Fall between the pieces of glass and ice

di Tenue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Face Down ***
Capitolo 2: *** Haifisch ***
Capitolo 3: *** Keep passing the open windows ***
Capitolo 4: *** Angel with a shotgun ***
Capitolo 5: *** No more ***
Capitolo 6: *** Bitter taste ***
Capitolo 7: *** Psycho ***



Capitolo 1
*** Face Down ***


Salve a tutti! Non sono nuova di questa sezione, ma sono comunque un po' nervosa a pubblicare. ^^
Vi invito a recensire, per farmi sapere se la storia vi piace o se per voi è solo una cazzata stratosferica...ad ogni modo, accetto le critiche, in modo da poter migliorare.

é un po' contorta come storia, ma spero che possa piacere.


F a l l    b e t w e e n    t h e    p i e c e s    o f    g l a s s    a n d   i c e

Prologo

Verso la fine di novembre, le nostre vite cominciarono a scivolare sempre più in basso, nel baratro della disperazione. Cominciò la nostra caduta nel vuoto, e nel fatidico giorno del 31 dicembre atterrammo sul quel pavimento di vetro e ghiaccio, il freddo pavimento della verità. Un mese e poco più, un violento intreccio di sangue, musica e amore...amore proibito...proibito come la felicità.
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1^ capitolo - Face Down
20 novembre
Gli spifferi del vento entravano prepotentemente nel box quella sera. Nonostante l'aria fosse praticamente freddissima, i componenti della band continuavano a suonare indisturbatamente, in particolare il cantante, che indossava solo una maglietta a maniche corte; inspirò forte, sentendo ghiacciarsi la trachea, le sue braccia nude quasi tremavano, provocandogli una strana sensazione, tra il piacere del sentire dolore e la sofferenza del proprio corpo.
Cantò il ritornello alzando la voce, forte ma al tempo stesso soave.

Do you feel like a man
When you push her around?
Do you feel better now, 
as she falls to the ground?


Il cantante girò di poco la testa, solo per scorgere la figura esile della ragazza seduta in un angolo sotto ai fili del contatore della luce, intenta a guardare i suoi quattro amici che suonavano. Si conoscevano fin dall'infanzia e tutti avevano sempre avuto la passione per la musica. Formare una band era sempre stato il loro sogno, anche se Kelly si accontentava solamente di osservarli.

Well I'll tell you my friend, 
one day this world's going to end
As your lies crumble down, 
a new life she has found!


Il loro sguardo s'incrociò per un attimo 

She said: I finally had enough!

Lui la scrutava con i suoi occhi neri come le tenebre; e lei ricambiava il suo sguardo nascondendo una grande ammirazione.
Il chitarrista allungò l'ultima nota qualche secondo, poi si fermarono. Il cantante si passò una mano tra i capelli biondi lunghi fino oltre le spalle, sospirando ed avvicinandosi alla ragazza.
-Allora, Kelly? Come ti è sembrato?-
Lei alzò lo sguardo, e da sotto la lunga frangia corvina apparvero due enormi occhi turchesi. Gli rivolse un broncio, che lui solitamente definiva "adorabile".
-Sei stonato. Come sempre!-
Lui scoppiò a ridere -Stupida, non raccontare balle! Io non stono mai!
-Certo, certo...- sorrise. Abbassò lo sguardo arrossendo e vari di ciocche lunghissime di capelli, prima tenute dietro le orecchie, le ricaddero davanti al viso - Ormai dovresti saperlo, che adoro la tua voce- sussurrò.
Arrossì un poco anche lui. l'avrebbe baciata in quel momento; avrebbe voluto stringerla tra le braccia e accarezzarle le guance arrossate. Avrebbe tanto voluto che lei si liberasse di tutta la sofferenza che aveva dietro quei magnifici occhi chiari.
Eppure si trattenne, perchè sapeva che non avrebbe potuto.
-Ora devo andare- sussurrò lei , con voce appena udibile.
-Kelly... non sei obbligata...-
-Io...ora devo andare.- Ripetè più sicura, senza far trasparire alcuna emozione nella voce.
Lei si alzò e s'incamminò; poi si fermò improvvisamente.
-Dylan...- 
-Dimmi.-
Schiuse le labbra piano. -Scusami!- e scappò fuori dal box, immergendosi nel gelo di quella fredda sera di novembre.
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Kelly attraversò il vialetto della casa del suo "fizanzato", facendo attenzione a non scivolare sulle lastre di giaccio che si erano formate sull'asfalto. Ormai erano le dieci di sera, perciò era buio pesto. Tutto ciò che riusciva a scorgere erano le tenui luci giallastre dei lampioni che illuminavano il centro paesino non molto distante. Tutto ciò che sentiva era il suo respiro affannato dal freddo e dall'inquietudine, che le procurava costanti scosse di adrenalina, che si manifestavano attraverso dolorose fitte alla pancia. Arrivata di fronte alla porta di casa bussò. La porta fu aperta, e lei fu strattonata dentro.
...
Due ore dopo di stava trascinando in bagno. Appena la porta si richiuse dietro di lei, si tolse la maglia nera a collo alto facendo attenzione a muovere piano le braccia. Sfilò lentamente un braccio e poi l'altro, poi lasciò cadere l'indumento a terra. Portò la mano destra all'altezza della spalla opposta. Sussultò al contatto con la mano gelida. Si accarezzò piano la spalla, poi scese, molto delicatamente e iniziò a contare quanti lividi avesse, tra quelli che stavano sparendo e quelli nuovi, più grandi e dolorosi, aventi sfumature che andavano dal verde acido al violaceo.

She said "This doesn't hurt!"

-Non fa male.- Sussurrò, rivolgendosi all'immagine triste che si affacciava dall'altra parte dello specchio. -Non fa male.-
Continuò a fissare lo specchio, incessantemente. Aveva lo sguardo perso dietro ad un ammasso di capelli agrovigliati, sembrava una pazza. Forse lo stava diventando.
Iniziò a ridere, prima piano, poi più forte, più forte, finchè non diventò una risata isterica. I capelli che le ricadevano davanti, che le nascondevano il viso, furono portati indietro con un gerto secco della mano. I suoi occhi incavati scrutavano lo specchio, e lei continuava a sorridere follemente.
-Sei fortunata lo sai?-  Disse rivolgendosi alla sua immagine riflessa -Ora...ora io esco dal bagno...e...e anche tu con me...perchè tu...fai tutto quello che faccio io!- Rise sguaiatamente. -Ma appena uscirò da qui...- inspirò profondamente -Io...andrò da lui...e lui lo farà ancora, sai? Mi picchierà, di nuovo! E tu... sarai semplicemente scomparsa...in attesa che io torno davanti ad uno specchio...- Continuò a dire frasi sconnesse di fronte allo specchio a volte sussurrando, a volte gridando. 
Ben presto i suoi occhi divennero lucidi, ma s'impose di non piangere.
-Nhn...Non fa male- Tirò su col naso rumorosamente -Non fa ma_-
Poi le gambe cedettero, sentì la testa sbattere contro il lavandino.
E tutto divenne buio.
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-Perchè non scappi?- Le aveva chiesto Dylan, tempo fa.
Kelly non si aspettava una domanda del genere. Gli rispose onestamente, perchè lui era il suo migliore amico.
-Il padre del mio..."fidanzato" è il capo di mia madre sul lavoro...e lui è tanto cattivo quanto il figlio- gli aveva detto in tono di disprezzo -Se io mi ribellassi al suo volere...mia madre verrebbe licenziata...e io non voglio che ciò accada...perchè i soldi della mamma ci servono!-
-Ma...-
-Non preoccuparti, Dylan- gli aveva sorriso -Non fa male!-

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21 novembre
Dylan pareva piuttosto determinato a studiare quel giorno. Lui e Kelly si erano trovati a casa sua intenti a deddicarsi allo studio.
Dylan era al primo anno di università, mentre Kelly frequentava il quarto anno del liceo artistico.
Mentre lui stava ripassando i suoi ultimi appunti di medicina, su un grosso quadernone pieno di scarabocchi, schemi ed evidenziature, Kelly stava riflettendo su un nuovo progetto per un gioiello, per la materia di design industriale.
Si portò la penna tra le labbra, iniziando a mordicchiarla. Lui si distrasse per un attimo dai suoi disordinatissimi appunti, prendendo piuttosto, a studiare lei.
-Hey Kelly.-
-Mhn-
-Stai bene? Non sembra che tu abbia dormito molto stanotte...-
-Eh? Ah, no...in effetti non ho dormito molto-
-Come mai?-
-Incubi-
Lui le poggiò una mano sulla spalla in un gesto di conforto, ma lei sobbalzò, lasciandosi sfuggire un gemito.
-Ma che...Kelly, cosa_-
-Lascia stare, lascia stare...-
-Ma_-
-Ti ho detto di lasciar stare.- disse seccatamente.
-No. Kelly, ho lasciato stare per troppo tempo.-
Lui l'afferrò di scatto, aprendole la cerniera della felpa e levandogliela.
Lei inizialmente si dibattè, ma poi lo lasciò fare. Rimase in canotiera, e Dylan le prese delicatamente il braccio.
-Kelly...cosa ti ha...Cosa ti ha fatto!- Chiese lui, alzando la voce.
Lei non fu capace di mentirgli, iniziò a singhiozzare senza riuscire a trattenersi. Lui la strinse tra le sue braccia, facendole appoggiare la testa sul suo petto. 
-Shh, Kelly calmati...andrà tutto bene, non gli permetterò più di farti del male...-
-Ma...ma la mamma e_- singhiozzò - Dylan, se mi ribellassi mi ucciderebbe...e lo farebbe anche alla mamma!-
-Ascoltami, devi fidarti di me...-
-No, no, la mamma ha detto che... Dylan, la ucciderà...ucciderà la mamma...-
-Kelly, tua madre...è già stata uccisa...-

Il calore del corpo del ragazzo, la delicatezza con cui l'abbracciava, i leggeri baci che di tanto in tanto le lasciava sulla fronte e sui capelli... Furono l'unica cosa che Kelly sentì, per le prime due ore. 
Lentamente, comprese che sua madre non c'era più. In un attimo, una fitta dolorosissima le trapassò la pancia. E svenne tra le sue braccia.

Fine I capitolo


canzone: Face down dei Red jumpsuit apparatus
 

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Capitolo 2
*** Haifisch ***


f a l l    b e t w e e n    t h e    p i e c e s    o f    g l a s s    a n d   i c e
2^ capitolo - Haifisch

22-23 novembre

"Non c'è.

Non c'è più.

Perchè? Eppure ho fatto come mi era stato chiesto. HO FATTO TUTTO QUELLO CHE MI HA CHIESTO! 
Me l'ha portata via. Mamma...

Inutile. Non ho saputo nemmeno tenerti in vita. Sono proprio una causa persa.

Mi dispiace...

Maledetto...MALEDETTO!!!

Scusami mamma, perdonami. 

Lo uccido. No...Non posso ucciderlo. Se lo uccido verrà da te. 
Ma posso farlo soffrire.
Tanto.
Essattamente quanto sto soffrendo io adesso. Si...
La pancia fa così male... 
Sento un vuoto dentro di me... Fa male...
Basta...Fermalo ti prego...
Fa male...FA MALE!

Ti prego perdonami mamma.
Non so quanto ti abbia fatto soffrire.
Sicuramente più di quanto stia soffrendo io.
Che inutile che sono...
Voglio morire...no...prima ti vendicherò, mamma. Poi me ne andrò.

Ecco, ora non sento più niente.
Ora mi sento veramente vuota. 
Anche la sofferenza è sparita. Infondo, non la meritavo.
Non merito nemmeno la sofferenza.
Hai sofferto sicuramente più di me. Chi sono io per lamentarmi?

E tutta colpa mia, dove ho sbagliato?

Lo farò soffrire mamma, te lo prometto

...
Sono così inutile"





24 novembre
Era da tre giorni che Kelly stava immobile a fissare il muro. Ed era da tre giorni che Dylan la osservava, indeciso sul da farsi; non era sicuro di cosa avrebbe dovuto dirle a quel punto; sicuramente si sarebbe dovuto scusare con lei: avrebbe dovuto dirle tutto tempo prima. Ormai sua madre era morta già da qualche settimana. In quel lasso di tempo Kelly non aveva avuto più motivo di sottostare alle regole di quel bastardo... Dylan aveva avuto un'opportunità spaventosa, aveva scoperto dell'omicidio della madre, commesso da nientemeno che il signor Foster, ovvero il padre del fidanzato di Kelly. Era stato escogitato in modo geniale e tenuto ben segreto, infatti nessuno sospettava niente. La madre di Kelly si faceva vedere in giro raramente, perciò farla scomparire era stato facile. Nessuno aveva mai pensato alla possibilità che Kelly si lascasse torturare per il bene di una persona già morta. Lei per prima non ci pensava. Era troppo occupata a sopravvivere. Eppure, per una semplice e piccola distrazione, Dylan aveva scoperto l'omicidio. Avrebbe dovuto dirglielo subito, ma era stato debole. Non era riuscito a trovare il coraggio per dirglielo. 
I sensi di colpa lo avevano perseguitato per settimane, finchè non furono proprio quelli a spingerlo a confessare.
"Dylan la ucciderà...ucciderà la mamma..."
Kelly doveva sapere.
"Kelly, tua madre...è già stata uccisa..."
Non doveva più venire maltrattata senza motivo. Ma dire quella frase lo aveva addolorato tantissimo. Aveva distrutto qualcosa nel cuore della persona che amava. Se ne vergognava. Ma provava ancora più vergogna per non avergielo detto prima. E se Kelly era già danneggiata psicologicamente per la violenza subita in tutti quegli anni, Dylan era quasi sicuro che la morte della madre avrebbe reso il suo cervello...irrecuberabile. 
Ne era sicuro: Kelly era diventeta... insana mentalmente.

Era da tre giorni che Kelly stava immobile a fissare il muro, e ogni minuto che passava, Dylan era sempre più convinto che non sarebbe più tornata come prima.
Ma non aveva fatto i conti con il cervello di Kelly. Quello, era sempre stato imprevedibile.
Infatti, contro ogni aspettativa, il 24 novembre Kelly si alzò e si avvicinò a Dylan, dicendogli che stava bene.
-Come sarebbe a dire che stai bene?- Dylan era sinceramente sorpreso e non badò al tono che assunse.
-Sarebbe a dire che ho ripensato molto alla situazione e ora come ora deprimersi non serve a niente.-
"Al momento, il mio unico obbiettivo è la vendetta."
-Mi spiace, ma non ti capisco. Hai appena subito un trauma e vuoi farmi credere che in soli tre giorni ti sei ripresa?- 
Lei si indicò la pancia.
-Non preoccuparti. Semplicemente non sento più niente...per ora. Non so se in seguito avrò un'altra crisi isterica come quella di tre giorni fa...è probabile. Ma ora la pancia non mi fa più male, quindi sto bene.-
-La pancia?-
-Si, quando sto male oppure ho paura, sento una morsa dolorosa che mi stringe lo stomaco. La mamma diceva che si tratta dell'adrenalina.- Appena disse la parola "mamma" la sua espressione non cambiò. Forse stava bene davvero. Sembrava abbastanza calma, non tranquilla, ma pur sempre calma.
Ma come era possibile? 
Dylan sospirò.
Passarono alcuni minuti quando Dylan cambiò discorso.
-Perdonami...- sussurò - avrei dovuto dirtelo subito...ma non ci riuscivo.-
Kelly non disse niente, ma lui continuò ugualmente, anche se a disagio.
-Quei lividi che hai sulle braccia sono solo colpa mia. Sono riuscito a scoprire l'omicidio circa all'inizio di novembre, perciò non avresti avuto motivo di continuare a farti maltrattare... Ma non ho trovato il coraggio per dirtelo e_-
Dylan s'interruppe; Kelly si era fiondate tra le sue braccia, di nuovo.
-Certo che ti perdono, è comprensibile.-
-Dici davvero?-
Lei sorrise. 
"Non scusarti, è solo colpa mia."
Dylan dopo un po' sorrise e il suo tono di voce di fece più dolce.
-Adesso sei libera, no?-
-Come?-
-Adesso che lui non ha più un "ostaggio", tu non sei più costretta a tornare da lui, no?-
Kelly spalancò gli occhi e rivolse il suo sguardo a Dylan.
Lui le prese il viso tra le mani, e il loro respiro accellerò, seguito dai battiti cardiaci. 
Kelly sorrise rasserenata e si alzò in punta di piedi, appoggiando le labbra sulle sue, timidamente.
Si strinse a lui, accarezzandogli piano le ciocche bionde che gli cadevano sulle spalle.
Lui le passò il braccio all'altezza della vita, e con l'altra mano continuava ad accarezzarle una guancia, mentre continuava a biaciarla, sulla bocca, sulla fronte, sul collo e sugli zigomi per asciugare le lacrime che a volte le sfuggivano involontariamente. 
Fino a quel momento, gli unici baci che aveva mai ricevuto erano stati quelli frettolosi della madre, quando era un po' più piccola, e quelli violenti del fidanzato, di cui se ne vergognava. 
"Mamma, permettimi almeno un po' di felicità, dopo penserò a..."
Il pensiero della madre scivolò via dalla sua testa, assieme ai lividi e alle ferite.
C'era solo Dylan nella sua testa, ora. 




25 novembre
Il pallone barcollò un po', per poi entrare nel canestro, facendo tintinnare le corde. 
-Grandioso! E' il terzo canestro di fila, Dylan!- Esulto il batterista, Nathan.
-E' tutto merito della rabbia, biondino!-
-Ah si? Bhe, finchè ti sfoghi su quello e non su di noi, a me sta bene.- 
I quattro componenti della band si erano trovati nella taverna della casa del bassista, un ragazzo alto e molto solare, di nome Zack. 
La stanza era abbastanza grande: in un angolo c'era la scrivania col computer, proprio di dietro un'enorme libreria, poi c'era il divano sulla quale il chitarrista, Vincent, e Nathan si erano stesi, non proprio aggraziatamente, e infine metà della stanza era quasi vuota per lasciare spazio al canestro appeso alla parete. Stavano aspettando che Kelly arrivasse, che era andata a prendere le sue poche cose dalla casa del suo "fidanzato"  e sarebbe dovuta essere lì tra non più di venti minuti. 
-Ragazzi!- il bassista richiamò l'attenzione del gruppo -Che cosa volete ascoltare adesso?- Chiese indicando il computer posto tra due enormi casse. 
-Bho, metti i Queen.-  Fece Vincent svogliatamente.
-Ma li abbiamo ascoltati prima.- Si lamentò Nathan -Metti i Rammstein.- concluse, cercando una posizione più comoda sul divano, ma finendo solamente col tirare una pedata in faccia a Vincent, cominciando così una baruffa tra i due.
-Uhm, ok- Zack fece partire la musica.
Dylan riconobbe immediatamente la canzone.
Si trattava di Haifish, una delle sue preferite.
-Hey Dylan, che vuol dire Haifisch?-chiese Zack indicando il monitor del computer.
-Cosa ti fa credere che io lo sappia?-
-Bhe, qui dentro sei l'unico che cerca le traduzioni dei testi delle canzoni che suoniamo_.- Zack s'interruppe- E voi due la smettete di litigare! Mi state distruggendo il divano!-
Dylan sospirò -Haifish significa squalo.- Spiegò.
Il ritornello irruppe nella sale a volume molto alto, e lui conosceva il significato di ogni frase.

Und der Haifisch der hat Tränen
Und die laufen vom Gesicht
Doch der Haifisch lebt im Wasser
So die Tränen sieht man nicht


E lo squalo ha lacrime... e gli scorrono dal viso...

Gli tornò in mente Kelly, mentre tirava nuovamente il pallone.

Ma lo squalo vive in acqua...Così le lacrime non si vedono...

Il pallone mancò di poco il canestro.
Dylan rimase immobile.
-Hey amico, è tutto a posto?- Chiese una voce dietro di lui.
Dylan si girò. -Kelly mente. E' impossibile che stia bene. Solo non capisco come faccia a risultare così calma. Come riesca a nascondere le lacrime.-
-Secondo me se l'aspettava, così come noi. Non ti nascondo che provo una grande rabbia per quel bastardo, ma dobbiamo agire con calma. Evidentemente anche lei la pensa così.- esordì Zack.
-No, secondo me non poteva prevedere una cosa del genere. Comunque, posso sapere come fai a restare così calmo?-
-Amico, da dove vengo io l'omicidio è roba da tutti i giorni...-
-Ma si tratta pur sempre della_-
-...Madre di Kelly, lo so- Zack si avvicinò, e gli battè la mano sulla spalla -credimi Dylan, faremmo meglio a non pensarci più a sua madre, concentriamoci piuttosto sul presente e sul nostro piano.-
-Forse hai ragione.-
-Appena arriva Kelly verifichiamo come sta, e se non è ricaduta in depressione, coinvolgiamo anche lei.-
- Mi sembra giusto- s'intromise Nathan -Immagino desideri vendetta, perciò spero vivamente che si sia ripresa. Superare un trauma simile non è roba da poco, ma lei è imprevedibile.-
-D'accordo, se va tutto bene, tra un po' potremmo dire addio al signor Foster e a quel suo maledetto figlio.- Concluse Zack ghignando.

Fine II capitolo


Salve a tutti, 
grazie per aver letto, se avete dubbi o critiche, vi sarei grata se recensiste, in modo che possa correggere gli errori.
Spero davvero che vi sia piaciuto!

canzone: Haifisch dei Rammstein

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Capitolo 3
*** Keep passing the open windows ***


f a l l    b e t w e e n    t h e    p i e c e s    o f    g l a s s    a n d   i c e
3^ capitolo - Keep passing the open windows
25  novembre

Quando Kelly vide per la prima volta il signor Foster aveva undici anni. 
Era una tempestosa serata di ottobre, quando lui venne a casa sua per una cena di lavoro con i suoi genitori; due mesi prima che suo padre perdesse la vita in un incidente stradale.
Sua madre aveva cominciato a lavorare per lui da settembre di quell'anno, e da quel momento, la piccola Kelly si accorse che sua madre diventava sempre più taciturna e chiusa. Pian piano divenne paranoica e alcune volte anche violenta. Kelly aveva sempre voluto bene alla sua mamma; anche in quel periodo, non la contestava mai, non metteva in discussione una singola parola che uscisse dalla sua bocca, anche quando perdeva il controllo e farneticava cose senza senso. Quanto aveva gli scatti d'ira, e iniziava a lanciare gli oggetti per la casa o si metteva a tirare pugni e calci al muro, sua figlia aspettava pazientemente che si calmasse, anche se molte volte ci volevano ore, e quando finalmente si stancava e crollava dal sonno, lei la metteva a letto e l'abbracciava forte. Perchè sua madre era sempre stata il suo punto di riferimento, e se non aveva lei non aveva nessuno. 
Quella sera c'era tensione in casa, molto più del solito e la piccola Kelly non poteva certo capire il perchè. Suo padre, che di solito si premurava sempre di consolare la moglie e darle forza col suo immancabile buon umore, quella sera era totalmente assente.
La cena si svolse silenziosamente e per Kelly fu estremamente noiosa; per lei fu come non essere presente. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo; perchè da quando quell'uomo era entrato in casa, gli occhi di sua madre erano così vuoti e spenti? 
Kelly aveva inspiegabilmente paura, non gli piaceva quella situazione; così si promise che presto quell'uomo brutto se ne sarebbe andato, che lei sarebbe potuta andare a vedere un po' di televisione col suo papà, e tutta la tensione accumulata sarebbe sparita.
Eppure, dopo cena, il signor Foster attirò la piccola Kelly vicino a sé. Fu scossa da un' improvvisa paura quando sentì le sue mani rugose sull' avambraccio. Il viso del signor Foster si fece più vicino, tanto che Kelly poteva sentire il suo alito sulla pelle. 
-Sai...- le sussurrò vicino all'orecchio -c'è una persona che è ansiosa di conoscerti...- scoprì i denti in un largo sorriso sinistro. Kelly tremava, mentre la stretta sul suo braccio si faceva più forte. 
Solo in quel momento scorse suo padre, accanto alla finestra, con la testra tra le mani.
-Ti prego no...- Foster si girò verso la madre, che aveva parlato dietro di lui -Mia figlia no, ti prego... farò tutto ciò che vuoi, ma ti prego... non portarmi via la mia bambina...-

-Kelly...- 

Kelly sentì le mani sue mani ruguse correre lungo tutto il corpo. Aveva la nausea, voleva piangere; voleva svenire e magari non risvegliarsi mai più. 

-Kelly...!-

Aveva tantissima paura. Sua madre stava gridando, ma lei non capiva cosa dicesse.
Suo padre si era accasciato contro il muro.
Kelly non riusciva a muoversi. Voleva solo piangere.


-Kelly!-

Kelly aprì gli occhi di scatto. Le ci volle qualche secondo per mettere a fuoco quello che la circondava e per realizzare dove fosse.
-Kelly, ti senti bene?- si voltò verso la voce familiare che aveva sentito alla sua sinistra.
-Dylan...- il ragazzo l'abbracciò e le fece appoggiare la testa sulla sua spalla. 
Kelly lo circondò con le braccia. -Sto bene...- mugugnò. 
Poi alzò lo sguardo. -Dove siamo? Cos'è successo?- chiese, con voce assonnata.
Zack le si avvicinò. -Sei a casa mia, non ti ricordi? Hai preso le cose dal tuo fidanzatino-figlio di puttana e sei venuta qui.-
-Già, poi a un certo punto sei svenuta e sei rimasta priva di sensi per qualche minuto. Ci stavamo preoccupando, sai?- Esordì Nathan. 
-Ah, mi spiace- Si scusò Kelly sorridendo lievemente -e...perchè siamo qui?-
Zack guardò Dylan, il quale fece cenno di no con la testa.
-Per decidere cosa fare ora...cioè, se non hai un posto dove andare poi restare qui. Tanto i miei non sono mai a casa.- Disse Zack -oppure... Dylan, tu dormi in un letto ad una piazza e mezzo, no? Potreste dormire insieme!-
Kelly strabuzzò gli occhi e arrossì violentemente, mentre Dylan sembrò strozzarsi con la sua saliva. 
Zack scoppiò a ridere, seguito poi dagli altri due membri della band.
-Posso...posso dormire sul divano- sussurrò Dylan, con lo sguardo basso, ancora in preda all'imbarazzo.
-Mmh, okay. Per me va bene stare da te.- Disse piano Kelly.
-Ottimo!- cinguettò Zack, dando una pacca sulla spalla al biondo, e sussurrandogli all'orecchio -Divertiti...-
Dylan sbuffò, tirandogli un cazzotto. 
Kelly intanto li osservava, e un lieve sorriso le comparve sulle labbra.

 

25 novembre
Dylan e Kelly stavano andando verso la casa del ragazzo, il quale si era offerto di portarle la valigia. Si tenevano per mano, e lei si era sentita incredibilmente leggera.
Cominciava a pensare un po' meno a sua madre, e un po' più a Dylan. Loro due stavano tornando a com'erano da bambini, quando ancora non capivano il mondo, ma vedevano il loro. Dylan aveva ricominciato a farle i dispetti, qualche volta. Le tirava una guancia, solo per vederla arrossire a quel contatto. Gli piaceva guardare Kelly mentre si imbarazzava, soprattutto quando le diceva "ti amo" a bassa voce. Così, al tempo stesso, Kelly aveva ricominciato a fargli il solletico quando poteva o a dirgli quanto fosse stonato, scherzando, ovviamente.
-Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?- chiese improvvisamente Kelly.
Dylan si girò a guardarla e sorrise al ricordo. -Eh, sì. Ricordo che ci siamo messi a litigare su quale fosse la canzone più bella dei queen.-
Kelly ridacchiò. -E' vero! Quanti anni avevamo? Nove, dieci?-
-Tu dovevi averne nove, io qualcuno di più.-
I due passarono accanto al porto e Kelly lo prese per un braccio trascinandolo fino al primo ponticello di legno. -E' qui che ti ho visto la prima volta.- disse, sedendosi all'estremità del ponte, seguita dal biondo. Lei gli prese la mano e appoggiò la testa sulla sua spalla.
-Ricordo che hai tirato fuori il walkman e mi hai fatto ascoltare "Keep passing the open windows"- 
-E poi ti ho fatto ammettere che è la canzone più bella dei queen.- sorrise compiaciuto.
-Non ho mai detto una cosa del genere.- sbuffò Kelly -c'erano loro canzoni che mi piacevano di più.-
-Si, ma quel giorno mi hai detto che quella era diventata la tua preferita, dopo che te l'avevo fatta ascoltare.- 
-Era...per far colpo su di te, va bene?!- Kelly s'imbronciò, portando le gambe al petto.
Dylan rise e prese dalla tasca il suo lettore mp3, porgendo una cuffietta a Kelly.

-This is the only life for me, 
surround myself around my own fantasy- 


iniziò a canticchiare Dylan.

-You just gotta be strong and believe in yourself,
 forget all the sadness because love is all you need.


Kelly alzò lo sguardo al cielo, e iniziò a cantare insieme a lui.

-Just believe, just keep passing the open windows-

Rimasero così, abbracciati l'uno all'altro, osservando l'acqua calma tra le barche, ricordando quand'erano bambini, come se quel semplice gesto fosse bastato a spazzar via tutti gli avvenimenti negativi di quel periodo.

 
30 novembre
"Do you know what it's like to be alone in this world
When you're down and out on your luck
and you're a failure?"


Kelly era di buon umore, quel giorno. Era la prima volta che usciva da sola da molto tempo. Dylan sarebbe rimasto all'università fino a tardi e lei ne aveva approfittato per andare a fare un giro con una sua amica. Si stava dirigendo verso il luogo dell'incontro e intanto stava ascoltando musica. Non potè fare a meno di sorridere quendo comparve sul display "keep passing the open windows". L'ascoltò con il sorriso sulle labbra.

 "Sai cosa significa essere soli in questo mondo
Quando la fortuna non ti assiste
e sei un fallito?"
 

Kelly si sentiva forte ad ascoltare quelle parole. Stava uscendo dalla depressione, non era più vittima di violenza e a casa l'aspettava la persona che più amava al mondo. Il testo di quella canzone divenne per lei il passato alla quale era sfuggita. 

"Wake up screaming in the middle of the night
You think it's all been a waste of time
It's been a bad year"

"Ti svegli gridando in mezzo alla notte
Pensi che sia tutta una perdita di tempo
È stato un brutto anno"


Attraversò la strada affollatissima, dirigendosi verso il centro. Arrivata all'incrocio esitò un attimo, non ricordando bene la strada. Optò per andare a destra, e percorse una viuzza immersa nell'ombra e decisamente meno affollata. 
 
"You start believing everything's gonna be alright
Next minute you're down, and you're flat on your back"

"Cominci a credere che tutto si metterà a posto
Un minuto dopo diventi triste, con le spalle fino a terra"


Era stata molte volte in centro; quando era piccola sua nonna la portava spesso a fare un giro per i negozietti. Quel vicolo lo ricordava un po', doveva esserci già passata qualche volta. 

"A brand new day is beginning
Get that sunny feeling and you're on your way"

"Un nuovo giorno sta iniziando
Cattura quella sensazione gioiosa e sarai sulla tua strada"


Di colpo le venne in mente la strada giusta, e fece per rimettersi sui suoi passi, quando sentì una presenza dietro di sè. Non fece in tempo a girarsi che il collo iniziò a pulsare. L'ultima cosa che percepì fu la siringa piena di sedativo che le perforava la palle e un dolore accecante.
Poi cadde a terra e non sentì più nulla.

"Just believe, just keep passing the open windows"



Fine III capitolo


canzone: Keep passing the open windows dei Queen

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Capitolo 4
*** Angel with a shotgun ***


f a l l    b e t w e e n    t h e    p i e c e s    o f    g l a s s    a n d   i c e
4^ capitolo - Angel with a shotgun
 
01 dicembre
Svegliarsi da un sogno è solitamente molto difficile, specialmente se si è in totale armonia con esso. Kelly sognava il mare quella notte, un mare calmo di una serata d'estate. Il cielo era ancora chiaro e si sentivano i gabbiani in lontananza. Sentiva l'acqua che pian piano le raggiungeva i piedi che sprofondavano così nella sabbia bagnata. 
Si sentiva leggera, non c'era alcuna preoccupazione che distorcesse la calma che l'avvolgeva. C'era un odore familiare nell'aria, ricordava quella spiaggia perchè i suoi genitori la portavano lì per trascorrere le vacanze estive. Ricordava il vecchio faro sulla quale Dylan aveva provato ad arrampicarsi a tredici anni; alla fine era caduto e si era sbucciato il ginocchio. Poco lontane c'erano le cabine dove lei e i suoi amici giocavano a nascondino e vicino ad esse c'era un enorme albero in fiore, dove Dylan le aveva dato un bacio sulla guancia la prima volta, a sedici anni.
Poco più in là intravide sua madre, intenta a leggere sulla sdraio; sollevò gli occhiali da sole e le sorrise.
Kelly non ricordava il volto di suo padre, eppure era certa che l'uomo che vedeva in piedi accanto alla madre fosse proprio lui. Non si fece domande, in realtà non ricordava l'incidente stradale di sei anni prima, come se il cervello avesse voluto cancellarlo, solo per quella notte.
Sentì poi due braccia avvolgerle la vita e percepì le labbra di Dylan premere sui capelli. Kelly si abbandonò all'abbraccio chiudendo gli occhi. Stava così bene.
Dopo un po' avvertì una strana sensazione alla schiena, come se qualcosa di duro premesse sulle scapole, e poi  anche sulle gambe e sulla testa. 
"Dylan?" provò a dire, ma non aveva voce. 
Allungò le mani dietro di sè per cercarlo, ma qualcosa di duro glie lo impediva. "Un...muro?"


Il mare si dissolse, mentre riprendeva conoscenza. Improvvisamente una serie di immagini precedentemente dimenticate si fecero spazio prepotentemente nella sua testa, facendole venire i crampi allo stomaco. Era sdraiata su un pavimento freddo. Si alzò per orientarsi, ma un giramento di testa la costrinse ad appoggiarsi alla parete. Si sedette con le gambe al petto, cominciando a piangere silenziosamente. Aveva moltissima paura, ma si costrinse a cercare di capire dove fosse. Non c'era molto in giro, ma quel poco le bastò a comprendere dove si trovasse.
Era stata solo una volta là sotto, in quello scantinato.
Era stato quando aveva cercato di disobbedire al figlio di Foster. Quando lui aveva provato a toccarle i seni lei lo aveva schiaffeggiato e gli aveva urlato di non provare a sfiorarla. 
Da quel giorno lei aveva imparato a non osare mai contraddirlo e a fare tutto ciò che le chiedesse. Se mai avesse provato a disobbedirle l'avrebbe riportata nello scantinato, aveva detto. Kelly gridò ai ricordi che le riaffioravano nella mente. 
Sussurrò due parole prima di accasciarsi contro il muro.
-Voglio morire.-
01 dicembre
Si mise le mani tra i capelli sbuffando. 
-Dove cazzo l'avrò messa?- Borbottò Zack  lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia girevole davanti alla scrivania.
Aveva perlustrato l'intrero seminterrato, ma non era riuscito a trovare la pistola di suo padre.
Visto il periodo, qull'arma gli sarebbe senz'altro servita.
-Magari è in uno di quegli scatoloni nello sgabuzzino.- pensò ad alta voce, com'era solito fare quando era da solo; era un modo per non sentire il silenzio che opprimeva quella casa da quando i suoi genitori non c'erano più.
-Ma che fai? Adesso parli da solo?- sobbalzò a quella voce familiare, proveniente dal piano di sopra.
-Nathan?- 
Nathan scese rapidamente le scale, saltandole a due a due, fino a raggiungere l'amico.
-Che bello averti qui!- cinguettò stritolandolo in un abbraccio.
-Ma levati idiota!- lo spinse via Nathan. Zack si finse offeso, per poi prendere a scompigliarli i capelli col suo solito sorriso stampato in faccia.
-Ad ogni modo, che cosa ci fai in casa mia?-
Lui alzò le spalle -Mi annoiavo.-.
-Ma non ti hanno insegnato a bussare? E se fossi stato nudo?- Chiese alzando un sopracciglio.
L'altro scrollò nuovamente le spalle.
-Pervertito...- sussurrò Zack con voce appena udibile.
-Io?- Gli chiese Nathan scostando la frangia color miele dagli occhi. Zack rise e lo baciò sulla fronte per scherzare.
-Che schifo...- Disse il biondo, anche se l'altro sapeva benissimo quanto gli piacesse ricevere quel genere di attenzioni. Zack non si scandalizzava di certo se, a volte, il suo migliore amico gli si accoccolava adosso perchè si sentiva triste, o lo abbracciava di sfuggita per alcuni secondi.
In realtà Nathan era una persona estremamente timida e riservata e non gli piaceva particolarmente relazionarsi con le persone. Con Zack però era diverso, perchè riusciva ad entrare in qualsiasi individuo e capire cosa provava; avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vedere i suoi amici felici. A Nathan piaceva quando Zack lo ascoltava e lo trattava come una persona speciale nella sua vita, cosa che però non avrebbe mai ammesso.
-Ah, Nat- esordì a un certo punto -Dammi una mano a trovare la pistola di mio padre.-
-Ma è mai possibile che non trovi mai niente?- Chiese incrociando le braccia -Sei sempre il solito disordinato...-
L'altro gli sorrise sgrattandosi imbarazzato la testa -Eddai, non essere così cattivo...-
Nathan sbuffò, cominciando a cercare tra gli scaffali dove Zack teneva tutte le cose di suo padre. Il ragazzo non era mai stato un tipo di molte parole e capitava spesso che si perdesse nel suo mondo, dimenticandosi della realtà circostante. Chissà quali incredibili segreti poteva contenere la sua mente, chissà quali unici e personali pensieri potevano formarsi là dento. A Zack piaceva indagare sui mondi che ogni persona si costruiva dentro sè.
-Si dice che prima di iniziare una guerra, dovresti sempre sapere per cosa combatti...- Sussurrò pianissimo il biondo, perso nei suoi pensieri.
L'amico si girò ad osservalo. Lo trovava adorabile quando faceva così.
-E io voglio vivere, non solo sopravvivere...-
-Cos'è adesso anche tu parli da solo?- Il biondo sussultò e fece cadere un libro per terra.
Sbuffandò si chinò a terra -No, stavo pensando al testo di una canzone che mi piace particolarmente.- disse rimettendo il volume al suo posto -e senza rendermente conto ho cominciato a cantarla.-
-Mi piaceva.- Gli disse, mentre cercava nei cassetti della scrivania -Puoi cantarla ancora?- Sul viso di Nathan comparve un lieve rossore -Va bene...- e con voce un po' tremante continuò a cantare.

Un' ora dopo Zack e Nathan erano distesi sul divano a cercare qualcosa di decente alla televisione. La pistola, trovata dopo circa un' ora di ricerca, era stata caricata e appoggiata sul tavolino di vetro. 
Improvvisamente il telefono di Zack squillò. Visto che Nathan era praticamente steso sopra di lui, lo fece scivolare per terra e si alzò, dirigendosi verso la scrivania per prendere il telefono.
-Pronto?-
-Zack, sono Dylan, devi aiutarmi.- L'amico si preoccupò alla voce ansiosa del suo amico. Nathan intanto, percependo il cambio di umore dell'altro gli si avvicinò silenziosamente.
-Dimmi Dylan...-
-Kelly ieri non è tornata a casa...ho provato a chiamarla, ma ha il cellulare spento. E'...per un qualsiasi motivo a casa tua o...l'hai vista...?-
-No mi dispiace...ma forse so dove potrebbe essere...- disse girandosi a guardare la pistola sul tavolo con lo sguardo pensieroso.
02 dicembre
-Hai freddo, tesoro?-
Kelly non rispose, forse non aveva nemmeno sentito. Erano le due di notte. Stava rannicchiata in un angolo, contro le piastrelle del muro freddo, chiedendosi quando sarebbe cominciata la tortura.
Stava effettivamente congelando, ma la paura la soppraffava impedendole di concentrarsi su nient'altro che non fosse lui.
-Rispondimi puttana!- Urlò afferrandola per il collo. Gli occhi di Kelly erano spalancati, e il loro solito colore turchese era spento e vuoto. Aveva la bocca schiusa e i capelli corvini aggrovigliati che le ricadevano sul viso sconvolto. 
Contando su tutta la forza che aveva, tirò fuori quella poca voce che aveva nella sua gola secca.
-Ho freddo...-
-Supplicami come si deve.- Con un piede schiacciò la faccia di Kelly sul pavimento sporco.
Continuò a fare pressione, mentre un ghigno gli compariva sul volto.
-Ti-ti prego... ho freddo...- La voce gli tremava e il suo corpo continuava ad avere spasmi.
-Oh, non preoccuparti...- Tolse i piede e pian piano s' inginocchiò davanti a lei, accarezzandole il viso -Adesso ci penso io a scaldarti...-
L'afferrò per i capelli e la tirò su. La sbattè violentemente contro il muro. Lei chiuse gli occhi e aspettò che cominciasse a picchiarla.

Get out your guns, battle's begun
Are you a saint or a sinner?
If love's a fight, than I shall die
With my heart on a trigger?

Tira fuori le armi, la battaglia è iniziata
Sei un santo o un peccatore?
Se l'amore è uno scontro, io morirò
Col cuore su un grilletto?


Così, cominciò a tirarle calci, sfogando tutta la rabbia e la frustrazione che aveva in corpo. 
Kelly respirava a fatica, e dopo alcuni attimi cominciò a perdere sangue dalla bocca.
Improvvisamente le arrivò un colpo più forte degli altri, che la fece sbattere contro il pavimento. Tossì per alcuni secondi e sputò un dente per terra. Quando si riprese ansimava e tremava; le lacrime continuavano a scorrerle sul viso e i singhiozzi interrompevano irregolarmente i suoi respiri.
Perchè era così debole? Perchè non riusciva a reagire?
-Non provare mai più a scappare, hai capito, Kelly?- sussurrò in tono piatto. Il suo volto era in penombra rendendolo, se possibile, ancora più inquetante.
Kelly pregava le sue gambe di alzarla e sostenerla. Pregava il suo corpo di reagire, ma si sentiva troppo pesante.
-Tu sei di mia proprietà...e io ti amo Kelly...non devi mai più allontanarti da me...-
A quelle parole le venne un conato di vomito. Era malato quel ragazzo... le prese il viso tra le mani e cominciò a baciarla.
"No...fermati...ti prego, smettila..."

They say before you start a war
You'd better know what you're fighting for
Well baby, you are all that I adore
If love is what you need, a soldier I will be

Si dice che prima di iniziare una guerra
Dovresti sempre sapere per cosa combatti
Tu sei tutto quello che adoro
Se è d'amore che hai bisogno, io sarò un soldato


Pensò a Dylan, e l'unico pensiero che si formò fu che non voleva che soffrisse ancora. Non era giusto, non voleva renderlo infelice.

In Kelly montò un'irrefrenabile rabbia, e per la prima volta da anni, si divincolò e reagì. 
Lei voleva riavere indietro la sua vita.

And I wanna live, not just survive

E io voglio vivere, non solo sopravvivere


-Hai ammazzato mia madre, figlio di puttana!- Gridò dimenandosi dalla sua stretta impovvisamente fuori di sè.
-Io ti ammazzo, giuro che ti taglio la gola e ti squarto la faccia!-
Lui non disse niente, si era fermato da quello che stava facendo e ora la osservava con indifferenza.
-Perchè mi guardi così? Io non sono più la tua troia, non sono più di tua proprietà!-
Vedendo che lui non mostrava alcun segno di paura lei si arrabbiò ancora di più. 
-Perchè non hai paura di me!?- Gli urlò prima di bloccarsi e cominciare a piangere silenziosamente. 
-Sei debole.-
-No...io_-
La schiaffeggiò di nuovo, graffiandole il viso a causa dell'anello che portava al dito. Kelly gridò e si tastò la guancia con la mano.
-Kelly...- Il suo tono di voce si addolcì improvvisamente -Tu non devi parlarmi così, il nostro amore_-
-Io amo Dylan!- Urlò. Il ragazzo rimase a fissarla per un lungo istante per poi iniziare a ridere piano. 
-Suvvia Kelly, non dire queste sciocchezze...-
"Sciocchezze?"
-Dylan è...solo un ostacolo al nostro amore, tesoro. Ma ora dovresti farti perdonare per tutte quelle cattiverie che hai detto su di me...-
E mentre la tortura ricominciava e il sangue tornava a scorrere sulla sua pelle, Kelly promise a se stessa che avrebbe vinto quella guerra.

I'm an angel with a shotgun, fighting til' the war's won.

Sono un angelo con un fucile, combatterò finché la guerra non sarà vinta.


Fine IV capitolo

 
Buonasera a tutti!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vorrei ringraziare tantissimo la mia beta Sespia!! *w*
Inoltre ringrazio tantissimo anche Miryel e Maria Kurenai, che seguono e recensiscono la storia! Grazie infinite ragazze <3
Spero di riuscire ad aggiornare presto, perchè ho tantissime idee in testa!
Bye Bye *3*


canzone: Angel with a shotgun dei The cab

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Capitolo 5
*** No more ***


Piccola premessa: l'ultima parte del capitolo è scritta in grigio perchè parla di fatti accaduti 6 anni prima, io lo dico nel caso non si capisse ^^
Spero che il capitolo vi piaccia, buona lettura!

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5^ capitolo - No more

03 dicembre

Dylan era di fatto l'unico componente della band che cercava i testi delle canzoni che suonavano. Non aveva mai fatto molto caso al significato delle parole che urlava davanti al microfono, semplicemente gli piaceva leggerle, le trovava belle, come una poesia.
Eppure, non aveva mai notato l'immagine che si creava dietro al testo.
“No more” era una canzone che gli piaceva particolarmente: il ritmo, le note, ma le parole...solo in quel momento le vide come uno specchio. Uno specchio nella quale si rifletteva la sua anima tormentata.

Give me reason to stay here
Cause I don't want to live in fear

Dammi una ragione per rimanere qui
Perchè non voglio vivere nella paura


Dylan aveva paura. Pregava che il dolore dentro di sè si fermasse, implorava i suoi sentimenti di lasciarlo in pace; ma quel pensiero rimbombava costantemente nella sua testa, come una canzone. Una canzone le quali parole lo facevano gridare dal dolore. E le sentiva quelle grida dentro di sè...
Oppure come una poesia, che evoca immagini troppo forti, troppo macabre per essere sopportate.
“Basta...ti prego”

I can't stop the rain
But I can stop the tears

Non posso fermare la pioggia
Ma posso fermare le lacrime


“Posso fermare...le lacrime?”
C'era un solo modo, alla fine. E quell'idea era in qualche modo sempre stata presente nella sua testa, nonostante fosse lui stesso ad impedirsi anche solo di pensarci.

O vivi nella paura o dici basta.
Perchè rimaniamo? Andiamo via.
Questo era ciò che aveva compreso dal testo della canzone che ormai non riusciva più a togliersi dalla testa.

No more
I just can't live here
No more
I can't take it
can't take it
No more
what do we stand for?
No more
when we all live in fear

Basta
non posso proprio vivere qui
Basta
non posso farcela
non posso farcela
Basta
per cosa rimaniamo?
Basta
Quando tutti viviamo nella paura


-Dylan?-
Il biondo alzò la testa, e vide Zack osservarlo preoccupato.
-Dylan non preoccuparti, andrà tutto bene.- disse con quella sua voce gentile, che infondo lo caratterizzava. -Kelly è una dura, adesso lo starà prendendo a calci in culo.-
Ovviamente sapeva che non era vero, nè tanto meno possibile.
Dylan sospirò.
Come stava Kelly? Anzi, era ancora viva?
Foster sapeva che Kelly era a conoscenza dell'omicidio della madre?
Quelle domande gli si stavano contorcendo dentro, si sentiva soffocare.

Ma in fondo, sarebbe stato così  semplice mettere fine a questo strazio.
Smettere di soffrire, ma a quale prezzo? La sua vita, certo; ma a qualla non aveva pensato molto. Il motivo principale che gli impediva di ammazzarsi era Kelly. Come poteva essere tanto egoista e codardo per lasciar soccombere la persona che amava, mentre lui diceva addio alla sofferenza?

Si alzò dal divano sulla quale era rigidamente seduto, e si diresse verso la scrivania. Prese tra le mani una delle pistole lì appoggiate.
-Zack, dove le hai trovate queste?-
-Un mio amico mi doveva alcuni favori.- Spiegò vagamente.
Dylan osservò l'oggetto, rigirandolo tra le mani. Passò le dita lungo la canna, per poi fermarsi ad osservare il foro in fondo ad essa.
I suoi compagni s'irrigidirono nel vederlo con una pistola praticamente puntata addosso, ma prima che potessero dire alcunchè Dylan li precedette -E' senza munizioni.-
-Okay. Ma puntala comunque da un'altra parte, amico.-
Dylan abbassò la pistola. -Quando arriverà il momento...posso ucciderlo?
Il moro deglutì -Potremmo sempre dire che era leggittima difesa, non penso che la polizia faticherebbe a crederci.-
-Infondo, quelli non fanno mai un cazzo.- Disse  Vincent stiracchiandosi sul divano accanto a Nathan. -Non ci hanno neanche provato ad indagare su Foster e non hanno alzato un dito quando gli abbiamo parlato di Kelly.-
Zack scollò le spalle -"Mancanza di prove" hanno detto.-
-E invece...sono dei cagasotto- Disse con rabbia. -Perciò non penso proprio che ti faranno niente se ammazzi un criminale.-
-Gli faresti un piacere.- Zack gli mise un braccio attorno al collo.
-Zack?-
-Dimmi biondino-
-Cosa stiamo aspettando esattamente?-
-Bhe non possiamo agire se non sappiamo dove andare, no? Kelly non ti ha mai detto dove abitavano Foster e suo figlio?-
-No, evitava sempre il discorso.-
-Appunto. Un mio amico sta indagando.- Disse scompigliandogli i capelli con fare affettuoso. -E' un genio quando si tratta di queste cose.-

Sucessivamente, Zack aveva voluto che Dylan si fermasse a dormire da lui, avendo paura che perdesse il senno e che compiesse azioni che non avrebbe dovuto compiere. Lo accompagnò dunque nella camera degli ospiti, per poi andare in camera sua e crollare immediatamente nel suo letto, dimenticandosi degli altri due ragazzi che, incuranti dell'ora, ancora erano di sotto a guardare la televisione.
-Kelly è viva. Non riesco a pensare che non sia così.- Disse Vincent a Nathan, mentre stavano sdraiati sul divano a girare i canali. Nat aveva la testa poggiata al bracciolo, mentre Vincent, non trovando altro spazio, dato che l'altro era sdraiato lungo tutto il divano, gli si era letteralmente disteso sopra.
-Vince.-
-Mmh.-
-Ti spiacerebbe spostarti?-
-Ma io sto comodo.-
-Sì, ma io no.- Disse seccatamente tirandogli una ginocchiata e facendolo rotolare per terra.
Vince represse l'istinto d'insultarlo, cominciando invece a punzecchiarlo per farlo infastidire.
I due iniziarono così a spintonarsi per ottenere il posto sul divano.
Vince e Nat sembravano in tutto e per tutto due fratelli. Nonostante i loro caratteri opposti.
Vincent era uno stronzo. O almeno così lo presentava Nathan.
Si erano conosciuti all'asilo, e anche a quel tempo lui sapeva essere piuttosto arrogante e prepotente, e in ogni discussione pretendeva di aver ragione, sempre.
All'inizio si erano odiati, ma divennero amici inseparapili quando, alle elementari, Vince prese le difese di Nathan davanti un gruppo di bulletti che lo stavano prendendo in giro. Lui non aveva detto niente, troppo timido e spaventato per potersi difendere, eppure, improvvisamente Vincent gli si era parato davanti e aveva cominciando ad insultare i bulli con parole che probabilmente un bambino della sua età non avrebbe dovuto conoscere. 
Nathan gli aveva chiesto perchè lo avesse fatto, e lui in tutta risposta aveva alzato le spalle.
-Istinto- gli aveva detto.
Il biondo aveva poi dedotto, che l'altro non aveva amici, per il suo carattere complicato probabilmente, così gli rimase sempre vicino da quel giorno.

Nat cadde sconfitto sul tappeto. -Hai vinto, hai vinto Vince. Mi arrendo.- Disse alzando le mani.
Vince sorrise soddisfatto, facendo dondolare le lunghe gambe. Nat sospirò. Si mise a sedere con le gambe incrociate, e rilassò la schiena contro il divano; appoggiò la testa contro una delle gambe dell'altro, chiudendo gli occhi.
-Mi manca Kelly...-
Vince gli passò una mano tra i morbidi capelli biondi. -Anche a me...-

 03 dicembre
-Tieni-
La figura scura, appena apparsa sull'uscio della porta, le lanciò un pezzo di pane.
Lo scantinato cominciava a diventare buio a causa dell'ora tarda. Dalla piccola finestra in alto filtrava un po' di luce, proiettando lunghissime ombre.  Kelly afferrò il pane, cominciando a morderlo avidamente, nonostante avesse preferito tirarglielo addosso, senza cedere alla fame che le stava divorando lo stomaco.
Foster le si avvicinò, ma lei continuò a mangiare indifferente. Sapeva che lui non le avrebbe fatto del male. Per quanto ne sapeva, solo il figlio poteva maltrattarla e aveva proibito al padre anche solo di toccarla.
-Sai Kelly...- Lei continuò a mangiare senza alzare lo sguardo, ma rimase comunque in ascolto.
-Mi sono accorto di una cosa...Fino a poco fa mi ricordavi molto tua madre...-
Lasciò cadere il pane a terra. Ci aveva messo così tanto tempo per abituarsi a convivere con la morte di sua madre, ed era convinta ormai che quel pensiero non le desse più dolore, ma  sentirla nominare la ferì inaspettatamente e sentì le lacrime che cominciavano a velarle gli occhi, quando i ricordi a lei legati riaffioranono.
"Non sei poi così forte, no Kelly?"
Mentre tentava vanamente di contenersi, Foster proseguì -Lo stesso sguardo vacuo, quella stessa...disperazione che vi si leggeva sul viso- Kelly fu disgustata dal vedere Foster così preso mentre ricordava sua madre così. -e poi, quella stessa follia che vi stava consumando lentamente il cervello...-
-Mia madre ha ceduto alla disperazione, io no.- sputò.
-Sì sì...vedo che ti sei ripresa_-
-C'è un motivo in particolare per cui sei venuto a rompermi le palle?-  lo interruppe cominciando ad irritarsi.
Foster rise -Beh niente, è solo che ho notato che ora assomigli molto più a tuo padre.-
-Eh?-
"Mio...papà?"
Foster fece per alzarsi, ma Kelly lo tratenne, per quanto potessero permetterglielo le catene a cui era stata legata.
-Aspetta!- Lui si girò, fissandola dall'alto in basso.
-Cosa sai di mio padre?- gli chiese.
Lui di divincolò facilmente dalla sua presa e si allontanò ridendo tra sè.
-Uomo coraggioso tuo padre...ma è stato alquanto stupido. Mettersi contro di me gli è costata la vita.-
"ma lui era morto per un incidente..."
-Foster!!!- gridò Kelly, prima di vederlo sparire dietro la porta.

 

03 dicembre - 6 anni prima
-Voglio che lasci in pace la mia famiglia, bastardo!-
Il signor Withingale non alzava mai la voce, non era mai agressivo nè tanto meno usava parolacce. Ma in quel momento, si era alzato dalla sedia e, sbattendo le mani sulla scrivania con forza, aveva urlato quelle parole con disgusto nella voce. L'uomo dietro la scrivania intanto, aveva giunto le mani davanti al viso e sbuffato una risata.
-Non capisco proprio cosa intenda signor Withingale. Sono solamente un onesto direttore di una società, io non...-
-Non blaterare scuse, maledetto... Credi che non veda come torna a casa mia moglie da lavoro, voglio sapere che cazzo le fai! Eh? Che cazzo le fai?-
-Intanto mi dia del lei...- Disse non curante. Di fatto non aveva ascoltato una singola parola.
Withingale, ignorando le sue parole, continuò a sfogare tutta la rabbia accumulata in quel periodo di tempo.
-Non avvicinarti mai più a mia moglie e mia figlia!- Disse, ricordando la cena a casa loro di due mesi prima. -Dio, è una bambina!-
Infine si sedette e riprese fiato. Non era abituato ad urlare a quel modo.
Era un uomo dolce lui; si prendeva cura della sua bambina e di sua moglie con affetto e amore; ma non poteva sopportare che quell'uomo, gli portasse via la felicità della sua famiglia.
-Foster...- Disse quando finalmente si calmò -Perchè hai preso di mira proprio lei?-
Lui si alzò piano e si girò verso la finestra. -Tua moglie... è solo un ostaggio...- Disse a bassa voce. -E con questo, ho già detto troppo.-
-Che cosa...- Fu interrotto dallo squillare di un cellulare. Foster infilò una mano nella tasca della giacca e prese il telefono.
-Emmanuel...- Sussurrò mentre il suo sguardo si incupiva fissando il nome sul display. -Se ne vada Withingale.- e detto questo portò il cellulare all'orecchio.
Withingale uscì di corsa, sbattendo la porta, lasciando l'uomo da solo.
Foster prese un bel respiro e rispose -Ciao figliolo...-


Foster appoggiò il cellulare sulla scrivania.
-Non proccuparti Emmanuel.- Sussurrò a se stesso -Tuo padre adesso risolve tutto.-


Il signor Withingale frenò all'incrocio, aspettando che le persone attraversassero la strada. La rabbia di prima era stata sostituita dalla tristezza, e in parte anche paura. Doveva assolutamente fare qualcosa per sua moglie e sua figlia. Premette l'acceleratore e ripartì, imboccando una delle strade di periferia.
Quelle strade erano deserte a quell'ora; c'era solo un auto dietro di lui.
Era perso nei suoi pensieri, ma si accorse di quell'auto che lo stava velocemente raggiungendo.
" 'Sti pirati della strada, questo vuole superarmi..." Pensò.
Osservò dallo specchietto l'auto. L'uomo che la guidava doveva essere ubriaco, sbandava un po', la sua guida era quasi tremolante. Ormai era vicinissimo.
-Cristo, questo vuole fare un incidente, eh!-Disse con rabbia.
Improvvisamente perse il controllo della macchina e prima che potesse allontanarsi dall'auto o anche solo realizzare cosa stava succedendo, si schiantò contro qualcosa che non vide. Non vide niente, e sentì degli strani e dolorosi suoni. Un dolore accecante lo colpì improvvisamente alla schiena, per poi diffondersi pian piano in tutto il corpo. La vista era offuscata, ma percepì comunque il liquido caldo che scendeva tremolante sulla sua pelle.
Mentre cominciava a singhiozzare sommessamente desiderò con tutto se stesso che quello strazio finisse. 
"Basta, non ce la faccio più"
E in quel momento, parve che l'universo avesse voluto esaudire il suo ultimo desiderio. Sentì ogni forza mancargli e il dolore attenuarsi. Prima di morire però, un ultimo accecante pensiero invase la sua mente. Rivide la sua bambina, vividamente, sorridergli mentre giocavano. 
Ma ormai era troppo tardi. Il desiderio era già stato esaudito.

L'auto si fermò a qualche kilometro di distanza. Foster prese il telefono e con un sorriso isterico sul voltò parlò.
-L'ho fatto, figliolo. L'ho fatto.-


Fine V capitolo


canzone: No more dei Three days grace

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Capitolo 6
*** Bitter taste ***



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6^ capitolo - Bitter taste


03-04  dicembre

Kelly non aveva idea di che ore fossero, era solo certa che fosse notte fonda ormai. Aveva molto sonno, tuttavia non riusciva a dormire. Stare contro il muro per ore ed ore era dannatamente scomodo, i muscoli le dolevano e alcune parti del corpo si erano addormentate; era perciò costretta ad una veglia sofferente ed inoltre, noiosa. La notte sembrava non passare mai.
Dopo alcuni interminabili minuti si decise a farsi forza e si alzò, cominciando a girovagare per lo scantinato, o almeno fino a dove le catene glielo permettevano. C'erano degli scaffali enormi, pieni di scatoloni e cianfrusaglie varie, che le ricordavano un po' la cantina disordinatissima di casa sua. Non vedeva molto, ma dalle finestrelle in alto filtrava la pallida luce della luna. Mossa dalla noia e dalla curiosità si mise ad aprire alcuni scatoloni, giusto per trovare qualcosa che avrebbe potuto distrarla per un po', per non farla pensare ad Emmanuel, ma non trovò quasi nulla. Tornò a sedersi sconfortata, quando notò che sotto lo scaffale alla sua destra c'erano dei sacchi neri, probabilmente dell'immondizia.
Kelly si chiese cosa ci facesse l'immondizia lì, anziché essere nei cestini fuori di casa.
Sentì gli occhi farsi pesanti a causa del mancato sonno.
“sembrano morbidi” pensò “potrei dormirci sopra”.
Il pensiero di dormire sopra ai dei sacchi dell’immondizia non l’allettava granché, ma sarebbe comunque stato meglio che dormire contro il muro.
-Che schifo…- mormorò afferrando uno dei sacchi. In qualsiasi altra situazione non l’avrebbe mai toccato, ma il sonno le impediva di ragionare lucidamente. Inoltre, dopo tutto quel tempo passato nello scantinato, molte cose avevano perso d’importanza. Allungò lentamente una mano verso il sacco, e lo tirò a sé. Appoggiò la testa, ma si sentì comunque scomoda. Non era affatto morbido come credeva e aveva un odore strano. Si rimise seduta sbuffando.
Un rumore improvviso proveniente dal piano di sopra la fece sobbalzare, e con un gesto involontario spinse via il sacco. Questo cadde  per terra strappandosi. Kelly lanciò un urlò strozzato, quando vide scivolare fuori dal sacco dell'immondizia quella che sembrava essere una testa.
Forse era solo uno scherzo della sua mente, un'allucinazione, probabilmente dovuto alla disidratazione, ma Kelly avrebbe giurato di aver appena visto il cadavere di Zoe Withingale, sua madre.


-Sembri piuttosto tranquilla ultimamente.- Constatò Dylan.
Kelly era seduta sul suo divano mentre controllava di aver messo il portafoglio nella borsa, visto che di lì a un'ora sarebbe uscita per andare a fare un giro con una sua vecchia amica.
Lasciando stare la borsa, Kelly si girò verso il suo fidanzato che si sedeva accanto a lei.
-Posso confessarti una cosa Dylan?-
-Dimmi.-
-Credo che l'unica cosa che mi impedisca di crollare, sia il fatto che non sia del tutto consapevole della morte della... mamma.- disse con apparente difficoltà.
Dylan la guardò stranito.
-Cioè...so bene che lei non c'è più, ma è come se avessi ancora una minima possibilità che sia tutto un malinteso e che lei sia ancora viva... Io ti credo, davvero, e mi fido di te e di ciò che hai detto ma...è come se il mio cervello non avesse ancora compreso che lei è morta.-
-Infondo non la vedevi spesso, quindi la tua vita non ha subito grossi cambiamenti...- rifletté Dylan, che si stava sforzando di capire tutti i ragionamenti di Kelly.
Kelly annuì -Credo sia meglio così infondo, no? Anche se ho paura che da un momento a l'altro io realizzi cosa è veramente successo e crolli definitivamente.-
Dylan le accarezzò un spalla piano. -Sarò qui con te, sempre.-
Lei portò una mano a stringere la sua. -Grazie...-


Ma Dylan non era lì con lei.
Kelly gridava terrorizzata, con gli occhi spalancati pieni di lacrime e le braccia strette al petto.
Il corpo della era completamente bianca, stesa sul pavimento.
Immobile.
Inanimata.
Sua madre era morta, ed ora era a terra con due occhi vuoti che la fissavano seppur non vedendo niente. Foster non aveva avuto nemmeno la decenza di abbassarle le palpebre.
Appena la vide così, crollò ogni cosa. Adesso ne era consapevole, adesso ne era certa.
La sua mamma era morta davvero, non c'era più alcuna speranza. Lo aveva visto coi suoi stessi occhi.

Il tempo parve come cambiare.
Adesso scorreva più veloce, o meglio, Kelly non si rendeva conto del tempo che passava e l'alba arrivò presto.
Ma allo stesso tempo, il tempo si era fermato. Ogni secondo era uguale a quello precedente, nulla cambiava.
Kelly restava immobile contro il muro, il cadavere restava immobile contro il pavimento.
Ogni attimo che passava, era uguale a quello in cui aveva visto sua madre cadere a terra senza vita.


Kelly non aveva la più pallida idea di quando Emmanuel fosse entrato nello scantinato.
Forse per lei non aveva neanche importanza, perché comunque, anche quando lui non c’era, la sua presenza era costantemente accanto a lei.
Quando non c’era, Kelly aveva paura che tornasse, ogni minimo rumore la faceva sobbalzare.
La paura non la abbandonava mai, fino a quando un altro sentimento non cominciò a prendere possesso della sua mente fino a quasi annullare l’inquietudine.
L’odio.
E la rabbia. Una rabbia che cresceva ogni secondo di più.
Kelly stava impazzendo. Non aveva più idea di chi fosse. Quando era diventata una pazza rabbiosa che medita vendetta?
Lei non era sempre stata una dolce ragazza che ama la musica e stare con i suoi amici?
Non era sempre stata quella ragazza tranquilla e sempre così timida, di cui Dylan si era perdutamente innamorato?
Chi era quella pazza, che sbraitava contro Foster, che istericamente rideva contro il suo riflesso nello specchio e che gridava vendetta, pensando ai più disperati modi di torturare Emmanuel?
Chi era?
Chi era la persona che stava inerme ed indifferente mentre Emmanuel la baciava appassionatamente?
Lui la baciava ed accarezzava praticamente ogni giorno. Scendeva al mattino presto e poi di nuovo alla sera, a volte per toccarla a volte per sbraitarle contro. Dipendeva dal suo stato d’animo.
Lei non reagiva, forse si era rassegnata, forse aveva troppa paura di lui.
Forse non se ne accorgeva neanche, magari era entrata in trans. Era troppo presa dai suoi ragionamenti.
Chi sono, chi sono…
Parole che si formavano da sole nei suoi pensieri…
Prese a mormorare parole sottovoce senza essere udita.
Erano le parole di una canzone, a volte cantare la faceva stare meglio.
Lo faceva spesso da quando era stata rinchiusa nello scantinato, le ricordava Dylan, senza accorgersene iniziò a canticchiare pianissimo, anche con Emmanuel a pochi centimetri dalle sue labbra.


Just let me say one thing
I’ve had enough


Emmanuel non le prestava attenzione, che fossero suppliche o deliri non aveva importanza.
Le baciò il collo, mentre con gli occhi socchiusi Kelly continuava a mormorare le parole di quella canzone che aveva sentito cantare da Dylan così tante volte.

You’re selfish and sorry
You’ll never learn how to love
As your world disassembles
Better keep your head up

Lasciami dire solo una cosa
Ne ho abbastanza
Sei egoista e dispiaciuto
Non imparerai mai ad amare
Mentre il tuo mondo crolla
Meglio che tu tenga la testa alta


Lei aggrottò le sopracciglia. La canzone esprimeva odio per una persona, tanto meglio.
Ogni frase che gli usciva dalla bocca alimentava di più la sua ira, ed era soddisfatta perché la canzone si addiceva perfettamente ai suoi pensieri.

You’ve been erased…

Sei stato cancellato…


Sussurrò, inclinando la testa all’indietro e poggiandosi al muro, lasciando il proprio corpo nelle mani di Emmanuel.
Le sarebbe piaciuto cancellarlo completamente…

So long, so long
I have erased you
So long, so long
I’ve wanted to waste you
So long, so long
I have erased you
I have escaped
The bitter taste of you

Da tempo, molto tempo
Ti ho cancellato
Da tempo, molto tempo
Avrei voluto scaricarti
Da tempo, molto tempo
Ti ho cancellato
Sono sfuggita
Dal sapore amaro che hai


Sarebbe voluta fuggire da molto tempo.

-Sta zitta!- Emmanuel si staccò dal su collo, guardandola negli occhi per alcuni attimi.
A Kelly si gelò il sangue, e rimase in silenzio, cercando disperatamente di ricordare la voce di Dylan.



 
05 dicembre

Vincent stava distrattamente pizzicando le corde della sua chitarra, mentre Nathan gli si era addormentato addosso. Erano circa le sei del mattino, Vincent e Dylan non riuscivano a dormire ed erano rimasti svegli, mentre Zack riposava nella sua stanza.
Nathan aveva preso una coperta e si era accoccolato contro Vince, quando sentirono il campanello suonare al piano di sopra e poco dopo dei passi che andavano velocemente alla porta.
Alcuni attimi dopo videro Zack scendere le scale della taverna seguito da una ragazzina stretta in un pesante cappotto bianco. Dylan si voltò e salutò sorridendo lievemente, seguito poi da Vince che nel frattempo scosse Nathan per svegliarlo.
-Sono arrivati.-
Nathan  sbadigliò, stiracchiandosi contro il corpo di Vince. –Buongiorno.-
La ragazza fece un largo sorriso. Da sotto il berretto spuntava un folto ciuffo di capelli rossissimi, probabilmente tinti. Aveva tanti piccoli orecchini che le contornavano le orecchie e due grandi occhi azzurri cerchiati di nero.
-Ragazzi, questa è Nell! Una mia vecchia amica d’infanzia. Ci darà una mano a trovare Foster.-
-Molto piacere!- cinguettò lei.
-Piacere Nell.- Fece Dylan tranquillamente. Ultimamente non dormiva, e la stanchezza lo rendeva stranamente calmo.
Nell si accomodò sul divano, e gli altri le si avvicinarono.
Tirò fuori dalla tasca il suo telefono, sul quale si annotava ogni cosa. –Okay, questo è l’indirizzo dei Foster…si trova dall’altra parte della città. Ho già ispezionato la zona, potrei essere d’aiuto se mi lasciaste venire con voi.- Disse con leggero entusiasmo nella voce.
-Certamente Nell.- Le accarezzò la testa Zack.
-Si, mi sembra giusto…- concordò Dylan –Senti…come hai trovato l’indirizzo di Foster?-
-Oh…- Nell si grattò la guancia imbarazzata –Bhe, ho fatto delle ricerche. Diciamo che avevo avuto già modo di conoscere il figlio di Foster, Emmanuel. Sono partita da lì.-
-Dici davvero?-
-Si… ai tempi andavo tre volte a settimane da uno psicologo. L’ho visto lì per la prima volta, nella clinica psichiatrica dove andavo. Ho cominciato le mie ricerche da lì e… bhe si, ho corrotto un paio di persone… ne ho picchiate altre due…e le informazioni sono venute fuori…- Disse vagamente, mentre Zack la fissava stranito.
-Tu sei un genio…- borbottò Zack.
-Lo so, lo so…- Fece Nell sorridendo distrattamente.
-Oi Zack- fece Vincent -Ma i tuoi amici sono tutti così fuori di testa?- Chiese, guadagnandosi uno scappellotto da Nell.
-Bene- Disse la ragazza lisciandosi il ciuffo –Riposatevi, partiremo tra qualche ora, quando sarete pronti. Ah! Ci serve un’auto, possiamo contare su di te Zack?-
-Certo!-
-Bene- ripetè –Okay, come vedo hai già le pistole pronte… ci sarà da divertirsi, eh Zack? Come ai vecchi tempi…- Sorrise.
Zack annuì ridendo, buttandosi con la schiena sul divano e perdendosi nei ricordi.
Dylan si alzò e si diresse nella stanza degli ospiti per cercare di riposare. –Svegliatemi quando partiamo.-
Vince prese a parlare con Nell e Nathan si accasciò contro Zack cadendo nuovamente in un sonno profondo. Zack prese ad accarezzargli i capelli sorridendo.
–Già… ci divertiremo…- Mormorò sentendo una strana forza cominciare a scorrere dentro di lui.
Aveva una voglia matta di picchiare qualcuno, voleva far fuori uscire la sua rabbia.
Avrebbe sfoderato le pistole e sentito di nuovo quel brivido e quell’adrenalina che provava durante le risse che faceva una volta nella sua città con Nell.
Probabilmente avrebbe fatto a gara con Dylan per chi avrebbe ucciso i Foster.
 
Fine VI capitolo

Canzone: Bitter taste dei Three days grace

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Capitolo 7
*** Psycho ***


f a l l    b e t w e e n    t h e    p i e c e s    o f    g l a s s    a n d   i c e
7^ capitolo - Psycho
 
Maggio – 6 anni prima
 
-Cosa significa che lo psichiatra non è disponibile adesso? Lo chiami e gli dica di venire subito qui!-
-Signore… il dottor Stevens è con un altro paziente al momento, la pregerei di sedersi con suo figlio in sala d’attesa.-
-Come? Mio figlio deve avere la priorità, è un caso importante!-
-Con tutto il dovuto rispetto, anche l’altro paziente è urgente. Inoltre suo figlio è stabile al momento, dunque non…-
-Non si permetta_-
L’uomo sbraitava contro l’infermiera da quasi dieci minuti. Suo figlio si dondolava accanto a lui avanti e in dietro, con lo sguardo fisso nel vuoto, aspettando che il suo papà riuscisse a far arrivare il suo dottore.
Aveva quasi quattordici anni e aveva cominciato a prendere appuntamenti regolari in quella clinica da tre mesi, da quando il suo comportamento era diventato spaventosamente anomalo a causa di un disturbo che i medici non erano ancora riusciti a diagnosticare.
 
L’infermiera, spazientita, disse che sarebbe andata a chiamare il dottor Stevens e aveva ripetuto che lui avrebbe dovuto aspettarlo in sala d’attesa. Lui dunque si sedette, e guardò con aria stanca il figlio.
-Ma come diavolo faccio…- mormorò, passandosi una mano tra i capelli ormai grigi.
“…senza tua madre” pensò “…Come si possono aspettare che io cresca un figlio da solo… e per di più con questo dannato disturbo mentale che non riescono a diagnosticare…”
Si piegò in avanti e si prese la testa fra le mani “Ellis, se solo tuy fossi ancora qui… Ma prometto che mi prenderò cura di nostro figlio… gli darò tutto ciò che vorrà, sarà felice. Io posso dargli tutto ciò che vuole… Ellis cara se solo fossi viva vorrei che tu potessi vedere… con quanta energia mi sto prendendo cura del nostro Emmanuel…-
 
Il ragazzo vide uno stetoscopio sul bancone delle infermiere, al momento vuoto, Probabilmente era stato dimenticato lì da un medico.
-Papà.- disse, con tono quasi capriccioso, indicando lo strumento –voglio quello.-
Il padre alzò lo sguardo, vide lo stetoscopio e senza dire niente si alzò e lo prese. Lo porse al figlio dicendogli però di nasconderlo.
Il ragazzo, dopo essersi infilato l’oggetto sotto la giacca, cominciò a guardarsi intorno. Non parlava, guardava e basta.
Poi la vide.
Una ragazzina minuta che si teneva il braccio, pareva le facesse molto male, preceduta da un ragazzo più alto che parlava con le infermiere.
-Questo è un ospedale?- Origliò la conversazione.
-No tesoro, questa è una clinica, l’ospedale della città si trova a nord rispetto a qui. La tua amica si è fatta male?-
Vide il ragazzo annuire.
-Aspettate qui, vado a chiamare qualcuno che vi accompagni.-
-Ah! Grazie, signora!-
-Grazie…- mormorò anche la ragazzina.
-Papà- Emmanuel lo chiamò di nuovo.
Il padre si girò di nuovo verso il figlio e cercò di capire dove stesse indicando. Vide la bambina girarsi, la vide mentre con viso contratto in una smorfia cercava di trattenersi dal piangere. Era bella, aveva lunghi capelli scuri e due occhi turchesi dolcissimi.
-Voglio quella.- sentì dire il figlio.
 
 
06 dicembre
 
Da qualche tempo ormai, Kelly era convinta che sarebbe diventata pazza. Solo, credeva che se ne sarebbe accorta quando fosse successo.
Avrebbe urlato cose senza senso, si sarebbe aspettata allucinazioni e deliri, invece si era ritrovata più lucida di quanto avrebbe potuto sperare. Era calma, così tanto che nemmeno si era accorta di aver superato irrimediabilmente il confine tra sanità e infermità mentale.
Stava conversando. Tranquillamente e con lucidità.
Solo lo stava facendo con se stessa, o meglio con le diverse fazioni che lei credeva esistessero nel suo cervello.
La trovava una cosa praticamente normale, parlare con le varie parti di se stessa.
C’era la parte depressa, che spesso cominciava ad urlare cose terrificanti e Kelly la metteva a tacere bruscamente; un’altra parte di sé invece era molto sarcastica e commentava con ironia quanto Emmanuel fosse sgarbato; un’altra si arrabbiava e ripeteva parolacce di continuo, a volte esprimendo la sua furiosa voglia di uccidere, e ce ne erano molte altre. Poi c’era la pazzia.
Poteva sembrare assurdo, ma Kelly allora non si credeva ancora pazza, diceva che fosse solo una piccola parte di sé, che prima o poi avrebbe preso il controllo di lei, ma che non c’era ancora riuscita.
E ci conversava spesso, con lei.
 
Love, it will get you nowhere 
You are on your own 
Lost in the wild 
So come to me now 



A volte la sentiva cantare.
 
Amore, non lo otterrete da nessuna parte 
Siete da soli 
Persi nel nulla 
Allora vieni da me ora 

 
-Mmh… Psycho, eh?- mormorò Kelly, apparentemente al vuoto.
Non ti piace? Chiese la voce.
-Certo che si, amo i Muse. Canta pure.-
 
Your mind is just a program 
And I'm the virus 
I'm changing the station 
I'll improve your thresholds 
I'll turn you into a super drone 
And you will kill on my command 
And I won't be responsible

 
La tua mente è solo un programma 
E io sono il virus 
Sto cambiando la stazione 
Io aumenterò i tuoi limiti 
Ti trasformerò in un super-drone 
E ucciderai al mio comando 
E io non ne sarò responsabile

 
-Quanto ti si addice questa canzone- commentò Kelly, stendendosi a terra e chiudendo gli occhi.
Nulla è casuale, sai?
 
I'm gonna make you 
I'm gonna break you 
I'm gonna make you 
A fucking psycho 

-Cosa?-
Il suo corpo ebbe uno spasmo. Inspirò forte e i suoi occhi sparirono sotto le palpebre. Non capiva più dove fosse.
Era davvero in uno scantinato?
Perché improvvisamente sentì la musica, la sentiva. Come se avesse le cuffie nelle orecchie, come se fosse a casa sua, nel suo letto, e stesse veramente ascoltando i Muse.
Era così forte quella musica. Non vedeva più niente, o almeno non niente che fosse reale. Era nella sua testa, vedeva quello, guardava il suo interno.
Era lì, la pazzia. La guardava, la guardava cantare.
 
Ti farò diventare
 
Era una figura scura, non la vedeva bene in viso.
 
Ti spezzerò
 
Ma sorrideva.
 
Ti farò diventare
Un fottuto psicopatico.
 
Era meraviglioso.
 
La musica era così ipnotizzante, sensuale in un certo senso. Kelly capì perché.
L’aveva sentita cantare a Dylan un sacco di volte, sapeva che a lei piaceva da morire. Aveva un ritmo così dannatamente bello e la sua voce… la poteva sentire così bene.  Si era persa, il suo corpo si stava muovendo, assecondandone il ritmo, in quelli che probabilmente erano spasmi.
 
Are you a psycho killer, say "I'm a psycho killer!" 


-I am a psycho killer…-

Scream it! 
 
-I am a psycho killer…-
Cominciò a mormorare le parole, seguendone il testo.
C’erano quei momenti, nella canzone, in cui la voce smetteva di cantare e gridando, chiedeva quelle cose.
 
“Sono un killer psicopatico?”
 
Tra la confusione, sentì qualcosa irrompere dentro al suo delirio. Qualcosa che sembrava molto più reale di tutto il resto. Emmanuel era sceso, Kelly ricordò vagamente dove si trovasse e lo vide entrare nel suo campo visivo.
Kelly con uno scatto improvviso, gli tirò un pugno in piena faccia. Nonostante la sua vista fosse sfocata, vide comunque Emmanuel pulirsi il naso che aveva cominciato a sanguinare.
 
-Puttana…-
 
Emmanuel fece per afferrarla, ma senza preavviso, Kelly aveva afferrato qualcosa di appuntito e buttandosi in avanti con tutta la forza che aveva, gli lacerò il braccio.
Emmanuel imprecò, tenendosi la parte lesa. Prese Kelly per i capelli e la sbattè contro il muro, ma ciò che vide lo inquietò.
 
Gli occhi di Kelly, spalancati, erano fissi nei suoi. Non accennava a nessuna emozione, non una lacrima scendeva sul suo viso. Immobile lo fissava. Poi sorrise.
 
-La prossima volta ti ammazzerò.-  Disse Kelly, immobile.
 
Sono un killer psicopatico”
 
Emmanuel si allontanò. Per quanto gli potesse sembrare assurdo, non era mai stato così spaventato. Voleva solo allontanarsi.
 
-No… no… tu sei debole e… sei sotto il mio controllo…- disse sconnessamente.
Poi corse su per le scale, lasciandola di nuovo sola e al buio.
 
Kelly sorrise, ancora. Alzò le mani, come in segno di resa.
-Hai vinto.-
 
La figura, che Kelly non aveva mai smesso di vedere, stava seduta accanto a lei e continuava a cantare.
 
Your ass belongs to me now 
 
Si girò a guardarla, e Kelly guardò lei. La pazzia aveva vinto, ormai la sua mente era sotto il suo controllo.
 
 
 
06 dicembre
Erano le appena le sette del mattino. Nessuno aveva dormito granché quella notte e alla fine si erano presto ritrovati tutti in piedi del atrio della casa di Zack, impazienti di partire.
Il moro si avvicinò a Dylan e gli cedette una delle sue pistole.
-Fa attenzione, Dylan. Non lasciarti prendere dalla foga e cerca di agire con prudenza.-
Lui alzò lo sguardo e prese l’arma. –Non preoccuparti, ragiono piuttosto bene quando sono sotto pressione.-
Zack sorrise –Non farti ammazzare.-
 
Il sole non era ancora sorto e la strada era ancora immersa nel buio. La macchina di Nell, parcheggiata appena fuori di casa, era enorme e Dylan si chiese se una ragazzina minuta come lei riuscisse davvero a guidare quell’ affare gigantesco.
 
Vince si avvicinò a lui mettendogli una mano sulla spalla –Andiamo Dylan, vediamo di far fuori quel bastardo e salvare la tua ragazza.-
Dylan sorrise leggermente e salì sull’auto –Si.-
 
 
Nel si sporse in avanti, dal sedile del passeggero. –Prendi la seconda uscita, Zack.- Disse indicandogli la strada. Zack annuì e svoltò in una via deserta; dopo aver superato un paio di case rimasero solo immense distese di campi ed alberi.
Nel si girò, guardando i tre ragazzi seduti dietro. –Tra poco entriamo in autostrada.- informò –da lì saranno circa venti minuti per arrivare, non è molto lontano.
Dylan annuì, tornando poi a guardare fuori dal finestrino. Nel buio, riusciva a scorgere solo le rade luci dei lampioni e le gocce di pioggia che si attaccavano al finestrino. Stava cominciando a diluviare.
 
 
 
 
-Dov’è Emmanuel?- chiese Kelly rigida.
Jackson Foster si girò a guardarla. -E’ uscito, non so dove sia andato, sembrava molto agitato però- Rispose. Anche lui sembrava parecchio nervoso.
-Dannazione!- Urlò improvvisamente colpendo con un pugno il ripiano delle cucina. Kelly sussultò, mentre lui imprecava a bassa voce. –Perché non mi ha detto dove diavolo andava, quell’idiota di Emmanuel? Adesso devo stare qui e pregare che non faccia cazzate e che torni a casa sano e salvo…-
Kelly sbuffò. Infondo ci sperava che morisse.
-Vedi di non fare casini neanche tu mentre lui non c’è.- Disse avvicinandosi a Kelly –Evidentemente si fida abbastanza di te per farti uscire dallo scantinato e farti stare di sopra, ma se provi a scappare sappi che non esiterò a placcarti a terra senza tanti complimenti.-
Per nulla intimidita, Kelly sbuffò una risata –Dev’essere veramente idiota allora. Se rapisci una ragazza come minimo dovresti aspettarti che tenti di scappare, non è mica un normale rapporto questo. Lui mi ha rapito.- Disse sottolineando bene l’ultima parola.
-Bhe allora diciamo che si fida di me e del fatto che non ti lascerò andare.- Si fermò un attimo -Però… forse questo è quello che vuole, un rapporto normale. Credo ti abbia fatto salire per far tornare le cose come erano prima.-
Kelly questa volta non si trattenne e scoppiò in una fragorosa risata. –Un rapporto normale? Ma che cazzo stai dicendo?- Urlò tra le risate, tenendosi la pancia –Io amo un’altra persona, quel maniaco mi ha rinchiusa in uno scantinato e mi ha seriamente fatta uscire di testa. Ora, l’unico motivo per cui mi ha fatta salire credo che sia perché a nessuno piace sentire il proprio giocattolo sessuale puzzare di urina, no?-
Il violento schiaffo che le arrivò sul viso le fece quasi perdere l’equilibrio e per poco non cadde a terra. –Ma quanto siamo impertinenti oggi.- commentò Foster.
Kelly ghignò leggermente. –E tu sei anche più delicato rispetto al solito. Forse perché se mi facessi del male il tuo figlio bastardo avrebbe da ridire no? Sai è davvero divertente vedere come funzioni tra voi due… Dimmi, cos’è successo a lui… o a te, da farvi impazzire così? Perché i ruoli sembrano essersi scambiati, tuo figlio è un cazzo di maniaco sessuale che ti da ordini su_-
Questa volta però, il pugno che Foster le mollò in faccia la fece cadere, e Kelly toccandosi le labbra, sentì del sangue.
-Sarà meglio che tu di dia una calmata. Comportati da brava ragazza, sta’ zitta e reprimi i tuoi stupidi scatti d’ira. Trema in un angolo, implora pietà… non è da te essere così spavalda.-
Kelly lo guardò negli occhi, il suo era uno sguardo impassibile, non avrebbe ceduto più a niente.
-Io non sono come mia madre.-
-Oh, no di certo. Ma vedi, questa non sei tu. Ora stai solo delirando. Stai attenta a come ti comporti, se dai fastidio farti fuori non è niente, sai?-
Kelly si alzò da terra e lo guardò sorridendo –Fanculo, Foster.-
 
Fine VII capitolo
 
Canzone: Psycho dei Muse

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