the various fragrances of tea

di melloficent
(/viewuser.php?uid=458227)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 27/02 ; day one ***
Capitolo 2: *** 28/02 ; day two ***
Capitolo 3: *** 1/03 ; day three ***
Capitolo 4: *** 2/03 ; day four ***
Capitolo 5: *** 3/03 ; day five ***
Capitolo 6: *** 4/03; day six ***



Capitolo 1
*** 27/02 ; day one ***


The various fragrances of tea
 
 
 
prompt: moonlight ; fairy tale
shin soukoku week, day 1
kinda estabilished relationship ; fluff, introspettivo
Akutagawa!POV
 
 
La luce della luna era l’unica compagnia delle notti insonni di Akutagawa, passate a fissare il soffitto in attesa che apparisse qualche raggio di sole.
Insonnia, l’avevano chiamata.
Cronica, sperava non anche degenerativa.
Le notti in cui poteva dire di aver dormito decentemente si contavano sulle dita di una mano, aveva un sonno troppo agitato e leggero perché potesse assopirsi per più di tre ore a notte, quattro se gli andava bene.
Aveva imparato a considerare la luce della luna una compagna fedele in quelle notti che sembravano non passare mai, tanto da conoscerne a memoria le fasi.
In quel momento la luce della luna, filtrata dalla finestra della camera di Akutagawa, illuminava la schiena pallida di Atsushi, facendo sembrare la sua pelle di eterea e pura porcellana, conferendo ai capelli una sfumatura più chiara e mettendo in risalto la delicata curva delle labbra un po’ piene, appena schiuse nel sonno.
Akutagawa poteva pensare senza ombra di dubbio che la luce della luna mettesse in risalto tutto ciò che c’era di bello in Atsushi, facendolo sembrare ancora più angelico di quanto già fosse.
Atsushi era bello, in un modo che toglieva il fiato ad Akutagawa ogni volta.
Non era mai stato bravo con le persone, lui, e per larga parte della sua vita non aveva conosciuto che disperazione e dolore, che l’avevano reso un’anima in pena –per citare Gin, che vedeva le occhiaie diventare sempre più livide e la pelle sempre più pallida.
Atsushi gli aveva fatto conoscere la furia feroce, la gelosia disperata e un miscuglio di sentimenti che a volte anche a distanza di tempo gli ribolliva nel petto, ma gli aveva anche fatto conoscere la felicità, timida e fragile come una foglia primula alle porte di primavera.
Non se la meritava, la felicità, Akutagawa ne era ancora convinto.
Però guardando Atsushi non poteva che sentire qualcosa scaldargli il cuore, renderlo un po’ meno pesante e rendere lui un po’ meno disperato, nonostante i demoni rimanessero e gli facessero visita ogni volta che, per miracolo, si assopiva.
Si era scoperto spesso a urlare nel sonno, e ultimamente, con Atsushi lì al suo fianco, si sentiva un po’ più forte. –chi l’avrebbe mai detto che lui si sarebbe sentito più forte grazie a qualcun altro?
Sapere di non essere il solo a combattere contro i fantasmi di un passato che non sarebbe mai andato via, mai, lo confortava, e cercava di fare del suo meglio per ricordare ad Atsushi che lui non sarebbe tornato mai più in quell’orfanotrofio, come l’altro faceva ogni volta che Rashoumon decideva di tormentarlo o che i ricordi della sua infanzia mai vissuta tornassero a bussargli alla porta.
Era confortante avere qualcuno su cui contare, anche se non l’avrebbe ammesso ad alta voce nemmeno sotto tortura.
Osservò Atsushi irrigidirsi un po’ e deformare le labbra a cuore in una smorfia, stringersi un po’ a lui e tremare appena.
Un incubo, probabilmente.
Percorse la sua schiena con le dita affusolate, cercando di dargli conforto, e lo vide spalancare gli occhi color tramonto.
Vi vide tutto lo smarrimento e la paura che solo gli incubi potevano dare e lo strinse a sé.
-era solo un incubo, va tutto bene.- sussurrò Akutagawa, rompendo il silenzio incantato della notte.
Atsushi annuì piano e si lasciò sfuggire un sospiro rotto.
-torna a dormire, ci sono io.- aggiunse passandogli le dita tra i capelli chiarissimi.
A quel punto le labbra dell’altro si distesero in un piccolo sorriso.
-prova a dormire anche tu, non vivrai a lungo senza dormire.- borbottò, mentre il più grande stirava le labbra in un mezzo sorriso.
-abbi fede, Jinko.- borbottò poggiando la guancia sul cuscino, il viso a pochi centimetri da quello di Atsushi.
Era forse l’unica persona di cui si fidasse abbastanza da farlo avvicinare in quel modo.
Atsushi era l’unica persona accanto alla quale si fosse mai addormentato, con la luce della luna che illuminava entrambi come un placido conforto.
 
 
 
melloficent says
non avrei mai immaginato che sarei finita a pubblicare in questo fandom o a finire una storia in un pomeriggio.
sarà che le scadenze funzionano sorprendentemente bene con me.
bene, ora potete tirarmi i pomodori.
visti i numerosi peccati che ho per ship, pensavo di esordire qui con una DazAku, ma il fato aveva altro in serbo per me, e la shin soukoku week era troppo allettante perché potessi ignorarla.
insomma: prompt già pronti, scadenze, Akutagawa, Akutagawa che ha la possibilità di essere sereno e felice.
Akutagawa.
non so quanto possa essere IC qui, mi sono sforzata per rendere al meglio il personaggio, per quanto preveda già le padelle volanti.
ci saranno altre occasioni per far scannare questi due, ma per ora concedetemi il fluff in endovena.
a presto,
-Akemi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 28/02 ; day two ***


The various fragrances of tea
 
prompt: aqua blue ; highschool
shin soukoku week, day 2
generale, sentimentale e con inclinazioni al depresso perché se non faccio soffrire nessuno non sono contenta
tw: anxiety, mentions of abusive environment
(ci ho buttato i miei headcanon e pure un po’ di soukoku perché è giusto così)
 
 
La pazienza di Akutagawa era costantemente sul filo del rasoio, soprattutto quando era a scuola.
Era molto facile che qualcosa o qualcuno gli facesse andare la giornata irrimediabilmente storta, e chi si doveva sorbire il suo umore nero era Chuuya, che non era esattamente il ritratto della solarità.
Forse era per questo che era il suo unico amico: era molto meglio tenere il muso al mondo in due piuttosto che da soli.
E quel giorno l’universo e chiunque lo regolasse era deciso a fargli venire una crisi di nervi, di quelle che sarebbero state inserite negli annali della storia.
Per cominciare, quel giorno era stato tutta la notte sveglio –non che fosse una cosa così straordinaria, ma di solito quel paio di ore di sonno che riusciva a fare lo aiutavano un po’-, per cui odiava il mondo già in partenza.
Seguivano i toast bruciati a colazione, con un vago sentore di carbone e le scuse di Gin, che aveva una relazione complicata con qualsiasi elettrodomestico esistente –era riuscita a bruciare un pentolino facendo la cioccolata calda, il che diceva molte cose.
E, l’ultimo avvenimento capace di minare ai suoi nervi nel giro di un’ora, Chuuya era in ritardo.
Come sempre.
Ancora si chiedeva perché lo aspettava ogni volta.
Probabilmente perché andare a scuola da solo era ancora più stressante, soprattutto per il suo problema d’ansia.
O difficoltà a stare in mezzo alla gente, che dir si voglia.
In ogni caso, stare con qualcuno di cui si fidava era molto meglio che addentrarsi in quella giungla che era la scuola da solo.
E mancavano dieci minuti al suono della campanella e di Chuuya ancora nessuna traccia.
Maledetto nano rosso e maledetta la sua abitudine di bere fino a ubriacarsi anche quando avevano scuola il giorno dopo.
Come volevasi dimostrare, Chuuya arrivò a cinque minuti dal suono della campanella con l’aria di chi aveva visto giorni migliori ed eventualmente non avrebbe considerato una cattiva idea farsi investire da un autobus.
Che era il medesimo pensiero di Akutagawa, perché sul podio delle cose che odiava c’erano le ramanzine del professore di matematica, Kunikida, ogni volta che arrivavano in ritardo.
Ovvero non molto spesso, perché detestava essere al centro dell’attenzione di quella classe di cretini che si ritrovava.
Per questo intimò a Chuuya di correre più veloce che potesse, nonostante la divisa della scuola rendesse difficile farlo.
Ma probabilmente lo sguardo omicida di Akutagawa doveva essere un ottimo stimolo a battere il record mondiale di corsa veloce.
Arrivarono comunque in ritardo, il che minò ancora alla calma mentale del più alto, ma il discorso ricco di significato e per lo più urlato fu interrotto dalla venuta di Dazai Osamu.
Altresì detto il primo posto sul podio delle cose che odiava, seguito dal secondo, Atsushi Nakajima.
Che in quel momento era esattamente alle spalle di Dazai e guardava il professore con il suo solito sguardo da cucciolo bastonato.
‘Disgustoso.’
Aveva motivi più che validi per odiare Dazai, ma la rabbia che gli faceva montare dentro Atsushi era totalmente ingiustificata e irrazionale, anche se spesso Chuuya l’aveva chiamata gelosia.
E si era visto rivolgere contro diverse minacce di morte, alcune abbastanza creative.
Quasi quanto le punizioni che il professore stava elencando ai due malcapitati ultimi arrivati.
Punizioni che si ritorsero contro di loro, quando Chuuya mal camuffò una risata con un colpo di tosse.
Dio, l’avrebbe ucciso.
Quindi la loro punizione consisteva nel pulire ogni singolo angolo della scuola ogni volta che fossero arrivati in ritardo.
E Akutagawa era anche allergico alla polvere.
Che giornata di merda.
 
Uno dei più grandi errori che si poteva fare, era pensare che non si potesse andare peggio di un certo limite.
Perché i film lo insegnano sempre, quel limite è altamente variabile e di solito mai in meglio.
Il che era probabilmente l’esatto motivo per cui Dazai Osamu e Nakajima Atsushi erano seduti di fronte a loro, e tutti gli altri tavoli della mensa erano occupati.
Ormai il nervosismo di Akutagawa era scemato in rabbia placida e persistente come le occhiatacce che rivolgeva ai due, mentre Chuuya era molto simile alla versione reale di una ragazzina di un qualche anime che qualche volta gli capitava di vedere in televisione.
Di quelle costantemente incazzate e violente, e non poteva biasimarlo fino in fondo.
La cosa curiosa era che tutto il suo malumore era diretto a Dazai, che aveva un placido sorriso stampato in faccia, come se tra loro regnasse la pace e la concordia.
‘Sempre detto che quello lì aveva qualche neurone mal funzionante.’
E Akutagawa aveva sviluppato la solida convinzione che quello che Chuuya nutrisse per Dazai non era odio, o antipatia.
Era una cotta stratosferica da cliché, ma evitava di dirglielo giusto perché in fondo non erano affari suoi.
-allora, per oggi pomeriggio direi di dividerci in gruppi, così è più facile. Vero, Chuuya?- chiese Dazai con il suo solito tono allegro e un sorriso idiota.
Chuuya, per tutta risposta, trasalì e lo guardò come se fosse la causa di tutti i mali dell’umanità.
-non sarebbe più comodo se stessimo tutti da soli?- propose con un tono che non ammetteva repliche.
Che evidentemente Dazai non afferrò.
-ma sai, dividersi è il primo modo per morire nei film horror. E io non voglio che la mia morte sia un cliché dei film horror.- disse mettendo su un broncio che sia Akutagawa, sia Chuuya, gli avrebbero cancellato a suon di pugni.
A far prudere le mani di Akutagawa ci si mise anche Atsushi, che annuì come se Dazai avesse appena rivelato il quarto segreto di Fatima.
-allora io sto con Akutagawa e tu con Atsushi.- ribattè convinto Chuuya.
A quel punto il corvino sospirò teatralmente.
-no, questa può essere anche l’occasione di conoscerci meglio! Quindi Atsushi sta con Ryunosuke e io sto con te!- esclamò allegro.
Dal tavolo si levarono tre proteste distinte, e la cosa che più lo colpì fu il “ma io non voglio stare con lui” borbottato da Atsushi.
‘ricambio senza riserve, Jinko’
Dazai ignorò tutti e tre, alzandosi e facendo per andar via.
-e chi cazzo ti ha dato il permesso di chiamarmi per nome?!- sbottarono insieme Chuuya e Akutagawa.
Anche quella replica si perse nel vuoto.
 
Quindi, quando ormai era quasi buio e la scuola era deserta, Dazai consegnò agli altri tre tutto l’occorrente per pulire –ovvero una scopa malandata e un secchio con dentro uno straccio bagnato a testa- e rivolse loro un altro dei suoi irritanti sorrisi.
-bene, prima cominciamo e prima finiamo. Andiamo, Chuuya!- disse trascinando dal lato destro del corridoio il rosso, mentre Akutagawa guardava con aria funerea prima il secchio fra le sue mani e poi Atsushi.
Ignorò l’esclamazione estasiata di Dazai da una delle classi,“wow, questa trave è perfetta per impiccarsi!”, sebbene concordasse in pieno, e camminò verso l’altro lato del corridoio, senza premurarsi di sapere se Atsushi lo stesse seguendo o meno.
Era comunque un posto abbastanza buio e isolato per commettere un omicidio e nascondere un cadavere.
Di chi ancora non lo sapeva.
La scuola, in ogni caso, pareva non essere pulita decentemente dall’ante guerra, e Akutagawa si sentì morire guardando la quantità industriale di gomme da masticare appiccicate sotto i banchi.
-uccidimi ora.- borbottò ad Atsushi, che fece una smorfia schifata quando a una delle gomme ne trovò attaccate altre tre, sapientemente impilate una sull’altra.
-solo se lo fai prima tu.- ribatté l’albino.
Akutagawa sospirò e buttò tutte le gomme che era riuscito a staccare nel cestino della classe.
-se io ti uccido poi chi uccide me?-.
L’altro alzò le spalle e uscì dalla classe.
-Dazai-san potrebbe consigliarti dei metodi di suicidio davvero creativi.- disse entrando nell’aula successiva.
Akutagawa pregò che fosse in uno stato un po’ più decente, ma le uniche domande che gli vennero in mente quando entrò furono se la trave sul soffitto poteva reggere il suo peso e quanti fogli di alluminio servissero per fare una palla così grande.
 
L’opera di pulizia della classe finì quando ormai la luna era alta nel cielo e Akutagawa sentiva un leggero bisogno di sdraiarsi a terra e andare in coma.
Anche e soprattutto per non sentire Chuuya che inveiva contro il mondo e Dazai.
-idiota, spreco di bende, maniaco suicida, lo voglio morto!- urlò, dando un calcio al cestino della spazzatura di metallo e gemendo quando si rese conto che effettivamente era molto duro e stabile, soprattutto perché ancorato alla strada.
-Chuuya.- disse Akutagawa con tutta la serietà del mondo, guardandolo con gli occhi grigi.
-dimmi.- gemette l’altro, che ora zoppicava per il dolore al piede.
-hai mai pensato che possa piacerti, Dazai?- chiese. Non poteva più tacere, era abbastanza palese, per lui che conosceva Chuuya da davvero tanto tempo.
Ci fu un attimo di sinistro silenzio, e l’unico rumore che si poteva sentire erano le cicale e il vociare in lontananza di qualche anima ancora in giro al buio in quel quartiere sperduto e malfamato di Yokohama.
Poi Chuuya esplose in una risata vagamente forzata e isterica.
‘Male, molto male.’
-ti pare che mi piaccia Dazai? Secondo la stessa logica a te dovrebbe piacere Atsushi.- disse alzando la voce di un’ottava di troppo.
Ecco, l’aveva detta l’eresia.
-no, perché sebbene Jinko sia una delle persone che più detesto non trovo ogni pretesto per litigarci che, diciamocelo, è l’unico modo plausibile in cui potresti interagire con Dazai.- ribatté il più alto con la solita calma che lo contraddistingueva.
-…comunque secondo me a te Atsushi piace.- borbottò Chuuya nel vano tentativo di cambiare discorso.
Il che era fuori questione.
Quello che Akutagawa provava per Atsushi era pura e genuina rabbia, furore, ira che infiniti addusse lutti agli Achei, voglia di prendere quella testolina albina e sbatterla contro il muro, perché quel maledetto ragazzino era così gentile e sempre alla ricerca di aiuto e compagnia con i suoi modi e tutto quello era da deboli e i deboli dovevano essere lasciati soli a perire.
Gliel’aveva detto Dazai quello, ma lui era stato abbandonato e invece Atsushi aveva tutto quello che lui, invece, non aveva mai avuto.
Ma questo non lo disse, non era da lui esternare così quello che provava e Chuuya sapeva fin troppo bene dove quel discorso volesse andare a parare e avrebbe iniziato a farsi altri mille filmini mentali.
La cosa che contava era che a lui Atsushi non piaceva, per nulla.
Già, le ultime parole famose.
Però i film insegnano anche questo, e probabilmente Akutagawa avrebbe dovuto dar loro ascolto.
 
Quello che Akutagawa provava quando c’era troppa gente attorno a lui non era la semplice esagerazione di una persona molto introversa, era più un peso opprimente all’altezza del petto, l’idea che non si sarebbe mai potuto mescolare con quelle persone perfettamente normali e la voglia di scappare e nascondersi in un posto isolato, silenzioso e sicuro.
Tutto ciò lo faceva sentire debole e inutile, ma quando quella sensazione lo investiva aveva solo bisogno di stare da solo e aspettare che il respiro tornasse normale –nei limiti del possibile per lui.
Era una cosa altamente degradante.
Alzò la mano e chiese al professore di economia, Fitzgerald, di andare in bagno, e nemmeno quello stronzo patentato gli avrebbe negato il permesso, vedendo come tossiva convulsamente.
Il bagno gli sembrò lontano come l’Europa, in quel momento.
Alla fine si chiuse in un cubicolo e cercò di regolarizzare il respiro, riuscendoci solo diversi minuti dopo, e indugiò parecchio prima di tornare in classe.
Alla fine il suo udito registrò un flebile rantolo proveniente dal cubicolo accanto, e sorprendentemente quella voce sembrava simile a quella di Atsushi.
Si disse che era impossibile, perché alla fine quel ragazzo sembrava abbastanza sereno e normale da non avere quel tipo di problemi.
-ehy, Jinko?- chiese comunque, più che altro per soddisfare la sua curiosità personale.
Non ricordava nemmeno più come fosse nato quel soprannome, ma la maggior parte delle persone a scuola si riferivano ad Atsushi così.
-…n-non chiamarmi così.- rantolò la voce dall’altro cubicolo.
Quindi era davvero lui.
-come ti pare.- borbottò Akutagawa, che era anche abbastanza sorpreso dal vedere –sentire- Atsushi in uno stato che aveva riconosciuto subito come panico.
-inspira, conta fino a dieci ed espira. A me aiuta davvero tanto.- aggiunse dopo, sorpreso da sé stesso.
Decise che lo stava aiutando solo perché gli faceva pena, come gliene avrebbe fatta qualunque altro essere al mondo.
A quanto pare Atsushi seguì il suo consiglio, e lui rimase in silenzio per tutto il tempo ad ascoltare il respiro dell’altro regolarizzarsi.
Alla fine sentì la porta del cubicolo sbloccarsi, e anche lui aprì la sua, incrociando le iridi color tramonto del più piccolo –era davvero l’unico aggettivo che avrebbe potuto associare ai suoi occhi, e doveva essere un reato avere degli occhi così belli.
-grazie…- borbottò abbassando lo sguardo sul pavimento.
Akutagawa cercò di sistemarsi i capelli per essere il meno stravolto possibile.
-di nulla, Atsushi.-. Era la prima volta che pronunciava il suo nome ad alta voce, sembrava una parola di lingua straniera di cui avrebbe dovuto conoscere vagamente il significato.
-quindi anche tu…?- chiese interrompendosi a metà della frase, mordendosi il labbro inferiore pieno –e Akutagawa aveva una strana voglia, per la prima volta, di baciarle, quelle labbra. Ma avrebbe dovuto dare ragione a Chuuya e assolutamente no.
-sì, anche io ho degli attacchi. Molto più raramente che in passato, a dire la verità.- borbottò a disagio.
Non aveva la più pallida idea di come si facesse una conversazione civile, perché Chuuya ormai si era abituato ai suoi modi e leggere i suoi lunghi silenzi, ma per il resto del mondo Akutagawa rimaneva un rompicapo.
Quasi quanto Atsushi lo era per lui.
-e come hai fatto?- chiese l’altro trasalendo.
Il più grande alzò le spalle e si voltò, incamminandosi per tornare in classe.
-sono diventato più forte.- rispose sibillino.
Eppure a volte si sentiva maledettamente debole.
 
Tutte le persone nella testa di Akutagawa avevano un ruolo, una classificazione.
C’era la famiglia, e Gin era l’unica componente di quel gruppo. Forse anche Higuchi, che era la ragazza di sua sorella e quindi tecnicamente lo era.
La considerava soprattutto una persona di cui fidarsi anche nei suoi momenti più bui, quindi famiglia sia.
Chuuya era l’unica persona nella categoria “amici”, e dubitava che si sarebbe allargata di molto.
Dazai era in quella categoria di persone di cui non sapeva cosa pensare, lo conosceva sin troppo bene e sicuramente non era un suo amico. Probabilmente il suo mentore o roba simile, perché nonostante tutto gli aveva insegnato a essere più forte.
Atsushi era un grande punto interrogativo, un enigma che Akutagawa non riusciva a svelare.
Dopo quel fugace incontro in bagno i rapporti tra di loro si erano distesi, forse in virtù dell’avere qualcosa in comune –anche se Dazai continuava a sostenere che erano similissimi sotto molti aspetti.
Erano amici? Non credeva, ci voleva davvero tanto per essere suo amico, motivo per cui c’era una sola persona in quella categoria.
Era colpa sua che non sapeva relazionarsi con le persone.
Conoscenti? No, con loro si ha un rapporto di cordialità apparente, non si sa molto l’uno dell’altro e non ci si sente legati in nessun modo.
Non erano conoscenti.
I conoscenti non ti fanno fremere in quel modo, gli amici nemmeno.
Nessuna di quelle categorie che aveva già formulato nella sua testa spiegavano i sentimenti contrastanti che Akutagawa provava per Atsushi.
Gli ispirava serenità, allo stesso tempo gli faceva montare dentro una rabbia enorme, anche se negli ultimi tempi era diventata solo una placida fiammella destinata a spegnersi.
Gli faceva battere il cuore e agitare qualcosa nello stomaco, molto spesso il solo parlargli lo faceva stare meglio.
E gli piaceva vedere il calore che infiammava le guance dell’altro quando gli rivolgeva un mezzo sorriso o gli diceva qualcosa di velatamente gentile, si sentiva un po’ meglio giusto per averlo fatto felice.
‘no, no, no.’
Seppellì la testa nel cuscino, stringendolo convulsamente tra le sue mani ossute e pallide.
Atsushi rimase ostinatamente un punto interrogativo, perché Akutagawa aveva paura di starsi innamorando di lui.
Non andava bene.
 
Dal tetto della scuola si vedeva il mare di Yokohama e il tramonto che, dopo il rosso fuoco, tingeva tutto del medesimo colore degli occhi di Atsushi, era una delle cose più belle che Akutagawa avesse mai visto lì.
Non era comunque comparabile agli occhi di Atsushi.
Era diventato il loro posto, ci andavano sempre insieme e si sedevano a gambe incrociate lì, guardando il mare attraverso gli spazi larghi della ringhiera.
Lì Akutagawa gli aveva raccontato dei suoi trascorsi con Dazai, della sua infanzia ai margini della società e Atsushi gli aveva detto tutto riguardo l’orfanotrofio da cui era scappato e che ancora gli dava incubi e il cui ricordo gli mozzava il respiro e l’aveva distrutto in ogni modo possibile.
Si fidavano l’uno dell’altro, in un modo assoluto e puro a cui stentavano a credere entrambi.
Atsushi stava imparando a decifrare i silenzi sibillini di Akutagawa, e Akutagawa stava imparando a capire cosa c’era dietro i modi di fare di Atsushi.
Si stavano imparando a conoscere poco a poco, e qualcosa era sbocciato tra loro fragile e sorprendente come la nascita di una foglia primula.
Era un equilibrio precario e allo stesso tempo stabile, qualcosa che nessuno dei due sapeva spiegarsi.
-ehi, Ryu…- borbottò Atsushi avvicinando piano la mano alla sua.
Aveva deciso che Akutagawa era troppo formale e Ryunosuke troppo lungo. Quindi aveva iniziato a chiamarlo così.
-dimmi.- disse Akutagawa senza staccare gli occhi dal tramonto.
Ci fu un lungo attimo di silenzio.
Qualche secondo, interminabili minuti, delle ore?
Atsushi non sapeva dirlo.
-penso di essermi innamorato di te.- sussurrò, come se volesse tenere al sicuro quelle parole e quei sentimenti.
Akutagawa si voltò e lo guardò per un po’ con i freddi occhi grigi, incatenandoli in quelli di Atsushi.
Erano sempre indecifrabili e freddi come l’acciaio, ma c’era una strana luce che li animava.
-anche io.- .
Le labbra di Atsushi, premute sulle proprie, sapevano di felicità.
 
 
 
melloficent says
Mi sento una madre felice, anche perché questa roba è stata un parto.
Duemilanovecento e passa parole.
Dove cazzo è la mia medaglia.
È stata una sessione intensiva di tre ore e mezza in cui mi sono detta che dovevo finirla, perché avevo così tanto in testa e avevo paura di non riuscire a scrivere più nulla.
E ce l’ho fatta, dopo un sacco di tempo sono riuscita a scrivere qualcosa di così lungo.
Mi sento distrutta e ora devo pure fare i compiti mannaggia.
Nel caso siate arrivati fin qui e non vogliate lanciarmi pomodori, complimenti!
Non so quanto questa roba abbia un senso, il mio invito è a lasciare un commento qui sotto :D
(sì, sto elemosinando recensioni)
a presto,
-Akemi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 1/03 ; day three ***


The various fragrances of tea
 
prompt: birthdays ; coffee shop
shin soukoku week, day 3
implied relationship ; generale, un po’ fluff perché è il compleanno di mio figlio e deve essere felice
buon compleanno, Akutagawa!
 
 
Il suo compleanno non era mai stato un giorno particolarmente importante per Akutagawa.
La vita scorreva come suo solito, il massimo che riceveva era un caldo abbraccio di Gin, quando nessuno poteva vederli, e magari una qualche stampa per cui sicuramente sua sorella si era svenata.
Di fatto, il suo compleanno non era un giorno particolarmente importante, almeno per lui.
C’era stato un tempo in cui non sapeva nemmeno che giorno fosse, per cui scorreva tutto e monotono, e Akutagawa si era abituato a non festeggiare nulla.
Non gli piaceva nemmeno stare al centro dell’attenzione, non voleva feste o auguri o regali
Non ci sarebbe stato comunque nessuno disposto a farglieli.
Akutagawa non biasimava nessuno per quello, gli amici erano un lusso che non poteva permettersi, e non ne aveva nemmeno bisogno, in effetti.
Tutto quello che desiderava era che il primo marzo scorresse come un giorno normale –nei limiti del possibile, per lui-, come tutti gli altri.
Da quando aveva conosciuto Atsushi, però, la sua routine era messa alla prova duramente.
 
Le luci del minuscolo appartamento così in ordine da far pensare che non ci vivesse nessuno erano ancora accese, a pochi minuti dalla mezzanotte.
C’era una sagoma seduta compostamente sul divano, impegnata a leggere un chissà quale spesso tomo dall’aria consunta e invecchiata, con le pagine ingiallite dal tempo e la copertina rilegata che doveva aver visto giorni migliori.
Benché molte persone alla Port Mafia pensassero che fosse un androide senza interessi, ad Akutagawa leggere piaceva molto, sin da quando era bambino e cercava di intrufolarsi il più possibile nella biblioteca di Yokohama.
Aveva anche scoperto di essere l’omonimo di un famoso scrittore, la cosa lo divertiva sempre un po’ quando ci pensava.
Una delle cose che più gli davano fastidio era quando lo disturbavano mentre leggeva.
Cosa che, per inciso, stava facendo lo squillo ininterrotto del telefono.
Akutagawa guardò l’orologio, constatando che era appena scoccata la mezzanotte del primo giorno di marzo.
Chi era il maniaco che lo chiamava a mezzanotte? –sicuramente qualcuno con un istinto di autoconservazione molto basso. Puntava su Dazai, o Atsushi.
Il numero non era registrato, ed era tentato di lasciar squillare a vuoto il telefono.
Senza un motivo particolare, però, rispose, sentendo la voce di Atsushi, resa più squillante dal telefono, dall’altro capo.
-come hai fatto ad avere il mio numero?- fu la prima domanda che gli venne in mente. Del tutto legittima, per di più.
-non è tua abitudine salutare, Akutagawa?- chiese Atsushi, che dal tono sembrava vagamente offeso.
-ciao, Jinko. Ora dimmi, perché hai avuto la brillante idea di chiamarmi a mezzanotte e chi ti ha dato questo numero?- chiese, cercando di rimanere calmo.
Quel ragazzo gli faceva ribollire il sangue nelle vene ogni volta, era più forte di lui.
-me l’ha dato Dazai-san.- rispose il ragazzo all’altro capo del telefono.
Maledetto Dazai.
-comunque, ho saputo che oggi è il tuo compleanno… e volevo essere il primo a farti gli auguri, ecco.- aggiunse abbassando il tono della voce, come se fosse a disagio.
Akutagawa rimase per un po’ in silenzio, cercando di elaborare quello che il più piccolo gli aveva detto.
Gli aveva appena fatto gli auguri per il suo compleanno. Era davvero già il primo marzo?
Non aveva motivo di farli gli auguri, dato che fino a poco tempo prima si consideravano nemici giurati.
Voleva essere il primo. Supponeva che ci fossero altre persone pronte ad augurargli buon compleanno.
Supponeva male.
Doveva calmare quella fastidiosa sensazione di farfalle nello stomaco e combattere con l’impulso di sorridere.
Gli era dato di volta il cervello. Era l’unica spiegazione possibile.
-Akutagawa? Ci sei?- chiese ancora Atsushi, facendo trasalire l’altro.
-come hai fatto a sapere che oggi è il mio compleanno? Non lo ricordavo nemmeno io, onestamente.- disse, cercando di mantenere un contegno.
‘dignità, Ryunosuke, dignità’
-come fai a non ricordarti del tuo compleanno?- chiese Atsushi, sinceramente stupito.
Akutagawa fece un mezzo sorriso che doveva essere di scherno, pensando che l’altro doveva essere quel tipo di persona che andava in giro ad annunciare il grande giorno partendo dalla settimana prima.
-non è un giorno così speciale, in realtà. Non è speciale per nulla.- disse cercando una posizione più comoda sul minuscolo divano.
-vuoi dire che non hai mai festeggiato il tuo compleanno?- quasi sbottò Atsushi dall’altro capo del telefono.
-no, Jinko. Mai festeggiato.- rispose l’altro laconico.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, seguiti dal sospiro del più piccolo.
-prima di tutto, ho un nome e gradirei che lo usassi. Secondo, domani tieniti libero, mi mette tristezza sapere che passerai il tuo compleanno relegato in casa.- disse deciso.
Akutagawa inarcò un sopracciglio –se così si poteva definire- dubbioso: chi si credeva di essere per avere tutta quella confidenza?
-chi ti ha detto che starò relegato in casa?- chiese aggrottando le quasi inesistenti sopracciglia.
-perché, non è così?- ribatté Atsushi, e il più grande era sicuro che stesse sorridendo.
L’avrebbe ammazzato. L’avrebbe ammazzato e ci avrebbe fatto un lampadario da appendere in soggiorno.
Il silenzio che ne seguì valse più di mille parole.
-allora è deciso, domani tieniti libero. Ti passo a prendere da… quello che presumo sia il tuo posto di lavoro. E non accetto rifiuti.- disse Atsushi, deciso come non mai.
Ecco che quelle maledette farfalle tornavano.
Era influenza intestinale, senza ombra di dubbio.
-…non penso avrei rifiutato in ogni caso.- borbottò a mezza voce Akutagawa, senza connettere la bocca al cervello prima di parlare.
Sperò con tutto il suo cuore che non l’avesse sentito.
-cosa?- chiese il più piccolo sorpreso. Era sicuro di aver sentito tutto distintamente, anche se dubitava che l’altro l’avrebbe ripetuto, anche sotto tortura.
-nulla, assolutamente nulla.- rispose deciso. Come volevasi dimostrare.
Un altro sospiro, questa volta dalla sfumatura più divertita e forse anche intenerita.
-allora a domani. Buonanotte, Akutagawa.- concluse Atsushi con un tono un po’ più allegro.
-buonanotte, Atsushi. E grazie per gli auguri.- rispose Akutagawa.
L’aveva chiamato per nome. Era completamente andato.
Da ricovero immediato, se avesse avuto un minimo di amor proprio si sarebbe diretto al reparto psichiatrico dell’ospedale da solo.
-di nulla, era il minimo.- ribattè Atsushi prima di chiudere.
L’altro rimase ad ascoltare un paio di squilli a vuoto, prima di rimettere il telefono al suo posto.
L’ombra di un sorriso si era fatta spazio sul suo volto.
 
 
 
 
 
 
 
 
melloficent says
Questa cosa è scritta molto di getto e mi piace davvero poco, però è il compleanno del mio bimbo speciale e qualcosa devo pur fargliela.
E no, non me ne importa nulla che oggi è anche il compleanno di Yuri Plisetsky –e anche di Justin Bieber, ma è una notizia inutile e irrilevante.
Oggi è festa nazionale perché è il compleanno di Akutagawa.
Non ho poi molto da dire, a parte il fatto che mi sono dimenticata di accendere il condizionatore e ora ho freddo o che sono finiti i pangoccioli aka la mia unica ragione di vita.
Probabilmente se avessi avuto i miei amati pangoccioli questa roba sarebbe stata un po’ meglio.
È tutto migliore con i pangoccioli.
Il mio solito invito è a lasciare una recensione, anche giusto per minacciarmi di morte.
Al prossimo capitolo,
-Akemi

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 2/03 ; day four ***


The various fragrances of tea
 
prompt: mandarin orange ; hogwarts
shin soukoku week, day 4
estabilished relationship ; slice of life, comico, generale
guest star: la soukoku che è sempre presente
(quanto sono banale?)
 
 
Nella lista delle cose che Akutagawa odiava c’erano, nell’ordine: i Grifondoro, chi non riusciva a non ficcare la propria appendice nasale in faccende che non gli riguardavano e le persone che non gli lasciavano la sua privacy.
Si dava il caso che il suo ragazzo fosse a Grifondoro, che Chuuya fosse più impiccione di una vecchia zia e che Dazai avesse la pessima, pessima abitudine di non bussare prima di entrare in una stanza.
O nel bagno dei prefetti.
O nello sgabuzzino di Gazza.
Se c’era una porta chiusa a chiave un motivo c’era, e ormai pensava che Dazai ci avesse preso gusto a sorprendere lui e Atsushi in ogni anfratto della scuola, sibilando allegro un ‘alohomora’ che avrebbe fatto venir voglia ad Akutagawa di fargli ingoiare la bacchetta.
E pensare che erano stati lui e Chuuya a puntare tanto sulla loro relazione.
Forse Dazai era più sadico di quanto pensava, o semplicemente era un rompicoglioni patentato.
Entrambe le ipotesi erano ugualmente possibili.
 
Akutagawa amava l’Aritmanzia. Era tutto così chiaro e certo, non c’era soggettività in quella materia.
Era tutto perfettamente logico e consequenziale, senza eccezioni che non potessero essere spiegate.
Akutagawa avrebbe potuto scrivere una poesia d’amore all’Aritmanzia, angelicarla come i poeti facevano con le donne amate.
In quel momento, avrebbe voluto seguire la lezione, invece di essere continuamente infastidito dalle gomitate di Chuuya, che aveva l’aria di dovergli dire qualcosa di estremamente importante.
O, più probabilmente, era solo annoiato.
Poteva benissimo andare a fare Divinazione come tutti i comuni mortali, allora.
-che vuoi?- sbottò guardandolo gelido. Detestava essere disturbato, soprattutto durante le lezioni.
-quindi? Come va con Atsushi?- chiese Chuuya con un sorrisetto bastardo.
Quindi l’aveva disturbato e gli stava impedendo di seguire la lezione della sua materia preferita solo per fare la vecchia zitella impicciona?
-non t’interessa. E ora lasciami ascoltare.- sibilò tornando a rivolgere lo sguardo al professore.
Kunikida Doppo era competente quanto irascibile, e considerando che era uno dei professori migliori del corpo docente si poteva immaginare quanto fosse irritabile.
E Akutagawa non aveva nessuna intenzione di essere rimproverato da lui.
-che palle, dovevi andare a Corvonero, non a Serpeverde.- borbottò Chuuya.
-e tu magari dovresti andare a fare Divinazione o Cura delle Creature Magiche o Babbanologia o qualsiasi cosa ti impedisca di disturbare me.- sbottò silenziosamente Akutagawa.
Cinque minuti dopo, si trovavano tutti e due fuori dall’aula, girovagando per i corridoi come delle anime in pena.
-non mi hai risposto comunque.- disse Chuuya evitando un chissà quale primino che si era perso –e la scuola era iniziata da un pezzo, non si poteva davvero essere così sbadati.
-perché non è qualcosa che ti dovrebbe interessare.- ribatté Akutagawa, che ormai aveva deciso di guardarlo in cagnesco per il resto dei suoi giorni.
-sono il tuo migliore amico!- esclamò il rosso guardandolo indignato.
-chiedilo al tuo ragazzo, come va. Visto che quell’idiota sembra averci preso gusto a togliermi ogni straccio di privacy che avevo.- disse il più alto con una certa violenza.
Chuuya concluse che era parecchio incazzato. E che avrebbe fatto qualcosa.
-bastava dirlo prima, ci penso io a mettere in riga il mio ragazzo.- esclamò allegro.
Akutagawa lo fulminò con lo sguardo per l’ennesima volta dall’inizio della giornata.
-ma chi ti ha chiesto nulla.- sbottò allontanandosi da lui.
Ah, cosa non si fa per gli amici.
 
Le labbra di Atsushi erano piene, ma non troppo. Erano soffici, morbide e avevano il vago sapore dello zucchero delle caramelle che aveva mangiato a cena.
I suoi capelli erano sottili tra le sue dita, come fili di seta pregiata, e ne aveva sviluppato una sorta di dipendenza.
Akutagawa cercava di imprimere ogni sensazione nella sua memoria, ogni volta, prolungando ogni attimo per dargli il giusto valore.
Era impaziente e impulsivo in tante cose, ma ogni momento passato con Atsushi era sacro, importante oltre l’inverosimile.
Ignorò il flebile gemito del più piccolo quando gli lasciò un segno violaceo alla base del collo, che insieme a qualche altro –alcuni più sbiaditi di altri- costellava la pelle candida del ragazzo.
I bottoni della camicia candida, con lo stemma di Grifondoro ricamato sul petto, erano fin troppo complicati, in quel momento. Se solo ne avesse avuto la possibilità li avrebbe strappati direttamente.
Erano in momenti come quelli che Akutagawa benediceva la sua camera singola da prefetto.
Poteva sentire il respiro caldo e leggermente accelerato di Atsushi sul suo collo, e si sorprese a provare la più pura felicità quando si rese conto che erano insieme, come ogni volta che ci pensava.
Amava poter restare solo con lui, perché tutto il resto del mondo scompariva.
Il vociare delle persone nella Sala Comune di Serpeverde, il rumore di una serratura che veniva bloccata…
Akutagawa trasalì quando Dazai irruppe nella stanza, mentre Atsushi, che aveva assunto un curioso color porpora, cercava di riabbottonarsi la camicia.
-ah, vi ho disturbato?- chiese il castano con un sorriso svagato.
Ciò che Akutagawa urlò, accompagnato da un tomo estremamente pesante di chissà quale materia, fu estremamente di cattivo gusto, ma altrettanto azzeccato per il momento.
 
Akutagawa era, di base, una persona facilmente irascibile e irritabile, e quello ormai lo sapevano tutti.
Tuttavia, c’erano delle situazioni e un limite che, se superato, voleva dire solo una cosa: Apocalisse, Giorno del Giudizio, Ragnarok.
Dazai, a quanto pareva, si divertiva a saltellare fuori e dentro da questo limite, pensando che le conseguenze non sarebbero mai state abbastanza gravi.
O più probabilmente perché non vedeva l’ora di morire.
In quel momento, con del ghiaccio sulla tempia colpita dal pesante tomo di Storia della Magia, seppe di aver sorpassato quel limite.
Infatti Akutagawa lo guardava con uno sguardo che avrebbe fatto scappare urlando chiunque altro, e in effetti a Chuuya faceva parecchia paura in quel momento.
Di certo non voleva aiutare il suo migliore amico a occultare il cadavere del suo ragazzo.
Si allentò il cravattino verde e argento e si avvicinò cautamente ad Akutagawa, ritraendo la mano che gli stava per mettere sulla spalla –era suscettibile al contatto fisico anche quando era calmo, figurarsi ora.
-che ne dici di risolvere il tutto in maniera pacifica?- propose con il migliore dei suoi sorrisi incoraggianti.
-sì, credo che tu gli abbia fatto abbastanza male con quel libro…- borbottò Atsushi, che si sentiva un po’ come una povera preda nella tana di delle serpi.
Cosa che era, a giudicare dagli sguardi incuriositi di tutti gli altri studenti di Serpeverde nel dormitorio.
Akutagawa rivolse loro uno sguardo che rendeva chiaro che l’unica cosa che volesse in quel momento era che il corpo di Dazai facesse da cibo alla Piovra Gigante.
-mettiamo le cose in chiaro, Dazai.- disse sbattendo la mano sul tavolino lì vicino e avvicinandosi al castano.
-se provi un’altra volta ad entrare nella mia stanza senza permesso con la scusa che devi controllare che sia tutto a posto ti faccio diventare del mangime per gufi. È chiaro?- chiese con tutta l’aria di una persona che non ammetteva risposte diverse da una affermativa.
Cosa che, effettivamente, era vera.
Dazai, in altre occasioni, l’avrebbe colpito fino a fargli capire chi comandava. Ma sospettava che se l’avesse fatto, ora come ora, sarebbe diventato sul serio del mangime per gufi, e non sapeva se per colpa di Akutagawa o di Chuuya, che sembrava averlo preso sotto la sua ala protettiva, nonostante fosse quindici centimetri abbondanti più basso di lui.
-cristallino.- disse con il suo solito sorriso strafottente.
Akutagawa avrebbe voluto cancellarglielo dalla faccia a pugni.
-spero che sia così.- sibilò allontanandosi e tornando in camera, facendo disperdere la nutrita folla venuta ad assistere al teatrino.
 
Le mani di Akutagawa erano sempre fredde, il che in sé era una cosa preoccupante.
Ora riuscivano solo a far correre dei brividi sulla schiena di Atsushi, strappandogli dei deboli ansiti per cui avvampò subito dopo.
Akutagawa fece un mezzo sorriso intenerito guardandolo. Erano cose che riservava solo a lui, non aveva permesso a molte persone di conoscere la sua parte buona e sicuramente Atsushi stava imparando a scoprire il meglio di lui.
Era probabilmente l’unica persona di cui si fidasse ciecamente, a cui era capace di abbandonarsi e mostrarsi per quello che era, non solo per una parte.
-dove eravamo rimasti?- chiese il maggiore prendendo la mano di Atsushi –calda, piccola e un po’ tremante- nella sua.
E l’albino trovò divertente come le mani di Akutagawa fossero sempre fredde, ma dentro di lui divampasse il fuoco, a volte placido e benevolo, altre caotico e distruttore.
Aveva imparato a non stupirsi per contraddizioni del genere, ormai lo lasciavano solo divertito.
-non lo so, dimmelo tu.- mormorò sulle sue labbra –sottili, screpolate ma sorprendentemente calde.
Ebbero la certezza che nessuno li avrebbe disturbati, e quel pensiero fece stare un po’ meglio entrambi.
Ora il mondo poteva sparire per davvero, ed esserci solo loro due.
 
 
 
 
melloficent says
Della serie: quando potresti scrivere una lemon ma ti vergogni come una ladra anche solo per questa roba.
Non so quanto possa essere accettabile, probabilmente è un po’ banale, ma era un’idea che mi ronzava da un po’ e vivo per le slice of life e le hogwarts!au.
E sono andata in crisi pensando a quale Casa andasse bene per Chuuya, ma alla fine l’ho messo a Serpeverde perché qualcosa nella mia testolina me lo diceva.
Stesso discorso per Atsushi e i Grifondoro, anche se lì c’è lo zampino di Olga-sensei che risolve sempre tutti i miei dubbi amletici.
Non ho molto altro da dire, a parte che ho sacrificato il mio pomeriggio libero per scrivere questa cosa.
Spero che ne valga la pena.
Al prossimo capitolo,
-Akemi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 3/03 ; day five ***


The various fragrances of tea
 
prompt: feline ; hunger games
shin soukoku week, day 5
kinda one-sided? ; comico, slice of life
guest star: Gin aka dispensatrice di buoni consigli e sorella dell’anno
(forse sono andata un po’ fuori tema ma mi stava davvero mandando in crisi, perdonatemi)
 
 
 
 
Le mani di Atsushi erano sempre calde, sembravano sciogliere almeno un po’ il ghiaccio di cui sembrava fatta la sua pelle.
Si infilavano tra i suoi capelli, li tiravano piano e la cosa gli avrebbe dato fastidio, in altre occasioni.
Ora c’erano i deboli ansiti di Atsushi e la sua schiena che si inarcava, sinuosa come il corpo di un felino.
Atsushi era come un felino, gli ricordava un gatto in molti aspetti e certamente anche in quel momento.
Aveva le guance scarlatte per l’imbarazzo, ed era una cosa assolutamente adorabile.
Akutagawa non trovava le persone adorabili, non c’era nessuno che reputasse particolarmente bello.
Però Atsushi, in quel momento, era bello, in un modo capace di togliergli il fiato.
Suggellò la pelle chiara delle clavicole con studiata violenza, in modo da non fargli male.
Akutagawa non aveva conosciuto altro che violenza, ma con Atsushi voleva provare a essere migliore.
Per Atsushi.
L’albino strinse le gambe attorno al suo bacino, ansimando più forte.
Avrebbe potuto rimanere così in eterno.
L’unica nota dolente era il suono persistente e meccanico che sembrava sentire solo lui.
 
La sveglia non gli era mai sembrata tanto fastidiosa come in quel momento.
Akutagawa cercò di spegnerla, constatando che per la prima volta dopo tantissimo tempo era stato svegliato dall’allarme acuto.
Era parecchio infastidito, in un primo momento non ricordava nemmeno perché.
Poi i ricordi del sogno di quella notte riaffiorarono come una doccia fredda.
Che era quello di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento, tra l’altro.
Sentiva le guance che prendevano rapidamente colore, e quello non sarebbe mai dovuto succedere.
Non sarebbe dovuto succedere nulla di tutto quello che aveva sognato, perché Atsushi in fondo era un po’ come la sua nemesi.
Si odiavano, o quantomeno ogni occasione era buona per litigare o lanciarsi frecciatine.
Non si dovrebbero fare quel genere di sogni su qualcuno le cui uniche interazioni erano quelle.
Non poteva sognare, magari, di buttarlo giù dalle scale?
Sarebbe stato un sogno quantomeno rassicurante su quello che provava per Atsushi.
(fastidio, ira, voglia di prenderlo a calci. Solamente quello)
La doccia fredda sembrò l’autopunizione più giusta che potesse trovare, anche quando l’acqua gelida gli fece scappare un’imprecazione tra i denti.
 
Gin, quando non era alla Port Mafia, sembrava un’altra persona.
Più affabile, più femminile e più carina; a primo acchito sarebbe sembrata una ragazzina comune, senza nessun aspetto in particolare.
Akutagawa conosceva quegli occhi indagatori fin troppo bene per pensare che Gin, al di fuori della Port Mafia, fosse una ragazzina senza nulla di speciale.
Perché quegli occhi, dello stesso grigio metallico dei suoi, erano capaci di leggergli dentro come nessuno sapeva fare.
E, ovviamente, doveva farlo nei momenti meno opportuni.
-avanti, che ti è successo?- chiese con un mezzo sorriso sghembo, sedendosi scompostamente sul piccolo divano del soggiorno.
-nulla, assolutamente nulla.- borbottò Akutagawa per tutta risposta.
-e siediti composta.- aggiunse guardandola male. Come da copione.
Gin rimase seduta nel medesimo modo, guardando il fratello maggiore con un’espressione concentrata e assorta.
Akutagawa ebbe il sincero terrore che avesse capito tutto.
Scacciò subito quel pensiero dalla mente, non era poi così palese.
-sembri odiare il mondo più del solito da stamattina. Ti sei svegliato al suono della sveglia, cosa che non succedeva da quel giorno che sei rimasto sveglio quarantotto ore di fila. L’acqua della doccia era gelida e ho rischiato di andare in ipotermia. Avanti, che hai sognato?- chiese la più piccola, allargando di poco il sorriso furbo.
Akutagawa sottovalutava sua sorella, decisamente.
-io? Nulla. È stata una notte senza sogni, sì.- ribattè convinto. O almeno, così sperava di sembrare.
Non c’era modo che sua sorella se la bevesse. E infatti.
-non ci crederebbe nemmeno un bambino, Ryu. Sono tua sorella, con me dovresti confidarti!- borbottò la ragazza, incrociando le braccia al petto.
-cosa ti fa pensare di essere stata promossa a mia psicanalista personale?- chiese calmo il fratello.
Non poteva fare la sorella minore normale, cercare di farlo adirare e rubargli tutti gli effetti personali che possedeva?
Non che lo facesse già, in realtà.
-sto cercando di aiutarti, visto che hai la sfera emotiva di un cucchiaino e ti ci vogliono anni per capire da solo quello che provi. E quando lo fai, inizi a negare fino alla morte.- rispose Gin, avvicinandosi appena a lui.
Akutagawa sospirò e le fece poggiare la guancia sulla sua spalla. Era l’unica persona in cui riponesse così tanta fiducia, forse perché aveva passato tutta la vita a proteggerla.
-ho sognato Jinko.- disse fin troppo velocemente e con una tonalità troppo bassa.
Gin, però, aveva capito tutto. Non aveva nessuna abilità, ma i sensi molto più affinati delle persone comuni.
-il nuovo sottoposto di Dazai-san?- chiese la ragazza, e quando sentì il fratello irrigidirsi ebbe la conferma che fosse lui.
-e cosa provi per lui?- lo incalzò, con un tono che faceva capire perfettamente dove andasse a parare.
Dannata Gin e dannato lui che gliel’aveva detto.
-odio. Ira funesta. Voglia di prenderlo a calci in faccia. Solo questo.- sibilò quasi Akutagawa, mentre la sorella lo guardava accondiscendente.
-ne sono sicura.-.
Era anche sicura che prima o poi sarebbe uscito dalla sua fase di negazione.
 
Il corpo di Atsushi era felino, sentiva la schiena sinuosa inarcarsi sotto i suoi tocchi, e il ragazzo reclinare la testa all’indietro, lasciando scoperta la gola costellata di segni violacei.
Sembrava un felino, letale e agile.
Come una tigre, e la cosa era anche coerente.
Lo sentì trattenere un gemito, nel groviglio delle lenzuola nelle quali non si capiva dove finiva lui e dove iniziava Akutagawa.
Atsushi era come una droga, creava dipendenza allo stesso modo e sembrava elevarlo al Paradiso e farlo sprofondare nel baratro dell’Inferno.
E ne bramava di più, sempre di più.
Gli unici rumori che si sentivano nella stanza erano i cigolii del letto e i loro ansiti.
Poi venne la sveglia a rompere l’incanto.
 
 
 
melloficent says
Della serie: quando potresti scrivere una lemon ma ti vergogni come una ladra anche solo per questa roba, parte seconda.
Più la guest star “non ho rispettato il prompt perché facevano un po’ schifo”.
Chiedo umilmente perdono, i pomodori sono lì di fianco.
E tecnicamente dovrei scappare, quindi chiudo qui.
Al prossimo capitolo,
-Akemi
                                                                          
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 4/03; day six ***


The various fragrances of tea
 
 
prompt: the town where the wind blows ; crossover
shin soukoku week, day 6
implied? we just don’t know ; introspettivo, generale, malinconico
(non mi piace l’ending della seconda stagione nono)
 
 
Yokohama era una strana città.
Akutagawa ci aveva vissuto per tutta la vita, eppure non era ancora riuscito a inquadrarla bene.
C’era la miseria più profonda, quella in cui aveva vissuto lui, e lo sfarzo di cui il progresso si faceva paladino.
Yokohama era un’accozzaglia di cose, e senza aver quasi mai lasciato quella città, ad Akutagawa sembrava di aver vissuto centinaia di vite.
Anche se forse quello era tutto un privilegio del lavorare alla Port Mafia.
Aveva considerato più volte l’idea di andarsene, trovare finalmente la pace a cui aspirava da tempo e non essere più riconosciuto solo come il cane rabbioso della Port Mafia.
Aveva accarezzato quell’idea nelle infinite notti insonni, pensando a come sarebbe potuta essere la sua vita se avesse abbandonato Yokohama.
Magari avrebbe trovato un lavoro normale, si sarebbe costruito una vita degna di essere chiamata così e nessuno avrebbe più saputo nulla del cane rabbioso della Port Mafia.
Non sarebbe stato più lui, però, se avesse lasciato Yokohama.
La città dove soffiava il vento custodiva i suoi ricordi, tutto ciò che era e tutto ciò che per lui importava davvero, e la possibilità di vivere in pace era quasi disgustosa in confronto a non essere più lui, all’allontanarsi da tutto ciò che era importante.
Akutagawa odiava Yokohama, odiava tutti i ricordi che custodiva e che richiamava alla mente, tutta la sofferenza che veniva a galla visitando certi quartieri, i più poveri, dove c’erano ancora i bambini che cercavano di rubare per mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere e la miseria ovunque.
Solo che i bambini erano diversi da quelli che ricordava, ma tutti uguali.
A Yokohama, però, aveva tessuto quei pochi legami che gli davano ancora un motivo per tirare avanti, e non avrebbe mai potuto pensare di abbandonarla.
 
Tutto nella testa di Akutagawa era classificato e aveva un ruolo, perché se c’era qualcosa in cui credeva era che tutto dovesse essere ordinato per essere chiaro.
Preferiva non essere confuso su cosa pensare di una persona, gli piaceva inquadrare tutti subito.
Quello era uno dei tanti motivi per cui detestava Atsushi.
Quel ragazzo sembrava un puzzle. Era complicato, e quando pensava di averlo risolto vedeva che c’era sempre qualcosa che non andava, qualche tassello che mancava e che impediva di vedere la figura nella sua interezza.
Quello lo mandava in bestia.
Akutagawa odiava non avere chiare le cose, odiava non sapere chi si trovasse davanti.
E odiava non sapere cosa provasse per quella persona.
Atsushi era un enorme punto interrogativo in tutto.
Erano nemesi? Erano amici? Conoscenti?
Cosa erano?
Urlavano al mondo intero e l’uno all’altro di odiarsi, però lavoravano bene e non facevano altro che salvarsi a vicenda.
Probabilmente tutte quelle contraddizioni erano anche colpa di Akutagawa: aveva visto Atsushi dare subito fiducia a tutti, non rifiutare mai una mano tesa ad aiutarlo ed essere capace di abbandonarsi davvero a qualcuno, senza farsi centinaia di domande.
L’unico con cui, apparentemente, non ci riusciva era lui.
E forse –solo forse- era colpa sua, dei suoi modi aggressivi e dell’idea che accettare aiuto è da deboli.
E anche del fatto che aveva tentato di ucciderlo una o due volte.
Atsushi lo mandava in bestia, faceva riaffiorare la sua rabbia in modi che non credeva possibile.
Lo scioglieva dal ghiaccio di cui sembrava essere fatto, facendogli scoprire che in fondo era ancora vivo e che riusciva ancora a provare qualcosa che non fosse il vuoto che sentiva ovunque.
Immaginare la sua vita senza Atsushi era un po’ come immaginare la sua vita senza Yokohama: piacevole, certo, ma non più sua.
C’era qualcosa che gli impediva di immaginare un’esistenza appagante senza Atsushi, senza pretendere di essere nemici giurati, scontrarsi e allo stesso tempo aiutarsi in modi velati e assolutamente non assennati.
Non aveva idea di cosa provasse per lui, non sapeva nemmeno chi fosse, ma era diventato una presenza indispensabile nella sua vita.
Importante, forse.
 
Atsushi aveva visto Yokohama come un approdo di salvezza, dopo essere stato cacciato dall’orfanotrofio.
Se non si fosse diretto lì, tra il freddo e gli stenti, non avrebbe mai incontrato tutte le persone che erano importanti per lui.
Non sarebbe mai stato salvato da Dazai, probabilmente sarebbe morto in un vicolo per la fame, o avrebbe continuato a vivere ai margini, senza fare altro se non preoccuparsi di mangiare e trovare un posto riparato in cui dormire.
Yokohama era diventata la città del suo nuovo inizio, in cui poteva fare qualcosa di veramente costruttivo e rendere la sua vita importante e degna di essere vissuta.
Poteva non essere più un bambino impaurito, un debole. Poteva davvero fare qualcosa.
L’unica nota dolente era Akutagawa.
Non aveva mai capito cosa aveva fatto per meritarsi l’odio di quel ragazzo.
In generale non l’aveva mai capito e basta.
C’era qualcosa che lo irritava profondamente in lui, probabilmente il fatto che aveva fatto del male alle persone a cui voleva bene. E anche il fatto che riponesse in lui un odio alquanto ingiustificato perché, di fatto, Atsushi non aveva fatto nulla.
Non sapeva se volesse capire Akutagawa o meno, dava la sensazione di essere una persona rotta nel profondo.
Sicuramente non era felice, probabilmente non lo era mai stato.
Non era raro per persone nel suo ambiente, gli aveva detto Dazai –Atsushi sospettava che nemmeno lui fosse felice, se invocava la morte così platealmente.
Si ritrovò a pensare spesso a cosa sarebbe successo se Akutagawa fosse sparito, se uno dei due avesse avuto la meglio sull’altro.
Sarebbe stato tutto diverso, la sua vita avrebbe riavuto la tranquillità delle sue prime settimane a Yokohama.
Probabilmente non ne sarebbe stato contento.
 
 
 
 
 
melloficent says
Come al solito, i pomodori sono alla vostra destra, i lanciafiamme a sinistra.
Se per bruciare me o la storia non fa differenza, I crave death after this :D
Non mi piace per nulla ma, di nuovo, il prompt non mi ispirava per nulla.
Comunque, “the tower where the wind blows” è il titolo tradotto della seconda ending, che amo con ogni fibra del mio corpo (mai come la prima. Che ho imparato a memoria. Nonostante non sappia meno di nulla del giapponese), e per quanto sia possibile con me a scrivere qualcosa dovrebbe essere ispirata a quello.
Dovrebbe.
Francamente non vedo l’ora di pubblicare l’ultima storia domani, così posso tornare al mio dolce far nulla e cazzeggiare su youtube.
Non sono proprio fatta per fare qualcosa di costruttivo.
Al prossimo (e ultimo) capitolo,
-Akemi

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3643948