La melodia dell'amore

di cin75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro della musica ***
Capitolo 2: *** La melodia dei sentimenti ***
Capitolo 3: *** L'estasi e la caduta. ***
Capitolo 4: *** Il perdono ***
Capitolo 5: *** La melodia dell'amore ***



Capitolo 1
*** L'incontro della musica ***


Misha fece le scale talmente di corsa che schivò solo per caso l’anziana signora Maison.
“Piano ragazzo!” lo riprese la donna. “Ti farai venire un infarto!” gli disse mentre il ragazzo continuava la sua corsa.
“Mi dispiace..ma…è importante!!” gridò dalla rampa che aveva appena superato.
 
Entrò quasi senza fiato nell’appartamento che divideva con Jensen e quando il suo coinquilino lo vide in quelle condizioni a dir poco pietose, trattenne a stento una risata.
“Va bene che hai deciso di fare movimento, ma questo…” disse indicandolo: “…mi sembra esagerato. Guardati!! Sei sudato…sfinito e ….” sporgendosi appena: “..puzzi, amico mio!”
Misha sorrise a stento. Avrebbe voluto rispondergli a tono ma la busta che aveva tra le mani era molto più importante dei loro amichevoli battibecchi. Cercò di riprendere fiato o almeno recuperare quello che gli serviva per parlare.
“E’ arrivata!” disse mostrando la busta bianca.
“Cosa è arrivata?” domandò perplesso Jensen.
“E’ arrivata!” ripetè più compiaciuto Misha , sventolando la lettera.
“Spero tanto che  tu non abbia fatto tutta questa fatica per l’ennesima bolletta?!” ironizzò il biondo.
Misha a quel punto si mise dritto, tenendosi una mano, però, sul fianco dolorante e sorrise soddisfatto.
“La Juilliard non manda bollette, Jensen!” e in quel momento il sorriso ironico di Jensen sembrò congelarsi in una smorfia di sorpresa apprensione.
“La…”
“..Juilliard!” finì per lui, l’amico.
 
Misha era, da oltre dieci anni, il manager, nonché amico fraterno di Jensen. Lavoravano insieme da quando Jensen aveva dato più che una prova della sua bravura artistica. Infatti Jensen era uno dei giovani pianisti più apprezzati del momento. Si era fatto valere in molte manifestazioni e ai tempi dello studio , la Juilliard stessa ne aveva seguito la crescita musicale. Poi era arrivato il tempo delle tournè, delle collaborazioni e delle varie soddisfazioni personali e Misha, gli era stato costantemente vicino. Attento a che nessuno sfruttasse la persona, anche pubblica, del suo migliore amico.
“Oh cavolo, Mish!! Tu…tu credi che loro….insomma che loro abbiano accettato?!” fece nervoso mentre prendeva la busta dalle mani dell’amico.
“Gli aspiranti non erano tanti. So che cercavano qualcuno per il corso di storia della musica e un docente anche per strumenti ad archi…”
“Già…violino …mi pare!” convenne Jensen.
“Sì…ma ora che ne dici di aprire?!” lo incoraggiò, anche curioso il moro.
“….”
“Jensen?!”
“E se….”
“Hai comunque la tua vita!” lo rassicurò.
Jensen gli sorrise, ringraziandolo segretamente di come gli fosse stato vicino in quell’ultimo anno. Non il più bello della sua vita.
“Ok! Apro!” e così fece. Aprì la busta e divenne immediatamente serio. A Misha sembrò addirittura deluso se non triste.
“Jensen…” mormorò.
Jensen lo guardò e un leggero sorriso di rassegnazione gli illuminò comunque il viso.
“Vieni con me!” disse sorprendendolo del tutto e illuminando il suo viso con un sorriso raggiante.
“Cosa?!” sussurrò stranito da quella richiesta.
“Mi hanno accettato come docente alla Juilliard. Vieni con me!!”
“Grandioso!!” esclamò al colmo della felicità l’altro abbracciandolo con entusiasmo. “Ma un attimo…aspetta !! che …che vuol dire  “vieni con me”?”
“Andiamo amico. E’ quello che aspettavo da tempo. Quello che speravo accadesse dopo…” e un’espressione triste e amareggiata sembrò rovinare il momento.
“Jensen, sarebbero fieri di te. Credimi!” lo incoraggiò immediatamente. “Ma perché vuoi che venga con te?!”
“Perché tu mi sei stato sempre vicino. Sempre, Misha. Questa sarà una nuova parte della mia vita e voglio che tu, amico mio, ne faccia parte. Infondo sei ancora il mio manager e venire con me, ti agevolerebbe le cose, no?”
Misha restò per un attimo perplesso. Jensen voleva cambiare vita, ne aveva un disperato bisogno. E infondo anche lui. E poi si fermò a pensare che Cleveland non sarebbe stata più divertente come prima, senza Jensen. E che farsi ore di treno o di macchina per raggiungerlo o farsi raggiungere sarebbe stato sfiancante.
Dell’aereo nemmeno a parlarne. Specie per Jensen!!
 
“Facciamo le valigie!!! Si va New York!” esclamò convinto e felice.
I due amici si abbracciarono e diedero inizio alla loro nuova vita.
 
 
Due settimane dopo, Jensen prendeva possesso del suo ufficio alla Juilliard mentre Misha si era impegnato ad aspettare il camion del trasloco che sembrava aver fatto un viaggio della speranza per giungere a destinazione.
“Ehi! amico!” fu la voce di Jensen al telefono.
“Jensen, come va l’ufficio?!”
“Grandioso, ma ti ho chiamato per sapere se il camion è arrivato.”
“Dovrebbe farlo tra meno di un’ora.” lo informò Misha.
“Ok! Chiamami quando è lì. Vengo a darti una mano, non voglio che tu faccia tutto da solo!”
“Tranquillo e poi …” fece abbassando la voce. “…c’è Vicky che si è offerta di darmi una mano!”
“Perfetto e ….chi sarebbe Vicky?” domandò sorridendo di un sorriso Misha già immaginava.
“La nostra splendida vicina, amico. La nostra molto molto splendida vicina!” rispose quindi.
“Mish?”
“Sì?”
“Non farmi pentire di aver preso due appartamenti vicini!!”
“Sarò silenzioso. Lo giuro! Non ci sentirai nemmeno.” ironizzò il bruno.
“Che scemo!!” rispose l’altro ridendo. Poi qualcuno bussò al suo ufficio. “Devo andare, ci sentiamo dopo!”
“Falli secchi, Tigre!” fu l’amichevole monito dell’amico.
 
 
A pochi uffici di distanza da quello di Jensen, un altro incontro stava per cambiare la vita di un altro artista “tormentato”.
“E’ stato davvero un piacere, Jared, aver ricevuto la sua richiesta di insegnamento. Anche se ci ha sorpresi, devo essere sincero!” confidò il preside Beaver.
“Preside Beaver…” fece il giovane violinista.
“La prego, mi chiami Jim. Lasciamo i formalismi per gli eventi pubblici!”
“La ringrazio…Jim. Come le dicevo, questa è una scelta dettata da un esigenza fisica piuttosto che ….emozionale.” si apprestò a giustificare.
“Il suo incidente?!”
“Sì. I medici continuano a dire che la mia mano non potrà più sopportare lo stress che sopportava prima, durante i concerti, ma a dire il vero, dicevano che non avrei nemmeno più suonato. E invece si sono sbagliati. E cosa mi impedisce di mostrare loro che si sbagliano ancora?” riferì provocatorio verso l’idea di quei medici.
“Più che giusto!” convenne compiaciuto l’anziano preside.
“Non voglio smettere di suonare. Non posso smettere di suonare e la Juilliard è l’unico posto in cui posso farlo con i miei tempi e ottenere ciò che mi serve. Insegnando, confrontandomi con questi ragazzi potrò continuare a suonare e a tenere in allenamento la mia mano! Darò quello che posso e avrò in cambio quello di cui ho bisogno.” fu la richiesta sincera da parte del giovane violinista.
“Qui avrà tutto l’appoggio che le serve! Benvenuto, Jared!” fece soddisfatto. “Non vedo l’ora di presentarla a tutto il resto del corpo insegnanti e agli studenti. Abbiamo anche un altro insegnante appena arrivato, quindi non sarà solo.”
“Meglio così. Dividerò l’imbarazzo del nuovo arrivato, allora!”
 
Due settimane dopo, ci fu la cerimonia di apertura dell’anno accademico.
Le presentazioni di rito erano state fatte e anche Jared e Jensen si erano conosciuti ormai da giorni.
Jensen aveva portato Misha alla cerimonia con lui. O meglio, Misha lo aveva pregato di portarselo dietro quando aveva saputo che Jared Padalecki, violinista di fama indiscussa, era il nuovo docente di archi.
 
“Stai pensando di rimpiazzarmi, Collins!?” aveva scherzato Jensen sconfitto dalla pressione a cui Misha l’aveva sottoposto.
“No, ma è meglio avere larghe vedute. Che ne sarà di me se tu decidi di darti all’insegnamento per sempre?!” e quella battuta ironica Jensen si era fatto serio e l’aveva guardato.
“E se lo facessi, Mish. Se decidessi di scegliere questa vita?!” e glielo chiese quasi sentendosi in colpa.
L’amico , allora, gli era andato vicino e l’aveva rassicurato.
“Ti farebbe felice?!” gli aveva chiesto. “Perché se ti metti ad insegnare e scopri che sei felice e che è quello che vuoi fare, beh!, fregatene di me , di tutto e di tutti e continua ad insegnare. Non sarò io a dirti di smettere e di certo non permetterò a nessuno di farlo!!”
“Dove sarei senza di te, amico mio!?”
“Di sicuro o in qualche piano bar o ad insegnare solfeggio a qualche marmocchio foruncoloso!!” aveva scherzato Misha, passandogli al volo la giacca nera che doveva indossare per la cerimonia.
 
“Bene signori!” fece la voce profonda del preside Sheppard e a quel richiamo sia i docenti che gli studenti, riuniti nella grande sala concerti, fecero silenzio. “Come già detto ad inizio serata, abbiamo due nuovi insegnanti di pratica musicale. Il maestro Jensen Ackles per il pianoforte e il maestro Jared Padalecki per il violino.” disse mentre un applauso sottolineava la presentazione. “Ora!, nuova tradizione vuole che i due neo insegnanti diano ….come dire….prova del loro talento con qualcosa di classico magari!” disse ancora invitando i due ragazzi, non in imbarazzo ma decisamente a disagio a causa della situazione inattesa, a salire sul palco.
Jensen si avvicinò al bellissimo pianoforte a coda e lo accarezzò appena, mentre a Jared venne consegnato un violino.  Il pianista sorrise e cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione di disagio azzardò.
“Ha un autore in particolare che le piacerebbe ascoltare?!” fece rivolto al preside.
“Adoro Chopin!”
Allora Jensen si sedette allo sgabello e trovò la giusta altezza e la giusta distanza e poi prendendo un respiro profondo sfiorò appena con le dita i tasti bianchi  e neri .
 
"Non sa che suonare?!" fece curioso uno dei professori.
Misha dal suo posto lo guardava. Sapeva che cosa era quel gesto e se per qualcuno sembrava indecisione per l’amico non lo era.
"No! sa esattamente cosa suonare!" si permise di rispondere in sostegno all'amico. “Lui sta salutando la musica!” disse sottovoce al docente al suo fianco.
Poi la musica arrivò.
 
https://www.youtube.com/watch?v=vrcP0VWV320  
Dolce, leggera, a tratti triste, a tratti disperata, ma sempre con una soave decisione. In ogni accento, in ogni cadenza, in ogni variazione c’era l’anima di Jensen. C’era quello che provava quando suonava. C’era il suo mondo e chi ne faceva parte o che ne aveva fatto parte. E la gente lo vedeva, lo capiva e sorrideva rapita da quella musica a da chi le stava dando una simile anima. Qualcuno socchiudeva perfino gli occhi per farsi coinvolgere completamente.
Jared appena dietro il pianista, vedeva la schiena seguire i movimenti delle braccia, vedeva le mani e le dita scorrere veloci sulla tastiera. Si spostò appena per poter essere in grado di vedere il viso di Jensen e quando ci riuscì ne rimase affascinato.
Jensen aveva gli occhi chiusi, le labbra appena schiuse e la testa seguiva il dolce ritmo che le sue mani stava suonando in quella maniera così dolce e avvolgente. Jensen non suonava semplicemente. Lui viveva la musica con ogni parte del suo corpo. Le parlava. E lei gli rispondeva plasmandosi al tocco delle sue dita.
E quando l’ultima nota segnò la fine del brano un applauso scrosciante diede lustro al giovane maestro che si alzò dal suo posto, fece il classico inchino di ringraziamento e fece un cenno come a lasciare il palco al suo nuovo collega.
 
Jared che non era riuscito a distogliere lo sguardo da quel suo collega così affascinante, ringraziò discretamente e si avvicinò al microfono.
 “Wow!!! Meno male che io suono il violino, altrimenti sarebbe stata dura da eguagliare!” scherzò, facendo ridere tutti, compreso Jensen e Jared dovette ammettere che Jensen aveva uno splendido sorriso. Timido ma splendido.
“Quindi…” fece , facendo cenno ad alcuni ragazzi che erano tra gli ospiti  e che aveva conosciuto nei giorni addietro, di raggiungerlo e di prendere posto ai loro strumenti. “….mi scuserete se io cambio genere. Così tanto per assaporare un’altra atmosfera!”
Il giovane violinista si avvicinò al ragazzo che aveva imbracciato la chitarra elettrica e gli disse qualcosa nell’orecchio, cosa che poi, il ragazzo passò ai suoi compagni di gruppo.
Le prime note , di indiscussa gloria e memoria, furono introdotte dal giovane violinista e poi tutto esplose.
 
https://www.youtube.com/watch?v=8DNYKTxxsgw
 
Nell’esatto momento in cui tutti gli strumenti si unirono seguendo l’innovativa melodia dettata da Jared, un enorme applauso segnò l’approvazione del pubblico che assisteva all’esibizione.
Anche Jensen si unì all’acclamazione , colpito dalla sensualità con cui Jared si muoveva mentre suonava. Dal movimento deciso e armonico che seguivano le sue braccia nella battute musicali. Ogni tanto vedeva il musicista sorvolare una battuta non troppo incidente per aprire e chiudere la mano stretta intorno al manico degli accordi e poi riprendere a suonare. Non sapeva della situazione di Jared, in quel momento pensò, solo che quel disagio era dovuto al fatto che non era il suo violino personale. Ma violino o non violino , Jared era un artista sopraffino che faceva del suo strumento una parte del suo corpo. E Jensen , segretamente, ammise, che era bellissimo, così preso e perso fra le note di quella melodia.
 

Quando anche l’esibizione di Jared arrivò a conclusione , il pianista, mentre gli altri applaudivano, gli andò vicino per fargli personalmente i suoi complimenti. Si strinsero la mano e mentre erano lì a congratularsi , il preside Beaver , gli si avvicinò e li costrinse amichevolmente ad un bis da “consumare” insieme.
“Signori, non volete mica deludere il vostro pubblico e i vostri allievi?!” li provocò. “Per favore!”
“Qualcosa di breve!” disse con educazione Jared anche se Beaver intuì il perché di quella richiesta. “Abbiamo già dato abbastanza spettacolo!” e Jensen annuì convenendo con lui.
“Chopin ha molti  brani brevi!” azzardò Beaver.
Allora i due , guardandosi, non ebbero bisogno di dirsi altro. Sapevano perfettamente cosa suonare.
Jensen si sedette di nuovo allo sgabello. Jared trovò la perfetta angolazione sul corpo del violino e rimase con lo sguardo fissò verso il pianista. Un semplice cenno di intesa e la magia dell’artista  polacco prese vita.
 
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Un silenzio irreale prese vita mentre i due suonavano in perfetta armonia. Era come se avessero suonato insieme da anni. Seguivano gli stessi accenti, lo stesso fraseggio, perfino le sottili sfumature della melodia sembravano essere state provate e riprovate assieme.
Sembravano nati per suonare insieme!!
“Che magia!” esclamò quasi rapito uno degli ospiti accanto a Misha e il ragazzo se da un lato ne fu piacevolmente colpito, da un altro se ne dispiacque nel ripensare al motivo per cui quella magia, in Jensen, aveva rischiato per svanire.
Ma quei pensieri furono messi a tacere quando i due finirono la loro esibizione e ringraziando chi li applaudiva , lasciarono il palco, uno accanto all’altro.
 

La serata arrivò alla fine e Misha tornò da solo a casa poichè Jensen aveva delle cose da sbrigare nel suo ufficio.
“Ok! Ma non fare tardi!” scherzò l’amico mimando un tono paterno e apprensivo.
“Sì, papà!” replicò anche Jensen, giocando.
 
Circa dieci minuti dopo, Jensen , sentì bussare alla sua porta.
“Jared?!” fece stupendosi di vedere il collega ancora nell’accademia. “Come mai ancora qui?!”
“Stavo aspettando!” fu la risposta curiosa.
“Aspettando cosa?!”
“Che tu fossi da solo!” lo spiazzò.







N.d.A.: Confesso che mi è piaciuto tanto scrivere questa storia. Spero che a voi piaccia leggerla.
Se volete ascoltate le canzoni che ho inserito e se vi va fatemi sapere.
Al prossimo capitolo.
Baci baci!!

Cin.

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Capitolo 2
*** La melodia dei sentimenti ***


“Come scusa?!”

“Tranquillo. Non sono un violinista psicopatico.” scherzò Jared, entrando nell’ufficio di Jensen.
“Meno male!!” esclamò sollevato Jensen.
“E’ solo che avevo voglia di conoscerti meglio, lontano dalla confusione che c’è stata stasera e che ci sarà da lunedì, quando inizieranno ufficialmente le lezioni! E poi in queste settimane non è che abbiamo avuto molti modi per parlare.” spiegò mentre si guardava intorno seguito dallo sguardo ammirato del pianista.
“Piacerebbe anche a me.” rispose Jensen, facendogli segno di sedersi sul divano che c’era nel suo studio.
Il giovane si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle e si accomodò.
Prese dalle mani del suo ospite la bottiglia di birra che gli veniva offerta. “E questa da dove l’hai tirata fuori?!” si stupì.
“Dal frigo bar nascosto sotto la mia scrivania. Giurami che terrai la bocca chiusa e ne avrai accesso libero!” rispose con tono e sguardo complice.
“Come non giurare!!” fece Jared incrociando i colli delle bottiglie a mo’ di brindisi.
 
I due parlarono tanto quella sera. Parlarono a lungo. Jensen gli rivelò dell’incidente in cui aveva perso i suoi genitori e che lo aveva portato ad allontanarsi per un po’ dalla musica. Gli disse che era solo grazie all’amicizia di Misha se non aveva mollato tutto completamente. Che era grazie a Misha, se non stava ancora nel letto del suo appartamento di Cleveland a struggersi per quanto faceva schifo la vita.
Jared, invece , gli parlò del suo di incidente. Di quei momenti di panico in cui credeva di aver perso la possibilità di fare l’unica cosa che per lui valeva: suonare.   Gli raccontò come una stupida caduta gli aveva spezzato i tendini del polso e i medici che lo avevano curato, disperavano che lui potesse tornare a suonare ancora a causa della lesione subita ai nervi. Che i muscoli del polso e dell’intera mano non avrebbero retto alla tensione  e allo sforzo che suonare il violino poteva portare.
Fu solo allora che Jensen associò a quel racconto, il gesto che aveva visto fare a Jared mentre suonava.
“Wow!” esclamò Jensen. “Ora capisco perché hanno coniato il termine di “artista maledetto”…che storie!!” fece alludendo a lui e pensando a Jared.
 
Il giovane però dopo aver riso sommessamente a quell’affermazione , divenne ad un tratto serio.
“Che c’è?!”
“In realtà, c’è un altro motivo per cui sono venuto qui da te!” ammise sotto voce senza mai smettere di guardare il suo collega.
Jensen sentì gli occhi di Jared su di lui. Sentiva la forza con cui lo stava guardando. Sentiva il calore di quello sguardo e ne aveva paura, una magnifica paura.
“Ah sì?!” sussurrò tremante.
Jared si sporse appena. Allungò una mano verso quella dell’altro e gli tolse di mano la bottiglia di birra.
“Questa la mettiamo qui!” disse appoggiandola sul pavimento. E poi tornò verso Jensen avvicinandosi appena un altro po’. “Questa la togliamo!” fece sfilandogli del tutto la cravatta che era già lenta al collo di Jensen. “Ecco!” fece soddisfatto. “E’ così che ti vedo. Niente formalismi, niente cravatta. Solo tu!” affermò compiaciuto ed in effetti era così che Jensen si sentiva in quel momento.
Libero.
Libero di sentirsi prigioniero di Jared, del suo sguardo, dei suoi occhi penetranti, delle sue mani gentili. Di quel gioco che aveva poco di innocente e tanto di malizioso. Libero di sentirsi paurosamente e meravigliosamente sopraffatto da quello che stava succedendo così inaspettatamente.

“Jared…”
“Sì, Jensen ?!” rispose non riuscendo però a smettere di fissare quegli occhi verdi e bellissimi e quelle bellissime labbra che tremavano appena.
“Stai per baciarmi?!”
“Vuoi che io ti baci?” replicò malizioso.
“Vuoi baciarmi… si o no?”
“Non ho voluto altro da quando ti ho conosciuto!” ammise.
“E cosa stai aspettando?!” sussurrò tremante.
“La battuta centrale di questo spartito!”
Jensen allora, stuzzicato da quello che aveva sentito e dal modo in cui gli era stato detto, appoggiò velocemente una mano sulla spalla del giovane e lo costrinse con la schiena allo spalliera del divano e in un attimo gli si sedette a cavalcioni, incorniciandogli gentilmente il viso tra le sue mani calde.
“Va bene così!?”
“Sta’ zitto e baciami!” replicò il giovane, stringendosi a lui , abbracciandolo.

Il bacio fu intenso, appassionato. Incredibilmente intimo, nonostante i due si conoscessero da poco. Sapevano chi erano grazie alla loro fama. Ma non avevano mai avuto l’occasione di conoscersi personalmente. Non fino a quel momento.
E poi il sapere del loro essere di… gusti particolari aveva galvanizzato quello slancio da parte di entrambi.
Jensen aveva fatto coming out anni addietro senza un apparente motivo tranne quello di vivere alla luce del sole ogni parte della sua vita. E quando alcune voci volevano Jared in procinto di fidanzarsi con una modella “tal dei tali”, anche il giovane violinista uscì allo scoperto dopo essersi rivelato ad una conferenza stampa.
 
Jensen sospirò beato in quel bacio avvolgente, mentre le sue mani affondavano nei capelli lunghi e morbidi di Jared. Gli baciò il collo, solleticandolo appena con la punta della lingua. Sorrise sentendo il sospiro urgente di Jared a quelle attenzioni e si sentì incredibilmente e inaspettatamente a proprio agio quando le mani del violinista, quasi con cautela gli carezzarono la schiena, i glutei fino a scendere lungo le cosce strette intorno ai fianchi del giovane. Poi, ritornò verso gli zigomi pronunciati e scese di nuovo sulle labbra di Jared già stanche di stare senza le sue più morbide e calde.
Jared , invece , lo teneva stretto per i fianchi e di tanto in tanto le sue mani salivano ad accarezzare la schiena forte o scendevano per stringerlo sulle gambe che gli circondavano i fianchi. Sentiva i muscoli che si tendevano nello stare in quella posizione e quando le sue mani raggiunsero la nuca di Jensen per avvicinarselo ancora, per poterlo baciare meglio, Jared sentì il compagno gemere sommessamente contro di lui.
In quella presa decisa, i loro bacini, non poterono non spingersi l’uno verso l’altro, strusciandosi, accarezzandosi.
Il loro desiderio crescente fu palese ad entrambi. Fece sospirare entrambi.
 
“Piano….piano….” sussurrò Jensen. “Credo che sia meglio rallentare, ok?!” fece torturandogli le labbra sottili con le sue per costringersi a non lasciarle del tutto e tirandosi di un po’ indietro con il bacino
“Sì…sì…lo credo anche io.” fece affannato Jared, colpito e sorpreso dalla passione di Jensen, mentre anche lui cercava di riprendere il controllo di corpo e mente.
 

La mattina dopo, Jensen bussò alla porta di Misha. Erano le otto del mattino e il bruno sembrava ancora con un piede nel mondo dei sogni.
“Jensen…che ci fai qui a quest’ora?!” biascicò Misha.
“Abito alla porta accanto. Non è che io abbia dovuto fare chilometri per venire a casa tua e poi….dovevo portarti questa!” fece mostrando un assurda tazza con sopra la scritta “I’m an angel of the Lord!”
“La mia tazza preferita!” esclamò felice Misha lasciando entrare in casa l’amico. “E’ finita nella tua roba?!”
“Già, come molte altre cose tue. Ma so che il caffè ti piace di più quando usi la tua tazza!” fece ironico.
“Ecco perché sei il mio migliore amico!” affermò con soddisfazione Misha, mentre si accingeva a preparare il caffè per entrambi. “Allora? Pronto a iniz….”
 
“L’ho baciato!”
 
Misha si voltò. Le sopracciglia sollevate dalla sorpresa. Lo fissò sconcertato, completamente colto alla sprovvista da una tale confessione. “Come scusa!?”
“O meglio ci siamo baciati!” ci tenne a precisare Jensen che cercava di non mostrare imbarazzo.
“Come scusa!?!” ripetè incredulo.
“…” solo un’espressione di imbarazzo, felicità, apprensione e decisamente anche una certa soddisfazione.
Poi, il moro, riprendendo il controllo dei suoi pensieri, scosse la testa come a resettare tutto. “Ok! Con calma. Dall’inizio. Chi hai baciato e chi ti ha baciato!?”
“Ho baciato Jared e lui….lui ha baciato me!” rispose schematico.
“Cavolo!!” ammise. “Padalecki?!” come per esserne sicuro.
“Sì!”
“Quando?!”
“Ieri sera… dopo il party!”
“Dove?”
“Nel mio ufficio.”
“Alla Juilliard??!”
“Sì!”
“Perché?” anche se poi Misha pensò di aver fatto una domanda davvero stupida. Domanda a cui però Jensen rispose lo stesso.
“Perché mi ha detto che non vedeva l’ora di farlo da quando ci siamo conosciuti!”
“Padalecki?!”
“…”
“E poi…dopo il bacio…cosa..cosa è successo?!” chiese ancora dopo quel veloce scambio di informazioni.
“Ci siamo fermati. Dovevamo. È successo tutto troppo in fretta e credo che lo abbia capito anche lui. Siamo usciti dall’accademia e ci siamo salutati.” raccontò un attimo spaesato il pianista.
“Salutati?!” con una certa perplessità. “E basta?”
“E…baciati ancora… prima che andassi alla mia macchina!” ammise in imbarazzo, Jensen. “E ancora… prima che entrassi in macchina.”
“Quindi presumo che ora sei nel panico perché dovrai rivederlo a scuola?!” azzardò l’amico sorridendo però all’immagine dei due ragazzi che faticavano a lasciarsi andare.
Il ragazzo annuì confuso. “Che devo fare?!”
 
Misha prese un respiro profondo e ergendosi a uomo di mondo, ma soprattutto a migliore amico, andò vicino a Jensen e gli mise le mani sulle spalle, come faceva sempre quando sapeva che il ragazzo aveva bisogno di sicurezza e appoggio.
“Lui ti piace?!” chiese pacatamente.
“Sì.”
“E quando ti ha baciato ti sei sentito bene?!!”
“…..” non disse niente , anche se lo sguardo di Jensen si spiegava meglio delle parole.
“E allora tranquillo. Andrà come deve andare. Se quel bacio è l’inizio di qualcosa, lascia che il tempo faccia il suo corso. Se non è così, beh!, prenderò a pugni il nostro caro Paganini!!” esclamò deciso e sorridendo fece sorridere anche Jensen.
 

La mattinata alla Julliard passò veloce tra le varie classi e gli auditorium.
Alle due, Jared aveva una pausa di qualche ora, prima delle lezioni del pomeriggio e dato che non era riuscito a vedere Jensen per niente quella mattina, decise di approfittarne.
Andò nella sua aula ma uno degli studenti gli disse che lo aveva visto andare verso l’ufficio e così fece anche lui. E lì lo trovò.
Jensen era seduto alla sua scrivania. Le cuffie del suo i-pod alle orecchie, la schiena appoggiata allo schienale della poltrona. Gli occhi chiusi. Il viso concentrato. Stava ascoltando della musica poiché le sue dita appoggiate al bordo del tavolo seguivano un invisibile tastiera.
Jared rimase per un po’ ad osservarlo. A seguire ogni lineamento della sua figura e del suo volto e solo quando una risata cristallina proveniente da uno dei corridoi lo fece riprendere da quello stato, si decise a bussare allo stipite della porta.
Ci provò una volta  e poi una seconda e solo quando si accorse che era completamente inutile, si convinse ad entrare.
Si avvicinò alla scrivania , restando di fronte a Jensen e si sporse in avanti. Stava per toccargli la spalla con una mano, quando gli occhi di Jensen si aprirono mostrandogli ogni sfumatura del suo bellissimo verde.
“Non sapevo che fossi uno a cui piaceva guardare!” fece Jensen, malizioso, mentre si sfilava le cuffie e facendogli intendere che era da un po’ che sapeva della sua presenza.
“E io non sapevo che tu fossi uno a cui piaceva essere guardato!” rispose a tono Jared ancora  chino sulla scrivania. Fermo in quella posizione in cui Jensen lo aveva scoperto.
 
Poi qualcosa accadde in modo del tutto naturale. Jared si sporse ancora, appena un po’ e raggiunse le labbra, leggermente piegate in un sorriso, di Jensen. Jensen fece lo stesso movimento verso il violinista.
Un bacio. Leggero. Timido. Quasi casto. Ma con la forza di un tuono.
“Ti dispiace?!” sussurrò Jared scostandosi appena dalla bocca di Jensen.
“Se dispiace a te!” rispose il biondo nello stesso sussurro.
“Io lo farei ancora!” azzardò malizioso il più giovane.
“Allora siamo in due!” fece Jensen riappropriandosi dolcemente di quelle lebbra che aveva sognato tutta la notte.
“Ti ho cercato stamattina!” chiese Jared quando si rimise in una posizione più consona, dopo essere stato “liberato” dal bacio di Jensen.
“Mattinata piena. Ho ancora altre due ore e poi , per oggi, è finita.” Disse trovando un confortevole rifugio nella sua poltrona e guardando Jared che si sedeva su loro divano.

Loro divano”?...da quando quello era diventato il “loro divano”???
 
“Quindi per le cinque hai finito?!” volle informarsi Jared.
“Sì, perché? Hai in mente qualcosa?!” chiese di rimando Jensen.
“Io ho sempre in mente qualcosa!” ironizzò. O forse maliziò.
“Hai in mente qualcosa che non sia eccessivamente sconveniente?” rispondendo a tono a quella malizia.
“…” ammiccò il violinista.
“Oh, andiamo!! Jared!” esclamò imbarazzato mentre Jared scoppiava in una risata coinvolgente e cristallina.
“Sei venuto in macchina?!” domandò Jared.
“No. Sono a piedi. Ho preso la Metro. La mia macchina l’ho prestata a Misha. La sua è dal meccanico.”
“Misha, eh?....devo esserne geloso?!” azzardò mentre si rimetteva in piedi.
Jensen lo guardò soddisfatto e forse felice per quella domanda da parte del violinista.
“Geloso? Di me?” fece con aria innocente.
“Non provocarmi , Ackles!!” fece finto minaccioso l’altro. “Vengo a prenderti alle cinque e mezza, qui, nel tuo ufficio. Fatti trovare, d’accordo?”
“E se non dovessi esserci?!” lo stuzzicò il biondo.
“Scatenerò l’inferno!” esclamò fiero mentre usciva soddisfatto per il futuro appuntamento.
“A dopo Gladiatore!!” lo salutò ridendo , Jensen.
 
Jared era stato puntuale e a Jensen non era passato nemmeno per la mente di non farsi trovare. I due uscirono insieme e quando, mentre si infilava nella macchina del giovane, chiese dove stessero andando, Jared gli fece l’occhiolino e gli rispose di avere pazienza.
“Odio avere pazienza. Non ho mai aspettato nemmeno la mattina di Natale per aprire i miei regali!!” fece il broncio il maggiore.
“Su andiamo. Non fare i capricci.” lo rimproverò bonariamente il giovane al posto di guida. “Siamo quasi arrivati!” fece, sperando così di placare la curiosità del compagno.
Jensen guardò fuori dal finestrino e vide che Jared si era fermato davanti ad un vecchio edificio.
“Ma cosa…dove siamo?!”
“Vieni con me!” disse l’altro uscendo dalla macchina e , velocemente, facendone il giro, andò ad aprire lo sportello dell’altro che ancora, confuso, guardava senza capire che posto fosse quello. “L’ho scoperto circa una settimana fa. E’ grandioso!”
“No. È un rudere!!” affermò sarcastico il pianista.
“Non è vero. E’ magico!”
“Come no!! Ad Halloween!!” ironizzò l’altro che comunque lo seguiva.
“Vedrai quello che c’è all’interno!” lo stuzzicò allora.
“Cosa?? io non ci entro lì!” si fermò di scatto appena dietro Jared.
“Oh!, sì che ci entri. Altrimenti a chi la faccio la sorpresa io!!”
“Sorpresa?!” e riprese a seguirlo.
“Bravo bambino!!!” quando entrarono nell’edificio Jared tirò fuori dalla giacca una bandana e si avvicinò a Jensen.
“Che c’è?...mi sono sporcato?!” fece guardandosi addosso.
“No. Sei perfetto così, ma ho bisogno che tu metta questa…” e così dicendo gli bendò gli occhi.
“Jared, ma cosa…..”
“E’ solo per la sorpresa. Fidati di me!!!” prima di iniziarlo a guidare. “Prima però…” fece, con un tono di voce che fece rabbrividire Jensen, si avvicinò. Gli accarezzò dolcemente il viso coperto in parte dal cotone del fazzoletto e delicatamente seguì il contorno delle sue labbra appena schiuse. Jared si ritrovò a deglutire desiderio. Vedere Jensen bendato e pronto ad affidarsi a lui era incredibilmente eccitante.
“Mi chiedevo quanto dovevo ancora aspettare prima che mi baciassi.” lo anticipò Jensen mentre metteva le sue mani sui fianchi del violinista che a quel tocco leggero si rirpese dai suoi pensieri ben poco casti.
“Hai ragione. Sono imperdonabile!” sussurrò per poi baciarlo.
Jensen sentì lo stomaco contrarsi su sè stesso. Il tocco di Jared fu gentile ma deciso. Le sue labbra calde accarezzarono le sue, con un leggero sopravvento. Le sue mani gli incorniciarono il viso che si abbondò al loro abbraccio. E completamente conquistato, il biondo concesse di più e le sue labbra si schiusero piano.
Jared accolse con enfasi quella concessione del compagno e quando lo sentì accordargli di più, lasciò che le loro lingue si sfiorassero languide. Si accarezzassero sensuali.
I loro sapori si mischiarono, così come i loro respiri e i loro leggeri affanni di approvazione.

Jensen era una melodia. Una splendida melodia senza eguali che Jared voleva conoscere, studiare ed imparare a suonare.
Jared era invece un abile compositore che aveva scoperto le note più toccanti e potenti e Jensen voleva che Jared suonasse quelle note che da tempo non venivano suonate.
 
Quando il giovane si allontanò piano dal compagno, per un po’ rimasero fronte contro fronte.
“Jared…”
“Sì, devo solo riprendere fiato!” sussurrò soddisfatto e poi sorrise appena vedendo il sorriso compiaciuto di Jensen. “Vieni, seguimi.” fece prendendolo per la mano.
Lo guidò facendogli fare attenzione a degli scalini e poi ad alcune travi che erano sul pavimento. Quando furono giunti esattamente dove Jared voleva , il giovane tolse la bandana dagli occhi dell’altro , che dando tempo ai suoi occhi di abituarsi di nuovo alla luce, dopo essersi reso conto di dove fosse, si dipinse sul volto un espressione di puro stupore.
“O mio Dio!!” esclamò incredulo.
Era su un palco di un vecchio auditorium. Dinnanzi a lui un grande platea che anche se vuota metteva comunque soggezione. In alto si intravvedevano i palchi dei posti in alto.  “Ma dove….” stava per chiedere mentre si voltava verso Jared che lo fissava soddisfatto della reazione ottenuta, anche se il giovane sapeva che la sorpresa non era ancora finita. Infatti, nel girarsi, Jensen , alle sue spalle, vide un pianoforte a coda. Era semicoperto da un enorme telo. “Oddio!!” fece la voce tremante di Jensen, mentre si avvicinava al bellissimo strumento, completamente rapito, anche se di tanto in tanto, tornava a guardare Jared.
“Wow!!” esclamò il giovane. “Come vorrei che guardassi me come stai guardando questo vecchio pianoforte. Sei bellissimo! Il tuo viso….i tuoi occhi…” disse senza rendersene quasi conto. 
Jensen invece , benché, entusiasmato dalla sorpresa che gli era stata fatta, se ne era reso conto eccome. Allora si allontanò dallo pianoforte e si avvicinò a Jared. Gli accarezzò piano il viso che lo fissava rapito e gli sorrise dolcemente.
“Io non ti voglio guardare come guardo questo pianoforte o un qualsiasi altro pianoforte. Io voglio guardarti come la persona che mi sta conquistando magnificamente, giorno dopo giorno!” gli disse con convinzione e dolcezza mentre , timidamente, gli sfiorava le mani con le sue.
“Io…ti sto….conquistando?!” azzardò a chiedere Jared, che in quel momento sembrò aver perso tutta la sua sicurezza.
“Giorno dopo giorno!” confermò Jensen , sorridendogli.
 
Il pianista vide Jared farsi ancora più vicino e credette che stesse per baciarlo ancora, cosa che lui desiderava ancora.
Invece Jared, lo sorprese, liberò le sue mani dalla dolce presa di quelle di Jensen e lo abbracciò. Lo abbracciò forte. E forte, lo tenne stretto a lui.
Jensen sentì la forza di quell’abbraccio avvolgerlo e sconfiggere la sua iniziale sorpresa. Sentì la dolce decisione con cui le braccia di Jared lo stringevano forte come se non volessero farlo mai andare via. Sentì il calore del corpo di Jared riscaldarlo in una maniera benefica. Rassicurante.
E si lasciò andare a tutte quelle meravigliose sensazioni che quel semplice abbracciò gli stava donando.
Poi percepì il fiato leggero e caldo del giovane compagno sul collo e le sue parole che piano gli arrivarono alle orecchie.
“Suona per me. Solo per me, Jensen!” sussurrò appena, scostandosi il giusto dal corpo del maggiore.
“Solo per te!” rispose Jensen, baciandogli appena le labbra felici.
Si avvicinò di nuovo al piano e si sedette allo sgabello non facendo caso nemmeno alla polvere che lo ricopriva. Come suo solito, ogni volta, prima di iniziare a suonare, accarezzava piano le ottave di legno pronte a parlare per lui.
E le note iniziarono dolcemente a cantare per lui e per Jared a cui il brano era dedicato.
https://www.youtube.com/watch?v=R8MzHqkNBwo
 
Jared era rimasto fermo immobile dietro di Jensen, le mani dolcemente poggiate sulle spalle del pianista e quando la melodia ebbe fine con quella calma con cui era iniziata, le mani di Jared scivolarono lentamente verso il torace ancora leggermente affannato dell’altro. Si chinò quel giusto che bastava per arrivare con il volto all’orecchio di Jensen. Gli baciò il collo con un tocco che fu quasi una carezza.

“Voglio portarti a casa, Jensen!” gli disse come un segreto.
Jensen per un attimo si sentì confuso. Pensava , credeva di poter passare più tempo con Jared e invece lui si era già….
“Voglio portarti a casa e rimanere con te stanotte!” fece specificando languidamente quali erano le sue intenzioni.
“Portami a casa!” rispose tremante Jensen, volgendo appena il volto verso quello del giovane alle sue spalle così da poterlo baciare.

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Capitolo 3
*** L'estasi e la caduta. ***


La porta dell’appartamento di Jensen si chiuse senza fare rumore. O forse i loro respiri affannati, nel tentativo di spogliarsi il più in fretta possibile, ne avevano coperto semplicemente il rumore.
Arrivare alla camera da letto fu più arduo, dato che Jared sembrava non aver la più assoluta intenzione di lasciare le labbra di Jensen. I due risero uno nel collo dell’altro quando andarono a sbattere contro lo stipite della porta, mancando così l’accesso alla camera.
“Misha ci sentirà!” sussurrò divertito Jensen.
“Allora vuole dire che faremo piano…” replicò Jared prima di baciarlo. “…molto piano.” e ancora. “…molto piano!” continuò con la voce e i movimenti sempre più sensuali e suadenti.
“Oh!! Sì!” convenne soddisfatto il pianista.
Tutto sembrò trovare più equilibrio quando i due amanti raggiunsero, finalmente, il letto di Jensen. Fu il maggiore a finire imprigionato sotto il caldo peso dell’altro. Ma la cosa di sicuro non gli dispiaceva. Sentirsi avvolto dal calore del corpo di Jared era una sensazione bellissima. Si sentiva bene. Si sentiva protetto. Si sentiva al sicuro.
E diamine!! Era dannatamente eccitato.
Jared era dannatamente eccitante mentre gli si strusciava languido addosso e lo riempiva di baci e sussurrava il suo nome nelle sfumature più basse e roche che la sua voce poteva emettere. Tanto che a volte sembrava un ringhio lussurioso.
 
Fare l’amore fu coinvolgente, sconvolgente.  Sembrava come se i loro corpi fossero stati fatti per stare insieme. Per collimare alla perfezione pelle contro pelle, muscolo contro muscolo, bocca contro bocca.
Perfino i loro respiri affannati, i loro gemiti ansanti si alternavano in un perfetto ritmo sincopato. Le loro mani, le loro dita sapevano esattamente che punto toccare, dove essere delicate e leggere, dove essere decise e provocanti.
I loro movimenti lenti, languidi, appassionati e a volte urgenti stavano scrivendo uno spartito perfetto una musica perfetta. Una melodia composta solo per quel loro momento d’amore.
Jared fu talmente dolce e premuroso e attento in quei sensuali preliminari che, quando ormai, sopraffatti dal desiderio più profondo, il giovane lo fece suo, per Jensen, quel sottile e inevitabile dolore, fu appena un brivido. Percepire la presenza di Jared dentro di lui fu immediatamente un appagamento fisico, benchè il desiderio e la passione erano ancora affamati e ansiosi di essere saziati.
Il biondo gli andò incontro, abbracciandolo più forte, per sentirlo più vicino. Le sue gambe lo circondarono e Jared si ritrovò a gemere di piacere quando si sentì completamente immerso in quella sensazione di calore. Immerso e perso nel corpo di Jensen.
Iniziò a muoversi prima piano per godersi quel momento e per far godere Jensen della stessa estasi. Poi, quando ormai, ogni sensazione di timore o titubanza era stata placata, la passione prese il sopravvento e tutto divenne inebriante.
Chiaro e confuso al tempo stesso. La realtà e il sogno che collidevano. Il caldo e il freddo che si bilanciavano. Il caos e il silenzio che si annullavano.
Il sesso e l’amore che si completavano.
Appartenersi completamente. Dare e concedere ogni parte di loro stessi all’altro , senza timore, senza vergogna, senza limiti fu l’esplosione del piacere più intenso. Trattenuto a stento in un grido silenzioso di pura soddisfazione.
Un piacere meraviglioso che concluse la sua battuta finale in un ultimo bacio. Dolce, lento, appagato.
 
E quando Jared scivolò accanto al corpo ancora affannato del suo amante che non riusciva a smettere di sorridergli in quella maniera talmente dolce che Jared stesso non poteva nemmeno descrivere tanto era bello quel sorriso, il giovane intrecciò la sua mano a quella di Jensen stancamente rilassata sul ventre del biondo.
“Jensen…” stava per dire, quando fu Jensen a parlare per lui.
“Resta con me stanotte. Davvero. Non andare via!” mormorò timoroso Jensen mentre Jared gli accarezzava il torace.
Le mani del maggiore si spostarono piano sulla schiena del violinista e presero ad accarezzarlo pigramente. Le sue gambe erano ancora intrecciate a quelle del più giovane. I loro respiri sempre più pacati divennero quasi sincroni. E il calore dei loro corpi vicini, confortava entrambi.
“Sei sicuro?”
“Sì. Tu, il tuo calore, il tuo respiro tranquillo….non…non riuscirei a….”
“…a farne più a meno!?” finì chiedendo.
“Sì!” ammise quasi spaventato, Jensen.
“Oddio!” esclamò Jared baciando la mano, che ora, gli carezzava il viso. “Provo le stesse cose!”
“Sul serio?!” domandò ansioso Jensen, mentre con una mano costringeva docilmente il compagno a guardarlo. “Sul …serio?!”
“Da quando ti ho baciato la prima volta…ho il tuo sapore sulla mia bocca. Il tuo odore impresso nel cervello. I tuoi occhi, il tuo sguardo lo sento fisso su di me, anche quando non ci sei. È …è come…”
“..se ci fossimo finalmente trovati!” e questa volta fu Jensen a finire la sua frase.
“Già e non ho intenzione di perderti o lasciarti andare, Jensen.”
“E allora tienimi stretto!” fece con forza Jensen. “E non lasciarmi andare via!! Qualunque cosa accada, tu, non lasciarmi andare via.” disse ancora e anche se al momento Jared non capì appieno quella frase, decise di ignorarla e stringersi semplicemente a lui.
“Ti terrò stretto, Jensen. Ti terrò stretto a me!”
 
 
Era mattina ed erano ancora stretti uno tra le braccia dell’altro, quando Jensen sentì bussare alla porta del suo appartamento e chiunque fosse non sembrava avere la minima intenzione di andarsene.
 Si alzò piano per non svegliare Jared e si gettò addosso il copriletto che era scivolato via dalle lenzuola durante la notte o forse mentre loro durante quella notte…..
Sorrise al pensiero e poi tornò a concentrarsi sul disturbatore mattutino.
 
Andò in soggiorno e inciampando di tanto in tanto nel telo che lo copriva riuscì a raggiungere la porta.
“Ma chi è?!” fece seccato nel momento stesso in cui aprì la porta e si ritrovò lo sguardo sorpreso e sornione di Misha.  “Misha?!”
L’amico lo guardò da capo a piedi. Fissò i suoi enormi occhi blu sul pianista ancora mezzo addormentato. Gli occhi verdi brillavano anche se lievemente assonati. I capelli decisamente sconvolti ed era strano dato che Jensen era uno di quelli che si alzava dal letto che sembrava appena uscito da una SPA.
E poi il suo abbigliamento….quello sì che era strano!!
“Misha che succede?!” fece Jensen.
“Dovevi accompagnarmi a prendere la mia macchina dal meccanico, ricordi?” fece con un sorriso che la diceva già tutta.
“Cavolo!!! Sì, hai ragione…..Io…io credo di non aver sentito la sveglia!”
“Decisamente non l’hai sentita!” convenne indicandolo, anche se aveva una mezza idea del perché Jensen non l’avesse sentita quella sveglia. “Cos’è?, hai dimenticato di metterti il pigiama ieri sera?!” lo provocò.
Jensen si guardò un attimo e piegando appena le labbra verso il basso con aria innocente, si tirò meglio addosso il copriletto.
“O magari qualcuno si è divertito a togliertelo il pigiama!” continuò malizioso e sorrise compiaciuto quando un lieve rossore colorò le guance di Jensen.
Il ragazzo non rispose ma il modo in cui lo guardava imbarazzato , per Misha, fu meglio di una risposa esplicita.
Jensen abbassò gli occhi visibilmente in imbarazzo e diede una fugace occhiata verso la sua camera.
“E’ lui?” azzardò Misha.
“Sì!”
“E’ ancora qui?!”  sorpreso.
“Sì!” sussurrò Jensen con una timida espressione felice sul volto improvvisamente illuminato.
“Cavolo!! Allora la cosa è seria!” esclamò convinto.
“Misha, senti…..” stava per dire Jensen quando la porta si aprì completamente e Jared si fece avanti indossando solo i suoi pantaloni, sorprendendo i due amici confidenti.
“La cosa è molto seria!” fece il violinista, guardando Jensen.
Il giovane gli si fece più vicino e gli lasciò un bacio leggero sulla guancia. “Buongiorno, amore!” sussurrò a Jensen.
“Buongiorno!” esalò appena Jensen.
Poi, Jared, sorridente si voltò a guardare Misha. “Misha!” lo salutò. “Fai colazione con noi?!” lo invitò cordialmente.
Misha guardò Jensen e poi Jared al suo fianco che lo abbracciava per le spalle.
Sorrise. Felice.
Felice di vedere Jensen felice.
“No, grazie. Sono a posto così. E poi credo che voi preferiate stare ancora un po’ da soli!!” fece mentre Jared si allontanava da loro per andare in cucina a preparare il caffè.
“Misha, no…aspetta. Ti avevo promesso che ti avrei accompagnato…Dammi cinque minuti. Mi vesto e poi….” si affrettò a dire Jensen, sentendosi in colpa.
“Tranquillo, amico. Prendo un taxi!”
“Misha, ma…” provò ancora.
 
Ma il moro gli mise una mano sulla guancia per confortarlo. Jensen si fermò all’istante. Quello era il modo in cui Misha riusciva sempre a calmarlo. A riportarlo alla ragione. Era così che lo aveva calmato quando piangeva disperato per la morte dei suoi genitori o quando non riusciva più a suonare.
 
“Tranquillo, Jens. Dimmi solo una cosa?!”
“…”
“Stai bene?!”
“Lui mi fa stare bene!”
“Ok! Allora ci vediamo a pranzo e parliamo!” lo rassicurò tranquillo e sorridente.
“Contaci!” e il moro quasi lo spinse dentro casa chiudendogli la porta in faccia.
Jensen all’interno dell’appartamento rimase per alcuni momenti fermo davanti a quella porta chiusa e solo quando sentì le braccia di Jared avvolgerlo, respirò di nuovo regolarmente.
“Davvero ti faccio stare bene?!” gli mormorò all’orecchio il giovane facendolo fremere.
Jensen si rigirò nel suo abbraccio mettendogli le braccia al collo e in quel movimento il copriletto che lo copriva cadde al pavimento lasciandolo nudo nella stretta di Jared.
“Tu che ne dici?!” rispose malizioso.
Jared sorrise furbamente e apprezzando quello che vedeva lo strinse ancora più forte a lui.
“Dico che stai decisamente bene!!” ammise malizioso.
“Che ne dici di farmi stare ancora meglio?!” fece l’altro spingendolo sensualmente di nuovo verso la camera da letto.
“Ma ho messo a fare il caffè?!” sembrò dispiacersi il giovane che però ,comunque, lo seguiva.
“Tranquillo. È una macchinetta automatica, si spegnerà da sola quando sarà pronta!!”
 
I giorni passarono tranquilli, sereni. I due ragazzi sembravano aver trovato un loro equilibrio in quel loro rapporto così speciale. A volte organizzavano lezioni insieme mettendo in accordo le loro classi di studenti che ormai sembravano non aspettare altro che le lezioni con i due insegnanti capaci di dar loro enormi emozioni e soddisfazione.
 E poi vederli litigare e stuzzicarsi sulla scelta dei brani era un vero spettacolo!!
 
Jensen si sentiva in pace quando parlava con Jared del suo passato, di come si era sentito dopo la morte dei suoi e a volte quando quel ricordo si faceva più pressante e non riusciva a trattenere le lacrime, sentirsi protetto dalle braccia accoglienti di Jared era qualcosa di meraviglioso.
Quando quei ricordi particolari lo raggiungevano di nuovo, il giovane gli accarezzava il viso triste e lo portava in camera da letto. Lo metteva disteso e lui li stendeva alle sue spalle per abbracciarlo da dietro. E così lo teneva stretto fin quando non sentiva che Jensen ritrovava la sua serenità anche se sapeva che c’era ancora qualcosa che Jensen non riusciva a confidargli.
Jensen, dal canto suo, aiutava Jared con gli esercizi. Suonava con lui e lo spingeva sempre un po’ oltre l’ultima volta, così da abituare la mano ad un grado di tensione in più. E quando vedeva che a volte il crampo era più doloroso, il maggiore gli prendeva la mano tra le sue e gliela massaggiava così che il suo calore potesse lenire il senso di disagio del giovane violinista.
L’uno era l’appoggio dell’altro. L’uno il conforto dell’altro.
 
Erano perfetti insieme e insieme si completavano perfettamente.
 
E poi c’era Misha, costantemente presente nella loro vita, ma con una discrezione che lo rendeva quasi invisibile. Passavano tanto tempo insieme e a volte organizzavano delle cene a cui si univa anche Vicky , che ormai, sembrava aver conquistato definitivamente il giovane impresario musicale.
“Sei andato , amico mio!!” lo provocò una sera Jared vedendo il modo in cui Misha guardava la ragazza.
“Sono andato, tornato e andato di nuovo!” replicò sorridente Misha. “E’ fantastica e con lei io….non lo so…..è come se ….”
“Vivessi?!” finì per lui, Jared.
Misha sospirò affondo e poi rispose. “Sì!” esclamò come se avesse appena scoperto una grande verità.
“So esattamente come ti senti!” lo rassicurò il giovane violinista mentre gli diceva quelle parole a guardava Jensen che rideva allegramente con Vicky.
“Grazie, Jared!” confessò , poi, all’improvviso Misha.
“Di cosa?”
“….” Misha non rispose , ma si limitò a guardare Jensen poco distante da loro.
“Non mi sono innamorato di lui per fare un piacere a me o a lui o chiunque altro!!”, si ritrovò a rispondere Jared. Anche se non capiva ancora il senso di quel ringraziamento. “Mi sono innamorato di Jensen perché amarlo era l’unica cosa che potevo fare. Sentirmi legato a  lui è stato incredibilmente naturale. Avere bisogno di lui e sentire che lui ne ha di me è qualcosa che non ho mai provato in vita mia, ma che mi emoziona fin dentro l’anima ogni volta che sento che è così. Quindi non sei tu a dovermi ringraziare.” fece risoluto. “Sono io che ringrazio te, Misha!”
“Me?”
“Per aver convinto Jensen a provarci con la Juilliard!” e mentre i due si sorridevano vennero raggiunti da Jensen e Vicky.
 
“Ehi!! dolcezza…” intervenne la ragazza che si sedeva sulle gambe del fidanzato. “….smettila di fare gli occhi dolci al mio splendido “occhi blu”. Occupati del tuo di ragazzo!” fece indicando Jensen che si sedeva accanto a Jared.
“Tranquilla, è tutto tuo!”, la rassicurò in modo scherzoso Jared. “Io ho di meglio di cui occuparmi!” rispose malizioso mentre si sporgeva per baciare Jensen.
“Ehi!! potrei anche offendermi!!” replicò imbronciato Misha mentre gli altri scoppiavano in una risata cristallina.
 
Sembrava che tutto avesse trovato un giusto equilibrio.
Jared , insegnando, portava avanti quella sua sorta di fisioterapia. Jensen, dedicandosi ai suoi allievi, ignorava quella parte dolorosa del suo passato che ancora nemmeno rivelava a Jared e che solo Misha conosceva. Misha continuava il suo lavoro con soddisfazione e anche lui, aveva trovato la sua strada con Vicki.
Tutto sembrava davvero aver trovato un giusto  un equilibrio.
Fino ad una fredda serata di gennaio.
Il 24 Gennaio.
 

Jared bussò freneticamente alla porta dell’appartamento di Misha. Gli aprì Vicky , sorpresa di vederlo e soprattutto di vederlo in quello stato.
“E’ qui?!” chiese allarmato il violinista.
“Chi?! Misha ?” rispose confusa la ragazza.
“No.no.no….Jensen , è qui?!” ripetè con più apprensione.
“No, tesoro. Jensen non è qui. Ma cosa…”
“Vicky, piccola…. chi è?” fece la voce di Misha dall’interno della casa.
“E’ Jared. Cerca Jensen. Lo hai visto?” chiese mentre il compagno la raggiungeva.
“No, è da questo pomeriggio che non lo vedo. Che c’è avete litigato?!” si informò Misha anche se ancora gli sorrideva.
“No, Misha, no. Ma ieri sera mi ha detto che aveva bisogno di stare un po’ da solo…”
“Andiamo, Jared. Lo sai che a volte ne ha bisogno!” provò a rassicuralo l’amico.
“Lo so, lo so.  Ma sono andato al suo ufficio alla Juilliard e non c’era. E aveva dimenticato anche il suo cellulare lì. E poi sono andato nei posti dove di solito andiamo  insieme , ma niente e allora sono venuto qui e non c’è nemmeno nel suo appartamento e io…io…non so più dove cercarlo. Comincio a preoccuparmi, Misha.” ed era veramente in ansia.
“Ok! Sta’ tranquillo, vedrai che il nostro Mozart è solo in giro.  O forse sta solo dormendo e….” ma Jared lo interruppe, alzando anche la voce.
“Ti ho detto che ho bussato!!” infatti quasi gridò.
Misha ignorò quella reazione e cercò di far calmare il giovane violinista.
“Jared , dovresti sapere che a volte Jensen si addormenta con quell’affare nelle orecchie, forse non ti ha sentito bussare. Ora prendo la sua chiave e vedrai che lo troviamo a casa!” cercò di tranquillizzarlo.
“Sì, ok!! Grazie.”,  lo ringraziò , mentre cercava di calmarsi e smetterla di dare di matto. “Ehi?? come mai tu hai la chiave del suo appartamento e io no ?” chiese, poi, fissando il moro che recuperava la chiave.
“Perché tu sei solo il suo ragazzo. Io sono il suo migliore amico!” si vantò il bruno mentre apriva la porta dell’appartamento di Jensen.
Ma non appena ci misero piede dentro, l’ironica tranquillità di Misha sembrò svanire in un secondo. Il ragazzo prese a guardare i fogli di giornale, le foto e tutte le altre carte che erano sparse sul divano e sul piccolo tavolino al centro del tappeto e poi ancora aperte e sparpagliate sul tavolo.
 
“Cazzo!!” esclamò allarmato. “cazzo…cazzo…cazzo…”
 
“Che c’è tesoro?!” esclamò sorpresa Vicky, che non aveva mai visto il compagno in quelle condizioni così allarmate.
“Misha che c’è?!” domandò anche Jared che seguiva con lo sguardo le cose che guardava anche Misha.
“Che giorno è?….che cazzo di giorno è oggi!?” quasi urlò in preda al panico.
“E’…è il 24….il 24 gennaio. Ma che cosa…” gli rispose Jared, provando confusione.
“No. No.no……come ho fatto a non ricordarlo. Come ho potuto dimenticarlo?? Dannazione.. dannazione!!!” si rimproverava Misha , guardandosi intorno e spostando delle carte dal tavolo.
“Ok! Ora smettila, Misha. Mi stai spaventando a morte. Dimmi che cosa significa? Perché è così importante il 24 gennaio?!” chiese con forza Jared, andandogli vicino e fermandogli le mani che continuavano a frugare tra quelli che sembravano ricordi dolorosi sparsi in giro per casa.
“E’ il giorno in cui sono morti i genitori di Jensen!”, gli confidò.
“Lo so. Ma cosa…”, Jared capì il dolore che Jensen, come artista sensibile, aveva amplificato.
Ma Misha?? Misha perché sembrava terrorizzato da quell’evento tragico. “Dobbiamo trovarlo…io …io credevo che ormai ne fosse  completamente fuori. Lui…era felice….aveva la sua nuova vita….aveva te. Perchè…perché ha tirato di nuovo tutto fuori…perché??!”
“Misha…Misha che diavolo stai blaterando!?” cercava di stare dietro al discorso dell’amico, Jared.
“Ti spiegherò tutto, ma adesso andiamo. Prendiamo la tua macchina. Dobbiamo trovarlo.” e afferrando Vicky per la mano corse fuori dall’appartamento di Jensen, seguito da Jared.
 
Erano appena usciti in strada e Jared stava per mettersi al posto di guida e Misha al suo fianco, quando Vicky lanciò un urlo terrorizzato.
“Oh mio Dio!!!” gridò la ragazza mentre teneva lo sguardo fisso verso il cielo.
Jared e Misha la guardarono straniti e subito dopo seguirono lo sguardo di lei verso l’alto.
No!, Vicky non guardava il cielo.
Vicky guardava la figura ben familiare che camminava in bilico sul bordo del lastrico del terrazzo del loro edificio.
“Cazzo!!” esclamò Misha.
“Jensen!!” sussurrò atterrito Jared. “Ma che vuole fare!?!” azzardò.
I due ragazzi si fiondarono velocemente , di nuovo, all’interno del palazzo e fecero le scale con il cuore in gola, sperando di essere più veloci delle intenzioni di Jensen.
 
Quando arrivarono sul terrazzo , per un attimo, i due ragazzi si guardarono spaesati. Non sapevano che fare.
Parlargli? Ma forse se Jensen si fosse accorto della loro presenza avrebbe portato a termine più velocemente quella sua pazzia.
Prenderlo alla sprovvista ? e se fosse riuscito a divincolarsi?
Erano nel panico e quindi l’unica cosa che riuscirono a fare fu quello di avvicinarsi piano.
E in quella confusione , sembrò che proprio Jensen gli andasse incontro e parlò loro per primo.

“Non merito di essere così felice!” sussurrò con la voce tremante.
“Jensen, amico….” fece calmo Misha , facendo cenno a Jared di avvicinarsi il più possibile. “Perché….perchè dici questo? Tu…tu sei una persona buona….”
“E’ stata colpa mia , Mish. E tu lo sai. Loro sarebbero ancora qui….vivi….se non fosse stato per me. E invece sono morti e io?...io sono qui. Che vivo la mia vita. Che sono felice….che ho tutto….ho te….ho la mia musica…ho Jared….E io amo talmente tanto Jared." singhiozzò.
"Ti amo anche io, Jensen. Perciò ti prego...io ...io..."
"io non merito questo. Io non merito niente!!” fece mentre si sporgeva ancora un po’.
“Nooo!!” gridò Misha spaventato e per un secondo spostò lo sguardo su Jared che in quello stesso momento sembrava essere appena andato e tornato dall’inferno. “Ti prego….no. Parliamo, ok?! Parliamo un altro po’. Pensa a Jared. Lui ti ama. Come pensi che reagirà se tu….tu fai questo?!”
“Lui merita qualcuno meglio di me. Qualcuno che non sia….rotto dentro.” Rispose guardando Jared che lo fissava terrorizzato.
“Tu non sei rotto dentro, amore mio! E io volgio solo te. Solo te.” fece docile e apprensivo Jared alle sue spalle. “Ti prego, ti prego…scendi. Parla con me.” lo supplicava con trattenuta calma Jared. “Dio!! Jensen. Mi stai spaventando a morte. Ti prego, scendi e parliamo.” lo scongiurava ancora. E nel mentre Avanzava sempre più, ma con sempre più cautela.
“Sì che sono rotto e sono anche un bugiardo, perchè fingevo di stare bene e invece non volevo altro che far smettere quel dolore che sentivo dentro. E mentivo!! Mentivo a te, mentivo a Misha, mentivo a tutti.” confessò mentre la voce si faceva sempre più rotta dal pianto sommesso.
“Ti prego, Jensen non….no…” fece Jared che cercava discretamente di farsi avanti.
“Jensen non è colpa tua quello che è successo. Non è colpa tua la loro morte.  E’ solo…” provò ancora Misha.

Dio!!!! quante volte aveva detto quelle frasi per consolare il suo amico distrutto da quella perdita.

“Non dirmi che è solo destino, Misha. Perché non ci credo. Non ci credo più! Ma se deve essere destino, ad ognuno ciò che merita!” disse con un tono all’improvviso troppo sicuro e infatti i due ragazzi ormai ai suoi lati, lo videro chiudere gli occhi e fare un passo verso il vuoto.
“Jensen noooooo!!” gridò Misha che cercò di raggiungerlo, ma che sfortunatamente mancò il suo braccio.

Poi, il vuoto.

 

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Capitolo 4
*** Il perdono ***


Poi il vuoto.

Jensen schivò il braccio di Misha, un sguardo stentato all’altro lato verso Jared e poi quel passo, l’ultimo passo. E si lasciò cadere.
Quello che  non aveva preso in considerazione fu il gesto istintivo di Jared , terrorizzato all’idea di perderlo.
Infatti il giovane violinista agì con gesto dettato non solo dalla sua forza, ma anche dalla semplice disperazione di star per perdere Jensen in quella maniera assurda.
Il suo corpo si lanciò veloce verso quello di Jensen  e lo prese letteralmente al volo. Lo afferrò forte per un braccio e con l’altra mano lo agguanto più stretto che poteva per il polso.

Jensen penzolava nel vuoto attirato dalla forza di gravità, verso il basso. Jared, sopra di lui, faceva ricorso a tutte le sue forze per riuscire a trattenerlo. Gridò aiuto a Misha che tiratosi velocemente su dopo aver  mancato Jensen, gli fu vicino e lo aiutò a tirare su l’amico.
Lo tirarono su a forza di braccia, dato che Jensen pareva non aver più alcuna volontà o forza. Poi un braccio di Jared gli avvolse i fianchi. Il giovane puntò con fermezza i piedi a terra e in quel contraccolpo tirò verso di sè Jensen e i due caddero insieme all’indietro, verso il pavimento del terrazzo, mentre Misha scivolava con la schiena lungo il parapetto interno del terrazzo. Sfinito.

Davanti agli occhi di Misha tutto sembrava essersi svolto a rallentatore e ora vedeva i due ragazzi, allungati a terra. Uno accanto all’altro. Jared che stringeva ancora per la vita, Jensen, che invece, ancora in uno stato confusionario piangeva e continuava a dire che era colpa sua, che non meritava la felicità che stava provando.
Il bruno si avvicinò loro e aiutò Jared a rimettersi in piedi e poi tutti e due , cercarono di far alzare anche Jensen, che sembrava una bambola di pezza nelle loro mani.
“Vieni , ti porto a casa!” fece Misha, mentre Jared era ancora decisamente sotto choc.
Il violinista aveva agito, lo aveva salvato, ma era come se ancora non se ne fosse reso conto. E soprattutto era come se stesse metabolizzando il gesto che stava per compiere il compagno.
“E’ colpa mia….è colpa mia….” biascicava Jensen sempre più piano, sempre più flebilmente.
Fin quando la sua voce non divenne un sussurro. Fin quando l’effetto dell’adrenalina non scomparve del tutto e le sue gambe cedettero definitivamente.
“Oddio!” esclamò Misha che si ritrovò il peso dell’amico, svenuto, addosso.
“Tranquillo, lo prendo io.” si fece avanti Jared, che prese Jensen da sotto le braccia e lo issò, così da potergli passare l’altro braccio sotto le gambe e portarlo in braccio.
 
Vicky non aveva avuto il coraggio né di restare in strada né di raggiungerli in terrazzo e così si era fermata a metà strada. Non aveva visto penzolare Jensen nel vuoto.  E così in trepidazione attendeva davanti ai loro appartamenti.
E quando vide scendere prima Misha e poi Jared con in braccio il corpo di Jensen, si portò le mani alla bocca esclamando un “Mio Dio!!” di ringraziamento ma anche di visibile apprensione. Corse ad abbracciare il ragazzo che la consolò baciandole la fronte e carezzandole i capelli.
“Prepara qualcosa di caldo, tesoro, per favore. Sarà una lunga notte!” le disse dolcemente.

La ragazza obbedì e mentre Misha apriva la porta dell’appartamento di Jensen e faceva strada a Jared fino alla camera da letto, lei preparò delle tisane calde e rilassanti. Ritenne che non era il caso di preparare del caffè, almeno non per Jensen.
 
Quella notte passò lenta, sfiancante. Misha e Jared si alternavano accanto a Jensen che , rannicchiato in una struggente posizione fetale, era ancora incosciente. Di tanto in tanto , il suo corpo, veniva scosso, da silenziosi singhiozzi e da insensate scuse e sensi di colpa.
Verso le quattro del mattino, quando anche Vicky crollò esausta sul divano, Jared si affacciò alla camera da letto di Jensen. Osservò il ragazzo che di tanto in tanto gemeva in quel suo sonno incosciente  e poi guardò l’amico che lo vegliava.
“Posso parlarti?!” fece a bassa voce.
Misha osservò Jensen e raggiunse Jared nell’altra stanza , ma non chiuse la porta della camera da letto. Giusto per sicurezza e per avere sempre la visuale del letto in cui c’era Jensen.
“Spiegami!” fu la semplice richiesta.
“Jared io non credo di dover…”
“Ok! Ascoltami. So che stai per dirmi che deve essere lui a farlo. Che non tocca a te. Ma per la miseria, sono stato con Jensen per quattro mesi e non lo ha mai fatto quindi vuol dire che non vuole farlo e tu sembri l’unico che sa tutto. E siccome non voglio….non voglio…che una cosa come stasera succeda di nuovo…te lo richiedo: spiegami!” e la sua voce era risoluta tanto la sua richiesta.

Misha sospirò e lanciò l’ennesimo sguardo alla camera alle sue spalle.
Poi decise. Jared , dopo quell’assurda notte, aveva il diritto di sapere tutto.
“Circa tre anni fa Jensen aveva un concerto alla Casa Bianca, invito personale del Presidente. Puoi solo immaginare il suo stato d’animo e dopo essersi informato, chiamò i suoi genitori e chiese loro di partecipare al concerto. Li stremò, li tempestò di telefonate, fin quando i due , accettarono e affrontarono il viaggio. La sera del concerto Jensen era al settimo cielo. Si esibiva per il presidente degli Stati Uniti, alla Casa Bianca, su un pianoforte su cui molto probabilmente altri presidenti avevano suonato e i suoi genitori erano con lui, lì, ad essere fieri di ciò che aveva raggiunto. Quando la serata stava per finire, i genitori di Jensen si congedarono in anticipo. Ma purtroppo Jensen non poteva andarsene. Allora i due chiamarono un taxi dicendo al figlio che lo avrebbero aspettato in albergo.”, raccontò Misha, ripensando agli accadimenti tragici di quella sera che di tragico non avrebbe dovuto avere niente. “Tre isolati dopo, un rimorchio non si fermò al rosso e prese in pieno il taxi. Da quello che ci dissero in seguito , il padre di Jensen morì sul colpo…”
“E la madre?!”
“…morì sull’ambulanza. Non arrivò nemmeno al pronto soccorso!” riferì ancora dispiaciuto.
“Mio Dio!”
“La polizia informò la sorveglianza del Presidente che naturalmente, dopo averlo preso in disparte, lo informarono di tutto. Jensen non se l’è mai perdonata!”
“Fu un incidente, Misha!!Ma cosa doveva perdonarsi?” chiese stranito Jared.
“Di averli convinti ad andare a Washington, di non averli accompagnati in albergo. Di aver deciso di restare al party della Casa Bianca invece di andare con loro. Di tutto. Jensen si incolpa di tutto quello che è avvenuto quella sera.” Fu la risposta che tante volte Jensen aveva dato a quella stessa domanda.
“Perché sei andato nel panico quando hai visto le cose che aveva lasciato in giro per stanza!?” chiese poi , il giovane.
“Dopo il funerale dei suoi è diventato apatico, spento. Rifiutava di mangiare, di uscire. Aveva smesso perfino di suonare. Anzi, credo che per un po’ abbia addirittura odiato la musica. C’ho messo mesi a tirarlo fuori dal nostro appartamento di Cleveland. Ha fatto un passo alla volta ma lentamente ricominciava a vivere anche se a volte aveva i suoi momenti di depressione. Circa un anno e mezzo fa ebbe un nuovo crollo, quando gli proposero la tournè, ma riuscii a tirarlo fuori da quel nuovo tunnel, ce lo spinsi fuori quasi a calci!!”  ricordando gli ultimi anni prima della Juilliard. “E poi, quando mi resi conto che non ce la faceva a continuare, che non era ancora pronto, gli proposi l’insegnamento alla Juilliard. È andata bene e lui sembrava stare ogni giorno meglio e poi sei arrivato tu e lui….Dio!, lui era tornato ad essere il vecchio Jensen e io…ho abbassato la guardia. E come uno stupido ho dimenticato di tenerlo sotto controllo proprio questo dannatissimo giorno!” si rimproverò amaramente Misha. “Ma io…io non pensavo che questa sua felicità avesse un effetto simile sulle sue emozioni. Pensavo che il tuo amore e l’amore che lui prova per te, si sarebbero dimostrati più forti del suo stupido senso di colpa e del suo dolore.”
“Cosa posso fare per aiutarlo? Io non ce la faccio a vederlo così!” disse il giovane mentre apriva appena la porta della camera in cui riposava Jensen.
“Stagli vicino Jared. Non lasciarlo da solo. Fagli sentire che lo ami, nonostante stasera. Fagli capire che gli starai accanto.” gli suggerì con apprensione e dolcezza.
“Certo….certo che sarà così. Lo rimetterò in piedi. Mi assicurerò che stia di nuovo bene. Poi lo prenderò a pugni e poi lo rimetterò di nuovo in piedi.” provò a scherzare il giovane.
Misha gli sorrise. “Sì. Una bella bastonata gli farebbe bene!” rispose. “Sentì, io porto Vicky a casa sua. E’ distrutta. Torno tra dieci minuti!” gli disse Misha mentre  si avvicinava alla sua ragazza e la scuoteva delicatamente. “Piccola, vieni , ti porto a casa!”
“Ma Jensen??…cosa…”
“Tranquilla, sta dormendo. E poi c’è Jared con lui. Non c’è bisogno che tu stia ancora qui. Ti porto a casa così riposerai un po’!” fece amorevolmente, prendendole la mano.
 
Come detto, Misha ci mise poco più di un quarto d’ora a tornare a casa di Jensen e trovò Jared esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. Appoggiato allo stipite della porta della camera da letto, intento ad osservare ogni minimo movimento di Jensen.
“Dorme ancora?!” e il giovane annuì. “Vieni, ti preparo un caffè!”
Jared lasciò la porta aperta e raggiunse l’amico al bancone della cucina. Si scambiarono appena qualche altra battuta. Troppo stanchi per affrontare altri discorsi. Troppo provati per sostenere altre emozioni.
Fin quando non furono costretti a farlo.
 
Era quasi l’alba e Misha stava preparando altro caffè mentre Jared era ancora seduto al bancone della cucina.
Jensen attirò la loro attenzione schiarendosi appena la voce. Jared si voltò di scatto verso di lui e così fece Misha.
Ma fu il violinista il primo ad andargli incontro.

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Capitolo 5
*** La melodia dell'amore ***


“Ehi!! come ti senti?!” chiese  premuroso mentre lo abbracciava forte.  Jared sapeva che era la cosa più sbagliata da fare, ma il suo corpo agì prima del suo cervello e si ritrovò ad abbracciare stretto a lui Jensen.
Nel cuore ancora il terrore di ciò che era successo e di come poteva finire. Tra le braccia , il corpo di Jensen che tremava.
 
Jensen non rispose, anche perché non sapeva che cosa poteva rispondergli, che cosa poteva avere senso rispondergli. “Sì. Sto bene grazie!”?, “No, mi sento ancora uno schifo!”?, “Mi sento come uno che ha tentato il suicidio!”?
Così non rispose nulla e lasciò al silenzio e all’abbraccio di Jared ogni risposta.
 
Poi, il pianista, alzò di poco lo sguardo e i suoi occhi prima di trovare quelli di Jared, si incrociarono con quelli di Misha. Il blu degli occhi dell’amico brillava ma di rabbia , di frustrazione, di rimprovero, e di quella che faceva più male. La delusione.
Jensen si scostò appena dal corpo di Jared e quasi timidamente chiamò il nome di Misha.
Sapeva che doveva delle spiegazioni. Su tutto. A tutti. Sapeva che le doveva anche e soprattutto a Jared, ma era consapevole che Jared gli sarebbe stato accanto, che lo avrebbe ascoltato e gli avrebbe parlato con la voce dell’amore.
Quello che adesso temeva di più era il modo in cui Misha lo stava fissando. Quello che lo atterrì definitivamente fu il modo in cui l’amico gettò nel lavandino lo straccio con cui si stava asciugando le mani e usciva dal suo appartamento.
“Misha, nooo!!” sussurrò il ragazzo vedendo la porta di casa sua che si chiudeva con un tonfo secco.
Jared gli andò vicino e lo abbracciò e poi lo costrinse a guardarlo.
“Ascoltami, non credere che con me te la caverai tanto facilmente. Ne dovremo parlare. E tanto. E dovremo trovare una qualche soluzione a tutto ciò che è successo.” preambolò serio. “Mi hai fatto prendere un infarto ieri sera e ti farò pagare ogni minuto che mi hai fatto passare su quel terrazzo ma io ci sarò…ci sarò sempre per te. Ti ho fatto una promessa: ti terrò stretto a me.” gli ricordò amorevole. “E io sono uno che mantiene le promesse. Risolveremo tutto, insieme. Io non ti lascio Jensen. Ti amo troppo e non intendo andare da nessuna parte. Ma ora….ora credo che tu debba andare da lui. Credo che tu gli debba delle scuse. E credo che tu debba prepararti anche a non ricevere un immediato perdono.” e questa ipotesi gli occhi di Jensen si fecero liquidi e spaventati.
“Non posso perderlo. Lui…lui è il mio migliore amico!” rispose facendo forza sulla sua voce perché uscisse dalle sua labbra.
“Lo so, amore mio. Lo so. Ma quello che hai fatto stasera….il punto fino a cui ti sei spinto, gli ha spezzato il cuore. Ha creduto di aver sbagliato, di averti in qualche modo  abbandonato. Va’ da lui. Parla con lui. Io ti aspetto qui!” lo rassicurò Jared, abbracciandolo ancora. Abbracciandolo forte.
“Ti amo, Jared. E non riesco a spiegarmi come fai tu ad amare me. Non ti merito, non mi merito il tuo amore, io…” sussurrò nascosto in quell’abbraccio.
“Smettila, Jensen. Smettila. Se ti sentirò dire ancora una volta che non meriti la vita che hai, giuro che ti prendo a pugni!”
 
 
Jensen, fuori dal suo appartamento, sentiva le gambe tremargli. Non si sentiva ancora a pieno regime, ma ormai la “follia temporanea” gli aveva lasciato addosso solo un gran spossamento.
Contrasse la mascella e deglutì per trovare coraggio. Il coraggio di bussare alla porta di Misha.
Strinse il pugno e costrinse la sua mano e il suo braccio ad alzarsi. Lo appoggiò al legno e poi , quasi a forza,  battè sulla porta.
Una volta….due….tre volte.
Stava per andarsene amareggiato, quando la porta dell’amico si aprì.
Misha era lì, in piedi. Che lo fissava con i suoi dannatissimi occhi di ghiaccio. E Jensen si sentì gelare dalla testa ai piedi perché Misha non lo aveva mai guardato così.
Anzi, in quei suoi momenti di crisi, lo sguardo comprensivo dell’amico era l’unica cosa che riusciva a scaldarlo e a rassicurarlo. A guidarlo fuori dal buio dell’ennesimo tunnel che lo avvolgeva.
Ora invece era quello stesso sguardo che sembrava l’unico accusatore del suo peccato.
“Mish….”
“Che cosa vuoi Jensen?” chiese con astio.
Misha sapeva che , anche se faceva male, doveva comportarsi così con Jensen. Sapeva che data la presenza di Jared, ora doveva essere lui il poliziotto cattivo. Sapeva che Jensen doveva aver paura di perdere qualcuno, di nuovo, e capire che c’era il modo per evitarlo.
Ma Jared lo amava troppo e non ci sarebbe riuscito, non in un modo così drastico e forse crudele.
Così doveva essere lui e quindi , facendosi forza, portò avanti quella terapia tutta sua.
“Io vorrei….”
“Se vuoi la chiave del terrazzo è lì sul tavolo. Anzi!! Facciamo una cosa, te ne faccio fare una copia così l’avrai sempre a tua disposizione!” ironizzò dolorosamente mentre rientrava in casa lasciando Jensen sulla soglia di casa.
Sapeva che Jensen l’avrebbe seguito. Infatti.
Il biondo entrò. Sapeva di meritare quella sorta di sarcastico rimprovero. Aveva oltrepassato il segno. Il sarcasmo di Misha era il meno che doveva aspettarsi.
“Misha , ti prego…”
“Ti prego cosa, Jensen?!” gli inveì contro.
“Scusa!” sussurrò.
“Come ?!” fece , mentre la sua voce si alzava sempre di più.
“Scusa!”
“Scusarti di cosa, Jensen?...di aver tentato il suicidio?...di aver ritenuto che fosse l’unica soluzione?...” e ormai Misha stava tirando fuori tutta la sua frustrazione.
“Scusa!”
“…di aver pensato che non ci fosse altro da fare?...di non aver pensato che c’ero io?”
“Scusa!” e la sua voce ormai era rotta dall’emozione e dal senso di colpa e più lui cedeva e più Misha si infuriava.
“…di non aver pensato a Jared? …allo strazio che gli avresti lasciato addosso?” e a questo punto gli gridava letteralmente contro.
“Scusa!!” sempre più disperato.
“…alla disperazione con cui ci avresti dannato la vita??!” gridò al limite dell’esasperazione.
“Perdonami!” e ora era davvero una richiesta disperata che lo costrinse a cadere sulle ginocchia, piegato dall’errore commesso e dalle drastiche conseguenze che quell’errore avrebbe causato.
 
Nell’altro appartamento, Jared che era stato di nuovo raggiunto da Vicky, non poteva non sentire ciò che accadeva dall’altro lato.
Era scalpitante, quasi furente, per il modo in cui Misha stava infierendo. Pensava che l’amico lo avrebbe, sì, rimproverato ma così era come …sparare sulla Croce Rossa!!
Vicky lo guardò, vide il luccichio di rabbia nei suoi occhi e pensò di dover intervenire in qualche modo o Jared di certo, da un momento all’altro, si sarebbe scaraventato nell’altro appartamento.
“Sai, Jared. Ho studiato psicologia e in tutta quella matassa di parole e in quei labirinti di concetti astratti, l’unica cosa sensata che ho trovato concreta e applicabile alla semplice vita umana è: devi essere a terra per poterti rialzare!”
“Sì, ma a me sembra che Misha gli stia scavando la fossa!” ironizzò nervosamente.
“No, credimi non è così. Jensen ora è a terra…” e non sapeva che lo era anche fisicamente oltre che moralmente. “…e Misha gli sta mettendo davanti, lo ammetto in modo brusco, ma sincero, quello che effettivamente ha fatto. Jensen deve capire che non ci sarebbe stato modo di rimediare a quel suo gesto. Deve capire che, arrivato al punto in cui è arrivato, non può più permettersi di credere di stare bene e di potersi aiutare da solo!”
“Non lo farà. Io ci sarò. Sempre! Troverò qualcuno che lo aiuti e affronterò tutto con lui.” si fece garante il giovane.
“Ottimo!, ma per il momento una sonora….ramanzina…non può fargli che bene!”
 
“Perdonami, Misha….ti prego….non odiarmi….non lo sopporterei…non da te!” biascicava Jensen, ormai sopraffatto dalla rabbia dell’amico che credeva di aver perso. “Non posso perderti. Non tu. Non tu. Non ne verrei fuori.”
“Odiarti? Mollarti???” esclamò l’altro. “E’ questo che pensi io provi per te, brutto figlio di puttana. Pensi che io ti odi? Pensi che io possa lasciarti col culo per terra? Adesso?” e così dicendo avanzò infuriato verso Jensen che era ancora e in effetti a terra e afferrandolo per il colletto della camicia lo issò in piedi. “Pensi davvero che io ti odi???” gli urlò in faccia e Jensen chiuse d’istinto gli occhi credendo seriamente che Misha lo avrebbe preso a pugni.
Il moro, strinse le mani intorno alle spalle dell’amico e con uno scatto esasperato se lo tirò addosso e lo strinse in un abbraccio  quasi disperato.
Gli occhi di Jensen si spalancarono sorpresi , colpiti da quel gesto e sentendo la presa forte delle braccia di Misha, cedette e pianse. Pianse tutte le lacrime che in quel momento poteva piangere. Tirò fuori tutta la frustrazione e il dolore che ancora si accampavano dentro di lui perché sapeva che, ora, doveva e poteva farlo.
Doveva tirare fuori tutto.
“Perdonami…perdonami…” ripeteva in quel pianto, mentre Misha, senza allontanarlo da lui, piano lo riportava verso il basso , ritrovandosi così entrambi seduti sul pavimento. Entrambi ancora abbracciati.
“Sei come un fratello per me Jensen e io non potrò mai odiare mio fratello!!” fece il moro, mentre anche lui si lasciava andare al conforto del pianto. “Ma devi farti aiutare, Jensen. Io , Jared, Vicki, ti staremo vicini, lo giuro. Ti staremo vicini. Ma tu , amico mio, devi farti aiutare. Perché io non ce la farei ad andare avanti se ti succedesse qualcosa di irrimediabile come quello che stava per accadere stanotte!”
“Lo farò….lo farò Misha. Lo prometto. Ma tu non abbandonarmi, ti prego!” promise Jensen. “Jared…Jared mi ama, ma tu …tu sei quello che mi prenderebbe anche a pugni se ce ne fosse bisogno!” cercò anche di scherzare.
“Tranquillo. Ho un bell’arretrato di pugni con il tuo nome sopra. Ogni cosa a suo tempo!” rispose a tono Misha , abbracciandolo di nuovo.
 
In quel momento, entrarono nell’appartamento anche Jared e Vicki e trovarono i due ancora abbracciati. Ancora seduti sul pavimento.
“Se non sapessi tutto l’assurdo che c’è dietro, dovreste darci decisamente delle spiegazioni, voi due!!” ironizzò Vicki, mentre Jared si passò una mano sul viso come per tirare via la tensione che era rimasta dalla sera prima.
 

Il giorno dopo, Jensen, accompagnato da Jared, parlò con il preside Beaver. Chiese un’aspettativa imprecisata e, senza rancore, disse all’anziano preside che doveva sentirsi pienamente libero di licenziarlo se ciò poteva significare il bene degli studenti.
“Per il bene degli studenti, Jensen, lei non perderà questo posto. Se fosse una donna le dovrei dare la maternità, ma dato che questo evento con lei non potrebbe mai accadere, si prenda la sua semplice aspettativa!” fu la risposta ironica da parte dell’uomo.
Quando i tre si congedarono, il preside , salutando anche Jared, in un abbraccio amichevole gli sussurrò un accorato: “Gli stia vicino!” e Jared, grato di quell’appoggio, ringraziò, anche se solo con lo sguardo.
 
Jensen iniziò gli incontri con un terapista, uno psicologo che lo avrebbe aiutato ad accettare finalmente la perdita dei suoi e a non farsene una colpa, poiché colpa non ce n’era. E come promesso, il giovane pianista aveva sempre l’appoggio e il sostegno incondizionato di Misha e anche di Vicki a cui si era fortemente affezionato.
E poi c’era lui. C’era Jared.
Costantemente presente nella sua vita. Ormai indispensabile alla sua vita.
Jared che gli baciava la fronte non appena Jensen apriva gli occhi al mattino. Jared che se lo stringeva vicino al cuore, quando la notte, il sonno li cullava dolcemente. Jared che manteneva, giorno dopo giorno, quella sua promessa: “Ti terrò stretto a me!”
 Jared che lo spronava a sedersi al pianoforte e a suonare una marcia o un’aria o un preludio in base a come si sentiva.
Jared che c’era. Che lo abbracciava. Che lo baciava ma che pazientemente non chiedeva di andare oltre. Jared che aspettava che fosse Jensen a sentirsi di nuovo pronto per quei loro momenti d’amore.
 
“Ehi!” fece il giovane violinista vedendo Jensen perso in qualche suo pensiero.
Non disse niente, ma si avvicinò a lui e gli prese la mano. Gliela baciò e con uno sguardo dolce lo invitò a seguirlo. Jensen lo fece e si ritrovò di fronte al suo pianoforte. Vide Jared prendere il suo violino e poi gli vide fargli cenno di sedersi al suo sgabello.
“Suona con me , Jensen. Come la prima volta che abbiamo suonato insieme. C’era gente, ma in qualche modo, c’eravamo solo noi!!” gli disse dolcemente e sorridendogli.
Jensen si sedette sulla panca, la sistemò per bene di fronte al piano e sospirò. Carezzò piano i tasti, quelli bianchi e quelli neri.
Salutò di nuovo la sua adorata musica.
“Salutala anche per me, amore mio!” fece Jared in piedi appena dietro di lui.
“L’ho fatto, Jared.” e piano, quasi con timore iniziò a suonare.
Jared riconobbe immediatamente le note di quello che non era un brano classico, ma una semplice canzone che tempo fa aveva scoperto su internet.
The things you are to me” dei Secret Garden, questo era il titolo del brano. Jared lo aveva sentito suonare qualche volta a Jensen e incuriosito, lo aveva cercato e ne era rimasto colpito.

https://www.youtube.com/watch?v=-XZ30SoRqVU  ( testo)
https://www.youtube.com/watch?v=-sWnEWpS_fA  ( violino e piano)
 
Jared e Jensen suonarono in completa simbiosi. Rapiti , l’uno dalla melodia dell’altro. L’uno dal trasporto e dai sentimenti dell’altro. L’uno dalla musica dell’altro.
Ispirati anche dalle parole che ricordavano di quella canzone:
Se potessi contare ogni granello di sabbia che mi riempie la mano, sarebbe poco paragonato alle cose che sei per me…..Tu sei il sole, il vento d’estate, ciò che porta l’autunno , sei la meraviglia e il mistero e in tutto ciò, io vedo ciò che sei per me…..A volte mi sveglio di notte pensando che sei solo una mia fantasia, ma poi tu ti stringi a me e ancora una volta io rivedo tutto ciò che sei per me…
E quando l’ultima nota risuonò nella stanza, Jared posò su una poltrona a lui vicina, il suo strumento e si avvicinò a Jensen e gli vide una timida lacrima solcargli il viso, che comunque però era sereno.
“Jensen..” lo richiamò piano, accarezzandogli dolcemente il profilo.
“Ho bisogno di te, Jared!” fece il compagno, mettendo la sua mano su quella dell’amato.
“Sono qui, amore mio.”
“Ho bisogno… di te!” disse ancora, guardandolo con una dolcezza e una profondità tale che Jared ebbe paura di perdersi in quello sguardo.
Capì che cosa gli stava chiedendo Jensen.
Allora lo prese per mano e in silenzio si spostarono verso la camera da letto di Jensen.
L’amore tornò a suonare con loro, ad essere la melodia che accompagnava i loro sospiri e i loro ansiti. Tornò ad essere la colonna sonora ai loro nomi sussurrati a fior di labbra. A suonare piano come lente erano le loro carezze, ad essere più vivace quando il desiderio lo diventava. A suonare più vigorosa quando la loro passione diventava più vigorosa, fino ad esplodere in un magnifico exploit quando l’amore che li aveva legati li lasciava stretti l’uno all’altro.
 
“Dio!! come ti amo!” esalò Jared mentre si stringeva a Jensen, che ancora, dolcemente imprigionato dal suo corpo, si lasciava coprire.
Il calore del corpo di Jared era rassicurante. Le sue braccia che lo cingevano erano la salvezza. La sua voce che gli diceva quanto lo amava, la vita stessa.
Jensen sapeva di dover ancora guarire, ma sapeva anche che Jared sarebbe stata la sua medicina più salvifica.
D’altro canto, Jared, era cosciente che Jensen doveva compiere ancora un cammino lungo per riprendere pieno possesso delle sue emozioni, accettando il suo passato e ponendo speranza nel suo futuro. E sapeva che lo amava e che mai, mai più, qualcosa li avrebbe separati.
“Ti terrò stretto a me!” gli sussurrò Jared poco prima di baciargli piano le labbra.
“Per sempre!?” chiese Jensen, sorridendo timidamente e ricambiando quel bacio.
“E anche oltre!” rispose Jared.
La musica li aveva uniti, li aveva fatti incontrare e innamorare.
Li aveva resi una cosa sola e in quella sua mirabile magia, li aveva resi una splendida melodia d’amore.






N.d.A.: Finita anche questa!!
Spero davvero che vi sia piaciuta. Che abbiate avuto trenta secondi per senitre le canzoni linkate e vi siano piaciute. Insomma che tutto vi sia servito per passare qualche minuto senza pensieri.
Un bacio grande e alla prossima storia ( Winchester , questa volta!!)

Cin.

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