Mer Og Mer - Sempre di più

di Snow Rain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Bones ***
Capitolo 2: *** We Found Love ***
Capitolo 3: *** Family Portrait ***
Capitolo 4: *** Certain Things ***
Capitolo 5: *** Fingers Crossed ***
Capitolo 6: *** Edge ***
Capitolo 7: *** Run ***



Capitolo 1
*** Prologo - Bones ***


Ciao a tutti,

questa è la prima storia che pubblico dopo anni. Ci è voluto Skam, con William e Noora che, per ragioni personali, hanno risvegliato in me delle cose che non potevo non mettere nero su bianco, per convincermi a riprendere in maniera pubblica una delle mie grandi passioni.

Dal momento che per me l'unico grande errore di Skam è stato il modo in cui hanno gestito la storyline di William e Noora nella terza stagione (so che William non ci sarebbe potuto essere a causa dell'assenza di Thomas Hayes, ma avrebbero potuto inventarsi qualcosa di meglio per gestire questa assenza, e avrebbero dovuto dare risposte alle domande che erano rimaste aperte alla fine della seconda stagione, come ad esempio: come va a finire l'udienza di William in tribunale?), ho deciso di ripartire dalla fine della 2x12 per quanto li riguarda. Preciso che per quanto riguarda gli altri personaggi nulla cambierà, quindi gli Evak sono salvi, anche perché non avrei avuto il fegato di interferire con qualcosa di così bello.

Cliccando sul titolo di ogni capitolo sarete rimandati alla canzone che ne è la colonna sonora. Alcuni capitoli avranno più canzoni, che verranno linkate all'inizio, in mezzo al capitolo, o alla fine, in base a quando penso che sia il momento giusto per farle partire.

Questa storia viene pubblicata anche sul mio account Wattpad, dove mi chiamo KateShadow (@KateShadow, link nella mia pagina).

La smetto di tediarvi e vi lascio al breve prologo. Dal primo capitolo in poi torneremo indietro nel tempo.

Grazie per essere qui.

Snow Rain

Prologo – Bones [Urban Strangers]


1 gennaio 2017


Aveva così freddo che ormai non sentiva più il dolore alle mani. Poteva quasi percepire le lacrime cristallizzarsi lungo le sue guance mentre il dolore, invece, bruciava nel petto. Tutto in quella notte folle era una contraddizione, anche la forza che usava per stringere in mano i borsoni con cui era andata via di casa era in contrasto con la debolezza immensa che si sentiva dentro.

Si guardò intorno alla ricerca di un indizio su dove si trovasse. Quando era uscita in fretta e furia, poco dopo la mezzanotte, Noora non aveva prestato attenzione alla direzione che stava prendendo, aveva semplicemente iniziato a camminare per le vie di Oslo, nella speranza che non si sarebbe persa.

Ma era stata una vana illusione, perché lei si era già persa da parecchio tempo.

Aveva creduto che dopo l'estate tutto sarebbe andato per il verso giusto. Aveva provato la sensazione di scoprire per la prima volta se stessa insieme ad un'altra persona con l'anima prima che col corpo. Aveva sperato di essere abbastanza per colmare tutti i suoi vuoti.

Ma nessuna di queste cose era durata abbastanza a lungo da sembrare reale adesso.

Era incredibile quanto potesse fare male ciò che poco prima sembrava essere il bene più prezioso.

Noora e William avevano vissuto dei mesi intensi, in cui era sembrato che fosse lecito essere felici e fosse possibile scendere a compromessi sulla base della convinzione che l'amore conquista tutto. Ma alla fine la realtà era tornata a reclamare la sua libbra di carne.

Entrambi erano maledetti fin dalla nascita: famiglie inesistenti, incontri sbagliati e il bisogno di trincerarsi dietro le proprie convinzioni per evitare ulteriori sofferenze. Erano dovuti diventare grandi troppo presto. Poi, per un tempo che era sembrato un'eternità mentre lo avevano vissuto, avevano potuto respirare un po' di serenità, ma adesso Noora poteva vedere chiaramente quanto fosse stato stupido lasciarsi andare in quel modo, perché nulla bruciava in maniera più straziante di quelle nuove ferite, nessun dolore passato ci si avvicinava minimamente.

Continuò a camminare fin quando non si accorse di qualcosa che la lasciò senza fiato. Dall'altra parte della strada, affacciata sulla parte più bassa della città, c'era la panchina su cui si era consumato il loro disastroso primo appuntamento, quando le barriere erano ancora alte, o almeno così lei credeva ai tempi.

Qualcosa si ruppe definitivamente dentro di lei a quella vista, e mentre attraversava la carreggiata per andare a sedersi proprio lì, decise che la sua nuova vita sarebbe cominciata proprio in quel posto, sulle ceneri di quella che doveva essere una grande storia d'amore, e invece era stato il suo più grande fallimento.


* * *


William si guardò intorno, ancora immobile dove lei lo aveva lasciato. Si passò una mano tra i capelli, domandandosi per quale motivo non l'avesse seguita.

Perché non l'aveva afferrata per un braccio per poi stringerla, come accadeva ogni volta che doveva convincerla che stare insieme era l'unica cosa giusta nella loro vita così piena di sbagli, loro e altrui?

Si immaginava Noora vagare nel gelo della notte, per le strade affollate da chi stava festeggiando l'ingresso nel nuovo anno.

Ciò che aveva visto nei suoi occhi lo stava consumando dentro. Non c'era più il fuoco che gliel'aveva fatta notare sin dalla volta in cui l'aveva vista fradicia nel giardino di Eva, quella sera in cui era andato a prendere Vilde. Era passato poco più di un anno da allora, ma nel frattempo avevano iniziato una vita che sembrava lontana anni luce da quei momenti. E adesso dovevano affrontare una nuova partenza, da soli.

Prese un respiro, poi un altro e un altro ancora.

Tentò di rimettere insieme i pezzi della sua mente per riuscire ad elaborare ciò che era accaduto.

Era rimasto da solo, ad affrontare un dolore che non era pronto a sentire. Era sempre stato preparato al dolore, sapeva che nella vita prima o poi arriva, e si era sempre impegnato a fare in modo che giungesse il più tardi possibile, ma era consapevole che fosse inevitabile.

Eppure non credeva che in quel che aveva con Noora ci fosse altro spazio per quell'agonia.

Quando la consapevolezza gli esplose nel petto come un proiettile, non riuscì a contenere l'urlo che gli risalì su per la gola e concentrò le ultime forze che gli rimanevano nel pugno che scagliò contro il muro del salotto.

Quel dolore non lo sentì.

Poi si accasciò sul pavimento e pianse.


Del loro amore rimanevano soltanto le ossa, e ormai si stavano raffreddando anche quelle.

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Capitolo 2
*** We Found Love ***


Capitolo 1. We Found Love [Rihanna]


4 giugno 2016


Life Is Now – If The Kids


Era mezzogiorno inoltrato quando Noora aprì gli occhi e controllò il cellulare. Come al solito la schermata di blocco era piena dei messaggi mandati dalle ragazze sul gruppo di Messenger. Sbloccò lo schermo e iniziò a scorrere i primi, tutti messaggi in cui la prendevano in giro perché lei e William non erano più tornati alla festa dopo essersi chiusi in camera. Probabilmente qualcuna di loro era persino rimasta a dormire lì in casa, a festa conclusa.

Sorrise al pensiero di come avevano concluso la giornata. Non si era mai sentita così in pace con se stessa come in quel momento. Aveva appena imparato che cosa volesse dire fare l'amore, ma, come ogni cosa che riguardava lei e William, le sembrava che non fosse qualcosa di nuovo, da cui essere sorpresi o meravigliati. Era stato semplicemente giusto, e quella sensazione per lei voleva dire tutto. Lì, in quel momento, non esistevano fratelli psicopatici, bottiglie spaccate in testa e tribunali. Soltanto lei e William. Sentiva il corpo rilassato, il calore pervaderle l'anima, la mente chiusa in una bolla in cui non erano inclusi doveri e problemi di alcun genere, ma soltanto i suoi desideri.

E in quel momento desiderava svegliare William.

Si voltò verso di lui, senza curarsi di rimanere coperta. William dormiva ancora profondamente, in posizione supina, coperto fin sotto il mento. Avevano dormito allacciati l'uno all'altra fino all'alba, poi Noora si era alzata per andare in bagno, e quando era tornata e l'aveva trovato in quella posizione rilassata, non aveva avuto il coraggio di toccarlo e rischiare di svegliarlo.

Noora sorrise, prevedendo i mugugni che lui avrebbe emesso, come ogni volta che lo svegliava pizzicandogli il fianco. La divertiva infastidirlo in quel modo, perché sapeva che William come prima cosa l'avrebbe immobilizzata contro il suo petto.

Fu così anche quella volta. Tra il pizzicotto di Noora e l'assalto di William non ci furono altro che un lamento e una folata d'aria sollevata dalla coperta che volava per aria mentre lui si rigirava con uno scatto e la chiudeva nella morsa delle sue braccia.

“Per quanto tu sia carina, devi smetterla con questa cosa”, la rimproverò, ridacchiando sul suo collo.

Rise anche lei, contenta di aver raggiunto il suo obiettivo.

“William, se mi molli ti do un bacio”. La stava stringendo così forte che le mancava l'aria, senza contare che aveva la faccia schiacciata contro i suoi pettorali. Non che lei avesse qualcosa da ridire sui suoi pettorali e il suo odore, ma l'aria rimaneva realisticamente più importante.

Lui la allontanò per poterla guardare in faccia e le diede un bacio veloce.

“Ti vendi per poco, Miss Femminista”, la canzonò. Prese a sistemarle i capelli dietro l'orecchio, in un gesto lento e pigro.

Come accadeva in continuazione, rimasero a fissarsi negli occhi per un tempo indefinito.

Ad un certo punto, William sollevò la coperta dal corpo di Noora e sbirciò ciò che c'era sotto.

“Visto? Lo dicevo che era una questione di tempo. Sei nuda nel mio letto”.

Noora lo spinse via da sé e gli scaraventò il proprio cuscino in faccia.

“Stronzo”.

Lottarono e si baciarono per un po', poi sentirono un tonfo provenire da un punto imprecisato della casa.

“Dobbiamo andare a vedere in che condizioni è il mondo fuori da questa stanza”, sbuffò Noora.

“E dobbiamo dire ad Eskild e Linn che vieni a vivere qui. Oggi”, continuò lui, con un sorriso furbo.

Noora lo guardò sorpresa, arricciando le labbra in un modo che fece venire a William la voglia incontenibile di darle un altro bacio. La attirò a sé per la nuca, e quando si staccò aveva un'espressione seria, gli occhi, però, esprimevano felicità.

“Oggi”, confermò.

“Sei sicuro di voler vivere qui?”.

“Con te, sì”.

La baciò per l'ennesima volta.


* * *


Dopo che si furono rivestiti, cercarono di raccogliere la volontà necessaria a mettere piede fuori da quel paradiso che si erano creati, e finalmente si avventurarono per l'appartamento. Ovviamente trovarono disordine e rifiuti sparsi ovunque, per non parlare delle persone addormentate nei posti più improbabili, una delle quali era Vilde, rannicchiata ai piedi di un mobile del soggiorno. Come potesse dormire in quella posizione scomoda sul pavimento, era un mistero.

Eva dormiva seduta al tavolo della cucina, con la testa appoggiata alle braccia.

Chris, il migliore amico di William, era sdraiato sul divano, schiacciato contro la schiena di Sara. Erano coperti, ma era facile intuire che non avessero soltanto dormito dalle gambe nude che spuntavano dal fondo del plaid e i loro vestiti sparsi ai piedi del divano.

Il tonfo che avevano sentito era stato provocato dalla chitarra, che, spinta dal braccio di Chris penzolante oltre il bordo del divano, era caduta rovinosamente. Noora si affrettò a verificare che non avesse subito danni. Era particolarmente affezionata a quello strumento.

William alzò gli occhi al cielo. Chris era come un fratello, ma era il suo esatto opposto: mentre William era introverso, aveva un'aria da duro che ha sempre la situazione sotto controllo e faceva sempre in modo di rimanere al di sopra di qualsiasi situazione, Chris era un uragano che si buttava a capofitto in qualunque circostanza, non badava minimamente alle vittime che mieteva al suo passaggio e trovava sempre il modo più spettacolare di farsi notare.

Noora guardò William, e poi entrambi guardarono la postazione iPod sul mobile della televisione. William, senza esitare, fece partire la musica elettronica più martellante che trovò nella playlist al massimo del volume, e tutti si svegliarono di soprassalto.

Eva urlò.

“Ma che cazzo?”, bofonchiò Chris, strofinandosi gli occhi.

William e Noora ridevano, mentre lei lo raggiungeva e lui le passava un braccio attorno alle spalle. Quel giorno non c'era nulla che non li divertisse.

“Colazione, poi il dormitorio chiude”, avvisò William dopo aver spento la musica, ancora ridacchiando.

Noora si staccò da lui per andare in cucina, con un sorriso enorme stampato sul volto.

Quella giornata sarebbe stata più surreale della precedente.


* * *


Non fu facile buttare Eskild giù dal letto, quando arrivarono a casa di Noora due ore dopo. Sia lui che Linn stavano dormendo, ma Noora riuscì a tentarli con la sua abilità ai fornelli, e in poco tempo furono entrambi seduti al tavolo della cucina insieme a William, mentre Noora portava in tavola della pasta.

Eskild continuava a spostare lo sguardo da lei a William in silenzio, con un sorriso malizioso che non lasciava spazio ad alcun dubbio: stava per dire qualcosa di totalmente fuori luogo. Noora tentò di lanciargli degli sguardi ammonitori, che non scalfirono minimamente i suoi propositi.

Infatti poco dopo si schiarì la voce, trattenendo una risata.

“Non ti ho mai vista così rilassata, Noora. Te l'avevo detto, che avevi bisogno solo di una cosa per scaricare tutta la tensione”. La fissò mentre lei si sedeva, tentando di mantenere un'espressione neutra per non dargli soddisfazione.

William se la rideva come sempre. Eskild era in grado di mettere Noora in imbarazzo in una maniera adorabile. Decise che era quello il momento giusto per sganciare la bomba, in modo che dopo Eskild e Linn sarebbero stati troppo concentrati sul cibo per pensare alla novità e fare le obiezioni che sicuramente ci sarebbero state.

“Noora viene a vivere da me. Oggi”. Lo disse con la stessa convinzione con cui l'aveva detto a Noora.

Eskild lo guardò per un attimo, confuso. Boccheggiò per un istante alla ricerca delle parole da dire, poi si voltò verso Noora con gli occhi sgranati.

“Sei già incinta?”, chiese, in preda ad un finto shock.

Noora sospirò profondamente, rassegnata al fatto che il suo coinquilino non fosse in grado di prendere sul serio quasi nulla.

William scoppiò di nuovo a ridere, questa volta sollevato. Era tutto più facile del previsto.

“No, niente bambini, Eskild”, gli rispose, riportando l'attenzione del ragazzo su di sé.

Incredibilmente fu Linn ad intervenire, rivolgendosi direttamente a Noora.

“E dov'è finito il tuo spirito da ragazza indipendente? Incontri uno e due mesi e mezzo dopo che vi mettete insieme ci vai a vivere? Non hai neanche diciassette anni”.

Rimasero tutti interdetti davanti al fervore con cui aveva parlato. Linn, la depressa e perennemente stordita Linn, che agiva come se avesse ancora qualche emozione umana, era uno degli avvenimenti più straordinari a cui ognuno di loro avesse mai assistito. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato.

Noora fu la prima a riscuotersi, punta sul vivo da quella reazione. Quando William le aveva chiesto di trasferirsi con lui, aveva pensato subito che sarebbe stato avventato accettare, perché erano troppo giovani, stavano insieme da troppo poco tempo ed entrambi avevano troppi problemi a cui far fronte, per non parlare del fatto che andava contro ogni sua idea dell'essere responsabili ed agire sempre nel modo più razionale. Ma stare sempre con lui era tutto ciò che voleva, e alla fine, spinta definitivamente dalle parole di William, aveva detto sì. Poi era spuntata fuori la storia dell'indagine della polizia e non aveva più avuto il tempo di pensare a che cosa fosse giusto o sbagliato.

Ora le parole di Linn avevano scoperto nuovamente quel nervo.

William lo intuì dalla sua espressione, che si era fatta improvvisamente triste, e decise di limitare i danni. Se Noora avesse ricominciato a far andare i suoi pensieri in quella direzione, si prospettavano altri drammi, altre discussioni e quella giornata sarebbe diventata un inferno. Invece, lui voleva far durare il più possibile il clima di spensieratezza che si era creato. Non ce la faceva più a vederle in volto quell'angoscia che l'aveva consumata dalla sera della rissa e che era andata crescendo fin quando non si erano ritrovati, poco prima del suo viaggio mancato a Londra.

“Può essere indipendente anche se sta con me. Non ho intenzione di farle da padrone”, asserì risolutamente.

“Linn, lo so che ti preoccupi, ma non ce n'è bisogno. Io e William abbiamo tutto sotto controllo. Lui vive da solo, io vivo lontana dai miei genitori già da due anni... non sarà molto diverso dalla situazione in cui mi trovo adesso. Eviteremo soltanto di fare avanti e indietro da un appartamento all'altro, tanto alla fine dormiamo sempre insieme. Cambierà solo che voi mi mancherete”, le spiegò Noora, una volta scacciate dalla mente le preoccupazioni per il futuro.

William le fece un sorriso che le ricordò ciò che l'aveva convinta a lanciarsi in quell'ignoto. Lui la guardava come se fosse la sua famiglia.

“Ragazzi”, cominciò Eskild, questa volta serio. “State attenti”, disse soltanto.

Noora annuì, grata che almeno lui le risparmiasse altri discorsi scomodi. Eskild sapeva che lei era capace di tormentarsi benissimo da sola. Ritornò allegro come sempre e cominciò a mangiare la sua pasta, imitato dagli altri.

“Ora mangiamo e poi io e Linn vi aiutiamo col trasloco, così potete tornare a fare i conigli ASAP”.

“Eskild!”. A quell'ennesima battuta sulla sua vita sessuale, Noora perse la pazienza.

William, invece, sghignazzò. Inaspettatamente, gli sarebbe mancato vivere con quei due, anche se la convivenza era durata soltanto una settimana. Abituato a stare da solo, com'era ormai da anni, non gli era dispiaciuto condividere qualche settimana prima con Chris e poi con quegli squilibrati dei coinquilini di Noora.

D'ora in poi sarebbe stato tutto diverso.

D'ora in poi avrebbe chiamato l'appartamento in cui viveva, fino ad allora intriso di drammi passati e solitudine, casa.


* * * * * * * * * * * * * * *


8 Giugno 2016


I primi giorni di convivenza li trascorsero in una bolla di sapone. Non uscirono di casa se non per l'ora necessaria ad andare a fare un po' di spesa e tornare indietro.

Il trasloco di Noora non aveva richiesto più di mezza giornata, così sabato sera avevano già sistemato tutto nell'appartamento, come se lei avesse sempre vissuto lì.

A William piaceva vedere le loro cose mischiarsi; finalmente quella casa fredda e impersonale, dove per anni si era sentito un ospite, gli appariva come un luogo in cui voler tornare. Un nuovo calore si era insinuato tra quelle mura, e non trovava una ragione valida per cui la decisione di vivere insieme potesse essere sbagliata.

Dal canto suo, Noora cercava di tenere la propria razionalità a bada, in modo da non creare inutili tensioni in quei giorni di assoluta pace. In fondo, sentiva che non stavano soltanto cercando di vivere appieno la loro relazione nel presente, ma che avevano gettato le basi per costruire un futuro a tempo indeterminato. Inoltre, quando c'erano i sentimenti di mezzo, non esisteva nessuna logica che potesse prevedere come sarebbero andate a finire le cose.

Per tre giorni non fecero altro che fare l'amore e poltrire.

Il mercoledì, tuttavia, decisero di ritornare con i piedi per terra, così accesero i cellulari che avevano spento sabato sera.


Dove cazzo sei finito, brutto stronzo? Sarà meglio che ti presenti alla festa di fine anno, o ti do fuoco alla macchina. Sai che ho il codice del garage.


L'ultimo dei quattordici messaggi che Chris aveva mandato a William in quei giorni, non lasciava spazio a dubbi sul fatto che l'amico fosse quantomeno irritato per la sua sparizione improvvisa.

“Chris è incazzato come una bestia”, esordì William, guardando Noora dal capo opposto del tavolo a cui si erano seduti a fare colazione. Lei sedeva con le spalle alla finestra, e il sole la colpiva mettendo in evidenza la chioma ancora arruffata dopo il sonno. Era adorabile quando era così in disordine, ma William non glielo fece notare, altrimenti li avrebbe sistemati subito.

Noora voltò il proprio cellulare verso di lui, mostrandogli un messaggio da parte di Vilde.


Non so dove tu sia finita, ma alla festa dobbiamo esserci tutte, altrimenti che Bus siamo?


“Se dovessi mancare, Vilde darebbe di matto. Quando mette di mezzo il Bus significa che non accetta rifiuti”, gli disse.

“Quindi questa sera andiamo alla festa”, concluse William.

“Andiamo alla festa”, confermò Noora.

William sapeva che a Noora non piaceva andare spesso alle feste affollate, ma quella sera sarebbe stato anche peggio, perché per la prima volta si sarebbero presentati ufficialmente insieme ad un evento. Non che la loro relazione fosse più un segreto ormai, considerando anche che venerdì non si erano risparmiati baci e carezze davanti ai loro amici, ma questa volta sarebbe stata presente una gran parte degli studenti della Hartvig Nissen, e per Noora non sarebbe stato facile esporsi in quel modo. Benché non si vergognasse di farsi vedere con lui, data la reputazione e la popolarità di William, si sarebbe trovata al centro dell'attenzione, per non parlare del confronto con tutte le ragazze che avevano avuto a che fare con lui prima che arrivasse lei. Erano semplici paranoie dettate dalle sue insicurezze, eppure avrebbe preferito di gran lunga rintanarsi in casa con lui come avevano fatto fino ad allora.

Inoltre, l'unica volta in cui avevano interagito come coppia davanti a tutta la scuola era stato il giorno in cui Nikolai aveva mentito a William dicendo di essere stato a letto con Noora, e lei lo aveva rincorso disperatamente attraverso il cortile. Da allora le voci sul loro conto erano passate dal pettegolezzo a tinte rosa, alla cronaca nera. Noora era diventata la primina fedifraga che aveva fatto innamorare e poi sparire dalla faccia della Norvegia William Magnusson.

William allungò una mano per sistemarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio, approfittandone per sfiorarle la guancia con le nocche.

“Ti amo”, le disse, per dissipare i suoi brutti pensieri.

Noora sorrise, un sorriso che le illuminò il viso all'inverosimile. “Ti amo anch'io”.


* * *


Turn Down For What – DJ Snake, Lil Jon


Arrivarono alla festa che erano passate le dieci e il locale era già pieno di adolescenti ubriachi, ma non per questo passarono inosservati. Avevano attirato parecchie occhiate e bisbiglii curiosi, ma William, notando il disagio di Noora, l'aveva stretta a sé ed accompagnata fino al tavolo a cui erano sedute le sue amiche, dove lei gli aveva chiesto di darle un po' di tempo per parlare con le ragazze.

Il locale era un club che aveva aperto da poco, arredato in modo da richiamare in parte un'atmosfera vintage.

La musica elettronica era assordante, ma non abbastanza da impedire a Noora di sentire l'esclamazione acuta di Vilde quando disse alle ragazze che si era trasferita da William.

“Eh?”.

Noora sospirò, scrutando l'espressione esterrefatta dell'amica.

“Lo so, ragazze, può sembrare presto, ma...”, cominciò a spiegare, ma Sana la interruppe.

“Lo sapevo”, asserì con un sorrisetto stampato in faccia.

“Lo sapevi?”, chiese Eva, stringendo in mano un bicchiere pieno di rum e cola.

“Be', è sparita per tre giorni e anche di William non si è più saputo nulla. Eskild non ha voluto dirmi niente, quando l'ho chiamato... ho subito pensato che si fossero chiusi nell'appartamento di William, dal momento che ne aveva uno tutto per sé”, spiegò Sana, come se fosse ovvio.

“Vai così, ragazza!”, Chris diede il cinque a Noora, che a quel punto si rilassò, ma notò le espressioni ancora perplesse di Vilde ed Eva.

Sana era imperscrutabile come al solito, sembrava che stesse ancora cercando di inquadrare bene la situazione.

“Sentite”, riprese Noora, “so che pensate che sia una follia, io e William stiamo insieme da due mesi e abbiamo passato la metà del tempo ad affrontare un problema dopo l'altro. Ma ho questa sensazione, come se lui fosse la mia famiglia. Nessuno si era mai preso cura di me come fa lui, e all'inizio pensavo di non averne bisogno e di non poter accettare che un ragazzo, soprattutto uno del genere a cui credevo che William appartenesse, assumesse il ruolo del protettore nei miei confronti. In più lui sembra sempre pensare il contrario di quello che penso io, a volte è estenuante. Ma poi ho realizzato che io e lui ci proteggiamo e ci sfidiamo a vicenda, non c'è niente di unidirezionale fra noi. In ogni caso, la nostra non è stata una relazione convenzionale sin dall'inizio, quindi perché non provarci?”. Disse alle sue amiche ciò che aveva ripetuto a se stessa nel corso di quei giorni.

Sana aggrottò le sopracciglia, come se stesse cercando le parole giuste da dire.

“Se qualcuno guardasse me come William guarda te, probabilmente vorrei sposarlo. Mi hai detto che non c'è niente che ti sembri più importante che stare con lui, e sono stata la prima a consigliarti di seguire il tuo istinto. Però hai diciassette anni Noora, quella che hai con lui è la tua prima relazione significativa e avete entrambi addosso tutte le emozioni dell'ultimo mese... non so se siate del tutto lucidi. Se senti che questa cosa ti fa stare bene, allora vai avanti, ma cercate di non giocare alla famiglia, prendete questa convivenza con leggerezza. Capisci che cosa voglio dirti?”.

Noora annuì seria, comprendendo pienamente il messaggio di Sana, che aveva una capacità empatica mille volte più grande di quanto volesse mostrare. Le stava dicendo di tenere a mente il punto della vita in cui si trovavano lei e William e i cambiamenti continui che avere la loro età comportava. Bastava pensare all'udienza in tribunale che si sarebbe tenuta entro la fine del mese e che avrebbe potuto avere come esito l'arresto di William. O al fatto che lui ormai era diplomato, e ciò significava che stava per entrare nel mondo degli adulti, mentre lei sarebbe rimasta bloccata nella routine scolastica almeno per altri due anni.

Senza preavviso, Eva si alzò dalla propria sedia e la strinse in un abbraccio, a cui si unì anche Vilde.

“Siamo contente per te”, le disse quest'ultima.

“Però ogni tanto uscite di casa”, la canzonò Eva.

Risero tutte quante, e per una volta Noora non si sentì in imbarazzo.


* * *


In contemporanea, al bancone del bar William era impegnato in una scomoda conversazione con Chris.

“Che cazzo significa che le hai chiesto di venire a vivere con te?”.

Chris era ancora arrabbiato per il silenzio a cui lo aveva sottoposto William negli ultimi giorni, e non prese per niente bene la notizia. La sua incredulità era surclassata soltanto dal disorientamento causato dai comportamenti che aveva avuto il suo migliore amico negli ultimi mesi. Erano amici da che ne aveva memoria, ma mai William aveva perso la testa come negli ultimi tempi. Gli sembrava di avere a che fare con un estraneo.

William appoggiò sul ripiano la birra che stava bevendo e si passò le dita tra i capelli, nel tentativo di raccogliere la pazienza necessaria a rispondere. Sapeva dove sarebbe andata a parare quella discussione, perché era già successo in precedenza.

“Chris, sei il mio migliore amico, ma su questa cosa non hai voce in capitolo. Okay?”.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno assorto nei propri pensieri, mentre entrambi cercavano di dissipare il nervosismo. Ma Chris non riuscì a lasciar correre la questione, e all'improvviso sbottò con irruenza.

“No. Cristo, sono mesi che ho l'impressione che ti sia bevuto il cervello. Prima inizi a trascurare il Bus e manchi alla metà dei festeggiamenti del Russetiden – e quando ci sei sembra che tu voglia essere da un'altra parte –, poi vai fuori di testa e te ne vai a Londra senza dire niente a nessuno. Quando torni sei incazzato e depresso come non ti ho mai visto e ti accampi a casa mia in attesa di trasferirti definitivamente a Londra. Alla fine, quando ti sto accompagnando in aeroporto, cambi idea perché hai avuto una conversazione di dieci minuti con quella ragazzina, che ti ha anche spinto a confessare la storia della bottiglia alla polizia. Adesso sparisci nel nulla e te ne esci dicendomi che vivete insieme? Scusa se non sono felice. Porca troia, William, stai per farti dei fottuti mesi di prigione perché ti sei fatto condizionare da una ragazza”. Alla fine della sua invettiva, Chris respirò profondamente per calmarsi, senza troppo successo.

Quella conversazione, in toni più pacati, era già avvenuta qualche settimana prima, quando Chris aveva tentato di convincere William a restare ad Oslo. In quel frangente non c'era stato nulla in grado di farlo ragionare, e adesso sarebbe andata nello stesso modo, Chris lo sapeva bene.

William era sempre stato quello più deciso tra i due, era un leader naturale, e ascoltava i consigli soltanto quando non intaccavano la sua idea di partenza.

“Cresci un po', Chris, e ragiona. Ho avuto soltanto te e i ragazzi per tutta la vita, ed è stato abbastanza, ma con lei è un'altra cosa. Non è una qualunque, non è un passatempo. La voglio con me, e lei vuole stare con me. Fine della discussione”.

“Dici a me di crescere, quando tu ti stai comportando come un bambino. Chi è quello che ragiona col pisello adesso, tra noi due?”.

A quell'uscita così da Chris, William non riuscì a trattenere una risata, e tutta la tensione del momento andò scemando quando quell'ilarità contagiò anche l'amico.

“Andiamo a cercare Julian e Alexander. Volevano fare un brindisi o qualcosa del genere tutti quanti insieme”, disse poi, cambiando argomento.

Recuperò la sua birra ed entrambi si incamminarono in mezzo alla folla. Passando, incrociarono Mari, che li salutò con un sorriso e un cenno del capo. Lei era una delle poche ragazze con cui William aveva un genuino rapporto di amicizia, nonché tra le poche persone che conoscevano alla perfezione la sua situazione familiare.

Poco più avanti vide qualcosa a cui non poté rimanere indifferente. Noora stava ballando insieme alle sue amiche al margine della pista, i capelli che svolazzavano al ritmo in cui si muoveva, un sorriso dipinto sulle labbra, mentre con gli occhi chiusi si faceva trasportare dalla musica.

Si incamminò nella sua direzione senza curarsi di avvisare Chris del cambiamento di programma, e quando la raggiunse, la fece voltare afferrandola per una spalla. Lei non ebbe il tempo di chiedersi che cosa stesse succedendo, perché lui la baciò spegnendo qualunque protesta sul nascere.

Non si limitò ad un bacio superficiale, avendo come obiettivo proprio quello di dare spettacolo.

Noora lo intuì e dopo un po' riuscì a trovare la forza per interromperlo. Lanciando una breve occhiata intorno a sé, notò che le sue amiche non erano le uniche a guardarli ridacchiando. Alle spalle di William diverse ragazze erano già impegnate a commentare la scena a cui avevano appena assistito.

“William!”. Lo fissò mordendosi le labbra per tentare di arginare il sorriso che le si stava formando spontaneamente alla vista dell'espressione impertinente che lui stava esibendo.

“Noora!”, le fece eco, premendole le guance con i propri indici in maniera giocosa.

“Eri così carina, non ho potuto resistere”, le sussurrò poi all'orecchio.

Noora arrossì, ma alla penombra del locale nessuno avrebbe potuto accorgersene. Si scostò per guardarlo negli occhi, e dopo qualche istante fu lei a baciarlo mettendogli le braccia intorno al collo, proprio mentre la canzone che il DJ stava mixando arrivava al famoso ritornello: “Noi abbiamo trovato l'amore in un luogo senza speranza”.

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Capitolo 3
*** Family Portrait ***


Capitolo 2. Family Portrait [Pink]


10 Giugno 2016


È incredibile come il tempo sembri scorrere lento e sfrecciare veloce insieme quando si è felici. Sorridere è quasi una costante, affrontare le giornate è considerata una benedizione e tutti i problemi rimangono lontani dalla propria coscienza.

Ci sono pace e serenità, senza complicazioni.

Ma basta un solo istante perché il cielo crolli come un soffitto senza travi. Basta un evento insignificante per turbare la beatitudine del paradiso. Un attimo, e tutto diventa confuso, i tormenti tornano a pervadere la mente, e si comincia a fingere di stare bene davanti alle persone da cui si è circondati.

Eppure né Noora né William avrebbero potuto prendere in giro se stessi abbastanza a lungo da dimenticare i carichi pendenti sulle loro teste. Li ignoravano, ma erano proprio lì, come fantasmi, ad infestare le loro vite nel momento in cui queste erano più luminose che mai.

Quel giorno però, gli spettri avrebbero preteso nuovamente una parte della loro attenzione.

Per ogni minuto di felicità, bisogna pagare con una scheggia piantata nella propria anima.


* * *


William aveva chiesto a Noora di andare con lui al pub in cui si sarebbe visto con i ragazzi, ma non lo aveva detto a Chris, e sapeva che presto l'avrebbe pagata cara per questo.

Il suo migliore amico non era ancora riuscito ad entrare nell'ottica del fatto che adesso avesse una ragazza, e la sera prima si era presentato all'appartamento con una loro compagna di scuola senza avvisare, chiedendogli se potessero passare la notte lì, dal momento che entrambi avevano i genitori a casa. Succedeva spesso che Chris portasse le sue ragazze da William.

Quando ancora i due erano sulla porta e William stava spiegando a Chris che non era più il caso che facesse quelle improvvisate, Noora era comparsa dietro di lui e li aveva salutati perplessa. L'espressione di Chris si era inasprita, come se avesse mangiato un limone, e William aveva capito che finché non gli fosse passata quell'invidia infantile nei confronti della sua ragazza, sarebbe stato difficile passare del tempo con lui.

Perciò non gli aveva detto di aver deciso di portare Noora a quella serata. Voleva che lei conoscesse meglio i suoi amici, dal momento che si erano sempre incontrati alle feste, e una sera più o meno tranquilla a bere una birra gli sembrava la soluzione migliore. Se avessero voluto far funzionare quella relazione, avrebbero dovuto condividere ogni aspetto delle proprie vite, e gli amici per lui erano sempre stata la parte più importante.

Quando Noora uscì dal bagno, vestita e truccata in modo semplice come sempre, i capelli lisci ad incorniciarle il viso, lo trovò seduto sul divano ad aspettarla, con maglietta e pantaloni neri che creavano un contrasto delizioso con la sua pelle nivea. Inclinò leggermente il capo a destra e gli sorrise.

“Pronta”, annunciò.

Lui si alzò dal divano e le tese una mano, ricambiando il sorriso. “Andiamo”.


* * *


Scendendo dalla Porsche di William, improvvisamente Noora fu colta dall'agitazione. Non era da lei essere in ansia al pensiero di cosa pensassero altre persone sul suo conto, solitamente non le importava. Ma quei ragazzi erano quasi una famiglia per lui, ed era fondamentale che si creassero dei rapporti almeno civili.

Passandole un braccio intorno alle spalle, William le diede un bacio tra i capelli e la rassicurò.

“Li hai già visti: non mordono. Abbaiano soltanto”.

“Ah-ah. Il solito spiritoso”, replicò lei cercando di spingerlo via, ma con scarsi risultati, perché lui la strinse ancora di più.

Il locale in cui entrarono era il tipico pub di stampo irlandese. Bancone in legno scuro, segnato dal tempo e dagli avventori, tavoli ricavati da grossi barili e sgabelli alti. Gli amici di William, che lei riconobbe tutti come membri del Riot Club, erano disposti intorno a tre tavoli ed avevano già tutti un boccale tra le mani. Notò con piacere che c'erano anche altre due ragazze, una delle quali era Mari, seduta accanto ad una mora che Noora aveva visto qualche volta a scuola. Almeno non sarebbe stata un'imbucata ad una serata tra ragazzi.

Quando li videro entrare dalla massiccia porta del pub, iniziarono tutti a salutare William con urla e cori da stadio, tra cui Noora distinse un motivetto che faceva: “Magnusson del nostro cuor”, cantato a gran voce da un ragazzo che ricordava chiamarsi Alexander, e non poté fare a meno di ridere.

William scoppiò a ridere a sua volta e, tenendola per mano, si avvicinò a quel gruppo di scalmanati, iniziando a salutarli con strette di mano e pacche sulle spalle. Tutti tranne Chris rivolsero un saluto anche a Noora.

Né a lei né a William sfuggì questo dettaglio.

Noora salutò Mari, che le presentò anche l'altra ragazza, Liv.

“Ehi, vanno bene le cose adesso, a quanto pare”, le disse Mari con un sorriso, accennando a William che stava prendendo posto sullo sgabello accanto a Chris, proprio di fronte alle ragazze.

“Sì, non mi lamento”, le rispose, la gioia evidente nel suo tono. Poi raggiunse William e si sedette accanto a lui, Alexander alla propria destra.

Scoprì che le piaceva la compagnia degli amici di William. La divertivano, e in un certo senso loro la consideravano una sorta di eroina per essere riuscita ad incastrare in una relazione l'unico fra loro che in genere faceva in modo di non frequentare per più di due settimane la stessa ragazza. Le raccontarono diversi aneddoti interessanti, uno più compromettente dell'altro, mentre i boccali di birra continuavano a svuotarsi e ad essere riempiti nuovamente. William li lasciò fare, dal momento che non aveva scheletri nell'armadio in quell'ambito, ma dovette ricredersi quando Chris, che fino a quel momento era stato stranamente in silenzio, disseppellì un ricordo legato all'estate precedente che lui aveva completamente rimosso.

“Ricordi quella scommessa che abbiamo fatto con tuo fratello?”.

“Chris!”, lo ammonì William, irrigidendosi e stringendo la mano di Noora, ma lui continuò lo stesso.

“Che saremmo riusciti a scoparci tutte quelle della sua classe delle superiori entro la fine dell'estate? E cazzo se ci siamo riusciti”, concluse con soddisfazione.

Noora inorridì e si voltò di scatto a guardare William, con la speranza che smentisse quella storia assurda. Una cosa era usare il sesso come passatempo, ben altro renderlo una sorta di gioco d'azzardo.

Lui prese a fare dei movimenti circolari col pollice sul dorso della mano che le stringeva, per tranquillizzarla, e incenerì Chris con lo sguardo. Aggrottò la fronte e scosse il capo come a chiedergli che cosa gli fosse preso, e l'amico gli restituì uno sguardo innocente.

“Ah, Magnusson, sei sempre stato un pezzo di merda”, intervenne Alexander in tono drammatico, per stemperare la tensione palpabile. Tutti risero e la conversazione si spostò su argomenti meno spinosi, ma Noora rimase in silenzio, sulle sue. Smise di interagire anche con le ragazze e si chiuse in se stessa, la mano abbandonata mollemente in quella di William. Lui tentò un paio di volte di includerla nel discorso, ma lei si limitò ad annuire.

“Noi andiamo un attimo fuori, mi fumo una sigaretta”, annunciò allora William al resto del gruppo, facendo alzare Noora e trascinandola verso la porta.

Lei lo seguì senza protestare, ma quando furono all'aria aperta ritrasse la mano bruscamente e prese le distanze.

Senza scomporsi fece un lungo respiro, lo guardò negli occhi e gli chiese: “Perché l'hai fatto? È una cosa assurda quella che ho sentito là dentro. Scommesse sul sesso?”.

William scosse il capo e si guardò intorno, mentre cercava le parole giuste da dire.

“Noora, è come per la bottiglia, non c'è niente che possiamo farci adesso. Per la maggior parte della mia vita ho fatto lo stronzo con tutti tranne i miei amici. E adesso non lo sto più facendo con nessuno. Perché non riesci a fartelo bastare?”, chiese. Sapeva che Noora non avrebbe mai accettato le scelte che aveva fatto in passato, ma pensava che ormai fossero andati oltre la fase delle recriminazioni, che apprezzasse quanto si stesse impegnando per lei.

“Lo so, William... ma...”, non riuscì a terminare. Non sapeva che cosa dire, perché lui aveva ragione. William non era cambiato, nessuno cambia all'improvviso, però si stava sforzando per riuscire a controllarsi, e lei avrebbe dovuto stargli vicino e spronarlo a far uscire la sua parte migliore. Ma era difficile sapere che la persona che amava era stata capace di certe azioni e non esserne in qualche modo spaventata.

Lui si avvicinò con cautela e le mise le mani intorno alla vita. Ritrovandosi premuta contro di lui, Noora dovette alzare la testa per riuscire a guardarlo ancora negli occhi. Scrutarono a lungo l'uno lo sguardo dell'altra, tentando di trasmettersi tutto ciò che non potevano dire a parole e cercando le risposte di cui necessitavano per superare anche quel momento.

Ad un certo punto, il cellulare di William iniziò a squillare nella sua tasca, ma lui lo ignorò e strinse finalmente Noora in un abbraccio riparatore, a cui lei si arrese immediatamente.

Dopo diversi squilli andati a vuoto, il telefono smise di suonare, per poi riprendere con insistenza qualche istante più tardi.

“Dovresti rispondere”, disse Noora contro il suo orecchio.

Lui si scostò per estrarre l'iPhone dalla tasca e controllare chi fosse a quell'ora. Quando vide il mittente della telefonata la sua espressione si fece scura, come se all'improvviso qualcuno avesse spento un interruttore.

“È mio padre”, le spiegò, prima di allontanarsi da lei per rispondere.

“Pronto?”.

“Ciao, William”. La voce di Havard Magnusson riusciva stillare contrarietà anche pronunciando un semplice saluto.

“Ciao, papà”, gli fece eco il figlio, immaginando il motivo della telefonata. La stava aspettando dal giorno della dichiarazione fatta alla polizia. Non sapendo bene come muoversi in quella situazione, aveva chiamato lo studio legale a cui si rivolgeva suo padre ad Oslo, ed era consapevole che lo avrebbero avvisato, dal momento che quella mansione sarebbe stata addebitata sul suo conto.

“Non mi piace quello che mi hanno detto oggi, ragazzo mio”. Havard non si preoccupò minimamente di informarsi su come stesse suo figlio. Nessuna traccia di affetto nel suo tono, nemmeno il minimo accenno di sentimento.

Noora notò la tensione nelle spalle di William e si accostò a lui, prendendogli la mano libera e intrecciando le dita alle sue. Si voltò verso di lei e le rivolse un breve sorriso che non raggiunse gli occhi.

“Che cosa ti hanno detto oggi?”, chiese, dopo un attimo di esitazione. Adesso la rabbia cominciava a farsi strada dentro di lui, come ogni volta che si trovava a fronteggiare la totale assenza di interesse dei suoi genitori.

“Mi ha chiamato l'avvocato di Oslo per dirmi che hai chiesto di essere difeso da lei ad un'udienza per una rissa. A quanto pare hai pensato bene di spaccare una bottiglia in testa ad un ragazzo mentre qualcuno ti riprendeva”.

“Sì, è vero. Quindi?”, chiese William, tentando di mostrarsi indifferente al disprezzo che trasudavano le parole del padre.

“Non mi serve un figlio che va in giro a farsi accusare di lesioni. Se qualcuno qua venisse a saperlo, diventerei lo zimbello della società, e sai che sono ad un passo dal diventare presidente. Qualunque tipo di pubblicità negativa potrebbe costarmi quel posto”. Ed ecco che tutto si riduceva sempre al suo lavoro.

“Che cosa c'entra quello che faccio io ad Oslo con il tuo lavoro a Londra?”.

Vedendo che William stava iniziando a perdere la calma, Noora gli accarezzò una guancia, facendolo abbassare per appoggiare la fronte contro la sua.

“Non tentare di usare la tua logica da quattro soldi con me, William. Sai che cosa voglio dire. Stai superando il limite in questo periodo, a partire da quella tua idea mai andata in porto di trasferirti qua. Non mi hai neanche voluto dire che cosa sia successo, ma immagino nulla di buono”. Havard fu quasi derisorio nel fare quell'insinuazione, come se fosse ovvio che da suo figlio non potesse aspettarsi niente di positivo. Come se fosse ovvio che non sarebbe mai stato in grado di combinare niente che fosse degno di nota nella sua vita.

“Non è un tuo problema”, ribatté William lapidario.

“Lo è, visto che sono io a mandarti tutti i soldi che spendi. Ora che sei diplomato, dovresti iniziare a pensare a quello che devi fare della tua vita”.

“Va bene, non dobbiamo parlarne adesso. Volevi altro?”, tentò di tagliare corto.

“L'avvocato ha detto che ti arriverà una comunicazione a casa, ma che le hanno già fatto sapere che l'udienza si terrà il trenta giugno. Stai attento, William, sto perdendo la pazienza con te. Ti comporti sempre più come tuo fratello”. Di tutte le parole che avrebbe potuto usare, suo padre scelse quelle che sapeva avrebbero fatto breccia nella mente del figlio. Essere paragonato a Nikolai era l'incubo a cui William tentava di sfuggire da anni.

“Buonanotte, papà”, tagliò corto, e chiuse la telefonata senza dargli la possibilità di rispondere.

Sospirò di sollievo e lasciò che per qualche minuto Noora spazzasse via il suo nervosismo con le sue carezze. Immerse il viso nell'incavo del suo collo e inspirò il suo profumo, pensando che a fine serata l'avrebbe portata a casa e avrebbero fatto l'amore, e tutto sarebbe ricominciato a girare per il verso giusto.

Si scostò e la baciò in maniera profonda, lasciandola andare soltanto quando ebbero entrambi bisogno di prendere aria.

“Torniamo dentro?”, gli chiese lei, con un sorriso di incoraggiamento.

William annuì e insieme tornarono dai suoi amici.


* * *


10 Gennaio 2007


Era il suo decimo compleanno, ma alle otto di sera ancora nessuno in casa gli aveva fatto gli auguri.

Sua madre se ne andava in giro con un bicchiere sempre pieno di vino rosso in mano, suo padre non era rientrato dal lavoro e Nikolai era ancora chiuso in camera sua dopo la scenata che aveva fatto appena tornato da scuola. Aveva smesso da poco di piangere e urlare, ma nessuno ormai ci faceva più caso.

Era passato poco più di un anno dall'incidente in cui avevano perso Amalie, e se prima Nikolai era invisibile agli occhi dei genitori, adesso era diventato meno di un'ombra nelle loro vite.

William era un caso a parte. Lui era il gemello fortunato, quello che era rimasto illeso, e sua madre non perdeva occasione per ricordarglielo e farlo sentire in colpa per questo. Se fosse stato per lei, avrebbe barattato entrambi i suoi figli maschi per riavere la sua principessa.

William prese dallo zaino il bigliettino di auguri che gli aveva dato Mari quella mattina a scuola, poi scavò più a fondo e tirò fuori il videogioco che gli aveva regalato Chris. Fu tentato di provarlo in quel momento, ma non voleva attirare l'attenzione della madre ubriaca accendendo la televisione, così rimise tutto nello zaino e si preparò per andare a letto, sebbene ancora non avesse cenato. Sapeva che sua madre si era dimenticata anche quella sera di preparare qualcosa, e aveva paura di incontrarla quando lei beveva, così mettersi a dormire gli sembrò la soluzione migliore.

Mentre spegneva la luce e chiudeva gli occhi su quella giornata orribile, pensò a quando lui e Amalie sgattaiolavano fuori di casa mentre mamma e papà litigavano per colpa di Niko.

Gli mancava sua sorella, la sua metà. Adesso era rimasto da solo.

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Capitolo 4
*** Certain Things ***


Ciao a tutti, finalmente riesco a pubblicare il nuovo capitolo. Purtroppo la sessione esami non mi dà tregua, in più questo capitolo è stato bello tosto da scrivere. Anticipo che è un capitolo di passaggio (quante volte ho già usato la parola capitolo?), ma necessario per chiudere la parte introduttiva della storia, infatti è un po' più lungo degli altri. Era indispensabile che i nostri due ragazzuoli mettessero bene in chiaro delle cose tra di loro, per essere pronti a quello che avverrà da qui in poi. Spero che non vi annoi, perché a me è piaciuto tantissimo scriverlo, mi ha aiutato ad entrare un po' di più nei personaggi.

La smetto con i miei sproloqui e vi lascio alla lettura.

Grazie per essere qui. :)

Capitolo 3. Certain Things [James Arthur]


28 Giugno 2016


Quel martedì William e Noora si alzarono presto, nonostante non avessero nessun impegno. Volevano godersi gli ultimi giorni che li separavano da quel tribunale che avrebbe deciso che cosa ne sarebbe stato delle loro vite per i prossimi mesi. Se fosse stato condannato – ed era molto probabile che ciò avvenisse, anche se non severamente –, William avrebbe portato il segno indelebile di quella vicenda per tutta la vita.

Entrambi ebbero l'idea di tornare ad Ekeberg per approfittare del panorama offerto dalla loro splendida città dall'alto e sedersi di nuovo su quella panchina alla luce del sole, senza la tensione e le barriere dell'ultima volta in cui ci erano stati.

Per un po' oziarono in silenzio, appagati dalla reciproca compagnia e dal tepore del sole. Noora era così rilassata che stava per addormentarsi appoggiata a William, quando lui decise che era arrivato il momento di mettere in chiaro esplicitamente tutto il necessario perché potessero far fronte a ciò che sarebbe venuto da lì in poi.

“Quando ci siamo messi insieme... ero già innamorato di te”, esordì, in tono incerto. Aprirsi in quel modo così diretto non era nelle sue corde, ma sapeva che lei aveva bisogno di sentirsi dire quelle cose, e voleva che non avesse assolutamente alcun dubbio su quanto di se stesso stesse investendo nella loro relazione.

Noora si scostò per guardarlo in faccia, temendo di non aver sentito bene. “Eh?”.

William inspirò ed espirò lentamente, cercando il coraggio di fare quell'ultimo passo che lo avrebbe messo completamente a nudo. Le prese una mano e intrecciò le dita alle sue, per avere qualcosa di concreto a cui aggrapparsi. “Quel giorno, quando sono venuto a prendere Vilde da Eva e tu hai inventato quella scusa per sua madre, non so che cosa mi sia successo. La mattina dopo ho cercato il tuo profilo su Facebook e da lì sono riuscito ad avere qualche notizia su di te. Qualche tuo amico spagnolo ha menzionato il tuo secondo nome in un commento ad una vecchia foto profilo. Amalie, come mia sorella. Non ci potevo credere”. Scosse la testa, ancora incredulo.

“Già... Amalie, come la mia nonna materna”. Sorrise, perché quando aveva saputo da Mari di Amalie, anche lei non aveva potuto fare a meno di notare la coincidenza.

“Non riuscivo a togliermi quel dettaglio dalla testa”, aggiunse lui.

“Ma è soltanto un nome, William”.

“Sì, è vero. Penso che fosse un modo di metabolizzare quello che sentivo, perché all'inizio non riuscivo ad accettarlo”, ammise.

“Eppure hai cercato il mio numero di cellulare e hai iniziato a scrivermi”, gli ricordò.

William rise divertito al ricordo del momento in cui aveva deciso di farsi avanti. “Quello è successo dopo che ti ho vista tirare fuori le unghie per difendere Vilde. La biondina più carina della scuola, quella che odiava attirare l'attenzione su di sé, per la seconda volta si stava esponendo per il bene di una sua amica. A scuola non sono molte le persone che si sarebbero messe contro di me, lo sappiamo entrambi”.

“Oh, perché William Magnusson è così figo”, scherzò lei, scimmiottando un'espressione di ammirazione.

Lui si fece serio. Era stato toccato un nervo scoperto. “Non mi ci sono messo io, in quella posizione, Noora”.

“In parte hai ragione, ma ci hai sguazzato parecchio da quello che ho visto. Le ragazze non aspettavano altro che ricevere cinque minuti delle tue attenzioni, mentre i ragazzi ti vedevano come il loro leader, e a te stava bene così”, gli rispose lei, con la sua stessa serietà. Parlare di quell'argomento le ricordava tutti i motivi per cui aveva pensato che fosse una pessima idea lasciarsi coinvolgere da lui. Quando aveva realizzato di provare dei sentimenti per l'unico ragazzo per cui credeva che non avrebbe dovuto, si era sentita quasi intrappolata, sconfitta. D'altro canto, lui adesso voleva spiegare quella parte di sé fino in fondo, e Noora lo avrebbe ascoltato.

“È comodo essere considerati in quel modo, quando hai un carattere come il mio. Tu puoi tenere d'occhio tutti, ma quasi nessuno riesce ad avvicinarti veramente”, le fece notare.

“Lo so. Devi esserti sentito così solo...”. Se lei aveva una certezza, era quella. William non aveva fatto altro che circondarsi di vuoto e solitudine, con la sola eccezione dei suoi amici, a cui aveva voluto bene in una sua maniera personale, ossia tenendoli lontani dalla propria anima, ma avendo cura della loro.

Lui rimase in silenzio per qualche istante, stringendo i denti per non dare a vedere il dolore che portava con sé quell'affermazione.

“Comunque, in quel momento ho voluto convincermi che sarebbe stato divertente provare a conquistarti, ma in realtà sapevo benissimo che mi era scattato dentro qualcosa che non potevo ignorare. I miei amici non riuscivano a credere che te l'avessi fatta passare liscia, ma non ero stato in grado di dirti nulla. Mi faceva sorridere il tuo modo schietto di dire esattamente quello che pensavi, però ho capito subito che quella parte di te veniva fuori soltanto quando non eri il soggetto della conversazione. Avrei dovuto sentirmi offeso, e invece continuavo a pensare ai tuoi occhi puntati nei miei, senza vacillare nemmeno per un secondo, mentre mi davi del frustrato”.

Noora abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per aver calpestato i suoi sentimenti nello stesso modo in cui lui aveva fatto con quelli di Vilde. William aveva avuto ragione a dirle che non era stata più corretta di lui. “Quel giorno mi sembravano le cose giuste da dire, adesso invece credo di non essere stata migliore di te”.

William le sollevò il mento e puntò gli occhi nei suoi. “La differenza è che tu stavi difendendo Vilde e le tue convinzioni, io cercavo il modo più veloce di far allontanare la tua amica da me”.

Non la convinse del tutto, ma lei lasciò cadere la questione. Ciò che le premeva capire ora era altro.

“Perché mi stai dicendo queste cose proprio adesso, William?”

“Perché devi sapere senza alcun dubbio che qualunque sarà la sentenza fra due giorni, tu rimarrai la mia priorità. Ho capito che lo eri nel momento in cui mi sono fatto convincere a scusarmi con Vilde, ma lo sei stata dalla prima volta in cui ti ho vista rimanere senza parole per un mio complimento. E forse lo eri già diventata quel giorno in cui ti ho sorpresa ad ascoltare Justin Bieber, quando ho visto la ragazza che eri sotto la corazza che indossavi. Non c'è niente che sia più importante per me che stare con te, ma verrà sempre prima il tuo bene. Capisci che cosa ti sto dicendo?”. Si assicurò di mettere in quella dichiarazione tutta la determinazione, tutta l'intensità, che voleva trasmetterle. E tutte le sue intenzioni.

Lei si innervosì visibilmente, quindi William cominciò a disegnare dei cerchi sulla sua mano con il pollice per cercare di tranquillizzarla.

“Non ho intenzione di lasciarti se dovrai passare del tempo in prigione. Pensavo che ormai avessimo superato la fase in cui cerchi di proteggermi allontanandomi”.

“Io non smetterò mai di proteggerti, così come tu non smetterai di proteggere me”, ribatté lui, come se fosse la cosa più ovvia.

Lei alzò gli occhi al cielo, ma poi si rilassò. “Ci sono alcune cose che non si possono cambiare, eh?”.

“Noi dobbiamo essere una di quelle”.

Rimasero incantati a guardarsi negli occhi e sorridersi per un po'.

“Finalmente cominci a dire qualcosa di sensato, Magnusson”.

“Devi sempre fare la saputella. Neanche questo si può cambiare”, le disse con un sorrisino provocatorio, poi la conversazione si spostò su temi più leggeri, sebbene Noora non riuscisse ad archiviare qualcosa che prima aveva notato soltanto distrattamente, ma che adesso la stava ossessionando.

“Non avevi mai nominato tua sorella prima”, disse infine, non avendo più la forza di trattenersi.

Vide William sbiancare, come se avesse appena visto un fantasma.

“Sicuramente sai già tutto. Non è un segreto quello che è successo”, cercò di tagliare corto.

“Ma lo è il tuo punto di vista”, insisté lei.

William sospirò prima di iniziare a raccontare l'unica storia di cui tutti conoscevano la trama, ma della quale non aveva mai fatto parola con nessuno, nemmeno con Chris.

Noora si preparò ad ascoltare tutto ciò che lui le avrebbe detto, sapendo che se l'avesse interrotto anche solo per un istante, lui si sarebbe nuovamente chiuso a riccio.

“Io e Amalie stavamo facendo i compiti. Di solito ci aiutava la ragazza alla pari, ma quella volta aveva ricevuto una telefonata urgente ed era dovuta andare via, così siamo rimasti da soli con mia madre e Niko. Mia madre era troppo impegnata con il vino come al solito per badare a noi. Ad un certo punto Niko è venuto da noi, euforico, e ci ha detto che aveva avuto una bella idea. Io ed Amalie eravamo d'accordo con lui ancora prima che ce ne parlasse, non succedeva quasi mai che Niko ci coinvolgesse in qualcosa, di solito teneva le distanze da tutti noi, sempre troppo arrabbiato per tollerare la presenza della sua famiglia. Noi due stravedevamo per lui, era il nostro fratello maggiore, volevamo assomigliargli, ma lui ci respingeva sempre. Quella volta lo abbiamo seguito senza esitazione”. Si interruppe per ingoiare il groppo che gli si era formato in gola. Rivangare il passato era un'agonia che aveva evitato per tutti quegli anni.

“Dopo che la macchina è finita giù da quella collina, io sono svenuto e mi sono svegliato soltanto quando mi hanno tirato fuori. Niko non ha ripreso conoscenza finché non è arrivato in ospedale. Amalie, invece... lei è morta sul colpo”.

Noora gli strinse la mano, poi lo abbracciò rifugiandosi contro il suo petto, per distogliere lo sguardo dal suo in modo da lasciargli gestire il dolore in maniera privata e allo stesso tempo fargli sentire che era vicina. Lui in risposta la strinse forte.

“Era la mia gemella, sai cosa significa? Che nessuno dei due era mai esistito senza l'altro. Io nel vero senso della parola, perché sono nato qualche minuto dopo di lei”. Un sorriso appena accennato spuntò sulle sue labbra a quel pensiero. Amalie gli mancava ancora, sempre con la stessa intensità del primo giorno, eppure ormai gli sembrava il ricordo di un'altra vita. Era un pezzo di lui che si era staccato per non ritornare mai più, e con lei si era portata via tutto il calore. Ma quel calore era tornato con Noora, e questa consapevolezza gli diede il conforto indispensabile a proseguire il racconto.

“Da quel momento la mia famiglia non è più esistita. Mia madre ha iniziato ad aggiungere ansiolitici e antidepressivi al vino, mio padre a non tornare a casa neanche nel weekend, ora so che il lavoro non era l'unica ragione. Se prima non gli importava niente di Niko, a quel punto ha iniziato ad odiarlo. Per quanto riguarda me, sono semplicemente diventato invisibile, come se fossi morto insieme a mia sorella. Ogni volta che potevano mi ricordavano che io ero vivo e lei no. Alla fine ho iniziato ad evitarli il più possibile. Per ironia della sorte mi sono avvicinato a mio fratello, ma era già il bastardo che è adesso. Quando mi sono accorto che tutto quello che faceva aveva lo scopo di farmi vivere nella sua stessa miseria, mi sono allontanato anche da lui”. Le diede un bacio tra i capelli e la avvicinò ancora di più a sé, per quanto fosse possibile. Noora si ritrovò con il viso contro l'incavo del suo collo. Chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo, infilando una mano tra i suoi capelli. Era felice che lui l'avesse coinvolta fino a quel punto nella sua vita, e sapeva che prima o poi anche lei avrebbe dovuto tirare fuori dall'armadio gli ultimi scheletri rimasti. Ma non adesso, per quel giorno era già stata messa abbastanza carne al fuoco.

Tuttavia desiderava dargli le stesse certezze che le stava dando lui.

“William, anche tu sei la mia priorità. Non dovrai più affrontare niente di tutto questo da solo, che sia una telefonata di tuo padre o una qualche recriminazione da parte di tua madre. Tuo fratello per un bel po' non potrà fare altre stronzate”.

“Niko non sarà mai innocuo, ma non aveva mai dovuto fare i conti con le sue azioni in questo modo, forse mi lascerà in pace”, concordò.

“Anche se dovesse tornare a tormentarti, adesso non dovrà affrontare solo te”.

Noora sentì le mani del suo ragazzo stringersi in due pugni contro la sua schiena.

“Più penso a quello che ti ha fatto e più mi sento stupido per come ho reagito. Mi sono fatto manipolare. E in fondo, anche senza aver letto i tuoi messaggi, lo sapevo che non poteva essere come diceva lui, ma mi sono spaventato così tanto per il modo in cui mi sono sentito al pensiero che...”.

“Non ha più importanza adesso”, lo interruppe.

“Sì, ne ha. Ne avrà sempre. La paura ha preso il sopravvento come ogni volta. Non riuscivo a pensare lucidamente, era tutto così confuso: l'intensità del dolore al pensiero che tu avessi potuto tradirmi; la delusione per il fatto che non ti fossi fidata abbastanza di me da condividere la tua angoscia, quando ho capito che non potevi aver fatto una cosa del genere di tua volontà; l'orrore al pensiero che se Niko ti aveva coinvolta nei suoi giochi mentali la colpa era mia, per averti fatta entrare nella mia vita; e il terrore per aver realizzato di non avere il minimo controllo sui miei sentimenti per te... È stato troppo, ma avrei dovuto stringere i denti e rimanere ad ascoltarti, rispondere alle tue chiamate, leggere i tuoi messaggi. Invece ogni volta che arrivava una notifica da parte tua cancellavo la conversazione senza aprirla. Non ho ascoltato l'unica persona che amo. Avevi ragione a non fidarti di me”. Si tormentava per non essere stato all'altezza della persona leale che credeva di essere, e per aver abbandonato nel momento del bisogno la ragazza a cui aveva promesso che non le avrebbe mai fatto del male.

“E adesso da dove viene tutta questa insicurezza?”, gli chiese lei, tentando di sciogliere la tensione nelle sue spalle facendo scorrere le mani su e giù sulla sua schiena.

“Cazzo, Noora, abbiamo passato un mese a fare finta che andasse tutto bene, io non ce la faccio più”, sbottò William, districandosi all'improvviso dal loro abbraccio.

Noora rimase impietrita.

“Non ce la fai più a fare cosa?”, chiese incerta.

“A fingere. A lasciare da parte la rabbia che sento quando penso che fra due giorni tutto si complicherà ulteriormente proprio quando la mia vita è esattamente come vorrei che fosse”, confessò abbattuto. L'angoscia era chiara nei suoi occhi lucidi.

Noora riprese la sua mano fra le proprie e se la portò al viso. Doveva rassicurarlo, non era abituata a vederlo così combattuto, William era la persona più forte e decisa che avesse mai incontrato.

“Lo abbiamo sempre saputo che sarebbe arrivato il momento di affrontare questo casino una volta per tutte, e lo abbiamo accettato. Entrambi. Sei solo spaventato. Di nuovo”, gli disse serenamente, come per trasmettergli la pace con cui accoglieva quella situazione e tutto il bagaglio emotivo che portava con sé.

“Hai ragione”, sospirò lui.

“Non si rovinerà niente tra me e te, William. Te lo prometto”.

“Dio, quanto ti amo”, le disse, attirandola in un impeto per darle un bacio.

“Sarà meglio, perché ti amo anch'io”, gli rispose lei maliziosa, citando quasi testualmente un suo vecchio SMS.

“E qui arriviamo al punto in cui ti ricordo che dicevi che non ti saresti mai innamorata di me”, la rimbrottò scherzosamente.

Noora sentì l'entusiasmo svanire. Quella conversazione stava diventando la prova che anche la più innocente delle battute poteva attivare mine ancora inesplose tra loro, matasse che era necessario sbrogliare una volta per tutte.

“Come potevo pensarla diversamente? Tu ti comportavi come se fossi il re del mondo, e io è tutta la vita che cerco di stare alla larga da quel genere di persone. Mi arrivavano voci di te che prendevi a pugni qualcuno ogni weekend, spuntava sempre fuori una ragazza diversa che narrava la sua avventura con il decantato William Magnusson. Anche se riuscivo a intravedere qualcosa di reale in te tra le crepe, la mia parte razionale non riusciva ad accettare che potessi provare qualunque tipo di emozione o sentimento per te. Semplicemente non c'era nulla che riuscisse a convincere la mia mente che io fossi qualcosa di più di un altro trofeo da vincere. So di essere considerata una ragazza carina, non ho mai finto il contrario, ma non ho mai voluto che questo mi definisse, e avvicinarsi al ragazzo più popolare della scuola non aiutava la mia causa. Non volevo essere il tipo di ragazza che si fa incastrare dal primo fascinoso pieno di sé che pensa che il mondo sia ai suoi piedi. Per il resto sai bene che cosa pensavo di te all'inizio e cosa credevo di pensare ancora quando ci siamo messi insieme. E il modo in cui ti comportavi con Vilde... quello confermava le mie convinzioni, non mi serviva altro. Sei andato a letto con lei e non hai neanche usato il preservativo, 'perché io di solito faccio così', da quanto ha detto lei. Che razza di idiota fa una cosa del genere? Poteva essere incinta”.

“Mi aveva detto che prendeva la pillola”, tentò di giustificarsi lui, con poca convinzione.

“Questo non importa, William. Nemmeno la conoscevi ed era la sua prima volta. E poi le hai detto quelle cose orribili. In quel momento mi hai ricordato il ragazzo con cui stavo a tredici anni”. Finalmente glielo aveva detto. Quel tarlo che scavava sin da quel giorno in cui lo aveva affrontato nel cortile della scuola adesso se ne stava tra loro due in attesa di essere schiacciato.

Lui chiuse gli occhi un istante per mettere in ordine le idee. Quando lei gli aveva confessato perché fosse tanto restia al sesso, si era sentito morire dentro, e allo stesso tempo aveva dovuto lottare per trattenere la collera. Non solo i suoi genitori l'avevano trattata come se non avessero mai provato affetto nei suoi confronti, ma quello stronzo da cui lei aveva cercato un contatto umano sincero si era portato via l'ultima speranza che le era rimasta di sentirsi meritevole di amore.

“Mi dispiace, Noora. Io...”, inizò William, ma lei lo interruppe.

“Ora so che tu non sei così. Ma non puoi biasimarmi se all'inizio ho pensato quelle cose di te. Era quello che avevi scelto di far vedere a tutti”.

“Sto provando a comportarmi diversamente, perché adesso ho capito che non serve. Ma ci saranno momenti in cui senza rendermene conto ritornerò ai vecchi schemi, è quasi inevitabile, questo lo sai?”, cercò di spiegarle.

“E io sarò lì a ricordarti che non è quella la persona che vuoi essere”, annuì lei.

“A meno che non sarai tu la persona che ferirò”.

“So che non lo farai, non intenzionalmente. Però niente più bottiglie in testa alla gente”. Tentò di strappargli un sorriso, riuscendo nell'intento.

“Va bene, cercherò di essere più creativo”, le promise, scompigliandole i capelli.

Noora allontanò il suo braccio con un colpo secco.

“Spiritoso”.

William la afferrò per i fianchi, sollevandola per farla sedere sulle sue gambe. Le diede un bacio per prepararla a quello che stava per dirle – qualcosa che avrebbe chiuso con il giusto spirito quella mattinata di confessioni –, poi sganciò l'ultima bomba che aveva in serbo per quella giornata.

“Non sei mai stata come le altre per me”.

“Eh?”, disse lei, presa di nuovo in contropiede.

“Nemmeno per un istante ti ho vista come un passatempo. E la prima volta che ci siamo baciati... appena ti ho toccata ho capito tutto. Quando sto con te in quel modo è come se sapessi perfettamente chi sono. Prima quando toccavo una ragazza lo facevo per perdermi, con te lo faccio per ritrovarmi”. La sincerità e l'abbandono nei suoi occhi erano così disarmanti, che Noora non seppe fare altro che ripagarlo con il medesimo dono.

“È lo stesso per me. Non mi facevo toccare da nessuno perché avevo paura di perdermi di nuovo, come qualche anno fa. Quando ho lasciato che tu lo facessi, invece, mi sono sentita come se finalmente fossi del tutto presente a me stessa”.

“Non pensare a noi come se esistessero un modo giusto e uno sbagliato di gestire le cose. È stato chiaro fin dall'inizio che tra di noi non poteva funzionare in maniera ordinaria. Devi pensare a ciò che ti fa stare bene”, la pregò William, con la fronte accostata alla sua.

“Non lo faccio più da un pezzo, William”.

“Sarà difficile, ma ce la faremo”, la rassicurò.

“Ne sono convinta anch'io”.

E ne era certa davvero. La speranza brillava in lei più splendente che mai.

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Capitolo 5
*** Fingers Crossed ***


Rieccomi ancora qui con i miei deliri. Questo capitolo avrebbe dovuto essere ben più lungo di così, ma per non prolungare l'attesa ho deciso di dividerlo in due, così la parte dedicata al famigerato 30 giugno arriverà nel prossimo. Qui però faremo la conoscenza di un personaggio che sarà la benzina della storia, in futuro capirete perché. Spero di riuscire a postare il prossimo capitolo entro il 12 febbraio, dopodiché non assicuro di riuscire a postare più volte a settimana, ma a seconda del tempo che avrò, della lunghezza e complessità dei capitoli, prometto che posterò almeno una volta a settimana. Detto ciò vi lascio, nella speranza che questa storia continui a piacervi. Ah, presto rivedremo anche gli altri personaggi della serie, molti dei quali saranno fondamentali per William e Noora nei prossimi tempi.

Ora vi lascio davvero, grazie di essere qui, come sempre.

Capitolo 4. Fingers Crossed [Billie Eilish]


29 Giugno 2016


Rimaneva soltanto l'ultimo giorno di quiete. Un altro giorno e il loro mondo avrebbe cambiato colore per l'ennesima volta.

Da qualche ora continuavano ad oscillare in uno stato tra il sonno e la veglia, consapevoli che appena avessero messo un piede giù dal letto, avrebbero dovuto guardare in faccia quella realtà scomoda che li attendeva.

William era impegnato a dare dei baci pigri e leggeri sulla spalla di Noora, ancora con gli occhi chiusi, mentre lei gli passava le mani tra i capelli per stringerlo di più a sé, quando sentirono un rumore di passi avvicinarsi ed entrare nella stanza.

“Sapevo che ti avrei trovato ancora a letto. Alzati!”, sbottò l'intruso.

Noora trasalì e si sedette di soprassalto, presa completamente alla sprovvista da quella visita. Capì subito di chi si trattasse. Se non fosse bastato il suo intuito, un'occhiata allo sconosciuto sarebbe stata sufficiente. La linea della mascella, il naso e gli occhi erano identici a quelli di William, così come la carnagione chiara e i capelli castani – sebbene questi ultimi fossero inframmezzati da parecchi fili grigi. Anche l'atteggiamento e la postura sicuri rispecchiavano quelli del figlio. Gli unici particolari a distinguerli erano l'età e il completo di alta sartoria che il più anziano portava come segno del suo status.

Stava facendo la conoscenza del padre del suo ragazzo mentre era a letto – poco vestita – con lui. Realizzando la velocità con cui si era messa a sedere, si affrettò a sistemare la spallina della canottiera che William aveva fatto scivolare lungo il suo braccio poco prima.

Anche William si tirò su, ma con calma, ormai abituato agli atteggiamenti dominanti del padre.

“Manda via la tua amica, abbiamo delle cose da fare oggi”, ordinò Havard in tono autoritario. Non c'era nemmeno un accenno di calore nella sua voce, era come se stesse impartendo istruzioni ai comandi vocali del cellulare.

Il figlio sospirò, stringendo i denti per non cedere alla tentazione di dare sfogo all'irritazione che provava.

“Papà, Noora. Noora, mio padre”, fece le presentazioni, senza distogliere gli occhi da quelli di Havard.

“Buongiorno, signor Magnusson”, disse lei, ma Havard aveva già ricominciato a parlare.

“Va bene, adesso però ho bisogno di rimanere da solo con mio figlio. Se vuoi scusarci”, le intimò.

“Cazzo”, soffiò William tra i denti, alzando gli occhi al soffitto, una mano stretta a pugno tra le coperte.

Noora, non sapendo come gestire la situazione, guardò William in cerca di un suggerimento.

Lui si limitò a restituirle lo sguardo e le appoggiò una mano sul braccio per trattenerla, poi si rivolse di nuovo a suo padre.

“Noora non va da nessuna parte. Vive qui”. Sputò in faccia ad Havard quell'informazione ben consapevole delle conseguenze che avrebbe provocato. Infatti vide l'espressione dell'uomo passare dal leggermente infastidito all'oltraggiato nello spazio di un istante.

“Mi stai prendendo in giro?”.

“No. È la mia ragazza e vive qui, con me. Ora esci da camera nostra, ti raggiungo subito”, lo invitò, tentando di tenere sotto controllo la voglia di cacciarlo dall'appartamento. Legalmente quella casa era di suo padre, di conseguenza c'era poco che potesse fare in proposito.

Quella circostanza rappresentava perfettamente le sue dinamiche familiari: una madre sempre assente e un padre che riappariva soltanto nei momenti in cui l'integrità del suo nome veniva messa in discussione da uno dei due individui che portavano malauguratamente il suo cognome. Una volta sistemata la faccenda a modo suo, sarebbe ritornato nel proprio mondo a sei zeri, dove avrebbe continuato a delegare alla sua assistente l'onere di assicurarsi che William e Niko avessero abbastanza soldi da non scocciarlo fino al prossimo disastro.

“Da quando?”, chiese Havard, ancora sorpreso.

“Dalla fine della scuola”, rispose William, mentre si alzava e infilava velocemente i pantaloni della tuta e la maglietta che erano rimasti sul pavimento, dove li avevano gettati nella foga il pomeriggio precedente.

Noora assisteva al loro scambio di battute in un misto di imbarazzo e irritazione. Se non avesse saputo quanto fosse importante per William rendersi forte e indipendente agli occhi di quell'uomo, si sarebbe già intromessa nella conversazione, senza porsi il problema di fare una buona impressione, dal momento che lui palesemente non era affatto interessato a conoscerla.

Quell'uomo aveva in sé la freddezza che William per anni aveva soltanto finto di possedere.

All'improvviso Havard scoppiò in una fragorosa risata.

“Quindi è per questo che tutto ad un tratto hai abbandonato il progetto di venire a lavorare per me? Perché ti sei attaccato alla gonna di una ragazzina?”.

Noora avvertì con chiarezza l'ultimo frammento di pazienza di William andare in frantumi. Gli vide negli occhi la stessa collera con cui aveva scagliato la bottiglia in testa al ragazzo della Yakuza, e si preparò allo scoppio d'ira imminente.

Tuttavia non accadde nulla, lui si limitò a stringere di nuovo i denti e sbattere le palpebre un paio di volte, come per relegare la rabbia in un angolo della sua mente in cui avrebbe potuto essere custodita. Non avrebbe dato a suo padre la soddisfazione di vederlo in quello stato.

“Papà, sul serio, aspettami in cucina”, gli intimò nuovamente, e per sottolineare quelle parole lo accompagnò fuori dalla camera da letto per il braccio, poi tornò da Noora.

“Adesso capisco chi ti ha trasmesso la passione per i cliché”, esordì lei, tirando un sospiro di sollievo. Ora che se n'era andato, l'ingombro della sua presenza si percepiva in tutta la sua pesantezza.

William non riuscì a ridere di quella battuta, troppo preso dai propri pensieri. Si passò una mano sul viso, rassegnato. Sapeva che suo padre si sarebbe presentato per l'udienza e che avrebbe provato a muovere qualche filo tra le sue conoscenze per impedire che venisse condannato, ma non si aspettava di vederlo fino alla mattina successiva, quando ormai il dado fosse stato tratto. Quella visita a sorpresa aveva appesantito di ulteriori complicazioni una situazione che era già di per sé dura da affrontare.

Aveva sperato di riuscire a tenere Noora lontana dal veleno della sua famiglia almeno sino alla risoluzione della sua situazione giudiziaria, visti i trascorsi con Niko, ma aveva dimenticato quanto sapesse essere pessimo il tempismo di suo padre.

“Ti direi di rimanere qui mentre parlo con lui, ma so che non lo faresti, quindi è meglio se ti vesti anche tu. Prima capiamo che cosa vuole da me e prima se ne andrà”, le disse.

Lei si alzò dal letto e gli andò incontro.

“Ehi”, disse, allungando un braccio per prendergli una mano. “Va tutto bene”. Accompagnò quelle parole con un sorriso, poi lo lasciò per vestirsi e insieme raggiunsero il signor Magnusson in cucina.


* * *


Dopo una veloce chiacchierata in cucina, durante la quale Noora lasciò ancora che William se la vedesse da solo col padre, tranne quando venne tirata in causa, i due uomini uscirono per andare a parlare con l'avvocato che si occupava della difesa di William, mentre lei rimase a casa. In preda al nervosismo, iniziò a pulire e riordinare, nonostante fosse già tutto al proprio posto.

Quando rimase a corto di faccende da sbrigare e decise di sdraiarsi sul divano in attesa che William tornasse, non fece in tempo a prendere in mano il telecomando del televisore che lo schermo del suo cellulare si illuminò segnalandole una notifica.

Si trattava di un messaggio di Vilde sul gruppo delle ragazze.


Vilde: “Come procede, Noora?”.

Noora: “Il padre di William è arrivato poco prima dell'ora di pranzo, adesso è con lui dall'avvocato”.

Chris: “Il padre? È un figo anche lui?”.

Vilde: “Datti una calmata, Chris. Hai un ragazzo adesso”.

Chris: “Ho solo chiesto”.

Sana: “Non perdete la concentrazione, si stava parlando d'altro”.

Eva: “Ha ragione Sana. Però è importante riuscire ad immaginarcelo mentre ne parliamo. Com'è?”.

Sana: “Noora, di' qualcosa tu, altrimenti cominceranno a saltarmi fuori dallo schermo i loro ormoni”.


Noora rise di cuore. Sapeva che le sue amiche stavano cercando di tirarle su il morale come potevano, perciò stette al gioco.


Noora: “Sembra William fra trent'anni. E non mi è sembrato una persona simpatica, ma non si sa mai”.

Vilde: “Da quello che si dice in giro non è il padre dell'anno”.

Noora: “Un po' gelido”.

Eva: “Come ti ha trattata?”.

Noora: “Come se non ci fossi”.

Chris: “Fagli vedere chi comanda, sis”.

Noora: “Lascio che se la veda William con lui. Non voglio essere invadente”.

Sana: “Ricordati solo di non arrabbiarti se lui farà il cretino in sua presenza. Sai in che rapporti sono”.

Noora: “Non lo farà e io non mi arrabbierò”.


Dopo quell'ultima risposta, mise da parte il telefono e chiuse gli occhi, addormentandosi poco dopo.


Si svegliò un paio d'ore dopo, quando sentì la serratura della porta d'ingresso scattare. Ebbe giusto il tempo di mettersi a sedere prima che William e suo padre la raggiungessero.

Ignorò quest'ultimo e chiese al suo ragazzo: “Cosa ti ha detto l'avvocato?”.

Lui si sedette accanto a lei, mentre Havard se ne andò in cucina con la sua ventiquattrore senza dire una parola.

“Quello che già sapevamo e che mio padre ha voluto sentirsi dire per l'ennesima volta. Non ci sono tante possibilità che me la cavi con qualche sanzione alternativa, per il nostro codice è un reato relativamente grave quello che ho commesso”. Tentò di nascondere l'angoscia concentrandosi sulla morbidezza della pelle di Noora mentre le carezzava una guancia col dorso della mano.

“Quindi dovrai andare in prigione”. Non era una domanda.

William si chinò in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia, poi si voltò a guardarla.

“Per poco, ma sì. Mio padre ha messo in moto le sue conoscenze, anche se gli avevo detto di non farlo, ma non è servito a niente. A quanto pare i suoi amici hanno l'onestà che a lui manca”.

“Voleva darti una mano, William. Di questo devi dargli atto”. Noora si rendeva conto che non era proprio così, ma volle tentare di dissipare un po' dell'astio che lui nutriva nei confronti di suo padre.

“Bel tentativo, Noora”, replicò infatti lui, alzandosi per raggiungere il padre e capire quali fossero i suoi piani per la serata. Visto come si erano messe le cose, William aveva intenzione di portare Noora a cena fuori, e di certo Havard non sarebbe stato invitato. Si chinò a darle un bacio tra i capelli, e in quel momento suonò il campanello.

“Vado io”, disse Noora, affrettandosi alla porta.

Aprendo si ritrovò davanti un ragazzo con un cappellino giallo e la divisa blu di una società che si occupava di logistica.

Salve, ho una busta da consegnare alla Signorina Noora Sætre”, disse.

“Sono io”. Firmò la nota di consegna e prese la busta che le venne allungata, poi il ragazzo la salutò e scomparve giù per le scale.

Una volta chiusa la porta girò la busta per leggere il mittente e rimase di sasso. Veniva dai suoi genitori, da cui solitamente riceveva soltanto un bonifico mensile a cui lei faceva seguire una telefonata di ringraziamento.

“Chi era?”, chiese William, comparendo alle sue spalle. Le circondò i fianchi con le braccia da dietro e appoggiò il mento sulla sua spalla, sbirciando ciò che aveva in mano.

Un corriere, mi ha consegnato questa da parte dei miei”. Mentre parlava iniziò a strapparla per vederne il contenuto. Dentro trovò un'altra busta, con l'intestazione del Tribunale di Oslo, e un foglio ripiegato. Diede la precedenza a quest'ultimo. Era un biglietto scritto con la grafia di sua madre.


Ciao Noora,

ci hanno notificato questa comunicazione dal Tribunale di Oslo. Non abbiamo voluto aprirla, se vorrai sarai tu a dirci di cosa si tratta, sai che abbiamo molto rispetto per la tua indipendenza.

Ti vogliamo bene,

Mamma e Papà


Come al solito, nascondevano il loro disinteresse nei suoi confronti dietro alla facciata di genitori rispettosi dei confini. Non riuscivano a vedere che quei confini li avevano costruiti loro stessi.

“Credo di avere un'idea di cosa potrebbe trattarsi”, disse William, togliendole di mano la lettera del tribunale e aprendola.

Infatti diceva proprio ciò che si aspettava: era stata fissata l'udienza a Niko, ed era richiesta la partecipazione di Noora affinché desse la sua testimonianza in quanto parte lesa. Dal momento che si trattava di una minore, la comunicazione era arrivata ai genitori, che volenti o nolenti quel giorno avrebbero dovuto accompagnarla.

“Quando?”, chiese lei, essendo arrivata alla stessa conclusione di William.

“Il quindici di luglio”.

Parlavano a bassa voce per non farsi sentire da Havard.

“Tu non ci sarai”. Quella consapevolezza la colpì forte allo stomaco, rendendo improvvisamente reale tutto ciò che fino a quel momento aveva solo temuto. William non avrebbe potuto esserci in uno dei momenti più difficili della sua vita.

“Non starò via a lungo, però. Ho confessato, quindi ridurranno quasi sicuramente la pena al minimo”, la rassicurò.

“Come ti senti davvero, William?”, gli chiese. Se non gli avesse fatto una domanda diretta, probabilmente lui avrebbe continuato a fingere indifferenza.

William la guardò negli occhi per qualche istante, poi la cinse con le braccia e appoggiò la fronte alla sua.

“Sono pronto. Ho paura, ma sono pronto. Voglio solo che finisca presto”, le confessò.

Le diede un bacio leggero sulle labbra, poi un altro. Alla fine non resistette e approfondì il contatto, inumidendole il labbro inferiore con la lingua e domandandole gentilmente l'accesso. Da lì in poi ci fu ben poco di gentile in quel bacio. Ogni volta che si toccavano la sensazione era la stessa, ma in qualche modo diversa. Le mani iniziavano a muoversi, a volte frenetiche, a volte lente; a volte soffermandosi sul viso e il collo dell'altro, altre andando ad esplorare i loro corpi, che fossero coperti dai vestiti oppure no. E non c'era modo che si stancassero mai – avrebbero potuto andare avanti all'infinito – o che sentissero di essere abbastanza vicini. Non era mai abbastanza, ma allo stesso tempo era troppo. Troppe emozioni, troppe sensazioni tutte insieme.

In quel bacio specifico forse ci fu un po' di disperazione, di certo ci misero entrambi tutto l'amore che sentivano, quella era la principale costante.

“È meglio che mio padre non lo sappia”, le disse William quando riuscirono a separarsi. “Niko non si rivolgerebbe mai ai suoi avvocati come me, quindi ancora non lo sa. Non abbiamo bisogno di altri drammi in questo momento”.

“Okay”, concordò Noora.

“Andiamo, ti porto fuori a cena. Mio padre ha detto che starà nell'altro appartamento di Oslo”, la informò, circondandole le spalle con un braccio e conducendola dall'entrata verso il soggiorno.

“Mi sistemo e andiamo. Ma quante case avete in giro per il mondo?”. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse benestante la famiglia di William.

Lui ridacchiò. “Non lo so”, rispose compiaciuto.

“Stupido ragazzino spocchioso”, lo prese in giro.

“Ha parlato la ragazzina repressa”.

Per tutta risposta, Noora gli rifilò una pacca sul sedere, facendolo scoppiare a ridere fragorosamente.

“Stai diventando volgare, Noora”.

“Detto da uno che faceva parte di un bus che si chiamava The Penetrators è un complimento”.

“Appunto”, rise ancora William, scompigliandole i capelli.

Avevano tanto per cui essere spaventati, ma insieme sarebbero sempre riusciti a trovare un motivo per ridere.

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Capitolo 6
*** Edge ***


Capitolo 5. Edge [Gracie Abrams]


30 Giugno 2016


Erano passate ore da quando William era entrato insieme a suo padre e ai suoi amici dentro il tribunale. Noora si era dovuta accontentare di aspettare appostata fuori dall'ingresso al pubblico insieme alle ragazze e ad Eskild. Ai minori non era consentito entrare solo per assistere alle udienze.

Sebbene fosse cosciente di che cosa aspettarsi, l'ansia la stava devastando. Avrebbe voluto essere con William, sapeva che lui l'avrebbe voluta con sé in quell'aula.

Era passata migliaia di volte davanti a quell'edificio così imponente, impossibile da ignorare, ma non le era mai parso tanto spaventoso come in quel momento. Per come la vedeva lei, quella mattina aveva inghiottito William e a breve lo avrebbe espulso dalle proprie viscere diverso da come era entrato, perché era ovvio che la sentenza avrebbe aperto una nuova ferita che in carcere non avrebbe avuto modo di cicatrizzarsi, nonostante tutte le riflessioni e la preparazione che avevano preceduto quel giorno.

Sana e Chris tentavano di distrarla commentando dei post su Instagram, mentre gli altri chiacchieravano del più e del meno nella speranza che qualche discorso catturasse la sua attenzione. Era tutto inutile, niente avrebbe potuto alleviare il senso di impotenza e l'irrequietudine che sentiva.

“Smettila di toccarti i capelli. William ha una cattiva influenza su di te”, le disse Eskild, quando la vide ravviarsi il caschetto biondo per l'ennesima volta.

Non si era resa conto di quanto quel gesto fosse tipico di William. In genere non lo faceva, ma in quel momento suppose che fosse un modo come un altro per sentirlo vicino.

“Devo sapere che cosa sta succedendo là dentro, Eskild. Sto impazzendo. Sono più di tre ore che vanno avanti. Ha confessato tutto, che cosa avranno da discutere?”, si lasciò cadere seduta sul marciapiede, stringendo la borsetta e le ginocchia al petto. Le era così difficile respirare che pensava di essere sull'orlo di un attacco di panico.

Nonostante la giornata fosse sufficientemente calda da andarsene in giro in top senza maniche e pantaloni di cotone leggero, Noora sentiva un gelo tremendo propagarsi dalla sua pelle fin dentro le ossa. Intorno a lei le persone camminavano e sfrecciavano sulle loro auto riempiendo l'aria dei suoni della città, ma non riusciva a percepire niente di tutto questo. Voleva essere forte, riuscire a gestire la situazione senza perdere la calma, ma era impossibile starsene con le mani in mano mentre il ragazzo che amava con tutta se stessa si sentiva dire che sarebbe andato in galera.

Eva si sedette accanto a lei e le appoggiò la testa su una spalla.

“Vedrai che fra poco uscirà da quella porta e non sarà andata così male”, tentò di rassicurarla l'amica.

“So già come andrà, entrambi lo abbiamo accettato da tempo. La domanda non è se, ma quanto. In ogni caso, non ci sarà modo di cancellare questa faccenda dalla sua fedina penale e dovremo stare lontani per mesi. Non è che io non sia più capace di stare da sola, è che voglio stare con lui, soprattutto dopo quello che abbiamo passato per arrivare a questo punto”, confessò. Non aveva avuto il coraggio di dire quelle parole a nessuno fino a quel momento. Non le piaceva mostrarsi così vulnerabile, era più il tipo di persona che si prendeva cura degli altri e teneva per sé i propri problemi. Quello era uno dei tanti tasselli di lei che era andato a posto grazie a William.

Le passarono per la mente mille modi in cui avrebbe potuto tentare di entrare in tribunale, ma era cosciente che nessuno avrebbe funzionato, erano solo i vaneggiamenti di una ragazzina esausta di vivere sul filo del rasoio. Era come se tutta la tensione accumulata negli ultimi mesi quella mattina fosse esplosa e non riuscisse più a imbrigliarla.

Adesso stava diventando tutto maledettamente reale nella sua testa: un'azione commessa in un momento di rabbia e paura aveva cambiato per sempre le loro vite. Se quella bottiglia non fosse mai stata scagliata, Noora non avrebbe mai chiesto una pausa a William, non sarebbe mai andata a casa sua per poi ritrovarsi vittima della follia di Niko e adesso non sarebbe stata fuori da quell'edificio a chiedersi quanti ostacoli ancora ci sarebbero stati nella loro relazione.

Tutte quelle circostanze li avevano portati a comprendersi meglio a vicenda e a smussare gli spigoli del loro carattere, eppure sentiva che a quel punto avrebbero potuto anche formarsi altre crepe.

“Eccoli”.

Fu riscossa dalla voce di Vilde e si voltò verso le scale da cui William stava scendendo, nel completo blu che suo padre l'aveva costretto ad indossare, seguito dall'avvocato, da Havard e da Chris e Alexander. Non aveva voluto tutti gli amici al seguito, soltanto loro due. Sul viso aveva la sua solita espressione di indifferenza, ma lei si accorse dell'ombra nei suoi occhi.

Era chiaro che fosse diretto da lei, così Noora accorciò la distanza e si fermò di fronte a lui, l'angoscia evidente in ogni molecola del suo corpo.

Non si toccarono, né si parlarono per un lungo momento. Rimasero immobili, occhi negli occhi, senza sapere che cosa volessero davvero trasmettere l'un l'altro.

“Com'è andata?”, chiese Noora in tono esitante, quando non ce la fece più a tollerare il silenzio.

William si riscosse e notò l'angoscia che la stava consumando. Allungò una mano e le passò il pollice tra le sopracciglia, per distendere la ruga che le si era formata per la preoccupazione, poi proseguì con la carezza fino a posare la mano a coppa sulla sua guancia e ad attirarla a sé per darle un bacio in fronte.

Noora alzò il viso verso di lui e gli diede un bacio veloce sulle labbra.

“Allora?”, insisté, non riuscendo ad interpretare il suo comportamento.

Lui si prese qualche altro istante per emettere un lungo sospiro e chiuderla in un abbraccio di cui sentiva un bisogno disperato.

Era scattato qualcosa in lui, mentre il giudice leggeva la sentenza, a cui non sapeva ancora dare un nome. Di certo non aveva realizzato quanto gravi fossero state le sue azioni fino ad allora.

Continuava a chiedersi se non potesse essere altro che quel ragazzo violento e tormentato, se sarebbe stato in grado di controllarsi e di rimanere sul lato sano del confine la prossima volta che si fosse trovato ad affrontare la propria collera. E la cosa peggiore era che ancora una volta stava trascinando Noora a fondo insieme a lui, inesorabilmente.

Strinse gli occhi, nel tentativo di ritrovare la voce. Gli si era formato un nodo in gola.

“Tre mesi. Mi devo presentare lunedì mattina o mi verranno a prendere”, fu tutto ciò che riuscì a dire contro i suoi capelli. Respirare il suo profumo lo aiutava a riprendere contatto con la realtà.

Noora lo strinse forte, le braccia incrociate dietro al suo collo. Sentì gli occhi inumidirsi, un peso posarsi sul suo petto.

“Passeranno in fretta. Devono passare in fretta”, gli sussurrò.

Consapevoli delle persone che li aspettavano a pochi passi da loro, sciolsero l'abbraccio, ma William volle comunque rimanere aggrappato a lei, così le prese una mano e intrecciò le dita alle sue, poi la condusse dal gruppo dei loro amici. Suo padre e l'avvocato erano impegnati in una conversazione a poca distanza da loro.

Nessuno chiese nulla, Chris e Alexander dovevano averli già informati, perché era calato un silenzio carico di sconforto.

“Vuoi andare a pranzo da qualche parte, amico?”, domandò Chris per spezzare il silenzio.

William scosse la testa. “No, mi serve rimanere da solo per un po'”.

“Tu vieni con noi?”, intervenne Eva, rivolta a Noora.

Lei fece per rispondere, ma William la precedette. “Intendevo da solo con lei, ovviamente”. Forse fu un po' brusco, ma in quel momento non aveva il controllo delle proprie emozioni come al solito.

Chris alzò un sopracciglio, ma si astenne dal commentare. Credeva che l'ultima cosa di cui avesse bisogno il suo amico fosse rinchiudersi in una bolla insieme a Noora, però non gli sembrò opportuno tirare fuori la faccenda in quel frangente.

Poco dopo l'avvocato salutò William e suo padre con una stretta di mano e se ne andò, poi Havard si avvicinò al figlio con l'espressione più contrariata che lui gli avesse mai visto.

“Prega che questa faccenda non mi costi la candidatura alla presidenza della holding, William. Perché se dovesse andare diversamente, non sai in che guaio ti cacceresti”. Detto ciò se ne andò su tutte le furie.

Rimasero tutti interdetti per qualche secondo, William fu l'unico a limitarsi ad alzare gli occhi al cielo. Non aveva aspettato altro che liberarsi di suo padre per tutta la mattina, poco gli importava che avesse scelto un'uscita di scena nel suo stile.

Lui e Noora scambiarono ancora due chiacchiere con i ragazzi, poi li salutarono e si incamminarono verso la Porsche di William. Una volta in macchina, non si guardarono più e non si rivolsero la parola. Lui mise in moto e partì nel totale silenzio, mentre Noora si voltò verso il finestrino.

Nessuno dei due aveva idea di come gestire le emozioni che stava provando senza travolgere l'altro.

Era tutto semplicemente troppo.


* * *


Non andarono all'appartamento, rinchiudersi fra quattro mura o andare a mangiare era fuori discussione. Nessuno dei due aveva fame, così alla fine optarono per una passeggiata al parco di St. Hanshaugen. Tutto ciò di cui avevano bisogno era respirare, perché entrambi avevano l'impressione di stare affondando nelle sabbie mobili.

Camminarono in silenzio per più di un'ora, a volte tenendosi per mano, altre rimanendo talmente vicini da sentire il calore dell'altro sulla propria pelle, ma non abbastanza da sfiorarsi.

William aveva lasciato in macchina la giacca del completo e la cravatta, e si era arrotolato le maniche della camicia bianca fino ai gomiti, dopo averla sfilata dai pantaloni. Il sole quel giorno era caldo, ma non abbastanza per loro.

Alla fine si sistemarono sull'erba, all'ombra di un albero, e William fece sedere Noora tra le sue gambe. Lei si adagiò contro il suo petto, voltando un po' la testa in modo da appoggiare l'orecchio contro il cuore di William. Sorrise quando iniziò a percepirne il battito regolare, poi le venne da ridere.

“Quindi anche qui c'è del suono, non è solo la chitarra ad essere vera”, lo prese in giro.

William ridacchiò, e anche quella vibrazione si propagò fin dentro di lei.

“È sempre stato tutto vero fin dall'inizio, eri tu a non volerci credere”, ribatté lui.

“Allora dimmi qualcosa di vero anche adesso”.

Noora sentiva i suoi occhi su di sé, come una coperta spessa e calda durante una nevicata. Quando lei era nel suo campo visivo, William non riusciva a fare a meno di guardarla. Anche quando qualcosa lo distraeva dalla sua presenza, non passava molto prima che tornasse a cercarla. Senza rendersene conto, si soffermava su particolari all'apparenza insignificanti, come il modo in cui i capelli le incorniciavano il viso in un determinato momento o la curva dolce degli zigomi mentre rideva di gusto. Adesso ad attrarre la sua attenzione era stata la spallina azzurra del suo top, che si era leggermente increspata e spostata verso l'esterno quando lei si era appoggiata a lui, standosene adagiata mollemente sulla sua spalla nivea. Adorava che non fosse una di quelle ragazze a cui piaceva abbronzarsi.

“Mi piace stare qui seduto a guardarti, anche se mi sta venendo il torcicollo in questa posizione”. Iniziò a parlare in tono serio, ma nella seconda parte non riuscì a trattenersi dal ridacchiare.

A Noora scappò una risatina, poi si spostò in modo da sdraiarsi sull'erba perpendicolarmente a lui e appoggiare la testa sul suo grembo. Così potevano guardarsi negli occhi. William cominciò una carezza lenta e regolare sui capelli di Noora.

“Devi chiamare i tuoi, Noora”, esordì dopo qualche minuto.

Noora si riscosse dallo stato di torpore in cui era caduta. “Dovranno esserci al processo di Niko, lo so”, rispose esitante. Aveva capito che cosa William le stesse suggerendo in realtà, ma sperava che lui avrebbe capito che non le andava di ritornare su quell'argomento. Tutto ciò che aveva da dire sulla sua vita familiare era già stato messo in chiaro qualche mese prima.

“Parla con loro. Provaci”, rimarcò lui.

Noora lo implorò con lo sguardo per un lungo istante. Alla fine tirò un sospiro e decise di affrontare quel mostro una volta per tutte.

“Non ho mai avuto un rapporto di nessun genere con i miei genitori, William. Tu più di tutti dovresti sapere che cosa significa”.

Lui temporeggiò prendendo una ciocca dei suoi capelli biondi e iniziando ad arrotolarsela intorno all'indice. Scosse leggermente la testa e corrugò le sopracciglia.

“Noora, se i tuoi genitori non ti avessero voluto, tu non saresti qui. Tua madre è una sessuologa e tuo padre uno psicologo, non suonano come due che non sanno come gestire una gravidanza indesiderata. Io penso che loro ti abbiano sempre amata, ma l'abbiano fatto nel modo sbagliato o non siano stati in grado di dimostrarlo con i fatti. Ti avranno lasciata andare perché hanno creduto che tu ne avessi bisogno. I miei genitori, invece, hanno deciso che io e Niko fossimo di troppo nelle loro vite e hanno continuato senza di noi, non scriverebbero mai un biglietto come quello che hai ricevuto tu con la lettera del tribunale”.

Quello che William sapeva per certo, era che una persona come Noora non poteva passare nella vita di qualcuno senza lasciare un minimo segno. Anche se lei non faceva nulla per mettersi sotto i riflettori, emanava un'energia impossibile da non percepire, oltre al fatto che fosse di gran lunga la ragazza più bella che William avesse mai visto.

Non poterla vedere e toccare per tre mesi sarebbe stata un'agonia, peggio di quando lei non faceva altro che respingerlo.

Noora rifletté attentamente su ciò che le aveva detto. Lui non conosceva i suoi genitori, non aveva idea di quante sere si fosse ritrovata a cucinarsi la cena da sola, quando ancora andava alle elementari, perché loro due avevano deciso di fermarsi in un ristorante lungo la strada al ritorno dal lavoro; non sapeva quante notti avesse passato a trattenere la pipì da bambina per paura di sorprenderli a fare sesso sulla strada per il bagno, o quante volte avesse avuto bisogno di un loro consiglio e invece si fosse sentita dire che doveva imparare a gestire le difficoltà usando la propria testa.

“So che potrei venire a trovarti in prigione, ma il tribunale deve prima firmare un permesso. Dal momento che sono minorenne, la richiesta dovrà partire dai miei. Posso iniziare da lì, ma non ti prometto nulla”, gli concesse, per il semplice fatto che non avrebbe mai potuto passare tutto quel tempo senza assicurarsi coi suoi occhi che lui stesse bene.

A William venne da sorridere, ma cercò di trattenersi e continuò ad accarezzarle la pelle morbida del viso con l'indice, mentre contemplava il colore assurdo dei suoi occhi alla luce del sole, così limpido e brillante.

“Non devi venire per forza”, le disse serio.

Noora sorrise e allungò una mano verso l'alto per sistemargli il ciuffo come al solito.

“Io voglio. Non c'è niente di pericoloso o terribile nel venire a farti visita, e almeno ricorderò ancora che faccia hai quando tornerai a casa”, scherzò.

William si finse offeso e le pizzicò il naso tra pollice ed indice.

“Ti basterebbero tre mesi per dimenticarti la mia faccia?”, le chiese, fintamente oltraggiato.

“Vorrei respirare, William”. Le uscì una voce tanto nasale che non poterono fare a meno di scoppiare a ridere entrambi.


* * *


Erano le sei del pomeriggio passate quando rincasarono. William digitò il codice per sbloccare la porta dell'appartamento e lasciò che fosse Noora la prima ad entrare. Sperava che tutto andasse secondo i piani, altrimenti avrebbe avuto un motivo in più per fare fuori Chris. Gli aveva dato disposizioni precise, in modo che tutto fosse pronto per quando lui e Noora fossero rientrati. Inizialmente il programma era pranzare con i loro amici e poi mandare Chris a predisporre tutto, mentre lui avrebbe portato Noora da qualche parte, ma dopo l'udienza aveva sentito la necessità di allontanarsi da tutti con lei.

Tolsero le scarpe all'entrata e si diressero verso la cucina. Passando per il salotto, lei notò un oggetto insolito appoggiato accanto al televisore. Avvicinandosi vide che era un rastrello fucsia. Lo afferrò e se lo rigirò tra le mani, mentre William rimase a guardarla appoggiato allo stipite della porta.

“E questo da dove spunta?”, gli chiese lei.

William sorrise e si avvicinò a lei.

“Non lo so”, rispose con aria innocente.

Noora gli rivolse un'occhiata scettica, intuendo che ci fosse qualcosa sotto. Capì che quello doveva essere un indizio e, dal momento che non si trattava di un rastrello da giardinaggio, le venne un'illuminazione.

Sgranò gli occhi e iniziò a guardarsi intorno, poi rivolse di nuovo l'attenzione verso il suo ragazzo.

“William, hai preso un gatto?”, chiese sbalordita. Quello che stringeva tra le mani era decisamente un arnese per pulire la sabbia dei gatti.

Il sorriso gli scomparve dalla faccia, sostituito da un'espressione leggermente delusa.

“Sarebbe un problema?”, domandò cauto.

Noora rimase a bocca aperta, alla ricerca delle parole da usare.

“Dipende”.

“Da cosa?”.

“Be', non lo so. Non me lo aspettavo”, rispose lei, ancora incredula.

William alzò gli occhi al cielo. Da quando aveva conosciuto Noora sembrava che non facesse altro. Era orgogliosa, cocciuta e teneva sempre la guardia alzata, il che voleva dire che per farle ammettere di essere contenta di qualcosa era necessario prima attraversare le fiamme dell'inferno.

In quel momento sentirono un miagolio flebile provenire dalla cucina. Subito, Noora si precipitò in quella direzione. Per terra, sotto alla scala a chiocciola che portava al piano di sopra, era sistemata una cuccia azzurra, all'interno della quale spiccava una macchia scura che tentava di nascondersi tra le increspature di una coperta gialla.

“O Dio, è un gatto nero!”, esclamò accovacciandosi accanto all'animale e prendendolo delicatamente tra le mani. Era ancora molto piccolo, ma il folto pelo nero lo faceva apparire meno fragile di quanto fosse.

Noora non poté fare a meno di aprirsi in un sorriso radioso. I gatti neri erano i suoi preferiti, e non capiva come William avesse potuto saperlo, non ricordava di averglielo mai detto.

“I gatti neri mi sono sempre piaciuti più degli altri”, disse lui alle sue spalle, come se avesse potuto sentire che cosa lei stesse pensando. Tirò un sospiro di sollievo, era stato più facile del solito farla cedere.

Forse erano tutte le emozioni negative di quella giornata a rendere meno impenetrabili le difese di Noora, e lui aveva intenzione di sfruttare quel piccolo vantaggio fino in fondo quella sera, per farle sentire quanto la ritenesse importante.

Si accovacciò accanto a lei e iniziò ad accarezzare la testa del gatto, che si era pian piano rilassato e si faceva coccolare in equilibrio precario sulle ginocchia di Noora.

“Una cosa che abbiamo in comune finalmente”, lo prese in giro.

William si sporse e le afferrò la nuca per avvicinarla. Si incontrarono a metà strada per un bacio veloce.

“Non ha ancora un nome”, le disse poi, a pochi centimetri dalla sua bocca.

Immediatamente uno scintillio di malizia si accese negli occhi di Noora.

William si bloccò mentre si grattava distrattamente il lato del naso e la guardò di traverso.

“Noora, no!”, la ammonì in tono perentorio. Qualcosa gli diceva che erano malauguratamente sulla stessa lunghezza d'onda in quel momento.

“È maschio, giusto?”, chiese divertita. Non riusciva a contenere l'ilarità, così dovette mordersi le labbra per evitare di ridere. Si schiarì la voce e attese che William le rispondesse.

“Sì”. Gli venne fuori in maniera più incerta di quanto avesse voluto.

Noora sorrise trionfante e si rivolse al gatto.

“Benvenuto, Willhelm!”.

William scosse la testa sconfitto, ma niente avrebbe potuto far scemare l'entusiasmo che provava al pensiero di aver alleviato un po' della sua angoscia. Aveva raggiunto il suo scopo, e in più Noora non sarebbe stata da sola in quella casa fin quando lui fosse tornato.


* * *


Dopo aver passato un po' di tempo a giocare insieme al gatto, decisero di mangiare, così Noora preparò del pollo al curry. Mangiarono in silenzio, la tensione di nuovo in crescendo man mano che la giornata volgeva al termine. Potevano avere dei momenti di leggerezza, ma la spada di Damocle era sempre lì a pendere sulle loro teste. Nonostante ora sapessero che cosa li attendeva con esattezza, il peso che avevano sulle spalle non era diminuito.

William voleva che lei sapesse quanto significasse per lui averla vicino in quel momento. Voleva che sentisse con tutta se stessa di essere la parte migliore e più importante della sua vita, l'unico scoglio sicuro in un mare in tempesta.

Guardò verso Willhelm, che dormiva beato nella sua cuccia, poi verso Noora che stava finendo di pulire la cucina in maniera ossessiva. Decise che per quella sera era tutto abbastanza pulito, quindi si alzò dalla sedia su cui era ancora seduto dalla cena e andò a toglierle dalle mani lo strofinaccio che stava passando sul piano cottura.

“Vieni con me”, le disse, prendendola per mano. La guardò negli occhi con un'intensità che le bruciò fin nell'anima.

Si sentì nuda. Non era una sensazione fastidiosa, era quella che William le aveva insegnato ad apprezzare. Il modo in cui la fissava, partendo dagli occhi, come a chiederle il permesso, per poi scendere verso le labbra e il collo, la faceva sentire al sicuro, come se non esistesse al mondo niente di più bello e desiderabile di lei.

C'era sempre forza e decisione nei gesti di William, ma anche delicatezza e adorazione. La desiderava tanto da perdere la ragione, eppure riusciva sempre a farle intendere che al primo posto venivano le sue esigenze.

Noora vide i suoi occhi farsi torbidi, il cioccolato delle sue iridi fondersi in preda alla fiamma delle sue intenzioni, mentre con la mano libera le afferrava un fianco e la attirava a sé.

Non riuscì a dirgli nulla, si limitò ad assecondare l'istinto che si risvegliava quando lui la toccava in quel modo.

William si abbassò fino a sfiorarle un orecchio con le labbra.

“È impossibile non amarti, lo sai?”, sussurrò. Da qualche giorno gli riusciva più facile dare voce a pensieri come quello. La paura, l'adrenalina, la mancanza di lei che già sentiva, gli toglievano ogni inibizione. Non che gliene fossero rimaste molte da quando l'aveva incontrata.

Noora chiuse gli occhi e si crogiolò in quelle parole. Sentirle le dava un senso di liberazione, come se un macigno venisse sollevato dal suo petto. Le si strinse il cuore. Nonostante i dubbi che aveva avuto e la resistenza che aveva opposto, era la franchezza uno degli aspetti di William che l'aveva catturata. Non aveva mai esitato ad esporre il proprio interesse per lei davanti ai loro amici e all'intera scuola, anche quando lei lo trattava come se non fosse altro che una gomma da masticare appiccicata sotto ad una scarpa. Sin dall'inizio aveva mostrato sicurezza e determinazione nell'ammettere di volerla, tanto quanto lei era stata sicura e determinata nel negare che fosse bastato guardare una volta nei suoi occhi per capire che cosa ci fosse sepolto sotto la coltre di ghiaccio con cui si proteggeva.

“Io sono disposta a lasciarmi amare, fin quando lo sarai anche tu”, gli disse in un soffio. Poi cominciò a guidarlo verso la camera da letto, dove era certa che fosse diretto anche lui quando le aveva chiesto di seguirlo.

Non arrivarono che al corridoio, perché a quel punto la pazienza di William si esaurì. Spinse Noora contro il muro, a metà strada tra la porta della camera e quella del bagno. Le assalì la bocca come se non riuscisse più a respirare. Quel bacio non aveva uno scopo, se non quello di sentire, di dare e ricevere fin quando non fosse rimasta altra scelta che abbandonarsi a tutto ciò che non avrebbero mai potuto esprimere in altro modo.

Le mani di William finirono sotto il tessuto leggero del top di Noora senza che lui dovesse pensarci, quelle di lei si fecero strada tra i suoi capelli, stropicciando e a tratti tirando, quando le dita di lui raggiungevano punti che la facevano rabbrividire.

Da quel momento in poi, Noora non ebbe più coscienza del susseguirsi degli eventi. Fu un turbine di vestiti lanciati per aria, respiri accelerati, baci umidi sul collo, occhi che la scrutavano famelici e mani che la sollevavano. Percepì di essere in movimento, ma quasi non si rese conto di dove William l'avesse portata, fin quando non sentì il marmo freddo del piano del bagno sotto di sé.

Aprì gli occhi e lo vide dirigersi verso l'enorme doccia, addosso solo i boxer neri.

Ebbe modo di soffermarsi sulla sua figura per l'ennesima volta. Non importava quante volte lo vedesse, rimaneva sempre affascinata da William, e non ci si abituava mai. Non era il fisico slanciato e definito a colpirla di più, ma il suo atteggiamento, la sua noncuranza nel mostrarsi, la sicurezza che emanava con ogni muscolo che muoveva. Aveva l'espressione tipica di chi è concentrato a compiere una missione, e allo stesso tempo sembrava che si fosse momentaneamente perso in una dimensione parallela.

William aprì l'acqua nella doccia e tornò indietro da lei. Si posizionò in mezzo alle sue gambe e rimase a contemplarla per qualche istante, sfiorandole una spallina del reggiseno con un dito.

Lei gli poggiò le mani sul petto e lo guardò a sua volta, beandosi di tutti i particolari che l'avevano attratta sin dall'inizio. Niente in William era banale, nemmeno la sua bellezza. Aveva le labbra sottili, il naso troppo grande e un taglio di capelli che su chiunque altro sarebbe stato improponibile, eppure quelle stesse caratteristiche che avrebbero dovuto renderlo meno attraente, lo rendevano straordinario, abbinate ai tratti duri e mascolini del viso e all'intensità mozzafiato dei suoi occhi. Quelli erano sicuramente la parte di lui che preferiva. Quando William guardava qualcuno, era come se stesse sondando la sua anima. Riusciva a trasmettere autorità con un solo sguardo, facendo sentire il suo bersaglio completamente soggiogato.

Ciò che Noora non sapeva era che lui si sentiva nello stesso identico modo quando lei puntava i suoi occhi chiari su di lui, e che lei era l'unico essere umano in grado di far uscire allo scoperto le sue debolezze e trasformarle in una forza che non aveva mai avuto prima.

Entrambi avevano i capelli arruffati e le guance arrossate. Finirono con calma di spogliarsi a vicenda, poi William la prese in braccio reggendola per le natiche e la portò sotto la doccia.

La adagiò delicatamente, stando attento che non scivolasse, poi iniziò a darle dei baci a partire dal punto sensibile dietro l'orecchio. Scese sempre più giù lungo il collo, tra i seni e sullo stomaco, fino ad inginocchiarsi ai suoi piedi, poi guardò verso l'alto, verso il viso angelico della ragazza che amava.

“Dimmi che dobbiamo stare insieme”, la implorò, la voce intrisa di un desiderio disperato.

Noora gli carezzò una guancia, il respiro spezzato per l'emozione e l'eccitazione.

Erano entrambi al limite, fisicamente così come emotivamente. Mai come in quel momento, Noora avvertì la separazione imminente come una minaccia, un tempo durante il quale avrebbero potuto trovare delle ragioni per avvicinarsi ancora di più con la stessa probabilità con cui avrebbero potuto trovarne per allontanarsi inesorabilmente.

Non sentendo nessuna risposta, William riprese a baciarle il ventre, per farle perdere anche l'ultimo barlume di razionalità.

Noora si aggrappò ai suoi capelli, le gambe malferme.

“Noi dobbiamo stare insieme”, gli concesse infine, con voce tremante.

Tutto ciò che successe dopo – la bocca di William che la esplorò ovunque, lui dentro di lei, i graffi di lei sulla schiena di lui – fu soltanto una ripetizione all'infinito di quelle parole.

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Capitolo 7
*** Run ***


Finalmente ce l'ho fatta. Da questo in poi, i capitoli saranno più brevi, per il semplice fatto che così posso almeno sperare di riuscire a pubblicare una volta a settimana. Questo capitolo è di passaggio, getta le basi per ciò che verrà. Stiamo per entrare nel vivo della storia. Cominceremo a vederne delle belle, quindi abbiate fede.

Grazie di essere qui a leggere. Se vi va, lasciate un segno del vostro passaggio, per me i vostri pensieri sono importanti. :)

Alla prossima.

Capitolo 6. Run [Snow Patrol]


4 Luglio 2016


Le prigioni norvegesi erano tra le più umane e confortevoli al mondo. Noora, seduta sul sedile posteriore dell'auto di Chris, continuava a ripeterselo, mentre fuori dal finestrino il mondo sfrecciava veloce e la distanza tra loro e il carcere di Ila si accorciava.

Il sole era comparso da poco, ma la sua luce le sembrava già accecante.

Erano da poco passate le sette e mezza del mattino. William avrebbe dovuto consegnarsi entro le nove, ma avevano preferito muoversi con anticipo per essere sicuri di arrivare in tempo.

Noora e William avevano trascorso il fine settimana a prepararsi per quel momento, rimanendo insieme tutto il tempo ed ignorando quasi totalmente il mondo esterno. Soltanto sabato sera si erano concessi di uscire qualche ora perché William potesse salutare i suoi amici.

Adesso se ne stava appollaiato in silenzio sul sedile del passeggero, un piede appoggiato al cruscotto e una sigaretta fumata a metà tra le dita. Non era qualcosa che faceva spesso, ma il nervosismo era troppo da sopportare e aveva bisogno di un modo per continuare a mostrare la solita impassibilità a beneficio di Noora.

Dal canto suo, lei era ben lungi dal farsi ingannare dalle dissimulazioni del suo ragazzo. Da sabato mattina non faceva che mostrarsi sereno e in pace col proprio destino, ma era capitato più volte che lei lo avesse sorpreso con lo sguardo perso nel vuoto o con le spalle curve e la testa tra le mani, preso in un vortice di pensieri angoscianti che lei poteva solo immaginare.

Il finestrino aperto per lasciar uscire il fumo permetteva ad un fiotto di aria fresca di entrare a tagliare l'atmosfera densa che aleggiava all'interno dell'abitacolo, tuttavia non era sufficiente a rendere più facile respirare.

Noora, dal suo posto dietro a Chris, vedeva la spalla sinistra di William contrarsi un po' di più ogni volta che portava la sigaretta alla bocca, le sue labbra chiudersi intorno al filtro, la mascella scolpita resa più evidente dalle guance che si incavavano. Quando soffiava fuori il fumo, il suo corpo non si rilassava, tratteneva tutta la nuova tensione incanalata, rendendo la sua posa sempre più rigida. Il suo sguardo era rivolto davanti a sé, ma era chiaro che non stesse realmente vedendo nulla.

Da un lato, lei avrebbe voluto rimanere a casa, salutarlo sulla porta come se stesse uscendo per ritornare qualche ora più tardi e fingere fino all'ora di andare a letto di non essere rimasta da sola per l'ennesima volta nella sua vita, sebbene si trattasse di una solitudine temporanea.

Anche in quel momento, provava l'istinto di spalancare la portiera e lanciarsi fuori dall'auto in corsa. Le ferite avrebbero fatto meno male dell'angoscia di William, che sentiva come se fosse la propria. Non era da lei fuggire senza affrontare i problemi, ma il peso che le gravava sul petto minacciava di schiacciarla e non sapeva più come gestirlo. Tutto ciò che desiderava era che William stesse bene.

Come se avesse percepito il suo smarrimento, William allungò il braccio sinistro verso di lei e la invitò a prendergli la mano. Noora intrecciò immediatamente le dita alle sue, ed entrambi strinsero la mano dell'altro come se non esistesse un altro modo per arrivare vivi fino in fondo a quel viaggio.

“Puoi telefonare una volta a settimana, giusto?”, chiese Chris, spezzando il silenzio.

William aspirò un'ultima boccata dalla sigaretta e poi la spense nel posacenere dell'auto.

“Sì, devo solo comunicare l'intestatario del numero che chiamo. Posso ricevere visite in giorni prestabiliti, ma dovete registrarvi e chiedere un permesso”, spiegò meccanicamente, usando quasi le stesse parole che l'avvocato gli aveva detto per telefono sabato.

Chris non disse più nulla, si limitò ad annuire continuando a guidare.

Allora William si voltò verso Noora. Per lei fu un colpo sentire di nuovo i suoi occhi addosso, quella mattina non era riuscito a trovare la forza di guardarla negli occhi neanche una volta. Il rischio, se lo avesse fatto, era di perdere il controllo, ma ora era necessario.

“Se hai bisogno di qualunque cosa, rivolgiti a Chris. Okay?”. Era cosciente che Noora non fosse incline a chiedere aiuto a nessuno, meno che mai al suo migliore amico, che aveva dimostrato più volte di non provare una profonda simpatia nei suoi confronti. Per questo usò il suo tono autoritario, quello da capo del Riot Club, che non ammetteva repliche. Aggiunse una vena di supplica al suo sguardo, sapeva che Noora non avrebbe saputo che cosa ribattere di fronte a quella piccola dimostrazione di vulnerabilità.

Infatti rimase in silenzio, così come Chris, che era impietrito, dal momento che William non aveva mai accennato al suo ruolo da babysitter in quella faccenda. Strinse i denti ed evitò qualsiasi commento. Era troppo arrabbiato con la biondina per dare corda al suo amico.

William capì l'antifona e non insisté ulteriormente, sapeva che Chris non sarebbe stato in grado di negargli nulla. Doveva solo farsi passare quell'astio del tutto irrazionale nei confronti di Noora.

“Il numero dell'amministratore del condominio e tutti i numeri che ti potrebbero servire sono segnati su un biglietto che ho lasciato sul bancone della cucina”, continuò, sempre rivolto alla sua ragazza.

Noora lo guardava di rimando, tentando di non trasmettergli la tempesta che aveva dentro.

“Okay”, si limitò a rispondere, con voce incerta.

Qualcosa si stava lentamente sgretolando all'interno della sua gabbia toracica, non avrebbe saputo dire se si trattasse del cuore o dei polmoni. Ogni metro macinato dalle ruote della station wagon teneva per sé un po' del suo coraggio.

“Noora”, la incalzò William, vedendola sull'orlo delle lacrime.

Noora non piangeva mai, lui non avrebbe permesso che cominciasse proprio ora.

Lei si morse le labbra per un istante e scosse il capo. Non sarebbe crollata, non in sua presenza.

“Posso tenere il bracciale del Tryvann?”, gli chiese, rigirandoglielo intorno al polso.

William sorrise e le lasciò la mano per poterlo sfilare. Noora allungò il braccio destro nello spazio tra i due sedili anteriori, in modo che lui potesse infilarlo al suo polso e stringerlo affinché non lo perdesse.

Quel bracciale era un ricordo del suo periodo Russ che avrebbe dovuto depositare in matricola insieme agli altri oggetti personali una volta messo piede in carcere. Per questo motivo aveva lasciato sul comodino della camera da letto il cellulare, l'orologio e il portafogli, ma di quella fascetta si era dimenticato, dal momento che non l'aveva mai tolta da quando l'aveva ottenuta all'ingresso del festival. Il pensiero che avrebbe passato i successivi tre mesi al sicuro, indossata dal polso sottile di Noora, invece che in una bustina trasparente, lo aiutò a sentire di meno il distacco da lei che aveva iniziato a patire da quando si era svegliato.

Senza curarsi della presenza di Chris, che probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, William avvicinò la mano di Noora al proprio viso e le diede un bacio leggero, prima di lasciarla andare.

Gesti come quello sarebbero stati impensabili per lui fino a qualche mese prima. Da qualche tempo aveva cambiato prospettiva su tutto.

Pochi minuti dopo raggiunsero la strada antistante l'entrata del penitenziario di Ila. Alla loro destra una fila di alberi li separava da una distesa d'erba verde, mentre alla loro sinistra un'alta recinzione correva a partire dai lati di una piccola costruzione di un beige sporco e sbiadito, con due finestre e una porta rigorosamente blindate, andando a racchiudere al suo interno tutte le strutture e i terreni che componevano il centro di detenzione.

Chris parcheggiò l'auto in un'area indicata come posteggio per i visitatori, ma quando il motore fu spento nessuno dei tre si mosse.

William si passò una mano tra i capelli, Noora lo guardò come se avesse dovuto dirgli addio.

Associare William al concetto di prigione le era ancora impossibile. Le sembrava di essere in un incubo. Ancora una volta le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma le ricacciò indietro.

In quel momento il suo telefono iniziò a squillare. All'inizio pensò di ignorarlo, ma l'insistenza con cui continuò a suonare la convinse a rispondere. Inoltre, se qualcuno la chiamava alle otto del mattino, doveva essere una cosa importante. Lo estrasse dallo zainetto e rispose senza fare caso al numero sul display.

“Parlo con Noora Sætre?”, chiese la voce profonda di un uomo all'altro capo della linea.

“Sì, sono io”.

“Sono Erik Dahl, dell'Aftenposten”, si presentò l'uomo. “Come sai, l'articolo che hai scritto per il diciassette maggio ha fatto sì che venissi inserita tra i candidati per lo stage estivo. Tu ed un altro studente della tua scuola siete stati selezionati. Se accetti, inizierai la prossima settimana e fino alla fine delle vacanze estive lavorerai con noi in redazione”.

Era incredibile quanto sapesse essere crudelmente ironico il destino.

Quando il suo professore di norvegese le aveva proposto di scrivere l'articolo era emotivamente a pezzi, si sentiva colpevole e violata allo stesso tempo, sola come mai prima, nonostante avesse una schiera di persone su cui contare.

Ora, quello stage arrivava proprio nel momento in cui non pensava di poter gestire ulteriori pressioni. Tuttavia, quasi senza esitazione, dichiarò di essere disponibile e prese accordi per presentarsi in redazione il lunedì successivo.

Chiuse la telefonata in fretta, sentendosi gli occhi di William addosso.

“Mi hanno presa per lo stage all'Aftenposten”, gli spiegò. Avrebbe dovuto essere entusiasta, invece lo disse come se fosse una notizia di poca importanza, la voce incolore, gli occhi rivolti verso le mani che teneva in grembo.

William la guardò di sottecchi, un sorrisetto stampato sulle labbra. Non gli piaceva che Noora sminuisse ciò che le stava accadendo per colpa sua.

“Oh, la mia piccola giornalista”, finse di prenderla in giro, sperando di strapparle un sorriso.

Gli angoli della bocca di Noora si flessero leggermente verso l'alto e lui le sfiorò una guancia con le dita per farle alzare lo sguardo.

“Andrà tutto bene, Noora”, la rassicurò, facendosi serio.

Noora annuì poco convinta e posò la propria mano su quella di lui.

Chris, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, aprì lo sportello e scese dal veicolo. Non che si sentisse in imbarazzo – non era nella sua indole –, ma sapeva capire quando il suo amico aveva bisogno di spazio, e ultimamente era successo spesso.

Appena lo sportello si richiuse, William fece segno a Noora di raggiungerlo sul sedile anteriore. Lei si intrufolò nello spazio tra i due posti e si sistemò sulle sue gambe, passandogli le braccia intorno al collo. William prese a scorrere le mani su e giù lungo i suoi fianchi.

“Guardami”, le intimò, vedendo che lei fissava un punto oltre la sua testa.

Noora chiuse gli occhi e quando li riaprì si ritrovò immersa nel calore di quelli di William. In quell'istante lui non era l'arrogante diciannovenne che si aggirava per la Hartvig Nissens come se fosse il re del mondo, né il teppista che sarebbe divenuto un detenuto non appena avesse varcato la porta blindata a poca distanza da dove avevano parcheggiato. Era solo William, il ragazzo intelligente e sicuro di sé di cui si era innamorata, il ragazzo che l'amava tanto da preoccuparsi per lei anche adesso che era lui quello che stava per iniziare una delle esperienze più difficili della propria vita.

L'intensità del suo sguardo era più insostenibile del solito.

“Adesso scendo dalla macchina e tu rimani qui, okay?”.

Lei si riscosse, scioccata. “Non posso neanche accompagnarti alla porta?”.

“No, Noora. Questa cosa devo farla da solo, davvero. Ti chiamerò e ci vedremo non appena avrai il permesso. Ora hai bisogno di andare a casa”.

Lei fece per protestare, ma William la zittì con un bacio.

Entrambi lasciarono andare la paura, per trovare in quel gesto tutto il coraggio e la determinazione di cui avevano bisogno. Si aggrapparono l'una all'altro come se non dovessero vedersi mai più, con una dolcezza di cui avevano scoperto di essere capaci soltanto dopo essersi trovati.

In ogni carezza delle loro lingue, in ogni sfiorarsi e sfregarsi delle labbra e in ogni piccola pressione dei loro denti, era presente una promessa: niente di quello che sarebbe accaduto avrebbe potuto allontanarli. Mai.

Suggellata quella promessa, si staccarono e ripresero fiato, l'uno nella bocca dell'altro.

“Ti amo”, sussurrò lei.

“Ti amo anch'io”, ricambiò lui, perso nel verde liquido delle sue iridi.

Pochi istanti dopo, aprì lo sportello e scivolò via da sotto di lei. Quando fu in piedi, si chinò un'ultima volta per darle un altro bacio veloce, premendo forte le labbra sulle sue, poi si tirò indietro e richiuse lo sportello con forza.

Noora lo osservò allontanarsi e andare a recuperare il borsone dal bagagliaio. Lo seguì con lo sguardo mentre andava a salutare Chris con un abbraccio, per poi premere un pulsante vicino alla porta del piccolo edificio, la quale si aprì automaticamente pochi secondi più tardi.

William non si voltò indietro prima di varcare quella soglia.

Non appena lui scomparve alla vista, Noora fece ciò che non si era concessa di fare per molto tempo.

Una lacrima le solcò il viso. Lei l'asciugò e, come sempre, strinse i denti e andò avanti.

La vita correva e lei aveva intenzione di stare al suo passo.

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