Spezzarsi, Frammentarsi... Perdersi di Yumeji (/viewuser.php?uid=95601)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 1 *** I ***
UnderworldAU
= Mondo del sottosuolo (non legato alla serie Underworld dei vampire e
lupi mannari, ecc..), in queasto AU esiste una società
sotterranea, conosciuta a tutti, al di sotto di quella della
superficie. I Ratti a cui si fa riferimento sono una delle popolazioni
che abitano nella citta del sottosuolo.
- L'ordine diceva che dovevo portarti alla base vivo, non
c'era il minimo accenno che tu debba arrivarci integro –
Akutagawa fissava il verme dall'alto in basso mentre questi,
terrorizzato, strisciava a terra piangendo disperato - in una maniera
tanto penosa da procurargli un senso di nausea -, contorcendosi dal
dolore in mezzo alla polvere e alla sporcizia che sempre occupavano i
vicoli bui e stretti trai magazzini del porto di Yokohama. C'era una
puzza tale d'alghe marce e salsedine che non dubitava se la sarebbe
portata addosso per tutto il resto del giorno, attaccata ai vestiti e
alla pelle come una cozza allo scoglio. Non che in realtà il
proprio odore gli importasse più di tanto, forse solo giusto
po', visto che la prospettiva di doversi fare un lungo bagno per
levarsi quell'olezzo, piuttosto della solita doccia, non lo allettava
per nulla.
Un'espressione di schifo gli piegò le labbra, disgustato nel
vedere il verme perdere il controllo delle proprie funzioni corporee e
urinarsi addosso dalla paura, a sguazzare in una pozzanghera delle sue
stesse feci. Era una scena orripilante, pensò Akutagawa, e
lo aveva solo minacciato ferendolo appena, sbuffò coprendosi
la bocca con la mano per coprire il solito accenno di tosse. Odiava
quel genere di lavoro dove c'era un obbiettivo da recuperare per
ricavarne informazioni; preferiva di gran lunga essere impiegato per
missioni in cui poteva massacrare tutti indiscriminatamente.
Purtroppo però non era lui a scegliere i propri incarichi e
se, nonostante la sua indole a trucidare qualsiasi essere vivente che
entrasse nel raggio d'azione di Rashomon, gli era stato affidato un
compito simile, allora era probabile, almeno secondo Higuchi, che
stessero verificando le sue capacità.
"Devo ancora dimostrare di essere necessario?" ecco un'altra cosa
irritante, il suo valore, la sua forza non bastavano
all'organizzazione? Cosa serviva metterlo costantemente alla prova con
impieghi che non facevano altro che innervosirlo? E sul serio,
lì c'era una puzza insopportabile! Arrivava a pensarlo
persino lui, cresciuto nei bassifondi in mezzo ai ratti. L'odore era
davvero pestilenziale. Cominciò a sperare che l'obbiettivo
si fosse solo pisciato addosso e null'altro.
- Ti... ti posso pagare! Di-dimmi una cifra, te la darò!
– cominciava a biascicare il verme balbettando,
sputacchiandolo le parole al punto che qualche schizzo di saliva
arrivò sulla punta delle scarpe di Akutagawa. Stava cercando
di comprarlo? Solo i pusillanimi si affidavano ai soldi per salvarsi la
vita.
Più aveva di fronte quella schifezza umana, più
gli cresceva l'istinto omicida, non che in realtà ci volesse
molto per quello.
– Ti darò tutto ciò che vuoi! Ma
lasciami andare – si inginocchiò davanti a lui con
fare pietoso, una larga macchia di bagnato sul cavallo dei pantaloni,
il corpo sudaticcio nel prostrarsi a lui tutto tremante. Era una scena
ripugnante, e più che un verme ad Akutagawa
ricordò un lurido topo di fogna, d'altronde, chi altri
poteva cercare rifugio in un vicolo puzzolente e lurido come quello?
– Non sopravvivrò se venissi preso –
pianse di nuovo alzando il viso, cercando lo sguardo del mafioso, e per
ricevere in tutta risposta un calcio sui denti. Ryunosuke lo
scaraventò indietro con il suo colpo, facendolo finire
contro al muro di uno dei magazzini con una tale forza che l'obbiettivo
ricadde a terra privo di sensi, una sanguinolenta ferita alla testa e
qualche incisivo in meno.
- Credi che mi possa interessare della tua sopravvivenza, ratto?
– gli appoggio il tacco della scarpa sulla tempia, tentato
all'idea di pressarlo sino a spappolargli il cranio, ma per certi atti
violenti preferiva usare Rashomon, e quel verme di certo non si
meritava di sporcargli la suola delle scarpe. Ciò gli
ricordò i residui di saliva che vi erano rimasti sopra, e ne
approfittò per ripulirsene strofinandone la punta sulla
camicia dal dubbio gusto indossata dall'uomo. Gli sembrava respirasse
ancora, e alla fine non gli aveva strappato neppure un arto.
Doveva considerarla come una cosa positiva? Non lo sapeva.
Dando le spalle a quel lurido verme privo di sensi, Akutagawa
chiamò Higuchi sostando all'entrata del vicolo,
così d'avere una visuale sulla strada principale e sul corpo
svenuto,
- Ho finito – le annunciò freddamente quando ebbe
risposto alla chiamata, - No, non l'ho ammazzato – si
trovò a dover puntualizzare sbuffando, anche se
già aveva immaginato che glielo avrebbe chiesto, - Porta la
macchina... – ordinò evitando altre domande, - Ah,
e abbiamo qualcosa per coprire il baule? – aggiunse, trovando
l'efficiente sottoposta subito pronta ad accontentare le sue richieste.
Conoscendo i suoi metodi, Higuchi si era premurata per evitare che
l'auto in loro dotazione per quella missione potesse sporcarsi di
sangue.
Akutagawa chiuse la comunicazione, controllando ancora una volta che il
suo obbiettivo fosse nel punto in cui lo aveva lasciato. Fortunatamente
per quel ratto, non si era mosso, altrimenti nulla lo avrebbe fermato
da strappargli una gamba con Rashomon, così da impedirgli
anche solo di pensare alla fuga.
Un'esplosione invase di colpo le orecchie di Akutagawa con il suo
boato, distraendolo da quel che stava facendo e mettendolo in allerta.
Cos'era stato?
Sollevò gli occhi verso il cielo, cercando una nube che
potesse dargli qualche indicazione, se non addirittura gli fornisse le
cause di quel botto. Purtroppo non gli servì, dal mare si
era alzato il vento e il fumo si spargeva prima che gli potesse dare
una direzione precisa.
Per quanto avesse intuito che l'esplosione non fosse avvenuta molto
lontano da dove si trovava, la sua visuale era bloccata da una serie di
vecchi magazzini sfatti e abbandonati. Non gli riusciva di trovare il
punto esatto.
Si chiese persino se Higuchi fosse stata coinvolta, ma era un timore
lontano, smentito quasi immediatamente dalla stessa, giunta in macchina
un attimo dopo.
- Non va bene Atsushi, non puoi distruggere ogni cosa quando il nostro
incarico è di proteggere il magazzino, dovresti attenerti
alla parte - lo rimproverò Dazai con fare annoiato, seduto
in cima ad una cassa mentre leggeva una rivista,
- M-ma... ma quelli erano esplosivi?! – balbettava il
ragazzo, finito con il sedere per terra dopo che il contenuto di una
scatola che si stava premurando di spostare, gli era esploso in mano
coprendogli il viso di qualcosa simile alla fuliggine. - Co... cosa
stiamo custodendo, Dazai?! – guardò il
più grande con lo sguardo largo dal panico.
- Tranquillo, tranquillo Atsushi – gli sorrise lui
rinunciando a leggere l'interessantissimo articolo intitolato: "Le 50
regole per commettere un doppio suicidio perfetto"; cui la rivista alla
quale era abbonato "Amanti del Suicidio" aveva dedicato un ampia e
dettagliata inserzione di ben cinque pagine. – Non si tratta
di esplosivi, ma di petardi –
- Petardi?.. – lo fissò, non lo stava prendendo in
giro come al suo solito, vero? Anche se, a ragionarci, forse avrebbe
dovuto informarsi prima sull'incarico in cui era stato coinvolto, ma
aveva finito per farsi trascinare da Dazai, come al solito.
- Sì, ufficialmente siamo stati incaricati di custodire un
deposito di fuochi d'artificio – pareva sempre più
annoiato,
- Perché "ufficialmente"? - c'era un velato timore nella
voce di Atsushi mentre, con il dorso della mano, cercava di ripulirsi
da quei residui di polvere scura.
- In realtà la ditta è fallita due anni fa, e
puoi intuirne il motivo visto come i loro prodotti siano fin troppo
sensibili ai piccoli urti – si passo una mano trai capelli
sistemandosi qualche ciuffo dietro all'orecchio destro, - Visto che
è abbandonato da allora io e Ranpo abbiamo pensato fosse il
posto adatto dove ricevere un'imboscata -
- Ah... – fu l'unica esclamazione che uscì dalla
bocca di Atsushi, allibito e incapace di comprendere come: un magazzino
pieno di fuochi d'artificio potenzialmente pericolosi, potesse essere
considerato un "luogo adatto";
- Quale imboscata? – le spiegazioni dell'altro lo lasciavano
sempre più confuso, pure quel punto suonava del tutto nuovo
al suo orecchio.
Perché finiva sempre per non sapere niente di quello che
c'era d'importante?
- Quella che subiremo tra 3... 2... 1... – fece Dazai
puntando l'indice verso il soffitto come se si aspettasse un segnale o
qualcosa di simile, ma arrivato allo zero non accadde nulla.
- Uhm... sono un po' in ritardo – commentò
prendendo un'espressione risentita, incrociando le braccia al petto
sbuffando, - Ormai non ci si può neppure più
affidare alla puntualità -
Meno di mezzo minuto dopo lo stesso boato che aveva attirato
l'attenzione di Akutagawa, invase l'aria con il suo
scoppiò assordante che aveva fatto tremare le pareti,
esploso in un punto non molto distante da dove i due detective si erano
posizionati.
- Oh, devono aver sbagliato indirizzo – commentò
Dazai lasciando che la piega di un sorriso gli sollevasse le labbra, -
Bhé... meglio così, almeno abbiamo ancora la
nostra riserva di fuochi d'artificio -
- Cos'è stato?! – l'esplosione era stata tanto
vicina che Atsushi aveva potuto sentire il pavimento sotto al suo corpo
scosso da violenti tremiti, quasi si fosse trattato di un qualche
cataclisma, e il botto, seguito dal rumore di un crollo, gli aveva
creato un senso di vuoto nello stomaco.
- Ecco, quello era dell'esplosivo, Atsushi – si
limitò a dirgli Dazai, alzando le spalle e facendo un gesto
vago con la mano, per poi saltare giù dalla cassa su cui era
seduto con un balzo, - Forza, dobbiamo cacciare via quei roditori prima
che si facciano troppo molesti – lo incitò
superandolo con la solita calma, dirigendosi all'uscita del magazzino.
- ... - Atsushi cominciava a seccarsi di sentirsi continuamente stupito
e confuso da quello che stava accadendo, quindi decise semplicemente di
rassegnarsi alla situazione. Con un sospiro avvilito e nessuna idea di
cosa stesse accadendo, si alzò, affrettandosi per seguire il
più grande. Altri al posto suo non avrebbero accettato di
essere lasciati all'oscuro sino a quel punto, ma Atsushi era una
persona semplice e si fidava del compagno, quindi credeva vi fosse un
buon motivo se l'altro non gli avesse detto nulla. O forse non gli
andava di farlo e basta.
Il magazzino era avvolto dalle fiamme, divorato sino al punto da essere
ridotto ad un esile scheletro: le pareti e la strutture interne, fatte
in legno, erano state del tutto consumate dal fuoco; i vetri alle
finestre invece erano esplosi a causa dell'eccessivo calore.
A breve distanza da quello sfacelo – dall'alto di un tetto di
una fabbrica costruita nell'immediato dopoguerra e fallita subito dopo
-, Akutagawa assisteva alla scena, chiedendosi come potessero quei
miseri resti non essere ancora crollati su se stessi. Non rimaneva
quasi più nulla della struttura originale e mancava poco che
l'incendio si propagasse anche verso gli edifici adiacenti, aiutato e
alimentato anche dall'aria tirata dal mare.
Non sarebbe stato un bello spettacolo, pensò il corvino con
aria impassibile, ma fortunatamente quella parte del porto non
rientrava negli interessi della PortMafia, quindi non era un incidente
che avrebbe potuto danneggiarli in qualche modo. Se Akutagawa era
andato sin lì, attirato dall'esplosione, era semplicemente
per verificare cosa fosse accaduto. Aveva lasciato ad Higuchi il
compito di portare l'obbiettivo alla base, dopo averglielo caricato nel
bagagliaio dell'auto con cui la donna era giunta. Arrivava dalla parte
opposta rispetto al botto, quindi non ne sapeva nulla di cosa fosse
accaduto, aveva però chiesto ad Akutagawa di non
interessarsene, visto che, nonostante la loro presenza sul posto,
nessuno gli aveva ordinato di andare a verificare cosa fosse accaduto.
Ovviamente lui aveva ignorato la sua richiesta, avevano già
concluso il loro incarico senza incidenti, quindi non c'era nulla che
gli impedisse di andare a vedere quale fosse stata la causa
dell'esplosione. Aveva ammesso però, anche se ne dubitava,
che il tutto avrebbe potuto rivelarsi come un banale incidente, causato
forse da dei fuochi d'artificio difettosi (era a conoscenza
dell'esistenza di un magazzino pieno di petardi, e simili,
potenzialmente pericolosi, anche se non aveva un'idea precisa di dove
fosse).
Trovandosi però di fronte a quell'incendio non dubitava la
sue origine dolosa, anzi, lo riteneva abbastanza evidente visto il
numero di ratti che si trovavano a pullulare la zona. Era da tanto che
non ne vedeva tanti tutti assieme, si disse sporgendosi un poco dal
bordo del tetto, non si preoccupava di essere visto, i ratti non
alzavano mai lo sguardo da terra se non per supplicare di non
ucciderli. Non c'era pericolo che lo vedessero e poi, seppur fosse
successo, cosa avrebbero potuto fare? I ratti erano dei codardi,
attaccavano solo quando sapevano di essere in netta maggioranza;
colpivano alle spalle, approfittando dei momenti in cui il loro
avversario era ferito. Per muoversi dovevano essere sicuri di
affrontare il loro nemico nel momento esatto in cui fosse stato
più debole, così da avere la certezza di vincerlo
facilmente. Temevano troppo coloro che si dimostravano avversari forti
e temibili, per questo la PortMafia aveva avuto ben pochi contatti con
loro nel corso degli anni. C'era però stata una volta,
qualche tempo addietro, in cui un gruppo di ratti aveva provato a
chiedere di affiliarsi all'organizzazione, proponendosi come validi
sottoposti e informatori. Akutagawa non sapeva esattamente come fosse
andata, poiché all'epoca non era ancora entrato
ufficialmente nei ranghi della PortMafia, quindi ciò che
sapeva dell'accaduto erano solo i racconti di chi aveva assistito agli
eventi, i quali tendevano a farsi sempre più grandiosi e
stupefacenti ogni volta che la storia veniva ripetuta.
L'unica cosa di cui era certo su quei fatti era che era avvenuta una
carneficina sanguinolenta, un massacro di come solo lui con Rashomon
sapeva fare (era stata una persona degna di nota a fargli questo
paragone quindi tendeva a considerarla una considerazione veritiera).
Il gruppo di ratti era stato completamente sterminato. Represso con
violenza poiché la loro offerta di affiliazione non era
altro che una scusa per avvicinarsi ed eliminate ai componenti
più importanti della PortMafia. Quei ratti si erano mostrati
troppo arroganti e stupidi credendo che una piano tanto prevedibile
potesse funzionare, le loro vere intenzioni erano state chiare fin da
subito. Per questo si era deciso di usare quei ratti come monito,
distruggendoli senza pietà, così che a nessuno
dei loro simili venisse ancora in mente di avvicinarsi alla PortMafia
con l'intento di spodestarla dal suo nero trono di dominatrice segreta
di Yokohama.
I ratti avevano il pessimo vizio di essere assetati di fama e potere,
per questo non era raro che nella stessa organizzazione, se non
addirittura nella medesima famiglia, i componenti finissero con
l'ammazzarsi vicenda. Si sentivano storie di padri che ammazzavano i
loro stessi figli nel timore che, un giorno, potessero voler occupare
il loro posto nel casato, ma questo tipo di voce era più
vicino ai racconti popolari che alla realtà. I ratti erano
avidi e si divoravano fra loro solo per desiderio di potere, non
sapevano cosa fosse la dignità. E seppur Akutagawa avesse
compiuto atti che in molti consideravano spregevoli e aberranti, degni
di un ratto per l'appunto, c'era ancora una cosa che lo etichettava
come essere umano: era fedele a qualcuno.
La fedeltà verso "qualcosa" era l'unica vera distinzione che
separava uomini e topi, ma ciò che distingueva la porta
mafia dai ratti era la struttura stessa dell'organizzazione.
- Oh, Akutagawa... da quanto tempo – la voce di Dazai lo
distolse d'improvviso dai suoi pensieri e dal disgusto che provava,
facendolo sussultare interiormente, come al solito l'ex-mentore
rimaneva sin troppo abile a coglierlo di sorpresa alle spalle. Se non
ne fosse stato in grado, non lo avrebbe ammirato tanto.
- Dazai… è causa sua? - domandò voltando appena il
capo verso di lui, osservandolo con la coda dell'occhio prima di
riportare lo sguardo sull'incendio, finalmente la struttura era
crollata, vinta dal proprio stesso peso, consumata dal fuoco, e per un
momento Ryunosuke avvertì una ventata d'aria calda
arrivargli in faccia che gli fece assottigliare lo sguardo dal
fastidio. Il vento aveva cambiato il suo giro, e presto il punto in cui
si trovava si sarebbe riempito di fumo.
- Può darsi - alzò le spalle Dazai, parlando in
tono superficiale mentre si avvicinava all'ex allievo, - Ma sai non
è che io abbia qualche interesse per quei ratti...- gli
confidò appoggiandogli una mano sulla spalla, prendendo un
tono rassegnato e melodrammatico,
- Sono loro che hanno qualche interesse per lei? - ne
completò il pensiero, voltando finalmente il capo
verso di lui, consapevole che gli era venuto vicino solo per annullare
la sua capacità.
- Esattamente – confermò Dazai, chiocciando con
quell'aria allegra con cui gli era così facile ingannare gli
altri, - Ed è una seccatura ricevere simili attenzioni non
richieste - sospirò affranto,
- Perché è venuto a parlarmi? - gli
domandò tagliando corto sull'atteggiamento tanto artefatto
dell'altro, le labbra a piegarsi in una smorfia irritata,
- Non voglio che tu dia di matto – spiegò indicandogli
poi con un cenno del capo la figura di Atsushi, che nella sua forma
antropomorfa combatteva contro una serie di ratti che gli si erano
scagliati contro.
- Jinko! - reagì nell'immediato Akutagawa, finendo
però per essere trattenuto da Dazai quando già
tentava di buttarsi nella mischia, gettandosi addirittura da quel
tetto,
- Tranquillo, tranquillo – gli intimò stringendo
la presa sulla sua spalla, - Ve la vedrete un'altra volta, che ne dici?
- gli sorrise, ma in cambio ricevette uno sguardo carico di furia,
quello che si aspettava di vedere. Per Akutagawa fu fin troppo facile
liberarsi di lui, ma Dazai sapeva che non avrebbe dato troppo peso a
questo, difatti saltò giù senza alcuna
esitazione. Chissà, se non gli avesse parlato forse il
corvino avrebbe deciso di non intromettersi, andandosene semplicemente,
ma rivolgendogli la parola e "vietandogli di partecipare" Dazai aveva
ottenuto l'effetto contrario, ovvero l'aveva spinto ad agire. Anche se
erano passati anni, sapeva ancora come muovere a piacimento il suo ex
sottoposto, manipolandolo come preferiva, aveva ancora una grossa
influenza su di lui.
"Ma dov'è finito Dazai?" pensava intanto Atsushi, preda di
un leggero panico che gli premeva alla gola, "Glielo avevo detto che
erano troppi per me..." piagnucolava giusto un po', trovandosi, pur
destreggiandosi egregiamente nella sua forma antropomorfa, con un
numero di nemici decisamente superiore a quelli che poteva affrontare
tutti assieme.
Era finito nuovamente accerchiato, i ratti si scaraventavano su di lui
tutti assieme, una decina per volta, e nonostante ne respingesse la
maggior parte, un paio degli attacchi che tentavano di infliggergli
andavano a segno. La guancia gli bruciava lì dove uno dei
coltelli lo aveva ferito, il graffio era profondo e sanguinava
copiosamente. Altri tagli lo coprivano poi qui e là su tutto
il corpo, strappandogli carni e vestiti, in realtà quelle
ferite sarebbero state nulla per lui e il suo sistema rigenerativo, il
problema stava nelle lame con cui gli erano state inferte, erano
ricoperte di qualche tipo tossina. Atsushi l'avvertiva agire sul
proprio sistema nervoso, e reagire o pensare lucidamente diveniva
sempre un poco più difficile man mano che il veleno entrava
in circolo nel suo corpo.
"Aveva detto che mi avrebbe fornito un aiuto" si diceva ancora mentre
osservava i propri avversari, pronti con una nuova orda. La vista
periferica gli era diminuita parecchio a causa di un occhio pesto che
non riusciva più ad aprire, doveva continuamente voltarsi
per evitare attacchi alle spalle, ma non era facile, essendo
completamente accerchiato. La sensazione di essere come un animale in
trappola cominciò a paralizzargli le gambe, le quali
sembravano essersi tramutate in due blocchi di granito. O forse era
solo un effetto del veleno?
Quel senso di pesantezza agli arti finì con il rallentarlo,
abbastanza perché non si accorgesse che, dietro di lui, un
ratto si stesse muovendo pronto ad assaltarlo, la lama del suo coltello
pronta a lacerare la carne morbida del collo di Atsushi.
Se tagliargli arti non serviva, allora staccargli la testa sarebbe
servito.
Vivendo nelle fogne i ratti erano abile a carpire informazioni da tutta
la città, e Atsushi era stato per molto tempo il centro di
alcune voci che raggiungevano i bassifondi cittadini, essendo il
ragazzo-tigre di cui tutti parevano volersi impossessare.
Akutagawa giunse in quel momento dall'alto, atterrando con uno schianto
dopo essersi gettato dal tetto di un edificio. Aveva usato le braccia
di Rashomon per attutire la caduta ma, deciso a vedersela lui stesso
con Jinko, non aveva potuto trattenersi dal usare la propria
abilità per infilzare come un puntaspilli il ratto che stava
per attaccarlo di soppiatto. In piedi sul suo cadavere Akutagawa era
già pronto ad avventarsi sul ragazzo, il quale lo fissava
con uno sguardo colmo di meraviglia, chiedendosi se fosse lui "l'aiuto"
che Dazai aveva voluto inviargli.
- Fai pena, Jinko – lo salutò il corvino prima di
coprirsi la bocca con la mano in un eccesso di tosse, - Come puoi
esserti fatto mettere in difficoltà da dei miseri ratti?
– gli domandò retoricamente mentre il suo volto
prendeva quella piega grottesca di quando si stava per dare al
massacro. Non era quello il momento di attaccare Jinko e non
perché fosse ferito, Akutagawa non conosceva una simile
pietà, ma per i ratti di cui ora pullulava la zona. Se
sé ne fosse liberato avrebbe dimostrato a Dazai di essere
migliore di quel moccioso che puzzava ancora di latte e non faceva
altro che piangersi addosso per il proprio passato.
- N.. non sono affari tuoi! – puntualizzò Atsushi
punto nel vivo, trovandosi a dover stringere il peso morto del braccio
sinistro al petto. La tossina era forse un po' più forte di
quanto credesse, e ora quel arto era divenuto inutilizzabile.
– E comunque, cosa ci fai qui, Akutagawa? –
domandò notando che non erano più sotto attacco,
con l'arrivo dell'altro i ratti parevano essere diventati insicuri, se
prima si gettavano su Atsushi senza lasciargli un attimo di respiro,
ora erano esitanti. Probabilmente erano rimasti destabilizzati dalla
morte improvvisa di un loro compagno, così fulminea e del
tutto inaspettata visto che parevano essere ad un passo dal vincere il
ragazzo-tigre. O forse erano incerti se sfidare apertamente un membro
della PortMafia, chiedendosi, come faceva lo stesso Atsushi, cosa ci
facesse lì. Non era certo nelle intenzioni dei ratti
mettersi contro, per il momento, contro un'organizzazione che li aveva
già schiacciati in passato.
- Allora?! – proruppe Akutagawa, il volto deformato dalla
stizza, seccato di quell'esitazione, si era gettato nella mischia per
dimostrare il proprio valore, non per fare la bella statuina.
– Cosa volete fare roditori?! Vi decidete a muovermi o...
– attivò le braccia di Rashomon che simili alle
zampe di un ragno minacciavano di rubare la vita di chiunque si
avvicinasse troppo, - Devo venire io da voi? –
Normalmente non era che lo divertisse uccidere le persone, lo
considerava come un semplice lavoro e non gli faceva né
caldo, né freddo; ma quel giorno aveva voglia di dar sfogo a
tutto il disgusto che aveva accumulato quella mattina nel dover
risparmiare la vita di quella spazzatura del proprio obbiettivo. Gli
serviva una carneficina tanto per star bene con se stesso.
Atsushi si obbligò a non chiudere gli occhi quando Akutagawa
cominciò ad attaccare, Rashomon saetto in avanti al suo
minimo cenno e per i ratti che ancora non erano scappati, non ci fu
nulla da fare. Le loro urla strozzate si perdevano in suoni gutturali e
scricchiolii di ossa frantumate, riempendo l'aria rendendo per un
momento le orecchie di Atsushi sorde a tutto il resto, mozzandogli il
fiato dall'orrore.
Il tessuto d'ombra di Rashomon si scuriva ulteriormente, tinto del
sangue delle proprie vittime, straziate dalle sue fauci. Era uno
spettacolo terrificante, e Atsushi non riusciva a non rimanerne
pietrificato. Sentiva il proprio spirito tremare di fronte ad una
simile atrocità, e non gli riusciva di non odiarne il suo
esecutore, seppur sapesse di dover probabilmente la vita ad Akutagawa.
Per quanto si trattasse di semplici ratti, gli era impossibile non
avvertire un malessere quasi fisico nell'assistere al crudele destino
che gli era toccato. Avevano cercato di ucciderlo fino ad un attimo
prima, ma per loro ora non provava altro che pena.
- A... A cosa serve ucciderli?! – sbottò cercando
di fermare la carneficina dell'altro, il quale finì per
bloccarsi per davvero, come infastidito dalle sue parole o
semplicemente non sopportando di essere stato ripreso da lui. Odiava
come Jinko facesse tanto il superiore con la sua bontà
d'animo. L'animale che quel moccioso nascondeva dentro di sé
non era certo inferiore al suo demone.
- Sono ratti! A cosa serve lasciarli in vita? –
obbiettò voltando appena il capo verso di lui, mentre
Rashomon si occupava ad infilzare un altro di quei parassiti, il quale
si era buttato a terra nella speranza di nascondersi in mezzo alle
interiora e al sangue dei suoi compagni. Si era finto morto, ma appena
aveva cercato di svignarsela, i neri artigli della veste lo avevano
accalappiato, attirati dal suo movimento.
- Smettila Akutagawa! Non è necessario! –
insistette Atsushi, incapace di assistere ancora a quei atti di
violenza senza fare nulla per fermarlo, - Non dev..!- un improvviso
spostamento d'aria vicino alla sua guancia però lo
interruppe, gelandolo sul posto e impedendogli di fare
alcunché.
Una delle braccia di Rashomon era stata diretta contro di lui.
L'ennesimo suono umidiccio di un corpo che finiva infilzato, lacerato
dall'abilità di Akutagawa, occupò ancora l'aria e
sta volta Atsushi non trovò fiato per ammonirlo e
rimproverarlo. Un ratto aveva appena provato ad attaccarlo di nuovo
alle spalle, approfittando della sua distrazione nel discutere con
l'altro, e Akutagawa lo aveva appena eliminato.
Atsushi non si era minimamente accorto del pericolo, i sensi e i
muscoli atrofizzati dal veleno, e se il corvino non avesse avuto la
prontezza di eliminarlo, probabilmente sarebbe finito ucciso.
Un senso d'umiliazione mista ad imbarazzo gli invase il petto del
ragazzo, poteva davvero permettersi di riprendere e giudicare
Akutagawa? Non gli aveva appena salvato la vita per la seconda volta e,
cosa ben più importante, non era l'aiuto di cui aveva
bisogno? Da solo non sarebbe mai riuscito a tener a bada tutti quei
ratti.
- Potrai dirmi cosa sia necessario o meno quando sarai in grado di fare
qualcosa da solo, Jinko – lo freddò lui,
rivolgendogli appena un'occhiata, guardandolo dall'alto in basso ma
senza godere dell'umiliazione che gli aveva inferto. Normalmente erano
lontano anni luce dal comprendersi l'un l'altro ma Akutagawa un tempo
si era trovato spesso nella posizione in cui al momento si trovava
Atsushi, con quella fastidiosa irritazione a riempire il petto senza
aver modo di sfogarla perché troppo debole per poter
chiedere una rivalsa; quindi non gli riusciva di bearsi della propria
posizione di vantaggio.
Un oggetto non ben identificabile fu lanciato in mezzo a loro mentre
erano ancora intenti a discutere. Una sfera di piccole dimensioni, non
più grande di una pallina da tennis rotolò ai
loro piedi e non ebbero neppure il tempo di chiedersi cosa fosse
effettivamente. I loro sguardi finirono con l'essere attratti
simultaneamente da quel movimento imprevisto quando uno scoppio e un
lampo di luce finirono per colpirli, lasciandoli accecati e intontiti a
causa del rumore che gli fece fischiare le orecchie. "Una granata
stordente?" si domandò Akutagawa confuso, trovandosi a
coprirsi la bocca per soffocare un attacco di tosse provocato dal fumo
pungente che aveva preso ad uscire dalla piccola bomba, il quale
probabilmente si era già insinuato nei suoi polmoni e che
oltre a provocargli uno spiacevole pizzico alle narici gli faceva
lacrimare gli occhi.
Incapace di sfruttare al meglio Rashomon in quelle condizioni e di
difendersi, Akutagawa si trovò investito da qualcosa di cui
non comprese subito la natura, ma che poi comprese essere Atsushi. Il
ragazzo-tigre era stato colpito da un nemico che approfittava del fumo
e della loro momentanea cecità, il quale, con una forza
notevole, lo aveva sollevato e scaraventato contro il corvino.
Atsushi non aveva potuto far nulla per evitare l'aggressione, una mano
era spuntata dal fumo afferrandolo per la gola, senza dargli modo di
reagire.
L'urto fra loro fu forte, entrambi si trovarono privi di fiato, i
polmoni che si svuotavano a causa del contraccolpo. La forza del loro
nemico era tale da sbalzarli a terra, scaraventandoli a qualche metro
di distanza, facendoli schiantare contro una serie di casse di legno
marcio, abbandonate sul fianco di un edificio, le quali finirono per
frantumarsi in una pioggia di schegge e polvere.
- Merd... – si trovò ad imprecare Akutagawa, una
fitta alla schiena e ai reni a causa dello schianto, trovandosi disteso
di schiena su una catasta di frammenti di legno. A fatica si
trovò a rotolare su un fianco per mettersi carponi. Per un
momento le braccia gli furono attraversate da un sussulto, nel usarle
come sostegno per sollevarsi in piedi, e la bocca gli si
riempì del familiare sapore rameico del sangue, in qualche
modo però riuscì a ritrovare il proprio
equilibrio, pronto ad affrontare il successivo attacco. Seppur il
dolore non fosse stato poco, era nulla rispetto a ciò a cui
era stato abituato, le ginocchia gli tremavano appena, mentre cercava
con lo sguardo, ancora un po' annebbiato dalle lacrime provocate dal
fumo, il suo nemico. Era un ratto dalla forza incredibile, ma aveva
sentito dire che la loro specie aveva sviluppato una qualche tipo di
droga che ne aumentava le capacità fisiche. Purtroppo era
peggio di un veleno per gli essere umani e non provocava lo stesso
mutamento, quindi la PortMafia non l'aveva mai smerciata o fabbricata e
rimaneva solo una delle tante leggende subculturali sui ratti. Adesso
che l'aveva provata sulla propria pelle però Akutagawa non
dubitava più fosse ben più di una voce.
"Dov'è?.." si chiedeva mentre l'irritazione e l'esigenza di
far a pezzi chi l'aveva attaccato in maniera tanto subdola crescevano.
Si guardava attorno cercando di mettere a fuoco meglio che poteva
l'ambiente, ma con scarsi risultati. Il fumo provocato dalla piccola
bomba si era diradato ma i suoi effetti tardavano a svanire dagli occhi
di Akutagawa. Di nuovo venne colpito alle spalle, ma sta volta era
pronto e riuscì a difendersi. Avverti nelle orecchie il
familiare scricchiolio delle ossa rotte mentre Rashomon faceva uno
scempio dell'arto. Il ratto urlò dal dolore mentre la mano
gli veniva strappata e il sangue cominciava ad uscire a fiotti. Se non
avesse fatto qualcosa per fermare l'emorragia sarebbe morto
dissanguato vista la larga pozza rossa che già aveva preso a
formarsi ai suoi piedi. Akutagawa lo lasciò ad agonizzare,
schiacciandolo a terra.
Gli altri ratti parevano essere già scappati, ma non poteva
esserne sicuro, e rimase in allerta, attento a ciò che lo
circondava. Gli occhi faticavano ancora a vedere ma l'udito era tornato
nella norma. Fu in quel momento che se ne accorse, Jinko non si era
ancora mosso, era rimasto disteso su un fianco in mezzo ai frammenti
delle casse distrutte, "Dev'essere svenuto" pensò ricordando
di come avesse battuto malamente la testa nell'urto. Durante queste
considerazioni però la sua attenzione si era distolta dal
ratto che ancora teneva schiacciato da una delle braccia di Rashomon.
Il roditore, con l'unica mano che gli era rimasta, e nonostante
tremasse dal dolore e dalla fatica, estrasse dalla tasca della giacca
un piccolo boccino, poco più grande di una biglia.
Tardi Akutagawa si accorse dei suoi movimenti e quando, aumentando la
pressione di Rashomon su di lui, gli spezzo la schiena togliendogli la
vita, la piccola sfera metallica era già stata attivata.
Un qualche tipo di gas scuro prese ad uscire dal boccino, arrivando
presto al viso del corvino, il quale non riuscì ad impedirsi
di respirarlo. Il ragazzo cominciò tossire in maniera
convulsa, incapace di riprendere fiato e di cacciare il raschio in gola
che gli bloccava il normale afflusso d'ossigeno. "Porc..."
Imprecò tra se e se furioso con se stesso e la propria
stupidità, si era fatto fregare in maniera talmente ingenua
da vergognarsene. Forse solo Jinko avrebbe potuto far una figura tanto
misera come la sua.
- Uhuh... – una risata odiosa gli raggiunse le orecchie
mentre si trovava a cadere in ginocchio, annaspando per un po' d'aria,
le mani che si afferravano alla giugulare quasi tentasse di liberarsi
di una corda invisibile con cui stavano cercando di strangolarlo.
In una mossa disperata Akutagawa riuscì ad attivare Rashomon
perché attaccasse il proprietario di quella voce. Era certo
che non si trattasse di un alleato, anzi, se uno dei ratti era arrivato
a compiere un'attacca suicida per permettere la sua apparizione doveva
essere qualcuno di importante. Al momento però Ryunosuke si
trovava a soffocare e non era in grado di fare simili considerazioni.
Attaccava alla cieca nel vano tentativo di difendersi mentre l'effetto
del gas gli sottraeva prezioso ossigeno, lasciandogli la testa pesante,
privandolo della capacità di ragionare e di comprendere cosa
gli accadesse attorno.
Privo di forze e di fiato, ansimante come un uomo abbandonato nel pieno
del deserto, Akutagawa si trovò e perdere Rashomon, incapace
di mantenerne il potere, avendo consumato l'ultima energia rimastagli
sprecandola in maniera tanto inutile. L'ombra del demone creata dal suo
abito scomparve, e rimase solo, privo di difese. Eppure, ancora
reggeva. Aveva perso l'unica cosa che, in quel momento, avrebbe potuto
garantirgli la sopravvivenza, ma ancora non demordeva.
Sorreggendosi su un unico braccio e con gli occhi incapaci di mettere
bene a fuoco, sfidava ancora il proprio nemico invisibile ai suoi
sensi. Quel dolore non era nulla per lui, poteva sopportare. Poteva
sopportare e combattere.
Un colpo alla nuca, il tacco di una scarpa, lo gettò
però definitivamente a terra, - Ti si addice proprio questa
posa – chioccio la voce che aveva udito poco prima, - ...
come vedi alla fine il tuo destino ti porta sempre a riempirti la bocca
di terra, Akutagawa – gli parlava con familiarità,
come se lo conoscesse, ma il ragazzo non seppe riconoscerla. Adirato
però dal suo tono si trovò a rispondergli con un
sottile ringhio, non riuscendo ad articolare alcuna parola,
poiché non incamerava abbastanza aria per pronunciare una
sola frase. La sua ostinazione però non parve piacere
all'ultimo arrivato - che agli occhi ciechi di Akutagawa appariva come
una sagoma grigia indistinta -, il quale aumento la pressione della
propria suola sulla tempia del giovane, impedendogli gli rialzarsi,
ancorandolo al suolo.
Atsushi mugolò dal dolore, la testa che scoppiava come se
avesse ricevuto una martellata sulla fronte e il corpo pesante, quasi
si fosse legato dei pesi ai polsi e alle caviglie. Si trovava disteso
su un fianco, circondato da frammenti di legno di cui non conosceva la
provenienza, non ricordava di essere stato sbalzato contro Akutagawa e
dello schianto. Aveva perso conoscenza a causa di un brutto colpo alla
testa e non aveva idea di cosa fosse accaduto successivamente
all'esplosione del piccolo ordigno che aveva accecato entrambi.
Avvertiva solo il sole splendendere sopra di lui, il cielo limpido e i
gabbiani ululare in lontananza.
Era proprio una bella giornata, perfetta da coronare con un pranzo
sostanzioso. Il pensiero del cibo gli fece gorgogliare lo stomaco
mentre, le sue capacità rigenerative, portavano il suo corpo
a riprendersi velocemente. La tossina che gli aveva pietrificato i
muscoli sembrava essere già stata eliminata dal suo sangue
oppure il dolore lo aveva portato a reagire più in fretta al
veleno.
Solo successivamente Atsushi si ricordò dei ratti e della
battaglia che avrebbe dovuto essere in corso tra lui e loro.
"AKUTAGAWA!" pensò rizzandosi subito su a sedere. Non che
fosse preoccupato per il corvino, anzi, doveva temere per il destino
dei loro nemici non certo per il suo.
Si stupì però di non trovare alcuna traccia dello
scontro se non qualche macchia di sangue sul terreno, i cadaveri
lasciati da Rashomon dovevano essere stati spostati e questo fece
temere ad Atsushi di essere svenuto ben più di qualche
minuto. Probabilmente Akutagawa aveva finito il suo sterminio, cosa che
in realtà non gli competeva, e lo aveva lasciato
lì. Non si aspettasse qualcosa si diverso da parte sua,
erano nemici, sarebbe stato ben più strano se avesse deciso
di prestargli delle cure o di riportarlo alla sede dell'agenzia. Ai
corpi, invece, doveva averci pensato Dazai, era il genere di mansioni
che, viste le sue specifiche e conoscenze, più gli si
addicevano.
Una serie di colpi di tosse lo fece sussultare, facendogli comprendere
di non essere da solo e, quando volse il capo verso il punto dove
proveniva il rumore, fu sorpreso di trovare Akutagawa disteso a pancia
in giù sul terreno, ancora svenuto e che sembrava stentare a
riprendersi. In un primo momento non lo aveva notato per via dei resti
delle casse da cui era circondato, le quali nascondevano in parte il
corpo del corvino. Era forse svenuto come lui a causa dell'impatto? E
se sì, cos'era accaduto ai ratti? Erano scappati o qualcuno
li aveva sconfitti per loro? Cominciò a domandarsi Atsushi
confuso, incapace di comprendere gli avvenimenti che dovevano essersi
susseguiti mentre era privo di sensi.
Quatto quatto, temendo una sua reazione aggressiva, Atsushi si
avvicinò ad Akutagawa tenendosi carponi, non avendo ancora
troppa fiducia nelle proprie gambe, per quanto si stesse riprendendo
velocemente.
"Dov'è la sua giacca?" fu la prima cosa che si chiese quando
si fu avvicinato, il corvino era stato spogliato della sua inseparabile
giacca scura, e per Atsushi fu abbastanza strano vederlo vestito di
bianco, non per qualche motivo in particolare, lo trovava semplicemente
curioso.
- Akutagawa?.. Akutagawa – cercò di svegliarlo
chiamandolo e afferrandogli una spalla, agitandolo un poco. Non sapeva
bene come doveva sentirsi in quel momento: preoccupato per lui? No,
infondo erano nemici e una volta lo aveva persino spedito in coma
quindi sarebbe stato ridicolo da parte propria; doveva semplicemente
fregarsene e lasciarlo lì? Avrebbe potuto farlo, ma non
poteva dimenticare che, pur senza averne motivo, Akutagawa gli aveva
prestato il suo aiuto e pure salvato la vita. Non poteva semplicemente
ignorare le sue condizioni come se nulla fosse.
- Akutagawa - insistette, notando qualche reazione sul suo volto, la
fronte che cominciava a corrucciarsi, probabilmente infastidito dai
modi di Atsushi e una leggera ruga a formarsi tra le sopracciglia
aggrottate.
- Uhm..? – aprì finalmente gli occhi il corvino,
l'espressione intontita di chi è stato appena sbalzato fuori
da un sogno,
- Finalmente! – stava per aggiungere un "stavo cominciando a
preoccuparmi" ma si rese conto che sarebbe suonato al quanto stupido,
comunque notò che, in quelle condizioni da mezzo
addormentato, Akutagawa aveva delle movenze simili a quelle di un
gatto. Infatti prese a stiracchiarsi, allungando il braccio che era
rimasto scompostamente schiacciato sotto il suo corpo, sino a quel
punto, e la schiena. Sembrava il tipo di persona che la mattina
soffriva di pressione bassa perché sembrò volerci
un po' perché notasse la sua presenza, nonostante gli fosse
affianco. – Mi sai dire cosa è successo?
– gli chiese Atsushi cercando di tenere un'espressione calma
e cordiale, seppur faticasse a mantenersi tranquillo, cominciava a
sentire una certa pressione schiacciargli il petto, come se si
aspettasse che qualcosa di brutto potesse accadere.
- E tu sei..? – gli domandò Akutagawa inclinando
il capo da una parte, l'aria confusa.
Sì, l'istinto di Atsushi non sbagliava mai.
- Non ti ricordi di me, Akutagawa? – gli domandò
spalancando gli occhi dalla meraviglia, sperava stesse scherzando,
anche se non gli era mai sembrato che il corvino fosse il tipo da
scherzi simili.
- Akutagawa..? E' il mio nome? – pareva ancora più
confuso lui, sul volto un'espressione ben più meravigliata
di quella di Atsushi e forse pure vagamente dispiaciuta, sentimento che
normalmente mai l'altro avrebbe mostrato nei suoi confronti.
Capendo non fosse uno scherzo, Atsushi andò nel panico,
mentre un sorriso si gelava sul suo volto e il cuore gli sprofondava
nello stomaco.
- Da... Dazai! - chiamò a gran voce, il
più grande non poteva essere troppo lontano, si diceva
sentendo la propria voce che suonava piagnucolosa e un tantino
disperata,
- Dazai? – pareva sempre più confuso ed
incerto Akutagawa, e forse per osmosi un po' del panico di Atsushi
aveva contagiato anche lui.
"Forse lui è meglio se non te lo ricordi" si disse Atsushi
fissandolo come se fosse stato un t-rex appena uscito dall'uovo.
___
Vi ringrazio di essere arrivati a leggere sino a qui, sono
un po' arrugginita, ma prevedo di migliorare (^3^)/
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Capitolo 2 *** II ***
Quando Chuuya vide il numero di quello sgombro apparirgli sullo schermo
del cellulare, fu forte per lui la tentazione di rifiutare la chiamata.
Purtroppo, la sua coscienza, mista al senso pratico,
cominciò a martellargli con fare molesto e seccante contro
le pareti del cranio, facendogli notare che, se Dazai lo contattava,
probabilmente non era solo per infastidirlo. "Probabilmente" si
ripeté mentre le sue labbra si piegavano in una smorfia
seccata, ancora incerto se rispondergli o meno. "Ma non gli avevo
bloccato il numero?.." si domandò ricordando chiaramente di
averlo fatto, ma non chiedendosi neppure come l'altro avesse fatto a
togliersi dalla sua lista nera della rubrica. "Le vie di Dazai sono
infinite" aveva commentato una volta Mori, in tono allegro e scherzoso,
poiché si trattava di una chiacchierata ufficiosa
tra persone fidate, e con le quali poteva permettersi di perdere la
maschera serie e logica del Boss della PortMafia. Chuuya in
realtà non ricordava come fosse nato il discorso, il vino
era dannatamente ottimo, così pregiato e costoso che neppure
lui, che si riteneva un esperto, era mai riuscito a procurarsene una
bottiglia. Aveva quindi finito per ubriacarsi e non ricordava quasi
nulla, se non rari sprazzi di discorso. Forse era stato proprio lui a
chiedere al Boss il motivo per cui quel idiota di Dazai era considerato
da tutti (e forse un po' anche da Chuuya stesso), un genio
incommensurabile.
- Allora mi vuoi
rispondere o mi vuoi lasciare appeso qui ancora a lungo, Chuuya?
– non erano trascorsi che pochi secondi da quando il
cellulare del rosso aveva cominciato a suonare e lui si era perso nelle
proprie riflessioni, a fissarne lo schermo acceso che evidenziava la
chiamata in arrivo. Sentiva l'irritazione aumentare man mano che la sua
indecisione non si risolveva, lasciandolo bloccato lì come
un perfetto imbecille. Odiava che Dazai lo facesse sentire
costantemente in quel modo. Ancora maggiore però fu la
rabbia che gli salì dalle viscere quando si rese conto di
non essersi solo immaginato quel detestabile chiocciare, con quel tono
superficiale e falsamente allegro.
- Che senso ha
telefonarmi se poi mi spunti alle spalle? – chiuse la
chiamata con eccessiva forza, al punto da incrinare lo schermo del
cellulare. Era sorprendente come, seppur Dazai non gli avesse ancora
fatto nulla, l'istinto omicida che provava nei suoi confronti fosse
appena schizzato alle stelle.
- Oh-oh... ora dovrai
procuratene uno nuovo – finse un senso di stupore Dazai per
poi sogghignare quando l'altro lo fucilò con lo sguardo,
- ME LO DOVRAI
RIPAGARE TU, IDIOTA! – sbatté il pugno sul bancone
del bar, finendo però per colpire di nuovo il suo cellulare,
peggiorandone le condizioni.
- Chuuya, Chuuya,
Chuuya... – sbuffò lui alzando le spalle,
prendendo un fare melodrammatico mentre si sedeva sullo sgabello vuoto
affianco a quello dove prendeva il posto il rosso, – Non
posso certo pagare io per la tua idiozia – gli sorrise
affabile, facendo intanto un cenno al barman che, con movimenti esperti
e veloci, lo servì in pochi attimi. "Il signor barman non
dimentica mai una faccia" sorrise all'uomo dall'espressione fredda ed
austera, da cui era impossibile carpirne i pensieri, persino la barba
grigia era la stessa dell'ultima volta che era stato lì,
ormai quasi cinque anni prima. E nonostante vi fosse venuto quell'unica
volta, l'uomo ricordava perfettamente la sua ordinazione di allora.
Quella che gli aveva appena servito.
- Sei venuto qui solo
per molestarmi? O oltre ai tentativi di suicidio hai preso pure
l'abitudine di fare da stalker alle tue vecchie conoscenze? –
lo continuava a fissare con uno sguardo colmo d'astio l'ex-partner,
appoggiato ora con un gomito al bancone, in parte voltato verso di lui
mentre sorseggiava la propria ordinazione, un vino rosso presentato in
un calice colmo per due quarti. E di cui Dazai poteva indovinare la
qualità e l'annata solo dal profumo.
- Semmai dovessi
spiare qualcuno per diletto allora sarebbe di certo una bella signorina
a cui chiederei poi di compiere un doppio suicidio con me –
sbuffò fingendo un'aria offesa, "come se ci fosse il bisogno
di seguirti per sapere dove cercarti" pensò riservandogli
uno sguardo di sufficienza.
Un giorno la sua
abitualità lo avrebbe potuto portare alla morte,
osservò mentre l'altro finiva di svuotare il bicchiere.
Tutti quelli che lo conoscevano almeno un po' sapevano che, nel tardo
pomeriggio del suo giorno libero, Chuuya era solito recarsi a quel pub,
piuttosto piccolo all'interno e abbastanza anonimo all'esterno, dalla
luce soffusa che ricreava una sorta di intimità, ma che in
realtà nascondeva ben altro. Il barman, con le sue spalle
larghe e il fare rigido, nonostante le mani abili, era un informatore
eccezionale, il migliore a cui Chuuya potesse rivolgersi. Ovviamente,
persino nella PortMafia erano in pochi a sapere che il motivo per cui
il rosso si recava lì, tanto assiduamente, era per ricevere
informazioni e mettere in giro voci fasulle. Dazai considerava quello
zietto un simpaticone, per quanto non gli avesse mai visto cambiare
espressione, l'aveva incontrato una sola volta eppure lo aveva
già preso in simpatia. Nonostante non ne capisse neppure lui
il motivo, aveva già i propri contatti e di lui non aveva
mai usufruito.
- Comunque no...
– sbuffò infine Dazai, ammettendo il motivo per
cui gli si era avvicinato, - Non sono qui per piacere, soprattutto
perché, trattandosi di te, non è mai un piacere
–
- E' un sentimento
ricambiato, fidati... – schioccò la lingua Chuuya,
seccato dall'altro sino al punto che si tratteneva per poco da estrarre
il coltello e puntarglielo alla gola, - Allora perché sei
qui a rovinare la giornata ad entrambi? – insistette usando
sempre quel tono sgarbato, sperando di rendergli chiaro il concetto che
doveva sparire al più presto dalla sua vista.
- Sei già
stato informato dell'attacco al porto di sta mattina, vero? –
si fece di colpo serio Dazai, smettendola con i giochetti giusto per
punzecchiarlo. Chuuya annuì, appoggiando il calice vuoto sul
bancone, facendo segno al barman che non serviva riempirlo per il
momento,
- Sì, per
quanto non fosse un punto di nostro interesse siamo stati informati,
anche se sarebbe stato difficile non notare il fumo e le fiamme
– confermò ciò che l'altro sapeva, -
Allora sono vere le voci che tu sia invischiato, eh? Cos'è
sei inciampato per sbaglio in un covo di Ratti? – lo derise
con fare velenoso, un sorriso pungente sulle labbra.
- Non fingere di non
sapere perché i Ratti vogliono farmi la pelle, Chuuya
– cinguettò tornando per un momento a quell'aria
superficiale e allegra con cui era solito nascondere il proprio istinto
omicida e la sue reali intenzioni. - Piuttosto, sai che uno dei vostri
è stato coinvolto? – mantenne il sorriso affabile,
gongolando internamente nel vedere la reazione di stupore dell'altro
che, seppur appena percettibile, per un istante gli
attraversò lo sguardo.
Non nascondendo un certo disagio, Chuuya si gratto la nuca, le labbra
che si stendevano in una smorfia nervosa,
- Akutagawa, vero?..
– si portò una mano al viso con fare esasperato. -
Higuchi era tornata alla base senza di lui e incapace di dare una
spiegazione plausibile per la sua assenza. Nessuno però ha
indagato visto che comunque avevano concluso la loro missione senza
inconvenienti, e perché si sa com'è fatto
Akutagawa – alzò le spalle colmo di rassegnazione.
- Mori ha deciso di
dare più corda al suo guinzaglio? –
intuì Dazai, notando che a Chuuya mancava il tono di
rimprovero con cui era solito riprendere le mancanze del corvino, segno
che probabilmente dall'alto era stata concessa una certa liberta ai
movimenti del Cane rabbioso della PortMafia.
- Visto chi
è stato il suo mentore, spero solo che non ci si impicchi
– sbuffò Chuuya un poco amareggiato, se Akutagawa
era finito nelle mani dell'agenzia com'era accaduto con la sorellona
Ozaki qualche tempo prima, forse Dazai era venuto da lui per accordarsi
sul suo rilascio? Certo, Akutagawa non era un ostaggio prezioso come la
sorellona, però perderlo non era nelle intenzioni della
PortMafia, né alla fine aveva fatto qualcosa per meritarsi
di essere abbandonato da essa (per quanto una volta si fossero
divertiti a far prendere uno spavento ad Higuchi dicendole il
contrario, ma si trattavava solo di un espediente per metterla alla
prova). Era un uomo della PortMafia, e anche ammettendo che Chuuya non
approvasse del tutto il suo modo di agire, avrebbe comunque fatto quel
che andava fatto per riscattarlo e liberarlo. Come membro esecutivo era
suo dovere farlo e Dazai sapeva che, quando si trattava dei propri
uomini, Chuuya aveva un senso del dovere tale da vincolarlo,
obbligandolo a fare qualcosa.
- Allora, immagino che
ora mi dirai che le ferite riportate da Akutagawa nello scontro erano
tali da impedirgli di muoversi e tu sei stato così magnanimo
da raccoglierlo e portarlo all'agenzia per prestargli le prime cure, e
adesso lui si trova lì – cercò di
arrivare al punto il rosso, stringendo il pugno nel tentativo di
trattenersi ed esplodere, odiava essere così prevedibile
agli occhi di Dazai.
- Fuochino –
gli fece segno lui per dirgli che, di un poco, si è
avvicinato alla realtà, - Vero che ora Akutagawa
è all'agenzia; vero anche che l'ho portato lì per
sottoporlo ad una visita medica, ma assolutamente inesatta la parte in
cui Akutagawa non sarebbe stato in grado di muoversi. Il suo corpo non
ha subito ferite tali da paralizzarlo e, anzi, è arrivato
all'agenzia sulle proprie gambe – gli elencò i
fatti cinguettando allegro, come se ne fosse
divertito.
- E perché
ti avrebbe seguito all'agenzia se non era ferito? -
sbottò Chuuya, irritato dal suo atteggiamento, - Che
è successo Dazai? –
- Uff... come sei
nervoso - sbuffò, già stanco dell'atteggiamento
iroso e squillante del altro, - Non ho detto che non fosse ferito ma...
– fece un gesto con la mano come se gli sfuggissero le
parole, - Ecco diciamo che, in sostanza, il suo corpo sta bene
è però il suo stato mentale ad essere
preoccupante – non seppe dargli una spiegazione
soddisfacente, tenendosi sul vago.
- Aspetta...- il
cervello di Chuuya accantonò per un momento la questione
delle condizioni del ragazzo, per quanto la riservatezza che Dazai gli
mostrava sull'argomento lo mettesse in allarme. C'era un'altra cosa che
gli premeva sapere, un dubbio che ora gli squillava nelle orecchie
simile al trillo di un campanello. – Non mi hai ancora
spiegato come ha fatto Akutagawa ad essere coinvolto nello scontro - lo
fissava con uno sguardo sospettoso e vagamente seccato, stava finendo
coinvolto in uno dei suoi soliti giochetti, lo sapeva.
- Si è
spontaneamente gettato nella mischia... – chiocciò
candidamente Dazai, riservando per un momento un'occhiata al barman,
che al momento si stava occupando di pulire i bicchieri, chiedendosi
perché a pelle lo avesse trovato un uomo simpatico.
- Senza che "qualcuno"
lo istigasse, dandogli magari una piccola spintarella? –
- Nessuno
può avergli dato un incentivo – manteneva la sua
sorridente faccia da poker,
- Osamu "Ulisse"
Dazai! – sbatte con violenza il pugno sul bacone, - Hai di
nuovo manipolato quel ragazzo?! –
sbottò.
- Io manipolo chiunque
Chuuya, lo sai – alzò le spalle con fare
drammatico, - Non ammetto nulla ma, se avesse potuto essere utile per i
miei scopi, avrei potuto coinvolgerlo nei miei piani sfruttando
l'influenza che ho mantenuto su di lui –
- Quindi, qualunque
cosa gli sia accaduta è colpa tua! - ringhiò
Chuuya, sentendosi sempre più frustrato man a mano che
continuavano a discutere. Parlare con Dazai si rivelava sempre un
impresa.
- E' comunque adulto,
quindi non vedo il motivo per cui ti scandalizzi tanto – a
quell'affermazione il rosso alzò gli occhi al cielo, come se
la sua età contasse qualcosa.
- Perché
non mi racconti cosa è esattamente accaduto? Questo girarci
attorno comincia a darmi sui nervi – lo incitò
sospirando stanco.
Kunikida
fissò con uno sguardo esterrefatto la scena che gli si
presentava davanti. Era uscito per massimo trenta minuti, il tempo per
fare una commissione per il capo, passare dal minimarket per comprare
vari snack per Ranpo e alcolici per Yosano ed era subito tornato
lì.
Perché non
appena si allontanava doveva sempre accadere qualcosa? Avvertiva
già un principio di mal di testa premergli contro la base
del cranio e una smorfia gli piegava già le labbra, pronto
per pronunciare quel nome tanto detestabile e che sapeva essere fonte
di tutti i suoi guai.
- Guarda che finirai
per diventare calvo se sei sempre così stressato, Kunikida
– gli disse Ranpo con voce annoiata mentre saltava
giù dalla propria scrivania, in cima alla quale era seduto,
probabilmente in sua attesa, - Hai preso quello che dovevi? - gli si
avvicinò rubandogli il sacchetto pieno di dolci senza che
l'altro avesse il tempo di reagire.
- Che... che sta
succedendo? - riuscì a trattenersi dall'esplodere il biondo,
lo preoccupava la prospettiva di perdere i capelli,
- Ah, nulla di che...
un attacco di amnesia, si spera momentanea - tornò a sedersi
l'impareggiabile detective mentre recuperava uno spuntino dal sacchetto
di plastica,
- Dazai? -
sospirò Kunikida,
- Sì,
centra qualcosa, ma non era di certo sua intenzione –
sentenziò, più interessato ad aprire le proprie
patatine che alla situazione che si era venuta a creare.
- Ed è qui
perché? - insistette ad interrogarlo l'occhialuto,
poiché sembrava essere l'unico disposto a spiegargli la
situazione, e probabilmente solo perché aveva appena
rifornito la sua riserva di snack.
- Ha voluto farlo
visitare da Yosano – non volle divagare mentre si riempiva la
bocca di schifezze varie,
- E la diagnosi
è...- cominciava ad irritarlo dover faticare tanto per avere
una qualche risposta più completa. Ranpo però,
invece di parlare, lo fissò con un lungo momento, con quel
suo sguardo eternamente socchiuso, e Kunikida ebbe la sensazione di
essere appena stato considerato un idiota. - Capito -
sospirò, - La diagnosi è amnesia, giusto? -
- Risposta esatta! -
si complimentò con lui in tono infantile il super detective
mentre, rimanendo seduto in cima alla scrivania, allungava la mano per
dargli una pacca in cima alla testa. - Good boy – e gli
cedette una patatina come premio,
- NON SONO UN CANE! -
sbottò a quel punto Kunikida, incapace di digerirlo oltre,
per poi sbuffare stanco, recuperando il controllo. - Comunque,
ciò che intendevo era da cosa era causata questa "amnesia" -
l'apostrofò poiché gli sembrava una situazione
troppo bizzarra per essere vera.
- Uhmm...- sembrava
sempre più concentrato sulla propria merenda che su di lui
Ranpo, - Yosano ha detto che non c'erano danni tali da poter provocare
un amnesia, però ha supposto si potesse trattare di uno
stato temporaneo causato da uno shock, un po' di riposo e dovrebbe
tornare in se – gli spiegò sbuffando, trovandosi
ad usufruire di più parole di quanto volesse.
- Io però non credo sia così semplice –
le labbra del biondo occhialuto si piegarono istintivamente in una
smorfia alle sue parole, le intuizioni dell'altro erano sempre esatte,
non c'erano possibilità che si stesse sbagliando.
- E cosa credi allora?
- osò fargli una simile domanda e un quel punto un sorriso
felino si dipinse sul viso del geniale detective,
- Potrebbe trattarsi
di una qualche abilità che ha effetto su di lui -
- Ma se lo fosse non
sarebbe bastato Dazai per fargli tornare la memoria? -
obbiettò giustamente, provocando un espressione gongolante
da parte del altro.
- Dipende -
schioccò la lingua divertito, facendo il misterioso tanto
per giocare un po', tronfio del proprio sapere, - Sai come sono le
abilità, non ce ne è una uguale all'altra e,
oltre ai loro effetti, anche il loro funzionamento cambia -
- Quindi sarebbe
un'abilità che Dazai non può annullare? -
Kunikida si sentiva lasciato indietro dal suo ragionamento e sapeva
essere proprio quell'obbiettivo di Ranpo, adorva far sentire gli altri
stupidi di fronte alla sua genialità.
- Non c'è
abilità che l'Inclassificato non può
annullare...- ribatté sogghignando ammirando con
fare scrupoloso una patatina, come se in essa vi trovasse delle
fattezze familiari, prima di portarsela alle labbra, - Semplicemente
non è Akutagawa la persona che Dazai deve toccare, ma chi
agisce su di lui, quindi l'utilizzatore dell'abilità -
Kunikida
sbuffò, prendendosi stanco la fronte con una mano, quindi se
si trattava davvero di un utilizzatore dovevano prima di tutto trovarlo
per risolvere la faccenda, e non aveva alcuna intenzione di fare degli
straordinari per qualcosa che, aveva già deciso,
essere colpa di Dazai.
- Dove sono Naomi e
Tanizaki? Non dovrebbero essere qui? - volle cambiare discorso,
- Sai
com'è... - alzò le spalle Ranpo come se la
giudicasse una cosa di poca importanza, - L'ultima volta che si sono
visti non era andata troppo bene -
- E dov'è
Dazai in tutto questo? - schioccò la lingua con fare
irritato incrociando le braccia al petto, seccato ed esasperato da
quella piattola spreca-bende.
- Non l'ha detto, ma
immagino sia andato da un suo contatto nella PortMafia per informarlo
della situazione - finì di svuotare il sacchetto di patatine
e si preparò a recuperare un altro snack, - Quando
tornerà avrà già deciso come muoversi
-
- Aspetta...- ebbe un
brivido che gli diede una pessima sensazione, - Cosa intendi? -
- Il capo gli ha dato
il via libera, quindi ora "quello" - incrociò le braccia
dietro la testa, stiracchiandosi un poco, simile ad un gatto, -
… è un problema suo -
- Dazai si
è fatto carico della situazione di sua spontanea
volontà? - "un lavativo come lui?" aggiunse mentalmente.
- Non proprio... -
piegò le labbra in un'espressione annoiata Ranpo, trovava
superfluo tutto quel parlare di cose per cui non aveva il minimo
interesse, - Credo Atsushi abbia piagnucolato un po' sentendosi in
colpa per l'accaduto -
- E questo
lo avrebbe convinto? - se era così facile piegarlo, allora
Kunikida avrebbe potuto sfruttare Atsushi per convincere Dazai a fare
il proprio dovere.
- No, ma a quanto pare
Akutagawa gli serve e, la condizione in cui si trova ora, non lo aiuta
–
- Ah, ecco...- "Come
se potesse diventare d'improvviso una brava persona" si disse tra se e
se pensando che, se mai fosse accaduto, quello sarebbe stato pure il
giorno in cui il mondo sarebbe finito.
Nel mentre Atsushi
fissava con un misto di colpevole curiosità i due detective
più grandi che discutevano, consapevole di essere il fulcro
della loro conversazione e di come, assieme a lui, lo fosse pure
Akutagawa. Aveva fatto sedere il corvino su una sedia posta vicino alla
finestra, in modo che il suo viso fosse illuminato dalla luce. Si stava
preoccupando di medicarlo, disinfettandogli il viso con dei batuffoli
di cotone e dell'alcool, aveva riportato dei tagli un po' su tutta la
faccia e doveva controllare che qualche scheggia non vi fosse rimasta
incastrata. Probabilmente se li era procurati quando erano stati
scagliati contro quelle casse di legno durate la lotta, "se solo non
fossi svenuto" rifletteva colpevolizzandosi per l'accaduto,
autocommiserandosi come al suo solito.
- Brucia?..-
domandò al corvino cercando di sorridergli, pur consapevole
che il proprio era un sorriso forzato. Si stava occupando
così di lui perché Yosano gli aveva affidato quel
compito, ma non poteva evitarsi di provare un certo disagio per una
simile situazione.
Gli dava un senso di
stranezza avere a che fare con un Akutagawa ridotto in quelle
condizioni, soprattutto perché era abituato a percepire una
sorta di pericolo ogni qual volta lo avvertisse nei paraggi. Ora
però dal corvino non sentiva arrivare niente, era come se
non fosse lui, quasi non esistesse. Il suo stesso sguardo color nero
pece: aperto, rilassato e non reso aguzzo da una qualche minaccia di
morte; non pareva più quello con cui si era abituato a
conoscerlo, privo della solita furia latente che celava.
- Non tanto... - gli
rispose tenendo gli occhi bassi a fissare il pavimento, era sulle spine
e Atsushi dubitava che avesse capito qualchecosa degli ultimi
avvenimenti, sembrava confuso e un poco impaurito. Vederlo in quelle
condizioni gli procurava emozioni contrastanti, da un parte non poteva
dimenticare che si trattava di Akutagawa, l'odiato, violento,
insopportabile Akutagawa; Dall'altra non poteva non sentire una certa
compassione nascere in lui, non riusciva ad immaginare come si potesse
sentire. Risvegliarsi in un mondo in cui tutti ti erano sconosciuti e
in cui non ti era neppure concesso ricordare il proprio nome doveva
essere terribile. Per quanto Atsushi portasse sulle spalle un passato
tutt'altro che facile, non avrebbe mai voluto provare ciò
che era toccato al altro. - Ehm, grazie... - aggiunse titubante
Akutagawa, esitando un momento prima di continuare, - Nakajima,
giusto?- gli chiese guardandolo con una leggera preoccupazione sul
volto quando l'altro parve irrigidirsi alle sue parole. I muscoli di
Atsushi parevano essersi tramutati in pietra, quasi fosse appena stato
colpito da un masso, il viso di un cerbiatto accecato dai fari di
un'automobile. - Tutto bene? - gli domandò mostrandosi
apprensivo, e l'altro dovette reprimere la commozione, era la prima
volta che lo chiamava in maniera normale e non con il solito soprannome
"Jinko" che, sulle sue labbra, aveva sempre un suono
dispregiativo.
- Tutto bene -
annuì lui, continuando a tamponargli gli ultimi graffi che
aveva sul viso,
- Ma... stai
piangendo? –
- E' allergia! -
negò l'evidenza tirando su rumorosamente con il naso, era il
primo ad usarne il cognome per rivolgersi a lui. Non era pronto
psicologicamente. - Comunque, sei più grande di me di due
anni, non serve che usi l'onorifico – volle specificare,
sentendosi onorato ma allo stesso tempo in imbarazzo, si trattava pur
sempre di un suo nemico.
- Quindi, come dovrei
chiamarti? – esitò di nuovo, - Atsushi? -
- No! Così
è anche peggio! - se avesse cominciato a chiamarlo
per nome (come in realtà facevano già tutti
poiché era il più giovane del gruppo), sarebbero
sembrati amici e la cosa si sarebbe fatta ancora più strana.
- Chi-chiamami solo Nakajima, senza onorifico, okay? - trovò
il compromesso più adatto mentre il corvino annuiva,
accettandone la proposta, non meno confuso dal suo comportamento. "Che
genere di rapporto avevamo?" non poteva far a meno di chiedersi,
avvertendo un nodo di malinconia a premergli sulla gola, rendendogli
difficile deglutire o anche solo respirare. Non era particolarmente
spaventato dalla situazione, e questa la riteneva già una
stranezza. Una persona normale non sarebbe stata terrorizzata nel
svegliarsi con una tale amnesia da non ricordare neppure il proprio
nome? Perché lui invece non sentiva nulla se non un senso di
confusione e quella sottile malinconia? C'era una stretta al cuore e un
vuoto interiore che non riusciva a spiegarsi. Si sentiva un poco
abbattuto, ma niente di più.
- Potresti ripetermi
il mio nome? - gli domandò fissandolo con aria colpevole,
sentendosi un poco idiota nel averlo dimenticato ancora, doveva essere
come minimo la quarta volta che glielo chiedeva, ma non riusciva
proprio ad entrargli in testa. Non lo sentiva proprio, ma non dubitava
fosse il suo o che qualcuno stesse cercando di ingannarlo.
Già ad una prima occhiata gli era palese che, qualcuno come
Atsushi, non fosse in grado di mentire, non in maniera convincente
almeno.
- Akutagawa Ryūnosuke,
è questo – il corvino non poteva far a meno di
notare come l'altro sembrasse imbarazzato a dire il suo nome e, visto
come poco prima si era trovato in difficoltà quando era
stato lui a chiamarlo, si chiedeva come si rivolgessero tra loro di
solito. Atsushi non sembrava abituato ad essere chiamato per cognome,
quindi non lo interpellava neppure in quel modo.
- Akutagawa...-
ripeté lentamente tentando di imprimerselo per bene nella
testa, sentendo però quel nome svanire pian piano
così come la sua voce sfumava,
- Tranquillo, Dazai
penserà a qualcosa - tentò di rassicurarlo
Atsushi, forse intuendo le sue difficoltà. In risposta
però il corvino gli rivolse uno sguardo colmo di
scetticismo.
- Quello sembrava una
persona sospetta - commentò con voce piatta, - Ci si
può davvero fidare?– lo interrogò,
- M-ma certo che
sì! – il ragazzo mannaro sapeva di non risultare
molto convincente con il sorriso tirato e la voce tremante, - E' vero
che Dazai è un tipo sospetto... però si
può avere piena fiducia in lui - provò a prendere
un tono più convincente, - Sì, ecco.
Più o meno – ma cadde di nuovo nell'incertezza
mentre si grattava la guancia con fare nervoso. "E' affidabile quando
non si ricorda quale sia il suo hobby preferito" si corresse
mentalmente, pensando che non fosse il momento migliore per rivelare
che "quello spreco di bende ambulante fissato con il suicidio", era
l'ex mentore del corvino con cui aveva un rapporto d'ammirazione/odio
non del tutto chiarito.
- Atsushi –
lo chiamò di colpo Kunikida che, con un gesto della mano,
gli fece segno di avvicinarsi, - Dobbiamo parlare –
aggiunse le due parole che nel linguaggio universale stavano
a significare "sei nei guai", e per cui il ragazzo, cercando lo sguardo
del più grande dietro le lenti degli occhiali, si
sentì rabbrividire pensando di ricevere una bella lavata di
capo.
- Hai sempre
quell'aria da animaletto spaventato... sei patetico –
sbuffò Akutagawa inclinando un po' il capo con aria seccata
mentre si batteva con l'indice sulla tempia, per un momento parve il
solito cane rabbioso della portmafia, ma un istante dopo il suo sguardo
si spalancava dallo stupore, colmo di meraviglia. - Non so
perché l'ho detto – ammise reclinando il capo in
avanti, nascondendo il viso,
- N-non preoccuparti
– cercò di rassicurarlo Atsushi, altrettanto
stupito dal suo repentino mutamento, ma in parte anche rincuorato (per
quanto non ne capisse il motivo), per aver ritrovato l'Akutagawa che
conosceva in quelle spoglie all'apparenza così fragili.
- Atsushi! –
insistette a chiamarlo Kunikida, visibilmente irritato dal fatto che
stesse esitando a raggiungerlo.
- A-arrivo!
– fece per andare, ma si sentì tirare, trattenuto
per il polso dal corvino, il quale intanto si obbligava a fissare con
ostinazione il pavimento, probabilmente imbarazzato per il proprio
gesto e per cui lasciò quasi subito la presa su di lui senza
scambiare uno sguardo.
Atsushi
avvertì, dall'altra parte del ufficio, la pazienza di
Kunikida arrivare al limite e dovette far forza su se stesso per
ignorare il senso di tenerezza che Akutagawa gli aveva appena trasmesso
e voltargli le spalle. Doveva ricordarsi che era un mafioso
pluriomicida, non poteva mostrarsi addolcito con lui solo
perché era in quello stato, poiché quel che era
in quel momento non cancellava ciò che era. "Due pesi, due
misure Atsushi?" avvertì la voce di Dazai parlargli nel
cervello, e la cosa lo preoccupo non poco, "E la piccola Kyouka,
allora?" sentì la voce prendersi gioco di lui e della sua
ingenuità. "Visto che è carina le si
può perdonare tutto?"
"KYOUKA E' DIVERSA!"
replicò con forza Atsushi nella propria testa, per sedare la
voce, senza accorgersi che, esternamente, aveva stretto i pugni con una
tale forza da farsi male e la sua espressione aveva preso una piega
spaventosa. "LEI E' STATA COSTRETTA A FARLO"
"Tutti sono costretti
a farlo, all'inizio. Il fatto è questo, piccolo Atsushi:
nella vita o ti adatti o muori" lo punse con la sua gelida ed
ineccepibile logica la voce, facendo scendere su di lui un senso di
gelo.
- Atsushi, tutto bene?
– la voce di Kunikida lo strappò ai suoi pensieri
facendolo sussultare, non si era accorto di aver già
percorso tutto l'ufficio e di essergli ora davanti. I due detective lo
fissavano con aria curiosa, e se il biondo occhialuto pareva confuso,
il sorriso mellifluo dipintosi sul viso di Ranpo gli diceva che,
sicuramente, aveva già intuito quali fantasie lo
disturbassero.
- S-sì
– Atsushi cominciò a notare che quel giorno
balbettava fin troppo anche per i suoi canoni, cercò di
darsi un tono schiarendosi la voce, - Sì, mi stavo solo
chiedendo quanto tempo ci vorrà prima che Dazai trovi una
soluzione a questo pasticcio – fece senza più
tremare, seppur i suoi occhi non nascondessero un senso di dispiacere
misto a colpevolezza per quella situazione.
- Non fare quella
faccia – lo rimproverò a quel punto Ranpo,
interrompendo Kunikida che pareva stesse per parlare, - Infondo avete
cercato più volte di eliminarvi a vicenda, se anche la sua
amnesia fosse colpa tua non dovrebbe importarti, giusto? –
gli fece notare con il suo solito modo infantile, mentre si
stiracchiava ancora con uno sbadiglio, incrociando le braccia dietro la
testa.
- Giusto –
convenne Atsushi, seppur esitante, sapeva di non doversi sentire
così in ansia per Akutagawa e le sue condizioni. Eppure...
- Tu comunque non
dovresti colpevolizzarti per principio – si
sistemò gli occhiali Kunikida mantenendo un tono freddo e
severo, ad un passo dalla rabbia isterica con cui era solito sfogare i
suoi malumori. – E' ovvio che sia tutta colpa di Dazai
– probabilmente si stava trattenendo solo per poterla
riversare sul giusto colpevole. Era un ex professore e non poteva non
vedeva in Atsushi qualcuno da istruire e proteggere. – Ranpo
mi ha raccontato a grandi linee cosa sia accaduto – gli disse
sbuffando, afferrandosi la radice del naso sentendo già
arrivare un principio di mal di testa, - Perché nessuno mi
aveva informato che l'incarico al magazzino era solo una copertura?
– borbottò tra se e se, evitando per un soffio che
gli scoppiassero i nervi.
- M-mi dispiace?
– non sapeva esattamente come rispondergli il ragazzo,
poiché neppure lui ne era a conoscenza prima di trovarsene
già coinvolto,
- Non sei tu che ti
dovresti scusare – sospirò il biondo affranto,
temendo che ben presto la calvizie lo avrebbe colto se avesse
continuato ad avere un partner come Dazai. – Siete stati
attaccati da un gruppo di Ratti, giusto? Durante lo scontro cosa stava
facendo Dazai? – Ranpo si era annoiato presto a dargli delle
spiegazioni e aveva tralasciato certi particolari,
- Ecco... sul momento
non lo sapevo, ma dopo Dazai mi ha detto che, mentre io e Akutagawa
eravamo impegnati a distrarre i Ratti, lui è andato ad
occuparsi della loro base stanziata sotto al porto –
- Questo spiega la
seconda esplosione – disse afferrandosi con fare pensieroso
il mento con una mano, i disordini avvenuti al porto non erano un
mistero per nessuno. In meno di due ore la notizia si era sparsa
già per tutta Yokohama con il segreto timore che si stessero
nuovamente realizzando gli eventi di soli pochi anni prima. Una paura
nata pure in Kunikida mentre udiva quella voce appena sussurrata per
strada, scoprire che la causa di tutto quel trambusto invece di un
gruppo terroristico era semplicemente Dazai, in parte lo aveva
rincuorato. Non per questo però era meno furioso con lui.
Causare incendi ed esplosioni al porto? Ma cosa aveva in testa quel
inutile spreco di bende e d'ossigeno?! - Tsk... –
schioccò con fare seccato la lingua, mentre si sistemava gli
occhiali, aveva l'esigenza di sbraitare contro al suo partner, ma lui
sembrava essersi volatilizzato, - Vista la gravità della
situazione e dei danni che si sono creati, e vista l'assenza di Dazai
– sottolineò quell'ultima parte della frase con
tono pesante ed iroso, - ... toccherà a te stipulare un
rapporto, Atsushi –
- A me?..- lo sguardo
del ragazzo si spalancò colmo di una timorosa meraviglia,
non gli sembrava il momento più adatto per pensare alle
scartoffie.
- Sì, a te
– ripeté Kunikida, - Ti ho già mostrato
come si faceva, ricordi? –
- Sii, certo
– aveva il tono esitante di quando si trovava in difficolta e
l'espressione colpevole di chi cerca una via di fuga per sottrarsi a
qualcosa che non ha per nulla voglia di fare. – Al momento
però dovrei occuparmi di Akutagawa, quindi... non
è che potrei farlo più tardi? –
tentò di procrastinare, trovandosi così a
ricevere in risposta uno sguardo luciferino da Kunikida, - Lo... lo
faccio subito – si sentì di colpo piccolissimo di
fronte alla furia a malapena trattenuta dal biondo.
- Bravo ragazzo
– convenne a quel punto Doppo, sistemandosi per l'ennesima
volta gli occhiali, - In più non mi sembra che al momento
Akutagawa abbia bisogno di un qualche controllo particolare –
aggiunse volgendo lo sguardo al corvino, il quale aveva in
realtà sempre tenuto sott'occhio durante la loro
conversazione non fidandosi di lui. Per tutto il tempo però
Akutagawa non aveva fatto nulla, si era limitato a guardare fuori dalla
finestra con aria assorta, senza alzarsi dalla sedie dove Atsushi
l'aveva lasciato, né provando ad origliare le loro parole.
- Non che non mi fidi
della diagnosi di Yosano, ma siamo certi che si tratti di amnesia e non
stia semplicemente fingendo? - espose apertamente il suo dubbio
Kunikida, chiedendo con lo sguardo l'opinione del ragazzo dai capelli
bianchi, il quale era tra loro, dopo Dazai, quello che conosceva meglio
il possessore di Rashomon.
- Mi chiama
“Nakajima", e senza dover trattenere una risata o un insulto,
DEVE essere amnesia – Atsushi ammetteva con se stesso che,
nella sua ingenuità, neppure per un istante aveva pensato
che l'altro potesse fingere. Per come lo conosceva non credeva
possibile per il corvino recitare tanto allungo e così bene,
soprattutto se di fronte a Dazai o dovendo dire cose imbarazzanti come
il nome di Atsushi o nel chiedere il proprio.
"Ho fame..." si
trovava intanto a sospirare Akutagawa, avvertendo un certo languore
allo stomaco accentuato dalla noia di essere stato abbandonato a se
stesso. Cominciava a stancarsi della situazione, e iniziava sul serio a
chiedersi che tipo di persona fosse. "Vorrei saperl-.."
Una fitta
al cervello gli impedì di indagare oltre su se stesso,
un'emicrania debilitante lo colpì, provocandogli una forte
nausea e facendogli trovare insopportabile, dolorosa, anche solo la
luce del sole che penetrava dalla finestra da cui aveva osservato
l'esterno sino a quel punto.
Si sentì
cadere, scivolare a terra mentre cercava riparo dalla luce e dai rumori
che lo circondavano. Prima non aveva neppure notato il suono delle
automobili che percorrevano la strada sottostante, ora invece erano
rumori assordanti, capaci di provocagli una sofferenza tale da fargli
credere che orecchie e cervello fossero sul punto di sanguinargli dal
dolore.
Finì
carponi sul pavimento, la sedia ribaltata su un lato, lo sguardo
spalancato, straziato da quel malessere di cui non gli era chiara la
causa. Si afferrò il collo, prendendo a tossire, qualcosa
aveva cominciato a raschiare nella sua gola, rendendogli impossibile
deglutire e riempiendogli la bocca con un sapore disgustoso, simile
alla bile mescolata al ferro, il quale andò ad aumentare il
suo senso di nausea. I conati lo assalirono mentre ai lati de sui occhi
si erano formate un serie di lacrime che presto gli bagnarono le
guance. Tentò di tapparsi la bocca continuando a tossire,
sentendosi soffocare dalla saliva che aveva preso a riempirgli la gola
andando nei polmoni, non era in grado di deglutirla.
Non riusciva a respirare.
- Akutagawa! -
urlò Atsushi, notando il suo malessere e correndogli subito
affianco, pareva sul punto di chinarsi per sostenerlo, ma all'ultimo
qualcosa lo fermò, l'espressione sempre preoccupata ma
esitante. Non sembrava sapere come doveva comportarsi.
Ryunosuke
alzò il viso, cercando ancora di trattenere i conati e i
colpì di tosse, lo sguardo reso lucido dalle lacrime mentre
incrociava gli occhi dell'altro ragazzo, il quale parve spalancarli
ancor di più dalla sorpresa, rendendo maggiormente evidente
la strana colorazione delle sue iridi.
"Ma di che colore
sono?" si chiese Akutagawa incapace di pensare lucidamente, sentendo le
testa farsi di colpo leggera mentre una serie di parole, di cui non
coglieva il senso, usciva dalla bocca di Atsushi. Erano probabilmente
frasi rivolte a lui, ma gli suonavano solo come un fastidioso rumore
indefinito, del tutto incomprensibili.
Sofferente,
avvertì le palpebre farsi pesanti, i polmoni del tutto
svuotati dall'aria come quando si riceveva un brutto colpo allo
stomaco. La tosse finalmente gli diede tregua.
- Akutagawa...- lo
chiamò di nuovo Atsushi, afferrandolo prima che scivolasse
lungo disteso per terra. Con sua sorpresa lo trovò ancora
cosciente ad afferrarsi alla sua camicia con forza, come indeciso se
allontanarlo o reggersi a lui. Le palpebre sembravano ricadere simili a
macigni sugli occhi del corvino, il quale lottava per rimanere presente
a se stesso, il corpo scosso da un leggero tremito mentre respirava
affannosamente, cercando di incamerare quanta più aria gli
fosse possibile dopo quel senso di soffocamento che lo aveva assalito.
Cosa significava un
simile attacco? Per lui era normale? Soffriva di qualche malessere? Un
senso d'angoscia e paura fece scendere il gelo nelle viscere di
Ryunosuke e ad Atsushi parve sentire la sua temperatura corporea calare
vertiginosamente, avendolo attaccato a se, ma forse era solo
un'impressione o il sudore freddo di cui si era ricoperta la pelle
dell'altro.
Il senso di vuoto che
lo aveva riempito sino a poco prima ora lo tormentava, si era sentito
apatico, incapace di reagire all'oblio causatogli da quella amnesia,
forse anche a causa dello shock di non avere nessun ricordo di se
stesso. Quell'improvviso attacco però gli aveva dato una
svegliata, rendendolo consapevole di quanto grave fosse una simile
mancanza. Non sapeva nulla di chi fosse e non poteva darsi una
spiegazione di cosa gli fosse accaduto.
- Mi... mi succede
spesso? - balbettò, trovandosi ancora aggrappato ad Atsushi,
sentendo l'esigenza di spingerlo via, trovando spiacevole una simile
vicinanza, ma allo stesso tempo consapevole di non essere in grado di
reggersi senza il suo aiuto, sentendosi ancora in bilico tra coscienza
e incoscienza.
- No... insomma, non
credo – si trovò impreparato a rispondergli
Atsushi, lo aveva visto preda di qualche attacco di tosse, ma nulla di
ché. Per quanto potessero essere fastidiosi si trattava
comunque di un problemi gestibili, era la prima volta che lo vedeva
preda di un attacco tanto serio. Non pensava fosse normale,
però non poteva esserne certo. Non erano tanto intimi, non
si conosceva da molto. In più non poteva togliere che
ciò fosse stato causato da delle ferite riportate da
Akutagawa durante l'ultimo scontro, anche se in realtà
Yosano aveva riscontrato solo escoriazioni superficiali.
- Hai sempre qualche
eccesso di tosse, ma di solito nulla più -
continuò avvertendo poi la presa di Akutagawa allentarsi e
la testa abbandonarsi contro il suo petto, - Akuta..- si morse la
lingua rendendosi conto che era svenuto.
Nell'oblio
dell'incoscienza Akutagawa si trovò perso in
un'oscurità senza fine, mentre l'agonia dell'ignoranza
riguardante se stesso gli stringeva i polsi e gambe, impedendogli di
muoversi, di reagire. Si sentiva appesantito e spinto in un pozzo ancor
più profondo e tenebroso.
"Voglio sapere chi
sono..." Pensò mentre i suoi pensieri defluivano verso
l'alto in quell'oscurità, simili a bolle d'aria che
risalivano verso la superficie. Non riusciva a pensare con coerenza,
come se ci fosse qualcosa ad impedirgli di farlo, di fissare le sue
fantasie e far in modo che prendessero forma concreta. Quelli che
potevano essere i suoi ricordi gli affollavano la mente come immagini
denaturate, semplici ombre, simili a sagome indistinte.
"Ma lo voglio sapere
davvero?" Silente il dubbio si insinuò nel suo petto, simile
ad una finissima spina che gli fosse penetrata nel cuore.
C'era qualcosa in lui
a dirgli che, con ogni probabilità, scoprire chi fosse non
gli sarebbe piaciuto affatto. Non sapeva da dove arrivava una simile
convinzione, era solo una sensazione che gli risaliva dallo stomaco e
gli invadeva il petto. Il malessere di cui aveva sofferto poteva essere
stato causato dal proprio inconscio che voleva impedirgli di ricordare?
Non lo sapeva. L'ennesima tra le tante cose di cui non era a
conoscenza.
Era una massa
complicata di pensieri e di emozioni contrastanti.
Avvertiva dentro di se
come un essere estraneo, un'entità sconosciuta intenta a
grattare contro le pareti del suo animo, urlando con furia spaventosa
quasi folle e capace di terrorizzarlo. Lui non poteva vederla quella
figura, non aveva idea di dove fosse, l'avvertiva solamente come
qualcosa di costante. Immobile e prigioniera dentro di lui. La udiva e
sapeva che le sue dita erano macchiate di sangue, aveva le
unghie consumate sino all'osso nel tentativo di liberarsi da quella
prigione. Era una presenza tanto assillante, così spaventosa
che, nel solo udirla, Akutagawa si sentiva sussultare dalla paura,
quasi soffocato da quanto era opprimente. Pareva giacere proprio sopra
il suo cuore, rendendolo man mano sempre più pesante e
dolorante ad ogni battito.
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