New Danger (Nas' songs inspired)

di ZeldaFitzgerald
(/viewuser.php?uid=829275)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chocolate ***
Capitolo 2: *** Spring ***
Capitolo 3: *** Cars ***
Capitolo 4: *** No Air ***
Capitolo 5: *** Changes ***



Capitolo 1
*** Chocolate ***


Per il terzo giorno di fila sei seduto  su quella sedia ocra, nell’angolo destro della sala, spalle al muro, testa buttata di lato con la fronte che preme contro la superficie fredda della vetrata che dà all’esterno, gli occhi leggermente socchiusi. Ti specchi distrattamente in quel riflesso sfocato e provi a immaginare come potresti apparire a chi, dall’altra parte del vetro, sta camminando frettolosamente in quella via affollata tra le luci dei lampioni e il ticchettio della pioggia che batte sul marciapiede. 


Il laptop acceso, sul tavolino di fronte a te, in sequenza scene senza alcun senso, dopo aver visto un paio di video su come fare freestyle hai pensato bene di lasciare andare la riproduzione casuale del tubo e di abbandonarti a quei pensieri distratti un minuto troppo lenti, quello dopo troppo veloci. Il via vai di gente continua a scorrere proprio davanti ai tuoi occhi senza che in realtà tu ti accorga di nulla, niente cattura la tua attenzione, nessun dettaglio si insinua tra le ciglia, lo sguardo è statico, fisso. Sembri essere perduto. 



Una tazza viene poggiata sul legno, il tonfo ovattato dal suono della musica proveniente dalle cuffiette, una mano eterea, elegante,  ad accompagnare il gesto;  tu rimani sognante a concentrarti sul contrasto tra il caldo della caffetteria e il freddo del novembre norvegese. Porti la tazza alla bocca, increspi il labbro superiore, non bevi caffè, avranno sbagliato ordinazione. 


Scrolli la testa come per mandar via quel tepore che ti aveva disteso i muscoli, sbatti un paio di volte le palpebre come per prendere nuovamente coscienza della realtà che ti circonda e volgi lo sguardo verso il bancone in cerca di quella mano che ti ha servito la bevanda sbagliata. E’ tutto molto meccanico, non calcolato, quasi inanimato fin quando qualcosa inaspettatamente cambia.



Come in quei film d’autore in cui la camera chiude sui dettagli hai impressa a fuoco nella tua mente l’immagine del verde della tua pupilla che si dilata, un brivido strano che ti scorre lungo la nuca e si ferma a contatto con il girocollo bordato della tua tshirt bianca preferita quasi come fosse una goccia che scivola via, lenta e soave, da un cubetto di ghiaccio. Dall’altro lato, l’azzurro. Un colore strano, intenso per quanto freddo, disarmante nella sua purezza, dritto a mischiarsi col verde della tua iride. Provi a seguire le linee delle ciglia e a vedere dove ti portano, una fronte bianca come il latte, un paio di sopracciglia bionde, un ciuffo rollato all’indietro color del sole. Inclinando la testa verso sinistra di una frazione di grado infinitesimale fai scivolare impercettibilmente il tuo sguardo lungo la linea delle guance fino a incontrare il rosso vermiglio della sua bocca, che d’improvviso si schiude in un sorriso. 



Un solo momento durato un’eternità.



Posso aiutarti?


Una voce vellutata, delicata nonostante la durezza dei suoni della lingua, sostituisce il sordo rumore delle cuffiette e si insinua nella tua testa, scrolli le spalle di nuovo e in un battito di ciglia l’oggetto delle tue attenzioni se ne sta in piedi davanti a te con un grembiule nero e una tazza di latte e cioccolato, “Perdonami” ti dice abbozzando un sorriso, “ho confuso i tavoli”. Ti soffermi nuovamente sul rosso fin quando, quasi come fosse una conseguenza naturale relativa al guardare qualcosa che ci dà godimento, sposti lo sguardo sulle mani, riconoscendo quella stessa mano che ti aveva servito cinque minuti prima. 


A nord nuovamente, lungo le vene del braccio, bianco come la neve a contrasto con la manica di pece che ne copre la metà superiore, la spalla possente che sfocia nell’ampio petto scolpito, perlomeno è ciò che intuisci nascondersi dietro le trasparenze del tessuto consumato. Dura tutto una frazione di secondo ma sei sicuro di aver registrato perfettamente ogni singolo particolare quasi sezionandolo per poi svilupparlo nella camera oscura della tua mente con l’unico desiderio di poterti avvicinare e sentirne gli odori, assaggiarne i sapori. 


Latte con cioccolato, vero? Ordini sempre lo stesso


Ti ha colto di sorpresa e sei costretto a lasciare andare i pensieri che corrono veloci e a concentrarti su quella conversazione che, seppur minima, crea in te tanta insicurezza. Sorridi di nuovo, togli finalmente la cuffietta dall’orecchio destro e ti lasci sfuggire un “Sei nuovo, vero?


Ti sorride di rimando e si allontana, lanciando un’occhiata alla schermata Youtube e poco prima di raggiungere il bancone gira su se stesso e indicandoti lo schermo serra i pugni, pollici in su e sussurra “Bella scelta!”, allora in preda all’ansia preghi che sia qualcosa di decente, lo sguardo sul dispaly per controllare cosa stia andando sul tubo, un sospiro di sollievo, Nas rappa le sue strofe. 


Rimetti la cuffietta e provi a finire quel capitolo che avevi iniziato due ore prima ma senza successo alcuno, l’intermittenza della barra nera sulla pagina bianca altro non fa che riportarti alla mente il contrasto fra la sua pelle di luna e il cotone nero, un soffio d’aria gelida ti si insinua tra le dita della mano destra, la porta della caffetteria si è appena chiusa. Sono le 7 di sera e fuori è già buio pesto, un ragazzo con un grosso cappotto nero appoggiato al lampione, gamba tirata all’insù si sta accendendo una sigaretta. La luce gli illumina la parte sinistra del viso, è lui. Istintivamente stacchi la presa del pc, prendi la giacca di jeans, infili il cappello bordeaux con la visiera rigorosamente al contrario e ti precipiti fuori dalla porta. 


Ha smesso di piovere.


Scusa hai da accendere?

Pessima domanda, tu neanche fumi e a lui basta uno sguardo per capire, certo, non avere sigarette di sicuro non ha aiutato. 


Ti fissa dritto negli occhi per trenta secondi che sembrano non finire mai e contemporaneamente non durare abbastanza a lungo e senza battere ciglio né tantomeno distogliere lo sguardo, ti sussurra “Henrik” accompagnando le parole con un lieve cenno di assenso del capo.


Tarjei” ti limiti a rispondere permettendo alla luce fredda del lampione di svelare il tuo sorriso. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Spring ***


Per forze di causa maggiore hai dovuto rinunciare a quel piacevole appuntamento quotidiano con la mano diafana che ti serve il latte caldo con cioccolato per più di una settimana, ne hai contato le ore, i minuti e persino i secondi cercando di ricreare attraverso le immagini scandite dal ticchettio delle lancette l’esatto istante in cui lui avrebbe fermato il suo operare per dedicarti un pensiero. La tua anima romantica è convinta che avvenga ogni volta che il tuo orologio segna le 19:01, il minuto in cui, circa 192 ore prima, ti eri precipitato fuori dalla caffetteria, attraverso la porta vetrata e avevi visto un raggio di sole spezzare il buio di quel freddo inverno. Hai così deciso di impostare l’allarme del tuo iPhone 6 golden pink ogni giorno alle 19 in punto in modo tale da avere il tempo di sgombrare la mente da ogni pensiero superfluo e cercare di stabilire una connessione che ti portasse direttamente dall’altra parte della città sotto forma di vibrazione. Inutile dire che fino ad adesso non avevi mai sentito niente di speciale. Puntualmente due minuti dopo sei lì a maledirti, testa bassa, mani fra i capelli di grano, per non avergli chiesto il numero né tanto meno per aver provato a far si che fosse lui a farlo. Probabilmente se non fosse stato lui, con il suo ciuffo all’indietro a pronunciare rocamente quel nome così comune, non avresti neanche idea di come si chiami. Quel ragazzo continua ad impegnarti la mente, le idee, i pensieri. E’ presente persino nei gesti e nelle movenze altrui, mai nei sorrisi.
 

Ti cerco nei sorrisi degli altri che non sorridono mai come te, quanta verità.
 
 
Dovresti concentrati sullo studio ma la telefonata di Julie di due giorni fa ti ha totalmente distolto dall’obiettivo. Ti ha chiamato per dirti che Isak sarebbe stato il main character della terza stagione, se ne eri contento e se fossi disponibile a metterci dentro molto più te di quanto non fosse necessario per gli altri personaggi. Certo, Marlon aveva reso Jonas uno skaterboy, David ha reso Magnus così adorabile e Josephine Noora così indie ma per Isak è necessaria un’introspezione maggiore, Isak affronterà una volta per tutte la sua omosessualità. Ne sei stato entusiasta, tu questo processo l’hai affrontato due anni fa, quando il giorno del tuo compleanno ne hai parlato con i tuoi. Sapevi non essere qualcosa di così spaventoso ma avevi bisogno di essere onesto, di liberarti in un certo senso. Tarjei, senza etichette. Tarjei che ama qualcuno che somiglia anatomicamente a lui, Tarjei che ama e basta. Un paio di minuti, sorrisi e abbracci sentiti, estranei ad ogni tipo di compassione decisamente non necessaria in questo tipo di situazioni.
 
 
Julie aveva un problema. Non aveva Even. O meglio, le mancava il suo interprete dal momento che la caratterizzazione del personaggio era fin troppo definita. Avevate così speso gli ultimi due giorni a girare il trailer per la terza stagione, tra mutande bianche e pistole ad acqua che spruzzavano latte sulla tua faccia, un momento che hai definito iconico.
 
 
Undicesimo giorno lontano da quella caffetteria. Hai capito che ne hai abbastanza ma decidi di cambiare orario. Se le sette di sera non hanno funzionato bisogna modificare qualcosa. E’ mezzogiorno, ora di pranzo per chi vive tra i fiordi e ti sembra il momento giusto per provare a sconvolgere il destino.
Esci frettolosamente, un bacio veloce sulla fronte a tua madre, lo snapback bordeaux ben saldo sulla testa, quel cappotto cammello che tanto ti piace a coprirti le spalle.
 
 
Inspiri profondamente mentre te ne stai lì, davanti alla grande vetrata cristallina a cercare il coraggio o forse a tenere a freno l’euforia dovuta dall’incertezza del risultato prima di entrare dentro. La caffetteria pullula di gente, di anime che vagano sole e di altre che si fanno timidamente compagnia. Non c’è energia. Non c’è caos. Solo una calma confusa che da troppo tempo ti è familiare. Senza preavviso i tuoi occhi iniziano a vagare in cerca dell’azzurro dei suoi, stupidamente si posano su ogni traccia di biondo, su ogni tessuto muscolare candido neve. Non c’è emozione e non c’è brivido, è un meccanismo involontario e ostinato, una ricerca vitale come quando si desidera un bicchiere d’acqua fresca sotto il sole torrido di mezzanotte. Non ci sono le sue vene verde mare a pulsare sotto una camicia azzurra forse troppo aderente, né i suoi canini vampireschi a contornare il solco delle sue labbra. Ti siedi, sandwich con salmone e salsa yogurt, qualcosa che possa impedirti di essere divorato dall’ansia. Dai un morso, il telefono squilla. E’ David, hai dimenticato che dovete andare a parlare con Julie alle 13, dovete pranzare con lei. Prendi su il cappottone, dai un altro morso e esci da quel castello di vetri.
 
 
Cazzo, le cuffiette. Torni indietro, pensieri su un altro pianeta. Uno scontro, un urto. Leggero, soave, ti imbatti in un profumo, nulla di materiale eppure qualcosa di estremamente concreto. E’ lontano impresso nella tua memoria ma fresco, recente allo stesso tempo. “Hai dimenticato queste, ti ho visto correre via. Non ho fatto in tempo a salutarti”. Eccolo, il brivido, la scossa sulla pelle, la sensazione di caduta nel vuoto, lo stomaco in subbuglio post montagne russe, il vento caldo che congela i movimenti. E’ lui. Alzi lo sguardo, guance arrossate perfettamente attribuibili alla corsa di pochi secondi prima. Sei salvo, o forse no. E’ davvero così spaventoso rendersi vulnerabili davanti a chi provoca in noi certi spossamenti? Davvero fingere di essere forti e distaccati è ciò che ci rende attraenti? Sei lì fermo su questi pensieri quando il profumo è ormai vicinissimo a te, si insinua nelle narici e inebria gli occhi, la bocca, giù veloce dritto nei polmoni.
 

Grazie” azzardi con voce troppo roca per non sembrare rotta.
Ho iniziato a lavorare in cucina, ho cambiato il turno” ti fa mentre accende quella sigaretta che giorni prima vi aveva fatto da galeotto. Una moderna storia di Lancillotto e Ginevra se non fosse che le vostre parole d’amore stavano a zero. Le fantasie del suo corpo contro il tuo eri costretto a tenertele strette e per te, almeno per ora.
 
Non hai finito il sandwich, cattivo?” si apre in un sorriso, passa la mano indietro tra i capelli e soffia via il fumo dalla bocca, mentolo. Mentolo che si mischia alla vaniglia delle sue braccia, alla lavanda dei suoi capelli. Scorza di limone a colorarne i contorni del viso. Henrik, il ragazzo della caffetteria sa di primavera nell’asetticità dell’inverno.
 
 
Contrariamente ad ogni tua aspettativa ti liberi dall’impaccio dovuto alla tua natura di animo gentile e prendi in mano la situazione come ogni ragazzo di 17 anni che si rispetti. “Henrik” il suo nome ti ha riempito la bocca, è stato strano, eccitante, fresco, come un frutto succosissimo. Schiarisci la gola e poi ancora, “Henrik, non è che mi daresti un passaggio? Ho un appuntamento e sono in ritardo”.
 
 
Ti guarda per un paio di secondi, chiaramente incerto sul da farsi poi rimanendo fisso con lo sguardo su di te fa un paio di passi all’indietro, ti guarda e ti fa “Andiamo”. Resti inebetito lì sul marciapiede per qualche secondo, perso nel fumo ormai troppo distante di quel tabacco misto a menta ed è lì che i pezzi del puzzle si intersecano perfettamente, il quadro non è completo ma almeno inizia a prendere forma.
 


Even, sussurri piano al vento, prima di correre per raggiungere la macchina.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cars ***


Senti… volevo proporti una cosa
 
Ti affretti a dire, testa bassa, dopo avergli rivolto una rapida occhiata. Hai accompagnato la portiera senza grazia e ti sei messo la cintura di sicurezza aspettando una risposta che tarda ad arrivare. In realtà il problema è che non sai come ascoltarla, non hai ancora imparato che lui parla con gli occhi, che si esprime inarcando o distendendo le sopracciglia bionde.
 
Hmm…” Capisci che ti sta fissando, senti il blu dei suoi occhi scendere piano sulle linee della mascella e puntare dritto alla tua bocca in attesa che si schiuda in nuovi suoni. Sta aspettando anche lui, ora lo sai. Ciò che non ti è chiaro è cosa stia aspettando tu.
 
Continui a ripeterti di parlare, di far rumore, di provare almeno a sorridere mentre lui è concentrato ad osservare ogni singolo spasmo dei tuoi muscoli facciali con un’intensità tale da farti irrigidire completamente.
 
 
Com-ple-ta-men-te.
 
 
Il cappotto cammello nasconde le tue emozioni, mani serrate in pugni dentro le tasche, il bacino ben coperto. Sei salvo per la seconda volta nel giro di venti minuti. La macchina è ancora ferma nel parcheggio, immobile come il corpo di lui, il busto girato verso di te, unico suono quello del metallo delle chiavi che ritmicamente fa tamburellare sul manubrio di pelle.
Un ticchettio che ti fa ricordare che sta ancora aspettando.
 
 
Ti va di fare un provino?” sbotti provando a sembrare rilassato mentre in realtà un brivido di agitazione ti attraversa il corpo. “Stavo pensando…” continui senza esitare dando per scontato che sappia di cosa stai parlando “sai, parlando con Julie, stiamo cercando un volto per un nuovo personaggio e si.. beh, insomma secondo me dovresti provare”. Non è presunzione la tua o qualche stupido istinto megalomane dovuto alla grande popolarità di cui godi, semplicemente non sei in grado di articolare chiaramente i pensieri. Quando sei davanti a lui perdi lucidità, annaspando quasi fossi un maratoneta a corto di fiato.
 
Senza dargli il tempo di intervenire concludi, mentendo spudoratamente che non sai ancora che ruolo avrà nella storia. Ti giri velocemente a guardarlo, i suoi zigomi rigonfi, i canini sporgenti, gli occhi come fessure da cui entra solo luce, sta sorridendo.
 
 
 
E’ estremamente lusingato, palesemente entusiasta dell’idea eppure senti che ti sfugge qualcosa, sei talmente impegnato ad ammirarne l’armonia dei lineamenti da non essere ancora in grado di leggerne le micro-espressioni, quelle che non sono visibili a tutti, quelle che imparerai ad amare quando lo conoscerai meglio.
 
Nella sua testa migliaia di pensieri, a te oscuri, un turbinio di ansie e paure miste ad eccitazione dovute alla notizia allettante appena udita. Emozioni che traspaiono se si guarda attentamente la fossetta sinistra a ridosso della bocca, quella che divide il sorriso da quell’arcipelago di nei che ne rendono il viso ancora fanciullesco, pulito.
 
Faccio una chiamata” annuncia prima di scendere dalla macchina, socchiudendo con delicatezza la portiera. Un chiaro invito ad ascoltare la telefonata, o almeno è quello che vuoi credere. Provi a non respirare, a non muoverti, a far sbollire l’eccitazione precedentemente provocatati dal leggero fiato di lui a contatto con i tuoi riccioli sulla nuca eppure non riesci a capire con chi stia parlando. Provi a staccare la mente abbandonandoti ad un flusso di pensieri che si interrompe quando la mano di lui poggiata sul tuo ginocchio ti invita ad accendere la radio, mentre un sorriso innocente accompagna il suono del motore che viene messo in moto.
 
 
 
Una volta entrati nell’edificio lo accompagni da Julie, vi incontrate a scuola di solito, serve a farvi prendere familiarità con l’ambiente, specialmente a chi non ne è regolarmente uno studente.  E’ incredibilmente a suo agio, nulla di sorprendente. E’ spavaldo, sicuro mentre le sue lunghe gambe percorrono il corridoio che porta all’aula C. Ne studi le movenze e la rigidità delle spalle aspettando che svanisca dietro la porta vetrata che lo divide dall’ingaggio che reputi fin troppo sicuro. La sua mano calda sulla maniglia di metallo fredda, ne riesci quasi a percepire il divario termico quando improvvisamente lo vedi indietreggiare, un passo impercettibile, un lungo respiro prima di entrare. Ha esitato, si è concesso di essere vulnerabile quando credeva di non essere visto e tu l’hai sentito. Quella connessione che hai disperatamente cercato alle 19.01 negli ultimi dieci giorni si è finalmente verificata, con il sole ancora alto in cielo, con lui a pochi metri di distanza.
 
 
Un interruttore, un click.
E’ lui.
 
 
Non ci sono più dubbi, guardi attraverso il vetro, lo vedi intento ad ascoltare Julie, i tuoi occhi fissi sul suo sguardo, ne cogli un’impercettibile sfumatura. Ti si gela il sangue nelle vene, stai imparando a leggere il volto di bambino di quell’Elvis biondo ma non è questo a farti tremare. Continui a scrutare ma ne sei piuttosto sicuro, le sopracciglia non mentono.
 
Ha rifiutato la parte.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** No Air ***


Esci istintivamente dall’edificio, in cerca di aria fresca, di una possibilità per tornare a respirare. Cerchi ossigeno come se ti fosse venuto a mancare, un pugno in pieno petto che fa smettere ai polmoni di funzionare per quella manciata di secondi che basta a renderti incredibilmente vulnerabile, gli occhi spalancati, lo stomaco aggrovigliato. Di nuovo in preda all’istinto animale porti la mano destra sul fianco, delicata va a stringere la milza dopo una lunga corsa contro le emozioni che ti ha sfiancato e continua a succhiarti via linfa vitale. Non sarebbe stato forse più facile parlargli ? Chiedergli il perché del rifiuto? Cosa mai avrebbe comportato quel fianco scoperto se tanto gli organi ti stanno implodendo lo stesso?
Quanto vorresti essere un accanito fumatore per dare motivo ai tuoi polmoni di collassare senza sforzi, in totale libertà, quasi senza dolore… ma tanto tu il dolore non lo senti a meno che non abbia a che fare con lui, vero Tarjei?

 
Tiri su col naso, ti rimetti in posizione eretta e ti avvii verso la porta della tua scuola sempre tanto familiare eppure estremamente spaventosa nel grigio pomeriggio di Oslo.
 
 
Kebab? La sua voce calda ad accoglierti all’ingresso dell’edificio, ancora pochi metri e il tuo corpo sarebbe entrato a contatto con l’aria tiepida dell’atrio e invece ci ha pensato una voce a scaldarti, un suono tanto piacevole da farti arroventare il cuore istantaneamente, senza sforzi, senza possibilità di resistervi.
 

Mmm-h ti limiti a mormorare e inizi a seguire le sue lunghe gambe lungo il cortile che separa l’edificio dalla strada, stranamente deserta. Ti concentri sulla sinuosità del muscolo della coscia, sull’eleganza gelida del polpaccio che sfocia nella caviglia bianca lasciata volutamente scoperta, ne accarezzi platonicamente la rotondità dell’osso e torni immediatamente su, fisso su quell’unico ricciolo che fuoriesce dal cappello di lana blu e ne esamini le tonalità di grano provando a chiudere gli occhi quasi come se potessi sentirne la setosità.
 

Ci sei? Ti fa senza voltarsi. Una nota vulnerabile nella sua voce, il dubbio che tu potessi non essere dietro di lui, si è tradito. Come un serpente cogli il momento adatto per attaccare e senza pensarci due volte, sicuro, gli chiedi Perché hai rifiutato la parte?
 

Si ferma, uno scatto veloce, intuisci dal movimento delle spalle che si è concesso un momento per respirare. Strano come nelle situazioni in cui ci sentiamo più vulnerabili la prima cosa che venga a mancarci sia proprio il respiro. Cos’è a renderlo così insicuro? Cosa gli fa mancare l’aria?

 
Scoppia in una fragorosa risata mentre continua a darti le spalle, sembra che tutto quell’alone di insicurezza che lo aveva reso innocuo ai tuoi occhi fino a pochi istanti prima sia svanito annientato dalla luminosità del suo sorriso nascosto dietro la nuca. Nell’istante esatto in cui si gira verso di te hai la consapevolezza che mai sarà il tuo porto sicuro, sarà sempre l’onda anomala che scompiglia il tuo destino.

 
Effettivamente hai sempre detestato l’idea dell’amore che dà sicurezza, della calma piatta e della placidità statica che rende ogni rapporto dormiente nonostante la vivacità dei primi tempi. In soli diciassette anni di vita sai bene essere difficile farsi un’idea assoluta sull’amore ma se c’è una cosa di cui sei certo è che mai ti accontenterai della quiete se puoi avere la tempesta. Fatalista nell’animo inizi a credere di averlo trovato il tuo tsunami emotivo negli occhi blu di quel biondino sconosciuto e sei contento di essere null’altro che una zattera di legno in balia delle onde.
 

Schiarisci la voce e mentre stai per fargli la stessa identica domanda lasciata troppo a lungo senza risposta, una prima forte onda si infrange contro le pareti del tuo cuore, la mano di lui che stringe il tuo polso, i tuoi polmoni di nuovo in sovraccarico che annaspano cercando aria come dopo un’immersione troppo lunga. Alzi timido gli occhi in direzione dei suoi, la testa ancora bassa, il mento di lui di una spanna sopra i tuoi capelli.

 
Devo dirti una cosa, esclama serio interrompendo ancora una volta le tue parole a mezz’aria. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Changes ***


Ci sono dei momenti in cui alle nostre labbra non sono concessi altri movimenti se non quelli che permettono loro di incastrarsi perfettamente con le rotondità turgide e delicate della bocca di qualcun altro. E’ come se godessero di vita propria, di un’autonomia inconfutabile che le porta a prendere decisioni che non prevedono il nostro consenso mentre noi ce ne stiamo lì inermi ad assecondarne le voglie. Funziona così da sempre, i baci sono una questione di chimica, di desiderio, frutto dell’atto cieco e irrazionale che ci porta a bramare il rosso altrui, non è vero Tarjei?
 
Come si fa a ricreare una tale chimica in scena quando si è terrorizzati dall’idea che dall’altra parte non ci sia lo stesso trasporto? Ma soprattutto come si fanno a desiderare incastri con pezzi di labbra che non sono quelli di Henrik ?
 
Ti è bastato il primo sguardo, quel giorno in Caffetteria, ti sono bastati i tocchi delicati delle sue mani sul tuo polso, la vista di quelle venature azzurre che adornano i suoi bicipiti, i canini sporgenti che danno carattere al suo sorriso. Le labbra però… le labbra hanno vita propria, lo abbiamo detto prima no? Le sue labbra sono una calamita, il tuo amuleto, la tua tempesta. Sono giorni che pensi all’audacia che hanno quando si schiudono in un sorriso, alla delicatezza che trasmettono quando si toccano piano per emettere i suoni duri di una lingua che di romantico ha poco ma che a te sembra incredibilmente musicale quando tocca le corde della sua voce. Che sia amore o infatuazione a te poco importa, sei consapevole che le etichette negano piuttosto che affermare e allora a tutto pensi meno che  a definire quella sensazione che ti stringe lo stomaco, che ti impedisce di rimanere con i piedi ben saldi a terra. E’ tutto un fluttuare, un navigare in acque sconosciute e inebrianti, un sentire profumi nuovi, belli, i suoi.
 
Come in ogni incantesimo d’amore che si rispetti la razionalità ha ceduto il posto all’insicurezza che ti spinge a pensare e a ripensare ad ogni suo gesto nei tuoi confronti, alle sue attenzioni e alle sue mancanze, alle cose dette e alle omissioni a quello che non è e che potrebbe essere, dovrebbe essere.
 
E’ questo quello a cui pensi mentre ti truccano prima di girare una delle scene fondamentali per la storia di Isak, forse un punto di svolta anche per te.
 
“Cosa ti fa pensare che io abbia rifiutato la parte? Scherzi?” ti aveva detto pochi giorni prima, mentre tu in preda all’ansia cercavi un modo per non far trapelare la tua delusione al solo pensiero di un’occasione di contatto che svaniva così.
 
E così, adesso seduto su quella sedia, in quegli ambienti così familiari, trucco rosa fluo sugli zigomi, pensi di essere pronto, di essere esattamente dove dovresti essere. Quello che non sai Tarjei, è che ti stai sbagliando di grosso, non è questo il punto di svolta. Il punto di rottura è forse quel bacio mancato mentre ve ne state appoggiati al mobile della cucina con le luci blu che vi illuminano gli zigomi, con le bocche che vogliono sfiorarsi ma non possono? Ti sbagli ancora una volta.
 
 
Cambierà tutto ma non adesso, accadrà dopo, a luci spente, senza telecamere.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3586233