La scelta di Eva

di wingedangel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Michele

Il regno dei Cieli si presentava come un'enorme navata, il cui pavimento era composto da solide eppure soffici nuvole bianche, senza soffitto o pareti. Due file infinite di colonne si stagliavano verso il cielo ai lati del piedistallo di cui mi servivo, nell'esercizio delle mie funzioni di principe degli Angeli, per comunicare telepaticamente con tutti i miei fratelli nel regno dei Cieli e sulla Terra. 

Appoggiato ad una delle colonne, lasciavo scorrere il mio sguardo tra il Paradiso umano sotto di noi, e la Terra dove gli uomini vivi sbrigavano le loro faccende quotidiane.

Improvvisamente percepii che Lui stava per mettersi in contatto con me, così subito mi inchinai al cospetto del mio Creatore. Non che potessi effettivamente vederlo, la Sua presenza pervadeva l'intero regno dei Cieli, era allo stesso tempo presente e assente, non avendo bisogno di assumere alcuna forma per rivolgersi a noi. La Sua voce risuonò chiara nella mia mente.

«Ho un compito da affidarti, Michele.»

« Sono al Tuo servizio.» Pensai.

Non avevo bisogno di pronunciare alcuna parola per comunicare con Lui. Nella sua onnipotenza era in grado di leggere i miei pensieri e le mie emozioni. Non che fossi in grado di mentire a lui o a chiunque altro, ma se ne fossi stato in grado se ne sarebbe accorto all'istante.

« Sai bene che la situazione tra gli uomini sta peggiorando a vista d'occhio. Le persone che ancora credono veramente in noi sono sempre meno, la maggioranza di loro si rivolgono a noi solo se hanno bisogno di qualcosa. Contrariamente a ciò che pensano non li ho abbandonati, ma potrei trovarmi costretto a farlo.»

Quelle parole mi turbarono profondamente, ovviamente ciò che Lui diceva era la verità, gli umani stavano abbandonando la fede, e nemmeno io, l'Arcangelo Michele, principe e condottiero degli Angeli del Signore, potevo fare molto per evitarlo, non senza interferire con il loro libero arbitrio. Eppure, nonostante i loro innumerevoli difetti, amavo gli uomini, ero stato creato per proteggerli, di conseguenza il loro destino mi preoccupava particolarmente.

« Capisco le tue emozioni, Michele. Per questa ragione ho deciso di metterli alla prova, dando loro una possibilità di salvezza. Tra di loro è appena nata una bambina, in cui si è reincarnata l'anima di Eva. Questa ragazza crescerà, e al compimento dei suoi diciott'anni si troverà di fronte ad una scelta. Come ai tempi della Creazione, dovrà scegliere se cedere alle tentazioni e ai suadenti inganni dei demoni, oppure se scegliere la via della rettitudine e garantire una possibilità di salvezza all'umanità. Se sceglierà il male noi tutti ce ne andremo, lasceremo gli umani e la Terra a sbrigarsela da soli con i loro demoni, il male dilagherà e gli umani si uccideranno a vicenda, ponendo fine alla loro stirpe. Il tuo compito sarà quello di accompagnare questa bambina, vegliare su di lei, e guidarla verso la giusta decisione. I demoni scopriranno presto la sua vera natura, saranno attirati da lei come falene al fuoco, e tu dovrai difenderla, permetterle di sopravvivere fino al momento della scelta. Insegnale cos'è giusto Michele, in modo che quando sarà il momento possa scegliere in modo corretto.»

Annuii. Per quanto tutta quella situazione mi sembrasse assurda non potevo permettermi di contestare i Suoi ordini. Mi alzai in piedi e spiegai le mie ali, preparandomi a partire. Poi ricordai che non potevo lasciare il regno dei Cieli senza una guida, così chiamai mio fratello.

« Gabriele!»

Un battito d'ali alla mia destra mi fece voltare.

« Eccomi, fratello.»

« Ho ricevuto una nuova missione, dovrò scendere sulla Terra per i prossimi diciotto anni. Ho bisogno che nel frattempo tu prenda il mio posto alla guida dei Cieli.»

Gabriele annuì.

« Va bene, mi mancherai, fratello.»

Ci concedemmo un rapido abbraccio, poi, mentre quella bambina nasceva con il peso del destino del mondo sulle sue spalle, sentii il vento carezzare le piume delle mie ali, spronandomi a partire. Con un balzo mi levai in volo, poi scesi in picchiata attraverso le nuvole, che persero consistenza mentre il mio corpo le attraversava. La mia mente era concentrata su quella bambina. Avevo una missione da compiere, e l'avrei portata a termine, a qualunque costo.
 


CANTUCCIO AUTRICE:

Ciao a tutti,

Ecco a voi un mio piccolo esperimento, era un po' che l'idea di una storia sugli angeli mi solleticava la mente; lo so, ce ne sono a vagonate di storie a tema angeli/demoni, ma volevo provarci anche io. In compenso ho cercato di ideare una trama originale, spero che vi incuriosisca.

Fatemi sapere che ne pensate, sia in positivo (fa sempre un immenso piacere e motiva ad andare avanti) che in negativo (accetto ogni critica costruttiva, mi aiuta a migliorare).

A presto,

wingedangel.

Piccolo disclaimer: per quanto riguarda gli angeli, i demoni ecc... mi sono attenuta alle varie informazioni reperite in rete condite insieme con un po' di fantasia, non voglio urtare la sensibilità religiosa di nessuno. Rispetto ogni credo religioso, ogni riferimento ad Angeli, Demoni e Dio non vuole aver nessuna valenza reale. Prendetelo per quello che è, l'ambientazione di una storia di totale fantasia. 

P.s. Il prologo è corto, ma i capitoli si aggireranno intorno alla media delle 2000 parole. Lettore avvisato...

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


Capitolo Uno
 

«Evelyn scendi! É arrivato Michele!» urlò mio padre dal piano di sotto.

Finii di lavarmi i denti, poi scesi di corsa le scale. Controllai l'orologio, le otto meno un quarto, Michele era leggermente in anticipo. Entrai in cucina, trovai mio padre intento a spalmare della Nutella su due fette di pane per il mio fratellino Ryan, sul volto la solita espressione smarrita che l'aveva lasciato raramente negli ultimi cinque anni. Lo salutai con un bacio, a cui rispose abbozzando un sorriso stentato, poi scompigliai i capelli a Ryan, che si stava preparando a sua volta per andare all'asilo.

« Ciao Lyn!» mi disse con un sorriso.

« Ciao piccola peste! Ci vediamo dopo!» dissi, rivolgendomi anche a mio padre, che si limitò ad annuire.

Uscii di casa. Appena vidi Michele seduto sulla vecchia Ford del padre, come ogni giorno il mio cuore perse un battito e mi lasciai scappare un sorriso. Ogni volta che lo vedevo rimanevo affascinata dalla sua bellezza, con i suoi corti capelli biondo miele e due splendidi occhi azzurri in cui sembrava che il cielo si specchiasse; se poi ci si aggiungeva un corpo muscoloso e due braccia robuste che potevano portarti in paradiso con un semplice abbraccio sembrava di aver davanti un vero e proprio angelo.

Io e Michele eravamo amici da quando eravamo piccoli, ma da quasi due anni convivevo con una stratosferica cotta per il mio migliore amico. Più di una volta avrei voluto fagli sapere quello che provavo, ma non avevo mai trovato il coraggio di farmi avanti. Non volevo rischiare di rovinare una splendida amicizia confessandogli i miei veri sentimenti. Così la mia vita andava avanti giorno per giorno, tra la scuola e gli amici; insomma, vivevo la classica vita di una diciasettenne il cui solo problema era decidere cosa fare il sabato sera. Certo, se non si contava il fatto che dovevo aiutare mio padre a crescere un bambino di cinque anni, nascondere al mondo quanto realmente sentissi la mancanza di mia madre, e naturalmente tenere nascosti i miei sentimenti al mio migliore amico. Già, ero proprio una diciassettenne qualunque.

Michele si voltò verso di me, accorgendosi solo in quel momento della mia presenza.

«Buongiorno Eva!» mi apostrofò.

Alzai gli occhi al cielo, esasperata, mentre salivo in macchina e lui metteva in moto.

« Ancora con questa storia? Lo sai che detesto quel soprannome!»

Per qualche oscura ragione Michele era fissato con quel nomignolo, e non voleva saperne di smetterla, mi chiedevo sempre che ci trovasse di speciale in quel nome. Da quando a catechismo mi avevano raccontato la storia di Adamo ed Eva, quella credulona mi era stata subito antipatica. Insomma, hai tutto quel che puoi desiderare, e vai ad assecondare un serpente parlante consapevole che in questo modo ti condanni a morte? Tutto per una stupidissima mela? Quando ne avevo parlato con Michele lui aveva insistito che non era così semplice, che c'era sicuramente dell'altro, ma si era sempre rifutato di dirmi di più, perciò, per quanto mi riguardava, quella Eva era soltanto una cretina. Ma perchè Dio aveva scelto quell'idiota per rappresentare il mondo femminile? Ovvio che poi gli uomini avessero una bassa opinione delle donne, con un esempio simile!

Non so perchè quella storia mi ha sempre suscitato certe reazioni, come se la prendessi sul personale, come se mi riguardasse direttamente. Mi rendo conto che è un'assurdità, probabilmente è solo una storiella, un espediente per salvare la faccia a Dio e per scaricare la colpa sull'uomo per il male nel mondo, eppure ogni volta che Michele mi chiama Eva, per qualche ragione, quella storia mi torna in mente, e lo detesto.

« Che ci vuoi fare, mi piace quel nome.»

« Mah, se lo dici tu.»

In quel momento il mio telefono mi vibrò in tasca. Lo tirai fuori per leggere il messaggio. Era Ashley, la mia migliore amica e compagna di banco. Appariva a tutti come una rossa tutto pepe, ma io sapevo che, almeno negli ultimi tempi, la sua esuberanza era solo un modo per nascondere agli altri la sofferenza per l'imminente divorzio dei suoi genitori; io le stavo accanto come potevo, ma mi sentivo completamente impotente, dopotutto cosa potevo fare per aiutarla di fronte ad una situazione più grande di lei?

«Ciao, tra quanto arrivate? Ho una notizia bomba! Gira voce che oggi ci sarà un ragazzo nuovo! Se è carino me lo prenoto io!»

Ridacchiai, prima di inviarle la risposta.

« Arriviamo tra cinque minuti, ma non puoi prenotarlo tu, ti ricordi Matt? Il tuo ragazzo?»

« Uffa!»

Sorrisi e rimisi a posto il cellulare, raccontando a Michele la notizia.

« Strano che arrivi uno nuovo a fine Aprile, ormai siamo quasi alla fine dell'anno...»

« Non dirlo! Ho una lunga serie di insufficienze in chimica da recuperare prima della fine dell'anno!»

Michele scoppiò a ridere.

« Beh? Adesso che c'è da ridere?»

« Ti ricordo che ormai, per recuperare quelle insufficienze ci vorrebbe come minimo un miracolo!»

Misi il broncio, fingendomi arrabbiata. Ma la realtà dei fatti era fin troppo evidente, sapevo bene che ormai nulla mi avrebbe salvato dall'insufficienza in chimica. Non ebbi molto tempo di pensarci però, perchè presto arrivammo a scuola.

L'aspetto della Willow High non era dei migliori, si presentava praticamente come un enorme cubo grigio di cemento a tre piani, tanto che girava voce tra gli studenti che un tempo fosse stata una prigione. Ciò di certo non giovava alla motivazione allo studio, ma per il resto si presentava come una normalissima scuola come migliaia di altre. Una noia mortale insomma.

Stavo per attraversare le porte dell'istituto quando uno spintone mi fece finire con la faccia a pochi centimetri dal pavimento, con conseguente figuraccia di fronte all'intera scuola.

« Ma che cavolo!» esclamai.

Una mano entrò nel mio campo visivo.

« Scusami, sono in ritardo e non ho visto dove andavo.»

Alzai lo sguardo, trovandomi davanti un ragazzo bello da mozzare il fiato. Alto, capelli castani, indossava semplicemente dei jeans e una maglietta verde, ma quello che mi colpì fu che aveva dei magnifici occhi color smeraldo. Il suo volto era semplicemente perfetto, com'era possibile? Ero l'unica a trovarmi addosso una serie infinita di difetti? Guardandolo meglio però notai che aveva il naso leggermente troppo pronunciato e il mento leggermente sporgente, ma restava comunque un gran bel ragazzo. Doveva essere il ragazzo nuovo di cui parlava Ashley, altrimenti l'avrei sicuramente notato prima.

« Stai bene?» mi chiese, notando che lo fissavo.

Mi riscossi immediatamente, avevo appena fatto una delle mie solite figuracce di fronte al ragazzo più carino che io avessi mai visto, dopo Michele ovviamente. Gli presi la mano e lasciai che mi aiutasse ad alzarmi.

« Ciao, io sono Bryan, e tu sei...»

« Di certo non è affar tuo!» sbottò Michele, prendendomi per mano e portandomi via da lui.

« Ehi!» esclamai.

Incespicavo sui miei stessi passi per stargli dietro, mi stava letteralmente trascinando via, ma che gli prendeva?

« Andiamo in aula, altrimenti faremo tardi.»

Ma che aveva? Non era nemmeno suonata la campanella, perchè aveva reagito così di fronte a Bryan? Lui si era solo presentato, non aveva fatto nulla di male, allora cosa prendeva a Michele?

Appena entrammo in aula finalmente Michele si fermò. Mi liberai il braccio, furiosa.

« Ma che ti dice il cervello?»

« Lascia stare quel Bryan, Eva!»

Ma che...? Perchè ora si metteva improvvisamente a fare il fidanzato geloso? In ogni caso non poteva permettersi di comportarsi in quel modo! Ero perfettamente in grado di badare a me stessa, come si permetteva di dirmi cosa fare? Era il mio migliore amico, mica il mio ragazzo! Tra l'altro, se anche lo fosse stato, non stavo facendo nulla di male con Bryan! Ero furiosa, non sopportavo che si comportasse così!

« Primo, ti ho detto mille volte di non chiamarmi così! Poi, come ti permetti di trascinarmi via così? Non sei il mio ragazzo, Michele!»

Il suo viso si oscurò per un momento, probabilmente si sentiva in colpa per quello che aveva fatto. Lo ignorai e uscii dal'aula.

« Ora dove vai?»

« La campanella non è ancora suonata, vado a scusarmi con Bryan!»

« Aspetta, Eva!»

« Va al diavolo, Michele!»

« Quel Bryan è pericoloso, Evelyn!»

Lo ignorai e uscii dalla stanza. Quasi non mi accorsi che per la prima volta mi aveva chiamato con il mio vero nome. Quasi. Probabilmente era solo un caso, ma quelle parole mi restarono impresse. Che significava che Bryan era pericoloso? Lo conosceva? In ogni caso meritava delle scuse, per il resto, sarei stata attenta.

Tornai nell'atrio della scuola, sempre più affollato di studenti, ma non riuscii a trovare Bryan. Aveva detto di essere in ritardo, quindi avrei dovuto aspettarmi di non trovarlo. Mancavano ancora un paio di minuti al suono della campanella, probabilmente era già andato in classe, e io non sapevo quale fosse. Mi voltai per tornare in aula, decisa a scusarmi con lui all'uscita, quando lo vidi uscire dalla segreteria con dei fogli in mano. Mi avvicinai a lui.

« Ciao, scusa per prima, il mio amico è un imbecille.» Dissi.

Lui si voltò verso di me e sorrise.

« Oh, ciao...»

« Evelyn» continuai al posto suo.

« Ciao Evelyn, tranquilla, è tutto a posto. È il tuo ragazzo?»

Magari! Scossi la testa, scrollandomi di dosso quei pensieri. Non potevo permettermi di pensare a Michele in quel momento, non dopo come si era appena comportato.

« No, è solo il mio migliore amico. Ma vi conoscete per caso? Ha reagito come se avesse visto un fantasma!»

In quel momento suonò la campanella, interrompendo la nostra discussione.

« Scusa, devo andare, non posso far tardi il primo giorno.» Disse lui, scappando via.

Mi voltai e tornai in classe anche io. Entrai in aula e mi sedetti al mio posto, accanto ad Ashley.

« Ehi! Mi ha detto Michele che hai incontrato il ragazzo nuovo! Allora? Com'è?»

Il silenziò calo nella stanza quando la professoressa di chimica comparve sulla porta, ma io, voltata verso la mia amica, purtroppo non me ne accorsi.

« É un gran bel pezzo di manzo!» Sussurrai alla mia amica ridacchiando.

Lei rise a sua volta. Alzai lo sguardo e vidi gli occhi della professoressa che mi fissavano.

« Se ha finito con le chiacchiere da bar, signorina Snow, le ricordo che siamo a scuola e vorrei cominciare la mia lezione.»

Abbassai lo sguardo, le avrei risposto per le rime, se solo non avessi già abbastanza insufficienze da gestire in chimica, inimicarmi la professoressa non sarebbe stato per nulla saggio.

La professoressa entrò, appoggiò i libri ed aprì il registro.

« Oggi interrogo.»

A quelle parole il gelo scese nella stanza. Mani che si stringevano, occhi bassi e mute preghiere si levavano, mentre la professoressa scorreva con lo sguardo i nomi sul registro.

« Snow, Jones, Scott e Roberts..»

'E te pareva!' esclamai tra me e me.

Io e Ashley ci guardammo, afflitte, prima di alzarci e raggiungere la cattedra.

Non so quale santo stesse vegliando su di me quel giorno, ma riuscii a strappare alla prof una sufficienza, purtroppo però non mi alzava di molto la media, probabilmente Michele aveva ragione, dovevo rassegnarmi alla 'buca' in chimica. Se non altro era l'unica, almeno non rischiavo la bocciatura, ma mio padre non me l'avrebbe sicuramente fatta passare liscia.

Alla fine delle lezioni uscii da scuola insieme a Michele ed Ashley, come ogni giorno. E come sempre il ragazzo di Ash la aspettava fuori dai cancelli. Matt aveva ventidue anni, e lavorava come magazziniere presso un'azienda vicina, così ogni giorno lui e Ash potevano passare la sua pausa pranzo insieme.

Ashley gli corse subito incontro e lo baciò prima ancora che lui avesse il tempo di abbracciarla. Io li guardavo senza poter evitare di sentirmi invidiosa. Vedevo l'amore che li legava riflettersi negli occhi di entrambi, il modo in cui dopo solo una giornata che non si vedevano si stringevano l'un l'altra come se non volessero più lasciarsi andare, i baci che si scambiavano come se non avessero più bisogno di aria per vivere; e tutto ciò a cui pensavo era che avrei voluto vivere le stesse esperienze insieme a Michele. Avevo già avuto un ragazzo, Jason, fino a due anni prima, ma non era la stessa cosa, quello che provavo per Jason era lontano anni luce da ciò che ora provavo per Michele e quello che provavano Ashley e Matt.

« Dai, lasciamoli soli. Andiamo a casa.» Mi disse Michele.

Senza dire nulla lo seguii mentre si avviava verso la sua macchina.

« Ehi, sei silenziosa. Qualcosa non va?» mi chiese appena mise in moto.

Io mi riscossi dai miei pensieri e scossi la testa.

« No, non è niente, tranquillo.»

Gli sorrisi fingendo che andasse tutto bene. Ma nonostante sapessi che non gli avrei mai confessato i miei sentimenti, mi ritrovai a chiedermi se tra noi due avrebbe mai potuto realmente esserci una storia. Sapevo bene che se poi le cose fossero andate male avrei quasi sicuramente perso il mio migliore amico, ma se invece le cose fossero andate bene? Ero sicura di non voler rischiare?

Mi ritrovai a pensare a come sarebbe stata la mia vita senza Michele, e ciò bastò a farmi confermare la mia decisione. Michele era tutto ciò che ormai riusciva a tenermi insieme, era solo la consapevolezza della sua presenza, sapere che avrei sempre potuto contare su di lui, che mi permetteva di non crollare e non lasciarmi andare a quel dolore che ancora non avevo imparato ad affrontare. Senza di lui sarei stata persa, a pezzi, e non potevo permettermelo, la mia famiglia aveva bisogno di me, e per farcela avevo un disperato bisogno di Michele. Solo quando lui era vicino a me riuscivo a sentirmi meglio, ad affrontare la mia vita con coraggio, era un po' come il mio angelo custode, se solo ci avessi creduto.

 


CANTUCCIO AUTRICE:

Rieccomi!

Abbiamo cominciato a conoscere la nostra Eva... ehm... Evelyn, che ne pensate? Non sta avendo una vita facile, vero? E siamo solo all'inizio...

E il nuovo ragazzo, Bryan? Perchè Michele ha reagito così? Gelosia? O c'è dell'altro? Chi lo sa... mi sa che vi ho già detto troppo... ops...

Fatemi sapere se la storia vi incuriosisce o se notate degli errori/incongruenze ecc..., faccio del mio meglio per evitarli, ma si sa... qualcosa scappa sempre, quindi... conto su di voi!

A presto,

Wingy

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due
 

Come praticamente ogni giorno, dopo scuola mi recai a casa di mio zio. Dalla morte di mia madre vivere con il solo stipendio di mio padre cominciò a diventare difficile, così, quando nacque mio cugino, mio zio mi chiese di fargli da babysitter per qualche ora dopo la scuola. In questo modo riuscivo a portare a casa qualcosa in più, giusto per permetterci di vivere una vita dignitosa. Billie, il mio cuginetto, aveva ormai tre anni, ed era un piccolo vulcano perennemente attivo. Stavo da lui solo tre ore al giorno, ma ne uscivo ogni giorno stravolta. Intrattenere un bambino di tre anni che non ne voleva proprio sapere di mettersi buono di fronte alla tv era parecchio stancante, ma gli volevo bene, e uscivo da casa sua ogni volta con il sorriso.

Quel giorno avevo appena salutato mia zia, appena rientrata dal lavoro, e stavo uscendo dal cancello quando vidi Ashley appoggiata ad esso che mi aspettava.

«Ash?» chiesi, stupita.

«Ciao! Ho un disperato bisogno di shopping! Devo trovare un vestito per il mio compleanno, e immagino che anche tu non ce l'abbia ancora. Quindi che dici? Vieni con me?»

«Ma...»

«Niente ma! Non accetto un no!» mi disse sorridendo mentre mi trascinava via per un braccio.

«Ehi! Dovrei anche studiare oggi!»

Lei agitò la mano in aria, come a scacciare quel pensiero.

«Su, non fare la secchiona! Il mio compleanno sarà l'evento dell'anno, dovrai vestirti di conseguenza!»

Sospirai, quando Ashley decideva una cosa era praticamente impossibile dissuaderla, così non ci provai nemmeno e mi rassegnai volentieri a trascorrere il resto del pomeriggio tra un negozio e l'altro. In fin dei conti Ashley aveva ragione, la sua festa sarebbe stata davvero l'evento dell'anno, soprattutto in una cittadina in cui non succedeva mai niente.

I suoi genitori stavano divorziando, ed Ashley non aveva preso per niente bene la notizia, così, in uno dei tanti tentativi di farsi perdonare da lei, i suoi genitori le avevano organizzato una festa da favola per i suoi diciotto anni. Le avevano concesso ogni cosa lei potesse desiderare, così lei aveva deciso di fargliela pagare facendosi regalare una festa in un castello, a cui sarebbe stata invitata tutta la scuola, rigorosamente in abiti eleganti. « Se vogliono che li perdoni devono fare le cose per bene!» mi aveva detto qualche giorno prima, quando le avevo fatto notare l'egoismo che dimostrava con tale atteggiamento. Nonostante tutto però la capivo, sapevo che quell'atteggiamento arrogante era solo una maschera per celare il suo dolore. Ashley aveva sempre avuto un ottimo rapporto con entrambi i genitori, e la notizia di quel divorzio la faceva sentire nella condizione di dover scegliere da che parte stare. Se da una parte desiderava che i suoi genitori fossero felici, dall'altra non riusciva ad accettare che non potessero esserlo insieme.

«Ti sbrighi o no?» mi chiese, ridestandomi dai miei pensieri.

«Si, si, scusami!»

Così ci incamminammo verso il vicino centro commerciale. Due ore dopo Ashley stringeva tra le mani il suo nuovo vestito. Era in seta rosa, lungo fino ai piedi, senza spalline e con un corpetto attillato e una gonna morbida ma non troppo ampia. Io nel frattempo avevo solo sognato. Avevo provato diversi abiti, certo, ma tendevo a trovarci sempre qualche difetto, per un motivo piuttosto semplice, non potevo permettermeli. Lavoravo dopo la scuola per portare qualche soldo a casa, e a me in tasca non restava molto, di conseguenza non intendevo spendere tutti i miei risparmi per un abito che probabilmente avrei indossato una, massimo due volte nella vita. Sapevo che se l'avessi ammesso ad alta voce Ashley si sarebbe subito offerta di pagare il vestito al posto mio, ma non volevo che i suoi genitori dovessero accollarsi anche la spesa del mio vestito. Entrambi i suoi genitori avevano uno stipendio molto alto, sapevo che non sarebbe stato un problema per loro, ma le avevano appena organizzato una festa in un castello, non era giusto che Ashley gli chiedesse altro, per quanto fosse arrabbiata. Inoltre negli ultimi cinque anni avevo imparato a cavarmela da sola, a comprendere il valore del denaro, per questo motivo nonostante tutto volevo acquistare quel vestito con le mie sole finanze.

Stavo per perdere le speranze quando vidi un meraviglioso abito blu notte, decorato con diversi brillantini sul corpetto stretto e sulla gonna. Faceva bella mostra di sè nella vetrina di un negozio che aveva aperto da poco e che offriva abiti a noleggio. Inconsapevolmente sorrisi, mentre continuavo a guardarlo incantata.

«Ok, niente più scuse, ora entriamo e te lo provi.» Disse determinata Ashley.

Così la seguii all'interno del negozio e provai l'abito. Era davvero bellissimo, e noleggiandolo potevo permettermelo. Lo presi senza esitare, ed insieme ad Ashley uscii dal centro commerciale e tornai a casa. Si era fatto tardi e dovevo aiutare mio padre a preparare la cena, senza contare che dovevo anche trovare il tempo di mettermi a studiare.

 

Il sabato sera successivo, mentre mi preparavo per andare alla festa di Ash, ero un fascio di nervi. Io e Michele avevamo deciso di andare alla festa insieme, anche perchè lui era automunito, io ancora no. Naturalmente non c'erano secondi fini, ci stavamo andando come semplici amici, ma questo non mi aiutava a sentirmi più tranquilla, sapevo che quella sera non sarebbe cambiato niente tra di noi, eppure non riuscivo ad evitare di sperarci, nonostante sapessi bene che mettermi con il mio migliore amico sarebbe stata una pessima idea.

«Papà, hai preso tu il mio rossetto?» urlai dal bagno, mentre svuotavo la borsetta per cercare quel dannato cosmetico.

«Che vuoi che me ne faccia io del rossetto, scusa?» mi urlò lui in risposta.

«Trovato!» urlai, sollevando in aria il rossetto in segno di vittoria.

Mi resi subito conto di quanto il mio comportamento risultasse stupido e mi presi a schiaffi mentalmente. Dovevo smetterla di agitarmi, io e Michele eravamo solo semplici amici e doveva continuare ad essere così. Stavo ancora maledicendomi per la mia stupidità quando sentii suonare al campanello, controllai l'ora, era sicuramente Michele, puntuale come sempre.

«Vado io!» urlai a mio padre.

Scesi di corsa le scale rischiando di rompermi l'osso del collo, senza rendermi conto che indossavo solo un asciugamano e l'accappatoio che mi ero messa addosso appena finita la doccia.

Appena gli aprii la porta rimanemmo entrambi letteralmente a bocca aperta. Io l'avevo sempre visto vestito piuttosto sportivo, perciò rimasi a dir poco affascinata appena me lo trovai davanti con un semplice smoking nero, teneva la giacca scura aperta, mentre la camicia bianca metteva in risalto il suo torace muscoloso.

«Wow!» esclamai senza rendermene conto.

Notai il suo volto prendere colore, si era veramente emozionato per il mio complimento? A quel pensiero non riuscii a trattenere un sorriso.

«Ehm... tu vieni così?» disse.

Mi sentii improvvisamente avvampare appena mi resi conto del fatto che ero mezza nuda di fronte a lui. Ora capivo perchè era arrossito! Mi portai istintivamente le mani al volto, volevo sprofondare! Ma come avevo potuto dimenticarmi di vestirmi prima di andare ad aprire?

«Oddio, scusami! Non me ne ero accorta! Ora vado a vestirmi, tu entra pure, cinque minuti e sono pronta!» dissi, facendolo passare.

«Certo, cinque minuti, ti ci vorrà almeno mezz'ora!» commentò lui con un sorriso, per alleggerire la tensione.

Ridacchiai a mia volta poi mi fiondai in camera mia, indossai il vestito e le scarpe poi mi stirai i capelli. Dopo poco più di una mezz'oretta ero pronta. Raggiunsi Michele che chiacchierava con mio padre in cucina.

«Wow!» esclamò lui appena mi vide. «Sei davvero bellissima!»

Arrossì di colpo, ma il suo complimento mi aveva fatto davvero piacere. Sapevo che il vestito mi stava bene, ma mi resi conto che la sua opinione era l'unica che davvero contasse per me.

«Decisamente meglio dell'outifit precedente! Andiamo, dai!»

«Scemo!» sbottai.

Salimmo in macchina e partimmo per raggiungere il castello dove Ashley avrebbe tenuto la festa. Stavamo viaggiando da una decina di minuti quando sentì una voce chiamarmi.

«Eva.»

Ma che? Ero sola con Michele in macchina, eppure quella voce non sembrava la sua.

«Hai detto qualcosa?» gli chiesi.

«No, perchè?»

«Niente, mi era sembrato.»

«Eva» sentii di nuovo.

La voce non era la sua, questa volta ne ero sicura. La cosa assurda era che mi sembrava di sentire quella voce direttamente nella mia mente. Ma che mi stava succedendo? Mi voltai verso il finestrino, cercando di capire da dove provenisse quella voce. Mi spaventai quando riconobbi una figura umana sul ciglio della strada. Nel buio della notte non riuscii a riconoscere alcun lineamento del suo volto, sembrava essere fatta completamente di tenebra, ad eccezione di un paio di occhi luminosi completamente gialli. Ma che mi stava succedendo? Ero in macchina con Michele, vedevo il paesaggio fuori dalla macchina muoversi come sempre, eppure quella figura restava ferma davanti a me.

«Eva» sentii ancora.

Il cuore cominciò a martellarmi nel petto, ero terrorizzata, cosa mi stava succedendo? Perchè vedevo quella creatura davanti a me? Poi successe tutto in un momento. Improvvisamente vidi la figura scattare in avanti verso la macchina. Urlai spaventata e portai istintivamente le braccia davanti a me per proteggermi dall'impatto. Ma non successe nulla, sentii solo la cintura di sicurezza scattare mentre venivo spinta in avanti dalla brusca frenata di Michele.

«Che è successo?» chiese, preoccupato.

Il cuore continuava a battermi furiosamente nel petto, mi voltai lentamente verso il finestrino, aspettandomi di trovarmi davanti quella strana figura, ma niente, era sparita. Osservai a lungo gli alberi lungo la strada e il punto in cui l'avevo vista, ma non trovai alcuna traccia della sua esistenza. Possibile che fosse stata tutta un'illusione? Eppure mi era sembrato tutto così reale, perchè la mia mente mi faceva questi scherzi? Probabilmente stavo diventando pazza, perfetto...

«Stai bene?» mi chiese ancora Michele.

«S-si, non è nulla, tranquillo.» Dissi, mentre cercavo di calmare i battiti del mio cuore.

«Non sono tranquillo, ti sei messa ad urlare come se avessi visto un fantasma!»

Sospirai, ripensando alla scena e cercando di trovarci almeno un qualche senso logico, inutilmente.

«Beh, probabilmente è così. Ti sembrerà assurdo ma ho sentito una strana creatura dagli occhi gialli chiamarmi Eva, l'ho vista lanciarsi contro la macchina, ma poi è sparita. Assurdo, vero?» dissi, ridacchiando nervosa.

Michele però non rideva, si era improvvisamente irrigidito e guardava fuori dall'auto, probabilmente cercando la figura che gli avevo descritto. Ma che gli prendeva? Era chiaramente un brutto scherzo della mia immaginazione, come poteva essere altrimenti?

«Ehi, non è nulla dai, sarà stata solo una specie di illusione, probabilmente sto solo diventando pazza.»

La sua reazione mi spiazzò. Si tolse la cintura e mi abbracciò, appoggiò le sue mani calde sulla mia schiena e mi strinse forte a sè, mentre sentivo uno strano calore irradiarsi dalle sue mani in tutto il mio corpo. Ma che stava succedendo? Come mai il mio migliore amico si stava trasformando in una stufa umana? Probabilmente ero ancora sconvolta dalla visione di quella strana figura, oppure stavo davvero impazzendo.

«Non sei pazza, io ti credo. Ma non aver paura, andrà tutto bene.»

Non capivo come poteva credermi se io per prima non riuscivo a farlo, ma tra le sue braccia sentii la paura scivolare via e lasciare spazio ad una calma e serenità che non provavo da molto tempo. Come sempre Michele riusciva a farmi star meglio con un semplice abbraccio, ed era sempre pronto ad aiutarmi in qualunque momento. Era davvero un angelo.

«Stai meglio?»

«Si, grazie Michele.»

«Ora sarà meglio andare, Ashley ci starà dando per dispersi.»

A malincuore mi staccai dal suo abbraccio e ripartimmo, dopo una ventina di minuti finalmente arrivammo al castello, senza ulteriori intoppi, anche se durante il viaggio tenevo spesso d'occhio la situazione fuori dal finestrino. Nonostante tutto, sentivo che quello che era successo era troppo strano perchè fosse solo uno scherzo della mia immaginazione.

Quando scendemmo dalla macchina Michele si avvicinò subito a me, e mentre ci dirigevamo verso l'ingresso del castello notai che continuava a guardarsi intorno, quasi si aspettasse che qualcuno saltasse fuori per rapinarci.

«Ehi, che c'è? Te l'ho già detto, era solo un'illusione, probabilmente mi ero appisolata un momento in macchina e ho sognato tutto. Non dargli peso.»

Lui annuì, poco convinto. Ma che gli prendeva? Perchè reagiva così? Era soltanto un'illusione! Oppure no? Vederlo così preoccupato mi fece pensare che forse anche lui aveva visto quella strana figura, che fosse successo davvero? No, non era possibile, Michele era solo troppo ansioso, perchè se quella figura fosse esistita veramente ci sarebbe stato davvero da aver paura. Io invece avevo bisogno del contrario, avevo bisogno di dimenticare quell'incubo e godermi la festa della mia migliore amica, non potevo permettere ad una stupida allucinazione di condizionarmi. Avevo già abbastanza problemi, senza che altre stranezze venissero a complicarmi la vita.


 


CANTUCCIO AUTRICE:

Arieccomi!

Siamo solo al secondo capitolo e già incasino la mente della nostra protagonista, scusa Evelyn!

Evelyn: scusa un corno! Sei una str...!

Ok ok... sorvoliamo, allora, che ne dite di questo capitolo? Abbiamo conosciuto meglio Evelyn e sono cominciate ad accadere cose strane... chi sarà quella strana figura? E perchè Michele è diventato una 'stufa umana'? Stay tuned e lo scoprirete... molto più avanti.

A presto,

Wingedangel.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre


Appena entrai nella sala da ballo del castello, dove si teneva la festa, rimasi letteralmente a bocca aperta. L’intera sala era un tripudio d’oro, il soffitto e le pareti erano zeppi di decorazioni dorate, unica eccezione il pavimento, un grande parquet lucido di legno con elaborati disegni in stile classico. I lampadari erano a dir poco imponenti, a campana, con il cerchio esterno in oro e parevano sorretti da innumerevoli fili di diamanti, che nascondevano i bracci di metallo che ne sostenevano il peso. Nonostante si potessero notare, camuffate sul soffitto, lampade di fattura più moderna per illuminare più efficacemente la stanza durante le visite turistiche, solo i lampadari erano accesi, lasciando il locale in una leggera penombra, e illuminando tutti i colori in una tenue luce giallognola, che rendeva ancora più luminoso l’oro delle decorazioni della sala.
Ai lati opposti della sala, quasi addossati alle pareti per lasciare libera la pista, vi erano da una parte la postazione del DJ, che mixava la musica dance che risuonava nella sala già gremita di ragazzi; dall’altra il bancone del bar, che come avrei presto scoperto, non serviva alcolici (a questo proposito i genitori di Ashley non avevano voluto sentire ragioni). A pochi metri dal bar notai una doppia porta a vetri che dava su un piccolo terrazzino.
«Wow!» esclamai.
«Evelyn! Che fine avevi fatto?» disse Ashley appena mi vide, correndo verso di me, con Matt al seguito.
«Scusa, ci ho messo parecchio a prepararmi!» confessai. «Comunque auguri tesoro! A proposito, bellissima festa!»
Improvvisamente Ashley abbassò lo sguardo.
«Sai, avevi ragione, non avrei dovuto chiedere tutto questo ai miei. Pensavo di fargliela pagare, ma sono stata una stupida, è una festa grandiosa, ma questo non mi fa stare meglio. Nemmeno un po’.»
La osservai triste, non sapevo come risponderle, di certo non le avrei snocciolato un ‘te l’avevo detto’, volevo aiutarla, ma come? Matt la abbracciò e lasciò che si sfogasse tra le sue braccia, e io finalmente capii. Anche se ero la sua migliore amica, per questa volta non toccava a me aiutarla.
«Dai, andiamo a ballare.» Mi disse Michele, portandomi in pista.
Così ci infilammo tra la folla di ragazzi che riempiva la sala. C’era davvero molta gente, tanto che io e Michele dovevamo stare molto vicini per riuscire a ballare. Trattenni un sorriso, non mi capitavano spesso delle occasioni per potergli stare così vicina, e di certo non mi dispiaceva. Riuscivo perfino a sentire il suo profumo, un profumo che non avrei mai saputo descrivere, ma che ogni volta che si faceva spazio attraverso le mie narici mi faceva pensare a leggere candide piume trasportate dal vento. Sollevai lo sguardo per guardarlo in volto. I suoi occhi saettavano da un lato all’altro della stanza, come se cercassero qualcosa, ma non me ne preoccupai più di tanto. Erano le sue labbra ad aver improvvisamente canalizzato tutta la mia attenzione. Sapevo che era sbagliato, ma eravamo così vicini… Dio solo sapeva quanto avrei voluto assaggiare quelle labbra, sapere che effetto faceva un suo bacio, e quanta fatica mi richiedeva evitare di annullare le distanze tra le mie labbra e le sue. Mi riscossi da quei pensieri quando notai che Michele si era irrigidito improvvisamente, fu solo un attimo, poi tornò a rilassarsi e abbassò il suo sguardo su di me.
«Vado a prendermi qualcosa da bere, ti porto qualcosa?»
Annuii, poi lui si allontanò verso il bancone del bar, lasciandomi sola in mezzo alla pista. Stavo per voltarmi e riprendere a ballare quando notai Bryan tra la folla. Vidi Michele farsi spazio verso di lui, con un’espressione dura in volto. Lo raggiunse, gli disse qualcosa poi li vidi allontanarsi insieme e uscire in terrazza. Istintivamente decisi di seguirli, anche perchè ballare da sola non mi piaceva. Raggiunsi la porta che dava sulla terrazza e rimasi a bocca aperta, prima non avevo notato che quella terrazza dava direttamente sul mare, la vista doveva essere spettacolare. Eppure Michele e Bryan sembravano non averla nemmeno notata. Michele fissava Bryan come se volesse ucciderlo, mentre Bryan ricambiava con un sorrisetto sornione.
«Sta lontano da Evelyn, hai capito?» lo minacciò Michele.
Ma che gli prendeva? Perchè continuava a fare il fidanzato geloso ogni volta che si trovava davanti Bryan? Per tutta risposta l’altro scoppiò a ridere.
«Evelyn? Credi davvero che io non sappia chi lei è veramente?»
Ok, un momento. Che cavolo stava dicendo? Io ero io, punto. Chi avrei dovuto essere ‘veramente’?
«Non mi importa, lasciala stare!»
«Lo sai che non puoi fare nulla per impedirmelo, angioletto!» lo schernì Bryan.
Angioletto? A quanto pareva Bryan era proprio una frana nell’inventare soprannomi!
«Prova anche solo a torcerle un capello e giuro che ti ammazzo!» sbottò Michele, furente.
L’altro scoppiò a ridere.
«Provaci pure!»
Bryan si voltò verso la sala, accingendosi a rientrare, notandomi in piedi davanti alla porta. Ops… beccata. E adesso che gli raccontavo?
«Evelyn» mi disse salutandomi come se nulla fosse, prima di superarmi e tornare alla festa.
Sentendo il mio nome Michele si voltò allarmato, evidentemente non si aspettava che ascoltassi quella conversazione. Mi avvicinai a lui e mi appoggiai con i gomiti alla balaustra, fissando il mare. Si, era una vista spettacolare, peccato che avessi qualcosa di più importante a cui pensare.
«Mi spieghi che cavolo voleva dire? Chi sarei ‘veramente’?»
Michele si morse il labbro, la faceva sempre quando era nervoso, e ogni volta io finivo a fantasticare su quelle labbra… no. Dovevo restare concentrata su quello che aveva detto Bryan, avevo bisogno di una spiegazione.
«Chi lo sa? Quel tipo è strano, Probabilmente voleva solo provocarmi.»
Inarcai un sopracciglio, poco convinta.
«Provocarti in che modo?»
«Beh, potrebbe aver pensato che tu per me sia più di un’amica.»
Il mio cuore perse un battito. Effettivamente Bryan poteva aver ragione. Ogni volta che lui mi si avvicinava Michele assumeva sempre un atteggiamento iperprotettivo, cercando di allontanarlo da me. Che questo significasse che lui ricambiava i miei sentimenti?
«Naturalmente noi sappiamo bene che per quanto il nostro legame sia molto forte siamo solo amici. Semplicemente non mi fido di lui, e non voglio che ti faccia soffrire.»
Tutti i castelli in aria che mi stavo costruendo franarono al suolo in un solo istante. Naturalmente, eravamo ‘solo amici’, ero stata una stupida a pensare che lui potesse ricambiare i miei sentimenti.
Avevo bisogno di stare un momento da sola a mettere ordine nei miei pensieri, così lo allontanai.
«A proposito, non dovevi andare a prendermi da bere?»
Lui annuì e rientrò, dirigendosi al bancone del bar. Io nel frattempo lasciavo i miei occhi perdersi ad osservare le onde del mare sotto di me infrangersi sugli scogli, mentre la mia mente continuava a rimuginare su ciò che mi aveva detto Michele. Non lo colpevolizzavo, non potevo certo pretendere che ricambiasse i miei sentimenti, ma in fondo avevo sempre sperato che lui provasse lo stesso, ora invece dovevo fare i conti con il fatto che non ci sarebbe veramente mai stato nulla tra noi. Dovevo metterci una pietra sopra, rassegnarmi al fatto che saremmo stati sempre solo amici, e cominciare ad accettare il fatto che avrei dovuto cominciare a puntare il mio sguardo altrove. In fin dei conti, se era vero che ‘chiodo scaccia chiodo’, l’unico modo di ‘disinnamorarmi’ di Michele era trovare il ragazzo che avrebbe saputo farmi provare gli stessi sentimenti. Improvvisamente mi tornò in mente Bryan. In fin dei conti non era per niente un brutto ragazzo, e sembrava particolarmente interessato a me. Non provavo nulla per lui, naturalmente, ma avrei potuto dargli una possibilità, conoscerlo meglio e vedere come andava…
Poi mi tornò in mente il modo in cui Michele tentava sempre di allontanarmi da lui. Non ne capivo il motivo, non era geloso di me, l’aveva appena detto chiaro e tondo, allora perchè era così ostile nei suoi confronti? Non mi risultava che avesse mai fatto nulla di male, perchè non avrebbe dovuto meritare una possibilità? Decisi che gliel’avrei data, nonostante Michele. Avrei conosciuto meglio Bryan, e se le cose fossero andate bene, non escludevo che potesse nascere qualcosa. Michele avrebbe dovuto adeguarsi.
Improvvisamente notai una persona in piedi sugli scogli che fissava il mare, non riuscivo a scorgere il suo volto, coperto dai lunghi capelli rossi, ma avrei riconosciuto quella figura tra mille. Il suo ricordo purtroppo cominciava a sfumare nella mia mente, i lineamenti del volto, il suo sorriso, per quanto tentassi di tenerli a mente, venivano lentamente erosi dal tempo; ma ero ancora in grado di riconoscere mia madre quando me la trovavo davanti. Il che era impossibile, visto che era morta da ormai cinque anni, eppure eccola lì, con il suo abito rosso, il suo preferito, lo stesso con cui avevamo scelto di seppellirla. I capelli erano dello stesso identico colore dei miei, lunghi e perfettamente piastrati, proprio come piaceva a lei. Ma non era possibile, ricordavo bene il giorno del funerale, quando con mio padre avevamo scelto l’abito con cui vestirla. Era stato uno dei momenti più difficili della mia vita, ed ora era impossibile che fosse viva, avevo visto con i miei occhi il cadavere di mia madre, e a dodici anni è uno spettacolo che non dimentichi facilmente.
«Mamma» chiamai.
Ero sicura che non mi avrebbe risposto, sicuramente era tutto uno scherzo della mia immaginazione. Invece si voltò e prese a fissarmi con i suoi occhi completamente gialli.
«Eva» rispose.
Mi sarebbe bastato sentirle pronunciare quel nome per farmi capire che quella non era mia madre, ma ciò che mi fece letteralmente paralizzare dalla paura fu l’aspetto che aveva il suo volto. Il viso era completamente nero, sembrava che la pelle del suo volto si fosse carbonizzata, gli occhi gialli erano infossati e delle piccole corna le spuntavano dalla fronte, dagli zigomi e sul mento. Ma che mi stava succedendo? Prima la figura in macchina e ora questo. Stavo veramente impazzendo? Ma come poteva essere? A quanto ne sapevo, non si impazzisce da un momento all’altro, doveva per forza esserci un fattore scatenante. Oppure no? In fondo non è che avessi chissà quali conoscenze di psicologia. 
Scossi la testa, non era il momento di farmi prendere dal panico. Mi sforzai di fare dei respiri profondi, tentando di calmarmi. Quello strano mostro non poteva farmi nulla, era all’incirca a sei o sette metri sotto di me, metro più metro meno, ma sicuramente troppo lontano per potermi raggiungere. Ero al sicuro, non poteva farmi nulla.
Avevo avuto appena il tempo di formulare questo pensiero, quando lo vidi spiccare un salto e poggiarsi sulla balustra. Istintivamente indietreggiai, sapevo che avrei dovuto scappare via, ma non riuscivo a muovermi, ero terrorizzata ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel volto mostruoso che deturpava il corpo di mia madre. Se ne stava lì, appoggiata alla balaustra come un felino, mani e piedi entrambi appoggiati al cornicione.
«Eva» ripetè.
Ma che gli prendeva? Perchè continuava a fissarmi e a chiamarmi con quel nome? Sperai che in realtà cercasse qualcun altro e che mi lasciasse in pace. Dopotutto anche quando quella strana figura mi aveva ‘attaccata’ in macchina era sparita prima di toccarmi.
«I…io non sono…» provai a dire.
«Eva» disse ancora, prima di scagliarmisi addosso.
Caddi a terra sotto il suo peso. Riuscii a non battere la testa solo perchè entrambe le sue mani mi stringevano il collo, impedendomi di respirare. Un improvviso lampo di luce mi costrinse a chiudere gli occhi ma non me ne preoccupai più di tanto, stavo per morire, un lampo che probabilmente preannunciava un temporale non cambiava certo le cose. Cominciai a tossire violentemente, aprii gli occhi e scattai a sedere. Appena riuscii a riprendere a respirare normalmente mi guardai intorno. Il mostro era sparito. Ma che mi stava succedendo?
«Eva? Che ci fai lì per terra?»
Riconobbi quella voce senza aver bisogno di voltarmi. Mi alzai e mi avvicinai nuovamente alla balaustra, lanciando un rapido sguardo sotto di me. Del mostro non c’era traccia. Michele mi aveva creduto in macchina, ma ero sicura che se gli raccontavo quello che mi era successo mi avrebbe scaricata al primo centro di salute mentale che trovava. Insomma, la prima volta poteva essere solo un incubo o un’allucinazione, aspettarmi che mi credesse anche stavolta era chiedere troppo.
«Sono inciampata. Comunque, ti ho detto mille volte che non mi chiamo Eva!» sbottai, in tono forse eccessivamente aggressivo.
Lui mi si avvicinò e mi porse il drink.
«Ehi, che succede?» il tono era preoccupato, mentre si mordeva nuovamente il labbro, nervoso.
Ok, forse avevo esagerato, ma quel mostro mi aveva chiamato Eva già tre volte, ne avevo abbastanza di quello stupido soprannome per quella sera.
«Niente, solo che sai che detesto quel soprannome, potresti smetterla, per favore?» gli dissi, con più calma.
Sapevo che come sempre sarebbe stato tutto inutile, ci avrebbe scherzato su e per lui avrei continuato ad essere Eva. Solo che quella sera non avrei sopportato un solo ‘Eva’ di più.
«Va bene, Evelyn, scusami. È solo che mi piaceva che quel nome lo usassi solo io.»
Sorrisi tristemente. ‘Non più’ pensai.
«Ok, allora vada per Lyn!» esclamò lui, entusiasta.
Ridacchiai e annuii. Mi piaceva quel soprannome, era lo stesso che usava il mio fratellino.
«Va bene, dovrai condividerlo con Ryan però.»
«Andata!»
Non ci potevo credere, ce l’avevo fatta! Ero riuscita a liberarmi di quello stupido soprannome! Speravo di essermi liberata anche di quel mostro, ma avevo la sensazione che non sarebbe stato così semplice.

 

CANTUCCIO DELL'AUTRICE:

Rieccomi!
Ok, alla fine il capitolo è uscito tutto il contrario dell'idea iniziale che avevo :D Non sembra proprio il capitolo innocente e tranquillo che volevo scrivere, ma forse è meglio così.

Evelyn: col cavolo! Non ne vuoi proprio sapere di farmi stare tranquilla per un capitolo? Devi proprio farmi ammattire?

Sì! Comunque, spero che il capitolo vi piaccia, e, come sempre, se trovate qualche errore segnalatemelo pure.

Michele ed Evelyn ormai li conoscete, ma è tornato a spuntare fuori Bryan! Che ne pensate di lui? Sono curiosa di sapere la vostra opinione, quindi aspetto le vostre recensioni.

A presto! (spero)

Besos,

Wingy.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro

Il giorno successivo mi svegliai alle due del pomeriggio, sentendo i morsi della fame attanagliarmi lo stomaco. Scesi in cucina ancora assonnata. Eravamo rientrati alle quattro dalla festa di Ashley, ma avevo fatto fatica ad addormentarmi, non riuscivo a togliermi dalla mente l’immagine di quel mostro.
Appena entrai in cucina, trovai mio padre impegnato a lavare i piatti.
«Buongiorno.» Mi disse, porgendomi gli avanzi del pranzo.
«Buongiorno a te. Ryan?» chiesi, mentre mettevo il piatto nel microonde.
«Sta giocando in camera sua. Piuttosto, devo dirti una cosa.»
Si sedette a tavola accanto a me, che intanto avevo recuperato la mia bistecca. La sua espressione non prometteva niente di buono, non che fosse mai stato particolarmente sorridente da quando la mamma era morta, ma sembrava più abbattuto del solito.
«Che succede?» chiesi, addentando la bistecca.
«Mi hanno cambiato i turni di lavoro. Hanno dovuto ridurre il personale, e hanno dovuto allungarci gli orari di due ore, per sopperire.»
Sospirai, già lavorava sei ore al giorno e quando tornava a casa doveva occuparsi di noi e della casa, ora avrebbe dovuto persino lavorare di più. Mi dispiaceva veramente per lui.
«Beh, se non altro non è toccato a te rimanere a casa, no?» dissi, cercando di trovare il lato positivo.
«Lo so, ma non riuscirò ad essere a casa in tempo per andare a prendere Ryan all’asilo. Sai che non possiamo permetterci una babysitter. Mi dispiace dovertelo chiedere, ma non è che potresti vedere se per favore Michele è disponibile? Solo per questo mese, poi dopo il tuo compleanno sarai maggiorenne e potresti andarci tu.»
Gli sorrisi, sapevo che Michele avrebbe accettato, era sempre stato disponibile ad aiutarci in qualunque occasione, dubitavo che mi avrebbe voltato le spalle proprio ora.
«Certo, tranquillo. Dopo lo chiamo e glielo chiedo, ma non credo ci siano problemi.»
«Quel ragazzo è veramente un angelo.» Disse mio padre con un sospiro.
Gli sorrisi cercando di tirargli su il morale, vedevo che si sentiva in colpa. Sapevo che gli faceva male rendersi conto che non riusciva a prendersi cura della sua famiglia come avrebbe voluto. La mamma mancava a lui quasi più che a noi, avevano sempre avuto un rapporto molto profondo. Ricordavo bene come alla mamma si illuminassero ancora gli occhi ogni volta che vedeva papà, come ogni volta che lui rientrava dal lavoro interrompesse qualunque cosa stesse facendo per salutarlo con un bacio. Ero cresciuta senza quasi fare caso a tutti quei piccoli gesti d’amore che i miei genitori si scambiavano ogni giorno, erano la mia normalità, non potevo immaginare quanto ne avrei sentito la mancanza ora che lei non c’era più, quanto mi sarebbe mancato vedere il sorriso sul volto di mio padre, e sentire la risata di mia madre riempire la casa. Aveva un modo di ridere spesso sguaiato e a volte persino irritante, ma era il suo modo di ridere, e ora avrei dato qualsiasi cosa per sentirlo un’altra volta. Non volevo dimenticarlo come stavo dimenticando i lineamenti del suo volto.
Due lacrime mi rigarono il volto, lui se ne accorse.
«Che succede tesoro?»
«Pensavo alla mamma.» Cominciai.
La sua espressione si fece subito spenta, i suoi occhi si inumidirono ripensando alla donna che aveva amato e che ancora amava, nonostante fossero passati cinque anni.
«Papà, posso chiederti una cosa?»
Lui annuì.
«Tu ricordi ancora tutto della mamma? Perchè mi sto rendendo conto che non riesco più a ricordare il suo volto chiaramente, non ricordo i suoi lineamenti, è solo un’immagine sfocata nella mia mente. Devo riguardare le sue vecchie foto per ricordarmela, e mi sento terribilmente in colpa. Io le volevo bene, allora perchè non riesco a ricordarmela? Non voglio guardare le sue foto e vederci una sconosciuta, papà.» Ammisi.
Sapevo che parlare della mamma gli faceva male, ma avevo un disperato bisogno di parlarne con qualcuno, anche perchè dopo l’incontro con quel mostro la sera precedente, non riuscivo a togliermi dalla mente quel volto mostruoso ogni volta che ripensavo a mia madre. Non era così che la volevo ricordare, quella non era lei! Allora perchè quell’incontro sembrava aver dato un colpo di spugna al ricordo che avevo del volto di mia madre?
Mio padre sorrise, e cercai di stamparmi quell’espressione nella mente, sapevo che non l’avrei rivista tanto facilmente. Mi prese per mano e mi accompagnò di fronte allo specchio che avevamo nell’ingresso. Guardai la mia immagine riflessa, senza capire.
«Io ricordo ogni dettaglio del suo viso.» Mi disse. «Lo ricordo perchè me lo trovo davanti ogni giorno. La rivedo nei tuoi occhi, nel tuo sorriso. Non hai idea di quanto tu le somigli. Mi torna in mente la mamma ogni volta che ti guardo, Evelyn, e a volte fa male, lo confesso. Ma amo te quanto ho amato lei, e voglio solo che tu sia felice. Non avere paura di dimenticare la mamma, stai praticamente vivendo nel suo corpo. Ora aspettami qui.» Disse, prima di allontanarsi verso la sua camera.
Io rimasi lì a fissarmi allo specchio, pensando alle parole di mio padre. E mentre mi osservavo vedevo il volto di mia madre riprendere forma nella mia memoria. Papà aveva ragione, ci assomigliavamo, avevamo gli stessi occhi, gli stessi capelli, lei semplicemente dimostrava qualche decina di anni di più. Mio padre mi raggiunse, tra le mani stringeva una semplice busta bianca, me la porse.
«Me l’ha regalata il giorno in cui festeggiavamo il primo anno insieme. Non avremmo potuto vederci, io quella mattina partivo per una breve trasferta di lavoro. Un mio collega era passato a prendermi alle cinque del mattino. Sono uscito di casa e l’ho vista lì, in un semplice abito bianco, appoggiata al muretto di casa mia che mi aspettava. Sono corso fuori appena lei si è voltata verso di me e mi ha sorriso. ‘Buon viaggio’ mi ha detto. E mi ha posato questa busta tra le mani. Poi se ne è andata.»
Papà aveva gli occhi lucidi, e una lacrima era sfuggita al suo controllo. Presi la lettera tra le mani. Una semplice busta bianca, leggermente ingiallita dal tempo. Sul retro mia madre aveva scritto semplicemente ‘John’, il nome di mio padre.
«Aprila.» Mi disse lui.
Mi tremavano le mani. Sollevai il lembo superiore lentamente, come se stessi maneggiando qualcosa di estremamente prezioso, come se avessi potuto distruggerla solo maneggiandola con minor delicatezza. Ne estrassi una semplice fotografia e capii subito cosa intendeva mio padre dicendo che le stavo ‘rubando il corpo’. La ragazza nella foto avrei potuto benissimo essere io, sapevo di non esserlo, ma chiunque l’avrebbe scambiata per me; la mamma indossava un semplice vestito bianco a fiori, teneva i lunghi capelli raccolti in una coda alta, come ero solita fare anche io, e sorrideva radiosa con la mano alzata in un cenno di saluto. Istintivamente strinsi la foto al petto, mentre calde lacrime mi rigavano il viso.
«Tienila tu.» Disse mio padre.
Staccai immediatamente la foto dal mio petto e gliela porsi. Non potevo accettare, non ora che sapevo quanto quella foto significasse per lui.
«No, non posso. È tua. La mamma l’aveva regalata a te!»
«Si, e ora io voglio che la tenga tu. Per favore.» Mi sorrise di nuovo.
Due sorrisi in una giornata! Era una conquista non da poco. Annuii, stringendo la foto tra le mani. Mio padre mi abbracciò, mentre cercavo di calmare le lacrime che ormai non volevano saperne di fermarsi.
«Ti voglio bene papà.» Dissi.
«Ti voglio bene anche io tesoro.»
 
Appena mi ricomposi, finii di mangiare, tornai in camera mia e chiamai Michele, che come immaginavo accettò senza esitare di accompagnarmi a prendere Ryan. Mi chiese anche di uscire a fare qualcosa insieme ma mi ritrovai costretta a rifiutare. Lanciai uno sguardo omicida verso il mio libro di chimica.
Diverse ore di studio dopo chiusi il libro con uno scatto. Sapevo di dover studiare per il compito di chimica del giorno successivo, ma non c’era stato verso di togliermi dalla testa il fatto che avrei potuto essere da qualche altra parte a divertirmi insieme a Michele, invece ero chiusa in quella dannata stanza davanti ad una serie di reazioni chimiche che mi fissavano minacciose dal mio libro di testo. Ok, forse non mi stavano fissando, semplicemente non ci avevo mai capito un tubo, e ai miei occhi erano solo un ammasso di lettere e numeri che non avevo la più pallida idea di che cosa volessero da me, quindi si, avevo la sensazione che mi stessero fissando aspettandosi chissà cosa da me. Cominciavo a rendermi conto che ci stavo lasciando la mia già precaria salute mentale, quindi decisi di scendere a preparare la cena. Il compito sarebbe andato male, ma non era certo una novità.
 
***

Il giorno successivo mio cugino Billie era ammalato, quindi mia zia era rimasta a casa da lavoro lasciandomi la giornata libera dal lavoro. Così, alla fine della scuola tornai dritta a casa, e appena finito di pranzare mi misi subito a studiare. Mi faceva uno strano effetto studiare di pomeriggio, visto che solitamente lo facevo sempre la sera; questo però non lo rendeva più divertente, così, un’ora dopo me ne stavo spaparanzata sul divano a vedere la tv. Quasi non sentì il suono del campanello quando Michele venne a prendermi per andare a prendere Ryan all’asilo.
Entrai a scuola e sorrisi vedendo Ryan corrermi incontro. Di solito passava mio padre a prenderlo, visto che io ero impegnata con mio cugino, quindi era comprensibile che fosse sorpreso di vedermi.
«Mi scusi. È la sorella di Ryan? - mi chiese una delle maestre. - Posso parlarle un secondo?»
Io annuii, e mi chinai verso Ryan.
«Ryan, aspettami in macchina con Michele, ok?»
«Ma devo portare a casa il disegno!» disse lui, rivolto alla maestra.
La maestra gli sorrise ed annuì.
«Certo, ma è talmente bello che voglio farlo vedere a tua sorella, poi te lo porta lei, promesso.»
Ryan annuì e si allontanò con Michele. Io invece seguii la maestra all’interno dell’aula.
«Oggi Ryan ha passato un momento difficile. Stava disegnando, e ad un certo punto l’ho visto fermo a fissare il foglio.»
Mi porse il disegno in questione. Osservandolo quasi mi commossi, Ryan aveva disegnato la nostra famiglia. Sulla sinistra c’era mio padre, un’altra persona, probabilmente Michele, poi aveva disegnato me con una corona in testa che gli tenevo la mano. Alla sua destra aveva disegnato la mamma, con due grosse ali da angelo che occupavano metà del foglio ma senza volto. Aveva solo disegnato un cerchio rosa per la testa. Era comprensibile che non sapesse come continuare, non aveva mai visto la mamma, l’aveva conosciuta solo dai nostri racconti, e mi fece tenerezza notare che l’aveva raffigurata così.
«Mi sono avvicinata e gli ho chiesto cosa stava disegnando,» continuò l’insegnante. «Mi ha indicato le varie figure, il papà, Michele, la ‘sorellona bella come una principessa’, lui, e la mamma, ‘che è un angelo’. Poi ha detto che però non sapeva come fare la faccia alla mamma, che non si ricordava che colori doveva usare. Gli ho promesso che l’avrebbe portato a casa e che l’avreste aiutato ad usare i colori giusti. Quindi ora le lascio il disegno, magari trovate un po’ di tempo per finirlo insieme, era piuttosto triste per il fatto di essere l’unico in classe a non saper disegnare la sua mamma.»
Annuii e la ringraziai per l’attenzione che aveva avuto per lui, poi uscii e raggiunsi Michele e Ryan. Ripensandoci, era strano che avesse disegnato anche Michele, evidentemente lo considerava ormai parte della famiglia, e la cosa mi fece tenerezza.
«Eccomi! Eccoti il disegno, appena arriviamo a casa lo finiamo, promesso!»
Lui prese il disegno e lo mostrò subito a Michele.
«Michele guarda! Ci sei anche tu! Ti piace?»
Michele rimase per un momento interdetto osservando il disegno, poi disse le parole che resero mio fratello più felice che mai.
«Che ne dici, Ryan, ti va se andiamo al luna park, compriamo uno di quei palloncini che volano nel cielo, finiamo il disegno e lo leghiamo al palloncino, così lo mandiamo nel cielo dalla tua mamma?»
Gli occhi di Ryan brillavano mentre gridava un ‘si!’ più che entusiasta. E così facemmo. Andammo al luna park a comprare il palloncino, poi tornammo a casa a finire il disegno e lo legammo al palloncino.
«Sei pronto?» gli chiesi, mentre tenevamo in mano il foglio perchè non volasse via troppo presto.
Ryan annuì, così io lasciai andare il foglio, lui lo strinse tra le mani ancora un po’ poi lo lasciò andare. Michele mi posò una mano sulla spalla mentre guardavamo il palloncino salire in cielo fino a scomparire.
«Lyn, secondo te il palloncino riuscirà davvero ad arrivare fino alla mamma?» mi chiese Ryan.
«Certo che ci arriverà.» Rispose Michele.
Mi voltai verso di lui, aveva detto quelle parole con una tale fermezza che ci stavo per credere anche io. Sembrava che lo sapesse per certo… ma che andavo a pensare? Stavo sicuramente ammattendo. Lui si voltò verso di me, accorgendosi che lo stavo fissando. Mi sorrise e il mio cuore perse un battito. Ero innamorata persa, ma lui non avrebbe mai ricambiato. Sospirai, tornando a volgere lo sguardo verso il cielo mentre una lacrima solitaria mi rigava il volto.

 
 

CANTUCCIO AUTRICE:

Rieccomi! Scusatemi tanto per il ritardo!! Vi sono mancata?

Evelyn: No! Quindi potresti andartene e lasciarmi vivere in pace senza complicarmi sempre la vita?

Ok, Evelyn a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Lo so, non è pieno d'azione, anzi, è un capitolo piuttosto 'statico' ma ci tenevo a presentarvi la famiglia di Evelyn. E lo so, non ho ancora spiegato che diavolo è successo a sua madre, qualcuna di voi forse l'avrà capito, ma ho intenzione di spiegarlo credo nel prossimo capitolo, quindi ancora un attimino di pazienza. :)

Ci sentiamo al prossimo capitolo, in cui spunterà di nuovo Bryan. Quel ragazzo è come il prezzemolo! :D :D

Nel frattempo fatemi sapere che ne pensate!

A presto!

Wingy

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo Cinque
 

Il giorno successivo la prof di chimica aveva già corretto i compiti, e com'era prevedibile non mi era andata per niente bene, così, quando al suono della ricreazione uscii dall'aula ero parecchio nervosa. Mi diressi in bagno, maledicendo la chimica, quelle stupide reazioni e pure la prof. Avanzavo a passo spedito senza badare molto a dove andavo, finendo immancabilmente dritta addosso a qualcuno.

«E levati, no?» sbottai nervosa prima di alzare lo sguardo.

Appena notai chi mi trovavo davanti mi portai istintivamente la mano alla bocca, pentendomi di quello che avevo appena detto. Bryan mi fissava perplesso.

«Veramente sei tu che mi sei venuta addosso come un caterpillar. Ma l'altro giorno io ho spintonato te, quindi direi che siamo pari.»

«Oddio, scusa! Non volevo essere così cafona. È che ero nervosa e...»

«Perchè? Che è successo?» mi chiese.

«Niente, ho solo preso l'ennesima insufficienza in chimica. Ma avrei dovuto aspettarmelo, la chimica mi odia.»

«Beh se vuoi posso darti una mano, io me la cavo abbastanza con la chimica.»

Lo guardai interrogativa. Si stava veramente offrendo di darmi ripetizioni? E io cosa avrei dovuto rispondergli? Era una buona scelta accettare? Mi tornarono in mente le reazioni ostili che Michele aveva sempre nei suoi confronti, ma Bryan non mi aveva mai dato l'impressione di non essere un ragazzo affidabile. In fin dei conti se con Michele non avevo speranze, magari con Bryan avrebbe potuto funzionare. Ma che andavo a pensare! Si trattava di ripassare chimica, mica di uscire insieme!

«Ehm... Evelyn? Ci sei? Allora le vuoi le ripetizioni o no?»

«Si, certo! Grazie!»

«Perfetto! Quando ci vediamo?»

«Se per te non è un problema io oggi non lavoro, potremmo vederci da me alle due e mezza.» Proposi.

Sapevo che probabilmente non era una buona idea invitarlo da me quando mio padre non c'era, ma sarebbe tornato dopo le sei, non potevo chiedere a Bryan di passare così tardi. Probabilmente se mio padre l'avesse scoperto si sarebbe arrabbiato, ma in fin dei conti non avevo intenzione di fare niente di male con Bryan, avremmo solo studiato, nulla di più.

«Affare fatto! Mi lasci il tuo numero così ci sentiamo in caso di imprevisti?» disse, porgendomi il suo cellulare.

Lo afferrai e digitai il mio numero di telefono. Lui mi squillò, per farmi avere il suo.

«Ok, allora più tardi ti mando il mio indirizzo...»

«Lyn! Che stai facendo?» mi chiese Michele, raggiungendomi.

Il tono della sua voce era arrabbiato, ma che gli prendeva? Era stato lui a mettere in chiaro che eravamo solo amici, allora perchè si arrabbiava ogni volta che mi vedeva parlare con Bryan? Avevo tutto il diritto di parlare con altri ragazzi, visto che per lui ero solo una semplice amica. Non avrei passato la mia vita ad aspettare un ragazzo che non avrei mai potuto avere, e se a Michele questo non andava bene toccava a lui farsi avanti.

«Sto parlando con Bryan, perchè?»

«Torniamo in classe, la ricreazione è quasi finita.»

Mi prese per mano e mi trascinò verso la nostra classe. Mi sembrava di rivivere la stessa scena del giorno in cui Bryan si era trasferito in questa scuola. Ma che diavolo gli prendeva? Perchè ce l'aveva tanto con Bryan? Non aveva fatto nulla di male per meritarsi un trattamento simile. Strattonai il braccio e mi liberai.

«Ma che diavolo ti prende, si può sapere? Non sei il mio ragazzo e non hai alcun diritto di decidere con chi io possa parlare o meno! Bryan è un bravo ragazzo, e non permetterò che tu mi impedisca di vederlo!» sbottai.

«Bryan non è quello che sembra, Lyn!»

«E tu che vuoi saperne?»

Me ne tornai in classe rabbiosa senza aspettare la sua risposta. Mi dispiaceva di aver litigato con Michele, ma non sopportavo che mi si dicesse che cosa potevo o non potevo fare, e lui lo sapeva bene.

Alla fine delle lezioni Michele mi riaccompagnò a casa, durante il tragitto in macchina non dissi una parola. Non sopportavo il modo in cui continuava a comportarsi ogni volta che mi trovava insieme a Bryan. Non era mio padre nè il mio ragazzo, non aveva alcun diritto di decidere chi potevo frequentare o meno, volevo essere libera di fare le mie scelte, anche se alla fine mi avrebbero fatto soffrire, mi avrebbero aiutato a crescere. Non ero più una bambina; certo, non ero nemmeno una donna, ma ero stufa che fossero gli altri a decidere per me, volevo essere io a scegliere che direzione far prendere alla mia vita, perchè per Michele era così difficile accettarlo?

Appena Michele fermò la macchina di fronte a casa mia io aprii la portiera, pronta ad entrare in casa senza nemmeno salutarlo.

«Aspetta Ev...» gli lanciai un occhiata gelida prima che riuscisse a finire quel nome «Scusa... Lyn»

«Che vuoi?»

«Non voglio litigare con te...»

«Allora piantala di dirmi quello che devo fare!» lo interruppi.

«Lasciami finire Lyn. Mi rendo conto che il mio comportamento ti infastidisce, è solo che non riesco proprio a fidarmi di quel Bryan. Ti ho vista soffrire per Jason, non voglio che capiti di nuovo.»

Non immaginavo che fosse questo il motivo del suo comportamento. Jason era il mio ex, eravamo stati insieme per poco più di un anno, ma poi lo avevo trovato a letto con un'altra e tra noi era finita. Ovviamente poi Jason aveva provato a farsi perdonare e a tornare con me, ma non gli avevo dato corda, così ora, quando mi capita di vederlo attraversare i corridoi della scuola, ci limitiamo ad ignorarci reciprocamente. Michele mi era stato accanto mentre soffrivo come un cane per quell'idiota, mi aveva aiutata ad andare avanti senza perdere completamente la fiducia nel genere maschile. Fu proprio dopo la rottura con Jason che mi innamorai di Michele, e ora erano due anni che nascondevo i miei veri sentimenti verso di lui.

«Lo posso capire, ma non posso smettere di fidarmi a priori di chiunque, altrimenti come potrò trovare chi è destinato a rendermi felice? Magari non è Bryan, ma se lo fosse? Non ha fatto nulla di male per perdere la mia fiducia, se accadrà spero che tu mi sarai accanto, ma voglio essere libera di poter fare le mie scelte senza dovermi ritrovare a litigare con te per questo.»

Michele mi fissò per un lungo istante, probabilmente rifletteva sulle mie parole, poi sospirò.

«Lo capisco, e nemmeno io voglio litigare con te, ma... ok, no, scusami. Cercherò di controllarmi.» ammise.

Annuii poi scesi dalla macchina ed entrai in casa per prepararmi il pranzo.

Avevo appena finito di lavare i piatti quando sentii suonare il campanello. Bryan era arrivato. Mi diedi una rapida sistemata ed andai ad aprire.

«Ciao» disse lui.

Lo accompagnai in soggiorno ed estrassi il libro di chimica dallo zaino mentre lui si guardava intorno.

«Sei sola?» chiese stupito.

«Si, mio padre è a lavoro, e il mio fratellino è all'asilo.»

«Quindi i tuoi sono d'accordo? Non è un problema se inviti un ragazzo a casa tua? I miei pretenderebbero come minimo di essere sempre presenti.» ridacchiò.

«In effetti mio padre non sa che sei qui, ma dobbiamo solo studiare. La chimica mi odia troppo per permetterci di trovare il tempo di fare altro. Ti avviso, sarà dura farmi capire qualcosa, ma apprezzo la tua disponibilità a fare un tentativo.»

Avevo iniziato a parlare a macchinetta, nervosa. Sapevo che avremmo solo studiato, ma Bryan restava un gran bel ragazzo, e sembrava un'ottima alternativa a Michele, perciò essere sola con lui a casa mia mi metteva leggermente a disagio.

«Ma tua madre lo sa?» chiese lui.

Esitai, abbassando lo sguardo.

«Mia madre è morta cinque anni fa.»

Non vidi la sua reazione, il mio sguardo restava fisso sulle mie ginocchia, ma seguì un breve silenzio imbarazzato, probabilmente si sentiva in colpa per avermi posto quella domanda.

«Oddio, scusami. Non lo sapevo. Com'è successo? Se non sono indiscreto, naturalmente.»

«È morta di parto. Il mio fratellino ce l'ha fatta, lei no.» confessai, triste.

Una lacrima mi scivolò sul viso prima che potessi rendermene conto. Bryan me la asciugò con un dito e mi abbracciò.

«Scusa.» dissi, imbarazzata per aver pianto di fronte a lui.

«E di che? Scusami tu piuttosto, sono stato indiscreto.»

«No, non è un problema, davvero. Sono passati cinque anni ormai, ho imparato ad accettarlo, anche se mi manca ancora molto.»

Lui mi abbracciò. Stretta tra le sue braccia provavo una strana sensazione, da un lato stavo bene e mi sentivo al sicuro, dall'altro mi tornavano in mente tutti gli avvertimenti di Michele e provavo il desiderio di allontanarmi da lui. Ma che mi stava succedendo? Dovevo smetterla di pensare continuamente a Michele. Lui non avrebbe mai avuto quel tipo di interesse nei miei confronti, dovevo togliermelo dalla testa, non potevo permettere che pensare a lui rovinasse ciò che avrebbe potuto diventare qualcosa di bello.

«Stai meglio?» mi chiese Bryan.

Io annuii, mentre lui scoglieva l'abbraccio, evidentemente imbarazzato. Per quanto stessi bene tra le sue braccia capivo il suo imbarazzo, non potevamo ancora definirci amici, eravamo poco più che semplici conoscenti, probabilmente aveva paura di spingersi troppo oltre, o di fare la mossa sbagliata. Mi fece tenerezza questo suo atteggiamento un po' insicuro. Certo, non deponeva a favore della versione 'principe azzurro senza paura' che inconsciamente mi ero fatta di lui, ma in fin dei conti era una situazione nuova per entrambi, e siccome non sapevamo nulla l'uno dell'altro era naturale che avessimo un po' paura della reazione dell'altro alle nostre azioni.

«Si, grazie, ora sto meglio. Dai, mettiamoci a studiare, altrimenti non finiamo più.» dissi, aprendo il libro.

«Va bene. Quale argomento non hai capito?»

«Più o meno tutti, ma attualmente sono in guerra con i bilanciamenti.»

«Nulla di più semplice!» esclamò lui.

Gli lanciai un'occhiataccia.

«Parla per te! La chimica è il mio incubo!»

«Beh, sei fortunata! Sono un ottimo insegnante, lo sai?»

Lo guardai perplessa. Come aveva fatto a passare in mezzo minuto da ragazzo insicuro a pallone gonfiato?

«Ok, ok, la pianto.» Disse ridacchiando.

Dopo poco dovetti ricredermi, era davvero un buon insegnante. Avevo passato ore sui libri a cercare di capirci qualcosa senza alcun risultato. Ora, in meno di due ore, Bryan era riuscito a farmi capire non solo i bilanciamenti, ma anche molti altri argomenti che non avevo mai realmente compreso. Due ore prima odiavo la chimica, ora quasi mi ci divertivo, incredibile! Bryan mi aveva rispiegato tutto in termini molto semplici e chiari, e io mi ritrovai a pendere dalle sue labbra. Quando finalmente chiudemmo i libri, ero decisa ad offrirmi volontaria per un'interrogazione l'indomani. C'era molto da fare ancora, sapevo di non poter pretendere di capire tutta la chimica in due ore, ma finalmente sapevo di potercela fare, ed era una sensazione che mi faceva sentire finalmente fiera di me, e non mi succedeva spesso.

«Avevi ragione. Sei veramente un ottimo insegnante. Chi l'avrebbe mai detto...» commentai.

«Ehi! Grazie della fiducia, eh! Cos'è? A prima vista sembro un deficiente?»

Ridacchiai.

«No, no. Scusami, è solo che non sembri affatto un nerd che passa le giornate sui libri, tutto qui.»

«Ehi! Non sono un nerd! Vado bene in chimica, ma ho anche io una vita sociale, te lo posso provare!»

«Ah si? E come pensi di fare?»

Non mettevo in dubbio che un ragazzo così carino avesse una vita sociale, ma decisi di stare al gioco. Bryan cominciava ad intrigarmi davvero, non riuscivo proprio a capire perchè Michele ce l'avesse tanto con lui, anzi non mi sarebbe dispiaciuto se tra me e Bryan fosse nato qualcosa, sembrava un bravo ragazzo, era gentile e simpatico, quindi perchè non provarci?

«Un mio amico dà una festa a casa sua sabato prossimo. Passo a prenderti alle otto.»

Rimasi interdetta per un momento, mi aveva veramente chiesto di uscire con lui? Ero stupita, non mi aspettavo una proposta così improvvisa, ma l'idea non mi dispiaceva affatto, in fin dei conti avevo deciso di dargli fiducia, di cercare di conoscerlo meglio, e quale occasione migliore per farlo?

«Affare fatto! Ora però è meglio se vai. Devo andare a prendere mio fratello all'asilo.»

Così lo accompagnai alla porta, proprio mentre la macchina di Michele accostava di fronte a casa mia. Non potei evitare di notare lo sguardo rabbioso che i due ragazzi si erano scambiati mentre Bryan saliva in macchina. Ma che gli prendeva a quei due? Conoscevo Bryan da troppo poco tempo perchè lui potesse provare gelosia nei confronti di Michele, che dal canto suo non sembrava nemmeno provare a farsi andare a genio il mio nuovo amico.

Salii sulla macchina di Michele, decisa a fingere di non aver notato quell'occhiataccia, ero stufa di litigare con Michele per Bryan. Si detestavano, questo era ormai assodato, ma la cosa non mi riguardava, Michele aveva detto chiaro e tondo che non era interessato a me, di conseguenza ero libera di conoscere altri ragazzi, e lui non aveva alcun diritto di mettersi in mezzo.

«Che ci faceva Bryan a casa tua?» mi chiese lui, in tono aspro.

E così dicevo addio ai miei buoni propositi di evitare il discorso.

«Mi ha dato ripetizioni di chimica.»

«Sai che non c'è da fidarsi di lui, vero?»

«Tu non ti fidi di lui. Non mi ha fatto nulla di male, anzi, mi ha aiutato molto con la chimica, tutto qui. Ora per favore smettila, sono stufa di litigare con te per Bryan. Non sei il mio ragazzo, non hai il diritto di farmi le scenate di gelosia.»

Michele non rispose, mise in moto e restò in silenzio finchè non parcheggiò di fronte alla scuola di Ryan. Scesi dall'auto ignorando il suo silenzio. Non mi sarei scusata con lui, non avevo fatto nulla di male, quello in torto era lui, e se voleva tenermi il broncio era libero di farlo. Prima o poi gli sarebbe passata, ma nessuno mi poteva togliere la possibilità di fare da sola le mie scelte. Nemmeno Michele.


 

CANTUCCIO AUTRICE:

Rieccomi! *schiva il lancio delle pietre*

Lo so, un mese e mezzo per un capitolo è un ritardo imperdonabile! Mi dispiace un sacco, ma tra il lavoro, il volontariato, il betaggio di due storie (a cui ho dovuto dare la priorità), non ho davvero trovato il tempo per lavorare per bene al mio capitolo. L'ho riletto solo una volta invece delle mie solite tre, ma mi sentivo troppo in colpa a farvi aspettare ancora, quindi perdonatemi eventuali sviste (naturalmente se me le segnalate mi fa piacere, così posso correggerle).

Spero che mi perdoniate per il ritardo e che il capitolo vi sia piaciuto, cominciamo a conoscere meglio Bryan, che sembra essere interessato alla nostra Evelyn, nonostante Michele non ne voglia sapere di farselo piacere, chissà perchè?

Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, ci sentiamo presto (spero) con il prossimo capitolo!

Besos,

Wingy.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


Capitolo Sei
 

Non essendo riuscita a trovare il tempo di concedermi un po' di sano shopping con la mia migliore amica, Ash mi aveva prestato uno dei suoi abiti per la festa con Bryan. Così quel sabato sera, appena finito di truccarmi, mi ritrovai ad osservare il risultato allo specchio. Non ero mai stata particolarmente vanitosa, ma non potevo negare che, stretta in quel tubino rosso acceso, nemmeno Michele sarebbe riuscito a vedermi solo come un'amica.

No. Dovevo smetterla di pensare a lui, stavo per uscire con Bryan, e non volevo rovinarmi la serata pensando ad un ragazzo che non avrei mai potuto avere. Michele sarebbe sempre stato solo un amico per me, perchè mi era così difficile accettarlo? Perchè sentivo stringermisi il cuore ogni volta che ci pensavo?

Il suono del campanello mi riscosse da quei pensieri, scesi di corsa le scale e andai ad aprire prima che mio padre mi precedesse.

Bryan mi fissava, indossava dei semplici jeans e una giacca di pelle sotto la quale si intravedeva una maglietta bianca, eppure rimasi affascinata dall'effetto che un outfit così semplice faceva su di lui. Il suo sorriso malizioso ostentava una sicurezza che non avevo avuto occasione di notare prima in lui.

«Ciao» dissi.

«Wow!» rispose lui, squadrandomi da capo a piedi.

Sorrisi imbarazzata, senza sapere cosa rispondere. Il suo sguardo insistente mi faceva sentire leggermente a disagio, ma allo stesso tempo sentirmi desiderata mi lusingava. Ma che mi prendeva? Perchè insieme a lui provavo contemporaneamente delle emozioni totalmente opposte?

«Sei pronta?»

Annuii, gridai un 'io vado' diretto a mio padre, poi salii in macchina insieme a Bryan.

«Allora, dove mi porti?»

«A casa di un mio amico, ha organizzato una festa per il suo compleanno. Tranquilla, è qui vicino.»

Era veramente vicino. Dopo solo un paio di minuti Bryan aveva già fermato la sua macchina di fronte alla casa del suo amico. Una casa che io conoscevo decisamente troppo bene. Infatti, appena il suo amico venne ad aprirci la porta, non ci fu bisogno di presentazioni.

«Evelyn?» chiese lui, stupito.

«Jason.» Commentai, ostentando una finta indifferenza.

«Vi conoscete?» intervenne Bryan.

«Si, lui è il mio ex.»

Lui si grattò la testa imbarazzato, bofonchiò una scusa e si allontanò dalla porta permettendoci di entrare. Nella stanza c'erano ad occhio e croce una trentina di persone, addossati alla parete vi erano dei tavoli con la cena a buffet. La musica riempiva la sala, ma tutti erano troppo occupati a mangiare per mettersi a ballare, dopotutto erano appena le otto e mezza.

«Scusami, non sapevo che lui fosse il tuo ex. Vuoi che andiamo da qualche altra parte?»

«No, tranquillo. Non c'è problema, lui resta un cretino, ma ormai è acqua passata.»

Così, archiviato l'argomento, io e Bryan ci avvicinammo al buffet e ci godemmo la nostra cena. Come mi aspettavo, Jason non si intromise tra noi, anzi, restò per tutta la sera ben alla larga da me. Immagino che non ci tenesse particolarmente a far incontrare la sua ex alla sua attuale conquista. Erano poche le ragazze a scuola che non sapevano il motivo per cui l'avevo lasciato. Non che fossi particolarmente popolare, ma si sa che un ragazzo che tradisce non è proprio un buon partito, e appena la voce si era diffusa, Jason era diventato molto meno popolare tra le ragazze. Quindi capivo perchè voleva tenermi lontana dalla sua nuova ragazza. Non che mi importasse più con chi usciva, non ora che l'unico ragazzo a cui riuscivo a pensare era Michele.

Scossi il capo, cercando di liberarmi di quel pensiero. Ero ad una specie di appuntamento con Bryan, non potevo continuare a pensare a Michele.

«Ehi, tutto ok?» mi chiese Bryan, notando il mio gesto.

«Si. Ho solo avuto un brivido.» Inventai.

«Hai freddo?»

Mi cinse le spalle con un braccio, traendomi a sè. Sentii il battito del mio cuore accelerare a quel contatto, e mi ritrovai a desiderare di stringermi di più a lui, ma allo stesso tempo sentivo l'istinto di allontanarmi. Non capivo che mi stava succedendo. Come potevo provare delle sensazioni così intense e allo stesso tempo così inconciliabili? Era come se nella mia mente ci fosse un'altra persona, con desideri diametralmente opposti ai miei, al punto che non riuscivo nemmeno a capire quali fossero realmente miei e quali i suoi. Oddio, ma che andavo a pensare? Forse stavo decisamente diventando schizofrenica. Prima le strane visioni, ora questo. Ne ero sempre più convinta, stavo impazzendo. Ero il ritratto di ciò che la società avrebbe definito come 'matta'. Avrei dovuto contattare uno psicologo, e poi probabilmente farmi rinchiudere in un centro di salute mentale. Ma perchè io? Perchè mi stava succedendo tutto questo? Fino a poco tempo fa ero una semplice ragazza come tante, e ora improvvisamente stavo impazzendo... perchè?

«Evelyn?» mi chiamò lui, notando che non gli rispondevo.

«Scusami, ero sovrappensiero, sto bene così, non preoccuparti.»

Bryan continuava a fissarmi, poco convinto. Sicuramente stava pensando che ero strana. Dovevo riprendermi, non era il momento per perdermi in brutti pensieri.

«Dai, andiamo a ballare! Non saremo venuti qui solo per mangiare, no?»

Lo trascinai per un braccio verso il centro della sala dove qualcuno aveva già cominciato a lasciarsi andare, complici anche i diversi cocktail disponibili sui tavoli. Lui rise e mi seguì.

Stavamo ancora ballando quando, un paio d'ore dopo, Bryan mi baciò. Fu un gesto improvviso, che mi colse completamente alla sprovvista, ma, superata l'iniziale sorpresa, ricambiai il bacio, travolta da emozioni nuove ed estremamente intense. Non ero quel tipo di ragazza, eppure con un semplice bacio Bryan stava riuscendo a infiammarmi di desiderio, sapevo che era sbagliato, eppure gli sarei saltata addosso lì davanti a tutti. Ma che mi stava succedendo? Perchè qualunque sensazione Bryan mi facesse provare era sempre alla massima intensità? Senza contare che anche stavolta, per quanto quel bacio mi stesse piacendo, continuavo a pensare agli avvertimenti di Michele, continuavo a chiedermi se stessi facendo la cosa giusta, se non avessi dovuto voltarmi e scappare via da lui. Probabilmente ero solo condizionata dai sentimenti che provavo per Michele, al punto che non volevo pensare che lui si sbagliasse; ma i fatti mi stavano dimostrando il contrario, Bryan non mi aveva fatto nulla di male, anzi, sembrava una gran brava persona. Dovevo smetterla di pensare a Michele, così accantonai quei brutti pensieri, e appena quel bacio finì, sorrisi a Bryan e ricominciammo a ballare.

Alla fine della canzone eravamo entrambi accaldati, così decidemmo di uscire a prendere un po' d'aria.

«Sai, ti ho proposto di uscire perchè volevo chiederti una cosa...» cominciò lui.

Lo guardai interrogativa, aspettando che continuasse, ma non lo fece. Aveva lo sguardo fisso davanti a sè mentre tamburellava con un piede sull'erba del giardino.

«Dimmi tutto. Non ti mangio, promesso!» scherzai, notando il suo nervosismo.

«Scusa, è che sono un po' nervoso. So che è presto e che ci conosciamo poco, però per quel poco che ti conosco mi piaci parecchio, e mi piacerebbe provare a conoscerti meglio, provare a vedere se tra noi due può funzionare, insomma. Tu che dici?»

Sgranai gli occhi, una proposta simile non me l'aspettavo proprio. In effetti aveva ragione, era presto, stava decisamente correndo troppo! Però in fin dei conti Bryan era un bravo ragazzo, insieme a lui stavo bene, riusciva a farmi provare sensazioni così intense... e come baciava! Le sensazioni che mi aveva suscitato mi facevano sentire una ninfomane, ma probabilmente era dovuto al fatto che non ci conoscevamo abbastanza da provare dei veri e propri sentimenti, di conseguenza le mie reazioni al suo bacio erano esclusivamente fisiche, sicuramente con il tempo le cose sarebbero cambiate. Dopotutto Bryan non mi stava chiedendo di sposarlo, si trattava solo di provarci, e di vedere se poteva funzionare.

«Beh, hai ragione, è presto e ci conosciamo poco, non posso ancora dire di provare dei veri sentimenti nei tuoi confronti, però si, penso che potremmo provarci, e vedere come andrà.» dissi, con un sorriso.

Ancora non lo volevo ammettere, ma avrei presto capito che nonostante cercassi di accampare tutta una serie di motivazioni più o meno valide al perchè avevo deciso di accettare la proposta improvvisa di Bryan, nonostante ogni buon senso mi suggerisse che sarebbe stato meglio aspettare, il vero motivo era soltanto uno: avevo un disperato bisogno di dimenticare Michele, e non avevo idea di da che parte cominciare. Così speravo che la mia 'storia' con Bryan potesse allontanare Michele almeno dalla mia mente, se non dal mio cuore.

Bryan mi strinse a sé e mi baciò nuovamente. Tra le sue braccia, mentre ci scambiavamo il nostro primo vero bacio, mi sentivo in estasi, ero libera, felice, come se nulla avrebbe mai potuto turbare quella serenità finché io fossi stata insieme a lui. Il che era strano, visto che in fin dei conti sapevo così poco di lui. Senza contare che continuavo a dubitare di lui senza motivo, qualcosa dentro di me continuava a spingermi ad allontanarmi da lui, ma ero decisa ad ignorarla, qualunque cosa fosse. Volevo solo essere felice, e non avrei permesso nemmeno a me stessa di rovinare tutto.

Ci stavamo ancora baciando quando Nick, uno dei compagni di classe di Jason, uscì dalla casa con passo malfermo, evidentemente aveva bevuto parecchio.

«Ciao piccioncini! Ti fai la ex di Jason stasera, eh amico?»

Nick tentò di battere una mano sulla spalla di Bryan, ma la mancò, e barcollò ulteriormente, rischiando di finire faccia a terra. Probabilmente mi sarei offesa per le sue parole, ma era talmente distrutto dall'alcool che mi fece solamente una gran pena.

«Piantala Nick.» rispose brusco Bryan.

«Ok, allora io vado. Ciao ragazzi!» continuò Nick incamminandosi verso la sua auto.

«Aspetta! Dove stai andando in queste condizioni?» disse Bryan, fermandolo con una mano.

«Vado a casa a dormire. Sono stanco.»

«Tu in queste condizioni non guidi. Vieni ti accompagno io, passerai domani a prendere la macchina.» poi si voltò verso di me. «Scusami Evelyn, riesci a tornare a casa da sola? La strada la sai, no? Saranno massimo dieci minuti a piedi. Scusami, ma non posso lasciarlo andare a casa da solo. Mi farò perdonare, promesso.»

Cosa? Dovevo tornare da sola? Fissai i tacchi che avevo ai piedi. Saranno anche stati soli dieci minuti di camminata, ma avrebbe anche potuto caricare in macchina anche me e lasciarmi a casa mentre riaccompagnava Nick, no? Sospirai e annuii, più per buona educazione che per altro. In fondo non volevo creargli problemi, o sembrare pigra e insensibile, ci eravamo appena messi insieme, ci tenevo che avesse una buona impressione di me. Dopotutto che era una scarpinata di soli dieci minuti? Cosa sarebbe mai potuto succedermi in una cittadina in cui l'evento più eclatante era un gattino rimasto bloccato su un albero la settimana prima?

«Va bene, dai. Non c'è problema. Ci vediamo lunedí a scuola.»

Mi salutò con un rapido bacio, poi salì in macchina ed io mi incamminai.

'Cosa sarebbe mai potuto succedere?' avevo pensato. Le ultime parole famose.

Stavo camminando già da cinque minuti, ero quasi a metà strada quando vidi pararsi davanti a me cinque mostri uguali a quello che mi aveva aggredito alla festa di Ashley.

Il terrore prese subito possesso di me, paralizzandomi sul posto mentre un brivido mi percorreva la spina dorsale. Avevo bevuto, ma non abbastanza da avere le allucinazioni. E se davvero erano come il mostro che mi aveva aggredito, non ci tenevo a permettere loro di avvicinarsi per verificare se fossero reali o meno. Eppure non riuscivo a muovermi.

«Eva.» chiamarono all'unisono.

«Vi sbagliate! Io non sono Eva! Il mio nome è Evelyn!»

«Sciocca!» ringhió uno di loro.

«Uccidere. Eva.» continuò un altro.

Cosa? Uccidere? Perché volevano uccidermi? Che avevo fatto di male? E perché continuavano a chiamarmi Eva?

Non ebbi il tempo di trovare una risposta a quelle domande, perché scattarono tutti contro di me. Una scarica di adrenalina mi riscosse dal terrore mentre mi voltavo e cominciavo a correre, pur sapendo che non sarei mai riuscita ad allontanarmi abbastanza velocemente.

«Allontanatevi subito da lei e tornatevene all'inferno da cui siete venuti, o preparatevi ad affrontare l'ira divina!» tuonò una voce possente alle mie spalle.

Un odore familiare mi solleticò le narici. Piume sospese nel vento. Michele. Mi voltai ma non vidi nessuno, i mostri però si erano fermati, mi fissavano con odio, ma non si muovevano. Non capivo che stava succedendo, avevo immaginato quelle parole e quel profumo? Allora perché i mostri si erano fermati? E perché io me ne stavo lì imbambolata?

«Uccidere. Eva.»

Ecco. Appunto.

I mostri si lanciarono di nuovo contro di me, ma prima di avere il tempo di voltarmi e riprendere a scappare, una luce accecante si sprigionò tra me e loro, costringendomi a coprirmi gli occhi con un braccio. Li sentii chiaramente gridare dal dolore, ma uno di essi riuscii a raggiungermi e a graffiarmi il braccio prima di sparire avvolto dalla luce. Urlai, più per la paura che per il dolore.

Poi fu il silenzio. Sul marciapiede davanti a me notai cinque mucchietti di fuliggine, per il resto non era rimasta traccia di ciò che era appena accaduto davanti ai miei occhi. Fissai il braccio ferito, tre tagli verticali, fortunatamente non troppo profondi, testimoniavano che ciò che era successo non era frutto della mia immaginazione. Se non altro non ero pazza, anche se sarebbe stato meglio non raccontarlo in giro. Poi notai una piuma bianca, per terra a un paio di metri da me. La raccolsi.

Era calda e soffice, e profumava di... Michele.


 

CANTUCCIO AUTRICE:

Rieccomi con un nuovo capitolo!

Un capitolo in cui succede veramente di tutto. Mentre scrivevo la parte con Bryan mi sono tornate in mente le parole della mia prof di storia delle medie: "ragazza mia, hai tante idee, ma molto ben confuse." Povera Evelyn, ci sta seriamente perdendo la testa davanti a tutto quello che le sta capitando!

A proposito di questo, che ne pensate della sua scelta di mettersi con Bryan dopo così poco tempo? 

In ogni caso, Evelyn è stata attaccata di nuovo, e questa volta non ne è uscita illesa, inoltre ha trovato quella piuma che ha subito associato a Michele... che succederà adesso? Si accettano scommesse! :D :D

Ok, scherzi a parte, appuntamento al prossimo capitolo! Spero di riuscire a mantenere il ritmo e non farvi aspettare troppo :)

A presto, besos.

Wingy.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Sette ***


Capitolo Sette

Mi rigirai quella piuma tra le mani. Era candida, di un bianco talmente intenso che sembrava quasi irradiare luce propria, e aveva lo stesso profumo di Michele. Un’assurda teoria si fece immediatamente spazio nella mia mente: Che il mio migliore amico fosse un angelo? Ebbi appena il tempo di formulare quell’idea che già mi prendevo in giro da sola per la stupidità di quel pensiero. Michele un angelo, ma dai! Chiunque, con un minimo di sale in zucca, sapeva che gli angeli non esistevano realmente. E anche ammettendo la loro esistenza, cosa già di per sè poco realistica, non si prendevano certo la briga di camuffarsi come uno di noi e vivere la vita di un normale essere umano! Avevo foto di Michele all’asilo insieme a me, come poteva un frugoletto di tre anni e mezzo essere un angelo, ma dai! 
A dirla tutta, ero stata battezzata secondo la fede dei miei genitori, e ciò faceva di me una cristiana cattolica. Praticante o meno, questo era tutt’altro discorso. Sapevo dal catechismo che secondo la Bibbia, quello che doveva essere il mio credo, gli angeli esistevano, e in linea di massima potevo anche dire di poter essere d’accordo, ma avevo sempre pensato che avessero più a che fare con Dio che con noi poveri mortali. Da ciò che mi era rimasto delle lezioni di catechismo di quando ero bambina, erano qualcosa tipo i paggetti di Dio che gli consegnavano le nostre preghiere, e finita lì. Michele invece prendeva tutta quella storia molto più sul serio, ma lui era fatto così, dei due lui era quello affascinato dal soprannaturale, mentre io ero molto più razionale, ligia alla teoria del ‘se non vedo, non credo’.
Infatti, dovetti riconoscere che c’erano mille ragioni per cui quella piuma poteva essere arrivata lì. Era più facile che fosse una semplice piuma d’oca giunta fin lì sospinta dal vento dalla vicina fattoria del vecchio Vaughn, piuttosto che l’ala di un angelo. Senza contare che quella piuma probabilmente non aveva nulla a che fare con Michele, era naturale che una piuma profumasse di piume, no?
«Evelyn, sei tu?»
Riconobbi quella voce all’istante. Mi voltai senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Michele? Cosa ci fai qui a quest’ora?»
Nonostante tutto ero felice che lui fosse lì, dopo quello che era appena successo non avevo voglia di stare da sola e, come sempre, lui era lì ogni volta che avevo bisogno di lui. Peccato che non mi amasse quanto io amavo lui.
Michele esitò prima di rispondere, lo fece solo quando mi ebbe raggiunta.
«Non dormivo. Quindi ho fatto una camminata, poi ti ho sentita urlare. Che è successo? Cosa hai fatto al braccio?» disse, sollevandomi il braccio per osservare la ferita.
Bene, e ora che gli raccontavo? Poi ricordai che quando gli avevo detto la verità riguardo al mostro che si era lanciato contro la macchina mi aveva creduto, nonostante tutto. Sapevo che aspettarmi che mi credesse ancora era un’azzardo, ma con lui non avevo mai avuto segreti, e avevo un disperato bisogno di parlarne con qualcuno. Magari Michele poteva aiutarmi a trovare una spiegazione razionale a tutto quello che era successo.
«Non mi crederesti.»
«Mettimi alla prova. Prometto che non ti prenderò per pazza.» Mi disse lui con un sorriso.
«Va bene. Stavo rientrando a casa a piedi da una festa a cui ero andata con Bryan…»
«Aspetta, se eri andata con lui perchè non ti ha riaccompagnata a casa?» mi interruppe lui. L’astio che provava nei confronti di Bryan era evidente nel suo tono di voce.
«Perchè ha dovuto accompagnare a casa un suo amico ubriaco.»
«E non poteva farti salire in macchina e lasciarti a casa lungo la strada, scusa?»
«Probabilmente non ci ha pensato, comunque potresti evitare di usare quel tono quando parli di lui? Ora io e Bryan stiamo insieme, quindi gradirei che provassi a fartelo piacere.» confessai.
«COSA? Ti sei messa con lui?» mi aggredì lui.
Non avevo mai visto Michele così arrabbiato. Ogni muscolo del suo corpo era in tensione, sembrava pronto a scattare in qualsiasi momento, probabilmente se Bryan fosse passato di lì in quel momento l’avrebbe sicuramente aggredito, e non solamente a parole.
«Si, sto con lui adesso. So che lui non ti piace, ma sai che voglio fare da sola le mie scelte. Spero che resterai lo stesso al mio fianco, sei un amico prezioso per me. Ma Bryan non mi ha mai fatto nulla di male, anzi, si è dimostrato gentile e comprensivo. Quindi ci voglio provare, che ti piaccia o no.»
«Non sai in che guaio ti stai cacciando Eva.» Sussurrò lui, quasi sovrappensiero.
«Evelyn! Mi chiamo Evelyn!» sbottai. 
Sentendo quel nome mi erano improvvisamente tornati in mente quei mostri. Rabbrividii. Dopo tutto la fatica che avevo fatto per convincerlo a smetterla di chiamarmi così, ricominciava proprio ora?
«Scusami, mi è sfuggito. Comunque, Bryan a parte. Che ti è successo al braccio?»
Così gli raccontai tutto, dei mostri, di quella voce e della strana luce che era esplosa tra me e loro.
«Lo so, è assurdo, vero?» dissi, appena concluso il mio racconto.
Mi aspettavo che scoppiasse a ridere, invece Michele mi fissava serio come non mai.
«Ti sbagli. Non è assurdo, io ti credo. Sono convinto che può esserci molto oltre lo sguardo umano, cose buone, ma anche malvagie. Ma tu stai tranquilla, ti hanno ‘attaccata’ quando eri sola, vorrà dire che finchè non ne sapremo di più ti starò accanto. Non ti lascerò sola, sono qui per te, ok?»
Facendo attenzione a non farmi male al braccio ferito Michele mi abbracciò, stringendomi forte a sè, mentre io mi lasciavo improvvisamente andare ad un pianto liberatorio.
«Non permetterò a nessuno di farti del male.» Sussurrò tra sè con un filo di voce, ma riuscii a sentirlo lo stesso.
Sorrisi, godendomi la beatitudine e la serenità che riusciva sempre a trasmettermi con un semplice abbraccio. Tra le braccia di Bryan mi sentivo libera, senza limiti, piena di energie e pronta ad affrontare qualsiasi cosa il mondo avesse da offrimi; ma quando era Michele ad abbracciarmi… mi si aprivano le porte del paradiso. E non c’era libertà che potesse reggere il confronto con il paradiso che mi prometteva Michele con un semplice abbraccio. Peccato che non avrei mai potuto condividere quel paradiso con lui.
Tra le sue braccia devo essermi addormentata, perchè feci un sogno veramente stranissimo. Sognai che stavo dormendo tra le sue braccia, quando lui aprì le sue grandi ali candide, mi prese in braccio dolcemente, e spiccò il volo. Volammo sulla città fino a raggiungere casa mia, entrammo nella mia camera attraverso la finestra, poi lui mi adagiò sul letto facendo attenzione a non svegliarmi. Poi si fermò a guardarmi dormire per qualche istante.
«Ti amo, Evelyn.» Sussurrò.
Io aprii gli occhi di scatto, decisa a confessargli che lo amavo anche io, ma mi svegliai in camera mia, sola. Era stato solamente un sogno. Controllai il braccio ferito. Michele doveva avermelo bendato prima di andarsene.  Allora l’incontro con quei mostri era accaduto veramente. Aprii la mano, stringevo ancora la piuma che avevo raccolto da terra. Sospirai, prima di voltarmi su un fianco e riaddormentarmi.

 
***

Quando scesi a fare colazione la mattina successiva, mio padre notò subito la fasciatura sul mio braccio.
«Cielo Evelyn! Che ti è successo?» esclamò.
Bene, ora che gli raccontavo? Non potevo certo dirgli la verità, mi avrebbe presa per pazza. Così mi inventai una bugia su due piedi.
«Niente di che, sono inciampata sulla ghiaia e mi sono grattata il braccio. Nulla di serio, tranquillo.»
«Sei la solita sbadata. Vieni, la colazione è pronta.»
Così mi sedetti a tavola e mangiai la mia colazione, poco dopo anche Ryan scese, e ci mettemmo un po’ a giocare insieme. Amavo passare le mie domeniche in famiglia, so che una ragazza della mia età di solito preferiva uscire con gli amici piuttosto che chiudersi in casa, ma dopo aver perso mia madre cercavo di vivere sempre a pieno ogni momento che potevo passare insieme ai miei familiari. Avevo imparato a mie spese che non è poi così scontato avere accanto la propria famiglia per buona parte della propria vita, non mi piaceva pensarci, ma mi ero resa conto che avrei potuto perdere mio padre o mio fratello in qualsiasi momento, e non volevo avere alcun rimpianto.
Improvvisamente venni distratta dalla suoneria del mio cellulare, lo estrassi dalla tasca e controllai. Due nuovi messaggi, Ash e Michele.
«Buongiorno, come stai oggi? Ricorda, se vai da qualche parte da sola avvisami, ti accompagnerò.» scriveva Michele.
Sorrisi. Era molto dolce da parte sua, ma dal canto mio mi sentivo in colpa, non volevo che la sua domenica dipendesse dai miei spostamenti. Così decisi che sarei stata a casa, lasciandogli la sua libertà.
«Ciao bella! Se oggi sei libera, passeresti da me?» scriveva invece Ash.
Risposi ad Ash che l’avrei raggiunta subito, il messaggio non lasciava trasparire nulla, ma avevo la sensazione che avesse bisogno di me, e non volevo farla aspettare. Avvisai Michele che avrei fatto due passi fino a casa di Ash, ma che sarebbe andato tutto bene, non serviva che si scomodasse ad accompagnarmi. Effettivamente dopo quello che mi era successo la sera prima avevo un po’ paura ad uscire da sola, ma non volevo darlo a vedere, insomma, non potevo dipendere completamente da lui, dovevo essere pronta anche a cavarmela da sola.
«Aspettami, sto arrivando.» rispose lui.
Nonostante tutto sorrisi, ero felice di non essere sola, e che ci fosse lui al mio fianco. 
Intanto che lo aspettavo mi vestii e mi pettinai. Considerai l’idea di indossare una maglia a maniche lunghe per coprire la fasciatura, ma, nonostante fossimo solo a inizio Maggio, si preannunciava una giornata piuttosto calda, così indossai una maglietta a maniche corte a cui aggiunsi un leggero giubbetto in jeans per evitare gli sguardi curiosi della gente per strada.
Appena arrivò Michele salutai mio padre e uscii di casa.
«Ciao, allora come va la ferita oggi?»
«Beh meglio di quanto credessi. Mi dà solo un po’ di fastidio ogni tanto, ma nulla di serio, dopotutto mi hanno solo colpita di striscio. Spero di poterla già togliere domani. Non voglio dover raccontare a tutti che sono inciampata sulla ghiaia, ci faccio la figura della scema.»
«É questo che hai raccontato a tuo padre?»
Annuii. Immagino che ciò bastò a tranquillizzarlo, perchè cambiò improvvisamente discorso.
«Comunque, a proposito di ieri notte, ci ho pensato, ed ho una teoria. Assurda, magari, ma meglio di niente.»
Lo fissai sorpresa. Aveva davvero trovato una spiegazione a quello che mi era successo? Erano giorni che ripensavo agli eventi dell’ultima settimana, e non ero riuscita a trovarci un senso logico, Michele invece in una sola notte aveva già una teoria?
«Davvero? Dimmi tutto!» esclamai, entusiasta.
«Ehi, ehi, frena! Conoscendoti non so quanto ci crederai, ma secondo me quei mostri sono dei demoni.»
«Demoni? Ma cosa vogliono da me?» chiesi, scettica.
Michele ci pensò un po’ su prima di rispondere.
«Solitamente i demoni attaccano gli umani senza una ragione precisa, solo per il piacere che provano nel fare il male.»
«Ma perchè sembrano essersi accaniti su di me?» chiesi.
Naturalmente non mi aspettavo che Michele sapesse rispondere a tutte le mie domande, ma avevo bisogno di farmele, avevo bisogno di capire, altrimenti ci avrei presto perso la testa.
«Una ragione potrebbe essere che si sono intestarditi su di te perchè non sono riusciti nel loro intento la prima volta, quindi ora è diventata una questione personale, diciamo.»
Annuii, in qualche strano modo, quella teoria poteva avere senso. Ma c’era ancora una cosa che non quadrava.
«E non è che sai anche chi o cosa mi ha salvato ieri sera?»
Michele mi fissò a lungo prima di rispondere. Sembrava quasi incerto se rivelarmi o meno quello che sapeva.
«Se ammettiamo l’esistenza dei demoni, può essere che a contrastarli sia stato un angelo.»
Un angelo? Ma gli angeli non esistevano! E di certo non si manifestavano apertamente. Non che il ‘mio’ l’avesse fatto, in effetti, si era limitato a salvarmi senza mostrarsi, sempre che fosse stato realmente un angelo. Alla storia sui demoni avevo creduto, mio malgrado; avevo visto ‘in faccia’ quei mostri, e non c’era nessun’altra categoria sotto la quale avrei potuto collocarli.Ma ammettere l’esistenza anche degli angeli? Mi tornò in mente il sogno che avevo fatto quella stessa notte. Michele che mi riportava a casa in volo. E ora Michele stesso che mi parlava di angeli… che ci fosse stato del vero in quel sogno? Che Michele fosse realmente un angelo? Di nuovo, come quel pensiero si formò nella mia mente, la mia parte razionale lo bollò immediatamente come ‘assurdità’. Insomma, già l’esistenza stessa dei demoni e degli angeli era poco verosimile, ora arrivavo addirittura a sospettare che il mio migliore amico fosse un angelo. Stavo davvero perdendo ogni barlume di sanità mentale.
«Ma gli angeli non esistono, Michele.» commentai, pensierosa.
«Non hai esitato a credere all’esistenza dei demoni però, mi pare.» rispose, brusco. «Sei arrivata. Io vado, ci vediamo dopo.»
Senza aggiungere altro si voltò e si incamminò.
«Michele, aspetta!»
Non si voltò nemmeno. Sospirai e suonai al campanello di casa di Ashley, avrei risolto piú tardi le cose con Michele, ora la mia migliore amica aveva bisogno di me. Il presentimento che avevo avuto leggendo il suo messaggio infatti si rivelò fondato, quando lei mi aprì la porta di casa in lacrime.


CANTUCCIO AUTRICE:

Rieccomi! Scusatemi per il ritardo!
Coomunque... capitolo in cui succede un po' tutto e niente. La trama non prosegue granchè, ma la nostra cara Evelyn sta cominciando a sospettare qualcosa su Michele, anche se non vuole crederci, ma che dite? Ha capito che l'amico non è quel che sembra? 

Evelyn: Naa... gli angeli non esistono... 

Seh, come no, e a salvarti è stato un folletto che passava di lì, certo.

Michele comunque se n'è andato abbastanza in malomodo. Chissà perchè? Solo perchè lei non gli crede? O c'è dell'altro?

Ok, basta, mi zittisco prima di parlare troppo.

Comunque posso anticiparvi che nel prossimo capitolo ci sarà un leggero colpo di scena.

Ok, ora vi saluto prima di dilungarmi troppo,

A presto,

Wingy

 

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Capitolo 9
*** Capitolo Otto ***


Capitolo Otto

«Tesoro, che succede?» chiesi, mentre entravo in casa seguita dalla mia amica.
Ci sedemmo sul divano in salotto, Ash sospirò prima di cominciare a parlare.
«Mio padre ha trovato un nuovo appartamento, non è lontano, ma si trasferirà tra una settimana.»
Le lacrime si affacciarono nuovamente sul viso di Ashley.
«Mi dispiace Ash.»
«Non ce la posso fare, Evelyn. E’ stato già abbastanza difficile quando Yuri se n’è andato. Eravamo rimasti solo noi tre. Ora ho come la sensazione che non potremo più essere una famiglia.»
Yuri era il fratello maggiore di Ashley, due anni prima aveva lasciato la famiglia per andare a lavorare all’estero. Tornava due o tre volte l’anno  a casa per le vacanze, ma per Ashley era stata davvero dura separarsi dal fratello, avevano un legame molto solido.
«Ash, so che sei stufa di sentirti dire che andrà tutto bene, ma è così. So come ti senti, anche io ho avuto paura di perdere tutto quando ho perso mia madre. Ricordi come ha reagito mio padre, vero? Per mesi non ha nemmeno voluto guardare in faccia Ryan, incolpando lui della morte della mamma. Ho dovuto badare a mio fratello da sola, mentre mio padre viveva come un automa. Ero sola, soffrivo come un cane e avevo solo voglia di passare la giornata chiusa in camera a piangere, ma mentre mio padre si era fatto annientare dal dolore, io non potevo. Avevo una famiglia da mandare avanti, anche se non sapevo più se potevo definirla tale. Mi sbagliavo, anche se io e mio padre affrontavamo il dolore in modo diverso ci siamo sempre stati l’uno per l’altra, anche se apparentemente divisi siamo rimasti uniti, e abbiamo imparato a costruire un nuovo equilibrio, una nuova famiglia. Non siamo più la famiglia che eravamo quando c’era mia madre, è vero. Siamo cambiati, ma non necessariamente in modo negativo. Certo, quando c’era mia madre stavamo meglio, ma abbiamo trovato il modo di crescere ed andare avanti. Quello che voglio dire è che è naturale che il cambiamento ti spaventi. La separazione dei tuoi romperà l’equilibrio che si era stabilito tra voi, ma con il tempo ne costruirete un altro. Il cambiamento spaventa tutti, ma, come amava dire mia madre, ‘se non ci fosse il cambiamento, non ci sarebbero le farfalle’. Cambiare non vuol dire necessariamente cambiare in peggio, Ash. Tua madre e tuo padre non sono più felici insieme, lascia che abbiano l’opportunità di ritrovare la loro felicità. Resterai sempre la persona che amano di più al mondo, non li perderai, a meno che non sia tu a volerlo, ricordalo.»
Ash piangeva tra le mie braccia mentre parlavo, sfogando quelle emozioni che non era in grado di gestire, troppo grandi per lei.
«Grazie Evelyn. Hai ragione, ma non è facile.»
«Non ho detto che lo sarebbe stato, ma ce la farai. Non sei sola.»
Ashley annuì, e appena ebbe sfogato il suo dolore e si sentì meglio, mi invitò a togliere la giacca, scusandosi per non averlo fatto prima. Avrei preferito evitare, ma effettivamente faceva caldo, non potevo rifiutarmi, si sarebbe accorta comunque che qualcosa non andava.
«Che ti sei fatta al braccio?» chiese, come prevedibile, appena notò la fasciatura.
Raccontai anche a lei la storia che avevo raccontato a mio padre. Mi dispiaceva mentirle, ma non potevo certo raccontarle la verità.
«A proposito, com’è andata la serata con Bryan, ieri?» chiese.
«Benone, ci siamo messi insieme!»
Di solito, ad una dichiarazione del genere le migliori amiche si lanciano in gridolini euforici, congratulazioni e complimenti del caso, trasmettendo tutta la loro gioia e soddisfazione. Conoscendo l’esuberanza di Ashley, mi aspettavo esattamente quella reazione alla mia affermazione.
«Tu e Bryan?» chiese, stupita.
«Si, perché? Che c’è di strano?»
Decisamente non era quella la reazione che mi aspettavo da lei. Pensavo sarebbe stata felice per me, invece sembrava quasi perplessa, o persino delusa.
«Michele detesta Bryan. E a te piace Michele.» concluse lei, con ovvietà.
«Ma lui mi ha detto chiaramente che siamo solo amici. E Bryan è carino.»
«Ma lo conosci a malapena!»
Che Michele non approvasse me l’aspettavo, ma questo atteggiamento da parte di Ashley mi stupiva. Lei era la mia migliore amica, avrebbe dovuto sostenermi, essere felice per me, invece mi sembrava di parlare con Michele.
«Impareremo a conoscerci stando insieme. Lui è sempre stato gentile e comprensivo nei miei confronti, perché non provarci?»
«Evelyn, ma non sai niente di lui!»
Avrei voluto ribatterle a tono, ma in fin dei conti aveva ragione, io non sapevo niente di lui. Mi ero aperta con lui, gli avevo parlato di mia madre, e di lui non sapevo nemmeno il cognome.
«Chiodo scaccia chiodo, ok?» sbottai, rendendomi per la prima volta conto quale fosse stata la vera motivazione che mi aveva spinto ad accettare di stare con Bryan.
Ashley sospirò.
«Ok, ti chiederò solo una cosa poi prometto che cambieremo argomento. Lo sai che ciò che stai facendo è sbagliato? Non è giusto nei confronti di Bryan e nemmeno nei tuoi!»
Annuii, aveva ragione, lo sapevo bene. Eppure egoisticamente continuavo a pensare che fosse l’unico modo per riuscire a dimenticare Michele. In fin dei conti era anche possibile che con il tempo mi sarei innamorata di Bryan e il problema si sarebbe risolto da solo.
Passammo la decina di minuti successiva a chiacchierare del più e del meno, poi Matt suonò il campanello. Era venuto a fare un’improvvisata ad Ashley, così io accampai una scusa e li lasciai soli.
Uscita da casa sua, afferrai il cellulare per avvisare Michele che stavo rientrando, nel caso avesse voluto accompagnarmi. Poi ricordai quello che era successo poco prima, era parecchio arrabbiato quando se n’era andato, quindi probabilmente non era il caso di chiedergli un favore, sicuramente non sarebbe venuto. Cercai di rassicurarmi pensando che il tragitto era breve, che avevo fatto quella strada a piedi centinaia di volte e non mi era mai successo nulla, non c’era motivo di aver paura, così mi incamminai.
Avevo appena voltato l’angolo quando notai che lungo il viale principale del parco che dovevo attraversare non c’era anima viva. Una coincidenza? Probabile. Ero solo troppo suggestionabile dopo gli eventi di quella notte, sicuramente non mi sarebbe successo nulla.
Avevo quasi raggiunto la fine del parco, ancora pochi minuti e sarei stata a casa. Stavo cominciando a sentirmi finalmente rassicurata, sicura che ormai i demoni non mi avrebbero aggredito, quando improvvisamente me ne comparirono davanti cinque. Il terrore si impossessò di me, mentre una scarica di adrenalina mi spinse a voltarmi per scappare via. Mi bloccai sul posto notando altrettanti demoni dietro di me. Ero circondata. Il terrore si tramutò in panico. Non potevo scappare, cos’altro potevo fare in quella situazione? Ero sola, disarmata, contro dieci demoni che mi puntavano contro i loro artigli affilati, pronti a scattare da un momento all’altro. Lo strano essere che mi aveva salvato le volte precedenti non si stava facendo vedere, avrei dovuto cavarmela da sola, ma che avrei mai potuto fare io contro dei demoni che sembravano capaci di farmi a pezzi prima ancora che avessi il tempo di rendermene conto?
«Cosa volete da me? Lasciatemi stare!» gridai, disperata.
Ero stata una stupida. Avrei dovuto avvertire Michele e rientrare insieme a lui. Perché avevo fatto di testa mia? Probabilmente avrebbe rifiutato,  ma tanto valeva tentare, no? Ma se poi ci avessero attaccati entrambi? Ci sarebbe andato di mezzo Michele per colpa mia. In fin dei conti perché quei mostri avrebbero dovuto starmi lontani se ero in compagnia? Il fatto che mi avessero sempre aggredito quando ero sola era sicuramente una coincidenza…
«Uccidere. Eva.»
E te pareva. Come se mi aspettassi veramente che chiedergli di lasciarmi stare sarebbe servito a qualcosa. Mi guardai intorno, cercando intorno a me qualcosa con cui almeno provare a difendermi. Tutto ciò che vidi fu erba e un paio di ramoscelli secchi completamente inutili. Perfetto, ora che avrei potuto fare?
Naturalmente i demoni non intendevano lasciarmi il tempo di ragionarci su, visto che improvvisamente scattarono all’unisono verso di me. Stavolta ero sola, nessuno era giunto a salvarmi, stavo per morire, e non sapevo nemmeno il perché. Che fossi capitata in Paradiso o in Inferno, qualcuno avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni, come minimo.
Improvvisamente venni spinta violentemente a terra, mentre un profumo familiare di piume e vento mi invadeva le narici. Un lampo luminoso pervase nuovamente l’aria. Era solo una mia impressione, oppure la luce era più flebile rispetto all’ultima volta? Il peso che sentivo sulla schiena svanì, così tentai di rimettermi in piedi mentre quell’alone luminoso si spegneva.
«Dannazione!» esclamò una voce che conoscevo fin troppo bene.
 Alzai lo sguardo di scatto e rimasi letteralmente senza parole. In piedi davanti a me si ergeva maestoso un angelo biondo, avvolto in una lucente armatura dorata, che reggeva in una mano una spada infuocata. Ognuna delle sue ali era grande almeno quanto lui, e le piume si muovevano dolcemente, carezzate dal vento, ma allo stesso tempo sembrava che le membrane, i muscoli, o qualunque cosa ci fosse sotto quelle piume, fossero in tensione come ogni muscolo dell’angelo davanti a me, pronto a reagire al primo segnale di pericolo. Ero talmente incantata da quella vista che quasi non mi accorsi di alcune ferite sanguinanti che deturpavano la schiena dell’angelo dove l’armatura era stata perforata dagli artigli di quei mostri, mentre altri graffi ne scalfivano solo la superficie. Mi aveva fatto da scudo con il suo corpo. Era ferito, per colpa mia. Ma chi era? Perché aveva la stessa voce e lo stesso profumo di Michele?
«Ti avevo avvertita! Ti avevo detto di avvisarmi, che ti avrei accompagnato! Perché non mi ascolti mai quando serve?» sbottò voltandosi.
Sgranai gli occhi riconoscendo il mio migliore amico in quell’angelo. Allora era vero! Michele era davvero un angelo!
«Michele?» dissi, con un filo di voce.
«Adesso mi credi, vero?» sbottò, ancora nervoso. Poi chiuse gli occhi un istante e parve calmarsi improvvisamente. «Ne riparleremo un’altra volta. Ora devo finire quello che ho cominciato.» concluse, rivolgendosi ai quattro demoni che erano rimasti di fronte a lui.
Strano, era la prima volta che non li eliminava tutti in una volta. Rimediò subito. Con un solo fendente della spada ne eliminò tre, che si tramutarono in fuliggine appena la spada angelica trapassò i loro corpi. Poi Michele fermò la spada ad un centimetro dal collo dell’ultimo demone, paralizzato dal terrore. 
«Ho un messaggio per il tuo padrone. Riferiscigli che Eva è protetta dall’arcangelo Michele, e che non permetterò a nessun demone, nemmeno a Belial in persona, di farle del male. Chiunque le si avvicini, farà la fine dei tuoi compagni. Hai capito?»
Il demone annuì quasi impercettibilmente, terrorizzato all’idea di entrare in contatto con la spada che Michele non aveva mosso di un millimetro mentre parlava. Poi l’angelo abbassò la spada e il demone scomparve rapidamente com’era arrivato.
Rimasti soli, mi avvicinai a Michele, e non resistetti alla tentazione di sfiorargli una delle ali. La sensazione che provai fu indescrivibile, fu come accarezzare una nuvola, solida ma inconsistente al tempo stesso. Sentii l’ala fremere sotto il mio tocco, mentre una piuma si staccava e mi rimaneva in mano. Michele si voltò verso di me.
«Oddio scusa, ti ho fatto male?» chiesi, osservando la piuma nella mia mano.
Michele scosse la testa con un sorriso.
«No, è un dono. Tienila tu, come ricordo, o come portafortuna.»
Non potei non notare la dolcezza del suo tono, che stonava con quello con cui mi si era rivolto fino a poco prima.
«Non sei arrabbiato con me?»
Lui scosse la testa.
«Non riesco a restare arrabbiato con te a lungo. Alla fine, mi fai sempre tornare il sorriso.»
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi per la dolcezza di quel pensiero, peccato non significasse quello che speravo. Poi improvvisamente ricordai che si era ferito per proteggermi.
«Aspetta, tu sei ferito. Andiamo a casa, cercherò di medicarti.» dissi. 
Non che fossi un asso del primo soccorso, anzi. Non avrei saputo fare molto oltre a pulirgli le ferite e bendarle, ma se si era ferito a causa mia, il minimo che potessi fare era tentare di aiutarlo.
«Non preoccuparti, conosco un metodo più rapido.»
Michele si inginocchiò, chinò il capo e congiunse le mani. Lo fissai perplessa. Stava pregando? Vabbè che era un angelo, però… beh, in effetti la cosa aveva senso. Certo però non mi aspettavo ciò che stava per accadere.
«Arcangelo Raffaele, fratello mio, ho bisogno del tuo aiuto. Raggiungimi, per favore.»
Passarono pochi istanti, Michele ebbe appena il tempo di alzarsi in piedi che un altro angelo gli atterrò di fronte. Era bello quasi quanto Michele, con capelli rossi ricci che gli contornavano il viso e due profondi occhi verdi. Appena atterrò di fronte a Michele si affrettò a poggiare un ginocchio a terra ed inchinarsi a lui. Non capivo, Michele l’aveva chiamato fratello, allora perché lui si inchinava? Non erano alla pari?
«Mio signore Michele, sono qui, per servirti.» disse quello che immaginai essere Raffaele.
«Fratello, alzati. Non hai bisogno di inchinarti a me, lo sai.»
«Sei il mio Principe, è mio dovere.» commentò Raffaele alzandosi.
«Sei mio fratello, prima di essere un angelo. Ti ho invocato perché siamo stati attaccati e purtroppo quei maledetti demoni sono riusciti a ferirmi, ho bisogno di cure.» 
Io non mi ero mossa di un millimetro, osservavo la scena senza riuscire a capacitarmene. Avevo non uno, ma ben due arcangeli di fronte a me. ‘Cervellino mio, mettila come vuoi, ma qui di razionale non c’è un fico secco!
Raffaele annuì mentre il fratello si voltava e gli mostrava le ferite. A Raffaele bastò posare le mani per qualche secondo su ognuna di esse e in un lampo di luce le ferite di Michele svanirono, lasciando la sua pelle intonsa.
«Fratello, ti ho osservato in questi anni, e ho visto cos’è successo oggi prima dell’attacco. Non mollare, Michele, sei la nostra unica speranza, se la tua fede negli uomini vacilla, non sarai in grado di proteggerla.» disse Raffaele.
«Lo so, però non è facile se nemmeno lei ha fiducia in noi.»
Ora forse capivo perché Michele se l’era presa quella mattina. Lui, un Arcangelo, si era fatto il mazzo per anni per proteggermi e tenermi al sicuro, e io avevo dubitato di lui, mettendo in dubbio l’esistenza degli angeli quando lui aveva sempre creduto in me e ai racconti dei miei incontri con i demoni.
«Michele… mi dispiace.» dissi.
Entrambi si voltarono verso di me, come se si fossero ricordati solo in quel momento del fatto che ero ancora lì.
«Raf, puoi guarire anche lei? Ieri mi hanno colto alla sprovvista e uno di loro è riuscito a ferirla.»
«Non è nulla di serio, però.» ci tenni a precisare.
«Lo so. Ho visto anche quello. Porgimi il braccio.» disse Raffaele.
Mi tolsi la giacca e feci come mi aveva chiesto e lui cominciò a sciogliere la fasciatura.
«Non c’è problema, Evelyn, ora è tutto a posto.» mi rispose Michele. «Non avresti dovuto scoprire la mia vera identità, ma quando mi hanno ferito non sono riuscito a mantenermi invisibile. Però ora che sai tutto sono felice, non sai quanto ho desiderato che arrivasse questo giorno.»
Raffaele aveva finito con la fasciatura e pose la sua mano sulle mie ferite, sentii un forte calore poi più nulla. Osservai il mio braccio. Era guarito, non era rimasta alcuna traccia delle ferite, incredibile.
«Michele, attento alle tue emozioni, e soprattutto ricorda: libero arbitrio.» disse Raffaele mentre mi guariva.
Michele abbassò lo sguardo, abbattuto.
«Hai ragione.»
Ma che stava succedendo? Quali emozioni? Quale libero arbitrio?
«Michele…» cominciai, ma non sapevo come continuare, avevo così tante domande che non sapevo da che parte cominciare.
«Lo so, hai un sacco di domande da farmi. Vieni, andiamo a casa mia. Non potrò dirti tutto, ma qualcosa sì.» disse, mentre ripiegava le sue ali e riprendeva la forma a cui ero abituata.
Fissai affascinata quella metamorfosi, non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che l’angelo che avevo davanti fino ad un momento prima ed il mio migliore amico erano la stessa persona.
«Bene, io vado allora, a presto mio signore!» salutò Raffaele, accennando un inchino.
«Raf!» sbuffò esasperato Michele. «A proposito, come vanno le cose nel Regno dei Cieli?»
«Va tutto bene. Hai lasciato il Regno e le nostre truppe in ottime mani.»
«Grazie. Saluta Gabriele da parte mia, a presto!»
Un solo battito d’ali e Raffaele era già in volo. Lo osservammo sparire rapidamente tra le nuvole poi andammo a casa di Michele. Avevo un sacco di domande, ed era l’ora di avere le risposte.


CANTUCCIO DELL'AUTRICE:
Rieccomi!
Vi avevo promesso il colpo di scena... ed eccovelo servito!  Evelyn finalmente ha scoperto la vera identità di Michele, anche se ancora non sa nulla della sua missione, del perchè i demoni la aggrediscono continuamente e del perchè la chiamano Eva.
Michele ha promesso di rispondere alle sue domande, così finalmente Evelyn saprà tutto...
O forse no...
Appuntamento al prossimo capitolo!
A presto,
Wingy.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove

«Ok, quindi sei un angelo…» cominciai, ancora incredula.
Eravamo da poco arrivati a casa di Michele, avevamo salutato i suoi genitori e ci eravamo chiusi in camera sua.
«Si, un arcangelo, per la precisione.» rispose lui, calmo.
A malapena sentii le sue parole, persa nel mio mondo, scioccata da ciò a cui avevo assistito e che solo ora cominciavo ad elaborare.
«Un angelo. Con le ali, le piume e tutto il resto…» continuai, inespressiva, più per cercare di forzare la mia mente, estremamente razionale, a credere a quelle apparenti assurdità, che però si erano rivelate più che reali.
Michele non rispose, si limitò ad aprire le sue ali e a guardarmi con aria interrogativa. Probabilmente non capiva il senso delle mie parole, visto che avevo visto chiaramente le sue ali, e pure quelle di suo fratello.
«Gli angeli. Esistono davvero.» continuai.
A quel punto Michele si rese conto dello stato catatonico in cui mi trovavo, e cominciò a scrollarmi per le spalle, cercando di farmi riprendere.
«Evelyn, Lyn, ehi! Ci sei?»
«E i demoni anche, e Satana. E mi vogliono morta.» continuai.
«Tranquilla, non incontrerai Lucifero, per fortuna.»
«Oddio. Sono pazza.»
«Non sei pazza. Evelyn, guardami.»
Continuai a fissare davanti a me, sotto shock, incapace di riprendere contatto con la realtà. Era tutto un sogno, era l’unica spiegazione. Dovevo solo aspettare di svegliarmi.
«Evelyn… Lyn!» Michele esitò un momento, prima di pronunciare l’unica parola in grado di riportarmi a lui. «Eva!»
Gli lanciai un’occhiata gelida.
«Michele! Piantala! Quante volte ti ho detto di non chiamarmi Eva! Non chiamarmi più come quei mostri!» sbottai, furente.
«Rieccoti.» sorrise lui.
Sospirai. No, non era un sogno, ero perfettamente sveglia, e se volevo capirci qualcosa, se volevo mantenere la mia sanità mentale, Michele avrebbe dovuto spiegarmi molte cose.
«Scusami, non so cosa mi sia preso…» cominciai.
«Non preoccuparti, è una reazione comprensibile. Ora immagino avrai un sacco di domande da farmi, vero? Spara.»
Esitai. Era vero, avevo un sacco di domande, ma non avevo idea di da che parte cominciare.
«Perché?» chiesi. «Perché quei demoni ce l’hanno con me? E perché mi chiamano Eva?»
Michele esitò.
«Non posso dirtelo.»
«Che significa che non puoi dirmelo? Non vuoi, o non lo sai?»
«Non posso…»
«Balle!» lo interruppi io, nervosa.
Mi aveva promesso di darmi delle risposte, e ora faceva il prezioso? Avevo diritto ad avere delle risposte dopo quello che avevo passato, altrimenti ne sarei sul serio uscita pazza.
«Gli angeli non possono mentire, Evelyn. Non potrei farlo nemmeno se volessi. Ma ci sono cose a cui non posso rispondere, mi è proibito interferire in alcun modo con il tuo libero arbitrio.» spiegò lui.
Effettivamente dovevo ammettere che mi aveva avvertito che ci sarebbero state domande a cui non avrebbe potuto rispondere, ma se il motivo era solo il mio libero arbitrio, allora perché non poteva rispondere alla mia domanda? Cosa c’entrava il mio libero arbitrio con il motivo per cui quei demoni mi attaccavano? Non avevo mica scelto io di essere attaccata!
«Ok, immagino di poter capire cosa intendi. Ma cosa c’entra il mio libero arbitrio con la domanda che ti ho fatto? Non mi risulta di aver mai desiderato che dei demoni mi attaccassero.» Dissi, dando voce ai miei pensieri.
«Come posso spiegartelo senza influenzarti?» riflettè Michele. « Tu non lo sai, ma hai una missione da compiere. Il giorno del tuo compleanno dovrai fare una scelta. Non so in che forma ti si presenterà, ma segnerà una svolta nel destino dell’intera umanità. Il mio compito è quello di proteggerti fino a quel giorno, ma non posso in alcun modo influenzarti, quindi so che questo non ti basta, che ti ho fatto sorgere altre mille domande, ma questo è tutto ciò che posso dirti.»
Capivo il suo punto di vista, ma come si aspettava che compissi questa fantomatica ‘missione’ senza avere la minima idea di quale fosse? Stavo per dar voce a questo pensiero, prima di rendermi conto che sicuramente lui non mi avrebbe risposto. Dovevo farmi bastare quelle poche parole che aveva potuto dirmi. Evidentemente avrei dovuto arrivarci da sola.
«Ok, quindi non posso chiederti nulla che mi riguardi direttamente, ho capito. Allora parlami di te, a quanto ho capito quell’angelo era tuo fratello, giusto? Allora perché si è inchinato a te e ti ha chiamato principe? E se voi angeli avete poteri curativi, perché non ti sei curato da solo le ferite? Hai mai visto Dio? E che significa angelo, esattamente? A quanto avevo capito io eravate solo dei messaggeri, invece tu hai preso forma umana, perché? Poi…» chiesi, mentre facevo avanti e indietro all’interno della stanza, dando voce a tutte le domande che mi passavano per la testa.
«Ok ok, calma.» mi fermò Michele. «Ho capito. Ti racconterò tutto, ma andiamo con ordine.»
Si sedette sul letto e mi invitò a prendere posto accanto a lui.
«Io sono l’Arcangelo Michele, sono il comandante di tutte le schiere celesti, il che mi rende il Principe di tutti gli angeli. Sono l’unico angelo in grado di comunicare con Dio. Anzi, diciamo che più che altro è Lui che mi parla, io lo contatto tramite la preghiera, come tutti. Non l’ho mai visto, ma ho percepito la sua presenza, ho sentito la sua voce, e questo è già un enorme privilegio. Sono sceso tra voi per compiere la missione che Lui mi ha affidato il giorno della tua nascita, ovvero starti accanto, proteggerti, e guidarti nel momento del bisogno. Come Arcangelo il mio ruolo è quello di protettore degli uomini, vigilo costantemente e vi proteggo dal male, oltre ad aiutarvi a trovare il coraggio di affrontare le sfide di tutti i giorni. Ogni Arcangelo ha un ruolo e delle capacità peculiari, per questo ho invocato Raffaele per guarirmi, lui è l’Arcangelo dell’amore e della salute, ed è l’unico dotato di poteri curativi. Infine si, Raffaele è mio fratello, così come sono miei fratelli anche Gabriele e…» Michele esitò, improvvisamente triste, prima di pronunciare il nome dell’altro suo fratello. «Lucifero.»
«È vero!» esclamai, entusiasta. Ricordavo la storia di Michele e Lucifero, ed ero contenta di poter dimostrare di non essere completamente un’ignorante in materia. «Tu sei Michele, l’Arcangelo guerriero che ha sconfitto Lucifero salvando l’umanità!»
Michele annuì, abbattuto.
«Infatti, è stato il mio più grande fallimento.»
Sgranai gli occhi. Lucifero era malvagio, sconfiggendolo ci aveva salvati tutti. Come poteva considerarlo un fallimento?
«Come scusa? Hai appena detto che il tuo compito è proteggerci, come puoi considerare la sconfitta di Lucifero un fallimento? Nessuno di noi sarebbe qui se non fosse per te.»
Michele sospirò.
«Lucifero è mio fratello, Evelyn. Ha sbagliato, su questo concordo con te, ma se Ryan facesse qualcosa di sbagliato, se il suo errore fosse veramente grave, smetteresti forse di volergli bene?»
Scossi il capo senza rispondere, ora capivo il suo punto di vista, e mi rendevo conto di quanto doveva essere stato difficile per lui affrontare il proprio fratello.
«Si parla di tantissimo tempo fa, Evelyn. Eravamo ai tempi di Adamo ed Eva, per intenderci. Ancora non avevo il ruolo che ho adesso, Lucifero era il prediletto di nostro Padre, era persino più potente di me, il primo tra gli angeli, nutrivo un enorme rispetto per lui. Poi, quando nostro padre creò gli uomini, mortali, imperfetti e dotati di libero arbitrio, ci chiese di amarli, di inchinarci a loro, di proteggerli. Lucifero non accettò di venir messo al secondo posto da degli esseri che riteneva inferiori a lui, così si ribellò. Bada bene, lui non è sempre stato malvagio, lui amava nostro Padre come tutti noi, ma si è sentito tradito, e la superbia ha dannato il suo cuore. Nostro padre lo cacciò, e con lui tutti quelli che lo seguivano. Quando Lucifero tornò per rivendicare per sé il Regno dei Cieli, mio Padre mi ordinò di fermarlo. Lui aveva ragione, naturalmente, le Sue ragioni erano buone e giuste, Lucifero andava fermato, ma era mio fratello, così ho cercato di convincerlo a chiedere scusa a nostro padre, ad accettare gli uomini, con il tempo probabilmente avrebbe imparato ad amarli. Doveva solo avere fede in Lui… ma non ci fu modo di evitare lo scontro. Il cuore di Lucifero era corrotto dall’odio, ma io non ho mai smesso di amare mio fratello. Per questo ancora oggi il ricordo di quella battaglia mi fa male.»
Lo abbracciai. Aveva fatto quello che andava fatto, ma capivo il dolore che doveva provare. Sarà stato anche un Arcangelo, ma non era per niente perfetto come me lo sarei immaginato. Le sue emozioni, i suoi sentimenti, erano così… umani. Fu questa umanità che avevo notato in lui, che mi spinse a porgli la domanda successiva. 
«E tu? Non hai mai dubitato di ciò che Dio ti chiedeva di fare?»
La mia era una semplice curiosità, non mi aspettavo di certo la sua reazione. Improvvisamente raddrizzò le spalle, il corpo immediatamente in tensione. 
«Evelyn, ora lo sai che non posso mentire. Non pormi quella domanda, ti prego.»
«Perché? Non ti ho chiesto di non rispettare un ordine. Voglio solo sapere la tua opinione.»
«Gli angeli non hanno il dono del libero arbitrio, Evelyn. Dobbiamo avere fede in Lui, in ogni caso. Io ho fede, so che Lui agisce solo per il Bene, e sono felice di potermi rendere utile. Ma non farmi quella domanda, Evelyn. Piuttosto, torniamo a te. Non posso dirti altro sulla tua missione, ma possiamo parlare di quello che è successo quando hai incontrato quei mostri, se vuoi. Non posso dirti perché ce l’hanno con te, ma per il resto dovrei poterti rispondere. Sicura di non aver nulla da chiedere?»
Era chiaro che Michele stava cercando di evitare la domanda, il che mi fece un po’ male, io e Michele non avevamo mai avuto segreti, ora invece mi rendevo conto che in realtà sapevo veramente poco di lui. Capivo che non era colpa mia se me lo stava nascondendo, che era un altro il motivo, ma mi dispiaceva lo stesso che non se la sentisse di aprirsi con me.
«Il fatto che tu sia un angelo e che possa renderti invisibile spiega molte cose. Ma qualche dubbio ce l’ho ancora, è vero. Tanto per cominciare, come facevi a sapere sempre quando ero in pericolo? Voglio dire, ero sola, eppure tu sei sempre arrivato giusto in tempo. Anche ieri, quando in teoria tu eri a casa tua, sei arrivato comunque in tempo. Come hai fatto? Mi stavi seguendo?»
«Si e no. Da quando quel demone ti ha spaventato in macchina ho capito che quei maledetti ti avevano trovata, così quando sapevo che eri da sola di solito cercavo di tenerti sempre d’occhio a distanza di sicurezza. Ieri non mi avevi detto che saresti uscita con Bryan, così pensavo che fossi al sicuro a casa tua, ma per fortuna so volare molto velocemente. Per questo mi hai sentito parlare, dovevo attirare la loro attenzione intanto che ti raggiungevo. E oggi ti ho lasciato la tua privacy con Ashley, ero convinto che mi avresti avvisato, ma capisco perché non l’hai fatto. Mi sono fatto dominare dalle emozioni e ti ho spaventato. Mi dispiace.»
Scossi la testa e gli sorrisi.
«Non è colpa tua. Ora posso capire perché te la sei presa. Ho sbagliato a non crederti, se non altro perché tu hai sempre creduto in me, ma lo sai che sono una persona estremamente razionale, e per me era già troppo accettare l’esistenza dei demoni, credere anche negli angeli… era troppo da digerire in una volta sola. Ho creduto ai demoni solo perché li avevo visti con i miei occhi, e non potevo negarlo, anche se una parte di me crede ancora che tutto questo sia assurdo.» ammisi.
«Non preoccuparti, ti capisco. È solo che quando si tratta di te… non riesco a dominare le mie emozioni.»
A quelle parole il mio cuore perse un battito, illudendosi che quelle parole significassero quello che sperava, ma la mia mente lo mise subito a tacere; aveva detto chiaramente che eravamo solo amici, e ora che sapevo che non poteva mentire ogni mia speranza andò in fumo.
«In effetti, sei molto umano da quel punto di vista.» dissi con un sorriso. «Comunque, tornando a noi, ora che ci penso c’è qualcosa che non mi torna. Quando non mi stavi stalkerando di nascosto, come facevi a sapere che ero in pericolo?»
«Non ti stavo stalkerando! Era solo per proteggerti…»
«Lo capisco, ma resta il fatto che sei uno stalker. Comunque rispondi alla domanda, dai.»
Michele sospirò.
«Non sono uno stalker! Comunque, hai per caso notato qualcosa di strano sulla tua schiena in questi giorni?»
La mia schiena? Non ci avevo fatto caso, ero presa da altro, così mi resi conto che anche quando mi facevo la doccia o mi vestivo non avevo mai guardato la mia schiena allo specchio. In fin dei conti cosa avrebbe dovuto esserci di strano? Approfittai dello specchio appeso alla parete della camera di Michele, sollevai la maglietta e controllai.
«Oddio! Cos’è?» dissi, toccando con la mano il punto interessato.
Poco sotto il centro della mia schiena vi era uno strano disegno in rilievo, come se mi fosse stato marchiato a fuoco sulla pelle. In effetti, più che un disegno sembrava un simbolo composto da diverse linee, croci e punti chiusi all’interno di un cerchio. Per quanto ci provassi, non riuscivo a trovarci un senso. Ma che diavolo era?

«Tranquilla, non è pericoloso. È un sigillo angelico. Ricordi quando il demone ti aveva spaventato in macchina prima della festa di Ash? Avevo capito che i demoni ti avevano trovata e probabilmente avrebbero cercato di aggredirti, così quando ti ho abbracciato ti ho inciso il mio sigillo sulla schiena. Ho praticamente creato un legame tra le nostre anime. In questo modo, se fossi stata in pericolo l’avrei sentito subito.»
Fissai il riflesso del sigillo sullo specchio. Ora si spiegava l’improvviso calore che avevo sentito quando Michele mi aveva abbracciato in macchina quella sera. Capivo il perché del suo gesto, e gli ero grata per tutto quello che aveva fatto per proteggermi ma il sigillo era ben evidente sulla schiena, nonostante io non l’avessi notato prima, e visto che si avvicinava l’estate, la cosa rischiava di diventare un problema.
«Perfetto, ora però non posso andare al mare!»
Michele mi lanciò uno sguardo di rimprovero.
«Almeno sei viva però. Indossa un costume intero, no? So che non è proprio il massimo esteticamente, ma se non lo facevo probabilmente avresti raggiunto tua madre prima del previsto.» commentò lui, piccato.
Annuii. Aveva ragione, mi aveva salvato la vita già diverse volte, quel sigillo sulla mia pelle era solo un piccolo prezzo da pagare. Ma quando Michele nominò mia madre, non riuscii a resistere alla tentazione di porgli quella domanda.
«A proposito, posso farti una domanda stupida?»
«Certo, spara.»
Esitai un attimo prima di parlare, dopotutto Michele non poteva mentire, quindi non se non mi avesse dato la risposta che speravo… non sarebbe stata facile da accettare.
«È vero che c’è vita dopo la morte? Voglio dire… mia mamma…»
«Non è una domanda stupida, tutt’altro.» mi interruppe lui. «E sì, c’è vita dopo la morte. Tua madre è in paradiso. Ho accompagnato io stesso la sua anima quando è morta.»
Sgranai gli occhi, incredula.
«Davvero?»
Lui annuì.
«Da quando io sono sulla Terra con te, è mio fratello Gabriele ad accompagnare i defunti verso il Paradiso. Ma visto che per via della mia missione ero già ‘in zona’, ho deciso di prendermi io l’incarico. Appena tua madre mi vide in forma angelica mi riconobbe subito, nonostante dimostrassi una decina di anni in più rispetto alla forma umana che era abituata a vedere accanto a te. Stranamente non fece storie quando le spiegai che era morta e che avrei dovuto accompagnarla in Paradiso, ma volle sapere perché mi ero camuffato da umano per starti vicino. Le ho spiegato che hai una missione da compiere, e lei, testarda quanto te, ha preteso che le raccontassi tutto. Siamo rimasti per un bel po’ fermi lì, in piedi di fronte al suo corpo senza vita, a tuo padre e al piccolo Ryan, parlando di me e della tua missione. Non dimenticherò mai quello che mi ha detto alla fine del mio racconto: ‘mi dispiace di doverli lasciare, so che li sto condannando ad una sofferenza terribile, ma c’è una cosa su cui non ho nemmeno il minimo dubbio: mia figlia mi renderà orgogliosa di lei ogni giorno della sua vita, non importa quanto saranno ardue le sfide che dovrà affrontare, e quando sarà il momento, sono sicura che saprà fare la scelta giusta.’ Poi l’ho accompagnata in Paradiso, e prima di andarmene mi ha fatto giurare solennemente che avrei protetto la sua famiglia, a qualunque costo. Diceva che hai un compito importante, ed era giusto che potessi pretendere tutta la protezione che il Principe degli angeli poteva garantire a te e ai tuoi famigliari. Era un tipetto tosto tua mamma.» concluse lui con una risatina.
Io lo ascoltavo tra le sue braccia, mentre parlava ero scoppiata in lacrime. Lui mi aveva abbracciata e aveva lasciato che mi sfogassi. Erano passati cinque anni, ma mia madre mi mancava così tanto… Era inevitabile, ogni volta che si parlava di lei perdevo il controllo delle mie emozioni. Il tempo guarisce tutte le ferite, dicevano, ma dubitavo che quel dolore mi avrebbe mai lasciato.
«Scusami. Io…» cercai di dire, allontanandomi dal suo abbraccio quando lui finì di parlare.
Lui mi strinse nuovamente a sé, cingendomi il corpo con le sue possenti ali, oltre che con le sue braccia. Un’ondata di calore mi pervase il corpo, mentre avvertivo una nuova tranquillità farsi spazio in me. Ogni emozione negativa si sciolse come neve al sole, lasciandomi sfogare tra le sue braccia in uno strano stato di serenità, nonostante stessi piangendo.
«Non ti preoccupare, non c’è motivo di vergognarti delle tue lacrime, sfogati pure, ne hai bisogno. Io sono qui per te, non me ne vado.»
Come potevo non amarlo? Era la perfezione fatta angelo! Amavo la sua dolcezza, il suo esserci sempre, il suo sapere ogni volta come farmi star meglio. Ma lui non avrebbe mai ricambiato, e questo non smetteva di fare male.
Improvvisamente il mio cellulare prese a squillare. Era mio padre che mi chiedeva se tornavo per pranzo, confermai e riattaccai.
«Devo andare a casa, mio padre mi aspetta.» dissi, ricomponendomi.
Michele si alzò e spalancò l’enorme portafinestra che dava sul terrazzo. Mi ero sempre chiesta perché avesse una portafinestra così ampia in camera, con tanto di terrazzo, ma stavo finalmente per scoprirlo.
«Ehi, che fai? Perché apri la finestra?»
Michele non rispose, si limitò a spiegare le sue ali in tutta la loro maestosità. Un’idea mi solletico la mente. No, non era possibile che mi volesse riportare a casa in volo!
«Dove vai?» chiesi.
«Dove andiamo, vorrai dire. Ti accompagno a casa.»
Mi si avvicinò e mi prese in braccio senza fatica, poi uscì in terrazza.
«Sei pronta?»
Non aspettò che rispondessi, sbattè le ali e si alzò in volo, portandomi con sé. Istintivamente mi aggrappai al suo collo. Non mettevo in dubbio che fosse abbastanza forte da sorreggermi, ma l’istinto di sopravvivenza aveva agito a nome mio. 
Michele fendeva l’aria con battiti d’ali controllati e precisi, procedendo a velocità sostenuta. Avevo provato a guardarmi intorno, ma l’aria mi sferzava il viso, così mi voltai e mi strinsi a lui per ripararmi. Mi ritrovai a fissare il suo volto a pochi centimetri dal mio. L’espressione era seria e concentrata, lo sguardo fisso davanti a sé. Nulla di eccezionale in fin dei conti, eppure sentii il cuore cominciare a martellarmi nel petto. Stavo volando tra le braccia di Michele, le sue imponenti ali mi schermavano gli occhi dal sole, mentre mi sarebbe bastato sporgermi di qualche centimetro per incontrare quelle labbra che sognavo da fin troppo tempo. Avrei dato qualsiasi cosa per un bacio tra le nuvole insieme al mio Michele… ma che andavo a pensare? Quale ‘mio’ Michele? Eravamo solo amici, l’aveva detto chiaramente, ed ora ero sicura che non stesse mentendo.
Mi riscossi da quel pensiero e mi voltai, sfidando il vento, per osservare la città sotto di me.
«Rallenta, Michele.»
Lui obbedì, poi si voltò verso di me, preoccupato.
«Che succede? Non stai bene?»
Io sorrisi. Altro che star bene, mi sentivo in paradiso!
«Tutto a posto, tranquillo. Voglio solo godermela, non voglio arrivare a casa troppo presto.» confessai.
Lui sorrise compiaciuto.
«Va bene, ma ricorda che ora che sai la verità, posso volare con te ogni volta che vorrai.»
Sorrisi, allettata da quella prospettiva, mentre lasciavo vagare lo sguardo sotto di me, osservando la mia città dall’alto, mentre una soffice brezza mi accarezzava il volto. 

 
 
CANTUCCIO DELL'AUTRICE:
Rieccomi a voi!

Finalmente la nostra Evelyn ha cominciato ad avere delle risposte, peccato che quelle che contano davvero Michele non può dargliele...

Nonostante tutto, ci sono ancora diverse domande nella mente della nostra protagonista, ma visto che già questo capitolo è più lungo del solito, e di fronte ad un capitolo di 5000 parole probabilmente avreste tentato il suicidio... ho preferito rimandare. :D

Abbiamo conosciuto meglio la parte 'angelica' di Michele, ma chissà perchè non ha voluto rispondere ad Evelyn quando gli ha chiesto se avesse mai dubitato di Dio... Si accettano scommesse :D :D

Saprete comunque tutto a tempo debito!

A presto (speriamo),

la vostra Wingy.

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