Spy Eleven -No Light

di Melabanana_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act1 - Light blue. ***
Capitolo 2: *** Act2 - Wounded. ***
Capitolo 3: *** Act3 - True strenght. ***
Capitolo 4: *** Act4 - Worth it. ***
Capitolo 5: *** Act5 - Dark tunnels. ***
Capitolo 6: *** Act6 - Forsaken/Hope. ***
Capitolo 7: *** Act7 - Robot. ***
Capitolo 8: *** Act8 - Last day of winter. ***



Capitolo 1
*** Act1 - Light blue. ***


Ciao... ebbene sì, questa sera doppio aggiornamento! Questa storia è uno spin-off della mia long-fic Spy Eleven, incentrato sul personaggio di Gazel. Vi auguro una buona lettura, le altre note dell'autrice saranno in fondo ♥

Act1 - Light blue.
«No light, no light in your light blue eyes…»
(No light, no light - Florence & The Machine)
 
Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era annodato attorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
 
Quando aprì gli occhi, si stupì di non trovarsi all’orfanatrofio dove aveva trascorso gli ultimi sei anni della sua vita. La sua stanzetta era stretta e poco ariosa, maleodorante a causa del puzzo di sudore che veniva dalla lavanderia di fronte; i due edifici erano separati a malapena da un vicoletto, ma in pratica da alcune finestre dei piani inferiori ci si affacciava direttamente nel negozio di là, il che se non altro rendeva più facile il passaggio delle ceste di biancheria. Quella sfortunata coincidenza impediva anche al sole, o alla luna, di arrivare fin lì, per cui l’ambiente era sempre freddo e inconfortabile.
Ma, per quanto brutta, quella stanza a lui piaceva.
Aveva, infatti, il grande vantaggio di non essere mai del tutto al buio. Le tapparelle erano rotte da innumerabili ere ed erano state lasciate com’erano perché le riparazioni erano costose: nella camera, quindi, c’era sempre almeno una scia di luce (che fosse quella del neon della lavanderia di giorno o quella dei lampioni di notte a lui andava bene ugualmente) e anche quando non c’era, la stanza era in una posizione così isolata che poteva benissimo lasciare la luce accesa e nessuno si sarebbe lamentato.
Quando aprì gli occhi quella mattina, però, non era in camera sua e capì subito che non ci sarebbe tornato mai più. Si trovava in una macchina nera, con sedili di pelle morbidi e appiccicosi. Davanti a lui erano sedute due persone; non riusciva a vedere chi fosse alla guida. L’auto fece una curva ad U e si fermò.
-Ehi, ti sei svegliato? Dai, scendi, siamo arrivati- disse qualcuno dai sedili davanti, non avrebbe saputo dire se fosse il guidatore o il suo compagno.
Il ragazzino fece schioccare la lingua contro il palato, seccato, ma obbedì. Aprì la portiera e scivolò fuori con circospezione, aspettandosi una pistola puntata alla tempia. Aveva imparato da tempo che la sua ostilità nei confronti del genere umano era spesso reciprocata: era il destino dei diversi. E lui era molto diverso dagli altri bambini.
Nessuno lo aggredì quando mise piede fuori dall’auto, e nemmeno quando girò su se stesso, mangiando con gli occhi i dintorni. C’era un buon odore di ciliegi nell’aria e non ne era certo di aver mai visto un cielo così azzurro, così pieno di luce. Per il momento il posto gli piaceva.
Il rumore della portiera lo distrasse. Qualcuno era sceso dall’auto dopo di lui. Lo riconobbe, era la persona che era seduta al posto a fianco al guidatore, nonché quello che era venuto a prenderlo all’orfanatrofio, e non per adottarlo. Era un ragazzo alto, un po’ curvo, che aveva tratti orientali, occhi a mandorla stirati sino ad apparire chiusi –e lui invece era certo che osservasse molto attentamente ogni suo movimento- e capelli ricci neri.
Sorrise. Il ragazzino non ricambiò.
-Sei il benvenuto al centro di allenamento numero undici, signorino… Gazel, giusto? È il tuo nome o il tuo cognome?- disse l’orientale, sbirciando in fretta alcuni fogli che aveva in mano.
-Non lo so. Lei si limiti a chiamarmi così- rispose secco il ragazzino.
L’altro annuì e smise di fare domande perché aveva capito che era sincero, o forse perché aveva semplicemente deciso che in fondo non erano affari suoi. In ogni caso, Gazel si sentì sollevato. Odiava dover rispondere a domande su se stesso –era probabilmente la persona che ne sapeva di meno al mondo. Aveva perso tutti i suoi ricordi d’infanzia, almeno quelli precedenti al giorno in cui i responsabili dell’orfanatrofio l’avevano trovato e accettato nell’istituto, un giorno che onestamente avrebbe preferito rimuovere insieme al resto.
-Non crede sia scortese chiedere il mio nome senza prima essersi presentato?- sbuffò.
L’altro lo guardò con condiscendenza. –Certo. Hai perfettamente ragione, ti chiedo perdono per i miei modi poco gentili…- disse. Gazel non capì se fosse sarcastico o meno.
-Il mio nome è Choi Chang Soo. Sono una Spy Eleven- aggiunse. Pronunciò quelle ultime due parole in un'altra lingua, con un tono che dava per scontato che lui sapesse di cosa si trattava. Gazel non lo sapeva.
 
Choi Chang Soo lo guidò all’interno di una grotta scavata nel fianco di una montagna, nascosta tra gli alberi di ciliegio; alla fine del lungo, sinuoso ed umido cunicolo, c’era una porta in acciaio laminato che sembrava chiedere di essere aperta. Chang Soo appoggiò il palmo al centro di un pannello, una luce verdognola gli illuminò per un attimo le dita, e poi la porta si aprì scorrendo verso la parete di roccia, a destra. Gazel osservò tutta la scena con interesse: gli pareva di essere finito in un film di spionaggio. E, forse, era proprio così.
All’interno, la grotta non sembrava affatto una grotta.
Non aveva un pavimento roccioso ed irregolare, ma lunghe lastre di mattonelle color sabbia. Sule pareti di tufo bianco erano appese cartine geografiche e altri poster che il ragazzino non riuscì a leggere. Due tavoli erano disposti ai lati, lasciando un corridoio nel mezzo, e dall’alto pendevano vari lampadari rettangolari che inondavano di luce elettrica l’intera stanza. Sul fondo, c’erano diverse porte, tutte di metallo, e attraverso una di esse, l’unica aperta, si vedevano delle scale a ricciolo, il che lasciava intendere che ci fossero altre camere più in basso. Ma, prima che Gazel potesse guardare meglio, qualcuno si mise in mezzo.
La figura aveva lunghi capelli biondi che scintillavano alla luce e, per un momento, Gazel ebbe dubbi sul suo sesso. L’abbigliamento non lo aiutava; lo sconosciuto o la sconosciuta portava un pantalone di tela, con una specie di fazzoletto a quadretti neri e fucsia legato in vita, a coprire il bacino, e una maglia beige molto più ampia della larghezza delle sue spalle. Sul collo nudo pendevano numerose collane di sottili fili dorati.
-Aphrodi. Puntuale come al solito- lo salutò Chang Soo con un sorriso. Si girò verso Gazel.
–Gazel, questo è Aphrodi. Sarà il tuo compagno di stanza e, per i primi giorni, il tuo tutor. Puoi chiedergli tutto ciò che vuoi.
Il ragazzo dai capelli biondi –a questo punto era indubbio che fosse un maschio- fece un piccolo cenno col capo. Gazel lo squadrò e tutto ciò che gli venne da chiedersi fu se Aphrodi fosse un nome o un cognome. Era forse come lui?
-È un piacere conoscerti, Gazel. Sono Afuro, Afuro Terumi, ma tutti qui mi chiamano Aphrodi- disse. Gazel annuì, non potendo fare a meno di avvertire una lieve delusione.
-Dai, vieni. Ti porto a vedere la mia… nostra camera- Afuro si corresse rapidamente. Magari era uno di quelli a cui non piaceva dividere… non che Gazel ne fosse entusiasta.
Chang Soo gli diede una spintarella d’incoraggiamento e non parve impressionato dall’occhiata glaciale che gli fu lanciata in risposta. Si rivolse ad Afuro:- Bene, io vado. Te lo affido.
Poi si girò, aprì una delle tante porte e sparì nei cunicoli della base.
Una volta rimasti soli l’uno di fronte all’altro nella stanza, i due ragazzi si fissarono.
Afuro sospirò, per un istante parve incerto, ma recuperò subito il sorriso e l’aria sicura di sé. Si posò una mano sul fianco e piegò leggermente il capo di lato; i capelli e le collane gli scivolarono tutti sulla spalla destra che la maglia lasciava scoperta.
-Allora, andiamo? Sei pronto?- domandò.
Gazel fece lentamente di sì con la testa e aspettò che l’altro s’incamminasse prima di seguirlo per accertarsi che tra loro si mantenesse una certa distanza. Non gli piaceva stare troppo appiccato agli altri. Si soffermò ad osservare la tromba delle scale che scendeva vorticosamente verso le membra oscure della caverna e, trovandosi ad interrogarsi su quanto fosse profonda, ogni singola parte del suo corpo entrò in tensione. Ma non avrebbe fatto scenate isteriche il primo giorno. Si sforzò di reprimere l’ansia, si concentrò sul proprio respiro e iniziò a scendere. Afuro era già parecchi gradini più sotto.
-Ehi, Gazel- la sua voce rimbombò tra le pareti di tufo –da dove vieni?
Odiava le domande, ma parlare era meglio che stare ad ascoltare i propri battiti. Lo avrebbe aiutato a distrarsi.
-Dallo Shinsekai- disse, piatto. L’altro fece un fischio.
–Wow. E ti divertivi?
-No.
-Mi hanno detto che è un posto dove ci si diverte.
A questo Gazel non rispose. Forse lo Shinsekai era davvero un posto così; anche lui lo aveva sentito dire, ma era difficile accertarsene dal momento che stava sempre chiuso in casa a leggere.
-Quanti anni hai?- Afuro cambiò argomento bruscamente.
-Quattordici-. O almeno, questa era la sua età ufficiale. Quando lo avevano trovato, da piccolo, in una casa abbandonata, i responsabili dell’orfanatrofio gli avevano dato otto anni e da allora ne erano passati sei, perciò... quattordici.
-Ah, sono più grande di te- esclamò Afuro, come se questa fosse, in qualche modo, una vittoria. Non specificò di quanto fosse più grande, ma non pareva avere più di sedici anni, quindi non doveva esserlo di molto.
Improvvisamente il biondo si fermò e si voltò; Gazel si trovò a pochi centimetri da un viso rosato, lineamenti dolci e femminili e occhi rossi con ciglia nere e lunghe. Si immobilizzò come un gatto davanti ai fari di un’auto e trattenne il respiro.
Afuro lo osservò con attenzione per qualche istante, poi si ritrasse senza una parola e riprese a camminare; in realtà, mancavano poco più di una decina di gradini al termine della scala e Gazel apprese con sollievo che anche quella parte della base era ampiamente illuminata. Inoltre, la loro stanza si rivelò essere una delle più lontane ed isolate rispetto alle altre: anche questa era una bella notizia.
Afuro accelerò il passo per superare le porte che non lo interessavano e puntò dritto verso la propria; appena fu abbastanza vicino da toccare maniglia e serratura, tirò fuori un mazzo di chiavi argentee, rivestite di gomma colorata, dalla tasca dei pantaloni e le scosse davanti ai suoi occhi. –Ne avrai uno anche tu, Chang Soo lo ha già ordinato. Questa gialla apre la mia… nostra stanza- disse, gliela fece vedere e poi si lanciò a spiegare a cosa servissero le altre. Gazel ascoltò con attenzione, cercando di memorizzare i colori. La cosa strana era che, infanzia a parte, la sua memoria funzionava benissimo; anzi, in genere non gli servivano più di trenta secondi perché la sua mente catturasse un’immagine, che poi conservava per sempre. Il maestro se n’era accorto soltanto quando gli aveva chiesto cosa avesse imparato dal libro che aveva assegnato alla classe e lui, senza battere ciglio, gli aveva recitato un intero paragrafo sulla capacità di rigenerazione delle lucertole, riprendendo parola per parola il testo.
-Questo bambino è un genio- aveva detto. Gazel avrebbe preferito che non l’avesse fatto: i piccoli geni non piacciono mai a nessuno e lui, che già non aveva grandi capacità di fare amicizia, si era ritrovato ben presto circondato dall’ostilità e l’invidia degli altri ragazzini, specialmente i più grandi, che si sentivano in qualche modo sconfitti. Avrebbe voluto che il maestro avesse tenuto per sé la sua ammirazione, ma era tardi. Gazel non aveva mai avuto amici e, dopo qualche mese di tentennamenti, aveva deciso che non ne aveva bisogno. I bambini potevano essere molto crudeli e gli adulti troppo ciechi per notarlo.
-Gazel, tu preferisci il letto di sopra o quello di sotto?
Afuro lo strappò ai propri pensieri. Aveva aperto la camera ed era entrato lasciandolo sulla soglia. Gazel si affacciò e vide subito il letto a castello addossato alla parete sinistra.
-Meglio sopra- rispose. Più vicino alla luce, pensò, ma non lo disse. Afuro sorrise, felice della sua scelta, e solo allora Gazel notò i vestiti buttati in ordine sparso sul letto inferiore: chiaramente il biondo aveva chiesto per cortesia, ma aveva già deciso. Chissà cosa avrebbe fatto, se la sua scelta non gli fosse calzata a pennello? Gazel lasciò scivolare lo sguardo sul resto dell’ambiente. C’erano due scrivanie, di cui una traboccante di roba, al punto che qualcosa era caduta pure sulla sedia accostata accanto: Afuro non aveva proprio l’aria di essere abituato a dividere ed era probabile che avesse liberato l’altro tavolo delle proprie cose solo all’ultimo momento, per lui. Per il suo nuovo compagno di camera.
Al contrario di ciò che Gazel si aspettava, però, Afuro non sembrava contrariato dalla sua presenza. I suoi sorrisi, il suo tono amichevole ed i suoi modi disponibili sembravano onesti. Ma non si poteva mai sapere: gli esseri umani erano particolarmente bravi a mentire.
-Allora, che ne dici?- domandò Afuro.
Gazel non sapeva che tipo di aspettative avesse l’altro, ma rispose con la massima sincerità.
-Non è male. La mia vecchia camera era più larga, ma qui mi piace abbastanza.
Il biondo annuì e iniziò a sistemare i propri abiti, li piegava e li accatastava nei cassetti di un mobile di antica fattura che stava incastrato tra le due scrivanie. Canticchiava qualcosa in una lingua che Gazel non conosceva. D’un tratto, s’interruppe e si girò a guardarlo.
-Dammi i tuoi bagagli- disse –così metto i tuoi abiti nel cassettone.
Gazel batté le palpebre e rimase in silenzio, impassibile.
-Non hai niente? Nemmeno una borsa piccina picciò? Nulla nulla?- Afuro lo guardava incredulo.
-Pensavo fosse ovvio- replicò il ragazzino mostrando le mani vuote. Non aveva mai avuto niente di cui gli importasse davvero, a parte i libri, ma quelli non erano suoi. Erano dell’orfanatrofio, come gli abiti che stava indossando e tutti quelli che aveva portato in passato. Non c’era nulla che potesse definire veramente suo.
Afuro si riprese in fretta dalla sorpresa. –Oh. Beh… vorrà dire che chiederò a Chang Soo di procurarti qualcosa… e nel frattempo ti presterò qualcosa di mio- disse. Afferrò una maglietta nera, con lo scollo a V e le maniche a tre quarti, gli si avvicinò e gliela poggiò sul petto, prendendo ad occhio le misure. –Mmm, dovrebbe andare. Sei così magro!- disse, come se lui stesso non fosse stato uno spillo. –Vuoi cambiarti subito? Non hai sudato? Vorrei poterti far fare una doccia, ma si può solo dopo gli orari di allenamento… Beh metti questa mentre ti cerco dei pantaloni-. Afuro gli ficcò la maglia tra le mani, poi tornò a frugare nei cassetti.
Gazel si sfilò lentamente la t-shirt consunta che portava da due giorni e mezzo e la lasciò cadere a terra, dandole un calcio per togliersela letteralmente dai piedi, poi infilò l’altra maglietta dalla testa. Gli stava vagamente stretta di spalle ed era un po’ troppo lunga, ma non gli importava. Si arrotolò le maniche fino alle ascelle; intanto, Afuro si girò a porgergli un paio di bermuda color cachi. –Per le scarpe non posso aiutarti… dovrai tenere i sandali- avvisò.
-Va benissimo così- tagliò corto Gazel, tolse i pantaloni e si mise in fretta i bermuda. Quelli gli stavano meglio, più giusti della maglietta. Avevano varie tasche lungo le gambe, non molto utili per lui che non aveva niente da tenerci, ma non scomode.
-Sembri ancora più scheletrico- commentò Afuro, scoraggiato. Con una mano gli sollevò il mento e studiò il suo volto. –Ah, lo sapevo… prima non riuscivo a vederti bene perché non c’era abbastanza luce, ma hai un bel viso, soprattutto gli occhi… hanno un certo non so ché. Forse è il colore. Mi piacciono molto, comunque- osservò. Gazel ricambiò lo sguardo. Non riusciva a scorgere nulla se non sincerità negli occhi di Afuro; ciononostante, scostò bruscamente la sua mano e si ritrasse al contatto fisico, spinto da una crescente irritazione.
-Oh. Scusa. Non ti piace essere toccato?- L’occhiata gelida che Gazel gli rivolse fu una risposta sufficiente, e Afuro smise di fare domande, riprendendo a mettere ordine tra le proprie cose.
Gazel si arrampicò sul letto e si stese. Il cuscino era duro e il soffitto giallognolo, notò. Rimpianse di non essersi portato almeno uno dei libri dell’orfanatrofio –non servivano a nessuno là, senza di lui sarebbero rimasti ad impolverarsi sugli scaffali. Che spreco.
Chiuse gli occhi e, prima di accorgersene, si addormentò.
 
xxx
 
-Dovevi essere davvero stanco… sei crollato come un sasso!
Gazel rimase in silenzio, contemplando l’idiozia di quel paragone. La voce di Afuro lo innervosiva, era troppo alta e troppo rumorosa, ma al tempo stesso lo confortava: ascoltare le sue futili chiacchiere lo distraeva dalla sensazione di claustrofobia che la tromba di scale gli dava. Era soffocante e gli faceva formicolare le dita mentre queste si stringevano convulsamente alle ringhiere di ferro battuto.
Afuro non pareva aver notato la sua tensione, o magari pensava che lui fosse così normalmente. Non fece più commenti sul suo aspetto o sul suo modo di fare; in realtà, parlava soprattutto di se stesso: in meno di mezz’ora, Gazel apprese così che aveva quindici anni ed era del Capricorno, che gli capitava spesso di essere scambiato per una ragazza (su questo Gazel non aveva dubbi, però evitò con tatto di farglielo notare) e che veniva dalla periferia di Tokyo, ma aveva origini coreane. Chissà quanto ancora della sua vita sarebbe riuscito a raccontargli prima che finissero le scale. Era probabile che si sarebbe dilungato ancora molto, dopotutto aveva ben quindici anni e trenta scalini dalla sua parte…
Solo in quel momento Gazel si rese conto che, in effetti, c’era qualcosa che voleva chiedere, e che di certo lo interessava molto di più.
-Cos’è una... Spy Eleven?- domandò, interrompendo Afuro, che intanto gli stava elencando i suoi colori preferiti (guarda caso, erano proprio quelli con cui erano segnate le chiavi). Alla sua domanda, gli rivolse un’occhiata sorpresa.
-Cosa?- sbottò Gazel, irritato. Afuro si riscosse.
-Nulla, è che… beh, di solito è una delle prime cose che ti spiegano quando arrivi qui, quindi davo per scontato che Chang Soo… Non hai avuto la lettera?- disse, guardandolo intensamente. Gazel ripensò alla busta di carta gialla che Chang Soo gli aveva dato ore prima, aspettandosi probabilmente che lui l'aprisse e la leggesse mentre lui parlava con i responsabili dell'orfanatrofio. Ma Gazel non l'aveva fatto: l'aveva ficcata nella tasca dei pantaloni, senza aprirla, e doveva essere ancora là. Afuro si stancò presto di aspettare una sua risposta. -Oh, non importa, posso spiegartelo benissimo io, non è una cosa complicata- esclamò. –Nella polizia di tutto il mondo ci sono delle sezioni speciali in cui lavorano persone speciali, come me e te. Persone che hanno dei poteri particolari, capisci…- Fece un gesto con le mani, e Gazel lo interpretò come una scarsa imitazione di un mago che scaglia magie. –Queste sezioni si chiamano Inazuma Agency. Sono undici, in tutto, e i loro capi vengono chiamati Spy Eleven… gli undici più importanti, insomma. I più forti, o i più intelligenti, o i più bravi ad usare il proprio dono… hanno meriti speciali.
Afuro usava decisamente troppo la parola “speciale”, decise Gazel. Ma la spiegazione gli era abbastanza chiara.
-Quindi, Chang Soo è una persona importante. Che ci fa… qui?- Non trovò un modo migliore che descrivere quel posto, se non sottolineando quel “qui” con un’espressione scettica.
–Suppongo che ci siano posti migliori, più confortevoli, sì… ma qui non è male. Per molti di noi è un miglioramento rispetto a dove stavamo prima- ribatté Afuro con noncuranza. Lanciò un’occhiata all'espressione dell’altro e sorrise, ironico.
-Non hai idea di dove sei finito, vero?- tirò ad indovinare, e aveva ragione.
-Potresti dirmelo tu, tanto vedo che ti piace parlare- replicò Gazel, tagliente, guardandolo con sfida.
Afuro si girò di nuovo e salì gli ultimi gradini con dei saltelli.
-Mmm, invece credo che te lo lascerò scoprire da solo- disse, enigmatico. Spinse la porta che aveva davanti e sparì oltre di essa. Gazel sbuffò, buttò uno sguardo dietro di sé e poi lo seguì in fretta.
Ora che si era riempita di persone, la stanza d’ingresso non sembrava più così ampia.
Gazel si guardò intorno, per un attimo la sorpresa prevalse sul suo volto, ma subito riuscì a recuperare la propria maschera di freddezza. Si affiancò ad Afuro, all’apparenza composto e disinteressato, quando in realtà non faceva che scrutare ogni individuo nella camera. Erano almeno una ventina di ragazzi che indossavano una tuta rossa; lui e Afuro erano gli unici a non portarla, il che non fece che aumentare il suo disagio. Sentiva gli sguardi di tutti addosso.
Chang Soo entrò in quel momento, apparendo da un portoncino situato sotto uno sperone roccioso, squadrò la folla di persone e fece una faccia soddisfatta.
-Tutti in orario, bene- disse –così possiamo cominciare subito gli allenamenti.
Gazel si voltò di scatto verso Afuro. –Allenamenti?- sibilò. Il biondo fece spallucce.
-Oggi andremo nel campo interno. Faremo solo esercizi di corpo a corpo, per un po’ niente simulazioni, capito?- Chang Soo fece una pausa e guardò con rimprovero nella generica direzione di alcuni ragazzi. Due di loro spiccavano in modo particolare per via dei capelli rossi, un infelice accoppiamento con il colore della tuta; il più basso era pettinato in un modo che Gazel giudicò ridicolo, con una specie di fiamma sulla testa: sbuffò ed incrociò le braccia al petto, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’altro.
Chang Soo riprese senza far caso al loro scambio.
-Se è tutto chiaro, andiamo. Non voglio perdere tempo prezioso- esclamò, quindi si voltò e tornò da dove era venuto, questa volta con un manipolo di persone che lo seguivano in fila indiana. Gazel trascinò Afuro verso la fine.
-Cosa significa?- chiese sottovoce. –Cosa dobbiamo fare? Io non so combattere! Non insegnano queste cose dove sono cresciuto!
-Se Chang Soo pensasse che non è cosa per te, avrebbe detto qualcosa. Ma non l’ha fatto, perciò deve credere che tu ce la possa fare- rispose Afuro. Poi, notando un leggero allarme nei suoi occhi, gli mise una mano sulla spalla e aggiunse:- Non preoccuparti, negli scontri corpo a corpo l’uso dei poteri non è permesso… E senza poteri la maggior parte della gente qui non vale granché. Anche il dono più forte non ti serve, se ti manca il cervello.
-Certo- mormorò Gazel, cupo, osservando la corporatura massiccia di due dei ragazzi che camminavano in testa alla fila. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutta la sua astuzia per non portarsi a casa un osso rotto, sul piano della forza non aveva speranze… Con la coda dell’occhio spiò il viso di Afuro, che sembrava del tutto tranquillo. Gazel capì che da lui non avrebbe avuto altri aiuti, per cui inspirò profondamente e, rassegnato al suo destino, mantenne il passo con i pugni stretti lungo i fianchi.
Quando il corridoio finì, si ritrovò insieme agli altri in una camera larga e di forma trapezoidale: il pavimento era rivestito da uno spesso strato di gomma arancione, del tipo che si trova sui campi d’atletica, e le pareti erano di vetro opaco. Gazel alzò il viso verso i neon azzurri attaccati al soffitto e, quando lo riabbassò, vide che uno dei due rossi, quello più alto, lo stava guardando. Aveva i capelli lisci legati in un codino dietro la nuca.
Distolse subito lo sguardo non appena i loro occhi s’incrociarono –i suoi erano di un verde stinto, questo Gazel fece in tempo a notarlo. Entrambi tornarono a guardare davanti a sé, dove Chang Soo stava dando le istruzioni per l’allenamento.
-Afuro, oggi vai tu contro Nagumo- stava dicendo, e il biondo e il ragazzo che si chiamava Nagumo (quello con i capelli a forma di fiamma) si fecero avanti.
-Direi che mi devi qualcosa dalla volta scorsa…- ringhiò Nagumo scrocchiandosi le nocche delle mani. Afuro non parve intimidito, assunse un’aria pensosa mentre con un elastico si legava i capelli.
-Mmm… intendi quando ti ho buttato a terra? Oh, mi spiace, ma non è colpa mia se hai poco equilibrio, Haruya. Del resto, tu mi hai tirato un pugno nel fianco, se non sbaglio... Guarda, ho ancora il livido- ribatté, sollevando un angolo della maglietta per provare quanto detto. La coda di cavallo gli ricadde sulla schiena, lasciando fuori solo due ciocche ai lati delle orecchie.
Intanto Chang Soo continuava a fare le coppie e, alla fine, Gazel non aveva idea di quali fossero stati i criteri di scelta: a parte Afuro e Nagumo, infatti, le altre coppie non erano formate per accostamento di stazza, anzi pareva che ci fosse del sadismo nella scelta degli abbinamenti. Per esempio, l’altro rosso, che si chiamava Kiyama, fu abbinato ad uno dei due giganti, una specie di skinhead grosso il doppio di lui sia in altezza che in larghezza.
E poi, naturalmente, il secondo gigante se lo beccò lui. Chang Soo li chiamò per ultimi.
-Gazel, so che sei appena arrivato, ma desidero che tu prenda parte alle esercitazioni come tutti gli altri. Ti servirà per capire come funziona l’addestramento- gli disse, serio, ma con un sorriso d’incoraggiamento. –Inoltre, se tu non ci fossi, saremmo dispari! Eun-Young, oggi non dovrai fare rotazioni. Hai un compagno tutto per te, prenditi cura di lui.
-Sarà fatto- ribatté il gigante con una voce roca e profonda che ricordava un rombo di tuono. Aveva occhi vitrei, quasi bianchi, capelli e barba violetti e un mento molto sporgente.
Gazel sostenne il suo sguardo cercando di non mostrarsi nervoso: era difficile non lasciarsi intimidire, dal momento che l’altro lo sovrastava di almeno una ventina di centimetri, per non contare le braccia massicce e il petto teso come un tamburo. Sembrava potesse esplodere da un momento all’altro e la pelle così rosa lo faceva assomigliare ad uno dei cattivi di Dragonball.
Chang Soo li fece sparpagliare per il campo, di modo che ogni coppia avesse uno spazio sufficiente, e quando diede il cenno d’inizio Eun-Young fece un ghigno che non prometteva nulla di buono. Gazel ebbe appena il tempo di intuire la sua mossa e scansarsi rapidamente di lato prima che l’altro gli si scagliasse contro e cercasse di colpirlo con un grosso pugno; non riuscì però a prevedere il secondo colpo, e un violento pugno allo sterno gli mozzò il fiato in corpo. Cadde in ginocchio e rimase a terra, boccheggiante. Da sotto la frangia dei suoi capelli bianchi, poteva vedere il volto trionfante di Eun-Young.
-Che ti prende, novellino? È già finita?- lo stuzzicò, per poi incrociare le braccia al petto e scoppiare in una fragorosa risata. Gazel lo trovò odioso, ma non rispose alla provocazione, come questi aveva forse sperato; invece, da dov’era, si guardò intorno e osservò gli altri: nessuno faceva caso a loro, erano troppo impegnati nei propri combattimenti.
Nagumo aveva atterrato Afuro sulla pancia, ma il biondo era riuscito ad serrargli le spalle con i piedi e l’aveva costretto a mollare la presa, tirandolo all’indietro fino a fargli fare una capriola di lato. Gazel spostò lo sguardo ed individuò Kiyama e il suo avversario: nonostante ci fosse un’enorme differenza di dimensioni, il primo non era affatto intimidito e, quando finì a terra, non si perse d’animo, con le gambe attanagliò quelle del compagno e lo tirò giù.
-Ragazzi, qualcuno mi dà il cambio? Questo qui è già andato…- stava dicendo Eun-Young con un finto tono lamentoso. –Se vuoi ti do un handicap, posso combattere su una gamba sola…
Gazel decise che era il momento di farlo stare zitto.
Era certo di non avere la forza sufficiente a trascinarlo giù, ma per fargli perdere l’equilibrio sì: imitando il movimento di Kiyama, fece leva sulle mani e girò su se stesso, rapidamente, mirando alle gambe dell’altro.
Eun-Young, che si era messo davvero su una gamba sola, perse subito l’equilibrio; l’attacco lo colse talmente di sorpresa che non fece a tempo a mettere le mani avanti come protezione, per cui cadde di faccia emettendo un verso secco di dolore. Gazel restò a guardarlo mente si tirava su, con una mano premuta contro il naso che gocciolava sangue: la smorfia infuriata del suo avversario gli diceva che fosse il caso di allontanarsi velocemente, solo che non riusciva a rialzarsi.
-Sei morto, novellino- grugnì Eun-Young, rimettendosi in piedi. Si passò una manica sul volto, spalmando il sangue sul volto, e alzò i pugni contro di lui. –Questo è il tuo primo e ultimo giorno qui. Ti romperò tutte le ossa di quel misero corpicino- minacciò tra i denti digrignati.
Gazel non aveva dubbi che l’avrebbe fatto. Iniziò ad arretrare quanto più rapidamente poteva rimanendo a terra, con le gambe e le mani nude che sfregavano contro la gomma rovente, ed intanto si spremeva le meningi in cerca di un’idea che potesse salvargli la pelle. Una parte di lui sperava che Chang Soo li avrebbe bloccati prima che Eun-Young gli fracassasse una spalla, o peggio il cranio, ma non ne era del tutto certo. Alla fine, ovunque si trovasse, era sempre quella la sua unica certezza: non poteva fidarsi di nessuno.
Mentre rifletteva, si trovò immerso in un chiarore azzurrino: alzò la testa di scatto e scoprì di trovarsi proprio sotto uno dei faretti. Sorpreso, seguì con lo sguardo la direzione della luce, che si rifletteva contro le pareti opache e si spargeva sul pavimento; per un attimo ne fu accecato e nella sua memoria vennero a galla alcune cose lette in un libro di scienze, tempo prima.
Quello era il momento di mettere fine a quell’assurdo scontro.
Gazel raccolse tutte le sue forze per scattare in piedi e si spostò proprio in mezzo al largo fascio di luce bianca riflessa dalle due pareti opposte. Eun-Young si scagliò su di lui con un grido di guerra e, come Gazel aveva previsto, rimase accecato al punto da non vedere più cosa aveva davanti o dietro, così che il ragazzino poté facilmente sgusciare via. Il gigante grugniva e si agitava, dando pugni all’aria nel tentativo di colpirlo; infine, sbatté contro la parete più vicina e ricadde all’indietro con un tonfo sordo. Stavolta, non si rialzò, ma restò steso sulla schiena, e solo allora Gazel si rilassò.
Pochi secondi dopo, Chang Soo soffiò nel suo fischietto di ceramica e tutti i combattimenti si interruppero. Benché fosse curioso, Gazel non si girò per vedere chi avesse vinto tra Afuro e Nagumo, o tra Kiyama e l’altro colosso. Ogni singolo respiro gli procurava un dolore acuto alla cassa toracica e avvertiva un leggero ronzio, il rombo del suo stesso sangue, nelle orecchie.
Era così stordito che non si accorse che Afuro si era avvicinato finché la sua voce (un rumore improvvisamente troppo vicino, troppo alto) non lo fece sussultare.
-Hai visto? Te la sei cavata benissimo!- si congratulò. –Te l’avevo detto che qui non brillano per intelligenza…- aggiunse, adocchiando con un sorriso soddisfatto il corpo svenuto di Eun-Young, che giaceva ancora a terra. Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma la voce di Chang Soo sovrastò le sue parole.
-Per oggi basta così. Avete un’ora per darvi una ripulita, medicare eventuali ferite e prepararvi per la cena- avvisò, poi si girò e fece cenno all’avversario di Kiyama di aiutare Eun-Young a riprendersi a rimettersi in piedi. Lo skinhead sospirò, scosse il capo ed obbedì. Gazel notò che, al contrario di Eun-Young, aveva un’aria tranquilla e paziente che contrastava con le sue dimensioni minacciose. Kiyama era stato più fortunato di lui.
Mentre uscivano, nuovamente in fila indiana, Eun-Young gli scoccò un’occhiata furiosa, ma Gazel lo ignorò, scegliendo invece di concentrarsi su Afuro e il suo racconto di come aveva magistralmente battuto Nagumo.
-Haruya è agile e furbo, ma non è molto paziente, attirarlo in trappola è una passeggiata. Ora che ci penso, devo assolutamente presentartelo- stava dicendo il biondo.
-Perché? Ci somigliamo?- si sforzò di chiedere, esausto.
-No, anzi, siete quasi agli antipodi. Vi odiereste- rispose Afuro ridendo. Gazel non poté fare a meno di chiedersi cosa ci trovasse di tanto divertente, e soprattutto come facesse ad essere così allegro nonostante avesse un labbro spaccato, un livido sulla clavicola e chissà quanti altri nuovi segni sulle parti del corpo ora coperte dai vestiti.
Lui, al contrario, era assolutamente di cattivo umore e sentiva anche una vaga nausea, al punto che credeva di poter vomitare da un momento all’altro. Sperò che le docce non fossero troppo lontane. Non era sicuro di poter camminare ancora per molto.
Per fortuna, le sue preghiere vennero esaudite: gli spogliatoi non erano molto distanti dalla sala addestramento e le cabine doccia erano parecchie, segno che chiunque le avesse progettate era stato abbastanza sveglio da calcolare la presenza di almeno venti ragazzotti sudati. Certo, proprio perché erano molte, erano addossate l’una all’altra, strette e con zero privacy ad eccezione delle tre sottili pareti di plastica ingiallite, ma a nessuno dei ragazzi pareva importare. Avrebbe potuto causare imbarazzo se ci fosse stata qualche ragazza, ma siccome non ce n’erano, tutti si liberarono in fretta dei propri abiti e corsero a lavarsi.
Gazel se la prese un po’ più comoda, più che altro perché trovò estremamente difficile sfilare i bermuda dalle proprie gambe doloranti; quando finalmente riuscì a spogliarsi, si appropriò dell’ultima doccia sulla sinistra, aprì il getto d’acqua fredda e alzò il viso con un sospiro di sollievo. Poco dopo gli sfuggì un sibilo di dolore perché le ferite su mani e gambe avevano iniziato a bruciare: solo allora si accorse di quanto fossero scorticate. La gomma di quel campo era stata più crudele di quanto si aspettasse. Lavò via il sangue e si passò rapidamente le dita nei capelli bianco-azzurri per sciacquarli. Se avesse potuto, sarebbe rimasto sotto l’acqua gelida in eterno. Lui amava il freddo, cosa strana perché amava anche la luce.
-Gazel? Sei ancora lì? Ti ho portato uno dei miei ricambi. Chang Soo ha detto che ci vorrà un po’ per farti avere vestiti, tuta e tutto il resto- la voce squillante di Afuro richiamò la sua attenzione. Gazel si girò e vide un braccio teso davanti a lui, con un asciugamano di spugna e alcuni abiti piegati.
Chiuse la manopola, afferrò l’asciugamano e, dopo esserselo legato in vita, uscì.
-Grazie- borbottò a bassa voce. Afuro scosse il capo, i suoi occhi fissi sul torace nudo dell’altro.
-Okay, a parte il fatto che sei davvero scheletrico… ouch, quello deve aver fatto male. Dopo ti porto in infermeria, se non ci mettiamo un po’ di pomata non andrà mai via- commentò.
Gazel lo guardò confuso, poi abbassò il volto e capì.
-Oh- sfiatò quando notò il livido nero-violaceo che gli macchiava la pelle, là dove c’era lo sterno. Ripensò al pugno che aveva ricevuto. Non c’era da stupirsi che gli facesse male il petto.
Afuro gli tese un paio di slip bianchi e Gazel li mise senza dire nulla, in fondo gli bastava avere qualcosa da mettersi addosso; non si lamentò nemmeno quando si trovò ad indossare una maglietta blu con più glitter di quanti mai ne avesse visti in tutta la sua vita, ed un paio di pantaloncini grigi slabbrati. Avanzò verso la panca su cui aveva lasciato i vecchi vestiti, intenzionato a restituirli ad Afuro e a rimettersi le scarpe.
Era impegnato ad allacciare le fibbie dei sandali quando qualcuno gli si avvicinò, coprendogli la luce. Gazel alzò gli occhi per scoprire chi l’avesse investito con la propria ombra e si trovò davanti a Kiyama e un altro ragazzo dai capelli castani tenuti su da una fascia arancione.
-Ehi, benvenuto!- lo salutò quest’ultimo con un largo sorriso. Gazel notò con orrore che aveva la voce ancora più alta ed allegra di quella di Afuro. Gli fece venir voglia di scappare a gambe levate, ma non lo fece perché Kiyama gli stava tendendo la mano.
-Ciao- disse, accennando un lieve sorriso. –Io mi chiamo Kiyama, Kiyama Hiroto.
-Ed io sono Endou Mamoru!- esclamò il suo amico, in modo così solare che Gazel avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. –Tu sei Gazel, giusto? Ma è un nome o un cognome?
Gazel represse un verso frustrato e strinse le mani sugli spigoli delle panca. Che brutta idea, realizzò un secondo dopo, quando la sensazione di mille spilli gli ricordò dei propri palmi graffiati.
-Non lo so. Chiamatemi solo Gazel- si sforzò di rispondere gentilmente, e siccome Kiyama continuava a stare con la mano sospesa, in attesa che lui la stringesse, gli mostrò le proprie ferite. All’altro bastò un’occhiata per convincersi a ritrarre la mano.
-Wow, quelle non le avevo notate- intervenne Afuro. –E guarda le gambe! Cavolo, io in infermeria ti porto subito.- Fece una smorfia crucciata e gli afferrò un braccio, tirando perché si alzasse.
-Ci vediamo in giro- disse Kiyama. Gazel annuì senza entusiasmo e assecondò Afuro. Era troppo stanco per reagire, inoltre aveva davvero bisogno di qualcosa che fermasse il dolore. Non sapeva ancora se poteva fidarsi del suo compagno, ma non aveva scelta.
 
xxx
 
La mensa era una stanza circolare, a detta di Afuro situata tra le due sale di addestramento, quella interna e quella esterna (Gazel trattenne un gemito: la sola parola “addestramento” bastava quasi per fargli passare l’appetito), e comprendeva cinque tavoli di legno, separati appena da un paio di centimetri e disposti ad U secondo l’andamento delle pareti, più un settimo: quest’ultimo era più simile ad una cattedra, era ricoperto da una cerata quadrettata ed era il posto riservato a vivande e bevande, una specie di piccolo banchetto che veniva allestito ad ogni pasto.
Solo quando lo vide entrò con indosso un grembiule rosso e le mani occupate da una grande pentola di zuppa di ramen, Gazel scoprì che, almeno in quel posto, Chang Soo faceva proprio tutto, dal cuoco all’allenatore, e grazie a questo riscuoteva molto più che il semplice rispetto per la sua carica da superiore. Le reclute lo ammiravano dal più profondo del cuore. Lo skinhead si sollevò in piedi e si offrì di aiutarlo a preparare i piatti. Ben presto, ognuno si trovò seduto al proprio posto, circondato da altri quattro o cinque compagni, con una scodella di ramen fumante sotto il naso. Gazel sentì l’acquolina formarsi in bocca, il suo stomaco brontolò e gli venne in mente che non toccava cibo dalla colazione: Chang Soo era passato a prenderlo all’orfanatrofio proprio nell’orario di pranzo e, tra una cosa e l’altra, non aveva potuto mettere niente nella pancia. Da sotto la frangia sbirciò gli altri e, non appena li vide tuffarsi nei piatti, prese anche lui il cucchiaio e lo immerse nel brodo bollente; assaggiò, il sapore leggermente piccante gli bruciò il palato, ma aveva troppo fame per rifiutare quel pasto. Finì l’intero piatto in pochissimo tempo e poi svuotò quattro bicchieri d’acqua.
-Pane?- offrì Kiyama, tendendogli una pagnotta integrale nel palmo aperto. A Gazel non era mai piaciuto il pane, ma in quel momento avrebbe mangiato di tutto, motivo per cui ringraziò frettolosamente e cominciò a sbocconcellare il panino. Kiyama gli rivolse un sorriso quasi intenerito. Osservandolo meglio, Gazel si rese conto che l’unica cosa in comune tra i due rossi erano proprio i capelli, e neanche questo era del tutto esatto: Nagumo aveva quella bizzarra fiamma al centro del capo e il suo rosso era più carico, più forte di quelli di Kiyama, che invece erano lisci, a caschetto, con due ciuffi che gli spuntavano a lato delle orecchie.
Kiyama era, tra le altre cose, più alto e slanciato di Nagumo, e più bello. C’era qualcosa di indubbiamente affascinante nel contrasto tra i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle d’alabastro, così bianca sui polsi che si vedeva il blu delle vene in trasparenza. Se non fosse stato per Afuro, probabilmente Kiyama sarebbe stato di gran lunga il più bello tra i ragazzi presenti nella stanza. Era anche stranamente gentile con lui, o più che altro educato. Gazel notò che trattava tutti con un cortese distacco; l’unico per cui pareva fare eccezione era Endou, al quale stava più o meno sempre appiccicato, anche in quel momento.
Senza che avesse capito precisamente il perché, infatti, al suo stesso tavolo si erano seduti Kiyama, Endou, Afuro (beh, su Afuro non aveva dubbi. Non sapeva cosa gli avesse ordinato Chang Soo, ma era chiaro che il biondo era praticamente diventato il suo baby-sitter a tempo pieno, o qualcosa del genere) e, sorpresa delle sorprese, Nagumo.
Afuro non li aveva presentati né nessun altro lo fece.
La cena trascorse il silenzio, interrotta solo da tintinnio di posate, rumori di risucchio e occasionali rutti, e alla fine tutti si alzarono in piedi per ringraziare per il pasto e ripulire i tavoli; piatti, cucchiai e bicchieri di plastica furono lanciati nei larghi cestini della spazzatura, le bottiglie di vetro ammassate in una scatola di cartone dietro la cattedra e Chang Soo sollevò il pentolone per riportarlo in cucina. Prima di uscire, però, si rivolse ai suoi ragazzi.
-Oggi è stata una buona giornata. Mi auguro che sarà così anche domani. Potete tornare alle vostre stanze… fate ciò che volete, ma siate a letto prima delle undici. Non voglio zombie domani a colazione- qualcuno rise, e anche Chang Soo si concesse un sorriso prima di tornare serio. –Gazel, vieni con me. Ho qualcosa da darti… e da dirti- dichiarò, guardandolo dritto negli occhi. Li aveva neri come pietre d’onice. Era la prima volta che Gazel li vedeva davvero.
Annuì lentamente e seguì il suo superiore, tentando di ignorare le occhiate degli altri. Stare al centro dell’attenzione era proprio l’ultima cosa che voleva, ma sembrava essere inevitabile.
 
Chang Soo posò il pentolone nelle cucine, che erano proprio alle spalle della mensa, poi uscì da una porta laterale e percorse un lungo corridoio tappezzato di carta da parati. Gazel, che l’aveva seguito per tutto il tempo senza che si scambiassero una sola parola, rimase per qualche istante rapito dalla bellezza del dragone disegnato sulla carta: si allungava per tutta la lunghezza del corridoio, rosso e dorato e con rifiniture in nero così minuziose da dare l’idea che fosse stato dipinto a mano.
L’ufficio di Chang Soo era l’unica stanza a non trovarsi sul fondo della base. Il lato sinistro era interamente occupato da un basso tavolo di legno su cui erano accatastati fascicoli di fogli e piccoli libricini di velluto. Una porta sul fondo lasciava intendere che la camera proseguisse: era probabile che Chang Soo dormisse là. Gazel si soffermò a guardare le due librerie incastrate dietro il tavolo e si sporse in avanti nel tentativo di leggere i titoli dei tomi, ma alcuni erano in lingue che non conosceva.
-Se ti interessa qualcosa, non esitare a prenderlo. I miei libri sono a disposizione di tutti.- Gazel, colto di sorpresa, si ritrasse di scatto e fece del suo meglio per fingere disinteresse.
-Oh, no, non ricominciare con quell’espressione- lo rimbrottò Chang Soo con un sorriso ironico.
-Una persona che non si interessa a nulla è incredibilmente noiosa, non trovi? Tu sembri una persona interessante. Mi piaci- proseguì –ma hai sempre l’aria di uno che trova tutto noioso. Un quattordicenne non dovrebbe avere l’aria di uno che ha già visto tutto. Oggi ti sei annoiato?
Gazel strinse i pugni fasciati e li nascose dietro la schiena.
-Non esattamente- mormorò, neutro. Chang Soo continuò a sorridere e il ragazzino lo fissò con sfida.
–Lei invece si è divertito a vedermi quasi ammazzato da un molosso?- sibilò.
-Calma, calma. Eun-Young è pur sempre un tuo compagno.
-Voleva rompermi tutte le ossa del corpo- fece notare Gazel, irritato. –Parole sue.
Chang Soo si chinò, prese un cuscino da sotto il tavolo e ci si sedette a gambe incrociate.
-Eun-Young ha un temperamento un po’ difficile- riconobbe. –Ma non ti ha rotto le ossa. Sei stato bravo, Gazel. Ti ho visto cercare la soluzione intorno a te ed imparare da ciò che hai osservato: questa è una qualità che apprezzo molto nei miei ragazzi. Sei molto intelligente…
-È questo il motivo per cui sono qui? Perché sono intelligente?- lo interruppe Gazel, scettico. Chang Soo gli lanciò una lunga occhiata, poi sospirò ed incrociò le mani nel grembo.
-Sei qui perché hai un dono. Conoscevo il tuo caso, ma solo quando ti ho visto ho capito che eri davvero come noi. Tu sei un drifter- disse.
-Non so cosa diavolo voglia dire quella parola e non so cosa lei abbia sentito su di me, ma le assicuro che sbaglia. Sono diverso dagli altri, è vero, ma non ho alcuna capacità speciale, o…- Gazel si accigliò e distolse lo sguardo, torvo. -O un dono, o come cavolo vuole chiamarlo lei. Non so fare niente.
-Questo non è esatto. Il giorno in cui ti trovarono…
sordo, per caso? Le ho detto che non c’è nessun dono! Non è successo nulla! Io non so fare niente!- Solo una volta pronunciata l’ultima parola, Gazel si rese conto di aver urlato. Ammutolì all’istante, distolse lo sguardo voltando il viso di lato e si morse il labbro inferiore; poi iniziò ad avvertire un nodo alla gola, la nausea, e il familiare impulso di fuggire via. Chang Soo, al contrario, non parve particolarmente colpito, né in negativo né in positivo. Rimase seduto, calmo, a guardarlo e aspettò che passasse qualche minuto prima di parlare.
Gazel sapeva che gli stava concedendo la possibilità di scappare, tuttavia non lo fece.
-C’è una cosa che mi incuriosisce- disse infine Chang Soo. –Il giorno che sono venuto a prenderti, mi hai chiesto soltanto una cosa, ricordi? Volevi sapere se il posto in cui ti portavo aveva abbastanza luce. Come mai ti interessava saperlo?- domandò, con un tono lento e misurato. Era lampante che non voleva tradire alcuna emozione. Gazel tenne lo sguardo basso: quel gioco potevano farlo anche in due.
-Odio i posti bui- rispose a labbra strette. –Posso andare ora? Sono stanco. Sa, oggi pomeriggio un mio compagno ha cercato di rompermi il cranio- aggiunse, sarcastico.
-Ma certo, vai pure. Gli abiti e la tuta che ho ordinato per te arriveranno fra tre giorni, ti avvertirò io. Spero che ti troverai bene qui- replicò Chang Soo, mite. Accennò alla libreria.
–Se vuoi uno dei miei libri, prendilo pure. È stato un piacere vedere i tuoi occhi accendersi, per una volta. Devi aver vissuto molto nell’oscurità e i tuoi occhi ne sono impregnati. Se odi così tanto i luoghi bui, non vedo speranze per te. Dopotutto…- la sua voce si abbassò fino a diventare un sussurro –…gli occhi privi di luce non possono catturare la luce stessa.
Gazel ignorò il brivido freddo che quelle parole gli procurarono e se ne andò.
Quella persona non gli piaceva, decise. Sembrava gentile ed educato, ed invece voleva solo sputare lezioni di vita, come se ne sapesse più di tutti, come se l’essere di grado superiore gli desse il permesso di dire qualunque cosa gli passasse per la testa. Avrebbe dovuto capirlo.
Le persone mentono.
Le persone non sono mai gentili senza un secondo fine.
È crudele, ma così sono gli esseri umani.
Gli esseri umani sono i più bravi a mentire.
Aveva perso il conto di quante volte quelle frasi erano risuonate nella sua mente, si erano ripetute per tanto tempo che ormai ne era del tutto convinto: le aveva fatte sue.
E la prova di questa teoria era che lui era il primo a mentire sempre.
Girò l’angolo del corridoio e si fermò di scatto, appena in tempo per non sbattere contro Afuro, che lo stava aspettando in piedi a pochi metri dall’ufficio di Chang Soo. Gazel scacciò il pensiero molesto che potesse aver sentito qualcosa, benché fosse verosimile, e lo squadrò da capo a piedi, accigliato, con un’implicita domanda negli occhi.
-Ho pensato che non ti andasse di tornare da solo. Quelle scale sono orrende…- rispose Afuro incamminandosi. Gazel fece un cenno col capo e si accodò a lui.
 
Le scale erano orribili, buie e strette come al solito: per tutto il tempo non fece altro che toccarsi la gola ed immaginare il filo che la stringeva. 


**Angolo dell'Autrice**
Eccomi qua! Era da un po' che pensavo a questo spin-off e spero che l'idea piaccia anche a voi. La storia sarà seguita perlopiù dal POV di Gazel, con qualche eccezione. È un personaggio con una storia un po' particolare, inizialmente non l'avevo approfondito molto, ma in seguito ho iniziato a ricamare su di lui e alla fine ho deciso di dargli più spazio. In questa fic è molto diverso da come lo vedete in Spy Eleven, dove è molto sicuro di sé ed è capace di fidarsi degli altri; qui è ancora un ragazzino triste, disilluso, fa quasi male vederlo così.
La coppia principale è la BanGaze, ma ci saranno anche accenni ad altre coppie, per esempio la HiroEn one-sided (sì, in questo periodo Hiroto è ancora alle prese con la sua brutta cotta per Endou, anche se lo nasconde bene) e un sacco di GazeAfu brotp perché il loro rapporto è una delle mie cose preferite in assoluto (nel caso non lo sappiate, io li shippo anche romanticamente, lol) ♥
Grazie infinite alla mia Bananah che mi ha betato il capitolo mesi or sono (?) -sei un tesoro ♥♥
Bacioni,
     Roby

P.s. Tutti i membri del centro di addestramento sono giocatori realmente esistenti nell'universo di IE, alcuni sono presi dalla Fire Dragon (la squadra coreana del FFI) e altri dalla Zeus Academy :))

 

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Capitolo 2
*** Act2 - Wounded. ***


Ahah, non ho avuto tempo di betare il capitolo. Spero che non ci siano errori(?).
Buona lettura!


Act.2 – Wounded
«I will never feel anything else until my wounds are healed.»
(Somewhere I belong - Linkin Park)
 
Le pareti della stanza erano nude, umide e minacciose; sembravano incombere su di lui non appena apriva gli occhi. Gazel aveva la sensazione che potessero chiudersi sul suo corpo da un momento all’altro, e allora il centro d’allenamento sarebbe diventato una buia catacomba.
Non erano dei bei pensieri con cui cominciare una giornata.
-Te l’hanno mai detto che ti agiti nel sonno?- chiese Afuro all’improvviso.
Gazel girò lievemente il capo e vide la sua testa bionda spuntare oltre la sbarra del letto superiore.
-No- rispose mentre si metteva a sedere. –Non avevo compagni di stanza all’orfanatrofio.
-Ah, beh… Ti agiti nel sonno, ora lo sai.
Gazel non commentò. Sbadigliò, si stiracchiò come un gatto e scalciò via le coperte per non inciamparci mentre scendeva la scaletta.
Afuro era già in piedi e si stava vestendo: aveva già indossato un paio di jeans neri e stretti e gli stessi stivaletti del giorno prima, e di quello prima ancora. Sembrava che per lui l’idea di mettere delle scarpe da ginnastica non fosse neanche contemplata. S’infilò una maglia a righe grigie e dorate, poi buttò fuori dal colletto i capelli che vi erano rimasti impigliati e li lasciò ricadere come una cascata sulle spalle. Gazel lo osservava con interesse.
Ogni tanto, si scopriva a pensare che non sarebbe stato male essere così – Afuro sembrava avere una sicurezza in se stesso sconfinata, intaccabile, e Gazel non poteva negare di esserne invidioso. Non che a lui interessasse il giudizio degli altri, ma a volte gli veniva spontaneo chiedersi come si facesse ad apparire così spensierati. Osservando i gesti lenti, sicuri e sereni di Afuro, Gazel aveva l’impressione che l’altro non avesse nessun problema nella vita, che fosse completamente libero. E Gazel era avido di libertà. Era avido di sicurezze.
All’improvviso Afuro scoppiò in una mezza risata; Gazel si riscosse dai propri pensieri, sbatté un paio di volte le palpebre e, mettendo davvero a fuoco il compagno, si rese conto che anche l’altro lo stava fissando.
-Ehi, so di essere bellissimo, ma dovresti darti una mossa- gli fece notare Afuro, mite.
Gazel aggrottò la fronte, imbronciato per il fatto di essere stato beccato in un momento di distrazione. Distolse rapidamente lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli spettinati per mascherare l’imbarazzo; poi si mise a frugare tra le coperte del proprio letto nella ricerca dei vestiti che il giorno prima aveva tolto e buttato là alla rinfusa: era sempre così, le giornate d’allenamento lo sfinivano al punto tale che si trascinava in camera come uno zombie e non faceva mai veramente caso a dove metteva le proprie cose. E, per dire la verità, non era nemmeno cose sue. Benché fosse passata già una settimana i vestiti tardavano ad arrivare e Afuro continuava a prestargli abiti che non gli stavano mai giusti, sempre troppo stretti intorno alle spalle o troppo larghi sul torace.
Finalmente trovò la maglia nera e i bermuda e se li infilò in fretta. Afuro si ficcò le chiavi in tasca e si appoggiò alla porta; aveva indossato un gilet marrone sulla maglietta e sembrava già pronto ad uscire, tuttavia lo stava aspettando, come tutte le mattine. Al contrario degli altri ragazzi, che perlopiù lo ignoravano, il biondo non aveva mai mostrato altro che cordialità nei suoi confronti. Gazel non riusciva a non pensare che fosse strano e lottava costantemente verso la piccola parte di sé che si compiaceva di quelle attenzioni.
-Hai finito?- domandò Afuro senza impazienza.
Gazel si piegò ad afferrare i sandali, li calzò rapidamente e poi annuì. Afuro aprì la porta, aspettò che lui uscisse e la richiuse alle loro spalle. Le chiavi tintinnarono contro la serratura e Gazel le fissò; oltre ai vestiti, ancora non aveva avuto il suo mazzetto di chiavi, ma ne aveva già memorizzato i colori. Li ripeté in mente, per calmarsi e per riempire il silenzio mentre lui e Afuro risalivano le scale a chiocciola.
Giallo, stanza.
Verde, mensa.
Azzurro, sala addestramento…
-Ehi, buongiorno!- Una voce allegra lo interruppe, facendogli perdere il filo. Gazel non aveva bisogno di alzare lo sguardo per sapere chi l’avesse chiamato; non si poteva dire che Endou non si facesse notare, visto che parlava sempre ad un volume eclatante, terribilmente fastidioso. Il ragazzo stava davanti alla porta della mensa e, subito dopo che aveva finito di parlare, accanto a lui comparve anche Kiyama. Quei due erano inseparabili.
-Buongiorno!- Afuro rispose al salute, mentre Gazel e Kiyama si limitarono a fare un cenno col capo. Kiyama gli sorrise, ma Gazel non ricambiò.
All’interno della mensa, il resto dei ragazzi si era già riunito per la colazione e, dalle facce stanche e tramortite di alcuni, era evidente che il programma di allenamento di Chang Soo non sfiancava soltanto lui – Gazel si sentì lievemente rincuorato da questo pensiero.
Passò tra Endou e Kiyama, si avviò verso il tavolo in fondo, ancora deserto perché Chang Soo non aveva ancora portato la colazione, e prese un vassoio dalla pila che troneggiava al centro dell’incerata a quadri. Quando si girò, inciampò e per un soffio non fece cadere il vassoio, riuscendo a stento a restare in equilibrio; si guardò intorno per vedere cosa lo avesse fatto cadere e i suoi occhi si posarono, indifferenti, su due ragazzi che conosceva di vista.
-Cosa succede, novellino? Non riesci neanche a stare in piedi?- esclamò il più basso, che si chiamava Hepai. Aveva la pelle color caffè (Gazel aveva sentito dire che aveva una qualche discendenza indiana) e capelli violacei, ondulati, che gli arrivavano fino alle spalle. Il ragazzo a fianco a lui, che lo accompagna sempre, era alto e largo il doppio e portava i capelli legati in una treccia laterale; dietro di loro c’era anche Eun-Young, che lanciò a Gazel un’occhiata aggressiva: sembrava dispiaciuto che non fosse caduto.
Sicuro al cento per cento che Hepai gli avesse fatto lo sgambetto di proposito (la sua espressione divertita non lasciava dubbi), Gazel gli diede subito le spalle, deciso ad ignorarlo.
Hepai, insoddisfatto dalla sua mancanza di reazioni, continuò a parlare alle sue spalle, attento a tenere un tono abbastanza alto perché l’interessato potesse sentire.
-E ti pareva, non sia mai che il signorino “Cuore di ghiaccio” mostri dei sentimenti! Ammesso che ne abbia… Un robot fatto e finito. Si saranno anche dimenticati di dargli un cuore…- disse, facendo ghignare Eun-Young e l’altro ragazzo di cui Gazel non ricordava il nome.
-Falla finita, Hepai- sbuffò Afuro, intromettendosi nella conversazione (se così si poteva chiamare, visto che Hepai stava facendo tutto da solo). Era comparso all’improvviso al fianco di Gazel e aveva anche lui un vassoio in mano - dalla sua espressione sembrava volerlo usare più come arma che non come piatto. Pareva che, per qualche motivo che Gazel ignorava, tra Afuro e Hepai non corresse buon sangue.
Il ragazzo dai capelli viola rivolse ad Afuro un sorriso tanto innocente quanto falso.
-Farla finita? Ma io non sto facendo niente. Non è colpa mia se il tuo amico non si regge in piedi…- smise di parlare non appena vide Chang Soo e Jo Jung-Soo (lo skinhead che spesso aiutava la Spy Eleven a svolgere lavori in cucina) entrare con un pentolone di riso bianco bollito e un carrello colmo di altre pietanze e tazze di ceramica azzurra.
Hepai gettò un’ultima, intensa occhiata maliziosa verso Afuro, poi si voltò e andò a sedersi con i suoi compagni. Afuro alzò gli occhi al cielo e borbottò un paio di parole in coreano prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione verso Gazel; gli afferrò un gomito e iniziò a tirarlo verso il tavolo più in fondo, dove si erano già seduti Kiyama, Endou e Nagumo (quella sembrava essere diventata la loro disposizione standard).
-Devi stare attento a quella gente. Non gli stai simpatico- disse Afuro.
-Ma dai?- ribatté Gazel ironico. Strappò il braccio alla presa dell’altro e aggiunse, brusco:- Non sono affari tuoi. Non immischiarti. Se dai peso alle loro stupidaggini, è anche peggio.
-Cercavo solo di aiutarti- fece notare Afuro, accigliato.
-Beh, non farlo. Non mi serve il tuo aiuto- affermò Gazel, si sedette sul ciglio della panchina a fianco a Kiyama e lasciò cadere il vassoio sul tavolo senza alcuna delicatezza.
Nagumo, che era seduto di fronte a lui, fischiò tra i denti.
-Qualcuno si è svegliato di umore radioso, stamattina- commentò. Gazel gli rivolse appena un’occhiata e tornò a fissare il vuoto. Nagumo fece schioccare la lingua contro il palato in un gesto di stizza: non gli piaceva essere ignorato. Aveva un’attitudine egocentrica, arrogante e saccente – proprio il genere di persona che Gazel aveva sempre cercato di evitare.
-Robot non è un soprannome così poco azzeccato, dopotutto- aggiunse Nagumo. Afuro, che stava seduto vicino a lui, gli diede una gomitata sotto il braccio. Gazel non ci fece caso; non gli importava come lo chiamavano, o cosa pensavano di lui. L’unico motivo per cui aveva deciso di rimanere era che non aveva altro posto dove andare, e poi era curioso di sapere quali piani avesse Chang Soo per lui.
Il coreano chiamò il suo nome in quel momento, invitandolo a venire avanti col vassoio per farsi riempire lo stomaco. Gazel districò le proprie gambe da quelle del tavolo e si avvicinò a lui; mentre spiava di soppiatto i movimenti del coreano, che stava riempendo le tazze di riso bianco e uova al tegamino, si ritrovò a chiedersi quante indagini Chang Soo avesse svolto su di lui e quanto sapesse della sua vita. Era andato a scavare nel suo passato, aveva scoperto di quell’incidente… E poi? Cos’altro sapeva di lui?
Chang Soo gli porse di nuovo il vassoio, a cui oltre al riso con uova era stato aggiunto un piatto di verdure varie. Il suo sorrisetto enigmatico era anche terribilmente irritante: gli dava l’impressione che avesse scoperto molte più cose sul suo conto di quante ne sapesse lui stesso. Gazel borbottò un ringraziamento, prese il vassoio pieno di cibo e tornò indietro. Al suo passaggio sentì mormorii e risatine sollevarsi dal tavolo di Hepai, ma fece finta di non sentirle.
Kiyama fu l’ultimo ad essere chiamato, dopodiché Chang Soo rientrò nelle cucine. Approfittando dell’assenza della Spy Eleven, subito si alzarono voci dai tavoli.
-Ehi, Kiyama, ti fa ancora male il braccio? Scusa, non ho controllato bene la forza, non dirlo a tuo padre, eh!- esclamò un ragazzo. Il sarcasmo nella sua voce era a dir poco irritante, però Kiyama non parve dargli peso. Gazel si chiese se non ci fosse abituato.
Aveva saputo da Afuro che Kiyama era figlio di una delle Spy Eleven giapponese e sembrava che per qualche motivo (nonostante Kiyama non ricevesse alcun favoreggiamento per la sua posizione) questo non andasse proprio giù ad alcuni ragazzi.
Vedendosi ignorato, il ragazzo che aveva parlato incalzò:- Che c’è, Kiyama? Aver perso contro di me ti ha scioccato al punto tale che non puoi più parlare?
Gazel lo squadrò di sottecchi, attento a non mostrare troppo interesse: il ragazzo che aveva parlato portava una bandana rosa pallido legata sul mento e aveva i capelli corti, rasati ai lati e dritti in testa come una spazzola. Kiyama ignorò anche la seconda provocazione, mentre Endou scattò in piedi.
-Hai vinto soltanto perché hai barato!- esclamò, sbatté le mani sul tavolo e arricciò le labbra in un broncio. –Chang Soo ci aveva detto di non usare i nostri poteri, e tu invece l’hai fatto!
-Endou, lascia stare- mormorò Kiyama, afferrandogli un braccio, ma Endou non si lasciò tirare giù.
-Ma, Hiroto…!- protestò animatamente. –Avrebbe potuto farti male sul serio!
-Oh, scusa, scusa, non avrei mai voluto rompere il braccio al cocco delle Spy Eleven!- ribatté il ragazzo con la bandana. Eun-Young sghignazzò.
Endou sembrava sul punto di ribattere, ma Jung-Soo s’intromise.
-Baek-Yeon, smettila. Le tue provocazioni sono sciocche ed infantili. Non so se hai barato o meno, ma hai vinto: continuare ad infierire sul tuo avversario non ti fa onore- Lo skinhead parlò in tono mite e serio, era una delle poche persone, in quel posto e in generale, per cui Gazel provava rispetto. Anche Baek-Yeon doveva pensarla così, perché tacque immediatamente; il ghigno non sparì del tutto dal suo volto, ma ebbe almeno la decenza di mostrare un po’ di vergogna sotto lo sguardo severo di Jung-Soo.
Kiyama tirò di nuovo Endou, e questa volta il castano si rimise a sedere.
-Non dovresti dargli corda- disse il rosso, staccando le bacchette. Endou si riempì le guance di cibo per la frustrazione e borbottò una risposta a bocca piena, incomprensibile.
-Apprezzo il pensiero- convenne Kiyama, arrossendo un pochino. –Ma non serve a niente ribattere, o lamentarsi. Le cose si cambiano con i fatti, non con le parole, e lo farò a modo mio.
Endou annuì e deglutì rumorosamente.
-Va bene, ma lui comunque ha barato- esclamò, prese un uovo con le bacchette e se lo infilò in bocca tutto intero. Gazel, che stava spiluccando svogliatamente il riso, osservò con disgusto il suo modo disordinato di mangiare; i suoi pensieri furono distratti da Afuro.
-Finisci tutto ciò che c’è nel vassoio- disse. –Sei scheletrico, devi mangiare di più…
–Smettila. Non sei mica mia madre- brontolò Gazel, cupo. –Non ho fame.- Fece per allontanare la tazza da sé, ma Afuro gli bloccò un polso.
-No, senti, davvero… devi mangiare. Sei così magro che fai spavento.
-Se vuole morire di fame, lascialo fare- intervenne Nagumo, annoiato. –Non capisco perché ti preoccupi tanto per uno come lui, Afuro. Ovviamente non è reciproco, sembra che ti odi. Anzi, secondo me ci odia tutti.- I suoi occhi dorati si sollevarono su Gazel, ardenti.
–Il modo in cui ti atteggi a superiore mi fa venire da vomitare.
-Che coincidenza- replicò Gazel, gelido. –Potrei dire lo stesso di te.
Nagumo lo fulminò con lo sguardo. Non aveva mai mostrato particolare simpatia per Gazel, e il ragazzino si chiese se non dovesse prepararsi a fare a botte. Per un attimo considerò l’ipotesi: probabilmente avrebbe avuto la peggio, dal punto di vista fisico, ma poteva batterlo giocando d’astuzia, perché l’altro non sembrava particolarmente intelligente.
Nagumo ringhiò sottovoce, come se avesse in qualche modo intuito i suoi pensieri. Strinse le dita convulsamente attorno alle bacchette e strinse i denti.
-La prossima volta- sbottò –se capitiamo insieme all’addestramento, ti darò una lezione.
Gazel sbatté lentamente le palpebre, tutt’altro che intimorito.
-Non vedo l’ora- disse, indifferente. Ignorò l’occhiata preoccupata di Afuro. Non aveva bisogno di quello; non aveva bisogno della compassione di nessuno.
 
xxx
 
Solo un’ora più tardi, stavano tutti in fila al centro del campo di addestramento, aspettando gli ordini di Chang Soo. Alcuni, come Nagumo ed Endou, fremevano di impazienza, ma i più avevano un’aria tranquilla e seria. Kiyama era, come al solito, distaccato e attento a non mostrare i propri sentimenti, mascherandoli con sorrisi cordiali ed educati, mentre Afuro sembrava distratto, perso in chissà quali altri pensieri. Si era messo un po’ in disparte, lontano da Gazel – il ragazzino si chiese se non dipendesse dal modo in cui l’aveva trattato prima, ma scacciò subito il pensiero. Non avrebbe dovuto interessarsi: lui e Afuro erano solo compagni di stanza, non amici. Gazel non aveva amici e si era convinto che sarebbe stato così per il resto della sua vita. Odiava le persone. Non voleva avere sentimenti, non voleva sentire nulla…
-Bene, ci siete tutti, vedo… Oggi ho in serbo per voi un test speciale- esclamò Chang Soo. Camminava su e giù davanti alle sue reclute, con le braccia incrociate dietro la schiena ed un’aria pacifica che Gazel considerava piuttosto pericolosa. Quando Chang Soo era calmo, significava che stava architettando qualcosa di serio; l’ultima volta, risalente a poco meno di due giorni prima, aveva deciso di farli combattere in due contro uno e, benché Gazel avesse evitato di restare schiacciato tra Ju Jung-Soo e Eun-Young, aveva ancora parecchi lividi a ricordargli l’esperienza traumatica. Gazel inspirò a fondo, senza sapere cosa aspettarsi questa volta. C’era sempre una certa malizia, nelle assegnazioni dei partner per il combattimento e Chang Soo sembrava non vedere l’ora di dare a Eun-Young una nuova chance per fracassargli le ossa, visto che aveva fallito già due volte.
-Nessun combattimento per oggi- annunciò Chang Soo. Il silenzio intorno a lui si fece immediatamente teso e sconcertato.
-Nessun… combattimento?- fece eco Nagumo, stupito. Chang Soo gli sorrise.
-Sì, Haruya, sono lieto che tu abbia fatto attenzione- confermò, sarcastico, e il ragazzo diventò dello stesso colore dei propri capelli per la vergogna.
-Oggi testerò i vostri poteri. Ho preparato una piccola prova per voi- continuò il coreano. –Una cosetta facile facile, ma se non ci riuscirete dovrete sottoporvi ad un allenamento alternativo. E non vi assicuro che ne uscirete integri. Tutto chiaro?
Qualcuno deglutì, tutti fecero un cenno d’assenso col capo. Chang Soo ghignò, uscì dalla sala e ritornò con un carrello su cui era poggiato un lenzuolo bianco. Gazel lo fissò, scettico: quando era bambino aveva assistito ad uno spettacolo di magia ad un compleanno e ora si aspettava quasi che Chang Soo sollevasse il telo e facesse apparire delle colombe.
Invece, sul carrello c’era soltanto un bicchiere d’acqua.
-Dalle vostre facce intuisco i vostri dubbi; ebbene, non indugerò oltre nello spiegarvi l’essenza della prova. A turno, vi chiamerò a coppie e dovrete usare il vostro potere sul bicchiere. Naturalmente, anche il vostro compagno farà lo stesso, e voi dovrete impedirglielo- Chang Soo parlò in modo chiaro e lento, scrutando i loro visi, attento ad ogni minimo cambiamento di espressione. –Non potete toccare fisicamente il bicchiere. Non potete usare il vostro potere per far del male al vostro compagno. Dovete soltanto impedirgli di usare il suo potere, e un’infrazione sarà pagata amaramente da entrambi. Non ci sono altre regole.
Gazel ebbe l’impressione che Chang Soo avesse guardato Kiyama, ma i suoi occhi neri si soffermarono su di lui per appena pochi secondi prima di tornare nuovamente a osservare tutti i suoi ragazzi. Kiyama abbassò il capo: per la prima volta, sorprendentemente, sembrava nervoso. Ma Gazel non ebbe il tempo di pensarci troppo.
La sua mente era completamente assorbita dalla prova. Non aveva la minima idea di cosa fare. Lui non aveva nessun dono, benché Chang Soo pareva esserne convinto; e se anche il coreano avesse avuto ragione, se anche Gazel avesse avuto un qualche potere speciale, non sapeva come tirarlo fuori, o come usarlo.
Immobile, dimenticandosi quasi come respirare, ascoltò blandamente quando Chang Soo chiamò i primi due nomi e Afuro e Hepai fecero un passo avanti.
I due ragazzi si fissarono torvi, separati soltanto dal carrello.
Gazel si rese conto solo in quel momento di non aver mai assistito a niente del genere: quello non sarebbe stato un semplice spettacolo di magia, nessuno avrebbe fatto apparire colombe o fazzoletti colorati o conigli da un cappello. L’atmosfera seria e tesa lasciava intendere che stesse per accadere qualcosa di incredibile.
-Cominciate- disse Chang Soo.
Nessuno dei due ragazzi si mosse.
Lo sguardo di Gazel era fisso sul bicchiere, concentrato al massimo, in modo da notare ogni singolo cambiamento. Anche se si aspettava che sarebbe successo qualcosa, non poté evitare di sussultare quando vide l’acqua tremare e tingersi di color terra: inizialmente era un leggero beige, poi diventò ocra, marrone, e così via, sempre più scuro, sempre più torbido. Gazel alzò lo sguardo e vide che i due ragazzi erano ancora immobili, ma un sorriso di trionfo si era stampato sul viso di Hepai. Quindi, era lui – benché in apparenza non stesse facendo nulla, con maggiore attenzione si poteva distinguere un bagliore irradiarsi dal suo corpo e accendergli gli occhi grigi. Alcuni ragazzi, tra cui quello con la treccia che stava sempre con Hepai, cominciarono a mormorare e fischiare in segno di assenso; tuttavia, c’erano anche persone, come Nagumo e Kiyama, che non sembravano per nulla impressionate. Gazel si voltò a spiare l’espressione di Chang Soo, tuttavia il coreano era indecifrabile come al solito.
L’acqua nel bicchiere aveva raggiunto una sfumatura molto scura quando Afuro parlò.
-Non farlo- disse, in tono chiaro e deciso. –Falla tornare normale.
Gazel si accigliò. Cosa diavolo credeva di fare? A giudicare dal modo in cui Hepai lo fissava, irritato e astioso, non avrebbe di certo obbedito.
-Non farlo, Hepai- ripeté Afuro. La sua voce, più forte e più alta di prima, risuonò nella stanza. Hepai strinse i denti e i pugni, ancora più irritato; la fronte, lasciata scoperta dai capelli, era madida di sudore, come se il suo corpo stesse affrontando un enorme sforzo.
Gli occhi di Afuro guizzarono per un attimo sul bicchiere, poi tornarono a fissarsi su Hepai.
-Hepai En- proseguì, impietoso, calcando ogni sillaba del nome.
-Fai tornare l’acqua normale.
Con grande sorpresa di Gazel e la delusione dei più, Hepai socchiuse gli occhi e con un’espressione svogliata e sofferente cedette: il bicchiere ebbe un fremito e l’acqua cominciò a schiarirsi, fino a depurarsi completamente. Afuro e Hepai si fermarono entrambi a guardare il liquido ora cristallino, l’uno con soddisfazione, l’altro con rabbia.
Chang Soo batté le mani.
-Bene, basta così. Afuro, ottimo lavoro, puoi tornare tra i tuoi compagni- affermò. Il biondo annuì, allegro, e tornò a mettersi in linea, mentre Chang Soo si rivolgeva all’altro ragazzo.
-Hepai, sai usare bene il tuo dono, ma devi avere un controllo più fermo sulla tua volontà. Hai resistito abbastanza contro il tuo avversario, ma l’ultima volta ci hai messo almeno un minuto in più a cedere. Hai fatto un passo indietro- disse, severo. –Puoi tornare al tuo posto.
Il ragazzo indiano fece un cenno mogio col capo e rientrò nel gruppo, non senza scoccare un’occhiata astiosa verso Afuro. –Te la farò pagare- sillabò.
-Che paura- ribatté il biondo sottovoce, ironico.
Nagumo si sporse verso di loro e disse qualcosa che suonava come “Avresti dovuto costringerlo a gettarsi l’acqua in faccia”, facendo ridere Afuro e avvampare Hepai. Quando Nagumo si voltò di nuovo, i suoi occhi incrociarono quelli di Gazel e, per un attimo, parve sorpreso, come se avesse notato qualcosa d’inaspettato. Gazel distolse immediatamente lo sguardo e tornò a concentrarsi su Chang Soo.
Chiamò il suo nome, insieme a quello di Jung-Soo.
Gazel si costrinse a muoversi, gli sembrava che ogni passo fosse pesantissimo, quasi come se le sue scarpe fossero di piombo. Aveva il respiro corto, ma si sforzò di mantenerlo regolare; a costo di dover far finta di inspirare ed espirare, non avrebbe mostrato la propria debolezza, la propria paura. Non si era mai sentito tanto in soggezione e il panico gli stringeva la gola.
Muovendosi per inerzia, arrivò davanti al carrello e si fermò. Jung-Soo era di fronte a lui e non dava cenni di nervosismo.
-Cominciate- disse Chang Soo. Era solo a pochi metri da loro, tuttavia alle orecchie di Gazel la sua voce suonò lontanissima; tutti i rumori erano ovattati, inghiottiti dal rumore del cuore che gli martellava nel petto. Provò rabbia e odio verso Chang Soo, che l’aveva gettato in quella situazione senza chiedergli il permesso: lo aveva messo all’angolo. Ora Gazel non aveva scelta se non provare a fare qualcosa. Ma cosa? Cosa avrebbe potuto fare? Il pensiero che dentro di lui potesse esserci un potere nascosto e misterioso era tanto spaventoso quanto elettrizzante. Gazel non aveva proprio idea di cosa aspettarsi. Respirò a fondo, giusto per ricordarsi che poteva. Mentre fissava l’acqua, impotente, in lui si accese la debole speranza che il “dono” di cui parlava Chang Soo esistesse veramente.
L’acqua nel bicchiere cominciò a tremare, formando cerchi concentrici sulla sua superficie, e Gazel si irrigidì. Non sentiva nessuna energia scorrere dentro di sé. Alzò gli occhi su Jung-Soo e lo vide concentrato, determinato. L’acqua si sollevò in un mulinello e danzò sopra il bordo del bicchiere, minacciando di traboccare; misteriosamente, però, riuscì a restare nei bordi, il mulinello vorticava su se stesso veloce e torbido, agitandosi come un animale in gabbia.
-Basta così- disse Chang Soo. Il mulinello si fermò e ricadde nel bicchiere con un tonfo, qualche goccia schizzò fuori e macchiò il lenzuolo bianco ancora poggiato sul carrello. Jung-Soo aggrottò la fronte e spostò lo sguardo dal bicchiere a Gazel, poi a Chang Soo: sembrava sorpreso e nei suoi occhi c’era un’implicita domanda. Ma, dal momento che Chang Soo li rimandò a posto senza dire nulla, Jung-Soo capì che l’argomento era delicato ed evitò commenti, cosa che Gazel apprezzò molto.
Il ragazzino si trascinò in avanti, passò in mezzo al gruppo senza guardare nessuno e si appoggiò alla parete di vetro. Non voleva pensare. Si accorse a stento che Endou e Nagumo erano stati chiamati, poi Kiyama e tutti gli altri, e capì che la prova era finita solo quando Chang Soo gli si avvicinò e gli prese un braccio.
-Vieni con me- disse. –Dobbiamo parlare.
Gazel esalò un respiro tremulo.
 
xxx
 
Dopo l’allenamento gli altri ragazzi erano andati come al solito verso le docce, tutti tranne Gazel, che era stato costretto da Chang Soo a seguirlo nel suo ufficio; il coreano non disse nulla mentre lo trascinava con sé. Doveva trasportarlo praticamente di peso, perché Gazel sentiva ancora le gambe pesanti, molli per la tensione.
Quando finalmente arrivarono alla stanza, Chang Soo lo spinse dentro, entrò e poi richiuse la porta alle proprie spalle. Fece il giro della scrivania e si sedette dietro un cumulo di fogli scritti.
-Immagino che tu sappia perché sei qui- cominciò dopo un paio di minuti di silenzio.
Gazel, in piedi in mezzo alla camera, rimase a fissare il pavimento con il viso chino; invece di rispondere, si morse il labbro inferiore e stette in silenzio.
Chang Soo continuò:- Entrambi sappiamo cosa è successo questa mattina. Quello che vorrei chiederti è se sia stato volontario o meno. Stai protestando contro qualcosa?
-Sta insinuando che l’ho fatto apposta?- Gazel non poté fare a meno di sbottare, incredulo.
-Cosa crede, che io sia stupido? Chi mai vorrebbe umiliarsi così davanti a tutti?- esclamò. L’espressione di Chang Soo, priva di emozioni, gli faceva montare una rabbia sorda, violenta. Avrebbe volentieri preso uno ad uno i suoi libri, avrebbe voluto strapparli e poi gettarne i pezzi sulla scrivania, davanti a lui, qualunque cosa pur di scatenare una reazione.
-Ma soprattutto cosa lo fa essere così sicuro che io abbia qualcosa di speciale? Cosa sa lei di me? Cosa diavolo vuole che faccia?- La sua voce rimbombò nel silenzio nonostante non avesse urlato. Gazel si fermò a riprendere fiato, e mentre ansimava strinse i pugni così forte che le dita gli facevano male.
-Vorrei che tu ti sottoponessi alla prova alternativa, dopodomani- affermò Chang Soo, tranquillo, come se quella fosse stata una conversazione normale.
-Ammetto di aver pensato che stessi nascondendo qualcosa. Credevo che, mettendoti all’angolo, avresti tirato fuori il tuo potenziale. Evidentemente, però, mi sbagliavo- aggiunse, abbozzando un sorriso costernato. –Ti porgo le mie scuse; tuttavia, non devi sentirti umiliato in alcun modo. È normale trovarsi di fronte a situazioni difficili.
Ma in quella situazione mi ci hai messo tu, testa di cavolo, pensò Gazel, irritato. Non se ne faceva niente delle sue scuse e, sicuramente, Chang Soo sapeva come la pensava. Gazel avrebbe voluto insultarlo, invece si sforzò di restare calmo e scrollò le spalle, apparentemente indifferente.
-Cos’è questa prova alternativa? Cosa devo fare?- chiese.
-Oh, è un semplice percorso ad ostacoli. Con un po’ di allenamento ci riuscirai senza problemi.
-Sbaglio, o oggi ha detto che avremmo potuto non uscirne “integri”?
Chang Soo non smise di sorridere.
-Direi che questo sta a te e alle tue capacità- rispose. –Oggi pomeriggio, invece di prendere parte all’allenamento con i tuoi compagni, ti allenerai da solo su quello. Ora puoi andare alle docce, dopo pranzo ti farò vedere di cosa si tratta.
Gazel gli diede le spalle e uscì senza esitare: era dal primo momento in cui era cominciata quella conversazione che non vedeva l’ora di esserne congedato. Chiuse la porta e s’incamminò nel corridoio. Non aveva voglia di vedere nessuno, perciò non andò alle docce, né in mensa; per un momento fu tentato di tornare in stanza e mettersi a letto, ma anche quello avrebbe voluto dire passare in mezzo alla gente.
La grotta era piena di corridoio umidi ed inesplorati e, arrivato ad un bivio, Gazel s’infilò in un cunicolo stretto, senza uscita. Il ragazzino si accovacciò a terra, tirò a sé le ginocchia e ci affondò il viso, respirando piano – non era cambiato nulla da quando stava in orfanatrofio. Si sentì stupido per aver sperato, anche solo per un attimo, di poter essere speciale; come al solito, era stato velocemente disilluso.
La luce sembrava ancora lontana, evanescente, inafferrabile più che mai – Chang Soo aveva ragione, non l’avrebbe mai catturata, perché i suoi occhi non riuscivano a vederla. Gazel si strinse nelle ginocchia e affondò le dita nei lembi della maglia che non era sua. Anche in quel momento, con un dolore lancinante al petto, non riusciva a piangere.
Un robot fatto e finito, si ripeté, un robot. Chiuse gli occhi.
 
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso, ma se i gorgoglii prodotti dal suo stomaco erano un’indicazione, l’ora di pranzo doveva essere passata da un pezzo. I muscoli gli facevano male per essere stato tanto tempo nella stessa posizione, accovacciato e rannicchiato su se stesso. Gazel non aveva la minima voglia di muoversi.
Sbatté lentamente le palpebre e mise a fuoco la galleria vuota e silenziosa; doveva essersi appisolato senza rendersene conto. Si sentiva più stanco che mai, sia fisicamente che mentalmente.
Un rumore di passi lo colse di sorpresa e lo fece sussultare. Gazel si girò verso la figura che era comparsa alla bocca del cunicolo, e che ora si avvicinava a lui camminando con la schiena china e i capelli che le cadevano in avanti, sulle spalle e sul volto.
-Ah- mormorò Afuro, sollevato. –Finalmente ti ho trovato.




 
**Angolo dell'Autrice**
Buon pomeriggio c:
Questo capitolo ha fatto abbastanza male - un po' perché scrivere su una persona così disillusa fa venire tristezza anche a me, e un po' per la situazione in sé. Insomma, in questo centro d'addestramento malelingue, pregiudizi e battibecchi sono all'ordine del giorno (per ora Nagumo e Gazel non vanno tanto d'accordo, ma il loro rapporto migliorerà, giuro XD). Hepai è un personaggio abbastanza rompiscatole in questa fic e causerà dei guai anche nei prossimi capitoli; il ragazzo con la treccia che è sempre con lui è Ares (entrambi sono giocatori della Zeus in IE). Ju Jong-Soo, Eun-Young e Baek-Yeon sono giocatori della Fire Dragon, la nazionale coreana di IE. Ci sono un sacco di nomi coreani in questa storia, so già che finirò per confondermi (lol) :'D
Per la prova del "bicchiere d'acqua" mi sono ispirata al test che si svolge in HunterxHunter per stabilire le categorie di nen.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio vivamente le persone che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie anche a tutti quelli che hanno aggiunto la fic tra le preferite o seguite <3
Alla prossima! 
               Roby 

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Capitolo 3
*** Act3 - True strenght. ***


Grazie infinite alla mia Ohana che mi ha betato il capitolo ♥


Act.3 – True strenght
«Pretend that you’re a ray of light when you are a broken candle.»
(Sanctuary - Paradise Fears)
 
Gazel rimase a fissare Afuro senza sapere bene cosa pensare. In tutta sincerità, non aveva pensato che qualcuno sarebbe venuto a cercarlo. Forse avrebbe dovuto aspettarselo da Afuro, ma considerato come si erano ignorati per tutta la mattina… Afuro avrebbe avuto più di un motivo per abbandonarlo a se stesso.
-Che ci fai qui?- chiese, non riuscendo a nascondere la propria sorpresa.
-Come sarebbe a dire?- Afuro sospirò, scuotendo il capo.
–Sono venuto a cercarti, no? Sei stato strano tutta la mattina, e poi hai saltato il pranzo…- Un pensiero terribile gli attraversò il volto e diventò un’espressione sospettosa e preoccupata. -Non è che stai cercando di morire di fame, vero?
Gazel lo guardò ancora per un secondo, poi affondò nuovamente il viso nelle braccia e si rannicchiò contro la parete.
-Gazel? Stai bene?- Sentì Afuro avvicinarsi, allungare una mano, ma fermarsi a mezz’aria. Esitava a toccarlo, forse timoroso di come poteva reagire. Alla fine, lasciò cadere il braccio, ma si tolse la felpa e la buttò su Gazel.  
Il ragazzino inspirò a fondo e mormorò:- Non sarei mai dovuto venire qui.
Sentì Afuro irrigidirsi mentre gli sistemava la felpa sulle spalle.
-Cosa vuoi dire?
-Quello che ho detto. Non sarei dovuto venire. Non è cambiato nulla da quando stavo in orfanatrofio… non c’è nulla per me qui. Io… sono diverso dagli altri bambini. Ma sono diverso anche da voi.- Gazel tacque. Aveva un po’ paura della reazione di Afuro, di ciò che avrebbe pensato di lui, e questo lo sorprese: in fondo, perché avrebbe dovuto importargli?
Strinse i pugni, si graffiò i palmi con le unghie troppo lunghe.
-Questo non è il mio posto. Io non ho un posto dove andare… non l’ho mai avuto.
Tacque. Anche Afuro era silenzioso. L’atmosfera era tesa, ma in qualche modo molto più calma di quanto Gazel si aspettasse. O forse no. Non sapeva bene cosa aspettarsi da Afuro.
Rimasero così per lunghi minuti, Afuro in piedi e Gazel seduto a terra, senza dirsi nulla.
Poi, d’un tratto, il biondo fece un passo avanti e si sedette accanto a lui; Gazel sussultò, i suoi muscoli si contrassero per la sorpresa e per un attimo trattenne il fiato, chiedendosi cosa avrebbe fatto l’altro. Ma Afuro, semplicemente, si sedette e iniziò a parlare.
-Con il mio potere posso costringere chiunque a fare ciò che voglio io. È una specie di condizionamento a livello mentale… sta tutto nel tono di voce che uso. Hai visto oggi cos’è successo con Hepai, non ha avuto scampo… e quello non è niente. Ci sono mille modi in cui potrei pensare di uccidere una persona senza esserne direttamente responsabile- esordì, tranquillo, come se stesse parlando del meteo e non di qualcosa di terribile.
-Per questo motivo, lo uso sempre con grande attenzione. Conto fino a dieci prima di arrabbiarmi. Dire qualcosa di sbagliato quando si è arrabbiati, e poi pentirsene… beh, è una cosa normale per tutti, no? Ma per me è un errore imperdonabile, irreparabile.
Gazel sollevò un po’ il capo e, sbirciando attraverso la frangia, notò che sul volto di Afuro c’era l’ombra di un sorriso. La sua voce suonava tristissima, densa di rimorsi, e Gazel si trovò a chiedersi cosa gli fosse successo – era sempre stato un ragazzino egoista, egocentrico, e non si era mai veramente soffermato a pensare che altri avessero potuto vivere esperienze traumatiche quanto la sua. Afuro fece una pausa, forse per lasciargli il tempo di considerare le sue parole. Poi chiuse gli occhi e si lasciò andare completamente, appoggiando la schiena contro la parete liscia della galleria.
-Tutti hanno sempre avuto paura di me. Quando Chang-Soo mi ha portato in questo posto, anche io ho accettato perché speravo che le cose sarebbero cambiate, che non sarei più stato considerato diverso- disse. -Ma, anche qui, dopo un po’, hanno cominciato ad avere paura. A disprezzarmi. Mi hanno isolato, e pochi hanno mostrato gentilezza nei miei confronti. All’inizio ero stanco, deluso, amareggiato. Come te. Ma ho deciso di andare avanti… continuavo a sperare che qualcosa sarebbe cambiato, e in ogni caso non avevo un altro posto dove andare.
-Poi, un mese fa, Chang-Soo mi ha convocato. Mi ha detto che presto ci sarebbe stata una nuova recluta, che avrei avuto finalmente un compagno di stanza. E poi, poi sei arrivato tu, e io non sapevo cosa aspettarmi da te…- Afuro sospirò, il suo sorriso si addolcì.
-Tu non hai paura di me- disse semplicemente. -Hai paura delle persone e del buio. Hai paura di essere ferito. Ma non hai paura di me e questo mi rende felice.
Afuro si girò, aprì gli occhi e Gazel trattenne il fiato, colto alla sprovvista quando i loro sguardi s’incrociarono, e lui si sentì inchiodato dalle iridi rosso intenso dell’altro.
-So come ti senti, ma vedi… Io sono veramente felice che sia tu il mio compagno di stanza, per cui non posso assolutamente lasciarti dire che questo non è il tuo posto, o che non saresti dovuto venire. Vorrei che tu trovassi un motivo per restare. Puoi contare su di me, in qualunque momento…- La voce di Afuro suonava sincera e malinconica, in qualche modo supplice. Gazel sentì il bruciore del senso di colpa nello stomaco e un forte calore al volto e seppe di essere arrossito; abbassò lo sguardo, imbarazzato e confuso, ammutolito. Doveva riprendere a respirare regolarmente. Cercò di calmarsi.
-Potrei…- mormorò, poi si fermò. Alzò leggermente gli occhi verso Afuro e ricominciò, titubante:- Forse potrei provarci…
Le sue parole fecero spuntare un largo sorriso sul viso di Afuro, che s’illuminò completamente, fino agli occhi, e le sue iridi brillarono vivacemente. Annuì con energia, poi si alzò.
-Torniamo indietro- propose, offrendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Gazel stava per rispondere quando i brontolii del suo stomaco lo precedettero; si morse l’interno della guancia, pieno di vergogna mentre Afuro lo guardava basito e poi scoppiava a ridere.
-Wow. Okay. Già, hai saltato il pranzo… chiederemo a Chang-Soo di darti qualcosa- esclamò Afuro. Allineò i piedi davanti ai suoi, gli afferrò i polsi e lo tirò su di slancio.
Gazel barcollò leggermente (non si aspettava che Afuro fosse tanto forte), ma riuscì a non ricadere all’indietro. Afuro cominciò a trascinarlo verso l’uscita del tunnel e, mentre camminavano, lo sguardo di Gazel si focalizzò sulle mani strette intorno ai suoi polsi; osservando blandamente le dita affusolate di Afuro, si rese conto con sorpresa che il contatto fisico non gli dava fastidio. Sentiva qualcosa simile a fiducia, quasi un guizzo di affetto, nei confronti di Afuro. Con la mano libera, toccò la felpa che teneva ancora sulle spalle, strinse le dita sul tessuto. Avrebbe anche potuto abituarsi.
 
Chang-Soo era seduto su una panca nella mensa; sembrava immerso nella lettura di un romanzo e non alzò gli occhi dalle pagine quando loro entrarono nella stanza, e nemmeno quando Afuro lo aggirò e cominciò a riempire una tazza di miso giallo, pescandolo dal pentolone dietro di lui.
Gazel accettò il cibo con un debole ringraziamento e andò a sedersi dal lato opposto della sala.
-C’è anche del riso di là- sentì Chang-Soo parlare con Afuro. Il ragazzo annuì, ringraziò e s’infilò nelle porte delle cucine. Chang-Soo si rimise a leggere e Gazel iniziò a mangiare. La mensa rimase avvolta dal silenzio finché non tornò Afuro: il biondo attraversò la stanza con pochi passi veloci e posò un piatto di riso bianco sotto il naso di Gazel, che intanto aveva già prosciugato avidamente il miso.
-Ho trovato anche un po’ di pane- disse Afuro, si girò verso Chang-Soo per accertarsi che non ci fossero problemi, ma il coreano non fece commenti. Sulla copertina consunta del suo libro, rossa con caratteri dorati, si leggeva il titolo ‘I tre regni’. Gazel non l’aveva mai sentito nominare e immaginò che fosse un libro impegnativo: in orfanatrofio non avevano libri troppo difficili (d’altra parte, non c’era nessuno che potesse leggerli).
Il ragazzino attirò a sé il piatto di riso e solo allora lui e Afuro si accorsero di non aver pensato alle bacchette.
-Ci sono dei cucchiai nel mobiletto alla mia sinistra- disse Chang-Soo, apparentemente senza distogliere l’attenzione dalla lettura. Gazel era sicuro che, invece, stesse osservando e studiando ogni loro movimento. Afuro si alzò e si diresse verso il mobiletto.
-Terzo cassetto dall’alto- aggiunse Chang-Soo, Afuro annuì e seguendo le indicazioni trovò facilmente le posate. Tornò da Gazel, gli diede il cucchiaio e, una volta che si fu seduto a fianco a lui, Chang-Soo si decise finalmente a chiudere il romanzo.
-Gazel, ti aspetto alle cinque nel mio ufficio. So già che Afuro vorrà seguirti, e non ho nulla in contrario. A dopo- affermò, poi si alzò in piedi e, con il libro sotto braccio, uscì dalla stanza.
Afuro lo osservò andare, poi si girò verso Gazel.
-Di cosa parlava?- chiese, scrutando il volto del ragazzino, che però rimase indifferente.
-La prova alternativa- rispose, piatto. Non aggiunse nient’altro, non ce n’era bisogno. Il volto di Afuro fu attraversato da un lampo di consapevolezza, poi il biondo annuì lentamente.
-Non hai passato la prova- disse. Non era una domanda e rimasero entrambi in silenzio subito dopo. Gazel affondò il cucchiaio nel riso e s’infilò una lauta porzione in bocca, masticando a bocca chiusa; una volta ingoiato, restò a fissare il piatto per qualche minuto.
-Beh, dai, finisci di mangiare. Poi dopo andiamo insieme da Chang Soo, okay?- Afuro si riscosse per primo e gli offrì un sorriso incoraggiante.
Realizzando che l’altro non avrebbe spinto oltre l‘argomento, Gazel si sentì immediatamente sollevato e annuì; tenne per sé la sua gratitudine, visto che non sapeva come esprimerla, e si rimise a mangiare, gettando ogni tanto un’occhiata di soppiatto verso Afuro, che stava apparentemente fissando il vuoto, con le mani intrecciate in grembo e i capelli biondi che gli ricadevano sul viso. Gazel si chiese a cosa stesse pensando. Dopo la conversazione avuta poco prima, Afuro era diventato ancora più misterioso ed incomprensibile per lui; tuttavia, se all’inizio questo lo infastidiva e lo portava a tenersi a distanza, ora si scoprì vagamente intrigato. Cos’era successo in passato ad Afuro? Gazel non poteva fare a meno di essere curioso, e se ne sorprendeva lui stesso.
Lasciò cadere il cucchiaio nel piatto vuoto, si alzò e raccolse tutte le cose che aveva usato. Il suo movimento brusco strappò Afuro ai propri pensieri, quali che fossero, e il biondo lo seguì con lo sguardo mentre lui andava a posare i piatti in cucina. Poi Gazel uscì, gli fece un cenno col capo e Afuro lo accompagnò da Chang Soo.
 
La prova alternativa non era altro che un percorso ad ostacoli conservato in una vecchia stanza d’allenamento ormai in disuso; la prova non sembrava particolarmente lunga, ma i blocchi erano abbastanza rialzati dal terreno e la rete di protezione, estesa al di sotto, non aveva l’aria rassicurante che avrebbe dovuto avere. Gazel lasciò scorrere lo sguardo su una specie di filo teso tra due pedane, talmente sottile che sarebbe stato invisibile se il riflesso della luce sulle pareti di plexiglass non ne avesse svelato la presenza. Sapeva che anche Afuro, immobile da qualche parte alle sue spalle, stava studiando il percorso.
-L’esame si terrà dopodomani, nel pomeriggio tardo. Fino alla prova, sei esentato dagli allenamenti con gli altri- disse Chang Soo dopo un silenzio apparentemente interminabile.
-Hai circa due giorni per prepararti. Puoi cominciare ora.
Appoggiò una mano sulla spalla di Gazel, lo guardò per un istante, poi lasciò cadere il braccio e uscì dalla sala. Gazel non ci badò. Stava ancora fissando il percorso, lo seguiva con gli occhi cercando di intuirne la struttura, ma si rese presto conto che l’unico modo di esserne sicuro era testarlo fisicamente.
Esitò per un paio di secondi, poi affermò, riluttante:- Vado.
Afuro non disse nulla, né provò a fermarlo. Gazel s’incamminò verso la scaletta di ferro della prima pedana e si arrampicò fino alla cima; quando gettò un’occhiata giù, un lieve senso di vertigine lo fece impallidire: era più alto di quanto si aspettasse, forse una quindicina di metri. Lanciò uno sguardo alla rete di protezione. Non aveva per niente un aspetto solido. Forse avrebbe attutito le cadute, ma dubitava seriamente che potesse fare più di così. 
Gazel inspirò a fondo, sollevò il capo e guardò davanti a sé.
La prima parte era una specie di scala a pioli capovolta, e immaginò di doversi arrampicare come una scimmia. Gli sembrava di essere finito in un film. Si slanciò in avanti, afferrando saldamente il primo piolo di ferro con entrambe le mani e subito provò a prendere il secondo; il peso del suo corpo nel vuoto lo trascinava verso il basso, già al quarto passo le dita gli bruciavano e cominciava a sentire dolore nella zona dei gomiti. Si tese in avanti verso il quinto piolo, ma le dita sudate scivolarono sul metallo e perse la presa, restando appeso con una sola mano. Una fitta gli attraversò il braccio come uno strappo. Con un sibilo di dolore, Gazel lasciò istintivamente la presa e cadde. Sentì il fischio dell’aria nelle orecchie, il grido di sorpresa di Afuro e poi la sua schiena sbatté contro i capisaldi della rete. Come aveva immaginato, pur ammorbidendo la caduta, la protezione non riusciva del tutto ad evitare ferite, anzi le corde dure e intrecciate erano probabilmente la prima cosa a causare lividi e bruciature. Gazel ricordò le parole di Chang Soo e borbottò la parola “integro” mentre a fatica si lasciava rotolare giù dalla rete. Afuro fu al suo fianco in un attimo, lo prese da sotto le braccia e lo aiutò a mettersi in piedi.
-Stai bene?- chiese, allarmato.
Gazel scosse il capo e tornò a guardare verso l’alto.
-Non ho abbastanza forza nelle braccia- brontolò. L’allenamento sarebbe stato duro, non c’erano dubbi, ma Gazel era determinato a non arrendersi. Chang Soo gli aveva dato una seconda possibilità, più o meno; se non riusciva a superare neanche questa prova, che senso aveva restare lì? Annuì tra sé e sé, convinto della propria decisione, poi si sfilò la felpa di Afuro dalle spalle e la ficcò nelle mani del compagno.
-Ci riprovi?- domandò Afuro, sorpreso, vedendolo incamminarsi di nuovo verso il percorso.
-Ovviamente- rispose Gazel, piatto.
Di nuovo, Afuro non provò a fermarlo, tuttavia Gazel non aveva dubbi che sarebbe stato pronto ad intervenire in suo aiuto in ogni momento. E poter far affidamento su qualcuno era una cosa tanto strana quanto confortante.
 
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Gazel non aveva modo di sapere quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato ad allenarsi: quella mattina, si era alzato prestissimo, prima delle cinque, ed era sgattaiolato fuori senza svegliare Afuro. Nella sala del circuito, quindi, c’era solo lui, che non aveva orologi. Il suo stomaco brontolava, probabilmente aveva saltato la colazione.
Si guardò le mani: i palmi erano rossi e le dita gli bruciavano come se avesse stretto ferri bollenti. Il ragazzino chiuse i palmi in pugni e si girò a fissare le prove che aveva superato: la scala a pioli, un’asse di legno traballante, un’alta e intricata rete di corde. Erano pochi esercizi, tutti terribili e stancanti e gli erano occorsi molti tentativi per poterli superare. Più osservava il percorso, più realizzava che la forza era solo una parte dei requisiti necessari a superare l’addestramento: equilibrio, furbizia e pazienza erano altrettanto importanti.
Benché avesse fame e le mani gli facessero malissimo, Gazel non era affatto sicuro di volersi fermare, non prima di aver provato e osservato tutti gli ostacoli.
Dopo essere salito nel punto più lato, adesso cominciava la discesa. Come aveva notato il giorno prima, il filo teso tra le due pedane era così sottile da essere praticamente invisibile, ma non era quello il problema principale. Non appena Gazel si girò, vide il gancio venire verso di lui ad una velocità pazzesca, soprattutto considerato che stava risalendo; fece giusto in tempo ad abbassarsi prima di essere colpito in piena fronte e sussultò per il rumore del gancio che sbatteva contro il palo a cui era legata la rete, dietro di lui. Il fracasso metallico gli rimbombava ancora nelle orecchie quando l’oggetto di ferro tornò indietro, lo colpì alla schiena e lo spinse di forza giù dalla pedana.
Gazel percepì il familiare fischio alle orecchie e chiuse gli occhi d’istinto. Si aspettava di colpire a breve la maledetta rete di protezione, invece una vampata di calore lo avvolse all’improvviso, e, una volta aperti gli occhi per la sorpresa, il ragazzo si trovò circondato da una luce gialla e vibrante. Cercò di distinguerne la forma, coprendosi la fronte con una mano per non essere accecato, e realizzò che si trattava di un pugno di energia allo stato puro.
La mano di luce, che l’aveva catturato a mezz’aria, lo portò rapidamente a terra e scomparve soltanto quando mancava un semplice saltino per toccare il pavimento. Gazel rimase in piedi per un istante, poi le ginocchia gli cedettero e lo trascinarono a terra. Stordito, alzò lo sguardo e fissò la mano abbronzata, reale e in carne ed ossa, che qualcuno gli stava offrendo.
-Endou Mamoru- mormorò Gazel, sorpreso, senza muoversi.
-Questa roba sembra complicata!- esclamò il ragazzo, abbozzando un mezzo sorriso.
Prima che Gazel potesse replicare, Afuro apparve nella sua visuale: scivolò tra lui e Endou con grazia e tese la propria mano accanto a quella del compagno. Insieme, i due afferrarono Gazel per le braccia e lo tirarono su.
-Gazel, stai bene?- domandò Afuro. Gazel annuì, sbattendo lentamente le palpebre.
-Cosa…- mormorò, scosso. –Cos’era quella… cosa?
Endou e Afuro lo fissarono confusi, poi il ragazzo con la fascia arancione fece un largo sorriso e si indicò il petto col pollice destro.
-Quella è la mia Mano di Luce!- dichiarò con orgoglio.
-Il dono di Endou è del tipo Montagna e gli permette di raccogliere energia e darle forma a proprio piacimento- spiegò Afuro, tranquillo. –Ha elaborato questa tecnica tutta sua…
-Figo, vero? E sto pensando di farne un’altra… tipo, un pugno che si apre e si chiude… Sai, per afferrare gli avversari! Non sarebbe figo? Ho pensato anche ad un nome che…- Endou cominciò a parlare a raffica, quasi saltando su e giù per l’entusiasmo come un bambino, e Gazel faceva onestamente fatica a seguirlo; per fortuna, una terza persona intervenne in quel momento ed interruppe il monologo di Endou.
-Endou, vai più piano. Sono certo che Gazel sia esausto e probabilmente non capisce nulla di ciò che dici- disse Kiyama, lasciandosi sfuggire una mezza risata. Aveva in mano un piatto di onigiri avvolti nella pellicola trasparente e si avvicinò a Gazel con un sorriso.
–Devi scusarci per la confusione… Siamo venuti a portarti il pranzo- affermò, gentile.
-Sarei dovuto venire solo io, ma Endou era curioso- commentò Afuro alzando gli occhi al cielo. Endou avvampò e farfugliò qualcosa e Kiyama rise mentre dava il piatto a Gazel. Il ragazzino scartò in fretta il cibo e cominciò a mangiare, borbottando un grazie a bocca piena; intanto, gli altri tre si guardavano intorno, osservando il circuito e facendo commenti tra di loro.
-A che punto sei?- chiese Afuro ad un certo punto, girandosi verso Gazel e offrendogli una bottiglietta d’acqua. Gazel bevve un paio di sorsi e respirò profondamente: si sentiva già molto meglio, anche se le braccia continuavano a dolergli.
-Quando siete arrivati, avevo quasi finito. Credo di essere in grado di completare con successo la prima parte- rispose piano –ma non ho ancora ben studiato la seconda.
Afuro guardò in alto e disse:- Il gancio?
-Il gancio. Penso di dover calcolare bene i tempi.- Gazel sbuffò, chiuse la bottiglia e la restituì al compagno, poi fece scrocchiare collo e mani. Sì, si sentiva decisamente meglio dopo essersi rifocillato. Afuro gli sorrise e i suoi occhi s’illuminarono.
-Beh, tu sei molto intelligente. Hai ancora tutto il pomeriggio per esercitarti, sono sicuro al cento per cento che troverai una soluzione- dichiarò, e in effetti il suo tono non tradiva alcuna incertezza. Gazel lo fissò per un lungo istante, poi distolse lo sguardo e s’incamminò verso la scaletta con l’intenzione di ricominciare tutto il circuito daccapo (non che avesse molta scelta).
Salì i primi gradini, si fermò.
–Io… non lo faccio solo per Chang Soo- ammise, titubante. -Ci devo assolutamente riuscire, perché…- Non sapeva come spiegare le sensazioni che stava provando, ma ci provò ugualmente. -Mi sono sempre rassegnato a tutto, pensando che non ci fosse niente da fare. Non ho mai avuto nulla per cui lottare… penso che sia arrivato il momento di farlo- disse.
Non si voltò a guardare le espressioni dei compagni mentre si arrampicava in cima.
 
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Il giorno della prova c’era più pubblico di quanto si aspettasse. Da qualche parte laggiù, Afuro lo stava guardando. C’erano anche Endou e Kiyama, Jung-Soo, e persino Nagumo (Gazel non poté fare a meno di chiedersi se il rosso non fosse lì per ridere di un suo probabile fallimento); Hepai e il suo gruppetto, invece, non erano venuti ad assistere, convinti che si trattasse di uno spettacolo del tutto irrilevante. Naturalmente, Chang Soo spiccava tra la folla con la sua capigliatura afro, l’uniforme rossa e un megafono nel pugno destro.
In piedi sulla pedana di partenza, dove si era arrampicato pochi secondi prima, Gazel cominciava a sentirsi nervoso; s’intimò di stare calmo, perché le mani sudate erano la cosa peggiore che potesse capitargli in un momento come quello.
-Puoi cominciare- disse Chang Soo nel megafono, la sua voce rimbombò tra le pareti della stanza. Gazel inspirò, espirò e partì.
La prima prova era la scala a pioli, che percorse rapido come una scimmia, senza lasciare il tempo alla paura o al dolore di intralciarlo. Poi c’era l’asse di legno sospesa nel vuoto: era issata da entrambi i lati con chiodi arrugginiti, che minacciavano di spezzarsi e diventare inutili da un momento all’altro. Fortunatamente, Gazel pesava pochissimo, per cui sapeva che l’asse avrebbe retto; il problema, quindi, era trovare il giusto equilibrio. Aprì le braccia ai lati del corpo e cominciò a camminare mettendo un piede davanti all’altro, con cautela e senza fretta. Doveva tenere a bada l’impazienza. Procedette con quel ritmo, lento ma deciso, finché non fu abbastanza vicino da poter balzare sulla pedana successiva, sulla quale s’innalzava il massiccio reticolato di corda.
Gazel si inumidì le labbra con la lingua, roteò le braccia per sgranchirle e si lanciò sulla rete, aggrappandosi saldamente alle corde con mani e piedi, per poi iniziare l’arrampicata. Sembrava di stare in cima ad un triangolo isoscele. Arrivato nel punto più alto, si trovò a dover strisciare in uno spazio angusto, quasi sfiorando il soffitto con la schiena mentre spostava una gamba per volta e si calava lentamente sul lato opposto della rete. La discesa fu leggermente più complicata della salita, perché trovare i giusti appoggi guardandosi alle spalle richiedeva una maggiore concentrazione e arrivato a quel punto le mani e le articolazioni delle braccia gli facevano più male che mai; eppure, per qualche strano motivo, Gazel non voleva affatto fermarsi.
Poteva farcela. Kiyama aveva ragione: lamentarsi non serviva a nulla. Se voleva veramente cambiare qualcosa, doveva farlo con le proprie forze.
Tutti lo stavano osservando, ma non doveva pensarci. Non doveva dimostrare niente a nessuno. I suoi pensieri sfumavano in un solo desiderio, una forte volontà di avanzare; non si era mai sentito tanto determinato e i suoi sensi erano completamente concentrati sul suo obiettivo.
I suoi piedi toccarono finalmente terra, piantandosi fermamente sulla pedana.
Il punto di arrivo era dal lato opposto e, stranamente, non gli appariva più così lontano. Ma era ancora presto per provare sollievo: non aveva ancora finito, e il gancio stava arrivando verso di lui ad una velocità pazzesca. Gazel inspirò a fondo mentre lo fissava. Aveva passato tutto il giorno precedente ad allenarsi su quella parte di percorso, mentre gli altri ragazzi seguivano un addestramento diverso in un luogo diverso, e pensava sinceramente di essere giunto ad una conclusione soddisfacente.
Posso farcela.
Ormai aveva in pugno la tempistica, iniziò a contare.
Uno, due. Tre, il gancio schizzò sopra la sua testa, sbatté contro il palo di metallo producendo un fracasso incredibile e Gazel non tentò di prenderlo. Sapeva di avere ancora tempo. Quattro, cinque. Sei, il gancio, perso tutto lo slancio iniziale nello scontro, cominciò a scivolare all’indietro più lentamente. Sette, Gazel saltò e lo afferrò saldamente, dandosi una forte spinta in avanti con le gambe. Si lasciò trasportare fino alla seconda pedana, consapevole che ora veniva la parte più complicata, quella che ancora non era riuscito del tutto a padroneggiare: il momento in cui avrebbe dovuto lasciare il gancio. Un singolo errore avrebbe vanificato tutto. Se avesse saltato troppo presto, sarebbe caduto; oppure, se avesse aspettato troppo, si sarebbe schiantato…
Ricominciò a contare, cercando di intuire quale fosse il momento più opportuno per fare la propria mossa mentre il gancio lo portava rapidamente verso la piattaforma. Mancavano solo pochi metri e Gazel sudava freddo; d’istinto mollò la presa e si gettò verso la pedana, ma si rese subito conto che il salto era troppo corto, troppo prematuro. Qualcuno da sotto trattenne il fiato bruscamente.
Una volta atterrato sul bordo, Gazel quasi perse l’equilibrio e, per un istante, credette che sarebbe caduto all’indietro; il pensiero di dover rifare tutto daccapo, però, gli diede la forza di spingersi in avanti con gli addominali, usando fino all’ultima briciola di energia che gli restava in corpo. Crollò sulle ginocchia, sofferente ma sano e salvo, nella parte interna della pedana.
Ce l’aveva fatta. Gazel si premette una mano sul petto e tentò di placare il respiro affannato, le orecchie gli ronzavano e sentiva un rumore sordo di battiti: avrebbe potuto essere il cuore, o il sangue che pulsava ansiosamente. Ce l’aveva fatta.
Il silenzio tombale nella sala di addestramento fu interrotto bruscamente da Chang Soo, la cui voce esplose nel megafono in modo talmente confuso e roco che Gazel non riuscì a cogliere una sola parola di ciò che aveva detto. Era stordito e stanco, felice che fosse finita, ma il suo sollievo si affievolì molto quando si rese conto che ora gli toccava scendere. Si alzò barcollante e iniziò a scendere le scalette senza sbirciarsi alle spalle, concentrato solo sui pioli di ferro e sui propri piedi.
Non appena toccò terra e si voltò, qualcuno gli venne addosso.
Gazel sibilò di dolore e si lasciò sfuggire un paio di insulti, ma si bloccò rendendosi conto che era stato Afuro a venirgli incontro. Lo stava abbracciando, un gesto così familiare e spontaneo di cui Gazel restò talmente sorpreso da dimenticarsi di ricambiare. Afuro si staccò un pochino per poterlo guardare bene in viso.
-Ehi, cos’è quella faccia? Su col morale, sei stato promosso!- scherzò il biondo, sforzandosi di essere allegro, anche se era chiaramente in ansia per le sue ferite.
-Sono stato promosso?- ripeté Gazel, atono.
-Ma sì, certo! Non hai sentito Chang Soo, poco fa?
Gazel gli rivolse uno sguardo vacuo. Afuro si allontanò da lui di un passo.
-Vuoi andare in infermeria?- chiese, preoccupato.
Gazel scosse il capo. –Letto- disse, non aggiunse altro. Fortunatamente, Afuro capì che voleva solo dormire. Annuì con forza, gli passò un braccio dietro la schiena e uscirono dalla stanza passando attraverso il gruppetto di ragazzi. Gazel zoppicava al suo meglio per tenere il passo e non alzò il volto verso gli altri ragazzi nella stanza. Con la coda dell’occhio notò soltanto che Chang Soo era uscito; peccato, gli sarebbe piaciuto vedere la sua espressione.
                                                                                                 
Scendere le scale a chiocciola fu la parte più difficile, ma in qualche modo riuscirono a rientrare in camera. Visto che Gazel non riusciva da solo ad arrampicarsi sul suo letto e Afuro non aveva la forza di issarlo, il biondo decise semplicemente di sistemarlo sul proprio. Appena toccato il materasso, Gazel rotolò sulla schiena e mugolò per il dolore che gli torturava i legamenti. Afuro spostò un cuscino per metterglielo dietro la schiena e chiese:- Hai fame?
-Ho voglia di vomitare- brontolò Gazel. Sospirò rumorosamente notando l’espressione allarmata dell’altro.
–Tranquillo. Non penso che vomiterò sul serio… Ma non parlarmi di cibo… Non si sa mai.
-Okay… allora io vado. Torno subito dopo cena, nel frattempo dormi un po’.
Gazel considerò la frase. –Cos’altro vuoi che faccia? Mi fa male tutto, anche posti che non sapevo potessero far male- ribatté sollevando un sopracciglio.
Afuro sorrise, ma tornò subito serio.
-Mi farò dare la cassetta del pronto soccorso. Ormai dovrebbe esserci il tuo nome sopra, per tutte le volte che ti è servita- affermò mentre si raddrizzava e andava verso la porta.
–A dopo- aggiunse. Gazel annuì e sbadigliò; la porta si chiuse lentamente e lui scivolò nel sonno senza ulteriori pensieri.
 
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Afuro risalì le scale a chiocciola più veloce che poté e s’infilò nella galleria che portava alla mensa. Non aveva molta fame; lo stomaco gli si era chiuso durante la prestazione di Gazel nella prova di quel pomeriggio. Afuro non poteva dimenticare il sorriso genuinamente compiaciuto che aveva intravisto sul volto di Chang Soo, anche se solo per qualche secondo, prima che la Spy Eleven lasciasse la stanza. Gazel aveva chiaramente catturato il suo interesse, e Afuro non poteva biasimarlo: da quando il ragazzino era arrivato al centro, Afuro non faceva altro che pensare a lui. Inizialmente, anche lui come gli altri aveva creduto di trovarsi davanti ad un ragazzino senza speranze. Gli occhi di Gazel erano cupi e portavano con sé una tristezza che non si addiceva per niente alla sua giovane età.
Ma c’era dell’altro. Gazel era molto più di questo.
Afuro attraversò la mensa senza sedersi, né badare ai commenti degli altri. Rivolse un cenno di saluto al tavolo dove stavano Kiyama, Endou e Nagumo, e proseguì verso la cucina; quando mise la mano sulla porta per spingerla, questa si aprì dall’altra parte e davanti a lui comparve Jung-Soo. Lo skinhead lo fissò per un momento, poi annuì come se già conoscesse le intenzioni di Afuro.
-Ti do due porzioni in un piatto, così te lo porti giù- disse, gli fece un piatto per due e gli diede delle posate di plastica. -Vuoi che prenda la cassetta del pronto soccorso?- aggiunse con tatto, forse sforzandosi di non essere troppo invadente.
Afuro gli rivolse un sorriso grato. -No, grazie, hai già fatto molto... Passerò io stesso in infermeria prima di tornare da Gazel- rispose con serenità.
-Deve essere esausto- convenne Jung-Soo. Afuro ebbe l’impressione che volesse aggiungere qualcosa e, solo in quel momento, gli venne in mente che Jung-Soo era stato il compagno di Gazel nella prova del bicchiere d’acqua: in tutta probabilità, Jung-Soo aveva intuito prima di tutti la verità su Gazel. Afuro attese con ansia un qualsiasi commento, ma alla fine lo skinhead si limitò a scuotere il capo e abbozzare una specie di sorriso.
-Prenditi cura di lui- disse. Afuro gli fece un cenno di assenso, poi si voltò ed uscì dalla cucina e dalla mensa ignorando le occhiate di Hepai. Qualcosa nella sua espressione contrariata gli suggeriva che la notizia della prova superata da Gazel si fosse diffusa in fretta (presumibilmente a causa di Endou, che era fin troppo entusiasta e desideroso di spargere la storia ai quattro venti; Afuro rise pensando all’espressione esasperata, forse imbronciata, che avrebbe fatto Gazel se l’avesse scoperto) e che Hepai non l’avesse presa troppo bene. Magari sperava che Gazel sarebbe stato cacciato. Brutto narcisista antipatico. Afuro sapeva perfettamente che Hepai poteva facilmente curare le ferite, una conseguenza naturale del suo dono di sporcare o depurare i liquidi: usava spesso questo potere sui compagni che riteneva più degni, guadagnandosi così la loro protezione, se non il loro rispetto, mentre lasciava che gli altri marcissero nella propria sofferenza.
Afuro imboccò la galleria in direzione dell’infermeria, entrò nella stanza vuota usando le chiavi che aveva a disposizione e, dopo aver poggiato il piatto di cibo su un mobiletto all’entrata, andò verso l’armadio in fondo: spalancò le ante, la cassetta era di fronte a lui, sul secondo scaffale. La prese, reggendola per il manico, richiuse l’armadio e tornò indietro. Voltandosi, il suo sguardo colse un guizzo di capelli rosso scuro.
Nagumo era davanti alla porta, appoggiato allo stipite con le mani ficcate in tasca e la gambe incrociate. Sembrava intenzionato a bloccargli la strada. Afuro si avvicinò e si fermò davanti a lui, sollevò un sopracciglio e lo squadrò interdetto. Nagumo evitò di guardarlo negli occhi e si mise a fissare ostinatamente il pavimento.
-Haruya, non ho tempo per i tuoi capricci, ora- disse Afuro, esasperato e sinceramente confuso. -Avrei da fare, se non ti dispiace…
-Lui- lo interruppe Nagumo, alzando la voce bruscamente, –come sta…?
Afuro lo guardò, sorpreso. -Lui?
-Lui, sì, cioè… G-Gazel- brontolò Nagumo.
Afuro non rispose e rimase ad osservarlo in silenzio. Era certo che Kiyama, Endou e Jung-Soo fossero ormai dalla parte di Gazel, e non s’illudeva che a loro si aggiungessero altre persone. Nagumo, però... lui era un caso ancora "da considerare". Nagumo era irruento, ma non stupido, e dopo la prova di quel giorno doveva essersi reso conto di aver affrettato il giudizio su Gazel.
Afuro si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
Rendendosi conto di essere osservato, Nagumo azzardò un’occhiata di sbieco e assunse un’espressione crucciata mentre si succhiava l’interno delle guance.
-Allora?- esclamò, impaziente e visibilmente inquieto. Afuro era convinto che non fosse veramente arrabbiato; era tipico di Nagumo abbaiare senza mordere.
-Non sta tanto bene- rispose infine. –La prova l’ha stremato e ha numerose ferite, ma non è nulla da cui non possa riprendersi con un po’ di riposo.
Nagumo annuì debolmente. Afuro aspettò che dicesse qualcosa, poi si stancò. Preferiva essere diretto, su certi argomenti.
-Ti interessa?- domandò, sporgendosi per guardare meglio il viso dell’altro, che però si nascose nel collo della felpa.
-No, non proprio, no- brontolò Nagumo. Era ancora corrucciato, come se si stesse interrogando su qualcosa senza riuscire ad ottenere una risposta.
-Non capisco- ammise, infine, con uno sbuffo seccato. -Non riesco a capire cosa passi per la testa di quel ragazzo. È freddo con tutti e, cazzo, è dal primo giorno che vorrei tirargli un pugno in faccia. A te lui sembra piacere, però. Cosa ne pensi?
Afuro pensava che se un tipo orgoglioso come Nagumo era arrivato al punto di chiedere, allora doveva essere proprio in conflitto con se stesso. Gazel aveva fatto più miracoli di quello che credeva; oltre ad impressionare positivamente Chang Soo, la sua prestazione aveva avuto un certo effetto anche su Nagumo.
-Oggi sei venuto a guardare perché eri curioso, ma la verità è che ti aspettavi che avrebbe fallito, non è vero?- esclamò, e il modo in cui le guance di Nagumo si colorarono di rosa acceso fu una risposta più che sufficiente.
-Capisco, è difficile farsi delle aspettative su di lui… Ma forse è proprio per questo che risulta più sorprendente, alla fine- continuò Afuro, annuendo tra sé e sé.
–Gazel… è speciale, a modo suo. Non è come gli altri, e non è come te e me. È… diverso in modo diverso. Non so se questo abbia senso, ma è così.
Afuro fece una pausa: per un momento si chiese se fosse il caso di spiegare a Nagumo la situazione di Gazel e la sua apparente incapacità di evocare qualsiasi tipo di potere, ma decise di non rivelarlo. Non spettava a lui farlo. Pensò al modo in cui Gazel l’aveva guardato, come un bambino sperduto, quando l’aveva trovato rannicchiato e nascosto in una galleria, solo due giorni prima, e si sentì colpire da un’ondata di affetto verso il ragazzino.
-Io e lui ci somigliamo, credo- disse. –Voglio dire, lo conosco poco, ma… per quanto assurdo possa sembrare, voglio proteggerlo. Noi abbiamo i nostri doni, ma io credo che la vera forza sia molto più di questo… Rialzarsi dopo ogni caduta è una scelta dolorosa, ma solo chi cade può rialzarsi ancora una volta. Credo anche che Gazel sia molto forte, a modo suo, ma deve trovare questa forza dentro di sé, come ha fatto oggi, ed io voglio aiutarlo.
Prese il piatto che aveva lasciato sul mobile e offrì a Nagumo un sorriso mentre gli passava a fianco per uscire dalla stanza.
-Sai, Gazel non è così freddo e irraggiungibile come sembra. In realtà, si possono capire molte cose di lui standogli vicino… Bisogna osservarlo un po’ meglio, ecco tutto- aggiunse.
–Ci vediamo domattina, Haruya, buona notte.
Nagumo non rispose e non si mosse. Afuro uscì e attraversò la galleria e sparì dietro l’angolo.
 
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Gazel sobbalzò non appena si sentì toccare. Spalancò gli occhi e si guardò attorno, allucinato e confuso, in cerca di ciò che l’aveva svegliato; il suo primo istinto fu di tirare un pugno alla cieca, ma quando ci provò si rese conto che i muscoli gli facevano troppo male perché potesse alzare il braccio. Gli sfuggì un gemito.
-Ehi, ehi, non sforzarti- disse Afuro. –Alzati un po’, dai, fammi vedere le ginocchia.
Si era seduto sul bordo del letto e la mano con cui l’aveva scosso per svegliarlo era ancora poggiata sulla sua spalla; Gazel la guardò, poi spostò gli occhi sul compagno senza capire: aveva ancora la mente annebbiata dal sonno. Afuro era già tornato? Quanto tempo era passato? Era così stanco che gli pareva di aver dormito appena cinque minuti.
Non si accorse di aver borbottato e si meravigliò quando Afuro lo corresse:- No, sono trascorse quasi due ore. Avrei voluto tornare subito, scusami, ma sono stato trattenuto un po’ da Haruya per… Beh, non importa. Dai, su. Ti sei anche graffiato il braccio, vero?
-Non ce la faccio- protestò Gazel a bassa voce. -Voglio dormire…
-Sei come un bambino, santo cielo- replicò Afuro, gli sfuggì un sorriso divertito. Gazel frugò nella mente in cerca di una risposta arguta, ma non riusciva ad articolare frasi compiute, per cui ci rinunciò subito. Afuro gli passò le braccia dietro la schiena e lo tirò su e Gazel si accasciò contro lo schienale di legno del letto; strinse i pugni e si succhiò l’interno delle guance, intimandosi di non scalciare quando Afuro gli versò l’acqua ossigenata sulle ginocchia e le sue abrasioni cominciarono a sfrigolare e schiumare. Il biondo gli tamponò la pelle con dell’ovatta e gli fasciò delicatamente entrambe le ginocchia, poi ripeté lo stesso procedimento con il braccio, non senza commentare il colore orribile del graffio.
-In appena sette giorni sei riuscito a combinarti peggio di ragazzi che sono qui da mesi. Ho l’impressione che queste ginocchia non riusciranno mai a rimarginarsi, finché sei qui- aggiunse mentre Gazel scivolava di nuovo sul materasso.
Il ragazzino affondò con la nuca nel cuscino e si divincolò per trovare una sistemazione in cui stesse comodo, cosa quasi impossibile perché in qualunque modo si mettesse c’era almeno un muscolo che gli faceva male. Mentre si agitava, irrequieto, si accorse che Afuro non si spostava e gli lanciò uno sguardo interrogativo. Intuendo i suoi pensieri, il biondo abbozzò un sorriso.
-Sei ancora nel mio letto, sai- gli fece notare, divertito.
Gazel sollevò lo sguardo verso il soffitto di legno che divideva i due letti.
-Oh- disse. –Vuoi che mi sposti?
-Ce la fai a spostarti?
-No.
Afuro scoppiò a ridere.
-Viva la sincerità- esclamò, poi assunse un’espressione pensierosa. –Non mi va di dormire su, detto sinceramente… Ho un’idea, ma non so se ti piacerà.
Gazel continuò a fissarlo, aspettando che Afuro ampliasse il concetto, ma l’altro non lo fece; allora, una lampadina si accese nella sua mente.
-Oh- ripeté e si irrigidì, sorpreso. Dormire insieme non era di per sé una cattiva idea (entrambi erano magrissimi, quindi i problemi di spazio non sussistevano), il fatto era che Gazel non era mai stato un fan del contatto fisico. Non lo aveva mai cercato, né qualcuno aveva mai provato ad avvicinarsi così tanto a lui. Afuro continuava a stare in silenzio, scrutando il suo volto in segno di un cenno di assenso o di dissenso, e Gazel si interrogò rapidamente. Sorprendentemente, il pensiero di dormire con Afuro non lo repelleva; anzi, il profumo e il calore dell’altro apparivano invitanti, così facili da ottenere che sarebbe bastato allungare una mano… Forse era così che ci si sentiva in famiglia. Gazel non lo sapeva.  
Si trovò ad annuire inconsciamente e sussultò quando sentì Afuro scavalcarlo e sistemarsi a fianco a lui, nello spazio tra il suo corpo e il muro, come se volesse prevenire il formarsi di nuove ferite. Il biondo non spense la luce, né lo toccò; tirò un po’ di cuscino verso di sé, ci si appoggiò e chiuse gli occhi, sospirando parole che suonavano come una buonanotte. Ad un’occhiata più attenta, anche lui sembrava esausto.
Gazel lo osservò per alcuni istanti, poi si accoccolò contro di lui come un gatto e le palpebre scesero sulla sua vista come una tenda, portando il dolce oblio del sonno.
Quella notte, dopo quella che era parsa un’eternità, dormì bene e a lungo, senza incubi.


 
**Angolo dell'Autrice**
Buonasera!
Scrivere questo capitolo è stata una faticaccia a causa della prova (spero di non essere stata troppo lunga e noiosa ><"), tuttavia devo ammettere che mi ha dato anche una certa soddisfazione, per vari motivi. Prima di tutto, il capitolo segna la prima svolta importante della storia: la prova che Gazel riesce a superare con le sue sole forze, senza dover dipendere da un 'dono', è la prima tappa della sua crescita come persona/personaggio, perché è la prima volta in cui decide di 'lottare' per qualcosa (in questo caso, se stesso). 
Comincia anche a formarsi davvero l'amicizia tra Afuro e Gazel. 
 In questa fic, Afuro è una persona molto intuitiva e riesce a vedere Gazel per quello che è, con le sue debolezze e i suoi punti di forza. L'idea centrale del capitolo è la convinzione di Afuro che la 'vera forza' sia qualcosa di diverso dai 'doni naturali', che sia una scelta (in mezzo al suo discorso con Nagumo ho buttato lì una citazione tratta dall'anime, qualcuno l'ha notato? XD). Afuro vede in Gazel questo tipo di forza e vuole aiutarlo, ed è la sincerità dei suoi sentimenti a far sì che Gazel, finalmente, inizi a fidarsi di lui (il fatto che Gazel riesca a dormire tranquillamente al suo fianco è una prova tangibile di questa fiducia).
E, dulcis in fundo, anche Nagumo si sta dando una svegliata XD Dal prossimo capitolo lo vedremo più attivo!
Alla prossima~
Baci,
    Roby

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Capitolo 4
*** Act4 - Worth it. ***


Un ringraziamento speciale alla mia Ohana che mi ha betato il capitolo ♥


Act.4 – Worth it
«Before you start a war, you better know what you’re fightin’ for.»
(Angel with a shotgun - The Cab)
 
Gazel si arrampicò sulla scaletta e fissò i vestiti sparsi sul suo letto, a dir poco stropicciati. Ancora non erano arrivati vestiti nuovi per lui; il ragazzo aveva il sospetto che Chang Soo avesse fatto a meno di richiederli, pensando che in fondo lui e Afuro potevano continuare a dividere la roba.
Onestamente, il fatto di non avere abiti propri non era una situazione così nuova.
Visto che non si sapeva che fine avesse fatto la sua famiglia, Gazel non aveva ereditato nulla; tutto ciò che aveva usato durante l’infanzia era di proprietà dell’orfanatrofio, spesso abiti di seconda mano, che non entravano più ai ragazzi più grandi, o cose lasciate là da chi aveva la fortuna di trovarsi una famiglia. Per questo, se anche ora avesse avuto maggiore disponibilità di vestiti, non avrebbe saputo come godersela: l’importante per lui era stare comodo e non gli importava granché di fare abbinamenti. La parte più seccante della situazione, in realtà, era il fatto di dover chiedere dei prestiti. Gazel odiava dipendere dagli altri. E comunque, riteneva più che sufficiente limitarsi ad indossare sempre le stesse tre o quattro magliette, alternandole a seconda dei turni di lavaggio.
-Sai, posso anche prestarti altre magliette.- Naturalmente, Afuro non la pensava come lui.
-Non importa- replicò Gazel, secco.
Tacque per un momento, poi aggiunse un piccolo ‘grazie’ sottovoce. Afuro era così gentile nei suoi confronti che a rifiutare le sue offerte gli sembrava quasi di fargli un torto. Provava un misto di sensi di colpa e gratitudine verso Afuro, era una cosa un po’ strana. Non aveva mai provato nulla del genere nei confronti del personale dell’orfanatrofio, forse perché, dopotutto, per loro trattarlo bene era un dovere. Afuro non era obbligato a fare nulla del genere, eppure…
-Tieni, metti questa!
La voce di Afuro gli arrivò in contemporanea ad una maglietta, che gli atterrò sulla testa dopo essere stata lanciata dall’altro capo della stanza.
Gazel tastò con esitazione il tessuto di cotone e fibra elastica che gli era stato tirato, appallottolato perché volasse meglio, poi lo guardò e riconobbe una t-shirt azzurro mare che alcune volte aveva visto indosso ad Afuro. Si sentiva un po’ in imbarazzo a metterla, ma sapeva che contestare le decisioni di Afuro era inutile e iniziò a sfilarsi la canottiera che usava per dormire senza fare storie.
Dopo essersi infilato la t-shirt azzurra, si girò verso Afuro, che era già vestito di tutto punto e lo stava fissando con aria curiosa. Gli si avvicinò, sollevò una mano facendo tintinnare i bracciali di perle scure che teneva al polso; con delicatezza, gli scostò i capelli della frangia di lato e glieli sistemò con un paio di mollette nere. Gazel lo lasciò fare, tanto più che la cosa non gli dava alcun fastidio. Si era abituato a quei piccoli gesti quotidiani, ormai divenuti parte di una strana routine che né lui né Afuro avevano intenzione di contestare.
Quando Afuro si spostò, facendo un passo indietro, aveva un’espressione soddisfatta.
-Sì, perfetto. Così non ti andranno negli occhi- osservò. –Ho notato che tendi spesso a metterti le mani nei capelli, quando sei nervoso e ti cadono tutti davanti agli occhi. Non ti dà fastidio?
Gazel annuì appena. Non si era accorto di quanto in effetti potesse essere fastidioso finché Afuro non gliel’aveva fatto notare; a volte aveva l’impressione che l’altro lo capisse molto più di quanto facesse lui stesso.
-Tra l’altro, ora ho capito perché hai tutti quei segni sulla schiena... Te l'ho detto che ti agiti nel sonno, no? Probabilmente sbattevi contro la parete di roccia senza rendertene conto- proseguì Afuro, la sua fronte si corrugò mentre sbirciava verso il letto superiore, accigliato.
Gazel si portò automaticamente le mani alla schiena, distendendo le dita per toccarsi le scapole. Non poteva fare a meno di notare come il dolore alle articolazioni e la sensazione di perenne stanchezza fossero diminuite. Si sentiva molto più leggero, meno costretto.
Erano passate quasi due settimane dalla prova a cui Chang Soo l’aveva sottoposto, e da quella notte dormire con Afuro nel letto inferiore era diventata un’altra bizzarra routine.
Gli incubi erano diventati più radi e, quando pure comparivano, Gazel sapeva che bastava aprire gli occhi per trovare Afuro accanto a sé.
-Andiamo, dai. La zuppa di miso è immangiabile fredda- disse Afuro, allegro.
Gazel annuì e lo seguì lungo il corridoio.
 
xxx
 
Su di una cosa, Nagumo era certo: Gazel era una persona strana.
A dirla tutta, quel posto pullulava di persone strane, o forse sarebbe stato meglio dire ‘eccentriche’. Ma Gazel…
Nagumo non sapeva davvero cosa pensare di lui. All’inizio, a colpirlo era stato soprattutto il suo atteggiamento arrogante, il suo mostrarsi scostante e freddo verso tutti, come se nulla potesse toccarlo; gli aspetti negativi, insomma, che erano sotto gli occhi di tutti. Il soprannome di ‘robot’ calzava su Gazel in modo perfetto, almeno apparentemente.
Afuro, però, non la pensava come gli altri... Questo per Nagumo era stato il primo campanello d’allarme. All’interno del centro, Afuro era praticamente l’unica persona di cui Nagumo si fidasse; anche lui era decisamente eccentrico, ma il fatto che avesse un potere tanto terribile e che non tentasse di usarlo per i propri scopi lo rendeva degno di rispetto.
Poi, c’era stata la prova che Gazel aveva sostenuto settimane prima. Quando aveva deciso di assistere, Nagumo era convinto al cento per cento che Gazel avrebbe fallito; invece il ragazzino aveva tirato fuori un insospettabile forza d’animo e aveva strappato la vittoria con le proprie mani. La prova aveva cambiato molte cose…
-Haruya, se ti distrai così, finirai per consegnarmi la vittoria!
Allertato dalla voce improvvisamente molto vicina, Nagumo si girò di lato e riuscì a scansare per un pelo un calcio di Afuro. Il piede del compagno rimase sospeso a pochi centimetri dal suo collo per una manciata di secondi, poi Nagumo lo afferrò e lo spinse all’indietro, costringendo Afuro a fare una mezza capovolta su se stesso per restare in equilibrio.
Il biondo seguì con lo sguardo la direzione che Nagumo stava fissando prima del suo attacco.
-Cos’è che ti prende tanto?- cantilenò, sorrise intuendo la risposta.
Nagumo si morse l’interno della guancia e fissò insistentemente la parete di plexiglass alle spalle di Afuro. Sapeva che Afuro si sentiva particolarmente soddisfatto di avergli instillato il dubbio, con la loro conversazione nell’infermeria.
Incrociò le braccia al petto, mettendosi istintivamente sulla difensiva.
-Vogliamo continuare?- sbuffò. Afuro tornò a guardarlo con una luce divertita negli occhi.
-Certo- rispose. –Ma sei tu a distrarti in continuazione…
Nagumo non gli diede il tempo di finire la frase: lo attaccò con un pugno e un calcio al fianco destro, così in rapida successione che Afuro fu costretto ad arretrare e distolse lo sguardo da Gazel. Nagumo, invece, non poté fare a meno di sbirciare.
Di solito Chang Soo accoppiava sempre Gazel con persone grosse almeno il doppio di lui, ma questa volta gli aveva assegnato Hiroto; da un punto di vista fisico lo scontro appariva equilibrato, ma le cose stavano in modo ben diverso.
In realtà, a quanto pareva, Gazel aveva molta più difficoltà con Hiroto di quanta ne avesse mai avuta con Eun-Young, per esempio. Ma Eun-Young aveva un cervello di gallina, era facile tendergli tranelli; Hiroto invece era sveglio, agile e il fatto di conoscere molte più mosse rispetto al suo avversario gli dava un evidente vantaggio. Ovviamente Chang Soo aveva pensato anche a questo. Nagumo sospettava che restasse sveglio la notte a studiare strategie per rendere la loro vita impossibile.
Dopo la prova ad ostacoli, Nagumo aveva intuito che a Chang Soo, in realtà, Gazel doveva piacere molto. Lo metteva sempre alla prova, cosa che non accadeva con altri, perché Chang Soo non era il tipo da perdere tempo con chi non riteneva all’altezza. E se due persone come Chang Soo e Afuro nutrivano tanto interesse per Gazel, questo cosa faceva di lui? Nagumo era davvero confuso. 
La prova aveva cambiato molte cose, sì. Gazel era ancora assolutamente irritante, al punto che Nagumo avrebbe voluto essere messo in coppia con lui durante l’addestramento solo per potergli dare un pugno o due; tuttavia, il dubbio di averlo sottovalutato tormentava Nagumo più di quanto lui stesso fosse disposto ad ammettere. Stava cominciando sul serio a pensare che Gazel possedesse una qualche abilità segreta, speciale, come sosteneva Afuro.
D’un tratto Hiroto riuscì ad afferrare Gazel per la spalla e, con una mossa che Nagumo aveva visto eseguire nel karate, lo lanciò oltre il proprio corpo…
Nello stesso istante, Nagumo percepì il colpo in arrivo su di lui e si abbassò rapidamente per evitarlo; il movimento, però, lo sbilanciò su un lato e Afuro ne approfittò per colpirgli le gambe e mandarlo a terra. Nagumo cadde giù senza praticamente opporre resistenza (a parte vorticare stupidamente le braccia nel tentativo di restare in equilibrio) e rimase a fissare il soffitto, intontito.
-Haruya, sei eccessivamente distratto- disse Afuro, entrando di colpo nella sua visuale. Si chinò verso di lui, con le mani sui fianchi e la coda di cavallo che gli scendeva sulla spalla sinistra, e gli sorrise. Come prima, appariva molto divertito e compiaciuto.
-Oh, sta zitto- brontolò Nagumo, rotolando su un fianco.
Girandosi verso destra, vide Hiroto che tendeva la mano a Gazel per aiutarlo a rialzarsi.
Molti ragazzi avevano cambiato atteggiamento nei confronti di Gazel, dopo la prova. Endou e Hiroto erano ormai compagni fissi di Gazel e Afuro in mensa, o nei corridoi. Anche Jung-Soo sembrava supportarli, e la sua stazza faceva passare a chiunque la voglia di prendersela con loro in sua presenza.
Certo, le frecciatine non mancavano mai. Hepai, spesso accompagnato da Ares e altri, era sempre pronto a sparare cattiverie su Afuro, e su Gazel se questo poteva servire a colpire Afuro; Nagumo non aveva capito bene quale fosse il suo problema, ma Hepai riusciva sempre ad essere straordinariamente irritante. Gazel, comunque, era bravissimo ad ignorarlo: a volte, c’era da chiedersi se non fosse davvero sordo.
Gazel era strano, difficile da inquadrare.
Alla fin fine, Nagumo continuava a non avere un’idea precisa su di lui e questa cosa cominciava a farlo impazzire.
-Dannazione- mugugnò, e si nascose il viso tra le mani.
 
xxx  
 
Hiroto era stato decisamente l’avversario più forte che Chang Soo gli avesse assegnato. In quei giorni, il coreano aveva provato vari abbinamenti per stabilire quale fosse il peggiore e, a quanto pareva, aveva finalmente trovato una soluzione ideale per complicargli la vita (Gazel era ormai sicurissimo che Chang Soo s’ingegnasse molto per raggiungere quell’obiettivo). Nonostante non avesse una corporatura imponente come Eun-Young, Hiroto era un osso duro da battere, perché non cadeva facilmente nei tranelli che Gazel gli tendeva e talvolta riusciva anche a prevedere le sue mosse. E Hiroto era anche molto abile nel combattimento corpo a corpo, a giudicare dalla sua conoscenza di mosse provenienti da judo, karate e quant’altro: la manovra che aveva usato per metterlo al tappeto nel pomeriggio era stata efficacissima.
Gazel si sentiva ancora dolente, anche se la doccia fredda aveva assorbito un bel po’ della stanchezza fisica.
Lui e Afuro mangiarono lentamente la cena, soprattutto perché Afuro voleva commentare tutti i loro combattimenti. Parlava soltanto lui, per la maggior parte, e Gazel interveniva ogni tanto con versi d’assenso o poche parole, ma non sembrava che ad Afuro importasse; lui si divertiva lo stesso. Endou e Hiroto, a tratti, si univano al suo monologo, ma finirono prima di mangiare e tornarono alle stanze insieme a vari altri.
Quando Afuro finalmente decise che si era fatto tardi e che Gazel doveva finire al più presto di mangiare, ormai se n’erano andati quasi tutti. Gazel si guardò intorno e scoprì, non senza esserne seccato, che oltre a loro erano rimasti solo Hepai, il suo amico con i capelli legati in una treccia, e Nagumo, che però se ne stava in disparte.
Quella situazione non era favorevole; Hepai sembrava avercela a morte con Afuro, non perdeva mai occasione di stuzzicarlo e di certo non avrebbe lasciato passare un’opportunità così allettante. Gazel avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.
-Andiamo- brontolò, poi si alzò. Il biondino lo guardò interrogativo, forse percependo il suo repentino cambio di umore. Gazel lo tirò per una manica, insistente, e Afuro stava giusto districando le lunghe gambe dalla panchina per uscire quando Hepai aprì bocca.
-Sembra che domani ci alleneremo nella scatola nera… Probabilmente Chang Soo vuole migliorare le nostre abilità speciali… per chi ne ha, ovviamente- dichiarò, in apparenza tranquillo. A Gazel non sfuggì la frecciatina sottintesa nei suoi confronti, ma digrignò i denti e lo ignorò. Non aveva proprio senso litigare con Hepai, o argomentare con lui, visto che il suo unico scopo era dargli fastidio.
-Penso che tu debba stare attento, Aphrodi- continuò Hepai. –Non vorremmo brutti incidenti, vero? Sarebbe tremendo se ti sfuggisse qualche parolina di troppo… Quella è la tua specialità, in fondo.- Nel suo tono c’era qualcosa in più della solita ironia, c’era una punta di ostilità, di veleno difficile da ignorare. Gazel ripensò subito a quello che Afuro gli aveva detto su di sé e sul proprio potere, e non si meravigliò di sentirlo irrigidirsi al proprio fianco. Sbirciò silenziosamente alla propria destra e la sofferenza plastificata sul volto del compagno lo rese improvvisamente irrequieto. Non aveva mai provato a consolare qualcuno prima d’allora, per il semplice motivo che non aveva mai avuto l’impulso di farlo, che non era mai stato così legato ad una persona da poter simpatizzare. In quel momento, però, si accorse di odiare il fatto che Afuro stesse soffrendo.
Quando il biondo fece per voltarsi per rispondere per le rime a Hepai, Gazel lo fermò con delicatezza, stringendo le dita attorno al suo avanbraccio.
-No. Non ne vale la pena- disse, la sua voce alta e chiara rimbombò nella mensa semi-vuota. Anche se era consapevole di aver attirato gli sguardi su di sé, Gazel mantenne gli occhi fissi su Afuro. Sulle labbra esangui del biondo spuntò lentamente un sorriso, poi annuì con forza e lasciò che Gazel lo portasse verso l’uscita della mensa.
Hepai, però, non aveva ancora finito.
Fece una smorfia, scontento del fatto che Afuro lo stesse ignorando, ed appoggiò le mani con forza sul tavolo, con rumore, per richiamare nuovamente l’attenzione.
-Wow, sei riuscito persino ad incantare il robot. Cos’è, gli hai regalato un cuore, come nel Mago di Oz?- esclamò.
–O forse… hai usato il tuo potere per farlo innamorare di te, Aphrodite?
Afuro avvampò e smise di camminare, bloccandosi così bruscamente che Gazel quasi perse l’equilibrio sentendosi tirare all’indietro.
–Questo no- sibilò Afuro.
Lanciò a Gazel un’occhiata eloquente, intimandogli di lasciarlo andare, ma in ogni caso il ragazzino non l’avrebbe fermato: a quel punto anche lui avrebbe volentieri preso a pugni Hepai, qualunque cosa andava bene pur di cancellare quel sorrisetto sornione.
Hepai pareva sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma prima che potesse, ci fu un rapido guizzo d’argento, un rumore secco, e le parole gli morirono in gola. I suoi occhi nocciola si spostarono sul coltello che era stato conficcato nel legno, nello spazio tra il suo indice e il suo pollice, poi sul ragazzo in piedi di fronte a lui.
Nagumo, il cui pugno era ancora stretto attorno al manico del coltello.
-Non hai niente di meglio da dire?- disse a denti stretti.
-Dopo tutto questo tempo che siamo rimasti qui insieme, siamo ancora a questo punto? Cristo, tu sì che hai problemi di autostima. Se sei tanto impaziente di mostrare quanto sei bravo ad Afuro, perché non lo batti lealmente su un campo di battaglia? O, forse, sei solo geloso perché al contrario di te sa farsi degli amici senza usare i suoi maledetti poteri?
Ora tutti gli sguardi erano concentrati su di lui. Hepai diventava più inquieto ad ogni parola detta. Afuro rivolse a Nagumo uno sguardo grato e, allo stesso tempo, ansioso, mentre Gazel era più che altro sorpreso: era la prima volta che credeva davvero a ciò che il biondo gli aveva detto di Nagumo, che non era solo un egocentrico e un arrogante.
-Taci, Nagumo, tu non sai niente di niente- intervenne Ares, sbattendo un pugno sul tavolo.
Nagumo si accigliò e lo squadrò con disgusto. –Non credo che Hepai abbia bisogno di un avvocato difensore. La bocca ce l’ha anche lui, e purtroppo è anche troppo bravo ad aprirla quando si tratta di sparare stronzate- ribatté, sarcastico.
Hepai si riscosse e si alzò in piedi per guardare il rosso dall’alto in basso. -Sei passato anche tu dalla parte del robot, Nagumo? Ora che ha un cuore ti sembra più affascinante?- disse.
Nagumo tacque per un istante, come se stesse riflettendo su quelle parole. Sbirciò verso Gazel, che ricambiò sollevando un sopracciglio, interrogativo.
-Quel robot- pronunciò il soprannome con un’insolita dolcezza –è molto più coraggioso di te.
Gazel non poteva fare a meno di continuare a fissarlo, senza riuscire a nascondere il proprio stupore per il fatto che Nagumo lo stesse difendendo.
A quel punto, Ares scattò in piedi e afferrò il rosso per il bavero della maglia, quasi sollevandolo da terra. –È finito il tempo delle chiacchiere- sibilò, minaccioso.
Gli occhi dorati di Nagumo si accesero: non poteva resistere ad una sfida.
–Sono d’accordo. Parlare è stupido, io sono più un tipo d’azione- replicò, infatti.
Per un attimo, Gazel colse un bagliore di fiamme guizzare sulle dita di Nagumo, ma quello con cui colpì Ares in pieno volto era solo un normale pugno. Ares restò spiazzato per un attimo, poi ringhiò e si gettò su di lui, e i due ragazzi cominciarono a picchiarsi sul pavimento.
Gazel, Hera e Afuro osservavano la scena, spiazzati; per Gazel, quella era la prima volta che vedeva Nagumo combattere da vicino.
Il ragazzino dai capelli rossi era agile e scattante, impetuoso ed istintivo; la sua coordinazione, la straordinaria flessibilità e i riflessi gli permettevano di scansare facilmente i pugni di Ares, mettendo al contempo a segno qualche colpo. Era bravo, ma Gazel si rese conto che il suo stile di combattimento era anche caotico e stancante a lungo andare: Nagumo non aveva la grazia di Afuro, né la capacità di ripresa di Hiroto, ed i suoi colpi potevano tanto ferire l’avversario quanto rivelarsi inefficaci. Non sembrava avere una profonda conoscenza dei punti deboli del corpo, cosa che invece Gazel aveva letto in un libro di scienze e memorizzato da tempo.
Proprio quando iniziava a chiedersi quanto quella lotta avrebbe potuto protrarsi, Ares riuscì ad afferrare Nagumo, lo gettò a terra e bloccò sotto il suo peso. Era molto più grosso e robusto di Nagumo, che a quel punto non riusciva a fare niente di più che proteggersi e scalciare.
Prima che qualcuno avesse un’idea migliore, Gazel decise di agire: raggiunse con un balzo il tavolo, afferrò un vassoio di plastica dura e lo sbatté con forza sulla nuca di Ares. Il ragazzo dalla lunga treccia non parve apprezzare: anche se stordito, si sollevò e si voltò verso di lui. Un secondo dopo, Gazel si vide venire addosso l’intera pila di vassoi e dovette abbassarsi rapidamente per evitarli, nel fare il movimento sbatté il ginocchio a terra e una delle ferite su cui si era fatta la crosta si riaprì e riprese a sanguinare. Si lasciò sfuggire un sibilo di dolore, ma al momento il rischio di essere colpito da qualcos’altro lo preoccupava di più.
Gazel spiò rapidamente la situazione al di sopra del tavolo: una sorta di fluorescenza violacea circondava il corpo di Ares, accendendosi e spegnendosi come un fanale difettoso, ed ai vassoi che continuavano a girare vorticosamente per la stanza si era aggiunta la posateria.
Dannazione, avrebbe dovuto ricordarsi che il potere di Ares era la telecinesi.
Gazel si gettò di nuovo sotto il tavolo, evitando così per un soffio che una forchetta lo accecasse, poi gattonò sotto il tavolo per avvicinarsi senza dare nell’occhio. La sua intenzione era quella di colpire le gambe dell’altro e farlo cadere a terra, ma d’un tratto una mano sgusciò sotto il tavolo e gli afferrò una caviglia. Gazel si sentì trascinare e sollevare da terra; un paio di secondi dopo, si ritrovò a dimenarsi, appeso a testa in giù.
-Lascialo!
Incurante degli oggetti che volavano sopra la sua testa, Nagumo ruggì e si scagliò sulla schiena di Ares: iniziò a picchiarlo e graffiarlo il più possibile, come un gatto inferocito, costringendolo a liberare Gazel per scrollarselo di dosso. Gazel ruzzolò a terra con una specie di capriola, ebbe appena il tempo di ritenersi fortunato per non essersi rotto l’osso del collo e poi Nagumo fu sbalzato in avanti e gli atterrò praticamente addosso. Gazel gemette di dolore sotto il peso del compagno.
-Basta così!- gridò Afuro. Gazel lo cercò con lo sguardo e vide che Hepai lo stava trattenendo per le braccia, come se volesse impedirgli di avvicinarsi a loro. Gli disse qualcosa in fretta e Afuro ribatté, stizzito, ma Gazel non riuscì ad afferrare una singola parola del loro scambio, l’unica cosa di cui era certo era che Hepai appariva stranamente allarmato.
Aveva vinto, no? Aveva vinto, nonostante avesse torto marcio. Cosa poteva preoccuparlo?
Poi però capì: Ares aveva l’aria stordita, arrabbiata, e non pareva avere il controllo sul suo potere, il che se possibile lo rendeva ancora più pericoloso. Probabilmente anche Hepai se n’era accorto. Gazel ebbe la fugace impressione che Hepai stesse trattenendo Afuro per evitare che si ferisse, per quanto assurdo potesse sembrare, e fu la prima volta in cui pensò che forse Hepai non odiava Afuro tanto quanto il suo atteggiamento suggeriva.
Ma non c’era davvero tempo per riflettere su questa scoperta.
Ares stava strizzando gli occhi, digrignando i denti, in uno sforzo quasi sovrumano di riprendere il controllo; il suo impegno non servì a nulla, anzi se possibile le cose peggiorarono, ed un cestino di forchette poggiato incautamente su un altro tavolo cominciò a vibrare così forte da rovesciarsi e sbattere a terra con un gran fracasso metallico.
Gazel tentò di rialzarsi e spostare Nagumo.
–Levati, verrai colpito di sicuro!- gli sibilò, tirandolo per la maglia.
-Ma va', non me ne ero accorto- sbottò Nagumo. Con fatica si era seduto sui talloni e rifiutava di muoversi anche solo di un millimetro, con un braccio di fronte Gazel. Per qualche stupido, assurdo motivo, sembrava determinato a proteggerlo, e Gazel non ne era per niente contento.
Anche se Nagumo lo irritava, non voleva che si facesse male e, proprio come il desiderio di consolare Afuro, quel pensiero gli uscì così spontaneo che ne restò sorpreso.
Le posate si alzarono in aria, allineate e pronte a sferrare un attacco frontale, come una prima linea di aerei da caccia, e Gazel era sicuro al cento per cento che Nagumo sarebbe rimasto ferito, ma in quel preciso momento Kiyama entrò nella mensa.
Spostò lo sguardo da una parte all’altra e, dopo appena due secondi di indecisione, attraversò rapidamente la stanza e con la mano destra tesa in avanti toccò la fronte di Ares. Per un istante Gazel pensò che non stesse accadendo nulla, poi invece Ares ricadde all’indietro come se fosse stato svuotato di ogni energia. I vassoi e le posate volanti atterrarono insieme a lui e la mensa si riempì prima di una pioggia di oggetti argentei, poi di un assordante rumore metallico: il pavimento ora somigliava ad un tappeto da picnic in disordine.
Nel silenzio che calò, aleggiava ancora una certa tensione, ma c’era anche sollievo.
Afuro sospirò e Nagumo si lasciò cadere a terra sul sedere, esausto. Kiyama abbassò il braccio e guardò il compagno che stava a terra incosciente con compassione.
-Scusami, ho dovuto farlo- bisbigliò, poi si rivolse agli altri. -State tutti bene?
Gazel considerò la domanda: in verità, si sentiva davvero a pezzi. Si era di nuovo scorticato il ginocchio, percepiva un leggero pizzicore alla guancia destra, come se si fosse tagliato, e la zona del torace gli faceva male a causa del volo e dell’impatto con Nagumo. Ora che ci pensava, anche il suo atterraggio non era stato dei migliori. Girandosi verso il compagno, Gazel scoprì un’espressione contratta di dolore sul suo viso.
-Beh… almeno nessuno ha una forchetta piantata in mezzo agli occhi- brontolò. Kiyama lanciò un’occhiata al suo viso, aggrottò la fronte e assentì.
Poco dopo, anche Chang Soo entrò nella mensa: i suoi occhietti neri vagarono su tutti i presenti prima di soffermarsi, gravi, su Ares. 
-È severamente vietato usare i nostri poteri contro i nostri compagni al di fuori delle ore di addestramento… per cui Ares verrà punito- disse, serio. Si voltò verso Gazel e Nagumo.
–Ma voi due non aspettatevi di uscirne senza conseguenze. Anche scatenare risse è proibito.
-Non è giusto- intervenne Afuro, imbronciato. –È stato Ares a cominciare. Nagumo e Gazel si sono solo difesi.
-Beh, però è stato Nagumo a colpire Ares per primo…- obiettò Hepai, ammutolì quando Afuro gli scoccò un’occhiata di fuoco. Il fatto che avesse almeno la decenza di sentirsi in colpa per il guaio che aveva combinato era un ben magra consolazione, soprattutto perché Chang Soo non si lasciò affatto smuovere.
-Kiyama ha usato il suo potere solo per evitare il peggio, per cui sarà perdonato. Ma tutti gli altri saranno puniti. Presentatevi nel mio ufficio stasera alle otto. È tutto- affermò, si girò ed uscì. Per un po’ i suoi passi rimbombarono nel corridoio di roccia; solo quando anche quel suono scomparve, i ragazzi riuscirono a rilassarsi, seppur minimamente.
–Andiamo, vi porto in infermeria- disse Afuro, aiutando Nagumo e Gazel a rialzarsi.
-Vi accompagno anche io- esclamò Kiyama. –Hepai, aiutami con Ares... Dobbiamo portare anche lui…- Hepai non ribatté, semplicemente si chinò e si passò una delle braccia di Ares intorno alle spalle. Kiyama si mise dal lato opposto e, insieme, lo sollevarono un po’ a fatica.
 
xxx
 
Afuro aveva insistito per piazzarli su brandine molto distanti da quella su cui Ares ora russava placidamente, nascosto dietro una tenda opaca. Qualunque cosa gli avesse fatto Kiyama, pensò Nagumo, di certo non gli aveva fatto più male di quanto il ragazzo ne avesse fatto a loro.
Seduto sul letto, con le gambe penzolanti dalla brandina e le mani in grembo, Gazel fissava le luci sul soffitto: il suo ginocchio perdeva sangue e la guancia era aperta al punto che guardare la carne rossa e gonfia dava la nausea, ma nonostante tutto lui aveva l’aria tranquilla.
Era così concentrato sui faretti da non essersi accorto che Nagumo lo stava osservando da più di cinque minuti, più o meno dal momento in cui Afuro e Hepai avevano cominciato a litigare (di nuovo) e Kiyama aveva trascinato tutti fuori dalla stanza per parlarne con calma.
La verità era che Nagumo non sapeva più bene cosa pensare su Gazel.
Quel ragazzino era stato soprannominato robot perché era sempre impassibile e freddo, ma in realtà sarebbe bastata un po’ più di attenzione per rendersi conto di quante emozioni si nascondessero sotto la superficie. Più Nagumo guardava Gazel, più notava cose.
Per esempio, quella sua strana fissa per le luci. O il fatto che odiasse rispondere a domande troppo personali, come quelle sul proprio nome (che in realtà non era un vero e proprio nome). O quell’insolita scintilla di vita che gli si accendeva negli occhi quando qualcosa lo incuriosiva. Nagumo non ci aveva mai fatto veramente caso prima che Afuro glielo facesse notare, eppure ora era tutto lì, cristallino, davanti ai suoi occhi, e non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto a non vederlo prima. Osservare Gazel era come tuffarsi in un mare gelato e accorgersi che l’iceberg era molto più grande di quanto si potesse immaginare dalla punta, e Nagumo aveva la spiacevole sensazione di star affondando sempre più in profondità.
-Ehi, posso chiederti una cosa?
La voce di Gazel, piana e modulata, lo fece sussultare.
Nagumo si riscosse, rendendosi conto di essere stato, per un paio di minuti, completamente immerso nei propri pensieri. Sbatté un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza e vide che Gazel si era girato a guardarlo.
Nagumo annuì, Gazel non disse nulla, e il silenzio si protrasse tanto che il rosso pensò che l’altro stesse per rimangiarsi la domanda. Stava iniziando a fremere d’impazienza quando Gazel finalmente parlò di nuovo.
-Perché sei intervenuto?
La domanda aveva un’inflessione così piatta da sembrare più un’affermazione.
Gazel abbassò lo sguardo verso di lui e Nagumo intravide un’espressione diversa sul suo viso, qualcosa che somigliava alla confusione. O almeno così gli parve. Non era ancora neanche lontanamente capace di leggerlo come faceva Afuro, cosa molto frustrante.
Nagumo sbuffò. -Quando cominci una guerra, devi sapere per cosa combatti. Io ho semplicemente pensato che ne valesse la pena- disse la verità, accompagnandola con una scrollata di spalle, come se quella fosse stata una cosa da niente e non una decisione presa dopo lunghe riflessioni.
-Non è per questo che sei intervenuto anche tu?- aggiunse, squadrandolo.
Gazel esitò e lanciò un’occhiata di soppiatto ad Afuro e Kiyama, che stavano ancora parlando fuori alla porta; di Afuro intravedeva solo i brillanti capelli e una parte della schiena, ma la sua mente rievocò subito l’immagine del suo sorriso e del suo calore.
-Capisco- sussurrò infine Gazel. Quando si girò nuovamente verso Nagumo, lo trovò che lo fissava con un’espressione inebetita.
–Cosa c’è?- lo interrogò, aggrottando le sopracciglia.
Il rosso arrossì, colto in flagrante, e scosse più volte il capo.
-N-nulla. Lascia stare- esclamò. Gazel inclinò la testa di lato e una scintilla d’interesse gli balenò nello sguardo azzurro; prima che potesse fargli un’altra domanda, però, Afuro e Kiyama rientrarono nella stanza. Il biondo gettò un’occhiata al volto di Gazel e fece una smorfia.
-Mi piange il cuore a vederti così sfregiato- mormorò. Andò verso il carrello dei medicinali, inzuppò un batuffolo d’ovatta con l’acqua ossigenata e tornò dal ragazzino.
Gazel sibilò di dolore quando Afuro gli toccò la guancia e la ferita iniziò a sfrigolare, riempendosi di schiuma bianca. –Mi dispiace- disse il biondo, affranto.
-Non importa- borbottò Gazel, chiuse gli occhi mentre l’altro continuava a medicarlo e, quando alla fine un grande cerotto bianco gli fu applicato sulla guancia, tirò un sospiro di sollievo.
-Come stai?- chiese Afuro, scostandosi. Gazel riaprì gli occhi e studiò il suo volto preoccupato.
-Non tanto bene, credo, ma ci sono abituato- disse, cauto. –Tu, invece… stai bene?
Invece di rispondere alla domanda, Afuro gli prese le mani tra le proprie e lo rimbrottò:- Non abituarti a cose come queste! Perché ti sei messo in mezzo?
Gazel osservò con un cipiglio corrucciato le lacrime formarsi negli occhi rossi dell’altro. Non si era certo lasciato ferire per vedere Afuro piangere, e questo lo turbava.
-Piantala- scattò, poi si ammutolì. Scoccò una breve occhiata a Nagumo, che ricambiò sorpreso, poi si voltò nuovamente verso Afuro ed aggiunse, più docile:- Ne valeva la pena…
Afuro non lo lasciò finire, si slanciò in avanti per abbracciarlo. Gazel si irrigidì per la sorpresa, ma non si ritrasse, né lo spinse via. Lo lasciò fare, perché probabilmente Afuro ne aveva bisogno più di qualsiasi parola di conforto. 
-Sei uno stupido- borbottò Afuro. -Anche tu ne vali la pena. Sei importante, per questo devi smetterla di farti del male. Devi avere più cura di te stesso!
-Oh… Okay- rispose Gazel, confuso. Non sapeva precisamente come reagire a certe parole: nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere e dubitava che qualcuno l’avesse mai pensato.
Alcuni pensieri attraversarono blandamente la sua mente, per esempio che la sua maglietta si stava inzuppando, o che la guancia gli bruciava ancora, ma si accorse che non gli importava, non quando Afuro lo stava abbracciando così forte, piangendo contro la sua spalla. Le uniche sensazioni che percepiva, fortissime, erano il calore dell’amico, il suo respiro affannoso e tremulo ed il volto bagnato premuto contro il suo collo.
Gazel poggiò le mani sulla schiena di Afuro, ricambiando impacciatamente l’abbraccio, e fece vagare lo sguardo nella stanza, senza sapere bene dove posarlo. I suoi occhi incrociarono per caso quelli di Nagumo e lo beccarono a spiarlo, di nuovo.
Gazel fece appena in tempo a registrare il rossore che apparve sulle guance dell’altro prima che lui distogliesse lo sguardo. 



 

**Angolo dell'autrice**
Buongiorno!
È stato bello scrivere questo capitolo per varie ragioni; diciamo che è un po' una svolta per lo sviluppo sia del personaggio Gazel, sia delle sue relazioni con altri personaggi, in particolare Afuro e Nagumo. Finalmente la BanGaze muove i primi passi, sono così fiera di loro *asciuga lacrimuccia*
Dal momento che Nagumo arriva gradualmente all'accettazione e al rispetto verso Gazel, mi è sembrato giusto ed importante mostrare i suoi pensieri a riguardo (per questo ho scritto una parte usando il suo P.O.V.), anche per poter comprendere perché Nagumo sceglie di difendere Gazel contro Hepai e Ares. Credo che Nagumo sia una persona molto più istintiva che riflessiva, in ogni caso; nonostante tutte le riflessioni che fa, alla fin fine è il suo istinto a spingerlo a fidarsi di Gazel. Ho anche accennato minimamente al rapporto tra Nagumo e Afuro, spero di poterlo un po' approfondire in futuro; mentre per il rapporto tra Nagumo e Hiroto, beh... avrete capito che non corre proprio buon sangue (XD), ma tra loro c'è comunque rispetto reciproco. Spero di poter scrivere un po' di più anche sul rapporto tra Hiroto e Gazel, perché è una premessa importante ad alcuni fatti accaduti in Spy Eleven.
Gazel è molto cambiato dal primo capitolo e mi piace di più così com'è ora, anche se la sua crescita non è certo finita qui. 
Mi spiace un po' che Hepai debba sempre fare la parte del cattivo; ha i suoi motivi per comportarsi così, però, diciamocelo, è proprio antipatico :'D Magari prima o poi si riscatterà... (?)
Alla prossima, sperando che questo capitolo vi sia piaciuto ♥

      Roby

P.s. Grazie mille a tutti i miei recensori! In questo periodo sono molto impegnata con gli esami universitari, ma sappiate che leggo sempre i vostri commenti e che mi fa molto piacere, anche se non sempre riesco a rispondere ;u;

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Capitolo 5
*** Act5 - Dark tunnels. ***


Un ringraziamento speciale alla mia ohana che mi ha fatto da beta-reader (nonostante stia esaurita, ahah) ♥

Act.5 – Dark tunnels
«Like fireworks, we pull apart the dark
(In The Embers, Sleeping at Last)

 
 
Nella sala mensa, quella mattina, c’era un chiacchiericcio che poteva significare una cosa sola: doveva esserci qualche novità in arrivo.
Considerando l’eccentricità di Chang Soo, Gazel non sapeva cosa aspettarsi: per un momento, la sua mente congetturò l’immagine di un combattimento chiusi in gabbia con animali feroci. Se Chang Soo avesse potuto portare in vita il dragone disegnato sul corridoio che portava al proprio ufficio per usarlo nei propri allenamenti, sicuramente l’avrebbe fatto.
Di qualunque cosa si trattasse, per una volta l’attenzione non era tutta su Gazel e per questo provava grande sollievo.
Quando Chang Soo lo chiamò, si alzò dal tavolo e andò a ritirare la propria colazione. Quel giorno sopra il riso bianco c’erano due fette di bacon abbrustolito e un uovo fritto e la scodella era accompagnata da un bicchiere di succo di frutta di color rosa pallido.
Nessuno fece battutine su di lui mentre tornava indietro. Gazel stava quasi cominciando a credere che finalmente i ragazzi avessero deciso di lasciarlo in pace, ma forse era stato troppo precipitoso: proprio come se avesse letto i suoi pensieri, Ares sporse la propria gamba dalla panchina su cui era seduto e gli colpì la caviglia. Gazel non riuscì a evitarlo in tempo e barcollò in avanti, cercando di tenere in equilibrio il cibo sul vassoio; la scodella scivolò pericolosamente su un lato prima che qualcuno infilasse una mano sotto al vassoio e lo rimettesse a posto.
Gazel si rimise in piedi e sollevò il viso per vedere chi l’avesse aiutato, ma Nagumo distolse lo sguardo prima che i loro occhi si potessero incrociare. Il rosso diresse un’occhiataccia verso Ares, sorpassò Gazel e andò a prendersi la colazione: gli passò così vicino da urtargli leggermente la spalla con la propria, ma sembrava essere più un gesto amichevole che non un tentativo di infastidirlo.
Gazel seguì Nagumo con lo sguardo, poi si girò a osservare il tavolo di Ares. Il ragazzo lo ignorò come se non avesse appena cercato di farlo spalmare sul pavimento e si rivolse invece sottovoce a Hepai, cosa per nulla insolita; ciò che invece sorprese Gazel fu l’assenza di qualsiasi reazione da parte di Hepai. Normalmente avrebbe almeno fatto una battuta, o tentato di punzecchiare Gazel in un qualche modo, tuttavia questa volta rimase a fissare il proprio piatto in silenzio, tamburellando le dita sul vassoio. Anche Ares parve notare il suo strano comportamento e lo guardò corrucciato, ma non fece commenti a riguardo. Per quanto sarebbe stato bello pensare che Hepai non trovasse più divertente tormentarlo, Gazel riteneva più probabile che avesse semplicemente altre cose per la testa. Hepai, infatti, sembrava nervoso e sbirciava continuamente verso la porta che dalla mensa portava all’uscita.
Gazel non sapeva se considerare più strano il fatto che Hepai avesse rinunciato volontariamente a prendersi gioco di lui, o il fatto che Nagumo avesse cominciato ad essere gentile con lui. Non che Nagumo gli avesse chiesto di diventare suo amico. Non aveva nemmeno ammesso esplicitamente di provare simpatia per Gazel, benché fosse diventato decisamente meno scontroso nei suoi confronti da quando, una settimana prima, era intervenuto al suo fianco per difendere Afuro da Hepai e Ares. In quell’occasione, come pochi minuti prima, Nagumo lo aveva aiutato, quindi di certo il loro rapporto era migliorato, ma dire che erano amici sembrava piuttosto azzardato. Francamente, Gazel non era ancora certo su chi poteva considerare suo amico: a parte Afuro, non aveva stretto un legame profondo con nessuno.
Si sedette al solito tavolo con Afuro, Endou e Kiyama e il suo sguardo si soffermò su questi ultimi due. Apprezzava la loro compagnia, ma il primo era troppo espansivo e invadente per i suoi gusti, mentre il secondo, al contrario, era educato ma distaccato. Nagumo venne a sedersi al loro stesso tavolo: si fermò per un attimo a guardare i posti, ignorò lo spazio libero accanto a Gazel e Afuro e disse a Kiyama di farsi più in là. Kiyama lo assecondò, sopportando con infinita pazienza il suo atteggiamento brusco e tutt’altro che educato.
Dopo essersi assicurato che ognuno avesse ritirato il proprio vassoio, Chang Soo si posizionò davanti al tavolo dove c’era il pentolone di riso e si schiarì la voce per richiamare l’attenzione di tutti. Aveva le braccia incrociate dietro la schiena e una postura tranquilla e seria.
-Due giorni fa ci è stato riferito che avremmo avuto tra noi una nuova recluta. Quest’informazione mi è stata passata da un mio collega e naturalmente, visto che era segreta, posso ritenere con assoluta certezza che tutti voi ne siate venuti a conoscenza. In posti come questo niente riesce a rimanere segreto per più di sei ore, dopotutto- disse con un tono vagamente divertito. Qualcuno dei ragazzi tossicchiò, qualcuno fece una risatina imbarazzata.
-In ogni caso, ho da fare un annuncio a questo riguardo- continuò Chang Soo. –Il ragazzo che entrerà nelle nostre file è arrivato questa mattina presto. Come tale, si unirà a noi per la colazione.
Si girò verso la porta d’ingresso e chiamò:- Vieni avanti, per favore.
A queste parole, gli occhi di tutti i ragazzi s’incollarono immediatamente alla porta, soffermandosi sul ragazzo che aveva appena fatto il suo ingresso. Nonostante fosse stato improvvisamente buttato al centro dell’attenzione, non appariva nervoso: il suo sguardo fermo non vacillò nemmeno per un istante mentre attraversava la stanza con la schiena dritta e i pugni chiusi lungo i fianchi. Gazel si ritrovò quasi ad ammirare questa manifestazione di sangue freddo: se fosse stato al suo posto, avrebbe sentito lo stomaco attorcigliarsi per il nervosismo e probabilmente avrebbe resistito alla tentazione di guardare a terra per evitare d’incrociare lo sguardo di qualcuno.
Il nuovo arrivato si mise in piedi accanto a Chang Soo e fece un rapido inchino in avanti, frustando l’aria con i capelli legati in una coda di cavallo alta. Quando si sollevò e il suo viso fu illuminato dalla luce artificiale, Gazel notò che una lunga cicatrice violacea gli deturpava il lato sinistro del volto, estendendosi dall’attaccatura dei capelli fino al mento; per il resto, la sua pelle era liscia e chiara, cosa che faceva risaltare ancora di più la cicatrice.
-Mi chiamo Atena Tomo. Il mio dono è della categoria Albero e mi permette di rendere la mia pelle più dura di una corteccia. Spero di andare d’accordo con tutti!- disse a voce alta e chiara.
-Molto bene- replicò Chang Soo con un sorriso di approvazione. –Prendi un vassoio, poi puoi andare a sederti laggiù.
Gazel vide che Chang Soo stava indicando proprio il loro tavolo; d’altronde, era l’unico che avesse ancora un posto libero. Atena obbedì all’ordine ricevuto con diligenza: prese un vassoio, attese che Chang Soo glielo riempisse e poi si incamminò verso il tavolo indicatogli. Quando passò a fianco al tavolo di Hepai, gli fece un piccolo cenno di saluto, ma nessun sorriso, e Hepai abbassò in fretta il capo come per nascondersi alla sua vista. Probabilmente si conoscevano già, e Gazel avrebbe potuto scommettere che quello era il motivo per cui Hepai era nervoso.
-Ciao. Posso sedermi qui?
Gazel distolse lo sguardo da Hepai e si trovò a fissare Atena: avrebbe potuto semplicemente sedersi, invece si era fermato di fronte a lui, come se stesse aspettando educatamente il suo permesso. Prima che Gazel potesse rispondere, Afuro lo anticipò.
-Certamente! Gazel, fai un po’ di spazio- disse con un largo sorriso di benvenuto. Diede un colpetto sul braccio di Gazel, il quale fu ben felice di spostarsi verso l’altra estremità della panchina, in modo che Afuro fosse seduto tra lui e il nuovo ragazzo. Atena sorrise, ringraziò con la stessa educazione di poco prima e si sedette.  
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi Chang Soo esclamò:- Buon appetito.
-Buon appetito!- risposero i ragazzi in coro, chi ad alta voce, chi più sommessamente. Non appena si tuffarono sul cibo, la sala mensa si riempì di tintinnii di cucchiai, battutine e risatine. Endou e Afuro intavolarono subito una conversazione amichevole con Atena, nella quale ogni tanto interveniva anche Kiyama. Nagumo rimase in disparte, così come Gazel, ed entrambi finirono di mangiare in silenzio.
 
xxx
 
Come al solito, pensò Gazel, Chang Soo aveva un senso dell’umorismo orribile.
O almeno, Gazel sperava che fosse uno scherzo: stava fissando intensamente la lista che la Spy Eleven aveva appeso fuori alla sala addestramento, chiedendosi perché il suo nome fosse scritto proprio accanto a quello di Nagumo.
-Continuare a guardarla non farà cambiare magicamente le cose- commentò Afuro.
Gazel gli scoccò un’occhiata contrariata. –Perché sembri divertito?
-Perché lo sono- rispose il biondo, senza nemmeno curarsi di negarlo. –L’idea di un addestramento a coppie è divertente in sé, ma gli accoppiamenti sono la parte migliore.
-Infatti, non vedi come mi diverto?- Gazel alzò gli occhi al cielo, sarcastico, e incrociò le braccia al petto. Un pensiero improvviso gli attraversò la mente e si guardò intorno, sospettoso.
-Secondo te Nagumo l’ha già vista?
-La lista? Credo proprio di sì. È là già da mezz’ora, sai...- Afuro scrollò le spalle. -In effetti, penso sia comparsa mentre ci preparavamo, e ho visto Nagumo salire le scale prima di noi.
-Cosa? Perché io non l’ho visto passare?
-Ti stavi ancora vestendo. Io ero già pronto e mi sono messo a guardare fuori per perdere un po' di tempo- spiegò Afuro, ed era del tutto plausibile perché era sempre pronto per primo.
Gazel sollevò un sopracciglio, interdetto.
Se Nagumo aveva già visto la lista, come mai non era ancora venuto a rompergli le scatole a riguardo? Forse era andato direttamente da Chang Soo a protestare? Gazel scoprì che quel pensiero non gli piaceva. Non che ci tenesse a stare in coppia con Nagumo, ma essere scaricato da lui sarebbe stato davvero umiliante; se qualcuno doveva lamentarsi, avrebbe preferito di gran lunga essere lui. Era questione di orgoglio. In più, era assolutamente probabile che Chang Soo avrebbe riso in faccia a qualsiasi protesta e allora Nagumo sarebbe tornato indietro con la coda tra le gambe, amareggiato e sicuramente meno incline ad essere collaborativo. Un lavoro di coppia con quelle premesse non era gratificante.
Cercando di distogliere la sua mente da congetture su Nagumo, Gazel scrutò la lista in cerca di altri nomi conosciuti. Afuro era stato messo in coppia con Atena, mentre Kiyama era con Hepai. Povero Kiyama, pensò Gazel. Ma era probabilmente l’unico abbastanza paziente da sopportare Hepai, ammesso che l’altro avesse ritrovato la propria vena arrogante nelle due ore che erano passate dalla colazione a quel momento.
-Ciao- una voce nuova lo distrasse. Gazel si voltò e notò per prima cosa che si trattava di Atena, poi che stava parlando con Afuro e non con lui.
-Siamo in coppia insieme… Sono un po’ nervoso, non ho proprio idea di cosa si tratti. Spero di non fare troppi errori e non arrecarti fastidio- disse Atena, accennando un sorriso imbarazzato.
-Oh, stai tranquillo! In realtà è la prima volta per tutti- esclamò Afuro. –A Chang Soo piace variare sempre i nostri allenamenti. Sono sicuro che sarà qualche percorso di addestramento nelle gallerie, come abbiamo fatto altre volte, ma non ci ha mai messi a coppie. Probabilmente ha pensato che questo tipo di addestramento sarà utile… e divertente.
Gazel scosse il capo e sbuffò. Era certo, benché Afuro non si fosse girato esplicitamente verso di lui, che avesse sottolineato l’ultima parola proprio pensando a lui e Nagumo.
-In ogni caso mi affido a te. Spero che lavoreremo bene insieme- disse Atena, leggermente più rilassato. In quel momento, Hepai e Kiyama passarono alle loro spalle; Atena e Hepai incrociarono lo sguardo, ma non si scambiarono più di un cenno col capo, e Hepai andò avanti, visibilmente turbato.
-Ragazzi, dobbiamo andare alla galleria Seishin. Chang Soo ci ha detto di avviarci lì- disse Kiyama, fermandosi un momento per parlare con loro prima di riprendere a camminare.
-Seishin?- ripeté Gazel, accigliato. C’erano ancora cose di quel luogo che non conosceva, cosa che lo seccava non poco. Anche Atena sembrava confuso, perciò mentre camminavano verso la galleria Afuro si lanciò in una spiegazione su come il centro, essendo stato scavato sotto terra, fosse costituito di varie gallerie, alle quali Chang Soo aveva dato dei nomi per comodità.
-Le gallerie che usiamo per gli addestramenti sono tre: Tamashī, dove ci alleniamo con i nostri doni; Nikutai, per i combattimenti corpo a corpo, e Seishin per addestramenti speciali- disse Afuro, poi si rivolse solo a Gazel: –La galleria in cui hai fatto la prova settimane fa è proprio la Seishin. Devi sapere che la smantellano e la allestiscono nuovamente ogni volta che Chang Soo pensa un nuovo tipo di addestramento, quindi è possibile che la troverai completamente cambiata…
Gazel annuì, mentre cercava di camminare il più vicino possibile a lui. Si stavano inoltrando sempre più giù e le luci artificiali non erano sufficienti a diminuire il senso di soffocamento e nausea che gli stringeva lo stomaco. In quella situazione, solo Afuro lo aiutava a distrarsi da pensieri opprimenti. Gazel si concentrò sulla sua voce e, quando Afuro lasciò ciondolare la propria mano dietro la schiena, in una silenziosa offerta di aiuto, si aggrappò alle sue dita.
D’un tratto, Afuro decise che si era parlato abbastanza di gallerie e allenamenti e cambiò bruscamente argomento.
-Scusa se sono invadente, ma tu e Hepai vi conoscete, giusto? Non ho potuto fare a meno di notare una certa intesa tra voi due...- esclamò. Atena si grattò la guancia sana, nervoso.
–Ah, ci conosciamo, ma non la chiamerei “intesa” ora come ora… Siamo stati nello stesso orfanatrofio, da bambini. Da quando lui è stato adottato non ho avuto modo di contattarlo… Oggi è la prima volta che lo vedo da quasi un anno e non so se voglia ancora essere mio amico.- Si fermò, mordendosi l’interno della guancia.
-Comunque non importa, non voglio forzarlo a parlarmi se non vuole.
-Mmm, se lo dici tu… Hepai è un tipo difficile. Io non sono mai riuscito ad andarci troppo d’accordo, ma tu di certo lo conoscerai meglio di me- commentò Afuro.
-Comincio a riconoscere il posto- mormorò Gazel, socchiudendo gli occhi per scrutare le pieghe buie nelle pareti di roccia. Non si sarebbe meravigliato della presenza di topi, o pipistrelli. Probabilmente quel luogo aveva bisogno di essere continuamente disinfestato.
La sua osservazione parve mettere fine alla conversazione precedente, perché spostò l’attenzione di Afuro e Atena sul percorso che avevano davanti: dopo un’ultima curva, infatti, videro comparire davanti a loro la stanza di addestramento Seishin. L’entrata era costituita da un semplice varco nella roccia, senza porte, e attraverso di esso s’intravedevano i ragazzi che erano già arrivati; alcuni aspettavano Chang Soo in piedi, chiacchierando tra loro, mentre altri si erano seduti sul pavimento di terra.
Suo malgrado, Gazel cercò subito Nagumo con lo sguardo. I suoi capelli rossi avrebbero dovuto rendere facile la ricerca, ma Gazel non riusciva a trovarlo.
-Ehi.- Qualcuno gli bussò sulla spalla, facendolo trasalire. Sperò che l’altro non se ne fosse accorto mentre si voltava con un’espressione accigliata. Nagumo gli rivolse uno sguardo altrettanto entusiasta.
-Siamo stati messi in squadra insieme- disse, riluttante.
-Già- rispose Gazel, piatto, e Nagumo parve imbronciarsi ancora di più. Con uno sbuffo seccato, il rosso si ficcò le mani nelle tasche della tuta nera e rimase in piedi accanto a Gazel, apparentemente lambiccandosi il cervello in cerca di qualcos’altro da dire. Gazel sperava fortemente che stesse riflettendo sulla prova che li aspettava; magari, visto che Nagumo era lì da più tempo, aveva una qualche remota idea di cosa l’allenamento prevedesse.
-Vedi di non intralciarmi- disse invece Nagumo. Gazel gli scoccò un’occhiata annoiata, deluso dal fatto che Nagumo avesse inconsapevolmente tradito le sue aspettative.
-Figurati- ribatté. –Piuttosto tu… Se si tratta di una prova di intelligenza, cerca di stare al mio passo. Non mi va di doverti spiegare le cose.
-Mi stai dando dell’idiota?
-Bravo, stai già andando bene.
-Senti un po’…- Ma Gazel non riuscì a sentire ciò che Nagumo voleva dirgli, perché in quel momento Chang Soo entrò nella stanza e i ragazzi tacquero immediatamente, spostandosi per permettere alla Spy Eleven di passare nel mezzo.
Chang Soo si posizionò davanti a loro, aprì gli occhi lentamente e osservò uno ad uno i ragazzi nella stanza: quando il suo sguardo si posò su di lui, Gazel avvertì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. L’espressione di Chang Soo era seria e tirata e, nonostante fossero passate solo poche ore, sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva accolto scherzosamente Atena. Gazel pensò che fosse come trovarsi improvvisamente di fronte ad un’enorme drago, in precedenza assopito e ora risvegliatosi con una fame vorace.
Guardandosi intorno, nella stanza, Gazel notò che anche gli altri ragazzi si erano accorti del cambiamento d’umore di Chang Soo e apparivano nervosi, se non intimoriti.
-Oggi vi inoltrerete nella parte più profonda di questo posto. Ho fatto preparare per voi un percorso specifico. Riconoscerete da soli la fine del percorso, in quanto vi porterà fuori dal centro- disse Chang Soo.  
Gazel non era sorpreso di scoprire che il centro aveva altre entrate, o uscite, anzi sembrava piuttosto logico considerata la sua struttura. Si chiese invece di quanti metri di profondità nel sottosuolo si stesse parlando e quanto illuminato sarebbe stato il percorso; il solo pensiero gli faceva venire la pelle d’oca. Era probabile che Chang Soo fosse a conoscenza della sua paura del buio, ma non sapeva quanto davvero gliene importasse. Fino a quel momento aveva mostrato di essere pronto a tutto pur di tirare fuori il meglio dai suoi allievi, ma sembrava abbastanza saggio da non chiedere loro cose che riteneva impossibili.
Gazel scosse il capo e inspirò profondamente, imponendosi di concentrarsi.
-Entrerete a coppie, così come vi ho divisi. Consegnerò ad ogni coppia una mappa del percorso e una fascia rossa. Se incontrate un’altra coppia durante il percorso, dovrete ingaggiare un combattimento contro di essa per passare- continuò Chang Soo.
-Non fate del male ai vostri compagni. Sarà sufficiente che rubiate loro la fascia come prova di averli battuti, perciò non potete usare i vostri doni nei combattimenti. La coppia che uscirà per prima e senza essersi fatta rubare la fascia avrà una ricompensa. Avete domande?
Nessuno fiatò, e Chang Soo annuì lentamente tra sé e sé.
-Bene- disse. –Allora cominciamo. I primi ad entrare… saranno Afuro e Atena.
Gazel fu sicuro di sentire qualcuno tirare un sospiro di sollievo.
Afuro e Atena si avvicinarono a Chang Soo in silenzio, con la schiena diritta e un’espressione determinata, nascondendo insicurezze o nervosismo. Chang Soo consegnò loro un foglio di carta ingiallita, arrotolato come una pergamena antica, e una fascia rossa, che Afuro si legò al braccio destro; poi la Spy Eleven si voltò e s’incamminò verso l’altro lato della stanza, laddove una volta c’era stata l’impalcatura del gancio che Gazel ben ricordava.
Chang Soo poggiò una mano sulla parete di roccia più distante da loro e questa cominciò a muoversi, scorrendo con un rumore sinistro. Qualcuno tra i ragazzi bisbigliò “figo”, ma per la maggior parte sembravano avere la lingua incollata al palato, sopraffatti dalla pressione psicologica. Gazel sentì Nagumo, accanto a lui, trattenere il fiato. Si trovavano di fronte ad un vero e proprio passaggio segreto, di quelli che si vedevano nei vecchi film di avventura.
-Buona fortuna- disse Chang Soo mentre si faceva da parte per permettere Afuro e Atena di entrare. Afuro lanciò un’occhiata dietro di sé e Gazel, pensando che stesse cercando lui, si mise sulle punte per avere una visuale migliore: i loro sguardi s’incrociarono per un momento. Poi Afuro si girò ed entrò nel buio, seguito da Atena. Gazel li osservò andare via con un nodo alla gola. Chang Soo abbassò lo sguardo sul proprio orologio da polso.
-Endou, Jung-Soo, i prossimi siete voi- annunciò. –Entrerete fra tre minuti. Cominciate a venire qui davanti a me.
I due ragazzi chiamati si avvicinarono a Chang Soo e rimasero in attesa finché l’uomo non decise che era arrivato il loro momento e consegnò loro il necessario per iniziare la prova. Poi toccò ad altri due e così si andò avanti, ogni coppia separata da un intervallo di circa tre minuti. Gazel trovava l’attesa insopportabile. Sembrò passare un’eternità prima che Chang Soo chiamasse all’appello lui e Nagumo; nella stanza erano rimasti soltanto loro e altri sei ragazzi di cui non ricordava i nomi.
Nagumo si mosse senza aspettarlo e Gazel dovette affrettarsi a raggiungerlo; aveva in mente una mezza idea di lamentarsene, ma una volta trovatosi spalla a spalla con lui notò che Nagumo stava facendo del proprio meglio per non apparire nervoso, con la mascella serrata e la fronte corrucciata, e ci ripensò. Continuò invece a osservarlo silenziosamente. Quando Chang Soo gli diede la mappa e la fascia, Nagumo deglutì e a Gazel parve di vedere distintamente il suo pomo d’Adamo muoversi, poi il rosso si voltò verso di lui e lo fece trasalire per la seconda volta in giornata.
-Ehi, dammi il polso- disse Nagumo. Gazel intuì le sue intenzioni e, nonostante fosse restio all’idea, stese il braccio destro in avanti, in modo che Nagumo potesse legargli la fascia intorno al polso. Gazel si sorprese della delicatezza con cui le dita dell’altro avvolsero il suo polso per tenerlo fermo e si sentì quasi imbarazzato.
-Hai un polso così sottile- borbottò Nagumo sottovoce.
-Sta zitto e muoviti- ribatté Gazel, guadagnandosi un’occhiataccia. Nagumo fece un nodo non troppo stretto e lasciò cadere la sua mano bruscamente.   
-Andate- ordinò Chang Soo. –Buona fortuna.
Gazel si voltò verso il varco ed ebbe un tuffo al cuore. Nagumo si mosse di nuovo per primo, ma non appena varcata l’entrata si fermò ad aspettare Gazel; il ragazzino si portò una mano al petto, prese un respiro profondo per infondersi coraggio e s’incamminò. Era acutamente consapevole degli occhi di Chang Soo incollati alla propria schiena, così intensi che pareva volessero marchiarlo a fuoco.
La strada scavata nella roccia non era completamente al buio, ma, come Gazel temeva, le poche lanterne dalla luce fioca attaccate alle pareti non erano abbastanza per placare la sua paura.
Gazel tolse la mappa dalle mani di Nagumo e la srotolò febbrilmente per farsi un’idea del tragitto che li aspettava: il suo stomaco, già sottosopra, si affossò quando si rese conto che davanti a loro si diramava un vero e proprio labirinto di gallerie, di cui alcune si incrociavano, altre parevano non avere sbocco. A giudicare dalla mappa, inoltre, avevano percorso a stento una trentina di metri e Gazel temeva che l’oscurità potesse infittirsi man mano che proseguivano.  
-Hai intenzione di ignorare la mia presenza tutto il tempo, o vuoi dirmi cosa ti frulla in quel cervellino?- domandò Nagumo rompendo il silenzio.
Gazel guardò nella sua direzione, scettico.
-Non riesci proprio a stare zitto?
-Non riesci proprio ad essere simpatico?
-Apparentemente no, quindi perché vuoi parlare con me?- brontolò Gazel. Con la coda dell’occhio, vide Nagumo muoversi e intuì che stava scrollando le spalle.
-Non ho molta scelta. Se non l’hai notato, ci siamo solo io e te qui dentro- replicò, fece una pausa. –C’è troppa poca luce qui... Non riesco nemmeno a vederti in faccia, anche se sono abbastanza sicuro che tu abbia la solita faccia da stronzo.
Gazel non si diede pena a negarlo.
-E cosa intendi fare a proposito?- disse invece. –Ci dovremmo far bastare la poca luce che c’è, visto che non abbiamo nemmeno una torcia.- Se l’avesse avuta, pensò, probabilmente non si sarebbe sentito male. Dannazione a Chang Soo e ai suoi metodi di addestramento.
D’un tratto, Gazel si rese conto che il silenzio era tornato. Nagumo aveva incredibilmente smesso di parlare. Gazel non sapeva a cosa fosse dovuta quell’improvvisa mancanza di comunicazione, ma non si curò di chiedere spiegazioni: se Nagumo si era offeso e intendeva ignorarlo, anche lui avrebbe fatto lo stesso. Abbassò nuovamente lo sguardo sulla mappa, deciso a trovare il modo più breve e rapido di trovare l’uscita, che sul foglio era segnalata da un mero quadratino colorato.
Ben presto, però, Gazel si rese conto di star fissando il foglio senza davvero comprendere cosa stava leggendo. Più andavano avanti, più la sensazione di essere sul punto di soffocare diventava forte, alimentata da pensieri catastrofici. E se fosse crollata una parete? Come potevano essere certi che il posto fosse a norma di sicurezza? Se fossero rimasti chiusi in quel posto buio e stretto e…
-Ehi, stai bene?
Gazel sussultò e si girò di scatto, fissando Nagumo a occhi sgranati. In quei pochi minuti si era quasi totalmente dimenticato della sua presenza; il fatto di non essere solo, tuttavia, non bastava affatto a rassicurarlo. Sentiva di essere sul principio di un attacco di panico e dubitava fortemente che Nagumo avrebbe saputo come comportarsi. Se si fosse innervosito anche lui, la situazione sarebbe peggiorata. Gazel si voltò di nuovo, riprendendo a guardare davanti a sé, e tentò di regolarizzare il proprio respiro.
-Nulla di grave- sibilò a denti stretti.
Una delle mani di Nagumo gli sfiorò la spalla: le sue dita scesero lungo il braccio e si chiusero intorno al suo polso, con il pollice premuto nell’interno, nel punto dove c’erano le vene.
-Il tuo battito è accelerato- notò Nagumo. Costrinse Gazel a fermarsi e premette l’altra mano sulla sua fronte.
-Ehi, attento, mi hai quasi accecato…- brontolò Gazel, ma la sua protesta fu ignorata.
-Stai sudando freddo- constatò Nagumo. –Quindi? Vuoi ancora darmi a bere che stai bene? Nel caso tu non l’abbia notato, questa prova durerà un altro po’, quindi fattene una ragione e fai affidamento su di me.
Gazel non poté fare a meno di notare la somiglianza con un bambino capriccioso: sembrava quasi che Nagumo fosse arrabbiato con lui per essersi sentito male senza il suo permesso. Erano molto vicini e Gazel poteva sentire il suo respiro; evitò il suo sguardo, ostinato, e si mise a fissare le proprie scarpe. Non voleva mostrarsi vulnerabile, ma si chiese se non potesse appoggiarsi a Nagumo solo un pochino, solo per il tempo in cui sarebbero rimasti là dentro.
Alla fine, Gazel sospirò, giungendo ad una decisione.
-Il buio- ammise, titubante. –C’è troppa poca luce... Mi fa sentire in trappola, non mi piace.
-Oh- commentò Nagumo, sorpreso. Gazel aspettò che continuasse, ma Nagumo non pareva avere altro da dire.
-Non avrò un attacco di panico- disse Gazel bruscamente. Forse continuando a ripeterlo se ne sarebbe persino convinto. Al momento aveva la sensazione che il suo stomaco si fosse capovolto come l’interno di una lavatrice e pensava che avrebbe potuto vomitare da un minuto all’altro.
Il contatto fisico tra lui e Nagumo venne improvvisamente meno.
-Senti, non che sia preoccupato per te… Voglio solo evitare che tu mi vomiti addosso, o che tu abbia un attacco di panico serio.
-Ti ho detto che non…
-Sì, sì, come vuoi tu!- esclamò Nagumo esasperato. -Comunque questa oscurità inizia a stufare anche me, quindi ora provo a fare una cosa.
Tacque per un momento, poi aggiunse:- Tu non spaventarti… Non ti muovere e non venirmi vicino, okay?
Suonava alquanto nervoso e Gazel non era certo di fidarsi di lui al cento per cento, ma non aveva la forza di controbattere.
-Okay- rispose piano.
-Non spaventarti- ripeté Nagumo. Gazel si accigliò.
–Non hai ancora fatto nulla per cui dovrei spaventarmi- obiettò. –Ma cosa hai intenzione di fare?
Nagumo scrollò le spalle, rifiutandosi di rispondere.
Per un po’ parve che non dovesse succedere nulla di particolare, poi Gazel notò che la luce intorno a loro stava iniziando a diventare più forte. Cominciava anche a fare più caldo. Gazel si guardò intorno, spaesato, e vide un bagliore dorato diffondersi lungo il braccio sinistro di Nagumo. Il suo primo impulso fu quello di allungare la mano verso la sorgente di luce e calore.
-Non avvicinarti- lo avvertì la voce di Nagumo.
Gazel si immobilizzò e il respiro gli si mozzò in petto: le sue braccia scoperte si stavano ricoprendo di fiamme, dal gomito fino alla punta delle dita, e il fuoco tremolava con sfumature vivide, rosse e violacee, persino bluastre. Di nuovo, Gazel sentì l’irresistibile impulso di allungare una mano e sfiorarlo, ma Nagumo gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
-È fuoco vero- sibilò. –Ti brucerai.
-Questo… questo è il tuo dono?- domandò Gazel, senza abbassare la mano. Lentamente, con cautela, avvicinò le dita alla mano destra di Nagumo e lasciò che i propri polpastrelli scorressero sulla punta delle fiamme. Era un fuoco vero, senza dubbio. Gazel aveva paura, ma scoprì anche di esserne attratto.
-Posso ricoprire di fiamme le mie braccia e le mie gambe- disse Nagumo, osservando con diffidenza la mano di Gazel, ancora sospesa vicino alla sua mano in fiamme. Aveva la mascella serrata e i lineamenti tesi, come se limitare l’uso del proprio potere gli costasse un enorme sforzo di concentrazione. Dopo un paio di secondi, la temperatura si abbassò di qualche grado, arrivando ad essere più sopportabile, quasi gradevole.
-È utile per combattere… A volte anche per i campeggi- commentò Nagumo. Un ghigno comparve per un attimo sul suo viso, ma subito scomparve lasciando il posto ad un’espressione indecifrabile. –Ma ci sono un mucchio di complicazioni- aggiunse, aggrottando la fronte sudata, turbato da chissà quale pensiero.
Gazel notò che il colore dei suoi occhi appariva ancora più denso alla luce del fuoco: era proprio come oro liquido, pieno di riflessi e ombre che si alternavano seguendo la lenta danza delle fiamme.
-Ora stai meglio- osservò Nagumo d’un tratto. Per quanto avesse detto di non essere preoccupato, nella sua voce c’era un’inconfondibile nota di sollievo. Gazel si mise una mano sul cuore e si rese conto che era vero: il suo battito erano tornato normale, così come la sua respirazione. Il dono di Nagumo, mettendo fine all’oscurità, aveva anche spazzato via la sensazione di soffocamento che prima aveva minacciato di mandarlo nel panico.
Ora che aveva la mente più libera, si ricordò improvvisamente delle parole di Chang Soo.
-Aspetta, ma Chang Soo non aveva detto di non usare doni?- domandò.
-Ha detto di non usarli nei combattimenti- ribatté Nagumo, accigliandosi. –Credo che questo sia consentito, o non avrebbe specificato, no?
Gazel annuì, perché in effetti il ragionamento filava. Chang Soo era sempre molto preciso nel dare istruzioni, non diceva mai niente di casuale. Gazel non poté fare a meno di chiedersi se Chang Soo non l’avesse messo in coppia con Nagumo in previsione di una situazione come questa. 
-Per quanto tempo puoi mantenerlo?- chiese senza staccare gli occhi dalle fiamme.
-Non molto… Se lo uso troppo a lungo, rischio che la mia temperatura corporea si alzi troppo,  però mi sono allenato per arrivare almeno a dieci minuti- rispose Nagumo.
Gazel annuì. Era poco, pochissimo tempo. Dovevano trovare un modo per uscire al più presto. Riaprì la mappa e gettò una rapida occhiata.
-Tra poco c’è possibilità di girare a destra. Tieni gli occhi aperti- disse. Nagumo non mosse alcuna obiezione, quindi Gazel considerò che fosse d’accordo. Percorsero un’altra decina di metri, poi come Gazel aveva visto sulla mappa la strada curvava e loro la seguirono.
–Ehi, mi mostri la mappa?- domandò Nagumo. Gazel obbedì, tenendola in alto e aperta così che l’altro potesse osservarla senza avvicinarsi; ad essere onesto, era più preoccupato che Nagumo desse per sbaglio fuoco alla mappa che non di farsi male.
-Tra poco c’è un altro passaggio, ci entriamo?
Gazel scosse il capo. –No, credo sia meglio proseguire dritto stavolta.
-Ne sei sicuro?
-Sto studiando la mappa da un po’, e penso che…- Gazel si interruppe. –Non hai sentito?
Nagumo lo guardò, confuso, e scosse il capo.
-Ho sentito un rumore di passi. C’è qualcuno nelle vicinanze, probabilmente una delle altre coppie. Pensaci, queste gallerie sono intricate, ma lo spazio non è così tanto- spiegò Gazel, impaziente. –Non credo che siano già tutti usciti, quindi è normale incontrare qualcuno a questo punto.
-Giusto…- Nagumo corrugò la fronte. –Credi che dovrei togliere di mezzo le fiamme? Non sono consentite nei combattimenti, quindi non ho molta scelta…
-Aspetta ancora un po’- lo interruppe Gazel. -Non c’è davvero bisogno di metterle via finché non vediamo veramente arrivare qualcuno.- E non voleva rinunciare così presto alla sua rassicurante sorgente di luce, ma non doveva per forza dirlo a Nagumo.
Erano quasi al punto in cui la galleria ne incrociava un’altra quando Gazel sentì un odore familiare. Si lasciò guidare dall’istinto e si abbassò bruscamente; così facendo evitò per un soffio che Afuro lo colpisse al fianco con un calcio.
-Atena!- gridò Afuro. Un secondo dopo, Atena saltò usando le spalle di Afuro come trampolino e si lanciò su Gazel, chiaramente mirando alla fascia. Prima che Gazel potesse reagire, Nagumo spense le proprie fiamme e si frappose tra lui e Atena: gli afferrò il braccio e lo tirò verso di sé, in modo da poterlo poi lanciare oltre le proprie spalle. Atena ruzzolò in avanti, ma facendo leva sulle proprie braccia riuscì a non sbattere a terra. Nagumo sembrava averlo previsto, perché si lanciò di nuovo all’attacco non appena Atena tornò in piedi.
-Lascialo a me! Non farti rubare la fascia da Afuro!- gridò Nagumo, e andò avanti senza aspettare una risposta. Gazel ricordò quello che una volta Afuro gli aveva detto su Nagumo: era agile e mostrava una discreta capacità tattica, ma era troppo impulsivo, troppo istintivo. Afuro conosceva bene i suoi punti deboli, così come conosceva quelli di Gazel, quindi era probabilmente il peggior avversario che potesse capitare loro.
Gazel indietreggiò di alcuni passi e scrutò il viso di Afuro, cercando di intuire le sue intenzioni.
All’improvviso Afuro si mosse in avanti, rapidissimo, con la mano tesa verso la fascia. Gazel si spostò lateralmente per impedirgli di prenderla e alzò la gamba per tirare un calcio; sapeva che Afuro l’avrebbe evitato con facilità, ma voleva comunque dargli un avvertimento, tenerlo lontano in qualche modo mentre elaborava una strategia di difesa. O di attacco, pensò quando intravide la familiare fascia rossa annodata al braccio di Afuro, all’altezza del gomito. Scattò in avanti d’impulso, ma le sue dita riuscirono appena a sfiorare il braccio di Afuro prima che l’altro lo ritraesse, mettendo la fascia al riparo fuori dalla sua portata. Afuro si scontrò con lui dandogli una spallata e lo fece barcollare; gli afferrò il braccio prima che Gazel cadesse a terra e gli rivolse un sorriso. Gazel sapeva che ad Afuro sarebbe bastato un attimo per rubargli la fascia, a quel punto, e si lambiccò il cervello per trovare un modo semplice e veloce di sfuggire alla sua presa.
In quel preciso istante, però, un rumore simile ad un brontolo giunse alle loro orecchie; ad esso seguì una fortissima vibrazione che scosse la galleria e alcuni detriti caddero dal soffitto sopra di loro. Gazel sentì la familiare sensazione di soffocamento e nausea assalirlo quando sollevò il viso e notò una crepa che si allargava lentamente nella roccia. Gazel abbassò velocemente la testa e incrociò gli occhi di Afuro, il quale sembrava altrettanto allarmato; prendendo una rapida decisione per entrambi, il biondo gli afferrò anche l’altro braccio e lo attirò verso di sé, tirandolo verso il passaggio da cui era venuto. Un’altra scossa li sorprese, facendoli sobbalzare. Gazel sentì Nagumo e Atena chiamare i loro nomi, ma non riuscì a rispondere, né a girarsi per vedere dove fossero.
Afuro lo spinse nel tunnel e lo strinse forte, poi il soffitto alle loro spalle crollò definitivamente con un rumore assordante, bloccandoli dall’altra parte.

 
**Angolo dell'Autrice**
Buon pomeriggio!
Sono felice di essere riuscita ad aggiornare questa fic, perché francamente vorrei concluderla prima che in Spy Eleven accadano una certa serie di cose :'D 
In questo capitolo ho introdotto quella che sarà la parte finale della storia. L'ultimo capitolo sarà probabilmente una sorta di "epilogo" che servirà da collegamento con Spy Eleven. In questi ultimi capitoli aggiungerò qualche dettaglio in più al background di Afuro e di Nagumo; così come Gazel, Nagumo è apparso fin dall'inizio di Spy Eleven, ma purtroppo non ho mai potuto approfondirlo nella trama principale... Mi dispiaceva moltissimo, quindi ora sono felice di poter dire qualcosa in più su di lui, a partire da qualche informazione sul suo dono. (Piccola nota per farci due risate: quando ho pensato al potere di Nagumo, la prima associazione che ho fatto è stata con un Quilava. Nagumo, sei un pokémon.)
Quando ho iniziato Spy Eleven, non avevo ancora deciso che Gazel soffrisce di acluofobia (a.k.a. la paura del buio), anche se avevo più o meno in mente la sua storia. Ora effettivamente sembra che Nagumo sia proprio la persona giusta per lui, lol.
Il personaggio di Atena è stato inserito più che altro per una mia piccola indulgenza personale, cioè approfondire il personaggio di Hepai; comunque, Atena avrà anche un'altra piccola funzione narrativa :')
Un'altra piccola nota: i nomi delle gallerie Tamashī, Nikutai e Seishin significano rispettivamente "anima", "corpo" e "mente" e fanno riferimento ad un modo di dire giapponese che recita "Un'anima forte sta in un corpo forte e una mente forte" (scommetto che chi ha letto/visto Soul Eater capirà subito il riferimento, lol).

Al prossimo capitolo (che spero arriverà presto)!
Baci,
    Roby 

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Capitolo 6
*** Act6 - Forsaken/Hope. ***


Buonasera. Ci tengo a sottolineare che ho ritenuto opportuno alzare il rating della storia, perché in questo capitolo vi sono accenni di abusi su un minore e non vorrei disturbare nessuno. Gli accenni sono molto vaghi, ma ci sono.
Un ringraziamento speciale, come sempre, va alla mia Ohana che mi ha betato il capitolo. Buona lettura!



Act.6 –Forsaken/Hope

«We are all a little stronger than we think we are.»
(Who you are – Paradise Fears)

 
 
Quando Gazel aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un soffitto di roccia, rischiarato a malapena da una luce che andava e veniva ad intermittenza. Dopo un paio di secondi di confusione, ricordò di non essere in camera propria, bensì in una delle gallerie sotterranee del centro, nel bel mezzo di un allenamento.
Gazel chiuse di nuovo gli occhi e considerò le condizioni in cui si trovava. Nella mano destra, chiusa a pugno, aveva ancora la mappa del luogo, cosa vagamente consolante. La testa gli pulsava, ma non faceva male. Una pietra gli punzecchiava fastidiosamente la schiena e il suo corpo era premuto a terra da qualcosa di caldo e pesante. Gazel cercò di sollevarsi sui gomiti e si accorse che si trattava di una persona.
-Afuro!- soffiò, allarmato. –Afuro, stai bene?!
Sentendosi chiamare, Afuro si riscosse e si tirò lentamente su, sciogliendo l’abbraccio. Gazel sentì una delle sue mani scivolare da dietro la propria nuca e capì che probabilmente Afuro gli aveva impedito di battere la testa. Si ficcò rapidamente la mappa in una delle tasche del pantaloncino, poi afferrò il polso di Afuro e lo guardò sotto la fioca luce: la mano era gonfia e arrossata per via di un grosso taglio, forse infetto.
Gazel gli lasciò la mano, poi gli passò un braccio dietro la vita.
–Prova a tirarti su, appoggiati a me- lo esortò. Afuro annuì e, con un po’ di sforzo, si mise in ginocchio. I suoi capelli erano tutti scompigliati, il suo volto sporco di polvere. Quasi senza pensarci, Gazel si sfilò dalla frangia le due mollette che Afuro gli aveva prestato e gliele fissò nei capelli.
-Puoi… puoi legarli usando la mia fascia- mormorò Afuro. Nella sua voce c’era una nota di esitazione e Gazel non capiva da cosa dipendesse; le sue parole, però, gli ricordarono che le fasce in loro possesso erano due.
-Afuro, dammi la mano- esclamò mentre sfilava la striscia di tessuto dal proprio polso. Afuro capì subito cosa intendesse fare e gli porse la mano ferita, così che Gazel potesse bendargliela usando la fascetta. Non era granché come medicazione, ma per il momento avrebbe fermato eventuali perdite di sangue e Gazel si assicurò di fare un nodo abbastanza stretto perché potesse assolvere a quel compito.
Una volta conclusa quest’operazione, si allungò verso Afuro per togliergli la fascia dal braccio. Il biondo glielo lasciò fare, poi si girò e gli diede le spalle.
Gazel iniziò a raccogliere tutti i capelli di Afuro in una coda di cavallo, pettinandoli goffamente con le dita, percependo lo sporco della terra sui polpastrelli. La fascia era sufficientemente lunga perché Gazel potesse fare un doppio nodo, così da aumentare le speranze che la pettinatura reggesse; quando ebbe finito, il ragazzino si fermò ad osservare un momento la coda spettinata. Non aveva mai fatto una cosa del genere, infatti il risultato era scadente. Afuro avrebbe fatto un lavoro decisamente migliore, se solo avesse avuto entrambe le mani sane… Ma era in parte colpa di Gazel se si era ferito, quindi era suo dovere aiutarlo.
C’era pochissima luce, osservò Gazel. Il faretto sulla parete destra del tunnel sembrava essere stato danneggiato, mentre quello sulla sinistra non emetteva più alcun segno di vita. Osservando la schiena di Afuro, Gazel notò che la sua maglia si era strappata, forse tagliata dalle rocce che erano cadute quando Afuro gli aveva fatto da scudo col proprio corpo.
Prima che Gazel potesse affondare ulteriormente nei propri sensi di colpa, qualcos’altro attirò la sua attenzione: attraverso lo strappo nella maglia e sotto la goffa coda di cavallo, s’intravedevano le linee di un disegno. Gazel non riuscì a capire cosa rappresentasse finché non ebbe l’idea di spostarsi un po’ di lato, il giusto necessario perché il faretto illuminasse la schiena di Afuro.
Il tatuaggio raffigurava dei fiori rossi ed alti: la corolla del primo si estendeva alla base della nuca, quella del secondo in mezzo alle scapole, mentre il terzo era a malapena un bocciolo ricurvo verso il basso. Gazel tracciò con gli occhi gli steli verdi che erano stati dipinti su linee di pelle gonfia, quasi in rilievo. Erano stati tessuti su cicatrici. Non l’aveva mai notato prima. All’improvviso gli appariva chiaro perché Afuro fosse sempre pronto prima di lui, perché si cambiasse sempre in fretta, attentissimo a non dargli le spalle e anche perché, poco prima, aveva esitato nel dargli il permesso di legargli i capelli.
I due ragazzi restarono immobili per alcuni secondi, che diventarono minuti. Superato lo shock iniziale, Gazel cominciò a pensare che forse non era importante sapere perché Afuro volesse a tutti i costi nascondere il tatuaggio. Avrebbe voluto passare le dita sul disegno, come per accertarsi che fosse davvero cucito nella pelle, ma non osava farlo: sarebbe stato un gesto troppo sfacciato, troppo intimo. Anzi, più il tempo passava, più anche solo guardarlo sembrava una violazione di privacy.
Gazel abbassò in fretta lo sguardo, imbarazzato. Stava per avvertire Afuro che aveva finito, quando il faretto alle sue spalle si spense definitivamente dopo un ultimo sfarfallio. Il respiro gli si mozzò in gola. Afuro lo cercò a tentoni con la mano sana e strinse delicatamente le dita attorno alle sue.
-Non avere paura- bisbigliò. –Ce la fai a camminare?
Gazel annuì, poi ricordò che l’altro non poteva vederlo e deglutì.
-Sì- rispose con voce roca.
-Non sei ferito?
-No.
Con un po’ di fatica Afuro si mise in piedi e lo incitò a fare lo stesso. Iniziarono a camminare e Gazel si premette contro il fianco di Afuro. Era difficile camminare così attaccati, ma lo faceva sentire più sicuro; anche quando arrivarono ad un tratto più illuminato, non si allontanò.
-Gazel– lo chiamò Afuro dopo un po’, rompendo il silenzio. –So che lo hai visto. Non vuoi chiedermi nulla?
Gazel non gli rispose e Afuro sospirò.
-Non sei curioso?- insistette.
-Sì- ammise Gazel, titubante. –Ma non so se voglio chiedere. Tutti hanno il diritto di avere dei segreti… Io stesso ne ho…
-Ma così non è affatto giusto!- lo interruppe Afuro, brusco.
Gazel si fermò di colpo e si girò verso di lui. Era la prima volta che Afuro alzava la voce contro di lui, e nel suo viso Gazel lesse un misto di stupore e senso di colpa.
Afuro allentò la presa sulla sua mano, pur senza avere il coraggio di lasciarla andare del tutto.
-Così non è giusto...- ripeté, a voce più bassa.
–Tu non mi conosci… mentre io so tutto di te. La verità è che, quando Chang Soo mi ha detto che avrei avuto un nuovo compagno di stanza, mi ha anche parlato di te. Sapevo chi eri prima che tu venissi. Ho letto il tuo fascicolo- confessò, prese un respiro profondo.
-Gazel non è il tuo vero nome. La tua vera età non è certa. Sei orfano. E non hai…
-Alcun ricordo del mio passato- completò Gazel a mezza voce. Non aveva mai letto il fascicolo in questione, ma conosceva bene la storia, l’aveva letta sui giornali: un bambino di circa sette anni era stato ritrovato in una casa completamente coperta di ghiaccio, una villa che in futuro Gazel avrebbe associato al misterioso castello della Regina delle Nevi, finché le due immagini non si erano fuse nei suoi sogni. Il bambino era solo, senza ricordi. Si era svegliato tra le braccia del poliziotto che era entrato a prenderlo e non aveva pianto nemmeno una volta, né aveva sorriso. Nessuno sapeva che fine avessero fatto i suoi genitori. In casa era stato ritrovato un certificato di nascita, o meglio ciò che ne rimaneva: l'unica scritta riconoscibile era una specie di nome, e si era deciso che fosse quello del bambino semplicemente perché non c’era nessun altro a cui attribuirlo.
Gazel ricordava di aver ritagliato tutti gli articoli di giornale che parlavano di lui e della casa di ghiaccio e di averli conservati gelosamente in una vecchia scatola di scarpe, sotto il letto della sua cameretta. Ogni volta che succedeva qualcosa di brutto, li tirava fuori e li rileggeva, o li fissava a lungo, anche se ormai avevano smesso di far notizia da tempo; da piccolo credeva addirittura che tra le parole si nascondesse un linguaggio cifrato, un codice segreto che potesse aiutarlo a trovare tutte le risposte.
La scatola era rimasta sotto il letto, gli venne in mente all’improvviso. Quando Chang Soo era venuto a prenderlo, Gazel era stato colto talmente alla sprovvista da essersela dimenticata. E fino a quel momento era stato così preso dagli eventi da non averci pensato nemmeno una volta.
-Mi sono sempre sentito vuoto. Qualunque cosa sia successo allora mi ha tolto una parte di me. I miei ricordi, certo, ma anche qualcos’altro. Forse sono diventato davvero un... robot. Forse non è poi così importante- disse Gazel. Diede un calcio ad un sassolino, che rotolò poco più lontano. Stranamente, si sentiva tranquillo, più curioso che non arrabbiato o triste. Era incredibile come, nonostante tutto, Afuro avesse sempre un effetto calmante su di lui.
-Non mi piace parlare di me... Ho sempre avuto paura di parlare del mio passato perché tutti, non appena venivano a saperlo, cambiavano atteggiamento verso di me… Ma tu lo sapevi dall’inizio e sei stato comunque gentile. Hai avuto pietà di me?- chiese.
Afuro distolse lo sguardo e si mise a fissare una delle pareti rocciose.
-Forse all’inizio è stato per pietà- ammise. –Ma anch’io sono sempre stato emarginato a causa del mio passato. Se riuscivo a farmi degli amici, li perdevo non appena scoprivano chi ero e cosa sapevo fare. E tu, proprio come, non avevi nessun amico. Forse ti compativo. O forse volevo qualcuno che avesse bisogno di me.
-Quando ti ho detto che volevo che tu restassi, non ho mentito. Sono contento che tu non abbia paura di me e ho cominciato a volerti bene davvero. Puoi credere a questo? Puoi credere che io voglia essere davvero tuo amico?
Gazel ripensò a tutte le volte che Afuro lo aveva aiutato. Ripensò ai vestiti, alle bende e ai cerotti. E poi alle volte in cui avevano dormito nel letto di Afuro, stretti stretti.
-Sì, ci credo- rispose, piano, studiando la reazione di Afuro. L’espressione del ragazzo poco a poco parve rischiararsi, palesemente sollevato dal fatto che Gazel non fosse arrabbiato con lui.
-Allora puoi credere anche a questo: non ho mai parlato a nessuno di ciò che so su di te e non ho intenzione di farlo- disse Afuro. –Ma visto che ho ficcato il naso nel tuo passato e mi dispiace sinceramente, credo sia giusto che io ti racconti il mio.- Sospirò.
-Ma riprendiamo a camminare… Hai la mappa?
Gazel annuì, ricordandosi ora del pezzo di carta che aveva in tasca. La tirò fuori e, vedendo che era tutta stropicciata, la spianò con le dita.
-Meno male- sospirò Afuro. –La mia ce l’ha Atena.
Gazel si rese conto in quel momento che Nagumo doveva essere rimasto senza e si trovò a sperare che fosse rimasto con Atena, così avrebbe potuto cercare l’uscita per conto proprio.
Ripresero a camminare e Gazel si rese conto che la mano di Afuro nella propria era sudata. Il ragazzo si sporse verso di lui per gettare un’occhiata alla mappa.
-Questo tunnel ne incrocia un altro qui, quindi non ci siamo del tutto persi. Siamo ancora all’interno del percorso stabilito. Non possiamo sapere per certo quanti hanno già portato a termine l’esercitazione… Potremmo ancora incrociare qualcuno, quindi occhi aperti… Beh, non che io sia molto utile in un combattimento, con la mano in questa condizione, ma possiamo provare a parlarne- osservò Afuro.
-O a giocare d’astuzia- suggerì Gazel, e ricevette un mezzo sorriso in risposta.
Si misero di nuovo in cammino e, dopo alcuni minuti, Afuro riprese a parlare.
-Sono nato in un piccolo villaggio nel sud della Corea. Ho scoperto solo più tardi che i miei genitori erano fuggiti insieme… Per questo, quando mio padre morì, mia madre non poteva tornare dalla propria famiglia e decise di partire per il Giappone portandomi con sé, per farsi una nuova vita- disse.
-Una nuova vita, in effetti, l’ha trovata. Forse non quella che voleva lei- aggiunse, amaro.
–Ci siamo stabiliti in un paesino nella prefettura di Kanagawa. Dopo qualche anno si è trovata un altro compagno. Lui non mi piaceva. Era gentile, ma mi guardava in un modo… un modo in cui un adulto non dovrebbe mai guardare un ragazzino. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato, ma mia madre non riusciva a vederlo... Poi, una notte, mia madre era fuori per lavoro e lui si è presentato a casa nostra. La situazione è precipitata rapidamente.
-Ero così spaventato… Ho lottato contro di lui, non volevo mi toccasse, ma lui era molto più forte di me… Allora gli ho urlato di lasciarmi stare, di andare via. E lui lo ha fatto. Gli ho detto di non tornare mai più, e lui è semplicemente… andato via. Qualcuno al villaggio ha detto di averlo visto entrare nel bosco, sulla montagna, e da lì non è mai tornato- raccontò Afuro, tenendo lo sguardo basso. 
-Non è stata colpa tua- mormorò Gazel. Afuro scosse il capo.
-Non fraintendermi, non mi pento di essermi difeso. Non ho mai pensato che sarebbe stato meglio non aver usato il mio dono, che ne fossi consapevole o meno. Non ho un cuore abbastanza grande per provare pietà per lui, pare- disse, amaro. –A quel tempo provavo risentimento per mia madre, ma quando l’ho vista piangere, alla stazione di polizia, ho capito. Non è che non riuscisse a vedere, è che non voleva. Mia madre desiderava così tanto una vita serena e normale… Se fossi rimasto con lei, non avrebbe mai potuto averla. Avremmo soltanto continuato a farci male a vicenda. Quando pochi giorni dopo Chang Soo bussò alla nostra porta, in parte ho accettato per lei.
Afuro tacque per prendere fiato, o forse perché gli serviva un minuto per ricomporsi. Sembrava sul punto di piangere, invece in qualche modo riuscì a controllarsi. Gazel non sapeva cosa fare né cosa dire per consolarlo; ancora una volta si sentiva del tutto impotente, nonostante fosse debitore ad Afuro di così tante cose.
-Come mai quel fiore?- chiese.
-Volevo qualcosa che coprisse le cicatrici e ho scelto degli anemoni. Sai cosa vogliono dire?- ribatté Afuro.
Gazel scosse il capo.
-Questo fiore significa “abbandonato”, ma anche “speranza”- spiegò Afuro. -Se c’è una cosa che ho imparato nella vita finora, è che siamo tutti un po’ più forti di quello che crediamo… Da quando ti conosco, sono ancora più convinto che sia vero.
Gazel aggrottò la fronte e aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma la richiuse subito notando che erano ormai arrivati al punto in cui il tunnel ne intersecava un altro.
Non era più il momento di parlare.
Anche Afuro sembrava della stessa idea. D’un tratto tacque, gli lasciò la mano e rallentò il passo, guardandosi intorno con circospezione. Per un momento entrambi restarono in ascolto, cercando di distinguere rumori che segnalassero la presenza di altri esseri umani.
-Sento qualcosa- sussurrò Gazel. Afuro annuì, facendogli capire che aveva sentito anche lui. Erano passi, qualcuno che stava attraversando la galleria davanti a loro. I due ragazzi si addossarono alla parete, respirando piano, e attesero.
Il rumore si intensificò. Gazel si girò verso Afuro e lo sguardo gli cadde sulla mano ferita del compagno; per quanto Afuro fosse di gran lunga più esperto di lui nei combattimenti, era preferibile che se ne stesse in disparte. Gazel sapeva di essere in svantaggio rispetto alla maggior parte degli altri ragazzi, ma attaccando per primo avrebbe potuto contare almeno sull’effetto sorpresa. Ripassò mentalmente le mosse che conosceva meglio.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi qualcuno spuntò dall’oscurità. Gazel non aspettò di vedere chi fosse: in un istante, si abbassò e fece leva sulle proprie mani per colpire le gambe dell’avversario con le proprie. Era la prima mossa che aveva visto durante gli allenamenti, specificamente da Hiroto, e la prima che aveva fatto sua. L’altro ragazzo perse l’equilibrio e cadde a terra con un grugnito di sorpresa. Gazel non gli diede la possibilità di capire cosa stesse succedendo e, quindi, di difendersi; invece, balzò velocemente in avanti e si sedette a cavalcioni sul suo stomaco, stringendo le gambe lungo i suoi fianchi per impedirgli di muoversi. Un verso di frustrazione lasciò la bocca dell’altro quando Gazel gli spinse un braccio contro la gola, pungolandolo col proprio gomito, l’altra mano stretta intorno al collo della sua maglia.
-Porca puttana- brontolò il ragazzo, deglutì e Gazel sentì fisicamente la vibrazione della voce ed il movimento del pomo d’Adamo
contro il proprio braccio. Era una voce che conosceva bene. Il ragazzo steso sotto di lui aprì lentamente gli occhi color ambra e trattenne bruscamente il respiro, con delle parole di protesta bloccate in gola.
Gazel non credeva sarebbe stato possibile, ma incrociando lo sguardo di Nagumo fu travolto da un'onda di sollievo. Era sinceramente felice di vedere che Nagumo stesse bene: era teso, sporco di terriccio, ma sembrava scoppiare di salute sebbene fosse stato appena sbattuto al suolo. Gazel si sentì arrossire, improvvisamente molto consapevole del calore emanato dal corpo sotto di lui. Cominciò a ritrarsi lentamente e Nagumo parve riscuotersi.
-E-ehi, ho una pietra nelle scapole. Potresti lasciarmi andare?!- esclamò. Aveva il volto rosso, o forse era solo più scuro per via dell’ombra, Gazel non avrebbe saputo dirlo.
-Scusa- borbottò, e si spostò definitivamente.
Libero dal peso che gli opprimeva la gola, Nagumo tossicchiò e si tirò sui gomiti, strisciando leggermente all’indietro. Gazel notò che le loro ginocchia si toccavano ancora, i punti in cui la loro pelle veniva a contatto parevano bruciare. Non era del tutto spiacevole, anche se imbarazzante. Per un attimo Gazel restò perfettamente immobile mentre decideva se spostare la gamba o meno; alla fine, Nagumo lo anticipò piegando le gambe ed eliminando il contatto. Gazel fece del suo meglio per non mostrare il disappunto che aveva istintivamente provato.
-Nagumo, è tutto a posto?!- La voce di Atena rimbombò nel tunnel e, poco dopo, il ragazzo apparve di corsa. Vedendo Gazel e Afuro, si bloccò e sospirò di sollievo.
-Ah, siete voi…! Meno male, mi è preso un colpo quando ho sentito Nagumo cadere a terra- esclamò.
-Mi ha solo colto alla sprovvista, è così leggero che non fa rumore- protestò Nagumo.
-Ti ho atterrato anche se sono leggero- ribatté Gazel. Nagumo gli lanciò un’occhiataccia.
-Sarei riuscito a liberarmi in men che non…- stava dicendo, quando Afuro si intromise.
-Bene, sono felice che siamo riusciti a rivederci- affermò con un largo sorriso.
–Atena, Nagumo… Come state? Il crollo non vi ha colpiti, vero?
Atena scosse il capo.
-Eravamo un po’ distanti da voi e non abbiamo riportato danni. Voi, piuttosto? Siete feriti?- replicò, preoccupato.
-Io sono solo un po’ ammaccato- disse Gazel. –Ma sto bene, non è nulla a cui non sia abituato… Afuro è messo peggio di me, ha un taglio sulla mano che credo abbia fatto infezione.
-Non fa così male come sembra- aggiunse subito Afuro. Gazel gli scoccò un’occhiata incredula.
-Fa abbastanza male da non permetterti di usarla– osservò. Temendo che Afuro potesse contraddirlo ancora, decise di tagliar corto e si rivolse a Nagumo e Atena con serietà.
-So che questa è un’esercitazione, ma ad essere onesto non me ne frega un bel niente di infrangere le regole a questo punto. Dobbiamo uscire di qua al più presto, quindi credo che dovremmo collaborare tutti e quattro per trovare una soluzione- disse.
-Sono d’accordo- rispose subito Nagumo, sorprendendolo. –Non sono un fan del lavoro di squadra, ma vorrei evitare di restare bloccati a causa di altri crolli.
-Visto che non può combattere con quella mano, Afuro potrebbe leggere la mappa, mentre noi ci occupiamo dell’attacco e della difesa- suggerì Atena. 
Gazel annuì, gli sembrava una buona soluzione. Senza perdere altro tempo, diede la propria mappa ad Afuro: il biondo arricciò le labbra per un attimo, quasi contrariato, ma poi sospirò.
-Non mi piace essere in posizione di svantaggio, ma per questa volta credo che dovrò stare tranquillo e lasciarmi aiutare da voi- concesse.
-Sono felice che tu lo abbia capito, dolcezza. Pensavo che avrei dovuto romperti anche l’altra mano per convincerti- ribatté Nagumo con un sorriso sardonico.
-Ah, Haruya, meno male che ci sei tu. Pensavo che ormai la galanteria non esistesse più- ribatté Afuro, per nulla turbato dallo sfottò del compagno. Camminò fino a sostare sotto una luce e sollevò la mappa in modo da poterla guardare più da vicino.
-Attraverseremo la galleria da cui sono arrivati Atena e Nagumo e la percorreremo finché non troveremo un bivio, poi vi dirò. Ci sono delle piccole gallerie che si aprono a destra, quindi fate attenzione, perché potrebbe sbucare qualcuno fuori di lì- disse.
Nessuno trovò nulla da ridire, per cui i quattro ragazzi seguirono le indicazioni di Afuro e si addentrarono nella galleria. Nagumo camminava davanti a tutti, poi c’era Afuro nel mezzo ed infine Atena e Gazel erano in coda.
Dopo aver percorso qualche metro, Gazel cominciò ad avvertire una forte sensazione di disagio.
Non avrebbe saputo dire da cosa dipendeva. Non credeva fosse colpa della propria acluofobia, perché non si trovavano in un luogo più stretto o più buio di prima; anzi, più si allontanavano dalla zona del crollo, maggiore era la possibilità che i faretti funzionassero bene ed emanassero una luce forte e confortante. No, non era la solita sensazione di soffocamento.
Piuttosto, aveva il presentimento di essere seguito e sorvegliato. Sembrava quasi un cliché, troppo banale per essere vero, e non avrebbe dovuto turbarlo tanto. Non l’avrebbe sorpreso scoprire che Chang Soo avesse piazzato delle videocamere per sorvegliarli, anzi il pensiero era quasi rassicurante, perché voleva dire che la Spy Eleven poteva intervenire in loro soccorso in qualsiasi momento. E non erano certo soli nelle gallerie: c’era la possibilità che qualche altra squadra fosse ancora nel mezzo della prova.
Logicamente non c’era motivo di preoccuparsi, eppure… Eppure Gazel non poté reprimere il brivido freddo che gli corse lungo la schiena quando un rumore spezzò il silenzio.
Nagumo si fermò di colpo e Afuro rischiò di andargli addosso. Atena si mise istintivamente in posizione di difesa, mentre Gazel scrutava la strada davanti a loro con un groppo in gola. Aguzzando la vista, notò un movimento in fondo al tunnel, segno che qualcuno stava venendo verso di loro.
Gazel non si rese conto di essere teso finché non riconobbe Hiroto: i suoi muscoli si rilassarono immediatamente alla vista del compagno, che camminava verso di loro con le mani sollevate, come se volesse dichiarare la propria neutralità.
-Non ho intenzione di attaccarvi- disse Hiroto, anche se appariva chiaro dal suo atteggiamento.
La tensione nel gruppo parve sciogliersi in un istante e Gazel sentì Afuro tirare un sospiro di sollievo.
-Grazie al cielo- mormorò avvicinandosi a Hiroto.
Intanto, Nagumo si accostò a Gazel e gli spinse leggermente un gomito nel fianco per attirare la sua attenzione.
-Com’è che non hai cercato di abbattere anche lui? - brontolò. Gazel scrollò le spalle.
-Ti brucia ancora per prima? - replicò con un sorrisetto. Nagumo gli gettò un’occhiata tutt’altro che divertita e sbuffò, ma rimase al suo fianco.
-Sono contento di vedere che state bene- osservò Hiroto. –Noi siamo rimasti coinvolti in un crollo… Per fortuna ce la siamo cavata con qualche graffio, ma ho ancora la pelle d’oca.
-Oh, giusto, tu con chi sei in coppia…?- chiese Afuro.
Quando Hiroto si spostò per fare spazio al suo compagno, Afuro non riuscì a trattenere un verso di disappunto ed Atena si irrigidì per un momento. Anche Gazel non provò una particolare gioia nel vedere che si trattava di Hepai.
Il ragazzo, a quanto pareva, preferiva restarsene in disparte piuttosto che avvicinarsi a loro; era appoggiato vicino ad un faro e Gazel notò che i suoi abiti chiari erano macchiati di terra. Sul suo braccio c’era un piccolo taglio dall’aria stranamente molto sana, nonostante fosse certamente fresco. 
Afuro rimase fermo per un paio di secondi con un’espressione combattuta: dalle smorfie che faceva sembrava aver ingoiato un limone, invece probabilmente si trattava solo del proprio orgoglio. Alla fine, rassegnato, prese una decisione e s'incamminò verso Hepai. 
-Odio chiederti aiuto, ma ho un taglio piuttosto brutto e quasi sicuramente infettato. So che il tuo dono ti permette di pulire le ferite- disse, guardandolo con serietà.
Gazel ripensò quasi immediatamente alla prova del bicchiere e ricordò vividamente il modo in cui Hepai aveva sporcato l’acqua e come poi l’aveva depurata, entrambe le volte senza minimamente toccarla.
Tutti i presenti stavano guardando Hepai, aspettando la sua reazione: il ragazzo indiano stava apparentemente soppesando le parole dell’altro. Considerato il rapporto che intercorreva tra loro, era già sorprendente che non avesse rifiutato subito.
D’un tratto, lo sguardo di Hepai guizzò su Atena, poi tornò rapidamente su Afuro.
-Va bene, lo farò. Sono troppo stanco per litigare e non m’importa più niente di questa stupida prova- affermò con una leggera nota isterica. Si staccò dal muro, sollevò una mano e la lasciò sospesa in aria, con il palmo aperto verso l’alto.
–Dammi la mano, facciamo in fretta- aggiunse, impaziente, facendo cenno ad Afuro di mostrargli la ferita. Se Afuro era sorpreso di aver ottenuto così facilmente un sì, non lo diede a vedere; si limitò semplicemente a mettere la propria mano su quella di Hepai, scrutando allo stesso tempo il suo volto teso. Hepai sembrava veramente stanco come diceva di essere, forse anche di più. 
Gazel si avvicinò per vedere meglio, perché non aveva mai visto usare un dono di guarigione ed era curioso. Anche Atena avanzò di qualche passo, fermandosi a poco più di un metro da Afuro. Hepai strinse le labbra in una linea sottile, ma non diede altri segni di averlo notato e mantenne gli occhi fissi sulla ferita di Afuro. Lentamente e con delicatezza, coprì il dorso della mano di Afuro, chiudendola tra le sue; attraverso lo spiraglio delle dita si diffuse una luce verde, non un colore forte, quanto una sfumatura pastello. Il dono di Hepai, pensò Gazel, aveva un’aura molto più gentile di quella che distingueva il suo proprietario.
-Ho finito- borbottò Hepai dopo una manciata di secondi.
Aprì le mani e le ritrasse, mentre Gazel, Atena e Afuro osservavano il risultato. Era stato un lavoro preciso e pulito: non solo il taglio non aveva più un brutto aspetto, bensì un colorito sano e normale, ma il gonfiore della pelle sembrava essersi ridotto.
-Sorprendente- bisbigliò Atena, con gli occhi pieni di sorpresa ed ammirazione. Hepai sussultò, ma rifiutò di guardarlo.
-Grazie. Immagino di doverti un favore- disse Afuro.
-Sì, sì, ci penserò… Ora vogliamo uscire da qui?- brontolò Hepai.
Nagumo aggrottò la fronte.
-Wow. Okay. Se tu rinunci all’occasione di avere un vantaggio su qualcuno, allora deve essere veramente una cosa grave- commentò.
-Sono stanco, sporco e mi è quasi crollato un muro addosso. Voglio uscire da questo posto e voglio farlo adesso- sibilò Hepai, fulminando Nagumo con uno sguardo, e per una volta Gazel si trovava perfettamente d’accordo con lui.
-Credo che questo valga per tutti, Hepai- disse Hiroto in tono conciliante. –Purtroppo però non possiamo tornare indietro da dove siamo venuti… Il crollo ha chiuso del tutto il tunnel che stavamo percorrendo.
-Questa non è una bella notizia. Anche il tunnel da cui siamo venuti noi è rimasto bloccato... A questo punto, la mappa è diventata inutile- ribatté Afuro.
Hepai sbuffò rumorosamente.
-Eravamo anche vicini alla maledetta uscita… Se Endou e Jung-Soo non ci avessero trattenuto spuntando all’improvviso, saremmo già usciti da un pezzo- si lamentò.
Hiroto annuì in modo comprensivo, ma aggiunse:- Però sono sollevato che loro siano dall’altra parte… Avranno sicuramente trovato l’uscita e a quest’ora saranno al sicuro…
-Già, gran bella consolazione…- Hepai alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia al petto, fissando il compagno con un broncio. Hiroto abbozzò un sorriso e fece spallucce. Era naturale che fosse sollevato, visto che Endou, il suo migliore amico, era quasi certamente sano e salvo. Ora come ora, Gazel pensava di capire cosa provasse Hiroto.
-Se non esiste un varco, allora creiamolo noi- esclamò Atena.
Le sue parole, totalmente inaspettate ed insensate, attirarono subito tutta l’attenzione su di lui.
-Crearlo? Che vuoi dire? - chiese Afuro, più genuinamente curioso che scettico.
Atena abbassò lo sguardo e strinse le mani in pugni davanti a sé.
-Ve l’ho detto a mensa, stamattina- disse, –Il mio dono mi permette di rendere la mia pelle più dura di una corteccia. Più dura di qualsiasi materiale, in realtà… Anche della roccia.
Alzò lo sguardo e guardò gli altri, uno ad uno.
-Posso creare un varco rompendo i massi che sono caduti. Posso scavare nella roccia e crearci una via d’uscita- affermò, determinato.
-Aspetta un momento- intervenne Hepai, contrariato. -Non hai mai fatto una cosa del genere, no? E poi, anche con il tuo potere, scavare nella roccia non sarà una passeggiata! Ti stancherai in fretta!
Hiroto spostò lo sguardo da lui ad Atena, titubante.
-In effetti sembra una cosa complicata. Sei sicuro di potercela fare? - domandò.
-Non è questione di potercela fare o no. Devo farlo. Nessuno di voi ha un dono che può aiutare in questa situazione, no? - replicò Atena. La domanda era retorica ed infatti il ragazzo non attese una risposta.
–Devo farlo io, non c’è altra scelta. Se non c’è possibilità di aggirare il secondo crollo, vuol dire che siamo bloccati in un gruppo di gallerie chiuse. Come ha detto Afuro, a questo punto la mappa non serve a nulla… Volete restare qui a non far niente?!
Passò un attimo di silenzio, poi Hiroto parlò.
-Va bene, proviamoci- affermò, serio.
-Ehi, io non sono d’accordo!- protestò Hepai. –Si ammazzerà di fatica!
Hiroto sospirò, spossato, e si passò una mano sul viso.
-Hepai… Anch’io sono preoccupato per la salute di Atena, ma ha ragione lui, non abbiamo scelta. Pensaci… Non sappiamo se là fuori si siano già accorti che siamo in difficoltà, né se abbiano inviato dei soccorsi. In ogni caso, non credo che dovremmo restare qui ad aspettare. Dobbiamo andare avanti contando sulle nostre forze- spiegò.
-Sono d’accordo anch’io- si aggiunse Afuro. –Penso che dovremmo tentare tutto il possibile. Io dico quindi di dare fiducia ad Atena e seguire il suo piano. Dopotutto, nessuno ha un’idea migliore, o sbaglio? Ed è vero che nessuno dei presenti ha un potere più utile del suo.
Hepai scosse il capo, ma a quanto pareva non riusciva a trovare nessun’altra obiezione.
Nagumo scrollò le spalle. –Per me è uguale, basta che prendiamo una decisione- disse.
Afuro si girò verso Gazel. 
-Gazel?- lo interpellò. -Sei l’unico a non aver ancora espresso un parere. Che ne pensi?
Il ragazzino esitò, soppesando la situazione. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, si trovava d’accordo con Hepai, pur non comprendendo quali sentimenti Hepai provasse nei confronti di Atena. Anche con l’ausilio di un potere, spaccare una roccia con le mani non sarebbe stata un’impresa facile. Atena aveva un fisico tutt’altro che robusto ed era probabile che la fatica avrebbe danneggiato seriamente il suo corpo.
Gazel spostò lo sguardo da Atena al fondo buio della galleria.
-Okay, facciamolo- disse lentamente. Si girò di nuovo verso Atena, guardandolo dritto negli occhi.
–Francamente, credo anch’io che sarà un peso eccessivo per il tuo corpo. Ma anch’io voglio uscire da qui e, se sei così determinato, non ho intenzione di fermarti.
Gazel abbassò lo sguardo e si passò le dita tra i capelli della frangia, lasciandoli ricadere sulla propria fronte. Erano troppo lunghi e non aveva più mollette per mantenerli.
-D’altra parte, io non sono di nessun aiuto, quindi non ho diritto di criticare- mormorò. Nagumo gli lanciò un’occhiata stranita, ma lui lo ignorò.
-Non dire così, Gazel. Tutti possiamo essere di aiuto- disse Afuro accostandosi a lui.
–Certo, Atena farà molto più lavoro di noi, ma noi gli daremo il nostro sostegno. Inoltre, se qualcuno di noi nota che Atena si sta sforzando troppo, ha il dovere di fermarlo. Dobbiamo proteggerci a vicenda.
Afuro gli circondò un polso con le dita e, quando il ragazzino alzò lo sguardo verso di lui, gli sorrise.
-Siamo stanchi, ma non ancora sconfitti. Siamo molto più forti di così. È in momenti come questi che emerge la nostra vera forza… È quando ci sentiamo abbandonati e spaventati che abbiamo più bisogno di speranza- aggiunse. Il suo sguardo era caldo e affettuoso. Gazel sentì il bisogno di abbracciarlo forte, ma restò immobile, con le braccia rigide ed inermi lungo i fianchi. Annuì e Afuro lo lasciò andare. Nagumo era ancora vicino a loro e Gazel percepiva quasi il suo sguardo bruciare per quanto intensamente lo stava osservando.
Ora che tutti sembravano d’accordo tranne lui, Hepai s’imbronciò maggiormente e distolse lo sguardo, apparentemente determinato a rimanere offeso con tutto il gruppo. Atena lo guardò, forse pensando di dirgli qualcosa, ma desistette subito.
-Andiamo?- chiese invece, scalpitante, stringendo ancora di più, se possibile, i propri pugni.
Hiroto annuì e gli poggiò una mano sulla spalla in segno di sostegno.
-Allora ci affidiamo a te- disse, mettendo definitivamente fine alla discussione. 



 
**C'era una volta una mela**
Ehilà, approfitto di questo spazio per annunciare una cosa importante riguardo Spy Eleven!
Sebbene io abbia quasi finito di scrivere il nuovo capitolo di SE (sì, lo abbrevio perché sennò lo devo ripetere troppe volte XD), ho deciso di concentrarmi su questo spin-off per il momento. Questa scelta è motivata da due considerazioni: 1) a livello di trama, vorrei concludere lo spin-off prima che in SE accadano certi eventi, perché nei prossimi capitoli si farà più volte cenno a cose che sono successe, appunto, nello spin-off. Non avrebbe senso fare certi riferimenti se non avessi prima concluso questa fic. 2) A livello di personaggi, SE porterà a conclusione lo sviluppo di personaggi principali nello spin-off, primo tra tutti Gazel, naturalmente. Ho pensato e scritto questo spin-off per presentarvi le origini di alcuni personaggi, ma la loro crescita non finisce all'interno di questa storia... Insomma, SE/Inazuma Agency e SE/No Light sono strettamente collegati.
Parlando del capitolo 6... 
La prima parte è molto incentrata su Afuro e Gazel. Afuro è uno dei pochi pg ad aver subito abusi in passato; il suo dono, inoltre, non è certo facile da gestire. Ma pensate alla frase che dice nell'anime: "Solo chi cade può rialzarsi". Afuro in SE è esattamente questo: una persona che sa rialzarsi dopo essere caduto molte volte, una persona che cerca la speranza nei momenti più bui. Gazel, invece, non si concede mai di cadere e cerca sempre di restare in piedi. La speranza, il desiderio di appoggiarsi a qualcuno e di esserne il sostegno a propria volta... questi sono sentimenti che Gazel sta solo ora iniziando a scoprire, grazie ad Afuro ma anche grazie a Nagumo (ma quanto sono gay Gazel e Burn in questo capitolo? lol)
Sulla storia di Atena e Hepai dirò di più nei prossimi capitoli.
Alla prossima!
                Roby

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Capitolo 7
*** Act7 - Robot. ***



Act.7 – Robot


«Guess what? I’m not a robot, I’m not a robot.»
(I’m not a robot – Marina & The Diamonds)


 
Era incredibile come Atena riuscisse a scavare nelle rocce a mani nude, pugno dopo pugno: la sua pelle era diventata dura come corteccia, attraversata da striature scure.
Gazel sospettava si trattasse delle vene gonfie per lo sforzo; Atena aveva distrutto quasi tutti i massi caduti in poco meno di mezz’ora e, sebbene sembrasse reggere bene la pressione, cominciava chiaramente a stancarsi. Come molti dei ragazzi presenti nel centro, Atena non aveva il pieno controllo del proprio potere. Non era capace di indurire completamente il proprio corpo, ma solo alcune parti di esso per volta, e l’operazione gli costava un enorme sforzo mentale e fisico. Inoltre, la pelle che non era stata corazzata era vulnerabile, facilmente ferita dalle schegge di roccia che schizzavano intorno a loro ad ogni colpo inferto alla parete.
Atena aveva sul volto già tre graffi, che spiccavano rossi e rabbiosi in contrasto con il colore pallido della cicatrice da tempo chiusa, e altri piccoli tagli sulla parte superiore delle braccia.
Hepai lo osservava, cupo e attento, appoggiato contro una parete dal lato opposto. Al momento sembrava non volesse muoversi, ma più di una volta Hiroto e Afuro avevano dovuto trattenerlo dal lanciarsi su Atena per fermarlo. Hepai si era dimenato, poi rassegnato, e stringendo i denti aveva ripreso quell’attesa logorante. Gazel era sicuro che non fosse il solo a mal sopportare la situazione, lui stesso si sentiva sottoposto ad una forte pressione, impotente.
Ma a giudicare dalle condizioni devastate in cui versavano sia la roccia che Atena, la situazione stava per sbloccarsi. Una fessura iniziava ad aprirsi nella parete e si allargava, gradualmente, sempre di più; a poco a poco, la roccia si sbriciolò come sabbia ed un varco si aprì, rivelando però qualcosa che non si aspettavano.
-Ma cosa diavolo…?!- sbottò Hepai, incredulo.
Davanti ai loro occhi si stagliavano le imponenti radici di un albero: occupavano quasi l’intero spazio dell’arco, rendendo impossibile risalire in superficie. Poca luce riusciva a filtrare attraverso le fessure lasciate dalla pianta.
-Impossibile- soffiò Hiroto. –Siamo passati per questo tunnel solo un’ora fa… Questo albero non dovrebbe essere qui…
Sembrava d’un tratto molto più nervoso di prima, e guardandosi intorno Gazel vide che era un sentimento condiviso da tutti. C’era qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione, li stava gettando nel panico. Qualcuno più degli altri.
-Non ci posso credere…- un mormorio cupo venne dalla sua sinistra, e Gazel si girò di scatto verso Atena. La sua fronte era coperta di sudore freddo, le guance erano rosse e il respiro ansante mentre stringeva forte i pugni lungo i fianchi, affondando le unghie nei palmi fino a farli sanguinare. Sulle sue labbra c’era il fantasma di un sorriso: per un attimo, forse, aveva pensato di avercela fatta e ora esso si era bloccato sul suo volto, come pietrificato per lo stupore. Non c’era allegria in quell’espressione, né soddisfazione, ma solo sconfitta, l’amara consapevolezza che, nonostante tutto il lavoro compiuto, era arrivato a stento a metà dell’opera.
Un grido basso e rabbioso risalì dalla gola di Atena mentre si scagliava contro una delle grosse radici che gli faceva da ostacolo. Aveva intenzione di continuare benché fosse ormai esausto. Gazel intuì il movimento prima ancora di vederlo davvero e per questo si slanciò istintivamente in avanti per bloccarlo prima degli altri.
-No, fermo!- esclamò. Avvolse le proprie braccia intorno alla vita di Atena, cercando di trascinarlo all’indietro, o almeno di trattenerlo, ma l’altro iniziò subito a scalpitare.
-Lasciami! Completerò ciò che ho iniziato! Non sono ancora… Posso ancora…- farfugliò Atena con il volto paonazzo. Sembrava completamente fuori di sé e, mentre si divincolò con foga, riuscì quasi a colpire Gazel nel fianco con una gomitata, che il ragazzino evitò invece per un soffio. Intervenendo in aiuto di Gazel, anche Nagumo si gettò su Atena per bloccarlo, mentre Afuro gridava:- Atena, fermati!
Atena si immobilizzò immediatamente, incapace di disobbedire all’ordine dato da Afuro. Le sue braccia tremavano, ancora sotto l’effetto del proprio dono; Afuro se ne accorse.
-Hiroto… Per favore, pensaci tu- affermò. Hiroto sospirò, si avvicinò ad Atena e gli strinse delicatamente il polso con una mano, così da annullare il suo potere.
-Hai fatto un ottimo lavoro, Atena, non puoi sforzarti oltre i tuoi limiti. Riposa un po’, lascia a noi il resto- gli disse con una voce gentile, rassicurante. Gazel osservò il lento ma deciso processo attraverso cui lo strato corazzato che ricopriva la pelle di Atena si ritirava, squamandosi quasi come un serpente. Presto le braccia del ragazzo tornarono normali e Gazel e Nagumo lo sentirono quasi accasciarsi nella loro stretta: persa la possibilità di continuare a combattere, Atena pareva non essere nemmeno più in grado di reggersi in piedi.   
-Ehi, appoggiatelo qui, a terra- s’intromise Hepai, indicando un punto accanto a sé.
Gazel e Nagumo si scambiarono una rapida occhiata, poi annuirono e fecero quanto chiesto; non appena Atena fu steso a terra, Hepai gli fece appoggiare la nuca sulle proprie gambe e cominciò a medicargli i numerosi graffi su viso e gambe con il suo potere.
-En-chan… Sapevo che non eri cambiato… Sei ancora gentile- sussurrò Atena. Fece una debole risata, i suoi occhi erano velati di lacrime e sembrava che a stento riuscisse a tenerli ancora aperti. Hepai evitò il suo sguardo e serrò la mascella.
-Non importa. Non sono stato in grado di aiutarti quando serviva, e ora ti ritrovi con questa…- rispose, mentre le sue dita percorrevano leggermente la cicatrice rosea, con un’espressione combattuta. Atena parve confuso e disse qualcos’altro, ma la sua voce era talmente bassa che Gazel non riuscì a distinguere le parole; inoltre, il loro cominciava ad apparire come un discorso intimo, privato, e il ragazzino decise che non era più il caso di stare ad ascoltare. Sarebbe stato come origliare, sembrava sbagliato, fuori luogo. Gazel si voltò, dando loro le spalle, e si mise ad osservare le radici dell’albero.
Se Hiroto aveva detto la verità, e non aveva alcun motivo per non farlo, la pianta doveva essere sbucata fuori all’improvviso. Era totalmente improbabile in natura che accadesse una cosa simile; tuttavia, da quando era entrato in quel centro di addestramento, Gazel era abituato a pensare che l’impossibile potesse diventare possibile. C’era infatti un’unica spiegazione logica al perché quell’albero si trovasse lì: qualcuno lo aveva fatto crescere, possibilmente con l’uso di un qualche potere. Doveva trattarsi di un drifter – quello era il termine che Chang Soo aveva usato, talvolta, per definire le persone con un dono che non erano sotto il controllo e la supervisione delle Spy Eleven. Ma perché avrebbero dovuto farlo?
A meno che… Gazel fu colto da un pensiero improvviso e, osservando le espressioni dei suoi compagni, gli apparve chiaro che tutti avevano avuto la stessa idea, solo che nessuno desiderava dirla ad alta voce. A meno che non abbiamo un nemico, qualcuno che aveva progettato di rinchiuderci qui dentro… A meno che i crolli non fossero parte di un piano più grande. Gazel lanciò un’occhiata di sbieco a Hepai e Atena e si morse il labbro inferiore.
Non siamo in grado di combattere se qualcuno ci attacca.
L’unica soluzione era uscire dalla trappola al più presto e per farlo dovevano per forza abbattere l’albero. Ma come? Gazel si trovò a riflettere rapidamente. Lui non aveva alcun potere, mentre quelli di Hiroto, Afuro e Hepai non erano adatti ala situazione… Rimaneva solo…
-Nagumo- chiamò, infine. Il ragazzo sussultò e si girò a guardarlo; non appena i loro occhi s’incrociarono, Gazel seppe che aveva capito, tuttavia lo disse ugualmente ad alta voce.
-Devi bruciare le radici dell’albero.
Nagumo si morse l’interno della guancia, spostò il peso da una gamba all’altra. Sembrava a disagio, come se stesse cercando un’altra soluzione in mente, ma non riuscisse a venirne a capo. Tutti nel gruppo sapevano che Gazel aveva ragione. Anche Nagumo lo sapeva e proprio questo sembrava metterlo in difficoltà.
-Posso tenere vive le fiamme solo per dieci minuti, se mantengo la massima concentrazione. E inoltre…- disse Nagumo, con un tono di voce basso, quasi cauto, che Gazel non gli aveva mai sentito fare. Nagumo abbassò lo sguardo, si morse il labbro inferiore, aggiunse in un soffio:- Non sono in grado di controllare bene il mio potere. Se anche Hiroto mi bloccasse, se le fiamme si fossero già propagate, allora…
Tacque, ma tutti conoscevano il resto.
-Sei l’unico a poterlo fare- disse Afuro. –Abbiamo fiducia in te e ti supporteremo.
-Sì, lo so. È proprio questo a preoccuparmi- mormorò Nagumo, poi si infilò tra Hiroto e Gazel e mise un piede oltre il varco di roccia, sollevando il viso verso l’alto per studiare la situazione.
-State tutti indietro, non vi avvicinate per nessun motivo- avvertì.
Dapprima le sue braccia iniziarono ad emettere solo una flebile luce, poi pian piano il bagliore diventò più intenso e più caldo; la pelle di Nagumo si arroventò, prendendo il colore rosso ardente di un ferro battuto sul fuoco, e ben presto le sue mani furono avvolte da fiamme fino alla punta delle dita. Per la seconda volta Gazel si trovò irresistibilmente attratto dalla luce e dal calore che quel fuoco emanava, terribile ed affascinante al tempo stesso.
Poi Nagumo afferrò la punta di una radice ed il fuoco divampò, iniziando lentamente a propagarsi. Dopo un po’ di tempo, il ragazzo strinse i denti e diede un maggiore input alle fiamme, dando loro il silenzioso ordine di scatenare la loro voracità e divorare ogni cosa. Una serie di piccole esplosioni percorse il lungo ramo e il fuoco si estese ad un’altra radice vicina.
Erano passati appena due minuti, ma Nagumo stava già sudando moltissimo. Rivoli di sudore scorrevano lungo la mascella serrata e gli bagnavano il mento, inzuppando il collo della maglietta. Gazel fece un passo esitante di lato, senza avvicinarsi troppo, per cercare di sbirciare il viso di Nagumo.
Il suo sguardo intenso e brillante lo fece quasi rabbrividire: era come se le sue iridi dorate ci emettessero lo stesso bagliore del fuoco. Il potere di Nagumo non si manifestava solo all’esterno, ma scorreva dentro di lui, nel suo corpo. A giudicare dalla quantità di sudore e dal colore porpora della sua pelle, Gazel era certo che la sua temperatura corporea avesse raggiunto dei valori che avrebbero ucciso un comune essere umano.
Dopo circa cinque minuti, ci fu un’altra piccola esplosione e il fuoco raggiunse anche le radici più profonde, quelle nascoste nel buio del tunnel, dietro le più grosse ed evidenti. Alcuni pezzi di busto cadevano dal soffitto, sbriciolandosi in granelli di cenere e polvere; i capelli di Nagumo ne erano pieni. Una radice si frammentò completamente e, quando cadde rovinosamente al suolo, un fascio di luce proveniente dall’alto entrò nella grotta: era fievole, segno che probabilmente di sopra si stava già facendo sera, ma ugualmente confortante. Gazel cominciò a percepire, finalmente, un po’ di speranza.
Poi, d’un tratto, le fiamme raggiunsero un fianco dell’albero e divamparono con un’energia maggiore a quella che Nagumo si aspettava. Il ragazzo sobbalzò e fu costretto a chiudere gli occhi per evitare che ci finisse della cenere.
Prima di poterci ripensare, Gazel scattò in avanti e stese le braccia sopra la testa e la schiena di Nagumo, coprendolo in modo da proteggerlo dalla pioggia di cenere e schegge di legno e roccia. Un mucchio di terriccio scivolò dall’alto e cadde su di loro, e Gazel tossì rumorosamente mentre scuoteva il capo. Il movimento attirò l’attenzione di Nagumo, che si volse di colpo.
-Cosa stai facendo?! Ti ho detto di stare indietro!- gli gridò.
-Idiota! Se qualcosa crolla, ti cadrà dritta in testa! Sei troppo esposto!- ribatté Gazel a tono.
Da così vicino riuscì a notare che le spalle di Nagumo tremavano leggermente, e le sue pupille sembravano essersi dilatate. Stava avendo problemi a mantenere la concentrazione.
-Pensa solo a ciò che devi fare!- disse Gazel, serio. –Al resto penserò io!
-Non capisci…! Non puoi starmi… così… vicino…!- sibilò Nagumo tra i denti.
Gazel aprì la bocca per replicare, ma in quel momento una parte del tronco si staccò e crollò su di loro, producendo un enorme nuvola di polvere. Gazel avvertì un dolore lancinante al braccio destro, ma la terra era ovunque ed aprire gli occhi sembrava impossibile; quando finalmente ci riuscì, la prima cosa che vide fu un angolo di cielo che sbucava tra due radici annerite. Scorgendolo, Gazel si sentì confortato, nonostante il dolore al braccio e la difficoltà a respirare.
-Ehi, stai bene?- chiese Nagumo con voce sommessa. Alle sue parole seguì un colpo di tosse, anche lui doveva aver inalato della polvere.
Gazel abbassò lo sguardo. Non riusciva a vedere bene, perciò cercò a tentoni la schiena di Nagumo con una mano. Le sue dita trovarono il tessuto bagnato della maglia, all’altezza della nuca sudata, e poi scesero fino a fermarsi, a distendersi tra le scapole di Nagumo. Lo sentì sussultare sotto il proprio tocco.
-Sto bene. Riesco a vedere il cielo…- disse piano. Sperava che il pensiero potesse rassicurare Nagumo, così come aveva fatto con lui.
S’interruppe mordendosi le labbra quando una fitta di dolore gli attraversò nuovamente il braccio. Qualcosa non andava, non sapeva dire cosa fosse successo; forse una roccia lo aveva tagliato, perché la pelle gli bruciava fortissimo, al punto che sembrava sul punto di aprirsi in due. Gazel represse un verso sofferente, riducendolo al minimo, ad appena un singulto. Dal momento che erano praticamente appiccicati, però, Nagumo, sembrò udirlo lo stesso, o forse lo percepì. Gazel non era certo che la propria mano sulla sua schiena non stesse tremando.
-Ti sei ferito…?- domandò Nagumo.
-Non lo so… Ma non è importante ora, in ogni caso non vedo niente- rispose Gazel.
Nagumo rimase in silenzio per un po’, poi bofonchiò:- Oh, vaffanculo.- E, solo un attimo dopo, dalle sue mani esplose una vampata di fiamme che avvolse tutta la superficie dell’albero, fin dove riuscivano a vederlo. Poi Nagumo iniziò ad arretrare, spingendo Gazel a fare lo stesso. Qualcuno li afferrò entrambi per le maglie e li trascinò fuori di lì mentre ciò che restava dell’albero crollava al suolo, pezzo dopo pezzo, e continuava a bruciare.
Gazel si costrinse a distogliere lo sguardo da quello spettacolo e sollevò il volto per vedere chi l’avesse salvato; non si sorprese di scoprire che era stato Afuro. Nagumo era seduto accanto a loro, appoggiato con la schiena contro le gambe di Hiroto; doveva aver perso l’equilibrio quando il compagno l’aveva tirato via, ma non sembrava in vena di protestare. Stava fissando le proprie mani, ancora rosse ed incandescenti.
-Wow, sono passati solo sette minuti- osservò Hepai senza fiato. Gazel non comprese se dovesse essere un complimento o meno. In meno di dieci minuti, Nagumo aveva trasformato quel posto in una cerchia infernale. Ora stava fissando le proprie mani, ancora incandescenti e livide, come se non le avesse mai viste prima.
-Sapevo di poterlo fare, ma… Non avevo mai provato ad usare tanta energia in un solo attacco- ammise a voce bassa, roca. Non sembrava per niente felice di quel successo. Rimase ancora un po’ con il capo chino, poi lo sollevò di scatto, come colto da un’idea improvvisa.
Il suo sguardo vagò su Gazel, con una tale intensità di metterlo a disagio, e nella sua espressione balenò un lampo di allarme.
-Cazzo- soffiò, poi continuò a bofonchiare soltanto improperi per una manciata di secondi. Il suo respiro era irregolare, affaticato, come se fosse stato preso dal panico. Hiroto poggiò le mani sulle spalle di Nagumo per calmarlo.
-Nagumo? Cosa c’è che non va? Inspira ed espira lentamente, solo dal naso, non respirare dalla bocca- gli disse, allarmato. Nagumo scosse il capo con foga.
-Il suo braccio…- sbottò con voce strozzata. –Cazzo… cazzo, il suo braccio…- Non riuscendo a dire altro, alzò una mano tremante e fece un gesto per indicare Gazel. Il ragazzino sentì immediatamente gli occhi di tutti addosso e, sebbene timoroso di cosa avrebbe visto, si forzò ad abbassare lo sguardo. Trattenne bruscamente il fiato: la pelle dell’avambraccio era scorticata, piena di bolle e di un color rosso scuro, quasi violaceo, che non aveva per niente un aspetto sano. Si era ustionato; ecco da dove proveniva quel dolore fortissimo. Bastò ripensarci perché cominciasse a bruciare di nuovo, e Gazel si lasciò sfuggire un gemito.
Hepai spostò dal proprio grembo Atena, che pareva essersi ripreso un pochino, e si avvicinò rapidamente a lui, chinandosi per osservare la ferita da vicino. Si rialzò poco dopo e fece una smorfia. –È una brutta ustione- commentò. –Con il mio potere posso a stento lenire il dolore.
-Qualunque cosa tu possa fare, falla- replicò Afuro, osservando preoccupato l’espressione di Gazel, che era diventato pallido e sudava freddo.
-È colpa mia, è colpa mia, è tutta colpa mia- ripeteva Nagumo sotto voce, il respiro sempre più affannoso. Hiroto continuava a spiegargli come respirare, ma l’altro non lo ascoltava, completamente sopraffatto dai propri sensi di colpa.
-Sta zitto, non è colpa tua- lo rimbeccò Gazel, torvo. Non aveva praticamente voce, la sua gola era secca, arida. Sentiva un sapore di bruciato sulla lingua, come se la sua bocca fosse stata piena di cenere, e l’odore di bruciato che veniva dalla propria pelle lo nauseava. Benché il dono di Hepai gli procurasse un certo sollievo, non era per niente sufficiente a far passare il dolore.
-Non è colpa tua, falla finita!- ringhiò. Era arrabbiato con Nagumo, non sapeva perché; non sapeva dire se fosse semplicemente irritato dal fatto che stesse avendo un attacco di panico mentre quello ferito era lui, o furioso perché voleva addossarsi tutta la colpa. A stento riusciva a sopportare la propria angoscia, non poteva farsi carico anche di quella di Nagumo.
La sua frustrazione scatenò la reazione di Nagumo.
-Falla finita tu! Si vede che stai malissimo, non dovresti parlare!
-Ho scelto io di avvicinarmi- sbottò Gazel, esasperato.
-Tu…- Nagumo non riuscì a completare qualsiasi insulto avesse in mente perché in quel momento una luce accecante li colpì, costringendoli a chiudere gli occhi. Gazel osò sbirciare e intravide la silhouette di un drago strisciare sul terreno proprio tra lui e Nagumo, per poi risalire lungo le pareti e gettarsi fuori dal buco nel soffitto. Poco dopo, delle figure si affacciarono.
-Ah, meno male, siete tutti salvi- disse una voce stanca, seria. Gazel riconobbe a stento Chang Soo dal timbro; non l’aveva mai sentito parlare con tanta gravità.
La Spy Eleven osservò il cerchio di fiamme e si accigliò.
-Avete combinato una bella confusione, mm- disse, poi scomparve e, dopo un paio di minuti, al suo posto apparve Endou.
-Ragazzi! Ora vi tiro tutti fuori, va bene? Non vi spaventate e non vi dimenate!- gridò loro. Hiroto si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, sembrava sapesse già cosa stesse per accadere.
-Ehi, Gazel, Afuro ed Atena sono feriti, porta fuori prima loro!- rispose all’amico, che fece un cenno di assenso col capo.
Gazel guardò con stupore la mano composta di pura energia che discendeva nel tunnel. Ricordò che, tempo prima, Endou aveva parlato di una nuova tecnica che voleva creare, ma in quel momento la sua mente era annebbiata dal dolore e non riusciva a farsi venire in mente i dettagli. Si lasciò stringere in pugno dall’enorme mano, non faceva male, anzi lo faceva sentire cullato e protetto; il pugno lo sollevò e lo portò con delicatezza fuori dalla grotta, depositandolo sull’erba fresca. Chang Soo e Jung Soo gli furono subito accanto ed iniziarono a medicargli il braccio. A detta di Chang Soo, si trattava in un’ustione di secondo grado e ci avrebbe messo almeno due settimane a guarire; disse anche qualcos’altro, tuttavia Gazel ascoltò a stento una parola su dieci, perché il dolore gli aveva svuotato la testa e aveva reso impossibile concentrarsi su qualcosa per più di cinque secondi consecutivi. Ad un certo punto Chang Soo si alzò e si allontanò, lasciando semplicemente che fosse Jung Soo ad occuparsi del resto. Gazel fece del suo meglio per non lamentarsi, ricacciando indietro le lacrime e stringendo i denti ogni volta che il braccio veniva attraversato da una fitta di dolore tanto forte da farlo tremare tutto.
Solo quando Jung Soo gli avvolse la ferita con della garza, Gazel riuscì a sentirsi un po’ più leggero: le fasciature erano abbastanza strette da bloccare il dolore, o piuttosto da fargli perdere in buona parte la sensibilità del braccio.
Rimase seduto con le gambe stese in avanti e finalmente si concesse di guardarsi intorno. Dopo di lui, Endou aveva tirato fuori dalla buca tutti i ragazzi. Nonostante fossero Afuro ed Atena quelli feriti, neanche gli altri tre avevano un bell’aspetto. Nagumo aveva ripreso a respirare in modo normale, ma era visibilmente scosso, la sua espressione ancora cupa e sopraffatta dal senso di colpa; Gazel notò che evitava insistentemente di guardare nella sua direzione, e distolse anche lui lo sguardo.
Afuro venne a sedersi accanto a lui sull’erba. Per fortuna, anche la sua mano era stata medicata e fasciata in modo decente. Gettò un’occhiata al viso di Gazel e fece un’espressione sorpresa ed intenerita; sollevò la mano sana e cominciò ad accarezzare la schiena di Gazel con straordinaria delicatezza, come se avesse avuto paura di romperlo.
-Ehi- disse, serio –stai bene?
Per un momento, Gazel si limitò a sbattere le palpebre, confuso. Poi una lacrima calda gli scivolò lungo la guancia, e poi un’altra ancora ed un’altra finché i suoi occhi non iniziarono a bruciare ed il suo respiro a farsi affannoso. Gazel s’immobilizzò, non sapeva cosa fare: non aveva mai pianto davanti a nessuno. Fino a quel momento, aveva permesso alle proprie lacrime di uscire solo durante la notte, durante i sogni, ed anche allora le aveva nascoste, premendo a lungo il viso nel cuscino, sfregandolo con i lembi delle lenzuola. 
Quando gli sfuggì un singhiozzo che gli fece tremare le labbra, si portò istintivamente una mano alla bocca, come se in qualche modo fosse stato possibile rimangiarselo. Gazel sapeva che molti lo stavano fissando, e cominciò a scuotere forte il capo.
-Guarirai presto. È stato orribile, ma ora va tutto bene- gli disse Afuro.
Erano semplici parole di conforto, eppure parvero sufficienti a sciogliere un nodo, un peso che per tanto tempo Gazel aveva portato sul petto.
Avrebbe dovuto essere normale, realizzò, essere confortati in quel modo quando si ha paura o si è tristi, invece lui non aveva mai ricevuto quella gentilezza e aveva cominciato a credere di non meritarla. Quando aveva cominciato a guardare il mondo così negativamente, a pensare che i sentimenti non fossero importanti? Convinto che non importassero a nessuno, aveva smesso di mostrare le proprie emozioni, nascondendo agli altri le proprie lacrime, le proprie paure, i propri sogni. Aveva imparato a reprimere ogni cosa, al punto da non riuscire più a credere che le persone potessero essere gentili senza mentire.
E ora questa verità gli appariva improvvisamente davanti in modo così banale, così schietto.
Fidarsi degli altri non era da stupidi, o da ingenui; era anzi l’atto più coraggioso che una persona potesse compiere.
-Ah, come nelle fiabe- commentò Chang Soo, e la sua voce arrivò a Gazel nitidamente nonostante l’uomo si trovasse piuttosto distante da lui. –Il robot ha mostrato ciò che c’era nel suo cuore ed è diventato umano.
Gazel sollevò il volto verso il cielo serale: i colori e le prime stelle gli apparivano morbidi, flebili e nebulosi e decise che gli piacevano di più così. Senza più tentare di nasconderle o di trattenerle, lasciò che le lacrime gli scorressero lungo le guance ed il mento, bagnandogli il collo, e poi chiuse gli occhi. Inspirò a fondo, lasciò andare l’aria in un respiro tremulo, lasciò andare tutto.
È così, si disse, sollevato. Non sono un robot.
La luce gli era sfuggita per così tanto tempo.
 
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Chang Soo aveva infine deciso di tornare nelle gallerie da solo e congedare i ragazzi, lasciandoli liberi di lavarsi, cenare e poi andare dritti a dormire. Benché fosse certo di poter crollare da un momento all’altro, Gazel si trascinò fino allo spogliatoio insieme agli altri; il loro gruppo era stato l’ultimo a rientrare per via dell’incidente, quindi le docce erano a loro completa disposizione. Anche in sala mensa erano praticamente da soli, fatta eccezione per qualche ragazzo rimasto a chiacchierare, o a giocare a carte. Tra questi c’era Endou, che stava aspettando Hiroto. Gazel mangiò due ciotole piene di riso: il lungo pianto l’aveva lasciato indebolito e spossato, ma senza dubbio anche molto affamato. Il loro gruppo, ad eccezione di Atena, che si trovava ancora in infermeria, mangiò allo stesso tavolo, sfuggendo agli sguardi increduli e curiosi di esterni. Effettivamente, visto che i loro rapporti non erano mai stati dei migliori, doveva apparire strano che Hepai si fosse seduto con loro. All’inizio Gazel pensò che dovesse essere troppo stanco per protestare; mentre tornavano alle loro camere, però, Hepai si fermò, accennò un breve e rigido saluto e deviò per andare in infermeria, e Gazel realizzò che l’esperienza appena vissuta aveva cambiato qualcosa anche in Hepai: sembrava aver perso ogni voglia di essere cattivo, di sputare provocazioni. Gazel capì anche che quella doveva essere una forma di difesa, di barriera che Hepai metteva tra sé ed il resto del mondo, ferire per non essere ferito. L’improvvisa consapevolezza di non essere poi così diversi, sebbene non bastasse a perdonargli gli insulti verso Afuro o altri affronti, di certo aiutò Gazel a non odiarlo.
Nagumo evitò il suo sguardo per tutto il resto della serata, a stento lo salutò prima di andare a dormire. Gazel si chiese se, invece di essersi avvicinati, non avessero fatto molti passi indietro.
Appena tornati in camera, Afuro si stese sul proprio letto e attese che Gazel lo raggiungesse, come ormai erano soliti fare, ma questa volta Gazel fece cenno di no col capo e si arrampicò docilmente sul letto superiore. Era ora di smettere di scappare. In quel momento, il solo pensiero di poter contare su Afuro sembrava bastare a dargli coraggio.
 
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Qualcuno stava cercando di svegliarlo scuotendolo per le spalle. Gazel mugugnò, affondò il volto nel cuscino nel vano tentativo di aggrapparsi al residuo di sonno che ancora gli restava, ma già distingueva chiaramente la voce di Afuro da qualche parte sopra di lui, senza nemmeno aprire gli occhi. Rotolò su un fianco, aprendo a stento un occhio, ed i capelli dell’amico gli solleticarono la guancia
-Gazel, è quasi ora di pranzo. Ci hanno lasciato dormire fino a tardi, ma ora devi alzarti- lo informò Afuro, dandogli un’altra leggera scossa. Gazel continuò a fissarlo mentre la sua mente assonnata cercava di elaborare le sue parole. Se era già ora di pranzo, allora aveva dormito almeno nove ore, ma non si sentiva per niente riposato, anzi per qualche motivo gli pareva di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. Non era pronto a lasciare il letto, decise, e si scrollò di dosso le mani di Afuro con l’intenzione di voltarsi e tornare a dormire.
-Gazel, no, non puoi- esclamò Afuro. –Ho appena incontrato Chang Soo e ha detto che vuole vederci appena possibile nel suo ufficio, perciò devi assolutamente muoverti.
Il ragazzino sbuffò, rotolò sulla schiena e finalmente aprì entrambi gli occhi. A quanto pareva non aveva proprio scelta: era pronto a scommettere che Chang Soo sarebbe venuto di persona a buttarlo giù dal letto se non si fosse presentato alla convocazione.
Di malavoglia, quindi, scese dal letto e si vestì. Afuro gli aveva lasciato una maglietta e un pantalone già pronti in cima alla cassettiera ed insistette per applicargli due mollette tra la frangia. Quando uscirono in corridoio, Afuro chiuse a chiave la porta e disse:- Vado ad avvisare Hiroto, tu puoi pensare a Nagumo? La sua stanza è quella a destra delle scale, appena si scende.
Gazel era ancora assonnato e, quando comprese la richiesta, era troppo tardi per protestare. Afuro si era già avviato verso la direzione opposta: attraversò tutto il corridoio, svoltò a sinistra e sparì dietro un angolo. Gazel sospirò e s’incamminò verso le scale a chiocciola. Per fortuna, accanto a queste ultime c’era soltanto una porta, per cui era difficile sbagliarsi su quale fosse la camera di Nagumo.
Il problema era che si sentiva ancora a disagio, e non sapeva se voleva davvero vedere Nagumo. Era quasi certo che Nagumo non volesse vedere lui.
Bussò un paio di volte, quasi sperando che l’altro stesse dormendo ancora.
-È aperto- gridò da dentro una voce roca, esausta.
Gazel inspirò profondamente e si diede dello stupido. Perché diavolo era tanto nervoso? Lui e Nagumo non erano mai stati veramente amici, dopotutto. Non stava perdendo nulla. Doveva soltanto dirgli di raggiungerli da Chang Soo, e basta… Finalmente si decise ad abbassare la maniglia; aprì la porta giusto un poco, il necessario per infilare la testa e guardare dentro.
La stanza era leggermente più piccola di quella di Afuro, o forse appariva ridotta solo perché il pavimento era pieno di vestiti che limitavano la possibilità di movimento. Aleggiava anche una lieve ma pungente puzza di sudore, che avrebbe fatto arricciare il naso a chiunque. Nagumo doveva essere il peggior incubo di una persona ordinata e pulita. Ma, se l’ambiente appariva trasandato e caotico, di certo non era trascurato; al contrario, dava la sensazione di essere terribilmente personale, e di avere una determinata personalità. A giudicare dal letto singolo, Nagumo era l’unico inquilino, per cui si era preso la libertà di appiccicare dei poster con il nastro adesivo su tutte le pareti. Gazel scorse soprattutto cose legate al calcio, ma anche a gruppi musicali e vecchi film.
Nagumo era seduto sul bordo del letto, con i capelli scompigliati, gli occhi semichiusi ed una mano sotto la canottiera, a grattarsi la pancia. Aveva l’aria di essersi appena svegliato anche lui, e certamente non di buonumore. Quando vide chi era entrato, sbatté rapidamente le palpebre e d’un tratto parve molto più sveglio. Guardò Gazel con meraviglia, quasi scioccato, chiedendogli quasi telepaticamente perché si trovasse lì.
Gazel si schiarì la voce. -Chang Soo ha detto ad Afuro di andare nel suo ufficio- disse, fece una pausa e, anche se Afuro non glielo aveva detto specificamente, aggiunse:– Penso riguardi quello che è successo ieri.
Nagumo sbatté un altro paio di volte gli occhi, forse cercando di mettere bene a fuoco la stanza. Rimase in silenzio mentre registrava le parole, poi annuì.
-Sì, ha senso- borbottò. Sbadigliò senza preoccuparsi di coprirsi la bocca, si stiracchiò con calma e finalmente si alzò, muovendosi tra la scia di vestiti con l’agilità di una biscia nell’erba alta. Gazel osservò con una punta di disgusto mentre Nagumo raccoglieva da terra una maglietta dei Bump of Chicken scolorita e la studiava, probabilmente valutando se poteva indossarla ancora una volta, anche senza averla lavata; dopo una manciata di secondi, però, parve rinunciarci, la gettò sulla ringhiera di ferro del letto e si voltò per tornare verso la cassettiera. In cima al mobile, conservata in una cornicetta semplice, quadrata e di plastica nera, c’era una fotografia che rappresentava Nagumo bambino con una donna dai corti capelli rossi. Si somigliavano molto, Gazel immaginò dovesse trattarsi della madre di Nagumo.
Mentre Nagumo, seduto sui talloni, frugava nel cassetto più basso in cerca di vestiti puliti (circa), Gazel cominciò a sentirsi inquieto. Si domandò se avrebbe dovuto aspettarlo, o chiudere semplicemente la porta e cominciare ad avviarsi. Dopotutto, Afuro lo aveva mandato da Nagumo per avvisarlo, non per fargli da accompagnatore.
Ma Nagumo sembrava molto meno nervoso del giorno prima, e Gazel si disse che, a quel punto, nemmeno lui aveva motivo di esserlo. Dopo aver esitato per una manciata di secondi, Gazel decise di restare. Chiuse la porta e ci si appoggiò contro la schiena.
Intanto Nagumo aveva trovato un paio di bermuda ed una t-shirt completamente bianca, su cui campeggiava la scritta “Burn This Down” (terribilmente adatta a lui). Continuava a muoversi con tranquillità, apparentemente senza far caso al fatto che Gazel fosse entrato nella stanza. Mentre lui si spogliava e rivestiva, Gazel si mise a fissare insistentemente una delle pareti, facendo finta di studiare ogni particolare di un poster di un vecchio film di samurai, sebbene niente di ciò che vedeva gli rimanesse davvero impresso.
-Ehi… posso farti una domanda?
Gazel si girò di scatto verso Nagumo: il ragazzo stava seduto sul letto con il capo chino, una scarpa al piede e l’altra ancora slacciata.
-Certo- rispose Gazel, cauto.
Nagumo non diede segno di voler continuare ad allacciare la scarpa, era come se l’avesse dimenticata. Stava fissando il pavimento con intensità, accigliato o forse impensierito.
-Ti sei messo in prima linea per aiutarmi, anche se era pericoloso… Sei rimasto fermo anche se avresti potuto farti male… come infatti è successo. Perché lo hai fatto?- domandò, secco.
Gazel notò che aveva la mascella serrata, le spalle curvate in avanti come se avesse voluto farsi ancora più piccolo, tutti segni che Nagumo era nervoso. Ormai Gazel aveva imparato a riconoscerli.
Istintivamente si toccò il braccio dove aveva la fasciatura e di colpo si sentì confortato dalla lunghezza delle maniche, che la nascondevano agli occhi altrui, e soprattutto a quelli di Nagumo.
-Sono stato io a suggerire quel piano… Sono stato io a spingerti a farlo. Come avrei potuto restare a guardare? Ho sentito che dovevo aiutarti, anzi volevo aiutarti- affermò, fece una pausa. Se devo essere sincero, tanto vale esserlo fino in fondo, pensò, inspirò a fondo.
–Sembravi in difficoltà, non sono riuscito a star fermo. Mi sono mosso d’istinto. Credo… Credo che non volessi vederti ferito- disse, e di nuovo il volto di Nagumo manifestò sorpresa. La sua espressione era aperta e vulnerabile, i suoi occhi limpidi. Era probabilmente strano sentirsi dire una cosa del genere da qualcuno con cui non hai grande confidenza, realizzò Gazel. Confuso e imbarazzato dalla sua stessa ammissione, abbassò lo sguardo.
A questo punto Nagumo parve riscuotersi: si allacciò frettolosamente la scarpa e si alzò in piedi, evitando per un soffio di dare una testata al letto superiore. Invece di andare alla porta, però, cominciò a frugare nella cassettiera. Ne tirò fuori un oggetto rettangolare e lo lanciò a Gazel che, pur essendo stato colto alla sprovvista, riuscì ad afferrarlo grazie ai suoi riflessi: le sue dita affondarono in qualcosa di morbido e ruvido e, quando le distese, il suo sguardo si posò su un pacchetto di sigarette.
-Mi stai invitando a fumare con te? Perché in tal caso ti dico subito che non ho mai…
-Guarda meglio, cretino- lo interruppe Nagumo, sbuffando. Gazel si accigliò: in una situazione normale si sarebbe offeso dell’insulto, ma stavolta Nagumo non sembrava averlo detto con malizia. In effetti, bastava un’occhiata più attenta per accorgersi che il pacchetto era ancora sigillato: non era mai stato aperto ed anzi appariva perfettamente intatto, se non per gli angoli spiegazzati, tumefatti, e per la scritta Marlboro ormai scolorita.
Gazel alzò di nuovo lo sguardo su Nagumo, cercando spiegazioni.
-Erano di mio padre- rivelò il ragazzo, titubante. –Aveva un tumore polmonare, gliele ho rubate prima che venisse ricoverato e gli venissero proibite… Sono entrato di nascosto nella sua camera, di notte, e gliele ho rubate. Ero solo un bambino stupido, pensavo di poterlo proteggere semplicemente togliendogli le sigarette.
Gazel non disse nulla, non aveva intenzione di mettersi a fare domande. Evidentemente Nagumo non si aspettava che ne facesse.
-Dopo la sua morte, io e mia madre siamo stati costretti a trasferirci molte volte... Avevamo speso quasi tutti i nostri soldi per le cure mediche e mia madre non riusciva a trovare un lavoro fisso... Beh, questo era solo uno dei motivi per cui ci spostavamo di continuo.
-Ero molto arrabbiato…- Nagumo deglutì. -Ero arrabbiato con mio padre, con i medici, con le persone che ci trattavano come fossimo spazzatura... I miei poteri esplodevano di continuo. Mia madre era la sola capace di calmare i miei attacchi di rabbia, ed era costretta a nascondere le ustioni dagli occhi della gente.
-Abbiamo dovuto spostarci spesso per evitare che le persone collegassero gli incidenti a noi, a me…  Ma mia madre nonostante tutto non mi ha mai incolpato, anzi mi ha sempre protetto.
Nagumo rimase in silenzio per un po’ e Gazel capì che adesso poteva parlare.
-È per questo che sei venuto qui? Per lei?- chiese. Nagumo annuì.
-Voglio… anzi, devo diventare più forte- rispose. Chiuse le mani a pugno e le fissò come se stesse richiamando a sé una grande forza di volontà. –Il mio dono non ha fatto altro che causarle problemi, ma se mi permetterà di diventare qualcuno e di darle una vita migliore in futuro, allora non esiterò a seguire questa strada.
-Chang Soo mi ha trovato mentre mi trovavo a Okinawa. Eravamo là da quasi un anno, abbastanza perché fossi riuscito ad ambientarmi e a farmi qualche amico… Una mia amica è come me, sai… ma il suo dono è completamente diverso dal mio. Lei può guarire le persone, io so solo distruggere.
-Questo non è vero- ribatté Gazel, d’impulso. -Hai usato il tuo potere per aiutarmi.
Nagumo sussultò e lo guardò, stupito.
-Cosa?
-Laggiù, nei tunnel… Ricordi quando ti ho detto che non mi piace il buio? Ecco, io…- Gazel si sentì arrossire per l’imbarazzo, ma deglutì e proseguì. –Io… ero spaventato, okay? Ma tu hai usato il tuo potere per aiutarmi e mi sono sentito meglio. Se non ci fossi stato tu, avrei ceduto al panico. E poi… Poi hai aiutato tutti noi ad uscire da quella situazione, no? Insomma, con i tuoi poteri puoi distruggere le cose, e allora? Non significa che tu sia cattivo, o che tu sappia fare soltanto questo.
Gazel alzò lo sguardo e vide che Nagumo lo stava ancora fissando con un’espressione sorpresa. Non sembrava riuscire a trovare le parole per replicare.
-Io non ho mai avuto una vera famiglia e non ne so molto, ma non credo che tu abbia causato soltanto problemi a tua madre- aggiunse Gazel, di getto. -Anche se ci sono stati momenti difficili, non è stato sempre così, giusto? Sicuramente le hai dato anche molti ricordi felici… Se siete arrivati fin qui, se tu sei qui adesso, è perché siete andati avanti insieme.
Quando si accorse di non riuscire più a sostenere lo sguardo dell’altro, Gazel abbassò gli occhi sulle sigarette. Si rigirò il pacchetto tra le mani ancora per un momento, poi lo tese a Nagumo con l’intenzione di restituirglielo e togliere il disturbo al più presto.
Con sua grande sorpresa, però, Nagumo scosse il capo.  
-No. Voglio che lo tenga tu- affermò con decisione. Gazel si innervosì maggiormente.
-Cosa? No. È una cosa importante per te. Perché dovrei tenerlo io?
-Perché ho deciso così- insistette Nagumo, testardo. Si avvicinò per poggiare una mano su quella di Gazel e chiudergliela attorno al pacchetto; Gazel cercò invece di spingergli le sigarette contro lo stomaco, deciso a restituirle.
-Non capisco…- bofonchiò. –Non capisco proprio perché le stai dando a me!
-Aaah, che palle! Sta zitto e prendile, okay?!
Nagumo perse la pazienza e gli afferrò anche l’altra mano per bloccare i suoi movimenti. Gazel, stizzito, si preparò a dirgliene quattro, ma, non appena incrociò lo sguardo serio di Nagumo, capì che non l’avrebbe avuta vinta.
-Perché?- soffiò Gazel. Nagumo esitò, mordendosi l’interno delle guance.
-Detesto il pensiero che sia stato io a ferirti- ammise in un sussurro. –Se le terrai per me, ogni volta che ti vedrò mi ricorderò di quello che è successo… E non ti farò mai più del male.
Le sue orecchie erano così rosse che sembravano andare a fuoco. Gazel temeva che il proprio viso non fosse di un colore tanto diverso, tuttavia, stranamente, quell’invasione del suo spazio personale non lo turbava.
-Nagumo- sussurrò, deglutì. –Noi… siamo amici…?
Nagumo sbatté le palpebre, apparentemente confuso. I suoi occhi guizzarono in basso, verso le labbra semichiuse di Gazel, e tornarono velocemente a incrociare quelli dell’altro.
-Non… Non lo so- rispose, con un vago tono interrogativo.
Con il cuore in gola, incapace come Nagumo di formulare una risposta adeguata, Gazel seguì i propri istinti e si avvicinò un po’ di più. Nagumo sussultò, le sue dita si strinsero forte su quelle di Gazel; fece un passo avanti, arrivando praticamente a toccare la punta delle scarpe di Gazel con le proprie, ed i loro nasi si urtarono con delicatezza.
-Che stai facendo?- bisbigliò Gazel, ma non si spostò.  
-Smettila di parlare- lo rimbeccò Nagumo a voce altrettanto bassa.
-Smettila tu- replicò Gazel e, sporgendosi in avanti, premette le labbra contro quelle di Nagumo. O meglio, avrebbe voluto, ma non riuscì a prendere bene la mira e lo baciò solo all’angolo della bocca; il gesto sembrò comunque sortire il suo effetto, perché Nagumo trattenne bruscamente il respiro e si zittì di colpo. Gazel si ritrasse lentamente e Nagumo lo inseguì facendo sfiorare le loro bocche chiuse per alcuni secondi. Le labbra di Nagumo erano spaccate, ruvide e molto, molto calde. Gazel scoprì che non gli dispiaceva.
Quando sentirono qualcuno bussare alla porta, i due ragazzi si staccarono così rapidamente che per poco Nagumo non sbatté nella cassettiera, mentre Gazel si addossò al muro, stringendo il pacco di sigarette tra le dita con così tanta forza che ebbe paura di schiacciarlo. Si scambiarono un’occhiata allarmata, piena di interrogativi destinati a rimanere irrisolti, almeno per il momento, perché poco dopo aver bussato Afuro aprì la porta ed entrò.
-Ah, Nagumo, sei pronto! Bene, bene, allora muoviamoci tutti- esclamò, mentre con la mano faceva loro segno di uscire dalla stanza. Con lui c’era anche Hiroto.
Gazel sgusciò fuori dalla camera il più in fretta possibile, cercando di accantonare quanto era appena successo in un angolo della mente, per rifletterci in seguito. Aveva ancora le guance calde.
 
xxx
 
Hepai, Atena, Nagumo, Afuro, Hiroto e Gazel – i sei ragazzi che erano rimasti intrappolati nelle galleria erano tutti in piedi, in fila uno accanto all’altro, davanti alla scrivania di Chang Soo. Avevano tutti atteggiamenti molto differenti. Afuro ed Atena sembravano essersi rimessi abbastanza bene e avevano un’aria tranquilla. Al contrario, Nagumo e Hepai apparivano nervoso e tenevano lo sguardo basso. Hiroto e Gazel facevano del proprio meglio per non lasciar trasparire alcuna emozione particolare.
Chang Soo entrò dopo di loro e chiuse la porta. Aggirò i ragazzi, si sedette e restò in silenzio a sfogliare alcuni fascicoli, come se loro non fossero lì. Dopo un po’, si alzò di nuovo, infilò tutti i fogli in una scatola e la chiuse, spingendola in fondo ad una scaffale, dietro alcuni libri. Quando tornò alla scrivania, non si sedette, ma cominciò a camminare avanti e indietro con le mani intrecciate dietro la schiena.
-Come certamente sapete, ieri sera ho ispezionato personalmente le gallerie. Molti avvenimenti strani si stanno succedendo in questi giorni, ultimo tra tutti ciò che avete dovuto sopportare voi tutti. Per questo, mi scuso sinceramente con ognuno di voi. Non avrei mai voluto che i miei allievi corressero un tale pericolo. Vi sembrerà strano, considerata la mia, ah, tendenza a sottoporvi a prove complesse, tuttavia, credetemi, penso sempre al vostro bene. Voglio rafforzarvi, non spezzarvi. La prova di ieri non avrebbe dovuto essere in alcun modo pericolosa. Ora, vorrei chiedervi di raccontarmi l’interezza dei fatti.
Si fermò e si appoggiò alla scrivania, fece un gesto verso Hiroto.
-Kiyama- lo chiamò – comincia tu.
Così Hiroto iniziò a raccontare la propria versione dei fatti e, dopo di lui, Chang Soo volle ascoltare ognuno di loro. Non voleva soltanto il riassunto degli eventi, ma anche le loro impressioni, le loro sensazioni. Gazel ebbe la certezza che tutti, non solo lui, avevano avuto il presentimento di essere osservati, in un momento o in un altro. Era difficile, osservando il volto di Chang Soo, capire cosa stesse pensando: non faceva mai commenti, si limitava ad annuire con un’espressione seria ed indecifrabile.
Quando Hepai, l’ultimo interrogato, finì il proprio pezzo, Chang Soo rimase in silenzio a riflettere per alcuni minuti.
-Bene. Ora vi devo chiedere di non parlare mai a nessun altro di questi fatti- disse infine.
-Questa mattina ho parlato con la Spy Eleven di questo territorio e siamo giunti ad una decisione: l’indagine deve proseguire in vesti private. Finché non avremo maggiori informazioni, nulla deve trapelare all’esterno. Per cui, sono costretto a chiedervi di giurare.
Li squadrò uno ad uno con intensità. Gazel si sentì quasi rabbrividire, e qualcun altro deglutì.
-Giurate di non parlare con nessuno di quello che è accaduto ieri?- domandò Chang Soo, tagliente. Attese le loro risposte, ma era chiaro che non avevano davvero scelta. I ragazzi annuirono, giurarono ad alta voce su richiesta e solo allora fu permesso loro di andarsene.
 




 
**Angolo dell'autrice**
Buon pomeriggio c:
Scrivere questo capitolo è stato faticoso, ma sono soddisfatta... Gazel è maturato tanto nel corso di questa fic, spero di avervi trasmesso questo cambiamento. Anche il suo modo di rapportarsi agli altri è cambiato; in questi ultimi capitoli, ho cercato di focalizzarmi soprattutto su Nagumo e Gazel. Si sono avvicinati tanto, più di quanto loro stessi si rendano conto, ma è difficile definire con precisione la loro relazione: non sono propriamente amici, ma non hanno nemmeno un rapporto veramente romantico, non ancora. Insomma, la loro relazione non ha dei contorni chiari e netti, è in bilico ed è ancora così anche in Inazuma Agency.
Inoltre, come desideravo fare, in questo spin-off sono riuscita a dare anche un background personale a Nagumo e ne sono sollevata. Non sarei mai riuscita ad inserire tutto ciò in Inazuma Agency, visto che le priorità di quella fic sono altre :'D
(Peraltro, forse qualcuno l'aveva intuito, ma l'amica a cui Nagumo fa cenno è Maki.)
La scena in cui Atena chiama Hepai "En-chan" è una delle mie preferite del capitolo. Forse l'avete già capito, ma quei due sono amici d'infanzia. Nel prossimo capitolo spiegherò meglio il loro rapporto ;)
Buona giornata e al prossimo aggiornamento ♥
  Roby

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Capitolo 8
*** Act8 - Last day of winter. ***


Con questo capitolo, si conclude lo spin-off. Questo capitolo ha in realtà due soundtrack: No pain no game di nano (che immagino un po' come una sorta di opening, lol) e L'ultimo giorno d'inverno di Mattia Cupelli, da cui il titolo.
Per le altre note dell'autrice, leggete sotto ↓


Act. 8 – Last day of winter
«The game has only just begun.»
(No pain, no game – nano)

 
Atena aprì gli occhi lentamente e si trovò a fissare il soffitto. Non aveva ancora voglia di alzarsi, perciò si limitò a girarsi su di un fianco per poter guardare la porta, sperando di vederla aprirsi da un momento all’altro, sperando di veder entrare Hepai. Erano passate due settimane dall’incidente nelle gallerie… Le ferite di Atena erano guarite da tempo, tuttavia Hepai continuava a venire quasi ogni mattina nella sua camera, apparentemente solo per andare con lui alla mensa.
Atena si trovò a sorridere spontaneamente: agli altri poteva sembrare un gesto insignificante, ma lui ne era genuinamente felice. In quei momenti, ripensava con nostalgia alla loro infanzia trascorsa in orfanatrofio; venivano da una situazione piuttosto simile, loro due. Avevano perso entrambi i genitori da molto piccoli e, non avendone ricordi, non ne avevano mai sentito la mancanza in modo sostanziale. Avevano scoperto di avere dei poteri nello stesso periodo, immaginavano allora fosse magia, influenzati da libri e film, e si erano convinti di essere speciali, dei prescelti, degli eroi. Erano sempre insieme, sempre uniti… almeno fino a quel fatidico giorno.
A ben pensarci, avrebbe potuto essere una giornata come un’altra. Uno sfortunato tiro a pallone aveva distrutto il vetro di una finestra: era successo tante volte, com’è ovvio in un luogo popolato di bambini. Ma quel giorno non era andato tutto bene. Hepai ed Atena stavano giocando sotto quella finestra quando era avvenuto il fatto; Atena continuava a sognare tutt’ora il momento in cui si era frapposto impulsivamente tra il pallone ed il suo amico. Con una maggiore esperienza e maturità, avrebbe potuto usare i suoi poteri per proteggersi, invece non era riuscito a far nulla…
Il solo ricordo faceva pizzicare la sua cicatrice, riusciva a quasi a percepire una fitta all’occhio sinistro, da cui aveva rischiato di perdere la vista a causa delle schegge di vetro. Non ricordava molto altro, perché aveva perso i sensi, ma immaginava dovesse esserci molto sangue.
Atena strizzò gli occhi ed affondò la fronte nel cuscino, cercando di scacciare quelle sensazioni con grande forza di volontà.
Qualcuno bussò alla porta. Atena si alzò di scatto sulle braccia, si schiarì la voce ancora roca per il sonno e chiese:- Sì? Chi è?
Un borbottio familiare rispose dall’altra parte. Atena scalciò via le lenzuola, si mise in piedi e si precipitò ad aprire; quando aprì la porta con energia, dall’altra parte Hepai sussultò ed istintivamente fece un passo indietro. Si guardarono per una manciata di secondi, Hepai sbatteva le palpebre, probabilmente confuso da tutta quella foga ed Atena iniziò a sentirsi piuttosto imbarazzato.
-Uh… Ehi, ciao. Mi sono, uh, appena svegliato, quindi…- Si schiarì nuovamente la gola. –Ora mi vesto, dammi solo dieci minuti. Puoi entrare e aspettare dentro se vuoi…
-No, no. Resto qui fuori- si affrettò a rispondere Hepai e, fedele alla propria decisione, si appoggiò alla parete di roccia. Atena annuì, reprimendo un vago senso di delusione.
Quella sorta di routine che si era stranamente instaurata tra loro li aveva riavvicinati, in qualche modo; o meglio, da parte di Hepai sembrava essere un tentativo, seppur impacciato, di ridurre la distanza che aveva messo tra loro. Atena non aveva esitato a cogliere l’occasione offerta. Hepai era stato suo amico per anni, l’amico più prezioso, il più stretto. Un’amicizia forse infantile, troppo immatura, perché non aveva retto in un momento di crisi: Hepai aveva cominciato ad evitarlo dopo l’incidente e, una volta che era stato adottato, aveva interrotto del tutto i contatti. La separazione non era avvenuta senza sofferenza, netta ed improvvisa come lo strappo di un cerotto (a bruciare di più, però, era probabilmente il fatto che Hepai avesse potuto metterlo da parte così in fretta).
Dopo essere stato al bagno ed essersi lavato in fretta e furia, Atena afferrò i primi vestiti trovati nel cassetto, si vestì ed uscì mentre ancora si stava legando i capelli. Hepai lo stava aspettando ancora appoggiato alla parete, con le mani nella tasca della tuta grigia che aveva indosso; sulla sua fronte color caramello spiccava una fascetta bianca, usata per tenere ferma la frangia, mentre per il resto i capelli viola erano lasciati sciolti sulle spalle, con alcune ciocche che gli accarezzavano le guance. Atena dovette trattenere l’impulso di allungare una mano e scostare una ciocca dal suo viso dietro un orecchio.
Atena non era uno stupido. Se da un lato desiderava recuperare quel legame perduto, dall’altro era perfettamente consapevole che non avrebbe più potuto essere un rapporto puro ed innocente come prima… Perché erano cresciuti ed avevano vissuto esperienze difficili, certo, ma anche a causa di certi sentimenti che Atena aveva scoperto ribollivano dentro di lui quando guardava Hepai. Al momento i loro rapporti non erano più freddi, ma non parlavano molto e, in ogni caso, non di cose serie. Atena era stanco di tirare quella situazione per le lunghe, desiderava di più da questo rapporto… almeno, avrebbe voluto mettere in chiaro le cose tra loro una volta e per tutte.
Hepai gli rivolse un’occhiata rapida e subito distolse lo sguardo.
-Vogliamo andare…?
-Ti devo parlare.
Dopo aver praticamente parlato nello stesso momento, i due ragazzi si guardarono sorpresi. Atena si rese conto di essersi lasciato trascinare dai propri sentimenti e si morse il labbro, sentendosi arrossire. Gettò un’occhiata da una parte all’altra del corridoio per controllare che nessuno stesse assistendo e, confermato che erano soli, sospirò. Ma, se comunque aveva intenzione di farlo, perché aspettare? Quello era un buon momento.
-Ti devo parlare- ripeté, serio, e, prima di poterci ripensare, prese Hepai per un braccio e lo trascinò in camera propria, curandosi di chiudere la porta dietro di lui.
Si girò per trovare Hepai che lo fissava ancora con sorpresa, imbarazzo ed una buona dose di nervosismo. Hepai era bravo, in genere, a nascondere i propri sentimenti, ma Atena era cresciuto con lui: benché fossero stati separati per un anno, Hepai per lui era ancora un libro aperto.
-En-chan…- mormorò, sicuro che il suo viso stesse andando a fuoco. Hepai aprì la bocca, probabilmente per protestare contro il vecchio soprannome, ma Atena non gliene diede il tempo.
-Sarò diretto- disse. –Sono felice che abbiamo ricominciato a parlarci. Sono felice che ci siamo riavvicinati. Ma questa relazione a metà mi fa più male che altro… Non possiamo continuare ad ignorare quello che è successo tra noi.- Appena pronunciate queste parole, Atena notò che lo sguardo di Hepai si era incupito e la voce gli tremò leggermente mentre istintivamente stringeva la presa sul braccio del compagno.
-Vorrei che tu ti aprissi con me, En-chan! Da quel giorno, hai smesso di parlarmi… Mi hai tagliato fuori dalla tua vita e questo mi fa ancora male…- ammise. –Quel giorno… avrei potuto fare molto di più per proteggerti e per proteggere me stesso… invece sono stato capace solo di farmi male… Da quel momento non ho fatto altro che desiderare di essere più forte… Ma in ogni caso non mi sono mai pentito di essermi messo davanti a te quel giorno, En-chan…!
-Smettila!- Hepai lo interruppe alzando la voce e lo fece sobbalzare.
Atena notò che gli occhi dell’altro brillavano come se fosse stato sull’orlo delle lacrime.
-Non voglio parlare di quel giorno! Non parlarmene mai più!- gridò Hepai, quasi fulminandolo con lo sguardo. Non fece nulla per liberarsi della stretta di Atena, ma strinse i pugni.
-Per quanto abbia cercato di dimenticare, non ho mai… Non sono mai riuscito a togliermi dalla testa quei momenti… A quell’età ci credevamo invincibili solo perché eravamo diversi dagli altri, ma era tutta una stronzata! Non solo ti sei ferito gravemente per proteggermi, ma non sono riuscito nemmeno ad aiutarti!- esclamò.
-I miei poteri dovrebbero guarire le persone, invece non riuscivo ad usarli… Ero così debole e patetico e non ho fatto altro che odiarmi e sentirmi in colpa… Alla fine non sono stato nemmeno più capace di guardarti in faccia per via di quella cicatrice!
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra di Hepai e la voce gli venne a mancare. Atena non riuscì a trattenersi oltre e lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio; per un attimo Hepai parve voler opporre resistenza, ma rinunciò praticamente subito e rimase immobile.
-Eravamo entrambi ancora troppo inesperti. Non è colpa di nessuno e non possiamo modificare il passato… Ma siamo qui, adesso, e siamo di nuovo insieme, perciò voglio provare a ricominciare daccapo- disse Atena, affondò le dita nei capelli di Hepai e cominciò ad accarezzarglieli lentamente per calmarlo. –En-chan, smettiamola di scappare.
Hepai non rispose, ma dopo un po’ premette il viso nella sua spalla e sollevò una mano per stringere piano la sua maglietta.
 
xxx
 
[Sei mesi dopo; 11 gennaio]
 
Gazel si ficcò le mani nelle tasche della tuta ed affondò il viso fino al naso nello scaldacollo di lana che Afuro gli aveva prestato. Per fortuna non soffriva il freddo quanto altri, ma fare allenamento all’aperto di prima mattina non era comunque piacevole per vari motivi. Prima di tutto, sebbene in quella zona non accennasse a nevicare, le temperature pungenti della notte bastavano a creare uno strato di ghiaccio sporco sottile sulle pozzanghere lasciate dalle numerose piogge; di conseguenza, bisognava fare continuamente attenzione a dove si mettevano i piedi, cosa non facile da fare se al contempo devi evitare che il tuo avversario ti rifili un pugno in faccia. In secondo luogo, l’aria era così gelida da togliere il fiato e spesso Gazel doveva fermarsi perché non riusciva a respirare bene.
Al contrario, Chang Soo amava farli combattere all’aperto, soprattutto di prima mattina, quando ancora stavano bruciando le calorie della colazione. Era diventata una sorta di routine con l’inizio dell’anno nuovo ed i ragazzi, benché non l’apprezzassero particolarmente, si erano ormai rassegnati ed avevano smesso di lamentarsene.
Gazel cominciò a saltellare sul posto, doveva evitare di stare fermo troppo a lungo o il suo corpo si sarebbe impigrito, ed i suoi riflessi sarebbero risultati rallentati. Sebbene non avesse ancora trovato il proprio dono, era diventato almeno abbastanza bravo nel corpo a corpo: gli bastava osservare per un certo tempo i propri compagni, spesso proprio gli avversari che aveva di fronte, per assorbire come una spugna le tecniche di combattimento da loro impiegate, poi si trattava soltanto di riprodurle, ma grazie al cielo il suo fisico era agile e scattante, i suoi muscoli elastici anche se non pronunciati.
Quando Nagumo scattò verso di lui, Gazel arretrò con un balzo e sfilò le mani dalle tasche giusto in tempo per bloccare il braccio del compagno con il proprio; Nagumo reagì subito sollevando la gamba per dargli un calcio e Gazel gliela bloccò usando il dorso del braccio opposto. Intravide una specie di sorrisetto sul viso dell’altro, ma non ebbe il tempo di dilungarsi. Il fisico di Nagumo gli permetteva di riprendersi in fretta, non stava mai fermo a lungo. In un attimo il ragazzo girò su se stesso e gli tirò un altro calcio, riuscendo stavolta a colpirlo nel fianco: non stava usando tutta la sua forza, ma neppure ci stava andando leggero. Gazel espirò bruscamente e si sentì spostare indietro di peso, tanto che perse l’equilibrio e cadde all’indietro sul sedere. Quando alzò la testa, vide che Nagumo si era avvicinato e lo stava squadrando dall’altro con un ghigno soddisfatto.
-Questa l’ho vinta io, direi- esclamò, trionfante. Gazel sbuffò e, invece di rispondergli, si preoccupò di assicurarsi di non essersi fatto male. Per fortuna, sembrava che non avesse preso storte e, a parte la botta presa con la caduta, non avvertiva particolari dolori.
La voce di Chang Soo li avvertì che il tempo per gli uno contro uno era scaduto ed era il momento di ricominciare gli esercizi di stretching. Gazel sospirò, deluso di non aver avuto l’occasione di prendersi la rivincita su Nagumo.
-Ehi, dai, alzati prima che ti si congeli il sedere- lo esortò Nagumo.
Gazel lo guardò, con un sopracciglio alzato, e vide che il compagno gli stava tendendo le braccia. Allineando i piedi con i suoi, decise di accettare l’aiuto e Nagumo lo tirò su senza sforzo, lasciandogli poi subito andare le mani.
-Ugh, freddo come il ghiaccio- borbottò, fingendo di rabbrividire. Gazel lo ignorò.
-La prossima volta sarai tu quello a terra- ribatté invece in tono di sfida, abbozzando quasi un sorriso.
-O più probabilmente ci finirai di nuovo tu- disse Nagumo, fece scrocchiare le dita e si mise una mano sulla spalla, iniziando a far girare il braccio prima in avanti, poi all’indietro.
-Non credo proprio.
-Sì, sì, continua pure a sognare, sono più bravo io comunque.
-Fino a ieri eravamo pari, ora sei solo in vantaggio di uno... Non montarti la testa.
Avrebbero potuto continuare a battibeccare per l’ora successiva, ma si interruppero non appena Afuro li raggiunse per chiedere a Gazel di fare degli esercizi in coppia con lui. Rimasero in silenzio a fare stretching per un po’, poi, mentre erano schiena contro schiena, con le mani unite, ed Afuro stava sollevando Gazel (Gazel era continuamente sorpreso da quanta forza avesse in realtà Afuro), Nagumo aprì nuovamente la bocca.
-Sapete, pensavo anche io di crearmi un soprannome. Tipo un nome di battaglia, sapete, o qualcosa riferito al mio dono… Una cosa figa- dichiarò. Afuro mise a terra Gazel e lo guardò con sorpresa.
-Come mai quest’idea improvvisa?- chiese.
-Beh, tu vieni chiamato Aphrodi, no?- rispose Nagumo, con la voce un po’ affaticata perché era piegato in due, con le gambe aperte e i palmi schiacciati a terra. Gazel era un po’ colpito dalla nonchalance con cui conversava e faceva esercizi nello stesso momento (tra l’altro, Nagumo era incredibilmente flessibile, in modi che a lui erano impossibili).
-Il nome Aphrodi non mi è stato dato per farmi un complimento, lo sai, vero?- osservò Afuro, ma non sembrava particolarmente offeso.
-Ma è azzeccato, no? Ed è figo. È un insulto solo se credi che lo sia.
Afuro rise. –Non sapevo che la pensassi così. Grazie, Haruya- esclamò.
Quando Nagumo si rialzò, le sue guance avrebbero potuto essere rosse tanto per la fatica ed il freddo, quanto per l’imbarazzo. Si girò verso Gazel, cambiando bruscamente interlocutore.
-E poi, anche Gazel non è il tuo vero nome, no?- esclamò.
Gazel non si curò di negarlo, si limitò a scrollare le spalle. Gli era stato affibbiato quel nome più che altro per comodità ed era probabile che non fosse davvero il suo; non avendone altri, però, non credeva avesse senso smettere di usarlo.
-Allora, che nome avevi in mente?- domandò Afuro. Nagumo non rispose subito, preferendo invece iniziare degli esercizi di allungamento muscolare, partendo con l’afferrarsi le braccia dietro la schiena.
-Burn- disse infine, la voce accompagnata da uno sbuffo di fiato opaco. La sua pronuncia dell’inglese era terribile, ma in qualche modo comprensibile.
–Voglio essere ricordato con questo nome.
Lentamente riportò le braccia davanti a sé e lanciò un’occhiata di sbieco verso Gazel. I loro occhi s’incrociarono per un momento, Gazel ripensò al pacchetto di sigarette chiuso e stropicciato che aveva lasciato nel proprio cassetto, nascosto tra i vestiti... Poi Nagumo tornò a concentrarsi sullo stretching, intrecciando le dita ed allungando le braccia verso l’alto, ed il momento cessò bruscamente.
Afuro non notò il loro scambio di sguardi, o finse di non averlo visto.
-È un bel nome- commentò, invece, con un sorriso. –Molto figo.
-Ovvio, l’ho scelto io.- Nagumo sbuffò di nuovo, ma più per lo sforzo che per fastidio.
-Ma quanto siamo modesti…- Afuro ridacchiò e si voltò verso Gazel, pronto a riprendere gli esercizi, ma in quel momento la voce di Chang Soo risuonò nella radura, esortandoli a mettersi in riga di fronte a lui. Seguì qualche minuto di confusione, dovuto al fatto che i ragazzi dovevano alzarsi e disporsi come richiesto, poi tutti si sistemarono felicemente. Com’era prevedibile, Gazel capitò in mezzo ad Afuro e Nagumo. Gli sembrava incredibile che Nagumo si potesse annoverare tra quelli con cui più aveva legato in quei mesi, anzi nella sua intera vita…
-Ottimo lavoro oggi- esordì Chang Soo. Camminava davanti a loro con le mani intrecciate dietro la schiena, facendo avanti e indietro così da poterli tenere tutti sott’occhio; quando parlava, c’era un tale silenzio che la sua voce risuonava forte e chiara senza l’ausilio di un megafono.
-Stamattina ho un annuncio importante da fare. Il vostro periodo di addestramento sta per giungere al termine e, di conseguenza, tra poco vi sarà chiesto di compilare la domanda per il collocamento. Forse alcuni di voi già sanno come funziona- disse, lanciò uno sguardo verso Hiroto e proseguì come se nulla fosse –ma lo spiegherò ugualmente, cercando di essere breve e coinciso.
-Dal momento che siete a stento dei novellini, potrete richiedere solo una delle sedi asiatiche. La sede coreana è di mia competenza; se la sceglierete, sappiate che non ci andrò leggero con nessuno di voi.- Chang Soo fece un sorrisetto ben poco rassicurante. Da lui non ci si poteva aspettare niente di meno, considerò Gazel.
-Se invece sceglierete di restare in Giappone, potrete andare a Ehime o a Tokyo. Sappiate anche che saremo noi Spy Eleven a valutare le domande e a decidere se accettarle o meno, quindi assicuratevi di avere un piano B. Oh, inoltre, non aspettatevi di diventare tutti agenti operativi subito. È anzi altamente probabile che sarete assegnati al lavoro di ufficio; soltanto dopo un anno o due di gavetta, a seconda delle vostre potenzialità, la Spy Eleven di competenza deciderà se promuovervi o meno.
Chang Soo tacque un momento per lasciare che i ragazzi digerissero le informazioni.
-A partire da oggi stesso, potete passare nel mio ufficio a ritirare i moduli; una volta compilati, li riporterete a me. La scadenza di consegna è al termine del mese, circa tra una ventina di giorni, per cui prendetevi il tempo che vi occorre per pensare con cura al vostro futuro. Mi pare sia tutto, perciò… Rompete le righe e scendete alle docce, il pranzo sarà pronto in mensa per quando arriverete!- concluse. Al suo battito di mani, i ragazzi si dispersero, formando i soliti gruppetti per chiacchierare e, probabilmente, commentare quanto era stato appena detto.
Tra gli altri, Gazel notò Atena e Hepai insieme; qualsiasi cosa fosse capitata tra loro, dopo l’incidente delle gallerie non solo avevano ripreso a parlarsi normalmente, ma erano diventati praticamente inseparabili. Ares si unì a loro dopo poco, dei cosiddetti amici di Hepai era l’unico che gli fosse rimasto vicino anche quando il ragazzo indiano aveva smesso di fare il gradasso. Forse era stata la buona influenza di Atena, o gli eventi traumatici vissuti nelle gallerie, ma in ogni caso Hepai era cambiato, come se il suo rancore verso il mondo si fosse placato. Non che lui e Gazel fossero diventati improvvisamente grandi amici, certo, però adesso erano in rapporti civili. A volte si scambiavano persino dei saluti, sebbene fosse più probabile che si ignorassero pacificamente a vicenda.
Hiroto si mosse per raggiungere Endou, non molto sorprendente; ciò che invece colpì Gazel fu che Afuro non gli si avvicinò, né fece alcun commento sul discorso di Chang Soo. Gazel aveva il sospetto che Afuro sapesse già cosa volesse fare in futuro, quindi probabilmente non aveva nulla da dirgli…
Si strinse le braccia al petto, sentendo un improvviso brivido di freddo.
 
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Una settimana dopo, Gazel non aveva ancora messo piede nell’ufficio di Chang Soo.
Il punto era che non aveva la minima idea di cosa fare del suo futuro; in un certo senso, già solo il fatto di essere arrivato fin là era stato un successo. Aveva sempre pensato che sarebbe finito a fare un lavoro sottopagato in qualche locale, o stesso all’orfanatrofio. Trovarsi lì, in quel centro d’addestramento, a dover decidere dove lavorare come agente speciale non rientrava certamente nei suoi piani fino ad un anno prima.
Aveva attentamente considerato l’idea della Corea. Ricominciare daccapo in un posto nuovo suonava così allettante… lasciarsi alle spalle il Giappone, il paese dove era nato e cresciuto fino a quel momento, non gli metteva alcuna malinconia. Non c’era nulla che l’avesse colpito in modo positivo, a parte i pochi ricordi costruiti negli ultimi mesi, la maggior parte dei quali erano stati possibili solo grazie ad Afuro… Ed Afuro sarebbe andato con Chang Soo. Non ne avevano mai parlato, anzi Afuro sembrava deciso ad evitare l’argomento (forse per non influenzare la sua scelta?), ma Gazel era sicuro che il posto di Afuro fosse quello. Sarebbe probabilmente diventato agente operativo in poco tempo, Chang Soo conosceva bene le sue potenzialità, magari lo avrebbe persino preso sotto la propria ala protettiva…
Potenzialità. Una parola chiave, tra quelle usate da Chang Soo.
Gazel non riteneva di averne granché; per quel che ne sapeva, il suo dono avrebbe potuto svilupparsi in futuro (e come, visto che neppure in una situazione di pericolo era comparso?), o rimanere sepolto per sempre. Persino Chang Soo aveva smesso di provare a tirarlo fuori, come se avesse deciso che tutto sommato non valesse la pena di forzarlo, o che fosse inutile. Per il resto, Gazel sapeva di non essere uno stupido, anzi, probabilmente il suo Q.I. era al di sopra della media. Non aveva grandi capacità fisiche, né tecniche di combattimento affinate, solo grandi capacità di osservazione e di deduzione ed un’ottima memoria fotografica. Sarebbe stato certamente adatto a del lavoro di ufficio, ma era davvero quello che voleva? Restare dietro una scrivania a vita? Non c’era nient’altro che potesse fare?
Era passata da poco l’ora di colazione e, dal momento che Chang Soo aveva un appuntamento di lavoro con un collega, i ragazzi avevano ottenuto alcune ore libere, da passare come meglio credevano. Gazel le stava sprecando a fissare il soffitto della propria camera, mentre Afuro era chissà dove.
Ad un certo punto, non riuscì più a star fermo e lasciò la stanza. Il corridoio era vuoto ed anche le scale, così che l’unico rumore presente era quello dei suoi passi. Non c’era praticamente nessuno nemmeno al piano di sopra, probabilmente erano tutti nelle stanze di addestramento. Non c’era da biasimarli, il lavoro fisico li distraeva da altri pensieri. Gazel l’aveva fatto altre volte, ma non riusciva a restare a lungo in un luogo chiuso, circondato da così tante persone; sebbene la sua claustrofobia fosse un pochino migliorata, era impossibile che svanisse così, da un mese all’altro. Proprio mentre ponderava l’idea di sgattaiolare all’aperto per prendere una boccata d’aria, Gazel sentì una voce familiare.
Percorse il corridoio ed entrò nella mensa vuota, tentando di capire da dove provenisse il suono, un eco che rimbombava tra le pareti di roccia. Finalmente, Gazel scorse un altro sbocco che non aveva mai notato prima, situato dietro uno dei tavoli più vicini all’ingresso delle cucine. Il varco conduceva ad un piccolo spazio spoglio, eccezion fatta per un tavolo su cui erano poggiati alcuni telefoni rossi, di vecchio stampo. Non per la prima volta, Gazel si chiese come facessero a funzionare, da dove venisse l’elettricità usata in quel posto. Doveva esserci un generatore nascosto da qualche parte.
In piedi davanti al tavolo, c’era Nagumo. Dava le spalle al varco (e quindi anche a Gazel), con una mano reggeva la cornetta vicino al proprio orecchio destro, mentre con l’altra giocherellava distrattamente col filo del telefono, attorcigliandolo attorno alle dita.
-Sì… Mmm… Sì, ho capito, ho capito! Non urlarmi nelle orecchie!- stava dicendo Nagumo al suo interlocutore. In apparenza si stava lamentando, ma poi Nagumo si girò leggermente di profilo  e Gazel intravide l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. Anche dal linguaggio del corpo, Nagumo appariva del tutto a proprio agio, facendo quindi pensare che l’altra persona fosse sua amica. Rendendosi conto che stava praticamente origliando una conversazione, Gazel si ritrasse in fretta, tornò nella mensa e si lasciò cadere su una delle panchine più vicine. Riusciva ancora a sentire l’eco della voce di Nagumo, pur senza distinguere le parole, ed aveva un ché di confortante.
Non aveva davvero intenzione di aspettare che Nagumo terminasse la chiamata, in fondo non è che avesse qualcosa da dirgli; d’altra parte, però, non aveva nulla di meglio da fare, per cui rimase seduto dov’era. Di colpo la tovaglia a scacchi appariva molto interessante: era a due colori, azzurro e rosso, e Gazel decise di contare il numero di quadri azzurri. Una manciata di minuti dopo (forse cinque o sei, decisamente abbastanza per trovare più di cento quadratini), Nagumo uscì dalla stanza dei telefoni e si bloccò davanti a lui.
-Ti serve il telefono?- chiese, scoccandogli un’occhiata sorpresa con la discrezione di chi non vuole mostrarsi curioso. Gazel alzò lo sguardo dalla tovaglia e scosse il capo.
-Non avrei nessuno da chiamare- ammise in tono neutrale. Tutte le persone che posso chiamare amiche sono in questo posto, pensò, ma questo lo tenne per sé.
Poi, spinto da chissà quale impulso, forse per evitare che Nagumo glielo domandasse per primo, aggiunse:- Hai già deciso dove andare dopo?
Nagumo rimase a fissarlo ancora per un momento, apparentemente indeciso se sedersi o meno. Alla fine, restò in piedi, appoggiandosi solo con il fianco al lato del tavolo.
-Spero di andare a Tokyo- rispose, calmo, e scrollò le spalle. -Ho fatto domanda per restare in Giappone. Una mia amica è stata già accettata a Tokyo, perciò anch’io punto a quello.
-Tokyo, uh…- mormorò Gazel, ma la sua mente era altrove. Probabilmente l’amica di Nagumo fosse la stessa persona con cui stava parlando al telefono; a differenza di lui, Nagumo poteva contare su qualcuno del genere... Gazel si scoprì quasi geloso.
Nagumo interruppe i suoi pensieri.
-Tu sai già che fine farai?- domandò, questa volta senza curarsi di nascondere la curiosità.
-No, non ancora- rispose Gazel in un soffio. Si passò una mano tra i capelli, scompigliando la frangia, com’era solito fare quando era nervoso. -Non ho veri progetti futuri, né particolari sogni… E non ho neppure molto per cui restare qui in Giappone.
Nagumo corrugò la fronte, aprì la bocca, ma poi si rimangiò il commento che stava per fare e si limitò a sbuffare con un'aria offesa. Gazel immaginò di aver detto qualcosa di sbagliato, ma non sapeva cosa. Prima che potesse chiederglielo, Hiroto entrò nella mensa. Rivolse loro un cenno di saluto ed un sorriso educato, poi s’infilò nella stanza dei telefoni. Gazel decise che era arrivato il momento di andare.
Quando si alzò, Nagumo gli afferrò un polso per fermarlo.
-Ehi…- disse, insolitamente serio. –Pensaci bene, d’accordo? Voglio dire… Dici di non avere nulla per cui restare qui, ma avrai pure qualche interesse, no? Non so nulla riguardo alla tua famiglia, ma…
-Ci penserò- lo interruppe Gazel, secco. Il suo sguardo cadde sulle dita di Nagumo strette attorno al suo polso. –Uhm… Potresti…?- farfugliò, sollevando il braccio.
Nagumo ritrasse la propria mano come se si fosse scottato e la nascose dietro la schiena.
-Beh, io… Io vado ad allenarmi- disse. Non aggiunse altro, ma il tono lasciava sottintendere una domanda alla quale Gazel rispose scuotendo nuovamente il capo.
-Vado a prendere un po’ d’aria- affermò. Nagumo sollevò un sopracciglio.
-Non ti bastano gli allenamenti al freddo e gelo?
-Non sono molto sensibile al freddo- rispose Gazel senza battere ciglio. Scrollò le spalle, poi uscì dalla mensa e si incamminò verso le scale che conducevano fuori. Nagumo non fece nulla per fermarlo, né lo richiamò. Gazel non era sicuro di volere che lo facesse; di recente, non era più sicuro di niente.
 
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L’aria era tanto fredda e pungente che ogni boccata era come un pugno al petto. Tuttavia, non tirava vento gelido, e a Gazel non dispiaceva stare a guardare il cielo terso. Gli sembrava che quell’azzurro così intenso emanasse una luce propria. Stava in piedi a pochi metri dall’entrata del centro, con le mani in tasca e il viso sollevato verso l’alto, quando un rumore di passi lo fece voltare lentamente.
Hiroto salì gli ultimi gradini della scala, lo vide e lo raggiunse, fermandosi al suo fianco. Lo squadrò da capo a piedi, con un’espressione impensierita.
-Stai bene? Sei qua da un quarto d’ora- gli disse. Gazel si accigliò. Un quarto d’ora? Gli pareva fossero passati solo pochi minuti da quando aveva parlato con Nagumo… Evidentemente era stato troppo preso dai propri pensieri per rendersene conto, ma non era importante.
-Stavo pensando- mormorò, senza girarsi a guardarlo.
Hiroto non gli chiese su cosa stesse riflettendo, perché non gli importava, o perché forse lo sapeva già; sembrava che stesse esitando, come se avesse avuto qualcosa da dire, ma non trovasse il modo giusto per dirla. Gazel aspettò, non aveva fretta di sapere cosa fosse. Uno stormo di uccelli neri attraversò il cielo e, per qualche momento, la mente di Gazel fu completamente rapita da questo avvenimento insignificante. Anche Hiroto alzò gli occhi per seguire il loro volo e, quando riabbassò il volto, alcune ciocche di capelli gli caddero sulle guance; le spostò con un sospiro, poi inspirò a fondo. Osservandone il profilo, Gazel notò che appariva molto più maturo della sua età, presumibilmente la stessa di Afuro.
-Ti ho sentito parlare con Nagumo… Mi dispiace, non avevo intenzione di origliare. Mi sono soltanto trovato a passare di là in quel momento- disse Hiroto alla fine. -Forse sono troppo invadente, ma… Volevo darti un consiglio, visto che sei così indeciso.
-Penso che dovresti fare domanda per Tokyo.
Gazel si girò a guardarlo, accigliato.
-Perché?
-La sede di Tokyo ha un archivio cartaceo ed informatico molto vasto. Trovare informazioni al suo interno, naturalmente, è possibile solo ai membri dell’agency, quindi… Ho pensato che potesse esserti utile per fare delle ricerche su quello che ti è successo.
Gazel non smise di fissarlo mentre metabolizzava le sue parole.
-Quante persone lo sanno?- chiese, di slancio, senza pensarci due volte. –A parte Chang Soo ed Afuro, voglio dire… So già che loro lo sanno, ma…
-Solo io, puoi stare tranquillo- lo rassicurò Hiroto, apprensivo, e Gazel si lasciò andare in un sospiro di sollievo, accorgendosi solo in quel momento di aver tenuto il respiro sospeso.
-Chang Soo ha convocato me ed Afuro per dircelo prima che tu arrivassi. Mi dispiace di avertelo tenuto nascosto… Sono stato incaricato di tenerti d’occhio- ammise Hiroto.
–Sai, non conoscevamo la natura del tuo dono, né se sapessi come controllarlo, quindi… Chang Soo mi aveva affidato il compito di intervenire nel caso ci fossero stati problemi. Per fortuna, non è successo nulla…
-Sì, perché io non ho alcun dono- lo interruppe Gazel. Stranamente ammetterlo ad alta voce non faceva male come pensava, forse perché Hiroto non sembrava intenzionato a giudicarlo, nei suoi occhi non c’erano pietà, compassione o disprezzo. Ripensando alle parole del ragazzo, invece, gli venne in mente una domanda che avrebbe voluto fargli da tempo.
-Il tuo dono è quello di annullare i doni altrui, vero? Come funziona di preciso?- domandò.
Hiroto sussultò e le sue orecchie si arrossarono. Gazel capì di averlo messo a disagio e chiuse subito la bocca. Rimasero in silenzio per un po’, poi inaspettatamente Hiroto rispose.
-Il mio dono è in grado di colpire direttamente il sistema nervoso. Posso anche addormentare il mio avversario, non solo annullare il suo dono- disse, poi abbozzò un debole sorriso.
–Terrificante, no? Hai sentito cosa dicono di me. Beh, io ho smesso di farci caso…
A giudicare dalla sua espressione, invece, ci faceva caso eccome, ma Gazel decise di non commentare. Aveva già fatto un passo falso, ora desiderava solo che quell’aria tesa si diradasse, perciò si affrettò a cambiare discorso.
-Se diventassi un membro dell’agency di Tokyo, allora, potrei accedere a tutti gli archivi?- domandò.
Hiroto sospirò, visibilmente sollevato di poter parlare d’altro, ed annuì.
-Dovresti però diventare un archivista e rinunciare al posto di agente operativo- disse.
-Non m’importa niente di diventare un agente operativo- ribatté Gazel, sincero. -Cosa devo fare per diventare archivista?
-Beh, questo dovresti chiederlo a Chang Soo. Sicuramente saprà dirti di più… Come minimo dovrai imparare ad usare un computer, però.
Gazel annuì. Onestamente, non aveva mai avuto l’occasione di accedere ad un computer (l’orfanatrofio ne aveva pochi, di vecchio stampo, e comunque poteva usarli solo il personale autorizzato), ma non era uno stupido: avrebbe potuto imparare.
Rimase ancora per un momento a soppesare l’idea, poi si convinse. Si girò e si avviò verso le scale.
-Chang Soo è nel suo ufficio- gli gridò Hiroto. Gazel gli fece un cenno con la mano e continuò a camminare, deciso ad andare da Chang Soo in quell’esatto momento.
 
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Gli occhietti neri e vispi di Chang Soo lo stavano mettendo profondamente a disagio. Non era una novità, e Gazel si costrinse a fingere di non averlo notato e continuare a scrivere. Gli prudevano le mani. Appena arrivato all’ufficio della Spy Eleven, aveva ricevuto il modulo di collocamento e aveva chiesto di poterlo compilare sul momento; se Chang Soo era rimasto sorpreso della richiesta, non lo aveva dato a vedere.
Finalmente, Gazel finì di riempire tutti gli spazi, firmò il modulo e posò la penna. Chang Soo prese immediatamente il foglio e lo lesse rapidamente.
-E così, vuoi lavorare alla sede di Tokyo…- disse infine con un sorriso. –Posso chiederti come mai hai fatto questa scelta? Hai specificato che desideri lavorare come archivista. Bizzarro. Quasi tutti i ragazzi della tua età non vedono l’ora di buttarsi nella mischia.
-Con tutto il rispetto, signore, non credo che sarei molto utile come agente operativo. Non ho ancora scoperto se ho un dono, e se ce l’ho non so di che natura sia.
-Non è necessario avere un dono per essere agenti operativi- osservò Chang Soo sollevando un sopracciglio. -Conosco molti ottimi agenti che sono persone assolutamente normali. Inoltre, esistono anche Spy Eleven che non hanno doni.
-Sono sicuro di sì, signore. Ma io, personalmente, non mi sento portato per quel ruolo, né ho alcun interesse in proposito- replicò Gazel senza peli sulla lingua.
Chang Soo posò il modulo sulla scrivania, intrecciò le mani sotto il mento e sorrise di nuovo.
-Immagino che il fatto di avere la possibilità di indagare sul tuo passato attraverso il lavoro di archivista non c’entri nulla con la tua decisione…? Un simile uso dei nostri archivi sarebbe davvero egoista, lo sai?- commentò con nonchalance. Gazel sostenne il suo sguardo, sforzandosi di non tradire emozioni. Sperava intensamente di non essere arrossito per la vergogna di essere stato colto in flagrante, ma a sorpresa Chang Soo iniziò a ridacchiare.
-Bene, bene. Stavo solo scherzando. Purché tu faccia il tuo lavoro e rimanga fedele alla tua squadra, potrai probabilmente consultare gli archivi a tuo piacimento. Tocca alla Spy Eleven incaricata decidere come disporre degli archivi della sua agency, e francamente non credo che i tuoi capi ti porranno alcun veto a riguardo- disse Chang Soo. –A dire il vero, sono quasi ammirato dal fatto che tu ci abbia pensato. Molto sveglio, devo dire. Dunque, sai già cosa fa un archivista? I suoi compiti? Le abilità richieste?
Gazel scosse il capo.
-Lo immaginavo- continuò Chang Soo. Si chinò, aprì uno dei cassetti della propria scrivania e, dopo aver frugato per una manciata di secondi, estrasse due fogli stampati. Chiuse il cassetto e li lasciò scivolare lentamente verso Gazel, invitandolo con un cenno a darvi un’occhiata. Gazel li osservò attentamente e scoprì che si trattava di una serie di informazioni riguardo dei corsi di studio aperti ai cadetti dei centri di addestramento; uno era un corso d’informatica, cosa che subito reputò utile, mentre l’altro sembrava riguardare il ramo della scientifica.
-Di norma si tende a pensare che un archivista lavori solo con libri, dati e statistiche. In parte, è vero; come archivista, avrai a disposizione pile di fascicoli, ogni sorta di documenti e naturalmente banche di dati virtuali, e ti sarà richiesto di costruire delle statistiche e calcolare probabilità sulla base di queste informazioni. Ma gli archivisti che lavorano nelle nostre agency hanno un altro compito fondamentale, ovvero analizzare le prove del crimine, raccogliere campioni e  inserire ogni cosa nel sistema. Per questo, se vuoi diventare un archivista, dovrai anche imparare a lavorare nel campo della scientifica.
-Per quanto riguarda i corsi, al termine di questo mese ti comunicherò personalmente dove dovrai andare per seguirli. Sappi che, presumibilmente, ti impegneranno per circa un anno. Se la tua richiesta verrà approvata da Kira, inizierai a lavorare per lui verso l’inizio della prossima primavera. Pensi di poter seguire la strada che hai scelto fino alla fine?
Gazel esitò, si morse il labbro inferiore. Per il nervosismo stava torturando il lembo della maglia con le dita, ma smise non appena si accorse che il tessuto nero si stava sfibrando; gli sarebbe dispiaciuto romperla, perché era di Afuro. La prima maglia che lui gli aveva prestato
-Sono certo che ti stai chiedendo se stai facendo la scelta giusta- osservò Chang Soo, serio.
-Ad essere onesto, mi sarebbe piaciuto portarti nella mia squadra e vedere di persona i tuoi progressi. Il tuo caso mi incuriosisce molto… Ah, sarebbe bello poter percorrere tutte le possibili vie che la vita ci offre… Ma purtroppo ciò non è possibile, ci tocca sempre vivere con dei rimpianti.
-Eppure, non credo che avere rimpianti sia qualcosa di cui avere vergogna. Una vita piena di rimpianti è una vita ben spesa- aggiunse Chang Soo. Nei suoi occhi neri si era accesa una scintilla.
–Pensi di poter seguire la strada che hai scelto fino alla fine?- ripeté, lentamente, e questa volta Gazel annuì con convinzione.
-La ringrazio, signore- disse, stringendo i fogli al petto, poi si alzò dalla sedia e fece un accenno di inchino, ma Chang Soo lo liquidò con un cenno della mano.
-Vai, vai- dichiarò –e dici ai tuoi amici, già che ci sei, che non è educato origliare le conversazioni, anche se certo ritengo ammirevole la loro dedizione alla tua causa.
Gazel si accigliò, ma non ebbe bisogno di chiedere di cosa stesse parlando: ovviamente, appena aprì la porta, si trovò davanti Afuro e Nagumo. Il primo gli rivolse un sorriso, sebbene il suo volto fosse attraversato da sentimenti contrastanti, mentre l’altro arrossì, probabilmente per il fatto di essere stato beccato ad origliare.
Gazel gettò un’occhiata alle proprie spalle e vide Chang Soo far loro segno di chiudere la porta e andarsene. Tirò la porta dietro le proprie spalle e si voltò verso i due ragazzi; Afuro capì senza che gli dicesse nulla.
-Andiamo a parlare da un’altra parte- disse, prendendogli la mano.
Gazel abbassò subito lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sentì un’ondata di emozioni contrastanti. Paura del futuro, dubbi sulla strada scelta, nostalgia (quante volte Afuro gli aveva tenuto la mano così, per tranquillizzarlo, o per guidarlo come un bambino nel buio?), certezza che lui e Afuro si sarebbero separati presto.
-Non ti dimenticherò- le parole lasciarono la sua bocca prima di potersi fermare. Erano ad un incrocio di gallerie. Afuro si fermò e si girò: i suoi occhi erano tersi, miti. A Gazel parvero anche lucidi, come se stesse trattenendo le lacrime, e di nuovo parlò senza pensare.
-Mai, non ti dimenticherò mai- esclamò. –Ovunque andrò, anche se saremo separati, non dimenticherò mai quello che hai fatto per me.
Afuro rise debolmente. –Che stupido. Non è che non ci vedremo mai più- mormorò. Con la mano libera gli sfiorò il volto, poi la nuca, e lo attirò a sé in un abbraccio; Gazel affondò il viso nella sua spalla e, mentre Afuro gli accarezzava i capelli, gli circondò goffamente la vita con le braccia. Non era ancora abituato agli abbracci, e chissà se mai si sarebbe sentito a proprio agio. Ma Afuro aveva un buon profumo, era caldo, era familiare. Gli sarebbe mancato molto.
-Mi mancherai anche tu- continuò Afuro, come se gli avesse letto il pensiero. –Porta questa maglia con te, o un’altra se vuoi; mi farebbe piacere sapere che ti è rimasto qualcosa di mio.
-Voglio tenere questa- borbottò Gazel.
-Allora è tua. Così potrai ricordarti… che, anche se siamo separati, una parte di me sarà sempre con te. E una parte di te resterà con me, ovunque andrò. Mi mancherai, Gazel- disse Afuro. La sua voce tremò, quasi stesse per mettersi a piangere, invece in qualche modo riuscì a trattenersi ancora una volta.
-Haruya- disse, serio –prendetevi cura l’uno dell’altro, visto che sarete insieme.
Fino a quel momento, Gazel si era praticamente dimenticato che anche Nagumo era lì con loro. Improvvisamente, si sentì molto in imbarazzo per la posizione in cui si trovava. Si staccò da Afuro lentamente e si mise a fissare il muro davanti a sé con insistenza, anche perché il calore sulle guance gli suggeriva di essere arrossito e non voleva assolutamente che Nagumo lo notasse.
-Mm. Farò… del mio meglio- bofonchiò Nagumo alle sue spalle. Gazel pensava che il suo viso stesse andando fuoco, forse avrebbe preferito che Nagumo gli desse fuoco piuttosto che trovarsi lì in quel momento, ad ascoltare quelle parole.
-Bene, perché se non lo fai verrò a prenderti a calci personalmente- replicò Afuro, ma la sua voce era decisamente più allegra di prima, quasi sollevata.
 
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[Un anno e due mesi dopo; 21 marzo]    
 
La persona che era venuto a prenderlo era una donna con lunghi capelli neri, in scioccante contrasto con una giacca gialla, e una piccola macchina blu che recava il simbolo della polizia su una fiancata. Gazel si sedette nei sedili posteriori, poggiando accanto a sé una scatola che conteneva i suoi pochi averi. Si aspettava di essere tempestato di domande, invece lei gli chiese a malapena il suo nome. Si scoprì lievemente infastidito; era come se lei sapesse già tutto di lui. Stettero in silenzio tutto il tempo: lei fissava la strada davanti a sé, gettando occasionalmente sguardi sfuggevoli allo specchietto retrovisore, mentre Gazel osservava il paesaggio urbano che scorreva fuori dal finestrino come una serie di scatti fotografici. Era una bella giornata, l’aria del mattino era ancora fredda, ma il cielo era terso.
 
Dopo essere uscito dal centro di addestramento di Chang Soo, gli era stata assegnata una piccola stanza (talmente piccola che il letto era nell’armadio, ma poco importavano le dimensioni; tanto doveva usarla solo per mangiare, studiare e dormire) in una palazzina all’interno di un campus di proprietà della polizia di Tokyo, frequentato sia da ragazzi con abilità speciale che da regolari reclute dell’accademia di polizia. La sua palazzina, grazie al cielo, si trovava proprio a due passi dalla sede dove venivano organizzati i corsi di studio speciali per chi desiderava diventare archivista. Come Gazel aveva immaginato, quel tipo di corsi non erano molto frequentati; la maggior parte dei ragazzi con abilità speciali preferivano allenarsi direttamente per diventare agenti operativi.
Non era stato facile per lui adattarsi ad un ambiente nuovo. Non aveva socializzato praticamente con nessuno. Per fortuna, il campus metteva loro a disposizione ogni cosa – una mensa, numerose biblioteche, e persino un piccolo bazar. Gli fornivano cibo, libri, vestiti; molto più di quanto avesse mai sperato. Benché la nuova vita si prospettasse inizialmente ostica, Gazel era riuscito ad inserirsi quel tanto che bastava per condurre un’esistenza tranquilla, appartata ma certamente non noiosa. Oltre a ciò che doveva studiare. per la prima volta nella sua vita aveva libero accesso ad un vero e proprio pozzo di cultura: poteva disporre infatti di tutti i libri che voleva, nel rispetto delle norme della biblioteca e del campus. Se non avesse avuto un preciso obiettivo da seguire, a Gazel non sarebbe dispiaciuto perdere ore a saziare la propria curiosità, seduto in un angolo solitario della sala di lettura.
Gli esami non erano stati complicati, almeno non per lui; ciononostante, non aveva potuto trattenere un sospiro di sollievo quando aveva visto il proprio numero di matricola stampato nell’elenco dei promossi. Due giorni dopo, aveva ricevuto una lettera sigillata, al cui interno c’erano istruzioni precise da seguire: avrebbe dovuto restare in quella stanza per un’ultima notte, poi una persona dall’agency di Tokyo sarebbe venuta a prenderlo.
E così era stato.
 
L’Inazuma Agency di Tokyo era quasi al centro della città; nei pressi vi erano parecchi palazzi residenziali, uno o due parchi ed un ospedale di grandi dimensioni. Nonostante ciò, Gazel non vide nessuno per strada la mattina in cui arrivò alla sede.
Parcheggiarono di lato ad un palazzo grigio con almeno due piani e molte finestre. Nello spiazzo c’erano altre macchine come quella, per cui Gazel pensava che fosse quella la loro destinazione; invece la donna, una volta scesa, lo invitò a seguirla e lo condusse più avanti. Camminarono davanti al palazzo, ci girarono intorno attraversarono la strada e si trovarono davanti ad un’altra palazzina simile, ma ancora più alta e di un colore leggermente più scuro.
Il piano terra era costituito da un lungo corridoio, ognuno dei cui lati era costellato di porte chiuse, presumibilmente uffici. Dall’interno delle stanze proveniva un brusio di voci, fruscio di fogli, rumori metallici di sedie strisciate contro il pavimento e fotocopiatrici in funzione.
La donna superò tutte le porte e si fermò davanti ad un ufficio di fronte al quale c’erano delle macchinette distributrici di merendine e bevande. Poco più avanti, cominciavano delle scale e Gazel alzò istintivamente lo sguardo, chiedendosi dove finissero. La donna se ne accorse.
-Questo edificio ha tre piani. Al primo ci sono le camere da letto dei membri della squadra speciale. Come membro, anche tu ne avrai una. Procedendo, al secondo piano, vi sono altri uffici- spiegò, il più coincisa possibile.  
-Avrai di certo molte altre domande, ma vorrei prima di tutto fare le dovute presentazioni. Puoi sistemare le tue cose qui, dopotutto questo sarà il tuo ufficio da oggi in poi… A proposito, congratulazioni per aver passato gli esami. Ho visto i tuoi risultati e sono certa che sarai un ottimo archivista… Contiamo su di te- aggiunse, abbozzando un sorriso di incoraggiamento.
Se fino a quel momento gli era parsa fredda, Gazel intuì ora che si trattava semplicemente di una persona che non amava sprecare tempo in convenevoli, ma non per questo poco disponibile. Non gli dispiacevano le persone così.
-La ringrazio. Farò del mio meglio- disse a bassa voce.
Apparentemente soddisfatta della risposta, lei annuì, estrasse dalla tasca della giacca un mazzo di chiavi argentate ed aprì la porta. Si fece da parte e Gazel entrò guardandosi intorno: la stanza era larga, sebbene molto spazio fosse occupato da voluminosi mobili traboccanti di fascicoli, cartelline ed altri fogli sparsi, che parevano essere di numero illimitato, quasi si moltiplicassero davanti ai suoi occhi. Gazel poggiò la propria scatola su una scrivania, curandosi di non toccare il vecchio computer che stanziava là a fianco, e si voltò verso l’enorme finestra attraverso cui la luce inondava la stanza.
Ma questo era più di un semplice ufficio, per lui. Era allo stesso tempo la linea del traguardo ed il punto di inizio.
-Bene- esclamò la donna per attirare la sua attenzione. Gli fece cenno di porgergli la mano e, quando Gazel obbedì, gli poggiò le chiavi nel palmo aperto.
-Queste sono tue, prenditene cura. Ogni sera dovrai assicurarti di chiudere a chiave il tuo ufficio. Naturalmente, soltanto tu e pochi altri ne sarete in possesso.- Si spostò i capelli dalla spalla con un gesto infastidito, poi gli sorrise di nuovo. –Seguimi, andiamo.
Si voltò ed uscì dalla stanza. Gazel la rincorse, fermandosi solo un attimo per chiudere l’ufficio a chiave (cosa che parve compiacerla), e si trovò a salire le scale dopo di lei fino al secondo piano. La prima cosa che notò fu che su quel piano vi erano soltanto poche stanze. Quando la donna bussò ad un’ampia porta di legno scuro, una voce roca e profonda le rispose dall’interno, dando loro il segnale giusto per entrare.
L’ufficio era stato arredato secondo un particolare gusto tradizionale, con mobili di legno e tappezzerie tipicamente giapponesi. Alla scrivania era seduto un uomo di piccola statura, con orecchie con lobi sproporzionati rispetto al suo viso rotondetto ed un’espressione distesa; vestito con un kimono blu scuro, sorseggiando una tazza di tè verde fumante, pareva essere completamente a suo agio ed immerso nell’atmosfera del proprio ufficio. Davanti a lui, schierati in modo da occupare tutto lo spazio della stanza, c’erano alcuni ragazzi, tra i quali Gazel riconobbe subito dei visi familiari.
Endou e Hiroto, infatti, erano in piedi ai due lati del tavolo. Entrambi gli rivolsero un sorriso e Gazel camminò istintivamente nella loro direzione. Quando si trovò davanti a Hiroto, tuttavia, scorse con la coda dell’occhio anche Nagumo, che se ne stava un po’ più appartato. I loro occhi si incrociarono per un attimo, si riconobbero e per un momento parvero incapaci di spezzare quel contatto. Gazel si chiese, dubbioso, se avrebbe dovuto salutarlo; vedendo però lo sguardo di Nagumo guizzare verso le sue labbra per un secondo, intuì i suoi pensieri e l’imbarazzo ebbe la meglio su di lui, impedendo al suo corpo di muovere anche un solo passo.
La donna batté le mani per attirare l’attenzione di tutti i presenti.
Gazel e Nagumo trasalirono e ruppero il contatto visivo, arrossendo. Preferendo concentrarsi su altro, si girarono verso l’uomo alla scrivania, il quale si era ora alzato in piedi. Poggiò la tazza sul tavolo e incrociò le mani dietro la schiena mentre spostava lentamente lo sguardo bonario da uno dei ragazzi all’altro, senza tralasciare nessuno.
Dopo un po’, si schiarì la gola e sorrise.
-Vi ho convocati qui perché oggi un nuovo ragazzo entra a far parte della nostra squadra speciale. So che alcuni di voi già si conoscono, ma preferirei fare daccapo le presentazioni- dichiarò. Fece cenno a Gazel di avvicinarsi e lui obbedì. –Dunque, presentati.
Gazel strinse i pugni ed inspirò a fondo. Era nervoso.
-Il mio nome è Gazel- disse, cercando di parlare a voce abbastanza alta. –Lavorerò qui in qualità di archivista e addetto informatico. Prendetevi cura di me, per favore.
Accennò un inchino e l’uomo annuì con vigore.
-Mmm, bene, bene. Agente Gazel, il mio nome è Seijurou Kira e sono la Spy Eleven a capo di quest’agency. Hai già conosciuto la mia vice, Hitomiko… nonché mia figlia- disse, indicando con un gesto la donna che indossava la giacca gialla.
-Procedo quindi a presentare gli altri membri: Hiroto Kiyama, mio figlio.- Hiroto abbozzò un sorriso, ma distolse lo sguardo, come se si sentisse a disagio. Gazel ricordò frammentariamente ciò che dicevano di lui al centro e pensò che non dovesse fargli piacere essere presentato in quella maniera, tuttavia Hiroto sembrava troppo educato per farlo notare. O forse era soltanto rassegnato. Comunque, Seijurou non se ne accorse e proseguì.
-Endou Mamoru, Gouenji Shuuya, Kidou Yuuto, Sumeragi Maki, Yagami Reina, Midorikawa Ryuuji, Kazemaru Ichirouta, Nagumo Haruya- elencò la Spy Eleven, indicando ognuno di loro.
–Incluso Gazel, voi siete i membri scelti della mia squadra speciale. Gazel era l’ultimo membro che aspettavamo, quindi direi che siamo al completo. Vi auguro una buona permanenza, visto che questa sarà d’ora in poi non solo la vostra base operativa, ma anche la vostra casa. Spero che lavoreremo bene insieme. Ora potete andare.
-Sì, signore!- Un coro di voci si levò in risposta alle sue parole, poi i ragazzi iniziarono ad uscire, pochi alla volta, e si dispersero.
Una volta in corridoio, Gazel sospirò, lieto di non trovarsi più al centro dell’attenzione. La sua pace durò pochissimo, perché appena una manciata di secondi dopo Hitomiko lo raggiunse, accompagnata da Nagumo e Hiroto.
-Gazel, credo che tu conosca già Burn. Lavorerà con te nel tuo ufficio, come tuo assistente tecnico- dichiarò la donna.
-Spero riuscirai ad ambientarti presto. Se hai domande, comunque, puoi chiedere direttamente a me, o a Hiroto- aggiunse, poi con un ultimo brusco cenno di saluto rientrò nell’ufficio del padre, lasciando i tre ragazzi da soli. Appena se ne fu andata, Gazel si rivolse a Hiroto.
-Non ti ho mai ringraziato- esordì. Hiroto lo guardò, perplesso. Nagumo sembrava altrettanto confuso, ma Gazel decise di ignorarlo, per il momento.
-Sei stato tu a suggerirmi di diventare archivista, senza di te non ci avrei mai pensato. Quindi ti devo un favore- disse a Hiroto, e lo anticipò prima che aprisse bocca:- E non dire che non ti devo niente! Non mi piace essere in debito con gli altri.
Hiroto sbatté le palpebre e tacque, colto alla sprovvista. Dopo aver riflettuto per un momento, finalmente replicò:- Lo terrò a mente, allora, e quando avrò bisogno di qualcosa te lo dirò.
Gazel annuì, soddisfatto.
Prima che potessero aggiungere altro, Endou li raggiunse correndo.
-Ehi, ciao, Gazel!- esclamò, raggiante, e gli diede una pacca sulla spalla così energica che lo fece barcollare. Gazel borbottò un saluto in risposta, massaggiandosi il punto dolorante, ma Endou aveva già rivolto la propria attenzione verso Hiroto.
-Più tardi vado a mangiare un boccone fuori con Kazemaru e Midorikawa, ti va di unirti a noi?- esclamò.
-Uhm… mi piacerebbe, ma non credo sia il caso. Ho l’impressione di non stare molto simpatico a nessuno dei due, specialmente a Midorikawa- disse Hiroto.
Istintivamente, Gazel gettò un’occhiata alle spalle di Endou ed osservò gli altri due ragazzi: se ricordava bene, quello con i capelli azzurri era Kazemaru Ichirouta, mentre l’altro, con i capelli di un vivace color pistacchio, era Midorikawa Ryuuji. In effetti, mentre il primo appariva tranquillo, quest’ultimo non sembrava particolarmente allegro, forse infastidito dal fatto che Endou avesse esteso l’invito anche a Hiroto.
-Uh? E perché dovresti stargli antipatico? Gli hai fatto qualcosa?- domandò Endou, sorpreso.
-No, ma non credo che lui la pensi così- rispose Hiroto con un ché di rassegnato. –Comunque, sarà per un’altra volta, tu vai e divertiti…
-No, no! Non è giusto che tu ne resti fuori! Dai, sono certo che sia solo una tua impressione! Anzi, adesso lo chiedo direttamente a loro...
-Cosa? No, Endou, aspetta…
Endou non aspettò: alzò un braccio e fece segno agli altri due di avvicinarsi. Gazel vide Hiroto premersi una mano sulla fronte e scuotere il capo, probabilmente esasperato dal comportamento di Endou. Kazemaru e Midorikawa si scambiarono un’occhiata, poi li raggiunsero, fermandosi davanti a loro.
-Ehi, Hiroto può venire con noi, vero? Non ci sono problemi?- chiese Endou. Gazel notò che si rivolgeva in particolar modo a Kazemaru, mentre Midorikawa stava un passo più indietro, come se cercasse di mettere distanza tra sé e Hiroto. A giudicare dalla sua espressione, quella di Hiroto non era solo un’impressione, gli stava davvero antipatico.
-Certo, nessun problema- esclamò Kazemaru, che sembrava il più aperto tra i due.   
Midorikawa scoccò un’occhiata di sbieco a Hiroto e non disse nulla. Sembrava essere sulla difensiva, ma poi il suo amico gli diede una leggera gomitata al fianco e lui gettò le armi.
-Suppongo che non ci siano problemi- disse, seppur un po’ riluttante. Il suo sguardo si spostò subito da Hiroto a Gazel e la sua espressione mutò completamente, aprendosi in un sorriso più amichevole e gentile. Senza un attimo di esitazione, gli tese la mano.
-Ehi, tu sei… l’addetto informatico, giusto? Gazel- esclamò. –Midorikawa Ryuuji, piacere di conoscerti. Pare che lavoreremo insieme, quindi spero che andremo d’accordo.
Gazel accettò di stringergli la mano, titubante, ma ricambiò la presentazione solo con un cenno del capo. Notò che gli occhi del ragazzo era neri come l’anice, un colore in cui sembrava ci si potesse perdere. Midorikawa parve leggermente deluso dalla scarsa risposta ricevuta, forse persino un po’ intimorito dal suo sguardo fisso addosso; quando lasciò la sua mano, ripeté la stessa cosa con Nagumo, infine si ritrasse, insoddisfatto. Iniziò ad attorcigliarsi una delle ciocche di capelli che sfuggivano alla coda di cavallo tra le dita, probabilmente un tic nervoso.
Intanto, Endou aveva ripreso a tormentare Hiroto perché gli dicesse di sì e, finalmente, il rosso cedette alle insistenze dell’amico.
-Va bene. Va bene, ci vengo!- affermò, esasperato. Endou fece un largo sorriso e gli mise un braccio intorno alle spalle. Hiroto sospirò e si rivolse a Gazel.
-Se ti serve qualcosa, puoi cercarmi più tardi… Allora, a dopo!
Gazel rimase ad osservare i quattro mentre si allontanavano. Nel corridoio erano rimasti solo lui e Nagumo, cosa che lo metteva abbastanza a disagio.
Accanto a lui, Nagumo si stiracchiò le braccia stendendole in alto e sbadigliò.
-Bene, andiamo nel mio ufficio!- annunciò. Gazel lo guardò accigliato.
-Il tuo ufficio?- ripeté. –Se non ho sentito male, sono io l’archivista, ergo l’ufficio è mio. Tu sei il mio… aspetta, com’erano le parole esatte? Ah, il mio assistente tecnico, già.
Nagumo arricciò le labbra in un broncio.
-Vedo che le tue capacità di socializzare non sono granché migliorate nel tempo in cui non ci siamo visti. Del resto, anche prima stavi trapassando con lo sguardo quel tipo, Midorikawa. Volevi ucciderlo, o cosa?- replicò.
-Cosa? Non ho niente contro Midorikawa- disse Gazel, sbattendo le palpebre sorpreso. Forse l’aveva guardato fisso troppo a lungo? A volte gli capitava di farlo.
–Ah, forse è per questo che era disagio. No, non voglio ucciderlo. Credo che sia semplicemente la mia espressione standard.
-Perché fai schifo a socializzare- reiterò Nagumo, soddisfatto di aver avuto l’ultima parola. Gazel alzò gli occhi al cielo, ma stranamente non si sentiva infastidito, anzi era un vero sollievo riuscire a parlare normalmente con Nagumo, anche se si trattava solo di battibecchi. I battibecchi andavano più che bene; forse, in fondo, era il loro modo di comunicare. Chissà se sarebbero mai riusciti a fare di meglio.
-Comunque, andiamo nel mio ufficio- disse Gazel. Il ghigno di Nagumo si spense per un momento, poi tornò in una forma diversa – un vero sorriso, morbido, quasi caldo, non beffardo o sarcastico. Gazel sentì una sorta di sfarfallio allo stomaco e pensò che poteva quasi abituarcisi.
-Nostro- disse Nagumo, serio. –Il nostro ufficio?
-Nagumo…
-Burn. Devi chiamarmi Burn, adesso.
Gazel esitò, poi annuì.
-Burn. Andiamo al nostro ufficio, allora- acconsentì. Alzò lo sguardo verso il soffitto, seguendo con gli occhi la scia di lampadine sul soffitto. Si sentiva più mite del solito. Quasi in pace con se stesso, una sensazione che non provava da molto tempo.

Era l'ultimo giorno d'inverno. 


La sua vita all'Inazuma Agency era appena cominciata.



 
**Angolo dell'Autrice**
Buonasera! Spero che il capitolo vi sia piaciuto; credo sia venuto più lungo degli altri :')
Per quanto riguarda la prima parte, ci tenevo a dare un'introspezione ad Atena e Hepai. Nel resto del capitolo, invece, il p.o.v. torna a Gazel. Ho cercato di dare delle indicazioni temporali, seppur minime, per definire il corso degli eventi; aggiungo quindi, come nota finale, che è passato quasi un anno tra gli eventi dell'ultima parte di questo capitolo e l'inizio della trama principale di Spy Eleven. È stato strano scrivere di Midorikawa dal punto di vista di Gazel, quando erano ancora praticamente degli sconosciuti! Ma era dall'inizio di questo spin-off che programmavo una cosa così. Ci tenevo ad introdurre i personaggi della squad alla fine dell'ultimo capitolo di No Light, così da creare una sorta di "ponte" tra le due storie. Sono felice di essere riuscita a concludere questo spin-off, ora potrò concentrarmi su Spy Eleven! 
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa fic, in particolare ai miei recensori~
Saluti!

           Roby

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