Autunno

di Madama_Butterfly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (1/3) ***
Capitolo 2: *** (2/3) ***
Capitolo 3: *** (3/3) ***



Capitolo 1
*** (1/3) ***


Pioveva, pioveva su Firenze. Pioveva così forte che ogni cosa appariva grigia e spenta, palazzi, case e parchi si confondevano, non si comprendeva dove iniziava o finiva la strada. Pioveva a dirotto, tanto da impedire la visuale a grandi distanze. Si, pare che debba sempre piovere quando le cose si fanno tristi e tragiche. Anche il tempo sembrava soffrire con noi. E io? Io dove mi trovavo, in tutto quello scrosciare di sofferta disperazione? Beh io ero qui, solo a sorseggiare del vino, di qualità scadente, sui gradini di marmo gelido di questo stramaledettissimo istituto. Nulla soffocava il dolore della mia anima, nemmeno il nettare di bacco. Tenevo sott'occhio il mio cellulare sperando di non ricevere quella chiamata. Dopo ore passate a deprimermi sotto la pioggia e sommerso dall'alcool mi accorsi che qualcuno era arrivato dietro di me, perché riconobbi subito il suo odore, e quando vidi la sua immagine riflessa sul marmo saturo di acqua piovana ne ebbi la conferma. Wolfgang era li che mi stava osservando, da chissà quanto tempo. Senza dire nulla si sedette al mio fianco, in una normale situazione l'avrei stretto a me e l'avrei baciato. Ma quella non era una normale situazione, non trovavo romantico un bacio sotto la pioggia quando la mia mente era impegnata su di un'altra persona. Lui sempre in silenzio mi strinse a se, io fissavo il pavimento e senza fare troppa resistenza mi lasciai trasportare nel suo abbraccio. -Charles, sei fradicio, andiamo dentro... potresti ammalarti- mi sussurrò in un orecchio, io non risposi lo strinsi semplicemente. Non mi importava di stare male, una parte di me stava morendo e io non potevo fare nulla per poterla salvare. Mi limitai a sospirare. Nel mentre il mio viso si rigava, da gocce difficili da distinguere dalla pioggia. Solo una persona avrebbe salvato la mia anima, e quella era un ragazzo magro e folle quasi quanto me. Nella mia mente si creò la sua figura e mi parve pure di vederlo uscire dalla grande porta in legno dell'istituto, sul mio volto si accese un sorriso ma subito mi resi conto che era solo un'allucinazione o il riflesso di un ricordo lontano, che mai più sarebbe tornato a me. In quel momento il telefono iniziò a vibrare e io mi staccai immediatamente dalle sue braccia per vedere chi fosse, il mio respiro era affannato e il mio petto era un dolore unico per quanto il cuore batteva velocemente contro il mio sterno. Un sospiro di sollievo mi sfuggì dalle labbra quando lessi il nome di mia madre sullo schermo, lei era preoccupata quanto me per la salute di Egon. Quella donna era l'unica che poteva meritare il mio amore. Mi tenne per alcuni minuti e io scoppiai in singhiozzi, solo lei era in grado di sfilare la mia maschera di arroganza e di follia con una semplicità impressionante, le bastava una parola, solo lei sapeva chi ero davvero. Mi asciugai le lacrime e tornai da Pianista, mi comparve un sorriso nel vedere i suoi lunghi capelli biondi, bagnati, il pittore lo definiva “chioma fatata” avrei pagato con l'anima la possibilità di sentirglielo dire. Mi avvicinai al mio amato musicista a gli accarezzai il viso, eravamo cresciuti. Da ragazzini che scappavano dall'amore eravamo diventati due uomini capaci di gestire le nostre emozioni. Gli sfiorai nuovamente il viso, delicatamente, io in quel momento mi sentivo ancora un bambino in preda alla sua paura più grande. Avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai con delicatezza cercando di cancellare per qualche secondo il pensiero che mi stava torturando da qualche giorno. Le nostre labbra erano unite in un gioco bagnato, da pioggia e lacrime. Non posso sapere ciò che provava il musicista in quel momento, perché mai me lo disse. -forse avevi ragione, entriamo...- sussurrai stringendogli le mani, ero tutt'altro che sobrio e mi girava terribilmente la testa. Wolfgang dovette prendermi di peso e trascinarmi, per potermi portare dentro. Mi portò in camera sua, non voleva lasciarmi nelle mie stanze dove avrei trovato altro vino e un letto maledettamente vuoto per il quale deprimermi. Preparò la vasca con l'acqua calda poi mi tolse gli indumenti fradici, facendo molta fatica, non ero molto reattivo in quel momento, ero molto simile ad un peso morto. Facemmo il bagno insieme. Quel ragazzo si stava dimostrando molto più premuroso del previsto nei miei confronti. La cosa che però mi stupiva era il fatto che non fosse per nulla geloso, o almeno era estremamente bravo a nasconderlo. Era da almeno una settimana che ero freddo con lui, tagliavo tutte le lezioni per ubriacarmi in qualche angolo della scuola, lo evitavo o almeno evitavo ogni tipo di contatto umano. Mentre mi stringeva tra l'acqua calda e la schiuma mi persi in un pianto sordo, troppe emozioni in un solo istante, non ero in grado di sostenere tutto quel peso da solo e solo in quel momento me ne resi conto. Il contatto con il suo corpo perfetto era estremamente piacevole, mi sentivo parte di una realtà meravigliosa tra le sue braccia. Quella sera finimmo per fare l'amore, dopo tanto tempo di distanza. A Wolfgang non importava che il suo compagno di stanza ci vedesse dormire uno stretto all'altro, così ci addormentammo o meglio io mi addormentai. Il giorno seguente lo trovai che mi stava osservando tacito con un sorriso delicato tatuato su quel suo viso di porcellana. -mi sei mancato...- sussurrò semplicemente prima di riempirmi la bocca con il bacio del buon giorno. Io ricambiai, ma ero nuovamente sobrio e questo significava che ero in grado di ragionare, pensare e ricordare. Così mi sono allontanato dalle sue labbra e lo guardai con un'espressione malinconica e leggermente distante, la vita è troppo fragile, si questo e ciò che mi passava nella testa. - scusa...- Sussurrai, mi facevo pena da solo. Mi sentivo inutile e imponente. Eravamo tutti immersi in una terribile reazione a catena. Io stavo male per il mio migliore amico ma allo stesso tempo stavo facendo del male al mio compagno. Per me vi erano solo tre persone al mondo importanti e che amavo più di ogni altra cosa, la prima era mia madre e subito dopo di lei vi erano Wolfgang ed Egon. Sapere che uno dei tre mi stava per abbandonare mi stava distruggendo l'anima. Il mio desiderio in realtà era quello di prendere le mie persone importanti e portarle con me in un luogo dove non esista né morte né malattia. Il musicista aveva compreso ogni cosa, e i suoi occhi non erano ne severi ne accusatori nei miei confronti anzi erano carichi di comprensione, avrei voluto perdermi in quello sguardo. Dopo quel giorno cercai di non isolarmi del tutto, anche se era terribile, l'unica persona che volevo al mio fianco era Egon e la sua arte, ma lui non poteva essere li con me. Vedere gli altri ragazzi che scorrazzavano per l'istituto con quei volti allegri e spensierati era qualcosa di indescrivibilmente angosciante, ero invidioso della loro serenità. Mi stava lacerando l'anima quella situazione. Il pittore era ancora vivo, anche se la diagnosi dei dottori era stata chiara e terribile. Gli mancavano pochi giorni di vita, ma la cosa peggiore era che doveva passarli a letto perché era troppo debole per muoversi o fare qualsiasi altra cosa. Proprio lui che amava vestirsi bene e fare il coglione con me, bevendo vino e facendo chissà quale disastro per l'istituto, era costretto all'immobilità di una stanza di ospedale con una terribile mantellina azzurra a pallini verdi. Io andavo a trovarlo ogni santo giorno anche solo per qualche minuto, la maggior parte delle volte dormiva o non mi riconosceva, però vi erano anche momenti in cui era lucido e riuscivamo a scambiarci qualche battuta di spirito e ridacchiare, anche se ridendo finiva per vomitare sangue e stare peggio. A lui non importava, diceva sempre che se doveva morire lo voleva fare ridendo e io ero l'unico che voleva al suo fianco. Ottobre, che mese interessante. Gli alberi cambiano il colore del loro manto, dal verde caldo dell'estate diventano una festa di rossi, marroni e gialli, l'autunno sarà sempre la stagione che rappresenterà il mio amato artista. Il ventinovenne ottobre ero li in quella stanza bianca e fredda, piena di macchine bippanti, lucine, flebo e altri macchinari, ci voleva una stanza solo per Egon. Lo stavano tenendo in vita a forza, anche se tutti sappiamo che quella non può essere definita vita. Io ero seduto accanto al suo letto, su di una poltroncina scomoda e dura, gli stavo stringendo la mano, piangendo silenziosamente, era peggiorato, ora ero sicuro di aver poco tempo per tenerlo stretto a me. Così scoppiai a piangere con più animo ma sempre in silenzio, nessun rumore o verso uscì da me, non avevo intenzione di farmi sentire, specialmente dall'artista. Appoggiai la testa sulla sua mano, mi sentivo così impotente. Quella pelle era talmente consumata dalle medicine che appariva grigiastra e quasi trasparente, si potevano vedere le vene premere in una disperata corsa contro il tempo. In quel momento Egon si svegliò e io rapidamente mi asciugai le lacrime, e lo guardai con un sorriso provato. Il suo volto incavato presentava un sorriso allegro, nonostante fosse maltrattato dalla vita lui manteneva la sua allegria e la sua vitalità. -ma che cazzo stai facendo? Non dirmi che il grande coglione Charles Chianiski sta piangendo per me? Dai non fare la femminuccia... non è la fine del mondo- Eccolo li nel suo solito ironizzare, stava rendendo banale una situazione che non lo era per nulla, ma lui era fatto così non voleva farsi vedere cupo e vinto nemmeno davanti alla morte. La sua voce era così flebile che mi si fermò il fiato per qualche secondo, e dovetti sospirare e prendere diversi grandi respiri prima di poter rispondere. Era decisamente lucido quel giorno. Feci un sorriso, si sistemai il septum nella speranza di ottenere un'espressione meno preoccupata, naturalmente fu un tentativo completamente fallimentare, ma Egon sembrava apprezzare il mio sforzo di non fargli pesare la malattia. -ma ti pare che io possa piangere? Semplicemente mi è entrata della polvere negli occhi. E poi noi dobbiamo vedere ancora la fine dell'universo insieme... io e te contro il mondo, come sempre...ricordi?- Il giovane pittore sorrise e gli si illuminarono gli occhi alle mie parole, annui semplicemente con la testa, diventava complicato fare qualsiasi forma di movimento. Se non fosse per gli attrezzi medici e per le pareti bianche poteva sembrare una qualunque conversazione tra ragazzi, già ma così purtroppo non la si poteva considerare. Io tremavo e non riuscivo a sopportare la vista del mio migliore amico in quelle condizioni tanto rovinose. D'un tratto io mi sono fatto serio e lui dunque si è incupito, era estremamente difficile vedermi serio. -Egon, io ti amo. Ti amo dal primo istante in cui le nostre strade si sono incrociate, amo il modo in cui ti vesti, il modo in cui mi rubi la fiaschetta del vino, amo svegliarti nel cuore della notte per fare qualche minchiata per l'istituto. Amo la tua fottutissima testa di cazzo... E quando ci siamo baciati e abbiamo fatto l'amore, non l'ho fatto per ingelosire Wolfgang ma perché ti amavo e ti amo. Magari ti amo in maniera diversa ma ti amo. Darei la mia anima per poterti salvare. Però una cosa te la prometto, ti porterò sempre con me, nei miei racconti... nella mia vita... sempre, perché sei dentro il mio cuore e ci resterai per sempre. Qualunque cosa succeda- sussurrai quasi tutto d'un fiato. Avevo gli occhi puntati sui suoi e non mi accorsi che Wolfgang era entrato nella stanza. Il musicista non disse nulla, mi accarezzò semplicemente una spalla. Non vidi la sua faccia, per nulla al mondo avrei staccato gli occhi dal pitore, però mi resi conto che nonostante avesse sentito le mie parole non era affatto geloso, presumo che fosse comprensivo o che l'avesse sempre saputo. Io amavo da sempre Egon solo che non era un'amore come quello che avevo per il compositore. Quella tra me e il pittore era un'amicizia folle e squilibrata, più volte avevamo giocato con il fuoco, ma mai avevamo fatto nulla di ambiguo o equivoco da dopo che io e il musicista ci eravamo messi insieme. -vi lascio soli...- sussurrò il musicista, mi depositò un bacio sulla nuca e sorrise al ragazzo prima di uscire dalla stanza. Io mi alzai senza pensarci e mi avvicinai al pittore, gli accarezzai il volto, terrorizzato dalla possibilità di fargli male, poi avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai delicatamente come mai avevo fatto prima, con lui, fu un bacio profondo ma estremamente dolce, Egon aveva il palato amaro per via delle medicine e del sangue che continuava a perdere, ma io non mi ritrassi, continuai a baciarlo e a stringerlo a me. Il ragazzo dopo un momento di riluttanza ricambiò il bacio e strinse quelle mani secche e gelide alla mia schiena in un abbraccio meravigliosamente eterno. -ti amo anche io e lo sai più che bene... però ti prego fammi un favore... facciamo l'ultima cazzata insieme, portami via da qui... non voglio morire nella stanza di un'ospedale- Mi sussurrò il pittore esausto, staccatosi da quel bacio che ormai era troppo per lui. Respirava a stento e annaspava nelle parole. Io lo guardai sgranando gli occhi. No, no, no... io non volevo che morisse... no... non ero pronto a perderlo, a parole era facile accettare la cosa ma dentro di me era quasi impossibile. Però cosa potevo fare? Morire in una stanza di ospedale non era una degna morte per uno come lui. Chiusi gli occhi per qualche secondo, dovevo ragionare e cercare di non piangere anche se mi era ormai impossibile trattenere le lacrime. Infatti il mio viso si rigò di sottili gocce salate. Tirai su con il naso un paio di volte prima di riuscire a smettere di piangere, gli diedi un bacio sulle labbra e lo strinsi a me. -domani ti farò uscire di qui, tu devi solo resistere ancora qualche ora- Sussurrai accarezzandogli il volto, Egon annui per poi distendersi sul letto stravolto. Era straziante vederlo in quelle condizioni, così indifeso e fragile. Ho aspettato che si addormentasse prima di andarmene. Uscito dall'ospedale trovai il compositore tedesco che mi stava aspettando, io mi abbandonai tra le sue braccia, tremavo e piamgevo peggio di una femminuccia. D'un tratto alzai gli occhi verso il mio amato. Lui mi stava stringendo a se con una dolcezza infinita, mi passava le mani tra i capelli in un religioso silenzio. Madonna, quanto mi erano mancati quei lineamenti marcati e perfetti, mi ero dimenticato di ogni cosa, ero troppo preso dal dolore per vedere quanto, invece ancora c'era di meraviglioso. Io evitavo un legame con lui da diverso tempo ormai, avevo paura di fargli vedere il buco che si stava creando nelle mie viscere, avevo paura di perdere anche lui. -amore, Egon mi ha chiesto di portarlo via da li, non vuole morire dentro quelle quattro mura. E io voglio farlo evadere, ma per una volta non ho il coraggio di fare questa cosa. Aiutami. Portiamolo via da li, facciamogli vedere il cielo un'ultima volta- Dissi singhiozzando, aggrappandomi alla sua giacca. Poi appoggiai la fronte sul suo petto ascoltando il sul cuore, mi persi in quel meraviglioso suono. Il musicista mi strinse così forte da farmi dimenticare per qualche secondo ogni cosa. Smisi di piangere, e iniziai a respirare più lentamente. -va bene, faremo di tutto per farlo uscire. Ma faremo in maniera tale da non finire nei guai. Userò un po' della mia influenza.- Disse semplicemente, mi strinse maggiormente a se. Una cosa era certa, lui sarebbe rimasto sempre accanto a me. Questa consapevolezza mi aiutò a prendere coscienza di me stesso e di riempire parte di quel baratro desolato e fatiscente. - ...ti... Ti ... Amo- Sussurrai con un filo di voce. Poi salimmo su di un taxi e tornammo all'Istituto.

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Capitolo 2
*** (2/3) ***


Quella notte non sono riuscito a chiudere occhio, pensavo e ripensavo a quell'ospedale, a quelle macchine, avevo in mente quel bip continuo e mi immaginavo legato ad una barella con la vita nelle mani di una macchina rumorosa e fredda. Questo mi portava a contorcermi nel letto, come in preda ad un incubo, effettivamente quella situazione era esattamente un terribile sogno, dove però la mattina tardava ad arrivare. 
Anche quella notte non la passai nella mia stanza, non potevo sopportare il silenzio assordante di quella gabbia di cemento. Grazie a dio da che Egon era all'ospedale i professori deliberatamente evitavano di fare ispezioni notturne nella mia stanza o in quella del mio amato compositore. Wolfy  mi strinse a se, cercando di confortarmi, e ci riuscì piuttosto bene perché il suo abbraccio in qualche modo riuscì a calmarmi facendomi prendere finalmente sonno. 
 
 
-Egon... no... Non bere tutto il mio vino... almeno...mh!- 
Stavo sognando, parlando e ricordando, tutto contemporaneamente. Odiavo terribilmente la mattina, perché i miei sogni si rivelavano un riflesso di una realtà ormai sbiadita e passata, troppo lontana e troppo sofferta. Quella mattina mi svegliai con le mani del tedesco che mi passavano lungo i fianchi, e le sue lebbra che si impossesavano delle mie in gesti delicati che si ripetevano quasi ritmicamente. sfarfallai le ciglia per qualche secondo, cercando di abituarmi alla luce del mattino che filtrava dagli scuretti delle finestre. 
-B-buon giorno... questo sarà un buon giorno vero?- 
Domandai incerto e spaesato, confuso da mille pensieri che bombardavano la mia mente instabile. Lui appoggiò la fronte sulla mia e mi sorrise semplicemente, un sorriso così caldo da far sciogliere anche il più duro dei ghiacciai. 
-sarà il gran giorno, oggi il 30 ottobre 2016 noi faremo la migliore delle azioni.- 
Le sue parole mi fecero ridere come un bambino, e subito corsi a baciargli quelle labbra, frutto delle mie più dolci fantasie. Lo tirai a me guardandolo negli occhi. 
-bene allora andiamo- 
Probabilmente Wolfy si aspettava un ringraziamento differente perché rimase letteralmente sbigottito e la sua espressione mi fece ridacchiare nuovamente. Gli scompigliai i lunghi capelli di fata e arricciando il naso lo guardai negli occhi. 
-su, alzati pigrone, oggi il tuo amato pianoforte non riceverà le tue attenzioni... abbiamo una missione- 
Lui si è limitato ad alzare gli occhi al cielo e ad alzarsi dal letto. Una cosa interruppe però quella calma e quel raro momento in cui mi si poteva veder ridere, la suoneria del mio telefono. Corsi immediatamente a vedere chi fosse, nessun numero in sovrimpressione vi era scritto "numero sconosciuto" risposi immediatamente, era l'ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, io sbiancai, Egon era sempre più debole e chiedeva ripetutamente di me. Quando riagganciai la chiamata, delle lacrime avevano già rigato il mio volto, e in giro di pochi secondi mi ritrovai, immortale, tra le forti braccia di Wolfy.
-dobbiamo sbrigarci, o morirà in quella gabbia orrida e fredda-
La mia vice era rotta dal dolore, se non fosse stato per abbraccio di Wolfgang mi sarei accasciato al pavimento, privo di ogni energia. Lui mi diede un bacio delicato sulla fronte, stringendo il mio copo magro, che non vedeva cibo da giorni, e sbuffò sonoramente.
-Cazzo Charles, capisco che tu non riesca a sopportare questa situazione, ma vuoi davvero morire anche tu? Giuro che se non mangi qualcosa non solo ti scordi che io ti aiuti a far evadere Egon dall'ospedale, ma puoi considerare la nostra relazione terminata qui. Perché io ti amo, ma non sopporto l'idea di stare con qualcuno che maltratti l'uomo che amo-
Era la prima volta dopo anni che lo vedevo sbottate in quel modo, Wolfgang è sempre stato un ragazzo serio e quasi taciturno, e quella reazione mi ha fatto esplodere il cuore in gola, chissà da quanto si teneva quella preoccupazione per se. Iniziai a singhiozzare come una bambina, e mi aggrappai alle sue spalle forti e ben definite. L'idea di perdere anche lui mi faceva girare vorticosamente la testa. 
-mangio, mangio. Non voglio perderti ti prego- 
La mia voce rotta dal pianto era la più flebile delle implorazioni. In quelle settimane tra ospedale e colpi di testa, mi ero imbottito solo di vino e di vodka, abbandonando qualsiasi altro bisogno fisico, mi stavo lasciando morire. Wolfgang decise così di mettermi davanti a questa realtà, con le parole più crude e chiare che il mio cervello, in quel momento tanto delicato, potesse recepire. 
-ora vestiti- 
Era freddo, e io solo in questo modo mi resi conto di tutto ciò che gli avevo fatto passare in quelle settimane. Tremavo ma non per il freddo, ma per il rimorso che avido mi stringeva lo stomaco. Cercai di stringermi a lui, da prima mi rifiutò, ma in seguito mi strinse a se e io mi abbandonai nel pianto più puro che i miei occhi abbiano mai conosciuto. 
Il bar dell'istituto d'arte era chiuso, così andammo a quello dell'ospedale. Wolfgang mi riempì di cibarie obbligandomi a mangiare tutto, io con riluttanza e con un leggero senso di nausea mangiai ogni cosa. 
Dopo la colazione ci devidemmo, io andai verso la stanza dov'era ricoverato Egon e lui a parlare con i dottori per richiederne il rilascio. 
Passai dal bagno prima di arrivare dal giovane pittore, la troppa agitazione mi fece vomitare ogni cosa che avevo mangiato. Mi lavai la faccia scoppiando in un nuovo pianto isterico, mi guardai allo specchio, il mio viso butterato dall'acne era scarno e pallido, e le occhiaie estremamente più evidenti del solito. Un rigolo di sangue mi colava dal naso, classica reazione dovuta a quella folle agitazione. Mi svitai il septum dal naso e mi lavai con attenzione dopo di che lo rimisi correttamente. Presi un grande respiro e mi allenai, sempre davanti allo specchio ad assumere un'espressione meno cupa e a dominare le lacrime.
La stanza di Egon era coperta da tendine bianche che impedivano a chiunque di vedere l'interno o al ragazzo di vedere all'esterno, presi un grande respiro ed entrai. Il cuore mi esplose quando vidi il lettino vuoto e molte delle macchine sparite. No, non poteva essere già morto, non poteva essere morto li in quel posto lugubre. Passarono minuti che a me sembravano eterni. Ero seduto accanto al lettino, con lo sguardo fisso sulla macchina cardiaca che di tanto in tanto lampeggiava ma senza più emettere suoni. Improvvisamente due infermiere irrupero nella stanza, con un barella dove giaceva il corpo dormiente del ragazzo. Mi asciugai due lacrime che ribelli si erano staccate dai miei occhi e un sorriso flebile illuminò il mio viso. 
Le infermiere mi fecero uscire qualche minuto, mentre riattaccavano il ragazzo alle macchine. Un'infermiera mi raggiunse, mi strinse le mani, il suo viso disse molto più delle sue parole, era sagnato da flebili ruge che aplificavano la sua espressione affranta.
-non gli rimane molto, 48 ore massimo, so che tu sei l'unica famiglia che ha, per questo ti abbiamo chiamato- 
Io non risposi, mi limitai a stringerle le mani a mia volta, non volevo piangere, altrimenti non avrei davvero più smesso. Entrai nella stanza e guardai le infermiere con un sorriso che sembrava più ad ghigno tirato.
-se staccate tutte le macchine quanto può resistere?-
Donandai incurante del fatto che Egon si fosse svegliato, ero stufo di vederlo in quella situazione tanto umiliante. Tirai fuori dalla borsa dei vestiti sgargianti e fuori dell'immaginario comune che avevo comprato, con l'aiuto di Wolfgang, proprio per il ragazzo. 
-sono della tua taglia, oggi si esce da qui- 
Mi voltai verso il pittore che acquistò un'enorme sorriso, carico di riconoscenza. Le infermiere cercarono di convincermi in ogni modo che quello che volevamo fare era sbagliato, ma non servì a nulla, d'altronde eravamo due geni del male io e lui.
-ma così... morirà prima-
Sibilò un'infermiera contrariata. Egon alzò a fatica una mano magra, troppo magra per reggere a lungo quello sforzo.
-ma ciò non toglie che io morirò lo stesso, ospedale o non ospedale-
La voce roca del ragazzo rieccheggiò nella stanza come il colpo di una pistola, a quel punto una delle infermiere iniziò a spegnere le macchine e mi aiutò a vestire il giovane. Proprio in quel momento entrò Wolfgang con un documento in mano, e con un sorrisetto soddisfatto dipinto sulle labbra.
-Egon caro mio, se firmi questo non faranno storie per il tuo rilascio- 
L'entusiasmo del compositore mi travolse in pieno, facendomi sorridere come un bambino. Però Egon storse appena il naso, crucciando le sopracciglia. 
-non so se sono ancora in grado di firmare-
Io non gli permisi di lamentarsi oltre, presi una penna dalla mia borsa e gliela misi in mano. Lui con un fatica immane riuscì a mettere una sigla abbastanza leggibile. Consegnammo il documento alle infermiere, adagiandolo sulla sua "carrozza" avevamo deciso di trasformarlo in una sorta di Cinderella, al maschile e decisamente omosessuale. Usciti dall'ospedale con mio immenso stupore, trovammo un'auto, si il mio compagno aveva noleggiato un'auto per portarci all'ultimo ballo di del mio caro pittore. Per tutto il viaggio Egon dirmì tenendo la testa sulla mia spalla, stringendomi la mano con la poca forza che aveva. In giro di poco ci trovammo nella campagna fiorentina, anche da li si poteva vedere imponenza di Santa Maria del Fiore il bellissimo Duomo di Firenze. 
Sistemammo alcune coperte sul manto erboso, e con delicatezza adagiammo il ragazzo su una di esse, lui si svegliò sorridendo appena. Il suo viso provato mi faceva male, ma cercai di vederlo come il solito e stravagante Egon. Wolfy, nel mentre io tenevo il corpicino scarno del ragazzo, preparava l'ultima cena. Io forse ancora speravo in un miracolo, che Dio mi regalasse altro tempo da passare con lui. 
Egon quasi non toccò nè cibo nè vino, ci provò seriamente ma il suo stomaco non reggeva più nulla. Quella che seguì fu una scena molto Disney, molto da Re Leone, in quanto eravamo tutti e tre coricati sull'erba a trovare costellazioni assurde, il bello era proprio inventarsi immagini nuove. 
Passai tutta la notte ad osservarlo dormire e a coccolarmelo, mi sembrava un bambino indifeso. Era così freddo e magro che avevo il terrore di romperlo ad ogni mio movimento, l'avevo coperto con molte coperte, Wolfy aveva davvero pensato a tutto. Mi addormentai qualche ora, appoggiando la testa a quella di Egon.

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Capitolo 3
*** (3/3) ***


 Le sue mani gelide mi sfiorarono il viso in un tocco quasi impercettibile, questo bastò perché io mi svegliassi. I suoi grandi occhi scuri sembravano ancora più grandi su quel viso scarno, tanto da poter solcare l'anima con un solo sguardo, e il suo sguardo, per quanto sofferente, era sempre in grado di trasmettermi emozioni troppo grandi per poter essere semplicemente descritte. Per quanto sentissi il desiderio di piangere, evitai, baciandogli quelle labbra secche con un tocco delicato e casto. 
-guarda-
mi indicò debolmente il profilo scuro di Firenze con il sol nascente alle spalle. Aveva gli occhi lucidi per quanto era emozionato, sembrava davvero un bambino che per la prima volta vedeva l'alba. Quello resterà sempre il mio ricordo più bello in assoluto, una notte impressa nel cuore di uno scrittore perso nei fumi dell'alcol.
Molte volte, nel corso di quei tre anni, avevamo passato le nottate sulla terrazza dell'istituto a bere fino allo sfinimento, perdendo la cognizione del tempo, rimanendo fin dopo l'alba, eppure quella fu la prima vera volta in cui entrambi vedemmo l'alba insieme. 
Mi duole ammettere che per tutto il tempo, passato con Egon quasi mi dimenticai di Wolfy, ma d'altronde avevo la vita da dedicare al compositore e chissà quante ore, invece al pittore. 
Egon si spense tra le mie braccia, proprio mentre osservavamo la città che aveva unito le nostre vite. Delle lacrime d'emozione bagnavano ancora il suo viso congelato quando il suo cuore smise di battere. 
-non può finire qui, no...no... sei un egoista, mi hai abbandonato e ora con chi distruggerò l'universo... mi manchi già da morire-
Sussurrai con le lacrime agli occhi quando la sua mano scivolo fredda dalle mie e mi accorsi che ormai mi aveva abbandonato per sempre. Da semplici lacrime tacite il mio si trasformò in un pianto straziante e disperato, stringendo a me il suo corpo senza vita. Wolfgang a fatica riuscì a staccarmi da lui e stringermi in se, dopo di ché chiamò l'ospedale che fece arrivare l'ambulanza, per l'ultimo suo viaggio. 
Egon ha sempre odiato i colori scuri, per quanto riguarda l'abbigliamento, ma la preside impose che fino al giorno del funerale tutti gli studenti dell'istituto si vestissero a lutto. Io naturalmente ero contro la massa e in quei giorni, indossai i vestiti stravaganti e variopinti del mio piccolo pittore. Mi guadagnai altre minacce di espulsione, ma nessuno aveva effettivamente il coraggio di cacciare dall'istituto il migliorie amico del defunto. 
Il giorno del funerale, mi trovai mia madre che mi aspettava all'ingresso, le corsi in contro e la strinsi a me scoppiando a piangere in un miscuglio tra emozione e disperazione, le ero grato che si fosse messa un vestito colorato, Egon voleva una festa piena di gente felice e ubbrica non un mortorio, si, lui avrebbe voluto questo anche il giorno del suo funerale.
La cerimonia si svolse al Duomo, eravamo talmente tanti che nessun'altra chiesa di Firenze poteva contenerci, Wolfgang non aveva badato a spese per il pittore e questo mi fece emozionare il doppio. 
Avevo pensato anche troppo al discorso in suo onore, ma niente, non ero riuscito a scrivere nulla, così pensai che l'improvvisazione sarebbe stata la scelta giusta.
La preside, parlò subito dopo la predica del prete, le parole dette da entrambi alle mie orecchie parevano un mucchio di assurdità. Egon non è mai stato me uno studente modello o un ragazzo che seguisse gli standard scolastici, e le parole di quelle persone che mai si erano interessante a lui mi stavano facendo innervosire.
-...vorrei chiamare il suo migliore amico, Charles Chianoski-
Furono le uniche parole di quella donna che effettivamente attirarono la mia attenzione. Mia madre mi strinse le mani e mi bisbigliò nell'orecchio raccomandazioni su raccomandazioni, relative al luogo sacro in cui ci trovavamo. 
-il Brunelleschi...- 
Era insolito cominciare un elogio funebre parlando di qualcun'altro differente dal defunto, ma Egon sapeva benissimo che io sono la persona più insolita, l'elemento dissonante in quell'istituto di figli di papà.
-...viene ricordato per questa meravigliosa cupola, che è il simbolo di Firenze- indicai il soffitto, con un sorrisetto soddisfatto nel vedere lo stupore dei presenti che non trovavano un nesso logico tra Egon e il grande maestro Brunelleschi -ma troppo spesso si dimentica che avesse un carattere egocentrico ed esuberante, per non parlare delle sua indole irosa... o dei suoi vizi, legati all'abuso di vino e altri aspetti poco apprezzati dall'ordine eclesiastico. Forse vi state chiedendo perché io vi stia parlando di lui, all'elogio funebre del mio migliore amico? Provate a pensarci un minimo, chiunque abbia assistito anche solo ad uno dei nostri scherzi, sa quanto Egon in realtà non fosse un bravo ragazzo, per me era il migliorie, ma questi sono punti di vista. Su guardatevi, giratevi verso la persona che avete affianco, quanti di voi conoscevano effettivamente il dolce pittore che il 31 ottobre è morto tra le mie braccia? La maggior parte di voi sperava di non incontrarci mai, eppure eccovi li che piangete. È un po' come quelle persone che apprezzano la cupola senza conoscere nel profondo l'architetto che l'ha pensata, respirata e creata.- 
Avevo assunto un'espressione truce e una voce cupa che evidenziava la mia rabbia nei confronti dell'ipocrisia che dominava sovrana tra le fila di persone che mi ascoltavano sbigottite. 
-nessuno si è mai fermato da uno di noi a vedere per quale motivo conducessimo una vita del genere, per voi siamo sempre stati due poveracci in una scuola per ricchi. Non vi interessava la nostra esistenza, le vostre vite lussuose non possono essere contaminate da due scarafaggi. Eppure Egon aveva il massimo dei voti, nonostante saltasse le lezioni, nei test si è sempre dimostrato il migliorie. E lo è stato anche per me, mi è stato vicino in momenti scomodi e difficili...- 
Per quanto mi stessi trattenendo delle lacrime iniziarono a scivolare lungo le mie guance magre, troppo magre. Dopo alcuni secondi in cui vacillai appena, ripresi a parlare.
-... non dimenticherò mai il suo sorriso e i suoi vestiti stravaganti, nemmeno il suo affetto... È stato il migliorie compagno di sbronze che io potessi desiderare.- 
Feci per scendere dal podio appena sopra la bara chiusa. Ma qualcosa mi fece cambiare idea e tornai sul pulpito.
-Brunelleschi ha avuto la fortuna di aver come mecenate Cosimo de' Medici... Egon aveva solo me. Vi chiedo, visto che siete qui, di pensare a lui come un grande artista, quando troverete all'università soffermatevi sulle emozioni che i suoi capolavori esprimono. E vi prego, divertitevi, solo questo vorrebbe Egon- 
Conclusi andando a sedermi tra Wolfgang e mia madre. Wolfgang, mi strinse con forza la mano, mordendosi il labbro inferiore, si voltò verso di me, aveva gli occhi rossi e lucidi.
-per me né Egon né tanto meno te siete mai stati degli scarafaggi o dei poveracci.-
Bisbigliò serio. Madonna la sua espressione seria lo rendevano terribilmente sexy. Io di rimando a quelle parole gli sorrisi accarezzandogli i lunghi capelli, strettamente legati mella coda. 
-infatti non parlavo né di te né delle poche persone con le quali abbiamo stretto una sorta d'amicizia- 
Sussurrai, allungandomi per baciargli una guancia.
 
La sera partimmo, io mia madre e Wolfy, insieme alla bara, verso Vienna. Dovevamo portarlo nel luogo dov'erano sepolti i suoi familiari, cosi era stato stabilito dal legale. Volammo sopra l'Italia arrivando in poche ore all'aeroporto austriaco, li ci stavano già aspettando con le attrezzature per prendere Egon e portarlo alla terra santa per la sepoltura.
Le statue bianche e fredde riempivano il cimitero, mi donavano un senso di vuoto e di dolore che nemmeno il peggiore dei risvegli, dopo una sonora sbronza potevano eguagliare. Gli alberi avevano perso anche l'ultima delle loro foglie, che erano cadute coprendo alcune lapidi senza nome, il verso dei corvi rendeva il tutto ancora più agghiacciante. Mi strinsi a mia madre, come un bambino spaesato, nascondendo il viso sulla sua spalla, perdendomi nel profumo dei suoi capelli corvini, Wolfgang si avvicinò passandomi una mano sulla schiena. Avevo pensato molte volte al giorno in cui avrei presentato il mio ragazzo a mia madre, ma mai avrei pensato di farlo in un momento come quello. Ero con le mie persone importanti, anche se mi sentivo comunque perso perché una di queste ormai non l'avrei mai più potuta stringere a me. 
Arrivammo alla tomba di famiglia di Egon, mi si strinse il cuore nel vedere i nomi di tutti i famigliari del ragazzo, specialmente nel notare l'età media in cui sono morti, la vita era stata crudele con lui e la sua famiglia. In quel momento mi sentii fortunato, strinsi la mano alla donna tanto, troppo mi aveva amato, piangendo silenziosamente, un pianto ormai senza lacrime. Quando infilarono la bara in quel cunicolo di marmo persi il respiro, chiudendo gli occhi per alcuni istanti. 
Posai alcuni fiori, che avevo acquistato poco prima, sulla lapide, vicino alla foto che non rendeva giustizia alla follia delle sue espressioni. Senza che io dicessi nulla mia madre prese per le spalle Wolfgang e lo portò via con se, lasciandomi solo.
-sei uno stronzo... Non mi avevi detto che sarebbe stato così difficile salutarti.-
La mia voce era rotta dal pianto e i miei occhi gonfi. 
-ora sarà tutto più difficile-
Diedi un colpo al marmo freddo accasciandomi per terra.
-ho promesso che ti porterò ovunque e che sarai sempre nel mio cuore, ma io ti voglio qui... mi hai lasciato troppo presto- 
Singhiozavo e avevo gli occhi coperti da una patina spessa di lacrime quando qualcosa, o meglio qualcuno, mi strinse una spalla in un gesto di conforto.
-Io non sono morto. Io vivo in te. Io so che tu riuscirai ha dare un senso a tutto questo. Ti amo Charles-
Non so se era un riflesso della mia mente instabile o se era effettivamente il suo spirito ad avermi detto quelle parole, so solo che quando mi voltai, non trovai nessuno alle mie spalle. Tirai semplicemente un pugno alla ghiaia che copriva il suolo del cimitero. Mi alzai e una folata d'aria calda mi invase facendo volare delle foglie, io sorrisi guardandole volare.
-addio amico mio.-
Sussurrai raggiungendo Wolfy e mia madre.
 
La primavera di quell'anno sia io che Wolfgang ci laureammo con il massimo dei voti. Qualche mese più in là pubblicai il mio primo libro e lo dedicai, al l'uomo che tanto aveva sconvolto la mia vita. Convinsi mia madre a divorziare da mio padre, e ci trasferimmo in Germania. Finalmente la vita aveva preso la giusta direzione, non era più incentrata solo sul vino e sulle corse dei cavalli. Grazie ad Egon ora vivevo veramente.  Ogni trentuno ottobre mi vesto con con qualche completo estroso, vado a vedere l'alba e poi prendo il mio maritino (no non ci siamo sposati, ma a me piace chiamarlo così)  e andiamo a bere e a divertirci in onore del giovane pittore che ha colorato e dato forma alle nostre vite.
 

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