Stereotype

di Mellybonf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0-Prologo- Diverso ***
Capitolo 2: *** Cap. 1- Qualcosa di diverso. ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 – Pronti. ***
Capitolo 4: *** Cap. 3- Partenza. ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 – I Connettori ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 – Piacere di conoscervi. ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 –L’appartamento. ***
Capitolo 8: *** Cap.7- Il primo allenamento. ***
Capitolo 9: *** Cap. 8-Legami sottili. ***
Capitolo 10: *** Cap. 9- È più facile parlare degli altri. ***



Capitolo 1
*** 0-Prologo- Diverso ***


Prologo- Diverso


Ognuno di noi è diverso dall’altro, nell’aspetto e nel carattere. Ognuno di noi è unico ma non sempre ci si sente speciali, spesso ci si sente solo sbagliati.
La  parola diverso ha il potere di farti credere di essere distinto e completamente imparagonabile a chi ti circonda. Credi di essere inadeguato nei confronti di qualsiasi cosa.
Se qualcuno ti definisse diverso, con la giusta punta di disprezzo, ti sentiresti un emarginato che nessuno vorrebbe avere intorno. Qualcosa di troppo scomodo da comprendere, qualcosa di fastidioso, qualcosa di cui nessuno sente la necessità o la mancanza.
Essere diverso è una forma di maledizione con cui lotti da quando sei al mondo. L’unica cosa che profondamente vorresti è essere accettato per quello che sei, senza perdere parti della tua personalità per omologarti a quella che è la concezione sociale del normale.
Le relazioni sociali, sono alla base della cultura umana fin dall’antichità o dai nostri primi ricordi.
Fin da bambini, cerchiamo di relazionarci con chi ci circonda; per trovare nell’altro uno specchio in cui rifletterci, poterci vedere attraverso gli altri,  poterci confrontare e crescere insieme.
Per la maggior parte delle persone, entrare in contatto con l’esterno è naturale e semplice.
Per altri le relazioni nascono e si concludono nel proprio nucleo familiare, tutto il resto non esiste. Non si riesce ad uscire da quello che è il proprio nido. L’esterno appare come qualcosa di doloroso e pericoloso.
Per un ancor più ristretto numero di persone, particolarmente sensibili,  anche la propria famiglia può apparire come una relazione troppo dolorosa da sopportare. Per quanto l’ amore per la famiglia sia grande, per quanto loro ricambino il tuo amore e cerchino di proteggerti, istintivamente chiudi ogni porta e ogni spiraglio del tuo guscio. Inconsciamente entri in uno stato di chiusura.
Si crea così una fortezza dentro alla quale nulla esce e nulla entra, dietro alla quale il tuo inconscio sembra poter sopravvivere, grazie a schemi precisi e definiti.  Percepisci di essere sempre più  qualcosa di diverso, di inadeguato e sbagliato. 
L’Autismo è questo.
Io sono questo.
Io sono Marco e ho 19 anni.
Questa è la storia di come il mio mondo un po’ troppo chiuso dietro a corazze troppo spesse, stia cominciando a sentirsi stretto. Di come aver incontrato 4 personaggi di fantasia mi abbiano aiutato a crescere.
Prima di iniziare a narrarvi la mia avventura, è giusto preparavi almeno un pochino a quello che voglio condividere con voi. In questo spazio voglio raccontarvi della mia vita e di quello che è successo prima.
Il mio essere diverso non era una condanna solo per me.
Ho visto la mia famiglia disperarsi per la mia condizione, soprattutto i miei genitori: avrebbero voluto che ad un certo punto diventassi una persona normale e che vivessi la mia vita come tutti. Non riuscivano a capire che io sono normale a prescindere, sono normale perché sono io. Se per il mondo sono fuori posto è un problema del mondo.
Era questo che avrei voluto sentirgli dire. Avrebbero dovuto capire che ero quello che ero, indipendentemente da come loro avrebbero voluto che fossi. Purtroppo non è una cosa facile da fare o da capire. L’idea razionale di normalità che si erano fatti nella loro mente, era più forte dell’amore che provavano nei miei confronti.
La cosa che non ho mai capito è il concetto di normalità che le persone hanno. Cosa vuol dire essere normali? Ognuno di noi ha degli atteggiamenti che per qualcuno sono incomprensibili o strani, ma questo non significa essere fuori dalla norma. Ognuno è normale proprio perché è se stesso. O almeno, dovrebbe essere così, ma il giudizio e l’incomprensione sono l’ordinario.
La consapevolezza di aver disatteso le aspettative dei miei genitori, fin dalla più tenera età, è stata la mia sofferenza più grande. La mia presenza li appesantiva e li faceva soffrire. Questo mi ha portato negli anni a sentirmi sempre più inadeguato e fragile, sentivo che nulla in me sarebbe potuto cambiare.
L’unica persona che mi ha sempre visto solo come Marco era mia sorella Nadia, una delle poche con cui io sia riuscito ad avere un qualche tipo di legame semplicemente per come sono. È stata la mia finestra sul mondo e lo specchio in cui riflettermi. Non c’è legame più forte per me di quello che ho con lei.
Si dice che i fratelli siano i primi amici e le prime persone con cui condividi il mondo, nel nostro caso è stato proprio così.
Tutti i ricordi che ho positivi della mia infanzia sono legati a lei.
Quando avevo tre anni mi ritrovavo spesso a piangere da solo nel mio lettino. Appena sentiva i miei lamenti, Nadia si precipitava da me e cercava di non farmi sentire solo. Si sporgeva, con quelle mani paffute di bimba, attraverso le sbarre cercando la mia mano. Non appena sentivo la sua presenza mi calmavo, se c’era lei con me potevo stare tranquillo.
Quando dormivamo nella stessa cameretta, io parlottavo tra me e me perché  non riuscivo a dormire. Era una cosa che avveniva spesso, soprattutto quando entrambi avevamo avuto una giornata impegnativa. In quelle occasioni, lei mi prendeva la mano e  mi accarezzava la testa; adoravo quel tocco delicato, il suo personale tentativo di farmi addormentare più facilmente senza parlare.
Un altro episodio divertente è stato quando ha tentato di farmi leggere i primi due fumetti della mia vita per coinvolgermi nel suo mondo; mi piaceva l’idea che volesse rendermi partecipe, ma non ho resistito all’istinto di strappare le pagine dei giornalini ridendo come un matto. Mi ha inseguito un intero pomeriggio a causa della mia bravata.
Il nostro era un rapporto basato sui miei silenzi e i suoi tentativi di coinvolgermi, in cui bastava uno sguardo e ci si capiva al volo. Un abbraccio o una parola fugace detta al momento giusto, era tutto quello di cui avevamo bisogno.
Un’altra persona che ha sempre cercato di capirmi è mio cugino Luca, di 7 anni più piccolo di me.
Ha sempre avuto fin da piccolo una strana curiosità nei miei confronti. Ero il suo strano cugino maggiore che non parlava e non lo guardava mai negli occhi. Detto fra di noi, quando era piccolo era una vera peste: faceva dei giochi rumorosi che spesso sfociavano in urla e piagnistei e anche se io non avevo nessuna voglia, costringeva tutti a coinvolgersi in quello che faceva. Ero molto geloso di lui ed un paio di volte l’ho anche spintonato. Niente di grave sia chiaro, ma volevo che la smettesse di prendersi le attenzioni di tutti. Quello che fino a poco tempo prima era il piccolo e delicato maschietto di casa, ero io!
Crescendo però la sua presenza è sempre stata piacevole.
Spesso lo sentivo chiedere a bassa voce a Nadia spiegazioni sul perché facessi questo o quello, nel tentativo di capirmi senza imbarazzarmi - o forse solo perché non voleva litigare- però era un’attenzione nei miei confronti che apprezzavo.
Ogni volta che lo andavo a trovare, cercava di farmi vedere tutti film nuovi con tanti effetti speciali, sapendo che sono gli unici che guardo volentieri. Non si lamentava mai, neanche quando mi mettevo davanti al televisore bloccandogli completamente la visuale. Ero troppo soddisfatto di quello che stavo guardando e saltellavo come un matto, senza riuscire a trattenermi. Mio cugino, contento di avermi fatto vedere qualcosa che mi piacesse, mi guardava sorridendo. Quell’espressione mi ha sempre fatto capire quanto mi volesse bene; era buffo e carino insieme.
Prima che iniziasse la nostra avventura, eravamo solo noi tre in famiglia.
I miei genitori sono morti in un incidente automobilistico e da un paio d’anni vivevamo con Luca e i miei Zii. Dopo qualche tempo anche loro hanno dovuto abbandonarci, si dovevano trasferire all’estero per lavoro: mio zio è insegnante di liceo mentre mia zia è una infermiera, con gli stipendi che prendevano in Italia non riuscivano a darci tutto quello di cui avevamo bisogno.
Quando decisero di partire per la Germania, ci chiesero di seguirli. Per me andare in un paese straniero era un’impresa impossibile: trovo difficoltoso esprimermi nella mia lingua d’origine, figuriamoci imparare a relazionarmi con un nuovo idioma.
Mia sorella abbandonata l’idea della laurea, propose di restare con me e di permettere alla famiglia unita di partire.
Il mio testardo cugino però non voleva separarsi né da noi né dai sui amici. L’idea di dover ricominciare tutto da capo in un paese straniero, non gli piaceva per niente. Inoltre, sapeva quanto per me e mia sorella sarebbe stato difficile senza di loro e non voleva assolutamente abbandonarci. Nonostante le proteste degli Zii e di Nadia, non ci fu modo di fargli cambiare idea; Luca è proprio cocciuto quando vuole.
Alla fine si arresero e partirono lasciandoci la casa a disposizione. Sarebbero tornati per le festività e li avremmo sentiti tutti i giorni. Non era una vera e propria separazione, ma fu dolorosa comunque.
In conclusione, dalla partenza dei miei zii le cose erano cambiate: i soldi che ci avevano lasciato i nostri genitori non erano molti a causa di un cavillo legale e mia sorella, lavorando in un supermercato portava la famiglia a fine mese; mio cugino si occupava della casa come poteva e io tentavo in tutti i modi di dare meno fastidio possibile. Stavo da solo a guardare la TV per tutto il giorno e mi ricollegavo al resto dell’esistenza, solo quando tornavano a casa la sera.
Quello che state per leggere è la storia di noi tre, catapultati in una dimensione diversa da quella in cui vi sto parlando in questo momento; una dimensione che sicuramente tutti voi entrati in relazione con questo testo conoscete bene; una dimensione che unisce un ragazzo autistico di diciannove anni, una ragazza di ventuno e un ragazzino di dodici con 4 tartarughe molto speciali.
Una dimensione venuta in contatto con la nostra grazie a testi scritti, disegni, cartoni animati e film.
Una realtà dove persino un diverso come me può fare la differenza e aiutare.
Un universo che fino a poco tempo fa credevo fosse solo fantasia.

 
Zona dell'autore:

Questa storia è dedicata a Switch e a SaraJane92. Grazie ragazze, è solo grazie a voi che ho dato libero sfogo alla mia fantasia e alla mia ispirazione!
Pubblicherò subito un nuovo capitolo per dare continuità alla storia. Buona lettura!
Mellybonf.

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Capitolo 2
*** Cap. 1- Qualcosa di diverso. ***


Cap. 1- Qualcosa di diverso


La navicella stava viaggiando nello spazio, a milioni di anni luce di distanza dalla loro terra natia.
Gli Utrom stavano tornando dove erano rimasti segregati per millenni nel tentativo di recuperare il fuggitivo Ch’rell.
Stavano tornando verso la Terra.
O meglio, stavano viaggiando verso Una Terra.
Dopo la prima tappa al sistema solare del pianeta azzurro della loro dimensione, sarebbero dovuti partire con il nuovo teletrasporto dimensionale, per recarsi in una delle tante realtà parallele.
Lì, si sarebbero dovuti inoltrare in un mondo che li conosceva come personaggi di fantasia e recuperare i soggetti selezionati.
Adesso che la minaccia di Ch’rell era ormai solo un ricordo e che il loro popolo si stava dedicando alla realizzazione di un universo pacifico, un nuovo nemico aveva iniziato a creare scompiglio e distruzione.
Erano già migliaia i pianeti distrutti e incalcolabili le vittime che questa nuova minaccia, aveva cancellato dall’esistenza. I ripetuti attacchi, avevano provocando una lacerazione nell’equilibrio dell’ universo.
Quando diversi anni prima il capitano Mortu aveva aiutato le tartarughe a catturare e a giudicare colui che si faceva chiamare Shredder, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe dovuto recare dai suoi amici per chiedere nuovamente aiuto. Li avevano già messi in pericolo più di una volta a causa del loro legame con il capostipite della famiglia: il maestro Hamato Yoshi.
Il destino che attendeva lui e i suoi amici, era una battaglia che avrebbe cambiato per sempre le sorti di tutto l’universo e di tutti gli universi esistenti.
Se per qualche ragione avessero fallito, le conseguenze sarebbero state devastanti. Uno dei legami più forti che univa questa dimensione ad altre, si sarebbe dissolto per sempre.
Contemporaneamente, diverse squadre come la sua si stavano recando nei luoghi prestabiliti, in altre parti dell’universo, con un unico obiettivo: tentare di colpire su diversi fronti un nemico troppo grande e troppo ben preparato.
Il capitano Mortu non era per niente tranquillo. Nonostante le illimitate possibilità date dal poter agire su un incalcolabile numero di realtà differenti, le probabilità di riuscita  gli sembravano poche rispetto a quelle di fallire.
Da sempre, il suo popolo era a conoscenza che l’universo non era altro che una microscopica cellula di un sistema ancora più grande. Ogni cosmo era collegato ad un altro tramite i cosiddetti connettori: soggetti che avevano la possibilità di aprire una finestra in grado di collegare le esistenze di più persone, distanti milioni di anni nel tempo, milioni di anni luce nello spazio, attraverso le mille realtà parallele esistenti.
Questo permetteva alla Fantasia, l’energia più potente e incredibile che esista secondo il popolo Utrom, di spostarsi liberamente per le varie realtà. Un’energia talmente ampia che gli Utrom ancora non erano in grado di comprenderne completamente l’efficacia e l’influenza. L’unica cosa certa era che un mondo senza Fantasia, privato della forza del cambiamento, col passare del tempo moriva e implodeva su se stesso. Niente può rimanere immutato.
In base alle caratteristiche di un popolo, le connessioni tra i vari universi  potevano manifestarsi in maniera differente. Per quel che riguardava gli Utrom, il mezzo di connessione era il sogno; avevano ormai archivi pieni di visioni oniriche che trattavano di vite lontanissime dalla loro. Alieni che vivevano le loro esistenze più o meno avventurose, imparando, crescendo e vivendo. Ogni essere vivente, essendo diverso dagli altri, ha una sua specificità; quest’ultima è un ulteriore pezzo del puzzle che compone l’esistenza.
La Terra è uno dei pianeti con il più alto tasso di connettori nel cosmo ed è anche il globo con maggiori realtà parallele collegate al proprio universo. Esistono milioni e milioni di pianeti Terra nelle varie dimensioni.
Ogni singolo soggetto è collegato al tutto e ogni azione accade per una ragione precisa. Ogni cosa, anche la più brutta, deve succedere per permettere al flusso della Fantasia di proseguire il proprio cammino.
Purtroppo, in ogni organismo complesso esiste la possibilità di un’infezione.
Nel nostro caso, si trattava proprio della minaccia a cui Mortu e la sua gente stavano cercando di portare rimedio. 
Non erano nemmeno riusciti a capire quale fosse il vero aspetto del loro Nemico. Sapevano solo che si comportava come un virus; una malattia che distrugge tutto ciò che incontra nel tentativo di dirigersi verso i luoghi in cui l’energia dei connettori è più intensa.
Il prossimo bersaglio era la Terra e il Capitano Mortu era particolarmente in ansia. Non poteva  permettere che anche questa connessione andasse perduta.
“Capitano…”  la voce di Kraang, il suo sottoposto, lo destò dal turbinio di pensieri  “abbiamo stabilito un contatto con il maestro Splinter!”
“Molto bene… procediamo con la comunicazione”
“Maestro Splinter mi ricevete? Qui è Mortu dalla nave spaziale Utrom 342. Maestro Splinter, mi ricevete?”
….
La mattina era trascorsa come tutte le altre.
Si era alzato di buon ora per assistere Leonardo nel suo allenamento mattutino. Terminato quello, si era seduto al tavolo della cucina, in procinto di godersi  una bella colazione con i suoi figli.
Michelangelo aveva preparato la migliore colazione mai vista, ma in volto non era sereno. Lo stesso valeva per gli altri suoi ragazzi.
Leonardo per tutta la mattina aveva avuto un’ombra sul viso come se fosse perso in qualche strano pensiero. Seduto di fronte a lui, fissava il piatto con lo sguardo vuoto, infilzando con la forchetta una frittella senza nemmeno assaggiarla.
Donatello era da ieri che trafficava senza successo su qualche strano marchingegno che lo stava esasperando. Non riusciva a farlo funzionare in nessun modo; era spazientito e stranamente nervoso. Seduto in parte al suo maestro, non aveva staccato un attimo gli occhi dal computer e a malapena aveva detto due parole.
Raffaello appariva completamente apatico, per uno che si infiamma per qualsiasi cosa era strano vederlo privo di reazioni. Era accasciato sulla sedia con la faccia appoggiata alla mano sinistra mentre con la destra si infilava in bocca le uova strapazzate con lo sguardo perso.
Quella situazione lo spazientiva, era da qualche mese che le cose non miglioravano e ormai non vedeva altre soluzioni se non intervenire in prima persona “Figli miei, posso sapere che succede?” chiese all’improvviso “ È dal matrimonio di April e Casey che non ci sono stati problemi in città. A parte qualche furto o piccolo scontro tra bande rivali, la città sembra aver trovato un po’ di tranquillità. Anche il Professor Honeycutt non ci ha più contattato per problematiche interplanetarie. Sono stati tre anni incredibilmente sereni, un momento di pace che non credevo avremmo mai potuto avere.
Ma non posso più fare finta di niente. Negli ultimi due mesi sembra che il peso del mondo stia gravando sulle vostre spalle. A malapena vi rivolgete parola e sembrate sempre più distanti. Mi rendo conto che ormai avete 22 anni e non c’è bisogno che mi metta a farvi la paternale, ma non credete sia il caso di chiarire cosa vi stia succedendo?”
Alle parole del maestro i quattro si guardarono per un secondo, distogliendo subito lo sguardo quasi infastiditi.
Michelangelo mentre portava altri due piatti ricolmi di pancake in tavola disse con tono apatico: “Non è nulla maestro, credo sia solo un po’ di malumore dovuto alla noia.”
“Stranamente la testa di legno ha detto una cosa giusta!” disse Raffaello tirandosi in piedi e facendo scrocchiare tutte le ossa del collo “Ci stiamo annoiando…a morte!”
“Figlioli, non è solo questo e lo sapete bene.” li riprese Splinter “All’inizio ho preferito non intromettermi, ma adesso mi sembra che le cose stiano solo peggiorando. Come squadra non potete permettervi simili chiusure, ne andrebbe della vostra prestazione e della vostra operatività.”
Donatello chiuse il portatile con uno scatto infastidito “Perdonami maestro, ma non credo che sia il caso di continuare questo discorso, non ne vedo il senso o il fine. Come hai giustamente detto siamo adulti, possiamo gestirci la situazione da soli.” Il suo tono di voce era particolarmente irritato.
“Don! Vedi di darti una calmata!” si inserì Leonardo. I modi di fare del fratello, potevano anche avere un senso con lui, Raf e Mick, ma loro padre non aveva colpe. Trattarlo in quel modo, era davvero eccessivo.
Il genio gli lanciò un’occhiataccia, ma non rispose. Si  alzò dal tavolo con la tazza di caffè in una mano e il portatile sottobraccio. Forse era stato troppo brusco e la reazione di Leo era razionalmente giustificabile, ma quel discorso gli sembrava solo una perdita di tempo. Aveva altro da fare in laboratorio.
Il rumore della sedia trascinata del leader riportò l’attenzione dei presenti su Leonardo. “Scusaci maestro, ma anche se i modi di Donni stanno peggiorando di giorno in giorno, non credo abbia torto. Stiamo solo  realizzando il fatto che senza avversari e senza la possibilità di avere delle vite normali, le nostre esistenze passeranno immutate. Siamo destinati a vivere senza possibilità. Siamo quello che siamo: dei mutanti che non hanno altro scopo nella vita se non rimanere rintanati nelle fogne a ripetere i giorni uno uguale all’altro. Nell’emergenza abbiamo sempre accantonato l’ordinarietà della vita, ma la realtà è questa. Abbiamo solo bisogno di tempo per accettare questa cosa. Non c’è bisogno di affrontare l’argomento come se dovessimo risolvere un problema.” Detto questo, con uno sguardo particolarmente amareggiato si diresse al dojo.
Sulla soglia si rivolse al rosso “Raf, hai voglia di sfogarti un po’? Sai ultimamente sembra che tu abbia perso la voglia di combattere…” il leader lo stava fissando con uno sguardo strafottente e un mezzo sorrisetto di sfida.
All’atteggiamento di Leo l’altro rispose “Di prenderti a calci il guscio, ho sempre voglia Fearless!” e lo seguì verso la palestra con una vena di noncuranza, ma comunque allettato dall’idea di fare dell’esercizio.
Probabilmente entrambi volevano allontanare i brutti pensieri con un bel incontro, una delle loro solite sfide che dava modo a entrambi di concentrarsi solo sull’attività fisica e mentale, senza esclusione di colpi.
Il Sensei chiuse gli occhi e cominciò a pensare. Come mai  ci fosse questo malumore tra i suoi ragazzi, non riusciva a spiegarselo.
Due mesi prima era andato a far visita al Daimyo per chiedergli un parere su una serie di visioni che durante la notte e durante le meditazioni quotidiane, venivano a fargli visita. Quando aveva salutato i suoi ragazzi non gli erano apparsi così negativi, anzi si tenevano impegnati e sembravano soddisfatti.
Quando rientrò, la situazione non era come l’aveva lasciata. Sembravano tranquilli, ma stranamente distaccati. Il clima di coesione che li aveva resi una grande squadra sembrava svanito e con il passare dei giorni, vedeva anche un forte malumore e fastidio disegnarsi sui loro volti quando erano costretti a passare del tempo insieme. Anche se il suo istinto di padre gli aveva suggerito che ci fosse qualcosa che non andava, non aveva voluto approfondire per non soffocarne l’indipendenza. Ormai erano adulti e in grado di badare a loro stessi, l’ultima cosa di cui avevano bisogno era un padre apprensivo. 
Da quando era rientrato le cose stavano peggiorando di giorno in giorno. Si lasciò sfuggire un sospiro massaggiandosi la barba con fare nervoso.
Michelangelo, notando il gesto del padre, si avvicinò porgendogli una tazza di thè caldo. “Grazie Michelangelo.”
“Prego maestro.” rispose lui con un tono di voce più cupo del normale, anche se mascherato da un tirato sorriso, mentre si accomodava accanto a lui.
Persino il più allegro di casa aveva perso la sua voglia di ridere e scherzare. L’ottimismo che aveva sempre caratterizzato suo figlio sembrava scomparso.
Mosso dalla curiosità e dalla preoccupazione gli chiese con tono perentorio “Michelangelo, almeno tu  saresti così gentile da spiegarmi cosa vi è successo?”
Alla sua domanda Mick scosse il capo.
“Non per mancanza di rispetto maestro, vorrei potertene parlare, ma non credo sia il momento. Ho bisogno di tempo per chiarirmi alcune cose. Abbiamo bisogno di tempo.”
Splinter lo guardò in modo serio e attento, non credeva che il mutante seduto accanto a lui, fosse diventato così riflessivo. Era sempre stato un ragazzo solare, allegro e al primo sguardo superficiale. Sotto tutta quella allegria si nascondeva anche una persona introspettiva e seria, dopotutto. In fin dei conti, era cresciuto e maturato anche lui, non era poi così assurdo che cominciasse a pensare in modo più adulto. A differenza dei suoi fratelli, almeno riconosceva il fatto che fosse necessario un chiarimento.
Le parole del figlio non gli dissiparono i dubbi, ma lo rassicurarono almeno in parte: appena si fossero chiarite le cose, lo avrebbero sicuramente reso partecipe della situazione. Tutti e quattro insieme.
Anche se non era la risposta che si aspettava, convenne con lui che attendere ancora qualche giorno non avrebbe cambiato nulla e dopo averlo salutato si diresse verso la sua camera. La serenità che emanava quel luogo era in netta contrapposizione con quello che si stava vivendo. I colori tenui e l’arredamento orientale non gli alleggerivano l’animo dalle sue preoccupazioni.
Si stava accendendo la pipa, quando in quel momento una sfera rosata che emanava una strana luce, gli apparve fluttuante di fronte al naso. La sorpresa gli fece afferrare istintivamente il bastone in posizione di difesa. Superato il primo stupore  e vedendo che non reagiva in alcun modo, si soffermò sullo strano oggetto.
Al suo interno non distingueva niente, solo nebbia bianca. Dopo qualche secondo, sentì la voce di qualcuno che conosceva molto bene e dall’ammasso informe di fumo, apparve il capitano Mortu.
“Maestro Splinter mi ricevete? Qui è Mortu dalla nave spaziale Utrom 342. Maestro Splinter, mi ricevete?”
“Capitano Mortu! Che piacere rivedervi.” disse Splinter con un espressione gioiosa in volto per il piacere di rivedere l’amico. Ma il sorriso si affievolì quando realizzò che dietro a quella comunicazione doveva esserci un qualche pericolo in agguato “Immagino però che questa chiamata non sia per semplice cortesia, dico bene?”
“Purtroppo no, mio caro amico. Chiama i tuoi figli, devo mettervi al corrente di molte novità decisamente poco piacevoli.” Disse lui.

 

Zona dell'autore:

Buona sera.
Intanto vi ringrazio per aver iniziato a leggere la mia prima Fan Fiction. Spero di non annoiarvi troppo! Sappiate che tratta temi a me molto cari e intimi. Questa storia nasce dalla voglia di sperimentarmi, quindi le critiche sono ben accette ma cercate di non farmi soffrire troppo! ç__ç
Vi auguro una buona lettura e spero davvero che vi appassioni!
Mellybonf

 

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Capitolo 3
*** Cap. 2 – Pronti. ***


Cap. 2 – Pronti.


Nadia si svegliò di colpo!
Ancora lo stesso terrificante, assurdo, maledetto incubo. Prese un respiro profondo asciugandosi le lacrime.
Alzandosi dal letto ancora agitata si diresse sul balcone. Fece molta attenzione, chiuse la pota con delicatezza e dribblò i vari ostacoli del salotto per non svegliare suo cugino e suo fratello che dormivano nella camera accanto. Una volta all’aria aperta, fece due respiri profondi, quasi a volersi riempire di aria nuova mentre si accingeva a prepararsi una sigaretta.  Leccando con la punta della lingua la cartina, un senso di colpa le serrò la gola. Aveva promesso alla sua famiglia e a se stessa che avrebbe smesso di fumare, ma da quando era cominciata questa storia era diventato davvero difficile mantenere la promessa. Fece un sospiro sconsolato, per poi accendersi la sigaretta appena fatta.
Erano ormai tre mesi che non faceva altro che pensare a quel maledetto sogno che, immancabilmente alle tre di ogni notte, la faceva svegliare completamente sudata e con il fiatone. Non ne aveva parlato con nessuno.
Come si poteva prendere sul serio un sogno in cui delle cose così assurde e ai confini della ragione umana, prendevano vita in un mondo di fantasia per ragazzini? Diamine, ormai aveva ventun anni e aveva smesso di fantasticare già da diverso tempo. Perché proprio adesso, con tutto quello che stava succedendo nella sua vita, si doveva ritrovare con un pensiero fisso tanto assurdo? Quell’incubo non la lasciava mai in pace, anche di giorno si ritrovava spesso a pensare e a ripensare a ogni dettaglio.
Tutto si ripeteva nello stesso identico modo: si ritrovava avvolta dal buio e dalle luci notturne di una metropoli. Correva a perdi fiato nella notte, circondata da palazzi altissimi, inseguita da uno strano fumo grigio insieme a suo fratello Marco e al cugino Luca; non sapeva perché, ma quella nebbia densa e innaturale non doveva prenderli per nessuna ragione. Non riusciva a ricordare in che modo si fosse ritrovata lì e perché avesse paura di nuocere a qualcuno. Sapeva solo che dovevano scappare e che era necessario rassicurare i due ragazzi, convincendoli che sarebbero riusciti a scappare.
Ogni notte, quattro figure dall’aspetto a lei più che noto le si paravano di fronte. Anche se non riusciva a vederli chiaramente, aveva la netta impressione che quei quattro muscolosi personaggi fossero degli amici. Amici fidati, con cui avevano condiviso molto. Ogni volta era uno shock vedere Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo uscire dall’ombra. I loro visi erano cupi, privi di empatia, carichi di rabbia e con gli occhi velati di un innaturale grigiore. Cercavano di immobilizzarli, colpendoli sulle gambe o afferrandoli con aggressività.
I movimenti si ripetevano identici. Un calcio ben assestato alla mascella verde del leader e una fuga repentina a sinistra la liberava del suo assalitore. Marco e Luca riuscivano a loro volta a liberarsi con delle mosse di arti marziali, eseguite in modo incredibilmente sicuro e calcolato. Da quando sapevano combattere? E come facevano ad essere così rapidi nei movimenti? Ma soprattutto, perché diamine stavano combattendo con loro? Anche se viveva il sogno in prima persona la sua coscienza era completamente distaccata da quello che stava facendo; era una spettatrice in prima persona senza possibilità di intervento.
Passando rapidamente lo sguardo nella zona circostante, era evidente che ormai non avevano via di scampo. Il fumo grigio e i mutanti stavano tagliando ogni via di fuga. Nel tentativo disperato di salvare i suoi familiari, ogni volta, afferrava per un braccio suo fratello e per la felpa suo cugino, spingendoli dentro a un vicolo buio sulla loro destra, l’unica via libera. Un vicolo cieco. Si chiedeva sempre come potesse essere tanto stupida da cadere in una trappola. In fondo, aveva visto e rivisto le avventure dei mutanti per tutta l’adolescenza, come aveva fatto a non prevedere questa possibilità?
Dall’uscita dal vicolo, con la stessa andatura lenta e calcolata, le quattro figure avanzavano avvolte dal fumo con uno strano ghigno in faccia. Dopo pochi secondi, che sembravano un’eternità, i quattro si aprirono posizionandosi in due gruppi ai lati della strada a braccia conserte, in attesa. Nel farlo non staccavano gli occhi da loro nemmeno per un secondo, ridendo in modo inquietante. Dal fitto banco di nebbia, un fascio di luce fendette l’aria con un ronzio assordante. Quel raggio luminoso li colpì violentemente, sollevandoli da terra con una potente folata di aria bollente. Sentiva chiaramente il dolore, bruciante e persistente in tutto il corpo.
Sbattuta contro il muro che chiudeva il vicolo e seduta a terra, faticava a tenere  gli occhi aperti; i vestiti erano anneriti, la pelle del viso e delle mani bruciava e scalpitava ad ogni minimo soffio d’aria. Ustioni di secondo grado come minimo. Luca alla sua sinistra, era nelle identiche condizioni, ma privo di sensi. Sbattendo violentemente il capo si era ferito alla nuca, un rivolo di sangue gli colava dal collo. Marco invece…
Nel voltarsi, ogni maledetta volta, vedeva uno dei suoi peggiori incubi materializzarsi: il suo adorato fratellino, riverso a terra con gli occhi sbarrati e con una strana luce che lo avvolgeva dalla testa ai piedi, non respirava e non si muoveva. A quella vista il suo cuore smetteva di battere per dei lunghissimi secondi. Era…morto. Ancora sconvolta, tentava di alzarsi per vedere come stesse, ma il corpo sembrava di marmo, non riusciva a muoverlo in nessun modo. Nonostante sentisse perfettamente il dolore in ogni centimetro di pelle, era completamente immobilizzata.
Quello che succedeva dopo era la cosa più dolorosa e spaventosa di tutte: il corpo magrissimo di Marco di scatto si rialzava, muovendosi come una bambola rotta. Cercando di mantenere l’equilibrio si voltava verso di lei e quello che appariva agli occhi di Nadia, non era più suo fratello. Le orbite erano buie e vuote, due buchi neri privi di qualunque luce. Il volto, deformato in un ghigno spaventoso con tutti i denti in mostra, sembrava un orrendo teschio coperto da un sottile strato di pelle. I capelli avevano vita propria e tutte le giunture non avevano alcun legame con il resto del corpo. Una marionetta inquietante in mano ad un burattinaio poco esperto. Una parola le martellava il cervello guardandolo…paura! Era la rappresentazione fisica di quel concetto. Un volto deformato, un corpo inquietante e nessun elemento che potesse ricordarle il ragazzo con cui era cresciuta. Con passo deciso e fermo le quattro tartarughe si dirigevano verso Marco, per poi inchinarsi. Reverenza, rispetto e timore, erano dei semplici sottoposti di quel “qualcosa” che si era impossessato di suo fratello. Parlavano in una lingua che non aveva mai sentito. Sembrava aliena o molto antica, l’arabo sarebbe stato di più facile interpretazione.
Mentre i cinque discutevano, la ragazza riusciva finalmente a girare la testa per poter vedere le condizioni del cugino. Sotto i suoi occhi la nebbia grigia stava avvolgendo Luca e si insinuava nelle sue narici. Il corpo del giovane iniziava a tremare, sempre più forte ogni secondo che passava. Quelle convulsioni e il fatto che i suoi occhi ribaltandosi facevano vedere solo la sclera, la fecero bloccare persino nel respirare. Tentava di urlare nel vano tentativo di svegliarlo, ma dalla sua bocca non usciva mai un suono. Non poteva fare niente per impedirlo. Impotente e inutile, costretta ad osservare senza fare nulla. Inutile.
Luca non c’era più. Anche lui, come le quattro figure verdi, era diventato un contenitore pieno di odio e astio, privo di qualsiasi volontà. Alzandosi di scatto e con la pelle perfettamente guarita, camminava verso Marco lanciando uno sguardo gelido e distante nella sua direzione. Aveva gli stessi occhi velati e privi di espressività dei quattro mutanti.
Era completamente immobilizzata, avrebbero potuta renderla un fantoccio privo di coscienza senza il minimo sforzo, ma i loro piani erano diversi. Sperava sempre di potersi svegliare arrivata a quel punto. Ogni notte, le sei figure si voltavano nella sua direzione fissandola in modo inquietante. Muovendosi all’unisono verso di lei, la accerchiavano e ridevano, ridevano in modo ancora più raggelante di prima. Non ricordava chi cominciò a calciarla e a deriderla, ma tutti alla fine prendevano parte a quella tortura. Uno di loro la prese per la faccia, con la mano verde le ricopriva bocca, naso ed occhi. La sbatteva contro il muro più e più volte; quello vicino a lui, prendendola per i capelli la sollevava da terra,  un altro le riempiva lo stomaco di pugni e un altro ancora le muoveva le braccia a suo piacimento per farle notare quanto fosse impotente. Una volta lasciata cadere a terra riprendevano a ghignare in modo malefico. Una delle tartarughe, dopo aver avuto il consenso di Marco, la sollevava nuovamente da terra prendendola per la gola e la lanciava sempre verso la strada, lontano dal vicolo. Atterrava di faccia lacerandosi la parte destra del volto. Data l’ustione appena subita, il colpo faceva particolarmente male, ma non voleva dare altre soddisfazioni ai suoi assalitori. Rimaneva impassibile, senza far trapelare la paura e il dolore. Stavano usando persone a lei care per farle del male, vederla cedere sarebbe stata una vittoria sotto ogni punto di vista.
Una volta raggiunta dall’intero gruppo, Marco la colpiva al volto con un calcio, obbligandola a girarsi con lo sguardo verso di loro. Il ragazzo si abbassò, piegando le ginocchia e girando la testa in modo innaturale in senso antiorario. Sembrava aver perso completamente i collegamenti tra testa e spalle, poteva ruotare la testa a piacimento, senza far trasparire nessuna espressione o sofferenza; una posa del genere sarebbe stata dolorosa per chiunque, ma non per lui. Quel ghigno, quella posa da film horror, l’espressione schernente e gelida allo stesso tempo, tutto solo per poter vedere quella frazione di terrore che ogni volta le attraversava il volto. Continuando a fissarla negli occhi, cominciò a sussurrare parole per lei incomprensibili, ma non era difficile immaginare quale fosse il concetto. Le stava sicuramente rivolgendo un insulto, o forse una qualche maledizione. Cambiava espressione in quel momento, provava chiaramente disgusto e repulsione ad esserle così vicino.
Continuando a fissarlo, la ragazza sentiva chiaramente un gusto ferroso spiccarle in bocca, il calcio doveva averle lacerato il labbro. In segno di disprezzo e sapendo che non l’avrebbero uccisa, sputò sulle scarpe di quello che era stato suo fratello. Volevano sicuramente farle del male, ma gli serviva viva. Non riusciva a spiegarsi perché fosse tanto certa di quella informazione, ma qualcosa le diceva che non poteva che essere così. Marco, dopo essersi rialzato, aver rimesso la propria faccia al suo posto e aver pulito la scarpa sul fianco di lei, faceva sempre lo stesso gesto: un nevrotico tic con tutte le ossa della mano, dando l’ordine di attaccare. I cinque si stavano scagliando su di lei con tutta la rabbia che avevano in corpo, volevano renderla ancor più inerme, ancor più sofferente, ancor più incapace di reagire. In quel momento, gli occhi si riaprivano di scatto, avvolti dal buio della sua camera. L’immagine dei mutanti con le armi tra le mani le rimaneva impressa sulle retine, come un monito, per diversi minuti.
Spense la sigaretta e si diresse di nuovo in camera da letto. Non poteva andare avanti così!
Non riusciva ancora a capire perché il suo subconscio le facesse vivere certe esperienze, oltretutto inserendo dei personaggi di fantasia. Per quanto la versione animata del 2003 e il fumetto l’avessero appassionata, non poteva credere che il suo cervello recuperasse proprio loro per farle avere certi incubi. Senza contare il fatto che era non poco imbarazzante avere certi sogni alla sua età: fantascienza, fumetti, storie per bambini a cui aveva detto addio. Ad un certo punto della propria vita bisogna sapere quando è il momento di crescere. Aveva responsabilità e doveri, abbandonarsi alle fantasie ormai era una cosa passata.
La mattina seguente si sarebbe dovuta alzare presto, meglio accantonare le preoccupazioni. Si appallottolò dentro la coperta, nel tiepido e morbido abbraccio del letto, lasciandosi alle spalle i brutti pensieri almeno per qualche ora.

………….

Nello stesso momento, nella stanza di Luca, il ragazzo si rigirava nel proprio giaciglio; le lenzuola giacevano appallottolate a terra e il cuscino a furia di pugni e manate poco delicate era diventato di una forma non identificabile.
Si era da poco alzato per andare al bagno; aveva intravisto la figura di Nadia dirigersi sul balcone con il tabacco e il resto tra le mani.  Era evidente che non riusciva a smettere, ma con tutte le responsabilità che aveva, era l’ultimo dei problemi. Era chiusa in quel negozio per più di quaranta ore alla settimana e nel tempo che le rimaneva stava con lui e Marco. Non aveva più spazio per lo studio, gli svaghi o gli amici. Si era ritrovata completamente sola, abbandonata da quelli che riteneva dei compagni e con molte responsabilità. Il fumo era solo uno sfogo, privarla anche di quello gli sembrava troppo.
Almeno lui aveva la scuola, gli amici, la musica e il calcio che lo aiutavano a distrarsi un po’. Da quando i suoi se ne erano andati in Germania aveva attraversato diversi stadi di umore.
All’inizio li aveva detestati profondamente.
Come avevano potuto decidere di partire lasciando lì Marco e Nadia, come se non facessero parte della famiglia? Avevano già perso i loro genitori non potevano e non dovevano rimanere da soli! I suoi genitori lo avevano cresciuto nella consapevolezza che nessuno deve essere abbandonato, per nessuna ragione; lui ne era la prova! Allora perché? Dopo l’odio subentrò il tradimento. Il loro gesto era puro egoismo: li avevano abbandonati tutti e tre. Non erano rimasti nonostante le difficoltà come nei film. Se ne erano andati, come se di lui, di loro, potessero fare a meno.
Nei mesi successivi era diventato scontroso e irascibile con tutti quelli che gli capitavano a tiro, insopportabile persino per se stesso. Questo stato d’animo non faceva altro che aumentare la sua rabbia, era entrato in una spirale senza via d’uscita. In quel periodo tormentato, non aveva parlato con nessuno dei propri dubbi o delle proprie frustrazioni. Si era chiuso e non voleva lasciare spazio a nessuno nel proprio dolore.
Luca sapeva di non essere mai stato un ragazzo particolarmente socievole. Era sempre taciturno ma non solitario; anche a lui piaceva concedersi un po’ di ilarità e gioia con i pochi amici di cui si era circondato. Ma non parlava dei suoi problemi o di quello che gli succedeva. Per lui era decisamente più semplice evitare di aprirsi,  piuttosto che cercare di entrare davvero in sintonia con qualcuno.
Dopo qualche tempo, vedendo che la situazione peggiorava di giorno in giorno, i suoi cugini lo avevano scosso e lo avevano portato a sfogarsi. Solo con loro, quando finalmente si arrabbiava o si lasciava andare a qualche abbraccio in più, si sentiva meglio. Le uniche due persone con cui era  riuscito a mostrarsi per quello che era, erano Marco e Nadia.  Con Marco non servivano le parole, bastava uno sguardo e subito capivano a vicenda l’umore dell’altro; il bello di avere a che fare con persone come lui stava nel fatto che si sviluppava un certo sesto senso nel cogliere le emozioni. Eri certo di essere capito senza dover dire troppo. Nadia invece era come una sorella maggiore; se avevi bisogno di lei non c’era volta che non corresse in tuo aiuto o non si facesse in quattro per te. Con lei sapevi che qualsiasi cosa le potessi raccontare o dire non ti avrebbe mai giudicato o ignorato. Inoltre era divertente, dopo una discussione di qualsiasi tipo faceva in modo di tirare sempre su il morale, anche rendendosi ridicola se necessario.
Solo una cosa ormai aveva importanza: loro tre. Insieme si sarebbero sostenuti e aiutati.
Dopo qualche tempo il senso di pesantezza che lo stava opprimendo si era un po’ dissipato, non era tornato quello di un tempo, ma almeno si sentiva più leggero e cresciuto.
Negli ultimi tre mesi però una nuova ombra si era annidata nei suoi pensieri. In quest’ultimo periodo si era sentito costantemente osservato: in più di un’occasione, avena intravisto delle figure nere che lo osservavano dagli angoli bui dell’aula di scienze o dalla doccia senza illuminazione dello spogliatoio. Ogni volta che si ritrovava in uno spazio privo di luce da solo, degli strani occhietti rossastri lo fissavano incessantemente. Persino andare a scuola in bici era diventato uno stress; quando passava sotto il cavalcavia poco illuminato a due minuti da casa, aumentava la velocità. Sentiva che sarebbe stato afferrato da qualcuno nascosto nell’ombra se non lo avesse fatto. Cominciava a chiedersi se non fosse impazzito.
L’unico momento in cui la presenza sembrava farsi più lontana, era la sera. Circondato dalle mura domestiche e dai cugini. Era talmente rilassato che spesso, troppo stanco per la tensione accumulata, si addormentava sul divano appoggiato alla spalla di Nadia e con Marco accanto.  Il giorno dopo però, la situazione si ripresentava invariata. La presenza inquietante era sempre lì ad attenderlo e le giornate si ripetevano tutte uguali. Non si poteva sfuggire a questa sensazione opprimente. Era snervante e logorante pensare di non avere vie di fuga. Non poteva di certo pensare che le cose sarebbero migliorate da sole, doveva parlarne con qualcuno di cui si fidava. L’indomani era domenica e stranamente Nadia non doveva lavorare. Avevano deciso che dopo la sua partita, sarebbero andati a farsi un giro in macchina, per passare qualche ora in tranquillità. Forse si sarebbe fatto coraggio…non era sicuro che raccontare questa cosa lo avrebbe aiutato, al massimo avrebbe caricato di altre preoccupazioni i suoi familiari. Però non poteva andare avanti così. Al momento opportuno, avrebbe raccontato loro di questa inquietante presenza e di tutta l’ansia che lo stava divorando ormai da mesi.
Presa la decisione, si aggrovigliò ancora un po’ nelle lenzuola e nel giro di qualche minuto, un profondo senso di torpore lo abbracciò, fino a farlo sprofondare nel sonno.

Nell’altro angolo della stessa stanza, Marco si girò nel letto per osservare suo cugino con gli occhi carichi di ansia. Erano ormai diverse notti che non dormiva, appoggiato al cuscino con gli occhi aperti osservando e ascoltando tutto quello che succedeva in quella casa. Si era accorto di tutti i cambiamenti nei suoi famigliari e non era tranquillo.
La situazione stava precipitando: nell’ultimo anno avevano affrontato la vita da soli, avevano dovuto abituarsi a tanti cambiamenti e crescere senza una guida. Ma questo non bastava ancora per viversi la propria esistenza in modo sereno, non bastava essere un diverso in un mondo inospitale, non bastava essere incapace di relazionarsi, non bastava sentirsi in trappola, non bastava sentirsi sbagliato, non bastava sentirsi soli, non bastava mai. Un altro carico da novanta stava premendo sulla sua vita, la sua famiglia stava male e lui non poteva farci niente.
Loro non gliene avevano parlato, ma lui si era accorto di tutto: degli occhi sempre più stanchi di sua sorella e dei suoi continui sforzi per farsi vedere serena e in forma; degli occhi preoccupati del cugino che fissavano fuori dalla finestra ogni volta che rientrava a casa con il fiatone; di come entrambi si stavano lentamente chiudendo alle discussioni per non dire più del necessario e non far trapelare il loro stato d’animo.
Neanche lui era però riuscito a far capire che gli stava succedendo qualcosa. Neanche lui riusciva a darsi una spiegazione. Era troppo confuso per riuscirci. Erano tre mesi che si sentiva preoccupato, amareggiato e incapace di far fronte agli ultimi avvenimenti. Si era sempre di più chiuso nella sua camera a fissare la tv sperando in una distrazione e in un qualcosa che lo allontanasse dalle sue angosce. Sentiva chiaramente che stava cambiando qualcosa, qualcosa che avrebbe portato a guai, grossi guai. La voce glielo aveva detto, la voce sapeva, la voce non sbagliava mai e questo non faceva altro che incrementare le sue paure.

Il ronzare di un insetto vicino all’orecchio di Marco lo fece trasalire. Una specie di grosso moscone si era appoggiato alla finestra, lo sfiorò con lo sguardo e tornò ad osservare il cugino, senza notare lo strano bagliore rosato che quegli occhi riflettevano.
Da un monitor nella sala comandi dell’ astronave 342 Mortu e i tre navigatori osservavano le scene inviate dal loro piccolo insetto spia. Osservavano i tre giovani ormai da diverso tempo, le loro storie erano raccontate dai loro database onirici e avevano visto le difficoltà da loro affrontate nell’ultimo anno.
“Nessun dubbio capitano…” disse il primo dei tre navigatori.
“…sono loro…”continuò il secondo.
“…crede siano pronti?” Concluse il terzo.
Mortu spegnendo lo schermo aggiunse “Devono esserlo, non c’è più tempo!”
………
Contemporaneamente, nella loro dimensione, Leonardo e Raffaello si stavano allenando.
Negli ultimi tre mesi non avevano fatto altro. Avevano un nuovo obiettivo. Avrebbero dovuto fronteggiare un nuovo avversario. Forse il più temibile di tutti. Un essere che non aveva ancora un volto e che già aveva causato più danni di tutti i loro nemici messi insieme.
Si stavano scontrando senza armi in un combattimento corpo a corpo. Secondo il maestro Splinter dovevano rinforzare le loro capacità fin dalle basi, non potevano lasciare più nulla al caso e all’istinto. Dovevano concentrarsi e calcolare ogni più piccolo movimento. Erano dei maestri ninja più che esperti, ma non gli era sembrata sbagliata l’idea di ricominciare ad allenarsi partendo dalle basi.
Avere un nuovo obbiettivo sembrava averli rinvigoriti, ma le parole non dette stavano rendendo il clima in casa sempre più pesante. Bastava un niente per far esplodere discussioni o per far piombare tutti in un profondo pensare. Un susseguirsi di pensieri stretto, serrato e angosciante.
Leonardo aveva meditato su ogni aspetto della situazione. Riusciva a capacitarsi del fatto che tutto nell’universo fosse collegato, in fondo era stato nello spazio più di una volta, ma non avrebbe mai immaginato che l’esistenza fosse tanto grande e sconfinata. C’erano infinite realtà con universi sterminati, persi nell’esistenza. La meditazione e le arti marziali insegnano a fondersi con tutto quello che ci circonda, perché ogni piccolo elemento ha il suo scopo. Ma arrivare alla consapevolezza che l’universo sia solo una piccola parte di un sistema ancora più grande, era un’informazione che lo rendeva ancora più instabile.
Che valore poteva avere l’esistenza di una singola persona dentro ad una struttura così ampia e complessa? Che importanza poteva avere per il cosmo se ogni persona a lui cara avrebbe potuto rischiare la vita in questa nuova missione? Che significato poteva avere  il Bushidō, a cui aveva dedicato tutta una vita, rispetto all’immensità e alla gravità di quello che stavano per affrontare? Ormai ogni sua certezza aveva cominciato a vacillare. Che razza di leader poteva essere in quello stato? Come poteva essere preparato e pronto se si sentiva mancare la terra da sotto i piedi?
Raffaello era sempre più collerico ogni secondo di più. Leonardo era perso ancora una volta in uno dei suoi pensieri. Succedeva troppo spesso in quel periodo e non andava bene. Non avevano più tempo per le riflessioni. Dovevano agire, essere pronti a qualsiasi cosa fosse successa da lì in avanti. L’immobilità del fratello durante gli allenamenti, lo faceva letteralmente impazzire. Cosa credeva, che solo lui avesse dei pensieri per la testa?
Anche Raf aveva pensato a lungo alla situazione in cui si trovavano. Sarebbero stati di nuovo in pericolo. Non solo loro, ma tutto l’universo a loro conosciuto e tutti gli altri a loro sconosciuti. Era una responsabilità enorme. E perché dei soggetti umani provenienti da un’altra dimensione, dovevano aiutarli ad affrontare questo nuovo nemico? Un ulteriore complicazione! Ne aveva abbastanza di persone sconosciute, che ficcano il naso in cose più gradi di loro. Per non parlare del fatto che avrebbero dovuto istruirli, altro tempo portato via a quella che era la preparazione psicofisica per la battaglia. La loro presenza non poteva decidere le sorti di una guerra come quella, li avrebbero solo rallentati. Come se non fosse già abbastanza snervante il fatto che tre pesi sarebbero presto giunti da chissà quale strana dimensione, suo fratello sembrava sempre più lontano. Era pur sempre il leader, se non voleva che si ripetesse una disgrazia come quella di diversi mesi prima, non poteva più permettersi atteggiamenti di superiorità come quelli.
Carico di rabbia, scagliò un attacco diretto alla mascella del maggiore. Leo lo schivò per un soffio “Hei, leader dei miei stivali! Vogliamo deciderci a concentrarci? La mia pazienza ha un limite!” gli urlò Raffaello a pochi millimetri della faccia.
Leonardo dopo essersi messo nuovamente in posizione, gli lanciò un’occhiata concentrata. Contrattaccò con tutta l’energia che aveva in corpo. Gli scaricò addosso una serie di calci e pugni, non perdendo mai il baricentro e puntando a fargli perdere l’equilibrio il prima possibile. Il fratello lo aveva colto impreparato, era distratto e lontano dallo scontro. Non poteva permetterselo, lo sapeva bene, ma la cosa che lo faceva sentire umiliato era il fatto che proprio con lui si era concesso una leggerezza simile. Con chiunque altro lo avrebbe accettato, ma non con lui.
Nel tentativo di ribaltare la situazione, Raffaello cercò di colpirlo con il pugno destro al volto. Sapeva che Leo lo avrebbe schivato facilmente, lasciando così scoperto il fianco sinistro. Concluse il movimento del braccio caricando con la gamba destra un calcio ribaltato rivolto al volto, voleva colpirlo in piene meningi con il tallone.
Leonardo, accortosi della poca fluidità dal pugno, parò facilmente il calcio. Afferrando il piede del rosso e facendo leva sullo stinco, gli fece fare una torsione in aria che lo scaraventò guscio a terra con poco sforzo.
Avvicinandosi al fratello con le mani sui fianchi gli disse in tono saccente e con un sorrisetto compiaciuto “Se pensi che il tuo nemico sia distratto, approfittane! Magari, evitando di urlargli contro dandogli la possibilità di contrattaccare, testa calda!”
“Dacci un taglio! Se non ti concentri a fondo, questo allenamento non servirà a niente!” proferì il rosso mentre si rialzava.
Leo sbuffò. “A te basta sfogarti! Da quando in qua, ti preoccupi del fatto che uno scontro sia più o meno utile all’allenamento?”
“Da quando non abbiamo più tempo da perdere! Dobbiamo essere pronti ad affrontarci senza esclusione di colpi!” 
“Credi che non lo sappia? Smettila di pensare a quello che faccio io e concentrati su di te! Fra di noi sei quello che agisce in maniera più sconsiderata, non sei nella condizione di fare la ramanzina a qualcun altro!” rispose Leonardo puntandogli contro il dito.
“E tu non ti puoi permettere di star lì a rimuginare! Datti una svegliata Leo!” detto questo si lanciò in un nuovo attacco ancora più collerico di prima, con il pugno destro carico e pronto a colpire. “Oh fratello, non augurarti che io mi svegli…” e senza alcuno sforzo parò il pugno del fratello mentre l’altro, caricando il sinistro, venne bloccato sul nascere da un calcio al fianco “…potresti pentirtene!”
Vicino alla porta d’ingresso Michelangelo li stava osservando, seduto in disparte.  Da quando avevano ricevuto la chiamata di Mortu, Donni era chiuso sempre più spesso in laboratorio e si ritrovava da solo ad osservare i combattimenti degli altri. Anche lui partecipava, ma come al solito quei due perdevano ore ad urlarsi contro e ad insultarsi.  In quei momenti si ritrovava a pensare: anche se tutti erano convinti del contrario, non smetteva un secondo di preoccuparsi per la sua famiglia. Soprattutto da quando il capitano degli Utrom li aveva contattati. Non c’era soluzione. Come avrebbero fatto ad affrontare un nemico senza volto, capace di portare i soggetti contaminati alla pazzia e all’odio ceco? Cosa sarebbe successo a lui o ai suoi fratelli, se quella strana razza aliena li avesse infettati?
Nessuno di loro aveva mai cercato di analizzare le parti più buie del loro animo. La vita stessa aveva mostrato loro alcune macchie nere, ma non erano mai andati a fondo della cosa. Si erano sempre schermati dietro le loro solite modalità di reazione: Leonardo proteggendo il proprio onore, Raffaello lasciando libero sfogo alla sua rabbia, Donatello cercando di acquietare la sua infinita sete di conoscenza. Lui stesso, fuggiva gli aspetti più neri della vita per concentrarsi solo su ciò che di bello e allegro ci fosse nel mondo. Cosa nascondesse il suo animo, non lo sapeva.
Come se già la minaccia di per se non fosse preoccupante, continuavano a malapena a rivolgersi la parola. Ormai da diversi mesi non riuscivano più a trovare modo di risolvere quello che era successo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro. Impedire il ripetersi di quella notte, forse impedirsi addirittura di conoscere quel ragazzo e sua sorella. Aveva odiato se steso e quel sedicenne per tutti i cinque mesi appena trascorsi. Sapeva di essere una persona ingenua, che si fida troppo facilmente del prossimo, ma aveva creduto che ci potessero essere persone capaci di andare oltre il loro aspetto e avere voglia di relazionarsi con loro. Ma si era dovuto ricredere dopo quella notte. Solo April, Casey e Angel avevano quella particolare empatia nei loro confronti. A causa della sua infinita voglia di essere accettato, aveva messo in pericolo molte persone, adesso sapeva di non poterselo permettere. Non sarebbe mai più stato tanto ingenuo.
Donatello nel suo laboratorio, sentiva i due fratelli discutere, ma non se ne preoccupava; era intento a costruire un nuovo chip da inserire sotto pelle per segnalare l’eventuale presenza di elementi estranei. Da quando aveva saputo della nuova minaccia, si era dedicato al lavoro con maggiore enfasi di prima, ma si ritrovava spesso a pensare alle parole dal capitano Mortu. Non era difficile credere che ogni cosa nell’universo fosse collegata ad un’altra e che ogni elemento di fantasia partorito dalla mente di qualcuno potesse essere una specie di finestra su un altro mondo. Aveva già avuto occasione di constatare quanto fosse vera e tangibile la possibilità che mondi paralleli potessero comunicare tramite la Fantasia. Qualche anno prima si era imbattuto in Kirby, il fumettista che viveva nell’appartamento sotto il “Second Time Around”. Tramite i suoi disegni era riuscito a creare un’altra dimensione con una pietra degli Y'Lyntian attaccata alla matita.
Nemmeno con il suo genio però, sarebbe mai giunto alla conclusione che in realtà la pietra gli desse le energie solo per creare più rapidamente elementi che sarebbero comunque comparsi nell’altra dimensione. Tutto quel  mondo esisteva  già da tempo, la fantasia del fumettista era solo un collegamento. Quello che creava in quella dimensione, durava per sempre perché erano parte dello stesso tessuto spaziotemporale. O almeno, così aveva detto Mortu quando li aveva contattati e aveva cercato di rispondere alle sue domande.
Per far fonte a questa nuova minaccia, servivano attrezzature all’avanguardia e l’unico in grado di realizzarle era lui, non aveva tempo da perdere con gli allenamenti; sinceramente, meno tempo passava con i suoi fratelli meglio stava. Era sempre stato il più maturo, quello a cui rivolgersi per un parere assennato e senza giudizi, ma da quella sera ogni cosa riguardasse i suoi fratelli lo faceva semplicemente imbestialire. La prospettiva di allenare tre esseri umani alla lotta sarebbe stato sicuramente il momento in cui, volente o no, si sarebbe dovuto confrontare con loro. Fino ad allora, non voleva avere contatti più dello strettamente necessario.
Splinter continuava ad osservare i suoi figli accanto a Michelangelo. Anche a lui ormai sembrava chiaro che la situazione non potesse andare avanti in queste condizioni, ma più che lasciare loro lo spazio necessario per chiarirsi non poteva fare. Batté con il bastone sul pavimento per due volte e si alzò in piedi. I suoi figli si misero in attesa di nuove istruzioni.
“Per stasera, basta così figlioli. Se volete uscire per le vostre ronde notturne fate pure, l’allenamento è finito.” Disse uscendo dal Dojo dopo averli salutati con un inchino.
“Tsk! Non usciamo di ronda insieme da parecchio. Non gli è ancora entrato in testa?” soffiò Raffaello mentre si asciugava il sudore.
“Vuole solo che ci riavviciniamo Raf.” s’inserì Michelangelo “Tornare ad essere una squadra unita, come in passato.”
“Hai detto bene Mick, in passato! Per quel che mi riguarda la nostra squadra ha smesso si esistere cinque mesi fa!” rispose collerico il rosso dirigendosi verso il garage. Come sempre sarebbe andato con la sua moto in solitaria a girare per le strade di New York. Il Nightwatcher era tornato.
Michelangelo lo guardò uscire e poi si rivolse a Leonardo “Anche tu sei del suo stesso parere?” lo sguardo del più giovane sembrava implorare una rassicurazione, almeno Leo doveva pensarla diversamente.
“Mi dispiace Mick, ma non voglio entrare in argomento.” Rispose secco Leonardo. Si stava avvicinando alla porta per uscire, quando suo fratello gli si parò davanti.
“Stai scherzando? Sono mesi che andiamo avanti così…non possiamo continuare su questa strada! Dimmi che non sono il solo a pensare che questa situazione sia ridicola oltre che assurda! Almeno tu Leo!” Leonardo gli rivolse uno sguardo gelido e distaccato “Che cosa vuoi che ti dica Mick? Che mi dispiace che la situazione abbia preso questa piega? Che vorrei poter fare qualcosa? Anzi no, che DEVO fare qualcosa? Beh fratello, mi dispiace comunicarti che siamo tutti adulti qui dentro, tutti abbiamo le stesse responsabilità! Ah no, scusa! Tu non ti consideri adulto, vuoi continuare ad essere un ragazzino spensierato. Dico bene?”
Nel Dojo echeggiarono i passi di Leonardo e il tonfo del portone. Dal tetto risuonavano i ticchettii della pioggia e il fruscio delle foglie, era appena cominciata una tempesta primaverile. Michelangelo non si era mai sentito così solo come in quel momento. Per la prima volta in vita sua, sentiva di non avere vie d’uscita. Per la frustrazione diede un pugno al manichino da allenamento lasciato fuori posto da Raf e disse a voce bassa. “Andate al diavolo tutti…”


Zona dell’autore:

Buongiorno a tutti. Eccomi tornata con il terzo capitolo della storia, i nuovi personaggi fanno la loro prima comparsa e i nostri beniamini continuano gentilmente a detestarsi. Ringrazio tutti voi che mi state leggendo e Pelfemon TV per la sua recensione, spero che continuerete a seguire questa mia avventura. Mi state facendo felice come una bimba! Un abbraccio.
Mellybonf

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Capitolo 4
*** Cap. 3- Partenza. ***


Cap. 3 – Partenza.

La mattina seguente, una bella giornata di fine maggio, l’ansia che aveva attanagliato Luca durante la notte si era tramutata in energia e vigore.
La finale di campionato del suo girone era stata un successo!
Luca era riuscito a segnare il gol decisivo a pochi minuti dalla fine ed era euforico come non lo era mai stato nell’ultimo anno.
Era la felicità fatta persona. Esultava come se avesse appena vinto la Champions League, correndo con le braccia aperte, la maglia numero 10 in una mano e urlando a più non posso.  I suoi compagni di squadra, dopo averlo stretto in un abbraccio di gruppo, non la smettevano di dargli affettuose pacche sulla spalla o pugni sul braccio in segno di approvazione, arruffandogli i capelli e stropicciandolo come fosse un eroe.

Marco, anche se si era tenuto in disparte per via del rumore e della troppa gente presente, non era riuscito a trattenersi dal saltare come un matto quando lo aveva visto correre per il campo dopo il gol. Aveva gli occhi vivi e aperti come poche altre volte. Aveva il desiderio di partecipare alla gioia di Luca con tutto se stesso.
Nadia si era stropicciata le mani fino all’ultimo secondo per l’agitazione ed era scoppiata in un urlo di gioia quando il suo cuginetto aveva segnato. Era quasi ridicola da vedere dal campo da calcio: sembrava una molla impazzita.
Dopo che si fu cambiato, il dodicenne si precipitò dai suoi cugini che lo aspettavano nel parcheggio.
“Ehi, Luca!” lo salutò Nadia “Come ci si sente ad aver vinto il campionato?”
Marco gli era andato in contro saltellando e ridendo, dopo di che lo aveva abbracciato timidamente.
Luca rispose all’abbraccio e poi disse a sua cugina “È una gran bella sensazione, mi sento invincibile e pieno di energie!” alzò il braccio in segno di trionfo con la faccia tirata in un sorrisetto da chi sa che si sta autocompiacendo in maniera esagerata.
Nadia ridacchiando aggiunse “Ottimo! Allora direi che ci possiamo mettere in viaggio verso il lago. Ho preparato i panini, le bibite e la tovaglia. Ci faremo un bel pic-nic, ci rilasseremo un po’ e festeggeremo la tua vittoria di oggi. O preferisci rimanere con i tuoi compagni e festeggiare con loro?”
“Stai scherzando?” Rispose lui “Sono tre mesi che non riusciamo a passare del tempo insieme, con gli altri mi vedrò in un altro momento…” “Ok campione, sali a bordo!” Fece salire suo cugino nei posti dietro e Marco lo seguì. Di solito uno dei due si accomodava davanti accanto a lei, ma oggi aveva messo le borse termiche per evitare che si ribaltassero e rovesciassero il pranzo per tutta la macchina.
“Marco, oggi è un giorno di festa;  anche se a te non piace particolarmente ascoltare la musica, direi che si deve fare uno strappo alla regola, che ne dici?” chiese Nadia rivolta al fratello.“Sisi” fu la risposta di Marco con un sorriso mentre ciondolava sul posto. Inserito il CD partirono.
Marco continuava a ridere tra se e se come se gli avessero raccontato una barzelletta che sentiva solo lui, Nadia si era messa a canticchiare mimando i versi delle canzoni e Luca stava tamburellando con le dita sul vetro del finestrino tenendo il tempo.  Il calore che emanava quel momento di tranquillità e felicità era incredibile, una sensazione che tutti e tre non provavano da un po’. Invece di prendere l’autostrada, Nadia decise di percorrere le strade statali per poter godere del momento il più a lungo possibile. Non avevano fretta, potevano prendersela comoda.

Trascorse così la prima mezzora, il viaggio sarebbe durato altrettanto. Luca si fece coraggio, o ne parlava in quel momento o non ne avrebbe avuto di nuovo il coraggio. “Marco, Nadia, vi devo dire una cosa.” Disse in modo poco convinto. Nadia spense la radio e disse “Dicci pure scricciolo.” con un sorrisetto di sfida.  Sapeva che Luca detestava il nomignolo che gli aveva dato quando era piccolo. Ormai non era più un bambino magro ed esile, stava diventando sempre di più un ragazzo di costituzione robusta e allenata, ma a Nadia piaceva ricordarlo ancora piccolo.
“Non chiamarmi scricciolo! Non sono più un bambino.” disse lui alterato. Dopo di che si accasciò sul sedile, portandosi il collo della felpa fin sulla bocca; adesso si che era difficile parlare, odiava dover fare discorsi seri dopo essere stato preso per i fondelli. D’altronde, ormai aveva cominciato, fece un respiro profondo e continuò “È da un po’ che vorrei parlarvi di una cosa che mi sta facendo impazzire, ma non ne ho avuto il coraggio perché sembra davvero assurda.” Era tornato a tamburellare sul vetro con fare nervoso guardando fuori dal finestrino.
Marco si era fatto improvvisamente silenzioso. “Niente è assurdo se hai deciso di parlarcene. Dicci tutto.” Proferì seria Nadia.
“Ecco…negli ultimi tre mesi ho avuto la netta sensazione che qualcuno mi spiasse dagli angoli bui in ogni luogo in cui mi trovavo: a scuola, negli spogliatoi, persino per strada. So che sembra un’assurdità ma per me sta diventando davvero pesante anche solo uscire di casa. Credo di avere qualche problema, forse dovrei andare da uno psicologo. Voi che dite? Credete che stia diventando matto?” disse con un tono di voce un po’ insicuro. “Hai detto negli ultimi tre mesi?” chiese Nadia guardandolo dallo specchietto retrovisore con aria preoccupata. Marco si era irrigidito di colpo torturandosi le mani in una stretta talmente forte da farle diventare quasi bianche. “Si, perché?” chiese Luca preoccupato, passando lo sguardo da sua cugina a suo cugino. “In effetti…anch’ io ho una confessione da farvi. Non ho mai avuto la sensazione di essere seguita o osservata come è successo a te, ma ho avuto un incubo ricorrente, assurdo e agghiacciante. È per questo motivo che ultimamente avevo l’aria sempre stanca, non dormo decentemente da un po’.” Disse la ragazza.
Marco si era messo a dondolare con tutto il corpo avanti e indietro tenendo le braccia incrociate in posizione di chiusura; continuava a fare dei suoni gutturali come a schiarirsi la voce.  Gli occhi erano serrati e continuava a fare no con la testa. Era chiaramente turbato. Forse quei discorsi gli avevano ricordato qualche episodio poco piacevole, avvenuto nello stesso periodo. Passarono i minuti successivi senza dire una parola, erano tutti e tre assorti. Il silenzio non era mai stato così pesante.
“Secondo voi c’è qualche spiegazione logica?” Chiese Luca dopo quella che era sembrata un’eternità. “Al momento non me ne viene in mente neanche una.” Rispose Nadia, con tono di voce sconsolato e sospirando. “Però sono certa che qualcosa per spiegare queste strane sensazioni c’è…dobbiamo solo non farci troppo coinvolgere. Altrimenti rischiamo di entrare in un circolo vizioso e di non uscirne più. Dopo, altro che psicoanalisi, ci rinchiuderebbero nel primo manicomio disponibile!”  Concluse la ragazza cercando di alleggerire un po’ la situazione sorridendo.
Le sue stesse parole le risuonarono come ovvie e scontate, senza un grammo di convinzione. Anche a lei quelle non sembravano semplici coincidenze. Che il periodo di stress e l’allontanamento dei suoi zii stesse giocando loro qualche brutto scherzo? E se questi “Sogni” o “Sensazioni” fossero sintomo di qualche psicosi? O di qualche malattia? La reazione di Marco, in tutto questo, era la cosa che la preoccupava di più: anche se non parlava, era chiaro che i discorsi appena fatti lo avevano turbato. Se poteva essere sicura di una cosa, era che suo fratello non si agitava per stupidaggini, ogni volta che succedeva qualcosa che avrebbe portato guai o in qualche modo sofferenza, suo fratello lo sentiva e cominciava a chiudersi proprio come stava facendo in quel momento.

Era bastato davvero poco a interrompere la serenità che li aveva avvolti fino a pochi istanti prima. Troppo poco. Dopo qualche minuto di silenzio tombale, iniziarono a percorrere una strada stretta e tortuosa che si addentrava fra le colline, circondata da un folto boschetto. Era piuttosto buia e scoscesa; forse per gli argomenti toccati, ma metteva una discreta ansia.
Girato l’angolo si trovarono accerchiati da una strana nebbiolina grigia. A Nadia sembrò che il tempo si fosse fermato. Il cuore aveva iniziato a pompare adrenalina e il corpo sudava freddo al ricordo degli effetti che la nebbia del suo sogno dava a chi la respirava. Senza perdere un secondo fece un inversione a U repentina e premette sull’acceleratore talmente a fondo che il motore della macchina sembrava urlasse. “EHI! MA COSA FAI?” Urlò Luca, mentre cercava di rimettersi seduto dopo l’improvviso cambio di direzione che lo aveva sbattuto contro Marco. “È come nel mio sogno!” esclamò Nadia agitata con gli occhi sgranati “Quella nebbia, quella dannata nebbia è la stessa che ho visto nel mio sogno!”  Luca e Marco la guardarono con un’aria preoccupata, forse gli incubi e la mancanza di sonno le stavano facendo più male del previsto. “Ma di quale nebbia stai parlando?” chiese Luca girandosi per vedere dal lunotto posteriore. “Oh merda! Q-quella roba grigia ci sta seguendo! Nadia, accelera, ACCELERA!” Urlò il ragazzino dopo aver osservato quello strano fumo seguirli come se avesse volontà propria. Non credeva ai propri occhi. Come poteva una sostanza gassosa seguirli? Come poteva un qualcosa che dovrebbe essere semplice aria, avere loro come obbiettivo? “MA COME CAZZO È POSSIBILE?” urlava continuando nervosamente a guardare dal lunotto posteriore.
Marco si stava agitando sempre di più. Si teneva la testa tra le mani, continuando a ripetere “Nono, nono, NONO!” dondolando avanti e indietro con gli occhi serrati e le unghie piantate tra i capelli.
Nadia non stava meglio dei due ragazzi, era un fascio di nervi. Le tremavano le mani sul volante all’idea che il suo sogno si fosse materializzato nella realtà. Doveva proteggere suo fratello e suo cugino dagli effetti di quella nebbia! Correva come una disperata, ignorando i cigolii di sofferenza del motore.  Stava per imboccare una strada sulla destra, quando si ritrovò di fronte ad un altro banco di nebbia. Con l’auto sparata a quella velocità cercò di evitarla svoltando di botto a sinistra. Il veicolo finì in testa coda per via della troppa ghiaia presente sul terreno e andò fuori strada sbattendo contro un albero.  L’auto era di terza mano e non proprio in buono stato, ma almeno l’air-bag avrebbe dovuto funzionare. Purtroppo il pallone di protezione non si aprì e neanche le cinture di sicurezza riuscirono ad evitare che i tre ragazzi venissero sbattuti da tutte le parti. Il colpo fu durissimo, tanto che la testa di Nadia si fracassò contro il parabrezza. Perdeva molto sangue e aveva delle schegge di vetro conficcate nel cranio e nelle spalle. I due ragazzi avevano perso conoscenza sbattendo contro i sedili anteriori e le portiere. Dal naso di Marco usciva un rivolo di sangue e il polso destro di Luca era evidentemente rotto.

Il fumo si stava avvicinando sempre di più all’auto distrutta. Ancora pochi attimi e avrebbe raggiunto i tre ragazzi. Un venticello leggero smosse il fogliame facendo cadere delle piccole goccioline di pioggia. In quell’istante si materializzò uno strano portale luminoso tra l’automobile e il banco di fumo.
Era rotondo e bianco. Al centro si intravedeva una spirale dalla quale fuoriuscirono degli strani fulmini celesti. Questi ultimi, colpirono il fumo che svanì nel giro di pochi secondi, nonostante i tentativi di sfuggire ai raggi.
Dopo pochi attimi dal portale uscì un gruppetto di Utrom.  Erano coperti da uno strano casco che si fondeva con i loro hover pad, probabilmente per proteggerli da un eventuale attacco del Nemico.
“Via libera!” disse uno di loro facendo un cenno verso il portale.
 Uscirono dal fascio di luce altri tre soldati Utrom provvisti di Exo-tute. Sembravano esseri umani comuni, dei semplici passanti.
Tirarono fuori i tre ragazzi ancora incoscienti dall’auto, li distesero sul ciglio della strada ed iniettarono loro tre strani microchip sotto pelle. Dopo di che controllarono le loro funzioni vitali, prelevarono dei campioni di tessuti e chiamarono le autorità e un’ambulanza. Chiusa la comunicazione, uno di loro puntò una strana pistola verso i tre ancora privi di sensi.  L’aspetto dell’arma era insolito, a metà tra tecnologia e materiale organico.
Quando entrò in funzione invece di sparare qualcosa dalla sua canna, attirò degli strani fasci di luce azzurrognola, dall’aspetto quasi liquido. Questi provenivano dalla mente, dal cuore e dal ventre dei tre ragazzi. Tre boccette sferiche situate al posto del caricatore si riempirono di quello strano liquido luminescente. Il tutto, accadde nel giro di pochi minuti.
Kraang, uno dei soldati, aprì uno strano comunicatore che portava al polso, dal quale apparve l’immagine di un altro Utrom.
“Capitano Mortu, abbiamo trovato i tre soggetti. Sono stati attaccati dal Nemico e sono finiti fuori strada con il loro mezzo.”
“Quali sono le loro condizioni? Avete seguito la procedura?” chiese il capitano.
“La procedura è stata portata a termine signore. Le condizioni dei due soggetti maschi sono relativamente buone, nessun danno grave. Per quel che riguarda la femmina…temiamo che non ce la faccia, il colpo su di lei ha avuto degli effetti più gravi!”
“Speriamo che i medici riescano a salvarla. Deve vivere! La squadra fornita di Exo-tute faccia ciò che può per tenerla in vita mentre attendete l’arrivo dei soccorsi. La squadra mobile porti il materiale raccolto e le essenze sulla nave. Una volta che l’ambulanza sarà partita ritornate alla base. Cercate di mantenere i contatti con i cip inseriti nei loro corpi anche quando rientrerete; informatemi ad ogni più piccolo cambiamento delle loro condizioni”
“Ricevuto capitano.” Rispose il soldato prima di chiudere la comunicazione.
“Spero di non essere arrivato troppo tardi…” disse Mortu, con un’aria mortificata in volto, allontanandosi dal ponte di comando.


Zona dell’autore:

Ok malcapitate vittime del mio folle parto mentale! Siamo entrati nel vivo, per così dire, di questa prima parte della storia. Lo so, è un capitolo che non fa capire un’acca, perdonate la mia poca chiarezza e le scarse descrizioni. Nella prossima puntata vedremo l’incontro tra i nostri mutanti e i tre giovani umani della nostra dimensione. Spero davvero che nonostante tutto vi sia piaciuto e vi ringrazio ancora tanto per aver cominciato a leggere.

Mellybonf

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Capitolo 5
*** Cap. 4 – I Connettori ***


Cap. 4 – I Connettori


A bordo del suo Hover-pad, il Capitano Mortu fissava il bianco e luminoso portale del teletrasporto; i parametri di recupero erano settati sulla città di New York, più precisamente nell’intricata serie di cunicoli fognari sotto di essa. Attendeva degli ospiti.
Nel vorticare impetuoso, comparvero cinque siluette e una zampa di roditore grigia fece il primo passo fuori dalla scia luminosa “Benvenuti nobili amici.” Li salutò con un sorriso sereno “Grazie Capitano, siamo felici di rivederti.” rispose il Maestro Splinter, allungando la mano per stringere uno dei tentacoli dell’amico. Le quattro tartarughe fecero i primi passi fuori dal portale.

“Uhou! Che razza di viaggio!” esclamò Michelangelo con una mano sulla testa. “Buonasera Capitano.” Lo salutò Leonardo con un inchino. “Non vedevo un’astronave Utrom da un po’ di tempo, è sempre affascinante! Salve capitano.” Fece Donatello. Raffaello si limitò ad alzare una mano in segno di saluto con il suo solito ghigno un po’ storto. “Vi trovo bene, ne è passato di tempo dal nostro ultimo incontro.” disse il Capitano.
“Ti chiedo scusa se risulto troppo diretto, ma i tre soggetti di cui ci hai parlato e a cui dovremmo fare da mentori, dove sono? Possiamo vederli?” chiese Splinter. Era curioso e allo stesso tempo desideroso di togliersi almeno parte dei dubbi lasciati in sospeso.
“Certamente. Sono sulla nave anche se non ancora coscienti; seguitemi per favore.”  Percorsero in silenzio un lungo corridoio immersi nei loro pensieri: nessuno osava proferire parola.

“Siamo arrivati.” Proferì Mortu aprendo una porta automatica. Una camera circolare sui toni scuri si presentò ai loro occhi, rischiarata da enormi oblò che mostravano un’incredibile spettacolo dello spazio. Lo stanzone,  pieno di macchinari e di attrezzature aliene, era gremito da Utrom indaffarati.
A Donatello bastò un’occhiata per capire che si trattava di una specie di infermeria, un incrocio tra ambulatorio e  laboratorio genetico. Ogni attrezzo, completamente diverso rispetto a quelli a cui era abituato, aveva il compito di monitorare funzioni vitali, prestare soccorso e analizzare le varie reazioni fisiologiche.
Al centro della sala, tre calotte ovoidali simili a bare erano posizionate verticalmente a formare un triangolo. Occupavano mezza stanza ed erano molto simili alle capsule che avevano usato quando Mortu mostrò loro l’epoca Edo: scure come il sangue, collegate al resto delle attrezzature come fossero parte di un organismo.*(1)
Al loro interno, immersi in un liquido giallognolo con tute bianche aderenti, c’erano tre ragazzi con gli occhi chiusi. Erano attaccati a caschi e a respiratori che coprivano naso e bocca; non doveva essere piacevole trovarsi lì dentro, le smorfie dei loro visi e il roteare nevrotico delle pupille sotto le palpebre erano un chiaro segno.
Sulla sinistra c’era un ragazzino, doveva aver superato il confine che separa l’infanzia dall’adolescenza da poco. Appariva fisicamente allenato, robusto, tonico, con le gambe particolarmente sviluppate, alto circa un metro e cinquanta, con il viso tondo ancora da bambino e un lungo ciuffo di capelli neri faceva capolino sulla fronte dai toni olivastri.
Accanto a lui c’era una ragazza, doveva essere una ventenne: il volto trasmetteva inesperienza, aveva tratti gentili e espressivi. Fisicamente adulta, spalle larghe, fisico femminile e sinuoso, bacino morbido, alta un metro e settanta, capelli biondo ramato tagliati molto corti a sinistra e lunghi fino alla guancia a destra.
Nell’ultima calotta c’era un ragazzo all’incirca della stessa età della giovane, ma decisamente troppo magro e scheletrico. Il  suo corpo in confronto agli altri due, era la metà del normale: le braccia, le gambe, il busto, il viso, tutto sembrava sottile e fragile. Era il più altro dei tre, superava il metro e ottanta d’altezza, capelli castani, pelle chiara, sulle guance e sul mento si vedeva un’ incolta barbetta dalle striature ramate.

I cinque ninja guardarono le tre figure e poi diressero il loro sguardo a Mortu. Leonardo era quello con l’espressione più esterrefatta. “È uno scherzo?” proferì incredulo.
“No.” Rispose secco Mortu. Il leader sgranò gli occhi “Mi perdoni Capitano, ma è evidente che non possiamo lasciare in mano a questi ragazzi le sorti di quello che sta succedendo.”
“Chi ti aspettavi Leonardo? Tre muscolosi combattenti, soldati scelti di qualche armata interplanetaria?” Chiese Raffaello ironico. Aveva tutta l’intenzione di infastidire il fratello, con la sua solita espressione strafottente, tamburellava sul vetro di una delle calotte. Il ragazzino al suo interno, contrasse le palpebre sentendo il rimbombo.
Leonardo con lo sguardo stizzito, fece “No, ovvio. Ma guardandoli non vedo altro che delle persone normali. Mi aspettavo un supporto provvidenziale, data la situazione.”
L’Utrom si posizionò fra i ninja e le calotte “Comprendo la vostra diffidenza, ma vi assicuro che sono i soggetti più adatti a questa impresa. Questi ragazzi sono gli unici in grado di resistere alla procedura a cui vogliamo sottoporli: hanno il giusto equilibrio di determinazione, fantasia, sensibilità e il loro legame è particolarmente forte. Hanno imparato a vivere da soli nell’ultimo anno, quindi sanno cosa significhi il sacrificio e la condivisione. Inoltre, tutti e tre sono appassionati delle vostre avventure.
Speriamo quindi che lo shock non sia troppo forte nel ritrovarsi in questa dimensione. Vi sembrerà assurdo, ma saranno loro che impareranno da voi l’arte del combattimento e che vi aiuteranno ad affrontare il lato più oscuro del vostro animo.”
“Immagino che non sarà comunque facile accettare tutto questo. Avranno bisogno di tempo e pazienza; dopo il primo periodo, sono certo che sapranno essere all’altezza.” aggiunse Splinter tornando a guardare i tre ragazzi nelle teche. Aveva l’impressione di averli già visti e il suo viso appariva sereno, quasi compiaciuto.
Leonardo si sentì ancora più confuso di quanto non lo fosse già. Era sorpreso dell’atteggiamento fiducioso del genitore, con gli estranei era sempre stato diffidente, ma allo stesso tempo non sbagliava mai nel giudicare le persone. Però, non era convinto fino in fondo, aveva l’impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa.
Mortu tentò di chiarire le cose; era evidente che per le tartarughe, la situazione sembrava disperata già in partenza. Premendo un pulsante, comparvero sui monitor degli schemi molto specifici dei tre ragazzi.

“Per quel che riguarda l’allenamento, non dovete preoccuparvi, abbiamo modificato queste strutture fisiche appositamente: i loro veri corpi sono rimasti nella  dimensione d’origine. Queste sono solo delle repliche, realizzate da noi per poter contenere le loro essenze.
Essenze? Cosa sono questi ragazzi, dei vaporizzatori ambulanti di profumo?” domandò Mick con ironia. Voleva alleggerire un po’ le cose, quell’Utrom aveva sempre parlato in modo troppo complicato per i suoi gusti. “Ahio!” Il maestro Splinter, gli aveva scaraventato sulla nuca il bastone. Anche se si stava dimostrando più maturo, suo figlio tendeva ancora un po’ troppo alle battute irrispettose.
“In realtà Michelangelo, ognuno di noi ha una propria essenza specifica, un nucleo energetico unico. L’anima, la mente, le emozioni e tutta quella sfera di sensazioni corporee che compongono la nostra coscienza, sono legate ad essa. In altre parole, l’essenza è il vero io di ognuno di noi. Nei soggetti classificati come connettori, l’essenza è anche l’epicentro dei poteri.” Spiegò l’Utrom.
“Quindi, avete prelevato questo nucleo energetico dai ragazzi e lo avete trasferito in copie realizzate da voi, giusto?” domandò Don mentre osservava con molta attenzione gli schermi. La tecnologia Utrom era eccezionale, avrebbe dato qualsiasi cosa per studiarla nei minimi particolari e capire come fosse possibile il trasferimento dell’anima da un corpo ad un’altro.
“Esattamente, appena possibile ti manderò tutti i dati in nostro possesso Donatello. Spero con il tuo aiuto di chiarire alcuni aspetti. Anche per noi, questa procedura presenta elementi ancora sconosciuti.” Mortu continuò a far scorrere i dati sugli schermi e si soffermò sulle strutture fisiche dei tre soggetti: le loro composizioni chimiche erano identiche a quelle degli esseri umani comuni; i campioni di tessuti avevano subito un bombardamento con il liquido mutageno Utrom, per rendere più veloce la formazione delle tre repliche.
“Potendo elaborare una parte del patrimonio genetico e della struttura, siamo riusciti a renderli particolarmente inclini all’apprendimento, sia delle arti marziali che qualsiasi altro genere di informazioni. Le sinapsi e i neuroni specchio, sono diventati particolarmente recettivi e veloci; i muscoli e le giunture sono stati rinforzati, come le loro strutture ossee: nel giro di poche settimane riusciranno ad apprendere e a mettere in pratica ogni tipo di combattimento. Abbiamo inserito nei loro condotti auricolari e tra le corde vocali, dei sistemi di traduzione di tutte le lingue conosciute nell’universo; potranno comunicare facilmente con chiunque, un ulteriore precauzione per permettergli di integrarsi facilmente. Non sono americani, quindi rendergli semplice la comunicazione con voi mi sembrava necessario.”
“Ci ha parlato di capacità fuori dal comune legati all’essenza, potrebbe esse più chiaro?” domandò Leonardo. Nell’osservare gli schermi, non aveva trovato un solo elemento che gli chiarisse quell’aspetto.
“Ci stavo appunto arrivando. Dovete sapere che nelle dimensioni in cui i connettori non fanno da finestra, ma nelle quali si inseriscono fisicamente, hanno la possibilità di dominare gli elementi naturali. Potrebbero controllare la crescita della piante, indirizzare i fulmini a loro piacimento o avere altri poteri della stessa natura.”
“Questa si che è una bella notizia!” S’inserì Michelangelo con gli occhi entusiasti “Saranno sicuramente una risorsa in battaglia, come dei supereroi! Dovremmo trovargli dei soprannomi adeguati. Che ne dite del Trio Elementale?”
“Mick, non è il momento!” Lo rimproverò Donatello “Prima di tutto dobbiamo sapere, scommetto che ci sono tanti altri aspetti che non conosciamo.”

“A proposito di questo…” Ricominciò Mortu con un tono che fece preoccupare tutti i presenti. “Nel caso del ragazzo più grande, è giusto mettervi al corrente di una sua…caratteristica. È affetto da una patologia che nella sua dimensione si chiama Autismo: è un soggetto portato alla chiusura con l’esterno, poco incline alle relazioni sociali e all’attività fisica finalizzata. Con il nostro intervento dovrebbe essere più portato ad imparare, ma temo che sarà comunque difficile fargli capire il senso degli allenamenti.  Mi rendo conto che questo complica le cose, ma…”
Complica le cose? No Capitano, questa cosa non le complica, le rende un assoluto disastro!”  Raffaello non gli aveva dato il tempo di concludere la frase. Era collerico, ma soprattutto preoccupato, esattamente come i suoi fratelli. “Come crede che riusciremo a relazionarci con qualcuno che non parla? Se non capisce il fine di un allenamento, mi spiega come potremo insegnargli le cose basilari? O rendergli chiaro che cosa stiamo rischiando con questa impresa?”
“Mi spiace ammetterlo, ma la testa calda ha ragione.” proferì Donatello. “Conosco bene la sindrome in questione e non è mai uguale. Ogni soggetto presenta caratteristiche diverse. Cercare di insegnare qualcosa ai soggetti che non presentano alte capacità di apprendimento è praticamente impossibile. Farli uscire dagli schemi in cui si chiudono nella prima infanzia è ancora più difficile. Non possiamo prenderci cura di un soggetto così e ritengo altamente improbabile che ci si possa affidare a lui per la missione.”
“Inoltre, come faremo a entrare in sintonia come una squadra se il ragazzo fa fatica a relazionarsi con chiunque? Un buon team ha bisogno di coesione e complicità. Bisogna conoscersi profondamente e non sono cose che si riescono a fare da un giorno all’altro; tanto meno con una personalità come quella di un ragazzo Autistico.” Continuò Leonardo.
“Tartarughe, vi prego, un po’ di fiducia: la presenza di questo ragazzo non è stata dettata dalla casualità.” L’alieno aveva un’espressione che lasciava poco spazio ad ulteriori proteste. Fece un respiro profondo e riprese la spiegazione “Tutti e tre, sono stati prelevati per una ragione: la chiave per la riuscita di questa impresa è, come vi avevo già accennato, nel loro legame , ma sopratutto nelle capacità di questo giovane. Con la sua conoscenza profonda della psiche e dell’anima, è la persona più adatta a farvi da guida nell’allenamento a cui dovrete sottoporvi. Vi abbiamo chiesto di allenarli, la vostra presenza è fondamentale, ma in questo momento non siete ancora pronti: vi serve aiuto. Un tipo di aiuto che solo un ragazzo come lui può darvi. Passare diciannove anni isolato dal mondo, con la sola consapevolezza di se stesso, è l’unica arma possibile che abbiamo per sconfiggere il Nemico.” rispose Mortu in modo perentorio.
“Interessante, diciannove anni in meditazione profonda, isolato dall’esterno e con un occhio interiore sviluppato in modo incredibile.” dichiarò il maestro Splinter massaggiandosi la barba. “Quando si sveglieranno?”
Si avvicinarono ad uno schermo dove scorrevano calcoli, logaritmi, formule e schemi.
“Tra breve, mancano pochi minuti. Una volta terminata la rigenerazione, li tireremo fuori dalle teche e condivideremo con loro ogni cosa. Come vi avevo accennato, utilizzeremo la procedura di sincronizzazione: è una tecnica fondamentale per la sopravvivenza di noi Utrom. Per condividere le varie esperienze della vita,  la nostra specie si connette nella mente, nel corpo e nell’anima. I soggetti, si potranno connettere anche a tutta quella fetta di pensieri e sensazioni più profonde a cui difficilmente si riesce a dare un significato razionale. Abbiamo intenzione di trasmettere loro questa nostra caratteristica. Ogni volta che lo vorranno, potranno condividere tra di loro o con chi crederanno più opportuno le loro esperienze personali e…” 

Mentre le spiegazioni di Mortu echeggiavano nell’infermeria, Marco aprì gli occhi di scatto. Dentro ad una teca, immerso in un liquido, con un casco stretto sulle meningi e con un respiratore attaccato alla bocca, era completamene sotto shock. Spaventato a morte, i suoi respiri si stavano facendo sempre più brevi e ravvicinati. Continuava a dibattersi, ma la teca non si apriva. Non riusciva nemmeno a farla tremare, il liquido attutiva ogni suo tentativo di forzarla. Voleva andarsene, sparire, chiudersi, annullarsi! Era tutto troppo confuso, troppo forte: troppo annebbiata la vista, troppo forti i rumori, troppo luminoso il riflettore, troppo fastidioso il respiratore. Cos’era successo? Dove si trovava? Dov’erano Nadia e Luca? Che cosa volevano da lui? Perché era lì?
L’allarme cominciò a risuonare nell’infermeria e una spia rossa sul monitor laterale della teca lampeggiò in modo anomalo. 
“Capitano! Il soggetto si è svegliato!” esclamò Kraang, con tono allarmato.
“Non è possibile!” esclamò Mortu. Si affiancò a lui e osservò il battito cardiaco e la ventilazione segnalato dal macchinario. Allargò gli occhi e serrò i denti vedendo un altro valore che stava crescendo in modo esponenziale. “Chiamate gli Onorevoli Navigatori! Subito!” esclamò rivolgendosi ad uno dei sottoposti vicino all’entrata.
“Cosa succede Capitano?” chiese Donatello avvicinandosi allo schermo e mettendosi a disposizione.
“Il ragazzo affetto da Autismo…bisogna trovare il modo di calmarlo prima che avvenga l’irreparabile.” 
L’irreparabile?” Chiese il ninja dalla maschera viola.

Il capitano indicò con il tentacolo il valore impazzito. “Questi numeri indicano la percentuale di risposta degli elementi naturali alla sua presenza. Più la coscienza e lo stato psicofisico del ragazzo non sono nella norma, più le particelle che rispondono ai suoi stimoli reagiscono di conseguenza.” 
“Detto in una lingua comprensibile?” chiese Mick ironico. “Più il ragazzo si agita, più l’elemento che controlla reagisce con lui; se controllasse il metallo, potrebbe accartocciare questa nave come un foglio di carta!” spiegò con urgenza Donni. Con le mani sulla tastiera, era già alla ricerca di una soluzione immediata.
“Avevate previsto questa eventualità? Ci deve essere un modo per fermarlo.” Proferì Leonardo mentre si avvicinava all’Utrom e al fratello. “No, non c’è. Con i sedativi comprometteremmo il controllo precario che ha sul suo potere e…rischieremmo solo di peggiorare la soluzione.”
“State dicendo, che non c’è modo di fermare la Bomba formato stecchetto a pochi metri da noi?” Chiese Raf con i Sai già tra le mani. “Esatto.” concluse l’Utrom con lo sguardo amareggiato.

Le porte scorrevoli si aprirono e apparve l’enorme vasca semovente.
“Onorevoli Navigatori, vi aspettavamo.” Proferì il capitano rivolgendosi ai tre.
“Il risveglio anticipato del ragazzo è un problema Capitano…” disse il primo.
“…dobbiamo iniziare la sincronizzazione immediatamente…” proseguì il secondo.
“…la procedura non può attendere oltre!” concluse il terzo.
La vasca si posizionò frontalmente al giovane e i tre Utrom lo fissarono intensamente mentre i loro occhi iniziarono ad emettere luce.
Il diciannovenne scosse la testa con gli occhi sgranati. Non credeva a quello che vedeva: i tre Navigatori del cartone animato che lo aveva accompagnato per molti anni, erano a pochi metri da lui. Non era possibile! Sapeva che avevano capacità telepatiche, e quegli occhietti luminosi non erano un buon segno, probabilmente volevano entrare nella sua mente. No, nessuno doveva farlo! Non aveva deciso lui di essere lì, ci si era ritrovato e basta! Voleva mandare via tutti. Voleva essere al sicuro. Voleva stare solo. Completamente solo. Nella sua mente lo era sempre stato e voleva continuare, ad essere solo!
Senza averne il pieno controllo, i suoi occhi si fecero bianchi e il suo corpo cominciò a emettere strane vibrazioni biancastre. Le onde si allargarono a macchia d’olio, prendendo forma solida ad un paio di metri di distanza dalla calotta: una bolla dai riflessi candidi all’apparenza sottile e delicata come fosse fatta di sapone, si era materializzata di fronte ai presenti.
 “Non riusciamo…” iniziò il primo navigatore.
“…a sincronizzarci con lui…” continuò il secondo.
“…la barriera ce lo impedisce.” Concluse il terzo.
Quella calotta all’apparenza così fragile, era più resistente e isolante di qualsiasi materiale conosciuto dagli Utrom. Schermava ogni tentativo di contatto mentale, respingeva ogni raggio lanciato dagli Hover-pad e impediva al personale di avvicinarsi per farlo uscire. Donatello osservava le reazioni della barriera: ogni contatto, faceva vibrare la superficie, sembrava avesse una propria sensibilità agli interventi esterni.

“Adesso basta! Vediamo di farla finita!” dichiarò il rosso, già lanciato in un attacco con i suoi Sai. “No! Fermati Raf!” Esclamò il viola, ma ormai era troppo tardi. Nel momento in cui le lame entrarono in contatto con la barriera, Raffaello venne respinto con il doppio della forza; si ritrovò scaraventato contro la porta automatica, lasciando l’impronta del proprio carapace sulle ante.
Un’azione del genere, poteva essere percepita solo come aggressiva e ad ogni azione segue una reazione uguale e contraria. La barriera iniziò a occupare sempre più spazio: si dilatava e si rilassava come se respirasse; ad ogni inspirazione aumentava di volume, distruggendo tutto quello che incontrava. Il personale alieno era terrorizzato, nessuno si sarebbe mai immaginato una manifestazione tanto precoce e distruttiva dei poteri del ragazzo. Se lo scudo d’energia fosse arrivato allo scafo esterno lesionandolo, nessuno si sarebbe potuto salvare.
“Bravo Raf, fallo agitare ancora di più! È la mossa migliore per farci saltare per aria prima!” lo canzonò Mick, mentre lo aiutava ad alzarsi. “Almeno tento di fare qualcosa!” rispose Raf afferrando il suo braccio e rimettendosi in piedi. “Vedi di darti da fare anche tu!” Esclamò avvicinandosi nuovamente allo scudo.
“Come stai Raf?” domandò il viola quando il fratello gli si fece vicino. Raf si voltò nella sua direzione, non si erano praticamente rivolti parola per mesi, quella domanda lo sorprese non poco “Niente di rotto Don, concentrati su quel maledetto scudo e non preoccuparti.”
Michelangelo rimase dove si trovava, suo fratello aveva ragione a dire che bisognava fare qualcosa, ma non voleva rischiare di peggiorare la situazione. Questa volta, sarebbe andata diversamente.  Fece correre il proprio sguardo per tutta l’infermeria. Erano tutti concentrati sul problema, ma la situazione non faceva che peggiorare. Mortu era accanto ai navigatori mentre tentavano un’altra connessione con il giovane; Donni stava cercando una possibile soluzione al computer; Leonardo e il Sensei tentavano di capire se la barriera avesse punti deboli; Raffaello stava aiutando gli Utrom a creare una sorta di struttura protettiva per lo scafo. Ma la barriera prendeva sempre più spazio e non rallentava in alcun modo; Mortu dovette allontanare parte del personale dalla sala, dando l’ordine di isolare l’area.
Lo sguardo dell’arancione corse per tutta la barriera, ormai era a pochi centimetri dalle altre due teche. Gli occhi azzurri si allargarono di scatto, realizzando che gli altri due giovani erano ancora al loro interno, sarebbero stati travolti. Corse evitando tutti verso la calotta della ragazza. Premendo pulsanti a caso, tentò di aprirla. “Come funziona questo arnese? Ehi, datemi una mano! Dobbiamo tirarli fuori!”
Alle sue parole tutti si voltarono nella sua direzione. Lo sguardo dei tre navigatori si concentrò sulle due teche.
“Potremmo entrare in contatto…”disse il primo Navigatore
“…con il primo dei ragazzi…”continuò  il secondo
“…tramite i due soggetti rimasti.” concluse il terzo.
“Certamente, la procedura può avvenire anche tramite terzi!” asserì il capitano dandosi dello sprovveduto per non averci pensato prima.  “Credete davvero che sia una buona idea?” chiese Donni un po’ allarmato. “Data la situazione, non credo sia molto saggio aggiungere altre variabili.”
“Non abbiamo alternative, dovremo fidarci.” Troncò il discorso Mortu premendo il comando per svuotare i contenitori.

Nadia cominciava a recuperare conoscenza. Una sostanza fluida stava lentamente calando di livello, lo sentiva distintamente sulla pelle ancora umida. Un brivido le percorse il corpo. Era tremendamente confusa:  l’ultimo cosa che ricordava era la macchina senza controllo e la certezza che sarebbe andata a sbattere; poi più nulla fino a quel momento. Come si era ritrovata immersa in un liquido? E perché aveva la sensazione di trovarsi dentro a una specie di…ascensore?  Aprì timidamente gli occhi, per poi sgranarli di scatto.
Attraverso la patina gialla del vetro, poteva scorgere i macchinari, i tre Navigatori dentro la loro vasca e il personale alieno che saettava in tutte le direzioni. Capì subito che si trattava di un’astronave Utrom, ma non riusciva a capacitarsene. Sicuramente stava sognando, non aveva altre spiegazioni!
C’erano anche altri cinque soggetti che le sembravano famigliari. Quelli vicino al capitano Mortu, non erano…no! Non potevano essere loro! Forse non stava sognando, era completamente impazzita!
La porta della teca si aprì con uno scatto sordo, il casco le si sfilò dalla testa e il respiratore si staccò dal viso. Tentò di fare un passo per uscire, ma le sue gambe facevano fatica a rispondere, erano troppo deboli. Si appoggiò con entrambe le braccia alla teca e trovò un equilibrio precario, tremando da capo a piedi; forse dipendeva dal freddo, ma più probabilmente per la situazione. Da ragazzina avrebbe voluto con tutta se stessa ritrovarsi lì, ma desso, l’unica cosa che le sembrava sensata era la certezza di trovarsi in uno dei suoi parti mentali mal riusciti.
Il capitano, con il tono più tranquillo possibile, si rivolse a lei “Ben svegliata. Come ti senti?”
“…”
Nadia non riusciva a parlare. Come poteva riuscirci? Si limitò a far passare lo sguardo sui presenti: Mortu era esattamente come se lo ricordava, uno strano alieno con i tentacoli tutto rosa, ma con gli occhi più sereni e pieni di conoscenza che avesse mai visto. I tre Navigatori invece non le erano mai piaciuti molto, così privi di personalità la mettevano a disagio.
Quando si concentrò sul gruppo dei suoi eroi adolescenziali, li trovò cambiati. Il Maestro Splinter sembrava aver subito più degli altri i cambiamenti dovuti all’età, appariva molto più piccolo di come se lo ricordava e sempre più incurvato sul suo bastone. Aveva indosso gli abiti da allenamento che era abituata a notare durante le puntate animate, solo più logori. I suoi occhi neri la stavano osservando in modo penetrante, sembrava volesse leggerle l’anima.

Le quattro tartarughe apparivano in forma, entrati pienamente nell’età adulta. Gli anni di allenamento avevano dato nuova forma ai loro corpi, apparivano ancora più armonici. Indossavano delle strane tute nere personalizzate con qualche accessorio tecnologico attaccato alle cinture. Opera di Donatello, sicuramente.
Il ninja dalla pelle verde oliva, aveva superato il metro e novanta di altezza ed era sempre il più longilineo del gruppo. Sembrava ancora più slanciato nella sua tuta completamente nera. Il fidato borsone a tracolla era sempre al suo posto; Nadia aveva sempre trovato unico quel borsone: provvidenziale e organizzato come la borsa di un medico-ingegnere da battaglia. Il viso di Donatello era il più sottile e stanco della famiglia, le occhiaie erano evidenti; quelle linee bluastre contornavano gli occhi marroni,  fissi su di lei con un’aria interrogativa sempre più marcata.
Raffaello, era il secondo in altezza ed era il più muscoloso dei fratelli. La tuta era simile ad una tenuta da motociclista, con delle protezioni rinforzate su gomiti e  ginocchia. La pelle verde scuro del viso era solcata da diverse cicatrici che la ragazza non aveva mai visto; una a pochi centimetri dall’occhio destro era particolarmente evidente.*(2) I suoi occhi verdi con striature dorate, erano chiusi in un’espressione decisamente aggressiva; mettevano un po’ di ansia, sembravano pronti ad attaccare.
Leonardo, terzo in altezza, si era fatto ancora più muscoloso, anche se non c’era paragone con il fratello in rosso. Nella sua tenuta nera, dal gusto tradizionale giapponese, era fermo e saldo come una quercia. La giacca Kimono scendeva fino alla vita, chiusa da una cintura in stoffa che metteva in risalto le spalle. La sua maschera blu contornava gli occhi castano scuro, aveva la sua solita espressione seria e allo stesso tempo distesa, come se nulla potesse turbarne l’impassibilità.
Michelangelo era ancora il più piccolo di casa, ma superava Nadia di diversi centimetri.  Aveva il fisico equilibrato e armonico: muscoloso e alto quanto bastava, senza eccessi. La sua tuta era personalizzata da inserti arancioni sulle spalle e sui fianchi; poco funzionali, ma rendevano la tenuta meno austera. Era quello con l’espressione più rassicurante: i suoi occhi azzurro cielo erano curiosi e furbi, l’unico sguardo che non la facesse sentire a disagio; inoltre, le stava rivolgendo un sorriso dei suoi, di quelli che sono in grado di farti sentire più leggero. *(3)

“Oddio, non ditemi che sono un trio di problematici, uno autistico, l’altra muta e il terzo…non so, paraplegico?” Fece Raf portandosi una mano sugli occhi esasperato.
“T-trio?” chiese Nadia “Marco e Luca!” esclamò nel realizzare a chi si riferisse. Si voltò di scatto a cercare la sua famiglia. Nello scrutare il perimetro, vide Marco che emanava quelle strane onde bianche con gli occhi illuminati e la barriera intorno a lui. Luca era ancora privo di sensi nella teca alla sua destra. Erano finiti tutti e tre in quella assurda situazione, l’unica domanda sensata che la stava tormentando era, perché?
In quell’istante si aprì la porta della calotta che conteneva il dodicenne e la giovane gli corse incontro barcollando. Prima che il ragazzino perdesse l’equilibrio, lo tirò fuori dal contenitore e lo appoggiò delicatamente al suolo. Controllò rapidamente le sue condizioni: era ancora privo di sensi, pallido come non mai, ma il respiro era regolare, il battito carotideo presente e la temperatura corporea sembrava nella norma.
Nessuno dei presenti aveva osato muoversi. Lo sguardo teso e i gesti della ragazza erano un chiaro segno del suo stato d’animo: era preoccupata e impaurita, sarebbe bastato davvero poco per farle perdere il controllo. “Dove ci avete portato? Cosa avete fatto alla mia famiglia?” il tono era aggressivo. Si era voltata verso il gruppo con uno sguardo penetrante e incattivito. Quello di un lupo che vede il proprio branco in difficoltà.
“Tranquilla.” Rispose Mortu cercando di calmarla. “La tua famiglia sta bene, non ti preoccupare. Tuo cugino è privo di sensi, ma si sveglierà presto; ti assicuro che anche tuo fratello sta bene, le sue condizioni fisiche sono ottimali. È solo molto agitato, prima che ce ne rendessimo conto e potessimo fare qualcosa, ha manifestato i suoi poteri.”
“Di quali poteri sta parlando? Non ha niente del genere, nessuno di noi ce li ha!” Replicò lei sempre più agitata.
“Questo lo chiariremo dopo. Adesso, la cosa fondamentale, è mantenere la calma.” s’inserì Donni in modo pratico. “Se anche voi due perdeste il controllo, non risolveremmo il problema e ci ritroveremmo in una situazione ancora più problematica!”
“Mantenere la calma?” Chiese Nadia tesa “Mi sono svegliata su una navicella Utrom, di fronte a personaggi di fantasia, senza sapere che cosa ci faccio qui o come ci sono arrivata, con mio fratello e mio cugino in questo stato…e secondo te dovrei mantenere la calma, Donatello?” “E meno male che non doveva essere uno shock!” esclamò Michelangelo con ironia, rivolto al Capitano.
“Ehi, bellezza! Neanche a noi fa piacere essere finiti in questa situazione, ma ti ci dovrai abituare!” la punzecchiò Raf. Nadia scattando in piedi proferì alterata “Chiamami un’altra volta bellezza e non rispondo di me! Chiaro Raffaello?”
“Diamoci tutti una calmata!” Tagliò corto Leo. Il tono era perentorio, nemmeno Nadia trovò la forza di ribattere. “Prima di tutto, allontaniamoci dalla barriera. Raf, prendi il ragazzino e ripariamoci dietro le attrezzature.” Il gruppo si spostò il più rapidamente possibile. Donatello e Leonardo aprirono la strada, seguiti dal Capitano, dai Navigatori e dal Maestro Splinter.
Il rosso prese in braccio Luca con espressione scocciata, non capiva perché doveva occuparsi proprio lui di quel ragazzino. Con tutto quello che stava succedendo, voleva sentirsi libero di agire, tenere in braccio quel piccoletto era un freno. Inoltre, quel corpo leggero e quel viso innocente, avevano qualcosa di indifeso che lo innervosiva: era piccolo, poco più di un bambino, un inutile e sciocco ragazzetto che si stava infilando in una situazione più grande di lui.  Lanciò una mezza occhiataccia alla ragazza che lo stava fissando e si allontanò superando il fratello in arancione.
Mick porse a Nadia una mano. Nell’osservarla, il mutante aveva notato le sue difficoltà nel rimanere in equilibrio. Sembrava decisa a volersi sostenere da sola, ma barcollava vistosamente. “Posso?” le chiese sorridendo. Lei non gli rispose, ma allungò la mano un po’ indecisa. Dopo averla afferrata, il mutante appoggiò il braccio di lei sulle proprie spalle, per poi cingerle il fianco con la mano rimasta libera. Fece i primi passi lentamente, cercando di non farle perdere l’equilibrio. Sentiva lo sguardo di lei fisso su di se. Con la coda dell’occhio, provò ad analizzarne le espressioni, con sua grande sorpresa non percepì neanche una nota di repulsione o timore nell’essere toccata da una tartaruga mutante. Raggiunti gli altri, la fece sedere a terra delicatamente. “Grazie.” Disse a mezza voce.

Una volta distanziata la barriera, Mortu cominciò a spiegare a Nadia cosa stesse succedendo. “Mi rendo conto che è difficile da capire, ma in questa dimensione avete dei poteri. Non siete ancora in grado di controllarli e la reazione di tuo fratello ne è la prova. Abbiamo tentato un contatto telepatico per spiegargli tutto, ma non ce l’ha permesso.”
Nadia fissò l’alieno con uno sguardo serio e si convinse a mettere da parte la sua istintiva diffidenza. Fece un sospiro “Non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione come questa.” con un tono più analitico e meno aggressivo, fece “Vorrei farvi una domanda Capitano: quando avete cercato di entrare in contatto con Marco, eravate a conoscenza che si tratta di un ragazzo Autistico?”
“È uno dei motivi per cui siete qui.”
Nadia scosse il capo“Credetemi, non lo dico per offendere, ma che cosa vi aspettavate? Mio fratello, non permette quasi a nessuno di parlaci per più di un minuto e entrare in contatto mentale con lui in una situazione del genere, non è stata una mossa saggia. Avrà percepito il vostro tentativo di aiutarlo come un’aggressione.” Fece lei cercando di essere chiara, senza risultare indisponente.
“Per questo ci stiamo rivolgendo a voi due, siete gli unici che possono entrare in contatto con lui, senza farlo agitare ulteriormente. Dobbiamo riuscire a calmarlo e fargli capire cosa sta succedendo. Potrebbe ferire qualcuno, ma soprattutto se stesso, se non riesce a riprendere il controllo.”
“Come facciamo ad esservi d’aiuto? Luca è ancora privo di sensi  e io non conosco le  nuove capacità di mio fratello. Non so nemmeno il motivo per cui ci avete portati qui!”
“Se acconsentirete al processo di sincronizzazione, condivideremo con voi tutte le informazioni che vi servono.”
“In cosa consisterebbe questo processo?”
“Dovrete aprire le vostre menti agli Onorevoli Navigatori, lasciare che trasferiscano le informazioni di cui sono a conoscenza e assimilarne la tecnica. Non è un processo doloroso, solo difficile da spiegare razionalmente o da poter descrivere.”
Nadia non staccava gli occhi dall’alieno. In quel momento sentiva chiaramente un senso di angoscia premerle allo stomaco, se non si trovava in un sogno e se non era completamente impazzita, quello che stava accadendo era reale. La consapevolezza di quanto fosse pericolosa la situazione per lei e la sua famiglia, stava diventando evidente. La cosa fondamentale era capire, lasciare libertà d’azione agli Utrom sembrava l’unica possibilità.
“Va bene, accetto.”
Leonardo osservò con maggiore attenzione la ragazza; in quello sguardo, vedeva una decisione a lui ben nota: la fermezza nel voler aiutare la propria famiglia mettendo da parte timori e priorità personali.

Raffaello si era appoggiato ad uno dei macchinari con Luca ancora in braccio e osservava la scena contrariato: stavano perdendo troppo tempo per i suoi gusti, la barriera non accennava a rallentare, non era il momento di fare certi discorsi.
Le mani di Luca cominciarono a muoversi di scatto, aprì gli occhi ancora infreddolito e li socchiuse un paio di volte cercando di mettere a fuoco la persona che lo stava tenendo in braccio. C’era qualcosa di strano, sembrava portasse una maschera, la faccia era…verde?
“Raffaello Hamato?” bisbigliò. Raf si voltò verso di lui con uno sguardo tra l’infastidito e il sorpreso “S-sei…sei proprio tu?” chiese il ragazzino, mentre i suoi occhi raddoppiavano di dimensione. “Non-ci-posso-credere!!! È un sogno vero? Non posso essere su un’astronave e tu non puoi essere qui!” Allungò le mani per averne la certezza. No, non era un sogno. Le braccia che stava toccando, le mani a tre dita che passavano sotto i suoi arti, erano vere. 
“Ehi gente, l’ultimo membro dello strano trio si è svegliato! Vedo una certa somiglianza, neanche tu mi sembri del tutto normale.” proferì il ninja in rosso, mentre lo appoggiava a terra.
Nadia si inginocchiò vicino al dodicenne per constatarne le condizioni: il pallore sembrava ridursi e  il respiro era agitato; appoggiò nuovamente le dita sulla piccola gola e percepì il battito accelerato, ma non in modo allarmante. A parte lo stupore evidente, stava bene. Sospirò rasserenandosi, per poi passargli la mano tra i capelli. “Come stai?”
“Uno schifo, grazie!” rispose il ragazzino mentre si stropicciava un occhio e con l’altro osservava il resto della compagnia. C’erano tutti: Mortu, il Maestro, Leo, Don, Mick e ovviamente il suo preferito, Raf. Fissò il suo sguardo negli occhi nocciola della cugina “Non posso crederci Nadia, davvero non ci riesco! In questo momento sono in un letto d’ospedale imbottito di medicine, vero?”
“Anche io faccio fatica a crederlo, ma…no, non è un sogno.” Rispose lei. Gli occhi verde chiaro del piccolo di casa, erano due fari sgomenti. “D-dov’è Marco?” La ragazza gli fece cenno con la testa nella direzione della barriera, ancora più grande e sempre più distruttiva. Le due calotte erano ormai distrutte e Luca non nascose quanto quella scena lo stesse sconvolgendo: la bocca era aperta in un’espressione sconvolta.

“Adesso che siete entrambi coscienti, dobbiamo dare il via al processo di sincronizzazione.” proferì pratico il Capitano. 
“Cosa dovremmo fare?” chiese Luca sottovoce alla cugina, mentre si incamminava con lei e l’Utrom. “Temo di non avere il tempo di spiegarti tutto. Se ti dico che non possiamo fare diversamente, ti fidi?” “Certo!”
“Allora fai quello che faccio io, ne verremo fuori!”
Il capitano Mortu li fece accomodare di fronte alla vasca dei Navigatori. Accanto alle due strane sedie, erano posizionati un paio di caschi collegati alla vasca, avevano una forma poco rassicurante.
“Piacere di conoscervi connettori…” disse il primo dei Navigatori
“…non dovete preoccuparvi, come ha già detto il Capitano…” disse il secondo.
“…il processo non è doloroso.” concluse il terzo.
“Piacere nostro Onorevoli Navigatori.” rispose lei nel modo più rispettoso che le era possibile, mentre si posizionava lo strano copricapo.  Luca fece lo stesso fissando i tre alieni in salamoia, non avevano nulla di rassicurante, men che meno il Capitano intento a fare qualcosa di strano con i loro caschi.
“Iniziamo!” Esclamò l’Utrom chiudendo lo sportellino. Tre lucine posizionate sopra i caschi iniziarono a lampeggiare e i Navigatori si posizionarono di fronte ai due giovani come avevano fatto con Marco. Nadia e Luca strinsero istintivamente la presa delle loro mani.  Entrarono in contatto con i Navigatori in un lampo: alla giovane si illuminarono gli occhi di un azzurro acqua marina, mentre quelli del dodicenne di un giallo luminoso. Un lampo di luce percorse la stanza, un bagliore innaturale e accecante. Si faceva fatica a distinguere gli spazi e le persone con tutta quella luminosità. Il Capitano, il Maestro e le Tartarughe si sentirono avvolti da un tepore familiare e rassicurante, misto ad una incredibile sensazione di conoscenza e infinito.
Dopo pochi istanti, che sembrarono durare un’eternità, gli occhi di entrambi tornarono privi di luce e lo strano bagliore innaturale si spense. Avevano l’aria provata, delle profonde occhiaie bluastre si erano disegnate sotto ai loro occhi stremati e lo stesso pallore che avevano avuto dentro le teche, aveva preso il sopravvento sui loro volti. Si sfilarono i caschi lentamente, come se un gesto troppo brusco potesse fiaccarli. Dopo qualche secondo di silenzio, Mortu chiese “Come vi sentite?”
“Sarò ripetitivo, ma non conosco un'espressione migliore: uno schifo!” Luca si era portato una mano al petto,  adesso era in piena tachicardia. “Ricapitoliamo: dovremo affrontare un Nemico dai poteri illimitati che sta distruggendo l’universo, siamo esseri dai poteri sovraumani che non conosciamo e non sappiamo ancora come gestire e se non aiutiamo mio cugino a riprendere il controllo, rischiamo di saltare in aria…voi Utrom avete uno strano modo di dare il benvenuto!” proferì ironico fissando l’alieno. Gli occhi erano vuoti e persi, il tono spavaldo era in netto contrasto con il suo viso “Mi sembra tutto così…assurdo! Le informazioni che ci avete dato sono troppe per una volta sola, mi sembra di impazzire.” La cugina gli appoggiò una mano sulla spalla per supportarlo.
“Anch’io mi sento uno straccio Luca, ma non abbiamo tempo. Dobbiamo aiutare Marco!” Affermò alzandosi in piedi. Si avvicinò allo scudo, era talmente grande che ormai occupava mezza infermeria. Superò con lo sguardo la barriera trasparente e fissò negli occhi vuoti e luminosi il fratello; nel vederlo così distante e lontano le si serrò la gola. Mise a fuoco la candida e sottile pellicola che li separava; ci si appoggiò con la guancia e l’orecchio a occhi chiusi, sostenendosi con le mani senza forzarla.

Dopo qualche istante si rivolse la gruppo “Questa…bolla, è una seconda pelle per mio fratello, ho sentito chiaramente il respiro e i battiti del suo cuore; ogni tentativo di attraversarlo è come creargli una ferita. Non possiamo forzare questo scudo, gli faremmo del male.” Spiegò la ragazza passando una mano sulla superficie della barriera delicatamente. “Ho avuto anch’io la stessa impressione, ma non vedo come questo possa aiutarci.” Dichiarò il viola. “Ci aiuta Donatello, o meglio, aiuta me a capire.” Fece la ragazza continuando a fissare la barriera “Credo sia meglio che usciate dalla stanza, dobbiamo rimanere da soli.”
“No, non posso permettervelo!” protestò Mortu. “È troppo pericoloso. Se la barriera dovesse arrivare agli scafi esterni e portare questa stanza ad un’implosione, non sopravvivreste. Devo rimanere per recuperare le vostre essenze.”
“Non voglio contraddirla Capitano, ma non vedo altre soluzioni in questo momento. Non potremo mai affrontare il Nemico senza Marco, i Navigatori ce lo hanno appena mostrato. Mio fratello deve fidarsi, ma con voi nella stanza è impossibile che si lasci avvicinare.” Replicò lei. Mortu non le staccava gli occhi di dosso. “Staremo attenti, ma dovete uscire subito! Come ha detto, la barriera potrebbe arrivare agli scafi esterni e non voglio rischiare l’incolumità di nessuno! Solo noi possiamo metterci in contatto con Marco, quindi, per piacere, mi dia ascolto.”
Il saggio topo si avvicinò a Mortu e appoggiò la mano sopra uno dei  tentacoli “Mio buon amico, meglio affidarci alla loro esperienza. Lo conoscono meglio di noi, diamo loro fiducia e aspettiamo fuori dalla stanza.” Mortu alle parole del maestro si arrese. “D’accordo, ma alla prima avvisaglia di pericolo rientrerò da quella porta.”
“Vogliamo davvero lasciarli da soli?” domandò l’arancione all’orecchio del maggiore. “Hai sentito cos’ ha detto il Sensei. Fidiamoci.”  Il gruppo uscì dall’infermeria, lasciando i due ragazzi ad affrontare la barriera. Mortu fissò i due giovani di spalle e chiuse la porta automatica con lo sguardo carico di rammarico.
“Cosa facciamo Nadia? Non sono sicuro di riuscire…” fece Luca, una volta che la porta si chiuse. “Proviamoci!” Affermò Nadia prendendo la mano del cugino. “Te la senti?” “Neanche un po’! Ma non sarà la cosa più strana di oggi…”
Si scambiarono un sorriso e appoggiarono le mani sulla barriera. Lasciarono che le vibrazioni del loro tocco giungessero a Marco e lo fissarono negli occhi banchi. I loro corpi, emisero delle sottili onde intangibili che superarono la barriera arrivando al ragazzo. Dall’unione delle loro onde e dalla stretta delle loro mani, scaturì una luce accecante, inondando così nuovamente la sala con quell’innaturale luminescenza tiepida. Si erano sincronizzati con Marco, erano dentro la sua coscienza.

Questo primo contatto non sarebbe descrivibile, quello che provarono e sentirono fu intenso e devastante sotto ogni punto di vista. Una cosa però fu chiara a tutti e tre: in quel momento sembravano un’unica persona; come se tra di loro ci fosse sempre stato un vetro a separarli, incapaci di toccarsi e conoscersi per davvero; ma adesso, quella barriera era scomparsa. Traevano energia e forza dalla sincronizzazione e riuscirono a percepire le ansie e le paure che li avevano attanagliati nei mesi precedenti: Luca condivise la paura dell’essere seguito da qualcosa di inesistente; Nadia mostrò loro il sogno, facendoli rabbrividire per la violenza di quelle immagini e Marco…rivelò la presenza di quella voce che lo aveva perseguitato in tutti i momenti di solitudine: una voce sottile e inquietante scaturita dalla profondità della sua mente; una voce che gli ricordava quanto fosse incapace, inetto, inutile, ma sopratutto pericoloso.


-Marco, debole esserino senza capacità, la smetti di fuggire? Questo senso di morte che ti porti dentro, non lo potrai controllare in eterno: quando troverà il modo di uscire, ucciderai tutte le persone a te più care. Li farai soffrire e gioirai nel vederli inermi nelle tue mani. Io l’ho visto, sai? Io ho già visto tutto…-

 
 
Zona dell’autore:
Ciao a tutti, spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Ho dovuto modificarlo un po’, mi sono resa conto che quello che avevo scritto risultava difficile e poco fluido. Se non fosse ancora chiaro, siamo nell’universo della serie animata del 2003; in questo capitolo ci sono dei riferimenti precisi: le teche usate per contenere i connettori *(1) si rifanno alle puntate dove le tartarughe incontrano gli Utrom per la prima volta; la descrizione delle tartarughe è ispirata alla serie Back to the sewer, dove cominciano a delinearsi delle differenze fisiche tra i quattro fratelli (io ho colorito un po’ la descrizione delle loro tute, ho immaginato che dopo quell’esperienza avessero voluto mantenere dei vestiti personalizzandoli). C’è anche un riferimento all’universo SAINW con la cicatrice di Raf *(2), sul sopracciglio invece che sull’occhio, anche per quella c’è un antecedente. I miei tre personaggi e le TMNT (anche se non sono più teenager) avranno modo di conoscersi meglio più avanti. Fatemi sapere cosa ne pensate, spero di essere stata capace di coinvolgervi.
Grazie davvero a chi mi sta ancora leggendo, nonostante l’evidente incapacità. :P

Mellybonf

P.S. Non è un caso che continuo a Nominare Kraang, il sottoposto Utrom, volevo rendere omaggio al personaggio della prima serie animata, come avevano fatto nel cartone del 2003. Adoro inserire dei piccoli cameo, anche di altri film…aguzzate la vista e vedrete! ;)

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Capitolo 6
*** Cap. 5 – Piacere di conoscervi. ***


Cap. 5 – Piacere di conoscervi.

 
Erano diversi minuti che non si sentiva provenire alcun suono dall’infermeria Utrom. Nel tentativo di calmare il membro della loro famiglia, i due ragazzi erano rimasti dentro da soli. Dopo aver chiuso la porta, la famiglia Hamato e Mortu avevano sentito dei rumori poco rassicuranti, poi quel silenzio tombale. Non prometteva niente di buono.
Per Raffaello, quella situazione stava diventando insopportabile. Era assurdo essere lontani dal problema,  se fosse successo qualcosa non lo avrebbero saputo rimanendo lì in attesa. “Quanto vogliamo aspettare? Hanno avuto abbastanza tempo…ora tocca noi!” dichiarò con i Sai tra le mani e diretto al comando della porta.
“Ehi fratello, datti una calmata!” lo fermò Mick, mettendosi di fronte a lui “Hai già tentato questo tipo di approccio e non mi sembra abbia funzionato. Non sarebbe meglio pensare prima di agire?”
“Senti da chi arriva la predica!” Ribatté il rosso “Tu, che fai la ramanzina sul pensare prima di agire? Davvero divertente Mick, esilarante! Non alzare la cresta, è la prima volta che non fai danni!” gli stava puntando contro una delle sue lame.
L’arancio, decise di non tirarsi indietro e di non lasciar correre, suo fratello la doveva smettere di sottolineare la sua proverbiale capacità di creare guai. Allontanò il pugnale proferendo “Hai detto bene! Per una volta che non li ho fatti, dico quello che penso: li farai spaventare! Non è che la tua faccia sia proprio…rassicurante, soprattutto se ti presenti così aggressivo! Mettiti nei panni degli altri, per una volta!”
Lo sguardo del rosso s’incupì ulteriormente: la bocca si contorse in un ghigno rabbioso e gli occhi si socchiusero, rendendo il suo sguardo ancora più tagliente. Stava per attaccare, non ci voleva un genio per capirlo; Mick portò istintivamente le mani sui Nunchaku, pronto a rispondere.
“Piantatela!” esclamò Leonardo “Non possiamo discutere tra di noi in questo momento. Pensiamo ad un modo per capire se hanno bisogno del nostro aiuto, invece di litigare.”
“Ci stiamo già pensando noi…” proferì Don accanto a Mortu, mentre cercavano di far funzionare uno strano aggeggio. Aveva l’aspetto di un rilevatore munito di telecamera. “Pochi secondi e dovremmo esserci.” Dichiarò il genio.
L’Utrom chiuse lo sportellino del marchingegno e lo puntò verso l’infermeria. “Sembra tutto tranquillo, i valori di connessione sono nella norma e la barriera è…sparita!” concluse l’alieno dirigendosi verso la porta con urgenza. Toccò il comando e seguito dagli altri varcò la soglia; sbatté violentemente contro qualcosa e ruzzolò al suolo.
“Ahio!” esclamò Nadia “Chi mi ha tirato una testata?”
Michelangelo non riuscì a trattenersi “Phfff…ahahahahahahahahahaha! Siete davvero divertenti ragazzi! Dovreste vedere le vostre facce!” delle piccole lacrime dal troppo ridere, stavano prendendo spazio sul suo viso e un dito indicava i due a terra.
La ragazza e l’Utrom erano in una posa comica: Mortu, a testa in giù sullo stomaco di lei, aveva l’aria di chi non aveva ancora ben realizzato come si fosse trovato lì. Nadia, era distesa sul pavimento con i capelli arruffati sugli occhi e gli arti in una posizione davvero goffa; il viso era sorpreso, ma nell’osservare l’alieno le stava spuntando un sorriso.
“Che bel volo cugina, complimenti!” esclamò Luca con ironia. Lui e il ragazzo più grande erano a pochi passi dal gruppo. Il ragazzino stava osservando la scena divertito e Marco teneva gli occhi chiusi a pochi metri di distanza; i ninja notarono la gestualità tesa e serrata: si stringeva il petto con il viso sofferente.
“Chiedo scusa.” Fece Mortu imbarazzato, rimettendosi nella posizione corretta.
“Non si preoccupi Capitano. Ormai, sono un’esperta in brutte figure.” Rispose lei passandosi una mano tra i capelli per sistemarli.
Mortu fece un sorriso, per poi concentrarsi sul corpo della giovane e del ragazzino. Avevano dei piccoli tagli sottili e definiti disseminati in tutto il corpo, le tute erano sgualcite e piccoli rivoli di sangue rappreso risaltavano in contrasto con la stoffa bianca “Che cosa vi è successo?” domandò con espressione seria.
Luca e Nadia si scambiarono uno sguardo e Marco si avvinghiò alla sorella ancora a terra. Non aveva un solo muscolo rilassato, teso come una corda di violino sembrava dispiaciuto, ripeteva suoni gutturali e ripetitivi nascondendo il volto; un bambino che si rimprovera da solo per qualcosa che ha fatto.
“Solo una piccola discussione in famiglia, niente di grave.” Rispose la ragazza, mentre accarezzava la testa del fratello.
“È un effetto collaterale della sincronizzazione? Avete avuto problemi?” domandò l’alieno con una nota di apprensione. “No no, non c’entra il processo. Non abbiamo avuto problemi con quello.” disse lei  cercando di tranquillizzarlo.
Non abbiamo avuto problemi?” ripeté sarcasticamente Luca, guardando la cugina. “È stata l’esperienza più assurda della mia vita! Siamo riusciti ad entrare in contatto tra di noi come se fossimo un unico essere, siamo stati dentro la coscienza di Marco, abbiamo visto i suoi ricordi e provato le stesse sensazioni! Dopo quello che ho visto, non credo che dormirò stanotte! Se includiamo il piccolo incidente legato a questi…” fece Luca alzando le braccia e indicando i tagli “Direi che non abbiamo avuto problemi, non è la definizione più giusta, Nadia!”
Marco a quelle parole, si staccò dalla ragazza e si strinse al corpo del più piccolo, fissando le sue braccia con gli occhi sgranati “S-scusa scusa! M-mi dispiace tanto, scusa!”
“Ehi, calmati Marco!” Cercò di tranquillizzarlo il più piccolo. Quel contatto fisico inaspettato lo irrigidì vistosamente “Mi stai soffocando, guarda che non è successo niente!” Si liberò dalla stretta del cugino e lo guardò sorridendo, passandogli una mano sul braccio in modo affettuoso “È davvero strano sentirti parlare americano, di solito, non ti esprimi neanche in italiano…questi traduttori incorporati sono davvero una figata!”
“Quindi, siete italiani?” domandò Mick osservandoli con la testa reclinata da un lato e un mezzo sorriso. Quella scena era…tenera!
“Si.” Rispose Luca fissando il gruppo di mutanti. “In effetti, non sapete molto di noi…dobbiamo presentarci come si deve!” proferì con lo sguardo divertito. Tenendo la mano stretta a quella del cugino, fece un passo verso il gruppo “Piacere di conoscervi ragazzi! Io sono Luca Amato e ho dodici anni, sono un grande appassionato delle vostre avventure da quando ero piccolo, grazie a questi due. Il ragazzo accanto a me è Marco Amato, ha diciannove anni, mentre l’imbranata seduta ancora per terra, è Nadia Amato di ventun anni.”
“Ah, molte grazie per l’imbranata! Sei la solita peste Luca.” proferì infastidita rimettendosi in piedi. Si scambiarono uno sguardo stizzito e divertito, di quelli che nascondono molta complicità e discussioni. Marco ridacchiò osservando i membri della sua famiglia, nel punzecchiarsi erano sempre divertenti.
“Il vostro cognome è Hamato? Cos’è, uno scherzo?” domandò il rosso con il suo solito tono tagliente. “No, Raffaello. Non Hamato, ma Amato senza l’h. È un cognome comune dalle nostre parti.” Spiegò la ragazza.
“Tre fan, provenienti da un’altra dimensione e col cognome simile al nostro; se non vi avessi davanti farei fatica a crederlo!” proferì Mick con un sorriso. I suoi occhi si piegarono in un’espressione particolarmente curiosa e furba “A proposito…quanto siamo famosi nella vostra dimensione? Siamo davvero una squadra di supereroi?”
“MICK!!!” lo rimproverarono in coro i fratelli. “Oh, andiamo! Lo so che siete curiosi! Non fate finta che non vi interessi…” “Sei davvero assurdo…ci sono molti aspetti lasciati in sospeso e tu pensi a certe scemenze.” fece Donatello massaggiandosi l’incavo tra gli occhi.
Il Maestro Splinter si avvicinò ai ragazzi, li guardò con attenzione facendo un sorriso. Adesso ne aveva la certezza: li aveva già visti.
Notò un’altra cosa: nonostante l’aspetto provato avevano i visi più distesi, la sincronizzazione doveva averli rinvigoriti in qualche modo. Luca aveva uno sguardo furbo e sveglio, Nadia sembrava molto più serena e Marco appariva più tranquillo ogni secondo che passava. Appena gli occhi neri del saggio topo si incontrarono con quelli del ragazzo, le iridi blu si serrarono vistosamente e le sue mani si avvinghiarono a quelle dei suoi famigliari. Non amava essere osservato.
“Scusa Marco, non volevo essere invadente.” Proferì Splinter. Nadia fece un’altra carezza al fratello e Luca strinse la presa. “Non è stato invadente Maestro. Come poteva sapere che Marco è di una timidezza imbarazzante?” fece il dodicenne.  Il saggio topo sorrise “Hai ragione ragazzo, non potevo saperlo. D’ora in poi lo terrò presente. Però, mi potete aiutare a capire qualcos’altro: cos’è successo in questa infermeria?”
Adesso che ci facevano caso, la stanza appariva ancora più distrutta. Nessuno dei computer o dei macchinari si era salvato: pezzi di vetro, fili scoperti e lamiere erano disseminati per tutta l’area; l’unica cosa rimasta integra era la teca di Marco.
Nadia si passò una mano sulla nuca “Se devo essere sincera, non ne ho la minima idea. Durante la sincronizzazione eravamo completamente immersi nella coscienza di Marco e non ci siamo accorti di nulla. Chiedo scusa per i danni.” Proferì rivolta a Mortu e al Maestro. “Non preoccuparti, considerando quello che poteva succedere siamo stati fortunati.” La tranquillizzò l’Utrom “Cosa avete visto durante il processo?” domandò il Maestro con lo sguardo concentrato.
“É…davvero difficile da spiegare. Mi dia un po’ di tempo, appena avrò le idee più chiare cercherò di spiegarle tutto.” Proferì la ragazza con lo sguardo perso in chissà quale pensiero.
Con una mimica corporea molto formale, il leader si avvicinò alla ragazza “Posso farti una domanda…Nadia, giusto?” aveva un tono di voce insicuro nel pronunciarne il nome, non era certo di dirlo nel modo corretto.
Lei lo guardò serena. Il blu era sempre molto rispettoso, forse anche troppo “Si, Nadia, hai una perfetta pronuncia Leonardo. Cosa volevi chiedermi?”
“Quando vi siete sincronizzati con i Navigatori Utrom, vi hanno dato informazioni sul Nemico?”
“Si, tutte quelle in loro possesso.”
“Bene. Quanto tempo abbiamo prima che arrivi sul nostro pianeta?”
“A dir la verità…è già arrivato da diversi mesi. Si è stabilito a New York, è una grande metropoli con un alto tasso di connettori ricchi di energia.”
“COSA?” urlò il rosso. “Allora perché stiamo perdendo tempo?”
“Tranquillo…” fece Luca con aria rilassata e mettendosi le mani dietro la nuca “Per adesso non è ancora una minaccia: i suoi poteri si rinforzano durante  l’inverno, quando il pianeta è lontano dal Sole; da quello che sanno gli Utrom, la luce lo rende debole. Attaccherà prevalentemente di notte e se non avete notato qualcosa di strano nei mesi scorsi, vuol dire che si sta ancora rigenerando.”
Michelangelo allargò gli occhi in tensione, l’inverno scorso era successo qualcosa di strano, ma osservando i suoi fratelli sembrava l’unico ad aver fatto il collegamento.
“Per il momento siamo al sicuro quindi non c’è fretta Raf, anche perché…” il ragazzino si arrestò dal continuare la spiegazione, il rosso lo stava fissando in modo truce, forse era stato troppo sfacciato “Scusa, non volevo offenderti! Ti posso chiamare Raf?” domandò con un sorriso fintamente innocente.
“Preferisco Raffaello, ragazzino.” Rispose serio, piegandosi in avanti per fissare le iridi verde chiaro del dodicenne. Quel piccoletto aveva un modo di parlare e di comportarsi troppo confidenziale per i suoi gusti.
Mick si appoggiò in modo strafottente alle spalle del rosso “Non dargli retta Luca, chiamalo come preferisci! Io lo chiamo Raphie boy, brutto muso, la tartaruga con il senso dell’umorismo meno sviluppato della storia…” Raf ringhiò tra i denti e cercò di colpire il fratello. L’arancione fece un paio di balzi sfuggendogli con una smorfia. “Fatti picchiare Mick! Magari sistemo quella testa bacata sempre pronta a prendere per i fondelli!”esclamò il rosso continuando a inseguirlo per la sala. “Ahaaaa!” urlò in modo esagerato Michelangelo sfuggendogli. Era evidente che stesse alleggerendo la situazione di proposito e suo fratello si prestava bene a quella piccola pantomima: ci cascava sempre!
Luca cercò di trattenersi dal ridere, ma era davvero difficile. Marco aprì gli occhi e non staccò lo sguardo dalla scena sorridendo. “Anche se siete cresciuti, certe abitudini fraterne non le avete perse.” Fece Nadia divertita. “Quanti anni avete adesso?” chiese al blu e al viola.
“Prima che ti risponda, dimmi una cosa: per quanto ci avete osservato?” domandò Leonardo con le braccia conserte. “Sapere di essere stati sotto sorveglianza, non mi fa sentire a mio agio.”
“Dunque…” iniziò Nadia massaggiandosi il mento. “Da quello che vedo, la serie che più si avvicina al vostro aspetto è quella del 2003; ne sono state realizzate molte negli anni, per non parlare dei fumetti o dei film. Un paio di queste versioni alternative, le avete anche conosciute.*(1) Assurdo, con tutte le realtà parallele esistenti, siamo finiti proprio in questa!” Nadia li guardò di sottecchi in modo imbarazzato, la stavano osservando come si guarda una matta. “Ok, meglio lasciar perdere.” Fece imbarazzata. “Per rispondere alla domanda, le prime puntate parlavano degli Acchiappatopi del dottor Stockman, mentre l’ultima era sul matrimonio di April e Casey. Penso che faccia parte di questo stesso tessuto spaziotemporale, anche il lungo metraggio sul tuo rientro dall’amazzonia. *(2)” Continuò lei indicando il blu.
“Ma cosa siete, degli stalker? Ci avete spiato per cinque anni della nostra vita, dai nostri quindici anni ai venti!” Esclamò Raffaello mentre costringeva a terra il fratellino serrandogli la gola con il braccio. “Lasciami Raf!” esclamò Mick con il viso sofferente. L’altro alzò il sopracciglio segnato dalla cicatrice con una smorfia divertita “Con tutta la fatica che ho fatto per prenderti? Scordartelo testone!”
“Figlioli! Un po’ di tranquillità sarebbe gradita!” Li riprese Splinter affiancando Luca e Marco. Il diciannovenne era troppo euforico, si mise a saltellare da una gamba all’altra, continuando a dare il cinque al cuginetto. Rideva senza freni. 
Donatello ne osservava la gestualità, quel ragazzo era sorprendente, non avrebbe mai immaginato una tale ripresa data la sua natura e quanto appena successo. Era stranamente espansivo a livello fisico: da quello che sapeva, i soggetti autistici rifuggono ogni tipo di contatto, Marco invece abbracciava i membri della sua famiglia, stringeva loro le mani e li toccava in continuazione.  Di una cosa però era certo, se uno di loro non avesse fatto il primo passo, Marco non si sarebbe mai confrontato, forse aveva bisogno di un aiuto.
Si affiancò a lui e gli bussò ad una spalla, il ragazzo si voltò con aria sorpresa e serrò istintivamente gli occhi. Don si aspettava quella reazione; dopo qualche secondo, Marco socchiuse le palpebre timidamente e il viola gli porse una mano sorridendo. “Piacere Marco. So che ci conosci, ma ci tengo a presentarmi: io sono Donatello.”
La reazione di Marco lo sorprese non poco: gli occhi blu profondo si allargarono pieni di gioia e riprendendo a saltellare gli strinse la mano sorridendo. “D-Donatello, Donatello, Donatello!” cominciò a ripetere. Al genio ricordò ancora una volta un bambino, entusiasta e euforico senza freni; stava avendo una reazione davvero positiva al suo gesto.
Tutti i presenti si concentrarono sul ragazzo, persino Mick e Raf smisero di torturarsi: del connettore che li aveva tenuti in scacco fino a pochi momenti prima, sembrava non essercene più traccia e di quella barriera che voleva allontanare chiunque, sembrava rimasto solo il ricordo. Avevano davanti un ragazzo problematico e forse un po’ strano, ma a cui bastava avvicinarsi e rivolgergli un saluto per fargli avere una reazione simile.
Leonardo addolcì lo sguardo. Marco lo aveva stupito, però l’espressione del fratello era ciò che lo rasserenava di più: durante quei cinque mesi si era chiuso ermeticamente, non lasciando passare nessuno nei suoi silenzi, mentre adesso sorrideva sereno; sembrava tornato il Donatello accorto e sensibile che conosceva.
“Tuo fratello è davvero geniale!” esclamò Nadia rivolgendosi al blu “Ha fatto sentire Marco il benvenuto e non è una cosa scontata o facile, soprattutto per chi non lo conosce; entrarci in contatto è davvero un’impresa. A quanto vedo, Donatello è una delle poche persone che riesce a farlo sentire a suo agio.” Leonardo alzò un angolo della bocca “Stanno reagendo entrambi in modo positivo, il gesto di Don ha sorpreso anche me.”
“Comunque, non mi hai ancora risposto…” proferì Nadia guardando Leonardo a braccia conserte “Quanti anni avete?”
“Praticamente siamo coetanei, abbiamo ventidue anni.” rispose il leader. “Perché ti interessa tanto?”  “Sono solo curiosa.” disse facendo spallucce. “Volevo capire quanto mi sono persa…”  “Ed è una cosa importante? Non la vedo come una priorità.” proferì Leonardo
“Se dobbiamo diventare un team affiatato, diventa una priorità. Non credi?” lo sguardo di Nadia era intenso, concentrato, determinato.

“Scusate se interrompo, ma dobbiamo trasferire i Connettori sulla Terra, abbiamo ricevuto una segnalazione e dobbiamo muoverci il prima possibile.” Proferì Mortu, congedando uno dei sottoposti. “Avrete modo di conoscervi e di chiarire molti aspetti legati al Nemico nei prossimi giorni.”
“Prima di andare Capitano, posso chiederle quali sono le condizioni dei nostri corpi?” domandò Nadia. I Navigatori non avevano dato nessun genere di informazioni al riguardo e dato l’incidente, non era molto serena.
“Anch’io ho una domanda. Cos’è questa strana macchia blu?” fece Luca alzando una manica della tuta fin sulla spalla. Sulla parte alta del braccio, faceva capolino un piccolo livido bluastro poco definito. “Durante la sincronizzazione, ho avuto la netta sensazione che arrivasse una strana vibrazione da questo punto.” Nadia alzò la manica e controllò il proprio arto, per poi fare lo stesso al fratello. Tutti e tre avevano lo stesso misterioso segno.
“Sarà meglio chiarire alcuni aspetti prima di andare.” Proferì Mortu incamminandosi verso la porta. “Seguitemi per favore.”
L’alieno condusse l’intero gruppo lungo i corridoi della nave. Il terzetto era di fronte alla famiglia Hamato, subito dopo il Capitano: Marco saltellava da una gamba all’altra   stretto alla mano del cugino che cercava di farlo rallentare, mentre Nadia li osservava sorridendo. Camminavano sereni, come se trovarsi su una nave spaziale fosse la cosa più naturale del mondo.
“Certo che sono proprio strani!” esclamò a mezza voce il rosso, rivolto al resto della sua famiglia. “Rispetto a prima, non vi sembrano troppo tranquilli?”
“Non li definirei tranquilli figliolo, credo che la sincronizzazione li abbia resi più consapevoli della situazione.” Fece il Sensei. 
“E poi, cosa dovrebbero fare secondo te? Agitarsi come dei forsennati e continuare ad urlare: Non ci posso credere! Sono nell’universo parallelo dei miei eroi!” fece Michelangelo portandosi le mani sulle guance, mimando un’espressione sconvolta. La sua famiglia notò lo sguardo particolarmente vivido.
“Il loro arrivo non ti fa bene Mick…hai di nuovo quella luce folle negli occhi.” proferì il blu scuotendo il capo. “Ti prego, dimmi che non stai pensando ancora a quella stupida idea!” esclamò il rosso con una mano a coprire il viso.
“Certo che si! Ho appena avuto conferma che abbiamo del potenziale: nella loro realtà parallela abbiamo un seguito, ci mancano solo dei poteri e saremmo perfetti come supereroi! Devo capire come riprodurre l’effetto dei medaglioni da accoliti del tribunale ninja * (3)…”
“Ringrazia che gli Shisho non ti abbiano mai sentito dire certe assurdità.” Fece Leonardo.  “Assurdità, è la parola giusta! Ma non riesci a pensare ad altro?” domandò il viola.  “Sinceramente? No!” disse con una smorfia divertita.
Mortu si avvicinò ad una porta particolarmente voluminosa e l’aprì passando il proprio tentacolo su uno scanner. Quando tutti e otto varcarono la soglia, sgranarono gli occhi all’unisono. La stanza era enorme, percorsa da scaffali alti quattro metri, carichi di sfere grandi come uova di struzzo di varie tonalità. Avevano un aspetto quasi magico: emanavano tenui luci, appena sufficienti per rischiarare la sala *(4).
“Benvenuti nell’Archivio Onirico. Qui immagazziniamo i sogni dei connettori Utrom presenti su questa nave.” Spiegò il Capitano conducendoli nell’intricato labirinto di librerie. “Questa è solo una piccola parte di quello che abbiamo raccolto nei secoli: diverse lune orbitanti intorno al nostro pianeta fungono da Magazzini Onirici.”
“Quindi, queste sfere sono delle memorie per registrare i sogni…” fece Donatello fermandosi accanto ad una di esse, passò un dito sulla superficie facendo così intensificare il fascio luminoso ambrato. All’interno, apparve l’immagine di una donna dai capelli castani, intenta a modellare un blocco di creta. Marco si affiancò al viola e lo osservò curioso, come un bambino che guarda l’adulto fare qualcosa di nuovo. Era davvero strano sentirsi gli occhi di quel ragazzo fissi su di lui, ma il genio gli rivolse comunque un sorriso.
“Esattamente Donatello, ogni connettore della mia specie viene monitorato durante la fase rem. Si realizzano queste sfere quando si apre un collegamento con un’altra realtà e con una vita specifica; ogni sogno, viene introdotto all’interno del Globo Onirico personale.”
“È con questi che ci avete tenuti sotto controllo fino ad ora?” domandò Luca con lo sguardo puntato su Mortu. Si trovava tra il Maestro e Raffaello che lo fissarono con aria concentrata “Ho detto qualcosa di sbagliato?” domandò con imbarazzo.
“Vi hanno tenuti sotto controllo?” chiese Leonardo. Lui, Mick e Nadia erano di fronte al dodicenne e i due mutanti avevano l’aria sorpresa, erano stati osservati esattamente come loro. “Sembra che il Nemico sia molto interessato alle nostre energie, ci ha attaccato attirato da quelle; in questi ultimi anni ha colpito connettori che presentano caratteristiche simili alle nostre, per questo ci hanno osservato. Lo abbiamo capito durante il contatto con i Navigatori Utrom” Spiegò la ragazza.
“Da stalker a vittime…ironico!” proferì il rosso. Nadia scosse il capo e si avvicinò all’orecchio dell’arancione “È sempre così spinoso! Tuo fratello abbasserà la guardia, o devo prepararmi al peggio?” Michelangelo le fece un sorriso, quella ragazza aveva qualcosa che gli piaceva “Dopo il peggio, abbasserà la guardia! Dagli solo un po’ di tempo.” Lei fece un sospiro sorridendo delicatamente “Lo immaginavo.”
“Ancora non mi è chiaro perché ha voluto farci vedere tutto questo, Capitano.” Dichiarò il blu.
Il viso di Mortu si irrigidì in un’espressione seria. “Volevo mostrarvi i corpi dei connettori.” Con un tentacolo, fece segno ad uno dei sottoposti che si allontanò,  tornando rapidamente con tre sfere: una bianca, la seconda color acqua marina e l’ultima gialla.
Il gruppo si avvicinò con lo sguardo dubbioso, si strinsero tutti e otto intorno ai tre globi. “Vi devo avvisare, non è un bello spettacolo.” Proferì Mortu sfiorando le superfici lisce con un tentacolo.
Le sfere intensificarono la luminescenza e dall’ammasso indefinito di nebbia, apparvero delle immagini: i tre ragazzi si trovavano distesi su dei letti, dal colore delle pareti e dai macchinari presenti, sembrava una sala di terapia intensiva. Collegati a dei respiratori, avevano l’aria particolarmente provata, tre persone che lottano per sopravvivere. 
Luca, pallido in modo innaturale, aveva i lineamenti distorti a causa di un livido gonfio e bluastro sull’occhio destro. Respirava irregolarmente, come se uno dei polmoni avesse subito delle lesioni, il polso chiuso in un grosso gesso e contusioni all’altezza dell’avambraccio.
Marco aveva il collare fisso su collo e spalle. Un grosso bernoccolo e il naso gonfio, facevano intuire la potenza dell’impatto subito e le braccia sottili erano di un colore violaceo, in netto contrasto con le lenzuola bianche.
Nadia era la più sudata e cadaverica: la testa fasciata in un vistoso bendaggio, punti a chiudere profonde ferite e diversi ematomi sul viso. La respirazione appariva ancor più problematica di quella del cugino e un tubo di drenaggio inserito nell’addome faceva fluire del liquido rosso e giallo.
“Merda!” esclamò Luca. Marco serrò gli occhi scuotendo la testa “Nonono!” Nadia strinse la mano al fratello per non farlo allontanare e chiuse il braccio intorno alle spalle del più piccolo, voleva sostenerli in qualche modo. “Siamo in coma, giusto?” domandò con un tono freddo e distaccato, continuando a fissare i luminosi riflessi.
“Si, ma siete anche stabili. Vi posso assicurare che in questo momento non correte pericoli, terremo monitorate le vostre condizioni e vi informeremo se ci fossero dei peggioramenti.” Proferì Mortu consegnando a Nadia un paio di comunicatori dall’aspetto scuro “Uno di questi è per voi, l’altro è per le tartarughe e il Maestro. Vorremmo essere aggiornati il più possibile.” La ragazza porse lo strumento alieno a Michelangelo, la sua espressione lo lasciò un po’ sorpreso: fino ad un momento prima sembrava tutta un’altra persona, simpatica, serena, solare; adesso non traspariva una sola emozione.
“Cosa succederebbe se non sopravvi-ahio!” Luca non aveva dato il tempo di finire la frase, le aveva tirato un pugno sul braccio con lo sguardo furente. “Non ti devi neanche azzardare a pensare quello che stai pensando! Toglitelo subito dalla testa!” Marco vedendo la reazione del più piccolo, sfuggì alla stretta della sorella e si rintanò in un angolo con gli occhi chiusi, odiava le discussioni. Nadia sospirò infastidita stropicciandosi il viso con una mano “Luca, per favore…” “Non dire Luca, per favore a quel modo, non sono un bambino scemo! So perfettamente cosa stiamo rischiando, ma TU non lo devi pensare, punto, stop, fine!” gesticolava in modo agitato, adirato, infastidito, esagerato, quel discorso nascondeva un antecedente.
“Scusate se vi interrompo…” fece il Capitano. “…volevo mostrarvi ancora una cosa molto importante, non abbiamo molto tempo.” Con il tentacolo ingrandì le immagini, soffermandosi sulle braccia dei tre corpi abbandonati sui letti. “Come potete notare, nei vostri arti sono presenti gli stessi segni bluastri. La nostra squadra di soccorso ha inserito dei microchip quando hanno recuperato le vostre essenze, sono i gemelli di quelli presenti nelle repliche; hanno il compito di emanare le stesse frequenze emesse dai connettori.”
Frequenze, essenze…parli in modo comprensibile, Capitano. Non mi va di seguire discorsi da…secchioni ultradimensionali!” il dodicenne era particolarmente infastidito. “Luca, adesso smettila!” lo riprese la cugina ricevendo un’occhiataccia in risposta. Raffaello piegò la bocca in un ghigno divertito, quel piccoletto era scontroso almeno quanto lui, cominciava a essergli più sopportabile.
Mortu non si scompose “Cercherò di essere più chiaro: abbiamo scoperto che il Nemico è sul pianeta delle tartarughe solo poche settimane fa, quando ci siamo avvicinati per comunicare con loro. Dato che si trova anche nella realtà parallela dei connettori, abbiamo pensato di rendergli difficile il riconoscimento. Per individuarli sfrutta le onde energetiche che emanano: i chip presenti nei vostri corpi originali rilasciano una vibrazione simile, facendogli credere che non vi abbiamo prelevato per le vostre condizioni; quelli nelle repliche invece, limitano il vibrare energetico rendendo difficile la vostra individuazione.”
“Mi scusi Capitano, ma il chip non rende anche difficoltoso il manifestarsi delle loro capacità sovraumane?” domandò Donatello.  “In parte si, infatti dovranno imparare a perdere il controllo…” Nadia scosse il capo con lo sguardo dubbioso “Mi sfugge qualcosa…credevo che dovessimo avere un certo sangue freddo data la situazione.”  “Neanche a me sembra molto logico, Marco ha perso il controllo e abbiamo rischiato parecchio.” Fece Leonardo.
“La difficoltà del compito dei connettori è proprio questa: dovranno gestire ciò che porta alla perdita di autocontrollo, solo così avranno piena padronanza dei loro poteri.” Asserì Mortu.
“Quindi, prima di essere veramente utili a qualcosa, dovremo rischiare di far saltare in aria tutto e tutti?” domandò Luca. “Temo di si ragazzo.” Rispose l’alieno. “Bene, davvero fantastico! Adoro essere un impaccio pericoloso!” rispose acido il dodicenne.
“Il piccolo ti legge nella mente Raf! Sicuro che non si sia già sincronizzato con te a tua insaputa?” domandò Mick all’orecchio del rosso con ironia. “Non scherzare zuccone, quel processo ha qualcosa di inquietante!”
“Capitano!” un sottoposto Utrom era entrato nella sala con urgenza “Che cosa succede Kraang?” domandò Mortu “Mi spiace interromperla, ma dobbiamo muoverci! Il nemico sta attaccando il settore 42!” Il Capitano sospirò “Trasferisco i nostri ospiti a New York e ci dirigiamo sul posto, prepara la nave al salto spaziotemporale.”

Dopo che Kraang fu allontanato, Mortu si rivolse al gruppo “Sono spiacente, ma non dobbiamo congedarci. All’interno dell’appartamento preparato per i connettori troverete tutto quello di cui avrete bisogno per la missione.” Tutti i presenti avevano una domanda: perché un appartamento? “Se ci fossero dei problemi non esitate a mettervi in contatto.” Continuò Mortu scortando il gruppo verso una delle sale adiacenti; un enorme vortice bianco si presentò ai loro occhi.
“Imposto le coordinate, voi preparatevi.” Proferì l’alieno allontanandosi verso i comandi.
“Nonono!” esclamò Marco scuotendo il dito in direzione del portale. Dalla sua espressione, l’idea di infilarsi in quello strano fascio luminoso vorticante non doveva piacergli. “Andiamo Marco! Lo so che le cose nuove ti spaventano, ma non abbiamo alternative!” esclamò Luca tirandolo per un braccio. “NO!” esclamò Marco furente e spaventato, liberandosi dalla presa con gli occhi illuminati di bianco. Una folata di vento innaturale si alzò dal ragazzo e un brivido percorse le schiene di tutti; Raf e Leo avevano già le mani sulle armi.
Con uno scatto, Nadia si posizionò di fronte al fratello “Calmati.” Proferì serena, appoggiando la fronte a quella di lui e abbracciandolo. Il vento si arrestò immediatamente “Non hai bisogno di arrabbiarti, lo so che sei spaventato, ma Luca ha ragione, non abbiamo alternative. Ti prometto che non ci faremo male.” Aveva afferrato la mano magra portandosela al petto. “Lo senti? Il mio cuore batte sereno, non sono spaventata. Pensi che ti farei mai fare qualcosa di pericoloso?”
Marco aveva lo sguardo fisso sugli occhi nocciola “Vedrai, prima che te ne renda conto sarà già tutto finito. Ti fidi?” Gli occhi di Marco tornarono privi di luminosità e fece un piccolo cenno con la testa. Nadia sorrise dolcemente. “Dai, sali a bordo!” si voltò, invitandolo con un cenno del capo ad aggrapparsi alla schiena. Marco si avvicinò un po’ titubante, appoggiò le mani sulle spalle e si fece sempre più vicino. Nadia lo sollevò senza fatica, portandolo il più adeso possibile alla colonna vertebrale, voleva sentirne il respiro; il muoversi del petto magro si regolarizzò e con dei gesti simili a quelli di una madre affettuosa, accarezzò la testa e le mani del giovane.
La figura di Marco era davvero sottile, aggrappato in quel modo al corpo della sorella sembrava completamente indifeso; appoggiò il mento alla spalla della sorella e chiuse gli occhi abbandonandosi.
Raffaello, Donatello e Leonardo erano un po’ allibiti: essendo cresciuti in una famiglia completamente al maschile, non erano abituati a vedere certe manifestazioni di affetto, erano troppo…intime. L’unico che sembrava osservare con curiosità, era Mick: anche prima aveva notato che Marco portava le persone a trattarlo con dolcezza, ma non si sarebbe mai aspettato un atteggiamento così da parte di Nadia, era la prima volta che vedeva una sorella tanto materna.
“Non fate quelle facce ragazzi!” esclamò Luca rivolto alle tartarughe “Vi ci dovrete abituare, Marco ha la tendenza ad andare in crisi, solo mostrandogli che non c’è motivo di avere paura si calma.” “E bisogna per forza essere tanto…melensi?” domandò Raf con tono acido “Oh no, per fortuna! L’importante è relazionarsi in prima persona, io non farò mai come Nadia, è imbarazzante!” proferì Luca con una smorfia disgustata “Per me non è imbarazzante, lo faccio da sempre…”proferì lei serenamente.
Il Maestro osservò la scena massaggiandosi la barba compiaciuto. I suoi tanti anni di meditazione lo avevano reso particolarmente recettivo nell’individuare le energie interiori delle persone, anche quelle di chi non conosceva. I connettori avevano delle forze ricche e luminose, ma mancava ancora qualcosa; non sarebbero stati una salvezza, semmai una possibilità di crescita. I suoi figli sembravano già subirne i primi effetti: emanavano un’energia in tumulto come se si stessero preparando ad un cambiamento.
“Connettori, famiglia Hamato, il portale è pronto. Arriverete all’interno dell’appartamento, non rischierete di essere individuati, la palazzina presenta delle caratteristiche…uniche. Ricordatevi connettori, mantenete la vostra presenza in questa dimensione il più segreta possibile. Tartarughe, vi chiedo ancora scusa per avervi coinvolti in questo scontro, ma vi assicuro che non avevo alternative, siete una risorsa fondamentale. Buon viaggio e buona fortuna a tutti.” Proferì Mortu toccando il comando e rendendo il vortice ancora più luminoso. Dopo aver salutato il Capitano con un gesto del capo, Nadia fece il primo passo con il fratello stretto alle spalle e il cugino alla sua destra. Le tartarughe li seguirono dopo aver salutato a loro volta.

Il Maestro attese qualche istante “Da quello che ho osservato Capitano, abbiamo ancora molto lavoro da portare a termine. Crede che sia sufficiente allenarci come se fossimo una cosa sola?”  “Me lo auguro, per la preparazione fisica ci affidiamo a voi. Per le carenze a livello emotivo e dell’anima, solo il relazionarsi dei suoi figli con i connettori potrà portare i risultati sperati.” Splinter fece un inchino di saluto. “Buon lavoro Mortu, attendiamo le novità.” “Appena ce ne saranno, sarete i primi a saperle.” rispose l’alieno.
Splinter si inserì nel portale e le sensazioni già provate nel primo trasferimento invasero il suo corpo. Energie intense lo attraversarono come se non avesse più consistenza, avvolto completamente da un bianco luminoso e accecante. Il vorticare di quell’energia non gli fece percepire lo scorrere del tempo, poteva trovarsi in quello spazio privo di consistenza da pochi secondi o da mesi.
Al termine del lungo tunnel, si delineò un’apertura dalle tonalità notte, rischiarata dalle luci gialle di lampioni stradali. Fece il primo passo verso quell’apertura scura con lo sguardo deciso.

 
Zona dell’autore:

Gente, purtroppo per voi, sono tornata!
Scusate l’assenza, ma mi stanno rifacendo il tetto e sono dovuta scappare senza computer ç.ç
Ma non sono rimasta con le mani in mano, ho finito questo e sistemato i vecchi capitoli , se avete tempo e voglia andate a fare un salto. Dopo alcuni consigli di persone a mio parere valide, mi sono resa conto che c’erano parti che andavano sistemate e ho eliminato dei paragrafi che riprenderò in seguito.
Intanto, parto con le spiegazioni di questo capitolo:
*(1) mi sto riferendo al film Turtles Forever - Tartarughe Ninja per sempre  un film del 2009 dove i protagonisti incontrano le loro versioni della serie del 1987 teletrasportate accidentalmente nel loro mondo. Tutte ed otto hanno affrontato diversi nemici da entrambe le serie per fermare Ch'Rell, il malvagio Utrom Shredder, dal distruggere il tempo e lo spazio. Durante la parte finale vengono affiancate anche dalle loro versioni fumettistiche in bianco e nero. Questo film si può considerare come il vero finale della serie del 1987 e del 2003. Il film è inedito in Italia, ma si trova tranquillamente in internet.
*(2) Mi sto riferendo al film del 2007 TMNT, diretto da Kevin Munroe. È dedicato alla memoria di Mako, l'attore che ha prestato la voce al Maestro Splinter prima di morire. All'inizio TMNT doveva essere il seguito della trilogia cinematografica originale; in seguito, il co-creatore Peter Laird ha dichiarato che il film è ambientato in un altro universo parallelo rispetto alla vecchia trilogia. Tale dichiarazione è stata supportata dal film per la televisione Turtles Forever.
Io invece, ho immaginato che facesse parte dello stesso tessuto spazio temporale, solo avvenuto in seguito, quando le nostre tartarughe hanno ormai vent’anni. Lo so, è una scelta molto azzardata, ma elementi di quel film mi hanno fatto credere per molto tempo che quanto avvenuto fosse successivo; inoltre mi sono sembrati un valido spunto e ho voluto inserirli nel mio racconto. Spero con questa scelta di non aver offeso nessuno.
*(3) qui invece, faccio riferimento alla quinta stagione della serie del 2003 Ninja Tribunal, non ha mai visto la luce in Italia se non in lingua originale - facendo un grave torto a noi poveri appassionati dello stivaletto -; adoro quella stagione, soprattutto perché dà modo di approfondire e spaziare tanti aspetti mistici e elementali. E poi, la possibilità che Michelangelo tormentasse di nuovo la famiglia con le sue idee sui supereroi, mi sembrava divertente.
*(4) altro piccolo cameo, mi sono ispirata a Inside Out del 2015 della Disney per l’archivio onirico. Le memorie racchiuse nei globi luminescenti mi hanno affascinato tantissimo quando ho visto il film e ho voluto dare uno spazio anche a loro.
Sicuramente ho dimenticato di mettere altri approfondimenti, ma sono sempre disponibile alle critiche e a rispondere a chiunque.
Come avrete letto, cominciano a delinearsi altre caratteristiche dei miei OC e delle loro peculiarità da connettori, ma altre sorprese sono in serbo.
Ringrazio anticipatamente chi ha voluto continuare a leggere nonostante la mia assenza e mi scuso profondamente.

Mellybonf

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Capitolo 7
*** Cap. 6 –L’appartamento. ***


Cap. 6 –L’appartamento.
 

Splinter e i suoi figli erano in quell’ambiente da qualche minuto. Appariva come un normale appartamento, ma l’aspetto interessante era la posizione: si trovavano all’ultimo piano, il settimo, di una palazzina abbandonata vicino ad una strada poco frequentata; erano nascosti dietro ad una struttura più grande, in una rientranza che ne rendeva poco immediata l’individuazione.
Michelangelo stava curiosando in giro, quel posto era davvero spazioso per essere un’abitazione momentanea: era un attico arredato in stile urbano, mattoni a vista in tutto l’ambiente e travi metalliche grigie sul soffitto. Salotto e cucina, erano un’unica stanza open-space e le grandi vetrate occupavano i due lati più lunghi. Davanti alla fila di finestre in ferro battuto di sinistra, un muretto separava il piccolo corridoio dai fuochi e dal forno in stile industriale. Di fronte agli elettrodomestici, agli stipiti e al lavandino, faceva la sua bella figura un bancone in legno scuro con dodici sgabelli. Due divani chiari, una poltroncina e il televisore, occupavano in cerchio lo spazio di fronte alle vetrate di destra. In fondo al salotto si vedeva la scala in ferro che portava alla zona notte; il livello superiore era stato modificato, trasformandolo in un soppalco con  tre camere da letto e un bagno.
Donatello si era stupito per la dislocazione del luogo; lui e la sua famiglia conoscevano New York come le loro tasche, ma non avevano mai intravisto quel posto, nonostante fosse poco lontano dal Second Time Around di April e Casey e a pochi minuti dall’ abitazione di Angel. Si era già messo al lavoro su un progetto di qualche marchingegno. Appoggiato ad una scrivania poco lontano dalla zona giorno, sfilò dal taschino un paio d’occhiali dalla montatura scura e spessa.*(1)
La palazzina non aveva altri ospiti, Leonardo era andato a dare un’occhiata fuori dall’appartamento e da quello che aveva visto, i tre piani sottostanti sembravano dei magazzini: carichi di polvere, oggetti di epoche lontane di culture nord europee e africane, grandi quantità di libri, strumenti musicali, pitture, pennelli, tutto malamente accatastato su mobili rovinati. Si stava domandando perché gli Utrom avessero deciso di sistemare solo l’appartamento: il resto della struttura, sembrava non esser stata presa in considerazione. Preferendo non allontanarsi ulteriormente, lasciò in sospeso l’esplorazione e ritornò ai piani superiori.
Raffaello, sfruttando l’oscurità, si era diretto sulla scala antincendio passando dalla finestra vicino all’entrata. Dal tetto, aveva potuto vedere che i palazzi vicini non avevano aperture nella loro direzione, sembrava perfettamente isolato dallo sguardo di curiosi e passanti. Percorrendo la strada a ritroso, aveva individuato un tombino nel vicolo; non sarebbe stato un problema intrufolarsi nell’appartamento: passando dall’alto o dal basso non sarebbero mai stati individuati. Se i tre connettori avessero mantenuto un profilo anonimo, sarebbero rimasti nascosti senza problemi.
“Si stanno ancora lavando?” domandò il rosso una volta rientrato. “Credo di si.” Rispose sovrappensiero il viola, non staccando gli occhi dal suo lavoro. “Ci stanno mettendo una vita!” Commentò l’arancio accasciandosi sul divano vicino alla poltrona su cui si era accomodato il padre. “Sono entrati in bagno solo da qualche minuto e non conoscono questo posto, è normale ci mettano un po’. Forse avremmo dovuto lasciarli tranquilli e rimandare le domande a domani.” Fece il blu.
“Invece, sono convito che chiarire alcuni aspetti serva a tutti.” Asserì il Maestro. “Non possiamo dedicarci agli allenamenti se non comprendiamo appieno la minaccia.”
“Cos’è che aveva detto Luca? Che il Nemico è sensibile alla luce del sole?” domandò Leonardo rivolto a Don “Si. E Nadia ha aggiunto che si è stabilito a New York, perché ci sono molti connettori carichi di energia.”
“Perché gli servono i connettori?” domandò Mick. “Ne sappiamo quanto te, zuccone. Perché lo stai chiedendo a noi?” fece Raf appoggiato alla libreria vicino alla finestra. “Giusto, chiedilo a me!” esclamò Luca scendendo dalle scale con i capelli ancora umidi, indossando un paio di jeans particolarmente larghi e una maglietta gialla tra le mani; gli Utrom dovevano aver lasciato a disposizione dei vestiti. Sul corpo si vedevano ancora i piccoli tagli, rossi e definiti in modo ancor più evidente dopo la doccia. “Nadia sta lavando Marco, ci metterà qualche minuto…” spiegò infilandosi malamente la t-shirt.
“Credi davvero di poterci spiegare tutto, ragazzino?” domandò poco convinto Raf. “Ehi, sarò anche un ragazzino, ma fra i presenti sono l’unico che può dirvi qualcosa. Come al solito, chi è più piccolo sembra sempre un povero idiota! Se preferite aspettare Nadia, non c’è problema…” rispose piccato e avvicinandosi alla cucina. “Però, permaloso!” esclamò Mick.
Il dodicenne cominciò ad aprire gli stipiti, tirò fuori dei biscotti e del latte dal frigorifero. “Avete fame?” domandò. “Gli Utrom hanno lasciato da mangiare per un esercito!” fece afferrando della frutta fresca.
“Grooowl!” lo stomaco di Mick iniziò a protestare. “Credo che qualsiasi cosa plachi l’appetito di Mick, vada bene.” Fece Leonardo, ricevendo un’occhiataccia dal minore. “Ti serve aiuto?” si propose l’arancio. “No, grazie!” rispose secco “Anche se sono solo un ragazzino, cucino io in casa. Nadia è sempre al lavoro e non ne ha il tempo.” Proferì con stizza, afferrando farina, uova, burro e sciroppo d’acero. “Vanno bene dei Pan Cake? Ricordo che vi piacciono almeno quanto la pizza.”
Mick fece un sorriso. “Vanno benissimo, ma voglio aiutarti; non perché sei un ragazzino, ma perché mi piace cucinare. Dovresti saperlo, sei o non sei un nostro fan?” Luca alzò un angolo della bocca e gli fece spazio vicino ai fornelli. Si misero al lavoro rapidamente e l’impasto per i Pan Cake fu pronto in meno di un minuto. Il ninja dei nunchaku era sorpreso dalle capacità del dodicenne: il modo di preparare e di far saltare le frittelle al volo con la padella, sembravano frutto di parecchia pratica.
“Don, lascia perdere quel foglio e vieni a mangiare, è da ieri che non tocchi cibo.” Lo riprese Leo. “Fra un minuto, ho quasi finito.” Rispose il viola facendo un ultimo segno con la matita. “Da quando porti gli occhiali?” domandò Luca notandoli. Donatello alzò lo sguardo “Da un paio d’anni, prima mi convincevo di non averne bisogno, ma credo di avere una forma di astigmatismo lieve. Ho sempre visto un po’ sfuocato e di recente la situazione è peggiorata.”
“Troppe ore davanti al computer, vero?” chiese il dodicenne con una smorfia strafottente che fece sorridere anche Don. “Permaloso, ma sveglio!” notò Mick.
“O troppo informato!” proferì alterato il rosso. “Ti infastidisce così tanto che vi abbiamo spiato?” chiese Luca con ironia tagliente. “A te no? Quando hai scoperto che gli Utrom lo hanno fatto con voi, non ti sei sentito…in trappola?” Luca lo fissò negli occhi, sembrava volergli dire ma non l’hai ancora capito? “Non è la stessa cosa, noi eravamo tenuti sotto controllo perché in pericolo e utili alla minaccia. Per voi è diverso: nella mia dimensione siete degli eroi, personaggi di fantasia da cui ragazzi e ragazze prendono esempio. Al tuo posto, sarei felice!” Quell’affermazione lo lasciò senza parole.
“Luca, fatti disinfettare i tagli! Non farmelo ripetere!” La voce di Nadia li raggiunse dalla zona notte, stava scendendo dalle scale a balzelli, con Marco talmente vicino da sembrare la sua ombra. Indossavano entrambi dei jeans, aderenti per lei e cascanti per lui. La ragazza portava una canotta nera fin alle cosce e una maglia azzurra di un paio di taglie troppo larga, scivolava morbidamente sul corpo lasciando così scoperta la spalla. Marco invece aveva una polo bianca, troppo larga e troppo corta per il suo fisico slanciato. “Te l’ho già detto, questi non sono i nostri corpi, non sappiamo se possono contrastare un’infezione.” Continuò la ragazza.
“Scordatelo!” esclamò il dodicenne allontanandosi dalla cugina con in mano un batuffolo di cotone e una boccetta. “Non ho due anni, posso farne a meno.” “Non fare lo sbruffone…” afferrò una delle braccia e cominciò a passare la cellulosa con delicatezza. Si era inginocchiata per vedere meglio, i capelli bagnati gocciolavano vistosamente sui tagli che osservava con quell’attenzione tipica dei maggiori. “Mi tratti sempre come un bambino, posso farlo io!” Fece inviperito afferrando il batuffolo. Nadia scosse il capo sorridendo “Come preferisci, ma vedi di non dimenticare nessuna ferita.”
“Scusate se vi abbiamo fatto aspettare.” proferì rivolta al gruppo, scostandosi i cappelli umidi dietro l’orecchio. “Spero non vi siate annoiati.” “Figurati, abbiamo colto l’occasione per dare uno sguardo in giro.” Disse Leo. “Notato qualcosa d’importante?” chiese Nadia. “L’appartamento è sicuro, non avrete problemi a rimanere nascosti.” Asserì il blu. “Come ulteriore precauzione, sto realizzando un progetto per un congegno di schermatura.” Fece Don avvicinandosi.
“Ti donano!” esclamò Nadia indicandolo “Cosa?” chiese il viola, “Gli occhiali, una novità degli ultimi due anni, immagino. Come le cicatrici di Raf e i vostri vestiti.” Disse la ragazza. I fratelli si osservarono. Erano abituati a tutti quei particolari che ormai facevano parte di loro, ma per i tre non doveva essere lo stesso ed era strano constatare che notassero ogni più piccolo cambiamento.
Marco si avvicinò a Don con curiosità e afferrò la montatura con delicatezza, facendo irrigidire il genio. La timidezza dimostrata con gli altri componenti della famiglia mutante, con lui sembrava non persistere. Era un atteggiamento spontaneo e un po’ imbarazzante, ancora una volta il viola non sapeva come comportarsi e non osò sottrarsi per evitare di ferirlo. La reazione di Marco fu…strana: si portò le lenti sugli occhi e fece un sorriso, saltellando come se avesse scoperto una cosa divertentissima.
“Sei astigmatico?” domandò Nadia. “Si, perché?” “Anche nostro padre…lo era.” Proferì con una nota di tristezza. “Lo era?” chiese il Maestro Splinter “Io e Marco non abbiamo più i genitori, sono morti due anni fa. Abbiamo vissuto con i nostri zii in questo periodo.” Marco e Nadia si scambiarono un’occhiata e la maggiore passò una mano tra i capelli castani del fratello. Gli occhi di entrambi erano piegati in un’espressione triste, ma quello che colpì Mick era l’attenzione della ragazza: concentrata sul fratello, nonostante si vedesse quanto anche lei avesse bisogno di supporto.
“E i genitori di Luca? Saranno in ansia per le vostre condizioni.” Proferì Don “Sono a casa vostra?” chiese Leo, sapeva che erano rimasti soli nell’ultimo anno, ma voleva indagare senza sembrare troppo invadente. “No! I miei ci hanno abbandonati!” fece il dodicenne con fastidio, mentre si alzava la maglia per disinfettarsi i tagli sul busto. “Non ricominciare, sono solo andati all’estero per lavoro. Invece di fare il cocciuto potevi seguirli, abbiamo cercato di convincerti in tutti i modi!” Proferì Nadia alterata. “Seee, certo! Se vi lascio soli, chi pensa a voi due?” proferì con il suo solito ghigno.
Chi pensa a noi due? Non fare il cuginetto apprensivo, non è da te!” “Tranquilla, non ho intenzione di rubarti il ruolo di mammina! Comunque, i ragazzi e il Maestro ti volevano fare delle domande.” Fece lui sistemandosi nuovamente la t-shirt e dirigendosi in cucina. Marco lo seguì  barcollando, le lenti dovevano infastidirlo.
“Immagino vogliate sapere del Nemico.” Asserì la ragazza. “Vorremmo sapere il più possibile, ma non vogliamo crearvi disagio. Per oggi, è sufficiente che ci diciate quello che ritenete più importante.” Proferì il Maestro.
Marco si era impossessato di una tazza di latte, mordendo i biscotti imbevuti nel liquido con l’aria affamata; Nadia si avvicinò e gli sfilò gli occhiali. “Abbiamo bisogno di mangiare, che ne dite se spieghiamo quello che sappiamo durante la colazione?” chiese porgendo gli occhiali a Don.
……
“Marco, vacci piano!” esclamò Luca “Questo è caffè all’americana, non il nostro espresso. È molto più forte!” il diciannovenne stava bevendo dalla grande tazza ricolma di liquido scuro con ingordigia, sembrava piacergli parecchio. Stava imitando Donatello, guardandolo ancora una volta con insistenza. Anche se gli sorrideva, era ovvio che il viola fosse a disagio.
“Mi spieghi perché lo spilungone è tanto interessato a mio fratello?” domandò Raf a Luca. “Credo sia il suo preferito. Era l’unico di voi quattro, che guardava in silenzio assoluto senza muoversi. Anche se non parla, è chiaro che avevo indovinato!” esclamò Luca con un sorriso rivolto al cugino. “E tu, Luca? Chi è il tuo preferito?” domandò Mick “Mi spiace, tu sei solo il secondo in classifica!” rispose con una smorfia. “Non mi dirai che quel brutto muso di Raf, ha il primato?” il rosso li guardò con sufficienza, ma in realtà era curioso. Luca fece spallucce “Che vuoi farci Mick, tra teste calde bisogna supportarsi.” “E tua cugina?” continuò ad insistere l’arancio. “Chiedilo a lei…ma ti conviene rimandare, credo che per un po’ sarà impegnata!” proferì indicando la ragazza.
“Quindi, signorina Amato, a cosa sono legate le vostre caratteristiche di connettori?” chiese il Maestro mentre sorseggiava del the al bancone vicino a Leonardo. “Proverò a spiegarmi, anche se tutto quello che sappiamo lo dobbiamo alla sincronizzazione con i Navigatori; ci sono molte cose che nemmeno gli Utrom sono riusciti a comprendere. Ogni connettore è un canale per la fantasia, l’energia che regola l’intera esistenza. L’espressione artistica per esempio, crea storie, racconti, immagini di altri universi e di vita. Pittori, scultori, scrittori, attori, musicisti, ballerini e via dicendo, si ispirano alla realtà che li circonda realizzando un collegamento con un altro universo; più la passione di un connettore è grande, più il collegamento è potente. Le produzioni artistiche stimolano la fantasia di chi ne entra in contatto, realizzando così una sorta di effetto a catena come delle piccole onde che si propagano sulla superficie dell’acqua, dopo che si è lanciato un sasso.” Spiegò lei mentre tagliava le frittelle per il fratello, aveva sempre difficoltà con tutto ciò che non conosceva, a partire dal cibo. Non era molto convinto di quello che aveva davanti, ma se sua sorella diceva che era buono si fidava. Ne prese un pezzetto con la forchetta e dopo un paio di morsi poco convinti fece un sorriso, spazzolando ogni briciola rimasta nel piatto.
“Non credevo che le capacità artistiche, potessero avere un ruolo tanto importante per l’esistenza.” Fece Leonardo “Secondo me, sono tutte stupidaggini inutili!” esclamò il rosso “Di solito sarei d’accordo con te, ma dopo oggi, sono felice che Nadia abbia studiato arte, gli artisti sono i connettori più forti. Però le capacità artistiche, sono solo una delle possibilità.” Proferì Luca con la bocca piena di Pan Cake. “Esistono connettori capaci di collegamenti anche tramite l’attività fisica, l’agricoltura, la ricerca scientifica, la meditazione, la psicologia, tutto quello che ha un profondo legame con noi stessi. Più ci avviciniamo alla specificità della nostra essenza, più siamo legati alla fantasia. I connettori ricaricano la loro energia coltivando le passioni che li caratterizzano.” Continuò Nadia dopo aver morso e ingoiato un pezzo di mela. Era l’unica che preferisse la frutta, alle invitanti frittelle.
“E voi? Quale specificità vi ricarica le batterie?” domandò Mick mentre masticava malamente, Luca sorrise nel vederne le smorfie. “Io ho sempre amato giocare a calcio, è forse l’unica cosa in cui riesco bene.” “Io ho tante piccole passioni, quella che preferisco è disegnare.” Fece Nadia. “E Marco?” domandò Don.
L’interpellato irrigidendosi, si allontanò dagli altri a braccia conserte. Sembrava davvero teso. “Non ha mai manifestato nulla in particolare: non sa leggere o scrivere, non sa contare e men che meno riesce a disegnare; per di più odia lo sport.” Fece Luca con una nota di dispiacere. “Marco ha solo bisogno di una spintarella; se riuscisse a liberarsi dalle sue chiusure, sono convinta che mostrerebbe quello di cui è capace. In fondo, è stato portato qui perché è la chiave per sconfiggere il Nemico.” Disse Nadia.
“Credi che l’autismo si possa superare?” chiese il viola poco convinto “Credo semplicemente che mio fratello possa migliorare, come tutti del resto. L’autismo è una caratteristica, ma niente di più; se diamo per scontato che non possa cambiare, si perde in partenza! Non è molto utile considerare una problematica come l’autismo, un elemento invariabile.” asserì Nadia con decisa convinzione “Vedere l’autismo come un fattore non assoluto; una caratteristica di diversità che può cambiare nel tempo, nonostante tutte le prognosi psichiatriche dicano il contrario…è un modo, strano e  interessante di vedere le cose!” disse Don, con una nota di stupore.
“Ti piacerà di meno quando capirai perché gli Utrom hanno chiesto il nostro aiuto!” fece Luca con un ghigno. Nadia cercò di spiegare a cosa si riferisse “Siamo stati scelti dagli Utrom, perché cresciuti con Marco: abbiamo imparato a dare un significato differente al concetto di diversità e cambiamento. Spesso pensiamo di conoscerci a sufficienza, ma in realtà tendiamo solo a chiuderci in quelle che sono delle modalità ripetitive, delle stereotipie della nostra personalità. Per esempio: Marco si stringe il petto, saltella e fa suoni strani, ma tutti abbiamo degli atteggiamenti che ripetiamo. Sono cose piccole, all’apparenza poco significative e meno evidenti, ma sono dei blocchi fissi che ci impediscono di crescere e cambiare. Il nostro avversario, sfrutta questa debolezza.”
“In che modo?” domandò Raffaello. “Il Nemico è un essere mai visto prima: gli Utrom l’hanno definito alieno mutaforma, ma solo perché non assomiglia a nessuna creatura esistente.” Spiegò Luca. “Penetra nelle narici sotto forma di nebbia,  chiude ogni forma di comunicazione con l’esterno e rende i ricordi negativi o i traumi che hanno dato origine alle stereotipie, l’unica cosa presente nella memoria, rendendo i blocchi della personalità ancora più evidenti e invariabili. In altre parole porta alla pazzia, prendendo così il controllo del corpo ospitante.” Fece Nadia.
“Qual è il suo scopo?” chiese Don prendendo in mano il rilevatore Utrom. Voleva inserire i nuovi dati sperando di realizzare qualcosa che rendesse facile la sua individuazione, ma i discorsi fatti avevano ben poco di scientifico. “Vuole nutrirsi delle essenze dei connettori, per poi uccidere tutti; per questo sta colpendo più dimensioni.” Fece Luca con lo sguardo teso “Il Nemico è antico quanto l’energia della fantasia, e ha bisogno di essa per tornare nel pieno delle forze. È stato sigillato fino a questo momento, ma non sappiamo né perché è stato creato, né qual è il suo vero obiettivo. Una delle poche cose certe, è che in ogni dimensione ci sono soggetti designati a contrastarlo. In questa, siete voi.” Spiegò nuovamente la ragazza. Le tartarughe si aspettavano una dichiarazione del genere, ma avevano comunque lo sguardo teso.
“E come dovremmo riuscirci?” chiese Leo “Secondo gli Utrom, dentro di voi ci sono delle specificità legate alle vostre essenze, in grado di imbrigliare le caratteristiche distruttive del Nemico.” Fece Nadia. “Eh?” domandò Mick con lo sguardo dubbioso, quella ragazza non poteva parlare in modo normale? “Potete controllarlo.” Chiarì Luca scuotendo la testa in direzione della ragazza “E io che ho detto? Comunque, non è chiaro cosa siate in grado di fare; sarà un’altra delle cose da scoprire, ma è per questo che dobbiamo aiutarvi a conoscere le vostre parti più nascoste e rendervi immuni agli attacchi del Nemico.” Concluse Nadia.
“In altre parole…dovrete farci da strizza cervelli?” chiese Raf con gli occhi chiusi a fessura. “Più o meno.” rispose Nadia. “Scordatevelo! Mi rifiuto di comportarmi come un pazzo in analisi!” esclamò il rosso parandosi di fronte a Nadia con rabbia. “Qualcosa da nascondere?” chiese lei. “Ehi, io ho i miei segreti e ci tengo che rimangano tali, come tutti!” rispose sempre più alterato “Esatto, come tutti, non sei il solo. Tutti abbiamo dei segreti e tutti li tireremo fuori; non possiamo permetterci niente di diverso. Ti assicuro, che questa cosa non preoccupa solo te. Le sincronizzazioni funzionano in entrambi i sensi e utilizzeremo il processo per vedere cosa si nasconde dentro ognuno di noi.” Il tono non era nervoso, semmai teso fino a sembrare supponente, cosa che faceva solo innervosire ulteriormente il rosso.
“Vacci piano bionda! La meditazione è il nostro pane, il combattimento insegna a fidarsi di se stessi, abbiamo affrontato avversari di ogni tipo e superato prove decisamente fuori dal comune: non abbiamo bisogno di analizzare un bel niente! Pensate a voi: non mi sembrate molto normali, soprattutto lo spilungone!”
Lo spilungone non è normale?” chiese Luca con rabbia. “Chi ti credi di essere per giudicare mio cugino? Non sai niente di lui, niente!” gli occhi del dodicenne si tinsero di giallo e tutti gli oggetti della casa iniziarono a tremare, muovendosi in modo scomposto nella sua direzione. “Sono davvero uno stupido, cosa credevo? Siete adulti adesso, e gli adulti sanno solo giudicare, tutto quello che è diverso vi fa schifo! Siete pieni di pregiudizi!” Leo e Nadia, sgranando gli occhi con fare preoccupato, ebbero lo stesso pensiero: stava per perdere il controllo.
Gli oggetti cominciarono a muoversi intorno al dodicenne: la poltroncina, i libri, la scrivania e molti dei suppellettili, rotearono come i neutrini orbitano vicino all’atomo. Luca sembrava ormai completamente perso nella sua ira, non si rese conto di nulla.
“Bravo Raf, due su due!” esclamò Mick “Hai fatto impennare i picchi d’energia e non sappiamo che elemento controlli! Si farà scoprire!” fece allarmato Don con il rilevatore tra le mani. “Diamine, non ti è bastata la lezione sulla nave Utrom?” chiese Leo. “DATECI UN TAGLIO!” esclamò urlante e adirato.
Il divano si sollevò e saettò verso le teste delle tartarughe. Raf si scagliò su di esso con i Sai in pugno, tagliò il mobile e allontanò le due parti con un paio di calci volanti. L’altro divano iniziò a fare lo stesso, ma Leonardo lo atterrò saltandoci sopra e dividendolo in quattro con le sue Katana. I piatti appoggiati al bancone saettarono in tutte le direzioni, Donatello ne distrusse una gran quantità facendo roteare il Bō con una mano, mentre con l’altra analizzava l’ambiente con il rilevatore; Mick tentava di tenere a bada le padelle che avevano iniziato ad inseguirlo con insistenza. “Fate calmare il piccolo! Queste manifestazioni paranormali non mi piacciono!” fece un balzo e si diresse alla zona notte; vedendo che delle posate puntavano nuovamente nella sua direzione, si lasciò cadere all’indietro, fissandosi  a due delle travi di sostegno del rialzamento con le mani e i piedi.
“Luca! Devi calmarti!” Nadia si era avvicinata al dodicenne con difficoltà, evitando gli oggetti e i frammenti di quelli distrutti che roteavano intorno; scuotendogli una spalla tentò di farlo riprendere, ma non successe nulla. Il ragazzino continuava a fissare di fronte a se con lo sguardo irato e perso “Ma tu…scotti!” la pelle olivastra era bollente, superava i cinquanta gradi. Serviva un’idea, il suo corpo non avrebbe sopportato quelle temperature a lungo.
Marco era dietro al Maestro Splinter, intento ad allontanare una serie di suppellettili e di oggetti vari che si dirigevano nella loro direzione; il diciannovenne era spaventato a morte. “Nono! Nono!” continuava a ripetere tenendosi la testa tra le mani. “Tranquillo ragazzo. Vedrai che tuo cugino si riprenderà subito, se perdi il controllo non potremo aiutarlo. Concentrati e cerca di rimanere dietro di me, ok?” “S-sisi.” Rispose titubante, ma con più padronanza.
“Lucaaaa? Guarda cosa sto facendo!” Nadia era uscita dall’appartamento ed era in piedi sul parapetto in ferro della scala antincendio, su una gamba sola e a braccia aperte. Sorrideva in modo esagerato, con un’espressione palesemente forzata. “Sto facendo una cosa molto stupida, perché non vieni a fermarmi? Non mi dici sempre di stare attenta? Sono un’imbranata senza speranza, lo sai!” ciondolava come se volesse perdere l’equilibrio di proposito. Luca inconsciamente si voltò nella sua direzione e allargò gli occhi preoccupato; gli oggetti intorno a lui smisero di muoversi, ma le iridi rimanevano gialle come il sole, non era ancora uscito dallo stato di sincronizzazione. La ragazza notandolo, finse ulteriormente e fece uno scivolone: cadde all’indietro, senza emettere un suono e con gli occhi chiusi.
“NADIA!” urlò Luca con le iridi nuovamente verde chiaro. Tutto quello che si era sollevato da terra ripiombò al suolo e i sette si precipitarono fuori dalla finestra. “Ma quella non è normale, è matta?!” esclamò il rosso. “DACCI UN TAGLIO!” lo ripresero in coro i suoi famigliari. Si sporsero tutti dal parapetto con aria preoccupata, ma non c’era traccia della ragazza.
“Non sono matta Raffaello, sono un connettore!” si guardarono intorno, non c’era nessuno; la voce di Nadia sembrava provenire sotto di loro e abbassarono lo sguardo.  “Vi ho osservato e sono riuscita ad apprendere alcune delle vostre mosse.” Si era fissata alla grata con le mani e i piedi, esattamente come aveva fatto Mick per evitare le posate; dall’intercapedine del pavimento in maglia di ferro, si intravedeva la sua figura adesa alle fessure e la luce acqua marina dei suoi occhi. “Peccato che queste capacità di assimilazione, non siano stabili!” esclamò sentendo che stava perdendo la presa, gli occhi tornarono nocciola e scivolò cadendo al piano sottostante. “Ahio!”
“Nadia, Nadia, Nadia!” esclamò Marco agitato, scendendo le scale di corsa con Luca. “Cosa credevi di fare?” il dodicenne tirò un pugno alla testa della ragazza che tentava di rimettersi in piedi. “Ahi!” esclamò ricadendo.
“Sei una stupida! Potevi ammazzarti!” Luca era tutto rigido, con le braccia lungo i fianchi e le mani strette a pugno “Ho solo evitato che ci facessi scoprire distruggendo tutto, ti ho distratto e ha funzionato!” Si difese lei massaggiandosi la parte lesa e mettendosi seduta “Sapevo quello che stavo facendo Luca, non preoccuparti per me. Basto io per tutti!” aggiunse passandogli una mano sui capelli neri in modo affettuoso.
“Riuscite a non farci venire un infarto ogni due minuti?” chiese Mick mentre li raggiungeva con il resto della famiglia. “Riuscite a non farci perdere il controllo ogni due minuti?” chiese velenoso “Dai Luca, smettila! La nostra presenza può essere utile, ma è anche un fastidio!” fece la ragazza rimettendosi in piedi.
“Un fastidio?” domandò il Sensei. “Beh, si! Non credo che accollarvi un’altra minaccia multidimensionale, con annesso trio di sconosciuti incapaci di lottare, sia quello di cui avete bisogno. Con il nostro arrivo avrete messo nuovamente le vostre vite in secondo piano. Oltre alle evidenti difficoltà di Marco, le mie competenze sono limitate e Luca ha la brutta abitudine di reagire subito. Accusare Raffaello di avere pregiudizi, anche se sai che lui e la sua famiglia li hanno subiti per una vita, è stata una pessima idea! Non credi?” il ragazzino incrociò le braccia. “Guarda che ha cominciato Raf!” Nadia si schiaffò una mano sulla fronte con aria esasperata “Lasciamo perdere! Comunque, vi prometto che impareremo alla svelta. Prima batteremo il Nemico e prima ci leveremo dai piedi, non abbiamo intenzione di diventare un problema o di fermarci più del necessario.” concluse lei, risalendo le scale con i suoi parenti.
“Ok, Luca è sveglio, ma Nadia legge nel pensiero!” esclamò Mick una volta che i tre furono rientrati in casa “A cosa ti riferisci figliolo?” chiese il Maestro “Semplicemente che sono un po’ stanco di problemi di questo genere…non mi tiro certo indietro, ma la nostra vita è già complicata senza avversari multidimensionali che portano alla follia!” esclamò con fastidio ironico “Non avrei saputo dirlo meglio!” Proferì il viola “Idem!” aggiunse Raf. “Vorremmo poter vivere le nostre vite, ma sembra che la nostra natura, la nostra storia, non ce lo permetta.” Disse Don con una nota d’amarezza. “Ma quali vite dovremmo vivere?” chiese con rabbia Raffaello, si stava massaggiando la cicatrice con fare nervoso, portando i fratelli a guardarlo con profonda tristezza. “Siamo solo dei mostri, nessuno ci considererà mai normali, non potremo mai vivere come gli esseri umani o concederci le stesse cose. Ci abbiamo provato…ma ci siamo solo illusi!” aggiunse, appoggiando il carapace al muro, sconfitto.
“No, non ci siamo illusi. Ci abbiamo sperato.” Leonardo aveva lo sguardo rivolto lontano “Non mi piace ammetterlo Sensei, ma anche io ho avuto gli stessi pensieri. Non riusciamo più a sostenere una vita fatta esclusivamente di combattimenti, ma allo stesso tempo, non possiamo fare diversamente.” gli sembrava di tradire le aspettative del padre e di andare contro al Bushido, per questo non voleva guardarlo negli occhi, ma non poteva ignorare il fatto che tutti loro avevano avuto lo stesso pensiero.
“Ragazzi miei, capisco quello che provate e mi dispiace non aver intuito prima cosa steste provando, ma è evidente che il vero problema non è l’arrivo dei tre giovani o di questa nuova minaccia. C’è qualcosa legato a cinque mesi fa che vi tormenta.” Le quattro tartarughe deviarono i loro sguardi in tensione, non avevano intenzione di parlarne. “Dato che dovrete affrontare le vostre difficoltà con i connettori, lascerò loro il compito di capire che cosa vi sia successo.” Proferì incamminandosi su per le scale. “Intanto, vi consiglio di essere più cordiali. Sono nostri ospiti e allievi, abbiamo bisogno di loro e viceversa; confido che riuscirete a fare amicizia superando le vostre perplessità. Cerchiamo di dare loro un po’ di respiro, hanno avuto una giornata…impegnativa.”
Le tartarughe non proferirono parola, ma era evidente che tutti e quattro stavano pensando alle implicazioni della situazione a cui stavano andando incontro. Per il bene della missione, avrebbero dovuto affrontare quello che per cinque mesi avevano evitato; Mick si stupì nel scoprire che aveva paura di quel momento, parlarne con i fratelli era stato il suo obiettivo, ma non voleva farlo con degli sconosciuti. Era stata colpa sua, solo colpa sua. Si vergognava di quello che era successo tra di loro, di quello che era successo ai suoi amici, Javier e Conny.
Allo stesso tempo però, quei tre avevano qualcosa che lo faceva sentire…attento, premuroso. Non gli succedeva spesso, erano gli altri che si preoccupavano per lui non il contrario. I tre connettori si erano ritrovati in una situazione sconvolgente, priva di vie di fuga e le parole di Nadia lo avevano sorpreso: levarsi dai piedi, come se fossero un peso inutile, conosceva bene quella sensazione.
“Dai Luca, riprova! Ripara questo mobile.” Nadia e Marco stavano cercando di tenere insieme il divano distrutto da Raf. La famiglia Hamato si introdusse nuovamente nell’appartamento, ma rimase in disparte a osservare.
“Ma come devo dirtelo Nadia? Non ci riesco! Ho perso il controllo, è solo per quello che sono riuscito a far funzionare i miei poteri.” Disse infastidito Luca. “Mortu ha detto che dobbiamo ricontattare quello che ci fa manifestare i poteri per poterli controllare, se sei riuscito a far muovere le particelle che compongono gli oggetti inanimati, credo tu sia in grado di rimettere insieme quello che si distrugge. Ma prima bisogna capire cosa ti ha fatto scattare. Quando Raffaello ha detto che Marco non è normale, cos'hai provato?” chiese Nadia. “Rabbia, che altro?” fece Luca con sufficienza. “Quella è solo una conseguenza. Non ti piace che si giudichi Marco, ma non è quello il problema. Dai, pensaci.” “Non lo so! Dimmelo tu, visto che sei tanto brava!”
Nadia scosse il capo delicatamente, suo cugino non voleva proprio provarci. “Non posso farlo al posto tuo. Fai un tentativo…” Luca la stava guardando male. “Dai, non possiamo rimanere senza divani. Come faremmo a guardare la tv?” proferì con una mezza linguaccia. “Tv, Tv!” ripeteva Marco con entusiasmo, facendo sorridere Luca. “Va bene, ci provo. Ma non sono convinto, potrei perdere il controllo un’altra volta.” “Posso sempre rifare la scena di prima!” esclamò la ragazza con un sorriso. “Non ti azzardare!”
Chiuse gli occhi, si stava concentrando nel sentire quel qualcosa che gli si era smosso nel cuore. Sembrava teso, triste. Aprì gli occhi di scatto, erano nuovamente tinti di giallo, ma con espressione più controllata; le due parti del divano si sollevarono in aria, ricongiungendosi con un piccolo scoppio luminoso. La famiglia amato assistette al fenomeno con stupore, anche solo per la rapidità dimostrata da Luca nell’apprendere un metodo di controllo. Don era intento a raccogliere dati, le due manifestazioni di poteri gli davano parecchio da pensare, una volta tornato in laboratorio si sarebbe messo al lavoro.
“Bravo scricciolo!” Esclamò lei vedendo il divano appoggiarsi nuovamente al suolo perfettamente riparato. “Vedi? Sei in gamba!” “Solo perché hai insistito…anche senza poteri attivi sei utile, imbranata!” proferì con tutta l’intenzione d’infastidirla.
Don soppesò quello che aveva detto Luca: in effetti, Nadia era l’unica a non aver manifestato nessuna caratteristica sovrumana, il ripetere i gesti fatti da Mick era una caratteristica che tutti e tre sarebbero stati capaci di fare a breve, secondo quello che aveva detto Mortu. Era strano che solo lei non avesse espresso nessun potere.
“Sei la solita peste! Che bisogno c’è di offendere?” chiese inviperita la ragazza “Che bisogno c’è di chiamarmi scricciolo? Lo sai che odio quel soprannome!” si stavano guardando ancora una volta con quella nota di stizza infastidita ricca di complicità. Marco li abbracciò entrambi saltellando, come a volerli calmare.
Un piccolo rivolo di sangue uscì dal naso del dodicenne. Nadia sgranò gli occhi “Stai bene?” “Si, più o meno.” rispose lui con incertezza. “Come sarebbe più o meno? Che hai?” Nadia si era inginocchiata e tirando fuori dalla tasca del pantalone un fazzoletto, si mise a tamponare il sangue. “H-ho un po’ di mal di testa…niente di grave. Smettila di torturami il naso!” fece il ragazzino allontanando la mano che gli stava accarezzando la fronte e quella con il fazzoletto fissa sulle narici.
“Sono una stupida, ti ho fatto sforzare troppo! Diamine, due manifestazioni di poteri così ravvicinate non vanno bene. Siediti e non ti muovere!” il tono era perentorio, si stava dirigendo in cucina ed aprì gli stipiti con urgenza; Luca non osò contraddirla e si sedette sul divano appena riparato. Marco vicino a lui, osservava il sangue scorrere  nuovamente dalle narici con aria preoccupata.
Nel tentativo di fargli capire che gli era vicino, afferrò la mano del piccolo e si avvicinò ulteriormente socchiudendo gli occhi; percepì qualcosa di doloroso albergare in una o più persone che gli erano vicino, era evidente come il sole per le sue capacità recettive. Quel dolore era davvero profondo e radicato, avvinghiato a tante sensazioni buie e a tante insicurezze. Il diciannovenne, si percepiva come davanti ad uno specchio frantumato, bisognoso di colmare il vuoto dei pezzi mancanti, incapace di riportare il riflesso, impossibilitato ad essere completo.
Don con di nuovo le lenti indosso, era in piedi di fronte ai due; porse al ragazzino un altro fazzoletto. “Dove ti fa male la testa?” chiese con tono analitico. “Qui.” Disse il dodicenne indicando contemporaneamente la fronte e la nuca. “Davvero strano! È un dolore costante?” chiese nuovamente accucciandosi e cercando qualcosa nella borsa. “Non proprio, è più un fastidio che non smette mai.” Don tirò fuori da una tasca una fialetta. “Bevila, è un antinfiammatorio.” “No grazie.” Rispose il dodicenne. “Fai ancora il cocciuto?” Lo riprese Raf alle loro spalle. “No, semplicemente non possiamo prendere farmaci.” Proferì il ragazzino con il fazzoletto fisso sul naso.
“Per quale motivo?” chiese Leonardo “Rendono il nostro legame con l’essenza più debole, già bere thè o caffè non ci fa benissimo, ma possiamo tollerarlo; finché saremo qui, non potremo prendere nessun tipo di droghe…con grande dispiacere di Nadia!” esclamò lui con un sorriso strafottente rivolto alla cugina.
“Cos’è, fai uso di sostanze bionda?” chiese divertito Raf. Dai modi della ragazza era certo che il dodicenne stesse esagerando, sembrava troppo responsabile per fare una cosa come drogarsi.
“Diciamo di si.” Rispose lei sovrappensiero mentre recuperava varie erbe da uno stipite per fare un infuso rilassante, era l’unica cosa che potesse dare a Luca. Mise a bollire dell’acqua e sentì distintamente gli sguardi di tutti fissi su di lei, si voltò e si rese conto che aveva percepito giusto. “Che c’è?” chiese infastidita.
“E ce lo chiedi pure?” chiese Mick con gli occhi sgranati. “Hai appena confermato che fai uso di droghe!” “Ehi, ehi! Vacci piano! Fumo e bevo qualche volta, niente di più. Non mi direte che alla vostra età, vi sorprende una fumatrice e che si beve qualche birra nei week-end?”
“Diciamo che non ce lo aspettavamo, sembri una persona responsabile.” Asserì Leo. Non gli piaceva il fatto che Nadia avesse certi vizi, potevano compromettere le sua capacità d’analisi oltre alle implicazioni legate ai suoi poteri. “Io non sono come te Leonardo, non riesco a guidare la mia famiglia come vorrei. In questi ultimi due anni, mi sono ritrovata con molte responsabilità che faccio fatica a gestire; fumarmi qualche sigaretta e bere quando posso, sono solo degli sfoghi. Una soluzione poco adulta, lo ammetto!” era un po’ alterata, non era una cosa di cui andava fiera.
“Quante storie per una sigaretta ogni tanto e un paio di birre!” Proferì il rosso lanciandole un pacchetto di sigarette. Nadia lo afferrò al volo con lo sguardo sorpreso. “Che diavolo fai?” domando Mick. “Se ne hai bisogno, fuma pure. In fondo, avete il diritto di rilassarvi quando potete.” Proferì il rosso. “Anche tu fumi?” chiese Luca con l’aria sconcertata. “Non ci credo! Due delle persone che ammiro di più, fanno cose davvero stupide!”
“Eh, no! Anche se Raf fuma e beve quando gli pare, tu non devi!” esclamò Mick afferrando il pacchetto che la ragazza teneva ancora tra le mani, lasciandola basita. “Sono d’accordo. Se è vero che vi indebolite, meglio evitare.” aggiunse Leonardo. “Ma smettetela! Il Nemico non può reagire in questo periodo dell’anno, no? Secondo Luca e gli Utrom, il sole estivo lo rende molto più debole. Se ne ha bisogno, diamole un po’ di respiro…come ha detto il Sensei.” fece divertito rivolto ai fratelli “Sei solo contento di avere un complice per certi vizi!” esclamò Leonardo. “Ricordati quello che è successo cinque mesi fa!” l’ultima frase, portò i fratelli a squadrarsi malamente, con profondo odio.
“Tanto male.” Disse a mezza voce Marco con gli occhi serrati e le braccia strette al petto. Il dolore nero che aveva percepito si era fatto più intenso, non riusciva più a tollerarlo, lo stava facendo impazzire.
Tutti si voltarono verso di lui. Nadia si avvicinò con una tazza fumante che porse al cugino, poi si concentrò sul fratello. “Chi ha tanto male?”gli chiese. L’unica cosa che poteva fare per capire cosa avesse suo fratello, era ripetere quel piccolo rito di domande a risposta bisillabica. Era una cosa che facevano da sempre, da quando lei aveva memoria. “Luca?” “Nono.” Rispose il diciannovenne “Tu?” “Nono.” “Io?” “Nono.” “Chi allora?” dopo aver escluso i famigliari, la domanda poteva ritornare a risposta multipla, sperando in un’apertura da parte del ragazzo; non sempre succedeva, ma quella volta Marco allungò una mano e l’appoggiò sul piastrone di Don, ancora accucciato di fronte a loro. Il viola sentì il tocco e osservò il palmo magro, appoggiato all’altezza del cuore. Gli occhi del ragazzo si tinsero di bianco. “Donatello, ha tanto male, qui.” Nadia e Luca si scambiarono uno sguardo “Anche gli altri?” Chiese il dodicenne. “Sisi.”
“Ooook, questo è davvero strano! Cos’è? Un altro potere da connettore?” chiese con una nota di apprensione Michelangelo. “No, Marco ha sempre avuto un sesto senso nel percepire i problemi degli altri, li legge con una facilità incredibile.” spiegò la ragazza
“Ha tanto male!” esclamò di nuovo Marco con lo sguardo carico di dolore. Sembrava stesse provando le stesse sensazioni di Don. “C-credete che sia entrato in sincronizzazione?” Chiese il viola con l’aria un po’ allarmata. Marco non gli stava invadendo la mente, non lo sentiva nella sua testa, ma vedendolo così coinvolto sembrava lo fosse, e non gli piaceva. Si sentiva scoperto, nudo, impotente dal nascondere quello che sentiva. “No, altrimenti vedresti i suoi ricordi e i suoi pensieri. Ti assicuro, che non saresti così tranquillo…” proferì Luca.
“Ok, dato che non siamo sicuri di poter manifestare i poteri due volte al giorno, adesso ti calmi Marco.” asserì la ragazza. Gli si fece vicino e afferrò il braccio ancora adeso al petto magro, lo fece alzare in piedi e lo allontanò da Donatello. Il diciannovenne aveva ancora il viso contratto in quell’espressione sofferente, nonostante gli occhi fossero tornati blu. La tv si era salvata e la ragazza l’accese. “Adesso non ci pensare. Ce ne occuperemo in un altro momento.”
Vedendo il fratello rilassarsi e accomodarsi a terra per vedere meglio, fece un sospiro distensivo. Il diciannovenne sorrideva nell’osservare il coniglio parlante e l’anatra nera del cartone per bambini. *(2) Nadia ringraziava che almeno certi cortometraggi erano gli stessi della sua dimensione, per suo fratello era davvero importante vedere cose che conosceva, si sarebbe sentito perso altrimenti.
Don le si avvicinò “Non credevo che Marco sentisse così profondamente le sofferenze degli altri…” aveva un tono teso e dispiaciuto. “Non ti preoccupare Donatello.” Proferì la ragazza appoggiandogli una mano sulla spalla. Aveva un tocco delicato, sicuro, per nulla preoccupato della pelle da rettile del viola e Don se ne stupì come aveva fatto Mick sulla navicella Utrom. “È sempre stato così: si immedesima nelle persone a cui si lega emotivamente cercando di capirle e di aiutarle. Il suo interesse nei tuoi confronti ha sicuramente una spiegazione, ma non so dirti qual è, forse ti vede come un modello di riferimento. Temo avrai parecchio da fare con lui!” esclamò con un sorriso. Don si stupì, non si era mai trovato di fronte a persone che desideravano mettersi nei suoi panni e capirlo, di solito toccava a lui farlo. “Vorrei proprio sapere cosa ci trova d’interessante in me, tuo fratello…” “Appena inizieremo l’allenamento per conoscere le nostre stereotipie, ti sarà più chiaro.” Disse lei.
“Come va la testa Luca?” chiese al cugino. Luca finì di sorbire l’infuso d’un fiato “Molto meglio, però mi è venuto sonno.” “Ci credo!” esclamò Leonardo “Con tutto quello che vi è successo, mi stupirei del contrario.”
Il Sensei stava guardando fuori dalla finestra e vide il cielo rischiararsi, prendendo i toni tenui dell’alba: dovevano tornare alla tana. “Connettori, noi dobbiamo ritirarci. Ci vediamo domani pomeriggio a Central Park per l’allenamento di ninjitsu, per il momento credo sia meglio concentrarci sulla preparazione fisica. Vi suggerisco di andare a riposare.” “Ahi Sensei!” dissero in coro Luca e Nadia facendo un inchino. Il Maestro sorrise.
La famiglia Hamato si diresse verso la finestra vicino all’entrata, poi Mick si arrestò  voltandosi verso Nadia. “Tieni, ci sono i numeri degli altri se doveste averne bisogno.” Proferì allungandole il Tarta-cellulare. “E tieni anche queste, non sono molto d’accordo, ma forse Raf ha ragione!” esclamò restituendole le sigarette. “Grazie Michelangelo, non sono certa di voler fumare, ma aver pensato ad un modo per tenerci in contatto è stato un bel pensiero.” Gli fece un sorriso incredibile, sembrava davvero sollevata. “Buon-Yhawl-riposo ragazzi.” Li salutò sbadigliando Luca, con gli occhi già  incrostati dal sonno. “Ciao, ciao!” li salutò Marco con un gesto della mano ripetitivo.
……
“Premuroso il nostro Mick!” esclamò Raf mentre percorreva le fogne con i fratelli e il Sensei. “Lasciare addirittura il tuo cellulare alla bionda… davvero carino da parte tua!” “Senti chi parla! Le hai regalato le tue sigarette, ammettilo che hai abbassato un po’ la guardia quando hai scoperto che fuma!” fece Mick con un sorrisetto “È solo sostegno tra amanti della nicotina. A Raf sta più simpatico Luca! Quando litiga con qualcuno, diventano subito grandi amici! Nostro fratello è l’eroe del giovane connettore…” lo prese in giro Leonardo. “Sentilo il nostro impavido leader, non credere di esentarti dalla tua dose di imbarazzo! Ti devo ricordare cos’ha detto la bionda? Io non sono come te Leonardo, non riesco a guidare la mia famiglia come vorrei.” Ripeté Raf con un tono melenso. “Forse non dovrai chiederle qual è il suo preferito, Mick. È evidente che il nostro fratellone ha il primato.” “Non posso credere che nessuno dei tre mi adori! Sono il più simpatico e il più carino!” fece infastidito “Continua a crederlo testone! E vogliamo parlare di Donni e Marco? Sembrano fatti l’uno per l’altro!” esclamò Raf con ironia, ma il viola sembrava troppo concentrato sul rilevatore per rendersi conto delle loro parole.
“Terra chiama Dooon…” fece Mick passandogli la mano davanti agli occhi. “Non mi distrarre! Sto esaminando le registrazioni delle manifestazioni dei poteri di Luca…davvero affascinante!” “Che cosa figliolo?” chiese il Maestro con interesse. “Le frequenze…come sapete, permettono di manifestare i poteri, ma hanno anche un altro compito: li aiutano a rimanere collegati a questa realtà, senza il corpo originale sono come privati di una parte di loro. Si propagano sentendo ogni elemento di questa realtà. Rispetto alle nostre frequenze, che sono praticamente impercettibili, le loro hanno una potenza incredibile!”
“Ed è una cosa buona o cattiva?” chiese Leo “Direi  cattiva, sono comunque facilmente individuabili nonostante il chip Utrom. Devo mettermi subito al lavoro per schermare il loro appartamento e il nostro rifugio. Almeno al chiuso saranno al sicuro.”
“Dovremo trovare un modo per farli uscire, non possono rimanere segregati.” Asserì Leonardo. “Troveremo una soluzione figlioli. Adesso torniamo a casa, abbiamo parecchio lavoro che ci aspetta.” Concluse il Maestro.

 
Zona dell’autore:
Eccomi di nuovo!
Vi è piaciuta la mia idea dell’appartamento e della palazzina? Spero di non aver creato confusione con tutti questi elementi nuovi, ma devo cominciare a fare sul serio!
*(1) Quanti di noi hanno immaginato Donatello con un paio d’occhiali? Io si, sempre! Come avete visto non è una casualità.
*(2) Questa volta ho inserito solo un piccolo riferimento ad un altro cartone animato: sono Bugs Bunny e Daffy Duck della Warner Bros Pictures, li ho sempre adorati, mi fanno piegare in due dal ridere!
Chiedo scusa, ho dovuto far fare a Raf la parte dello scorbutico, ma è solo una facciata, come sempre. Molti si sentono invasi quando gli viene chiesto discoprirsi e di mostrare quello che rimane nascosto dalla superficie, in questa storia è fondamentale conoscersi, soprattutto per le tartarughe.
Si aprono molte domande e molti dubbi in queste pagine anche se sembra non avvenga nulla. Le tartarughe cominciano a capire che la sincronizzazione non è un processo semplice: le implicazioni emotive e fisiche a cui si viene sottoposti dalle frequenze possono creare dei problemi. Il litigio di cinque mesi prima continua a essere avvolto dal mistero, anche se compaiono un paio di nomi (Javier e Conny); i tre ragazzi hanno cominciato a rivelare qualcosa, ma come sempre manca ancora parecchio per scoprire la vera natura del Nemico o come funzionino i loro poteri. E sarà compito di tutti scoprire i pezzi mancanti.
Continuo a ringraziare chi mi sta leggendo, davvero!
Mellybonf.

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Capitolo 8
*** Cap.7- Il primo allenamento. ***


Cap.7- Il primo allenamento.


Nei mesi estivi come Giugno, New York si trasforma. Una città cosmopolita, di cultura e di viva costante presenza popolare, diventa anche luogo di ritrovo per studenti e famiglie, si tocca l’apice del turismo, ci sono sempre più occasioni per feste, concerti e altri momenti all’aperto. Si condividono gli spazi con occhi che osservano, studiano e vivono la città con curiosa partecipazione, più di quanta un normale New Yorkese presterebbe. 
Uno dei periodi dell’anno più difficili, per coloro che fanno dell’anonimato il loro motto di vita.
La cosa snervante? Che per i buoni, le forze dell’ordine in generale, il maggior afflusso di gente equivaleva ad un alto tasso di pericolo: più persone, più possibilità di panico, di perdita di controllo, qualunque cosa poteva andare storto. La curiosità era fonte di guai.
I malintenzionati, invece, non si erano mai sentiti minacciati dagli sguardi dei curiosi; anzi, più gente significava meno possibilità di essere beccati sul fatto: limitavano i momenti più loschi delle loro attività nelle ore notturne, mentre in quelle diurne intensificavano le faccende socialmente riconosciute come normali. Passare inosservati era semplice, ma non per tutti si poteva considerare valida questa regola.
I profili dei palazzi illuminati dal caldo sole pomeridiano facevano da sfondo a due figure nere, che a balzi e volteggi si stavano dirigendo verso la palazzina fatiscente, il rifugio dei tre giovani connettori. I due agivano in modo furtivo e calcolato, nessuno doveva accorgersi di loro, dovevano rimanere in incognito il più possibile o il loro piano sarebbe andato in fumo.
Appostandosi dietro al parapetto murato della strutta di fronte all’appartamento, notarono la carica d’agitazione con cui i tre inquilini si stavano preparando per uscire.
Marco era il più inquieto: guardava un film saltellando impaziente e sistemando nervosamente la visiera del cappello da baseball; le scritte bianche che ne decoravano la superficie erano l’unico elemento di tonalità chiara, nell’abbigliamento comodo, pratico e completamente nero.
Luca si era infilato nel bagno con evidente premura, la tuta indossata era simile a quella del cugino: stessa felpa con cappuccio, stessi pantaloni cascanti, solo la t-shirt era differente, con inserti gialli su spalle e busto.
Anche Nadia indossava abiti sportivi neri, ad eccezione della fascia azzurra e della borsa a tracolla in pelle. Guardava l’orologio da polso con insistenza, invitando i due ragazzi a sbrigarsi.
Le ombre non staccavano gli occhi dai tre, studiandone ogni movimento con modi al limite dell’ossessione.
Li videro scendere dalla scala antincendio e dirigersi verso la palazzina di fronte; se avessero percorso in linea d’aria quella direzione, sarebbero arrivati a Central Park in un’ora.
I tre giovani diedero una veloce occhiata alla strada principale e rapidamente nascosero i lineamenti: Luca e Marco abbassarono le visiere dei loro cappelli. Tutti e tre alzarono i cappucci e le fasce che tenevano al collo furono portate fin sul naso. Così facendo, anche a quell’ora del pomeriggio era impossibile identificarli.
“Sei proprio sicura che basti guardare dei video, per ripetere le stesse mosse di parkour?” chiese Luca con una nota di apprensione guardando il percorso da fare, quell’altezza era impressionante.
“Tranquillo, ho fatto una prova. Se saltiamo con abbastanza slancio dal bidone della spazzatura fin alle finestre murate, non avremo problemi a superare questo palazzo. E poi, ieri sono riuscita a ripetere perfettamente le mosse di Michelangelo, dobbiamo solo avere fiducia nelle repliche.” Proferì allontanandosi per prendere la rincorsa.
“Ma sei una frana nello sport! Non arriverai nemmeno alla prima finestra!” la riprese Luca con sarcasmo. Marco aveva l’aria preoccupata, scuoteva la testa con nervosismo.
“Facciamo così, vado per prima e se non ve la sentiste, passeremo dalle fogne.” Cercò di tranquillizzarli.
Chiuse gli occhi e focalizzò la memoria sui video studiati poche ore prima; aveva veramente fatto un tentativo, ma non era andato bene: nel saltare da un piano all’altro della scala antincendio, aveva rischiato di cadere diverse volte. Ma non era il momento per farsi bloccare dalle paure.
Una volta ricordato il movimento acrobatico del ragazzo, aprì gli occhi illuminati d’azzurro acquamarina e si mise a correre più velocemente che poté. Con un balzo arrivò al cassonetto; saltando da uno stretto cornicione all’altro e dandosi slancio con le braccia, arrivò in cima.
“V-visto? C-ce la potete fare!” disse ad alta voce guardando sotto di se. Il tono teso e il fiatone non erano dovuti allo sforzo, ma allo stupore. Il cugino non aveva torto, le sue capacità atletiche ero pari a quelle di un bradipo zoppo; la replica aveva risposto meglio di quanto si aspettasse!
“Raf ha ragione, tu sei matta! Da quando siamo qui, sei più suonata del solito!” esclamo il dodicenne.
“Lo prendo come un complimento. Dai, provate voi!”
Marco si allontanò dal muro con Luca, movimenti incerti accompagnavano il loro passo.
Nadia li osservò tesa, li aveva spronati, ma aveva paura. Se si fossero fatti del male, non se lo sarebbe perdonato facilmente.
Il dodicenne fece un sospiro e prese la rincorsa con parecchia foga. Con un paio di potenti falcate arrivò al primo cornicione con estrema facilità e con maggior sicurezza, giunse senza problemi accanto alla cugina, ma lei osservava allarmata sotto di loro.
Marco si era bloccato a metà del percorso, appeso ad un cornicione con evidente difficoltà. “A-aiuto! Nadia, Luca, aiuto!” esclamò.
I due si precipitarono, ma prima che potessero avvicinarsi il necessario il diciannovenne perse la presa cadendo nel vuoto!
“MARCO!” urlarono all’unisono.
Anche le due ombre nascoste iniziarono a muoversi verso il giovane, ma non ce l’avrebbero mai fatta. Lo videro serrare gli occhi a pochi metri dal suolo, troppo spaventato per tentare una qualche reazione.
Si sarebbe sicuramente sfracellato.
Un  improvviso movimento a scatti percorse il corpo del diciannovenne, tutti i muscoli erano in tensione. Gli avevano già visto compiere quei gesti, ma questa volta un’onda biancastra lo percorse completamente, impedendo l’inevitabile impatto.
I quattro osservatori si bloccarono anche nel respirare osservando la scena.
Marco era sospeso a pochi centimetri dall’asfalto, aprì gli occhi illuminati di bianco e un sorriso da bambino si disegnò sulle sue labbra: stava volando!
Fluttuava entusiasta, facendo capriole in aria sempre più ravvicinate. Adorava la sensazione di libertà e leggerezza che stava provando, il cuore batteva in fondo alla gola per l’eccitazione. Si fermò all’altezza dei famigliari completamente sgomenti e diede a entrambi un cinque esclamando “Peter Pan, Peter Pan!” Poi, continuò la sua risalita, giungendo in cima al palazzo in un secondo.
“Diamine Marco, ci hai fatto prendere un colpo!” fece il ragazzino una volta raggiunto.
La giovane abbracciò talmente forte il fratello da non farlo respirare “Devo capire come funzionano questi poteri. Non voglio sentirmi così impotente quando sei in pericolo!” esclamò con una nota di rabbia.
Marco la fronte a quella di lei tentando di rassicurarla; stava bene, non doveva preoccuparsi.
Ripresero la corsa verso Central Park, rischiavano di arrivare tardi se non si davano una mossa.
Le due ombre scure li seguirono studiandone i movimenti. Fare certi salti senza un’adeguata preparazione era pericoloso, ma i tre ci stavano riuscendo senza farsi fermare dai fallimenti. Si erano feriti in diverse occasioni.
Nadia aveva rischiato di cadere almeno una dozzina di volte a causa dell’instabile capacità di assimilazione; perdeva l’equilibrio e la forza ogni cinque minuti. I due ragazzi se la stavano cavando meglio: nonostante le titubanze iniziali, Marco era più sicuro dopo la manifestazione di volo e Luca lo incoraggiava il più possibile, correndo come una scheggia avanti e indietro per recuperarlo ogni volta che si bloccava a rimuginare.
“Mi sono preoccupato per niente, sono davvero bravo!” esclamò facendo un’acrobazia e superando Nadia.
“Tieni un profilo basso scricciolo. Dobbiamo stare attenti a non farci scoprire, inoltre siamo solo all’inizio, l’allenamento sarà sicuramente più impegnativo.” Proferì arrancando.
“La smetti di stressarmi? Sei solo gelosa, sono più bravo di te!” la punzecchiò aumentando ulteriormente la velocità. Dopo l’ennesimo salto, atterrò agilmente sopra un tetto, ma si arrestò di botto: una piccola vibrazione e una stretta allo stomaco a lui nota, insieme all’immagine di due ombre scure impresse nelle iridi come un sogno, lo colsero alla sprovvista.
“Nadia…” sussurrò all’orecchio dalla cugina una volta raggiunta “Ti ricordi la mia sensazione di essere seguito nei mesi scorsi?”
“Certo, perché?” chiese la ragazza con il fiatone.
“Ce l’ho anche adesso!”
I due inseguitori piegarono gli occhi in un’espressione sospettosa, senza una motivazione valida i tre avevano cambiato improvvisamente direzione; li seguirono in modo più serrato.
Li videro sparire dietro ad una cisterna d’acqua, si avvicinarono in modo furtivo e una volta superato l’angolo del rimessaggio, scivolarono di soppiatto vicino alle sbarre in metallo. Non potevano essersi allontanati molto.
Il rumore di tre corpi in movimento, portò il più grosso dei due a fare un passo indietro. Vedendosi attaccare da una figura sottile e da una più piccola, le afferrò per i vestiti sollevandole da terra; data la mole leggera, non era un problema bloccarne i movimenti.
L’inseguitore più piccolo, vide un’ombra sinuosa e femminile scaraventarsi su di lui. Non ebbe il tempo di reagire data la posizione meno favorevole: le mani della ragazza si serrarono alle spalle e lo slancio li fece cadere.
“Ahio! Siamo noi ragazzi!” esclamò Michelangelo, massaggiandosi la parte lesa dietro la nuca ad occhi chiusi. Quando li aprì, il suo sguardo si incrociò con quello sorpreso della ragazza. Una piccola ciocca di capelli ramati, illuminata dal caldo sole pomeridiano, gli ciondolava davanti al naso; profumava di menta e limone, un odore che gli dava nostalgia, ma non sapeva perché. Ne percepiva il fiato corto, più precisamente il seno: si muoveva agitato premendosi al piastrone con irregolarità.
Si imbarazzò, aveva pensato al petto di Nadia, alla sua morbidezza. Non andava bene! Non aveva mai pensato a nulla del genere e aveva ancor meno intenzione di cominciare! Ma non riusciva proprio a sottrarsi, il tepore che emanava quel corpo, l’intimo contatto, il vuoto che sentiva alla bocca dello stomaco, tutte sensazioni che aveva sentito descrivere, ma che per lui erano sconosciute. E poi, quegli occhi nocciola avevano qualcosa di particolare: chiari, limpidi, senza segreti, come se potesse leggere i pensieri nascosti dietro di essi.
“La smetti di agitarti ragazzino?” La voce di Raf, fortunatamente, portò l’attenzione di entrambi verso di lui.
Luca continuava a muoversi con stizza, afferrato per la collottola della felpa e sollevato a mezzo metro da terra. “Raf, non te lo dirò due volte! Mettimi giù!” esclamò infastidito.
Marco guardava il rosso con rabbia, anche lui immobilizzato e impotente. “G-giù, giù!”
“Ma sentili, non siete riusciti a fare nulla e date ordini.” asserì liberandoli dalla presa. “Se fossimo stati il Nemico, non ve la sareste cavata così facilmente.”
“Ci avete spaventato! Perché diamine ci stavate seguendo?” domandò Nadia abbassando la fascia che le copriva il naso e rimettendosi in piedi; aveva le guance rosse, non si capiva se per lo sforzo fisico o l’imbarazzo, ma il tono era davvero contrariato.
“Pensavate di girare per New York senza scorta?” chiese Raf.
“Con i nostri fratelli e il Sensei, abbiamo pensato di darvi libertà d’azione. Volevamo vedere come ve la sareste cavata, per questo non vi abbiamo detto niente. Ci saremmo rivelati quando sareste entrati a Central Park.” Chiarì Mick rimettendosi in piedi con un colpo di reni e facendo un paio di passi lontano da Nadia. “Non volevamo spaventarvi, scusate.” Proferì con sorriso tirato per mascherare il disagio: certe sensazioni era meglio non provarle, si ripeteva nella sua testa. Soprattutto per lui, con la sua storia e i trascorsi dei fratelli a fargli da monito.
“Invece dovevate dircelo! Avremmo potuto perdere il controllo nel tentativo di difenderci …” continuò a ragazza risollevando la stoffa sul naso e spostandosi il ciuffo ribelle dietro la fascia.
“Come diavolo avete fatto a scoprirci? Da dei pivelli non ce lo aspettavamo.” Continuò il rosso.
“Ho capito che qualcuno ci stava seguendo, delle vibrazioni nel terreno mi mettono in allerta. Sai com’è…poteri da connettore!” Chiarì Luca.
“Confermo: Luca è davvero sveglio!” esclamò l’arancio. Raf guardò il ragazzino con sospettosa sorpresa, una capacità simile era incredibilmente utile e pericolosa allo stesso tempo.
Marco non staccava gli occhi dal corpulento ninja, ma non con lo sguardo che offriva al genio della famiglia Hamato, sembrava arrabbiato. Raffaello lo guardò in modo altrettanto truce, se aveva dei problemi con i suoi modi di fare, erano affari suoi.
Urgeva una strategia per distendere il diciannovenne e Raf, sembravano sul punto di discutere. “Marco, lo sai che mi hai stupito quando ti sei messo a volare? Sembravi un supereroe!” esclamò Mick avvicinandosi con un sorriso. Desiderava relazionarsi, con Don quel ragazzo si era aperto e sentiva una certa curiosità. Marco contraccambiò il sorriso aggiungendo “No supereroe, Peter Pan!”
“Peter Pan? Ah, il personaggio di quella favola!” esclamò l’arancio.
“Sisi!” confermò gioioso, avvicinandosi e dandogli il cinque per creare un contatto. La mano magra era la metà rispetto alla sua, le tre dita ricoprivano abbondantemente le cinque del giovane; così delicate e fragili, sembrava non le avesse mai usate.
Mick si sentì ancor più impacciato, il suo aspetto non era un problema, almeno quanto per lui non era una complicazione che Marco fosse autistico. Aveva ancora la convinzione che l’essere un mutante potesse rappresentare un ostacolo, ma si stava ricredendo: il giovane appariva più interessato a conoscerlo di quanto immaginasse e anche se Marco non sarebbe mai stato in grado di dirlo, pensava la stessa cosa di Mick.
……
Arrivarono a Central Park in poco tempo; con la presenza dei due ninja, i tre connettori riuscirono a imitare i movimenti rendendo più rapida l’assimilazione. Il tempo limite per l’apprendimento sembrava ridursi: più osservavano dal vivo, più ricordavano con intensità.
Si infilarono nell’apertura laterale del più antico depuratore d’acqua di New York, appena in tempo per non essere visti da una decina di giovani vestiti di nero. Quel gruppetto girovagava nella zona da un po’ e anche se i Ninja erano a conoscenza della loro, quasi costante, presenza nel parco, non ne sapevano il motivo.
Nel momento in cui i tre connettori erano entrati nel raggio di un kilometro dalla loro posizione, i dieci avevano cominciato a muoversi con agitazione, girovagando all’unisono per il parco. Sicuramente non era un caso, ma fortunatamente non si accorsero della direzione presa, come non si resero conto di loro i due ninja e i tre Amato.
“E bravi i nostri pivelli! Se vi comporterete allo stesso modo durante gli allenamenti, non avrete problemi, sempre che non perdiate il controllo!” proferì il rosso piacevolmente sorpreso; stavano scendendo dalle scale laterali che portavano alle fogne.
Pivelli, bionda, ragazzino, spilungone…ci chiamerai mai per nome?” chiese il dodicenne con un angolo della bocca sollevato. La voce squillante rimbombava nel cunicolo fognario buio.
“Dovresti saperlo Luca, Raf adora tenere le distanze.” proferì Mick appoggiando la mano su uno scanner mimetizzato da mattone incrostato di muffa. Il cerchio di luce si delineò intorno al portellone circolare nascosto, che si aprì di scatto sull’ambiente illuminato.
“Benvenuti in casa Hamato!” esclamò Michelangelo, non appena attraversarono la soglia.
Le tartarughe avevano avuto molte abitazioni negli anni, l’ultima era la più futuristica:  le tubature dell’impianto fognario e l’arredamento, davano all’ambiente un aspetto avveniristico, perfettamente calcolato in ogni dettaglio. La struttura circolare era parzialmente ricoperta dal lago artificiale, al cui centro spiccava la piattaforma con tutte le attrezzature tecnologiche di Donni; Nadia notò le pareti in cartongesso che la richiudevano, era una cosa inaspettata, impediva la visuale aperta a cui era abituata dalle puntate.
 Sopra la piattaforma c’erano le stanze dei quattro ninja posizionate in circolo e su ogni uscio era appeso qualcosa che caratterizzava il proprietario: dei Kanji giapponesi su quella di Leo, una maschera rossa squarciata su quella di Raf, una targa con stampato Do not disturb, genius at work su quella di Donni, delle fotografie e un murale del suo nome sull’anta di Mick.
Lungo il perimetro del piano terra, si intravedevano gli spazi riservati ad ognuno: la postazione tv assortita di ogni dvd e videogioco possibile dell’arancio, un angolo tranquillo con tutte le Katana esposte e gli attrezzi per affilarle del blu, la zona con il sacco e i pesi del rosso.
Sulla sinistra, i tre notarono una porta scorrevole in stile giapponese, la stanza del Maestro Splinter. Accanto ad essa, la cucina aperta e i pochi gradini che portavano al bagno. Sulla destra invece, notarono una bella porta in legno massiccio, faceva capolino in mezzo alle pareti in cemento ed era l’unica parte del rifugio che non conoscevano, probabilmente era stata costruita in seguito. *(1)
“Non mi sembra vero, sono davvero qui!” gridò Luca infilandosi nell’ambiente. Si era messo a girovagare per tutto il perimetro della vasca, facendo correre  lo sguardo su ogni oggetto che entrava nel suo campo visivo.
“Luca, non sei in casa tua! Si sono sentiti spiati abbastanza, smettila di curiosare!” lo riprese la ragazza, ma il dodicenne la ignorò facendo spallucce.
“Lascialo fare, ormai sapete tutto di noi.” Proferì Mick.
“Certo che hai dei toni da mammina apprensiva, come fanno Luca e Marco a sopportarti? Sei peggio di Leo!” proferì sarcasticamente Raf.  
“Essere paragonata a Leonardo non mi disturba affatto Raffaello. Se volevi infastidirmi, non ti è riuscito.” Disse lei.
“Saccente e superiore, una sua versione al femminile! Devo aver fatto qualcosa di grave nella mia vita precedente, se mi ritrovo ad avere a che fare anche con te!”
“Naaaaa, basta quello che fai in questa vita fratello, te lo posso assicurare!” lo punzecchiò Mick.
Luca si fiondò davanti al televisore dell’arancio e cominciò a sbirciare tra i videogiochi. Una presenza dagli occhi gialli e dal pelo aranciato, soffiò inarcando la schiena. “Klunk!” esclamò Luca vedendolo sul divano, probabilmente lo aveva svegliato da un pisolino.
Il ragazzino allungò una mano per fargli una carezza, ma il gatto si allontanò con stizza, per poi strusciarsi sulle gambe del padrone. “Che maleducato! Bisogna presentarsi alle persone nuove.” lo ammonì Mick prendendolo in braccio.
Marco guardava la palla di pelo ronzante di fusa con curiosità “Vuoi accarezzarlo?” gli chiese. “Nono!” si rifiutò il diciannovenne facendo un paio di passi indietro.
“Mio fratello non ama molto gli animali, ne ha paura.” Spiegò Nadia avvicinando una mano a Klunk per farsi annusare; il micio dopo quel gesto, strusciò la testolina sul dorso della ragazza con aria soddisfatta. “Lo sai Klunk? Adesso che ti vedo cresciuto, sei più bello di prima!” esclamò lei.
Afferrò con dolce fermezza la mano del fratello e anche se con difficoltà, riuscì ad avvicinarla un po’ al gatto; questi annusò e fece un miagolio. Marco si sottrasse subito dopo, adesso il gatto conosceva il suo odore e il giovane si era reso conto che non era aggressivo, ma era ancora troppo presto per fidarsi.
Mick osservò la scena con un sorriso; come aveva già visto, Nadia cercava sempre di portare il fratello a fare cose nuove, di aiutarlo a conoscere e a sperimentare, ed era un modo di fare che gli piaceva molto.
“Ben arrivati ragazzi!” li salutò Don uscendo dal laboratorio insieme a Leo. Marco incrociò lo sguardo del genio e fece un sorriso.
“Vedo che Mick e Raf si sono fatti scoprire…” proferì il leader con una nota d’ironia.
“Non è colpa loro, sono un figo assurdo adesso che ho questi poteri!” esclamò Luca rincorrendo Klunk sceso dalle braccia di Mick. “Come vedi, non è solo sveglio. Aggiungi modesto, alla lista degli aggettivi per mio cugino.” Proferì Nadia all’orecchio dell’arancio.
“Buon pomeriggio connettori. Prego, entrate nel Dojo, inizieremo subito con l’allenamento.” Asserì il Maestro Splinter.
Era sull’uscio della porta in legno che avevano notato appena entrati. I tre si avvicinarono e diedero uno sguardo all’ampia sala circolare in legno. L’ambiente era illuminato da alcune candele e dai lucernai posizionati sopra le loro teste, tutto sembrava studiato per mantenere alta la concentrazione senza affaticare i sensi. Anche l’ odore d’incenso e cera era ovattato in quel luogo, dando un senso di pace.
Nadia si tolse le scarpe per rispetto e imitata dalla sua famiglia, si introdussero nella stanza. Il Maestro guardò i suoi figli e socchiuse l’anta alle loro spalle.
“Mi spiegate perché il Sensei ha preferito occuparsi da solo del primo allenamento? Non ci ritiene all’altezza?” chiese Raffaello.
“Vuole capire le carenze dei ragazzi senza metterli sotto pressione. Non prenderla sul personale.” Rispose Leo.
“In fondo, siamo o non siamo i loro eroi? Sfido che si sentano a disagio!” proferì divertito Mick.
“Fratelli, vogliamo tornare alle cose importanti?” chiese Don alzando il rilevatore Utrom e indicando il laboratorio.
“Hai finito?” chiese Leo.
“Certo, che domande!”
Si introdussero nel laboratorio, le attrezzature e il computer erano in funzione da diverse ore; tutto era posizionato in circolo, adeso al pilastro di sostegno che occupava la zona centrale della stanza.
I quattro si sfilarono la parte superiore della tuta nera, mettendo in risalto i piastroni che delineavano la muscolatura ormai adulta. Il genio si concentrò ancora una volta sui chip che lo avevano tenuto impegnato per mesi.
“Come sapete, questi piccoli circuiti terranno sotto controllo il nostro organismo.” Proferì inserendo il primo nella siringa. “Li ho dotati di un sistema di rilevamento: se dovessimo perderci di vista o essere catturati, il rilevatore Utrom intercetterà facilmente il segnale, oltre alla capacità di controllare la presenza di elementi estranei.”
“Quindi, se il Nemico dovesse infettarci lo sapresti subito?” chiese Leonardo porgendogli il braccio destro.
“Esatto. Sono progettati per segnalare problemi fisici o psicologici, al primo cambio nei nostri parametri vitali si illumineranno avvertendoci del problema. Oggi ho contattato Mortu, mi ha dato altre informazioni e ho modificato ulteriormente i chip: il Nemico può rimanere dormiente nel corpo ospitante per mesi, ma emana delle onde molto simili a quelle dei ragazzi, con questi microcircuiti saremo sicuri di scoprirlo: se dovessimo imbatterci in lui o in qualcuno sotto il suo controllo, manderanno un impulso al rilevatore Utrom.” Concluse il genio sfilando l’ago dalla pelle verde del leader e sostituendo la siringa.
“Sei riuscito a capire come funzionano le frequenze?” chiese Raf porgendo anche lui il braccio.
“Le loro caratteristiche non sono rilevabili dalle mie attrezzature, ma credo di aver  intuito una cosa importante: se il connettore individua il motivo della perdita di controllo, riesce a gestire parte dei poteri e le frequenze corrispondenti.”
“Perché solo una parte?” chiese Mick con il viso contratto nel vedere Don dirigersi verso di lui, non amava molto le siringhe.
“Credo che dipenda da quanto un connettore si conosca: la perdita di controllo mette in evidenza le stereotipie di cui parlava Nadia. Solo individuando quei blocchi o capendo che ci sono, il soggetto riesce a controllarsi.” Il viola si stava sottoponendo alla stessa procedura. Adesso, tutti e quattro avevano una piccola macchia sul braccio destro, nello stesso punto in cui i connettori avevano i loro chip; Mortu aveva rivelato a Donni, che quella era la zona migliore per permettere al piccolo marchingegno di funzionare in modo ottimale.
“Vediamo come procede il primo allenamento e poi decideremo cosa fare, sia con la scoperta dei loro poteri, sia con le sincronizzazioni. Il Maestro avrà una sua opinione dopo stasera.” Asserì il Leader sistemandosi nuovamente la giacca kimono. Si stava domandando come si sarebbero potuti comportare. Tutti gli aspetti della situazione erano collegati e non c’erano basi sicure. Nonostante la meditazione insegni a concentrarsi sul presente, vedere quello che c’è e non quello che non si ha, per il leader era difficile farlo. Voleva chiarirsi le idee il prima possibile, ma la situazione richiedeva attesa, tempo; ancora una volta doveva avere pazienza, ma cominciava ad averne sempre di meno, nonostante fosse stato per anni quello con maggiore controllo.
“Una cosa però è certa…” riprese a parlare il genio sistemandosi le lenti. Appoggiato alla sedia con rotelle, si diede una spinta scivolando vicino all’enorme schermo del computer. Inserì il rilevatore Utrom in una porta di collegamento e sullo schermo apparvero le riprese della sera prima, studiate nei minimi dettagli: schemi delle funzioni vitali, algoritmi e calcoli, contornavano la figura di Luca.
“Vedete le implicazioni che le frequenze comportano nell’organismo di chi le emana?”
“No.” Risposero in coro i tre. “Solo tu riesci a capirci qualcosa in quel… marasma!” proferì Raf.
Don alzò gli occhi al cielo esasperato “Secondo il rilevatore, le frequenze sono come onde elettromagnetiche potenziate cento volte del normale. Vagando libere nell’organismo, hanno portato la temperatura corporea di Luca ad aumentare in modo vertiginoso e con la seconda dimostrazione di poteri ha subito una specie di sovraccarico, causandogli il mal di testa e quella piccola emorragia. Se la sincronizzazione funziona allo stesso modo, potremmo rischiare parecchio: potrebbero causarci dei danni o stimolare lo sviluppo di cellule cancerogene. Ma sono solo ipotesi, loro sono sprovvisti dei corpi originali e noi siamo dei mutanti; ci sono troppe variabili, ho bisogno di studiare il processo da vicino.”
“Fantastico, oltre alla scocciatura di dover permettere a tre sconosciuti di ficcare il naso nelle nostre teste, dovremo anche rischiare un cancro o chissà quale fregatura!” esclamò stizzito Raffaello.
“Che ne dite se propongo ai ragazzi una dimostrazione con me?” chiese Mick. “Prima o poi, dovremo fare un tentativo e sono curioso di provare.”
“Mi sorprendi fratello. Di solito sei un fifone, come mai tanto spavaldo?” fece Raf sogghignando.
“Semplice, non sono preoccupato…” rispose facendo spallucce.
“Nessuno ti costringe, se cambi idea lo farò io.” Asserì Leonardo.
“Non mi sento costretto, a me non fa alcuna differenza. Se non ci siamo beccati un cancro finora, non sarà questo a farlo e poi…ho la testa vuota, al massimo non succederà niente.” proferì ironicamente, chiudendo la cerniera della tuta.
……
Luca, Marco e Nadia, stavano cercando di ripetere per l’ennesima volta la sequenza dei kata mostrata dal Maestro. Erano gesti finalizzati alla difesa: parate con le braccia, schivate e calci raso terra per far perdere l’equilibrio all’avversario.
L’allenamento era iniziato con il fine di potenziare la struttura muscolare: flessioni, addominali e qualche esercizio di stretching; era evidente quanto Nadia e Marco fossero poco abituati a certi sforzi: avevano i visi rossi, affaticati e grondanti di sudore.
Successivamente si erano dedicati alla meditazione. In quel caso, era stato Luca ad avere degli evidenti problemi: non riusciva a mantenere la concentrazione, distraendosi e sbuffando dopo pochi minuti. Nadia se l’era cavata meglio e Marco secondo il Maestro, era quello che aveva mantenuto più a lungo il legame con se stesso.
Osservandolo, Nadia e Luca vedevano il solito Marco saltellante, ma Splinter aveva intuito qualcosa di diverso: i suoi gesti ripetitivi servivano ad analizzare la realtà in modo più profondo, tanto da distaccarsi da tutto. Quei blocchi erano dovuti alla poca relazione con l’esterno, ma erano dei vantaggi ai fini della meditazione, non carenze.
Li aveva guidati con molta pazienza, nonostante le varie difficoltà di Nadia, la diffidenza di Marco, l’eccessiva intraprendenza di Luca; le differenze di apprendimento, i punti forti e le carenze erano palpabili, ma la cosa che più aveva colpito Splinter era la caparbietà. Erano probabilmente alla cinquantesima ripetizione, cominciavano ad essere stanchi, ma stavano memorizzando con sempre più velocità senza rallentare.
“Va bene connettori, passiamo all’ultima fase dell’allenamento.” Asserì colpendo il pavimento con il bastone. I tre ripresero fiato nel momento di pausa, mentre il saggio topo sistemava alcuni tubi di bamboo nella sala.
“Questa parte dell’allenamento è importante. Quali sono le doti fondamentali per essere un buon ninja?” chiese una volta terminato il percorso.
“Ce ne sono tante: la furtività, muoversi nell’ombra senza essere visti; la conoscenza del proprio corpo, delle armi e del terreno di scontro; la pianificazione, senza un buon piano e un’adeguata preparazione non si hanno possibilità; la combattività, senza capacità d’attacco si finisce esclusivamente col subire; l’agilità e l’imprevedibilità, per uscire dalle situazioni più scomode.” Disse Nadia.
“Molto bene, ma ne manca ancora una, forse la più importante.”
“L’equilibrio!” esclamò Luca. “Se un guerriero non ha equilibro, le altre doti diventano punti deboli.”
“Esatto. Ognuno di noi necessita di equilibrio, interiore e fisico. Per mettervi alla prova, farete questo percorso. Nadia, tu sarai la prima, memorizza i miei movimenti…”
Il Maestro saettò sul primo dei tubi, alto all’incirca un metro e mezzo. Con un paio di evoluzioni, saltò sul secondo con una mano mettendosi in verticale. Con un movimento fluido del gomito per darsi slancio, arrivò sul terzo alto più di due metri. Nonostante l’età, la padronanza e l’agilità dimostrata aveva dell’incredibile, vedere dal vivo certe evoluzioni non era paragonabile alle immagini televisive. Con un ulteriore evoluzione arrivò a terra, rivolgendo uno sguardo compiaciuto ai tre. Per tutto il percorso avevano osservato con gli occhi illuminati, memorizzando tutto.
Al Maestro non sfuggì l’espressione tesa di Nadia. “Auguri!” disse Luca con ironia alle spalle di lei. “Sempre simpatico!” ribatté. Prese la ricorsa e saltò sul primo dei tubi vacillando vistosamente. Tentò di saltare sul secondo, ma rovinò a terra di faccia “Ahio!”
“Pffffhahahahaha!” dall’esterno del portone, arrivò una risata “Ssst!!!” sussurrarono altre tre voci.
Il Maestro si diresse verso l’uscio con furtività e l’aprì di botto. “Ohoooo!” “Ahio!” “Ahi!” “Attenzione!” Mick, Raf, Don e Leo, accucciati dietro all’uscio socchiuso, caddero a terra uno sopra l’altro.
“Ragazzi miei, vi avevo chiesto un po’ di riservatezza!” li rimproverò Splinter “La vostra curiosità rischia di compromettere l’allenamento!”
I quattro si scambiarono uno sguardo, la curiosità aveva preso il sopravvento. Don e Leo erano quelli più in imbarazzo, ma Mick e Raf stavano guardando la ragazza ancora a terra divertiti.
“Vi è piaciuto lo spettacolo? Nadia ha del potenziale come clown!” esclamò Luca. Marco stava aiutando la sorella a rialzarsi. “Ehi!” esclamò imbarazzata. “Ci devo ancora prendere la mano!”
“Seee, con le tue capacità forse tra dieci anni, guarda come si fa!” il ragazzino riposizionò i tubi, si allontanò e prese la rincorsa. Saltò verso il primo e atterrò senza problemi; non fece le stesse evoluzioni del Maestro, ma riuscì a portare a termine il percorso. Saltò giù con rapidità e guardò il gruppo con il suo sorrisetto strafottente. “Hai capito come si fa, imbranata?”
“Sei un ragazzo spavaldo Luca, per tutto l’allenamento mi hai dato questa impressione, ma con l’arrivo dei miei figli la cosa si è resa ancora più evidente. Ricorda: essere dei ninja significa anche saper valutare attentamente la situazione, senza lanciarsi influenzare da chi ci circonda.” proferì il Maestro massaggiandosi la barba.
“Emuli Raf anche nel buttarsi in ogni cosa senza pensare! I difetti di mio fratello puoi anche ignorarli.” proferì divertito Leo.
“E chi ha detto che si tratta di difetti? A star fermo posso solo subire, agendo sono padrone di me stesso.” Rispose Luca allontanandosi.
“Non gli farai cambiare idea…” proferì Nadia a Leo “Se assomiglia a Raf anche nella cocciutaggine, non ci provo nemmeno.” Rispose.
“Marco, che ne dici di provare?” chiese il Maestro, invitando il ragazzo ad avvicinarsi. L’espressione del giovane era tesa, ma si lasciò condurre vicino al percorso e osservò per qualche minuto il lungo bastone con aria concentrata e dubbiosa. Sembrava bloccato, indeciso se provare o rifiutarsi, le due opzioni sembravano martellargli il cervello: apriva e serrava gli occhi chiudendosi il petto in una morsa.
“Maestro…” proferì a mezza voce Don avvicinandosi al padre “Non crede che sia troppo presto? Se dovesse fallire, potrebbe chiudersi…”
“Apprezzo la tua premura figliolo, ma se gli facessimo fare cose diverse rispetto ai suoi familiari, lo faremmo sentire un’incapace. Voglio che si renda conto che può fare le stesse cose, a modo suo e non come ci aspettiamo, ma ci può riuscire.”
Come se il diciannovenne lo avesse sentito, gli occhi blu divennero di un bianco luminoso. Nadia si irrigidì e fece un passo nella sua direzione, temeva che il fratello si facesse del male, come Luca la sera prima.
Leo la bloccò appoggiandole una mano sulla spalla “Non ti preoccupare, sa quello che sta facendo e non gli importa delle conseguenze. Vuole mettersi alla prova.” Lo sguardo di Marco era convinto e deciso; per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, il leader vide un ragazzo padrone di se.
Il diciannovenne si sollevò in aria e appoggiò le palme dei piedi sulla cima del primo tubo. La figura esile era perfettamente in equilibrio, il bamboo non oscillava minimamente. Osservando di fronte a se, piegò le ginocchia e si diede lo slancio iniziale, fece un paio di capriole e atterrò in una perfetta verticale sul secondo trampolo. Spostò una mano e rimase perfettamente in equilibrio su quella che ne sosteneva il peso. Mantenendo la concentrazione, piegò il gomito e si diede lo slancio per atterrare sul terzo. Si accucciò su di esso per prendere fiato e osservò i presenti con un sorriso, sembrava dicesse -Avete visto? Ci sono riuscito!-  con un balzo, ritornò a terra.
“Wow!” esclamarono Mick e Luca in coro. Tutti i presenti era sgomenti, solo il Maestro e Leonardo erano sereni, come se non avessero mai avuto dubbi sulla riuscita.
Luca si voltò verso la cugina entusiasta, pensando lo fosse anche lei, ma la trovò con un’espressione completamente differente: aveva una mano sulla bocca, il viso sorpreso e gli occhi rossi. Si stava trattenendo dal piangere, per anni aveva visto il fratello rifiutarsi di fare qualsiasi cosa, era una gioia troppo forte vedergli compiere quel gesto; ma non voleva nemmeno farsi vedere in difficoltà, quindi rimaneva immobile, trattenendosi perfino dal respirare.
Cercando di non essere visto, il dodicenne le strinse una mano per supportarla.
“Come siamo teneri, ragazzino.” Proferì sarcasticamente Raf, mentre Nadia e il resto della famiglia Hamato si dirigeva verso Marco. Il diciannovenne non aveva riportato conseguenze dalla seconda manifestazione di poteri e Don voleva capire il perché.
“Non prendermi per il culo Raf! Sono un tipo permaloso e non ti conviene farmi incazzare!” rispose infastidito Luca.
“Rilassati, non ci tengo a vedere casa nostra distrutta.” disse alzando le mani in segno di resa e sfoderando il suo solito ghigno.
Si erano ritrovati entrambi a parlare sottovoce, come se quella conversazione dovesse essere impercettibile agli altri.  
“Mi hai sorpreso. Vi conosco poco, ma non mi sembra da te essere così premuroso. E tua cugina mi sembra indipendente, non credo abbia bisogno di…certi atteggiamenti.” Era in difficoltà, non sapeva come definire il gesto di Luca.  
“È proprio questo il punto. Nadia non dice mai se ha un problema, si tiene tutto dentro pur di non dare fastidio. Non posso fare molto, ma quando capisco che ha bisogno di qualcosa, il mio poco è meglio di niente.”
“Hai davvero dodici anni?” chiese il rosso.
“Ma che domanda è? Certo!”
“Da come parli non sembra, sei maturo per la tua età.”
“A stare con Marco cresci alla svelta. Anzi, cambi alla svelta!” esclamò il più piccolo. Il rosso alzò un angolo della bocca, quel ragazzino aveva dei modi sorprendenti: maturi e ingenui allo stesso tempo.
“L’allenamento di oggi è concluso.” Asserì Splinter portando il silenzio tra i presenti. “Per non sforzarvi troppo, propongo di fare gli allenamenti a giorni alterni, affidandovi ai miei figli per colmare le vostre carenze: Leonardo vi insegnerà la disciplina e la meditazione, Donatello la tattica e la pianificazione, Raffaello la combattività e la forza, mentre Michelangelo la rapidità e l’imprevedibilità. Ognuno di voi ha delle carenze specifiche: Nadia, fai fatica ad attaccare, sei prevedibile e perdi la concentrazione quando più ne hai bisogno; Luca, come ti ho detto sei troppo avventato, non sai cosa sia la pianificazione e nella meditazione sei più distratto di tua cugina; Marco, la tua forza fisica non è sufficiente e manchi di disciplina a livello autonomo, se non ti viene detto cosa fare ti blocchi. Ognuno dei miei figli può esservi d’aiuto.”
Le tartarughe e i tre lo ascoltarono attenti, nessuno aveva da ridire e l’idea di allenarsi su aspetti differenti era sensata. “Tra un allenamento e l’altro, credo dovreste concentrarvi sulla scoperta dei vostri poteri e sulle sincronizzazioni.” Concluse il Maestro.
“A proposito di questo…” s’inserì Mick. Spiegò quello che lui e i fratelli si erano detti nel laboratorio, dei chip, delle informazioni mancanti e della sua intenzione di sottoporsi per primo alla sincronizzazione, permettendo a Don di osservarne gli effetti.
“Mi sembra perfetto!” esclamò Luca. “Un momento…” ne bloccò l’entusiasmo Nadia “Non sappiamo che tipo di conseguenze a livello emotivo si possano presentare. Noi tre non abbiamo avuto problemi perché già uniti dalla relazione familiare, ma con voi potrebbe essere diverso. Si creano dei legami sottili e indelebili durante la sincronizzazione, me lo ha spiegato Mortu stamattina. Dovremmo capire meglio come funziona, prima di coinvolgervi…”
“Non abbiamo alternative. Capire razionalmente quello che stiamo facendo è fondamentale.” Asserì Don.
Nadia lo guardò seria “Non è sempre necessario Donatello, la razionalità, capire e avere le idee più chiare su quel che è stato fatto viene alla fine. Prepararsi è utile, ma come sai non si può prevedere tutto.” Si voltò verso il più giovane dei fratelli “Sei proprio sicuro di volerlo fare Michelangelo?”
“Hai per caso paura?” chiese l’interpellato con un sorrisetto divertito. “Sai, parlare di legami sottili e indelebili, può essere preoccupante! Non oso immaginare in che guaio potremmo finire!” Proferì con ironia; la stava punzecchiando di proposito, non ci vedeva niente di pericoloso nel creare un qualche tipo di rapporto tra di loro, anzi, dovevano facilitarli per la riuscita della missione. Nelle parole di Nadia vedeva solo delle assurde preoccupazioni senza fondamento.
La giovane lo squadrò infastidita “Io non ho paura, sono solo prudente…”
“Considerando i sogni che hai fatto di recente, non sarebbe strano avere paura di entrare in contatto con loro…” cominciò ad insistere anche Luca. I quattro fecero un’espressione dubbiosa, a cosa si riferiva?
“Non ti ci mettere anche tu per piacere. E poi i sogni non c’entrano nulla.” negò ulteriormente lei.
“Non so a cosa vi riferite, ma è evidente che hai paura Nadia. Non ti facevo tanto fifona!” esclamò Mick, Nadia lo guardò decisamente alterata.
“Come vuoi Michelangelo, dato che sono l’unica a non aver ancora manifestato nessun potere e voglio rendermi utile, farai la sincronizzazione con me! Non siamo certi delle conseguenze e non ho intenzione di mettere nei guai Luca o Marco.” asserì afferrandogli uno dei polsi.
Mick si stava già pentendo delle sue parole: un brivido gli percorse la schiena e iniziò a deglutire con nervosismo, mentre veniva trascinato dalla ragazza lontano dal gruppo.
Don afferrò il rilevatore e si preparò, osservato attentamente da tutti i presenti; soprattutto da Marco, appoggiato alla sua spalla con il mento per vedere meglio.
I due si portarono al centro del Dojo, uno di fronte all’altra. Lei allungò la mano destra e fece scorrere le dita sulla superficie della tuta che ricopriva il piastrone. Mick si irrigidì vistosamente, quel tocco era tiepido, delicato, piacevole, anche troppo.  
Una volta trovato il battito, la giovane posizionò il palmo sul cuore e lo guardò negli occhi. “Tra Luca, Marco e me non è necessario del contatto fisico, ma per facilitare il fluire delle frequenze tra noi due sarà necessario: nella zona dello sterno c’è il quarto chakra, quello legato all’empatia.*(2) Marco l’ha indicato ieri sera, quando ha sentito quello che stava provando Donatello; deduco che dobbiamo permettere alle onde che ci caratterizzano di sincronizzarsi con questo punto. Fai come me.” Spiegò Nadia.
“C-cosa dovrei fare?” chiese dubbioso, si era perso a metà del discorso.
“Devi appoggiare la mano sul mio cuore.” chiarì brevemente indicando il punto in mezzo ai seni, leggermente verso sinistra.
Mick sgranò gli occhi “Lì? Devo appoggiare la mano…lì?” Con tutti i contatti fisici possibili, quello era ciò che Mick si augurava meno.
Hai per caso paura?” chiese ironicamente, ripetendo la frase che lui aveva usato per prenderla in giro. Senza dargli il tempo di ribattere, Nadia afferrò la mano e con delicatezza se la portò sullo sterno. L’arancio tentò di scacciare la sensazione piacevole, ma era difficile farlo se non poteva allontanarsi. E poi c’erano gli altri ad osservare, non voleva far intendere che era in difficoltà.
“Se vogliamo che funzioni in entrambi i sensi, devi concentrarti su qualcosa che vuoi conoscere di me, vedrai che le frequenze faranno il resto. Sei abituato alla meditazione e non è molto diverso: è come entrare in trance, devi affidarti al tuo istinto. Guardami negli occhi e tenta di trovare la risposta alla tua domanda dietro alle mie iridi.” Mick non proferì parola, si limitò a fare un segno affermativo con la testa.
Seguendo le istruzioni, si perse nelle tonalità cangianti degli occhi, il marrone era il colore predominante, distingueva delle striature verdi lungo i bordi esterni e piccole linee blu e grigie vicino alla pupilla. Fissandone il nero profondo, si sentì percorrere da una vibrazione, fresca e scrosciante come una cascata che scivola in tutte le pieghe del corpo.
Gli occhi di Nadia presero il colore dell’acqua marina e anche quelli di Mick si illuminarono, prendendo i toni aranciati del tramonto. Gli spettatori si irrigidirono vedendo emanare dal mutante quel particolare colore dagli occhi.
Le due figure si sollevarono di qualche centimetro dal suolo, avvolti completamente da una luce bianca, innaturale, tiepida e accogliente, come quella provata sulla navicella Utrom.
La luminosità si intensificò, segno che la sincronizzazione era iniziata.

 
Zona dell’autore:

Buon 2017 a tutti!
Per cominciare l'anno come si deve, sono tornata con un nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto.
Forse sono troppo lenta nelle descrizioni e nel portare avanti la trama, ma mi piace soffermarmi a spiegare il più possibile. Se divento noiosa e rallento il ritmo, fatemelo sapere. Non riesco a capire se faccio bene o male.

*(1) per la rappresentazione del rifugio, mi sono ispirata alla tana della serie Back to the siwer, essendo l’ultima. Ho immaginato l’ambiente nel modo che ho descritto, perché durante le puntate animate si lascia molto spazio all’immaginazione.
L’esigenza di chiudere il laboratorio di Don è solo un ulteriore elemento che fa capire la chiusura a cui il genio si è sottoposto nei mesi precedenti.
Ho immaginato che le porte che si intravedono sopra alla piattaforma di Don, fossero le camere dei quattro. Dato che con il tempo ognuno cerca di rendere personale il proprio spazio, ho dato questa interpretazione dei quattro usci. Più avanti ci saranno dei chiarimenti su ogni oggetto o scritta.
La scelta di avere uno spazio in cui allenarsi mi sembrava indicata e dato che nella serie animata non si è mai fatto cenno ad essa, l’ho inserita io.
Spero di non essere stata scontata nel descrivere o immaginare il rifugio e che vi siano piaciute le mie idee.

*(2) il riferimento ai chakra è nato da un’esigenza, dovevo dare un luogo fisico in cui risiedono parti della nostra personalità e riferirmi alla meditazione mi sembrava d’obbligo. Il quarto chakra si chiama Anahata, Centro del Cuore. È quello collegato all’amore e all’empatia, l’integratore degli opposti nella psiche, equilibra le sensazioni esterne ed interne. È un argomento molto ampio e combattuto quello dei chakra, non sono certa di spiegarlo come si deve o di sfruttarlo nel modo giusto, ma spero di dare un’idea della vastità dell’argomento.

Ringrazio ancora chi mi sta leggendo, se ci sono dei punti non chiari fatemelo sapere.
Alla prossima!

Mellybonf.

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Capitolo 9
*** Cap. 8-Legami sottili. ***


Cap. 8-Legami sottili.

Mick si ritrovò in uno spazio azzurro tenue, enorme e senza confini. Gli ricordava il piano astrale visto durante le meditazioni più profonde, ma aveva qualcosa di diverso, era più percettibile, afferrabile.
“Dove diamine sono finito?” Si chiese passandosi una mano dietro la nuca.

-Sei entrato nella mia coscienza, Michelangelo.- la voce di Nadia gli rimbombò in testa.

–O meglio, sei nella rappresentazione mentale che possiamo dare ad essa. In questo momento ci troviamo al primo livello, quello razionale.- Si girò cercando di intravederla, ma intorno a se c’era il vuoto più assoluto. “Dove sei? Non mi sembra il momento di giocare a nascondino.”

-Non sto giocando, siamo contemporaneamente uno nella coscienza dell’altra, ci possiamo sentire, ma non vedere.-

“Strano…”

– Che cosa, precisamente, ti sembra strano? Il fatto di sentirmi nella tua testa o il fatto che sei dentro la mia testa?-

“Che domanda…tutto in questa situazione è strano.”

–Non dirlo a me! Faccio ancora fatica a credere di essere nel vostro universo, figuriamoci essere nel tuo cervello…-

“È vuoto quanto il tuo?” chiese ironicamente, riferendosi all’ambiente che lo circondava.

Visto che parliamo di te, è fin troppo pieno.- rispose divertita.

“Finalmente hai fatto una battuta!”

-Cosa vuoi dire?-

“Semplice, fai dei discorsi troppo seri e complicati. Perlomeno sei imbranata e goffa, altrimenti saresti impossibile da sopportare!”

–Oh, andiamo! C’è già Luca che mi da dell’imbranata, non mettertici anche tu…e poi, è solo perché non mi conosci che mi trovi insopportabile, guarda che anch’io so fare battute!-

“Allora, hai fatto la parte della seria psicologa in ansia molto bene!”

-Ah, ah, come sei spiritoso.- ribatté sarcastica –Cominciamo ad esplorare invece di fare ironia. Dovremmo cercare delle aperture simili a finestre e dentro vedrai scorrere delle immagini, i miei ricordi.-

Michelangelo mosse i primi passi in quello spazio sconfinato, i sensi erano particolarmente ovattati, ma non assopiti; sentì una strana sensazione in tutto il corpo, come se fosse scoperto. E in effetti lo era, niente tuta nera e niente maschera.

-Sei a disagio…-

“C-come?”

–Non nasconderlo, percepisco come ti senti. Cos’hai?-

“Ecco…ok, lo ammetto. Mi sono accorto di essere completamente nudo e mi imbarazza! Lo so che ho girato per anni senza vestiti, ma sono nella tua testa e…” proferì teso e tutto d’un fiato.

–Oh…- fece lei – Capisco l’imbarazzo, la sessualità è sempre un tasto delicato.-

“Ehi, ehi, cosa c’entra la sessualità adesso?” chiese ancora più teso.

–Andiamo Michelangelo! Ti comporti da stupido, ma non lo sei, hai capito a cosa mi riferisco…-

“Io non mi comporto da stupido, semplicemente preferisco divertirmi. Se passo per superficiale, non mi interessa.” Rispose mezzo infastidito.

-Come vuoi, ma sono convinta che sul sesso ne sai esattamente quanto me, forse di più…-

“Sai, una ragazza non dovrebbe parlare di certe cose in modo tanto…leggero. Ti dispiace cambiare argomento?”

 –Un po’si. Sentirti alle strette è divertente!- fece con tono allegro.

“Ma sentila! Se la metti su questo piano, è il mio turno di metterti in imbarazzo: immagino tu sia nuda come me, sbaglio?” chiese con un tono volutamente fastidioso.

-Sbagli.- rispose tranquillamente lei- Indosso la tuta bianca che avevo sulla nave Utrom. In effetti non ci avevo fatto caso, è strano che io abbia addosso dei vestiti e tu no…comunque, dovrai trovare qualcos’altro per mettermi in imbarazzo.- nella mente di Nadia si stavano già affollando diverse risposte per quello strano fatto, ma in quel momento nessuna le sembrava valida…meglio rimandare, in fondo era un particolare di poca rilevanza.

Mick però era rimasto infastidito “Non trovo giusto che tu non sia nelle stesse condizioni…diciamo scoperte, in cui mi trovo io! E non mi sfidare, nell’infastidire gli altri sono un asso, te ne pentiresti!” ribatté.

Trascorsero un paio di minuti in silenzio. Per quanto camminassero, sembravano fermi al punto di partenza.
Nadia si stava domandando perché l’ambiente dai toni arancio tenui, diverso da quello bianco che aveva visto nella coscienza di Marco, non stava reagendo. Nella precedente sincronizzazione, quando era entrata insieme a Luca nella mente del fratello, nel giro di pochi passi avevano incontrato i suoi ricordi. Ci doveva essere qualcosa di diverso, forse non si fidavano a sufficienze l’uno dell’altra.

“Senti, mi sto annoiando.” proferì Mick facendola trasalire. “Ti posso fare una domanda?”

-Solo se posso fartene una anch’io. Vorrei entrare in confidenza, troveremo più facilmente le finestre.-

“Va bene, nessun problema. La mia domanda è questa: perché ti sei appassionata tanto alle nostre storie? Posso capire Marco e Luca, ma tu…fatico ad immaginarti.”

Quella domanda la sorprese. Ci aveva pensato per anni, trovando alla fine un valido motivo a quella sua… fissazione, ma non le era mai capitato di doverla spiegare.
-Diciamo, che vedere quattro fratelli uniti contro battaglie e avversari più grandi di loro, mi ha emozionato fin da piccola. Mi sarebbe piaciuto riportare una storia similare nella mia vita, vivere grandi avventure crescendo con Marco e Luca…in un certo senso l’ho anche fatto; dopo che vi ho scoperto li ho coinvolti molto di più, anche nel vostro mondo di avventure e combattimenti. Ho sempre visto delle potenzialità, caratteristiche davvero stimolanti in tutti voi, soprattutto sul piano della fantasia: quattro tartarughe umanoidi, adottate nella prima infanzia, di supporto le une alle altre, contro un mondo che non le capisce e non prova neanche a farlo, sono cose che portano a riflettere. Anch’io mi sono sentita così.-

“Se era una battuta, non l’ho capita. L’ultima volta che ho controllato, non avevi la pelle squamosa e verde o un guscio sulla schiena…” proferì ironicamente.

-Hehe, hai ragione, ma non mi dispiacerebbe assomigliarvi.- Fece serena.
Continuando a camminare, notò che i toni intorno a lei stavano diventavano più scuri. Parlare si stava rivelando utile e decise di sbilanciarsi ulteriormente, anche se l’idea non le piaceva fino in fondo. Si stava fidando di una sensazione sottile, un leggero tepore che le dava fiducia, un filo che le indicava la strada da seguire.
-Forse ho esagerato a paragonare la mia situazione alla tua, ma essere la sorella di un ragazzo autistico porta l’esterno a giudicare tutto di te: come sei, come ti comporti, cosa fai, perché lo fai; sembri effettivamente un mutante uscito dalle fogne. La persona che viene etichettata non è la sola che finisce nel mirino, tutta la famiglia viene emarginata. Non ho mai capito come faccia Marco, ha una forza d’animo incredibile: va avanti per la sua strada, nonostante tutto intorno a lui lo ferisca. Io potrei vivere una vita considerata da tutti normale, eppure mi  sento sempre in trappola, sempre a disagio, sempre sbagliata, sempre fuori posto, sempre inutile…come se fossi anch’io autistica, diversa. Con il passare del tempo mi sono adeguata, diventando quello che l’esterno si aspettava: un fallimento. Non volendo abbandonare il mio legame con Marco, sono stata esclusa da tutto il resto; o forse sono io ho voluto escludermi, ormai non capisco dove sia la differenza.-

Il mutante percepì una strana sensazione alla gola, un groppo che faticava a scendere, ma non era suo, lo percepiva come un rimando sottile che non gli apparteneva, era di Nadia. Stava provando le stesse sensazioni della ragazza, adesso era chiaro come avesse fatto a percepire il suo stato d’animo, era la sincronizzazione che lo rendeva possibile. Ma non era solo quell’elemento a fargli capire la delicatezza del discorso: la voce di Nadia era cambiata, più profonda, triste. Mick fece passare alcuni secondi, non voleva riaprire vecchie ferite con la sua domanda e parlare in quel momento sembrava così difficile.
“Scusami.” Riuscì a dire “Ti ho fatto parlare di una cosa dolorosa.”

-Non ti scusare. È un argomento che farà sempre male, ma parlarne aiuta. Anzi, ti ringrazio per avermi ascoltato.-

“Figurati, è servito anche a me, ho capito che non siamo molto diversi. Non immaginavo che la tua situazione fosse così simile alla mia, alla nostra.”

–Beh, immagino sia per questo che tu e la tua famiglia avete tanto successo nel nostro universo, non sono la sola che si è sentita così. Siete eroi da scegliere, fuori dal comune concetto di supereroe; siete apprezzati e di supporto a chi conosce la vostra storia, a chi sente di aver vissuto sulla propria pelle quel senso di alienazione.-

“Forse non ho capito…mi stai dicendo che siamo gli eroi degli emarginati? Non mi hai appena detto che abbiamo successo?”

-Esatto, avete successo proprio perché molti si sentono emarginati, non capiti, lontani da tutto e da tutti solo perché diversi. La vostra forza è sapere di essere diversi e fare comunque la cosa giusta per voi e per gli altri, anche se non vi viene riconosciuto lottate contro avversari e sfide troppo grandi per chiunque, ma non per voi.-

Quell’affermazione lo fece sorridere. In effetti, quante volte leggendo le avventure dei suoi eroi si era sentito in qualche modo supportato, felice di vedere che esistono persone che combattono per fare del loro meglio contro sfide più grandi delle proprie forze.
Una strana sensazione sottile di tepore lo spinse a proseguire, questa volta facendo lui la parte dell’intervistato “Dai, spara! Qual è la tua domanda?”

–In realtà ne avrei un mucchio, ma dato che lo abbiamo accennato poco fa, come mai avete deciso di vestirvi? Mi sembravate a vostro agio da adolescenti, cos’è cambiato?-

“Ti sei fissata con questa storia…” fece lui di nuovo infastidito. “Le motivazioni non sono tante: volevamo mimetizzarci durante le ronde e crescendo abbiamo voluto assomigliare agli esseri umani.
L’essere esclusi per anni, sentirci sempre diversi come hai detto tu, ci ha fatto pensare: forse potevano fare qualcosa per integrarci. Non lo abbiamo fatto coscientemente, ci siamo ritrovati a compiere quel cambiamento uno alla volta, come se fosse un passaggio obbligato. Raf è stato il primo a farla diventare un’abitudine: ha continuato ad andare in giro vestito da Nightwatcer dopo il rientro di Leo dall’amazzonia; si sentiva più sicuro e con il passare del tempo ha trovato il coraggio di dichiararsi a Joi. Te la ricordi?”

–Certo, la ragazza bionda che faceva parte degli accoliti del Tribunale Ninja. Una tipa tosta e molto carina. Tuo fratello ha buon gusto.- *(1)

“Dici? Non mi è mai sembrata niente di speciale…comunque, per un po’ le cose sono andate bene. Raf era talmente di buon umore in quel periodo che faticavamo a riconoscerlo: sorrideva, scherzava, si arrabbiava sempre di meno, sembrava un'altra tartaruga. Siamo stati contagiati dal suo modo di fare e, in modo quasi automatico, abbiamo iniziato ad allontanarci.”

-Beh, crescendo è anche normale che avvenga…anche se fatico ad immaginarvi. Mi siete sempre sembrati molto uniti, ognuno parte dell’altro come in un sistema perfetto.-  

“Hai ragione, eravamo un sistema perfetto! Ho avuto l’impressione che mi mancasse qualcosa negli ultimi due anni, come se avessi perso un pezzo di me, ma è la prima volta che ci faccio veramente caso. Probabilmente eravamo troppo concentrati su di noi: Leo andava in amazzonia con regolarità, quel luogo lo ha catturato fin dal suo primo viaggio e tornava a visitarlo ogni sei mesi; Raf si era lanciato in una sorta di convivenza con Joi, la chiamo così perché comunque tornava a casa molto spesso, nell’ultimo periodo continuavano a litigare; Don invece, aveva iniziato a frequentare Jhanna l’aliena,*(2) la vedevamo regolarmente al rifugio. Donni non ci ha mai detto nulla, ma secondo Raf, era nato qualcosa tra loro.”

–Immagino, che anche tu abbia trovato una compagna.- proferì Nadia.

“Hahaha, ma no!” fece ridendo di gusto “Mi hai mai visto interessato a qualcuna quando ci guardavate in televisione? A differenza dei miei fratelli, non mi sono mai sentito attratto dal genere femminile. Non so cosa significhi innamorarsi o avere una compagna.” Si fermò di botto sgranando gli occhi: non aveva mai fatto discorsi del genere, con nessuno. Parlarne con l’unica ragazza che lo aveva colpito non era una buona idea. Inoltre, stava dando un’idea sbagliata. “Intendiamoci, siete molto carine e mi piacete molto, ma non ho mai provato altro che simpatia. Sono pur sempre un mutante, non mi faccio illusioni.” Si affrettò ad aggiungere.

-Strano, per anni ho pensato che fossi il più facilitato a trovare la persona giusta: sei sensibile e hai un umorismo contagioso che dimostra sicurezza. A mio parere, sono caratteristiche che attraggono. Il fatto che tu sia un mutante, mi sembra strano che possa essere visto come un ostacolo. Siete piacevoli da guardare.-

Quelle parole lo sorpresero, Nadia aveva visto qualcos’altro, andando oltre l’aspetto esteriore, che comunque era…piacevole; non sapeva come interpretare quella parola, ma si sentiva meno in difficoltà.
Ma si era fatta comunque un’idea parziale di lui e della situazione.
“In realtà, sono meno sicuro di quanto faccia vedere. Ho sempre alleggerito le situazioni con l’umorismo perché vedevo quanto fossero pesanti, ma il mio scherzare è solo una facciata…e poi, ti assicuro che per come sono andate le cose ai miei fratelli, l’essere un mutante ha incrinato parecchio i loro rapporti.” Si bloccò un’altra volta. Parlare con Nadia si stava rivelando più complicato del previsto, portava sempre in una sola direzione: scoprirsi.
E poi, parlare delle relazioni dei fratelli senza di loro non era molto corretto.
Urgeva cambiare argomento “Comunque…anch’io mi sentivo più a mio agio vestito: di notte facevo le ronde da solo e di giorno continuavo a lavorare come animatore per feste di compleanno. In quel periodo ho conosciuto due fratelli, i primi umani che ho frequentato senza coinvolgere la mia famiglia. Due persone davvero sorprendenti.”

-Davvero? Ti va di parlarmene? Sono curiosa…-

Mick abbozzò un sorriso, il ricordo dei due giovani boliviani era ancora vivido nella sua memoria, come se non se ne volesse andare.
“Beh, non è facile descriverteli, ma ti posso assicurare che avevamo un legame unico: Javier, il maggiore, mi ha fatto conoscere cose di me che ignoravo, mi sono ritrovato a preoccuparmi di lui. Assurdo per un combina guai come me. L’ho conosciuto l’anno scorso, quando aveva quindici anni: un ragazzo turbolento finito nel giro dei Dragoni Purpurei,*(1) con furti e pestaggi all’ordine del giorno. Gli ho evitato guai con la legge enormi! Mi stava simpatico, le sue qualità mi hanno fatto provare ammirazione: un vero genio nel disattivare allarmi e costruirsi armi artigianali, coraggioso e un po’ spericolato, ma anche responsabile e attento a quello che poteva servire a sua sorella minore; se penso che aveva iniziato a rubare per permetterle una operazione costosa… La sorellina l’ho incontrata il giorno del suo ottavo compleanno, senza saperlo Javier mi aveva chiamato ad animare la sua festa. Consolation o Conny per gli amici, aveva dei problemi ad integrarsi, essere una bambina cieca l’ha resa distante, anche da suo fratello. Con me invece si era aperta fin dal primo momento, mi ha fatto sentire speciale; diceva che la mia voce la faceva sentire meno sola. Credo di averle letto un migliaio di favole nelle varie sere che sono andato a trovarli, vederla sorridere nel sonno è stata una delle cose più belle che mi ha regalato.”

- Si sente che ci tieni a loro. La tua voce è cambiata, più profonda, coinvolta, matura. Dev’essere bello sentire un legame del genere, mi piacerebbe conoscerli…-

Mick si irrigidì “N-non credo sarà possibile…”

– Perché?-

“Sono morti…a causa mia.”

Entrambi troppo concentrati nella discussione, non si accorsero che le coscienze stavano reagendo: in lontananza si addensarono delle nubi innaturali. All’improvviso, delle grandi finestre saettarono loro accanto, ad una velocità impressionante: la maggior parte erano colorate, piene di vita, ma altre non avevano le stesse tonalità; alcune erano grigie, altre ancora completamente nere.

“N-Nadia? Sono quello che credo…” fece Mick con una nota d’ansia.

–Si, sono le finestre di cui ti parlavo, continueranno a muoversi finché non ne sceglieremo una. L’ultima volta, volevo capire perché mio fratello avesse manifestato quello scudo e la finestra giusta si è avvicinata da sola. Concentrati sulla domanda che hai fatto prima di iniziare la sincronizzazione.-

Mick ripensò a quello che voleva sapere: non aveva formulato una domanda, si era chiesto cosa potesse preoccupare tanto Nadia. Dal primo momento in cui l’aveva vista, vedeva una persona desiderosa di proteggere; non sapeva perché quel fatto lo incuriosisse tanto, ma avrebbe voluto capire. Era certo che non fosse solo la situazione di per se a renderla tesa, Luca aveva accennato qualcosa a proposito di un sogno e la cosa era sospetta.
Una finestra scura si parò di fronte ai suoi occhi. Alcuni vicoli di New York, avvolti dall’oscurità più totale presero forma; le figure di Nadia, Marco e Luca gli tagliarono il campo visivo, correndo a perdi fiato inseguiti da una strana nebbia grigia.
…….
“Certo che fanno impressione…” proferì Raffaello fissando a braccia conserte Mick e Nadia, ancora fluttuanti a pochi centimetri da terra. La luce bianca che li aveva avvolti era scomparsa, permettendo ai presenti di osservare. “Solo a me fa un brutto effetto vederli così?”

“No, anche a me non piace…” asserì Leonardo. Da quand’era cominciato il processo, non si erano mossi di un millimetro: mani ferme sul cuore, occhi illuminati, persi uno nello sguardo dell’altra.

“C’è qualcosa di diverso rispetto alla sincronizzazione che abbiamo visto tra voi e i Navigatori.” Disse Don avvicinandosi con il rilevatore Utrom.

“È diversa anche da quella che abbiamo fatto tra noi, sono già trascorsi diversi minuti e non sta succedendo nulla…” proferì Luca avvicinandosi alla cugina. Provò a toccarla, ma Don lo fermò appoggiandogli una mano sulla spalla.

“Non possiamo intervenire, rischieremmo di ferirli o di essere coinvolti. Le frequenze hanno una potenza troppo elevata in questo momento e sono concentrate sull’essenze, se interrompessimo il collegamento potremmo comprometterne l’integrità. Non preoccupiamoci, secondo il rilevatore stanno bene.”

Marco si avvicinò a Nadia e Mick, li osservò con sguardo curioso, fissava rapito dei particolari invisibili. Vedeva qualcosa di diverso nella sorella, qualcosa che gli piaceva, ma che non capiva. Si passò una mano sulla fronte e serrò gli occhi, come se un pensiero gli stesse sfuggendo e volesse trattenerlo.

“Marco, volevo farti una domanda già da ieri sera: dato il vostro legame e dato che non è stato a causa della sincronizzazione, cos’ha procurato quei tagli a Nadia e a Luca? Cos’è successo durante il processo?” Domandò il genio.

Il ragazzo lo guardò negli occhi “Nono, cos’è successo no!” fece teso; si allontanò dal gruppo e si chiuse in un angolo, braccia strette al petto e occhi serrati.

“Non credo voglia dirlo, è stata un’esperienza poco piacevole… e poi, avrai capito che Marco non parla praticamente mai. Lo ha fatto anche più del solito in questi giorni.” chiarì Luca.

“Lo vedo.” Proferì quasi dispiaciuto Don. “Dovrò trovare un altro modo per entrare in contatto con te Marco, le parole servono a poco.” il diciannovenne continuava tenere gli occhi chiusi, ma l’espressione era più serena dopo quella frase.

“Sta succedendo qualcosa.” richiamò l’attenzione il Maestro.
Nadia si stava muovendo, ferma ancora a mezzaria, ma con ogni centimetro del corpo tremante e smosso da percosse invisibili.

“Che cazzo sta succedendo?” chiese Luca teso. Marco si avvicinò con fare preoccupato, passando lo sguardo dalla sorella al genio, intento ad analizzare il fenomeno con il rilevatore.

Dei segni aranciati si delinearono sul corpo di Michelangelo. “Non scherziamo…” fece Raf “Sono gli stessi simboli attivati dai medaglioni d’accoliti, *(3) ma non può essere! Non li abbiamo più manifestati!”

“Don, hai una spiegazione?” chiese Leo.

“N-no. Il rilevatore e il chip non mi dicono nulla.”
……
Nadia aveva gli occhi sgranati nell’osservare la finestra, quello spettacolo era…devastante.
Percepiva qualcosa nella sua replica, stava soffrendo, ma adesso non poteva preoccuparsene; quello che aveva davanti era più importante.
I quattro fratelli si trovavano su un tetto fatiscente, bagnati dalla pioggia, illuminati dalle fiamme di un palazzo in distruzione e scossi da un potente vento; respiravano pesantemente, i fiati si condensavano in nuvolette bianche che sparivano alla stessa velocità con cui venivano create.
Le tute erano bruciacchiate, sgualcite e i corpi riportavano segni di lotta, ferite e bruciature su ogni centimetro di pelle scoperta. Sembravano dei sopravvissuti, ma a differenza di altre volte, nei loro occhi c’era solo senso di colpa, rabbia, fallimento, impotenza.

“Maledizione Mick!” Raffaello stava urlando nel ricordo, sbiascicando come se fosse ubriaco “Sei il solito idiota, hai coinvolto Javier in una cosa più grande di lui! Lo sapevo che sarebbe stato solo un peso! Si è portato dietro la sorella cieca, solo un ragazzino poteva fare una cosa tanto stupida…non dovevamo fidarci, ma soprattutto non dovevamo fidarci di te!” aveva la voce irata, sconvolta. Puntava uno dei Sai in direzione del più giovane, coprendo con la mano libera una ferita fresca sopra l’occhio.
Ma il suo interlocutore non lo considerava. Completamente perso, osservava un cappellino da baseball sporco di sangue stretto tra le dita.

“Smettila Raf, è colpa di tutti!” esclamò Leo sguainando una delle Katana per intervenire. Il suo viso era segnato dalla stanchezza e dalla rabbia “Abbiamo dato per scontato che Mick fosse in grado di gestire la cosa, ma  si è sempre definito un ragazzino spensierato, è solo un immaturo che non vuole crescere!” Guardava l’arancio con uno sguardo al limite del rifiuto. “Ma vuoi sapere qual è il vero problema?” chiese voltandosi nuovamente verso il rosso. “Non siamo più quelli di un tempo! Abbiamo preso le cose sottogamba e ci è andato di mezzo un innocente. Siamo tutti responsabili!”

“Oh, hai ragione Leo, siamo tutti responsabili… anche e soprattutto tu!” proferì acidamente. “Ci hai cacciato in un sacco di guai stasera, il tuo improvviso attacco di mutismo non poteva arrivare in un momento peggiore! Il compito di un leader è dirigere le missioni, non agire da solo! Sei diventato ancora più… superiore. Cos’è, mischiarti con noi tre ti fa schifo?”

“Ehi, non sono io quello che si è lanciato addosso ad Hun! Javier ha fatto da scudo a Mick, perché ci hai fatto scoprire! Non mi sento superiore, ho dovuto intervenire, avrebbero dato l’allarme! Quando la smetterai di essere così impulsivo?”

“Non ci provare Leo! Javier non doveva trovarsi lì e nemmeno Mick! Si sono mossi perché hai interrotto le comunicazioni! Piantala di dare tutte le colpe a me e prenditi le tue maledette responsabilità!”

“Parlare di responsabilità nella tua posizione…ironico! Ti sei presentato completamente sbronzo stasera! Come hai potuto esse tanto superficiale e menefreghista?” s’inserì Don, anche lui particolarmente provato.

Raf digrignò i denti e spostò l’attenzione sul genio. “Visto che ti sei intromesso fratello, che mi dici di te? Non era compito tuo monitorare che non ci fossero esplosivi? Forse sei distratto, perso nel tuo mondo, ringraziamo la visitatrice dalle stelle per questa situazione…”

“Di che diavolo stai parlando? Ho fatto un maledetto errore, capita anche a me!” iniziò il viola, ma poi socchiuse gli occhi in modo tagliente. “Oh, ti riferivi a Jhanna, vero? Sei assurdo! Non sai niente, chi ti credi di essere? Oh, ma tu sei Raffaello, quello che spara giudizi senza mai mettersi nei panni degli altri, come se avesse le verità del mondo in mano.” continuò avvicinandosi al rosso con aria aggressiva. “Dato che hai iniziato a parlare della mia vita privata con tanta leggerezza, che ne dici se faccio lo stesso? Parliamo di Joi, così finalmente mi libererò di quello che penso…”

“Non-nominarla-davanti-a-me!” proferì a denti stretti e serrando le dita sull’impugnatura del Sai.

“Piantatela, tutti e due!” esclamò il leader.

“Taci Leonardo!” ribatterono entrambi irati. La pioggia si era fatta più battente, ormai erano completamente zuppi.

“Sei sparito ancora una volta e più di una volta in questi due anni, non sai nulla di noi, non sai cosa abbiamo passato. Quale diritto credi di avere per dirci cosa dovremmo o non dovremmo fare?” Lo accusò Donatello, sporto in avanti e con tono sempre più aggressivo.

“Ci hai abbandonati, di nuovo! Continui a farlo, ogni anno di più. Pensi che tutto possa tornare come prima, coinvolgendoci in una missione disastrosa perché è nostro dovere?” continuò Raf.

Leonardo si passò una mano sul viso “Hahahaha!” rise in modo acido e freddo. “Voi due che vi trovate d’accordo, una rarità! Forse dovrei esserne lusingato…per accusarmi di qualcosa siete in perfetta sintonia.” *(4)

La pioggia continuava a cadere, del palazzo avvolto dalle fiamme se ne distinguevano solo i calcinacci in lontananza. Il vento continuava a soffiare e ricopriva quasi completamente i suoni del circondario; sembravano distanti, lontani miglia e miglia da New York, nonostante le luci della metropoli illuminassero i profili dei palazzi alle loro spalle.
Facendo ricadere la mano lungo il fianco, Leonardo lanciò un’occhiata irata e allo stesso tempo esausta verso i due. “Credete che in questi anni non avessi voglia di fare quello che desideravo? Avete continuato le vostre vite senza responsabilità, tanto c’ero io che mi prendevo carico di tutto. Mi domando come mai uno con le verità in mano come te Raf, non abbia mai voluto veramente prendere il mio posto, ti sarebbe bastato poco, ma immagino sia troppo scomodo fare il capo, vero? O chissà perché fratello geniale, maturo e attento a tutto, non abbia mai capito che ero logorato da questa situazione, troppo poco razionale da capire? Se non vi fosse chiaro, io non sono al vostro servizio, ho anch’io il diritto di vivermi la mia vita!”

“E tu pensi di averci lasciti liberi? Non ci siamo mai sentiti capaci di lasciare il nido che con tanta fatica stavi cercando di proteggere, sempre legati a questo concetto di famiglia, onore, responsabilità. Ti faccio notare, che non ti abbiamo mai chiesto nulla di simile! E perché non ce ne hai parlato?” ribatté il viola.

“Perché avrei dovuto? Non mi avreste mai ascoltato! Proprio tu, che stai sempre chiuso in quel laboratorio, quando mai ti sei aperto con noi?”

“Ehi, non puoi ribaltare su di noi le tue scelte, puoi recriminare solo il tuo orgoglio! Ti rendi necessario, non ci dici che hai un problema e sparisci fuggendo dalle tue responsabilità!” continuò ad insistere il rosso.

“Non insultarmi, io non sono fuggito! Ho solo provato a prendere i miei spazi…ma non potrò mai permettermelo! Dopo stasera mi è tutto chiaro, aspettate ancora qualcuno che vi tolga dai guai, siete dei bambini!”

“Attento a quello che dici Leo!” proferì Raf, ormai giunto al limite. Essere definito addirittura un bambino, da Leonardo, non poteva accettarlo; si avvicinò scoprendo la ferita sull’occhio per afferrare anche l’altro pugnale.

“Altrimenti? Cosa credi di fare con l’alcool che hai in corpo? È un miracolo se ti reggi in piedi! Forse dovresti chiedere aiuto al nostro geniale fratellino…” il blu si era portato in posizione d’attacco, come a voler schernire chi aveva di fronte: baricentro più basso e  gambe divaricate per un maggiore equilibrio, una spada in posizione d’attacco e una in difesa.

Non era solo Raf ad essere pronto al contrattacco, anche Don aveva l’aria aggressiva, stringeva il Bō tra le mani in modo convulso. Bastava un pretesto, un motivo qualsiasi e sarebbero scattati.

“Smettetela!” Urlò Mick. I tre si bloccarono, la voce del più giovane era di un suono completamente diverso da quella a cui erano abituati, profondamente sconvolta e irata; si voltarono verso di lui, ma l’arancio non riusciva a guardarli negli occhi.
Rimaneva fisso sull’indumento macchiato di sangue. “Abbiamo perso un amico! Smettetela…vi prego!”
                                                “…vi prego!”
                           “…vi prego!”                       “…vi prego!”
                                             “…vi prego!”

La voce era spezzata e sofferente, risuonava come un’eco, perso nei meandri della coscienza di Mick.
Nadia avrebbe voluto sapere di più, ma non le fu concesso. La finestra si allontanò e si sentì scaraventare lontano, come se fosse richiamata da qualcosa.
Sentiva dolore percorrerle ogni centimetro del corpo e lo riconosceva, erano i colpi subiti durante il sogno, l’incubo che l’aveva tormentata per mesi. I muscoli, le ossa, tutto faceva male; il dolore era tale che non riusciva a ragionare con lucidità.
Ma quello che aveva visto, era difficile non pensarci. Le faceva eco nel cuore, quel confronto tra fratelli riapriva tante vecchie ferite.
Ritrovandosi dentro la replica priva di controllo e dolorante, cadde tra le braccia di qualcuno, era una stretta rassicurante. Avvolta da un tranquillo tepore, sentì la sensazione piacevole di qualcuno che la sosteneva e una sottile percezione di appartenenza e ricongiungimento si insinuò nel petto.
Si abbandonò, troppo esausta per capire chi la stesse abbracciando. Perse definitivamente i sensi, facendo scivolare in fondo alla veglia il desiderio di capire chi le avesse dato quel senso di pace.
 


Zona dell’autore:
Ed eccomi di nuovo! Scusate il ritardo, ma sta succedendo di tutto in questo periodo.
Lo ammetto, questo capitolo mi piace molto, sono davvero felice di averlo pubblicato! Ma è di una pesantezza quasi insopportabile, ne sono consapevole.
Vengono fuori un sacco di cose: le sofferenze vecchie e nuove, le relazioni passate, il senso di prigionia di, chi sono/erano i due amici boliviani…a proposito, non penserete che li lascerò in sospeso? C’è ancora molto da chiarire, m poco alla volta ogni pezzo del puzzle sarà chiaro.
Intanto, passo a spiegare alcune cose:
*(1) Qui faccio riferimento a Joi, personaggio conosciuto dalle tartarughe nella serie del Tribunale Ninja. È uno degli otto accoliti. Non si sa quasi nulla del suo passato, ma si è lasciato intendere che è per metà giapponese. Il suo spirito avatar è un falco, rappresenta il coraggio. Come ho scritto è una tipa tosta. In quelle puntate si vedeva una sorta di simpatia tra lei e Raf e io ho immaginato che ci fosse stato un seguito…tutto da scoprire ovviamente.
*(2) Qui mi riferisco a Jhanna, l’aliena arrivata sulla terra durante uno scontro con la sua maligna sovrana. È un’abile combattente, leale e curiosa sugli aspetti sociali della Terra, infatti lascia intendere che sarebbe tornata sul pianeta per studiarne le consuetudini. In quell’episodio, Don dimostra una particolare attenzione nei suoi confronti, ma non è stata la sola a cui il genio della famiglia Hamato ha dimostrato una forte simpatia. Infatti…
*(3) I segni aranciati che compaiono sul corpo di Mick, fanno riferimento ancora alla serie del Tribunale Ninja. Per chi non lo sapesse, quando le tartarughe e gli altri accoliti indossano i medaglioni, manifestano dei particolari poteri, legati ad un elemento naturale e alle caratteristiche profonde di chi li indossa. Ogni tartaruga ha dei simboli specifici, con trame e disegni differenti.
*(4)Leo si riferisce alla quasi totale assenza di relazione tra Don e Raf, sono quelli che comunicano e si confrontano meno, come se non fossero interessati a farlo o troppo diversi. Questa è stata la mia interpretazione, assolutamente contestabile, però a differenza del legame che esiste tra gli altri, loro sembrano i più distanti. Ho dato una mia interpretazione narrativa che approfondirò in seguito.
Promettetemi che non fuggirete dopo queste pagine. Il prossimo capitolo sarà più divertente, ma devo farli penare un po’, non sarebbero loro altrimenti!
Intanto, vi ringrazio per aver letto.
Mellybonf.

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Capitolo 10
*** Cap. 9- È più facile parlare degli altri. ***


Cap. 9- È più facile parlare degli altri.

 
Ok, adesso basta! Il contatto si è interrotto da parecchio e non si decidono a riprendersi…” Era la voce di Raffaello, anche se distante mille miglia e ovattata, Michelangelo riconosceva il suo tipico tono impaziente.
 
“Non si saranno fusi il cervello? Sapete, tipo un computer surriscaldato…” Questa era la voce di Luca, tono sarcastico facilmente riconoscibile.
 
“No. Hanno solo bisogno di riprendersi, il loro respiro è regolare.” Analisi di Donatello, sicuramente.
 
“Non solo, c’è anche un altro aspetto interessante. Le loro energie sono più armoniche rispetto a prima, concordi Sensei?” Ecco Leonardo, con quel tono sempre uguale, da tipico asceta in erba.
 
“Sono del tuo stesso parere, ma devono riprendersi…inizierei da Michelangelo, credo sia il più pronto dei due.” La voce di suo padre suonava calma, adesso era chiaro che si stavano riferendo a lui e a Nadia.
Cominciava a ricordarsi: aveva appena avuto la sua prima sincronizzazione, si era vissuto una cosa potente: tante piccole sensazioni lo invasero facendogli rivedere l’immagine di quella distesa infinita dai toni azzurrognoli. Poi le finestre, varco nero e…
 
Proviamo a svegliarlo a modo mio…TERRA CHIAMA MIIIIIIICK!” *(1) gli urlò ad un orecchio Raf.
 
“AHAAA! Ma che DIAMINE hai da urlare?!?” Michelangelo si riprese scuotendo la testa. Passò lo sguardo intorno a se con fare confuso. Si rese conto solo in quel momento che era a terra, sulle ginocchia, con la giovane connettore tra le braccia appoggiata all’incavo del suo collo, priva di sensi. Sembrava così indifesa, i capelli biondo ramato nascondevano quasi completamente i lineamenti, ma si intuiva quanto fosse provata; aveva un’aria davvero dolce, come una bambina.
Si irrigidì vistosamente per l’imbarazzo, come diavolo era finito a stringersela al petto? Era troppo vicina, ne sentiva il tepore, il profumo.
 
“Alla buon’ora testone! È da mezzora che cerchiamo di farti riprendere.” Continuò il rosso dandogli una pacca sulla testa.
 
“Ahio!”
 
“Te la meriti! Ci hai fatto preoccupare, ma…capisco che non avessi voglia di svegliarti, la situazione sembra interessante.” Proferì con tono divertito, lanciando un’occhiata a Nadia.
Mick lo guardò tra il sorpreso e l’infastidito, ma lo ignorò subito dopo, qualcosa lo stava facendo ondeggiare in modo agitato.
La causa era Marco, continuava a scuotere la sorella in ansia tentando di svegliarla. “Nadia, Nadia, Nadia!”
 
“Non fare dello spirito Raf, non si è ancora ripresa…” disse Don analizzando le condizioni fisiche della ragazza. Sfilò le dita dalla vena carotidea, il battito era ancora accelerato “Luca, Mick, datemi una mano. Meglio stenderla a terra.” Il ragazzino si tolse la felpa, l’appallottolò per creare un cuscino e ci adagiarono la testa della giovane.
Quando i capelli scivolarono via dai lineamenti, a nessuno sfuggì il labbro gonfio e il livido vicino al mento. Sicuramente stava avendo difficoltà nel risveglio a causa dello stress fisico a cui era stata sottoposta; l’urlo di Raf avrebbe svegliato gli abitanti del New Jersey se si fosse trovato in superficie.
 
“Mick, puoi spiegarci cos’è successo durante la sincronizzazione?” chiese il leader.
 
“Ecco…non so Nadia, ma io credo di aver visto un sogno.”
 
Quel sogno?” chiese Luca intuendo a cosa si riferisse. Sua cugina sembrava vittima di un’aggressione violenta. Dalle immagini che aveva intravisto durante la sincronizzazione sulla nave Utrom, i segni che aveva sul viso non potevano avere altra spiegazione.
 
“Credo di si. Un vero incubo!” rispose teso.
 
Dopo aver costatato che Nadia non aveva niente di grave, la portarono in laboratorio per stenderla sul lettino. L’imbarazzo nel riprendere la ragazza in braccio era palese sul viso dell’arancio: era a disagio e teso.
Luca non si fece sfuggire un solo gesto attento del più giovane dei fratelli Hamato e lo squadrò furbesco. Quanto diventano scemi gli adulti quando hanno una cotta?
Lasciarono riposare la giovane nell’angolo più distante del laboratorio e si allontanarono in direzione del computer. Mick raccontò dello spazio sconfinato, della sensazione provata, delle finestre e del sogno.
I fratelli e il Sensei si fecero ancora più tesi sentendo la descrizione dell’aggressione. Era chiaro cosa avesse visto Mick: loro quattro e Luca sotto gli effetti del Nemico. Marco invece…rimaneva un mistero; come rimaneva inspiegabile perché Nadia non fosse finita sotto il controllo della nebbia.
 
“Davvero vi siete fermati al primo livello? Dalla reazione di Nadia, credevo foste andati oltre.” proferì Luca grattandosi la testa.
 
“A cosa ti riferisci ragazzo?” chiese il Maestro.
 
“Sappiamo che le nostre coscienze hanno tre livelli distinti: nel primo si trovano i ricordi più razionali, quelli che si possono capire anche solo osservando e hanno l’aspetto di grandi finestre. Nel secondo si rievocano le esperienze fisiche forti, spesso si tratta di traumi ed è necessario viverle sulla propria pelle, lasciarsi attraversare dalle sensazioni di quell’esperienza anche a livello fisico. Mentre nel terzo si percepisce l’emozione, tutto ciò che non si spiega né razionalmente né con le sensazioni corporee, una sorta di coinvolgimento più…profondo e doloroso. Con Marco ci siamo inoltrati fino all’ultimo livello, ma ne abbiamo parlato poco e non so spiegarlo meglio di così. Credo che Mick, vedendo il sogno di Nadia, l’abbia portata a riviverselo sulla propria pelle.”
 
“È impossibile ragazzino. Questo non è il suo vero corpo, è una replica…non può riviversi le stesse sensazioni.” Proferì Raf a braccia conserte, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
 
“Sono d’accordo. Inoltre, si tratta di una visione onirica, non è percepibile dai nostri sensi come reale. La reazione di Nadia, sarebbe spiegabile solo se avesse subito qualcosa di simile.” Asserì Don.
 
“Esatto, non è successo per davvero, non è mai stata attaccata da noi e non accadrà!” Fece Mick con convinzione. Vedersi mentre afferrava Nadia per il viso, sbatterla violentemente contro il muro e scaraventarla lontano, lo aveva sconvolto. Non lo avrebbe mai fatto!
 
“Non ne sono certo figli miei.” Proferì il saggio topo portando una nuova agitazione nell’aria.
 
“A cosa si riferisce Sensei?” chiese Leo.
 
Il saggio topo prese un profondo respiro “Nei mesi precedenti all’arrivo dei connettori, durante le meditazioni più intense, sono venute a farmi visita tre ombre colorate molto simili ai nostri giovani ospiti: la figura bianca era alta e sottile come Marco, quella gialla un giovane teenager identico a Luca, mentre l’ombra azzurra una ragazza con la stessa costituzione di Nadia. Ognuna mi ha aiutato e sostenuto in modo sottile, intensificando e guarendo i miei chakra. Mi stavo domandando cosa o chi fossero, ma quando vi ho visto e riconosciuto dentro alle teche, ho capito che avevo avuto una sorta di premonizione sul vostro arrivo.”
 
“Chiedo scusa, ma non capisco…tutto questo cosa c’entra con mia cugina e il suo sogno?” chiese Luca.
 
“Ho la netta sensazione che i sogni di Nadia siano della stessa natura: tramite le visioni oniriche tua cugina ha delle premonizioni, la replica ha sfruttato la sincronizzazione e la curiosità di Michelangelo per avvertirla. Questo corpo sostitutivo è stato creato nello stesso tessuto spaziotemporale in cui avverrà il fatto ed essendo creata su misura per l’essenza, rimanda le sensazioni con maggiore intensità.” Proferì facendosi ancora più serio. “Dovrò proporre a Nadia delle sedute di meditazioni aggiuntive, potrebbe avere altre visioni e vanno lette e affrontate nel modo giusto. Non possiamo permettere che il Nemico infetti nessuno di voi, abbiamo bisogno di ogni possibile informazione.” Le parole del Maestro suonarono come una certezza, ed era difficile non prenderle per tali conoscendo le sue capacità.
I sette davanti allo schermo fecero scorrere i dati inseriti da Don, il rilevatore e i chip non avevano segnalato nulla di anomalo, come se quanto accaduto fosse assolutamente normale, ma il genio decise comunque di salvare tutto per fare un confronto con la prossima sincronizzazione. Il rivelarsi dei simboli aranciati sul corpo di Mick, era un fatto da non sottovalutare.
La cosa che lasciava perplesso Donatello, era che suo fratello stava meglio di prima. Dato il massiccio consumo di energie e le possibili implicazioni negative, era una cosa sorprendente.
 
“Sei il solito fortunato! Ti cimenti in cose assurde e ti va sempre bene.” Fece Raf. 
 
“Non è fortuna, è stile fratello!” rispose l’arancio, con tono più allegro.
 
“Quanta modestia…” proferì Don con un angolo della bocca sollevato.
 
“Non sarebbe Mick, se non si desse delle arie ogni due minuti.” Incalzò Luca con il suo solito ghigno.
 
“Ehi, io non mi do delle arie, constato la realtà! Sono il più coraggioso, simpatico e divertente mutante della storia. Ahio!” Raf aveva tirato un’ulteriore scappellotto sulla nuca del fratellino, facendo fare a tutti una risata. Marco era quello più divertito, continuava a saltellare dando delle leggere pacche in testa a Mick, voleva dirgli di abbassare i toni.
L’arancio sorrise, i modi di fare del diciannovenne erano spontanei, forse cominciava a fidarsi. Decisamente preferiva il Marco che lo infastidiva, al ragazzo chiuso e impaurito del giorno precedente.
All’improvviso si bloccò e gli occhi azzurri furono attraversati da una saetta aranciata. I presenti lo fissarono un po’ tesi mentre si avvicinava al lettino dove riposava Nadia con passo deciso.
 
“Mickey, che hai?” chiese Leonardo.
 
“Nadia si sta riprendendo.” Proferì serio.
 
“Come lo sai?” chiese Don, la ragazza era ancora immobile sul giaciglio e non dava segni di ripresa.
 
“Non so esattamente come, ma lo so. Percepisco una sensazione simile a quella provata nel processo.” Asserì convinto.
 
Nadia aprì gli occhi di scatto, mettendosi seduta con un gesto secco; fece una smorfia di dolore tenendosi un fianco. Una fitta all’altezza delle costole le rendeva difficile ogni minimo movimento, anche respirare.
 
“Non fare gesti bruschi, ti sei appena ripresa.” proferì Mick facendola stendere nuovamente, appoggiando delicatamente la mano sulla spalla. Nadia lo guardò confusa, ma si lasciò condurre. Il tepore emanato dal tocco le ricordava qualcosa, una sensazione provata prima di perdere i sensi.
Tutti si avvicinarono, quegli sguardi fissi su di se rendevano la ragazza solo più confusa e nervosa. Odiava far preoccupare le persone e detestava essere di peso.
 
“Come ti senti Nadia?” chiese Luca con una nota d’ansia, Marco le prese la mano preoccupato.
 
“Bene…credo.” Disse poco convinta. “Hai visto quel sogno, vero Michelangelo?” chiese passandosi le dita sul labbro ferito.
 
“S-si, mi dispiace. N-non immaginavo che…”
 
“Non potevi saperlo Mick, non fartene una colpa.” Disse Leo appoggiandogli una mano sulla spalla.
Nadia fece un sospiro sottile, era sollevata dai modi di Leo; quello che aveva visto nella mente di Mick l’aveva resa tesa, non sapeva più chi aveva di fronte…erano cambiati molto, ma quel gesto la tranquillizzò. Forse erano un po’ più induriti, ma sempre loro.
 
“Leonardo ha ragione Michelangelo, non ti preoccupare. Come vedi sto bene.” Fece per rassicurarlo, ma il più giovane dei fratelli vide oltre al tirato sorriso e si rabbuiò. Sentiva chiaramente che la ragazza stava provando un senso di peso all’altezza del petto, come se ci fosse qualcosa che non andava; inoltre, stava parlando in modo forzato. Quelle sensazioni, quel modo di fare, quegli atteggiamenti, erano una reazione a qualcosa che conosceva bene.
 
“Quindi, la replica ha subito gli stessi effetti che avrei vissuto nel sogno…ma com’è possibile?” chiese Nadia rivolta a Don, cercando di fare un minimo di chiarezza.
 
“Non lo sappiamo, ma abbiamo capito che potrebbe essere una sorta di visione.” Chiarì il genio controllandone le pupille con una piccola torcia.
 
“Ti dispiace smettere di accecarmi?” fece proteggendosi gli occhi con una mano.
 
“Lasciami fare. Hai un paio di costole incrinate e sei stata colpita alla testa, devo valutare se hai subito un trauma cranico.” Proferì Don continuando a puntare il fascio luminoso.
 
“Come ho detto, sto bene. Non c’è motivo di preoccuparsi e sono perfettamente in grado di capire se ho bisogno o meno di qualcosa.” Continuò ad insistere nervosamente e allontanando la torcia.
 
“Da come ti comporti non si direbbe! Sembri una bambina!” disse con tono spazientito Mickey. Tutti si voltarono nella sua direzione con aria sorpresa: non era da lui rimproverare gli altri, di solito si limitava a fare una battuta. Forse la sincronizzazione aveva dato degli effetti inaspettati.
 
“Fatti visitare da Don senza ribellarti, hai più di vent’anni e lo puoi capire da sola che siamo preoccupati per te! Smettila di sentirti un peso!” continuò ad insistere l’arancio. L’argomento gli dava particolarmente ai nervi.  
 
“Un peso?” chiese Luca. “Ancora con questa storia Nadia?” il dodicenne aveva l’aria alterata. “Ma quando la pianterai? L’ultima volta non ti è bastato? Non sei invincibile, stupida!”
 
“Cosa c’entra l’ultima volta? Quella è tutta un’altra cosa! E non darmi della stupida, cerco solo di proteggervi.” Replicò la ragazza.
 
“E da cosa, precisamente, vorresti proteggerci?” chiese sarcasticamente il dodicenne.
 
“Da quello che può ferirvi! Non voglio darvi responsabilità non vostre.”
 
“I tuoi problemi e le responsabilità, possono ferirci? Sono forse mine antiuomo? Strano, qualche responsabilità me la sono presa e non sono ancora saltato in aria!”
 
“Smettila di fare lo scemo!”
 
“Perché dovrei? È normale che sia agitato, sono preoccupato per te! Sono piccolo, ma non sono così rincoglionito! Sai una cosa? Sei davvero cretina a nascondere quello che provi!”
 
Stupida e cretina,  adoro farmi insultare!” proferì sarcastica e alzando il tono di voce. Quella conversazione stava prendendo una brutta piega. “Vedi di darti una regolata peste! Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti, ai miei problemi ci penso da sola!”
 
“Nessuno me lo ha chiesto e nessuno può impedirmi di farlo! Non sei sola, come facciamo io e Marco a fartelo capire? Solo una persona che si crede superiore non ci arriva! Sei proprio una stronza!” Luca era sul punto di urlare, aveva le guance rosse.
 
“Luca Amato, modera immediatamente il linguaggio!!!”
 
“Basta, BASTA, BASTA!” urlò Marco conficcando le unghie nelle braccia di entrambi.
 
“Ahia! Marco!” esclamò Nadia.
 
“Ma sei scemo?” chiese Luca massaggiandosi la parte lesa.
 
“B-basta, p-per piacere…” proferì a mezza voce, anche se con lo sguardo alterato. Odiava le discussioni, soprattutto quando non portavano a niente. Non si poteva risolvere il problema a quel modo e i suoi familiari sapevano bene come la pensava. Nadia e Luca fecero un sospiro rassegnato, ci erano cascati un’altra volta: finivano sempre a litigare, senza mai arrivare da nessuna parte e facendolo arrabbiare inutilmente.
 
“Marco ha ragione, alzare la voce non serve. E anche Luca non ha torto, con quello che c’è in gioco non ti puoi permettere il lusso di agire di testa tua.” Disse Leo guardando Nadia con una nota di tenerezza “Cerca di riposare, dopo vi porteremo a casa. Nelle tue condizioni è meglio evitare giri per i tetti.”
Tutti iniziarono ad uscire dalla stanza, ma Nadia bloccò Mick afferrandolo per il polso. “Ti puoi fermare un momento?”
 
“Perché?” chiese un po’ teso.
 
“Non c’è un motivo, o meglio c’è ma non so spiegartelo. So solo che se ti sento vicino mi sento bene.” Proferì mettendosi più comoda nel lettino e non lasciando la presa dalla mano a tre dita.
 
“Ehm, ok rimango. Dici che questa tuo sentirti bene dipende dalla sincronizzazione?” chiese l’arancio mettendosi comodo sulla sedia.
 
“Può darsi…ma forse dipende anche da un altro motivo.” Proferì con tono lento e rallentato, aveva gli occhi chiusi e il respiro si stava facendo più regolare. Era completamente rilassata grazie alla presenza di Mick ed esausta a causa del processo, di lì a poco si sarebbe sicuramente addormentata.
 
“Da un altro motivo?” chiese Mick, di tutt’altro umore. Le parole pronunciate da Nadia nascondevano un’informazione e lui desiderava sapere, anche se non sapeva precisamente di che cosa si trattasse.
 
“Ah-ah, da una cosa che ti e mi riguarda.” Pronunciò lei già nel dormiveglia.
 
“E da cosa?” insistette, ma Nadia non rispose. Si era già addormentata, con la mano ancora serrata alla sua e con un’espressione ancora più delicata e indifesa di quanto non avesse nel Dojo.
Mick si passò la mano libera sulla faccia con fare nervoso. Come diavolo faceva quella ragazza ad essere così tranquilla in sua compagnia? L’aveva appena presa a male parole dopo un’esperienza traumatica, facendola anche litigare con Marco e Luca…perché diamine non era stato zitto? E perché lei non se l’era presa? Più stava in sua compagnia e meno ci capiva, di lei ma anche di se stesso.
Forse, si era lasciato influenzare da quel senso di peso che Nadia si portava nel petto. Era così simile al suo. Che anche lei potesse viversi quell’oppressione costante, quel senso di inadeguatezza, quel fastidioso senso di colpa, lo faceva imbestialire; ma in fondo neanche lui non era stato in grado di fare nulla, se lo portava ancora dietro. Era dannatamente facile parlare degli altri, ma decisamente più difficile occuparsi di se stesso.
……
Il Sensei si stava dirigendo in camera con l’intento di contattare Mortu per tenerlo aggiornato e per rimettersi in contatto con il Daimyo; il suo amico aveva avuto delle visioni simili alle sue nei mesi trascorsi e dato che la situazione si stava chiarendo, tenerlo aggiornato gli sembrava una cosa utile. Si soffermò sull’uscio notando del movimento, Raffaello si stava dirigendo a passo veloce su per le scale, inseguendo Leonardo.  

“È facile parlare agli altri dei propri limiti, vero Leo?” la voce di Raf lo sorprese mentre si dirigeva in camera. Erano entrambi sulla passerella del rialzamento sopra il laboratorio.

“Mi sembrava strano che non avessi nulla da dire…a cosa ti riferisci?” chiese infastidito Leonardo.

“Che dovresti riflettere sulle tue parole! Quella discussione mi è sembrata…molto familiare.”

“Con chi credi di parlare? In questi mesi ho riflettuto su quello che è successo, sui miei errori. Quando mi sono rivolto a Nadia, non ho aperto bocca per farle prendere aria.” Ribatté infastidito.

“Ma come al solito, non hai parlato con noi dei tuoi pensieri…cos’è cambiato da cinque mesi fa Faerless?” chiese a braccia conserte.
Si scambiarono uno sguardo teso, sarebbe bastato un niente per iniziare una nuova discussione.

“Scusa per prima Marco…” la voce di Luca portò entrambi e il Sensei ad osservare nella sua direzione. I due Amato erano di fronte al televisore acceso, uno di fianco all’altro sul divano.

“Lo so che non sopporti vederci litigare, ma Nadia mi ha fatto davvero incazzare! Se continua a non parlare si sentirà di nuovo in trappola, esattamente come due anni fa.”

“Nono, due anni fa no!” esclamò teso Marco scuotendo l’indice.

“Lo so, è stato un inferno, soprattutto per te…hai rischiato di perdere anche lei, non solo gli zii, cioè, i tuoi genitori. Non ha imparato nulla da quell’esperienza. È proprio infantile quando insiste a fare tutto da sola, sembra non si fidi di noi.”

“Stanno parlando di Nadia o di te?” chiese ironicamente Raf.

“Ssst! Potrebbero sentirti. Evitiamo di fargli credere che li stiamo spiando, ok?” cercò di zittirlo.

“Perché, non è quello che stiamo facendo?”

Un sorriso si delineò sul volto del saggio topo, poi si infilò nella propria camera; la presenza dei tre giovani stava aiutando i suoi figli a smantellare i muri che si erano innalzati qualche mese prima, era sempre più convinto che la loro presenza fosse un segno e una sorta di benedizione. Ma come genitore e Maestro, il suo compito non era quello di osservare, aveva un altro obiettivo.

I due fratelli Hamato, continuarono ad osservare la scena: Marco, fisso con lo sguardo verso il televisore, allungò una mano per stringere quella del più piccolo che stranamente non si ritrasse.

Luca fece una mezza risata “Lo so, sono uno stupido. Lei si fida di noi, ha solo paura di non essere capace di aiutarci, fa fatica a farlo con se stessa.” Il dodicenne si stava passando una mano sulla fronte con fare nervoso, quel discorso era davvero pesante. Ma poi fece un sorriso. “Sai? Sto pensando che forse è stato un colpo di fortuna che abbia fatto la sincronizzazione con Mick, adesso è costretta a dire sempre come sta. Nadia sarà anche un po’ chiusa, ma Mickey non molla.” Il ragazzino si mise in piedi di scatto “A proposito…” proferì con un ghignetto, dirigendosi verso la porta del laboratorio di soppiatto.
 
“Cosa vorrà fare?” chiese Leo a Raf.
 
“Dare un’occhiata ai due…aspiranti innamorati multidimensionali.” Fece con un mezzo sorriso.
 
“Di che parli?” chiese allibito.
 
“Non hai notato le particolari attenzioni di nostro fratello verso la bionda?”
 
Leo piegò gli occhi in un’espressione scettica. “Secondo me, hai frainteso.”
 
“Non credo…” proferì “Forse sei tu che non vuoi farci caso.”
 
“Non ci provare Luca!” esclamò Donni, bloccando il dodicenne dall’aprire la porta del laboratorio afferrandolo per la felpa.
 
“Andiamo Genio, non ho fatto niente!” Provò a difendersi il ragazzino.
 
“Se spiare la gente ti sembra niente, allora ti ho impedito di fare niente.” Asserì il viola trascinandolo per la collottola lontano dalla porta.
 
“Non li stavo spiando, volevo solo controllare! Mick ha messo gli occhi su mia cugina e deve superare diversi test prima di fare qualsiasi cosa.” chiarì furbamente.
 
“Primo: sono un convinto sostenitore della privacy, non abbiamo il diritto di disturbarli. Secondo: non credo che mio fratello sia interessato a tua cugina come pensi, ma in quel caso sarebbero fatti loro, tu non c’entri.” Concluse lasciando la presa e guardandolo negli occhi. “Hai bisogno di distrarti. Perché non chiedi a Raf di farti vedere la sua moto, scommetto che muori dalla voglia di vederla.”
 
“Bravo Don, molla la peste a me!” proferì infastidito ad alta voce Raf, scendendo dalle scale insieme a Leo.
 
“Sarebbe fantastico!” Esclamò Luca entusiasta “Per piacere, per piacere, per piacere…mi fai vedere la tua moto?” chiese speranzoso con le mani giunte in preghiera. Raf alzò gli occhi al cielo e fece segno di seguirlo nel garage. Le due serrande erano proprio alle loro spalle.
 
“Si!” esclamò il più piccolo con un gesto d’esultanza.
 
“Azzardati a toccare qualcosa e giuro…”
 
“Non toccherò niente, promesso!” si affrettò ad aggiungere, correndo per precederlo.
 
Una volta che si furono allontanati, Leo si rivolse a Don “Che ne pensi?”
 
“A proposito di cosa?”
 
“Di quello che ha detto Luca, anche Raf mi ha fatto notare che Mick ha degli atteggiamenti particolari nei confronti di Nadia.”
 
“Come ho detto a Luca, sono fatti loro. Perché ti preoccupi?”
 
Leo si passò una mano sulla testa con fare nervoso, stava per toccare un tasto delicato, per suo fratello e in modo diverso…per lui. “Oltre all’implicazione che siamo mutanti…Nadia non è di questo universo, dovrà tornare a casa prima o poi.”
 
Don sgranò gli occhi per poi piegarli in un’espressione triste. “Rimango della mia idea, non abbiamo il diritto d’intrometterci, anche se significa veder soffrire Mick. Per favore, non fare il fratello maggiore apprensivo, lasciagli vivere quello che sceglie. Non sarebbe giusto privarlo di…questo. Come sai, parlo per esperienza personale.”
 
Marco, rimasto fino a quel momento davanti alla tv, si avvicinò ad entrambi un po’ incerto “Tanto male…” proferì con voce sottile. Stava studiando in modo attento e coinvolto le espressioni dei due.
 
“Non preoccuparti Marco, sono cose che ci faranno sempre male, ma stiamo meglio di qualche mese fa…” chiarì Leo con un sorriso tirato.
 
Ci faranno sempre male?” chiese Don. Non sapeva che Leo avesse provato qualcosa di simile. A dire il vero, non sapeva quasi più nulla di suo fratello, negli ultimi anni aveva viaggiato molto e dal litigio non si erano più rivolti parola.
 
Leo sbuffò, gli era sfuggito qualcosa di troppo. “Senti, mi rendo conto che dovrei parlarne, ma non ci riesco. Ho sempre risolto i miei problemi da solo e per il momento voglio continuare a farlo. Mi dispiace Don…” concluse allontanandosi.
 
“Solo…da solo.” proferì a mezza voce Marco, con lo sguardo fisso sul leader.
Il genio si voltò verso di lui sorpreso. La voglia di entrare in contatto con quel ragazzo, capire cosa provasse e cosa gli passasse per la testa, stava diventando sempre di più fondamentale, un elemento importante. Avere la sua stessa sensibilità, o aiutarlo a renderla di più chiara comprensione sarebbe stato molto utile.
Cogliendo quella parola, Marco aveva capito il nocciolo della questione: Leonardo si era sentito distanziato a causa del ruolo, finendo in una situazione di puro isolamento, solo contro il mondo. Ma era una cosa che tutti loro avevano sperimentato, anche Don sapeva cosa significasse sentirsi soli e sicuramente anche gli altri fratelli e i tre connettori avevano sperimentato una cosa simile. In fondo, tutti ci sentiamo soli al mondo.
Era un filo conduttore e se dovevano analizzare le loro difficoltà prima di incontrare il Nemico, era un argomento che andava affrontato.
Un’idea si fece strada nella sua testa.
……
“Che figata!” esclamò Luca davanti alla moto di Raf con gli occhi entusiasti.
Nera e rossa fiammante, dal design aggressivo, una moto da strada di cilindrata potente, perfetta per il suo proprietario. Quanto avrebbe voluto farci un giro, ma era troppo piccolo, ne sarebbe rimasto schiacciato. Ancora una volta, essere troppo giovane si stava rivelando un problema.
 
“Bene, ora che l’hai vista, torniamo indietro…” proferì insofferente Raffaello.
 
“Oh, andiamo! Fammela ammirare qualche minuto. Non la sto toccando!”
 
“Ci mancherebbe altro!” esclamò prendendo una chiave inglese da dodici. “Dato che vuoi fermati qui, ne approfitto per dargli una sistemata: ho sentito uno strano rumore durante la ronda dell’altro giorno.”
 
“A proposito…” cominciò Luca accomodandosi su un barilotto in alluminio poco distante. “Quando ci porterete di ronda con voi?”
 
“Mai ragazzino! Si rischia la vita di notte, non sarete mai pronti!” fece secco e aprendo la copertura del motore.
 
“Ma non è giusto! Veniamo addirittura da un’altra dimensione e non ci fate fare neanche un giro con voi?”
 
“È per la vostra sicurezza, di gente che si caccia in situazioni difficili ne abbiamo conosciuta parecchia e non tutti ne sono usciti indenni.” Proferì con una nota di tristezza. Mettendo le mani nelle parti meccaniche si imbrattò le dita d’olio, maneggiava il motore con maestria, Luca lo osservava affascinato.
 
“E di Casey che mi dici? Non è mai stato un combattente esperto, però lo portavate con voi.”
 
“Vero, ma Casey è un caso particolare: se si mette in testa qualcosa non riesci a fargli cambiare idea; e poi, anche lui ha deciso di smettere. April è in cinta di otto mesi e Shadow ha solo quattro anni, è diventato un capofamiglia.” *(2)
 
“Ha già figliato? Cazzo, non ha perso tempo!”
 
“Diamine, alla tua età non avrei mai usato quel linguaggio, non ad alta voce almeno. Ripeto: hai davvero dodici anni?”
 
“Che ho detto di male? Ha avuto una figlia da April, ne aspetta un altro e si è sposato solo quattro anni fa. Un killer, ad ogni colpo un cadavere!” proferì furbamente.*(3)
 
“Hehe, sei tagliente ragazzino! Comunque non è come pensi, Shadow  l’hanno adottata.”
 
Luca si irrigidì vistosamente, quell’argomento lo seguiva dappertutto, anche in quella dimensione. Sembrava un’autentica maledizione.
 
“È la figlia di una vecchia amica di Casey: quando un cancro se l’è portata via,  i due novelli sposi hanno deciso di adottarla. Quella piccola non aveva padre, nonostante avesse appena un anno, morta Gabe è rimasta completamente sola.” Proseguì la spiegazione il rosso. Alzò lo sguardo per vedere cosa stesse facendo Luca. Era diventato troppo silenzioso, la cosa era sospetta. “Tutto ok?” gli chiese.
 
“Si, certo…” proferì il piccolo fingendosi interessato agli attrezzi che aveva vicino.
 
“Guarda che riconosco quando mi si nasconde qualcosa, ho passato anni a cercare di capire i mutismi di Leo.”
 
“Io non ti nascondo proprio nulla, ti sto evitando una scocciatura. Non sembri interessato a conoscermi, perché dovrei parlarne con te?” proferì un po’ acidamente.
 
“Hai ragione, non devi, probabilmente non sono la persona giusta. Cercavo solo di ascoltare, secondo i miei fratelli non lo faccio, non mi metto nei panni degli altri, ma con te mi è venuto spontaneo. Per certi aspetti mi somigli molto, nel carattere e nel modo di reagire sembriamo la stessa persona.”
 
“Forse ci somigliamo, ma non è un buon motivo per costringerti a capirmi. È una fregatura mettersi nei panni degli altri; quando inizi, senti il dovere di stare attento a quello che gli altri provano, ma non è mai una cosa reciproca. Con i miei genitori ho fatto dei tentativi, ma non sono proprio riuscito ad accettare che se ne siano andati. Perché si aspettano che lo facciamo?”
 
Raf alzò lo sguardo dal suo lavoro “Non lo so, forse lo fanno per cercare di aiutarci; a mio parere parlare e dare buoni consigli agli altri, è molto più facile. Ma su una cosa hai ragione Luca: è una fregatura.”
 
Il dodicenne sorrise. “Che hai per fare quella faccia compiaciuta?” gli chiese il rosso.
 
“Oh, niente…mi hai chiamato per nome. Forse, cominci a fidarti.”
 
“Non farci l’abitudine, è stato un caso.” Ribatté con un ghignetto.
 
“Sarà…ma se vuoi parlare, se vuoi essere ascoltato, puoi contare su di me.” Proferì avvicinandosi e tendendo una mano in direzione del mutante.
Raf rimase sbalordito, dodici anni e si stava proponendo. Solo Casey e in maniera diversa i suoi fratelli lo avevano fatto, da una persona tanto giovane e appena conosciuta non se lo aspettava.
 
Rispose alla stretta proferendo “Va bene Luca. Ma vale anche per te, non credere che lasci perdere il mutismo di poco fa.”
Luca alzò un angolo della bocca, era il primo adulto che non si arrendeva ai suoi modi spinosi, il primo che volesse capire.
….
Mick continuava a fissare il volto di Nadia, era così rilassata mentre dormiva, così fiduciosa di chi le era accanto. Lo percepiva da ciò che rimandava, era come se averlo vicino e il tocco della sua mano, le desse la sensazione di un’immersione in un liquido tiepido, profondamente protetta e avvolta.
Non capiva come fosse possibile. Anche se non ne avevano parlato, sapeva perfettamente che Nadia aveva visto il ricordo del loro litigio sopra il tetto fatiscente di cinque mesi prima. Aveva percepito distintamente la sensazione della pioggia, quel freddo dentro e fuori che ancora faticava ad allontanare durante le sue notti insonni.
Era stato la causa della morte di due giovani amici, era stato il motivo della discussione e del loro allontanamento. Come poteva fidarsi di un tale immaturo e sconsiderato mutante?
 
“Mick…” Leo era sporto oltre l’uscio del laboratorio “Come sta?” chiese entrando.
 
“Bene credo. Si è addormentata appena siete usciti. Se mi avesse lasciato la mano, vi avrei raggiunto ma...ho preferito non svegliarla.”
 
“A quanto vedo, aveva decisamente bisogno di riposare. Senti, ho delle cose che vorrei chiederti, hai voglia di fare due chiacchiere?” si era procurato l’altra sedia del laboratorio mettendosi vicino al fratellino, ad intendere che non aveva nessuna intenzione di accettare un no come risposta.
 
“Va bene…” rispose poco convinto il minore.
 
“Ti è ricapitato di percepire qualcosa di strano mentre non c’eravamo? Hai presente quando gli occhi ti sono diventati aranciati nel sentire il risveglio di Nadia, o il fatto che sembri in grado di leggerle i pensieri?”
 
“Bhe, no non è più successo. O almeno non credo, ma dalla fine del processo mi sento diverso, questo si. Perché mi fai questa domanda?” Era da tanto che Leonardo non gli parlava, poteva essere un buon segno, ma una parte di se sapeva che c’era dell’altro, una questione urgente che desiderava affrontare.
 
“Perché sono preoccupato, non voglio che questa situazione con Nadia possa…degenerare.”

Mick si irrigidì, aveva visto giusto, c’era un motivo e a suo parere era anche inopportuno; Leonardo si stava addentrando in un discorso che non aveva alcun diritto d’affrontare. Anzi, non c’era nulla d’affrontare, nemmeno lui sapeva cosa si stava vivendo e sicuramente suo fratello non lo poteva sapere.

“Non ti seguo…” proferì vago.

“Andiamo Mick! Sei qui, vicino a lei, le tieni la mano per farla dormire…è un atteggiamento inequivocabile!” Leonardo stava perdendo la pazienza, anche se non se ne era accorto subito come gli altri, in quel momento era evidente che Mick si stava affezionando a Nadia e non come semplice amica.

Conosceva bene quell'illusione di potersi concedere una vita di coppia, un innamoramento, quel sentimento che ti fa sentire parte di qualcosa, ma che alla fine di tutto ti porta ad un nuovo scontro con la dura realtà. Non voleva che suo fratello soffrisse quanto lui, nonostante Don lo avesse avvertito, il suo istinto protettivo aveva preso il sopravvento.

“Non ti preoccupare fratellone.” L’ultima parola fu pronunciata con tono ironico, a sottolineare quanto fosse inutile fare la parte del maggiore. “Non ho intenzione di ripetere gli errori di Raf e Don. Sono consapevole della mia posizione e di quanto la missione sia più importante di qualsiasi altra cosa. Non ci tengo a rovinare tutto un’altra volta!”
 
“Non ho detto questo Mick…”
 
“Non l’hai detto, ma l’hai pensato…e per me è più che sufficiente.”
 
Leo si alzò dalla sedia, senza aggiungere altro sull’argomento. Una volta che aprì l’uscio proferì “Avviso gli altri e prepariamo il Tarta-corazzato. Sveglia Nadia, ci vediamo al garage tra pochi minuti.”

L’interpellata in realtà si era già svegliata; nel momento in cui Mick si era irrigidito, una sorta di calore dietro alla nuca, rabbia per la recisione, l’aveva svegliata definitivamente dal torpore che l’aveva invasa; ma aveva preferito rimanere con gli occhi chiusi. Quella discussione la fece sentire in colpa, in qualche modo il loro arrivo stava portando a galla tante questioni rimaste in sospeso; c’erano troppi elementi ancora non detti, problemi non affrontati, confusioni e fastidi che impedivano la libertà di confronto.
Ma l’aspetto che la fece preoccupare di più era quella sensazione di profondo legame instaurato con Mick. Adesso era chiaro: i sentimenti che viveva il mutante erano parte di lei e probabilmente avveniva anche l’inverso; capire dove cominciava la mente dell’uno o dell’altro nei momenti dove i sentimenti prendevano il sopravvento era un’impresa quasi impossibile.
Urgeva del tempo per capire come affrontare la situazione. Avevano davanti un lavoro enorme, prima che arrivasse il Nemico.
 

Zona dell’autore:

Ciao a tutti!
Spero che questa volta vi siate anche divertiti, la scena di Luca che va a curiosare mi è sembrata adatta allo scopo. Il bello, è che in questo capitolo i miei personaggi si sono mossi da soli, ormai parlano al posto mio.
Spero che le dinamiche tra tutti vi abbiano coinvolto, mi sono inspirata a eventi realmente accaduti per ognuna delle discussioni.
Il Litigio tra i tre giovani Amato ha fatto intuire un po’ le dinamiche familiari a cui anche loro dovranno dare un risvolto al positivo, se vogliono affrontare il Nemico con nuova consapevolezza. Mi rendo conto che la reazione di Marco forse non è stata affrontata in modo chiaro…se ci fosse bisogno di un chiarimento fatemi sapere.
Nadia e Mick sono entrati in sintonia e cominciano a capire che si è instaurato un legame più profondo di quanto si potessero immaginare; ma come si è visto l’interesse di Mick verso la giovane connettore non è passato inosservato.
Don comincia a percepire l’importanza di Marco e della sua sensibilità; è solo una sensazione per il momento, ma gli ha fatto nascere un’idea che vedremo evolversi nei prossimi capitoli.
Luca inizia a rilassarsi e anche Raf si dimostra attento nei confronti del ragazzino…l’unico che rimane ancorato alla sua sensazione di solitudine è Leonardo, chissà se riuscirà a lasciarsi un po’ andare.
Passiamo alle spiegazioni:
*(1) L’urlo fatto da Raf è un richiamo al primo incontro tra le Tartarughe e April, quando Mick si mette ad ascoltare la musica mentre gli altri cercano di far riprendere una giovane April ancora svenuta. L’ho sempre trovato divertente quel momento, come se Michelangelo fosse sempre in una dimensione diversa rispetto ai suoi fratelli. Raf tra tutti è il solo che cerca di riportarlo alla realtà con i suoi modi anche spinosi, ma che nascondono anche la voglia di avere il fratellino più coinvolto.
*(2) Qui parlo di Shadow, la bambina adottata da Casey nel fumetto americano originale. La storia di Casey e Gabe mi ha lasciato l’amaro in bocca, ma la piccola l’ho sempre trovata adorabile; nella mia storia ho dato un risvolto differente: Gabe e Casey non sono mai stati amanti, solo amici. Figuriamoci se  April non accoglierebbe a braccia aperte un’orfana. Ecco come nasce una famigliola New Yorkese dai trascorsi vari e inquieti. La famiglia Jones entrerà mai in contatto con i connettori? Vedremo…
*(3) Luca dice che Casey si è sposato solo quattro anni fa, perché secondo una mia ricostruzione il matrimonio è avvenuto nell'anno della maggiore età delle tartarughe: con il terminare della serie animata si è dato il via libera al film Turtle forever, che segnerebbe la fine del periodo Teen-ager. In altre parole: con l’ultima puntata della serie Back to the siewer siamo nei diciotto anni dei quattro, ma con il film siamo nei diciannove.
Se qualcosa non fosse chiaro, sono sempre e comunque disponibile. Come sono sempre e comunque felice che mi stiate leggendo!
Alla prossima!
Mellybonf.

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