Primi versi

di Dilandau85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BAGONDA ***
Capitolo 2: *** DESOLAZIONE ***
Capitolo 3: *** AL PASTORE DI TRAMATZU ***
Capitolo 4: *** LA VASTITÀ DEL CAZZO ***
Capitolo 5: *** GUERRA E PACE PER IL CUORE SULLA STRADA DI CASA ***
Capitolo 6: *** L'INFELICITÀ PUÒ MAI ESSERE ILLEGITTIMA? ***
Capitolo 7: *** VIVERE SENZA LAVORARE ***
Capitolo 8: *** DISTRAZIONI A LAVORO ***
Capitolo 9: *** LA MIA INDIFFERENZA ***
Capitolo 10: *** SOCIALITA', SPOILER DI SOLITUDINE ***
Capitolo 11: *** LA DIPARTITA DI UN AMICO ***
Capitolo 12: *** IL PESO DI UN ATTIMO ***
Capitolo 13: *** INUTILITÀ DEL SUICIDIO ***
Capitolo 14: *** FINESTRE ***
Capitolo 15: *** TRAGEDIA ***
Capitolo 16: *** PIPATA ***
Capitolo 17: *** ASPETTATIVE SBAGLIATE ***
Capitolo 18: *** INCONVENIENTI ***
Capitolo 19: *** INNO ***



Capitolo 1
*** BAGONDA ***


BAGONDA

Questo è uno tra i primi sonetti che ho scritto. L'idea era di scrivere qualcosa di comico... Spero di strapparvi un sorriso!

 

"O Bagonda, rimembro l'ore liete
e i soldi che sborsai per stare teco.
Sei tanto brava che mai furon spreco;
non v'è alcun'altra che con te compete.

Le tue ricchezze son quasi indiscrete:
che l'IVA carichi non lo depreco;
hai la villa ma il cul risuona d'eco,
tanto le tue giornate sono inquiete.

Come puoi questi ritmi mantenere?
Non temi per le tue chiappe carnose,
o di qualche malanno fïer pregna?".

Così invocavo l'alto suo sapere;
ed ella allor sospirando mi rispose:
"Deh, pensa se oltre il cul c'aveo la fregna...".

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Capitolo 2
*** DESOLAZIONE ***


DESOLAZIONE

Con questa andiamo sul personale; breve poesia in settenari sciolti che vuole giusto dare un'immagine di desolazione, in un flash.


 

Mi desto ogni mattina
solinga sulla sabbia
al centro d'un deserto.
Non voglio più svegliarmi
qui per guardarmi intorno
e ritrovar soltanto
la traccia di ogni mia
orma dal caro luogo,
ogni dì più lontano,
da cui sono fuggita.

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Capitolo 3
*** AL PASTORE DI TRAMATZU ***


AL PASTORE DI TRAMATZU

Questa è l'ultima poesia che posto per questa sera. E' una canzone composta da cinque strofe libere in endecasillabi e settenari sciolti. Breve premessa che voglio condividere. A novembre con il mio reggimento siamo stati impegnati in una grossa esercitazione a Capo Teulada (in Sardegna, dove c'è il poligono militare). E' stato un mese della mia vita veramente tosto a causa degli orari che facevamo. Fatto sta che ogni giorno, quando con la colonna ci recavamo alle zone di schieramento in località Porto Tramatzu, incontravamo all'alba e al tramonto questo vecchio pastorello che ci salutava militarmente ogni volta. Pur non conoscendolo gli ho voluto bene davvero e gli ho dedicato questa canzone (che tra l'altro ho cercato di recapitargli lasciandola in una bottiglia a bordo strada dove lo incontravamo sempre... Chissà se l'avrà trovata e letta! Credo che non lo saprò mai...)

 

Ahi vecchiarel dal passo incerto e lasso
ch'ogni dì per la macchia
irta di mirti e ginepri puntuti,
di su e di giù per il sabbioso calle,
scalando gli erti colli,
il tuo gregge di capre porti a zonzo.
Tutto il dì, tutti i giorni,
tanto nella calura e nell'arsura
del vento che dall'Africa sussurra,
quanto sotto la pioggia umida e fredda
e il tagliente mugghiare
di mare e vento rio,
fai il dover tuo, chissà da quanto tempo.
Vorrei sol per un giorno con te stare
e quei tuoi panni mistici indossare,
che ad atmosfere antiche
e mitologiche portano il cuore.

T'incrocio tutti i giorni alla stessa ora:
pria quando Aurora viene
a tingere di rosa l'orizzonte
muto e blu della notte,
poi quando il carro rincasa all'occaso
così chiudendo il giorno.
E tu saluti sempre sorridendo,
briccone, con la mano sul cappello,
il nostro andirivieni.
I cani che ti seguono giocosi
son tuoi compari leali di faccenda
e ti aiutano e ti fan compagnia
nel quotidian travaglio.
Eppure non v'è traccia di disagio
sul tuo volto segnato
dall'alta età e da sole e mare aggrinto.
Sereno t'incammini
poggiandoti al bastone, silenzioso,
umile e fiero al medesimo tempo.

Leggerti come un libro vorrei tanto
per conoscerti in fondo
e in te immedesimarmi,
ed elevar lo spirito più in alto.
Ma visto che non posso,
limiterommi a sognar le tue azioni,
la tua vita, i pensieri.
E così mentre osservi i tuoi armenti
godersi la lor misera esistenza
tronfi, sereni e gai,
tu puoi goderti quell'isolamento
che tanto alla natura
rende prossimo l'uomo.
Pieno silenzio v'è in quella campagna,
nulla d'umano a rovinar l'idillio.
Dello spettacolo del mar ti nutri
e coricandoti supino a terra
mirar puoi il cielo nella sua interezza.
Non che serva a qualcosa,
ma la mente sgombra fa passar l'ore
alla svelta in maniera lieta e quieta.

Poi che alla sera sulle umili scarpe
ritorni a quel tuo vecchio casolare,
puoi finalmente venir coccolato
dal tepore del nido.
Alla tua mensa desinare teco
vorrei, che dei prodotti
genuini del diuturno impegno è piena
(immagino caciotte e ricottine!),
e riposar nel cotone pulito,
fresco ancorché vetusto
e tramandato dai tuoi avi antichi.
Dormire per tante ore
e l'indomani esser già di gran lena
a curare le bestie.
Mi ricordi i miei nonni
e gli antenati loro che al tuo pari
han vissuto il passato.

In questa terra tanto favolosa
le memorie d'Arcadia son rideste;
rilucon gli occhi tuoi di nostalgia,
ormai che ninfe marine e pastori
tuoi pari, le giornate
più non rallegrano coi fauni buffi.
Cotale eredità sulle tue spalle
anziane e ferme grava,
che il nostro mondo oramai è cambiato.
Sebben non ti conosca,
ti ringrazio e t'abbraccio
per esser filo di collegamento
con tanto belle e beate visioni;
vederti salutare tutti i giorni,
o canuto pastore,
m'allieta e rasserena il mosso cuore. 

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Capitolo 4
*** LA VASTITÀ DEL CAZZO ***


LA VASTITA’ DEL CAZZO

Sonetto con schema ABBA ABBA CDE EDC che cavalca l'onda del tormentone recente del "guarda la vastità del cazzo che me ne frega!". Ero davvero incazzata quando l'ho scritta...

Sai, di quel che mi dici ben un cazzo
me ne strafrega, ed anche bello grosso!
Puoi la sua vastità vedermi addosso,
sennò te la indico da quel terrazzo.

Il tuo parlar mi pare uno starnazzo
fastidïoso; il viso si fa rosso
se mi continui a star così a ridosso.
È come un'allergïa in cui ci sguazzo,

questa asocialità ed intolleranza,
che mi ha colpito e in me cresce e fiorisce
a causa tua che non mi lasci in pace

a far in vita mia ciò che mi piace.
M'inacidisce assai e pure imbruttisce;
presto, necessito di una vacanza!

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Capitolo 5
*** GUERRA E PACE PER IL CUORE SULLA STRADA DI CASA ***


GUERRA E PACE PER IL CUORE SULLA STRADA DI CASA

Sestina lirica dai toni abbastanza petrarcheschi. Parole rima "cuore", "pace", "tempo", "guerra", "strada", "casa". Dopo varie revisioni è al momento il mio cavallo di battaglia! Qui dentro c'è tutto il mio disagio.


Mi chiedo cosa ricerca il mio cuore,
per poter finalmente trovar pace;
forse soltanto gestire il suo tempo…
Dura impresa nel mezzo d’una guerra
alla cui fine v’è ancor tanta strada,
che triste e lungi mi tiene da casa.

E sogno proprio quello, la mia casa,
ove s’allieta l’esausto mio cuore,
ove gli amori miei mi danno pace.
Qui vorrei si fermasse sempre il tempo,
qui posso dedicarmi alla mia guerra;
poco m’importa quel che avviene in strada.

Io scelsi d’intraprender tale strada;
ricordo bene quanto odiavo casa.
D’avventura il disio m’empiva il cuore,
e a tutto ambivo tranne che alla pace.
Ora par tanto lontano quel tempo
di quando amavo l’Arte della Guerra.

Non dichiaratemi per questo guerra, 
amici, perché giusto è cambiar strada
quando si nota che lì non è casa
per tanto voluttuoso, inquieto cuore.
Auguro tanto a voi quanto a me pace;
perpetua e non fugace sia nel tempo.

Stavolta almeno per più lungo tempo!
A noia mi è venuta questa guerra,
per quanto m’ha permesso di far strada,
più che se fossi stata sempre in casa;
certo, questo lo sa pure il mio cuore:
così anche non avrebbe avuto pace.

Or nulla è più prezioso della pace
che vado ricercando in questo tempo;
ma mi domando se è inutile guerra
l’accingersi su questa nuova strada.
Presto detesterò stare anche a casa?
Dovrebbe averlo appreso ormai il mio cuore.

Stupido cuore che non trovi pace!
Cerchi una casa all’infuori del tempo,
un’altra strada, verso un’altra guerra.



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Capitolo 6
*** L'INFELICITÀ PUÒ MAI ESSERE ILLEGITTIMA? ***


L'INFELICITÀ PUÒ MAI ESSERE ILLEGITTIMA?

Lunga poesia che scimmiotta Gozzano. Un'altra digressione sullo stesso tema della sestina del capitolo scorso (non ci posso far niente, è un chiodo nella mente!). Immagino di rivolgermi alla mia anziana dirimpettaia (signora buona e cara, ma anche preda dei luoghi comuni). Il succo è che nessuno dovrebbe giudicare quando sia giusto o meno che qualcun altro sia infelice (e criticarlo di conseguenza). Dovremmo portare rispetto per il dolore altrui, anche quando fosse causato dalla cosa più futile. E' qualcosa di troppo soggettivo e delicato per poter sparare sentenze, e soprattutto potrebbe colpire chiunque in qualunque momento.
Sono 48 quartine di endecasillabi con schema ABBA. Questa è la prima bozza, scritta di getto. Ora mi attende un lungo labor limae...


Cara signora Rosa, s'io potessi,
con te ragionerei ben volentieri
dei nostri tanto diversi pareri
su questo tema e tutti i suoi riflessi:

se lecito si possa ritenere
il sopportare e patire disagio
senza l'universal, neutro suffragio
ad avallar le pene come vere.

Difficoltoso risulta parlarne:
tu a condannare sei così convinta.
All'opposto io son d'empatia avvinta;
voglio tentare anche a te di recarne.

Hai mai provato a metterti nei panni
di un cosiddetto assassino seriale?
Per tutti egli è una creatura del male;
non sia mai che il suo agir non si condanni!

Mi riferisco alle poche persone
(ovviamente malate) non capaci
di placare gli istinti lor rapaci.
Irresistibile è la tentazione

di porre fine a una vita innocente.
Esse lo sanno che è sbagliato e grave,
ma son di questo desiderio schiave,
come chi dalle droghe è dipendente.

Forza di volontà da dipendenza
è vinta; sono deboli senz'altro,
per quanto il loro vivere è assai scaltro.
Ma si può definire una carenza,

un difetto di forza, come fallo?
Se sei più debole di una disgrazia
nulla puoi farci, prima o poi ti strazia.
E stai sicura che non è uno sballo,

di qualsivoglia questione si tratti
(comportamento deviante o batterio).
Immagina il soffrir lor quant'è serio,
quando nel divenir pian piano sfatti,

s'aggiunga al dramma interiore profondo
cruda condanna, sociale e legale.
Penso sopportino un dolore reale,
a quel delle lor prede non secondo.

Son bisognosi di fraterno aiuto,
che ricever vorrebbero alla stregua
d'ognun che dal dolore cerchi tregua.
D'altronde è giusto che vi sia un rifiuto

in società per chi nuoccia alla stessa.
Colpa è levare il diritto alla vita;
lo Stato faccia manovra gradita
per la comunità quieta e rimessa!

Io, cara Rosa, non ledo nessuno!
Che cosa faccio? Mi lamento, punto,
perché il mio cuore contrito e compunto
dicono che è soltanto inopportuno.

Così facendo al margine selvaggio
la società mi relega, alla pari
dei peccatori pravi e straordinari
dei quali prima ho fatto quasi omaggio.

Ho tutto ciò che si possa bramare,
nel comun dire: soldi, casa, amore,
lavoro, affetti, salute, età in fiore.
Tutto sono riuscita a realizzare,

sempre, ogni cosa mi venisse in mente.
Ho scritto fino a qui il mio stesso fato
come ho da sempre sognato e anelato,
impugnando il timone saldamente.

Eppur v'è un tarlo che ora mi tormenta
e la felicità tanto mi frena.
Come un malanno che tutto avvelena.
E da tarlo diventa pena cruenta.

Voglio soltanto una vita tranquilla,
da turbamenti e tensioni lontana.
Sogno un sicuro rifugio, una tana
che la mente e il mio corpo rifocilla.

Vorrei gestire tanto e tanto tempo
facendo solo ciò che più mi aggrada,
seguendo in toto l'epicurea strada,
proprio come il peggior dei perditempo.

Talmente tante le cose da fare
che noia sovverrebbe mai e poi mai!
Tante passioni che nel cuor serbai
smaniose di poter fuori spiccare,

rimandate tanto a lungo al futuro...
A dopo la pensione, se va bene
e la salute fortunata tiene.
Nel frattempo il presente è duro e scuro.

Il tempo che è prezioso fugge via,
lo vedo scivolar come la sabbia
dalle mie mani, mentre sono in gabbia,
in questa vita che non sento mia.

Non più. Mi pungono angoscia e rimorso,
e nostalgia di quei tempi pacati
che son riuscita a non render sprecati.
Mi è indifferente degli eventi il corso,

l'attualità e ciò per cui s'arrabatta
il grosso della gente che sta in basso:
politica, costume, guerre, chiasso,
patria... la patria che ora mi ricatta.

Il mio cervello è egoista e goloso,
crescere vuole e gustare di tutto;
s'annoia facilmente d'ogni frutto.
Dei vizi è schiavo e molto capriccioso,

incostante, irrequieto, e al tempo stesso
pigro e voglioso solo di piacere.
Lui comanda, lui erge le barriere,
e dell'empireo indica l'accesso.

Inutile è parlarne in questi toni:
d'altra entità non si tratta per nulla,
la testa è dell'essenza mia la culla,
sono me stessa con le mie ragioni.

Tentato ho di sfuggirle fino ad ora,
ma adesso sono stanca e più non voglio;
è un paradosso, e duro come scoglio
è il cozzarvici contro ancora e ancora.

Mentre tentavo la lotta dicevo:
"Ti devi rassegnar, questa è la vita!
Anzi, quella che fai è vita ambita!
Subordina te stessa!", ripetevo,

"Come ancor fanno i cari genitori.
Capitalismo si chiama, è normale,
così fa tutta la gente normale.
Finché capiterà che un giorno muori

e il testimone passerà ai tuoi figli."
Ed eccomi agognar vita diversa,
a tutti i turbamenti molto avversa.
E tu, Rosetta, non ti meravigli?

Sicuramente mi disprezzerai.
Tanto hai sofferto durante i lunghi anni;
mi hai raccontato già tutti i tuoi affanni.
Della crisi racconti pure i guai:

i giovani non trovano lavoro,
gli Italiani ormai al verde e senza averi,
e le strade si riempiono di neri.
Il terrorismo; il perseguir dell'oro,

per i nostri politici sol fine;
cronaca nera, persone cattive.
Ma poi ci son le parole votive,
il Papa e tutte le cose belline.

Se i miei tormenti leggerai, mendaci
li riterrai, senza alcuna incertezza.
Io ho conquistato con risolutezza
traguardi che per te son molto audaci;

non sussiste ragione di sconforto.
Non coi tempi che corrono, diresti.
O peggio ancora, invëiresti
contro di me addossandomi gran torto.

"Ragazzina viziata, il sacrificio
è per te sconosciuto!"; di vergogna
mi riempi, manco fossi una carogna.
Ma anche se tu lo credi un artificio

il mio dolore è reale e pesa tanto,
come un macigno posto sulle spalle.
Perché dovrei cantarti delle balle?
Per me per prima sarebbe un incanto

se la tua logica a me s'adeguasse.
Mi potrei accontentare, finalmente,
e potrei vivere felicemente,
invece che pagare queste tasse.

"Conviene rodersi per altri mali!",
e poi iniziare con la stessa solfa
di sempre, che cervello e cuore ingolfa:
pensa alle malattie brutte e mortali,

o chi soffre la guerra, chi la fame,
chi i propri cari ha perduto in sciagura,
e ancora nominar ogni bruttura,
di loro dipingendomi più infame.

È il tribunale della società:
la giuria popolare vaglia il germe
dell'afflizione del povero verme
e secondo i criteri che lei sa

stabilisce se degno è dell'affetto
solidale, o del gretto vilipendio
(giusto, secondo quel loro compendio).
Io, col mio caso, son certo in difetto.

Non soltanto per te, Rosa, per tutti
gli incapaci di mettersi i miei panni
e stimar gli invisibili miei danni.
Se l'empatia che dicevo non sfrutti

ti ridurrai come tanti a vedere
categorie discrete e non sfumate
in cui tutte le cose al mondo create
sono soltanto bianche oppure nere.

Mi offende essere messa in una cesta,
bianca o nera che sia, con scarsa cura.
Ancor più adesso che mi fa paura
questo magone che, ahimè, mi tempesta.

Vorrei ricever commiserazione,
più che le critiche che già conosco.
Perciò, non mi guardar con sguardo fosco;
vincer desidero questo magone.

Io, cara Rosa, non ledo nessuno!
Or che ci penso, pungere potrei
soltanto quei che son d'invidia rei...
Tu pàrtiti da quel gregge importuno.

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Capitolo 7
*** VIVERE SENZA LAVORARE ***


VIVERE SENZA LAVORARE

Sonetto sempre  sullo stesso tema (giuro che è l'ultimo in cui mi lamento che non voglio lavorare!).



S'io non dovessi mai più lavorare
e avessi tuttavia lo stesso agio,
noia non sovverrebbe, né disagio,
solo il piacere sarebbe a badare.

Sì tanto tempo da poter votare
al viver sano e all'andar sempre adagio,
a mirar chi s'affanni nel naufragio
delle incombenze d'ansia intrise e amare,

è medicina pel corpo e la mente.
Cose da fare ve ne sono molte,
molta lettura, sonno, allenamento,

praticare, imparare con fomento,
giungere a mete sempre nuove e colte
e di gaudio sereno essere abbiente.

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Capitolo 8
*** DISTRAZIONI A LAVORO ***


DISTRAZIONI A LAVORO

Cazzeggio durante lavoro (di qualche tempo fa). Ogni occasione è buona per un sonetto, non c'è bisogno sempre di andare a sfociare nell'esistenzialismo!


Siamo oramai in pieno approntamento,
ci chiameranno con poco preavviso,
in questi tre anni d'esercizio intriso
a ir per la NATO in baltico cimento.

Da sopra sol ci arriva impedimento:
pochi automezzi, ahimè, tempo conciso,
troppe le attività e tutto improvviso,
solo su pochi grava tal fermento.

E va il pensiero al libero bel tempo,
alle ore amene che fian macinate,
a ciò che vorrei fare e che non posso.

L'angoscia pesa e diventa un colosso,
son cura e applicazione ormai annegate;
sviar devo in un qualunque passatempo.

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Capitolo 9
*** LA MIA INDIFFERENZA ***


LA MIA INDIFFERENZA

Sonetto caudato sulla mia apatia più totale.




Quando qualcosa ti sta tanto a cuore
per essa piangi, t'accendi, combatti;
vuoi contribuir per mutar di quei fatti
l'esito, fremi per esso d'ardore.

Sia chi pur di cambiar la Storia muore
sia chi nel piccolo ogn'or s’arrabatti,
per non entrar nel gregge degli sciatti,
qualche cosa fa a loro da motore.

Ma se poco t'importa se di nero
o di bianco si tingano i tuoi frutti
né piangeräi, né t'accenderai,

né tanto men per ciò combatterai.
Tali l'indifferenza li ha ormai asciutti,
non hanno, tolto l'ego, affetto mero.

Così contano zero
e lasciano altri a decider per loro;
io con lor vago, null'idea peroro.

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Capitolo 10
*** SOCIALITA', SPOILER DI SOLITUDINE ***


SOCIALITÀ, SPOILER DI SOLITUDINE

Sonetto scritto stasera mentre mi rendevo conto di quanto non mi riesco a godere eventi mondani in solitudine. Non tanto per la solitudine in sé per sé, quanto per il fatto che il resto della gente si trovi in compagnia, rendendomi di fatto "diversa" (ci vorrebbe più gente in giro da sola)... Altri 14 versi di pippe mentali.



Socialità, davvero ti detesto!
Per le tue consuetudini sociali,
mi rovini occasioni gaie, quali
concerti ed eventi d'ogni contesto,

cinema, cene, in clima anche modesto,
l'andare in giro per fiere o locali.
I radicati costumi abituali,
le fan dell'amicizia un manifesto.

Frequentarle da soli è sconveniente,
non perché ci sia legge, solo usanza;
non lo fa quasi nessuno, purtroppo.

Questo mi fa sentire in dissonanza,
procacciatrice di sguardi, nolente.
Vero o meno che sia, mi resta un groppo.

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Capitolo 11
*** LA DIPARTITA DI UN AMICO ***


LA DIPARTITA DI UN AMICO

Sonetto sulla dipartita del mio gattino nero, Ugo, stroncato dalla FIV all'età di 9 anni, portato da me medesima dal veterinario a far sopprimere perché ormai era veramente in uno stato pietoso... È successo qualche anno fa, ma al ripensarci mi viene comunque una gran tristezza...




Il bel musino tuo ben mi rammento,
caro Ugo dal setoso pelo nero,
con cui m'urtavi di fusa foriero
tra le mie gambe procedendo attento.

Quando ronfavi pien di godimento
eri compagno fedele e sincero,
per quanto muto di parole invero.
Nel fior degli anni ti giunse tormento

di mal meschino ch'a morte ti trasse.
Lenta si spense la tua bella luce;
soffristi, ti sciupasti e, perso tutto,

d'anticipar decisi il triste lutto.
La tua innocenza rese ancor più truce
l'estremo addio alle tue ciglia lasse.

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Capitolo 12
*** IL PESO DI UN ATTIMO ***


IL PESO DI UN ATTIMO

Spesso, presi dall'ansia e dalla fretta si sottovalutano periodi di tempo di secondi o minuti in cui in realtà si riescono a fare un sacco di cose (se affrontati con calma e sangue freddo). Sestina narrativa con schema metrico aBBaCC.



O lettor che rifletti
al pari mio sul tempo e i suoi misteri,
converrai che tra i molti nostri averi
esso è per molti aspetti
da soppesar qual prezioso e primario,
che il tutto accade nel suo itinerario.

Per far di non sprecarlo,
inizia a intendere che ogni suo istante
è tanto lungo e a momenti stagnante,
nonostante a illustrarlo,
il lemma, si usi spiegazion contraria,
che leva all’attimo durevole aria.

Va esso rivalutato,
ma serve molta calma; ti chiedo ora:
in un minuto, ove tu ben lavora,
che cosa hai combinato?
O quanta strada hai percorso, o fin dove
sei arrivato col passo che ti muove?

Se fretta non ti tange,
certo ti stupirai del real responso:
al tempo stesso, il tempo è stato intonso
e ampliato di più frange.
Grazie a questo sagace paradosso
potrai sfruttare il tempo fino all’osso.

Riflettici, pertanto,
quando credi che il tempo ti tradisca;
che invece puoi, come tu lo gradisca,
sfruttarlo tutto alquanto.
Fino all’ultimo istante sempre indugia!
Non puoi saper cosa ivi si rifugia.

Il tuo orologio scruta
senza ansia alcuna, al fin d’ottimizzare,
e ottimizzando gusta le ore care!
Che è cosa risaputa
il fatto che una volta che è perduto,
reclamar non si può il tempo scaduto.

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Capitolo 13
*** INUTILITÀ DEL SUICIDIO ***


INUTILITÀ DEL SUICIDIO

Sonetto caudato scritto tempo fa, in una giornata nera passata a fantasticare sul "cosa succederebbe se decidessi di farla finita?". Fortunatamente la conclusione fa subito cadere questa scelta sciocca (come riportato qui nel sonetto).



Càpitano momenti in cui ti senti
inutile e invisibile per tutto,
che t'accarezza quel pensiero brutto
di porre fine a sì fatti tormenti.

Un colpo in testa, secco, in tra le genti,
o dall'alto volar nell'äer flutto,
e pria che tutto sia tosto distrutto
levarsi quegli sfizi impertinenti,

certo e sereno di postumo alcuno.
Ma poi che ci rifletti, allora intendi
che non v'è nessun senso ad inscenare

un sì teatrale atto, se poi guatare
non puoi quali reazioni crei e accendi
nel cor, negli occhi, nei gesti d'ognuno.

Capriccio inopportuno
quindi rimane; non la soluzione
tanto bramata a scioglier l'afflizione.

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Capitolo 14
*** FINESTRE ***


FINESTRE

Sonetto su uno dei miei passatempi preferiti: sbirciare nelle case d'altri (quando possibile). Basta una breve occhiata, e partono grandi film mentali, ma tutti film belli.



Sempre dovunque io mi trovi adoro
osservar nella notte le lucerne
che fan risplendere le stanze interne,
donando dalle tenebre ristoro.

Curiosar nella vita di coloro
che desti ancora fanno intravvederne
un piccolo spiraglio dalle esterne
finestre, in case mute di lavoro,

infonde pace e calore nel cuore.
Dalla via solitaria nella pece,
rorida e fredda, rifugiarmi quivi

tanto vorrëi, ché son luoghi privi
quelli d'angoscia e male d'ogni specie,
nell'anima traviata d'atro umore.

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Capitolo 15
*** TRAGEDIA ***


Scusate, ma per il titolo non mi è ancora venuto niente in mente... Questo è quello che ho buttato giù dopo la tragedia che è successa sabato notte. Un mio dipendente si è tolto la vita. I nomi ovviamente sono stati censurati. Come sempre, mio malgrado, la poesia è permeata dal solito esistenzialismo egoista. Ma forse solo ora sto iniziando a realizzare davvero la cosa e mi sento abbastanza giù.
Come metrica, sono quartine di endecasillabi con schema ABBA.


“Lalala si è impiccato!”, questo disse
Dadada al cellulare, concitato,
sabato a mezzanotte; fu un boato,
una tragedia che tutti trafisse.

A mezzogiorno mi aveva chiamato,
perché la sera prima un incidente,
senza vittime, povero incosciente!
sbronzo al volante avevi procurato.

Poi sono emersi pian piano i dettagli,
nella domenica lunga e infernale.
Da noi, la nave socio-assistenziale
si è mossa; sopra son tutti ammiragli.

Chissà di quell'eroico altruismo
quanto ne è falso, quanto ne è sincero.
E mentre tutti ti accendono un cero,
pronti ad assistere con fanatismo,

a sostenere la tua famigliola,
miseramente scempiata dal lutto,
disponibili sempre e ovunque in tutto,
io mi sento di ghiaccio e molto sola

nel voler essere davvero schietta.
Di certo non mi azzardo a giudicarti.
La morte dolce doveva sembrarti,
forte la smania di affrancarti in fretta

da quello strazio che apparentemente
ritenevi più duro dell'oblio.
Hai rinunciato al conforto di dio,
eri o non eri davvero credente?

Cosa pensavi, quali idee contorte,
mentre scrivevi lettere di pena?
Cosa, mentre mettevi su la scena
per lo spettacolo della tua morte?

E ancora, cosa negli ultimi istanti?
Quanto è durato? E quanto dolore?
Quando in estremo il fato predatore
ti vinse, strangolando i cupi pianti,

ti pentisti? Lottasti? O risoluto,
coerente rimanesti al truce passo?
Penso a quando ti misero dabbasso
alle mie dipendenze; hai vissuto

quindici mesi in questa batteria,
la mia; felice fosti di partire
e su “Strade Sicure” confluire.
Tutto pur di lasciare l’angheria

del precariato facendo punteggio.
Nella tragedia eccomi a ragionare
di fredde sillabe e a come rimare.
Quando nel mezzo del quieto traccheggio

mi giunse la notizia cruda e atroce
e da necessità fui richiamata,
non nego che la mia prima pensata
fosse rivolta alla privata croce:

ore di sonno perse, rovinata
quella domenica per stare a presso
alla burocrazia del tuo decesso.
Mi sento da cinismo ricolmata.

Essere ipocrita adesso mi tocca,
per adeguarmi senza alcun sospetto
a chi mi attornia, io, essere abietto.
Ahimè, qualcosa a mostrarmi mi blocca.

Devo celarla questa mia natura;
la società non riesce ad accettarla;
di emarginarmi a causa di una ciarla,
mi spiace, ma non ne ho affatto premura.

Ciò nondimeno non nuoccio a nessuno,
né voglio male ad alcuno, né bene.
Chi usa libertà e facoltà piene
giammai lo giudico, né lo importuno.

Eri alle mie dirette dipendenze,
ma provo poco più che un grande niente.
Per questa batteria, per questo ente
non sento peculiari appartenenze.

Cinque anni fa era diverso parecchio.
C’era motivazione, umanità,
attaccamento. Queste, qualità
che vedo ovunque, ma non allo specchio.

Al tempo stesso mi sento realista
e onesta, e pure fredda e indifferente,
punta da una pigrizia incontinente.
Quanto mi secca l’essere egoista.

Quanto mi secca che mi dia fastidio
la mia realtà egoista e genuina;
voler essere come una bambina,
buona e pura, per me è uno stillicidio.

E’ così faticoso camuffare
i sentimenti. Lo farò, a fatica,
in questa società così nemica,
continuandomi sempre a domandare:

a che giova mentire? E’ un sassolino,
intralcio ennesimo sulla mia strada
per la vita tranquilla che mi aggrada.
Vorrei riprendere solo il cammino.




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Capitolo 16
*** PIPATA ***


PIPATA

Breve poesiuccia in endecasillabi a distici in rima baciata scritta oggi dopo un lieto pomeriggio sul balcone a fumare la pipa. L'obiettivo era cercare di giocare con le paronomasie.


Sulla poltrona come una matrona
si posiziona la grande paciona.
Stipa ed appiccia la pipa di schiuma,
pigia ed acciacca il tabacco; se fuma?
Boia se fuma la schiuma di mare!
È velluto orientale a svaporare.
Si rintrona e di tutto se ne impipa,
la tipa che in terrazza con la pipa
la ripa dello Stura e le ampie Langhe
mira, con quel suo mar di viti e stanghe.
E teorizza e poetizza sulle viti,
sui tini, i contadini e di quei siti
i vini. Ecco, ozia il meriggio sui tetti,
sulla gente cialtrona al bar, gli insetti,
in quelle aiuole lambite dal sole,
che tramontare presto più non suole.
Si sollazzano tutti al sole rosa
e sotto i raggi ogni ferita è rósa,
finché non cala la sera gelata
e si conclude la bella pipata.

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Capitolo 17
*** ASPETTATIVE SBAGLIATE ***


Ennesima cazzata su come le aspettative possono rivelarsi sbagliate; per questo non andrebbe dato loro troppo peso, pena bruciarsi il presente. Endecasillabi e settenari sciolti.

 

"Vado in stazione e prendo un treno a caso!"
Quante volte l'ho detto!
Annosa voglia di fuga e avventura,
di libertà, ricerca e riflessione.
Oggi il sole mi è amico,
finalmente lo faccio!
Eccomi, arrivo in un posto straniero.
Intorno è tutto bello, ma non troppo;
cammino, mi affatico,
non c'è altro da vedere,
la noia è sopraggiunta
ben prima del previsto,
la solitudine un mattone al collo.
Smanio in stazione l'arrivo del treno,
le quattro mura della cara casa,
il mio balcone e la gattina in collo;
l'aspettativa amara
mi ha rovinato ancora una giornata.

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Capitolo 18
*** INCONVENIENTI ***


Per la seria: la poesia quella bella, toccante, impegnata...
Quasi un epigramma, spero nessuno si scandalizzi! Per la battuta finale, credits to Prophilax (Puttanic)


INCONVENIENTI


Nedo è felice per il suo intervento.
“Come si sta con due costole in meno?”
“Alla grande, ora ciuccio che è un portento:
fino alle palle, e più non me lo meno!
Solo una cosa non ho preso in stima:
quando scorreggio il puzzo arriva prima.”

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Capitolo 19
*** INNO ***


INNO


Operaio instancabile,
scrupoloso e di ghiaccio
quanto il cuore e le viscere
che hai di bronzo e ferraccio,
tu, per quanto sia scomodo
a mortali e immortali
somministri puntuali
le tue eterne virtù.

Neri sono i tuoi abiti,
come la nera Notte,
tua madre quieta e vergine.
Sul viso il velo inghiotte
particolari linee;
non somigli a nessuno
e somigli a ciascuno,
o tristo mietitor.

Ti adorni di papaveri
come usa tuo fratello,
Giustizia dei secoli,
sei Tempo senza appello.
Leggero, fluttui in aria,
testimone del mondo;
paziente e mai iracondo
le genti scruti e i re.

Come in giugno si mietono
le messi, tu la vita,
matura e favorevole,
la tranci e fai finita.
Se acerba invece, subdolo
stilli gocce di fiele,
spacciandolo per miele
in bocche ancora in fior.

Allora in mani tènere
belle farfalle accogli,
diafane e impareggiabili.
Sereno non t’imbrogli
delle fogge dissimili.
Tutte sono tuoi frutti;
li cogli belli e brutti
e problema non c’è.

Hai il cuore imperscrutabile,
in te non c’è colore:
né quella gioia tipica
del fiero vincitore,
allorquando le vittime
tremano di spavento
percependo il tuo avvento
e l’abisso al di là.

Nè l’acquiescenza docile
di chi è stato sconfitto,
per quanto sia infallibile,
quando nel tuo tragitto
chi non teme le tenebre
sfiori; questi s’aggrappa
fervente alla tua cappa
trionfante su di te.

Il paradiso immagina,
dove lo condurrai;
povero stolto, ingenuo.
Ma alla pietà mai
cede il tuo volto cinico.
Sei d’accordo col Fato;
così è da sempre stato,
così sempre sarà.

O Morte, ti canto umile;
qualunque sia il tuo piano
non tingerti di macabro.
Quando l’animo è sano,
sa bene che può esserti
incurante; né vinto,
né vincitore finto,
solo attende svanir.

In polvere trasformami,
immobile destino,
quando sarà fatidico.
Lo spirito perfino
converti in nulla cosmico.
Lasciami divenire
tuo pari, cupo sire,
rimedio d’ogni mal.

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