavolta.-
-Sei proprio come Undyne.- sghignazzò Mettaton. -Non capisci mai quando arrenderti.-
Sollevò di nuovo il braccio con il cannone, appoggiandone la bocca sotto il mento della dottoressa. -Peggio per te. Addio, mammina.-
Alphys chiuse gli occhi. -Addio, Re Mettaton I.-
Poi il cannone sparò, e la polvere che era stata Alphys si sparpagliò su tutto il pavimento come coriandoli su un palco vuoto.

-NOOOOOOO!-
Mettaton si trasse a sedere di scatto, agitando nell’aria le braccia telescopiche. Sentì le lacrime scendergli lungo le guance, viscide e fredde, e così copiose da riempirgli la bocca.
-Mettaton!-
La voce di Alphys, di nuovo: stavolta per davvero. La scienziata era china su di lui dall’alto di uno sgabello, illuminata alle spalle dalla luce fredda di una lampada da laboratorio. Appoggiati al muro in fondo alla stanza attendevano in piedi Sans e Papyrus. 
-Sei… sei sveglio?-
Attraverso le lacrime, Mettaton intravide Alphys che giungeva le mani e le portava alla bocca, volgendo gli occhi al cielo. 
-S-Stai piangendo?-
Mettaton cercò di ritrarsi, trattenendo il respiro, tentando freneticamente di asciugarsi il volto il più in fretta possibile. Alphys, però, si era già accorta delle sue lacrime. 
-C-Cosa ti prende? Mettaton, stai bene?-
Anche i due scheletri si avvicinarono di corsa; Papyrus prese da un tavolo un rotolo di scottex e glielo porse. Mettaton strappò una striscia, tamponandosi guance e occhi. 
-Hai avuto un incubo?- domandò Alphys. Si arrampicò sul lettino dove il robot giaceva e allungò una mano verso di lui. Mettaton si ritrasse, stringendo i denti, e annuì. 
-Facciamolo respirare.- disse Sans. Lui e Papyrus si ritrassero alle spalle di Alphys. Mettaton gliene fu grato: gli sembrava di soffocare con tanta gente attorno.
-È stato Asgore a portarmi qui?- biascicò. Alphys trasalì tentennando all’indietro. Sans prese il polso del fratello e lo strinse con la mano. 
“Non mi piace.”. -Alphys, cosa c’è?-. “Quanto ho dormito? Che giorno è? Oh, cielo, ditemi che non sta andando come penso…”
Alphys tirò su col naso e si avvicinò di nuovo al lettino. -Mettaton…-. Si interruppe e deglutì. “No, non mi piace per niente.”
-Glielo dico io, Alphys.- intervenne Sans. -Sono giorni che lo vegli. Sarai stanca morta.- “Giorni? Ma cosa sta succedendo?”. E soprattutto, Alphys non aveva mai cessato di vegliarlo? Mettaton non era sicuro di meritare tanta cura da parte sua. 
La scienziata annuì, accucciandosi in fondo al lettino fra le braccia di Papyrus. Sans si sedette di fianco a Mettaton, ma prima che potesse aprire bocca l’androide lo interruppe.
-Non mi chiedi cosa mi prende?-
-Non c’è bisogno c-che me lo dici.- rispose Alphys. -Hai avuto un incubo. P-Posso capirti. Anche per me n-non è un periodo semplice.-
-Non era un semplice incubo.- Mettaton strinse i pugni attorno al lettino. -Asgore… ho sognato di uccidere Asgore. E dopo di lui… anche te.-
Lasciò andare il lettino e si strinse su sé stesso, accucciandosi sul fianco. Rivolse gli occhi ad Alphys, pregando che lei non lo odiasse neanche stavolta.
Sans intervenne: -Asgore… lui è morto davvero. Mentre eri spento.- Lui e Papyrus chinarono i teschi verso il suolo.
Mettaton strinse istintivamente le mani sullo stomaco. “Perché sono sorpreso? Lo sapevo, era scritto negli appunti.”. Chiuse gli occhi cercando di scacciare da essi l’immagine del volto sorridente del ex re del Sottosuolo. 
“È andato via.” Serrò le labbra forzandosi a non singhiozzare. “E adesso il re sono io.”
Ma allora, perché Alphys era ancora lì? Re Mettaton I era diventato re dopo la sua morte, no? In preda al panico guardò Sans, e lo scheletro riprese a parlare stringendo la mano di Alphys.
-Sì, è stato Asgore a portarti qui. Ci ha detto che sei svenuto dopo la visita. Sono passati due giorni da quando sei scomparso. L’Umana ha superato il Core da sola, ha affrontato Asgore in battaglia, e lo ha sconfitto. Poi, dopo aver preso la sua anima, ha varcato la Barriera.-
Mettaton annuì, cercando di connettere i tasselli. -Come stanno tutti?-
-Non molto bene.- Sans chinò di nuovo il capo. -Alcuni hanno provato a chiedere aiuto a Undyne, ma a quanto pare nemmeno lei è più con noi.-
-Quell’umana…- sussurrò Alphys passandosi le maniche sugli occhi. -Sembrava così simpatica… io… io non posso crederci.-
Papyrus la strinse più forte massaggiandole le spalle. Mettaton fece per allungare una mano verso di lei, ma uno sguardo di Sans lo trafisse come uno spillo. Ritrasse la mano. “È giusto. Poco fa l’ho uccisa.”.
Si impose di concentrarsi. Undyne era morta, Asgore pure. Aveva voglia di piangere per loro, ma il momento non era quello giusto. Sans e Papyrus c’erano: pensiero non confortante, se si considerava che anche Re Mettaton I li aveva avuti come collaboratori. Ma Alphys era ancora viva. E quella, ne era certo, era la differenza chiave.
Prima che potesse interagire con lei, Alphys gattonò nella sua direzione. Aveva gli occhi umidi, arrossati, e appariva piccola e fragile. Mettaton allungò di nuovo le mani verso di lei, ignorando lo sguardo di Sans. Alphys le prese. Allargò le labbra imponendosi di sorridere.
-Sai… mentre eri spento, ho avuto paura. Tanta paura, più di quanta non ne abbia mai avuta in vita mia. Undyne non c’è più, Asgore neppure, tu eri piombato in coma… era tutto così inquietante e strano. A volte ero davvero tentata di fare qualcosa… qualcosa di codardo. Mi capisci, vero?-
Mettaton si morse la lingua: -Ma non l’hai fatto.-
-Non l’ho fatto.- rispose dolcemente Alphys. -Una parte di me sapeva che eri ancora vivo. Che anche se il tuo corpo era freddo e immobile… la tua anima pulsava forte e viva dentro la tua cinta. Non ho osato lasciarti. Non potevo… non ci sono riuscita. Se c’era una possibilità, una sola, che fossi ancora vivo, non potevo andarmene. Ho collegato… ho analizzato… ho pregato… ed eccoti qua.-
L’androide allentò la stretta alle mani della scienziata. 
-Sei rimasta qui… per me?-
-Non potevo abbandonarti.- Alphys sorrise quasi rilassata. -Non avresti mai più potuto svegliarti, senza di me, e… e io… -
Si gettò al collo di Mettaton, stringendosi forte a lui. L’androide colse lo sguardo di Sans da sopra la sua spalla. Sorrideva. 
-Andrà bene.- sussurrò ad Alphys. -Siamo qui, insieme. Un genio e un intrattenitore. Possiamo ancora sistemare tutto.-
-Ehi, ci siamo anche noi!- esclamò Papyrus. 
-Siamo con voi.- confermò placido Sans. -Fino alla fine.-
Mettaton sorrise. Sollevò il volto della scienziata con delicatezza. -So che ti mancano Asgore e Undyne. E so che è anche un po’ colpa mia, se fa tanto male. Ma… vorrei poter riparare le cose. Sono qui, Alphys. Non me ne andrò mai più via.-
Alphys si asciugò le lacrime; poi prese un profondo respiro e lo abbracciò di nuovo. Mettaton udì Papyrus sospirare dal fondo del lettino. 
-Ti amo come un figlio.- singhiozzò la dottoressa. 
Mettaton le accarezzò la schiena, sorridendo verso il soffitto. “Grazie, grazie, oh santo cielo… grazie!”
Alphys era soffice, odorava di soda e spaghetti istantanei, e mai più l’avrebbe lasciata andare.


-Sarai stanca.- le disse con dolcezza non appena la dottoressa si allontanò da lui. -È meglio se vai a dormire, tesoro. Abbiamo molto da fare, qui, e domani dovrai essere in forma.-
Alphys annuì, e si strofinò la manica sugli occhi del camice. 
-L’accompagno io.- propose Papyrus. -Posso leggerle una storia della buonanotte.-
Alphys arrossì: -Mi sembra una bellissima idea, Papyrus.-
Allungò la zampa verso il guanto dello scheletro, lasciandosi condurre verso la porta. 
-Domani… domani mettiamo tutto a posto, Mettaton?- domandò dalla soglia.
-Lo giuro.- rispose lui sorridendo. 
La guardò in silenzio mentre si allontanava lungo il corridoio assieme allo scheletro alto. Poi si voltò verso Sans. Era ancora seduto sul lettino e aveva in volto un’espressione compiaciuta.
-Ti devo delle scuse, Mettaton.- disse.
Il robot ritrasse le gambe sotto di sé: -Per cosa?-
-Beh…- Sans si asciugò la fronte sudaticcia con la manica della felpa. -Credo di averti giudicato male. Sei riuscito a metterlo a posto, quel sottoprodotto di un re.-
Mettaton ridacchiò. Un attimo dopo, però, sentì dal nulla un senso di inquietudine.
-Ne sei certo, Sans?-
-Cosa vuoi dire?- chiese lo scheletro.
Mettaton contrasse il volto, raccogliendo le mani sulla bocca dello stomaco.
-Posso sentirlo… qui, da qualche parte dentro di me, che urla e vuole uscire. Vuole coprirmi di nuovo di sangue.-
Chiuse gli occhi, immaginando Re Mettaton I che si muoveva dentro di lui. Il mantello era stracciato, la corona ammaccata, lo scettro abbandonato chissà dove, ma l’androide pazzo sembrava in forma quanto lui. E chiedeva a gran voce di uscire. 
Anche Sans portò le mani sul suo stomaco, e le depose sopra i suoi guanti. -Non temere. Lo teniamo buono, quel demonio. Stavolta ha un nemico in più.-
Allungò il collo verso lo stomaco di Mettaton, tenendo un occhio chiuso come per guardare in un  piccolo buco.
-Ehi, Re Mettaton I. Cerca di stare buono, dovunque tu sia, perché se ti verrà anche solo in mente di uscire fuori…- Mettaton trattenne il respiro.
-…passerai un brutto momento!-
Sans fece una pausa, rimettendosi a sedere.
-Re Mettaton I ha governato per quattro anni prima che il popolo entrasse in rivolta. Era crudele e malvagio, e l’inquietudine nel suo animo non basta a giustificare ciò che ha fatto.-
-Lo so.- ammise Mettaton. -E non voglio mai più rivederlo.-
-Non lo rivedrai.- il tono di Sans era glaciale. -Parola di scheletro, non lo rivedrai.-
Mettaton si ravviò i capelli. Squadrò ancora Sans: aveva un’ultima cosa da dire.
-Non ho capito perchè sono svenuto.-
Sans scrollò le spalle:-È il destino ineluttabile. Ha provato a toglierti di mezzo: non ci è riuscito.-
-Il destino?- 
-Proprio così.- Sans sogghignò. -È un tipo tosto, quello. Sperava che vedendoti svenuto Alphys si arrendesse. Ma evidentemente la tua pellaccia metallica è troppo dura anche per lui.-
Mettaton ridacchiò. Guardò Sans negli occhi: l'espressione che aveva avuto giorni prima, quello sguardo freddo che lo aveva infestato per le ore successive, era scomparso. Al suo posto vi era un sorriso rilassato e accogliente, di quelli che si dedicano a una persona che si ammira. 
E in quel momento capì davvero che il peggio era passato.
“Re Mettaton I attende in ginocchio nella cella in cui l’ho confinato. Pesanti catene cingono i suoi polsi e le sue caviglie. Il cannone al braccio destro è stato disattivato in modo che non possa liberarsi. E là sotto resterà, per il bene di tutti. Si divincoli quanto vuole: è il suo castigo per non aver voluto pagare il prezzo del potere”.
-È ora che vada.- disse a Sans. -Ho molto lavoro da fare.-
-Se si tratta del discorso per l’incoronazione, lascia che me ne occupi io. L’altra volta… non sei andato un granché.-
Mettaton rise scendendo dal lettino: -Grazie, tesoro, ma non è quello. Vorrei realizzare un memoriale per Re Asgore. Qualcosa di semplice, ma d’effetto.-
Ammirò il suo riflesso nel vetro della porta. Alto, eretto, elegante, con occhi espressivi. Decise che poteva essere l’aspetto di un buon re.
-Tu non hai idea di quanto gli devo.-

Angolo della Lady:
Siamo giunti all'ultimo atto, e la battaglia di Mettaton contro sé stesso si è conclusa con una vittoria.
Avrete notato che nella sequenza di sogno c'è un POV ballerino, che passa da Mettaton agli altri. Non è un errore. È una gimmick che mi piace usare quando parlo delle scene di sogni. Mi sembra più realistico se hanno un taglio "cinematografico", senza essere limitate alla testa del protagonista. Ditemi che cosa ne pensate nei commenti. 
Manca solo un ultimo capitolo, un Epilogo in cui si vedranno i risultati della battaglia di Mettaton. Per quel capitolo ho in serbo una sorpresa, ma non voglio anticipare nulla. 
Scusate anche se Papyrus non fa praticamente niente. Succede quando prima di scrivere finisci per errore nella pagina di YAMsgarden. Meno si parlano, lui e Metta, meglio è.
Grazie mille a tutti quelli che mi leggono. Ci vediamo presto per l'Epilogo, e la fine di questa avventura. 
 

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Capitolo 7
*** Epilogo: Retribuzione ***


Epilogo: Retribuzione

C’erano due ali di folla, che si schiudevano su tutta la via principale di New Home. Un popolo vestito di stracci, i visi smagriti dalla fame e dagli stenti. In fondo alla strada un occhio ben allenato sarebbe riuscito a distinguere i contorni di un palco in legno, nel mezzo del quale era stata portata un’incudine.
Due figure avvolte in cappe nere, i cappucci calati a nascondere i loro volti, trascinavano una terza  figura lungo il vicolo che conduceva alla via principale. Il prigioniero era alto ed esile, dallo slanciato corpo metallico scolpito con fattezze antropomorfe. Aveva i polsi ammanettati dietro la schiena, le caviglie unite tra loro da un corto tratto di catena, e un sacco di iuta grigiastra, macchiato in più punti, copriva completamente la sua testa. 
Appena i due carcerieri giunsero in fondo al vicolo, spinsero in avanti il prigioniero, facendolo atterrare con violenza sulle ginocchia. Poi, la zampa candida e pelosa di uno di loro strappò con violenza il sacco dalla sua testa. 
Non appena il volto del prigioniero fu rivelato, la folla iniziò a imprecare e ad inveire come se avesse avuto davanti il peggiore dei suoi nemici. -Tiranno!- gridò una voce. -Assassino!- seguì un’altra. E poi: -Mostro!- -Genocida!- -Criminale!- -Ci hai rovinati tutti!-
Il condannato chinò la testa, soffocando un singhiozzo nella spessa striscia di stoffa nera che era stata legata dentro la sua bocca. Aveva corti capelli neri, scompigliati e pieni di polvere, che un tempo dovevano essere stati acconciati in un caschetto aggraziato, ma che in quel momento ricordavano un cespuglio assalito dai parassiti. Il suo viso era una maschera di vetro bianco perla, incrinata in più punti, e ormai opaca come uno specchio ammantato dalla ruggine. Tracce sottili di lacrime nere e oleose scendevano dai suoi occhi di vetro fotografico, spandendosi come crepe nella superficie del suo volto. 
-Alzati, assassino!- ruggì la voce femminile di uno degli incappucciati. Il condannato annuì. Tentò tre volte di alzarsi, ma tutte e tre le volte le sue gambe (gambe impeccabili, scolpite alla perfezione nel più puro acciaio) cedettero sotto il suo peso, facendolo cadere di nuovo a terra. La terza volta, il condannato cadde faccia avanti e centrò in pieno il pavimento di sampietrini della strada principale. La folla scoppiò in una fragorosa risata: persino i due carcerieri sghignazzavano al di sotto dei loro cappucci, uggiolando come cani. Il prigioniero mugugnò da sotto il bavaglio. 
I carcerieri lo sollevarono da sotto le spalle, rimettendolo in piedi. -Cammina.- ringhiò quello che non aveva parlato. Il prigioniero annuì nuovamente: la caduta aveva deformato ulteriormente i suoi tratti, accartocciando su sé stessa la punta del suo naso.  
-Cammina, maledetto assassino.- ruggì una voce nel pubblico. -Muoviti, ammasso di rottami!- fece un’altra. -Non abbiamo tutto il giorno!-.
Il condannato fece un passo, a testa bassa, tremando come un insetto nella tela. Una lacrima gocciolò sulla punta del naso schiacciato, e cadde a terra frantumandosi sulla pietra.
Ad un tratto, qualcuno nella folla urlò. Un centinaio tra braccia, zampe, ali e tentacoli si sollevò dalla folla indicando un punto in alto, oltre i tetti delle case. Prima che il condannato se ne fosse reso conto, tutti quanti erano in preda a urla di terrore incontrollate. I mostri correvano in tutte le direzioni, inciampando l’uno nell’altro, trascinandosi dietro i loro bambini, sparpagliandosi nei vicoli e nelle case. Il condannato ricevette uno spintone laterale che lo fece inciampare nella catena che portava ai piedi. Cadde di nuovo a terra, stavolta sul fianco. Serrò gli occhi, aspettandosi di finire schiacciato dai piedi della folla ormai nel caos. 
Invece percepì due braccia forti che lo afferravano da sotto le gambe e la schiena, e lo sollevavano in aria, trascinandolo via dalla condanna. Si accorse di star volando, ormai ben al di sopra della folla in preda al deliro. Il suo misterioso soccorritore smise di sollevarsi, e si involò in orizzontale verso Hotland, stringendolo più forte al proprio petto. 
Atterrò con precisione sulla cima di uno dei monticelli di roccia e lo adagiò sul terreno con delicatezza. Allora, finalmente, il suo salvatore parlò. 
-Mi chiamo Mettaton. Mettaton NEO. E tu sei Re Mettaton I.-
Un robot come lui. Alto, vistoso, spalle larghe e braccia muscolose. La mano destra aveva preso la forma di un cannone, e un’occhio non era che una scintilla di luce su un viso di metallo scoperto. Ma nonostante tutto, la sua presenza sembrava rassicurarlo. 
Il prigioniero si strofinò la guancia sulla spalla. L’attrito dell’aria gli aveva strappato il bavaglio di bocca, e ora pendeva sul suo petto come una brutta collana.
-Sono solo Mettaton. Non sono più re da mesi, ormai.- Re Mettaton I guardò verso terra, sgocciolando lacrime sul pavimento roccioso. 
-Probabilmente sarai scosso.- disse Mettaton NEO con dolcezza. Si sfilò il guanto dalla mano sinistra e lo usò per asciugare le guance di Re Mettaton I. Lo prese da sotto le spalle e lo aiutò a sedersi.
-Riposa. È tutto finito. Lo so che fa male. Adesso andremo via.-
-Non… non m’importa più di niente, o-ormai.- Re Mettaton I si strofinò la guancia sulla spalla. -Ho rovinato t-tutto. Ho ucciso l-la mamma e tutti g-gli altri. Voglio s-solo andare in esilio in pace.- 
-Hanno fatto male a umiliarti.- sussurrò Mettaton NEO. -Adesso cerca di non pensarci più. È tutto finito. È un sogno, questo, sai?-
-Un… un sogno?- Re Mettaton I sbatté le palpebre. -È mai possibile?-
-Certo che sì.- sorrise Mettaton NEO. -Il sogno di una persona felice.- 
Re Mettaton I si strinse nelle spalle. -Suppongo che sia meglio essere un sogno che u-un tiranno.-
-Non c’è più nessun tiranno.- sussurrò Mettaton Neo. -Non c’è più nessun re, nessuna corona, nessun trono. Siamo liberi. Sei libero. Puoi riposare sereno.-
Re Mettaton I sospirò. Una nuova lacrima scivolò lungo il suo volto. 
-Cosa c’è?- sobbalzò Mettaton NEO.
-Ho forse il diritto di riposare sereno? Dopo quello che ho fatto?-
NEO sorrise. Le sue labbra erano sottili, così pallide da sembrare anemiche. Re Mettaton I ne era spaventato, ma si guardò dal dirglielo. 
-Certo che ce l’hai, sciocchino. Tu sei Mettaton, e lui ne ha tutto il diritto.-
Tacque per un attimo, alzando gli occhi verso la volta della caverna. 
-Ora devo andare. Il Presidente Mettaton sta per svegliarsi. Oggi lui e i Ministri si incontreranno per votare su un nuovo condominio a Snowdin. Speriamo che il vecchio Gerson vinca la sua riluttanza… ma il voto dei cani dovrebbe essere sufficiente. Nel pomeriggio raggiungerà Alphys per il check-up mensile.-
-Presidente Mettaton?- Gli occhi di Re Mettaton I si sbarrarono. -Vuoi dire che…-
Mettaton NEO annuì. Spiegò di nuovo le ali, sollevandosi in silenzio. In un batter d’occhio era già scomparso dietro le montagne. 
Re Mettaton I si piegò sul fianco, raccogliendo al petto le gambe incatenate. Reclinò la testa sulla superficie rocciosa e chiuse piano gli occhi. 
-Presidente Mettaton…- sussurrò. 
-Il prezzo del potere è stato pagato.- 

Angolo della Lady:
Così è finita. Oh, cielo...
Vorrei ringraziare tutti quanti che mi hanno seguita: SamekoLady_Dragon99, boga e NightSword, le ultime dei quali l'hanno anche seguita. 
Come al solito, il POV ballerino (che passa dalla telecamera esterna al POV di Re Mettaton I) è quello che uso nel descrivere i sogni. 

Ho anche, recentemente, trovato una fanart su Tumbrl che potrebbe sintetizzare al meglio questa storia, e la linko qua sotto per mostrarvela, perché è forse la mia fanart di Mettaton preferita: https://greenteapandakigurumi.tumblr.com/post/154137600194/finished
Un altro abbraccio a tutti quanti, mi sono divertita molto a scrivere questa storia. Spero di avere nuove idee in futuro. 
Lady R
 

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