Eroe

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Due settimane prima ***
Capitolo 3: *** Il ricevimento ***
Capitolo 4: *** L'attentato ***
Capitolo 5: *** Un lungo addio ***
Capitolo 6: *** Ostaggio ***
Capitolo 7: *** Ferite aperte ***
Capitolo 8: *** Il millesimo uomo ***
Capitolo 9: *** Macerie ***
Capitolo 10: *** il senso del dolore ***
Capitolo 11: *** Un anno dopo ***
Capitolo 12: *** La sorpresa e la speranza ***
Capitolo 13: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 14: *** Verità nascoste ***
Capitolo 15: *** Tempi disperati ***
Capitolo 16: *** Il fine giustifica i mezzi ***
Capitolo 17: *** La materia rossa ***
Capitolo 18: *** Errori fatali ***
Capitolo 19: *** Rancori ***
Capitolo 20: *** L'ultima risorsa ***
Capitolo 21: *** Senza tregua ***
Capitolo 22: *** Capitano o mio capitano ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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EROE


Prologo
 
L’aria era pesante e regnava un silenzio assoluto nonostante le decine e decine di persone sedute nella grande sala delle  conferenze del Comando di Flotta.
Rigido e apparentemente  impassibile Spock si alzò, lisciando con  un gesto rapido l’uniforme.
Mentre si avviava verso il palco i suoi passi risuonavano sul pavimento lucido, unico rumore oltre al lamento sommesso di Uhura, seduta in prima fila.
Il vulcaniano si avvicinò al leggio e si concesse per la prima volta da quando era entrato uno sguardo alla bara posta al centro della sala.
Una bara vuota.

“Il mio compito, trattandosi di un elogio funebre, sarebbe quello di parlare del coraggio, dell’audacia, dell’eroismo di James Kirk. Dovrei ricordare il suo genio tattico, la sua intelligenza e la profonda cura che aveva per il suo equipaggio e la sua nave. Ma queste caratteristiche sono ben note, e sono state  già descritte da chi mi ha preceduto. Appartengono già alla  memoria collettiva e di ciascuno di noi che ha avuto il privilegio di servire sotto il suo comando.
Ma James Kirk era molto di più. Lui era in realtà… un fantastico restauratore d’anime. Era capace di scovare la più umiliata e distrutta delle anime e tirarne fuori l’innata bellezza.  A mio giudizio era la sua più grande dote. Chi di noi crede nell’esistenza di qualche divinità non può che essere grato ad essa per avercelo donato”

Spock fece una breve pausa prima  di continuare.
“Per chi segue la logica,  l’esistenza di Jim Kirk ed il privilegio di averlo incontrato non sono altro che un ulteriore segno della perfezione dell’universo.  Per quanto riguarda me personalmente, sarò sempre grato  a chi mi ha  fatto comprendere per la prima volta nella mia vita il significato della parola ‘amicizia’…”

“IPOCRITA” l’urlo biascicato ruppe il silenzio tombale della sala.
Tutti si voltarono a guardare la figura dell’uomo che, in cima alla gradinata, aveva urlato.
Barba incolta e uniforme sporca, reggeva una bottiglia di bourbon in mano e prese a scendere, barcollando chiaramente ubriaco.
Mormorii di disapprovazione si levarono dal pubblico, mentre gli ammiragli in prima fila si guardavano fra loro sconcertati.
“Sei un ipocrita Spock. Siete tutti degli ipocriti!!! State tutti qui a lodarlo e a dire quanto vi dispiace… come se non fosse morto per colpa vostra…” urlò di nuovo l’uomo.
“Leonard… smettila, non fare così” Uhura si alzò per raggiungere e fermare il medico, subito seguita da Scotty.

“E’ colpa tua Spock. L’hai lasciato morire da solo, senza fare nulla. E io passerò il resto della mia esistenza ad odiarti” urlò McCoy al vulcaniano, rimasto immobile sul palco.

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Capitolo 2
*** Due settimane prima ***


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Capitolo 1

Due settimane prima

 

“Ho detto no! Non mi voglio vestire da pinguino!” urlò di nuovo il capitano James Kirk.
“Smettila di fare il bambino, Jim. Sai benissimo che devi andare a quel ricevimento. Quindi devi avere uno smoking” scandì McCoy come se stesse parlando ad un bambino non particolarmente intelligente.
“E perché non posso andarci in alta uniforme?” chiese ancora Jim mettendo la testa fuori dal camerino di prova. “Perché devo spendere la metà del mio stipendio mensile per comprare questo  costume da Halloween?”
McCoy rivolse uno sguardo esasperato a sua madre Eleanor, che aspettava poco distante con Johanna.
“Provateci voi… io non ce la faccio più” disse alle due.
Eleanor McCoy,  dolce ma risoluta mamma del burbero CMO dell’Enterprise, si avvicinò al camerino di prova.
“Jim, tesoro, non è un ricevimento della Flotta. E sull’invito hanno espressamente richiesto l’abito da sera”
“E allora perché Bones non ne sta comprando uno anche lui?” chiese con voce petulante l’eroico capitano. Dall’interno della cabina provenivano muggiti e lamenti come se il ragazzo fosse impegnato in una lotta con i klingon.
“Ti ho già detto che io ho già uno smoking. Ora vieni fuori di lì e facci vedere se  va bene. Così questo strazio finisce” borbottò il medico.
“No, mi vergogno” borbottò in risposta l’uomo all’interno.
“Jim vieni subito fuori di lì!!” ordinò Eleanor McCoy con la sua migliore autorità.
Dopo un secondo la tenda si aprì.
“Oh, ecco. Stai benissimo, caro” esclamò Eleanor, tornata subito dolce e gentile, mentre ammirava la figura del giovane.
 “Wow… zio Jim sei bellissimo. Sembri un attore” esclamò Johanna McCoy avvicinandosi con aria rapita.
Leonard McCoy provò un attimo di rabbia. Doveva ammettere che effettivamente  l’abito sembrava cucito sulla figura atletica del capitano, ma la capacità del suo migliore amico di  far sdilinquire qualsiasi essere di sesso femminile, ivi comprese sua figlia di nove anni e sua madre, lo lasciava a volte sconvolto.
“Bones ti prego… potresti darmi qualcosa per farmi stare male solo per stasera…. ti prego…” fece Jim guardandolo con aria da cucciolo bastonato.
“No mi spiace, sei il capitano e se ci andiamo noi ci devi venire anche tu al ricevimento”
Tutto l’equipaggio di comando era stato invitato al ricevimento presso l’ambasciata vulcaniana di San Francisco, in occasione dell’avvio di colloqui di pace con Romulus.
 La presenza dell’eroico equipaggio della nave ammiraglia della Flotta era altamente simbolica, ma Jim sospettava anche che la stessa dovesse e potesse costituire una distrazione mediatica, mentre i veri colloqui si svolgevano in modo sotterraneo.
“Bene… ora  mancano solo le scarpe” concluse Eleanor mentre  ammirava ancora lo smoking.
“Cosa??? Perché cosa c’è  che non va nelle mie scarpe??”
 
“Facciamo a chi arriva prima alla gelateria” propose all’improvviso Jim a Johanna, appena uscito dal negozio, mollando i pacchi che aveva in mano a McCoy.
La bambina si mise a correre dietro allo zio.
“Non vale sei partito prima. E hai le gambe più lunghe, uffa” urlò indispettita.
Eleanor McCoy sorrise alla scena.
Era riuscita a strappare a Jocelyn, la sua ex nuora, una intera settimana con Johanna, da trascorrere   a San Francisco dove Leonard era in congedo.
“Ma tu guarda… è come avere due bambini, non uno” borbottò il medico raccogliendo i pacchi che aveva lasciato cadere.
“Ammettilo Leo, il lato fanciullesco di Jim è quello che ti piace di più di lui” rise la madre.
“Sì, se quello stesso lato fanciullesco non lo rendesse totalmente incosciente e quindi per me così difficile tenerlo tutto intero e sano”
Bones sospirò al pensiero delle settimane precedenti e della missione da cui erano rientrati.
Una semplice missione  di esplorazione su di un pianeta classificato  M, ma senza forme di vita intelligenti, si era rivelata invece una trappola mortale.
Spock aveva riportato sull’Enterprise Jim agonizzante per il veleno inoculato da una pianta e il medico aveva passato due giorni nella quasi assoluta certezza che il suo migliore amico stavolta gli sarebbe davvero morto fra le braccia; aveva perso ogni speranza quando il vulcaniano aveva finalmente annunciato di aver sintetizzato l’antidoto.
Per la prima volta da quando lo conosceva McCoy aveva provato l’impulso di abbracciare e baciare il folletto dal sangue verde, ma tutto il suo lato tenero era stato cancellato dalla rabbia contro Jim quando aveva saputo che lo stupido moccioso aveva deliberatamente “annusato” la pianta mortale.
“Crede di essere immortale” sbottò McCoy alla madre.
“Tipico di voi giovani” rispose la donna con sguardo comprensivo.
“Sì, ma io sono solo un medico. E verrà il giorno in cui non sarò in grado di salvarlo” borbottò.
“Non puoi cambiarlo Leo. Jim è fatto così: incosciente, generoso  e coraggioso”
McCoy emise un sospiro di rassegnazione, mentre Johanna e Jim tornavano verso di loro ognuno con un gelato enorme che colava dappertutto.
Subito Eleanor prese un fazzoletto e lo porse a Johanna.
“Zio Jim, ti cola tutto il gelato sul giubbotto” rise la bambina
“Oh cavolo!!” borbottò Jim cercando di porre rimedio con l’unico risultato di far colare il gelato ancora di più.
“Hai detto una parolaccia!!” ridacchiò ancora di più Johanna.
“Sì zio Jim, non si dice” fece con aria dura McCoy porgendogi un fazzoletto.
“Uhm… non si dice? E cosa si dice quando si è arrabbiati o ti succede  una cosa come questa?” rispose il giovane guardando con mestizia il gelato che nel frattempo  gli era scivolato dalle mani e finito in terra.
“Puoi dire  corbezzoli  o perbacco ad esempio” elencò Johanna con aria paziente.
“Corbezzoli? Te l’ha insegnato tuo padre??” rise Jim.
“Pulisciti, ci sono i giornalisti in giro. E dobbiamo tornare a casa per vestirci” ordinò McCoy.
“Corbezzoli, si è fatto tardi. Perbacco” fece Jim con aria assolutamente seria, provocando uno scoppio di risate in Johanna, un sorriso irrefrenabile in Eleanor ed un ringhio in Bones.
 
 
Il ricevimento era affollato, ma non caotico, in tipico stile vulcaniano.
Appena entrato nella  grande sala Jim, alla testa del suo equipaggio di comando, cercò con gli occhi Spock.
 Non lo vedeva da quando erano scesi sulla Terra per il congedo, anche se il vulcaniano lo aveva chiamato spesso per informarlo degli sviluppi nella preparazione dei colloqui di pace da parte di suo padre, l’ambasciatore Sarek.
 Ed infatti il primo ufficiale dell’Enterprise stava accanto a suo padre, rigido ma elegante nell’abito cerimoniale vulcan, impegnato in una conversazione fitta con altri delegati delle varie ambasciate.  
Jim rivolse un sorriso ironico a Uhura che era entrata accanto a lui.
La donna era assolutamente splendida nell’abito da sera grigio chiaro che le lasciava le spalle scoperte.
“Non vai a salutare tuo suocero?”
“Spiritoso” si limitò a rispondere a donna con aria truce.
 “Dov’è il bar?” chiese invece Scotty fregandosi le mani.
“Ragazzi mi raccomando non esageriamo. E tu Pavel ricordati che sei troppo giovane, non puoi bere” esortò il capitano, guardando il giovane guardiamarina russo arrossire all’inverosimile.
“Kirk, finalmente”
L’espressione del capitano mutò improvvisamente mentre si voltava per fronteggiare la donna che l’aveva chiamato.
“Signora Presidente” salutò con deferenza, anche se sul suo viso era chiaro il disprezzo.
Mary Marlentes era stata nominata da circa un anno Presidente della Federazione dei Pianeti Uniti, prima donna nella storia.
Considerata un politico di spessore, era abile, sfrontata e soprattutto sleale e priva di scrupoli quanto basta per ottenere quasi sempre quello che voleva. Il che la poneva immediatamente nella zona “antipatia a pelle” di Jim Kirk.
“Pronto a fare la tua solita parte per la stampa e per la gioia del pubblico?” chiese con un finto sorriso la donna.
Kirk vinse a stento l’impulso di insultare la donna, anche perché McCoy si era avvicinato e  di nascosto gli aveva stretto il gomito.
“Sono un soldato signora, eseguo gli ordini, nei limiti della lealtà e legittimità” si limitò a rispondere.
“Bene allora facciamo il nostro dovere mediatico. Metti su il tuo famoso sorriso ed invitami a ballare”
A McCoy venne quasi da ridere nel vedere la rigidità con cui il capitano conduceva la donna sulla pista da ballo.
Kirk flirtava naturalmente con  qualsiasi essere femminile, di qualsiasi età o razza  gli si avvicinasse; faceva parte della sua  natura, anche se il medico sapeva bene che la fama di donnaiolo impenitente era più che altro una esagerazione che si trascinava dai tempi dell’Accademia.
 Mary Marlentes poteva vantarsi  di essere forse l’unica donna che non provocava in Jim Kirk l’istinto da seduttore.
 
 "Dottore” salutò Spock avvicinandosi a McCoy,  che fermo al lato della sala  ancora osservava Jim e la Marlentes che volteggiavano sulla pista. Molti invitati si soffermavano a guardare la coppia, bersagliata dai giornalisti  che ai margini della posta scattavano holophoto.
“Spock” salutò di rimando McCoy.
“Non balli con la tua ragazza?” chiese accennando a Uhura che stava  danzando con Sulu.
“Devo ammettere che la danza non rientra nelle mie abilità” rispose il vulcaniano con la solita aria stoica.
“Piuttosto il capitano stasera sembra particolarmente versato” continuò guardando con leggero scetticismo verso la pista.
In effetti Jim sembrava perfettamente a suo agio mentre faceva volteggiare la Marlentes sulla pista, ma McCoy aveva colto la leggera ironia nelle parole del vulcaniano, perfettamente a conoscenza della antipatia del capitano per la donna.
“Speriamo solo non la strozzi prima di scendere dalla pista” ridacchiò McCoy.
“Sarebbe una azione altamente illogica, ma non improbabile trattandosi del capitano”
McCoy ridacchiò di nuovo.
“Alla fine della danza se non dovesse essere necessario un trasferimento al locale carcere, può dirgli che mio padre ed io lo aspettiamo?


Star Trek non mi appartiene.
Come al solito mi farebbe piacere  sapere cosa ne pensate della storia.
E grazie a Cladda e alla mia beta che non fanno mai mancare il loro ( peraltro immotivato) apprezzamento. 
A presto.



Spoiler per il prossimo capitolo


“Chi era la bellezza romulana?” fece divertito McCoy avvicinandosi con un bicchiere di champagne in mano.
“La figlia del Proconsole Merrick di Romulus”
“Notevole” ridacchiò il medico.
“Pericolosa, visto  che sicuramente è un membro del Tal'Shiar” rispose Jim serio.

 

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Capitolo 3
*** Il ricevimento ***


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Capitolo II
Il ricevimento
 
 
“Capitano Kirk le presento il Proconsole Merrick  della casta Khellian, e sua figlia  Nuhir”
Sarek fece le presentazioni appena Jim si avvicinò al gruppetto in attesa.
“Proconsole questi è il capitano Kirk dell’Enterprise, il diretto superiore di mio figlio” continuò Sarek.
“Il famoso capitano Kirk… l’eroe della battaglia di Vulcano. Colui che ci ha liberato di Nero” scandì Merrick, il vecchio Proconsole.
A Jim non faceva mai piacere parlare della battaglia di Vulcano, soprattutto se c’erano Spock   e suo padre nelle vicinanze.
Il ricordo della morte della bellissima Amanda, madre umana di Spock e moglie di Sarek, era ancora vivo, così come quello del genocidio di milioni di vulcaniani.
Ma la sua attenzione era tutta per la giovane romulana che  era accanto al vecchio padre.
Alta, snella, lunghi capelli neri e lisci che nascondevano parzialmente le orecchie a punta, indossava  la tipica toga cerimoniale romulana che non riusciva tuttavia a nascondere le forme sinuose. Kirk notò subito l’assenza della cresta frontale, una caratteristica abbastanza rara fra le romulane di rango e di sangue puro.
“Tutto quello che sono riuscito a fare  è stato solo grazie al mio equipaggio” rispose Jim, mentre non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ragazza.
“Troppa modestia per l’uomo che ha salvato il suo pianeta due volte.  Anche se  la modestia  spesso viene usata  per indurre  una indebita sottovalutazione nel nemico”  fece all’improvviso la donna con voce melodiosa, che poco si adattava al fuoco che aveva negli occhi neri.
“Nemici? Non vedo nemici qui” sorrise affascinante Jim.
“Perdoni l’irruenza di mia figlia, capitano. I giovani spesso parlano senza ragionare” 
“Non vedo irruenza nella parole di sua figlia, anzi saggezza. Tuttavia le sue parole saggie non si adattano al caso di specie” disse Jim sfoderando di nuovo uno dei suoi migliori sorrisi.
Nuhir rimase completamente impassibile, assumendo anzi  un’aria quasi truce.
Nel gruppetto calò un attimo di silenzio, rotto dalle parole di Sarek, il padre di Spock.
“Capitano ho chiesto all’Ammiragliato di Flotta che sia la sua nave a riaccompagnare il Proconsole ed il gruppo diplomatico su Romulus” lo informò l’ambasciatore con tono neutro.
Negli occhi blu di Kirk passò un lampo d’ira.
Odiava che l’Enterprise venisse usata come mezzo di trasporto per gente importante e soprattutto  odiava le missioni diplomatiche.
“Spero lei sia d’accordo capitano e mi scuso  per non averla consultata prima” continuò il vulcaniano.
Al suo fianco Spock era impassibile, ma Jim poteva intuire dall’atteggiamento delle spalle il fastidio del suo primo ufficiale.
“Sono qui per servire” rispose alla fine il giovane capitano, utilizzando la frase rituale in vulcaniano.
Il gruppetto si sciolse, ma Spock rimase accanto a Kirk.
“Capitano, mi spiace, mio padre mi ha informato a cose già fatte” disse sottovoce.
“Siamo fuori servizio Spock… quante volte ti devo dire di chiamarmi Jim? E non ti preoccupare, l’Enterprise ha passato di peggio. E’ solo un passaggio  verso casa ad un gruppo diplomatico” rispose il giovane con un sorrisetto.
“Diplomatici bellicosi, ma pur sempre diplomatici” concluse sempre sorridendo.
 
“Chi era la bellezza romulana?” fece divertito McCoy avvicinandosi con un bicchiere di champagne in mano.
“La figlia del Proconsole Merrick di Romulus”
“Notevole” ridacchiò il medico.
“Pericolosa, visto  che sicuramente è un membro del Tal Shiar” rispose Jim serio.
“Il servizio segreto romulano? Ma come…” borbottò McCoy.
“La spilla sulla spalla destra” indicò Jim.
“Bene, allora non ti devo raccomandare di starle lontano” disse McCoy improvvisamente  serio.
“Io? Mi offendi Bones. Io non corro dietro a tutte le gonnelle…”
“Sì come no…”
 
 
“Buonasera, Kirk, Dottor McCoy.  Jim, suppongo che tu abbia già saputo della nuova missione”
L’ammiraglio Archer si avvicinò a Jim Kirk e al CMO dell’Enterprise, agile ed elegante nonostante l’età.
“Se missione si può chiamare scarrozzare un gruppo di romulani in giro per la galassia.  Comunque sì ammiraglio, sono già a conoscenza della cosa” rispose Jim.
“Non la devi prendere nel modo sbagliato, capitano. La tua presenza e quella dell’Enterprise sono fondamentali. Il Proconsole Merrick ha molti oppositori sul suo pianeta. Tanti lì non vedono di buon occhio i contatti con la Federazione. Merrick sta rischiando la sua stessa vita per questo”
“E quindi presentarsi accompagnato dalla nave che ha distrutto Nero lo mette al sicuro?” chiese il dottore con scetticismo.
“Forse no, ma è un segnale che la Federazione appoggia  Merrick e la sua politica” rispose Archer leggermente irritato.
“Non sono sicuro che l’appoggio della  Federazione sia un bene per la carriera di Merrick” intervenne Jim.
“’E’ destinato a diventare Pretore. Se realmente sale al potere  si aprirà una nuova era nei rapporti fra la Federazione e l’Impero romulano. Per questo  è così importante appoggiarlo anche formalmente” chiosò Archer.
“Quello affianco a  Merrick è il senatore Aerv. E’ il più acerrimo oppositore alla sua politica di apertura ai contatti con la Federazione ed è un tipo pericoloso. Stai molto  attento a lui quando siete sull’Enterprise. Credo sia capace di tutto” disse poi il vecchio ammiraglio indicando verso il gruppetto di romulani che continuava a parlare con Sarek e gli altri vulcaniani.
Accanto al Proconsole stazionava ora un romulano di mezza età, robusto, capelli corvini che contornavano l’ampia cresta frontale e aria feroce, guardava tutto e tutti con aria di disgusto.
Anche da lontano si notava che la conversazione stava assumendo un tono acceso.
“Io resto convinto che la conservazione della purezza della razza sia l’unico modo per preservare il futuro dell’Impero. Gli accoppiamenti misti dovrebbero essere vietati rigidamente. E la stessa politica dovrebbe valere per tutte le razze, se vogliono conservare la loro identità” scandì Aerv guardando volutamente verso Spock.
Il primo ufficiale dell’Enterprise rimase impassibile ed immobile, ma Jim sentì un moto di rabbia e si avvicinò al gruppo, pronto a  ingaggiare battaglia.
Nessuno, senatore romulano o meno, poteva permettersi di offendere i suoi amici.
“Io invece ritengo che la naturale evoluzione porti necessariamente anche all’incrocio dei popoli” disse calmo Merrick.
“Non mi meraviglia la tua opinione Proconsole, visto che hai procreato con la tua schiava umana” rispose Aerv guardando verso Nuhir, la figlia di Merrick.
Ecco spiegata l’assenza della cresta frontale, pensò Kirk, la ragazza  era per metà umana.
La giovane romulana si limitò ad un sorriso beffardo, che tuttavia fece gelare il sangue nelle vene a Jim.
“Signori penso che  questo il momento non sia né il momento né il luogo  per discutere di questi argomenti” intervenne alla fine Sarek, dirigendo volutamente Merrick  verso un altro lato della sala.
Jim provò di nuovo un moto di rabbia. Come poteva l’ambasciatore vulcaniano rimanere impassibile di fronte ad un insulto diretto al suo unico figlio?
Anche se Spock sembrava non essere stato colpito dalla cosa, iniziando una tranquilla conversazione con uno degli scienziati del gruppo romulano, Jim sapeva quanto  gli faceva male essere etichettato come un ‘mezzosangue’: non abbastanza umano, né abbastanza vulcaniano per essere accettato completamente dalle due razze. Tuttavia abbastanza vulcaniano da aver imparato a non mostrare le sue emozioni ed abbastanza umano da soffrire comunque in silenzio.     
Avrebbe voluto avvicinarsi Aerv e dirgliene quattro, ma McCoy lo bloccò prima.
 
“Odio le missioni diplomatiche. Il minimo che ci si può aspettare è un litigio sulla sistemazione in cabina o sulla qualità del cibo” fece il medico, con l’evidente intento di sviare l’attenzione ed evitare una rissa.
Jim si calmò, pensando che avrebbe avuto tutto il tempo di chiarire le idee allo xenofobo una volta in viaggio.
“E non sei tu quello che si deve mettere tutte le sere in alta uniforme per cenare con i dignitari. Ma ce la faremo, dopo tutto abbiamo avuto di peggio” sorrise il capitano.
“Spero solo che non vengano tutti colpiti da qualche strana malattia come nell’ultima missione diplomatica”
Jim ridacchiò al ricordo  del trasporto dei diplomatici di Argelus VI;  tutti i componenti della missione erano stati colpiti da una strana eruzione cutanea che rendeva impossibile sopportare i vestiti sulla pelle, con conseguente necessità per gli stessi di stare nudi, ovviamente relegati nelle loro cabine.
“Non mi sembra che ti sia lamentato tanto quando  hai visitato anche più volte al giorno la bella ambasciatrice di Argelus” ammiccò verso McCoy.
I due amici risero insieme, ma l’attenzione di Kirk fu all’improvviso attratta da Nuhir che guardandosi intorno procedeva guardinga, sino a scomparire dietro una delle pesanti tende che  adornavano le porte.
Il capitano non ebbe però tempo di ragionare più di tanto sulla cosa.
Nella grande sala all’improvviso scoppiò l’inferno.
 
 
Star Trek non mi appartiene. Come al solito mi fa piacere sapere cosa ne pensate della storia.
Grazie a Cladda e alla mia beta, sempre fantastiche.

 
 
 
Spoiler per il prossimo capitolo
“Presidente stia giù!!” cercò di urlare il giovane capitano, ma la donna non sembrava sentirlo, restando quasi catatonica a fissare il vuoto.
A Kirk non restò altro che tirarla bruscamente a terra, proprio un momento prima che un colpo di phaser distruggesse lo specchio alle spalle della donna.
 
 

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Capitolo 4
*** L'attentato ***


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Capitolo III
L’attentato


Bones stai giù” urlò Kirk, cercando di fare scudo con il suo corpo all’amico.
Colpi di fucili phaser risuonavano dappertutto, misti alle urla della gente e al fracasso delle suppellettili che si infrangevano a terra.
“Ma che…” riuscì solo a balbettare il medico, mentre veniva trascinato da Jim dietro una colonna.
Le luci si erano spente e la confusione era terribile; le poche guardie di sicurezza presenti stavano rispondendo al fuoco, ma Kirk calcolò almeno cinque punti diversi da cui provenivano i colpi dei phaser.
Mise istintivamente la mano alla cintura prima di ricordarsi di essere in smoking e non in uniforme e le armi non facevano parte dell’abito da cerimonia.
Si maledisse per  aver dato retta a Bones che gli aveva imposto di non indossare la cavigliera dove teneva sempre il suo phaser di riserva.
All’improvviso Jim vide la Marlentes ferma in piedi, al centro del fuoco incrociato.
“Stai qui non ti muovere” intimò al medico, dopo essersi accertato con un’occhiata che fosse lontano dal tiro dei phaser.
Poi strisciò a terra sino a raggiungere la donna, che terrorizzava continuava a restare impalata.
“Presidente stia giù!!!” cercò il urlare il giovane capitano, ma la donna non sembrava sentirlo, quasi catatonica a fissare il vuoto.
A Kirk non restò altro che tirarla bruscamente a terra, proprio un momento prima che un colpo di phaser distruggesse lo specchio alle spalle della donna.
Jim la nascose sotto di lui e quasi non si accorse che Spock l’aveva raggiunto, strisciando a terra.
“Sono almeno cinque. Da punti diversi. In alto a ore dieci e ore sei” informò breve e tattico come al solito il vulcaniano.
Intorno a loro le poche guardie di sicurezza che cercavano di reagire stavano cadendo come birilli sotto i colpi dei cecchini.
All’improvviso tutto cessò, i colpi di phaser smisero di risuonare per lasciare la stanza piena solo dei singhiozzi della gente terrorizzata e delle urla dei feriti.
Kirk sfilò un phaser dalle mani di una delle guardie di sicurezza che giaceva in terra con gli occhi sbarrati al cielo.
“Portala al sicuro” ordinò a Spock lasciando la Marlentes.
Veloce più che poteva si avviò verso l’esterno.
Subito si vide attorniato da Sulu, Scotty e Chekov.
“State tutti bene?” chiese preoccupato.
“Sì signore, il tenente Uhura sta aiutando i feriti” lo informò Sulu.
“Seguitemi” urlò dirigendosi verso l’esterno dell’ambasciata, cercando di scansare la gente che, urlando, fuggiva in tutte le direzioni.
Nella confusione più totale Kirk cercò di tenere in vista le scale che conducevano al piano di sopra, visto che il fuoco  era stato diretto all’alto, ma anche da lì  proveniva una fiumana infinita di gente terrorizzata che si dirigeva verso l’uscita.
“Capitano!” urlò all’improvviso Scotty indicando due uomini che correvano cercando di nascondere qualcosa sotto i lunghi cappotti.
Vistisi scoperti i due iniziarono a scaraventare la gente davanti a loro a terra, nel tentativo di ostacolare gli inseguitori.
Rapidamente guadagnarono l’uscita,  ma Kirk ed i suoi non avevano intenzione di mollare la presa.
Usciti all’aperto la confusione non era  inferiore a quella all’interno dell’ambasciata, con centinaia di persone che scappavano in tutte le direzioni mentre la Polizia si stava posizionando in massa.
“Fermi o sparo!!!” urlò Kirk ai due fuggitivi, puntando il phaser.
Solo all’ultimo momento riuscì a buttarsi a terra mentre un colpo gli sibilava vicino all’orecchio, evidentemente sparato da un altro complice nelle vicinanze.
Con la coda dell’occhio vide cinque figure smaterializzarsi e sparire.
“Maledizione!” imprecò il giovane capitano rialzandosi, mentre gli altri della squadra lo raggiungevano ansimanti.
 
Rientrato nella sala Kirk cercò subito con lo sguardo McCoy e Spock e non impiegò molto a localizzarli, anche nella bolgia infernale che regnava .
Entrambi erano inginocchiati, con Sarek ed altri romulani, accanto alla figura stesa in terra del Proconsole Merrick.
McCoy stava tentando una disperata rianimazione, le mani e le braccia completamente imbrattate di sangue verde.
“Padre!!!” urlò Nuhir alle spalle di Kirk, correndo vero il corpo immobile dell’anziano.
La ragazza si inginocchiò accanto al genitore e pose amorevolmente la testa sulle ginocchia.
“Padre…” bisbigliò ancora con un filo di voce.
“Mi spiace, non c’è più nulla da fare. E’ morto” annunciò McCoy con voce triste.
 
 
“Signori, la situazione è grave. Nell’attentato  ci sono stati otto morti, oltre al Proconsole Merrick e  venti feriti. E allo stato non abbiamo nessuna traccia degli attentatori. A quanto pare hanno usato un sistema per evitare la localizzazione del raggio del teletrasporto”
La voce di Archer era chiara e senza emozione, ma la tensione al grande tavolo delle riunioni di Star Fleet era palpabile.
L’Ammiragliato aveva riunito d’emergenza il Consiglio di Flotta, composto dagli ammiragli e dai capitani in quel momento presenti nel quadrante, oltre ai loro primi ufficiali.
Jim e Spock sedevano sul lato destro del tavolo.
“Non abbiamo quindi nessun indizio su chi possa essere stato e su chi era l’obiettivo?” chiese Finney il capitano della Farragut.
“La responsabilità  per il vile omicidio del nostro Proconsole ricade interamente su di voi” urlò dal fondo della sala Aerv, entrando  circondato dalle sue guardie.
“Senatore Aerv  non c’è nessuna prova  su chi fossero gli attentatori e che volessero uccidere proprio il Proconsole. Anche la Presidente Marlentes si è trovata sulla linea di fuoco ed è salva per miracolo” rispose aspro Archer.
“Resta il fatto che a ventiquattro ore di distanza non avete ancora nessun indizio sulla identità  degli assassini, per non parlare delle ridicole misure di sicurezza dell’ambasciata vulcaniana” continuò torvo ed aggressivo Aerv.
“Stia certo che sarà condotta una accurata indagine sull’eventuale violazione delle norme di sicurezza. E faremo di tutto per trovare i responsabili” lo fronteggiò sicuro Archer,  anche se la fronte corrugata tradiva la tensione che provava.
“Mentre voi  vi trastullate nella ricerca dei responsabili è necessario trasportare il corpo del Proconsole su Romulus. La cerimonia di sepoltura deve essere  svolta entro cinque giorni” continuò con aria di disprezzo.
“Saremo  lieti di offrire la nostra nave più veloce” rispose il vecchio ammiraglio.
“L’ammiraglia. Niente di meno che l’ammiraglia della Flotta per trasportare il Proconsole” scandì Aerv.
Tutti si voltarono a guardare Kirk, che rimase impassibile.
“Certo. L’Enterprise vi scorterà su Romulus” concordò con un sospiro di sollievo Archer.
 
  
“L’equipaggio non ne sarà felice. Eravamo in congedo sino alla fine del mese” chiosò Jim mentre uscivano dalla sala.
“La situazione è grave, siamo sull’orlo di una crisi diplomatica. Capiranno” rispose Spock.
“Dirama tu gli ordini. La partenza è prevista alle ore nove zerozero di domani. Tutti a bordo per i controlli alle sei zerozero”
“Certo Capitano” concluse Spock.
Kirk sospirò triste.
Odiava dover informare Bones che la sua vacanza con Johanna stava per avere termine in anticipo.
Ma poteva almeno rendere  le ultime ore memorabili per la bambina e tutto l’equipaggio di comando.

 
“Jim ora basta però. Sarà il quarto giro che fate su queste maledette montagne russe” strillò McCoy mentre Kirk si rimetteva in fila alla cassa.
“Ha detto ‘maledette’ papà, non si dice” rise Johanna, con gli occhi brillanti dall’emozione e il viso rosso.
“Già papà, hai detto una brutta parolaccia. E se non fossi aviofobico apprezzeresti anche tu queste splendide montagne russe. Sono semplicemente fantastiche, vero JoJo?” Jim fece l’occhiolino alla bambina che gli stava affianco.
A McCoy veniva la nausea solo a guardare  sulla sua testa le capsule che sfrecciavano nel tubo trasparente e le urla della gente eccitata gli mettevano i brividi.
“Che sia l’ultimo però” urlò McCoy ai due che ne frattempo si erano già avviati correndo verso l’entrata dell’attrazione.
“Johanna si sta divertendo un mondo” disse Eleanor quando il figlio la raggiunse, sedendosi sulla panchina  accanto a  lei.
“Ti assicuro che Jim si sta divertendo di più” rispose burbero il medico.
“Mi spiace, avevamo ancora due giorni insieme…” continuò con aria triste.
“Johanna ha capito. Sa quanto il tuo lavoro è importante. E questa per lei è stata una vacanza bellissima con il suo papà”
“Non so neppure quando la rivedrò. Contavo di venire con Jim a Savannah per il mio compleanno”
“Non conta la quantità del tempo che trascorri con lei, ma la qualità” rispose la madre, carezzandogli la mano.
“Sì, ma a me pare di perdere tutto della sua vita. Ogni volta che la rivedo è più alta, sempre più signorina e meno bambina…”
“Lei resterà sempre la tua bambina. Esattamente come tu, nonostante l’età, sei ancora il mio bambino” fece dolce Eleanor.
Fra i due cadde per un po’ il silenzio, solo a quando Eleanor non scoppiò a ridere alla vista di Jim e Johanna che facevano le boccacce a McCoy mentre la loro capsula sfrecciava sopra la panchina dove erano seduti.
“A volte in queste occasioni vorrei avere il tempo di scattare una holophoto e mandarla ai giornali. Altro che eroe di guerra” borbottò il medico, anche se Eleanor poteva vedere il sorriso a stento trattenuto.
“Non abbiamo ancora parlato di ieri sera, deve essere stato sconvolgente” chiese l’anziana donna.
“Non è la prima volta che da medico non riesco a salvare qualcuno” rispose il figlio con lo sguardo puntato a terra.
“Se penso che potevi restare ferito… o peggio ancora…” la voce di Eleanor si incrinò.
“Mamma io sono un militare, sai bene che potrebbe accadere di tutto. Lo spazio è malattia e pericolo”
“L’unico pensiero che mi rassicura è che Jim è con te”  fece Eleanor senza avere il coraggio di guardare suo figlio negli occhi.
“Cosa??? Ma se il moccioso ha l’istinto di autoconservazione di una formica!”
“Sì, ma farebbe di tutto per tenerti al sicuro. E questo mi consola, quando ti penso lassù, nello spazio”
McCoy non rispose, sapendo che era vero: Jim Kirk avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere il suo equipaggio.
 
 
“Bene e ora pizza!!!!” annunciò Jim, tutto scompigliato,  avvicinandosi con Johanna alla panchina dove McCoy e sua madre erano ancora seduti. Guardandolo McCoy si chiese ancora una volta come facevano i capelli del ragazzo a sfidare regolarmente la forza di gravità.
“Con peperoni, salame e mozzarella” chiese eccitata Johanna.
“Sì, così rimediamo un altro mal di pancia come il mese scorso. Meglio solo con la mozzarella” disse severa la nonna.
“La pizza solo con la mozzarella è triste” annunciò serissimo Jim, mentre tutti si avviavano verso la pizzeria dove gli altri dell’equipaggio di comando li stavano aspettando.
“Sei allergico ai peperoni, e anche al salame” rispose con aria truce il medico.
“Melanzane?”
“Sei allergico”
“Almeno le patatine fritte”
“Sono veleno per le arterie”
“Ho ventotto anni, Bones, penso di potermelo permettere”
“Non venire da me quando avrai un ictus”
Il gioco-battibecco fra i due continuò sino all’arrivo al locale.
 
   L’atmosfera al tavolo era allegra, nonostante il pensiero  dell’ imminente partenza e dell’attentato del giorno prima.
Tutti cercavano di non far pesare la tensione crescente sulla piccola Johanna e la nonna, consci che  McCoy poteva non rivedere i  suoi cari per molti mesi.
Il medico sorrise nel vedere la sua bambina impegnata in una fitta conversazione su Uhura su quale fosse il tipo di treccia per capelli più cool e sua madre discutere con Scotty su di una ricetta di zuppa di cipolle; erano tutti una grande famiglia e di questo era grato.
Solo Spock e Jim sembravano terribilmente seri e la circostanza sembrava strana; Jim non faceva mai mancare il suo contributo di allegria in una serata fra amici.
“Non credo che i nostri ospiti vogliano davvero accusarci per la morte di Merrick. Le probabilità statistiche sono anzi a favore di un mandante romulano per l’attentato” chiosò Spock.
“Non penso che l’opinione pubblica di Romulus segua logica e probabilità statistiche Spock. Anzi penso che convenga loro accusare la Federazione di aver ucciso il Proconsole. Anche se effettivamente dovrebbero guardare in casa, anzi a persone molto vicine a Merrick”
“Cosa vuol dire, capitano?” chiese il primo ufficiale perplesso.
“E’ Jim Spock, ricordi? Siamo fuori servizio… comunque ho visto la figlia di Merrick Nuhir allontanarsi dalla sala subito prima che iniziassero gli spari”
“In effetti è arrivata accanto al padre molti minuti dopo che era stato colpito e che gli spari erano cessati. Hai informato la Flotta… Jim?”
“Sì, ma potrebbe non voler dire nulla, magari era andata in bagno…” sorrise Kirk.
Subito dopo il comunicatore del capitano trillò e il giovane si alzò dal tavolo.
“Scusatemi un attimo devo rispondere” disse uscendo dal locale.
Passarono diversi minuti prima che Jim rientrasse.
Tirò McCoy da un lato.
“Ascolta, io devo allontanarmi per un paio d’ore. Ci vediamo  a casa. Scusami con tutti” disse serio.
“Qualcosa non va?” chiese il medico preoccupato.
“No tutto bene, Dì a Johanna che passo a darle il bacio della buonanotte” rispose calmo Jim.
Ma  nel preciso istante in cui McCoy guardò il suo migliore amico negli occhi capì che c’era qualcosa che gli stava nascondendo.
 
Star Trek non mi appartiene.
Spero che la storia vi stia piacendo. E sempre grazie a chi lascia un segno del suo passaggio qui.
Buona Domenica delle Palme a tutti.

Spoiler per il prossimo capitolo


“Spock… se ti dovessi chiedere di fare qualcosa, una cosa su cui probabilmente non sei d’accordo… la faresti lo stesso?”
Il vulcaniano guardò il suo capitano ed amico perplesso. Non era la prima volta che Jim poneva domane illogiche e senza senso, ma stavolta la questione gli stava sollevando un senso di fastidio per lui non frequente.
“Sei il mio superiore,  è mio dovere eseguire i tuoi ordini” si limitò a rispondere.
“Non  stavo ipotizzando come tuo superiore, ma come  tuo amico…”


 

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Capitolo 5
*** Un lungo addio ***


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EROE
 
Capitolo IV
Un lungo addio
 
Jim quella notte non passò a dare il bacio della buonanotte a Johanna.
Non tornò neppure a casa, nell’appartamento  di fronte a quello assegnato a McCoy.
E nonostante il medico l’avesse chiamato in continuazione, per tutta la notte non rispose.
Con il cuore colmo di preoccupazione McCoy si avviò all’alba, con madre e figlia, al molo di attracco della navetta che l’avrebbe portato all’Enterprise, attraccata allo spacedock.
“Ma zio Jim non viene a salutarci?” chiese con aria imbronciata Johanna, tenendo la mano del padre.
“Ma sì, vedrai che ora arriva” rispose il papà, mentre cercava ansiosamente con lo sguardo fra la folla di parenti ed amici venuti a salutare i membri dell’equipaggio in partenza.
Con la coda dell’occhio vide Spock in paziente attesa accanto ad una delle navette e si avvicinò.
“Spock, hai visto Jim? Non è tornato a casa ieri sera”
“In effetti dottore, il Capitano era atteso per la cerimonia di trasporto del feretro del Proconsole Merrick a bordo, ma mi ha inviato una comm chiedendomi di fare le sue veci. Non è stato agevole calmare il Senatore Aerv e convincerlo che non si trattava di una mancanza di rispetto”
Il tono del vulcaniano era come al solito piatto, ma McCoy vi poteva leggere una piccola nota di preoccupazione. Jim era un capitano assolutamente ligio ai suoi doveri e se aveva disertato la cerimonia doveva essere successo qualcosa di grave.
Ormai  stava per scadere l’orario di partenza e McCoy si avvicinò alle sue donne.
“Zio Jim non c’è? Non posso salutarlo?” chiese di nuovo la bambina.
“Forse ha avuto un contrattempo e  prenderà una navetta più tardi…” provò a giustificare il padre.
“Sì, ma io e la nonna partiamo fra mezz’ora…”
“Forza piccola, saluta papà” intervenne Eleanor.
McCoy strinse la sua bambina più forte che poteva, inalando forte per cercare di imprimere nella sua mente  il suo odore di caramelle e shampoo alla fragola.
“Papà ti ama tanto… ci vediamo presto” il medico a stento tratteneva le lacrime.
“Ehi… eccomi” sbuffò Jim apparso magicamente dietro ai due.
“Zio Jim!!! Credevo che non volessi salutarmi…” Johanna appena lo vide ebbe un sussulto e si gettò fra le braccia del suo zio preferito.
“Piccola, non sarei mai partito senza salutarti. Mai e poi mai” rispose il capitano, stringendo la bambina.
Mentre McCoy salutava la madre i due iniziarono una fitta conversazione sottovoce, di cui il medico riuscì solo a carpire alcuni passaggi.
“Ti voglio bene lo sai vero? Te ne vorrò sempre. Non lo dimenticare qualsiasi cosa succeda…”
“Anche io ti voglio bene, zio Jim”
“Devi  sempre stare vicina a papà, mi raccomando”
“Certo, lo farò”
Prima che McCoy potesse intervenire Jim si alzò, asciugandosi furtivamente il viso.
“Eleanor…” disse poi abbracciando la signora McCoy.
“Buon viaggio tesoro, ci vediamo in Georgia”
Ancora una volta a Leonard sembrò di vedere una lacrima sul volto del suo migliore amico, ma fu solo un attimo.
Quando si sciolse dall’abbraccio Jim aveva di nuovo indossato la solita faccia da poker.
“Jim… stai bene?” chiese il medico.
“Benissimo. Ti aspetto sulla navetta”  rispose  il capitano allontanandosi per lasciare  l’amico fare gli ultimi saluti.
 
“Dove sei stato stanotte? Ti avrò chiamato cento volte” chiese McCoy  una volta seduto accanto a Jim sulla navetta in decollo.
“Una riunione infinita al Comando”
“In piena notte?” incalzò l’amico, ma Jim era dannatamente bravo a sviare l’attenzione ed era già impegnato in una fitta conversazione sull’efficienza dei motori a curvatura con Scotty.
C’era decisamente qualcosa di sbagliato e McCoy era deciso a scoprirlo.
 
 
“Capitano sul ponte” annunciò Chekov.
“Signor Sulu imposti la rotta per Romulus. Appena possibile warp cinque” ordinò Kirk sedendosi sulla poltrona di comando.
“I romulani sono stati sistemati?” chiese poi a Spock che si era avvicinato.
“Sì signore. E la stanza cerimoniale con il feretro del Proconsole è stata allestita secondo le loro istruzioni”
“Bene, cerchiamo di non creare altri attriti in questi due giorni di viaggio. Ha il comando signor Spock . Io vado a salutare i diplomatici e a rendere omaggio a Merrick”
 
 
La sala allestita per ospitare il feretro era scarsamente illuminata e con un fortissimo odore di incenso.
Appena entrato Jim fu quasi colpito da un attacco di nausea tanto era forte l’odore, ma cercò di non mostrare fastidio mentre si avvicinava a Nuhir, seduta accanto al feretro di suo padre, alta e fiera e senza alcuna espressione sul volto.
“Mi dolgo nuovamente per la morte di suo padre” le sussurrò Kirk avvicinandosi.
La giovane donna  gli rivolse un cenno del capo.
“Il suo spirito presto raggiungerà Vortavor ” disse dopo alcuni momenti, con voce triste.
Kirk non poté fare a meno di notare ancora una volta la sua bellezza, anche se nascosta sotto pesanti abiti neri da lutto.
“Capitano Kirk lieto di vedere che non tutti gli umani si comportano da vigliacchi”
La voce di Aerv quasi fece trasalire Jim.
“Non sono una eccezione Senatore, mi creda” si limitò a rispondere il capitano prima di lasciare la sala.
 
 
“Posso entrare?” chiese Jim facendo capolino dalla porta della cabina di McCoy.
“Quando mai hai chiesto il permesso?” rispose ridendo il medico, ricordando il periodo trascorso in Accademia, quando i due condividevano l’alloggio.
I due giorni di viaggio verso Romulus erano quasi terminati, l’arrivo era previsto per la mattina successiva.
Il comportamento di Jim in quei due giorni era stato assolutamente normale, ma McCoy non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che ci fosse qualcosa che non andava e di solito quando sentiva la tempesta arrivare questa prima o poi arrivava.
“Mi chiedevo se volevi cenare con me” chiese il giovane capitano entrando.
Aveva un pacchetto in mano.
“Certo, dammi due minuti per firmare questo rapporto e andiamo. Ma non devi cenare con gli ambasciatori?” chiese il medico.
“Per stasera li ho mollati a Spock” rispose Jim.
McCoy per un attimo fece caso  al fatto che il giovane che non aveva cenato con gli ambasciatori, come era uso nelle missioni diplomatiche, neppure le sere precedenti, preferendo la compagnia di Uhura, Scotty, Sulu e Chekov.
“Bene allora andiamo” fece il medico alzandosi dalla scrivania dopo aver completato il lavoro.
“Aspetta, prima volevo darti questo, per il tuo compleanno. Tanti auguri, vecchio”
Jim porse all’amico il pacchetto che aveva in mano.
“Ma è solo fra una settimana” si meravigliò McCoy, prendendolo.
“Lo so, ma mi sono anticipato un po’…l’ho trovato in una piccola libreria a San Francisco e volevo dartelo subito”
“Questo vuol dire che non avremo la nostra solita serata ‘alcolica’?”
“Certo che avremo la nostra serata, come tutti gli anni” rispose Jim con una certa emozione.
McCoy scartò il pacchetto.
“Wow…” fece sorpreso.
Era un vecchio libro, di quelli di carta, rarissimo e prezioso da quando la Federazione aveva messo al bando la cellulosa per salvaguardare gli alberi. Doveva essere costato una fortuna.
“Tutte le storie di Puck il folletto di Rudyard J. Kipling” lesse McCoy.
Per un attimo McCoy rimase perplesso, Kipling era uno degli scrittori preferiti da Jim, ma era conosciuto soprattutto per essere uno scrittore di storie per ragazzi.
“Grazie…” si limitò a dire.
“Leggilo con calma” scandì Jim dandogli una gran pacca sulla spalla.
“Ma non credere che grazie a questo regalo puoi mangiare le tue solite schifezze davanti a me” sorrise Leonard, mentre la sensazione di fastidio che aveva provato in quei giorni si faceva ancor più forte.
 
 
La cena era stata piacevole e apparentemente tranquilla. Ad un certo punto li avevano raggiunti anche Sulu e Chekov ed era iniziata una animata discussione su chi avesse inventato il beach volley che, ovviamente, secondo il navigatore russo, era nato nella Grande Madre Russia.
“Spock, unisciti a noi” invitò Kirk quando vide il vulcaniano entrare nella sala mensa.
Il primo ufficiale si avvicinò al tavolo, rigido e perfetto nella postura come sempre.
“I nostri ospiti?” chiese il capitano.
“Hanno mostrato gradimento per la cena, anche se erano perplessi per l’assenza del capitano” rispose Spock con una leggera nota di rimprovero nella voce.
“Ora  si sono ritirati nelle loro cabine. L’arrivo a Romulus è previsto per le ore sette zero zero” continuò.
“Perfetto come al solito signor Spock” sorrise Jim, senza mostrare alcun imbarazzo.
“Che ne dici se proseguiamo la partita di ieri sera?” chiese poi alzandosi dal tavolo.
“E’ accettabile per me” rispose formale Spock.
“Bene signori a domattina. Buonanotte Bones” salutò il giovane capitano.
Qualcosa nello sguardo dell’amico, forse l’indugiare ed il sorriso triste con cui pronunciò quelle parole mise di nuovo in allarme il medico.
Si alzò e raggiunse i due ufficiali che stavano uscendo dalla sala mensa.
“Jim… aspetta un momento… stai bene?” chiese, trattenendo il capitano per un gomito.
“Certo, sto bene. Stai tranquillo Bones. Buonanotte” svicolò lui.
McCoy stava per tornare al tavolo dagli altri quando fu Jim a richiamarlo.
“Bones… grazie di tutto” disse piano e prima che McCoy avesse il tempo di replicare si avviò nel corridoio.
 
“Capi… Jim credo sia corretto informarti che alla prossima mossa perderai la tua regina”
Kirk sorrise senza rispondere all’avvertimento del vulcaniano.
Stavano giocando ormai da mezz’ora senza  parlare molto, come era solito fra loro.
“Spock… se ti dovessi chiedere di fare qualcosa, una cosa su cui probabilmente non sei d’accordo… la faresti lo stesso?”
Il vulcaniano guardò il suo capitano ed amico perplesso.
Non era la prima volta che Jim poneva domande illogiche e senza senso, ma stavolta la questione gli stava sollevando un senso di fastidio per lui non frequente.
“Sei il mio superiore,  è mio dovere eseguire i tuoi ordini” si limitò a rispondere.
“Non  stavo ipotizzando come tuo superiore, ma come  tuo amico…”
Spock rimase in silenzio.
“Non riesco a rispondere se non specifichi meglio”
Jim lo fissò a lungo.
“Lascia perdere era una ipotesi stupida” sospirò.
Spock  non riusciva a comprendere sempre il comportamento umano, ma sentì l’improvviso e illogico bisogno di rassicurare il suo amico.
“Quel che posso dire è che farei di tutto per non deludere le tue aspettative”
Jim Kirk sorrise, ma il suo era un sorriso triste.
“Grazie, so di poter contare su di te ed è importante per me. Si è fatto tardi, continuiamo un'altra volta” fece alzandosi.
“Bene… a domattina… Jim”
“A domani, Spock”
Quando la porta della cabina si richiuse il vulcaniano restò per un lungo momento fermo immobile a riflettere sulle ultime parole, pentendosi per non aver richiesto maggiori spiegazioni.
 
Star Trek non mi appartiene.
Grazie come al solito a tutti quelli che leggono e recensiscono.
BUONA PASQUA!!

 

Spoiler per il prossimo capitolo
 
“Fa’ qualcosa! Fermalo!” continuò imperterrito McCoy  rivolgendosi a Spock.
“Capitano ancora una volta sconsiglio vivamente” fece Spock, seguendo Kirk.
All’improvviso Jim si voltò e fronteggiò il suo primo ufficiale.
“Ricordi cosa ci siamo detti ieri sera?” disse fissandolo.

 

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Capitolo 6
*** Ostaggio ***


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EROE
Capitolo 4
Ostaggio


Il mattino dopo  quando Spock raggiunse la sala teletrasporto, l’Enterprise era già in orbita e tutto era già pronto per il trasferimento dei romulani sulla superficie del pianeta.
Tutti i dignitari erano schierati attorno al feretro, già posizionato sulla piattaforma del teletrasporto.
Ad un segnale scesero tutti  dal PADD tranne Nuhir che si smaterializzò unitamente alla bara di suo padre.
Mentre Scotty alla consolle ricalibrava il sistema Kirk fece il suo ingresso nella sala.
Era in alta uniforme.
“Signori siamo pronti?” chiese guardando fiero verso i romulani.
“Signor Spock, ora ha lei ha il comando. Appena completato il trasferimento imposterà la rotta verso la Terra. Il comando Starfleet vi farà pervenire i nuovi ordini”
Nella sala scese un silenzio attonito.
“Cosa vuol dire, signore?” chiese esitante Scotty immobile dietro la consolle.
“Che io scendo sul pianeta con gli ambasciatori, signor Scott”
“Capitano, posso parlare in privato con lei?”
“Certo, signor Spock,  ma non  abbiamo molto tempo” rispose Kirk avviandosi verso la saletta attigua.
Appena  i due sparirono dietro le porte scorrevoli, Scotty azionò il comunicatore e chiamò l’infermeria.
“Dottor McCoy? E’ meglio che venga qui e in fretta”
 
 
“Sono costretto a chiedere spiegazioni”
La voce di Spock nonostante l’aspetto come al solito calmo tradiva emozione.
“Mi pare di aver dato ordini chiari”
James Kirk aveva assunto la sua migliore aria  di comando e in questi casi poteva apparire realmente intimidatorio.
“Capitano si rende conto che se scende sul pianeta non le sarà consentito tornare?” chiese sempre stoico il vulcaniano.
“Ne sono perfettamente cosciente signor Spock” fu la risposta secca del capitano.
“Vuol dire che si sta offrendo come ‘ostaggio di garanzia’?”
“Cosa??? Sei completamente impazzito??” urlò McCoy arrivato appena in tempo per sentire l’ultima frase.
“Capitano mi permetto di sconsigliare vivamente. I romulani sono molto rigidi sugli ostaggi di garanzia. Non la lasceranno andare”
“Sino a quando?” chiese McCoy sempre più pallido.
“Suppongo sino a quando non  saranno trovati gli assassini di Merrick”  intervenne Spock rispondendo al posto di Kirk.
“Tu devi aver davvero perso la ragione… sei pazzo, non puoi consegnarti a quella gente” fece McCoy inviperito.
“E’ un ordine dell’Ammiragliato?” incalzò Spock.
“Signori! Avete i vostri ordini e vi ubbidirete” concluse il capitano avviandosi di nuovo verso la sala del teletrasporto.
“Jim!!! Aspetta!” urlò di nuovo il medico prendendolo per un braccio.
“Tenente Comandante McCoy, il suo capitano le ha appena dato un ordine diretto. Ora basta!” scandì Jim liberandosi dalla presa.
“Fa’ qualcosa! Fermalo!” continuò imperterrito McCoy  rivolgendosi a Spock.
“Capitano ancora una volta sconsiglio vivamente” fece Spock seguendo Kirk.
All’improvviso Jim si voltò e fronteggiò il suo primo ufficiale.
“Ricordi cosa ci siamo detti ieri sera?” disse fissandolo.
Spock si bloccò.
 
“Signori possiamo andare” disse Kirk appena rientrato nella sala del teletrasporto.
I romulani e il capitano presero posto sulla piattaforma.
“Jim che stai facendo??? Spock fai qualcosa, maledizione” McCoy non aveva intenzione di arrendersi e fece per lanciarsi in avanti, ma venne bloccato da Spock.
“Dottore la prego conservi la calma”
“Cosa? Sei impazzito anche tu??” urlò il medico cercando di svicolare.
“Signor Scott energia” ordinò Kirk, ma Scotty rimase immobile, guardando Spock sconcertato.
“Ho detto energia signor Scott” ordinò di nuovo Kirk.
“A quanto pare ha difficoltà a farsi obbedire, capitano” chiosò ironico Aerv.
“E’ un ordine comandante Scott” sibilò di nuovo Kirk.
Dopo un’ultima occhiata a Spock, pur sconvolto Scotty azionò i comandi e il gruppo si dissolse nel consueto scintillio.
“Maledetto computer dalle orecchie a punta perché non l’hai fermato? Chissà cosa gli faranno… credevo fossi suo amico!!!”
Per un attimo Scotty pensò che McCoy avrebbe colpito il vulcaniano con un pugno in pieno viso.
Spock non rispose e non reagì, ma si avvicinò all’interfono sulla parete.
“Tenente Uhura comunicazione di emergenza con il comando Starfleet, subito nella sala tattica”
Poi uscì con passo veloce seguito a ruota da Scotty e McCoy.

 
“Ammiraglio Archer si rende conto che così facendo state mettendo in serio pericolo l’incolumità del capitano?” la voce di Spock era dura e tagliente.
“Me ne rendo conto benissimo,  e se vuole saperlo non ero d’accordo. La cosa è stata gestita direttamente dalla Presidenza e Kirk ha acconsentito”
“Maledetta sgualdrina della Marlentes” inveì neppure a bassa voce McCoy.
“Dottor McCoy moderi il linguaggio” sibilò Spock irritato.
“Cosa avete fatto? L’avete minacciato?”  disse invece il medico sporgendosi in avanti verso lo schermo.
“Tenente Comandante McCoy la Flotta non minaccia o ricatta. Il Capitano Kirk è un militare, ha obbedito agli ordini” intervenne l’ammiraglio Barnett che, seduto acconto ad Archer,  era rimasto  sino a quel momento in silenzio.
“Mi scusi ammiraglio, ma non vedo la logica di consegnare ai romulani il capitano più famoso e decorato della Flotta. Vi renderete certamente conto che anche per l’opinione pubblica sarà un trauma” ragionò Spock.
“Era questo o la rottura del trattato di Algernon” rispose Archer con aria contrita.
“E così l’avete consegnato al nemico come un agnello sacrificale?” stavolta fu Scott ad intervenire.
“Si risolverà tutto. I romulani  hanno un loro codice d’onore e Aerv ha garantito  sulla incolumità di Kirk. Scopriremo presto i responsabili ed il vostro capitano tornerà sano e salvo”
“Ammiraglio, mi permetto di far notare che la matrice dell’attentato in cui è morto Merrick è probabilmente romulana. Non credo che gli assassini del Proconsole si lasceranno scoprire e tanto meno lasceranno andare  il capitano” scandì Spock.
“Purtroppo non c’è altra scelta. I romulani  hanno chiesto che l’Enterprise lasci l’orbita di Romulus entro due ore. Quindi tornate sulla Terra. Faremo tutto il possibile per recuperare Kirk” ripose Archer senza guardare negli occhi il vulcaniano.
“Lei non può chiederci di partire e lasciare il nostro capitano in mano al nemico”  urlò McCoy.
“Ammiraglio protesto vivamente” scandì Spock.
“La sua protesta è annotata. Obbedite agli ordini. Archer chiude”
Lo schermo divenne nero.
“Allora cosa facciamo?” chiese impaziente McCoy.
Spock non rispose continuando a guardare davanti a sé, apparentemente senza alcuna emozione.
“Signor Spock, qui fuori in attesa ci sono Sulu, Chekov e il tenente Giotto con una decina dei suoi uomini. Ci dia il via e andiamo a riprenderci Kirk. E al diavolo l’Ammiragliato!!!”
Anche stavolta Spock non rispose, ma azionò il comunicatore sul tavolo.
“Tenente Uhura comunicazione con l’Ambasciata Vulcaniana a San Francisco. Ambasciatore Sarek. Nel mio alloggio fra cinque minuti”
Poi uscì in silenzio.
 
“Padre,  fai parte del Consiglio della Federazione, tu puoi intervenire”
Mai come in quel momento Spock sentiva il suo lato umano prendere il sopravvento e non gli importava  che la cosa avvenisse davanti al padre, che tanto lo aveva indotto invece a far prevalere  la sua metà vulcaniana.
“Figlio sai bene che la decisione è stata presa a livello più alto. Il Consiglio ne è venuto a conoscenza solo poche ore fa”
“Potrebbero ucciderlo Padre. E’ un uomo buono e coraggioso. La Federazione deve la sua stessa sopravvivenza a lui”
“Capisco la tua preoccupazione. Ma sai bene che gli interessi  di molti devono prevalere su quello del singolo”
“E questo significa che dobbiamo lasciare il nostro capitano in mano ad un nemico subdolo che probabilmente non lo lascerà andare mai più? Che probabilmente lo torturerà per fargli rivelare quello che sa sul sistema difensivo della Flotta e poi con ogni evidenza lo ucciderà?”
“Kirk è un ostaggio di garanzia, anche i romulani hanno il loro codice d’onore”
“Se l’avessero avuto non avrebbero minacciato di rompere il trattato di pace per un attentato che probabilmente hanno organizzato loro stessi”
“Figlio ti stai lasciando trascinare dalle tue emozioni. Sai bene che allo stato non possiamo permetterci una guerra contro i romulani. Dopo l’attacco di Nero e poi quello di Khan la Flotta è debole, abbiamo la metà delle navi  rispetto a  cinque anni fa. E se i romulani dovessero attaccare la Federazione lo farebbero anche i Klingon. Kirk è ben a conoscenza di questo, perciò ha acconsentito”
“Mi stai dicendo che lo hanno ricattato? La sua consegna o la guerra? Tutto ciò non è assolutamente onorevole”
Sarek guardò intensamente il figlio.
“Spock ti invito a seguire la logica. Ormai non è più possibile cambiare le cose. Possiamo solo impegnarci a far tornare Kirk sano e salvo”
“Devo ordinare all’equipaggio di lasciare qui il loro… il nostro capitano, colui che è entrato  in una camera radioattiva sapendo  di dover poi morire in modo orribile, solo per salvarci? Nessuna logica può giustificare questo”
“Se cercate di riprendervi Kirk provocherete una guerra galattica. Credi davvero che lui vorrebbe questo? Fai in modo che il suo sacrificio non sia vano” concluse Sarek.
“Lunga vita e prosperità Figlio. Farò tutto quanto è in mio potere per far tornare sano e salvo il tuo amico, ma ora dovete obbedire agli ordini” disse infine il vecchio ambasciatore chiudendo la comunicazione.
Spock respirò più volte pesantemente, cercando di calmare il battito cardiaco che pulsava nel fianco.
Combattuto fra il desidero, molto umano, di scendere su Romulus e liberare Jim a qualsiasi costo e il pensiero logico di non poter provocare  un conflitto intergalattico, non riusciva proprio a dominare le emozioni.
Restò immobile sino a che l’interfono sul tavolo non squillò e la voce di Uhura lo richiamò alla realtà.
“Spock vieni qui sul ponte, subito. Sta succedendo qualcosa su Romulus”

Star trek non mi appartiene.
Grazie sempre... voi sapete...


Spoiler per il prossimo capitolo

“Non vuoi fare nulla? Jim è venuto a riprenderti in quel vulcano su Niburu, violando la Prima Direttiva e ben consapevole che gli sarebbe costato il comando della sua nave” balbettò McCoy quasi con le lacrime agli occhi.  
Spock si limitò a guardare il medico per alcuni secondi.
“Su questa nave ci sono più di quattrocento persone. L’equipaggio di Jim… e siamo circondati dai Romulani, nel loro spazio. Per non parlare delle ripercussioni che le nostre azioni avrebbero sull’intera Federazione” scandì poi calmo.

 

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Capitolo 7
*** Ferite aperte ***


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EROE
Capitolo VI
Ferite aperte
 
L’arrivo sul ponte di comando di Spock  quasi non fu notato, tanto gli altri erano concentrati a guardare quel che succedeva sullo schermo.
“Rapporto signor Sulu” si trovò costretto ad ordinare Spock per sapere quello che stava succedendo.
“Dieci minuti fa il tenente Uhura ha intercettato una trasmissione da Romulus. Proviene dal Tribunale del Pretore e parlano… di un processo all’umano assassino”
Spock dovette fare ricorso a tutto  il suo autocontrollo per non mostrare il terrore che iniziava a provare dentro di sé.
“Tenente Uhura chiami il palazzo del Pretore. Dica  loro che vogliamo immediate spiegazioni. Il Capitano Kirk ha lo status di ostaggio di garanzia”
“Già provato comandante, non rispondono”
Intanto sullo schermo si vedeva una grande sala circolare, stracolma di romulani che urlavano furiosi dalle gradinate poste tutto intorno all’arena centrale.
Anche se la ripresa televisiva era dall’alto, al centro dell’arena si distingueva nitida la figura di Kirk, mani legate dietro la schiena, con a fianco due guardie armate.
All’improvviso l’inquadratura cambiò per mostrare un romulano alto e muscoloso. Indossava i segni del Proconsolato sulla tunica.
“Ho attivato il traduttore” informò Uhura.
 
“Il cadavere di Merrick qui davanti a noi grida vendetta!!!” urlò feroce il romulano.
Subito nella sala scoppiò un boato di approvazione.
“La Federazione ha mostrato il suo vero volto. Sono tutti assassini e traditori. Il nostro Proconsole ha ceduto alle loro lusinghe; Merrick ha cercato la pace e questo è stato il risultato”
Un altro boato accompagnò le parole del romulano.
 
“Chi è?” chiese Spock scrutando  lo schermo.
“Dovrebbe essere il secondo Proconsole Hanaj. In assenza del Pretore è lui il Persecutore in Tribunale” rispose Uhura.
“Tenente Uhura  contatti il Comando di Flotta e li informi di quanto sta succedendo” ordinò ancora Spock immobile di fianco alla sedia di comando.
“E richiami il Palazzo del Pretore. Li informi che in presenza di una palese violazione del codice sugli ostaggi di garanzia ci riteniamo legittimati ad intervenire a tutela dell’incolumità del nostro capitano”
“Finalmente, ti sei deciso a fare qualcosa” la voce di McCoy giunse alle spalle di Spock con un tono quasi isterico.
Il vulcaniano  si voltò appena per guardare il medico appena arrivato sul ponte, ma fu sufficiente a scorgere il tremito che scuoteva l’uomo che Jim diceva avere le mani più ferme dell’intero equipaggio.
Pochi istanti dopo lo schermo si oscurò.
“Hanno interrotto la trasmissione. E dal Palazzo del Pretore non rispondono signore, ma ho il Presidente Marlentes in linea” informò Uhura.
“Sullo schermo”
Subito dopo apparve il volto della donna con accanto Archer; apparivano entrambi sconvolti.
“Presidente, suppongo che sia a conoscenza di quello che sta accadendo. Chiedo il permesso di scendere sul pianeta con una squadra e riportare il Capitano a bordo” scandì Spock.
“Permesso negato signor Spock. Qualsiasi azione da parte vostra  sarebbe interpretata come atto di guerra e porterebbe ad un conflitto  con l’Impero. E non possiamo permettercelo…”
“Cosa??? E quindi dobbiamo stare a guardare mentre lo uccidono?” urlò McCoy.
Spock lo ignorò e conservò apparentemente la calma, anche se gli occhi tradivano rabbia.
“Signora Presidente se non interveniamo è più che probabile che uccidano il Capitano”
“Potrei cercare di portarlo su con il teletrasporto” propose Chekov.
“Negativo signori. Non dovete fare nulla senza precisi ordini. I nostri diplomatici stanno cercando di contattare il Pretore di Romulus. L’equivoco sarà chiarito” rispose la Marlentes.
“Mi permetto di farle notare signora, che non si tratta di un equivoco. Hanno trascinato il Capitano, nonostante lo status di ostaggio di garanzia, in un tribunale e lo stanno accusando, quale rappresentante della Federazione, di aver ucciso il loro Proconsole. Sono loro a compiere un atto di guerra nei nostri confronti” 
“Comandante Spock le ho già illustrato le ragioni per cui non possiamo permetterci un conflitto proprio ora” intervenne Archer.
“L’accordo non prevedeva l’esecuzione di un Capitano della Flotta, del nostro Capitano”
  “Avete i vostri ordini. Lasciate che di questa cosa si occupino i politici. Ci risentiamo appena abbiamo novità. Nel frattempo preparatevi a lasciare l’orbita di Romulus”
Lo schermo divenne improvvisamente nero.
“Bastardi…” imprecò McCoy.
“Signor Chekov è possibile tracciare la posizione del Capitano?” chiese Spock.
Un lampo di soddisfazione attraversò gli occhi del giovane navigatore, sostituito però dopo qualche minuto da una profonda delusione.
“Il Palazzo è schermato, signore…”
“Signor Spock, ci lasci scendere. Una piccola squadra, siamo disposti ad assumerci tutti i rischi” fece Sulu alzandosi dalla sua postazione.
“Sì signore, ci lasci andare” approvò il tenente Giotto, il gigantesco capo della sicurezza, che Jim  aveva soprannominato Cupcake.
Spock rimase immobile, gli occhi di tutti puntati addosso.
“Non vuoi fare nulla? Jim è venuto a riprenderti in quel vulcano su Niburu, violando la Prima Direttiva e ben consapevole che Poteva costargli il comando della sua nave” balbettò McCoy quasi con le lacrime agli occhi. 
Spock si limitò a guardare il medico per alcuni secondi.
“Su questa nave ci sono più di quattrocento persone. L’equipaggio di Jim… e siamo circondati dai Romulani, nel loro spazio. Per non parlare delle ripercussioni che le nostre azioni avrebbero sull’intera Federazione” scandì poi calmo.
“E cosa facciamo? Restiamo qui? Scappiamo come conigli e lasciamo che lo uccidano?” stavolta fu Uhura ad intervenire.
Mai come in quel momento Spock avrebbe voluto avere la stessa convinzione di Kirk: non esistevano scenari ‘no win’,c’era sempre una via d’uscita, ma pur facendo appello a tutta la sua logica il primo ufficiale non riusciva a trovare  una soluzione.
All’improvviso lo schermo principale riprese vita e ricomparvero le immagini del tribunale Romulano.
La folla se possibile sembrava ancor più rumorosa e inferocita.
“La decisione è presa. Il sangue deve essere lavato con il sangue” urlò Hanaj.
“Protesto vivamente. Quest’uomo è un mio ostaggio ho garantito per la sua incolumità”
Per la prima volta la telecamera inquadrò Aerv, in piedi accanto a Hanaj.
“Tu dovevi garantire l’incolumità del nostro Proconsole Merrick, e hai fallito Senatore” rispose feroce Hanaj.
“La decisione deve essere rimessa al parente più prossimo” scandì un altro romulano che  era accanto ai due.
“Nhuir non è di stirpe pura. Non è una discendente pura del nostro Proconsole” obiettò Hanaj.
“E’ stata riconosciuta come figlia. Tocca a lei chiedere vendetta” rispose il romulano.
L’inquadratura cambiò per mostrare la snella figura di Nhuir, ancora avvolta negli abiti neri da lutto.
La sala cadde in un silenzio nervoso.
“Il sangue di mio padre vuole la sua nemesi” disse la donna con voce calma e forte.
Nella sala scoppiò un urlo di soddisfazione.
“La sentenza sarà eseguita immediatamente” sibilò Hanaj.
 
“Oh mio Dio…” fece Uhura mentre le lacrime iniziavano a scenderle sul viso.
Sul ponte di comando dell’Enteprise era sceso il gelo, tutti erano immobili a fissare terrorizzati lo schermo.
“Spock non possono farlo...” continuò Uhura avvicinandosi a Spock.
“Qualcuno faccia qualcosa!!!” urlò McCoy
Il vulcaniano non aveva la forza di muoversi.
Provava l’illogico impulso di trascinare via il medico per non fargli vedere quello che sapeva stava per accadere.
Provava l’illogico impulso di fuggire via lui stesso per non vedere quello che sapeva stava per succedere.
Ma non fece né l’una né l’altra cosa.
Rimase immobile ed impassibile a guardare Hanaj che puntava un phaser  direttamente al petto del suo migliore amico, fermo a testa alta al centro dell’arena, fiero e coraggioso come sempre.
Poi Hanaj sparò uccidendo il capitano James Tiberius Kirk.
 
 
 Star Trek non mi appartiene.
Non finirò mai di ringraziare  i miei cari recensori che ostinatamente commentano le mie storielle sensa senso. Vere amiche!!

Come al solito... spoiler (è morto morto?)


“Taci tu!!! Credevo davvero che Jim fosse riuscito ad intaccare l’animo arido che ti ritrovi. Sei solo una macchina senza sentimenti. L’hai lasciato morire da solo, l’unica persona che abbia mai mostrato  vero affetto verso di te…”
“Leonard no…” balbettò Uhura cercando di trattenere il medico, del tutto inutilmente.
Prima che lei o qualcun altro presente sul ponte di comando potesse fare alcunchè, McCoy si avventò sul vulcaniano, colpendolo con un pugno al mento.

 

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Capitolo 8
*** Il millesimo uomo ***


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EROE

Capitolo VII
Il millesimo uomo
 
 
Trentadue secondi.
Il tempo occorrente affinché il cuore di un uomo si fermi definitivamente dopo una scarica di phaser diretta al torace.
Quei trentadue secondi possono fare la differenza.
Se McCoy fosse stato lì accanto al suo amico avrebbero fatto la differenza, poteva tentare qualcosa, fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Invece era rimasto a guardare in diretta la morte del suo migliore amico, di colui che considerava come e più di un fratello, l’altro figlio di sua madre, lo zio preferito di sua figlia, senza poter fare nulla.
Il medico si sentiva come se fosse ubriaco, completamente insensibile a quello che aveva appena visto, come se fosse un brutto film dell’orrore di quelli che piacevano tanto a Jim e su cui ridevano mentre guardavano l’holovid con una birra in mano.
Non era vero. Non poteva essere vero.
La ripresa si era interrotta mentre due guardie romulane trascinavano via per le braccia il corpo di Kirk, inerte e senza vita, mentre  sul ponte dell’Enterprise non si sentiva volare una mosca.
Tutti erano rimasti nella stessa identica posizione, occhi sbarrati a fissare lo schermo nero.
“No,  no, no” il singhiozzo di Chekov ruppe finalmente lo stupore catatonico che si era impadronito dell’equipaggio di comando.
Uhura scoppiò in singhiozzi disperati, avvicinandosi a McCoy.
“Oh Leonard…” balbettò la ragazza cercando di abbracciarlo, ma il medico continuava a rimanere immobile fissando il vuoto.
Un fastidioso allarme iniziò a risuonare.
“Il comando di Starfleet ci sta chiamando” bisbigliò Uhura guardando verso la sua consolle, ancora abbracciata a McCoy.
Fu Spock che si avvicinò per azionare il comando.
La faccia, terrorizzata e sconvolta di Archer riapparve sullo schermo.
“Comandante Spock…” la voce del vecchio ammiraglio era quasi un sussurro.
“Suppongo abbiate visto quello che è successo” il tono di Spock tradiva la rabbia evidente nei suoi occhi.
“Noi e tutta la Federazione. Un’emittente televisiva è riuscita ad intercettare il segnale…”
“Comandante Spock… dispiace davvero per quello che è successo. Io… sono sconvolta…” La Marlentes si intromise nell’inquadratura.
“Sconvolta? Dispiaciuta?? Siete dei luridi schifosi. L’avete consegnato in mano al nemico…  l’avete ucciso con le vostre  stesse mani…”
Finalmente McCoy era uscito dal suo torpore, ma stava veicolando tutta la sua rabbia sui due sullo schermo.
“Dottor McCoy… si calmi” provò Archer.
“Altrimenti cosa? Mi degradate? Mi mettete agli arresti? Mi disgustate. La Flotta mi disgusta… la vostra organizzazione è stata solo capace di consegnare un ragazzo nobile e generoso al peggiore nemico, senza dargli alcuna possibilità di scelta”
“Dottor McCoy moderi i termini” intervenne Spock cercando di calmare gli animi.
L’ultima cosa che voleva era il medico agli arresti o degradato,  più volte Jim  gli aveva chiesto di badare all’amico in sua assenza.
Ma l’unica cosa che ottenne fu che McCoy si rivoltasse anche contro di lui.
“Taci tu!!! Credevo davvero che Jim fosse riuscito ad intaccare l’animo arido che ti ritrovi. Sei solo una macchina senza sentimenti. L’hai lasciato morire da solo, l’unico che abbia mai mostrato amicizia verso di te…”
“Leonard no…” balbettò Uhura cercando di trattenere il medico, del tutto inutilmente.
Prima che lei o qualcun altro presente sul ponte di comando potesse fare alcunché, McCoy si avventò sul vulcaniano, colpendolo con un pugno al mento.
Nel corso degli anni Kirk aveva cercato di insegnare qualche colpo all’amico, ma McCoy era un medico e si era sempre rifiutato di imparare tecniche di combattimento  che andassero al di là della mera difesa.
Stavolta  mise in quel pugno tutta la rabbia, il dolore e la frustrazione che provava e lo stoico, fortissimo Spock vacillò all’indietro di un passo.
Fu solo un attimo, prima che Sulu e Chekov si precipitassero a bloccare McCoy.
“Lasciatemi!!!” urlò il medico sempre più disperato.
Conscio di essere osservato dallo schermo dal Comando di Flotta Spock riacquistò subito l’atteggiamento stoico.
“Dottore lei è emotivamente compromesso. Ora il tenente Sulu l’accompagnerà ai suoi alloggi. E’ fuori servizio sino a nuovo ordine” scandì.
Tutti sul ponte lo guardarono sconvolti.
“Non c’è bisogno che mi accompagni Sulu. Ci arrivo da solo nella mia cabina. Avrete presto le mie dimissioni. Ho chiuso con tutti voi bastardi” sibilò prima di avviarsi verso il turboascensore.
 

Sul ponte era calato un silenzio di tomba, rotto solo dai singhiozzi sommessi di Uhura.
Scotty uscì dal turboascensore con l’aria assolutamente sconvolta. Evidentemente la notizia lo aveva raggiunto.
“E’ vero?” chiese a Chekov fermo vicino alla poltrona di comando.
Il giovane navigatore si limitò ad annuire, mentre le lacrime gli scendevano sul volto.
 “Gesù…” ansimò Scotty appoggiandosi ad una paratia.
“Signor Spock… ora è di vitale importanza che abbandoniate subito lo zona romulana. Attualmente hanno bloccato ogni comunicazione esterna, non sappiamo cosa sta succedendo sul pianeta. Siete soli lì…” disse Archer, omettendo ogni riferimento a quello che era appena successo sul ponte.
“Senza neppure cercare di capire cosa è successo?” balbettò Chekov.
“Mi spiace  signori, ma avete visto anche voi. Il phaser era evidentemente tarato per uccidere, e non c’è possibilità che Jim… che il capitano Kirk sia ancora vivo. Mi spiace davvero, ma ora è di vitale importanza che torniate a casa sani e salvi. Ogni minuto che passate lì può essere fatale”
La voce del vecchio ammiraglio era triste e tremolante.
“Senza neppure cercare di recuperare il corpo? Lo lasciamo qui???” chiese Scotty.
“Mi spiace davvero signori. Non c’è altro da fare. Archer chiude” rispose l’ammiraglio subito prima che lo schermo si oscurasse.
“Ci lasci scendere signor Spock la prego. Dobbiamo portarlo a casa… non possiamo lasciarlo qui” balbettò Sulu.
Spock li guardava in silenzio. Solo la mano stretta a pugno dietro la sua schiena tradiva la tensione.
“Signor Sulu capisco il suo desiderio, ma sarebbe una scelta illogica mettere in pericolo l’incolumità di più membri dell’equipaggio in una missione incerta e pericolosa… solo per recuperare un corpo” disse alla fine.
Mentre parlava si rendeva conto di quanto il suo tono poteva sembrare freddo, ma in quel momento era sua responsabilità salvare l’equipaggio. Era l’equipaggio, la famiglia di Jim e lui non poteva che proteggerla con tutte le sue forze.
“Come può dire questo? Stiamo parlando di Jim… glielo dobbiamo maledizione” fece duro Scotty.
“Quello che tutti noi dobbiamo al Capitano Kirk è riportare sana e salva l’Enterprise ed il suo equipaggio sulla Terra” rispose Spock, mentre sentiva gli sguardi gelidi di tutti su di lui.
“Signor Sulu imposti la rotta per la Terra. Appena possibile warp 4” chiese.
Per un attimo rimasero tutti immobili e Spock ebbe il serio dubbio che  fosse di fronte ad una insubordinazione di massa.
“Signori tornate ai vostri posti. Non voglio ripetere l’ordine” scandì.
Lentamente ognuno tornò al suo posto e Sulu si mise al lavoro alla sua consolle.
Mentre la visione sullo schermo del pianeta Romulus  rimpiccioliva sempre più il telepate Spock poteva avvertire, anche senza contatto diretto,  le ondate di dolore e di odio dirette verso di lui.


Quando il dottor Leonard Horatio McCoy era salito sulla navetta che dal cantiere di Riverside lo avrebbe portato al campus dell’Accademia a San Francisco era un uomo finito.
Non aveva più una moglie, non aveva più una figlia, non aveva più neppure il suo patrimonio, ed era stato costretto a cedere lo studio medico che era appartenuto a suo padre prima di lui.
Non sapeva però che salendo su quella navetta la sua vita sarebbe ricominciata, grazie ad un ragazzo sporco e sanguinante che aveva preso posto accanto a lui.
Era stati amici sin da quel momento, quando McCoy aveva minacciato di vomitargli addosso e il ragazzo dagli occhi blu aveva preso a chiamarlo con quel nomignolo ridicolo, rifiutandosi, anche una sola volta da allora in poi, di chiamarlo con il suo vero nome.
Senza che neppure se ne accorgesse Jim Kirk si era insinuato nella vita di McCoy prepotentemente, travolgendo il medico,  che si trascinava da anni sul ciglio pericoloso dell’alcolismo e della depressione, in un vortice fatto di risse, notti passate al pronto soccorso a rappezzare il ragazzo coinvolto in scazzottate varie , urla e rimproveri per la camera comune trasformata in una sorta di bordello con ragazze che andavano e venivano, ma anche risate, confidenze, pianti, spiegazioni di fisica e matematica, esercitazioni per vincere l’aviofobia e cercare di fargli passare l’esame di volo.
E poi la distruzione di Vulcano, Nero e la Narada, Khan, la ‘morte’ di Jim e la lenta ripresa verso la vita.
Quando McCoy si chiedeva come avesse fatto quel ragazzo di campagna ad entrare così in profondità nel suo cuore, la sua parte razionale gli diceva che la circostanza era giustificata dal fatto che Jim non aveva mai avuto un padre e lui non aveva più una figlia. La sua parte emozionale gli diceva che era successo solo perché Jim era Jim: emotivo, irascibile, coraggioso, petulante, leale, generoso, geniale, infantile.
Nel percorrere il corridoio che lo portava ai suoi alloggi ora McCoy si sentiva proprio come quel giorno quando salì sulla navetta d Riverside: completamente perso.
Era nello spazio solo perché aveva seguito Jim, perché lui aveva cancellato di soppiatto tutte le sue richieste di destinazione ad un Comando sulla Terra e convinto ad accettare il posto di CMO dell’Enterprise.
Lui l’aveva convinto a seguirlo nello spazio, lui l’aveva convinto che poteva riavere un rapporto con sua figlia anche se era lontano per mesi, lui l’aveva convinto che l’alcool andava usato con moderazione, solo per festeggiare e non per dimenticare.
Lui era diventato poco a poco la sua famiglia.
Ora era di nuovo solo.
Non c’era un momento negli ultimi sei anni della vita del medico che non coinvolgesse Jim.
Immagini di lui vorticavano nella mente di McCoy mentre intontito cercava di digitare con le mani tremanti il codice di accesso per aprire la cabina.
“Coraggio Bones, sarà divertente. Lo spazio profondo, pensa a quante cose vedremo”
Perché non posso regalare quel pugnale  a Johanna? Io ne avevo due da bambino”
“E dai Bones… buttati… è carina e sta sbavando per te, ti mangia con gli occhi… almeno parlaci… falle vedere come è bello il tuo tricoder”
“Ora basta Bones… la devi smettere di chiamare Spock  folletto dal sangue verde. E’ sensibile e si offende facilmente, anche se non sembra”
Jim era morto e lui non poteva farci nulla. Stavolta non ci sarebbe stato nessun sangue miracoloso a riportarlo indietro. Nessuna speranza, nessuna prospettiva: Jim era morto.
Quando finalmente dopo tre tentativi riuscì ad aprire la porta, l’odore di bourbon e dopobarba al sandalo dell’alloggio  accolse McCoy, facendolo sentire ancora più solo.
Mentre si avviava a passo strascicato verso il divano sentì il consueto spostamento d’aria e ronzio che annunciava  che l’Enterprise era entrata in velocità di curvatura.
Avevano lasciato Romulus. Lo avevano lasciato lì, senza neppure tentare di riportare il corpo a casa.
Sapeva che era in fondo inutile, che Jim era morto e non c’era niente e nessuno che potesse cambiare le cose, ma l’idea dell’abbandono lo fece andare in bestia.
Tutta la rabbia  e la frustrazione che provava in quel momento si impadronirono di lui.
Era arrabbiato con quel maledetto moccioso; lo odiava, odiava il suo eroismo, il suo desiderio di martirio, il suo egoismo nel non pensare che uccidendo se stesso avrebbe ucciso anche il suo migliore amico.
McCoy in quel momento lo odiava tanto quanto odiava Spock che aveva permesso che tutto questo succedesse, tanto quanto odiava se stesso per non aver capito cosa stava per succedere.
Rivide come in un film l’addio di Jim a Johanna e ad Eleanor, le sue parole e le lacrime, la  sera prima quando aveva insistito per dargli il regalo, il saluto che gli aveva fatto lasciando la sala mensa.
Come aveva fatto a non capire?
Dio quanto lo odiava e si odiava in quel momento, e non aveva neppure il conforto delle lacrime.
Come in un sogno prese a distruggere ogni singola cosa che aveva davanti.
I ninnoli e gli strumenti medici sugli scaffali vennero gettati contro le paratie, i cuscini del divano strappati, i padd  sulla scrivania calpestati.
Leonard Horatio McCoy distrusse tutto quello che c’era nella sua cabina, perché tutto quello che c’era gli ricordava Jim ed il ricordo faceva male, troppo male.
Si fermò solo quando ebbe fra le mani il libro che Jim gli aveva regalato.
‘Tutte le storie di Puck il folletto’ di Rudyard Kipling
In prima pagina riconobbe la grafia sottile e precisa di Jim.
“Al Millesimo Uomo per me” diceva la dedica.
A metà libro c’era un segno e McCoy lo  aprì e lesse la poesia.
 
Il Millesimo Uomo
Uno su mille, dice Salomon, ti sarà più vicino di un fratello.
E vale la pena di cercarlo per metà della tua vita, se prima della seconda metà lo troverai.
Novecentonovantanove dipendono da quel che il mondo vede in te.
Ma il Millesimo Uomo ti sarà amico anche con tutto il mondo contro di te.
Non c’è promessa, né prece, né finta che trovi quell’uomo per te.
Novecentonovantanove di loro si fanno influenzare dal tuo aspetto, dalle tue gesta o dalla tua gloria.
Ma se lui trova te e tu trovi lui il resto del mondo non conta.
Perché il Millesimo Uomo affonderà o nuoterà con te in ogni acqua che c’è.
Puoi usare  la sua borsa per le  tue spese con la stessa facilità  con cui lui usa la tua per le sue.
E riderne e parlarne come se non ci fossero mai stati prestiti e pegni.
Novecentonovantanove di loro pretendono oro e argento per i loro servigi.
Ma il Millesimo Uomo vale tutti loro perché puoi mostrargli i tuoi sentimenti.
 
McCoy si accorse che stava piangendo  solo quando vide  le gocce bagnare i fogli ingialliti dal tempo.
Non riuscì a finire di leggere la poesia.
Chiuse il libro e se lo strinse al petto.
“Bastardo… perché mi hai fatto questo…” singhiozzò.
 


Star Trek non mi appartiene.
Ho da poco scoperto la poesia del "millesimo uomo"
La trovo bellissima, uno fra i più struggenti inni all'amicizia.
Grazie sempre a tutti, quelli che leggono e soprattutto a chi lascia un segno del suo passaggio.

Spoiler per il prossimo capitolo


“Tutti voi… l’equipaggio del ponte, il dottor McCoy e anche tu… la vostra illogica presunzione di essere gli unici a soffrire… non vi sovviene neppure l’idea che Jim fosse il mio migliore amico?”
La voce di Spock era appena incrinata, ma la sua maschera stoica era ancora salda sul volto.
“Non hai fatto molto per difendere il tuo migliore amico” sussurrò sempre piangendo Nyota.
“Le necessità dei molti…” iniziò il vulcaniano
“Superano quelle dei singoli. Sì, lo so. Ma era Jim!!! Lo hai lasciato morire. Io credevo…”
“Cosa credevi Nyota? Che cedessi alle emozioni e trascinassi l’intero equipaggio e la nave in una crociata nel nome di Kirk?”
La bella bantu lo guardò sconcertata.
“Sinceramente? Sì mi aspettavo proprio questo. Lui per te l’ha fatto  e stai certo che non ti avrebbe lasciato da solo!”
 

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Capitolo 9
*** Macerie ***


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EROE
 
Capitolo 8
Macerie
 

S'chn T'gai Spock era figlio di due mondi.
La sua nascita come ibrido umano e vulcaniano era stata salutata come miracolo medico e  segno di speranza ed unione fra i due popoli.
Ma per Spock la sua natura aveva costituito sino ad un certo punto della sua vita un vero dramma.
Non abbastanza vulcaniano, non abbastanza umano, rifiutato da entrambi i popoli e non pienamente accettato neppure dal suo stesso padre.
Aveva perso violentemente e drammaticamente la madre,  il primo ed unico essere sino ad allora ad averlo accettato così come era e la perdita l’aveva fatto sentire ancora più solo.
Certo il suo rapporto con Nyota Uhura l’aveva rasserenato; l’amore che la ragazza provava per lui l’aveva spinto ad accettarsi nella sua dualità.
Ma Nyota, come sua madre, gli aveva insegnato ad accettarsi.
James Kirk gli aveva invece insegnato che a volte la dualità costituisce un vantaggio.
L’incontro con il giovane, esuberante, istrionico e geniale ragazzo dell’Iowa aveva costituito un punto di svolta nella sua vita; per la prima volta nella sua esistenza S'chn T'gai Spock  aveva iniziato ad apprezzarsi per quello che era: figlio di due mondi, sufficientemente vulcaniano e sufficientemente umano per coniugare i lati positivi delle due razze.
Spock non sapeva dire con precisione quando la curiosità che lo aveva spinto ad accettare l’incarico di primo ufficiale dell’Enterprise, il suo desiderio di capire la mentalità ed il modo di ragionare assolutamente unico di Jim Kirk, si erano trasformati dapprima in stima profonda e poi in  ammirazione  ed amicizia vera.
Era stato un lungo e progressivo avvicinamento fatto dapprima da discussioni infinite e battibecchi che parevano appositamente provocati dal capitano, poi di condivisione di idee,  partite a scacchi e notti passate in quasi assoluto silenzio sul ponte di osservazione a guardare le stelle scivolare via.
S'chn T'gai Spock aveva già provato l’amaro dolore di perdere quello che era diventato il suo primo ed unico vero amico;   le immagini di Kirk morente dietro il vetro della camera di isolamento del nucleo di curvatura lo avevano tormentato per mesi e mesi e nessuna meditazione, per quanto profonda, l’aveva aiutato a liberarsi dei ricordi.
Mentre lasciava il ponte di comando non sapeva se aveva la forza di affrontare di nuovo tutto quel dolore, stavolta in via definitiva: perché stavolta Jim era morto davvero e nessun insegnamento di Surak poteva alleggerire la sensazione di solitudine e dolore che provava.
Percorrendo i corridoi che lo portavano al suo alloggio Spock fece finta di non notare il personale che incrociava.
Alcuni si limitavano a guardarlo smarriti, altri piangevano apertamente, altri parlavano sommessi e tristi riunti in capannelli.
Tutti guardavano a lui in cerca di spiegazioni e consolazione, orfani in cerca di rassicurazione.
Ma Spock non era in grado di offrire quel che gli veniva chiesto: lui non era Jim, non conosceva ogni singolo membro dell’equipaggio per nome, dai capi reparto al più umile degli inservienti, non aveva trascorso con ognuno di loro almeno una sera a cena, informandosi sulla famiglia e i loro interessi.
Non era  e non sarebbe mai stato per loro il leader che il capitano James Tiberius Kirk era stato.
Era stato contento  di non aver ancora raggiunto la capitaneria; il comando di una nave richiedeva doti di intuito e audacia che  sapeva di non possedere. La sua corretta posizione era alla stazione scientifica e il suo compito, come primo ufficiale, di consigliare e ricondurre alla logica il suo impetuoso e a volte arrogante capitano.
Ma ora il suo capitano, il suo amico era morto.
Con più forza del necessario digitò il codice di accesso sulla porta ed entrò nella sua cabina.
“Luci trenta per cento” ordinò e subito la stanza si illuminò rivelando la scacchiera sul tavolo del piccolo soggiorno.
Tutto era esattamente come era stato lasciato.
Spock si avvicinò al tavolo e studiò la scacchiera.
Alla prossima mossa avrebbe mangiato la regina di Jim.
Il ‘Sacrificio della regina’.
La mente lucida di Spock andò immediatamente al risultato della mossa: si sacrifica il pezzo più importante per raggiungere la vittoria finale.
Jim era troppo intelligente e bravo nel gioco per essersi messo casualmente in questa posizione.
Spock ripensò a tutto quello che era successo la sera prima, ai chiari segnali, come quello che vedeva ora lampante davanti ai suoi occhi, che il capitano gli aveva lanciato, a quello che gli aveva chiesto di fare.
“Quel che posso dire è che farei di tutto per non deludere le tue aspettative” gli aveva detto Spock, non intuendo neppure in quel momento quello che stava promettendo al suo migliore amico.
Lasciarlo andare verso morte certa.
La rabbia, la frustrazione, il dolore acuto come spilli nella pelle presero il sopravvento.
Con un urlo gutturale spazzò via la scacchiera dal tavolo.
I fragili pezzi in vetro si frantumarono a terra, ed il cuore di Spock si frantumò con loro.

 
Nyota Uhura  aveva incontrato per la prima volta Jim Kirk in un bar dell’Iowa la sera prima di imbarcarsi per l’Accademia con gli altri cadetti.
Anche se dentro di sé aveva provato un briciolo di gratificazione nell’aver subito attirato le attenzioni di quel bel ragazzo dagli occhi incredibilmente blu, l’arroganza e la spavalderia dell’uomo l’avevano subito messa sulla difensiva. I modi spicci e scortesi avevano fatto il resto e  indotta ad insultarlo nel peggiore dei modi.
Gli anni successivi presso l’Accademia non avevano mutato l’opinione iniziale che Nyota si era fatta di Jim Kirk: arrogante, borioso, donnaiolo senza sentimenti.
Lo aveva visto prendere in giro ed approfittarsi della sua migliore amica Gaila, continuare a flirtare e a andare a letto con lei solo per il gusto di farla incazzare, lo aveva visto coinvolto nel novanta per cento delle risse dei bar  nelle vicinanze dell’Accademia, lo aveva visto non studiare neppure un’ora e riuscire a passare gli esami con voti altissimi.
E poi la Kobayashi Maru, ulteriore conferma dell’arroganza di un ragazzotto di campagna.
Non aveva capito la profondità dell’animo di Jim Kirk sino a che non aveva visto il suo sguardo pieno di dolore alla cerimonia in ricordo della madre di Spock. E poi piangere disperatamente mentre metteva via il maglione che Gaila, morta nella battaglia di Vulcano a bordo della Farragut, gli aveva regalato.
Nel corso di quegli anni aveva  conosciuto realmente Jim Kirk, l’infanzia e la giovinezza colme di un dolore che non dovrebbe essere riservato a nessuno, eppure ancora così sereno e generoso, amico di tutti.
Aveva assistito alla trasformazione che era riuscito a inculcare in Spock, realizzando quello che neppure lei con tutto il suo amore era riuscita a fare. Aveva assistito all’assoluta dedizione che il capitano aveva per la sua nave e per il suo equipaggio, ai sacrifici che era disposto e che aveva fatto per loro, perché Jim Kirk era un uomo buono e leale.
Era diventato suo fratello in quella strana famiglia che era l’equipaggio dell’Enterprise.
Mentre percorreva il corridoio verso gli alloggi di Spock si chiese cosa poteva fare ora.
Si sentiva stordita e persa; sapeva che anche Spock provava i suoi stessi sentimenti, lo aveva visto piangere dopo la ‘morte’ di Kirk nella stanza del nucleo di curvatura e cercare di uccidere Khan a mani nude per sola vendetta.
Ma ora non riusciva a comprendere il comportamento del suo compagno.
Era rimasto lì impassibile a guardare il suo migliore amico morire.
Bussò due volte prima che il segnale diventasse verde e la porta scivolasse di lato.
Spock era fermo di spalle alla porta, guardando verso la finestra dove le  stelle scorrevano velocissime a velocità warp.
“Cosa posso fare per te Nyota?” chiese senza voltarsi.
La donna lanciò un’occhiata alla scacchiera frantumata ai piedi del tavolo.
“Spock… io…” non riuscì a dire altro prima che la voce si rompesse in singhiozzi.
Fra i due calò il silenzio.
Fu Spock a romperlo, senza voltarsi a guardarla.
“Anche tu pensi che io lo abbia lasciato morire?” chiese con voce asciutta.
“No è solo che… non abbiamo fatto nulla… lui era lì… e noi…”
Spock finalmente si voltò, gli occhi nocciola carichi di un sentimento che Nyota non sapeva definire.
“Tutti voi… l’equipaggio del ponte, il dottor McCoy e anche tu… la vostra illogica presunzione di essere gli unici a soffrire… non vi sovviene neppure l’idea che Jim fosse il mio migliore amico?”
La voce di Spock era appena incrinata, ma la sua maschera era ancora salda sul volto.
“Non hai fatto molto per difendere il tuo migliore amico” sussurrò sempre piangendo Nyota.
“Le necessità dei molti…” iniziò il vulcaniano.
“Superano quelle dei singoli. Sì, lo so. Ma era Jim!!! Lo hai lasciato morire. Io credevo…”
“Cosa credevi Nyota? Che cedessi alle emozioni e trascinassi l’intero equipaggio e la nave in una crociata nel nome di Kirk?”
La bella bantu lo guardò sconcertata.
“Sinceramente? Sì mi aspettavo proprio questo. Lui per te l’ha fatto  e stai certo che l’avrebbe rifatto!” sbottò.
Spock aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse, incapace di dire qualcosa.
Il comunicatore trillò, salvando la situazione.
“Qui infermiera Chapel, signor Spock. Sono fuori gli alloggi del dottor McCoy, signore. Non risponde e rifiuta di aprire la porta. Il guardiamarina Ross dice che fino a poco fa si sentivano rumori terribili provenire dalla cabina. Sono preoccupata, signore”
Spock stava per avviarsi fuori, ma venne fermato da Uhura.
“Vado io” disse prima di uscire senza voltarsi.
 
“Leonard ti prego apri la porta” supplicò per l’ennesima volta Uhura battendo alla porta chiusa.
“Leonard non costringermi a chiedere a Scotty il codice di override. In un modo o nell’altro io entro” minacciò alla fine la donna.
Dopo qualche secondo la porta scivolò silenziosa.
Il caos assoluto accolse Uhura.
“Leo?” chiese con voce incerta, non riuscendo a distinguere la sagoma del dottore nell’oscurità, fra divani rovesciati e  cose frantumate in terra.
“Luci dieci per cento” ordinò e dopo un po’ individuò la figura del medico accovacciato dietro il divano capovolto, con  un libro stretto al petto.
“Stai bene?” chiese la donna sedendosi sul pavimento accanto a  McCoy.
Il medico non rispose.
Poi sospirando guardò  verso Uhura.
“Sai perché mi chiamava Bones?” chiese all’improvviso.
Uhura scosse la testa.
“Neppure io. Ogni volta che glielo chiedevo cambiava storia.  Una volta era perché nella prima occasione che abbiamo parlato gli avevo rivelato che la mia ex moglie mi aveva tolto tutto, tranne che le mie ossa. Un’altra era l’abbreviazione di sawbones. Forse non lo sapeva bene neppure lui. All’inizio mi faceva incazzare a morte il nomignolo. E ora non riesco a credere che nessuno mi chiamerà più così”
La voce del medico era poco più di un sussurro.
Le lacrime ripresero a scendere sul volto.
“Oh Leonard… mi spiace così tanto… andrà tutto bene…” cercò di consolarlo Uhura stringendolo forte.
“No Nyota, non andrà bene. Jim è morto. Morto capisci? Ed io non ho fatto niente per salvarlo, ed ora non ho neppure il coraggio di chiamare mia madre e Johanna per dirglielo” sussurrò McCoy rigido fra le braccia di Uhura.
“Vuoi che le chiami io?” chiese la ragazza.
McCoy scosse la testa.
“No tocca a me” disse alzandosi e cercando di recuperare il terminale per  le comunicazioni subspazio.
 
Il viaggio verso la Terra era stato breve e doloroso.
McCoy si  era rifiutato di uscire dall’alloggio anche solo per andare alla piccola commemorazione che l’equipaggio aveva organizzato nella sala ricreativa.
Non aveva mangiato nulla da quando era successo e Uhura l’aveva più volte sentito singhiozzare mentre origliava dietro la porta chiusa della sua cabina.
Il colloquio con la madre e la figlia era stato straziante.
Johanna si era semplicemente rifiutata di accettare la cosa, troncando la conversazione con un imperioso “NON E’ VERO!!! Stai mentendo ed io ti odio!!!” urlato a squarciagola prima di correre via.
Eleanor non aveva neppure chiesto come era successo. Aveva iniziato a piangere silenziosamente prima di sussurrare “Torna a casa Leonard”.
 
“Vai via Nyota… non voglio venire”
Uhura si allontanò dalla porta dopo l’ennesimo rifiuto di McCoy, per dirigersi verso la sala ricreativa.
Non aveva né visto né parlato con Spock da due giorni e non si meravigliò di non vederlo alla commemorazione.
Era una cerimonia molto semplice, in stile scozzese, come l’aveva organizzata Scotty.
Ognuno condivise un ricordo del giovane capitano, ma molti, come Chekov, non riuscirono a finire il loro discorso, scappando  via in lacrime.
Alla fine Scotty alzò il suo bicchiere ed invitò gli altri a fare lo stesso.
“A James Tiberius Kirk, il miglior dannato capitano della Flotta!” disse solenne prima di ingurgitare in un sol colpo  il liquore.
“A Kirk” urlarono tutti imitandolo.
Sulu riempì di nuovo il suo bicchiere, così come gli altri.
“A Jim, il migliore degli amici. A colui che non ci ha mai lasciato indietro” scandì guardando fisso  verso la porta.
Uhura si voltò incuriosita.
Sull’uscio c’era Spock, rigido, mani dietro la schiena come  al solito.
Uhura non sapeva da quanto tempo era arrivato, ma nessuno lo aveva invitato ad unirsi a loro.
“A Jim che non ci ha mai lasciato indietro” scandirono  tutti all’unisono, sguardi duri rivolti al vulcaniano.
Nyota sapeva che doveva avvicinarsi, che Spock non meritava questo, che anche lui stava soffrendo, ma non ebbe il tempo.
Spock si voltò con eleganza e a passi svelti si allontanò.
Nessuno vide la lacrima solitaria che gli scendeva sulla guancia.
La supernova nota come Jim Kirk era morta, lasciando dietro di sé un enorme buco nero.
 
Star Trek non mi appartiene.
Spero che il capitolo non sia troppo  triste… son capitoli un po’ di transizione, ma fra un po’ l’azione tornerà.
Grazie come al solito a tutti quelli che leggono e soprattutto alle mie amiche recensori.
 

Spoiler per il prossimo capitolo
 
“Abbiamo fatto la cosa giusta?” chiese Archer, guardando la folla che si disperdeva lentamente.
“Non avevamo molta scelta” rispose la donna.
“E’ costato moltissimo, a tutti noi” fece l’uomo guardandola negli occhi.
“E non oso neppure pensare a  quel che potrebbe succedere se si sapesse la verità”
 

 

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Capitolo 10
*** il senso del dolore ***


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EROE
Capitolo 9

Il senso del dolore
 
Leonard McCoy fu svegliato dal suo torpore alcolico dai classici rumori della nave che attraccava allo spazioporto.
Cercò di alzarsi dal pavimento su cui era steso, la testa in fiamme ed un saporaccio in bocca. La bottiglia di bourbon, completamente vuota, che ancora stringeva in mano cadde con un tonfo a terra andando in pezzi.
“Maledizione” borbottò il medico fra sé e sé aggrappandosi allo stipite della porta per trascinarsi in piedi.
Dalla finestra della cabina vide il pianeta blu sotto di loro roteare tranquillo.
Erano arrivati allo spacedock  della Terra.
Erano a casa.
E Jim era morto.
“Attracco avvenuto con successo. I capi reparto sono pregati di riferire per le operazioni necessarie allo sbarco. Tutto il personale è posto in congedo per un tempo minimo di sette giorni. Alle sette zero zero sarà trasmesso il turno per le navette”
La voce meccanica  degli annunci si diffuse dall’interfono e pose ancora di più McCoy di fronte alla realtà.
Era tornati a casa senza Jim.
 
Aveva preso una delle prime navette per evitare d’incrociare l’equipaggio di comando che di solito lasciava la nave sempre  con l’ultimo trasporto.
Appena sceso McCoy strinse gli occhi alla luce solare.
Era una bellissima e luminosa giornata  a San Francisco e il Golden Gate Bridge si stagliava contro l’orizzonte in tutta la sua antica magnificenza.
“Dottor McCoy? Devo consegnarle la sua convocazione per il debriefing. E’ atteso alle nove zero zero al Comando Star…”
McCoy passò oltre il giovane guardiamarina che gli stava porgendo il PADD senza degnarlo di uno sguardo e senza lasciarlo finire.
“Dottor McCoy… aspetti un attimo” sentì ansimare alla spalle.
“Comandante le devo consegnare…” provò di nuovo il ragazzo porgendogli il PADD mentre gli correva a fianco.
“Vaffanculo” imprecò McCoy afferrando il PADD e lanciandolo a terra.
Il ragazzo lo guardò sbalordito allontanarsi ed uscire dallo spazioporto  senza voltarsi.
 
Le strade erano  affollate già a quell’ora e McCoy aveva fatto del suo meglio per seminare i giornalisti e i curiosi che aspettavano ai varchi d’ingresso.
La notizia si era diffusa in un battibaleno. Ovunque vi erano ologrammi che riportavano le news.
“L’opinione pubblica chiede giustizia”
“La morte di un eroe”
“E’ atteso per oggi l’arrivo dell’Enterprise”
“Ancora non si conosce la data dei Funerali di Stato, ma hanno annunciato la loro presenza tutti i rappresentati dei pianeti della Federazione”
McCoy sentiva le voci degli speaker che si alternavano sui grandi schermi stradali e quasi sorrise al pensiero di quello che avrebbe detto Kirk del circo mediatico che avevano imbastito.
Stordito si infilò nel primo bar che trovò sulla sua strada.
L’interno era fumoso e buio e l’holovid sulla parete era collegato al solito canale di news.
McCoy si lasciò cadere su di uno sgabello.
“Bourbon” ordinò e quando la barista gli versò un bicchiere  le afferrò la mano.
“Tutta la bottiglia” disse con aria truce afferrando la bottiglia.
 
“Non lasceremo che  la morte del nostro più eroico capitano rimanga impunita”
La figura di Archer, ingobbita, ma ancora vitale, occupava tutto lo schermo mentre parlava quasi sommerso dai microfoni della stampa.
Le parole dell’ammiraglio Archer per ora non hanno trovato riscontro nei fatti. La morte di James Kirk ha creato una  spaccatura profonda nello stesso Consiglio della Federazione fra chi invoca un intervento immediato contro i Romulani e chi consiglia prudenza…”
La voce del cronista atona la cui immagine aveva sostituito quella di Archer sullo schermo provocava un fastidio insopportabile al medico.
“Ehi… non potete chiudere questo strazio?” urlò.
I pochi presenti nel bar si giravano infastiditi.
“Cosa c’è? Sei amico dei romulani per caso? Non te ne frega nulla di quello che è successo a Kirk?” fece un omone gigantesco, alzandosi dal suo sgabello ed avvicinandosi a McCoy.
“Che ne sapete voi di lui? Siete solo dei vigliacchi…” scandì il medico.
“Come ti permetti? Solo perché indossi quella divisa…”  grugnì l’omone avvicinandosi ancora di più, sempre più minaccioso e con il pugno alzato.
“Ehi… perché non ci calmiamo tutti? Ti offro una birra dai… alla memoria di Kirk”
La voce alle spalle di McCoy bloccò il pugno che stava per arrivare in faccia al medico.
L’omone lanciò un’occhiata all’uomo che aveva parlato e con fare dimesso indietreggiò.
“Ok, alla memoria di Kirk” blaterò tornando al suo posto.
Solo allora McCoy si girò per vedere chi aveva parlato.
“Salve Cy” salutò.
 
Cy Gentry si sedette sullo sgabello accanto a quello di McCoy e lo guardò scettico.
“Dottore…” salutò, senza il solito sorriso inquietante sulla faccia.
“Che ci fai qui?” chiese il medico tornando al suo bourbon.
“Ti ho seguito” fu la risposta.
“Seguito? Che sei diventato la mia babysitter?”
“Diciamo che qualcuno mi ha chiesto di darti un’occhiata” fece Gentry accennando allo schermo dove continuavano a scorrere le immagini di Kirk.
“Qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio dal marmocchio. Mi ha chiesto di darti un’occhiata nel caso…” la voce di Cy si incrinò.
Se possibile McCoy si infuriò ancora di più contro il suo migliore amico.
“Diceva che non avresti accettato l’aiuto di nessuno sull’Enterprise e mi ha chiesto di farti arrivare a casa sano e salvo”
“Quindi tu sapevi…”
“No niente di preciso. Certo non credevo…”
Ancora una volta il vecchio mercenario non riuscì a finire la frase.
“Maledetto  stronzetto, ha organizzato tutto” sussurrò McCoy tracannando un altro bicchiere di liquore.
“Dottore, forse bere tanto non è bene a quest’ora del mattino”
“Ma vaff…” imprecò il medico, senza suscitare alcuna reazione in Cy.
“Sai dottore non è colpa di nessuno. Il marmocchio era nato sotto una stella nera. Sono solo felice che alla fine era riuscito a trovare una vera famiglia”
“Famiglia? Non ha pensato alla sua ‘famiglia’ quando si è messo allegramente in mano ai suoi assassini. Senza dire una parola…ha parlato con me per giorni, cenato con me ridendo e scherzando e non mi ha detto niente. Maledetto egoista…”
Cy non rispose allo sfogo del medico, ma quando questi cercò di versarsi un altro bicchiere lo bloccò.
“Ora basta dottore”
Il medico era già abbastanza ubriaco da non riuscire a reagire con forza.
“Lasciami stare” si limitò a protestare cercando di divincolarsi.
“Credi che il ragazzo vorrebbe vederti così?”
“Jim è morto. Non vuole più niente. Quindi lasciami stare” fece McCoy cercando di raggiungere il bicchiere.
“Mi ha chiesto di tenerti d’occhio. E’ l’ultima cosa che posso fare per lui. E quindi la farò” rispose Gentry alzando di peso il medico dallo sgabello e trascinandolo fuori dal locale.
 
“Signori, prego sedetevi” chiese formale l’ammiraglio Archer all’equipaggio di comando dell’Enterprise che era sull’attenti nel suo studio.
Spock e Scotty presero posto nelle due sedie davanti la scrivania, mentre gli altri rimasero dietro.
“Per prima cosa lasciate che vi dica nuovamente quanto io e tutto il Comando Starfleet vi siamo vicini per questa perdita. E’ una perdita incolmabile per tutta la Federazione”
Gli uomini dell’Enterprise rimasero indifferenti a guardarlo senza profferire parola.
“Ma non dobbiamo lasciare che questo tragico evento abbia conseguenze ancor più disastrose. Voi siete il meglio di quanto la Flotta può offrire… e non ci possiamo permettere defezioni” scandì mentre porgeva un padd  a Spock.
Il vulcaniano non ebbe bisogno di più di una rapida occhiata per capire di cosa si trattava.
“Sinceramente signore le dimissioni del dottor McCoy non mi meravigliano” disse restituendo il padd.
“Beh, avranno  effetto, come da regolamento, solo fra dieci giorni e mi aspetto che gli facciate cambiare idea”
 “Non credo sia possibile, signore. Il dottor McCoy aveva chiesto una destinazione operativa nello spazio solo per seguire Jim Kirk ed incolpa la Flotta della sua morte” rispose atono Spock.
“Mi aspetto che facciate del vostro meglio comunque”
“Posso chiedere, signore, quali determinazioni intendono assumere ora la Federazione  e la Flotta?” chiese Spock sempre con aria formale.
“Da quando è successo non ci sono più contatti con Romulus. Dal pianeta non ci sono più comunicazioni in uscita e tutte le navi sono state richiamate”
“Quindi non faremo nulla…” disse con disgusto Scotty.
“Comandante Scott, conoscevo Jim Kirk da quando è entrato all’Accademia. Avevo promesso a Pike di tenerlo fuori dai guai e non creda che questa storia non mi addolori profondamente. Purtroppo la ragion di stato…”
“Alla faccia delle bellissime dichiarazioni e dell’opinione pubblica” sbottò di nuovo Scotty.
Il volto di Archer divenne paonazzo.
“Farò finta di non aver sentito. Siete tutti in congedo per quindici giorni. Il comando dell’Enterprise è stato affidato a lei, comandante Spock. E’ stato promosso capitano, congratulazioni”
Tutti guardarono il vulcaniano che rimase però impassibile.
“A questo proposito ammiraglio chiedo il permesso di parlarle in privato”
Ad un cenno di Archer tutti si alzarono ed uscirono in silenzio dalla stanza.
“Devo consegnarle questo” disse Spock alzandosi in piedi formale.
  Archer guardò accigliato il padd che gli veniva porto.
“Non posso accettare le sue dimissioni signor Spock” scandì
“In base al punto 35.6 del regolamento della Flotta ogni ufficiale, purché non si sia in regime di guerra dichiarata, ha la facoltà…”
“Non mi citi il regolamento capitano. Lo conosco bene!” lo interruppe l’ammiraglio.
“La mia decisione è irrevocabile” rispose Spock guardando fisso verso il muro.
“Si rende conto del messaggio che  così lancia all’esterno? Vuole lasciare l’Enterprise senza una guida?”
“Io non sono e non sarò mai il leader che l’equipaggio dell’Enterprise merita. Non sono adatto al comando e ritengo che la mia esperienza nella Flotta sia conclusa”
“Jim Kirk credeva in lei. Lui non si è mai sbagliato sulle persone e avrebbe voluto…”
“Credo invece che Kirk si fosse profondamente sbagliato. Se fossi davvero la persona che lui credeva non l’avrei lasciato morire nelle mani del nemico senza fare nulla”
Per la prima volta Spock fece cadere per un attimo la maschera stoica che indossava.
“Nessuno di noi ha avuto scelta”
“Mi perdoni ammiraglio, ma non credo che questo corrisponda alla verità. Sapevate benissimo cosa rischiava Kirk nelle mani dei romulani e nonostante questo non avevate esitato un attimo a consegnarlo. La logica mi induce a ritenere inoltre che l’abbiate in qualche modo indotto ad accettare con la prospettazione di gravi conseguenze per tutti, noi compresi” 
Archer non rispose.
“Le ripeto: non avevamo scelta” scandì.
“C’è sempre una scelta. E non posso garantire i miei servigi ad una organizzazione che  accetta di consegnare al nemico l’uomo che ha salvato, per due volte, questo pianeta e l’intera Federazione”
Archer sospirò.
“Vale anche per lei. Le dimissioni sono operative solo fra dieci giorni”
“Durante i quali sarò in congedo. Ora se vuole liberarmi…” concluse il vulcaniano.
“I funerali si terranno la settimana prossima. Mi aspetto che pronunci l’elogio funebre in divisa”
“Certo. Vi darò il tempo di preparare l’opinione pubblica” rispose, amaro Spock prima di girarsi ed uscire.
 
“Leo… sei sveglio?”
McCoy aprì gli occhi lentamente, sentendo una mano che gli carezzava i capelli.
“Mamma???” domando con voce flebile, girandosi sul letto.
Solo allora si accorse che era nel suo appartamento di San Francisco.
Eleanor McCoy sorrise porgendo al figlio una tazza di caffè.
“Bevi questo. Ricetta McCoy: garantita contro i postumi delle peggiori sbornie” disse dolce.
Mentre prendeva dalle mani della madre la tazza il medico provò una fitta di vergogna.
“Come…”
“Il signor Gentry ti ha portato qui. Ero tremendamente preoccupata quando non ti ho trovato allo spazioporto”
“Mi spiace” sussurrò Leonard.
Sua madre lo guardò seria, ma senza alcuna aria di rimprovero.
“Leo, bere non serve a nulla. Non farà passare il dolore” disse dolce mentre riprendeva ad accarezzargli i capelli.
“Dov’è Johanna?” chiese cercando di cambiare argomento.
“In Georgia con la madre. La vedrai quando sarai pronto”
In altre parole quando sarai sobrio, pensò McCoy.
“Vado a fare un doccia” annunciò cercando di scendere dal letto.
Le gambe minacciarono di cedergli e si dovette appoggiare alla madre, subito vicino a lui.
“Leo, parlami. So come ti senti”
“Sto bene mamma” annunciò cercando di mettersi diritto.
“Quando è morto tuo padre io…”
“Non c’è nulla che tu mi possa dire o fare, mamma. Jim è morto. Punto.”
“E tu devi venire a patti con questa cosa” gli disse sua madre mentre McCoy si rifugiava in bagno e chiudeva la porta.
 
“Padre” salutò Spock aprendo la porta del suo appartamento.
“Lunga vita e prosperità” rispose il vecchio ambasciatore  entrando in casa.
“La logica suggerisce che la tua visita è dovuta alla notizia delle mie dimissioni” fece Spock invitando il padre a sedersi.
“Sì anche. In realtà ho ricevuto una comm del tenente Uhura. Dice che non riesce a mettersi in contatto con te”
Spock fissò suo padre.
“In effetti è stato mio desiderio evitare di parlare con il tenente Uhura”
“Posso chiederti la ragione? Pensavo avessi un coinvolgimento romantico con lei”
“Sono questioni private padre, è mio desiderio condividere queste cose solo con Nyota”
“Bene, ma credo che dovresti condividere con me le ragioni che ti hanno portato a presentare le dimissioni dalla Flotta. Hai combattuto molto per entrarvi…”
Spock lo guardò di nuovo, negli occhi il rancore.
“Perché sei venuto qui padre?” chiese duro.
“Per accertarmi del tuo benessere emotivo. Capisco che questa vicenda ti abbia turbato e me ne dolgo con te, ma…”
“Ma cosa padre? Troppe emozioni? Ti vergogni che tuo figlio mezzosangue mostri dolore per la morte del suo migliore amico?”
Sarek si alzò e si avvicinò al figlio.
“Non mi sono mai vergognato di te”
“Davvero? Comunque hai ragione padre. Troppe emozioni. E’ quindi mia intenzione sottopormi, appena possibile, al ‘Kolinahr’”
Sarek guardò il figlio.
“Figlio non dovresti decidere in questo momento. Il ‘Kolinahr’ è irreversibile e ti priverebbe per sempre di tutte le emozioni residue”
“Lo so bene padre. Ma ho preso la mia decisione.”
“Il tenente Uhura è a conoscenza della tua decisione?”
“La informerò di certo. Ora ti prego di congedarti” scandì Spock.
Sarek fece per voltarsi, ma poi si fermò.
“Mi incolpi della morte del tuo amico? Non è logico…”
“No padre non è logico. Ma ricordati che io sono per metà umano”
Sarek si avviò verso la porta.
“Ti vedrò dopodomani al funerale?” chiese.
Spock si limitò ad annuire.
“Lunga vita e prosperità” salutò con il tipico gesto.
Ma Spock non rispose.
 
 
L’aria era pesante e regnava un silenzio assoluto nonostante le decine e decine di persone sedute nella grande sala delle  conferenze del Comando di Flotta.
Rigido e apparentemente  impassibile Spock si alzò, lisciando con  un gesto rapido l’uniforme.
Mentre si avviava verso il palco i suoi passi risuonavano sul pavimento lucido,  unico rumore oltre al lamento sommesso di Uhura.
Il vulcaniano si avvicinò al leggio e si concesse per la prima volta da quando era entrato uno sguardo alla bara posta al centro della sala.
Una bara vuota.
“Il mio compito, trattandosi di un elogio funebre, sarebbe quello di parlare del coraggio, dell’audacia, dell’eroismo di James Kirk. Dovrei ricordare il suo genio tattico, la sua intelligenza e la profonda cura che aveva per il suo equipaggio e la sua nave. Ma queste caratteristiche sono ben note e appartengono già alla  memoria collettiva e di ciascuno di noi, avendo avuto il privilegio di servire sotto il suo comando. Ma James Kirk era molto di più. Lui era in realtà… un fantastico restauratore d’anime. Era capace di scovare la più umiliata e distrutta delle anime e tirarne fuori l’innata bellezza.  A mio giudizio era la sua più grande dote. Chi di noi crede nell’esistenza di qualche divinità non può che essere grato ad essa per avercelo donato”
Spock fece una breve pausa prima  di continuare.
“Per chi segue la logica,  l’esistenza di Jim Kirk ed il privilegio di averlo incontrato non sono altro che un ulteriore segno della perfezione dell’universo.  Per quanto riguarda me personalmente, sarò sempre grato  a chi mi ha  fatto comprendere per la prima volta nella mia vita il significato della parola ‘amicizia’…”
“IPOCRITA” l’urlo biascicato ruppe il silenzio tombale della sala.
Tutti si voltarono a guardare la figura dell’uomo che in cima alla gradinata aveva urlato.
Barba incolta e uniforme sporca, reggeva una bottiglia di bourbon in mano e prese a scendere, barcollando chiaramente ubriaco.
Mormorii di disapprovazione si levarono dal pubblico, mentre gli ammiragli in prima fila si guardavano fra loro sconcertati.
“Sei un ipocrita Spock. Siete tutti degli ipocriti!!! State tutti qui a lodarlo e a dire quanto vi dispiace… come se non fosse morto per colpa vostra…” urlò di nuovo l’uomo.
“Leonard… smettila, non fare così” Uhura si alzò per raggiungere e fermare il medico, subito seguita da Scotty.
“E’ colpa tua Spock. L’hai lasciato morire da solo, senza fare nulla. E io passerò il resto della mia esistenza ad odiarti” urlò McCoy al vulcaniano, rimasto immobile sul palco.
 
La scenata di McCoy aveva lasciato il segno.
Il medico era stato trascinato via da Scotty e Sulu, ma il resto della cerimonia si  era trascinato stancamente ed un mormorio di disapprovazione  si sollevò quando Mary Marlentes si alzò per rendere omaggio alla bara vuota.
“Abbiamo fatto la cosa giusta?” chiese Archer, guardando la folla che si disperdeva lentamente.
“Non avevamo molta scelta” rispose la donna.
“E’ costato moltissimo, a tutti noi” fece l’uomo guardandola negli occhi.
“E non oso neppure pensare a  quel che potrebbe succedere se si sapesse la verità”
 
Star Trek non mi appartiene.
Grazie sempre…
 


Spoiler per il prossimo capitolo:

"Non è possibile… non è possibile… non è possibile”
Era l’unica cosa che riusciva a pensare.
“Dottor McCoy si sente bene?”
A stento si accorse di Nicole che gli stava vicino, con la faccia spaventata.
“Dottore mi risponda!” ripetè la donna cercando di scuoterlo.
“Dov’è?” chiese McCoy con voce debole.
 

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Capitolo 11
*** Un anno dopo ***


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EROE
Capitolo 9
Un anno dopo
 
Leonard McCoy guardò fuori dalla finestra e cercò di intravedere dai vetri sporchi il cielo.
Era una giornata nuvolosa e fredda in pieno accordo con il suo umore.
Non che negli ultimi mesi fosse stato di umore diverso dal nero cupo.
Con mano tremante aprì il soffione della doccia e cercò di tirare via con l’acqua bollente  le tracce del week end, passato come tutti gli altri a bere senza curarsi molto dell’igiene personale.
L’holovid sul tavolo rimandava le immagini delle news e McCoy cercò di abituarsi al chiacchiericcio.
Dopo tutto  era di turno per otto ore in uno dei più chiassosi ospedali di Savannah e doveva riabituarsi, dopo due giorni di silenzio assoluto, al chiasso.
“Le autorità hanno riferito che il boato che si è udito la scorsa notte alla periferia della città è dovuto ad un incidente: una navetta monoposto è precipitata per ragioni ancora sconosciute nei pressi di Cross Creek.  Per fortuna la zona era deserta e non si sono registrate vittime fra la popolazione…”
“L’ho sempre detto… lo spazio è morte, malattia e pericolo” borbottò il medico versandosi una generosa dose di collutorio per far sparire dall’alito l’odore di alcool.
Fatti i gargarismi si guardò nello specchio.
Occhiaie profonde segnavano il suo volto e piccole ciocche grigie  contornavano i capelli e la folta barba che si era fatto crescere.
“Fortuna che non sei un pediatra, altrimenti i bambini potrebbero spaventarsi alla tua vista” si disse.
Mentre era alla ricerca disperata, nel caos della stanza da letto, di una camicia pulita, sentì il trillo del suo comunicatore.
“Amore mio…” fece salutando la ragazzina bruna sullo schermo.
“Papà… stai bene? Ti aspettavo ieri…”
Un profondo senso di colpa si impadronì del medico.
Aveva promesso a Johanna di portarla a pranzo fuori, ma la cosa come al solito gli era sfuggita di mente.
“Scusa amore mio… papà ha avuto da fare”  rispose cercando di non far trapelare la vergogna.
“Mamma dice che non sei venuto perché  eri ubriaco come al solito”
“Ma no tesoro, era solo tanto occupato” mentì il padre.
“Ora devo andare a scuola. Ci vediamo domenica?” chiese la ragazzina con aria delusa.
“Ma certo se mamma lo permette…”
“Chiediglielo. Bacio” fece la bambina subito prima di chiudere la conversazione.
“Perfetto. Sei un pessimo amico, un pessimo figlio ed un pessimo padre” si disse mentre si vestiva.
 

L’Ospedale Civile di Savannah dove McCoy aveva trovato lavoro era piccolo e vecchio stile, ma era stato l’unico  che l’aveva accettato come medico.
Nonostante la sua fama ed il suo curriculum, subito dopo le indagini di routine, le varie offerte che aveva ricevuto dopo le dimissioni dalla Flotta erano state ritirate in fretta e furia.
Nessun ospedale si poteva permettere un medico alcolista.
Ma McCoy doveva lavorare soprattutto per mantenere la sua bambina e quindi la proposta del piccolo nosocomio del profondo sud, abbastanza disperato da accettare qualsiasi personale medico, era stata benvenuta.
Non che il medico si presentasse ubriaco al lavoro. Aveva ancor un’etica al riguardo.
Ma appena possibile si richiudeva nel piccolo e sporco appartamento che aveva affittato e cercava conforto nel bourbon, anche a scapito degli affetti familiari.
Sua  madre e sua figlia non erano riuscite a scalfire il muro che aveva eretto intorno a sé e spesso McCoy si ritrovava a pensare alla giornata al luna park, con Jim, Eleanor e Johanna, come l’ultima volta in cui era stato sereno.
Non aveva avuto più alcuna notizia del resto dell’equipaggio da poche settimane dopo le sue dimissioni, quando si era recato al Comando per gli adempimenti amministrativi.
Sapeva che Spock si era dimesso anche lui e stava seguendo uno strano rituale su New Vulcan per liberarsi definitivamente delle emozioni, anche se McCoy dubitava che ne avesse  mai avute prima.
Chekov aveva chiesto una destinazione a terra ed insegnava all’Accademia; Scotty si era dimesso e aveva fatto perdere le sue tracce.
Gli unici che avevano ancora  compiti attivi nella Flotta erano Sulu e Uhura, rispettivamente navigatore e ufficiale addetto alle comunicazioni della Farragut.
Nessuno della vecchia squadra di comando era rimasto sull’Enterprise e metà dell’equipaggio aveva richiesto ed ottenuto il trasferimento. Dopo aver tentato per ben due volte di assegnare il comando della  ammiraglia ad altri capitani, con risultati a dir poco disastrosi, la Flotta si era decisa a richiamare la nave sulla Terra a tempo indeterminato, ufficialmente per lavori di ammodernamento.
 
“Buongiorno dottore. Ha una brutta cera stamattina” sorrise Nicole, la vecchia infermiera, appena lo vide entrare.
“La vecchiaia mia cara. Cosa è questo casino qui fuori?” chiese McCoy.
Per entrare aveva dovuto passare una vera e propria diga umana, fatta di cronisti e curiosi.
“Hanno portato qui il ferito dell’incidente della navetta di stanotte”
“Bene, dobbiamo curare un altro stupido che se ne va in giro per lo spazio al posto di stare con i piedi a terra” borbottò burbero come al solito il medico, prima di indossare il camice ed entrare nella sala trattamento.
 
“Buongiorno George. Cosa abbiamo?” chiese al suo collega che stava studiando attentamente un PADD.
“Giorno Leo. Non ci capisco niente. Mai vista una cosa del genere. Sarà un esperimento segreto della Flotta…” gli rispose l’amico porgendogli il PADD.
“Ti ripeto: mai vista una cosa del genere. I tricorder ed il bioletto non riescono a fare le scansioni. Il paziente indossa una specie di… tuta che le blocca”
“Era sulla navetta?” chiese McCoy.
“Già… unico occupante. Dallo stato in cui era il veicolo dovrebbe essere morto. Invece è ancora  privo di sensi, ma non ha lesioni evidenti”
“E non possiamo semplicemente togliere la tuta?” chiese ancora McCoy studiando i dati.
“Fosse semplice. Ci stiamo provando da stanotte, ma sembra avere dei collegamenti ai vari organi interni. Se la togliamo senza conoscere il modo corretto rischiamo di uccidere il paziente. L’unica cosa che siamo riusciti a togliere senza danni è il casco”
“Sappiamo chi è?” chiese McCoy mentre iniziava a provare una strana sensazione allo stomaco.
“No, nessun documenti di identificazione. Abbiamo chiamato la Flotta per sapere se è dei loro, ma hanno negato, così abbiamo prelevato un campione di DNA dalla saliva. I risultati dovrebbero essere pronti fra poco”
“E questo?” McCoy sgranò gli occhi mentre mostrava al collega una scansione.
“Ah sì… è una specie di comunicatore credo.  E’ posizionato sottopelle dietro l’orecchio destro e sembra collegato direttamente alla corteccia neurale”
“Wow, sa tanto di spie ed agenti segreti” intervenne sorridendo Nicole che nel frattempo era entrata anche lei in sala trattamento.
“Bene, per me è finito il turno. L’uomo dei misteri è tutto tuo. Ricordati che la Polizia ha chiesto di essere informata appena hai qualcosa” sorrise a sua volta George mentre usciva a passo svelto.
“I risultati dell’esame del DNA” fece Nicole porgendogli un PADD.
“Ruby dice che il paziente ha ripreso conoscenza” disse ancora prima di uscire.
“Che bella giornata. Agenti segreti, tute organiche…” borbottò McCoy aprendo il PADD.
Quel che vide lo lasciò senza fiato.
Sbattè più volte le palpebre per schiarire la visione che si andava offuscando.
Respirando a stento fissò  lo schermo con i risultati della identificazione.
 
1 riscontro trovato
Nome: James Tiberius Kirk
Luogo e data di nascita: Riverside Iowa (Terra) 2233.3.22
Capitano USS Enterprise
Numero di matricola: SC 937-076CEC  
Status: Deceduto
 
“Non è possibile… non è possibile… non è possibile”
Era l’unica cosa che riusciva a pensare.
“Dottor McCoy si sente bene?”
A stento si accorse di Nicole che gli stava vicino, con la faccia spaventata.
“Dottore mi risponda!” ripeté la donna cercando di scuoterlo.
“Dov’è?” chiese McCoy con voce debole.
“Chi? Il paziente dell’incidente della navetta?”
Il medico ebbe solo la forza di annuire.
“Sala trauma quattro. Ma sta bene?”
McCoy non rispose avviandosi con passo malfermo nel corridoio.
 
Quando entrò lo riconobbe subito.
Anche di spalle.
Anche se ancora vestito in una  tuta nera fasciante.
Anche nella penombra della sala.
L’avrebbe riconosciuto fra mille.
Conosceva quell’uomo come sua figlia.
Mentre la sua mente urlava che era impossibile, un sussurro gli sfuggì dalle labbra.
“Jim…”
 

 
Star Trek non mi appartiene.
Dadaaaa  riecco a voi Jim…  Ma sarà lui nel vero senso della parola? O quello che è tornato sarà un Jim Kirk completamente diverso? Grazie come al solito alle mie fedeli amiche (Cladda e Chiara...siete fantastiche). Se qualcuno lascia un segno del suo pasaggio ne sono felice.

 
Spoiler prossimo capitolo

L’uomo si rifugiò nell’oscurità del suo alloggio quasi come un naufrago sulla zattera.
Non chiese al computer di accendere le luci, né di riscaldare l’ambiente.
Appena la porta si chiuse Jim Kirk scivolò lungo la parete, sedendosi in terra e rannicchiando le ginocchia al petto.
E poi pianse. Pianse come mai nella sua vita.
 

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Capitolo 12
*** La sorpresa e la speranza ***


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EROE
 
Capitolo 11
La sorpresa e la speranza
 
“Jim…” balbettò McCoy mentre si reggeva ad un tavolo per non cadere.
Lentamente l’uomo seduto sul lettino diagnostico si girò e McCoy ebbe chiara la visione degli occhi.
Occhi blu cobalto.
“Se il destino non ti avesse dato in dono  quegli occhi…”
“Sai, dicono che son così per via delle radiazioni alla mia nascita, in realtà dovevano essere nocciola”
Mille volte avevano scherzato sul colore degli occhi del capitano e sull’effetto che avevano sulle femmine di qualsiasi specie.
McCoy  credeva  che non li avrebbe mai più rivisti, ed invece ora erano lì davanti a lui che lo guardavano, leggermente allargati dalla sorpresa.
“C… cosa…” fece McCoy mentre le gambe gli cedevano.
Istintivamente l’uomo scese dal tavolo per sorreggerlo, ma immediatamente si bloccò, rimanendo fermo con lo sguardo sul medico.
“Oh Dio… Jim”
McCoy riuscì a trovare la forza di alzarsi.
Voleva toccarlo, accertarsi che stesse bene, controllarlo palmo a palmo.
Voleva che il tatto gli confermasse di non essere di fronte ad una allucinazione.
Ma appena porse il braccio l’uomo si tirò indietro.
“Sei davvero tu?” chiese McCoy con un filo di voce.
“Devo andare. Stanno venendo a  prendermi” rispose l’uomo con voce atona.
McCoy riprese all’improvviso un po’ di lucidità.
“Dove? Chi? C… come fanno??? Questo posto è schermato…”
“Oh Bones… mi dispiace, mi dispiace davvero tanto…” disse l’uomo subito prima di sparire in un vortice di luci bianche.
 
McCoy era rimasto immobile, quasi congelato, a guardare fisso il posto dove era appena sparito l’uomo la cui morte aveva pianto per un anno.
Subito dopo che il fascio del teletrasporto si era dissolto nella stanza avevano fatto irruzione medici e poliziotti.
“Come cavolo…” aveva imprecato uno degli agenti, subito di prima di sequestrare McCoy in una stanza ed intimargli di non muoversi fino a che non arrivavano le autorità.
Ora McCoy stava seduto impietrito sulla sedia, appena capace di respirare.
Non sapeva cosa fare, non sapeva che pensare, non sapeva neppure se quello che stava vivendo era un sogno.
Poi lo sguardo gli cadde sul comunicatore sulla scrivania.
Non lo sentiva da un anno, ma sapeva che c’era una sola persona a cui  poteva rivolgersi in questo momento.
Dopo una rapida occhiata alla porta per assicurarsi che nessuno stesse per entrare, attivò il comunicatore e fece partire la chiamata per New Vulcan.
 
Individuare Spock era stata impresa ardua.
Nelle diverse ore che ci erano volute per raggiungere il vulcaniano  nel monastero in cui si era rinchiuso, McCoy era stato interrogato dalla Polizia più e più volte, ma era riuscito a non dire nulla di preciso.
Del resto chi gli avrebbe creduto se avesse detto di aver appena visto il suo migliore amico, morto un anno fa, redivivo ed equipaggiato come un agente segreto,  e che subito dopo questi era stato teletrasportato via da un posto schermato con i metodi più moderni.
Mentre aspettava la comunicazione con New Vulcan pensò a cosa dire di preciso al vulcaniano. Lo aveva odiato per un anno, incapace di perdonare il suo immobilismo, anche se una parte della sua mente gli gridava che quello che aveva fatto Spock era  la cosa giusta, che Jim non avrebbe mai accettato che si mettesse in pericolo qualcuno del suo equipaggio o la sua nave, tanto meno la Federazione intera.
Ma forse il rancore che aveva indirizzato su Spock lo aveva distratto dal dolore che provava e dalla rabbia verso Jim.
E ora lo aveva visto, vivo, davanti a lui, indifferente al dolore e alla sorpresa che gli aveva mostrato.
Il suo comunicatore trillò.
“Dottor McCoy” salutò il vulcaniano sullo schermo.
Il medico non trovò la forza di ricambiare il saluto né di perdersi in convenevoli.
“E’ vivo” si limitò a dire subito prima di scoppiare in lacrime.
 
 
“Ora si deve calmare dottore. E’ sicuro di quello che mi sta dicendo?”
L’ex  primo ufficiale dell’Enterprise appariva cambiato.
Avvolto in una tunica bianca il suo viso appariva segnato da sottili rughe, ma ancor più stoico, se possibile.
Anche la voce non tradiva alcuna emozione, e solo McCoy, che lo conosceva da tempo, poteva scorgere nei suoi occhi la sorpresa e la speranza.
Mentre McCoy fra parole smozzate e singhiozzi gli raccontava quello che era avvenuto Spock era rimasto immobile a fissarlo attraverso lo schermo.
“Certo che sono sicuro!!!” rispose il medico offeso, per la prima volta razionale da quando aveva iniziato la conversazione.
“E’ solo che stante la sua recente propensione per l’alcool…”
“Non ero ubriaco!” urlò McCoy sempre più furioso.
“Non era mia intenzione offendere dottore” replicò atono Spock.
“Cosa devo fare? Non so cosa fare…” singhiozzò di nuovo McCoy, lasciando di nuovo cadere le sue difese.
Spock fissò il medico per lunghi secondi.
“Non parli con nessuno. Se l’hanno trasportato via da un luogo schermato, saranno rimaste certamente delle tracce. Cerchi di mettersi subito in contatto con Chekov e con Scotty, loro possono scoprire qualcosa”
McCoy si asciugò le lacrime.
“E tu?” chiese esitante.
“Io cercherò di arrivare il più presto possibile. Con i trasporti ordinari impiegherei circa due giorni standard. Cercherò di ottenere il permesso di utilizzare il trasporto transcurvatura all’interno del Palazzo del Consiglio”
“Ma il rituale? Insomma questa cosa che stai facendo…”
Spock non si prese la briga di rispondere.
“Sarà mia cura avvisarla dell’orario del mio arrivo sulla Terra” si limitò a dire.
“Spock… grazie” concluse McCoy poco prima che l’immagine sparisse dallo schermo.
 
“Come sarebbe che poi lo hanno teletrasportato via?” chiese Chekov con aria sbigottita.
Il ragazzo appariva molto maturato in un anno. I riccioli ribelli avevano lasciato il posto ad una zazzera corta e ben curata, in linea con il suo nuovo incarico di insegnante.
“Quello che ho detto Pavel. Mi ha detto ‘mi dispiace’ e poi si è smaterializzato”
“Gli ospedali sono schermati con i più moderni sistemi di sicurezza… è praticamente impossibile…”
“Non era ubriaco, se è questo che vuoi dire” sbottò McCoy.
“Non ho mai detto questo…”
Il medico guardò il ragazzo sullo schermo. Era praticamente sconvolto. La ‘morte’ di Jim lo aveva colpito duro, aveva sempre considerato il suo capitano a livello quasi di un semidio.
“Scusa Pavel… non volevo è solo che… anche a me sembra impossibile. Ma era qui. Era lui…”
“Ok, cerco di rintracciare Scotty. E avverto Sulu e Uhura, la Farragut è sulla Terra per tre giorni. Arriviamo appena possibile”
“Grazie” balbettò McCoy mentre sentiva le lacrime che gli salivano di nuovo agli occhi.
Dopo aver chiuso la comunicazione McCoy crollò su di una sedia, cercando di recuperare un po’ di lucidità.
Sentiva un moto di gratitudine per i suoi compagni, la sua famiglia.
“Smettila Leonard. Resta calmo e pensa a quello che si deve fare. E’ vivo e lo troveremo”  si disse mentre una certa euforia si impadroniva di lui.
Si alzò ed andò nella sala medici.
Aprì il suo armadietto e tirò fuori la bottiglia di bourbon che conservava per le emergenze.
Poi l’aprì  e la svuotò nel  vicino lavabo.
 
L’uomo in tuta nera barcollò leggermente mentre scendeva dalla piattaforma del teletrasporto.
“Ben trovato Eagle. Stai bene?” chiese la giovane donna che era alla consolle.
“Sì tutto bene” balbettò l’uomo in risposta.
Tiger ti vuole vedere subito e Grey dice di non azzardarti ad andare a dormire prima di aver passato l’esame fisico” lo informò la donna.
Quanto odiava  quei nomi in codice. Gli sembrava di vivere in un vecchio film del ventunesimo secolo.
Eagle, lieto di averti recuperato tutto intero. Ma sto ancora cercando di capire cosa cazzo è successo” fece Tigerincrociandolo nel corridoio
“Non ti avevo detto che quei motori non potevano sopportare il warp 3? Beh avevo ragione”
“Bene vuoi sentirti dire che avevi ragione? Avevi ragione. Fatto sta che comunque ora bisogna ricominciare tutto daccapo” rispose ironico Tiger.
“E allora  ricominceremo” concluse amaro l’uomo mentre semplicemente oltrepassava Tiger senza degnarlo di uno sguardo.
“Ti aspetto fra sei ore per il report ufficiale” gli sibilò alle spalle.
Mentre si avviava lungo il corridoio l’uomo sentì tutta la tristezza che aveva dentro venire a galla.
A passi stanchi entrò nel piccolo cubicolo e attese che la porta si chiudesse.
Cercò di non pensare alla tremenda sensazione di bruciore che provava ogni volta che la macchina sganciava i collegamenti che gli permettevano poi di togliere la tuta.
Subito dopo la rapida doccia sonica si vestì ed uscì, pronto a dirigersi rapidamente verso il suo alloggio.
“Beccato” fece una piacevole voce femminile.
“Ti avevo chiesto di passare da me” disse la donna mentre accendeva il suo tricorder e iniziava a scansionarlo da capo a piedi.
“Lo so, Grey, ma sono stanco. Sto bene, passo domani per un controllo” rispose l’uomo continuando a camminare.
“Il tuo concetto di ‘bene’ è molto relativo. Hai una leggera commozione celebrale e vari lividi e…”
“Niente di grave quindi” rispose l’uomo, continuando a camminare cercando di non pensare  a quanto gli fosse familiare la situazione.
La donna non si lasciò impressionare e lo seguì nel corridoio.
“Ci vogliono cinque minuti e potrei darti un antidolorifico. Uno a cui non sei allergico”
L’uomo si fermò e la fronteggiò.
“Davvero Susan, sto bene e non voglio un antidolorifico.  Ti prometto che dopo aver dormito vengo da te per l’esame fisico” quasi supplicò usando il vero nome della donna.
La donna lo guardò con i suoi profondi occhi verdi.
“E’ successo qualcosa Eagle? Qualcosa che non vuoi dire?” chiese con vera apprensione.
“No tutto bene, voglio solo dormire un po’. Vengo da te appena sveglio” sorrise l’uomo, strizzando i grandi occhi blu.
La donna lo scrutò, ma poi fece marcia indietro.
“Fra otto ore. Non un minuto di più. E se hai nausea o…”
“Sì lo so, ti avverto…”
L’uomo si rifugiò nell’oscurità del suo alloggio quasi come un naufrago sulla zattera.
Non chiese al computer di accendere le luci, né di riscaldare l’ambiente.
Appena la porta si chiuse Jim Kirk scivolò lungo la parete sedendosi in terra e rannicchiando le ginocchia al petto.
E poi pianse. Pianse come mai nella sua vita.
 
 
Spoiler per il prossimo capitolo
“Non posso credere che non ci ha fatto sapere di essere vivo” consentì Scotty.
“Maledetto egoista, ci ha distrutto…”
I due rimasero per un po’ in silenzio.
“Ma come sta? Voglio dire… stava bene quando l’hai visto giusto?” chiese alla fine l’ingegnere.
“Sì, ma… non lo so Scotty, proprio non lo so…”
“Che vuoi dire?”
“Che non sembrava lui… si è tirato indietro quando ho cercato di toccarlo…”
“Forse perché aveva quella tuta addosso”
“No Scotty… e poi i suoi occhi… non lo so… sembravano spenti. Ho paura sai… ho paura che non sia più lo stesso uomo che abbiamo conosciuto” fece McCoy con voce rotta.
 

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Capitolo 13
*** Di nuovo insieme ***


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EROE
Capitolo 12
Di nuovo insieme

“Buongiorno Leonard” annunciò  Uhura, entrando nel bar dove si erano dati appuntamento.
McCoy si ritrovò a fissarla per un breve attimo. Bellissima come sempre, aveva tagliato i lunghi capelli in un corto ed aggraziato caschetto. Ma gli occhi non erano più quelli vivaci e a volte maliziosi della giovane che aveva conosciuto.
“Ciao Nyota. Bel taglio di capelli” sorrise il medico continuando a sorseggiare il caffè forte che si era fatto portare dopo la notta trascorsa insonne.
“Bella barba” replicò lei accennando con un certo disgusto alla folta peluria che ricopriva il mento del medico.
“Credi? Perché volevo tagliarla” fece McCoy con un piccolo sorriso.
“Forse è meglio. Non ti dona” aggiunse Sulu, arrivando alle spalle del duo.
“Hikaru” salutò McCoy.
Anche lui appariva per così dire ‘maturato’, senza più quell’aria giovanile e scanzonata che aveva caratterizzato  tutto l’equipaggio di comando dell’Enterprise.
“Pavel sta arrivando. E’ passato prima dall’ospedale per compiere i rilievi” aggiunse il pilota sedendosi su di uno sgabello accanto al medico.
“Anche Scotty dovrebbe arrivare fra poco. Sono riuscito a rintracciarlo a Sidney” completò Uhura sedendosi anche lei a fianco d McCoy.
“Bene… manca solo Spock” disse McCoy , finendo di bere in un sol colpo il caffè che aveva davanti.
La menzione del vulcaniano provocò un lampo di dolore negli occhi della giovane linguista e McCoy  si maledisse mentalmente per non aver introdotto l’argomento con  più delicatezza.
“Viene anche lui?” chiese la donna con un filo d voce.
“Sì… in realtà ho chiamato lui per primo, sta cercando di utilizzare il teletrasporto transcurvatura, se riesce ad  avere l’autorizzazione del Consiglio”
Sul gruppetto calò per un po’ il silenzio.
“Da quanto non lo senti?” chiese poi il medico.
“Da quando è partito per New Vulcan” rispose lei con voce triste.
McCoy aveva sempre pensato che, nonostante tutto, i due fossero una bella coppia. Nyota era in grado di tirare fuori dal vulcaniano il meglio ed era sicuro che Spock provasse dei veri sentimenti per la donna.
Ma il loro amore non era sopravvissuto alla tragedia e al senso di colpa.
Un altro dei tanti danni di cui avrebbe presentato il conto a Kirk, appena trovato.
Nyota lasciò cadere l’argomento.
“Leonard… sei sicuro vero?” trovò poi il coraggio di chiedere.
Il medico la guardò furibondo.
Da quando aveva contattato  gli altri si era sentito porre la domanda almeno cento volte.
“Sì sono sicuro Nyota. E no, non ero ubriaco” sibilò.
“E’ solo che non riesco proprio a capire…”
“Cosa? Come abbia potuto farci questo? Perché, qualsiasi cosa sia successa non ci abbia contattato? Perché ha continuato a farci soffrire e a crederlo morto?” 
“Sono un sacco di domande. Quindi è meglio che lo troviamo per farci rispondere”
La voce allegra di Scotty fece voltare tutti verso la porta del locale.
Lo scozzese era entrato nel bar accompagnato da Chekov.
“Giusto” proclamò McCoy con rinnovato entusiasmo.
 
“Dunque  prima di venire qui abbiamo cercato le tracce del teletrasporto. La buona notizia è che vi sono tracce di un trasferimento…” iniziò Pavel.
“Meno male, altrimenti potevo davvero pensare di aver avuto le allucinazioni” borbottò il medico.
“La brutta notizia è che il  punto di partenza e di arrivo del fascio è nel… nulla e comunque al di fuori del sistema solare” continuò Chekov.
“Nel nulla? Che significa nel nulla?” chiese Sulu.
“Siamo riusciti a identificare il punto di partenza e di arrivo del fascio per il teletrasporto, ma in quel momento lì non c’era nulla. Né un pianeta, né una nave, né una piattaforma… insomma nulla” intervenne Scotty.
“O c’era qualcosa di occultato” ragionò Uhura.
“Ho inventato io il trasporto a transcurvatura.  E nessun dispositivo di occultamento è completamente privo di tracce. Anche se piccole è sempre possibile rintracciare le impronte della presenza del punto di arrivo del fascio”
“Non è possibile nascondere con la tecnologia che conosciamo noi, certo” ribatté la donna.
“Pensi che c’entri la sezione 31?” chiese incerto McCoy.
“Non lo so… Archer ci aveva assicurato che era stata smantellata dopo il problema con Khan”
“Quel che promette Archer non è degno di fiducia, soprattutto quando si tratta di Jim” chiosò Scotty.
“Mi spiace che la pensi così signor Scott. Capisco che abbiamo avuto delle divergenze, ma anche io sono affezionato a Kirk” proclamò una voce baritonale dal fondo della sala
“Parli del diavolo…” borbottò McCoy, mentre il vecchio ammiraglio si avvicinava al tavolo dove erano seduti.
 
“Lei sa la verità giusto?” attaccò subito furioso McCoy, senza neppure aspettare che il vecchio si sedesse.
“Dottor McCoy vedo che il tempo non ha migliorato il suo carattere…”
“Lasci perdere il mio carattere. Dov’è Jim?” sibilò inviperito il medico.
Archer rimase per un lungo momento in silenzio.
“Non lo so. Abbiamo perso le tracce sette mesi fa” ammise alla fine.
La testa di McCoy iniziò a girare furiosamente.
La conferma che il suo  migliore amico era vivo e che la Flotta era immischiata nella faccenda era troppo per lui.
“Come sarebbe a dire che avete perso le tracce??? Avete organizzato tutto voi??? Ci avete fatto credere che era morto…” urlò alzandosi minaccioso, subito bloccato da Sulu e Scotty.
“Signori non ne possiamo parlare qui. Vi aspetto alla sede della Flotta qui a Savannah alle ore 13:00. Suppongo che si unirà a noi anche il signor Spock” disse Archer, autoritario ed indifferente all’ira del medico, mentre si alzava dalla sedia.
“Lì vi daremo tutte le informazioni di cui siamo in possesso” concluse mentre si avviava verso l’uscita.
“Perché? Perché ora vuole dirci tutto, dopo averci tenuto all’oscuro per un anno?” lo bloccò Uhura.
Archer la guardò sicuro di sé.
“Tenente, non sono così stupido da non capire che ora che avete scoperto che è vivo andrete a riprendervi Jim, con o senza il nostro aiuto. Preferisco non avervi contro in questa faccenda. Ho già troppi problemi”
Il gruppetto rimase in silenzio mentre guardava l’anziano ufficiale uscire dal bar.
 
McCoy si sentiva come se fosse tornato indietro nel tempo, mentre aspettava  di salire all’ultimo piano del grande edificio che fungeva da sede della Flotta a  Savannah.
Circondato dai suoi amici poteva quasi credere che nulla fosse cambiato, che Jim fosse lì da qualche parte in attesa di venir fuori con il solito sorriso cento watt.
Ma le linee di tensione che vedeva sui volti di tutti lo riportarono subito alla realtà.
Le cose erano molto diverse da un anno prima e forse non sarebbero mai più tornate come prima.
Appena giunti davanti all’ufficio indicato dalla segretaria, McCoy scorse l’alta e magra figura di Spock che guardava, immobile e rigido, fuori da una finestra.
Appena avvertita la loro presenza il vulcaniano si girò e salutò con un cenno del capo. I suoi occhi erano però fissi sulla giovane donna in mezzo al gruppo.
“Aspettiamo più in là” esortò McCoy e tutti, come ad un segnale, si allontanarono per lasciarli soli.
 
“Sono lieto di vedere che stai bene” iniziò Spock rivolto a Nyota che lo fissava immobile.
“E’ ancora un sentimento che puoi provare? La felicità di vedere qualcuno?” rispose lei con voce calma.
“Ho adoperato un’espressione umana, ma se intendi sapere se il Kolinahr privi anche della possibilità di provare il sentimento dell’amicizia, la risposta è negativa Nyota”
“Stai per farmi una lezione sul Kolinahr?” ora la voce di Uhura era irata.
“No Nyota, è solo che vorrei farti  capire che la disciplina cui mi sto sottoponendo non è destinata alla totale privazione delle emozioni residue, m solo al loro totale controllo e sottoposizione alla logica” rispose atono il vulcaniano.
“Quindi è questo quello che provi per me ora? Amicizia  da sottomettere alla logica?”
“Nyota questo non mi sembra né il tempo né il luogo per avere questa conversazione”
“Se tu mi avessi dato la possibilità di parlarti prima di partire per New Vulcan, se mi avessi spiegato,  non dovremmo averla ora e qui questa conversazione!” sibilò Uhura sempre più irata.
“Capisco la tua animosità, Nyota. Sei umana quindi…”
“Sono umana??? Siamo arrivati a questo ora?”
“Non intendevo offendere. E mi rendo anche conto che probabilmente la mia decisione sia per te incomprensibile…”
“Almeno hai trovato quello che cercavi?” lo interruppe la donna.
“Se intendi  sapere se trovo che la disciplina del Kolinahr stia avendo risultati, la risposta è positiva”
“Davvero???” rise Uhura.
Spock la guardò alzando leggermente il sopracciglio.
“Spiegami perché sei qui allora. Perché se la tua logica è così perfetta ti sei precipitato appena McCoy ti ha chiamato?”
 
Scotty e McCoy assistevano all’animata conversazione fra i due a debita distanza, ma anche senza riuscire a distinguere le parole era evidente la rabbia di Uhura.
“Wow, secondo me Spock è veramente nei guai” cercò di scherzare Scotty.
McCoy non rispose per un lungo momento.
“Maledetto bastardo” imprecò alla fine.
“Chi Spock? Certo l’ha fatta grossa a Nyota, ma…”
“Non intendevo Spock, ma Jim…” rispose il medico.
“Guarda che cosa ha fatto a tutti noi!!! Guarda dove ci ha portato” continuò.
“Non posso credere che non ci ha fatto sapere di essere vivo” consentì Scotty.
“Maledetto egoista, ci ha distrutto…”
I due rimasero per un po’ in silenzio.
“Ma come sta? Voglio dire… stava bene quando l’hai visto giusto?” chiese alla fine l’ingegnere.
“Sì, ma… non lo so Scotty, proprio non lo so…”
“Che vuoi dire?”
“Che non sembrava lui… si è tirato indietro quando ho cercato di toccarlo…”
“Forse perché aveva quella tuta addosso”
“No Scotty… e poi i suoi occhi… non lo so… sembravano spenti e freddi. Ho paura sai… ho paura che non sia più lo stesso uomo che abbiamo conosciuto” fece McCoy con voce rotta.
La conversazione fu interrotta da Archer che comparve sulla porta dell’ufficio.
Dietro di lui c’era la Marlentes, seduta alla grande scrivania al centro della stanza.
“Prego signori accomodatevi” li invitò il vecchio ammiraglio.
 

Grazie sempre a tutti... soprattutto ai miei fedelissimi recensori.
 
Spoiler per il prossimo capitolo
“Quale fedeltà può aspettarsi una organizzazione che costringe un ragazzo di ventotto anni a sacrificarsi, a  esporsi a morte quasi certa, prospettandogli la possibilità di una guerra? Perché questo gli avete detto giusto? La tua vita in cambio della salvezza della Federazione…” sibilò furibondo McCoy.
“Non l’ha fatto per salvare la Federazione, l’ha fatto per salvare noi” disse Spock serio, guardando verso gli altri.

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Capitolo 14
*** Verità nascoste ***


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EROE
 
Capitolo 13
Verità nascoste
 
“Signori anche se  alcuni di voi  non fanno più tecnicamente parte della Flotta vi ricordo che avete prestato un giuramento e siete tenuti al silenzio, comunque” esordì Archer, prendendo la parola.
Tutti si erano seduti al grande tavolo ovale, la Marlentes accanto all’ammiraglio a capotavola, tranne Spock che era rimasto in piedi accanto alla finestra, fermo a fissare un punto nel vuoto, e McCoy che si era distrattamente appoggiato al muro, guardando in terra.
“Non possiamo negare quello che ormai è evidente. Jim Kirk non è morto su Romulus un anno fa. Faceva tutto parte di un  progetto di infiltrazione fra i romulani”
“Avete inscenato tutto… ci avete fatto credere che era morto così non lo avremmo cercato…” sibilò McCoy con disgusto, senza muoversi, né guardare nessuno.
“La cosa è un po’ più complicata, dottor McCoy. In realtà non era prevista una ‘esecuzione’ di Kirk. Doveva essere imprigionato su Romulus e poi da lì scappare. Ma con evidenza non è andato tutto come previsto” intervenne la Marlentes.
“Che significa che non era previsto???Allora il colpo di phaser era vero???” McCoy si avvicinò guardando i due sconvolto.
“Sì, ma per fortuna non letale. Kirk ha avuto un po’ di problemi, ma nella squadra c’era personale competente” rispose Archer senza emozione.
“Competente? Quale squadra? Era un colpo di phaser a distanza ravvicinata…” ora nella voce di McCoy si leggeva il panico.
“Dottore lei stesso ha visto il capitano in discrete condizioni di salute. Le manifestazioni emotive non giovano. Lasciamo che l’ammiraglio e il presidente continuino nelle loro delucidazioni” intervenne Spock sempre guardando fuori.
“Forse è meglio fare un passo indietro. Signori, dovete sapere che i negoziati con Romulus non vedevano come principale protagonista Merrick, ma Aerv. Merrick era il diplomatico, ma Aerv era la mente pensante, colui che si è rivolto a noi per chiedere aiuto”
“Aiuto?” chiese Scotty.
“Aerv ci contattò circa un anno e mezzo fa. Aveva saputo che il Pretore Romulano aveva autorizzato la costruzione di un’arma di eccezionale potenza, in grado di distruggere la Terra  o Kronos, il pianeta natale dei Klingon, senza neppure spostarla da Romulus. Sapeva bene che un attacco del genere avrebbe provocato una guerra intergalattica di proporzioni inimmaginabili e dalle conseguenze ancor meno prevedibili. E soprattutto riteneva che l’arma costituisse un vulnus  per l’onore romulano. Distruggere senza combattere non è in linea con il comportamento di un vero guerriero”
“Quindi l’obiettivo dell’attentato…” chiese Uhura.
“Non era Merrick, ma Aerv. Il Tal’Shiar aveva organizzato tutto, e solo l’intervento della figlia di Merrick  ha impedito la morte di Aerv, purtroppo a scapito della vita di suo padre” concluse la Marlentes.
“E’ stato allora che avete pensato di mandare Jim in incognito su Romulus? Da solo???” l’aggredì McCoy.
“Dottore, Kirk non è stato mandato su Romulus da solo. Aveva la sua squadra”
“Squadra???  Che significa la ‘sua’ squadra???”
Archer si agitò sulla sedia.
“Marcus non era l’unico ad aver pensato a sistemi di difesa non ufficiali. Abbiamo sempre avuto  gruppi segreti appositamente addestrati…”
“Cosa vuol dire? Che Jim  faceva parte di queste squadre?” chiese Scotty.
“Da quando è stato reclutato all’Accademia. Ed è stato più volte utilizzato in varie operazioni” rispose Archer.
“Questa è una fandonia bella e buona.  Se fosse così me ne sarei accorto… me l’avrebbe detto” fece McCoy beffardo.
“Dottore la sua pretesa di conoscere Jim Kirk in ogni aspetto della sua vita è erronea. E’ stato uno dei nostri migliori agenti sino a che non gli hanno dato la fascia di capitano”
McCoy rimase allibito. La sua mente andò freneticamente indietro nel tempo… tutte le volte in cui Jim spariva per giorni, tornando con il solito sorriso, un po’ ebete, e la scusa di essere stato con una ragazza. Tutte le volte in cui aveva detto che andava a trovare la madre in Iowa, ma Bones sapeva bene che non sarebbe mai accostato neppure vicino alla casa di famiglia. Aveva sempre lasciato al suo migliore amico lo spazio che desiderava, credendo che volesse solo stare un po’ per conto suo, ed invece…
“Quindi l’avete mandato su Romulus alla ricerca di questa fantomatica arma, ben sapendo che consegnandolo ufficialmente ai romulani potevano fare qualsiasi cosa di lui. Chi vi dava la sicurezza che il Tal’Shiar non scoprisse i vostri piani? Cosa che suppongo sia poi avvenuta”
La voce di Spock era dura e tagliente.
  “In effetti le cose non sono andate come previsto. Ma siamo riusciti a recuperare, Kirk è stato salvato; tuttavia il piano originario ha dovuto subire  dei necessari ‘adattamenti’, lasciati alla discrezione della squadra”
“Vale a dire che li avete abbandonati a loro stessi?” intervenne sarcastico Sulu.
“Abbiamo fornito tutta l’assistenza richiesta per vari mesi, sino a che non hanno interrotto ogni contatto. Era nei parametri della missione tale ipotesi, ma…” rispose l’ammiraglio.
“Ma non riuscite a spiegarvi perché siano ricomparsi all’improvviso in Georgia…”
“Sappiamo qualcosa di più su quest’arma?”
“Nulla, sino a che abbiamo avuto contatti non avevano fatto progressi. L’unica cosa che sappiamo è che la costruzione  non stava avvenendo su Romulus…”
“Può darsi che la stessero costruendo sulla Terra???” chiese atono Spock, girandosi verso l’ammiraglio.
Archer guardò il vulcaniano fisso, senza parlare per alcuni secondi.
“L’ultima comunicazione che ho avuto con Kirk non lo lasciava presupporre. Ma lui era stranamente diffidente, quasi riluttante a fornire qualsiasi tipo di informazione. Dopo di che abbiamo perso del tutto i contatti” ammise alla fine.
Se c’era una cosa di cui Spock era sicuro era il fatto che Kirk si fidasse di Archer. Li avevano divisi anni di battibecchi e litigi, ma ognuno sull’Enterprise conosceva anche la stima che nutrivano l’uno per l’altro.
“Non si fidava della Flotta. Temeva che ci fossero delle talpe, con tutta evidenza” Sulu espresse ad alta voce il pensiero di tutti.
“E’ probabile. Resta il fatto che da allora non abbiamo più avuto contatti sino alla misteriosa ricomparsa di Kirk l’altro giorno. E non credo che il suo incontro con il dottor McCoy fosse preventivato…” rispose Archer.
“Vi siete decisi a dirci la verità perché non sapete più che pesci prendere giusto?” chiese sprezzante Scotty.
“No,  ve lo abbiamo detto…ci siamo decisi perché sappiamo bene che ora che avete scoperto che Jim Kirk è vivo non vi fermerete davanti a nulla per riprenderlo. Abbiamo un obiettivo comune e vi stiamo chiedendo aiuto” intervenne la Marlentes.
McCoy che sino ad allora era rimasto fermo, sbottò in una risata amara.
“Certo, ci chiedete aiuto. Dopo averlo messo in mano ai romulani, facendoci credere che era morto per più di un anno ora ci chiedete aiuto…”
“Non posso obbligarla dottor McCoy, così come non posso obbligare nessuno di voi. Faccio solo appello alla vostra fedeltà”
“E quale fedeltà può aspettarsi una organizzazione che costringe un ragazzo di ventotto anni a sacrificarsi, a  esporsi a morte quasi certa, prospettandogli la possibilità di una guerra? Perché questo gli avete detto giusto? La tua vita in cambio della salvezza della Federazione…” sibilò furibondo McCoy.
“Non l’ha fatto per salvare la Federazione, l’ha fatto per salvare noi” disse Spock serio, guardando verso gli altri.
“Vi ripeto,  non possiamo obbligare nessuno di voi”
“La smetta Archer!!! Sa benissimo che ciascuno di noi farebbe qualsiasi cosa  per riavere Jim, anche solo per strozzargli il collo”
“Qualunque sia la motivazione credo che ora il problema fondamentale sia come trovarlo” intervenne sempre atono Spock.
“Signor Spock, signor Scott da questo momento siete richiamati in servizio ai  sensi del paragrafo 15 del codice militare della Flotta. Quanto a lei dottor McCoy, facendo parte solo del corpo medico, può liberamente decidere” annunciò con tono formale Archer.
“Crede che me ne resti qui ad aspettare?” fu la risposta amara del medico.
“Jim si fida di voi, penso che siate gli unici a questo punto di cui si fidi. Trovatelo e trovate l’arma che i romulani stanno costruendo” concluse Archer.
“Ci serviranno informazioni su questa fantomatica squadra e sulle tecnologie di cui può disporre”
“Certo, ma sono anche obbligato a dirvi che agirete non ufficialmente. Se vi catturano la Flotta negherà qualsiasi contatto”
Scotty rise beffardo.
“Certo… sempre coraggiosi”
“Non è questione di coraggio comandante Scott, quello che Jim desiderava  era evitare  una guerra intergalattica. Ha sacrificato tutto quello che aveva per questo”
“Sì, ha sacrificato la sua famiglia” fece McCoy amaro. 
 

Grazie sempre a tutti. E come al solito ribadisco che Star Trek ed i suoi personaggi non mi appartengono.

Spoiler per il prossimo capitolo

"Stai proponendo di 'rubare' l'Enterprise?" chiese  con gli occhi strabuzzati McCoy.
"Dottore rubare implica una appropriazione definitiva. Noi useremo la nave solo temporaneamente e poi la restituiremo" rispose con calma assoluta Spock.

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Capitolo 15
*** Tempi disperati ***


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EROE
Capitolo 14
Tempi disperati

Il cielo era completamente nero su Remus.
L’unica luce era il bagliore chiaro emesso dal pianeta gemello, Romulus, alto nel cielo.
Il paesaggio brullo e deserto contribuiva a rendere ancor più cupa l’atmosfera.
Jim uscì all’aperto respirando a pieni polmoni l’aria della sera.
Dietro di lui il dispositivo di occultamento rendeva completamente invisibile l’incrociatore che era stato la sua casa in quell’anno.
Casa…ma la sua casa era l’Enterprise.
Probabilmente non l’avrebbe più rivista, come non avrebbe più rivisto la sua famiglia.
Perso nei  suoi pensieri cupi Jim  si avviò verso le alture di fronte a lui, incurante dell’oscurità che lo avvolgeva  sempre più ad ogni passo.
Aveva sempre avuto la capacità di camminare ed orientarsi al buio; Sam suo fratello maggiore lo chiamava ‘Jimmycat’ quando erano piccoli, proprio per la sua capacità di strisciare ovunque anche nell’oscurità più profonda.
Jim sapeva orientarsi nell’oscurità esterna, ma aveva poca dimestichezza con l’oscurità del suo animo.
L’incontro con Bones, del tutto inaspettato, lo aveva colto impreparato.
Vederlo così cambiato, stanco, gli occhi cerchiati e tristi, aveva sconvolto Jim come non era mai successo in quell’anno.
Istintivamente si passò la mano sulla spalla: anche sotto la maglietta sottile riusciva a sentire la spessa cicatrice lasciata dal colpo di phaser, memoria probabilmente perenne di quello che era successo.
Chissà come avrebbe reagito Bones se al posto di Susan ci fosse stato lui a curarlo.
Quando si era svegliato, dopo la sua ‘esecuzione’, fra dolori atroci e confusione, non aveva trovato ad accoglierlo i rimproveri bonari, ma pronunciati con voce  piena di sollievo, del suo migliore amico, ma solo la fredda professionalità di Susan.
E già da allora aveva capito che era solo.
Era rimasto completamente solo in quell’anno con la sola consolazione del pensiero di stare facendo la cosa giusta. La cosa necessaria a salvare la sua famiglia.
 
“Eagle” lo richiamò una voce alle sue spalle.
“Ti ho già detto che non devi andare a zonzo su Remus di notte? I grishnar sarebbero lieti di averti come pasto serale”
Nuhir gli venne incontro sinuosa, avanzando sicura nella semioscurità.
“So cavarmela. Ho fatto molte volte campeggio  nei deserti dell’Arizona” rispose duro Kirk.
La ragazza non rispose, limitandosi, con un gesto sinuoso, a buttare indietro sulle spalle i lunghi capelli neri.
Jim l’aveva vista poche volte con i capelli sciolti: in azione li teneva sempre rigorosamente raccolti sulla nuca.
“Visto da qui sembra straordinariamente pacifico, quasi bello” disse Nuhir, guardando in alto verso Romulus.
Nella penombra la figura sottile e sinuosa appariva ancor più affascinante.
“Ti manca?” chiese Jim.
“Cosa? Il mio pianeta? No, non proprio. La nostalgia non è un sentimento che si addice ad un guerriero”
“A me mancano” ammise di impulso Jim.
“La mia casa, l’Enterprise… il mio equipaggio, la mia famiglia” spiegò quando Nuhir lo guardò con aria interrogativa.
La donna si sedette, elegante come un felino, su di una roccia, sempre guardando in alto.
“Non mi sono mai sentita completamente a casa su Romulus. Mio padre era la mia casa e la mia famiglia. Io sono una mezzosangue, sono cresciuta come una romulana solo perché mio padre l’ha voluto e mi ha sottratto dalla casa dei servi dove mia madre umana mi aveva partorita” disse con voce calma e bassa.
Jim si sedette accanto a lei.
“Quindi stai facendo questo solo per vendicarlo? Non per salvare Romulus dal disonore e dalla guerra?” chiese.
Nuhir lo guardò fisso, gli occhi neri scintillanti anche nell’oscurità.
“Colpire pianeti ignari uccidendo civili, senza combattere, è disonorevole. La dinastia di mio padre non merita quest’onta” fece  sicura.
“E tu? Perché lo stai facendo, Kirk?” chiese usando il suo vero nome.
Jim esitò solo un attimo prima di rispondere.
“Per la mia famiglia”
“Ma probabilmente non li rivedrai mai più”
“Non importa. Il necessario è che siano salvi” rispose sicuro Jim.
I due rimasero in silenzio per un po’.
“Ti fidi di Tiger?” chiese all’improvviso Nuhir, guardandolo con aria di sfida.
“Cosa ti fa pensare che non ci possa fidare?” chiese a sua volta Jim.
Conosceva Gary Mitchell, nome in codice Tiger, da molti anni, dai tempi dell’accademia, e nonostante i dissidi ed i battibecchi continui, aveva sempre avuto fiducia di lui.
“Stiamo girando a vuoto da un anno. Ogni volta che abbiamo una traccia si dissolve nel nulla. Hai avuto fortuna a non morire quando la  monoposto è precipitata”
“La monoposto è precipitata perché i motori non hanno retto la velocità di curvatura”
“Cosa che avevi previsto ampiamente. Ti ripeto la domanda: ti fidi di Tiger?”
Jim guardò verso il vuoto prima di girare la testa  di nuovo verso Nuhir, un leggero sorriso sulle labbra.
“Sai è strano… lui mi ha fatto pochi giorni fa la stessa domanda su di te. Ti darò la stessa risposta che ho dato a lui: sì, mi fido, almeno sino a che non avrò prove contrarie” fu la sua risposta secca, anche se  dentro di lui tutto gridava in allarme.
Da un lato era convinto che la paranoia si fosse impossessata di tutta la squadra, tanto da indurli a chiudere ogni contatto sia con la Flotta sia con il gruppo di Aerv, ma dall’altro il suo istinto gli diceva che c’era qualcosa di profondamente sbagliato: ed il suo istinto non aveva mai fallito.
“Torniamo dentro. Ci possono vedere” fece la donna alzandosi senza commentare ulteriormente.
Mentre si alzavano Jim sfiorò involontariamente il braccio della ragazza.
Una scossa elettrizzante gli percorse tutto il corpo.
“Smettila Kirk… non hai tempo per queste cose” pensò  tra sé e sé il giovane capitano.


“Mapporca… tu guarda che roba!” imprecò Scotty scorrendo i dati sul suo PADD.
“Hanno un incrociatore con un dispositivo di occultamento che fa impallidire quello in uso ai klingon” disse ancora, senza alzare lo sguardo dallo schermo.
“A quanto pare anche la tuta che lei, dottore, ha visto indossata dal capitano è tecnologicamente molto avanzata. Praticamente  impedisce l’intero spettroscopio di luce… rende invisibile  chi la indossa, oltre a costituire un tricorder medico ed interagire con le banche dati cui è collegata”
L’ammiraglio Archer aveva inviato a tutti le specifiche della missione in cui era coinvolto Kirk.
“Magnifico, quindi stiamo cercando  qualcuno che viaggia su di una nave invisibile, che può indossare una tuta che lo rende  invisibile e ha un collegamento diretto con qualsiasi banca dati voglia” disse ironico McCoy.
La voce era amara e disincantata, la ferita di aver scoperto la ‘vita segreta’ del suo amico bruciava ancora.
“Jim aveva anche uno strano apparecchio sotto pelle, dietro l’orecchio destro…” ricordò.
“Quello è un comunicatore, collegato direttamente alla corteccia celebrale. Serve anche come localizzatore e per agganciare il teletrasporto. Che, tra l’altro, è a transcurvatura e non lascia tracce” rispose Spock con voce atona, consultando il PADD.
“Sempre meglio… toglierlo sarà un  inferno” borbottò il medico.
“Almeno sappiamo chi sono gli altri componenti di questa squadra?” chiese Sulu.
Uhura armeggiò con il suo PADD e subito dopo una serie di volti comparve sul grande schermo della stanza di albergo dove erano riuniti.
“Gary Mitchell?” fece McCoy avvicinandosi e guardando la prima foto in alto a sinistra.
“Lo conosce?” chiese Spock.
“Era con me e Jim all’Accademia. Era amico di Jim… ma io non mi sono mai fidato di lui. Non so perché… era una cosa a pelle” ammise il medico.
“Tenente comandante Gary Mitchell. Ufficialmente è addetto all’Ufficio Armamenti della Flotta” recitò Uhura leggendo le  informazioni sul PADD.
Ma l’attenzione di McCoy era già focalizzata sulla foto di una donna bionda, profondi occhi verdi.
“Ma non è possibile… la dottoressa Meyer è scomparsa dieci anni fa” balbettò.
“Susan Meyer, genetista e specializzata  in traumatologia e chirurgia di urgenza. Ufficialmente risulta dispersa dopo il disastro della Pegasus, insieme al marito Richard Meyer”
“Conosce anche lei?” chiese Spock con  la solita aria stoica.
“No, non di persona, ma tutti i medici del quadrante sanno chi erano Susan e Richard Mayer. Sono stati i primi a sperimentare i rigeneratori ossei sugli esseri umanoidi.  E’ stata data per morta sulla Pegasus insieme al marito e ai due figli”
Il gruppo scorse rapidamente i files dei restanti membri della squadra.
“Ovviamente c’è anche la romulana” sibilò McCoy guardando la fotografia di Nuhir.
“Archer l’aveva anticipato. E’ stata lei a salvare Aerv dall’attentato” ricordò Scotty.
“E’ comunque un membro del Tal’Shiar” obiettò McCoy.
“Bene… allora che facciamo?” chiese impaziente Chekov che sino ad allora era rimasto in silenzio.
“Signor Chekov lei non aveva iniziato uno studio sul sistema di occultamento degli sparvieri klingon? Questo sistema sembra molto simile, anche se più sofisticato”
“Sì, ma tutti i miei dati sono rimasti nei pc sull’Enterprise. La Flotta mi ha impedito di fare i backup”
“Signori vorrei farvi notare che attualmente non abbiamo neppure una nave con cui andare a cercare Jim. E che la Flotta si rifiuta di fornirci ausilio” chiosò McCoy.
“L’Enterprise attualmente è ferma in banchina. Ufficialmente è in riparazione, ma è perfettamente funzionante” disse Spock calmissimo.
“Stai proponendo di 'rubare' l'Enterprise?" chiese  con gli occhi strabuzzati McCoy.
"Dottore rubare implica una appropriazione definitiva. Noi useremo la nave solo temporaneamente e poi la restituiremo" rispose con calma assoluta Spock.
“Un attimo… siamo solo in sei… come facciamo a pilotare una nave stellare?”
“Con la subroutine che il capitano ha fatto installare al signor Spock e al signor Chekov subito prima che iniziasse questa storia” rispose Spock.
“Ho  installato un sistema che può dirottare tutte le funzioni della nave direttamente in plancia. La possiamo comandare da lì esattamente come faceva Khan con la Vengeance” ridacchiò soddisfatto lo scozzese.
“Ti rendi conto vero  che questo può portarci diritto alla Corte Marziale? E che nel caso Archer non farebbe niente per  difenderci?” chiese McCoy.
“Come si suol dire dottore:  tempi disperati richiedono misure disperate”
 
 Star Trek non mi appartiene.


Spoiler per il prossimo capitolo.
"Questa me la paghi Jim... lascia che metta le mani su quel tuo collo magro, e me la paghi" pensò McCoy mentre si costringeva a sorridere malizioso alla donna, che già aveva lasciato il suo posto di guardia per farsi avanti, con sguardo voglioso.

PS dell'autrice: la virtù di Bones in pericolo??? 
 

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Capitolo 16
*** Il fine giustifica i mezzi ***


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EROE

Capitolo 16
Il fine giustifica i mezzi
 
“E’ al molo sedici. Povera la mia bella signora, abbandonata e dimenticata… chissà cosa le hanno fatto quegli incompetenti” borbottò Scotty tornando verso il gruppetto che lo stava aspettando nella grande sala partenze dello spacedock di S. Francisco.
Il posto brulicava di persone di tutte le razze, molti in uniforme, ma anche molti civili; ciononostante McCoy si sentiva tutti gli occhi puntati addosso.
“Bene direi che il piano di azione più logico consiste nel mandare un piccolo gruppo in avanscoperta, per appurare quante persone risultano di sorveglianza al varco di accesso,  e di conseguenza la  modalità migliore per aggirare le misure di protezione” scandì Spock, assolutamente a suo agio, pur indossando una lunga veste bianca vulcaniana.
“Forza dottore andiamo” incitò Scotty.
“Io? E perché?” fece stupefatto McCoy.
“Certo non può andare Spock…” accennò con un mezzo sorriso Scotty, guardando la veste del vulcaniano.
“E gli altri sono ancora in servizio nella Flotta, quindi perfettamente riconoscibili” continuò lo scozzese.
“Se è per questo anche io e te eravamo in servizio sino ad un anno fa” obiettò il medico.
“In un anno la gente dimentica, Leonard. Ci fingeremo turisti”
 
“Leonard McCoy!!!” urlò la donna seduta alla scrivania posta proprio davanti la porta di accesso alla stanza di accesso al molo di attracco.
“Nessuno ci riconoscerà, eh??? “ sibilò inviperito il medico a Scotty che gli stava vicino .
McCoy cercò furiosamente di recuperare nella memoria il nome della donna.
L’unica cosa che ricordava era che l’aveva conosciuta all’Accademia, forse avevano partecipato a qualche corso insieme…
Jenny? Jasmine? Judith? Pensò freneticamente.
“Ciao J… “ balbettò.
“Jane, Jane Ross, ricordi? Eravamo nella stessa classe di lingua orioniana” fece la donna con la delusione negli occhi.
“Come no…Jane, che bello rivederti” McCoy si esibì in uno dei suoi migliori sorrisi.
“Ma ti sei congedato?” chiese con curiosità la donna, bassina con lunghi capelli neri ed un paio di piccoli occhi neri che  a McCoy ricordavano quelli dei topini da laboratorio, guardando gli abiti civili del medico.
“Beh sì… sai ora sono un medico di campagna”  rispose lui con aria indifferente.
“Eri CMO sull’Enterprise giusto?” chiese insistente Jane, mentre squadrava McCoy da capo a piedi.
“Sì… sì ma ora come ti ho detto mi sono congedato, e lavoro privatamente” balbettò  McCoy, rosso in volto, mentre praticamente la donna se lo mangiava con gli occhi.
“E sei qui per cosa?”
McCoy rimase interdetto non sapendo cosa rispondere.
“Per dare un’occhiata alla vecchia nave…” si intromise Scotty, dopo aver dato un calcio al medico senza essere visto.
“Sì certo… per dare un’occhiata alla mia vecchia nave… nostalgia sai…” sobbalzò McCoy.
Jane annuì mentre guardava Scotty curiosa.
“Oh sì… Jane lui è il mio amico…”
“Frank Scott” completò Scotty sorridendo a trentadue denti e porgendo la mano.
“Ha un viso conosciuto signor Scott” disse Jane mentre lo scrutava rispondendo al saluto.
“Già me lo dicono tutti. Ma io sono solo un semplice ingegnere civile, anche se devo ammettere che mi piacerebbe dare un’occhiata alla mitica Enterprise”
“Beh… è ormai praticamente una bagnarola inservibile. E’ qui allo spacedock da quasi sei mesi… l’ammiraglia della Flotta ora è la Constellation” sorrise Jane.
“Bagnarola inservibile… ma come si permette…” borbottò sottovoce  Scotty con il viso paonazzo.
Stavolta fu lui che si beccò un calcio negli stinchi.
“E tu Jane?” chiese il medico, fingendo interesse.
“Povera me… sai dopo che mi sono rotta l’anca in missione, mi hanno messo a terra. Ora, per esempio, per tutto il mese sono qui bloccata a fare la guardia ad un  barattolo di latta che non volerà mai più. Spero che si decidano quanto prima a metterla in un museo” 
Il viso di Scotty era praticamente viola dalla rabbia.
“Quindi se vogliamo fare una piccola visita… lei è la persona giusta” lo scozzese ingoiò il groppo in gola e sorrise alla donna.
“Bah, a dire il vero non sarebbe consentito, ma  se tornate a fine giornata quando non c’è più nessuno in giro…”
McCoy cercò di sorridere affascinante.
“Poi io e te … Lenny… potremo andare a bere qualcosa…”
“Ma certo… e il dottor McCoy è un ottimo ortopedico, potrebbe dare un’occhiata alla sua anca” si intromise Scotty.
McCoy rimase attonito, sino a che non sentì il gomito di Scotty nelle costole.
“Come no… certo… sarebbe bello…” riuscì a balbettare.
Il viso di Jane si illuminò.
“Ok ci vediamo alle otto zerozero… Lenny”
 
 
“Mi complimento con voi… il risultato è oltre le aspettative” disse assolutamente calmo Spock, non appena informato da Scotty.
Lo scozzese a stento era riuscito a parlare, scosso da continui attacchi di risate.
Dal canto suo McCoy sembrava sull’orlo di un attacco apoplettico, rosso in viso e sudato.
“Il dottor McCoy fungerà da distrazione per la signora che è di guardia, dopo che la stessa avrà introdotto lui ed il signor Scott sull’Enterprise, in modo da consentirci di salire a bordo” continuò pragmatico Spock.
“Stai scherzando vero??? Che significa ‘fungerà da distrazione’?” si inviperì il medico.
“Suvvia… Lenny… non essere timido, ce la puoi fare” fece Uhura, ridacchiando.
“La cosa non è divertente Nyota, non penso che rideresti se fossi al mio posto” rispose McCoy, prima di ricordarsi che  più di una volta Uhura era ricorsa alla propria avvenenza fisica per distrarre il nemico.
“Dottore nessuno le sta chiedendo di impegnarsi in attività sessuali con la suddetta signora. A meno che non gradisca farlo, ovviamente” chiosò Spock imperturbabile.
Stavolta la risata fu generale.
McCoy aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse.
Il fine giustifica i mezzi, si disse ancora una volta.
Ma questa era una delle tante cose  da mettere sul conto da presentare a Jim Kirk.
Appena trovato.
Vivo.
 
 
 
Eagle, forse abbiamo una traccia”
La voce di Tiger, ovvero Gary Mitchell, fece sobbalzare Jim che si era praticamente appisolato su una delle poltrone della piccola sala mensa.
Subito dopo l’uomo entrarono nella cambusa gli altri della squadra operativa, per ultima Nuhir che  si teneva come al solito a distanza.
Tre uomini e due donne, dopo che  avevano perso in azione Owl, la ragazza più giovane del gruppo.
Quando ci pensava Jim  sentiva ancora salirgli un grumo alla gola; gli occhi verdi della ragazza che lo guardavano imploranti, mentre la luce in loro si spegneva, continuavano a tormentarlo ogni notte.
“A quanto pare avevo ragione. Stanno costruendo l’arma o almeno una parte di essa qui su Remus… nei laboratori sotterranei di Levitasz” 
Jim cercò di non mostrare reazioni   per l’aria tronfia che aveva Gary nel vantarsi di una scoperta che con ogni probabilità era dovuta solo a Nuhir, tornata da poco dalla sua missione in avanscoperta.
“Siamo sicuri?” chiese rivolgendosi ostentatamente alla bella romulana.
“Nulla è sicuro. Ma da quanto ho visto dall’esterno ci sono strani movimenti e un grande trasporto di materiale. Di solito in quel laboratorio ci costruiscono solo i replicatori per Romulus”
Nuhir fece una pausa per poi proseguire.
“La cosa più importante però è che ho visto entrare nei laboratori sotterranei mio cugino Argertran”
“Tuo cugino che ha  preso il posto di tuo padre nel Senato?” chiese Jim.
“Sì… è un ingegnere molto dotato e  ora che è  senatore non verrebbe mai su Remus se non ci fosse qualcosa di importante da seguire personalmente”
“Bene, mi sembra abbastanza per andare a dare un’occhiata. Ci organizziamo per domani al cambio turno” chiosò Gary, lanciando un’occhiata di sfida a Jim.
La squadra lasciò la stanza, tranne Jim e Nuhir.
La giovane romulana si sedette vicino a Kirk, fiera ed altera.
“Ti riformulo la domanda: davvero ti fidi di Tiger?” disse sprezzante.
“Il mio migliore amico mi ha sempre accusato di essere paranoico,  non credevo che i romulani fossero inclini a tale patologia…” cercò di scherzare Jim.
“Sono per metà umana” fece la donna imperturbabile.
“Ho già sentito questa risposta da qualcun altro”
Per la prima volta da molti mesi Jim si ritrovò a sorridere.
“Lo terrò d’occhio se questo è quello che vuoi” continuò.
La romulana si limitò ad annuire.
“Tutto bene?” chiese dopo un po’ Jim.
“Cosa vuoi dire?”
“Nel senso che… insomma se tuo cugino è implicato in questa storia potresti dover prendere decisioni difficili…”
Nuhir si voltò a guardarlo, gli occhi scuri offuscati da qualcosa di insondabile.
“So prendere  decisioni difficili. Farò quel che è necessario. Esattamente come hai già fatto tu” rispose poi dura.
Jim sospirò e poi si voltò a guardarla.
“Mi hai detto che Argertran è praticamente cresciuto con te…”
“Sì, era l’erede maschio del casato. Abbiamo condiviso l’educazione e la casa, ma non ci siamo mai considerati fratelli”
“E quando è morto hanno dato a lui il seggio al Senato di tuo padre”
“La legge non prevede che il seggio possa andare ad una donna, tanto più se mezzosangue”
“Sì, ma tuo padre…”
“Mio padre è stato uno stolto. Mi ha cresciuto come una romulana, ma io non sono mai stata accettata dagli altri come tale. Sono e resto la figlia di una schiava umana”
Jim provò un sentimento di comprensione e simpatia profonda per la ragazza ed il suo pensiero andò subito a Spock.
“Beh… come ho già avuto modo di dire a qualcun altro, essere figli di due mondi può essere l’occasione per incarnare il meglio delle due razze”
“Dove sono cresciuta io non la pensano così. Argertran mi disprezza, ad esempio”
Ancora una volta Jim la guardò con simpatia: conosceva bene il dolore di essere un bambino non accettato dalla propria famiglia.
“Ma tu gli sei comunque affezionata giusto?” chiese con voce calma.
“La cosa è irrilevante, farò tutto quello che è necessario”
Jim sospirò frustrato. A volte parlare con Nuhir era peggio che parlare con Spock.
“Sarà meglio andare” disse la donna mentre si alzava.
“Io vado fuori a fare quattro passi… mi accompagni?” chiese Jim d’istinto, aspettandosi la solita risposta negativa.
Invece stavolta Nuhir lo guardò e poi fece un cenno di assenso.
 
“Finalmente siete qui. Credevo mi avessi dato buca Lenny” ridacchiò Jane vedendo McCoy e Scotty che le venivano incontro.
“Sorridi Lenny, non vorrai essere scortese” borbottò sottovoce lo scozzese, dando l’ennesima gomitata al medico che aveva preso la stessa espressione di un agnello portato sull’altare sacrificale.
“Buonasera signor Scott. Ho già disattivato i codici di ingresso. Questa bagnarola è tutta sua, può girarla a suo piacimento…” fece Jane.
“Magnifico… Leonard perché non resti un po’ qui con la signora? Fate quattro chiacchiere e mi raggiungi dopo…” chiosò Scotty, cercando di non mostrare la rabbia che provava: come si permetteva di appellare la sua nave ‘bagnarola’?
“Che magnifica idea…”  Jane si illuminò e a stento degnò di uno sguardo lo scozzese che entrava nel corridoio d’accesso alla nave ancorata.
“Questa me la paghi Jim... lascia che metta le mani su quel tuo collo magro, e me la paghi" pensò McCoy mentre si costringeva a sorridere malizioso alla donna, che già aveva lasciato il suo posto di guardia per farsi avanti, con sguardo voglioso.
“Volevo farti  dare una occhiata alla mia anca… mi dà ancora un sacco di problemi sai…” Jane quasi miagolava mentre si strusciava contro McCoy.
“Sì sì certo, ma non qui davanti a tutti… troviamo un posto un po’ più riparato…” sorrise il medico.
“In realtà non potrei lasciare il mio posto, ma…”
La donna prese per mano McCoy e lo trascinò dietro una paratia.
Dopo pochi secondi il medico si ritrovò sbattuto al muro, con Jane che praticamente lo divorava.
“Ho sempre desiderato farlo, mi sei sempre piaciuto…” sibilò la donna mentre lo baciava possessiva, infilando le mani dappertutto.
Con la coda dell’occhio McCoy vide Sulu, Chekov, Uhura e Spock che silenziosi e veloci  percorrevano la sala per poi infilarsi nel corridoio di collegamento;  poteva giurare di aver visto Spock che gli lanciava uno sguardo ironico.
Dopo un paio di minuti in cui Jane a stento aveva lasciato la possibilità a McCoy di respirare, il medico riuscì a staccarsi per un secondo.
“Scusa Jane…  ma Scott mi sta chiamando…” disse ansimate.
“Non ho sentito nulla…”
“Ma sì… aspetta qui, mi libero di lui e torno subito” sibilò aggiustandosi la camicia ed il giubbotto di pelle.
“Non farmi aspettare troppo…”
“Ma no cara, sono da te in un minuto…”
Veloce più che poteva McCoy si infilò nel corridoio di accesso e subito dopo  Scotty sigillò con un codice la porta che si chiuse alle loro spalle.
 
 
“Ti orienti bene” fece Jim mentre seguiva Nuhir che, come una gazzella, si arrampicava, al buio, sulle colline.
“Sono vissuta su Remus sino all’età di dieci anni, quando mio padre mi ha tolta dalla casa di schiavi dove vivevo con mia madre”
“Non mi hai mai parlato di lei…” chiese Jim.
“E’ morta quando avevo dodici anni, probabilmente uccisa dagli altri schiavi”
“Mi spiace davvero, deve essere stata dura per te” disse Jim con voce triste.
“Quando è morta non la vedevo da due anni. Mio padre non mi ha mai permesso di farle visita dopo avermi portato a vivere con lui su Romulus”
Jim pensò che in fondo non era il solo ad aver avuto una infanzia da schifo.
I due avevano raggiunto la cima della collina e sul fondo scuro della valle luccicavano le poche luci di Levitasz, una delle poche città di Remus.
“Quando ero bambina venivo sempre qui a pensare…” fece Nuhir sedendosi su di una roccia.
“Anche io da bambino amavo arrampicarmi, ero la disperazione di mio fratello, a volte era costretto a cercarmi per ore”
“Non ti vedo come bambino ribelle. Dopotutto sei il figlio di un eroe”
Jim rimase per un attimo in silenzio.
“Non è stato un gran vantaggio alla fine” chiosò guardando a terra.
“Non ci odi? Non odi tutti i romulani?” chiese Nuhir.
“Che vuoi dire?”
“Dopotutto noi  abbiamo ucciso tuo padre” scandì la ragazza.
“Nero ha ucciso mio padre, non tutti i romulani” rispose sicuro Jim.
Nuhir non rispose, limitandosi a guardare verso la città.
“Sarà meglio andare” fece alla fine.
Mentre si alzavano i due giovani si ritrovarono  vicinissimi.
Gli occhi di Nuhir brillavano al buio.
Jim cercò di vincere la tentazione, ma fu quasi impossibile.
Senza pensarci, chiuse la distanza e baciò Nuhir appassionatamente.
 
Rieccomi, scusate la lunga pausa. Prometto aggiornamenti più veloci, sperando siate ancora interessati alla storia.
Star Trek non mi appartiene, ovviamente.
E ora come al solito… spoiler per il prossimo capitolo.
 
“Cosa stanno costruendo?” chiese Nuhir guardano verso il fondo del cratere.
“Materia rossa… vogliono ricostruire la materia rossa…” rispose Jim con la voce strozzata dal panico.
 

 

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Capitolo 17
*** La materia rossa ***


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EROE

Capitolo 17
La materia rossa
 
“Enterprise non siete autorizzati al distacco. Spegnete immediatamente i motori”
La voce che usciva dai trasmettitori era metallica, ma lasciava trasparire tensione e sorpresa.
“Enterprise, ripeto non siete autorizzati al distacco. Spegnete i motori o interverremo con la forza” gracchiò ancora la voce, con tono sempre più nervoso.
“Signor Scott  a che punto siamo?” chiese Spock, seduto sulla poltrona di comando, dopo aver azionato l’interfono.
“I motori sono ancora in buone condizioni. La mia ragazza funziona ancora bene” fu la risposta dalla sala macchine.
“Che danni riporteremmo se ci distacchiamo di forza dal molo di ancoraggio?” chiese ancora il vulcaniano con aria assolutamente neutra.
“Noi pochi… ma  ci porteremmo dietro metà della banchina…” rispose Scotty perplesso.
“Possibili vittime?” chiese ancora Spock.
“Nessuna signore, i ganci vengono azionati automaticamente. Non c’è nessuno lì attualmente”
“Aspetta un attimo Spock… vuoi distruggere metà dello spacedock di S. Francisco?” fece allibito McCoy, che stazionava vicino alla poltrona di comando.
Sulu, Chekov e Uhura erano ai loro soliti posti e guardavano il vulcaniano preoccupati.
“Non c’è altra possibilità di liberarci dai ganci di attracco, dottore” chiosò tranquillo Spock.
“Spock l’ammiraglio Barnett sta cercando di comunicare…” intervenne Uhura.
“Chiudi i canali” fu la risposta secca.
“Signor Sulu, proceda pure” ordinò poi al timoniere.
L’asiatico guardò gli altri solo per un attimo in silenzio, poi con un leggero sorriso sul volto si girò ed azionò i comandi.
“Sì signore” disse mentre la nave veniva bruscamente proiettata in avanti.
“Enterprise che state facendo?? Fermatevi immediatamente” fece la voce nell’interfono, sovrastata dal rumore metallico dei ganci che cedevano sotto la spinta dei motori della grande nave.
“Distacco avvenuto signore” informò Sulu, dopo un ultimo scossone.
“Enterprise fermatevi subito. I portelloni di uscita sono chiusi” ora la voce nel comunicatore era isterica.
McCoy sbarrò gli occhi alla vista, sul grande schermo, dei portelloni di uscita dalla spacedock ermeticamente chiusi.
“Spock…” chiamò debolmente.
“Spock… i portelloni sono chiusi!” ripeté mentre l’immagine delle due grandi porte chiuse si faceva sempre più grande sullo schermo.
“Ne sono consapevole dottore. Signor Sulu continui così” rispose calmissimo il vulcaniano.
“Oh mio Dio…” balbettò il medico, mentre la nave si avvicinava sempre più senza che la situazione cambiasse.
“Spock…” chiamò ancora  preso dal panico, chiudendo gli occhi ed aspettando l’impatto.
Ma dopo vari secondi non accadde nulla.
Riaprendo gli occhi, McCoy sospirò di sollievo alla vista delle grandi porte di accesso che si aprivano e consentivano il passaggio della nave.
“Abbiamo rischiato grosso…” borbottò il medico.
“I vulcaniani non rischiano dottore. C’era solo lo 0,1 % di possibilità che il Comando di Flotta non aprisse i portelloni, con ciò cagionando la distruzione dell’intero spacedock” ragionò il vulcaniano.
“Signor Sulu, warp 4” ordinò poi.
 
 
Jim aprì gli occhi, carezzando con lo sguardo la figura sottile che dormiva accanto a lui.
Per la prima volta da molti mesi era riuscito a dormire senza incubi.
“Beh… è sempre vero che il sesso contribuisce a far diminuire lo stress” pensò ironico.
Ma subito dopo si disse che quello che era successo nella notte con Nuhir non era stato solo sesso.
Se avevano ceduto alla solitudine, al bisogno di supporto reciproco, o solo all’attrazione fisica non sapeva dirlo, ma di certo non era stato solo sesso.
Rimase per molti minuti fermo immobile a guardare Nuhir respirare tranquilla.
Era una donna davvero bella, intelligente, sensuale e coraggiosa e condivideva con lui il dolore antico di non essere mai stata davvero accettata dalla propria famiglia.
Solo che Jim alla fine era stato fortunato, aveva trovato la sua vera famiglia nell’equipaggio dell’Enterprise. Era stato fortunato,  ma per poco tempo, visto che quella famiglia l’aveva persa.
Aveva cercato di scacciare dalla mente l’immagine di Bones, pallido, dimagrito, con la barba incolta che lo fissava sconvolto, ma c’erano momenti in cui la nostalgia del suo migliore amico si faceva così acuta che quasi non riusciva neppure  respirare.
E ora quasi gli pareva di sentire il suo borbottio, mentre lo rimproverava per essersi buttato  di nuovo a capofitto nelle braccia di una donna.
“Ehi, buongiorno” fece Nuhir con voce calma, fissandolo che i suoi grandi occhi neri.
“Buongiorno a te” rispose con un sorriso Jim.
La giovane romulana si mise a sedere, raccogliendo la coperta attorno a sé.
“Senti Jim… quello che è successo fra noi ieri notte… non dobbiamo dargli molta importanza”
Kirk quasi si mise a ridere. Di solito era lui a fare quel discorso la mattina dopo.
“Siamo soli qui, senza aiuto a combattere per i nostri pianeti, e tu sei una persona attraente” continuò la donna senza guardarlo in faccia.
“Ok Nuhir… ci siamo capiti. Ma possiamo essere amici, giusto?” provò ad alleggerire Jim.
“Certo” fece subito la ragazza, balzando fuori dal letto e precipitandosi nel piccolo bagno.
Inspiegabilmente Jim provò una fitta di delusione e dispiacere.
 
 
“Signor Spock, siamo nel punto esatto in cui il signor Scott ha rilevato le tracce del teletrasporto del capitano Kirk” annunciò Chekov.
“Cosa speri di trovare qui?” chiese McCoy sempre vicino alla sedia del capitano su cui stava Spock.
“Ad essere sinceri non lo so… come diceva sempre Jim ‘ da qualcosa si deve pur iniziare’” fu la risposta sorprendente del vulcaniano.
“Signor Chekov la navetta su cui è precipitato il capitano che velocità poteva raggiungere?”
“Warp 4 signore, ma  secondo le poche informazioni cui ho avuto accesso aveva evidenti problemi proprio ai motori, per questo è precipitata. Il capitano è stato molto fortunato ad uscirne vivo”
McCoy sentì un brivido passargli sulla schiena al pensiero di quello che poteva accadere.
“Quindi non doveva essere partita da molto distante, vista la scarsa autonomia…” ragionò Spock.
Il vulcaniano rimase per un attimo in silenzio e poi continuò.
“Signor Chekov faccia una mappatura individuando le possibili destinazioni raggiungibili con l’autonomia dei motori della navetta”
“Sì signore” rispose il russo.
“Signor Scott novità sul tracciamento del teletrasporto adoperato  dal capitano?” chiese ancora nell’interfono.
“Negativo signore. Hanno usato un trasporto a transcurvatura, ma l’incrociatore  su cui è arrivato era dotato di un sistema di occultamento con i fiocchi. Non hanno lasciato tracce” fu la risposta secca.
“Anche in questo caso una nave con quel sistema di occultamento non poteva andare lontano. Signor Chekov…”
“Sì signore sto già incrociando i dati” lo anticipò il giovane russo.
“Molto bene” 
Le dita del navigatore volavano sulla tastiera, mentre eseguiva i suoi calcoli.
“Ecco signore” annunciò mentre sullo schermo venivano proiettate varie mappe.
“Non ci sono molte possibilità…” fece Sulu.
“Infatti. Romulus…” disse Spock.
“Credi davvero che siano su Romulus? Non sarebbe troppo pericoloso? E dove si nascondono con un incrociatore di quel genere?” chiese McCoy.
“L’alternativa è Remus” rispose Spock.
 
“Mi raccomando signori, concentrati. Attivate le tute appena fuori di qui”
Jim lanciò un’occhiata infastidita a Gary Mitchell che si aggirava con aria tronfia dando ordini a destra e a manca.
“Non abbiamo bisogno dei tuoi suggerimenti, umano” fece stizzita Nuhir, mentre passandogli accanto, gli dava uno spintone per niente casuale.
“Infatti quel di cui abbiamo bisogno  è di gente affidabile, romulana” rispose stizzito Gary.
“La considerazione mi trova d’accordo” lo sfidò la donna guardandolo con aria dura.
“Signori basta. Tiger,   il comando nelle missioni esterne è mio, e sappiamo cosa fare” intervenne Jim.
Mitchell si fece indietro con un falso sorriso.
“Certo Eagle, certo”
“Siamo pronti? Bene andiamo” disse Jim agli altri tre della squadra.
Appena usciti i quattro attivarono le tute in cui erano fasciati e divennero del tutto invisibili alla vista.
 
Eagle, attento, la guardia sta  venendo dalla tua parte”
La voce di Nuhir risuonò nel casco di Jim, calma e bassa.
“L’ho visto” sibilò Jim muovendosi nell’ombra.
Si accostò ad un muro pronto ad intervenire e appena la guardia romulana gli passò davanti la stese con un colpo netto alla nuca.
Assicuratosi che nessuno avesse assistito alla scena Jim trascinò il corpo esamine dietro ad una roccia e lo perquisì in cerca della chiave magnetica per aprire l’enorme portellone di accesso.
“Via libera” sussurrò nel microfono, una volta trovata la chiave, avviandosi verso l’entrata del laboratorio sotterraneo.
Pur invisibili all’occhio, i cinque della squadra dovevano stare attenti in quanto tracce del loro passaggio erano comunque possibili.
“Nuhir con me, andiamo a sinistra gli altri a destra. Teniamoci in contratto” ordinò Jim una volta che la squadra era penetrata  all’interno.
Il laboratorio, evidentemente ricavato all’interno di un cratere, si sviluppava in una serie infinita di corridoi e cunicoli.
“Di qui” indicò Jim alla snella figura di Nuhir che riusciva a vedere grazie ai sensori inseriti nel casco.
I due proseguirono per un po’ senza incontrare nessuno, ma man mano che procedevano verso il basso le voci ed i rumori aumentavano.
“Attento” sussurrò Nuhir alla vista dei due romulani che avanzavano verso di loro.
Jim  e la giovane si appiattirono contro la parete, lasciando i due romulani passare.
Sempre appiattiti, proseguirono lungo il corridoio, fermandosi di tanto in tanto non appena vedevano qualcuno arrivare.
Era evidente che si stavano avvicinando al centro del laboratorio.
Ed infatti dopo una curva si ritrovarono all’ingresso di un’ampia passarella in metallo che dava sul fondo del cratere, ove centinaia di  remani stavano lavorando alacremente attorno ad enormi macchinari.
I due rimasero per un attimo  a guardare stupefatti e solo all’ultimo minuto si accorsero del gruppetto che sopraggiungeva alle loro spalle.
Veloce Jim tirò Nuhir contro la parete di roccia, appena in tempo per non essere travolti.
 
“Senatore Argertran, come vede le sue istruzioni sono state seguite alla lettera e siamo quasi pronti per il collaudo definitivo” fece una delle donne del gruppetto che circondava il cugino di Nuhir.
Il romulano, alto e corpulento, vestito con gli abiti  e le insegne tipiche del Senato, annuì soddisfatto.
“Visto Lai? Non c’era nulla di cui preoccuparsi” disse rivolgendosi a chi gli stava a fianco.
“Argertran ritieni davvero che il Senato approverà quello che stiamo facendo?” chiese a sua volta  quest’ultimo.
“Il Senato approverà quando l’Impero romulano dominerà sull’intero quadrante” fu la risposta secca.
“Ma per ora non sanno nulla,  e Aerv…” obiettò ancora Lai.
“Aerv è uno sciocco, crede ancora che l’onore dei romulani venga sopra ogni cosa. Non si è reso conto che la guerra non ammette onore” interruppe Argertran.
“Sì, ma potrebbe crearci problemi”
“Non se viene neutralizzato…” ridacchiò Argertran, mentre si avviava con gli altri sulla passerella, scendendo verso il cratere.
Jim e Nuhir rimasero per vari minuti immobili e poi si avviarono anche loro giù per la passerella.
“L’abbiamo trovata, abbiamo trovato l’arma” fece sottovoce nel microfono Nuhir.
“Sembra che manchi poco al suo completamento” rispose Jim con tono preoccupato.
“Dobbiamo dare un’occhiata più da vicino e capire cos’è”
I due proseguirono cauti lungo la passerella.
Giunti a metà strada ebbero una visione più chiara del meccanismo su cui stavano lavorando centinaia di operai.
Sembrava una sorta di enorme cannone laser, ma quello che attirò immediatamente l’attenzione di Jim fu la macchina quadrata di fianco allo stesso.
Vi lavoravano meno persone, ma tutte sembravano muoversi con estrema cautela. Al centro della macchina una specie di enorme provetta con varie gocce rosse in sospensione in un liquido chiaro.
La vista privò Jim del respiro, appena capì di cosa si trattava.
“Cosa stanno costruendo?” chiese Nuhir guardano verso il fondo del cratere.
“Materia rossa… vogliono ricostruire la materia rossa…” rispose Jim con la voce strozzata dal panico.
 
 
 
 
Spoiler per il prossimo capitolo
Eagle,  vieni via” urlò la voce nel microfono.
“NO!!! Non lo lascio” urlò a sua volta Jim, reggendo il corpo esanime ed insanguinato di McCoy fra le sue braccia.
 

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Capitolo 18
*** Errori fatali ***


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EROE


Capitolo 18
Errori fatali
 
“Siamo ai confini della zona neutrale, signor Spock” annunciò Chekov.
Spock sedeva imperturbabile sulla sedia del capitano, dopo aver cambiato la veste tradizionale vulcaniana con pantaloni e maglia nera.
“Cosa facciamo ora? Non possiamo entrare nella zona neutrale con l’Enterprise, e tanto meno nella zona romulana” chiese McCoy che non si era allontanato per un attimo dalla plancia.
“Di questo sono ben consapevole, dottore” si limitò a rispondere il vulcaniano.
“Già è un miracolo che  le navi della Flotta non ci abbiano inseguito e fermato” continuò McCoy.
“I miracoli non esistono, dottore. Credo invece che  non ci abbiano inseguito perché non volevano farlo.”
“Archer?” chiese ancora McCoy.
Spock annuì brevemente.
“Dopotutto  sia lui che la Presidente Marlentes erano ben a conoscenza delle nostre intenzioni e le condividevano, in una certa misura”
“Questo non risolve il problema. Come entriamo nella zona romulana?”
“Con le navette. Sono molto meno facili da individuare e possono sfuggire ai sistemi di rilevamento sino a che non entrano in atmosfera” intervenne Sulu.
Ancora una volta Spock annuì in segno di assenso.
“Sì, ma dove saranno andati?” chiese Chekov.
“Bella domanda. Ci saranno almeno un centinaio di pianeti che hanno potuto raggiungere a quella velocità di curvatura” fece a sua volta McCoy.
“Logica impone che, se davvero stanno cercando un’arma di eccezionale potenza, la sua costruzione stia avvenendo su di un pianeta sotto il diretto controllo dei romulani.  Il che restringe il campo al pianeta Romulus stesso, o al suo gemello Remus. E la seconda ipotesi mi sembra più probabile, vista la scarsa densità di popolazione” ragionò il vulcaniano.
“Sì, ma stiamo parlando di un intero pianeta. Dove andiamo a cercare? Come li troviamo?”
“Temo, dottore, che questa volta ci dovremo illogicamente affidare alla fortuna” rispose alla fine Spock.
 
 
 
La squadra aveva fatto ritorno sull’incrociatore e Jim era in attesa di entrare nella cabina per togliere la tuta, quando venne raggiunto da Gary Mitchell.
“Non avete recuperato notizie rassicuranti…” disse  appoggiandosi alla parete.
“Sì, ma almeno abbiamo qualcosa, dopo mesi che giriamo a vuoto”
“La materia rossa… ti rendi conto di cosa significa? E se sono capaci di usare l’arma senza perforare il nucleo del pianeta preso di mira…”
“Certo possono distruggere la Federazione e anche l’Impero Klingon in pochissimo tempo senza neppure avvicinarsi” rispose Kirk con aria scura.
“Alla faccia dell’onore romulano” chiosò Gary.
“Cosa ti fa pensare che Argertran stia agendo sulla base dell’onore?”
La voce di Nuhir giunse, fredda a tagliente come una lama, alle loro spalle.
“Tuo cugino è un senatore romulano e vuole distruggere centinaia di pianeti innocenti con la sua arma, da lontano,  senza prendersi neppure la briga di avvicinarsi e combattere”
“Mio cugino non rappresenta il mio popolo” si difese Nuhir.
“Vedremo se il Senato romulano andrà contro la decisione di Argertran o se il vostro Pretore lo fermerà”
“Ora basta…” intimò Jim, toccandosi la fronte per l’incipiente mal di testa.
“Resta il fatto che per attivare la materia rossa  hanno bisogno del dexalithium, ed in grandi quantità” ragionò con voce stanca.
“E l’unica miniera del quadrante si trova proprio qui su Remus. Il che spiega perché stanno costruendo qui l’arma” intervenne Nuhir.
“Quindi se distruggiamo la miniera…” continuò Kirk.
“Non possono attivare l’arma” finì la frase Nuhir.
 
 
 
 
“Seguendo la logica se davvero stanno cercando il sito di costruzione dell’arma l’obiettivo è vicino ai laboratori tecnici di Remus. E ve ne sono solo due: a Levistasz e a Nimtisz, le due città principali”
La voce di Spock era atona e professionale mentre  illustrava la grande mappa di Remus sullo schermo della sala comando.
“Sarebbe meglio dividersi in due squadre e scendere  su entrambi i siti” disse Sulu fissando la mappa.
“Logico, signor Sulu” acconsentì Spock.
“Logico? Stiamo navigando al buio, te ne rendi conto Spock? Nulla ci dà la sicurezza che siano lì” intervenne McCoy.
“Questo è certamente vero, ma a volte anche la logica è questione di fortuna” rispose compito il vulcaniano.
Spock rimase per un attimo a guardare la mappa.
“Signor Sulu cosa è quel sito messo in evidenza sulla mappa?”
“Miniere di dexalithium” rispose l’asiatico.
“Signor Sulu lei ed il tenente Uhura vi dirigerete verso Levistasz, mentre con l’altra navetta il signor Scott ed io scenderemo nei pressi della miniera di dexalithium”
“Perché non vicino all’altro laboratorio?” chiese incuriosito Chekov.
“La chiami intuizione…” fece Spock lasciando ancora una volta tutti stupiti.
“Ed io?” intervenne McCoy.
“Lei ed il signor Chekov rimarrete a bordo”
“Cosa??? Non se ne parla!!!”
“Dottore lei non è qualificato per missioni di recupero e salvataggio”
“Non mi puoi chiedere di rimanere qui a bordo. Io devo fare qualcosa, devo venire  con voi…” McCoy quasi urlava.
“Resto io, anche perché se c’è bisogno di un teletrasporto di urgenza posso fare qualcosa qui sulla nave…” propose Scotty, sul viso uno sguardo  comprensivo.
Spock rimase a pensare per un attimo e poi annuì.
“Sa usare un phaser dottore?” chiese poi scettico.
“Certo, i corsi di tiro sono obbligatori all’Accademia” rispose nervoso il medico.
“Bene, così le probabilità di finire vittima di fuoco amico diminuiscono notevolmente”
“Spiritoso” ringhiò il medico mentre si avviava verso il turboascensore.
 
Jim era steso sulla sua cuccetta, fissando distrattamente il soffitto.
Poteva ancora sentire il leggero profumo di Nuhir fra le lenzuola e la cosa gli risultava stranamente confortante.
Ormai il giovane capitano si rendeva conto di cercare la compagnia della ragazza in ogni occasione possibile e la sua vicinanza, anche in battaglia, lo rassicurava.
Il pensiero  di Nuhir era l’unica cosa che riusciva a consolarlo  e a lenire la nostalgia di Bones, Spock e gli altri.
“Smettila Kirk, o finirai per innamorarti per davvero stavolta” pensò tra sé e sé.
Come se qualcuno gli avesse letto il pensiero, la giovane romulana si affacciò alla porta della cabina lasciata aperta.
“Posso parlarti?” chiese con voce greve.
“Certo”
La giovane entrò e chiuse la porta della cabina con aria decisa.
“Non mi fido di Tiger. Non deve essere coinvolto in questa missione” disse poi con aria decisa.
“Ne abbiamo già discuso molte volte. Non hai nessuna prova che sia lui la talpa che temiamo sia fra noi” replicò Jim  mettendosi a sedere.
“Questa è la nostra ultima occasione per fermarli. Se falliamo completeranno l’arma e sarà la fine della Federazione e probabilmente anche dell’Impero Klingon”
“Credi che non lo sappia? Ma cosa ti fa pensare che sia proprio Gary il traditore? Lui sostiene che sei tu!” obiettò Jim.
“Sai bene quanto me che Gary nasconde qualcosa. E poi non segue gli ordini… sai che ha imposto agli altri della squadra di uccidere la guardia che hai tramortito per prendergli la chiave del laboratorio?”
Jim rimase un attimo perplesso.
Quale responsabile delle operazioni esterne aveva sempre imposto il minor numero di vittime possibili.
“No non lo sapevo. Ma questo non vuol dire…”
“Sta andando tutto storto in questa missione. Quando crediamo di essere vicini ad un risultato sfuma sempre tutto. Come quando sei precipitato con la navetta sulla Terra”
“E’ stato un guasto”
“E’ stata sabotata!”
Jim rimase in silenzio a fissare la donna, non gli piaceva passare per ingenuo, ma conosceva  Gary dai tempi dell’Accademia ed era stato più volte in missione con lui.
“Ok lo terrò d’occhio…” acconsentì alla fine.
“Bene, mi fido di te. Ora cerchiamo di dormire” fece la donna, avviandosi verso la porta.
Jim si alzò ed ancora una volta si trovò a pochi centimetri da Nuhir.
La vicinanza gli fece girare la testa, ma si impose di rimanere immobile.
Stavolta fu però la romulana ad avvicinarsi e baciarlo con passione.
 
“Eagle hai una squadra di quattro che si avvicina ad ore tre” gracchiò la voce nel microfono che Jim portava sottopelle.
Il giovane non rispose e rimase immobile ad aspettare che i quattro minatori passassero davanti a lui.
Nessuno di loro si accorse di nulla, posto che Kirk come gli altri indossava di nuovo la tuta invisibile.
“Bene entriamo e sistemiamo le cariche. Un lavoro pulito. Entriamo ed usciamo. Attiverò l’esplosivo dopo che i sistemi di allarme per il riciclo dell’aria avranno indotto tutti gli operai ad uscire. Sapete cosa fare” ordinò Kirk sottovoce.
Nuhir lo raggiunse ed insieme si avviarono verso l’entrata della miniera.
Mentre scendevano, strisciando lungo le pareti rocciose, per raggiungere i punti dove sistemare l’esplosivo, Jim cercò ancora una volta di scacciare dalla mente le immagini delle ore di passione che avevano trascorso poco prima.
La donna invece non sembrava minimamente influenzata da quanto accaduto.
All’improvviso la giovane si fermò e bloccò con un gesto anche Jim.
“C’è qualcosa che non va” sibilò nel microfono.
 
“Dottore la prego di rimanere sempre dietro di me. Il nostro unico scopo è quello di perlustrare i luoghi. Cerchiamo di non farci scoprire” intimò Spock mentre si avvicinavano alla miniera.
“Posso sapere perché siamo venuti a cercare Jim proprio qui?” chiese McCoy, arrancando dietro il vulcaniano.
Spock  era atterrato con la navetta parecchio distante in un luogo disabitato ed impervio e McCoy era praticamente sfinito dalla lunga camminata, ma non l’avrebbe mai ammesso.
“Perché c’è una miniera di dexalithium” rispose il vulcaniano.
“E quindi…”
“Il dexalithium serve ad attivare la materia rossa” rispose ancora Spock, come se  fosse del tutto normale.
McCoy si bloccò ansimando.
“Cosa??? Vogliono ricostruire l’arma di Nero?” balbettò terrorizzato.
“Questa è la mia ipotesi” fece atono Spock.
“Oh mio Dio… e se la possono attivare da lontano…”
“Stia giù, ci stiamo avvicinando”
Il vulcaniano si gettò dietro una roccia, subito imitato dal medico.
Spock si accertò che la strada fosse libera prima di strisciare veloce verso l’entrata della miniera.
“Lei resti qui dottore!” intimò e senza aspettare una risposta si avviò all’interno.
 
“Ci sono troppe guardie” sibilò Nuhir.
Jim si guardò attorno ed effettivamente c’erano militari dappertutto.
“Forse sono solo le misure di sicurezza…”
“No, sono troppi e sono agitati. Sanno che siamo qui” ribatté Nuhir.
Non ebbe neppure il tempo di finire la frase che attorno a loro si scatenò l’inferno.
 
 
“Maledizione, ci hanno scoperto e ci vedono…. come cazzo fanno a vederci?” urlò nel microfono Phoenix uno dei restanti membri della squadra.
Immediatamente Jim e Nuhir corsero a nascondersi in un anfratto  nella roccia.
“Cosa cavolo sta succedendo???” chiese Jim, ma dal microfono arrivarono solo scariche e rumori di colpi sparati a ripetizione.
“Missione annullata. Uscite tutti e radunatevi al punto stabilito” ordinò Kirk, mentre scrutava alla ricerca di una via di uscita.
“Comando ci ricevete? Preparatevi a portarci a bordo” urlò poi cercando di sgusciare, con Nuhir dietro di lui, dal nascondiglio per guadagnare l’uscita.
“Ricevuto Eagle, quattro minuti al recupero, ma non ho più contatto con Phoenix e gli altri due” rispose la voce metallica.
“Phoenix ci sei???” chiamò Jim ottenendo in risposta solo urla e  colpi di phaser sparati in lontananza.
“Dobbiamo uscire” incitò Nuhir correndo fuori.
 
McCoy era rimasto nascosto dietro le rocce, maledicendo dentro di sé Spock, che era corso veloce ed elegante come un gatto e poi era entrato all’interno della miniera, senza neppure voltarsi una volta indietro.
“Aspetti qui… e che altro posso fare, maledetto folletto…” borbottò sempre fa sé e sé mentre cercava di calmare l’agitazione.
Intorno a lui i movimenti degli operai e delle guardie si intensificavano sempre più ed il medico cercò di appiattirsi quanto più possibile contro le rocce.
“Maledizione dove sei Spock?” si chiese il medico mentre si rendeva conto che la situazione peggiorava di minuto in minuto e rischiava di essere scoperto.
Poi la sua attenzione fu attirata da urla scomposte e grida di giubilo.
Cercando di non farsi scorgere alzò di poco la testa per vedere cosa stava succedendo.
Il cuore quasi gli si fermò.
Varie guardie romulane, tutte munite di uno strano visore, trascinavano  tre corpi esanimi, fasciati  in tute nere identiche a quella  che indossava Jim  quando l’aveva visto in Georgia.
Avevano tolto loro il casco ed uno dei due uomini, l’altra era una donna, era biondo.
McCoy fu preso da una paura irrazionale, era troppo lontano per vedere il viso… ma quell’uomo, gettato in terra, immobile, circondato dai romulani,  aveva la stessa altezza e corporatura di Jim.
“Oddio Jim…” si ritrovò a pensare.
Senza un briciolo di logica o ragionamento si alzò e prese a correre verso il gruppo.
L’unica cosa che aveva in mente era raggiungerlo, salvarlo, se non era ancora morto.
Non fece molta strada.
Dopo neppure un centinaio di metri un dolore fortissimo lancinante la raggiunse al fianco.
Neppure si rese conto di cadere  a terra a faccia in giù… era già tutto nero per lui.
 
La scena che si stava svolgendo davanti agli occhi di Jim, all’uscita della miniera, gli sembrò all’inizio frutto di un incubo,  uno di quelli spaventosi che aveva quando beveva troppo.
Non poteva essere Bones l’uomo che correva verso un gruppo di guardie romulane… non poteva, anche se avrebbe riconosciuto il suo migliore amico anche lontano un miglio.
Stava per lanciarsi in avanti quando un lampo di luce scaraventò Bones a terra.
“NOOOOO” urlò il giovane capitano, mentre incurante dei romulani, di Nuhir che cercava di fermarlo, della sua stessa vita, correva verso il corpo a terra. Il corpo del suo migliore amico, della persona cui era stato ed era più vicino nella vita.
Fu solo grazie a Nuhir, veloce e letale con il suo phaser che le guardie romulane vennero abbattute con precisione chirurgica.
“Non è possibile, non è possibile, non è vero” pensò Kirk mentre correva a perdifiato e si inginocchiava accanto al corpo immobile.
Con le mani tremanti si strappò il casco e lo buttò di lato.
“Bones…” provò a chiamare piano mentre lo girava delicatamente.
La vista della ferita sul fianco di McCoy gli provocò un moto di terrore profondo.
“Gesù Bones…” balbettò mentre cercava di sentire l’impulso alla giugulare.
C’era, ma era molto debole, il respiro flebile ed irregolare.
Bones stava morendo, stava morendo fra le sue braccia ed in quel momento.
“Nuhir aiutami” urlò disperato, mentre le lacrime si raccoglievano negli occhi.
“Kirk dobbiamo andare, Phoenix e gli altri due sono morti. Fra pochissimo ci saranno addosso”
“Devo salvarlo, Nuhir, sta morendo, non posso lasciarlo” urlò di rimando Jim.
“Non possiamo compromettere la missione. Comando,  due in risalita”
“NO!!! Io non vengo senza di lui!!!”
“Kirk  dovete  venire via di lì”  la voce di Tiger gli giunse netta e chiara.
“O risale con me, o io resto qui” fece Jim duro e deciso.
“Se ci prendono vivi non resisteremo alle torture, dobbiamo andare!!!”  rispose Nuhir con la rabbia negli occhi.
“Eagle vieni via!” urlò la voce nel microfono.
“NO!!! Non lo lascio” urlò a sua volta Jim, reggendo il corpo esanime ed insanguinato di McCoy fra le sue braccia.
Il suo migliore amico non respirava più quando finalmente il raggio del teletrasporto avvolse entrambi.
 




Grazie a tutti i lettori e ai recensori. E soprattutto grazie alla mia beta "indesiderata".
Mi spiace per la sporadicità degli aggiornamenti: cercherò di essere più veloce.
Spoiler per il prossimo capitolo.

“Io non so cosa provare ora che ti guardo” disse con voce strozzata dal pianto.
“Faresti bene ad odiarmi” fu la risposta secca.

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Capitolo 19
*** Rancori ***


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A Riccardo… piccolo grande supereroe che ora ci protegge da lassù
 
EROE 

Capitolo 19
Rancori

Spock era nascosto dietro ad un anfratto, nella semioscurità.
Era entrato facilmente nella miniera, ma dopo i primi due livelli gli era stato impossibile proseguire. L’intera miniera era sorvegliata da militari romulani, forniti di uno strano visore.
Spock non aveva potuto fare altro che assistere impotente, mentre trascinavano fuori i corpi di due donne ed un uomo, fasciati in tute nere simili a quelle che McCoy aveva descritto dopo il suo incontro con Jim.
Con il cuore pesante e al tempo stesso sollevato dal fatto che nessuno dei tre fosse Jim, dopo vari minuti, si era diretto veloce e quasi invisibile verso l’uscita.
Erano sicuramente nel posto giusto, ma non potevano rimanere più a lungo e soprattutto doveva recuperare McCoy. Era troppo pericoloso farlo restare da solo.
La vista che l’accolse appena giunto all’esterno lo lasciò per un attimo interdetto.
Diverse guardie romulane giacevano a terra, uccise da phaser.
Vari minatori remani si aggiravano, urlando, troppo spaventati per notarlo, ma di McCoy non c’era traccia.
“Dottor McCoy!!!” chiamò più volte Spock, senza risultato.
Provò a perlustrare i dintorni del posto dove aveva lasciato il medico e più volte chiamò a gran voce.
Alla fine cercò con il suo tricorder tracce di vita umana nelle vicinanze, ancora senza risultato.
Sempre più interdetto e preoccupato vide altri militari romulani giungere di corsa e non gli restò altro che allontanarsi e tornare alla navetta.
 
 
“Susan… aiuto” urlò Jim appena lo sfarfallio del teletrasporto cessò.
Il sangue di McCoy già stava macchiando la piattaforma su cui si erano materializzati Jim, con McCoy fra le braccia, e Nuhir.
“Ma chi è? Che sta succedendo?” chiese la dottoressa con lo stupore dipinto sul volto.
“E’ Bones… aiutalo ti scongiuro” rispose in automatico Jim, senza rendersi conto che solo lui chiamava McCoy così.
Susan era entrata immediatamente in modalità medico.
“Aiutami a metterlo a terra. Non sta respirando. Conosci le manovre per la RCP?”
Jim annuì, mentre aiutava Susan a posizionare McCoy a terra.
“Due respiri e trenta compressioni. Qualcuno recuperi il mio kit medico” ordinò la donna, mentre si posizionava a cavalcioni ed iniziava le compressioni toraciche.
Jim cacciò le lacrime indietro e cercò di seguire le istruzioni che aveva imparato all’Accademia.
Ogni respiro che dava a Bones pregava Dio come non aveva mai fatto.
Dopo quella che sembrò una eternità finalmente McCoy si mosse un po’, tossendo leggermente.
“Dobbiamo portarlo in infermeria immediatamente” fece Susan mentre studiava il suo tricorder.
Jim prese il suo migliore amico fra le braccia e si precipitò nel corridoio.
 
 
McCoy riprese coscienza lentamente, come se dovesse risalire dagli abissi più profondi vero la luce.
Sentiva il corpo pesante e per quanto si sforzasse non riusciva a muovere un muscolo.
Dopo vari tentativi finalmente riuscì ad aprire gli occhi, ma li richiuse subito con un gemito.
Quasi immediatamente sentì il pizzico di un hipospray sul collo ed il dolore diminuì.
“Come si sente dottor McCoy?” chiese una bella voce di donna.
Il medico riaprì gli occhi, strizzando per metterli a fuoco sulla bella donna bruna che gli stava di fianco.
“Mi chiamo Susan Mayer e sono il medico che l’ha operata… è andato tutto bene, sarà dolorante per un po’, ma domani sarà già in piedi” annunciò la donna sorridendo.
Finalmente McCoy riuscì a mettere in moto la mente ed il panico si impadronì di lui.
“Jim!!! Dov’è? Che è successo???” gracchiò quasi afono.
“Calma, Jim sta bene, era qui sino a poco fa. Torna subito” lo tranquillizzò la donna.
“Dov… dove sono?” chiese ancora McCoy.
“Sulla nostra bagnarola, quella che chiamiamo casa da un anno ormai. Stia calmo, credo che le spiegazioni spettino a Jim” rispose Susan continuando a studiare il suo tricorder.
“Deve stare calmo Leonard. Il colpo di phaser era tarato per uccidere. E’ stato maledettamente fortunato sa?”
McCoy si toccò il fianco, e sotto la pelle sentì solo una piccola cicatrice fresca.
“La fortuna è stato trovare un bravo medico. La conosco di fama, dottoressa Mayer”
“Ed io conosco lei, Leonard. Jim era quasi impazzito dalla paura. Provi a dormire un po’” disse suadente Susan.
E McCoy scivolò di nuovo nel sonno.
 
Quando si risvegliò Jim era accanto a lui.
“Ciao” fece il giovane, passandogli un bicchiere d’acqua.
McCoy non sapeva cosa dire o fare.
Da un lato voleva balzare giù dal letto e abbracciare il piccolo bastardo e dall’altro provava un impulso irresistibile a prenderlo a pugni, provocargli dolore, tanto quanto ne aveva inflitto a lui nell’anno passato.
“Come ti senti?” chiese ancora Jim, con lo sguardo basso e la voce incrinata.
“Bene, la tua amica ha fatto un buon lavoro…” si costrinse a rispondere il medico, mentre a fatica cercava di mettersi seduto.
Subito Jim balzò in avanti per aiutarlo, ma McCoy si tirò indietro con un gesto brusco.
“Non mi toccare!” ringhiò.
Il giovane capitano si fermò con la mano a mezz’aria, il dolore dipinto sul volto.
“Come mi avete trovato?” chiese piano.
“Archer alla fine ha vuotato il sacco e Spock ha delle vere e proprie intuizioni, che tu ci creda o no” rispose acido il medico.
“Bones, mi dispiace…” sussurrò il giovane capitano.
“Ti dispiace… tutto quello che hai da dire è mi dispiace???” fece il medico con aria rabbiosa.
“Io… ho fatto quello che doveva essere fatto” cercò di giustificarsi Jim, avanzando di nuovo e mettendo la mano sul ginocchio del medico.
“Ti ho detto di non toccarmi!!!” urlò di nuovo McCoy, cercando di scendere dal letto.
“Bones, smettila di agitarti, sei stato appena operato, ti farai male”
“Male… hai idea di quanto male mi hai fatto in quest’anno? Di quanto male hai fatto a ciascuno di noi? A quelli che tu chiamavi la tua famiglia? Dio mio, se penso a quello che ho detto e fatto a Spock…”
Jim rimase in perfetto silenzio mentre McCoy si sfogava.
“La tua ‘famiglia’ non esiste più, l’Enterprise non esiste più. Come hai potuto? Johanna si rifiuta di parlare di te da un anno, mia madre si trascina avanti solo per amore della nipote. Ed io? Hai pensato a cosa sarebbe stato di me? Mi hai trascinato su quel barattolo di latta, mi hai convinto a vivere nello spazio e poi ti metti nelle mani del nemico, senza dirmi una parola, ti fai credere morto per più di un anno…”
“L’ho fatto per il vostro bene… almeno era quello che credevo” provò di nuovo a giustificarsi Jim.
McCoy fece una risata ironica.
“Il nostro bene… abbiamo assistito alla tua ‘morte’ in diretta, senza poter fare nulla!!! Come  pensavi che questo potesse essere il nostro ‘bene’? Come credi mi sia sentito? Come si è sentito Spock? L’abbiamo incolpato tutti per non aver tentato di salvarti… anche Nyota… si sono lasciati lo sai?”
“Non doveva andare così, non era previsto che chiedessero la mia esecuzione. E’ stato un imprevisto cui abbiamo dovuto far fronte in qualche modo”
“E come doveva andare invece? Eravamo la tua famiglia e tu hai deciso che non potevi fidarti di noi e non hai chiesto aiuto… non hai neppure pensato a chiederci aiuto, ti sei buttato nel pericolo incurante di tutto e tutti. Complimenti sei un vero eroe, più eroico ancora di tuo padre, contento?”
Nel preciso istante in cui pronunciava l’ultima frase McCoy si accorse di aver passato un limite.
Gli occhi blu di Kirk si riempirono di rabbia glaciale.
“Dovevo arrivare su Romulus da solo… e dopo che era successo, cosa avreste fatto sapendo che ero vivo? Sareste venuti a cercarmi, esattamente come avete fatto. E guarda il risultato. Tu sei quasi morto e la missione è probabilmente andata a quel paese…”
McCoy rimase a bocca aperta per un attimo, senza fiato.
“Ah, ora è colpa nostra. Scusa tanto se siamo venuti a prenderti per portarti a casa” scandì ironico.
“Chi ti ha detto che avevo bisogno di aiuto? Chi ti ha detto che voglio tornare a casa???”
McCoy lo guardò con occhi sbarrati.
“Tu non capisci cosa c’è in gioco. Non si tratta più di me o di te, e neppure dell’Enterprise. Si tratta di tutta la maledetta Federazione. Perché se Argertran ed i suoi completano l’arma sai quale sarà il primo pianeta che distruggeranno? La Terra!!! Miliardi di persone, comprese Eleanor e Johanna”
La realizzazione del pericolo incombente lasciò McCoy di stucco.
“Cosa volevi che facessi? Cosa altro potevo fare??” chiese ancora Jim con rabbia.
“Non lo so!!! Solo che ti fidassi di noi… di me. Non l’hai mai fatto, anche prima, all’Accademia. Archer ci ha raccontato di quando partivi per le tue missioni, mentendomi spudoratamente. A me che sono il tuo migliore amico, tuo fratello! C’è tutta una parte della tua vita che non conosco, su cui mi hai sempre mentito. Io non so  più chi sei e mi chiedo se mai ho saputo chi tu fossi”
“Bene: ti ho mentito. L’ho fatto per proteggervi. Se questo non ti sta bene, non so che cosa dirti. Se odiarmi ti fa stare meglio, fallo pure”
McCoy sentì le lacrime salire prepotenti.
“Io non so cosa provare ora che ti guardo” disse con voce strozzata dal pianto.
“Faresti bene ad odiarmi” fu la risposta secca.
Prima ancora che il medico se ne rendesse  conto, Jim aveva lasciato la stanza.
 
“Dì un po’… lo vuoi vedere morto?”
La voce femminile fece sobbalzare McCoy che stava ancora cercando di calmare il battito cardiaco dopo che Jim aveva lasciato di corsa la stanza.
Si voltò e vide sulla porta Nuhir, alta e fiera, che lo fissava con uno sguardo di rabbia pura.
“I Romulani non sanno che origliare è sintomo di cattiva educazione?”
Nuhir ignorò l’osservazione.
“Ti dici suo amico, ma così facendo lo spingi a morte sicura!” sibilò avvicinandosi al letto.
McCoy le lanciò uno sguardo interrogativo.
“Tu non sai niente di noi… e poi non sei tu quella che ha chiesto la sua testa per vendicare tuo padre?” le urlò contro.
“Era previsto che lo imprigionassero e poi io e gli altri l’avremo fatto scappare. Ma andato tutto storto e certo non potevo scoprirmi. Comunque medico, io non ti devo alcuna spiegazione”
“E così gli hai fatto sparare… non so neppure come ha fatto a sopravvivere a quel colpo… e  sarei io  quello che vuole vederlo morto?”
Nuhir si calmò all’improvviso, anche se la sua voce rimase gelida.
“Ognuno di noi  su questa nave ha rinunciato a tutto per salvare il proprio mondo. Ma nessuno tranne Jim ha dovuto rinunciare alla sua famiglia. Qui siamo tutti, tranne lui, senza legami. E sai perché? Perché avere una famiglia ti rende debole in queste circostanze. Ti fa avere paura di quello che può accadere alle persone che ami. E tu vieni qui e gli gridi in faccia il tuo disprezzo. Ha rischiato la vita sua e di noi tutti per salvarti e portarti sulla nave”
“Disprezzo??? Te lo ripeto, tu non sai niente di lui o di me. Non sai nulla dell’affetto che ci lega. E’ mio fratello!!! Credi che me ne stia buono ad aspettare che si ammazzi davvero?”
“Te l’ha già detto. Questa è una cosa più importante di te, me o lui. Quando abbiamo accettato sapevamo che probabilmente saremo tutti morti nel tentativo di fermare questa follia, ma è quello che dobbiamo fare!”
McCoy guardò la romulana con aria attonita.
“Ma che avete tutti qui? Manie suicide???”
La conversazione fu interrotta dal plateale ingresso di Gary Mitchell.
“McCoy… non posso proprio dire che è un piacere vederti!” esordì sorridendo in modo evidentemente falso.
“La cosa è reciproca Mitchell” fu la risposta secca.
“Fatto sta che ora abbiamo un bel problema: cosa facciamo con te? Il tuo caro amico Kirk ci ha imposto di prenderti a bordo per salvarti la pelle, ma certo non puoi restare qui. Te ne devi andare…” disse Mitchell fissando McCoy con aria ostile.
“Abbiamo un problema più grande invece: fra di noi c’è un traditore!” intervenne Nuhir con voce durissima.
Mitchell la fissò senza paura.
“Infatti e forse la traditrice mi sta parlando in questo momento”
“Posso dire la stessa cosa”
La discussione venne di nuovo bruscamente interrotta da un colpo tremendo che scosse lo scafo, facendo barcollare tutti.
La voce di Jim giunse dagli altoparlanti.
“Allarme rosso. Siamo attaccati da una nave romulana. Ci hanno trovati”
 
Spolier per il prossimo capitolo
“Ci hanno trovato ormai… non resta che arrenderci”
“Credi che morire  per mano dei romulani sia più piacevole del morire dilaniati da una esplosione?”

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Capitolo 20
*** L'ultima risorsa ***


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EROE
 
 
Capitolo 20
L’ultima risorsa
 
Spock uscì dal portellone della navetta scuro in viso.
Chi non lo conosceva poteva credere che indossasse la solita maschera di indifferenza, ma Uhura lo conosceva bene, poteva leggergli negli occhi la preoccupazione.
“Dov’è Leonard?” chiese la bella bantu quando si accorse che il vulcaniano era solo.
“Io… non lo so” rispose Spock, quasi esitando.
“Come sarebbe a dire che non lo sai?” chiese Scotty avvicinandosi.
“Quando sono uscito dalla miniera lui non c’era più…” iniziò a spiegare il vulcaniano.
 
“Come hai potuto lasciarlo solo?” chiese quasi con rabbia Uhura, quando ebbe finito il suo discorso.
“Era la cosa più logica da fare. L’errore di valutazione  è stato consentire che mi accompagnasse” il tono di  Spock era freddo, ma tutti potevano intuire il senso di colpa che lo stava divorando.
“Signor Spock crede che l’abbiano catturato i romulani?” chiese Chekov con un filo di voce.
“Non credo. C’erano segni di una battaglia in cui i romulani avevano avuto la peggio…” ragionò Spock.
“Ma allora chi? La squadra di Jim?” fece Uhura.
“Non lo so, non ne ho trovato traccia. Cosa avete appurato voi a Levistatz?”
“Nulla, non c’è traccia di Jim o della squadra. Ma qualcosa di grosso bolle in pentola, si intuiva da come si muovevano tutti” lo informò Sulu.
“Bene, siamo ad un punto morto. Solo che ora dobbiamo recuperare anche Leonard non solo Jim” concluse amaro Scotty.
 
 
“Scudi alzati” ordinò Jim mentre McCoy e gli altri entravano  in plancia.
Per un attimo il medico  ebbe la sensazione di trovarsi di nuovo sull’Enterprise, con Jim al comando,  con la sua voce ferma e decisa che  nelle crisi riusciva a  calmare tutti.
La plancia era piccolissima, non ampia come quella della loro nave, e non c’era alcuna poltrona di comando  al centro, solo le varie postazioni ai lati.
Come sempre nei momenti di crisi, Kirk non stava seduto, ma continuava ad aggirarsi sul ponte controllando i vari schermi.
I due uomini si scambiarono un breve sguardo.
“Vai in infermeria. E’ più sicura. Preparati all’evacuazione” ordinò Kirk con il miglior tono di comando.
Attorno i pochi membri della squadra presero posto e automaticamente le cinture di sicurezza scattarono.
“Voglio stare qui” ribatté il medico.
“Ti ho detto di andare in infermeria e preparati all’evacuazione!” Jim quasi gli ringhiò contro.
“Medico, dai solo fastidio qui, levati dai piedi” sbottò Gary, visibilmente infastidito.
“Susan accompagna il dottor McCoy in infermeria. E preparatevi ad usare le capsule Kelvin” ordinò di nuovo Jim freddo, senza guardare il suo migliore amico negli occhi.
“Si avvicinano. Puntano diritti su di noi. In qualche modo ci hanno individuati…” informò la giovane donna bionda che era alla consolle di centro.
“O qualcuno ci ha traditi” intervenne Gary lanciando occhiate di fuoco a Nuhir che gli sedeva accanto.
 
“Basta ora. Nancy,  quanto possono resistere gli scudi se ci colpiscono?” chiese con voce dura Jim alla giovane bionda.
“Non molto. Il dispositivo di schermatura assorbe molta energia e quindi non possiamo deviarla sugli scudi”
Jim rimase per un attimo pensieroso.
“Disattiva il sistema di schermatura e devia l’energia sugli scudi”
“Cosa??? Vuoi farci uccidere? Così ci troveranno subito” urlò Gary.
“Ci hanno già trovato, altrimenti non sarebbero qui. Dobbiamo resistere sino a che non è possibile utilizzare le capsule di salvataggio” ribatté calmo Kirk.
“Utilizzare le Kelvin? Per atterrare dove? Su Remus? Ci troverebbero nel giro di un’ora, sempre che sopravviviamo all’impatto”
“Dobbiamo provare… la missione deve avere una possibilità…” intervenne Nuhir.
“La missione non esiste più” ringhiò Gary.
“Non mi sembra né il tempo né il luogo per mettersi a discutere. Nelle fasi operative sono io al comando. Nancy disattiva il sistema di occultamento e portarci quanto più vicino possibile a Remus. Se ci colpiscono, useremo le Kelvin” ordinò glaciale Kirk.
La giovane ingegnere bionda annuì con sguardo terrorizzato.
“Che ci fate ancora qui… mi sembrava di essere stato chiaro” sibilò poi girandosi verso McCoy e Susan che erano rimasti sul ponte, immobili.
“Sì Eagle” annuì Susan, prendendo McCoy per un braccio.
“No, io voglio restare qui”  strattonò il medico brusco.
“Dottor McCoy questa è comunque una nave della Federazione ed io ne sono al comando. Eseguirà i miei ordini. ORA!”
La voce di Jim era dura e tagliente e provocò in McCoy una stretta al cuore.
“Susan portalo in infermeria, è il posto più sicuro. Preparatevi ad usare le capsule al mio ordine” continuò il giovane capitano rivolto alla donna.
“Ma Jim... no… ti prego” provò ad obiettare McCoy, mentre veniva spinto verso l’uscita.
Il medico aveva il cuore in pezzi: se quelli erano i loro ultimi minuti di vita come poteva lasciare senza chiarire quello che provava al suo migliore amico? Il loro ultimo colloquio sarebbe stato un litigio.
“Bones vai alle capsule, andrà tutto bene…” cercò alla fine di rassicurarlo Jim, mentre le porte del turbo ascensore si chiudevano.
“Meccanismo di occultamento disattivato e potenza deviata sugli scudi” annunciò Nancy subito prima che la nave venisse scossa da un boato.
“Ci hanno colpiti, ma per ora gli scudi reggono” fece Nuhir fissando lo schermo.
“Ci hanno trovato, non resta che arrenderci”
La voce di Gary era leggermente isterica mentre la nave veniva scossa da un altro colpo.
“Credi che morire  per mano dei romulani sia più piacevole del morire dilaniati da una esplosione?” rispose ironico Jim.
“Almeno rispondiamo al fuoco”
“Non possiamo perdere un briciolo di energia”
“Possiamo usare il teletrasporto a transcurvatura senza abbassare gli scudi?” chiese, quasi retoricamente Jim.
“Sai bene che non è possibile” rispose Nuhir.
“Quanto manca alla distanza di sicurezza per le capsule?”
“Due minuti circa”
“Vedranno le capsule e le abbatteranno. Ed  in ogni caso quanto potremmo resistere su Remus?” chiese sempre più isterico Gary.
“Non abbiamo molta scelta” rispose Jim. Poi azionò il comunicatore sulla parete.
“Infermeria. Susan…tu e McCoy entrate nelle capsule, aspettate il via libera per espellervi”
Sul sottofondo si sentivano chiare le proteste di McCoy.
“Jim aspetta un attimo, lascia che…” ma il capitano chiuse la comunicazione mentre la nave veniva scossa da un altro colpo.
“Scudi al cinquanta per cento” annunciò Nancy.
“Andate tutti alle capsule” ordinò Jim con voce sicura.
Tutti si alzarono  e si avviarono verso l’uscita.
“E tu?” chiese Nuhir.
“Io devo tenere la nave in assetto sino a che non riusciamo a raggiungere  la distanza da Remus. Vai”
“Non puoi farlo da solo” ribatté Nuhir.
“Vai,  tu sei l’unica che conosce il territorio. Solo tu puoi guidarli su Remus” fece Kirk guardandola negli occhi.
“Vai, non ho istinti suicidi, credimi, tengo la nave in assetto sino a che non raggiungiamo la distanza di sicurezza e poi  mi infilo anche io nella capsula” continuò visto che la giovane romulana non si muoveva.
Nuhir si girò verso l’uscita, ma prima rivolse un ultimo sguardo al capitano.
“Jim… stai attento” disse a voce bassa.
“Certo…” fu la risposta appena sussurrata, mentre la nave veniva scossa da un altro colpo.
Scintille si levarono dalle consolle.
“Nuhir… ti prego,  proteggilo se possibile” furono le ultime parole del capitano.
La giovane si limitò ad annuire, ben sapendo a chi si riferisse.
 
 
Leonard Horatio McCoy odiava lo spazio, odiava volare nello spazio, odiava vedere il vuoto nero tutto intorno a lui.
Cercò di tenere sotto controllo il respiro mentre Susan lo aiutava ad entrare nel cd. ‘baccello Kelvin’, l’estrema ratio di salvezza  per l’equipaggio di una nave in agonia.
Cercò di non pensare al fatto che fra lui e lo spazio nero e profondo ci sarebbe stato solo un sottilissimo guscio di acciaio modificato e soprattutto cercò di non pensare al fatto che, con tutta probabilità, sarebbe morto  all’impatto al suolo e non avrebbe più rivisto sua figlia Johanna, sua madre e Jim.
“Preparatevi al disacco delle capsule” fece la voce calma di Jim nell’interfono.
“Tre, due, uno, distacco” ordinò Jim e a stento McCoy riuscì a premere il pulsante di espulsione.
L’eiezione gli tolse per diversi secondi il respiro.
Tenne gli occhi chiusi mentre sentiva il calore aumentare intorno a lui e il piccolo involucro scricchiolare.
Chissà se Jim si era davvero infilato  anche lui in una capsula, o aveva ceduto ancora una volta a quel suo maledetto istinto da agnello sacrificale; per un breve momento si ritrovò a maledire irragionevolmente George Kirk ed il perenne ricordo di quel padre eroico che aveva condizionato tutta la vita del suo migliore amico.
Gli scossoni ed il calore aumentarono sino a diventare quasi insopportabili.
McCoy aprì gli occhi subito prima che il terreno scuro di Remus gli venisse incontro.
Poi tutto divenne nero.
 
“McCoy…”
La voce di donna gli giunse da lontano, ovattata e debole.
“McCoy… forza svegliati”
Stavolta la voce era più forte ed il medico sentì un paio di mani su di lui, che lo liberavano dalle cinghie.
L’aria umida di Remus gli penetrò nelle narici e il freddo lo aiutò a schiarirsi le idee.
“Nuhir..” balbettò mentre riconosceva il viso, circondato dai capelli neri, che incombeva su di lui.
“Dobbiamo muoverci. Tutto a posto?” chiese con modi spicci la donna.
“Sì, credo di sì” rispose il medico facendo un rapido controllo mentale delle sue condizioni.
Aiutato da Nuhir il medico lentamente uscì dalla capsula, accolto dalla notte remana.
“Jim?” chiese subito una volta recuperata del tutto la lucidità.
Nuhir non rispose, con lo sguardo alto nel cielo.
Centinaia di strisce luminose come stelle cadenti illuminavano  il cielo scuro.
“Credo abbia fatto esplodere la nave insieme a quella romulana…” disse poi la ragazza, continuando a guardare in alto.
McCoy si bloccò, mentre la mano gelida del terrore lo raggiungeva al cuore.
“Ma… è riuscito a prendere la capsula di salvataggio… vero?” balbettò in cerca di rassicurazioni.
“Non lo so” fu la risposta sincera della donna.
 
 

Mi scuso per il ritardo, questa storia sembra stregata, non riesco a completarla. Prometto di impegnarmi però, da oggi in poi.
Ancora in tempo per augurare a tutti Buon Anno!!
E rigraziare sempre tutti… la mia beta in particolare.
 
Spoiler per il prossimo capitolo:
  “No, non può essere…” singhiozzò McCoy cercando, senza risultato, di tenere a bada le lacrime.
Non di nuovo, non poteva aver perso di nuovo Jim, dopo averlo  finalmente ritrovato, dopo che l’unica  conversazione che aveva avuto  con lui era stato un litigio dettato dalla paura e dalla rabbia .

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Capitolo 21
*** Senza tregua ***


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EROE

Capitolo 21
Senza tregua

 “No, non può essere…” singhiozzò McCoy cercando, senza risultato, di tenere a bada le lacrime.
Non di nuovo, non poteva aver perso di nuovo Jim, dopo averlo finalmente ritrovato, dopo che l’unica  conversazione che aveva avuto con lui da un anno a questa parte era stata un litigio dettato dalla paura e dalla rabbia .
“Jim… mi senti?” fece Nuhir, azionando il comunicatore che anche lei aveva dietro l’orecchio.
Il suo viso tradiva l’emozione nel non ricevere risposta.
“Qualcuno mi sente?” chiese ancora la ragazza.
“Nuhir… siamo qui”
Una voce femminile arrivò da dietro una roccia subito prima che Susan si materializzasse come dal nulla.
“Tutto ok?”  chiese la romulana scrutando nel buio.
Subito dopo comparve anche la figura atletica di Gary.
“Gli altri?” chiese ancora Nuhir, ma Susan scosse subito la testa.
“Nancy non ce l’ha fatta, è morta all’impatto della capsula.  Jim?” chiese la dottoressa.
Nuhir non rispose, lanciando occhiate verso McCoy che continuava a guardare in alto, mentre le lacrime gli scendevano.
“Almeno ci ha liberato della nave romulana” chiosò Gary.
“A quale costo?? Si è sacrificato per noi?”  scandì McCoy guardandolo.
“Abbassa la voce, medico, non so se te ne sei reso conto, ma qui è pieno di romulani. Dobbiamo andarcene subito” sibilò l’uomo.
“Io non mi muovo sino a che non abbiamo trovato Jim. Potrebbe essere ferito, dobbiamo cercarlo!”
“McCoy dovresti aver capito che ben difficilmente Kirk si è salvato, probabilmente si è vaporizzato con la nave”
“Bastardo maledetto!!” urlò McCoy, avventandosi contro l’uomo.
“Ora basta!!” intervenne Nuhir.
“Mettiamoci al riparo, poi vado a cercare Jim” concluse.
 
“Vedrai che ce l’ha fatta… si sarà espulso prima dell’impatto”
Susan stava seduta accanto a McCoy nella piccola grotta che avevano trovato come nascondiglio.
Gary Mitchell era invece seduto all’entrata, di vedetta.
Nuhir era partita silenziosa e veloce non appena gli altri si erano sistemati, alla ricerca di Jim.
“Se c’è qualcuno che può trovarlo è lei…” continuò Susan, cercando di consolare  McCoy che se stava immobile a fissare la parete di fronte.
“Sai, tutti a bordo abbiamo capito che c’è qualcosa fra di loro…” bisbigliò complice, cercando di non farsi sentire da Gary.
McCoy si voltò a guardarla, combattuto fra il desiderio di sapere di più e la preoccupazione che lo divorava.
“Insomma si capisce da come si guardano… non è stato facile per Jim, lui è l’unico ad aver dovuto rinunciare alla famiglia” spiegò la donna.
 “Ha lasciato che la sua famiglia lo piangesse morto. Ci ha distrutto” replicò il medico, lasciando che per un attimo la rabbia prendesse di nuovo il sopravvento.
“E se ora penso che può esserlo davvero… non riesco a sopportarlo” balbettò ancora, con le lacrime agli occhi.
“Non è così, me lo sento”
“Se voi due avete finito di farvi confidenze, credo che abbiamo un bel problema in arrivo” fece con voce alterata Gary scrutando fuori nel buio.
“Ci hanno trovati” concluse cupo.
 
McCoy correva al limite delle sue possibilità, ma sentiva che le forze gli stavano rapidamente venendo meno.
La ferita chirurgica gli bruciava e sentiva il respiro mozzato e corto, ma non poteva fermarsi. Maledisse mentalmente come si era lasciato andare fisicamente nell’anno passato; sino a che era stato sull’Enterprise, il capitano lo aveva trascinato regolarmente in palestra e preteso da lui un intenso esercizio fisico, ma ora era decisamente fuori forma.
“Susan…” chiamò, cercando di individuarla nel buio.
“Muoviti McCoy, ci farai catturare tutti” sibilò Gary al suo fianco.
Dietro di loro si sentivano le grida dei romulani sempre più vicine e minacciose.
“Susan…” chiamò ancora debolmente il medico, senza ottenere risposta.
I rumori e le voci dietro di loro erano sempre più netti.
“Sono troppo vicini, dobbiamo nasconderci” sibilò Gary mentre spingeva McCoy di botto dietro una roccia.
I due ebbero appena il tempo di acquattarsi che un gruppo di romulani comparve davanti a loro, trascinando  di peso una terrorizzata Susan.
“Dove sono i tuoi amici???” urlò uno dei romulani strattonando la donna violentemente.
“Non c’è nessun amico” rispose lei con aria di sfida, anche se nella voce si intuiva il panico
Neppure il tempo di finire la frase che il romulano la colpì con un pugno, sbattendola a terra.
“Non ti ripeterò la domanda: dove sono i tuoi amici?” chiese con aria minacciosa.
 
Dietro le rocce McCoy e Gary Mitchell assistevano impotenti alla scena.
“Dobbiamo fare qualcosa!” bisbigliò il medico, quando Susan finì a terra.
“Non possiamo fare niente! Sono il doppio e ben armati, ci ucciderebbero tutti in un istante” sibilò Gary con aria dura e decisa.
“E lasciamo che la uccidano??”
“Rischi del mestiere” rispose senza la minima emozione Mitchell.
Il secondo pugno fece sbattere la testa di Susan violentemente al suolo.
“Ti decidi a parlare?” fece il romulano sempre più minaccioso, puntando il phaser.
“Fanc…” sibilò la donna asciugandosi l sangue che le colava dal naso.
“Lurida umana” grugnì il romulano alzando ancora una volta il pugno.
“Aspetta… so io come farla parlare…” ridacchiò un altro dei romulano, mentre si vvicinava, sbottonandosi i pantaloni.
“Dicono che le donne umane resistono poco…” sghignazzò avvicinandosi minacciso, mentre gli altri si facevano da parte con soddisfazione.
Il terrore puro si dipinse sul volto di Susan
“Ehi lasciatela stare!!” urlò McCoy, uscendo dal suo nascondiglio.
 
Spock aveva adottato la spiacevole abitudine umana della stimolazione motoria ed ora si aggirava sul ponte dell’Enterprise, in tondo, mentre la sua mente cercava di concentrarsi e valutare tutti gli scenari possibili.
Sin da quanto l’aveva incontrato la prima volta aveva sempre ammirato (non invidiato, l’invidia non è logica) in Jim Kirk la sua straordinaria capacità di intuire  e scovare soluzioni improbabili e fantasiose, ma sempre efficaci, per i vari problemi.
L’espressione umana “tirare fuori il coniglio dal cappello” all’inizio gli era sembrata del tutto illogica, come molte espressioni colloquiali degli umani, ma con ora si rendeva conto che rappresentava appieno ciò che Jim Kirk sapeva fare meglio.
Ma Spock non era Jim Kirk.
Sentiva gli sguardi di tutti sulla sua pelle (anche questa  era una sensazione illogica) mentre cercava di calcolare tutte le possibilità.
 “Signore, registro una serie di esplosioni!” annunciò Sulu con la voce leggermente strozzata.
“Sembrano due navi in collisione… nei pressi di Remus” continuò il timoniere.
“Oh mio Dio…” sospirò Uhura, mentre attenta ascoltava nel suo auricolare le conversazioni.
“Dicono che la nave nemica si è lanciata contro l’incrociatore romulano che l’aveva intercettata…”
Per un momento, irrazionalmente, Spock pensò alla Kelvin e a George Kirk: poteva suo figlio aver preso la stessa identica decisione?
“Che facciamo Spock?” chiese Uhura con le lacrime agli occhi.
 
“Guarda, guarda un altro lurido topo umano… pieno di audacia, comunque”
L’alito puzzolente del romulano provocava a McCoy  la nausea, ma lui cercava di non mostrarsi debole e tremante, anche se  il cuore gli batteva furioso nel petto e la ferita chirurgica bruciava come l’inferno.
Sarcasticamente McCoy si ritrovò a pensare che tutto il lavoro fatto da Susan per rimetterlo insieme era stato fatica sprecata, sarebbe morto da lì a poco.
Senza rivedere mai più Johanna, senza vederla crescere, accompagnarla al college per la prima volta, portarla all’altare…
Pensò al dolore di sua madre, ma almeno il pensiero che ci fosse lei a tenere a bada l’ex moglie, a garantire a Johanna un minimo di serenità, rendeva le cose più facili.
E non avrebbe mai rivisto Jim, anche se  fosse stato ancora vivo.
Sarebbe morto e l’ultima conversazione con quello che considerava suo fratello minore sarebbe stato un litigio.
“Bene lurido umano, ora mi dirai dove sono gli altri…” sibilò il romulano, mentre lo sollevava da terra.
McCoy rimase in perfetto silenzio
“Uccidilo, così la donna umana capisce che le conviene parlare…” fece l’altro romulano ridacchiando.
“Hai ragione, torturare costa tempo e fatica…”
Con un ghigno selvaggio estrasse il phaser e lo puntò direttamente in faccia al medico.
“NO, vi prego!!” implorò Susan.
 “Se credi in qualche divinità credo che sia ora che tu le chieda di accoglierti”
 McCoy chiuse gli occhi ed aspettò l’inevitabile.
 
Il ronzio elettrico del phaser attraversò l’aria e McCoy attese il bruciore paralizzante, ma non accadde nulla.
Riaprì gli occhi solo per vedere quelli del romulano spalancati e vuoti, subito prima che si accasciasse a terra, trascinandolo con sé.
Altre tre scariche di phaser e poi McCoy vide con la coda dell’occhio  gli altri romulani cadere in terra.
Cercò disperatamente di liberarsi del peso del corpo che lo schiacciava a terra, quando  un paio di mani fecero scivolare il cadavere lontano, ed un paio di occhi azzurri comparvero nella sua visuale.
“Tutto ok?” chiese mentre gli porgeva la mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Jim!!!” urlò emozionato McCoy.
 
“Fammi vedere quella ferita” borbottò il medico, cercando di tenere fermo Jim per un paio di secondi.
Il lato destro del volto del giovane capitano era ricoperto di sangue, ormai secco.
“Sto bene” rispose lui.
“Col cavolo che stai bene. Hai perso conoscenza? Potresti avere una commozione celebrale, una emorragia intracranica in corso…” McCoy maledisse il fatto di aver perso il tricorder nell’atterraggio della capsula.
“Sto bene, ho detto. Non è niente” ribattè Jim, con aria infastidita.
“Hai preso una laurea in medicina mentre eri via?”  fece sarcastico il medico
“Se voi due avete finito di litigare dovremmo andarcene e di corsa” intervenne Nuhir che stava aiutando Susan ad alzarsi.
La donna cercava di ricomporsi alla men peggio.
“Dov’è Gary?” chiese Jim, mentre cercava disperatamente di sfuggire alle mani di McCoy che gli tastavano la testa.
“Dove vuoi che sia? Deve essere scappato alla prima occasione…” rispose Nuhir lasciando trapelare il disprezzo nella voce.
 “Bones… smettila!! Dobbiamo andarcene…” Jim scansò la mano del medico con un gesto brusco, prima di incamminarsi.
“Dove stiamo andando?” chiese McCoy  muovendosi di malavoglia.
“Lontano da qui” fu la risposta laconica.
 
 Ormai erano in cammino da più di tre ore e la notte stava lasciando il posto ad un’alba rossastra e nebbiosa.
Circa mezz’ora dopo  lo scontro con i romulani, Gary Mitchell era ricomparso, con il solito sorriso spavaldo sul volto.
“Piacere di rivederti Kirk” aveva detto guardarlo Jim con aria di sfida e incamminandosi  con loro come se nulla fosse.
“Dobbiamo trovare un riparo. Fra un po’ la temperatura diventerà insopportabile e poi ci individueranno subito con la luce”
“In quelle grotte” indicò il giovane capitano.
Jim sentiva lo sguardo indagatore di McCoy su di lui, ma non poteva mostrarsi debole, anche se  da quando Nuhir lo aveva tirato fuori dai rottami della capsula  di salvataggio, aveva un mal di testa lancinante e la vista sdoppiata.
 Arrancando, il gruppetto raggiunse una formazione rocciosa e si addentrò in una delle piccole caverne che si aprivano sul deserto.
L’improvviso cambio di luce e temperatura accecò completamente Jim che, barcollando, dovette aggrapparsi alla parete rocciosa per non cadere.
“Jim!!” le mani di McCoy lo raggiunsero in un attimo, tenendolo fermo.
“Va tutto bene… mi serve solo un momento…” provò a giustificarsi il giovane, mentre lottava per tenere a bada la nausea.
“Sì come no… siediti qui” fu la risposta, burbera ed affettuosa.
Incapace di reagire, Jim si lasciò condurre all’interno della grotta e si sedette in terra.
“Nausea?” chiese McCoy mentre gli teneva il viso fra le mani.
“Un po’…”
“Hai una bella commozione cerebrale nella migliore delle ipotesi… del resto è il minimo che ci può aspettare quando ci si lancia contro un incrociatore romulano”
“Non mi sono lanciato contro la nave romulana. Ho messo il pilota automatico e mi sono infilato nella capsula di salvataggio. E’ stato un atterraggio un po’ brusco” replicò Jim con piccolo sorriso.
“Comunque si sia devi stare calmo, non fare movimenti bruschi e cerca di riposare”
“Stai scherzando? Ti rendi conto in che situazione siamo? Riposare è l’ultima cosa che posso fare”
“Non è che possiamo andare da qualche altra parte per ora, giusto? Quindi, per favore, stai giù”.
La voce di McCoy aveva ora un tono duro.
“Dobbiamo trovare l’acqua… non resisteremo senza” mentre parlava Jim si rendeva conto di quanto la sua voce fosse impastata e stanca.
“Vado io, ora, prima che faccia giorno pieno, conosco bene i luoghi” intervenne Nuhir subito prima di uscire lesta ed agile.
“Sempre che non vada a chiamare i suoi amici” fu il commento di Gary.
 
Jim trovava sempre più difficile restare sveglio.
“Jimmy… non dormire, resta sveglio dai…”
La voce di McCoy arrivava ovattata e lontana.
“Non puoi dormire, è pericoloso con una commozione cerebrale. Apri gli occhi, forza”
Stavolta era Susan a parlare, sempre con voce lontana.
“Cosa darei per un tricoder” borbottò McCoy con il suo accento del sud.
“E’ solo una commozione cerebrale, ha la testa dura” sorrise Susan di rimando.
“Sto bene…” balbettò Jim, cercando di mettersi a sedere.
“Ti ho detto di stare giù!” intimò McCoy, mettendogli una mano su petto per tenerlo fermo.
Proprio in quel momento fece il suo ingresso Nuhir, trascinando un sacco trasparente colmo d’acqua.
“Ho trovato l’acqua e anche un po’ di cibo” annunciò la donna, mentre tirava fuori dallo zaino un piccolo bicchiere in metallo
“Bene, bevi un po’, ti farà bene” disse McCoy prendendo il piccolo bicchiere che Nuhir  gli porgeva.
“Posso fare da solo, non sono invalido” protestò Kirk quando il medico cercava di aiutarlo a  bere.
“Shhhh” sibilò Nuhir mentre tesa ascoltava.
“Sono qui”  sussurrò la donna, mentre estraeva il phaser dalla cintura.
“Lo sapevo ci ha traditi!!” quasi urlò Gary.
Immediatamente Jim balzò in piedi, estraendo anche lui l’arma.
Tutti si nascosero dietro le rocce, mentre le voci all’ingresso della grotta si facevano sempre più distinti e netti.
Jim trattenne il respiro mentre ascoltava il fruscio di passi che si avvicinavano.
Strinse con forza il phaser,  e contò mentalmente sino a tre, preparandosi alla battaglia.
Poi, veloce, uscì dal nascondiglio e puntò l’arma contro il nemico.
E si ritrovò davanti l’impensabile

Beh rieccomi... lo so avevo promesso aggiornamenti veloci, sono imperdonabile.
Comunque grazie a chi continua a seguirmi, nonostante tutto.
E grazie alla mia preziosa beta.

Spoiler per il rpossimo capitolo:


“Non vorrai portare anche lei…” obiettò Gary, lanciando sguardi di fuoco verso Nuhir.
“Smettila Gary, posso nutrire  molti più sospetti su  di te che su di lei” chiosò il capitano, avviandosi anche lui verso l’uscita, barcollando leggermente.

 

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Capitolo 22
*** Capitano o mio capitano ***


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EROE
Capitolo 22 
Capitano o mio capitano

“Spock” balbettò Jim, mentre abbassava il phaser ed indietreggiava barcollando.
“Maledetto folletto… mai stato più felice di vederti in vita mia” fece McCoy uscendo dal suo nascondiglio, quasi euforico.
Ma l’attenzione del vulcaniano era tutta per Jim.
Il viso era sempre imperturbabile, negli occhi si leggevano sollievo, sorpresa e… dolore.
“Come hai fatto a trovarci?” chiese emozionato il medico.
“Sull’Enterprise abbiamo registrato le esplosioni. Di conseguenza ho deciso di prendere la navetta e ho localizzato l’unico  segnale di vita umana che  c’era sul pianeta. Il suo dottor McCoy, gli altri sono evidentemente criptati” spiegò Spock, continuando a guardare fisso e apparentemente senza emozioni, Jim.
“E’ bello vederti” provò a dire il capitano, mentre gli altri si radunavano.
“Avremo tempo per parlare… ora suggerisco di lasciare subito questo posto. La navetta si trova a  150 metri a nord est”
Tutti si avviarono verso l’uscita.
“Non vorrai portare anche lei…” obiettò Gary, lanciando sguardi di fuoco verso Nuhir.
“Smettila Gary, posso nutrire  molti più sospetti su  di te che su di lei” chiosò il capitano, avviandosi anche lui verso l’uscita, barcollando leggermente.
“Andiamo Jim, ti voglio in infermeria appena possibile” borbottò McCoy, mentre lo reggeva per un braccio.
 
Il viaggio fu sorprendentemente tranquillo.
I romulani, troppo occupati a cercare  i fuggiaschi sul pianeta, fecero poco caso alla navetta che attraversava la zona neutrale per raggiungere l’Enterprise che attendeva ai margini.
Nessuno parlò molto durante il viaggio, Jim era troppo debole e dolorante per intavolare una qualsiasi discussione, anche con McCoy che gli aleggiava intorno come una chioccia, tormentandolo di tanto in tanto con un hipospray.
“Per ora è sufficiente, ma appena arriviamo voglio una scansione cerebrale completa” annunciò McCoy rivolto a Susan che lo seguiva da vicino.
“Ti ho detto che ha la testa dura…” sorrise la donna, guardando verso Jim.
Proprio in quel momento Spock fece capolino nella piccola cabina sul retro della navetta.
“Volevo informarmi sulle condizioni del capitano” chiese formale.
“Ha la testa dura” risposero in coro i due medici.
Il vulcaniano continuava a fissare intensamente Jim.
“Beh forse è meglio che voi due parliate un po’” chiosò McCoy alzandosi ed uscendo, seguito subito dopo da Susan.
“Chi c’è ai comandi?” chiese Jim mentre Spock si posizionava davanti a lui rigido ed immobile.
“Il comandante Mitchell”
“Non è il caso di lasciarlo da solo”
“Nuhir è con lui. Ho intuito che ti fidi di lei”
“Sì, ma se li lasci nella stessa stanza per molto tempo quei due finiranno per uccidersi a vicenda”
Il tono di Jim era leggero, ma contrastava con l’espressione greve che il vulcaniano aveva sul volto.
Dopo un paio di minuti di silenzio imbarazzante Jim sospirò.
“Senti, so di aver probabilmente combinato un casino… ma io… insomma mi spiace. So di aver fatto del male a tutti voi…”
“Al di là dei tuoi riferimenti a luoghi ove si  pratica prostituzione,  se intendi dire che la situazione  mi ha emotivamente sconvolto, hai ragione”
Kirk distolse lo sguardo, sentendosi in colpa.
“Tuttavia devo rilevare che l’impatto emotivo maggiore l’ha subito il dottore. Al di là della sofferenza per la tua ‘morte’, si è sentito ‘tradito’ come dite voi umani”
“Mi spiace, ma credimi ho solo  cercato di proteggervi”
“Avremo tempo di discutere  della cosa, la condizione attuale non ci consente  distrazioni” continuò freddo il vulcaniano.
Jim si limitò ad annuire, senza avere il coraggio di guardare negli occhi il suo primo ufficiale.
Mentre stava per uscire dalla cabina Spock si voltò a guardarlo.
“In ogni caso, è  estremamente gratificante vederti in vita” disse piano, con una leggera increspatura delle labbra.
 
Jim aveva il cuore a  mille mentre Spock compiva  le ultime manovre per l’attracco e poi spegneva i motori.
Fu l’ultimo ad uscire sulla passerella e fu accolto da un silenzio attonito.
Uhura stava ancora abbracciando McCoy, ma fu la prima ad avvicinarsi.
“Maledetto stronzo...” inveì con le lacrime agli occhi mentre praticamente lo soffocava in un stretta.
“Sì, anche io sono felice di vederti” borbottò Jim.
“Per la miseria, ragazzo, hai idea di quanto ti abbiamo cercato? Che avevi in mente?” urlò  Scotty con il suo forte accento scozzese. Le parole erano però in contrasto con il gran sorriso che aveva sulle labbra.
Jim pensò che era andata meglio di quanto previsto, mentre abbracciava Sulu, sino a che non incrociò lo sguardo di Chekov.
Il ragazzo si limitò ad un “bentornato” appena sussurrato, prima di uscire precipitosamente dalla sala teletrasporto.
“Pavel, aspetta…” balbettò Jim cercando di raggiungerlo.
“Dove credi di andare?” lo intercettò McCoy, trascinandolo praticamente di peso nel corridoio.
“Ora vieni con me in infermeria…” borbottò il medico e al giovane capitano non restò altro che seguirlo nei corridoi di quella che era stata la sua casa.
 
Jim provava emozioni contrastanti, mentre veniva praticamente trascinato da McCoy verso l’infermeria.
La sensazione familiare di essere finalmente a casa cozzava con il senso di solitudine che gli davano i corridoi deserti e poco illuminati.
Non si era ancora reso conto di quanto gli era mancata la sua casa, perché l’Enterprise era la sua casa, sino a che non vi aveva messo piede.
Una sensazione ancora più forte la provò quando McCoy praticamente lo scaraventò di forza sul biobed e gli sparò una luce negli occhi.
“Tieni ferma la testa e segui con gli occhi la luce” intimò burbero il medico.
“Bones…”
“Zitto e fai come ti si dice, almeno una volta”
“Bones… sto bene” protestò di nuovo Jim, pur obbedendo all’ordine.
McCoy si prese qualche minuto per controllare i risultati sul suo tricoder.
“Sì, stai bene. Solo una leggera commozione cerebrale” sibilò alla fine riponendo l’apparecchiatura.
“Possiamo parlare ora?” chiese Jim con voce sottile.
McCoy lo guardò negli occhi per  un secondo.
“Parlare? Non ti sembra un po’ tardi per parlare?”
“Ti prego Bones, non abbiamo molto tempo. Argertran ed i suoi stanno per completare l’arma”
“E cosa vuoi fare? Andare di nuovo allegramente incontro alla morte? Vuoi da me il permesso?” chiese il medico con voce amara.
“Ho sempre fatto solo quello che era necessario”
“Il che implica saltellare allegramente incontro alla morte senza alcun pensiero per chi lasci alle spalle. Beh devi crescere Jim, avere una famiglia significa pensare  in primo luogo ai loro bisogni”
“Cosa mi stai chiedendo? Di lasciare che tutto vada a rotoli senza intervenire? Che tutto l’equipaggio, voi tutti, la Terra,  Johanna o Eleanor scompariate risucchiati dalla materia rossa? Non puoi chiedermelo, sai bene che non lo farò”
“Puoi per una volta chiedere aiuto, fidarti di noi”
“Voi siete la mia famiglia, non c’è nulla che non farei per voi. Il mio unico scopo era e resta quello di proteggervi e tenervi al sicuro. Per questo non ho detto nulla, perché avreste sicuramente cercato di venire a salvarmi. Come è successo poi. Cosa credi che ho provato a vederti ferito, quasi morente, su Remus?”
“Beh…  di certo è meno della metà di quello che abbiamo provato noi nel crederti morto per un anno”
La rabbia di McCoy andava man mano scemando mentre parlava e vedeva gli occhi del suo amico riempirsi di lacrime non versate.
Meno di un mese fa avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo vivo, davanti a lui, ed ora invece ci stava litigando.
Il medico si sedette sul biobed accanto al suo amico.
“Accidenti Jim… cosa devo fare con te?” disse mentre gli metteva un braccio attorno alle spalle e lo stringeva in un abbraccio.
“Mi spiace … non volevo farvi soffrire” balbettò il giovane capitano nascondendo per un momento il viso nella scapola del medico.
“Mi sei mancato ragazzo, non puoi sapere quanto”
Un leggero fruscio interruppe la conversazione.
“Capitano, dottore, mi spiace interrompere. Ma se le sue condizioni lo permettono credo che dobbiamo decidere il da farsi”
Spock era comparso magicamente sulla porta.
“Certo” disse subito Jim, asciugandosi gli occhi e saltando giù dal biobed.
“Dove sono gli altri?” chiese poi avviandosi verso l’uscita.
“Sono tutti sul ponte” fu la risposta.
“Bene andiamo allora”
“Dopo di te, capitano” Spock si fece da parte per lasciarlo passare.
“Spock, io non sono più il capitano”
Il vulcaniano lo guardò intensamente.
“Jim, tu sarai sempre il mio capitano”
 
Il ponte cadde in un silenzio dopo il report della situazione.
Gary  Mitchel continuava a tamburellare le dita sulla consolle, tirando sguardi furibondi a Nuhir che sedeva tranquilla accanto ad Uhura.
“Cosa facciamo ora?” chiese Sulu con aria preoccupata.
Jim restò un attimo in silenzio a pensare.
“Signori penso che non abbiamo altra scelta: dobbiamo scoprire il loro gioco” annunciò.


Aggiornamento un po' più veloce.
Grazie sempre a tutti. Soprattutto alla mia beta, anche per il titolo
Ed ora come sempre qualche piccolo spoiler.

"Come fai ad essere sempre così coraggioso?" chiese il medico con la voce rotta dal panico al pensiero che quelle potevano essere le ultime ore che trascorreva in compagnia di Jim.
"Non è questione di coraggio. Piuttosto è questione di resistenza. Trovo sempre la forza di resistere pensando alla mia famiglia"

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