Domani ti ricorderò ancora.

di Dragonfly_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LA SERA IN DISCOTECA. ***
Capitolo 2: *** RITORNO A CASA. ***
Capitolo 3: *** IL RISVEGLIO ***
Capitolo 4: *** OCCASIONI ***
Capitolo 5: *** L'APPUNTAMENTO. ***
Capitolo 6: *** QUALCOSA E' CAMBIATO. ***
Capitolo 7: *** NIENTE DI PERSONALE. ***
Capitolo 8: *** ADDIO AL NUBILATO. ***
Capitolo 9: *** MOMENTI DI VERITA'. ***
Capitolo 10: *** SECONDE OCCASIONI. ***
Capitolo 11: *** LA CENA. ***
Capitolo 12: *** TOM. ***
Capitolo 13: *** TI ASPETTO? ***
Capitolo 14: *** (NON) EPILOGO ***



Capitolo 1
*** LA SERA IN DISCOTECA. ***


Emma non avrebbe mai voluto essere lì.
Era disorientata, la musica non le piaceva e,come se non bastasse, era rimasta sola. La sua migliore amica Greta era scomparsa, probabilmente con qualche ragazzo sconosciuto, come era suo solito fare. La discoteca in cui Greta l’aveva portata era una specie di capannone industriale; sembrava cadere a pezzi.

-E’ una gran figata  Emy, ne parlano tutti! Eddai, vieni che ci divertiamo!-

Greta aveva descritto quella topaia ‘una gran figata’. E lei, come sempre, le aveva creduto. Avrebbe voluto strozzarla, ma era sparita nel nulla. ‘Giuro che appena la trovo la uccido’ pensò Emma. Comunque, era stanca di tutte quelle luci colorate e di quella musica Hip-hop che le rimbombava nelle orecchie. Come se non bastasse, un paio di tizi poco affidabili e viscidi le si erano avvicinati più volte, strusciandosi su di lei in modo troppo spinto. Emma ne aveva abbastanza. Prese il cellulare, ed uscì fuori da quel postaccio. Finalmente un po’ di pace per le sue orecchie.
Digitò il numero di Greta.
Il telefono fece uno squillo, poi due, poi tre…niente. Probabilmente Greta non lo sentiva, o forse era troppo impegnata a usare la lingua con qualche tipo.
‘Greta Martinez, sei morta, lo giuro’.
I tacchi iniziavano a farle male (Emma non era abituata a portarli. Erano stati, indovina un po’, un idea di Greta), aveva freddo  e, soprattutto,  era stanca. E Greta continuava a non rispondere.  Emma decise di allontanarsi un po’, magari avrebbe trovato un taxi o avrebbe incontrato qualcuno che conosceva (sarebbe stato un miracolo). Arrivò in una specie di piazzola, dove l’unica forma di vita erano due ragazzi sdraiati su una panchina che si stavano letteralmente mangiando la faccia. Emma si sedette  in un’altra panchina, lontano da loro (non voleva certo assistere a una scena di sesso, ne tantomeno disturbarli) e cercò di rilassarsi. Prima o poi Greta doveva uscire di lì, no?

-Ehi dolcezza, sei sola?

Tre ragazzi. Stavano andando verso di lei, sorridendo. Non sembravano amichevoli. Il tipo che aveva parlato aveva una sigaretta in bocca (o una canna?), cappello di lana nero e una felpa larga.
Il resto, Emma non riusciva a vederlo…era troppo buio.

-Ehm, no. Sono con una mia amica.

-E dove sarebbe questa tua amica? -. Rispose il ragazzo, ridendo. Anche gli altri due risero.

-E’ dentro il locale, sta per uscire. - .  Emma  iniziò ad avere paura.

-Bhè, mentre la aspetti, che ne dici di fare un giretto con noi?- Disse sempre lo stesso tizio, sempre ridendo.

-Grazie, no. Aspetto qui.-

I ragazzi ridacchiarono tra di loro. Poi il ragazzo con il cappello di lana nero iniziò ad avvicinarsi a lei. Emma si alzò in piedi e si guardò intorno. Nessuno. La piazzola era deserta, non c’erano nemmeno più i due ragazzi della panchina.

-Bel vestitino.- disse il ragazzo.

Lo sapeva, quel vestito era troppo corto. Emma non avrebbe mai dovuto metterlo. D’ istinto, cercò di tirarlo giù, per coprirsi le cosce.
-Tranquilla dolcezza, stai benissimo…non coprirti.
E i tre risero di nuovo. Emma tremava, e non di freddo.

-Andatevene.-  disse lei.

La voce le tremava. Emma fece un passo indietro, ma il ragazzo con il cappello di lana l’afferrò per un braccio.

-Attenta, tesoro, rischi di cadere all’indietro…vieni qui.

-Lasciami.

Ma il ragazzo non l’ascoltava; rideva e basta, insieme agli altri due. E si scambiavano occhiate tra di loro. Emma voleva gridare, ma era come se non avesse abbastanza fiato nei polmoni. Sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco: era stata una stupida ad allontanarsi dalla discoteca da sola. Ma dov’era Greta?...avrebbe dovuto aspettarla dentro.  Gli occhi di Emma si riempirono di lacrime.
Il ragazzo la tirò con violenza a sé, tendendola con una mano, mentre l’altra mano scivolava sulla sua coscia, tirandole su il vestito.

-Non toccarmi!- Gridò Emma.

O forse non aveva gridato. Era stato solo un sussurrò. Perché il ragazzo continuò a salire con la mano sotto il vestito  e a tenerla ferma con forza.
Emma cercò di divincolarsi da quelle mani,  ma fu inutile. Iniziò a piangere silenziosamente, sperando che nessuno di quei tre la vedesse. Non voleva dar loro questa soddisfazione. No, questa no.
Ormai aveva tutte le cosce scoperte e una spallina del vestito era caduta. Emma chiuse gli occhi. Non voleva vedere, non voleva sentire. Era tutto un sogno, non stava succedendo.

-Che cazzo state facendo?

Una voce.
Emma continuava a tenere gli occhi chiusi. Le lacrime le rigavano le guance. Se l’era immaginata, quella voce?
Aprì di colpo gli occhi.
Due ragazzi erano lì, vicino a loro, in piedi..e guardavano la scena. Forse erano due amici, pronti per partecipare a quell’orrore…Emma singhiozzò.

-E voi chi cazzo siete?-  Rispose il tizio con il cappello, ancora con la mano tra le sue gambe.
Non erano due amici. Non si conoscevano. Emma vide un faro di speranza.

-Aiutatemi…- disse con un filo di voce.

Non sapeva se i due ragazzi l’avessero sentita. Ma di certo, l’uomo che le stava sopra l’aveva sentita eccome. All’improvviso, le diede uno schiaffo fortissimo. Fu come un fulmine a ciel sereno.
-Sta zitta!-

Emma non si sentiva più la guancia. Non sentiva più niente…e questo era un bene. La sua unica speranza era che tutto finisse il più in fretta possibile.
Ma non appena il ragazzo l’ebbe colpita, i due ragazzi si avventarono su di lui. Lo tirarono via da Emma ed iniziarono a spingerlo. Anche i due amici del ragazzo con il cappello nero intervennero per difendere l’amico. Sarebbe scoppiata una rissa a breve. Due contro tre. I due salvatori contro i tre mostri. Emma non riusciva a muoversi.
Era immobile, tesa come una corda di violino, sotto shock.
La testa le girava e non aveva le forze nemmeno per sistemarsi il vestito. Niente. Che diavolo era appena successo? Doveva essere tutto un sogno, non poteva essere reale.

-Max, Tom!!

Altre voci.  Emma girò leggermente la testa. Arrivavano altri ragazzi…ma erano amici dei due salvatori. ‘Grazie a Dio’, pensò Emma.

Uno dei due ‘salvatori’ parlò.

-Siamo qui! Venite!

Poi aggiunse:

-Tom, porta via la ragazza da qui.

Si stava riferendo a lei? Pensò Emma.
Certo, per forza. Era l’unica ragazza lì in mezzo. E non si era ancora mossa di un centimetro. Il ragazzo di nome Tom si avvicinò a lei. D’istinto, Emma singhiozzò e fece qualche passo indietro.

-Non aver paura, tesoro…andiamocene forza. Vieni qui.

Tom l’afferrò delicatamente per un braccio, l’attirò a sé e la fece appoggiare sulla sua spalla. Emma non era nemmeno in grado di camminare, né di reggersi in piedi. Era un vegetale. Era terrorizzata da tutto e da tutti. Voleva solo andarsene via da lì.

-Tranquilla, va tutto bene.-

Le sussurrò Tom. Si tolse la felpa e la appoggiò sulle spalle di Emma.
Emma si lasciò semplicemente guidare da lui…non poteva fare altrimenti. Non era in grado di fare altrimenti. Continuava a piangere.
La felpa di Tom aveva un buon profumo (di menta, forse?) ed era calda. Emma cercò di concentrarsi su quello. Non sa per quanto camminarono.
Arrivarono su una strada illuminata dai lampioni. Emma ebbe finalmente il coraggio di voltarsi verso il suo salvatore…e vide bene Tom per la prima volta.
Non doveva avere più di 25 anni. Era alto, capelli castano chiaro (o biondi?), un filo di barba…e due occhi chiari, come il ghiaccio. Non era bellissimo, Emma aveva visto ragazzi più belli. Ma non era sicuramente brutto. Ed era a maniche corte, perché la sua felpa ce l’aveva lei.

Emma fece per togliersela, ma Tom la bloccò.

-Tranquilla, tienila…non ho freddo. Poi siamo quasi arrivati alla mia macchina.-

Alla macchina? Emma sbarrò gli occhi ed emise un verso strano, di preoccupazione.
Tom la sentì e aggiunse con un sorriso:

-Dovrò riportarti a casa in qualche modo, no?

Emma pregò che quella serata terribile finisse presto.

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Capitolo 2
*** RITORNO A CASA. ***


Tom le aprì la portiera, ed Emma entrò dentro l’auto.
Era una vecchia Nissan grigia, con qualche graffio; sicuramente aveva più di 10 anni; Emma iniziò seriamente a dubitare che sarebbe arrivata a casa. 
Tom entrò dal lato del guidatore.

-Dio, scusa per il casino-. Disse lui.

Emma notò solo ora che l’auto era una specie di magazzino: c’erano felpe, asciugamani da mare, un marsupio e una coperta. 
Tom cercò di sistemare tutto velocemente sul sedile posteriore.

-Non preoccuparti…- sussurrò Emma.

Il disordine della macchina era l’ultimo dei suoi problemi in quel momento. Tom mise in moto l’auto e, con un rombo (e un tremendo odore di frizione) partirono.

-Mi chiamo Thomas, comunque. Tom.-

-Emma.-

Seguirono alcuni minuti di silenzio. Emma cercò di rilassarsi, ma sembrava impossibile.

-Abito lungo la Quarantacinquesima.  Segui le indicazioni per il cinema MovieCult…Abito in una di quelle casette a schiera gialle…- spiegò Emma.

-Mi stai prendendo in giro, vero?- risposte Tom, in tono neutro.

Emma lo guardò accigliata. Quella sera aveva paura di tutto. Non riusciva a pensare lucidamente. Aveva detto forse qualcosa di sbagliato? Per fortuna, Tom riprese la parola.

-Abiti a quasi 20 minuti da qui, in un quartiere ricco e pieno di locali. Cazzo, perché sei venuta proprio in questo posto di merda?

Emma sospirò. Si chiedeva la stessa cosa da tutta la sera.

-La mia amica Greta mi ha trascinata qui. Diceva che c’era una delle discoteche più belle della città…-

Emma lasciò morire la frase.  Gli occhi le bruciavano:  stava per piangere di nuovo.

-E secondo questa tua amica, l’Alien sarebbe una delle discoteche più belle della città? Bhè, bel concetto di bellezza. E dov’è questa tizia ora?- chiese Tom.

-E’ sparita con qualche ragazzo…-

-Wow.-

Emma non seppe più trattenere le lacrime. Scesero lente e silenziose sul suo viso. Non sapeva se Tom se ne fosse accorto o meno, ma dopo qualche istante lui appoggiò delicatamente la mano su quella di Emma. Colta alla sprovvista, lei ebbe un piccolo sussulto. 
Ma il contatto con la sua mano le scaldò il cuore.


-…Tu stai bene?- disse ad un tratto.

-Sì.-  Rispose titubante lei, senza distogliere lo sguardo dal finestrino.

Ma non era la verità. 
Emma era profondamente scossa dagli eventi di quella serata. 
Se Tom e gli altri fossero arrivati anche solo un minuto dopo…No. Non voleva più pensare a niente, voleva solo arrivare a casa.
Tom lasciò scivolare via la sua mano da quella di Emma. Si accese una sigaretta e tirò giù il finestrino per lasciare uscire il fumo. Sembrava turbato anche lui.

-Sai, io sono cresciuto quì, in questo quartiere. Fa schifo ed è pieno di gente di merda. Ma è casa mia. Non so se riuscirei mai ad andarmene…E poi gli affitti costano poco.-

Tom le sorrise e fece un lungo tiro di sigaretta.
Non sapeva se quella fosse una battuta o no, ma anche Emma accennò un sorriso. Tom sembrava un tipo apposto; sembrava sincero. 
Emma aveva voglia di fidarsi di qualcuno in quel momento.
Non ce la faceva più. 
Non aveva più lacrime per piangere. Le aveva spese tutte quella sera. 
Si perse a guardare la città dal finestrino:  i lampioni si alternavano ritmicamente, le auto sfrecciavano accanto a loro. Socchiuse un po’ gli occhi, ma li riaprì subito. 
Chiudere gli occhi significava abbandonarsi del tutto ed Emma non era pronta a questo.
Non parlarono più per tutto il tragitto. 
Ogni tanto, Emma guardava di sottecchi il ragazzo seduto accanto a lei: aveva il viso leggermente allungato, una bocca sottile e una leggero accenno di barba sul mento. La t-shirt che indossava lasciava intravedere le sue braccia tatuate (Emma non si soffermò troppo a guardare i tatuaggi: se ne sarebbe sicuramente accorto) e i suoi occhi celesti, leggermente all’ingiù, erano fissi sulla strada. 
Ogni tanto, si passava una mano tra i capelli chiari. Forse  era nervoso?
Emma pensò che le sarebbe davvero piaciuto poter passare la sua, di mano, tra quei capelli.
‘Ma che diavolo mi viene in mente in un simile momento?!’ Emma distolse subito lo sguardo, arrossendo. ‘Devo essere completamente partita di testa’.
E poi eccola lì: la Quarantacinquesima.  Si fermarono davanti ad una serie di casette illuminate.
La casa in cui abitava era una villetta a schiera gialla, in stile moderno,  con un giardinetto ben curato sul davanti. Emma l’aveva scelta proprio per questo: era una bella casa, senza troppe pretese ma  perfetta per una sola persona. L’aveva affittata da qualche settimana, ma già si sentiva completamente a suo agio.

-E’ questa?...Carina.- disse Tom.

Ad Emma venne un brivido. Non sapeva niente di lui. E se fosse stato una specie di ladro?...Scacciò subito quel pensiero. Basta pensieri brutti, per quella sera.

-Se sicura di star bene, vero?-

-Sì, davvero.-

-Okay.-

Emma aprì lo sportello. Poi si voltò verso Tom.

-Senti…Grazie. Non ti ho nemmeno ringraziato, io…-

-Non dirlo neanche per scherzo, tesoro.- rispose Tom, serio, fissandola negli occhi con un’intensità elettrica.

Emma annuì, senza distogliere lo sguardo.

-Allora…ci vediamo Tom…-

-Sì. Certo.-  Lui continuava a fissarla.

Emma stava di nuovo per ringraziarlo, ma si trattenne. Scese dalla macchina e chiuse la portiera. Da dietro il vetro opaco della Nissan, le sembrò di vedere ancora Tom che la guardava.
Poi l’auto fece il solito rombo di partenza (e il solito odore di frizione) e partì. 
Emma rientrò in casa, barcollando. Si sentiva come se avesse la febbre. O come se fosse totalmente ubriaca. 
‘Magari lo fossi per davvero’ pensò. 
Accese tutte le luci e si guardò nello specchio a muro che aveva lungo il corridoio: era un disastro. I lunghi capelli biondi erano arruffati e leggermente bagnati dall’umidità: la piastra non aveva retto per tutta la serata. Il mascara che si era messa con cura prima di uscire le era colato fino alle guance, lasciando due strisce nere sotto gli occhi. 
E la sua guancia…La sua guancia.
Era rossa e gonfia. 
Se Emma la sfiorava con la mano, sentiva un dolore atroce.
Quel bastardo.
Restò qualche minuto a fissarsi allo specchio. Non era diversa dal solito, ma si sentiva distrutta.
Fece lentamente le scale ed arrivò in camera sua. Si lanciò sul letto, sotto il piumone color lavanda, senza pensare a niente, senza spogliarsi, senza struccarsi.
Riuscì ad addormentarsi solo molto tempo dopo. Fu una notte tormentata e piena di incubi:  ad ogni minimo rumore o scricchiolio, Emma si svegliava di soprassalto.
Il sole doveva ancora sorgere quando decise di alzarsi dal letto. Si affacciò alla finestra per ammirare le mille sfumature dell’alba. Non aveva dimenticato: la discoteca disastrata, le tre ombre che avevano cercato di aggredirla…
Era tutto nella sua mente, indelebile
Ma quando quella mattina, Emma vide la luce dell’aurora esplodere nel cielo scuro, non potè fare a meno di pensare a Tom.


Angolo d'autore.
Ciao a tutti :) 
Questa è la prima fan-fiction in assoluto che scrivo, quindi gradirei moltissimo le vostre opinioni [siate sinceri, giuro che non mi offendo!] 
Suggerimenti, critiche, consigli...Sono tutti ben accetti!
Non so se riuscirò ad aggiornare la storia prima di Natale, quindi ne approfitto già per augurarvi buone feste! Un bacio, a presto :)

- Dragonfly.

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Capitolo 3
*** IL RISVEGLIO ***


La prima cosa che Emma fece quella mattina, fu preparare una vasca piena di acqua calda e schiuma, dove s’immerse fino al mento.
Non seppe per quanto a lungo rimase dentro, ma quando uscì, le dita delle mani erano raggrinzite. 
Usò del latte detergente per togliersi i rimasugli del trucco della sera prima (attenta a non urtare la guancia dolente), si pettinò i capelli castani e li avvolse in un asciugamano.
Poi ritornò in camera, si mise sotto le coperte e rimase a letto tutto il giorno.
Anche quella notte, il sonno non fu tranquillo.
Il giorno seguente, controllò il cellulare: era pieno di sms e di chiamate perse (la maggior parte erano di Greta).
Emma lo spense del tutto e se ne tornò di nuovo a letto. Si alzò soltanto nel tardo pomeriggio: erano due giorni che non toccava cibo. Mangiò delle polpettine surgelate che sua madre le aveva dato qualche giorno prima. Chiamò il Cherry Bar, il locale in cui Emma lavorava come cameriera, e spiegò che aveva la febbre.

-Tranquilla Emy, cerca di rimetterti presto. Non si scherza con l’influenza!- Le aveva risposto Nina.

Emma la ringraziò di cuore.  Nina, la proprietaria, era sempre adorabile con lei. Poi decise di nuovamente di ritornare in camera.
Stava per mettersi a letto, quando, sulla sedia vicino all’armadio, Emma vide il suo vestito stropicciato(il vestito di quella sera) …E vide la felpa nera che Tom le aveva dato per coprirsi.
Rimase a fissarla qualche secondo, poi si avvicinò lentamente e la prese tra le mani.
Era morbida.
Emma avvicinò il naso: non si era sbagliata.
Profumava di menta, e c’era un leggero odore di fumo.
Come scossa da un brivido,  la riappoggiò subito sulla sedia.

‘Emma, Dio, riprenditi…che diavolo fai?’ pensò tra sé.

Ma quella notte, per la prima volta, non ebbe incubi. Il giorno successivo, Emma fu svegliata dal suono del citofono di casa e da alcune urla.

-Emy, sappiamo che sei in casa, forza apri!-

-Emy sto per venire sul retro della casa e lanciare un sasso alla finestra, sappilo!-

-Emy, sono stata una stronza, lo so. Sono venuta a chiederti scusa!-

Emma si arrese: scese da letto e andò ad aprire la porta. Ed eccole lì, in piedi, le sue migliori amiche:
Greta Martinez, con i suoi lunghi capelli neri mossi, sopracciglia sottili, orecchini a cerchio dorati e una super-scollatura che lasciava davvero intravedere tutto.
Rachel Miller, caschetto di capelli biondi lisci, naso a patatina e vestito a fiori lilla. Sembrava una bambina.
Entrambe avevano un largo sorriso stampato in faccia.
Emma non riuscì a dire una parola, perché subito Greta iniziò:

-Scusami, scusami, scusami, fai bene ad odiarmi, sono una cretina, la peggior amica del mondo…ma quel tipo, Mark (o Matt?) mi ha praticamente trascinata via con lui…Ed era davvero bravo con le mani, sai…Comunque, so che mi odi e hai tutte le ragioni del mondo…-

Greta continuava a parlare senza nemmeno prendere fiato, cercando di scusarsi in ogni modo. Poi Emma realizzò: Greta non sapeva niente. Loro non sapevano niente di quella notte.
Le fece entrare in casa.
Si sedettero al tavolo di legno che Emma aveva in cucina.
Greta non smetteva di scusarsi.

-Ragazze, devo dirvi una cosa.-
Emma abbassò lo sguardo ed iniziò a raccontare gli assurdi avvenimenti di quella notte.

Non omise nessun dettaglio: la piazzola buia , i tre ragazzi che le si erano avvicinati (ebbe un brivido di terrore mentre raccontava), quello che avevano tentato di farle, le loro risate terrificanti e lo schiaffo.
Emma raccontò poi del salvataggio. E naturalmente parlò anche di Tom e dell’altro ragazzo (-Mi sembra di chiamasse Max-) .

- Poi Tom mi ha riportato a casa in macchina. E’ stato molto gentile con me.-

Mentre parlava, Rachel aveva gli occhi sbarrati e Greta piangeva in silenzio, senza alzare lo sguardo.

Emma si sentiva come una narratrice esterna: come se non fosse stata la protagonista della storia, come se non fosse realmente accaduto a lei. Quando finì di parlare, nessuno disse una parola.
Greta continuava a piangere e Rachel sussurrava sottovoce :-Oddio, oddio…-
Emma guardò Greta. Le prese la mano dolcemente e le disse:

- Gre, non è stata colpa tua.-

Non riusciva ad avercela con lei; certo, era stata una stronza a lasciarla lì da sola, ma Emma era stata stupida ad allontanarsi.
Finalmente Greta la guardò negli occhi. Aveva una faccia sconvolta, arrossata per il pianto.
Emma le sorrise con dolcezza, poi si alzò dalla sedia e corse ad abbracciarla. Nonostante tutto, le voleva un bene dell’anima. Anche Rachel si unì all’abbraccio.

-Vi voglio bene, ragazze. Non sapete quanto.-

Emma sorrise, felice. Si sentiva serena ora.
 
 
Il resto della giornata lo passarono insieme, ridendo e mangiando ciambelline glassate. Greta e Rachel convinsero Emma a prendere appuntamento da uno psicologo.

-Uno strizza-cervelli non puo’ farti che bene Emy, davvero. Ho sentito dire che fanno miracoli-.

Guardarono programmi televisivi, commentando ogni personaggio (-Hai visto quella che tette che ha? Sicuramente sono di plastica!-); ballarono sopra il divano quando passarono una canzone di Britney Spears su MTV, fingendo di avere un microfono in mano e scuotendo i capelli. Poi fecero una partita a ‘Taboo’, dove Greta non face altro che usare termini sconci.

- Comunque, questo Tom è davvero carino.- Disse ad un tratto Emma, mentre teneva una carta in mano. -Oltre che nei modi, anche fisicamente. Ha degli occhi azzurrissimi e braccia piene di tatuaggi…- 

- Ah però. E non gli hai chiesto il numero di cellulare o come si chiama su Facebook?- risposte Greta. 

- No. Sai com’è, avevo tutt’altro a cui pensare quella sera. Forse però avrei dovuto farlo.- 

- Certo che avresti dovuto! Certe occasioni capitano una volta nella vita, mia cara Emma Moore. E poi eravate anche in macchina da soli. Se ci fossi stata io lì, sola con lui…- 

- Se ci fossi stata tu, quel poveretto sarebbe rimasto traumatizzato a vita!- replicò Rachel. – E tirati un po’ più su la maglietta, Gre…Riesco a vederti i capezzoli!- 

Per tutta risposta, Greta tirò ancora più giù la maglietta, scoprendosi tutto il reggiseno di pizzo. Emma e Rachel lanciarono un gridolino, poi tutte e tre scoppiarono a ridere.

Nei giorni che seguirono, Emma riprese in mano la sua vita.
Tornò al lavoro qualche giorno dopo, con un grande entusiasmo. Aveva davvero voglia di ricominciare a vivere. Andò un paio di volte da uno psicologo che Rachel le aveva consigliato: un uomo sulla sessantina con una lunga barba grigia e un paio di occhiali squadrati, che aveva il brutto vizio di lasciare tutte le finestre aperte durante le sedute.

-La luce fa molto bene alla salute, signorina!-

Emma non ne aveva dubbi; peccato che fuori si congelasse. A parte questo dettaglio, si era trovata bene con lui.
Sfogarsi le faceva davvero bene.
Il giovedì era perfino andata dal parrucchiere, ma non aveva avuto il coraggio di farsi un taglio drastico: si era limitata a dare una spuntatina ai lunghi capelli biondi, giusto per togliere le doppie punte.
Quel giorno, rientrata a casa dal lavoro, Emma decise di pulire a fondo la casa: si cambiò con vestiti comodi, mettendosi un maglione bianco e dei pantaloni della tuta neri. Passò l’aspirapolvere in ogni angolo della casa, pulì i vetri delle finestre e le mensole con prodotti appositi e riempì un secchio d’acqua bollente per lavare i pavimenti.
Stava finendo le ultime cose, quando sentì il campanello suonare.

-Arrivo!- gridò lei dalla cime delle scale. 

Dev’essere qualche venditore porta a porta, oppure il postino’ pensò.
Emma scese velocemente di sotto e aprì la porta.

Lui era lì.

In piedi, bello come il sole.
Indossava una felpa blu e dei jeans strappati sulle ginocchia. Non c’era più traccia della barba: doveva essersi rasato di recente. Un ciuffetto dorato di capelli gli cadeva sugli occhi.
Sembrava risaltare la loro intensità ancora di più.
Emma rimase muta ed immobile per qualche secondo: non sapeva che cosa fare. Stava forse sognando?
Ma seppe che quella era la realtà quando lui increspò le labbra in un timido sorriso e disse:

-Ehy!...Ciao.-

Lei arrossì.

-Ciao Tom.-




ANGOLO D'AUTORE.
Ciao bellezze, com'è andato il Natale? Spero tutto bene! 
Anche questa volta, fatemi sapere che cosa ne pensate del nuovo capitolo :) 
A presto.


Vi_Dragonfly

 

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Capitolo 4
*** OCCASIONI ***


Emma non poteva credere ai suoi occhi: era tutto vero.
Tom era lì, in piedi, in tutto il suo splendore.

Non era un sogno.

Lui era sul ciglio della porta e la guardava intensamente, senza nessuna espressione particolare sul viso. 
I capelli erano disordinati a causa del leggero vento che soffiava. La felpa che indossava gli ricadeva dolcemente sui fianchi: sembrava un quadro dipinto con cura, in ogni singolo dettaglio.

-Dio, che maleducata, scusami!- si affrettò a dire Emma.  – Entra pure in casa-.

-No, non preoccuparti. Ero passato soltanto per…-

Tom non terminò la frase, perché Emma non gliene diede il tempo.

-LA FELPA!- esclamò.

Emma l’aveva lavata a mano (non aveva usato la lavatrice, non si fidava di quell’aggeggio demoniaco...ci mancava solo che facesse qualche danno!) e l’aveva stirata con precisione, più e più volte. Tuttavia, il profumo intenso di lui era rimasto lo stesso.

-Vado subito di sopra a prendertela-.

-Uhm…Ok.- rispose Tom.

Aveva uno sguardo perplesso e sembrava frastornato.

 'Ci credo' pensò Emma tra sé , mentre correva di sopra per prendere la felpa ‘Ci avrò messo almeno cinque minuti per invitarlo ad entrare. Senza contare il mio abbigliamento da casalinga disperata…L’ho sempre detto che questi pantaloni sono troppo aderenti!’.

Cercò, senza successo,  di tirarsi giù il maglione bianco, per coprire il sedere troppo schiacciato dai pantaloni attillati.
Prese in fretta la felpa dalla sedia della camera e volò di sotto. 
Quando tornò di sotto, Tom era entrato in casa, ma era rimasto timidamente sull’ingresso, appoggiato con un gomito al muro del corridoio.
Si stava passando una mano tra i capelli, scompigliandoli. E rendendolo ancora più sexy.

-Eccola qua!- Emma consegnò la felpa a Tom.

Provò una specie di fitta al cuore quando lui la prese.
Si era quasi affezionata all’indumento.

E il profumo che aveva…Sì, le sarebbe mancato.

-Grazie.-
E da quando era arrivato, per la prima volta, lui accennò un sorriso dolce.

-No…Grazie a te.- rispose lei, sentendo le guance andare a fuoco.

Prese coraggio, ripensando alle parole di Greta (‘Certe occasioni capitano una volta sola.’)

- Ti va un caffè o un thè?-

-Grazie, ma devo andare. Magari un’altra volta…- rispose lui, serio.

Emma sentì le gambe sgretolarsi.
Ma a che cavolo pensava in quel  momento? Certo che deve andare, certo che ha da fare. Greta Martinez, che tu e i tuoi stupidi consigli siate maledetti.

-Allora ci vediamo…-

-Sì certo.-

Lui si voltò lentamente e si avviò verso il portone.

‘Non puo’ finire tutto così’ pensò Emma tristemente. 'Non è possibile'.

Ma che altro poteva fare?

Non poteva mica bloccarlo o costringerlo a rimanere. E non voleva dire nient’altro: aveva già detto troppo ed era andata male.

Restò semplicemente a fissarlo, mentre Tom tirava la maniglia per aprire.


Ma poi qualcosa successe davvero, perché Tom si voltò a guardarla di scatto.

Emma rimase impietrita.
Perché si era fermato?
Non voleva più andarsene?
Oppure aveva per caso pronunciato ad alta voce i suoi pensieri?
Tutto poteva essere, in quello stato di confusione.


-A dire il vero, non ero venuto quì per la felpa. – sussurrò lui.

Un brivido.

- Ero venuto per sapere come stavi.-

Il cuore di Emma stava per esplodere.
Non riusciva a pensare lucidamente.
Non riusciva a dire una sola parola.

-Io…sto bene.- balbettò, credendo di svenire di lì a poco.

-Stai bene come la sera in cui ti ho accompagnato a casa o...bene bene?-

-Bene…bene.-

Ed era vero.

Emma si era quasi totalmente ripresa da quella sera.
Soprattutto grazie alle sue amiche, al lavoro e anche allo psicologo.
Le capitava di pensarci, naturalmente, soprattutto quando stava per addormentarsi o quando aveva qualche momento di relax. Per questo cercava sempre di tenersi indaffarata il più possibile.

Quando la mente era occupata, i pensieri non provavano nemmeno ad entrare.

-Sono contento che tu stia bene, allora-.
Rispose Tom, guardandola negli occhi, senza però lasciare con la mano la maniglia del portone.

Lei annuì, sorridendo.
Come aveva potuto dubitare, anche solo per un istante, di lui? Come aveva potuto avere paura di lui?

Lui era buono. Era una brava persona.

-Grazie ancora per quella sera.- Disse Emma con gli occhi luccicanti.

-Non provarci tesoro, te l’ho già detto. Non devi ringraziarmi. Chiunque avrebbe fatto lo stesso-.

(L’aveva richiamata ‘tesoro’…Dio, come le era mancato.)

Emma sorrise teneramente. Si sentiva come una bambina la mattina di Natale.
Anche Tom sorrise, lasciando intravedere i denti bianchi e luminosi.
E per la prima volta, lo vide arrossire leggermente sulle guance. Ma che stava succedendo?

-Senti…hai da fare domani sera? Conosco un posto davvero carino. Fa la miglior pizza del mondo. Non so se la pizza ti piace…se ti va…-

O mio dio. Quelle parole erano davvero uscite dalla sua bocca perfetta?
Un invito a cena?
No, doveva essere tutto un sogno. Non poteva essere reale.

Ma sembrava tutto meravigliosamente reale.

E Tom era lì, immobile e in imbarazzo (eh sì, era in imbarazzo!), che aspettava una sua risposta.

Oh, cazzo.

Emma non poteva accettare: una sua collega le aveva chiesto il cambio di turno proprio per domani sera, perché aveva la recita scolastica di sua figlia.

-Ehm, scusami ma domani sera devo lavorare, mi dispiace…- disse Emma, mordendosi le labbra carnose.

Era davvero dispiaciuta. La sua seconda occasione stava cadendo a pezzi. Ed era sicura che stavolta non ce ne sarebbe stata una terza.
 
-D’accordo. Non preoccuparti.- rispose Tom tranquillo, ma la sua voce tradiva un pizzico di delusione.
 
Sicuramente stava pensando che quella fosse una semplice scusa per declinare l’invito…Insomma, chiunque avrebbe usato uno stratagemma simile.
Ma per lei non era così.
Emma desiderava con tutta se stessa stare un po’ con lui: ne aveva bisogno.
‘Basta, mi butto.’

-Ma se vuoi, dopodomani sono libera-.

Okay, Doveva essere del tutto impazzita.
Ma ormai valeva la pena rischiare: c’era dentro fino al collo. O annegava per sempre, oppure si dava una bella spinta per riemergere.
Appena ebbe parlato, il viso di Tom s’illuminò di una luce che Emma non aveva mai visto prima.

-Dopodomani va benissimo.- rispose, sorridendo.

-Allora vada per dopodomani…E comunque, adoro la pizza!-. rispose lei.

Tom continuò a guardarla intensamente per qualche istante. Se continuava a fissarla così, avrebbe perso i sensi, ne era certa.

-Passo a prenderti verso le 19,30. Va bene?-

-Certo. Va benissimo-. Balbettò lei.

Poi lui la salutò con la mano ed uscì da casa sua, farfugliando qualcosa d'incomprensibile.

Emma rimase immobile per alcuni secondi nell’atrio di casa (o forse  passarono minuti interi?), poi dovette sedersi sul divano, perché altrimenti le sarebbe scoppiato il cuore di felicità.



ANGOLO D'AUTORE


Salve dolcezze! Ho pensato di salutare il 2016 con un nuovo capitolo, spero davvero che vi piaccia e aspetto le vostre opinioni, come sempre d'altrode :)
BUON ANNO NUOVO A TUTTI VOI!

Ps [SPOILER]:Tenetevi forte! Nel prossimo capitolo ci sarà l'appuntamento tra Emma & Tom! :P

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Capitolo 5
*** L'APPUNTAMENTO. ***


Il Venerdì sera era arrivato: era una serata particolarmente fredda e c’era un leggero strato di nebbia che aleggiava su tutta la città, inumidendo i prati e i vetri delle macchine.
Emma era nell’agitazione più totale da ben due giorni, da quanto Tom aveva bussato alla porta di casa sua e l’aveva invitata a cena.
Quella sera, aveva chiamato Greta, Rachel e poi di nuovo Greta per farsi dare tutti i consigli (e gli incoraggiamenti)  possibili.
Ne aveva bisogno. Era nel panico assoluto.
Il giorno prima, al lavoro, era riuscita a rovesciarsi sul grembiule candido un frappè al cioccolato e una tazza di caffè bollente; poi aveva dato il resto sbagliato ad un cliente, il quale però era (fortunatamente) stato onesto e le aveva restituito le monete in più, con un sorriso.
Naturalmente anche la vecchia Nina si era accorta del cambiamento.

-Tutto ok Emy?-

-Sì Nina scusami, oggi ho la testa tra le nuvole.-

-C’è qualcosa che ti tormenta, zuccherino?-

Ed Emma avrebbe voluto mettersi ad urlare di gioia (o di paura?) e raccontare tutto a Nina, ma proprio tutto,  e abbracciarla fortissimo.

Ma si era trattenuta: non era decisamente il caso di fare questo teatrino dentro il bar, davanti a tutti.

Quindi si era semplicemente limitata a fare ‘no’ con la testa e a continuare il suo lavoro, cercando di essere il più concentrata possibile.
Aveva cercato di pensare il meno possibile.
Ma adesso era venerdì sera, ed Emma non poteva più evitare niente.
L’ansia le attorcigliava lo stomaco…lo stava strangolando lentamente.
Emma aveva lavorato fino all’ora di pranzo quel giorno; poi era rientrata a casa, si era stesa sul divano e aveva letto qualche pagina de ‘Il Cavaliere d’Inverno’.
Ma le parole delle righe le si intrecciavano. Quindi aveva chiuso il librone e si era preparata un bagno caldo.
All’inizio, aveva pensato di mettersi le collant e il vestito blu scuro che le aveva regalato Greta. Era sexy e anche abbastanza comodo, ma poi si era detta:

‘Cavolo Em, stiamo andando a mangiare una pizza! Lo metteresti soltanto a disagio!’

E allora si era spogliata.

Aveva optato per un pullover color tortora e un paio di jeans chiari, con i brillantini. Aveva lasciato i capelli sciolti al naturale, senza piastra né forcine; poi si era messa un filo di mascara, eyeliner e un rossetto Nude opaco. Dopo essersi infilata gli stivaletti, si era fatta un selfie davanti allo specchio e aveva inviato la foto nel gruppo Whatsapp suo, di Rachel e Greta.

☼Rae☼: Oddio stai benissimo tesoro!

Grey ღ: Vai in chiesa x caso? Metti un po’ più in mostra le tette…eddai ☺

☼Rae☼: Secondo me sei splendida così…non dare retta a Greta, sai che lei pensa solo a quello!

Emy ♡: Ahahahaahah grazie Rae! E comunque NO GRETA NON VADO IN CHIESA. Vado in pizzeria.

Grey ღ: A cena vai in pizzeria. Dopo cena sai benissimo dove andrai a finire……

☼Rae☼: Eccola! Lo sapevo che sarebbe arrivata a questo punto!

Grey ღ: Spero tu ti sia messa una super-sexissima biancheria intima ;)

Emy ♡: Ma quale biancheria intima ahahah vado che sono in ritardo…per colpa vostra ;) a dopo ragazze!

Grey ღ: Niente biancheria intima?! Ancora meglio! Ahahah…buona cena baby!

☼Rae☼: In bocca al lupo Emy <3
 
Proprio mentre Emma stava chiudendo Whatsapp, sentì suonare il campanello di casa.

Panico.

Il cuore iniziò a batterle forte nel petto, proprio come due giorni prima.

Guardò l’orologio: Tom era in anticipo di qualche minuto.

Maledizione.

Emma corse per il corridoio ed aprì la porta.

Jeans neri stretti, giaccone scuro, capelli color miele sistemati con un po' di gel...e i soliti immancabili occhi cristallini che la fissavano.

Tom le sorrideva in piedi, sulla porta.

- Ciao Emma. Sei pronta?-

Emma non sapeva che cosa dire. Certo che era pronta...da tipo due ore; ma non riusciva a parlare: la gola le si era seccata e lo stomaco continuava a stringersi in una morsa.

Era ancora più bello del solito.

 Lei si limitò ad un sorriso, annuendo con la testa.

- Prendo la borsa e arrivo.- Rispose con una voce strana...Non sembrava nemmeno la sua.

Tom le aprì la portiera della vecchia Nissan grigio topo.
Ad Emma sembrò tutto così tremendamente familiare.
Ma notò subito che la vecchia auto era molto più pulita della volta precedente. Non c'erano più asciugamani o teli in giro per i sedili e anche l'odore di fumo era scomparso.
In compenso, c'era un Arbre Magique appeso che diffondeva un buon profumo di menta e muschio bianco. Tom doveva averla sistemata di recente.

Lo aveva fatto per lei?

Il pensiero sfiorò Emma, che arrossì leggermente.
Lui salì dal lato del guidatore e mise in moto.

 - Vedrai, sono sicuro che la pizza di Tony ti piacerà da morire. Non ti pentirai di essere venuta.-

 - Ti credo.- rispose Emma, ridendo.

E ne era sicura.  Non si sarebbe mai e poi mai pentita di quella serata.
'Da Tony' era un piccolo locale appena fuori città. Si trovava in un vicolo nascosto, non lontano dalla superstrada. Era una costruzione fatta di mattoncini; l'insegna era illuminata con luci blu elettriche e vicino c'era un'immagine di un pezzo di pizza stilizzato, sempre illuminato di blu.

'Non sembra un posto elegante' pensò Emma, con sollievo.

Si sarebbe sentita ancora più a disagio se così fosse stato.

Quando entrarono, furono invasi da un invitante profumo di origano e lievito.
Come aveva immaginato, Emma notò con sollievo che era un semplice ristorante senza troppe pretese: c'era un grande salone pieno di tavoli con sedie e panche di legno, qualche quadro colorato alle pareti e camerieri qua e là vestiti in modo informale.

Dopo che una ragazza li ebbe accompagnati al loro tavolo, Tom le disse:

- Non lasciarti ingannare dal posto...aspetta di assaggiare la pizza.-

 - A me questo posto piace molto, quindi non ho nessun dubbio!- rispose Emma di rimando.

Sfogliarono per qualche minuto il menù, in silenzio: Tom ordinò una Capricciosa con doppia mozzarella, mentre Emma optò per una Margherita con patatine e würstel. Da bere presero entrambi due birre bionde.

- E da quanto tempo ci lavori?- chiese Tom, dopo che Emma gli aveva raccontato di lavorare in un piccolo bar vicino a casa.

 - Quasi due anni. Ma mi trovo davvero bene. Non mi sembra nemmeno di andare al lavoro. È come essere in famiglia.-

- È una bella cosa- rispose Tom, fissandola intensamente.

 Emma non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo: sentiva un forte calore sulle guance e le venne d'istinto abbassare gli occhi.

- E tu invece che lavoro fai?- gli chiese.

-Lavoro in fabbrica da qualche mese.-

-Ah…bè sempra un bel lav…-

-Fa schifo, a dire la verità.-  Sorrise lui. – Ma almeno ho un lavoro, quindi non posso lamentarmi.-

Emma sentì lo stomaco rilassarsi improvvisamente.
Grazie a Dio.
Finalmente arrivarono le pizze. Erano così grandi che strabordavano dal piatto.

-Buon appetito!- dissero insieme i due.

Tom non si era sbagliato: la pizza era deliziosa. L’impasto era croccante e sottile. Si sentiva tutta la freschezza del pomodoro e la mozzarella era morbida e saporita.

-Allora che ne pensi?- chiese Tom accigliato.

-Per questa volta, dovrò proprio darti ragione, accidenti! E’ buonissima!-

-Che ti dicevo, tesoro?- rise lui.

Tesoro.

Emma sentiva le guance calde: forse per la birra, forse per il locale affollato o forse per essere a cena con un ragazzo che la chiamava ‘Tesoro’.

Tom continuò a raccontarle che viveva da solo in affitto, in un appartamento, non lontano dalla ‘famosa’ discoteca.

-Me ne sono andato di casa appena ho compito 18 anni.-

-Wow. Molto presto.-

-Già, avevo qualche problema con mia madre…- rispose lui.

Emma non disse niente. Avrebbe voluto saperne di più, naturalmente.
Voleva sapere ogni cosa di lui.
Ma aveva paura di addentrarsi in argomenti così delicati: lo conosceva da pochissimo. Inoltre, non sapeva assolutamente come poter continuare la conversazione.
Per fortuna, però, Tom cambiò discorso, evitando l’imbarazzo.
Emma gli raccontò un po’ di tutto: della sua casa, della sua vita, delle sue amiche.
Gli parlò di Greta e di quella sera, dicendo che era stata una stronza, è vero. Ma che era una buona amica.
Tom l’ascoltava con interesse, smangiucchiando qualche pezzo di pizza, senza mai smetterla di fissarla.

Emma iniziava davvero a sentirsi a proprio agio: le piaceva parlare con lui; si sentiva… Capita.

Entrambi saltarono i dolci (anche se Tom era indeciso fino all’ultimo perché: -Non posso rinunciare al tiramisù di Tony…è qualcosa di sensazionale! Ma sono davvero troppo pieno.-) e presero  soltanto due caffè.
Alla fine, Tom si fece portare il conto e corse letteralmente verso la cassa, per pagare. Emma lo raggiunse immediatamente.

-Non se ne parla, non provare a tirare fuori il portafoglio- disse Tom, in modo scherzoso.

-Oh certo che se ne parla! L’altra sera tu…è il minimo che possa fare per ringraziarti. Ti prego.- rispose Emma, seria.

Anche Tom si fece serio. E fece qualcosa d’inaspettato: le sfiorò il braccio e lo accarezzò con dolcezza.

Emma sentì un brivido in tutto il corpo. Rimase come pietrificata.

-Lascia perdere l’altra sera, Emma. Non preoccuparti.-

E allungò la banconota alla cassiera.
Emma non riuscì a reagire, né a dire niente. Lo lasciò fare senza opporsi.

Perché non era in grado di opporsi.

Non se lo aspettava, e quel contatto fisico l’aveva mandata in tilt. Di nuovo.
Risalendo in macchina, c’era come una sorta di tensione tra loro. Entrambi se ne stavano in silenzio, un silenzio imbarazzante.
E il nodo nello stomaco era improvvisamente ricomparso.

Poi Tom accese la radio e partì ‘Give me baby one more time’ di Britney Spears.

-Oddio!- urlò Emma. – Questa l’abbiamo ballata l’altro giorno sul mio divano di casa!-

-L’avete ballata…?-

-Io con Gre e Rachel!- rispose Emma, entusiasta. E si mise a canticchiarla, perché è impossibile non cantare una canzone di Britney Spears.

Tom scoppiò a ridere.

-E’ la canzone più brutta che io abbia mai sentito. Te lo giuro!-

-Ma che stai dicendo!-

Tom e Emma continuarono a ridere e a commentare la canzone per tutto il tragitto, fino a casa.
Era tornato tutto come prima, quando erano seduti a cena.

-Spero che la pizza ti sia piaciuta davvero, e che tu non l’abbia detto solo per non offendermi.- le sorrise Tom, parcheggiando la Nissan sul vialetto di casa di Emma.

-Era buona davvero.-

-Bhè, se ti andasse di nuovo una pizza e non sapessi con chi andarci, chiamami.- le disse.

-Lo farò, sappilo- rispose lei, ridendo. –E la stessa cosa vale per te.-

Si scambiarono i numeri di cellulare, con lieve imbarazzo.

Emma aprì la portiera dell’auto per scendere.

-Buonanotte Tom. E grazie. Io…sono stata davvero bene stasera.- gli disse, balbettando un po’.

Lui non rispose.

Rimase a fissarla intensamente, con un’ espressione indecifrabile e con i suoi occhi di ghiaccio penetranti.
Questa volta Emma non distolse lo sguardo.
Non sapeva che cosa fare. Doveva rimanere ancora lì seduta oppure doveva scendere ed andarsene?

Ma Tom le tolse ogni dubbio.

Con una mano le accarezzò la guancia e, con delicatezza, le avvicinò lentamente il viso al suo.

Le sue labbra furono sulle sue.
Perfette. Sconosciute. Morbide.


Combaciavano perfettamente, le loro labbra.

Non fu uno di quei baci appassionati e non fu un bacio con la lingua. Ma fu un bacio di una dolcezza incredibile, senza doppi fini.

Emma si sentiva stordita e tremendamente felice. Non avrebbe voluto staccarsi mai dalla sua bocca.

Ma, come ben si sa, ogni bacio prima o poi finisce.

Tom si allontanò dolcemente da lei.

-Buonanotte Emma.- disse.

Emma gli sorrise per qualche secondo, poi si girò e scese dalla macchina.

Doveva fare soltanto pochi passi per arrivare alla porta di casa sua, ma non era sicura che le gambe le avrebbero retto.
Dietro di lei, sentì il rumore dell’auto accendersi e ripartire.

Lei non si voltò a guardare.

Il cuore le batteva forte come un tamburo…Il petto avrebbe potuto sfondarsi da un momento all’altro. Sentiva un’inaspettata felicità nascere da chissà dove e diffondersi in tutto il corpo.
Non si era mai sentita così.

Avrebbe voluto che quella sensazione durasse in eterno.





ANGOLO D'AUTORE.
Ehy, come state? 
Scusate per il ritardo, ma questo capitolo doveva essere IL CAPITOLO :) sinceramente, sono soddisfatta di quello che è venuto fuori (e ammetto che ci ho messo davvero tantissimo a scriverlo eheh). Spero che vi piaccia...Come sempre aspetto tutti i vostri pareri! 
A prestissimo, 
Vi_Dragonfly

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Capitolo 6
*** QUALCOSA E' CAMBIATO. ***


Erano passati cinque giorni dalla cena con Tom.

Cinque giorni.

E di lui, nessuna traccia. Né un messaggio, né una telefonata.
Niente.
Emma, inizialmente, avrebbe voluto scrivergli.
‘Magari è solo timido’ o ‘Forse si è perso il cellulare’ , si ripeteva.
Ma poi Greta era venuta a casa sua con Rachel e le aveva detto, seria:

-Non inventarti cazzate per giustificarlo, Emy. Non esiste. –

Aveva acceso il televisore e aveva fatto partire il DVD di ‘La verità è che non gli piaci abbastanza’, il film con Scarlett Johansson e Jennifer Aniston.

-L’ho noleggiato apposta per te, mia cara Emma!-

Il film aveva un bellissimo lieto fine. Ma Emma aveva perfettamente afferrato quello che Greta voleva farle capire.
Evidentemente, non gli piaceva abbastanza, ecco tutto. Non era stato abbastanza bene da volerla rivedere.
Che stupida era stata: aveva dato per scontato che anche Tom avesse passato una serata meravigliosa con lei.
Ma evidentemente non era stato così.

-Non tormentarti, Emy.  Tu non hai fatto nulla che non va…E’ lui, che non va.- le aveva detto Rachel, abbracciandola.

-Grazie ragazze- aveva risposto Emma, accennando un sorriso.
–E poi non è mica la fine del mondo! Certo, io sono stata da Dio l’altra sera…Ma Amen. Si vede che doveva andare così, no?-

-O forse baci terribilmente male! Vieni qui e fammi vedere se sei capace!- aveva scherzato Greta.

Poi si era messa a rincorrerla per tutto il salotto, sporgendo le labbra e cercando di baciarla, mentre Rachel aveva le lacrime agli occhi per le troppe risate.
Da quel pomeriggio, Emma si era sentita un pochino meglio.
Eppure, ogni tanto, non poteva fare a meno di pensare a Tom.
Le era rimasto dentro come un chiodo nel legno. Trafitta.
Una sera, presa dalla tristezza e da uno strano spirito di determinazione, afferrò il cellulare e aprì la chat di Whatsapp di Tom.
‘Ehy’ scrisse velocemente, ma poi lo cancellò subito prima di inviarlo.

L’ultimo accesso di Tom risaliva a qualche ora prima.

Emma si morse le labbra e spense il telefono: avrebbe voluto lanciarlo contro il muro e distruggerlo in mille pezzi.
Le era capitato spesso di controllare la sua chat nei giorni seguenti, anche solo per vedere il suo ultimo accesso.
A volte lo aveva trovato ‘online’, altre volte non era entrato per qualche ora.

Ma lui c’era, era dietro quel maledetto cellulare e non le scriveva.

Per quanto le facesse male, dovette ammetterlo a sè stessa: si era sbagliata su di lui. Non era il ragazzo dei suoi sogni.
Sapeva che lo avrebbe dimenticato, perché tra loro c’era stato solo un piccolo bacio.
Non avrebbe mai dimenticato la sua gentilezza e il suo coraggio di quella sera, vicino alla discoteca, questo era certo. Ma sarebbe riuscita a spegnere i suoi sentimenti per lui; le ci sarebbe voluto solo un po’ di tempo.
Tutto qui.
Quel giorno, Emma aveva il turno del pranzo alla caffetteria.
Il locale in cui lavorava si trovava  a pochi minuti da casa di Emma, su una strada quasi sempre affollata.
Era un bar piccolo e accogliente, non troppo nuovo. I pavimenti erano di linoleum bianco opaco e c’erano tantissime finestre.
Nina lo ripeteva sempre: -Qui dentro deve entrare sempre la luce, anche quando non c’è il sole!-.
Anni prima, Emma aveva portato vari curriculum in giro per bar, ristoranti e cinema e alla fine, dopo qualche settimana, era stata richiamata da Nina per lavorare nel suo locale come cameriera.
Si era subito trovata benissimo. La paga era buona e i turni erano flessibili.
E poi c’era Nina, la proprietaria, che era di una gentilezza disarmante e la trattava come se fosse sua figlia.
Non avrebbe cambiato lavoro per nulla al mondo, nemmeno se fosse stata costretta.
Era un mercoledì abbastanza caldo; quella mattina, Emma aveva deciso di legarsi i capelli in una treccia morbida che le ricadeva lungo la schiena. Poi aveva preso l’autobus ed era andata al lavoro.
Un sole tiepido illuminava le strade e i marciapiedi, e i passerotti cinguettavano timidamente dagli alberi dei parchi.
‘Se il tempo regge, quando torno a casa dal lavoro vado a fare una passeggiata in centro’ pensava Emma tra sé, mentre serviva due porzioni di patatine fritte fumanti ad un tavolo.
Il sole la metteva di buon umore.
Sentì il campanellino sopra la porta d’ingresso suonare: era il segnale dell’entrata di un nuovo cliente.
Emma era girata di spalle e stava consigliando il dolce a due ragazze.

-Abbiamo un semifreddo al pistacchio molto buono, oppure se preferite cheesecake alle fragole o il sorbetto.-

Nina le passò accanto.
-Bambolina, quando puoi, fai accomodare il ragazzo al tavolo due.- le sussurrò all’orecchio, facendole l’occhiolino,  ed Emma annuì sorridendo.

Si voltò per accogliere il nuovo cliente, ma il sorriso le si spense sulle labbra quando lo vide.

Thomas. Il suo Tom.

Dentro il bar in cui lavorava lei, in attesa di accomodarsi ad un tavolo per pranzare.
Naturalmente, la stava guardando fisso negli occhi.

I loro sguardi si incrociavano violentemente.

Lui non sorrideva, era senza un’espressione.

-Buongiorno, ti faccio accomodare a questo tavolo.- gli disse Emma, tentennando: non poteva permettersi di dirgli altro; infondo, era un cliente del locale e come tale lo avrebbe trattato.
Ma gli diede del ‘tu’: sarebbe stato troppo strano, altrimenti.
Lei gli fece strada e lui la seguì senza dire una parola.

Erano come due sconosciuti.

Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che qualche sera prima erano usciti a cena insieme e si erano baciati in macchina.

Tom si sedette sul tavolino di legno che Emma gli aveva indicato, appoggiando sulla tovaglia a scacchi un pacchetto di sigarette e il cellulare.

Il cellulare.

Emma strinse le labbra in una smorfia.

-Ti portò il menù-

-Grazie- rispose lui neutro.

Ora non la guardava nemmeno più negli occhi. Sembrava attratto dalla luce della finestra.

‘E’ uno scherzo?...Vuole forse umiliarmi davanti a tutti?’ si chiese Emma, mentre afferrava rabbiosamente il menù di carta.

Tom scelse un hamburger con bacon e una lattina di Coca-Cola.
Emma non riusciva a sorridergli. Con gli altri clienti le veniva così naturale, ma non con lui.
Non era solo arrabbiata. Era furiosa.
Perché la stava trattando così?
Non gli aveva fatto nulla di male…
Poteva almeno degnarsi di riconoscerla, no?
E aveva una bella faccia tosta a presentarsi lì, nel bar dove Emma lavorava e lui lo sapeva benissimo (‘Gliel’ho detto l’altra sera, quando ancora pensavo che fosse un tipo a posto e non un’idiota.’).
Oltretutto, come se non bastasse, la stava trattando come se avesse una qualche malattia infettiva.

‘Forse soffre di perdite di memoria, oppure è bipolare.’ L’idea le era passata per la testa. ‘Oppure è semplicemente pazzo. Probabilmente.’

Quando Tom ebbe finito di mangiare, Emma andò al suo tavolo per proporre i dolci della casa.

-Abbiamo la cheesecake, il sorb…-

-No, non prendo dolci. Solo un caffè e il conto, grazie.-

Lei distese le labbra cercando di sorridere, ma le uscì solo una ghigno strano. Girò i tacchi senza dire nulla.

-Tutto ok, Emy? Sembri strana…- Le chiese  Angela, la barista del locale, con espressione preoccupata.

-Sì Angy, tutto bene. Sarà il caldo. Comunque mi faresti un caffè per il tavolo 2? Anche se ti viene troppo pressato, non importa. Glielo porto lo stesso.- ringhiò.

Angela spalancò gli occhi e balbettò qualcosa, ma Emma si era già allontanata per servire una coppia di ragazzi appena arrivata.
Emma portò il caffè al tavolo di Tom e un piattino con lo scontrino del conto.

-Ecco qui.-

-Grazie.-

Teneva gli occhi bassi. Non voleva incrociare il suo sguardo.
‘Ti prego dimmi che Tom ha un fratello gemello stronzo, ti prego.’ Pensava Emma.
Tom sorseggiò il suo caffè per qualche minuto, guardando un punto fisso davanti a lui. Poi si alzò dal tavolino senza dire una sola parola, lasciando le banconote sul tavolo ed uscendo dal locale senza nemmeno salutare.

Tin Tin Tin.

Il suono del campanellino sulla porta quando qualcuno usciva.

Emma era senza parole. Non sapeva che cosa pensare.
Che diavolo era appena successo?
Sembrava tutto così irreale.
Ma perché si era comportato così?
Emma cercò di non pensarci: doveva restare lucida almeno al lavoro.
Continuò a prendere ordinazioni ai tavoli e a portare vassoi di bibite, cercando di sorridere.
Ma con la coda dell’occhio, appena poteva, sbirciava fuori dal locale.
Tom era lì fuori, davanti alla porta d’ingresso, immobile.
Fumava una sigaretta nervosamente e teneva l’altra mano in tasca.

Stava aspettando qualcuno.

‘Sta aspettando che io finisca il turno?’.  A Emma venne spontaneo chiederselo.

‘Se davvero sta aspettando me, giuro che appena esco di qui lo prendo a calci.’ Si disse.

Ma sapeva già che non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe voluto, perché se lo meritava, ma non ci sarebbe riuscita.
Il cuore le palpitava già più velocemente del solito: la sola idea che stesse davvero aspettando lei , le faceva sciogliere il sangue e sentiva le guance colorarsi di rosa.
‘Naturalmente dovrà darmi delle spiegazioni. E io non cederò alle sue scuse così facilmente, sia chiaro’. Ripeteva dentro di sé Emma, mentre portava una caraffa di Coca-Cola con limone.
Prese un vassoio pieno di bevande per servirle ad una tavolata di ragazzi e passò di fianco ad una delle gigantesche finestre della sala.

Sbirciò fuori.

Tom era ancora lì, con un’altra sigaretta in bocca.
Ad un tratto, vicino al marciapiede, si accostò una macchina nera, dalla quale scese una ragazza dai capelli biondo platino, vestita con un cortissimo tubino beige e tacchi. Indossava un paio di occhiali da sole enormi, che le coprivano mezza faccia.

Sì fiondò letteralmente su Tom, abbracciandolo con trasporto.

Emma rimase lì, impalata, a guardare la scena con il vassoio in mano.
Poi la ragazza afferrò il viso di Tom e lo baciò in bocca senza esitare.

Un bacio esagerato, quasi volgare.

Tom non si mosse di una virgola: non la allontanò, non abbassò il viso per evitare il contatto.

Ricambiò il bacio, facendo scendere le mani sui suoi fianchi e stringendola a sé.

Tom e la ragazza dalla testa color platino stavano limonando con passione, senza vergogna, in mezzo ad un marciapiede affollato, davanti al locale in cui Emma lavorava.

Il vassoio che Emma aveva retto fino a quel momento cadde a terra con uno scroscio e i vetri dei bicchieri rotti si sparpagliarono per il pavimento.
 





ANGOLO D'AUTORE.

Buonasera a tutti!
Boom. Colpo di scena eheh...Questo è sicuramente un capitolo di svolta, dove Emma si accorge finalmente che forse non è davvero tutto 'rose e fiori'. Spero vi piaccia e aspetto sempre i vostri pareri :)
A prestissimo,
Vi_Dragonfly

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Capitolo 7
*** NIENTE DI PERSONALE. ***


-Era Tom. Al cento per cento. E quella non era sua sorella, te lo assicuro…A meno che non le piaccia mettere la lingua in bocca a sua sorella, e allora potrebbe essere lei.-

-Dio, che schifo!- fece Rachel con una faccia disgustata.

-Emy questo è il più grande coglione che io abbia mai visto. Davvero. Già avevo sospettato che fosse un coglione solo per il fatto che non ti avesse più scritto…Ora non ho alcun dubbio.- disse Greta.

-Mi sento…Umiliata. Non lo so. Non mi era mai capitato niente del genere, a dire la verità. E spero che non mi ricapiterà mai più.- Emma fece un lungo sospiro.

-Lei la conosci?- chiese Rachel

-No, non l’ho mai vista in vita mia. Sembrava uscita dalla casa delle Barbie.-

Greta fece una smorfia di disapprovazione. Rachel abbassò lo sguardo, scuotendo la testa.

-Avevo davvero creduto che fosse…Non so, diverso. Dopo quella sera ho davvero pensato ‘Cavolo, questo è l’uomo della mia vita.’ Dopo la cena e il bacio in macchina, poi, mi ero illusa del tutto. E invece…-

-Non ti meriti uno così, Emma.- disse Rachel.

-Lo so. Hai ragione. Dio, devo essere proprio sfigata quest’anno…cosa dice l’oroscopo sulla vita amorosa?- Emma accennò un mezzo sorriso, per quanto le fosse possibile sorridere.

Per tutta risposta, Greta si alzò dalla poltrona su cui era spaparanzata e l’abbracciò forte. Qualche istante dopo, anche Rachel si unì all’abbraccio.

Poi Greta aggiunse: - Comunque sono sicurissima che in questi giorni non avrai nemmeno il tempo di pensare a quello che è successo, perché dovrai  lavorare tipo 24 ore al giorno. No davvero, quanto dovrai lavorare per ripagare un servizio intero di bicchieri?-

Tutte e tre scoppiarono in una risata sincera.

-Per fortuna Nina si è bevuta la scusa del colpo di calore. Poveretta, non posso continuare a non dirle la verità.-

-Emma che altro avresti potuto dirle? Che il tipo con cui ti sei baciata qualche giorno prima è entrato nel bar facendo finta di non conoscerti e poi è uscito per limonarsi una biondona?- disse Greta in tono sarcastico.

Emma  e Rachel ridacchiarono.

-In effetti…Direi di no, non sarebbe stato il caso. Mi avrebbe fatto mettere la camicia di forza.- rispose Emma.

La casa di Greta era più grande di quella di Emma.
Era un appartamento non lontano dal centro, senza giardino, che si sviluppava su un unico piano. Le stanze erano ampie e tutti i pavimenti erano di parquet.
Greta lavorava come segretaria nello studio dentistico di suo padre e, al contrario di Emma, era riuscita a comprarsi una casa tutta per sé anche grazie all’aiuto economico dei genitori.
Quando Emma era uscita dal lavoro il giorno prima, la prima cosa che aveva fatto era mandare un messaggio vocale nel gruppo Whatsapp con Greta e Rachel, e raccontare tutto.
Era arrivata a quasi 8 minuti di registrazione.
Dopo un po’, Rachel l’aveva chiamata al cellulare; poi anche Greta, e alla fine si erano organizzate per cenare insieme a casa di Greta.

Il citofono suonò: era finalmente arrivato il cibo cinese che avevano ordinato.

-Sabato ti  porto a ballare, Emy. Così ti distrai e magari conosci qualche ragazzo nuovo.- le disse Greta, mentre versava nel piatto la salsa di soia.

-No grazie Gre. L’ultima volta che siamo andate a ballare io e te non è finita molto bene. E poi non voglio più avere niente a che fare con i ragazzi conosciuti in discoteca o comunque lì vicino.- rispose Emma, addentando un raviolone cotto al vapore.

-Eddai Emy! Stavolta sarà diverso, sai quanto io mi senta ancora in colpa…E poi chiodo scaccia chiodo!- Greta le fece l’occhiolino.

Le tre ragazze finirono di cenare. Mentre Rachel sparecchiava ed Emma lavava forchette e piatti, Greta sceglieva una commedia da vedere.
Alla fine scelse ‘Una notte da leoni’.

-Ma l’abbiamo già visto mille volte!- si lamentò Rachel.

-Lo so.-  Disse Greta –Ma almeno siamo sicure di farci due risate!-.

Dopo aver visto il film, Emma e Rachel si avviarono verso casa e presero la metro insieme: dovevano prendere la stessa linea, ma Rachel scendeva qualche fermata prima di Emma.
Erano da poco passate le 23,00 quando Emma scese alla fermata di casa sua.
Fece il solito pezzetto a piedi, passando davanti alle villette a schiera illuminate e silenziose e imboccò la via a destra.
Non appena ebbe svoltato l’angolo, la prima cosa che vide fu una vecchia Nissan grigia parcheggiata davanti casa sua.

Il cuore ebbe un mancamento.

Questa era davvero l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di vedere.

Che doveva fare, ora?

Emma prese un respiro profondo e continuò a camminare, determinata, con la testa alta.
Mancavano pochi metri a casa sua (e quindi alla Nissan parcheggiata), quando d’improvviso la portiera di aprì e Tom scese velocemente dall’auto.

Fece qualche passo verso di lei, guardandola.

-Emma.- disse piano lui.

Emma lo ignorò del tutto.

Gli gettò solo un rapido sguardo, poi girò la testa e continuò a guardare dritta davanti a sé, senza smettere di camminare.
Le mani le sudavano. Il cuore era un martello pneumatico.
Si stava mordendo la lingua così forte che temette di staccarsela.

-Emma, ti prego.- una nota di disperazione nella sua voce.

-Voglio solo parlarti. Ho visto che non eri in casa…Ma dovevo parlarti stasera.- disse lui, avvicinandosi ancora a lei.

‘Da quanto era fermo lì ad aspettarla?’

Senza sapere precisamente il perché, Emma ebbe un improvviso brivido lungo la schiena.

-Non voglio parlare con te adesso.- gli disse lei, prendendo coraggio.
Voleva risultare decisa, ma la sua voce si era incrinata solo pronunciando quelle poche parole.

-Lo so e ne hai tutte le ragioni, ma ieri io…-

-Vattene Tom.-

-Non prima di aver parlato con te.-

- Allora chiamo la polizia.- disse Emma seria.

- Non farlo. Sai che non sono qui per farti del male o per importunarti.- rispose Tom ed Emma ne ebbe la certezza: era disperato davvero.

-Io non so un bel niente di te, Tom. Ma l’unica cosa che so per certo è che ieri mi hai trattata come una sconosciuta…Anzi no, peggio! Mi hai trattata come uno zerbino! Come se contassi meno di nulla.-

Emma prese un respiro per calmarsi: aveva alzato pericolosamente il tono di voce, se ne rendeva conto, ma era un fiume in piena ormai.
Lui la fissava immobile, con uno sguardo insofferente.

Finalmente, lei si fermò.

E riprese a parlare, questa volta quasi sussurrando: - E come se tutto questo non fosse già abbastanza, hai pensato bene di baciarti quella ragazza bionda in bella vista davanti al mio bar. ‘Baciare’ poi non è proprio il termine più adatto, perché stavate facendo molto di più che baciarvi.-

Ecco, ora lo aveva detto. Lo aveva sputato fuori, finalmente.

Ma la cosa peggiore di tutta la situazione,  fu lo sguardo che Tom le rivolse: sgranò gli occhi in maniera innaturale e sollevò le sopracciglia chiare.

Era…Sorpreso.

‘Non sapeva che l’avessi visto.’ Intuì tristemente Emma.

Lui continuava a non risponderle ed Emma sentì una scarica di rabbia per tutto il corpo. Riprese a camminare verso la porta di casa sua, distogliendo lo sguardo da Tom
.
-Emma, Isabel non significa niente per me. Non più almeno. E’ una storia finita. - sentì parlare alle sue spalle.

Emma decise di non rispondere, perché altrimenti avrebbe ripreso ad urlare.
Udì dei passi alle sue spalle: Tom la stava ricorrendo.

-Sono stato un’idiota, Emma. Mi hai sentito? Un’idiota. E ho rovinato tutto. Faccio sempre così, io rovino tutto. Sempre.-

L’aveva raggiunta e ora le stava accanto, mantenendo il suo stesso andamento.

-Tu conti molto di più di quanto pensi.- le disse lui con voce rotta.

Emma era arrivata sull’entrata di casa e finalmente si voltò verso di lui, tenendo gli occhi fissi sul suo viso.

Ora erano occhi negli occhi: non potevano più mentire.

-Ti prego.- parlò Tom.

Emma ebbe un istante di esitazione. Aveva seguito il cuore, e le era andata male. Era stanca di farsi mettere i piedi in testa, era stanca di sentire scuse, anche se quelle scuse appartenevano al suo Tom.

-Non ho nessun diritto di essere arrabbiata con te, Tom. Non siamo una coppia, non siamo niente a dire la verità.- rispose lei, con tono stanco.
-Ma ho il diritto di non vederti più, dopo tutto questo.-

-Emma, io…-

Emma indietreggiò lievemente.

-Questa è la mia decisione. L’unica cosa che puoi fare ora è rispettarla. Mi ero sbagliata su di te, non sei diverso da altri uomini.-

E dirlo ad alta voce, la distrusse.
Perché ci aveva creduto davvero e perché forse, una piccola parte di lei, ci credeva ancora.
Ma in quell’istante, contava solo lei. Doveva darsi la precedenza, era stanca di soffirire.

Dopo aver pronunciato quelle parole, vide il viso di Tom torcersi in una smorfia di tristezza.

Emma non poteva sopportare oltre; sentì gli occhi riempirsi di un liquido caldo.
Strinse i muscoli della faccia per trattenere le lacrime.

-Ciao Tom.- parlò, questa volta con una voce rotta, senza più determinazione.

Fece qualche passo ed entrò in casa, sbattendo la porta alle sue spalle.

Sbattendo la porta in faccia a Tom.

Non appena si rese conto di tutto quello che era appena successo, i muscoli del viso le si rilassarono e le lacrime presero a scenderle per le guance.

E questa volta, Emma non si sforzò di trattenerle.




ANGOLO D'AUTORE.
Ciao a tutti e buona domenica :)
Eccomi quì con l'aggiornamento, finalmente. Mi scuso per l'immenso ritardo...purtroppo la sessione invernale di esami è micidiale! Attendo le vostre opinioni :)
Un bacio gigante, 
Vi_Dragonfly

 

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Capitolo 8
*** ADDIO AL NUBILATO. ***


Lo spacco laterale del vestito era veramente troppo:  la coscia le rimaneva quasi tutta scoperta.

Si sentiva mezza nuda.

 I tacchi erano incredibilmente scomodi.

‘Avrei dovuto portarmi un paio di scarpe basse di ricambio’ pensava Emma , mentre se ne stava in piedi fuori dal ‘Boulevard’, indecisa se entrare o no.

Si sentiva un pesce fuori dall’acqua.

Non vedeva l’ora che quella serata finisse…E doveva ancora cominciare.

Si fece forza, tirando un lungo sospiro; aprì la porta pesante ed entrò.

Angela aveva affittato una sala privata per il suo addio al nubilato. Era un’ampia sala scura, illuminata da alcune luci blu elettriche, che facevano venire il mal di testa solo a guardarle.
La musica commerciale era sparata a tutto volume e, a terra, c’erano molti palloncini colorati.
Al centro dello stanzone troneggiava un grosso tavolo pieno di patatine, sandwich, pizzette e altri stuzzichini. Sul lato destro, invece, proprio sotto la cassa della musica, c’era il bar, già affollatissimo.
Moltissime ragazze stavano ballando al centro della stanza al ritmo della musica, scuotendo i capelli e i fianchi.
Qualcuna stava sgranocchiando delle noccioline vicino al tavolo, qualcun’altra era in fila al bar per farsi un drink.

Emma si tolse la giacca e l’appoggiò su una sedia vicino.

Il vestito color indaco, lungo fino ai piedi, le ricadeva dolcemente per tutto il corpo, aderendo bene sul seno e sui fianchi. Si era legata i capelli in una specie di chignon morbido, così giusto per cambiare un po’acconciatura. Solo che lo aveva pettinato davvero troppo morbido: dei fastidiosi ciuffi di capelli le ricadevano sul viso.

Si guardò intorno e intravide Angela: stava ballando con alcune ragazze una canzone di Lady Gaga, proprio al centro della stanza.
Indossava un vestito rosso fiammeggiante aderente e tacchi a spillo come grattacieli. In testa, aveva una coroncina color argento con dei peni rosa che spuntavano.
Anche Angela la vide e corse (per quanto possibile con i suoi tacchi chilometrici) verso di lei.

-Emmaaaaa!- urlò  e l’abbracciò fortissimo, come se non la vedesse da mesi. E si erano viste soltanto il giorno precedente.

 Emma ricambiò l’abbraccio, ridendo.

-Ragazze, questa è Emma, la miglior collega del mondo!- biascicò Angela alle due ragazze che erano con lei, sistemandosi con la mano la coroncina.

Doveva essere davvero ubriaca. Emanava un forte odore di alcool e il mascara le era colato sotto gli occhi, lasciandole due aloni neri.

-Ma se sono la tua unica collega!- Esordì Emma, sorridendo.

-E allora? Sei la migliore in assoluto!-

Angela non pronunciava correttamente le parole. Le ‘s’ le pronunciava ‘sc’ e allungava troppo le vocali.
Emma alzò gli occhi al cielo e trattenne una risata.

Non conosceva nessuno dei presenti.

Anche Nina era stata invitata alla festa, ma non aveva voluto partecipare.

‘Sono troppo vecchia per queste cose!’ aveva detto quando Angela le aveva chiesto di venire. Emma si era morsa le labbra: le sarebbe davvero piaciuto avere un po’ di compagnia.

Ora invece si sentiva sola e a disagio.
Non sapeva come muoversi né con chi parlare e si torturava le unghie nervosamente. Avrebbe potuto fare quattro chiacchere con Angela, ma l’aveva già persa di vista.
Probabilmente era andata a farsi un’altra bevuta, oppure era svenuta da qualche parte.
Emma pensò di attaccare bottone con qualche ragazza. Si guardò un po’ intorno, ma quasi tutte erano impegnate a scatenarsi in pista o a conversare con qualcun altro.

‘D’accordo’ si disse Emma ‘La serata non durerà in eterno. Resisti Emma’.

Si mise in fila al bar e prese un Sex on The Beach: almeno avrebbe avuto una bevuta da sorseggiare e avrebbe potuto fingere di divertirsi.
Non avendo molto da fare, lo finì in pochi minuti.

Prese un altro Sex on The Beach e poi un Gin Lemon.

Ora sentiva i nervi cominciare a sciogliersi…e anche le gambe.

Emma si lanciò al centro della sala, sbattendo contro altre persone e rischiando più volte di inciampare sui suoi stessi piedi. Poi si lasciò trasportare dal ritmo della musica. Era facile adesso ballare seguendo la canzone, senza preoccuparsi troppo.
I suoni sembravano amplificati e le luci rallentate. Non erano più fastidiose come prima.
Nemmeno i tacchi le facevano più male.

Dopo un po’, una ragazza con i capelli scuri e un mini dress a pois salì sul tavolino, rischiando di cadere. Fece cenno al DJ di abbassare la musica e chiese un microfono.

-Gentilissimi invitati…Vorrei rubarvi qualche minuto e approfittarne per ringraziare la nostra meravigliosa sposina Angela di questa splendida festa!- disse la ragazza.
Il salone si levò in un grido e  tutti applaudirono. Anche Emma applaudì.

Poi la ragazza con il vestito a pois disse qualcosa sull’importanza dell’amore e del matrimonio, ma anche su quanto fossero importanti le amicizie, il sesso e le feste.
Emma non seguì bene in discorso: la testa non le ubbidiva più. Le veniva da ridere, ma si trattenne.

-Quindi propongo un brindisi per Angela!-

E tutti urlarono nuovamente.

Dei ragazzi passarono con dei bicchieri e alcune bottiglie di spumante.

Emma non ebbe la minima esitazione: si fece riempire il bicchiere fino all’orlo e bevve lo spumante tutto d’un fiato.

-E ora…una piccola sorpresa per la nostra Angelina. E per tutte voi, belle donne!-

La ragazza scese finalmente dal tavolo, con un salto.
Le luci si abbassarono e la musica pompante ripartì a tutto volume.
Emma iniziò a battere le mani a ritmo della canzone e muovendo i fianchi.

D’improvviso, un ragazzo vestito da pompiere salì con uno scatto sul tavolo, ballando in modo esagerato e sensuale. Si tolse il caschetto che aveva in testa con un gesto rapido, lanciandolo in mezzo alle ragazze urlanti.

Emma scoppiò in una sonora risata.

Non aveva mai visto uno spogliarellista dal vivo (aveva visto ‘Magic Mike’ duemila volte per colpa di Greta)…ma la cosa la incuriosiva molto.
Il ragazzo si tolse anche la parte sopra della divisa, quasi strappandosela, lasciando in bella vista il petto depilato e le braccia muscolose.
Ora anche Emma urlava, con gridolini striduli.

Non si sentiva per niente in imbarazzo di fronte a quella scena, anzi.

Era sicuramente colpa dell’alcool.

Improvvisamente, Emma s’immaginò Tom al posto di quell’uomo: lo immaginò vestito da pompiere, mentre ballava in modo volgare sopra quel tavolo e lanciava occhiate seducenti alle ragazze intorno a lui.
La scenetta fece sorridere Emma .
Ma nello stesso momento, sentì anche un velo di tristezza dentro di lei.

Doveva essere davvero ubriaca, perché non si concedeva mai, nemmeno per un minuto, di pensare a lui.

I primi giorni dopo ‘la visita’ a casa sua era stato davvero difficile; la cosa più difficile era stata non pensarci, nonostante le sue chiamate e i suoi sms di scuse che erano durati per giorni, settimane…
Ignorarli era stata un’impresa durissima.
Non aveva più nominato Tom con Greta e Rachel. Era un argomento delicato, che non poteva e non doveva essere tirato fuori.

Quando la sera, prima di addormentarsi, Emma si metteva sotto il piumone caldo, i pensieri tenuti a bada per tutta la giornata riaffioravano con violenza.
Ma Emma aveva imparato a bloccarli, a distruggerli prima che i ricordi e i rimpianti si facessero nitidi. E allora riusciva ad addormentarsi.

Ma quella sera era diverso.
Quella sera era lì, da sola, ubriaca, senza difese…E non seppe difendersi. Lasciò che Tom visitasse di nuovo la sua mente, come un soldato che ritorna a casa dopo cento anni di guerra.

Si fece riempire di nuovo il bicchiere di spumante.
Mentre lo spogliarellista si toglieva gli ultimi indumenti rimasti, Emma chiuse gli occhi, vedendo occhi celesti e mille altri colori.
Poi tutto divenne buio.


 
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Il profumo che le solleticava le narici era gradevole: doveva essere cannella o forse qualche altra spezia.

Quando pensò alle ‘spezie’ , lo stomaco di Emma si contorse con violenza.

Aprì gli occhi di scatto, tenendosi con una mano lo stomaco dolorante e cercando di trattenere il senso di nausea.

La stanza in cui si trovava non era la sua camera da letto.

Era una camera piccola e poco illuminata, dipinta con colori scuri. L’arredamento era essenziale: un grande armadio di legno, una sedia in un angolo su cui erano appoggiati dei vestiti, uno specchio a muro e il letto su cui Emma giaceva.
Una finestrella lasciava entrare un timido bagliore di luce.

Emma si tirò su di scatto, spaventata.

Ora oltre alla nausea, sentiva anche un’altra morsa nello stomaco: il panico.

Dove diavolo era? Di chi era quella stanza?

Seduta sul letto, cercò di sforzarsi e ricordare gli eventi della sera prima.

Ricordava la grande stanza con luci e palloncini; il discorso della ragazza con il vestito a pois; lo spogliarellista…

Poi più niente.

Niente.

Non ricordava quello che era accaduto di lì in poi.

Non sapeva neppure in che modo era finita in quel luogo sconosciuto.

E ora che doveva fare?

La testa le diceva di alzarsi dal letto morbido e di sgattaiolare via dalla camera, senza fare troppo rumore, cercando l’uscita.
Sì, era sicuramente la soluzione più accettabile: andarsene di lì.

Ma le gambe sembravano come paralizzate e il respiro era trafelato: aveva paura.

Che cosa avrebbe trovato di là? E se qualcuno volesse farle del male?

Strinse forte i pugni, chiudendo gli occhi e concentrandosi.

Basta. Doveva andarsene. Non poteva rimanere lì per sempre.

Emma si fece coraggio e si tirò su lentamente, cercando di non fare troppo rumore.

Si avvicinò barcollando alla porta di legno chiaro e l’aprì con cautela, sbirciando fuori.
C’era un salotto piccolo e stretto; sembrava una miniatura a causa delle sue dimensioni. Anche questa stanza era poco illuminata: doveva esserci una sola finestra anche quì. A terra c’era una moquette color grigio-topo e, al centro della stanza, una vecchia TV; di fronte al televisore, era piazzato un divano sgangherato, rivestito con una fodera a quadretti.

La sala era deserta.

L’unico segnale di vita era una piantina con dei piccoli fiori rossi che spuntava da un angolo della stanza e dava un po’ di luminosità.
Nonostante quel posto sembrasse cadere a pezzi, tutto era perfettamente in ordine. Anche la vecchia moquette sembrava incredibilmente pulita.
Emma fece qualche passo verso il salotto: doveva esserci una porta per uscire lì, da qualche parte.
Non riconosceva neppure quella stanza.  ‘Forse è casa di Angela?’ pensò Emma e sentì una strana pace interiore a quel pensiero.
Fece qualche altro passo più deciso e arrivò vicino al divano.

E fu allora che lo vide.

Un ragazzo dai capelli colore del grano stava dormendo rannicchiato proprio su quel divano. Alcuni ciuffi spettinati gli ricadevano sul viso. La sua pelle era liscia e rosata, sembrava fatta di seta. Teneva le braccia strette intorno al proprio corpo e le gambe schiacciate contro il bracciolo del divano. Indossava dei pantaloni della tuta ed era senza maglietta; dormiva profondamente, immobile. Sembrava un bambino indifeso.

Emma urlò per lo stupore.

-Ma che cazzo…?-

Non diceva quasi mai parolacce, ma questa volta non poteva trattenersi perché tutta questa situazione era assurda.
Non poteva crederci.

Che diavolo era successo la notte prima?

Il ragazzo si mosse di scatto e si stropicciò gli occhi con una mano.
Il grido di Emma lo aveva svegliato.
Aprì le palpebre assonnate, e i suoi occhi trasparenti esplosero come un fuoco d’artificio.

Anche Emma esplose alla vista di quegli occhi che aveva tanto amato. Che aveva imparato a dimenticare.

Vedendola lì, in piedi, davanti al divano, lui fece un mezzo sorriso soddisfatto e mormorò:

-Buongiorno anche a te, tesoro.-

 


ANGOLO D'AUTORE

Lo so, avete ragione, non odiatemi...ma oggi vi lascio con un po' di suspance ;) non temete, aggiornerò presto come sempre, promesso!
Aspetto i vostri pareri!
Un bacione grandissimo
Vi_Dragonfly
 

 

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Capitolo 9
*** MOMENTI DI VERITA'. ***


Tom la stava ancora fissando, sdraiato sul divano, con quel sorriso malizioso, senza proferire parola.
Emma era lì in piedi, immobile.
Non sapeva se la sconvolgesse di più il fatto che fosse presumibilmente a casa di Tom o il non ricordarsi assolutamente nulla della sera precedente.
Si sentiva spaesata e indifesa; ma non poteva nasconderlo: un lume di felicità ed eccitazione lampeggiava dentro di lei.

Rivedere Tom, dopo tutto quel tempo, le fece tornare a battere il cuore.

Tuttavia doveva rimanere lucida e, soprattutto, dura con lui e con sé stessa.

-Dove sono?- chiese

Tom sbarrò gli occhi, accigliato.
Poi scoppiò in una sonora risata.

-Ma come dove sei?...Non ti ricordi niente?-

-No…- Ora Emma si sentiva una sciocca.

Tom continuò a ridacchiare, divertito.

-Dimmelo.- strinse forte i denti.
Tom si fece subito serio, forse perché aveva intravisto quel velo di disperazione sul viso di Emma. La guardò preoccupato.

-Sei a casa mia, Emma.- rispose freddo. –Ti  ho portata qui ieri sera perché non volevo lasciarti da sola a casa tua. Stavi…male. Hai vomitato per quasi tutta la notte.-

Emma ebbe una specie di flash.
Ricordava il sapore acre su e giù per gola; ricordava sé stessa appoggiata al water di un bagno.
Tom le teneva i capelli e le accarezzava delicatamente la testa con l'altra mano.

Emma sentì le guance colorarsi per la vergogna.

-Come…come mi hai trovata? Cioè…- Emma balbettava impacciata.

-Eri anche tu alla festa di Angela?-

Lo sguardo di Tom era ancora fermo e deciso, ma accennò un lieve sorriso.

-No. Non ero a quella festa.-  disse  – Sei stata tu a..chiamarmi al cellulare.-

Emma avrebbe voluto che la terra si aprisse in una voragine e la divorasse per sempre. Ma la terra non si apre mai nei momenti in cui vorresti.
Chissà che gli aveva detto al telefono…

‘Oddio. Non oso pensarci.’

Tom continuò, solenne: - Ho sentito già dalla tua voce che non eri completamente…lucida, diciamo. Così ti ho chiesto dove fossi e sono venuto a prenderti.-

Fece una pausa.

-Avevo paura che potesse capitarti qualcosa.- disse.
E, con grande stupore di Emma, Tom distolse lo sguardo da lei, come se volesse nascondersi. 
L'umiliazione e l'imbarazzo che Emma sentiva in quel momento furono sostituiti da un senso di colpa.
Sapeva che Tom era corso a prenderla perché, in qualche modo, a lei ci teneva e un'esperienza simile era già capitata la stessa sera in cui si erano conosciuti.
Emma chiuse gli occhi per scacciare il terribile ricordo di quella notte.
 
- Grazie Tom. Per tutto quanto.- disse Emma, tenendo basso lo sguardo.

Quelle parole erano le più sincere che avesse mai pronunciato.
Per tutta risposta, Tom si alzò con uno scatto dal divano, fece qualche passo verso di lei e la circondó con le sue braccia forti, aderendo il suo corpo contro quello di Emma.
Emma non poté fare a meno di arrossire: lui era ancora senza maglietta e la stava stringendo forte a sé. Emma se ne stava appoggiata al suo petto nudo e muscoloso.
Non avrebbe mai voluto liberarsi da quell'abbraccio.
Era tutto quello che voleva.
 
-Mi sei mancata, sai?-

Era vero.
Non se l'era immaginato.
Lui le aveva appena sussurrato all'orecchio quelle parole, talmente a bassa voce che sembravano irreali. Emma non rispose subito. Rimase ancora qualche istante aggrappata a lui, assaporando quel momento così dolce e innocente, fantasticando su quelle parole appena dette.
 
Poi anche lei gli parlò piano all'orecchio: -Hai una ragazza Tom. Non puoi dirmi cose del genere, e lo sai. Non è giusto né per lei né per me.-

Emma si staccò bruscamente da lui e fu la cosa più dolorosa del mondo. Ma Tom l'afferrò per un braccio, riavvicinandola delicatamente a lui.
 
-Ho lasciato Eva quella sera subito dopo la nostra...discussione.-

Emma ebbe un sussulto e lui continuò: - Non funzionava tra di noi. Non ha mai funzionato. Solo che non riuscivo ad ammetterlo a me stesso...Ma poi ho incontrato te...- Lasciò la frase sospesa, continuando a guardare Emma con dolcezza.
Emma sentiva mille emozioni farsi luogo dentro di lei. Gli stava praticamente dicendo che aveva lasciato la sua fidanzata per lei.
Aveva scelto lei.
Ebbe un tuffo al cuore e sentì un senso di improvvisa serenità.
Ma aveva davvero bisogno di riflettere su tutto quanto: erano successe troppe cose in così poco tempo. Non sembrava nemmeno più la sua vita.
Sorrise involontariamente.
-Tom non prendertela ma...ora avrei solo bisogno di tornare a casa.-
Tom inclinó lievemente le labbra in una specie di sorriso e annuì.
- Posso farmi venire a prendere da qualcuno se mi dai l'indirizzo...- proseguì Emma.
- No. Ti riporto a casa io, tesoro.- rispose lui, passandosi una mano tra i capelli scompigliati. - Ma se non ti spiace prima dovrei passare un attimo da mia madre.-
Emma annuì, senza riuscire a togliersi il sorriso dal volto.





Tom parcheggió la Nissan vicino alla roulotte.
Era di colore bianco sbiadito, incrostata di vernice e sgangherata.
Quella era la casa dove viveva la madre di Tom.
Mentre lui entrava dentro, Emma era uscita dall'auto per prendere una boccata d'aria fresca.
Addosso aveva ancora il suo abito lungo fino ai piedi, ma Tom le aveva prestato una felpa bordeux da mettere sopra, visto che Emma aveva lasciato il giaccone alla festa.
Tacchi alti, abito da sera e felpone: abbigliamento impeccabile.
Emma sghignazzó tra sé, ma pensò che le piaceva davvero tenersi addosso quella felpa calda, impregnata dal profumo di Tom.
Mentre l'aria fredda del mattino le scompigliava i capelli dorati, Emma continuò a pensare a tutto gli eventi e alle parole di Tom.
Poteva davvero fidarsi di lui dopo tutto quello che era successo?
Era disposta a lasciarsi scivolare tutto addosso?
Non riusciva a darsi una risposta ora.
Provava qualcosa di forte per lui, certo. Ma le frullavano mille cose per la testa e tutto era annebbiato dai postumi dell'alcool.
Era meglio rifletterci per bene, in tranquillità.

Ad un tratto, udì un forte urlo di rabbia squarciare l’aria mattutina.

Emma fece un piccolo saltello per lo spavento.
'Ma che cavolo...?'
Altre urla, ma questa volta erano di più persone. Provenivano dalla roulotte della madre di Tom.

Stavano litigando.

Emma non sapeva che cosa fare.
Era lì, da sola, appoggiata alla vecchia auto di Tom e si sentiva inebetita. Non avrebbe mai avuto il coraggio di entrare lá dentro da sola.
Ancora altre urla, sempre più rabbiose; dicevano qualcosa di incomprensibile, gridandosi contro.
'Forse devo chiamare la polizia?' si domandò Emma, tesa.
Ma prima ancora di riuscirsi a dare una risposta, la porta della roulotte di spalancó di colpo, sbattendo violentemente con un tonfo.
Tom uscì velocemente. Aveva un'espressione distorta dalla rabbia; gli era comparsa una piccola vena sulla fronte e teneva i pugni serrati.
Emma non lo aveva mai visto così in vita sua.
Subito dopo, dalla porta, apparve una donna dai lunghi capelli lisci e biondi (della stessa tonalità di Tom), labbra carnose e occhi color nocciola. Il viso era magro e lungo, segnato da qualche ruga, ma la sua bellezza era innegabile. La donna afferrò Tom per una spalla, barcollando all'indietro.

-Ti prego Tommy, non fare così.- Biascicó sua madre.

Emma se ne rese conto quasi subito: era ubriaca. Ed erano le 11 del mattino
Emma sentì una punta di tristezza dentro di lei.

-Tommy...-continuava sua madre, pregandolo.

Tom non si voltò nemmeno e si liberò dalla mano che ancora lo teneva per la spalla.
Continuó a camminare, mentre la donna si era fermata di colpo, accasciandosi sull'erba, tenendosi la testa tra le mani.

- Andiamocene.- disse Tom passando accanto ad Emma, con un tono che non ammetteva repliche. Emma ubbidì e salì in macchina, senza proferire parola.

Non dissero una nulla per il viaggio verso casa di Emma: lui era ancora tutto rosso in viso e continuava a stringere forte le dita sul volante, mentre lei non riusciva a dire niente di sensato: non voleva intromettersi in quella vicenda, non ne aveva il diritto.
Ad un tratto, Tom sterzò il volante e accostó l'auto sul lato della strada. Spense il motore.
Emma continuava a guardare fisso davanti a sé, respirando profondamente, tesa come una corda di violino.

- Scusami.- disse ad un tratto Tom, dopo qualche istante di silenzio.

-Non avrei mai voluto farti assistere a una cosa del genere.- ora si era voltato a guardarla.

Anche Emma girò lentamente il viso e lo guardò negli occhi; scosse la testa e gli disse piano:-Non preoccuparti...-

- Le presto dei soldi ogni settimana, cazzo. Ogni settimana. Mi dice sempre che cambierà, che smetterà di bere, che smetterà di cambiare uomini in continuazione come se fossero vestiti sporchi, che sarà una madre migliore. La verità è che rimarrà sempre così, per tutta la vita. Non me ne frega un cazzo di quei soldi...ma vederla buttare via la sua vita così miseramente mi manda fuori di testa.- Tom fece un lungo respiro rassegnato, fermandosi.

-Davvero, scusami.-

Emma lo guardava tristemente; poteva sentire tutto il suo dolore e tutta la sua rassegnazione. Qualsiasi figlio avrebbe provato lo stesso vedendo la propria madre in quelle condizioni...Emma non poteva neppure immaginare come avrebbe reagito se sua madre fosse stata un'alcolizzata irresponsabile. Le voleva un gran bene nonostante la chiamasse ad ogni ora del giorno. A volte la faceva arrabbiare, è vero, ma lo sapeva che si comportava così solo per affetto.
Lei avvicinò piano il viso a quello di Tom e gli diede un bacio leggero, senza malizia, tra la guancia e la bocca.
Poi gli prese dolcemente la mano.

-Andrà tutto bene Tom.- sussurró, con il cuore che le batteva forte.

Per tutta risposta, Tom continuò a guardarla intensamente.
Ma questa volta nei suoi occhi apparve una piccola scintilla di speranza, che Emma notò subito.
Rilassó le spalle e il volto; anche la piccola vena che era apparsa sulla fronte piano piano scomparve.

Ora era più tranquillo.

Per la prima volta da quando lo conosceva, Emma poté vedere tutta la sua sincerità.
Era un ragazzo come tanti, incredibilmente forte…Ma con le sue debolezze, come qualsiasi altro essere umano.

Emma se ne rese conto: per una volta, seppur in modo limitato, era stata lei a salvare lui.





ANGOLO D'AUTORE.

Ehy ciao :) come state?
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Ne approfitto per ringraziarvi per le tantissime recensioni che mi avete lasciato: mi sono servite (e mi servono) tantissimo per migliorare, quindi grazie ancora di cuore!
A presto cari :*
Vi_Dragonfly

 

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Capitolo 10
*** SECONDE OCCASIONI. ***


Nei giorni che seguirono Emma continuò a sentire Tom.
Lui le mandava sms o messaggi su Whatsapp per chiederle come stava, che cosa faceva, com'era andato il lavoro...
Ed Emma rispondeva.
Non era ancora così sicura che quella fosse la cosa giusta da fare, ma era ciò che la faceva stare meglio. Si sentiva il cuore più leggero.
Aveva raccontato tutto quello che era successo la sera dell'addio al nubilato a Greta e Rachel, senza omettere nulla, parlando anche della madre di Tom ubriaca fradicia, del momento in auto e dei messaggi che lui le inviava quotidianamente.
Disse anche, naturalmente, che Tom aveva lasciato la sua fidanzata. Greta è Rachel la guardavano con un misto di stupore e comprensione.

- Emy tutta questa situazione è assurda, lo sai vero?- le disse ad un tratto Greta.

- Io penso che tu debba semplicemente fare quello che ti senti. Quello che ti rende felice.- le disse dolcemente Rachel, mentre Greta annuiva.

Anche Emma era d'accordo: in fondo non aveva nulla da perdere e sentire Tom le procurava uno strano piacere al cuore.
Poi un giorno Tom le chiese di andare a prendere un caffè insieme dopo pranzo.
Questa volta fu Emma a decidere il posto: un grazioso bar non lontano da casa sua, famoso per i suoi frullati, in cui Emma aveva sempre desiderato andare ma non ne aveva mai avuto occasione.
Alle 15.00 in punto Tom la stava già aspettando lì davanti, puntuale come un orologio svizzero.
Le temperature si stavano alzando e il freddo pungente invernale stava lentamente lasciando posto al tepore della Primavera.
Tom indossava una camicia a quadri sbottonata sul davanti, una t-shirt bianca che aderiva sensualmente ai suoi addominali e un paio di jeans neri.

‘ Lo fa apposta.’ Pensò tra sé Emma, cercando in tutti i modi di non soffermarsi a guardare il fisico scolpito.

Quando la vide, Tom le andò incontro, abbracciandola e dandole un leggero bacio sulla guancia.
Emma arrossì leggermente.
Non si sentiva più così tesa come le prime volte, ma i gesti dolci e protettivi di Tom la sorprendevano sempre.
Entrarono dentro il bar e un ragazzo con il viso tempestato di lentiggini li fece accomodare ad un tavolino.
Entrambi sfogliarono in silenzio il menù: Emma prese un frullato alla vaniglia con panna, Tom uno alla ciliegia.

-Allora… Come vanno le cose?- disse Emma, rompendo il silenzio.

Si pentì subito di quella domanda:  non voleva sembrare la classica tipa che non si faceva gli affari suoi, soprattutto dopo aver assistito al litigio con sua madre.
Ma Tom non sembrò affatto a disagio.

-Potrebbero andare meglio.  In fabbrica stanno licenziando parecchia gente perchè manca il lavoro e hanno diminuito molto gli stipendi, quindi diciamo che non è un gran momento. Poi con mia madre…bè, l’hai conosciuta.-

Tom accennò una sorta di sorriso.
Un sorriso triste.
Emma abbassò lo sguardo.

-Mi dispiace.- sussurrò.

-Tu invece come stai? Ti è ritornata la memoria?- Tom rise di gusto.

Emma avrebbe voluto scomparire. Più ripensava a quella sera, più si sentiva morire di vergogna.
E la cosa più assurda era che non si ricordava praticamente nulla, se non qualche piccolo flash di lucidità.
Non berrò mai più.’ Si era ripromessa.

-No, niente di niente mi dispiace.- disse lei, leggermente piccata ma allo stesso tempo divertita.

Si soffermò a guardare quel ragazzo seduto di fronte a lei, nel suo stesso tavolo.
I capelli biondi dolcemente scompigliati, senza chili di gel appiccicoso, il naso dritto e due gemme azzurre  che la guardavano, divertite.
Le labbra piene e rosse, troppo rosse, a causa del frullato alla ciliegia, che s'incurvavano in un sorriso.
Emma avrebbe voluto baciarle e sapere che gusto avesse quel frullato sulla sua bocca.
Era incredibilmente bello.

Ad un tratto, il cellulare di Tom, appoggiato sul tavolo, squillò, rompendo quel momento di magia pura in cui un ragazzo e una ragazza si stavano guardando così intensamente da poter produrre elettricità.
Tom lo guardò di sbieco infastidito, ignorando la chiamata.
Emma fece un piccolo sospiro.
 


 
*

 
 
 
-Posso chiederti una cosa?- chiese Emma titubante.

Tom la guardò accigliato, mentre aspirava il fumo della sigaretta.
Erano fuori dal locale, seduti su una panchina: questa volta Emma era riuscita a pagare il conto, nonostante le proteste di Tom.
Fuori si era fatto buio e l’aria si era notevolmente rinfrescata; Emma teneva le braccia incrociate per riscaldarsi un po’.
Era tutto il pomeriggio che ci pensava e ripensava…
Ma solo adesso aveva trovato il coraggio di chiederglierlo.

-Certo.- rispose Tom piano, dopo alcuni secondi.

La fissava, serio.
Emma fece un lungo respiro.

-Perché ti sei comportato in quel modo qualche settimana fa, quando sei entrato nel bar dove lavoro?-

Sputò fuori lei tutto d’un fiato. Lo aveva detto, finalmente.

Si sentiva come se si fosse tolta un peso, ma adesso voleva una risposta onesta e credibile.
Tom guardava in silenzio un punto davanti a sé, continuando a fumare la sua sigaretta. Emma fissava il suo profilo simmetrico, aspettando.

Passarono secondi, forse minuti interi.

Ora Emma si mordeva le labbra nervosamente: si stava pentendo di avergli fatto quella domanda.
Pensò davvero che non avrebbe più risposto.
‘Ecco, ora si alza dalla panchina e se ne va.’
E invece finalmente Tom aprì la bocca, parlando a bassa voce.

-Dalla sera in cui ci siamo incontrati, non ho smetto un attimo di pensare a te Emma.-

Ad Emma ora non interessava più la risposta alla sua domanda. Quelle parole le bastavano, perché era tutto quello che avrebbe voluto sentirsi dire da sempre. Ma lui continuò lo stesso.

-Ho provato a non pensare a te, a starti lontano. Cazzo, avevo una ragazza. Non era giusto. Ma non ci riuscivo, io… Dovevo rivederti.-

Tom si voltò di scatto verso di lei, incontrando i suoi occhi.

-Ho passato una serata bellissima con te. Era da tempo che non mi sentivo così. Ma poi tornando a casa quella sera, ho pensato ad Eva e a quanto stronzo fossi stato a baciarti, a venirti a cercare.-

Quando pronunciò la parola ‘baciarti’, Emma ebbe un tuffo al cuore.
Sapeva benissimo le emozioni che Tom stava descrivendo, perché le aveva provate anche lei.
Ma, al contrario suo,  Emma non aveva nessun ragazzo.

-Decisi di non scriverti più e dopo qualche giorno mi convinsi di averti dimenticato. Era fatta, no? Così sono venuto nel bar dove lavoravi. Volevo mettermi alla prova. Mi ricordavo perfino l’inidirizzo…che stupido.- Fece una risatina.

-Poi ti ho vista ed eri così…bella. Ho fatto uno sforzo incedibile per cercare di ignorarti e per cercare di ignorare quella vocina dentro di me che mi diceva ‘Che cazzo stai combinando, Thomas? Non vedi che non puoi starle lontano?’- Fece una piccola pausa.
Emma non osò proferire parola.

-Mentre ero dentro il bar, ho mandato un messaggio ad Eva. Le ho chiesto di passare perché avevo bisogno di distrarmi. Lo so, sono un’idiota. Non avrei dovuto usarla in quel modo, non se lo meritava. Comunque non pensavo che mi avessi visto, lì fuori.-

Un’altra pausa, questa volta più lunga.

-Bè, questo è tutto. Ora sai tutta la verità, tesoro.-

Non smetteva di guardarla negli occhi.

Emma era senza parole.
Un turbine di emozioni viaggiava dentro la sua anima.
Non sapeva che cosa dire.
Avrebbe voluto gridare che era stato uno stronzo, che l’aveva fatta soffrire, che si era innamorata di lui.
Sì, perché la verità era proprio questa.

Si era innamorata di lui.

E fece l’unica cosa che avesse senso in quel momento: si avvicinò dolcemente a Tom, quasi in modo automatico, gli prese il viso tra le mani e lo baciò intensamente.

Da dove le fosse venuto fuori tutto quel coraggio, Emma proprio non lo sapeva.
Ma ora non poteva più controllarsi. Lo baciò con tutto l’amore che aveva dentro, come se volesse trasmetterglielo attraverso le sue labbra.
Per tutta risposta, Tom l’afferrò per i fianchi e spinse più forte il viso contro il suo, ricambiando il bacio con passione.

Driiiiiiin

Driiiiiiin

Emma riaprì gli occhi e si staccò da Tom con forza, come se fosse stata appena risvegliata dopo un lungo sonno.

Driiiiiiin

Era il telefono di Tom. Di nuovo.

Tom era innegabilmente innervosito per l’interruzione inaspettata.
Farfugliò uno ‘scusami’ e tirò fuori dalla tasca il cellulare demoniaco.
Fissò lo schermo per qualche istante, ma senza rispondere.
Ora Emma lo guardava accigliata.

‘Che sta succedendo?’

Tom schiacciò qualche tasto e poi rimise il telefono in tasca.
Si voltò a guardare Emma, con un’espressione lievemente triste.
Emma continuava a fissarlo, senza dire nulla.
Si rendeva conto che probabilmente non avrebbe dovuto preoccuparsi, ma la cosa non le piaceva affatto.
Aveva ancora le guance colorate e il respiro affannoso per il bacio che c’era appena stato, interrotto bruscamente.
E lui se ne stava lì a guardarla, muto come un pesce.
Sentì il volto contrarsi per l’indignazione e il corpo le divenne teso.
Probabilmente Tom notò il cambiamento di espressione di Emma, perché spalancò gli occhi, sollevando le sopracciglia, come se fosse sorpreso.

-Era Eva. -  disse con tono neutro, senza esitare.

-Ah. - rispose lei, di rimando.

‘No, tutto questo è surreale.’ Pensò Emma intontita da tutta quella situazione.

Per fortuna, Tom continuò il discorso.

-Non voglio parlarle. Sembro uno stronzo probabilmente…anzi, sono uno stronzo-

‘Sono d’accordo.’ Si disse Emma.

-Scusami ancora. In questi giorni mi sta dando il tormento. Non fa altro che chiamarmi, non si capacita della fine della nostra relazione.-

Tom abbassò gli occhi.

Emma non rispose.
In qualche modo, si sentiva in colpa per Eva, che in realtà nemmeno conosceva.
Però allo stesso tempo…Era gelosa. Sì, tremendamente gelosa.
Si vergognò di sé stessa e di quella gelosia che provava, ma non poteva farne a meno.
Tom rialzò lo sguardo, fissandola.

Lo sguardo malinconico che aveva si fece improvvisamente vispo e scoppiò in una risata genuina.

Emma lo guardò allibita.

‘Okay, è pazzo. E’ bipolare. Non ci sono altre spiegazioni…O forse sono io quella pazza che sta seduta su una panchina con un malato di mente.’

Intanto Tom continuava a ridere.

-Non dirmi che sei gelosa, tesoro.- Disse ad un tratto, tra una risata e l’altra.

Emma strabuzzò gli occhi.

-Cosa?-

Per tutta risposta, Tom rise ancora più forte.

Emma divenne rossa come un peperone. Come aveva fatto a capirlo? Maledetto.

Naturalmente non lo avrebbe mai e poi mai ammesso.

-Non sono gelosa…-  rispose Emma cercando di sembrare sincera, ma il tono della voce la tradì.

Tom smise di ridere e la guardò con dolcezza.

-Non devi esserlo. Non ce n’è motivo.-

Allungò una mano e le accarezzò i capelli, spostando una ciocca dietro l’orecchio.

Poi si avvicinò lentamente e premette di nuovo le labbra contro le sue, riprendendo da dove erano stati interrotti.

Emma si sentì vibrare come una corda di violino.

Non importava se erano su una panchina pubblica, in mezzo ad un marciapiede affollato.

Baciare Tom, sentire tutto il suo calore e la sua vicinanza erano tutto quello che le serviva.







ANGOLO D'AUTORE.


Buongiorno a tutti! ♡
Finalmente un po' di felicità per la nostra Emma...Le ci voleva proprio :) che ne pensate di questo capitolo?
Come sempre, aspetto i vostri pareri. Siate onestissimi, vi prego!
Ringrazio tutti quelli che seguono la mia storia [è davvero emozionante vedervi crescere di numero ogni giorno] e grazie anche per le bellissime recensioni che mi lasciate ogni volta ♡
In particolare ci tengo a ringraziare Hiroshi84 e MusicHeart per i loro incoraggiamenti e consigli!

A presto! Un bacio,
Vi_Dragonfly

 

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Capitolo 11
*** LA CENA. ***


Le cose non potevano andare meglio.
Era da tanto tempo che Emma non si sentiva più così; era uscita con alcuni ragazzi in passato, certo, ma forse non era mai stata realmente presa da loro. Se ne rendeva conto solo ora.

Con Tom era tutto diverso.

Emma non vedeva l’ora di staccare dal lavoro per sentirlo qualche minuto al telefono, per organizzarsi con lui su dove andare a cena o su che cosa fare il pomeriggio.

Non vedeva l’ora di stare con lui.

L’aveva portata al cinema a vedere un film romantico (‘Sappi che è un grande sforzo per me, perché io odio i film romantici.’ Le aveva detto, ridendo.), a cena in un ristorante Italiano, al luna park…ovunque.
E lei non si stancava mai. Si stava rivelando un ragazzo dalle mille qualità, quasi troppo perfetto.

Anche Greta e Rachel erano felici di vedere Emma così entusiasta.

- Sei così eccitata Emy…E non hai ancora visto il suo ‘arnese’, pensa un po’!- aveva esclamato Greta, facendo quasi inciampare il cameriere che stava portando i loro caffè al tavolo.

Emma si era schiacciata le mani in faccia per l’imbarazzo.
Rachel tossì forte per nascondere una risata.

- Comunque ormai sono curiosa Emma! Quando ce lo farai conoscere questo famoso Tom?- disse Rachel dopo qualche minuto, sorseggiando il caffè fumante.

- Quando volete ragazze!- rispose Emma entusiasta. Le piaceva molto l’idea di poter finalmente far incontrare Tom a Rachel e Greta.

- Perché non organizziamo una cena?- ribattè Greta. –Possiamo farla anche da me! Basta che mi aiutate a cucinare, perché sapere che io e i fornelli siamo due cose totalmente opposte.-

Emma e Rachel risero, ricordando quella volta in cui Greta aveva bruciato tutto il salmone al forno, facendo scattare l’allarme anti-incendio della casa.

- No ragazze, facciamola a casa mia!- disse Emma. – Che ne dite di venerdì prossimo?-


 
*

La tavola era stata apparecchiata con delle tovagliette americane di legno, bicchieri di vetro e tovaglioli ben piegati sul lato destro, vicino al piatto.
Al centro del tavolo, Emma aveva disposto delle candele e un cestino con del pane fresco.
Aveva chiesto il cambio al lavoro, così da poter avere tutto il pomeriggio libero per i preparativi; Rachel era venuta ad aiutarla nel primo pomeriggio: al contrario di Greta, lei era molto brava ai fornelli.
Avevano preparato le lasagne di carne, seguendo un video tutorial su You-Tube e, come secondo, carne arrosto con salse e formaggi.

Greta sarebbe arrivata poco prima di cena per aiutare con gli ultimi preparativi e avrebbe portato il dolce, rigorosamente comprato in pasticceria.

Era tutto pronto.

Per qualche strano motivo, Emma era incredibilmente tesa.
Era la prima cena ‘importante’ che organizzava a casa sua. E se fosse andato storto qualcosa?
E se Tom non fosse piaciuto a Greta e Rachel?

E se, e se, e se.

Emma fece un profondo respiro per calmarsi.

Il campanello suonò, squillante, ed Emma andò ad aprire.
Finalmente anche Greta era arrivata e aveva in mano un vassoio incartato.

- Consegna a domicilio del Millefoglie più buono del mondo!- gridò entusiasta, scuotendo i capelli.

- Okay, sono psicologicamente pronta a conoscere questo misterioso Edward Cullen biondo che si spaccia per il tuo fidanzato.-

Rachel rise di gusto, mentre Emma alzò gli occhi al cielo, facendosi sfuggire una risata.
Ora che sia Greta che Rachel erano lì con lei, si sentiva più tranquilla.

Sarebbe andato tutto bene.





Tom si presentò con qualche minuto di ritardo, scusandosi esageratamente con le ragazze.
Era davvero bellissimo.
Aveva indossato una camicia azzurra aderente e un paio di pantaloni blu scuro.
Si erano sistemato il ciuffo di capelli di lato, usando del gel per fissarlo.
Il profumo che aveva addosso non era il solito: era forte e seducente, e aveva invaso tutta la stanza non appena era entrato.
Non c'era neppure una minima traccia dell’odore dolciastro di fumo di sigaretta che lui si portava sempre dietro.

Per Emma era piuttosto chiaro: Tom aveva curato ogni singolo dettaglio perché voleva fare bella figura.

Anche lui era teso e anche lui aveva paura che qualcosa potesse andare storto.

Sentì una punta di tenerezza verso di lui: ci teneva davvero a quella cena e teneva davvero anche a lei.
Emma lo salutò con un rapido bacio e gli presentò subito Greta e Rachel.
Entrambe sembravano molto incuriosite dal nuovo ospite e non smettevano un minuto di studiarlo.

- Tom, non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto la sera un cui hai incontrato Emma. Grazie.- disse seria Greta, guardandolo fisso.

Tom annuì, senza aggiungere altro.

Erano tutti seduti a tavola e si stavano gustando le lasagne che Rachel ed Emma avevano cucinato il pomeriggio.
Erano molto buone, ma leggermente salate.

- Naturalmente è colpa del tutorial su You-Tube, non ci sono dubbi.- aveva esclamato Rachel ridendo.

La tensione si stava sciogliendo sempre di più.
Ora Tom sembrava a proprio agio e continuava a fare battute su un programma televisivo che andava in onda l'anno precedente, trovando l'appoggio di Greta.
Sia Emma che Rachel ridevano allegramente, complice anche il buon vino rosso che Tom aveva portato.
Tom aveva allungato la mano sotto il tavolo e accarezzava la coscia di Emma dolcemente e senza malizia, come se volesse farle sentire la sua presenza.

 -Allora Tom... La tua ex psicopatica continua ancora a tormentarti?- chiese d'un tratto Greta, con il tono più innocente del mondo.
Emma s'irrigidì e vide anche Tom cambiare bruscamente espressione.
'Io la uccido, giuro. La uccido.' Pensò Emma, lanciando a Greta un'occhiataccia.
Per tutta risposta, lei le rivolse un sorriso innocente.
Tom rispose dopo qualche istante, visibilmente teso:

- No. Pare che la situazione si sia...calmata.- balbettó.

Greta annuì, senza troppa convinzione.
Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma questa volta Emma la batté sul tempo.

- Bhè, direi che arrivato il momento di prendere il magnifico Millefoglie che Greta ha preparato con le sue mani...o quasi!- esclamò Emma ad alta voce, continuando a guardare Greta con uno sguardo furioso.
Per tutta risposta, Greta le fece una linguaccia.



 
*

 
Rachel andò via subito dopo il dolce, perché la mattina dopo doveva svegliarsi presto per fare da baby-sitter ad una sua cuginetta.
Greta invece rimase ancora un po', continuando a sorseggiare il vino e a parlare con Emma e Tom.
Questa volta  la conversazione aveva un tono molto più leggero.
Poi, quando fu ora di andare, salutò Tom con due baci sulle guance e abbracció forte Emma.

-  Piacere di averti conosciuto Tom. Ah!  Mi raccomando tratta bene la mia amica e soprattutto vedi di toglierle quelle mutandine sexy che si è messa stasera!- esclamò Greta, facendo l’occhiolino e chiudendo al porta velocemente, prima che Emma potesse acciuffarla e torcerle il collo.

Tom scoppiò in una risata cristallina, mentre Emma arrossì fino alla punta dei capelli.

Tom aiutò Emma a sparecchiare e lavare i piatti, nonostante le proteste di Emma.

-Lasciami fare il cavaliere, dai!- le aveva detto Tom , sorridente, mentre toglieva le tovagliette dal tavolo.

Emma non poteva negare che la cosa non le dispiacesse affatto, sia per l’aiuto che le stava dando, ma soprattutto perché potevano stare un po’ da soli.
Mentre Emma sciacquava gli ultimi piatti rimasti, Tom le si avvicinò e  le cinse la vita con le braccia, baciandola dolcemente sul collo.

-Guarda che se continui a distrarmi, sarai tu a dover lavare tutti i piatti, mio caro.- disse Emma, prendendolo in giro.

- Ah davvero? E’ forse una minaccia?-

-Sì. Ti conviene farmi finire e lasciarmi in pace.-

-Ma io non voglio lasciarti in pace.- le sussurrò lui in un orecchio.

Emma lasciò cadere piano l’ultimo piatto nel lavandino, si voltò verso Tom e lo baciò prima dolcemente, poi con passione, mordendogli le labbra.
Lui ricambiava senza fermasi e senza nascondere la sua eccitazione.
Non smisero di baciarsi neppure quando arrivarono in camera da letto.
Quel letto aveva visto tante lacrime, aveva ascoltato tanti pensieri farsi strada nelle notti più buie.

Ma quella sera era diverso.
Quella sera, proprio su quelle lenzuola che erano state imbrattate di lacrime mesi prima, c’erano ora due corpi nudi che s’incastravano perfettamente l’uno con l’altro e non potevano smettere di esplorarsi.
C’era tutta la passione di due persone innamorate che non sarebbero state in grado di lasciarsi andare, neanche volendo.




- Dovresti propria dire a Greta che sono riuscito a strapparti quelle mutandine super-sexy che indossavi.- sghignazzó Tom, ancora nudo, rotolandosi tra le lenzuola verso Emma e baciandole dolcemente il collo.

Emma gli tirò piano i capelli, fingendo di essere offesa.

Si sentiva completa, come se ogni singola parte del suo corpo avesse trovato il suo karma.

Sazia, intorpidita...e terribilmente felice.

Quel tipo di felicità che fa paura.

Dopo essersi coccolati e accarezzati ancora un po', nudi, entrambi caddero in un sonno profondo, stremati da tutto quell'amore che li aveva catturati senza preavviso.




Il sole tiepido dell'alba illuminò i loro visi beati, come in un quadro.
Quella mattina, Emma aprì dolcemente gli occhi assonnati e la prima cosa che vide fu un ragazzo dalla testa bionda, immerso nel suo cuscino, che russava come un bambino.
Emma sorrise e si alzò lentamente per non svegliarlo.

Tin tin

Il suono proveniva dal cellulare di Tom, appoggiato sul comodino vicino a lui.
Emma lo fissò un istante, poi si voltò e aprì la porta per uscire dalla stanza.

Tin Tin

Di nuovo un suono. Tom si mosse leggermente, senza svegliarsi.

'Se il cellulare continua a suonare, rischia di svegliarlo...'

Emma non riuscì a terminare il pensiero, perché il telefono suonò di nuovo.

Tin Tin

Questa volta Emma richiuse la porta della stanza e andò diretta verso il comodino.
Avrebbe spento il cellulare, così Tom avrebbe potuto dormire tranquillo, senza essere disturbato dal suono.

Lo afferrò in mano, e proprio mente stava per schiacciare il tasto di spegnimento, l'occhio le cadde sullo schermo illuminato.

6 sms da 'Eva'.

Emma sentì subito quella stessa fitta di gelosia che avvertiva quando Tom parlava di Eva e di come non lo lasciasse in pace.

Non era possibile.

Doveva smetterla di tormentarlo così.
Emma sapeva perfettamente che ciò che stava facendo era sbagliato, ma aveva davvero voglia di rispondere a quella stalker per le rime. Non poteva continuare così.
Schiacciò un tasto ed aprì i messaggi d’impulso.

 ‘Ciao amore! Com’è andata la festa di Max? State ancora dormendo?’

‘Amore mi raccomando ricordati di non tornare troppo tardi, ti ricordo che ho invitato i miei a pranzo.’

Emma era incredula davanti a quelle parole.

Questa donna era pazza, non c’erano altre spiegazioni.

Non poteva essere altrimenti.

Eppure…

Ora mille dubbi la stavano tormentando.

Che cosa significavano tutti quegli sms?

Con il cuore in gola, Emma fece scorrere il dito sullo schermo.

Tutti i suoi dubbi svanirono quando Emma lesse un messaggio della sera prima.

‘Buona cena, amore. Ti amo.’

La risposta di Tom era stata:

Grazie piccola. Ci vediamo domani. Ti amo anche io.’




ANGOLO D'AUTORE.

Buongiorno a tutti! Come state? Scusatemi se ci ho messo un po' ad aggiornare, purtroppo ho avuto davvero mille impegni.
Coooomunque...Che ne pensate di questo capitolo? Se foste nei panni di Emma, come reagireste ora? :)
Per quanto riguarda la ff, siamo quasi alla conclusione [conto di scrivere solo un altro capitolo, forse due, non di più].
Naturalmente ho già in mente un finale preciso...
Voi preferireste il lieto fine oppure no? 
Aspetto tutte le vostre opinioni a riguardo!
A prestissimo, un bacio
 ♡

Dragonfly_95 (sì, ho cambiato nick eheh)

 

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Capitolo 12
*** TOM. ***


Me ne sono andato da casa di Emma stamattina, lasciandola lì, mentre stava male.

Mi sento una merda.

Non si dovrebbe mai e poi mai lasciare la propria ragazza, la ragazza che ami, da sola, mentre non si sente troppo bene.
Potrebbe sentirsi male, cadere, sbattere la testa…

Cazzo Tom, quanto sei tragico.

Comunque dopo le manderò un messaggio, almeno potrò stare più tranquillo anche io.
Allevierò il mio senso di colpa, per quanto possibile.

Ma non è per questo che mi sento una merda.

O meglio, è anche per questo.

Ma è soprattutto perché sono un grandissimo stronzo. Con la S maiuscola.

Quando io ed Emma abbiamo avuto quella discussione su Eva, davanti casa sua, aveva perfettamente ragione a dire che non sono affatto diverso da altri uomini.
Perché come molti altri, io non so quello che voglio.

Anzi, io lo so: voglio Emma. E voglio anche Eva.

Ma a causa del mio immenso egoismo e della mia stupidità, sto mentendo e tradendo non una, ma due donne.
Due donne che amo più della mia stessa vita.
Non potete chiedermi di scegliere, non ci riesco. Non posso.

Prima di conoscere Emma, credevo che Eva fosse l’unica donna della mia vita.

Ho conosciuto Eva durante una gita scolastica, al liceo.
La professoressa Baum ci aveva portato la nostra classe a visitare il Museo della Preistoria. Era una mattinata dedicata alle visite scolastiche.
C’era un casino assurdo: professoresse che urlavano per richiamare l’attenzione dei loro alunni, ragazzi che chiacchieravano o cantavano cori da stadio…
Più che una visita d’istruzione, sembrava un mega rave party.
Naturalmente la nostra classe non era da meno.
Quella poveretta della professoressa Baum non sapeva più come farci stare buoni.
Una povera donna di mezza età, in balia di trenta ragazzi di 15 anni. Dev’essere stato un incubo per lei.
Il museo era di una noia mortale: non c’erano altro che vasi di terracotta, coltelli fatti con pietre appuntite e strani sassolini senza uno scopo apparente.
Io e Max continuavamo a ridacchiare e a spingerci, senza curarci minimamente di ciò che avevamo intorno.
Ad un certo punto la professoressa Baum aveva anche deciso di dividerci:aveva messo Max come apri-fila e me alla fine della coda.
Non che questo c’impedisse comunque si scambiare occhiate complici e risatine tra noi.
Ad un tratto entrammo tutti in una stanza enorme, dove al centro troneggiava un enorme scheletro di mammut; era così altro che quasi toccava il soffitto.
Ricordo di aver pensato: ‘Finalmente qualcosa di figo’ .
Nel frattempo erano entrate altre scolaresche nella stanza-del-mammut. Avevano riunito tutte le classi in visita dentro quell'unica stanza.
Era stato lì che l’avevo vista per la prima volta: una ragazza mingherlina, naso appuntito, capelli biondi e lisci come la seta.
Ridacchiava con una sua amica, attenta a non farsi notare dalla sua professoressa.
Non fu un colpo di fulmine: pensai subito che aveva l’aria di una che non sa far altro che guardare tutti dall’alto al basso.
Ma capì di essermi sbagliato quando ad un tratto mi guardò negli occhi, sorrise lievemente e si avvicinò a me.

-Per caso fumi? Tra poco dovrebbe esserci la pausa pranzo all’aperto e… Ho davvero bisogno di fumare per riprendermi da questo museo.- mi aveva sussurrato, con una voce di zucchero.

Fu così che m’innamorai di Eva.

A prima vista, poteva sembrare la ragazza più stronza e altezzosa del mondo, ma non lo era neanche un po’.
Era spontanea e alla mano. Un pitbull travestito da chihuahua.

Durante la pausa pranzo fumammo un po’ di erba, nascondendoci dietro un capanno di legno e ridendo come due bambini per ogni sciocchezza.
Ci scambiammo i numeri di cellulare quel giorno e poi continuammo a sentirci anche durante le vacanze estive.
Eva abitava in un quartiere tranquillo, poco lontano dalla periferia.
Sua madre e suo padre erano tipi tranquilli, quel tipo di genitori che ti cucinano lasagne per cena e ti fanno battute tipo: ‘Come sta andando tra te e mia figlia?’.

Mi trovai bene con loro, fin da subito.

Finalmente, per la prima volta nella mia vita, mi sentivo parte di una famiglia.

Raccontai di mia madre ad Eva solo molti mesi dopo il nostro fidanzamento.
Le spiegai perché non l’avevo mai portata a casa mia, mentre io cenavo dai suoi praticamente ogni week-end.
Aprirsi con Eva mi sembrò la cosa più naturale del mondo, come se stessi parlando con una sorella.
Mi sentivo come se, finalmente, fossi riuscito a togliermi un peso che portavo sul cuore da tutta la vita.
Ricordo che, quando finì di parlare, una lacrima calda e umida mi scese lungo la guancia.
Era una lacrima di dolore e tristezza… Ma anche di libertà.
Per tutta risposta, Eva mi aveva abbracciato fortissimo e mi aveva detto:

‘Io sarò sempre la tua famiglia Tom.’

Ed era la cosa più bella che una donna mi avesse mai detto.




 
*




 
Conoscere Emma è stata la mia benedizione.

O la mia eterna condanna.

Odiavo le discoteche, le avevo sempre odiate. Ero andato lì per fare un po’ di compagnia a Max e agli altri ragazzi: quella sera Eva aveva una cena di lavoro e non mi andava di restarmene a casa da solo.
Io e Max eravamo usciti dal locale per andarci a fumare una sigaretta, ma soprattutto per prendere una boccata d’aria fresca.
Avevamo notato subito che qualcosa non andava.
Un gruppo di ragazzi, ammassati intorno ad un'unica ragazza semi-sdraiata su una panchina di un parco.
Troppe risatine maliziose, troppe battute volgari.
Io e Max non abbiamo avuto bisogno di dirci nulla.
In pochi istanti, eravamo già lì.
Io avevo dato una spallata ad un uomo con un cappello nero, Max ne aveva spinto via un altro.
Lei era lì, immobile.
Il trucco le era colato lungo le guance. I capelli erano arruffati e il vestito sollevato, lasciando scoperte le cosce.
Aveva un’espressione distrutta, ma allo stesso tempo c’era una sorta di luce di speranza nel suo sguardo trasparente.
Ricordo di aver provato una pena immensa per quella ragazza, sola e impaurita.

E incredibilmente bella, nonostante l’aspetto distrutto.

Non avevo mai tradito Eva e non avevo mai pensato di tradirla, nemmeno per un istante, nemmeno quando litigavamo urlandoci contro ogni insulto esistente sulla faccia della terra.
Non avevo mai avuto dubbi su Eva.

Ma Emma… Era Emma.

Lei aveva messo in dubbio ogni cosa, anche me stesso e tutti i valori a cui credevo.

La sua innocenza e la sua schietta sincerità mi avevano incantanto subito. E allo stesso tempo mi spaventavano.
Che cosa mi stava succedendo? Perchè questa ragazza mi fa questo effetto?

Per quanto possa sembrare brutto, il paragone con Eva era spontaneo.
Due donne così diverse, ma in qualche modo simili.

Nei loro gesti, nelle loro risate…Nel loro modo di amarmi incondizionatamente.

Chi non penserebbe che io sia uno stronzo traditore egoista?
Io stesso lo penso.
Eppure non posso cambiarlo.
Evidentemente è la mia natura: un'anima senza pace incapace di scegliere.
Dante Alighieri non avrebbe esitato un istante a buttarmi dritto nel girone degli ignavi.
Insieme a quegli angeli incapaci di schierarsi con Dio o con Lucifero.
Soltanto che io, a differenza loro, dovevo scegliere tra due angeli.
Fino a qualche giorno fa, non sapevo il perché di questo mio comportamento vigliacco.
Non era da me; nonostante la mia vita turbolenta, avevo sempre avuto la testa sulle spalle.
Ero una brava persona, o così mi sembrava.

Ma poi ho capito.

Avevo avuto una sorta di illuminazione, un lampo di luce, proprio l'altro ieri, sotto la doccia calda e fumante di casa mia.
Fin da bambino, mia madre era stata una donna assente, depressa, in cerca di qualche briciola di felicità.
Felicità illusoria, ovviamente. Ma Questo bastava per farla uscire di casa e ritornare dopo ore, se non giorni, lasciandomi da solo dentro ad una roulotte sgangherata e sicuramente pericolosa per un bambino di pochi anni.

Aveva tempo per cercare la sua felicità, ma non aveva tempo per la mia.

Il suo amore era riservato soltanto a qualche uomo di passaggio che non voleva altro che infilarsi nelle sue mutande per una notte.
Questo le bastava. Ma non bastava a me.
Eva era stata davvero la mia famiglia. La prima donna che mi aveva offerto tutto il suo amore, senza chiedere nulla in cambio.
Mi amava senza fare domande e con una purezza infinita.
Ed era tutto quello che desideravo.
Fino a quando non ho visto Emma e mi sono reso conto che anche lei sarebbe stata capace di amarmi senza limiti, proprio come faceva anche Eva.

L'ho capito subito: una donna che sa amare la riconosci al primo sguardo.

Non avevo mai avuto tanto amore in vita mia...E adesso lo volevo tutto.
Tutto quello che il mio corpo sarebbe stato in grado di contenere, io lo avrei afferrato.
L'amore di Eva. L'amore di Emma.

Avevo fame d'amore, e non ero mai sazio.

Ecco perché non potevo scegliere.
Questo non cambia l'opinione che ho di me stesso, ma in qualche modo mi fa sentire meglio.
Avere una spiegazione logica e razionale ci rincuora sempre.

Sto guidando velocemente in mezzo al traffico ora.
Sono in ritardo, cazzo.
Mando subito un sms a Eva per scusarmi con lei e le dico che, a minuti, sarò lì.
Il cielo è coperto da uno strato di nuvole plumbee e una lieve luce mattutina, fastidiosa, invade il paesaggio.
Prendo lo svincolo per uscire dalla superstrada e, dopo qualche istante, svolto a destra e poi ancora a destra, arrivando davanti casa di Eva.
Avrei voluto passare a casa a cambiarmi, ma non avevo abbastanza tempo: la camicia è leggermente stropicciata, ma non mi preoccupo molto.
Spengo il motore ma, prima di scendere dall'auto, mando un messaggio ad Emma per sapere come sta.
Mi sento ancora in colpa.
Ho sempre paura che le accada qualcosa, stamattina in maniera particolare visto che non si sentiva nemmeno bene.

'Come stai tesoro?'

Premo INVIO.

Mi guardo nello specchietto dell'auto, cercando di sistemarmi i capelli con le dita.
Afferro il giaccone ed apro la portiera per scendere.

Tin Tin.

Afferro subito il telefono.
Un messaggio di Emma. 

'Molto bene grazie.'

Tiro un sospiro di sollievo. Sono davvero contento che stia meglio.

Tin Tin

Altro messaggio di Emma; lo apro subito.

'Soprattutto ora che so di te ed Eva. Sei un pezzo di merda'.






ANGOLO D'AUTORE.


Buongiorno bellezze!
Eccomi quì, finalmente con un nuovo capitolo. Un capitolo sicuramente molto diverso dagli altri... Spero vi piaccia.
Diaciamo che ho, in qualche modo, cercato un po' di mettermi nei panni di Tom e di 'giustificare' (?) il suo comportamento. Non nego che è stato davvero molto difficile e ammetto di averci messo moltissimo per scriverlo... Ma sono abbastanza soddisfatta, lo ammetto :)
Come sempre, ringrazio tutte le persone che seguono\commentano la storia e come al solito aspetto le vostre più sincere opinioni a riguardo!
Un bacione, 

Dragonfly_95

 

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Capitolo 13
*** TI ASPETTO? ***


La prima cosa che Emma aveva fatto dopo aver spedito quel messaggio a Tom, era stato chiamare Greta e Rachel. Aveva bisogno di loro, più che mai ora.
Non aveva dato troppe spiegazioni, ma aveva detto loro che era urgente.
Naturalmente entrambe le ragazze erano corse da lei subito dopo pranzo, non appena avevano potuto.
Proprio come la volta in cui si erano riunite intorno al tavolo della cucina per parlare della sera in discoteca, ora Emma, Greta e Rachel si trovavano nuovamente sedute lì, insieme.

Emma sputò fuori ogni cosa, ma questa volta, senza nemmeno un’ombra di tristezza.

Solo rabbia e delusione sgorgavano dalla sua voce, come un fiume in piena.

Sentiva il viso accaldato e le parole le si affollavano in bocca, una sopra l’altra.
Non riusciva più a trattenersi.
Emma non era mai stata una persona violenta, ma adesso aveva soltanto voglia di tirare un pugno contro il muro. Con tutta la forza che aveva. Non le importava se si fosse fratturata le nocche.
Voleva solo sfogare tutto quello che sentiva dentro.
Greta e Rachel avevano due facce sconvolte. Gli occhi spalancati e la bocca aperta: sembravano due maschere dell’orrore.

Emma non versò neppure una lacrima.

Per tutta la mattinata e tutto il pomeriggio, Tom aveva continuato a tartassarla di telefonate e messaggi.

Lei aveva semplicemente ignorato tutto e cancellato ogni sms.
Greta e Rachel erano rimaste lì con lei per tutto il giorno: era stata Emma a chiederglielo.
Aveva paura che Tom potesse presentarsi alla sua porta di punto in bianco e non sarebbe stata in grado di affrontarlo da sola, non ora almeno.
Ma soprattutto, Emma aveva paura di rimanere sola.
Quando rimani sola, la mente gioca sempre brutti scherzi. Era meglio tenerla distratta con un po’ di compagnia.
Verso l’ora di cena, fu Greta ad impossessarsi del cellulare di Emma.

-E’ tutto il giorno che rifiuti chiamate e cancelli messaggi. Lascia che lo faccia io per un po’.- le disse.

Rachel preparò qualcosa per cena, una specie di riso freddo con verdure, che Emma toccò appena con la forchetta, giusto per non far rimanere male le amiche.
Poi le ragazze si misero sul divano a guardare una commedia in TV.

-Non potrò mai ringraziarvi abbastanza ragazze. Davvero. Non so come avrei fatto senza di voi.- disse dolcemente Emma.
Era fortunata ad avere delle amiche così.

Rachel si accoccolò dolcemente sulle gambe di Emma, mentre Greta l’abbracciò teneramente.
Erano da poco passate le 22.00, quando Greta disse con un tono grave:

-Emy, c’è un messaggio in segreteria da parte di Tom. Dovresti ascoltarlo…-

Emma non la lasciò finire.

- Non voglio nemmeno sentirlo nominare. E non voglio ascoltare le sue parole.-

- Emy davvero…Ascolta.-

E senza aspettare una risposta, Greta fece partire velocemente il tasto ‘Play’.

Il messaggio durava solo qualche secondo. Ma fu sufficiente a sconvolgere le tre ragazze.

‘Emma, sono ancora io. Probabilmente non ascolterai neppure questo messaggio, ma devo dirti tutto. Tutto.
Vorrei poter parlare con te di persona, ma so che, ora come ora, sarai incazzata nera. E non ti biasimo.
Io sono innamorato di te, Emma.
Ma la cosa peggiore, è che non sono in grado di lasciare Eva.
Non so come fare. Ma so per certo che non posso pensare di vivere senza di te. Sì, sono un stronzo. Ne sono consapevole.
Tu hai cambiato la mia vita. E non lo dico tanto per dire. Ti sto aprendo il mio cuore, cercando di essere il più sincero possibile, e so che avrei dovuto farlo prima.
Sei una donna in gamba, gentile, bellissima.
Lascerò Eva, prima o poi. Perché so che, se mi sono innamorato di te mentre stavo insieme a lei, allora forse non l’amo poi così tanto come credo. Dammi solo del tempo.
Ma ti prego, non allontanarmi da te. Aspettami.
Non potrei sopportarlo.’


Il messaggio s’interrompeva giustamente, lasciando posto ad un ronzio fastidioso.

Emma aveva il cuore che le martellava nel petto, gli occhi fissi su un punto indefinito.
Mille emozioni contrastanti le si affollavano dentro.

Che diavolo stava dicendo?

Tom era uno stronzo.
 Il più grande stronzo che avesse mai conosciuto, travestito da angelo custode.

 Ma era stato di un'onestà impressionante e non era una cosa da nulla. Questo Emma lo apprezzava.
Lui le aveva appena fatto una specie di offerta: scegliere lui e aspettare i suoi tempi oppure andarsene.
Mentre Tom aveva pronunciato quelle parole, Emma non aveva avuto dubbi: che vada a farsi fottere, dannato Tom.
Ma poi una fitta le aveva colpito il cuore.
Lui le stava raccontando tutta la verità, ma soprattutto le stava dicendo che l'amava.
Che non aveva ancora lasciato Eva, ma che lo avrebbe fatto...per lei. Assurda la vita.

Aveva sempre creduto che lei, Eva, fosse in mezzo tra di loro. Ma la verità era ben diversa. La verità era che era Emma ad essere in mezzo a loro. Era sempre stata lei. Era lei ad essere l'altra, non Eva.
Lei non c'entrava nulla in tutta quella storia, anzi.

Probabilmente ne era totalmente all'oscuro e credeva ancora che il suo Tom fosse il ragazzo perfetto, innocente, fedele.
'È così amara la vita per noi donne ' Pensò tra sé Emma, provando una sorta di pietà per quella ragazza ingenua.
Ingenua quasi quanto lei.
Greta e Rachel se n'erano andate poco dopo la mezzanotte: Emma le aveva tranquillizzare dicendo loro che era tutto apposto e poteva passare la notte da sola senza problemi.
A dire la verità, voleva davvero restare sola per pensare a quelle parole gracchiate da una segreteria telefonica, ma immensamente profonde.
Rachel, con grande sorpresa di tutti, aveva detto di mandare Tom a quel paese, senza pensarci due volte.
Greta, d'altro canto, le aveva suggerito di dargli ancora un'opportunità e aspettare un po' per vedere se davvero avrebbe mantenuto la sua parola.
Le sue amiche erano totalmente in disaccordo, e questo non faceva altro che incrementare i dubbi di Emma.

La notte passò pesante e lenta.
Così come il giorno successivo.
E così come un'altra notte ancora.

Di Tom nessuna traccia.

Forse aveva capito che Emma aveva bisogno di spazio.
Oppure era scappato a gambe levate da quella situazione grottesca.
Emma era rimasta in uno stato d'intorpidimento per tutta la giornata. Aveva cercato di frugare nella sua mente, in cerca di una risposta soddisfacente, ma non c'era riuscita.
Il lunedì era arrivato in punta di piedi,senza fare rumore, ed Emma doveva ricominciare la settimana di lavoro.

-Buongiorno bambolina! Come mai così presto stamatti...Diavolo, sei uno straccio! Ma che è successo?- Nonostante il correttore è il fondotinta, Nina aveva notato subito le due occhiaie grigiastre sotto gli occhi stanchi e semi-chiusi di Emma.

Due notti insonni non potevano essere nascoste con un po' di trucco.

Il locale era ancora chiuso e gli altri camerieri dovevano ancora arrivare. Non appena Emma vide Nina, due lacrimoni caldi e pesanti le sgorgarono senza preavviso dagli occhi, rigandole il viso pallido.
Non sapeva il perché di questa reazione.
Era riuscita a trattenersi per due giorni. Ma ora, davanti allo sguardo preoccupato della vecchia Nina, Emma era un fiume in piena.
Corse verso di lei e l'abbracció senza pensarci due volte. Nina la stringeva forte a sé, accarezzandole dolcemente i capelli dorati.

- Oh tesoro. Parla con la vecchia Nina, sfogati. Ne hai bisogno.-

Ed Emma parlò.



 
*


 

-Devo confessarti anche io qualcosa, Emma.- disse Nina con un tono profondo, qualche secondo dopo la fine del lungo e triste monologo di Emma.
Non parlò per qualche istante. Emma non osò dire nulla: c'era un silenzio sacro, come quello che c'è in chiesa subito dopo la fine di una messa.

- Ho avuto una storia con un uomo sposato, molti anni fa.-

Nina pronunció con estrema chiarezza quella frase.

-...Siamo stati insieme per quasi 20 anni.-

Emma ebbe un sussulto per l'incredulità. Non avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile. Nina, la vecchia e premurosa Nina, un'amante di un uomo sposato per venti lunghi anni.

- Puoi dirmi quello che vuoi, Emma...che ero un'idiota, una puttana, una stupida. Ma furono gli anni più belli della mia vita. Non potrei mai rimpiangerli. Ci vedevamo poche volte alla settimana, soprattutto la sera. Non riuscivamo a staccarci l'uno dall'altra, io non potevo pensare di vivere una vita senza di lui. E lui mi amava davvero, Emma.- fece una pausa.

Emma intravide un velo di dolore sul viso di Nina.

- Ma non lasciò mai sua moglie per me.-

Ora gli occhi di Nina erano diventati lucidi e limpidi come una pozza d'acqua.
Emma pensò a qualcosa da dire, ma non le venne in mente nulla di sensato. Provava pena per lei e per sé stessa ora, e non esistevano parole adatte.

- Alla fine fui io a lasciarlo.- Nina riprese lentamente il suo racconto. - Non potevo più vivere così. Non mi bastava più. L'amore non sempre basta.-
Nina la guardava tristemente.

- Esistono amori malati, Emmina. Amori malsani, ma pur sempre amori. E alla fine la scelta è soltanto tua: o hai abbastanza forza per continuare ad accontentarti, o hai abbastanza forza per andartene via per sempre.-

Le lacrime di Nina scesero lentamente sulle sue guance. Quelle di Emma caddero piano, come una pioggia estiva. Per la prima volta da quando si conoscevano, Nina ed Emma piansero insieme.




 
*



 

La chiacchierata con Nina le aveva davvero fatto bene. Non si sentiva più sola al mondo. Emma uscì dal locale, sentendo l'aria frizzantina entrarle nei polmoni. Nonostante le proteste di Nina, Emma era voluta restare al lavoro: amava l'ambiente accogliente e familiare del bar e, inoltre, non aveva voglia di starsene a casa da sola. Quella mattina il cielo era particolarmente chiaro e azzurro. Il tepore primaverile strisciava piano tra le strade e i marciapiedi. Qualcuno era uscito per fare footing e qualche anziano era in giro, a passeggiare con il proprio cane.
Emma si chiese come sarebbe andata la sua vita da quel giorno in poi.
Si rese subito conto che spettava a lei scegliere. Era lei il capitano della nave ed ora aveva in mano il timone.
Cosa doveva fare?

Ma la vera domanda che si pose fu: 'Lo amo abbastanza da poterlo aspettare?'

Ora Emma sapeva la risposta.

E senza pensarci due volte, sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e, con un tuffo al cuore, scrisse velocemente a Tom:

' Vediamoci stasera, al parco vicino casa mia. Ho la risposta che cerchi.'

E premette INVIO.



ANGOLO D'AUTORE.


Salve a tutti :) 
Questo è ufficialmente il penultimo capitolo! A brevissssimo (giuro) posterò l'ultimo capitolo che, ovviamente, rivelerà il finale della storia.
Scusatemi se vi lascio con un po' di suspance, ma era doveroso!
Aspetto i vostri pareri e le vostre ipotesi! 
Un abbraccio, 
Dragonfly_95


 

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Capitolo 14
*** (NON) EPILOGO ***


I raggi del sole si riflettevano sulle vetrine dei negozi, facendole scintillare come fossero specchi.
Emma guardava incantata uno splendido abito da sposa esposto su un manichino. Era un modello a sirena di organza bianca, con delle piccole perline sul corpetto ed un velo chilometrico che correva lungo tutta la schiena.
'Chissá come mi starebbe addosso...' penso Emma tra sé.

Ma lei non era lì per comprare quel vestito da sposa.
Affatto.
Quello che serviva ad Emma, era un abito da damigella e sapeva che quel negozio sarebbe stato perfetto.

Erano passati 6 anni da quando Greta aveva conosciuto il suo amato Duncan. Ed erano passati solo pochi mesi da quando lui le aveva chiesto di sposarlo.
Incredibile: Greta (la pazza e scatenata Greta) si sarebbe sposata. Moglie fedele di Duncan.
Ad Emma veniva da ridere soltanto a pensarci, eppure era tutto vero.
Naturalmente, lei e Rachel sarebbero state le damigelle d'onore.
Greta era stata impassibile: gli abiti delle damigelle dovevano essere rosa. Tutti rosa.
Emma e Rachel si erano guardate negli occhi con espressione rassegnata. Erano destinate a sembrare due confetti, ma per Greta lo avrebbero fatto volentieri.

In quella giornata primaverile, tiepida, mentre se ne stava davanti a quella vetrina cosi romantica, Emma lo aveva rivisto.
Erano passati 6 lunghi anni dalla terribile sera in discoteca. 6 lunghi anni dall'ultima volta che aveva visto Tom, in quel parco, dove Emma aveva tirato fuori tutto il suo coraggio e gli aveva dato la risposta che cercava: non potevano stare insieme. Perché faceva davvero troppo male. Era stata una scelta più che giusta.
Ed ora, lui era lì, davanti ai suoi occhi, che camminava a passo spedito lungo il marciapiede, a pochi passi da lei.

I loro occhi s'incrociarono.

Tom rallentó il passo, fissandola incredulo. Emma si sentì girare la testa, come se il sangue avesse smesso di scorrere nel suo corpo. Ci fu un attimo di silenzio, solo un attimo che parve un secolo.

- Ciao - Emma non sapeva da dove provenisse quel coraggio, ma salutarlo le era sembrata la cosa piu giusta da fare.

- Emma.- La sua voce cristallina esplose come una primavera.

Tom ora aveva un accenno di sorriso e un bagliore negli occhi. - È bello rivederti...Sai, non sei affatto cambiata.- Emma sorrise di cuore.

- Come stai?- proseguì lui.

- Bene! Tu invece?-

- Alla grande...-

Tom si voltò verso la vetrina che fino a qualche istante prima Emma stava fissando.

- Ah! Congratulazioni...te la passi davvero bene allora!- disse Tom con un sorriso, ma il tono della sua voce tradí una punta di delusione.

Continuava a fissare l'abito di organza esposto nella vetrina.
Emma avrebbe voluto ribattere che non era lei la 'promessa sposa', ma qualcosa la fermó. Semplicemente rimase in silenzio.

- Beh, Emma ora devo proprio andare...- disse ad un tratto Tom, voltandosi di scatto.

Evitó accuratamente il suo sguardo, come se avesse una malattia contagiosa.

- Certo.- Rispose Emma.

Era incredibile, ma si sentiva tremendamente tranquilla. Certo, vedere Tom dopo tutti quegli anni e dopo tutto quello che avevano passato, le aveva fatto venire le vertigini... Ma solo per un istante.
Ora la serenità la stava invadendo.
Quello che aveva, lo aveva già perso in passato. Ora era tutto da guadagnare...
Tutto da vivere.

-Buona giornata Tom. Salutami la tua fidanzata.- disse Emma con calma e senza nessun rancore.

Gli occhi celesti di Tom si oscurarono, diventando color blu notte. Strise le labbra con uno scatto.

- Senz'altro...- Replicò lui.

Non si scolló da lì, nonostante avesse appena detto di dover andare via.

- Emma veramente... Eva mi ha lasciato. Ben 6 anni fa. Sai, dopo tutto quello che è accaduto, non sono più riuscito a nascondere tutto. E lei non mi ha perdonato, non ci è riuscita. Come darle torto?!- Accennó un mezzo triste sorriso. - Avrei dovuto cercarti, allora. Chiamarti. Dirti che non avevo più nessuna ragazza. E che volevo solo te.- sospiró. - Ma non l'ho fatto perché non meritavi altro dolore e non meritavi di sentirti come una ruota di scorta.-

Emma aveva dimenticato quanta potenza lo sguardo di Tom potesse avere. In fondo al suo petto, sentiva qualcosa che bruciava. Ma non di passione. Di dolore vero e proprio, come se la stessero torturando con degli aghi bollenti, infilzandoli sulla pelle.
Sì, faceva male udire quelle parole.

- Ora sai la verità e sai come stanno le cose. Comunque...- riprese Tom, girandosi nuovamente verso la vetrina e poi di nuovo verso di lei. - ...Ti auguro tutta la felicità del mondo.-

Sorrise di nuovo e la salutó con la mano, prima di continuare a camminare, allontanandosi.
Emma rimase qualche istante frastornata.
Poi si girò di colpo, verso la direzione che Tom aveva imboccato poco prima.

- Ehy Tom!- gridó Emma per farsi sentire.

Tom si fermò a guardarla, sorpreso.

- Per la cronaca... Non sono io quella che si sposa. Sono soltanto una damigella.- sorrise.
- Ora sai la verità e sai come stanno le cose.- Emma riprese volutamente la stessa frase usata da Tom poco prima.

 
Per tutta risposta, lui rise.
Questa volta senza nessun sentimento negativo nascosto.

- Oh. Beh...questo significa che ci rivedremo ancora, Emma.- sentenzió Tom.

- Non ne sono poi così sicura. Staremo a vedere.-

Emma gli sorrise un'ultima volta, poi girò i tacchi e proseguì per la sua strada, senza più guardarsi indietro.

Non sapeva se avrebbe mai più rivisto Tom.
Non sapeva se quell'incontro fosse stato una benedizione o una punizione voluta dal destino.

Ma due cose erano del tutto sicure.

Primo: non vedeva l'ora di scoprire quello che il futuro le riservava.

Secondo: aveva totalmente dimenticato lo scopo della sua passeggiata, cioè trovare un'abito da damigella...Greta l'avrebbe uccisa!

Emma rise di cuore tra sé e sé.




ANGOLO D'AUTORE.

Carissimi e amati lettori, probabilmente avrete voglia di strangolarmi e non posso darvi torto, poiché sono mesi che non aggiorno più e vi ho lasciato con l'amaro in bocca per lungo tempo prima di 'partorire' questo finale!
Vi chiedo immensamente scusa, non riuscivo a trovare un degno finale a questo racconto e mancavo molto l'ispirazione.
Spero che il racconto vi sia piaciuto e spero che questo finale 'aperto' (ma forse neanche troppo!) vi abbia soddisfatto.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno seguito/letto/commentato questa mia prima storia... Senza di voi sarebbe stato impossibile proseguire!!

A presto miei cari ♡

 
Dragonfly_95
 
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