Il Collezionista di Gioielli

di _BlueLady_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***
Capitolo 18: *** XVII ***
Capitolo 19: *** XVIII ***
Capitolo 20: *** XIX ***
Capitolo 21: *** XX ***
Capitolo 22: *** XXI ***
Capitolo 23: *** XXII ***
Capitolo 24: *** XXIII ***
Capitolo 25: *** XXIV ***
Capitolo 26: *** XXV ***
Capitolo 27: *** XXVI ***
Capitolo 28: *** XXVII ***
Capitolo 29: *** XXVIII ***
Capitolo 30: *** XXIX ***
Capitolo 31: *** XXX ***
Capitolo 32: *** XXXI ***
Capitolo 33: *** XXXII ***
Capitolo 34: *** XXXIII ***
Capitolo 35: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il Collezionista di Gioielli
 
~ PROLOGO ~
 
Tutti lo chiamavano Eclipse, perché proprio come un’eclissi era in grado di nascondersi alla luce del sole, per poi fare la sua ricomparsa di notte, nelle vie buie delle città più conosciute, alla ricerca di non si sa quali preziosi tesori.
Le prime pagine dei giornali erano piene delle sue immagini, i gendarmi di ogni città gli davano la caccia, nella speranza di catturarlo e finalmente infliggergli la punizione che meritava per tutti i furti commessi in passato.
Non c’era traccia di scovarlo, tuttavia.
Così come appariva, altrettanto misteriosamente scompariva, lasciando dietro di sé solo un cumulo di mormorii perplessi ed impauriti.
I gendarmi perdevano qualsiasi traccia di lui ad ogni singolo spuntare del sole.
L’unico modo per avere la certezza di catturarlo era quello di coglierlo in flagrante nel momento del compimento di un furto, ma questa alternativa risultava altrettanto impossibile quanto quella di scovare qualche indizio che riconducesse a lui.
Eclipse era un ladro abile e scaltro.
Era il ladro più ricercato e più rinomato di tutta l’Inghilterra.
I nobili lo temevano, i poveri lo veneravano.
Ogni volta che accadeva qualche misfatto, Eclipse ne era il capro espiatorio.
Tutto ciò che accadeva di brutto nei pressi del paese era inevitabilmente ricondotto a lui.
Eppure non era un ladro ambizioso, volto ad impossessarsi di qualsiasi oggetto prezioso o che avesse una qualche nota di valore.
I suoi obiettivi erano diversi ogni volta, era quasi impossibile prevedere quali sarebbero stati i suoi intenti futuri.
C’era chi sospettasse addirittura che Eclipse non fosse mai esistito, e fosse solamente il frutto dell’invenzione di qualche spiritoso che si divertiva a metter paura alla gente.
Una sciocca leggenda metropolitana.
Eppure le immagini stampate sui quotidiani rappresentavano una prova ben concreta della sua esistenza…
Del resto, si sa, le leggende nascondono sempre un fondo di verità…



Angolo Autrice:


Buongiorno cari lettori!
Ebbene sì: la Vale torna dalle vacanze con una nuova fic pronta per voi.
Dato che "Wonder High School" è ormai giunta al termine e l'ispirazione mi è piombata addosso all'improvviso facendomi scrivere questa nuova fic, ho deciso di postarla immediatamente.
Qualche piccolo dettaglio: la fic è ambientata nell'Inghilterra del 1800, epoca in cui l'alta aristocrazia trascorreva la vita tra i lussi delle ville e i piaceri della vita mondana.
I personaggi li incontrerete man mano, andando avanti  la lettura. Alcuni potrebbero essere un pò OOC.
Le coppie, come al solito, le lascio scoprire a voi.
Detto questo, con la speranza di essere riuscita ad incuriosirvi almeno un poco, vi lascio
Tenterò di aggiornare ogni settimana.
Un saluto a tutti e un grazie in anticipo a chiunque si degni di leggere o di commentare.
Un bacio

_BlueLady_

 

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Capitolo 2
*** I ***


~ CAPITOLO 1 ~
 
Passeggiava per gli immacolati giardini del palazzo, tutta intenta nella lettura di un libro.
La veste azzurrina, che si adagiava dolcemente sull’esile corpo, ondeggiava mossa dal vento, svelando ogni tanto bellezze nascoste che soltanto i delicati fiordaliso che adornavano il prato coi loro splendidi ricami avevano il privilegio di ammirare.
Le labbra rosee e sottili si dischiudevano ogni tanto nella pronuncia di qualche delicata parola, mentre le candide gote si imporporavano di un vivido rossore e gli occhi color del cielo ridevano contenti.
Ogni tanto distoglieva l’attenzione dalla lettura, fermandosi ad assaporare il profumo dei fiori e a deliziare la propria vista dei loro colori sgargianti.
Infine riprendeva il passo più lentamente, immergendosi nuovamente nell’attento esame del libro, fino ad avviarsi all’ingresso del maestoso palazzo.
I servitori la salutarono scattando sull’attenti, mentre lei li ricambiava con un lieve cenno del capo.
Le porte furono spalancate, un enorme salone dal lucido pavimento marmoreo le si presentò davanti, accompagnandola nella sua camminata e facendo riecheggiare l’eco dei suoi delicati passi nell’ampia sala.
Svoltò a destra, per uno stretto corridoio adornato da un morbido tappeto in velluto che attutiva il contatto con il terreno, sempre con quella grazia e quel portamento tipico delle nobildonne.
Attorno a lei il silenzio.
Poi una voce in lontananza, proveniente da una delle stanze adiacenti, che ruppe quella pacifica atmosfera:- Toulousse, caro, sei venuto a conoscenza anche tu dell’evento importante a cui saremo partecipi nei prossimi giorni?-
- E come potrei non saperlo, Elsa, mia cara?-
Si fermò improvvisamente, riconoscendo le voci del padre e della madre.
Incuriosita, si diresse nella direzione da dove provenivano.
- Ebbene, non credi anche tu che dovremmo approfittare di questa grande opportunità che ci è concessa?- domandava la donna, con un filo di ansietà nella voce.
- Ogni cosa a suo tempo - rispondeva pacatamente l’uomo.
Non appena intravide la luce disegnare figure informi sul muro del corridoio, individuò la stanza nella quale si trovavano e si avvicinò più frettolosamente.
Distinse una porta dischiusa dalla quale proveniva lo spiraglio di luce e, attaccata ad essa, in ombra, con l’orecchio ben attento ad ascoltare e facendo attenzione a non essere scoperta, una folta chioma di capelli rossi legati in due trecce leggermente scomposte, la rosea veste che sfiorava il pavimento.
- Fine!- esclamò con una nota di rimprovero avvicinandosi alla figura – Quante volte ti ho detto di non origliare le conversazioni dei nostri genitori! Lo sai che….-
- Sshh...- le fece l’altra, zittendola con un veloce gesto della mano, ancora intenta ad ascoltare ciò che avevano da dirsi. La ragazza ammutolì, sconcertata - Parlano di un ricevimento importante…- continuò la rossa con un velo di eccitazione nella voce e gli occhi ancora rivolti all’interno della stanza.
Al suono di quelle parole dimenticò improvvisamente il rimprovero appena fatto alla sorella e si attaccò anche lei alla porta per poter captare meglio ogni singola parola del discorso.
- Ogni cosa a suo tempo!- esclamò la donna esplodendo in un ampio gesto con le mani.
Prese a muoversi nervosamente per la stanza sotto lo sguardo benevolo del marito.
L’uomo accennò un sorriso:- Puoi metterti il cuore in pace, mia cara - esordì - è già tutto quanto pronto per il grande evento da parecchio tempo, come previsto -
Ci fu un attimo di silenzio.
Poi l’uomo si alzò dalla poltroncina su cui era seduto e si diresse verso la porta seguito dalla moglie che brontolava:- Ma come! Hai fatto tutto senza consultarmi, senza dirmi nulla! Mi hai fatto credere che fosse ancora tutto da organizzare, e poi vengo a sapere che…. E invece… Ah, vuoi proprio male ai miei poveri nervi, tu!-
Non appena uscirono dalla stanza, si ritrovarono i volti delle due ragazze a pochi centimetri di distanza dai loro.
Le due si scostarono subito, indietreggiando un poco con fare disinvolto – Tu guarda…- mormorò il padre con finta sorpresa e accennando un sorriso.
– Fine! Rein!- esclamò invece la madre – Stavate ancora origliando le nostre conversazioni private? Quante volte vi ho detto…-
- Scusaci, mamma - esclamarono quelle prima che lei potesse finire la frase - ma abbiamo udito trattarsi di un evento importante, per cui…- e alzarono le spalle, ridacchiando un poco.
La madre le osservò, per niente divertita – Suvvia, Elsa, lasciale stare. Prima o poi avremmo dovuto rendere pubblico anche a loro questo annuncio, in fondo.- intervenne il marito.
Nell’incontrare lo sguardo intenerito e compiaciuto del consorte la donna si raddolcì improvvisamente:- Ringraziate vostro padre che oggi mi ha fatto penare fin troppo - disse in un sospiro.
Le due volsero uno sguardo complice al padre.
Poi la ragazza dalle lunghe trecce rosse parlò:- Potremmo sapere di che evento si tratta?- domandò, solamente per verificare che le sue deduzioni fossero esatte.
– Indiscrete… ho due figlie indiscrete io! - borbottava la madre, mettendosi le mani nei capelli. I tre accennarono un sorriso divertito nell’osservare la donna fin troppo apprensiva.
- Papà - esclamarono poi nuovamente - dunque?- e sgranarono gli occhi in attesa di una risposta.
I loro occhi si incontrarono per un istante - Tra due giorni - disse infine l’uomo - ci  sarà un ricevimento a cui parteciperanno i più importanti aristocratici del paese, e noi siamo stati invitati a prendervi parte. -
 
L’intera famiglia Sunrise uscì di buon’ora, nel pomeriggio, salendo sulla piccola carrozza che gli apparteneva, prendendo la strada principale che si inoltrava negli immensi campi che circondavano la villa appena solcato il cancello.
I cavalli avanzavano di un modesto trotto, facendo sobbalzare di tanto in tanto la carrozza a causa della strada dissestata che stavano percorrendo.
- Santo cielo!- si lamentava la signora Sunrise, mettendosi a sedere composta sul divanetto interno al cocchio e raccogliendo attorno a sé l’ampia gonna di un bordeaux fiammeggiante      - Non ricordavo dovessimo sopportare tutti questi sballottamenti per giungere dai Mera!- e si mise a posto l’acconciatura che aveva leggermente ceduto a causa di tutti quei sobbalzi.
Il marito alzò le spalle, disinvolto:- Ieri non facevi tutte queste storie quando hai portato le ragazze in paese - osservò con una nota di rimprovero.
- Ieri non eravamo di certo diretti a una festa, cosa credi che mi importasse se i capelli finivano leggermente fuori posto?- esclamò quella in risposta.
Il signor Sunrise sospirò, alzando gli occhi al cielo – Oggi è diverso!- continuava la moglie       – Gli invitati appartengono tutti a un certo rango sociale, e non ho intenzione di farmi ridere dietro per l’aspetto scombussolato che avrò a causa del lungo viaggio travagliato!-
Il signor Sunrise sbuffò, mentre le figlie dall’altro lato della carrozza, sedute di fronte a lui, si scambiavano qualche occhiata complice ogni tanto, trattenendo a stento le risa nell’osservare il battibecco tra i genitori.
- Inoltre - riprese la signora Sunrise, dirigendo lo sguardo verso di loro - questa sera è importante per le nostre figlie, e desidero ardentemente che siano impeccabili. C’è il caso che conoscano da vicino i più importanti aristocratici del paese, e voglio assolutamente che mettano una buona parola riguardo il loro conto -
Le due ragazze ricambiarono il sorriso della madre, poi ripresero a chiacchierare tra loro, emozionate per la serata che le attendeva.
I genitori le osservavano, compiaciuti e orgogliosi: da tempo sapevano che giravano voci in paese sulle due fanciulle, le quali venivano elogiate da tutti per la loro bellezza e il loro carattere gioviale.
Rein e Fine Sunrise, nonostante provenissero da una famiglia aristocratica di non troppo valore, erano due dei più bei fiori in boccio di tutta la contea Dewdrop.
Gemelle dalla nascita, avevano sviluppato un legame molto forte sin da bambine, che si era man mano saldato crescendo. Di bella presenza, dotate di due corpi longilinei e sottili, si distinguevano, oltre che per il carattere, anche per il colore degli occhi e dei capelli.
L’una era timida e riservata, con due enormi occhi color cremisi e i capelli di un rosso fiammeggiante, solitamente legati in due simpatici codini; l’altra era più estroversa ed esuberante, gli occhi di un intenso azzurro cielo e i capelli lisci e fluenti di un tenue turchino che arrivavano a sfiorare quasi il terreno.
L’una amava fare lunghe cavalcate all’aria aperta, l’altra amava dilettarsi nella lettura di un buon libro.
L’una era infallibile nel gioco degli scacchi e delle carte, l’altra era impeccabile nell’esibirsi al pianoforte.
L’una era una buongustaia e non disdegnava mai l’assaggio di una qualche nuova pietanza che gli veniva proposta, l’altra andava in estasi di fronte a un vestito sfarzoso ed elegante per il quale ambiva sempre a fare da modella.
Entrambe erano danzatrici discrete.
Se non fosse stato per la somiglianza fisionomica nei lineamenti del volto, chiunque avrebbe dubitato fossero addirittura parenti.
Un’unica cosa veniva loro rimproverata: a volte si lasciavano troppo andare all’entusiasmo, e dimenticavano di comportarsi da aristocratiche quali erano, serbando un atteggiamento poco consono e del tutto estraneo all’ambiente che frequentavano.
La madre aveva tentato più volte di rimediare a questa sottile mancanza, ma senza successo.
Il carattere delle due figlie era ormai ben forgiato, e le due ragazze non facevano nulla per migliorarsi. Del resto, non era che una cosa che accadeva di rado, e le due fanciulle erano comunque ben apprezzate da chiunque avesse il piacere di incontrarle e fare la loro conoscenza.
La carrozza svoltò per un lungo viale accostato da alti cipressi, che lasciavano intravedere le fondamenta di una lussuosa casa poco distante: la loro meta.
Difatti, era quello il posto in cui erano diretti: Villa Mera, sontuosa dimora dei loro più cari vicini, e luogo dove si sarebbe tenuto a breve il ballo più prestigioso della contea.
La carrozza accostò di fronte alle scale che conducevano all’entrata dell’enorme palazzo, e il cocchiere aiutò i passeggeri a scendere.
Dapprima furono il signor Sunrise, seguito dalla sua signora.
Poi fu il turno delle due damigelle: il cocchiere le prese delicatamente per mano, ed ammirò estasiato le due fanciulle che lo ringraziarono volgendogli uno dei loro sorrisi più radiosi.
Infine entrarono.
Appena entrati, furono accolti con gioia dai proprietari di casa, i signori Mera, che non riuscirono a controllare la gioia di averli come ospiti.
- Toulousse, Elsa, che piacere rivedervi! Quanto tempo sarà passato? Saranno almeno due mesi che non ci vediamo!- I Sunrise accolsero con molto piacere quelle manifestazioni d’affetto – E queste sono Fine e Rein? Non le avrei riconosciute! Guardate come si sono fatte belle, e che portamento ed eleganza!- esclamarono non appena intravidero le due gemelle sulla soglia.
Le due arrossirono compiaciute, poi si guardarono intorno leggermente spaesate per la gran confusione che c’era: gente che danzava ovunque, mentre i commensali più asociali sedevano attorno ad un’enorme tavolata chiacchierando animatamente tra loro.
In mezzo a quella miriade di volti sconosciuti, però, ne riconobbero uno altamente familiare.
- Fine, Rein! Che piacere rivedervi! Beh, non mi riconoscete?- esclamò una ragazza dagli occhi castani e i capelli arancioni legati in un elegante chignon che si faceva largo tra la folla con volto sorridente.
- Lione!- esclamarono quelle correndo incontro all’amica e abbracciandola – Ah, adesso vi ricordate chi sono, ingrate! Bastano un po’ di fiocchetti qua e là e un vestito più elegante del solito per mettervi in crisi! Come state?- le canzonò quella, accogliendole nell’abbraccio.
Lione Mera era la figlia dei coniugi Mera, nonché padroncina della villa dove si teneva il ballo.
Della stessa età di Fine e Rein, aveva sviluppato un legame particolare con Rein, con la quale trascorreva intere giornate a discorrere del più e del meno, mentre la sorella di quella ammazzava il tempo cimentandosi in eccitanti cavalcate.
Anch’ella timida e riservata, era riuscita a conquistare il cuore delle due gemelle con la sua spontaneità e semplicità, tanto che le due potevano definirla la loro migliore amica.
Aveva un fratello di qualche anno più piccolo, Tio, ugualmente affezionato alle gemelle come la sorella.
- Guarda qui che meraviglia!- esclamarono quelle rivolte all’amica – Se non fossimo mai venute qui, oseremmo dire che questa non è affatto la villa di una semplice aristocratica, ma di una vera contessa!-
- Suvvia, non esagerate troppo con i complimenti – ridacchiò Lione – e andiamo a ballare, piuttosto!- concluse, osservando con malizia le due sorelle che ridacchiarono.
Bastarono poche altre parole per convincerle: in men che non si dica, Fine e Rein si lasciarono trascinare dalla loro amica per partecipare alle allegre danze.
 
¤¤¤¤¤
 
La festa era ormai cominciata da più di un’ora, quando giunsero gli ospiti tanto attesi.
Non appena varcarono la soglia, la musica si fermò improvvisamente e tutti gli sguardi degli invitati volsero verso l’insolita comitiva che avanzava nella sala con disinvoltura.
Tre erano i componenti: due uomini e una donna, tutti con un atteggiamento piuttosto altezzoso e composto.
L’uomo più a destra doveva avere all’incirca ventitré anni, a giudicare dall’apparenza: fisico snello e ben scolpito, avanzava con nonchalance sotto gli occhi di tutti, volgendo qualche timido sorriso agli invitati. I capelli biondo grano rilucevano alla luce dei lampadari sovrastanti, gli occhi marroni brillavano di contentezza.
Accanto a lui procedeva una donna dai capelli biondi e vaporosi legati in una treccia composta: gli occhi verde smeraldo esprimevano tutto il suo contegno e la sua vanità. Doveva avere all’incirca due o tre anni in meno del biondo, e avanzava nella sala altezzosa e fiera, sventolando di tanto in tanto il ventaglio che teneva nella mano sinistra, mentre con l’altra si appoggiava al braccio del suo accompagnatore.
- Quelli sono i fratelli Tinselpearl, il duca e la duchessa…- sussurrò Lione all’orecchio di Rein che le stava a fianco - Bright Tinselpearl, il Cavaliere, e Altezza Tinselpearl, la Dea. Si dice siano i possessori di un vasto terreno a sud, e pare che nessuno possegga un patrimonio più prestigioso del loro in tutto il ducato -
- Sono davvero così ricchi?- domandò Rein – Si - asserì l’amica - il Cavaliere inoltre possiede una ricca miniera di diamanti che ancora oggi gli frutta un sacco di denaro -
- E che mi dici della duchessa?-
- La duchessa? Oh, lei vive a spese del fratello tra gli agi e i lussi che una così ingente ricchezza le può offrire, finché non avrà trovato un marito altrettanto ricco che la possa mantenere, anche se, con il caratteraccio che si ritrova…-
- E’ molto scorbutica?- domandò Rein volgendo una rapida occhiata alla figura che le passava dinnanzi.
Lione annuì:- Pare che abbia un pessimo carattere, per questo la soprannominano la Dea: perché proprio come una dea, è capricciosa e irascibile. Solo il suo amabile fratello assieme a quell’altro individuo sembra siano in grado di sopportarla…-
- L’altro individuo?-
- Vedi l’uomo accanto alla duchessa, alla sua sinistra?- Lione accennò in direzione del terzo ospite – Dato che è l’unico in grado di reggere i suoi continui capricci, pare che sia colui che è destinato a sposarla… aggiungici il fatto che anche lui è ricco sfondato…-
La turchina volse lentamente lo sguardo verso il terzo individuo che avanzava con superiorità tra il resto degli invitati: era alto e atletico, i capelli neri come pece che formavano intensi riflessi violacei non appena entravano in contatto con la luce.
- Shade Moonville - sussurrò Lione, distogliendola dal suo attento esame - il “Principe”, come tutti lo chiamano. Nonostante sia solamente un visconte, pare che sia ricco addirittura quanto il Cavaliere, per questo motivo viene denominato in quel modo. E’ un intimo amico del duca, e pare che una delle intenzioni per cui voglia fargli sposare la sorella sia per il fatto che, unendo due casate così prestigiose e ricche, non possano più temere rivali al confronto -
- Come fa ad essere così ricco pur essendo solamente un semplice visconte?- domandò Rein. (*)
Lione scosse piano la testa:- Nessuno lo sa. C’è chi dice si sia arricchito in seguito all’investimento di una grande somma in denaro di alcune merci fatte approdare in Francia, altri sostengono sia merito dell’eredità lasciatagli dal padre alla sua morte, ma nessuna di queste voci è certa. Aleggia un alone di mistero intorno al suo nome, per questo molti lo guardano con sospetto e diffidenza -
Rein osservò  nuovamente il visconte che procedeva imperterrito nella sua camminata: si trattava di un giovane piacente e di bell’aspetto, dotato di un portamento fiero e deciso.
La duchessa non poteva certo lamentarsene, dopotutto.
- Una cosa è certa - le sussurrò l’amica al’orecchio dopo qualche istante - quell’individuo è tanto misterioso quanto affascinante - e lo prese ad osservare con un lieve rossore che le colorava le gote.
Anche Rein riprese ad osservarlo, non potendo non dare ragione alle parole dell’amica. L’alone di mistero che il giovane trascinava con sé pareva attrarla a lui come una barretta di ferro viene soggiogata alla forza di una calamita. Il fascino ch’egli emanava era accattivante, magnetico, faceva pendere più di una donna dal suo sguardo freddo, buio, eppure così provocante e piacevolmente privo di qualsiasi emozione.
Un’ondata di invidia la pervase quando le tornò in mente che quegli occhi glaciali erano riservati solamente ad una donna, ed era quella che gli camminava a fianco.
Osservando l’andatura composta e fiera della duchessa, Rein non poté fare a meno di paragonarsi con lei, sperando di assumere un po’ dei suoi modi raffinati solamente osservandone l’elegante figura e poter così provocare un interesse da parte del visconte.
Mentre si perdeva in quei ragionamenti tanto sciocchi quanto contorti osservando un punto vuoto di fronte a sé, il suo sguardo incontrò involontariamente due muri bui e impenetrabili di un blu notte intenso.
Trasalì.
Il giovane aveva la netta sensazione di essere osservato, e aveva diretto lo sguardo nella sua direzione, incontrando le sue iridi cristalline.
Fu come se il tempo si fosse fermato all’istante: i contorni della stanza nella quale entrambi si trovavano parvero sfumare pian piano, la voce di Lione accanto a Rein che la chiamava tentando di risvegliarla dall’incantesimo pareva ormai un cupo rimbombo lontano e incomprensibile.
Gli occhi dei due giovani si rispecchiarono gli uni negli altri, incapaci di liberarsi da quel filo invisibile che aveva improvvisamente intrecciato i loro sguardi.
Il giorno si fuse alla notte, a entrambi parve di essere stati proiettati in una dimensione appartenente solo a loro, dove il tempo era scandito dai battiti irregolari dei loro cuori.
Il filo che tesseva la linea dei loro sguardi costruiva attorno a loro una fitta rete sempre più insidiosa, capace di farli sentire apparentemente vicini nonostante la lontananza l’uno dall’altra. Il vuoto tra loro si colmò improvvisamente.
I nodi nei quali si sentivano intrappolati erano troppo stretti perché uno dei due avesse la forza o la volontà necessaria a scioglierli.
…O quasi.
Un improvviso bisogno d’aria riportò Rein alla realtà: la fanciulla emise un ampio sospiro, rompendo quel profondo legame che si stava creando tra lei e il giovane dalle scure sembianze.
Solamente dopo qualche minuto realizzò di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.
Con la coda dell’occhio osservò nuovamente il visconte distogliere lo sguardo e tornare ad interessarsi della folla dinnanzi a sé.
Lentamente, il battito del suo cuore riprese a stabilizzarsi.
Quando i tre raggiunsero il centro della sala, dopo aver scambiato qualche parola con i signori Mera e dopo che essi ebbero fatto le dovute presentazioni, le danze poterono riprendere allegramente.
I tre ospiti non vi pareciparono, impegnati com’erano a fare la conoscenza degli invitati più intraprendenti che osavano rivolgere loro la parola, e se ne stavano quieti quieti in un angolo della sala a contemplare la folla danzante che rideva e si divertiva.
Rein, ripresasi da quell’attimo fugace in cui le era parso che il respiro le venisse meno nell’incontrare gli occhi dell’affascinante visconte, si fece coinvolgere nuovamente nelle danze, non senza sentirsi addosso la sensazione di essere osservata da quello sguardo magnetico che, anche se solo per un istante, era stato principio di affanni e speranze.
 


Angolo Autrice:
 
    (*) La scala gerarchica araldica è così strutturata:  - Principe
                                                                              - Duca
                                                                              - Marchese
                                                                              - Conte
                                                                               - Visconte
                                                                               - Barone
                                                                               - Baronetto
    
    Ebbene, mie care lettrici, eccomi arrivata col primo capitolo. Un pò lunghino, lo so, ma la presentazione di tutti i caratteri richiede tempo ed accuratezza, e questo porta via anche lo spazio nella pagina.
    Tra l'altro, le descrizioni sono comunque molto superficiali, quindi non ho saputo fare di meglio.
    spero che, nonstante la lunghezza, il capitolo sia stato gradito lo stesso.
    Come vedete qui i personaggi della serie sono più maturi e cresciuti: Bright e Shade hanno ventitrè anni, mentre Fine e Rein, assieme a Lione ed Altezza, ne hanno ventuno.
    Tio, sebbene non sia comparso nel racconto, è bene specificarlo, ha diciott'anni, quasi diciannove.
    Ho pensato che, volendo cimentarmi in un tema complesso ambientato in un'affascinante epoca, i personaggi dovessero essere più grandi rispetto a come lo sono nell'anime e nel manga.
    Spero solo di non averli guastati troppo.
    Siamo solo all'inizio della narrazione, il ello deve ancora venire... credo che ormai chi mi conosce bene sa che amo inserire i colpi di scena quando il lettore meno se lo aspetta, perciò, se avete trovato  questo inizio un pò noioso, spero di risollevarvi con la lettura dei prossimi capitoli.
    Ringrazio delle meravigliose recensioni che alcune di voi mi hanno lasciato, e chiunque abbia il coraggio di prendere in considerazione la fic.
    Non mi resta che darvi appuntamento alla prossima settimana.
    Un bacio
  
_BlueLady_  (Vale)
 

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Capitolo 3
*** II ***


CAPITOLO 2 ~
 
Per tutta la durata delle danze non rivolse i suoi pensieri a nessuno se non all’affascinante straniero che era appena giunto in sala.
Mentre si muoveva leggiadra tra le coppie di ballerini, senza prestare attenzione alle parole del fratello di Lione nonché suo partner di ballo, volgeva più volte gli occhi intorno alla ricerca dell’insolita comitiva.
A un lato della sala riconobbe la duchessa che osservava con fare altezzoso la folla danzante e che sussurrava ogni tanto all’orecchio del bel visconte parole alle quali lui asseriva lievemente col capo.
Poi i due smeraldi si rimettevano a scrutare la folla, accompagnati da un paio di occhi bui.
Presa com’era dall’osservarli, non si rese nemmeno conto che la danza era terminata e già un altro cavaliere le stava chiedendo la disponibilità per il ballo successivo.
Rein si riscosse dalle sue meditazioni e, dopo aver assicurato la sua partecipazione alla prossima danza, si guardò intorno in cerca della sorella. Aveva bisogno di distrarsi da quell’atmosfera tesa che le sembrava di respirare da quando il giovane visconte aveva fatto il suo ingresso in sala.
Di Fine non c’era traccia.
Cercò un segno della sua presenza in ogni angolo della sala, ma senza risultato. Solamente quando riconobbe l’inconfondibile riflesso dei suoi capelli rosso fuoco, e distinse la sagoma della sorella accanto ad un tavolo ricco di prelibatezze di ogni tipo poté tirare un sospiro di sollievo che nemmeno lei seppe spiegarsi.
Sorrise: avrebbe dovuto immaginarlo che si trovasse lì, del resto Fine adorava abbuffarsi delle specialità della casa… eppure a Rein non sembrò tanto presa da ciò che le stava intorno.
Anzi, la sorella nemmeno aveva fatto caso al cibo: rideva e chiacchierava animatamente, ed era in dolce compagnia.
Un giovane dai capelli dorati si stava intrattenendo assieme a lei, e i due sembravano proprio andare d’amore e d’accordo. Rein volle avvicinarsi per vedere chi fosse il misterioso gentiluomo che era riuscito a catturare l’interesse di sua sorella tanto da farle dimenticare anche solo per qualche minuto il suo stomaco, e, quando si rese conto di chi fosse, allibì pietrificandosi all’istante.
Impossibile, era proprio lui!
Il Cavaliere!
Rein osservò incredula il duca baciarle la mano e invitarla a prendere parte alle danze con lui. Fine nascose leggermente il viso arrossendo un poco, e accettò di buon grado l’offerta.
I due si diressero al centro della sala e si disposero l’una di fronte all’altro in attesa dell’inizio delle danze, guardandosi. Rein colse un velo di imbarazzo negli occhi di entrambi.
- A quanto pare tua sorella si è data subito da fare, eh?-
La turchina si voltò di soprassalto in direzione di chi aveva parlato – Lione!- esclamò all’amica – Anche tu sei scioccata quanto me?-
L’amica ridacchiò:- L’atteggiamento di tua sorella devo ammettere che mi ha stupito molto, non la facevo così intraprendente! E si che, tra le due, pareva fosse quella più timida e riservata!-
- Lo credevo anch’io! - ribatté Rein in risposta – E non è tutto!- esclamò Lione – Fine sta già facendo parlare tutta quanta la sala di sé. E' già la seconda volta che il duca Bright la invita a ballare -
Mentre l’amica parlava Rein volgeva lo sguardo nuovamente all’allegra coppia: parevano così in sintonia l’una con l’altro, i loro occhi brillavano di contentezza.
- Beh, dato che tua sorella si è già data da fare, credo che sia arrivato il momento buono anche per te- esclamò Lione con volto raggiante. La turchina si volse ad osservarla perplessa.
– Andiamo a conoscere i nuovi ospiti!- esclamò quella conducendola lontano dalla ressa, diretta verso gli illustri ospiti, senza neanche darle il tempo di protestare.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

- Ah, queste feste da provinciali sono di una noia mortale, non trovi anche tu Shade?- domandò la duchessa sventolando il ventaglio nella sua direzione.
Il visconte non le fece caso.
Era troppo impegnato a studiare gli ospiti partecipanti alla serata per tenere a bada i discorsi della duchessa.
- Non vedo quale differenza ci sia dai balli che frequentate quando siete in città, duchessa- le rispose incurantemente – Non gradite la compagnia forse? –
- Al contrario, la compagnia è ottima, e i coniugi Mera sono due persone deliziose. Solo rimpiango l’eleganza dei salotti cittadini, con i loro arredamenti sontuosi. Qui è tutto molto più scialbo e insignificante…- sospirò quella.
- Non è un buon motivo per disprezzare questo genere di balli.- disse lui tenendo gli occhi fissi sulla folla.
- Ma nemmeno per amarli - ribadì quella, volgendogli un’occhiata d’intesa - Ripetimi perché siamo venuti qui – gli disse poi, facendo scintillare i suoi occhi verdi.
Il visconte sbuffò: - Lo sapete benissimo il perché - rispose.
La Dea lo guardò con rimprovero:- Non mi vorrai far credere che gli affari tanto importanti per i quali hai tanta apprensione riguardano occasioni come queste!- esclamò incredula.
Il visconte alzò le spalle - Perché non dovrebbero? – domandò.
La duchessa fece altrettanto – Stento a credere che una persona d’alto rango come lo sei tu frequenti questo genere di compagnie - borbottò.
- Eppure, siete qui anche voi - le disse quello in risposta.
La duchessa scoppiò a ridere - Io sono qui perché mi ci avete condotta tu e mio fratello senza darmi la possibilità di esprimere il mio dissenso- disse acida.
- Lo sapete il motivo per cui non possiamo permetterci di lasciarvi sola.- rispose lui serio.
- Come se non sapessi badare a me stessa! Siete stati voi a coinvolgermi nella questione, io nemmeno ci volevo entrare. E smettila di darmi del voi. Mi parli come se non ci conoscessimo affatto.- si irritò lei.
- Davvero credete di conoscermi così bene?- chiese quello, senza mutare l’espressione seria sul suo viso.
La duchessa abbassò lo sguardo:- Ti conosco quanto basta.- rispose.
La musica di sottofondo cambiò, i due videro le coppie di ballerini volteggiare un’ultima volta prima di cimentarsi in un’allegra marcia.
- Bah - sbuffò la duchessa tornando a contemplare la folla - qui l’unico che sembra divertirsi è Bright - e osservò il fratello che danzava allegramente con una fanciulla dai capelli rossi.
Non le era mai sembrato così felice come in quel momento.
- E’ la seconda volta che vostro fratello danza con quella ragazza- esclamò il visconte ad un tratto, volgendo i suoi occhi blu su di lei. La Dea sorrise:- Evidentemente ha trovato chi ha saputo intrattenerlo- rispose.
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo tempestivo di due fanciulle, di cui una parve alquanto familiare al visconte.
Le due giunsero da loro, l’una sfoggiando un enorme sorriso, l’altra osservandosi intorno impacciata, come se non sapesse il motivo per cui si trovasse lì. Entrambe si inchinarono non appena si trovarono esattamente di fronte a loro.
- Visconte, duchessa - fece una delle due, quella più vicina - è un piacere e un onore per me avervi ospiti nella mia umile dimora.- concluse Lione, chinando il capo in segno di rispetto.
Il visconte la osservò senza battere ciglio – Oh, voi dovete essere la signorina Mera, la padroncina di questa bella villa! - esclamò invece la duchessa con una nota di ilarità nella voce.
Lione tirò su il capo per poterla osservare negli occhi:- Si, esatto sono io. Mi scuso per non essermi presentata prima, ma dato che i miei genitori avete già avuto il piacere di conoscerli ho voluto cogliere l’occasione per presentarvi una mia cara amica.- e si scostò leggermente per far spazio alla ragazza che le stava dietro e che si osservava intorno timidamente – Duchessa, ho il piacere di presentarvi Rein Sunrise, della famiglia Sunrise. Vieni, Rein, fatti conoscere dai nostri ospiti!- e la invitò a prendere parte alla conversazione.
Non appena udì il suo nome, gli occhi del visconte si posarono su di lei con interesse, e Rein si irrigidì involontariamente, sotto l’azione di quello sguardo magnetico.
Non l’aveva dimenticata la sensazione di poco fa.
Istintivamente, quasi come per infastidirla, il cuore riprese a trepidarle fastidiosamente in petto per un motivo che neanche lei conosceva.
Si inchinò di fronte ai due a testa bassa:- Molto piacere - disse infine, mantenendo un atteggiamento serio e composto - lieta di avervi qui tra noi.- e alzò lo sguardo, incontrando inevitabilmente quello del visconte.
Ebbe un tuffo al cuore non appena re incrociò le sue iridi scure, e le venne da domandarsi se anche lui stesse provando la sua stessa, inspiegabile emozione nell’osservarla.
Gli occhi del visconte non lasciavano trapelare alcuna emozione, si limitavano a specchiarsi in quelli di Rein, inoltrandosi prepotentemente all’interno e leggendole i suoi pensieri più nascosti.
La turchina dannò sé stessa e la sua odiosa suscettibilità che mai, prima di allora, l’aveva tradita così spudoratamente.
Fu costretta a distogliere lo sguardo da quell’ospite troppo affascinante, se desiderava tenersi ancora per sé almeno qualcuna delle sue emozioni più nascoste.
Il visconte, invece, non si scompose minimamente.
Si limitò ad osservare i suoi movimenti impacciati senza battere ciglio, dimentico dell’intesa che sembrava esserci stata prima con la turchina.
- Sunrise, eh?- esclamò la Dea osservandola con interesse – Siete per caso la sorella della fanciulla con cui sta danzando mio fratello?-
Le parole della duchessa la riscossero dai suoi ragionamenti.
Immediatamente volse gli occhi alla coppia che era ancora intrappolata a danzare, soggiogata al fascino che la musica sapeva loro donare.
- Si - rispose Rein, tornando a fissarla - Fine è mia sorella gemella.-
- Gemella, addirittura! Già, ora che vi guardo bene, voi due vi assomigliate molto, siete praticamente identiche! Non trovi anche tu, Shade?- chiese quella facendo un rapido cenno col ventaglio.
Le tre giovani donne si volsero verso il giovane che ancora manteneva la sua aria superiore:- A dire il vero - disse - non ci ho nemmeno fatto caso. Non è mia abitudine impicciarmi nei legami di parentela altrui-
Quella risposta così fredda e distaccata delineò subito il tipo di carattere con il quale Rein avrebbe dovuto avere a che fare.
- Suvvia, stavo solamente facendo un’osservazione. Non intendevo certo essere indiscreta.- si lamentò la duchessa, imbronciandosi.
- Oh, non lo siete stata affatto, duchessa.- si affrettò a rispondere la turchina, tentando ancora una volta di placare la sua ossessione per il giovane – Anzi, se ci permettete di dirlo, avete un incredibile spirito d’osservazione – aggiunse Lione, includendo anche Rein in quello che pareva essere un tentativo di acquistarsi la simpatia della duchessa in un modo altamente sfacciato.
La bocca della Dea si inarcò in un sorriso:- Spirito di osservazione? No… Il mio è un pessimo spirito d’osservazione, credetemi. Diciamo solo che, quando si tratta di mio fratello, i miei sensi si fanno più attenti, ecco tutto.-
Lione e Rein si scambiarono uno sguardo perplesso.
– Vi tratterrete qui molto?- domandò poi Lione, tentando di fare della conversazione.
- Il tempo necessario perché Shade e mio fratello concludano alcuni importanti affari lasciati in sospeso- fu la risposta.
Nell’udire quella frase, a Rein parve il momento buono per agire.
Scavò negli antri più profondi del suo cuore nel tentativo di ritrovare tutto il coraggio che aveva momentaneamente perduto e poi, quasi senza accorgersene, parlò.
- Siete un uomo d’affari, visconte?- gli domandò, quasi spaventandosi della sua voce.
Il giovane quasi si sorprese che gli avesse rivolto la parola.
Sgranò impercettibilmente gli occhi, nascondendo la sua incredulità dietro ad una maschera di finto orgoglio.
Il suo atteggiamento superbo e schivo non mostrava certo un carattere affabile, eppure quella fanciulla aveva voluto azzardare lo stesso.
Chiunque tentasse tanto doveva essere senza dubbio dotato di un carattere forte e impavido…
Non per questo, però, si sentì in dovere di ammirarla.
Anzi, per quanto i modi della fanciulla fossero predisposti a conoscerlo meglio, e forse allettavano anche lui ad una più profonda conoscenza, egli tentò immediatamente di imporre una barriera tra sé e quella che giudicava essere una giovane un po’ troppo intraprendente.
Si sentì in dovere di mantenere le distanze.
– Mi costringono a farlo.- fu la sua unica risposta, pronunciata sotto quell’atteggiamento fiero e superbo che non cessava di mostrare a sé stesso e agli altri.
Rein non si lasciò intimidire per così poco.
Aveva avuto a che fare con personalità introverse fin da bambina, sua sorella Fine per prima.
Inoltre, le era parso di cogliere negli occhi del visconte un segno impercettibile di cedimento, una volontà celata di rompere quella barriera che si frapponeva fra loro, per attraversare il vuoto che li separava. Per questo motivo la risposta del visconte, invece che indurla al totale disinteressamento, la spronò a continuare la conversazione.
- Se non amate questo genere di attività, come preferite passare il vostro tempo libero, dunque? Qual è la vostra vera natura?- domandò ancora, facendosi più intraprendente.
Quelle parole gli scrosciarono addosso facendolo sussultare come un’improvvisa secchiata di acqua gelida in viso.
Nell’udirla, i suoi occhi gelidi si posarono su di lei in uno sguardo stupito e perplesso al tempo stesso - Non vi state spingendo un po’ troppo oltre?- le rispose dopo un breve minuto di silenzio - Ci conosciamo solamente da pochi minuti, in fondo.- disse.
- Perdonatemi, la mia voleva essere un’innocente domanda tanto per fare conversazione.- si difese prontamente la turchina.
Gli occhi del visconte si ri posarono veloci sulla folla, distinguendo finalmente tra gli invitati coloro per i quali lui e il duca erano giunti fin lì: un barlume di salvezza contro quella che stava diventando una conversazione troppo opprimente, per i suoi gusti.
Trasalì all’istante: doveva avvertire immediatamente Bright del loro arrivo.
- Temo allora che dovrete affrettarvi a cambiare argomento, perché non credo vi sarà molto da conversare sul mio conto.- si affrettò a rispondere alle fanciulle, ignorando completamente l’ultima uscita di Rein - Ora scusatemi, vi devo lasciare. Ho una questione urgente da discutere con il duca Bright. Con permesso -
Dette queste ultime parole, lasciò le tre giovani per dirigersi al centro della sala e recuperare l’amico, prima che fosse troppo tardi.
Rein lo osservò andarsene piuttosto delusa: quel modo di rispondere così freddo e distaccato non le era piaciuto affatto.
Non giudicava la sua domanda essere stata tanto offensiva da provocare un simile distacco.
- Perdonate la sua freddezza, è un difetto del suo carattere- disse la Dea quasi come se conoscesse i pensieri che affollavano la mente di Rein in quell’istante – Non intendeva essere scortese, né tantomeno offendervi. Diventa piuttosto irascibile quando gli si chiede qualcosa sul suo conto, è un uomo di poche parole e odia sprecarle per dover parlare di sé -
- Così facendo, come può pretendere che la gente lo conosca e lo appezzi per quello che è?- chiese Rein, osservandolo da lontano mentre una morsa di delusione le attanagliava il cuore.
La bocca della Dea si inarcò in un altro sorriso:- Se tutti lo conoscessero per chi è veramente, dubito che farebbe la differenza…- 



Angolo Autrice:

Ed eccomi qui, con l'aggiornamento di inizio settimana.
Come vedete, i fatti cominciano a delinearsi per bene, e la figura misteriosa del visconte sta venendo sempre più a galla...
Ma cosa centreranno Bright e Altezza in tutto questo? E chi sono le persone tanto attese che hanno così urgenza di trovare?
Credo che se vi rispondessi non ci sarebbe più la storia, quindi vi lascio nel dubbio (come adoro fare di solito).
Noto con piacere che le lettrici della fic sono tante, e questo non può che rallegrarmi :)
Ringrazio tutte voi delle splendide recensioni che mi lasciate, sapere il vostro parere è tutto.
Spero che lo stile di scrittura rispecchi ancora quello ottocentesco, ce la sto mettendo tutta per cercare di farlo aderire bene a quel tipo di lunguaggio, ma non so se ci sono riuscita.
Dunque, vi lascio ancora una volta, in attesa dell'aggiornamento futuro.
Ringrazio anche chiunque mette la storia tra le preferite o le seguite, e cgiunque si degni di darle anche solo uno sguardo.
Come ho già detto, il vostro parere è importante e se qualcuno di voi ci tiene a farmelo sapere, ben venga.
Non mi resta che darvi appuntamento al prossimo capitolo.
Un bacio

_BlueLady_

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Capitolo 4
*** III ***


CAPITOLO 3 ~
 
- Duca, posso parlarvi un attimo… in privato?- domandò Shade tirando a sé l’amico e interrompendolo dal conversare con la leggiadra fanciulla che gli stava dinnanzi. Il duca lo osservò per un istante:- Shade, amico mio, finalmente ti vedo gettarti nella mischia! Vuoi prendere parte alle danze anche tu?- domandò, inarcando la bocca in un sorriso.
La ragazza che chiacchierava con lui lo osservò incuriosita – Veramente no- rispose freddo il visconte – Lo sapete che non amo questo genere di cose. Ma vorrei parlarvi di una questione importante, mi duole interrompere il vostro divertimento così all’improvviso.-
Il Cavaliere sorrise:- Non possiamo rimandare a più tardi, magari a dopo la festa? Ora come vedi sono impegnato – e accennò con uno sguardo a Fine che ascoltava sempre più incuriosita il discorso tra i due.
- Temo proprio di no - ribatté Shade in risposta – E’ una questione importante - ripeté, fissandolo negli occhi.
Il duca stette per un momento a fissarlo – D’accordo, arrivo subito- disse in un sospiro, recependo il messaggio – Mi duole moltissimo lasciarvi, signorina Fine. Sono stato proprio bene in vostra compagnia-
- Non preoccupatevi, capisco benissimo il motivo- gli disse la rossa timidamente.
- Spero di rivedervi presto e avere un’altra occasione per conversare con voi-
- Anch’io spero vivamente ci rincontreremo, duca. Ho passato proprio una bella serata.- rispose Fine, le gote che si imporporavano un poco.
Il duca le sorrise, baciandole delicatamente la mano – A presto - le sussurrò, lasciandola per seguire il compagno.
Fine lo osservò andarsene sospirando, lo sguardo perso nel vuoto a fantasticare su un loro possibile incontro futuro.
- Devo raccontare tutto a Rein!- esclamò poi eccitata, correndo in cerca della sorella.
La trovò in disparte in un angolo della grande sala, lo sguardo fisso sulla folla, assente.
Non immaginava certo la delusione che la turchina aveva ricevuto pochi istanti prima che il visconte venisse ad interrompere lei e il duca nelle loro danze!
Troppo occupata a tenere a bada la sua emozione, non si rese minimamente conto della nube di sconforto che affliggeva la sorella in quello stesso istante.
La bocca della rossa si inarcò in un sorriso:- Rein!- la chiamò, correndole in contro. La sorella si voltò nella sua direzione – Fine…- mormorò, nascondendo il suo malumore dietro a un sorriso forzato.
Fine le si gettò al collo:- Rein, non indovinerai mai con chi ho avuto il piacere e l’onore di ballare questa sera!- diceva tutta eccitata.
Rein ridacchiò:- C’entra per caso il bel Cavaliere dallo sguardo seducente?-
- Come fai a saperlo?- domandò la sorella sbigottita.
La turchina rise:- Diciamo che non sei passata tanto inosservata. Non è da tutte ballare per due volte di fila con l’uomo più ricco e prestigioso di tutto il salone…-
Fine arrossì lievemente:- Davvero ho suscitato così tanti pettegolezzi? Oh, che vergogna, adesso penseranno che sono una che ama lasciar parlare di sé - si lamentò.
- Suvvia, non farne un dramma, la gente spettegola solo per invidia. L’importante è che tu ti sia divertita. Perché ti sei divertita, vero?- le disse Rein, con uno sguardo indagatore in volto.
Fine si ammutolì per qualche minuto prima di esplodere in un urlo euforico e raccontare tutti i dettagli della serata alla sorella.
Rein la ascoltava attentamente, felice di constatare che il bel duca avesse fatto breccia nel cuore della gemella.
Se non altro, almeno ad una delle due la serata era stata di grande auspicio. 
Bastava vedere come le si illuminassero gli occhi nel pronunciare il suo nome per capire che Fine nutriva qualcosa di più di una semplice ammirazione per il Cavaliere.
- Sono tanto felice per te, Fine!- esclamò la turchina abbracciandola e lasciando completamente da parte il suo orgoglio ferito.
- E così, vi siete infatuata del duca Tinselpearl, eh?-
Una voce alle loro spalle le interruppe improvvisamente. Le due trasalirono spaventate.
Non appena si voltarono per vedere chi fosse il maleducato che si permetteva di introdursi così in malo modo nella conversazione – Oh, perdonatemi - esclamò una donna dai capelli morbidi e riccioluti di un verde acqua brillante - non intendevo certo essere indiscreta. Non pensate che io mi diverta ad origliare le conversazioni altrui, non è nel mio stile - dischiuse le labbra in un sorriso - E' solo che tutta quanta la sala sta parlando di voi e del duca Bright – disse rivolta a Fine - siete piuttosto famosa, sapete?-
Fine la osservò piuttosto perplessa:- E voi chi siete?- domandò, con una nota di acidità nella voce.
La giovane donna indossava uno sfarzoso abito a pois pieno di pizzi ovunque, e presso la scollatura portava un enorme gioiello a goccia d’acqua incastonato in una cornice dorata. All’indice portava un pesante anello di diamante, che si accoppiava perfettamente agli orecchini di perla. I capelli erano tenuti legati da una catenina dalla quale pendevano piccole file di perle brillanti.
Sorrise alle parole di Fine:- Che maleducata, non mi sono neanche presentata. Sono Sophie Windsworth - disse facendo un lieve cenno col capo - e quest’uomo che vedete qui alla mia destra è Auler Windsworth, mio fratello maggiore - continuò, scostandosi leggermente di modo che un giovane alto, elegante, coi capelli verde scuro che gli sfioravano a malapena le spalle si facesse avanti per baciare la mano delle due fanciulle, che erano rimaste allibite a guardarlo.
- Molto piacere - sussurrò quello con un sorriso, inchinandosi un poco.
Rein notò che portava al polso un bracciale dorato dotato di un prezioso smeraldo al centro, appesi all’abito due gemelli del medesimo materiale.
Dal taschino della giacca poteva intravedere la catenella di un orologio in oro.
Non c’era dubbio: quel tipo di abbigliamento che non ammetteva eguali poteva appartenere solamente a due persone di alto rango come loro.
- Siete Sophie e Auler Windsworth, i marchesi?- domandò loro.
I due annuirono compiaciuti – Ora vi prego di scusarci - esclamò a un tratto la marchesa - ma non abbiamo ancora fatto la conoscenza degli ospiti d’onore. Sarebbe un vero peccato non cogliere quest’unica occasione. Con permesso -
Detto questo, dopo aver fatto un lieve inchino alle due fanciulle e aver aspettato che il fratello baciasse nuovamente loro la mano in segno di saluto, i due si avviarono verso l’angolo della sala dove sedeva la Dea in solitudine.
Fine e Rein si osservarono allibite per un istante - Li conosci?- domandò infine la rossa alla turchina con stupore.
Quella scosse la testa:- Solo di nome. Me ne parlò una volta Lione, lei sa sempre tutto riguardo i pettegolezzi dell’alta società-
- Credi che potrebbe dirci qualcosa in più su questi strani individui? Mi hanno lasciata una strana curiosità addosso…- disse Fine osservando i due fratelli da lontano.
Rein annuì:- Andiamo da Lione, allora - rispose.
 
- Si, li conosco. Mamma e papà hanno ritenuto necessaria anche la loro presenza, data l’importanza degli ospiti che sono presenti questa sera - rispose loro Lione dopo che le ebbero chiesto se sapeva con precisione chi fossero.
- Mi avevi detto che non amavano partecipare a queste feste provinciali- esclamò Rein osservandola perplessa – Oh, lo so, difatti la cosa ha stupito anche me - rispose Lione - Eravamo tutti convinti che non sarebbero venuti, data la loro particolare avversione per questo genere di cose. Ma quando la marchesa ha chiesto degli altri invitati e ha saputo della partecipazione dei fratelli Tinselpearl, ha voluto a tutti i costi accettare l’invito.-
- Ha chiesto degli altri invitati? Perché mai?- domandò Fine.
Lione scosse la testa:- Forse voleva accertarsi che gli ospiti fossero di un certo rango come le era stato detto. Del resto, chi non conosce in tutta la contea la ricchezza dei duchi Tinselpearl?-
- Sono addirittura più ricchi dei due marchesi? Non si direbbe, data la sobrietà del loro vestire…- osservò Rein.
- Mai giudicare dalle apparenze. Solo perché i Windsworth amano sfoggiare i loro gioielli a differenza dei Tinselpearl, non significa per forza che debbano essere più ricchi di loro. La marchesa odia doversi sentire subordinata a qualcuno, per questo tenta di dimostrare la sua superiorità tramite anelli e gioielli -
Le parole di Lione furono interrotte dalla fragorosa risata della marchesa, che sembrava aver avuto finalmente l’onore di conoscere la duchessa, e ora stava intrattenendo una piacevole conversazione assieme a lei.
- Chissà dove è andato a finire il mio duca, assieme a quello strano visconte…- sospirò Fine a un tratto, guardandosi intorno rassegnata - Ha lasciato sua sorella tutta sola, in balia delle stranezze della marchesa…-
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

La festa stava cominciando ad essere un po’ troppo opprimente per i suoi gusti, pertanto decise di assentarsi un attimo e andarsi a nascondere in un luogo isolato in cerca di un po’ di pace e tranquillità.
Si rifugiò in un angolo del giardino, sicura che in quel luogo nessuno la sarebbe venuta a cercare, tantomeno sua sorella.
Non appena ebbe abbandonato la festa, si voltò indietro ad osservare l’immensa villa ancora illuminata dalla quale proveniva il fragoroso vociare degli invitati, e tirò un sospiro di sollievo.
Aveva bisogno di tempo per riflettere.
Finora la serata era stata senza esclusione di colpi di scena: non uno, non due, ma ben cinque personaggi illustrissimi erano stati presenti, e lei aveva avuto l’occasione di conoscerne solamente due e neanche così bene.
La Dea non sembrava tanto capricciosa come gliel’avevano descritta, anzi, le aveva fatto subito una buona impressione.
Non si poteva però dire la stessa cosa del Principe, come si faceva chiamare.
Quando il suo pensiero si spostò su di lui, non poté fare a meno di rabbuiarsi, al pensare a come l’aveva trattata, con quanto poco riguardo le aveva parlato.
Ma per chi l’aveva presa?
Certo, lei non era di origini prestigiose quanto lui, ma quello non era un buon motivo per trattarla come una serva qualunque.
Se prima poteva sperare di interessargli almeno un poco, dopo la loro conversazione aveva perso ogni speranza.
Il visconte era stato scortese, arrogante e presuntuoso.
Un vero villano.
E lei, nonostante tutto, ci era cascata come un’ ingenua.
“ Accidenti a me e alla mia inguaribile tendenza a illudermi ” si disse.
Poi ripensò, invece, alla fortuna di sua sorella che sembrava averla assistita parecchio, quella sera.
Danzare con il Cavaliere… Rein non riusciva ad immaginare una fortuna più immensa.
Anche lei avrebbe voluto poter strappare un ballo all’affascinante Principe, se solo ne avesse avuta l’occasione…
Tralasciando il fatto che era già il promesso sposo della duchessa, un ballo non sarebbe di certo stato la fine del mondo.
…Però il visconte non sembrava avere la benché minima intenzione di danzare, era un giovane piuttosto freddo e distaccato.
Forse era proprio quella sua aria tenebrosa ad affascinarla tanto.
- Hai fatto bene ad avvisarmi del loro arrivo, Shade, per questo ti perdono di avermi interrotto così bruscamente dalla conversazione con quella splendida fanciulla - esclamò una voce poco distante da lei che la fece trasalire.
- Ho fatto solo il mio dovere, Bright, lo sai che non perdo mai di vista le cose importanti - rispose una voce più cupa e profonda.
Rein si tirò su dal posto in cui si era seduta, e sbirciò intorno per vedere chi fosse a parlare.
Distinse due sagome nell’oscurità, le sagome di due uomini che stavano conversando animatamente tra loro.
Sussultò non appena li riconobbe: Il Cavaliere e il Principe.
Silenziosamente e facendo attenzione a non farsi scoprire, si avvicinò per poter ascoltare meglio.
Non era molto educato origliare le conversazioni degli altri, lo sapeva bene… se sua madre l’avesse vista in quel momento, chissà che putiferio avrebbe scatenato…
Ma in quel momento Elsa non c’era, e Rein stava decisamente passando uno dei suoi momenti no per l’educazione aristocratica, perciò ascoltò lo stesso quello che avevano da dirsi.
- So benissimo quanto tu sia serio e rigoroso, Shade - disse il duca con un sorriso - e ti ringrazio per avermi reso partecipe dell’accaduto. Spero almeno di potermi rivelare un discreto consulente e un compagno fidato. -
- Sono certo che non mi deluderai, Bright. Sapevo di poter contare sul tuo aiuto.-
- Tuttavia, perdona la mia insolenza nel di dirti ciò, ma temo che il troppo lavoro possa nuocerti alla salute. Distraiti un po’, adesso che hai l’occasione di farlo: la sala è piena di tante fanciulle meravigliose! Danza con una di loro, offrile qualcosa da bere… sono sicuro che Altezza non se la prenderà poi più di tanto -
- Non devi preoccuparti per me, Bright, tenere compagnia a tua sorella non mi dispiace affatto. Sa essere un’ottima compagnia, quando non è presa dai suoi capricci…- rispose il visconte in tono pacato.
- Che mia sorella è un’ottima intrattenitrice lo so anche io. Solo, mi piacerebbe vederti conversare anche con qualcun’altra ragazza della sala. Dimmi, non c’è proprio nessuna che abbia attirato la tua attenzione? Qualcuna che sia degna di un invito a ballare?- gli chiese il duca con sguardo indagatore.
Nel sentire quelle ultime parole, l’udito di Rein si fece improvvisamente più attento.
Chissà se la fortuna cominciava a girare un po’ dalla sua parte…
- Davvero, posso dirti che l’unica ragazza con cui valga la pena di ballare te la sei già presa tu- rispose il visconte con estrema serietà.
Il duca sospirò:- Ah, Fine è la fanciulla più leggiadra e delicata che abbia mai avuto l’occasione di conoscere, un autentico fiore in boccio - disse, mentre il suo sguardo assumeva un tono languido e sognante - Ma non mi dirai che non hai notato nessun’altra ragazza in tutta la sala! Ci dev’essere qualcuna che abbia catturato la tua attenzione, almeno una! Ho sentito che hai avuto il piacere di conoscere la gemella di Fine… com’è? Dicono sia bella quanto la sorella, se non di più. Dimmi: è vero? Come ti è sembrata?-
Il cuore di Rein prese a martellarle nel petto, tanto che la fanciulla temeva potessero udirlo ed essere così scoperta.
- Hai ragione - disse a un tratto il visconte, dopo una breve pausa di riflessione - Rein Sunrise è senza dubbio, assieme a sua sorella, una delle fanciulle più belle che abbia mai avuto l’occasione di incontrare.- disse all’amico.
Rein non poté fare a meno di sorridere, tentando in ogni modo di trattenere l’entusiasmo.
Forse c’era ancora qualche speranza, dopotutto…
- Tuttavia - riprese quello dopo un’altra breve pausa - la bellezza è poca cosa, se si tiene conto della sua fugacità. Non ho il tempo per permettermi delle distrazioni, Bright, e, anche se avessi tutto il tempo del mondo, sono certo che in ogni caso la fanciulla non sarebbe cosìtanto bella da potermi tentare. Lo sai in che posizione sociale sono. Ora come ora, date le mie condizioni, quella fanciulla non potrà mai trovarsi a proprio agio in un mondo che non le appartiene. Rischierei solo di farla sentire fuori luogo e di esporla ai rischi che questa vita implica di affrontare.-
Nel sentirgli pronunciare quelle parole, il suo cuore mancò di un battito.
La ferita d’orgoglio che l’atteggiamento del visconte le aveva inflitto in precedenza, e che era stata rimarginata dalle sue stesse parole, tornò a bruciarle in petto.
Deglutì a fatica, cercando di ricacciare dentro gli occhi lacrime capricciose che tentavano di sfuggire al suo controllo.
Si indignò profondamente.
Cosa voleva dire che non si sarebbe mai sentita a proprio agio in una condizione sociale come la sua? Non la credeva capace di affrontare la vita aristocratica come invece faceva la sua promessa sposa, forse?
- Sei troppo severo con te stesso, Shade - gli rispose il duca, posandogli amichevolmente una mano sulla spalla - a volte esigi troppo dalle tue capacità -
- Cerco solo di fare in modo che la mia vita sentimentale non interferisca con i miei doveri. Se quella ragazza dovesse scoprire chi sono in realtà, dubito che riuscirei a non farmi coinvolgere più di quanto non sia necessario. Meglio lasciare le cose come stanno. Come ti ho già detto, non voglio distrazioni che intralcino il mio lavoro.-
Distrazione…l’aveva definita una distrazione.
Basta, aveva sentito anche troppo.
Offesa nell’orgoglio e profondamente in collera con sé stessa per la sua dannata curiosità, si alzò cautamente da terra, facendo attenzione a non essere scoperta, e si avviò impetuosamente verso la festa, gli occhi pungenti di rabbia e di rammarico.
I due uomini non si accorsero della sua presenza, sebbene fosse da quando avevano cominciato quella conversazione che al visconte pareva di essere costantemente osservato.
Ma quando si avvicinò al cespuglio in cui poco prima la turchina si era nascosta, non trovandovi nessuno, diede la colpa di quell’allucinazione ai suoi nervi troppo tesi.  



Angolo Autrice:

Chiedo umilmente perdono per aver aggiornato con un giorno di ritardo.
Gli impegni scolastici iniziano a farsi sentire... D:
Comunque, ritornando alla fic, ecco che compaiono altri due personaggi a noi noti: Auler e Sophie, i marchesi di Windsworth.
All'inizio appaiono come personaggi piuttosto misteriosi, e vi avverto subito: il caratere di Sophie sarà moooolto OOC, ma spero lo gradiate lo stesso.
Per quanto riguarda la conversazione tra Bright e Shade, non credo che Rein ne sia rimasta molto soddisfatta... il nostro visconte è stato molto duro con lei ma, capiamolo, ognuno ha i suoi piccoli problemi da risolvere...
Ora che la turchina sa che cosa pensa realmente Shade di lei, come credete che reagirà?
Lascerà perdere, giudicando il suo un amore senza speranza?
Come al solito, ringrazio tutti coloro che seguono la fic.
Vedere quanti di voi recensiscono e quante visite riceve ogni capitolo mi rende davvero felice.
Spero solo di non perdere i miei lettori nel corso della storia...
Detto questo, vi lascio in balia dei vostri dubbi che, in parte, vi verranno risolti la prossima settimana.
Un saluto a tutti!

_BlueLady_

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Capitolo 5
*** IV ***


CAPITOLO 4 ~
 
- Che festa meravigliosa è stata quella di ieri sera, non trovi anche tu, Auler?- domandò la marchesa al fratello con fare sarcastico.
- Parli così solamente perché nessuno ti ha accolta con le onoranze che meriti- osservò quello sorseggiando una tazza di tè comodamente seduto sul divanetto del piccolo, ma sontuoso salottino.
La marchesa si rabbuiò:- Quei maleducati! Non conoscono un minimo di buone maniere. Annunciare la duchessa, e non annunciare me. Che villani! Non lo ritengo per niente giusto- si lamentò.
Il marchese continuò a sorseggiare imperterrito la sua tazza di tè:- E’ invidia quella che sembra tu voglia esprimere, oppure è solo un enorme senso di sdegno?- la canzonò.
- Non sei spiritoso, Auler - gli disse irritata - Come se non fosse già abbastanza umiliante sentirsi mancare di rispetto dagli altri!-
- Tu ti preoccupi troppo - le rispose il fratello poggiando la tazza ormai vuota sul tavolino davanti a lui – Preoccuparmi troppo, dici?- esclamò la marchesa indignata.
Il marchese si alzò con disinvoltura dal divanetto, dirigendosi verso l’ampia vetrata che dava sul cortile:- Chi ti dice che lui fosse presente al ballo di ieri sera?- domandò pensieroso.
La marchesa osservò con sdegno la tazza di porcellana avidamente consumata dal fratello - Non abbiamo notato alcuna traccia della sua presenza, in fondo…- continuò quello, voltandosi e fissando i suoi occhi blu su di lei.
La donna sostenne orgogliosamente lo sguardo:- Non ti è forse bastata la testimonianza dei presenti come conferma?- domandò acidamente.
- Tu ti fidi troppo delle testimonianze altrui…- mormorò il giovane in risposta con il suo solito fare canzonatorio.
La marchesa si inacidì ancora di più, non potendo soffrire i rimproveri del fratello:- La giovane donna con cui abbiamo conversato ieri ha dichiarato apertamente alla sorella di aver danzato con lui due volte, e la duchessa era presente alla festa. Non è forse sufficiente?- domandò in tono di sfida.
Il marchese si strinse nelle spalle:- Non è detto che assieme a lei ci fossero anche gli altri due - esordì, ambiguo.
La marchesa sbuffò esasperata:- Auler, dovunque si trovi Bright, vi è anche il visconte. E poi sono sicura di aver scorto la sorella di Fine Sunrise conversare con lui per un istante -
Auler ridacchiò tra sé e sé:- Già - mormorò pensoso - Rein e Fine Sunrise…-
La marchesa gli lanciò un’occhiata scettica.
- Curioso come non ti abbiano riconosciuta non appena ti sei presentata - la stuzzicò - ti hanno osservata come se fossi una perfetta estranea, peggio, una semplice aristocratica del luogo -
Sophie scosse piano la testa inarcando la bocca in un’espressione contrariata:- Cosa vuoi che ne sappiano due contadinelle come loro dei personaggi illustri che popolano l’alta aristocrazia?- esclamò.
- Eppure - continuò il fratello - pare che i Tinselpearl li conoscessero piuttosto bene…-
La marchesa tentò di ignorare con tutte le sue forze la ferita che continuava a bruciarle in petto, limitandosi a lanciare un’occhiata fulminante al fratello.
Lo odiava quando faceva leva sul suo orgoglio, contribuendo a ricordarle il suo scialbo destino.
- Ricorda che la nostra ricchezza non la dobbiamo alla nostra nobile origine. Non siamo di certo di sangue puro come il duca o il visconte…-
- Sta zitto!- gli urlò contro, dirigendosi con uno scatto fulmineo dalla parte opposta della stanza, la mano pesantemente appoggiata al volto, come a dover sorreggere un peso troppo grande impressole nella mente.
Puntò i suoi occhi oltremare in quelli del fratello, emettendo flebili sospiri nel tentativo di calmarsi.
- Sophie…- disse quello, tendendole timidamente la mano, conscio di aver parlato troppo.
La marchesa si scostò dal muro al quale si era appoggiata, riacquistando tutta la sua fermezza.
Ignorò totalmente la mano che il fratello le tendeva, passandogli accanto senza neanche sfiorarla.
- Un passo avanti lo abbiamo già fatto - mormorò, dandogli le spalle - La duchessa ci ha in simpatia, ci crede suoi amici… non sospetta minimamente di nulla -
Ti crede sua amica - la corresse fermamente il fratello non appena ebbe finito di pronunciare quelle poche parole – Ti ricordo che il compito di avvicinare la duchessa hai insistito incessantemente di volerlo adempiere tu. –
La marchesa non vece caso a quell’insignificante sottigliezza che il fratello le aveva fatto volutamente notare.
- E comunque…Credi che il duca non l’abbia avvisata riguardo a noi?- domandò poi il marchese, riconcentrando la sua attenzione sul discorso precedente.
La marchesa scosse la testa – Nemmeno Bright sa veramente chi è il nemico da cui deve difendersi…- disse, emettendo una flebile risata - Shade manipola bene i suoi confidenti, sa ciò che deve dire loro e ciò che deve tenersi per sé…-
- Dunque, come pensi di fare per avvicinarti a loro senza destare sospetti da parte del visconte?-
- Ho notato - disse la donna, voltandosi finalmente verso di lui – Ho notato che la Dea pare essere quella più all’oscuro di tutto. A differenza di Bright, non conosce nemmeno il motivo per cui deve tenersi alla larga dal socializzare con certi individui…-
Il marchese osservò la sorella afferrare un libro dalla libreria accanto -… Cosa intendi fare?- le domandò, scrutandola incuriosito.
La marchesa sorrise:- Ho intenzione di dare una festa in maschera a breve…- esordì compiaciuta - Una festa in maschera?- ripeté il marchese perplesso.
La donna annuì:- Una festa in maschera alla quale saranno invitati tutti gli aristocratici del luogo, compresi i duchi di Tinselpearl e il visconte di Moonville, ovvio -
- Temo di non capire…-
- Alla festa individueremo con facilità la duchessa di Tinselpearl, e sfrutteremo la sua ingenuità per poterci addentrare con facilità nelle amicizie del nemico, senza essere riconosciuti - 
Volse uno sguardo compiaciuto ad Auler, che trasalì, non appena comprese.
- Ci penserai tu ad adescarla…-
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

- Adescare?! Io non ho adescato proprio nessuno!- esclamò Fine indignata alla sorella non appena quella le ebbe detto ciò che le era stato riferito dalla madre.
- Non prendertela con me solamente per averti riferito ciò che mi ha comunicato nostra madre!- si difese prontamente la turchina.
La rossa cominciò a passeggiare nervosamente per la stanza – Vorrei tanto sapere chi può averle riferito questa assurdità…- comunicò con tono offeso.
Rein alzò le spalle, emettendo un flebile sospiro – Credi ancora che possa averglielo riferito qualcuno? Anche lei era presente alla festa, ieri sera. Sarebbe stato difficile non notarti mentre danzavi con il duca, dato che tutta quanta la sala stava parlando di te -
- Certo, ma tengo a precisare che non sono stata io la prima ad voler instaurare un rapporto con lui -
- Sai com’è fatta mamma: le basta vedere una delle sue amate figliole sistemate con un buon partito per renderla euforica -
Le parole che aveva pronunciato Rein sembrarono chetare la sorella che finalmente cessò di muoversi freneticamente per la stanza e si mise a sedere sul letto – Si è trattato solamente di un semplice ballo, niente di più…- annunciò in un sospiro – Due balli, per la precisione - puntualizzò Rein, sedendole accanto.
- Quello che voglio dire…- esordì Fine languidamente -… è che non voglio che si giunga a conclusioni troppo affrettate. Insomma, chissà a quanti altri balli avrà partecipato prima di questo, e con quante altre donne meravigliose, anche più belle di me, avrà avuto l’onore di ballare… io… sono solo una delle tante, ecco…-
Non ebbe il tempo di terminare la frase che una delle cameriere bussò alla porta, annunciando che aveva una lettera urgente da consegnarle.
Fu Rein a prendere in mano la lettera e a leggerla per prima sotto richiesta della sorella.
Non appena lesse ciò che vi era scritto, il volto le si illuminò di un sorriso radioso.
- Che c’è scritto? Chi ha inviato la lettera?- domandò Fine incuriosita, avvicinandosi alla sorella.
Rein abbassò il foglio per poter osservare la sorella negli occhi – Deve avere avuto l’occasione di conoscere veramente poche donne, allora - esordì, trattenendo a stento l’emozione - perché qui il duca annuncia che avrebbe piacere di riceverti nella sua villa, a est della contea, per trascorrere un pomeriggio in tua compagnia e poter conversare ancora con te…-
Non appena pronunciò le fatali parole, il volto di Fine si accese di contentezza.
Senza poter credere alle parole pronunciate della turchina, afferrò in mano la lettera, rileggendola più e più volte come per accertarsi che ciò che fosse scritto non fosse solamente il frutto della sua immaginazione.
Poi, esplodendo in un urlo di gioia e abbracciando la sorella emozionata quanto lei, si precipitò giù dalle scale per dare la buona notizia ai genitori.
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

- Sei veramente sicuro che sia la persona adatta a tale compito?- domandò il visconte da un angolo buio della stanza al duca.
Il Cavaliere distolse l’attenzione dal libro che stava leggendo per rispondere alla domanda dell’amico:- Non avevi detto che necessitavi di un posto sicuro dove nascondere l’Occhio della Notte? Ebbene, quale posto migliore, se non tra i gioielli di una candida fanciulla? Donerò il gioiello a Fine non appena verrà qui a farmi visita, pregandola di averne la massima cura. Non ci sarà bisogno di spiegarle il motivo, basterà che lei lo accetti come pegno d’amore…- increspò la bocca in un dolce sorriso -… in effetti, sarà come se lo fosse…- sentenziò, estasiato.
Il visconte lo osservò, ancora poco convinto:- Lo sai a che rischi andrebbe incontro, se si venisse a sapere che il gioiello è nelle sue mani?- domandò.
Il volto di Bright si incupì:- Da quello che mi hai raccontato, coloro che ti stanno dando la caccia sono pronti a tutto, pur di ottenere ciò che vogliono…-
- Non immagini quanto -
Bright non si lasciò persuadere da quelle ultime parole. Con volto serio e composto proseguì il suo discorso:- Io… non permetterò che le venga fatto del male, né a lei né alla sua famiglia… ti chiedo solo… ti chiedo solo di darmi fiducia e appoggiarmi nella mia decisione. So che si tratta di affari che non mi riguardano, ma d’altronde sei stato tu a chiedere il mio aiuto….-
Il Principe fece roteare gli occhi dalla sua direzione a quella del gioiello, posto in una teca poco distante da lui.
L’Occhio della Notte parve brillare non appena incontrò il suo sguardo.
Ci furono minuti interminabili di silenzio – D’accordo - disse infine, emettendo un lieve sospiro - ti concedo di donarlo alla tua bella, se ritieni che possa funzionare. Ma se dovesse accadere anche solo qualcosa di spiacevole che riguardi il gioiello io…-
- Non accadrà - lo interruppe prontamente Bright, sicuro di sé - Farò in modo che non le accada nulla di male. Quella fanciulla… rappresenta molto per me….-
Shade ascoltò con molta indifferenza le parole d’amore che il duca aveva pronunciato sottovoce, come se non volesse farsi sentire.
Uscì dalla stanza con aria piuttosto pensierosa, lasciando l’amico ai suoi pensieri.
Non poteva certo negare che la proposta che Bright gli aveva fatto non fosse astuta… del resto, chi avrebbe mai potuto pensare che il gioiello non lo possedesse lui, ma una semplice aristocratica della contea?
Finché il nemico avesse pensato che lo avesse lui, poteva ritenere Fine fuori pericolo, eppure…
Cosa sarebbe accaduto se accidentalmente si fosse venuta a sapere la verità?
Mettere a rischio la vita di altre persone… era lecito?
Lasciò che quei pensieri fastidiosi lo accompagnassero per il resto del cammino, fino a giungere nella sua stanza.
Dopodiché, entratovi, non badò più a nient’altro se non a pianificare la sua prossima entrata in scena negli antri oscuri di quella società corrotta. 



Angolo Autrice:

Rieccomi qui, con l'aggiornamento di questa settimana.
Come vedete, le cose iniziano a prendere una piega ben evidente: il carattere misterioso di Auler e Sophie si sta finalmente rivelando, anche se su questi due personaggi c'è ancora molto da scoprire.
Shade e Bright hanno architettao un piano nel quale Fine sembra essere coinvolta, ma andrà a buon fine? O verranno scoperti?
Ringrazio infinitamente tutti coloro che continuano a seguirmi.
Il vostro appoggio è prezioso per me.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri finora.
Allora, attendo vostre notizie, e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento.
Un bacio

_BlueLady_ (alias Vale)

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Capitolo 6
*** V ***


CAPITOLO 5 ~
 
- Dunque, il duca ti ha invitata nella sua residenza a est della contea per trascorrere un piacevole pomeriggio in compagnia sua e della duchessa, non è così?-
- Si, mamma, ho ricevuto proprio stamane la lettera -
- Siamo sicuri che ci si possa fidare di questo duca di Tinseellpar?- domandò il signor Sunrise con una nota di gelosia nella voce.
- Si dice Tinselpearl, caro, e dicono sia una persona affidabilissima. Non abbiamo nulla da temere per la nostra Fine - rispose la moglie, accarezzando una ciocca dei capelli della figlia con orgoglio.
- Dell’opinione degli altri mi fido poco, lo sai quanto io sia scettico su certe cose…- fece quello con una nota severa nella voce.
Appena udite quelle parole il viso delle tre donne presenti nella sala si incupì improvvisamente.
- Che cosa vorresti insinuare, Toulousse?- domandò la moglie con una lieve nota isterica nella voce.
- Non le vorrai certo vietare di accogliere la proposta del duca!- esclamò Rein in difesa della sorella.
Sul volto di Fine comparve presto un’espressione preoccupata che al padre non sfuggì.
- Papà…- mormorò titubante -… posso andare, vero?- domandò, mentre la speranza si riaccendeva nei suoi occhi.
Il padre la fissò severo per qualche istante - E’ così bello quanto dicono?- accennò, con una nota ironica rivolta alla moglie. Fine arrossì.
 – Beh, non si può certo dire che non sia affascinante…- mormorò sottovoce, puntando nuovamente gli occhi nello sguardo del padre.
Lui sorrise compiaciuto, ricambiando con tenerezza lo sguardo della figlia.
- Allora puoi andare - fu la risposta alla quale tutte e tre le donne esultarono di gioia.
- Mamma, bisogna far assolutamente preparare la carrozza che la conduca dal duca e…-
- Assolutamente no! La carrozza è fuori uso dopo la buca che ha incontrato nella strada per andare dai Mera, l’altra sera…- esclamò la signora Sunrise con decisione.
Le due sorelle si fissarono preoccupate negli occhi per un istante.
- Ma allora come farà Fine a raggiungere il duca senza? Non può di certo incamminarsi a piedi! C’è un temporale in arrivo!- esclamò Rein, in ansia per la sorte della sorella.
La madre mutò la sua espressione in un ghigno soddisfatto:-Vorrà dire che andrà a cavallo…- rispose con assoluta pacatezza.
- A cavallo?!- esclamarono in coro le due, osservando il cielo grigio di fuori emettere un brontolio sommesso prima dell’arrivo della pioggia.
 

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Il Cavaliere picchiettava nervosamente le dita sul tavolino postogli accanto, osservando con fare pensoso il paesaggio di fuori incupito dagli spessi nuvoloni densi di pioggia che scrosciava violentemente sulle vetrate della sala.
Sospirò: con quel tempo dubitava che Fine sarebbe venuta a fargli visita come aveva sperato…
Si era giocato l’unica occasione buona che aveva.
- Osservare la tempesta che si sta scatenando lì fuori non ti aiuterà a distrarti dal pensare alla tua bella…- osservò pacatamente la duchessa seduta in un angolo della sala mentre era intenta a giocare un’intrigante partita di scacchi con il visconte.
- E se fosse partita nonostante questo tempo e avesse deciso di venire lo stesso? Non me lo perdonerei mai se dovesse rimanere incidentata lungo la strada per causa mia…- mormorava il duca affacciandosi all’enorme vetrata e scrutando di fuori con un’accesa nota di speranza mista a preoccupazione dipinta sul volto.
- Sono sicuro che ha preferito rinunciare - esordì il visconte muovendo un pedone in direzione di un alfiere della duchessa - Solitamente le giovani donne non amano rischiare la propria salute gettandosi nel bel mezzo di un temporale, a meno che non abbiano un valido motivo per farlo -
La Dea lo zittì con un’occhiata di rimprovero.
Il visconte vide l’amico agitarsi ancora di più sotto l’influenza delle sue parole e scorse la nota di angoscia che gli velava il viso.
Immediatamente si irrigidì, conscio di averlo involontariamente ferito.
- Perdonami Bright, non volevo…-
- Vado nelle mie stanze.- fu la risposta di quello, che fece oscillare il candido mantello non appena gli passò di fianco per uscire dalla stanza.
I due giocatori osservarono la porta chiudersi dietro di lui, il rimbombo di un tuono che si sovrapponeva a quello dei passi del duca lungo il corridoio deserto che lo conduceva all’ingresso principale, e infine alle sue stanze.
Passato davanti al massiccio portone d’ingresso, non poté resistere alla tentazione di buttare un’ultima occhiata fuori, prima di rassegnarsi e ritirarsi in solitudine in camera propria.
Fu come vedere un raggio di sole in mezzo a quel diluvio universale.
Aveva intravisto benissimo una ciocca di capelli rossi trasparire dalle vetrate adiacenti.
Come per accertarsi che ciò non fosse solamente il frutto della sua immaginazione, tirò il pesante catenaccio verso di sé, mentre una curiosa eccitazione faceva palpitare il suo cuore più del dovuto.
Non appena aprì, la vide.
Lì in piedi, bagnata dalla testa ai piedi, splendida, con la veste infradiciata che aderiva al suo corpo sinuoso e i capelli rosso fuoco che contrastavano il cielo grigio retrostante, come il sole al tramonto sul mare.
- Signorina Fine…- sussurrò, allargando la bocca in un sorriso.
- Duca…- mormorò quella in risposta, soffocando il resto della frase in un rumoroso starnuto.
 

 

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- Qui dice che Fine ha preso un brutto raffreddore in seguito alla cavalcata sotto il diluvio di due giorni fa - annunciava Rein alla madre, reggendo in mano la lettera arrivata da poco all’interno della loro dimora.
- Oh, poverina, mi dispiace! E come sta ora la mia bambina? Bene, mi auguro…- rispondeva quella, intenta a spolverare alcuni libri di vecchia data presi dagli scaffali più alti dell’antica libreria.
Rein osservò la madre con una nota di disappunto.
- Mamma!- esclamò indignata – Possibile che non ti faccia sentire nemmeno un po’ in colpa ciò che dice? Sei stata tu a mandarla a cavallo sotto la pioggia. È per colpa tua se adesso Fine è ridotta uno straccio.-
- Suvvia, nessuno è mai morto per un raffreddore!- le rispose quella con la più naturale tranquillità - In questo modo, il duca Bright avrà il modo di accudirla come si deve…-
Improvvisamente, Rein capì.
- Lo hai fatto apposta…- sussurrò, puntando il suo sguardo accusatore su di lei.
La madre non rispose.
- Lo hai fatto apposta!- strillò di nuovo quella, sempre più incredula delle sue stesse parole – Mamma, sei veramente incredibile! Mettere a rischio la salute di una figlia!-
- Dove stai andando, Rein?- le urlò contro la madre, sventolando lo straccio pieno di polvere ovunque mentre la inseguiva.
- A casa dei Tinselpearl ad accertarmi che mia sorella stia bene.- fu la risposta di quella mentre usciva dalla porta.
- Ma non puoi presentarti a dei duchi vestita in modo così scialbo! Mettiti almeno un abito più degno!- le diceva la signora Sunrise affacciandosi alla finestra che dava sul giardino.
Le parole pronunciate dalla madre non le prese minimamente in considerazione.
Armata di tanta energia, pazienza e buona volontà, si incamminò decisa verso la dimora dei Tinselpearl, per accertarsi di persona riguardo la salute della sua amata gemella.
 

 

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- Cos’avevi detto a proposito delle donne qualche giorno fa, Shade?- domandò sfacciatamente la duchessa al visconte.
- A cosa si riferisce, duchessa?- chiese quello con scarso interesse mentre maneggiava con cura il prezioso gioiello comparso nella discussione tra lui e il duca qualche giorno prima.
La Dea si avvicinò a lui, osservandolo nella sua attenta attività:- Se non sbaglio avevi detto che le donne non amano rischiare la propria salute, a meno che non ci sia un valido motivo che le spinga a tanto…-
Il Principe non la considerò minimamente, completamente assorto nell’esaminare il prezioso ciondolo.
- Che mi dici di Fine Sunrise? A quanto pare, sembra che tu ti sia sbagliato sul suo conto - mormorò la duchessa con una nota di ilarità nella voce.
Il Principe le lanciò un’occhiata infastidita.
- Forse, dopotutto, Bright potrebbe essere veramente il valido motivo per cui lei sia stata spinta a rischiare tanto - suppose la duchessa, sempre con quel tono vittorioso.
- O forse, potrebbe essere l’ingente ricchezza che vostro fratello possiede ad averla spinta fin qui - esordì il visconte con una nota di soddisfazione - Non sono forse i gioielli e il denaro a tenervi così tanto attaccata a vostro fratello?-
La duchessa gli lanciò un’occhiata di disapprovazione.
- Sai meglio di me che non è per denaro il motivo per cui vivo ancora con lui.-
- Mi stupite, duchessa, non sapete accogliere come si deve le mie provocazioni?- la provocò lui mentre un sorriso sfacciato si faceva largo sul suo volto.
- Tu pensi che le donne siano tutte false e ipocrite, interessate al denaro e a nient’altro - esordì la duchessa, acida - Quando incontrerai la donna che rappresenterà per te l’eccezione alla regola, sono certa che cambierai idea -
- Mostratemela, allora, questa vostra eccezione…- la sfidò lui con sfacciataggine.
Proprio in quel momento, un paggio entrò nella stanza annunciando l’arrivo della signorina Sunrise all’interno del palazzo.
Come pronunciò il suo nome, Rein, che attendeva dietro la porta, si fece avanti inchinandosi non appena riconobbe la duchessa di fronte a lei.
Non si accorse della presenza del visconte.
Quando alzò lo sguardo, pronta a chiedere in che stanza alloggiasse la sua amata gemella, le parole le morirono in gola, incontrando un paio di iridi scure che la scrutavano con incredulità.
La fanciulla, stanca e spossata, la pelle candida del volto ravvivata da un lieve rossore che le imporporava le gote in seguito alla fatica compiuta durante la lunga camminata per giungere fin lì, i lunghi capelli legati in un concio scomposto e il vestito mezzo impantanato a causa della corsa in mezzo ai campi, conservava il portamento e l’eleganza da donna di buone maniere nonostante l’aspetto scialbo e trasandato con il quale si era presentata in quella lussuosa dimora.
Un fiore rigoglioso tra il crudele ghiaccio invernale.
Quando le fu domandato cosa fosse venuta a fare lì – Sono venuta qui solamente per accertarmi che mia sorella stia bene - rispose, soffocando le parole da lunghi e affaticati sospiri.
La duchessa lanciò un’occhiata compiaciuta in direzione del visconte, che pareva aver assunto un atteggiamento di particolare interesse verso colei che era appena entrata.
Sorrise vittoriosa.
- Eccola, la vostra eccezione alla regola…- gli sussurrò.   



Angolo Autrice:

Et voilà, un altro capitolo è stato postato! (Anche oggi la sua buona azione l'ha fatta ed è in pace con sè stessa)
In questo capitolo non succede nulla di che, aparte il fatto che Fine è riuscita finalmente a strappare il sospirato "si" ai genitori, ed è riuscita a recarsi da Bright.
Il maltempo ha davvero gocato a favore (o a sfavore, dipende dai punti di vista) delle due gemelle, poichè entrambe si ritrovano improvvisamente segregate in casa dei due giovani che pretendono di amare.
Notiamo anche un nuovo parere di Shade sulle donne: a quanto pare, il nostro bel visconte non crede possibile che una donna come Fine sia capace di amare un uomo ricco e benestante come Bright, giudicando il motivo della sua attrazione come un semplice pretesto per attaccarsi al denaro dell'amico, e vivere in una condizione molto favorevole (pensiero a dir poco ipocrita, che non si addice per niente a una ragazza come Fine, ma, chi lo sa, ognuno ha i suoi motivi per agire in un certo modo...)
Ringrazio infinitamente coloro che recensiscono e leggono la fic: finchè ho dei lettori così entusiasti come voi, non potrò che dare il meglio di me nella scrittura e nella stesura di questa fic.
Ora vi lascio, dandovi appuntamento, come sempre, al prossimo aggiornamento.
Un bacio a tutti coloro che si degnano di prendere in considerazione la mia misera storia.
Grazie a tutti di cuore!

_BlueLady_  

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Capitolo 7
*** VI ***


CAPITOLO 6 ~
 
Il continuo ticchettio proveniente dal grande orologio a pendolo posto accanto al divano dell’immenso salotto contribuiva a scandire i minuti di silenzio imbarazzante che si erano venuti a creare tra loro.
Rein, rannicchiata tutta su sé stessa nel tentativo di celare la tensione che si agitava per tutte le membra, si limitava ad osservare le lancette dell’orologio che seguivano lente il loro corso.
Il visconte, seduto più distante, leggeva un libro con estrema tranquillità, per nulla turbato dalla presenza della turchina al suo fianco.
Voltava le pagine con cura, gettando ogni tanto uno sguardo furtivo alla ragazza sedutagli accanto.
Il pendolo non cessava di scandire quei secondi interminabili di silenzio.
Rein continuava imperterrita ad osservare il grande orologio, sentendosi fastidiosamente trafiggere nel petto ogni volta che il visconte le lanciava una delle sue occhiate glaciali.
Non aveva dimenticato le parole pronunciate da lui la sera in cui si erano visti per la prima volta. Ne era ancora profondamente ferita.
Oltretutto, averlo accanto in quel momento risvegliava in lei tutta l’ammirazione e tutto il fascino per quegli occhi glaciali ai quali aveva creduto di essere divenuta immune.
Cercò di intimidirlo a sua volta, rivolgendogli la più spregevole occhiata di disprezzo che fosse riuscita a fare.
Non ottenne il risultato sperato.
Il visconte, accortosi dello sguardo severo della ragazza, si limitò a nascondere il velo di un sorriso comparsogli sulle labbra.
Rein tornò a fissare l’orologio indispettita.
Il pendolo continuava a tormentarla con il suo interminabile ticchettio.
- Osservare in continuazione le lancette dell’orologio a pendolo non aiuterà a far trascorrere il tempo più velocemente - esordì d’un tratto la calda voce del visconte alle sue spalle.
A Rein parve si venisse improvvisamente a creare un vuoto nello stomaco.
Si voltò cautamente verso di lui, nascondendo il meglio possibile l’espressione incredula che le si era dipinta in volto. In un primo momento non seppe cosa rispondere, rapita da quello sguardo magnetico che pareva volesse strapparle il cuore dal petto.
Poi, desiderosa di prendersi la sua rivincita, esclamò con tono fintamente stupito:- La lettura vi ha annoiato a tal punto, visconte, da sentirvi in dovere di rivolgermi la parola?-
Il visconte sorrise.
- Credete davvero che io abbia una così bassa considerazione di voi, signorina Sunrise?-
Rein sostenne il suo sguardo con fierezza.
- Perché vi sareste dato la pena di parlarmi, altrimenti?-
- Perché mi do la pena di rispondervi anche adesso?- fu la risposta.
Seguì un attimo di silenzio, riempito solamente dal ticchettio del pendolo che pareva volesse ristabilire la quiete nel luogo.
- Dunque, desiderate davvero instaurare una conversazione con me –
- Siete voi che state insinuando ciò, io non ho espresso alcun parere a riguardo.- rispose lui, con la più naturale tranquillità.
- Se siete così desideroso di parlare, perché non proponete un argomento di cui discutere, allora?-
- L’ho già fatto ponendovi l’osservazione riguardo voi e l’orologio-
- Non credevo fosse questo il vostro motivo di conversazione -
- Lo avete detto voi stessa poco fa: la lettura aveva cominciato a farsi noiosa, così ho preferito trovare un argomento con il quale discorrere con voi, e l’orologio è stata la prima cosa che mi è venuta in mente-
Era irritante quanto bastava da poter far scaturire in lei un certo interesse.
- Adesso sta a voi - proseguì il visconte, facendole un cenno col capo – Io ho proposto l’argomento, a voi spetta il compito di continuare da dove ho incominciato - e sorrise come se volesse incitarla a cogliere la sua provocazione.
Rein accettò la sfida di buon grado: senza volerlo, lui le aveva offerto su un piatto d’argento la giusta occasione per vendicarsi del piccolo torto subito in precedenza.
- Il Tempo è crudele - esordì tutt’a un tratto come riscuotendosi da una profonda riflessione - quando si desidera assaporare più a lungo una gioia, un divertimento, un semplice momento fuori dal comune che valga la pena di vivere con tutti sé stessi il tempo corre veloce, non concede nemmeno la possibilità di imprimersi nella mente l’immagine o il sapore del ricordo. Al contrario, quando si desidera semplicemente la fine di una giornata noiosa,  piena di angosce o di dolori, il tempo si fa più molesto: scandisce inesorabilmente le ore, i minuti, i secondi, quasi voglia permetterci di studiare ogni singola sfumatura della nostra angoscia per poi non dimenticarla più. Se ci fate caso, i momenti angosciosi sono proprio quelli che ricordiamo più dettagliatamente, quelli che sono meglio riusciti a depositarsi nella nostra mente e nel nostro cuore.-
- Quale sconforto devono essere per voi questi brevi istanti che vi tengono separata da vostra sorella, allora…- osservò il visconte fingendo un rammarico che in realtà non provava.
Rein rise.
- L’unico modo per sfuggire allo sconforto dell’attesa è contare i minuti che mi separano dal rivederla e rendermi conto che, in fondo, non si tratta di un periodo così tanto lungo come invece mi sono creata nella mia immaginazione - rispose.
- Così facendo, anche l’attesa più snervante risulta essere un piacevole passatempo - osservò ancora con interesse, stupito della risposta di lei.
Rein annuì:- L’attesa è sempre piacevole, quando si tratta di ricongiungersi con una persona a noi cara -
Un sorriso le illuminò gli occhi tersi e limpidi; al visconte parve invece che il respiro gli venisse meno per un istante. Stava iniziando a prenderci gusto nel parlare con quella leggiadra fanciulla che acquistava sempre più interesse ai suoi occhi man mano che la conversazione procedeva oltre.
Gli pareva quasi di vederla l’Impazienza di lei agitarsi per le membra del suo esile corpo nel tentativo di liberarsi da spesse catene con cui il Buon Senso e il Giudizio la tenevano saldamente immobile.
Anche la sua Impazienza fremeva: fremeva nell’aspettare il giorno in cui sarebbe stato ripagato dei torti subiti in passato, il giorno in cui chi doveva essere punito avrebbe sofferto le sue stesse pene, se non peggio.
L’unica differenza che intercorreva tra lui e Rein era che, al posto del Buon Senso e del Giudizio, c’erano il Rancore e il Desiderio di Vendetta a chetare la sua Impazienza e impedire che quell’ultima balzasse fuori come una furia e lo facesse agire d’istinto.
In una situazione delicata come la sua occorrevano calma e sangue freddo, l’impulsività non sarebbe stata di alcun aiuto.
- Mai parole furono più vere di queste.- mormorò  a voce troppo alta dopo la sua lunga e contorta riflessione, ri soffermandosi sulle parole della fanciulla.
- Da ciò che mi dite, devo intuire che vogliate molto bene a vostra sorella - esclamò poi, tentando di cambiare argomento.
- E’ la persona a me più cara - rispose Rein con fermezza.
- Immagino la preoccupazione che dovete aver provato nell’apprendere il suo stato di salute…- continuò, senza distogliere lo sguardo da quello di lei.
La fanciulla sorrise, illuminandosi in volto: - Nulla che una breve visita di cortesia nella stanza in cui alloggia non possa risolvere- rispose.
Altro attimo di silenzio.
- E’ bello qui - osservò Rein, liberandosi improvvisamente da quelle catene invisibili che la tenevano legata a lui per dirigersi verso l’ampia vetrata che dava sul giardino - I fiori brillano di colori così intensi e vivaci da creare l’illusione di essere in primavera anche a inverno inoltrato.-
Il visconte la seguì con lo sguardo: - La duchessa dedica gran parte del suo tempo alla cura delle sue rose - rispose, senza cessare di ammirarla.
Il sole che filtrava dalla finestra illuminava la sala, e i suoi raggi parevano adagiarsi delicatamente sull’esile corpo di lei, quasi come se volessero sfiorare la sua pelle candida con un bacio a loro proibito.
Shade non era mai rimasto così affascinato da una donna come in quel momento.
Incapace di sottrarre i suoi occhi bui da quella visione luminosa, si limitò ad osservarne l’andatura composta ed elegante che sfilava incurante davanti a lui.
Quando Rein si accorse dell’attenzione del visconte rivolta verso di lei – Perdonatemi - disse, assumendo un’espressione colpevole - vi ho distratto a lungo dalla vostra occupazione…-
- Al contrario, trovo che questa conversazione sia molto stimolante.- rispose quello con assoluta pacatezza mentre lei ritornava a sederglisi accanto – Non c’è nulla che potrebbe dissuadermi dalla lettura, se l’ho fatto è perché avevo piacere di parlare con voi.-
Gli occhi di Rein brillarono di soddisfazione per un istante.
- Non mi avete considerata, dunque, come una spiacevole distrazione?- domandò, mentre la sua mentre gridava vittoria per il passo appena compiuto.
In un primo momento il silenzio che tornò ad aleggiare nella stanza lasciò di stucco sia lei che lui.
Solo dopo pochi secondi il visconte apprese a fondo ciò che Rein gli aveva domandato, e per la prima volta nella sua vita si ritrovò senza parole con cui rispondere ad un attacco diretto nei confronti della sua persona.
- Cosa succede, visconte? Bastano così poche parole a mettervi in crisi?- lo provocò lei, sfoggiando il suo orgoglio che pareva crogiolarsi nella gloria ricevuta da quel silenzio prolungato.
Riconoscendo la sua sconfitta, Shade si limitò a rispondere in un sorriso compiaciuto e divertito al tempo stesso:- Toh, che coincidenza: il libro pare essersi fatto nuovamente interessante.- e lasciò morire la conversazione in quel punto.
Dopo una manciata di minuti la duchessa, che era accorsa dal fratello per annunciare la visita della sorella di Fine in pena per le sue condizioni, entrò nella stanza dicendo a Rein che poteva ora essere ricevuta.
Si offrì nel farle da guida per condurla dalla gemella.
Nel vedere il Principe stranamente turbato e pensieroso, e preoccupata di lasciarlo dal solo in quello stato, la duchessa gli domandò se volesse venire anche lui.
Rispose di no, annunciando che si sarebbe invece diretto nelle sue stanze a comporre alcune importanti lettere d’affari per il giorno seguente.
Non appena chiusero la porta dietro di loro, Shade si ritrovò da solo nella sala a contemplare il silenzio attorno a sé.
Tirò fuori dalla tasca il prezioso gioiello che secondo Bright sarebbe dovuto andare in custodia a Fine, e prese ad osservarlo attentamente, studiandone i bordi finemente modellati.
Sapeva che, se c’era una persona degna di portare con sé il peso di quell’oggetto, questa non era certamente Fine come tutti e due avevano creduto.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Il rumore di un pugno deciso che si abbatteva con decisione sulla porta lo distrasse dai suoi mille pensieri.
- Avanti - mormorò, mettendosi a sedere sul letto.
Dalla fessura della porta sbucò nientedimeno che il volto del duca, parzialmente illuminato dalla luce proveniente dall’esterno.
- Shade, ti disturbo?- domando titubante, aspettando l’invito di quello ad entrare.
- No, entra pure- mormorò quello posandosi una mano sulla fronte con espressione sofferente.
Bright entrò, avvicinandosi al suo letto.
- Fine sta meglio, ha deciso di tornare a casa con Rein questo stesso pomeriggio - mormorò.
Shade lo osservò con noncuranza negli occhi.
- Se vuoi che le affidi il gioiello devi consegnarmelo subito…- continuò quello, tendendo una mano nella sua direzione.
Shade sorrise alzandosi cautamente dal letto – Non ce n’è più bisogno - sussurrò, mentre afferrava uno scuro mantello e se lo poneva sulle spalle - Ho cambiato idea riguardo l’Occhio della Notte…-
- Questo vuol dire che non cercherai di nasconderlo? E come farai con coloro che vogliono sottrartelo?- domandò preoccupato Bright.
- Al contrario, sono sempre deciso nel volerlo affidare a qualcuno, solo che quel qualcuno non è la tua Fine - rispose l’altro con pacatezza.
Il duca si irrigidì improvvisamente.
- E allora a chi vorresti affidarlo?-
Shade sorrise, sfilando dalla tasca il ciondolo blu notte che scintillò al contatto con la luce.
- La persona a cui voglio affidare il gioiello… è Rein Sunrise.- 



Angolo Autrice:

Ooooh, finalmente riesco ad aggiornare!
Non sapete che incubo è stata questa settimana, davvero, tra impegni vari e connessione internet che non andava è stato un disastro completo!
Il capitolo era già pronto da domenica, ma solo oggi sono riuscita finalmente a postare...
Dico subito ai miei lettori che non so se riuscirò ad aggiornare puntualmente ogni settimana, perchè ho dei seri problemi con la connessione ultimamente, ma farò di tutto perchè possiate continuare a leggere la fic.
Mi scuso del ritardo di questo capitolo, e anticipatamente anche di eventuali ritardi futuri.
Detto questo, passiamo alla storia.
Rein e Shade hanno avuto una piccola discussione, a quanto pare, e sembra che la nostra turchina riesca a dare parecchio filo da torcere al nosto bel visconte... anzi, gli da talmente tanto filo da torcere, da essere riuscita a convincerlo, seppur involontariamente, di affidare il misterioso gioiello a lei, e non a sua sorella Fine.
Il problema, ora, rimane come consegnarglielo: farlo passare per un pegno d'amore è estremamente eccessivo, dato che Shade presume di non essere per nulla attratto da Rein...
Dunque, cosa succederà?
Vi ringrazio tutti delle splendide recensioni, del sostegno che mi date, della pazienza nel leggere la fic e sopportare i ritardi di aggiornamento.
Nel prossimo capitolo, come al solito, altri dettagli.
Un bacio a tutti

_BlueLady_

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Capitolo 8
*** VII ***


CAPITOLO 7 ~
 
Entro i confini della contea Dewdrop cominciò presto a girare la voce di una festa in maschera che si sarebbe tenuta nella reggia dei marchesi Windsworth di lì a pochi giorni.
Gli invitati avevano già ricevuto l’apposito invito speditogli direttamente a casa, e tra le poche fortunate vi erano anche le due giovani donne della famiglia Sunrise.
La madre aveva esultato di gioia non appena era venuta a conoscenza di quella che, a suo parere, era davvero una splendida notizia, e aveva attribuito gran parte del merito a Fine e alla sua tresca col duca di Tinselpearl.
- Per l’ultima volta, mamma, tra me e il duca non c’è nulla di compromettente. Siamo solo ottimi amici – sbuffava la rossa ogni volta che la madre se ne usciva fuori con quell’esclamazione impertinente.
La signora Sunrise non la stava a sentire, impegnata com’era a crogiolarsi nella sua soddisfazione, e si limitava a vantarsi con amici e parenti dell’incredibile evento cui le sue due figlie “ormai inserite nell’ambito dell’alta società” avrebbero avuto l’onore di partecipare.
- Lo dicevo io, che non erano tanto belle per nulla!- esclamava ogni volta, a conclusione del discorso.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

La sera della festa, villa Windsworth non era mai stata più bella di allora.
L’edificio, da sempre cupo e solitario, pareva aver voluto squarciare quella barriera che impediva lui il contatto con il mondo esterno, desideroso di farsi conoscere dagli abitanti di tutta la contea per quello che era in realtà: un perfetto luogo di ritrovo dell’alta aristocrazia.
Il viale, raramente solcato dalle ruote di una qualche carrozza, quella sera pullulava di vetture trainate da coppie di splendidi cavalli bianchi, anch’essi adornati a festa con eleganti pennacchi rosso carminio appuntati sulla sommità del muso.
Le carrozze non facevano in tempo a partire, che subito venivano rimpiazzate da altre ancora più belle e lussuose, le quali parevano pavoneggiarsi a dispetto di quelle che già erano ripartite per tornare poi a prendere i loro proprietari al termine dei festeggiamenti.
Un meraviglioso concerto di luci ed ombre si scatenava dall’interno, mentre già a pochi passi dall’entrata si poteva udire la musica che accompagnava gli invitati nelle danze.
Tra tutto quello sfavillare di luce e colore, tra il candore del manto dei cavalli che trainavano le vetture, due splendidi stalloni neri come la pece e dai pennacchi di un blu notte intenso fecero la loro comparsa, trainando un cocchio dai colori cupi come gli animali che ne erano a capo.
Al suo interno, tre persone: due uomini e una donna al centro, quello più a sinistra teneva un gioiello dalle sfumature oltremare saldamente tra le mani.
Se ne stavano seduti in silenzio, aspettando che la carrozza si fermasse per scendere e fare il loro ingresso alla festa.
Non appena il cocchiere aprì loro la porta, i due uomini scesero per primi, aiutando la donna a percorrere i pochi gradini che la separavano da terra.
- Se i signori desiderano seguirmi…- fece loro il maggiordomo di casa, aprendo loro la strada che conduceva all’ingresso della villa.
I tre lo seguirono con muta accondiscendenza, varcando con passo felpato la soglia della sala in cui si stavano tenendo i festeggiamenti.
Un arcobaleno di colori fu quello che li accolse. Dame dagli eleganti vestiti variopinti che volteggiavano accompagnate dai propri cavalieri sulle note della melodia proposta dall’orchestra.
La donna si allontanò subito dal gruppo, desiderosa di far parte di quel mondo tanto ipocrita quanto affascinante.
I due uomini, non appena si fu allontanata, si scambiarono un’occhiata d’intesa reciproca.
 – Ti prego di essere prudente- sussurrò l’uno all’altro, raddrizzando la maschera nera dalle sfumature oro che portava sul viso – Cerca di confonderti con la folla, non essere impulsivo, ma soprattutto…- i suoi occhi blu penetrarono con severità nelle iridi dell’altro -… non rivelare la tua identità a nessuno per alcun motivo.-
- Quante raccomandazioni per un semplice ballo in maschera - lo canzonò il suo compagno.
L’altro annuì, lanciandogli un’ultima occhiata di raccomando.
Dopodiché si separarono.
Il gioiello, entrando a contatto con l’armonia di luce presente nella sala, brillò un’ultima volta prima che il suo proprietario lo riponesse al sicuro nella tasca del mantello nero che si portava appresso.
 
Sentiva il cuore battere velocemente all’unisono con quello della sorella mentre attendeva che la carrozza si fermasse in prossimità dell’ingresso della grande villa.
Sebbene un leggero senso di eccitazione le percorresse le membra, cercava di ignorarlo limitandosi ad osservare il paesaggio di fuori, sorbendosi passivamente il veloce passaggio degli alti cipressi che parevano essere i guardiani di quel luogo solitario.
A fianco a lei, la gemella emise un sospiro carico d’ansia.
La giovane fanciulla si voltò dalla sua parte, sfiorandole delicatamente la mano per infonderle quel poco di coraggio che le mancava per affrontare quella serata così importante per entrambe.
L’altra le sorrise, lasciando trasparire da dietro la maschera porpora un velo di gratitudine che non le passò inosservato.
Arrivò presto il momento di scendere dalla vettura e di inoltrarsi alla festa.
Mentre percorrevano l’interminabile corridoio, osservandosi intorno un po’ spaesate, il cuore di entrambe riprese a battere a ritmo irregolare, quasi come se volesse uscire loro dal petto.
Solo quando si strinsero nuovamente la mano, rientrando in quel muto contatto carico di significati nascosti, il battito parve ristabilizzarsi.
Fu così che fecero il loro ingresso.
Appena entrate si sentirono mancare il respiro nel constatare la grandezza della folla.
La dama dalla maschera color porpora sospirò nuovamente, costringendo la gemella a voltarsi verso di lei.
- Credi che tra tutta questa folla sia presente anche lui?- domandò ansiosa.
- Non vedo perché non debba essere stato invitato.- rispose l’altra pacatamente.
- Come farò a riconoscerlo tra tutte queste persone?- chiese ancora, guardandosi intorno nel tentativo di scovare qualcuno la cui fisionomia gli fosse familiare.
La fanciulla accanto a lei ridacchiò nel constatare l’impazienza dell’altra nel rivedere il suo innamorato:- Non devi preoccuparti, non appena lo incontrerai lo riconoscerai immediatamente- la rassicurò.
- Ma indossano tutti una maschera, e di sicuro l’avrà anche lui! Come faccio ad essere sicura di non essermi sbagliata?-
La sorella le sorrise fiduciosa.
- Gli occhi servono a ben poco per riconoscere la persona che si ama –
Quelle poche parole furono sufficienti.
Non appena le udì, la dama in rosa decise di lanciarsi in mezzo alla folla nel tentativo di scovare il suo innamorato dagli occhi lucenti, lasciando la gemella sola a godersi i festeggiamenti.
L’altra, per nulla preoccupata della sorte della sorella e fiduciosa, anzi, che presto si sarebbe ricongiunta con chi le faceva palpitare il cuore così ardentemente, scese con estrema grazia i gradini delle scale che la separavano dal salone, in cerca di qualche divertimento che la intrattenesse.
Non appena era entrata nell’immensa sala, non si era accorta che due occhi bui e profondi si erano puntati immediatamente su di lei, e scrutavano imperterriti ogni suo movimento.
Un cavaliere nero, che se ne stava in solitaria in un angolo del salone ad osservare la folla con sguardo severo e impassibile, aveva notato la presenza delle due nuove arrivate fin da subito.
Erano meravigliose nei loro abiti sontuosi ed eleganti, e le maschere che celavano loro il viso parevano voler tenere nascosto un tesoro troppo prezioso perché potesse essere ammirato da tutti.
Ma colei che aveva colpito più di tutte l’attenzione dell’oscuro cavaliere era proprio la stessa dama che si stava dirigendo con passo aggraziato e leggero al centro della sala.
Lei, con il suo bell’abito blu adornato di candidi fiori celesti posti a lato del corpetto; lei, la cui bellezza era celata dalla maschera bianca contornata in oro e dai lunghi capelli turchini legati in una sobria ma elegante acconciatura; lei, che pareva ravvivare ogni angolo dell’immenso salone sfiorandolo con la punta dei suoi limpidi occhi azzurri…
La riconobbe subito, non appena la vide; e non appena la riconobbe, sentì il cuore sussultare a contatto con la sua delicata figura.
La fanciulla aveva appena rifiutato educatamente l’invito a ballare rivoltole da uno dei gentiluomini presenti, e procedeva imperterrita la sua avanzata tra la folla, osservandosi con aria confusa intorno.
L’ampiezza della sala era tanta da farle perdere completamente l’orientamento.
Il cavaliere sorrise nel vederla così spaesata.
La Dama in Blu si inoltrava ancora di più nella folla, schivando prontamente il passaggio delle coppie di danzatori che le passavano accanto e che la sfioravano con l’orlo dei vestiti.
Continuò a camminare, e camminare, e camminare, finché non udì un leggero tocco sulla spalla sinistra che la costrinse a voltarsi immediatamente, condannandola ad incontrare un paio di occhi bui che la osservavano con estremo interesse.
Sussultò facendo un leggero passo indietro, riconoscendo la sagoma di un gentiluomo dall’abito scuro di fronte a sé.
Il giovane rispose a quel gesto involontario rivolgendole un sorriso sghembo, mentre quegli occhi così tetri parevano ravvivarsi a contatto con quelli cristallini di lei.
- Rein Sunrise? – domandò lui, con voce bassa e soave.
La giovane donna tentò di mascherare la sua sorpresa dietro a una risata sommessa:- Sono in svantaggio rispetto a voi - mormorò d’un tratto, pacatamente - Voi sapete chi io sia, mentre io non conosco nemmeno il vostro nome –
Il giovane ricambiò il sorriso:- Non era mia intenzione cogliervi così di sorpresa. Mi chiedevo solamente se voleste concedermi l’onore di un ballo - continuò, tendendole la mano.
Rein rimase ad osservarlo con perplessità per qualche istante.
C’era qualcosa in quel giovane… qualcosa di tremendamente familiare che la portava a credere di avere già avuto l’occasione di fare la sua conoscenza in precedenza…
Nel vedere la sua esitazione, il cavaliere si portò sulla difensiva:- Non sentitevi obbligata ad accettare il mio invito, se non volete. Non mi offenderò, né cercherò di vendicarmi rivelando la vostra identità agli altri ospiti -
Fu proprio il desiderio di sapere se dietro quella maschera scura si nascondesse un volto a lei noto a spingerla ad accettare impetuosamente la proposta fattale con così poco preavviso.
- Della mia identità poco m’importa, non sono una persona così conosciuta in fondo…- rispose, sempre mantenendo la sua pacata tranquillità – Tuttavia, proprio per il fatto che mi conoscete e che io non conosco voi, accetterò con piacere il vostro invito.- concluse, sentendosi pervadere da un’intensa emozione non appena fu catturata nuovamente da quello sguardo magnetico e penetrante.
Detto questo, adagiò delicatamente la sua fragile mano in quella di lui, lasciandosi condurre al centro della sala sulle soavi note di un melodioso valzer. 


Angolo Autrice:

Eccomi qui, con l'aggiornamento della settimana!
Ne sono successe di cose in questo capitolo, e quanti personaggi misteriosi compaiono!
Ditemi, riuscite ad indovinarne tutte le identità?
certo che ci riuscite....
Finalmente il giorno della festa in maschera a casa Windsworth è arrivato. Vi consiglio di prestare molta attenzione allo svolgimento della storia, perchè è proprio in questo momento che comincia il vero racconto...
Ma se vi dicessi tutto 
non ci sarebbe più il gusto di leggere, perciò non vi anticipo nulla.
Ringrazio, come al solito, tutti i miei più fedeli lettori e recensori.
Alla prossima settimana!
Un bacio

_BlueLady_

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Capitolo 9
*** VIII ***


CAPITOLO 8 ~      
 
La musica aveva il dono straordinario di riempire gli innumerevoli silenzi tra loro, nonché la capacità di far entrare i loro corpi perfettamente in simbiosi l’uno con l’altro.
Era… sorprendente.
Anche il desiderio di scoprire chi si celasse dietro quella maschera pareva venire meno in un così delicato momento.
Eppure, ciò non bastava a cancellare in lei la tentazione di allungare leggermente la mano, e scoprire il volto del suo accompagnatore per verificare che combaciasse perfettamente con l’immagine che si era creata nella sua mente a tempo debito.
Mentre si lasciava trascinare sulle note della melodia dal suo oscuro cavaliere, non poteva fare a meno di entrare in contatto con quei baratri profondi che erano i suoi occhi.
Così scuri, così intensi…
Così simili agli occhi di un’altra persona
Nello stesso istante in cui lui piantò le proprie pupille nelle sue, sentì il vuoto alla bocca dello stomaco prendere il sopravvento su di lei, mentre il battito cardiaco accelerava sempre più tempestivamente.
Ogni parte del suo corpo pareva esser incatenata a lui, il fascino di quel giovane aveva un potere quasi ipnotico su di lei.
Come se non bastasse, il dubbio che sotto quella maschera potesse celarsi un viso noto non cessava di tormentarla.
Mentre si struggeva, tentando il più possibile di frenare i pensieri che si affollavano numerosi nella sua testa, il giovane le fece fare una giravolta sulle note della musica.
Entrambi parevano muoversi come se fossero una cosa sola.
Una bambola soggiogata al volere del suo burattinaio.
Un’unica entità…
Un’unica persona...
In quel momento, non esistevano più la Dama in Blu, né il Cavaliere Nero.
Esistevano solo loro.
E la cosa la spaventava alquanto.
- Chi siete voi?- domandò un tratto al suo misterioso cavaliere, mentre quest’ultimo l’avvicinava a sé quasi da poterne sentire il respiro sul collo.
Il giovane sorrise, alzando le spalle con noncuranza – Un semplice gentiluomo, ospite della festa come tanti altri.- rispose.
La fece volteggiare per la sala, mentre pareva cerarsi una vibrante atmosfera elettrica tra loro.
Rein, appena ritornata a pochi centimetri dal suo volto, scosse la testa, per nulla soddisfatta della risposta che le era stata data.
- E’ solo che mi sembra di conoscervi, di avervi già incontrato in precedenza…- disse, mentre la tentazione di pronunciare quel nome le faceva vibrare ininterrottamente le corde vocali, per poi spegnersi in un muto silenzio.
- Perché volete rovinare questo intrigante gioco di mistero, costringendomi a rivelare la mia vera identità?- mormorò quello, stringendola di più a sé.
La ragazza sussultò nell’avvertire la possenza di quel tocco.
Posò la mano destra nel punto del fianco in cui lui l’aveva stretta così forte, costringendolo ad allentare la presa.
- Mascherarsi per voi è un gioco?- domandò, con una nota di ilarità nella voce.
Il cavaliere annuì:- Che altro sennò?-
Rein fissò lo sguardo a terra, pensosa:- Penso sia più che altro un modo per eliminare le differenze sociali che intercorrono fra ognuno di noi e che degradano tanto la nostra persona a causa di cattivi pregiudizi basati sulla non appartenenza ad un alto rango della società. Indossando una maschera, abbiamo così il privilegio di sentirci veramente noi stessi, per una volta… - suppose, insicura.
Gli occhi dell’uomo brillarono di curiosità:- Differenze sociali?- ripeté, colpito dall’arguzia della fanciulla.
Lei annuì convinta.
Il giovane parve straordinariamente colpito dalle parole pronunciate da Rein.
Quella ragazza gli parve dotata di una perspicacia assai lodevole.
- Indossare una maschera per cessare di indossare la maschera che quotidianamente portiamo indosso…- mormorò tra sé e sé, riflettendo ad alta voce su quelle che sembrava giudicare essere sagge parole.
- E smettere di recitare una parte che per nulla si addice al nostro vero essere.- aggiunse lei, soddisfatta che lui avesse compreso ciò che intendesse dire.
Il giovane sorrise nuovamente:- Dunque vi ho tolto questa alettante possibilità svelando la vostra vera identità - mormorò soavemente.
Lei alzò le spalle disinvolta:- Mi duole ammetterlo, ma avete ragione. E si che mi sarebbe piaciuto prendere le parti di qualcun altro, solo per stasera! - rispose.
- Che intendete dire?- domandò lui sempre più interessato.
Rein rise sommessamente:- Guardatevi adesso: chiunque vi osservi potrebbe dar sfogo alla propria fantasia e pensare che siete un gentiluomo qualunque, come potrebbe invece pensare che non lo siete affatto. Grazie a questa vostra piccola sicurezza potete passeggiare inosservato tra la folla, spacciandovi per chiunque abbiate il piacere di assumere le sembianze, dare sfogo al vostro vero essere, conscio che, dopo questa serata, nessuno avrà la capacità di riconoscervi o di ricordarsi di voi in futuro. Io per esempio vedo in voi un uomo appartenente all’alta società in disperata ricerca di persone dotate di un po’ meno ipocrisia rispetto a quelle che siete solito frequentare… Ma se adesso io vi togliessi la maschera che portate indosso, tutti vi riconoscerebbero, e io potrei anche accorgermi di non stare affatto danzando con un gentiluomo di nobile rango come invece presuppongo di stare facendo.- ipotizzò con un sorriso che lui ricambiò.
- Tutto questo a vostro rischio e pericolo…- la avvertì, sussurrandole debolmente all’orecchio.
Un brivido le percorse la schiena non appena avvertì il suo fiato caldo sul collo.
Si scostò, cercando di apparire il più spontanea possibile.
- Siete alquanto ingiusto però…- disse in un sussurro, costringendo il giovane cavaliere a posare gli occhi sui suoi - In questo modo, l’unico che avrà la possibilità di sentirsi realmente sé stesso tra noi due sarete voi…-
Lui sorrise, mascherando il suo compiacimento in una risata sommessa.
Non diede alcuna risposta.
- Dunque non volete proprio darmi la soddisfazione di sentirmi alla pari con voi - sentenziò la turchina, con aria contrariata.
- Siete davvero sicura che riuscireste a sentirvi alla pari con me, dopo che io vi avrò rivelato la mia identità?- disse lui in risposta, in tono provocatorio.
Al suono di quelle parole, Rein si mise ad osservarlo imbronciata, minacciando di sciogliere la propria mano da quella di lui, offesa dalle parole appena udite.
Il giovane la trattenne prontamente, avvicinandola di più a sé.
- Sono un collezionista…- le sussurrò all’orecchio, come per scusarsi della scortesia appena inflittale.
La turchina si scostò da lui, osservandolo alquanto perplessa – Un collezionista?- ripeté, dopo un breve attimo di smarrimento.
Lui annuì, sicuro.
Un collezionista di gioielli.-
 

¤¤¤¤¤¤
 

 
- E’ stato piuttosto difficile individuarla, ma dopo un attento esame degli ospiti, so dietro a quale maschera si nasconde.- gli comunicò una voce sottile e tagliente all’orecchio.
Scrutò gli occhi al di là della maschera argentata che gli aveva rivolto la parola, mentre la donna che si celava sotto di essa inarcava la bocca in un sorriso compiaciuto.
- Davanti a te, sulla tua sinistra- gli ordinò, accompagnando la parola con un lieve cenno della testa.
Fece come gli aveva detto.
Il suo sguardo incontrò l’esile forma di una figura femminile.
Una donna dalla maschera scarlatta.
Indirizzò nuovamente gli occhi in quelli della dama argentata, che gli fece un segno di assenso.
Come il cane da caccia si lancia all’inseguimento della sua preda ricevuto l’ordine del bracconiere, così si sguinzagliò lui a quel cenno, dirigendosi contro il suo obiettivo.
La donna dalla quale si era allontanato osservò compiaciuta il suo fedele compagno dirigersi verso la dama in rosso, toccarle leggermente una spalla, e fare un profondo inchino non appena quella si voltò nella sua direzione.
I suoi occhi brillarono avidamente di contentezza non appena vide le labbra del fratello sfiorare la mano esile e delicata della sua dama proibita.
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

La sua incontenibile curiosità l’aveva spinta verso una conversazione proibita che lei aveva accettato di intraprendere senza alcun indugio.
Se ne stava addossata alla ringhiera in marmo massiccio delle ampie scale del porticato che davano sul cortile, mentre la brezza primaverile soffiava copiosa sul suo viso ravvivandole le gote leggermente impallidite.
Accanto a lei, il suo silenzioso accompagnatore celava i suoi occhi bui confondendoli con l’oscurità circostante.
Le orlature in oro della maschera color pece brillarono a contatto coi raggi lunari.
- E’ bella la notte…- sussurrò a un tratto, rompendo quel silenzio che pareva fatto di cristallo - Ogni cosa giace nella più immota tranquillità, e ci si può facilmente confondere con il buio circostante. È la situazione adatta, se si vuole andare in qualche luogo a riflettere per conto proprio.-
Quelle parole le strapparono un lieve sorriso - Non amate la compagnia?- domandò.
- Solo quella delle persone con cui vale la pena di trascorrere il proprio tempo.- fu la risposta.
Un leggero fruscio alla sua destra la costrinse a voltarsi. Con la coda dell’occhio scorse l’oscillare del mantello scuro che il cavaliere nero portava indosso, ora a pochi metri di distanza da lei.
Lo osservò negli occhi, per nulla intimorita della sua vicinanza.
- Dunque, siete un tipo che ama nascondersi nell’ombra…-
Il cavaliere sorrise, esaminando un bocciolo di rosa appena colto.
– Amo nascondermi come la Luna fa con il Sole – rispose debolmente.
- Un’eclissi, insomma - ipotizzò lei.
Lui alzò le spalle, ambiguo – Una specie…- rispose atono.
La turchina prese ad osservarlo con estremo interesse mentre esaminava attentamente il fiore che teneva tra le mani.
Era affascinante vedere come lo rigirasse cautamente, lo sguardo assorto a coglierne le intense sfumature. Improvvisamente, fu colta di nuovo dal desiderio di saperne di più su quel giovane dalle scure sembianze.
- Credete di essere pronto, adesso, a rivelarmi la vostra identità?- domandò d’un tratto, distogliendolo dalla sua attenta attività.
Il giovane ridacchiò:- Non demordete, eh?- le disse, mentre quella tornava a fissare la campagna buia di fronte a lei.
- Ditemi: perché amate tanto aggirarvi da solo di notte? Non temete di fare brutti incontri? – provò di nuovo, volendo con tutta sé stessa conoscere qualcosa di più su quel giovane misterioso.
Quello alzò le spalle, ambiguo – Non temo coloro che si aggirano di nascosto per le vie della contea, e non ho motivo di farmi seguire da loro.- rispose.
- Come fate a dirlo? La vostra ricchezza, sempre che ne possediate una, potrebbe fare gola a molti…-
- Non è il mio caso. Al massimo sono gli altri che dovrebbero imparare a nascondersi da me – affermò, con voce cupa.
La turchina lo osservò con una nota provocatoria nello sguardo – Dunque, devo supporre che voi siate uno di quelli che li scatenano, i brutti incontri?- domandò con tono di sfida.
Il buio della notte inghiottì il suo sorriso.
- Siete alquanto perspicace, mi piace la vostra arguzia. E’ un peccato che, al termine di questa serata, non ci saranno altre occasioni per testarla di nuovo -
Rein lo vide infilare la mano che poco prima reggeva la rosa nella tasca del mantello, dal quale estrasse un oggetto lucente e dalla forma ovale, che emise un lieve scintillio entrando in contatto coi raggi lunari.
- Tenete - le disse mentre glielo porgeva - Così avrete modo di ricordarvi della nostra chiacchierata anche in futuro -
Dischiuse la mano, mostrandole uno zaffiro blu notte coronato di una catena dorata che trasmetteva di rimando il riflesso dei suoi occhi.
Era meraviglioso.
Rein si ritrasse, portando le mani al petto contrariata – Non posso accettarlo - disse tra un misto di sorpresa e smarrimento.
– Invece dovete- le disse lui di rimando.
I suoi occhi cristallini si scontrarono nuovamente con quegli abissi blu - Consideratelo un semplice omaggio, un ringraziamento per avermi dedicato parte del vostro tempo prezioso questa sera -
Si avvicinò nuovamente, prendendole la mano che aveva prontamente ritratto e ponendovi sopra il gioiello.
Il cuore della turchina sussultò non appena avvertì quel tocco delicato e fiero al tempo stesso, e di fronte alla sua insistenza fu costretta a cedergli.
Osservò con curiosità l’oggetto che le era appena stato regalato.
- Non dovrei accettare doni da coloro di cui non conosco neppure il nome…- osservò con rammarico, quasi accusandolo.
Il cavaliere ripose la mano nella tasca del mantello mentre il velo di un sorriso soddisfatto gli inarcava le labbra.
Sotto lo sguardo indagatore della fanciulla, che lo scrutava in attesa di una risposta definitiva – Il mio nome è Eclipse- mormorò, scontrando le sue iridi buie con quelle limpide di lei.
- Eclipse…- ripeté Rein con voce ipnotica mentre dall’interno del salone proveniva l’urlo angosciato di una delle ospiti di casa Windsworth.
 
 

 

“ Basterà che lo accetti come pegno d’amore ”
“ In realtà, sarà come se lo fosse…” 


 

Angolo Autrice:

Wow, come vola il tempo, siamo già all'ottavo capitolo!
Ebbene, carissimi lettori, vi avevo avvisato che le cose si sarebbero incominciate a fare più movimentate da questo capitolo in poi!
Il misterioso cavaliere di Rein si è finalmente rivelato, ed è riuscito a consegnare il gioiello nelle mani della fanciulla, per farne chissà che cosa.
Dovreste conoscermi abbastanza bene da sapere che non amo rivelare tutti i particolari fin da subito, perciò vi lascio ancora nel dubbio su cosa potrà succedere in futuro nel corso della storia (e, credetemi, di cose ne accadranno tante...)
Come al solito ringrazio tutti i recensori, e i lettori silenziosi: come dico sempre, voi siete coloro che danno la forza agli autori di andare avanti a scrivere, perciò ricevere qualche commento, positivo o negtaivo che sia, mi farà sempre bene.
Ora passo ai saluti, dandovi appuntamento, come al solito, al prossimo capitolo.
Ci si vede presto!

_BlueLady_

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Capitolo 10
*** IX ***


CAPITOLO 9 ~
 
- Rubato?- domandò Rein incredula alla sorella.
- Rubato - annuì l’altra, turbata quanto lei.
- Non è possibile! Chi mai avrebbe potuto rubare il gioiello al collo di una dama senza farsi scoprire da nessuno?-
- Una mente piuttosto abile, direi…-
Rein valutò con una nota di scetticismo le parole che Fine le aveva appena riferito.
- Una donna, amica intima della marchesa, è stata derubata durante la festa in maschera di un gioiello senza che nessuno dei presenti si accorgesse di nulla…- ripeté con fare pensoso, muovendosi a passi veloci per la stanza.
- Riesce difficile pure a me crederlo, eppure è così - rispose la rossa, alzando le spalle - Deve trattarsi di un ladro molto abile, se nessuno ha notato le sue manovre -
- Un ladro alquanto abile, direi… e non si sa nemmeno in che preciso istante abbia commesso il furto. La donna se n’è accorta solamente a fine serata della mancanza della collana, ma chissà da quanto tempo le era stata sottratta…- continuò la turchina, concentrandosi sui fatti accaduti la sera precedente a villa Windsworth.
- Certo che è strano - ridacchiò la sorella sedendosi e facendo oscillare le sue lunghe trecce - l’unica volta in cui i marchesi decidono di rendersi più socievoli nei confronti dei loro vicini, viene commesso un furto in casa loro. Sono piuttosto sfortunati - dichiarò con noncuranza.
La turchina si affacciò alla finestra, mentre le sue iridi cristalline riflettevano la luce del sole con una nota di perplessità nello sguardo – Già…- mormorò sottovoce.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

- Cos’è quell’enorme sorriso che aleggia sul tuo volto stamane, sorellina?- le domandò il duca osservandola con il mento appoggiato sul palmo di una delle due mani.
Lo sguardo del visconte si posò per un istante sull’esile figura che gli passava dinnanzi con noncuranza.
- Sorriso?- domandò la duchessa ambiguamente – Quale sorriso?-
Il duca le sorrise, mentre i suoi occhi attenti seguivano i lenti movimenti della donna che si aggirava piuttosto pensierosa per la sala.
Un curioso rossore le velava leggermente le gote, gli occhi verde smeraldo si perdevano ogni tanto nel vuoto, volti ad osservare una figura immaginaria di fronte a lei che le dipingeva in volto una serena tranquillità.
Pareva fosse dispersa in un perenne sogno ad occhi aperti.
Le dita delle mani, intrecciate a un candido fazzoletto dai verdi ricami, stringevano con delicatezza il prezioso oggetto come per evitare che si sgualcisse troppo; ogni tanto lo avvicinava al viso per poterne inspirare l’odore acre e pungente che suscitava in lei un vortice di emozioni mai provate prima.
Il duca continuava imperterrito ad osservare quei gesti alquanto bizzarri che la sorella compiva quasi per inerzia, senza accorgersene.
- Sei piuttosto di buonumore oggi - constatò a un tratto, costringendo la sorella a voltarsi verso di lui.
- Sono meno annoiata del solito - rispose quella, rimanendo sul vago.
- Esiste un motivo particolare per cui oggi ti ritrovi in questo stato d’animo?- le domandò il fratello, senza distogliere gli occhi dai suoi.
- E’ una bella giornata.- rispose secca, riprendendo la sua lenta camminata.
Il duca ridacchiò tra sé e sé, mentre il visconte seduto alla sua destra emetteva un flebile sospiro di esasperazione.
- E’ vero, oggi il sole sembra splendere più del solito - constatò il biondo, osservando il paesaggio di fuori.
La duchessa rispose con un cenno del capo, voltandogli le spalle.
- Eppure, non credo sia un fatto legato al tempo quel sorriso che ti vela le labbra. Tu cosa ne pensi, Shade?-
- Penso che, se non cessi in questo istante di infastidire me e tua sorella con queste assurde supposizioni, sarò costretto ad andarmene in un’altra stanza- fu la risposta fredda e distaccata del visconte che teneva gli occhi fissi su uno dei suoi diletti libri.
Il duca sbuffò contrariato:- Un fratello non può nemmeno preoccuparsi per lo stato di salute di una sorella adesso?- mugugnò insoddisfatto.
La duchessa si voltò verso di lui osservandolo con acidità, come per ordinargli di smetterla di voler indagare a tutti i costi sul suo conto.
A quel gesto così impulsivo, il fratello non poté che rivolgerle un tenero sorriso.
- Non è che il tuo buonumore è dovuto al ballo con il bel cavaliere mascherato di ieri sera alla festa?- azzardò.(*)
Lo sguardo del visconte si posò severo sulla fanciulla, mentre il volto della Dea si coloriva di una tenue sfumatura rosea.
Il Cavaliere sorrise vittorioso - Ti ha trattata da bravo gentiluomo?-
- Bright, smettila di intrometterti nella mia vita privata. Sono una donna adulta ormai, non ho bisogno che tu mi stia col fiato sul collo ogni singolo istante della giornata.- fu la risposta stizzita della sorella.
La fanciulla tentò in tutti i modi di sviare lo sguardo del visconte che non cessava di osservarla con un’estrema serietà dipinta in volto.
- Ti ha almeno rivelato il suo nome a fine serata?- continuò invece il fratello.
Il silenzio aleggiò per un istante nella sala, interrotto dal fruscio degli alberi di fuori che danzavano al ritmo del vento.
- Dunque, non sai chi sia…- continuò Bright, per nulla toccato dalla risposta mancata.
- Si è trattato solo di un ballo, nulla di eccessivamente rilevante - gli rispose la sorella, fingendo disinteresse.
- Però vorresti avere nuovamente l’opportunità di trascorrere del tempo con lui - affermò Bright deciso.
La duchessa non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo.
Il visconte spostò le sue iridi buie dalla duchessa al duca.
- Che ne pensi, Shade?- gli domandò l’amico scrutandolo coi suoi occhi nocciola.
Lo sguardo del giovane rimase impassibile contro quello speranzoso dei due fratelli – Se Altezza si dovesse innamorare di questo misterioso cavaliere e la notizia venisse resa pubblica, la nostra copertura salterebbe…- si limitò a dire, atono.
Il cuore della duchessa mancò di un battito.
- Shade ha ragione, Altezza: non puoi innamorarti di una persona inesistente- constatò Bright, distogliendola dal suo malessere.
- Il fatto che non ne conosca l’identità non significa che sia inesistente.- rispose lei acida.
- Il fatto che non ti abbia rivelato la sua identità significa che vuole tenerti nascosto il suo vero essere. Ti ha fatto innamorare di una persona che, con ogni probabilità, ha soppresso definitivamente nel momento in cui ha cessato di indossare la sua maschera.-
Lo sguardo della Dea vacillò per un istante sotto la crudele verità di quelle parole, parole che non passarono inosservate nemmeno al visconte.
Anzi, il cuore del giovane sussultò impercettibilmente per un istante nell’udire l’amico pronunciare quella fatidica frase, ma non ne conobbe il motivo o forse, più semplicemente, non voleva ammetterlo a sé stesso.
- Io… non mi sono innamorata di lui…- sussurrò debolmente Altezza distogliendolo dai suoi pensieri, nel tentativo di convincere sé stessa e i due giovani della verità di quelle parole.
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Rein camminava inquieta per la stanza con uno sguardo pensoso in volto.
Troppe cose erano capitate la sera precedente perché lei potesse ignorarle e far finta di nulla.
I pensieri la assalivano vorticosamente senza darle la possibilità di ragionare lucidamente sui fatti accaduti.
La sua attenzione si rivolgeva ogni tanto anche a quel giovane misterioso che aveva scoperto all’istante la sua identità, e di cui non conosceva assolutamente nulla se non il nome.
… Ma chi era in realtà il misterioso Cavaliere Nero, e cosa cercava da lei?
Ciò per il quale l’aveva intrattenuta… l’aveva ottenuto?
Si portò automaticamente le mani al petto, nel tentativo di stringere il prezioso gioiello che le era stato donato dal quel misterioso individuo.
Non aveva il coraggio di toglierlo, forse per non eliminare quell’ultimo filo che la legava a lui.
Nel ripensare a quegli occhi profondi e bui che l’avevano come ipnotizzata, non poté fare a meno di notarne nuovamente la somiglianza con un altro paio di occhi.
…Possibile che fossero la stessa persona?
Scosse la testa, sorridendo della sua ingenua supposizione.
Lui non le avrebbe mai chiesto un ballo, l’aveva definita una distrazioneuna fanciulla non abbastanza bella da poterlo tentare. 
Poteva aver cancellato la sua indole superba e orgogliosa sotto l’effetto di una maschera?
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo tempestivo della sorella che aveva notizie importanti da riferirle.
- So il nome del ladro che pare abbia fatto il suo ingresso alla festa la notte scorsa! - annunciò eccitata afferrandole una mano e costringendola a sedersi.
La turchina sospirò e sorrise dell’entusiasmo della sorella. Alzò il volto, nel tentativo di guardarla negli occhi – Sono tutt’orecchi – disse.
Ma prima che la rossa potesse pronunciare una parola, il suo sguardo cadde inavvertitamente sul ciondolo che la turchina portava appeso al collo.
- Rein - mormorò con perplessità - da quanto tempo possiedi quel ciondolo?- domandò.
La turchina si osservò intorno spaesata – Oh, questo?- esclamò poi, accarezzando con la punta delle dita il prezioso monile – E’ un regalo che mi ha fatto… Lione, di recente - pronunciò il primo nome che le venne in mente – Si… un prezioso cimelio di famiglia che ha voluto che conservassi per lei…- aggiunse poi, nel tentativo di far credere anche a sé stessa della verità di quella bugia.
Il velo di un sorriso le si dipinse in volto non appena gli ritornò alla mente l’episodio della sera precedente.
- Ah, ecco perché mi sembrava di non avertelo mai visto al collo! - rispose la rossa sollevata.
Rein sospirò amareggiata per la bugia che aveva appena detto alla sorella.
Preferiva non parlarne ancora con nessuno dell’incontro col misterioso cavaliere: cosa avrebbe potuto dire di lui, in fondo?
- Allora…- esclamò a un tratto, rompendo il silenzio imbarazzante che si era creato tra loro - Stavi dicendo?-
Fine parve improvvisamente riprendersi dalle sue meditazioni.
- Giusto!- esclamò, riscuotendosi dai suoi pensieri – Ti dicevo che ho scoperto da Lione il nome del famigerato ladro che ha commesso il furto la scorsa notte alla festa -
- Dunque, si tratta davvero di un ladro?- domandò Rein osservando divertita la sorella.
Fine annuì – Pare che non sia la prima volta che commette un furto: in città è molto conosciuto e temuto, i gendarmi stanno cercando da mesi il luogo in cui si nasconde…-
Rein ridacchiò nell’udire il racconto della sorella – Un criminale di prima categoria, insomma - ironizzò.
Fine proseguì incurante il suo racconto – Questa sembra che sia la prima volta che fa la sua comparsa in un luogo così lontano dalla città. Nessuno sa cosa sia venuto a cercare, l’unica cosa che si sa è che indossa un mantello nero e una maschera del medesimo colore dalle orlature in oro, per questo è riuscito ad introdursi facilmente al ballo…-
Nell’udire quella descrizione altamente familiare, il cuore della turchina mancò di un battito.
Bloccò la sorella all’istante:- Come hai detto che si chiama il ladro?- domandò, un velo di agitazione nella voce mentre il battito cardiaco accelerava tempestivamente.
- Il suo nome è Eclipse, ed è uno tra i più famigerati ladri di tutta la contea…- le rispose la sorella con timore, notando il suo improvviso cambio di umore.
Alla turchina parve mancare il respiro per diversi istanti.
Boccheggiò nel tentativo di riprendere l’aria che continuava a mancarle nei polmoni.
Dovette posarsi più volte una mano sul cuore nel tentativo di ristabilizzare il battito cardiaco notevolmente accelerato.
Lo sguardo si perse nel vuoto, mentre la pronuncia di quel nome riecheggiava più volte nella sua mente.
- R-Rein? Cos’hai?- le domandò la sorella, notevolmente preoccupata.
- Eclipse…- fu l’unica parola che la turchina riuscì a pronunciare in mezzo a quello stato confusionale in cui si trovava.  



Angolo Autrice:

(*)
 L'uomo di cui parla Bright è quello citato nel capitolo precedente, nell'unico trafiletto in cui non sono coinvolti Rein ed Eclipse.


Buonasera a tutti!
Rieccomi qui, dopo una settimana e passa di silenzio... dovete scusarmi ma ho avuto parecchio da studiare per alcuni esami, quindi ho archiviato per un attimo la fic, dando la precedenza allos tudio (ahimè, questa purtroppo è una regola che deve valere sempre!)
Ciononostante, come vedete, sono riuscita lo stesso ad aggiornare, e devo dire che non mi lamento di questo capitolo, soprattutto della parte riguardante Altezza, Shade e Bright...
Credo che, leggendo quel trafiletto lì, si inizino a capire un paio di cose, a cominciare dall'identità segreta del cavaliere misterioso che è stato citato nello scorso capitolo.
Si, forse è tutto un pò noioso, ma la trama comincia a prendere una forma ben precisa, e di questo sono soddisfatta.
Spero lo siate anche voi.
Il mio soliloquio oggi termina qui, non ho troppo tempo da dedicare alle chiacchiere, recupererò in futuro.
Ovviamente ringrazio tutti coloro che seguono la storia, recensori e/o lettori silenziosi.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Un bacio a tutti, e un enorme grazie...

_BlueLady_

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Capitolo 11
*** X ***


CAPITOLO 10 ~
 
- E’ inconcepibile!- strillò la marchesa in uno scatto d’ira improvviso, gettando all’aria alcune carte poggiate sulla scrivania in mogano del piccolo studiolo.
Il fratello la osservò senza battere ciglio da un angolo buio della stanza.
- Un furto in casa mia… e del Sole di Mezzogiorno per giunta!-
- Ti avevo detto che organizzare la festa in maschera sarebbe stato rischioso - esordì il marchese con fare disinvolto, come se la cosa non lo turbasse affatto.
La sorella lo osservò inacidita, lanciandogli un’occhiata fulminea.
- Ero perfettamente consapevole dei rischi cui sarei andata incontro compiendo una mossa così azzardata- gli rispose irritata.
- Ciononostante, ti sei fatta ingannare lo stesso.-
Una smorfia infastidita le inarcò il lato sinistro del labbro.
- La contessa di Darthmour non ha saputo custodire il gioiello a dovere, eppure le avevo raccomandato di non indossarlo in dovute circostanze -
- Ci rimangono sempre il Raggio di Speranza e il Cuore di Drago -
La marchesa scosse la testa lentamente - Non è abbastanza.-
Udì il fratello avvicinarsi con passo felpato alle sue spalle.
- Eclipse è un ladro abile…- mormorò lui sottovoce.
La marchesa puntò il suo sguardo inacidito su di lui per poi rivoltarsi in avanti in direzione dei fogli che aveva gettato per terra con tanta foga.
- Già, Eclipse…- mormorò anch’ella raccogliendone da terra uno in particolare raffigurante un uomo dall’abito scuro e la maschera ricamata d’oro - Pensi sia al servizio di Shade?- le domandò il fratello scrutandola con interesse.
La marchesa scosse il capo senza distogliere lo sguardo dall’immagine – Non so - rispose sottovoce con fare pensoso - certo è che da quando ci siamo stabiliti fuori città, Eclipse sembra aver acquistato un certo interesse per i luoghi di periferia…-
Il fratello seguì il suo ragionamento senza battere ciglio. Comprese subito ciò che la sorella aveva intenzione di fargli fare.
- Penso sia opportuno svolgere delle indagini…-
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

La luce filtrava dalla finestra con fare invitante, i raggi del sole si adagiavano morbidamente sulle pieghe delle tende creando un meraviglioso gioco di ombre che pareva quasi una danza.
Da fuori si potevano udire cinguettare gli uccelli, mentre il ronzio delle api creava una piacevole melodia di sottofondo che andava a mescolarsi con il frusciare del vento.
L’odore delle sue rose aveva cominciato a pervadere la casa, troppo pungente per poter essere ignorato.
Le pareva quasi di sentirle chiamare da fuori; una preghiera soffocata in mezzo a quella sinfonia di suoni soffusi che la costringeva ad affacciarsi alla finestra.
Pensò che, dopotutto, una passeggiata non le avrebbe fatto male.
Era sola in casa: Bright e Shade si erano diretti in città dopo l’ultimo affare appena andato in porto, e la domestica era al piano di sopra a terminare le faccende di casa.
Si stava annoiando terribilmente.
Senza pensarci due volte afferrò il cappello che era solita indossare durante le uscite in città e, posatoselo in testa, uscì di corsa, diretta verso la sua serra.
Riusciva a scorgerla da lontano: un immenso palazzo di cristallo che lasciava intravedere una tavolozza di colori al suo interno, le sue rose.
Come aprì la porta per entrare in quel piccolo mondo che si era creata da sé, una ventata di freschezza fu il saluto che le donarono i suoi amati fiori.
Pareva quasi la salutassero, facendo brillare le loro corolle sotto i raggi del sole.
La Dea sfilò con eleganza di fronte a loro, ammirandoli uno per uno.
Talvolta si fermava a conversare con loro, raccontandogli gli ultimi avvenimenti che l’avevano tenuta impegnata: l’arrivo delle sorelle Sunrise in casa sua, il ballo in maschera a Villa Windsworth, l’affascinante giovane senza nome…
Su quell’ultimo particolare amava soffermarsi parecchio, ricordando, con un velo di rossore sulle gote, gli amabili occhi cobalto del giovane…
Una risata sommessa la costrinse a voltarsi di scatto, conscia di non essere più sola nella serra.
Si guardò intorno attonita, puntando i suoi occhi smeraldo ovunque nel tentativo di scorgere una figura a lei familiare.
- C’è qualcuno?- domandò titubante, avanzando cautamente tra le piante.
Nessuno rispose.
- Bright, Shade… siete voi?-
Ancora nulla.
Poi un fruscio alla sua destra e una sagoma oscura che si allontanava di soppiatto attirarono la sua attenzione.
- Chiunque tu sia, ti suggerisco di mostrarti. È del tutto inopportuno spiare una giovane donna e restare ad origliare le sue conversazioni! - diceva mentre inseguiva con passo veloce e ritmato la sagoma scura nascosta nella selva che si allontanava da lei sempre di più.
- Non scappare, codardo!- gli strillò dietro, accelerando ancora di più il passo – Cos’è, hai forse paura di una fanciulla indifes… ah!-
La Dea si fermò di colpo, trovandosi davanti una sagoma alquanto familiare dotata di due splendidi occhi cobalto che la fissavano divertiti.
Come riconobbe la figura di fronte a sé, non poté evitare al suo cuore di accelerare il battito cardiaco, mentre avvertiva le gote avvampare di vergogna.
- Perdonate l’intrusione, ma passando di qui ho avvertito una voce familiare provenire dall’interno della serra e non ho potuto fare a meno di entrare per accertarmi che i miei sospetti fossero giusti…- sussurrò lui, mentre un sorriso gli velava le labbra.
- V-Voi qui…- riuscì solamente a dire la Dea, troppo sconcertata ed emozionata per pronunciare una sillaba di più.
- Non avrei mai immaginato di trovare voi qui dentro - fece lui avvicinandosi lentamente - stavo giusto cercando il modo per impegnare la mia giornata, e il caso ha soddisfatto appieno la mia richiesta. Più di quanto mi aspettassi, in realtà…- e detto questo le baciò la mano inchinandosi di fronte a lei.
Alla Dea parve di svenire.
- Come conoscete chi io sia? Eppure mi pareva di aver nascosto bene la mia identità alla festa in maschera…- riuscì a dire dopo aver preso un ampio respiro che ristabilizzasse i battiti del suo cuore.
Il giovane ridacchiò teneramente – Non è difficile riconoscere la persona che fin dal primo istante è riuscita a far palpitare il proprio cuore di una bruciante emozione - rispose sinceramente guardandola - Inoltre, prima vi ho involontariamente udita discorrere della serata che avete trascorso a Villa Windsworth -
Le sue gote avvamparono nuovamente di emozione.
- Speravo di rincontrarvi dopo il ballo. Mi chiedevo se mai vi avrei rivisto - fece lei, incrociando il suo sguardo magnetico.
Il giovane sorrise, quasi con malizia.
- A quanto pare, le richieste di entrambi sono state esaudite...-
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Shade si lasciava dondolare dal ritmo lento e sobbalzante della carrozza, il volto affacciato al finestrino intento ad osservare la strada.
Bright, di fronte a lui, era impegnato a leggere alcune carte dalla scrittura sottile e minuziosa, ogni tanto aguzzava la vista nell’intento di comprendere una parola scritta in maniera indecifrabile.
- Credi che abbiamo fatto bene a lasciare tua sorella da sola?- gli domandò a un tratto il visconte, costringendolo ad alzare lo sguardo dal foglio.
- Altezza non è sola, c’è la domestica in casa con lei.- rispose il duca con pacatezza.
Shade cessò di osservare il panorama di fuori, puntando lo sguardo severo sull’amico.
- Sai benissimo cosa intendo, Bright. Una domestica non è la persona più adatta a difendere Altezza, se mai si dovesse presentare qualcuno in nostra assenza -
Bright alzò le spalle con fare disinvolto – Mia sorella è più tenace di quanto tu creda. E poi, anche se fosse, stiamo tornando da lei in questo istante -
Il duca indicò con un cenno della testa il paesaggio di fuori, riconoscendo la strada che conduceva all’entrata della loro villa.
Il visconte diresse gli occhi nella direzione indicata, sbuffando inacidito.
- Tu non ti rendi conto - lo rimproverò con serietà - il nemico è sempre dietro l’angolo…-
E mentre diceva ciò, la carrozza passò davanti all’imponente serra nella quale la Dea amava coltivare i suoi fiori.
Fu come intravedere un lampo a ciel sereno.
C’erano due figure che conversavano animatamente nei pressi della serra… due figure di cui una alquanto familiare…
- Bright, tua sorella è in dolce compagnia. C’è qualcuno con lei- avvisò Shade alzando la testa di scatto.
Il biondo si affacciò al finestrino, sbirciando da dietro le tende.
- Che sia il giovane del ballo in maschera di cui non mi vuole raccontare nulla?- domandò il duca con una nota di curiosità nella voce.
- Se le cose stanno, così, non prevedo nulla di buono - affermò l’altro, alzandosi di scatto.
- Shade, che diamine combini? Ti ricordo che stiamo viaggiando in carrozza in questo istante! - lo rimproverò il biondo districandosi dal suo corpo e tentando di farlo risedere.
- FERMA LA VETTURA!- urlò invece l’altro al cocchiere con tono secco e deciso.
La carrozza ebbe un sussulto, il duca si ritrovò con la faccia piantata in uno dei sellini, al suo fianco il visconte era sparito.
Ricomponendosi un poco, si affacciò al finestrino in tempo per vedere l’amico montare su uno dei cavalli che trainavano la carrozza, sganciarlo da quest’ultima e procedere al galoppo in aperta campagna, diretto verso una meta misteriosa.
- Shade! Che diamine hai intenzione di fare?- gli urlò dietro, ma l’amico procedette avanti senza dargli retta. 



Angolo Autrice:

Ommioddio, ma quanto sono in ritardo a postare?
Pazzesco, nemmeno ci si accorge di quanto passino in fretta le settimane, quando si tratta di aggiornare le fic su EFP.
Chiedo umilmente perdono per questo enorme ritardo: lo studio purtroppo ha avuto la proprità, in seguito ad altre importanti faccende.
Ma ora sono qui, e ho postato per voi il decimo capitolo.
Sorpresi, scioccati, stupiti?
Cosa pensate di tutto ciò?
Il cavaliere misterioso di Altezza, il discorso iniziale dei marchesi in cui compaiono nomi alquanto curiosi, il posto in cui è diretto Shade....
Attendo vostri pareri a riguardo. Vi chiederete come abbia potuto metterci tutto questo tempo, essendo un capitolo abbastanza corto rispetto ai miei standard, e poco entusiasmante...
Beh, la verità è che era già pronto da un pezzo, ma la mia mancanza di tempo mi ha impedito di stare al computer e mettere così il capitolo su EFP.
Vabbè, ho rimediato, credo...
Saluto tutti i lettori (se ce n'è ancora qualcuno!) e vi do appuntamento al prossimo capitolo (sperando di aggiornare in tempo)
Ci si vede alla prossima!

_BlueLady_

 

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Capitolo 12
*** XI ***


CAPITOLO 11~
 
Il sole stava ormai tramontando oltre le colline, creando un’atmosfera a dir poco idilliaca.
I suoi raggi illuminavano il panorama di una tenue luce rossastra, mentre attorno a lei il cinguettio degli uccelli si spegneva pian piano.
- Dì addio al signor Sole, sorellina!- esclamò una voce allegra alle sue spalle che la fece sussultare.
- Fine, mi hai spaventata!- la rimproverò lei rivolgendole un tenero sorriso.
- Ero venuta a darti la buonanotte, prima di andare a coricarmi…- disse l’altra dalla soglia della porta.
Rein si allontanò dal davanzale della finestra, dirigendosi verso le sponde del grande letto dove era poggiata sopra una candida camicia da notte fatta di tulle e pizzi.
- Vai già a letto?- domandò alla gemella afferrando l’indumento e portandoselo al petto.
- Ieri notte non sono riuscita a dormire…- rispose l’altra con un’alzata di spalle.
- Colpa del duca, eh?- fece Rein soffocando una risata maliziosa.
Fine ridacchiò – Viene a farmi visita tutte le sere – rispose in tono provocatorio.
- E’ pronto a scalare il balcone della camera di mamma e papà rischiando di farsi scoprire, pur di affacciarsi alla tua finestra?- le domandò la turchina stando al gioco.
La rossa la osservò scioccata.
- Che hai capito?- esclamò indignata - Intendevo dire che accompagna sempre i miei sogni durante la notte…-
- Fai sogni piuttosto piacevoli, dunque…-
Le due risero accompagnate dalla dolce cantilena dei grilli proveniente dal giardino.
- …Però, se ci pensi, sarebbe davvero meraviglioso se il duca si affacciasse veramente ogni notte alla mia finestra…- mormorò Fine con tono sognante.
La turchina sorrise, constatando la verità delle parole della sorella.
- Su, coraggio, vai a letto ora - esclamò dopo essersi riscossa dai suoi pensieri - altrimenti farai tardi all’appuntamento con il tuo “principe”…- e fece l’occhiolino a Fine che avvampò di vergogna.
- Buonanotte, Rein - le disse la rossa allontanandosi.
- Buonanotte, Fine…- sussurrò Rein in un sospiro.
 
Quando ritornò in camera dopo aver indossato la camicia da notte, la luna aveva già preso il suo posto in cielo, irradiando la stanza di una luce soffusa e cristallina.
Rein ammirò estasiata il panorama di fuori, lasciandosi baciare dai raggi lunari che parevano trasformarle la pelle in candida porcellana.
Un raggio di luna si insinuò curioso nella stanza, sfiorando con il suo lieve tocco il portagioielli appoggiato sopra la specchiera.
Subito la luce venne rifratta, creando un piacevole scintillio che pareva danzare in armonia con la brezza primaverile che soffiava di fuori.
Rein ammirò estasiata quel meraviglioso spettacolo che il cielo aveva riservato solo per lei.
Tra i gioielli presenti all’interno del portagioielli, ve n’era uno che brillava più degli altri: il meraviglioso zaffiro che le aveva donato il suo misterioso cavaliere al ballo in maschera.
Rein si avvicinò lentamente alla specchiera, prendendo cautamente il gioiello tra le mani.
Era affascinante osservare come brillasse in tutta la sua lucentezza anche in una così cupa atmosfera.
Pareva quasi una lacrima dispersa dal cielo.
Il suo viso si rabbuiò non appena i suoi occhi si rifletterono in esso.
Quel gioiello era il segno della sua condanna, un dono che il Buio le aveva gentilmente concesso.
Ancora non riusciva a capire con che sfacciataggine aveva avuto il coraggio di accettarlo.
Quel monile non era un dono…
Quel monile era il marchio che segnava la sua coscienza di un delitto mai commesso.
Senza volerlo si era resa complice di un furto nel quale non era mai stata coinvolta.
…Cosa doveva fare con quell’oggetto?
Gettarlo, nasconderlo, restituirlo?
Avvertì il suo cuore farsi sempre più pesante man mano che il gioiello scintillava alla luce della luna.
Non poteva certo portarlo alla gendarmeria, avrebbe certamente significato firmare un’ingiusta  condanna che non spettava a lei.
Non poteva nemmeno gettarlo via. Quel gioiello apparteneva certamente a qualcuno.
Tenerlo, tuttavia, equivaleva a rendersi complice del furto.
Sospirò amareggiata, tentando di liberarsi da quella morsa che le attanagliava lo stomaco.
Eclipse l’aveva ingannata.
Ma a che scopo, poi?
Mentre si struggeva ripensando agli avvenimenti della sera del ballo, un’ombra scura scivolò cauta dalla sua finestra dentro la stanza.
Non appena vide riflessa allo specchio una sagoma cupa che si stagliava alle sue spalle, Rein ebbe un sussulto.
Si voltò di scatto, appiattendosi contro la specchiera.
I suoi occhi incontrarono uno sguardo profondo e buio come il colore della maschera che l’individuo portava indosso.
Impossibile non riconoscere quei baratri profondi dai quali, ogni volta che li incontrava, temeva sempre di non uscirne.
- Voi…- sussurrò con tono sprezzante, rotto da ampi sospiri di agitazione.
La figura alzò leggermente il viso, facendo brillare i contorni della maschera dorata sotto i raggi lunari.
- Cosa siete venuto a cercare qui?- mormorò lei con tono freddo e tagliente – Non abbiamo nulla di così tanto prezioso in casa da poter offrirvi.-
Il Cavaliere Nero sorrise malizioso - Noto che le voci circolano piuttosto in fretta…- si limitò a dire sfacciato, muovendo passi lenti e felpati verso di lei.
Rein indietreggiò, appiattendosi ancora di più contro la specchiera. Eclipse le arrivò a pochi centimetri di distanza dal viso, gli occhi bui piantati in quelli cristallini di lei.
-… Che cosa avete da offrirmi, dunque, se non sono oggetti preziosi?- le domandò in un sussurro, sfiorandole una mano con la punta delle dita.
Il cuore della turchina ebbe un sussulto.
Tentò di lottare con tutte le sue forze contro quella parte di lei ancora capace di farsi soggiogare al fascino di quel cavaliere dal manto oscuro che l’aveva ingannata così spudoratamente.
Scostando con uno scatto veloce il braccio dove lui l’aveva sfiorata, gli rispose lanciandogli un’occhiata gelida e fulminante: - Non troverete niente che soddisfi la vostra avidità qui… a parte questo- e fece ciondolare di fronte a sé il gioiello color della notte che lui stesso le aveva donato.
Eclipse scostò leggermente il volto da quello della fanciulla per poter osservare meglio i suoi occhi glaciali.
- Devo dedurre dalla vostra espressione che non sono un ospite gradito?- domandò in tono provocatorio.
- I criminali non sono mai ospiti graditi in casa d’altri – rispose quella.
Indietreggiò ancora un poco.
- Chi vi dice che io sia un criminale?- domandò scrutandola in volto.
- I criminali ritornano sempre sulla scena del crimine, in un modo o nell’altro…- fu la risposta secca di Rein, che non cessava di fissarlo negli occhi con estrema severità.
- Quello vale solo per gli assassini - rispose il giovane inarcando la bocca in un altro sorrisetto malizioso.
Il silenzio aleggiò nella stanza per un attimo che parve interminabile.
La tensione era palpabile, fragile come un’ampolla di cristallo. Entrambi non cessavano di specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra, desiderosi di dimostrare la propria supremazia su quello che pareva essere il loro peggiore nemico.
Poi fu la frazione di un secondo.
Con una rapidità impressionante, Rein si fiondò verso la maniglia della porta, nel tentativo di raggiungerla e uscire dalla stanza.
Fu comunque troppo lenta.
Eclipse se ne accorse.
Con un gesto fulmineo afferrò il polso di Rein, costringendola a retrocedere nelle sue intenzioni.
La fanciulla fece una smorfia di disgusto nell’avvertire la presa stretta e tenace con cui lui l’aveva attratta a sé.
- Perché tentate di fuggirmi?- domandò lui a un soffio dalla sua bocca.
Rein si divincolava nel tentativo di liberarsi.
- …Avete assassinato il rispetto che nutrivo per voi…- mormorò sprezzante, il fiato del suo carceriere sul collo.
- Io vi avevo avvisato di non riporre troppa fiducia negli estranei…- sussurrò lui con un filo di voce, il viso a pochi centimetri di distanza.
Rein posò la mano libera su quella di lui, costringendolo ad allentare la presa. Mosse qualche passo indietro nel tentativo di allontanarsi da colui che ancora aveva il potere di esercitare tanto fascino su di lei.
- … Cosa volete da me?- riuscì a domandare con un filo di voce, stringendosi nelle spalle nel tentativo di proteggersi.
Il cavaliere fece un altro passo verso di lei, deciso a non lasciarsi sfuggire la sua ambita preda.
- Siete venuto a riprendervi il gioiello? Oppure cercate qualcos’altro?-
Udire quelle parole fu come ricevere un’impercettibile pugnalata al cuore.
- Sono venuto per accertarmi della vostra incolumità… e di quella del gioiello.- fu la risposta secca del giovane che fece mancare di un battito il cuore della turchina.
- N-Non capisco…- mormorò quella, abbandonando il suo tono aggressivo per lasciar spazio allo sconcertamento più totale.
Eclipse le si avvicinò senza proferire parola.
Lasciò che si sedesse sul letto accanto a lei, i suoi baratri profondi che la scrutavano intensamente.
-… Chi siete voi?- domandò di nuovo la turchina, allungando titubante una mano verso il suo volto per poi ritrarla timidamente.
Eclipse sorrise – Non mi sembra la domanda più adatta da fare a un criminale, questa -
Le afferrò delicatamente la mano che aveva ritratto, posandola sul suo volto mascherato.
Gli occhi di lei brillarono di imbarazzo al chiaro di luna.
- Sono un gentiluomo come gli altri - rispose sussurrando e baciandole la mano.
Alla stessa domanda la stessa risposta.
A Rein parve quasi di stare rivivendo un ricordo non troppo lontano… un ricordo che più volte le aveva fatto palpitare il cuore provocandole un piacevole calore in petto.
…Possibile che Eclipse non fosse affatto come lo dipingevano nella realtà?
Possibile che fosse veramente venuto lì… per lei?
- Spiegatemi perché avete voluto consegnare proprio a me il gioiello che avete rubato alla festa.- mormorò, riacquistando il suo tono ostile.
I suoi occhi si scontrarono nuovamente con quelli di lui.
Impossibile non rimanerne incantati…
- Chi vi dice che sia stato proprio io a rubarlo?- domandò lui atono.
Gli occhi della turchina si accesero di sdegno – Non vorrete farmi credere che voi siete innocente!- esclamò indignata – Le prime pagine dei quotidiani della città sono piene delle vostre immagini.-
- E’ solo cattiva pubblicità quella che sta sui vostri preziosi quotidiani…-
- Voi mentite.- gli disse lei in risposta - Altrimenti perché vi ritrovereste qui ora? Siete venuto solamente per accertarvi che io non abbia confessato dove si trovi il vostro prezioso gioiello!-
Si alzò irosamente dal letto, una tempesta di emozioni miste a odio e ammirazione che le pervadevano il petto.
Come poteva, come poteva mentirle così spudoratamente?
Mentirle nuovamente, dopo che si era già preso gioco di lei?
Non poteva tollerarlo, aveva già sopportato fin troppe umiliazioni.
- E’ il vostro passatempo, questo? Prendersi gioco di giovani donne ancora inesperte in amore?- domandò, lanciandogli la più cupa tra le occhiate.
Eclipse la osservò senza battere ciglio. Rein continuò incurante la sua accusa.
- Avvicinate una giovane fanciulla, la seducete col vostro fascino, le donate un gioiello facendole credere sia un pegno d’amore quando invece è frutto dei vostri subdoli inganni…-
La turchina era fuori di sé dalla rabbia.
Con un gesto impulsivo afferrò il ciondolo color della notte che portava al collo, strappandoselo di dosso.
La pietra scintillò a contatto coi raggi lunari.
La turchina si voltò verso il suo interlocutore, colma di disprezzo per lui.
- Ebbene, eccolo il vostro gioiello con il quale avete macchiato anche me del vostro delitto!- fece per gettare con violenza a terra il monile, ma una presa ferrea e decisa la bloccò tempestivamente.
Rein si ritrovò catturata nella morsa del Cavaliere Nero, il cuore ancora trepidante di emozioni contrastanti le une con le altre, il respiro interrotto da flebili singhiozzi intermittenti.
Si ritrovò a sfogare la sua rabbia in un pianto accusatore tra le braccia del suo stesso nemico, incapace di lottare o di opporsi a quella stretta imponente e passionale al tempo stesso.
Poteva quasi avvertire il suo fiato caldo sul collo farle rabbrividire ogni singolo centimetro di pelle del suo corpo.
- Non mi sto affatto prendendo gioco di voi, credetemi – le sussurrò lui all’orecchio con una sincerità che le metteva quasi paura.
- Perché avete scelto me?- domandò lei tra le lacrime rabbrividendo un poco - Non sono in grado di sopportare il peso di un fardello così grande…-
Lui le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.
- Il gioiello che vi ho donato non è quello che è stato rubato alla festa - sussurrò pacatamente - quello è un prezioso topazio dai riflessi ambrati, mentre il vostro è un lucente zaffiro -
Le porse una pagina del quotidiano che mostrava l’immagine di un gioiello ambrato e squadrato, ma dai bordi gentilmente levigati.
Rein volse lo sguardo verso di lui senza capire.
- Perché volete che lo conservi io?- domandò, apparentemente più sollevata.
- Mi serve un luogo sicuro in cui poterlo nascondere.- fu la sua risposta.
- Nascondere… da chi?- domandò nuovamente la turchina, sempre più confusa dal tono enigmatico di lui.
Eclipse si erse in piedi, facendo volteggiare il cupo mantello.
- E’ tempo che io vi lasci.- annunciò, notando il cielo assumere tonalità sempre più chiare in procinto di annunciare la venuta del giorno.
Si diresse furtivamente verso la finestra, pronto a scavalcarla, non prima di aver gettato un’ultima occhiata furtiva in direzione di Rein.
La turchina lo osservava in un’espressione mista tra lo sconcertamento e la paura.
- Verrò a farvi visita ogni notte per rendere meno dolorosa la pena a cui vi ho condannata, se la cosa può aiutarvi…- annunciò, prima di sparire inghiottito dalle ultime ombre della notte.
Rein si affacciò alla finestra nel tentativo di trattenerlo ancora per chiedere spiegazioni, ma come gettò lo sguardo sulla strada la accolse solamente la cantilena dei grilli che si dissolveva pian piano nell’aria.
 

Il carceriere aveva avuto pietà della sua vittima, per quella notte, lanciandole un compromesso che non poteva rifiutare.
Eccolo ciò che entrambi stavano aspettando.

  

 

Angolo Autrice:


Uff, ce l'ho fatta, un altro capitolo è andato.
Buonsalve a tutti, la vostra Vale è tornata dopo altri interminabili giorni di silenzio con il nuovo capitolo.
Mi scuso per il rallentamento negli aggiornamenti, ma purtroppo ultimamente non ho nè tempo nè ispirazione per continuare, sono piuttosto in crisi.
Ciò non vuol dire che non terminerò la fic, la terminerò eccome, ho già tutto in mente, devo solo trascriverlo a computer.
Perciò vi chiedo di pazientare, finchè non avrò ritrovato il tempo, ma soprattutto l'ispirazione.
Tornando alla storia, credo non ci sia nulla da dire...
Solo una cosa: il gioiello che Eclipse ha donato a Rein, credete sia veramente quello che è stato rubato alla festa in maschera?
Pe raiutarvi, vi chiedo di fare un collegamento con il capitolo precedente, forse la cosa vi potrà aiutare...
Aparte questo, Eclipse ci lascia con un'affermazione che non so se farà più serena o più paura a Rein.
Fine è sempre più innamorata di Bright, Eclipse è sempre più misterioso, Rein è sempre più confusa...
Si, direi che gli elementi ci siano tutti.
Vi aspetto al prossimo capitolo, allora!
Un saluto

_BlueLady_

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Capitolo 13
*** XII ***


CAPITOLO 12~
 
- Ripetimi perché siamo venute fin qui…- domandò Rein alla sorella, osservando spaesata la facciata della villa dei Tinselpearl, indecisa se entrare o meno.
- Il duca ci ha invitate a prendere un tè in sua compagnia per poter conoscerci meglio.- rispose Fine con un ampio sorriso impresso in volto.
- Era necessaria anche la loro presenza?- domandò Rein all’orecchio della sorella, accennando con uno sguardo fugace ai genitori dietro di loro impegnati in un atteggiamento tutt’altro che rispettoso.
La madre correva in ogni angolo del giardino ammirando con eccessivo entusiasmo ogni singolo filo d’erba presente in esso; il padre, al contrario, le camminava a fianco, lanciando di tanto in tanto qualche silenzioso sbadiglio.
Fine si voltò verso la sorella accennando un’alzata di spalle – Bright ha specificato di voler conoscere l’intera famiglia…- mormorò giustificandosi.
- Bright? Da quando tu e il duca siete entrati così in confidenza?- esclamò Rein osservandola con una nota di malizia -… Non è che la ragione di questo ricevimento è un pretesto per chiederti in moglie?-
Fine si irrigidì di colpo.
- Rein, ma che diamine vai dicendo!- esclamò, facendosi rossa in volto.
La turchina ridacchiò tra sé e sé, divertita per quella reazione fin troppo eccessiva.
Ben presto furono accolte da uno dei maggiordomi, pronto ad accompagnarle nella sala dove si sarebbe tenuto il ricevimento.
Sebbene Rein fosse già stata lì dentro una volta, rivedere quelle mura e quelle stanze così familiari le fece un certo effetto.
Non appena passò davanti al salotto in cui aveva intrattenuto la sua prima conversazione con il visconte, poi, non poté fare a meno di domandarsi se anche lui sarebbe stato presente, e si ritrovò a sperare, con non poca contrarietà, che il suo desiderio venisse soddisfatto.
Non appena realizzò ciò a cui stava pensando scosse violentemente la testa, come per scacciare via quegli assurdi pensieri.
Era inutile illudersi di ricevere l’affetto di un uomo dal quale non poteva pretendere neppure di ottenerne il rispetto.
Le sue amare constatazioni venivano continuamente interrotte dalle esclamazioni della madre che continuava ad elogiare ogni singolo angolo della casa le capitasse sott’occhio.
Il maggiordomo che li accompagnava, costretto a sorbirsi quelle insulse moine, roteò gli occhi in alto, sospirando.
La donna non si accorse del gesto, ma il marito si.
Notando una muta richiesta di aiuto proveniente da uno degli sguardi del pover’uomo, ritenne opportuno intervenire nella conversazione.
- Ehm… Elsa, mia cara, perché non riservi i tuoi complimenti per il padrone di casa?- accennò, volgendo un’occhiata complice al maggiordomo che asserì, colmo di gratitudine.
- Oh, dici che sto diventando leggermente noiosa?- domandò quella, volgendosi verso di lui.
- Niente affatto, cara…- le rispose il marito in un sorriso -… stai diventando decisamente noiosa… e un tantino ruffiana, se mi permetti di dirtelo…-
Il volto della signora Sunrise si gonfiò di indignazione.
Cominciò a borbottare lamentele contro il marito, che si limitava a sorbirsi la predica annuendo con il capo.
Rein e Fine osservarono divertite i genitori impegnati in uno dei loro soliti battibecchi, ridacchiando sommessamente.
Finalmente giunsero nell’angolo della casa riservato unicamente per loro.
Ad accoglierli fu lo splendido sorriso del Cavaliere, accompagnato dalla sorella che gli stava a fianco.
- Signorina Sunrise, è un piacere vedere che abbiate accettato ancora una volta il mio invito qui e che anche la vostra famiglia lo abbia fatto!- esclamò quello a Fine, baciandole galantemente la mano.
Rein vide la sorella avvampare dall’emozione sotto lo sguardo scettico della duchessa.
I due giovani si osservarono imbarazzati ed emozionati, consci di essere osservati da tutti i presenti, ma il loro imbarazzo durò poco, poiché l’attenzione si spostò presto sui genitori delle gemelle, ancora impegnati a discutere su argomenti alquanto inutili e fuori luogo.
Non appena notarono di essere osservati, i signori Sunrise fecero le loro più sentite scuse ai loro ospiti per il pessimo comportamento che avevano tenuto in loro presenza, senza nascondere un velo di imbarazzo per il fatto che le loro figlie si stessero comportando in un modo decisamente più dignitoso di loro.
Il duca non parve minimamente offeso, anzi, pareva quasi divertito di quel comportamento alquanto insolito.
Diversa era invece l’espressione della Dea, discorde in tutto e per tutto con l’opinione del fratello  ma, si sa, quando c’è di mezzo l’amore per una fanciulla, anche i più grossi difetti paiono prestigiosissime virtù… E i genitori di Fine lo erano senz’altro.
- Bene, accomodatevi – ordinò il duca non appena tutti ebbero fatte le dovute presentazioni – Il tè sarà servito a momenti…-
 
A circa metà della loro visita dai Tinselpearl a Rein non parve ancora chiaro il motivo del loro invito.
Il duca sembrava inizialmente intenzionato a conoscere i genitori suoi e di Fine per un motivo ben preciso, ma questa sua convinzione scemava man mano che la visita procedeva oltre.
Quello che doveva essere un pomeriggio di novità e nuove intense emozioni prendeva sempre di più la piega di un semplice pomeriggio in compagnia di amici.
Rein era decisamente stufa delle continue chiacchiere di sua madre, degli sguardi di rimprovero che suo padre le lanciava, dei sorrisi imbarazzati che sua sorella scambiava con il duca, perfino del profondo disinteresse che la Dea mostrava a tutta quella sconcertante situazione.
A tè finito prese la decisione di alzarsi e fare una passeggiata per conto suo, intenzionata a isolarsi da quell’atmosfera soffocante.
Trovata una scusa abbordabile che potesse evitare di commettere una scortesia, prese gentilmente congedo dal gruppo, ignorando l’occhiata interrogativa che Fine le aveva rivolto.
Dopotutto, l’aveva cacciata lei in quell’imbarazzante situazione, e sicuramente avrebbe trovato il modo di uscirne.
Priva di alcun rimpianto verso la sorella, si diresse il più in fretta possibile in giardino, desiderosa di assaporare l’aria fresca che aleggiava di fuori.
Non appena uscì vide una foresta di fiori variopinti donarle il loro più cordiale saluto.
Le sue labbra si incresparono in un sorriso mentre si inoltrava sempre di più verso quello che giudicava essere il suo paradiso.
Procedette in avanti correndo, finché il fiato e la lunga gonna che aveva indosso glielo permettevano.
Poi un curioso suono proveniente dai pressi della villa attirò la sua attenzione.
Si voltò di scatto, udendo ancora quello che pareva essere un nitrito lontano.
Proveniva dalle stalle del duca, probabilmente apparteneva a uno dei numerosi cavalli che erano di sua proprietà, data l’ingente ricchezza di cui il Cavaliere disponeva.
Decise di dirigersi al loro interno, desiderosa di vedere quali magnifici esemplari fossero allevati lì dentro.
Quando entrò, però, si sorprese di trovare la stalla stranamente vuota.
Si osservò intorno sconcertata: non un singolo filamento di fieno si muoveva.
Solamente uno sbuffo improvviso alle sue spalle la fece sobbalzare, costringendola a voltarsi di scatto.
Quando realizzò ciò che le stava davanti, sgranò gli occhi estasiata.
Di fronte a lei c’era uno splendido esemplare di cavallo delle praterie bianco, il manto candido come la più gelida delle nevi.
Trovarne uno simile, e soprattutto riuscire ad allevarlo, era praticamente impossibile.
Si avvicinò cautamente, affascinata da tanta magnificenza.
L’animale non parve turbato dalla sua presenza, ma anzi la incoraggiò sempre di più ad avvicinarsi, avanzando a sua volta.
Si lasciò sfiorare il muso delicatamente.
Il cuore di Rein si riempì di gioia a quel tocco.
Il pelo era ispido, ma allo stesso tempo soffice e vellutato.
- … E tu che ci fai in una sontuosa stalla come questa, invece che correre libero per i pascoli? Preferisci il lusso che una nobile casa ha da offrirti?- gli domandò, ricevendo in risposta uno sbuffo.
- … Impicciarsi degli affari degli altri è sintomo di una grave mancanza di educazione, non ve lo hanno mai insegnato?-
Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare improvvisamente.
Quando si voltò, vide alle sue spalle nientemeno che il visconte con il suo solito atteggiamento superbo e gli occhi glaciali che la osservavano severamente.
Stava appoggiato allo stipite della porta, la luce del sole proveniente dall’esterno che si scontrava con la sua buia figura provocando intensi giochi di luce attorno alla sua sagoma.
Il suo cuore sussultò non appena notò i suoi occhi scrutarla severamente in volto. Si ritrovò a gioire silenziosamente per quell’incontro fortuito che segretamente aveva sperato accadesse.
- Domando scusa – disse – se mi sono permessa di inoltrarmi qua dentro senza alcun consenso. Stavo facendo una passeggiata di fuori quando ho udito un nitrito da lontano, e credendo stesse arrivando una carrozza mi sono avvicinata per accertarmi che i miei sospetti fossero fondati.-
In effetti era vero ciò che diceva, poiché inizialmente aveva realmente sospettato si stesse trattando dell’arrivo di qualche altro ospite al ricevimento del duca.
Il visconte abbassò lo sguardo senza fare minimamente caso alla sua giustificazione, afferrò una sella e una spazzola dalle pareti della stalla e si avvicinò nel posto dove si trovavano lei e il cavallo.
Senza pronunciare una parola aprì il cancello del piccolo recinto che rinchiudeva l’animale, cominciando a spazzolarne il manto candido.
Rein lo osservava con la più accurata attenzione, non senza provare un minimo di ammirazione per la cura con la quale il visconte si prendeva cura del cavallo.
L’animale sbuffava piacevolmente sotto il tocco gentile e delicato delle setole della spazzola.
- E’ un bell’esemplare…- esordì Rein a un tratto rompendo il silenzio nella stalla - Il duca lo possiede da molto?-
Il giovane puntò i suoi occhi bui nei suoi.
- Il duca non possiede cavalli, quelli che trainano la sua carrozza gli sono gentilmente concessi da uno stalliere di fiducia della contea. L’esemplare che state vedendo ora è di mia proprietà- affermò con freddezza, senza cessare di spazzolare con cura il pelo dell’animale.
Rein sgranò gli occhi sbalordita.
- Dunque, mi state dicendo che questo cavallo è vostro?- domandò.
Il visconte la osservò come per constatare se ciò che aveva appena pronunciato fosse una provocazione diretta a lui.
- Non  mi credete, forse?- le rispose scettico.
Il suo sguardo penetrò nuovamente gli occhi cristallini di lei, causandole un altro improvviso sussulto al cuore.
Si affrettò a correggere la sua involontaria provocazione.
- Assolutamente si – esclamò, arrossendo un poco - Solo mi stupisce il fatto di vedere un esemplare che di solito vive allo stato brado così mansueto e a suo agio rinchiuso in una stalla. Gli avete già dato un nome?- domandò poi, per tentare di sviare la conversazione precedente.
- E’ una femmina…- le rispose secco il visconte con uno sguardo di rimprovero. 
- Oh…- mormorò Rein, abbassando gli occhi dalla vergogna.
Il visconte la osservò rabbuiarsi, conscia di aver fatto nuovamente una figuraccia di fronte a lui.
La fortuna pareva proprio non assisterla, quel giorno…
Sorrise, più per vendetta che per compassione o, almeno, così parve a Rein.
- Si chiama Regina - si affrettò a risponderle Shade, per evitarle un ulteriore imbarazzo.
La turchina alzò il viso, grata a lui per averle risparmiato la fatica di chiederglielo.
- Regina? Mi sembra un nome decisamente appropriato – esclamò, riacquistando il suo fare estroverso - …E’ davvero la regina di tutte le giumente…- affermò, poi, avvicinandosi ad accarezzarla.
La cavalla sbuffò di contentezza alle premure che Rein le rivolgeva.
Arrivò perfino a leccarle una mano, causando un’improvvisa esclamazione di sorpresa da parte della fanciulla.
- Le piacete.- osservò il visconte senza scomporsi più di tanto.
Quelle parole le fecero un gran piacere, e a una seconda leccata della cavalla non riuscì a non ridere di gusto di fronte a quel gesto di affetto manifestato con così tanta enfasi.
La sua risata cristallina che si spandeva nell’aria gli provocò qualcosa in petto che non seppe spiegarsi.
…Vederla sorridere, udire la sua risata, osservare i suoi splendidi occhi azzurri ridursi a due piccole fessure celando le sue iridi simili a limpide pozze d’acqua, mise di buon umore perfino il visconte.
Per un attimo, il giovane dimenticò il suo fare burbero e scontroso, lasciandosi anch’egli trascinare dall’allegria della turchina.
Rein lo osservò, sorpresa ed ammaliata, sciogliersi in quello splendido sorriso che gli illuminava il volto, le gote che si imporporavano un poco.
Solamente quando si accorse di stare ridendo da solo riacquistò tutta la sua superbia, riprendendo a dare le ultime spazzolate alla cavalla in silenzio prima di montarvi in sella.
Una pacata atmosfera tornò ad aleggiare nella stalla, la quiete rotta solamente dagli sbuffi di Regina che ancora manifestava la sua contentezza al proprio padrone e alla nuova ospite.
- Anche oggi siete qui in veste di aiuto a vostra sorella?- domandò un tratto il visconte, rompendo il silenzio -… Bright mi ha detto di avervi invitati tutti a prendere un tè assieme alla vostra famiglia…- aggiunse subito dopo, come per evitare cattivi pensieri che quella frase buttata a caso avrebbe potuto suscitare nella turchina.
- Non eravate voi quello che diceva che impicciarsi negli affari altrui è maleducazione?- esclamò invece lei, cogliendo l’occasione di quella domanda per ribattere abilmente alla sua prima osservazione.
Il visconte sorrise, conscio che quella provocazione se l’era meritata.
Dopo un altro attimo di silenzio, aggiunse - Dovete amarla davvero tanto, vostra sorella, se siete disposta a sopportare un noioso ricevimento che implichi la conoscenza del duca con la vostra famiglia…-
Rein annuì, ridendo sommessamente.
- Sarà meglio che cominci ad abituarmi a eventi di questo genere… del resto, mia sorella è giovane e in età da marito, chissà che non si verifichi un’occasione futura che implichi qualcosa di più di un semplice pomeriggio in amicizia…- rispose, tentando di celare in quella frase il desiderio di sapere di più sulle intenzioni del duca riguardo sua sorella.
Il visconte tuttavia capì, ed inarcò la bocca in un sorriso.
- E voi, signorina Sunrise?- le domandò poi con un tono di voce a dir poco ammaliante – Cosa?- chiese  lei.
- Anche voi siete in età da marito, se non sbaglio…- le disse lui, lasciando volutamente morire la frase in quel punto, senza aggiungere altro.
Per l’ennesima volta il cuore di Rein le sobbalzò in petto, ed istintivamente posò una mano in prossimità dello sterno come se temesse che il visconte potesse vederlo sbalzare fuori da un momento all’altro.
Arrossì, ingoiando un bolo di saliva simile a un macigno.
Il visconte ridacchiò sommessamente nel notare la sua reazione, e dal nulla il suo modo di fare le ricordò tremendamente quello di un’altra persona a lei nota.
Quel sorriso sghembo… lo aveva già visto altre volte prima di allora…
Desiderosa di scoprire sei suoi sospetti fossero fondati, e al contempo di prendersi l’ennesima vittoria su di lui se fosse stato realmente come sospettava -…Voi mi ricordate qualcuno, sapete?- azzardò.
Il sorriso di lui disparve, ma non si lasciò intimorire dal suo sguardo indagatore.
- Qualcuno?- domandò incuriosito - E chi, se mi è lecito saperlo?-
Rein piantò le sue pupille in quelle di lui, per verificare un qualunque segno di vacillazione da parte sua.
- Un collezionista…- rispose pacatamente.
Il visconte sostenne lo sguardo con fermezza e decisione.
- Un collezionista?- ripeté.
Annuì.
- Un collezionista di gioielli.- aggiunse infine, studiando la sua reazione.
Il visconte ridacchiò di quella che gli parve una sciocchezza bell’e buona.
- L’unica cosa che colleziono sono i continui guadagni che ricavo dall’approdo delle mie merci oltremare…- rispose, senza cessare di ridere tra sé e sé.
Rein rimase alquanto delusa e offesa dalla sua reazione. Non era certo quella che si sarebbe aspettata avendo finalmente smascherato Eclipse!
Evidentemente aveva fatto un enorme buco nell’acqua fin dall’inizio. L’ossessione per il visconte doveva essere talmente acuta in lei da farle credere perfino le cose più assurde.
Come poteva essere lui Eclipse, lui, uno degli uomini più ricchi di tutta la contea?
Arrossì del suo errore, ringraziando il cielo che lui non potesse cogliere il suo imbarazzo, almeno per quella volta.
Shade terminò presto la toeletta alla sua cavalla e, non appena fu pronta, montò in sella, pronto a cavalcarla.
Congedandosi da Rein come era d’educazione, si diresse al di fuori della stalla, desideroso di partire per chissà quale meta.
Ricordando quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che lo aveva visto e quanto aveva sperato di poterlo rivedere ancora prima di allora, Rein lo seguì, accertandosi che il luogo in cui era diretto non fosse così lontano da implicare un’assenza più lunga del dovuto.
- Vedete di non sparire dalla circolazione come avete fatto da un po’ di tempo a questa parte…- gli disse prima che lui partisse alla volta della campagna -…ci terrei a rivedere la vostra cavalla… e voi…- aggiunse poi, osservandolo negli occhi con una nota di sfida.
Il visconte ricambiò il saluto con un lieve cenno del capo, poi intimò a Regina di partire e la cavalla sfrecciò lungo il viale con una velocità impressionante.
Cavalla e cavaliere furono ben presto lontani dal raggio visivo di Rein.
Solamente in un secondo momento la giovane si rese conto dell’ultima frase che aveva detto al visconte, e di quanto indiscreta ed imprudente fosse stata nel pronunciare parole così avventate. 



Angolo Autrice:

Buh!
Chi non muore si rivede!
Ebbene si: sono finalmente qui con il nuovo capitolo (ci ho messo parecchio stavolta, eh?)
Dovete perdonarmi, ma tra feste, studio e problemi personali (quelli non mancano mai, purtroppo) il tempo di mettersi a scrivere o addirittura di aggiornare è poco, anzi, pochissimo.
Nonostante tutto, però, mi faccio in quattro pur di farvi leggere ogni tanto qualche capitoletto della mia storia che procede a rilento. Molto a rilento.
Il tempo è poco, l'ispirazione pure.
La storia è fatta, devo solo continuare a scriverla.
E' frustrante quando riesci ad avere un pò di tempo per metterti al computer, e non hai un briciolo di ispirazione che ti venga in soccorso per aiutarti a concludere una fic. Ne devo fare ancora di capitoli, ma come faccio se non ho voglia di mettermi a scrivere?
Insomma, ci vuole un certo impegno a scrivere con uno stile così pesante, e dopo ore di studio non ho la forza di pensare oltre.
Perciò perdonatemi se il capitolo non piacerà, se troverete errori o qualsiasi altro orrore.
Tento di fare del mio meglio, ci tengo alla buona riuscita di questa storia, e tanto.
Vabbè, la pianto di annoiarvi con i miei problemi e vi saluto.
Auguro a tutti i miei lettori (silenziosi e non) un Buon Natale, anche se in ritardo, e già che ci sono, un Felice Anno Nuovo in anticipo.
(Un pò di puntualità non la possiamo proprio avere, eh?)
Adesso finisco veramente.
Grazie a tutti coloro che mi hanno sostenuto fin qui, cercherò di essere più puntuale nel postare, d'ora in poi.
Un saluto

_BlueLady_

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Capitolo 14
*** XIII ***


CAPITOLO 13~
 
“…Ti ha fatto innamorare di una persona che, con ogni probabilità, ha soppresso definitivamente nel momento in cui ha cessato di indossare la sua maschera.”(*)
 
La luna pallida e scarna tornò ad illuminare con la sua fioca luce le strade ormai deserte della contea, sintomo della morte di un altro giorno.
Una coltre di buio spessa si impadronì del territorio, avvolgendo con le sue fitte tenebre qualunque cosa di presentasse al suo passaggio.
Di lontano si potevano ancora udire lievi mormorii sommessi spegnersi man mano che la cantilena dei grilli cresceva, intonando una melodia che sarebbe stata compagna dei sonni degli abitanti della contea per le rimanenti ore che precedevano il risveglio.
In prossimità di una villa si spense l’ultimo lume, unico spiraglio di luce in mezzo alla fitta foresta di tenebre che avanzava, inspessendosi sempre di più.
Rein, distesa nel letto della sua camera, diede un’ultima occhiata furtiva di fuori prima di permettere alle sue palpebre di chiudersi e di piombare in un sonno profondo e ristoratore.
Mentre avvertiva il torpore avanzare sempre di più nelle sue membra e appesantirle i pensieri, si concentrò ad udire il silenzio di fuori; l’intera contea pareva essere stata intrappolata sotto una rigida campana di vetro, inscalfibile ed impenetrabile.
Poi un tramestio veloce di zoccoli, seguito da un profondo sbuffo, fece breccia entro quell’idilliaca atmosfera; un’incrinatura su quell’immacolata superficie vitrea che vigilava sul sonno della fanciulla dai capelli turchini.
La luce della luna parve vibrare per un momento quasi impercettibile, un’ombra scura si presentò al davanzale della sua finestra, silenziosa, furtiva, scaltra.
Riconoscendo in essa sembianze a lei familiari Rein sussultò, le parve che una voragine improvvisa alla bocca dello stomaco si aprisse per un istante.
L’ombra saltò agilmente dal davanzale al pavimento, muovendo passi felpati in modo talmente abile da fare invidia persino a un gatto.
Giunse ai piedi del suo letto, illuminata solamente dai timidi raggi lunari.
Rein riconobbe subito la maschera dalle orlature in oro tanto odiata ed amata al tempo stesso che copriva il volto del suo oscuro visitatore.
Sedendosi tempestivamente sul letto e portandosi automaticamente le lenzuola al petto in un gesto di involontaria difesa, si mise a fissare quegli occhi imperscrutabili che parevano due gemme notturne, gemelle di quel cielo tempestato di stelle e padrone di ogni notte.
- Siete tornato, dunque.- proferì in un sussurro.
Lui ricambiò il saluto donandole uno dei suoi sorrisi sghembi accompagnato da un lieve cenno del capo.
- Come vi avevo promesso…-
Si alzò in piedi per mettersi al livello del suo interlocutore, senza abbandonare il contatto visivo che aveva instaurato con lui.
Lo vide sorridere compiaciuto mentre si perdeva nei suoi occhi neri come la notte.
La maschera che portava indosso brillò ancora una volta, celando i lineamenti del suo volto all’apparenza così perfetti e ben definiti. Le sue labbra sottili a un soffio dalle sue la invitavano ad una più intima conoscenza, inarcate in quel sorriso sfacciato che tante volte compariva perfino nei suoi sogni.
Abbassò il volto contrariata. Lei non avrebbe dovuto sentirsi così attratta da lui.
Avrebbe dovuto temerlo, invece.
Eppure, una piccola parte di lei si ostinava ancora a provare dell’ammirazione per quel delinquente che aveva portato solamente un grande scompiglio nella sua placida e tranquilla esistenza.
Eclipse mosse qualche passo verso di lei, prendendole il mento tra le dita e costringendola a guardarlo nuovamente negli occhi.
- Non mi fuggite stasera?- le domandò in tono altamente provocatorio per il quale sentì un brivido percorrerle la spina dorsale.
Avrebbe voluto perdersi in quei baratri profondi che erano i suoi occhi, affogarvi dentro per poi non riemergere più.
Dischiuse le labbra nel tentativo di rispondere a tono alla sua provocazione, ma uno scintillio improvviso riflesso negli occhi di lui la distolse dalla sua azione.
Eclipse, con un gesto rapido ed impercettibile, aveva nascosto abilmente qualcosa nella tasca interna del suo mantello distraendo la turchina con quella domanda pungente nel tentativo di non farsi scoprire.
Come era entrato a contatto coi raggi lunari, tuttavia, l’oggetto che teneva in mano non poté evitare di emettere un fievole scintillio che non passò inosservato agli occhi di Rein.
Lo vide benissimo il gioiello che Eclipse teneva saldamente tra le mani e che ora si affrettava a nascondere alla sua vista.
Non lo riconobbe come uno dei suoi. Pareva invece una pietra finemente modellata dal più esperto degli artigiani, certamente appartenente ad una donna di nobile rango come quelle che abitavano le più suntuose ville giù in città.
Con una nota di disappunto si liberò dalla sua presa, guardandolo severamente in volto.
- Quello è un altro dei vostri numerosi furti appena commesso?- gli domandò secca, accennando al gioiello che ora era al sicuro nella tasca del suo mantello.
- Vi ostinate a credere che io sia un criminale di prima categoria, dunque - le rispose lui con voce tenue e pacata, per nulla turbato.
Un’ombra di disappunto comparve sull’orlo delle labbra della turchina.
- Avete intenzione di affidare anche quel gioiello a me… oppure siete intenzionato a donarlo ad un’altra delle vostre numerose spasimanti?- ribatté sfacciata, un’inspiegabile bruciore al petto simile alla gelosia che le bruciava dentro.
Lui rise, senza nascondere una nota di compiacimento per quelle parole pronunciate con così tanta enfasi.
- La vostra arguzia è notevole… pari quasi quanto alla vostra sfacciataggine.- disse.
- E la vostra abilità nello sviare gli argomenti è apprezzabile, ma non quanto basta a distogliere la mia attenzione da ciò che vi ho chiesto.- gli rispose lei in tono freddo e pungente.
La sua risata si spense al suono di quelle arroganti parole.
- Perché siete tornato qui, pur sapendo che avrei riservato un atteggiamento ostile nei vostri confronti?- gli domandò.
I suoi occhi bui si socchiusero fino a formare due fessure sottili e taglienti.
- Volete davvero sapere il motivo?- chiese lui con tono di sfida.
Rein annuì senza lasciarsi intimidire dal suo sguardo glaciale.
Riteneva fosse giunto il momento della spiegazione che l’altra notte non aveva voluto darle.
- Il gioiello… perché avete voluto affidarlo proprio a me quando neanche mi conoscete e non sapete se fidarvi o meno…-
- C’è dell’altro - la interruppe lui,dopo un breve minuto di silenzio, avvicinandosi lentamente.
- C-Cioè?- balbettò lei, irrigidendosi al contatto della mano di lui con il suo viso, ma senza cessare di guardarlo negli occhi per non voler mostrare alcun segno di debolezza.
Eclipse inarcò leggermente le labbra all’insù non appena avvertì la pelle di Rein rabbrividire al contatto con le sue dita.
- La verità?- domandò, a un soffio dalle sue labbra - Per qualche strano motivo, non riesco a stare lontano da voi…-
Quelle parole pronunciate così di getto le provocarono un’improvvisa tempesta di emozioni in petto che non si seppe spiegare neppure lei.
Non aveva inteso a fondo il significato di quella frase, o più semplicemente una parte di lei non voleva intenderla, mentre l’altra parte aveva compreso benissimo ciò che egli aveva voluto dire.
Vide le labbra del giovane avvicinarsi pian piano alle sue, il cuore che trepidava in petto soggiogato all’incantesimo del fascino di quel cavaliere dal manto oscuro, mentre la mente le gridava di allontanarsi e di impedire che l’evento tanto sospirato e temuto al tempo stesso si avverasse.
Il risultato fu la totale incapacità di muoversi: la turchina rimase bloccata al suo posto, pronta a sorbirsi quel bacio che si, desiderava ardentemente anche lei di ricambiare, ma che per rispetto dei suoi principi non poteva accettare, essendo quello il simbolo della completa vittoria di Eclipse sulla sua fragile preda.
La persuasione la sosteneva ad arrendersi passivamente al suo avversario, l’orgoglio le intimava di non cedere ad un così volubile desiderio.
Solamente un colpo secco alla porta della sua camera, seguito subito da un altro e un altro ancora interruppero quell’uragano di emozioni che le si stava scatenando in petto.
Colta alla sprovvista e sopraffatta dalla più totale confusione, lasciò le labbra di Eclipse ancora in cerca delle sue per avvicinarsi alla porta e rispondere all’incauto disturbatore.
- Chi… Chi è?- domandò, ancora in preda all’emozione.
Dall’altra parte, udì sua sorella chiamare.
- Rein? È tutto a posto? -
Il panico si impadronì di lei.
- F-Fine?- riuscì solamente a pronunciare.
La porta scattò, il volto di Fine comparve subito dietro di essa.
- Rein stai bene?- le domandò preoccupata – Mi era parso di udirti parlare e ho temuto ti sentissi male -
Dopo un breve attimo di smarrimento, riuscì a trovare le parole per risponderle.
La preoccupazione che la sorella mostrava per lei la rincuorò non poco, e presto la paura del primo momento lasciò spazio all’apprensione per la gemella tanto amata e rispettata.
La rassicurò che era tutto in ordine, e che le voci che aveva udito erano solo un’improvvisa esclamazione dovuta all’accorgimento che la finestra era ancora aperta, e che si era alzata per chiuderla.
Rassicurata dalle parole di Rein, Fine se ne tornò a letto, non senza nascondere in volto un velo di perplessità per l’insolita agitazione della sorella.
Appena chiuse la porta, Rein tirò un sospiro di sollievo che la liberò da tutta la sua ansia.
Si osservò intorno nel tentativo di scovare dove Eclipse si fosse nascosto, ma non trovo traccia di lui da alcuna parte.
Quando si affacciò alla finestra per vedere se ai piedi della casa vi fosse ancora il cavallo con il quale era giunto fin lì, non lo trovò.
Eclipse se n’era andato, lasciandola con la brama di quel bacio non dato ancora calda sulle labbra.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Nello stesso istante in cui Eclipse faceva visita a Rein, un’altra figura si era insinuata a Villa Tinselpearl, sgusciando abilmente tra i rovi di rose circondanti la villa e tanto amati dalla Dea.
Dopo aver scalato gli impervi muri della sontuosa abitazione avendo cura di non fare alcun rumore, l’incauta presenza si affacciò alla finestra della camera da letto della duchessa, trovando una donna ad aspettarlo.
Altezza, nella sua meravigliosa veste bianca che lasciava intravedere le curve del suo corpo perfetto baciato dai raggi lunari, una cascata di capelli biondi che le accarezzavano la schiena, pareva veramente una Dea dei Ghiacci pronta ad attendere l’arrivo del sole per sciogliersi sotto i suoi roventi raggi.
Se ne stava seduta sul letto raccolta in una muta riflessione, la finestra aperta alle sue spalle.
Non si spaventò quando avvertì un tocco leggero sfiorarle la spalla sinistra, costringendola a voltarsi.
Non appena alzò il volto, costretta da una presa decisa e delicata sotto al mento, i suoi occhi smeraldo incontrarono un paio di occhi bui che la osservavano impavidi.
Stava aspettando la sua visita già da tempo.
Emise un sospiro carico di sentimento non appena riconobbe nel giovane dinnanzi a sé colui che con un solo sguardo era riuscito a penetrarle in petto facendo sanguinare il suo cuore di ardente passione, e si era poi insinuato come un veleno nelle sue membra, nella sua mente, nei suoi sogni più intimi.
Ogni suo singolo arto bramava un contatto con lui, i suoi nervi si tendevano come corde di violino anche solo riconoscendo i lineamenti della sua figura e ancora una volta, come tante altre prima di allora, il sangue le ribolliva nelle vene, ottenebrandole la mente.
- Duchessa…- mormorò lui soavemente, baciandole delicatamente una mano.
Si vergognò nel ritrovarsi a sperare che il contatto fisico con lui andasse oltre quel bacio.
Quel giovane era pericoloso, lo sentiva… eppure così tremendamente affascinante…
- Non dovreste essere qui. Se mio fratello Bright venisse a scoprire che vi ho fatto entrare, passereste di certo dei brutti guai -
Il suo tono poco convinto lasciava intendere che quella che cercava di esprimere come un’accusa era in realtà un profondo senso di preoccupazione per lui.
- Vostro fratello non lo verrà mai a scoprire, se non ne farete parola…- le sussurrò lui all’orecchio, facendole rabbrividire ogni singolo centimetro di pelle.
Il suo corpo si irrigidì per reprimere l’impulso di avvicinarsi e colmare la distanza di sicurezza che lei stessa si era imposta di mantenere.
Resistergli era davvero difficile, troppo difficile…
- N-non possiamo andare avanti così - balbettò, riscuotendosi dai suoi pensieri e facendo pressione sul suo petto nel tentativo di allontanarlo - quello che state facendo… quello che io sto facendo… è sbagliato.- disse abbassando lo sguardo schiacciata dai sensi di colpa – E’ già la terza notte consecutiva che vi permetto di entrare e uscire dalla mia stanza senza fare nulla per impedirvelo. Io… davvero non posso continuare così -
Nascose il volto tra le mani come per distogliere dalla sua vista l’immagine della donna traditrice che vedeva riflessa nello specchio d’innanzi a sé.
Si lasciò sfuggire un lamento soffocato simile ad un singhiozzo strozzato. Ebbe un sussulto.
Sentiva ogni singola parte del proprio corpo gridarle contro una muta sentenza accusatrice.
Si disprezzava tremendamente per il modo in cui lei, una nobile donna appartenente all’alta aristocrazia, si lasciava soggiogare così facilmente dalla forza dei sentimenti.
Era debole e sapeva di esserlo. Non poteva tollerarlo.
Tentava disperatamente di cercare una giustificazione che ridonasse almeno un briciolo di dignità al suo orgoglio fatto a brandelli, e si disperava ogni volta non trovandone nemmeno una che la soddisfacesse veramente.
Un’eccezione era fatta per l’unica giustificazione che ancora la tratteneva dall’impedire al giovane di tornare a farle visita ogni notte, condannandola ad abbandonarsi ai sensi di colpa solamente dopo che la lasciava nuovamente sola nella sua stanza: lei era convinta di amarlo.
Una presa ferrea le cinse i polsi e la costrinse nuovamente ad alzare il volto.  
Il giovane le sfiorò il volto, percorrendo con estrema cura ogni millimetro della sua pelle diafana.
- E’ davvero così sbagliato dare ascolto al proprio cuore e lasciare che sia lui a guidarci nelle nostre scelte?- le domandò, scontrando le sue iridi con quelle di lei.
- Voi mi tentate con le vostre parole - rispose quella, tentando di sfuggire a quel tocco ingannatore - Non posso…- mormorò poi mentre sentiva di nuovo le lacrime pungerle gli occhi.
- Perché?- domandò lui instancabile – Non mi amate?-
Le sue labbra in cerca delle sue erano una tentazione troppo forte da riuscire a vincere con la semplice forza di volontà.
- Dimenticate che sono già promessa al visconte di Moonville - sentenziò in un disperato tentativo di salvarsi, aggrappandosi a quell’ultima risorsa.
Per un istante lo vide retrocedere nelle sue intenzioni e vacillare sotto il peso di quella frase appena pronunciata.
Si vergognava di essere stata subdola fino a quel punto: ricorrere a quella che sapeva benissimo essere una bugia bell’e buona per allontanare da sé l’uomo che amava con tutta sé stessa.
- Se mi assicurate che l’amore verso quell’uomo è sincero e che siete veramente intenzionata a sposarlo, allora vi lascerò in pace e farò in modo che ogni mia traccia si dissolva nel nulla e si disperda per sempre.-
Quelle sue ultime parole pronunciate con così tanta determinazione la fecero sentire ancora più subdola di quanto non si sentisse già.
- Io…- cominciò con voce tremolante e lasciando che lo sguardo di lui la penetrasse.
Ma non terminò la frase.
Non ebbe il coraggio di rispondere. Non quella volta.
- Non conosco nemmeno il vostro nome…- mormorò avvilita, come per tentare un’ultima giustificazione, le lacrime che le premevano violentemente sugli occhi.
- Ha davvero così tanta importanza un nome, per voi?- le domandò lui senza riuscire a resistere oltre, e posando le sue labbra voluttuose su quelle di lei.
Era accaduto tutto in un attimo. La Dea non ebbe l’accortezza, né la prontezza di rispondergli.
Improvvisamente, come risvegliandosi da un lungo sonno, sentì una nuova passione animarle il corpo, le braccia che si avvolgevano vogliose attorno al collo di lui come animate da una nuova forza vitale.
Comprendeva l’erroneità dei suoi sentimenti, eppure ciò non bastava ad impedirle di bramare ancora e ancora e ancora il caldo contatto delle sue labbra con quelle di lui.
Non le importava che ogni bacio contribuisse a toglierle sempre di più il fiato che aveva in gola.
Per quanto la riguardava, avrebbe potuto vivere del respiro di lui per il resto della sua misera esistenza.
I baci si fecero sempre più voluttuosi, gli abbracci sempre più intraprendenti.
Non aveva paura di donarsi completamente a lui, di permettergli di farla sua per sempre: era ciò che ogni centimetro del suo corpo bramava ogni istante di più.
Sentiva di amarlo, quell’ignoto giovane senza nome.
Un improvviso tramestio di zoccoli li interruppe bruscamente dal loro sensuale rito d’amore.
Sentì le labbra di lui allontanarsi dalle sue, abbandonandola sulle gelide lenzuola del suo letto ancora intatte, per affacciarsi alla finestra e scoprire chi fosse l’incauto disturbatore.
Vide un uomo scendere da cavallo e introdursi silenziosamente all’interno della stalla.
Il mantello scuro oscillò lievemente sotto il tocco della brezza primaverile, sovrapponendosi con un intenso contrasto al manto candido della cavalla che stava riponendo cautamente nella stalla.
Una scintilla di trionfo si accese all’interno dei suoi occhi cobalto quando riconobbe la figura che stava osservando da lontano.
Con espressione mista a malizia e consapevolezza, osservò la donna che aveva abbandonata nel letto semisfatto, intenta a coprirsi le spalle con uno scialle che si era procurata nel momento in cui si erano separati.
- Tu conosci Eclipse.- affermò atono, scrutandola dall’alto in basso per studiarne la reazione.(**)
Altezza ebbe un tuffo al cuore e le parve che una voragine si aprisse in prossimità della bocca dello stomaco.
Boccheggiò un istante in preda al panico più totale, prima di trovare la forza di rispondere.
- Ti sbagli. Non lo conosco.- proferì soltanto.
Capì subito dal modo in cui aveva distolto lo sguardo che aveva sfacciatamente mentito.
- Invece si – rispose – Colgo nei tuoi occhi un velo di falsità.-
Come poter negare la verità di quelle parole?
- Non lo avrei mai creduto possibile.- continuò lui in tono quasi trionfante – Eclipse, l’uomo più rinomato di tutta la contea per le sue imprese scandalose, amico intimo della duchessa di Tinselpearl, la sorella del prestigiosissimo Cavaliere.-
Altezza si irritò al suono di quelle parole pronunciate con così tanta presunzione.
- E se anche fosse?- domandò, lasciando trasparire un velo di acidità nella voce.
- Il tuo Eclipse è un ladro.- sentenziò lui con la più seria convinzione.
Quelle parole furono un completo affronto nei suoi confronti.
- Questo non è vero.- rispose in tono freddamente ostile – Chi sei tu per giudicarlo?-
Lo sentì scoppiare in una flebile risata sommessa.
Lo osservò con curiosità, come per domandargli cosa fosse ciò che pareva divertirlo tanto.
- Chi sono io?- domandò il giovane facendo scintillare le sue iridi cobalto sotto i raggi lunari – Io sono Auler Darthmour - confessò finalmente, dopo averlo tenuto segreto tanto a lungo.
La Dea spalancò gli occhi, incapace di credere alle parole che gli aveva appena sentito pronunciare.
Perché aveva deciso di confessarglielo proprio in quel momento? Perché non prima?
- Non sapevo che la contessa di Darthmour avesse un figlio…- mormorò, quasi intimorita.
Lui annuì lievemente col capo, muovendo qualche passo verso di lei.
- Eclipse ci ha derubati di un gioiello a noi molto caro, poche settimane fa - mormorò, fermandosi dinnanzi a lei – E’ un prezioso cimelio di famiglia, e lo rivogliamo indietro. Non credevo fosse mai stato possibile riottenerlo, e avevo quasi perso le speranze… Ma dato che ora so che tu conosci Eclipse, non mi sarà difficile riavere ciò che mi è stato tolto. -
Lasciò che le sue labbra sfiorassero per un attimo quelle di lei, prima di proseguire.
- Scopri dove Eclipse tiene nascosto il gioiello…- le sussurrò soavemente all’orecchio, prima di dirigersi verso la finestra spalancata e scomparire dalla vista della duchessa.
Altezza rimase ferma dov’era, incapace di muoversi. Lo sconforto era troppo, la delusione insopportabile.
Non poteva credere che ciò che Auler Darthmour le avesse detto fosse vero: Eclipse, dunque, era veramente un ladro come tutti sostenevano che fosse, e a lei era stato affidato il compito di smascherarlo una volta per tutte.
Perché rubare dei gioielli, quando era perfettamente consapevole che denaro e oggetti preziosi non rientravano minimamente nei suoi interessi?
Una miriade di pensieri confusi e sconnessi gli uni dagli altri le invasero improvvisamente la mente: troppe erano le domande senza risposta che si affollavano nei suoi pensieri.
Solamente per un istante dimenticò i suoi affanni, concentrandosi su ciò che stava per accadere tra lei e il conte di Darthmour.
Nella frazione di un secondo i suoi pensieri si asciugarono in un attimo, lasciandole solamente una sensazione di calore pervaderle le gote e un brivido di piacere percorrerle la spina dorsale, attanagliandole il cuore in una morsa di voluttuosa passione. 



Angolo Autrice:

(*) 
Riferimenti al capitolo 9, parole pronunciate da Bright.
(**) Una volta che ci si era dichiarati alla persona amata, era d'uso nell'Ottocento cominciare a darsi del tu. Questo spiega l'improvviso cambiamento nei modi del marchese e della duchessa di rivolgersi l'uno all'altra.

Oh, non sapete da quanto tempo è che tento di aggiornare e non ci riesco!
E' da più di un mese che sono stra-impegnata con lo studio, e scrivere i capitoli di questa fiction sembra diventare ogni giorno più impossibile e faticoso.
Ma per voi, cari lettori, ho tentato il tutto e per tutto.
Ed ecco il risultato.
Altri misteri si aggiungono alla già complicata trama del racconto (perchè, diciamolo, a me piace così. A voi non so)
Eclipse torna a far visita a Rein.
Contemporaneamente scopriamo che il misterioso individuo che Altezza ha incontrato alla festa viene a farle visita da un pò di tempo.
E chi è questo misterioso individuo? Credo che tutte quante ve lo potevate immaginare.
Ma...
Si, c'è un ma.
Avete notato la sottile differenza tra il vero cognome del marchese, e come dice di chiamarsi ora?
Perchè questa incoerenza?
Forse c'entra un piano di Sophie?
Spero abbiate gradito il capitolo, nonostante sia lungo, e temo un pò pesante.
Fatemi sapere.
La vostra Vale tenterà il tutto e per tutto pur di aggiornare e concludere questa intricatissima storia.
Grazie a tutti coloro che mi seguono, dal più profondo del cuore.
Spero a presto.

_BlueLady_

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Capitolo 15
*** XIV ***


CAPITOLO 14~
 

Carissima Lione,
era da tanto che desideravo aggiornarti riguardo alcune cose successemi recentemente, ma giunta alla tua villa mi è stato detto che alloggerai nella tua residenza estiva a sud della contea assieme alla tua famiglia fino a fine mese, dunque ho deciso di scriverti, incapace di attendere il tuo ritorno.
Credo di essermi innamorata.
…Immagino l’espressione che avrai dipinta in volto in questo istante… Ebbene è così. 
Non chiedermi come sia successo, perché non lo so nemmeno io di preciso.
So solamente che da un po’ di tempo a questa parte i miei pensieri non vanno altro che a loro.
Hai capito benissimo, amica mia: ho detto proprio “a loro”.
Due sono gli uomini che, nel giro di poche settimane, hanno saputo come ottenere il mio cuore, il mio affetto, tutto.
…Penserai che sono una sciocca a parlare così: credimi, riesce difficile persino a me credere che ti sto scrivendo ciò. La fredda e incurante Rein che si innamora? E non le basta un solo uomo, no, deve volerne due!
Non sai quanto io mi senta a disagio in questo momento.
Per questo ho bisogno di un tuo consiglio: voglio che tu mi aiuti a dirottarmi sulla scelta giusta.
…Ma come fare, se non ti ho nemmeno parlato delle due persone in causa?
Rivelarti i loro nomi sarebbe alquanto rischioso, tuttavia  di loro posso dirti che sono entrambi due giovani dal carattere molto forte.
Di poche parole, introversi, con quell’alone di mistero che li circonda e che credo sia stata la loro migliore arma per sedurmi.
Entrambi celano il loro essere dietro un muro fatto di insipido orgoglio.
Ti chiederai come abbia fatto ad innamorarmi di due persone talmente complicate…
Ahimè, non so risponderti.
Credo siano stati i loro modi affabili che si celavano dietro la loro finta superbia a farmi cadere nella rete.
… Talvolta mi riesce difficile persino credere che si trattino di due persone differenti.
Paiono quasi due facce della stessa medaglia.
L’uno conserva quel modo di fare freddo e distaccato che tuttavia non riesce a celare nei confronti di chi gli sta veramente a cuore, l’altro appaia i suoi modi rudi al fascino che inevitabilmente riesce a soggiogarmi.
L’uno dimostra di avere arguzia e ingegno, l’altro ha grinta e un modo di fare seducente e accattivante.
L’uno esprime i propri pensieri con una schiettezza rude ma ammirevole, l’altro li serba gelosamente per sé.
L’uno agisce in preda alla razionalità, l’altro è più sentimentale ed impulsivo.
Qui sta tutta la mia indecisione.
Se uno lo amo per l’abilità e i modi con cui riesce a porsi e a provocarmi, l’altro lo amo per la figura intrigante con la quale si presenta.
Non hai idea delle emozioni che provo ogni volta che mi ritrovo in loro presenza…
Riescono entrambi a farmi tirare fuori il meglio di me, non mi sono mai trovata più a mio agio con due persone tanto diverse, eppure, in un certo modo, simili. 
Li amo e li temo al tempo stesso. Le emozioni che provo nei loro confronti sono contrastanti quanto il loro modo di porsi nei miei confronti.
Sebbene uno dei due mi abbia già fatto intendere che possa esserci dell’interesse da parte sua, i miei sentimenti verso l’altro non mi permettono di accettare pienamente le sue dichiarazioni.
…C’è come qualcosa che mi blocca dal gioire per le rivelazioni che il primo tende a farmi…
Come vedi, cara Lione, la mia situazione è critica e necessita di un po’ del tuo conforto. 
Ho fiducia nel fatto che saprai consigliarmi nella maniera più adatta come comportarmi con questi due gentiluomini. Aspetto tue notizie, con la speranza che tu legga presto questa lettera.
Porta i miei più affettuosi saluti a tutta la famiglia.
 

Aspettando di rivederti presto, tua carissima ed affezionata amica

Rein
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

Quel giorno pioveva sulla contea Dewdrop.
Era uno dei classici temporali primaverili che tanto impedivano alla nobiltà del luogo di cimentarsi nei loro passatempi preferiti.
La pioggia cadeva fitta sui raccolti delle campagne vicine, e le strade completamente infangate impedivano a qualche impavida vettura di proseguire il proprio cammino attraverso la contea.
Tanti erano i cocchieri costretti ad abbandonare il loro posto di guida per spingere la carrozza fuori dal pantano, mentre incitavano i cavalli a trainare il pesante cocchio nel tentativo di creare una collaborazione gli uni con gli altri.
Questo era il tempo che la marchesa di Windsworth odiava più in assoluto.
L’aria fredda che soffiava sulle chiome degli altri cipressi fronteggianti la villa non le permetteva nemmeno di starsene tranquillamente seduta in veranda a leggere un libro: il vento voltava le pagine violentemente, e la pioggia provvedeva ad inumidirle con il suo tocco pungente.
L’unica soluzione era quella di rimanersene chiusi in casa, aspettando che la tormenta passasse per dedicarsi nuovamente ai suoi doveri.
La cosa la irritava alquanto.
I momenti passati ad osservare le gocce di pioggia che si infrangevano sui vetri con una violenza impressionante li giudicava una perdita di tempo.
Eppure, quel giorno, il suo umore era più sereno del solito.
Il fratello le aveva appena riferito una notizia che, ne era sicura, avrebbe cambiato radicalmente la situazione nella quale si trovava in quel momento.
- E così, hai sedotto la duchessa per estorcerle alcune informazioni necessarie - mormorò compiaciuta, mentre un rombo di temporale infuriava di fuori – Davvero, Auler, non ti facevo così abile e…subdolo -
Accentuò volutamente l’ultima parola.
Ho dovuto farlo – esclamò il marchese dietro di lei – ti rammento che sei stata tu stessa ad affidarmi il compito -
La marchesa si voltò verso di lui senza nascondere una risata sommessa che si era distrattamente lasciata sfuggire di bocca.
- Vero – rispose – ma non mi sarei mai aspettata che saresti riuscito ad arrivare a tanto, i tuoi principi sfiorano ideali molto più nobili, di solito… Fingerti il figlio inesistente della contessa di Darthmour credevo non rientrasse nella tua “indole onesta”, per così dire-
- Mi sembrava la cosa più giusta da fare, in quel momento. Del resto, sei stata tu a non volere che io rivelassi la mia vera identità al ballo -
- E suppongo che anche fingerti innamorato della duchessa rientrasse nei tuoi piani, non è così?-
Il marchese ebbe un leggero sussulto nell’udire quelle parole tanto pungenti.
Sapeva che quella domanda nascondeva l’intenzione di scoprire se effettivamente avesse fatto come lei gli aveva chiesto, senza lasciarsi coinvolgere troppo dai sentimenti che, ne era consapevole anche lui, erano il suo punto più debole.
- Si - rispose flebilmente stringendo i pugni - faceva tutto parte del piano -
Sophie annuì davanti a lui, rassicurata da quella piccola certezza che lui aveva saputo confermarle.
- Data la tua abilità nello svolgere il compito che ti ho assegnato, non ti dispiacerà ingannarla ancora per qualche tempo, finché non ci giungeranno le informazioni necessarie a stanare definitivamente Eclipse e il visconte…- gli disse poi.
Non era una domanda, era un’affermazione.
Lasciò che quelle parole gli scrosciassero per un attimo addosso, permettendogli di concentrarsi per un istante sulla rabbia inspiegabile che gli bruciava in petto.
- Auler?- gli domandò la marchesa con sguardo indagatore, attendendo una sua risposta.
Digrignò i denti, mentre una furia implacabile avvampava in tutto il petto.
- Tocca sempre a me fare il lavoro sporco - sussurrò con una nota di disprezzo, sputando in faccia alla sorella quella verità che da troppo tempo covava dentro sé stesso.
Sophie non si scompose minimamente.
Sgranando impercettibilmente gli occhi nel tentativo di nascondere la sorpresa per la risposta appena ricevuta, inarcò la bocca in un sorriso pieno di orgoglio e sicurezza.
- Chi altri dovrebbe farlo, sennò?- domandò curiosa.
Auler la osservò torvo per un istante.
- Tu, per esempio.- rispose atono.
La marchesa attese qualche minuto, prima di scoppiare in una fragorosa risata.
Il fratello la osservò senza battere ciglio. Odiava quella maschera d’orgoglio che si era creata per celare la sua insicurezza.
- Hai ragione - gli rispose quella dopo essersi ricomposta - sono così abile nel sedurre le donne…-
Il marchese non partecipò con lei alla sua seconda risata.
- Anche l’amicizia può indurre a confidarsi.- disse invece.
Sophie gli sorrise sicura di sé.
- Mai quanto l’amore.- rispose.
Auler la osservò senza capire.
La marchesa sospirò.
- Un amico, per quanto ci sia affezionato, riesce sempre a mantenere le sue convinzioni e seguire i propri principi. L’amore, invece, rende completamente ciechi. Una donna innamorata è disposta a tutto in nome dell’affetto che la lega al suo uomo - e qui si bloccò un istante, prima di rincominciare a parlare - Anche tradire i suoi più fedeli compagni…- sussurrò poi, mentre l’ombra di un sorriso comparve sull’orlo di quelle labbra sottili e seducenti.
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Quella mattina, la duchessa si era svegliata di buon’ora, sperando nel bel tempo per dedicarsi alla cura delle sue amate rose come non si concedeva da qualche tempo. Si incupì non appena notò il temporale che si stava scatenando di fuori, un’ombra di delusione le rabbuiò gli occhi dapprima lucenti come due smeraldi.
Profondamente contrariata, decise di modificare le sue intenzioni del giorno, e si diresse in salotto nella ricerca di un buon libro da leggere per passarsi il tempo.
Del fratello e del visconte non vi era neanche l’ombra.
L’unico segno della loro presenza che rendeva ancora sicura la duchessa della loro permanenza nella villa era il mantello che solitamente il visconte si portava appresso per uscire, malamente appoggiato su una delle poltrone del salotto.
Tentò di non farci caso, passando oltre e sbirciando con poco interesse i titoli di alcuni dei libri impilati lungo la libreria.
Non appena trovò un titolo che stuzzicasse abbastanza la sua curiosità, lo prese in mano, rigirando la copertina tra le mani e togliendo con un lieve gesto di stizza la polvere che si era depositata sopra.
Doveva essere un libro davvero poco interessante, se nemmeno il visconte si azzardava a leggerlo, lui così amante della lettura.
Le pagine erano leggermente logorate sui bordi, l’odore acre e pungente di antico le inondò le narici dandole un leggero senso di nausea. Cercò di non farci caso, limitandosi a trattenere il fiato più di quanto le era concesso, e si immerse nella lettura.
Il pendolo accanto a lei scandiva i minuti che impegnava a soffermarsi su una pagina più del dovuto.
Passò circa una mezz’ora prima che la noia si impossessasse di lei. Il suo carattere tanto impaziente e capriccioso non le permetteva di impegnarsi in un passatempo a lei poco gradito più di quanto fosse capace di sopportare.
Gettò il libro sul divano, sbuffando inacidita.
La pioggia continuava a scrosciare di fuori.
Cominciò ad osservarsi intorno come se fosse entrata nel salotto per la prima volta in vita sua: non aveva niente di meglio da fare, quale modo migliore per distrarsi?
Spostò i suoi occhi smeraldini dalla finestra alla stanza. I mobili perfettamente tirati a lucido dei quali la cameriera si prendeva cura ogni giorno parevano brillare più delle bordature in oro massiccio che decoravano le poltrone sulle quali era seduta.
Il tavolo, di fronte a lei, luogo di tante partite a scacchi tra lei e il visconte, dominava il centro della sala con fare quasi superbo. Il suo colore così scuro ed intenso contrastava prepotentemente con le pareti color avorio dell’ampia sala.
Il pendolo la accompagnava in quell’attenta esplorazione, intrattenendola con il suo incessante ticchettio. Pareva quasi volesse raccontarle tutto di sé e degli oggetti che abitavano la stanza.
Sebbene notasse di quanti accessori disponesse la sua sontuosa villa, non cessava di albergare in lei la sensazione che la casa fosse terribilmente vuota, da un po’ di tempo a quella parte.
Le occasioni per trascorrere le giornate assieme a suo fratello cominciavano a farsi sempre più rare, con suo grande rammarico.
Bright aveva sempre meno tempo da dedicarle, impegnato com’era a risolvere gli importanti affari nei quali anche Shade era coinvolto.
Sospirò amareggiata.
Shade…
Il suo sguardo si spostò involontariamente sull’unico oggetto che pareva simboleggiare un qualche segno di vita nella stanza: il mantello del visconte giaceva ancora sullo schienale della poltrona immobile, imperturbato, perfettamente abbandonato a sé stesso.
Non poté fare a meno di domandarsi se il visconte e suo fratello fossero usciti per i loro affari anche quel giorno.
Il tempo non prometteva granché bene, ma lei li conosceva entrambi abbastanza da sapere che nulla li avrebbe distolti dai loro obiettivi. Quando si mettevano in testa qualcosa erano più cocciuti di due muli messi assieme.
Scosse la testa, ridacchiando sommessamente tra sé e sé.
Un rombo improvviso proveniente dal cielo la riscosse dalle sue meditazioni.
Decise che non poteva sopportare oltre quell’ingiusta solitudine alla quale era stata condannata. Senza neanche darsi pena di riporre il libro che aveva volutamente tolto dalla libreria, si diresse verso l’uscita della sala, dirigendosi verso gli ampi corridoi della villa.
Pioggia o non pioggia, si sarebbe comunque diretta alla serra in cerca della compagnia che le sue rose, era sicura, le avrebbero offerto.
Fece per dirigersi verso l’ingresso e prendere l’ombrello che l’avrebbe riparata dalla pioggia durante il tragitto da lì alla serra, quando si accorse che l’oggetto non era dove l’aveva riposto l'ultima volta.
Dopo un attimo di smarrimento, si ricordò di averlo lasciato nello studio di suo fratello l’ultima volta che erano usciti insieme per le vie piovose di Londra.
Quando, non lo ricordava più.
Certamente era passato tanto tempo da allora, forse troppo…
Proseguì con passo spedito lungo i corridoi, individuando la porta semichiusa dello studio del fratello. Era già pronta ad abbassare la maniglia nel tentativo di entrare e mettersi alla ricerca del tanto sospirato ombrello, quando si accorse che la luce all’interno proiettava due ombre scure sul muro di fronte a lei.
Ebbe un sussulto non appena distinse il mormorio di voci sommesse provenienti dall’interno dello studio.
- Non puoi più andare avanti così, Shade, rischia di diventare troppo pericoloso -
Si bloccò con la mano a mezz’aria, distinguendo in colui che aveva appena parlato la voce di suo fratello.
In silenzio si avvicinò per ascoltare meglio.
Dalla fessura della porta distinse il duca seduto alla sua scrivania che osservava con sguardo severo il visconte postogli esattamente di fronte, in piedi e a braccia conserte.
L’atmosfera che si respirava non era certo delle migliori, lo aveva notato. Pareva quasi ci fosse tensione tra di loro, riusciva a percepirlo dai loro sguardi.
- Conosco benissimo i rischi ai quali vado incontro, Bright, e ti assicuro che non hai motivo di preoccuparti. Ho a che fare con questa situazione da molto più tempo di te, se ben ricordi -
Il tono di Shade non era ostile, ma nemmeno pacato. Pareva quasi irritato a causa di una situazione a lei sconosciuta.
Bright, dall’altro capo della stanza, sbuffò esasperato.
- Ti rendi conto nella situazione in cui ti ritrovi ora? I nemici ti stanno alle calcagna ormai da troppo tempo e non impiegheranno molto a capire che sei qui. Probabilmente lo hanno già scoperto e si sono già mossi a loro volta. Ora come ora sei più vulnerabile che mai. Potrebbero giungere qui di notte, o chiamare i gendarmi perché ti vengano a prendere e risparmiarsi loro la fatica di acciuffarti personalmente. Impiegherebbero un istante a metterti i bastoni tra le ruote e ad impedirti di proseguire le tue indagini, e tu questo lo sai bene. Non credi sia meglio smettere di agire per un po’, e lasciare che i sospetti su di noi vengano dissipati?-
- E lasciare loro il tempo di reagire per permettergli d’impossessarsi di ciò che da tanto tempo sono riuscito a tener lontano dalle loro grinfie?-  esclamò l’altro in tono scettico.
Altezza, dal corridoio, deglutì a fatica il bolo di saliva che tentava disperatamente di mandar giù.
Senza volerlo, si era inoltrata in una situazione più delicata del previsto.
- Senti – mormorò Bright al visconte – io non so quanti siano i nemici dai quali ti devi guardare le spalle. Non conosco nemmeno il loro modo di agire. Quello che so è che, così facendo, rischi solamente di farti scoprire.-
- E se anche mi scoprissero? - esordì l’altro in tono cupo.
Bright spalancò gli occhi senza capire. Il visconte sospirò.
- Bright – disse – quella che stiamo intraprendendo è una disperata corsa contro il tempo. Chi arriva prima ottiene la gloria, chi è troppo lento ne subisce la sconfitta. Non posso permettermi di interrompere le indagini proprio adesso che mi mancano solamente due gioielli per completare la collezione. Non puoi negare che fino ad adesso Eclipse abbia fatto un ottimo lavoro, riportandoci uno dei tre gioielli scomparsi…-
- Io mi preoccupo solamente per la tua incolumità, Shade…- mormorò il duca preoccupato.
- E te ne sono grato per questo – continuò il moro, posandogli amichevolmente una mano su una spalla - ma cerca di capire. Anche se loro mi trovassero, non possiederebbero comunque la collezione completa. La loro impresa nell’acciuffarmi resterebbe un tentativo di acquistarsi un vantaggio del tutto sprecato.- 
La loro conversazione si interruppe un istante, poiché a entrambi era parso di udire dei flebili sospiri provenire dal corridoio di fuori.
Altezza si tappò immediatamente la bocca con una mano, impedendo al suo respiro di farsi così rumoroso tanto da poter essere udito.
- Dimenticavo che l’Occhio della Notte non è più sotto la tua custodia…- riprese poi il duca, concentrando nuovamente la sua attenzione sul visconte.
Egli annuì:- E’ per questo che abbiamo ritenuto opportuno affidare il gioiello a qualcun altro, piuttosto che tenerlo sotto la nostra custodia -
Nell’udire la parola “gioiello”, i sensi della duchessa si fecero improvvisamente più attenti.
-  Rein Sunrise si sta rivelando una custode alquanto discreta…- mormorò Bright tra sé e sé.
Il visconte abbassò leggermente il volto, lasciando trapelare una nota di affermazione dallo sguardo.
- Sa fare bene il suo dovere, anche se inconsapevolmente - si limitò a rispondere.
- E’ per questo motivo che l’hai scelta, giusto?- gli domandò di nuovo l’amico.
Shade distolse lo sguardo, nervoso.
- E’ solo il gioiello che ti tiene tanto legato a quella casa… ho ragione?- gli chiese ancora il duca, scrutandolo con i suoi occhi ambrati.
- Rein Sunrise non significa assolutamente nulla per me, te l’assicuro. L’unica cosa che mi interessa è che custodisca a dovere il gioiello che le ho affidato, come era d’accordo - affermò quello con la più assoluta serietà.
Aveva sentito abbastanza.
Senza fare il più minimo rumore, si allontanò dalla stanza con una sensazione mista ad angoscia e trionfo che le pervadeva il petto.
Ancora non riusciva a credere a quello che aveva udito.
Da una parte, desiderò non averlo mai voluto sapere.
Ora era costretta a scegliere se raccontare o no a lui la notizia che aveva involontariamente scoperto.
Ritornò nell’ingresso, decisa a farsi la sua camminata sotto la pioggia nella buona e nella cattiva sorte. Magari, così facendo, si sarebbe rischiarata per bene le idee.
Scosse la testa con rassegnazione quando si ricordò di aver scorto benissimo il suo ombrello appoggiato a lato della scrivania del fratello, e di essersi completamente dimenticata di recuperarlo.
Ora era costretta a bagnarsi sotto il diluvio.

 

 ¤¤¤¤¤¤
 

 
Mia cara Rein,
mi stupisci e mi lusinghi al tempo stesso nel raccontarmi del tuo amore segreto per due affascinanti giovani e riponendo così tanta speranza e fiducia in me per aiutarti!
Rein che si innamora… Questa è bella!
A quale malvagissimo sotterfugio ti hanno sottoposta questi due individui per far si che tu perdessi la testa per loro?
Davvero, non avrei mai creduto di poter leggere tali parole scritte proprio da te.
Mi hai stupito perfino più di tua sorella Fine, la sera del ricevimento a casa mia.
Ma veniamo al dunque. Dici di essere innamorata di due uomini dal carattere opposto, e non sai riconoscere in nessuno dei due l’amore che dici tanto di provare.
Cosa può fare una giovane e comune ragazza come me senza alcuna esperienza in amore per alleviare le pene del tuo cuore?
Proverò a darti il giusto consiglio, ma declino qualsiasi responsabilità da cui possa dipendere la tua felicità o, (ahimè! Anche questo è da considerare) una probabile infelicità futura.
Mi racconti che, sebbene uno dei due abbia già confessato i propri sentimenti per te, l’affetto che provi verso l’altro ti spinge a rifiutare la proposta del primo.
…Non ti sembra già questa una risposta?
Riflettici su.
Per quanto io possa consigliarti, la risposta che tanto cerchi la puoi trovare soltanto in te stessa. 
…Ma, in fondo, chi sono io per dirti tanto?
Riferisci i miei più affettuosi saluti a tutta la famiglia, Fine in particolare.
 

 

Con la speranza di esserti stata di aiuto

Lione
 

 

P.S: mi è giunta voce che la prossima settimana si terrà il prestigiosissimo Ballo di Primavera al quale tutti gli abitanti della contea sono invitati a prendervi parte.
Purtroppo, data la mia permanenza qui dove sono ora, io non potrò esserci, ma ho sentito adesso che mio fratello Tio sarà presente. 
Proverò a chiedergli se può accompagnare te e tua sorella e, perché no, fingersi anche il tuo cavaliere per quella serata, dato che ritengo che Fine sarà già impegnata con il duca.
Penso che ti farebbe bene una serata in compagnia di un amico per distrarti un po’ dai tuoi problemi di cuore.
In questo modo, non rischierai di far torto a nessuno dei tuoi due pretendenti…
Fammi sapere al più presto. Sono sicura che Tio ne sarà entusiasta.



Angolo Autrice:

Dunque, dunque, dunque, cosa abbiamo qui?
Ma si, non state sognando: è un aggiornamento!
Dopo un mese e più di silenzio, ritorno con un nuovo capitolo!
Il periodo di esami è finalmente finito, dunque ho deciso di festeggiare postandovi qualcosina.
Come al solito, la situazione è piuttosto intricata, mi auguro di aver risolto qualche vostro dubbio e, soprattutto, di non avervi fatto annoiare.
Lo so, capitolo estremamente lungo, ma era essenziale che lo fosse. Spero solo che non abbiate abbandonato la lettura!
Riassumendo: Rein scrive a Lione confessandole di amare due uomini (Eclipse e Shade, ovviamente), e di non sapersi decidere tra i due.
Contemporaneamente, si scopre che Auler e Sophie hanno architettato un piano che coinvolge Altezza. Il nostro marchesino sembra piuttosto contrariato agli ordini che gli da la sorella... sarà perchè non ama essere comandato, oppure perchè ingannare la Dea... non lo entusiasma molto come idea?
E la nostra Dea ha scoperto qualcosa che forse non avrebbe mai dovuto sapere...
Infine, vedremo nel prossimo capitolo cosa accadrà al famoso Ballo di Primavera. Rein e il visconte si rincontreranno? Altri misteri verranno a galla?

Che altro ha in mente Sophie?
Uhm, spero ci abbiate capito qualcosa.
Sembra ci siano delle relazioni, tra il visconte e i due marchesi, comunque...
Alla prossima, con un nuovo capitolo!
Abbiate pazienza, tutto si sistemerà alla fine
Ringrazio tutti coloro che mi seguono, il vostro sostegno è importante per me.
Un bacio

_BlueLady_

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Capitolo 16
*** XV ***


CAPITOLO 15~
 
Il Ballo di Primavera era una ricorrenza particolarmente importante, nella contea Dewdrop.
Si celebrava in onore dell’avvento della bella stagione il 22 marzo di ogni anno, ed erano chiamati a parteciparvi tutte le più importanti famiglie aristocratiche del luogo.
Il ballo era un’occasione unica per le giovani donne in età da marito di trovare quello che sarebbe potuto diventare il loro futuro compagno di vita.
A nessuna dama, infatti, era concesso presentarsi senza essere accompagnata da un cavaliere poiché, come si diceva allora, “La primavera è la stagione degli amori”, e ciò bastava a giustificare quell’inconsueta regola che nessuno aveva mai osato contraddire.
Le gemelle Sunrise trovavano tutto ciò molto frivolo: per loro era ingiusto, infatti, che a una giovane ragazza della loro età fosse impedito di divertirsi solamente perché non aveva ancora trovato l’uomo della sua vita.
Sebbene la cosa non riguardasse affatto Fine quell’anno, poiché aveva già ricevuto un invito da parte del duca di Tinselpearl in persona a partecipare con lui alle danze, la giovane era ugualmente preoccupata per le sorti della sorella, bella quasi quanto lei se non di più, eppure ancora in cerca dell’uomo di cui innamorarsi.
O, almeno, era quello che credeva lei.
- Fine, Rein, sbrigatevi a scendere!- le chiamò la madre dal piano di sotto, percorrendo qualche scalino dell’immensa gradinata che si affacciava all’ingresso – Tio Mera è già arrivato, e vi sta aspettando in carrozza!-
- Scendiamo subito!- avvisarono quelle, dandosi gli ultimi ritocchi prima di presentarsi al loro accompagnatore.
Fine era seduta di fronte alla specchiera e si lasciava pettinare i morbidi capelli rossi dalla sorella, che tentava di dare gli ultimi ritocchi a quegli splendidi boccoli fiammeggianti.
Le ciocche di capelli si stiravano un poco, prima di arricciarsi nuovamente in maniera perfettamente elastica sotto le setole della spazzola.
- Dimmi una cosa, Rein - le domandò a un tratto, fissando con insistenza il portagioielli posto davanti allo specchio - Tio lo hai mai considerato più di un amico?-
- Perché mi fai quest’assurda domanda?- ridacchiò l’altra mentre continuava a pettinarla.
- Beh, il fatto che tu abbia deciso di andare al Ballo di Primavera con lui mi lascia pensare che ci sia dell’interesse da parte di entrambi…- suppose la rossa, senza cessare di osservare la scatola in legno posta di fronte a lei.
- Tio è semplicemente un caro amico che si è offerto di accompagnarmi, e al quale non ho saputo dire di no - rispose Rein pacatamente, aggiustando le punte dei capelli dell’altra di modo che le ricadessero elegantemente sulle spalle.
- E’ stato lui a regalarti quel famoso gioiello, ho ragione?- domandò a un tratto Fine, voltandosi verso di lei per scrutarla negli occhi.
Rein ebbe un sussulto.
La spazzola che teneva in mano le scivolò distrattamente dalle mani.
Si affrettò a raccoglierla, sotto lo sguardo indagatore della sorella.
- Q-Quale gioiello?- chiese poi, nel tentativo di sembrare il più disinvolta possibile.
Fine sbuffò.
- Sto parlando di quel gioiello dalle sfumature oltremare che porti sempre al collo quando sei in casa da sola. E’ un pegno d’amore da parte sua, non è così?- chiese di nuovo, e questa volta il suo sguardo si fece più serio e attento.
Dopo un breve momento di silenzio, Rein scoppiò in una sonora risata alla quale non seppe proprio trattenersi.
Le parve quasi che un peso opprimente che prima avvertiva in petto avesse improvvisamente sciolto la sua presa sul cuore, liberandolo dalle sue solide catene.
- Ma che diamine vai a pensare, Fine! Io e Tio insieme? E’ più giovane di me di tre anni!-
La risata della sorella sconcertò alquanto Fine.
Era convinta che le sue supposizioni fossero esatte, e invece pareva proprio che si fosse sbagliata.
- Non… Non è un regalo da parte di Tio, dunque?- domandò, arrossendo per l’imbarazzo.
La turchina le rivolse un sorriso fiducioso e colmo di apprensione, intenerita dalla preoccupazione che aveva mostrato di avere per lei.
- Ti ho già detto che è stata Lione a regalarmelo, non hai motivo di preoccuparti.-
Fine lanciò un sospiro di sollievo, rincuorata da quelle ultime parole.
Certo, non poteva negare che Tio fosse un giovane assolutamente educato e simpatico, ma per sua sorella ambiva a qualcuno di più… intrigante.
Forse era perché conosceva il carattere di Rein alla perfezione, e sapeva benissimo che un ragazzo semplice come lo era Tio Mera non sarebbe mai riuscito a tenerle testa.
Sorrise, contenta che per la sorella ci fosse ancora la possibilità di innamorarsi di qualcuno per il quale valesse veramente la pena donare tutta sé stessa.
…Eppure c’era qualcosa negli occhi della sorella che tradiva ciò che aveva appena affermato con la più assoluta certezza.
C’era una sorta di luce che brillava nel fondo delle sue pupille, una luce che aveva riconosciuto anche nei suoi stessi occhi la sera dopo il famoso ballo durante il quale aveva conosciuto per la prima volta il duca di Tinselpearl.
- Rein, posso farti un’ultima domanda?- mormorò titubante, osservando la sorella riporre con la più estrema accuratezza nel portagioielli il gioiello blu che era stato l’oggetto della conversazione di poco fa.
- Certo, dimmi pure- le sorrise quella, lanciando un’ultima occhiata al monile, come per accertarsi che non avesse subito graffi dagli altri gioielli che gli stavano attorno durante quella frazione di secondo che era servita per riporlo al proprio posto.
Deglutì un bolo di saliva amaro, prima di riprendere a parlare.
- Non è che, per caso, il tuo cuore arde per qualcuno in questo momento?-
Quelle parole le piovvero addosso come una secchiata di acqua gelida in viso.
Lasciò che la voragine in prossimità della bocca dello stomaco si richiudesse di nuovo, prima di rispondere.
- Perché me lo chiedi?- domandò.
Fine abbassò lo sguardo, osservandosi le dita delle mani.
- La luce…- mormorò, quasi sottovoce.
- Cosa?-
La rossa deglutì:- Mi è sembrato di notare una certa luce nei tuoi occhi. Una luce simile alla mia quando rivolgo i miei pensieri a Bright- rispose.
Rein si osservò allo specchio, sbattendo per due volte le palpebre nel tentativo di sopprimere quel fuoco che le ardeva dentro e che, a detta della sorella, si rispecchiava sulla superficie dell’occhio, come il riflesso del sole sul mare al tramonto.
- No - disse infine quasi in un sussurro - il mio cuore non è riservato a nessuno - concluse, posandosi una mano sul petto, proprio nel punto in cui sentiva il cuore lacerarsi in due metà completamente uguali tra loro.
 

¤¤¤¤¤¤
                                                        

 

- Non devi riferire a nessuno ciò che hai sentito l’altro giorno tra me e Bright, hai capito?-
Le aveva soffiato quelle parole all’orecchio all’improvviso, mentre si stavano dirigendo a Villa Aqua in occasione del Ballo di Primavera.
Non appena le udì, volse istintivamente i suoi occhi in quelli del visconte, senza nascondere un velo di sconcertamento misto a paura in volto.
- Di cosa stai parlando?- domandò, apparentemente spaventata dall’espressione severa che il giovane aveva dipinta in viso.
Lui la penetrò con lo sguardo, affondando le sue nere pupille in quelle di lei, e provocandole un grave malessere interiore.
- Sai benissimo a cosa mi riferisco.- rispose soltanto, con il più cupo dei toni.
Era furioso, lo sapeva bene.
Solamente quando era di cattivo umore cominciava a darle del tu.
Non gli rispose, limitandosi a dirigere lo sguardo in basso in segno di pentimento, una rabbia implacabile che le bruciava in petto.
Perché mai avrebbe dovuto prendere ordini da lui?
Da lui, che tante cose le aveva nascosto e continuava a nasconderle.
Volse un’occhiata furtiva in direzione di Bright, di fronte a lei, apparentemente ignaro di tutto.
Il fratello era distratto ad osservare il paesaggio di fuori, e non aveva minimamente prestato attenzione alla conversazione che si erano scambiati lei e Shade.
Osservò il visconte al suo fianco, anch’egli distratto dai suoi mille pensieri.
Come avesse fatto a scoprirla non riusciva proprio a spiegarselo; quello di cui era certa era che mai, prima di allora, si era sentita così in soggezione di fronte a lui.
Forse era dovuto al fatto che, finalmente, era venuta a conoscenza della verità riguardo il suo conto.
Strinse i pugni, ingoiando un bolo di saliva che faticava a mandar giù.
Shade le aveva mentito, come le aveva mentito suo fratello Bright.
Perché dare ancora ascolto alle loro parole, allora?
La carrozza frenò in prossimità dell’entrata della villa.
Il duca e il visconte la aiutarono a scendere dalla vettura con la più assoluta disinvoltura.
Quando osservò Shade negli occhi non notò alcuna traccia della rabbia che gli aveva infiammato le iridi poco prima. Pareva quasi aver soppresso del tutto la triste conversazione avuta poco fa con lei.
Distolse lo sguardo contrariata e ancora profondamente in collera con il giovane per l’atteggiamento poco educato che aveva avuto nei suoi confronti.
- Se volete incamminarvi fintanto che vi raggiungo, per me non c’è alcun problema. Fine dovrebbe arrivare qui a momenti - esclamò il duca d’un tratto, interrompendo quel silenzioso scambio di sguardi che i suoi due compagni continuavano a lanciarsi.
Il visconte annuì inespressivo, riportando le sue gemme blu a contatto con gli occhi ambrati dell’amico.
- Ci rincontriamo dentro, allora – proferì soltanto, afferrando la mano della duchessa e portandosela delicatamente a fianco nel tentativo di sembrare una coppia allegra, in armonia, e soprattutto innamorata.
Altezza lanciò un’occhiata fulminante al suo accompagnatore, rimproverandolo ti tanta falsità.
Fecero per dirigersi all’interno della villa raccolti in un religioso silenzio lasciando Bright solo con le sue fantasticherie romantiche, quando l’arrivo di una carrozza alle loro spalle e la violenta frenata che emisero le ruote sfregando sul sentiero dissestato li fecero voltare tempestivamente in quella direzione.
Altezza vide il volto del fratello illuminarsi di contentezza non appena riconobbe la fisionomia della sua dama dai capelli fiammeggianti scendere, con movimenti un po’ impacciati a causa del leggero imbarazzo, dal cocchio che era appena giunto.
Il duca sorrise afferrandole delicatamente la mano e tirandola a sé nel tentativo di non farle perdere l’equilibrio durante la discesa.
Non appena si trovarono involontariamente attaccati l’uno all’altra, le gote di entrambi si imporporarono, mentre gli sguardi volgevano altrove imbarazzati.
- Bene.- esordì il visconte senza scomporsi minimamente di fronte a quella tenera scena – Ora che la comitiva è al completo, possiamo anche fare il nostro ingresso.-
Fece per voltarsi verso l’entrata della villa, quando improvvisamente una voce altamente familiare alle sue spalle lo arrestò all’istante.
- Fine, aspettaci!- aveva gridato in direzione della rossa che si stava già inoltrando all’interno del sontuoso palazzo.
Infastidito per tutti quei contrattempi e per quell’insolita agitazione che si era improvvisamente impossessata delle sue membra senza neanche capirne il motivo, si voltò al suono di quelle parole, quasi come se colei che le aveva pronunciate stesse chiamando lui invece della sorella.
Fu allora che la vide.
Rein Sunrise, con il suo caratteristico portamento elegante ma allo stesso tempo impacciato, rivestita del suo abito oltremare che si confondeva con lo sfondo del cielo notturno, i capelli raccolti in uno chignon tempestato di fiordaliso, gli occhi color del cielo che ridevano contenti alla vista di tanta magnificenza che la villa sembrava imporre, era davvero uno dei più bei fiori in boccio che tutta la contea Dewdrop avesse mai avuto l’onore di ammirare.
Non si era nemmeno reso conto che era rimasto ad osservarla a bocca aperta per minuti interi, mentre lei avanzava verso di loro con quel suo sorriso che riusciva a ravvivare anche la più cupa delle atmosfere.
Nel notare le sottili labbra di lei incresparsi all’insù, non poté fare a meno di fare lo stesso, quasi mosso da un crudele incantesimo che quelle labbra tanto invitanti quanto ingannatrici parevano avergli lanciato in un momento di imperdonabile distrazione.
Shade Moonville sorrise alla vista di Rein Sunrise che si avvicinava a loro con passo affrettato, ed un lieve rossore che le imporporava le gote.
- Perdonate il ritardo, ma la carrozza ha avuto qualche difficoltà a procedere lungo il tragitto.- esclamò non appena fu di fronte a loro, accennando un rapido inchino.
- Non sapevo sareste venuta, signorina Sunrise! È un piacere vedere che avete partecipato anche voi al lieto evento assieme a vostra sorella!- la salutò calorosamente il duca, dedicandole uno dei suoi più radiosi sorrisi.
La turchina ricambiò allegra il caloroso benvenuto: - Non mi sarei persa il Ballo di Primavera per nessun motivo al mondo.- rispose pacatamente, volgendo i suoi occhi limpidi a tutta la comitiva.
Shade aveva visto benissimo come lo sguardo della fanciulla si era soffermato sul suo più a lungo, concentrandosi poi sulla sua mano che ancora teneva saldamente intrecciata a quella della duchessa al suo fianco.
Temette fosse solamente una sua impressione, ma gli sembrò che la giovane sussultasse per un istante alla vista di così tanto affetto, e il suo sguardo gli parve rabbuiarsi un poco non appena distolse gli occhi dalla propria figura.
- Chi è il fortunato cavaliere che vi accompagnerà nelle danze?- le domandò a un tratto la Dea, volgendo i suoi smeraldi negli occhi cristallini di Rein, con un’espressione indagatrice in volto.
Al suono di quelle parole, l’udito del visconte si fece più attento ed i suoi nervi più tesi.
Sbuffò contrariato non capendo ancora per quale motivo tendeva a comportarsi così.
La turchina volse un caloroso sorriso in direzione della duchessa, rispondendo cortesemente alla sua domanda:- Oh, è un mio caro amico che credo conosciate anche voi, e…- ma non fece a tempo a terminare la frase, che il suo misterioso accompagnatore le si era velocemente materializzato alle spalle, come se aspettasse solamente quell’occasione per fare la sua entrata trionfale all’interno del gruppo.
- Rein, ecco dov’eri finita!- aveva esclamato, senza far caso agli altri ospiti – Perdona il ritardo, ma ho dovuto riferire degli ordini precisi al cocchiere prima che ripartisse verso la strada di casa. Spero di non averti fatto aspettare a lungo!- e detto questo, posò un casto bacio sulla mano di lei, intrecciando successivamente le proprie dita alle sue.
Shade osservò disgustato ed infastidito quella scena sdolcinata che era stato costretto a sorbirsi, poi irruppe prepotentemente nella conversazione, irritato da quell’inutile attesa che si era protratta fin troppo a lungo.
- Ritengo che il tempo delle presentazioni sia giunto al termine. Sbrighiamoci ad entrare, altrimenti arriveremo che la festa sarà già terminata.- e, detto questo, strinse ancora di più la mano della duchessa al suo fianco, conducendola all’interno della villa dove si teneva il gran ballo.
Il resto della comitiva lo osservò andarsene piuttosto sorpresa ed incredula per quell’uscita alquanto insolita, per essere stata pronunciata da un tipo burbero e scontroso come lui.
Aveva lasciato tutti decisamente di stucco.
- Non credevo che il visconte possedesse uno spirito così amante delle feste!- osservò Rein alquanto colpita, prima di dirigersi anch’ella all’interno della sontuosa villa nella quale si sarebbe tenuto il ballo più straordinario al quale avrebbe avuto l’onore di partecipare.



Angolo Autrice:

Si, lo so, sono in un ritardo pazzesco, ma è già un miracolo che sia riuscita ad accendere il computer e starci cinque minuti per postare il capitolo, quindi non biasimatemi troppo.
Sono disperata perchè la fic procede a rilento e non ho mai tempo di continuarla. L'università mi sfianca e lo studio anche, quindi chiedo perdono per questo ritardo e per quelli futuri.
Farò il possibile per continuare quando posso questa interminabile storia.
Parlando del capitolo, so che vi avevo promesso la soluzione di qualche mistero, ma stava diventando decisamente troppo lungo, così ho deciso di dividerlo in più parti (tre, a dirla tutta).
Ci sono così tante cose da far accadere, ma non voglio che la lettura risulti toppo pesante, quindi ho pensato fosse meglio darvi un assaggio di quello che accadrà in seguito.
Vi prego di non uccidermi.
Spero che il capitolo sia stato gradito. Mi impegnerò al massimo per postare il prossimo il prima possibile.
Nel frattempo, ringrazio tutti i miei lettori (se ancora ce ne sono) di avermi seguita fin qui.
Alla prossima

_BlueLady_

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Capitolo 17
*** XVI ***


CAPITOLO 16 ~
 
Villa Aqua era la più bella villa di tutta la contea appartenente alla contessa Dewdrop in persona, nella quale venivano celebrate le festività più importanti dell’intera regione.
Il Ballo di Primavera era certamente una di queste occasioni.
Solitamente la villa rimaneva disabitata per buona parte dell’anno, e solamente nelle grandi occasioni veniva agghindata di tutto punto e aperta al pubblico.
Come quella sera.
A Rein mancò il fiato non appena si presentò ai suoi occhi il salone d’ingresso finemente decorato nei più minimi dettagli.
A precedere l’entrata vi erano due grandi colonne in marmo bianco, che conferivano un tono di solennità all’intera struttura.
Successivamente l’ingresso si apriva in un ampio salone circolare, circondato da alte vetrate su ogni lato. L’altezza del soffitto era notevole, poiché passando accanto ad una delle finestre a Rein pareva di essere una formica al confronto.
Ogni vetrata era incorniciata su ambo i lati da tende in velluto rosso drappeggiate, che sfioravano il terreno.
Poi la sala si divideva in due metà perfettamente equivalenti: al centro vi era un grande tavolo, sede del buffet che si sarebbe tenuto a breve.
La facciata di sinistra dava sul portico che conduceva alle rimanenti stanze dell’enorme villa, mentre quella di destra si affacciava su un ampio balcone costeggiato da una scalinata che portava direttamente in giardino, esattamente nei pressi dell’enorme fontana a forma di sirena che fronteggiava la sontuosa dimora.
Ad illuminare il tutto, cinque lussuosi lampadari appesi su un soffitto decorato con arabeschi color avorio: quattro agli angoli della sala ed uno posizionato al centro, ognuno costituito da gocce di cristallo appese le une alle altre attraverso le quali filtrava la luce, in modo da formare una cascata argentea di acqua vitrea e cristallina.
Ora si spiegava il motivo per cui era stato deciso di chiamarla Villa Aqua.
Emozionata e allo stesso tempo stordita da tutto quel barlume di luci, si lasciò condurre dal suo cavaliere all’interno, la sorella ed il resto della comitiva a pochi passi più avanti di lei.
Il suo sguardo si posò sulla gemella per un istante: Fine, come lei, era estasiata da tanta bellezza, e si osservava intorno incontrando occasionalmente lo sguardo del suo accompagnatore, il quale ritirava subito gli occhi nel tentativo di celare l’imbarazzo e l’emozione di averla accanto.
Felice per la sorella e per la piega che stava assumendo man mano la sua storia d’amore, si disse che era giunto il momento anche per lei di mettere un punto sui sentimenti che da troppo tempo provava per il visconte, e l’occasione giusta era proprio quella sera.
Sopportando con molto coraggio e senza l’ombra di un rimpianto la vista del giovane accompagnato dalla sua bella, entrambi felicemente innamorati ed in procinto di sposarsi, si sarebbe finalmente resa conto che la sua battaglia nel tentativo di conquistarlo era persa fin da subito, e si sarebbe messa definitivamente il cuore in pace.
Così, senza darsi il tempo di avere dei ripensamenti, volse lo sguardo nella loro direzione, preparando il suo cuore a reggere il duro colpo che quella visione gli avrebbe inflitto.
Quello che vide, tuttavia, non l’afflisse ulteriormente ma, anzi, in un primo momento la sconcertò.
Il visconte e la duchessa poco più avanti parevano alquanto tesi e distaccati, forse delusi dalle ricche aspettative di quella serata, o forse irritati per uno spiacevole litigio appena avuto.
Si erano fermati attendendo l’arrivo del resto del gruppo, osservandosi intorno con fare disinteressato ed annoiato. Le loro mani erano ancora intrecciate le une alle altre, eppure sembrava quasi che entrambi volessero separarsi l’uno dall’altra il più presto possibile.
Non appena i loro sguardi si incontravano, entrambi distoglievano gli occhi, più per fastidio che per imbarazzo.
Nell’osservarli così attentamente, a Rein venne da pensare (e, ahimè, sperare) che sarebbe ancora potuta esistere una minima possibilità secondo cui si fosse sbagliata nel giudicare il loro rapporto all’apparenza così idilliaco e perfetto. Se prima, infatti, aveva pensato che l’affetto che li unisse fosse saldo e profondo, ora le sembrava quasi che fossero costretti a stare insieme per forza.
Il modo in cui si tenevano per mano era soffocante e possessivo, un atteggiamento per nulla dettato dall’amore. Pareva di più una pretesa di dimostrare chi dei due fosse il più forte.
I loro gesti, sebbene all’apparenza così carichi di affetto, non bastavano a celare i veri sentimenti che si consumavano nel cuore di entrambi.
Si, ne era assolutamente certa: potevano ingannare chiunque, ma non lei.
 
Il Ballo stava proseguendo da circa un’ora, la folla di invitati si faceva via via sempre più numerosa man mano che il tempo passava, e da circa un’ora il visconte non cessava di osservarsi intorno con aria contrariata, sentendosi costantemente oppresso dai corpi dei ballerini che gli passavano accanto urtandolo senza il minimo riguardo.
Sbuffò irritato, lanciando di tanto in tanto occhiate fulminanti ai presenti, come per intimar loro di stargli il più lontano possibile.
Non riusciva a spiegarsi quel senso di fastidio che continuava ad agitargli il petto da inizio serata. Era come se un ignoto incendio scoppiato in un angolo remoto del suo corpo gli stesse pian piano pervadendo ogni singolo arto, trovando nel cuore il fulcro di tutto il meccanismo.
Non se ne capacitava.
Più tentava di distrarsi, più l’incendio divampava ed i suoi pensieri si concentravano tutti su un’unica persona, presente al ballo di quella sera.
- Riesci ancora a stupirmi, Shade…-
La voce della duchessa al suo fianco riuscì a distoglierlo per un istante dai suoi tormenti.
Volse le sue iridi cobalto in quelle smeraldine della duchessa, socchiuse in uno sguardo sottile e tagliente.
- Come riesci, anche dopo tutto questo tempo, a mentire ancora a te stesso e agli altri?- gli domandò la duchessa, quasi come se avesse percepito le emozioni che si stavano consumando nel suo petto e alle quali si rifiutava ancora di dare ascolto.
Il visconte la osservò, inarcando la bocca leggermente all’insù:- A cosa vi riferite, duchessa?- le domandò, il più pacatamente possibile.
La duchessa riconobbe in quella una domanda retorica alla quale non necessitava neanche rispondere.
Notò con enorme fastidio che aveva ripreso a darle del voi.
La crisi di collera era ormai superata, o forse era quello che voleva far credere.
- Credi di riuscire a tener soppressa la verità ancora per molto? – gli chiese ancora, ignorando spudoratamente la domanda che lui gli aveva fatto in precedenza.
- Chi vi dice che la verità non sia già venuta a galla da sé?- rispose quello, col suo tono enigmatico che la fece uscire di senno.
Aveva capito benissimo che le sue parole erano una diretta accusa contro di lei.
- Sai cosa ti dico?- sbottò ad un tratto, piantandogli in faccia i suoi occhi colmi di disprezzo – Ti dico che sono stanca, Shade. Stanca di tutto e di tutti. Stanca di conoscere la verità solo per metà, stanca di avere un fratello che si dimostra più apprensivo nei confronti del suo migliore amico che nei confronti della sua stessa sorella…- la voce le si incrinò per un istante, una sottile pellicola di lacrime cominciò a farle vibrare le nere pupille. Osservò con rammarico la mano che teneva ancora stretta al visconte, non riuscì a contenere un singhiozzo che le sbalzò fuori dal petto con una violenza impressionante:- …Stanca di fingere un amore che in realtà non provo - concluse poi, liberandosi con rabbia violenta dalla presa ferrea del visconte, per poi lanciargli un’ultima occhiata fulminante prima di sparire tra la folla.
Lo lasciò solo e abbandonato a sé stesso, in balia dei suoi dubbi e delle sue incertezze.
Solo, in mezzo ad una miriade di persone.
L’irrefrenabile desiderio di sapere dove si trovasse e cosa stesse facendo la giovane Rein Sunrise accompagnata dal suo valente cavaliere non cessava di tormentarlo.
Perché continuava a darsi pena per lei?
Non ne aveva alcun motivo…
Irritato dai suoi pensieri, dall’ennesima discussione avuta con Altezza, e dall’opprimente atmosfera che si respirava all’interno della villa, si osservò intorno, nel tentativo di scorgere uno spiraglio di strada in mezzo alla folla per potersi definitivamente allontanare da quel luogo infernale alla ricerca di uno più tranquillo dove poter raccogliere i suoi pensieri.
Il caso volle, però, che proprio mentre si osservava intorno con fare circospetto, i suoi occhi si scontrassero con l’esile figura di una giovane donna dai capelli turchini, ancora alle prese con il suo cavaliere.
Eccolo, l’incubo che diventava realtà.
Tentò di distogliere lo sguardo da quell’irritante visione, ma i suoi occhi non vollero collaborare: si ritrovò ad ammirare, non senza una nota di amarezza, la giovane Rein Sunrise che danzava in maniera talmente leggiadra che pareva fosse il vento stesso a condurla nelle danze.
La ragazza sorrideva al suo cavaliere, chiunque avrebbe notato la sua gioia dipinta in volto, e le sue mani non rifiutavano la gentile presa del suo accompagnatore, anch’egli sorridente e in preda al più totale divertimento.
Il visconte li osservò, e sentì improvvisamente muoversi qualcosa nel petto.
L’incendio tornò a divampare nelle vene, più forte di quanto non fosse in precedenza.
Scosse la testa, rimproverandosi del suo egoismo.
Fece per voltare le spalle all’allegra coppia, sebbene a malincuore e non nascondendo una minima speranza che i due potessero improvvisamente separarsi, quando le sue mute richieste parvero essere improvvisamente esaudite.
Scorse con la coda dell’occhio il giovane accompagnatore della turchina condurla ad un lato della sala, per poi abbandonarla per inoltrarsi nuovamente tra la folla.
Rimase immobile al suo posto a riflettere, combattuto tra il desiderio di conversare ancora una volta con lei, e l’orgoglio.
In un primo momento parve sul punto di cedere alla tentazione, poi la lucidità si riappropriò della sua mente, e giudicò che era meglio lasciar perdere.
Sospirò un’ultima volta, prima di voltare le spalle alla fanciulla ed inoltrarsi tra la folla, imitando il gesto che il cavaliere di lei aveva compiuto pochi minuti prima di lui.
 

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La luna era meravigliosa quella notte, così pallida e piena, tanto da sembrare una perla strappata alle fauci del mare per essere restituita alla vanità del cielo.
Altezza osservava quell’enorme sfera madreperlata che si rifletteva nei suoi occhi, mentre stille di acqua salata sgorgavano da quegli smeraldi sciupati da tanta tristezza.
Si osservò intorno allarmata asciugandosi le lacrime che le rigavano le guance, temendo che qualcuno potesse accorgersi di lei e rabbrividendo all’idea di mostrarsi così fragile di fronte ad altre persone.
Dopotutto, lei era la duchessa di Tinselpearl, la Dea, una delle donne più prestigiose di tutta la contea. Qualunque cosa desiderasse veniva prontamente esaudita: altre donne meno fortunate di lei avrebbero dato qualsiasi cosa pur di avere la stessa fortuna che le era toccata.
Di che aveva da lamentarsi, allora?
Le sue non erano altro se non lacrime di ipocrisia.
Avrebbe dovuto essere grata alla sua buona stella per la felicità che mai, fin da bambina, le era stata negata.
Già… e allora perché, sebbene possedesse tutto ciò che una nobildonna potesse desiderare di ottenere, non riusciva comunque ad essere felice?
- Sono lacrime, quelle che sciupano i tuoi occhi?-
Sussultò nel riconoscere quel timbro di voce tanto familiare, capace di provocarle una violenta tempesta di emozioni in petto ogni volta che la udiva.
Voltandosi, scontrò le sue iridi con un paio di occhi blu a lei noti.
Non seppe se rallegrarsi o disperarsi della sua presenza lì, dov’era anche lei.
Lui le si avvicinò, sfiorandole la mano che aveva abbandonata lungo il corpo, come se fosse un inutile peso morto.
- Per quale motivo stai piangendo?- le domandò, con un tono di voce che le fece venir voglia di gettarsi fra le sue braccia e sciogliersi in un pianto che sfogasse tutto il suo rammarico ed il suo dolore.
Lo osservò nuovamente negli occhi, sfiorando le sue labbra con la punta delle dita.
Si rannicchiò sul suo petto, lasciando che le braccia di lui la avvolgessero in un guscio dentro il quale nulla avrebbe potuto ferirla di nuovo.
Poi la voglia di confessargli quello che tanto la affliggeva riguardo a Bright, a Shade e ai loro odiosi segreti cominciò a premerle sulla gola, nel tentativo di sciogliere il nodo che ingrippava la sua voce.
Tentò di dar sfogo alle sue parole, ma non appena tentò di aprir bocca le uscì dalla gola una sorta di lamento strozzato che diede il via ad una cascata di lacrime irruenti e furiose.
Si stinse a lui, aggrappandosi con tutta la sua rabbia ai suoi vestiti, ormai completamente infradiciati dalle sue lacrime. Avvertì Auler stringerla a sé, premendo con forza il suo petto contro la sua guancia rigata di lacrime.
Un odore acre e pungente le inondò i polmoni, inebriando le sue membra stanche e spossate dal troppo piangere.
- Perdonami…- lo udì proferire a un tratto, sovrastando i suoi singhiozzi sempre più acuti.
Cessò per un istante di singhiozzare, volgendo i suoi occhi resi lucidi dalle lacrime su di lui.
- Non avrei dovuto metterti contro persone alle quali sei tanto affezionata. Sono stato un vero e proprio egoista.-
Quelle parole espresse con così tanta malinconia le animarono il petto di una nuova determinazione. Si asciugò gli occhi, emettendo lunghi e profondi sospiri nel tentativo di calmare gli ultimi singhiozzi, poi volse nuovamente gli occhi a lui, sicura e forte come non lo era mai stata.
Si era ripromessa di non dirgli nulla riguardo a ciò di cui era venuta a conoscenza quasi per errore, eppure una piccola conferma sarebbe bastata a farle cambiare improvvisamente idea.
- …Mi ami?- gli domandò, lo sguardo acceso di determinazione.
Nell’udire quella domanda lo vide osservarla spaesato, come se stesse meditando su cosa fosse più conveniente risponderle.
- Come?- chiese soltanto, allentando la presa che prima aveva salda sui suoi fianchi.
- Voglio confessarti una cosa, ma prima ho bisogno di sapere se veramente mi ami - ripeté, senza lasciarsi intimorire da quel gesto che lui aveva appena compiuto, forse involontariamente.
Trascorsero interi minuti di silenzio, il cuore le trepidò ferocemente in petto.
La paura di ricevere una risposta negativa fece vacillare la sua determinazione.
- Si…- lo sentì dire infine, in tono fermo e deciso -… credo di amarti -
Lo scalpitio del suo cuore si fece più acuto e violento.
Lo osservò un istante negli occhi, nel tentativo di scorgere una scintilla di falsità brillare in quelle iridi notturne. La felicità si fece incontenibile, non appena constatò che non c’era nulla di falso nelle parole che lui aveva pronunciato.
Mossa da un impulso quasi istintivo, gli prese il viso tra le mani, baciandolo sotto i raggi lunari.
Sorrise nel constatare che lui aveva risposto al suo bacio con fervore, come se non desiderasse altro che quello a saziare le sue labbra avide del suo calore.
- So dove si trova il gioiello che ti sta tanto a cuore…- gli sussurrò all’orecchio non appena ebbe finito di baciarlo, con voce flebile e malleabile. Era giunto il momento di dargli ciò che gli aveva precedentemente promesso. Aveva preso una decisione: quello sarebbe stato il pegno d’amore che avrebbe provato definitivamente la sua totale devozione verso di lui.
Lui la osservò con sguardo vuoto, come se improvvisamente non volesse venire a conoscenza del suo segreto, ma fosse inevitabilmente costretto a farlo.
Prese un profondo respiro prima di aprir bocca, perché quello che aveva intenzione di dirgli lo avrebbe annunciato una volta soltanto.
- Il gioiello che tanto cerchi… si trova in casa di Rein Sunrise.- (*)



Angolo Autrice:

(*) 
Non so se rammentate che, qualche capitolo fa (e più precisamente nel capitolo 13) il nostro caro Auler aveva chiesto ad Altezza di prendere informazioni riguardo al gioiello rubato da Eclipse...

Oooh, cosa abbiamo qui?
Ma no, ma dai, ho aggiornato davvero? Faccio fatica anch'io a crederlo!
Il nostro Ballo di Primavera continua, ed ecco che già un piccolo altarino si scopre (finalmente!)
Altezza a quanto pare ha alla fine deciso di rivelare dove si trova il gioiello rubato che Auler tanto cercava, ora la domanda è: cosa succederà?
Il nostro Shade, invece, sembra essere preda di un conflitto interiore: entro la fine del ballo riuscirà a parlare ancora con Rein, oppure darà ascolto al suo orgoglio, e lascerà correre?
Nel prossimo capitolo avrete altri dettagli, che vedranno la conclusione del Ballo e una novità inaspettata per Rein.
Per il momento, però, sono costretta a lasciarvi col fiato sospeso ancora una volta.
Mi dispiace non aggiornare più di frequente come un tempo, ma forze di causa maggiore mi impediscono di farlo.
Per ora vi posso solamente far gustare un capitolo ogni morte di Papa, che spero comunque vi sia stato gradito.
Siamo nel bel mezzo del Mistero, non vorrete lasciare le indagini a metà, vero?
Ora vi saluto, con la speranza che il capitolo vi sia piaciuto.
Un saluto a tutti, ci si vede!

_BlueLady_

 

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Capitolo 18
*** XVII ***


CAPITOLO 17~
 
Rein non cessava di osservarsi intorno, spaesata ed affascinata da quell’atmosfera radiosa e variopinta nella quale si trovava, mentre attendeva che Tio facesse ritorno.
Nessuno sembrava curarsi di lei, unica fanciulla solitaria in mezzo a tante persone tutte perfettamente appaiate le une alle altre: pareva quasi una presenza invisibile, capace di osservare ma di non essere osservata.
Sospirò nel vedere tante coppie felici ed innamorate poter godere del loro amore, mentre a lei non era concesso farlo.
Ogni membro di una coppia pareva il pezzo di un puzzle: preso singolarmente era soltanto un semplice tassello senza volto, un qualunque individuo all’interno della moltitudine, ma accompagnato dalla persona amata riusciva ad acquistare improvvisamente una sua identità, quasi brillasse di luce propria.
Soltanto quando tutti i tasselli sono incastrati l’uno con l’altro si riesce ad ammirare l’immagine che da soli non riescono a rappresentare, così come chi ci ama ci insegna ad accettare anche quelli che noi consideriamo difetti, e sopprime in noi la paura di mostrarli anche agli altri, oltre che a noi stessi.
Anche lei, probabilmente, era il pezzo di un puzzle, ma, a differenza degli altri, non aveva ancora trovato la metà con la quale incastrarsi. Tio era il suo cavaliere per quella sera, era vero, ma in qualche modo sentiva di essere completamente incompatibile con lui, avvertiva che l’incastro tra loro non era perfetto come quello che esisteva, ad esempio, tra sua sorella e il duca di Tinselpearl.
Sorrise.
Loro parevano fatti veramente l’uno per l’altra, come i genitori di Tio e Lione.
Come sua madre e suo padre.
Come la duchessa e…
Un profondo sospiro le impedì di pensare oltre.
Pensò che rimettersi ad osservare la folla l’avrebbe nuovamente aiutata a distrarsi dai suoi opprimenti pensieri che non cessavano di tormentarla neanche in quel momento.
- Sperate davvero che, osservando la folla dinnanzi a voi, la vostra metà che disperatamente cercate si presenti davanti ai vostri occhi?-
Quella voce cupa e profonda che riconobbe non appena ne udì anche solo il sussurro costrinse il suo cuore a mancare di un battito, prima di voltarsi e ritrovarsi davanti a sé, come aveva già immaginato, la figura imponente del visconte che la penetrava con i suoi occhi oltremare.
Impiegò un attimo per riprendersi, distratta dalla troppa emozione di trovarselo finalmente di fronte, dopo tutta la sera passata a sperare di incontrarlo invano.
- La duchessa vi ha abbandonato alla vostra solitudine, visconte?- gli domandò, senza mostrarsi né troppo scocciata, né troppo entusiasta di vederlo.
- Potrei dire la stessa cosa di voi e del vostro cavaliere - rispose quello, inarcando la bocca in un sorriso.
Si osservarono, lasciando trasparire nei loro occhi l’uno lo sguardo dell’altra.
Entrambi ritennero più conveniente recarsi a conversare in un luogo più tranquillo ed appartato, lontano dalla musica e dal chiacchiericcio degli invitati che sovrastava le loro voci.
Si recarono all’ingresso della villa, sotto al portico che precedeva il piazzale destinato al transito delle vetture delle quali alcune sostavano, rigide ed imponenti, nei pressi della grande scalinata tramite la quale si aveva accesso al salone dove si teneva il ballo.
Non appena si ritrovarono soli, un sottile velo di imbarazzo si frappose tra loro.
Rein teneva gli occhi bassi, e si contorceva ogni tanto le mani nel tentativo di scaricare la troppa tensione accumulata nel corso di quei brevi istanti passati in compagnia del visconte.
Questo, poco più avanti di lei e dandole le spalle, si limitò ad appoggiare i gomiti ed il busto alla ringhiera, chiudendo gli occhi per assaporare quegli attimi di pace e tranquillità che lo avevano sottratto dalla confusione generale all’interno della villa.
- Come mai non siete dentro a far compagnia alla duchessa nelle danze?- gli domandò a un tratto Rein alle sue spalle, rompendo quella campana di vetro che era riuscito a crearsi per isolarsi da tutto e da tutti.
Volse lo sguardo verso di lei, fondendo le proprie iridi blu con l’azzurro dei suoi occhi:- Non amo la compagnia della folla, e in genere i balli mi annoiano - le rispose pacatamente, senza distogliere il contatto visivo.
La turchina lo osservò un po’ stupita della risposta che le aveva appena dato:- Credevo che i balli fossero la vostra forma principale di divertimento, data l’impazienza con la quale eravate desideroso di fare il vostro ingresso nella villa a inizio serata -
Il visconte ripercorse con mente ferma l’istante in cui aveva visto il compagno della giovane posare sulla sua mano delicata le sue labbra avide e aggressive.
Si stupì nel riavvertire il sangue ribollirgli nelle vene al solo ricordo di quel misero gesto.
Rein non cessava di osservarlo sgranando i suoi occhioni color del cielo, attendendo una risposta alla sua domanda implicita che impiegò qualche istante ad arrivare.
- Stavo solamente esprimendo il parere della duchessa a riguardo - mentì, distogliendo nuovamente lo sguardo da quegli occhi così limpidi e puri che non lasciavano trasparire alcuna traccia di meschinità.
- E il vostro parere a riguardo qual è, invece?-
Sgranò gli occhi impercettibilmente, nell’udire quell’inconsueta domanda.
- Cosa intendete dire?-
Sul volto della turchina comparve un sorriso, seguito da un profondo sospiro.
- Siete sempre talmente freddo e distaccato da tutto, che è difficile capire quali siano le vostre vere opinioni – disse – Esprimete sempre un parere che non sia il vostro, parlate sempre a nome degli altri o vi limitate ad ascoltare le opinioni di chi vi sta di fronte - e qui fece una pausa prolungata, nella quale lo osservò dritto negli occhi - Non pensate che, a volte, sia più conveniente lasciare da parte l’orgoglio e mostrarsi realmente per ciò che si è? A chiunque è concesso di sbagliare, a volte. Anche alle persone che, all’apparenza, non mostrano alcun tipo di difetto.-
Ascoltò attentamente quello che aveva da dire, celando la sua sorpresa nello scoprire la perspicacia di quella giovane che, ogni volta di più, riusciva a sorprenderlo.
Conversare con lei era ogni volta uno scontro, un modo tutto loro di fare la propria conoscenza l’uno dell’altra. Le parole della fanciulla lo stimolavano: conversare con lei, doveva ammetterlo, era un vero e proprio piacere.
La miglior cosa che si potesse desiderare. O quasi.
Anche in quel caso era pronto a risponderle nel migliore dei modi, provocandola come era solito fare ad ogni occasione, ma non ne ebbe il tempo necessario.
Aprì la bocca per parlare, ma la voce gli morì in gola prima ancora che potesse far vibrare le sue corde vocali: Tio Mera li aveva raggiunti, interrompendo la conversazione appena iniziata.
- Perdonatemi si vi interrompo- aveva detto, sfoggiando un rispettoso inchino in direzione del visconte - ma ritengo che sia giunto il momento per noi di andare. Mi dispiace doverti avvisare così all’improvviso, Rein, ma si è fatto tardi, ed è ora che io ti riaccompagni a casa. Tua madre è stata molto specifica a riguardo -
Shade osservò Rein annuire convinta mentre quello intrecciava le proprie dita alle sue per condurla alla carrozza, eppure in volto mostrava tutto il suo rimpianto di non poter proseguire oltre la conversazione. I suoi occhi erano passati più volte dall’osservare la propria mano, intrappolata nella presa di Tio, al visconte, che non cessava di osservarla con la sua solita serietà dipinta in volto, impassibile e imperturbabile.
Shade era, tuttavia, tutt’altro che tranquillo: un uragano di sentimenti si agitavano furiosi in petto, quella che gli era stata fatta era una vera e propria mancanza di rispetto.
Poteva tollerare la visione di vederli allontanarsi felicemente insieme, ma che la giovane gli venisse brutalmente sottratta mentre stava conversando con lui, quello proprio no.
- Perdonatemi - esclamò a un tratto Rein, con sguardo sinceramente dispiaciuto per il modo improvviso con cui lo stava abbandonando - ma ora devo proprio lasciarvi.-
- Non preoccupatevi - mormorò lui in risposta, nascondendo abilmente il suo orgoglio ferito - è giunto il tempo che anch’io vi lasci e vada a recuperare la duchessa per riportarla a casa –
La turchina si arrestò per un istante, profondamente contrariata: - Ma la festa è ancora lontana dal terminare, vi perderete la parte migliore della serata!- aveva esclamato sinceramente dispiaciuta che il suo comportamento maleducato l’avesse talmente irritato dal fargli desiderare di andare via dal ballo prima che questo fosse terminato.
Il visconte la penetrò con i suoi occhi imperscrutabili:- Non mi interessa - le aveva risposto, con una serietà che le mise quasi paura - Non c’è più niente per cui valga la pena di rimanere, adesso -
Il modo con cui aveva accentuato l’ultima parola e la rabbia con la quale aveva espresso quell’ultima frase tra i denti le fece pensare per un istante che il motivo per cui il visconte reagisse così fosse perché provava una punta di gelosia verso di lei.
Sorrise scuotendo la testa amaramente: non avrebbe avuto alcun motivo di essere geloso di Tio, dopotutto, anzi, non avrebbe avuto alcun motivo di essere geloso e basta.
Ripresasi da quel breve attimo nel quale la sua mente aveva prodotto quell’assurda fantasia, si inchinò al visconte, e lasciò che Tio la conducesse alla carrozza in silenzio, raccolta nei suoi pensieri.
Shade seguì con lo sguardo ogni suo più piccolo movimento.
Quando si accinse a salire sulla carrozza senza che nessuno l’aiutasse, sebbene trovasse faticoso farlo a causa del vestito che le limitava i movimenti (aveva pur sempre un orgoglio da conservare!), si stupì nel rendersi conto che Tio aveva bellamente ignorato la sua richiesta, e le stesse dando un aiuto a montare sulla vettura.
Fece per voltarsi contrariata, pronta a rispondere che ce l’avrebbe comunque fatta anche da sola, ma le parole le morirono presto in gola, quando si rese conto che la mano che l’aveva aiutata a salire e che ora stava stringendo la sua non era assolutamente quella di Tio Mera, come invece aveva creduto che fosse.
Si ritrovò gli occhi del visconte a pochi centimetri di distanza dai suoi osservarla inespressivi: il giovane non sembrava scocciato, né desideroso di ricevere un ringraziamento in risposta per quel gesto tanto spontaneo che si era accinto a fare.
Semplicemente, aveva aiutato Rein Sunrise a salire per la pura e semplice voglia di farlo.
Il suo era stato un gesto impulsivo, dettato dall’istinto.
Impossibile descrivere le emozioni che provò la giovane nell’avvertire quel tocco fiero e delicato al tempo stesso attanagliarle la mano in una morsa dalla quale sperava di non riuscirsi a liberare mai più.
Non lo ringraziò, appena fu sopra la vettura: la sua mano era ancora in quella del visconte, come se quello fosse un disperato tentativo di ritardare il momento in cui si sarebbero nuovamente separati.
Nessuno dei due si accingeva a proferire una parola, limitandosi ad osservarsi negli occhi, sorpresi ed emozionati.
Era come se temessero che quella dimensione parallela nella quale a entrambi pareva di essere stati improvvisamente proiettati potesse infrangersi come i vetri di uno specchio anche solo con l’emissione di un flebile respiro.
Quel punto di contatto tra loro, all’apparenza così insignificante e inespressivo, li mise in comunicazione l’uno con l’altra.
Entrambi avvertirono il caos dentro sé stessi: la loro pace interiore veniva continuamente perturbata dai battiti accelerati dei loro cuori, perfettamente in sincrono l’uno con l’altro.
Shade e Rein si sentirono improvvisamente completati l’uno dall’altra, come due singoli pezzi di un puzzle che trovano tra loro l’incastro perfetto con il quale congiungersi in un’unica entità.
Sussultarono entrambi, nel comprendere quella spaventosa verità.
Non si erano mai completati così perfettamente come in quel momento.
Dopo interminabili minuti di silenzio nei quali non cessarono di guardarsi negli occhi, Shade si riscosse dalle sue meditazioni, e sottrasse velocemente la mano da quella della turchina, muovendo un passo indietro e riacquistando il suo atteggiamento fiero e orgoglioso di sempre.
Come separò la mano da quella di Rein, un improvviso senso di incompletezza lo invase, facendolo sentire inappropriato in quel luogo nel quale già sentiva la mancanza di qualcosa o qualcuno.
Non appena fu dato l’ordine al cocchiere di partire verso villa Sunrise, Rein fu costretta ad entrare nell’abitacolo della carrozza, senza avere la possibilità di scambiare ulteriori parole col visconte, rimasto in piedi ad osservarla.
La vettura mosse i suoi primi passi lontano dalla villa, e al visconte non rimase che rientrare al ballo, turbato e confuso.
Rein, affacciandosi al finestrino nel tentativo di volgergli un ultimo sguardo prima che sparisse completamente dalla sua vista, lo vide rientrare alla festa con passo veloce e deciso: la mano che lui aveva stretto prima nella sua si chiuse a pugno, prima di distendersi nervosamente per scrollarsi di dosso le emozioni provate in seguito a quel tocco improvviso, dettato dal cuore.
 

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La carrozza si fermò esattamente di fronte a casa sua, risparmiandole la fatica di farsi l’intero viale che dal cancello conduceva all’entrata a piedi.
Non appena fu scesa, ringraziò Tio della bella serata che le aveva permesso di trascorrere assieme a lui, e fece per avviarsi in casa. La voce del cocchiere alle sue spalle, tuttavia, la costrinse a retrocedere di poco sui suoi passi.
- Ho un importante messaggio da riferirvi- le aveva detto in tono soffuso per non farsi sentire da alcuno, nemmeno dal padroncino Mera.
A Rein parve strano ricevere un messaggio da parte di qualcuno, subito dopo il ritorno da un ballo.
- Di cosa si tratta e chi ha inviato il messaggio, se è possibile saperlo?- domandò anche lei sottovoce, comprendendo la gravità della questione.
Il cocchiere si osservò intorno con fare circospetto, prima di darle l’attesa risposta.
- Poco prima che il padroncino Mera vi conducesse alla carrozza - cominciò, dopo essersi assicurato che intorno non vi fosse nessuno - è giunto un uomo vestito in nero e con una maschera color pece sul volto a pregarmi di riferirvi che vi attende domani nei pressi della contea di Moonville, per discorrere con voi di un affare che vi riguarda molto da vicino…-
A Rein mancò un battito nell’udire tali parole pronunciate con così tanta veemenza.
La descrizione che l’uomo le aveva fatto del misterioso messaggero pareva combaciare perfettamente con l’immagine di un’unica persona a lei fin troppo nota.
- Era un gentiluomo dalle maniere molto particolari - continuò il cocchiere, perso nel suo racconto - un soggetto alquanto singolare, se mi permettete di dirlo. Le ultime parole che ha pronunciato, ve le citerò a breve, mi hanno lasciato alquanto perplesso. Non so quanto ci sia da fidarsi di individui del genere, signorina Sunrise, soprattutto se si tratta di una giovane donna come voi…-
- Domando scusa se vi interrompo – esclamò all’improvviso la turchina, spazientita da tutte quelle chiacchiere inutili e dalla pungente questione che si era ritrovata a fronteggiare – Quali sono state le parole che ha pronunciato quel gentiluomo prima di lasciarvi?-
Il volto del cocchiere si incupì, e le si avvicinò ancora di più, scrutandola con i suoi occhi scuri e penetranti:- Ve lo riferisco soltanto perché siete voi, signorina Sunrise, anche se personalmente ritengo che le sue fossero le parole di un uomo uscito di senno per l’aver un tantino esagerato col bere…- l’odore acre e pungente del suo alito che le perforò le narici mentre le parlava le fecero pensare, con non poco disgusto, che ad esagerare col vino non fosse stato solamente il misterioso individuo dalla maschera color pece.
- Ha annunciato…- riprese a un tratto il vecchio, distraendola dai suoi pensieri -…ha annunciato che  “finalmente la maschera farà la sua caduta, rivelando una verità che da troppo tempo si cela sotto mentite spoglie.”-
“ Eclipse…” si ritrovò a pensare Rein, mentre violenti battiti acceleravano notevolmente il flusso del sangue all’interno delle sue vene, e una miccia ancora non del tutto spenta tornava ad alimentare quelle fiamme che avevano già divorato il suo cuore per metà.
Si ritrovò sola per un istante a pensare a tutti i possibili motivi per cui Eclipse avrebbe avuto necessità di mettersi in contatto con lei. La decisione che avesse finalmente scelto di svelarle la sua vera identità non trovava una giustificazione plausibile, e non la riteneva assolutamente veritiera.
C’era sicuramente dell’altro, e toccava a lei il compito di scoprirlo.
- Ha aggiunto altro che io debba sapere, questo ignoto messaggero?- domandò poi, fissando l’uomo negli occhi e tentando di nascondere l’agitazione che pian piano stava impossessandosi dei suoi arti.
L’uomo scosse la testa dispiaciuto, riferendo che non c’era altro da aggiungere a riguardo.
- Capisco…- mormorò Rein delusa e allo stesso tempo perplessa - Vi ringrazio dell’informazione, vedrò di sbrigare al più presto questa insolita faccenda -
- State attenta a coloro con cui vi relazionate, signorina Sunrise. C’è tanta gente pericolosa che aspetta solo di approfittarsi di fanciulle ingenue come voi, oggigiorno…-
Quello fu il suo ultimo avvertimento, dopodiché frustò i cavalli di fronte a sé, e ripartì verso la sua strada, mentre Rein rientrava in casa con una miriade di dubbi e domande senza risposta che le agitavano la mente ed il cuore.
La quiete notturna si ristabilì non appena la luce all’ultimo piano della grande casa si spense, e anche l’ultimo membro della famiglia Sunrise si coricò a letto, sprofondando nel silenzio di un  sonno profondo e senza sogni
Tra il canticchiare dei grilli ed il soffiare del vento, però, c’era ancora qualcuno che lottava contro la stanchezza, facendo ritorno verso casa prima che sorgessero le prime luci dell’alba.
Due iridi cobalto osservarono per l’ultima volta la finestra che affacciava sulla camera della turchina, prima di sparire silenziosamente nella notte, facendo oscillare lo scuro mantello che si portava appresso.
Nell’allontanarsi dalla villa con passo lento e felpato, fece scivolare via dal volto la maschera nera che aveva portato indosso fino a quel momento, rivelando sotto di essa una cascata di capelli verde scuro e fluenti che arrivavano a sfiorare quasi le spalle, ed uno sguardo buio e magnetico che celava un velo di malignità sotto quelle iridi cupe come il cielo notturno.
Sorrise, l’oscura figura, prima di confondersi definitivamente con le ombre della notte, nel constatare che l’obiettivo per il quale era giunto fin lì era stato raggiunto con successo.
E’ tempo che Rein Sunrise venga a conoscenza della verità riguardo Shade Mooinville.-



Angolo Autrice:

Bene, bene, bene, bene, cosa abbiamo qui?
Incredibile ma vero, ho un aggiornamento per voi! (Non commuovetevi troppo, eh!)
Lo so, sono imperdonabile per i miei continui ritardi, ma che ci volete fare: lo studio non perdona, e sono stata terribilmente impegnata. Tuttavia, nonostante i mie impegni, ho voluto trovare il tempo per scrivere questo capitolo e postarvelo: dato che tra una settimana parto per le mie meritate vacanze e non mi farò più sentire fino a fine agosto, mi sembrava giusto lasciarvi con un regalo che spero sia apprezzato.
Non mi andava di lasciarvi ancora in sospeso con la storia del ballo, dunque ho fatto il possibile per finire questo capitolo della storia nel miglior modo possibile, senza dimenticare l'aggiunta di un colpo di scena finale.
Avete capito chi è il misterioso messaggero di Rein, vero? I dettagli non mentono, del resto, e la fine del capitolo precedente dovrebbe aiutarvi a ricordare...
Lo so, vi lascio ancora una volta in sospeso con un altro mistero da risolvere, ma vi prometto che dal prossimo capitolo capirete anche quest'ultimo inghippo. Spero comunque che il piccolo momento ReinxShade che ho volutamente inserito sia stato gradito.
Ora vi lascio, sperando di ricevere vostri pareri e augurando a tutti delle buone vacanze. Tornerò ad aggiornare (e a rispondere alle eventuali recensioni che mi lascerete) a settembre.
Spero che questo periodo di vacanza mi sia utile per riuscire a terminare la fiction una volta per tutte. Ho ancora alcune cose da far quadrare, e l'ispiraizone è fondamentale per questi passaggi.
Un saluto a tutti e un grazie a chi ancora ha il coraggio di seguirmi.
Alla prossima

_BlueLady_

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Capitolo 19
*** XVIII ***


CAPITOLO 18~
 
Erano appena sorte le prime luci dell’alba quando Rein prese la decisione di uscire di casa senza rendere conto ad alcuno di dove andasse, e dirigersi nel luogo in cui le era stato dato l’appuntamento la notte scorsa.
Il sole era ancora pallido in cielo, ed illuminava a fatica coi suoi raggi i fili d’erba ancora adornati delle gocce di rugiada, intorpiditi dal freddo della sera precedente.
La natura era ancora soggiogata al torpore del sonno, lungi dallo svegliarsi e riprendere quel ciclo che lei, montando in sella a cavallo per poi lanciarsi nella prateria, aveva precariamente sconvolto.
Nonostante avesse dormito poco più di tre ore quella notte, era piena di energie: il desiderio di chetare al più presto le pene che le appesantivano il cuore quasi non le faceva avvertire il peso della stanchezza che le premeva costantemente sugli occhi, offuscandole la mente e i pensieri.
Il feroce rumore che gli zoccoli del cavallo producevano sfregando col terreno sottostante lo dimostravano: parevano volersi fare prepotentemente spazio in mezzo a quella miriade di suoni tenui e soffusi che precedevano la venuta del giorno.
Man mano che il paesaggio sfrecciava veloce di fonte ai suoi occhi, il sole compiva un nuovo gradino della sua scalinata incontro al mattino, rinvigorendosi man mano che procedeva lungo la salita e incendiando i suoi raggi di una nuova energia.
Eppure, lei non lo sentiva.
La velocità alla quale galoppava e la concentrazione con cui si dirigeva sempre più incontro al suo obiettivo le davano l’impressione di essere stata proiettata in una dimensione oltre il tempo e lo spazio conosciuti.
Quando il sole raggiunse l’apice del cielo e giunse finalmente alla sua meta, le sembrarono essere passati solamente pochi istanti da quando era partita.
Si osservò intorno soddisfatta, non appena realizzò ciò che aveva di fronte: la contea di Moonville si ergeva imperiosa di fronte a lei, mostrandole con orgoglio ogni sorta di paesaggio che aveva da offrirle.
Infiniti campi si stagliavano oltre le colline, e, oltre quelli, altri e altri ancora.
Pareva quasi un luogo paradisiaco, riservato solamente ai pochi fortunati che avevano il diritto di abitarvi.
Sorrise, non potendo fare a meno di pensare che, in fondo, non ci si poteva aspettare altrimenti dalla terra in cui era il visconte di Moonville a fare da padrone.
Eppure, c’era qualcosa che stonava fastidiosamente con la perfezione di quel paesaggio.
Nessuno, infatti, oltre a lei, sembrava godere di quell’appagante visione.
Tutto giaceva nella più immota tranquillità: non un sussurro, non un sospiro.
Non c’era nulla che lasciasse pensare che quel luogo potesse essere ancora abitato da qualcuno.
Le abitazioni giacevano immobili e imperturbate nella loro staticità: fredde, spoglie, senza alcun cenno di vita al loro interno. Le strade erano vuote e deserte, quasi ci si poteva sorprendere della loro ampiezza: il rimbombo dei suoi passi contro il terreno in pietra andava a sostituire l’eco delle grida dei bambini che forse, un tempo, avevano giocato a rincorrersi lungo quelle stesse vie, intralciando il passo dei viandanti.
Anche la piazza della cittadina era completamente deserta: pareva quasi il palcoscenico di un teatro andato ormai in rovina, spoglio delle sue scenografie e dei suoi attori.
Solamente la sagoma trasandata di un carro ormai vecchio e inutilizzabile le fecero capire che, certamente, quella cittadina doveva essere stata abitata in passato, molti anni fa.
Decadente, era l’aggettivo più appropriato per quel luogo paradisiaco e immacolato, eppure dalle tonalità così cupe e malinconiche.
Le venne da domandarsi il perché Eclipse, se veramente era stato lui ad inviarle il messaggio, avesse voluto incontrarla proprio lì.
Mentre proseguiva la sua esplorazione senza lasciarsi contagiare da quell’atmosfera intrisa di malinconia, non poté evitare al suo cuore di scalpitare velocemente, in preda all’emozione che un desiderio ancora inespresso le provocava.
Rein sapeva che in quel luogo avrebbe potuto facilmente incontrare il visconte, e quella rara probabilità di trovarselo improvvisamente davanti agli occhi le faceva ardere in petto un briciolo di speranza mista a timore.
Lei voleva incontrarlo, eppure, dall’altra parte, non lo voleva affatto.
I sentimenti che provava per Eclipse contrastavano violentemente con quelli riservati al visconte di Moonville, e non le permettevano di analizzare ancora del tutto con cura quale fosse l’uomo che il suo cuore, forse, aveva scelto già da tempo.
Si ritrovò a pensare, addirittura, di potersi ritrovare faccia a faccia con entrambi, e finalmente dar pace a quel tormento che la assillava dal giorno in cui aveva fatto la loro conoscenza.
Due uomini, un solo cuore.
Sussultò, venendo a contatto con quel timido pensiero.
Un breve attimo di lucidità le permise di prendere coscienza di dove fosse capitata, seguitando nella sua camminata.
Ragionando tra sé e sé, si era lasciata alle spalle la cittadina fantasma, giungendo nei campi coltivati della periferia.
Anche lì, ogni cosa era pervasa dal silenzio, sola nella propria solitudine.
Quasi si sorprese quando scorse una figura lontana accennare un lieve movimento, nettamente in contrasto con l’immobilità del paesaggio circostante.
Aguzzando meglio la vista nel tentativo di riconoscere l’ignoto visitatore, si avvicinò cautamente.
La figura accennò un altro movimento, teneva un oggetto tra le mani che scagliava più volte a terra con violenza: un vecchio contadino dalla folta barba che affondava più volte la sua fidata zappa nel terreno del suo modesto orticello.
Non appena Rein fu a pochi passi di distanza, tirò un sospiro di sollievo, lieta che ci fosse una qualche forma di vita, oltre a lei, in quel luogo apparentemente addormentato.
- Chiedo scusa…!- esclamò, mentre il vecchio si voltò a guardarla con un velo di perplessità nello sguardo.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

“Il gioiello che tanto cerchi… si trova in casa di Rein Sunrise.”
Quelle parole tornavano a riecheggiargli nella mente, quasi fossero il marchio di un antico maleficio che la mala sorte aveva voluto scagliargli contro.
Da tutta la notte, ormai, non facevano che dargli il tormento.
Un opprimente senso di angoscia continuava a premergli incessantemente sul cuore, andandogli a chiudere la bocca dello stomaco.
Irritato ed agitato continuava a rigirarsi nel letto, le coperte simili a un macigno, incapace di prender sonno, nonostante la stanchezza gli ottenebrasse costantemente la mente e gli occhi.
Il volto diafano della duchessa, nel quale erano incastonati quegli smeraldi che rappresentavano la causa di tutte le sue pene, continuava a sovrapporsi ai mille pensieri che gli fluttuavano in testa, schernendolo e risvegliandolo dal suo sonno tormentato.
Auler Windsworth si maledisse per aver bramato con tutto sé stesso un incontro ravvicinato con la Dea, la notte scorsa.
Era per colpa di quell’incontro, se adesso era ridotto in quello stato.
Troppe cose di essenziale importanza erano accadute in quell’attimo che avevano trascorso insieme.
L’aveva vista piangere e perciò l’aveva stretta a sé, recitando alla perfezione la parte dell’innamorato devoto e affezionato.
Ricordò con terrore di come avesse avvertito muoversi qualcosa in petto, non appena l’aveva sfiorata, e di come fosse stato certo che a pervadergli le membra fosse stato qualcosa al di fuori del suo controllo.
Non era stata compassione quello che aveva provato, sebbene lo stato pietoso in cui Altezza si trovasse non potesse suscitargli altro che pietà e commiserazione.
Non era stato nemmeno odio verso sé stesso ciò che aveva cominciato ad ardergli in petto, sebbene in quel momento il suo cuore non riuscisse proprio a perdonarlo di averla coinvolta in una situazione più grande di lei.
Era decisamente qualcosa al di fuori della sua portata, ciò che anche in quel momento lo stava assillando.
Aveva lottato disperatamente contro sé stesso ed il suo istinto, che più volte lo aveva pregato di stringere ancora di più a sé quel fragile corpo, nel tentativo di conferirgli una protezione che, lo sapeva, non doveva e non voleva darle. O, almeno, così riteneva che fosse.
…Possibile che cominciasse a tenere a quella giovane donna più di quanto non tenesse a sé stesso e al suo orgoglio?
Possibile che anche un essere spregevole come lui potesse provare un sentimento così forte e devastante… come l’amore?
Aveva implorato il suo perdono, nel rendersi conto di ciò, e le parole che le aveva rivolto erano state espresse con una sincerità tale da mettere paura perfino a sé stesso.
Sconcertata e confusa, la Dea aveva piantato gli occhi nei suoi, quasi a voler ritrovare la forza d’animo che aveva momentaneamente perduto, e che soltanto lui, con le sue parole, avrebbe potuto conferirle.
- …Mi ami?-
Due parole, sussurrate a fior di labbra quasi con timore, aveva osato esprimere senza il minimo riguardo verso sé stessa e verso di lui.
Due parole che non appena le erano uscite di bocca, gli si erano impresse a fuoco nella mente e nel cuore, e che avevano cominciato a consumarlo dall’interno, soffiandogli via qualsiasi forza di volontà.
Mai avrebbe pensato che parole così avventate avrebbero potuto uscire da labbra tanto docili. Quella domanda lo aveva lasciato spiazzato, senza alcuna capacità di rispondere a ciò che gli aveva chiesto.
Sentiva il cuore ardergli feroce in petto, mentre la tentazione di risponderle gli faceva fremere le corde vocali, nel tentativo di sciogliere quel conflitto interiore che lo stava pian piano consumando.
Come poteva pretendere di amarla, se non si faceva scrupoli nell’ingannarla?
Come poteva ancora essere capace di mentirle, dopo che l’aveva appena vista soffrire a causa delle menzogne che suo fratello continuava a raccontarle?
Improvvisamente, si sentì un essere terribilmente meschino.
Lui le aveva mentito sotto ordine di sua sorella, ma erano davvero queste le sue intenzioni?
Come poteva continuare ad assistere impassibile al logoramento di un animo tanto fragile e delicato?
Come poteva tollerare tutto ciò?
E perché, diamine, cominciava solo ora a darsi pena per questo?
Non riusciva davvero a comprendere come fosse giunto a quel punto. Un punto di non ritorno, indubbiamente.
Altezza era riuscita a metterlo alle strette.
Cosa avrebbe dovuto risponderle?
Dire che l’amava? Per prenderla nuovamente in giro?
Oppure mandare tutto all’aria, e confessarle ciò che erano in realtà i suoi sentimenti per lei? Dirle che l’aveva sfruttata, ingannata, usata solamente perché lo conducesse al suo obiettivo finale?
Inorridì disgustato di sé stesso, rigirandosi nel letto, inquieto.
Aveva ingannato Altezza. Questa era l’unica certezza che gli era rimasta.
L’aveva ingannata, si, ma non perché lo volesse (che razza di persona avrebbe mai provato gusto nell’ingannare il prossimo?), ma perché era suo dovere mentirle.
Dunque, alla domanda che lei gli aveva posto, era già a conoscenza di cosa avrebbe dovuto risponderle.
- Si…-
Un senso di profondo disprezzo verso sé stesso gli era piovuto addosso d’improvviso, non appena aveva avvertito lo sguardo stralunato della Dea contro il suo.
Con che diritto osava ancora ingannarla?
E perché il senso di colpa continuava a logorargli le membra?
Il cuore era tornato ad ardergli in petto, come a volergli dare la risposta che lui aveva tentato di soffocare tanto affannosamente in sé stesso.
Sei uno sciocco, Auler: ti sei innamorato.
Soltanto dopo aver realizzato ciò era riuscito a confessarlo apertamente anche a lei, in tono fermo e deciso, confermando pienamente a sé stesso quell’amara verità.
Amara, si, perché non poteva permettersi di amarla, come non poteva permettere che lei lo ricambiasse.
Eppure era così.
In un istante aveva avvertito una furiosa scarica di adrenalina scorrere in ogni singola vena del corpo, il cuore che pulsava violentemente in petto, libero dalle catene alle quali la sua volontà lo aveva costretto.
Era stato allora che si era sentito nuovamente in pace con sé stesso, perché nella menzogna che aveva architettato, aveva saputo ammettere la verità più grande di tutte.
Auler Darthmour aveva dichiarato il proprio amore alla duchessa di Tinselpearl, eppure a fargli pronunciare quelle fatali parole era stato il volere di Auler Windsworth.
La sincerità con cui aveva agito era stata a dir poco impressionante.
Preso da una nuova euforia, aveva osservato Altezza trionfante, felice quanto lui se non di più per ciò che era appena uscito dalle sue labbra.
L’aveva baciata spontaneamente per la prima volta, libero da qualsiasi costrizione esterna, assaporando il calore delle sue labbra sulle proprie.
Sophie di certo non avrebbe approvato una simile ribellione, ma ciò pareva non importargli, al momento.
La marionetta si era  finalmente liberata dai fili che la tenevano legata al suo burattinaio. 
Nient’altro aveva più importanza, ormai, se non ciò che era riuscito a conquistarsi avvalendosi solamente della sua forza d’animo.
Poi eccola, la rivelazione che lo aveva fatto nuovamente tornare alla cruda realtà, parole che non avrebbe mai voluto udire.
- Il gioiello che tanto cerchi… si trova in casa di Rein Sunrise.-
Il senso di colpa era tornato a piovergli addosso dall’alto, trafiggendolo come un pugnale conficcato a fondo nel cuore.
Altezza gli aveva lanciato un’ultima occhiata d’intesa, sinceramente soddisfatta per avergli appena dimostrato la sua assoluta devozione.
Lo aveva baciato un’ultima volta, per poi tornare da colui che, agli occhi di tutti, era il suo promesso sposo, l’uomo che fingeva di amare con tutta sé stessa.
Illuso.
Davvero credeva sarebbe bastata una semplice confessione, per fuggire dalla realtà nella quale era inevitabilmente imprigionato?
Davvero aveva creduto che due parole avrebbero sistemato ciò che l’ambizione della sorella aveva costruito?
Illusi, sia lui che la duchessa, per aver avuto fede anche solo per un istante ad un sogno destinato a non realizzarsi mai.
Questo era ciò che costitutiva il suo tormento anche in quell’istante sotto le coperte, e quella consapevolezza gli aveva impedito di voltare le spalle agli ordini della sorella, di nuovo.
Quello che aveva di fronte, era un punto di non ritorno.
Sebbene l’amore che nutriva per la duchessa ardesse feroce in lui, il senso di dovere verso Sophie era più forte.
Perciò, conscio di stare tradendo contemporaneamente sé stesso, Altezza e tutti i suoi principi, aveva compiuto ciò che gli era stato ordinato.
Indossare una maschera color pece, raggiungere il cocchiere dei Mera riferendogli un messaggio indirizzato a Rein Sunrise, perché quella venisse a conoscenza di una verità che, ne era certo, avrebbe cancellato qualsiasi fiducia che serbava verso il prossimo, e verso il visconte di Moonville. 
 

 

¤¤¤¤¤¤
 

 

Il vecchio contadino le lanciò un’occhiata perplessa e spaesata, conficcando per bene la zappa nel terreno ed appoggiandosi al manico di quella con un gomito.
Le iridi grigie e spente erano fisse sull’esile figura che aveva di fronte, lo sguardo acceso di una scintillante curiosità.
Rein si sentì in imbarazzo ad essere osservata per così tanto tempo senza ricevere alcuna risposta alla domanda che gli aveva posto.
- Mi state forse prendendo in giro, signorina?- esclamò a un tratto l’uomo, scoppiando in una fragorosa risata.
- Ho forse l’aria di una che ha voglia di scherzare?- rispose lei, inorridita da tanta volgarità.
Il vecchio continuò a sghignazzare tra sé e sé, sotto lo sguardo stizzito della giovane.
Rein continuava ad osservarlo accigliata, senza capire il motivo di tanta ilarità.
Gli aveva solamente domandato se il visconte di Moonville facesse visita alla sua contea spesso, dato l’aspetto lugubre e tetro che quel luogo incantato celava all’apparenza.
- Ditemi, vi sembra che questo posto abbia l’aspetto di un ambiente che valga la pena di essere visitato?- le domandò il vecchio, invitandola ad osservarsi attorno con un ampio gesto della mano.
Rein roteò gli occhi verso il paesaggio desolato che aveva di fronte a sé, per poi tornare a piantare le sue iridi cristalline verso il suo interlocutore.
- Mi sembra un ambiente piuttosto trascurato, per appartenere ad un visconte - azzardò, incerta.  
Il vecchio annuì, deciso: - Il visconte di Moonville non si reca mai a far visita alla contea. Non più, almeno -
- Posso domandarne il motivo?- chiese ancora Rein, perplessa ed incuriosita allo stesso tempo dal fascino che quella stimolante faccenda intrisa di mistero sapeva donarle.
Perché mai il visconte di Moonville aveva permesso che la sua terra venisse ridotta in quello stato? Non era forse lui, il suo amministratore?
Quale motivo l’aveva spinto a lasciarsi tutto alle spalle, senza preoccuparsi minimamente della sorte a cui andava incontro il suo territorio?
- Un triste evento ha costretto Vossignoria ad abbandonare le questioni finanziare del proprio paese. Un brutto caso, il suo – continuò l’uomo, quasi a voler rispondere alle innumerevoli domande che le si stavano affollando nella mente in quell’istante.
Il vecchio lanciò un sospiro sommesso, prima di continuare. Si appoggiò con entrambi i polsi sul manico scheggiato della sua fidata zappa, puntando gli occhi grigi e spenti verso di lei.
- La contea non è stata più la stessa, da quando il visconte ci ha lasciati, passando a miglior vita…-
A Rein parve mancare il respiro per un attimo soltanto. Deglutì a fatica un bolo di saliva che le era rimasto bloccato in gola.
- Mi state dicendo che il visconte di Moonville è… morto?-
Un brivido le percorse la schiena, non appena pronunciò a fil di voce quell’ultima parola.
Il vecchio annuì di nuovo.
- Da vent’anni, ormai – rispose – Un brutto incidente, il suo. Da quando ci ha lasciati, la contea è rimasta priva di un padrone che fosse capace di amministrarne il territorio…-
Quelle ultime parole le lasciarono un velo di perplessità dipinto in volto.
- Il defunto visconte è stato l’ultimo padrone della contea? Non ha lasciato il territorio al figlio perché potesse continuare a prendersene cura come fece il padre prima di lui?-
Non appena ebbe pronunciato ciò, si sentì lo sguardo stravolto dell’uomo addosso.
Il vecchio la osservava stralunato, quasi scioccato da ciò che le era appena uscito di bocca.
- Figlio?- esclamò stupito – Il visconte non possedeva alcun erede… Tutti i suoi averi sono stati spartiti tra i ducati e i marchesati vicini… Signorina? Si sente bene?-
Il vecchio la vide accasciarsi al suolo stravolta sotto il peso di quelle crude parole.
Rein si prese il volto tra le mani, devastata, distrutta, incapace di credere alla verità che l’uomo di fronte a lei le aveva appena confessato.
Le morte del visconte, la contea di Moonville in rovina e ormai inesistente, un figlio che non c’era mai stato…
Tutto, tutto le sembrava troppo ipocrita, troppo crudele, troppo difficile da accettare.
Gli occhi azzurri si persero nel vuoto, sofferenti, devastati.
Le forze cominciarono a venirle meno, crollò, incapace di sopportare il peso di quella schiacciante delusione.
L’uomo del quale si era innamorata, l’uomo per il quale erano riservati tutta la sua ammirazione e il suo rispetto era un falso. Una menzogna.
Ancora le riusciva difficile crederlo. Eppure era costretta ad ammetterlo a sé stessa, prima che il dolore di quella scoperta divenisse insopportabile.

Shade Moonville… non era mai esistito.


Angolo Autrice:

Dopo settimane di silenzio, torno a farmi viva. Chiedo perdono alle poche buone anime che mi seguono (se mai ce ne siano ancora) del ritardo stratosferico con cui mi presento col nuovo capitolo, ma ultimamente ho poco tempo da dedicare alla scrittura e, ammetto anche quello, pochissima ispirazione. Sto passando un periodo in cui mi sento davvero poco produttiva, e me ne dispiace (a voi no, lo so).
Comunque, vi avevo promesso un capitolo prima o poi, ed eccolo qui. Vi avevo promesso alcuni chiarimenti, e li avete avuti, anche se ad essi si sono aggiunte altre domande ed altri misteri (si, mi odiate, lo so).
Shade Moonville non è quello che sembra, e Rein ne è rimasta sconvolta. Quali altri misteri sono nascosti dietro la figura dell'affascinante visconte?
Auler ha finalmente ammesso la verità: fingendo di amare Altezza, ha finito per innamorarsene veramente. Si dimostrerà più fedele nei confronti della sorella, o dell'amante?
Davvero non so come farmi perdonare di questi continui ritardi se non scusandomi con i miei lettori. Questa attesa sta danneggiando anche me, in quanto noto che a recensire la storia sono sempre meno persone.
Me ne dispiace, ovvio, ma comprendo anche che è difficile seguire una fiction che procede così a rilento. Mi scuso ancora, sperando di riuscire a ritrovare in futuro l'ispirazione che ho momentaneamente perduto.
Con la speranza che qualcuna di voi abbia ancora voglia di seguire la fiction, vi lascio, sperando di conoscere i vostri pareri a riguardo del capitolo.
Un saluto a tutti, ci vediamo al prossimo capitolo! (quando di preciso, non si sa)

_BlueLady_

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Capitolo 20
*** XIX ***


  CAPITOLO 19~
 
Il tintinnio che le posate producevano sfregando sul dorso dei piatti di ceramica bianca era l’unico diversivo che riusciva ad attenuare il silenzio creatosi all’interno della sala da pranzo nella quale la famiglia Sunrise si era riunita per cena.
La signora Sunrise era meno polemica del solito: emetteva solamente qualche brontolio sommesso di tanto in tanto riguardo al fatto che la minestra fosse troppo calda, o l’arrosto troppo freddo.
Il marito e le figlie la stavano ad ascoltare in silenzio, annuendo accondiscendenti alle sue incomprensibili parole, quasi stessero prendendo parte ad un rituale abitudinario.
A Rein, lo sguardo perso davanti a sé, quei borbotti giungevano più sottoforma di un cupo rimbombo che faceva da sottofondo alle sue riflessioni. Nessuno sembrava curarsi dell’insolito mutismo nel quale si era chiusa quella sera.
Soltanto Fine, portandosi di tanto in tanto il cucchiaio alla bocca, alzava gli occhi verso quelli della sorella, ricevendo in cambio uno sguardo vacuo e assente.
Era evidente che qualcosa turbasse la turchina, eppure non riusciva a comprendere l’identità di tale tormento. Già da quando, nel pomeriggio, l’aveva vista tornare a casa in groppa al suo cavallo, pallida e stravolta, le erano sorti i primi sospetti, ma non se ne era data pena più di tanto, giudicando la faticosa cavalcata come causa dell’espressione sconvolta che le aleggiava in volto.
Osservandola in quell’istante, però, mentre si portava la forchetta alla bocca e masticava meccanicamente un boccone inesistente, capì che il caso era più serio di quanto avesse immaginato.
- Ho sentito dire che il Ballo di Primavera ha avuto un grande successo tra gli abitanti della contea: dicono si siano presentate più di una cinquantina di coppie per partecipare al lieto evento… - esclamò d’un tratto la signora Sunrise, volgendo un’occhiata fugace in direzione delle figlie e rompendo quell’accattivante silenzio.
In risposta alla madre, Rein si limitò ad emettere un sospiro di rassegnazione, senza proferire nulla di più a riguardo.
Fine, in vista della situazione problematica e temendo che in seguito allo strano comportamento di Rein la madre potesse insospettirsi e cominciare così ad assillarla con domande inopportune, si vide costretta ad intervenire.
- E’ stata una serata divertente, ci sono state innumerevoli occasioni per socializzare e approfittare della piacevole compagnia degli invitati.-
Rivolse di nuovo lo sguardo a Rein, nella speranza di essere riuscita a sottrarla al suo mutismo con quell’intervento, ma la turchina non sembrò neanche aver udito la domanda, più occupata ad ascoltare i suoi pensieri, che le voci di chi le stava intorno.
- Mi auguro davvero che tu abbia saputo approfittare bene della compagnia del duca, Fine. Quanto a te, Rein, nutro la speranza che la serata abbia saputo aprirti vie alternative verso nuove conoscenze prestigiose: desidero ardentemente che anche tu possa godere del lusso e degli agi che un matrimonio fruttuoso e conveniente saprà donarti, come ne godrà tua sorella quando il duca chiederà di sposarla.-
- Non giungere a conclusioni troppo affrettate in maniera così tempestiva, mia cara – intervenne il signor Sunrise tra una sorsata di vino e l’altra – Non siamo ancora certi dei sentimenti che il duca prova per Fine, dopotutto -
- Suvvia, Toulousse, sai bene quanto me che è ancora questione di qualche mese prima che quel caro gentiluomo si presenti qui a chiedere la mano di Fine e la tua approvazione. Non vedo perché ancora ti ostini a dubitare del contrario.-
- Tutto può accadere, quando è l’amore a far da padrone – rispose ancora quello, sotto lo sguardo scettico della moglie.
- Stupidaggini – ribadì la donna contrariata – non ho mai conosciuto in vita mia un uomo più innamorato come il duca di Tinselpearl lo è di Fine –
- Questo perché l’unico uomo innamorato che hai avuto il privilegio di conoscere prima del duca sono stato io. È facile dare un giudizio, se si hanno soltanto due mezzi di paragone – rispose ancora l’uomo, con la bocca inarcata in un mezzo sorriso.
 

¤¤¤¤¤¤
 

 

L’immagine riflessa allo specchio continuava a rivolgerle uno sguardo vacuo ed assente, come se non stesse guardando altrove che dentro sé stessa.
Guardandosi attraverso le sue pupille riflesse, Rein riusciva a percepire i moti irrequieti della sua anima che culminavano in battiti veloci ed irregolari del suo cuore.
Perché–continuava a domandarsi– perché era voluta venire a conoscenza di una verità troppo dolorosa da sopportare? Perché in quel modo?
Con un gesto quasi automatico e involontario prese a sciogliersi i lunghi capelli, mentre alcune lacrime presero a rigarle il volto.
Non si preoccupò nemmeno di asciugarle. Sperava che, lasciandole uscire senza alcun impedimento, presto anche la depressione e la delusione, assieme a quell’amore incondizionato che era la causa di tutto il suo malessere, l’avrebbero abbandonata levandole quel peso opprimente dal cuore.
Soltanto quando non ci sarebbero state più lacrime si sarebbe asciugata il volto, e avrebbe riconosciuto, riflessa allo specchio, l’immagine della fanciulla allegra e solare che era sempre stata.
Quando le lacrime finirono e gli occhi le divennero rossi e asciutti, però, il malessere tornò più forte di prima, e un senso di totale sconvolgimento la invase.
Fu in quelle condizioni che la trovò Eclipse non appena scivolò cauto e silenzioso dalla finestra nella stanza.
Rein nemmeno si accorse dell’immagine scura riflessa dallo specchio che si ergeva alle sue spalle e che si faceva sempre più vicina a lei, troppo impegnata ad osservare il suo logoramento interiore per potergli badare.
Il giovane notò il suo cambiamento dalla notte precedente, come notò gli occhi rossi e consumati della turchina incastonati in quel volto pallido e sciupato.
Si mosse a passi lenti verso di lei, tenendole gli occhi addosso, quasi fosse ipnotizzato dalla fragilità che quella figura accartocciata su sé stessa sembrava esprimere, e al contempo affascinato dalla maestosità di quello sguardo vacuo.
La raggiunse ed improvvisamente, senza impedire che l’istinto prendesse il controllo sulle sue membra, si ritrovò ad accarezzare il collo nudo della giovane, facendo scorrere le dita su quella pelle pallida e vellutata.
I polpastrelli bruciarono a quel contatto proibito, ma non volle ritrarre la mano, consapevole che fosse ormai troppo tardi per tornare indietro sui suoi passi.
L’odore di Rein cominciò a penetrargli nelle narici, facendogli percepire tutto l’incanto che quella donna sapeva emanare.
Le sue dita continuavano ad accarezzarla percorrendole la nuca, le spalle, la giugulare, sempre più avide di quel contatto. Eclipse percorse meticolosamente ogni singolo centimetro di quella pelle diafana, in estasi: poté avvertire il sangue di lei pulsare nelle vene del collo, e il respiro dapprima simile a un alito di vento farsi sempre più smorzato ed irregolare.
Rein a quel contatto cominciò lentamente a riprendere coscienza di ciò che le stava intorno. Impiegò qualche attimo per accorgersi di non essere da sola nella stanza, e per realizzare fino a che punto Eclipse aveva osato avvicinarsi a lei.
Nessuno dei due osò azzardare movimenti impulsivi non appena si accorsero di aver ripreso entrambi il controllo sulle proprie azioni, temendo di scatenare nell’altro una reazione altrettanto improvvisa e istintiva.
Semplicemente, quasi si fossero messi di comune accordo, Rein voltò piano il volto verso il suo ospite mentre quello allontanava lentamente la mano da lei.
Fu allora che i loro sguardi si incrociarono, e Rein poté riconoscere in quelle iridi cobalto la causa di tutti i suoi tormenti.
- Siete di nuovo qui – sussurrò in tono duro e sprezzante.
- Non manco mai di accertarmi dell’incolumità dei miei tesorieri – rispose quello in un sorriso.
Rein continuò a specchiare gli occhi nei suoi, senza lasciare che il suo sguardo vacillasse un solo istante.
- Andatevene, non siete il benvenuto – ordinò secca e impassibile.
- Mi pare me lo aveste già detto una volta, eppure mi sembra di intuire che le mie visite vi siano gradite – continuò lui, senza cancellare il suo sorriso provocante dalle labbra.
- Il fatto che voi gradiate la mia compagnia non mi sembra un buon motivo per pensare che la cosa sia reciproca, perciò è meglio se vi allontanate di qui in fretta, giacché sono piuttosto stanca e non ho la forza di sopportare oltre la vostra visita oltraggiosa – ribadì lei, tornandosi a fissare allo specchio.
Al suono di quelle parole, Eclipse sgranò gli occhi stupito e divertito, ammirandola in silenzio mentre si spazzolava i capelli, incapace di credere che uno spirito tanto forte potesse nascondersi dentro una fanciulla così minuta e docile all’apparenza.
La cosa lo stimolava alquanto.
Ignorando la richiesta della turchina, tornò ad avvicinarsi a lei, più determinato e ostinato di prima a penetrare nel suo cuore e comprendere le ragioni dell’ostilità che serbava nei suoi confronti. L’ultima volta che si erano visti non gli era sembrata troppo contrariata nel vederlo, dunque doveva essere accaduto qualcosa nel mentre, e a giudicare dalle parole aggressive che gli rivolgeva, ne era la causa, o il capro espiatorio.
Bloccandole la mano in cui reggeva la spazzola con la quale si stava pettinando, la costrinse delicatamente a voltarsi per guardarlo negli occhi.
Le sue iridi cristalline lampeggiarono d’indignazione alla vista di quel gesto.
- Lasciate che allevi le vostre sofferenze – le disse quasi in un sussurro.
Rein non volle dargli a vedere il brivido che le aveva percorso la schiena nel momento in cui l’aveva guardata negli occhi, perciò si allontanò tempestivamente da lui, voltando la testa di lato.
- Siete voi la causa delle mie sofferenze.- proferì atona.
- La causa di un male a volte è anche il miglior antidoto –
- E a volte ciò che ha causato il male non fa che peggiorare la condizione del malato, se continua a persistere.-
Si voltò nuovamente verso lo specchio, tentando inutilmente di ignorare i battiti accelerati del suo cuore che tradivano la durezza del suo comportamento.
Eclipse riprese a fissarla da lontano, senza accennare ad andarsene come gli aveva ordinato di fare.
- E’ incredibile la capacità con cui tendete a cambiare umore così facilmente da un momento all’altro – le disse a un tratto, quasi a volerla provocare – Ammiro la vostra lunaticità. È un lato del vostro carattere che apprezzo molto.-
Nell’udire quelle parole, Rein sbatté con forza la spazzola sulla specchiera, alzandosi di scatto e volgendosi a lui con sguardo corrucciato.
- Non dovrebbe esservi difficile comprendere anche il motivo della mia lunaticità, allora – sibilò tra i denti, fulminandolo con gli occhi – Fino a stamattina ero di ottimo umore – disse poi, con una nota nella voce che a Eclipse lasciò intendere di dover scorgere un significato nascosto tra le sue parole.
- Devo dedurre che qualcosa è andato storto nel corso della vostra passeggiata mattutina?- domandò.
- Siete perspicace – rispose lei sprezzante.
- Ed io ho inconsapevolmente a che fare con questo imprevisto?- chiese ancora lui, osservandola camminare per la stanza.
Rein si fermò a pochi passi da lui, piantandogli il suo sguardo severo negli occhi.
- Fingete anche di non sapere – disse rude – Vi divertite tanto a tormentarmi con la vostra presenza? Dovunque mi volti riesco a scorgere un segno del vostro passaggio. Dovunque vada mi sento continuamente soggiogata dalla vostra persona. Non c’è alcun posto in cui io riesca a sentirmi al sicuro da voi. Nemmeno in occasione di un Ballo, circondata da tanta gente, non riesco ad evitare di percepire i vostri occhi che mi scrutano da lontano.- (*)
- Non incolpatemi delle vostre paranoie -
- Secondo voi qual è la causa delle mie paranoie? Chi mi ha donato il gioiello per il quale venite ogni notte a tormentarmi?-
Il silenzio calò improvvisamente nella stanza, rotto solamente dai profondi sospiri della turchina che tentava inutilmente di calmare il suo cuore troppo agitato.
Le parve di scorgere Eclipse scrutarla con una punta di colpevolezza nello sguardo.
- Proprio perché avete detto di non essere in grado di sostenere il peso di quel gioiello da sola vengo a farvi visita ogni notte, prendendomi parte del carico sulle mie spalle. Non ho mai preteso che voi diveniste mia complice, vi ho sempre lasciato la libertà nelle vostre scelte. Rifletteteci bene: io non vi ho mai impedito di andare a denunciarmi alla polizia qualora aveste voluto farlo, eppure finora non vi siete mai attentata a prendere questa iniziativa. Vi ho affidato la mia completa fiducia, pur sapendo che avreste potuto tradirmi in qualsiasi momento, ma non l’avete fatto.-
Rein avvertì il cuore mancarle di un battito al suono di quelle parole.
Si portò una mano al petto, stringendosi i lembi del vestito.
- Ciò mi lascia pensare – riprese Eclipse dopo un istante di silenzio, prendendo ad avanzare lentamente verso di lei – che il rammarico che riversate contro di me sia in realtà rammarico che provate verso voi stessa. Non riuscite a capacitarvi del perché, sebbene mi disprezziate così tanto, ancora non siete stata in grado di denunciarmi.-
Non appena incontrò le sue iridi buie la giovane volle distogliere lo sguardo, insofferente a quella verità infiammata dalle parole del ladro che aveva preso a ribollirle feroce in petto.
- Andatevene, ho sopportato anche troppo la vostra impertinenza – disse solo, voltandogli le spalle.
- Non è cacciandomi che riuscirete a risolvere il vostro conflitto interiore. Per quanto cercherete di allontanarvi non riuscirete ad impedire alle vostre pene di scovarvi di nuovo, un giorno. Affrontatemi – le disse Eclipse, avanzando ancora verso di lei.
- Lasciatemi sola – continuò la turchina, muovendo un passo indietro.
- Avverto la vostra paura, e la comprendo: sono succube anch’io del vostro stesso tormento. Fuggire è tuttavia inutile, negarsi tutto solamente per orgoglio non farà altro che recarvi sofferenze. Abbiate il coraggio di cedere ai desideri dell’istinto: sarà meno doloroso che non avervi ceduto affatto.- continuò lui, senza indulgere a fermarsi.
Ad ogni passo che Eclipse faceva verso di lei corrispondeva un suo passo indietro. Rein voleva fronteggiarlo a testa alta, ma era anche consapevole che, se soltanto avesse accorciato la distanza che li separava di anche solo un millimetro, non sarebbe più riuscita a tenere a freno quella tempesta di sentimenti che le infuriava dentro.
Indietreggiò ancora, finché non le fu più possibile farlo: si trovò improvvisamente con le spalle al muro, la figura minacciosa del ladro davanti a sé che si faceva sempre più pericolosamente vicina.
Tentò disperata di trovare una via di fuga, Eclipse a pochi passi da lei.
Tastò disperatamente il muro dietro a sé con le mani, finché non riuscì a trovare il pomello della porta che la conduceva all’esterno della stanza.
Eclipse l’aveva ormai raggiunta, e non accennava ancora a fermarsi. Strinse con forza il pomello dietro di sé, e gli rivolse un’ultima occhiata carica di determinazione.
- Andatevene, è tutto ciò che vi chiedo di fare.- disse ancora, nella speranza di indurlo a tornare indietro sui suoi passi un’ultima volta.
Eclipse, per tutta risposta, avvicinò il viso al suo, soffiandole delicatamente sul collo.
- Ogni singola particella del vostro corpo brama un mio contatto con la stessa intensità con cui il mio corpo brama il vostro. Lo sento nell’aria – le sussurrò lui all’orecchio senza osare sfiorarla, provocandole un brivido lungo la schiena.
Lo udì inspirare delicatamente l’aria satura di quel desiderio che già li stava consumando dall’interno, e strinse con più forza il pomello della porta alle sue spalle.
Avvertì i nervi tendersi al suono del suo respiro, e pregò con tutta sé stessa che i brividi che continuavano a percorrerle la schiena fossero dovuti alla paura, invece che alla brama di sentire ancora più vicino quel corpo caldo che la stava sovrastando.
Improvvisamente Rein si pentì di non essersi opposta al ladro quando era ancora in grado di farlo, di non averlo cacciato quando aveva ancora la forza di opporsi.
Nel giro di poco tempo Eclipse era riuscito a soggiogarla, insinuandosi nella mente e nel corpo come un veleno, una droga di cui, non si decideva ancora ad ammetterlo, non riusciva più a fare a meno. Fin dal loro primo incontro sapeva che sarebbe successo, e non aveva fatto nulla per impedirlo
Accettando di custodire il gioiello che lui le aveva donato aveva firmato la sua condanna, e si chiese se anche lui stesse rimpiangendo il suo stesso errore nell’avere voluto avvicinarsi a lei più di quanto gli fosse consentito.
-  Ve lo chiedo per l’ultima volta: andatevene, o sarò costretta a rivelare la vostra presenza qui – riuscì a dire in un momento di lucidità, riprendendo il controllo delle sue azioni.
Eclipse, per tutta risposta, scosse la testa risoluto.
- Non posso andarmene – sussurrò.
- Perché?-
- Non voglio –
Quelle parole le piovvero addosso con la stessa intensità di una carezza. Il tono con cui erano state pronunciate era privo di qualsiasi malizia, e mostravano invece tutta l’intensità di quel sentimento a cui entrambi volevano dare sfogo e che in Rein, impedito dall’orgoglio, le stava implodendo dentro.
Nell’attimo di smarrimento in cui tornò a perdersi nei suoi occhi bui e la sua volontà cominciava ad incrinarsi, sentì quasi l’orgoglio tirarla per i capelli, più ostinato che mai a non permetterle di cedere alle lusinghe di quel giovane oscuro.
- Non sarò altrettanto magnanima se oserete ancora non ascoltarmi – balbettò, recitando alla perfezione ciò che la coscienza le suggeriva di dire, ormai allo stremo delle forze.
Al ché Eclipse si allontanò, assumendo un’espressione dura nello sguardo. Rein poté notare quanto anche lui fosse provato da quella situazione diventata ormai insostenibile per entrambi.
Erano giunti a un punto di non ritorno.
- Fatelo – lo udì sussurrare tra i denti – Aprite quella porta, chiamate aiuto, fatemi arrestare. Siete sempre stata dotata di una lingua tagliente come la lama affilata di un coltello: mostratemi che non siete forte solo a parole. Mostratemi la vostra tenacia nei fatti, così come siete tenace nel provocarmi. Ammetterò di aver torto su tutto, allora.-
I loro occhi non cessarono di specchiarsi gli uni negli altri nemmeno quando Rein fece scivolare la mano sul pomello, e la porta produsse uno scatto sordo, aprendosi.
Eclipse non accennò alcun movimento, né distolse lo sguardo.
- Sto aspettando – le disse solo, notando la sua incertezza nell’agire.
Rein fece per voltarsi e chiamare aiuto, convinta della sua decisione.
- Ricordate: più si tenta di sopprimere la furia dei propri sentimenti, più quelli ci si abbattono contro con la forza di un uragano – lo udì pronunciare, prima che potesse dar sfogo al grido che le premeva violentemente in gola.
Allora l’uragano cominciò veramente a esploderle in petto, rendendola incapace di tradirlo dopo tutto quel tempo passato ad amarlo segretamente.
Senza nemmeno rendersi conto di ciò che stava facendo, si richiuse la porta alle spalle, e si volse verso di lui a volto basso.
- E’ l’ultima possibilità che vi concedo – sussurrò esausta.
Non udì nulla, se non un tocco delicato simile al volo di una farfalla sulla mano che ancora stringeva il pomello della porta, e che la costrinse a sciogliere la presa su di esso.
- Sapevo che non ne sareste stata capace – sentì sussurrarsi all’orecchio, un altro brivido a percorrerle la schiena.
- Non approfittatevi della mia compassione – lo avvertì, secca.
Immaginò la bocca di Eclipse inarcarsi in un sorriso saccente.
- Un gesto vale più di mille parole. Anche voi desiderate che io rimanga.-
Rein scosse piano la testa, ostinata a non guardarlo negli occhi.  
Avvertì le dita della mano intrecciarsi a quelle di lui senza che lei avesse dato loro l’impulso per farlo. Poi Eclipse adagiò entrambe le loro mani sul proprio petto.
- L’incendio che divampa nel vostro cuore ha una forza pari quasi quanto a quello che arde nel mio – le disse, premendole la mano affinché il veloce rimbombo del suo cuore le fosse quasi tangibile da poterlo sfiorare con le dita.
Fu allora che Rein non fu più capace di resistergli, e si decise ad alzare il volto verso di lui.
- Tutto ciò è sbagliato, lo sapete anche voi – mormorò, senza riuscire a tenere a freno il tramestio irrequieto dentro al suo petto.
Eclipse annuì:- Non ne dubito. Tutto ciò è indubbiamente sbagliato. Qual è, tuttavia, l’atteggiamento meno ipocrita da assumere nel bel mezzo di questo irrimediabile errore? Ammettere una verità che fa paura, ma giusta, o continuare a fingere, vivendo in una menzogna che, più che fortificarci, ci danneggia fino allo stremo delle forze? –
Colpita nel più profondo dei suoi pensieri, Rein non riuscì a trovare una risposta alla domanda.
Ad Eclipse, invece, il suo silenzio si mostrò come la più eloquente delle dimostrazioni.
Pronunciò quell’ultima frase a un soffio dalle sue labbra, poi, non notando alcuna forma di resistenza o esitazione da parte sua, senza neanche darle il tempo di realizzare, catturò il suo respiro, imprigionandolo tra le loro bocche.
Il Cavaliere Nero finalmente la baciò, e lei si lasciò cullare nella dolcezza di quel bacio, troppo stremata per opporvisi.
Passarono minuti interi assaporando l’uno il respiro dell’altro, come se non avessero aspettato altro che quel momento da tutta una vita.
In un attimo di respiro in cui i loro volti si allontanarono per un istante, Rein realizzò con orrore di aver permesso che capitasse ciò che si era ripromessa di non far mai succedere, e che ormai era troppo tardi anche solo per sperare di poter tornare indietro e cancellare tutto quanto.
Non riuscì a capacitarsi di quanto facilmente si fosse lasciata vincere, dopo tanto tempo passato a lottare contro quella tentazione.
Avrebbe voluto dar la colpa di tutto alla stanchezza, ma era perfettamente consapevole di sbagliarsi. Voleva ancora con tutta sé stessa restare fedele ai principi che l’avevano condotta fin lì, voleva ancora diffidare di quell’uomo dal manto scuro di cui non conosceva altro che il nome.
Tuttavia, dei due uomini dei quali era innamorata, Eclipse era quello che, straordinariamente, non l’aveva ancora delusa.
Così si era decisa a lasciarsi catturare da quelle labbra proibite come i petali di una rosa, e pungenti come le spine che portava con sé.
Il resto, al momento, non contava più nulla.



Angolo Autrice:

(*) Il Ballo a cui si riferisce Rein è il Ballo di Primavera, dove al termine il cocchiere le aveva riferito un messaggio inviatole proprio da Eclipse, che le chiedeva di incontrarlo nella Contea di Moonville per smascherare l'identità di Shade.

Ebbene si, torno ad aggiornare anche questa storia, dopo un anno e più passato a laciarla marcire nel fandom.
Mi dispiace tantissimo della lunga assenza, e mi scuso con tutti i miei lettori, come già detto nelle note d'autore nell'altra storia, l'università e lo studio non mi hanno lasciato un attimo di respiro, e mi sono ridotta solo ora a postare.
Meglio tardi che mai, direte voi...
Siamo giunti a un punto cruciale della storia: Shade non è chi dice di esere, Rein si sente ingannata e tradita, e sfoga la sua angoscia e il suo dolore sul misterioso Eclipse, pur non sapendo chi si cela dietro la sua maschera.
Ormai il dado è tratto e i nostri protagonisti sono imbrigliati in una situazione dalla quale difficilmente riusciranno ad uscirne incolumi, e con incolumi intendo senza riportare i segni che questo mistero ha trascinato nel cuore di tutti.
La minaccia di Sophie incombe sempre di più, Rein è sempre più vicina alla verità, e in tanti sono a macchinare contro il destino di questa povera fanciulla, imbattutasi per caso in qualcosa di decisamente più grande di lei.
Riuscirà a venirne a capo? I cattivi saranno smascherati e sconfitti?
Per saperlo, dovrete attendere ancora un pò (come se non aveste già atteso abbastanza)
Mi scuso ancora della lunghissima assenza, l'unico modo che ho per farmi perdonare è aggiornare la storia giusto prima di partire per le vacanze ( tradotto: non mi farò sentire per un pò.... di nuovo)
Ringrazio anticipatamente tutto coloro (se ce ne saranno) che leggeranno la storia.
Spero che, nonostante il tempo, la fiction continui ad intrigarvi e a non annoiarvi.
Un saluto a tutti e buone vacanze a chi, come me, è in procinto di partire.

_BlueLady_

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Capitolo 21
*** XX ***


~ CAPITOLO 20 ~
 
Villa Windsworth.
Immersa nell’oscurità della notte, pareva un enorme gigante addormentato, pronto ad attendere la luce del giorno per ridestarsi dal suo torpore.
Un gigante forte, imponente, fiero.
Un cupo silenzio l’avvolgeva nel suo abbraccio, conferendole un aspetto mistico, dai toni quasi incantati.
Un drago assopito che celava al suo interno tutta la sua furia e sete di distruzione. Era contro quel drago che si stava dirigendo Eclipse, il cuore trepidante in petto e le labbra ancora impregnate del dolce sapore di un bacio proibito; cavaliere senza macchia e senza paura che aveva accidentalmente sconvolto il copione di una missione già scritta, prendendosi il premio ancor prima di sconfiggere il nemico.
Si era concesso una piccola distrazione, una leggera svista causata da una distorsione sentimentale non prevista, ma nulla, nemmeno quel sentimento che sentiva crescere forte dentro di lui per quella donna a cui aveva affidato la sua fiducia, oltre che il più prezioso dei suoi averi, poteva distoglierlo da quello che era il suo obiettivo prefissatosi da anni.
La ragione per cui tutta quella vicenda aveva avuto inizio, seppur con qualche imprevisto che la sua mente matematica non era stata in grado di calcolare.
La sagoma della Villa si faceva sempre più nitida ai suoi occhi, man mano che galoppava in avanti con sempre maggior convinzione.
Il candore della luna pareva guidarlo al suo destino, complice e testimone della vicenda che, di lì a poco, si sarebbe consumata sotto ai suoi occhi.
A pochi metri di distanza dall’entrata della proprietà, Eclipse frenò il cavallo, deciso a proseguire a piedi la sua avanzata verso il nemico.
Annunciare la sua presenza in quel luogo con un feroce tramestio di zoccoli sarebbe stato alquanto sconveniente.
Scivolò cauto fino al portone principale, silenzioso come il nulla, invisibile come un’ombra nella notte.
Una luce fioca proveniva da una delle finestre del piano superiore: un’ospite della villa era ancora in piedi, nonostante l’ora tarda.
Eclipse strinse i denti, conscio del pericolo a cui stava andando incontro: se solo qualcuno avesse scoperto che si trovava lì, nella tana del lupo, probabilmente non gli avrebbe dato vita facile.
Ma ormai il tempo stringeva, i tasselli del puzzle cominciavano ad essere completi, e non poteva permettersi di fermarsi proprio ora, non adesso, non quando il suo obiettivo, ciò per cui aveva lottato per quasi una vita intera, era così vicino tanto da poterlo sfiorare con la punta delle dita.
La fine di tutto…
Con una determinazione feroce, fremente, e il sangue che ribolliva nelle vene, approfittò di un minuscolo spiraglio in una delle vetrate del piano inferiore – probabilmente una svista di qualche cameriera troppo stanca per accorgersi di non averla chiusa bene -  e sgattaiolò dentro la villa silenzioso come un gatto, un’ombra oscura nella notte, capace di vedere ma non di essere vista.
Appena fu dentro, gli occhi bui che ispezionavano la stanza guardinghi e attenti, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso velato sulle labbra.
Soddisfazione.
Un vero colpo di fortuna aver trovato una via d’accesso così facilmente… questo gli aveva certo risparmiato una fatica e una noia in più.
Povera, sfortunata Sophie, quanto le era caduta in basso con quella piccola svista. Non era nelle sue corde lasciarsi sfuggire un dettaglio tanto importante.
Con i nervi tesi come corde di violino e il cuore che pompava feroce in petto, si guardò intorno, cercando di orientarsi all’interno della stanza in cui era capitato: a occhio e croce, doveva trovarsi nel soggiorno della villa, glielo suggeriva la sagoma di un immenso pianoforte che albergava al centro della stanza, dunque, se ben ricordava dall’ultima volta in cui era stato lì, per raggiungere l’atrio principale doveva dirigersi verso sinistra.
Mentre procedeva cauto tra le stanze, una dopo l’altra, accertandosi sempre che non vi fosse nessuno che potesse accorgersi della sua presenza e dare l’allarme, pensava a dove la marchesa potesse tenere nascosto ciò per cui era venuto a farle visita quella notte.
Non gli piaceva pensare alle sue incursioni come a tentativi di furto, sebbene tutti lo considerassero un ladro. Non gli era mai piaciuto sentirsi dare quell’appellativo. Dopotutto lui si appropriava soltanto di ciò che gli era necessario, che gli spettava di diritto.
I veri ladri erano altri… Non lui.
Accompagnato da quelle riflessioni, giunse finalmente nell’atrio principale, dove ad attenderlo c’era un’imponente rampa di scale che sembrava invitarlo ad esplorare il piano superiore.
Non se lo fece ripetere due volte.
Corse, anzi, volò data la leggiadria dei suoi passi felpati, su per i gradini, e una volta terminata la rampa trovò ad attenderlo un corridoio buio e cupo: la gola del drago che pareva condurre ad una via senza uscita.
A malapena riusciva a distinguere i contorni delle porte che si affacciavano su di esso.
Soltanto una stanza, quella che aveva notato ancora illuminata prima di addentrarsi nella villa, ardeva ancora di una fioca luce di lampada ad olio: Eclipse vide quel lieve barlume tremolare due volte, prima di spegnersi del tutto, come se quel debole raggio di luce cercasse di lanciargli un muto segnale prima di cessare di esistere e lasciarsi inghiottire dal buio della notte: è qui, quello che stai cercando è qui.
Percorrendo lentamente il contorno delle pareti del corridoio, appiattito contro di esse quasi a volersi fondere con la fredda pietra di cui erano fatte, cominciò ad avanzare silenzioso in direzione della stanza dapprima illuminata che pareva avergli voluto indicare la via.
Compiva un passo alla volta con estrema delicatezza, come una ballerina che si muove in punta di piedi, il respiro mozzato in gola ed il cuore che gli martellava nel petto e rimbombava nelle tempie.
Se incontrava un ostacolo lo scartava con estrema facilità: anni e anni passati ad intrufolarsi in luoghi non suoi gli erano stati necessari per non lasciarsi tradire dallo zoccolo di un divano o dallo spigolo di un mobile sui quali, inciampando, avrebbe firmato la sua condanna.
Le porte erano tutte serrate: dovevano aver ingigantito parecchio le storie su di lui se i domestici si blindavano dentro le loro stanze pur di sentirsi al sicuro. Peccato che una misera serratura non sarebbe bastata ad impedirgli di entrare: era stato fin troppo facile intrufolarsi in casa Sunrise, nella stanza di Rein, e la sua presenza dentro Villa Windsworth in quel momento aggiungeva ulteriore conferma al suo pensiero. 
Tra tutte, soltanto una porta poco distante dalla sua prediletta lasciava libero ingresso a chiunque: le pesanti ante di legno erano solamente appoggiate tra loro, sfiorandosi, e il piccolo spiraglio che le separava permetteva ad un timido raggio di luna di intrufolarvisi, irradiando quella porzione di corridoio di un fioco bagliore ultraterreno.
Eclipse poggiò l’orecchio contro il legno aspro e rugoso, prima di addentrarsi.
Pensò che un rapido controllo lì dentro fosse utile, oltre che necessario al suo scopo: in tal modo avrebbe regalato tempo sufficiente alla persona che alloggiava nella stanza accanto di assopirsi profondamente per poter agire indisturbato, e si sarebbe al contempo accertato che lì dove si trovava ora non v’era alcuna traccia di ciò per cui era venuto.
E difatti non trovò nulla: lo accolsero soltanto un letto dalle lenzuola ancora perfettamente intatte, e i vetri spalancati di una finestra dalla quale soffiava dentro una fredda brezza primaverile.
Eclipse socchiuse gli occhi, inquieto e sospettoso: dov’era in quel momento Auler Windsworth?
Un allarmante presentimento cominciò a farsi spazio tra i suoi pensieri, cancellando tutto il resto.
Altezza.
Se così era, non aveva molto tempo da perdere.
Uscì dalla stanza del marchese con uno scatto felino, e in pochi secondi si ritrovò a fronteggiare l’ingresso della stanza che aveva chiamato sua fin dall’inizio.
La gola gli si fece improvvisamente secca.
Una volta dentro, tornare indietro sarebbe stato impossibile. Forse era stato troppo impulsivo a voler accelerare così tanto le cose, avrebbe dovuto attendere ancora prima di compiere quel passo più lungo della gamba, ma era troppo tardi per qualsiasi ripensamento: arrivato a quel punto, non restava che proseguire.
Aveva passato il punto di non ritorno.
Ed ora la sorte di tutto ciò che aveva costruito fino a quel momento dipendeva soltanto da come avrebbe gestito la situazione.
Sarebbe uscito di lì da sconfitto, o da vincitore.
Mandò giù un ultimo boccone di saliva amaro, prima di lasciarsi inghiottire dalle fauci del drago.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Nonostante il silenzio che quella placida notte accompagnato dalla freschezza della brezza primaverile predisponesse a sonni tranquilli, Rein proprio non riusciva a chiudere gli occhi, e lasciare che le braccia di Morfeo la accogliessero in quella pace dei sensi che è il riposo.
Continuava a rigirarsi nel letto carica di una gioiosa inquietudine: per una volta, a tormentarla, non erano ansie e preoccupazioni, ma il sapore di un bacio delicato come il petalo di una rosa ancora impresso sulle labbra.
Distesa su un fianco, gli occhi ancora puntati alla luna, non cessava di sfiorarsi le labbra con la punta delle dita, mentre l’ombra di un sorriso si dipingeva sulla bocca, imporporandole le gote.
Con la luna riflessa nelle enormi pupille, ancora ripercorreva nella mente quegli attimi fugaci vissuti poco prima: dai contorni così sfumati e sbiaditi, che parevano soltanto l’illusione di un sogno.
Ma il solco delle labbra di Eclipse premute sulle sue bruciava ancora, e non poteva proprio essere stata tutta un’illusione.
Sospirò, combattuta tra il desiderio di poter assaporare ancora quel bacio, e la consapevolezza che ciò che desiderava fosse assolutamente sbagliato.
Eclipse…
Chissà cosa stava facendo in quel momento, e se anche lui ardeva dello stesso desiderio.
Magari si era pentito di ciò che l’istinto gli aveva suggerito di fare, e da quel momento aveva deciso di riprendere le distanze tra loro, magari rinunciando perfino alla sua abituale visita notturna.
A pensarci bene, non era una cosa tanto sbagliata, dopotutto…
Forse, così facendo, anche la sua ossessione per lui sarebbe andata di lì a poco scemando.
Si, era giusto così, in fondo: Eclipse era uno sporco ladro, e lei la figlia di una rispettabile famiglia aristocratica.
Due mondi così diversi non potevano appartenersi… Con che faccia avrebbe potuto presentarsi a suo padre, dicendogli che era innamorata di un ladro, e per giunta non di uno qualunque, ma del famigerato Eclipse, l’incubo delle notti più buie!
Sbagliati erano i suoi sentimenti. Quel bacio era stata una distrazione, un momento di debolezza e di perdita di lucidità, ma ora il suo obiettivo le era chiaro: mai più doveva lasciarsi soggiogare dal fascino oscuro di quell’uomo di tenebra.
Quella era la cosa giusta da fare.
E allora… perché aveva il terribile presentimento di sbagliare?
 
¤¤¤¤¤¤
 
Gli occhi bui vagavano per la stanza, scivolando veloci tra le sagome dei mobili e accarezzandone le forme in ogni millimetro.
Riuscì a distinguere la sagoma di uno scrittoio affiancato alla finestra, seguito da una specchiera. Un enorme armadio giaceva imponente alla sua sinistra, mentre la figura squadrata di un letto a baldacchino sul quale si percepivano nettamente le morbide forme di un corpo umano assopito nel sonno prendeva possesso del resto della stanza. 
All’apparenza pareva un’area dalle dimensioni molto ridotte, ma quando i suoi occhi si abituarono al buio, aiutati anche da un debole raggio di luna che filtrava dalla finestra, dovette ricredersi.
Non la ricordava così ampia quella camera da letto, anni fa… ma forse era colpa del troppo tempo trascorso lontano da quella villa a distorcergli i ricordi.
La stanza era piena del respiro pesante del sonno della marchesa: lo udiva distintamente solleticargli le orecchie.
Silenzioso come il nulla cominciò ad avanzare verso di lei, e quando fu a pochi centimetri dal letto poté scorgere la sua altezzosa figura dormiente crogiolarsi beatamente tra i morbidi cuscini del letto.
Storse la bocca in un’espressione di disgusto: a vederla così, placida e inerme, le labbra sottili non contratte dal caratteristico ghigno di perfidia che soleva dipingersi in volto quando la sua mente perfida cominciava a macchinare qualcosa di losco, ma rilassate e distese in un sorriso beato – probabilmente dolci sogni la stavano accompagnando nel sonno quella notte -  poteva quasi trarre in inganno, e non indurre a pensare che fosse l’essere subdolo e meschino che era in realtà.
Pareva, anzi, quasi bella, o per meglio dire, affascinante… ma la conosceva troppo bene per lasciarsi trarre in inganno.
La divorò con uno sguardo carico d’odio, quasi volesse incenerirla con gli occhi.
Dannata serpe, dove lo tieni nascosto?
Stava già puntando in direzione dello scrittoio, quando un bagliore fugace e improvviso catturò istantaneamente la sua attenzione: Sophie si era rivolta supina sul letto, e nel muoversi aveva fatto sì che quel raggio di luna che penetrava dalla finestra sfiorasse, provocando uno scintillio, qualcosa che aveva appeso al collo, e che Eclipse non aveva notato prima.
Catturato da quella singolare circostanza, ripercorse i suoi passi e tornò ad affiancarsi al letto.
Fu allora che lo vide.
Superbo e fiero, giaceva placido sulla pelle candida della marchesa come un fiore in mezzo a un prato innevato, i bordi d’oro rettangolari che imprigionavano lo smeraldo tra le loro fauci con delicatezza, una fusione perfetta.
Il Raggio di Speranza.
Per quanto tempo l’aveva cercato… ed ora eccolo lì, talmente vicino da sentirlo bruciare sulla pelle.
Il sangue prese a ribollirgli nelle vene in preda all’emozione, e subito si impose di tenere a freno l’istinto che già gli ordinava di afferrare il gioiello strappandolo dal collo della marchesa, e di spronare la mente ad usare quel poco di ragione che gli restava per sottrarlo senza che Sophie se ne accorgesse.
Allungò cautamente la mano, lasciando che i polpastrelli sfiorassero i bordi della pietra.
Lasciò scorrere le dita lungo la catena d’oro che adornava il collo della marchesa, fino ad arrivare in prossimità dell’allacciatura.
Allora, con mani di velluto, prese a slacciarle dal collo il monile, gli occhi che saettavano dal ciondolo al volto della marchesa ancora assopito, dalla marchesa al ciondolo.
Quando percepì di essere quasi riuscito nell’impresa, tirò un sospiro di sollievo, pregustando già i contorni rigidi e freddi del gioiello sotto le dita.
Ma aveva gioito troppo presto.
Nel giro di un secondo, sentì il polso dolere sotto la morsa di una presa ferrea, e due occhi neri come la notte gli si piantarono nelle pupille, perfidi e ghignanti di soddisfazione.
- Ti stavo aspettando, Eclipse…-
Il tono suadente e melodioso della voce della marchesa gli penetrò nelle orecchie come un proiettile sparato a tutta velocità da un fucile.
Istintivamente tentò di ritrarsi, ma inutilmente: la marchesa aveva la presa salda su di lui, e non aveva alcuna intenzione di lasciarselo sfuggire.
Sophie rise compiaciuta, poi lo strattonò verso di sé facendolo cadere sul letto.
Eclipse ebbe giusto il tempo di realizzare la perdita di equilibrio, e si ritrovò schiacciato sul corpo della marchesa, gli occhi di tenebra che sputavano veleno.
Tentò ancora una volta di divincolarsi, ma Sophie fu di gran lunga più veloce: con un’agilità ed una forza al di fuori del normale, mentre lui continuava ad agitarsi nel tentativo di liberarsi, ribaltò le posizioni. Giacevano petto contro petto, l’addome contratto in uno sforzo estremo, la schiena di Eclipse che sprofondava nel materasso, il gomito di Sophie che premeva sulla gola, gli occhi di fuoco, i capelli arruffati, il fiato sul collo, le gambe di marmo, il ciondolo che pendeva dal collo della marchesa visibile con la coda dell’occhio.
- Davvero credevi di potermi sottrarre il ciondolo con così tanta facilità? Mi credi forse una sprovveduta? –
Gli sputò in faccia quelle parole con la più sadica delle intenzioni, mentre ancora lo soffocava sotto il peso del suo corpo.
Tentò nuovamente di divincolarsi, ma la presa di Sophie era più salda dell’acciaio: non era cambiata dagli ultimi anni in cui l’aveva persa di vista, sotto quelle miti sembianze da aristocratica si nascondeva la ferocia di una leonessa.
- Non dici niente? Ti ho forse tolto le parole di bocca? -
Con il gomito che ancora premeva sulla gola e la testa che girava per lo sforzo, riuscì, mosso da un impeto di lucidità, a levarsi il peso di Sophie di dosso, e ad imprigionarle la vita tra la presa delle sue gambe, mentre le mani le stringevano i polsi sottili nel tentativo di immobilizzarla e renderla innocua.
Ma non s’arrendeva, Sophie, e con un’energia fuori dal normale scalciava, soffiava, graffiava come una gatta in calore, sgusciava dalla sua presa come un pesce, mordeva, sibilava, attanagliava le sue spalle con la forza di un cobra. Eclipse in risposta afferrava, stringeva, parava un colpo e ne subiva un altro, allacciava le braccia attorno a quelle di lei nel tentativo di bloccarla, le afferrava una caviglia e poi l’altra, schivava sinuosamente gli artigli di lei ed affondava i denti sulle sue spalle.
Ed alla fine si ritrovò di nuovo Sophie addosso, il respiro mozzato e la gola secca.
Sophie, gli occhi accesi d’ira e i capelli che le cadevano dalla fronte, il fiato corto e la pelle imperlata di sudore, lanciò una nuova agghiacciante risata.
- Povero, sciocco, ladruncolo! Intrappolato nell’illusione di poter sopraffare la povera e indifesa marchesa di Windsworth! Davvero pensavi che ti avrei permesso di entrare in casa mia così facilmente, per farmi rubare il gioiello nel sonno? Ho passato intere notti ad attendere il tuo arrivo, nella speranza che prima o poi ti facessi vivo! Ed ora eccoti, finalmente, intrappolato tra le mie grinfie! … Cos’è quello sguardo attonito? Per chi credevi che fosse la finestra socchiusa al piano di sotto? La tua presunzione è talmente sfacciata da indurti a credere che fosse tutta opera tua? Se ti trovi qui ora è soltanto per merito mio! Sono io che ti ho lasciato entrare! Tu credi di avermi manipolata, ma in realtà sono io che ho manipolato te! –
Mentre parlava, le sue mani scivolarono sul collo di Eclipse, e presero a stringerlo con forza.
Il ladro si ritrovò immobilizzato, soffocato dalla presa ferrea di lei, il volto cianotico e un’irrefrenabile fame d’aria che andava ad ostruirgli i polmoni.
La vista si fece dapprima sfocata, i contorni del volto della marchesa sempre meno distinguibili, finché, ancora rantolante per la mancanza di ossigeno, stremato, si vide travolto da una coltre di nebbia.
Sapeva di non potersi arrendere così, nonostante sentisse le forze venirgli sempre meno.
Poi di nuovo la voce di Sophie tornò a tormentargli i timpani.
- Mi stai deludendo, Eclipse… Possibile che tutto ciò che si dice su di te sia solo una menzogna? È davvero questo il famigerato ladro temuto da tutti, l’incubo delle notti più buie? Sbagliavo a sopravvalutarti tanto: basta un niente per metterti in difficoltà. Shade doveva essere davvero disperato, se per affrontarmi ha scelto un alleato come te! Quando si tratta di nasconderti nel buio sei scaltro… ma appena si accende una luce, sbatti la testa disorientato in ogni angolo come farebbe un pipistrello – le dita premettero con più forza sulla trachea, ostruendola – Devo ringraziarti per essere venuto a farmi visita stasera: mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare – un lampo di perfidia le accese lo sguardo – Una volta eliminato te, resterà soltanto una persona ad ostacolarmi nel mio cammino… una piccola, insignificante pulce, una misera goccia di pioggia dispersa nell’oceano -
Il cuore cominciò a pompargli veloce in petto quando realizzò chi, dopo di lui, sarebbe stata la preda di Sophie.
- Rein Sunrise…- cinguettò la marchesa trionfante – Una saggia idea quella di farle custodire l’Occhio della Notte… peccato che non sia altrettanto preparata nel difenderlo…-
Il cuore di Eclipse perse di un battito, mentre percepì una voragine squarciargli lo stomaco.
Il nome della fanciulla gli attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno, lacerandogli il petto e conficcandosi tra le due metà pulsanti come un pugnale nella carne viva.
Rein.
Come diavolo aveva fatto Sophie a capire che era lei la custode del gioiello?
Chi l’aveva tradita?
Era stato un incosciente a farsi persuadere a coinvolgerla. Ora la sua vita era in pericolo, e per cosa, poi! Per una faccenda che nemmeno la riguardava!
Il sangue prese a ribollirgli nelle vene.
Sophie squarciò con un’agghiacciante risata il silenzio della notte.
La rabbia pulsava, fremeva, scalpitava per uscirgli dal petto, gli accecava gli occhi e la mente, fischiava nelle orecchie, pizzicava ogni parte del corpo.
E quando la sentì raggiungere gli arti improvvisamente rinvigoriti da quell’incendio che gli era scoppiato dentro, con un urlo sovrumano riuscì a scrollarsi le mani della marchesa da dosso, e a scaraventarla con ferocia fuori dal letto.
La schiena della donna colpì con un botto sordo la parete di pietra alle sue spalle, e la vide accasciarsi a terra, raggomitolandosi su se stessa come un riccio, accusando il colpo.
Eclipse, finalmente libero, si diresse verso di lei, e la osservò sprezzante ritorcersi tra le convulsioni che la botta le aveva provocato.
Tra un colpo di tosse e l’altro, Sophie riuscì ad alzare lo sguardo su di lui, gli occhi iniettati di sangue e carichi di una ferocia inumana.
- Maledetto…- sibilò tra i denti – MALEDETTO! - e si scagliò di nuovo su di lui, estraendo un pugnale da uno dei mobili vicini e puntandoglielo alla gola.
- Ti ucciderò, dannato, ma prima voglio vedere il tuo volto tingersi dell’agonia che ti infliggerò non appena avrò affondato il mio pugnale nella tua gola! – esclamò, allungando la mano ibera sul suo volto nel tentativo di togliergli la maschera – Fammi vedere chi si cela sotto la maschera! Voglio guardarti negli occhi mentre ti osservo morire! –
Mentre Eclipse lottava con tutte le sue forze per porre resistenza alla lama del pugnale che già gli stava sfiorando la gola, e Sophie strillava indemoniata accecata dal desiderio di ucciderlo, un grido echeggiò nella stanza, come uno strappo su un cielo di carta.
- Sophie! –
I due alzarono lo sguardo boccheggianti, e videro Auler ansante in piedi poggiato sullo stipite della porta, gli enormi occhi blu sgranati di paura, disorientati ed intimoriti per ciò che stavano vedendo.
Il tempo si fermò solo per un secondo: rimasero tutti e tre immobili a scrutarsi a vicenda, un quadro raffigurante una scena catturata istantaneamente dal pittore al momento della creazione.
Fu Sophie a rompere il precario equilibrio di quell’attimo fatto di fragile cristallo.
- Auler… – soffiò tra i denti, ma non riuscì a finire la frase, poiché Eclipse, approfittando di quell’attimo di distrazione, le afferrò il polso che reggeva il pugnale con forza, e le imprigionò il braccio dietro la schiena, rendendola inoffensiva.
Sophie ruggì di dolore, e la morsa che le attanagliava il polso le fece scivolare il coltello dalle mani, che cadde a terra provocando un sordo tintinnio.
La marchesa voltò di scatto la testa per recuperare con lo sguardo l’arma perduta, ed Eclipse se la levò di dosso, scagliandola a terra.
La donna piombò sul pavimento, ed ignorando il dolore pulsante ai reni cominciò a tastare il terreno nella ricerca disperata del coltello.
Anche Eclipse analizzò attentamente la stanza con lo sguardo in cerca dell’arma, e quando la trovò, conscio che anche Sophie aveva individuato il punto in cui si trovava, si fiondò a recuperarla, la marchesa a pochi passi da lui che già stava allungando la mano.
Fu più veloce: con decisione afferrò l’impugnatura del coltello, e sentendo Sophie avvicinarsi pericolosamente disegnò un ampio arco nell’aria, la lama del coltello che squarciò la pelle della marchesa all’altezza del collo: il pennello che tinge la tela.
Nel sentire quella fitta lancinante, Sophie si portò una mano all’altezza della ferita, e quando la ritirò inorridita nel sentirla umida e calda e vide le dita tinte di un liquido rosso e denso, si fiondò di nuovo su Eclipse accecata dall’ira.
I due rovinarono nuovamente a terra: il ladro avvertì il coltello scivolargli dalle dita, e la marchesa ne approfittò per afferrarlo ed affondare la lama nella sua gola. Ma Eclipse la vide, e prima che lei potesse colpirlo si rigirò su un fianco nel tentativo di schivare il colpo, che andò a colpirlo di striscio sul braccio sinistro.
Nonostante il dolore gli ottenebrasse la mente facendogli perdere lucidità e Sophie, anche lei ormai allo stremo, già si preparava a colpire una seconda volta decisa a non fallire, Eclipse, mosso dall’ istinto di sopravvivenza, raccolse le sue ultime forze e scagliò la donna nuovamente contro il muro, la quale stavolta batté violentemente la testa contro la pietra dura e fredda, e rovinò a terra priva di sensi.
Allora, senza neanche avere il tempo di respirare, Eclipse raccolse i cocci del suo corpo stremato e martoriato, e con il braccio ancora sanguinante e dolorante si diresse verso l’unica via di fuga accessibile in quel momento: la finestra.
Auler, che fino a quel momento era rimasto attonito ad osservare la scena incapace di reagire, quando vide la sorella stramazzare al suolo sanguinante e priva di sensi si fiondò accecato dalla rabbia verso lo scrittoio, ed estrasse da uno dei cassetti una pistola. E mentre Eclipse si trascinava dolorante verso la finestra, con tutta la determinazione di cui era disposto, gli puntò l’arma contro, il dito sul grilletto pronto a far fuoco.
- Fermo! – gridò, le vene che pulsavano forti nelle orecchie e il cuore a mille – Non muovere un solo passo, o sparo! –
Eclipse, un topo in trappola, si voltò lentamente verso di lui reggendosi il braccio ferito.
Si osservarono negli occhi per un tempo che parve interminabile ad entrambi, Sophie immobile ai piedi del letto ancora inerme.
In un primo momento lo sguardo del ladro parve colmo della tipica rassegnazione che tinge gli occhi della preda in trappola, ma cambiò subito colore quando notò il dito tremante di Auler vacillare sulla presa sul grilletto.
Improvvisamente capì che aveva ancora una speranza.
Lo osservò ancora negli occhi più deciso, e li vide colmi di un’angoscia che risultava inspiegabile in un animo malvagio come il suo, quasi si sentisse costretto a far partire il colpo, e non perché lo volesse veramente.
Auler si ostinava a tenerlo sotto tiro, la mano tremante che ancora reggeva la pesante arma, indeciso se premere o no il grilletto.
Alla loro sinistra Sophie emise un debole rantolo, segno che stava pian piano riprendendo conoscenza. Dal collo il sangue non cessava di colare copioso.
Auler rivolse uno sguardo disperato alla sorella, e poi ad Eclipse che ancora si ergeva stremato davanti alla finestra, da Eclipse alla sorella. Teneva ancora il ladro sotto tiro.
Quando però percepì che non poteva lasciare Sophie in quelle condizioni ancora per molto senza soccorrerla, con un ruggito di indignazione gettò sprezzante la pistola contro la specchiera, e si slanciò sul corpo della marchesa accasciato a terra in una pozza di sangue.
Eclipse lo vide accoccolarsi al suo fianco, prenderla tra le braccia, e volgergli un’ultima sprezzante occhiata, prima di dedicare nuovamente la sua attenzione a lei.
Allora il ladro comprese che aveva avuto pietà di lui, e che quello era il segnale che acconsentiva alla sua fuga.
Fece volteggiare il suo mantello un’ultima volta nella brezza notturna, prima di sparire tra le tenebre.
Il marchese lo osservò gettarsi dalla finestra impotente, mentre tra le sue braccia il corpo della marchesa cominciò a contorcersi, segno che aveva finalmente riacquistato conoscenza.
- Auler…- mugugnò osservandolo attonita, e nel dirlo fece scivolare lentamente la mano all’altezza del collo, dove ancora la ferita non cessava di sanguinare.
Improvvisamente impallidì, quasi avesse appena scorto l’ombra di un fantasma aggirarsi per la stanza.
- NO! – esclamò col panico negli occhi, ed ignorando il dolore che albergava in ogni centimetro del suo corpo si diresse di slancio verso la specchiera, dove l’accolse l’agghiacciante ombra del suo riflesso superbo.
Sophie volse lo sguardo in basso, ed emise un gemito di disperazione quando constatò che, là dove spaziava la ferita, il ciondolo era sparito.
Soltanto una profonda cicatrice regnava sulla pelle candida del collo.
Con occhi di fuoco fulminò il fratello, ed affacciandosi alla finestra lanciò un ultimo grido di rabbia e di odio al silenzio della notte.
Avrebbe avuto la sua vendetta.


Angolo Autrice:

Eccoloooooo, finalmente!
Dopo due anni di attesa, riesco finalmente a postare il seguito di questa fiction! Non ci credo nemmeno io!
Sono quasi commossa... davvero ormai avevo perso le speranze di riuscire a trovare tempo e ispirazione per continuarla, e invece eccolo qui! Il ventesimo capitolo! Tutto per voi!
...Ok, adesso mi ricompongo...

Sono davvero stra euforica per essere riuscita a vincere il mio "blocco dello scrittore"... e se da una parte c'è la soddisfazione di aver finalmente ripreso in mano questa storia, dall'altra c'è la paura di tornare, dopo questo capitolo, a bloccarmi. 
Spero con tutta me stessa di non avere ricadute, ma è anche vero che con il poco tempo a disposizione, il tirocinio e una tesi da scrivere, le mie energie per le fiction si riducono notevolmente.
Ma, come ho già detto, dovessi metterci dieci anni, IO. PORTERO'. A. TERMINE. QUESTA. STORIA.
Lo devo a voi, care lettrici, che ancora oggi, nonostante la storia sia ferma da un pò, mi scrivete entusiaste in attesa di poter leggere il seguito. L'energia che mi trasmettete è immensa, e non so come ringraziarvi, perchè senza di voi questa storia semplicemente non esisterebbe.
Il capitolo è un pò lunghino, ma dopo avervi fatto attendere così a lungo dovevo farmi perdonare, almeno in parte. Spero che, oltre alla lunghezza, vi soddisfi anche il contenuto. Siamo a un punto cruciale del racconto, pian piano i nodi cominciano a districarsi, e se fino ad adesso sono riuscita a proiettarvi in mezzo ad inganni e sotterfugi, nei prossimi capitoli vorrò stupirvi ancora di più.
La verità si avvicina, e non vedo l'ora che arrivi il momento di svelarvi le sorprese che ho voluto tenere in serbo per voi.
Dedico questo capitolo a chi, fino ad oggi, mi ha sostenuta col cuore e le parole: le mie lettrici fedeli che non mancano mai di darmi il loro parere sincero (quanto mi fa crescere il vostro pensiero!), e coloro che anche solo leggendo la storia, seguendola, inserendola tra le ricordate o le preferite, rendono questa fiction speciale. Grazie di cuore a tutti, davvero.
Ora vi lascio, con la speranza che un prossimo aggiornamento non sia poi tanto lontano.
Come vedete, in un modo o nell'altro ritorno sempre a finire quello che ho lasciato incompleto!
Un bacio a tutti

_BlueLady_ (Vale)

 

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Capitolo 22
*** XXI ***


~ CAPITOLO 21 ~
 
Era uno dei più bei giorni primaverili che si fossero mai visti dall’inizio di quella primavera, alla contea Dewdrop.
Il sole, più rinvigorito e libero dal suo pallore invernale, irradiava l’atmosfera del suo tepore.
L’aria, ancora tersa del sapore di una neve ormai lontana, faceva rabbrividire con un tocco i timidi germogli che attendevano ansiosi sugli alberi l’occasione di aprirsi ad una nuova vita.
Rein passeggiava distratta nel giardino di Villa Sunrise, radiosa più del sole, le labbra tirate in un sorriso, la mano che ancora accarezzava le labbra dalla sera precedente, gli occhi limpidi persi in un ricordo non troppo lontano.
Si aggirava per le aiuole posando lo sguardo prima su un fiore in boccio, poi su un altro, sempre con quell’aria serafica, lieta, pacata, imperturbabile, delicata come la tenerezza che ispirava in quel momento dai toni quasi infantili.
Sgranava gli occhi stupiti nell’osservare il volo di un calabrone ancora leggermente assopito dal letargo, increspava le labbra in un sorriso scorgendo il volo delicato di una farfalla, tendeva le orecchie nell’ascoltare il tenue canto degli usignoli, messaggeri di quel ritorno alla vita che lei aveva la fortuna di poter ammirare in prima persona.
Tutto le sembrava meraviglioso, niente poteva turbare il suo animo reso pacifico da una confessione d’amore inaspettata, eppure tanto ardentemente desiderata.
Mai l’avrebbe immaginato, ed ecco che il sogno diventava realtà: Eclipse l’amava.
Non c’era nulla di sbagliato, terrificante o grottesco in quell’amore proibito, come invece le era parso dai dubbi della sera precedente. Dopotutto era pur sempre amore.
Perfino il tradimento del visconte le pareva una sciocchezza, se messo a confronto con la felicità di quel momento.
Lei amava ed era amata, nient’altro importava.
Nonostante i dubbi, nonostante le paure, nonostante tutti i “se” ed i “ma” che quella vicenda portava con sé, nonostante gli ostacoli, nonostante i mille altri motivi per cui la sua storia d’amore non potesse continuare, lei amava.
Più cercava di redimersi da quella cieca follia, più ci sprofondava dentro.
- Rein!-
Avrebbe anche tollerato che Eclipse si presentasse nuovamente da lei annunciandole che il bacio della sera precedente era stato tutto un equivoco, uno spiacevole incidente, purché le fosse sempre permesso di amarlo in silenzio, discretamente, come le era stato concesso di fare fino ad allora.
- Rein!-
Toglierle anche quell’amore, dopo la delusione ricevuta dal visconte riguardo la sua identità, sarebbe stato come aspirarle l’anima dal corpo con la semplice forza di un respiro.
- Rein, ma dove sei? Non ti vedo da stamattina a colazione!-
Una voce alquanto familiare e così vicina a lei la riscosse dai suoi pensieri.
- Rein, eccoti finalmente! È tutta mattina che ti cerco! Come mai non mi rispondi? Ti stavi nascondendo da me?- il viso sorridente ed il tono canzonatorio di un’amabile Fine la accolse in un caloroso saluto, i capelli rosso fuoco che spaziavano tra il verde della vegetazione, e gli occhi cremisi lucidi di affetto.
- Troppo pensierosa per darmi una risposta?- fu la domanda seguente.
- Scusami Fine – parlò infine la turchina, ricambiando lo sguardo affettuoso – Ero sovrappensiero e non ti ho sentita chiamare –
- Ho notato – asserì l’altra risoluta.
Il silenzio aleggiò tra loro per un istante che parve durare un secolo.
- Hai visto quanti boccioli hanno le rose quest’ anno?- affermò Rein impacciata, nel tentativo di stracciare quel velo di imbarazzo che sentiva aleggiare nell’aria - Sono certa che tra poco avremo una splendida fioritura. Per non parlare dei narcisi e dei gerani…-
- Rein, che sta succedendo?- le domandò Fine a bruciapelo, bloccando qualsiasi tentativo della sorella a fuggire ancora al confronto.
- Perché me lo chiedi?- chiese la turchina in un sorriso tirato e forzato – Ti sembra forse che qualcosa non vada?-
- Rein, per favore, non prendermi in giro – le disse di rimando la rossa con una certa gravità nel tono della voce – Siamo nate e cresciute insieme, abbiamo condiviso gli stessi giocattoli, lo stesso letto, gli stessi insegnamenti, le stesse amicizie. Abbiamo affrontato passo dopo passo i cambiamenti dell’adolescenza l’una nelle mani dell’altra, abbiamo vissuto una vita intera insieme, e dopo tutto questo tempo credi ancora di essere in grado di nascondermi i tuoi turbamenti?- le si avvicinò piano, cingendole le spalle con un braccio con fare quasi materno – Sono tua sorella, gemella oltretutto. Sono parte di te. Davvero credi che non mi accorga quando c’è qualcosa che ti preoccupa?-
Al tocco delicato del braccio di Fine sulle sue spalle, Rein si sciolse in un sospiro liberatorio, discreto, quasi infantile.
- Hai ragione, Fine, scusami – disse, accogliendo le mani della sorella nelle sue – Sono successe così tante cose ultimamente, che se te le raccontassi non ci crederesti. Da un po’ di tempo a questa parte mi rendo conto di trascurarti, e me ne vergogno tanto. Vorrei poter tornare ad essere serena come un tempo, ma non posso. Non ci riesco. Troppi pensieri occupano la mia mente, paure e dubbi su questioni più grandi di me. Neanche immagini quello che sto passando da quando i Tinselpearl e il visconte sono comparsi nella nostra vita. Se solo sapessi…-
- Forse se tu me ne parlassi, sarei in grado di…-
- No, Fine – la freddò in un istante Rein – ho sbagliato a lasciarmi andare a questa confessione con te. Non avrei neanche dovuto nominare il tuo amato duca e il visconte in queste circostanze. Perdonami, io… sono confusa. Non so più che strada percorrere – dovette abbassare lo sguardo per celare alla sorella le lacrime che cominciavano a pizzicarle gli occhi.
- Rein…- la chiamò Fine dopo averla osservata accartocciarsi su se stessa impotente – Forse non sono in grado di aiutarti, né di comprendere quello che stai passando. Però ho notato che da un po’ di tempo a questa parte sei molto assente, mangi poco, rispondi a monosillabi e ti rifugi spesso nella tua solitudine, in camera tua o perdendoti in lunghe passeggiate fino a tarda sera. Sei sempre pensierosa e distratta, anche quando sorridi e socializzi ti accompagna quell’inspiegabile velo di malinconia che mai ti ho vista indossare. È da qualche settimana dopo la nostra discussione riguardo quello strano gioiello che porti sempre al collo che volevo parlarti del tuo cambiamento, ma ho sempre temuto di risultare indiscreta, o forse speravo che fosse soltanto un malessere passeggero, e che presto ti avrei rivista sorridere spensierata come un tempo. Oggi però sento in te più malinconia del solito, e non posso permettermi di ignorare ancora questa muta richiesta di aiuto che mi stai lanciando da mesi, e che solo ora ho il coraggio di cogliere. Vedo tanta angoscia in te, e vorrei potermi far carico della tua pena perché tu possa tornare a respirare serenamente. Mai ti forzerei ad una confessione che giudichi io non possa comprendere, tuttavia voglio che tu sia consapevole che io sono qui. Ti aspetto. Quando vorrai parlarne, sarò pronta ad ascoltare – le prese il volto tra le mani, e le regalò un sorriso incoraggiante, che Rein ricambiò a fatica, ingoiando lacrime amare che tentavano capricciosamente di uscire.
La osservò un istante, perdendosi nell’affetto profondo che provava per lei.
Cara, tenera, dolce Fine, sorella amata… come poteva essere così crudele dal nasconderle ancora tutto, conscia ormai del fatto che stesse soffrendo per lei?
E del resto, come poteva essere così irresponsabile dal lasciarsi sfuggire una confessione che inevitabilmente l’avrebbe coinvolta in quella losca faccenda ancora poco chiara persino a lei stessa?
Anche se erano coetanee, e mai nessuna delle due aveva voluto prevalere sull’altra in qualsiasi situazione, la fragilità e la sensibilità di Fine avevano sempre fatto sentire Rein in obbligo di mettersi nella posizione di proteggerla, di difenderla dalle crudeltà che quel mondo spietato teneva in serbo per loro.
Lei, così innocente e delicata. Lei, così amabile nei suoi modi da bambina.
Non poteva darle una delusione simile, non poteva lasciarsi sfuggire che il visconte di Moonville non era che una menzogna, e che forse, chi mai poteva saperlo, anche il duca di Tinselpearl era coinvolto.
Non poteva farglielo sapere proprio in quel momento, quando ancora la situazione non era ancora del tutto chiara nemmeno a lei.
Si, avrebbe tenuto quella piccola confessione ancora per se.
Quando sarebbe stato il momento, e se ce ne fosse stato effettivamente bisogno, le avrebbe parlato a cuore aperto, conscia di lanciarle un pugnale dritto nel cuore, ma con la coscienza pulita per averla salvata da un male più grande.
- Amo un uomo – si lasciò sfuggire tra le labbra, confessando quella colpa ad occhi bassi, quasi fosse un peccato impudico, una vergogna, incapace di lasciare la sorella, dopo il discorso caloroso che le aveva fatto poco prima, con l’amaro in bocca per una risposta mancata.
Fine sgranò gli occhi sorpresa, registrando nella mente quell’informazione ricevuta così di getto, senza nessuna possibilità di metabolizzare a fondo.
- Hai detto…?-
- Che amo un uomo, si – rincalzò Rein, piantando le iridi cristalline in quelle cremisi di lei – Non so dirti da quanto di preciso, so solo che è da stamattina che analizzo la faccenda, e sono giunta a conclusione che non può che essere così. Sono innamorata di un uomo.-
- Rein, ma… Ma è fantastico! Sono davvero felice per te! Adesso mi spiego tutti i tuoi silenzi e la ricerca della solitudine! – esclamò Fine in un impeto di gioia, soffocandola in un energico abbraccio – E dimmi, come è successo? Quando? Chi è il fortunato?- cominciò a riempirla di domande, incapace di trattenere l’euforia – Aspetta solo che lo vengano a sapere mamma e papà!-
- Proprio per questo non mi sono lasciata mai sfuggire questa confessione con te, Fine – la interruppe Rein freddamente, frenando ogni sorta di entusiasmo nella sorella – Mamma e papà non dovranno mai venirlo a sapere. Promettimelo - e furono di nuovo occhi negli occhi, ma con una serietà tale che l’animo di Fine si caricò di preoccupazione.
- Perché i nostri genitori non devono venirlo a sapere? C’è forse qualcosa di losco che vuoi tenere nascosto Rein?- le domandò sinceramente, squadrandola da capo a piedi – …Non mi dire che il prescelto è il visconte di Moonville – mormorò a un tratto, guardandola come si osserva un appestato – Non vorrai trascinare nel fango il buon nome dei nostri genitori seducendo un uomo fidanzato! Rein, ti ricordo che è promesso sposo della duchessa di Tinselpearl, la sorella di Bright! Hai idea del disonore che gettereste sulla nostra e sulla loro famiglia se solo si venisse a sapere della vostra relazione? Ci tengo troppo a te per lasciare che ti rovini con le tue stesse mani –
- Ma no, Fine, che idee ti vengono in mente?- la zittì divertita Rein, non senza provare un cenno di fastidio al pensiero che l’idea dell’imminente matrimonio del visconte potesse scatenare in lei ancora una punta di amara gelosia – Mai mi sognerei di mandare a monte un matrimonio!- asserì poi sinceramente, riacquistando la lucidità perduta.
- Meglio così – si lasciò andare Fine in un sospiro sollevato – temevo avessi perso il lume della ragione. Beh, dunque – riprese poi, con una certa vivacità nel tono della voce – Si può sapere da quanto me lo tieni nascosto e come si è svolto il tutto?- le domandò maliziosa.
Rein ridacchiò, dimentica delle angosce provate fino a qualche istante prima.
- C’entra per caso un ballo?- incalzò ancora la rossa, incapace di celare la curiosità.
- Diciamo di si – sorrise Rein nostalgica, ripercorrendo con la mente quella sera lontana del ballo in maschera, il cuore che ancora le bruciava e le scalpitava forte in petto.
- Come è successo?-
- È bastato un semplice sguardo, un ballo, una conversazione dal tono pungente, e le mie difese sono venute meno – asserì dolcemente, perdendosi nel sapore di quel ricordo.
- E lui?- chiese ancora Fine sulle spine.
Rein schioccò la lingua estasiata, e vide di fronte a sé scorrere infinite immagini dei momenti passati insieme al suo misterioso innamorato.
Il loro primo ballo, il gioiello tra le mani, le visite in camera da letto, le loro conversazioni dai toni di sfida, ma sempre cariche del desiderio di scoprirsi, ancora ed ancora, sotto la luce di altre mille sfaccettature diverse, le notti insonni passate ad arrovellarsi nel tentativo di scoprire chi davvero si celasse sotto quella maschera…
Poteva davvero essere innamorata dell’ombra di un uomo? Amarne il riflesso, senza sapere chi davvero si ergesse di fronte allo specchio?
…il bacio rubato della sera prima, che era tornato a bruciarle le labbra ed il cuore…
Sorrise.
Si…
- Lui?- soffiò flebilmente tra le labbra, gli occhi impastati di un amore cieco – Lui è Eclipse
 
¤¤¤¤¤¤¤
 
- Qualcuno ci ha traditi- affermò irosamente mentre percorreva senza sosta il perimetro della camera buia a passo deciso sotto lo sguardo placido e attento del duca di Tinselpearl.
- Sei proprio sicuro possa trattarsi di un tradimento?- domandò quello perplesso, ancora perso ad analizzare le parole del visconte – Certo che ne sono sicuro, Eclipse ci ha quasi rimesso la pelle – affermò seccamente, in preda ad una rabbia angosciosa e incontrollata - E come se non bastasse la marchesa ha fatto il nome di Rein Sunrise. Sa dove si trova il gioiello, e non credo lascerà passare molto prima di tentare di appropriarsene.-
- Questo rappresenta un problema notevole – biascicò Bright tra i pensieri – Un enorme problema – precisò Shade infervorito – Quella fanciulla è senza alcuna protezione, rappresenta una facile preda. Dio solo sa cosa sono capaci di farle… bisogna tenerla sotto stretta sorveglianza, accertarsi che non le accada nulla di male –
- È solo la faccenda del gioiello che ti preoccupa, vero Shade?- sentì domandarsi a un tratto, il cuore in petto che perse di un battito, e lo stomaco che si aprì in una voragine capace di risucchiare qualsiasi cosa.
- Come dici? – soffiò flebilmente, volgendo lo sguardo al suo interlocutore.
Bright schioccò la lingua assente, rigirando il whisky che si era appena versato nel bicchiere, ed osservando meticolosamente i giochi di luce che il liquido ambrato produceva ogni volta che prendeva contatto con un raggio di sole che cercava disperatamente di infiltrarsi nella camera buia.
- Dicevo, è solo la faccenda del gioiello che ti preoccupa, no?- ripeté di nuovo, stavolta osservandolo negli occhi con determinazione.
- Ovviamente, che altro credi mi dovrebbe importare?- rispose Shade dopo un istante di smarrimento in cui le parole gli erano venute a mancare di fronte a quegli occhi indagatori.
Bright alzò le spalle disinvolto: - Non so – disse – mi sembra che la signorina Sunrise ti stia molto a cuore, ultimamente. Per la verità, ho sempre pensato tu avessi un debole per lei –
La bocca del visconte si fece improvvisamente secca.
- È da quando siamo giunti alla contea che non fai altro che tentare di infilarmi questa pulce nell’orecchio – rise infine, con un’ironia quasi glaciale – Ma no, ovviamente. Ti ho già detto che Rein Sunrise per me non vale nulla. La considero solo la semplice custode del gioiello. Mi preme la sua incolumità in quanto è inevitabilmente legata ad esso. Non c’entrano nulla i sentimenti –
- I tuoi pensieri sono alquanto materialistici – asserì il duca in un sospiro, alzando le spalle – In ogni caso, meglio così. Siamo già abbastanza vulnerabili ora, non possiamo permetterci di fare i sentimentali –
- Io no di certo, tu si – lo freddò Shade in poche parole.
- Hai idea di chi possa essere il traditore?- chiese Bright, dopo aver accusato silenziosamente il colpo della frecciatina lanciata dall’amico.
Il visconte sospirò gravemente, prima di rispondere: - Io un’idea ce l’avrei – mormorò cupo.
- Chi?- domandò il duca con gli occhi balenanti di impazienza.
Il moro cessò il suo inqueto camminare, e si volse verso l’amico con aria tetra e solenne.
- Ricordi il giorno dopo il ballo in maschera a casa Windsworth, quando scorgemmo due figure chiacchierare nei pressi della serra?- (*)
Bright sgranò gli occhi incredulo ripercorrendo nella mente quel ricordo, sentendosi mancare la terra sotto i piedi, il cuore pugnalato da una triste verità.
- No…- mormorò flebilmente, la voce incrinata di delusione.
Shade annuì amaramente.
- Altezza…- soffiò il duca in un‘invocazione disperata, prendendosi la testa tra le mani – Perché?-
 
¤¤¤¤¤¤
 
- Eclipse?!- strillò la rossa sconvolta, non appena ebbe udito quel nome uscire dalle labbra della turchina – Non può essere vero, Rein! Dimmi che non è vero!- la pregò, quasi in procinto di piangere.
- È così, Fine. Mi dispiace- furono le sole parole che riuscì a dirle.
- Perché?- domandò Fine in un soffio, gli occhi cremisi lucidi e smarriti, incapaci di comprendere – Non lo so – rispose Rein, il cuore che si faceva pesante – Davvero, Fine, non lo so. Semplicemente è successo, e quando ho preso coscienza di quanto fosse sbagliato, era ormai troppo tardi per tornare indietro –
- Quando lo hai conosciuto?- fu la domanda successiva.
- Al ballo in maschera di Villa Windsworth. Ma allora non conoscevo ancora la sua fama di ladro –
- Ti ha ingannato – azzardò Fine – Forse – fu la risposta della sorella – però tu non lo conosci come lo conosco io, Fine. C’è più di un cuore avido sotto quella maschera nera come la pece –
- Naturalmente. Chiunque nasconda il proprio volto sotto una maschera sa come apparire giusto e senza colpe agli occhi delle persone – asserì l’altra quasi con un sarcasmo sprezzante.
- Smettila – sussurrò Rein, ferita a morte da quelle parole – Cerco di aprirti gli occhi!- le disse la rossa di rimando, sinceramente preoccupata – Sapevo che non avresti capito – affermò la turchina distrutta, la voce incrinata.
- Rein, ma cosa ti aspettavi? Che avrei saltato e urlato di gioia nel sentirti dire che sei innamorata di un delinquente? –
- Non ho bisogno di sentirmi dire che è sbagliato, Fine, credi che l’angoscia non venga a tormentarmi tutte le notti al pensiero che tutto quanto possa rivelarsi una deludente illusione?- rispose Rein con impeto, piantando le iridi cristalline nelle cremisi della sorella – So quali sono i rischi che corro, ne sono stata cosciente fin dal principio. Amare un ladro, un delinquente, di cui non ho presente neanche i lineamenti del volto… ma come mi è venuto in mente? Cosa direbbero i nostri genitori se lo venissero a sapere? Come posso immaginarmi un futuro assieme ad una persona di cui a malapena conosco il nome? – si cinse le spalle con le braccia, raggomitolandosi su se stessa in preda a brividi di angoscia – Come posso essere così cieca, e al contempo così ingenua, Fine? Come? Chi mi dice che lui non mi stia ingannando, non si stia prendendo gioco di me… Magari non sono neanche l’unica che è caduta scioccamente in preda del suo fascino. Magari ce ne sono state altre. E poi, chi mi può assicurare che si limiti solo a rubare? C’è anche dell’altro, qualcosa di peggio, che sia anche uno spietato assassino? Chi può dirlo? Da chi mi devo proteggere, Fine? – mentre parlava, gli occhi cominciarono a grondarle di lacrime, e vide quelli della sorella fare altrettanto mentre la ascoltava impotente e incapace di replicare qualsiasi cosa.
- Secondo te perché sono così cambiata? Perché mi vedi così malinconica, angosciata, distrutta dai sensi di colpa? – le domandò prendendosi la testa tra le mani – Sono perfettamente cosciente di sbagliare. Tutto quanto è un irrimediabile errore. Più ci penso, e più mi detesto per come ho permesso alla situazione di sfuggirmi di mano. Forse neanche l’ho fatto involontariamente… Forse sono giunta a questo punto di non ritorno perché in fondo è quello che ho sempre desiderato –
- Rein, ma che cosa stai dicendo?-
La turchina scoppiò in una singhiozzante risata, prima di proseguire: - Ti sembro pazza, vero? Cieca, completamente fuori di senno – le disse, riprendendola a guardare negli occhi – Ho paura, Fine…- sussurrò piano, accoccolandosi sul petto della rossa, che mossa da un naturale istinto materno, prese ad accarezzarle i capelli, lasciando scorrere le dita delicatamente tra le ciocche color del cielo della sorella.
- Perdonami, Rein – sentì sussurrarle all’orecchio, con una tenerezza quasi commovente – Non volevo aggredirti in quel modo. Ho reagito così soltanto perché ci tengo a te, moltissimo, e non voglio lasciarti sprofondare da sola in questa situazione paradossale –
- Lo so – sorrise Rein, ancora tra le lacrime – Tuttavia lo amo…- soffiò tra le labbra, quasi un miagolio - Nonostante le paure, nonostante gli ostacoli, nonostante sia cosciente che è sbagliato, nonostante tutto… non posso evitarmi di amarlo. È la mia gioia più grande, e la mia amara condanna. Questa cruda verità alimenta tutta la mia rabbia e la mia disperazione. E nonostante questo, continuo ad amarlo –
- Dimmi la verità, è stato lui a regalarti quello strano gioiello?-
Il silenzio di Rein fu più eloquente di qualsiasi risposta avesse potuto mai pronunciare.
– Oh, Rein…- sentì mormorare, tutta la delusione e la compassione del mondo racchiusa in quelle due semplici parole.
- Perdonami, Fine. Credevo di essere forte, una roccia… E invece sono più fragile di un petalo di rosa – sospirò amaramente, un sorriso tirato tra le lacrime.
C’era molto più dell’umiliazione di quella confessione nelle sue parole.
Annunciando i propri sentimenti d’amore alla sorella, Rein aveva voluto dare sfogo a tutto lo sconforto che l’aveva travolta in seguito agli ultimi avvenimenti: la menzogna del visconte, il timore di un amore non corrisposto, il desiderio di voler dire di più e l’amarezza di non poter sfogarsi fino in fondo con Fine, temendo che anche la sua amata sorella potesse, presto o tardi, morire di quel dolore che ora attanagliavano la sua mente ed il suo cuore.
- Io sono qui… e farò in modo di aiutarti ad uscirne – le disse di rimando Fine, inarcando la bocca in un lieve sorriso di incoraggiamento.
La turchina sospirò languidamente.
- E se io non volessi uscirne, Fine?-
Silenzio.
Soltanto il cinguettare degli usignoli in sottofondo addolciva l’opprimente atmosfera che aleggiava nell’aria.
- Promettimi che manterrai il segreto, Fine. Non tradirmi anche tu… Promettimelo-
Ci fu ancora silenzio, Rein percepì una nota di esitazione attraversare i pensieri della sorella prima che annunciasse la sua risposta definitiva.
- Te lo prometto -



Angolo Autrice:

(*)
 è successo nel capitolo 10


A volte i miracoli accadono...
Ebbene sì, compaio anche qui con un nuovo capitolo. Incredibile, vero?
Ora, non so se il vostro desiderio è quello di uccidermi o di graziarmi, ma come ho già accennato nell'altra fiction, problemi di causa maggiore mi hanno trattenuta dal completare questa storia.
Dopo aver postato il capitolo sette di "Switch",  però, improvvisamente mi è piombata addosso l'ispirazione dal nulla, ed ho cominciato a scrivere come un treno, tentando di portare a compimento quello che ho iniziato.
Certo, mancano ancora un pò di capitoli prima della fine (ahivoi), ma ormai siamo vicini alla risoluzione del mistero, e non posso lasciarvi ancora ad aspettare senza darvi un minimo di soddisfazione.
Perciò ecco a voi un nuovo capitolo, che spero non vi deluderà e che vi faccia ancora amare questa fiction. Ho notato piacevolmente che il numero di lettori silenziosi è salito, ed anche il numero di coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti, quindi non potevo proprio lasciarvi ancora a bocca asciutta.
Come vedete, questo è solo un capitolo di transizione, che lascia presagire futuri svolgimenti, ma non per questo è meno importante dei precedenti.
Spero lo apprezzerete.
Io davvero non so come ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuta in tutti questi anni (ommioddio, parlo davvero di anni!!) nella stesura di questa fiction. Nonostante il tempo passi, c'è semre qualche nuovo inaspettato recensore che mi allieta con le sue parole entusiaste, e io sono sempre commossa e incredula che dopo così tanto tempo la fiction ancora piaccia.
Davvero, grazie di cuore, questa storia mi è entrata nel cuore, e spero sia lo stesso per voi.
Mi auguro che l'ispirazione non torni ad abbandonarmi, perchè ho la stesssa frenesia vostra di voler vedere conclusa questa fiction, rappresenterebbe un grande traguardo per me.
Grazie a tutti coloro che hanno preso parte a questa corsa con me.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
Un bacio

_BlueLady_

 

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Capitolo 23
*** XXII ***


 
~ CAPITOLO 22 ~
 
Era passata ormai una settimana dall’amara confessione che Rein aveva fatto alla sorella, ed Eclipse non era più venuto a farle visita dalla sera in cui le labbra del ladro si erano appropriate egoisticamente delle sue, catturandole in quel bacio che ancora aveva il potere di farle sussultare il cuore ogni volta che i suoi pensieri ne sfioravano il ricordo ancora così intenso in lei.
Cominciava a provare una certa angoscia, e non perché temesse di essere stata abbandonata, ma perché non riusciva a scrollarsi di dosso il presentimento che ad Eclipse potesse essere successo qualcosa di terribile.
Mai, da quando era entrato a far parte nella sua vita, era intercorso così tanto tempo tra una visita e l’altra del ladro in camera sua. Il dubbio che Eclipse si fosse stancato di lei non cessava di tormentarle il cuore, ma ciò che più le premeva era la sua incolumità.
Mille ipotesi le occupavano i pensieri, e altre mille ne sognava di notte: cominciò addirittura a temere che potesse aver incontrato delle difficoltà nell’attuazione di uno dei suoi colpi, e che qualcuno lo avesse scoperto e trattenuto con la forza, che fosse stato denunciato alla polizia e catturato o, peggio ancora, che fosse stato ferito, o ucciso.
Giorno dopo giorno scandagliava ogni singola riga del quotidiano riservato al padre, in cerca di qualche notizia che lo riguardasse, un cenno, una traccia da percorrere, ma niente.
Nemmeno lei sapeva con esattezza cosa cercare di preciso, e d’altronde, a rigor di logica, se davvero Eclipse fosse stato effettivamente arrestato dalla polizia, certamente la notizia si sarebbe diffusa ancor prima che qualsiasi giornale potesse denunciarlo, e i titoli delle prime pagine di ogni singolo quotidiano avrebbero parlato della straordinaria vicenda già il giorno stesso della cattura, continuando il loro sproloquio per i mesi a venire.
Al contrario, tutto taceva.
Più il tempo passava, più Rein temeva di non rivederlo più. Si domandava che ne avrebbe fatto del gioiello se mai Eclipse non fosse più tornato a riprenderselo: era opportuno tenerlo, gettarlo via, oppure consegnarlo alle autorità?
Tentava disperatamente di pensare il meno possibile a quell’eventualità, perché in cuor suo sarebbe stato come ammettere che Eclipse non sarebbe mai più tornato.
Cosa ne sarebbe stato di lei, a quel punto?
I giorni trascorrevano, dunque, occupati da infiniti pensieri: nemmeno aveva il tempo di realizzare che, in seguito alla loro ultima discussione, l’atteggiamento di Fine nei suoi riguardi era cambiato, e che la sorella, ogni volta che la incrociava per casa, tentava con tutta se stessa, impacciata e imbarazzata, di evitarsi di osservarla con quello sguardo misto di accusa e compassione tipico di chi comprende la spiacevole situazione, e che a tutti è concesso sbagliare, ma allo stesso tempo è consapevole di essere dalla parte del giusto, e ha tutto il desiderio di far redimere la persona cara e sperare di indurla a retrocedere sui suoi passi, indirizzandola sulla giusta strada.
La mattina dell’ottavo giorno senza avere alcuna notizia di Eclipse, giunse in casa Sunrise un annuncio: l’ennesimo invito ad uno dei tanti balli sociali aristocratici a cui sarebbero stati presenti tutti i rappresentanti del più alto rango dell’aristocrazia, e a cui anche le due gemelle erano invitate a farne parte.
Si sarebbe tenuto, come d’abitudine, a Villa Aqua.
- Non potete rischiare di mancare – aveva cinguettato la madre delle gemelle in preda all’euforia, lieta che l’alta aristocrazia tenesse di così tanto conto la presenza delle sue due amate figlie.
Fine si mostrò subito entusiasta nell’apprendere il lieto evento: sarebbe stata l’ennesima occasione per potere intrattenersi piacevolmente con l’amato duca di Tinselpearl, che non vedeva da molto, e di cui sentiva particolarmente la mancanza.
Rein, al contrario, accolse la notizia con più agitazione: andare a quel ballo avrebbe significato incontrare inevitabilmente il presunto visconte di Moonville, e non era del tutto certa di essere in grado di sostenere una conversazione con lui senza lasciargli percepire ciò che sapeva sul suo conto.
Era difficile riuscire a nascondere i propri pensieri di fronte a quegli occhi color della notte che sapevano leggerle l’anima.
Tuttavia, era cosciente del fatto che non avrebbe potuto rimandare il loro incontro ancora per molto: i sospetti da parte del visconte sul suo improvviso cambio di atteggiamento si sarebbero accesi, altrimenti.
Era un uomo intuitivo e perspicace, lo conosceva abbastanza per poterlo affermare con la più assoluta certezza.
Si ripromise che avrebbe partecipato a quel ballo, perché se davvero Eclipse aveva voluto indirizzarla alla contea di Moonville perché venisse a conoscenza della verità, di certo era perché aveva voluto lasciarle una traccia da percorrere.
Si sarebbe comportata con la più innocente naturalezza.
Era la sua occasione per poter scavare finalmente a fondo di quel mistero.
Sentì in cuor suo che era ormai giunta l’ora della resa dei conti.
 
¤¤¤¤¤¤
 
La sera del ballo giunse fin troppo in fretta, e nuovamente le due gemelle si ritrovarono proiettate dentro una carrozza, tutte agghindate per il prestigioso evento, in attesa di essere scortate a Villa Aqua, dove avrebbero preso parte alla festa.
Durante il tragitto le due furono di poche parole l’una con l’altra: Fine era ancora troppo imbarazzata per poter parlare con la sorella fingendo che la conversazione avvenuta nel giardino di casa loro qualche giorno prima non fosse mai accaduta, e Rein d’altro canto era troppo concentrata a lasciarsi logorare dall’ansia che aveva cominciato infida a rosicchiarle la bocca dello stomaco e toglierle il respiro già prima di salire in carrozza, per poter iniziare qualsiasi tipo di conversazione con la gemella che le sedeva accanto.
Contava i minuti che la separavano dal suo incontro col visconte, ed una sensazione di panico sempre più palpabile andava a comprimerle i polmoni.
Una volta giunte a destinazione, il cocchiere le scaricò esattamente di fronte all’entrata della villa che le inghiottì, sempre fiera e maestosa, tra le luci e la gioiosa atmosfera di festa che si respirava all’interno.
Una volta entrata, Rein notò immediatamente l’imponente figura di un immenso pianoforte a coda che padroneggiava il centro della sala. Era semplicemente maestoso, di candido legno bianco, i tasti lucidi e immacolati che attendevano soltanto di essere sfiorati da qualcuno, per poter dar vita a cento parole musicali.
La turchina si lasciò rapire dall’incanto di quella visione, desiderosa di poter assaporare il piacere di far scorrere le proprie dita sui tasti dello strumento e animare l’uragano di emozioni che le stava implodendo nel petto, se solo le fosse stato concesso.
La sua attenzione fu presto deviata altrove, quando si accorse che la sorella, che prima le passeggiava accanto, si era allontanata da lei per andare a conversare con due figure poco distanti fin troppo familiari.
- Rein, vieni a salutare!- si sentì chiamare dalla rossa, e subito la turchina si diresse verso di lei, mentre i volti fieri e sorridenti del duca e della duchessa di Tinselpearl la osservavano venir loro incontro.
- Duca, duchessa…- salutò educatamente con un inchino, ed il cuore prese a batterle ferocemente in petto nell’attesa di scorgere presto un’altra figura a lei ben nota tra la folla, che era solita accompagnare i due.
- Avete un’aria alquanto tesa stasera, mia cara signorina Sunrise – osservò la duchessa placidamente.
- No affatto – rispose Rein tentando di nascondere il turbamento – E’ un piacere rivedervi, signorina Sunrise – la salutò garbatamente il Cavaliere – Il piacere è mio – ricambiò lei, altrettanto educatamente.
- Siete venute qui da sole?- domandò di nuovo la duchessa, roteando gli occhi smeraldo per la sala nel tentativo di scorgere volti a lei noti – Ci ha accompagnate il nostro cocchiere – asserì Fine lieta ed emozionata di poter finalmente trascorrere del tempo con il suo amato duca.
- Signorina Sunrise, vorrete perdonarmi se intendo invitare vostra sorella al prossimo ballo?- domandò il giovane dai capelli dorati alla turchina, che si affrettò subito a rispondere:- Certamente, andate e divertitevi. Lascio Fine in buone mani –
- Vorrà dire che rimarremo noi due sole a farci compagnia – concluse Altezza con una nota di innocente malizia nella voce.
La gioia che si accese negli occhi della rossa al suono di quelle parole trascinò via con se un po’ dell’inquietudine che le scuoteva l’animo quella sera. Nel vedere Fine radiosa volteggiare tra le braccia del suo cavaliere, occhi negli occhi, mani tra le mani, innamorati, persi in una dimensione tutta loro, non poté fare a meno di sorridere, soddisfatta che la sorella avesse trovato il suo piccolo posto nel mondo dove rifugiarsi per l’eternità.
- Quanto li invidio – sentì mormorare la Dea al suo fianco, probabilmente persa nei propri pensieri – L’amore è raro da trovare, eppure più osservo mio fratello, più realizzo quanto la vicinanza con vostra sorella riesca a renderlo un uomo felice, in pace con se stesso –
- Vi intendete d’amore, duchessa?- le domandò curiosa.
- Per niente – rise quella senza cessare di osservare la coppia da lontano – Cosa vi fa credere con così tanta fermezza che quello di vostro fratello sia amore vero, allora?-
- Pensate che vostra sorella sia innamorata di mio fratello?- si sentì domandare di rimando.
- Senza ombra di dubbio – le rispose – Cosa ve lo fa pensare? - chiese ancora la duchessa, spostando lo sguardo nella sua direzione.
Rein sorrise teneramente – Basta osservarla, per capire che non necessita d’altro per vivere –
Vide la Dea sorridere a sua volta: - Lo stesso vale per Bright- 
Il silenzio tra loro fu accompagnato dall’incessante melodia della musica in sottofondo.
- Credete che io sia innamorata del visconte di Moonville?- udì a un tratto – Rispondete sinceramente -
La turchina volse lo sguardo smarrita verso la duchessa, sorpresa dall’eccessiva confidenza che la Dea si accingeva mostrarle quella sera. Perché mai le aveva posto una simile domanda, aprendosi con lei quasi fosse un’amica di vecchia data, quando a malapena si conoscevano l’un l’altra?
Conosceva abbastanza Altezza per poter affermare con certezza che non fosse il tipo di donna frivola e spregiudicata in grado di abbandonarsi a confidenze simili con chiunque, lasciarsi sfuggire affermazioni tali da mettere in discussione il proprio matrimonio con uno degli uomini più prestigiosi di tutta l’Inghilterra con una semplice aristocratica del luogo, di cui nemmeno conosceva l’indole indiscreta o meno.
- Ve lo auguro con tutto il cuore – rispose sinceramente, dopo il fugace attimo di smarrimento che l’aveva portata a formulare quella risposta.
Il viso della Dea si tese in un amaro sorriso, gli occhi velati di un’inequivocabile tristezza.
- Vedete?- mormorò malinconica, le iridi verde smeraldo lucide di nostalgia – Siete già più esperta di me, in amore-
La rassegnazione con cui la duchessa di Tinselpearl le confidò quella triste verità contagiò anche lei.
Pensò a quanto sarebbe stata lieta, un tempo, nell’udire tali parole. Non perché provasse rimorso o rancore contro Altezza, né perché la odiasse o avesse qualcosa contro di lei, ma perché semplicemente avrebbe avuto la conferma definitiva che con il visconte di Moonville possedeva ancora qualche speranza per avvicinarlo, senza essere giudicata una donna di facili costumi, sgualdrina, rovina famiglie e quant’altro. Si ritrovò a realizzare, non senza provare una profonda vergogna per se stessa, a quanto egoista e spregevole fosse stata nel formulare quell’infelice pensiero.
Tuttavia, attualmente, le cose erano cambiate: lei era venuta a conoscenza di una verità che le aveva fatto perdere la fiducia nel mondo, e assieme ad essa, si erano sgretolati il profondo rispetto e l’amore che aveva sempre provato per quell’uomo dall’indole orgogliosa.
Le parve che un’enorme voragine le si aprisse nuovamente sotto i piedi, come quel giorno alla contea di Moonville, e le prosciugasse irrimediabilmente qualsiasi sentimento umano. Si sentiva un automa, incapace di provare emozioni, mossa soltanto dalla forza della razionalità che le consentiva ancora di conservare quel minimo di dignità umana che ancora le restava intatta.
L’unica cosa che la teneva ancora in piedi, ormai, era il suo amore per Eclipse.
Se le avessero tolto anche quello, ne era certa, della giovane Rein Sunrise non sarebbe rimasto più nulla.
- Oggi Shade non è voluto venire assieme a noi al ballo – la riscosse la duchessa dai suoi pensieri, catturando improvvisamente la sua attenzione – è stato trattenuto come al solito da questioni lavorative importanti che lo hanno costretto a rimandare la sua presenza qui – le annunciò guardandola negli occhi, come se si aspettasse di leggerle la delusione che la divorava da dentro nell’udire quelle parole.
- Me ne dispiace – asserì Rein freddamente, effettivamente delusa e allo stesso tempo sollevata, ringraziando mentalmente la duchessa per averle voluto concedere quell’informazione che neanche aveva dovuto affaticarsi a scoprire da se.
Altezza la osservò ancora negli occhi un istante, prima di voltarsi e lasciarsi inghiottire dalla folla festante: - Non sprecate tempo e fatica a cercarlo – disse, e se ne andò, lasciandola col sapore di quel dardo avvelenato in bocca.
 
¤¤¤¤¤¤
 
- Io… io non posso credere a quello che mi stai dicendo, Shade -
- Fidati, Bright, uccide più me che te rivelarti questa triste e deludente scoperta - pronunciò impassibile, dall’angolo della camera buia, un’ombra silenziosa e nera simile ad un avvoltoio addormentato appiattita contro il muro.
- Come può essere accaduto?- sentenziò il Cavaliere ancora con il cuore distrutto – Mia sorella…-
- Altezza, nella sua inconsapevolezza, è sempre stata, tra tutti e tre, l’anello debole della catena. Non perché sia donna, o perché non sia in grado di gestire la situazione, quanto perché la nostra decisione di tenerla il più possibile all’oscuro di tutto, rivelandole solo qualche dettaglio per tenere a freno la sua curiosità che inevitabilmente si sarebbe accesa in lei dopo tanto tempo a convivere con le nostre stranezze, ci si è rivoltata contro. È una donna sveglia, particolarmente arguta ed un’attenta osservatrice, tenerle nascosta ogni cosa sarebbe stato impossibile: presto avrebbe cominciato a fare domande, la voglia di chiarire eventuali dubbi che la assalivano si sarebbe fatta sempre più prepotente in lei, perciò abbiamo deciso di coinvolgerla, seppur marginalmente. Abbiamo giustificato la mia presenza permanente in casa vostra con un finto matrimonio, facendole credere che servisse solo da copertura per mandare in porto un affare ben più importante, siamo riusciti a renderle accettabile anche la presenza di Eclipse inventandoci la storia delle indagini relative al presunto affare. Apparentemente, le due questioni sono sembrate sufficienti a soddisfarla perché non tentasse da sola di scavare più a fondo della questione, ma siamo caduti in errore. Che ingenui – esclamò Shade, con un tono di profondo compatimento verso se stesso e l’amico – Come abbiamo fatto a lasciarci sfuggire la situazione dalle mani così facilmente? Come abbiamo potuto essere così ciechi? Come ho potuto essere io così cieco?-
Bright lo osservò avanzare di nuovo nella stanza, la luce che penetrava dalla finestra ad illuminargli soltanto metà volto.
- Abbiamo voluto nasconderle la verità per tentare di proteggerla, e invece abbiamo inevitabilmente coinvolto anche lei. La sua sete di conoscenza non si è fermata di fronte alle nostre giustificazioni, tutt’altro, è cresciuta ancora di più. Tanto da spingerla a fidarsi più del nemico, che di noi. L’ignoranza paga la sua colpa credendo ciecamente a tutto ciò che le viene detto: è facile plagiare la mente di chi non conosce, perché è ancora materia prima fresca, malleabile, pronta ad essere plasmata a piacimento da chiunque prenda la decisione di farlo. Ci hanno anticipato sul tempo e, senza che ce ne accorgessimo, tua sorella è stata plagiata e messa contro di noi.-
Il Cavaliere abbassò il capo colpevole, sconfitto dall’evidenza di quelle parole: - E’ colpa nostra- sussurrò affranto.
- No, Bright- lo zittì il Principe immediatamente – è colpa mia. Sono stato troppo concentrato sul gioiello, per potermi accorgere di ciò che stava accadendo a tua sorella. Perdonami, non ho saputo proteggerla a dovere – disse tra i denti, la mano stretta in un pugno soffocante – Io l’ho vista, Bright… L’ho scorta con la coda dell’occhio mentre origliava la nostra conversazione in biblioteca, quel pomeriggio. Ho preferito non dirti nulla, presuntuoso delle mie capacità di riuscire a gestire la situazione da solo, senza costringerti ad accollarti inutili pene. Le ho lanciato un avvertimento, per farle capire che sapevo, e convinto che ciò bastasse ad impaurirla quel poco che serviva per farla tornare sui propri passi, conscio che l’affetto che provava per te sarebbe stato sufficiente a farle tenere la bocca chiusa, e tacere su ciò che aveva carpito dal suo origliare dietro la porta. Evidentemente mi sbagliavo – e sospirò amareggiato, in petto un’ondata di impotente collera che cresceva sempre di più – Il nemico ha saputo giocare d’astuzia, seducendola a dovere. A quel punto il pesce ha abboccato, ed è stato sufficiente ritirare l’amo per osservare la preda divincolarsi inerme al suo destino - (*)
- Come pensi che dovremmo comportarci con lei, ora che sappiamo come stanno le cose?-
Il visconte sospirò risoluto, senza lasciare che il rancore verso se stesso che gli implodeva dentro annebbiasse la sua lucidità mentale.
- Comportiamoci come ci siamo sempre comportati con lei, non lasciamo trapelare nulla. Se dovesse accorgersi che nutriamo verso di lei anche il più minimo sospetto, nel pieno della sua confusione mentale, potrebbe inevitabilmente farlo sapere al nemico, e questo di conseguenza cambierebbe nuovamente le carte in tavola, passando inevitabilmente dalla parte di chi ha il coltello dalla parte del manico – sentenziò brillantemente, Bright che ascoltava senza battere ciglio la sua strategia – Sfruttiamo questa opportunità a nostro favore. Non possiamo permettere ai nostri avversari di giocare di nuovo d’anticipo su di noi, e lasciarci colpire di nuovo alle spalle così ingenuamente. Altezza non deve sapere più di quanto non sappia già –
Il Cavaliere annuì convinto, lo sguardo perso nel vuoto.
- Bright – lo chiamò Shade dopo un istante di riflessione, costringendolo ad alzare lo sguardo su di lui. Aveva dipinta negli occhi una determinazione che non aveva mai notato prima: – Sai che fino ad ora ho voluto tenerti nascosti alcuni dettagli della vicenda a causa della mia scarsa capacità a riporre la mia completa fiducia negli altri – sentenziò il moro, fissandolo nelle iridi nocciola.
Il duca sorrise di fronte a quella benevola ammissione di colpa: – E’ il tuo miglior pregio e il tuo peggior difetto – sussurrò, senza mai distogliere le pupille dalle iridi buie.
Il visconte tirò le labbra in un sorriso velato, incamerando il colpo di quell’accusa pronunciata con estremo affetto.
- Tuttavia – riprese, riacquistando la più completa determinazione – credo sia giunto il momento di metterti al corrente circa alcuni dettagli che ti ho taciuto fino ad adesso –
Bright lo guardò negli occhi senza proferire parola, in attesa.
Shade sospirò: - Hai sempre dimostrato la più completa fedeltà e discrezione, agendo senza mai chiedere nulla in cambio: né una ricompensa, né una spiegazione. Tutto quello che ti ho chiesto di fare l’hai fatto senza mai chiedere il perché, senza mai avere alcuna esitazione sul fatto che potessi costringerti a compiere delle azioni illegali a tua insaputa, contro la tua volontà. Ti sei fidato ciecamente di me, lasciando che io conducessi i tuoi passi su una via sconosciuta, senza mettere mai in dubbio il fatto che potessi mentirti o meno – gli disse, pronunciando ogni singola parola guardandolo dritto nelle pupille, come a volergli dimostrare l’immensa gratitudine che provava nei suoi confronti, l’amico leale e disinteressato che l’aveva accolto in casa sua senza porre domande o chiedere giustificazioni, che aveva accolto la sua richiesta d’aiuto di getto, senza neanche dover riflettere, e che mai, da quando avevano intrapreso quell’avventura insieme, aveva osato giudicarlo per le sue decisioni e i suoi comportamenti talvolta primitivi ed eccessivamente impulsivi – Perciò mi sembra doveroso ringraziarti, mettendoti al corrente di ogni cosa. Te lo devo, dopo averti deluso per non aver saputo proteggere Altezza come ti avevo promesso. Ora come non mai necessito di tutto l’aiuto possibile per non rischiare di cadere di nuovo negli errori che la mia presunzione mi ha portato a fare. Hai saputo dimostrarmi di potermi fidare di te, perciò è giunto il momento di raccontarti tutta la verità, nella speranza che, a storia conclusa, tu voglia ancora essere mio alleato. Non sono in grado di affrontare questa battaglia da solo – concluse, ed attese in silenzio una risposta da parte dell’amico che non tardò ad arrivare.
- Non avrei mai sperato di poter meritare tanto, ma sono lieto di potermi finalmente sentire utile nel combattere la tua causa – asserì il biondo in un sorriso, alzandosi in piedi e posando entrambe le mani sulle spalle dell’amico – Ti ho sostenuto in passato e ti sosterrò ora, accettando tutti i rischi e le conseguenze che questa decisione implicherà – Shade sorrise fiducioso, portando Bright a fare lo stesso, nel fondo degli occhi una complicità che mai era stata tanto forte tra i due.
- Ti ascolto – concluse il duca, e Shade si preparò a raccontargli ogni cosa.


Angolo Autrice:

(*)
 L'episodio in biblioteca è avvenuto nel capitolo 14

Niente, non ce l'ho fatta ad aspettare, ho deciso di aggiornare anche questa fiction perchè ormai è da un pò che ho pronto l'aggiornamento e che la storia è ferma, e bisogna rimediare.
Dunque, ci troviamo all'ennesimo ballo, ma stavolta Shade non sembra essere presente. Non rammaricatevi troppo, perchè siamo solo all'inizio di questa serata, e spero di riuscire a tenervi incollate allo schermo del computer fino all'ultima riga da ora in poi.
La narrazione procede ancora lentamente... cosa credevate, che in quattro e quattr'otto vi svelassi tutto il mistero? Naaaa, sapete bene che non è da me! Intanto, però, Shade sembra abbastanza sicuro delle mosse da intraprendere da ora in avanti. Chissà se saprà stupirvi.
Ci vorrà ancora qualche capitolo prima della verità... e ho voluto rimandare l'incontro tra Rein, ormai consapevole che il visconte non è realmente un visconte, e Shade ancora un pò... come ve lo immaginate un successivo incontro tra i due? Sono curiosa di cosa la vostra immaginazione vi porta a pensare... 
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto, seguito e recensito la fiction, e che hanno contribuito a renderla così popolare. Ancora non ci credo quando compaiono nuovi lettori, nuovi recensori e nuovi preferiti! Grazie di cuore a voi che alimentate la mia ispirazione.
Vi saluto, e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Spero non rimarrete delusi.

Un bacio

_BlueLady_

 

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Capitolo 24
*** XXIII ***


~ CAPITOLO 23 ~
 
Aveva deciso di recarsi volontariamente in ritardo al ballo, per concedersi del tempo da solo per riflettere, e raccogliere le idee sul da farsi.
Una volta stabilito con Bright che con Altezza era decisamente più opportuno comportarsi come se nulla fosse, restava ancora da decidere come agire con Rein Sunrise.
Sbuffò adirato, pensando a quanto fosse stato sciocco a voler coinvolgere anche lei in quella losca vicenda, esponendola ad un pericolo che non era in grado di affrontare da sola.
Per tale motivo si stava recando a Villa Aqua, in quel momento.
Se nel ricevere l’invito al ballo la sua prima reazione era stata un gesto di stizza, capriccioso e risoluto, che l’aveva convinto a non prendere parte alla festa poiché giudicava partecipare all’evento una sciocca perdita di tempo, in un secondo momento dovette ricredersi quando gli balenò in mente la possibilità, più che lecita, che con ogni probabilità al ballo sarebbe stata presente anche Rein Sunrise, abbandonata a se stessa, indifesa, ignara del pericolo e facile preda dei marchesi di Windsworth.
La presenza di Bright non sarebbe bastata a tenerla lontana dal pericolo, e del resto non poteva permettersi un’altra distrazione come quella che aveva lasciato accadere con Altezza. Pertanto, dopo un rapido ragionamento che lo condusse alla sua decisione definitiva, si era deciso a salire in groppa a Regina, galoppando a tutta velocità per la campagna inglese.
Giunse a Villa Aqua un’ora e mezza dopo l’inizio del ballo, quando la festa era ormai nel pieno del suo svolgimento, ed anche gli invitati più ritardatari erano finalmente giunti a popolare l’enorme salone rigurgitante luce, sfarzo e scintillio da ogni dove.
Shade, ancora sulla porta d’ingresso, volse un’occhiata rapida tutt’intorno, riconoscendo tra le coppie danzanti, l’orchestra, e i gruppi di invitati fermi qui e là socializzare gli uni con gli altri, la figura della duchessa che si intratteneva piacevolmente con alcune dame del luogo, e, dalla parte esattamente opposta, la sagoma del Cavaliere accompagnato, come era ormai d’abitudine, dalla giovane e sorridente Fine Sunrise, persa negli occhi del giovane duca, incantata per ogni parola che pareva uscirgli di bocca.
Di Rein Sunrise neanche l’ombra.
Cominciò ad avvertire una sensazione opprimente chiudergli la bocca dello stomaco.
Apprensione, preoccupazione? Terrore?
Sbuffò contrariato, decidendosi finalmente a fare il suo ingresso nella villa, salutando con un cenno del capo frettoloso coloro che l’avevano riconosciuto e che rispettosamente si prestavano ad eseguire gli opportuni convenevoli, e poi sgattaiolò veloce tra la folla, senza guardare in faccia niente e nessuno, un cane a caccia della propria preda, in cerca di un paio di occhi color del cielo con i quali, da un po’ di tempo a quella parte, non aveva più avuto l’occasione d’incontrarsi.
 
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- Perché non ci allieti con una delle tue melodie, Rein?- le domandò Fine raggiante, indicando con un cenno del capo l’enorme pianoforte in legno bianco al quale, attualmente, sedeva una giovane donna in procinto di esibirsi per la folla di invitati.
La turchina volse lo sguardo fugacemente allo strumento, scuotendo poi la testa umilmente divertita dalle parole della sorella: - Non mi pare il caso di rovinare la festa a tutta questa gente soltanto per una sciocca mania di esibizionismo –
- Sono sicuro, signorina Sunrise, che siete molto più abile di quanto volete far credere- azzardò il duca di Tinselpearl in un sorriso – Vostra sorella vi ha fatto un’ottima pubblicità a riguardo- affermò poi, accennando uno sguardo alla giovane dai capelli rosso fuoco che già sentì le gote infiammarsi di vivo imbarazzo nell’udire quelle parole.
- Dico semplicemente la verità. Rein è una delle migliori esecutrici di sonate per pianoforte di tutta la contea- asserì impacciata, quasi giustificandosi della sfacciataggine per cui il duca l’aveva benevolmente voluta accusare.
- Fine è la mia ammiratrice più fedele, e certamente ciò che la spinge a proferire simili parole è l’affetto che prova nei miei confronti. Tuttavia ritengo davvero che i suoi complimenti siano eccessivi, sebbene li accetti e li apprezzi molto – rise Rein, osservando con tenerezza la sorella – Ci sono tanti altri appassionati di musica come me molto più portati e capaci, io strimpello soltanto per passare il tempo –
- Mi è difficile riuscire a giudicare se la vostra si tratta di falsa modestia oppure no senza avervi mai udita suonare, ma sono abbastanza sicuro di potermi affidare alle parole di Fine, e di potervi ritenere un’abile pianista. La prossima volta che riceverete un invito a villa Tinselpearl non mancherò di chiedervi di suonare per noi, in un clima più intimo e confortevole – sorrise dolcemente il duca, e Rein ricambiò amabilmente il sorriso, accettando di buon grado l’offerta del concerto privato.
Scambiate quelle poche parole, la coppia felice decise di assentarsi a chiacchierare da sola in un luogo più appartato lontano dal chiocciare della folla, e Rein li osservò nuovamente intenerita allontanarsi insieme, impacciati e timidi nel loro giovane amore, le mani che cercavano sempre il presupposto per un contatto le une con le altre, e gli occhi che di tanto in tanto si abbassavano accompagnati dal rossore sulle loro gote per qualche tenera parola d’amore sfuggita dalle labbra.
Sospirò malinconica, pensando a quanto sarebbe piaciuto anche a lei poter godere della compagnia del suo innamorato in quel momento, senza doversi nascondere dal mondo come se amare fosse un crimine, per lei.
La giovane pianista cominciò ad esibirsi circondata da un piccolo pubblico di parenti ed amici che la ascoltavano estasiati, ed anche lei decise di avvicinarsi di qualche passo per poterla ascoltare più da vicino.
La musica che stava suonando era una melodia piacevole, allegra, spensierata, giovane come l’età che dimostrava la fanciulla, che doveva avere sì e no intorno ai sedici anni.
Ogni tanto scappava qualche stonatura dettata dal troppo nervosismo e dall’emozione di esibirsi per la prima volta davanti alla società, ma nel complesso l’ascoltarla risultava piacevole.
Terminato il brano, la giovane fanciulla corse a rifugiarsi tra le braccia della madre sotto lo scroscio di applausi di amici e parenti, con le gote rosse di vergogna e le mani sul viso che celavano tra le dita un sorriso velato di imbarazzo.
Rein sorrise con loro, catturata dalla dolcezza del momento, e subito ecco un’altra pretendente farsi avanti di fronte al maestoso strumento, pronta a reggere il confronto con la prima coraggiosa artista che si era esibita.
Era una donna più matura della precedente, lo si capiva dalla sicurezza con cui si rapportava con le persone che non era la prima volta che si ritrovava sotto le attenzioni della società, anzi, si sentiva a proprio agio tra le moine dei gentiluomini e le adulazioni delle donne presenti.
Non poteva dirlo con assoluta certezza, ma Rein era sicura che la fanciulla avesse la sua stessa età, al limite due anni in più.
Quando posò le dita sulla tastiera, ecco scaturirne una melodia forte, decisa, quasi prepotente, altezzosa, di carattere, come lei.
Non una sbavatura si percepiva nello stacco tra una nota e l’altra, il suono era pieno, potente, sicuro, accattivante.
Rein riuscì a riconoscere un ottimo talento in quella giovane donna, e il pubblico le diede ragione quando, terminata la sonata, più di un invitato che si era fermato curioso ad ascoltarla, interrompendo la propria chiacchierata coi compagni, l’aveva applaudita con enfasi, entusiasta dell’esibizione.
- Un’esecuzione magistrale, non trovate anche voi?- sentì a un tratto una voce tenue e seducente domandarle alle spalle, che si era fatta prepotentemente spazio tra gli applausi del pubblico, e l’aveva fatta sobbalzare di sorpresa.  Quando Rein si voltò nella direzione da cui proveniva, ebbe un tuffo al cuore nel realizzare chi fosse il proprietario di tali parole, convinta che quella sera non ci sarebbe stata l’occasione di un incontro tra loro.
- Signor visconte – salutò con un cenno del capo l’imponente figura di fronte a se – Non mi aspettavo di trovarvi qui, questa sera. La duchessa mi aveva detto non sareste stato presente-
- Ho terminato il mio giro di affari prima del previsto, e ho realizzato di avere tempo sufficiente per rilassarmi un po’, dopo tanto lavoro – si giustificò lui, ricambiando il saluto.
La giovane donna al pianoforte, incoraggiata dall’entusiasmo del suo pubblico, prese l’iniziativa per cimentarsi in un nuovo brano.
- Vi trovo bene – asserì il visconte scrutandola con lo sguardo – Potrebbe andar meglio – sentenziò Rein con un’alzata di spalle, riversando nuovamente l’attenzione sulla pianista.
- Ha talento – osservò il giovane, interessandosi anche lui alla melodia proposta dalla giovane artista. Rein annuì – Ha la sicurezza necessaria per potersi immedesimare in un simile pezzo – asserì freddamente.
Il cuore aveva cominciato a batterle talmente forte in petto, che temeva il visconte potesse addirittura scorgere la sua sagoma prendere forma sotto il corpetto dell’abito.
- Mi è giunta voce che anche voi suonate il piano – le sussurrò lievemente all’orecchio, accorciando la distanza che li teneva separati.
- Ogni tanto, per passare il tempo – tagliò corto Rein, allontanandosi di scatto, sentendosi morire dentro dalla troppa vicinanza con quell’uomo magnetico.
A che gioco stava giocando?
- Il commento che avete fatto poco fa mi lascia presagire che vi intendete di musica più di quanto vogliate far credere – la stuzzicò il visconte, pizzicandole l’orgoglio.
- Non credo valga la pena che veniate a conoscenza del mio umile parere, esperto come siete in tante discipline – sibilò velenosa, il desiderio di troncare quella conversazione il prima possibile.
- Il mio parere da solo conta meno di zero, se nessuno si presta a confutarlo- asserì l’altro sempre più incalzante, andando a colpire proprio dove desiderava farlo.
Rein ridacchiò sommessamente, accogliendo fieramente quelle parole di sfida.
- Avete ragione, visconte: quella giovane donna ha talento, e certamente con qualche lezione in più potrebbe rivelarsi ancora più capace di quanto non lo sia già – asserì decisa, voltandosi lentamente nella direzione del suo interlocutore – Tuttavia, debbo darvi torto su un punto: non trovo affatto l’esecuzione del brano “magistrale”, come l’avete definita voi. Certo, le note sono impeccabili, il suono è pieno, pulito… tuttavia manca qualcosa al pezzo, qualcosa che non si può compensare con le sole capacità tecniche e lo studio – e qui si bloccò un istante, per poterlo guardare a fondo nelle iridi blu notte accese di interesse per lei – Mancano l’anima, il cuore… quando non c’è passione, l’emozione risulta fredda a chi ascolta. E d’altronde, un artista si esibisce sempre con l’intenzione di trasmettere qualcosa al proprio pubblico. Chi non ci riesce suona soltanto per se stesso, e allora non si parla di esibizione, ma di esibizionismo
Shade la osservò rapito pronunciare quelle ultime parole, ancora più colpito di quanto non fosse già da quella giovane fanciulla dal carattere indomabile.
- Pensate di riuscire a far meglio?- la sfidò diabolico, sul fondo dell’occhio una malizia impercettibile che non sfuggì alla giovane che aveva di fronte.
Rein rise provocatoria.
- Non sfidatemi – lo avvertì, e in quelle parole c’era molto più del semplice volere di difendere il proprio orgoglio personale di fronte a quell’atteggiamento così avventato del giovane uomo. Aveva voluto lanciargli un sottile avvertimento per tutto quanto il resto, ma non riuscì a carpire se il visconte l’avesse effettivamente colto, oppure no.
La giovane pianista terminò, sotto una nuova ondata di applausi, anche la seconda sonata, e subito si alzò dalla sedia, abbandonando la sua postazione, per essere accolta dalle adulazioni e dall’ammirazione del modesto pubblico che si era costruita.
Shade e Rein la osservarono prendersi fieramente tutta la gloria che quel breve attimo di fama le aveva concesso, poi si guardarono entrambi negli occhi, in silenzio, incatenati l’uno nelle iridi dell’altra.
Per un fugace momento ad entrambi sembrò di essere stati nuovamente proiettati al di là del tempo e dello spazio, in una dimensione ovattata, dove musica e chiacchiericcio degli invitati erano soltanto un mormorio lontano.
Nonostante l’astio e il rancore che Rein serbava per il giovane visconte, che continuavano a divorarla da dentro e alimentavano il suo animo inquieto, la giovane donna si stupì nel ritrovarsi così terribilmente a suo agio intrappolata all’interno di quelle iridi blu notte.
Era come se l’istinto volesse suggerirle qualcosa che la ragione ancora non aveva compreso.
Fu Shade, ancora una volta, a spezzare l’incantesimo creatosi tra loro, scoppiando in una risata sommessa che sapeva di malizia e provocazione.
Guardò prima lei, poi il pianoforte, poi ancora lei… e nel giro di un istante, senza mai perdere il contatto con le sue pupille, fece cenno con la mano in direzione dello strumento, reclinando un po’ la testa di lato ed inarcando le labbra nel suo sorriso sghembo, quasi volesse invitarla ad accomodarsi al pianoforte, per darle l’occasione di dimostrargli quanto effettivamente fosse capace.
Di fronte a tale visione, Rein non poté fare a meno di rabbuiarsi, colpita nell’orgoglio, nel petto un ribollire di astio, rabbia, passione e delusione bruciante, che si espandeva dal cuore fino a pizzicarle la punta delle dita.
Alzò la testa fieramente, sostenendo lo sguardo del visconte che ancora sogghignava provocatorio, in bocca l’amaro della verità che si faceva pesante, quasi nauseante, e si diresse a piccoli passi verso l’imponente strumento che già la stava chiamando a sé col suo canto seducente da inizio serata, e al quale si era finalmente decisa a cedere, spinta da un forte desiderio di sfida e consapevolezza.
Pensò amareggiata e ferita, che di fronte a quel gesto tanto sfrontato non aveva scelta di tirarsi indietro: se era la guerra che il visconte voleva, ebbene guerra avrebbe avuto.
Offesa dalla fredda e perfida intenzione con cui egli aveva voluto provocarla così apertamente, aveva scelto di cogliere la sfida, sostenendo fieramente il confronto, e si era decisa a porgliene una a sua volta, più subdola e velenosa.
Seduta al pianoforte, con già le dita che assaporavano la delicatezza dei tasti prima di dar loro vita, Rein Sunrise decise che, nella melodia che avrebbe suonato di lì a poco, avrebbe denunciato al visconte ed a tutti i presenti in sala tutta l’amarezza della cruda verità di cui era venuta a conoscenza, e la vergogna, il devasto, il rancore, la delusione per un amore tradito che ne erano seguiti.
Shade non meritava il suo silenzio. L’avrebbe sfidato apertamente, sbattendogli in faccia la verità.
Presasi un istante di raccoglimento per ordinare le idee in mezzo a quell’uragano di pensieri ed emozioni, posò tutte e due le mani sulla tastiera, e volse un ultimo sguardo in direzione del visconte, che aveva preso posto a sedere su una poltrona di fronte e poco distante da lei impaziente di godersi lo spettacolo, prima di cominciare.
Si sorrisero, ma era un sorriso velenoso e tagliente.
Shade incrociò gambe e braccia e attese. Rein osservò nuovamente i tasti di fronte a lei, e prese a suonare.
Cominciò, toccando prima un tasto, poi un altro, pigiando col piede i pedali sottostanti nel tentativo di produrre un suono tenue, sordo, incapsulato in una bolla ancora intatta.
Aggiunse una nota, poi due, poi tre, creando un coro di accordi perfettamente in sintonia l’uno con l’altro, forti nella loro debolezza, quasi fossero parole sussurrate all’orecchio.
Shade sorrise, abbandonandosi al piacere dell’ascolto. Quella musica sapeva di illusioni e speranze, di aspettative e realtà.
Rein continuò imperterrita a suonare, mentre già una notevole folla di invitati l’aveva accerchiata, rapita dalla musica.
Improvvisamente il suono da timido e soffocato, si fece più consistente e deciso, le note che si mescolavano tra loro in una musica dai toni ancora languidi e seducenti.
Shade ascoltava, mentre percepiva smuoversi qualcosa nel petto. Il sorriso scomparve sul suo volto, l’attenzione era tutta proiettata sul viso della turchina che, concentrata e protetta nella sua campana di vetro, parlava ai tasti del pianoforte, e lasciava che fossero loro a rivelare ciò che celava nel cuore.
La musica cambiò di nuovo, e crebbe nuovamente di tono. Adesso pareva quasi denunciare un’accusa, un tradimento, aveva il sapore di sconforto e disillusione. Una ferita si aprì nel cuore di Shade, che era ormai caduto in preda alla melodia, ed ascoltava con attenzione ogni singola parola che quelle note all’apparenza mute ed incomprensibili gli stavano dicendo.
Una densa folla di spettatori aveva ormai attorniato la turchina, ognuno in preda alla violenza di quel suono prepotente, vittime dell’incanto che Rein pian piano tesseva giocando con le note.
Shade chiuse gli occhi, assaporando sulla punta della lingua gli accordi, che parevano piovergli addosso con la forza e la violenza di un uragano. Li immaginava come dardi avvelenati, lanciati apposta per colpire un obiettivo, frecce scagliate per centrare un bersaglio, parlare all’anima, e trascinare anch’essa nello sconforto di quella musica struggente.
Era certo che la giovane donna stesse tentando di dirgli qualcosa, e si sforzava con tutto se stesso nel tentativo di decriptare quel messaggio che soltanto lui era riuscito a cogliere tra le righe dello spartito.
La melodia crebbe ancora, in quello che era l’apice, la vetta, la fine di quel canto straziante a cui aveva voluto dar voce. Il volto della turchina era impassibile, concentrato, raccolto nella tempesta che le infuriava dentro. La fronte era imperlata di sudore, il respiro si faceva pesante, le dita premevano violentemente i tasti, quasi volessero stremarli, consumarli, prosciugarli di tutta la loro linfa vitale.
Il suono, accompagnato dalla vibrazione del pedale che amplificava l’eco e le emozioni, si espanse, andando a riempire ogni angolo della stanza, ed era incontrollabile, impetuoso come un fiume in piena, ridondante, accattivante, accusatorio, il grido di un animale ferito a morte.
Sotto la potenza di quegli accordi discordanti tra loro, stridenti come una forchetta che graffia il piatto di porcellana, l’attenzione di tutta quanta la sala si riversò sul pianoforte, verso l’artista che si stava esibendo. Gli occhi di tutti gli invitati erano solo per Rein, e Shade, il cuore pieno di un’inspiegabile malinconia, vide compiersi sotto ai suoi occhi la meraviglia di quel miracolo.
Perfino l’orchestra aveva ammutolito gli strumenti, ed ascoltava sconcertata e basita l’esecuzione magistrale della giovane turchina, commossa nell’anima.
Shade prendeva coscienza di ogni nota, e la incamerava, la elaborava, la masticava, la deglutiva, prendendo sempre più coscienza della verità.
Quella musica gli stava parlando al cuore, quasi a volergli dire “io so”. Nell’esplosione degli accordi finali, un tripudio di disperazione, consapevolezza, rancore, Shade riuscì a toccare, a sentire tra le mani, la solenne fragilità del sentimento di disillusione e amore perduto che stava devastando l’animo di Rein Sunrise.
Lo percepì, lo comprese, lo fece suo, e subito lo stesso fiele amaro e velenoso prese a scorrergli nelle vene, andando ad infettare ogni cosa, cuore, mente, stomaco, bruciandogli gli occhi, graffiandogli la pelle.
Gli ultimi accordi furono secchi, asciutti, fini a se stessi, come singhiozzi che accompagnano la fine di un pianto incontrollato.
Sulla nota finale, Rein schiacciò con forza i tasi del pianoforte, quasi pervasa da un’ondata di rabbia, quasi volesse distruggere ciò che l’aveva aiutata a sfogare ciò che aveva dentro.
Terminò, stremata, gli occhi lucidi e brucianti, l’eco dell’ultimo accordo che ancora aleggiava nell’aria, e andava a perdersi in quell’atmosfera atona, sospesa, immobile, tesa, il respiro mozzato, la mente annebbiata.
Si osservò intorno spaesata, quasi a riprendere coscienza di se stessa, guardando uno ad uno gli invitati attorno a sé, che ricambiavano lo sguardo commossi e sconcertati quanto lei, più di lei.
Alzò piano la testa, immersa nel silenzio più assoluto, sospirando sfinita, in cerca di un segno di vita, un cenno, un gesto di approvazione o disapprovazione.
Shade, lo sguardo piantato sul volto della turchina e la bocca tremante, si fece trascinare con lei nel vuoto che seguì quell’esplosione di emozioni.
Il silenzio saturò ancora qualche istante l’aria, prima di essere interrotto dall’esplosione di una, dieci, cento mani che battevano all’unisono, accompagnate da grida e urla di incitamento, di approvazione, di acclamazione per quella giovane donna che, in soli cinque minuti, aveva stravolto l’animo di tutti i presenti.
Rein si osservò intorno ancora spaesata, ancora sospirante per il fiato corto, incapace di realizzare che tutto quel tramestio, tutto quell’entusiasmo, tutta quella gloria erano per lei, e lei soltanto. Perfino i membri dell’orchestra si misero ad applaudirla, con gli occhi lucidi e il cuore gonfio di ammirazione.
Shade vide Rein sorridere confusa a molte delle persone che le si erano avvicinate, idolatrandola come una dea.
Sorrise sconfitto, realizzando quanto era stato imprudente nel volerla sfidare così apertamente.
Sporgendosi dalla poltrona nel tentativo di incrociare il suo sguardo, si rese conto soltanto in quel momento che la sua posizione non era più quella assunta all’inizio del brano, a braccia conserte e gambe incrociate, composta e imperturbabile, ma era tutta proiettata in direzione della turchina, le mani che arpionavano i braccioli della poltrona quasi a volerli smembrare, la schiena a venti centimetri di distanza dallo schienale, il petto proiettato in avanti, coinvolto e attratto dal magnetismo a cui Rein, con le sue note, era riuscito a soggiogarlo, le gambe rigide e ben piantate al suolo, cariche di un impulso di precipitarsi laddove la folla tendeva ad addensarsi tenuto a freno soltanto dalla ragione.
Il visconte realizzò cosa Rein Sunrise, semplicemente suonando un pianoforte, era stata capace di fargli, e rise tra sé e sé, una risata che sapeva di consapevolezza e peccato di presunzione.
Tentò ancora di catturare lo sguardo della turchina tra la folla.
Rein, ancora disorientata e sballottata da un complimento all’altro, riuscì a trovare un attimo per volgere lo sguardo nella direzione dove aveva lasciato il visconte all’inizio dell’esibizione, e si stupì nel rivederlo ancora lì, seduto placidamente sulla poltrona dopo aver riacquistato il controllo di sé, sorriderle sinceramente colpito.
Si guardarono nuovamente occhi negli occhi, più consapevoli l’uno dell’altra, ed improvvisamente Rein lo vide fare una cosa che non si sarebbe mai aspettata di vedere da un tipo orgoglioso come lui, incapace di ammettere la sconfitta.
Shade la applaudì da lontano, gli occhi carichi di ammirazione, illuminati di una luce tutta nuova, intensa, quasi… innamorata.
Fu la frazione di un secondo, poi Rein si riscosse da quel pensiero che era tornato a farle palpitare il cuore, e si ricompose, assumendo un atteggiamento distaccato, di umile ringraziamento.
Lo guardò negli occhi ancora per un istante, e gli fece un cenno di assenso col capo, prima di alzarsi dalla sedia ed abbandonare la sua postazione, inseguita dall’eco della folla ancora in visibilio per lei.
 

Angolo Autrice:

Questa volta aggiorno prima del previsto, come potete ben vedere. Dopo la laurea ho avuto un pò di tempo per riordinare le idee, e soprattutto per scrivere, e sono contentissima di essere finalmente riuscita a riprendere i capitoli di questa storia: non potevo fermarmi proprio adesso che la verità sta per essere svelata.
Lo so che lo scorso capitolo mi avete odiata profondamente, e questo capitolo mi odierete ancora di più. Vi chiedo solo di pazientare ancora un pò, perchè presto vi svelerò ogni segreto. Nel frattempo, allieto l'attesa con qualche bel momento ShadexRein, che non guasta mai e so che fa bene ai vostri cuoricini bluemoon quanto fa bene al mio.
Che dire? Spero che abbiate gradito il capitolo. Personalmente sono molto soddisfatta: mi piace questo scontro che sono risucita a creare sfruttando semplicemente i tasti di un pianoforte... diciamo che varia un pò dai soliti clichè, e lo trovo altrettanto romantico. Spero non abbia deluso neanche voi.
Preparatevi, perchè a questa festa capiteranno tanti eventi significanti, che non potete assolutamente perdervi. Tutto viò che vi anticipo è questo. Non odiatemi, vi prego: sapete bene che vivo di suspence.
Ho deciso di postare prima del previsto, perchè dalla prossima settimana me ne vado in vacanza: eh, si, avete capito bene, vado al mare, finalmente, a godermi un pò di sano relax dopo un anno decisamente impegnativo in cui non sono stata ferma un attimo... ne ho davvero bisogno! 
Quindi ho deciso di aggiornare prima del previsto, per farvi un piccolo regalino pre-partenza: serverà a tenere a freno la vostra curiosità fino al mio ritorno. A quel punto, spero di avere completamente riordinato le idee, per poter finalmente scrivere i capitoli conclusivi e portare a termine questa lunga storia a cui ormai mi sono affezionata parecchio.
Come al solito voglio ringraziare chi mi ha seguita fin qui: le mie meravigliosi lettrici che non mancano mai di lasciarmi un commento, e tutti i lettori silenziosi che inseriscono la fic tra le seguite e le preferite... siete davvero tanti! Non avrei mai immaginato di poter riscuotere così tanto interesse da parte vostra! 
è grazie a voi se trovo ogni volta l'ispirazione per portare avanti questa fiction, quindi questo capitolo ve lo dedico tutto. Spero lo amerete come lo amo io.
Vi saluto, dandovi appuntamento a fine estate per un nuovo, scoppiettante aggiornamento.
Non disperate: la soluzione del mistero è vicina! 
Cos'altro pensate potrà succedere nel corso di questo ballo? E secondo voi quali sono le macchinazioni che stanno sotto questa intricata vicenda?
Vi bacio e vi abbraccio tutti

_BlueLady_
 

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Capitolo 25
*** XXIV ***


~ CAPITOLO 24 ~
 
- Rein, sei stata straordinaria!- le saltò al collo Fine in preda alla più completa euforia, sbucando dalla folla ancora accalcata su di lei.
Rein accolse la sorella tra le braccia, riscuotendosi dal suo stato di trance.
- Ti ringrazio, Fine- riuscì a mormorarle all’orecchio, la mente ancora occupata da infiniti pensieri.
- Davvero, signorina Sunrise, un’esecuzione magistrale, se posso esprimermi- rincarò la dose il duca, sempre al fianco della sorella – Fine aveva ragione a tessere così tante lodi su di voi. Mai parole furono più veritiere: siete davvero una grande pianista. Il vostro talento qui è sprecato. Vi vedrei bene ad esibirvi nei salotti di Londra – asserì sincero, gli occhi che brillavano di soddisfazione.
- Vi ringrazio delle belle parole, duca, sono lieta abbiate apprezzato – sorrise Rein, ancora con addosso l’inquietudine del suo ultimo scambio di sguardi con il visconte.
- Rein, ti sento turbata, c’è forse qualcosa che ti affligge?- le domandò la sorella all’orecchio, avendo cura di non farsi udire da Bright.
Quelle parole la fecero trasalire, e subito la mente tentò di articolare una giustificazione plausibile al suo comportamento: - Assolutamente, Fine, sto bene. Sono solo un po’ frastornata dalla mia esibizione, mai mi sarei aspettata di fare un simile successo!- rise, e in parte ciò che diceva corrispondeva alla verità.
Vide Fine osservarla interrogativa, nel fondo degli occhi un dubbio che non accennava a dissiparsi.
- Adesso, se vuoi scusarmi, vado fuori a prendere una boccata d’aria. Questo spettacolo improvviso mi ha lasciato senza fiato ed energie, qui dentro mi manca il respiro - tagliò corto per sviare un confronto che certamente l’avrebbe condotta a nuove confidenze che era opportuno che Fine non conoscesse.
Volse un cenno di saluto frettoloso al duca, e si addentrò tra la folla in direzione della porta di ingresso, desiderosa di allontanarsi da tutto e da tutti, e stare sola con i propri pensieri.
Una sensazione opprimente andava a gravarle sul petto togliendole il respiro, e non riusciva a togliersi dalla mente il terribile senso di colpa che aveva cominciato a pungolarle l’animo dopo la sua esibizione al pianoforte.
Come aveva potuto essere stata tanto sciocca da cedere alle provocazioni del visconte?
Perché non si era lasciata scivolare tutto addosso, lasciando che pensasse male di lei? Per quanto la riguardava, non le importava niente se quell’uomo dal fascino oscuro avesse pensato, in seguito ad un suo rifiuto, che le sue erano soltanto parole dettate da invidia e presunzione. Avrebbe potuto ritenerla una codarda, una perfida sentenziatrice senza esperienza, il suo giudizio poco le importava.
E allora perché aveva ceduto? Perché si era lasciata trascinare dall’incessante desiderio di volergli dimostrare a tutti i costi qualcosa?
La verità le piovve addosso, come una secchiata di acqua gelida sulla schiena.
Probabilmente perché, che lo volesse o meno, ancora non riusciva ad evitarsi di volersi mettere in buona luce di fronte ai suoi occhi, nello sfacciato desiderio di essere finalmente ammirata da lui, di cercare la sua approvazione per quello che era, e di essere accettata.
Cercava la sua approvazione, semplicemente perché la desiderava. Ecco perché aveva agito di conseguenza.
Quella consapevolezza le fece realizzare, non senza compatirsi, che sebbene la ragione volesse imporle a tutti i costi di odiare Shade Moonville per le sue menzogne, per la sua presunzione e la sua pienezza di sé, il suo cuore non poteva fare a meno di desiderarlo ancora, nonostante si sentisse profondamente tradita da lui.
Era ormai giunta all’ingresso pervasa da cento emozioni diverse, quando uno tra gli invitati la fermò, desideroso di congratularsi con lei per la splendida performance, e invitandola a sedersi ad un tavolo con altri invitati per intrattenersi insieme nel gioco dell’alfabeto. (*)
Rein declinò gentilmente l’invito, troppo appesantita dalle emozioni anche solo per pensare di distrarsi, ma quelli insistettero tanto ardentemente, pregandola di sedersi con loro, che ogni tentativo di rifiuto fu vano.
Si ritrovò seduta al tavolo in mezzo a volti di donne e uomini sorridenti, il posto di fronte a lei vuoto, e le tessere dell’alfabeto sparpagliate sul tavolo, pronte ad essere intrecciate insieme in mille modi diversi per dare vita ad infinite parole.
Presa dalla confusione del momento, combattuta interiormente e frastornata dalle mille domande che coloro che erano seduti al tavolo con lei le porgevano interessati, presto si rese conto, con suo grande stupore e non senza trovare la situazione paradossalmente ironica, che non era in grado di formulare neanche una parola di senso compiuto. Lei, che fino a poco prima era riuscita a dare vita ad un racconto semplicemente sfiorando i tasti di un pianoforte.
Le mancava uno stimolo che la spingesse a comporre.
Rise di se stessa, e mentre ancora mentalmente non riusciva a capacitarsi della situazione, notò un’altra figura prendere posto sulla sedia vuota di fronte a lei.
Alzò lo sguardo, e nuovamente due iridi blu notte le penetrarono il cuore, leggendole l’inquietudine che aveva dentro.
Il visconte di Moonville. Ancora.
Subito si rabbuiò, senza capire il perché quell’uomo tanto solitario e asociale, improvvisamente si era fatto così insistente ed assillante.
Cosa voleva ancora da lei?
Senza dire una parola, il visconte prese ad osservare le tessere sparpagliate sul tavolo, raccogliendone qualcuna e mettendole in fila di fronte a sé con l’intento di creare qualcosa.
Rein lo osservava con la coda dell’occhio, attenta e diffidente, senza riuscire a carpire il significato della misteriosa parola finché anche l’ultima lettera non fu posizionata al suo posto.
Il visconte le sorrise saccente, invitandola a leggere ciò che aveva composto per lei.
Rein allungò lo sguardo, sporgendosi verso di lui, nel tentativo di leggere.
Le lettere messe assieme citavano la parola “incantevole”.
Restò a fissarle per qualche secondo, poi volse uno sguardo interrogativo al visconte, che rispose con un cenno del capo in direzione del cumulo di lettere, invitandola a rispondere.
La turchina osservò prima lui basita, poi le tesserine bianche e nere di fronte a sé.
Tentò con tutta se stessa di decifrare il significato di quel complimento all’apparenza adulatorio e remissivo: un ipotetico ed impacciato tentativo di scusarsi per averla sfidata così sfacciatamente, oppure un’ulteriore provocazione?
Ci pensò su qualche secondo, e nel vedere spaziare sul volto del visconte il suo solito sorriso sghembo e saccente, gli occhi accesi di malizia, giunse alla conclusione che doveva trattarsi per forza di una nuova dichiarazione di guerra, e non di un modesto tentativo di riappacificazione.
Inacidita ed infastidita da quel gesto, cercò con foga le lettere per mettere insieme la sua risposta.
Quando le trovò, sorrise soddisfatta, ed invitò il visconte a leggere, come lui aveva fatto con lei, ciò che aveva scritto.
Shade abbassò lo sguardo interessato, e lesse la parola che Rein Sunrise aveva creato per lui.
“Menzogna”.
La guardò negli occhi senza capire, le iridi cristalline che lanciavano dardi avvelenati, desiderose di fargli carpire qualcosa che già gli era stata rivelata tra le righe, quando l’eco dei tasti del pianoforte risuonava per la sala.
Rein aveva voluto cogliere l’ennesima occasione per renderlo consapevole. Era decisa a non tacere, andando contro qualsiasi principio e scrupolo che si era fatta fino a quel momento.
Se lui non cessava di tormentarla, allora anche lei avrebbe fatto la sua parte.
Il visconte osservò ancora un istante perplesso le tessere bianche e nere sputargli in faccia quella muta accusa, poi pescò altre otto lettere dal mucchio, intenzionato a portare avanti quella silenziosa conversazione.
La parola che scrisse citava “modestia”.
Rein rise, rendendosi conto che, ancora una volta, era stata troppo discreta nel proferire la sua sentenza o, forse, il visconte si sforzava a tutti i costi a non voler cogliere la sua provocazione.
Decise di esporsi un’ultima volta.
Pescò ancora sei lettere dal mucchio, e compose la parola “svista”.
Stette a braccia conserte, gustandosi l’espressione confusa e perplessa del visconte analizzare la parola a fondo, rigirandosela nella mente e studiandola da ogni angolazione.
Shade stette qualche minuto a pensare, sotto lo sguardo freddo e impassibile di Rein che attendeva impaziente una sua reazione. Quando al visconte balenò in testa un’illuminazione, le iridi buie si accesero di consapevolezza mista al terrore di essere stato effettivamente scoperto.
Guardò Rein negli occhi un istante, ricevendo in risposta soltanto un’occhiata amareggiata, delusa e ferita, nascosta dietro le iridi cristalline rese lucide da una sottile pellicola di lacrime.
Il vuoto allo stomaco si impadronì di lui, e subito Rein si alzò di scatto dalla sedia, congedandosi dal resto del gruppo, fuggendo di nuovo tra la folla, lontano dalla causa di tanto male.
- Aspettate!- tentò di fermarla lui, balzando in piedi ed allungando il braccio nel tentativo di fermarla, ma Rein era già lontana dalla sua vista.
Strinse i denti, mentre il sospetto sempre più incalzante si faceva spazio nella sua mente.
Ripensò attentamente alle due parole che Rein Sunrise gli aveva indirizzato.
Possibile che…?
Senza pensarci due volte, abbandonò il tavolo da gioco, e si fiondò dietro la turchina, deciso a dissipare quel dubbio che ormai si era impossessato prepotentemente di lui.
 
¤¤¤¤¤¤
 
- Rein Sunrise?- trillò una voce alle sue spalle, mentre tentava di farsi disperatamente spazio tra gli invitati, prima che il visconte potesse raggiungerla di nuovo.
Si voltò di scatto, spazientita, chiedendosi chi altri ancora desiderasse parlare con lei quella sera.
Si stupì nel trovarsi di fronte, altezzosa e superba, la figura della marchesa di Windsworth ad attenderla trepidante poco distante da dove si trovava lei, un sorriso caldo e rassicurante che la incoraggiava ad avvicinarsi.
- Signora marchesa – salutò rispettosamente, dedicandole un timido inchino.
Sophie si crogiolò in quel fugace istante di gloria.
- Buonasera, cara. Ho incontrato vostra sorella Fine poco fa, e mi stavo chiedendo come mai non foste venuta anche voi alla festa. Invece eccovi!- esclamò, con tutto il calore che il suo freddo carattere le permetteva di esibire – Che piacere vedervi!-
- Il piacere è mio – biascicò Rein, confusa e disorientata da tanto entusiasmo.
La marchesa si ricompose, e prese a scrutarla attentamente con lo sguardo da capo a piedi, facendo sentire la turchina non poco in soggezione di fronte a quell’attenta analisi.
- Sembrate sconvolta, mia cara. Siete pallida come un cencio lavato – osservò la donna, avvicinandosi – Qualcosa vi turba?- le domandò.
Rein non riuscì a trovare le parole per rispondere. La marchesa, tuttavia, non parve farci troppo caso. Continuava ad osservarla meticolosamente, quasi volesse imprimersi nella memoria ogni dettaglio.
- Indossate un abito incantevole stasera – asserì placidamente, cominciando a girarle intorno per poterlo osservare da più angolazioni – Delizioso, dico sul serio. Suppongo che vostra madre abbia fatto riferimento ai servigi del miglior sarto della contea per potervi presentare al meglio a questo evento –
Rein rimase paralizzata, incapace di comprendere il fine di quella conversazione.
La marchesa schioccò la lingua in segno di dissenso: - Tuttavia- mormorò, soffermandosi di fronte a lei – manca qualcosa. Un decoro, un particolare, qualcosa che vi faccia risplendere – e si mise ad analizzarle il decolleté, reso visibile dalla scollatura un po’ più azzardata del solito - Un gioiello, magari…- suppose in un ghigno malizioso, e calcò volutamente quella parola, quasi volesse concentrare tutta l’attenzione di Rein su quel particolare.
La turchina sbatté due volte le palpebre, tentando di comprendere il significato di quella sottile allusione, il cuore che perdeva di un battito.
La marchesa sbuffò annoiata, scostandosi da lei per lasciarle un po’ di respiro, dopo averla marcata stretta come un predatore fa con la propria preda.
- Vi capisco, sapete – sospirò, assumendo un tono falsamente preoccupato che sfuggì alle orecchie della turchina – anche io da una settimana a questa parte sono alquanto turbata. Quasi non ci dormo la notte. E mi pare logico – rise tra sé e sé – visto che è proprio di notte che si è verificata la ragione del mio turbamento –
Rein tentò con tutta se stessa di proferire qualcosa, una domanda, un dubbio, ma le parole non vollero collaborare. Se ne restò in silenzio, ad ascoltare ciò che la marchesa aveva da dirle.
- Vedete, mia cara – cominciò con tono suadente e persuasivo – circa una settimana fa, nel cuore della notte, mi è capitata una visita inaspettata. Vi parrà alquanto strano, ovviamente, che qualcuno possa venire a disturbarmi a notte inoltrata, eppure è successo – Rein pensò con non poca ironia quanto quelle parole le parevano paradossali, visto e considerato che ormai casa sua era frequentata da visitatori inaspettati più di notte, che di giorno. La marchesa sospirò, il suo animo si fece inqueto ed agitato – Dormivo placidamente nella mia camera, quando un incauto visitatore ha osato addentrarsi tra le mura di casa mia, per impossessarsi di un oggetto che non gli apparteneva. Un gioiello, per l’esattezza – a quella parola, piantò le pupille in quelle della turchina – Non immaginate lo spavento quando me lo sono trovata, minaccioso come un corvo, esattamente sopra di me, un coltello in mano pronto ad uccidermi nel sonno pur di ottenere quello che tanto avidamente desiderava – (**)
La mente di Rein registrava con cura ogni informazione, comprendendo a piccoli passi dove la marchesa intendesse condurla.
- Colta da un curioso presentimento, mi sono destata dal sonno, e ho gridato con tutto il fiato che avevo in corpo quando ho preso coscienza di ciò che stava succedendo. Ho chiamato disperatamente mio fratello perché venisse in mio aiuto, ma la fortuna aveva deciso proprio di non assistermi, dato che quel mascalzone aveva deciso proprio quella sera di tornare tardi a casa dalla sua uscita serale con gli amici. Allora ho preso coraggio, mi sono fatta forza, e ho tentato da sola di difendermi da quello spietato ladro assetato di sangue –
Rein incamerava ancora ogni parola, il cuore in petto che accelerava il battito sempre di più.
La marchesa sospirò affranta: - Ho fatto quel che ho potuto, naturalmente, ma quel mascalzone era più forte di me. Del resto, cosa può fare una misera donna, contro un energumeno armato e addestrato al combattimento?- e le mostrò, senza vergogna, la profonda cicatrice che le spaziava sul collo, esattamente all’altezza della giugulare, segno inconfondibile che ciò che stava raccontando corrispondeva alla verità.
Rein si sentì mancare la terra sotto i piedi. Sophie ringhiò, offesa e stizzita per l’affronto subito: - Non so come, ma sono riuscita a salvarmi. Per il gioiello purtroppo però, non c’è stato nulla da fare – ridacchiò tra sé e sé, nella voce un velo di malignità – Però – asserì perfida – un piccolo ringraziamento per la sua gentile visita ho voluto lasciarglielo lo stesso. Mentre lottavo invano per sfuggire alla mia morte, sono riuscita, non so come, a direzionare il coltello verso di lui, e a ferirgli volontariamente il braccio sinistro, distraendolo dalla sua furia omicida, e dandomi il tempo di scappare per cercare aiuto da uno dei miei domestici, al piano di sotto, che dormivano e non si erano accorti di nulla. Quando sono tornata con loro al piano di sopra, ovviamente, il ladro era fuggito, e si era portato via con sé il gioiello –
La freddezza con cui raccontava certi particolari era a dir poco sconcertante.
La marchesa le sorrise, senza perdere quell’atteggiamento quasi materno che le ispirava la giovane turchina.
- Vi starete domandando il perché mi sia abbandonata con voi a questa confidenza – sussurrò pacatamente, gli occhi pieni di sincera apprensione – Desideravo mettervi in guardia, signorina Sunrise. Non ho intenzione di sporgere denuncia e diffondere nuovamente il panico per la contea per un gioiello insignificante. Tengo tuttavia a cuore gli amici, dunque ho pensato che mettervi al corrente della situazione potesse giovare a voi e alla vostra famiglia – sorrise incoraggiante, l’animo più leggero per la buona azione appena compiuta.
- Chi era il ladro che ha tentato di derubarvi?- proferì finalmente Rein, nel petto un incessante tramestio che andava a rimbombarle fin nelle orecchie.
La marchesa rise, incredula che la giovane avesse potuto porle una domanda così scioccamente ingenua: - Come?- esclamò tra le risate – Non lo indovinate?-
Rein, perfettamente consapevole, volle che fosse lei a pronunciare il fatidico nome.
- Ma Eclipse, ovvio!- asserì l’altra ancora sogghignando, mettendosi discretamente a posto l’acconciatura.
Per quanto fosse preparata a ricevere quell’ennesimo colpo, Rein non poté evitare di infrangersi sotto il peso di quelle parole pronunciate con così tanta leggerezza.
Le riusciva davvero difficile credere che Eclipse potesse essere capace addirittura di uccidere, pur di ottenere ciò che voleva.
Del resto, però, come poteva fidarsi di una persona che si era presentata a lei sotto un falso nome, di cui sapeva per certo essere un criminale temuto e ricercato da tutti?
Rise di nuovo di se stessa, trovandosi terribilmente patetica.
Possibile che l’amore la spingesse ad umiliarsi tanto?
Avrebbe voluto chiedere ancora tante cose alla marchesa, per togliersi i mille dubbi che le erano sorti, ma non le fu possibile farlo, giacché il fratello, giunto da loro proprio in quell’istante, necessitava della sua presenza, ed era venuto apposta per portare la sorella via con sé, trascinandola a discutere di affari ben più importanti delle eccessive curiosità di una ragazzina in preda al suo primo amore.
- Sophie – aveva detto, dopo essersi scusato dell’intrusione – la contessa di Darthmour desidera parlare con te. Adesso – calcò l’ultima parola, facendo intendere che era urgente.
- Vogliate scusarmi – si rivolse Sophie a lei con un sorriso di scuse – è stato un vero piacere chiacchierare con voi – e si allontanò accompagnata dalla figura del fratello, confondendosi tra la folla.
Rein rimase sola, affranta e col cuore spezzato, in preda a infiniti dubbi, sfiduciata, rattristata, ferita.
- Tempismo perfetto – sussurrò soddisfatta la marchesa all’orecchio del fratello, mentre camminavano a braccetto sotto gli sguardi indiscreti degli altri invitati.
- Com’è andata?- le chiese lui di rimando, avendo cura di non farsi sentire da nessuno a parte lei.
Sophie ghignò vittoriosa, la più completa soddisfazione che spaziava sul suo affascinante volto da nobildonna.
- Ha abboccato – asserì – adesso dobbiamo soltanto aspettare che il resto si compia da sé –


Angolo Autrice:

(*) Il gioco dell'alfabeto è una sorta di scarabeo dell'Ottocento
(**) L'episodio a cui fa riferimento la marchesa è successo nel capitolo 20

Torno dalle vacanze con un bel regalo per voi, come vedete.
Eh si: aggiorno ancora una volta, dopo un'estate all'insegna del relax e del mare (ci voleva!).
Come vedete è un altro capitolo di transizione, ma succedono comunque cose importanti, e soprattutto che preannunciano eventi che accadranno nei prossimi capitoli: già da quello successivo un altro tassello tornerà al suo posto, e da ora in poi direi che sarà sempre così per vostra gioia.
Nelle recensioni ho ricevuto tanti insulti in merito al fatto che ancora non vi voglio svelare niente... eh, lo so, mi odiate, ma davvero ormai siete arrivate fin qui, e tanto vale continuare a leggere per scoprire cosa c'è sotto, no? Manca pochissimo, lo giuro!
Il post di oggi è anche un modo per festeggiare le oltre cento recensioni ricevute per questa storia! Sembrerà banale, ma per me significa tanto, e sinceramente non mi sarei mai immaginata di ottenere questo discreto successo, contando anche il numero di preferiti, quindi sono più che soddisfatta, e festeggio regalandovi un nuovo pezzo di questa storia, che spero gradirete.
Preparatevi per il colpo di scena: siamo agli sgoccioli!
Grazie a tutti coloro che mi seguono così appassonatamente: siete fondamentali!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Baci

_BlueLady_

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Capitolo 26
*** XXV ***


~ CAPITOLO 25 ~
 
L’aveva persa di vista ormai da mezz’ora, e Dio solo sapeva cosa poteva essere accaduto in quell’arco di tempo che era sfuggito al suo controllo.
Percepiva il sangue ribollirgli nelle vene, il panico impossessarsi di lui, il cuore stretto in una morsa, la mente annebbiata.
Mille dubbi assillavano i suoi pensieri, e mille supposizioni si addentravano altrettanto prepotentemente ad ingarbugliare il suo stato d’animo, rendendolo incapace di ragionare lucidamente sugli eventi accaduti quella sera.
Non sapeva dire con assoluta certezza se la decisione definitiva di recarsi al ballo fosse stata una saggia idea o meno.
Certo era che si era lasciato prendere un po’ troppo la mano in certe occasioni, e neanche lui riusciva a spiegarsi il motivo di certe azioni che aveva compiuto inconsciamente.
Provocare Rein Sunrise in quella maniera… cosa gli aveva suggerito il suo stupido istinto?
Si sarebbe dovuto limitare ad osservarla da lontano, senza essere visto. Un’ombra silenziosa che vegliava dall’alto su di lei. E invece si era lasciato tentare come uno sciocco dal parlarle.
Percorreva disperatamente ogni angolo della sala nel tentativo di trovarla.
Non poteva permettere che si avvicinassero a lei. Anche solo per parlarle. L’animo della giovane era già abbastanza turbato, e ulteriori parole volte a confonderla l’avrebbero spinta nel più totale sconvolgimento, rendendola incapace di distinguere il giusto dal torto.
Si fece largo ancora tra la massa di invitati, sgusciando sinuoso come un serpente tra una schiena e l’altra, lo sguardo in mille direzioni pur di trovarla.
Cercò alla cieca, finché finalmente non la vide, appartata in un angolo, chiacchierare amichevolmente con una figura dal portamento elegante.
Il suo cuore perse di un battito quando realizzò chi fosse l’ignota compagnia della giovane turchina.
Sophie Windsworth.
Strinse i denti, sentendo la rabbia infiammargli le vene.
Era arrivato troppo tardi.
Con atteggiamento indifferente, silenzioso e senza dare nell’occhio, tentò di avvicinarsi il più possibile alla coppia, nascondendosi tra gli ospiti, tendendo l’orecchio nel tentativo di carpire qualche parola del discorso che stavano intrattenendo, ma il vociare della folla gli impediva qualsiasi riuscita nell’impresa.
Decise allora di acquattarsi in un angolo, e aspettare che la marchesa si allontanasse per poi avvicinare la fanciulla prima che sfuggisse un’altra volta alla sua vista.
Nel tentativo di nascondersi con atteggiamento cauto e discreto, i suoi occhi si scontrarono con un altro paio di pupille dai toni altamente familiari. Trasalì, i nervi troppo tesi e in petto un’agitazione al di fuori del normale che lo resero incapace di gestire il fatto di essere stato colto di sorpresa.
- Bright – pronunciò in un sospiro, riconoscendo in quel paio d’occhi le iridi calde e confortevoli dell’amico fedele.
- Shade, non mi aspettavo di trovarti qui – asserì il duca sorpreso, sorridendogli – Credevo avessi deciso di non presentarti stasera. Poi ecco che colgo la tua figura sgusciare indiscreta tra un invitato e l’altro. Per un attimo ho temuto di avere le allucinazioni – rise – Invece sei proprio tu –
Il visconte annuì, cupo: - Ho deciso di rivedere i miei piani, e partecipare ai festeggiamenti. Rein Sunrise sa qualcosa – annunciò poi all’amico, il cui sorriso scomparve dal volto non appena udì le sue parole.
- Credi… credi che possa…?- proferì l’altro, ma fu prontamente interrotto dal visconte che non cessava di osservare con la coda dell’occhio i movimenti della marchesa, in attesa di precipitarsi dalla fanciulla, ignaro bersaglio della donna – Non lo so, ma intendo scoprirlo al più presto – affermò deciso, l’impazienza che agitava le sue membra – In cambio, però, devo chiederti un favore – sentenziò poi verso l’amico, dirigendo lo sguardo su di lui.
- Certamente – asserì Bright deciso.
- Ho bisogno che tu tenga occupate due persone per me per il resto della serata. Assicurati che non cerchino mai di avvicinarsi, mentre cerco di carpire qualche informazione in più dalla giovane signorina Sunrise –
- Conta su di me – rispose il biondo non appena gli ebbe indicato chi fossero gli obiettivi di tale compito.
I due si scambiarono uno sguardo di muta intesa, contando impazienti i minuti che passavano, fin quando finalmente non sopraggiunse il marchese di Windsworth a distogliere l’attenzione della marchesa da Rein. Quando videro i due allontanarsi e scomparire tra la folla, Bright si fiondò al loro inseguimento dopo aver rivolto un frettoloso cenno del capo in direzione di Shade, mentre il visconte non perse tempo, e sopraggiunse velocemente alle spalle della turchina, assumendo un atteggiamento composto, che tentasse di mascherare il suo stato d’animo in subbuglio, prima di rivolgerle la parola.
- Vi ho trovata – sussurrò alle sue spalle, e Rein trasalì nuovamente, rabbuiandosi quando si ritrovò ancora di fronte la sua figura imponente a sbarrarle la strada.
Doveva starle particolarmente antipatico, dato l’atteggiamento insofferente che continuava a mostrare nei suoi confronti quella sera.
Decise che poco importava, visto come si erano messe le cose, e la disperata corsa contro il tempo che era stato costretto a fare nel tentativo di proteggerla.
- Ancora voi – la sentì proferire, in un tono di stizza e rammarico – Non vi pare di aver già perso abbastanza tempo cercando la mia compagnia?-
- Siete fuggita dopo la vostra esibizione senza darmi il tempo di farmi ammettere la mia sconfitta. Ve lo dovevo – asserì sinceramente, nel tentativo di addolcirla.
Il volto della turchina parve distendersi un poco.
- Prendo atto del vostro rammarico, e dichiaro conclusa la nostra disputa. Ora, se volete scusarmi…- asserì lei frettolosamente, cercando una via di fuga.
- Volete concedermi l’onore di un ballo?- proferì di getto, conscio che quella richiesta sarebbe suonata talmente ridicola alle orecchie della turchina, da costringerla a retrocedere sui suoi passi, e a concentrare nuovamente l’attenzione su di lui. Difatti, Rein si bloccò di botto, volgendo lo sguardo verso di lui in un misto di stizza e sorpresa.
- Davvero, non credo sia il caso…- cominciò, ma fu prontamente interrotta dalle parole del visconte, che la precedette sul tempo - Suvvia – le sorrise provocatorio, sicuro di avere la vittoria in pugno – non vorrete tenermi sulle spine?-
Rein tentennò qualche istante, osservandolo piccata crogiolarsi nella sua presunzione.
- Perché mai dovrei sentirmi costretta ad accettare la vostra offerta?- gli domandò velenosa.
Shade schioccò la lingua, sicuro di sé: - Non vorrete rifiutare l’invito di un gentiluomo? Guardatevi intorno – disse, invitandola a fare come le aveva chiesto – qualunque fanciulla desidererebbe trovarsi al vostro posto, in quest’istante –
- Non io – asserì Rein, sprezzante della sua superbia.
Il visconte ridacchiò tra sé e sé, riconoscendo in quella fanciulla dagli occhi di ghiaccio un carattere capace di tenergli testa fino all’ultimo: - Fossi in voi, rifletterei sulla vostra decisione ancora un istante. Ricordate che è il visconte di Moonville che state rifiutando – sentenziò, maligno – Ci stanno guardando tutti…- le sussurrò poi all’orecchio, centrando in pieno il bersaglio.
Rein si bloccò un istante ad osservare il gruppo di curiosi che si era fermato a sbirciare la loro conversazione, e arrossì piena di imbarazzo, conscia che, se avesse rifiutato l’invito di quell’uomo che tutti rispettavano e idolatravano, probabilmente la società non le avrebbe mai perdonato in futuro un simile affronto.
Strinse i denti: quell’uomo poteva non essere il visconte di Moonville per lei, ma per il resto del mondo il suo misero parere contava ben poco.
Abbassò la testa sconfitta, porgendo la mano al suo interlocutore che la condusse con un ghigno vittorioso in mezzo alla pista, dove già altre coppie si stavano intrattenendo al suono della musica.
Rein non seppe spiegarsi bene il perché, ma nonostante il disagio e la sensazione di amaro in bocca che le aveva lasciato quell’invito alle danze, si sentì inspiegabilmente al sicuro tra le braccia del visconte.
Volteggiare tra le sue braccia le riportò alla mente il ricordo ormai lontano della festa in maschera a villa Windsworth, quando a condurla nelle danze era stato un Cavaliere dal manto oscuro, tanto misterioso quanto affascinante. (*)
Guardò il visconte, e subito ritrovò in quel singolare parallelismo di eventi le stesse emozioni che aveva provato allora.
Quella consapevolezza le devastò l’anima, rendendola incapace di qualsiasi altro pensiero.
- Spero di non aver ferito troppo il vostro orgoglio, costringendovi ad accettare il mio invito - sentì proferire a un tratto la voce del visconte, che la riportò coi piedi per terra.
- Me ne farò una ragione, non preoccupatevi – rispose provocatoria, tentando di riacquistare l’antipatia che provava nei suoi confronti.
Lo guardò negli occhi, e si stupì nel vederlo sorridere.
- Se ci pensate bene – asserì l’altro mentre la conduceva sui suoi stessi passi – quello ad avere l’orgoglio ferito, tra i due, sono io. Ho dovuto ricorrere ai più subdoli sotterfugi per costringervi ad accettare – rise, coinvolgendo anche lei in una risata sommessa, dopo una breve riflessione su quanto aveva detto.
Improvvisamente, percepirono la tempesta tra i loro animi acquietarsi.
- Spero almeno ne sia valsa la pena di insistere tanto – gli rispose Rein, cercando di mantenere sempre un certo distacco – Questo sta a voi dimostrarlo – le disse lui di rimando, afferrandola in vita e trascinandola con sé in un ballo che sapeva di parole non dette e di sentimenti malcelati, di amarezza e di rimpianti.
Catturati dalla melodia della musica, Rein e il suo cavaliere danzavano come se fossero una cosa sola, un’unica mente, un unico cuore.
Guardandosi negli occhi, si ritrovarono entrambi a comprendere come mai, prima di allora, si erano sentiti così completi l’uno con l’altra, così in simbiosi, così straordinariamente in sintonia.
Nonostante il rancore incendiasse i loro cuori, nonostante l’astio animasse i loro pensieri, Shade e Rein non si erano mai trovati così in pace con se stessi.
Compresero che, sebbene tanti erano stati gli ostacoli che fino ad allora li avevano tenuti separati, costringendoli a rinnegare il legame che li univa indissolubilmente, qualcosa al di fuori del loro controllo, della loro razionalità, delle loro azioni, li avrebbe sempre, inevitabilmente, inesorabilmente, ricongiunti l’uno con l’altra.
Era tanto sconcertante quanto affascinante, quell’amara verità.
Shade allontanò Rein solo per un istante, facendole fare una giravolta su se stessa, prima di riavvicinarla al proprio petto e stringerla forte a sé in una morsa che sapeva di voluttà e desiderio.
Si ritrovarono occhi negli occhi, i cuori che battevano all’unisono più in fretta del normale, a scoprirsi sotto una nuova, spaventosa luce.
La ragione si riappropriò presto della mente del giovane visconte, che riprese le distanze dal volto della turchina col petto che bruciava di imbarazzo.
Anche le gote di Rein, sotto la stessa emozione, avevano preso a colorarle il volto di un nuovo sentimento d’amore.
- Quelle parole e la musica che vi ho udita suonare…- udì a un tratto il visconte sussurrare, riportandola al presente -…perché ho l’impressione che voi serbiate del rancore nei miei riguardi?- le domandò, e le piantò le iridi buie nelle pupille, in cerca della verità che sicuramente non sarebbe sfuggita ai suoi occhi.
Rein trasalì nell’udire quella domanda, e ancor più il respiro le venne meno quando si ritrovò lo sguardo catturato da quello magnetico e indagatore del visconte, così profondo, che sarebbe stato impossibile nascondergli la realtà dei fatti, se solo avesse osato mentirgli.
Stava freneticamente pensando alle parole da dirgli, quando a un tratto la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro.
Notò l’espressione del visconte incrinarsi leggermente sotto una smorfia di dolore, e con la coda dell’occhio percepì una chiazza rosso sangue spaziare sui vestiti del giovane uomo, all’altezza del braccio sinistro.
Presa dal panico di quella scoperta, agì istintivamente fermandosi al centro della pista, per portare l’attenzione del giovane alla ferita sanguinante che già aveva imbrattato la manica dell’abito.
- Il vostro braccio…- tentò di dirgli, ma si bloccò immediatamente quando un pensiero, più consapevole e sensato del precedente, le balenò in mente nella frazione di un secondo, come un fulmine a ciel sereno.
Le sopraggiunse il ricordo della conversazione che aveva intrattenuto con la marchesa poco fa, riguardo al furto in casa sua e al suo disperato tentativo di difendersi dallo spietato aggressore.
Le tornò in mente l’ultimo particolare, lo analizzò a fondo, lo modellò nella mente, e subito il pensiero prese forma nella sua testa, prepotente e accusatorio.
“Sono riuscita, non so come, a direzionare il coltello verso di lui, e a ferirgli volontariamente il braccio sinistro…”
Osservò di nuovo il braccio del visconte, che aveva mollato la presa sulla sua mano per concentrarsi sulla ferita, e tentare di bloccare la fuoriuscita di sangue che presto, se la chiazza si fosse espansa ancora sull’abito, avrebbe catturato l’attenzione di tutti i presenti.
Trasalì, nel constatare come i due dettagli coincidessero perfettamente.
Braccio sinistro, come quello in cui era stato ferito Eclipse.
Cercò di mantenere la calma nonostante la tempesta di emozioni che le infuriava dentro, e si discostò lentamente dalla figura del visconte, per poterlo osservare negli occhi, in cerca di un particolare che la aiutasse a comprendere se la sua intuizione fosse esatta o meno.
Lo vide guardarla negli occhi spaesato, incapace di nascondere il turbamento che l’aveva assalito.
- Voi…- riuscì a balbettare nello stato di confusione, e subito il vuoto si impadronì di lei, incapace di concludere il pensiero che aveva formulato.
Vide il visconte stringere i denti contrariato, prima di abbandonarla in mezzo alla sala e dirigersi a grandi passi verso l’ingresso della villa, lontano da occhi indiscreti, un fazzoletto a tamponare il braccio sanguinante.
Decise di seguirlo, intenzionata ad accertarsi che i suoi sospetti fossero effettivamente fondati.
Lo scorse da lontano, la schiena appoggiata alla fredda ringhiera di pietra dell’immenso portico, il volto ancora dolorante.
Gli si avvicinò cautamente, il cuore in gola.
- Vogliate scusarmi – la precedette il visconte placidamente, senza darle il tempo di proferire parola – ieri mi sono allenato con Bright nella scherma, e a causa di una svista e dei miei riflessi troppo lenti, è riuscito a colpirmi di striscio sul braccio –
Rein annuì, incerta se credergli o meno – Sanguina molto – osservò secca, notando la macchia espandersi ancora sui vestiti. Il visconte scosse la testa, ridacchiando – Ho sopportato ben di peggio – disse, alzando lo sguardo verso di lei.
Ci fu un istante di silenzio, l’atmosfera festosa in sottofondo che rallegrava quella sensazione di gelo che sembrava essersi creata tra i due.
- Dicevamo?- domandò a un tratto il visconte. Rein spalancò gli occhi senza capire – Stavate per abbandonarvi ad una confessione importante – specificò lui, deciso al confronto.
Il cuore di Rein le balzò in petto come una furia. Non era del tutto certa di riuscire a reggere la conversazione che sarebbe seguita, e in un primo momento fu tentata di sviare l’argomento per distogliere l’attenzione da tutta quella strana faccenda. Tuttavia, in cuor suo, era cosciente del fatto che, se non avesse sfruttato quell’occasione per dissipare quel subdolo dubbio che continuava ad offuscarle i pensieri, non avrebbe avuto un’altra possibilità per venire a capo di quel mistero.
Prese coraggio, sospirò per liberare i polmoni dal peso dell’angoscia, e finalmente parlò.
- So chi siete – sussurrò in un soffio, il respiro che le veniva meno.
Gli occhi del visconte furono attraversati da un impercettibile lampo di sorpresa misto a panico, che a Rein non sfuggì.
- Prego?-
- So chi siete – proferì ancora, più decisa e sicura di sé – o meglio, so ciò che non siete, e voi non siete il visconte di Moonville – asserì tutto d’un fiato, gli occhi piantati nelle iridi buie, in cerca della verità – Sbaglio, forse?-
Shade la osservò basito per un istante, prima di scoppiare in una sonora risata puramente divertita, che mortificò Rein nel più profondo dell’animo.
- Davvero?- sentì domandare, in tono quasi canzonatorio – Adesso mi spiego il significato delle vostre parole, prima, seduta al tavolo. E chi, se posso sapere, vi avrebbe reso partecipe di questa sconcertante notizia?- le chiese provocante, ergendosi nel pieno della sua figura di fronte a lei.
Era certo che gli stesse nascondendo qualcosa, ma mai avrebbe pensato sarebbe riuscita a venire a conoscenza di quel piccolo dettaglio. Decise di stare al gioco, per capire fino a che punto Sophie era riuscita ad ottenebrarle la mente.
Rein aprì la bocca nel tentativo di svelargli come era venuta a conoscenza della verità, ma subito i pensieri le frenarono le parole in gola, portandole alla luce un ragionamento a cui, fino a quel momento, non aveva minimamente pensato.
Era stato Eclipse a indirizzarla a smascherare il visconte di Moonville. (**)
Per quale motivo allora, se effettivamente la figura di Eclipse e del visconte coincidevano come lei aveva intuito che fosse, il ladro aveva voluto indirizzarla a denunciare se stesso?
Qualcosa non le tornava. C’era un controsenso troppo evidente ad appannarle l’intera visuale.
Shade ed Eclipse non potevano essere la stessa persona. Non dopo aver considerato quel particolare terribilmente contrastante che era sopraggiunto a scombinarle i piani.
Cominciò a pensare, sentendosi presa in giro dal paradossale susseguirsi di eventi, che forse davvero il parallelismo del braccio ferito tra il visconte ed Eclipse era soltanto una pura coincidenza.
Decise di tacere tutti quei particolari al visconte, non avendo ancora la certezza di chi si trovasse effettivamente di fronte.
- Questo non ha importanza – asserì, sostenendo coraggiosamente lo sguardo glaciale del giovane – Quello che conta è che ho ragione, no?-
Il moro schioccò la lingua interessato, per nulla intimorito da quell’affermazione tagliente – E’ la vostra parola contro la mia – le sussurrò all’orecchio, quasi minaccioso – Chi è che vi fa essere così convinta che la vostra sia la verità?-
- Ho svolto le mie indagini – proferì atona – e ho fonti certe che dimostrano che il visconte di Moonville non aveva eredi che portassero avanti il nome del casato. Il vostro personaggio è solo una farsa –
- Debbo farvi i miei complimenti, signorina Sunrise. Ho sempre pensato foste una donna dotata di un’intelligenza fuori dal comune – la adulò, in tono sinceramente sorpreso – Più un aristocratico è ricco e potente, più la società è intimorita da lui, e si dimostra incapace nel contraddirlo. Alle persone basta poco per tenere a freno le voci di corridoio: sono necessari soltanto una manciata di denaro in più e un titolo nobiliare per mettere a tacere qualsiasi tipo di indiscrezione, sebbene la curiosità resti. Chiunque sarebbe intimorito nell’osare mettere in dubbio il nome di un uomo rispettato da tutti. Non si può dire lo stesso di voi -
- Questo non cambia il fatto che voi siete un impostore –
- Potete essere venuta a conoscenza di un particolare, ma non siete a conoscenza dell’intera faccenda – la avvertì secco – Prima di giudicare, vi conviene avere una visione dei fatti chiara e completa. Cosa che, attualmente, non mi risulta possediate –
- Non mi serve altro per capire che sotto le vostre vesti si cela la figura di un traditore – lo accusò infervorata, sputandogli in faccia tutto il veleno che si era tenuta dentro fino ad allora – Mi basta sapere che fingete di essere qualcun altro per constatare che in voi non c’è nulla di buono. Perché mai dovreste assumere un’identità fantasma, altrimenti? Eclipse ha voluto indirizzarmi a smascheravi per rendere partecipi tutti della menzogna che siete –
Solo dopo aver terminato quell’ultima frase si rese conto di essersi lasciata sfuggire dalle labbra più di quanto avrebbe dovuto dire. Si portò la mano alla bocca, mentre il visconte scoppiò in una risata alquanto divertita in seguito a quel sermone accorato che si era apprestata a fargli.
- Eclipse?!- proferì tra le risate, leggendole lo sconforto negli occhi – Siete davvero sicura che sia stato proprio il vostro Eclipse a volervi indirizzare contro di me?- sussurrò, a un soffio dalla sua bocca, certo che provocarla era servito a farle confessare ciò che voleva tenergli nascosto.
Rein fece un passo indietro, sconcertata da quella reazione alquanto singolare: - Certamente – rispose con tutta la sicurezza di cui era disposta – Perché mai non dovrebbe essere così?-
Shade la osservò impassibile accartocciarsi su se stessa, in preda alle sue insicurezze, cupo in volto e col cuore pesante.
Aveva preso la sua decisione, convinto che non ci fosse altro modo per riportare la turchina sulla giusta strada. Rein Sunrise sapeva ormai più del dovuto, e non esistevano alternative per mettere a tacere i dubbi che le appannavano i pensieri.
- Dirigetevi ai Giardini d’Inverno sul retro della villa, a mezzanotte, e capirete – le disse solo, prima di voltarle le spalle e sparire nel buio della notte.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Mancavano ormai cinque minuti a mezzanotte, e Rein non era riuscita ad evitarsi di giungere nel luogo indicatole dal visconte prima dell’ora stabilita, incapace di tenere a freno ansie e preoccupazioni che l’avevano accompagnata nel corso di tutta quella serata dai toni estremamente particolari.
Non riusciva a togliersi dalla testa le ultime parole del visconte, riguardo al fatto di essere assolutamente certa che fosse stato Eclipse quello che l’aveva voluta indirizzare alla contea di Moonville.
Non ci aveva mai dato peso, fino ad allora, ma effettivamente non poteva essere completamente sicura delle sue convinzioni. Aveva dato per scontato si trattasse di Eclipse, poiché la descrizione fattale dal cocchiere combaciava perfettamente con la figura del ladro.
Se, tuttavia, fosse stato qualcun altro a volersi spacciare per Eclipse, volendo a tutti i costi disorientarla?
E, se davvero era così, chi mai poteva volerla deviare dalla realtà dei fatti? A che scopo?
Scosse la testa contrariata, consapevole di essere giunta a conclusioni troppo affrettate inconsciamente, prima del tempo.
Qualunque fosse la verità, sperava, con quell’ulteriore confronto, di aggiungere un altro tassello che contribuisse a risolvere l’enigma.
L’orologio sulla facciata della villa scoccò la mezzanotte in tre rintocchi, e subito Rein cominciò ad osservarsi intorno, spaurita ed insicura, tentando di scorgere la figura del visconte tra le siepi e gli archi di pietra dell’imponente porticato che ospitava al centro una nostalgica fontana prosciugata.
Si diede mentalmente dell’ingenua nel realizzare quanto fosse stata imprudente a decidere di recarsi a quell’incontro da sola. Per quanto ne sapeva, sarebbe anche potuta essere stata aggredita alle spalle, magari uccisa, ma poco le importava. Se trovarsi lì l’avrebbe aiutata a scoprire la verità, allora valeva la pena di correre il rischio.
Un sottile fruscio di siepi e foglie catturò la sua attenzione verso un cespuglio di rose dalla parte opposta a dove si trovava lei. Allungò lo sguardo nel tentativo di scorgere una figura dalle sembianze umane in lontananza.
Effettivamente qualcuno c’era, e si stava avvicinando a lei lentamente, a passo felpato, nel silenzio di quella placida notte.
Rein aguzzò la vista per poter scorgere meglio la figura che le stava venendo incontro.
Riconobbe una figura maschile dotata di mantello, l’abito nero che si confondeva con l’oscurità della notte, e una maschera color pece bordata in oro a coprirgli il volto.
Sussultò nel riconoscere in quella sagoma sembianze a lei ben note.
- Eclipse…- mormorò sottovoce, trattenendosi dall’impulso di corrergli incontro, ancora incerta se credere o meno a ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Non appena proferì il suo nome, il ladro si fermò di colpo, ancora lungi dal raggiungerla, ma abbastanza vicino perché lei potesse scorgere la sua figura per intero.
La tensione nell’aria era palpabile, affilata come la lama di un coltello.
Dopo un attimo di esitazione, Rein lo vide portarsi la mano al volto, ed afferrare la maschera che lo copriva.
Fu allora che il vuoto si impadronì di lei, e le forze cominciarono a venirle meno.
Ad osservarla, non più celati dalla maschera, erano due occhi cobalto a lei ben noti, incastonati in un volto spietatamente superbo, incorniciato da una folta chioma di capelli neri come il carbone.
Shade Moonville.
Rein si portò le mani alla bocca, scuotendo piano la testa, incapace di farsi una ragione di ciò che le era appena stato volutamente rivelato.
- No…- riuscì a mormorare, in un lamento soffocato dal pianto.
Aveva sempre avuto sotto gli occhi la verità, e più volte il suo istinto gliel’aveva suggerita, eppure mai avrebbe immaginato che scoprirla sarebbe stato così doloroso.
Shade annuì, cupo e impassibile, senza proferire parola, guardandola negli occhi ancora un istante prima di abbandonarla al suo dolore. Nelle iridi buie, Rein poté scorgere tutto il rimpianto di ciò che fino a quel momento le aveva taciuto.
Il giovane re indossò la maschera color pece, e se ne andò facendo volteggiare il cupo mantello alle sue spalle, lasciandola sola, nel freddo della notte, a tormentarsi l’anima.


Angolo Autrice:

(*) 
E' successo nel capitolo 8
(**) Se ricordate, è accaduto nel capitolo 17


Finalmente riesco a postare!
Mi scuso per l'assenza prolungata, ma come previsto ho avuto difficoltà a comporre perchè il tempo da dedicare alla scrittura è sempre poco, e in casi come questo è necessario sfruttarlo al meglio quando si è ispirati, per non creare un paciugo che rischia di rovinare tutto quello scritto fino ad adesso.
Dunque, abbiamo un altro colpo di scena! Eclipse si svela!
Va beh, dai, già l'avevvate capito chi fosse, era ovvio... ma sul conto del nostro Shade rimane ancora un alone di mistero da chiarire.
Eh già, perchè ancora non sappiamo chi sia in realtà il nostro bel visconte, nè quale sia la sua storia.
Siete curiose di saperla? Io si... Dunque se volete sapere cosa ho in serbo ancora per voi, vi conviene continuare a seguirmi ;)
Un grazie a tutti coloro che, come me, si sono innamorati di questa storia: il numero di persone che la segue è in aumento, e il mio cuoricino si gonfia di felicità!
Grazie grazie grazie grazie davvero di cuore per tutto il sostegno! Non mi stancherò mai di ripeterlo!
Vi aspetto al prossimo capitolo, non troppo lontano si spera!

_BlueLady_

 

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Capitolo 27
*** XXVI ***


~ CAPITOLO 26 ~
 
- Una festa inaspettatamente carica di sorprese quella di ieri sera, non sei d’accordo con me Auler?-
Il giovane alzò le iridi scure e profonde dal libro che stava leggendo, per concentrare la sua attenzione sulle parole della sorella che gli sedeva di fronte. Gli occhi della marchesa brillavano di intensa soddisfazione. Era certo di non averla mai vista così placida e appagata in tutto il tempo in cui aveva avuto l’occasione di starle vicino, ed erano parecchi anni, considerato che avevano condiviso un’intera vita insieme. Gli risultava alquanto insolito, eppure Sophie gli sembrava addirittura felice nella sua soddisfazione.
La guardò negli occhi un istante, scorgendo in essi un barlume di superba realizzazione.
- Tutto è andato secondo i piani – le rispose quasi disinteressato, tornando ad abbassare lo sguardo sul libro.
Sophie mugugnò soddisfatta, inarcando la bocca in un sorriso: - Più di quanto mi aspettassi – asserì, gustando il suo appagamento fino in fondo.
- Quindi?- le domandò il fratello, voltando una pagina che sibilò sotto l’attrito delle sue dita.
- I tasselli cominciano ad incastrarsi tra loro – sentenziò Sophie, alzandosi lentamente dalla comoda poltrona di morbido velluto – Rein Sunrise è completamente abbandonata a se stessa, disorientata, sfiduciata… il mio racconto ha certamente contribuito a scombinarle ancora di più le idee. Hai notato la tensione che scorreva tra lei e il visconte, prima di deliziarci le orecchie con la sua esibizione al pianoforte?- (*)
- E’ stata una performance impeccabile – asserì il giovane accompagnando la sua affermazione con un cenno della testa.
- E’ stata una performance illuminante – puntualizzò la marchesa, voltandosi verso il fratello – Come non percepire tra quelle note e quegli accordi aspri, tutta l’amarezza e l’abbandono provati in seguito a una delusione d’amore? – gongolò, lieta che i fatti avessero preso una piega così intrigante.
- Credi che, nel corso del loro successivo colloquio, si sia esposta con Shade dicendogli che è a conoscenza del fatto che non è il visconte di Moonville?- le domandò.
Sophie gli sorrise, costringendolo ad abbassare il libro e a guardarla dritto negli occhi: - Ne sono più che certa – gli soffio perfida, tirando le labbra in un sorriso – Una donna ferita è capace di tutto, una donna ferita per amore lo è ancora di più. Se la scoperta della farsa di Shade non era bastata a farle perdere il controllo, certamente il venire a sapere che Eclipse è un delinquente senza scrupoli né religione è servito ad innescare il resto. Rein Sunrise, data la sua giovinezza ed inesperienza, è facile preda delle emozioni, e con quest’ultima pugnalata al cuore è definitivamente crollata sotto il nostro controllo –
Auler non poté impedirsi di rabbrividire sottostando ai freddi e spietati ragionamenti della sorella.
- Dunque, qual è la prossima mossa?- chiese.
Sophie sghignazzò malignamente tra sé e sé, inumidendosi le labbra con la punta della lingua.
- Subito dopo l’incursione in casa nostra, abbiamo ritenuto necessario sorvegliare la villa dei Sunrise ventiquattro ore su ventiquattro con un chiaro obiettivo in mente: accertarci che Eclipse non tornasse a far visita alla giovane detentrice dell’Occhio della Notte per avvisarla del pericolo e, nel caso si fosse presentato, eliminarlo una volta per tutte – ragionò a mente fredda, affacciandosi alle vetrate che davano sul giardino – Nel corso della nostra vigilanza, siamo fortuitamente venuti a conoscenza di due particolari: il primo è che la giovane Rein Sunrise è innamorata del nostro ladro abile e scaltro – sorrise - Il secondo è che, effettivamente, la giovane custode è lasciata sola e senza protezione a custodire il gioiello – (**)
Il tonfo sordo e ovattato che il libro produsse quando Auler lo chiuse interruppe i ragionamenti della marchesa.
- Il dado ormai è tratto – mormorò il giovane, conscio che ormai non si poteva più tornare indietro – Non c’è più tempo -
- Tornerai a villa Sunrise stanotte, e ti impossesserai del gioiello a qualsiasi costo – gli ordinò a bruciapelo la donna, con un tono che non ammetteva discussioni – Non mi interessa quali mezzi userai, basta che riporti qui l’Occhio della Notte –
- Ma… come farò se Eclipse dovesse sopraggiungere all’improvviso? Non possiamo dare per scontato che non si presenti più a sorvegliare il gioiello – tentò di aprirle gli occhi, un groppo in gola ad appesantirgli la coscienza e un vuoto alla bocca dello stomaco.
Sophie lo fulminò freddamente con lo sguardo, estraendo dal cassetto di un mobile vicino una pistola che pose nelle mani del fratello con una risolutezza raggelante.
- In quel caso, sarà la tua occasione per ucciderlo – gli soffiò all’orecchio, accecata dall’odio.
Auler percepì il vuoto allo stomaco farsi sempre più grande, fino ad inghiottirlo.
- U-ucciderlo?- biascicò, insicuro e spaventato.
- Sarà la tua occasione per redimerti dal tuo ultimo fallimento – asserì fredda la marchesa, alludendo all’episodio avvenuto in camera sua dieci giorni prima – Vedi di non sprecarla –
 
¤¤¤¤¤¤
 
Il sole tornò a tramontare ancora una volta sulla contea Dewdrop, incendiando i campi accarezzati dal vento di una coperta di fuoco, un maestoso manto rosso che presto avrebbe lasciato spazio alle tenebre della notte.
Rein osservava quello spettacolo talmente bello da togliere il fiato dalla finestra della sua camera. Non aveva cenato quella sera, ma i crampi della fame erano lungi dal farsi sentire.
Osservando la sfera di fuoco all’orizzonte tuffarsi tra le fronde degli alberi per poi riemergere soltanto il mattino successivo, si lasciò sfuggire un sospiro dalle labbra, che aveva il sapore di consapevolezza e disillusione.
Tentava con tutta se stessa di dimenticare gli eventi accaduti la sera precedente, al ballo a Villa Aqua, ma più si sforzava di cancellare dalla memoria ogni singolo minuto di quella serata, più la verità le pioveva addosso violenta come grandine, amara come fiele, crudele come frecce avvelenate.
Non solo era venuta a conoscenza che Eclipse era un delinquente senza scrupoli né religione, violento e assetato di sangue pur di placare la sua avidità – e questo bastava e avanzava per umiliarla nel profondo, visti i sentimenti che aveva nutrito per quel ladro sporco e tentatore – ma lo stesso Eclipse di cui era tanto innamorata, altri non era che Shade Moonville, il visconte temuto e rispettato da tutti – un uomo senza identità né dignità, dato che si spacciava per qualcuno che non era mai esistito.
Due duri colpi da digerire, e nonostante cercasse con tutta se stessa di dimostrarsi all’altezza della situazione, riuscire a sopportare tutto quel dolore a volte le riusciva così impossibile da pensare che l’unica via di fuga da tutto quel marcio che vegetava silenzioso alle radici di quella società ipocrita, potesse essere la morte.
Ci aveva pensato parecchio, nel corso di quella giornata, ai mezzi a cui avrebbe potuto fare ricorso per un tentato suicidio. Lo aveva pensato la mattina, appena alzatasi dal letto, e nel primo pomeriggio, mentre passeggiava placidamente nel giardino assieme a Fine, la quale non cessava di raccontarle di quanto la sua vita fosse perfetta e meravigliosa in quell’istante, animata da un entusiasmo e da un amore che toccavano quasi le corde della commozione. Rein, al contrario, gioiva per la felicità della sorella, ma sotto a quella maschera di finta soddisfazione si sentiva morire. Sotto lo sguardo vivace e ignaro della sorella, che le si era avvicinata per abbracciarla in un impeto di eccitazione estrema, aveva pensato ad un modo pratico e veloce per farla finita.
Dapprima era soltanto un’idea, un capriccio silenzioso partorito dagli angoli più bui della sua mente, poi quel pensiero era cresciuto sempre di più, echeggiando forte nella sua testa, ribollendole nell’animo, nelle vene, pungendole gli occhi fino a bruciarle le tempie.
Poi però Fine aveva sciolto la presa sul suo corpo, e la purezza, il candore, l’innocenza con cui l’aveva osservata l’avevano fatta vergognare del pensiero avuto poco prima.
Si era sentita terribilmente meschina ed egoista a pensare di essere disposta a lasciare Fine senza una spiegazione, soltanto perché era incapace di maturare una delusione.
Ripensandoci, forse nemmeno avrebbe avuto la forza e il coraggio di compiere un simile gesto. Quello che era concepito come un capriccio sarebbe rimasto tale, e lo avrebbe custodito gelosamente per sé, perché rivelarlo sarebbe stato ancora più umiliante della consapevolezza di essersi innamorata ingenuamente di un criminale.
Il sole aveva ormai terminato il suo lento declino tra le fronde, e Rein decise che era ormai arrivato il momento di coricarsi per mettere fine ai suoi tormenti almeno per quella giornata. Chiuse la finestra per la prima volta da quando Eclipse l’aveva varcata la prima notte in cui si era introdotto nella sua camera: era certa che quella sera non sarebbe venuto a farle visita e, anche se si fosse presentato, non sarebbe stata in grado di sopportare la sua vista senza lasciarsi sopraffare da quelle emozioni da cui tentava disperatamente di fuggire.
Eclipse non sarebbe più stato il benvenuto in casa sua, i vetri chiusi della sua camera rappresentavano un chiaro segnale di avvertimento.
Stava giusto per distendersi a letto, quando un colpo secco alla porta la costrinse a tornare sui suoi passi.
Non appena si accostò allo stipite per aprire, trovò dall’altra parte due occhioni cremisi ad osservarla spauriti ed esitanti, come a voler chiedere scusa di quella brusca intrusione.
- Rein… posso entrare?-
- Stavo per andare a letto, Fine… sono molto stanca – la liquidò con due parole, odiandosi per la freddezza dei sentimenti con cui si mostrava a lei, ma troppo esasperata per poter intrattenere qualsiasi tipo di conversazione.
- Capisco – si ritrasse Fine, ferita dal suo atteggiamento distaccato – volevo solo sapere se stavi bene. Oggi pomeriggio mi sei sembrata molto assente, e ho temuto che potesse avere a che fare con…-
- È tutto a posto, Fine, davvero – e nel dirlo le si incrinò un poco la voce – Solo, la serata di ieri mi ha tolto qualsiasi energia, e ho bisogno di un buon sonno ristoratore per riprendermi completamente –
- Se hai bisogno di confidarti sono qui – le rispose la gemella tastando cautamente il terreno per non vederla scappare via come un cerbiatto spaventato – Lo sai che su di me puoi contare, Rein –
La turchina le sorrise amorevolmente: - Lo so - disse, ma non era ancora pronta per il confronto, non quella sera. La cicatrice avrebbe dovuto rimarginarsi ancora prima che fosse in grado di parlarne a Fine senza scoppiare a piangere alla prima parola.
Fine comprese che Rein aveva bisogno dei suoi spazi, e che voleva essere lasciata sola.
Si allontanò dalla porta, pronta a dirigersi in camera sua, mentre la sorella accennava a tornarsene a letto.
- Mi manchi, Rein – soffiò tra le labbra, ma abbastanza forte perché Rein potesse sentirlo e abbandonarsi ad un sussulto suscitato dalla tenerezza di quelle parole.
Si voltò verso Fine, regalandole uno dei suoi sorrisi più sinceri, poi chiuse la porta, rintanandosi di nuovo nel suo mondo di speranze e sogni infranti.
“Anche tu, Fine” pensò tra le lacrime, prima di addormentarsi.
 
Erano circa le due di notte quando un’ombra scura riuscì a forzare la serratura della finestra, intrufolandosi abilmente nella stanza di Rein, silenziosa come un gatto nella notte.
Il pallido candore lunare illuminava in controluce la sagoma dell’uomo che si stava cautamente avvicinando al letto della turchina che giaceva ancora addormentata, rivelandone i contorni massicci e ben definiti.
L’uomo avanzò ancora di qualche passo, osservandosi intorno come per accertarsi che non vi fossero nient’altri che loro due, fino a raggiungere l’estremità opposta del letto a quella in cui riposava Rein.
Si chinò cautamente su di lei, come per accertarsi che stesse realmente dormendo.
Rein, avvolta nelle tenebre del suo sonno senza sogni, spalancò gli occhi di botto allarmata e confusa non appena avvertì un’insolita pressione premere contro i bordi del letto, mentre l’istinto le suggeriva di prepararsi ad affrontare un pericolo sconosciuto.
Non appena aprì gli occhi limpidi come due pozze d’acqua, supina sul letto, sussultò nel constatare che ad osservarla, esattamente sopra di lei, stava un uomo dai tratti inquietanti, che si ergeva minaccioso pronto ad aggredirla.
Tentò di ritrarsi spaventata con un urlo, ma l’uomo le tappò prontamente la bocca con una mano e riuscì a bloccarle qualsiasi via di fuga, costringendola a rimanere paralizzata e schiacciata contro il cuscino, gli occhi accesi di terrore.
- Vedete di non fare rumore o saranno guai per entrambi – udì soffiarle all’orecchio una voce suadente e malleabile, dal tono caldo e rassicurante – Sono spiacente di avervi spaventata, non era nelle mie intenzioni –
Rein, ancora scossa dall’angoscia provata l’attimo prima e con gli occhi che ancora tentavano di abituarsi al buio per poter riconoscere i lineamenti del volto dell’uomo che le stava di fronte, non poté evitare al suo cuore di perdere di un battito non appena riconobbe i toni familiari di quella voce echeggiante nel silenzio della stanza.
Avvertì pian piano la presa della mano sulla sua bocca sciogliersi, lasciandole libertà di parola, e i battiti accelerati del suo cuore, assieme al respiro affannato conseguenze dello spavento appena preso, parvero pian piano diradarsi.
- Eclipse…- sussurrò non appena il volto dell’uomo si fece visibile ai suoi occhi sotto i raggi lunari.
Il giovane sciolse la presa su di lei, liberandola dal peso del proprio corpo sopra il suo.
Senza darle tempo di proferire qualsiasi altra parola, il ladro diresse la propria mano in direzione della maschera strappandosela dal volto, e rivelando sotto di essa lo stesso paio di occhi color tenebra con i quali si era scontrata già parecchie volte prima di allora, e che non lasciavano più spazio a qualsiasi dubbio.
Ad osservarla, a pochi centimetri dal suo volto, pieno della sua superbia, stava Shade Moonville.
Se ancora poteva nutrire qualche dubbio, quella verità rivelatale ancora una volta così spietatamente non lasciava spazio a qualsiasi ripensamento.
Il cuore di Rein vacillò per un istante, e la giovane si sentì mancare la terra da sotto i piedi.
- Siete proprio voi, dunque – proferì con amarezza, ancora incapace di associare le due figure alla stessa persona.
Il ladro annuì colpevole. La freddezza con cui aveva osato mostrarsi a volto scoperto di fronte a lei le risultò spietatamente offensiva.
- So che con ogni probabilità sono l’ultima persona che avete desiderio di vedere attualmente, e comprendo perfettamente il motivo – asserì risoluto il giovane, senza cessare di guardarla negli occhi – Tuttavia, sebbene consideriate la mia visita qui a dir poco oltraggiosa dopo tutti gli eventi accaduti, ho le mie ragioni per presentarmi a voi ancora una volta –
Rein lo ascoltò senza distogliere lo sguardo, sentendo il cuore e la mente farsi sempre più pesanti ad ogni parola che gli usciva di bocca.
- Ancora avete il coraggio di presentarvi qui, dopo tutte le menzogne che mi avete rifilato in questi ultimi mesi?- gli soffiò inviperita e sprezzante, mettendosi a sedere sul letto – Avete ragione: siete l’ultima persona che ho desiderio di vedere. Del resto, la finestra chiusa avrebbe dovuto rappresentare un chiaro messaggio per voi. Ma noto con profonda delusione che nemmeno questo siete stato in grado di fare: di rispettare la mia decisione di non volervi più accogliere in casa mia. D’altronde, come biasimarmi? Mi seducete a un ballo in maschera donandomi un gioiello da tenere strettamente in custodia, tornate ogni notte a rinnovare la vostra astuta promessa di non lasciarmi mai sola al mio destino, e nel frattempo andate in giro ad aggredire giovani nobildonne e tentare di ucciderle pur di appropriarvi di oggetti non vostri. Non solo: approfittate del mio amore per scampare alla denuncia, giocate con i miei sentimenti fino allo stremo, e fate questo non solo nel corso delle vostre visite notturne, protetto dalla vostra maschera di pece, ma vi prendete gioco di me anche alla luce del giorno, intrattenendovi in intriganti conversazioni in mia compagnia, rendendovi ammirevole e degno di nota ai miei occhi, per poi pugnalarmi appena vi volto le spalle con altrettanta astuta crudeltà – l’impeto con il quale gli stava sputando in faccia tutta la verità non le impedì di lasciarsi sfuggire un singhiozzo soffocato, gli occhi devastati dalle lacrime.
- Certo, a voi la cosa risulterà ridicola, se non addirittura comica: quale sciocca fanciulla si lascerebbe mai ingannare fino a questo punto? Chi può riporre tanta fiducia in una persona che nasconde il proprio volto con una maschera, tale da innamorarsene? Non è certo colpa vostra: siete perfettamente coerente con ciò che siete. La colpa è mia. Sono io che mi sono lasciata ingannare così ingenuamente, io ho voluto essere così cieca, così scioccamente priva di senno. Mi merito tutto quello che sto provando ora, per non essere stata prudente quando ancora potevo salvarmi. Ormai è troppo tardi, e devo fare i conti con un dolore che mai avrei immaginato di poter sopportare. La colpa è mia, che ho messo da parte il mio orgoglio in nome di un amore vano, futile e inesistente. Sono io che vi ho permesso di usarmi a vostro piacimento senza alcun tipo di scrupolo, dunque è verso di me che dovrei portare rancore. La colpa è solo mia –
Il giovane la osservò impassibile farsi piccola piccola mentre si accartocciava su se stessa sotto il peso di quell’umiliazione.
- Speravo che, almeno in nome della purezza del sentimento che mi legava a voi, sarei stata ricambiata con un minimo di rispetto. Avete usato me e i miei sentimenti a vostro piacimento nei panni di Eclipse, ma che abbiate voluto prendermi in giro anche nei panni di Shade, questo proprio non lo tollero. E adesso vi ripresentate qui da me, dopo tutto quello che è accaduto ieri sera al ballo, perfettamente consapevole del mio stato d’animo, e ancora avete il coraggio di mostrarmi le vostre ragioni per essere qui questa notte! – esclamò, in preda ad una rabbia incontenibile – Sì, visconte, o chiunque voi siate: considero la vostra presenza qui più che oltraggiosa, e sono sicura che saprete perdonarmi se, con il poco rispetto per me stessa che mi è rimasto, vi ordino di sparire dalla mia vista in questo istante, e di non presentarvi mai più in camera mia. Almeno questo me lo dovete… non vi chiedo altro. Ma, per favore, abbiate pietà di me almeno in questo istante: andatevene. Non cercatemi più – riuscì a proferire tra i singhiozzi, sussurrando piano per non farsi sentire dal resto della casa.
Shade la osservò ancora muto e impassibile sgretolarsi di fronte ai suoi occhi.
Il cuore si fece pesante, la bocca secca, una rabbia violenta e incontrollabile a ribollirgli le vene nel vedere a cosa la sua meschinità aveva ridotto quella fragile fanciulla.
I singhiozzi di Rein riecheggiarono nella stanza ancora per qualche minuto, prima che quel pianto sommesso fosse interrotto dalle sue parole, pronunciate con estrema serietà e rimorso.
- Accetto tutte le offese che mi sono state rivolte e amaramente prendo atto del vostro stato d’animo. Non era sinceramente mia intenzione portarvi a un simile sconforto. Se solo avessi potuto immaginare come si sarebbero svolti gli eventi dalla sera in cui vi ho donato il gioiello, sicuramente vi avrei risparmiato questo immenso dolore – la risata soffocata e disillusa di Rein in seguito alle sue parole lo pugnalò dritto al cuore – Cercate di capire che se ho deciso di ripresentarmi a voi ancora una volta non è certo per arrecare ulteriore danno alla vostra persona –
- E cosa vi vieta di prendervi ancora gioco di me, dopo tutto questo tempo passato a macchinare alle mie spalle? Risulto davvero ridicola a tal punto da meritarmi ancora un trattamento simile?- fu la risposta tagliente e avvelenata che ricevette – Non intendo più ascoltarvi –
- Dovete invece. Si tratta della vostra incolumità –
- Avete perso qualsiasi tipo di interesse da parte mia. Non ho intenzione di avvelenarmi ancora l’anima in nome di un amore inesistente –
- Signorina Sunrise, vi prego…-
Nell’udirsi nominare con tono di supplica, a Rein sfuggì l’ennesimo sorriso tra le lacrime.
- Non mi è stato concesso neanche di sapere chi siate veramente. So soltanto che siete una menzogna, dal principio alla fine – asserì flebilmente, accennando ad alzarsi dal letto per uscire dalla stanza e allontanarsi dalla sua vista, ma fu prontamente afferrata per il polso dal giovane, che la costrinse a voltarsi verso di lui e guardarlo ancora negli occhi, bloccandole qualsiasi via di fuga.
- Proprio per questo sono qui stanotte. Siete a conoscenza di troppi dettagli perché io possa ignorare ancora questa scomoda situazione – e, nel proferire tali parole, accennò con l’altra mano ad estrarre qualcosa dal pesante mantello, mentre non mostrava segni di voler lasciare andare Rein, né di distogliere le iridi dalle sue. Rein sgranò gli occhi, ormai in trappola, conscia che di lì a poco Eclipse, Shade, o chiunque quel giovane fosse, avrebbe estratto una pistola o un coltello, pronto a farla fuori perché era ormai venuta a conoscenza di troppe scomode verità per poterla lasciare ancora incolume e in vita, senza che facesse parola con nessuno di quanto aveva scoperto fino a quel momento.
Tentò di divincolarsi con tutte le sue forze dalla presa, per sfuggire al suo infausto destino.
- Lasciatemi! Lasciatemi andare ho detto! – strattonava inutilmente, costringendo Shade ad afferrarla ed immobilizzarla sul letto, perché non tentasse di fuggirgli ancora.
- In nome del cielo, cercate di capire che se sono qui adesso non è per uccidervi, ma per salvarvi la vita! – asserì freddo e spazientito, a un soffio dalla sua bocca – Non so fino a che punto abbiano manipolato la vostra mente, ma sono deciso a scoprirlo. E per farlo, ho bisogno di rivelarvi tutta la verità – e, nel dire quelle parole, mentre lottava disperatamente per trattenere Rein sotto al suo corpo che ancora si divincolava inutilmente, estrasse da sotto il mantello un manoscritto vecchio e malandato, che odorava di polvere e umidità, sulla cui copertina era inciso uno stemma familiare, e sotto di esso spaziava a chiare lettere il nome Windsworth. Il libro era chiuso da una serratura dotata di quattro loculi disposti a croce, in cui, a intuizione, si doveva inserire la chiave necessaria per aprirlo e leggerne il contenuto.
- Cos’è?- mormorò Rein in un misto di sorpresa e smarrimento, cessando di divincolarsi.
- È il diario di mio padre – fu la risposta secca e decisa del giovane sopra di lei. 



Angolo Autrice:

(*) L'esibizione di cui parla Sophie è avvenuta nel capitolo 23, ricordate?
(**) L'aggressione è avvenuta nel capitolo 20. Dopo l'incursione di Eclipse in casa di Sophie in cui è riuscito a rubarle un gioiello, i due marchesi hanno spiato le mosse di Rein appostandosi nel suo giardino, e origliando anche la conversazione tra Rein e Fine avvenuta nel capitolo 21, in cui la turchina confessava alla sorella i propri sentimenti per Eclipse.

Beh, non ce l'ho fatta ad aspettare stavolta e ho aggiornato prima del solito. Applausi per me!!
Che dirvi, dopo aver letto questo capitolo mi odierete ancora di più, perchè infarcisco sempre la storia con nuovi particolari, e simando sempre il momento della verità... ma su, dai, non siate adirate perchè dal prossimo capitolo saprete tutto, e questa volta per davvero!
Ormai siamo davvero agli sgoccioli... il mistero è stato quasi svelato, ma ho in serbo per voi ancora qualche sorpresina...
Mi piacerebbe davvero sapere cosa pensate possa succedere ora, e soprattutto quale pensate possa essere la storia di Shade.
Spero di stupirvi con altri colpi di scena, perchè se fino ad adesso pensavate di aver visto tutto, vi sbagliate di grosso! Sto preparando i fuochi d'artificio!!
Ringrazio tantissimo le mie fedeli lettrici che mi seguono, i lettori silenziosi, e tutti quelli che notano la mia storia. Spero di soddisfare sempre la vostra curiosità e di regalarvi qualche piacevole minuto di lettura.
Con questo aggiornamento festeggio anche le 110 recensioni!! Mamma mia, che traguardo! Tripla cifra! Sono emozionatissima! Grazie davvero a tutti per aaver fatto della mia storia quello che è ora, spero davvero di non deludervi proprio adesso!
Ci rivediamo al prossimo aggiornamento che, lo confesso, non vedo l'ora di postare!
Baci sparsi

_BlueLady_

 

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Capitolo 28
*** XXVII ***


~ CAPITOLO 27 ~
 
Dicembre 1839, Londra, quindici anni prima.
Faceva particolarmente freddo quell’inverno: la neve aveva cominciato a ricoprire con il suo candido manto la città già dalla prima metà di novembre, e non accennava a volersi fermare fino a quando la primavera non avrebbe bussato definitivamente alle porte.
Nonostante il gelo invogliasse a non uscire e restarsene avvolti dal tepore delle mura domestiche e dal fuoco del camino, c’era chi, per affari e doveri che implicavano la necessità di portare a casa un tozzo di pane, era costretto a fronteggiare a volto scoperto il pungente freddo invernale.
Così era costretto a fare anche William Windsworth, marchese prestigioso e rispettato da tutti, in procinto di concludere il suo giro d’affari per poter tornare finalmente a casa, quella sera, tra le braccia della moglie Maria, incinta e ansiosa del suo ritorno, e del figlio Shade, di soli otto anni, ma dotato di un’arguzia notevole per la sua tenera età.
Se ne stava comodamente seduto sul retro del cocchio, in attesa di giungere finalmente a destinazione, osservando svogliatamente i passanti che si aggiravano per strada avvolti dai loro pesanti indumenti, incapaci di proteggersi da quell’aria gelida capace di penetrare fin dentro le ossa.
Ogni tanto il cocchio frenava a un crocevia, per consentire il passaggio di altre vetture, ed era allora che si presentavano sotto gli occhi dell’uomo curiose scene mondane: il panettiere intento a sfornare calde prelibatezze, donne impegnate nei loro frivoli acquisti, giovani chiacchiericci sostanti in un caffè già alle dieci del mattino, il mercato cittadino.
Proprio su quell’ultimo punto di interesse decise di soffermare la sua attenzione: all’entrata si accalcavano decine di persone volte ai loro acquisti, incuranti di chi gli stava attorno e talvolta insofferenti a tal punto da scatenare qualche piccola discussione davanti ad uno dei banconi.
Ciò che più attirò la sua attenzione, tuttavia, non fu la diatriba tra due signore intente a litigarsi lo stesso tozzo di pane, ma esattamente accanto di esse, piccoli e scaltri nel tentativo di non essere notati, sgusciavano abilmente due ragazzini vestiti di panni sporchi e stracciolenti, che a giudicare dai lineamenti avrebbero dovuto avere sì e no l’età di suo figlio.
Erano un maschio e una femmina: lo si poteva intuire dai lineamenti più dolci e femminili di quest’ultima, intenta a sorreggere il compagno perché riuscisse a sporgersi dal bancone per arraffare la prima cosa che gli capitava sottomano.
William si sporse dal cocchio per poter osservare meglio la scena, non senza avvertire il cuore appesantirsi per la sorte di quei due poveri ragazzini ridotti alla fame: suo figlio aveva la stessa età, e pensarlo per strada, vestito soltanto di stracci bucati incapaci di proteggerlo dal freddo dell’inverno, costretto a rubare per poter sopravvivere, gli procurò un’immensa tristezza e una terribile angoscia.
Nessuno, nel suo concetto di giustizia e uguaglianza, avrebbe mai dovuto patire una simile umiliazione, tantomeno dei poveri bambini.
Improvvisamente, avvertì quasi l’impulso di voler fare qualcosa per loro, qualcosa che potesse migliorar loro quella giornata.
Evidentemente, però, il destino aveva già deciso di compiere il suo corso: il panettiere, dapprima distratto dalla diatriba tra le due signore e desideroso di porre fine alla disputa offrendo ciascuna un prodotto della casa, nel vagare con lo sguardo sul bancone per vedere di quali prodotti poteva usufruire, notò una manina scarna e infreddolita intenta a rovistare tra le sue pagnotte, e presto riuscì ad individuarne anche il proprietario.
- Brutti, sporchi ladruncoli!- abbaiò inviperito, dirigendosi verso di loro con fare minaccioso e brandendo una mazza di cui si avvaleva per difendersi dai delinquenti – Se volete il pane, lo dovete pagare! Tornate qui straccioni maledetti!- e prese a rincorrere i due poveri bambini che, presi dal panico e consci di essere stati scoperti, avevano preso a scappare con il loro misero trofeo tra le mani: una pagnotta insufficiente a sfamare entrambi, ma necessaria a non farli morire di fame.
Proprio in quel momento, quando William era deciso ad intervenire per salvare i due poveri disgraziati dalla terribile punizione che spettava loro, il cocchio si mosse, pronto a procedere sul suo cammino.
- Tornate qui, maledetti! Se vi prendo ve la faccio pagare!- urlava il panettiere ancora alla rincorsa dei due furfantelli.
- Nathaniel, aspetta…- tentò di dire al cocchiere nel tentativo di fermarlo, ma non fece in tempo a pronunciare altro, che un’improvvisa frenata lo costrinse a reggersi saldamente al sedile, per impedirsi di sbattere la faccia contro le pareti della vettura.
- Signor marchese, state bene?- udì Nathaniel domandargli dal posto di guida.
Senza perdere tempo, il marchese scese dalla carrozza, deciso a scoprire da solo il motivo di tanto scompiglio.
- Nathaniel, insomma, ti pare questo il modo di condurre un cavallo? Per poco non rischiavamo un incidente!- lo rimproverò severamente e ancora scosso dallo spavento.
- Sono desolato, signor marchese, ma questi due ragazzini sono sbucati all’improvviso dal ciglio della strada facendo imbizzarrire il cavallo… ho dovuto frenare di colpo la vettura per evitare di investirli – si giustificò il cocchiere, accennando con un gesto in direzione di due figurine esili e tremanti per lo spavento e per il freddo, che si abbracciavano l’un l’altra come per proteggersi a vicenda, il tozzo di pane appena rubato ridotto in briciole dallo zoccolo del cavallo.
- Eccovi qui, piccole pesti!- si udì poi una voce alle loro spalle, soddisfatta e al contempo minacciosa, rivolta ai due ragazzini poco distanti – Datemi quello che mi dovete oppure chiamo la polizia e vi faccio arrestare – asserì il panettiere incapace di sentire ulteriori ragioni.
William volse lo sguardo dapprima al panettiere, e poi ai due ragazzini ancora abbracciati.
- Noi… noi non abbiamo denaro- asserì la bambina flebilmente, percossa da convulsioni di freddo.
- Se non pagate, vi faccio arrestare. Di ladruncoli come voi ne ho piene le tasche – li minacciò il panettiere in collera.
- Suvvia, sono soltanto due poveri bambini affamati – asserì il marchese comprensivo.
- Signore, vi prego di restarne fuori. Io lavoro duramente e onestamente tutto il giorno perché il pane che produco mi venga pagato. Non vivo di sola aria. Se hanno il denaro con cui pagarmi il tozzo di pane che mi devono sono liberi di andare, ma se non mi pagano avviserò la polizia. Non mi spacco la schiena tutti i santi giorni per farmi soffiare da sotto il naso il frutto dei miei guadagni da due miserabili straccioni-
I due bambini si strinsero ancora di più tra loro, impauriti e incapaci di togliersi da quello spiacevole impiccio.
- Forse la cosa si può risolvere in altro modo, che dite?- propose il marchese dopo una breve riflessione.
- L’unica cosa che voglio sono solo i miei soldi. Per quanto mi riguarda possono anche morire di fame -
William osservò di nuovo i due ragazzini, deboli e infreddoliti, poi rivolse la sua attenzione al panettiere.
- Se le cose stanno così, ecco il risarcimento per il vostro tozzo di pane, e per il disturbo che questi due ragazzini vi hanno arrecato – affermò, tirando fuori dalla tasca il denaro necessario a congedare l’avido commerciante – Quanto a voi – disse poi, chinandosi sulle due figurine ancora immobili di fronte a lui – volete che vi riporti a casa da vostra madre? Se mi dite dove abitate posso accompagnarvi con la mia carrozza - mormorò dolcemente, per non spaventarli più di quanto fossero già.
- Noi non abbiamo una mamma…- sentì la bambina rispondergli, dopo un attimo di esitazione in cui si erano osservati negli occhi per decidere se parlare o meno con quello sconosciuto dai modi gentili.
- Siete orfani? Allora converrà che vi riporti all’orfanotrofio in cui alloggiate – affermò ancora William.
- Non abbiamo neanche una casa - miagolò il bambino, prima di esplodere in un violento colpo di tosse che gli percosse il petto per diversi minuti, fino a portarlo allo stremo delle forze.
A quella reazione, il marchese si avvicinò cautamente alla coppia, e pose una mano sulla fronte del bambino, constatando che scottava come non mai.
- Ha la febbre, dobbiamo portarlo subito da un medico – disse alla bambina che lo reggeva tra le braccia.
- Non abbiamo i soldi per pagare un dottore – asserì quella con rassegnazione.
- Lo pagherò io – affermò William convinto – Anzi, sai che ti dico? Voi due adesso venite a casa con me: mentre aspettiamo l’arrivo del medico penseremo a ripulirvi per bene e a darvi qualcosa di caldo da mangiare. Con questo freddo difficilmente riuscirete a sopravvivere per strada -
La ragazzina lo osservò sgranando gli occhioni blu notte, mentre reggeva il fratello addormentatosi tra le sue braccia, incerta se fidarsi o meno di quell’individuo che pareva aver preso così a cuore la loro misera condizione di vita.
- Non devi avere paura, non voglio farvi del male. Voglio solo aiutarvi. Come ti chiami?- chiese William, allungando una mano verso la bambina come ad invitarla a salire in carrozza con lui.
- Sophie…- miagolò sottovoce la bimba, ma abbastanza forte perché potesse udirla.
Il marchese annuì: - E il tuo amico invece come si chiama?- domandò ancora, mentre salivano insieme sul cocchio, reggendo in braccio il corpicino inerme del ragazzino.
- Lui è mio fratello Auler –
 
¤¤¤¤¤¤
 
- Sei davvero sicuro che non abbiano un posto dove stare, William? – gli domandò la moglie reggendosi il pesante pancione, mentre osservava i due ragazzini divorare avidamente tutto ciò che avevano nel piatto nella stanza accanto.
- Sono sporchi, infreddoliti, affamati e denutriti… non penso abbiano una casa in cui vivere e, anche se fosse, nelle condizioni in cui sono, non credo saranno in grado di superare l’inverno se li lasciamo tornare al freddo. Il bambino ha una brutta tosse e la febbre alta – asserì il marchese con dolcezza, rivolto alla moglie.
Maria sospirò, osservando con fare materno le due sagome distanti.
- Potremmo ospitarli qui per l’inverno, in attesa che il fratellino di Sophie si rimetta – propose.
William annuì, guardandola negli occhi.
- Indubbiamente li terremo qui con noi finché non tornerà la bella stagione.  Ma il problema per loro tornerà a ripresentarsi l’inverno successivo, quando non avranno un altro posto in cui stare. Sono molto in pena per la sorte di questi due bambini indifesi, non ho cuore di lasciarli per strada – disse, accarezzando con lo sguardo la sagoma del pancione della moglie.
- Potremmo farli accogliere da un orfanotrofio a Londra, in modo che almeno abbiano un pasto sicuro al giorno e un tetto sopra la testa che li protegga dalle intemperie – disse di rimando la marchesa.
- E privarli così di due adulti che potrebbero far loro da guida e sostituire il ruolo di genitori che a loro mancano?- rispose il marito, lasciando ben intendere quali fossero le sue intenzioni a riguardo.
- Non lo so, William… il loro desiderio potrebbe differire dal nostro. Non possiamo costringerli a restare se è ciò che non vogliono –
- Pensaci bene, Maria: la nostra casa è grande e accogliente, c’è spazio per altre due persone. In più hanno all’incirca la stessa età di Shade, e potrebbero farsi compagnia a vicenda. Senza contare che se li lasciassimo al loro destino, presto o tardi tornerebbero a ridursi nelle condizioni in cui li ho trovati ora. Questi due ragazzini hanno bisogno di una guida, di un padre e di una madre che si prendano cura di loro. Di denaro ne abbiamo a sufficienza per poter mantenere tutta la famiglia, loro due compresi. Cosa abbiamo da perdere? –
Maria ricondusse lo sguardo ai due bambini, che giacevano addormentati sul tavolo, sfiniti da quella lunga giornata piena di sorprese e con la pancia finalmente piena per una volta nella loro vita da quando ricordavano di esistere.
- Se il tuo desiderio è quello di farli restare, resteranno – annunciò infine, accogliendo la decisione con un sorriso radioso – Presto sarò pronta a diventare madre per la seconda volta, ho tanto amore da regalare ai miei figli e ne donerò tanto anche a loro. Sarà come se fossero figli miei… figli nostri – William la accolse tra le braccia, sfiorandole le labbra con un bacio delicato.
- Ho solo una richiesta da fare, prima di ufficializzare la notizia anche a Shade – asserì determinata, ancora stretta nelle braccia del marito.
- Tutto quello che vuoi, amore mio –
- Prima di tutto bisogna che anche loro siano convinti come noi di questa decisione –
 
- Restare qui… per sempre?- mormorò la piccola Sophie con voce flebile, seduta ai margini dell’enorme letto a baldacchino nel quale riposava il fratello ammalato.
Il marchese di Windsworth e la moglie annuirono, sorridendole incoraggianti.
- Tuo fratello ha bisogno di cure per guarire dalla sua brutta polmonite, e non potete certo tornarvene fuori al freddo e al gelo in queste condizioni. Auler potrebbe non superare l’inverno, e tu potresti ammalarti come lui nel giro di poco tempo. Avete bisogno di una casa in cui stare – le spiegò William con tutta la dolcezza di cui era disposto.
- Ovviamente, la nostra proposta è valida soltanto se anche voi siete d’accordo. Siamo pronti ad accogliervi in casa nostra e a prenderci cura di voi come avrebbero fatto vostra madre e vostro padre se fossero ancora in vita. Da ora in poi, se vorrete, saremo noi i vostri genitori. Non avrete più bisogno di andarvene in giro da soli in cerca di cibo e rischiando di morire di fame, penseremo a tutto noi. Vi accudiremo con tutto l’amore di cui siamo disposti – aggiunse Maria, prendendo le manine della bambina ancora fredde e ruvide tra le sue.
Sophie li osservò negli occhi per un istante, come per accertarsi che ciò che le stava accadendo fosse tutto vero, e non fosse soltanto il frutto di un sogno.
Poi abbassò lo sguardo imbarazzata, mentre le gote le si imporporavano un poco.
- Se decidiamo di restare, potrò chiamarvi mamma e papà?- domandò con un filo di voce, quasi temesse di farsi sentire.
William e Maria le accarezzarono l’uno i capelli, l’altra le guance pallide e scarne.
- Potrai chiamarci come vorrai – le sussurrò la marchesa, già innamorata di quella creaturina fragile e indifesa che vedeva ormai come una figlia.
Sophie alzò il volto lentamente, regalando loro un timido sorriso.
- Allora penso proprio che resteremo – affermò stringendosi nelle spalle, mentre i due coniugi le si avvicinavano per accoglierla in un grande abbraccio.
- Anche io posso chiamarvi mamma e papà?- si sentirono domandare poi alle loro spalle.
Quando si voltarono, il volto vispo e allegro di un Auler ancora febbricitante era pronto ad accoglierli con un sorriso.
- Certamente. Vi amo già come se foste figli miei – esclamò Maria, stringendo anche lui nel suo abbraccio materno.
Fu così che li trovò Shade, spiando dalla fessura della porta della camera socchiusa, mentre andava in cerca dei propri genitori per gli angoli di villa Windsworth.
Non appena Maria lo notò con la coda dell’occhio, invitò il figlio ad entrare, per renderlo partecipe della bella notizia.
- Shade, tesoro mio – cominciò il discorso la madre, invitandolo ad avvicinarsi – questi sono Auler e Sophie, e resteranno qui con noi a farci compagnia –
Il ragazzino dagli occhi di tenebra squadrò i nuovi arrivati da capo a piedi, con fare titubante e impacciato.
- Non hanno un posto dove stare, né dei genitori su cui fare affidamento, perciò abbiamo pensato di accoglierli in casa nostra e di fare loro da mamma e papà. Sarà come se fossero tuoi fratelli, Shade – gli spiegò il padre, caricandolo a sedere sulle sue ginocchia.
Il bambino osservò nuovamente i due intrusi incuriosito, poi rivolse la sua attenzione al padre.
- Hai detto che sono miei fratelli papà?- domandò confuso, desideroso di risposte.
- Proprio così - gli confermò il padre, scompigliandogli i capelli.
Shade rifletté qualche minuto per conto suo, prima di porre una nuova domanda.
- Sono usciti anche loro dalla pancia della mamma come ho fatto io e come farà la mia sorellina?- chiese ancora, convinto di voler arrivare al fondo della questione.
- No, amore mio – ridacchiò il padre amorevolmente – Ma anche se non sono usciti dalla pancia della mamma come te e tua sorella Milky, saranno lo stesso tuoi fratelli da ora in poi. Potrete giocare e divertirvi insieme quanto vorrete. Abbiamo deciso di adottarli, Shade… saremo un’unica grande famiglia, da ora in poi –
Soddisfatto della spiegazione ricevuta, Shade non pose altre domande, e in compenso spostò subito la sua attenzione verso i due nuovi arrivati, anche loro curiosi quanto lui di approfondire la sua conoscenza.
- Mi chiamo Shade – proferì in direzione della bambina, che risposte timidamente: - Io sono Sophie, e questo è mio fratello Auler –
Da quel giorno, i marchesi di Windsworth poterono contare sulla presenza di due eredi in più all’interno del loro prestigioso casato.


Angolo Autrice:

Ultimamente sono un vero pozzo di idee, posto aggiornamenti su aggiornamenti! Incredibile!
Spero la cosa non vi disturbi. Come vedete, un altro pezzo della storia si svela: avevate intuito bene. Shade, Auler e Sophie sono strettamente collegati l'uno all'altro, e con questo capitolo credo di avere risposto ad una domanda ricorrente nelle vostre recensioni.
Nel prossimo capitolo verrete a conoscenza di un'altra piccola verità. Visto che bastava solo essere pazienti? Mi odiate un pò meno adesso??
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso. Come vedete si palesa anche la figura del padre di Shade. Cosa pensate possa succedere adesso? Vi aspettavate un colpo di scena simile?
Beh, preparatevi perchè nei prossimi capitoli ho in serbo altre sorprese... cosa credevate, che mi sarei accontentata di questo?? 
Ringrazio infinitamente tutti i recensori, i lettori silenziosi, e chiunque segue la fiction. Siamo a quota 30 preferiti, il mio cuore scoppia di gioia! Grazie davvero, sapere che questa storia riesce ad entusiasmarvi per me è un piacere unico.
Spero di tenervi con me fino alla fine, e di regalarvi ancora tante emozioni.
Intanto vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Baci 

_BlueLady_

 
 

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Capitolo 29
*** XXVIII ***


~ CAPITOLO 28 ~
 
- Sophie e Auler Windsworth sono… vostri fratelli?- biascicò Rein incredula, dopo aver ascoltato con estrema attenzione il racconto che Shade aveva deciso di rivelarle.
Il giovane annuì composto, stringendo delicatamente il prezioso manoscritto ancora tra le mani.
- All’età di diciannove anni, quando ormai sia io che mio fratello Auler cominciavamo ad interessarci degli affari della nostra famiglia per poterci finalmente inserire un giorno all’interno della società, mio padre si ammalò. Il medico ci disse che gli restava soltanto un mese di vita, prima che la morte se lo portasse via definitivamente. Fu un duro colpo per tutti, mia madre fu quella che più di tutti non riuscì a farsene una ragione: ancora oggi risente della perdita di mio padre, tant’è che la sua salute è seriamente compromessa. È fragile, instabile, delicata… potrebbe crollare da un momento all’altro. Era molto innamorata, del resto mio padre è sempre stato un uomo amabile, degno di rispetto da parte di tutti. Un vero e proprio modello da seguire -  affermò, con gli occhi lucidi di ammirazione – Conscio anche lui che ormai la sua vita stava volgendo al termine, mi chiamò da parte un giorno nella stanza in cui era costretto a letto da più di una settimana, in procinto di rivelarmi un annuncio importante –
Rein ascoltava in silenzio, proiettata nel passato di quel giovane tanto misterioso quanto affascinante, sconcertata e allo stesso tempo lusingata che lui le avesse concesso di farne parte.
- Mi disse che siccome non sarebbe più stato in grado di occuparsi dell’amministrazione della casa e di tutte le questioni economiche e gli affari in cui era coinvolto, da quel momento in poi avrei dovuto pensarci io. Mio padre stava affidando a me l’incarico di portare avanti il nome della famiglia: ero il suo erede, colui che era degno della sua fiducia. Da quel momento in avanti, sarei stato io a dovermi occupare non solo delle questioni burocratiche come avevo imparato a fare da pochissimo tempo, ma anche di mia madre, di mia sorella, della mia famiglia. Avrei preso il suo posto all’interno della casa.
Per quanto mi sentissi lusingato e onorato dell’incarico ricevuto, da una parte provai un’enorme angoscia ed un’estrema sensazione di non essere all’altezza del compito ricevuto: la responsabilità che mi aveva affidato era enorme, e per un ragazzino ancora giovane e inesperto come me rappresentava un notevole peso sulle spalle da portare avanti. Mentre per gli altri giovani della mia età l’unica preoccupazione che potesse tormentare le loro giornate riguardava quale giovane e piacente fanciulla avrebbero potuto sedurre nel corso del prossimo evento sociale, io mi preparavo a fare il mio ingresso ufficiale all’interno della società: non sarebbero più stati ammessi errori, avevo esaurito il tempo dell’abbandono a futili e frivoli piaceri prima del previsto, e dovevo imparare a diventare uomo da un giorno all’altro – sospirò, ma era un sospiro amaro, che riportava a galla vecchi rimpianti e paure appartenenti ad un passato ormai lontano.
- Gli chiesi il perché avesse scelto solo me per ricoprire il ruolo di capofamiglia: sebbene fossi suo figlio legittimo, nonché primogenito, anche Auler, come me, stava imparando ad inserirsi all’interno della società, e sapevo bene che per mio padre il fatto che Auler e Sophie non fossero realmente suoi figli influisse in misura minima sulla sua decisione di assegnare l’eredità. Ho sempre ritenuto che anche lui, come me, potesse essere degno di tale incarico, e bisognava tenere conto del fatto che anche Sophie ormai era abbastanza cresciuta da essere in grado di gestire parte del patrimonio con serietà e giudizio. Evidentemente mio padre aveva intuito prima di me il fatto che i miei fratelli fossero dotati di un carattere estremamente avido e volubile, benché amasse loro tanto quanto me.
Mi disse che da un po’ di tempo a quella parte aveva notato atteggiamenti piuttosto strani, specialmente in Sophie: l’avidità, l’ingordigia, la gelosia morbosa con cui si appropriava degli oggetti e dei gioielli che le venivano donati, gli avevano fatto intuire che presto, se avesse lasciato a lei il ruolo di amministratrice dei beni familiari, la sua cupidigia avrebbe finito per prevalere nel suo cuore, portando l’intera famiglia sul lastrico. Sophie ha vissuto così tanti anni senza possedere nulla, se non gli stracci che portava indosso, priva persino di una dignità e del rispetto verso se stessa, da essere capace di voltare le spalle alla sua stessa famiglia pur di non perdere tutto ciò che il tempo era stato in grado di donarle.
Auler, del resto, era troppo legato a lei, la sua unica sorella, colei che gli aveva fatto da madre nei tempi bui della loro infanzia, per potersi opporre alla forza di carattere di Sophie.
Così mio padre nominò me come unico erede, certo che sarei stato in grado di amministrare il patrimonio familiare, in modo da non recare offesa né ingiustizia a nessun membro della famiglia. Era convinto che avrei saputo suddividere idoneamente le nostre ricchezze perché tutti potessero usufruirne in egual misura, ed effettivamente era proprio ciò che ero intenzionato a fare –
Rein provò a figurarsi nella mente l’angoscia e la terribile sensazione di non essere all’altezza del compito, mista al dolore per la perdita della figura paterna che il giovane aveva provato in quegli anni tristi e bui, e subito il cuore si fece più pesante.
- Decise di mostrarmi, dunque, il documento che annunciava quella sofferta decisione: non era stato facile per lui escludere Auler e Sophie dalle responsabilità, ma era pienamente convinto che io sarei stato in grado di compensare la mancanza di riguardi che aveva avuto nei loro confronti. Ricordo come fosse ieri quando mi mostrò per la prima volta il diario che tengo ora tra le mani: mi spiegò che al suo interno, tra le pagine che raccontavano i momenti più significativi della sua vita da quando aveva conosciuto mia madre e le descrizioni dei suoi affari più importanti e ancora inconclusi che avrei dovuto portare a termine, si nascondeva il testamento che legittimava la mia eredità. Quel documento certificava senza possibilità di obiezioni che io ero ufficialmente diventato il nuovo marchese di Windsworth.
Mi illustrò inoltre il modo per aprire la serratura di quel manoscritto custodito gelosamente fino ad allora: nemmeno mia madre sapeva della sua esistenza. La serratura è dotata di quattro loculi in cui devono essere posizionate le quattro chiavi necessarie ad aprirlo: quattro gioielli in possesso di mia madre, preziosi cimeli di famiglia tramandati da generazione a generazione, che devono essere disposti in un ordine ben preciso perché si azioni il meccanismo di apertura. Quattro gioielli: uno per ogni figlio –
Ascoltando le sue ultime parole, la giovane fanciulla cominciò a comprendere il significato di molte delle cose che le erano capitate, nelle quali era coinvolto anche Eclipse.
Il ladro stava seduto accanto a lei sul letto, ancora in procinto di raccontare.
- Sfortunatamente – continuò il giovane ancora navigando tra i ricordi – non mi accorsi che dalla fessura della porta della camera in cui stavamo io e mio padre in procinto di dirci addio, Sophie aveva udito ogni singola parola. Nel comprendere che l’uomo che l’aveva accolta in casa, dieci anni prima, e che aveva imparato ad amare come un padre era intenzionato a toglierle tutto per favorire me, il figlio primogenito e legittimo, si animò di una rabbia cieca e di una perversa delusione. Si sentì tradita e angosciata del fatto che io potessi farmi soggiogare dall’avidità e potessi dunque togliere a lei e al fratello la parte di patrimonio che spettava loro di diritto, costringendoli a tornare alle misere condizioni vissute nell’infanzia ancora in grado di provocarle feroci crisi di panico e insonnie notturne. Pianificò un attacco contro me, mia madre e mia sorella, per essere certa di impedirci di toglierle tutto ciò che possedeva.
Non ho mai compreso fino in fondo la morbosa invidia e gelosia che Sophie ha sempre provato nei miei confronti. Penso di averle sempre dimostrato il mio affetto fraterno, senza mai farle pesare le sue umili origini, né il suo misero passato. Evidentemente non è stato sufficiente a reprimere l’odio insito in lei come un parassita, pronto ad infettarle l’anima.
Credo che, ripensandoci a mente fredda, il motivo che ha spinto Sophie ad agire contro me e mia madre fosse il fatto che non è mai riuscita a fidarsi completamente di noi, nonostante non le abbiamo mai dato motivo di dubitare del nostro affetto nei suoi confronti. Probabilmente i fatti vissuti nell’infanzia e la profonda sofferenza provata hanno marchiato la sua esistenza in modo irreparabile, rendendola incapace anche solo di pensare che a questo mondo esiste l’amore incondizionato, e che, tra tanti sciacalli pronti ad approfittarsene, esistono anche persone dotate di un cuore e di una coscienza in grado di amare il prossimo senza condizioni.
Semplicemente, Sophie è incapace di fidarsi del prossimo, e questa mancanza l’ha portata ad agire di conseguenza.
Due settimane dopo la morte di mio padre, di comune accordo con il fratello che era riuscita facilmente a convincere a prendere la sua posizione, Sophie si introdusse in camera di mia madre sottraendole nel sonno tre dei quattro gioielli chiave che ancora attendevano di essere consegnati ai rispettivi proprietari, il quarto non riuscì a trovarlo. Dopodiché si introdusse nei miei appartamenti per sottrarmi il diario appartenuto a mio padre, e bruciare così la prova evidente che dimostrava la loro illegittimità e certificava la mia eredità al titolo, ma non lo trovò –
E qui fece una pausa, i pugni chiusi e l’amaro in bocca per quanto fossero dolorose le sue parole.
Rein notò il rancore attanagliargli il cuore, subdolo come un veleno, e fu spinta dall’istinto di allungare una mano verso le sue ancora strette a pugno, per sciogliere la tensione di cui erano preda.
Con sua grande sorpresa, il giovane non si ritrasse a quel tocco morbido e discreto.
- Nel giro di due giorni Sophie simulò un incendio in casa nostra nel cuore della notte facendolo passare per un incidente, poi disse a tutti che lei e suo fratello erano gli unici superstiti della famiglia Windsworth rimasti. Io, mia sorella e mia madre, scampati per miracolo alle fiamme della nostra stessa casa, ci ritrovammo sull’orlo di una strada, esclusi dalla vita cui avevamo invitato Auler e Sophie a prenderne parte. La salute di mia madre, ancora scossa dalla perdita di mio padre e aggravata da tutto il fumo respirato durante l’incendio, peggiorò rapidamente, e fui costretto a mobilitarmi il prima possibile per cercare un posto per accogliere lei e mia sorella prima che le sue condizioni peggiorassero a tal punto da costringermi a sopportare l’ulteriore perdita di un genitore, cosa che non ero ancora disposto ad affrontare.
Fortunatamente, tra tanti aristocratici incuranti della tragedia che aveva colpito la nostra famiglia, trovai Bright pronto ad accogliermi a braccia aperte: l’unica persona che aveva preso sinceramente a cuore la nostra condizione, e che senza fare domande né chiedere spiegazioni, ci accolse in casa sua come se fossimo parte della sua famiglia.
Gli raccontai senza entrare troppo nei dettagli che delle persone si erano appropriate ingiustamente del nostro patrimonio, e che necessitavo di aiuto per riprendermi ciò che mi era stato tolto. Senza il diario di mio padre non potevo dimostrare il mio diritto all’eredità, dunque era necessario che mi mobilitassi il prima possibile per recuperare le chiavi per aprirlo.
Nel frattempo, però, era necessario procurarsi una nuova identità per poter marcare strettamente i due falsi marchesi di Windsworth, e venire a conoscenza delle loro mosse prima che potessero metterle in atto.
Fu Bright a propormi di assumere l’identità del visconte di Moonville: conosceva intimamente il proprietario della contea, e sapeva per certo che sarebbe stato lieto di appoggiare la mia causa e aiutarmi a riappropriarmi del titolo che mi era stato tolto. Il vecchio visconte non aveva eredi ed era ormai al limite della sua vita, ma era disposto a fingersi mio padre pur di venire in mio soccorso: la contea di Moonville era all’epoca poco conosciuta, un modesto territorio privo di interesse per molti aristocratici, assumere un’identità inesistente non sarebbe stato un problema. E del resto a me non avrebbe fatto alcuna differenza, visto e considerato che io stesso, secondo il racconto ufficiale di Sophie, non ero altro che il ricordo di un uomo, un cadavere ridotto in cenere. Promisi al visconte che sotto la mia guida avrei ripagato fruttuosamente la sua generosità, facendo della contea di Moonville un luogo prospero e rigoglioso.
Giustificammo la mia costante presenza a villa Tinselpearl con una finta promessa di matrimonio con Altezza, alla quale le facemmo credere si trattasse solo di una sistemazione temporanea per indagare su uno dei miei tanti presunti affari da mandare in porto.
Poi fu la volta di escogitare uno stratagemma per riappropriarmi dei gioielli necessari ad aprirne la serratura: fu allora che nacque Eclipse, capace di vagare silenzioso nell’ombra della notte, per sorprendere i marchesi quando meno se l’aspettavano.
Mia madre e mia sorella vennero accolte nella casa del visconte, consapevoli soltanto della farsa che riguardava il mio titolo nobiliare, e ignare dell’esistenza di Eclipse. Anche adesso che il visconte è morto da anni, possono ancora rifugiarsi senza paura nella contea di Moonville, in attesa che venga fatta giustizia, credute morte da chiunque, e perciò al sicuro da Sophie.
Nel frattempo Sophie divenne talmente avida e assetata di denaro, da appropriarsi tassativamente e senza ritegno alcuno delle ricchezze della popolazione del marchesato, rendendo il territorio amministrato con così tanta premura e giudizio da mio padre, un rudere di povertà e decadenza. Decisi allora, dopo aver toccato con mano la miseria della popolazione ridotta sul lastrico, che Eclipse avrebbe vendicato, assieme all’onore della mia famiglia, anche l’onore degli abitanti del marchesato di Windsworth.
I miei obiettivi principali restavano sempre i quattro gioielli, ma non ho mai mancato di ripagare quello che considero il mio popolo delle ingiustizie subite per opera di Sophie –
Shade deglutì a fatica un boccone di saliva troppo amaro.
- Ad oggi sono riuscito a recuperare il diario, miracolosamente intatto dall’incendio, e tre dei gioielli necessari a sbloccare la serratura: uno di questi è proprio quello affidato a voi, l’Occhio della Notte, il gioiello a me più caro, perché donatomi direttamente da mio padre in punto di morte, l’unico di cui Sophie non è ancora riuscita ad appropriarsi –
Istintivamente, Rein volse lo sguardo verso la specchiera in direzione del gioiello, pervasa da un improvviso tuffo al cuore.
- Voi avete voluto affidarmi un cimelio tanto prezioso senza sapere neanche chi fossi, e se avrei potuto tradirvi?- domandò, affondando le pozze cristalline in quelle tenebra di lui.
- Ho dovuto farlo per nasconderlo dalle tracce di Sophie e di Auler. Non ho immaginato, tuttavia, che questo gesto impulsivo potesse mettere seriamente in pericolo la vostra incolumità. Ho agito per puro egoismo, e non posso che vergognarmene profondamente. So perfettamente di non meritarmi il vostro perdono, l’unica cosa che spero in questo istante è che non dubitiate ancora delle mie parole. Se potessi leggervi il diario di mio padre in questo momento, sarei in grado di mostrarvi la verità – asserì amaramente, senza distogliere lo sguardo.
Rein parve tentennare ancora un istante sulle parole pronunciate da quel giovane magnetico.
- Ci sono ancora alcuni concetti che non mi sono chiari – proferì poi, impacciata e titubante – quando sono andata in visita alla contea di Moonville, sotto indicazione di quello che credevo essere Eclipse, l’ho trovata un luogo decadente e disabitato, un luogo appartenente al passato, in rovina. Quando sono giunta a destinazione, mi è stato detto che il visconte di Moonville effettivamente non aveva eredi, ma che era morto da circa vent’anni. Inoltre l’altra sera, al ballo, la marchesa mi ha detto senza esitazioni che voi avete tentato di ucciderla, e che lei per legittima difesa è riuscita a ferirvi il braccio sinistro. La descrizione coincide perfettamente con il vostro stato – alluse, accennando con lo sguardo in direzione della camicia che portava un profondo squarcio in corrispondenza del braccio sinistro.
Eclipse osservò dapprima il taglio indicatogli dalla fanciulla, per poi tornare con gli occhi su di lei.
- Anche Sophie, come me, si avvale di un innumerevole esercito di alleati pronti a servirla quando lei lo ritiene necessario. Probabilmente alludete al fatto che siete giunta alla periferia della contea, che purtroppo non sono ancora riuscito a risanare. La persona che vi ha fornito determinate informazioni su di me e sul defunto visconte non era altri che un alleato di Sophie, giunto nella contea per portarvi fuori pista, e manipolare la vostra mente a piacimento della marchesa –
- Come faceva a sapere che sarei giunta proprio in quel punto per farsi trovare?-
- Vi ha seguita fino a destinazione, spacciandosi poi per un abitante del luogo e fornendovi informazioni fasulle circa la morte del visconte –
- E la vostra ferita?-
- Me la sono procurata in camera di Sophie, mentre cercavo di sottrarle il terzo gioiello mancante per completare la collezione. Posso assicurarvi che, nonostante nutra profondo risentimento e rancore verso colei che un tempo consideravo mia sorella, non ho mai avuto intenzione di ucciderla. La cicatrice che porta sul collo è soltanto segno di legittima difesa da parte mia –
Rein osservò ancora Shade negli occhi, incerta.
- Perché non siete più venuto a farmi visita, la sera dopo il nostro ultimo incontro?- domandò, amareggiata e tradita.
Shade la osservò stringersi nelle spalle, animata da un profondo sentimento di delusione e di abbandono.
- Ero certo che, in seguito all’attacco ricevuto, i marchesi vi avrebbero tenuto sotto stretta sorveglianza, e non potevo permettermi di farmi vedere mentre mi ospitavate in camera vostra nel corso della notte: avrebbe significato confermare i sospetti che già da tempo alimentavano la mente di Sophie. La sera dello scontro ha confessato apertamente di sapere dove tenessi nascosto l’Occhio della Notte… a quel punto ho temuto per la vostra incolumità, ma non potevo espormi tanto da permettere loro di sorprenderci alle spalle. Conosco Sophie, e so che è un’abile stratega: è brava a seminare sfiducia e disillusione tra le persone, ed è ancora più abile nell’accertare la verità delle sue fonti di informazione. Sapevo che non avrebbe agito subito con un’incursione in casa vostra, ma che vi avrebbe osservato attentamente per carpire informazioni da utilizzare abilmente contro di voi, per questo non mi sono più presentato in camera vostra, fino a stasera. Non pensiate però che solo per questo motivo io abbia voluto abbandonarvi al vostro destino: ogni notte, sebbene non mi presentassi ufficialmente a voi, giungevo nel vostro giardino, pronto ad intervenire se fosse stato necessario. Mentre Sophie osservava voi, io osservavo Sophie. Sono stato la sua ombra fino alla sera del ballo quando, appurato che eravate ormai a conoscenza di troppi dettagli e che la marchesa sfruttava il vostro sconforto e i vostri dubbi per mettervi ancora più in confusione e schierarvi contro di me, ho preso la decisione di rivelarvi la mia vera identità –
Rein, sempre più confusa e sconcertata, ancora faticava a credere a quelle parole pronunciate così di getto, schiette, senza filtri.
- Come faccio a sapere che mi state dicendo la verità, e che non state ancora cercando di ingannarmi? Per quanto ne so, voi siete soltanto un criminale senza un nome né un passato – asserì provocatoria e pervasa dal dubbio.
- Signorina Sunrise – proferì l’altro, avvicinandosi a lei per poterla osservare negli occhi nel buio della notte – non pretendo che mi crediate né che continuiate ad accettare di essere mia complice. Se lo desidererete, al termine del mio racconto, sarete libera di ordinarmi di andarmene, e fingere che tutto questo non sia mai accaduto: io riprenderò il gioiello che vi ho affidato, e sparirò dalla vostra vista, non prima di essermi accertato che voi e la vostra famiglia siate lontani dal pericolo. Comprenderò la vostra decisione, e non solleverò obiezioni a riguardo. Però dovete credermi – le sussurrò, a un soffio dalle sue labbra, e stringendo le mani nelle sue – la vostra incolumità mi sta più a cuore di quanto possiate immaginare. Non posso più nasconderlo, ormai: se davvero anche voi avete provato un simile sentimento nei miei confronti, non potete ignorare il fatto che anche per me, fin dall’inizio, quei sentimenti sono stati più profondi e sinceri che mai. La mia condizione mi impedisce di amarvi come è concesso di fare agli altri, e mai vorrei costringervi a ricambiare un amore che è ostacolato fin dal principio: nella mia situazione attuale non sono in grado di offrirvi nulla, se non tutto me stesso, e non posso permettere al mio egoismo di chiedervi di accettare i rischi che implica l’essere inesorabilmente in cerca di riacquistare il mio onore perduto. Sono disposto a lasciarvi libera, e ad amarvi in silenzio e da lontano, come ho sempre fatto da quando vi ho conosciuta la prima volta. Se vi ho affidato il gioiello, è perché sapevo di potermi fidare di voi. Tutto ciò che vi chiedo è di fidarvi di me, indipendentemente dalla decisione che prenderete in questo momento. Se vi ho mentito l’ho fatto per proteggervi da un male più grande. In quanto ai miei sentimenti, tutto ciò che ho dimostrato di provare per voi è stato vero dall’inizio alla fine: non ho dimenticato il bacio della nostra ultima notte insieme, come credo che non lo abbiate dimenticato voi. Se davvero le mie parole contano qualcosa, abbiate fiducia in me. Non sono un visconte, e neanche un marchese al momento: sono semplicemente un uomo innamorato di voi, che vi sta aprendo il suo cuore come non ha mai fatto con nessun altro –
Terminato il lungo discorso, Shade si accorse di essersi esposto troppo, e che la vicinanza del suo volto a quello di Rein metteva la fanciulla ancora più in soggezione di quanto non fosse già.
Si scostò bruscamente, quasi a volersi scusare della sfacciataggine di quel gesto impulsivo, e si ritrasse in un angolo, accartocciandosi su se stesso, profondamente angosciato e tormentato dai fantasmi del suo passato.
Rein, sebbene l’istinto le suggerisse di fidarsi di quel giovane dal manto oscuro, ancora temeva di lasciarsi andare al peso di quella confessione, ma nel vederlo in quello stato, gli occhi lucidi e il respiro mozzato, profondamente ferito e tormentato dal risentimento, improvvisamente comprese tutta la sofferenza che quell’uomo si portava appresso da anni.
Vide la sua disperazione per aver perso tutto ciò che amava in un battito di ciglia.
Vide il rancore di un affetto calpestato trapelare dai suoi occhi.
Vide la paura di affidare ancora la propria fiducia agli altri, per poi essere tradito di nuovo.
Vide tutto questo negli occhi di Shade Moonville – ancora non riusciva a disabituarsi dal chiamarlo in quel modo – ed improvvisamente capì.
Capì quanto poteva essere stato doloroso affrontare tutto ciò da solo, caricarsi sulle spalle un fardello tanto pesante.
Comprese cosa volesse dire rimarginare le ferite di un orgoglio fatto a brandelli.
Vide l’immensa solitudine di quell’uomo dalla corazza di diamante, ma dal cuore fragile come cristallo.
Semplicemente capì. E senza neanche accorgersene, si ritrovò a piangere con lui la sua pena. Lo poteva quasi sentire sulla pelle quel dolore che lo aveva trafitto come la lama affilata di un coltello.
Sentiva il suo cuore ferito e martoriato pulsare lacrime di sangue.
Improvvisamente, Shade non le sembrò più così invulnerabile come lo aveva conosciuto. Finalmente aveva compreso ciò che si celava dietro ad ogni suo più piccolo gesto di orgoglio.
Quella che aveva tentato di difendere con tutto se stesso era la misera figura di un uomo che aveva perso tutto: così patetica, eppure altrettanto solenne.
Soltanto allora si rese conto di quanto Shade fosse umano… e soltanto allora si rese conto di quanto davvero lei lo amasse, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.
Lo amava, anche se le aveva mentito fino ad allora. Lo amava anche se agli occhi di tutti non era altro che un criminale, un reietto, un avanzo della società.
Anzi, venendo a conoscenza del suo passato, si rese conto di amarlo più di prima.
E senza pensarci due volte, mentre ancora lui si struggeva nel suo muto dolore, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Nonostante un primo attimo di stupore, colto alla sprovvista da quel gesto così spontaneo, Shade ripose a quel bacio carico di compassione, amarezza, consapevolezza, disperazione, amore.
La baciò anche lui, e a quel bacio ne seguì un altro, e poi un altro ancora, finché i baci non divennero sempre più famelici, vogliosi, appassionati, disperati.
Le loro bocche continuavano a cercarsi, ancora e ancora, avide, passionali, quasi carnali, bramose di assaporarsi una, due, cento volte ancora, incapaci di staccarsi l’una dall’altra.
Rein trascinò con sé Shade tra le lenzuola candide del suo letto, senza mai cessare di scontrare le sue labbra con quelle di lui.
L’emozione era tanta che non poté evitare di lasciarsi sfuggire qualche lacrima dagli occhi.
Lo amava, e voleva vivere di lui per il resto della vita.
- Non posso…- lo udì sussurrare a un tratto, tra un sospiro e l’altro, mentre i battiti dei loro cuori acceleravano e il corpo si accendeva di oscure voglie.
- Perché?- gli domandò, desiderosa di farsi carico dei suoi fantasmi, e di curarlo dalla solitudine.
- Non posso rovinarvi la vita più di quanto non abbia già fatto. Se cedete adesso, poi in futuro, quando sarà il momento di trovarvi un marito, vi pentirete della scelta fatta. Sapete meglio di me le malelingue che circolano sulle donne non più vergini da prima del matrimonio – asserì a fatica, resistendo a forza all’istinto di farla sua.
Rein lo guardò negli occhi, pervasa da un amore cieco.
- Lasciamo che siano gli altri ad avvelenarsi l’animo. Sono pronta ad accettare il rischio, e ad aspettarti per tutto il tempo che serve – gli disse, catturandolo di nuovo tra le labbra, e cancellandogli ogni dubbio.
Fecero l’amore con discrezione, ma intensamente, come se quella fosse stata l’ultima volta, anziché la prima, in cui assaporavano l’uno la pelle dell’altra. I vestiti vennero tolti delicatamente assieme alle paure, ed entrambi si sorpresero dell’audacia con cui i loro corpi si cercavano, intrecciati l’uno all’altra, risvegliati dal piacere dei sensi.
Si esplorarono percorrendosi con le dita, sfiorando i punti più sensibili con la punta delle labbra, mani nelle mani, occhi negli occhi, toccandosi, desiderandosi, amandosi come non avevano mai fatto.
Shade si ritrovò ad ammirare il corpo candido ed esile di Rein, mentre lei gli passava le mani tra i capelli: si esploravano piano, senza fretta, come se avessero a disposizione tutto il tempo del mondo, proiettati in una dimensione soltanto loro, come ad imprimere nella memoria ogni singolo istante di quel momento agognato da tempo, e che mai avrebbero sperato potesse divenire realtà.
Si amarono come se si fossero cercati da sempre, aspettandosi per anni in attesa di divenire un corpo solo, una sola anima. Si amarono come se fosse concesso loro di farlo soltanto per quella notte.
Si amarono al di là del bene e del male, oltre lo spazio ed il tempo conosciuti, consci di essere soltanto loro nell’universo, intrappolati in quel momento perfetto.
Accarezzavano i loro corpi come a pizzicare le corde di un arpa: ciò che producevano insieme era arte, era amore, era pura poesia.
Rein percorse con la punta delle dita la profonda cicatrice ancora incrostata di sangue che solcava il braccio di Shade, e gliela baciò, percorrendola centimetro per centimetro, come a volerlo guarire da tutto il dolore che aveva gravato sulle sue spalle fino ad allora. Si presero per mano, e le paure, assieme ai tormenti, cessarono di esistere, diventando leggeri come piume.
Quando finalmente raggiunsero l’incastro perfetto, sempre senza fretta, per assaporare a fondo il piacere di quel momento, compresero finalmente cosa volesse dire ritrovarsi dopo essere stati distanti a lungo, riconoscersi tra tante anime per non lasciarsi andare più.
E furono finalmente un corpo solo, capace di rimettere a posto il mondo con l’armonia pura che scaturiva dall’intreccio dei loro cuori.
Si amarono quella notte, incerti dell’avvenire. Si amarono come nessun’altro avrebbe mai amato, certi che quello sarebbe bastato a chetare la tempesta che infuriava nelle loro vite.
Si amarono, perché era tutto ciò di cui avevano bisogno. Il resto, ancora una volta, non contava più nulla. Seppero che amarsi era il loro destino inesorabile.


Angolo Autrice:

Dopo tanto tempo ad aspettare di ricevere la giusta ispirazione per continuare, finalmente ecco che riesco a partorire qualcosa di buono.
La storia di Shade si è conclusa. Ora sapete tutta la verità. Vi ho stupito? Vi ho deluso? Immaginavate potesse portarsi dietro un simile passato?
Come vedete, anche Rein è rimasta profondamente toccata dalla triste storia del visconte. Ormai non ci sono più segreti, soltanto un nemico da fermare.
Cosa pensate possa succedere ora?
Se non l'avete ancora fatto, preparate il vostro cuoricino, perchè se pensavate che le sorprese fossero finite, beh, mi dispiace deludervi.
Mi scuso dei ritardi con gli aggiornamenti, il tempo a disposizione è quello che è e faccio sempre fatica a produrre qualcosa di decente in poco tempo. Spero di essermi fatta perdonare.
Come potete vedere, a fine capitolo ho voluto inserire un momento di stretto contatto fisico tra i due... ora, non ho descritto nei minimi dettagli l'atto perchè non penso valesse la pena di rovinare tutto quello scritto finora inserendoci scene porno per nulla in armonia con lo stile e l'atmosfera che sto cercando di creare. Tuttavia, mi affido anche ad un vostro parere, se pensate che il rating della storia - giallo attualmente - non sia appropriato per il conenuto di questo capitolo, mi impegnerò a cambiarlo.
Vi lascio, sperando di avervi regalato almeno qualche piacevole minuto di lettura.
Ringrazio tutti coloro che, come me, si sono innamorati di questa storia. Grazie davvero. Non so più come sdebitarmi per il sostegno che mi date.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo, nella speranza che un aggiornamento non sia poi così lontano.
Baci

_BlueLady_

 

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Capitolo 30
*** XXIX ***


~ CAPITOLO 29 ~
 
Mentre i due amanti consumavano il loro amore tra le lenzuola del letto di Rein, un’altra oscura figura riuscì ad introdursi in casa Sunrise, quella notte, forzando la serratura della porta del piano inferiore, e sgusciando dentro con ammirevole maestria.
Celato soltanto da un oscuro mantello e da una maschera color pece a coprirgli il volto, lo scaltro individuo si mise a perlustrare ogni angolo della casa in cerca di ciò per cui si era introdotto lì.
Nonostante la cautela con cui compiva ogni singolo movimento, le sue membra erano percorse da un’insolita agitazione: era ben cosciente del fatto che, se fosse stato scoperto, non gli sarebbe stato perdonato il fatto di tornarsene a casa a mani vuote.
Esplorò con precisione meticolosa ogni angolo del salotto, rovistando tra i cassetti e le mensole delle credenze e dei comodini: non poteva lasciare nulla al caso, perché sapeva bene che se si fosse lasciato sfuggire anche il più minimo dettaglio, la sua inefficienza sarebbe stata punita.
Rovistò per diversi minuti l’intero salotto e la sala da pranzo: una volta appurato che ciò che cercava non fosse neanche lì, decise di passare alla cucina.
Pensò che con ogni probabilità quell’ultima stanza fosse un luogo decisamente insolito per nascondere un oggetto tanto prezioso, ma l’esperienza gli aveva insegnato ad aspettarsi di tutto dalle persone.
Aprì sportelli, spostò sedie, esplorò sotto i mobili, ma nulla.
Ciò che cercava non era nemmeno lì.
Terminato di rovistare anche nel bagno al piano inferiore e nella biblioteca – aveva controllato maniacalmente qualsiasi libro, pensando che la sua preda potesse addirittura essere stata nascosta tra le pagine di qualche manoscritto, spacciandola per segnalibro – giunse all’inevitabile conclusione che il suo obiettivo dovesse trovarsi per forza al piano superiore.
Orientandosi nel buio, e cercando di essere il più silenzioso possibile, si preparò a salire al piano di sopra, in direzione delle camere da letto.
 
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Ai piedi del letto, Shade la ammirò crogiolarsi tra le lenzuola in tutta la sua bellezza.
Rein giaceva distesa su un fianco, gli occhi chiusi assopita in un placido sonno, nuda, con il lenzuolo ad accarezzarle il ventre, maestosa come una dea greca, meravigliosa nella sua fragilità.
Sulle labbra del giovane si accese l’ombra di un sorriso fugace. Si chinò su di lei, ancora divorato dall’amore, e prese a percorrere con le labbra ogni centimetro di pelle, quasi a voler scolpire sulla sua bocca l’impronta di quel corpo prefetto: cominciò dalle caviglie, per poi passare alle cosce, e pian piano salire al torace, raggiungendo i seni morbidi e pieni. Esplorò ogni parte di lei, perdendosi in quelle dune sinuose che erano le sue curve femminili, ancora affamato di desiderio, col cuore gonfio in procinto di esplodere.
Nel sentire quel tocco delicato come le ali di una farfalla, Rein rabbrividì di piacere, socchiudendo gli occhi nel limbo del risveglio. Ad accoglierla quando prese definitivamente coscienza di sé, fu la sagoma asciutta e scolpita di quel corpo da atleta che l’aveva posseduta poco prima, accarezzato dal pallore lunare.
Shade arrivò a baciarle il collo candido da cigno, e Rein si ritrovò a sospirare estasiata.
Giunto ai lobi dell’orecchio, e baciati anche questi ultimi, piantò le sue iridi buie in quelle cristalline di lei, che sembravano pregarlo ancora di soggiogarla al piacere di quel tocco passionale.
Sorrise pensando a quanto fosse bella Rein in quel momento, abbandonata sul letto e baciata da raggi lunari, così tremendamente perfetta, così terribilmente e inconsapevolmente sensuale, la pelle di candida porcellana pronta ad assaporare ancora il sapore di quei baci che parevano imprimerle un marchio indelebile sul corpo.
Sorrise Shade nel trovarla semplicemente meravigliosa.
Sentì di amarla davvero.
-Ti amo – si lasciò sfuggire a fior di labbra, lo sguardo ancora fuso in quello di lei, che subito vacillò non appena ebbe udito quelle parole uscirgli di bocca. Dirle ciò era come strapparsi il cuore dal petto, e porgerglielo sul palmo della mano ancora caldo e pulsante.
Rein impiegò qualche secondo a recepire il significato di ciò che lui le aveva appena detto, ma quando ne comprese il senso quelle parole le scivolarono dentro al petto come un fiume in piena, delicate ma impetuose, e lei non poté fare a meno di incamerarle dentro al suo cuore, farle sue, sentirle scorrere nelle vene e raggiungere ogni singola parte del suo corpo, fino a farle bruciare gli occhi di contentezza.
Lo guardò ancora un istante, per imprimere ancora di più a fondo nella memoria la bellezza di quella notte.
In quel momento, nonostante le menzogne che le aveva raccontato fino ad allora, fu consapevole che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Shade Moonville le stava dicendo la verità.
Si chinò a baciarla di nuovo, e lei gli cinse il collo con le braccia.
Nell’attimo in cui le loro bocche si sfiorarono nuovamente l’una con l’altra, entrambi realizzarono la meraviglia di ciò che stavano vivendo, e desiderarono che il tempo potesse fermarsi, imprigionandoli nella perfezione di quel momento per sempre.
Da quel bacio, entrambi sentirono di stare toccando con mano tutto l’amore del mondo.
Si adagiarono di nuovo insieme tra le lenzuola, assaporando nuovamente l’una la pelle dell’altro nel buio di quella notte infinita.
 
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Aveva giusto adagiato il piede sul primo scalino, quando un bagliore inaspettato ed improvviso lo costrinse a retrocedere sui suoi passi, disorientandolo.
Appiattendosi contro la ringhiera, protetto soltanto dall’angolo del muro dietro cui si era nascosto, riuscì a scorgere la sagoma di un uomo munito di candela scendere le scale, assonnato ma abbastanza vigile da poterlo notare, attirato al piano di sotto da insoliti scricchiolii.
Sussultò, il cuore in gola: evidentemente non era stato silenzioso quanto aveva creduto di essere, e se non voleva rischiare di mandare tutto a monte doveva tagliare la corda il prima possibile, senza dare nell’occhio.
Avvantaggiato dall’ombra del buio non ancora illuminato dalla candela, sgusciò silenziosamente in direzione della prima via d’uscita raggiungibile: la finestra della sala da pranzo, che dava direttamente sul giardino. Si vide costretto a rivedere i suoi piani, tornando a casa a mani vuote, almeno per quella notte.
Nello sgattaiolare via, tuttavia, non prestò abbastanza attenzione: a Toulouse non sfuggì l’ombra del mantello sventolargli sotto la coda dell’occhio, e subito puntò la candela nella sua direzione.
- Chi c’è?- domandò allarmato, mentre la fioca luce della fiammella rivelava la sagoma di un uomo dal manto scuro scivolare lungo le pareti della stanza.
Conscio di essere ormai stato scoperto, il fuggitivo si preparò a svignarsela il più in fretta possibile.
- Fermo dove sei! Cosa sei venuto a cercare qui?-
Protetto dalla maschera color pece, riuscì ad evitare di farsi riconoscere dal suo inseguitore, ma Toulouse si rivelò un avversario più scaltro del previsto, e si vide costretto a rovesciargli addosso parte del mobilio per rallentare la sua corsa verso la sua direzione.
- Fermati, vigliacco! Affrontami a volto scoperto!- gli gridò dietro l’altro, mentre cercava di liberarsi dagli ostacoli per lanciarsi al suo inseguimento.
Il fuggitivo riuscì abilmente a trovare una scappatoia fiondandosi fuori da una delle finestre del salotto: dopodiché prese a correre all’impazzata, la sagoma della pistola che gli premeva sulla cintura e che sfiorò con la punta delle dita, mentre dietro di lui ancora echeggiavano le grida di Toulouse che gli intimavano di fermarsi.
 
- Cos’è stato?- sussurrò Rein allarmata destandosi dal torpore dopo aver udito insoliti rumori provenire dal piano di sotto.
Shade balzò subito in piedi con il sangue ribollente nelle vene, mentre la fanciulla si puntellava sul materasso in cerca della camicia da notte per rivestirsi.
- Qualcuno è entrato in casa – esclamò seccamente mentre si rivestiva il più in fretta possibile per andare a verificare l’accaduto, e proprio quando si affacciò alla finestra scorse una sagoma oscura dotata di mantello fiondarsi fuori dalla finestra del piano inferiore, inseguita da un’altra più lenta e impacciata, che lanciava grida acute al cielo nel tentativo di fermarla.
- Shade…- mormorò Rein sgranando gli occhi di paura, il cuore a mille ed un groppo in gola.
- Resta qui – le ordinò, prima di fiondarsi dal davanzale e lanciarsi all’inseguimento del nemico.
 
- Fermo!- continuava a strillare Toulouse rallentando sempre di più il passo, troppo stanco per riuscire a tenere testa alla figura che gli sfrecciava veloce davanti agli occhi, facendosi sempre più lontana.
Sentendosi ormai la vittoria in tasca, l’oscuro visitatore si lasciò sfuggire l’ombra di un ghigno sulle labbra: raggiungerlo era ormai impossibile, la sua integrità era salva.
Era quasi riuscito a raggiungere l’ingresso del giardino della villa, quando una voce alle sue spalle che lo chiamava per nome lo costrinse a bloccarsi di botto.
- Fermati, Auler!- gli intimò una figura comparsa improvvisamente dal nulla dietro di lui, che lo costrinse a voltarsi indietro.
Non appena si ritrovò faccia a faccia con chi l’aveva chiamato per nome, ebbe un tuffo al cuore, la mano tremante che cercava disperatamente la sagoma della pistola sotto il mantello come ad accertarsi di avere ancora una scappatoia.
- Eclipse – mormorò tra i denti, col fiato mozzato, riconoscendo l’immagine del ladro stagliarsi minacciosa davanti a lui in tutta la sua sicurezza – Ci rincontriamo – pronunciò a fior di labbra, il cuore che gli implodeva nel petto.
Solo in un secondo momento realizzò un particolare sfuggitogli inizialmente, un lampo a ciel sereno che gli attraversò la mente fulmineo: - Come fai a sapere chi sono? - domandò boccheggiando, scrutando ogni movimento del ladro.
Quello, per tutta risposta, sfoderò dalla cintura dei pantaloni una frusta come unica arma per difendersi, e con un movimento rapido che Auler non fu in grado di prevedere né di vedere, la schioccò in direzione della maschera che portava indosso, facendola cadere a terra e rivelando la cascata di capelli verdi che si celava sotto di essa, smascherandolo.
- Conosco i miei avversari come le mie tasche – sibilò Eclipse ritraendo la frusta a sé, e guardandolo negli occhi con sfacciata sicurezza.
Auler puntò lo sguardo sulla maschera che giaceva inerme al suolo, poi si concentrò nuovamente sul ladro di fronte a sé, la mano destra nascosta sotto il mantello pronto ad estrarre la pistola.
Da lontano, intanto, si udiva il richiamo di Toulouse ancora in cerca di colui che credeva essere Eclipse, accompagnato dal brusio di sottofondo delle donne di casa, sconcertate quanto lui dell’accaduto.
- Immaginavo ti avrei incontrato qui, questa notte – mormorò il marchese, riacquistando lucidità nelle sue azioni – del resto, le tue mosse sono facilmente prevedibili – asserì, scansando un secondo colpo di frusta con il quale Eclipse aveva tentato di immobilizzarlo, e fiondandosi verso di lui per scontrarsi corpo a corpo, e sparargli dritto in fronte come gli era stato ordinato di fare.
Eclipse riuscì a schivarlo una volta, ma non fu capace di sottrarsi ad un colpo infieritogli vigliaccamente alle spalle, che lo costrinse a vacillare un secondo, il tempo necessario perché Auler estraesse la pistola da sotto il mantello, e gliela puntasse dritta in testa.
- Ti ho lasciato andare una volta, ma stanotte non sarò altrettanto clemente – sussurrò Auler in un ghigno, il dito tremante pronto a premere il grilletto – prima però voglio guardarti negli occhi mentre ti uccido – e allungò la mano libera verso il volto del ladro, nel tentativo di strappargli la maschera di dosso.
Eclipse, tuttavia, mantenendo il sangue freddo anche in punto di morte, riuscì ad afferrare il braccio di Auler per evitare che gli scoprisse il volto, e con l’altra mano azionò abilmente la frusta per strappare dalla presa dell’avversario la pesante pistola, che scagliò lontano, di modo che non potesse più recuperarla.
Auler si ritrovò spiazzato per alcuni istanti, immobilizzato dalla presa del ladro che già gravava minaccioso su di lui, finché un insolito bagliore tra i ciuffi d’erba non lo aiutò ad individuare dove si trovasse l’arma che gli era stata sottratta.
I due avversari si guardarono negli occhi un istante, prima di comprendere l’uno le intenzioni dell’altro, e agire di conseguenza. Auler, con un balzo felino, riuscì a liberarsi dalla presa di Eclipse, che subito schioccò un nuovo colpo di frusta nel tentativo di afferrarlo ed impedirgli di raggiungere l’arma. Non appena udì il sibilo della corda tagliare l’aria, il marchese si voltò, afferrandone l’estremità con entrambe le mani, e tirando forte a sé nel tentativo di strapparla dalle mani del ladro. Eclipse, tuttavia, non dava cenno di voler mollare la presa, anzi, sfruttò l’imprevisto a suo favore, lasciandosi trasportare dalla forza di Auler per corrergli incontro e sferzargli una gomitata dritta nello stomaco, che lo fece vacillare sul posto in preda a rantoli di tosse soffocati.
A quel punto ritrasse fulmineo la frusta per poterla di nuovo indirizzare contro il nemico ed immobilizzarlo definitivamente, ma Auler, intuendo le sue mosse, riuscì a rialzarsi in piedi con una velocità sorprendente, e a scagliarsi su di lui per impedirgli qualsiasi movimento.
Rovinarono a terra insieme, la frusta abbandonata a pochi centimetri da loro, impegnati in un corpo a corpo senza esclusione di colpi. In un momento di lucidità Auler riuscì ad individuare dove si trovasse l’arma: la afferrò con entrambe le mani, e non appena si ritrovò sottomano il nemico, gliela agganciò al collo, stringendo con tutta la forza che aveva in corpo.
Eclipse esplose in un lamento soffocato, avvertendo la corda segargli la pelle già livida della gola: cominciava già a sentire la testa pesante, e le forze venirgli meno.
Fortunatamente il corpo a corpo li aveva spinti abbastanza vicino alla pistola perché Eclipse riuscisse ad afferrarla, e nel mentre che Auler continuava a stringere il cappio intorno alla gola, riuscì ad assestargli un colpo ben deciso con l’impugnatura dell’arma sulla tempia.
I due rovinarono a terra, entrambi tramortiti: Eclipse tossiva, sputando litri di saliva rimasti bloccati in gola, mentre Auler si portava una mano alla tempia stordito, riscoprendosela sporca di sangue.
Entrambi erano coscienti del fatto di dover riprendere le forze prima del loro avversario, le armi disperse a terra, ricercate a tentoni nel buio.
Fu Auler che, spingendosi un po’ più in là, riuscì a ritrovare sia la pistola che la frusta: quando Eclipse se ne accorse, fiondandosi su di lui nel tentativo di sottrargliele entrambe, fu troppo tardi.
Il marchese afferrò di scatto la pistola, e la puntò contro la figura che gli stava venendo incontro, premendo forte il grilletto per azionare lo sparo che subito squarciò l’aria con un botto, rompendo il silenzio della notte, e cristallizzando il mondo tutt’attorno per l’istante successivo, finché la canna dell’arma non cessò di fumare, rivelando la figura di Eclipse di fronte a sé che si accasciava al suolo, vivo per miracolo poiché la pallottola non aveva colpito lui, bensì la maschera che portava indosso, facendogliela cadere dal volto.
- La prossima volta mirerò dritto al cuore!- strillò Auler euforico, sempre tenendo l’avversario sotto tiro, che tentava disperatamente di coprirsi il volto per non farsi riconoscere mentre cercava di recuperare la maschera.
I suoi sforzi, tuttavia, furono vani, perché non appena tentò di alzarsi da terra e piazzarsi di nuovo in posizione di attacco sfruttando le ombre della notte come scudo per celare i suoi lineamenti, Aluer riconobbe i suoi tratti familiari, e si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa non appena pronunciò il suo nome tra i denti, ancora con l’adrenalina a mille e il respiro mozzato.
- Shade?!- esclamò allibito, guardandolo negli occhi – Eclipse… sei tu?!-
Shade sostenne fieramente lo sguardo, senza mai abbassare la guardia.
- Ma certo – continuò il marchese esplodendo in una risata sommessa – avremmo dovuto immaginarlo fin dall’inizio. Chi altri poteva essere altrettanto abile da metterci così sfacciatamente i bastoni tra le ruote?-
- Auler…- sussurrò Shade con le spalle al muro, privo di armi con cui difendersi – abbassa la pistola prima che tu coinvolga qualcuno di innocente. La tua battaglia è con me – gli intimò, senza schiodare le pupille dalle sue.
- Ti appelli ancora al mio buonsenso, dopo tutto quello che ti ho fatto?- scoppiò a ridere Auler, senza distogliere la mira su di lui – Sei sempre stato più ingenuo di quanto tu voglia ammettere, fratello mio –
- Ti conosco, Auler, e so che in mezzo a tutto il marcio della tua anima si nascondono anche dei sentimenti – proferì Shade immobile di fronte a lui – Altrimenti perché avresti esitato a spararmi la sera in cui ci siamo scontrati? La verità è che tu, a differenza di tua sorella, hai un cuore. Sebbene tu ti sia reso complice di Sophie mandando in rovina la nostra famiglia, io so che dentro di te esiste ancora un briciolo di umanità. Nonostante il sangue che scorre nelle nostre vene sia di origine diversa, io ti vedrò sempre come un fratello. Hai dimenticato tutto quello che c’è stato in passato, Auler? Come puoi ignorare l’affetto che ci lega fin dall’infanzia? Come puoi aver creduto che io fossi disposto a tradirvi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? I nostri genitori vi hanno amato e cresciuto senza alcuna discriminazione. Nostra madre ancora mi chiede notizie di voi, nonostante abbiate tentato di ucciderci senza alcun tipo di scrupolo. Non riesce a portare rancore verso quelli che considera ancora suoi figli: vi ama incondizionatamente come la prima volta che vi ha accolto in casa… non basta questo ad aprirti gli occhi?-
- Ti conviene uccidermi, prima che lo faccia io – lo avvertì Auler secco, sordo alle sue parole.
- Possibile che tu sia così cieco da non renderti conto della verità? Guarda indietro al tuo passato, scava dentro ai ricordi: non posso credere che tu abbia sempre dubitato dell’affetto e del rispetto che nostro padre ha nutrito nei tuoi confronti. Anche in punto di morte il suo ultimo pensiero è stato per te e Sophie. Nonostante avesse affidato a me l’incarico di gestire il nostro patrimonio, mi ha supplicato di donare a ciascuno di voi, Milky compresa sebbene ancora troppo giovane, uno dei gioielli della sua preziosa collezione, perché foste anche voi parte integrante del futuro della nostra famiglia! E io l’avrei fatto, Auler… avrei spartito i miei averi con tutti voi. La ricchezza materiale non conta nulla, paragonata a ciò che ti può regalare l’affetto sincero di chi ti vuole bene. Chi è avido di cuore è povero d’animo, e tu questo lo sai meglio di me, perché lo hai provato sulla tua pelle fin dall’infanzia, quando tutti erano disposti a vederti morire di fame piuttosto che venirti incontro con un misero gesto di carità. Guardami negli occhi, Auler, e saprai riconoscere la verità. Nostro padre avrebbe voluto vederci insieme prenderci cura di ciò che resta di lui: la sua morte prematura ha lasciato un vuoto in tutti noi, ma quel vuoto possiamo colmarlo insieme, collaborando, come avrebbe desiderato lui. Vi ha raccolti dalla strada perché ha sentito di amarvi come figli sin dalla prima volta che vi ha visto, non puoi negare la profondità dell’affetto che ti legava a lui, come non puoi rinnegare il legame che ci unisce. Nonostante tutto, resti sempre mio fratello!–
- Sta zitto, Shade! Tu non sai niente di me, niente! – strillò il marchese tra le lacrime, mentre il suo cuore si apriva ai ricordi in compagnia del padre adottivo, sicuramente i giorni più felici della sua esistenza. Per un istante, la presa sulla pistola vacillò.
- Auler, ascoltami…- tentò di venirgli incontro Shade, intenzionato a farlo redimere, ma quello lo zittì di colpo con una nuova minaccia: - Non osare avvicinarti, o giuro che ti sparo. Parlo sul serio, Shade, giuro che ti ammazzo davvero se solo osi muovere un altro passo! –
- Allora sparami, e lascia che sia la tua coscienza a tormentarti in futuro della scelta che hai fatto. Perché esiti ancora? Avanti, premi il grilletto: hai già sprecato la tua occasione una volta, dimostrami che sei convinto di ciò che fai. Uccidimi, se è davvero questo che vuoi fare. Non temo la morte – lo provocò Shade, guardandolo dritto negli occhi – La verità, Auler, è che tu temi Sophie più di quanto Sophie tema me – sussurrò infine, scagliando quel dardo avvelenato dritto al cuore del fratello ancora combattuto tra odio e amore, tra menzogna e verità.
Quelle parole gli erano piovute addosso come una scarica di pallottole in pieno petto: voleva con tutto se stesso premere quel dannato grilletto e mettere fine alle parole di Shade, che gli penetravano veloci nell’orecchio, andandogli ad accarezzare il cuore, risvegliando una coscienza tenuta troppo a lungo incatenata, ma ogni volta che provava a dare l’impulso alle dita perché azionassero l’arma, quelle si rifiutavano di rispondergli.
Ripensò con le lacrime agli occhi a quei giorni felici ormai lontani, quando ancora i fantasmi del rimorso non giungevano ancora nella notte ad impedirgli di addormentarsi, divorandolo da dentro e squarciandogli l’anima in infiniti brandelli di colpe e peccati.
- N-non… non…- biascicò tremante, la presa sulla pistola che si allentava un attimo prima, e tornava salda un secondo dopo.
Sparagli, sparagli e falla finita. Perché ancora non l’hai ucciso?
- Tu sei migliore di così, Auler – si sentì sussurrare a un tratto, una luce lontana in fondo al tunnel – Se non puoi farlo per me, fallo in nome di nostro padre. Non avrebbe sopportato il dolore di un odio ingiustificato tra i suoi figli. E se non puoi farlo per lui, allora fallo per Altezza –
E di nuovo una scarica di proiettili lo colpì in pieno petto, ancora più violenta e dolorosa della prima.
Altezza…
Quel nome prese ad echeggiargli in testa, come un coro d’angeli di paradiso.
Altezza adorata, come puoi amare un mostro simile? Sei ancora in tempo a fuggire da questo amore malato.
Il braccio cominciò a tremargli dalla spalla fino alla punta delle dita: sospirò, rassegnato e sconfitto, le lacrime che gli rigavano le guance e gli inumidivano il colletto della camicia, adirato con se stesso e con il mondo intero, che gli aveva assegnato una sorte tanto infame.
In un attimo che parve ad entrambi lungo un secolo, Auler abbassò la pistola, gettando quest’ultima e la frusta a terra come se fossero spazzatura.
- Ti conviene andartene, prima che ti trovino e ti arrestino – mormorò senza guardare Shade negli occhi, umiliato per il suo eccesso di vigliaccheria che lo rendeva incapace perfino di uccidere suo fratello a mente fredda.
- Sapevo che ero ancora in tempo per recuperarti – gli disse Shade, il battito cardiaco che si stabilizzava, i respiri che si diradavano, un sorriso a tirargli le labbra, e il cuore gonfio di soddisfazione per aver scorto in colui che si trovava davanti l’ombra di quello che in passato era stato, e che nel profondo ancora era, suo fratello.
Nel frattempo, nei pressi della villa, Toulouse aveva terminato di perlustrare il perimetro della casa per accertarsi che non vi fossero altri aggressori nascosti agli angoli pronti a minacciare la famiglia, e si preparava a dirigersi, armato di tanto coraggio e buona volontà, verso il cancello principale, pronto a fronteggiarsi con il nemico faccia a faccia.
- C’è stato uno sparo poco fa, ti farai ammazzare – gli ricordò Elsa tra le lacrime, tentando di trattenerlo invano.
- Non posso permettere che Eclipse si presenti di nuovo qui con il rischio che faccia del male a mia moglie o ad una delle mie figlie – asserì determinato, mentre si scioglieva dalla presa della moglie – Chiudetevi in casa e non aprite per nessun motivo –
- Papà, è troppo pericoloso, non andare!- lo pregò Fine tra i singhiozzi, divorata dal terrore e dall’angoscia.
- Vengo con te – esclamò Rein risoluta, in pena per le sorti del padre e di Shade, corso all’inseguimento dell’aggressore senza darle il tempo di obiettare.
- Non se ne parla - la fermò Toulouse, respingendola indietro.
- Toulouse, ti prego…- tentò di fermarlo Elsa, piangendo lacrime di angoscia.
L’uomo volse un’ultima occhiata rassicurante in direzione della moglie e delle figlie, prima di lanciarsi all’inseguimento di colui che credeva essere Eclipse.
- Questo e altro pur di difendere le persone che amo -
- Monta a cavallo e corri in città ad avvisare la polizia – ordinò Elsa a Fine senza un’ombra di esitazione, mentre ancora osservava la sagoma del marito scomparire tra le ombre della notte, diretto al suo martirio.
Recependo subito il messaggio, Fine si fiondò alle stalle sul retro della villa, montando velocemente a cavallo, e sfrecciando a tutta velocità per le campagne inglesi, pronta ad assolvere il compito affidatole.
Rein, altrettanto determinata, si preparò a seguire la figura del padre già lontana, troppo in pena per le sorti dei due uomini a cui teneva più che a se stessa per potersene stare con le mani in mano.
- Non osare ammazzarti anche tu, non ho partorito due figlie per vederne morire una prima di me – la afferrò la madre per un braccio, animata di una determinazione fuori dal comune.
- Mamma, lasciami andare! Devo aiutarlo!- strattonò Rein con forza nel tentativo di liberarsi, ma invano.
A poche centinaia di metri dalla villa, Auler e Shade stavano ancora immobili a scrutarsi nel buio della notte, quando la loro attenzione fu catturata dal galoppo di un cavallo nei pressi del cancello.
Volsero lo sguardo nella direzione di provenienza del suono con uno scatto fulmineo, e presto i loro occhi si ritrovarono ad accogliere la vista di una donna dai lineamenti altezzosi e superbi, a cavallo come un’amazzone sul suo valente destriero che impennò con un nitrito non appena gli intimò di fermarsi.
- Ma che simpatico quadretto che mi state offrendo!- esclamò, inumidendosi la punta delle labbra con la lingua – Davvero un discorso accorato il tuo, Shade, mi congratulo: le tue doti da oratore ti avrebbero fatto spiccare in una possibile carriera politica – mormorò, scendendo da cavallo e dirigendosi con passo felpato verso i due giovani ancora immobili.
- Sophie, cosa ci fai qui?- biascicò Auler ancora stravolto dal susseguirsi degli eventi per poter reagire.
La marchesa schioccò la lingua con notevole disappunto, regalando al fratello un’occhiata cupa e intimidatoria che gli penetrò lungo la spina dorsale, raggelandogli il sangue nelle vene: - Sono venuta a portare a termine quello che non sei stato in grado di fare tu. Ero sicura di non potermi fidare di un rammollito come te, troppo volubile e sentimentale per poter eseguire un ordine così semplice – asserì freddamente, spostando poi lo sguardo su Shade, all’erta e coi nervi tesi come corde di violino – Ti ho seguito fin qui per portare a termine quello che per ben due volte hai dimostrato di non essere in grado di concludere – affermò rivolta al fratello, avvicinandosi minacciosa alle due sagome.
- Sophie, non…- tentò di dirle Auler, ma fu prontamente zittito dalla sorella che ancora gravitava su di loro come un pianeta attorno al suo sole: - La tua negligenza è a dir poco oltraggiosa, Auler, ma saprò compensare a dovere la tua mancanza di coraggio. Ci toglierò da questo spiacevole impiccio prima di quanto pensi – ghignò, piantando provocatoria le iridi in quelle di Shade – E così – disse canzonatoria – quelli che credevamo essere due avversari distinti, sono in realtà un unico, grande impiccio. Meglio così: vorrà dire che, una volta eliminato uno, non dovremo più preoccuparci neanche dell’altro. Del resto, l’ho sempre sospettato –
Shade esaminò il terreno circostante in cerca della frusta, non trovandola.
Sophie ghignò: - Cercavi questa?- chiese, mostrandogli l’arma che teneva tra le mani – Una vera sfortuna essermene appropriata… per te, ovviamente – scosse la testa con finto rammarico, raccogliendo anche la pistola da terra e puntandogliela contro – Sei con le spalle al muro, Shade: se osi muovere un solo passo, ti sparo. Se non tenti la fuga, ti sparo lo stesso. E bada bene che io non mi faccio alcuno scrupolo, quindi non sperare di uscirne vivo. In ogni caso sei spacciato: un topo in trappola – da lontano si udì un richiamo lontano, segno che Toulouse si stava avvicinando nella loro direzione.
Sophie schioccò la frusta in direzione di Shade, colpendolo dritto al braccio sinistro, dove spaziava la cicatrice che lei stessa gli aveva procurato.
Il colpo arrivò più veloce di un fulmine, sibilando nell’aria per poi esaurirsi con un ciocco sordo sulla carne viva della ferita. Shade avvertì il dolore attanagliargli le tempie, la pelle bruciare sotto la frusta, il sangue che riprese a colare copioso mentre la carne martoriata dalla percossa prendeva a pulsare come se volesse esplodere.
Il giovane non riuscì ad impedirsi di abbandonarsi ad un ululato di dolore, accasciandosi in ginocchio sull’erba, ansimante, il grido di un’animale ferito a morte in attesa del colpo di grazia, il dolore bruciante e pulsante ad ottenebrargli la mente, impedendogli qualsiasi forma di ragionamento.
 – Si mette male per te, povero ladruncolo – continuò la donna, dopo essersi accertata che Toulouse fosse riuscito a localizzare da che parte provenisse il lamento di Shade – non hai vie di fuga, stavolta. Se non sono io ad ucciderti, lo farà la polizia non appena i Sunrise ti troveranno disteso a terra a contorcerti nel tuo dolore. Quindi non farmi perdere altro tempo: dammi il diario e i gioielli –
- A che scopo dartelo? Mi uccideresti comunque – asserì Shade in un soffio, indebolito dalla percossa ma ancora vigile e con la forza necessaria per opporsi alla sua dittatrice.
Un secondo colpo, più violento e inaspettato del primo, tornò a divorargli la pelle, un guizzo pungente lungo la spina dorsale fino ad attanagliargli le meningi, che lo costrinse a stingere i denti fino a quasi spaccarsi la mandibola per non esplodere in un nuovo grido di dolore
Sophie ridacchiò divertita, osservandolo contorcersi come un pesce fuor d’acqua: - Hai ragione, in effetti… da morto, anzi, sarebbe ancora più facile sottrartelo. Ma ho bisogno di tenerti in vita finché non mi riveli dove tieni nascosti gli altri due gioielli della collezione, perciò parla –
- Ti conviene uccidermi, allora: ci fai un affare migliore – biascicò Shade tra i rantoli, per nulla intimorito dalle minacce di Sophie.
La marchesa sbuffò inacidita, segno che stava cominciando a perdere la pazienza: - Basta con i giochetti, Shade, dimmi dove tieni nascosti il Sole di Mezzogiorno e il Raggio di Speranza, altrimenti non avrò pietà nemmeno di Rein Sunrise e della sua famiglia – asserì asciutta, piantando le iridi nelle sue, accennando alla figura di Toulouse che si faceva sempre più vicina, ormai visibile ai loro occhi.
- Non provare ad avvicinarti a Rein Sunrise! La tua preda sono io, lei non c’entra! – abbaiò Shade in un impeto d’ira, tenendo difficilmente a freno l’impulso di saltarle addosso e toglierle quel perfido ghigno dal volto, nonostante la debolezza che si era appropriata delle sue membra.
- Oh, siamo innamorati della giovane signorina Sunrise!- si accese Sophie in un’esclamazione sorniona – Certo, altrimenti perché le avresti affidato l’Occhio della Notte? La tua mossa è stata astuta, ma non abbastanza a quanto pare: credi davvero che la lascerò in vita, dopo tutto quello di cui è a conoscenza? – gli disse in risposta, facendo cioccare la frusta una terza volta su di lui.
- Sophie, non mi pare il caso di… - tentò di intervenire Auler, ma la marchesa lo zittì con un’occhiata che non ammetteva rimproveri.
La figura di Toulouse si poteva ormai scorgere distintamente dietro le spalle di Shade. Sophie ringhiò spazientita, conscia che non c’era più tempo per i convenevoli se desiderava non essere ricollegata in nessun modo all’omicidio di Shade, o a quello che restava di lui dopo le percosse.
Nei pressi della villa, intanto, Rein era riuscita, dopo tanto lottare, a liberarsi dalla stretta della madre e lanciarsi all’inseguimento del padre nella speranza di salvare lui e il suo innamorato, non sapeva neanche lei come, dal loro destino.
- Rein, torna qui! – le strillò la madre di rimando, seguendo i suoi primi passi, ma la turchina fu più veloce, e riuscì presto a seminarla fino a disperdersi tra le fronde degli alberi dell’immenso giardino avvolto nel buio.
- La mia pazienza si è esaurita, perciò te lo chiederò un’ultima volta: dimmi dove si trovano i gioielli, maledizione! – strillò Sophie a Shade inviperita, le vene che pulsavano sulle tempie.
Il silenzio del giovane le fece comprendere che non sarebbe stato disposto a collaborare, né in quel momento, né mai.
- Hai firmato la tua condanna, dunque – mormorò cupa, accennando a premere il grilletto.
- Ti prego, Sophie, forse esiste un altro modo senza che ci sia bisogno di arrivare a tanto – provò a suggerirle Auler, mosso da un’inspiegabile istinto di compassione per il giovane che si contorceva a terra in preda ai dolori, tentando di farla ragionare. Lei, per tutta risposta, scoppiò in una risata che sapeva di vittoria e appagamento: - Avevi detto che il lavoro sporco toccava sempre a te, Auler? – gli domandò euforica – Bene, ora vedrai di cosa sono capace! –
- Sophie, NO!-
Accadde tutto in un attimo.
Sophie che, nel premere il grilletto, fu disarcionata dal fratello che le si buttò addosso nel tentativo di deviare il colpo, Shade che, non più sotto tiro e con le ultime forze che gli erano rimaste, si fiondò sulla coppia di fratelli per recuperare pistola e frusta e catturarli una volta per tutte, Toulouse a due passi da loro che si fiondava sulla figura di Eclipse girato di spalle in procinto di alzarsi, tentando di afferrarlo per il mantello, e Rein poco distante che gridava il nome del padre e di Shade mentre si precipitava su di loro, pronta a sacrificarsi pur di salvarli.
Lo sparò echeggiò una seconda volta nell’aria, cristallizzando di nuovo l’atmosfera nel silenzio che seguì subito dopo, e il proiettile vagò lungo la sua traiettoria, centrando il suo obiettivo in pieno ventre, penetrando a fondo nella carne, gli schizzi di sangue che esplosero come un liquido tenuto troppo sotto pressione imbrattando gli abiti dei due marchesi, e il tonfo sordo di un corpo che si accasciava inerme a terra, privo di sensi.
Occhi sgranati, confusione, presa di coscienza, panico, terrore, fuga.
Poi la voce di Rein, che con uno strillo acuto squarciò l’aria, facendo riprendere lo scorrere del tempo che pareva essersi fermato per qualche istante.
- Papà!- 


Angolo Autrice:

Mi stupisco anch'io del mio aggiornamento lampo, ma la vostra emozione e il vostro entusiasmo mi hanno contagiato a tal punto da spingermi a continuare senza alcuna difficoltà. Fate miracoli!
Dunque, nel capitolo precedente mi avete amata alla follia... ora mi tornerete ad odiare, lo so. Chiedo perdono, ma ho un disegno ben preciso in mente e intendo rispettarlo. Vi avevo avvisato di preparare il vostro cuoricino!
Vi sareste aspettate un simile colpo di scena? Spero che, nonostante la delusione, questo capitolo abbia saputo emozionarvi, tenendovi incollate allo schermo fino alla fine. Cosa succederà adesso è ancora tutto da scoprire. Il modo? Continuate a leggere, e lo capirete!
Non vi ringrazio mai abbastanza.
Baci

_BlueLady_


 

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Capitolo 31
*** XXX ***


~ CAPITOLO 30 ~
 
Quando giunse la polizia in casa Sunrise, scortata da Fine in preda ad un’agitazione folle, nessuno era preparato allo spettacolo che si presentò loro davanti agli occhi.
Poco distante dall’ingresso della villa, in preda ai rantoli ed immerso in un bagno di sangue, stava il capofamiglia, la testa appoggiata sulle ginocchia di Rein incurante della gonna insanguinata, che tra le lacrime lo stringeva a sé tentando di tamponargli la ferita come poteva con l’orlo della camicia da notte. Al fianco del corpo di Toulouse, ancora vivo ma ormai privo di coscienza, stava Elsa, la fronte appoggiata su quella del marito, e gli occhi grondanti di lacrime, in procinto di sussurrargli parole segrete all’orecchio, come per tenerlo ancora aggrappato a quel briciolo di forza vitale che gli era rimasta in corpo.
Non appena Fine giunse sul luogo del delitto e prese coscienza di quella scena raccapricciante, non riuscì ad evitarsi di farsi sfuggire dalle labbra uno strillo angosciato, riconoscendo nella figura distesa a terra quella del padre morente.
I poliziotti aiutarono le tre donne a fermare l’emorragia, in attesa dell’arrivo del medico che con manovre esperte avrebbe tentato il tutto e per tutto pur di tenere in vita l’unico uomo di casa Sunrise.
Non appena arrivarono i soccorsi, Toulouse fu subito portato in casa, dove il medico accompagnato dal suo assistente si apprestò a rimuovergli il proiettile dall’addome per evitare un’infezione letale, e a fornirgli le cure d’emergenza necessarie per farlo sopravvivere.
A causa delle manovre estremamente delicate necessarie a salvare la vita del paziente, alle tre donne non fu concesso di assistere all’operazione, e si videro costrette a contare interminabili minuti di angosciante attesa nel soggiorno, distratte unicamente dalle domande postegli dai poliziotti.
- È il primo caso di tentato omicidio in cui Eclipse è coinvolto da quando abbiamo a che fare con lui – commentarono quasi stupefatti dopo aver ascoltato la versione di Elsa dell’accaduto.
- Io non so cosa sia venuto a cercare in casa nostra, non possediamo nulla di così prezioso da poter interessare un ladro del suo calibro… quello di cui sono certa è che Eclipse ha quasi ammazzato mio marito! Dovete fare qualcosa, e all’istante! Non dormirò la notte sapendo che quel delinquente è ancora in circolazione!- sbraitò la donna inviperita, ancora percossa da spasmi di angoscia e disperazione.
- C’è qualche testimone che può confermare l’accaduto?- domandarono ancora, tentando di calmare la furia di Elsa.
- Mia figlia Rein si è lanciata all’inseguimento di Toulouse poco prima che tentassero di ucciderlo… ha visto suo padre quasi morirle davanti agli occhi! E quando io sono giunta sul posto ho fatto soltanto in tempo ad intravedere un’ombra scura nella notte fuggire a cavallo prima di realizzare che mio marito era accasciato a terra in un bagno di sangue! – rispose ancora la donna tra le lacrime, accennando con uno sguardo apprensivo alle due figlie sedute poco distanti, col volto pallido e gli occhi gonfi.
- Può confermare quello che sta dicendo sua madre, signorina?- domandò alla turchina un poliziotto, con fare calmo e pacato quasi temesse di spaventarla.
- Io…- balbettò Rein, un tuffo al cuore, non sapendo cosa rispondere a quella domanda pronunciata così di getto, senza darle il tempo di ragionare.
Confermare le parole della madre avrebbe significato condannare definitivamente Shade al patibolo, e il solo pensiero bastava a farle mancare la terra sotto i piedi e sentirsi morire dentro.
Sapeva bene che il giovane non era capace di tanta crudeltà: era a conoscenza di come si erano svolti i fatti relativamente, ma confessarlo avrebbe significato portare alla luce una verità che tentava con tutta se stessa di nascondere, e anche se sapeva che mentire o omettere dei particolari fondamentali in una situazione estremamente delicata come quella avrebbe soltanto complicato le cose, oltre che renderla complice e compromettere seriamente la sua innocenza, la paura di perdere da un giorno all’altro l’uomo che amava la indusse a evitarsi di parlare più del dovuto.
- C’era qualcuno nell’oscurità: una, forse due persone… era talmente buio ed è successo tutto talmente in fretta, che non ho fatto in tempo a focalizzare i particolari – proferì soltanto, e al termine di quelle parole avvertì con chiarezza lo sguardo cupo e accusatore di Fine al suo fianco gravare su di lei come un pesante macigno.
- Torneremo domattina per svolgere ulteriori indagini e porvi altre domande. Comprendiamo il vostro stato di shock attuale e non vogliamo sottrarvi ulteriormente al capezzale del signor Sunrise. Ci dispiace molto per l’accaduto. Pregheremo perché sopravviva – furono le ultime parole prima di lasciarsi accompagnare alla porta da Elsa, e abbandonare la villa ancora satura dell’angoscia e della paura vissuta quella notte.
Dopo un’interminabile e snervante ora di attesa, il medico uscì finalmente dalla sala operatoria improvvisata, annunciando che la rimozione del proiettile era andata a buon fine, ma che il paziente non era ancora del tutto fuori pericolo.
- Questa notte sarà decisiva per la sopravvivenza del malato. Assistetelo, e per qualsiasi complicazione non esitate a chiamarmi. Resterò nelle vicinanze per poter intervenire all’istante, qualora ve ne fosse bisogno. L’emorragia sembra essersi fermata, ma la febbre è ancora alta. Il proiettile si è fermato appena in tempo prima di ledere in maniera irreparabile organi vitali, tuttavia è ancora troppo presto per poter affermare con sicurezza che è fuori pericolo. Pregate per lui, signora Sunrise, e stategli vicino. Ha bisogno di tutto il supporto possibile –
 
Le donne di casa Sunrise passarono la notte a darsi il cambio per sorvegliare Toulouse ed accertarsi che le sue condizioni fossero stabili.
L’angoscia e il terrore gravavano loro sulle spalle come avvoltoi pronti a divorarle al primo cenno di cedimento. I minuti parevano interminabili, le ore infinite. Ascoltare il ticchettio del pendolo proveniente dal salotto scandire incessantemente il tempo, quasi a voler preannunciare quanti secondi mancassero alla fine di quell’agonia, rendeva le tre donne particolarmente nervose e irrequiete, più di quanto non fossero già.
Fine e Rein si diedero il cambio vicendevolmente per permettere l’una all’altra di riposare nell’ora di pausa che seguiva il turno di veglia – anche se addormentarsi era praticamente impossibile, dato che una miriade di emozioni contrastanti piombava su di loro come uno sciame di cavallette affamate non appena chiudevano gli occhi ricercando la tranquillità del riposo – mentre la signora Sunrise stette tutta la notte al capezzale del marito, senza allontanarsi neanche un attimo dalla camera in cui era ricoverato, e senza mostrare alcun segno di cedimento o di stanchezza.
Sedeva accanto al letto dove Toulouse giaceva ancora moribondo e febbricitante, stringendogli le mani nelle sue e sussurrandogli parole dolci all’orecchio, come a volerlo aiutare a ritrovare la retta via che aveva momentaneamente smarrito, vagando nel limbo apparentemente senza uscita nel quale era precipitato.
Non c’era verso di schiodarla da quel letto, né di convincerla a distendersi anche solo cinque minuti per riprendere fiato e riposare le membra spossate da tutto quel tramestio di emozioni che ancora si respirava nell’aria.
- Mi risposerò soltanto quando avrò la certezza che mio marito sta tornando da me – rispondeva agli inviti delle figlie, gli occhi lucidi e la voce rotta da un pianto che faticava a strozzare in gola.
In un momento di tranquillità, quando il respiro di Toulouse parve farsi più regolare e il viso si alleggerì dalle contrazioni della sofferenza, Elsa invitò le figlie ad andare nelle rispettive camere a riposare un poco, vedendole pallide, stravolte e smunte come reduci di guerra.
- Se ci sono problemi vi chiamo – le rassicurò di fronte alle loro obiezioni – sarete sicuramente più d’aiuto con la mente lucida e riposata che stanche e stravolte come siete ora –
Le due gemelle, ancora in disaccordo con la decisione presa dalla madre e profondamente contrariate, alla fine cedettero, più per costrizione che per scelta, e si fecero persuadere a lasciare alla madre il compito della veglia, pur sapendo che anche nei rispettivi letti non sarebbero riuscite a prendere sonno.
Camminarono fianco a fianco in silenzio, col fiato sospeso ed un’insolita tensione nell’aria.
Non appena raggiunsero la camera di Fine, in procinto di congedarsi per il breve riposo, la gemella rossa si bloccò sulla soglia della porta, richiamando l’attenzione di Rein che già si stava avviando verso la sua camera.
- Rein, posso parlarti?- si sentì domandare la turchina, e di fronte a quella richiesta che non ammetteva rifiuto, Rein tornò indietro sui suoi passi, non senza lasciarsi pervadere l’animo da un curioso senso di inquietudine.
- Ti ascolto – rispose a Fine quando le fu di fronte, e le regalò un timido sorriso che subito si spense quando incontrò lo sguardo severo e accusatore della sorella lanciare la sua muta sentenza di accusa verso di lei.
- Hai lasciato entrare Eclipse in casa questa notte – asserì fredda, il cuore di Rein che le sobbalzò in petto al suono di quelle parole proferite così di getto.
- Fine, non è come pensi – tentò di spiegarle armata di buona volontà e comprensione, ma fu prontamente zittita dalla sorella che non era altrettanto propensa ad un confronto diplomatico: - Ah, no? E cosa dovrei pensare allora? I fatti parlano da soli: Eclipse ti ha plagiata col tentativo di derubarci, ed ha approfittato della tua ingenuità, di un tuo momento di distrazione per ottenere ciò che voleva. Chi si sarebbe aspettato che sarebbe addirittura stato in grado di tentare di uccidere un uomo? – proferì, un’amarezza soffocata dalle lacrime che sapeva di rabbia e delusione.
- Eclipse non commetterebbe mai un omicidio – asserì Rein fredda e decisa, profondamente convinta delle sue parole – Andiamo, Rein! Ti ostini ancora a difenderlo nonostante tutto il male che ha procurato a te e alla nostra famiglia? – la zittì Fine in preda ad una collera cieca - Come fai ad essere così insensibile? Quell’uomo ha tentato di uccidere nostro padre, Rein, nostro padre! E tu ancora osi affermare il contrario? Che fine ha fatto la tua umanità? Non ti riconosco più: sragioni, deliri, proferisci sentenze senza una logica! È questo che significa essere innamorata? Negare ogni moralità, ogni affetto familiare, puntare il dito contro la tua stessa sorella che cerca solamente di redimerti dalla follia? Apri gli occhi, Rein: Eclipse non è l’uomo onesto che credevi fosse. Non lo è mai stato, e mai lo sarà. Non merita il tuo amore, o la tua fedeltà: merita soltanto di marcire in galera a vita per quello che ci ha fatto, se non l’impiccagione –
- Fine, così mi uccidi – mormorò la turchina tra le lacrime, ferita a morte dalle dure parole della sorella – Tu neanche ti immagini come io mi senta in questo momento. Sono divorata dall’angoscia, sì, e dall’amore per un uomo che sono certa essere innocente – la rossa scoppiò in una risata di pietosa compassione di fronte al suo delirio - È così, devi credermi! Lo so che sei accecata dalla rabbia e dal risentimento, ma ti posso giurare che Eclipse non ha mai tentato di uccidere papà –
- Se pensi che me ne resterò ancora qui ad ascoltare i tuoi deliri mentre nostro padre è al piano di sotto che sta lottando con tutte le sue forze da solo contro la morte per colpa del tuo Eclipse, ti sbagli Rein. Non lascerò che chi è colpevole resti impunito. Se non parlerai tu, lo farò io, e testimonierò chiaro e tondo tutta la vicenda dal mio punto di vista. So che ti avevo promesso che non ne avrei fatto parola con nessuno, ma cerca di capire che se lo faccio è per una giusta causa, e per il tuo bene, Rein. Non resterò ferma a guardarti mentre ti lasci logorare da una cieca follia d’amore, rovinandoti con le tue stesse mani. Hai idea di ciò a cui andresti incontro se omettessi anche solo un singolo dettaglio della verità? Quei poliziotti domattina torneranno e vorranno sapere da te ogni cosa, se papà non sarà in grado di testimoniare al tuo posto. E, detta molto francamente, non credo ne sarà in grado visto lo stato in cui è ridotto. Davvero vale la pena rischiare tanto? –
- Se si tratta di difendere un innocente, si – affermò la turchina risoluta, piantando le sue iridi in quelle della sorella.
- Sei incredibile – esclamò Fine in preda ad una rabbiosa esasperazione – Mi fai quasi paura. Come può un uomo di cui neanche conosci il nome o la fisionomia averti deviata fino a questo punto? Non riesco a capacitarmene. Anche per questo merita di non restare impunito -
- Fine smettila, ti prego. Non so più come convincerti del contrario. Lo so che è difficile credere alle mie parole, ma io ero lì: ho visto con i miei occhi quello che è accaduto, e papà non ha rischiato di morire per mano di Eclipse –
- Se sei così sicura perché non l’hai detto subito ai poliziotti quando te l’hanno domandato invece di fingere di non ricordare come si sono svolti i fatti?-
- È complicato…- balbettò Rein con gli occhi gonfi e il respiro mozzato, tentando di avvicinare la sorella inutilmente.
La rossa si scostò bruscamente da lei, quasi provasse ribrezzo nell’essere toccata: - Io non so più cosa pensare. Tutto quello che so è che la vita di papà è appesa a un filo, e se non fosse stato per la tua ingenuità non avremmo mai dovuto affrontare tutto questo – proferì con la voce rotta dal pianto.
- Fine… – sibilò la turchina con un filo di voce - … ti prego…-
- Come puoi amarlo ancora, Rein? Ha tentato di ucciderlo…- mormorò la rossa senza riuscire a trattenere le lacrime.
- No, Fine -
- È fuggito a cavallo subito dopo lo sparo, mamma lo ha confermato. E sul sentiero che conduce all’uscita della villa c’erano impronte di zoccoli -
- Fine, per favore, non correre a conclusioni affrettate – la avvertì nuovamente la turchina tentando di mantenere la calma nel mezzo delle accuse rivoltele dalla sorella e dei pensieri che le vorticavano veloci in testa, come stormi di uccelli impazziti.
Ma Fine non voleva sentire ragioni, troppo accecata dalla rabbia per volerla ascoltare.
- Sei completamente folle! Tutti l’hanno visto! Come puoi ostinarti ancora a difenderlo dopo quello che ha fatto a nostro padre, Rein? Nemmeno il fatto che sia in fin di vita è in grado di convincerti che quell’uomo è uno sporco assassino?-
- Fine, ti assicuro che non è come dici tu, non lasciarti ingannare dalle apparenze – asserì ancora la turchina, la testa pesante, in procinto di esplodere.
- Sei cieca!-
- So la verità!-
- Hai perso il senno!-
- Non è come credi -
- Come puoi essere ancora così ostinata a negare l’evidenza?-
- Era in camera mia quando c’è stata l’incursione, Fine!- esplose a un certo punto, ammutolendo di colpo la sorella che la osservò basita, incapace di reagire – Era venuto a farmi visita e io l’ho lasciato entrare dalla finestra – ammise, le lacrime agli occhi e la voce tremula – Abbiamo passato la notte insieme -
- Oh, Rein…- mormorò la rossa in un tono di compassionevole rimprovero, osservandola accasciarsi al suolo in preda ad una devastante disperazione. Le si strinse il cuore nel vedere la sorella ridotta a quel modo, dopo la tragedia di quella notte e le accuse che le aveva rivolto.
Improvvisamente, si sentì incredibilmente piccola e sola, assieme a sua sorella, di fronte al resto del mondo.
Rein adorata – pensò- guarda cos’è capace di farti l’amore.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Mentre in casa Sunrise il capofamiglia lottava contro la morte, Shade vagava solo per la campagna inglese, stremato e ormai privo di forze, il braccio ancora sanguinante, abbandonato sulla groppa della fedele Regina, che lo stava conducendo a passo sicuro verso casa nel buio della notte.
Dopo l’incidente successo poche ore prima a casa di Rein, Shade aveva tentato, nonostante la debolezza e la ferita che continuava a divorargli la carne pulsante, di seguire le tracce dei marchesi in fuga, ma era stato costretto a retrocedere sui suoi passi nel momento in cui, venendogli meno le forze a causa delle percosse subite e dell’emorragia che ancora colava copiosa lungo il braccio sinistro, si era ritrovato svenuto a terra, completamente privo di sensi, Regina al suo fianco che tentava di fargli riprendere conoscenza dandogli affettuosi buffetti sulla nuca.
Fu allora che si rese conto che tentare di scovare Sophie era completamente inutile, e che nelle sue attuali condizioni ritrovarsi ad un faccia a faccia con lei era come consegnarsi in pasto ai leoni, dunque con le ultime forze che gli erano rimaste, si era trascinato sul dorso della cavalla che gli si era accovacciata accanto, era montato in groppa, e accasciato sul fedele animale le aveva sussurrato di ricondurlo a casa.
Il viaggio verso villa Tinselpearl gli parve interminabile, tormentato di angoscia e sensi di colpa.
Quando Regina lo scortò fino al portone della villa, scese a fatica da cavallo, e barcollando raggiunse il portone del palazzo, pesante come un macigno, aprendolo a fatica.
Il botto che le ante provocarono quando gli si chiusero alle spalle echeggiò lungo il corridoio, attirando l’attenzione di Bright che si era assopito nel suo studio poche ore prima.
Quando il duca accorse all’ingresso, allarmato e sulla difensiva pronto a fronteggiare il possibile pericolo, si ritrovò ad attenderlo la figura contorta e barcollante di uno Shade distrutto, il mantello stracciato, gli abiti sporchi di terra, e il braccio sinistro lacerato e grondante di sangue.
- Santo cielo, Shade!- esclamò fiondandosi verso l’amico che gli si accasciò addosso a peso morto – Ma che diamine ti è successo?- domandò, allacciandogli la vita con un braccio e caricandosi l’altro sulle spalle.
- C’è stata un’incursione in casa Sunrise stanotte, mentre ero in camera di Rein – biascicò il moro con un filo di voce, ansimando a fatica quasi non gli restasse più ossigeno nel polmoni – I marchesi di Windsworth –
- I Sunrise e le figlie stanno bene?- chiese il biondo in preda all’angoscia, mentre lo scortava un passo alla volta in camera per poterlo soccorrere.
- Si sono presentati armati, intenzionati a togliere di mezzo chiunque osasse sbarrargli la strada – rispose l’altro, le gambe che gli cedevano e la testa pesante – Ho tentato di fermarli, ma quella folle di Sophie aiutata dal fratello mi ha dato parecchio filo da torcere –
- Come hanno fatto a ridurti così?-
- Hanno tentato di spararmi– mormorò a fatica – e a pagare le conseguenze della mia incoscienza è stato qualcun altro –
- Chi?- proferì Bright col cuore in gola, temendo per l’incolumità della famiglia Sunrise, ed in particolare di Fine.
Shade sussultò stringendo i denti per trattenere il dolore quando il duca lo adagiò sul materasso, tamponandogli la ferita macilenta per fermare l’emorragia.
- Toulouse Sunrise era nella traiettoria del proiettile – disse a denti stretti – è colpa mia… - sussurrò poi, coprendosi il volto con la mano destra mentre gli occhi si inumidivano e il respiro si faceva più corto.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Trascorsero due giorni e due notti a seguito dell’incidente, e Toulouse Sunrise ancora non aveva ripreso conoscenza. Sebbene il medico avesse appurato che le sue condizioni fossero stabili, l’infezione non era ancora debellata del tutto, e l’uomo trascorreva le giornate tra sogni agitati e deliranti a causa della febbre alta in un bagno di sudore, la signora Sunrise al suo capezzale che mai lo lasciava solo.
L’atmosfera in casa Sunrise era a dir poco irrespirabile: se in seguito alla confessione fatta da Rein alla sorella circa i sentimenti che la prima aveva nei confronti di Eclipse aveva contribuito a logorare il loro rapporto, sapere che l’amata sorella parteggiava per un criminale difendendolo a spada tratta in qualsiasi circostanza era stato per Fine un duro colpo da digerire.
Semplicemente non era in grado di sopportare il peso di tutte quelle confessioni, non con il padre in quelle condizioni, e per mano dell’uomo che sua sorella diceva tanto di amare.
Preferiva passare le giornate tra la sua camera e quella del padre, evitando il più possibile di incrociare anche solo lo sguardo di Rein.
Più volte era stata in procinto di confessare ogni cosa alla madre, di denunciare tutto il marcio che sapeva nascondersi dietro quella vicenda, ma poi all’ultimo momento rinunciava sempre, forse nella speranza che Rein riacquistasse la ragione, e si assumesse lei la responsabilità di quel difficile compito.
La verità era che, sebbene le riuscisse ancora difficile credere alle parole di Rein che continuava a sostenere con la più decisa delle convinzioni l’innocenza di Eclipse, una parte di lei desiderava davvero che le parole della sorella coincidessero alla verità, che tra le piaghe di quell’amore malato si nascondesse una punta di purezza, e che la gemella non fosse perduta per sempre nel vortice dell’inganno e delle disillusioni.
Il suo atteggiamento di rifiuto celava in realtà la sua angoscia nello scoprirsi così impotente di fronte a tutta quella vicenda.
D’altra parte, Rein trascorreva le giornate a rimuginare su ciò che era successo, a domandarsi il perché Shade non fosse ancora venuto da lei, e alle risposte da dare ai poliziotti in seguito alle loro incessanti domande sull’accaduto.
Era stremata. Non c’era giorno che non mancassero di giungere in casa loro domandando se potevano rubarle qualche minuto per l’indagine circa il tentato omicidio.
Ormai non sapeva più cosa rispondere, come tergiversare in attesa di avere una visione dei fatti più chiara che certamente avrebbe potuto fornirle Shade se solo fosse venuto per raccontarle ogni cosa. Era opportuno rivelare che oltre ad Eclipse c’erano anche altre persone? Se le avessero domandato quante di preciso, non avrebbe saputo rispondere. Era successo tutto così in fretta: la corsa, le grida della notte, il boato dello sparo, il padre a terra privo di sensi…
Sicuramente c’era un secondo individuo oltre che a Eclipse, lo aveva visto scappare dalla finestra mentre Shade si era lanciato al suo inseguimento, ma chi poteva assicurarle che non ce ne fossero altri?
Chi aveva sparato? Neanche a questo sapeva rispondere con certezza. Sophie? Auler Windsworth? Un complice?
Non poteva affermare con sicurezza che non fosse stato Shade a sparare, perché non aveva visto chi aveva azionato la pistola, ma il suo intuito le suggeriva che lui era innocente, e non perché né era innamorata, ma perché in cuor suo se lo sentiva.
Era una sensazione calda, rassicurante, confortante, come quando si era sentita dire “ti amo” e non aveva dubitato neanche per un istante della verità di quelle parole.
- Signorina Sunrise, è consapevole del fatto che la sua testimonianza può gettare una base concreta e sicura per portare avanti l’indagine?- si sentiva sempre domandare.
Ma nonostante questo, non si lasciava sfuggire più del dovuto. Non prima di aver visto Shade.
Aveva anche tentato di dirigersi in giardino nel punto in cui era avvenuto l’incidente in cerca di un qualche indizio che la riconducesse ai Windsworth, ma non aveva trovato nulla.
L’unica certezza era che Eclipse era in casa sua quella notte, e questo bastava a renderlo colpevole. E finché Toulouse non avesse ripreso coscienza, nella speranza di fornire qualche dettaglio più preciso, tutto si riconduceva ad un punto morto.
E Shade ancora non si palesava.
Fino al termine del terzio giorno, quando il sole era ormai tramontato e il cielo si era incupito, e una figura nera e familiare solcò le vetrate della finestra della sua camera, rivelandosi a lei ormai a volto scoperto.
- Shade!- esclamò Rein quando lo vide, gettandosi tra le sue braccia con un nodo alla gola e gli occhi che pungevano. Mai il contatto umano le sembrò così caldo e confortante come in quel momento.
- Perdonami – fu la prima cosa che le disse lui, scostandosi dal suo abbraccio quasi sentisse di non meritarlo – Non immaginavo potesse finire così. Non doveva finire così – mormorò con voce cupa, divorato dal senso di colpa.
- Che fine hai fatto?- gli domandò, osservandolo dirigersi a testa bassa verso le sponde del letto – Mi sono sentita persa in questi giorni – gli confessò mentre tentava con tutta se stessa di ricacciare indietro le lacrime che le pungevano insistentemente gli occhi.
- Mi sono preso del tempo per riflettere, e per cercare indizi che potessero ricondurre ai Windsworth, ma le mie ricerche sono state vane – rispose, gli occhi bassi incapace di guardarla – Non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere in circostanze meno fortuite –
Rein gli si avvicinò, cercando un contatto visivo.
- È colpa mia, Rein… non avrei mai dovuto coinvolgerti in tutta questa storia. Il mio istinto mi aveva suggerito di lasciar perdere, ma non ho voluto dargli retta. E ancora una volta, il mio orgoglio ha preso il sopravvento. Se solo non ti avessi donato quel gioiello…-
- Il passato non si può cambiare, si può soltanto cercare di migliorare il presente – lo interruppe la giovane, prendendogli il viso tra le mani – Se tu non fossi stato presente quella sera, probabilmente mio padre avrebbe comunque rischiato la vita. Tutti avremmo rischiato. Tu ci hai difesi come hai potuto, hai fatto del tuo meglio. È inutile rimuginare sul passato, quello che è stato è stato, con tutte le sue conseguenze. Non oso neanche pensare cosa saremmo adesso se non ci fossi stato tu a proteggerci…-
Shade la guardò per la prima volta negli occhi, riscoprendoli tersi di lacrime.
- Ho avuto paura. Tanta. Paura di perderti, paura di perdere mio padre, la mia famiglia. Neanche immagini quanto questi giorni siano stati infernali per me. Ho perfino discusso con Fine, credo che non sarà più in grado di guardarmi con gli occhi di prima, e questo mi uccide. Mi uccide vedere mia madre devastata dall’angoscia e dal dolore, mi uccide convivere con il terrore di svegliarmi domattina e scoprire che mio padre non ce l’ha fatta a superare la notte, mi uccide sapere che al mondo può esistere una simile cattiveria. Ogni giorno la polizia irrompe in casa nostra domandandomi cosa so riguardo all’incidente, ed ogni volta mi ritrovo incapace di rispondere. Non so più qual è a verità, Shade, ancora una volta mi ritrovo estremamente piccola di fronte alla vastità del mondo. Non so dire con certezza cosa sia accaduto quella notte, ma so per certo che tu hai fatto tutto il possibile. Questo mi basta. Mi basta a convivere con questa terribile sensazione di terrore che mi attanaglia lo stomaco e appesantisce le membra, mi basta ad affrontare gli incubi che mi assalgono la notte tenendomi sveglia ad aspettare l’alba, mi basta a convivere con il mio senso di colpa. Perché una fetta di responsabilità è anche mia, ne sono consapevole. Ma tu sei qui, adesso, e affronteremo insieme quello che verrà, con tutti i rischi che implica –
- Dovrei essere io a confortare te in una situazione simile, e invece non sono in grado di fare neanche questo – le rispose il giovane, sentendosi ancora più responsabile di quanto non fosse già – Neanche posso immaginare cosa hai passato in questi giorni di inferno. Del resto, anche per me le cose non sono state altrettanto facili –
- Ti hanno ferito? – gli domandò, nel tono della voce una premurosa agitazione che gli pugnalò il cuore – Niente di grave – tagliò corto con un’alzata di spalle – niente in confronto a quello che tuo padre sta passando ora… - e strinse i pugni talmente forte, conficcando le unghie nella carne, da farseli quasi sanguinare.
Rein accolse le mani nelle sue, sciogliendo la tensione che albergava in esse.
- Fine sa di noi due – gli confessò cupamente, cercando conforto nei suoi occhi - Non sono riuscita a tenerle nascosta la mia angoscia. Ti crede un assassino, un delinquente senza scrupoli, e biasima la mia ingenuità. Mi detesta. Non abbiamo più un rapporto, nemmeno ho il coraggio di guardarla in viso senza sentirmi terribilmente in colpa per quello che è successo – singhiozzò, liberandosi di quel peso che le opprimeva il petto.
- Tu non hai nessuna colpa, Rein. Non caricarti di responsabilità troppo grandi da gestire. Non sei stata tu a causare tutto questo – le disse Shade di rimando, stringendo le mani nelle sue e penetrandola con lo sguardo.
- Io vorrei soltanto che tutto questo si potesse riavvolgere, come se non fosse mai accaduto. Vorrei riabbracciare mio padre, sentirgli dire che tutto andrà per il meglio. Vorrei vederlo sorridere e alzare gli occhi al cielo di fronte al comportamento buffo e spesso inopportuno di mia madre, consapevole e ormai rassegnato a dover rimediare ai suoi disastri. Vorrei sorridere anche io, osservandoli bisticciare amorevolmente tra loro. Vorrei poter guardare negli occhi mia sorella, e ritrovare quella complicità che da sempre ci ha tenute unite. Ora come ora, il silenzio di questa casa mi assorda, gli occhi muti di Fine mi annientano, le lacrime di mia madre mi spezzano il cuore. E non posso fare a meno di pensare che tutto ciò che ho perso, è stata colpa mia – asserì, affondando il volto nel petto del giovane, inondandogli la camicia di lacrime.
- Ti sei pentita di essere giunta con me fino a questo punto? – le chiese lui cupamente, ma con la rassegnata consapevolezza di chi è pronto ad accogliere una risposta più che negativa.
Rein alzò lo sguardo nel suo, allacciando le sue iridi a quelle di Shade.
- Mi pento di non essere stata in grado di gestire la situazione come avrei dovuto – rispose con voce tremula, asciugandosi le ultime lacrime.
Shade abbassò lo sguardo cupo, divorato dal risentimento e dal rimpianto.
- Che cosa ti ho fatto – mormorò senza avere il coraggio di guardarla – ti ho completamente distrutto l’esistenza. E mi permetto di credere di amarti…- rise amaramente, accennando a voltarle le spalle.
Rein lo sfiorò con la punta delle dita, quasi a pregarlo discretamente di riagganciare lo sguardo al suo.
- Io ti amo – gli sussurrò commossa, quando le loro iridi tornarono a fondersi insieme, e il volto di lui si sciolse sotto il peso di quella confessione, accogliendo quelle parole come fossero gocce di pioggia, ed il suo cuore terra arida e morente reduce da una siccità durata troppo a lungo.
Gli parve di essere tornato ad assaporare l’ossigeno dopo aver passato una vita intera in apnea.
- Nonostante tutto, sei disposta a compromettere il rapporto con la tua famiglia e tua sorella Fine, pur di difendere la mia innocenza? - le domandò con un filo di voce, sentendosi il cuore tremargli in petto.
Rein annuì sincera.
- Come puoi credermi, dopo tutto quello che ti ho fatto? Le menzogne, gli inganni, il male che ho procurato alla tua famiglia… come puoi non odiarmi, dopo tutto questo?-
- Mi basta sapere che sei qui stanotte, per essere certa di ciò che dici. Stai rischiando la vita in questo momento, e credo tu ne sia consapevole. Perché mai saresti tornato, altrimenti?-
- Non potevo lasciarti sola nell’oblio di un male sconosciuto, dopo tutto questo tempo – le confessò – mai mi perdonerò per averti coinvolta, per averti amata così intensamente da esporti al pericolo. Questo è il mio rimorso, e la mia condanna più grande. Non ho saputo proteggerti nemmeno da me stesso. Merito davvero il tuo perdono? La tua comprensione? Se servisse, mi autodenuncerei seduta stante, impedendo alla tua famiglia di soffrire ancora per un’ingiustizia impunita. Ma non posso permettere che Auler e Sophie circolino ancora a piede libero. Vanno fermati. La sera dell’incidente mi hanno accerchiato e privato di qualsiasi difesa. Ero sotto tiro. Se avessi fatto anche solo un passo falso, ci avrebbero uccisi tutti, nessuno escluso. Ho tentato come ho potuto di tenere tuo padre lontano dal pericolo, ma non ci sono riuscito. E quando Sophie ha azionato il grilletto, era ormai troppo tardi per fermare il colpo – si fermò un istante, ansimando per l’angoscia di rivivere quel momento – Era me che dovevano colpire, Rein. Io ero nella traiettoria del proiettile, a quest’ora morente su un letto dovrei esserci io e non un innocente padre di famiglia! Se solo avessi potuto intuire la traiettoria della pallottola, se solo fossi rimasto immobile ad incassare quel colpo a quest’ora nessuna di voi si ritroverebbe a passare le notti a vegliare sulla vita di un uomo, divorate dall’angoscia. Mai mi perdonerò per quello che ti ho fatto, né riuscirò mai a convivere con questa consapevolezza –
La guardò negli occhi, con una serietà che faceva quasi spavento: - Per questo sono tornato stanotte: per accertarmi che tu stia bene, e per assolverti dall’incarico di custodire il gioiello. Mi riprenderò ciò che è mio, e affronterò Sophie a volto scoperto una volta per tutte. Mai più mi permetterò di coinvolgerti in questa losca vicenda. Non posso pretendere il tuo amore in cambio di un rischio così grande –
- Shade, non starai parlando sul serio. Credi davvero che dopo tutto questo io ti permetta di abbandonarmi così? – lo interruppe la turchina, balzando in piedi di fronte a lui – Non ti ho aspettato invano intere notti per sentirmi dire che la vicenda del gioiello non è più affar mio. Mio padre ha rischiato la vita per fermare dei delinquenti senza scrupolo con la sua buona volontà, e il suo tentativo non resterà vano. Ho intenzione di ottenere la giustizia che cerco ad ogni costo, dovessi mettere a repentaglio la mia stessa vita. E non ho passato questi mesi a custodire l’Occhio della Notte per poi farmelo portare via a tuo piacimento, quando ritieni che il mio contributo non ti sia più utile. Che tu lo voglia o no in questa vicenda ci siamo dentro fino al collo entrambi, e ne usciremo insieme. E se non vuoi farlo per me, fallo almeno in nome della bontà di un uomo onesto come mio padre –
Rein terminò il suo discorso con il fiatone, la bocca secca e le gote roventi.
Mai aveva mostrato una simile determinazione fino ad allora, e il fatto stupì anche Shade, che rimase immobile ad ascoltarla, incassando in silenzio ogni parola che gli pioveva addosso con la violenza di uno schiaffo in pieno viso.
- Sia, allora – mormorò dopo un breve minuto di riflessione, analizzando a fondo le intenzioni della turchina e alzandosi dal letto, di fronte a lei – collaboreremo insieme per risalire a qualche indizio che possa ricondurci alla colpevolezza dei Windsworth. Chiederò a Bright di partecipare: in situazioni come queste è essenziale disporre di tutto l’aiuto possibile. Quanto al tuo ruolo nella vicenda voglio mettere subito in chiaro una cosa: qualora la situazione dovesse farsi pericolosa, non importa quanto, automaticamente sarai esonerata da qualsiasi tipo di responsabilità, il che significa che anche a costo di mettermi contro di te, ti impedirò in qualsiasi modo di metterti in mezzo. Sono stato chiaro?-
- D’accordo – rispose Rein, dopo un breve istante di silenzio nel quale si guardarono intensamente negli occhi – Come posso fare con Fine? – domandò poi allarmata.
- Di quanti dettagli è a conoscenza sul nostro conto? –
- Abbastanza da spingerla a fornire una testimonianza a tuo sfavore alla polizia. Al punto in cui siamo arrivate, non so più cosa aspettarmi da lei – affermò sincera.
- Arriverà il momento in cui potrai rivelarle ogni cosa, ma non adesso. È troppo sfiduciata nei tuoi confronti per poter credere alle tue parole. Qualsiasi cosa tenterai di dirle per giustificarmi le interpreterà come un patetico tentativo di scagionarmi dalle accuse. Una cieca prova d’amore completamente priva di fondamento – asserì Shade asciutto – Non dirle niente per ora, assicurati soltanto che non si lasci sfuggire nulla di bocca finché non veniamo a capo della situazione. A quel punto troverò il modo di renderla partecipe di ogni cosa, senza che lei abbia più motivo di dubitare delle tue parole –
- D’accordo – mormorò ancora una volta Rein, abbandonandosi ad un lungo sospiro carico di tensione.
- Non rischierò di perderti. Già troppe volte ho commesso questo errore – le sussurrò Shade, carezzandole il volto con la punta delle dita.
- Non mi perderai – mormorò, a un soffio dalle sue labbra, lacrime capricciose a rigarle il volto di una commozione incontenibile – Abbi fiducia in quello che siamo –


Angolo Autrice:

Finalmente aggiorno di nuovo! 
Dall'ultimo capitolo vi sento preoccupate, so di avervi scovolto di fronte a questo colpo di scena, avevo paura mi prendeste a male parole. So che mi odiate, perchè sembrava tutto (o quasi) risolto, e invece ho voluto metterci un altro imbroglio. Se l'ho fatto, però, è perchè rientrava nei miei piani, e spero non vi abbia deluso.
Come potete vedere Toulouse è ancora vivo, anche se gravemente ferito ed in pericolo di vita. Diciamo che i soccorsi sono arrivati appena in tempo. Ora però resta da smascherare il colpevole, come vedete la situazione tra Fine e Rein non è delle migliori.
Cosa succederà ora? Quali saranno gli sviluppi futuri?
Grazie infinite per il vostro entusiasmo, le vostre recensioni, le vostre lacrime e le vostre emozioni. Spero di trasmettervi almeno metà di quello che voi trastemmete a me con le vostre recensioni.
Grazie a chi mette la storia tra i preferiti (tanti), a chi segue la storia (davvero tanti!) e a chi semplicemente legge soltanto. Grazie a chiunque prenda in considerazione questo scritto.
Spero di continuare ad emozionarvi fino alla fine.
Intanto vi do appuntamento al prossimo capitolo.
Baci

_BlueLady_

 

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Capitolo 32
*** XXXI ***


~ CAPITOLO 31 ~
 
Presto la notizia del tentato omicidio in casa Sunrise si diffuse per tutta la contea, macchiando la serenità dei suoi abitanti di una cupa inquietudine.
Gli amici più stretti legati alla famiglia furono i primi a far loro visita, compiangendo assieme ad Elsa la sorte del povero signor Sunrise.
Rein ricevette una lettera accorata di Lione, ancora fuori città, disperata e a dir poco scioccata per quanto successo. L’amica la rese partecipe del suo dolore, e si mostrò solidale nei loro confronti. Le disse che, nonostante la distanza, il suo cuore era accanto a loro.
Tutti ormai erano a conoscenza della fama di assassino di Eclipse, e quando calava la notte sulla campagna inglese nessuno riusciva più a dormire sonni tranquilli.
Cominciò una spietata caccia al ladro, un allarmismo tinto di terrore e di paura. Molti furono gli avvistamenti del ladro segnalati alla polizia da parte dei cittadini, ma la maggior parte delle volte erano soltanto fantasmi immaginari, materializzati dalla paura di trovarselo realmente di fronte.
I gendarmi pattugliavano le strade della contea giorno e notte per chetare il panico generale e garantire ai cittadini la poca tranquillità che bastava loro per proseguire le proprie vite come facevano usualmente, ma il terrore era sempre dietro l’angolo, pronto a paralizzare chiunque ne diventasse preda.
La notizia viaggiò veloce di bocca in bocca tra le ville della contea, fino a bussare alle porte di villa Windsworth.
Quando l’udirono, i marchesi non poterono fare a meno di essere percorsi da un brivido di angoscia, nella paura di poter essere in qualche modo ricollegati alla losca vicenda.
Fu in particolare Auler ad esserne turbato. Il giovane non cessava di tormentarsi all’idea che fosse sfuggito loro un particolare capace di metterli sotto accusa, oltre che sentirsi divorato dal senso di colpa e dal rimorso.
- Sei sicura di aver fatto sparire qualsiasi traccia che possa ricondurre a noi, Sophie?- continuava a domandare alla sorella, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
- Ti ho già detto di si, Auler. Abbiamo ripercorso il tragitto compiuto da qui a villa Sunrise più volte, e non c’è niente che possa tradirci. Quanto al resto, per la pistola ho già provveduto ad eliminare qualsiasi traccia di impronta che possa testimoniare di averla utilizzata, e i vestiti insanguinati, compreso il tuo travestimento da finto Eclipse, li ho bruciati, come se non fossero mai esistiti. Anche se dovessero casualmente sospettare di noi, non esisterebbe alcuna prova capace di metterci con le spalle al muro – affermò la marchesa spazientita con un sorriso tirato sul volto, una calma apparente tipica della finta quiete dell’assassino.
- Ancora non riesco a capacitarmi di quello che abbiamo fatto - mormorava il marchese con gli occhi sbarrati, mentre gli scorrevano nella testa le immagini angoscianti di quella notte, dei fotogrammi consecutivi che si susseguivano velocemente senza dargli mai pace, tormentandolo anche nel sonno - Avremmo potuto ucciderlo… – sussurrava tra le lacrime, in uno stato di shock profondo.
- Dimentichi che la nostra intenzione era proprio quella. E se tu non fossi stato tanto stupido da deviare il colpo, a quest’ora il problema non esisterebbe – gli rispose la marchesa freddamente, con una placidità nella voce raggelante – Uccidere Toulouse Sunrise non rientrava nei piani – asserì Auler con rabbia, nelle iridi un fuoco accusatorio contro la sorella – Ci siamo sempre detti che il nostro unico obiettivo erano Shade e i gioielli, che una volta recuperati avremmo finalmente chiuso con questa vita, che saremmo stati pronti a cambiare. Io personalmente l’avrei fatta finita molto prima, ma non ho mai avuto la forza né la volontà di contraddirti. È una colpa per la quale non cesserò mai di tormentarmi. Se non ti avessi dato retta a quest’ora nemmeno ci saremmo arrivati a questo punto. Forse, anzi, avremmo ancora una famiglia - mentre parlava, le iridi del marchese erano ancorate a quelle della sorella, che ricambiava il suo sguardo di rancore e fiducia tradita con occhi accesi di orgoglio e superbia.
- Non starai per caso cercando di mettere in discussione le mie decisioni, vero Auler? Mi hai già messo i bastoni tra le ruote impedendomi di uccidere Shade quella notte, non tollererò altre obiezioni da parte tua - soffiò velenosa, avvicinandosi con passo deciso a lui.
- Sto solo dicendo che la tua follia ci ha spinti troppo oltre, Sophie! Apri gli occhi! Perché continuiamo a fare la guerra a nostro fratello? Perché coinvolgere persone innocenti? Perché arrivare a uccidere? Dammi solo una buona ragione per motivarmi a seguirti ancora, dopo tutto questo! –
- Perché sono tua sorella, ecco perché! Perché sono stata madre, padre, una famiglia intera per te! Perché tu hai solo me, e nessun’altro! Perché siamo noi due soli contro il resto del mondo! Ancora ti ostini a pensare che due poveracci come lo siamo noi possano sperare in una vita migliore di questa?! Questo è quello che siamo: orfani, delinquenti, randagi abbandonati per strada, ripudiati da tutti, costretti a contare solo l’uno sull’altra per sperare di sopravvivere!-
- Quello era tanto tempo fa, prima di incontrare nostro padre e di conoscere l’affetto che ha saputo donarci la nostra famiglia!- le disse lui, alzando per la prima volta la voce contro di lei.
Nell’udire quella parola, Sophie scoppiò in una fragorosa risata, mortificando Auler nel profondo.
- La nostra famiglia? La nostra famiglia, Auler? Ma non hai ancora capito che la nostra famiglia siamo solo tu ed io? Ti sei dimenticato cosa ci ha fatto William quando si è reso conto che non sarebbe più stato in grado di tenerci sotto controllo? Ci ha diseredati, Auler, era pronto a sbatterci di nuovo in mezzo ad una strada, affidando tutto il suo patrimonio a Shade! Credi che Shade non si sarebbe lasciato soggiogare dal fascino della ricchezza? Appena morto William, si sarebbe sbarazzato di noi senza farsi il minimo scrupolo –
- Questo è quello che pensi tu – sibilò Auler, spiazzandola.
- Come hai detto?- ringhiò lei, incapace di sopportare tutta quell’insolenza.
- Non hai mai pensato che forse sono state proprio le tue paure, il tuo folle terrore della solitudine a condurci su questa strada?- le domandò il fratello, cercando di farla ragionare – Tutto ciò per cui abbiamo combattuto non lo abbiamo fatto per noi… ma per te. Sono stati i tuoi fantasmi interiori ad alimentare un odio così grande. La nostra battaglia finora l’abbiamo combattuta contro di te, Sophie. È stata la tua follia a condurci fin qui. Apro gli occhi solo adesso – disse, come illuminato da una verità che gli si palesava soltanto in quel momento davanti agli occhi.
- È per Altezza che mi stai dicendo tutto questo? Speri di proteggerla, convincendomi che è stata tutta colpa mia? Vuoi giocare a fare l’eroe? - gli domandò la marchesa provocatoria, un ghigno beffardo sul volto.
- Non lo faccio per Altezza, anche se non nascondo che grazie a lei ho ricominciato pian piano a riprendermi la mia libertà – le rispose lui con fermezza, per nulla intimorito dalle minacce nascoste dietro quella domanda tagliente – Lo faccio per te. Sei mia sorella, Sophie, e per niente al mondo desidero osservarti senza far niente mentre ti rovini la vita con le tue stesse mani. Il tuo odio ti ha accecato a tal punto da renderti capace di uccidere un uomo. Redimiti, prima che sia troppo tardi. Di errori ne abbiamo fatti tanti, ma siamo ancora in tempo a rimediare. Possiamo ricominciare, stavolta per davvero. A partire da adesso. Insieme
- Risparmiami la tua compassione, non ne ho bisogno – asserì fredda lei, completamente sorda alle sue parole.
Il volto di Auler si incrinò di delusione.
- Shade aveva ragione – disse – Ti ho sempre temuta più di quanto tu tema lui. Finalmente comprendo i miei errori –
- Auler – lo chiamò Sophie in tono d’avvertimento – non osare parlare oltre – l’occhiata fulminante che gli lanciò non lasciava spazio a nessun dubbio: quello che gli stava dando era un ultimatum.
Il marchese sostenne fieramente lo sguardo, poi le voltò le spalle con atteggiamento di rammarico e consapevolezza, di delusione e di amarezza.
- È finita – mormorò – io me ne tiro fuori. Non voglio più essere complice di questa follia –
Sophie lo osservò allontanarsi immobile, i nervi tesi, il respiro mozzato, mentre il fratello le lanciava un’ultima occhiata compassionevole prima di ritirarsi nelle sue stanze.
Lo osservò allontanarsi senza tentare nulla per fermarlo, in petto una bruciante sensazione di sconfitta che il suo orgoglio non era disposto ad accettare.
Digrignò i denti, una rabbia cieca a infiammarle le vene.
“Hai firmato la tua condanna”.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Erano passate due settimane quando il medico comunicò ad Elsa e alle figlie che Toulouse si trovava finalmente fuori pericolo. Nonostante l’uomo non avesse ancora ripreso conoscenza, l’infezione era ora sotto controllo, e la ferita che in un primo momento aveva dato qualche problema riaprendosi era in via di cicatrizzazione.
Non sapeva dirlo con certezza, ma una volta scesa la febbre, il capofamiglia sarebbe andato incontro ad una netta ripresa, era solo questione di attesa.
- Quando pensa riprenderà conoscenza?- domandò Elsa al medico, impaziente di riabbracciare l’amato marito.
- Difficile dirlo con certezza, signora Sunrise. Quello che posso affermare è che se il paziente progredisce ancora, è probabile si risvegli tra qualche giorno. Certo non sarà ancora in grado di alzarsi dal letto viste le condizioni, prima abbiamo bisogno di accertarci che la ferita sia ben cicatrizzata. Dopodiché potremo iniziare il programma di riabilitazione, che implicherà la riacquisizione della funzione motoria a piccoli passi, e la verifica che non ci siano lesioni ai nervi che possano compromettere la sua capacità di camminare. Ma questo lo vedremo col tempo –
- Ah, dottore, io non so proprio come ringraziarla per tutto ciò che ha fatto per noi. Le dobbiamo una riconoscenza infinita – sussurrò Elsa tra le lacrime, col cuore gonfio, bruciante di sollievo.
Anche Rein e Fine gioirono non appena furono riferite loro le parole del medico. L’unico ostacolo da temere in quel momento era la riabilitazione del padre per cui, se le lesioni erano più gravi di ciò che si pensava, avrebbero compromesso la sua indipendenza motoria, ma a quello avrebbero pensato in un secondo momento, quando Toulouse avrebbe riaperto gli occhi sussurrando i loro nomi tra le coperte del letto.
Indescrivibile fu per le donne della famiglia Sunrise l’avvento di quella notizia, fu come riprendere a respirare dopo essere state a lungo in apnea, una boccata d’aria fresca, il rischiararsi del cielo.
La gioia fu talmente tanta, che per un istante Fine e Rein dimenticarono le tensioni createsi tra loro, e si abbandonarono ad un abbraccio tra le lacrime di commozione che sapeva di sollievo e speranza.
Nel tardo pomeriggio tornò la polizia, dopo tre giorni di silenzio, a svolgere ulteriori indagini per carpire qualche informazione in più sulle dinamiche dell’incidente. Si concentrarono soprattutto sul luogo del presunto delitto, raschiando a fondo ogni angolo in cerca di un indizio che potesse ricondurre all’identità dell’assassino.
Mentre un intero squadrone di poliziotti scandagliava l’intero cortile con una meticolosità al limite dell’ossessivo, il commissario teneva impegnata Elsa con alcuni quesiti riguardanti le dinamiche di quella notte. Rein attendeva il suo turno per essere nuovamente interrogata in camera del padre, ancora incosciente.
Udiva la madre, stremata per tutte le notti insonni passate accanto al marito a sperare in un suo risveglio, rispondere a monosillabi alle domande del commissario, stanca di quella routine alla quale era costretta a prendere parte quotidianamente. Rein sorrise commossa pensando a quanto sua madre amasse Toulouse di un amore così grande: temeva che, se lo avesse abbandonato anche solo per un istante solo nel suo sonno senza sogni, gli sarebbe poi stato difficile ritrovare la strada di casa. Elsa era convinta del fatto che lo stargli vicino, il contatto umano, i sussurri all’orecchio, lo stessero pian piano riconducendo di nuovo da lei.
Il momento della giornata che la donna temeva di più era certamente la notte: il sonno la spaventava, la quiete, l’immobilità del tempo, il dilatarsi delle ore e dei minuti, li percepiva tutti come ostacoli capaci di allontanarla da Toulouse, come se chiudere gli occhi un solo istante per recuperare un po’ di forze potesse improvvisamente spezzare il filo che la teneva così strettamente unita al marito, una matassa che sentiva pian piano riavvolgersi, perché dal capo opposto sapeva che c’era lui ad aspettarla.
Aveva passato una settimana intera combattendo con le sue paure, e non c’era stato verso di convincerla ad abbandonare quel letto. Si lasciò convincere dalle figlie a lasciare per qualche ora il capezzale del marito soltanto perché la sua presenza era richiesta altrove.
Fu così che Rein prese il suo posto, e alla fanciulla non dispiacque affatto, anzi, fu felice di poter finalmente stare sola accanto al padre, immersa nella quiete di quella camera buia, illuminata soltanto dal sole che filtrava timido tra le fessure delle imposte, uno scudo imperturbabile che li proteggeva dalla frenesia del giorno e da tutto quel viavai di persone che affollavano la loro casa portandosi con sé la loro compassione, le loro domande e la loro inquietudine.
Osservò il volto del padre ancora intrappolato nel suo sonno senza sogni, e gli occhi le si riempirono di lacrime di commozione.
Sotto le lenzuola, lo sapeva bene, si nascondeva la profonda cicatrice provocata dal proiettile che l’aveva quasi ammazzato. Ripercorrere con la mente quella notte le paralizzava la spina dorsale, la bocca dello stomaco le si apriva in una voragine e la terra sotto i piedi le veniva a mancare.
Togliersi dalla mente l’immagine del padre sanguinante che si accasciava al suolo inerme le pareva impossibile. Improvvisamente il cuore tornò a batterle feroce in petto, e la gola prese a seccarsi.
- Papà – sussurrò con voce tremula e gli occhi lucidi – mi dispiace tanto – e si accasciò su di lui, stringendogli forte la mano adagiata lungo il corpo, quasi desiderasse di tornare bambina, e di farsi stringere di nuovo da quelle forti braccia che tante volte l’avevano consolata e protetta quando era più piccola, quando correva da lui per cercare conforto dopo un litigio con la sorella o dopo lo spavento di una caduta nel corso dei suoi giochi infantili.
- Mi dispiace per quello che è successo, per come ho gestito la situazione… è a causa della mia ingenuità che siamo arrivati a questo punto e la mia buona volontà non ha potuto nulla… tutta la mia buona volontà…-
Desiderò con tutta se stessa di percepire la mano del padre carezzarle la nuca, di sentirsi chiamare sottovoce, alzare il volto verso di lui e ritrovarselo sorridente a rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, ma non accadde nulla.
Soltanto il silenzio, e i suoi singhiozzi soffocati che echeggiavano nell’atmosfera di quella stanza cupa.
Poi ci fu un attimo impercettibile in cui il tempo parve fermarsi un istante, e Rein percepì qualcosa aleggiare nell’aria leggero e delicato come un battito d’ali di farfalla, un lieve sussurro che andò a solleticarle l’orecchio, facendole rizzare la testa e roteare gli occhi attorno alla ricerca della sua origine.
-..phie – udì, e volse lo sguardo sulle labbra del padre, il cuore in gola e il respiro mozzato, quasi temesse di spaventarlo se solo avesse osato rompere la magia di quell’incantesimo.
- Papà?- mormorò tra le lacrime, come per accertarsi che fosse vero.
Quello non le rispose, ma lei scorse benissimo le labbra del padre muoversi ancora impercettibilmente nella pronuncia di quello strano richiamo che aveva catturato la sua attenzione.
- Papà!- ripeté in un sorriso tremante, mentre il cuore si gonfiava di gioia e il sangue le ribolliva nelle vene di felicità.
- …phie – disse ancora il padre, intrappolato nei suoi incubi e ancora lungi dal riprendere conoscenza.
Quello, tuttavia, era il primo segno di vita mostrato da Toulouse in quattordici lunghi giorni, e a Rein bastò per avere la conferma che il padre fosse effettivamente ancora vivo, e che era pronto a tornare da loro.
- Fine, mamma!- chiamò in preda all’euforia, con gli occhi lucidi e il cuore scalpitante in petto, precipitandosi fuori dalla stanza in cerca delle due donne.
- Cosa c’è, Rein? Toulouse sta male?- le domandò allarmata la madre interrompendo la sua chiacchierata con il commissario, sentendosi chiamare con così tanta urgenza, negli occhi l’angoscia che fosse capitato  qualcosa di irreparabile al marito proprio mentre lei non era al suo fianco.
- Papà ha parlato!- strillò Rein piena di contentezza, gettandosi su di lei e trascinandola con sé nella stanza – Come?- domandò Elsa con Fine alle calcagna, attirata anche lei da tutto quel frastuono.
- Papà ha parlato, ha mormorato qualcosa nel sonno!- ripeté la turchina commossa, mentre l’espressione dei volti delle altre due donne passava dallo stupore all’euforia.
- Dici davvero?- domandò Fine incredula – Sarebbe il regalo più bello del mondo se fosse vero!- esclamò Elsa tra lacrime di gioia, mentre si dirigevano tutte nella stanza.
Nella confusione del momento, anche il commissario di polizia, che non aveva ancora terminato di interrogare la signora Sunrise e trascinato dall’euforia delle tre donne, le seguì in camera per accertarsi della verità delle parole pronunciate da Rein.
Il corpo inerme di Toulouse li accolse silenzioso non appena varcarono la soglia della porta.
Stettero tutti col fiato sospeso, quasi temessero di spaventarlo: soltanto Elsa si avvicinò con gli occhi lucidi al corpo del marito, carezzandogli una mano e sussurrandogli all’orecchio: - Toulouse, amore mio… riesci a sentirmi?-
Non un suono si udì aleggiare nell’aria, fintanto che l’uomo non comunicò la sua risposta.
- …phie – mormorò ancora piano il malato, e le tre donne si guardarono l’un l’altra, sciogliendosi in un pianto discreto e commosso, strette in un abbraccio che sapeva di sollievo e di speranza.
- Questo lascia ben sperare – annunciò Elsa con voce tremula, baciando le figlie e rivolgendo nuovamente l’attenzione al commissario di polizia, altrettanto lieto della buona notizia.
- Sono sinceramente contento per voi, signora Sunrise. Vostro marito è un uomo forte, e soprattutto fortunato ad avere accanto una famiglia meravigliosa come la vostra. Sono certo che presto potrete tornare a riabbracciarlo –
- Sembra stia cercando di dire qualcosa – osservò Fine, avvicinandosi con cautela al padre, quasi temesse di infrangere il miracolo di quell’incantesimo.
Tutti stettero in silenzio ad ascoltare l’uomo pronunciare ancora una volta quel debole richiamo. Quella volta, però, il suono fu più limpido, e le parole più comprensibili.
- Sophie…- scandì Toulouse in un sussurro, e quel nome si librò nella stanza, volteggiò per qualche secondo libero nell’aria, e colpì l’orecchio dei presenti con tutta la forza di cui era capace.
- Sophie…- ripeté ancora l’uomo, e i presenti si osservarono sconcertati l’un l’altro.
- Ho sentito bene? Sta chiamando il nome di Sophie?- mormorò Elsa sorpresa e disorientata, non sapendo proprio ricollegare il nome ad eventi o persone conosciute.
- Pare proprio di sì – osservò Fine, altrettanto stupita – Ma cosa può significare?- domandò, guardando negli occhi la madre e il commissario, estremamente attento ad ogni dettaglio per non lasciarsi sfuggire nulla.
- È il nome della marchesa di Windsworth – asserì Rein a un tratto, convinta al cento per cento che quella non fosse una pura coincidenza, e gioendo nel profondo per quel piccolo colpo di fortuna – papà sta cercando di indicarci la strada da percorrere per trovare il suo assassino –
- Che sciocchezza! Come può una persona d’alto rango come la marchesa essere coinvolta in una simile vicenda? Nemmeno la conosciamo personalmente. Si tratterà di una semplice coincidenza – esclamò Elsa sconcertata, guardando Rein come se sua figlia fosse improvvisamente uscita di senno.
Rein, tuttavia, non era della stessa idea, in quanto sapeva perfettamente che quella era l’unica occasione per incastrare finalmente i marchesi di Winsworth e venire in aiuto a Shade: - Perché darlo per scontato? Perché non prenderlo in considerazione? Ogni dettaglio è di fondamentale importanza per arrivare alla verità. Eclipse potrebbe essere chiunque – asserì decisa, sotto lo sguardo di una Fine perplessa e sospettosa che la scrutava in silenzio, quasi a volerle leggere nei pensieri per capire a che gioco la sorella stesse giocando.
- Signorina Sunrise, queste sono parole che il signor Sunrise ha pronunciato in stato di incoscienza, non sono sufficienti ad incriminare una persona o ad inserirla nella lista dei sospettati. Dovrebbe almeno esserci un collegamento, una prova concreta che possa testimoniare la presenza della marchesa in casa vostra. Bisogna cercare un movente. Inoltre il nome in sé non è di alcuna rilevanza, come possiamo essere certi si tratti proprio dei marchesi di Windsworth e non di un’altra persona? Per poter ottenere un mandato di perquisizione necessitiamo di molto di più – intervenne il commissario, perfettamente consapevole di quale fosse la sua posizione, e di come gestire l’indagine al meglio.
- Signor commissario, io ero presente quando mio padre è stato ferito, e sebbene non sappia riconoscere il volto dell’aggressore, sono certa che c’è un motivo se mio padre adesso sta pronunciando questo nome nel suo stato di incoscienza. Tra le nostre conoscenze, ve lo confermerà anche mia madre, non esiste nessuno che porti il nome di Sophie. L’unica conoscenza che abbiamo in comune, anche se poco approfondita, è con la marchesa di Windsworth. È lecito, dunque, sospettare di lei – insisté Rein, sempre più convinta ad insinuare il dubbio quel poco che bastasse per convincere la polizia a prendere in seria considerazione l’opportunità di interrogare i due marchesi.
- Mi rendo conto, signorina, del vostro stato d’animo e del desiderio che l’atto compiuto verso la vostra famiglia non resti impunito. Cercate tuttavia di capire che non possiamo metterci ad interrogare persone senza un valido motivo. Non c’è alcun nesso logico tra voi e i marchesi al momento che possa giustificare un movente – asserì l’uomo deciso e autoritario.
- Prendete almeno in considerazione la possibilità!- pregò la turchina, vedendosi sfumare davanti agli occhi l’unica possibilità rimasta per incastrare i due marchesi.
- Insomma, signorina Sunrise, vi ho già detto che mi è impossibile venirvi incontro senza un motivo ragionevole. Non asseconderò il vostro capriccio. Anzi, dato che siete così propensa ad incolpare dei marchesi, perché non facciamo una veloce chiacchierata a quattr’occhi, così mi spiegate da dove deriva la vostra convinzione?- ruggì l’uomo spazientito da tanta insistenza, nella voce un’impercettibile tono di minaccia che subito intimorì Rein la quale si zittì all’istante, mordendosi la lingua per aver mostrato così tanta insolenza.
- Prenderemo in considerazione la possibilità di un colloquio coi marchesi soltanto quando il signor Sunrise si sarà ripreso, e la sua testimonianza confermerà ciò che voi ipotizzate soltanto a parole – concluse freddamente, lasciando nella stanza un’atmosfera tesa e irrespirabile.
Aveva appena terminato di parlare, sotto lo sguardo deluso e impotente di Rein che non sapeva a cos’altro aggrapparsi per fare venire alla luce la verità, quando un sottoposto del commissario che era stato impegnato a perlustrare il giardino fino ad allora non entrò con foga nella stanza, annunciando a tutti i presenti quale fosse l’esito dell’indagine di quel pomeriggio.
- Perdonate l’intrusione, ma abbiamo scandagliato tutto il perimetro della proprietà, signore, e nel luogo in cui è avvenuto l’incidente è stata ritrovata questa – comunicò l’uomo, ponendo nelle mani del commissario, avvolta in un fazzoletto, una spilla dorata portante la raffigurazione di uno stemma familiare ben noto a tutti i presenti, che appresero quell’ultimo particolare con profonda inquietudine.
Gli occhi del commissario si accesero di stizza, sorpresa ed incredulità.
Ciò che teneva tra le mani era una spilla raffigurante lo stemma dei Windsworth.
- Ma come è possibile?- sussurrò Elsa sconvolta, incapace di credere a ciò che le era stato rivelato.
Il commissario deglutì a fatica, prendendo coscienza di quel particolare con serietà e rassegnazione, vergognandosi per ciò che gli era uscito dalle labbra poco prima, e di essersi mostrato così insofferente nei confronti delle supposizioni di una fanciulla che, forse, non si era poi allontanata tanto dalla verità.
Rein lo guardò negli occhi, senza lasciar trapelare alcuna emozione, ma in cuor suo bruciava di trionfante soddisfazione.
- Ora ciò che ha a disposizione è sufficiente, commissario?-


Angolo Autrice:

E' sempre una gioia riuscire ad aggiornare, soprattutto di questi tempi che il lavoro mi toglie il respiro, e qualsiasi briciolo di tempo libero.
Ma, come vedete, ogni tanto torno, perchè non ho intenzione di lasciare incompleta la storia.
Questo è un capitolo di transizione, eppure accadono eventi significativi. Ormai siamo agi sgoccioli, e Toulouse sembra pian piano riprendere conoscenza.
Ciò che accadrà adesso è ancora da scoprire. Spero di continuare a stupirvi.
Ringrazio di cuore tutti quelli che si emozionano leggendo questa storia. Ringrazio chi mi scrive, chi mi legge, e chi si emoziona leggendo le mie parole.
Grazie, grazie davvero. Spero di continuare ad emozionarvi ancora e ancora.
Baci

_BlueLady_

 
 

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Capitolo 33
*** XXXII ***


~ CAPITOLO 32 ~
 
- Possiamo rubare qualche minuto del vostro tempo per porvi qualche domanda?- fu la richiesta che accolse la marchesa quella mattina non appena aprì il portone di casa, ritrovandosi di fronte il commissario di polizia accompagnato da quattro poliziotti.
- Signor commissario, mi cogliete di sorpresa! È successo forse qualcosa?- domandò con aria fintamente stupita Sophie, accennando un sorriso sornione – A cosa devo la vostra visita?- chiese poi, facendoli accomodare, mentre dal corridoio giungeva a passo lento anche Auler con gli occhi sbarrati, pallido in volto e con la gola che gli si seccò non appena riconobbe le divise.
Lanciò un’occhiata terrorizzata a Sophie, che ricambiò con sguardo sicuro ed imperturbabile.
- Immagino siate a conoscenza dell’incidente avvenuto quindici giorni fa in casa Sunrise per opera di Eclipse – arrivò dritto al punto il commissario, senza troppi giri di parole.
- Una vera disgrazia – fu il commento della marchesa, intriso di falso rammarico e dispiacere – è per questo che siete qui?- domandò poi con innocenza.
Il commissario frenò di colpo il passo, fissandola con intensa serietà negli occhi: - Cosa ve lo fa pensare?- chiese sospettoso, scrutandola dall’alto verso il basso.
Auler a fianco della sorella si morse un labbro tremante, il cuore nel petto che pareva esplodere.
Sophie sogghignò sicura di sé: - Uno strano modo di giustificare la vostra presenza qui quello di utilizzare fin da subito la notizia di un assassinio per cominciare una conversazione. Se mi permettete un’osservazione, mancate un po’ di tatto – soffiò provocatoria, continuando a tirare le labbra in un sottile sorriso sornione – Ad ogni modo, vi perdonerò, signor commissario. Devono essere stati giorni molto duri per voi questi, e comprendo perfettamente che a volte lo stress ci può rendere lievemente irascibili e scontrosi. Ma ditemi, perché ho motivo di dovervi accogliere in casa mia, oggi?-
Giunsero in salotto, dove subito il gruppo di poliziotti cominciò a guardarsi attorno con circospezione, sotto lo sguardo attento e irrigidito di Auler, che ancora non osava proferire parola, troppo agitato per evitare di tradirsi aprendo bocca.
-  Credo siate a conoscenza del fatto che Eclipse ha fatto irruzione in casa Sunrise quindici giorni fa, ferendo quasi a morte il capofamiglia. Ancora non ne capiamo il motivo, ma supponiamo possa essersi trattato di un tentativo di difesa, dato che la signora Sunrise ha affermato che il marito si è lanciato incoscientemente all’inseguimento del ladro per smascherarlo. Non è da escludere, tuttavia, che possa essersi trattata anche di un’azione premeditata, visto che dalla casa sembra non mancare alcun oggetto di valore – asserì fiscale il capo di polizia, senza mai distogliere i propri occhi dalle iridi della marchesa – Le indagini non hanno condotto a niente, le tracce del ladro sembrano essersi dissipate nel nulla… fino allo scorso pomeriggio, quando è stata trovata questa sul luogo del presunto delitto – e così dicendo, estrasse dalla tasca della giacca, ancora avvolta nel fazzoletto bianco, la spilla incriminante che raffigurava lo stemma del casato al quale appartenevano i due marchesi.
Nel vederla, Auler sbiancò di colpo faticando a mandare giù un bolo di saliva simile ad un macigno, mentre in petto il cuore rimbombava ferocemente, quasi volesse esplodere, facendo ribollirgli il sangue nelle vene e ronzargli le orecchie. La marchesa, invece, non fece una piega. Si limitò ad osservare la spilla con aria di sufficienza, senza mostrare il minimo segno di angoscia o stupore. Auler invidiò la sua capacità di mantenere la calma in una situazione tragica come quella. In certe occasioni, doveva ammetterlo, sua sorella gli faceva davvero paura, realizzando quanto fosse disumana sotto certi aspetti.
- Ora – continuò il commissario, rinfilando la spilla nella giacca senza mai perdere il contatto visivo con i due – vorrei porvi qualche domanda per venire a conoscenza della vostra versione dei fatti, mentre i miei uomini daranno una breve occhiata in giro, se non vi spiace. Dobbiamo rispettare il protocollo delle indagini, mi comprenderete. Siamo qui per svolgere il nostro lavoro, dopotutto –
- Ci mancherebbe, signor commissario, io e mio fratello saremo ben felici di contribuire ad una giusta causa – sorrise la marchesa, per nulla intimorita – Guardate pure con comodo, se lo ritenete necessario. Non abbiamo nulla da nascondere, vero Auler?- e rivolse la parola al fratello per la prima volta quella mattina, che rispose con un fievole “No” di rimando impacciato e titubante.
I tre si accomodarono in salotto, mentre gli uomini del commissario presero a perlustrare la villa con attenzione.
- Sophie, a che gioco stai giocando?- le domandò il marchese nel più completo panico, lanciando occhiate furtive al commissario mentre dava gli ultimi ordini alla sua squadra prima di concentrarsi su di loro – Come pensi di risolvere la situazione, adesso? Siamo con le spalle al muro – le soffiò acidamente all’orecchio, avendo cura di non farsi sentire.
- Rilassati, fratellino, la situazione è perfettamente sotto controllo – gli rispose lei, perfettamente a suo agio.
- Sotto controllo? – esclamò Auler teso – Quella spilla è la prova inconfutabile della nostra colpevolezza. Come pensi di giustificare la sua presenza nel giardino dei Sunrise? Sapevo che ci saremmo lasciati sfuggire un particolare. Finiremo con l’essere arrestati, e Dio solo sa quale sarà la nostra condanna – sibilò tra i denti nel panico più totale.
Sophie lo guardò negli occhi con una sicurezza a dir poco sconcertante: - Tu lascia che sia io a parlare, e saprò gestire la conversazione a nostro favore. Vedrai che presto questo impiccio sarà solo un lontano ricordo – asserì decisa, mentre il commissario si dirigeva verso di loro – Non aprire bocca a meno che non sia io o il commissario a spronarti a farlo. Evita di prendere iniziative – sibilò in un sussurro, prima di riacquistare tutta l’innocenza di cui era disposta di fronte agli occhi dell’ufficiale.
- Dunque – proferì quello, sedendosi in poltrona di fronte a loro – cominciamo dalle domande di base. Potete dirmi dove eravate la sera in cui è successo l’incidente?-
- Che domande. Eravamo fuori casa per prendere parte ad un ricevimento organizzato dalla contessa di Darthmour a casa sua – ridacchiò Sophie, come se ciò a cui stava prendendo parte fosse più una commedia che una vicenda reale.
- Qualcuno può confermare ciò che state dicendo? – continuò l’uomo, per niente divertito.
- La contessa e tutti gli ospiti presenti, naturalmente – sorrise lei, mentre Auler si attorcigliava le dita l’una con l’altra per tenere a freno l’agitazione.
- Che relazioni avete con la famiglia Sunrise, e il signor Sunrise in particolare?-
- Niente più che una semplice conoscenza superficiale. Il signore e la signora Sunrise li conosciamo appena, mentre con le due giovani figlie ho avuto modo di conversare piacevolmente un paio di volte in occasione di un ballo – asserì la marchesa allegramente, come se prendesse tutto come un gioco – Sono due fanciulle deliziose, non trovate? Una vera tragedia che il padre sia stato vittima di una tale disgrazia… ma toglietemi una curiosità, commissario: il signore ora come sta?-
- Sembra ormai fuori pericolo, anche se non ha ancora ripreso conoscenza. Tuttavia non siamo qui per parlare delle condizioni del malato – tagliò corto il commissario, mantenendosi concentrato sull’obiettivo – Dunque mi confermate che non avete alcun rapporto di amicizia con il signor Sunrise?-
- Assolutamente, commissario. Ma non per questo siamo meno dispiaciuti per ciò che è successo –
- Siete mai andati a far loro visita prima o dopo l’incidente? –
- No – rispose Sophie pacatamente.
- E allora come mi spiegate la presenza di un oggetto che vi appartiene in casa loro?-
- Permettetemi una domanda, commissario – lo interruppe Sophie, perfettamente consapevole di stare conducendo la conversazione a suo favore – Esattamente chi sperate di smascherare, venendo ad interrogarci qui oggi?- sussurrò placidamente, fissandolo dritto negli occhi.
L’uomo tentennò per qualche istante, tentando di capire dove la marchesa volesse andare a parare.
- Voglio dire – si corresse Sophie, sempre con un’invidiabile serenità – siete stato proprio voi poco fa, all’ingresso, a confermare che è Eclipse il colpevole dell’omicidio, e che è lui che state cercando. Vale la pena allora perdere tempo con inutili domande, invece di passare direttamente agli atti? Come ben potete vedere, non esiste alcun nesso logico che possa giustificare la presenza della spilla appartenente al nostro casato in casa Sunrise… a meno che, effettivamente, l’identità di chi porta la spilla non coincida con quella di Eclipse –
Il commissario stesse in silenzio a riflettere per qualche istante, colpito dalle parole proferite da quella donna dall’intuito brillante.
- Sophie, ma che…- tentò di domandarle il fratello sottovoce, ma fu prontamente zittito da un’occhiata fulminea della marchesa che gli bloccò le parole in gola.
- Avete ragione, signora marchesa – proferì a un tratto il commissario, riemergendo dalle sue riflessioni – Devo supporre, dunque, che per saperne di più su questa faccenda sia inutile stare seduti qui a chiedere chi di voi due sia Eclipse –
Sophie annuì ridacchiando sommessamente: - Posso dirvi con assoluta certezza che, per quanto mi riguarda, sono abbastanza sicura sull’integrità della mia identità –
- E voi, signor marchese?-
- Anche per me vale lo stesso – biascicò Auler rigido e timoroso, ancora tentando di decifrare il comportamento della sorella.
- Non avrete nulla in contrario, dunque, se mi unisco ai miei uomini nella perlustrazione dell’intera dimora in cerca di qualche piccolo dettaglio – affermò il commissario, scrutandoli di sottecchi.
- Mi pare di avervi già dato il mio consenso poco fa – sorrise Sophie di rimando, offrendosi volontaria assieme al fratello di accompagnarli nelle indagini.
Perlustrarono ogni angolo della casa al piano inferiore, per poi passare a quello superiore.
Sophie osservò i poliziotti sprecarsi nelle loro indagini con sentito divertimento, mentre Auler ancora faticava a comprendere lo strano comportamento della sorella.
- Hai detto che la pistola è al sicuro, giusto?- le domandò avvicinandosi cautamente.
- Sì –
- E i vestiti insanguinati li hai bruciati tutti?-
- Esattamente –
- Allora perché sproni questi ufficiali a cercare qualcosa che non troveranno mai? Credi che basterà a distogliere l’attenzione dalla spilla e a dichiararci innocenti? Non appena torneranno da noi a mani vuote il problema si ripresenterà uguale a prima, se non peggio – osservò, irritato di fronte alla noncuranza e leggerezza che la sorella mostrava nei confronti di tutta quella faccenda - Mi domando come abbiamo fatto a lasciarci sfuggire un dettaglio così importante. Cosa diamine ci faceva una delle nostre spille lì? -
- Auler, ti fai troppe domande. Goditi lo spettacolo finché dura. Ho mai rischiato di tradirmi in tutti questi anni?- asserì pacatamente lei, quasi scocciata da tutta quell’insensata preoccupazione.
- Forse sarebbe meglio confessare tutto e scontare la nostra pena. Vivremmo sicuramente con il cuore più leggero – asserì amaramente Auler, incapace di decifrare i pensieri di Sophie.
- Quando avranno finito, credimi, non avranno più alcun dubbio sul colpevole – sorrise sicura lei, regalandogli un’occhiata fiera, ma intrisa di una freddezza e di una punta di rancore che ad Auler parvero essere rivolti proprio contro di lui.
L’ultima stanza da perlustrare rimase proprio quella del marchese.
I poliziotti entrarono, cominciando a rovistare tra lenzuola e cassetti, sotto lo sguardo attento del giovane che non li perdeva di vista un attimo, il cuore pesante e un nodo alla bocca dello stomaco che sentiva stringere sempre di più.
Aprirono anche l’armadio in cui erano appesi gli abiti del marchese, li analizzarono uno ad uno, raschiarono base e soffitto del mobile in cerca di indizi nascosti.
Sophie osservò il tutto sorridendo sorniona tra sé e sé.
- Commissario – s’udì a un tratto chiamare uno dei poliziotti dall’interno dell’armadio – Venga qui –
L’uomo si avvicinò, seguito dai due marchesi, mente il poliziotto mostrava loro l’esistenza di un’ulteriore compartimento sul fondo del mobile, rilevabile dal rimbombo che producevano le pareti quando ci si bussava sopra.
- C’è un doppio fondo qui – asserì l’ufficiale.
Il cuore di Auler mancò di un battito, anche se continuava a ripetersi tra sé e sé che non c’era alcun motivo per cui agitarsi, visto che l’abito di Eclipse e tutto ciò che poteva esservi connesso era stato fatto sparire per mano di Sophie.
- Rimuovetelo – fu l’ordine del commissario, e subito eseguirono.
Il marchese osservò le operazioni di rimozione con un peso sul petto che sentiva farsi via via più pesante man mano che trascorreva il tempo.
Quando il fondo fu rimosso e gli abiti furono tolti d’impiccio, ciò che si presentò agli occhi dei presenti lasciò tutti sconcertati e increduli, con l’amaro in bocca.
Appesi e in bella vista perché potessero essere visti da tutti, v’erano un abito nero, un mantello stracciato e una maschera color pece orlata in oro, completamente imbrattati da schizzi di sangue.
Il commissario avvicinò la spilla al taschino della giacca, scoprendovi una lieve apertura che andava a coincidere perfettamente con l’ago del piccolo monile. Ciò non lasciava più spazio ad alcun dubbio.
Lo shock generale fu tanto, che per alcuni istanti nessuno osò proferire parola.
Poi fu Auler a parlare, resosi conto della trappola tesagli dalla sua stessa sorella, nella quale ci era finito dentro fino al collo.
- N-Non è possibile…- biascicò spiazzato, incapace di reagire a quella cruda sorpresa.
A fianco a lui, Sophie si sciolse in un’impercettibile ghigno di spietata vittoria.
- Oh, fratellino mio…- mormorò con finto rammarico, fingendosi sconvolta e incredula di fronte a quella scoperta, e profondamente delusa di venire a conoscenza così improvvisamente di quella cruda verità. Nel profondo, però, celava un sorriso consapevole di chi aveva progettato tutto nei minimi particolari scampando le accuse, perché aveva pianificato tutto fin dall’inizio: da quando il fratello aveva osato ribellarsi a lei a seguito dell’incidente e le aveva annunciato di non voler più far parte dei giochi, per evitare un suo tradimento ed una possibile alleanza futura con Shade aveva deciso di incriminarlo, e far credere a tutti che lui fosse il famigerato Eclipse, il ladro dei ladri, l’incubo delle notti più buie, lo spietato assassino di Toulouse Sunrise.
Non aveva mai trovato così semplice riuscire in un inganno: era bastato riporre la spilla del fratello sul luogo dell’incidente, dopo avergliela abilmente sottratta nel sonno, di modo che i sospetti ricadessero facilmente su di loro e la polizia si presentasse a casa loro per indagare. A quel punto aveva semplicemente fatto credere ad Auler di essersi sbarazzata degli abiti insanguinati, quando semplicemente li aveva riposti nel fondo dell’armadio, avendo cura di creare nella giacca un foro perfettamente combaciante con l’ago della spilla. Una volta messo in atto il suo piano, non restava che aspettare pazientemente che si compisse da sé.
Quasi si dispiaceva per l’insulsa ingenuità del fratello, e per l’estrema fiducia che riponeva in lei: così ammirevole, eppure altrettanto patetica. Doveva ammettere però, che così facendo ci aveva guadagnato doppiamente, poiché non solo incolpando lui, lei veniva automaticamente scagionata dalle accuse, ma perché così facendo si era anche tolta il fastidioso impiccio di ritrovarselo tra i piedi come nemico, in un possibile futuro.
Conosceva Auler fin troppo bene, ed era perfettamente cosciente che il suo buon cuore, la sua bontà d’animo prima o poi avrebbero rappresentato un ostacolo, più che giovare alla loro impresa. Del resto, Auler alla fine aveva fatto una scelta, e la sua decisione non sarebbe rimasta impunita. Si era firmato la sua condanna con le sue stesse mani.
- Perché? Perché mi fai questo?- gli sussurrò il giovane guardandola negli occhi con aria smarrita e persa.
Lei, per tutta risposta, ricambiò lo sguardo con odio e disprezzo.
- O sei con me, o sei contro di me – sibilò brutale, lasciandolo con l’amaro di quella confessione in bocca, impotente, incapace di reagire, un topo ormai in trappola.
- Auler Winsworth, lei, in quanto Eclipse, è accusato di numerosi tentativi di furto e di tentato omicidio nei confronti di Toulouse Sunrise, e dovrà rispondere delle sue azioni davanti al giudice, il quale deciderà la sua pena di morte – proferì il commissario con tono crudo, cupo, accusatorio, freddo, guardandolo con occhi di ghiaccio.
- No, no! C’è un equivoco! Lasciatemi spiegare! Sophie! – strillò il marchese mentre veniva accerchiato dai poliziotti e portato di peso fuori dalla dimora – Dì loro la verità! Dì loro la verità! Sophie, per l’amor del cielo digli la verità! Non lasciare che mi condannino! Io mi fidavo di te! - strillava, tendando con tutte le forze di aggrapparsi alla sorella e cercare nei suoi occhi un accenno di pietà.
Quella, per tutta risposta, gli rispose con un ghigno di finta innocenza, mentre gli occhi brillavano di soddisfazione.
- Non so di cosa stai parlando – annunciò di fronte ai poliziotti, che non ebbero più alcun motivo per trattenerlo ancora tra le mura della villa.
La marchesa osservò il cocchio della polizia allontanarsi, mentre da lontano riecheggiavano ancora le urla angosciate del fratello, vittima delle sue macchinazioni.
- Sophie! Ti prego! Sono tuo fratello, sono tuo fratello! Non lasciarmi morire così! Sophie!- udì ancora per un istante, poi il cocchio fu troppo lontano perché al suo orecchio potessero giungere ancora le urla strazianti del suo complice ormai condannato.


Angolo Autrice:

E finalmente aggiorno! 
Che mi dite, vi aspettavate questo colpo di scena? Sophie l'ho resa troppo perfida in questa storia per non poterle far giocare un colpo basso simile! Ora Auler come farà a tirarsi fuori dai guai? Sempre se ci riuscirà...
Annuncio con piacere, ed anche con un pò di magone e niostalgia dato che ormai mi ci ero affezionata, che la storia sta giungendo ormai a conclusione.
Altri due capitoli e ci siamo! Mi viene da piangere, un pò perchè mi dispiace sempre terminare long a cui mi affezioni, un pò perchè non credevo davvero di riuscire ad arrivare fin qui, e soprattutto soddisatta di quello che ho creato.
Spero continuerete a seguirmi fino alla fine, ormai ci siamo davvero.
Grazie di cuore a tutti quelli che mi sostengono.
Vi do ancora appuntamento al prossimo capitolo!
Baci

_BlueLady_

 

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Capitolo 34
*** XXXIII ***


~ CAPITOLO 33 ~
 
Toulouse aprì finalmente gli occhi dopo diciassette giorni di incoscienza. Accadde all’alba di un placido giorno primaverile, quando i tenui colori rosati del cielo prendevano ad accarezzare l’orizzonte accendendolo di vita.
L’uomo si svegliò intorpidito e confuso, sbattendo le palpebre più volte nel tentativo di abituarsi al buio che albergava nella stanza. Tentò di orientarsi, cercando di capire dove fosse.
Si guardò intorno spaesato, avvertendo una stretta di mano inconfondibile intrappolargli la propria. Quando volse lo sguardo in basso sorrise nel riconoscere ai piedi del letto una folta chioma di capelli rossi accasciata al suo fianco che riposava placidamente, la figura di sua moglie Elsa.
Provò ad alzarsi per accoglierla tra le sue braccia, ma appena i muscoli si tesero in quello sforzo una fitta lancinante al fianco lo costrinse a restare immobile dov’era. Abbassò leggermente le lenzuola fino a scoprirsi la vita, e alzò piano i vestiti.
La sorpresa fu enorme quando scoprì una fasciatura a bendargli l’addome, e sotto di essa una cicatrice ancora incrostata di sangue a tirargli la pelle tenuta insieme da innumerevoli punti di sutura.
Si sforzò con tutto se stesso per ricordare quali fossero gli eventi che l’avevano ridotto in quello stato, ma non ci riuscì. L’ultima immagine sfocata ad apparirgli nella mente era il volto della moglie allarmato e spaventato che l’osservava tra le coperte del letto, mentre lui si recava al piano inferiore per verificare l’origine di insoliti scricchiolii in casa loro.
- Elsa – la chiamò dolcemente, la voce arrochita ed impastata – Elsa, amore mio, svegliati –
La donna emise un flebile mugolio assonnato, alzando piano la testa dal letto.
Quando, dopo un breve istante di intontimento, realizzò che gli occhi del marito erano spalancati nella sua direzione e la stavano osservando, si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa mentre il cuore in petto perdeva un battito.
- Toulouse…- mormorò mentre gli occhi cominciavano a pungerle - … sei davvero tu?-
- Elsa – le rispose quello con un placido sorriso – qualunque sia il motivo per cui mi trovo qui, spero di non averti fatto aspettare troppo a lungo il mio ritorno –
La moglie si avvicinò al suo viso senza essere più in grado di trattenere le lacrime, e lo baciò teneramente appoggiando la fronte sulla sua.
Stettero abbracciati per ore, a raccontarsi tutto ciò che non si erano detti in quei lunghi giorni di silenzio, finché i primi rumori della casa non preannunciarono l’arrivo del mattino, e l’inizio di una nuova giornata.
Una volta che Elsa raccontò a Toulouse dell’incidente, immagini sfocate e grida lontane spaziarono nella mente dell’uomo, ma la testa doleva ancora troppo perché egli fosse in grado di ricordare chiaramente i fatti accaduti.
Non appena si svegliarono, anche Fine e Rein furono rese partecipi della lieta notizia ormai aspettata da tempo. La reazione delle due gemelle fu una vera e propria esplosione di gioia: corsero in camera del padre affannate ed emozionate, desiderose di poterlo riabbracciare, e quando lo scoprirono ad osservarle sorridente dal letto con l’aria di chi attende a lungo, non riuscirono a trattenere le lacrime di gioia, e l’impeto di fiondarglisi addosso stringendolo.
- Piano, o gli farete male. È ancora convalescente – le rimproverò la madre, ma non riuscì ad evitarsi di lasciarsi sfuggire un sorriso di fronte a quel quadretto intriso di tenerezza.
La famiglia passò l’intera mattinata a confrontarsi sui fatti accaduti: l’incursione, l’inseguimento, lo sparo, e pian piano le immagini nella mente di Toulouse cominciarono a farsi più nitide.
- Appena la polizia saprà che hai ripreso conoscenza, ti tempesterà di domande. Ritengono che tu sia l’unico in grado di testimoniare l’accaduto – gli spiegò Elsa, ormai stufa di quelle pratiche che avevano soltanto contribuito a portare angoscia e tensione tra le mura di casa.
- Ne sono perfettamente consapevole. Farò il possibile per contribuire a scovare il colpevole. Necessito solo di tempo per ricollegare i fatti, ora come ora ho una gran confusione in testa. Eclipse, tuttavia, non deve restare impunito. La mia famiglia ha rischiato troppo perché io possa tollerare che quell’uomo ancora circoli liberamente – asserì l’uomo affaticato, ma con determinazione.
- Prenditi tutto il tempo che vuoi, hai subito un grave trauma e hai tutto il diritto di dedicarti alla tua completa riabilitazione prima di qualsiasi altra cosa. A noi basta riaverti qui, dopo tanto tempo passato ad aspettarti – rispose la moglie, senza riuscire a trattenere nuove lacrime di commozione che contagiarono anche Fine e Rein.
Il giorno seguente, dopo una veloce visita del medico che assicurò la prognosi favorevole circa la completa riabilitazione del malato, Toulouse tentò a piccoli passi di alzarsi dal letto.
La fatica fu notevole, poiché la cicatrice tirava forte la pelle provocandogli notevole dolore, ed era ancora piuttosto debole, ma dopo ulteriori sforzi finalmente riuscì a passare dal letto alla sedia a rotelle, procuratagli apposta dal medico perché potesse riprendere la piena funzione motoria a piccoli passi, nei mesi a seguire.
Le figlie e la moglie osservarono quel momento con un’emozione indescrivibile, incapaci di nascondere la gioia ed il sollievo di avere di nuovo accanto a loro l’amato uomo di casa. Pareva loro quasi un miracolo, un sogno desiderato troppe volte perché potesse mai realizzarsi.
Il lieto momento fu interrotto da una visita inaspettata, preannunciata da dei colpi secchi e decisi alla porta che fecero sobbalzare l’intero nucleo familiare, sorpresi e curiosi di dare un volto ed un nome all’ignoto visitatore.
Quando Rein andò ad aprire la porta, si sorprese di ritrovarsi di fronte nientedimeno che il duca di Tinselpearl, affannato ed agitato, che si scusava dell’intrusione e domandava cortesemente di poter avere un colloquio privato con Fine.
- Signorina Sunrise – cominciò – vostra sorella è in casa? –
- Duca! – esclamò la turchina sorpresa, squadrandolo da capo a piedi – Ci cogliete in un momento delicato, ma prego. La mando subito a chiamare. A cosa dobbiamo la vostra visita? –
Bright si osservò intorno con aria guardinga, prima di fornirle una risposta: - Non so se siete venuti a conoscenza degli eventi che si sono scatenati nella contea, in questi ultimi giorni –
- Siamo state piuttosto impegnate, come ben potete immaginare. Ultimamente tendiamo ad isolarci dalla vita mondana per ovvi motivi – asserì lei, senza capire dove volesse arrivare.
- Eclipse è stato arrestato – proferì lui tutto d’un colpo, provocandole un istante di smarrimento e di angoscia che le fecero mancare il respiro e la terra sotto i piedi.
- Intendete dire che Shade… -
- Shade sta bene, non dovete preoccuparvi di lui. Sono qui oggi sotto sua esplicita richiesta. Ultimamente, però, sui giornali spazia la notizia che Eclipse è stato arrestato con l’accusa di furto e tentato omicidio –
- Ma come può essere stato arrestato se Shade è ancora in libertà? –
- È proprio questo il punto, signorina Sunrise – la interruppe lui senza darle il tempo di aggiungere altro – La polizia è convinta di avere arrestato Eclipse, ma in realtà ha preso l’uomo sbagliato. Auler Windsworth si trova ora in prigione con l’accusa dei crimini commessi da Shade. Pensiamo che Sophie l’abbia incastrato. Ora è in attesa di essere processato, e la sentenza non sembra essere delle più favorevoli –
La bocca della turchina si seccò, ed il cuore prese a trepidarle in petto feroce ed assillante.
- Per questo sono qui, oggi: Shade ritiene sia arrivato il momento di rendere anche Fine partecipe della triste vicenda. È troppo coinvolta per poterla ignorare ancora. Se non le apriamo gli occhi sulla verità adesso, tutti gli sforzi fatti finora potrebbero essere stati vani. Ha affidato a me il compito di riferirglielo. È convinto non sarà in grado di dubitare delle mie parole – le spiegò il giovane, guardandola dritto negli occhi.
- Certo, comprendo – proferì la turchina ancora in subbuglio per la notizia appena ricevuta – Ma ditemi, che ne è stato della marchesa? La polizia ha arrestato anche lei, oppure… -
- Abbiamo perso le sue tracce. Shade sta indagando per rintracciarla, è una donna troppo pericolosa per essere lasciata a piede libero. Quanto ad Auler Windsworth, Shade non ritiene opportuno che venga processato per una causa che non gli appartiene. Chi ha tentato di uccidere vostro padre è stata Sophie, non lui. E sebbene anche Auler non sia privo di colpe, essere processato per un crimine non commesso non rientra nell’idea di Shade. Siamo entrambi sulle tracce della marchesa, che sembra essersi volatilizzata nel nulla subito dopo l’arresto del fratello. Ed anche per questo motivo mi trovo qui oggi, signorina Sunrise: per chiedevi un immenso favore – la interruppe, prendendole le mani ed osservandola con una serietà che metteva quasi spavento – Vostro padre è l’unico che può testimoniare la colpevolezza di Sophie Windsworth. So di farvi una richiesta che risulterà insolente alle vostre orecchie, nelle attuali condizioni in cui si trova vostro padre, e so benissimo che già la polizia avrà contribuito ad assillarvi con questa esigenza, ma una volta che il signor Sunrise si sarà ripreso vorreste appoggiare Shade nella sua causa, e testimoniare a favore della colpevolezza della marchesa? È l’unica maniera per porre finalmente una fine a tutta questa vicenda. Una volta che Shade avrà scovato la marchesa, troveremo il modo di incastrarla in un processo, e con la testimonianza di vostro padre non avrà più alcuna via di fuga. Sia Shade che la vostra famiglia otterrete finalmente la giustizia che meritate. Mi rendo conto di farvi una richiesta alquanto sfacciata, ma…-
- Non aggiungete altro, comprendo benissimo ciò che mi state chiedendo – intervenne Rein, bloccandogli le parole in gola – è lecito contare sull’appoggio di mio padre, del resto ritengo sia inevitabile il suo intervento, essendo l’unico testimone oculare dell’incidente. Spero di comunicarvi una lieta notizia annunciandovi che qualche giorno fa ha ripreso conoscenza: è ancora confuso e frastornato, del resto è comprensibile, gli serve ancora del tempo per riordinare le idee. Attualmente ricorda poco e niente dell’accaduto, ma sono convinta che nel profondo conosce la verità. Quattro giorni fa, quando la polizia si presentò in casa nostra per svolgere ulteriori indagini, ancora incosciente ha pronunciato il nome di Sophie nel sonno. Non credo si tratti semplicemente di una coincidenza, sono convinta che mio padre sappia chi sia l’autore del suo tentato omicidio, necessita soltanto di tempo per ricordare. Se avrete pazienza, penso proprio possiate contare sul suo aiuto nel sostenere questa causa – asserì decisa, col cuore gonfio di determinazione e soddisfazione.
Bright si lasciò andare in un sospiro di sollievo, baciandole le mani ricolmo di gratitudine.
- Grazie, signorina Sunrise, non avete idea di quanto significhi per me e Shade l’appoggio che ci state offrendo. Collaboreremo insieme per fornire a voi e a Shade la giustizia che meritate. Ho aspettato a lungo questo momento per poter finalmente cessare di nascondermi con Fine. Da tempo aspettavo di poterle finalmente aprire il mio cuore, rivelandole ogni cosa. Significa molto per me. Non sarei stato in grado di vivere ancora a lungo con il rimorso di doverle tacere un segreto così grande. Mi toglieva il respiro. Ora finalmente potrò amarla senza pormi limiti, come è giusto che sia –
A Rein si sciolse il cuore nel sentirgli pronunciare parole così sincere ed accorate nei confronti della sorella. Quell’uomo, doveva riconoscerlo, l’aveva amata fin dal primo momento di un amore discreto ma intenso, che andava oltre qualsiasi ostacolo. Non poteva sperare in niente di meglio, per Fine.
- Non ho parole per esprimere la gioia ed il sollievo che provo, a nome mio e di Shade, nell’udire che vostro padre è sulla via della guarigione. Porgetegli i miei più sinceri auguri, spero con tutto il cuore che a conclusione di tutto, questa triste vicenda rappresenterà soltanto l’ombra di un lontano ricordo – concluse Bright nella più completa sincerità.
- Perché non entrate a dirglielo di persona? – lo invitò Rein in un sorriso, scostandosi dalla porta per lasciarlo entrare – Ritengo che abbiamo lasciato Fine attendere abbastanza -
Bright la osservò un istante con occhi smarriti, prima di cedere alla sua proposta ed entrare in casa con una nuova espressione di serenità dipinta in volto.
 
Si stavano ormai accendendo le prime luci della sera quando Rein udì un colpo secco battere sull’uscio della porta, e al suo permesso ad entrare scorse il volto di Fine spiarla timidamente dalla fessura, discreto e silenzioso, incerto se avvicinarsi o meno.
- Fine – mormorò lei, facendole cenno di sedersi accanto a lei sul letto.
- Rein…- soffiò timidamente l’altra in un sussurro, avvicinandosi a piccoli passi a lei.
- Avevi bisogno?- le domandò in un sorriso, ma le parole le vennero soffocate in gola dall’abbraccio feroce ed improvviso della sorella, che si fiondò su di lei stringendola tanto forte da farle quasi mancare il respiro.
- Perdonami - le sussurrò quella soltanto, lasciando che fossero le lacrime che le sgorgavano calde dagli occhi a parlare per lei – ho sbagliato su tutto –
Rein avvertì gli occhi pungerle di commozione, mentre ricambiava la stretta della sorella delicata ma decisa, come se fossero restate lontane troppi anni, prima di riabbracciarsi.
Entrambe avvertirono chiaramente il vuoto creatosi tra loro colmarsi.
Rimasero così a lungo, tutto il tempo necessario.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Il violento cigolio che le sbarre provocarono quando vennero aperte lo destarono improvvisamente dal sonno.
Auler sbatté due volte le palpebre per abituarsi al buio della piccola cella, mentre avvertiva un brusio di voci cupe e confuse di sottofondo ronzargli nelle orecchie.
- Vi do quindici minuti, non uno di più – sentì la guardia comunicare ad una figura incappucciata voltata di spalle, mentre richiudeva le sbarre dietro di sé e si allontanava quel tanto che bastava per non perdere di vista la sua cella.
Il giovane si mise piano a sedere sulla fredda panca di legno che gli aveva fatto da letto in quei giorni cupi e colmi di solitudine, in attesa della decisione che gli avrebbe completamente cambiato la vita o gliel’avrebbe addirittura tolta, ed alzò lo sguardo in alto nel tentativo di riconoscere nel buio la figura incappucciata che gli si stava avvicinando.
La sagoma mosse ancora qualche passo verso di lui, avvicinandosi quanto bastava per poterlo osservare negli occhi. A quel punto si tolse il cappuccio, e ad Auler quasi mancò il respiro quando riconobbe chi gli stava di fronte.
Avvertì il cuore rimpicciolirsi nel petto, per poi ingigantirsi un secondo dopo mentre pronunciava il nome del suo interlocutore in un misto tra incredulità e sconcerto.
- Altezza…- disse, trattenendosi dall’impulso di fiondarsi su di lei e baciarla fino a toglierle il respiro.
- Auler – mormorò quella tra le lacrime, colmando la distanza che li separava stringendosi al suo petto ed affondandovi il viso quasi ci volesse sprofondare dentro e non uscirne più.
- Cosa ci fai qui?- le chiese lui, alzandole il volto per guardarla negli occhi, sentendo il cuore appesantirsi e le lacrime bruciargli gli occhi – Non dovresti avventurarti da sola in un posto simile -
- Non potevo più aspettare per vederti. Appena ho saputo da Bright e Shade ciò che ti era successo, mi sono subito messa in viaggio per raggiungerti. Ho passato ore interminabili di angoscia e terrore al pensiero di poterti perdere. Sono arrivata qui costringendo una delle guardie a concedermi di vederti, anche se per poco. Dimmi che non è vero, Auler. Dimmi che non sei stato tu a tentare di uccidere il padre di Rein e Fine Sunrise, e io ti crederò. Tu sei migliore di così, ti conosco abbastanza da non dubitarne – gli confessò la giovane tra i singhiozzi, stringendosi ancora di più a lui quasi temesse glielo portassero via da un momento all’altro.
- Non ho tentato di uccidere Toulouse Sunrise, ma non sono meno colpevole di quello che credi. Mi conosci poco, Altezza, hai fatto un errore enorme a presentarti qui oggi – rispose lui sciogliendosi dalla sua stretta, sebbene in cuor suo desiderava ardentemente stringerla a sé per non lasciarla andare più.
- Conosco ogni cosa, Bright e Shade mi hanno raccontato tutto. Tuttavia non ti troveresti qui se non fosse per il tuo buon cuore, Auler. Hai fatto cose orribili, ma sei disposto a cambiare. Io l’ho visto, e non permetterò che tu paghi per colpe che non hai –
- L’amore ti rende cieca, Altezza. Non ti è sovvenuto in mente che io possa averti sfruttata per perseguire i miei obiettivi? Come puoi amare un mostro simile? Guardami: non sono migliore di quello che credi – esclamò lui impulsivo, tentando con tutto se stesso di allontanarla prima di non esserne più in grado.
Altezza, tuttavia, era lungi dal farsi scoraggiare.
- Ci ho pensato, sì, al fatto che tu mi abbia usata. Non c’è stato giorno o notte in cui io non abbia pensato all’eventualità di essere solamente una marionetta intrappolata nei tuoi fili. Tuttavia non puoi negare ciò che c’è stato tra noi, Auler. Se fossi davvero spregevole come dici di essere, una volta ottenuto da me ciò che volevi, mi avresti abbandonata sola al mio destino, col cuore distrutto e le speranze in fumo, e avresti ucciso Shade molto tempo prima. Invece sei tornato da me ogni notte, sussurrandomi di amarmi. A che scopo tenermi ancora legata a te, se non per amore? Non rinnegare quello che provi – gli disse afferrandolo per un braccio perché non potesse sottrarsi ai suoi occhi.
Auler incastrò le iridi alle sue, e nulla poté nascondere a quegli occhi per i quali aveva compromesso più volte la sua integrità, sfidando l’autorità di Sophie.
- Con che coraggio posso costringerti ancora ad amarmi…- mormorò, poggiandosi una mano sul viso nel tentativo di nascondere alla donna che amava il suo dolore.
- Anche dicendomi questo dimostri la veridicità delle mie parole – gli sorrise lei commossa, avvicinando il volto al suo.
- Che tu lo voglia o no, sono comunque condannato. Non vale la pena soffrire per ciò che non potrà mai realizzarsi. Ne sei consapevole anche tu – le soffiò sulle labbra, dopo averla baciata intensamente.
- Troveremo il modo. Insieme –
- Non esiste un’altra via d’uscita, Altezza…- mormorò lui abbassando la testa ormai rassegnato al suo destino.
- Invece sì – asserì lei determinata - Ti farò uscire, corromperò una delle guardie di modo che tu… -
- No. Da troppo tempo sono fuggito da una pena che avrei dovuto scontare già parecchi anni fa. Non fuggirò più come un vigliacco dalle mie colpe – la interruppe lui, prima che potesse aggiungere altro.
- Ma sei accusato di tentato omicidio! Potrebbero giustiziarti! – esclamò lei stringendogli i lembi della camicia, in preda all’angoscia e all’agitazione.
Auler sciolse la presa su di lei, sedendosi sulla panca deciso a non fuggire.
- Sophie mi ha tradito, è vero. Tuttavia ho troppi pesi sulle spalle per poterli ignorare ancora. Ho vissuto una vita intera di inganni, tradimenti e rimpianti. Da tempo desideravo finalmente potermi liberare di questo peso, e quel momento è arrivato. È anche grazie a te se oggi sono un uomo migliore, Altezza. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi finalmente sciolto dalle catene. Arrivato a questo punto, non ha più senso fuggire. Prenderò quello che verrà, nel pieno della consapevolezza. Anche se questo significherà dirti addio…-
- Hai deciso, dunque – proferì lei, con un nodo in gola.
- Mi dispiace solo averti coinvolta in tutto questo, e di non essere l’uomo che meriti di amare – le soffiò ancora sulle labbra, imprigionando le loro bocche in un bacio che sapeva di amarezza e rimpianti. Un bacio d’addio.
Il loro incontro fu interrotto dallo scrocco della serratura alle loro spalle, e dalla comparsa di una sagoma familiare che avanzava decisa verso di loro.
- Le tue parole ti fanno, onore, Auler. Da tempo aspettavo di sentirtele pronunciare – asserì freddamente la figura misteriosa, fermandosi a pochi passi da loro guardandoli entrambi negli occhi.
Altezza spalancò le pupille, incredula di trovarselo di fronte.
- Shade..?- esclamò stupita, sciogliendosi dalla stretta di Auler – Cosa ci fai tu qui?-
- Sono venuto a scambiare quattro chiacchiere con mio fratello, prima che fosse troppo tardi – asserì l’altro asciutto, piantando le iridi cupe in quelle del giovane che gli stava di fronte – So che Sophie ti ha tradito – disse, ricevendo in risposta un lieve accenno del capo carico di vergogna da parte dell’altro: - Non ti stupisce, vero? – domandò Auler in un sorriso canzonatorio.
- Affatto. Ho sempre temuto potesse finire così. Non sbagliavo –
- Shade, cosa sei venuto a fare qui? – li interruppe Altezza sulla difensiva, interponendosi tra i due fuochi – Cerchi vendetta? Non ti basta quello che Auler ha già subito per saziare il tuo orgoglio? –
- Continuo a sorprendermi della cattiva impressione che continuo ad esercitare su di te, Altezza. Dovresti conoscermi, ormai. Ma forse è semplicemente il sentimento d’amore che provi nei confronti di Auler Windsworth a metterti in bocca parole tanto avvelenate verso di me – le rispose Shade, spostando l’attenzione verso la giovane donna – Sono adirato, ma non sono certo un mostro. Del resto, dovrei essere io quello da compatire in tutta questa vicenda. Ma lascerò correre, in quanto il tempo stringe e non sono certo venuto per perdermi in discorsi inutili. Se sono qui è perché ritengo che ad Auler spetti una punizione ben diversa da quella che si trova ad affrontare in questo momento –
Altezza sgranò gli occhi incredula, lanciando un’occhiata confusa ad Auler dietro di sé: - Mi stai dicendo che tu hai intenzione di difendere Auler?- domandò, non potendo credere alle parole che stavano uscendo di bocca al moro.
Il giovane di fronte a lei annuì.
- Scagionare Auler sarà piuttosto difficile, considerato che tutte le prove sono contro di lui, ma non impossibile. Basterà dimostrare che Eclipse è ancora in circolazione per assolverlo dall’accusa di essere il famoso ladro. In quanto alla vicenda del tentato omicidio, non sarà affatto semplice. Dovremo agire con cautela, pedinando Sophie in ogni luogo e standole col fiato sul collo. L’unico modo è spingerla a confessare. La collaborazione di Toulouse Sunrise sarà fondamentale per questo passo, poiché lui è testimone del fatto che Sophie era presente quella sera, e ciò non è sufficiente a condannarla, ma basta comunque per inserirla nella lista dei sospettati. Bisogna ragionare su ogni decisione, ponderare le azioni, agire senza impulsività. Penserò io a rimandare il processo di Auler fino a quando i tasselli del puzzle non saranno tutti al loro posto – spiegò loro, sempre mantenendosi distaccato ed autorevole.
- Ma… perché fai tutto questo? – gli domandò Altezza senza capire.
Lui la osservò negli occhi con aria solenne e decisa, abbandonandosi ad una confessione senza precedenti.
- Tutti meritano di condividere la propria vita con la persona che si ama al proprio fianco. Negli occhi di Auler Windsworth, la sera dell’incidente, ho rivisto per un istante la scintilla dell’innocente bambino che un tempo era stato – e qui si fermò un istante, prendendo un lungo sospiro - Se faccio questo è solo per te, Altezza. Non ho dimenticato il dolore che quest’uomo ha inflitto alla mia famiglia, il mio rancore verso di lui è ancora grande. Tuttavia, l’affetto che ho nei tuoi confronti è superiore. Presto avrai modo di riabbracciarlo ancora al di fuori di queste squallide mura –
Non fece in tempo a terminare il discorso, che Altezza già gli si era gettata addosso con le lacrime agli occhi, stringendolo in un abbraccio che sapeva di speranza e gratitudine.
- Grazie…- soffiò tra le labbra, mentre Shade, dopo un primo momento di sorpresa, si abbandonò per la prima volta ad un sincero abbraccio colmo d’affetto verso quell’amica che era diventata ormai una sorella, per lui.
Alzò lo sguardo in direzione di Auler, che osservava la scena poco distante e lo ringraziava silenziosamente con gli occhi per avergli offerto l’opportunità di cominciare una nuova vita che, ne era certo, non avrebbe sciupato.
Si sorrisero complici, mentre avvertivano la tempesta che albergava nei loro cuori finalmente acquietarsi, dopo tanto tempo passato a tuonare dentro di loro.


Angolo Autrice:

Ebbene, finalmente torno anche qui, con il penultimo capitolo di questa storia.
Se ripenso a tutto quello che ho passato per scriverla, gli anni che ho impiegato a completarla, quasi mi sento male. Ancora non riesco a crederci di essere quasi riuscita a portarla a termine, ed esattamente come la volevo io. Ogni parola, ogni emozione... spero di esservi riuscita a trasmettere davvero tutto l'amore e la passione che ci ho messo.
Come vedete, le cose sembrano aggiustarsi piano piano, ma la minaccia di Sophie è ancora dietro l'angolo. Come finirà lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Mi sento in dovere di ringraziare preventivamente tutti i lettori, silenziosi e non, che mi hanno accompagnata in questo viaggio. Alcuni si sono allontanati, altri si sono persi per strada per poi ritrovarli alla fine, altri ancora non se ne sono mai andati. Io dico ad ognuno di voi grazie. Grazie per aver reso questa storia quella che è, grazie per le migliaia di visualizzazioni, per le belle parole, per avermi seguita così assiduamente ed appassionatamente.
Lascio i ringraziamenti seri all'ultimo capitolo. Ormai ci siamo.
Spero che il viaggio fin qui sia stato piacevole. 

_BlueLady_

 

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Capitolo 35
*** Epilogo ***


~ EPILOGO ~
 
La luna tornò ad accarezzare il cielo della contea ancora una volta, un’ostrica argentata che illuminava il cielo notturno di un tenue pallore.
Rein sedeva sul letto ad ammirare il suo riflesso attraverso la specchiera, l’Occhio della Notte che produceva un timido scintillio tra le tenebre, superbo e maestoso nella sua singolare bellezza.
C’era silenzio attorno a lei, rotto soltanto dal lieve canto dei grilli.
Rein osservò la sagoma del gioiello che predominava prepotente sulle altre, e chiuse gli occhi abbandonandosi ad un sospiro. Si lasciò cullare dal silenzio della notte per qualche istante, e dai disegni che la sua mente creava per lei, quando un improvviso tocco freddo e delicato, le dita di una mano che le accarezzavano il collo discrete e silenziose, la costrinsero a ridestarsi dai suoi pensieri, portando a scontrare lo sguardo con un paio di iridi color tenebra a lei ben conosciute.
Sorrise, nel riconoscerlo, e le sue labbra si dischiusero appena per pronunciare il suo nome in un sussurro, mentre percepiva il cuore ingigantirsi nel petto.
- Shade – mormorò, abbandonando la testa sul palmo della sua mano come un gatto mentre fa le fusa, ed intrecciando le dita alle sue per poi baciargliele intensamente con la punta delle labbra – Sei qui –
Il giovane si accovacciò accanto a lei sul letto, affondando gli occhi nei suoi.
- Sono venuto a salutarti – sussurrò deciso, sbattendole in faccia quella decisione senza scrupolo né preavviso.
Rein trasalì nell’udire le sue parole, il sorriso sul volto si spense, e per un istante si sentì mancare il respiro.
Non era certa di aver capito bene le parole che lui le aveva appena detto.
- Stai dicendo sul serio? Te ne vai?- soffiò con voce tremula, mentre gli occhi cominciavano a pungerle.
Shade annuì, cupo, il cuore distrutto da quella decisione immodificabile.
- Sophie come ben sai è fuggita a nord, non so neanche io dove, ed è mio dovere ritrovarla per porre finalmente fine alla tragedia che mi porto dietro da quindici anni. È troppo pericolosa per lasciarla a piede libero. Va fermata, e io sono l’unico in grado di farlo –
Rein deglutì a fatica un boccone di saliva fin troppo amaro. Non era pronta a lasciarlo andare, non in quel momento, non così presto.
- Correrle incontro è come gettarsi in pasto ai leoni. Lo sai questo?-
- Ne sono perfettamente consapevole, tuttavia non ho scelta. Se non la fermo continuerà a disseminare povertà e distruzione nel marchesato di Windsworth, senza contare il fatto che potrebbe addirittura decidere di tornare per vendicarsi. Neanche tu e la tua famiglia siete al sicuro. Auler è in prigione pronto a pagare una pena che non gli spetta, ed è mio compito accertarmi della sua incolumità. Sono riuscito a rimandare il processo per un tempo scarsamente sufficiente a mettere Sophie alle strette, non c’è tempo per tergiversare su ciò che va fatto. Devo andare. Per ogni minuto sprecato Auler si avvicina sempre di più alla sua tomba. Per quanto anche lui abbia le sue pene da scontare, la morte è una punizione che non gli spetta –
Rein abbassò lo sguardo consapevole, sentendo il cuore farsi pesante.
- Sei disposto a perdonare tuo fratello, nonostante tutto ciò che ti ha fatto. Hai un gran cuore –
Shade sorrise amaramente.
- Non sono nobile come credi, il mio risentimento nei suoi confronti è grande, necessiterò di tempo prima di riuscire a perdonarlo del tutto. Tuttavia ho percepito in lui la forte volontà di cambiare, e redimersi dei suoi errori passati. Chi sono io per negarglielo? Sono convinto che Altezza saprà guidarlo verso la giusta strada, ci sono casi in cui l’amore è in grado di guarire un cuore malato – asserì, e Rein al suono di quelle parole gli sorrise timidamente, prendendogli il volto tra le mani – Spero che ciò valga anche per te – gli disse, e subito lui le sorrise di rimando e la baciò, fondendo il loro respiri tra le loro bocche.
- Non immagini quanto mi sia costata questa decisione – le confessò, appoggiando la fronte alla sua.
- Posso immaginarlo – rispose lei con gli occhi lucidi.
- Tornerò. Appena questa storia si sarà conclusa, tornerò da te a volto scoperto, senza più segreti né rimpianti – le disse deciso, fondendo il proprio sguardo con il suo – Non dipende da me, cerca di comprendermi. Ho sulle spalle la vita di troppe persone. Bright, Altezza, la tua famiglia, Auler, mia sorella, mia madre. Tu, Rein. Le responsabilità sono troppe, perché io possa ignorarle. Devo concludere questa faccenda, finché ho ancora la possibilità di farlo. Lo faccio anche per te –
Rein gli sorrise fiduciosa tra le lacrime: - Lo so – rispose – non devi giustificarti –
- Sophie ha tentato troppe volte di avvicinarsi a te per cercare vendetta. Finché è in libera circolazione, non sei al sicuro. Non basta trascorrere qui tutte le notti, aspettando l’ora della resa dei conti. Non permetterò che si avvicini ancora alla tua famiglia, hanno già pagato abbastanza. Non posso permettermi altri errori. Devo partire. Devo cercarla, affrontarla, e trascinarla in prigione a scontare la propria pena. Questa sarà la mia vendetta. Mi capisci?-
- Capisco –
Shade le accarezzò il volto con il dorso della mano, asciugandole le lacrime che le sgorgavano capricciose dagli occhi.
- È così difficile lasciarti – mormorò.
- È così difficile lasciarti andare – sussurrò lei.
Si baciarono nuovamente, con il cuore gonfio e la tristezza negli occhi. Fu un bacio amaro, che sapeva di paura e speranza, di disperazione e voglia di vivere.
- Non voglio costringerti ad aspettarmi, se è ciò che non vuoi – le disse Shade una volta separatosi da lei, con un nodo alla gola – Come già ti ho detto, sono disposto a lasciarti libera, amandoti in silenzio da lontano. Mi basta questo –
Rein gli sorrise nuovamente, scuotendo piano la testa.
- Ti aspetterò. Sono pronta ad aspettarti per tutto il tempo che serve – rispose, carezzandogli il volto con la punta delle dita, ed avvicinando le labbra a quelle del giovane.
Fusero i loro respiri assieme una, tre, cinque volte, poi l’emozione fu troppa perché fossero entrambi capaci di trattenerla ancora.
Shade le cinse la vita con entrambe le braccia, avvicinando voglioso il proprio corpo a quello di Rein, mentre lei gli si gettò al collo baciandolo con foga, rabbia, disperazione, stringendolo tanto forte da non volerlo lasciare più.
Separarsi da lui proprio ora, proprio quando avevano cominciato a viversi davvero, ad amarsi, a condividersi come mai avevano fatto, senza più segreti né limiti, era come strapparsi il cuore dal petto.
Non poteva sopportarlo, eppure l’avrebbe fatto in nome di un amore ancora più grande del suo: quello che Shade provava per tutte le persone che gli erano state accanto, aiutandolo ad affrontare i fantasmi del suo passato.
Ci voleva un enorme coraggio a sopportare quell’incertezza, ma lei l’avrebbe affrontato a testa alta, senza mai cedere allo sconforto. Sarebbe stata coraggiosa quanto lui, più di lui.
La distanza ed il lungo tempo di separazione avrebbero messo a dura prova i loro sentimenti, ma era un compromesso che entrambi erano disposti ad accettare, per vivere finalmente un giorno il loro amore senza più limiti né costrizioni.
Si abbandonarono ancora una volta tra le lenzuola, amandosi ancora più intensamente della prima volta. Le loro bocche si cercavano fameliche, i loro corpi si desideravano, ogni singola cellula reclamava ancora il sapore di quell’amore combattuto, nato per caso, rinnegato più volte ed assaporato una notte soltanto.
Shade osservò attentamente il corpo nudo e sinuoso di Rein, percorso da sospiri e brividi di piacere, accarezzandolo intensamente con lo sguardo, come ad imprimersi nella memoria l’impronta di quel ricordo e renderla inviolabile, incancellabile, viva. Voleva immaginarla nei suoi sogni anche solo invocando il suo nome. Voleva respirarla, sentire il suo odore, e farlo suo. Ogni volta che la sua mente avrebbe pensato a lei, l’immagine dei suoi seni pieni, le gote arrossate, il corpo sudato e la bocca carnosa leggermente socchiusa in sospiri affannati ed eccitati, si sarebbe sentito a casa.
Voleva ricordarla fiera ed orgogliosa accendersi di fronte ad ogni sua più piccola provocazione, la bocca leggermente inarcata all’ingiù, gli occhi severi e taglienti, che gli scavavano dentro in cerca di una fessura in cui entrare, per non uscirne più.
Voleva ricordare la sua risata cristallina spandersi leggera nell’aria, i suoi occhi che chiedevano in cambio soltanto di essere amati, le sue mani delicate a percorrergli il corpo.
Si fusero di nuovo assieme, due anime in un corpo solo, desiderandosi, toccandosi, esplorandosi, incastrandosi l’uno con l’altra: due pezzi di un puzzle perfettamente complementari.
Si amarono incerti dell’avvenire, con il cuore gonfio di angoscia, e la tristezza ad appesantire loro l’anima.
Quando lo percepì entrare in lei, Rein si strinse forte a lui, agganciandosi con la punta delle dita alle sue scapole, innamorata, eccitata, viva.
Non appena si sentirono l’uno nell’altra, si abbandonarono entrambi ad un sospiro che sapeva di attesa e desiderio, di soddisfazione e appagamento.
Si amarono sapendo che quella notte non sarebbe stata sufficiente per dirsi addio, consci che il tempo era avido, crudele. Si amarono sapendo che non si sarebbero mai bastati. Si amarono, col desiderio di farlo altre mille volte ancora.
Shade, altrettanto eccitato, bello come un Dio greco, gli addominali tesi nello sforzo di impossessarsi di lei, bramoso di fondersi a Rein per non lasciarla andare più, si abbandonò al piacere poco dopo averlo donato anche a lei.
Dopo l’amplesso, restarono ad amarsi ancora l’uno dentro al corpo dell’altra, con il respiro mozzato ed il cuore pieno, i battiti irregolari ed i corpi accaldati, sudati, saturi di passione. Continuarono ad esplorarsi, percorrendo con la punta delle labbra le spalle, il collo, i lobi dell’orecchio.
Shade, un gomito puntellato sul cuscino, la ammirò ancora una volta baciata dai raggi lunari, bella, sensuale, meravigliosa, innamorata. Rein, supina sotto di lui e con il viso a pochi centimetri dal suo, disegnava con le dita il profilo del suo volto, carezzandogli il collo, sfiorandogli gli addominali, come a voler imprimere nella memoria l’impronta di quel ricordo perfetto, immutabile, reale, vivo.
Si sarebbero ricordati così: abbracciati tra le lenzuola del letto, i corpi nudi che bruciavano stretti l’uno all’altra, occhi negli occhi, mani nelle mani, cuore nel cuore.
Continuarono ad amarsi, sussurrandosi parole, pensieri, emozioni, fantasticando sul loro futuro insieme, sebbene incerti dell’avvenire.
- Sii prudente lungo il viaggio. Non agire d’impulso, e soprattutto non tentare di voler affrontare a tutti i costi ciò che è più grande di te – gli intimò Rein una volta rivestitasi, osservandolo rinfilarsi la camicia, ed allacciarsela bottone per bottone.
- Non sono bravo a promettere di non fare ciò che è nella mia natura fare – le sorrise lui, guardandola negli occhi – Ma ci proverò. Per te –
Rein sorrise a sua volta, conscia che ormai il tempo a loro disposizione era finito.
Dalla finestra videro accendersi le prime luci dell’alba, segno che un nuovo giorno era alle porte. Era tempo ormai per Shade di andare.
- Mi uccide saperti qui ad aspettarmi, incerta del mio ritorno – le confessò amaramente.
- L’attesa è sempre piacevole, quando si tratta di ricongiungersi con una persona che si ama – gli sussurrò lei, tirando le labbra in un sorriso commosso (*).
Prima di lasciarlo andare definitivamente, Rein lo costrinse ad aspettare un istante, ricordandosi di dovergli rendere una cosa a lui molto cara, che gli spettava di diritto.
Si diresse verso la specchiera, dove conservava i suoi gioielli, e ne estrasse superbo e maestoso l’Occhio della Notte.
- Tienilo – le disse lui, non appena lei gli si avvicinò con l’intenzione di restituirglielo, chiudendoglielo tra le mani – Rappresenterà un valido motivo per tornare a farti visita, in futuro – le sorrise.
- Non temi per la sua incolumità?- gli domandò.
- Bright resterà nella contea per occuparsi di te e di Fine nel corso della mia assenza. Penserà lui a difendervi. Quanto al gioiello, sono certo di potermi ciecamente fidare della sua custode, dicono sia una persona intraprendente, perfettamente responsabile. Saprà prendersene cura a dovere –
Si sorrisero, consci che era arrivato il tempo di separarsi.
Shade le schioccò un ultimo fugace bacio sulle labbra, prima di lanciarsi dalla finestra in groppa a Regina, pronto a galoppare verso mete sconosciute, impavido, coraggioso, con un obiettivo da perseguire in testa, ed un altro per cui restare nel cuore.
Rein osservò la sagoma di cavalla e cavaliere farsi sempre più piccole all’orizzonte tinto di tenui colori rosati, stringendosi al petto il gioiello che l’aveva introdotta in quella misteriosa avventura, e che l’aveva messa di fronte per la prima volta ad una scelta, in nome dell’amore.
Lacrime capricciose presero ad uscirle dagli occhi quando la sagoma di Shade non fu più visibile all’orizzonte.
Sospirò, in preda ad un’angosciosa speranza.
Avrebbe conservato l’Occhio della Notte per lui.
Sarebbe tornato, ne era certa, e allora l’avrebbe accolto a braccia aperte.
- Ti aspetto – sussurrò.
 
 
 
 
FINE(?)
 
Angolo Autrice:

(*)
Per chi non ricordasse, Rein ha pronunciato questa frase nel Capitolo 6, quando attendeva di ricongiungersi a Fine malata a Villa Tinselpearl

Eccoci, alla fine. Ancora non ci credo. 
Oggi chiudo un capitolo veramente importante della mia vita, una storia che mi ha accompagnata negli anni dell'adolescenza, facendomi evadere dal mondo quotidiano e tenendomi compagnia. Sono felice, anche se un pò commossa. Per me questa storia ha significato davvero tanto, indipendentemente che sia ben scritta o meno, indipendentemente che sia originale o meno.
Da tempo speravo di vederla conclusa, e finalmente il mio desiderio si è realizzato. Non potete neanche immaginare la mia felicità in questo momento.
Io voglio dire a ciascuno di voi, lettori, recensori, scrittori, che avete letto e pianto con me, che avete saputo emozionarvi con le mie parole, un semplice ed enorme Grazie. Grazie per esserci stati, per aver condiviso con me le sensazioni di questa lettura, per avermi sostenuta e seguita fino alla fine. 
Come ho già detto, il tempo per scrivere questa storia è stato lungo, ed alcuni lettori si sono persi durante il cammino, altri li ho ritrovati, altri ancora li ho scoperti per poi non lasciarli andare più. Grazie. Grazie davvero ad ognuno di voi. Per aver reso questa storia quella che è. 
Spero che il capitolo sia valsa l'attesa. Non so cosa ognuno di voi si aspettasse, ma per quanto mi riguarda sento che la storia non poteva concludersi diversamente. Sophie è stata smascherata ma è ancora in circolazione, è stata fatta giustizia a metà. Shade dovrà ancora lottare, e sceglie di partire all'inseguimento della sua acerrima nemica. Non potevo concludere tutto con un "e vissero felici e contenti". Sarebbe stato come mutilare i personaggi, ed il racconto stesso. Non so se riuscite a capirmi. Ma spero apprezzerete comunque, nonostante si tratti di un finale aperto.
Come potete notare, alla parola Fine ho aggiunto un punto interrogativo tra parentesi. è una scelta voluta. 
Trattandosi di un finale aperto, lascio al lettore l'immaginazione di cosa potrà succedere in futuro. Inoltre, se l'ispirazione sarà propizia ed il tempo per scrivere sarà sufficiente, potrebbe anche balzarmi in testa l'idea di scrivere un continuo. Perciò la storia del Collezionista si conclude, ma potrebbe anche ritornare, in un secondo momento. Non faccio promesse, anche se qualche mezza idea che mi frulla in testa già ce l'ho. Se con il seguito non rischio di rovinare la magia che ho saputo creare con questo primo capitolo, potrei davvero tornare da un momento all'altro a raccontarvi delle avventure di Shade Moonville e del suo amore per Rein Sunrise. E chissà che stavolta non ci sia davvero un lieto fine a conclusione del tutto. 
Intanto, non smetterò mai di dirlo, grazie, grazie, grazie infinite per aver reso la mia storia unica con le vostre parole ed il vostro entusiasmo. Non mi dimenticherò mai l'emozione di questi anni passati a scrivere.
Con sentita malinconia, non vi do appuntamento al prossimo capitolo, ma vi prometto che ci risentiremo presto. Ho altre storie da concludere e proseguire, nel fandom ;)
Un bacio enorme a tutti voi

_BlueLady_

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