These violent delights have violent ends

di DonnieTZ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una canzone per addormentarsi ***
Capitolo 2: *** Dipingere il piacere ***
Capitolo 3: *** Sinfonia in verde ***
Capitolo 4: *** Sei qui ***
Capitolo 5: *** Ferite e promesse ***
Capitolo 6: *** Niente di così reale ***
Capitolo 7: *** Nero come un addio ***
Capitolo 8: *** Le persone e il sistema ***
Capitolo 9: *** Un'assurda speranza ***
Capitolo 10: *** Andrà bene ***
Capitolo 11: *** Appartenersi ***
Capitolo 12: *** Profonde verità e profondi piaceri ***
Capitolo 13: *** Distanze incolmabili ***
Capitolo 14: *** Il momento di lottare ***
Capitolo 15: *** L'ultima canzone ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una canzone per addormentarsi ***


These violent delights have violent ends
And in their triumph die, like fire and powder
Which, as they kiss, consume


1. Una canzone per addormentarsi

Cas stava pensando al suo ultimo quadro, abbandonato in un angolo dello studio. Per la strada, un paio di piani più in basso, stava risuonando il cambio di turno, l'avviso pronunciato con voce meccanica dagli altoparlanti. Gli artisti come lui – quelli che lavoravano di giorno – dovevano rientrare, perché quello era l'inizio del loro coprifuoco. Gli artisti notturni, i musicisti o gli attori di teatro, potevano finalmente uscire. Il quartiere era sempre in movimento, con i suoi flussi e la sua creatività, ma era tutta un'illusione. Cas lo sapeva: la libertà non esisteva. Esistevano percorsi già indicati, storie già scritte, futuri prevedibili. Tutto era controllato, stabilito, verificato per mantenere il controllo e gli equilibri.
In quei giorni più che in passato, l'ordine era necessario: erano mesi che il Presidente non faceva un'apparizione sui grandi schermi che illuminavano le strade cittadine. I suoi portavoce – completi su misura e espressioni fredde – snocciolavano indicazioni e nuovi avvisi da rispettare, cercando di nascondere la preoccupazione dei loro sguardi dietro la forzata compostezza.
Castiel credeva in quel sistema, nonostante i dubbi che di tanto in tanto finivano per intossicargli la mente. Ci aveva creduto fin da piccolo, quando le prove avevano messo in luce le sue inclinazioni artistiche e lui era stato iscritto alla lista; compiuti i diciotto anni gli avevano assegnato quella stanza e lo studio dove il quadro al centro dei suoi pensieri si stava asciugando, incompleto. Per tutta la sua vita non si era mai dovuto prendere la responsabilità di una scelta, di una decisione, evitandosi così qualsiasi tipo di errore. Aveva seguito le indicazioni ed era stato semplice.
Dipingere era la sua vita, per questo quell'improvvisa difficoltà stava assumendo contorni preoccupanti. Se quello era il suo destino, cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva a finire quel quadro?
Con quell'ultima domanda a chiudergli le palpebre pesanti, arrivò il sonno a zittirgli la mente.
 
Boy, don't you worry, you'll find yourself
Follow your heart and nothing else
And you can do this, oh baby, if you try
All that I want for you, my son, is to be satisfied
And be a simple kind of man
Oh, be something you love and understand
Baby be a simple kind of man
Oh, won't you do this for me, son, if you can
Venne svegliato da una voce. Profonda, leggermente rauca, carica dell'emozioni di ciò che stava cantando. Penetrò piano nella coltre confusa di incubi che ultimamente scuotevano Cas, per acquisire sempre più consistenza. Gli risuonò nella testa, reale e palpabile, così vicina da avere la stessa importanza dei pensieri che accompagnavano Cas fin dalla nascita.
Impiegò qualche secondo a realizzarlo, ma quando la lucidità lo strappò per bene al sonno, capì che quella era la voce di qualcuno che non era lui. Qualcuno di reale, qualcuno che esisteva, da qualche parte, e che stava cantando come se fosse importante, come se fosse fondamentale per sopravvivere.
Ne aveva sentito parlare, ma non aveva mai creduto fosse davvero possibile, fosse davvero così. I racconti sulle anime gemelle, sulle voci nella testa, venivano sussurrati solo negli angoli bui dove nessuna autorità poteva sentirli. Come per la carriera, anche le relazioni erano frutto di precisi algoritmi, di valutazioni di affinità e compatibilità, dell'importanza di mantenere ordine e equilibrio. Le credenze sulle anime gemelle erano riservate a culti segreti e le poche storie conosciute, quelle raccontate nelle fasce di cronaca sui grandi schermi, finivano tutte in tragedia.
Cas si alzò di scatto, seduto fra le lenzuola, il respiro spezzato in gola. La voce sembrava così vicina, così...
Chi sei?
Quella domanda riecheggiò, interrompendo le strofe della canzone.
“Castiel.”
Cas pensò il suo nome istintivamente, senza poter fermare la sua mente.
Cas.
La voce nella sua testa sembrò sorpresa, mentre abbreviava il suo nome come se le fosse già familiare. Parve quasi saggiare la sillaba in punta di pensiero, lievemente titubante.
Sembra che siamo proprio fottuti, Cas.
E quell'aggiunta, il modo diretto con cui quelle parole gli si erano formate in testa, pensate da un perfetto estraneo, quasi gli strappò un sorriso.
 
Dean era chiuso nello striminzito stanzino che Ellen continuava a voler chiamare camerino. Stava suonando la chitarra per verificare che fosse accordata e stava canticchiando per scaldare un po' la voce, ma la canzone lo aveva coinvolto al punto da diventare una vera e propria performance a suo personale beneficio.
Poi erano arrivati i pensieri.
Non erano suoi, ci poteva scommettere tutti i suoi crediti su quello, perché lui di certo non era tanto preoccupato da questioni come l'ordine e l'equilibrio, le due parole che le autorità si impegnavano ad instillare nei cervelli atrofizzati di tutti. Così gli venne istintivo chiedersi a chi appartenessero. E, non appena la sua mente formulò la domanda, la risposta gli arrivò, chiara e concisa.
Castiel.
Lo percorse un brivido nel sentire quel nome, perché poteva significare solo due cose: o stava impazzendo, oppure aveva appena conosciuto la sua anima gemella.
Entrambi gli scenari non gli parvero la fottuta ciliegina sulla torta che era stata la sua vita nell'ultimo periodo.
“Cas” pensò, accorciando quel nome fantasioso in qualcosa che gli sembrò subito più familiare. “Sembra che siamo proprio fottuti, Cas.”
Lo credeva davvero.
Prima di tutto, quel Cas era palesemente un uomo, vista la voce scura e graffiante che si ritrovava. Secondo: fra un mese esatto Dean avrebbe dovuto presentarsi all'Ufficio Analisi Relazionali per farsi affibbiare una compagna. La richiesta doveva essere presentata fra i venti e i trent'anni, ma a lui il privilegio di aspettare fino all'ultimo non era stato concesso. Tutto per quella storia di Benny, venuta fuori perché erano stati entrambi stupidi.
Benny? domandò la voce.
“Una storia lunga, amico” rispose Dean, con i soli pensieri, tentando di schivare l'argomento schiacciando i ricordi in punti oscuri dell'anima.
Peccato che i ricordi partirono per conto loro, finendo per mostrare a quello sconosciuto una storia fatta di lenzuola stropicciate e momenti rubati a due vite completamente diverse.
Ah.
“Non è come sembra.”
Non devi giustificarti con me...
“Dean. Sono Dean.”
Non devi giustificarti con me, Dean.
“Tutto questo è assurdo.”
Fu Jo ad interrompere quel dialogo silenzioso, bussando piano mentre già apriva la porta.
«Pronto ad entrare in scena?» gli domandò, affacciandosi.
«Sì, sì, arrivo subito.»
«C'è il pienone» concluse lei, prima di richiudere la porta e tornare a servire i tavoli.
“Devo andare, Cas.”
Non credo sia possibile interrompere questa... connessione.
“In questo caso mi sa che ti toccherà un concerto, amico.”
 
La sala era davvero piena, tutti i tavoli occupati da persone che avevano deciso di spendere i loro crediti e i loro permessi per essere lì. La questione lo stupiva sempre: avesse avuto abbastanza crediti e gli fosse rimasto qualche permesso specifico per potersene uscire la sera, di certo non li avrebbe sprecati a sentirsi cantare. Eppure si sistemò sul piccolo palco, seduto sullo sgabello, la chitarra fra le mani e il microfono davanti alla bocca, pronto a cantare. Solo lì, nei locali aperti la sera del quartiere dedicato al tempo libero, si poteva ascoltare della vera musica.
“Pronto, Cas?” pensò, ignorando quanto l'intera questione fosse assurda.
Sono pronto, Dean.
Le prime note si persero nell'aria calda, fra i respiri trattenuti dei presenti. Dean si avvicinò al microfono e fu la solita, vecchia magia.
«Mama told me when I was young
Come sit beside me, my only son
And listen closely to what I say
And if you do this it'll help you some sunny day»
L'immagine sbiadita di sua madre – capelli biondi e una canzone sussurrata prima di metterlo a letto – gli invase la mente. Sapeva di cantare per lei e la consapevolezza che Cas avrebbe visto anche quello lo fece sentire estremamente vulnerabile, esposto.
«Oh, take your time, don't live too fast
Troubles will come and they will pass
You'll find a woman and you'll find love
And don't forget, son, there is someone up above»
Dean sentiva quelle parole scavare a fondo, come una vecchia promessa. Qualcosa lo abitava fra i polmoni e lo stomaco, ogni volta che apriva una serata con quella canzone. Sapeva di essere una delusione, sapeva che la sua vita non stava andando come doveva, che né l'avrebbe mai fatto. Avrebbe voluto essere in grado di chinare la testa, di sottostare alle regole, ma c'era qualcosa nella sua anima che non voleva saperne. C'erano passioni e tormenti e incubi dietro le palpebre quando arrivava l'alba e lui andava a dormire. Cantare rendeva tutto così evidente da fare quasi male. Ma quella sera c'era il vago pensiero di dover ricacciare indietro la malinconia, perché non era solo a sentirla vibrare nella mente.
«And be a simple kind of man
Oh, be something you love and understand
Baby be a simple kind of man
Oh, won't you do this for me, son, if you can»
 
Cas era tornato a sdraiarsi fra le lenzuola. Era difficile afferrare quello che stava accadendo nella sua mente e in quella di Dean. Lui cantava e i ricordi si affollavano uno sull'altro ad ogni parola, tanto che Cas poté comprenderne solo la profonda tristezza. Cercò di mettere da parte le domande, di ignorare le paure che quella connessione aveva risvegliato, di abbandonarsi completamente alla melodia che era la voce di Dean e, lentamente, scivolò nel torpore.
Il sonno, per quella notte, fu privo di incubi. 



 
Ohi!
Allora, allora, prima di tutto GRAZIE per essere passati da qui e per aver letto questo primo capitoletto. Questa Soulmates!Au distopica nasce grazie a questo generatore di prompt di fanwriter.it che mi ha restituito l'ispirazione dopo settimane di deserto! 
Ecco cos'è uscito alla sottoscritta (se l'immagine è piccina per leggere, ma siete lo stesso curiosi, potete cliccare col tasto destro e aprire l'immagine in una nuova scheda)
...
...
Non so quanto sarà lunga (non credo troppo) e ho in mente solo qualche linea generale, ma mi ero ripromessa che - avessi scritto più di tre capitoli - avrei iniziato a pubblicare (visto che l'ispirazione per le originali che ho in corso è zero). Siate clementi, loro li ho solo ruolati un po' e ho scritto qualche drabble, mai qualcosa del genere! Però se avete consigli o critiche, non fatevi problemi a commentare!
A settimana prossima (yup, cercherò di darmi una scadenza setimanale per pubblicare).
DonnieTZ



 

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Capitolo 2
*** Dipingere il piacere ***




2. Dipingere il piacere
 
 
Cas si alzò, scompigliato e intontito dalla nottata, grazie all'avviso degli altoparlanti che gli rese noto il suo ritardo. Non dormiva tanto a fondo da molto tempo, ma uscire da quelle profondità era più complicato di quanto ricordasse.
Buongiorno, raggio di sole.
La voce era ancora lì, calda e accogliente.
“Dean” pensò soltanto, in risposta, quasi a ricordare a se stesso cosa fosse accaduto la sera prima.
Si passò una mano fra i capelli, diretto al piccolo bagno che si apriva sulla stanza, mentre la voce tornava a visitarlo.
Dormito bene?
Cas elaborò indistintamente qualcosa di molto simile a un “sì”, per poi chiudersi in bagno e prepararsi alla giornata; il quadro incompleto a premere in un angolo della mente, reclamando attenzione. Cercò di non soffermarsi troppo su tutti i significati che quella connessione portava con sé, mentre si lavava, si pettinava e si vestiva.
Senti, ammetto che la situazione sia un casino, ok? Dovremmo solo ignorare la cosa. Probabilmente smetterà per conto suo.
“Non credo funzioni così, Dean.”
Ah, sei un grande esperto.
“No, Dean, sono realista.”
Cas controllò che tutto fosse in ordine nella stanza, prima di avvicinarsi alla porta e passare il polso vicino al lettore del microchip. Il piccolo schermo si illuminò, gli augurò una buona giornata e gli ricordò qualche impegno futuro con voce elettronica.
Cos'è quel quadro a cui continui a pensare?
“La mia ultima commissione.”
Sei un artista, certo. L'avevo intuito, ieri sera, ma è strano. È come se tutto fosse...
“Frammentario.”
Già.
Cas si incamminò, salutando i negozianti che vendevano i loro lavori artigianali e le loro creazioni artistiche. La strada era percorsa dai camion delle consegne – si appuntò mentalmente di ordinare la spesa, perché il frigorifero era praticamente vuoto – e dai mezzi pubblici che permettevano di spostarsi attraverso il quartiere e, con i regolari permessi, per tutta la città.
Non hai fatto colazione.
“Non faccio mai colazione, Dean.”
La colazione è il pasto più importante della giornata.
Cas percepì la stanchezza dell'altro, forse uno sbadiglio, mentre avvicinava il polso alla porta dello studio per aprirla ed essere avvolto dall'odore familiare dei colori ad olio.
“Dovresti andare a letto.”
Fra un attimo.
“Sei a casa?”
Sì, non hai sentito l'avviso? Casa, dolce casa.
Cas ignorò il sarcasmo di Dean. Infilò l'enorme camicia che usava per dipingere, incrostata di vecchie macchie multicolore, prima di gettare un'occhiata al quadro nell'angolo. Non riusciva neanche a lasciarlo sul cavalletto, quando lasciava lo studio, perché gli sembrava soffocante rientrare e trovarselo lì, come se gli urlasse di mettersi a lavoro.
Questa è la fregatura del sistema: prendono una cosa che ami e la trasformano in un lavoro fino a fartela odiare.
La voce nella sua testa stava parlando di cose che non dovevano essere pensate, che Cas non voleva nel suo cervello.
Ehi, non volevo infastidirti.
“Sono un artista. È quello che so fare ed è quello che farò” rispose Cas, prendendo il quadro e riposizionandolo sul cavalletto con più convinzione di quanta ne sentisse davvero.
Quale sarebbe il problema con questa commissione?
“Non... non mi sembra il caso di... parlarne.”
Ma i pensieri si erano già spinti a spiegare, anche senza che Cas lo volesse davvero. Il committente – un agiato assicuratore del centro – voleva un quadro che comunicasse passione, calore, amore. Cas aveva sospettato da subito che la questione riguardasse un'anima gemella, perché quando aveva chiesto se volesse un ritratto specifico, magari di sua moglie, il committente aveva ignorato la domanda e aveva richiesto qualcosa di più vago. Forse il suo subconscio aveva analizzato la questione così a lungo da scatenare la connessione.
Pensi che capiti a molti? Sentire questo legame o qualsiasi cazzo di cosa sia quello che ci sta succedendo.
“Penso capiti a più persone di quante crediamo, Dean. Non se ne parla molto. Da qualcuno ho sentito dire che c'entra la vicinanza, che il processo si innesca solo quando c'è la reale possibilità di incontrarsi” pensò Cas, sistemando i colori.
Incontrarsi era una follia. Più di quanto non lo fosse indugiare in quelle conversazioni tutte mentali con un perfetto sconosciuto. Si chiese quanti cedessero alla curiosità e quanti invece fossero abbastanza forti da resistere. Cas la passione non l'aveva mai conosciuta, figurarsi l'amore. Era fermamente convinto di poter essere soddisfatto da qualsiasi persona avessero scelto per lui in futuro.
Forse è questo il problema. Non puoi dipingere di qualcosa che non conosci, amico.
Cas si soffermò su quell'idea, un po' risentito, nonostante fosse la pura e semplice verità.
Sai cosa? Ti lascio lavorare. Mi faccio una doccia e una bella dormita.
 
Dean era rimasto seduto al piccolo tavolo della sua stanza, la bottiglia di birra in mano, concentrato sulla connessione con Cas. Non era certo gli piacesse, il tipo, anche se la curiosità di sapere come fosse, chi fosse, c'era eccome. Sembrava avere un palo su per il culo, con tutta la sua fede nel sistema. Arrivò perfino a pensare che il destino, o Dio, o chi per lui, si fosse sbagliato: quella non poteva essere la sua anima gemella. Eppure c'era qualcosa, in lui, che ricordava a Dean i suoi stessi dubbi.
Lo lasciò al suo lavoro, cercando di non pensarci, per buttare la bottiglia vuota nel contenitore riservato al vetro, prima di infilarsi in bagno. Abbandonò a terra i vestiti, entrò nella doccia e fece partire il getto caldo, ripercorrendo passati recenti e lontani.
La sera prima aveva sentito la quiete di Cas impossessarsi anche di sé mentre cantava, e il concerto era scivolato via piacevolmente fra una canzone e l'altra. Jo gli aveva detto che sembrava diverso e quella mattina lo aveva accompagnato fino al confine del quartiere degli artisti, forse per sincerarsi stesse bene, salutandolo con sguardo incuriosito mentre lui faceva scorrere il polso vicino al lettore per aprire il cancello. Quello era il suo unico permesso: dal quartiere degli artisti a quello dove si trovava il locale di Ellen, ogni sera per sei sere la settimana. Ogni altra concessione – quelle per il tempo libero, per i viaggi, perfino quelle per andare a trovare suo fratello o Bobby o Charlie – gli erano state revocate dopo che la storia di Benny era venuta a galla. Aveva cercato di non pensarci, rientrando a casa, e sentire il risveglio di Cas mentre gli altoparlanti avvisavano del cambio di turno era stata quasi una benedizione.
Sotto la doccia, però, quei pensieri tornarono con una certa prepotenza, sotto forma di ricordi nitidi delle ore passate insieme, i corpi saldi uno contro l'altro, il calore della pelle, la sensazione di essere esposto, vulnerabile, pronto da prendere.
Dean si abbandonò al getto di acqua calda, sfiorandosi con una mano, lentamente. Una parte della sua mente non avrebbe voluto, ma il suo corpo si rifiutava di obbedire, schiacciando il senso di colpa nell'oblio in favore dell'eccitazione.
 
Cas sentì il brivido scorrergli lungo la spina dorsale, cavalcandogli le vertebre. Prese il pennello, le dita leggermente tremanti, e iniziò a dipingere. Morbide e sinuose pennellate rosse modificarono l'asettica trama che aveva abitato la tela fino a quel momento, rendendola viva e vibrante. Dentro gli si agitava un universo sconosciuto, che si sfogava abbozzando linee e forme impregnate di un erotismo che gli era sconosciuto. Ricordavano corpi avvinghiati, figure intrecciate che emergevano dalle nebbie del colore.
Non seppe davvero dire quanti minuti passarono, ma riconobbe l'eco del piacere. La sensazione, forte ma distante allo stesso tempo, lo colse impreparato, tendendogli appena i muscoli, spezzandogli il fiato fra i denti. Non era nulla di davvero fisico. Non per lui, almeno.
“Dean.”
Seguì uno strano silenzio, a quel richiamo mentale. Dean c'era, Cas poteva avvertire il vortice caotico dei suoi pensieri mentre riemergeva dall'orgasmo, ma sembrava volerlo tagliare fuori.
Dopo qualche lungo secondo, però, tornò.
Cazzo, Cas, scusa. Non ho pensato che...
“Non importa.”
Merda.
“Non importa, Dean.”
Cas osservò il risultato di quell'inspiegabile trance, la tela completamente dipinta, perfetta nel modo imperfetto in cui l'arte sapeva essere bella.
Hai finito il tuo quadro.
La costatazione secca di Dean arrivò a Cas come un'illuminazione: sì, aveva finito il quadro. Non sapeva spiegarsi come, non sapeva spiegare nulla di quello che gli stava succedendo, ma il dipinto non lo avrebbe più tormentato con tutti i suoi significati.
“Grazie, Dean.”
Figurati, amico. È stato un piacere.
E Cas quasi lo vide sorridere con gli occhi della mente.


 
Ciao!
Avrei voluto aggiornare ieri sera, ma rientrata avevo proprio bisogno di non pensare a nulla.
Ecco, quindi, a una settimana di distanza, il secondo capitolo! Come vi sembra? Se vorrete farmi sapere sarò solo felice. Anche se, dopo le recensioni ricevute dal primo (GRAZIE) ora ho una vaga ansia da prestazione! XD
Alla prossima settimana!
DonnieTZ

 

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Capitolo 3
*** Sinfonia in verde ***


 
3. Sinfonia in verde

Cas si avvicinò al piccolo schermo sulla parete dello studio e fece scorrere il polso sul lettore, mimando il gesto necessario ad aprire le chiamate. Selezionò la persona con cui voleva parlare fra la lista dei suoi clienti e registrò il messaggio: il quadro era terminato; doveva solo asciugarsi e in una settimana poteva essere ritirato.
Si abbandonò sull'alto sgabello, dopo, e adocchiò le due tele bianche che lo aspettavano – il ritratto di un gatto per un'anziana signora e un paesaggio cittadino per un impresario snob che di arte non capiva nulla –, ma si sentiva svuotato, come se tutte le energie sprecate a pensare all'opera appena terminata fossero defluite. Entrambi i soggetti non erano fra i suoi preferiti, ma le persone lo cercavano perché trasformava le loro richieste in scie vibranti di colore fra il figurativo e l'astratto, in un modo che era tutto suo. Come vedeva il mondo, così lo dipingeva.
Con la mente si spinse alla ricerca di Dean, chiedendosi se fosse già a letto.
Sono a letto. Tecnicamente.
“Non dormi?”
Mh, non ancora.
“Benny, il ragazzo a cui stavi pensando, dov'è ora?”
Ci hai girato attorno, eh?
“Non devi farmelo sapere, se non vuoi.”
Non credo di poterti nascondere molto, vista la situazione.
I ricordi che lo riguardavano divennero chiari per Cas, come se si stessero riversando in lui direttamente dalla mente di Dean. Fino ad un istante prima gli erano sembrati nebulosi, come imprigionati da una fitta nebbia di negazione.
Pensò a Benny, all'incontro nel locale dove Dean aveva cantato la sera prima, ma molti mesi indietro. Pensò a bevute condivise, a parole scambiate, esperienze raccontate con la sorpresa di trovare qualcuno di affine ad ascoltarle. E poi permessi usati per vedersi, i primi baci ruvidi, l'idea di strappare alla vita quel poco di felicità che fosse possibile racimolare. Alla fine, quando Dean aveva richiesto l'ennesimo permesso, lo schermo gliel'aveva negato con un avviso in rosso. Niente più visite, niente più contatti con Benny. Non solo, niente più permessi di nessun tipo se non quelli per il lavoro.
“Dean, mi dispiace.”
Nah, cose che capitano quando si fanno le stronzate che faccio io. Mi hanno detto che potrò ottenere di nuovo i permessi per vedere tutti se mi sistemerò con una compagna. Beh, tutti escluso Benny.
“Per Sam? Tuo fratello?”
L'immagine vaga di un ragazzo dai lunghi capelli baluginò nell'oscurità, per poi sparire.
E Bobby. Quando mio padre non è stato considerato un genitore adeguato, sono stato affidato a lui insieme a Sam. Sua moglie era morta. Sai come funzionano queste cose dei nuclei familiari. Ordine e equilibrio. Equilibrio e ordine.
“Ma gli vuoi bene. In questo caso ha funzionato.”
È un vecchio brontolone, ma è la mia famiglia.
Cas pensò alla sua di famiglia. A come il sistema delle vocazioni e dei mestieri avesse finito per salvarlo da una carriera in politica o nell'esercito, le uniche due cose in cui la sua famiglia sembrava eccellere.
È per questo che ti piace? Il sistema, dico.
La domanda di Dean si insinuò fra i pensieri lievemente amari di Cas, concretizzando una verità che aveva sempre conosciuto, ma su cui non si era mai soffermato.
“In parte, sì. Mi ha risparmiato un futuro che non sarebbe stato idoneo.”
Idoneo.
Cas lo sentì quasi ridacchiare, insonnolito, come se quella parola fosse una battuta divertente. La usavano per tutto, lì: i permessi, le carriere, le famiglie. Tutto doveva essere idoneo e il concetto aveva finito per imprimersi nella mente di Cas.
“Adatto, calzante...”
Sì, Cas, ho capito.
Dean sembrò ancora più divertito, con estrema confusione dell'altro. In qualche modo, però, quella risata mentale, che non aveva suono se non il vibrare della strana spensieratezza che accompagna la stanchezza, parve a Cas qualcosa di bello.
“Benny è un uomo.”
Complimenti, Sherlock.
“Io sono un uomo.”
Sì, ho notato. Hai dei pensieri piuttosto rauchi.
Dean parve ridere ancora, senza farlo davvero, e Cas si ritrovò a sorridere senza rendersene neanche conto. Restò in ascolto per un po', quieto, seduto nel suo studio. Avvertì Dean scivolare nel sonno e venne pervaso dalla sua stessa tranquillità.
“Buon riposo, Dean” pensò.
Alla fine si alzò, afferrò una delle due tele, e tentò di mettersi all'opera.
 
Si rese conto di dover scendere a patti con la questione anima gemella quando, qualche ora dopo, il quadro – che doveva essere un gatto, come mostrava sul piccolo schermo del suo studio l'immagine che l'anziana donna si era premurata di spedirgli – divenne una sinfonia di verde. Non aveva davvero idea di cosa stesse dipingendo, non riusciva a carpire un'immagine completa, ma sapeva che riguardava Dean. C'erano angoli più scuri, sfumature che si incupivano fino a diventare nere, ma il verde smeraldo brillava al centro della composizione, come una luce lontana. Fra le pennellate cariche di colore, si poteva intuire la forma di due occhi che rimandavano il loro sguardo verso Cas.
Doveva esserci un modo per interrompere quella connessione, per riportare tutto alla normalità, solo che Cas non era sicuro di volerlo. Si rese conto per la prima volta di essersi sempre sentito solo, perché in quel momento la sua usuale solitudine strideva con la perenne compagnia dei pensieri di Dean. Anche mentre dormiva, i suoi sogni erano come un prurito del subconscio.
I pensieri d Cas presero a vagare. Se a Dean piacevano gli uomini, poteva richiedere un compagno. Non era vietato come erano vietati i rapporti occasionali, le relazioni non assegnate, quelle con qualcuno di altri quartieri o tutti gli altri motivi per cui, probabilmente, la relazione con Benny era valsa a Dean la sua libertà di spostarsi. Inoltre lui e il suo compagno potevano vedersi assegnare un bambino, qualora fossero stati ritenuti adatti ad essere genitori là dove altri avevano fallito. Però aveva parlato di compagna. E con una certa categorica convinzione.
Era una stranezza per cui Cas aveva già una spiegazione, in realtà. L'aveva percepita, e per questo aveva indugiato sul fatto di essere un uomo come lo era Benny. Dean sembrava scomodo nei suoi panni, come se quell'innata preferenza lo rendesse in qualche modo meno...
I tuoi pensieri sono fottutamente rumorosi e starei cercando di dormire.
Cas si ridestò, sbirciando l'ora. Il pomeriggio stava pericolosamente virando verso la sera e lui doveva prepararsi a rientrare. Sistemò i pennelli, lasciando la tela ad asciugare sul cavalletto.
“Scusa, Dean” pensò, sfilando la camicia macchiata.
Non sono scomodo.
“Va bene.”
Non è come sembra. Solo che non mi piace sbandierarlo, va bene? Non è qualcosa di cui vergognarsi, né di cui andare fieri. È quello che è.
“Certo, Dean.”
E poi da che pulpito. Seriamente? Anche io sono un uomo, genio, e fino a prova contraria mi senti nella tua testa.
“Puoi percepirlo da te che questo non mi crea alcun problema.”
Cas avvertì lo stomaco brontolare rumorosamente, ma lo ignorò, uscendo e passando il polso vicino al lettore con gesto secco per chiudere la porta dello studio.
Hai saltato il pranzo? Di' un po', cerchi di morire di fame?
“Ogni tanto mi capita, quando arriva l'ispirazione.”
 
Dean vide con gli occhi della mente un dipinto che non sembrava previsto e si sentì stranamente rispecchiato dall'idea che balenava nella mente di Cas.
“Mi piace il nuovo quadro. Io non ci capisco niente di arte, eh, ma mi piace.”
Grazie, Dean.
Era ancora sdraiato fra le lenzuola, nudo, con il calore del sonno appena interrotto appiccicato addosso. Non ricordava di aver sognato qualcosa in particolare, ma non si sentiva tranquillo, come se gli incubi inafferrabili si fossero lasciati dietro solo vaghe sensazioni d'inquietudine. Forse tutto quel rimuginare di Cas aveva peggiorato il suo già precario riposo. Il ragazzo sembrava farsi un sacco di problemi sul dovere, e sembrava pieno di curiosità allo stesso tempo. Da qualche parte, l'ego di Dean viveva la questione in modo piuttosto entusiasta. Troppo, probabilmente. Si tirò a sedere, scompigliato, per poi avventurarsi fino alla cucina e prepararsi uova e pancetta.
“Fame?”
Dovrò farmi consegnare la cena a domicilio. Non mi è rimasto più nulla da cucinare.
Dean ebbe un pensiero istintivo, ingovernabile, che prese forma ancor prima di essere schiacciato nel silenzio della mente.
“Puoi cenare da Ellen e restare per il concerto. Hai detto che questa storia della connessione si verifica quando si è abbastanza vicini, no? E non credo ti negherebbero un permesso. Anzi, sono certo tu ne abbia accumulati un bel po', mister cittadino modello.”
Dean restò immobile, impalato davanti ai fornelli, pietrificato dalla richiesta che aveva appena avanzato. Il cuore prese a battergli furiosamente in petto e un certo imbarazzo gli risalì fino alla punta delle orecchie.
“Dannazione, scusa. Non... non intendevo chiederti di incontrarci. Mi è solo venuto in mente ed è andato prima che...”
Non mi sembra una buona idea, Dean.
Il silenziò che seguì quella risposta si stiracchiò fino a diventare fastidioso. Poi tutto si gonfiò, esplodendo nella mente di Dean. Certo che non era una buona idea. Era un'idea del cazzo. Una tipica idea alla Dean. Non era assolutamente da fare, no. Molto meglio evitare.
Nonostante tutto, però, l'amarezza gli si allargò dentro, arrivando fino agli angoli della sua anima.
“Proprio un'idea del cazzo.”
Forse, un giorno...
“Già.”
Dean rigirò le uova, per poi sbattere tutto in un piatto e iniziare a mangiare senza ritegno. Era tipico, proprio da lui. A quanto pare era destinato a ripetere sempre gli stessi errori, in un vortice che prometteva di impiccarlo.
Dean?
“Cosa?”
Sei arrabbiato?
“No.”
Lo sei.
“Non ce l'ho con te. Sono io. È questo casino di vita che non ne vuole sapere di smetterla con le sue puttanate e lasciarmi in pace. Sono stanco, Cas, e questa storia dell'anima gemella, questa stronzata che ci sta capitando, non mi serve, ok? Non mi servono altre complicazioni. Sono stanco.”
Mi dispiace.
“Non c'è un modo per interromperla? Perché ventiquattro ore di compagnia mi sono bastate, grazie tante.”
Non lo so, Dean. Posso provare a scoprirlo. Dev'esserci qualcuno che sa qualcosa.
Cas gli suonò ferito, ma Dean non poteva soffermarsi su quella sensazione. Non quando farlo significava sentire la puntura familiare del senso di colpa.
“Sì, certo, così finisci dritto in qualche cella imbottita. Lascia perdere, amico. Se ne andrà. Deve farlo.”
 
L'avviso risuonò per le strade proprio mentre Cas si abbandonava sul letto, abbattuto. La verità era che incontrare Dean gli faceva paura. L'idea di non sapere cos'avrebbe significato trovarselo di fronte lo riempiva di dubbi che non sapeva gestire. Aveva un posto nel mondo, stava bene dove stava, aveva la sua vita e una strada facile da percorrere davanti a sé. Era tutto chiaro.
Chiaro un cazzo.
“Dean.”
Non è colpa mia se sento tutte le stronzate di cui cerchi di convincerti.
“Non sei d'aiuto con questo atteggiamento.”
Beh, mi dispiace. Ti sarà capitata un'anima gemella di seconda mano. Dovresti fare causa.
“Dovresti mostrarmi un po' di rispetto. Neanche ti conosco. Ora, se non ti dispiace, andrò a letto” concluse Cas, risoluto, sdraiandosi ancora vestito sopra le coperte.
Cena, prima.
La nota leggermente preoccupata nei pensieri di Dean gli innescò una vertigine inspiegabile nello stomaco.
Forse era solo la fame.
Sì, doveva essere la fame.


 
Salve!!
Come state?
Dopo aver pubblicato prometto che risponderò alle recensioni che mi mancano, ma prima voglio essere certa di avervi fornito il capitolo!
Qualcuna di voi (quanto siete carine a recensirmi? mi fate tanto contenta) preferirebbe dei capitoli più lunghi. Proverò ad impegnarmi in tal senso più la storia prosegue, prometto, ma sono un brutto tipo di underwriter e se riesco a scrivere tre paginette per capitolo è un successo! XD
Spero la storia continui a piacervi... ah, questi due, questi due.
Come sempre, se vorrete farmi sapere qualcosa sono qui!
A presto.
DonnieTZ


 

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Capitolo 4
*** Sei qui ***


 


4. Sei qui
 
Una giornata diventò una settimana. La compagnia incessante dell'altro divenne quotidiana, un rituale segreto fatto di condivisione. Riuscivano a portare avanti le loro mansioni, aggrappandosi meccanicamente alla familiarità dei gesti, ma le loro menti erano altrove, intrecciate in un dialogo continuo. Potevano ritrovarsi nei momenti più monotoni della giornata e sentirsi, percepirsi, farsi compagnia in quel mondo che li aveva lasciati soli.
 
Ora posso affermare che gli hamburger mi piacciono, aveva pensato Cas uno di quei giorni, addentando il pane e la carne, adocchiando il sacchetto unto consegnato a domicilio.
Ancora non ci credo che sia il tuo primo hamburger, amico. Dove hai vissuto? era stata la risposta mentale di Dean.
Sulla torta sono indeciso, invece, aveva continuato Cas, memore dell'esperimento della sera prima e della torta di mele che Dean lo aveva costretto a comprare.
Se ti metti a parlare male della torta, io e te abbiamo un problema, lo aveva rimproverato Dean.
 
Lentamente avevano imparato a gestire la profondità della connessione, permettendo piccoli spazi d'intimità che non erano mai totali, ma che bastavano a tirare il fiato da quella simbiosi. Non potevano mai davvero andarsene, scappare e rinchiudersi nel vecchio silenzio, ma era già qualcosa riuscire ad allentare la pressione.
 
Sei a letto?aveva chiesto Dean una sera, prima di mettersi a lavoro.
Sì, Dean, era stata la risposta di Cas.
Sto per salire sul palco. Richieste particolari? Aveva domandato Dean, un piccolo sorriso dai contorni addolciti.
Mi basta sentirti cantare, aveva pensato Cas, chiudendo le palpebre.
 
Poteva diventare imbarazzante, esporsi in modo tanto estremo e totale, ma la forzata onestà che erano costretti a condividere si era risolta in un assurdo equilibrio. Dean vedeva in Cas tutto quello che non era – con il suo brutale modo di accettare tutto e tutti per ciò che erano, compreso se stesso – e, allo stesso tempo, una persona estremamente simile, fatta di fragilità affini, di solitudini simili.
 
Quindi non hai mai... sai...aveva cercato di chiedere Dean, un giorno, prima di andare a letto.
No, Dean, aveva risposto Cas.
Dobbiamo trovarti qualcuno, aveva pensato Dean, ancora.
Dean, infrangerei le regole, era stato il pensiero di Cas, visto che i rapporti occasionali non erano previsti dal sistema.
Beh, stai infrangendo le regole anche ora, gli aveva fatto notare Dean.
 
A volte scavare più a fondo era doloroso. Le loro tristezze diventavano una sola e i confini si perdevano. Non riuscivano più a capire quali sentimenti appartenessero a chi e si lasciavano cullare dalla consapevolezza che l'altro fosse lì, a reggere il mondo per entrambi, a respirare per due.
 
Sì, è stato triste, ma poteva andare peggio. So che è quello che vuole fare, anche se non viviamo insieme e non possiamo vederci. So che Sam è felice. Vuole cambiare il mondo un processo alla volta, o qualcosa del genere, gli aveva raccontato Dean, in un momento di tranquillità in cui entrambi erano nelle loro stanze, a fissare il soffitto, sdraiati sul materasso.
Posso andare a trovarlo, per te, Dean. Fargli sapere che stai bene, aveva proposto Cas, in risposta.
Sì, e che gli dici? “Lo sento nella mia testa”? Vorrei proprio vedere la sua faccia. Nah, grazie del pensiero, va bene così, aveva concluso Dean, con amarezza.
 
Altre volte potevano ridere per lunghi minuti senza che si mostrasse all'esterno. Era uno svago tutto interiore, che risollevava lo spirito e che aveva il potere di trasformare l'intera giornata. Quando Dean rideva in quel modo, a Cas il mondo sembrava un posto migliore.
 
Davvero, Dean? Aveva chiesto Cas, dopo un lungo racconto che lo aveva lasciato pieno di una strana sensazione fra l'affetto e il divertimento.
Giuro. Questa è davvero la storia di come Charlie si è rotta il braccio. Quella ragazza ha seriamente bisogno di trovarsi altri passatempi, era stata la conferma di Dean.
Lavorare con i lettori dev'essere interessante, però, aveva pensato Cas, adocchiando il lettore incastonato nel muro dello studio.
Lavorare”, certo. Diciamo che è la copertura ideale per le sue ricerche non proprio legali, aveva risposto Dean.
Magari potrebbe metterti in contatto con tuo fratello. Permetterti di chiamarlo, era stato il pensiero istintivo di Cas.
Potrebbe, me l'ha proposto. Ha detto che potrebbe farmi chiamare perfino Benny senza che scattino i controlli. Ma non voglio mettere nessuno nei guai. Charlie dovrebbe smetterla di chiamare Ellen e Jo per comunicare con me, piuttosto, aveva tagliato corto Dean.
 
Entrambi evitavano accuratamente di pensare a cosa significasse quella connessione, a cosa volesse dire potersi percepire con tale intensità. Se erano fatti l'uno per l'altro, se la felicità era possibile solo insieme, decisero comunque di non pensarci.
Finché Cas non avvertì la stretta bruciante del dolore di Dean – una notte, dopo tutti quei giorni di spensierata connessione – e venne svegliato con la soffocante sensazione che ogni cosa fosse colpa sua, che il mondo sarebbe stato un posto migliore se lui non ci avesse mai messo piede. Si sentì tossico, pericoloso, marcio fin dentro l'anima, e capì che quelli non erano i suoi pensieri, ma quelli dell'altro.
“Dean?”
Non ora, Cas, non è il momento.
Cas venne colpito dall'immagine di Ellen che aleggiava nella mente di Dean, dalla comunicazione asciutta che gli aveva fatto, dall'informazione che gli era arrivata grazie a Charlie. Era accaduto tutto pochi attimi prima, a concerto finito, e Cas poteva quasi sentire il sapore forte dell'alcool che Dean stava bevendo.
“Mi dispiace, Dean.”
Fanculo tutto. Le regole, i permessi, il nostro posto nel mondo.
“Non è colpa tua.”
Non farlo, Cas, non dirmi che non è colpa mia, non dopo quello che gli ho fatto.
“Non gli hai fatto niente, Dean. Era...”
Non lo conoscevi, non sai neanche di cosa parli. Potermi entrare nella testa non ti rende un esperto su di lui. Su di me.
“Lo so, Dean.”
 
Benny era morto. I minuti passavano e Dean continuava a non essere certo di aver capito bene. Non poteva essere, non così, non in quel modo. Ellen aveva cercato di dirglielo senza dare un tono alla notizia, senza nessuna compassione, proprio nell'unico modo in cui Dean avrebbe voluto sentirselo dire. Ma il dolore c'era lo stesso ed era soffocante. Gli risaliva dallo stomaco alla testa, appesantendogli il cuore.
Era colpa sua, Dean lo sapeva.
Sua e dello stupido modo in cui l'aveva guardato e, peggio, in cui l'aveva voluto. Come se fosse possibile, come se non fosse pericoloso. E Benny non ce l'aveva fatta più a resistere in quel mondo, a farsi andare bene un futuro grigio fatto di un compagno qualsiasi scelto da qualcuno che sapeva solo leggere dati su uno schermo. Dean conosceva quella sensazione perché l'aveva anche lui: l'arrendevolezza dello sconfitto, la quiete di chi non poteva più andare avanti. La sentiva ogni giorno, da quando lo avevano isolato, da quando gli avevano ricordato che scopare era sbagliato, che farsi piacere qualcuno doveva essere regolamentato e approvato con un fottuto timbro da un burocrate qualsiasi.
Dean era una maledizione nella vita degli altri.
Lo sarebbe stato anche per Cas, anche per quell'uomo buono che del mondo voleva vedere solo la parte migliore, nonostante dentro gli bruciassero i dubbi, lo divorassero le domande. Lo avrebbe trascinato a fondo e odiava quella possibilità.
Dean?
“No.”
Dean.
“Voglio restare solo, Cas.”
Pensò intensamente quelle parole, anche se altre si formarono spontaneamente nella sua mente: “ho bisogno di te”.
Un'altra verità difficile da accettare, ma Dean si sentiva troppo stanco per opporsi, troppo arreso per lottare.
«Sono qui.»
La voce di Cas, ancora e ancora, come un'ancora nella tempesta della sua anima.Dean impiegò lunghi istanti a rendersi conto di non aver sentito quelle parole con la mente. Ci volle la mano di Cas sulla sua spalla per farlo voltare. Il contatto bruciò attraverso la stoffa, arrivando fino alla pelle. Il palmo di Cas era caldo, saldo, sembrava in grado di strapparlo al dolore. Dean spostò lo sguardo dalla mano, al braccio, all'uomo che gli stava vicino. Era affannato e scompigliato, con i vestiti buttati addosso in fretta. Specchiò lo sguardo negli occhi blu di quello sconosciuto così familiare, per poi vagare a studiare i confini del suo viso, del suo corpo, della sua presenza. Una parte della sua mente aveva sempre percepito qualche immagine, ma averlo lì, reale, tangibile, era diverso.
Era intenso.
Cas non spostò lo sguardo, restando ancorato a Dean come se il baricentro dell'universo fosse appena cambiato.
«Sei qui?» domandò più che ripetere.
«Ho molti permessi arretrati per il mio tempo libero, Dean» spiegò Cas, con tono tranquillo, come se fosse la spiegazione più ovvia del mondo.
«Non... non dovresti essere qui, Cas. Non è una buona idea» disse Dean, anche se la sua mente andò in un'altra direzione.
“Nessuno ti vorrebbe qui più di me, ma non è una buona idea.”
Continuarono a guardarsi, consapevoli di tutto. Dell'inevitabilità di quel momento, di tutti i discorsi che avevano evitato, del modo in cui il dolore li avvicinasse più di qualsiasi altra cosa.
«Non voglio più essere guidato dalle regole, Dean. Voglio la libertà di scegliere. Credo che valga la pena lottare per questa libertà» dichiarò Cas, serio.
Dean sbuffò una piccola risata incredula, ma spostò comunque lo sgabello al suo fianco per invitarlo a sedersi.
«Come sapevi dove trovarmi?»
“E poi come sei arrivato? Ti sei messo a correre fino a qui?”
«Ormai conosco questo posto alla perfezione, grazie a te.»
Avevi bisogno di me, Dean.


 
Ok, questo capitolo inizia un po' a frammenti sconclusionati (?), ma spero vi piaccia e spero si capisca. Questo week end mi ha un po' distrutta, quindi non credo di essere riuscita a rivedere il capitolo per bene. Spero non sia un disastro, nel caso mi scuso!
A presto e GRAZIE  a chi continua a lasciarmi recensioni. Mi fate sempre felice e mi motivate ad andare avanti! <3
Alla prossima!!

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Capitolo 5
*** Ferite e promesse ***


 


5. Ferite e promesse
 
«Non avevo dubbi tu avessi un'indecente quantità di permessi arretrati» disse Dean, un sorriso amaro sul viso.
Vorrei non sentire più niente.
«Qual è il verdetto?» chiese poi, soffocando quel pensiero con la voce.
Fu inutile, ovviamente, perché Cas venne invaso dai pensieri incrinati di dolore che affollavano la mente di Dean.
Fa male.
Voglio che smetta.
Fallo smettere.
Cas lo osservò posare il bicchiere ormai vuoto sul bancone.
«Verdetto?» domandò poi, perplesso, tentando di non essere sopraffatto dall'idea di essere lì, con Dean, a guardarlo dritto negli occhi come se tutte le risposte dell'universo si trovassero nelle sue iridi verdi.
Dean, a quella domanda, si limitò ad aprire un po' le braccia e abbassare la testa per guardarsi, prima di tornare a fissarlo.
“Ah, un verdetto sulla tua apparenza esteriore” comprese Cas, senza parlare, per poi far vagare lo sguardo sul viso dell'altro, sulle sue labbra, sul suo mento, sulla forma dei suoi occhi. “Sei molto bello, Dean” pensò quindi, senza nessuna traccia di imbarazzo.
Anche tu, Cas. Anche tu.
Dean abbozzò nuovamente un sorriso dai contorni tristi, prima di agitare il bicchiere in direzione della donna dietro il bancone come a scacciare quell'istintiva risposta. Cas spostò lo sguardo su di lei, studiandone il profilo deciso e l'espressione leggermente preoccupata: era Ellen. Come per Dean e il suo aspetto, anche per tutte le persone che popolavano la sua vita Cas non aveva avuto immagini precise nella mente; solo ombre vaghe, piccoli indizi. Era davvero strano trovarsi lì, vedere tutto con i propri occhi. Era strano avere Dean così vicino, poter quasi sentirne il calore, avvertire la sua presenza solida. Aveva spalle larghe, avvolte dalla camicia in flanella, le maniche arrotolate sugli avambracci. Cas, nonostante la penombra del locale, notò che le lentiggini arrivavano fino a lì, puntellandogli la pelle. Ebbe un pensiero sciocco, si chiese se fossero proprio ovunque.
Sì, ovunque, gli rispose la mente di Dean, calcando la mano su una malizia che strideva con il suo dolore.
«Ellen, avanti, solo un altro» borbottò poi a voce alta, in direzione della donna, ripetendo il movimento con il bicchiere vuoto.
Sembrava quasi che incontrarsi per la prima volta, respirare la stessa aria, rendesse necessario un certo grado di finzione, di tutela, di intimità. Cas si guardò intorno, per concedere a Dean quello di cui sembrava avere bisogno – spazio, perfino nei suoi pensieri – assorbendo così l'immagine dei tavoli solidi, del piccolo palco scalcinato, della chitarra e del microfono che apparivano stranamente orfani senza una persona a dar loro vita.
«Dean, se superi il limite avrai un'altra ammonizione. Ti ricordo che lo stipendio te lo pago io e so che non hai i crediti per un'altra multa» rispose Ellen, per poi spostare l'attenzione sulla novità costituita da Cas. «E lui chi è?»
«Oh, lui è Castiel» rispose Dean, battendo una mano sulla schiena dell'altro, riportandolo così alla conversazione che si stava tenendo.
Il contatto si protrasse qualche istante più del necessario e lo sguardo di Ellen si trasformò appena, anche se poi si limitò a scuotere impercettibilmente la testa e si occupò di un altro cliente che reclamava la sua attenzione, ignorando l'espressione confusa di Cas.
Dannazione. Dovrei solo strapparmi questo coso dal polso. Cos'altro ci controllano con questo affare?
“Dean.”
Cosa?!
“Sei arrabbiato.”
Che intuito.
“Io sono qui.”
Dean sembrò abbandonarsi un poco, come se l'ennesima rassicurazione mentale di Cas riassunta in quelle poche parole – esserci per lui, dargli forza, sostegno – avesse fatto breccia nella densa coltre del suo dolore solo quanto necessario a ridimensionare la rabbia. Non il senso di colpa, quello no; né l'idea di essere terribilmente sbagliato, perché quella aveva radici profonde, ramificate, che toccavano punti oscuri e polverosi della sua anima.
«Quindi... sei davvero corso qui, eh?» domandò Dean a voce alta, distogliendo lo sguardo.
Cas gli raccontò con i ricordi di come si fosse precipitato verso il lettore, nel sentire tutto quel dolore riversarglisi dentro, e di come avesse selezionato velocemente un permesso per il tempo libero, per poi vestirsi e correre seguendo un istinto che non pensava di avere, percorrendo strade conosciute solo attraverso la connessione con Dean.
 
Dean ascoltò i pensieri di Cas, le dita ancorate al bicchiere vuoto, lo sguardo spostato nuovamente sugli occhi incredibilmente blu che si trovava vicino.
Cas era...
Intenso. Come un colpo dritto al petto. Era qualcosa per cui Dean non era pronto, non dopo la notizia di Benny, non dopo la rinnovata consapevolezza di essere dannoso.
Vuoi che me ne vada, Dean?
“No” pensò subito Dean, istintivamente. “No, resta” scandì con più calma, soppesando le sillabe con la mente.
Cas annuì nella realtà fisica, nell'aria calda del locale dove i loro corpi sembravano immobilizzati in quello sguardo ininterrotto. A Dean scappò uno sbuffo di risata.
«Se ci parliamo qui» sussurrò, furtivo, portando il dito alla tempia, «non ti puoi mettere a fare sì con la testa.»
Cas annuì ancora e Dean sorrise un poco di più.
C'era qualcosa di strano, nel ragazzo, ma era una stranezza tutta da scoprire. Dean non riuscì a fermarsi dall'immaginare cosa dovesse esserci sotto l'espressione confusa, e sotto l'impermeabile e la giacca e la camicia...
Dean..
“Scusa, amico. Ma, ehi, hai iniziato tu con la storia delle lentiggini.”
Non devi scusarti. Credo sia una serata difficile, per te. E tutto questo è nuovo per entrambi.
“Quindi posso avere fantasie lussuriose? Ho un lasciapassare?”
A quel pensiero, Dean fece seguire un occhiolino scherzoso.
La verità era che avrebbe voluto interrompere quella connessione. Almeno per quella sera, solo per potersi abbandonare al dolore per Benny e alla confusione che la vicinanza di Cas gli suscitava. Invece continuava a scivolare su pensieri che non avrebbe dovuto fare – su Cas e su Benny e su se stesso –, correggendosi mentalmente un secondo troppo tardi.
Non devi. Abbiamo condiviso tutto in questi giorni. Non è cambiato nulla.
“Sei qui.”
Dean ancora non ci credeva. Gli era bastato sentire la sua mano sulla spalla per capire che la frase della prima sera non aveva perso il suo significato. Erano fottuti. Lui era fottuto.
E non poteva impedirsi ingiusti paragoni con Benny, come se non fosse abbastanza imbarazzante dare libero accesso a Cas a tutto quello che sentiva.
Anche tu senti me, Dean.
A quel pensiero, Cas sembrò sforzarsi di far seguire tutto quello che gli aveva attraversato la mente quella stessa sera, tutte le impressioni che Dean non era riuscito a cogliere, avvolto com'era dal dolore: Cas l'aveva trovato bello, con immediatezza e intensità, ed era rimasto affascinato dalle sfumature di verde nelle sue iridi. Più di quanto poteva vedersi da fuori, però, a Cas era sembrato che ogni pezzo fosse al suo posto, che l'immagine di Dean fosse finalmente completa, ed era quella di una persona buona, pronta a sacrificare se stesso per gli altri, sempre e comunque. Ferita, forse in modi che non potevano cicatrizzarsi, ma buona. Cas andò avanti, lasciando che i pensieri fluissero onesti, e gli mostrò cos'aveva sentito trovandoselo vicino, posando la mano sulla sua spalla, avvertendo il suo calore oltre la stoffa ruvida della camicia. Cosa vedeva nei suoi occhi, scavandoci dentro con lo sguardo.
“Questa cosa, qualsiasi cosa sia, non finirà bene, Cas.”
Lo so, Dean.
“È meglio non farla neanche iniziare. Sono serio, qui, Cas. Benny è...”
Dean tornò ad affondare un poco nelle sabbie mobili del senso di colpa. Aveva abbandonato Benny a se stesso, consapevole della disparità dei loro sentimenti, consapevole di quanto ne avrebbe sofferto. Quando lo avevano isolato, quando l'avviso era arrivato, Dean si era arrabbiato con se stesso per aver ceduto alla tentazione, per aver compromesso la sua possibilità di esserci per Sam, e questo aveva messo tutto in secondo piano. Quella era un'altra storia che non sarebbe dovuta iniziare, con Benny che lavorava al porto, nel quartiere al margine della città, e che con Dean non avrebbe mai dovuto mischiarsi.
Dean, non accadrà nulla di tutto questo. Non lo permetterò.
I pensieri di Cas erano saldi come pietre, solide fondamenta su cui Dean cercò di costruire qualche sicurezza. Almeno uno di loro doveva essere forte per entrambi, non cedere, resistere alla tentazione di allungare la mano e avvertire la consistenza della pelle dell'altro. Dean non era certo di farcela – aveva già ceduto in passato – e poteva solo sperare Cas fosse forte abbastanza.
“Ho comunque l'impressione che sarà un disastro” pensò Dean, fissando il bicchiere vuoto come se lo sguardo potesse riempirlo di nuovo.
Avvertiva in Cas la tentazione, il dubbio, ma sentiva anche una strana resistenza, una convinzione che ammirava.
Hai perso una persona importante, Dean. Non penso sia facile avere speranze, ora.
 
In realtà Cas avrebbe voluto allungare la mano e stringere quella di Dean. Ed era assurdo sapere che Dean sapeva, in quel circolo vizioso ormai già familiare. Avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, che non era colpa sua, che a volte le persone stavano così male da non trovare alternative, da non riuscire a chiedere aiuto. In quel desiderio di condividere, sapeva anche di averlo già fatto, di aver già detto tutto. Sapeva che Dean avrebbe letto quei pensieri. Non c'erano filtri, non c'erano barriere.
Erano costruiti per stare insieme, ma Cas era consapevole che non potevano e non avrebbe permesso a niente di mettere a rischio Dean più di quanto non gli fosse già successo. Non voleva sentire il dolore che stava provando in quel momento ripresentarsi, non voleva esserne la causa.
Siamo d'accordo, quindi: niente cazzate.
Cas sentì quei pensieri e ne riconobbe ogni sfumatura: la soddisfazione di aver raggiunto una decisione; il trionfo nell'aver evitato di ripetere un errore fatto con Benny; l'amarezza di non potersi sfiorare come volevano; quello strano, acerbo sentimento a premere fra le costole; il retrogusto amaro del lutto.
“Siamo d'accordo, Dean.”


 
SORPRESAAAH!
Sì, ok, non c'è bisogno di urlare...
So che vorreste dei capitoli più lunghi, ma so anche di non essere in grado di scriverli per quanto ci provi, così ho deciso di tentare di raddoppiare gli aggiornamenti per farvi aspettare meno. Potrebbe funzionare come compromesso? Forse, se riesco ad essere costante. XD Se trovate dei refusi o simili, segnalateli pure, che l'ho rivisto un po' "di corsa".
Appena avrò un attimo risponderò alle recensioni, ma voi continuate a farmi felice con le vostre opinioni così i capitoli continueranno a fluire (???).
Va beh, ci siamo capiti. 
Alla prossima, e GRAZIE  a chi spreca qualche minuto del suo tempo a leggermi! <3

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Capitolo 6
*** Niente di così reale ***


 
 
6. Niente di così reale

La sera diventò notte in fretta, mentre i pensieri continuavano ad inseguirsi e sovrapporsi alle parole a cui davano realmente voce. Restarono uno a fianco all'altro, seduti sugli sgabelli, le ginocchia a sfiorarsi piano. Niente cazzate diventò una regola difficile da ricordare più le ore passavano, più le barriere che Dean aveva cercato di imporsi crollavano sotto il peso della sua intimità con Cas. Cas che ascoltava paziente sia la sua mente sia la sua voce, senza mai chiedere troppo, senza pretese, perfino quando i pensieri diventavano tetri e si focalizzavano su Benny. Dean non parlava mai di sé, di quello che gli si agitava nell'anima, eppure con quell'uomo strano gli era facile come respirare.
In un momento di violenta debolezza – difficile da accettare e ancora di più da perdonare – quando Cas si decise ad ordinare una birra e portò la bottiglia alle labbra, Dean venne colpito dall'immagine nitida di quella bocca su di sé. Non riuscì a censure il pensiero dei loro corpi nudi, delle lenzuola stropicciate, delle gambe intrecciate e dei baci, delle carezze, delle scoperte.
Quando se ne accorse era comunque troppo tardi. Cercò di far scivolare via quella fantasia, ma Cas – occhi negli occhi, con la sua strana intensità dipinta nelle iridi blu – vi si aggrappò. Probabilmente non se ne accorse nemmeno, non realizzò di contribuirvi, eppure l'immagine divenne più chiara: odori, suoni, sensazioni. Annegarono così tanto in profondità che il mondo intero sembrò sparire, risucchiato dal vortice di quella passione tutta inventata ma tanto concreta da spezzare il fiato.
Fu il lieve suono del chip di Cas a restituire loro il controllo: il suo permesso stava arrivando al temine ed era ora di rientrare. Dean gli osservò il polso, l'opaca luce rossastra che lampeggiava sottopelle; un punto piccolo che aveva il potere di ricordare quanto tutto fosse semplicemente impossibile.
“Cazzo, Cas.”
Oh. Mi dispiace molto, Dean. Non avrei dovuto. Io...
Cas si alzò, palesemente confuso, colpito da quanto avevano appena condiviso.
«Credo di dover andare» dichiarò, le parole roche.
«Aspetta, aspetta un attimo» lo fermò Dean, ad alta voce, passandosi una mano sul viso, per poi alzarsi a sua volta. «Non è colpa tua. Questa è solo una serata del cazzo, per me, tutto qui» lo rassicurò.
Abbiamo un accordo. Te l'ho promesso.
“Lo so, Cas. Lo so, credimi. Ma capita di pensarci. Pensarci non significa che lo faremo. L'importante è non andare oltre” pensò Dean, infondendo sicurezza a quelle traballanti incertezze.
Seguì un vuoto mentale, un'assenza di consapevolezza che Dean non aveva mai sentito in Cas. Poi, come una marea, arrivò un'altra dichiarazione, l'ennesima verità.
Ma vogliamo.
Cas era troppo onesto, Dean lo sapeva, troppo diretto per non farsi influenzare dall'immagine che avevano appena costruito insieme, per quanto abbozzata. E la durezza con cui aveva appena pensato quelle parole, il rigido rimprovero che celavano, colpì Dean in pieno petto.
“Niente cazzate. Questo non è cambiato” lo rassicurò mentalmente, accompagnandolo alla porta.
Cas lo seguì, ricurvo, quasi chiuso in se stesso. Stava riflettendo sui pericoli che lo aspettavano ogni volta che avesse abbassato la guardia, ogni volta che non avesse esercitato controllo. Stranamente questo terrorizzò Dean di una paura profonda: temeva Cas sarebbe scappato, fuggito da quella connessione; lo vedeva capace di chiedere un trasferimento, di pregare affinché lo lobotomizzassero o qualsiasi altra follia avesse il potere di infrangere l'unione mentale di due anime gemelle.
Non scomparirò, Dean.
Continuavano a rassicurarsi a vicenda, forse perché quel mondo – il loro mondo – insegnava la paura prima di qualsiasi altra cosa. E, nella paura, si coltivava il coraggio di andare avanti, di avere forza, di resistere insieme.
“Grazie, Cas” pensò Dean.
«Quindi, una bella serata, eh?» aggiunse ad alta voce, scrutandolo.
Erano in piedi, vicino alla porta, uno di fronte all'altro, incapaci di infrangere il legame delle loro iridi chiare nella penombra del locale.
«È stato un piacere, Dean» concluse Cas.
E poi, all'improvviso, Dean si sentì avvolgere dalle sue braccia, dal suo calore, dal suo profumo.
 
Cas agì d'istinto, stringendoselo contro, ignorando la sorpresa che irrigidì il corpo dell'altro. Tornò intero per la prima volta in vita sua, completo, l'anima che si legava a quella di Dean con nodi inspiegabili e impossibili.
Lo sentiva, caldo e solido, sotto i vestiti, il cuore contro il suo petto, quel posto fra la spalla e il collo che invitava il viso di Cas a nascondersi dal mondo. Affondò in quella stretta quando anche le braccia di Dean salirono a replicare il gesto.
Cazzo.
“Dean?”
Non ce la faccio, Cas, non... questo è...
“Troppo.”
«Ok, amico, devi andare.»
Dean parlò slacciandosi dall'incastro di braccia, dopo un paio di piccole pacche fra le scapole di Cas, un sorriso imbarazzato in viso. Cas annuì, ancora confuso dalla continua discesa nella tentazione. In una singola sera quell'intero legame aveva dimostrato quando fosse facile cadere, scivolare, e quanto fosse difficile tornare a galla e rialzarsi. Cercò di uscire dall'aria densa del locale senza guardarsi indietro, un vago prurito nella mente che lo invitava a voltarsi, a salutare Dean con lo sguardo un'ultima volta. Quando la porta si chiuse alle sue spalle e la brezza fresca lo colpì in viso, si congratulò con se stesso per non aver ceduto.
Si incamminò in fretta, attraversando le porte che dividevano i due quartieri, i pensieri caotici che lentamente tornavano alla normalità. Restava la connessione, da qualche parte, in fondo a quella bufera che andava spegnendosi, ma non s'impose su tutto il resto. Aprì la porta con lo strano senso di irrealtà che finalmente si manifestava: aveva incontrato Dean, davvero, per la prima volta, avevano parlato, condiviso lo stesso spazio, si erano sfiorati. E, fra tutte quelle prime esperienze, avevano in qualche modo trovato la convinzione di resistere a qualcosa che sembrava impossibile da contrastare.
Cas si spogliò dei vestiti, abbandonandoli sullo schienale della sedia, per infilarsi in bagno. Era tardi sul serio, ma gli sembrava che una doccia fosse necessaria a lavar via ricordi recenti e immagini mai vissute.
Dean comparve in quel momento, alle porte della coscienza, quasi bussando piano.
A casa sano e salvo, noto.
“Sì.”
Sto rientrando anche io. Tutto bene?
“Non ne sono sicuro, Dean. Credo di sì.”
Cas lo avvertì avvicinarsi a quella che doveva essere casa, entrare nella stanza, sospirare come se fosse finalmente possibile lasciarsi andare. Mentre si infilava sotto il getto caldo della doccia, percepì Dean spogliarsi degli abiti e fare lo stesso, quasi di fretta. Intuì che voleva fare quello che faceva lui, fingere di essere inseme quando non lo erano. Non fisicamente, almeno.
Ti dà fastidio?
“No, Dean.”
Era pericoloso, sul limite di una promessa infranta, ma non stavano indugiando davvero nella compagnia dell'altro, non stavano davvero cedendo. O, almeno, questa era l'illusione di Cas. Serrò le palpebre, focalizzandosi su Dean: lo vide quasi, nudo di pelle come d'anima, l'acqua a scorrergli addosso, gli occhi chiusi contro il getto.
“Sei molto bello” pensò, senza filtri a misurare l'istinto.
Quasi avvertì il sorriso malizioso dell'altro. Di certo sentì la sua mano scorrere, avventurarsi verso il basso, farsi strada oltre il limite che si erano imposti. Poco oltre, certo, ma comunque al di là della linea invisibile che dovevano stare attenti a rispettare.
Non è reale, Cas.
“Forse. O, forse, se ora ci abbandoniamo a questo, sarà fin troppo reale.”
Hai ragione.
Cas percepì la mano di Dean rilassarsi contro il fianco, nessuna tentazione a dispiegarsi fra le loro menti. Quella resa gli fece quasi male. Lui che non aveva mai provato nulla del genere, lui che si era mosso ai margini della vita, estraneo a qualsiasi passione.
Per una volta, una sola, avrebbe voluto...
“Non smettere” pensò, in una supplica che finì per sorprenderlo.
E la sua mano seguì quella di Dean, a sfiorarsi piano. Bastò quello a renderli la stessa persona. Bastò muoversi in sincronia, come parti dello stesso corpo, perché la connessione esplodesse potente. Cas si accarezzò ed era la mano di Dean a toccarlo; quando sospirò, era la voce di Dean ad uscire dalla sua gola; quando il ritmo aumentò, era una scelta dell'altro andare più veloce, inseguire il piacere. Nella mente si accumularono immagini sconosciute, che non sapeva se fossero sue o di Dean, fatte di corpi stretti come pennellate sovrapposte, di incastri e spinte, del suono secco di due corpi in collisione.
Il piacere strizzò fuori l'aria dai polmoni di Cas, quando arrivò prepotente, facendolo piegare verso le piastrelle, una mano a sorreggersi contro il muro. Intenso e spaventoso, sembrò infrangere il suo corpo in minuscoli frammenti.
Quando tornò in sé, il palmo ancora stretto addosso, il respiro spezzato in bocca, cercò Dean con la coscienza.
Sono qui. Sono qui, Cas.
Ma, dietro quel pensiero, Cas riuscì a scorgere il senso di colpa, l'idea di aver trascinato entrambi ancora più a fondo in quella storia pericolosa. Si spostò sotto il getto caldo, con gambe tremanti, alla ricerca di qualcosa che avesse senso, che fosse possibile concretizzare al centro della mente.
Sono una malattia. Non voglio farti questo, Cas, non voglio...
“No, Dean.”
È così, sai che è così. Guarda cos'è appena successo. Non vale niente quanto ci provi, non importa, capisci?
Quella nota disperata, stridente, trapassò Cas da parte a parte.
“L'ho voluto. Dean. L'ho voluto dal primo istante in cui ti ho sentito” confessò, arreso. “L'ho voluto perché non ho mai sentito niente di così...”
Reale.

 
Lo so, sono in ritardo! T__T
Ma è iniziato il CampNaNo e sto cercando di portare avanti TUTTI i progetti che ho aperto e mai finito. Viva me! In compenso questo capitolo credo sia abbastanza "intenso"... 
Ora che sono in pari dovrò ritagliarmi il tempo per scrivere e per portare avanti una parvenza di trama. Auguratemi buona fortuna! XD
E nulla, alla prossima e, come sempre GRAZIE a chi mi fa sapere cosa ne pensa, risponderò alle recensioni al più presto, siete preziosissime! <3

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Capitolo 7
*** Nero come un addio ***


 
7. Nero come un addio
 
Crowley – la sua firma parlava di un Fergus Roderick, ma lui aveva insistito per farsi chiamare così – aveva l'aria distinta dell'assicuratore, arricchita da una particolare furbizia negli occhi. A Cas sarebbe piaciuto farne un ritratto e cercare di catturarla, ma il cliente era lì per ritirare finalmente il quadro commissionato. Cas posò la tela sul cavalletto, asciutta e brillante in tutte le sue sfumature di rosso. Crowley la osservò, avvicinandosi incuriosito. Il silenzio si dilatò per un tempo infinito, finché il cliente non si decise a parlare, abbozzando un sorriso che sembrava più un ghigno.
“Molto bene. Almeno questa tua aria da pittore disperato non fa promesse a vuoto, eh?” disse, la voce roca e l'accento marcato.
Cas si rilassò.
Mentre incartava il quadro, però, venne colpito dall'idea che l'uomo potesse aver avuto un'anima gemella – idea a cui aveva pensato dal loro primo incontro, ma che ora aveva molta più importanza – e si fermò a guardarlo.
Non ci pensare neanche, Cas. Questo damerino finirà per denunciarti. Correresti un rischio inutile.
Dean doveva essersi svegliato da poco, perché i suoi pensieri erano leggermente annebbiati e si rincorrevano piano.
“Dean, non c'è pericolo. Se anche lui ha avuto un'anima gemella, allora...”
No. Sono serio, Cas. No.
«Posso farti una domanda?» disse invece Cas, d'istinto.
L'uomo in questione stava camminando per lo studio, le mani nelle tasche dell'elegante abito scuro e l'espressione attenta dipinta in viso. Quando si sentì chiamare, si voltò verso il pittore.
«Questa è stata una commissione molto interessante. Mi chiedevo...» Cas cercò le parole per qualche istante, «mi chiedevo se ci fosse dietro una storia altrettanto interessante.»
Cas...
“Ho tutto sotto controllo, Dean.”
Sì, certo.
Cas ignorò la risposta sarcastica che gli balenò nella mente, specchiandosi nello sguardo indagatore di Crowley. Improvvisamente, un lampo di consapevolezza attraversò gli occhi dell'uomo, che si aprì in un sorriso divertito.
«Ah» disse soltanto.
«Se è possibile parlarne, ovviamente» specificò Cas.
«Tecnicamente, no» fu la risposta di Crowley. «Ma potrei fare un'eccezione, viste le circostanze straordinarie.»
Lo sa. L'ha capito. Quanto credi ci metterà a sputtanarti, eh? Cazzo, cazzo, cazzo...
“Calmati, Dean.”
«Stai discutendo con lei, ora? Cos'è meglio fare, darling, credi dovremmo chiederlo? No, assolutamente no, è pericoloso! Ma lui potrebbe sapere qualcosa!» recitò Crowley, esibendosi in quel dialogo fantasioso con tanto di voci diverse.
«Lui.»
La correzione sfuggì alle labbra di Cas, subito seguita dal pugno che Dean riservò alla parete con forza. Cas sobbalzò, nella realtà, ma fu subito percorso da un brivido di preoccupazione.
“Ti sei fatto male?”
Fottiti.
«Ah, lui, capisco. Qualche anno fa mi è successa la stessa cosa. Un lui, niente meno» confessò Crowley, sedendosi sull'alto sgabello di Cas, mentre la sua espressione si trasformava impercettibilmente e acquisiva una sfumatura amara.
«Cos'è successo?» domandò Cas, sempre attento alle reazioni dall'altra parte della connessione.
Dean intanto era andato a prendere un sacchetto di surgelati da posare sulla mano, ma dentro aveva tutto un mondo di agitazioni e tensioni che sembravano annodargli l'anima. Cas lo visualizzò andare a sedersi sul bordo del letto.
«Qualcuno ha fatto in modo che la questione venisse risolta.»
Cas ascoltò quelle parole, paralizzato senza sapere bene da cosa.
«Risolta?»
Gliel'hanno ammazzato? chiese Dean dall'altra parte.
«È difficile mantenere qualcosa di così invasivo un segreto. Un mio rivale, in ufficio, lo venne a sapere e lo usò contro di me per riprendere il posto che ricoprivo. E che ricopro ancora, nonostante il suo breve tentativo di usurpazione» spiegò, con un sorriso stranamente soddisfatto. «Si rivolse alle autorità e loro sistemarono la questione modificando il mio chip.»
L'uomo alzò il braccio, spostando la manica della giacca e sbottonando il polsino della camicia. C'era una cicatrice, lì, e il chip pulsò una piccola luce verde sottopelle quando Crowley ci passò sopra il dito.
Cosa cazzo significa?
«Cosa vuol dire?» domandò Cas, facendo eco alla domanda di Dean.
«Significa che questa connessione che senti non è altro che un malfunzionamento del chip, qualcosa che capita. Siete connessi come in una rete privata. Non è nulla di speciale, nulla di trascendente, nulla di divino» sbottò Crowley, alzandosi sbrigativo. «Posso avere il mio quadro, ora?»
Cas si sentiva male, una nausea strana gli risalì dallo stomaco e un peso scomodo gli si adagiò sul petto. Era sbagliato. Era tutto sbagliato.
Un... un malfunzionamento?
“Dean...”
Un dannato malfunzionamento? È questo che siamo? È questo che sta succedendo?
Cas porse il quadro incartato a Crowley, la postura abbattuta, e lo accompagnò fino alla porta dello studio, tentando di ignorare la rabbia di Dean, la sua incontenibile incredulità pervasa di amarezza. Quando l'uomo fece qualche passo in strada, però, Cas sentì la domanda premergli sotto la lingua e allora la liberò, istintiva.
«Com'è stato?» domandò, con urgenza.
Crowley si fermò e lo osservò con l'espressione vagamente confusa.
«Com'è stato quando non l'hai più sentito?» chiese nuovamente Cas, più specifico.
«Come farsi amputare un arto perfettamente funzionante.»
 
C'era stato del silenzio, dopo. Non che i pensieri fossero quieti; anzi, erano tanto caotici e sovrapposti da essere impossibili da leggere per entrambi. Dean si era abbandonato sul letto, le nocche doloranti e qualcosa più a fondo che non voleva smettere di scalciare e premere e strappare.
Non sapeva neanche perché si sentisse così. Avrebbe dovuto essere contento: potevano andare all'Ufficio Gestione Microchip e Lettori e farsi controllare; potevano smetterla con tutte quelle cazzate e tornare alle loro vite. Era una bella notizia, una grande notizia. Cas poteva finalmente liberarsi di lui.
Dean...
“Dimmi che non ci hai pensato! È così, potresti tornare al tuo sacrosanto sistema. Niente più anima gemella, niente più drammi.”
Se ci avessi pensato, l'avresti saputo.
“Già, il malfunzionamento” rispose mentalmente Dean, acido.
Cosa cambia, Dean? Anche se si trattasse di questo, cosa cambierebbe, per noi?
“Non capisci? Non c'è nessun noi, Cas. Non c'è mai stato.”
Si accorse subito che quel pensiero – fatto di rabbia e tristezza e senso di perdita – aveva ferito Cas, che gli era penetrato a fondo e gli aveva fatto sanguinare l'anima. Se ne accorse, ma non sapeva come utilizzare quella consapevolezza per farne dei punti di sutura con cui ricucire. Si sentiva abbandonato prima ancora di esserlo davvero e non c'erano vie d'uscita da quella sensazione.
Non sei solo. Hai me. Mi avrai finché vorrai.
“Abbiamo continuato a chiederci se ci fosse un modo per non correre rischi, beh, eccolo! Eliminare la questione alla radice.”
Ancora, un altro affondo nell'animo di Cas, un altro colpo e un altro fiotto di sangue, ma Dean non sembrava in grado di fermarsi. Cas lo avrebbe lasciato, come avevano fatto tutti per forza o per volontà. Ed era meglio così, era giusto così, solo così ci si poteva salvare dal veleno che era la sua esistenza. Benny, lui non ne era uscito vivo. La sua morte – aveva cercato di non pensarci, Dean, ci aveva provato sul serio – ricadeva sulla sua coscienza, era un masso legato alle caviglie che lo trascinava fondo. Non poteva permettere che anche Cas finisse nello stesso modo, non lo avrebbe sopportato, sarebbe stato semplicemente troppo difficile continuare a respirare. Basta. Se potevano farla finita, tagliare il filo invisibile che li collegava come due meccanismi dello stesso motore, allora andava fatto.
Questa è la tua decisione, Dean?
La domanda che scivolò dalla mente di Cas alla mente di Dean non aveva note di rabbia, solo e soltanto resa. Dean si girò su un fianco, nel letto, stringendosi come poteva, mentre la mano pulsava dolorosamente e qualcosa andava in pezzi dietro lo sterno.
“Sì.”
D'accordo, Dean. Tutto quello che vuoi. Domani...
“No, lo farò io. Tanto dovevo comunque andare all'Ufficio Analisi Relazionali per farmi affibbiare una compagna.”
L'ultimo colpo, un proiettile sparato a distanza ravvicinata.
 
Cas restò immobile in mezzo allo studio, ferito a morte.
Sapeva che erano legati, sentiva tutto quello che passava per la mente di Dean, che gli scorreva dentro come un fiume in piena, ma non poteva opporsi a una richiesta tanto esplicita. Che l'altro lo facesse per il senso di colpa, per la paura, perché pensasse di non meritarsi altro che sofferenza non importava. Lo voleva, Cas poteva sentirlo. Voleva che quel legame si spezzasse e sparisse. Avrebbe trovato una compagna, avrebbe vissuto la sua vita, e Cas non ne avrebbe fatto parte. Si sarebbe limitato a tornare a confondersi con sfondo, come aveva sempre vissuto, solo fra tutti gli altri, guidato dal sistema che tanto gli aveva dato e che tanto gli stava togliendo.
Avrebbe voluto avere la forza di convincere Dean, sapeva di poterlo fare perché provavano lo stesso ruvido sentimento, ma non sarebbe stato giusto.
“D'accordo” ripeté con la mente, intingendo il pennello nel denso grumo di colore nero che macchiava la tavolozza.
Poi posò il pennello sulla tela e iniziò a dipingere la sua sofferenza.



 
SCUSATE per gli eventuali errori, ma l'ho riletto poco e male perché continuo ad avere la tentazione di cambiarlo e farli essere felici. T___T
Quando sarà finita cercherò di revisionarla tutta per bene.

Cercerò di mantenere gli aggiornamenti costanti, ma mi sto dedicando al CampNano per quanto possibile e vorrei riuscire a portare avanti anche i progetti originali. Quindi può essere che l'aggiornamento scivoli di qualche giorno, però cercherò di fare in modo che non ne trascorrano troppi.
GRAZIE a chi mi fa sapere cosa ne pensa, a chi continua ad esserci e leggere. <3
Alla prossima (e odiatemi con moderazione che sono delicata XD).

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Capitolo 8
*** Le persone e il sistema ***


 


8. Le persone e il sistema
 
Dean era lì, pronto, in riga, ad aspettare il suo turno. Avrebbero selezionato qualcuno fra i richiedenti compagno o, non fosse risultato subito nessuno di adeguato, avrebbero cercato fra tutti i cittadini e inoltrato la richiesta alla persona scelta dall'algoritmo, che avrebbe avuto qualche mese per sistemare le sue faccende per poi andare a confermare la pratica. Sarebbe stato più lungo, in quest'ultimo caso, ma avviare la proceduta sarebbe bastato a sbloccare i suoi permessi e avrebbe potuto rivedere Sam e Bobby e Charlie.
Stava cercando di convincersi fosse la cosa giusta e Cas era presente, da qualche parte nella sua mente, ad ascoltare tutto in uno strano silenzio.
Sto rispettando la tua decisione, Dean.
“Ma non la condividi.”
I pensieri che seguirono quella constatazione si accumularono in un angolo, combattuti e contrastanti: una parte di Cas voleva lasciare Dean libero di fare le sue scelte, giuste o sbagliate che le ritenesse, mentre l'altra si opponeva con tutte le sue forze.
Dopo aver dubitato di tutto quello in cui credo.
Dopo aver voltato le spalle al sistema che mi ha dato tutto.
Per te.
Com'erano iniziati, quei pensieri sfumarono via. Dean fece un passo avanti, seguendo l'avanzare della fila.
Scusami, Dean. Non ascoltare.
“Direi che è un po' difficile, ti sembra?” tentò di scherzare Dean, senza che la leggerezza delle parole contagiasse davvero i pensieri.
Si sentiva vuoto, senza più niente per cui lottare. Era pronto ad arrendersi al sistema, piegarsi per non farsi portare via la sua vecchia vita. E se davvero quella connessione era solo uno stupido malfunzionamento, allora...
No, non stupido. Ci ha fatto conoscere.
Dean ascoltò quel pensiero, sentendolo strisciare dentro, come una carezza su una ferita che andava riaprendosi ad ogni passo verso lo sportello. Una ferita troppo vecchia per sanguinare, la cui unica conseguenza era quell'infinito senso di niente che lo stava abitando.
“Cazzo, Cas...”
«Dean. Dean.»
In un lampo di capelli rossi, Charlie percorse l'immacolato corridoio in marmo e ampi vetri, scansando qualcuna delle persone in fila senza troppa accortezza. Dean si girò quando divenne chiaro che quel richiamo mormorato ma deciso fosse rivolto a lui.
«Charlie? Cosa diavolo fai qui?» chiese, sorpreso, squadrandola da capo a piedi dopo tutto quel tempo lontani, registrando i capelli più corti.
Lei gli diede un abbraccio frettoloso, che lui prolungò un po' più del necessario, per poi ricambiare quell'esame attento. Un lampo di preoccupazione le passò nello sguardo, ma Dean fece di tutto per ignorarlo e dipingersi in viso un espressione serena.
«Pensi che non ti tenga d'occhio? Quando mi è comparsa sul lettore portatile la tua registrazione alla fila di oggi mi è preso un colpo» bisbigliò Charlie.
Dean adocchiò la macchinetta distante parecchi metri su cui aveva passato il polso prima di mettersi in fila, come se quello sguardo accusatore potesse in qualche modo ferirne i sentimenti.
«Cosa credevi avrei fatto? Prima o poi tutti finiamo qui» confessò, arreso.
È Charlie?
“Sì, è lei. Farei le presentazioni, ma con la storia che sei nella mia testa diventerebbe complicato” pensò Dean.
«Dobbiamo parlare» ribatté Charlie, guardandosi attorno furtiva.
«Non posso uscire dalla fila.»
«Puoi se non ti sei mai registrato.»
«Ma l'ho-»
«Dean. Puoi, se non ti sei mai registrato» ripeté Charlie, il sorriso furbo ad illuminargli il viso.
«Ah.»
Dean guardò per un po' la fila, le persone in attesa, ascoltando il bisbigliare di chi si scambiava chiacchiere di circostanza per ammazzare il tempo. Come se l'intervento di Charlie non avesse appena soffiato via un po' dell'oscurità che quella mattinata gli aveva fatto crescere dentro, come se non fosse sollievo quello che aveva preso ad animarlo da quando Charlie era comparsa, come se fosse davvero necessario pensarci sopra.
«Andiamo?» lo spronò Charlie.
«Sei di fretta?»
«Ti spiegherò tutto. Vieni» concluse Charlie, prendendolo sottobraccio.
 
Cas tornò a respirare. Da quanto stava trattenendo il fiato? Da quanto era sdraiato a letto, a fissare il soffitto, con il lenzuolo stropicciato buttato sulle gambe e l'espressione spenta? Trascinarsi al lettore per darsi malato era stata l'unica attività di quella mattina.
E quel silenzioso parlare con Dean.
Più era avanzata la fila, più Cas aveva sentito le pareti stringersi, il respiro spezzarsi, e quel sordo dolore all'altezza del petto farsi opprimente. Aveva provato a convincersi che non avrebbe fatto così male, che poteva guardare Dean costruirsi una vita e gioire per lui, che stare ai margini gli sarebbe bastato, ma non era servito a stemperare l'enorme senso di impotenza e vuoto.
In quel momento, con l'arrivo di Charlie, gli sembrò quasi di poter volare. Si mise seduto sul bordo del letto, attento, mentre avvertiva Dean camminare per le strade a braccetto con l'amica.
“Dove state andando?”
Non lo so, genio, altrimenti lo sapresti anche tu. Ma si sta comportando in modo strano.
“Sono contento sia arrivata. Ti è mancata.”
Era vero, ma non era l'unico motivo. Charlie aveva impedito a Dean di andare fino in fondo, per quanto la questione fosse semplicemente rimandata, e per questo Cas le era grata.
Anche io le sono grato.
Il pensiero di Dean, diretto e immediato, strappò un sorriso a Cas. Gli parve di avere tempo, che fosse possibile trovare un altro modo, che ci fosse speranza. Probabilmente era sciocco, la visione assurda di un pittore romantico che aveva imparato quanto potesse essere stupenda l'umanità anche nei suoi momenti più bui, ma non importava, non in quel momento. Forse era tutto un errore, forse era stato davvero un imprevedibile e fortuito malfunzionamento, ma aveva incontrato Dean nel modo più profondo e sconvolgente gli potesse capitare e non aveva ancora la forza di lasciarlo andare e dimenticare tutto.
 
Charlie girò angoli e imboccò vie, raccontando a Dean aneddoti leggeri e divertenti sul lavoro e su una ragazza con cui era uscita. Restava tesa, quel vago nervosismo che continuava a vibrargli addosso, ma si stava sforzando di non darlo a vedere. All'improvviso avvicinò il polso ad un punto spoglio del muro di un vicolo e, più avanti, una porta ronzò e scattò.
«Che sta succedendo, si può sapere?»
Charlie viveva da un'altra parte, nel quartiere dei tecnici, poco distante da quello centrale dove si trovavano ancora, dedicato agli apparati burocratici. Lì avrebbero dovuto esserci solo i vari uffici pubblici e privati, non di certo una porta cadente e abbandonata in grado di aprirsi con un lettore segreto. Puzzava di pericoloso.
«Entra. Te lo spiegherà una persona» rispose Charlie.
A Dean bastò il sorriso con cui lo disse per capire che avrebbe rivisto Sam. Oltrepassò la porta ed entrò nello stretto corridoio caldo e umido, le pareti invase da tubi rumorosi. Charlie si mise a trafficare con un lettore, dopo averlo invitato a proseguire fino in fondo. Svoltato l'angolo, Dean si ritrovò davanti una stanza scarsamente illuminata e polverosa, piena di schermi, computer e cavi. Sam era seduto dietro una delle tastiere, a battere con convinzione.
Gli bastò alzare lo sguardo per illuminarsi.
Colmarono la distanza che li separava in un attimo, stringendosi in un abbraccio soffocante. Gli era mancato, quell'affetto incondizionato, una persona in grado di essere la sua più grande preoccupazione e la sua forza allo stesso tempo. Gli era mancato Sam e l'emozione nel petto si gonfiò fino a minacciare l'esplosione. In un continuo tuffo nel passato, tutti i momenti con suo fratello gli tornarono alla mente: i fuochi d'artificio, le storie notturne, i giochi, le litigate e le riappacificazioni.
«Sammy, li hai fatti crescere ancora?» domandò scherzoso, quando finalmente si separarono, riferendosi ai capelli.
Charlie li raggiunse, sorridente, per prendere posto dietro uno degli schermi.
«Mi volete dire che state combinando?» si decise a domandare Dean, lasciando la presa sulla spalla del fratello per guardarsi attorno, cauto.
«Stiamo... stiamo pensando a come risolvere qualche problema. Una specie di rivoluzione» rispose Sam, titubante, spostando lo sguardo da Dean a Charlie come a cercare il modo migliore per parlare.
«Una che?» domandò Dean, credendo di aver sentito male.
«Una rivoluzione, ragazzo.»
La voce di Bobby arrivò da una delle amache che Dean non aveva notato, nascoste dietro una tenda in un incavo della parete.
«Bobby?»
L'uomo gli andò incontro, una birra stretta in pugno. Il loro abbraccio fu più veloce, ma non meno sentito.
«Spiegatemi cosa succede» ripeté Dean.
«Ho scoperto come sparire dalla società, per farla semplice. Ho ideato dei chip che possono sostituire gli originali. Permettono di attingere ad una rete che io e qualche amico abbiamo messo su, in grado di far accedere ai lettori e modificare le informazioni. In questo modo si è liberi di registrarsi in un lettore e dichiarare di essere in un altro posto, per esempio, o acquistare materiali senza farli risultare nei moduli. E, quando verrà il momento, quando abbastanza persone avranno aderito alla causa, potremmo dichiarare la nostra morte collettiva.»
Dean...
“Non ora, Cas.”
«La nostra morte?» domandò Dean, spostando lo sguardo da Charlie a Sam, per approdare su Bobby. «Dimmi che almeno tu non sei d'accordo.»
«Ragazzo, che vuoi che ti dica? Sanno quello che fanno» fu la risposta, mentre gli porgeva una birra da aprire. «Perfino queste arrivano grazie ai nuovi chip. Non c'è stato bisogno di dichiararle.»
«Dean, cerca di capire, non possiamo andare avanti così. Quello che ti è successo ne è l'esempio. E Benny...»
«Non nominare Benny, Sam, lui non c'entra qui. State rischiando troppo, è troppo pericoloso. Che succede se vi beccano in questo posto, eh? Che succede se vi scoprono?»
Dean...
“Non è davvero il momento, Cas.”
«Sapevo che non avrebbe capito» disse Sam rivolto a Bobby, abbandonandosi su una sedia.
«Oh, non è un piano così difficile da capire. È piuttosto stupido, se volete la verità. E chi dovrebbe convincere le persone a farsi impiantare un chip illegale, eh? Che succede una volta che si dichiarano morte?»
Calò un silenzio cupo e rassegnato. Dean fece scivolare un sorso fresco di birra giù per la gola, che lo tenne impegnato quanto bastò a non sentire la voce di Cas nella testa e l'assenza di voci nella stanza. Quando abbassò la bottiglia, tutto quello che gli restò da fare fu un sospiro arreso.
«Dannazione, ragazzi...»
«Tuo fratello ha già raccolto un po' di persone. E Bobby conosce un tizio che sta qui in centro che ha molti contatti» lo interruppe Charlie.
«Non volevamo coinvolgerti finché non fosse stato tutto pronto, perché ti sono successe molte cose, ma ora sei qui. Lo sai, il sistema si basa sulle persone che si piegano alle sue regole. Se quelle persone spariscono dai loro centri dati, se abbastanza di noi si ribellano, il sistema non può sopravvivere» continuò Sam, deciso.
«Dean, puoi usare il mnuovo chip come un chip qualsiasi, puoi fare in modo che mandi i giusti dati e non intervenire. Ma forse è utile che tu, più di tutti noi, possa avere il controllo su quello che viene comunicato e cosa no» spiegò Charlie.
«Io più di tutti, eh?»
«Dean, eri in fila per farti assegnare qualcuno, oggi!»
L'ultima frase di Sam lo colpì in pieno viso.
Si era arreso, era vero, e in quel momento gli sembrava più facile che mettersi a lottare con loro e rischiare tutto. Rischiare di guardarli perdere la libertà e, forse, perfino la loro vita.
Si abbandonò anche lui contro una sedia. Il pensiero di Cas strisciò dentro di lui: forse sarebbero potuti stare insieme, niente più paure, niente più vergogna, niente più pericoli. Solo loro e la possibilità di conoscersi, scoprirsi, esplorarsi come se non fosse un eresia.
Non si trattava solo di Sam e Charlie e Bobby. Si trattava di altre persone che un giorno si sarebbero innamorate di qualcuno di sbagliato e avrebbero pagato un prezzo troppo alto. Si trattava di poter scegliere chi essere, cosa fare, tanto quanto chi amare.
«D'accordo, allora» dichiarò, esausto.
Dean...
“Cosa, Cas?”
Il chip.
“Sì, il chip, ho capito...”
Non mi sentiresti più.
“Oh.”
«Fermi, fermi, non posso... non posso togliermi questo» sbottò, raddrizzando la schiena, il polso nell'aria.
Incontrò tre paia di occhi perplessi.
«C'è qualcosa che devo dirvi.»


 
SCU-SA-TE.
Ci ho messo un'infinità, lo so, ma fra la partenza e il ritorno dall'Olanda, la jib (oh god la jib *___*) e la tristezza post-jib, questo capitolo continuava a non convincermi. Non che ora mi piaccia, mi sembra manchi ancora qualcosa, ma se non mi decido non supererò mai lo scoglio. Quindi eccoci qua. 
Spero comunque vi piaccia e siate rimasti da queste parti per l'aggiornamento!
A presto e GRAZIE, come sempre, a chiunque abbia speso un po' del suo tempo per recensirmi. Domani rispondo a tutti! <3
DonnieTZ

 

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Capitolo 9
*** Un'assurda speranza ***


 
 
9. Un'assurda speranza

Gli occhi fissi su di lui, nella penombra strana di quella base segreta, non servivano a metterlo a suo agio. Dean si schiarì la voce, un sorriso vagamente imbarazzato, come se non stesse per rivelare la cosa più assurda che gli fosse mai successa. E la più importante.
«Da qualche settimana...»
I discorsi non erano il suo forte, le grandi dichiarazioni non facevano per lui, ma arrivava sempre il momento di affrontare vecchi demoni e uscirne vincitore. Forse, almeno.
«Ho conosciuto una persona.»
“Non credo possano capire, così” comunicarono i pensieri di Cas, dubbiosi.
No, direi di no.
«Bene?»
Quello di Sam, più che un sincero complimentarsi, era un modo per riempire il silenzio in attesa della pessima notizia, glielo si leggeva in faccia. Perché era sempre pericoloso frequentare qualcuno fuori dal sistema, sopratutto per Dean, e perché sembrava consapevole ci fosse ancora molto da dire.
Forse... forse dovremmo prima capire dove siamo, io e te.
“Dove siamo?” chiese Cas, i pensieri confusi.
Cosa vogliamo fare, insomma, di questo.
“Questo?”
Avanti, Cas, non rendermela difficile. Hai capito.
“Parli di noi, Dean?”
Sì, si, noi, dannazione.
«Beh, non farti pregare! Chi è? Come vi siete conosciuti? Sputa fuori tutto» intervenne Charlie, entusiasta.
«Beh... potremmo dire... da Ellen?» tentò di spiegare Dean, prima di abbandonare la birra su un tavolo e mettersi a vagare per la stanza, toccando un po' tutto.
«Cos'è, una domanda?» chiese Charlie, perplessa.
«Dean, se c'è qualcosa che dobbiamo sapere...» continuò Sam, guardandolo con apprensione.
“Credo spetti a te decidere. Quello che sento è evidente ad entrambi.”
È una strada a doppia corsia, Cas. Anche tu sai quello che provo io.
“Conta quello che vuoi, però.”
Bene, allora cos'è che vuoi, tu?
“Che tu... che tu sia felice, Dean.”
Avanti, così non è giusto.
“Perché?”
Perché sai cosa mi rende felice, lo senti, ma non c'è solo questo. C'è la storia dei permessi e del chip e del fatto che non siamo certi di poter stare insieme. C'è che è stupido e pericoloso e...
Era evidente cosa volesse Cas: stare insieme, nei modi in cui fosse possibile, a qualsiasi condizione Dean avesse voluto. Per Dean, quell'arrendevolezza era motivo di un profondo senso di colpa, che schiacciava la sua anima insieme a tutti gli altri. Perché lui, nonostante la chiarezza di ciò che provava fra le costole e i polmoni, nonostante quel sentimento potente e soffocante, non era sicuro che quella fosse la decisione giusta.
 
Cas restò in attesa, consapevole che Dean potesse percepire ogni sfumatura di quello che sentiva, di quello che desiderava.
«Va bene, d'accordo, andiamo per gradi. Se hai conosciuto qualcuno, come mai eri in fila?» domandò Charlie, sopra le parole di Sam, probabilmente allo scopo di evitare una discussione accesa.
Cas restò in ascolto, sia del confronto che si stava consumando alla base, sia dei pensieri di Dean, che sembravano scavare alla ricerca di risposte.
“Non so che fare, Cas.”
Non posso rispondere per te, Dean. Se vorrai, io sarò pronto a rischiare. Sono sempre pronto a rischiare, per te.
“Dannazione, Cas...”
E poi, ancora, pensieri su pensieri. Sembrava che l'unico scopo di Dean fosse proteggere tutti, Cas sopra ogni cosa, come se non fosse già troppo tardi.
“Non voglio farti voltare le spalle al sistema che ti ha dato tutto.”
L'ho già fatto, Dean. E sono pronto a farlo di nuovo.
“Perché?”
Vuoi che lo dica?
“No, io... no, non ho bisogno che tu lo dica, solo...”
«Perché ti amo.»
La voce di Cas si liberò nel silenzio della sua stanza, dove nessuno poteva sentirla se non l'uomo nella sua testa.
 
Dean fece cadere l'oggetto che si stava rigirando fra le dita, chinandosi subito per raccoglierlo, vagamente imbarazzato. A quelle parole, all'idea che la voce di Cas le avesse pronunciate e che, un giorno, avrebbe potuto dirle a lui, i pensieri di Dean erano esplosi per la stanza senza che lui potesse fermarli.
Voleva Cas. In tutti i modi possibili, perfino senza speranze. Tentare di renderlo possibile avrebbe significato lottare contro il sistema, però, allo scopo di distruggerlo. Dean era pronto a correre dei rischi, ma non era certo di voler guardare gli altri fare la stessa cosa.
«Ho bisogno di uscire un attimo. Da solo» borbottò, vago, ignorando gli sguardi preoccupati, prima di rifugiarsi in corridoio e abbandonare le spalle contro il muro.
“Dean?”
Cas, dimmi cosa fare.
“Non posso...”
Te lo sto chiedendo io. Dimmi cosa fare, perché io non lo so più. Cazzo, non l'ho mai saputo.
I pensieri di Cas sembrarono accarezzarlo, sedando la sua agitazione, raccogliendo le sue paure per ridimensionarle.
Questa mattina, solo qualche ora fa, ero in fila per una compagna. Sai perché?
Cas lo sapeva, era ovvio, ma la sua coscienza parve in attesa di ciò che Dean doveva concretizzare con la forza della mente. Dean immaginò di averlo vicino, una mano sulla spalla, a contatto per davvero.
Perché tutto questo mi spaventa, Cas. Mi spaventa l'idea che...
Il pensiero di Benny aleggiò per un istante, trascinandosi dietro i sensi di colpa, le recriminazioni, gli errori.
“Dean, vuoi parlare con loro. Fallo. Sono la tua famiglia e non c'è niente di debole nel cercare conforto. Capiranno, ne sono certo perché ne sei certo tu. Quando avrai discusso con loro, potremmo decidere cosa fare del chip.”
Dean inspirò ed espirò, a fondo, e tornò nella stanza. Gli sguardi erano sempre lì, densi di preoccupazione, ma la presenza di Cas da qualche parte, dentro, gli avrebbe dato la forza.
«Qualche settimana fa ho iniziato a sentire una voce nella testa» esordì, restando ad un passo dall'ingresso. «Pensavo di essere definitivamente impazzito, ma è uscito fuori che si tratta di qualcuno che esiste. L'ho incontrato, da Ellen, quando ho saputo di Benny. Si chiama Cas.»
«Un attimo, un attimo» lo fermò Sam, alzandosi a sua volta, una mano nell'aria come se solo quel gesto avesse il potere di contrastare le parole. «Stia parlando di... di un'anima gemella, Dean?»
«Non c'è niente da aggiungere o da capire, è tutto qui. Le cose stanno così. Abbiamo scoperto che la connessione è probabilmente dovuta ad un malfunzionamento del chip e quindi non-»
«Ragazzo,» intervenne Bobby, «cos'hai appena detto?»
«Il chip, probabilmente è quello a collegarci. Toglierlo significherebbe non sentire più Cas.»
«Chi ti ha detto questa cosa?» continuò Bobby.
«Un pomposo assicuratore o qualcosa del genere, un suo cliente. Cas è un pittore» rispose Dean, senza capire l'importanza di quel dettaglio.
«Conosco una sola persona che ha le prove di una connessione fra i chip e la questione dell'anima gemella. Stupido idiota.»
Bobby sembrò riferirsi a se stesso, mentre tornava da dov'era venuto, oltre la tenda. Dean spostò lo sguardo su Sam, una domanda silenziosa dipinta addosso.
«Un pittore?» domandò Charlie con l'espressione intensa di chi pianifica qualcosa di diabolico, come se non avesse fatto caso all'ultimo scambio fra Bobby e i ragazzi.
«Sì.»
«Siete due artisti» insistette lei.
«Già»
«Ho un'idea un po' folle. Prima, però, mi devi dire se questo Cas ti piace davvero.»
«Posso non stare a sentire?» si lamentò Sam, abbandonandosi su una sedia.
Dean lo scrutò, valutando l'evidente stanchezza. Dovevano essersi rinchiusi lì per giorni, a cercare di mettere in piedi la loro rivoluzione senza dirgli niente. Cercò di nascondere la punta di tradimento che gli pizzicò il cuore.
«Sì. Davvero» dichiarò in risposta.
Charlie batté le mani un paio di volte e iniziò a darsi da fare sulla tastiera che si trovava davanti.
«Perché tu e Sam non vi fate una chiacchierata? Qua ci vorrà del tempo» comunicò, senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
«Tempo per cosa, Charlie?» borbottò Dean, andandosi a sedere vicino a Sam.
«Per la missione Cupido.»
 
“Cas?”
Sì, Dean?
“Hai capito cosa vuole fare Charlie?”
Credo di sì, Dean.
“E... insomma... ti andrebbe bene?”
Mi andrebbe bene, pensò Cas, risoluto.
“Ok, allora. D'accordo. Se... insomma... va bene.”
Quella stessa mattina, Cas credeva di stare per perdere tutto, ogni cosa, senza possibilità di aggrapparvisi con le unghie e i denti pur di trattenerla. In quel momento, invece, correva il rischio di essere davvero felice. I pensieri di Dean, riflessi nei suoi, gridavano la stessa, assurda, speranza.



 
Ciao! Come state?
Presto passerò a rispondere alle bellissime recensioni che mi lasciate... cerco sempre di ritagliarmi tempo per fare tutto, ma falisco miseramente. T__T Intanto beccatevi un GRAZIE enorme per il sostegno!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non ci siano troppi errori (ho riletto davvero in fretta).
A presto!
DonnieTZ
(^Questa è la mia pagina fb, se la tenete d'occhio presto dovrei riuscire ad annunciare qualcosa di cui sono molto fiera e... beh... mi fareste contenta, ecco!)

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Capitolo 10
*** Andrà bene ***


 
 
10. Andrà bene

Sembrava che il giorno prima volesse replicarsi, mentre Dean trascorreva buona parte della sua giornata in linea per farsi assegnare un compagno.
Aveva lo sguardo fisso sulla schiena della persona allo sportello. Era ben attento a non superare la linea luminosa sul pavimento, per lasciare al cittadino prima di lui la sua privacy, ma la tensione nelle spalle dello sconosciuto diceva tutto.
Dean era stato in coda quasi quattro ore ed era dolorosamente consapevole del fatto che – con tutta la tecnologia a loro disposizione – quelle file avrebbero potuto essere evitate, non fossero state un modo per torturare la popolazione.
“Sì, sembra essere proprio una cospirazione, quella delle file” ribatté la voce di Cas, nella sua mente.
Che altra spiegazione ci sarebbe, scusa? E da quando usi del sarcasmo con me?
“Ho imparato dal migliore.”
Erano entrambi nervosi, a quel punto. Dean era andato a lavoro, la sera prima, accompagnato attraverso i cancelli da Charlie – con il suo chip speciale –, che lo aveva seguito fin dentro al locale per sentire il concerto. Mentre era sul palco, voce e chitarra a fargli da scudo, i pensieri gli avevano dato un po' di tregua. Quando era rientrato, però, non era riuscito davvero a dormire e aveva finito per seguire Cas con più concentrazione del solito, mentre il pittore si risvegliava, si preparava e andava a lavoro. Charlie non aveva voluto rivelare i dettagli – “meno sai meglio è; l'importante è che richiedi un compagno” aveva detto –, così ai due non erano rimaste che elucubrazioni e discorsi insensati. La verità era che entrambi si erano sentiti sollevati, nonostante la tensione che accompagnava sempre le prove della vita.
In quel momento, con lo sconosciuto che aveva ormai esaurito la pratica e si allontanava, Dean aveva perso ogni certezza.
E se Charlie non riuscisse a fare qualsiasi cosa voglia fare?
Se non dovesse funzionare?
Mi ritroverei con una compagna? O un compagno? O, insomma, dovrei...
“Dean, respira.”
La voce di Cas era dolce ma ferma, i suoi pensieri avevano spinto l'agitazione in un angolo a beneficio di Dean, che prese coraggio e colmò la distanza che lo separava dall'addetta all'assegnazione compagni.
«Chip sul lettore, prego» disse la donna, con voce annoiata.
Dean obbedì, allungando il braccio verso il lettore che lei aveva girato nella sua direzione.
«Selezioni il genere, prego.»
Dean osservò i tre grandi quadrati sullo schermo, premendo quello su cui scorreva, in un'infinità di lingue, la parola maschile.
Non fosse stato nel bel mezzo di un'operazione assurda e rischiosa, avrebbe riso di quel piccolo traguardo.
«Confermi, prego.»
Dean osservò lo schermo, senza curarsi di rispondere alla donna palesemente disinteressata. C'erano i suoi dati – nome, cognome, genitori biologici e affidatari, altri familiari, precedenti clinici – e la scritta evidente che avrebbe dato inizio a tutto: richiede compagno.
Dean confermò. E poi confermò di nuovo dopo una serie di clausole. Iniziò a chiedersi se il piano di Charlie fosse già in atto o se ci fossero stati dei problemi di cui non poteva sapere nulla.
“Andrà bene, Dean.”
'Andrà bene' un cazzo. Che succede? Perché non ci ha detto cosa si suppone debba succedere?
«Il programma impiegherà qualche minuto ad elaborare i dati. Attenda, prego.»
Passò qualche lungo, estenuante secondo, mentre la voce nella sua testa si ostinava a tentare di calmarlo contro ogni paura perfettamente razionale che avrebbe negato di avere. Come se non bastasse, la donna tornò a girare lo schermo del lettore verso di lei, osservandolo con annoiata pazienza, impedendo a Dean di veder scorrere le innumerevole facce di perfetti sconosciuti scartati dall'algoritmo.
Charlie, ti prego, fai una delle tue magie...
«Oh.»
Dean, a quel suono, alzò la testa verso la donna.
«'Oh' cosa? Problemi?»
«Stia calmo signore, ora-»
La porta del cubicolo in cui l'addetta era relegata si spalancò all'improvviso.
«Scusate, scusate, c'è un inconveniente con i lettori.»
Era Charlie, il cappellino da tecnico calato in testa e il fare affaccendato di chi sta sbrigando il suo lavoro. Dean quasi soffocò dalla sorpresa, prima di ricordarsi come respirare.
«Ma il signore ha avviato e confermato la pratica, non mi dica che si è perso tutto o che ci saranno problemi» la supplicò la donna, ridestandosi improvvisamente dalla sua apatia.
«No, no, quali problemi? In un attimo risolvo tutto. Tanto l'algoritmo lavora in background» la tranquillizzò Charlie, prima di fare un occhiolino a Dean che si sforzò di non scuotere la testa e di non sorridere.
Ci siamo.
“Sono pronto, Dean.”
Anche io.
Charlie si mise a trafficare con il lettore per un paio di minuti, chiedendo spazio alla donna, per poi rialzarsi, soddisfatta.
«Ecco fatto. Visto? Nessuna catastrofe. E sembra abbia anche quasi finito di elaborare. Vi lascio alle vostre pratiche.»
«Grazie. Grazie mille» rispose l'addetta, tornandosi a sedere.
«Quindi, è tutto a posto?» domandò Dean, lo stomaco stretto in una morsa.
«Sembrerebbe di sì. Sta ancora analizzando» rispose lei. «Oh, ecco» aggiunse.
 
Cas aveva trascorso la prima ora ad ignorare il lettore nell'angolo dello studio, con una certa ostinata convinzione. Aveva dipinto, risistemato i colori e i pennelli, avvolto nella carta da pacchi un paio di opere concluse che aspettavano solo che i committenti le ritirassero. Poi un potenziale cliente aveva chiamato, chiedendo un appuntamento, e il lettore era diventato improvvisamente il centro della sua giornata. Ci aveva trascinato davanti l'alto sgabello e aveva aspettato, cercando di controllare se stesso – i suoi tumulti interiori – per poter tranquillizzare Dean.
Dopo un'attesa di ore, finalmente sembrava che la missione di Charlie fosse giunta alla fine. Si erano detti di essere pronti, lui e Dean, e lo erano. Cas non aveva dubbi.
Il lettore suonò, insistente.
Cas balzò giù dallo sgabello, un sorriso ad allargarsi piano in viso, prima che si rendesse conto di dover passare il chip per zittire l'apparecchio. La scritta sullo schermo spedì i battiti del suo cuore a velocità potenzialmente pericolose.
È stato selezionato da un richiedente compagno. Ha sei mesi di tempo per recarsi all'ufficio e accettare la pratica. Nel caso il richiedente non sia di un genere a lei congeniale, la disputa verrà affrontata dal tribunale degli affari relazionali in base agli articoli numero...
“Cas.”
Sì, Dean.
“Sei tu.”
Lo so, stavo leggendo, io... sono io, Dean.
“Io e te.”
Io e te.
La felicità – non era possibile distinguere di chi fosse, ma non importava davvero – minacciò di sovrastarli, strizzando stomaco e polmoni nella familiare vertigine associata a quello che provavano.
L'attenzione di Dean venne richiamata dall'addetta, così Cas tornò a leggere dal lettore, cercando di controllare l'euforia.
Aveva sei mesi, certo, ma sarebbe andato a confermare e chiudere la pratica il giorno dopo. Aspettare era del tutto inutile, visto il loro grado di intimità, e Cas desiderava davvero condividere una stanza più grande con Dean.
L'idea lo colpì con forza, quando la realizzò: vivere con lui, dormire con lui, sentire il profumo della sua pelle, perdersi fra le sue lentiggini, sfiorarlo e toccarlo e...
“Ehi, campione, io sono ancora fra la gente. Rimanderesti questi pensieri a dopo?” scherzò Dean.
Cas lo visualizzò allontanarsi dallo sportello e poté quasi sentire il calore del suo sorriso.



 
Buonsalve, genti!
Premesso che mi scuso per la scarsità del capitolo a livello quantitativo (poche parole, pochi avvenimenti, me ne rendo conto), sappiate che il capitolo successivo è già praticamente scritto. In effetti, erano un capitolo solo, che ho preferito dividere perché nel prossimo ci sono un po' di... cose... interessanti... che hanno preso troppo spazio... insomma ;) ;) ;)
Spero vi sia piaciuto il livello di fluff presente! Ogni commento è custodito con amore nel mio cuoricino (e, a tal proposito, domani cercherò di rispondere a tutte le recensioni! Siete preziose)!
Alla prossima!
DonnieTZ
(^^^ questa è la mia pagina, su cui stanno succedendo avvenimenti davvero... davvero. Quindi passateci, se vi va di volermi bene, e piantate un mi piace! ❤ )



 

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Capitolo 11
*** Appartenersi ***




11. Appartenersi
 
Cas si sdraiò sul letto, piano, scostando le lenzuola perfettamente sistemate dal materasso. Era stata una cena piacevole: Dean si era concesso degli hamburger consegnati a domicilio e una delle tre birre mensili che il sistema gli permetteva di avere, mentre Cas aveva preparato un tortino di verdure che l'altro aveva preso in giro a non finire. Avevano parlato del futuro, di questioni irrilevanti come chi avrebbe dormito dove, sul loro letto, e del divieto categorico di svegliare l'altro quando si rientrava, visti gli orari diversi.
“Neanche per il sesso?” aveva scherzato Dean.
Così erano scivolati dentro l'eccitazione che era stata il sottofondo dell'intera cena. Si erano accarezzati, lontani eppure così uniti, seduti ognuno a casa sua, senza fretta, godendosi quel momento.
Vorrei fossi qui.
“Cas...”
Il letto era stato la naturale conseguenza.
Cas iniziò a spogliarsi, togliendo la camicia e i pantaloni, alzando il bacino per riuscire nell'impresa nonostante le mani tremanti, fino a restare completamente nudo, i vestiti un cumulo di stoffa sul pavimento. Con la mente si spinse verso Dean, percependo il suo corpo con i suoi stessi occhi, dall'alto del suo viso, nella posizione sdraiata che rifletteva quella di Cas.
Sei bellissimo, Dean.
“Non puoi vedermi davvero.”
Ti vedo se ti guardi.
Dean sembrò sorridere con la mente, per poi indugiare su di sé con lo sguardo. C'era in lui la sicurezza di chi sa di essere bello, ma anche una strana fragilità. Perché capiva – lo si leggeva chiaramente – che Cas non parlava solo del suo corpo, della sua pelle cosparsa di lentiggini segrete, del modo in cui i fianchi diventavano ventre e, più in basso, la sua eccitazione diventava sempre più evidente. Parlava dell'anima stretta nella carne, raccolta dalle ossa; la sua anima stropicciata.
“Guardati, Cas” gli mormorò.
E Cas obbedì, spostando gli occhi dal soffitto immacolato a se stesso. Si era già stretto nel palmo, incapace di resistere oltre, anche se si stava muovendo piano. Avvertì Dean sistemarsi sul materasso, cercare qualcosa fra il caos che era il suo comodino metallico, uscire vittorioso da quella ricerca, per poi inumidirsi le dita con il liquido della boccetta appena scovata.
Ogni sensazione era amplificata dalla connessione. Cas poteva sentire Dean sfiorarsi come se fossero le sue mani a farlo, poteva percepire nei muscoli lo sforzo di alzare la gamba, nei polmoni il fiato spezzato quando le dita presero ad accarezzarlo e invaderlo.
Dean.
“Vorrei...fosse già domani.”
 
Dean sentiva Cas aumentare il ritmo e rallentare di nuovo, affrettarsi e rilassarsi, ancora e ancora. Se chiudeva gli occhi, sentiva la sua mano su di sé, in punti in cui non si stava toccando, in un assurdo gioco di specchi impossibili. E lui stesso, con le sue dita, stava strappando a quegli attimi un piacere che di fisico aveva poco, che era incastrato nella mente, a metà fra la fantasia e quella connessione: non doveva toccarsi per provare piacere e farlo significava solo amplificare e moltiplicare qualcosa di già presente.
“No, Dean, guardati, guardati” lo richiamò Cas, affannato.
I pensieri erano confusi, schiacciati uno sull'altro dall'eccitazione, offuscati dalla ricerca dell'estasi. Dean si girò sul fianco, lasciando sotto la gamba allungata e sopra quella ripiegata, toccandosi con più smania, in quel momento, con più voglia. Cercava di tenere aperti gli occhi, di spargere lo sguardo sulla propria pelle, ma era difficile quando le sensazioni erano così forti. Sentì Cas mettersi sul fianco, nella sua stessa posizione, e immaginò di averlo alle spalle, pelle contro pelle, corpo contro corpo, a farsi spazio nell'incastro che sarebbero diventati fra qualche ora. La fantasia scivolò su Cas, che si mosse istintivamente sul materasso, come a volerle dare vita, spingendo se stesso nel pugno chiuso.
Seguì quel ritmo e le loro menti si fusero, diventando una cosa sola. Dean no era più certo di quale mano fosse la sua e quale quella di Cas, di dove si stesse toccando da sé e di dove percepisse l'altro. Si lasciò andare a bassi suoni rauchi, densi di piacere, che erano un'istintiva incitazione perché Cas non smettesse, andasse avanti, sempre più a fondo, come se fosse davvero lì, dietro di lui, a stringerlo fra le braccia.
Il piacere lo colpì dritto al cuore, fermandogli battito e pensieri, i muscoli tesi in quel secondo di estraniazione.
 
Quando Cas tornò in sé da quel profondo piacere, affannato e spettinato, cercò Dean con la mente. Fu il primo istinto, impossibile da contrastare. Lo trovò esausto e appagato, gli occhi chiusi, a tentare di riprendere fiato.
“È stato...”
Interessante.
“Non la parola che avrei usato, ma sì, anche quello” lo prese in giro Dean, voltandosi sulla schiena. “Devo essere a lavoro fra un'ora.”
Posso venire a vederti? So che cenare insieme sarebbe stato rischioso, ma questo...
“Avrebbe senso. Insomma, hai saputo che devi accasarti con me. Si spiegherebbe un po' di curiosità verso il sottoscritto.”
Davvero?
“Dobbiamo farci una doccia, prima, però.”
Cas avvertì Dean mettersi seduto e poi alzarsi su gambe instabili. Lo imitò, sentendo un sorriso gemello sul viso di entrambi. Avevano rimandato ogni preoccupazione al giorno dopo: lì, quella sera, avrebbero solo celebrato l'ultimo giorno lontani e un futuro insieme; niente sistema, rivoluzione, pericoli. Nient'altro che loro.
Sotto il getto caldo – avevano venti minuti, prima del segnale acustico – continuarono a raccontarsi, come se non conoscessero già tutto l'uno dell'altro. Parlarono di speranze e ricordi, di piccoli momenti, di esperienze da fare insieme.
Quando furono entrambi pronti a lasciarsi la stanza alle spalle, il bisogno di abbracciarsi era diventato incontenibile.
 
Dean entrò da Ellen in tempo per il concerto, un sorriso stampato in viso.
«Ehi, guarda un po' chi è di buon umore» lo salutò la proprietaria.
«Charlie ha parlato, è così?»
«Diciamo che un uccellino mi ha detto che stai per sistemarti, nient'altro. Era di fretta per questioni di una certa importanza» rispose Ellen, facendogli un occhiolino, mentre riempiva un boccale per un cliente che stava giusto facendo passare il polso sul lettore al centro del bancone.
Jo arrivò per abbandonare un vassoio vuoto sulla superficie in legno.
«Dean» salutò, presa per un attimo dal registrare sul lettore portatile l'ordinazione del tavolo da cui era appena tornata.
Quando finì, alzò lo sguardo, una luce curiosa negli occhi.
«Allora, chi è il...»
Si bloccò un attimo, incerta su quel territorio evidentemente pericoloso.
«Il fortunato?» concluse Dean, sentendosi stranamente fiero di quel piccolo passo avanti.
In quel momento, adocchiando l'ingresso, vide Cas, fermo, impalato, nel suo strano impermeabile all'antica. Alzò la mano, accorgendosi di sorridere come un idiota. Cas colmò la distanza, camminando rigido come suo solito – era assurdo quanto Dean conoscesse ogni sua sfumatura – per fermarsi a poca distanza.
«Dean» lo salutò.
“Abbiamo appena fatto sesso, potresti essere un po' meno freddo” scherzò Dean, rispondendogli con i pensieri.
Allora Cas lo abbracciò, sorprendendolo.
«Immagino sia lui» mormorò Jo, una punta di divertimento nel tono serio.
«Ok, ok, campione, può bastare» disse Dean, battendo un paio di volte la mano sulla sua schiena, leggermente in imbarazzo.
Era piacevole, in realtà, averlo attorno, caldo contro il corpo, presente e fisico e reale. Solo che c'erano Jo e Ellen e una decina di clienti che avevano deciso di iniziare presto la serata di permesso.
Ma ti piace.
“Ovvio.”
Cas lo lasciò andare, lentamente, ritirandosi per salutare Ellen e Jo con espressione seria e parole educate.
«Andrei in camerino, se per voi non è un problema. Devo scalarmi e accordare la bambina» disse Dean, l'entusiasmo evidente in ogni sillaba, mentre la mano atterrava sul collo di Cas e stringeva appena.
«Se vuoi portartelo dietro fa' pure» rispose Ellen.
«Solo... non fate schifezze. Che poi sono io che devo venirti a chiamare» borbottò Jo, prima di andare verso un cliente che aveva richiamato la sua attenzione.
«Andiamo?» domandò Dean.
“Andiamo” risposero i pensieri di Cas.
 
Non fecero in tempo a chiudersi la porta di quello spazio angusto alle spalle che le loro bocche finirono una sull'altra, avide di quel contatto intimo, del primo assaggio. Cas spinse Dean contro il muro, deciso, per assaporarlo di labbra e denti e lingua, stringendo la camicia nei pugni chiusi. Fu un'unione inspiegabile, più profonda di qualsiasi momento che avevano condiviso fino ad allora. Perché erano corpo e mente, anima e carne, senza più barriere. La stessa bocca, le stesse dita, la stessa essenza. Si baciarono fino a perdere fiato e poi ancora, ancora, ancora.
Cas si separò per primo, ma fu Dean a tenersi contro di lui, fronte su fronte, occhi negli occhi.
«Io...»
Non finì la frase, forse non era il momento, ma la sua mente la finì per lui. Cas sentì esplodergli dentro ogni più piccola emozione, stipata lì da quando aveva conosciuto Dean.
«Anche io, Dean.»
Restarono così per un po', per poi scivolare in un abbraccio serrato, ancorandosi uno all'altro. Cas si nutrì di ogni dettaglio: la stoffa ruvida, le spalle larghe, il respiro sul collo, la mano sulla schiena, il battito del cuore.
«Devo... dovrei davvero scaldarmi» disse Dean, dopo lunghi minuti di quel quieto appartenersi.
Oh, scusa.
“Ehi. Non scusarti mai per questo.”
 
Dean, quella sera, cantò per lui – cambierò qualche parola solo per te – e lo guardò tutto il tempo.
 
I can hear his heart beat for a thousand miles
And the heavens open every time he smiles
And when I come to him that's where I belong
Yet I'm running to him like a river's song
 
He give me love, love, love, love, crazy love
 
He's got a fine sense of humor when I'm feeling low down
And when I come to him when the sun goes down
Take away my trouble, take away my grief
Take away my heartache, in the night like a thief
 
Yes I need him in the daytime
Yes I need him in the night
Yes I want to throw my arms around him
Kiss him hug him kiss him hug him tight
 
And when I'm returning from so far away
He gives me some sweet lovin' brighten up my day
Yes it makes me righteous, yes it makes me feel whole
Yes it makes me mellow down in to my soul



 
Ciao!
Come state?
Io ho finalmente pubblicato la mia raccolta di racconti (se siete curiosi o/e se vi piace come scrivo, passate dalla mia pagina e date una sbirciata) e dovrei (DOVREI) essere un po' più libera, anche se i progetti restano tantissimi. Confermo che questa ff avrà quindici capitoli, blandamente plottati, e che poi la saluteremo. 

Per riassumere questo capitolo potremmo dire MENTAL FLUFFORN! XD Spero vi sia piaciuto!
Alla prossima e GRAZIE per le recensioni, siete preziose.

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Capitolo 12
*** Profonde verità e profondi piaceri ***


 


12. Profonde verità e profondi piaceri

Cas posò l'ultimo scatolone in mezzo alla stanza. Non era piccola come la sua, ma neanche troppo diversa, con un grande letto matrimoniale spinto contro il muro, un paio di comodini dello stesso metallo del resto della mobilia – armadio e libreria –, l'angolo cucina con la penisola grande quanto bastava a stare seduti in due sugli sgabelli squadrati. La finestra, stretta e lunga, troppo in alto nel muro per poter osservare altro che non fosse il cielo, poteva essere aperta grazie al lettore. Quella fu la prima cosa che Dean fece, dopo aver finito di aiutare Cas a portare all'interno tutto, in modo che il vetro scorresse a scomparire nella spessa parete.
«Odore di vernice, hanno appena ridipinto» spiegò, senza riuscire davvero a nascondere il suo ampio sorriso.
Era arrivato lì prima di Cas che, una volta chiusa la pratica in centro, era dovuto passare da quel quartiere all'ormai “vecchia” stanza in quello degli artisti, sistemando sul veicolo elettrico prenotato il giorno prima tutti i suoi averi per il trasferimento.
Se Cas era abituato all'odore di vernice perché non respirava altro a lavoro, lo era molto meno all'idea di uno spazio privato da dividere con Dean. La sera passata si erano salutati con baci appassionati, dandosi una buonanotte tanto lunga che Cas aveva rischiato di arrivare a casa dopo il limite concesso dal permesso. Quando si erano rivisti per il trasloco – Dean pronto a portare dentro le sue ultime scatole e Cas appena sceso dal veicolo – si erano scambiati un bacio più casto, quasi frettoloso, per non dover pagare troppi crediti il servizio di trasporto.
In quel momento, soli, fra la marea di scatoloni che sarebbero stati riciclati per altri traslochi di altre persone non appena loro avessero finito, sembrò scendere su Cas la realizzazione di essere a casa.
Niente più baci che significavano 'arrivederci', niente più fretta, niente più lontananza.
«Hai già fatto il letto» si decise a dire, spostando lo sguardo dalla finestra aperta al materasso, al solo scopo di sovrastare il rumore dei suoi pensieri.
«Ho pensato... che magari ci saremmo stancati presto, fra gli orari che abbiamo fatto ieri e... il resto... no?»
 
Dean si era subito voltato dall'altra parte, iniziando ad aprire una delle scatole, cercando di nascondere il disagio mentre parlava. Quando sentì la mano di Cas sulla spalla, però, tornò a guardarlo. L'ultima cosa che voleva era sembrare disperato ma – Dio – se voleva toccarlo, stringerlo, accarezzarlo. E, al diavolo il trasloco, voleva essere nudo in quel letto il prima possibile. Sentiva che per Cas era lo stesso, anche se i suoi pensieri erano meno diretti, meno aggressivi, e c'era tutto un mondo di piccole curiosità sulla loro nuova vita insieme a puntellarli.
In fondo, era stato Cas stesso a pensarlo, più di una volta: non conta solo quello che vuoi, conta quello che decidi di fare.
“Fallo.”
I pensieri di Cas quasi urlarono quell'invito, mentre sul suo viso si allargava un sorriso ampio. Dean si abbandonò alla tentazione e lo strinse in un abbraccio soffocante.
Ce l'abbiamo fatta. Cazzo, ancora non ci credo. Mi sembra tutto così assurdo.
“Lo è. Ma siamo qui.”
Dean affondò il viso nell'incavo fra la spalla e il collo di Cas, respirando a fondo, felice. Con il naso sfiorò la pelle, scorrendo fino all'orecchio, per poi far scivolare la bocca lungo la mascella di Cas, fino alle sue labbra. Profumava di pulito: sapone, un vago sentore di un fresco dopobarba, qualcosa di semplice e così infinitamente Cas. Sapeva di dolce, della colazione consumata quella mattina, di zucchero e caffè. Dean sentiva le sue mani carezzarlo ovunque, percorrendogli la schiena, i fianchi, l'addome, curiose ma titubanti nel loro studiare. La bocca di Cas si unì alla sua, piano, e di nuovo diventarono una sola persona, una sola entità, cuciti insieme con punti serrati, impossibili da slegare.
Dean non lo meritava. Non meritava quella connessione, né l'amore di Cas, né tutto quello che aveva avuto dalla vita, ma c'era uno strano egoismo a spingerlo oltre, a muoverlo verso il letto. Si ritrovarono sdraiati e Cas separò le loro labbra, annaspando alla ricerca d'aria.
“Non pensi di meritare di essere amato?”
No.
Una singola parola, ma non c'era modo di fermarla quando erano i pensieri a parlare per lui.
«Ti amo, Dean.»
Cas pronunciò quelle parole a voce alta, mentre gli si formavano nella mente, chiare e precise nella loro estrema verità. Dean poteva sentire, palpabile e reale, il sentimento che si spandeva dal centro pulsante di Cas. E lo sentiva dentro di sé, senza possibilità di salvezza.
Riprese a baciare, mordere, accarezzare, spingersi corpo contro corpo. Non era abbastanza, neanche lontanamente, nonostante la connessione mentale li confondesse uno nell'altro, annientando i confini. Non era abbastanza quando sulla pelle c'erano vestiti e attese.
«Ho bisogno...»
La voce di Dean uscì rauca, spezzata di desiderio.
Di te.
“Spogliati.”
 
Cas osservò Dean spogliarsi, seduto sul bordo del letto, attento, gli occhi vigili a cogliere ogni contorno, ogni angolo, ogni scampolo d'ombra scavato dalla luce. Dean era bello, in ogni senso, come Cas aveva sempre pensato. No, creduto, con una fede mai sperimentata prima.
“Cas, potresti smetterla? Lo stai rendendo strano.”
Non posso smettere di pensare la verità, Dean.
“Sei impossibile.”
Cas osservò il sorriso abbozzato sul viso di Dean, il vago imbarazzo per quei complimenti che non sapeva come gestire, la corazza di spavalderia che piano lasciava il posto all'anima morbida e fragile che Cas aveva sempre percepito, ma mai visto prima di quel momento.
Finirono nudi in fretta e ancora più in fretta approdarono fra le lenzuola, come se il tempo si stesse divertendo a scivolare via. Si disegnarono in punta di dita, poi con le labbra, finché Dean non affondò fra le gambe di Cas con il viso, gettando uno sguardo verso l'alto, tinto di malizia. Cas fece scorrere le mani fra i suoi capelli, scompigliando il sapiente lavoro che Dean amava compiere davanti allo specchio. Affondò nel calore umido, lasciandosi travolgere dalla sensazione di un altro uomo contro la sua pelle, a dargli piacere, i pensieri un caos senza forma, la connessione più forte che mai ad annullarlo in quell'intimità. Non era la prima volta, fra loro, eppure lo era, perché mai erano stati davvero così vicini. Cas non aveva mai concesso ad un essere umano quella vicinanza, ma l'esperienza di Dean era anche la sua, in quel momento, e cancellava qualsiasi dubbio.
Dean, voglio...
Era surreale, sentirlo lì, reale, caldo. E Cas voleva perdersi ancora più a fondo in quella sensazione, fino a non capire più il senso della realtà, le sue regole, la sua logica.
“Sì.”
 
Dean rotolò sullo stomaco, sdraiandosi al fianco di Cas, allungandosi verso il cassetto in cui aveva sistemato tutto il necessario. Porse a Cas la boccettina di liquido e una pastiglia.
«Devi farla sciogliere sotto la lingua» spiegò, velocemente.
I pensieri di Cas sembrarono avvolgersi su se stessi, contorcersi, per poi tornare chiari e cristallini. Ricordò quella mattina, mentre caricava gli scatoloni sul mezzo prenotato: la busta che era arrivata a Dean, le pillole, lo sforzo di Dean di nascondere pensieri che erano diventati oscuri e si erano dissolti subito dopo, lasciando che Cas tornasse a concentrarsi sul trasloco.
Dean sbucò fuori da quell'indagine nella mente dell'altro solo per cercare di spiegare.
«Senti, sono stato con...»
“Benny” completarono i pensieri di Cas.
«È stato un rapporto fuori dal sistema, quindi niente controlli medici o altro, e Benny... non so se fosse stato con qualcun altro, prima. Lo sai come funziona. Ok, forse non lo sai. Perché dovresti?» Dean si passò la mano fra i capelli.
Sono arrivate stamattina. Io sono schedato per il rapporto fuori dal sistema e tu sei il mio compagno. Fino alla prima visita di coppia, dobbiamo assicurarci che tu non... corra rischi. Questa ti protegge da tutto.
«Accontentami, d'accordo?» chiese.
Cas annuì, serio in volto, e mise in bocca la pastiglia. Stava pensando a quanto fosse ingiusto negare una visita per il solo fatto di non essere parte del sistema a chi aveva avuto rapporti a rischio. Stava realizzando l'ingiustizia di negare la sicurezza fisica alle persone al solo scopo di spingerle a trovare un compagno ufficiale: se si voleva una visita che riguardasse l'ambito sessuale, si doveva essere una coppia certificata. E, anche il quel caso, il solo scopo delle visite semestrali era controllare che nessuno dei due avesse tentato di infrangere le regole.
Dean attese che quei pensieri si dissolvessero come la pastiglia sotto la lingua di Cas.
Grazie. Ha un po' rovinato l'atmosfera?
“No. Vieni qui.”
Dean scivolò vicino a Cas, stringendosi al suo corpo. Si sentiva così stanco del senso di colpa, dei ricordi macchiati dalla morte, della continua denigrazione da parte del sistema di qualcosa che forse non era stato amore, che non era stato altro che un'amicizia condita con del buon sesso, ma che era stato naturale.
Cas se lo strinse contro, posando ovunque, piccoli, rassicuranti, baci che finirono per sciogliere i nodi di tensioni che si erano stretti per un momento dentro Dean.
Tornarono a sondarsi, questa volta con più decisione, aiutati dal liquido spremuto fuori dalla bottiglietta. Le dita di Cas scivolarono su Dean, dentro Dean, strappandogli piccoli gemiti di piacere. Presto, però neanche quello fu più abbastanza, per quanto intimo e piacevole e sconvolgente fosse sentire Cas esplorarlo in quel modo intimo, senza barriere.
 
Cas colse i pensieri di Dean, quelle suppliche pensate a cui l'altro non dava voce, e si posizionò fra le gambe aperte ad accoglierlo. Fece piano, con delicatezza, avanzando cauto, studiando le sensazioni che Dean stava provando per assicurarsi che il fastidio non fosse mai troppo. Poteva sentire tutto: l'impressione di possedere, ma anche quella di essere posseduto, la percezione di spingersi e quella di essere spinto, prendere e cedere, cogliere e dare, come se fossero lo stesso identico movimento, il medesimo gesto.
Quando combaciarono alla perfezione, fu un rinnovato e ancora più potente tornare interi, completi, senza più parti mancanti.
“Cas...”
Sono qui. Siamo noi. 
Piano, prima, poi sempre più forte, riempiendo la stanza del rumore del letto contro la parete e dei loro sospiri spezzati. Annegando nella connessione, nel loro amore, sempre di più, annullando tutto il resto, riecheggiando uno nell'altro a riempire antichi vuoti.
Il piacere li colpì entrambi – dopo un lungo appartenersi che li spinse fino al bordo e poi oltre, nel baratro di quell'unione –, senza permettere di capire davvero di chi fosse, intenso e più violento di ogni altra sensazione sperimentata nella loro vita. 




 
Ciao! 
Come state? Spero bene. In queste giornate torride è davvero difficile scrivere, lo ammetto, ma mi sforzo perché voi siete immensamente carin* e mi sostenete con le vostre belle recensioni. Quindi... ecco qua. Questo è L'ULTIMO CAPITOLO FLUFFOSO. Se siete deboli di cuore e di spirito fermatevi pure qui. XD Come potete vedere non sono molto per il p0rnp0rn, per le scene estremamente esplicite, ma spero vi sia piaciuto lo stesso il fatto che si siano finalmente... che abbiano davvero... insomma davverdavvero... ecco.
Come detto, la storia avrà 15 capitoli (e forse un breve epilogo, ma brevebreve). Quindi ci siamo quasi.
GRAZIE ancora a chi avrà la pazienza/voglia di lasciare una recensione e a chi è stato così prezioso da farlo nei vecchi capitoli. Vi risponderò subitissimo! 
DonnieTZ


 

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Capitolo 13
*** Distanze incolmabili ***




13. Distanze incolmabili

 
Quelli furono i sei mesi più belli della vita di Dean. Custodiva ricordi passati che avevano il potere di scaldargli il cuore – li aveva rivisitati instancabilmente prima di incontrare Cas, anche solo per sopravvivere –, ma nulla batteva la quotidianità con Cas, i piccoli gesti, le carezze, il silenzio della casa quando tutti gli scambi di parole avvenivano nelle loro menti. Gli orari concedevano loro solo qualche ora di vita di coppia, ma bastava per il sesso e le chiacchiere e le cene cucinate da Dean.
Charlie, Sam e perfino Bobby passarono a salutarli più di una volta, raccomandando ad entrambi di condurre le loro vite normalmente, dal momento che i loro chip erano ancora quelli impiantati dal sistema. Qualche volta, stesi a letto, uno negli occhi dell'altro, discutevano la possibilità di farsi rimuovere il chip da Charlie e aiutare gli altri nella rivoluzione in qualsiasi modo fosse loro possibile. L'idea si adagiava in modo strano nella mente di Dean, come se non fosse possibile scegliere fra la felicità per la loro connessione assoluta e quello di cui il mondo – Sam e la sua intera famiglia – aveva bisogno. Si odiava per quella debolezza, ma le rassicurazioni di Cas facevano la loro parte, finendo per sedare il familiare senso di colpa con un affetto diretto e genuino.
Charlie, durante una delle visite, ascoltò con attenzione i loro dubbi e riservò un pugno sulla spalla a Dean, dicendogli che meritava un po' di felicità. Nonostante questo, però, analizzò comunque i loro chip con attenzione, prendendo appunti su tutti i dati che il suo lettore portatile gli snocciolò sul piccolo schermo una volta avvicinato ai loro polsi.
Due settimane dopo, arrivò con un regalo.
«Cosa diavolo sarebbe?» chiese Dean, agitando la scatola che la ragazza gli aveva piazzato in mano, entrando nel loro appartamento come fosse a casa sua.
«Ehi, fai piano» lo rimproverò. «È il mio regalo per le nozze.»
«Non ti sembra di essere un po' in ritardo?»
«Cas?» ribatté lei, senza curarsi di rispondere.
«Oggi lavora. Quel Crowley continua a commissionargli strani quadri.»
Avevano discusso del fatto che Crowley fosse risultato il contatto di Bobby, anche se quest'ultimo non sembrava incline a voler parlare della faccenda e Cas sostenesse che Crowley non sembrava mai serio a riguardo, tutto sarcasmo e sorrisi amari. Avere una persona con un ruolo rilevante all'interno della società e molti contatti in politica aiutava la causa, certo, ma Charlie iniziava a sospettare che quel tipo stesse mettendo su una clinica clandestina per la rimozione dei chip. Quasi fosse una vendetta personale contro il sistema; dubbio che Dean finì per confermare visto quanto Cas sapeva dell'uomo.
«Spero tu gli abbia raccomandato di non rivelare nulla. Non so quanto sappia, ma c'è qualcosa che non mi convince, in lui.»
“Dille pure che l'ho sentita” rispose Cas nella mente di Dean, dallo studio, mentre un'altra pennellata densa di colore raggiungeva la tela.
«Dice che lo sa» ripeté meccanico Dean.
«Allora, lo apri o no?» lo incitò Charlie.
“Sono curioso” fece eco Cas.
«D'accordo, d'accordo, datevi una calmata, Gesù...»
Dean aprì la scatola e trovò all'interno due braccialetti in plastica nera, con una strana parte squadrata decorata da un'iniziale per bracciale.
«Emh... sono...»
«Non sono decorativi, idiota. Quello con la D è il tuo. Provalo» lo interruppe Charlie, dal momento che era evidente come Dean stesse cercando di reagire gentilmente al regalo.
«Uh, d'accordo.»
Dean prese il suo bracciale, per poi posare la scatola sul tavolo. Charlie glielo tolse di mano e gli mostrò come indossarlo, la parte squadrata a coincidere con la porzione di pelle sotto la quale si trovava il chip.
 
Cas sobbalzò all'improvviso, tracciando una pennellata di colore nel posto sbagliato.
Silenzio.
Un assoluto, disturbante silenzio, denso di nulla.
Dean?
Dean, mi senti?
«Dean?»
Il panico scivolò dalla mente al corpo, gelido e incontrollabile, mozzandogli in bocca il respiro, come se l'aria fosse improvvisamente troppo pesante da respirare. Si lasciò andare su uno degli sgabelli, cercando di riguadagnare il controllo di sé.
Si guardò attorno e vide solo e soltanto il suo studio com'era stato prima di incontrare Dean: una scatola bianca in cui la sua anima si sfogava sui quadri, perché nel resto del mondo non c'era spazio. Da quando quella connessione gli aveva stravolto la vita, era come essere sempre in due posti, libero di respirare, a vivere la vita di Dean oltre alla sua. Quell'unione aveva spiegato tutto: il bisogno indistinto che Cas aveva sentito per tutta la vita aveva acquisito senso, quel desiderio interiore di spezzare la solitudine con ogni mezzo aveva dimostrato di essere l'impazienza dell'attesa. Con Dean era intero. Anche quando riuscivano a controllare il flusso di informazioni che passava dall'uno all'altro, dandosi riservatezza, restava comunque un rumore di sottofondo, una vibrante presenza che non li lasciava mai soli.
Ora, invece, Cas era solo in modo tanto profondo che faceva fisicamente male.
«Dean?» ripeté, meccanico, il tono neutro.
Non c'era più nessuno.
Una parte del suo cervello era consapevole che dovesse c'entrare il braccialetto, ma lo shock fu così grande e improvviso da lasciarlo inebetito, spremuto come un tubetto di colore, tranciato a metà da quella separazione.
“Cas!”
Tutto tornò alla stessa velocità con cui era sparito. La connessione, l'esistenza di Dean, la completezza.
Dean!
Il sollievo di entrambi ributtò aria nei polmoni dopo l'apnea a cui erano appena stati costretti.
“Cas, stai bene?”
Non c'era bisogno di rispondere a quel pensiero, perché Dean poteva sentire tutta la sua inquietudine e Cas sentiva le sue paure riflesse nell'altro. Era stato terribile, anche se era durato solo qualche secondo.
Come farsi amputare un arto perfettamente funzionante.
Le parole di Crowley ebbero un peso molto diverso dopo quella breve esperienza.
 
Quando Cas tornò a casa, Dean stava iniziando a preparare la cena. Charlie gli aveva spiegato che non dovevano usarli per forza, ma che voleva dare ad entrambi la possibilità di prendersi delle pause, se le volevano. Il bracciale bloccava solo la connessione, ma lasciava che il chip funzionasse correttamente, a parte qualche piccolo bug. Dean aveva pensato a lungo a quella brutale separazione e aveva sentito lo stesso caotico vortice di ragionamenti agitare la mente di Cas.
Sì, ha fatto schifo, ora smettiamola di rivivere la cosa, si ritrovò a pensare, istintivamente, non appena l'altro mise piede in casa.
«Credo sia il momento giusto per parlarne, invece, Dean» rispose Cas, ad alta voce, irritandolo ancora di più.
La verità era che la frustrazione accumulata per l'impossibilità di aiutare Sam e gli altri era tenuta a bada dall'idea che un giorno avrebbe preso una decisione e sarebbe stata quella giusta. Lo sapevano entrambi, per quanto avessero rimandato ogni scelta ad un tempo indefinito nel futuro, che Dean era un combattente. Ora che Dean sapeva cos'avrebbe significato, però, quanto sarebbe stato doloroso e sconcertante – per lui, certo, ma anche per Cas – si sentiva sconfitto dalla vita ancora una volta. Scegliere senza sentirsi in colpa era semplicemente impossibile. Scegliere senza distruggersi non era un'opzione.
«Non c'è niente da dire» dichiarò, quindi, deciso ad evitare la questione finché fosse stato possibile.
«Non sembra che la pensi davvero così» fece notare Cas.
«Sei tu quello che dice sempre che solo i pensieri non contano. Cos'è, vale solo quando vuoi tu?»
«Sei arrabbiato.»
«Non... dannazione, Cas. Non sono arrabbiato, va bene?»
«Posso sentirlo.»
Cosa vuoi che dica? Che a volte mi chiedo quanto sia giusto stare insieme così? Che tu hai sempre creduto nel sistema e io ti ho rovinato, trascinandoti in questa storia? Che non voglio dover scegliere ma devo farlo. Lo sto facendo ogni giorno? Sto scegliendo te credendo di non fare una scelta. Ma Sam è mio fratello. E Bobby e Charlie, loro...
«Dovremmo provare» lo interruppe Cas, la voce a risuonare nella stanza che li aveva visti appartenersi in ogni modo possibile.
“Anche se non voglio sentirlo di nuovo, il vuoto” aggiunse la sua mente.
Cas intendeva provare a stare separati, a usare i bracciali, e Dean poté quasi vedersi attraverso i suoi occhi, come se fossero uno fuori dalla portata dell'altro, come se la distanza si stesse già allungando promettendo di diventare incolmabile.
“Potremmo renderlo piacevole, Dean.”
Cas allungò la mano verso il proprio bracciale sotto lo sguardo attento di Dean, un tremore leggero a scuotergli le dita. Entrambi sapevano a cosa si stesse riferendo, davanti a quali possibilità li poteva porre una rinnovata distanza: sentirsi solo con il corpo, prendersi in modi nuovi.
Dean lo osservò far scattare la plastica nera sul polso, serrando la mascella, e fu di nuovo quel orribile, devastante silenzio. Un pugno nello stomaco per cui non c'era preparazione possibile se non incassare e soffrire.
«È...»
«Fa schifo» lo interruppe Dean.
«Stavo per suggerire che è alquanto diverso, ma anche la tua esternazione mi sembra valida.»
«A sentirti parlare e basta suoni davvero...»
Cas lo guardò, perplesso, in attesa che completasse la frase.
«Interessante» mormorò Dean, tentando di creare la giusta atmosfera, la voce un po' più bassa, mentre si avvicinava a Cas passo dopo passo.
Dentro si sentiva arido e solo.
 
Era tutto sbagliato, Cas lo avvertiva nelle viscere, in profondità. Eppure lasciò che Dean si avvicinasse e posasse un bacio titubante sulle sue labbra screpolate. Sentirlo solo di corpo, solo di tatto e di olfatto, le palpebre a chiudersi lentamente, era un'esperienza a metà, tranciata sopra il ventre. Non avvertì che un brivido dovuto alla sua attrazione, dovuto all'amore, che non arrivò dritto dove di solito arrivavano i baci di Dean.
Qualcosa non era al suo posto.
Mancava l'inspiegabile.
Eppure Cas provò ad abbandonarsi con tutto se stesso, lasciando che la mano di Dean salisse calda contro la nuca, concentrandosi sulla pelle che si toccava in modi nuovi. Si sforzò, si sforzarono, andando avanti a stringersi, sfiorarsi, spingersi uno sull'altro. Quando il palmo di Dean scivolò sui suoi pantaloni, Cas distolse appena lo sguardo per l'assenza delle giuste reazioni da parte del suo corpo.
«Ora ci penso io» lo rassicurò l'altro, un sorriso malizioso a riflettersi nelle iridi verdi.
Finì in ginocchio, Dean, sotto gli occhi attenti di Cas che lo studiavano come se fosse la prima volta che compiva un gesto compiuto mille altre – appena rientrava dal lavoro, con foga; o lentamente sotto la doccia, per tutti i minuti a loro disposizione; qualche volta in camerino, prima dei concerti, quasi fosse illegale anche per loro che del sistema facevano parte.
La mano di Dean lo espose, le labbra si aprirono, e presto fu avvolto dal calore umido della bocca, dalla carezza delicata della lingua. Passarono secondi, poi minuti, ma continuava a mancare qualcosa che aveva finito per essere fondamentale. Dean si staccò, arreso, rivestendolo con mani veloci.
«Scusami» mormorò Cas, il tono assente, come se non fosse più lui ma qualcuno di freddo e intoccabile, lontano dall'essere umano che era sempre stato.
Dean non rispose a quelle parole, ma si rialzò e strappò il bracciale dal polso di Cas per lanciarlo con rabbia contro il muro, spaccandolo in qualche pezzo contorto di plastica nera.
Tornò tutto, di nuovo, con forza estrema. Perché Dean era frustrato più di quanto non lo fosse mai stato, arrabbiato con se stesso e la vita, pieno di risentimento e senso di colpa. Le emozioni riempirono Cas fino all'orlo, minacciando di strabordare come stavano facendo in Dean.
“Non posso pensarci ora, non posso. Fanculo, non voglio. Neanche... neanche ti piaccio senza la connessione, non è così? Sei incastrato in questa cosa! Sono io, ma poteva essere chiunque altro. Un dannato malfunzionamento, ecco cosa siamo!”
Cas assisté al suo sfogo interiore, impotente, per poi pronunciare una singola frase che andava contro tutto quello che provava.
«Voglio farli rimuovere» disse.
Dean si bloccò, lo squadrò, sembrò attento ai suoi pensieri.
«Dopo quello che è appena successo? Nonostante quello che senti?» chiese.
«Non conta solo quello che-»
«Vuoi togliermi la responsabilità di decidere! È una cazzata, Cas.»
«Dean... non puoi andare avanti così. Non voglio tu stia male.»
“Ho bisogno d'aria” fu l'unico pensiero di Dean. Poi guardò verso il tavolo, afferrò il bracciale, lo strinse al polso, chiese un permesso al lettore – dovette farlo un paio di volte, perché il lettore non lo lesse alla prima – e sparì oltre la porta.
Cas si ritrovò solo di nuovo, in modo estremo e terribile. Tanto che respirare divenne impossibile, il fiato un grattare ruvido nei polmoni. Avrebbe voluto raggiungere Dean, parlarsi e pensarsi fino a comprendersi e trovare un compromesso, ma sapeva quanto fosse impossibile. Non quando Dean lottava contro se stesso, odiandosi per colpe nuove e vecchie.
E poi, Cas lo sapeva, Dean aveva ragione: la causa aveva bisogno di lui, della sua forza d'animo, della sua combattività, delle sue convinzioni e dei suoi ideali.
E Cas sentiva di dovere a Dean tutto. Sentiva di dover tornare da lui con un successo – niente più fallimenti.
Si avvicinò al lettore, selezionò un permesso per sé, e si lasciò la stanza alle spalle.
Crowley poteva aiutarlo.



 
Credevate fossi morta? Ebbene eccomi qui con un nuovo capitolo!
Scusate, non voleva saperne di uscire e mi sono ritrovata con miliardi di impegni/progetti in ballo!  Stasera passo a rispondere alle recensioni che ho trascurato, ma già da ora vi dico GRAZIE GRAZIE GRAZIE, se non fosse per voi mi arrenderei alle prime difficoltà come la merdina che sono!
Spero vi piaccia anche questo capitolo che non promette nulla di buono! 
Avrei un sacco di informazioni di servizio da lasciarvi, ma mi limito a dire che, se siete lettrici, questo è un bel gruppetto per trovare altre con cui chiacchierare e, se vi piace come scrivo, sulla mia pagina (link nella firma) trovate "altra roba".
Devo scappare...
Alla prossima!!!
DonnieTZ



 

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Capitolo 14
*** Il momento di lottare ***


 
14. Il momento di lottare

Dean aveva pensato di andare da Sam, lui che di emozioni capiva qualcosa, almeno. Poi si era ricordato del suo chip – il segno indelebile del controllo del sistema – e si era limitato a dirottare la sua camminata per le vie del quartiere, in attesa che arrivasse l'orario di lavoro. Non poteva rischiare di mettere la sua famiglia in pericolo, lasciando una traccia su dove si trovasse; non quando il prezzo era così alto, quando l'obiettivo finale era la libertà di tutti.
Sentiva il senso di isolamento strisciargli sulla pelle, fastidioso e insistente come un continuo grattare. Gli mancava la connessione e non era una mancanza tollerabile; era più un buco d'anima, un vuoto di gravità all'altezza del cuore. Sembrava che tutto fosse in sospeso, lì, muto e disturbante nella gabbia toracica.
Passeggiò per quasi un'ora, facendo soste davanti a qualche vetrina con quadri o sculture di cui non capiva nulla, finché non intravide due controllori con i loro lettori portatili intenti a scannerizzare i chip dei passanti. Era raro che accadesse nel bel mezzo della via, di solito bastavano le verifiche ai cancelli, e Dean rifletté sul fatto che in quei mesi gli era capitato di vedere – ed essere sottoposto – a molti più controlli, molte più persone con le loro divise grigio chiaro ad aggirarsi per il quartiere.
Così si incamminò deciso verso il cancello, tagliando corto.
«Chip prego» impose la guardia.
Dean rimosse il bracciale, infilandolo nella tasca dei jeans, per poi allungare la mano. Senza neanche riflettere o farci caso, una volta superato il cancello, infilò nuovamente il bracciale. Non voleva sentire Cas, non dopo quello che era successo, non dopo il suo sguardo ferito e quegli stupidi pensieri...
Con una parte della mente valutò di non aver sentito la connessione tornare su di lui all'improvviso, durante gli attimi in cui si era tolto il bracciale, ma si rispose che probabilmente Cas aveva indossato il suo perché aveva bisogno anche lui di una pausa. Non che ci stesse davvero facendo attenzione, Dean, a quei ragionamenti. Erano in sottofondo, fugaci e nebbiosi, come se non fosse più abituato a pensare da solo, senza la voce analitica di Cas a razionalizzare.
Al Roadhouse, Ellen e Jo captarono il suo umore e lo lasciarono in pace. In camerino, Dean valutò se fosse il caso di rimuovere il bracciale, cantare “A simple man” e far tornare indietro il tempo a quella prima sera con Cas. Qualcosa continuava a non sembrargli al suo posto, però: era inutile indugiare in quella felicità, era inutile fingere che il mondo non fosse un posto marcio, inutile ignorare che valesse la pena lottare perché chiunque potesse amare o cambiare idea nella vita o scegliere il proprio destino.
Così tenne il bracciale per distinguere i suoi pensieri da quelli di Cas, per rendersi conto di quale fossero le sue motivazioni e arrivare a una decisione che fosse sua e sua soltanto. Cantò sottotono, svogliato e distratto, sbagliando un paio di volte.
Si accorse della propria stupidità solo due ore dopo, nel bel mezzo del concerto. I pensieri a sovrapporsi pericolosamente uno sull'altro, come se fosse finalmente in grado di ragionare lucidamente, oltre la coltre di commiserazione e senso di colpa.
Aveva rotto il bracciale di Cas.
Cas non aveva nessun bracciale da indossare.
E lui si era perso così tanto in se stesso da non rendersi conto che qualcosa non andava, che in quegli istanti senza bracciale, al cancello, avrebbe dovuto sentire Cas.
Strappò il bracciale dal polso con forza, graffiandosi la pelle.
Niente.
Il vociare del pubblico – poco più di un mormorio perplesso – gli parve assordante nel silenzio della sua mente.
Cazzo, cazzo, cazzo...
Scattò in piedi, la chitarra a cadere sul finto legno del palco, facendo fischiare le casse.
«Devo... devo andare... io...»
Si precipitò fuori dal Roadhouse, nelle vie del quartiere, dove le persone camminavano per raggiungere i luoghi di svago o per tornare a casa. Nella mente risuonava solo una preghiera allarmata tutta rivolta a Cas, perché lo sentisse ovunque fosse, qualsiasi cosa fosse successa.
Dove sei, Cas? Ho bisogno che tu mi senta. Ho bisogno... di te.
«Il chip prego» gli chiesero al cancello.
«Devo passare!»
«Signore, il chip, prego.»
Dean allungò il braccio, strisce rossastre a decorare la pelle tesa sulle vene, dove aveva strappato la plastica con troppa forza.
«Lei risulta a lavoro, signore. Non può passare e non può stare qui.»
«Non capite! Devo andare, il mio compagno... gli è successo qualcosa!»
«Se l'ha chiamata per comunicare un'emergenza, basta che lei la riporti e manderemo qualcuno a verificare.»
«No, lui... dannazione, devo passare! Devo trovarlo!»
Dean si lanciò come se fosse possibile superare il pesante cancello in metallo opponendo abbastanza resistenza. Le guardie gli furono addosso in un attimo, colpendolo con il manganello che sovraccaricava i chip. Scosse violente partirono dal polso, invadendogli l'intero corpo, attraversando i nervi come un'onda. Dean crollò al suolo, sbattendo lo zigomo contro il cemento.
Fu tutto bianco, lontano, distante.
«Devo... andare...» tentò di sputar fuori, tornando piano in sé.
Quando provò a rialzarsi, una delle guardie allungò nuovamente il manganello. Gli bastò un contatto delicato contro la schiena di Dean perché il chip mandasse nuovamente una dolorosa scossa.
Dean chiuse gli occhi, respirando contro la strada.
Cas, ti prego...
Rinvenne che la folla stava premendo ai bordi della sua coscienza. Qualcuno urlava che era un'ingiustizia, qualcuno cercava di farsi avanti contro il cancello. Sbatté le palpebre un paio di volte.
«Sappiamo cosa succede al porto!»
«Avete paura che la rivoluzione arrivi anche qui?!»
Le voci agitate si susseguirono, ma Dean faceva fatica a star loro dietro. Si mise seduto, rendendosi conto di essere circondato dalle gambe delle persone accalcate contro le guardie. Quando riuscì a mettersi in piedi, la testa girò pericolosamente e le urla sparirono in un silenzio ovattato per qualche istante.
«Dannazione» borbottò.
«Ehi, stai bene?» domandò un ragazzino.
Impugnava l'archetto di uno strumento a corda e sembrava terribilmente giovane. Dean lo guardò come se la sua presenza significasse qualcosa, come se fosse importante averlo incontrato.
«Sì, sì amico, sto bene» rispose al giovane musicista, per poi rivolgere l'attenzione alla folla rabbiosa.
Una guardia toccò con il manganello i primi della fila e Dean ebbe la fugace visione della perplessità sul suo volto quando il passante non fece una piega.
«Esatto, brutto stronzo!» sputò fuori quest'ultimo. «Non ho i vostri stupidi chip! Non potete torturarmi!»
Buona parte delle persone accalcate tirarono su le maniche e Dean comprese.
Comprese che la lotta di Sam e Charlie e Bobby era grande e avrebbe cambiato le cose. Comprese che avevano tutti bisogno di provarci, di strappare un po' di libertà all'esistenza. Si voltò verso il ragazzo, posandogli una mano sulla spalla, mentre la folla iniziava a muoversi verso le guardie con più convinzione.
«Ascoltami bene: devi trovare un posto in cui nasconderti...»
«Kevin.»
«Kevin,» ripeté Dean, «devi restare lì e non muoverti, perché qui le cose si stanno mettendo male, d'accordo?»
Kevin rimandò a Dean uno sguardo confuso, poi comprese. Si sbottonò il polsino della camicia e mostrò il polso, una cicatrice perlacea a tracciare una linea sottile. Anche lui non aveva il chip del sistema, ma quello dei rivoluzionari.
«Non è il momento di nascondersi» dichiarò, risoluto.
E Dean comprese che era la verità, che non era il momento di nascondersi.
Era il momento di lottare.
Poi avrebbe trovato Cas e, finalmente, avrebbe meritato di stare al suo fianco e avrebbe avuto tutta la libertà per farlo.
 
Castiel guardava l'uomo che aveva davanti con gli occhi blu spalancati. Era ancora nel sotterraneo del palazzo delle assicurazioni, in una stanzetta umida che forse apparteneva ai tempi precedenti al sistema.
«Allora, allora, allora... perché non mi dici dov'è andato Crowley?»
«Perché non lo so» rispose nuovamente.
L'operazione per rimuovere il chip era durata poco, almeno per quanto potesse essergli sembrato. Prima di addormentarlo, Crowley gli aveva detto che tutta la città stava andando da lui a farsi rimuovere il chip – “o da quella vostra amica rossa” – e che nei quartieri periferici erano già esplosi focolai di rivolte. Quel discorso aveva convinto Cas ancora di più: stava facendo la cosa giusta.
Certo, avrebbe voluto salutare Dean un'ultima volta, sentirlo togliersi il bracciale e tornare a connettersi con lui, ma non poteva indugiare su quei pensieri più di tanto.
Al suo risveglio, però, Crowley era sparito e al suo posto c'era un uomo inquietante dal sorriso tirato e un po' folle, che continuava insistentemente a pretendere risposte che Cas non aveva.
«In questo caso sei piuttosto inutile per me, non credi?» si decise a concludere l'uomo, prima di colpirlo con forza.

 
Salve!
Il prossimo è l'ultimo VERO capitolo, seguito poi da un piccolo epiloghetto che dovrei scrivere in un battito di ciglia. 
Non arrendetevi. Fate come Dean, lottate per arrivare alla fine e vi prometto che... che...
Va beh. Fidatevi, se vi riesce. XD
Per il resto come state?  Ok, no, sul serio, stasera cerco di rispondere alle bellissime recensioni che mi avete lasciato!

Spero continui a piacervi e grazie per la vostra pazienza e i vostri incoraggiamenti! Siete prezios*
DonnieTZ


 

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Capitolo 15
*** L'ultima canzone ***




15. L'ultima canzone
 
Cas riemerse dal buio senza sapere quanto tempo fosse passato. Si guardò attorno, rendendosi conto di essere ancora nella stanza sotterranea. La porta poco distante era aperta – la luce del corridoio a fendere l'oscurità – e non c'era più nessuno a frapporsi fra lui e la libertà. Si alzò su gambe malferme, la testa che girò pericolosamente, tastandosi la tempia con la mano. Fra i capelli c'era del sangue che iniziava ad essiccarsi.
Nonostante la confusione, doveva tornare da Dean. Poi avrebbero discusso insieme cosa fare, se andare da Sam e gli altri, se fare in modo che Charlie rimuovesse anche il suo chip, visto che Cas aveva ridotto le sue scelte a quello. Non era certo di essere nel giusto – quando non era il sistema a guidarlo, Cas si sentiva pieno di dubbi –, ma non voleva essere un peso per Dean.
Quando ripercorse il corridoio del sotterraneo, per poi spuntare nell'ufficio di Crowley e uscire negli ampi spazi del palazzo delle assicurazioni, Cas realizzò che qualcosa non andava: gente nascosta sotto le scrivanie, mobili sparsi per le stanze, persone armate di bastoni e altre armi di fortuna che correvano da ogni parte. Nelle orecchie ronzava il dolore della botta, tutto sembrava distante e nebbioso, così continuò a camminare fino a raggiungere l'uscita.
Fece per passare il chip sul lettore, in un gesto meccanico, ma si accorse che era era stato divelto dalla sua postazione.
Così continuò all'esterno, reggendosi al muro, per rendersi conto che fuori c'era una vera e propria rivoluzione. Poco lontano, nell'ampio viale, le forze militari del sistema erano accerchiate dai cittadini, un palazzo era in fiamme poco più in là, ovunque l'aria era satura di fumo, urla e il boato di esplosioni.
Cas avanzò, facendo pause frequenti quando la nausea minacciava di farlo cadere al suolo e la testa girava troppo per permettergli di andare avanti. Arrivato al confine del quartiere, si rese conto che la postazione era occupata dai ribelli e che stavano facendo passare un gruppo di cittadini. Si unì a quelle persone per superare il cancello.
«Ehi, tesoro, tutto bene?»
Una donna diede una gomitata a chi si stava occupando di sorvegliare il passaggio, come a dire che Cas aveva bisogno di attenzione. Venne spostato dal flusso di persone con cura.
«Io... cosa sta succedendo?» chiese Cas.
«Cosa ti è successo, eh, bellezza? Vieni, cerchiamo di medicare quella brutta ferita prima che la tua testa rotoli per terra.»
Cas si fece guidare oltre il cancello. Al di là non c'erano forze del sistema, ma solo cittadini che accumulavano mobilia ad intervalli regolari.
«Barricate» spiegò la donna. «In caso sfondino.»
Gli afferrò il polso e studiò per bene la ferita della rimozione del chip, per poi passare alla testa. Mugugnò qualcosa, afferrò una borsa poco distante e si mise a trafficare con bende e disinfettante.
«Devi aver scelto il momento peggiore per fartelo rimuovere, è ancora fresca, ma hanno fatto un buon lavoro. Dobbiamo assicurarci che chi passa sia dalla nostra parte. Non so dirti quanto sia grave la botta in testa, invece, ma per ora medichiamola. Io sono Meg.»
«Io... io sono C...»
La parola venne mozzata in bocca appena il disinfettante bruciò contro la ferita, così lei continuò a medicarlo con i punti adesivi senza chiedere altro.
«D'accordo, Clarence. Resta qui.»
«No, devo... mi serve un lettore... il mio compagno...»
Meg alzò gli occhi al cielo, ma lo aiutò comunque a rimettersi in piedi e lo portò vicino al lettore.
«Li stanno distruggendo tutti, questo l'hanno lasciato per avere notizie dagli altri quartieri. Fa in fretta» disse, avvicinandolo al lettore del cancello.
Cas passò il chip e uscì una schermata che non aveva mai visto, per quanto simile a quella vecchia. Ogni voce aveva molte più opzioni e dedusse che servissero ad aggirare il sistema. Si limitò ai soliti gesti, però, avviando una chiamata per Dean. Si fosse trovato vicino a un lettore avrebbe potuto rispondere.
Non accadde e, quando provò a chiamare Bobby, Sam o Charlie, risultarono tutti morti.
«Non capisco.»
«Si può fare con i nuovi chip. Lo consigliano in modo che il sistema non possa rintracciare o altro... non capisco niente di tecnologia, Clerence.»
Cas cercò di focalizzare l'attenzione e ricordò che i piani della famiglia di Dean prevedevano quella mossa.
Doveva trovare Dean, ma in quel caos non era possibile. Se gli fosse successo qualcosa? Di certo avrebbe lottato al fianco della sua famiglia, ma l'idea di non sapere come stesse era intollerabile. Alla fine Cas pensò all'unica persona che poteva sapere qualcosa e che aveva ancora il vecchio chip.
Crowley non voleva farselo rimuovere, come aveva confessato a Cas in una delle sue visite allo studio, perché una volta gli era bastata, nella vita.
«Chi mai potrebbe chiamarmi nel mezzo di una dannata rivolta se non tu? Qua ti stanno cercando come pazzi.»
«Crowley» si limitò a dire Cas, sospirando di sollievo. «Ho bisogno...»
Sentì la presa di Meg alleviarsi e un altra mano sostituirsi sul suo braccio.
«Lascia tesoro, penso io a lui.»
Cas conosceva la voce che aveva pronunciato quelle parole, ma prima di poter reagire, Meg era andata ad occuparsi di qualche altro ferito e l'uomo che l'aveva colpito nel sotterraneo stava parlando di nuovo, stringendolo nella sua morsa.
«Di qualcosa e ucciderò te e tutti quelli a cui tieni» gli mormorò.
Cas restò immobile, ancora impedito dalla botta in testa, ma la voce di Crowley penetrò nella nebbia di confusione.
«Lucifer?» chiese.
«Crowley, quanto tempo! Pensa, ho scoperto che tu e questo strano tizio con l'impermeabile siete amici, ci crederesti? Ho pensato di farlo fuori quando ho capito che non avrebbe parlato, ma poi ho pensato che mi avrebbe guidato da te. La pazienza non è il mio forte, lo sai, ma eccoci qui. Perché non mi dici dove sei così non devo infilzarlo su questo bellissimo tagliacarte che hai ricevuto per la promozione che doveva essere mia?»
«C'è una rivolta Lucifer. Non è esattamente il momento per le faide lavorative.»
«Quale momento è più adatto del caos per una vendetta vecchio stile? Dico bene?» rispose Lucifer, voltandosi verso Cas come alla ricerca di approvazione.
Fu in quel momento che la comunicazione ronzò e si confuse.
«Cas? Cas, sei tu?»
«Dean!»
Cas quasi si protese verso il lettore e Lucifer rinsaldò la presa. In quel momento Cas sentì la punta acuminata di qualcosa premere contro la schiena.
«Cosa succede? Ti ho chiamato» continuò Cas, mantenendo sotto controllo l'agitazione, tentando in tutti i modi di comporsi e analizzare razionalmente la situazione.
«Il damerino che ti compra i quadri è venuto qui a cercare Bobby mentre eravamo nell'altra stanza. Charlie stava facendo qualcosa al mio chip per tentare di trovarti ed era in stand by. Ha detto che hai... Cas, dimmi tu che cazzo sta succedendo.»
«Tutto questo è estremamente commuovente, ma qui la questione è una sola. Voglio Crowley. Voi volete l'idiota. Uno scambio equo.»
«E tu chi cazzo sei?» sbraito Dean.
Nuovamente, la conversazione ronzò e si confuse. Cas poteva ancora sentire in sottofondo delle voci agitarsi, Crowley spiegare di aver rimosso il chip di Cas e di averlo inavvertitamente spinto nelle mani di uno psicopatico. Sentì vagliare caotiche alternative, mentre Sam tratteneva Dean dall'aggredire Crowley.
«Gente. Gente! Per favore, un po' di classe. Devo ricordarvi che ho il vostro angioletto in impermeabile» li richiamò Lucifer.
«Se lo sfiori, brutto stronzo, giuro che-»
«Castiel ti condurrà al suo appartamento. Ci troveremo lì. La rivolta si sta spostando verso il centro e il quartiere degli artisti è abbastanza sicuro» scandì Crowley, interrompendo gli improperi di Dean.
Ti amo, pensò Cas, intensamente, anche se non c'era nessuna connessione a trasportare il suo messaggio.
 
Dean desiderò solo poter camminare più in fretta, essere già arrivato, stringere Cas fra le braccia. Aveva il terrore che quell'intera giornata lo lasciasse a raccogliere i pezzi e non aveva neanche il tempo di pensare che la connessione fosse ormai spezzata e che il rapporto con Cas come lo conosceva fosse ormai passato.
Voleva solo saperlo in salvo.
Mentre Sam, Bobby e Crowley stavano per accompagnarlo al quartiere degli artisti, le tasche pesanti di piccole sfere esplosive – un progetto di Jo e Charlie, che rimasero indietro insieme ad Ellen per rifornire di esplosivi le cellule più organizzate della rivolta –, Dean aveva visto Bobby allungarne una a Crowley con uno sguardo strano. A lui non piaceva l'idea che l'assicuratore fosse armato, non gli piaceva l'assicuratore in generale, tanto più visto che aveva messo in pericolo Cas, ma c'erano questioni più importanti di cui occuparsi.
Arrivarono all'appartamento di Dean troppo lentamente, per quanto lo riguardava, fermati spesso ai cancelli e alle barricate, soprattutto per la diffidenza nei confronti di Dean e Crowley e i loro chip del sistema che richiedevano analisi e approfondimenti da parte dei ribelli.
Quando la palazzina fu in vista, Dean si mise a correre, superando tutti gli altri, e fu presto al piano del suo appartamento, davanti alla porta dischiusa.
«Vieni, vieni, siamo qui a chiacchierare amabilmente» disse la voce divertita che aveva sentito al rifugio, durante la chiamata – Lucifer, se Dean ricordava bene il suo stupido nome.
Con due dita mosse la porta piano e vide Cas nel bel mezzo della stanza, insanguinato e decisamente incazzato, mentre l'altro uomo era alle sue spalle e gli puntava una lama lucida alla gola.
«Lascialo andare» sibilò Dean.
«Mi dispiace, Dean» disse Cas quasi subito, parlandogli sopra.
«Non hai niente di cui dispiacerti.»
«Dov'è il mio regalo?» domandò Lucifer.
«Eccomi, eccomi.»
Crowley parlò con tranquillità, ma Dean registrò la sua mano nella tasca del cappotto, dove sapeva esserci la sfera esplosiva. Per un attimo ebbe paura volesse far saltare l'appartamento intero con loro dentro, ma Lucifer interruppe il flusso agitato dei suoi pensieri.
«No, no, no» cantilenò «state tutti fermi sulla porta, grazie.»
Accompagnò la frase con il rinsaldarsi della presa su Cas, così Dean indietreggiò e lo stesso fanno Bobby, Sam e Crowley.
«Ecco cosa faremo. Crowley resterà qui e voi andrete di sotto, fuori. Quando sarò sicuro di averlo a mia disposizione, manderò fuori questo idiota.»
«Te lo scordi» sibilò di nuovo Dean, facendo un passo in avanti.
La lama si puntò con più decisione contro la gola di Cas, però, e quell'immagine bastò a fermarlo.
«D'accordo» rispose Crowley.
«Ti sei rincretinito con gli anni?» sbottò Bobby, parlando per la prima volta dopo ore.
«Beh, Robert, moriamo tutti, prima o poi.»
«Non dire stronzate,» mormorò Bobby, per non farsi sentire da Lucifer, «ci dev'essere un altro modo.»
«Vuoi che il tuo ragazzo, qui, passi quello che abbiamo passato noi?»
A quella domanda di Crowley, calò un silenzio irreale. Dean spostò lo sguardo da Cas a Sam solo per un istante, confuso, per poi ricacciare indietro ogni dubbio. Non riusciva ad elaborare nessun piano che avesse senso, non riusciva a...
«Usciamo da qui, facciamo come dice» disse Bobby, dopo lunghi secondi.
«No, Bobby, è una cazzata!» sbottò Dean.
«Sam, porta fuori tuo fratello» continuò Bobby, come se non l'avesse sentito.
E Dean si sentì trascinare via, vide Bobby e Crowley stringersi in un inspiegabile abbraccio, agitò la mazza come per protestare, si ancorò a un angolo del corridoio – «Cas! Cas!» – ma non ci fu niente da fare. In pochi minuti lui, Sam e Bobby erano di sotto,
«Perché cazzo l'avete fatto? Lo ucciderà!»
Non ci furono risposte e Sam continuò a tenerlo ancorato a sé. Quelli, per Dean, furono i minuti più lunghi della sua esistenza.
Attese e attese e attese. Rivivendo ogni singolo istante, ogni stupido pensiero condiviso, ogni attimo di intimità.
Finché dalla porta non spuntò l'impermeabile di Cas e Sam lasciò andare la presa. E allora Dean corse, il fiato rotto, il cuore impazzito, fino a stringersi Cas fra le braccia.
«Non farlo mai più Cas, mai più.»
Cas si limitò a cercare il suo viso in quella stretta soffocante e baciarlo. A fondo, a lungo, tornando in vita, recuperando una connessione del tutto diversa da quella che li aveva avvicinati, ma profonda allo stesso modo. Si baciarono come fosse la prima volta, sentendo l'altro solo con il corpo, con i sensi attenti a ogni sfumatura di quell'appartenersi.
Fu in quel momento che il boato riempì l'aria: Crowley aveva usato la sua sfera. Quelle armi non erano abbastanza da far saltare un intero palazzo, ma le finestre del loro piano esplosero in minuscoli frammenti di vetro, cadendo al suolo.
«Dobbiamo andare!» urlò Sam, facendo voltare Dean nella sua direzione.
Bobby si era già allontanato, le spalle curve, e Dean si mise a correre verso di loro, sicuro che Cas lo stesse seguendo. Quando si voltò per averne la certezza, lo vide: Lucifer, ustionato dall'esplosione, alle spalle di Cas, la lama in pugno.
«No!»
Ma era tardi.
Vide Cas abbassare lo sguardo sulla ferita e rialzarlo, una tristezza infinita negli occhi, evidente tanto più Dean si avvicinava. E non importò sentire Sam dare a Lucifer il colpo di grazia, qualche secondo dopo, non importò che altre esplosioni risuonassero nel cielo, non importarono le grida della rivolta, il mondo migliore per cui stavano lottando.
Cas cadde al suolo, inerme, e Dean fece lo stesso, crollando sulle ginocchia.
 
Sembra che siamo proprio fottuti, Cas.
Una dei primi pensieri che Dean aveva condiviso con lui. Una verità profonda, in quel momento.
«C-canta, Dean. Voglio sentirti. Come la prima volta...» riuscì a dire, mentre Dean premeva la mano sulla ferita e urlava a Sam di cercare aiuto.
Dean era l'unica immagine su cui riuscisse a focalizzarsi, i suoi occhi – quel verde incredibile che aveva invaso i suoi quadri – pieni di lacrime.
«Non ti succederà niente, Cas. Starai bene.»
«C-canta...»
E Dean lo fece, piano, continuando a tentare di salvarlo, ingoiando i singhiozzi solo per lui.
 
Mama told me when I was young
Come sit beside me, my only son
And listen closely to what I say
And if you do this it'll help you some sunny day


 
NON AMMAZZATEMI.
MANCA ANCORA L'EPILOGO.
ASPETTATE FINO AD AVERLO LETTO PRIMA DI ODIARMI MALE.
Poi potrete odiarmi, giuro. 
Ok, non credo di aver fatto un buon lavoro e sono ipercritica e mi sembra tutto un casino, ma mi piaceva l'idea che avevo fin dall'inizio di...

**Da questo momento potrei dire cose SPOILER per la serie** 
...di riprendere il finale di stagione, la scena di Lucifer e Crow e quella trancia anima di Dean. Se ci ripenso ripiango le secchiate di lacrime. 
**FINE spoiler**
E mi piaceva l'idea di riprendere la canzone che li ha fatti incontrare. E di infilarci la Crobby. 
Insomma, di scrivere questa specifica scena. Forse sono stata un po' ambiziosa, visto che sono pigra con i dettagli nelle fic (male, Donnie, male) e mi sembra sia uscito un caos insensato. Rassicuratemi se non la pensate così o flagellatemi se siete d'accordo, pls.
Cerco di scrivere l'epilogo entro una settimana. Farò la brava e mi ritaglierò il tempo. Poi penserò alle vostre bellissime recensioni, per cui non vi ringrazierò mai abbastanza! Siete preziosissim*, davvero. 

Emh... ciao.
 

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


 
16. Epilogo

Dean entra in casa, abbandona gli stivali all'ingresso, si guarda le mani – rovinate, callose con qualche linea di grasso che proprio non vuole saperne di essere lavata via – e abbozza un piccolo sorriso. Lo fa ogni singolo giorno, tornando dal garage di Bobby, sentendo il senso di soddisfazione che riparare auto gli lascia addosso da quando ha iniziato.
La piccola villetta sul mare non è molto più grande di com'era l'appartamento che divideva con Cas e ha richiesto almeno un anno di lavoro prima di essere davvero abitabile. Nessuno, al di fuori della città, aveva idea ci fossero quelle vecchie costruzioni sparse un po' ovunque, segno di una civiltà perduta. Alcuni non si sono interessati, preferendo restare in città, abbattere i muri che dividevano i quartieri, ricostruire quello che è andato perduto, basando ogni decisione, piccola o grande, sulla salvaguardia delle libertà individuali. Altri se ne sono andati, lasciando i ricordi alle spalle, esplorando i dintorni, i boschi, le cittadine abbandonate, le case di un tempo passato.
Come Dean.
La villetta è silenziosa, quieta, immersa solo nel suono ovattato delle onde contro la scogliera poco distante.
Dean ha impiegato tempo ad abituarsi all'idea di non avere più nessuno nella testa, niente voce rauca e profonda nei suoi pensieri. Ha impiegato tempo ad accettare tutto quello che è successo. Tempo dedicato a rimediare, a riparare, a guarire.
Ed è ripagato ogni singola volta dalla voce di Cas, quando gira l'angolo e lo vede nel piccolo studio, sommerso dai suoi quadri, che dipinge a petto nudo.
«Dean.»
«Ehi, Cas» risponde, avvicinandosi per posargli un bacio sulle labbra e uno sulla spalla, mentre lo abbraccia da dietro.
Le mani vagano sfiorano la cicatrice sul suo addome, lo sguardo si perde sulle pennellate.
«Cas, è... è un capolavoro.»
Il quadro a cui sta lavorando è un vortice di colori caldi. Il giallo delle esplosioni, l'arancione del fuoco, il rosso del sangue. È violento e catartico e esorcizza gli incubi che abitano entrambi, di tanto in tanto, la notte. Nella parte alta del quadro, tutti quei colori non sono più soltanto una città in rivolta, ma diventano un uccello dalle piume fiammeggianti, una fenice che spicca il volo.
«Non sai niente di arte, Dean.»
C'è una presa in giro nella voce di Cas, un continuo punzecchiarlo sul fatto che ora suoni solo per passione e non per lavoro.
«Uh, è così, eh? Io ti faccio un complimento e tu ti metti a fare il professorino?»
Sorridono entrambi come due idioti, felici anche solo di avere quell'attimo, quella spensieratezza.
«Almeno hai smesso di dipingere il mare» aggiunge Dean, pensieroso.
I mesi della convalescenza di Cas, quando si era ripreso abbastanza per affrontare il viaggio alla ricerca di una casa, sono stati difficili. Non percepirsi con immediatezza, imparare a parlarsi, vederlo avere paura e averne di conseguenza. Il mare ha aiutato, calmandolo con la sua visione, con i suoi suoni, con le sue scoperte.
«Non lo avevo mai-»
«Lo so, lo so, me lo ricordo. “Non l'avevo mai visto prima”» lo interrompe Dean, facendo scivolare la mano più in basso.
Posa altri baci sulla spalla, sul collo, sulla nuca.
«Dean...»
Quello di Cas è un sospiro, un invito, una supplica. In quel piccolo nome, Cas riesce sempre a infondere troppi significati. A volte, quando dice “Dean” sta dicendo “ti amo”, perchè non sempre sono costretti a parlarsi per capirsi, anche senza connessione mentale.
E Dean gli risponde sempre più spesso, soprattutto quando sono fra le lenzuola, spesi e sudati, esausti e languidi. È ancora difficile, ma ogni giorno lo è sempre meno.
Come quel giorno, davanti al quadro, mentre lo accarezza.
«Ti amo» gli sussurra nell'orecchio.




 
WAAAAAAAAA è finita. T______T
Non sono poi così cattiva, visto? Ora, certo, il titolo può sviare, ma ho sempre avuto un po' più l'idea che riguardasse il modo in cui la loro connessione si interrompe nel momento della rivolta, più che la loro storia in tutto e per tutto. Quindi niente, sono una cucciolina, non potrei mai fare troppo male a questi due. Non se lo meritano. Soffrono già abbastanza nel canone, direi!
Quindi, tiriamo le somme... vi è piaciuta? 
Penso che la revisionerò, fra un po', e sono anche riuscita a tirar fuori un banner che non mi fa schifissimo. YAY.
Grazie per la compagnia. Come sempre potete amiciziarmi su fb, potete dare un'occhiata alla mia pagina, al mio sito, al mio canale youtube, al bar dove faccio colazione, venire a dormire a casa mia, insomma, lo sapete...
Ah, per chi non fosse già passato, io e Clizia abbiamo messo su un profilo insieme, con altre fic destiel: Clonnie
GRAZIE di tutto, siete stat* preziosissim*! 
❤❤❤

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