Patto con l'angelo

di Piuma_di_cigno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Precipizio ***
Capitolo 2: *** Patto ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Precipizio ***


Capitolo 1 - Precipizio

Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover'd country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have
Than to fly to others that we know not of?

Chi porterebbe fardelli,
Agognando e sudando sotto il peso di una gravosa vita,
Se il timore di quello che c'è dopo la mor,
Questa terra sconosciuta dal cui confine,
Nessun viaggiatore ritorna, non turbasse la volontà,
E ci facesse preferire il peso dei mali che abbiamo,
Piuttosto che volare verso altri che non conosciamo?
-William Shakespeare, Hamlet

 

Il giorno in cui fui costretta a fare un patto con un angelo per salvarmi la vita era una domenica di settembre e stava per ricominciare la scuola. Quel giorno rimase scolpito nella mia memoria come un ferro rovente: non perché incontrai un angelo ma perché la mia vita cambiò per sempre... se di vita si può ancora parlare.

 

Quella domenica il sole sfolgorante degli ultimi giorni di settembre era alto nel cielo e sembrava rendere il colore del cielo ancora più azzurro, ancora più meraviglioso; era una di quelle giornate in cui uno non crede gli possa capitare niente di male, è impossibile. Non alla luce del giorno, no, né tanto meno in vacanza durante una passeggiata con la famiglia.

Eravamo andati in montagna a fare un'escursione io, mia madre, mio padre e mia sorella che aveva quasi otto anni in meno di me e non faceva altro che correre e saltare ovunque, entusiasta di tutto quello che vedeva sventolando come un vessillo il cappello che le avevo regalato ad agosto per il suo compleanno.

Non mi piaceva: era rosa con un grosso e assurdo fiocco rosso sopra, ma gliel'avevo comprato lo stesso perché sapevo che lei l'avrebbe adorato, come era in effetti successo, e ora lo portava ovunque. Era passata solo una settimana da quando aveva smesso di dormire col cappello in testa e finalmente la mamma era riuscita a lavarlo.

Tirava un po' di vento che scompigliava i miei capelli e costringeva Lucy a non mettersi in testa il suo incredibile copricapo perché rischiava di caderle. Si limitava allora a tenerlo in mano e a correre in giro con i capelli sciolti e svolazzanti e gli sguardi preoccupati dei miei genitori al seguito. Le foglie frusciavano, gli alberi non avevano ancora iniziato ad ingiallire per l'arrivo dell'autunno e così il bosco ci si presentava con tutti i suoi colori verde smeraldo che risaltavano ancora di più nella valle sotto di noi, attraversata da un fiume brillante come uno zaffiro che rifletteva gli splendidi raggi del sole. Era meraviglioso e terrificante al tempo stesso essere tanto in alto da vedere l'intera vallata, da scorgere le città tanto lontane da sembrare giocattoli, i paesini in riva al fiume, le dolci colline... Col vento nei capelli sembrava di poter volare. Forse era questo che induceva Lucy a correre tanto? Credeva che se avesse corso abbastanza avrebbe spiccato il volo?

Corsi anch'io con lei, cercando di inseguirla lungo i sentieri e lasciammo indietro i nostri genitori; non avevamo paura di perderci, eravamo state un sacco di volte da quelle parti e conoscevamo bene la strada e questo ci illudeva che quello fosse un posto sicuro. Seguivo ridendo di corsa il cappello sventolante di mia sorella, rosa come un confetto, e minacciavo di prenderla e portarla dall'orco come ogni sorella maggiore che si rispetti; ovviamente sapevo benissimo che l'avrei difesa fino allo stremo delle forze se le fosse capitato qualcosa. Fin dal giorno in cui era nata l'avevo amata incondizionatamente: era come se fosse mia figlia.

Quando i nostri genitori erano al lavoro o uscivano ero sempre io a badare a lei, a giocare con lei e a divertirmi con lei. Mi piaceva vederla felice, così quando eravamo sole le preparavo famose merende che mia madre non approvava: pancakes con burro d'arachidi, miele e marmellata, latte al cioccolato, pane con la Nutella e chi più ne ha più ne metta. Lucy era molto golosa e nonostante questo sembrava aver ereditato la capacità di papà di mangiare senza ingrassare. Era bionda, anche quello l'aveva preso dal papà, mentre gli occhi erano grigio-verdi, una via di mezzo tra i miei e quelli di mamma. Io sembravo un gran miscuglio di tratti appartenenti a tutta la famiglia, visto che avevo i capelli color rame esattamente come quelli della zia, gli occhi verdi della mamma e i lineamenti della nonna da giovane, tranne per il naso che era identico a quello della mia bisnonna.

Cos'avevamo in comune io e mia sorella? Una pelle chiarissima che al minimo raggio di sole ci faceva diventare rosse come gamberetti.

“Se ti prendo ti porto nella grotta dell'orco!” strillai a Lucy ansimando. Non era molto più veloce di me, ma aveva più energie e io alla veneranda età di sedici anni le avevo già perse per strada, forse negli interminabili mesi passati a studiare. Il sentiero che stavamo percorrendo si aprì in uno più ampio quando gli alberi alla nostra destra di diradarono: lì sotto c'era un precipizio. Sapevo che mia sorella ne era consapevole e che, anche se non sembrava, sarebbe stata attenta, ma quando la persi di vista dopo una curva della strada ebbi un brivido lungo la schiena e, esattamente come avrebbero fatto mamma e papà, gridai: “Lu, stai attenta!”

La sentii ridere. Accelerai per raggiungerla e proprio mentre raggiungevo la curva la sentii urlare. Una scarica di adrenalina mi percorse dalla testa ai piedi come una scarica elettrica lungo la schiena, che mi fece correre più veloce di quanto avessi mai fatto prima. Una miriade di immagini mi attraversò la testa in quell'istante: Lucy che precipitava, Lucy che spariva nel buio abisso del burrone, Lucy che cadeva nel fiume che scorreva là sotto... Ma quando la raggiunsi lei era illesa e si allungava pericolosamente proprio sul bordo del baratro.

“Lucy, che stai facendo!?!” strillai col fiatone e una nota più aspra di quanto volessi nella voce, dettata dallo spavento, però lei non ci badò. Allungava la mano verso qualcosa.

“Mi è caduto il cappello!” piagnucolò e io vidi che effettivamente il famoso cappello era a poco più di un metro da lei, incastrato su un rametto sporgente troppo lontano perché lei potesse raggiungerlo con le braccia ancora così corte. Sospirando di sollievo – era solo per quello che aveva urlato allora! - capii che doveva esserle caduto o probabilmente il vento gliel'aveva strappato dalle mani. Mi avvicinai con cautela al precipizio e, dopo aver allontanato mia sorella la rassicurai: “Lo prendo io, tesoro, non preoccuparti.”

“Cass, prendilo ti prego! È il mio cappello preferito!”

“Va bene va bene Lu, ora ci provo.” era più lontano di quanto pensassi accidenti, neanche allungando il braccio il più possibile l'avrei afferrato. Se la situazione fosse stata diversa avrei lasciato perdere, era troppo pericoloso, ma mia sorella mi fissava in un modo... Come potevo deluderla? Diedi un'occhiata alla strada per vedere se i miei genitori erano nei paraggi, ma per fortuna non c'erano: non dovevano vedermi fare una cosa tanto stupida. Lentamente e con cautela misi un piede su una roccia sporgente poco sotto il bordo del precipizio e saggiai la resistenza dell'appoggio. Sembrava che tenesse il mio peso.

Guardai in basso alla ricerca del cappello e mi sentii mancare alla vista del vuoto sotto di me, col fiume lontano metri e metri e nonostante questo vedevo comunque le rocce appuntite sul fondo, le sue correnti letali attendermi come la bava nelle fauci di un lupo. Mi venne voglia di tornare al sicuro accanto a mia sorella e lasciare quel dannato aggeggio al suo destino ma quando alzai lo sguardo vidi Lucy fissarmi disperata e supplichevole come se da quello dipendesse la sua vita. Era il cappello che le avevo regalato io...

Tremando dalla testa ai piedi appoggiai anche l'altro piede alla sporgenza e mi inginocchiai piano, poi allungai il braccio cercando di afferrarlo senza badare al baratro che mi attendeva e al vento che mi scompigliava con violenza i capelli.

Ancora un po', ancora un po'... le mie dita sfiorarono il cappello... “Preso!” strillai sollevandolo in aria vittoriosa, ma nel momento in cui alzai lo sguardo per vedere il sorriso di mia sorella, nel momento in cui feci il brusco movimento con cui sarei tornata accanto a lei lontana dal pericolo sentii un rumore orribile che avrebbe tormentato i miei incubi e che mi ricordò il suono di un osso che si spezza. Mi ero rotta il braccio da piccola e anche se non ne avevo mai ricordato niente in quel momento, immobile sulla roccia, pensai proprio a quello e prima che avessi tempo di pensare a qualsiasi altra cosa sotto di me c'era il vuoto, attorno a me il vuoto, ovunque il vuoto e io stavo urlando... stavo urlando mentre cadevo nel destino che sarebbe dovuto toccare a Lucy forse. Forse sarebbe dovuto toccare a lei, o forse no. Non l'avrei mai saputo.

 

La caduta era quasi verticale, ma di tanto in tanto incontravo ancora rocce, spuntoni, sterpaglie che mi graffiavano la schiena e le braccia, mi laceravano i vestiti. Inutilmente gridavo e tentavo di proteggermi la testa e tenevo le palpebre strizzate, gli occhi chiusi, finché non sentii un colpo fortissimo allo stomaco che mi tolse il respiro. Prima che potessi accorgermene mi ero aggrappata a un ramo che sporgeva dalle rocce e penzolavo nel vuoto, a metà strada tra Lucy e il fiume. Piangendo terrorizzata capii che questo non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose perché se prima stavo solo cadendo senza cognizione di quanto accadeva ora avrei dovuto fare una scelta: rimanere appesa lì finché le forze non avessero ceduto e cadere consapevole di quanto stava per succedere, o lasciarmi cadere prima di soffrire troppo ma sapere che sarebbe stato alla pari di un suicidio.

Cercai di essere razionale e pensai che lassù c'era mia sorella che mi aveva visto precipitare, avrebbe avvertito mamma e papà che avrebbero chiamato i soccorsi; quanto avrei potuto resistere? Un'ora? Neanche. Non riuscivo nemmeno ad immaginare di resistere più di cinque minuti. Il braccio destro mi faceva male e mi impediva di reggermi come volevo. Tremante e col viso inondato di lacrime diedi un'occhiata e vidi che la manica della felpa era tagliata e piena di sangue. Non vedevo la ferita, ma dal dolore non serviva un medico per capire che con quella non avrei potuto reggermi a un ramo appesa nel vuoto.

Non vedevo più mia sorella, ero troppo in basso. Guardai giù e vidi le fauci del fiume pronte ad inghiottirmi. Se prima mi era sembrato spaventoso, ora era anche spaventosamente vicino. O mio Dio.

Io e Lucy eravamo corse molto avanti rispetto ai nostri genitori. Troppo avanti. Se la conoscevo bene lei non mi avrebbe lasciata per andare a chiamarli. Il ramo scricchiolò sotto il mio peso.

No, no, no, no! Non poteva finire così, no! Ero giovane, avevo ancora tutto da fare. Non mi ero mai innamorata, non avevo finito la scuola... no, no, no per favore. Iniziai a dirlo ad alta voce.

“No, no, no, per favore...” e poi iniziai ad urlare “Aiuto”, ma nessuno rispose e allora piansi mentre il ramo si inclinava sempre di più verso il mio destino... In quel momento aprii gli occhi.

Davanti a me, sospeso nel vuoto, c'era un ragazzo. I suoi capelli erano neri come la notte, gli occhi dorati e tutto in lui ispirava fiducia anche se non sorrideva. Era qualcosa di incredibile e straordinario: era bello, ma non era questo a renderlo così meraviglioso. C'era una luce intorno a lui, una luce che mi entrò nel cuore e mi fece piangere di nuovo. Immaginai che fosse quanto di più simile alla devozione assoluta.

Un angelo.

Spazio autrice: ciao a tutti! Innanzitutto, saluto tutti i nuovi lettori e come ogni scrittore mi auguro che il primo capitolo vi sia piaciuto. Vista la situazione della protagonista mi è sembrato bello inserire la frase dell'Amleto che avete letto all'inizio; penso che sia una delle frasi più belle e più vere che io abbia mai letto.
Ma passiamo alla storia: è stata una fortuita ispirazione che mi è venuta settimane fa. Non l'ho messa subito per iscritto perché prima dovevo finire un altro racconto, One week (lo trovate qui su EFP), ma una volta concluso mi sono messa subito al lavoro su questa nuova idea che mi ha dato subito soddisfazioni nella scrittura. Mi scuso se il capitolo è molto lungo, nelle prossime volte cercherò di farli più brevi. Ci tenevo a far comparire l'angelo prima della fine del primo capitolo :)
Se avete dubbi, domande o considerazioni da fare potete scrivermele nelle recensioni, sarò felice di rispondere anche se forse non puntualissima ;) Detto questo, grazie per la lettura, alla prossima!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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Capitolo 2
*** Patto ***


Il patto

Serviamo liberamente perché amiamo liberamente, giacché dipende dalla nostra volontà amare o meno; da essa dipende se stiamo in piedi o cadiamo.
-John Milton

Rimasi immobile, un po' piangendo, un po' cercando disperatamente di tenermi in equilibrio sul ramo che nel frattempo aveva smesso di scricchiolare; qualcosa, non sapevo che cosa, mi diceva che era l'angelo a tenere lui e me in bilico tra la salvezza e le fauci del fiume.

Lo fissavo implorandolo di pietà, di lasciarmi tornare indietro da mia sorella, perché sapevo che lui aveva il potere di farlo. Fluttuava immobile a mezz'aria e nonostante l'aspetto fosse quello di una persona normale se l'avessi visto in giro per strada mi sarei di sicuro voltata a guardarlo: la luce che emanava era qualcosa che si insinuava nel mio cuore e mi impediva di pensare lucidamente, mi faceva venire voglia di mollare quello stupido ramo e tendere le braccia verso di lui per lasciarmi portare ovunque desiderasse.

Invece strinsi la presa su quella minuscola speranza di salvezza e vi affondai ostinatamente le unghie: lassù c'era mia sorella. C'erano la mia famiglia e la mia vita, c'era tutto quello che amavo e avevo amato e io non avrei lasciato niente di tutto questo.

“Ciao Cassidy.” quando l'angelo parlò i miei progetti vacillarono e per un folle istante la sua voce mi parve talmente bella e melodiosa che quasi di loro spontanea volontà le mie dita iniziarono a mollare la presa per tendersi verso di lui. Quando però sentii il vuoto sotto di me sbattei le palpebre e conficcai nuovamente le unghie dov'erano prima.

“Sono venuto a prenderti. È arrivato il momento.”

Per la prima volta da quando l'avevo visto, parlai: “No!”

L'angelo mi osservò per un istante, poi mi tese una mano.

“Vieni con me Cassidy.” impotente sentivo il desiderio di andare con lui, sentivo di poter volare con lui, che se avessi lasciato quel ramo sarebbe andato tutto bene, ma poi sentii che le mie dita stringevano qualcosa e mi accorsi di avere ancora in mano il cappello di mia sorella. Quasi inconsapevolmente l'avevo tenuto con me per tutto quel tempo, come un talismano.

“No.” ansimai di nuovo. “C'è mia sorella”

“Lo so. Starà bene, vedrai.” continuò lui con voce melliflua “Ora devi venire con me. Andrà tutto bene.”

“No che non andrà tutto bene!” strillai esasperata “Fammi tornare da lei!! Io non ho nessuna intenzione di venire con te!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola, ignorando quella vocetta nella mia testa che mi diceva di restare con lui.

L'angelo parve sorpreso. Non sapevo come potessi capirlo visto che a malapena aveva cambiato espressione, ma di fatto era stupito. Mi fissò per un istante, interdetto, poi si ricompose e iniziò ad avvicinarsi a me; il mio primo impulso fu quello di avvicinarmi a mia volta anche se la parte cosciente di me voleva che mi allontanassi, voleva fuggire il più lontano possibile da quella che in realtà non era altro che una minaccia per la mia vita.

“Cassidy” mormorò l'angelo allineando il suo viso al mio e fluttuandomi davanti. “Oh, Cassidy.”
Ogni volta che ripeteva il mio nome era una pugnalata nel cuore. Non potevo seguirlo ma lo volevo. Cavoli se lo volevo.

“Sono venuto a prenderti, devo farlo” continuò lui, “E' ora ormai. Non puoi più rimanere qui.”

“Co-cosa? In che senso?” le lacrime mi inondavano il viso, e le unghie mi facevano talmente male che sembrava stessero per staccarmisi dalle dita a forza di conficcarle nel ramo.

La voce dell'angelo non aiutava.

“Non posso spiegarti” rispose lui “ma il tuo destino e quello della tua famiglia si separano qui.” mi tese una mano “Lascia il ramo. Sarà come se nulla di tutto questo fosse mai esistito...”

La proposta per quanto atroce riusciva a suonare allettante e meravigliosa: la sua voce melliflua mi faceva sentire quasi capace di volare e tuttavia non potevo fare a meno di riflettere sulle sue parole. Perché non potevo rimanere con loro? Con la mia famiglia? No, no, no. Il mio posto era lì.

“Non verrò con te” sussurrai con voce tremante “Non ora.”

“Sì invece.”

“Almeno spiegami.” implorai allora guardandolo negli occhi con un supremo sforzo di volontà. Scoprii che erano violacei, ricordavano le pervinche, i fiori che mia madre aveva piantato nell'aiuola davanti a casa.

Si tinsero di una sfumatura color tempesta quando gli chiesi di spiegare e le sue sopracciglia si aggrottarono, come se riflettesse intensamente. Qualcosa mi diceva che da quella sua riflessione dipendeva il mio destino.

Infine, ricambiò il mio sguardo.

“Credo di poterlo fare, se lo desideri.”

Rimasi in silenzio così lui proseguì: “Hai esaurito il tuo tempo qui e la tua vita ora è necessaria altrove. Io sono stato mandato a prenderti.”

“Chi ti ha mandato?”
“Non posso dirtelo.” corrugò di nuovo le sopracciglia “Forse non lo so nemmeno io.”

“E allora perché dovrei voler venire con te?” singhiozzai io. “Ti prego, ti prego, ti prego lasciami tornare dalla mia famiglia. Non voglio morire...”

“Invece verrai con me. Sarai tu a volerlo. Tu lo vuoi.”

E aveva ragione.

La sua voce, il suo aspetto, la sua luce, i suoi occhi, tutto di lui era meraviglioso e rassicurante, tutto mi invitava ad abbandonare il ramo e a precipitare nel vuoto pur di renderlo felice e di stare con lui. Tutto in me gridava di seguirlo, di accettare, ma quel tutto non era abbastanza.

C'era qualcosa dentro di me che mi arpionava al ramo, alla salvezza e alla vita tutto insieme. L'amore per gli altri, forse.

Spinta da quella nuova ispirazione, tentai di salvarmi: “Pensa alla mia famiglia. Pensa a quanto soffriranno. Se proprio vuoi condannare me, almeno non condannare loro. Ti prego.”

Quella frase fece riflettere anche me e mi portò a ripensare alle ultime parole che avevo detto ai miei genitori: non voglio tornare a scuola. Insignificante e banale, tutti gli studenti lo dicevano alla fine delle vacanze, ma adesso... E se loro avessero ricordato questo di me? Era stupido pensarlo, perché sapevano che lo dicevo solo così, per dire, ma...

“Non è una condanna. Il tempo guarisce tutte le ferite e la sofferenza serve da insegnamento.” rispose l'angelo con voce perentoria. Non avevo speranze di replicare, però tentai lo stesso: “Allora... Allora lascia almeno che io dica loro addio. Dammi il tempo di dire loro addio. Solo di salutarli.”

“Sarebbe ancora più doloroso così. Non ha alcun senso. È meglio un taglio netto, Cassidy.”

“Ti prego. Ti darò tutto quello che vuoi.”

Inaspettatamente l'angelo sorrise divertito e fu come se l'intero mondo si fosse tinto di pura luce.

“E cosa potrei mai volere da te? Da un'umana?”

“Io... Io non lo so” balbettai, “ma posso cercare di darti quello che vuoi. Ti prego. Dammi il tempo di un addio e io ti darò quello che vuoi” singhiozzai. Avevo perso il conto di quante volte ormai l'avevo pregato, ero fuori di me. “Ti prego” lo supplicai di nuovo, come se quelle fossero le parole magiche... E forse lo erano.

“Va bene Cassidy. Ami gli altri. Li ami tanto da rifiutare di seguirmi, tanto da rifiutare di ascoltare il richiamo di un angelo. Allora aiuta gli altri.” fissò gli occhi nei miei con un'intensità tale da stordirmi “Posso darti due mesi per dire loro addio, ma in quei due mesi dovrai aiutare le persone in ogni modo possibile, oltre l'immaginabile umano. Dovrai renderle felici, anche se questo comprometterà te o la tua salute. Dovrai fare e dare tutto il possibile per loro.” mi tese di nuovo la mano. “Ora abbiamo un patto?”

Non sapevo cosa sarebbe successo, davanti a me si spalancava l'ignoto, ma sapevo che ero disposta a tutto pur di avere ancora due mesi di vita, e così, ora sicura che non sarei precipitata, staccai la mano dal tronco e la strinsi alla sua.

“Abbiamo un patto.” confermai.

Spazio autrice: ciao a tutti! Pubblico il secondo capitolo prima di quanto osassi sperare, visti i numerosissimi impegni della settimana! Cassidy ha infine stipulato un patto con questo angelo misterioso, ma si è resa davvero conto di cosa questo implichi? :) E soprattutto del fatto che questo angelo le starà sempre attaccato alle costole? Mi sa che devo cambiare le caratteristiche della storia e inserire romantico tra i generi *.*
Se avete domande o qualche parere, lasciatelo pure nelle recensioni, sarò felice di rispondervi!
Baci,
Piuma_di_cigno.

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