Odyssey in the Wasteland

di Snow_Elk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Enclave non fa prigionieri, dicevano. ***
Capitolo 2: *** C'è chi atterra e chi precipita. ***
Capitolo 3: *** Perché precipitare non era abbastanza,no. ***
Capitolo 4: *** La civiltà non esiste più, i campeggi notturni sì. ***
Capitolo 5: *** Questa cosa si chiama Quest o Missione?! ***
Capitolo 6: *** I mercenari non hanno un cuore. Vero? ***
Capitolo 7: *** Al peggio non c'è mai fine, ma così è ridicolo ***
Capitolo 8: *** Odi et amo. quare id…aspetta, che diavolo sto dicendo??? ***
Capitolo 9: *** Il nemico del mio nemico è mio amico?WTF?? ***
Capitolo 10: *** Si chiude una porta e... si apre una cella. ***
Capitolo 11: *** Quando ci vedi doppio e non hai bevuto...non ancora ***
Capitolo 12: *** Il mondo è finito, ma può crollarti sempre addosso ***
Capitolo 13: *** Tutto ha un inizio, tutto ha una fine...anche tu. ***
Capitolo 14: *** Se vuoi chiudere con il passato, non dimenticare la chiave. ***
Capitolo 15: *** Ciò che le bombe non hanno distrutto. ***
Capitolo 16: *** Ah, il sole, l'aria, un deathclaw...un deathclaw?! ***
Capitolo 17: *** E' talmente buio che non si legge il titolo ***
Capitolo 18: *** AAA Cercasi *Famiglia* ***
Capitolo 19: *** A F**ing Cataclysm ***



Capitolo 1
*** L'Enclave non fa prigionieri, dicevano. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo I- L'Enclave non fa prigionieri, dicevano.
 


Jeff Callaghan
 
Rovine di Washington , Seward Square                                              3 Settembre 2275  
                                          
 
- Perché uno non era abbastanza, due troppo poco, e allora eccomi qua, Treeeee Cani! Sì, sono io ragazzi, e vi parlo direttamente dal mio bunker fortificato nel centro dell’inferno di DC. Non è meravigliosa la vita? -
- Puoi giurarci! Queste cazzo di rovine non so mai state tanto belle, ah! - rispose Jeff, pur sapendo che lo speaker non avrebbe mai potuto sentire la sua risposta, ma amava “parlare” con lui, soprattutto quando gli toccava stare da solo.
-Prima del nostro classico incontro con le notizie di quest’oggi, ecco un po’ di musica per voi - le note malinconiche di “I don’t want to set the world on fire” iniziarono ben presto a diffondersi nell’ambiente circostante, tra le macerie silenziose della vecchia capitale.
Aspirò ancora una volta dalla sigaretta ormai consumata per poi lanciarla oltre il bordo del parapetto impolverato. Era su quel tetto da nemmeno dieci minuti ed era già la terza sigaretta che finiva a marcire tra i detriti di Seward Square.
Si guardò intorno, abbandonandosi contro lo schienale di una sedia che aveva visto tempi migliori, e sospirò: devastazione, il Campidoglio,distruzione, Il Washington Monument e ancora devastazione.
Ormai era abituato al panorama che DC offriva ai suoi “abitanti” ogni singolo giorno, ma c’erano alcuni momenti, brevi e intensi, durante i quali una sensazione di vuoto e di disprezzo verso quel teatro degli orrori si insinuava dentro di lui come un veleno.
“E’ il ricordo di aver distrutto il nostro stesso mondo che ci spinge a provare tutto ciò” gli aveva detto un giorno Reilly mentre affrontavano una discussione a metà tra il filosofico e le cazzate più disparate “Ce lo portiamo dietro tutti, nessuno escluso, anche se siamo nati dopo l’olocausto nucleare. Non lo puoi eliminare, impari a conviverci, fai del tuo meglio per ridare un po’ di speranza a questa terra bruciata e se proprio non ce la fai… beh, c’è sempre il whiskey, no?” aveva poi proseguito, ironizzando parecchio sulla sua “piccola” assuefazione al suddetto alcolico.
Scosse la testa, sorridendo beffardo, afferrò la fischietta argentata col logo dei mercenari e svitò con estrema tranquillità il tappo per poi sorseggiarne con gusto il contenuto:
- E se proprio non ce la fai… beh, c’è sempre il whiskey, no? Brindo a te Reilly e alle tue perle di saggezza! - esclamò, alzando la fischietta al cielo plumbeo.
Ripose  il suo  prezioso “elisir della felicità” nella tasca laterale dell’armatura da mercenario e tornò a fissare i dintorni, ricordandosi che nonostante la musica e il whiskey era pur sempre in missione, ma soprattutto si trovava in una zona che “di tranquillo non aveva un cazzo”, citando Brick.
Effettuare una seconda mappatura di Seward Square per possibili incongruenze con i file precedentemente raccolti: era questa la missione che gli era stata affidata dalla Signora in persona, la quale si era soffermata sul fatto che non potevano permettersi di avere dei dati falsi su una zona tanto vicina al loro QG,  che andava effettuata anche una ricognizione di routine e che, parte che aveva odiato più delle altre,  sarebbe dovuto andare da solo poiché Bob era bloccato in infermeria con una pallottola nella spalla e delle schegge nella gamba.
“ Missione del cazzo” pensò, spegnendo la radio poco prima che iniziasse “Anything goes”. C’era troppo silenzio per i suoi gusti e per qualche minuto la radio l’aveva distratto da quella stranezza.
Seward Square, come qualsiasi altro dannato luogo di DC, era infestato dai supermutanti e dai loro cani da guardia, “centauri” come li chiamavano i pignoli di turno, o perlomeno da qualche pattuglia che andava a caccia di umani, ma quel giorno non c’era anima viva: nemmeno un ghoul solitario che se ne andava urlando a destra e manca, alla ricerca di qualche ratto da sgranocchiare o del senso della vita.
Non era un particolare da sottovalutare e tornato serio dopo la “pausa sigaretta”  impugnò il suo fidato fucile d’assalto e si assicurò che fosse carico e pronto a riversare piombo su qualsiasi ospite indesiderato.
Ripose il modulo geo-mapper nello zaino, insieme al resto dell’attrezzatura, e stava per abbandonare il tetto di quell’edificio diroccato quando qualcosa attirò la sua attenzione. Afferrò il binocolo sul tavolo e guardò in quel punto: oltre il ponte crollato in mezzo alla piazza si intravedevano i segni visibili di uno scontro a fuoco e anche qualcosa simile ad un cadavere verde. Forse era un supermutante, o peggio, ma qualunque cosa fosse doveva scoprirlo e riferire a Reilly. Aveva già “cazzeggiato abbastanza”, era il momento di tornare a fare quello che gli riusciva meglio: essere un mercenario.
Scese in fretta le scale piene di calcinacci e prima di uscire  si fermò un attimo a riflettere: non sapeva cosa lo attendeva là fuori e nel tempo trascorso in cima all’edificio, nonostante la musica, non aveva sentito alcun rumore che si potesse ricollegare ad una battaglia. I supermutanti facevano rumore, sempre.
Ripose il fucile dietro la schiena e impugnò la 44 magnum: era da solo e  muoversi velocemente gli avrebbe concesso un vantaggio in qualunque situazione.
Uscì con circospezione e i suoi occhi color cenere saettarono da una parte all’altra alla ricerca di un qualsiasi movimento, anche il più impercettibile, ma niente, il nulla più totale.
Diede un’occhiata anche al contatore geiger per sicurezza e proseguì verso il punto dello scontro, sfruttando tutte le coperture possibili e continuando a tenere  gli occhi aperti e l’udito ben teso. Ancora nulla, solo silenzio.
Si accovacciò dietro la carcassa di un tir ribaltato e guardandosi intorno per l’ennesima volta, tutta quella pace lo stava facendo innervosire, sfilò la ricetrasmittente che gli aveva dato Donovan:
- Mr Whiskey a Base Hope. Mi ricevete? - nessuna risposta, proprio come sul tetto non c’era segnale e questa era un’altra stranezza da aggiungere alla lista.
- Mr Whiskey a Base Hope. Mi ricevete? C’è qualcosa che non va qui a Seward Square - ritentò, ottenendo lo stesso risultato di prima. “Fanculo, mi tocca sempre fare tutto da solo” sentenziò nella propria testa e proseguì verso la sua meta, evitando con cura i luoghi più scoperti.
Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi lo stupì: nel vicolo accanto al cadavere del supermutante e dietro alcune macerie nei dintorni c’erano i corpi senza vita di altri cinque bestioni verdi, crivellati dai laser. Nessun’altro cadavere, né umano, né mutante, niente di niente, solo macchie di sangue e segni di trascinamento.
- Che cazzo è successo? -chiese, pur sapendo che non avrebbe ottenuto alcuna risposta. I morti non parlano, specie se hanno più buchi di una groviera svizzera.
Osservò con attenzione quel massacro: sembrava quasi che i supermutanti fossero stati colti di sorpresa, il terreno era disseminato di bossoli ma non c’era traccia dei proiettili. Inoltre le bruciature da laser erano troppo numerose  sia sui corpi che a terra e questo poteva significare solo una cosa: gatling, laser gatling.
Non sopportava i supermutanti, ma non avrebbe augurato quella morte nemmeno a loro.
La faccenda era più complicata di quanto avesse immaginato, ma qualcos’altro attirò la sua attenzione più di quei cadaveri alti due metri: delle voci.
Si mosse con cautela verso il punto da cui provenivano e sporgendosi da dietro un muretto da giardino sgranò gli occhi: nella zona più esterna di Seward Square c’era un vertibird  e a causa delle rovine del ponte e di alcuni palazzi crollati non era riuscito a vederlo prima. Accanto al velivolo c’erano uomini dell’Enclave che stavano invitando “gentilmente” alcuni senzatetto a salire sul vertibird puntandogli i fucili al plasma contro.
- Santi cazzi - sibilò Jeff, cercando di restare nascosto il più possibile. L’Enclave non si era mai spinta tanto lontana da Raven Rock e ancor peggio non aveva mai fatto prigionieri.
“La questione puzza più della merda di bramino” osservò, pensando al da farsi: doveva assolutamente riferire a Reilly dell’evento, ma non poteva nemmeno lasciare quei poveracci nelle mani dell’enclave, che equivale ad una fine peggiore dei supermutanti di prima.
- Vi prego, stavamo solo cercando qualcosa da mangiare, non abbiamo fatto nulla di sbagliato, vi prego… - stava tentando di giustificarsi il più anziano dei senzatetto, anche perché gli altri erano rimasti in silenzio a fissare l’alone di luce verde generato dai fucili. Erano terrorizzati, glielo poteva leggere negl’occhi.
-Sta zitto!- esclamò l’ufficiale, colpendo l’uomo in pieno viso con il calcio dell’arma - Questo vecchiaccio non ci serve, caricate gli altri immediatamente e fatelo fuori - ordinò senza giri di parole.
Jeff si morse le labbra fino a sentire il sapore del sangue: era da solo contro un’intera pattuglia dell’Enclave armata di tutto punto, ma non poteva abbandonare quegli innocenti, andava contro la morale dei mercenari, andava contro la sua morale.
Non poteva farli fuori tutti, ma poteva distrarli con un diversivo e permettere a quei disgraziati di mettersi in salvo. Era rischioso, ma non aveva il tempo di rifletterci, doveva agire.
Sfilò un fumogeno dalla cintura dell’armatura e lo innescò poco prima di affacciarsi dal suo nascondiglio:
- Ehi, scatolette di metallo ambulanti, ho un regalino per voi! - urlò, lanciando il fumogeno quasi fosse una granata e i soldati, vedendo quell’oggetto roteare verso di loro, si rifugiarono velocemente dietro il velivolo.
- Ehi! - questa volta si rivolse ai senzatetto - che cosa state aspettando? Fuggite, maledizione, fuggite! - i prigionieri annuirono confusi e corsero via, disperdendosi tra le rovine e nello stesso istante il fumogeno toccò terra  iniziando a sprigionare la nube grigiastra. Li aveva salvati, per il momento, ma ora doveva pensare a salvare sé stesso: prese a correre a perdifiato sentendo le imprecazioni dell’ufficiale e i colpi al plasma che sibilavano riscaldando l’aria.
Scoperto il trucco del fumogeno i soldati erano furiosi e stavano sparando alla cieca. Udì le urla disperate di alcuni dei prigionieri, probabilmente colpiti durante la fuga,  e senza pensarci due volte si infilò in un vicolo per far perdere le sue tracce: non poteva combattere, lo avrebbero fatto fuori senza troppi complimenti.
Stava per superare la carcassa di un’auto bruciata quando si ritrovò davanti uno dei soldati e il suo fucile laser che lo puntava dritto in mezzo agli occhi.
- Fai un altro passo e sei un uomo morto, bastardo - lo avvisò il soldato raggiunto poco dopo dai suoi compagni. Era circondato.
- Merda… - aveva osato troppo e ora era nei guai fino al collo.
- Getta le armi a terra, tutte! - lo intimò un altro dell’Enclave  e seppur controvoglia obbedì: lasciò scivolare  a terra il fucile, il coltello da combattimento e infine posò il revolver, alzando le mani in segno di resa.
- Contenti? -
L’ufficiale  si avvicinò alle sue spalle  e lo colpì con un manganello elettrificato. Jeff urlò di dolore, scosso dagli spasmi e cadde a terra con un tonfo sordo. Non aveva perso i sensi, ma non riusciva più muoversi.
- Sei stato molto coraggioso, ragazzo, o molto stupido. Mi piace la tua tenacia, sai? Ora verrai a farti un giretto con noi - gli disse l’ufficiale, sorridendo beffardo.
- Sai dove puoi ficcartelo quel sorriso? - e la risposta dell’uomo fu un’altra scossa elettrica. Dolore, ancora dolore, buio.
 

Dave Campbell                                                                                                  3 settembre 2275

Rovine di Washington, Seward Square

 

Dave era appostata da qualche ora tra le rovine di Seward Square, l’accampamento dove viveva con altri predoni stava vivendo giorni di magra, così aveva deciso di allontanarsi alla ricerca di qualsiasi cosa le sarebbe potuto essere comodo: tappi, cibo, armi, munizioni e non avrebbe disdegnato neanche qualche droga.

Nessuno aveva voluto seguirla:”é una missione suicida” le avevano detto, ma cosa si aspettavano? Che le risorse cadessero dal cielo? Bisognava agire, se avrebbero continuato così sarebbero finiti a cercare di sopravvivere come i ghoul, attaccando disordinatamente perfino i ratti talpa morti pur di avere qualcosa da mangiare.

 

Dei rumori non molto lontano risvegliarono   la sua mente intorpidita dal suo fantasticare, provó ad aguzzare la vista e cercò di fare silenzio  per guardare con più attenzione, oggi era da sola, non poteva permettersi di attaccare selvaggiamente e alla cieca come faceva di solito quando era con il resto del branco, perché solo così si poteva definire.

Lentamente si avvicinò scavalcando ora un muretto, ora uno di quei disgustosi centauri: “ammassi di carne putrescenti” li aveva sentiti definire in passato, ed effettivamente nessuna descrizione cascava più a pennello di quella.

Quando fu abbastanza vicina ai rumori si nascose dietro un pezzo di muro crollato e guardò al di là, c’era un mercenario di Reilly che parlava ad una ricetrasmittente, non si capiva cosa stesse dicendo ma si capiva che era abbastanza nervoso.

-Strano- pensò -i mercenari non girano mai da soli- aspettó ancora qualche minuto trattenendo il respiro dalla paura, se l’avesse beccata l’avrebbe resa l’equivalente di uno scolapasta.

-La painspike non ha mai salvato il culo a nessuno- disse tra sé e sé autocommiserandosi per gli scarsi mezzi di cui disponeva.

 

Il mercenario continuava a parlare a vuoto alla ricetrasmittente ma nessuno sembrava giungere nella sua direzione.

-É perfetto- pensó -se riesco a coglierlo si sorpresa c’é una buona probabilità che riesca ad ucciderlo e raccattare qualcosa-.

Decisa a farlo Dave scattó in avanti, avrebbe giocato tutto in quell’unico momento, aveva un paio di centinaia di metri da percorrere, se prestava attenzione poteva percepire il sangue scorrergli nelle vene e il ritmo del respiro aumentare, le scarpe toccavano rapidamente il cemento al di sotto quasi sfiorandolo, tiró fuori l’arma: una 10mm anche piuttosto rovinata.

Ormai era a una cinquantina di metri dall’obbiettivo quando sentí un rumore più forte del solito.

 

-Cosa cazzo é quello!?-Alzó lo sguardo verso il cielo e...-porcatroiaunvertibird!!!-eh no quello di certo non poteva abbatterlo andando in giro armata alla bell’e meglio, così si fermò di colpo.

Non si rese neanche conto del gigante cadavere verde che aveva davanti, ci inciampò sopra cadendo rovinosamente a terra e sbucciandosi pure un gomito.

 

-Come cazzo mi é venuto di uscire da sola? Non riesco neanche a reggermi in piedi- disse abbastanza scocciata tra sè e sè.

-Se mi hanno beccata sono fottuta, cosa faccio? Mi fingo morta? No se mi alzo mi vedono sicuro-Nell’indecisione restó sdraiata per terra, tra l’altro il ciuffo di capelli neri le andava anche davanti gli occhi per cui vedeva un po’ si è un po’ no.

 

Il mercenario ora stava difendendo un povero vecchio da quelli che sembravano gli uomini scesi dal vertibird.

-Ma perché proteggere un vecchio? Fottigli tutto quello che ha, no?-Certa gente proprio non la capiva.

Ora si era messo a discutere con quelli dell’Enclave: -scappa ,cazzo!- pensò sempre più allibita dai suoi comportamenti.

Il soldato dell’Enclave lo colpì facendolo cadere a terra, dopodiché di peso lo caricó sul vertibird e si allontanó in volo sollevando una nube di polvere fine di calcinacci che la investì come una raffica di vento in una brutta giornata.

 

Se n’erano andati-finalmente-.

La prima cosa che fece fu tirarsi a sedere tirando un respiro di sollievo, poi nel silenzio del nulla tirò fuori un pacchetto di sigarette consunto e si accese una sigaretta e i pensieri l’assalirono.

-Non posso tornare dagli altri senza nulla in mano, no? Che figura ci faccio? Avevo una preda così facile e non ho combinato proprio niente...- fece un tiro parecchio lungo e sbuffò -ma che poi cosa ci faceva l’Enclave così lontano da Raven Rock? Cercavano proprio lui? O era un’incursione a caso tanto per spaventare dei senzatetto? No, no ci doveva essere una motivazione-

 E l’avrebbe trovata: sapeva dove era Raven Rock e sapeva che se si fosse messa d’impegno in un paio di giorni di cammino spedito ci sarebbe arrivata.

 

Con cautela si alzò e si diresse verso dove aveva visto partire il vertibird.

I senzatetto erano ancora lì con il volto cinereo a guardarsi attorno, quando la videro arrivare furono ancora più spaventati.

Dave decise così di approfittare della situazione, tiró fuori la 10mm e la puntó in fonte ad uno di questi:”Dimmi cosa volevano e ti lascerò in pace” intimò con voce decisa.

Il senzatetto la guardò con gli occhi sgranati “I-io davvero non lo so”.

Tossì e ripetè la domanda con più lentezza: “Dimmi...cosa...volevano”.

Gli altri scapparono, lui li guardò con gli occhi sgranati mentre si allontanarono inesorabilmente e con la voce impastata rispose nuovamente:”N-non lo so”.

“Inutile vecchio...” Mormoró piantandogli una pallottola nel centro della fronte.

 

Il senzatetto si accasciò su se stesso e Dave iniziò a saccheggiare il suo cadavere, prese tutto ciò che possedeva seguendo la sua logica: fottiti tutto ciò che non é inchiodato e poi pure i chiodi.

Ma ciò che trovò fu dell’acqua sporca e una scatoletta di carne in scatola.

“Meglio di niente” disse mentre le buttó alla rinfusa in una piccola sacca logora che portava sulle spalle.

 

Si mise così in cammino verso Raven Rock canticchiando tra sè e sè.


 

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Capitolo 2
*** C'è chi atterra e chi precipita. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo II-C’è chi atterra e chi precipita.


Nota degli autori: Salve ragazzi! Eccoci arrivati al secondo capitolo della storia, nonché al punto fatidico in cui i nostri protagonisti finalmente si incontreranno, a pochi passi dall'inizio dell'avventura, Speriamo che questo strano esperimento vi stia piacendo e ci auguriamo che continuerete a seguire le strane avventure di Jeff e Dave.
Un saluto dalla zona contaminata e.... buona lettura!

Snow & Madame



Jeff Callaghan
 
Da qualche parte nella zona contaminata                                           3 Settembre 2275
 
 
C’era odore di olio motore, polvere da sparo e qualcosa che sembrava vagamente brandy. Dove diavolo era finito? Aveva la memoria mal ridotta in quel momento e cercò di ripercorrere a ritroso gli ultimi avvenimenti: l’uscita per il pattugliamento, le pause sigaretta in cima a quella palazzina in rovina, e poi?
Aveva spento la radio, già, la radio,  perché aveva visto qualcosa, era successo qualcosa. Chi? Dove? C’erano dei corpi, supermutanti, qualcuno li aveva uccisi senza problemi, ma chi?
Lo sforzo di ricordare era identico a quello che doveva sorbirsi ogni volta che finiva a sbronzarsi con Dovonan dopo il buon esito di una missione, con la semplice differenza che non aveva bevuto, se non uno o due sorsi che non gli avevano nemmeno bagnato la gola.
 
L’Enclave! Come un’esplosione nel cuore della notte tutto fu più chiaro in un battito di ciglia: l’enclave aveva massacrato i mutanti, l’enclave era arrivata fin nel cuore di DC per fare prigionieri, rapire persone per chissà quale oscuro motivo, e sempre la dannata Enclave l’aveva catturato dopo che aveva tentato di salvare quei poveri disgraziati.
Al diavolo lui e il suo dannato senso civico.
“Potevo benissimo farmi i cazzi miei e adesso sarei ancora lì a fare la guardia a delle rovine radioattive e a bere whiskey” pensò, sentendo il freddo del metallo sui polsi e sulle caviglie: l’avevano incatenato come un salame, o ancor meglio come il peggiore dei banditi.
Il rombo dei rotori e quell’intenso odore di olio motore erano la prova eloquente che si trovava a bordo di un vertibird e si maledì per non averlo capito prima, o perlomeno di non essersi ripreso prima. Al diavolo, di nuovo.
Quel rombo assordante si fece sentire di più, quasi come se d’un tratto avesse riacquisito l’udito prima perduto, ma era bendato e non poteva vedere una “beneamata mazza” ma era qualcosa che aveva ignorato dal principio.
 
Tutte quelle scosse elettriche l’avevano frastornato per bene e non sapeva neanche per quanto tempo era rimasto privo di sensi, ma poco importava, doveva trovare un modo per andarsene, per liberarsi. Sapeva fin troppo bene chi entrava a Raven Rock non ne usciva più e si sarebbe giocato lo stipendio più la fiaschetta che la loro destinazione era proprio quella.
- Ehi sergente, guarda un pò chi si è svegliato! – esclamò qualcuno vicino a lui e sentì dei movimenti in tutto il velivolo: quante persone c’erano? E gli altri prigionieri? Forse c’era più di un vertibird. Si morse le labbra, odiava trovarsi in quel genere di situazione, quando era letteralmente all’oscuro di tutto.
- Oh, il paladino della giustizia si è ripreso, vedo – quella era la voce dell’ufficiale che gli aveva regalato un appuntamento a tu per tu con un bel paio di Watt.
- Siamo tutti bravi quando siamo in maggioranza numerica, non è così? – sibilò Jeff di rimando, continuando a tenere la testa sul freddo pavimento della cabina, non aveva voglia di strisciare come un verme per cercare di capire da che parte provenisse la voce.
- Vedo che anche la tua spavalderia si è ripresa. Bene, levategli la benda, voglio guardare negli occhi questo pezzo di merda – esordì l’ufficiale e percepì distintamente i suoi stivali che avanzavano a passo lento nella sua direzione.
Qualcuno lo strattonò per farlo mettere a sedere e dopo aver controllato che polsi e caviglie fossero ben bloccati gli levò la benda con la stessa gentilezza di un deathclaw.
 
Nonostante fossero in una sorta di penombra fu quasi accecato dalle luci aritificiali poste ai due lati della cabina, ma impiegò poco a riacquistare la vista e lanciare una veloce occhiata intorno a sé: c’erano almeno quattro soldati dell’Enclave oltre al tizio che l’aveva messo a sedere come un sacco di patate e all’ufficiale che lo fissava con uno sguardo misto di disprezzo e ammirazione.
Alle sue spalle percepì i pianti sommessi degli altri prigionieri, ammassati vicino al portellone come delle bestie.
- Hai intenzione di fissarmi a quel modo finché non arriviamo? – chiese per rompere quel silenzio fastidioso che aleggiava tutt’intorno, interrotto solo dal sibilio dei rotori e dai flebili lamenti dei prigionieri, una strana sinfonia.
- Potrei anche farlo, ma dove sarebbe il divertimento? – l’ufficiale si avvicinò e lo afferrò dal colletto della giacca – Mi piacciono i tipi come te, sai? Vi credete dei duri, non dovete render conto a nessuno se non a voi stessi, giusto? Beh, la risposta è: sbagliato! – esclamò e sferrò un gancio con la mano  destra. Jeff incassò il colpo senza batter ciglio, era un mercenario, un soldato, Reilly gli aveva insegnato che quel genere di pugni dovevano essere carezze.
 
- Continuo a pensare che sia troppo facile così, signor Ufficiale dell’Enclave, o hai paura di un povero mercenario? – lanciò un’altra frecciatina e sentì aumentare il brusio, i soldati mormoravano tra di loro mentre sul volto dell’ufficiale era apparsa una smorfia di rabbia che andava crescendo di secondo in secondo.
Un altro gancio, poi un manrovescio e ancora un altro gancio. Questa volta sputò un pò di sangue, ma ritornò nella stessa e identica posizione di prima, con un’epressione sulla faccia che sembrava dire “Tutto qui?”
- Quando saremo arrivati a Raven Rock vedremo se avrai ancora il coraggio di scherzare, fosse per me vi avrei già ucciso tutti, siete solo feccia – sibilò l’uomo senza staccargli gli occhi di dosso, mentre il mormorio dei soldati aumentava.
- Perché non mi sleghi e risolviamo le cose da veri uomini? Una scazzottata alla vecchia maniera – rispose Jeff sopportando quello sguardo carico di odio e rabbia, se proprio doveva finire all’altro mondo perlomeno voleva farlo combattendo.
- Se proprio ci tieni, l’Alto Comando non ha specificato “niente ferite” quindi potrò liberamente spaccarti la faccia senza spedirti al Creatore – disse, mentre metteva mano all’uniforme in cerca delle chiavi, con un sorriso sadico stampato sulla faccia.
 
Ma prima che potesse afferrare il fantomatico mazzo di chiavi un altro soldato, uno dei piloti a giudicare dall’elmetto, uscì dalla cabina di pilotaggio.
- Signore, l’unità XVZ6 è sulla frequenza di comunicazione 4 e chiede di parlare con lei – esordì allugando un auricolare e l’ufficiale senza dire nulla lo afferrò  abbandonando la presa su Jeff che cadde a terra a peso morto.
- Sergente Loyers, in ascolto – sentenziò con estrema freddezza, probabilmente gli bruciava di non aver potuto pestare a sangue il mercenario, Jeff rise sotto i baffi, gli prudevano le mani, ma si disse che avrebbe avuto un’altra occasione.
- Qui è l’unità XVZ6, sergente, abbiamo aggiornamenti sull’operazione “Ragnarok” -gracchiò una voce dagli altoparlanti del velivolo.
- Sentiamo – l’ufficiale incrociò le braccia sul petto, poggiandosi contro la parete e ignorando totalamente Jeff che rimase immobile a terra con l’udito teso.
- Abbiamo catturato altri 16 soggetti di cui 8 sfollati, 5 banditi, 2 mercenari e una ragazzina, anche lei sembra essere un qualche tipo di delinquente –
- Non mi interessano i dettagli, soldato, avete raggiunto la quota stabilita? –
- Sissignore, raggiunta con quest’ultima cattura. Ci stiamo affiancando a voi per procedere a destinazione, penso che.....ah! Che diavolo è....-  si sentirono alcuni rumori indescrivibili, delle urla e alcuni stridoli metallici, dopodiché il nulla.
- La comunicazione si è interrotta – osservò il copilota notando il silenzio che era sceso nell’abitacolo. Loyers si trattenne a stento.
- Che cosa signifca si è interrotta? Che diavolo è successo? – si poteva percepire lo stupore nelle sua voce. Gli altri soldati si scambiavano sguardi perplessi.
- Voglio che risolviate subito questo...- non riuscì a termine la frase: l’intero velivolo fu scosso e si inclinò di alcui gradi facendo scivolare o cadere chi non era riuscito ad aggrapparsi a qualcosa. L’allarme iniziò a sibilare allagando l’intera cabina di bagliori rossastri. I prigionieri iniziarono ad urlare impauriti, Jeff rimase impassibile: stava succedendo qualcosa, sicuramente collegato al contatto interrotto con l’altro vertibird e forse poteva essere qualcosa che andava a suo favore.
- Che cosa cazzo è stato? – ulrò Loyers tenendo ben salgo ad una delle maniglie accanto ai sedili.
- Qualcosa ci ha colpito! – rispose di rimando il pilota mentre il velivolo continuava a tremare come scosso dagli spasmi. L’intero abitacolo fu presto invaso da uno strano fumo grigiastro, da urla  e spie luminose che si accendevano e spegnevano come tanti piccoli fuochi d’artificio. In una parola: il caos.
- Soldato chi ci sta attaccando?- chiese Loyers cercando di sovrastare con la sua voce il frastuono incessante dei rotori.
- Ci attaccano da terra, signore, non so come facciano, hanno danneggiato il rotore di sinistra, non so fino a che pu.... -  un urlo disumano smorzò la frase e Jeff vide che la cabina di pilotaggio era stata colpita in pieno, uccidendo sul colpo il pilota.
- Precipitiamo! – esclamò qualcuno mentre il vertibird roteava su se stesso lasciandosi alle spalle una densa scia di fumo nero.
Tuttò ciò che lo circondava iniziò a roterare vorticosamente: i soldati, l’equipaggiamento, i prigionieri,  le luci dell’allarme, i suoni, Loyers stesso.
- Tenetevi forte! – aveva risposto un altro prima che tutto tornasse nero e  che quel
caos assordante si smorzasse come una fiamma senza ossigeno.
 
                                                                  [...]
 
Per la seconda volta di fila si ritrovò a rotolare a terra, suonato come una campana, e frastornato nei pensieri come nell’anima. Due volte nello stesso giorno era troppo anche per lui.
C’era ancora l’odore di olio motore, ma questa volta era bruciato, come lo erano tutti gli altri odori. Puzzo di bruciato, di polvere da sparo e... sangue. Sangue fresco.
Aprì di scatto gli occhi e vide il cielo: era sopravvissuto, o comunque non era ancora morto, e uno scontro a fuoco imperversava intorno a lui ma prima che potesse pensare al resto una figura lo oscurò.
Era un uomo, indossava quello che sembrava essere la pelle di un deathclaw e lo fissava con due enormi occhi gialli. Solo dopo si accorse che gli puntava alla gola un’enorme spada d’osso. Quel tipo sembrava uscito da un racconto dell’orrore, o da uno di fantasia per ragazzi, o entrambi.
Sentiva gli spari, i sibili dei proiettili, esplosioni, urla, gli stessi assalitori che avevano fatto precipitare i vertibird ora stavano ultimando il lavoro e i soldati sopravvissuti tentavano un’ultima estrema difesa. Lui era bloccato lì a terra, quell’uomo aveva uno sguardo magnetico e trasmetteva  sensazioni confuse. Odio? Paura? Chi era e soprattutto che cosa voleva? Alla fine si decise a parlare.
- Se vuoi vivere...- esordì - ...dovrai fare esattamente ciò che ti dirò, Jeff Callaghan -


Dave Campbell
 
Da qualche parte nella zona contaminata                                                    3 Settembre 2275

 
 
Aveva appena ripreso il cammino verso Raven Rock, la zona contaminata attorno a lei era abbastanza calda, un odore di terra e polvere le entrava nel naso e le dava quasi alla testa.
Camminava lentamente guardandosi attorno, sapeva che il tempo necessario per arrivare sarebbe stato molto lungo e che avrebbe dovuto camminare ancora per qualche giorno.
 Un rumore forte la sorprese da dietro, sobbalzó in avanti e  il primo istinto fu quello di correre fino a nascondersi dietro una grossa roccia.
Accucciata e silenziosa osservava il terreno brullo davanti a sé,un vertibird si stava avvicinando e sembrava in fase di atterraggio.
Una grossa nube di polvere si innalzò inondando l’area intorno,il rumore era sempre più forte, Dave guardava con gli occhi semicoperti dalle mani per proteggersi dalla polvere e tentava di farsi sempre più piccola dietro la roccia.
Il vertibird atterrò con un tonfo sordo sollevando, se possibile,ancora più polvere.
Saltarono giù dal veivolo due soldati in armatura atomica, e stette lì immobile.
 
“Abbiamo localizzato la ragazzina” disse uno, poi continuò “agli ordini, catturare senza uccidere, ricevuto”
 
-merda, merda!- pensó Dave –se mi trovano sono fottuta-
Il rumore metallico dei passi dell’armatura atomica la spaventava a morte, tremava perché sapeva che se anche si fosse scagliata contro di loro non sarebbe durata a lungo.
I due si avvicinavano ormai inesorabilmente e quando alzò gli occhi li trovó a sovrastarla, rimase con gli occhi sgranati, impossibilitata a muoversi, avevano preso quel mercenario e ora volevano anche lei? Che cosa le avrebbero fatto? Di certo niente di buono, non si dicono cose belle in giro dell’Enclave, e soprattutto sapeva che gente come lei, i predoni, erano ritenuti feccia quasi quanto i supermutanti e quelle bestie immonde che troppo spesso si era trovata a fronteggiare.
Sicuro l’avrebbero uccisa così, a sangue freddo.
I due scoppiarono a ridere nel vederla così spaventata e di peso l’afferrarono per le braccia.
 
“Stanata!” Ghignó uno.
L’altro si limitò a emettere uno strano verso.
 
“Cosa cazzo volete farmi?” Inizió Dave: “lasciatemi in pace, o ve ne pentirete” erano minacce vuote e lo sapeva, sapeva anche che se avessero voluto avrebbero potuto spezzarla in due come un fuscello.
“Ah ma davvero?” Fece il primo:”siamo combattive eh,allora ti sistemo io” la afferrò per le gambe e la tenne ferma mentre l’altro le prese le braccia e le legò i polsi assieme.
Le corde le stringevano sui polsi e poteva avvertire la morsa gelata  dell’armatura atomica attorno alle sue gambe.
“Cosa volete da me?” La sua voce era aggressiva, graffiante.
“Oh tesorino lo scoprirai” le rispose uno con un’intonazione parecchio inquietante.
Dave cercò di iniziare a scalciare ma non riusciva a muovere le gambe per cui si agitava convulsamente e iniziò ad emettere versi tra il dolore e la paura. I due soldati restarono li, fermi a ridere di lei osservandola dimenarsi.
“Ora basta signorina” imperó il soldato che fino ad allora era stato in silenzio.
La sollevò con facilità e la caricó in spalla come un sacco di patate.
 
I due la portarono sul vertibird  e la appoggiarono non molto delicatamente per terra vicino ad altre persone che versavano  in uno stato pietoso e che non proferivano parola.
Il velivolo inizio a decollare producendo un rumore assordante.
Il pavimento era freddo e lei cominciava ad innervosirsi :” Adesso basta, cosa cazzo é questa storia?” fece per alzarsi ma uno di loro la rimise a sedere spingendola –“ Lasciatemi andare, io non vi servo, cosa ve ne fate di me? Io vi ammazzo tutti lo giuro, vi faccio saltare le budella..” Le parole le uscivano dalla bocca come un flusso senza fine, era spaventata e nervosa:”Vi fate forti con le vostre armature eh, fate schifo..”
 
“Ma non sta un attimo zitta questa ragazzina?” Disse sbuffando uno di loro.
“No, io vi uccido! Ma chi vi credete di essere? Vi ammazzo eh, giuro che lo faccio, vi spacco in due e poi bevo il vostro sangue, oh lo giuro che lo faccio, lo faccio!” ma come tentava di alzarsi veniva malamente ributtata a terra, fino a che uno dei soldati non prese una corda e le legó anche le caviglie.
“Questo é troppo, lasciatemi andare, subito!” Continuò a ringhiare convulsamente.
Il pilota che fino ad allora era stato zitto si girò indietro :“Cazzo mettetela a tacere, non sento più neanche i miei pensie...MERDA!” Urló con una voce straziata, “Qualcosa da terra ci sta attaccando! Interrompi la comunicazione con l’unitá XVZ9”.
Per tutto il velivolo risuonava l’allarme con un rumore assordante, talmente forte che Dave iniziò a sentirsi confusa, lo stato di avaria sembrava persistere.
“É necessario un atterraggio di emergenza” comunicó il pilota “ 300 metri, 200 metri, 110 metri, 50, 20, 15,5.. Merda merda merda!”
 Dave sentì un forte boato, una vampata di calore la investì e poi... Piú nulla.
 
[...]
 
Quando riprese conoscenza si trovò a terra,ricoperta di polvere e sangue.
Il paesaggio intorno a lei non era poi molto diverso da quello che c’era nei dintorni di Megaton.
Accanto a lei giaceva la carcassa del vertibird bruciacchiato che emetteva un odore di bruciato pemetrante e nauseabondo.
I due soldati che l’avaveno rapita erano gettati poco più in là, cotti a puntino nelle loro armature atomiche.
Si guardò,ancora frastornata e con la vista annebbiata, aveva delle ustioni sul braccio –ma almeno non sono morta- sussurró tra se e se.
I legacci che le tenevano insieme le gambe erano quasi distrutti come anche buona parte della pelle attorno e poté liberarsene in fretta, quelli sulle braccia invece erano ancora ben saldi.
Mentre tentava di liberarsene vide poco lontano il mercenario di Reilly che parlava con un uomo abbigliato in un modo molto particolare.
Forse se si fosse avvicinata a loro avrebbe potuto trovare un aiuto, o alla peggio essere uccisa ma nello stato in cui versava entrambe le cose sarebbero andate bene e se anche l’avessero ignorata i batteri le avrebbero divorato la carne viva nel giro di molto poco.
Doveva agire e in fretta.
 
Così camminó zoppicando verso di loro:” Vi prego, liberatemi..” Sussurró piano guardandoli con gli occhi pieni di disperazione:”Vi giuro che non faccio nulla, sono disarmata.. Ho perso la mia 10mm nell’incidente, sono innocua lo giuro”.
Il mercenario si limitò a fissarla mentre l’uomo con la spada le si avvicinò e con voce grave le parló:” Stai immobile, non ti muovere o saró costretto a sbudellarti”.
Dave restò immobile, fissandolo, non proferí parola, non capiva chi fosse né da dove venisse.
L’uomo la  sollevò di peso prendendola dalla corda che le teneva i polsi: gridó di dolore mentre l’ osservava attentamente, i suoi occhi gialli le sfioravano il corpo come volesse vederle anche l’anima  dopodiché come se avesse perso di colpo ogni interesse la lasció cadere a terra.
Mugolò qualcosa tra se e se e poi si voltò verso il mercenario:”Tu e questa ragazza ora venite con me”.
Dove voleva portarci? Chi era quel mercenario? Cosa voleva l’Enclave? Dove ci trovavamo esattamente?

 

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Capitolo 3
*** Perché precipitare non era abbastanza,no. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo III- Perché precipitare non era abbastanza, no.

Jeff Callaghan
 
Da qualche parte nella zona contaminata                                   3 Settembre 2275

 
 
L’uomo dagli occhi gialli continuava a tenerlo “a bada” puntandogli addosso quel dannato ferro arruginito che sembrava uscito da “Grognak il barbaro” e faceva altrettanto con una ragazzina dai capelli neri e dai grandi occhi verdi.
A giudicare dal suo abbigliamento doveva essere una predatrice, o qualcosa di vagamente simile, visto che quei pazzi amavano farsi riconoscere, giusto per esser sicuri di beccarsi una pallottola in mezzo alla fronte. Anche lei era una prigioniera? Una domanda stupida viste le circostanze, ma quella sottospecie di atterraggio l’aveva leggermente stordito. Chiamarlo atterraggio era altrettanto stupido.
 
- Almeno ce l’hai un nome? – chiese al misterioso individuo che ogni tanto lanciava un’occhiata veloce ai suoi uomini, per sincerarsi che non ci fossero sopravvissuti dell’Enclave. La sparatoria continuava, anche se il frastuono era diminuito, segno che stava volgendo lentamente al termine.
- Ne ho tanti, ma tutti mi chiamano L’Errante – rispose, fulminandolo con lo sguardo.
- Errante, eh? Ah, affascinante, davvero- ironizzò come solito suo ma l’uomo non gli diede peso – e tu invece? – questa volta si rivolse alla ragazzina.
Lei lo fissò con uno sguardo misto fra la confusione e la rabbia, ma non rispose, troppo presa dal capire in che razza di macello era finita. Era forse il caso di dirle “Benvenuta nella zona contaminata, figliola”??
 
Probabilmente era sempre stata abituata a spasserla col suo gruppo di aguzzini, tagliagole e banditi, cirondata a destra e manca da bocche da fuoco e sempre tenuta lontana dalle mera follia della Wasteland. Forse non sapeva che i predatori erano i meno folli in quella benedetta accozzaglia di pazzia che era la zona contaminata.
O aveva semplicemente paura? Qualcosa che lui si era imposto di non provare più, non dopo quello che era successo all’ospedale di Nostra Signora della Speranza.  “Speranza, speranza un cazzo...”
Gli spari cessarono e intornò a loro calò uno strano silenzio, un silenzio di morte, i soldati dell’Enclave sopravvissuti allo schianto erano finiti all’altro mondo con tutta l’armatura atomica, sopraffatti dagli uomini dell’Errante.
 

- Adesso potresti smettere di puntarmi quel coso addosso – esordì alludendo alla spada e l’Errante la ripose in un fodero di cuoio appeso alle sue spalle con un sorriso sadico stampato sulle labbra. Jeff sospirò, sì sentiva molto meglio senza quell’arma puntata al collo, nonostante i postumi dello schianto. Era comunque un inizio.
 
Rapito dall’Enclave per chissà quale folle progetto, abbattuto mentre era a bordo di un dannato vertibird e, se questo già non bastasse, sopravvissuto miracolosamente allo schianto e salvato da un sedicente psicopatico uscito da uno di quei giochi da tavolo fantasy. Al diavolo, l’autore di quella storia o era tutto scemo o era davvero sadico nei suoi confronti. Non lo pagavano abbastanza per questo.
Fece per alzarsi ma l’Errante gli si parò davanti:
- Niente scherzi, mercenario, hai lo sguardo di chi vuole scaricare un po di piombo e tornarsene a casa, dico bene? – Jeff deglutì, non voleva scatenare un’altra sparatoria ma di certo quel tipo non gli andava a genio, nonostante i suoi carcerieri fossero stati sconfitti non si sentiva affatto al sicuro – Lo stesso vale per te, signorina – aggiunse con un filo di ironia, vedendo che la predatrice era ancora legata come un salame. Poteva vedere l’odio bruciare negli occhi della ragazza in mezzo a ciò che restava della paura.
- Come pretendi che faccia qualcosa legato come sono? Perché non mi liberi e mi spieghi che diavolo sta succedendo? – chiedere favori non era il suo sport preferito, su questo non ci pioveva. L’Errante sorrise, mentre i suoi uomini depredevano i cadaveri dei nemici sconfitti per spartirsi il bottino della vittoria. Una scena macabra, ma totalmente normale da quando il mondo era finito.
- Vuoi la verità, mercenario? Bene, la avrai – si inginocchiò accanto a lui e con uno strano strumento spezzò in due le catene che lo bloccavano. Jeff annuì in segno di riconoscimento e iniziò a massaggiarsi le caviglie e i polsi doloranti.
 
- L’Enclave ha catturato te come molta altra gente, senza fare molte distinzioni: banditi, predatori, mercenari, scavenger e perfino paladini della confraternità... e lo sta facendo da più di un mese ormai, con un preciso scopo: il progetto Asgard – mentre parlava si avvicinò alla predatrice e liberò anche lei lanciandole uno sguardo che equivaleva ad un “Non muoverti o sarai sopravvisuta allo schianto per nulla”.
- E cosa sarebbe questo “Progetto Asgard”? L’Enclave ne tira fuori sempre una nuova, ma questo è davvero il colmo – rispose Jeff che aveva iniziato ad osservare la devastazione intorno a sé: rottami in fiamme, colonne di fumo nero e corpi senza vita abbandonati in posizioni innaturali.
- Si stanno preparando, perché hanno bisogno di carne fresca, perché hanno paura. Le loro forze non possono bastare, non dopo l’ultimo conflitto con la confraternita d’acciaio. Per questo vanno a caccia, di reclute se così le vogliamo chiamare, o forse sarebbe meglio dire cavie, perché una volta entrate a Raven Rock o ne escono cadaveri o soldati del Ragnarok come li hanno “battezzati”. E credimi, di umano hanno ben poco...- lasciò cadere il discorso con quell’ultima frase, quasi a voler lasciare spazio all’immaginazione su quello che potevano fare gli scienziati dell’Enclave a chi veniva catturato e condotto nei loro laboratori.
 
Jeff notò che anche la ragazzina si era messa ad ascoltare il discorso dell’Errante e il suo sguardo era perplesso, carico di dubbi, e come darle torto: progetto Asgard, soldati del Ragnarok, l’Enclave che ha paura, erano tutte cose che facevano pensare ad uno di quei giornaletti giapponesi piuttosto che ad una storia vera.
Servivano altri dettagli, più informazioni, ma prima che potesse aprir bocca uno dei soldati lo precedette:
- Signore ci sono altri sopravvissuti, sono i prigionieri dell’Enclave. Che cosa ne facciamo? – domandò.
- Uccideteli – sentenziò l’Errante e Jeff non riuscì a credere a ciò che aveva sentito.
- Ma sei impazzito?! – esclamò – quelle sono persone innocenti! – stava per rialzarsi, non poteva starsene con le mani in mano, ma l’Errante lo rispedì a terra di peso e lo trascinò a terra come un sacco di patate fino ad abbandonarlo qualche metro più in là, di colpo. Da dove aveva tirato fuori quella forza?
 
- Hai salvato me e questa ragazza, perché noi sì e loro no? Che cosa vuoi da noi? Chi diavolo sei? – aveva letteralmente urlato quelle domande e sentiva il sangue pulsargli nelle vene per la rabbia. Che razza di problemi poteva avere quell’uomo?
- Sei davvero un tipo curioso, Callaghan, e lo è anche la ragazzina qui presente, credimi, in caso contrario probabilmente avreste fatto la fine degli altri- disse facendo alcuni cenni ad uno dei suoi uomini che senza fiatare iniziò a raccattare oggetti e a buttarli in uno zaino logoro.
- Vorrei avere più tempo per chiacchierare, ci sarebbe molto da dire, ma il tempo scorre, ormai non manca molto e c’è ancora così tanto da fare - continuò afferrando la ragazza per un braccio e spingendola con forza verso il mercenario. Jeff si limitava a fissarlo, doveva cogliere il momento giusto per agire. Sentì la predatrice urlare qualcosa ma non gli diede troppo peso.
- Se pensavi che i supermutanti o i deathclaw fossero i pericoli e gli orrori maggiori di questo mondo, beh... ti sbagliavi– esordì mentre i sibili dei proiettili tornavano a fendere l’aria e le urla dei prigionieri a riempire i loro polmoni.
L’Errante si avvicinò al mercenario mentre il soldato gettò lo zaino accanto a loro con la stessa grazia di un rinoceronte in una cristalleria. Riuscì ad intravedere delle provviste e forse delle armi, ma non ne era sicuro.
 
I loro sguardi si incrociarono, grigio contro ambra, fermezza contro follia, e sentì l’aria farsi più pesante:
- L’Enclave ha paura, Callaghan, paura di qualcosa che va ben oltre la nostra immaginazione. Abbiamo distrutto il mondo e non siamo mai stati perdonati per  questo, lo capisci? – un pensiero si insinuò nella sua mente, di punto in bianco sembrava che quell’uomo non fosse più un ciarlatano psicopatico, bensì uno che sapeva esattamente cosa stava dicendo. Quella sensazione di vuoto e disprezzo tornò a farsi sentire.
- Abbiamo imparato a conviverci, ma non possiamo dimenticare- sussurò involontariamente con lo sguardo perso a fissare il vuoto. Un senso di inquietidine lo avvolse per una frazione di secondo.
- Esatto, abbiamo distrutto il mondo una volta e lo stiamo facendo di nuovo. La zona contaminata non è un semplice luogo in rovina, è qualcos’altro, e ha una coscienza propria. Ha visto cosa abbiamo fatto, cosa stiamo facendo, e presto ci punirà – quell’ultima frase suonava come una sentenza di morte e prima che potesse aprir bocca l’Errante aveva conficcato nel terreno lo strumento con cui l’aveva liberato e si stava allontanando:
- Quello che accadrà cambierà per sempre la zona contaminata per come la conosciamo e non tutti saranno pronti ad affrontare questo evento. Addio, se sopravviverete a ciò che vi attende forse ci rivedremo – non appena finì la frase il terreno sotto i loro piedi cedette trascinando entrambi in una voragine oscura.
 
                                                               [...]
 
Era caduto su qualcosa di morbido, o perlomeno qualcosa che aveva attutito la caduta. Un’enorme pila di scatoloni ammassatti uno sull’altro in quantità industriale e abbandonati lì da prima della guerra. Quindi era caduto in un magazzino? Era precipitato da uno dei condotti d’aerazione? No, era poco probabile, erano troppo piccoli per farci passare un essere umano in caduta libera. E allora da dove? Si massaggiò la testa e si guardò intorno anche se nella penombra di quella stanza riusciva a distinguire ben poco. Qualcosa gli aveva schiacciato un piede e allungò una mano: stoffa sfilacciata, superficie deforme, doveva essere lo zaino che gli aveva lanciato contro il soldato dell’Errante.
Sospirò: cos’altro poteva andare storto nell’arco di quella giornata? Ci mancava solo che la luna precipitasse sulla terra spazzando via quel poco di umanità che restava.
Qualcosa si mosse accanto a lui, si girò di scatto, accendando con uno scatto la torcia appessa alla divisa, per scoprire cosa fosse e si ritrovò davanti due enormi occhi verdi che lo fissavano da pochi centimetri di distanza.
- Ma tu sei... –
- Dave, io sono Dave – finì la frase prima di perdere i sensi.
Jeff lanciò  prima un’occhiata alla parte di soffito crollata da cui erano caduti, dalla quale filtrava un pò di luce, e poi alla ragazzina svenuta sulle sue gambe.
- Fantastico - 



Dave Campbell
 
Da qualche parte nella zona contaminata                                                    3 Settembre 2275


Da quando erano  finiti in quel buco non aveva  idea di come ne sarebbero  usciti:
Quel mercenario la  fissava in modo strano e le  chiese il nome.
“Dave, sono Dave” la testa le girava terribilmente, la stanza ai suoi occhi  iniziava a deformarsi, aveva caldo, un caldo terribile e poi inizió a sentire i suoni ovattati, sembrava tutto così distante, la luce che filtrava era distorta e il caldo continuava a salire, si accasció sulle gambe dell’uomo che era con lei.
Perse i sensi.
...
 
Rinvenne qualche tempo dopo e la prima cosa che vide furono gli occhi del mercenario che la fissavano.
“Ah ma allora ci sei” disse con una voce rude e sarcastica “pensavo fossi morta” ridacchiò.
“ I-io.. D-dove... Dove siamo?” Aveva difficoltà a parlare, la bocca impastata e si sentiva debole, provó a tirarsi in piedi sperando di riacquistare un po’ di dignità ma non appena si sollevò le gambe iniziarono a tremarle e ricadde in ginocchio davanti a lui, goffamente:”Tu.. Tu chi sei?” Era confusa, quell’uomo, il mercenario si era presentato già? Cosa faceva lì con lei?:”Aspetta me lo hai già detto? O no?”.
L’uomo la guardava fisso, senza alcuna espressione sul volto:”Jeff, mi chiamo Jeff e sono un mercenario di Reilly” Dave indietreggiò  un pochino, se avesse voluto avrebbe potuto ucciderla lì seduta stante, e siccome era giovane e voleva vivere ancora per un po' ,decise che il modo migliore per non essere uccisa o peggio, era convincerlo che aveva bisogno di lei per uscire di lì, una volta fuori avrebbe deciso sul da farsi, se scappare a gambe levate o se sfruttarlo per tornare a casa.
 
Tentò nuovamente di alzarsi e questa volta ce la fece, iniziò cosí a girargli attorno come uno squalo e  a parlargli con voce calma :”Siamo da soli in questo buco nel terreno, dobbiamo trovare un modo per uscire, non trovi? Ci aiutiamo a vicenda, non ti sembra fantastico?” Gli fece un sorrisone smagliante, quando si sedette di fianco a lui con la stessa fluidità di un gatto che sta aspettando una ricompensa.
“Ho trovato delle munizioni quando siamo caduti, mentre tu eri svenuta, iniziamo a rifornirci poi ne riparliamo” rispose freddamente.
 
Sgattaioló verso gli scatoloni e iniziò ad aprirli con una foga impressionante, mentre era lì chinata come una scimmia curiosa a rovistare, Jeff le si avvicinò, riuscì a sentire il fruscio dell’arma che veniva tirata fuori dalla fondina –ok mi ammazza- fu l’unica cosa che riuscì a pensare.
“Conosco gli abiti che indossi, sei un predatore” alzó l’arma puntandola alla sua nuca, Dave inizió a sudare freddo –lo sapevo- deglutí.
“Se hai intenzione di fare qualsiasi cosa che io possa reputare pericolosa per la mia vita, sappi che ti riduco come uno scolapasta, poco importa se sei una ragazzina”.
Dave rimase accucciata, terrorizzata, non bastava l’Enclave prima e l’Errante poi ora ci si metteva anche lui:”I-io giuro.. Non ho intenzione di fare niente di male.. V-voglio solo uscire di qui e tornarmene a casa.” Rispose con la voce incrinata, come se fosse sul punto di scoppiare in pianto.
Jeff rimise l’arma nella fondina e con completa noncuranza ritornò a sedersi dove era prima.
 
Dave rimase immobile per qualche secondo, ancora con i brividi addosso ma poi decise che era ora di agire, trovó delle munizioni per la sua 10 mm e vide anche un fucile da combattimento mezzo arruginito che la ispirava parecchio, così lo prese, bisognava essere pronti a tutto.
Una volta rifornita lasció il tempo a Jeff di fare lo stesso.
“Dobbiamo trovare un modo per uscire.” Disse Dave con la voce ancora un po’ spaventata:” Se filtra della luce vuol dire che c’é un’uscita e se c’é un’uscita noi possiamo andarcene.”
 
Parte del soffitto era crollata ma lo spazio non sembrava abbastanza largo da permettere di passare, ma Jeff sembrava essersene accorto prima di lei: “Non ci passiamo da lì, magari tu, ma io non ci passerò mai, dobbiamo trovare un’altra uscita.”
 
Dave sbuffò, per una buona volta aveva usato il cervello e invece.. Non era servito a nulla, allora si mise a girare per la stanza alla ricerca di un altra via di uscita, i muri erano ruvidi, spessi e di un grigio cupo, la stanza illuminata lievemente non sembrava presentare alcuna via di fuga, c’erano solo degli scatoloni, dei calcinacci e le scatole  per le munizioni, perfino il silenzio assordante lasciava intendere che la stanza non aveva grossi sbocchi comunicanti con l’esterno.
 Guardandosi meglio intorno notó una sorta di buco nel muro abbastanza largo da poter permettere a entrambi di passare.
 
“Andiamo di là, di sicuro tutto é meglio che stare in questo posto.”
Jeff questa volta sembrava essere d’accordo,  per prima cosa, appena avvicinatisi al buco guardarono dentro, sembrava illuminato fiocamente, di sicuro da qualche parte li avrebbe condotti.
Dave fu la prima a passare, era abbastanza stretto ma ci riuscì.
Erano finiti nelle metropolitane, -cazzo questi posti sono pieni di ghoul ferali-.
Prese il fucile da combattimento  e iniziò a camminare piano.
Jeff era di fianco a lei, anche lui con l’arma imbracciata.
 
Dei rumori come di gorgoglio lontani non facevano presumere niente di buono.
Quelle bestie putrescenti iniziarono a correre verso di loro.
“Tu prendi quelli che vengono da destra io da sinistra” sussurró Dave a Jeff.
Iniziarono così a sparare, non c’era cosa più bella che vedere le teste di quei ghoul saltare, schizzava sangue da ogni parte, erano così tanti che non riuscirono a fermarli da lontano.
 
Un ghoul si era avvicinato pericolosamente e si era lanciato addosso a Dave, quelle mani erano come artigliate e le sentiva graffiare la sua pelle, tentò di morderla, Dave si scansò per un pelo, poteva sentire il fortissimo odore di carne decomposta che le pungeva le narici, inizialmente le venne da vomitare, ma poi riprese subito la concentrazione.
Lo spazio tra il suo corpo è quello del ghoul era così stretto che non riuscì ad alzare l’arma, così lo colpì più forte che poté col calcio del fucile.
Il ghoul indietreggiò con un rantolo, giusto in tempo per permettere a Dave di piantagli un proiettile dritto nello stomaco, poi uno in testa e un altro ancora, si era spaventata così tanto che inveiva su quel cadavere in un modo osceno, incontrollato.
 
Jeff l’afferrò forte per un braccio allentandola, perse l’equilibrio e si appoggiò sul petto del mercenario e lo guardò, restarono in silenzio per qualche secondo e poi:” Hei, che cazzo fai, lasciami!”
“Smettila di inveire su quel cadavere, cazzo! É inutile”
“Lasciami fare quel cazzo che voglio” rispose lei.
“Senti ragazzina, é un inutile spreco di munizioni quindi falla finita.”
 
Il silenzio intanto era calato nella metropolitana, in quell’area non c’era più mezzo ghoul, li avevano sterminati tutti, e dall’odore si capiva che erano morti.
 
“Ora allontaniamoci, cerchiamo un’uscita e in fretta.” Intimó Jeff trascinandola per un braccio.
Nella metropolitana deserta si sentiva solo l’eco dei loro passi, camminarono a lungo per quel corridoio angusto, il pavimento era bagnato e l’eco dei passi nell’acqua faceva più rumore che sulla terra asciutta e Dave dopo lo scontro ravvicinato di qualche secondo  prima iniziava a preoccuparsi.
Si trovarono davanti ad un bivio, la zona era in penombra, e poco si distingueva dal fondo di ognuna delle due strade possibili.
 
“E ora?” Chiese timidamente Dave.

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Capitolo 4
*** La civiltà non esiste più, i campeggi notturni sì. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo IV- La civiltà non esiste più, i campeggi notturni sì.

 

Note dell'autore: Salve gente! Rieccoci qui col quarto episodio di questo folle esperimento. Gli impegni universitari e scolastici non ci hanno fermato, solo rallentato un pò, speriamo di non avervi fatto aspettare troppo, vero? VERO? Io e Madame vogliamo cogliere l'occasione per ringraziare tutti coloro che ci stanno seguendo e che stanno leggendo questa bizzarra avventura, episodio dopo episodio, speriamo che continuerete a farlo anche in futuro, noi faremo del nostro meglio per rendere questa storia ancora più avvincente! Buona lettura e alla prossima!

Snow & Madame



Jeff Callaghan                                                           
 
Rovine della North Metro SatCom                                                3-4 Settembre 2275

 
 
Avevano girato in quella sottospecie di metropolitana per ore, forse anche di più e doveva ammettere a se stesso che non era nemmeno a conoscenza dell’esistenza di quella metropolitana così distante da DC. Forse serviva per un trasporto di merci rapido o forse era stata costruita per aiutare i lavoratori a raggiungere il proprio posto di lavoro, o c’era dell’altro?
Non lo sapeva, ed era destinato a non saperlo finché non avrebbe scoperto in che zona della wasteland si trovavano.
Forse avrebbe dovuto svoltare a destra e non a sinistra a quel benedetto bivio, ma ormai era tardi per i ripensamenti, anche volendo non sarebbero riusciti a tornare indietro.
 
Quel posto però era un labirinto, le fonti di luce erano al minimo e l’incontro con quel branco di ghoul impazziti di certo non aveva aiutato, avevano consumato più munizioni del dovuto e in una circostanza anomala come quella ogni fottuto proiettile faceva la differenza:
- Come siamo silenziosi – esordì la ragazzina che camminava al suo fianco, dondolandosi ogni tanto a destra e a sinistra, manco fosse stata in gita scolastica.
- Sto pensando a come uscire da questo posto – rispose secco, continuando a guardarsi intorno e a stringere la presa sul fucile d’ordinanza.
- Dove pensi che siamo? Questa metro è diversa dai sentieri tortuosi della città – osservò Dave lanciando occhiate indagatorie  su cumuli di rifiuti, macerie, resti di macchinari e quelle che sembravano apparecchiature elettroniche ammassate lungo le pareti o sui binari.
 
“Sentieri tortuosi” era così che i banditi chiamavano la metropolitana di DC, il miglior modo per raggiungere ogni zona della città e al tempo stesso il peggiore. Un ringraziamento speciale ai grattacieli crollati in mezzo alle strade che costringevano chiunque a finire  in quei cimiteri di cemento e binari del cazzo.
- Non lo so, ho una mezza idea ma potrei sbagliarmi. Ma di una cosa sono certo, siamo molto, molto distanti da DC e questa spazzatura elettronica mi sta dando un brutto presentimento – Jeff si bloccò davanti all’ennesimo bivio, ma notò subito che la seconda scelta era stata sepolta da un crollo e sospirando proseguì per l’unica strada disponibile.
- Credi che incontreremo altri ghoul ferali? – la predatrice continuava a fargli domande, o era dannatamente curiosa o in vena di fare nuove amicizie, o entrambe. Non la vedeva come una minaccia, ma non riusciva neanche a vederla come un’alleata, non ancora, nonostante le circostanze glielo imponessero.
- No, questo posto sembra più deserto della prua ammaccata di Rivet City, quei poveri bastardi che abbiamo fatto fuori prima dovevano essere un piccolo branco a caccia, niente di più niente di meno – Dave annuì ma Jeff rimase a riflettere sulla questione: c’era qualcosa che non andava in quella metropolitana, era diversa, non era infestata dai ghoul come tutte le altre, non era diventato il fortino pseudo cazzuto di qualche banda di predoni e soprattutto sembrava che fosse stata distrutta da mani esperte e non dai cataclismi della grande guerra. Scosse la testa, non aveva tempo per mettersi a fare lo Sherlock Holmes di turno.
 
Continuarono a girovagare in quel labirinto di binari morti e fermate decadute, senza incontare anima viva, scavalcando cumuli di macerie, strisciando tra i resti fatiscenti di vagoni e locomotive arruginite, finché non arrivarono a quella che sembrava un’uscita:
- Ce l’abbiamo fatta! – esultò Dave sentendo una lieve brezza provenire da fuori.
- Calma, dolcezza, calma, niente gesti affrettati – sibilò Jeff mettendo una mano davanti al petto della ragazza che stava già per correre fuori.
- Oh avanti, cosa c’è che non va adesso?! Stai diventando palloso!- esclamò la predatrice sbuffando. Quella reazione strappò un mezzo sorriso al mercenario che si avvicinò accanto ai cancelli semidistrutti, senza mai abbasare la guardia.
- C’è che il sole sta tramontando e non credo tu voglia farti una passeggiata al chiaro di luna nella zona contaminata,vero? – disse indicando una flebile luce rossastra proveniente dalla cima delle scale impolverate. Dave deglutì e scosse la testa.
- Lo immaginavo – esordì il mercenario lanciandole un sorriso – Vedo che il buon senso alla fine non ti manca, eh? Resteremo qui stanotte e domattina alle prime luci dell’alba usciremo da questo buco e cercheremo di capire dove siamo e come tornare. Tutto chiaro? –
- Tutto chiaro, tutto chiaro, sei tu il capo – si limitò a rispondere la ragazza facendo spallucce: sembrava un atteggiamento di sfida, ma si intuiva facilmente che aveva capito qual era il punto della situazione. Il mercenario era il più esperto dei due e se lei voleva tornare a casa doveva collaborare e ascoltare ciò che diceva.
 
Si misero a perlustrare ciò che un tempo dovevano essere stati gli uffici del personale della metro e come al solito non incontrarono nessuno, fatta eccezione per alcuni scheletri abbandonati contro una parete e un ratto talpa che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Trovarono un punto in cui erano stati abbandonati alcuni materassi, non era un granché ma era sempre meglio che dormire sul pavimento.
Una volta sistemati alla buona quei giacigli provvisori lasciò Dave col compito di controllare le scorte e farsi una sorta di lista mentale e si diresse verso l’uscita.

 Alla domanda della ragazza “Dove stai andando?” si era limitato a rispondere “ A controllare di non essere nella merda più di quanto non lo siamo già” il che non era un vero e proprio esempio di eloquenza ma, ehi, rispecchiava la realtà.
Salì in fretta le scale e col fucile spianato fece capolino oltre la soglia dell’entrata della metro: la luce del tramonto, ormai prossima a scomparire dietro l’orizzonte, permetteva ancora di distinguere in parte il panorama circostante e il mercenario non ci pensò due volte ad approfittarne.
Tralasciando i 2-3 edifici diroccati che si affacciavano sulla piazzola per entrare nella metro nella zona circostante non c’era quasi nulla, o perlomeno nulla che si potesse vedere bene con quella poca luce, ma qualcosa attirò il suo sguardo più di tutto il resto: tre enormi torri si stagliavano alla sua destra in lontananza e altre tre alla sua sinistra. Tre torri, tutte in parallelo, con delle enormi parabole montate sulla sommità di ognuna.
Un vaffanculo richeggiò nella sua testa come il boato di un fat man. C’era un solo posto in tutta la zona contaminata che poteva vantarsi di possedere quelle torri ed era il SatCom Array, una terra di nessuno circondata da quei mostri di acciaio e cemento dove mettevano piede solo creature mutanti e truppe dell’Enclave, fatta eccezione per qualche predatore molto schizzato e soprattutto ben armato.
 
Avrebbe voluto fumarsi una sigaretta all’aria aperta, gustandosi gli ultimi attimi del tramonto, per scacciare i pensieri, per staccarsi un attimo da tutto quello che era successo, ma lasciare la ragazzina da sola per troppo tempo non la migliore delle idee.
Ritornò sui suoi passi e trovò Dave che non solo aveva rimesso in ordine le scorte dopo averle contate, ma aveva anche acceso un fuoco  e stava tentando di scaldare qualcosa che sembra “stufato in scatola”:
- Cazzo, non mi aspettavo qualcosa del genere – la ragazza alzò lo sguardo nel sentire la sua voce e sorrise – Scommeto che pensavi che tutti i predatori non sanno fare altro che uccidere, sventrare la gente e urlare come pazzi – disse proseguendo nella sua piccola opera culinaria.
- Già, ammetto di averlo pensato, anche perché sei la prima predatrice con cui parlo senza uno scambio gratuito di piombo – entrambi scoppiarono a ridere, erano due completi estranei in un posto dimenticato da Dio, lontani da tutto ciò che conoscevano, e proprio per quel semplice motivo dovevano cercare di andare d’accordo, anche con poco.
- Allora, che cosa abbiamo? – le chiese, dopotutto sapere cosa avevano e in quale quantità era alla base della loro sopravvivenza: acqua, cibo e munizioni, senza quelli potevano scordarsi di arrivare anche solo a Paradise Falls.
- Perché prima non mi dici cosa hai visto fuori? – ribatté lei mentre versava parte dello stufato nel suo stesso barattolo e lasciando il resto in una sorta di padella che aveva visto giorni migliori. L’Errante era stavo alquanto generoso nel lasciargli quegli “utensili”. La predatrice consegnò il barattolo al mercenario e quest’ultimo ringraziò con un mezzo sorriso.
- Hai mai sentito parlare del SatCom Array ?- domandò Jeff aspettando che la cena si raffreddasse un attimo. Dave scosse la testa, con gli occhi carichi di curiosità.
- Beh, diciamo che è un posto che tutti eviterebbero molto volentieri, prima della grande guerra era una zona militare utilizzata come base satellitare, roba cazzuta a detta di certa gente. Ora invece è una terra di nessuno –
- E questo Sat...uhm...SatCom Array, giusto? – Jeff annuì – Dove si trova di preciso?-
- Siamo a una trentina di miglia da Raven Rock, ad occhio e croce, dalla riva opposta del Potomac e prima che lo chiedi: sì, è un miracolo che questo posto non sia stato infestato dalle truppe dell’Enclave dopo quello che è successo oggi – dopo quella frase rimasero per alcuni minuti in silenzio e fu Dave a rompere quel silenzio:
- Che cosa intendi fare? –
- Mantenere un basso profilo e cercare di portare il culo il più lontano possibile da qui, scorte permettendo - rispose indicando lo zaino accanto alla ragazza.
- Ah già, abbiamo un paio di bottiglie d’acqua, sembra messa bene, del cibo in scatola, dovrebbe bastare per un paio di giorni se lo dosiamo e due stimpak – rispose lei pronunciando quell’elenco come una filastrocca.
- Rad-x, rad away?- domandò tra un boccone e l’altro.
- Niente di niente –
- Fantastico, dovremo trovare qualcosa il più presto possibile. Munizioni? -
- Dieci cartucce per il fucile da combattimento, due caricatori per il tuo fucile, uno per la mia pistola, oltre a quelli già caricati ovvio. Tutto sommato non siamo messi male, no? – sembrava una domanda retorica ma non lo era.
- Non saprei, normalmente ti direi no, non siamo messi così male, ma non sappiamo cosa ci aspetta là fuori quindi sarà meglio cercarne altre, che siano munizioni o armi non ha importanza, andrà bene tutto – la predatrice annuì e rimase in silenzio – Comunque ben fatto – aggiunse Jeff e lei sorrise, soddisfatta di aver portato a termine quel piccolo incarico al meglio, sotto sotto iniziavano a sembrare una squadra.
 
Dopo quella frase ritornò il silenzio e conclusero la cena ognuno perso nei propri pensieri finché Jeff non attirò la sua attenzione:
- Ehi, la vuoi vedere una cosa ? – la ragazza annuì, i suoi grandi occhi riflettevano la fioca luce del fuoco, in quel momento sembrava tutto tranne che una predatrice. Jeff tichettò un motivetto preciso poco sotto lo spallaccio sinistro della sua divisa e il suddetto spallaccio si aprì rivelando un piccolo scompartimento segreto.
- Che cazzo di figata! – esclamò Dave quasi balzando in piedi.
- Trucchetti del mestiere, non puoi rubare ciò che non vedi – esordì il mercenario tirando fuori una fischietta argentata e un pacchetto di sigarette. Senza pensarci due volte si fece un sorso e il sapore aspro e “legnoso” del whiskey lo invase col suo tepore.
La ragazza lo guardava perplessa e Jeff allungò la fiaschetta:
- Perché non ti fai un goccio? E’ whiskey, buon whiskey, prebellico, e niente zittisce meglio la vocina che hai in testa – disse ammiccando.
 Dave afferrò la fiaschetta e tirò giù un pò del vecchio distillato tossendo subito dopo.
- E’ forte...- si giustificò e Jeff rise di gusto – La prima volta è sempre così, non ti preoccupare, è questione di abitudine – la rassicurò accendendosi una sigaretta e facendosi un lungo tiro.
- Allora, Dave...- esordì fissando la ragazza dritta negli occhi mentre la nuvoletta di fumo si diradava mescolandosi all’oscurità, la ragazza ricambiò lo sguardo – Ci aspetta un viaggio lungo per tornare a casa e voglio sapere chi mi coprirà le spalle, a chi dovrò parare il fondoschiena in caso di necessità. Perchè non mi parli un pò di te? Raccontami chi sei – concluse facendo un altro tiro e allungando la sigaretta alla predatrice.


Dave Campbell                                                                                                               3-4 Settembre 2275
North Metro Satcom 


Jeff le allungò la sigaretta, Dave la prese con due dita e se la portò alla bocca, lasciando uscire un grosso sbuffo di fumo.
La stanza in cui si trovavano non era né piccola né grande, era più o meno quello che una volta doveva essere un grosso ufficio, il fuoco acceso malamente illuminava di una luce fioca e arancione la stanza ormai rovinata dalle bombe e dal tempo, le ombre dei vecchi schedari metallici ormai distrutti si stagliavano sul muro creando un divertente gioco di luci e ombre.
Il soffitto era in parte crollato, il cumulo di macerie troneggiava al centro della stanza e dagli spiragli si intravvedeva il tramonto che iniziava a scemare lasciando spazio alla luce fredda della luna.
“Allora, vuoi sapere qualcosa di me, giusto?” Jeff annuì, in silenzio appoggiandosi con la schiena al muro. “Beh non c’è molto da dire su di me, ho diciotto anni appena compiuti, non so chi siano i miei genitori ma so che venivano da Canterbury Commons, i miei ricordi sono sfocati ma so che degli schiavisti devono aver fatto incursione nella cittadina e hanno portato me e altri bambini a Paradise Falls, hai presente quel posto orribile, quello degli schiavisti? Cazzo, di Paradise non ha proprio nulla! Non parlerò di come è stato vivere lì…” Dave fece un altro profondo tiro e sbuffò, le nuvolette di fumo si diffondevano nell’aria prima acquistando forme diverse poi dissolvendosi. Tutto d’un tratto si era fatta più seria, corrucciò le sopracciglia ,strinse le labbra una volta e poi continuò: “Una notte quel coglione di Eulogy Jones ha offerto da bere a tutti i suoi schiavisti schifosi, si sono ubriacati a tal punto da non riuscire neanche a camminare, io e un’altra bambina, Lucy credo si chiamasse, abbiamo subito colto l’occasione, appena è calato il silenzio abbiamo scavalcato le recinzioni e siamo scappate il più lontano possibile. Ci siamo rifugiate nelle caverne di Little Lamplight. Ho vissuto lì fino a che non sono diventata grande, un Mungo.
Quando sono uscita da lì è stato orribile, non sapevo dove andare ma di certo avevo solo una convinzione: che non avrei mai più voluto avere paura di qualcuno, così mi sono unita ai predatori, e poi è successo ciò che è successo ed eccomi qui.” Dave accennò un sorriso forzato, prese un ultimo tiro e spense la sigaretta sul terreno.
“Perché proprio i predatori?” Chiese Jeff.
“Ma come perché i predatori?! Tutti qui nella Zona Contaminata ne hanno paura! Anche chi dice di no, cioè tu stai dormendo bello tranquillo e loro… BAAM ti piombano in casa e tu non puoi farci nulla, no? Sei costretto a dare loro tutto ciò che ti chiedono, e quando dico tutto intendo..tuuutto” disse facendo l’occhiolino a Jeff e poi scoppiò in una fragorosa risata. 
Il mercenario la guardò e accennò un sorrisetto divertito poi aggiunse: “Voglio proprio vedere se tu riesci a ottenere ciò che vuoi…” Non aggiunse altro.
“Io posso ottenere quello che voglio.” Mise una specie di broncio e poi aggiunse: “Certo, quando sono con gli altri predatori intendo, perché se non accompagnata…beh mi sono sempre cacciata nei guai, vedi l’altro giorno, mi sono avventurata da sola , io cercavo solo qualcuno a cui rubare tutto ciò che aveva ma poi mi sono imbattuta nell’Enclave e.. beh non ho combinato molto.” E iniziò a giocare con minuscoli sassolini sul terreno.
Il silenzio piombò nella stanza, si poteva solo avvertire il rumore delle gocce d’acqua che cadevano regolari sul pavimento.
Tlic… tlic… tlic… tlic… tlic…
 Ad un certo punto avvertirono ancora dei rumori, Dave scattò in piedi e subito mise mano alla sua 10mm, il rumore sembrava avvicinarsi, non riusciva a capire cosa fosse, costante, ticchettante, nella penombra era tutto più difficile, Dave iniziò a tremare, Jeff si mise all’erta.
Le fece segno di fare silenzio, chissà cosa poteva essere, sperava solo non dovesse avere nuovamente a che fare con i ghoul, quei cosi facevano davvero schifo.
All’improvviso apparve uno scarafaggio radioattivo, Dave prontamente gli piantò una pallottola in pieno dorso e l’animale si accasciò a terra con un rantolo disgustoso : “Bleah!”
Jeff fece una faccia strana: “Avresti potuto ucciderlo con un calcinaccio, non c’era bisogno di sparargli, santo cielo, guarda quanto schifo che ha lasciato!” asserì indicando una pozza viscida sotto lo scarafaggio. 
Dave sbuffò ma non disse una parola, in tutta risposta, anzi, si avvicinò alla bestia morta e la sollevò con due dita nell’attaccatura tra il collo e le ali e lo sollevò come un trofeo di pesca.
“Mangiamo ancora?” Disse con un sorrisone smagliante.
Jeff le sorrise: “Sì, in effetti ho ancora una certa fame, dai porta qui quel… ehm… coso.”
Dave si sedette affianco a lui, tirò fuori un coltellino dalla bardatura sulla gamba e iniziò a togliere l’esoscheletro all’animale, raschiandone la polpa anche dalla testa, mise il tutto su un calcinaccio “piatto” crollato dal muro e lo adagiò sul fuoco per cuocerlo un po’.
Quando il colorito della carne divenne un pochino più invitante di quel bianco-grigiastro solito lo tolse dal fuoco ed esclamò: “Bon apétit!” e lo appoggiò sul pavimento.
Jeff fu il primo ad assaggiare e quando ebbero finito di mangiare nuovamente, questa volta ben rifocillati,si accasciarono sul muro fissando il vuoto.
Passarono una manciata di minuti, così, in silenzio, quasi non fossero capaci di parlare o di agire, semplicemente stavano lì, ogni tanto si guardavano e ogni tanto guardavano il muro grigio e rovinato di fronte a loro.
“Forse è ora che proviamo a dormire un po’, domani dobbiamo continuare il viaggio e non sarà per niente rilassante.” La voce di Jeff, così calma, diede una nota di tranquillità in quella melodia di silenzi pregna di angoscia.
Dave rispose come da copione: “E sia, sei tu il capo.” E si rannicchiò di fianco al piccolo fuocherello che avevano acceso qualche ora prima , Jeff fece lo stesso sdraiandosi di fianco a lei.


Alle prime luci dell’alba Jeff fu il primo ad alzarsi, scosse con non molta gentilezza le spalle di Dave che aprì un occhio poco convinta: “Che… cos.. Uffa, lasciami dormire” e si rigirò dalla parte opposta.
Jeff allora la sollevò di peso: “Signorina, stammi a sentire, qui ci si deve muovere se non vogliamo venir mangiati vivi da qualcosa… E tu non lo vuoi… vero?” Le disse con un sorrisino sadico sul volto, non era vero ovviamente, ma voleva solo farla alzare in fretta e infatti Dave scattò in piedi come una molla “Cosa mi deve mangiare?!” esclamò.
“Brava ragazza, così va già meglio.” I timidi raggi del sole filtravano dalle spaccature sul soffitto della vecchia Metro illuminando la stanza di una luce quasi piacevole. 
Dave, assonnata raccattava le sue cose che aveva lasciato sparse e Jeff faceva la conta delle munizioni. 
“Sei pronta a partire?” Chiese lui con serietà, Dave tirò la sua sacca logora e se la mise in spalla. “Andiamo!” esclamò già nuovamente piena di energia.
Non fecero in tempo a muovere due passi verso l’uscita che subito Dave riattaccò a parlare: “Hei, aspetta, ieri  sono stata così sbadata da non chiederti nulla di te, non so niente della tua storia!”
“Dai, iniziamo ad uscire, te la racconto strada facendo ok?”

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Capitolo 5
*** Questa cosa si chiama Quest o Missione?! ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo V- Questa cosa si chiama “Quest” o “Missione”?!

Note dell'autore: Ed eccoci di nuovo qui gente! Ci scusiamo per il ritardo,ma questi dannati esami son peggio di affrontare un deathclaw usando una bottiglia di nuka cola, un laccio emostatico e il carisma di Moira Brown. Dunque, siamo arrivati al V episodio e i nostri due sventurati eroi si ritrova ad affrontare la loro prima missione ( non si era capito dal titolo, ve? )per il semplice fatto che, NO armi NO party. Speriamo vi piaccia e come sempre se avete consigli, critichi dritte etc potete lasciare una recensione, saremo più che felici di rispondervi. Buona Lettura :D

Snow & Madame


Jeff Callaghan            
 
Dintorni del SatCom Array                                                             4 Settembre 2275

 
Quella chiacchierata davanti al fuoco, in pieno stile campeggio estivo prebellico, e le ore di sonno che era riuscito a farsi avevano giovato parecchio dopo quella giornata infernale, doveva ammetterlo, e la ragazzina si era rivelata tutto sommato di buona compagnia.
Stavano camminando con estrema calma, non si sentiva sicuro in quella zona e camminare spensierati poteva essere la peggiore delle idee, dopotutto erano ancora in territorio nemico.
- Allora? – la voce di Dave lo riportò alla realtà, si era perso a fissare una zona oltre il fiume, qualcosa aveva attirato la sua attenzione, abbassò il binocolo e sospirò.
- D’accordo, d’accordo – stava per iniziare il suo racconto quando quel sibilo lontano catturò nuovamente la sua attenzione, non se l’era immaginato.
- Merda! – afferrò Dave da un braccio e si gettò a peso morto in una delle tante “buche da bombe” che ricoprivano vari luoghi della zona contaminata.
- Che diavolo ti è preso?! Sei impazzito? – chiese la ragazza massaggiandosi il collo, ma prima che potesse inveire con qualche insulto colorito Jeff le fece segno di stare zitta e ascoltare: in lontananza si poteva udire un sibilo, che si faceva sempre più nitido,  trasformandosi in qualcosa di simile ad un forte ronzio.
- Vertibird – sussurrò Jeff – Quelle scatolette di metallo devono essersi accorti che tre dei loro bei mezzucci volanti non sono tornati nel nido ieri e avranno aspettato come noi l’alba per uscire in ricognizione – osservò cercando di lanciare qualche occhiata fuori dal “fosso”.
- Mai una gioia – sbuffò Dave – ci toccherà restare bloccati qui, adesso? –
- No, se ci muoviamo con cautela, basta sapersi confondere con le macerie sparse nella zona e soprattutto evitare il luogo dello schianto. Tutto chiaro? – la predatrice annuì e fece cenno di esser pronta a muoversi, Jeff annuì a sua volta e mettendosi il fucile in spalla iniziò a muoversi a carponi verso le rovine più vicine seguito come un’ombra dalla ragazza.
Il piano era di puntare ad est, allontanandosi il più possibile da Raven Rock e dalla zona dei SatCom, evitando come la peste il sud, infestato dai deathclaw e da chissà cos’altro.
 
- Sono nato da un mercante d’armi e una scavenger, eravamo sempre in viaggio, quindi non ho mai avuto un vero posto da chiamare “casa”, per un pò ho vissuto a Megaton, poi Rivet City, passando per Canterbury Commons e altri centri minori. Alla fine non restevamo che un anno, massimo due, poi ripartivamo per la destinazione successiva, arrivare e andar via sembravano combaciare come emozioni, non sapevo mai cosa pensare – non era tipo da raccontare la storia della sua vita, ma se c’era qualcosa che aveva imparato nei mercenari era che conoscere il passato del proprio compagno di squadra contribuiva,e non poco, alla collaborazione che nasceva tra i due. Stavano avanzando, lentamente, ma era sempre meglio che stare fermi e aspettare, nonostante il ronzio dei vertibird si facesse più insistente e vicino.
 
- La mia era una famiglia, beh, non la definirei famiglia: mio padre era un avaro del cazzo, non pensava che ad arricchirsi e sfruttava senza alcun ritegno le abilità di scavenger di mia madre. Un giorno lei si ammalò, avvelenamento da radiazioni, aveva bisogno di riposare ma mio padre insistette nel farla uscire per andare a cercare alcuni pezzi che gli servivano. Non aveva alcun rispetto per lei, neanche un briciolo di pietà, dopo una lunga discussione iniziò a malmenarla. Avevo tredici anni – ogni volta che quei ricordi riaffioravano sentiva il desiderio di farsi un drink e rispedirli nell’abisso da cui provenivano. Raggiunsero i resti di una casa e si fermarono per controllare la zona circostante: a parte qualche mutante in cerca della colazione sembrava tutto tranquillo.
- E poi cos’è successo? – domandò Dave, la sua curiosità sembrava genuina.
- Mia madre non era in condizioni di difendersi e mio padre sembrava aver perso il senno, continuava a picchiarla, sempre più forte...- si fermò osservando due vertibird che in quel momento volavano proprio sopra le loro teste, ma il tetto semidistrutto li copriva, e i velivoli li oltrepassarono senza alcun problema, lasciandosi alle spalle solo il sibilo dei rotori.
 
- Ho impugnato una delle pistole che stava pulendo poco prima e gliel’ho puntata addosso, gli ho intimato di lasciarla andare, di smetterla, ma non mi dava ascolto. Diceva che ero un codardo, un peso, che ormai lo era diventato anche mia madre e dei pesi inutili non se ne faceva nulla. Ho premuto il grilletto, ma la pistola era scarica – strinse i pugni, sentiva la rabbia ribollirgli nelle vene. Dave rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.
- E’ scoppiato a ridere, in quel momento non ci ho visto più: ho afferrato un cacciavite e mi sono lanciato contro di lui. Tutto ciò che ricordo dopo quel momento è frammentato, confuso, ma alla fine l’ho ucciso – si accese una sigaretta, doveva distendere i nervi.
- E tua madre? – fu l’unica domanda che riuscì a fare la ragazza.
- Morta anche lei, probabilmente nel tentativo di proteggermi. L’ho seppellita e due giorni dopo me ne sono andato da quell’accampamento, portandomi dietro lo stretto necessario e ho continuato a vagare per la zona contaminata sopravvivendo grazie agli insegnamenti di mia madre e alle armi di quello stronzo del mio vecchio. Ero una piccola testa di cazzo senza obiettivi, senza una meta, finché non ho incontrato Reilly- fece un lungo tiro, trattenendo il fumo per alcuni secondi, rilasciando in un solo colpo la nuvoletta grigia.
- Il capo dei mercenari? –
- Già, proprio lei. Prima mi ha salvato da alcuni predatori schizzati, dopodiché quando le ho detto che non mi serviva il suo aiuto mi ha gonfiato di botte e mi ha chiesto di entrare nella sua organizzazione, diventare uno dei suoi mercenari. Non so cosa mi spinse ad accettare, ma da quel giorno la mia vita prese un senso e non mi pentirò mai della scelta che ho fatto. A diciassette anni divenni ufficialmente un mercenario di Reilly e da allora collaboro nel progetto di mappatura di DC e di “riabilitazione” della capitale – Dave non si era persa una parola e continuava ad ascoltare con attenzione, come se fosse stato un racconto di avventura e geste eroiche, quel genere di storie che si raccontavano prima della grande guerra. Fare quel tuffo nel passato era stato un azzardo anche per lui, ma sapeva di non poter scappare in eterno e ogni volta che si voltava indietro a guardare diventava più consapevole di se stesso.
 
- Le cose sono andate bene finché non ci siamo ritrovati nell’Ospedale di Nostra Signora della Speranza. Io, Lucy e Donovan eravamo andati per indagare su un presunto segnale radio e...-  sentì gli occhi inumidirsi e sì interruppe di colpo, continuando a fumare come se niente fosse.
- Non ha importanza, questa è la mia vita fino ad ora, stavo mappando la zona di Seward Square quando l’Enclave mi ha catturato ed eccomi qui – sfilò una catenella da sotto la divisa al quale erano appese delle piastrine e un anello, le strinse con forza e per un attimo rimase in silenzio, lasciando la sigaretta a consumarsi da sola – Avanti, andiamo, dobbiamo sfruttare il lasso di tempo che i vertibird impiegheranno per tornare indietro. Muoviamoci – concluse, spegnendo la sigaretta e riprendendo a camminare. Dave aveva notato il suo sguardo cupo, ma preferì non dire nulla e lo seguì in silenzio.
 
Continuarono a proseguire verso est, sfruttando tutte le coperture possibili, tenendo occhi e orecchie ben aperti, nascondendosi tra i rottami di un camion al secondo passaggio dei vertibird e piantando un paio di pallottole in due ghoul che facevano troppo baccano nel tentare di inseguirli.
Stavano risalendo un piccolo pendio per raggiungere la strada dissestata quando sentirono dei passi provenire da subito dietro la curva coperta dalla collina.
In un battito di ciglia Jeff impugnò il fucile puntandolo nella direzione da cui provenivano le voci e Dave, superato lo stupore iniziale, fece altrettando con la sua fidata 10mm.
- Ehi! Dico a voi  dietro la collina, fatevi avanti lentamente e con le mani ben in vista. Se vedo dei movimenti strani non ci penserò due volte a piantarvi una pallottola in fronte. Sono stato chiaro? – aveva usato un tono possente e si stava maledicendo per quella situazione, ma nel punto in cui si trovavano non esistevano altre opzioni.
- Che cosa facciamo? – sussurrò Dave immobile come una statua.
- Occhi aperti e nervi saldi, cerchiamo di capire con chi abbiamo a che fare ma al primo segno sospetto apriamo il fuoco –
- Ganzo, non mi ero mai ritrovata in una situazione del genere, di solito noi prima spariamo e poi facciamo le domande – quell’osservazione bizzara strappò una mezza risata al mercenario.
- Signori non è il caso di ricorrere alle armi, siamo o non siamo personcine per bene? E poi, le mie guardie sono più cazzute di quanto pensiate! – quella voce, aveva già sentito quella voce. Non poteva essere lui.
- Fatevi riconoscere! – esclamò Jeff.
- D’accordo, d’accordo, arriviamo, questi bramini non vanno mica a benzina. Avanti ragazzi, abbassate quei ferri, cerchiamo di non fare brutta figura – una risata riecheggiò nell’aria e poco dopo tre individui, seguiti da due bramini apparvero da dietro la collina. Era una carovana, con tanta di scorta, ma non di un semplice mercante.
- Per tutti i capelli di Moira Brown! Wolfgang il Pazzo! -  non riusciva a credere ai suoi occhi e a giudicare dallo sguardo perplesso di Dave, lei non sapeva neanche chi fosse quell’individuo ambiguo che stava sorridendo come un cretino.
- In carne, ossa, vestiario e mercanzie tutte al seguito – rispose l’uomo simulando un inchino. Jeff abbassò la canna del fucile e le guardie fecero altrettanto, Dave invece era ancora leggermente perplessa.
- Ehi, ragazza, va tutto bene, è un mercante, mia madre me ne parlava sempre, l’ho incontrato una volta, quando ero piccolo – la tranquillizzò il mercenario e lei, annuendo, rinfoderò la pistola.
- Che cosa diavolo ci fai in questa zona della wasteland? – gli chiese una volta sinceratosi che non ci fossero altri ospiti indesiderati.
- Potrei farvi la stessa domanda, ma, ehi, io viaggio in tutta la zona contaminata, ci può essere sempre un cliente in attesa di comprare qualche bel pezzo da Wolfgang il pazzo! Visto che non siete né predoni né scatolette di metallo ambulanti che ne dite di fare affari? – aveva sentito parlare di quel tipo, di quanto fosse stravagante, ma mai si sarebbe aspettato di incontrarlo in quel luogo dimenticato da Dio, con un sorriso a trentadue denti e in cerca di “affari”.
- Beh, qualche arma da fuoco e delle munizioni in più non ci farebbero male ma non...- il folle mercante lo interruppe.
- Ah, mio caro, Wolfgang non vende mica bocche da fuoco, Wolfgang vende solo la migliore spazzatura della zona contaminata, le cianfrusaglie più uniche. Eppure, se siete qui, in questo deserto ammazzagente, e siete ancora vivi e con tutte le dita al posto giusto significa che sapete il fatto vostro, dico bene? – non era esattamente la verità ma entrambi annuirono.
- Bene, avrei una proposta da farvi, qualcosa che farebbe guadagnare entrambi, sapete? Siete Interessati? Oh ma che sbadato che sono, non vi ho neanche detto di cosa si tratta! Dunque, dunque, or dunque, voi avete bisogno di armi? Sì. Io ho ho bisogno di una spazzatura speciale? Sì. Come uniamo le due cose, signori miei? E’ così semplice, la risposta è composta da due paroline magiche: SatCom Array! – il mercante esclamò quelle due ultime parole indicando le torri satellitari alla sua destra. Jeff e Dave si scambiarono uno sguardo veloce, entrambi rimasti stupiti da quella sottospecie di discorso.
- Uno scambio, miei cari clienti, uno scambio è ciò che chiedo! La torre centrale è occupata da uno schizzato di nome Captain Zak, lui ha spazzatura brillante e tecnologica, roba cazzuta, oggetti che Wolfgang vuole possedere nel suo repertorio. Uccidete quel pezzo di shtako, i suoi scagnozzi, e potrete tenervi tutte le armi che troverete nella torre, io voglio solo la mia spazzatura brillante, non mi servono altri fucili, ho già i miei due cavalieri che mi difendono dai cattivi della zona contaminata- eseguì una sorta di piroetta mal riuscita indicando le due guardie che fino  quel momento non avevano battuto ciglio, dopodiché esibì un altro dei suoi insani sorrisi.
- Allora, accettate la mia proposta? Possiamo sempre sederci da qualche parte a discuterne bevendo qualcosa, mi basta che non siate astemi. Brindiamo a questo nostro fortuito incontro! -


Dave Campbell
 
Dintorni di SatCom Array                                                                                                        4 Settembre 2275

 
Quell’uomo che avevano appena incontrato aveva tutta l’aria di avere non una ma tutte le rotelle fuori posto, aveva un modo strano di parlare e una voce molto nasale, sembrava come esaltato in continuazione, parlava concitato e a volte faceva delle pause inquietanti e poi riattaccava a parlare come se nulla fosse, a dir la verità la preoccupava parecchio, ancora non aveva capito perché non gli avevano sparato in testa subito rubando tutto ciò che aveva con lui.
Intanto Jeff stava cercando di contrattare con lui, Dave lo guardò inclinando la testa, le scelte si riducevano a bere e poi fare ciò che diceva o farlo subito.
Li stette ad ascoltare per un po’ fino a che non si rese conto che se avesse lasciato decidere Jeff non ne sarebbero usciti più, si avvicinò a Jeff e lo tirò per la giacca: “Jeff non se ne parla di fermarsi qui a bere, andiamo subito, facciamo questa cosa e andiamocene.” Aveva un tono scocciato, dentro di se si stava chiedendo come gli balenasse anche solo l’idea di fermarsi a parlare lì, dove poco prima avevano visto passare un vertibird.
Jeff la guardò per un paio di secondi fermo, senza alcuna emozione negli occhi, poi annuì seccamente.

Si rivolse a Wolfgang il Pazzo e annunciò: “A quanto vedi ha premura di andare, al limite al nostro ritorno perderemo il tempo per un goccetto.”
Il mercante sorrise bonariamente e li accompagnò con un gesto della mano verso la direzione delle torri ed esordì: “SatCom Array NW-05 la torre centrale, trovate Captain Zak, uccidetelo e portatemi ciò che vi ho chiesto, al vostro ritorno brinderemo.” E scoppiò in una risata malsana e sguaiata.
A sentire nuovamente quel nome Dave storse il naso, ma non intervenne.
Se Jeff non lo avesse conosciuto gli avrebbe piantato una pallottola in mezzo agli occhi un bel po’ di tempo fa, ma questa insana spedizione la stava guidando lui, perciò…: “Agli ordini capitano!” e sfoderò un sorriso a trentadue denti.

[…]

La torre di SatCom iniziava a definirsi sempre di più davanti a loro, Dave iniziava a preoccuparsi,  quelle zone pullulavano di supemutanti e dei loro centauri.
Camminavano vicini, Dave calciava i ciottolini dal terreno stando in silenzio, Jeff a sua volta si guardava intorno senza dire una parola, il silenzio intorno a loro era opprimente, quasi come se il suono del nulla potesse soffocarli.
Ad un certo punto Jeff si fermò e fece cenno a Dave di fare lo stesso, la quale si immobilizzò sul posto. Ormai erano ad un centinaio di metri dalla torre ma di fianco ad essa si poteva riconoscere un supermutante solitario con il suo fucile da caccia in mano che perlustrava l’area.

Ancora non li aveva visti, si accucciarono e Dave si girò verso Jeff parandogli a bassa voce: “E’ da solo, possiamo farcela.”  Jeff le rispose con tono secco : “Dobbiamo vedere se è davvero da solo!”
“Ma non abbiamo tempo, è palesemente da solo, se vogliamo farcela ad abbatterlo dobbiamo agire subito, se riusciamo a ucciderlo e poi correre nella torre nessun’ altro ci vedrà, possiamo farcela basta avvicinarsi un attimo.” disse Dave.
Jeff sbuffò, si morse il labbro e corrucciò le sopracciglia senza rispondere.
Dave allora esordì : “Ok andiamo, il patto è: ci avviciniamo di soppiatto,  ci mettiamo dietro quel sasso laggiù, quando si avvicina gli sparo ok?”
Jeff annuì e piano piano, con la pancia nella polvere si avvicinarono lentamente verso il sasso,
ad ogni minimo movimento del supermutante si immobilizzavano per poi riprendere a strisciare, raggiunta la grossa pietra vi si accasciarono dietro.
“Jeff… Jeff!”sussurrò Dave : “Lancia un sasso, qui nella nostra direzione!Attira la sua attenzione!”
“Ma che cazzo dici vuoi farci ammazzare?” rispose Jeff.
“No, cazzo ma il fucile da combattimento non è a lungo raggio, rischiamo di non beccarlo, dai cazzo” Si avvicinò a Jeff più di quanto non avesse mai fatto prima e lo guardò dritto negli occhi e sussurrò : “Stammi a sentire, ti ho sempre seguito, ma ora fai ciò che ti dico io, intesi?” Dave si rese conto di aver usato un tono fin troppo deciso ed era la prima volta che si riferiva a lui in questo modo, ma stava letteralmente morendo di paura e aveva bisogno che tutto venisse fatto come credeva più giusto.
Jeff, visibilmente contrariato le lanciò un’occhiataccia, dopodichè afferrò una pietra dal terreno e la scagliò lontano oltre il sasso dove erano nascosti.
Il supermutante, come da copione si diresse verso il loro nascondiglio, fortunatamente sembrava da solo.
Dave guardò Jeff : “Prendimi in braccio, la pietra è troppo alta per sparare oltre, non ci arrivo!!”
Jeff allarmato la guardò: “Cos..?”
“Fai ciò che ti dico cazzo!” gridò Dave parecchio spaventata.
Jeff l’afferrò dalle gambe e la sollevò oltre la pietra, Dave puntò il fucile.
Il supermutante intanto si avvicinava: “Umano deve morire!” grugnì sparando un colpo nella loro direzione che passò pericolosamente vicino a Dave.
“Ti muovi, cazzo???” Gridò Jeff da sotto.
Dave prese un respiro profondo e sparò due volte in direzione del supermutante, il primo gli colpì un braccio, il secondo lo colpì in piena fronte facendolo cadere a terra con un rantolo.
Jeff tirò giù Dave la quale senza pensarci due volte lei gli saltò in braccio: “Ce l’abbiamo fatta!!! Ce l’abbiamo fatta!!”

Jeff la guardò negli occhi e l’unica cosa che rispose fu un secco: “Dobbiamo rivedere le tue strategie di combattimento. Ora forza andiamo, abbiamo delle armi da guadagnarci, forza ora muoviamoci ad entrare nella torre!”
Percorsero lo spazio che li separava dalla torre correndo e quando arrivarono si gettarono subito all’interno.
La torre all’interno non era per niente un posto accogliente, lo spazio era angusto e le pareti di metallo lasciavano filtrare brevi fasci di luce che illuminavano malamente la zona intorno a loro. Dai piani superiori provenivano versi e grida che Dave conosceva bene: “Questi sono predatori, mi raccomando se hanno un capo, e sappiamo che lo hanno, seguiranno i suoi ordini senza tirarsi indietro, non avere pietà per nessuno ok? Fidati di me.”
“Io pietà? Dai smettila di dire cazzate, muoviti” rispose Jeff scoppiando a ridere.

Dave sorrise e iniziò a salire per le scale seguita da Jeff, sulle scale si aprivano delle stanze diroccate, quasi interamente crollate, dalle quali di tanto in tanto sbucavano dei predatori, urlavano come forsennati e si scagliavano contro di loro con una foga disarticolata e quasi ridicola.
Procedevano fianco a fianco, i predatori che li assalivano erano completamente fuori di testa ma non molto attenti per cui non era difficile coglierli di sorpresa e fare saltare qualche testa, anche se utilizzavano armi improvvisate come tubi d’acciaio e mazze da baseball e spesso non era così semplice schivare i loro colpi e grossi ematomi andavano formandosi sulla loro pelle, poco importava però, Dave voleva a tutti i costi arrivare all’ultimo piano, doveva guadagnarsi quelle armi e andarsene da quel posto il prima possibile.

Corsero lungo un’altra rampa di scale, ormai all’ultimo piano mancava poco, altri predatori comparivano con le loro armature metalliche che tintinnavano e le loro grida erano insopportabili, fastidiose, Dave sparò un colpo ad uno di loro e il sangue schizzò sul pavimento, Jeff si stava occupando di altri due poco più in la’ in una frenetica lotta all’ultimo sangue, Dave si avvicinò per aiutarlo e sangue, arti e teste riempivano quello spazio ristretto fino a che non piombò il silenzio.
Dave e Jeff rimasero fermi in mezzo alla stanza, l’odore di sangue e carne le pizzicava le narici, oltre ai predatori che avevano ucciso, intorno a loro a osservare la scena c’erano anche tutte le teste mozzate che con occhi vuoti li guardavano, dei poveri malcapitati che i predatori usavano impalare su aculei di legno.
Di fronte a loro c’era una porta di metallo spessa ma socchiusa, Dave prese un respiro profondo, guardò Jeff e gli disse: “Forza, entriamo.”
Spalancarono la porta e la scena che si trovarono di fronte fu un misto tra la gioia e il terrore.
Accatastate contro al muro c’erano degli scatoloni che sembravano contenere delle armi e un mucchio di casse di munizioni, al centro della stanza invece troneggiava un predatore seduto su una piccola cassapanca che come li vide subito sfoderò un sorriso agghiacciante.

Ci fu un momento di silenzio dopodiché il predatore si alzò: “Piccola Dave, quanto tempo che non ci si vede, vieni qui, fammi vedere quanto sei cresciuta” e le prese il volto tra due dita.
“Dave, perché lo conosci? Chi è?” intervenne prontamente Jeff.
“Ma che maleducato non mi sono ancora presentato, io sono Captain Zak, la piccola Dave era una mia allieva appena decise di entrare nei predatori, fu una delle ultime che addestrai poi me ne dovetti andare e a vederla ora è proprio un vero peccato…” Fece un sorriso che somigliava di più ad un ghigno e la strinse con una presa forte al suo petto.
Dave rimase lì, impassibile vivendo la scena come in terza persona, Captain Zak… Ecco perche quel nome le ricordava qualcosa.

 

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Capitolo 6
*** I mercenari non hanno un cuore. Vero? ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo VI- I mercenari non hanno un cuore., vero?

Note dell'autore: E dopo le tanto ambite vacanze estive rieccoci qui con un nuovo episodio! Già, alla fine dopo esami di stato, esami universitari, esami del sangue ( what ?? ) e perfino un dannato GOAT ( double what?? ) io e Madame ci siamo rimessi all'opera e abbiamo sfornato il VI cap di questa storia. E' un episodio particolare, da parti di entrambi i protagonisti, e speriamo vivamente che vi piaccia. 
Speriamo come al solito che continuerete a seguirci e a sostenerci.
See ya e buona lettura!

Snow & Madame



Jeff Callaghan   
 
Torri del SatCom Array                                                                 4 Settembre 2275

 
 
Da quando avevano aperto quella dannata porta di metallo non ci aveva più capito un cazzo. Eppure fino a quel momento era filato tutto liscio: l’assalto alla torre satellitare, lo scontro con i predoni e la dipartita senza troppi dispiaceri o problemi. Da manuale.
Invece ora, che diavolo stava succedendo?
- Dave, Dave! Dannazione torna in te! – esclamò rivolto alla ragazza, continuando a puntare il fucile contro il fantomatico Zak, ma lei sembrava in trance, come traumatizzata.
Quella sottospecie di predone vestito come un pirata da discarica abusiva si era avvicinato senza troppi complimenti e aveva attirato la ragazzina a sé come fa il padrone con la schiava, e tutto ciò nella mente di Jeff non aveva senso e soprattutto era qualcosa che gli faceva andare di traverso lo stomaco e il resto delle budella.
 
- Lasciala andare – l’uomo sembrava troppo impegnato  a mangiarsi con gli occhi le grazie della predatrice per dargli attenzione – Lasciala andare o ti faccio saltare quel cappello del cazzo con tutto il cervello! – gli intimò, stringendo la presa sul fucile.
Il capo dei predoni sghignazzò. Lo trovava divertente?
- Udite udite! Ragazzi, l’avete sentito? Ah no, siete morti, li hai uccisi proprio tu... tu, chi cazzo sei tu? Un qualche paladino della giustizia? Un cavaliere? Ehi, non vedo nè il cavallo né l’armatura, che ti è successo? Te li hanno rubati mentre eri a cagare? – scoppiò a ridere in una grassa e irritante risata che riecheggiò nella stanza e nella torre ormai vuota, stringendo ancor di più a sé Dave che sembrava sempre più una bambola senz’anima.
 
Jeff si morse le labbra, come ogni volta che si trovava “nella merda fino al midollo”: era in uno stallo alla messicana, uno dei peggiori, con tanto di ostaggio, e la sua compagna di squadra sembrava essere andata in coma etilico e non reagiva in alcun modo. Fantastico.
- Non farmi incazzare, te lo ripeterò ancora una volta, lascia andare la ragazza – tentò di fare un passo in avanti ma Zak reagì prontamente puntando la canna di un revolver alla tempia della ragazza.
- Ah no no no no, fossi in te me ne starei lì come un bravo bambino. Come hai detto che ti chiami?  Nah, non mi importa. La vuoi sentire una bella storia? Certo che vuoi!- avrebbe voluto spaccargli la faccia con un badile ma finché Dave era in quello stato non poteva fare granché, doveva avere pazienza e aspettare il momento giusto.
- Ma prima perché non tiri giù quel ferro? Non vogliamo mica che la piccola Dave si faccia male, vero? –
- E se ti dicessi di no? Vuoi spararle? Fai pure, vediamo chi dei due è più veloce. Che ne dici? – sapeva che se avesse ucciso Zak lui nello stesso istante avrebbe ucciso Dave ma non poteva cedere terreno, se avesse gettato a terra il fucile sarebbe stato come sventolare la bandiera bianca e di solito con quella ti ci strangolano.
- Che colpo di scena! Abbiamo uno spavaldo qui! Se non avessi trucidato i miei uomini adesso starebbero ridendo, perché sei un coglione, te lo posso garantire! – mentre urlava quelle frasi agitava la pistola accanto alla testa della ragazza e con l’altra mano tentava di palparla come la peggiore delle bestie.
- Non dovevi raccontarmi una storiella? Avanti, tanto non abbiamo niente di meglio da fare! – lo incitò. “Avanti Dave, non posso distrarlo per troppo tempo, maledizione”.
- Oh, cazzo, hai ragione! Lo vedi questo bel bocconcino? Oh cazzo, l’ho cresciuta, capito? L’ho cresciuta! Era solo una piccola puttanella che non sapeva neanche tenere una merda di coltello in mano e che piangeva se vedeva un po di sangue o un arto mozzato. Ci credi? Ma che stronzata è?! – quel racconto, se si poteva definire tale, lo disgustava ma era l’unico modo per guadagnare qualche minuto e pensare ad una dannata soluzione.
 
Tutt’intorno a loro vigeva uno strano silenzio, intriso di tensione, e interrotto solo da un gocciolio incessante e da qualche cigolio metallico che si perdeva in lontananza, nel vuoto. Zak si era fermato, sembrava che si aspettasse una risposta.
- Già, una vera stronzata – rispose.
- Esatto! Ma io, Captain Zak, l’ho trasformata in una piccola macchina da guerra, una bestia assetata di sangue! Lo sai che una volta ha staccato un orecchio a morsi ad un mercante? E un’altra volta ha tagliato le dita ad un coglionazzo che vagabondava senza meta, una ad una. Cazzo se è stato divertente! Ma non mi sarei mai aspettato che potesse diventare un bel bocconcino, è da tanto che non mi becco carne fresca e questa lo è! – nell’esclamare quella frase la sua mano scivolò sotto i vestiti di Dave e la ragazza istintivamente gemetté, senza però reagire.
 
Quella scena, quel gesto, era troppo, non poteva più perdere tempo, quel bastardo aveva superato ogni limite.
- Leva quelle cazzo di mani, figlio di puttana! – urlò col dito che tremava accanto al grilleto, fremente di stringerlo e rimpiere il predone di piombo.
- No no no no, mio caro, non funziona così, abbassa quel ferro o le mie dita non saranno le uniche cose che faranno un giretto dentro di lei. Chiaro? – esordì stringendola davanti a sé come una sorta di scudo umano.
- Schifoso... – sibilò Jeff al limite della pazienza, ormai il buon senso poteva andare a farsi benedire.
- Smettila di fare l’eroe, sei solo un coglione – sghignazzò Zak leccando il collo della ragazza spingendole la pistola contro i seni per puro divertimento.
- Mi dispiace Dave...- sussurrò e prendendo la mira sparò: il proiettile colpì Dave all’altezza della spalla destra e trapassandola finì per colpire anche Zak che sconvolto da quel gesto allentò la presa sulla ragazza e indietreggiò incredulo.
Quello era il momento di agire.
 
Mentre la ragazza si accasciava a terra Jeff scattò in avanti e capovolgendo il fucile sferrò un colpo in pieno volto al predone col calcio dell’arma facendolo barcollare e sputare sangue.
Zak tentò di reagire con un gancio destro, ma era troppo tardi: un secondo colpo lo raggiunse nello stomaco, spezzandogli il fiato e facendolo stramazzare a terra.
- Sei un dannato pazzo – disse tra un colpo di tosse e un respiro forzato.
Jeff si avvicinò in silenzio e lo afferrò dal colletto:
- Puoi giurarci, capitano – sibilò prima di tirargli una testata e trascinarlo in giro per la stanza come un sacco di patate.
- Visto che ti piace divertirti ora ti faccio vedere cosa faccio a quelli come te. Che ne dici? – l’uomo non riusciva a capacitarsi della situazione , fino ad un attimo prima era lui il carnefice, il padrone, e ora si ritrovava dalla parte opposta.
 
Jeff lo scaraventò contro la parete, ma quando lo raggiunse per continuare il pestaggio il predone sfoderò un coltello da combattimento  e lo assalì all’improvviso, in un tentativo disperato di difesa.
Riuscì a ferirlo ad un braccio, ma Jeff non gli diede troppo peso e gli sferrò un calcio nel basso ventre facendolo stramazzare di nuovo a terra.
- Sai, è per la feccia come te che ho scelto questo lavoro – gli sussurò poco prima di afferrarlo dai capelli e trascinarlo vicino alla balconata che dava nella tromba delle scale. Afferrò una catena e gliela strinse intorno al collo, ma Zak reagì di nuovo, con uno sprizzo di energia tirato fuori da chissà dove e prima che Jeff potesse strangolarlo lo spinse contro il corrimano, tentando di farlo cadere di sotto.
La collutazione continuò per più di un minuto, nessuno dei due voleva cedere, soprattutto Zak nonostante fosse ridotto più che male, ma fu in quel momento che
Jeff esibì un mezzo sorriso:
- Ehi Zak, la vuoi sapere una cosa? – gli chiese mentre continuavano a strattonarsi con violenza per spedirsi reciprocamente all’altro mondo – Non sei l’unico ad avere un coltello – sibilò e sfilandolo dalla fondina glielò conficcò in un occhio: il predone urlò dal dolore, abbandonando la presa sul mercenario, e nel tentativo di allontanarsi inciampò nella stessa catena con cui era stato quasi strangolato e precipitò nel vuoto. Urla, imprecazioni, un tonfo sordo e poi solo il silenzio.
 
Jeff sospirò e senza degnare di uno sguardo ciò che restava del capitano ritornò nella stanza in cui Dave giaceva ancora senza sensi: le aveva sparato, sì, ma aveva fatto in modo tale da prenderla di striscio ad una spalla, senza causare troppi danni, l’importante era far spaventare quel figlio di puttana. Ma una ferita è sempre una ferita e la ragazza stava sanguinando.
Recuperò lo zaino, cercò in fretta e furia l’unico stimpak che avevano e con quanta grazia gli si poteva concendere glielo conficcò  nel braccio e rilasciò il contenuto. Dopodiché gli fasciò la ferita con del tessuro, le garze erano un lusso ormai.
 
La ragazza iniziò a riprendere i sensi e quando riaprì gli occhi sussultò alla vista di Jeff e tentò di afferrargli il collo con le mani ancora tremanti:
- Ehi, ragazza, sono io, Jeff, il mercenario! E’ tutto finito, stai tranquilla, è tutto finito- la rassicurò restando inginocchiato accanto a lei.
- Cos...cosa? -  balbettò lei ancora confusa.
- Quel figlio di puttana è morto, abbiamo vinto – rispose abbozzando un mezzo sorriso, rialzandosi e lasciandola lì a riprendersi. Meno restavano in quel posto meglio era.
Si diresse verso la porta che conduceva alla zona esterna della torre e da una delle tasche della divisa sfilò un fumogeno di segnalazione.
Lo accese e lo abbandonò lì a terra. Pochi secondi dopo il fumo blu iniziò a innalzarsi verso il cielo, il segnale per Wolfgang che la missione era riuscita e poteva raggiungere la torre.
Jeff rientrò, pronto a controllare il bottino ottenuto, ma mentre si dirigeva verso le casse abbandonate Dave lo chiamò alle sue spalle.
- Ehi –
Non appena si voltò se la ritrovò davanti.
- Wow, già in piedi? Allora sei dura a morire  - ironizzò lui.
Lei senza rispondere lo spinse contro il muro lì accanto e lo baciò sulle labbra di punto in bianco. Pochi secondi dopo si staccò, come se si fosse pentita del gesto.
- E questo?! – chiese Jeff leggermente stupito da quella reazione.
- Vedilo come ...ehm...un grazie, ecco. Per quello che hai fatto – rispose lei distogliendo lo sguardo. Jeff era sempre più perplesso.
- Avanti, non dobbiamo controllare che cosa abbiamo vinto? – chiese lei cercando di sviare il discorso, ma il mercenario la afferrò per un braccio e la avvicinò a sé, abbastanza da sentire il suo respiro sulla pelle. Dave deglutì e tentò di mantenere il contatto di sguardi:
- Tu non vai da nessuna parte finché non mi spieghi che cosa diavolo è successo prima, sono stato chiaro? – gli intimò sfoderando una serietà da vero soldato del fronte, ma dentro di sè le emozioni erano totalmente diverse.
Quella ragazzina aveva lo stesso sguardo di Lucy.


Dave Campbell

Torri del SatCom Array                                                                                                                4 Settembre 2275

 
La mano di Jeff continuava a stringerle il braccio, non troppo forte da farle male ma neanche leggermente così da poter sfuggire da quella situazione… imbarazzante?
Sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto, gli occhi di Jeff puntati addosso e il suo respiro farsi più affannoso, aspettava una risposta e glielo stava dicendo guardandola in quel modo, con quella serietà che solo un soldato poteva avere.

“N-non so… io…” Dave balbettava in modo sconclusionato cercando di trovare una via di fuga.
“No. Tu ora mi dai una spiegazione e non solo per ciò che è successo poco fa ma per tutto, cazzo! Perché non hai reagito prima? Che cazzo ti è preso? Eh? Porca puttana Dave mi hai fatto prendere un infarto!!”
Dave deglutì rumorosamente, poi si fissò sul suo sguardo: “N- non so cosa mi sia successo. Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, ho avuto paura Jeff!” Il suo tono si fece più basso: “Avevo paura mi avrebbe uccisa, mi ha cresciuta, da quando ero piccola ho imparato a temerlo e basta, non si parla con uno così, non si discute, si rimane in silenzio e stop! Qualcosa dentro di me mi ha detto di non reagire e non l’ho fatto… Avevo rimosso il suo nome e il suo volto, non volevo più rivivere nessun ricordo e quando me lo sono trovata di fronte ho realizzato, come in un lampo, ed era già troppo tardi per reagire.”
Jeff la stava ascoltando, in silenzio, il tono di voce di Dave, sempre concitato si era fatto più dolce, fece un pesante sospiro e continuò: “Per quanto riguarda invece…prima… io…io non lo so, Jeff ho agito d’impulso, ho sentito che dovevo farlo…” Voleva solo scappare, non le erano mai piaciute queste situazioni, si sentiva in trappola e iniziò ad agitarsi: “I-io… mi dispiace davvero, ok? Non succederà più niente del genere” e con uno strattone si liberò dalla sua presa.
“Ora prendiamo ciò che ci serve e andiamocene, non voglio restare in questo luogo insieme al cadavere di questo… Animale.” Pronunciò quelle parole come se le stesse vomitando, la rabbia si stava facendo spazio dentro di lei, in che situazione si era cacciata?
Jeff le si avvicinò: “Dave, aspetta…” in quello stesso istante la porta si spalancò producendo un rumore secco e Wolfgang il Pazzo entrò trionfale nella stanza.
“Porca puttana ragazzi, li avete fatti secchi! Lo sapevo che potevo fidarmi di voi!” la sua voce acuta era quasi fastidiosa: “Allora ce lo dividiamo questo bottino? Forza! Come promesso le armi e il resto sono vostri, io voglio solo le mie cianfrusaglie! Eddai, cosa sono quei musi lunghi!” e scoppiò in una fragorosa risata.
Dave lo guardò per qualche secondo prima di abbozzare un sorriso, era a disagio, sentiva solo che voleva andarsene, prendere la sua roba e fuggire via, le immagini di Captain Zak addosso a lei, quello che aveva fatto a Jeff, provava una rabbia che a fatica soffocava.
Jeff invece sembrava sollevato di vedere Wolfgang : “Hai ragione, prendiamo tutto, ricordati che dobbiamo ancora farci un goccetto assieme” e mostrò un sorriso sereno.
Come faceva a essere già così felice?
Il bottino, se non altro, fu abbastanza ricco, trovarono delle munizioni, delle parti di armi con le quali poter riparare le loro e anche qualche stimpak.
Mentre raccoglievano il necessario Dave notò qualcosa tra gli scatoloni.
“Porca troia Jeff vieni qui! Guarda cosa ho trovato!!” e gli mostrò tutta fiera un fucile da cecchino : “Calibro 50, ragazzi, abbiamo fatto  il colpo!”.
Jeff le sorrise e le accarezzò la testa : “Almeno non dobbiamo ammazzare più i supermutanti andandogli in braccio” e ridacchiando si allontanò.
“Guarda te questo stronzo, ma chi ti credi di essere?” borbottò a bassa voce Dave.


“Voi due, venite qui! Dobbiamo festeggiare!” Wolfgang si era già seduto per terra e Jeff lo aveva raggiunto subito, il mercante tirò fuori dalla sua sacca una bottiglia di quello che doveva essere whisky e lo appoggiò per terra.
Dave si alzò lentamente e li raggiunse, si guardò intorno, il sole filtrava dai buchi nelle pareti illuminando piacevolmente la stanza la scena in generale aveva un che di surreale, una pace a cui non era abituata, unica nota stonata era il sangue di Captain Zak che imbrattava il pavimento.
“E’ proprio necessario restare qui? Cioè, dico, guardatevi attorno…” si lamentò sommessamente guardando Jeff che in tutta risposta le disse: “La zona qui è ripulita, siamo sicuri che per qualche tempo nessuno verrà a romperci le palle, invece all’esterno potremmo essere attaccati da qualsiasi cosa, tipo, che ne so… un deathclaw e tu non lo vuoi vero?”


Dave rabbrividì e imprecò dentro di se, si divertiva a spaventarla o cosa?

“Bevi un po’ e non pensarci” asserì Wolfgang passandole la bottiglia, Dave prese una lunga sorsata, il liquido le era sceso lungo la gola forse troppo velocemente, bruciava dannatamente, ebbe un brivido e passò la bottiglia a Jeff.
Gli altri due chiacchieravano tra di loro di armi e bestie della zona contaminata, non capiva come quella roba potesse interessarle, guardava il pavimento e all’occasione beveva.
Non era abituata a quella roba, era sempre stata più una tipa da Jet o Mentats, non da alcol e le girava un po’ la testa.
“Che c’è, hai perso la lingua?” Wolfgang aveva voglia di fare il simpatico evidentemente.
“I-io non so di cosa stavate parlando…” Arrossì e guardò Jeff cercando conforto, ma in tutta risposta si limitò a sorriderle.
“Sei così di poche parole, io e il mio amico qui ci stavamo preoccupando, sei una predatrice, potresti ammazzarci tutti.” Ridacchiò ancora con quella sua vocetta fastidiosa.
“Sì, potrei.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Il silenzio calò nuovamente.


Dave poteva sentire i suoi pensieri, non vedeva l’ora che quell’uomo  se ne andasse, non le aveva fatto niente di male ma le faceva venir voglia di spaccargli la faccia con quel suo fare esuberante.
Oh se solo non fosse stata in compagnia di Jeff gli sarebbe saltata al collo e lo avrebbe sbudellato lì, seduta stante, il solo immaginare di poter fare così male ad un uomo ogni volta la mandava in estasi, l’idea che con le sue stesse mani potesse aprirlo in due e vedere il suo sangue lavare il pavimento, le sarebbe piaciuto eccome e poi avrebbe potuto rubare ogni cosa lui avesse con sé e tornare dai suoi compagni, sarebbe stato perfetto…

“D-Dave? Dave ci sei?” la mano di Jeff le stava scuotendo la spalla, alzò lo sguardo come se si fosse appena svegliata da un coma profondo, scosse la testa e biascicò: “S-sì… Dimmi.”
“Wolfgang se ne sta andando, ora continua per la sua strada e anche noi, tempo di sistemare l’armamentario e ce ne andiamo”
Wolfgang si stava dirigendo verso la porta delle scale, anche piuttosto ubriaco, si voltò e salutò con un mezzo sorriso.
Jeff alzò la mano e Dave lo salutò con un solo cenno del capo.
Erano di nuovo soli.
“Dove intendiamo andare ora, Jeff? Quale è il nostro piano?” chiese Dave.
“Non lo so, ma dobbiamo  camminare il più possibile lontano da questa zona, non è una buona idea sostarci a lungo.”
Si caricarono le sacche in spalla e imbracciarono le loro armi, Jeff aprì la porta che conduceva alle scale e quindi all’uscita poi si voltò verso di lei : “Andiamo.”


Fece per scendere il primo gradino quando : “Aspetta Jeff…” Dave gli afferrò la mano e lo guardò negli occhi: “Grazie”.

 

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Capitolo 7
*** Al peggio non c'è mai fine, ma così è ridicolo ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo VII- Al peggio non c’è mai fine, ma così è ridicolo.

Note dell'Autore: Salve gente! Ed eccoci arrivati al VII episodio dopo qualche altro giorno di relax. Direi che il titolo parla chiaro, no? Non penso ci sia bisogno di fare una presentazione, diciamo così aahahahah
ome al solito vi ricordo che se volete lasciare un commento, una critica ( quelle costruttive son sempre ben accette ) o un semplice parere personale con tanto di consigli e dritte siete i benvenuti, le recensioni fanno sempre bene dopotutto, è un modo per noi scrittori di capire se stiamo andando bene o meno. Vi ringraziamo in anticipo e speriamo che continuerete a seguirti in questa stramba avventura.
Buona lettura!

Snow & Madame



Jeff Callaghan
 
Torri del SatCom Array                                                           4 Settembre 2275

 
Rapimenti, piani segreti dell’Enclave, strani tizi vagamente umani, missioni da pseudo videogioco e, tralasciando i vari scontri, il bacio di Dave.
Tutta quella serie di eventi, che di logico aveva ben poco, gli stava lentamente mandando a puttane il cervello.
Avevano recuperato tutto ciò che poteva essergli utile: munizioni, pezzi di ricambio, altre cianfrusaglie che non ricordava ma, secondo gli insegnamenti di Reilly, “servivano quando meno te lo aspetti, parati il culo piuttosto che piangerlo” e perfino del rad-away, una vera manna dal cielo vista la loro situazione.
Senza dimenticare qualche razione in più di cibo e acqua, dopotutto anche i banditi dovevano sopravvivere in qualche modo.
Non sapeva quale pensiero gli era passato per la mente, ma poco dopo l’arrivederci di Wolfgang anche lui aveva l’impellente desiderio di lasciarsi il SatCom alle spalle e proseguire verso casa.
L’ultimo gesto di Dave, quel “grazie”, gli aveva garantito solo altri pensieri nella confusione in cui stava già annegando, quegli occhi non lo aiutavano a rimanere lucido.
 
Aprì l’enorme portone che conduceva all’esterno, pronto a riprendere il lungo viaggio che li attendeva ma si fermò di colpo e Dave, che non se ne era accorta, lo urtò poco dopo:
- Ehi, che diavolo ti prende? Non ci si ferma così! – si lamentò la predatrice, ma Jeff non rispose. Il suo sguardo era perso altrove.
- Si può sapere che hai? Cosa hai visto?- anche questa volta non ottenne alcuna risposta e tentò di capire cosa il mercenario stesse fissando con tanta attenzione.
-Jeff? Cazzo, Jeff, rispondimi!- esclamò in preda all’impazienza e in quel momento lui si voltò con uno sguardo a metà tra il serio e il preoccupato.
- Il cielo non dovrebbe essere di quel colore – esordì indicando un punto in lontanza.
- Co...cosa? – quella non era esattamente la risposta che si aspettava.
- Rientriamo, immediatamente, e blocchiamo questa dannata porta! – esclamò, tornando indietro, facendo segno a Dave di seguirlo e non appena la ragazza oltrepassò di nuovo l’entrata della torre lui la chiuse con decisione, bloccandola con i meccanismi di sicurezza.
 
- Jeff mi stai facendo preoccupare, che sta succedendo? – l’ennesimo tentativo sembrava andato a vuoto, di punto in bianco sembrava un’altra persona.
- Seguimi e lo capirai – si limitò a rispondere e imboccò le scale in tutta fretta facendo tentennare la canna del fucile contro il corrimano arruginito.
Dave lo seguì a ruota libera, spinta dalla curiosità e al tempo stesso dalla preoccupazione, ignorando deliberamente i cadaveri di Captain Zak e dei suoi sottoposti.
Una volta tornati in cima alla torre satellitare Jeff puntò alla balconata esterna, seguito subito da Dave. Posò le mani sul parapetto e respirò lentamente.
- Lo senti? – chiese.
- Io non sento nulla – rispose Dave sempre più perplessa.
- Appunto, non c’è nemmeno un dannato rumore, il silenzio assoluto, e sappiamo entrambi che la zona contaminata non dorme mai – in quel momento Dave si accorse del silenzio surreale che li circondava e rabbrividì, presa com’era dai suoi pensieri non si era accorta di quella stranezza.
 
Jeff aveva ragione, non c’era mai silenzio intorno alle rovine di DC, mai.
- Merda, hai ragione, cazzo non av...-
- Guarda lì – la interruppe il mercenario indicando con un dito un punto imprecisato a nord della torre di Tenpenny.
- Oh cazzo – imprecò Dave non credendo ai suoi occhi: il cielo in quel punto aveva letteralmente cambiato colore, e per quanto non fosse ancora nemmeno mezzogiorno si stava oscurando. Passava dall’arancione al rosso, dal rossastro stile tramonto al grigio scuro che annuncia pioggia, il cielo sembrava impazzito.
Nessuno dei due aveva bevuto troppo o si era fatto a tal punto da immaginarsi quello spettacolo senza precedenti, e il fatto che fosse reale inquietava entrambi, visto che non si era mai manifestato nulla del genere fino ad allora.
 
- Che sta succedendo? – domandò la predatrice senza staccare gli occhi da quella visione, sentiva che con una mano gli stava stringendo la manica della divisa.
- Non lo so, ma non promette niente di buono – rispose, percependo la tensione nelle sue stesse parole, e notò che in mezzo a quel kaleidoscopio di colori spuntavano fulmini che serpeggiando sparivano in pochi secondi, quasi in un battito di ciglia.
Per un momento che sembrò interminabile rimasero lì in silenzio, ad osservare quella manifestazione anomala, e nessuno dei due sapeva cosa dire, o ancor meglio cosa fare, limitandosi a notare che minuto dopo minuto anche altre parti del cielo si stavano “trasformando” allo stesso modo di quella “originale”.
 
- Che cosa dovremmo fare? – chiese Dave mordendosi le labbra: si notava lontano un miglio che stava iniziando ad odiare quella situazione di stallo, quella confusione che bravama risposte e non altri dubbi, non altra paura.
- Penso che la scelta migliore sia rimanere barricati qui finché questa “cosa” non finisce, qualunque diavoleria sia – propose il mercenario sfilando una sigaretta dal pacchetto e accendendola quasi di fretta: per gioia dei suoi polmoni aveva trovato un altro pacchetto quasi pieno in quella dannata torre e fumare in quel preciso istante era l’unica cosa che gli permetteva di ragionare un attimo.
Era forse l’evento che l’Enclave temeva così tanto? Quello di cui parlava l’Errante? No, non poteva essere, l’Errante stava farneticando un mucchio di stronzate e l’Enclave cercava solo di conquistare per l’ennesima volta DC con un nuovo esercito. Tutto qui.
 
Eppure, quelle stesse risposte che si era dato da solo per tranquillizzarsi non funzionavano affatto, le domande tornavano a farsi sentire poco dopo, e si ritrovava punto e a capo.
D’un tratto un boato cupo squarciò quel silenzio anomalo  e si protase per alcuni secondi, riecheggiando in ogni dove. Quel boato proveniva dal punto di origine in cui il cielo era “impazzito”.
Dave si portò le mani alle orecchie per coprire quel frastuono e all’improvviso il vento iniziò a sferzare come se stesse preannunciando una tempesta.
Jeff si tenne al parapetto, e tenendo la sigaretta in bocca, afferò Dave che stava barcollando presa alla sprovvista da quella folata di vento.
- Pensavo che il mondo fosse già finito una volta! – urlò il mercenario.
- Quella cosa sta venendo da questa parte! – esclamò Dave, cercando di sovrastare gli ululati del vento e indicò ciò che sembrava un ammasso di nuvole, simile a quello che al tempo prebellico veniva definito “uragano”, ma quello era tutto tranne che un urugano.
Probabilmente vista la situazione un uragano sarebbe stato meglio.
 
- Rientriamo! – Jeff spinse la ragazza e se stesso verso la porta e una volta caduti letteralmente dentro la stanza , si rialzò in fretta e furia e chiuse la porta di metallo alle sue spalle girando più volte la valvola di chiusura.
Si lasciò scivolare contro la porta, recuperò la sigaretta volata a terra ma ancora accessa e fece un lungo tiro:
- Qualcuno, da qualche parte, ci vuole davvero male – ironizzò pensando alla situazione in cui si trovavano. Dave era rimasta a terra e fissava il soffito con gli occhi sgranati.
- Ehi ragazzina, stai bene? – la predatrice volse lo sguardo verso di lui.
- Mi chiedi se sto bene? Oh sto benissimo! Chi non vorrebbe ritrovarsi chiuso in una sottospecie di torre per scappare da...uhm...cos’era quel coso? Un uragano che sparava fulmini e arcobaleni? No, non sto affatto bene! – rispose tirandosi su con un colpi di reni, per poi massaggiarsi le tempie come se avesse avuto la peggiore delle emicranie.
- Non sarà prendendotela con me che risolverai le cose – controbatté il mercenario facendo un altro tiro – Dobbiamo solo aspettare che quella cosa passi, dopodiché riprenderemo il nostro viaggio verso DC, verso casa – la ragazza lo fissò allibita.
- Come fai a restare così calmo in una situazione del genere? Non fai che parlare di “tornare a casa” di qua e “tornare a casa” di là. Possibile che non ti passi neanche per l’anticamera del cervello l’idea di scoprire cosa sta succedendo?! – sembrava che non solo il cielo stesse impazzendo, ma anche loro, era come se tutti gli sforzi che avevano fatto per fidarsi l’un dell’altro fossero andati a farsi benedire in un solo colpo.
- Non m’importa se qualche nuovo cataclisma del cazzo colpisce questa terra dimentica da Dio e da tutti o se l’Enclave vuole giocare di nuovo a fare la padrona del mondo, io ho delle persone che mi aspettano, una famiglia da cui tornare. Tu no? – la sigaretta si stava consumando lentamente tra le sue dita mentre parlava e la torre tremava leggermente scossa da quello che stava accadendo all’esterno.
- Io... io... certo che ce l’ho! Ma voglio anche capire cosa diavolo sta succedendo! Il perché l’Enclave ci ha catturati, chi cazzo è quel tipo, l’Errante, etc... chiamami stupida se vuoi ma io...-
- Non c’è bisogno che tu lo sappia – una voce familiare interruppe la ragazza e in un angolo buio della stanza apparvero due occhi gialli e sinistri: l’Errante.
- E tu da dove cazzo spunti fuori?! – esclamò Jeff lasciando cadere la sigaretta a terra.
- Porca puttana! – urlò Dave arretrando di alcuni passi, sorpresa da quella “apparizione”.
- Perché chiederselo? Adesso sono qui – disse mostrando un mezzo sorriso.
- Figlio di... che cosa vuoi ancora da noi? -  domandò il mercenario superato l’iniziale stupore, pronto ad imbracciare il fucile in caso di necessità, anche se nella posizione in cui si trovava non sarebbe stato esattamente facile.
- Io ? Nulla, sono solo venuto ad avvisarvi di godervi questo “blowout” chiamiamolo così – continuava a restarsene nella penombra, ignorando le scosse e tutto il resto.
- Blow cosa? – Dave sfrecciava con lo sguardo da una parte all’altra, fissando prima Jeff e poi l’Errante.
- Vi avevo avvisato che la Zona Contaminata è viva e quello che sta accadendo adesso, quello a cui state assistendo non è che l’inizio, una sorta di risveglio – esordì gesticolando in modo strano, continuando ad esibire quel sorriso sadico.
- Cosa diavolo stai blaterando?! – urlò il mercenario, ma prima che potesse reagire in qualche modo il boato si fece sentire di nuovo, più cupo e nefasto di prima e l’intera torre tremò scossa fino alle fondamenta, i neon che illuminavano la stanza esplosero in mille frammenti e la risata dell’Errante si mescolò al vento che entrava dalle crepe nelle pareti.
- La curiosità uccide tanto quanto la bramosia – sussurrò prima di scomparire nell’oscurità.

Dave Campbell

Torri del SatCom Array                                                                                                              4 settembre 2275

 
Dave era sconvolta, cioè, quell’essere, l’Errante, prima li aveva intrappolati in un buco e li aveva seguiti per tutto quel tempo anche mentre li vedeva scappare? La cosa non aveva senso.
Voleva capirne di più su questa storia e il suo compagno di squadra invece voleva solo scappare e tornare a casa, ma quello che gli era successo qualche giorno prima lo aveva ancora ben saldo in testa e le ustioni dell’esplosione dei vertibird bruciavano ancora come nuove.
Non si poteva pensare di scappare, così senza voler andare a fondo nella storia.
Voleva però saperne di più: l’Enclave aveva già fatto danni coi deathclaw, quegli esseri impazzivano di punto in bianco non appena scappavano dal loro controllo e non succedeva raramente e non di rado attaccavano piccoli insediamenti e mercanti e se l’Enclave stava iniziando a condurre esperimenti sugli esseri umani? Se avessero voluto prenderli per esaminare le loro budella? O sottoporli a prove di resistenza al dolore? Aveva i brividi al solo pensiero.
Alzò lo sguardo e trovò Jeff che in piedi nella stanza guardava fuori, come poteva essere così tranquillo in una situazione del genere? Gli si avvicinò da dietro: “Io non intendo restare qui, non intendo passarci la notte, quella roba la fuori mi preoccupa e mi spaventa ma non starò ferma a guardare ok? Quindi, troviamo una via di uscita, siamo a pochi passi da Raven Rock, siamo vicini Jeff, possiamo finalmente scoprire cosa sta dietro a tutta questa roba, perché hanno scelto proprio noi!”


Jeff la guardò serio, come se la stesse rimproverando poi sbuffò: “Non se ne parla Dave, non adesso, non finchè fuori c’è questa… roba, cioè lo vedi? Sembra che il cielo si stia per spaccare in due! Adesso troviamo una via di uscita, un rifugio in cui stare fino a che non migliora la situazione.”
Dave sospirò, alla fine uscire con questa tempesta non era di certo l’idea migliore, buttò un’ultima occhiata fuori dalla finestra e tutto quello che vide fu un cielo rossastro dilaniato da lampi e da un vento forte che riempiva l’aria di polvere, rendendo l’atmosfera ancora meno ospitale.
rabbrividì e seguì Jeff che stava già scendendo le scale alla ricerca di un buco da cui fuggire o un luogo abbastanza sicuro in cui rifugiarsi.
Fecero due rampe di scale passando in rassegna stanze semidistrutte e inciampando spesso e volentieri sui cadaveri riversi sul terreno ma fu quando giunsero al primo piano che Dave fu subito attratta da una stanza che sembrava fare al caso loro.
Era quasi del tutto integra, cosa abbastanza rara nella Zona Contaminata, illuminata da qualche lanterna lasciata in disordine qui e la, le finestre erano barricate dall’interno con assi di legno, c’erano delle provviste dei predoni e perfino del jet, l’unica pecca erano i tre cadaveri dei predoni che avevano ucciso al loro arrivo alla torre.
“Forza Jeff aiutami a portarli fuori da qui, trasciniamoli via da questa stanza e passiamo qui la notte, domattina penseremo ad un modo per andarcene”
Jeff annuì, entrò nella stanza e trascinò fuori il primo uomo e nei seguenti cinque minuti i due avevano sgomberato la stanza, il mercenario si guardò attorno e si rivolse a Dave : “Queste…cose… queste impalate su questi paletti di legno, cioè è proprio necessario tenerle?”
“Si” fu l’unica risposta di Dave mentre si avvicinava al jet abbandonato per terra, si sedette e lo afferrò a due mani e ne inalò una grossa quantità.
Jeff la guardò storto e continuò : “Senti io non ci sto con queste cose, non solo hanno un pessimo odore ma sono inquietanti e fossimo solo di passaggio lo capirei ma dobbiamo stare qui per ..boh.. non so quanto.”
Dave scoppiò a ridere come se le avesse raccontato la barzelletta più divertente del mondo, barcollando si alzò dal terreno e si diresse verso quelle teste impalate, guardò Jeff con occhi di sfida e aggiunse : “Perché.. non ti piacciono…?Così le offendi..” Si avvicinò ulteriormente alla testa di un uomo e gli leccò la guancia, continuando a fissare Jeff con gli occhi e sorridendo lievemente : “Loro rimangono con noi che tu lo voglia o no, che ti piacciano o no… E rimangono qui perché piacciono a me”.
Jeff la fissò sbigottito : “ Dave…? Va bene…Se ci tieni tanto le teniamo con noi.”


Nel frattempo la predatrice era tornata dove aveva lasciato il jet di prima e ne inalò un’altra dose, le pupille le si spalancarono : “Mi piace, mi mancava.” fu l’unica cosa che riuscì a dire con un sorriso a trentadue denti, poi aggiunse come stesse vaneggiando : “E’ sottile la distanza tra la vita  e la morte in questo mondo,sai? un secondo prima sei felice e un secondo dopo, sei morto” ridacchiò: “Quanti cadaveri vediamo…Jeff… Quanti cazzo di morti vediamo e quanti ancora ce ne andiamo a cercare perché a te piace impelagarti in missioni del cazzo che non portano da nessuna parte, vuoi tornare a casa, Mercenario? Bene, scopriamo che cazzo vuole questa gente da noi e torniamocene ognuno alle proprie vite… O forse il signorino ha paura della sua normalità, forse il signorino non vuole essere dilaniato dai suoi ricordi! A volte il tuo coraggio fa acqua da tutte le parti.” La cosa strana del discorso fu che Dave sorrise per tutto il tempo, come se stesse raccontando un avvenimento piacevole, un aneddoto divertente della sua vita e il tono della sua voce era cantilenante e sibilante in forte contrasto con il suo atteggiamento.
“Dave, è il caso che tu la smetta con questa roba, forza siediti e mangiamo qualcosa, dobbiamo riposarci” la sua voce era ferma e severa, Dave mostrava evidenti segni di insofferenza: “Mi faccio di questa roba da quando ne ho memoria e il solo fatto che in questi giorni con te non ne abbia fatto uso non vuol dire che tu abbia il diritto di dirmi cosa fare e cosa non fare” mentre parlava si accucciò di fianco a lui: “Io ne farò uso quando e come voglio” continuò e con un rapido gesto tirò fuori dalla fodera ,che si trovava sulle gambe, un piccolo coltello che subito, sorridendo, portò alla gola del compagno : “Ricordati sempre che tu non mi dici quello che devo fare, perché se adesso mi gira io ti faccio uscire a prendere quei cadaveri che ti ho fatto portare fuori perché, sempre se mi gira me li faccio tutti e tre, anche qui davanti a te perché ne ho voglia, intesi?”.

 

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Capitolo 8
*** Odi et amo. quare id…aspetta, che diavolo sto dicendo??? ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo VIII- Odi et amo. quare id…aspetta, che diavolo sto dicendo???
 
Note dell'autore: Ed eccocci giunti all'VIII episodio. Un bel traguardino, no? Sì lo so, ci sono 816424 storie con 186342 capitoli/episodi, e quindi? Ad ognuno il suo :D Cosa sto blaterando? Nulla in particolare, son solo felice di essere arrivato a questo punto, perché alla fine parliamo sempre di una stori a 4 mani e si sa, non è  mai facile far andar d'accordo due persone in generale (ogni riferimento a cose,persone o protagonisti è puramente casuale ), figuriamoci nella scrittura. Eppure con Madame stiamo andando benone, voi che ne dite? Buona lettura!

Snow & Madame

Jeff Callaghan
 
Torri del SatCom Array                                                              4-5 Settembre 2275

 
La situazione gli stava lentamente scivolando di mano, più di quanto avesse potuto immaginare, e stranamente aveva un problema ben peggiore del finimondo che c’era fuori dalla torre. Fantastico.
Già, fantastico era l’unico aggettivo con cui poteva descrivere lo stato delle cose in quel momento, con un’ironia poco velata.
- Ricordati sempre che tu non mi dici quello che devo fare, perché se adesso mi gira io ti faccio uscire a prendere quei cadaveri che ti ho fatto portare fuori perché, sempre se mi gira me li faccio tutti e tre, anche qui davanti a te perché ne ho voglia, intesi?- quell’ultima frase di Dave gli aveva fatto salire il sangue al cervello e tutta la sua pazienza era letteralmente andata a farsi benedire, o quasi.
 
- Abbassa quel ferro, Dave, non te lo ripeterò una seconda volta – sibilò irrigidendo i muscoli, mentre la ragazzina rideva come in preda ad una crisi isterica.
- Ah ma allora sei scemo? Tu non puoi dirmi cosa devo fare. Chi cazzo sei? Mio padre? O forse il mio tutore? No, sei solo un dannato mercenario! –
Quella lama era troppo vicino al collo per i suoi gusti e le parole sembravano non avere alcun effetto.
- Se vuoi ammazzarti di droghe fa pure, ma lasciami in pace –
- Lasciarti in pace? Hai forse paura, grande Jeff? Ah! Hai visto che avevo ragione?  Non sei capace di proteggere nessuno, né te, né me, né tantomeno...aspetta com’è che si chiamava... Lucy? Sì, Lucy! -
Nell’udire quel nome si sentì mancare: poteva insultarlo, fare la spavalda che ha il coltello dalla parte del manico, ma non poteva, in alcun modo, nominare Lucy.
- Tu non sai un cazzo, Dave...- sussurrò afferrandole con forza la mano che impugnava il coltello e la strinse finché la ragazza non perse la presa.
- Mi fai male, bastardo, mi fai male, lasciami andare! – esclamò la predatrice tentando di dimenarsi senza troppi risultati.
 
Non l’avrebbe lasciata, la questione ormai era diventata personale.
- Sei solo una sciocca – la spintonò verso il muro – Ti basta una dose di questa merda per dimenticare tutto ciò che è successo, per tornare a vivere nel tuo dannato mondo dove credi di poter fare e dire ciò che ti pare! – afferrò il jet e lo scagliò contro la parete mandandolo in frantumi.
- Stronzo, quello era il mio fottuto Jet! – tentò di sgattaiolare via per andare a recuperare ciò che restava dell’inalatore, ma la bloccò di nuovo, questa volta spingendola con forza finché non sentì il tonfo della sua schiena contro il muro.
- Prova a ripetere di nuovo il nome di Lucy e giuro che il jet con cui ti sei sballata non basterà a non farti sentire dolore – le intimò, scuro in volto.
Dave lo fissò con uno sguardo di sfida, dritto negli occhi, prima di aprire bocca.
- Lu...cy – sillabò con un sorriso sadico stampato sul volto, prima di tirargli una ginocchiata nello stomaco.
Arretrò di qualche passo, colto alla sprovvista e carico di rabbia, e in quella frazione di secondo la ragazzina  lo evitò con agilità, lanciandosi verso il coltello per recuperarlo, pronta a scagliarsi contro di lui come una iena impazzita.
 
- Non me ne frega un cazzo di te, di Lucy o di chiunque altro! – urlò Dave e lui riuscì ad evitare i primi due fendenti, ma il terzo lo ferì alla guancia.
Sì posò una mano sulla guancia e osservò le dita rossastre, poi la predatrice che era tornata sulla difensiva senza perdere quello sguardo stralunato e al tempo stesso deciso e folle,  infine l’anello che dondolava accanto alle piastrine: una goccia di sangue era caduta proprio su quest’ultimo scivolando nei piccoli graffi che lo attraversavano.
Si morse le labbra fino a sentire il sapore del sangue, arretrò di un passo e scattò in avanti come una furia, cogliendo di sorpresa la predatrice: la colpì nel basso ventre con un gancio, ignorando il coltello che gli lacerava la spalla, poi un altro sulla guancia fancedola stramazzare di nuovo contro la parete.
Prima che potesse reagire l’afferrò dalle braccia e la spinse con forza contro il cemento ruvido rimanendo in silenzio.
- Ti credi forte, non è così? Sei solo stato fortunato, sei uno schifoso vigliacco! Non hai capito niente di me, non capirai mai niente! – esclamò con rabbia la ragazza e gli sputò addosso, ridacchiando.
 
Si avvicinò con le labbra al suo orecchio e le sussurrò – Potrei violentarti adesso, in questo preciso istante, soddisfando la tua voglia di scopare ciò che ti capita a tiro, oppure potrei picchiarti fino a farti strisciare e lasciarti legata al cadavere di quel tale, Zak, ma se lo facessi, non sarei migliore di quella feccia chiamata “Predatori” di cui anche tu fai parte... –
Inizialmente aveva quasi urlato, ogni parola era intrisa di veleno e ira, ma poi le urla si erano tramutate in sussurri, il veleno in qualcosa di amaro.
Lasciò la presa e si voltò, stringendo i pugni: aveva cercato di fidarsi di lei, dopotutto si erano ritrovati nella stessa barca, aveva tentato di trattarla come un’alleata, come una compagna di squadra, perché potessero entrambi raggiungere il proprio traguardo, tornare a casa.
Si stava perfino affezionando a lei in un certo senso, il modo in cui aveva reagito contro Captain Zak era una prova abbastanza loquace, ma la verità era una sola, la verità era che lei alla fine rimaneva sempre e comunque una dannata predatrice e lo aveva dimostrato.
Non poteva fare squadra con una persona del genere.
- D..dove stai andando? – sentì la voce di Dave alle sue spalle, era quasi un sussurro, ma non si voltò.
Afferrò il proprio zaino, il fucile abbandonato lì accanto e si diresse verso la porta.
- Fermati... fermati! -la ragazza continuava ad urlare, ma non gli diede peso.
- Fermati o ti ammazzo! – sentì un tintinnio metallico, Dave aveva impugnato la sua 10mm e gliela stava puntando contro.
- Se ci tiene così tanto spara, ma io non mi fermerò, me ne vado – esordì lui e proseguì, lasciando la ragazza sola. Poco dopo la sentì urlare e udì alcuni colpi di pistola, seguiti da altre urla.
 
Una parte di lui voleva tornare indietro a controllare cosa fosse successo, sincerarsi che quella disgraziata stesse bene, ma scacciò il pensiero dalla mente e proseguì.
Scese fino al pian terreno, ignorando il frastuono e i boati provenienti dall’esterno, e iniziò a setacciare l’intera area: aveva studiato tempo fa le planimetrie di quel genere di torri e ricordava che c’era sempre una botola che permetteva di scendere nelle gallerie sotteranee, utilizzate come depositi o collegamenti tra i vari impianti.
Non impiegò troppo a trovarla e dopo aver forzato la serratura si calò nell’oscurità, tenendosi ben stretto alla scala in ferro che cigolava ad ogni suo passo.
Dovette saltare arrivato in fondo, una parte della scala era stata letteralmente sventrata da qualcosa e giaceva a terra, accartocciata come una lattina.
 
Atterrò cercando di non fare rumore e accese la torcia  legata alla divisa: probabilmente neanche i predatori avevano mai messo piede lì sotto a giudicare dal grado di abbandono e dal puzzo di chiuso.
Poteva ancora udire i tremori causati dal “blowout” che stava infuriando all’esterno, ma c’era abbastanza silenzio in mezzo a quei cunuli, in quel labiritnto di gallerie piene di scaffali e rottami. Eppure c’era qualcosa che lo inquietava, la temperatura sembrava più bassa rispetto a quella della torre, troppo bassa anche per essere scesi nel sottosuolo.

Dave in quel caso se ne sarebbe uscita con una delle sue battute, per poi pretendere delle spiegazioni. A ripensare a ciò che era successo poco prima sentì montare la rabbia e tirò un calcio contro uno degli scaffalli arruginiti, facendolo cadere poco dopo. Non era stata la più saggia delle azioni, ma aveva bisogno di sfogarsi e quello, beh, quello era solo l’inizio.
 
Si assicurò che il fucile fosse carico, tirò la levetta dell’otturatore e si incamminò ad armi spianate: doveva trovare l’uscita da quelle gallerie e sperare che quell’inferno all’esterno fosse finito, per poter così proseguire verso sud est, e di certo non voleva avere sorprese di alcun genere.
Dopo quella che gli sembrò un’eternità sgattaiolò in uno stanzino, probabilmente uno sgabuzzino leggermente più scientifico del solito, e  sfilò la fiaschetta dallo zaino: bere al buio, da solo, un paio di metri sottoterra non era esattamente il sogno di ogni mercenario, ma il sapore aspro del whiskey poteva per qualche secondo placare il tumulto interiore e tirargli uno schiaffo morale, giusto per farlo tornare con i piedi a terra.
Si schiarì le idee con un goccio più lungo del necessario e riprese la sua ricerca finché non giunse in una galleria più larga e alta delle altre, probabilmente era il segno che era uscito dalla zona del SatCom Array, ma fu costretto a fermarsi.
Era stato un attimo, ma aveva percepito che in quella penombra gelida non era più solo, c’era qualcun’altro.
Si nascose dietro un piccolo container e rimase in attese, con gli occhi e le orecchie ben aperti, spegnendo la torcia per non essere individuato, cercando di respirare il più lentamente.
- Fanculo – sibilò, stringendo la presa sul fucile – non mi aspettavo ospiti a quest’ora –.
 
Tentò di sbirciare e nella semioscurità riuscì ad intravedere quella che sembrava un’armatura atomica, ma era diversa da tutte le altre, non assomigliava né a quelle della confraternità, né tantomeno a quelle dell’enclave, c’era qualcosa che non andava.
Due enormi occhi blu puntarono nella sua direzione e indietreggiò di scatto: erano le lenti del visore dell’elemetto, niente di più, ma riuscivano ad incutere timore. Chi diavolo era quel tipo? E cosa diavolo ci faceva in quello schifo di magazzino?
Tentò di sbirciare ancora una volta, per riuscire a capire come coglierlo di sorpresa o ancor meglio evitarlo, ma quando sbucò da dietro il container se lo ritrovò davanti, quegli occhi blu che lo illuminavano col loro strano bagliore:
- Oh cazzo... –

Dave Campbell

Torri del SatCom Array                                                                                                                    4-5 settembre 2275

 
Jeff se n’era andato veramente, l’aveva lasciata lì con la 10mm puntata verso il nulla, era innervosita, aveva la mente annebbiata e una gran voglia di spaccare la testa a qualcuno.
I pensieri le affollavano la testa come demoni che le strappavano il cervello a morsi, si sentiva come sul punto di impazzire, la sua pelle era gelida, imperlata di sudore e la gola le bruciava maledettamente e poteva sentire un vago sapore di sangue in bocca, succedeva così ogni volta che si faceva di quella roba dopo tanto tempo.
“Merda!” urlò in preda ad una furia omicida quasi strappandosi le corde vocali e svuotò il caricatore sulle teste impalate nella stanza.
“Odio questo posto di merda, questa gente di merda!” continuava ad urlare da sola contro gli occhi vuoti che la fissavano disfacendosi sotto i suoi colpi.
Sentiva un senso di soddisfazione nel vedere i frammenti di cranio che saltavano e il sangue che imbrattava le pareti e la sua armatura.
Era davvero sicura di voler proseguire il viaggio con Jeff? Ogni volta che vedeva tutto quel sangue intorno a lei si sentiva viva, era quindi pronta a calmarsi? A rinunciare al Jet? O alla Psycho? Se fosse tornata a casa finalmente avrebbe potuto ricominciare a vivere senza giudizi, vivere di quello che piaceva a lei ma quel mercenario, Dio, aveva qualcosa che le impediva di agire razionalmente, alla fine l’aveva aiutata senza pensarci due volte quando si era trovata in difficoltà, e lei cosa aveva fatto? Perché cazzo doveva essere tutto così dannatamente difficile?
Si accasciò poi per terra e si guardò intorno, percepiva il suo respiro farsi più tranquillo e il cuore rallentare dopo la foga dei minuti precedenti.
Trasse un lungo respiro, frugò nella sua sacca e trovò un pacchetto di sigarette decisamente malconcio, ne estrasse una e si mise spalle al muro a fissare la stanza, come estraniata da ciò che stava accadendo.
La accese.
Sbuffò.
“Cosa ho combinato?” mugolò tra se e se, sentiva la rabbia crescere nel petto bruciando più del fumo che stava inalando.
Non poteva lasciarlo andare ma neanche rinunciare a se stessa, rinunciare a tutto ciò che era, alla persona che era riuscita a costruire ed era tutto così complicato.
In condizioni normali avrebbe sparato in testa a quel mercenario dal primo momento in cui lo aveva visto, non come stava facendo ora, lasciandosi andare ai sentimentalismi e sentendosi quasi in colpa nell’agire sotto l’effetto della sua sostanza preferita.
-Al Diavolo!- pensò.
Al dilà di ogni discrepanza morale avevano bisogno l’uno dell’altro per farcela in questa situazione da suicidio in cui si erano cacciati, con tutto il putiferio che si stava scatenando là fuori e l’Errante…Restare uniti era il minimo che potessero fare.
Spense la sigaretta sul terreno e si alzò in piedi, raccolse quel poco che trovò nella stanza e si diresse verso la porta.
-Dove si può essere infilato? Di sopra di certo no, non sarebbe così stupido da esporsi al disastro che si sta abbattendo sulla Zona Contaminata, probabilmente ha trovato un modo per scappare… Da sotto.-
Uscendo dalla porta si diresse al piano terra, fuori il vento ululava terrificante, le lamiere della torre tremavano, iniziava a preoccuparsi, qualsiasi cosa stesse succedendo là fuori non era normale.
L’unico modo per proseguire senza uscire era una scaletta malandata in metallo.
Era però altamente probabile che lui si fosse rifugiato là sotto e quindi ne valeva la pena di scendere le scale.
Mentre l’oscurità la inghiottiva sentiva la scala sotto i suoi piedi scricchiolare terribilmente, deglutì rumorosamente, davanti a lei nel buio si intravvedeva una porta che era stata scassinata di recente.
-Bingo!- pensò Dave mentre apriva piano la porta.
Dietro di essa si trovavano delle gallerie contorte e sudice, lì sotto si percepiva una temperatura decisamente più bassa, quasi gelida.
-Cazzo, Dave devi farcela! Devi trovarlo!-
Ma il buio quasi la inghiottiva, percepiva a malapena i bordi degli oggetti, sospirò forte.
Afferrò con forza la sua 10 mm e la strinse forte nei palmi delle mani fino quasi a farle sanguinare.
In quel posto qualsiasi cosa poteva decidere di ucciderla e lei non avrebbe potuto vederlo.
Procedette a tentoni per metri o forse chilometri, iniziava a sentirsi stanca, non aveva uno straccio di torcia e silenzio e buio la stavano soffocando.
-Ancora qualche passo- si diceva procedendo con cautela verso l’ignoto quando ad un certo punto:

passi
un eco sordo di passi
Il terrore iniziava a impossessarsi di lei, non avrebbe mai trovato Jeff e sarebbe morta lì, da sola al gelo e al buio, qualsiais cosa si stesse avvicinando l’avrebbe uccisa.
In lontananza due piccole luci blu si avvicinavano a lei, non sapeva cosa fossero e da dove provenissero, indietreggiò cercando di appiattirsi al muro nel tentativo che quelle due… cose non la notassero.
Indietreggiò ancora, con una spalla sfiorò il muro ma l’altra spalla cadde nel vuoto.
Era evidente che su quel muro si aprisse un piccolo stanzino, inciampò e cadde a terra, battè la schiena per terra con un tonfo sordo.
Si morse le labbra con una forza incredibile per non gridare.
Si tirò su a tentoni appoggiandosi su quello che sembrava il bordo di un grosso contenitore, i due punti blu ancora si aggiravano nelle vicinanze, poteva saltarci dentro ad esempio, si sarebbe di certo potuta nascondere.
Cercò di fare il più possibile silenzio, mentre iniziava ad infilare una gamba nel container, quando qualcosa dall’interno la trascinò giù, terrorizzata fece per urlare quando una mano le tappò la bocca e un odore di whisky le pervase le narici.

Si voltò di scatto verso la figura rannicchiata come lei lì dentro e sussurrò: “Jeff!”
Si sentì immediatamente euforica, come se finalmente la fortuna avesse iniziato a sorriderle.
Gli saltò al collo abbracciandolo, sentiva il suo respiro affannoso sul collo, evidentemente si era spaventato anche lui ma era così bello averlo di nuovo lì che quasi si era dimenticata di ciò che era successo prima.
“Santo cielo per fortuna che ti ho trovato mi sono spaventata a morte cosa cazzo era quella cosa blu ero al buio e non sapevo come comportarmi è stato orribile perché mi hai abbandonata no aspetta è colpa mia no aspet…”.
Jeff le mise un dito sulla bocca e rispose : “Ora basta parlare come un fiume in piena, ok? Quelle cose blu che dici di aver visto credo siano lenti del visore di un elmetto di una speciale armatura atomica ma non sono ancora riuscito a capire quale.”
Dave sospirò e continuò come se non lo stesse ascoltando : “ Ho paura, e sono davvero mortificata per prima, ma non si può cambiare adesso la persona che sono, posso prometterti che fino a che non arriveremo a casa proverò a non farti più del male, intesi? Insieme possiamo farcela se pensi di potermi dare ancora la tua fiducia.” Era difficile per lei dire quelle cose, ammettere che in un certo senso aveva torto.
Silenzio
“Jeff, per favore, devi credermi…” per quanto stesse sussurrando la sua voce era incrinata.
“Proseguiremo questo viaggio assieme ma…”Jeff le sfilò la 10mm di mano e gliela puntò alla testa “Come all’inizio ti tengo d’occhio, non abbasserò più la guardia con te piccola bastar…” Dave afferrò il suo coltello e glielo puntò alla gola : “Affare fatto” ridacchiò sottovoce e abbassò subito l’arma.
Non Voleva veramente fargli del male, solo dimostrare che anche lei in un certo senso poteva tenerlo sotto controllo.
Jeff dopo un momento di esitazione fece lo stesso.
“Ora, quale è il piano?” disse subito allegra Dave come niente fosse.
“Non lo so ancora, restiamo qui fino a che non siamo sicuri che si è allontanato e poi andiamocene, quel coso mi mette i brividi e non siamo abbastanza forti per batterlo.”
Dave annuì.


La stanza tutto d’un tratto sembrò più illuminata di prima, chiunque fosse dentro quell’armatura si stava avvicinando.
Camminò lentamente per tutta la stanza ma sembrava non accorgersi della presenza dei due.

In quella manciata di secondi che sembravano ore la testa di Dave, che si stava riprendendo dal jet, era assalita da un milione di pensieri.
-Se avesse voluto catturarci lo avrebbe fatto subito no? O forse DAVVERO non si è accorto di noi?-


 

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Capitolo 9
*** Il nemico del mio nemico è mio amico?WTF?? ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo IX- Il nemico del mio nemico è mio amico?? WTF?

Note dell'autore: Eeeeeh già, siamo ancora vivi, di nuovo. Ne è passato tempo dall'ultimo episodio, vero? Ci spiace, ci scusiamo per la lunga attesa, ma è stato un periodo pieno di impegni sia per Madame ( università portami via ) sia per me ( mai mescolare lavoro ed università, è come bere l'acqua radioattiva dopo una birra, immaginate ), ma ne siamo usciti tutti d'un pezzo ed eccoci qui.
Speriamo che l'episodio vi piaccia e ripaghi la vostra attesa.
Buona lettura!

Snow & Madame



Jeff Callaghan
 
Sotteranei del SatCom Array                                                         4-5 Settembre 2275

 
Era ancora incazzato come una belva e avrebbe volentieri afferrato quella dannata ragazzina per prenderla a calci finché non cambiava colore o chiedeva scusa in russo, ma si trattenne e respirò lentamente: quel genere di rabbia non gli faceva affatto bene, era un sentimento subdolo che si insinuava dentro di lui come un veleno, qualcosa che era nato e si alimentava degli stessi orrori della zona contaminata, quelle belle cose che ti fottono il cervello giorno dopo giorno.
Guardò Dave: stava ancora cercando di capire chi fosse l’uomo in armatura e la paura aleggiava su di lei come un’ombra, sembrava tornata quella di sempre, ma nonostante ciò non riusciva a perdonarle ciò che aveva fatto.
 
- Ehi – la ragazza si voltò – a che cosa stai pensando? –
- Se quel coso avesse voluto non ci avrebbe già catturato? O non si è davvero accorto di noi? – chiese, senza distogliere lo sguardo dal suddetto “coso”.
- Vuoi la verità? Penso proprio che si sia accorto di noi, ma ci sta “ignorando”, diciamo così – sussurrò lui in risposta.
- Ignorando?! – esclamò lei e le fece cenno di abbassare il tono, dopotutto non avevano la più pallida idea di cosa fosse capace “occhi blu”. Già, era un nomignolo più che azzeccato per il tipo.
- Già, semplicemente non sta cercando noi – si sporse per osservare anche lui.
- E allora cosa? –
- Qualcos’altro... o qualcun’altro, ma in entrambi i casi dobbiamo andarcene, la faccenda non mi piace – non appena finì la frase il soffito tremò lasciando cadere un pò di polvere e parte dell’intonaco mal ridotto. Dave fissò perplessa la scena.
- Uhm... quello era un boato? – lui annuì, stringendo i pugni.
Male, molto male, quel boato dimostrava che la tempesta, sempre se si poteva definire così, non era l’unico evento attivo all’esterno, oppure era peggiorata? Non lo sapeva.
 
- Squadra Gugnir a base Raven, qui Gugnir 2 – la figura in armatura parlò, con una voce cupa e quasi distorta ed entrambi si irrigidirono, rimanendo ben nascosti e in ascolto.
- Base Raven in ascolto, rapporto Gugnir 2 – di base Raven ne esisteva solo una, non vi erano dubbi: Raven Rock.
- Scansione termica conclusa, la zona sembra essere sotto controllo, ho solo rilevato 3 fonti di calore, due sono umane, confermato. L’altra è umanoide, in avvicinamento. Attendo ordini –
Dave lo spintonò leggermente:
- Hai sentito? E’ dell’Enclave e ci ha visto! – lui deglutì, continuando a fissare il soldato – Ho sentito, tieniti pronta a saltare giù da questo coso – esordì.
- Ingaggialo e raggiungi il resto della squadra, servono rinforzi verso il fiume, un vertibird sta arrivando nella posizione di rendez vous, Raven chiudo – il soldato annuì e puntò un fucile di grosso calibro verso il buio più totale, per poi azionare una levetta poco sopra la canna. Un lieve ronzio inondò il silenzio, quello stesso silenzio che venne infranto poco dopo da quello che sembrava un urlo.
Dave rabbrividì nell’udirlo e anche lui rimase di sasso: non aveva mai sentito qualcosa del genere eppure di creature mutanti ne aveva incontrate fino alla nausea.
 
Le urla continuavano a richeggiare nei corridoi bui del sotterraneo, cariche di foga e rabbia, seguite dall’eco dei passi, una corsa sfrenata che non si fermava davanti a nulla.
- Jeff che facciamo? Jeff? – chiese Dave che stava stringendo ancor di più la presa sulla pistola, tremando.
- Sto pensando, cazzo, sto pensando – le posò una mano sulla spalla per cercare di tranquillizzarla, ma chi avrebbe tranquillizzato lui?
 
Stava ancora pensando ad una possibile situazione per uscire con tutti gli arti da quel macello quando le urla si trasformano in parole:
- Umano! – aveva urlato la creatura che continuava a correre nell’oscurità -Sapiens! – qualcosà volò nella direzione del soldato e quest’ultimo riuscì ad evitarla: un piccolo armadietto in acciaio si schiantò contro la parete emmettendo uno stridulo metallico  acuto.
Il soldato puntò il fucile nella direzione da cui era stato lanciato e fece fuoco: tre piccole raffiche di luce azzurra saettarono nel buio, lacerandolo, e le urla della creatura si intensificarono.
- Ti farò ingioiare quel giocattolo! – aveva esclamato con una voce gutturale.
- Santi cazzi, dobbiamo andare via, adesso! – urlò buttandosi a peso morto fuori dal container.
Cadde giù in malo modo, ma si riprese subito, accorgendosi che lei era rimasta dentro, pietrificata dalla paura.
- Dave, cazzo, vieni fuori! –
- Umani... – un sibilo trasportò quella parola alle sue orecchie e prima che potesse capire cosa diavolo stesse accadendo si ritrovò davanti una figura alta almeno due metri, era davvero un umanoide, ma nell’oscurità non riusciva a distingurne i tratti.
Cercò di puntargli il fucile contro ma la creatura reagì più velocemente di lui e sferrò un colpo poderoso, incrinando la canna del fucile e scaraventandolo contro uno dei tanti container nella stanza.
- Oh merda... – imprecò sentendosi mancare l’aria nei polmoni e vedendo che quella cosa stava puntando lentamente verso di lui. Il fucile era finito accanto a lui ma sembrava una copia di plastica caduta dal ventesimo piano, uno schifo.
La creatura era a pochi metri, pronta a finire ciò che aveva iniziato, quando due lampi azzurri saettarono tra i container schiantandosi contro la bestia, bruciando l’aria circostante. L’essere urlò di dolore e arretrò.
Lui volse lo sguardo verso “occhi blu”. Aveva colpito quella cosa per salvarlo? Che diavolo stava succedendo?
- Andate via, adesso! – gli intimò continuando a tenere la creatura sotto tiro.
Non se lo fece ripetere, cercò di rialzarsi, ma quel colpo era stato davvero terribile e arrancò leggermente, finché non vide Dave sgusciare via dal container e correre verso di lui.
- Avanti Jeff, alzati – lo aiutò a rialzarsi e prendendolo sotto spalla si allontanarono  senza voltarsi. Poteva udire i “latrati” di rabbia della creatura e i sibili dell’arma di “occhi blu”, lo scontro tra quei due era appena iniziato, e quel tale li stava difendendo senza nemmeno conoscerli, pur essendo un soldato dell’Enclave.
 
Continuarono ad avanzare nell’oscurità, senza fiatare, nessuno dei due voleva parlare, non dopo quello che avevano visto, non dopo quello che stav succedendo, anche se le domande aumentavano di minuto in minuto. Volevano solo uscire da lì.
Non sapeva da quanto tempo stessero camminando, né se stessero girando in tondo, ma fu Dave a spezzare quel silenzio opprimente, reso ancora più pesante dall’oscurità:
- Jeff... che cazzo sta succedendo? – la voce le tremava, nonostante cercasse di mantenere un’espressione tranquilla, seria.
- Qualunque cosa sia, Dave, è più grande di noi – rispose lui, più preoccupato di lei.
La ragazza si limitò ad annuire e proseguirono fino a raggiungere finalmente quella che sembrava un’uscita: era molto simile a quella di una metropolitana, con tanto di recinzione e qualche gradino malandato.
Si fermarono, assaporando quel momento, il buio alle loro spalle sembrava meno opprimente di prima, e lui si posò contro la parete sentendo ancora delle fitte dove la creatura l’aveva colpito.
- Li senti? – chiese dopo aver ripreso fiato per un minuto.
- Sì...- rispose lei – Spari e... esplosioni? –
Si avvicinarono alla recinzione, la oltrepassarono e lentamente  si sporsero per osservare l’esterno: il cielo era ancora di quel colore “strano” ma stava piano piano scemando e non c’era più traccia di quella sottospecie di uragano. Eppure non era quello che li lasciò senza parole.
Tutt’intorno a loro si stava svolgendo una vera e propria battaglia tra le forze dell’Enclave, quei soldati con le strane armature, e delle creature umanoidi molti simili a quella che avevano incontrato poco prima nei sotteranei.
 
Il sibilo dei proiettili, le urla, le esplosioni, la foga che si mescolava al sangue e alla terra, la cenere che bruciava la stessa aria che stavano respirando. Sembrava di essere tornati a prima dell’Olocausto nucleare, quando il mondo non era ancora finito ma era già pazzo.
Dave era sbiancata nell’assistere a quello spettacolo e anche lui sentiva i sudori freddi lacerargli la pelle come coltelli.
Un vertibird danneggiato roteò davanti ai loro occhi, lasciandosi dietro una scia di fumo densa e nera, per poi precipitare contro i resti di un capannone.
Un soldato dell’enclave, anch’esso con il visore blu come il tizio del sotteraneo, si avvicinò a loro e li squadrò dalla testa ai piedi come se non avesse mai visto degli esseri umani.
- E voi cosa diavolo ci fate qui? Andate via, allontanatevi immediatamente! – li intimò, spingendoli con forza verso la zona opposta al campo di battaglia.
Si stavano davvero allontanando senza neanche cercare di capire come si fosse arrivati a quel puttanaio? Si volse per cercare di cogliere qualche altra immagine, un altro paio di informazioni necessarie a formulare almeno una misera ipotesi, ma si ritrovò davanti “occhi blu” con l’armatura lacerata e ammaccata in più punti, ricoperta da uno strano liquido violaceo.
Dal visore incrinato poteva vedere un’occhio color rubino che lo stava fissando senza batter ciglio.
- Se non volete finire all’altro mondo, seguitemi – sentenziò occhi blu e si incamminò velocemente puntando verso delle rovine.
Non avevano altra scelta e così lo seguì, ignorando l’espressione di stupore sul volto di Dave.
- Che cosa stai facendo?! – gli chiese afferrandogli la manica della divisa.
- Hai un’idea migliore? – controbatté e la ragazza non rispose.
Quel silenzio valse più di qualsiasi risposta, un silenzio devastato da una follia senza tempo né volto.


Dave Campbell                                                                                                                                   5 settembre 2275
SatCom Array

 
Dave non poteva credere che Jeff avesse optato per una scelta così stupida, seguire quelli dell’Enclave, dopo la caccia all’uomo di cui erano stati prede?
Non aveva alcun senso ma da sola aveva meno possibilità di sopravvivere e inoltre dopo la discussione terribile che avevano avuto doveva dimostrargli un minimo di fedeltà.
Camminarono in silenzio per qualche centinaio di metri, nessuno aveva il coraggio di fiatare, tantomeno lei.
Il wasteland intorno a loro sembrava ancora più spaventoso sotto quel cielo dai colori innaturali.
Era l’alba ormai e il sole che sorgeva assieme a quelle nuvole colorate sollevate dal blowout davano l’impressione di una seconda catastrofe imminente, il silenzio intorno a loro era agghiacciante e quasi innaturale, come se intorno a loro fosse tutto morto.
Perfino le rocce sembravano muoversi e gli sporadici versi dei ratti talpa in lontananza sembravano ruggiti di bestie terribili, tutto era così tremendamente terrificante, inoltre avevano sulle spalle la paura che quegli esseri umanoidi attaccassero di nuovo, avevano già dimostrato la loro forza e quanto fosse difficile abbatterli.
Abbastanza inquietata da quell’ambiente circostante trotterellò affianco a Jeff : “Dove siamo diretti?”
“Non lo so” fu la sua secca risposta.
Abbastanza contrariata dal tono con cui il mercenario le si era rivolto sbuffò e si affiancò ad ‘occhi blu’.
“M-mi scusi…Dove ci stai portando?” chiese Dave un po’ intimorita.
“Lontano da qui” rispose freddamente.
“Si ma… proprio non mi sai dire dove?” Dave diventava sempre molto insistente quando non le si spiegava ciò che voleva.
Il soldato la guardò, fissandola per qualche secondo e poi si girò verso Jeff : “Ma fa sempre così?” ruggì con tono scocciato da dietro l’elmo.
Jeff sbiancò e poi afferrò Dave per un braccio tirandola a sé, poi, una volta avuta la ragazza abbastanza vicina le sibilò : “Senti, ragazzina vuoi farci ammazzare tutti? Non sappiamo ancora cosa vogliono da noi e io non mi fido abbastanza di te da lasciarti fare il cazzo che ti pare, per quanto mi riguarda potresti volermi morto, sbudellato per terra.”
“Forse saresti anche più carino da morto” ridacchiò Dave. Non aveva davvero intenzione di vederlo sbudellato ma odiava quando la gente le dava gli ordini.
Jeff le strinse ancora di più il braccio: “Ringrazia il cielo che giù nel SatCom Array non ti ho piantato una pallottola nel cranio.”
Dave questa volta restò in silenzio, abbassò la testa e non fiatò.
Jeff lascò la presa e Dave si massaggiò il braccio visibilmente arrossato.
C’era qualcosa in quel mercenario che le faceva venire i brividi, non riusciva a capacitarsi di come si lasciasse trattare male da lui, di come gli permettesse di rivolgersi a lei in quel modo, di come non era riuscita neanche a lasciarlo andare via quando era sceso in quei sotterranei alla torre, anzi più lui si comportava male con lei più non riusciva a rispondergli a tono e più lui l’afferrava con forza più quel contatto le sembrava la cosa più bella dell’intera Zona Contaminata.
Si sentiva così tremendamente stupida e indifesa, Captain Zak le aveva insegnato a difendersi da gente del genere, a prendere da tutti ciò che voleva e a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno ma con lui… con lui era diverso, erano completi sconosciuti fino a qualche giorno prima ma ora, ora si sentiva ribollire dentro all’idea che lui potesse volerla uccidere o che non avesse più bisogno di lei e si era sentita così viva quando dopo aver rincontrato il suo addestratore, lui l’aveva salvata e lei era riuscita a baciarlo.
Dave scosse la testa, quei pensieri erano terribili, lei era una predatrice e lei doveva farcela da sola, senza nessuno.
Tutto d’un tratto i pensieri di Dave vennero interrotti da dei versi sovraumani non molto lontani da loro.
Occhi blu si voltò di scatto : “Cazzo!”.
Dietro di loro due umanoidi li stavano raggiungendo.
Le bestie erano alte poco meno di un supermutante, ed avevano la pelle coperta da una sorta di materiale viscoso e violaceo decisamente poco invitante, si avvicinavano a loro con una rapidità decisamente superiore a quella dei supermutanti e di altre bestie del wasteland emettendo grida fastidiose e penetranti che quasi ti confondevano il cervello.
Dave non ci pensò due volte, imbracciò il suo fucile da combattimento e si rivolse  a Jeff : “Questo è per le grandi occasioni”
Ridacchiando corse come una forsennata verso le due bestie e Jeff la seguì.
Il soldato dell’Enclave le gridò : “Ma che cazzo fai? Vuoi morire per caso?” Dave in tutta risposta rise forte e aggiunse quasi gridando : “Sì! Ho sempre sognato di farmi sbranare in battaglia!!”
Non appena le due bestie furono a distanza ravvicinata Dave aprì il fuoco su di loro, le bestie sia avvicinavano grugnendo e lasciando dietro di loro una sorta di scia di muco.
Il soldato dell’Enclave aveva raggiunto Dave e si scagliò con un gran frastuono di armatura verso uno dei due mostri, nel frattempo intimò ai due di occuparsi dell’altro essere.
La bestia si stagliava sulle loro teste di circa mezzo metro, Jeff si affiancò a Dave e iniziò a sparargli all’altezza delle ginocchia per cercare di arrestare la sua avanzata.
L’umanoide emetteva gemiti strazianti ma non sembrava intenzionato a fermarsi, anzi, zoppicando si avvicinava a loro.
Jeff si rivolse a Dave “Non funziona così,cazzo!!”
“Mira alla testa, ora!” Gridò Dave per farsi sentire in quel frastuono di armi e urla.
“E’ troppo pericoloso! Se non lo becchiamo subito rischiamo che ci raggiunga!” rispose Jeff.


Dave sbuffò: “Jeff ti prego ascoltami!!!”
Era contrariato  glielo si leggeva in volto, ma evidentemente non aveva idee migliori e così anche Jeff prese la pistola e mirò alla testa. Una pioggia di pallottole si riversò contro la bestia, una pallottola gli graffiò la guancia, facendolo imbufalire ancora di più, gli occhi della bestia erano iniettati di sangue e ruggiva contro di loro, a tratti urlando : “Umani… Morte”.
Quando una seconda pallottola invece gli perforò un occhio facendogli schizzare il sangue sul viso l’umanoide arrestò la sua avanzata.
Restò qualche secondo in piedi senza muoversi con il sangue che gli colava sul muso poi però si accasciò di faccia a terra mugolando lentamente e coprendosi la faccia con le mani.
Dave gli si avvicinò, voleva dimostrare a Jeff che era in grado di compiere azioni molto coraggiose cosicchè lui non tentasse di ucciderla.
 Salì a cavalcioni sulla schiena della bestia che ancora respirava e con la mano sinistra gli sollevò la fronte da terra mostrando il volto ancora sanguinante e mugolante a Jeff che le era di fronte.
Con la mano destra prese il suo coltello dalla piccola fodera che aveva sulla gamba e glielo passò con forza sotto la gola ponendo così fine alla vita di quella bestia, figlia del blowout.

Quando vide il sangue riversarsi sul terreno e formare una larga pozza scese giù dalla bestia e si avvicinò a Jeff e come se avesse appena fatto uno spettacolo teatrale, fece un piccolo inchino e gli disse : “E’ stato divertente no?”.

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Capitolo 10
*** Si chiude una porta e... si apre una cella. ***


 
Odissey in the Wasteland



Capitolo X- Si chiude una porta e... si apre una cella
 

Note dell'autore:Ed eccoci qui! Ci credete? Siamo arrivati al X capitolo ( o episodio, come vi suona meglio ), chi l'avrebbe mai detto? Nonostante le difficoltà, i lunghi tempi di assenza, gli impegni nella vita di tutti i giorni e le radiazioni (?? no aspetta, queste no ) siamo arrivati fin qui, è un piccolo traguardo, ma è un bel traguardo e vogliamo cogliere questa occasione per ringraziare tutti voi che ci leggete e che continuate a seguire questa bizzara storia. Grazie di cuore.
Un abbraccio

Snow & Madame



Jeff Callaghan
 
Dintorni del Broadcast Tower                                                    5 Settembre 2275

 
“Tu hai bisogno di uno psicologo, forse due” fu la prima frase che gli passò per la testa osservando il macabro siparietto di Dave.
Quella ragazza aveva dei seri problemi, non che la popolazione di DC e dintorni fosse normale, l’Apocalisse aveva ridotto in pezzi tutti a modo suo, ma qui si andava oltre.
- Smettila di agitare quel coso, non è un gioco – sibilò, controllando che fosse rimasto qualche proiettile nel caricatore della pistola.
Nel frattempo anche “occhi blu” era tornato, con un tubo di ferro arruginito ancora conficcato nello spallaccio. Anche lui guardò Dave in malo modo e la ragazza sbruffando abbandonò il suo originale trofeo e andò a sedersi su una roccia.
 
- Si può sapere che diavolo sono quelle bestiacce? – chiese, lanciando a Dave una bottiglietta d’acqua. La ragazza annuì e l’afferrò senza problemi.
- Noi li chiamiamo Noctar, non sappiamo da dove siano spuntati né tantomeno che cosa sono, ma di una cosa siamo certi: sono tutt’altro che amichevoli e attaccano qualunque umano, ghoul o supermutante gli capiti a tiro. Quelli che abbiamo affrontato sono i più deboli – rispose il soldato staccando il pezzo di tubo dallo spallaccio.
- Cosa?! – esclamarono in coro, sorpresi da quella risposta.
- Quel liquido violaceo che li ricopre è una sostanza in cui sono immersi fino alla fine dello stadio di crescita – aggiunse “occhi blu” controllando lo stato del fucile.
Non sapeva se quei “Noctar” fossero collegati al blowout, probabilmente sì, ma di una cosa era certo: erano un problema, un grosso problema, se perfino l’Enclave aveva messo da parte i suoi “grandi ideali” per combatterli.
 
- E adesso che cosa facciamo? – la voce di Dave ruppe il silenzio in cui erano caduti. In lontananza si potevano ancora udire i boati e le esplosioni.
- La radio è andata – rispose il soldato lanciandone i resti.
- Di certo non possiamo tornare indietro, non ho voglia di fare l’eroe – controbatté lui.
- Continueremo verso sud/est, tenendoci alla larga da Paradise Falls, finché non troviamo un’altra radio o qualcosa con cui segnalare la nostra posizione alla mia compagnia – aggiunse “occhi blu” indicando in lontananza la sagoma malforme di Paradise Falls.
- Perché non dici nulla? Perché diamo carta bianca a questo tizio? – gli chiese Dave sussurandogli nell’orecchio.
- Perché lui sa che cosa sta succedendo e noi no – rispose lui di rimando e lei sospirò lanciando un’occhiataccia al soldato – non mi piace quel tipo –
- Ce l’hai un nome? – gli chiese incrociando il suo sguardo.
- Puoi chiamarmi Dan136, non ti serve sapere altro – Dave sospirò ancora di più, probabilmente l’odio nei suoi confronti era aumentato dopo quella risposta.
- Bene, io sono Jeff e lei è Dave. Se non c’è altro direi di mettere una bella distanza tra noi e quei cosi...ehm..Noctar – disse e gli altri due annuirono, incamminandosi poco dopo.
 
Proseguirono per quasi due ore, senza incontrare troppe difficoltà, e doveva ammettere che quella bocca di fuoco in più non gli dispiaceva.
Superando l’ennessima collina scoscesa si ritrovarono davanti ad una fabbrica diroccata. Sembrava disabitata, ma la zona contaminata insegnava a caro prezzo che non bisognava mai fidarsi della prima impressione.
- Questo posto non appare nella mappature – osservò Dan controllando quello che sembrava una versione militare del pipboy 3000 della Vault Tec.
- Anche l’Enclave ogni tanto fa cilecca, eh? – ironizzò e Dave sghignazzò.
- Teniamo gli occhi aperti, se il luogo è libero lo useremo come accampamento – proseguì il soldato ignorando la battuta.
- Prima le domande e poi le pallottole – aggiunse lui, stanco di tutte quelle sparatorie peggio che nel far west.
 
Mentre si avvicinavano all’edificio Dave si bloccò di colpo.
- C’è qualcosa che non va? – le chiese.
- Eh? Oh nulla... mi era sembrato di vedere qualcuno – guardò nel punto indicato dalla ragazza ma non vide nulla.
- Fantastico, ora vedo anche i fantasmi, e ormai non sono più neanche fatta –
- Quel cazzo di blowout ha scombussolato un bel paio di cose, non pensarci troppo – concluse e proseguirono.
Esaminarono il perimetro della fabbrica e non notando nulla di strano si avvicinarono ad una delle enormi porte: Dan avanzò per primo con il fucile spianato, seguito da Dave e lui chiudeva la fila, coprendo le spalle a tutti.
La fabbrica era in pieno stato di abbandono, come ogni altro luogo nelle wastelands: vetri infranti, macchinari arruginiti, rottami sparsi e cumuli di macerie dove questa o quella parete aveva ceduto alla intemperie. In conclusione nulla di nuovo.
- Sembra a posto – osservò Dave poggiando il calcio del fucile a terra.
- Sembra... – controbatté il soldato guardandosi intorno.
- Concordo – aggiunse lui, percependo una leggera tensione nell’aria.
 
Proseguirono a passo lento attraverso l’enorme sala, voltandosi verso ogni singolo rumore che sentivano, anche minimo, inseguendo le ombre con le canne dei fucili.
- Ehi, c’è qualcosa da questa parte – esordì la predatrice, superando la carcassa bruciacchiata di un pistone e la seguirono continuando a guardarsi nervosamente intorno come se fossero in pieno territorio nemico.
- Che cosa hai visto? – le domandò, avvicinandosi, ma la ragazza non rispose.
- Dave? – in quel momento si accorse che stava fissando una sorta di murales con su scritto “Sorpresa!!” circondato da svariati oggetti ed ossa inchiodati al muro.
- Mi spiace – sussurrò lei e solo allora si accorse che aveva tirato il filo di qualche trappola.
- Oh cazzo...- imprecò, osservando la situazione – rimani ferma e non muovere un muscolo. Chiaro? – lei annuì.
Anche Dan aveva capito cosa stava succedendo e si era subito messo a cercare la suddetta trappola per disinnescarla.
Dave stava sudando freddo e si era irrigidita come una statua.
- Quella non è una trappola... è un diversivo – una voce incorporea risuonò nella fabbrica seguita da una risata, ma non riuscirono a capire da dove provenisse, c’erano troppi macchinari e pontili in quel posto.
- Questa è la trappola – alcune bombolette caddero dai pontili sprigionando una nuvola di fumo azzurrina.
 
Come una nebbia la nube invase la sala, cercarono di uscire dalla fabbrica, di trovare un punto per non respirare quella roba, ma iniziarono subito a tossire e a sentirsi mancare.
- Cloroformio in versione gassosa, è inutile scappare -  sghignazzò la voce di prima e vide Dave accasciarsi a terra, seguita poco dopo da Dan che arrancava verso una finestra.
Anche lui tentò di allontanarsi, ma fu tutto inutile, pochi secondi e perse i sensi, inghiottito dal buio e da una melodia flebile e indistinta.
 
                                                                 [...]
 
- Jeff? – quella melodia risuonava ancora nelle orecchie, sembrava familiare ma era distante, troppo distante. Musica classica? O forse un vinile sul grammofono? Non riusciva a distinguere la cosa.
- Jeff! – l’oscurità l’avvolgeva come un manto, ovattava tutti i suoni, li distorceva, inghiottiva ogni immagine, il mondo intero. – Lucy... –
- Avanti Jeff, svegliati! – no, quella non era la voce di Lucy, la sua voce era più calda, questa invece era più acerba, più vicina, non lontana come la melodia.
Aprì gli occhi: era poggiato con la testa sulle gambe di Dave e la ragazza lo stava fissando con i suoi grandi occhi.
Per un attimo rimase a fissarli, come se si ci fosse perso dentro, ma ben presto gli ultimi ricordi riaffiorarono: la fabbrica, il cavo della trappola, la nube azzurrina e poi il nulla.
Cercò di rialzarsi ma vide il mondo girare e si bloccò.
- Finalmente ti sei ripreso! Mi hai fatto preoccupare! -  esclamò la ragazza abbracciandolo e quel gesto lo stupì: era ancora frastornato e con i pensieri fuori posto, ma sentì che doveva ricambiare e per una frazione di secondo ricambiò l’abbraccio non senza un pò di disagio. Dave abbozzò un mezzo sorriso.
- Dove siamo finiti? – chiese, massaggiandosi le tempie.
- Non lo so, ma sembra siamo sotto la fabbrica e questa... beh... penso sia una cella – la ragazza non aveva tutti i torti:  qualcuno si era preso la briga di trasformare quei magazzini, o qualsiasi altra cosa fossero, in delle strane celle con tanto di lettini, un tavolino e due sedie.
Sembrava quasi che qualcuno si fosse divertito ad arredare quel posto.
- Ci hanno preso anche le armi, ma non sono riuscito a capire chi, eppure non mi sembravano predatori –
- Da cosa lo deduci? –
- Beh, se lo fossero stati ci avrebbero già torturati...un paio di volte – un’osservazione piuttosto macabra ma alquanto veritiera.
Finalmente riuscì ad alzarsi e si avvicinò alla grata per guardare oltre: c’era un lungo corridoio con altre porte che probabilmente portavano ad altre “celle” come la loro o in chissà cos’altro, non si aspettava che sotto la fabbrica ci fosse una struttura del genere.
- Come hai fatto a riprenderti prima di me? –
- Semplice, mi faccio di roba peggiore, il cloroformio è come una canna per me, mi ha stesa sì, ma non è durato troppo – la ragazza sorrise nel rispondere alla domanda, era soddisfatta di aver vinto in quella “gara” di resistenza o cosa?
- E immagino che abbiano chiuso Dan da qualche altra parte – si diresse verso il tavolino e si accomodò su una delle sedie, sospirando:
- Dannazione, se scopro chi ci sta mandando tutte queste sfighe del cazzo giuro che gli farò bere l’acqua stagnante degli scarichi di Rivet City come se fosse un cocktail, dopo averlo pestato a sangue! – Dave scoppiò a ridere nell’udire quell’imprecazioni e si accomodò accanto a lui, poggiando i piedi sul tavolino.
- E non posso neanche fumarmi una sigaretta – aggiunse, tichettando con le dita sulla superficie in metallo.
- Guarda il lato positivo della cosa, per essere una cella, ci stanno trattando bene, no?- non appena finì quella frase qualcuno bussò con forza alla porta della cella.
- Il pranzo! – urlò il tipo e un vassoio slittò da sotto la porta.
- Visto? -  ammiccò con fare ironico e indicò il suddetto vassoio.
- Mangiate e preparatevi, tra due ore incontrerete le Twin Sisters –
Si erano persi ad ammirare il cibo fumante nel vassoio, affamati da fare schifo, ma quell’affermazione li riportò con i piedi a terra.
- Le Twin Sisters? -

Dave Campbell
 
Dintorni del Broadcast Tower                                                                                                  5 Settembre 2275

 
Dave guardava quel piatto dall’aspetto invitante da almeno un minuto buono , era una sorta di stufato di carne, presumibilmente di bramino con una salsa di colore rossastro che somigliava a quelle salse prodotte in casa dai coltivatori di tatos con una punta di erbe essiccate, di quelle che crescono nelle zone più aride dei dintorni di DC, il vapore della pietanza emanava un profumo speziato e dolce allo stesso tempo.
Aveva troppa fame, erano secoli che non si faceva un pasto decente e lo stomaco le si contorceva alla vista di quel piatto così meraviglioso.
Guardò Jeff e quasi implorante gli chiese : “Ti prego, possiamo mangiare?”
Jeff sorrise un po’ teso e annuendo raccolse il piatto da terra.
I due mangiarono con una rapidità impressionante prendendo il cibo da quella grossa ciotola direttamente con le mani, dopotutto avevano vissuto per qualche giorno solo di piccole bestie della zona contaminata come scarafaggi radioattivi o cibo in scatola prebellico, il che faceva di quel piatto una vera prelibatezza.
Dopo aver mangiato, sazi, si sdraiarono a terra, sul pavimento di quella cella. Era una stanza abbastanza larga, circa cinque metri per cinque, illuminata debolmente da piccole lucine elettriche tipo lampadine prebelliche, i muri erano in pietra scavata a mano, dietro la loro porta potevano percepire dagli echi dei passi che si aprisse una sorta di corridoio o comunque uno stanzone molto lungo dal fondo del quale sovente provenivano grida e gemiti.

Dave si tirò a sedere con le spalle contro al muro e guardò Jeff : “ Chi credi siano le Twin Sisters? Secondo te vogliono farci del male?”
Jeff, seduto dall’altro lato della cella le rispose seccamente : “Non so chi siano, ne so quanto te, non credi? Posso solo immaginare che visto che ci hanno nutrito bene non siano poi così cattive…”


La loro conversazione venne interrotta dalla stessa voce di prima che annunciò freddamente : “ Tra due ore incontrerete le Twin Sisters, cercate di mantenere un aspetto…decoroso.” E scoppiò in una fragorosa risata allontanandosi dalla cella.
Dave non ci poteva quasi credere, due ore di tempo, cosa avrebbe potuto fare in due ore chiusa in una cella con Jeff?.
Jeff dall’altra parte della stanza, in silenzio restava seduto con le spalle al muro.
Dave gli si avvicinò a gattoni, lentamente e poi, gli scivolò al fianco regalandogli un sorrisetto beffardo:
“Ebbene, siamo rimasti qui, e siamo qui in attesa di qualcosa che non sappiamo neanche cosa sia, parla ti prego, teniamoci compagnia”.
Jeff alzò gli occhi dal pavimento e la guardò : “Che idee hai?” la sua voce aveva un che di brillante e a Dave piacque tantissimo.
“Dai, facciamo un gioco” disse la ragazza mentre si strappava un lembo di stoffa ormai penzolante dai pantaloni: “Io ora ti bendo e tu mi devi cercare per tutta la stanza, se mi prendi hai vinto,ci stai?” La sua voce era fresca e giocosa, come se quel gioco fosse la cosa che più la divertiva al mondo.
-Almeno così passiamo un po’ di tempo- pensò Dave

Ma lo sapeva benissimo che stava mentendo perfino a se stessa, sapeva che fino a qualche ora prima avrebbe pagato per poter passare un po’ di tempo da sola con lui, e il gioco non era altro che una scusa per  non sprecare quelle due preziose ore in silenzio.
Jeff inizialmente un po’ riluttante, tese la mano verso la pezza che Dave gli stava porgendo.
“Davvero lo sto facendo?” esordì il mercenario.
“Non fare lo stupido, dai fallo per me, fammi divertire un po’” Supplicò la ragazzina giocherellando con le mani.


Il mercenario si legò la benda improvvisata intorno agli occhi e iniziò a cercarla a tentoni per la stanza, Dave scappava da lui quasi come se volesse prenderlo in giro, inizialmente restando sui muri della stanza, ma col passare del tempo si avvicinava a lui passandogli da dietro la schiena, divertita nel vederlo girarsi attorno senza riuscire a prenderla.
Il mercenario bendato nel frattempo la chiamava: “Dave! Ma dove cazzo sei? Giuro che se ti prendo ti faccio male, signorina.” Ogni volta che Jeff la rimproverava Dave arrossiva, alla fine nonostante tutto un po’di bene glielo voleva.
La ragazzina ridacchiando scappava ancora per la stanza correndo prima da una parte e poi dall’altra.
Finalmente si sentiva felice, poteva sembrare una stupidaggine dopotutto erano intrappolati e nessuno dei due sapeva che cosa li avrebbe accolti ma quello per lei era un momento di felicità vera, si sentiva tornata bambina quando a Paradise Falls inventava dei giochi per non pensare a quello che avrebbe dovuto subire di lì a poco e quei giochi sembravano così reali, come una medicina.

Fermatasi nel muro di destra della stanza, Dave riprendeva il fiato, non era certa del tempo che era passato da quando avevano iniziato a giocare e la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Vide Jeff avvicinarsi a lei, ma questa volta non scappò, anzi rimase ferma.
Il mercenario ormai le era particolarmente vicino e di sicuro l’avrebbe trovata, difatti la spinse contro al muro : “Presa! Ora basta con questa cazzata dai”
Lei restò in silenzio, aveva Jeff a pochi centimetri da lei, era decisamente più alto della predatrice, la sovrastava di una spanna almeno e lei poteva sentire il suo cuore come se le fosse salito in gola.
Lo voleva, voleva quel mercenario, terribilmente, non se lo sarebbe lasciato sfuggire, senza pensarci si alzò sulle punte e gli diede un bacio leggero sull’angolo della bocca, poi imbarazzata si ritrasse con la mente offuscata.
Fece per allontanarsi anche abbastanza in fretta quando Jeff si tolse rapidamente la benda e tirò la predatrice nuovamente a se, la sollevò dalla vita e la prese in braccio.


Dave si sentiva come morire, come se qualcuno l’avesse presa per i capelli e stesse cercando di farla affogare in un mare rosso e bollente di cui non riusciva a vedere le sponde, aveva le guance in fiamme e come se fosse la cosa più naturale del mondo mise le gambe intorno alla vita di Jeff.
Lui, le accarezzò con un dito la guancia e le labbra, aveva le mani ruvide e morbide al tempo stesso, la guardò negli occhi : “Dave…” furono le uniche parole che pronunciò prima di avventarsi sulle sue labbra come un cane che non vede un brandello di carne da giorni.
Le sue labbra erano aggressive e la sua lingua tagliente, Dave non avrebbe potuto desiderare di meglio.
Si sentiva tremare, aveva caldo, un caldo infernale, strinse le gambe intorno alla vita del mercenario mentre con le mani gli accarezzava piano il viso e la nuca.
Jeff nel frattempo era scivolato con la mano dietro la schiena di Dave giocherellando con l’allacciatura della sua armatura leggera, fino a che lo schiocco metallico tipico della painspike non lasciò intendere che la parte di sopra dell’armatura era appena stata slacciata, con la stessa mano fece scivolare il pezzo metallico lungo il corpo della predatrice fino al momento in cui cadde a terra con un rumore tintinnante.
La porta si spalancò di botto con un rumore sordo e una donna entrò nella stanza reggendo tra le mani quelle che sembravano delle catene.
Jeff lasciò quasi cadere Dave  in terra, la quale, in un misto di terrore e imbarazzo si coprì il seno con una mano e con l’altra raccolse da terra il pezzo superiore della painspike.
Jeff tossì distrattamente mentre la donna fissava la scena quasi interessata : “Benissimo! –esordì- Voi tornerete molto utili alle Twin Sisters, devo dire  che le erbe essiccate che avevate nel piatto hanno fatto il loro effetto”
Jeff le ringhiò contro : “Che cazzo ci hai messo in quel piatto?”
La donna ridacchiò: “Ehi, non ti scaldare, consideralo un aiutino, no?- mentre parlava porse ai due ragazzi due collari legati a due catene molto spesse delle quali teneva le estremità – Indossateli, forza, le Twin Sisters vi aspettano”


Dave fu la prima, dopo essersi ricomposta, ad avvicinarsi al collare, prenderlo a due mani ed ad indossarlo, non disse niente però, non esortò Jeff a fare lo stesso talmente le sembrava surreale la situazione, rimase con la testa bassa e le guance rosse per l’imbarazzo.
La donna ,che aveva precedentemente fatto irruzione nella stanza, si rivolse a Jeff con voce più seria : “Forza, indossalo.”

 

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Capitolo 11
*** Quando ci vedi doppio e non hai bevuto...non ancora ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo XI- Quando ci vedi doppio e non hai bevuto... non ancora

Jeff Callaghan
 
Twin Sisters Den                                                                                5 Settembre 2275

 
Che cosa stava facendo? Cosa? Se il loro carceriere non fosse entrato sarebbe andato fino in fondo? Ne era certo? Forse sì, forse no, fatto sta che l’aveva baciata, di sua volontà, l’aveva quasi spogliata e nella sua mente aveva fatto il resto.
“Avanti Jeff, che cazzo ti prende?!” sentiva che l’aiutino messo nel cibo era colpevole fino ad un certo punto, aveva più che altro amplificato qualcosa che già si celava dentro di lui. Guardò Dave ma la ragazza abbassò subito lo sguardo, arrossendo: l’essere colta in flagrante l’aveva mandata nel panico e anche lui non si sentiva esattamente a suo agio.
 
Perché? Avrebbe voluto ragionare di più sulla questione, sul perché, il come, fin dove si sarebbero spinti etc ma la voce della donna fu come una secchiata d’acqua gelida:
- Ehi, sottospecie di soldato, avanti, le twin sisters non hanno tutta la giornata – borbottò e tirando la catena che penzolava dal collare, che aveva dovuto “gentilmente” indossare, lo strattonò puntando all’immenso corrodoio che si stagliava oltre la porta della loro cella.
Stranamente era calato un profondo silenzio in tutta la struttura, disturbato lievemente dal ronzio incostante dei neon e da qualche rumore distante, flebile eco di qualche ombra.
Dave camminava al suo fianco, mantenendo una leggera distanza, a testa bassa e non aveva proferito più parola da quando erano stati interrotti. Si stringeva nelle spalle e sembrava turbata o comunque molto, troppo pensierosa.
 
Ignorando i continui strattoni della donna carceriere che avanzava col suo passo incerto si avvicinò alla predatrice quel tanto che bastava per sussurrare:
- Si può sapere che ti è preso? - la ragazza non rispose.
- Allora? Stando zitta non risolverai nulla – aggiunse.
- E me lo chiedi anche? Dopo quello che è successo... – mormorò restando a testa bassa.
- E’ stata colpa di quelle dannate spezie... io non volevo... – non finì la frase, voleva congedare la faccenda velocemente, ma non ci riuscì, sentiva l’amaro in bocca.
- Già, colpa delle spezie...- le fece eco lei.
Si morse le labbra nell’udire quella risposta e stava per controbattere ma la donna lo interruppe:
- Smettetela voi due, risparmiate il fiato per quando dovrete rispondere alle domande... e per il resto – si soffermò sull’ultima parola prima di sghignazzare.
Qualunque cosa intendesse con “Il resto” non doveva essere niente di buono, ma d’altronde ormai ne avevano passate di cotte e di crude quindi perché preoccuparsi?
 
 
Avrebbe voluto chiarire la situazione con Dave, ma le circostanze non lo permettevano così cercò di mettersi l’anima  in pace e continuò a camminare in silenzio, impaziente di chiudere quell’ennesima faccenda fuori dall’ordinario.
Finalmente giunsero davanti all’enorme portone e due guardie gli sbarrarano la strada: indossavano i resti di alcune armature atomiche della confraternita d’acciaio, rattoppate con pezzi di altre corazze, e imbracciavano rispettivamente un’alabarda fatta con rottami metallici e un fucile a pompa.
Fissarono prima loro e poi la donna che si limitò a fare un cenno della testa.
Le due guardie si spostarono senza fiatare e aprirono il portone che cigolò leggermente.
La sala in cui entrarono doveva essere stata al tempo la sala macchine di quell’immensa fabbrica sotterranea, ma proprio come la loro cella era stata trasformata e arredata da zero: drappeggi color porpora lungo le pareti, colonne di metallo e acciaio che ricordavano quelle corinzie degli antichi greci, candelabri e altri pezzi d’arredamento recuperati chissà dove e a terra un lungo tappeto rosso circondati da altri più piccoli che sfociavano sempre in colori caldi e profondi.
Non vi erano dubbi, sembrava una dannata sala del trono e ironicamente i due troni posti contro la parete confermavano quell’affermazione.
 
Dave si lasciò scappare un flebile “wow” davanti a quella pittoresca visione e doveva ammettere che anche lui ne era rimasto colpito, non poteva negarlo.
La donna lasciò cadere le catene e si volse verso di loro:
- Avvicinatevi ai due troni e attendete lì, se provate a fare qualcosa, qualsiasi cosa, le due guardie che avete visto prima non ci penseranno due volte a farvelo rimpiangere. Sono stata chiara? – entrambi annuirono e si incamminarono lentamente nella posizione indicata.
Il loro respiro e il crepitare delle fiamme sui candelabri erano gli unici suoni nell’immensa sala e non c’era alcuna traccia delle fantomatiche Twin Sisters.
- Odio aspettare – sbottò la predatrice facendo tentennare la catena ai suoi piedi.
- Dillo a me, non so che farei per una sigaretta – rispose sospirando.
- Saresti disposto a fare qualsiasi cosa? – una voce femminile spuntò dal nulla e li fece sobbalzare.
Si guardò intorno per capire da dove provenisse e nella penombra della sala, accanto ai troni vide la flebile luce di una sigaretta accesa: era lì.
- Possiamo trovare un accordo – disse sperando che la donna si facesse avanti.
- Chi sei?! – chiese Dave con forza, tutto ad un tratto sembrava aver trovato la grinta di sempre, quella spavalderia quasi insana. Una piccola nuvoletta di fumo chiaro sbucò dalla penombra seguita da una risata.
- Abbiamo a che fare con personaggi di ogni genere, ogni giorno, eppure, due come voi non ci erano mai capitati. Siete davvero una coppia strana, Gwen aveva ragione –  finalmente la donna si mostrò:doveva avere poco meno di trent’anni, capelli biondo grano raccolti in una treccia, la carnagione chiara, e gli occhi, quello sinistro era verde e il destro azzurro. Occhi di colori diversi, non c’erano dubbi, eterocromia.
Indossava un’armatura di pelle ridisegnata con tanto di gonna laterale,stivaletti,  borchie e cinture che si intrecciavano tra di loro lungo le braccia e e intorno agli spallacci che si incrociavano sul petto lasciando spazio ad una lusinghiera vista e ciò che non veniva coperto dall’armatura era rivestito da un sottile strato di tessuto a rete realizzato appositamente per stuzzicare. Dall’orecchio non coperto dalla treccia pendeva un orecchino argentato che raffigurava una luna.
Entrambi rimasero senza parole nel ritrovarsela davanti, non si poteva certo dire che passasse inosservata.
 
- Avevi dubbi? Non sbaglio mai su queste cose. Alle volte sei davvero diffidente, Allison, dico sul serio – un’altra voce femminile, la seconda figura sbucò da dietro i troni metallici ed era in tutto e per tutto identica alla prima salvo per alcuni piccoli dettagli: la treccia cadeva sulla spalla opposta, l’orecchino raffigurava un piccolo sole,l’occhio verde era il destro e l’intero vestito non era in pelle bensì in un tessuto simile alla seta, con tanto di pizzo e qualche merletto. La donna sorrise nel vedere le loro espressioni confuse e al tempo stesso stupite.
- Ti pare modo di entrare in scena? Hai fatto sparire tutta la suspence, tutto il pathos del presentarsi ai nostri nuovi ospiti, sciocca – osservò quella che doveva chiamarsi Gwen.
- Dovresti esser più diretta, cherìe – Allison fece un lungo tiro – Altrimenti prima o poi la gente si stancherà di tutta questa teatralità –  sorridendo si avvicinò a lui:
- Me la reggeresti un attimo? – osservò prima lei, poi la sigaretta, per una frazione di secondo Dave e poi ancora lei – Non avevi voglia di farti una sigaretta??? – non rispose alla domanda, semplicemente si limitò ad afferrare la sigaretta e iniziò a fumare, rimanendo in silenzio come la sua compagna di viaggio.
Allison gli diede le spalle e puntò direttamente verso Gwen che nel frattempo si era accomodata con nonchalance su uno dei due troni.
Le si affiancò e chinandosi le sfiorò le labbra con un bacio, Gwen sorrise e per un secondo la attirò a sé rubandole un altro bacio, più appassionato.
Dave aveva sgranato gli occhi nell’assistere alla scena e anche lui non era riuscito a rimanere indifferente.
Allison risolve lo sguardo verso di loro e accendendosi un’altra sigaretta fece scivolare la mano in mezzo ai seni, sfiorandoli con un tocco leggero.
- Io sono Allison e lei è Gwendolyn come avrete potuto capire, ma tutti in questa bella terra del cazzo ci conoscono con un solo nome: Twin Sisters – disse esibendo un inchino.
- Accativante e menefreghista – commentò Gwen fregandole la sigaretta per farsi un tiro, ma con estrema eleganza.
Lanciò un’occhiata a Dave e vide che era troppo presa a capire cosa diavolo fosse successo per poter parlare così cercò di fare mente locale e si fece avanti.
- Io sono Je...-
- Oh ma noi sappiamo chi sei, Jeff Callaghan, mercenario di Reilly e lei è Dave Campbell, una vivace predatrice delle rovine della bella DC. Corretto??-
- Corretto, cherìe – rispose Allison.
- Ma come...-
- Abbiamo molti occhi e orecchie in questa terra dimenticata, signor Callaghan. Posso chiamarti Jeff, sì? – le chiese Gwen e rabbrivì: pensava che quel genere di “educazione” fosse morta insieme al resto del pianeta a causa delle testate nucleari e non era abituato ad averci a che fare, perciò si limitò ad annuire.
All’apparenza quelle due potevano sembrare due schizzate che giocavano a fare le amanti regali, ma ad un secondo sguardo chiunque avrebbe capito che sapevano il fatto loro e che non c’era da scherzare.
“Che cosa facciamo?” era la domanda che trasmetteva lo sguardo di Dave e lui non aveva nessuna risposta valida, era alla mercé di quelle donne.
- Questo potrebbe sembrarti familiare – esordì Gwen sfilando qualcosa dalla tasca e lanciandolo ad Allison.
- Quando fai così sei davvero sadica, cherìe –
- Aspettare non avrebbe senso e poi sono impaziente – Allison sospirò e voltandosi verso di lui mostrò l’oggetto in questione: una catenina dalla quale pendevano delle piastrine ed un anello.
Non appena li vide si sentì mancare e le parole gli morirono in gola.
- Ma prima di parlare, dovremmo prima mettervi alla prova, dopotutto è la prassi. Non è così, cherìe? –
- Già – le fregò la catenina, la ripose tra le pieghe del vestito e sorrise – una sorta di iniziazione, nella nostra umile arena e dato che ti vedo provato, mio caro Jeff, che ne dici se facciamo inziare la vivace Dave? Che ne pensi Ally?-
- E sia-.


Dave Campbell

Twin Sisters Den                                                                               5 settembre 2275


Dave fissava le due donne, dovevano iniziare da lei a fare cosa? In che guaio si era cacciata?
La donna che li aveva accompagnati fino a lì si avvicinò ai due e con voce fredda si rivolse a Dave:

“Bene, ora tu vieni con me, ok? Andiamo in un posto poco distante, non ci si metterà molto, non ti preoccupare.”
Dave annuì, dopotutto non poteva reagire in altro modo visto che le guardie che li fissavano minacciosi lasciavano intendere che non ci fosse via di fuga.
Poi, la donna rivolse lo sguardo verso Jeff:
“Tu potrai assistere, le guardie ti porteranno al tuo posto sugli spalti”

Jeff fece per aprire bocca e dire qualcosa ma le due guardie lo afferrarono dalla catena trascinandolo via.
Dave, vedendolo portare via cosi, ebbe un sussulto, non gli davano neanche il tempo di salutarlo; E se non fosse uscita viva da quella prova? Così gridò:


“Ce la metto tutta, Jeff!”

Sperava che lui la sentisse, voleva veramente dargli un motivo per riprendersi, da quando Jeff aveva visto quella collanina con le piastrine e l’anello aveva cambiato completamente faccia, si era come spento e non poteva permettere che si lasciasse andare tra le mani di quel gruppo di squinternati.
La donna che era con lei tirò la catena e catturò la sua attenzione: “Dai, andiamo”.
Trascinò, così, Dave lungo un angusto corridoio scavato nella roccia e sorretto da impalcature di metallo, illuminato ai lati da torce di legno.
I passi delle due risuonavano come  vuoti nel corridoio, un eco profondo intervallato a tratti dal rumore delle gocce d’acqua che cadevano dal soffitto.
Camminarono per un tempo che parve interminabile, forse furono solo pochi minuti, ma a Dave parve un’eternità.
Ad un certo punto la donna si fermò: davanti a loro c’era un piccolo cancelletto un po’ arrugginito e storto dal dilà del quale veniva un gran frastuono.
“Ora, ti slego,  tu vai lì dentro e cerchi di non rovinarti troppo questo bel faccino” disse la donna liberandola dal collare.
“Senti, non voglio che tu muoia come un ratto di fogna –le sorrise- tieni, ti aiuterà” e porse alla predatrice del Jet. La ragazza con le mani tremanti prese il piccolo aggeggino di plastica, inspirando forte, la ringraziò sommessamente e la donna, senza dire una parola, si allontanò.

Dave passò il cancelletto che si aprì con un cigolio inquietante, aveva paura, una paura che la scuoteva fino nelle ossa.
Camminò per un piccolo tratto ancora più stretto e umido e di colpo una luce accecante la colpì. Si coprì gli occhi con entrambe le mani, era in una zona più vasta del corridoio e tutto intorno sentiva delle urla e degli strepiti.
Quando riacquisì la vista, finalmente capì dov’era: Era in una sorta di arena circolare, di diametro circa sei metri, recintata da un’altissima gabbia di rete metallica, dal soffitto della gabbia pendevano delle catene con dei ganci, simili a quelli che Dave usava all’accampamento coi predatori e l’odore di sangue stagnante era così forte che la ragazzina dovette trattenere un conato di vomito.


Dei fari erano puntati direttamente su di lei e le impedivano di vedere con chiarezza ma intravvedeva le Twin Sister sedute  e Jeff di fianco a loro, intorno a loro invece erano seduti su questi spalti arrangiati qualche centinaio di persone.

Di colpo la voce di Gwen risuonò in tutta l’arena “Ebbene Dave! Questo è il tuo momento, se dimostrerai coraggio in questa sfida e non ti farai ammazzare, io e Allison ti daremo la possibilità di farci una domanda, e così per ogni prova che porterete a termine, la sfida di adesso consiste nell’uccidere un ghoul ferale avendo a disposizione solo un coltello, puoi ritirarti, volendo ma se lo farai non avrai mai le risposte che cerchi, per cui, beh fai la tua scelta!”
Dave, come da copione rispose quasi ringhiando : “Accetto”
Una guardia di quelle che avevano visto all’ingresso varcò l’ingresso dell’arena e le lanciò un coltello, che cadde a terra con un rumore tintinnante, per poi sparire.

Improvvisamente di fronte a lei una parte della gabbia si sollevò liberando un ghoul che come la vide iniziò a correre verso di lei.
Dave era spaventata, aveva gia incontrato un ghoul ferale qualche giorno prima nelle metropolitane e l’incontro non era stato dei migliori.
Senza darle il tempo di reagire la bestia le si buttò al collo facendola cadere a terra e cercando di morderla, aveva un odore fetido e penetrante che faceva venire le lacrime agli occhi, le stringeva le braccia con le mani all’altezza del gomito, così forte che Dave non riusciva piegare il braccio per ferirlo col coltello.
Presa dal panico gli tirò una ginocchiata nel bassoventre e la bestia si ritirò velocemente verso il bordo opposto della gabbia.
 Il sangue le ribolliva nelle vene, aveva bisogno di ucciderlo e di farlo subito il Jet iniziava a farsi sentire, sentiva come dei coltelli che le bucavano lo stomaco e la pelle quasi scottare.

Uccidere,sangue, voleva il sangue.
Corse verso il ghoul urlando con tutto il fiato che aveva in gola e la bestia dal suo angolo le rispose con quello che sembrava un misto tra un grido e un ruggito. Lì nell’angolo era in trappola. Dave sapeva che non sarebbe potuto scappare e gli prese la gola con la mano serrando bene le dita, il ghoul iniziò a scavare con le unghie nel suo braccio nel tentativo di liberarsi mentre iniziava a boccheggiare.

Strinse bene il coltello nella mano e con un colpo netto gli recise la carotide provocando uno schizzo di sangue irradiato che le insudiciò il viso, il collo e le braccia.
Lasciò la presa e il corpo dissanguato si riversò sul pavimento in una pozza di sangue.

Dave si girò trionfale verso le Twin Sister, si spostò una ciocca di capelli dal viso sporco di sangue e un gran frastuono si alzò da gli spalti.
Allison dal suo trono dietro la gabbia annunciò : “Per completare la prova devi appendere il cadavere su quei ganci,così che tutti possano sincerarsi che sia effettivamente morto.”
Dave,rabbiosa, ancora sotto l’effetto del Jet le rispose: “Questo è un cazzo di sadismo personale, si vede che è morto porca troia – e sferrò un calcio in pieno cranio al ghoul - non mi arrampicherò come una fottuta acrobata per compiacervi!”


“Bene, allora non considero la sfida portata a termine” rispose secca Allison.


“Dave ti prego, fa’ quello che ti dice, fallo per me.” Jeff si era avvicinato alle grate aggrappandosi con le mani ad esse, aveva la voce tremante e gli occhi lucidi. Dave gli sfiorò la mano con le dita ancora insanguinate come se volesse tranquillizzarlo, poi esordì: “Solo perché me lo dice lui, sadiche di merda!”

Non voleva prendere il cadavere in spalla o tutto il sangue che ancora gli rimaneva in corpo si sarebbe riversato su di lei, così infilò due dita nel taglio sul collo e iniziò ad arrampicarsi sulla rete, la mano incastrata nelle grate diventava bianca all’altezza delle nocche per il peso che stava trasportando, ma non si perse d’animo e decise che per Jeff lo avrebbe fatto, doveva farcela.

Quando raggiunse l’altezza necessaria per poterlo appendere si trovò nella situazione in cui non poteva staccare la mano libera altrimenti sarebbe caduta, così allungò direttamente la mano che sosteneva il cadavere a penzoloni lasciandolo quasi scivolare sul gancio metallico, dopo essersi assicurata che la carogna sarebbe rimasta ferma appesa scese rapidamente dalla grata.
Una volta scesa trovò una guardia ad aspettarla, che, silenziosamente, la legò col collare e la portò al cospetto delle Twin Sister.

Dave non appena rivide Jeff gli si gettò al collo : “Credevo sarei morta, Jeff.”
“La tua domanda” Chiese secca Gwen, interrompendoli bruscamente.
“Chi siete?” fu l’altrettanto secca risposta.
“Noi siamo la luce e l’oscurità, possiamo essere il bene e il male. Troppo teatrale? No, non in questo mondo dimenticato da Dio e anche da chi ci vive. In questa landa desolata siamo ciò che vogliamo, siamo ciò che ti meriti di vedere, non è forse così? L’Enclave e la Confraternita inseguono i loro ideali con forza e dedizione, noi...beh... lo facciamo a modo nostro. Perché? Perché noi siamo le Twin Sisters e siamo le due facce di questo mondo. ”



 

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Capitolo 12
*** Il mondo è finito, ma può crollarti sempre addosso ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo XII- Il mondo è finito, ma può crollarti sempre addosso

Note dell'autore: Ed eccoci giunti al XII episodio/capitolo. Innanzitutto, vi ringraziamo ancora una volta, uno per uno,perché continuate a seguirci e a sostenerci. Non voglio perdermi in troppe parole, il capitolo parla già da sé, voglio solo dire che dopo tutta la sfiga e l'ironia vista fino ad ora nella storia ci ritroviamo in un momento in cui i protagonisti si ritroveranno a fare i conti con la propria umanità e con tutte le relative conseguenze. Cosa ne uscirà?
Buona lettura!

Snow & Madame


Jeff Callaghan                                  
 
Twin Sisters Den                                                                                5 Settembre 2275

 
Dave aveva superato la “prova”, che altro non era se non uno scontro brutale con un ghoul in una dannata gabbia da arena.
Le Twin Sisters avevano appena dimostrato di conoscere la brutalità tanto quanto conoscevano l’eleganza e l’eloquenza.
Non erano persone da sottovalutare, ora ne aveva avuto la certezza.
Poi c’erano le piastrine con l’anello: non poteva essere ciò che pensava, era umanamente impossibile, eppure non appena le aveva viste era trasalito, si era sentito mancare, perché erano troppo simili alle sue.
Continuava a fissare il vuoto e a riflettere mentre Allison rispondeva alla domanda fatta dalla predatrice: loro non potevano conoscere il suo passato, nessuno lo conosceva a parte Reilly e i ragazzi della compagnia, anche Dave era all’oscuro di quel pezzo dimenticato della sua vita.
L’anello eppure era appeso a quelle piastrine.
Una parte di lui era morta quel giorno all’ospedale di Nostra Signora della Speranza e quella parte continuava a morire ogni volta che il ricordo riaffiorava dal whiskey in cui cercava invano di annegarlo.
 
Non aveva passato gli ultimi due anni a sputare sangue, bere whiskey, e consumare pallottole tra le macerie di DC per crollare come un castello di carte davanti a delle piastrine. Doveva essere uno scherzo di cattivo gusto, non c’erano altre spiegazioni.
- Vuoi che ti lasciamo altri dieci minuti a riflettere, signor Callaghan? – la voce calda e suadente di Gwen lo fece tornare in sè e si volse verso di loro: Dave lo stava fissando alla ricerca di qualcosa, uno sguardo di comprensione? O forse di approvazione per quello che aveva fatto? No, quello era lo sguardo di chi si sente all’improvviso fragile e ha bisogno di scomparire nelle braccia di qualcun’altro... conosceva bene quella sensazione, la provava ogni volta che uccideva qualcuno, anche in minima parte dentro di sé quella voce urlava senza alcun ritegno.
 
Ricambiò lo sguardo della predatrice e gli lanciò un mezzo sorriso:
- Sei stata bravissima, al resto ci penso io – le aveva sussurrato prima che fosse allontanata da una delle guardie.
- Dove la state portando?! – chiese cercando di avvicinarsi alla ragazza ma Allison gli si parò davanti.
- Calmati soldato, la stanno solo accompagnando a darsi una ripulita, non vogliamo mica che assista al tuo turno sporca di sangue, ti pare? Siamo persone civili – sghignazzò sfiorandogli il mento con la punta delle dita.
 
Rimase in silenzio e lanciò uno sguardo alla gabbia in cui poco prima aveva combattuto Dave: il cadavere del ghoul penzolava ancora dal gancio imbrattando il pavimento col suo sudicio sangue. Cosa lo aspettava?
- E’ inutile che guardi quella gabbia, Jeff, posso chiamarti Jeff, no? – annuì senza distogliere lo sguardo dal piccolo campo di battaglia.
- Se stai cercando di capire quale sarà la tua prova sei sulla strada sbagliata, mio caro Jeff. Avremmo voluto attendere ancora un pò per far aumentare la suspence e il pathos, ma visto che sei così impaziente ci andremo subito – Gwen sorrise e quel sorrise lo spiazzò: non era sadico o cinico, no, sembrava più malinconico e carico di comprensione.
- Guardie, accompagnate il signor Callaghan nell’arena n°3 e consegnategli le sue armi, mi raccomando trattatelo bene, deve essere in forma – esordì Allison allungando un braccio sui fianchi di Gwen e incamminandosi verso un corridoio opposto a quello in cui le guardie lo stavano trascinando.
 
Era stato così preso a capire cosa lo aspettasse che si era completamente dimenticato di chiarire la questione delle piastrine con le Twin Sisters: poco male, meno ci pensava e meglio era, una volta superata la prova avrebbe usato la sua “domanda di ricompensa” per svelare il mistero che si celava dietro di esse.

Le due guardie lo trascinarono, non senza strattonarlo, lungo un corridoio angusto e quasi al buio, per qualcosa come cinque minuti, anche se là sotto la percezione del tempo era distorta e poteva esserne passato tranquillamente uno come anche dieci.
Finalmente giunsero alla fine del corridoio e fu quasi accecato dalla luce che illuminava l’arena n°3: era grande almeno tre volte la gabbia in cui aveva combattuto Dave, forse di più, puntellata di muretti e altri punti in cui nascondersi, mentre in alto gli spalti erano già gremiti da una folla delirante e bramosa di sangue e foga.
 
Le guardie lo liberarono dal collare per poi spintonarlo all’interno dell’arena, lanciandogli ai piedi una pistola 9mm e quella che sembrava una vecchia spada da ufficiale, chiudendogli infine la porta in faccia con tutta la grazia di questo mondo e dell’altro.
Guardò le armi a terra e gli partì un fischio di stupore: se a Dave avevano dato un misero coltello per combattere contro un singolo ghoul, contro chi o cosa doveva combattere lui con quel piccolo arsenale?
Si chinò a raccogliere le armi, infilando la lama nella cintola della divisa come se fosse stata una rudimentale fodera e controllò lo stato della pistola constatando che il caricatore era pieno. Non ne aveva altri, quindi c’erano solo undici proiettili a disposizione, se li sarebbe fatti bastare.
Si rialzò e sulla sinistra, da una balconata drappeggiata di porpora e oro spuntarono le Twin Sisters, seguite da Dave che sembrava preoccupata e agitata al tempo stesso.
 
Allison si accomodò su uno delle due poltrone mentre Gwen si avvicinò al parapetto:
- Le parole sono fiato sprecato in queste circostanze, non è forse così? – un boato di approvazione riecheggiò nell’arena – Il mercenario Jeff Callaghan affronterà la sua prova. Se ne uscirai vivo, mio caro Jeff – esordì mostrando le piastrine con l’anello – Avrai tutte le risposte che cerchi, anche quelle che nascondi a te stesso – quell’ultima frase lo aveva lasciato perplesso, ma non aveva tempo di pensare.
- Che entri l’avversario! – un suono simile ad un corno tuonò nell’arena e da una delle balconate in rovina apparve una figura esile completamente ricoperta da un’armatura in pelle. Anche il viso era coperto da una maschera, proteggendo l’identità del suo avversario.
Con la coda dell’occhio notò che l’armatura cercava di nascondere alcune “forme”, dunque il suo avversario era una donna.
Poco male, non poteva avere pietà o ripensamenti, non in quelle circostanze.
La donna si lanciò dalla balconata ed atterrò nell’arena, sfoderando un piccolo arsenale come il suo. Perlomeno si potevano definire alla pari.
 
Sguainò la spada impugnandola con la sinistra e stringendo la pistola nella destra. Avrebbe chiuso la faccenda in fretta.
- Iniziate! – esclamò Gwen e non se lo fece ripetere, lanciandosi dietro una delle protezioni visto che la sua avversaria aveva da subito iniziato a fargli piovere piombo addosso.
Lanciò una breve occhiata e sparò due colpi nella direzione da cui provenivano gli spari. Gliene rimanevano 9.
Si lanciò rotolando verso la protezione più vicina e prendendo la mira tentò di colpire la donna ma il proiettile si infranse contro il cemento di uno dei muretti: era veloce, più di quanto si aspettasse. 8 proiettili.
La donna sparò un’altra raffica e sentì i calcinacci volare a terra, doveva muoversi o avrebbe fatto la fine di una groviera.
Continuando a muoversi rannicchiato si spinse verso il centro dell’arena cercando di ricordarsi quanto colpi aveva esploso il suo avversario: 6 fino a prova contraria, quindi gliene rimanevano 5 e doveva farglieli consumare senza morire.
La vide sgattaiolare verso la sinistra del campo di battaglia e sparò una piccola salva da tre colpi mancandola di qualche centimetro. Solo 5.
Si morse le labbra per non esserci riuscito e sentì i sibili dei proiettili vicino all’orecchio destro. La donna stava ricambiando il favore.
Dave restava immobile come una statua sulla balconata, con la mani sulla bocca, probabilmente le avevano intimato di non aprir bocca durante lo scontro.
Tentò di sbirciare ma altri pezzi di cemento esplosero vicino alla sua testa. Quella maledetta aveva una buona mira. Doveva metter fine allo stallo alla messicana in cui era finito.
Ormai erano finiti entrambi al centro dell’arena e presto si sarebbero ritrovati faccia a faccia, era tempo di agire: fece finta di sfilare il caricatore, come se stesse per ricaricare, facendo sentire bene il sibilo metallico, e al tempo stesso si alzò di scatto infilandolo di nuovo nel calcio della pistola, sparando gli ultimi cinqui proiettili.
Come aveva sperato la donna aveva creduto che stesse ricaricando e, volendo approfittare del presunto momento di debolezza, si era alzata ritrovandosi nella sua linea di tiro.
 
Essendo stata una mossa azzardata quattro colpi erano andati a vuoto ma uno aveva colpito il suo avversario alla guancia, lacerando parte della maschera.
Lasciò cadere la pistola e impugnò la spada con la mano destra, pronto a concludere lo scontro quando la donna si levò la maschera e qualcosa dentro di lui morì:
capelli castani corti e un pò mossi, occhi color nocciola dai riflessi ambrati e labbra sottili. Un piccolo neo vicino all’orecchio destro che spiccava sulla carnagione chiaria.
- Lucy... – la donna impassibile impugnò la spada con entrambe le mani e si scagliò con violenza verso di lui urlando.
Tutto accadde in un battito di ciglia:  Lucy era davanti a lui, con gli occhi sgranati e le labbra contorte in una piccola smorfia di dolore. L’aveva trafitta con la spada nel ventre e l’armatura di pelle si stava impregnando di sangue.
- Perché, Lucy... perché? – la donna lo aveva passato da parte a parte vicino alla spalla sinistra e una piccola pozza di sangue si stava formando a suoi piedi.
Nonostante la polvere e la ferita sulla guancia era bella, proprio come quando l’aveva conosciuta, proprio come quel giorno all’ospedale prima che il mondo finisse di nuovo.
Cercò di accarezzarle la guancia con la mano sinistra, sentì Dave urlare, la folla scoppiare in un boato di schiamazzi e urla.
Non c’è tempo per i sentimenti in un mondo fatto a pezzi.
Riuscì a vedere una piccola lacrima scivolare sulla guancia della donna e cadere sulla polvere dell’arena e la seguì, cadendo lui a sua volta come una lacrima.


Dave Campbell

Twin Sister’s Den                                                                                                                                            5 Settembre 2275


Jeff giaceva lì, nell’arena, accasciato di fianco al corpo agonizzante della donna che aveva dovuto combattere, il sangue dei due imbrattava il pavimento e l’unico suono che veniva dall’arena era il flebile respiro di entrambi che trasudava dolore: per Dave questa era davvero una scena pietosa ed era ancora più pietoso restare lì a guardare tutto questo senza poter fare nulla, dietro le sbarre, legata al collare da una guardia come un animale.
Guardò le due donne che avevano organizzato tutto questo, erano semplicemente sedute con un sorriso stampato in faccia, Allison stava addirittura mordicchiando dolcemente il collo di Gwen come se la scena non le turbasse affatto, anzi, le avesse eccitate.

“Come potete restare lì a sorridere guardando tutto questo?!” Dave sentì il sangue ribollire dalla rabbia, non potevano davvero non provare nulla davanti a tutto questo.
Le Twin Sister si voltarono verso di lei, insieme, e Allison scoppiò in una fragorosa risata: “Proprio tu dici questo? Eh predatrice? La gente come voi vive di questo, razziate la povera gente, li stuprate e poi li uccidete senza pietà e ora sei qui a piangere come un vitello per il tuo amichetto- si fermò un secondo, fece un respiro profondo e poi, come avesse cambiato idea continuò- Comunque non ti preoccupare, tra poco li porteremo in un posto dove verranno accuditi e curati.”
“Tra poco? Ma dico ma siete matte? Se non lo aiutate subito morirà!” La voce le graffiava in gola, un senso di ansia le stava stringendo il petto, fece per scagliarsi contro di loro ma il collare le strinse ancora di più sul collo quasi soffocandola e dovette ritornare sui suoi passi con estrema riluttanza. Era vero, la gente come lei stuprava e uccideva per divertimento, ma lui era Jeff e questo cambiava di molto le cose.
Il mercenario intanto era semiseduto per terra e ansimava profondamente, stava perdendo sangue e il suo volto era pallido, Dave si attaccò con le mani alla gabbia dell’arena e iniziò a scuotere le grate, aveva gli occhi lucidi di lacrime: “Jeff! Jeff! Cazzo, mi senti? Ti prego dimmi che riesci a sentirmi!”
Nessuna risposta
Dave si voltò di scatto verso le due donne e con voce tremante sussurrò: “Vi prego… Fate qualcosa, vi supplico salvatelo”.
“Era ora che iniziassi a comportarti con rispetto, ragazzina- esordì Gwen con quella voce acidula che la caratterizzava- visto che siamo gentili porteremo il tuo amichetto via in un posto dove potrà riprendersi”
Jeff venne portato via da due uomini corpulenti e le Twin Sister si rivolsero a Dave quasi dolcemente: “Vuoi vederlo?”.
Dave annuì silenziosamente.
 
Venne condotta in questo corridoio lungo, appena illuminato da delle piccole lampade ad olio, le due donne la precedevano ancheggiando, nel silenzio del corridoio si sentiva solo il rumore dei loro passi e della catena che portava al collo.
Camminarono a lungo, quel posto era un vero e proprio labirinto, una serie di corridoi malamente illuminati, collegati l’un l’altro da stanze alcune più grosse e altre più piccole ma tutte rigorosamente chiuse da porte e cancelletti arrugginiti.
Finalmente si trovarono davanti a quello che doveva essere il portone che li avrebbe condotti da Jeff.
Due guardie ai lati della porta si drizzarono sull’attenti quando videro arrivare le Twin Sister e spalancarono i portoni. Quello che si parò davanti agli occhi di Dave fu una stanza enorme, con molti letti tipo vecchio ospedale, delle luci molto forti illuminavano tutti gli oggetti rendendoli asettici, era il posto più pulito che tutta la Zona Contaminata avrebbe potuto mai vantare, certamente, i letti erano un po’ dismessi e molte cose erano fracassate in terra ma nel complesso Dave rimase molto sorpresa, le sembrò quasi di essere su un altro pianeta ma il pensiero di Jeff non le abbandonò la mente neanche per un secondo, sbirciava dietro le tendine strappate cercando disperatamente il mercenario.
La guardia le slegò il collare e lei lo ringraziò con un sorriso e un cenno della testa.


Finalmente lo vide, Jeff, sdraiato su una di quelle brandine dismesse. Il volto cinereo e sudato, le mani serrate e delle profonde occhiaie gli solcavano il viso. Aveva poi una fasciatura più o meno fatta bene intorno al braccio e al petto dalla quale traspariva il sangue che aveva perso.
Di fianco a lui, sdraiata, c’era la donna contro cui aveva dovuto combattere, ferita quasi mortalmente, anche lei bendata con gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore, i capelli le scendevano a ciocche sul viso e sulle spalle. Era bella, così bella che Dave ebbe l’impulso di baciarla a fior di labbra, poi però realizzò di ciò che aveva fatto a Jeff e ebbe il profondo desiderio di strangolarla fino a che non avrebbe visto il suo viso perlaceo diventare di un delicato color blu.


Scosse la testa
Ora doveva pensare a Jeff, al suo mercenario, si gettò verso di lui e lo sollevò dal lettino stringendolo forte a se : “Jeff… dimmi che stai bene… Ti prego, ho bisogno di sentirtelo dire”
Il mercenario aprì leggermente gli occhi e la guardò, schiuse la bocca : “ L-Lucy…-sussurrò faticosamente- C-come sta?”

Dave ebbe un brivido, Lucy cosa c’entrava adesso? Perché stava cercando questa donna mentre lei era lì a preoccuparsi per lui?

“Jeff, ci sono qui io ora… Stai delirando, ti prego parlami, parla a me!”
Il mercenario allungò la mano e sfiorò il braccio della donna che aveva cercato di ucciderlo nell’arena: “Lucy..”


Quella donna era Lucy? Ecco il perché le Twin Sister avevano quella collanina con le piastrine, avevano Lucy.
Dave sentì la rabbia iniziare a crescerle nel petto, lei era stata lì con lui, si erano tenuti compagnia, nella cella lui aveva… “Merda” -ringhiò Dave- come aveva potuto? Lei era lì e lui chiedeva di Lucy e poi le aveva sfiorato il braccio.
Scosse la testa
Pensò alla persona che stava diventando, cosa le stava succedendo? Lei, che era sempre stata senza cuore, non le era mai importato di niente e nessuno ora era qui a pregare per le attenzioni di un mercenario morente.
“Jeff, sta riposando, forse non ce la farà mai, è già tanto che sia arrivata qui ancora respirando ti rendi conto?”
Il mercenario si lasciò sfuggire una lacrima che Dave prontamente asciugò col dorso della mano: “Ora non fare il bambino, lo sai che qui è difficile sopravvivere!”
Jeff non rispose, continuava a fissare la donna sdraiata, senza proferire una parola.
“Jeff, mi guardi?” la sua voce iniziava a farsi più alta con una nota di astio.


Due mani l’afferrarono dalle spalle, era quella che doveva essere l’infermiera, una donna non molto alta ma grassoccia con due braccia da contadino.
Si rivolse a Dave con una voce nasale: “Evidentemente il nostro ospite non ti gradisce ora ti porto via” di scatto la predatrice le tirò una gomitata alla bocca dello stomaco, poi si voltò di scatto: “Tu non mi porti da nessuna cazzo di parte io voglio stare qui.” La donna rimase piegata tenendosi la pancia con le mani.
La guardia che prima l’aveva slegata ora la rincorreva con il guinzaglio per cercare di afferrarla,  Dave scappava come un animale impazzito su e giù per la stanza buttando all’aria vassoi coi ferri e ribaltando le fragili brandine in metallo creando un frastuono assordante.


Ad un certo punto sentì un grido straziante provenire dalla brandina di Jeff, Gwen era in piedi davanti a lui e gli stava premendo due dita nella ferita.
Dave si immobilizzò.
“Brava ragazzina, non vuoi che il tuo amico soffra vero?”
Dave fece cenno di no con la testa
“Allora torna qui, da brava, fatti legare.” La predatrice si avvicinò mesta alla guardia che le strinse il collare con violenza.
“Questa me la paghi, bastardo” ringhiò contro Jeff.
 


 

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Capitolo 13
*** Tutto ha un inizio, tutto ha una fine...anche tu. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo XIII- Tutto ha un inizio, tutto ha una fine...anche tu.
 

Jeff Callaghan                                                                            
 
Twin Sisters Den                                                                              5-6 Settembre 2275

 
L’ultima cosa che ricordava era Dave che gli urlava che gliel’avrebbe fatta pagare mentre veniva trascinata fuori dall’infermeria, seguita dalle Twin Sisters, le quali le avevano intimato amichevolmente che sarebbe andata a trovare il suo “amico di latta”.
Dopodiché fu avvolto dall’oscurità e dal silenzio, effetti collaterali della morfina e di chissà quale altro farmaco gli avevano dato.
Quando si riprese era ancora steso in quel dannato lettino dell’infermeria e non c’era traccia di nessuno, c’erano solo lui e Lucy. Quanto tempo era passato?
All’improvviso si ricordò tutto quello che era successo nelle ultime ore: lo scontro con la sua avversaria, lei che si toglieva l’elmo, quel volto, Dave che urlava e poi il dolore al petto.
Una fitta di dolore lo fece piegare in due. L’avevano ricucito e fasciato per bene, probabilmente l’avevano imbottito di stimpak e altra roba, ma non si sarebbe ripreso facilmente da quella ferita, sarebbe stato ben felice di smentire quel pensiero.
Il ronzio dei neon che illuminavano la stanza lo stavano facendo impazzire, avrebbe voluto lasciare quel luogo e andarsi a buttare su un vecchio materasso in qualche sgabuzzino dimenticato da Dio, al buio.
 
Normalmente avrebbe subito pensato di farsi un goccio, ma l’idea del whiskey in quel momento gli dava la nausea, perciò accantonò il pensiero.
Volse lo sguardo verso sinistra, evitando di mettersi su un fianco per non vedere di nuovo le stesse, e la vide: Lucy giaceva nel letto accanto al suo, collegata ad alcuni macchinari, caduta in un profondo sonno. Alcune flebo scivolavano lungo le braccia fino ad infilarsi nei polsi come serpenti invisibili e alcune erano piene di sangue.
Vedere il volto della donna che amava pallido come un cadavere fu più doloroso della ferita che lei stessa gli aveva inferto: perché l’aveva attaccato? Perché non l’aveva riconisciuto? Ma soprattutto come diavolo faceva ad essere sopravvissuta quel giorno?
Troppe domande, troppi pensieri, iniziava a sentire il principio di un fottuto mal di testa. No, doveva fare mente locale, ragionare ed ignorare il dolore, cercare di capire come fosse finito in quello schifo.
Aveva trafitto la donna che amava, no, la donna che aveva amato: Lucy era morta quel nefasto giorno all’ospedale di Nostra Signora della Speranza in quella missione che si era tramutata ben presto in una battaglia per la sopravvivenza.
Erano passati due anni, due anni del cazzo in cui aveva passato ogni singolo giorno a cercare di accettare l’accaduto, con scarsi risultati, nonostante il supporto di Reilly e del resto della compagnia.
 
Negli ultimi mesi sembrava che finalmente ci stesse riuscendo, fino ad oggi.
Lucy era lì, ridotta uno schifo, proprio come lui, e qualche ora prima avevano tentato di farsi fuori a vicenda.
“Tutto ciò non ha un cazzo di senso...fanculo”
Non riusciva a pensare ad altro, così si fece forza e si mise a sedere, non senza tirar giù tutti i santi per le fitte di dolore e le dannate flebo che sembravano più catene che altro. Dopo aver fatto un profondo respirò tentò di alzarsi e al terzo tentativo ci riuscì.
Con calma si avvicinò a lei e le sfiorò la guancia con la punta delle dita: era proprio come se la ricordava, a parte il pallore mortale non era cambiata di una virgola e questo non faceva che aumentare la confusione, la rabbia e l’amarezza in quel momento.
- Lucy – non sapeva se era finita in coma a causa del trauma e della perdita di sangue, ma il desiderio di parlarle per capire qualcosa non riusciva a farlo rimanere lucido.
- Lucile, non lo senti l’aroma del caffè? – quella era la frase con cui di solito la svegliava al mattino, prima della classica ronda con Donovan o Brick, e funzionava più di qualsiasi altra sveglia. Lei amava il caffè.
Ripensare a quei giorni gli fece venire gli occhi lucidi, ma si trattenne, non era il caso.
 
Aspettò qualche secondo in attesa ma niente, stava per perdere le speranze quando vide la mano muoversi e la donna iniziò ad aprire lentamente gli occhi.
- Lucy! – un mezzo sorriso gli increspò le labbra ma scomparve subito: la donna sgranò gli occhi nel vederlo e iniziò a dibattersi facendo sbattere le flebo contro i macchinari e le aste, urlando come una forsennata.
Arretrò di alcuni passi, incredulo, ma se la ritrovò davanti peggio di un fantasma, come se non fosse mai stata ferita: aveva uno strano alone ambrato intorno alle pupille ed era riuscita ad impugnare uno dei bisturi abbandonati sul carello medico lì vicino.
- Dannazione, si può sapere che diavolo ti è preso? Sono io! Sono Jeff! – le urlò contro, ma Lucy non sembrava darle ascolto, in preda a quella sorta di follia, e come risposta tentò di accoltellarlo.
Schivò l’affondo ma sentì una fitta atroce: normalmente si sarebbe mosso con estrema agilità senza troppi problemi, ma in quel caso era reduce di una brutta ferita e in piena convalescenza.
Barcollò di lato e portò una mano vicino alla spalla, un altro paio di quelle schivate azzardate e sarebbe svenuto per il dolore o peggio ancora i punti si sarebbero riaperti.
Lucy ripartì all’attacco, tirandosi dietro le flebo che si staccarano come piccoli fili di seta, tentando affondi su affondi, agitando il bisturi peggio di una spada.
Continuò a schivare gli attacchi della donna, cercando di capacitarsi di quanto stesse accadendo, ma non aveva il tempo materiale di pensare e ad ogni schivata il dolore si intensificava.
Imprecò quando indietreggiando finì per inciampare sul carrellino medico trascinandoselo dietro, spargendo utensili medici su tutto il pavimento.
 
Lucy gli si scagliò addosso, ma lui reagì prontamente e gli bloccò la mano con cui impugnava quell’arma rudimentale, iniziando a rotolare, contendendosi il bisturi con calci e pugni.
In quella sorta di rissa mal riuscita il gomito della donna finì sulla sua ferita e a stento trattenne un urlo di dolore: la spinse con forza per allontanarla e la donna rotolò,  sbattendo infine contro uno dei letti.
 Arrancò, ansimando, cercando di starle a debita distanza, mentre il dolore si attenuava:
- Lucy, porca puttana, torna in te! Qualunque cosa ti abbiano fatto non lasciare che si impossessi di te – la donna non sembrava ascoltarlo, stava cercando di rialzarsi, leggermente frastornata dalla botta.
- Possiamo trovare una soluzione, possiamo...-  le urla di rabbia di Lucy che ripartiva all’attacco gli smorzarono la frase e fu costrett a tornare sulla difensiva: non la ascoltava, non reagiva a niente, non lo riconosceva, cosa diavolo poteva fare? Stava cercando di ucciderlo, di nuovo.
Scattò dietro il letto per metterlo come barriera tra lui e qualsiasi cosa fosse diventata ciò una volta era la donna che amava. Aveva bisogno di pensare.
 
Non ne ebbe il tempo materiale, Lucy scavalcò il letto e si lanciò contro di lui come una sentenza di morte, continuando ad agitare il bisturi.
Arretrò e la spinse di lato, ma lei lo afferrò dal camice, trascinandolo con sé nell’ennesima caduta.
Rotolarono a terra, scambiandosi pugni e calci, mentre il bisturi scivolava sulle piastrelle della stanza.
Cercò di difendersi al meglio e strisciò per allontanarsi ma lei gli fu di nuovo addosso, prendendo la forza da chissà dove, a differenza sua che si sentiva debilitato dai farmaci e dalla ferita.
La donna spinse entrambe le mani contro il suo collo, afferrandolo e iniziando a stringerlo: stava cercando di soffocarlo e istintivamente iniziò a dimenarsi per liberarsi da quella presa fatale.
Lucy non voleva demordere e continuava a stringere, sempre più forte, intrecciando le gambe alle sue per limitargli i movimenti: ironia della sorte una delle tecniche insegnate da Reilly.
Tastò con la mano il freddo pavimento alla ricerca di qualsiasi cosa da poter usare come arma e dopo qualche tentativo fallito sfiorò con la punta delle dita qualcosa di metallico: il bisturi.
Ormai iniziava a vederci sfocato e a boccheggiare, non aveva più tempo. Allungò le dita il più possibile e riuscì ad afferrare il bisturi. Fu un gesto istintivo: al limite della disperazione afferrò la piccola “arma” e la conficcò con forza nel collo della donna.
Lucy sgranò gli occhi e allentò la presa sul suo povero collo, fino a lasciarla completamente e portò la mano tremante sul collo.
- Mi dispiace... – sussurrò, respirando a fatica e per la prima volta lei sembrò capire ciò che aveva appena detto.
- Jeff...io....- un rivolo di sangue scivolò dalle labbra macchiandole il camice e per una frazione di secondo il suo sguardo tornò ad essere quello dolce di sempre.
Lucy si accasciò di lato, agonizzante, in una piccola pozza di sangue, con le guance rigate da due singole lacrime.
La guardò, in silenzio, mentre esalava il suo ultimo respiro e la strinse a sé, senza batter ciglio, come se si fosse semplicemente addormentata, con la testa poggiata sulle sue ginocchia.
Le accarezzò una singola volta i capelli, socchiuse gli occhi e lanciò un urlo disumano.
La porta dell’infermeria si spalancò e spuntò quella che doveva essere l’infermiera, seguita da Gwen che lanciò uno sguardo di compassione alla scena che si ritrovò davanti.
- Che diavolo è successo qui?! – sbraitò l’infermiera avvicinandosi con cautela.
- L’inevitabile – rispose Gwen portando una mano sul cuore e fissandolo dritto negli occhi.
Lui rivolse la sua attenzione a Lucy, per spostarle una ciocca ci capelli sporca di sangue dal viso, sfilando il bisturi dal suo esile collo, e chiudendole gli occhi.
- To the God of Death what we say? Not today… not today… - disse, ricambiando lo sguardo della Twin Sister con degli occhi vuoti e spenti.


Twin Sister's Den

6 settembre 2275


Dave era restata chiusa in quella cella per delle ore: da quando l'avevano trascinata fuori dal'infermeria era rimasta rinchiusa aspettando che qualcuno la venisse a prelevare: aveva gridato, si era aggrappata alle barriere e dato pugni al muro rompendosi le nocche ma niente, nessuno si era presentato.

Aveva visto il soldato dell'Enclave ,che li aveva accompagnati fino a lì, venir trascinato fuori dalla stessa cella in cui adesso era lei. Aveva il viso tumefatto e gli sanguinava il naso, quasi non riusciva a camminare e veniva portato a braccia da due uomini corpulenti. Dave si chiese che cosa avevesse dovuto affrontare per essersi ridotto in quello stato, quale essere contro cui avesse dovuto combattere o che tortura avesse dovuto subire.

La penombra della stanza la opprimeva,il soffitto era basso e gocce di umidità le cadevano addosso facendola rabbrividire.
Voleva vedere Jeff, desiderava vederlo ad ogni costo, non si sentiva sicura dopo che era stata allontanata dall'infermeria dove lui ora si trovava insieme ad una pazza che aveva cercato di ucciderlo nell'arena.
Si attaccò ancora alle sbarre scuotendole e urlando: "Stronzi! Tiratemi fuori di qui, cazzo! Non voglio restare in questo buco un secondo di più!" 

Le sue parole svanirono nell'eco del corridoio che le si apriva davanti.
Gridò ancora, erano ore che lo faceva, la gola le grattava e le guance erano in fiamme dalla rabbia
Sferrò un pugno al muro e le nocche ripresero a sanguinare.

"Qualcuno si sta lamentando?" Una voce leggermente cantilenante si udì dal fondo del corridoio e tutto d'un tratto davanti alla cella apparve come un fantasma Allison.

 
"Si, certo che mi lamento-rispose seccata Dave- se voi non mi aveste chiuso qui dentro forse ora non sarei qui a lamentarmi."

 
"Se tu non fossi un piccolo demonietto sempre pronto ad attaccar briga forse ora non saresti chiusa qui dentro" rispose la donna con un tono di rimprovero.

Dave ringhiò senza rispondere, sapeva che se avesse tirato troppo la corda del tutto probabilmente non avrebbe più visto Jeff e questa era la cosa che più le importava.
 
Allison annuì silenziosamente e le aprì la porta della cella, conducendola di nuovo in infermeria.
La scena che si parò davanti agli occhi di Dave fu raccapricciante: Jeff inginocchiato a terra con Lucy accasciata sulle sue ginocchia in un bagno di sangue.
"Jeff!" Gridò Dave correndogli incontro.
Il mercenario la fissava, inginocchiato a terra con gli occhi vuoti, il suo viso era pallido e tremava come un animale spaventato.
La ragazzina gli si gettò con le braccia al collo, ciò che restava di Lucy scivolò sul pavimento come uno straccio : "Stai bene?"
Il mercenario farfugliò frasi sconnesse e tornò a fissare il vuoto.

"Cosa è successo qui? E' stata lei vero Jeff?- gli spostò i capelli dal viso insanguinato con entrambe le mani rigandogli il volto-  Rispondimi, ti prego!" la sua voce era flebile e tremante, quasi non si riconosceva.
 

Il mercenario la fissava come imbambolato, si guardava intorno con aria scossa  e non rispondeva.
La ragazzina si alzò di scatto :" Anche se non mi rispondi lo so che è stata lei a farti questo!" 
Sentiva la rabbia crescerle nel petto e sferrò di violenza un calcio al cranio di Lucy che andò a sbattere contro uno di quei carrelli per i ferri che si rovesciò a terra producendo un frastuono assordante.

Jeff sembrò svegliarsi di botto, come da un coma profondo, scattò in piedi e afferrò Dave per le spalle stringendogliele fino a farsi sbiancare le nocche.
Dave sentì il suo cuore battere all'impazzata, non come quando si erano trovati in cella assieme, ma di paura. Il mercenario, infatti, la fissava con una luce malata negli occhi, la luce di chi a perso il lume della ragione, di chi sta per uccidere senza curarsi delle conseguenze.
La ragazzina si sentì tremare, tutto il suo corpo era teso come una corda di violino, si sentiva come sospesa nel vuoto attaccata ad un filo di ragnatela.
 

"Perchè?" Sibilò a denti stretti il mercenario senza mollare la presa.

 
"Non avevo forse ragione, Jeff? Non è forse stata lei?" Dave sentiva il coraggio ritornare a scorrergli nelle vene.
Tutt'intorno le Twin sister, le tre guardie, l'infermiera e gli occhi sbarrati del cadavere di Lucy fissavano la scena in un gelo irreale, come se aspettassero solo il passo falso di uno dei due per intervenire.

"Non ne avevi alcun diritto, oltraggiare così il cadavere della mia Lucy" la sua voce era tremava e vibrava come le sue mani su di lei.

"Lei se lo meritava, se mai fosse stata una donna ora non era altro che un fantasma violento che non merita alcun rispetto." Rispose lei aggressiva.

"Io l'amavo, Dave. -fece un respiro profondo- E la amo ancora e continuerò ad amarla, che tu lo voglia o no,ragazzina." La voce di Jeff aveva una nota metallica, come se le parole gli uscissero dalla bocca col solo intento di ferire, non di spiegare le cose in modo realistico.

Dave sentiva le lacrime offuscarle la vista, la figura di Jeff le appariva sfocata e priva di contorni, sentiva solo le sue parole violentarle il cranio in tutta la loro cattiveria.
"Stai zitto, o giuro che te ne faccio pentire" ringhiò lei fronteggiandolo.

Improvvisamente lui la spinse lontana scuotendo la testa :" Non voglio far male anche a te."

E poi...un applauso:"Ma che scena commovente!- la voce canzonatoria di Gwen li fece sobbalzare- Davvero, ragazzi mi fate piangere, che quadretto familiare da piagnisteo" e fece il gesto di asciugarsi  lacrime mantenendo pur sempre un sorrisetto beffardo stampato in faccia.
"Oh Gwen,amore mio, tu si che si essere teatrale" Allison si avicinò a Gwen cingendole il fianco col palmo della mano. 
Le due si guardarono e scoppiarono a ridere assieme. 

"Abbiamo ancora molto in serbo per voi, non abbiamo alcuna intenzione di lasciarvi andare adesso, vi porteranno in un posto sicuro in cui potete riprendervi, di certo non vi vogliamo esausti per quello che vi aspetterà domani." La voce di Gwen era tornata calma e rassicurante e Dave si sentì subito meglio.
La stanza in cui vennero condotti sorprese Dave, non era molto larga ma era arredata,vi erano infatti delle brandine di metallo sopra le quali vi erano stese delle pelli di bramino, merce non troppo rara, certo, ma indubbiamente si trattava di qualcosa che vedi poche volte in un posto come la Zona Contaminata. Vicino alle brande c'era qualche sgabello, un piccolo lavandino e perfino un tavolo di legno.
Tutt'intorno i muri di pietra erano illuminati da piccole fiaccole che creavano una situazione di penombra e diedero l'impressione a Dave che il giorno e la notte si stessero fondendo.
Avanzò piano, con al suo seguito Jeff silenzioso e a testa china. Si sentiva incredula, stranita.
Perchè non li avevano chiusi in gabbia come avevano fatto precedentemente?
Per quale motivo, improvisamente le Twin Sister li stavano trattando bene?
Dave aveva paura, paura che tutta quella calma non fosse altro che il preludio di una tempesta ancora peggiore di quella che avevano dovuto affrontare fino a quel momento.

Di botto il grosso portone d'ingresso si chuse alle loro spalle con un rumore secco,Dave immersa come era nei suoi pensieri quasi trasalì, udì i passi delle guardie allontanarsi dalla porta e un silenzio tombale calò nella stanza.



 

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Capitolo 14
*** Se vuoi chiudere con il passato, non dimenticare la chiave. ***


Odissey in the Wasteland



Capitolo XIV- Se vuoi chiudere con il passato, non dimenticarti la chiave.

Nota dell'autore: Ed eccoci, ritornati dopo le feste, l'anno nuovo, i postumi dell'anno nuovo e in piena sessione invernale ( perché gli esami sono come i deathclaw, quando ne incontri uno vorresti avere con te un disintegratore molecolare sub atomico, o nella maggior parte dei casi, correre a gambe levate fino a dare una testata contro l'orizzonte ). Ci siamo, siamo tornati, con un nuovo episodio, con una nuova copertina ( work in progress ) e vicini ad un momento davvero importante per il futuro dei nostri due protagonisti. Che cosa accadrà? 
Armatevi, non dimenticate il rad away e immergetevi nella lettura.

PS: Ci scusiamo per il doppio capitolo. Ieri quando ho pubblicato non me ne ero accorto, ma l'occhio attento di madame ha fatto il suo dovere e ora ho risolto. Buona lettura! Snow & Madame


Jeff Callaghan
 
Twin Sisters Den                                                                  6 Settembre 2275

 
Barcollò verso la parete più vicina e si lasciò andare contro di essa, ignorando sedie, letti e tutto il gran seguito dell’arredamento a seguire.
Non voleva parlare, non voleva dormire, mangiare, non voleva fare nulla.
“To the God of death what do we say?”
Non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che era successo, di ciò che aveva fatto, ma con ogni probabilità il tempo e un paio di bottiglie avrebbero fatto il loro dovere.
Chinò la testa e la fece scomparire tra le mani per alcuni minuti, continuando a rimanere in silenzio, ignorando Dave e i suoi sguardi, perché sentiva che lo stava fissando in attesa di chissà cosa.
“Not today, not today...”
Se guardava le mani le vedeva ancora coperte dal suo sangue, se restava in ascolto poteva ancora sentire quell’ultima frase, quell’ultima volta che sussurrava il suo nome, annegando in qualcosa di incompleto.
Lucy era morta, di nuovo, e dentro di lui qualcosa era morto. Di nuovo.
Quante volte una persona può andare in frantumi e ricostruirsi prima di rimanere lì a terra in mille pezzi per il resto dei suoi giorni? Lo avrebbe scoperto, a breve lo avrebbe scoperto, se lo sentiva.
- Not today, not today...-
Alzò lo sguardo e incrociò quello di Dave che lo fissava tra un misto di angosciante attesa e puro terrore, misto a qualche scintilla di rabbia che fluttuava nell’aria della camera come un veleno incorporeo.
- Jeff...- stava per dire qualcosa ma la fulminò con lo sguardo, facendole morire le parole in gola.
 
Si rialzò da quel baratro invisibile in cui stava precipitando e si avvicinò alla porta della stanza, che mostrava alcune piccole sbarre in pieno stile cella, nonostante il resto della camera fosse l’esatto opposto.
Afferrò le piccole sbarre e inspirò profondamente:
- In questa merda di posto c’è qualcosa con cui bagnarsi le labbra? – chiese ad alta voce, sentendo l’eco della propria voce perdersi nelle viscere di quell’oscura dimora.
Non ottenne alcuna risposta, se non un triste silenzio.
- Allora? Un cazzo di goccio, è chiedere troppo? Dannati bastardi, oltre che senza cuore siete anche astemi?! – aveva agitato le piccole sbarre facendo richieggiare il suono del metallo della porta che cigolava.
Quel concerto di echi improvvisati attirò l’attenzione di una delle guardie che pattugliava quel groviglio di corridoi.
- C’è una bottiglia sul tavolo, testa di cazzo, offerta dalle Twin Sisters. Se ti sento ancora urlare nel corridoio te la spacco in testa prima di picchiarti a sangue. Chiaro?-
- Sisgnore, sissignore! – rispose lui di rimando con cinismo abbandonando la presa sulla porta e voltandosi per puntare al tavolo – coglione...- sibilò a denti stretti.
 
In effetti c’era davvero una bottiglia sul tavolo, correlata di due bicchieri, ed ironicamente era whiskey, per l’esattezza un “Verdens Fall” gran riserva, qualcosa che non doveva più esistere in quel mondo.
La osservò, pregustando il momento in cui ci avrebbe affogato dentro tutto il male che si portava dentro, e se le cose andavano nel verso giusto anche se stesso.
- Non dovresti, sei ancora...- provò a dire Dave
- Non dovrei, Dave? Non dovrei, eh?! – tirò un pugno sul tavolo facendo tremare la bottiglia e la ragazza rabbrividì, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni, nascondendo una rabbia che aspettava solo di esplodere e urlare.
- Non dirmi che cosa dovrei fare, non sai nulla, non puoi capire...- lasciò la predatrice a crogiolarsi nella sua rabbia e tornò a concentrarsi sulla bottiglia: la stappò con nonchalance, come se fosse stata la cosa più normale del mondo, al pari di respirare o parlare, e se ne versò tre dita in uno dei bicchieri, afferrandolo con decisione.
Normalmente se lo sarebbe gustato per bene, assaporandone le note dolciastre, il gusto deciso e quel lieve sapore di mobile antico, ma non oggi, non in quelle circostanze, così ne tirò giù metà in un sorso.
 
Sentì il calore intenso del distillato scivolargli in gola, bruciando tutto, compreso i suoi pensieri. Increspò il viso in una smorfia mentre il sapore dolciastro gli violentava le papille gustative e poco dopo le sue labbra tornarono a poggiarsi sul bicchiere, finendo ciò che aveva iniziato.
- Non puoi star male per una che ha tentato di ucciderti! – esclamò Dave ritrovando il coraggio di parlare e quella frase risuonò nella sua testa come un’esplosione atomica.
Si morse le labbra e scagliò il bicchiere contro la parete, mandandolo in mille pezzi:
- Quella che ha tentato di uccidermi...- sentiva crescere la frustrazione dentro di sé, ma ciò non gli impedì di afferrare la bottiglia di whiskey e tirare giù un altro sorso che gli spezzò il fiato – Quella donna era mia moglie! – lanciò la bottiglia in direzione di Dave e la predatrice rimase di sasso mentre il whiskey andava in frantumi a pochi centimetri da lei. Una piccola scheggia di vetro le graffiò la guancia e la ragazza rabbrividì, fissandolo dritto negl’occhi.
Si avvicinò a passo spedito, spingendola con forza contro la parete, Dave tentò di opporre resistenza a quel blocco imposto, ma non reagiva come avrebbe fatto normalemente, lo vedeva.
- Quando la smetterai di sputare veleno su di lei, eh? Quando?! -
Caricò un gancio, pronto a colpirla in pieno volto, e la ragazza sembrò capire e abbassò il viso pronta ad incassare.
- Fanculo! – scagliò un pugno contro il muro, proprio accanto al volto inerme della predatrice che rimase immobile, incredula per quella reazione senza senso.
Abbassò lo sguardo, sentendo il desiderio di continuare a prendere a pugni il muro fino a spaccarsi le ossa delle mani:
- Non...non voglio fare del male ad un’altra persona a cui tengo – disse, arretrando, e se ne tornò a scivolare contro la parete dove si trovava poco prima, fissando ancora una volta il vuoto.
 
- Tua... tua moglie? – la ragazza quasi balbettò quella domanda, come se si fosse appena ripresa da una botta di Jet.
La vide titubante, indecisa se avvicinarsi o meno, alla fine optò per la seconda.
- Sì, Lucy era mia moglie, porto ancora la fede che ci siamo scambiati quel giorno, è appesa alle mie piastrine – sfilò la piccola collanina e la lasciò oscillare nel vuoto per alcuni secondi, la piccola fede in argento rifletté la luce dei neon che illuminavano la stanza. Dave osservò la collanina, rimanendo in silenzio.
Non sapeva il perché, non ne aveva motivo, ma decise di andare avanti:
- L’ho conosciuta quando sono entrato nei mercenari di Reilly, era una ragazza scappata da Rivet City, perché non si sentiva in alcun modo di appartenere a quel luogo. Una motivazione semplice, ma valida. Eravamo gli ultimi arrivati, così abbiamo iniziato a conoscerci e ci siamo trovati subito bene. Nel corso dell’addestramento e delle successive missioni abbiamo legato sempre di più, finché non abbiamo capito che c’era qualcosa di più dell’amicizia che ci spingeva l’uno contro l’altro – ricordare quei momenti bruciava più del whiskey, faceva più male della ferita che lo aveva quasi spedito all’altro mondo e l’alcool stava solo accentuando il tutto.
- Vai avanti...- mormorò Dave, accomodandosi su una sedia, ma rimanendo ugualmente a debita distanza.
- Ci eravamo innamorati, una cosa quasi anormale in un mondo come questo. Sei così impegnato a cercare di sopravvivere, a contare quanti proiettili ti restano, a controllare il contatore geiger, che non pensi all’amore o a qualsiasi altra emozione che non sia la paura, la rabbia o l’odio. Lei mi ha permesso di vedere che non ci sono solo rovine radioattive e ghoul del cazzo che voglio morderti il culo, in questa fottuta zona contaminata, ma c’è altro, molto altro –
 
Cercò le sigarette nella tasca dei pantaloni ma si accorse che nello scontro si erano ridotte ad un ammasso informe di tabacco e carta straccia.
- Al diavolo – sibilò, lanciandone i resti sul pavimento.
- Ehi – dave gli fece un cenno con la testa, lanciandogli un pacchetto logoro di Harver blue con dentro un piccolo zippo in acciaio.Sfilò una sigaretta e se l’accesse con estrema lentezza.
Fece un tiro, assaporò il tabacco che bruciava ed espirò osservando la piccola nuvoletta di fumo diradarsi.
- Eravamo felici, avevamo una sorta di famiglia tra Reilly e gli altri mercenari, non ci serviva altro, ma non avevamo dimenticato in che razza di posto vivevamo. Potevamo morire da un giorno all’altro, così abbiamo deciso di sposarci, più come un gesto simbolico di ciò che provava più che per altro. Non dimenticherò mai quel momento- sentì gli occhi inumidirsi, ma trattenne le lacrime, non sarebbero servite a nulla in quel momento.
- E poi? – Dave sembrava presa dal racconto della sua vita, o forse semplicemente stava assecondando il suo sfogo.
- Due anni fa eravamo in missione all’ospedale di Nostra Signora della Speranza, non ricordo neanche il perché. Eravamo io, Lucy, Donovan e Reilly stessa, stava andando tutto secondo i piani, poi sono arrivati i supermutanti – fece un altro tiro e rimase alcuni secondi a riflettere, cercando di mettere insieme i tasselli di quel momento fatidico.
- Abbiamo combattuto al meglio delle nostre possibilità, riuscendo quasi ad uscire da quell’inferno che si era scatenato dal nulla, quando quei bastardi hanno fatto brillare alcune cariche e quell’ala dell’ospedale è stata letteralmente sventrata in due. L’ultima cosa che ricordo è l’immagine di Lucy che si trovava accasciata dall’altra parte del corridoio in cui ci trovavamo, al centro c’era una voragine di tre piani. Mi ha sussurrato qualcosa, dopodiché il tetto è crollato e gli altri mi hanno trascinato via. Credevo fosse morta, fino a ieri... – finita quella frase calò il silenzio.
Strinse i pugni per la rabbia, la confusione che lo stava divorando, e nel farlo spezzo la sigaretta che finì a consumarsi a terra.
- Non pensavo che...-
- Scusami, ma ho bisogno di dormire – la interruppe e alzandosi si diresse verso uno dei due letti, lanciandosi a peso morto sul materasso, dandole le spalle. Non voleva incrociare il suo sguardo, non voleva vedere quegli occhi che lo giudicavano, lo compativano. Non voleva vedere niente, non voleva sentire niente, aveva solo bisogno dell’oscurità e del silenzio.
Il whiskey avrebbe fatto il resto.
 
 
 
 
Dave Campbell    
 
Twin Sister’s Den.                                                                                                                             6 settembre 2275

 
Jeff era ora sdraiato a letto, quello che Dave aveva appena appreso l’aveva sconvolta nel profondo, si sentiva confusa e disorientata, quella donna era sua moglie.
Era sua moglie e lei aveva oltraggiato il suo cadavere davanti ai suoi occhi.
Pensieri orrendi e striscianti come vermi nel fango le assalivano la testa, soffocandola come in una morsa gelida, la stanza di botto le sembrava contorcersi e mille occhi sembravano fissarla, il senso di colpa era un sentimento che non provava da anni e le era piombato addosso così in fretta schiacciandola sotto il suo peso.
 
Si sedette a terra, prese una sigaretta e l’accese con le mani ancora tremanti.
Un grosso sbuffo di fumo impregnó l’aria intorno a lei.
Si sfioró la guancia, la ferita procuratale dal pezzo di vetro sanguinava ancora un po’ e si pulí malamente con la mano.
Il silenzio intorno a loro era inquietante, assorbiva i suoi pensieri e non la lasciava quasi libera di respirare, guardava Jeff, sdraiato a letto e non riusciva a capire se fosse sveglio o già nel mondo dei sogni.
 
Di fianco a lei su un tavolino c’erano dei frutti mutati, non che avesse fame ma aveva bisogno di mettere qualcosa  sotto i denti per distrarsi e riprendersi da quei pensieri orribili, ne afferró uno e lo morse distrattamente, rimase quindi cosí per un po' seduta sul pavimento con in una mano la sigaretta e nell’altra dei frutti dal sapore orribile.
 
Le dispiaceva terribilmente, non avrebbe mai voluto fargli del male né ricordargli eventi fin troppo spiacevoli per lui.
Tiró ancora dalla sigaretta e sbuffó.
In quel momento realizzó che quando lui stava per colpirla lei non aveva reagito, era rimasta lì a fissarlo come una completa idiota, non le sarebbe mai accaduto in un’altra situazione, in altre circostanze avrebbe attaccato l’uomo senza alcun ripensamento ma con Jeff non era stato così, aveva accettato il suo comportamento addirittura disposta ad incassare il colpo e si sentì impotente come mai si era sentita prima.
E la stanza intorno a lei, in penombra e silenziosa la faceva sentire sola come non mai.
 
-Dave, stai impazzendo-si disse- chiusa qui dentro, non riesci neanche a tenerti un compagno di viaggio, li fai scappare tutti, non puoi continuare così, guarda in che guaio ti sei cacciata, non potevi continuare a derubare i poveracci come hai sempre fatto? Non potevi continuare  a scoparti i ghoul al Museo di Storia? No,testa di cazzo tu hai preferito seguire un mercenario che non conosci i e immischiarti in una storia che non ti riguardava neanche...te lo meriti tutto questo-
 Si rimproverava da sola e tutti i pensieri si sovrapponevano nella sua testa facendola sentire confusa, stressata, tremava e non sapeva come togliersi da quella situazione, si sentiva come se l’intero mondo le fosse crollato addosso e lei dovesse uscire da macerie troppo pesanti per essere spostate e troppo spesse perché le sue grida di aiuto potessero essere udite dall’esterno.
 
Scoppió in lacrime, un pianto silenzioso, sommesso ,di quelli che ti stringono il cuore dall’interno.
Era rannicchiata sul pavimento e fissava la stanza che si appannava dietro le lacrime, tiró ancora una volta dalla sigaretta, che ormai si era consumata, bruciandosi le dita.
Quasi non sentí il dolore, era distrutta e per la prima volta non sentiva in lei la rabbia crescere ne la voglia di combattere: Provava dispiacere per ciò che aveva fatto, certamente ,ma in lei sentiva montare anche un senso di delusione che cercava di scacciare in ogni modo, non poteva sentirsi delusa, non in quel momento e non per quella ragione : non lo ammetteva neanche a se stessa e non se lo sarebbe mai ammesso.
 
Si avvicinó gattonando verso Jeff cercando di fare il meno rumore possibile, ancora con gli occhi appannati di lacrime, voleva controllare se stesse ancora dormendo o se aveva solo fatto finta.
Quando fu di fianco al suo letto si sedette a terra e lo guardó: i letti per fortuna erano abbastanza bassi da permetterle una visuale decente: il mercenario aveva gli occhi chiusi ma il respiro troppo affannoso perché stesse dormendo, anche se non ne era così sicura, probabilmente era solo troppo ubriaco per poter reagire e del tutto probabilmente non capiva nulla di ciò che gli accadeva attorno.
Ancora tremante dal pianto ebbe l’impulso di sfiorargli il volto con un dito e Jeff non si mosse.
 
Dave inizió quindi ad accarezzargli i capelli e attaccó a sussurrare di fianco a lui come in una una confessione : “Se quando mi sono unita ai predoni mi avessero detto che mi sarei trovata ad affrontare tutto questo non ci avrei mai creduto, Captain Zak, pace all’anima sua, non mi aveva mai addestrato per questo e non parlo dell’essere intrappolata da due lesbiche psicopatiche con manie al limite del sadico, ma parlo delle emozioni, nessuno mi ha preparato alle mie emozioni che non fossero rabbia o odio e ora sono disarmata davanti a tutto questo,le emozioni mi destabilizzano, sono nata per combattere non per innamorarmi né tantomeno per provare pietà. – fece una lunga pausa e tiró su col naso asciugandosi le lacrime col dorso della mano- Hai detto che tu e Lucy vi amavate e io invidio il tuo coraggio di gestire l’amore in un posto come questo, sei forte Jeff, devo ancora imparare molto e non ho intenzione di lasciarti andare, fammi male davvero la prossima volta se vuoi, uccidimi se necessario, come hai fatto con lei, ma non lasciarmi sola, ho paura ora.”
Si allontanò da lui lasciando scivolare la mano via dai suoi capelli,  aveva forse detto troppo e non era sicura che lui dormisse davvero, non voleva esporsi ancora, andó a rannicchiarsi sul letto, erano passate già due o tre ore da quando li avevano chiusi lì dentro ed era stanca.
 Non fece a tempo ad addormentarsi che subito giunsero davanti alla porta due guardie  una delle due visibilmente ubriaca che da fuori inizió ad urlare sbattendo le chiavi della porta contro le grate:
 “Allora l’haitrovata labbottiglia... Sfigato...” Biascicava le parole attaccandole tra loro.
 
Dave si alzó di botto dirigendosi verso la porta: La guardia quasi non si reggeva in piedi e barcollava in continuazione.
“Porca troia che cazzo urli eh?? Non vedi che sta dormendo?”
 
“Altrimenti che cosssssa fai eh?” Alzó ancora di più la voce e si avvicinò pericolosamente alla loro porta e Dave poté sentire il suo alito vinoso che le diede il voltastomaco.
 
“Allontanati immediatamente, o giuro che ti faccio male - era ovvio che non potesse fare niente, dopotutto era dietro la porta chiusa a chiave dall’esterno ma la guardia era ubriaca e probabilmente non se ne sarebbe mai accorta-  giuro che ti strappo le budella, ti sfilo l’intestino dalla pancia e lo uso come corda per impiccarti-la sua stessa voce le risuonava sibilante nelle orecchie- ti stacco le dita e te le infilò una ad una su per il...” Non fece in tempo a finir la frase che l’altra guardia apparentemente sana che lo aveva accompagnato fino a lì lo prese per un braccio
 
“Andiamo Josh, allontaniamoci di qui, questa è una cazzo di psicopatica, non voglio stare qui un minuto di più” e trascinó via il suo compagno ubriaco nel lungo corridoio che si apriva oltre la porta, sparendo nella penombra.
 
Dalle sue spalle all’improvviso una voce asettica:“Mi spaventi Dave”
La ragazzina quasi trasalí soffocando un grido di terrore e si voltó: “ Jeff! Dio mio perdonami, ho pregato loro di andarsene ma non potevo cacciarli via, mi dispiace che ti abbiano svegliato”
Jeff la guardó , dalla testa ai piedi con occhi vuoti, poi fece un lungo respiro: “ Ma io non stavo affatto dormendo.” Le disse con un sorriso sbilenco.
 
Dave si sentì impallidire, il cuore le batteva all’impazzata nel petto: quindi lui aveva sentito tutto, stupida lei che credeva che uno così cadesse sbronzo dopo una sola bottiglia di whisky, era ubriaco, certo ma non così tanto da addormentarsi, lui l’aveva appena vista debole dopo che aveva cercato di farle molto male, e ora chissá che cosa le avrebbe fatto, sentiva il suo orgoglio ferito bruciarle dall’interno come un fuoco che la riduceva in cenere e al pallore del volto si aggiunse una sudorazione decisamente abbondante, fece per aprir bocca e cercare di giustificarsi con Jeff ma sentí le gambe tremarle e una nausea tremenda salirle improvvisamente e l’unica cosa che riuscì a fare fu raggiungere in tempo il lavandino per vomitare quel poco di frutta che aveva mangiato qualche ora prima.
 
Quando alzó la testa vide che Jeff nel frattempo era rimasto impassibile,in piedi dove lo aveva lasciato e  la fissava con un misto di rimprovero e compassione.
Spostó i capelli da davanti agli occhi e fece un lungo respiro, camminó verso di lui, aveva in testa tante cose, avrebbe voluto sfogarsi nuovamente con lui ma poi i suoi occhi,  incontrarono suo sguardo tagliente e si sentí piccola come un granello di sabbia, voleva solo riparare al suo orgoglio ferito  : “Dimentica tutto ció che hai sentito.” Fu l’unica frase che le scivoló dalle labbra.

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Capitolo 15
*** Ciò che le bombe non hanno distrutto. ***


Odissey in the Wasteland
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Capitolo XV- Ciò che le bombe non hanno distrutto.

 
Note dell'Autore: E' passato un bel pò dall'ultima volta, vero? Già, ma sia io che Madame siamo stati presissimi dall'Università ( la sessione invernale è un bel suicidio, ogni santa volta ) e da altre questioni personali, ma non ci siamo di voi, della storia, né tantomeno di Jeff e Dave. I nostri "eroi" sono ancora rinchiusi nelle profondita del Twin Sisters Den, a leccarsi le ferite e a riprendersi dagli ultimi avvenimenti che li hanno sconvolti. Ma qualcosa sta cambiando, forse rivedranno presto la luce del sole? Scopritelo, ma attenti alle radizioni... e alle emozioni.
Buona lettura!

Snow & Madame


Jeff Callaghan

Twin Sisters Den                                                                             7 Settembre 2275


Aveva ancora l’ultimo discorso di Dave, quella sorta di confessione, che gli ronzava nelle orecchie come un vociferio costante e indistinto. Andava avanti fin da quando si era coricato di nuovo, dopo il siparietto della guardia ubriaca.
Quei ricordi erano leggermenti sfocati e confusi, a causa dell’alcool, ma ricordava fin troppo bene le parole della ragazza, il suo tono della voce, tutto: la voce le era vibrata per tutto il tempo, smossa da qualche istante di incertezza, di paura nel tirar fuori quella confessione, tutti sintomi di una dannata sincerità.
L’intero discorso era ruotato intorno a ciò che lei provava nei suoi confronti, qualcosa di cui aveva paura, qualcosa che temeva potesse rovinare il loro rapporto e da perfetta predatrice era estranea a questo genere di situazioni.

L’apparizione e la successiva morte di Lucy non erano state una doccia fredda e un colpo al cuore solo per lui, no, anche Dave consapevole o meno ne era caduta vittima perché direttamente collegata a lui.
Con i postumi della sbronza che ormai si andavano affievolendo e grazie alle ore di sonno che si era auto imposto di fare tutto iniziava ad essere più chiaro, i vari tasselli di quell’immenso puzzle cominciavano a riunificarsi come tante piccole formiche su uno sfondo bianco.
Lucy, Dave, lui, le Twin Sisters, L’Enclave. Era tutto collegato allo stesso modo di come non lo era, o più semplicemente le prime quattro cose era all’interno della quinta, come serie di eventi e conseguenze.
Ma cosa più importante, la sua coscienza gli imponeva ora di capire che la donna che l’aveva tentato di uccidere e che lui stesso successivamente aveva ucciso non era più la donna che aveva amato, ma un mero e quanto triste fantasma di ciò che un tempo era stata sua moglie.

Lucille era morta quel giorno, due anni fa, tra le rovine sgretolate dell’ospedale di Nostra Signora della Speranza, insieme ad una parte di lui, e quel capitolo della sua vita era stato chiuso sì, ma la parola “fine” l’aveva scavata nelle propria memoria solo un giorno prima.
L’incomprensione, lo stupore, la rabbia, e infine il dolore del vuoto, era stato tutto un percorso già impostato dalla mente e necessario per lasciarsi alle spalle qualcosa che non sarebbe più tornato.

La zona contaminata non perdona, non prova pietà, soprattutto per chi vive nel passato. Non sarebbe andato oltre, doveva tornare a vivere nel presente, nel polveroso e radioattivo presente, anche in quel frangente.
E inconsapevolmente c’era qualcuno che poteva farlo tornare a vivere in quel senso e che lo volesse ammettere o meno a se stesso era proprio in quella stanza con lui: Dave.
Aprì gli occhi e si guardò intorno: era ancora in quella stanza/cella ben arredata e intorno a lui c’erano ancora i segni della sfuriata che aveva  avuto dopo aver bevuto. Dave si era assopita sul letto dall’altra parte della stanza, il suo respiro era talmente lievo e basso che quasi non si udiva. 
Si massaggio per alcuni secondi le tempie, un vizio che aveva preso e che ripeteva dopo ogni sbronza da che ne aveva memoria, e ripreso l’equilibrio dopo l’iniziale smarrimento si avvicinò con cautela verso la ragazza che stava ancora dormendo.
Si accomodò sul materasso accanto a lei e si piegò quel tanto che bastava per sfiorarle le labbra con un bacio. 
Una parte del suo cervello gli aveva appena urlato “Che diavolo stai facendo?”, ma in cuor suo sapeva che, dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello strazio, era l’unica cosa da fare.

La ragazza inizialmente sembrò non notare quel gesto, ma poco dopo le sue labbra si mossero, ricambiando il bacio e infine le palpebre si aprirono lasciando agli occhi la possibilità di far luce su ciò che stava accadendo.
Dave sgranò gli occhi e si staccò leggermente da lui:
- Jeff! – esclamò stupita – Io, non, io...- balbettò non riuscendo a trovare le parole giuste, ancora in balia delle braccia di Morfeo e della confusione. Si tirò in piedi, senza neanche sapere il perché, e tornò a fissarlo con quello sguardo di incomprensione e stupore
- Basta parole, Dave, basta... – rispose lui, riprendendo a baciarla, stringendola a sé come se dovesse proteggerla dal peggiore dei mali, da un altro olocausto nucleare.
La predatrice sembrò prima oppore una leggerezza resistenza, attua più che altro a rallentare l’inesorabile voragine in cui entrambi stavano per precipitare, per poi cedere sempre più velocemente.
La spinse contro il muro, continuando a baciarla, a cercare con gola le sue labbra, la sua lingua, il suo collo, mentre le mani iniziavano ad esplorare quel giovane corpo già segnato dalle wastelands, bramandone ogni singolo centimetro.
La ragazza iniziò a gemere, non riuscendo più a trattenersi e questo non fece altro che accrescere il suo desiderio: ormai un velo oscuro era scivolato su tutto ciò che era stato fino ad allora, impedendo di vedere cosa si celava oltre,  lasciando spazio al presente, a qualcosa di nuovo, di sconosciuto e incotrollabile.

Sganciò i fermi dell’armatura, facendola cadere a terra con un tonfo sordo,e le sue mani si spinsero prima sulle spalle, poi sempre più in basso, arrivando fino al seno e la ragazza prima rabbrividì per il contatto, poi riprese a gemere.
La mano  sinistra si strinse conto la parte sinistra del seno e Dave emise un piccolo urlo di piacere, spingendolo ancor più contro di sé, mentre la mano destra scivolava nell’inguine, spingendosi fino all’estremo, fino a sentire la ragazza tremare e bloccare la bocca con le mani per non attirare le guardie con quelle note di lussurria.
Continuò a riversare baci su tutto il suo corpo, celando tra di essi alcuni morsi, mentre la mano destra si insinuava sempre di più dentro di lei, e ogni movimento che faceva era accompagnato da un gemito.
Nessuno due parlava, non c’era bisogno di parlare, sapevano entrambi che cosa stavano facendo, sapevano entrambi che in cuor loro avevano desiderato quel momento, che erano incuranti di tutto ciò che li circondava e delle conseguenze che avrebbe portato. In quel momento non importava nulla.
La bloccò ancor di più contro il muro, poteva sentire il seno premergli contro il petto, le gambe scivolare contro le sue, il suo respiro sul collo, un respiro affannato e spezzato dal piacere.

Rimasero l’uno contro l’altro, schiacciati contro quel muro, per una frazione di tempo indefinita, continuando a bramarsi a vicenda, in una sfida infinita a chi dimostrava più lussurria e gola di possessione.
Le mani della ragazza presero ad esplorare il suo corpo e non oppose resistenza, finché non gli fecero levar via la parte superiore della divisa, lasciandolo a petto nudo: le dita della ragazza seguirono  le linee seghettate delle varie cicatrici che solcavano il suo corpo, iniettandogli una strana sensazione attraverso le vene, in tutto il corpo.
L’Afferrò dalla vita e la ragazza istintivamente si avvinghiò a lui, incrociando le gambe dietro la sua schiena e in quella posizione si avviò verso il letto più vicino, lasciandola cadere sul materasso.
Rimase per alcuni secondi ad osservare quel corpo che sembrava così fragile,eppure sapeva perfettamente di cosa fosse capace.
Dave lo fissò con due occhi enormi, ormai anch’essa preda di un desiderio che non aveva né volto né nome. Ricambiò quello sguardo, accarezzandola ancora un pò prima di denudarla completamente.

Giunto al limite della propria resistenza scivolò anche lui nel letto e la face sua con quanta foga e rabbia poteva avere in corpo: già, rabbia, mista ad altre decine di sensazioni ed emozioni, a quel desiderio inconcepibile che solo il sesso può trasmetterti.
I loro corpi si unirono, spinti uno contro l’altro, tra gemiti, sussurri sconnessi e respiri affannati, tremando e ansimando al tempo stesso.
In quel momento tutto era scomparso come inghiottito dall’oscurità: l’Enclave e i suoi esperimenti, il blowout e i suoi orrori, le Twin Sisters e le la loro follia. Perfino i mercenari e Reilly stessa sembravano solo un ricordo lontano.
Preda e predatore di quel peccato pieno di redenzione per quel lasso di tempo il suo mondo sarebbe iniziato e finito in quella stessa cella, la sua vita sarebbe esplosa tra le sue braccia. 
Un altro urlo si perse nei corridoi bui di quel luogo, unica prova di qualcosa che nemmeno le bombe erano riuscite a distruggere.


Dave Campbell

Twin Sister’s Den.                                                                                                         7 Settembre 2275




Dave non riusciva quasi a realizzare tutto ciò che era successo, Jeff era sopra di lei, la sua testa sul suo seno, respirava ancora affannosamente, guardava il suo petto alzarsi e abbassarsi, imperlato di sudore alla fievole luce dell’unica lampada ad olio che illuminava malamente la stanza.
Si era concessa a lui, aveva pensato di poterlo fare già quando erano nella cella, aveva pensato che sarebbe potuto succedere ma poi le circostanze li avevano allontanati e tutto le era sembrato così stupido e insensato.
Invece lui era lì, su di lei, nessuno dei due parlava, ma in una situazione del genere a cosa serviva parlare? Cosa si sarebbero detti poi? Dave si sentiva come la mattina dopo una sbronza, in cui realizzi ciò che hai fatto da ubriaco e ti rendi conto che in quel momento sembrava la cosa migliore del mondo ma ha portato delle conseguenze e quando ti riprendi provi solo imbarazzo.

La mano di Jeff le sfiorò lentamente la gamba, il brivido che le procurò sciolse tutti i pensieri come una nuvola di fumo che si disperde nell’aria.
Prese così la testa del mercenario fra le mani e lentamente lo portó verso di se stampandogli un lungo bacio.

Quando si separarono Jeff la guardó con occhi diversi da come era stato nei giorni precedenti, che fosse cambiato qualcosa in lui? Sicuramente era così, il Jeff di prima non si sarebbe comportato in questo modo, sarebbe rimasto saldo sui suoi principi e forse non l’avrebbe neanche sfiorata.
Ma così non era successo, l’aveva presa con foga e senza badare alle conseguenze e le era piaciuto, cazzo se le era piaciuto, era diverso da ciò a cui era abituata,non era come i ghoul del Museo di Storia, con la pelle viscida e i ruggiti da animale, non era neanche come gli altri predatori suoi compagni, crudeli e affamati ai quali piaceva farla soffrire, con un sadismo tale che a Dave era sembrato per lungo periodo la normalità.
Lui no, lui era diverso, era stato…umano? Il modo in cui lui si era comportato con lei era stato completamente diverso, si era sentita forse per la prima volta al sicuro, per la prima volta come in una cosa sola con la persona che era con lei, non due entitá separate che si trovano a saziarsi l’uno dell’altro per necessitá, ma una stessa entitá che attinge energia da se stessa.
Non l’aveva aggredita,anzi l’aveva accompagnata quasi per mano, come a dirle:” è una stronzata farlo qui, ma è una stronzata che si fa in due.” 

“A cosa pensi?” Jeff si rivolse a lei all’improvviso facendola quasi trasalire.
“Ehm… boh non saprei, a niente, lasciami in pace ” rispose fredda,voleva che i suoi pensieri rimanessero solo suoi, spiegarglielo non solo l’avrebbe messa in imbarazzo ma le sembrava come se, dicendoli a voce avrebbero perso di significato.
Jeff le spostó una ciocca di capelli dietro l’orecchio e continuó: 
“Davvero, Dave che cosa hai? Sembri…preoccupata?”

Dave lo spinse via e scattó in piedi:” Ti ho detto niente!” Ripeté con voce ferma. Perché si comportava cosí? Perché riusciva sempre a rovinare ogni cosa?

Jeff era seduto sul letto e la fissava come un cane che non capisce perché il padrone lo rimprovera.
Lei era in piedi ancora nuda, rossa in viso. Doveva cercare l’armatura, e così come niente fosse distolse lo sguardo dal mercenario e si mise a cercarla.
Poi lo sentí alzarsi e dirigersi verso di lei, il passo sicuro, l’afferró per le braccia e le sibiló :” Ma che cazzo ti prende? Cosa ti passa per la testa??Non ti permetto di trattarmi così, sei acida e lo sei senza una motivazione e io non lo accetto.”
Dave abbassó lo sguardo, imbarazzata, il mercenario la prese per un braccio e la trascinó nuovamente sul materasso, le bloccó le braccia sopra la testa con una mano e si avventó su di lei, baciandola con rabbia.

Dave rabbrividí, perché quell’uomo le faceva questo effetto? Non riusciva a stargli lontano, a evitarlo, perfino trattarlo male ,che era la cosa che meglio sapeva fare, le risultava difficile.
Il mercenario la sovrastava, vedere il suo corpo in tensione sopra di lei la faceva andare in fiamme, come se un fuoco le ardesse la pelle.
Rimase lí sotto di lui ferma, le gambe leggermente schiuse e sentiva gli occhi lucidi, lo voleva, lo voleva ancora.
Jeff con la mano libera le sfiorò il collo, poi scese sul seno e proseguí lungo la pancia fino a fermarsi sul monte di Venere.
Dave gemette piano e le labbra del mercenario si aprirono in un sorriso che brillava di una luce sadica.

Un rumore sordo.
Delle voci.

La porta della stanza in cui erano chiusi si aprí di botto.
Jeff scattó in piedi e cosí fece anche Dave rossa di imbarazzo, coprendosi al meglio che poteva.
Sulla soglia della porta c’era una donna, la stessa donna che li aveva accompagnati alla cella appena erano giunti in quel posto dimenticato da Dio.
Scoppió in una fragorosa risata guardandoli:” Bene bene, voi due proprio non riuscite a stare lontani l’uno dall’altra, in ogni caso le Twin Sister desiderano vedervi, vi aspettano nella sala principale e io sono qui per accompagnarvi da loro”

“Cos’altro vogliono da noi, cosa ci vogliono fare ancora??” La voce di Dave era aggressiva, come al solito.

“Intanto rivestiti, ti prego, non ho alcuna intenzione di stare qui a fissare le tue grazie ancora a lungo, in ogni caso non lo so, non sono informata a riguardo, ve la vedrete voi.” rispose la donna.

“Siete degli animali, fateci uscire da qui il prima possibile non ho alcuna cazzo di intenzione di passare la mia vita a servire due psicopatiche, assecondando i loro desideri!” Dave stava iniziando veramente ad innervosirsi, tremava e sbuffava.
Jeff le mise una mano sulla spalla, le si avvicinò e le sussurrò:” Ti prego Dave calmati, ora vestiti, e seguiamola o preferisci restare chiusa in questo buco senza possibilità di andartene? Fallo per me”

Dave sospiró, annuí e prese la sua armatura da sotto al letto iniziando ad allacciarla pezzo per pezzo e lo stesso fece Jeff, il tutto sotto lo sguardo attento della donna.

Quando li portarono fuori dalla stanza Dave inizió davvero ad avere paura, chissà che cosa potevano volere ancora da loro? Fargli ancora del male? Torturarli? Dave si stava rimproverando per aver perso così tanto tempo in quel buco, avevano ancora molto da scoprire e da capire, la fuori imperversava il caos, il blowout, le bestie orribili e l’Enclave poi, non sapevano cosa quelle menti che erano riuscite a partorire dei Deathclaw ammaestrati riuscissero ancora a concepire, ma di certo non era niente di buono.

Percorsero un lungo corridoio illuminato da lampade ad olio, il suono dei loro passi echeggiava rendendo l’atmosfera se possibile ancora più spettrale.
Passarono sotto una sorta di arco di pietra e si ritrovarono poi nella sala centrale dove le Twin Sister li aspettavano sedute sui loro troni, gli stessi su cui li avevamo accolti la prima volta che si erano visti.
La stanza sembrava più illuminata del solito, due guardie in piedi di fianco al loro trono, impettite che guardavano un punto impreciso alle loro spalle.
“Ed eccoci qui, avete riposato bene?” Chiese Gwen.

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Capitolo 16
*** Ah, il sole, l'aria, un deathclaw...un deathclaw?! ***


Odissey in the Wasteland

Capitolo XVI - Ah, il sole, l’aria, un deathclaw… un deathclaw?!


Note dell'autore: Eccoci  qui, alla fine siamo riusciti a tornare. Pensavate che avevamo abbandonato la storia? che avremmo il duo a marcire nel Twin Sisters Den? Beh, in effetti sembrava così, lo ammetto, ma dopo mille imprevisti superati io e Madame siamo riusciti a tornare a scrivere e a mandare avanti la storia. Speriamo vi piaccia. Buona lettura e bentornati nella zona contaminata!

Snow & Madame


Jeff Callaghan
 
Twin Sisters Den                                                                             7 Settembre 2275

 
Li avevano trascinati di nuovo davanti a quelle due psicopatiche, senza troppe cerimonie, dandogli giusto il tempo di rivestirsi dopo che erano stati colti in flagrante dalla donna carceriera. Sempre che quella cosa potesse definirsi “donna”.
Gwen li osservò, seduta sul suo bel trono, le gambe accavallate, lo sguardo profondo e malizioso.
Allison si era messa a giocare con i suoi capelli e non li stava degnando di alcuna attenzione.  C’era qualcosa di strano. Ma cosa?
Avrebbe voluto parlare con Dave, spiegarle perché aveva agito in quel modo, chiarire tutto ciò che era successo, ascoltare cosa aveva da dire a riguardo. Ma non poteva.
La ragazza era a qualche metro da lui, con le mani legate dietro la schiena, proprio come lui, e dopo aver inveito per l’ennesima volta contro le Twin Sisters era tornata a guardarsi nervosamente intorno. Ogni tanto si soffermava a fissare il pavimento, come se non volesse pensare, spegnendo il cervello. Come darle torte.
 
- Voi due vi siete divertiti come si deve – esordì Gwen allontanando la mano della sua compagna che sbuffò come una ragazzina a cui era stato negato di giocare.
Dave arrossì e cercò di nascondere l’imbarazzo abbassando ancor di più lo sguardo. Le lanciò un’occhiata veloce: stringeva i pugni e digrignava i denti, oltre l’imbarazzo c’era un oceano di rabbia.
- Oh sì, non vi facevamo così…uhm… appassionati – Allison sghignazzò. ammiccando verso di loro – Quando potremo divertici anche noi, cherié? – la donna lanciò uno sguardo carico di lussuria verso l’altra e quest’ultima la avvicinò a sé, stringendola per la vita.
- Abbi pazienza, tresor, abbiamo ospiti adesso. Non vogliamo certo essere scortesi –
- No di certo, abbiamo una reputazione da difendere – due risate si intrecciarono, perdendosi nell’oscurità che avvolgeva i meandri del salone.
Avvinghiate in quel modo sembravano l’una il riflesso dell’altra, due gocce d’acqua con qualche piccolo dettaglio che le contraddistingueva.
Quel siparietto stava iniziando a dargli la nausea, ne aveva abbastanza.
- Allora – si schiarì la voce – che cosa volete ancora? – le due donne lo fulminarono con lo sguardo, sorridendo. Per un attimo sì sentì in soggezione, ma non perse il contatto visivo.
- Vedo che ti sei ripreso per bene, sei di nuovo in forma, caro il mio mercenario – osservò Gwen.
- Già, entrambi hanno dimostrato di possedere le caratteristiche che stiamo cercando – aggiunse Allison.
Continuavano a sorridere beffarde, senza un apparente motivo.
- Che… cosa… volete? – pronunciò lentamente quella domanda, aveva esaurito la pazienza già prima di entrare nel salone.
- Che cosa vogliamo? Bella domanda, che cosa vogliamo, cheriè? –
- Vogliamo qualcuno che sappia sopravvivere nella zona contaminata, fisicamente e psicologicamente. Qualcuno che abbia visto l’inferno e sia tornato indietro per poterlo raccontare. Mi seguite? – Gwen si staccò dalla sua consorte e scese gli scalini che li divideva da loro, avvicinandosi a lui. Entrambi scossero la testa.
- Avete avuto modo di vedere cosa sta succedendo, avete incontrato i Noctar e siete sopravvissuti, il che è già lodevole – disse Gwen e Allison simulò quello che doveva essere un applauso, senza nascondere il sarcasmo, senza perdere la grazia con cui si muoveva.
- E con questo? Ci avete rinchiusi e quasi uccisi! – esclamò Dave, ritrovando il suo temperamento da attaccabrighe.
- Era necessario, per capire se eravate quelli giusti, tutto qui –
- Tutto qui… - sibilò lui: combattere contro sua moglie, che credeva morta, e ucciderla con un fottuto bisturi era stata una prova. Un “Tutto qui”. La tentazione di disarmare la prima guardia che gli capitava a tiro e fare una strage lo pervase, ma si trattenne, non era sopravvissuto fino a quel momento solo per morire in qualche folle vendetta.
- Giusti per cosa? – chiese, cercando di mantenere un tono pacato, l’autocontrollo.
- Per essere dei messaggeri – Gwen era ad un soffio da lui, poteva quasi sentire il suo respiro – Per poter avvisare gli altri –
- Gli altri? – gli fece eco Dave, confusa tanto quanto lui.
- Esatto. Ciò che avete visto era il principio, il cielo, le creature, il rombo che squarcia i pensieri, tutto questo, inghiottirà tutta la zona contaminata, non si salverà nessuno… se non collaboreremo – quella risposta sembro più una sentenza che altro.
- Cosa?! – esclamarono all’unisono, increduli.
- Confraternita, Enclave, predatori, mutanti, ghoul… tutti devono lottare, o non resterà nient’altro che un ammasso di rovine e cadaveri. Voi due, dovete tornare a DC, portare il nostro messaggio -  si sfilò un ciondolo intrecciato e glielo legò al collo avvicinandosi ancora di più – Mostrare il nostro emblema, loro capiranno – gli sfiorò le labbra con un bacio, un contatto quasi impercettibile e con la coda dell’occhio vide che Allison aveva fatto lo stesso con Dave prima che quest’ultima potessi anche solo capire cosa fosse accaduto.
Rimasero immobili, entrambi, non sapendo né cosa dire né tantomeno cosa fare dopo quell’ultimo gesto. Gwen ritornò vicino ai due troni e strinse nuovamente a sé Allison, più forte di prima, senza staccare gli occhi di dosso ai due prigionieri.
- Liberateli – ordinò Allison risoluta – E portateli all’armeria, qui abbiamo finito –
- Che cosa significa tutto questo?! – esclamò lui, mentre veniva liberato da una delle guardie.
- Era necessario, ogni cosa che facciamo è necessaria. La follia stessa non può essere messa da parte, signor Callaghan, e non si preoccupi per Lucy, le concederemo una degna sepoltura e una volta conclusa la missione saprà il luogo dove riposa – quella risposta lo spiazzò, il volto di Gwen si era fatto terribilmente serio, come non lo aveva mai visto da quando le aveva incontrate – A breve nemmeno questo posto sarà più al sicuro, non possiamo semplicemente scappare. Au revoir – la donna agitò la mano per accompagnare quel saluto e poi si volse verso la sua compagna:
- Allora? Dove eravamo rimaste? Non dovevamo finire di svuotare quella bottiglia di liquore al veleno di scorpione? Oh e non dimenticare quel completino che ti ho preso, voglio strappartelo di dosso io stessa mentre… - la sua voce si affievolì sempre di più fino a scomparire del tutto mentre venivano trascinati via dalle guardie.
Il suo cervello era invaso da decine di domande, ma in quel momento non riusciva a trovare nemmeno una singola risposta.
Tutto quello che era successo in quell’incontro era pura follia.
- Jeff – quelle due matte possedevano di tutto e avevano un numero di seguaci incalcolabile, perché allora mandare loro due come messaggeri?
- Jeff -  e poi che senso aveva quella sorta di profezia apocalittica che aveva pronunciato? Sembrava quasi l’Errante.
- Jeff, cazzo, ascoltami! – la voce di Dave sembrò uno schiaffo e si volse verso di lei.
- Che c’è? –
- Che c’è? Che c’è?! Cristo, quelle due lesbiche del cazzo ci hanno baciato e ci stanno mandando in una qualche missione suicida come loro “messaggeri” e tu mi chiedi “che c’è?”. Sul serio? -
Sorrise vedendo quella reazione, almeno qualcosa dopo tutto quel macello non era cambiato.
- Non abbiamo altra scelta e sinceramente preferisco questo allo stare rinchiuso in uno schifo di cella – abbassò il tono di voce, riducendola ad un sussurro – e poi, pensaci bene, ci hanno detto di andare verso la nostra stessa destinazione – non aggiunse altro, il mezzo sorriso della ragazza le fece capire che aveva intuito dove voleva andare a parare.
Proseguirono in silenzio lungo i corridoi del Den, perdendo il conto delle rampe di scale che salirono, finché non si ritrovarono all’esterno, nella stessa fabbrica dove erano stati catturati. Le guardie li spintonarono fino a fargli raggiungere l’uscita più vicina.
- Ehi, ehi! Non dovevate portarci all’armeria? – chiese Dave sputando rabbia dopo ogni parola.
- Credevate davvero che le Twin Sisters vi avrebbero permesso di entrare nell’armeria del Den? Tsk… a duecento metri da qui, seguendo la vecchia linea elettrica, c’è una piccola struttura sotto un traliccio ancora integro. Quella è la vostra “armeria” – finì la frase e voltò loro le spalle, seguito dal compagno che si chiuse alle spalle il pesante portellone che conduceva ai meandri del Den.
Si ritrovarono a inspirare profondamente senza neanche pensarci: aria, aria fresca, sembrava passato un secolo dall’ultima volta che erano stati all’aria aperta.
Si guardarono, senza aprire bocca, non sapendo cosa dire, erano successe troppe cose in poco tempo. Tanto per cambiare.
- Ascolta Dave – fece lui, cercando di mettere insieme i pensieri – Non so cosa accadrà da ora in poi, ma voglio che tu faccia una scelta – disse diretto.
- Una scelta? – lei lo fissò perplesso.
- Io sono un mercenario di Reilly, la tua “famiglia” sono dei predoni e non c’è bisogno che ti dica che undici volte su dieci finiamo per spararci a vicenda se incrociamo le strade. Io voglio che tu rimanga con me, non voglio perderti, ma ciò significa che dovrai rinunciare a tornare alla tua tribù, clan o qualsiasi altra cosa sia. A te la scelta, pensaci bene, sai già come la penso io – si incamminò senza aspettare una risposta.
- E ora dove stai andando? -
- All’armeria, abbiamo delle armi da recuperare. Mi sento nudo senza un ferro nella fondina –
- Sei proprio uno stronzo – sibilò la ragazza.
- Bene, siamo in due –
Proseguirono finché non videro il traliccio ancora integro, le indicazioni della guardia erano giuste e una piccola struttura in cemento sostava sotto l’enorme mostro di ferro. Ora dovevano solo scoprire se là dentro c’erano davvero delle armi o se li avevano presi per il culo in grande stile. L’idea di dover viaggiare disarmato nelle wastelands non lo allettava, per niente.
- Vuoi fare tu gli onori di casa? – disse, con tono ironico, indicando prima Dave e poi la porta.


Dave Campbell
 
Zona Contaminata                                                                                                                        7 Settembre 2275

 
La piccola porta lignea di quella che doveva essere l’armeria era proprio lì di fronte ai loro occhi, un po’ fatiscente ma ben costruita, Dave non poteva far altro che pensare che finalmente avrebbero ripreso le loro armi.
Lí fuori era tutto silenzioso, sentiva solo il sibilo del vento leggero che le spostava lievemente i capelli, se si concentrava un po' di più riusciva ad udire il verso di qualche bestia in lontananza ma niente di piú: che pace la Zona Contaminata a quell’ora.
Si fece coraggio e spinse leggermente la porta in avanti che si aprí con un forte cigolio. All’interno la luce filtrava dalle fessure del soffitto e delle pareti come tante lame che fendono l’aria, in controluce si intravedevano un mucchio di scatole e scatoloni ricoperti di polvere, si voltó verso Jeff  e sospiró: “Aiutami a cercare le nostre cose” il mercenario senza aggiungere altro si mise a frugare tra le scatole e gli schedari di metallo e così fece lei.
China su un mucchio di cianfrusaglie la mente cominció a vagare, Dave cominció a realizzare ciò che Jeff gli aveva detto prima, le aveva chiesto di scegliere tra la sua famiglia e tutti i suoi legami, per quanto bestiali potessero essere, e lui. Dave gli voleva un gran bene e di questo era certa, si sentiva molto legata a lui seppur si conoscessero appena, avevano lottato, sofferto e si erano aperti l’uno con l’altra come si conoscessero da una vita. Si erano anche odiati, questo era certo, ma ci teneva tremendamente a lui e l’idea di separarsi le faceva venire un male indefinito tra le costole e la gola.
Dave scrolló le spalle, non era abituata a quella sensazione, avrebbe azzardato a dire di non averla mai provata prima ma le dava un fastidio terribile.
“Hei Dave, ma ti sei congelata?” Jeff scoppió in una fragorosa risata, quell’uomo non avrebbe mai perso occasione per prenderla in giro.
“No, signorino, sto solo pensando”
“Ah perché adesso pensi anche? E non mi dire che sai anche leggere” il suo sorrisetto beffardo non gli si toglieva dalla faccia, ci sarebbe morta per quel sorriso ma lo avrebbe anche accoltellato molto volentieri.
“No, faccia di merda, lo sai che non so leggere… Ma sto imparando” e gli mostró la lingua facendogli il verso.
“Mentre tu perdevi il tuo tempo a fantasticare- La voce di Jeff si fece un filo più seria- ho trovato la nostra roba e degli stimpak extra, manca qualcosa, qui manca il fucile di precisione, ma era proprio un bel pezzo e non mi aspettavo che quelle stronze ci avrebbero riconsegnato tutto” disse consegnando a Dave la sua fidata 10 mm e il coltellino.
D’un tratto Dave sentí degli strani rumori provenire da oltre la porta della baracca e fece immediatamente cenno a Jeff di fare silenzio. I due restarono immobili per un po’ ma questo rumore sordo continuava, Dave guardó a terra e i piccoli calcinacci che erano sul pavimento iniziarono a saltellare sul suolo, le venne un dubbio orrendo e si giró verso Jeff che nel frattempo era impallidito.
Si avvicinò lentamente ad una fessura nel muro stando ben attenta a non far cadere niente, aveva il cuore a mille  che le batteva dritto in gola e la pelle le scottava come fosse febbricitante o strafatta di Jet,ma era sobria, sobrissima. Guardó fuori e lo vide, un brivido le percorse la schiena, si portó una mano davanti alla bocca e per poco non urló .
Un deathclaw stava setacciando l’area forse a caccia di cibo, era vicino, pericolosamente vicino, il respiro della bestia infatti faceva quasi vibrare i muri della piccola baracca inondandola di un odore nauseabondo di carne putrefatta, si giró verso Jeff e lui annuí molto lentamente lo aveva capito anche lui, aveva solo bisogno di conferme e infatti vide il mercenario imprecare tra se e se.
Si avvicinó a lui e gli sussurró piano “Cosa cazzo facciamo??”
“Non lo so Dave, dannazione, non abbiamo i mezzi per poter uccidere quella cosa”
“Cazzo Jeff … siamo nella merda”
L’animale intanto continuava a girare intorno alla baracca, Dave aveva il sospetto che li avesse fiutati perché non si allontanava, continuava a fare avanti e indietro e il suo respiro era sempre più forte, emetteva degli strani suoni inoltre, come dei bassi ruggiti che la facevano trasalire.
Inizió anzi a raschiare coi lunghi artigli sulle pareti della baracca, lo sentivano da dentro e vedevano i muri creparsi dall’interno, non ci sarebbe voluto molto prima che la bestia sfondasse quelle poche difese che aveva intorno.
“Ok Jeff, ora facciamo uno dei famosi piani di Dave-sussurrò - qui fuori a circa cento metri appena di fianco alla baracca c’è un edificio abbandonato, lo abbiamo visto entrando, è in disuso e piuttosto fatiscente ma è pieno di calcinacci e grosse macerie il che ci permetterá di arrampicarci e trovare riparo, ci stai?” I rumori intanto continuavano incessanti e piccole schegge di legno e metallo si riversavano all’interno.
“No Dave mi sembra una pessima idea, chi ti dice che raggiungeremo vivi quel posto!?”
“ Nessuno ce lo dice Jeff, ma dobbiamo farlo, è la nostra unica opportunitá!-gli accarezzó la testa e portó la sua fronte  contro quella del mercenario- allora sei pronto?”
“No”
“Benissimo allora uno… due…” senza avere il tempo di finire la frase la baracca crolló dando appena il tempo ai due di scattare velocemente verso l’esterno. Iniziarono a correre piú veloce che potevano, sentiva i suoi piedi a malapena sfiorare il terreno, le sembrava quasi di volare ma il panico la riportava a terra ogni volta, si disse che non sarebbe morta cosí, no ,Dave Campbell non sarebbe morta masticata da una bestia puzzolente, l’adrenalina le strizzava il cuore e le faceva pompare il sangue cosí velocemente da poterlo sentir schizzare nelle gambe come una dose di Psycho. Si voltó a guardare e vide che la grossa bestia li stava cercando tra le macerie della baracca sollevando lastre di pietra e scagliandole lontano, non si era neanche accorta della loro sparizione, dandogli cosí il tempo di recuperare terreno.
L’edificio diroccato era ormai molto vicino e Dave fu la prima ad arrampicarsi tra le grosse lastre di cemento e i ferri arrugginiti, la fatica che questo le procurava dopo una corsa cosí improvvisa non era da poco e il fiatone quasi la soffocava, l’issarsi su appigli cosí poco stabili inoltre non la faceva per niente sentire a suo agio, le tempie le pulsavano come volessero esplodere e grosse gocce di sudore le scivolavano lungo la schiena.
Si voltó a guardare Jeff, sicuramente piú forte di lei che scalava le macerie in modo piuttosto sciolto: “schifoso bastardo- sibiló tra se e se -e lui che manco ci voleva venire” con un ultimo sforzo percorse quei pochi metri che la separavano dall’arrivo.
Finalmente raggiunsero quello che una volta doveva essere un piano con degli uffici e si sedettero sul bordo del pavimento con le gambe a penzoloni nel vuoto, respirava ancora affannosamente ma si sentiva più al sicuro, in lontananza il deathclaw stava ancora scavando nel terreno e buttando all’aria quello che rimaneva di quella piccola armeria semivuota. Dave scoppió in una fragorosa risata che di così belle non se ne faceva da tempo e Jeff con lei, erano lí a 5 metri d’altezza a ridere di una morte scampata per poco. La bestia ruggí per la frustrazione di un  pasto mancato e inizió ad allontanarsi.
“Appena si allontana dalla nostra visuale ce ne andiamo ok?” Le disse Jeff
“Direi proprio che è un’ ottima idea-mise mano alla sua piccola sacchetta di stoffa sotto l’armatura tirandone fuori un pacchetto stropicciato di sigarette- vuoi?”
“Si, ne ho bisogno davvero..” Jeff estrasse lentamente la sigaretta dal suo contenitore, se la portó alla bocca e accese la sua e quella di Dave.
Tra gli sbuffi di fumo  e il respiro che inizió a calmarsi Dave pensó che erano proprio un niente nel mondo. Fuori dalle organizzazioni, dai clan e dalle confraternite non erano nessuno, se non cibo per deathclaw e la loro esistenza, ciò che li distingueva da una mosca mutante era semplicemente legata al fatto di organizzarsi in clan con delle ideologie e degli obbiettivi. Questa prospettiva le dava i brividi ma non era altro che la triste veritá.
Fece un altro tiro e guardó Jeff, anche lui perso nei suoi pensieri con i capelli corti che ondeggiavano leggermente nel vento, il viso crucciato e le braccia conserte, guardava un punto imprecisato nel suolo sottostante, tra le macerie. Avrebbe davvero rinunciato a lui? Avrebbe avuto davvero il coraggio di lasciarlo andare per poi non vedersi mai piú? O peggio magari vedersi dopo anni e non riconoscersi e magari doverlo uccidere perché il suo capo , nel clan,lo avrebbe visto solo come un nemico? Le veniva il vomito a pensare a tutto questo e forse furono proprio questi pensieri a convincerla a non lasciarlo andare.
“Senti Jeff”
“Mm”
Diamine,non la guardava neanche in viso.
“Io non ce la faccio”
“A fare cosa?”
 Dave strinse i denti, doveva farsi coraggio.
“A vederti andare via- fece un profondo respiro- credo di aver fatto la mia scelta, e ho scelto di fidarmi,resteró con te.”

 

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Capitolo 17
*** E' talmente buio che non si legge il titolo ***


Odissey in the Wasteland

Capitolo XVII -E’ talmente buio che non si legge il titolo

Jeff Callaghan   
 
Zona Contaminata di DC                                                            7 Settembre 2275

 
Il ritorno nella zona contaminata dopo il “soggiorno” nel Twin Sisters Den era stato esattamente come se l’era immaginato: caotico, folle e quasi mortale.
“Certe cose non cambiano mai” pensò mentre si accendeva la sigaretta, seduto accanto a Dave su quelle rovine in mezzo al nulla.
All’orizzonte la skyline silenziosa di DC, la loro meta fin da quando si erano incontrati, li osservava immobile.
Di certo non potevano tirarsi indietro da quella sottospecie di missione che quelle pazze gli avevano affidato, ma era comunque una scusa e un modo semplice per poter tornare a casa, per fuggire dal caos che li aveva inseguiti senza tregua per tutto quel tempo.
Avrebbero consegnato il messaggio tramite il ciondolo, evitando di beccarsi pallottole gratuite, dopodiché avrebbero proseguito verso casa, sperando di non dover sentire più parlare di “Un’altra apocalisse”.
Gli venne quasi da ridere mentre faceva l’ennesimo tiro: il mondo era già finito una volta, e anche male, perché tutta questa voglia di farlo finire di nuovo?
-Senti Jeff – Dave interruppe i suoi pensieri
 -Mm -
- Io non ce la faccio – continuava a fissare le rovine di DC senza incrociare lo sguardo della ragazza, erano quasi ipnotiche.
-A fare cosa? – le chiese.
La ragazza rimase in silenzio per alcuni secondi.
- A vederti andare via- fece un profondo respiro- credo di aver fatto la mia scelta, e ho scelto di fidarmi. Resteró con te –
Lì per lì non diede peso a quelle parole, perso com’era ad organizzare i loro prossimi movimenti, ma poi lo colpirono come un fiume in piena.
- Cosa?! -  per poco non gli volò via la sigaretta che stringeva tra i denti. Si aspettava una risposta da parte della predatrice, ma non così in fretta, non così diretta.
- Hai capito bene, voglio rimanere con te – la ragazza spense la sigaretta ormai consumata, si avvicinò a lui e gli sfiorò le labbra con un bacio.
- Lo capisci o sei diventato d’un tratto più stupido del solito? – si ritrovò i suoi occhi profondi a pochi centimetri dalla faccia e quel sorrisino beffardo che ti faceva venire voglia di scaraventarla giù dal palazzo.
- Lo capisco perfettamente, stronza – fece un ultimo tiro e la baciò a sua volta, quel tanto che bastava a sentire il sapore delle sue labbra che si mischiava a quello del fumo.
- La prossima volta magari fallo prima che un deathclaw tenti di usarci come aperitivo – lo punzecchiò lei scoppiando a ridere.
- La prossima volta chiederò alla zona contaminata di lasciarci un po' d’intimità, d’accordo? – rispose di rimando e la seguì in quella risata stupida che distendeva i nervi meglio di qualsiasi sigaretta.
Rimasero in silenzio, uno accanto all’altra, ad osservare il paesaggio circostante, assaporando quella leggera brezza che contrastava l’immobilità dominante.
Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che aveva sentito una calma simile, forse quando tutta quella storia era iniziata, il giorno che l’Enclave l’aveva catturato, ma a differenza di quella volta si sentiva a suo agio, non c’era alcuna tensione nell’aria.
- Dobbiamo incamminarci, vero? – Dave si era poggiata sulla sua spalla, stringendo il suo braccio, non l’aveva mai vista così. Esternare certe emozioni non doveva essere facile per lei.
- Già, sarebbe bello rimanere qui a non far nulla, ma sappiamo entrambi che quella bestiaccia tornerà. Inoltre, dobbiamo cercare di raggiungere DC il più velocemente possibile - osservò, poggiando a sua volta la testa contro quella della predatrice.
Non voleva rovinare quel momento, non sapevano quando avrebbe avuto di nuovo l’occasione di rimanere così.
- Come hai intenzione di fare? Perché hai un piano, vero? Tu hai sempre un piano –
- Non penso tu abbia voglia di andare a portare il messaggio all’Enclave –
- Decisamente no. Secondo il mio istinto femminile dovremmo puntare alla confraternita d’acciaio. Sono i più cazzuti in circolazioni, quei bastardi metallici –
- Mai sentita una descrizione più accurata! – scoppiarono entrambi di nuovo a ridere come degli idioti, senza mai dimenticare dove si trovavano.
- Comunque – disse, tornando serio – Non ho un vero e proprio piano, ma qualcosa del genere – tirò fuori una cartina malridotta della zona e la aprì sulle proprie gambe così che anche Dave potesse osservarla.
- Fino a prova contraria noi siamo qui – indicò un punto della mappa in cui non c’era segnato nulla.
- Dovremmo evitare come la peste la zona est, come vedi c’è Paradise Falls e per quanto mi riguarda quegli schiavisti del cazzo possono marcire lì dentro finché i noctar non busseranno alla loro porta – Dave annuì compiaciuta.
- Il modo migliore per proseguire verso DC sarebbe andare verso sud fino al fiume, raggiungere l’altra sponda e proseguire mantenendoci il più possibile vicino ad esso senza finire in mezzo a qualche party di mirelurk – per ogni parola indicava il punto specifico sulla mappa, disegnando un percorso immaginario che la predatrice seguiva attentamente con i propri occhi senza farsi sfuggire nulla.
- I mirelurk sono ottimi grigliati! – esclamò la ragazza sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
- Sì, ma prima devi farli fuori e no, non si suicidano se glielo chiedi gentilmente – sorrise anche lui: il viaggio che stavano per intraprendere era lungo, pericoloso, senza alcuna garanzia se non quella di poter finire all’altro mondo nei modi più disparati, ironizzare con quelle frecciatine era d’obbligo.
- Mi sembra un buon piano – osservò la ragazza lasciando la presa e stiracchiandosi.
- Avevi dei dubbi? – si mise in piedi e si stiracchiò a sua volta, come se si fosse appena svegliato.
- Sei pronta? – le chiese, controllando che il fucile fosse carico e l’otturatore ben tirato, per poi mettersi lo zaino in spalla.
- Sempre pronta – rispose lei recuperando a sua volta tutte le sue cose, pistola alla mano.
- Bene, andiamo! –
 
 
                                                           […]
 
Avevano camminato per tutto il giorno sotto il sole, avanzando come da programma verso sud, cercando di scivolare via come ombre, senza attirare attenzioni indesiderate o finendo in incontri poco amichevoli.
Ogni volta che si erano imbattuti in qualche edificio o ammasso di rovine si erano ritrovati a dover decidere se avere maggiore copertura e un posto dove riposare o continuare ad evitarli non appena sentivano un rumore o qualche voce in lontananza.
Non potevano fidarsi di nessuno se non di loro stessi, e per quanto il ciondolo delle Twin Sisters fosse una garanzia di sicurezza prima dovevano riuscire a mostrarlo senza beccarsi una dose di piombo fumante.
Dopo aver evitato due gruppi di predoni strafatti, un piccolo branco di ghoul che barcollava senza meta e perfino uno scorpione radioattivo che se le dava di santa ragione con uno yao guai, erano riusciti ad arrivare alla zona antecedente ad uno dei pochi ponti rimasti integri sul fiume Potomac dopo il Fallout.
Il sole era ormai calato e le tenebre avevano inghiottito tutto e tutti spingendo la zona contaminata a mostrare il suo lato più oscuro e decadente. Solo qua e là alcuni fuochi o le pallide luci di qualche lampadina elettrica tentavano di sfidare quell’oceano nero.
La luna e le stelle dal canto loro si limitavano ad illuminare timidamente l’intera zona, tenendosi ben distante da tutta quella follia senza volto né voce.
- Ci siamo quasi, ma ora ci aspetta la parte peggiore – si volse verso Dave dopo aver poggiato il binocolo su un tavolino malmesso: si trovavano in una delle case diroccate del Faded Pomp Estates, una zona abitativa situata su una collina alle spalle della Roosevelt Academy.
- Che posto è quello? Sembra parecchio grande – chiese la ragazza osservando a sua volta con il binocolo.
- Quella è la Roosevelt Academy, Reilly mi disse che prima della grande guerra era una sorta di scuola privata per gente ricca – rispose, tirando giù un sorso d’acqua.
- E ora? Mi sembra di vedere dei fuochi accesi, c’è qualcuno –
- Adesso è diventata la tana di quelli maledetti supermutanti usciti dal fottuto vault 87-
- Supermutanti? Cosa?! Pensavo che principalmente si aggirassero per la città e raramente fuori – rispose la predatrice continuando a setacciare la zona col binocolo.
- Di norma è così, ma i bastardi là sotto hanno deciso di accamparsi lì e di non andarsene più. Quel posto brulica di bestie verdi, è peggio che finire in mezzo alla cittadella con addosso un’uniforme dell’Enclave –
- Hai reso perfettamente l’idea – Dave posò il binocolo e si accese una sigaretta abbandonandosi su una poltrona che aveva visto giorni migliori.
- Spero tu non voglia passare lì in mezzo – sentenziò aspirando il fumo.
- No, non esattamente, ma si dia il caso che l’unico ponte integro nella zona sia proprio alle spalle dell’accademia e non penso che guadare il fiume a nuoto sia una buona idea -
- Radiazioni – dissero all’unisono pensando a quanto le acque del Potomac fossero mortali, soprattutto vicino ad un edificio di quella stazza.
- Bella merda. Che cosa proponi di fare?  -
-  La mia idea è questa – disse sfilando la sigaretta alla ragazza per farsi un tiro – Dobbiamo sfruttare l’oscurità e il fatto che quelle bestie siano delle teste di cazzo con l’intelligenza di un bambino. Se riusciamo a mantenerci ai margini dell’accademia dovremmo arrivare al ponte senza troppi problemi –
- Dovremmo? –
- Già, non posso garantirti che non avremo problemi. In quel caso, scappa, non possiamo affrontarli, siamo due contro un piccolo esercito –
- Bene, qual è la nostra destinazione dopo questa scampagnata? –
- Le vedi quelle piccole luci in lontananza sopra la sovraelevata?-  le domandò porgendole il binocolo e indicando il punto preciso - Siamo distanti ma dovresti riuscire a distinguerne la sagoma – disse restituendole la sigaretta e Dave annuì.
- Quella è Arefu, la nostra destinazione – rispose, mentre il fumo svaniva nel buio.

Dave Campbell

Zona Contaminata di DC                                                                                                         8 Settembre 2275

 
La notte intorno a loro era calata, ormai dovevano aver superato la Mezza, intorno a loro un silenzio irreale li avvolgeva, il buio sembrava inghiottire ogni ultimo baluardo di civiltà, nel buio tutto diventava primitivo.
Fece un ultimo tiro e buttò la sigaretta che si spense alzando una piccola nuvoletta di polvere dal terreno.
Per la prima volta si trovavano a dover raggiungere un altro luogo senza aprire il fuoco come selvaggi seminando morte e distruzione e questo a Dave sembrava un vero e proprio ostacolo da superare, mica era abituata a certe cose…lei.
Si voltò verso Jeff, il mercenario sembrava concentrato, si guardava le mani e poi guardava la cartina, in continuazione, i suoi occhi schizzavano da una parte all’altra senza sosta, di botto si alzò in piedi e guadandola le disse: “Possiamo farcela!”
Dave alzò un sopracciglio con aria stranita: “Ma hai bevuto?”
“No testa di bramino- rispose lui- è che ci vuole massima concentrazione a non fare rumore e non destare sospetti in quei bestioni assetati di sangue, mica siamo tutti scellerati come te”.
Dave gli mostrò la lingua facendogli un verso strano, sapeva che il mercenario aveva ragione ma chi era lui per farglielo notare? Senza fiatare mise in spalla la sua piccola sacca, legata ben stretta così che non scivolasse destando l’attenzione dei supermutanti, sistemò bene il suo coltellino nella fasciatura sulla gamba e la sua 10mm in vita, era pronta, prontissima.
Jeff finì di allacciarsi un pezzo dell’armatura che stava dando qualche problema e si avvicinò a lei.
“Andiamo, ragazzina” le sussurrò.
Dave fece per aprire bocca e lamentarsi ma lo guardava dal basso all’alto, lui le dava una ventina di centimetri in altezza, a malapena gli arrivava al petto, forse quell’appellativo se lo era un po’ meritato e tutto sommato non gli dispiaceva che lui fosse decisamente più alto e grosso di lei, le dava quel brivido bollente che le faceva ardere le budella, ma ehi erano in missione ora, non poteva mica stare li a fantasticare su come solo il giorno prima l’aveva fatta sua in una cella, non poteva farsi distrarre, forse.
Sfoderò il suo miglior sorriso a 32 denti e come se niente fosse si misero in cammino.
Le luci della cittadina, tale Arefu non erano poi così lontane, ma la paura di essere vista da un piccolo esercito di supermutanti le faceva tremare ai suoi occhi come tante lucciole che si perdevano nel buio, allontanandosi da lei.
Seguiva i passi di Jeff in religioso silenzio, un piede dopo l’altro, nella quasi oscurità era decisamente difficile capire dove si trovassero o che cosa avessero intorno e la paura la faceva sudare freddo. Camminarono, ancora, un centinaio di metri, forse, le lucine debolmente si facevano più vicine e Dave iniziava a rilassarsi il buio non le sembrava più così spaventoso, sembrava un’enorme coperta che copre e nasconde tutti gli orrori che invece di giorno brillano fieri alla luce di un torrido sole.
D’un tratto un rumore di passi la fece nuovamente tendere come una corda di violino.
“Jeff… h-ho… sentito un rumore” sussurrò Dave attaccandosi al suo braccio come una bambina che non vuole perdersi.
“Lo so, anche io… Merda- imprecò lui- non si vede un cazzo! Sta ferma, cerchiamo di capire.”
Si accucciarono in mezzo al terreno e poco distante da loro poterono sentire quello che doveva essere il rumore di un gruppo di supermutanti di pattuglia, e li vide, avevano con loro una piccola lanterna che illuminava debolmente la zona intorno a loro, Dave trasalì, sapeva cosa quelle bestie facevano agli umani, li consideravano una razza inferiore, li cacciavano, li mangiavano e conservavano le parti del loro misero corpo per i pasti successivi, ringraziò il cielo quando realizzò che non sembravano averli notati, ma rimasero lì impalati e attaccati al suolo per non far notare a quei mostri verdi il benché minimo segno della loro presenza, passarono oltre e piano piano Dave si sentì in diritto di potersi alzare e così Jeff.
“Mi sono spaventata a morte, cazzo, erano così vicini, erano proprio lì, a due metri da noi” sussurrò concitata la predatrice.
Jeff le accarezzò i capelli : “Stai tranquilla, ora, tra poco siamo arrivati e una volta ad Arefu andrà tutto bene”
Nonostante le rassicurazioni le sembrava ancora di camminare come su un campo minato, ogni minimo rumore poteva essere presagio di morte, aveva bisogno del suo fottuto Jet per farsi coraggio, senza di quello non era nessuno ma dopo gli avvenimenti dei giorni precedenti Jeff non avrebbe mai e poi mai acconsentito a farglielo usare-Merda!- imprecò tra se e se, forse questa cosa delle sostanze andava rivista, non avrebbe potuto rinunciarci, non sempre, e non prima di infilarsi in queste azioni sconsiderate-Diamine-.
Persa come era nei suoi pensieri non si rese conto che erano arrivati di fronte a dei piloni autostradali, o perlomeno nella penombra quello sembravano e i suoi sospetti sembravano essere confermati quando Jeff le parlò :” Siamo arrivati, dobbiamo solo scalare questo pezzo di autostrada crollata, lì su c’è Arefu”. 
Dave non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo quando sentirono ancora rumore di passi ma non pesanti come quelli dei supermutanti- Cazzo- pesò Dave- Arefu è proprio qui sopra di noi, dobbiamo raggiungerla il prima possib..- Jeff la tirò giù per un braccio, tra un masso caduto e il pilone autostradale, in quel buco c’era scarso spazio per due persone e Jeff la strinse a se, forse- pensò la predatrice- anche lui ha paura-.
I rumori da sopra continuavano, passi e qualche debole lamento, come di qualcuno che sta morendo lentamente, gemiti di uomini ma anche di donne, qualcosa non andava in quella cittadina e Dave non era più così tanto sicura di volerci andare.
Il respiro di Jeff le spostava i capelli lievemente e piccoli brividi le percorsero la schiena, come era possibile? Ancora? Si maledisse per aver scelto di continuare il viaggio, altro che Jet ,lui era ciò da cui era più dipendente, una volta che lo aveva provato ne voleva sempre di più, ne sentiva la necessità. Lui poteva farla nascere e morire al tempo stesso, ucciderla e resuscitarla e questa cosa le pesava addosso come un macigno, la Dave che un tempo conosceva era carne morta, una carcassa senza sepoltura alla mercè delle bestie.
Intanto lui fermo immobile continuava a tenersela vicina, incurante di ciò che le stava accadendo, continuando la sua lenta agonia.
Di botto i rumori cessarono. Non si udì più nulla, nè lamenti, né grida e perfino i passi felpati sembravano essere finiti.
Dave colse la palla al balzo, non sarebbe resistita a stare lì un minuto di più :”Jeff, i rumori sono cessati, andiamocene”
“Sei sicura, Dave?-rispose lui- aspettiamo cinque minuti per sicurezza, non lanciarti sempre impulsivamente”
Ancora arrossata e con i brividi a fior di pelle affermò risoluta: “ Ho detto andiamo” ed uscì da quell’anfratto senza aspettare il mercenario e lo sentì mandarla al diavolo.
Davanti a lei si paravano una serie di macerie sovrapposte, molto simili a  quelle dell’edificio su cui si erano arrampicati il giorno prima per scappare dal deathclaw, non sembrava poi così difficile.
Mise il primo piede su un lastrone di cemento per assicurarsi che la reggesse e iniziò la sua scalata, passo dopo passo, sapeva che Jeff la stava seguendo ma questa volta non l’aveva superata come aveva fatto il giorno prima : “Andremmo più veloce se tu la smettessi di guardarmi il culo.” Esordì la ragazzina per prenderlo in giro.
“E io che ti sto anche dietro per prenderti se mai dovessi cadere, ingrata” ringhiò Jeff.
Orai mancava poco, un ultimo passo e con non poca fatica si issò su quello che rimaneva dell’autostrada  e di fronte  a loro eccola: in tutta la sua bellezza, o quasi: Arefu.
Una cittadina che cresceva sull’autostrada, era composta da poche baracche poste una di fronte all’altra, abbastanza fatiscente se così si vuole dire ma nella semioscurità, illuminata da poche lampade ad olio non sembrava poi così male.
All’improvviso una voce di uomo anziano tuonò nell’ombra:”Hei, voi due che ci fate qui?Che cosa volete?” Lentamente si avvicinarono verso di lui, l’uomo in questione sembrava avere una sessantina d’anni, indossava una sorta di berretto con dei grossi occhialoni e se ne stava nascosto dietro ad un blocco di cemento, armato di tutto punto.
“Avanti rispondete- continuò lui- è Evan King, il sindaco di questa città che vi parla!” 

 

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Capitolo 18
*** AAA Cercasi *Famiglia* ***


Odissey in the Wasteland

Capitolo XVIII -AAA Cercasi "Famiglia"

Note dell'autore: Gli impegni della vita ( tra studio, lavoro, pseudo vita sociale e cazzi e mazzi vari a scelta ) ci hanno tenuti distanti da efp e dalla zona contaminata, ma non ci siamo dimenticati di questi due disgraziati, né di voi che con tanta pazienza e dedizione leggerete questo episodio. perciò, questo episodio è dedicato a tutti voi, che nonostante tutto, siete ancora qui, a sostenere Jeff, Dave, Madame e me.
Thanks Everybody


Jeff Callaghan
 
Avamposto di Arefu                                                                         8 Settembre 2275

 
-Ehi, EHI! Abbassa quel ferro, siamo amici -
-L’ultimo che si è presentato come amico mi ha piantato del piombo nel ginocchio e ora giace in fondo al Potomac a fare compagnia ai pesci! – esclamò King facendo scattare l’otturatore del suo fucile.
- Jeff posso sparargli? – chiese Dave con fare annoiato.
- No, è un amico, è solo un po' “vivace”. Evan, avanti, abbassa quel ferro – disse avvicinandosi lentamente e con le mani alzate, a dimostrare che non aveva intenzioni ostili.
- Lo vedi che devo sparargli? – la predatrice stava già puntando la sua fidata 10mm contro la testa del malcapitato sindaco.
- Stai calma, ora la faccio ragionare – le sibilò di rimando notando che la situazione si stava scaldando più del previsto.
- Evan, sono Jeff, Jeffrey, uno degli uomini di Reilly, ti ricordi? – l’uomo rimase perplesso, osservando entrambi, finché la sua espressione non cambiò totalmente.
- Cazzo, Jeffrey! Whiskey Jeff!- esclamò King abbassando la canna del fucile con un mezzo sorriso – Dannazione, potevi dirmelo prima che eri tu. Merda, non ti avevo riconosciuto, sai? Hai una pessima cera! – aggiunse sistemandosi il berretto.
- Già, questa volta non ho avuto il tempo di truccarmi, mi dispiace – ironizzò, tirando un piccolo sospiro di sollievo, nel frattempo anche Dave aveva riposto la pistola nella fondina a malincuore. Li osservava in attesa di qualcosa.
- Ah, vecchia volpe! E questa signorina tutta sale e pepe dove l’hai pescata questa volta? Ha proprio la faccia come quelle troie che seguono i predatori! – non appena udì quella frase Dave arrossì di rabbia e stava per scagliarsi contro King, ma riuscì a fermarla in tempo con uno scatto deciso.
- Non fare caso a quello che dice, ogni tanto se ne esce con frasi del genere, ma non lo fa apposta, credimi: una volta mi ha dato del figlio di puttana dopo che l’avevo salvato da un attacco degli schiavisti. Ha perso qualche rotella in tutti questi anni di lotta con la zona contaminata – lo giustificò, non senza difficoltà, trattenendo la ragazza che ribolliva ancora di rabbia.
- Se mi chiama di nuovo troia userò la sua testa come boa – sibilò Dave scivolando dalla sua presa con una strana delicatezza – Vado a fumarmi una sigaretta -  disse, allontanandosi poco dopo.
- Chi è che ha perso qualche rotella, eh? – chiese con fare permaloso King accarezzandosi la barba.
- Tu, maledetto vecchiaccio che non sei altro, hai continuato a bere quella merda di vodka da quando ci siamo visti l’ultima volta, non è vero? – lo stuzzicò lanciando un’ultima occhiata a Dave che si era andata a sedere su una delle estremità del grande ponte autostradale.
- Certo che sì! Lo sai anche te che l’acqua fa ruggine, poi la maggior parte della schifezza che gira ultimamente è ancora radioattiva. E poi lo sai che non riesco a bere quella benzina che mi hai portato tu, l’ho dovuta dare a Hugo, lui sì che è una spugna – King scoppiò a ridere e fece cenno ad entrambi di seguirlo verso l’avamposto, lasciandosi alle spalle quella sorta di posto di blocco.
Dave scuotendo la testa esibì un teatrale dito medio e tornò a fumarsi la sigaretta mentre loro avanzavano sull’asfalto pieno di crepe.
- Sei sicuro di volerla lasciare lì da sola? Ultimamente gira brutta gente da queste parti – osservò King sputando a terra, puntando verso l’edificio più grande dell’intero accampamento, una struttura a due piani che sovrastava le altre tre case e il magazzino: dopo gli eventi della Famiglia l’avamposto era stato “potenziato” per resistere a qualsiasi visita indesiderata e permettere ai suoi abitanti di avere una posizione difendibile che si potesse definire tale.
Il filo spinato, la torretta di guardia tirata su con svariati rottami e le svariate barricate erano la conferma che ci erano riusciti.
- Ultimamente? È da quando ci siamo conosciuti che Arefu viene attaccato da predoni, schiavisti, creature mutanti e qualsiasi altro stronzo che abbia un’arma da fuoco e delle grane – gli rispose e King sghignazzò nell’udire quell’amara verità, agli occhi di molti quel piccolo avamposto appariva come un immenso bersaglio che aspettava solo di beccarsi la sua bella dose di piombo fumante.
- E comunque sono sicuro, se qualcuno volesse davvero “importunarla” passerebbe un brutto quarto d’ora, rimpiangendo di averla incontrata – aggiunse, sghignazzando a sua volta: Dave non aveva bisogno di essere protetta, erano gli altri che avevano bisogno di essere protetti da lei.
- Ah! Quella piccola tro… ehm, quella ragazza allora sa il fatto suo! Ci farebbe comodo una come lei nel gruppo delle vedette o ancor meglio negli scavenger, già, già – King era arrivato davanti alla porta dell’edificio a due piani e aveva aperto la porta senza indugi, invitandolo ad entrare.
La grande stanza in cui si ritrovò era immersa nella penombra, illuminata qua e là da alcuni neon malandati: C’era un bancone da bar, degli sgabelli, alcuni tavoli correlati da sedie e perfino un tavolo da biliardo con ancora tutti i pezzi al loro posto. Poco oltre il biliardo torreggiava un vecchio jukebox, di quelli che si vedevano nelle tavole calde prima della Grande Guerra.
Le pareti erano ricoperte di vecchi quadri, poster di ogni genere e scaffali ricolmi di libri ingialliti e altre cianfrusaglie che in quel gioco di luci ed ombre non riusciva a distinguere bene.
Dietro il bancone però era ben visibile il classico “muro del buon dispiacere” composto da alcune mensole invase da bottiglie di alcolici della peggio specie, alcune delle quali quasi vuote, altre ancora immacolate e con un leggero strato di polvere sul vetro opaco. Sopra le mensole spiccava una piccola insegna al neon verde che recitava “Lo schianto” che si illuminava ad intermittenza, emettendo un leggero ronzio.
- Cazzo, i ragazzi si sono davvero impegnati ad arredare questo posto! – esclamò, guardandosi intorno, quella sala aveva davvero un che di familiare, di accogliente.
- Già, questo è lo schianto, è diventato il ritrovo principale degli scavenger e della ronda – disse fiero Evan puntando al bancone per versarsi da bere la sua beneamata vodka.
- Lo schianto? – lo seguì accomodandosi su uno degli sgabelli, accettando di controvoglia un goccio di vodka, ma non si poteva dire di no al vecchio quando aveva la bottiglia in mano.
- La vedi quell’insegna? L’hanno recuperata nella periferia di DC quei pazzi degli scavenger. Hanno chiamato questo posto così perché dicono che “Chiunque arriverà ad Arefu  a portare problemi si schianterà contro di loro”- Evan tirò giù il bicchiere in un colpo come se fosse stata acqua e si accomodò a sua volta sullo sgabello, fissandolo con i suoi occhi stanchi ma ancora pungenti.
- Dove sono finiti tutti quanti? – la vodka emanava un odore forte, probabilmente era stata distillata in casa e già sentiva il fegato contorcersi su se stesso al solo pensiero, ma la bevve ugualmente, un gesto di cortesia per l’ospitalità e i vecchi tempi.
- La maggior parte della gente si trova a Meresti, dopo gli ultimi attacchi abbiamo deciso che saranno più sicuri lì per il momento. Gli altri sono tutti in esplorazione per rifornimenti e parti di ricambio, solo io e JZ siamo rimasti all’avamposto come guardie. Io controllo l’entrata e JZ setaccia tutta la zona circostante col suo bel ferro dalla torre. Se non ti ha lasciato un nuovo buco significa che ti ha riconosciuto – nel descrivere la situazione dell’accampamento il vecchio King gesticolava animatamente, senza mai staccargli gli occhi di dosso: si vedeva che era preoccupato, ma non voleva darlo a vedere.
- Immagino che tu non sia venuto fin qui per una visita di cortesia, vero Whiskey? – nel sentirsi porre quella domanda tirò giù anche lui il bicchiere di vodka d’un fiato e sentì i polmoni andargli in fiamme.
- Dritto al punto come sempre, Evan. Già, non sono qui in “vacanza”, ho bisogno di incontrare Vance e quel figlio di buona donna di Sam. Abbiamo un bel lavoro da fare. Dov’è? –
- Di che lavoro stai parlando? – lo sguardo di King si fece ancora più serio.
- Te ne parlerò una volta che ci sarà anche Vance, ho bisogno di lui, della famiglia e anche degli Scavenger, se collaboriamo potremo… - non riuscì a finire la frase, interrotto da una radio malmessa che iniziò a gracchiare da uno dei tavoli.
- Evan, avanti vecchio maledetto, rispondi! – tuonò una voce dalle casse del rudere prebellico.
Rimasero entrambi perplessi per un secondo, come storditi da quella voce e dal ronzio dei neon, dopodiché Evan avanzò a passò deciso verso la radio e afferrò il microfono:
- Sam, piccolo figlio di puttana, un giorno te la taglierò quella lingua. Che succede? –
- Hanno preso Vance, la compagnia dell’artiglio ha preso Vance! Lo stanno portando al loro accampamento a Big Town, dobbiamo fare qualcosa! –
- Cosa?! – esclamarono entrambi, increduli nel sentire quella notizia.
Proprio in quel momento la porta si aprì e apparve Dave, con una faccia a metà tra l’essere annoiata e il volersi buttare a letto con una bottiglia e dormire ubriacandosi.
- Ehi, mi sono persa qualcosa? – tutti e due la fissarono senza riuscire a dire nulla, la ignorò per un attimo e si avvicinò ad Evan sfilandogli il microfono di mano:
- Sam, dove siete? State bene? –
- Jeff? Vecchio di merda? Allora? –
- Ci siamo nascosti in alcune rovine a ovest prima di Big Town, li abbiamo pedinati ma non abbiamo potuto attaccarli, quei bastardi erano armati fino ai denti. Sì stiamo bene, giusto qualche graffio, ci vuole ben altro per abbattere gli scavenger – il segnale era distorto, ma nell’ultima frase si percepivano rabbia e orgoglio.
- Stiamo arrivando, resistete – rispose, chiudendo la trasmissione senza aspettare una risposta.
- Allora, si può sapere che sta succedendo? – domandò Dave visibilmente seccata mentre tirava giù un sorso di vodka.
- I bastardi dell’artiglio hanno rapito Vance – rispose lui.
- Ah… e chi cazzo sarebbe Vance? –
- Dannazione Dave –
- Cosa? Che c’è? – la ragazza fece spallucce, abbozzò un mezzo sorriso e riprese a bere.  


Dave Campbell

Avamposto di Arefu                                                                                                                         8 settembre 2275
 

Forse era entrata nel momento sbagliato, la notizia del rapimento di tale Vance sembrava averli sconvolti ma “hei”, lei non sapeva chi fosse.
Aveva passato la metà dei suoi appena diciotto anni di vita come carne da macello per gli schiavisti e la restante metà con un branco di predoni analfabeti, non comprendeva queste affezioni di cui tanto si preoccupavano Jeff e quell’altro, lei non aveva mai chiesto il nome a nessuno, rendeva più faticoso l’ucciderli dopo…o così almeno le avevano detto.
Jeff la guardava tra il serio e il nervoso ed era piuttosto preoccupata di aver fatto un’enorme, eonica gaffe, cercò quindi di rimettere rapidamente in ordine le idee prima di aprire bocca nuovamente.
La stanza era semi illuminata, di forma quadrata, una vecchia lampadina ad incandescenza dai toni giallastri dipingeva la stanza di un color tramonto, ma l’atmosfera che si respirava era pesante, avrebbe osato paragonarla sì ad un tramonto ma all’ultimo tramonto sulla Terra. Nell’aria c’era un fortissimo odore di alcool misto a polvere e terra, più o meno l’aria che si respirava in tutte le baracche della Zona Contaminata, tranne che per un particolare, questa non aveva odore di sangue, odore di morte. Doveva essere uno di quei posti che non vedono nemici da tempo o se li vedono, vengono fermati al di fuori della cittadina.- Fortunati questi bastardi- disse fra sé e sé.
Una vecchia radio gracchiava qualcosa di incomprensibile, forse una vecchia canzone, forse nulla. Dietro di loro un grosso mobile rovinato dal tempo e forse anche dalle radiazioni conteneva alambicchi, bottiglie e bicchieri di ogni forma e dimensione, contenenti liquidi di tutti i colori, ve ne era uno, addirittura che al suo interno aveva un pungiglione di scorpione radioattivo.- Quello è un liquore che berrei- pensò Dave.
 Il vecchio scorbutico era seduto coi gomiti appoggiati sul tavolo e la testa tra le mani, davanti a lui c’erano un bicchiere vuoto e una bottiglia di Vodka vuota per metà. Jeff era all’altro capo del bancone, seduto con il viso verso di lei, una mano tra i capelli e l’altra lungo il corpo con la mano a penzoloni in fianco alla coscia, giù dalla sedia. Aveva il viso stanco, la barba un po’ sfatta e i capelli scarmigliati, gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie, ma il suo sguardo era fermo, scuro, il viso di uno che la morte deve pagare caro per averlo, il viso di uno che sa come sopravvivere nella Zona Contaminata e uscirne su due gambe, il viso dell’uomo che aveva deciso di seguire alla cieca.
Forse appariva anche lei così, erano giorni, se non settimane che non si guardava in uno specchio, forse aveva anche lei l’espressione di una che ha visto la morte in faccia o forse sembrava semplicemente spaventata o ancora, magari sembrava solo rovinata come una che di cose brutte ne ha viste e sono state troppe per la sua giovane età. Non lo poteva sapere e forse più di tanto non le importava, dopotutto era lì solo perché aveva accettato di seguire Jeff, non per altro e non le importava quello che Evan King avrebbe pensato di lei. Si appoggiò con la spalla sul muro, restando in piedi e prese un profondo respiro.

“Quindi-attaccò Dave- qual è il nostro piano?”
“Sappiamo che sono tenuti a ovest di Big Town, in mezzo a delle rovine, e sappiamo anche che sono armati fino ai denti.” – rispose Jeff.
“Cazzo…-imprecò Dave- siamo scappati ieri da un covo di sadici armati e intendiamo rinfilarci in un altro covo di sadici armati? Voi siete pazzi, io non ci sto.”
“Senti signorina- Evan si intromise nella discussione con voce roca- qui non si tratta di te, qui si tratta della gente che ci salva il culo ogni fottuta volta e non starò qui a guardare un’adolescente lamentarsi quando lì fuori i nostri più fedeli alleati rischiano la vita.”
“Non è stata un’idea mia venire qui, non mi interessa, io volevo solo tornare a casa mia. Questo pazzo furioso- Dave indicò Jeff- mi ha trascinata qui, in piena notte, giocando a nascondino coi supermutanti dopo che due lesbiche maniache omicide ci hanno rinchiuso per quasi tre giorni in un buco sotterraneo!”
Jeff allora si alzò in piedi: “Adesso basta Dave- il suo tono di voce era terribilmente serio- per una cazzo di volta smettila di fare di testa tua e mi obbedisci, non mi frega un cazzo di quello che pensi, non mi frega un cazzo se non ci vuoi andare, tu ci verrai e basta perché te lo dico io, hanno bisogno di noi e noi non li lasceremo indietro,punto.- Jeff la guardò dritta negli occhi e la sua voce si fece più dolce- Non è che per caso…hai paura?”
Dave arrossì, di colpo, come una bambina sorpresa a rubare le caramelle. Aveva paura, cazzo se  aveva paura, non si era ancora del tutto ripresa dalle Twin Sisters, dopotutto erano passate meno di settantadue ore e non aveva ancora realizzato di essere fuori, figuriamoci di buttarsi in un’altra impresa suicida.  Jeff la guardava e i suoi occhi erano terribilmente belli, quasi comprensivi avrebbe osato dire, indagatori cercavano di scoprire che cosa in lei non andasse. Ma Dave decise di non demordere, non avrebbe mai dato questa soddisfazione a Jeff e neanche a quel vecchio scorbutico che le aveva dato della troia, nossignore, Dave Campbell non si sarebbe più mostrata debole agli occhi del mondo, fanculo tutto lei era una predatrice ed era orgogliosa.
“Certo che no, io? Paura?- scoppiò in una teatrale risata- Ma per chi mi hai preso Jeff? Al massimo sei tu che hai paura, tzè.”
Jeff non rispose, ma si limitò ad annuire molto poco convinto.
“Bene se abbiamo finito questa inutile discussione noi avremmo di meglio da fare- esordì Evan- venite di qua, ho una cartina della zona circostante e decidiamo quale sarà il modo migliore per muoversi”
Il vecchio si allontanò dietro una piccola tenda e Dave fece per seguirlo quando la mano robusta di Jeff la afferrò da dietro trascinandola davanti a lui e subito la sua voce si fece presente nel suo orecchio : “Se pianti ancora un casino del genere io ti stacco la testa dal collo, abbiamo bisogno di Vance e se vogliamo tornare a casa prima lo troviamo meglio sarà per noi. Quindi smettila di fare la bambina e vediamo di portare a termine questo compito – le strinse il viso tra le dita guardandola dritta negli occhi- Mi sono spiegato?”
Dave annuì, la stretta di Jeff si faceva sentire, era decisamente forte e lei decisamente più delicata, ma quasi le piaceva ma per quanto le piacesse sapeva che se le avesse risposto di no non ci avrebbe messo due minuti a rispedirla in pasto ai supermutanti laggiù.
“Benissimo, allora andiamo” E la spinse dietro la sudicia tenda dietro la quale era sparito Evan.
La seconda stanza si presentava simile alla prima, anche qui i muri erano crepati e piuttosto decadenti e si vedeva che era una baracca tirata su in fretta e furia ma in cui poi ci si era abituati a vivere. Sui muri erano appese delle vecchie bandiere ormai scolorite dal tempo e anche qui una vecchia lampadina appesa solo al suo filo illuminava la stanza di toni aranciati. Nell’angolo a sinistra un vecchio materasso sporco giaceva sostenuto solo da poche assi di legno e aveva una coperta malamente ripiegata sopra.
Nell’angolo a destra un grosso mobile conteneva vecchi fogli ingialliti dal tempo, qualche stimpak e mucchi di munizioni, quello doveva essere il posto dove il vecchio teneva tutta la roba di vitale importanza ma l’armadio perse la sua attrattiva come passibile di furto nel momento in cui Dave notò che non c’era del Jet ne’ dei tappi.
Al centro della stanza c’era un piccolo tavolino metallico sul quale Evan stava tendendo quella che aveva definito una cartina ma che a meglio vedere non era altro che un disegno fatto a mano piuttosto accurato ma decisamente sbiadito della zona circostante e a meglio vedere non sembrava neanche disegnato su carta ma addirittura su pergamena di bramino.
Jeff prese posto e a ruota Dave lo seguì, sedendosi attorno a quel tavolino su delle sedie piuttosto scomode.
“Allora- esordì nuovamente Evan con quella voce tra il roco e lo stridulo- qui è dove ci troviamo noi- e indicò con il suo dito ossuto una X rossastra e  piuttosto consunta sulla mappa- Big Town si trova qui- indicò ancora- e proprio qui ci sono le rovine di cui ci hanno parlato prima per radio- cerchiò con il dito un’area a ovest di Big Town- la mia idea è di andarci appena albeggia, passeremo per il Moonbeam Outdoor Cinema, ma dovremo fare attenzione perché troveremo molti supermutanti e i loro tanto adorati centauri e vi posso assicurare che sono più veloci di quanto sembrano e che la loro saliva è ustionante e se vi prendono in faccia annebbiano la vista”
“Come se non sapessimo come è il mondo là fuori” sbuffò infastidita Dave.
“In ogni caso- proseguì ancora più infastidito King- ci dobbiamo aspettare di tutto, anche un attacco a sorpresa, sono dei gran bastardi e sanno benissimo che Vance è Vance e nessuno lo lascerebbe morire”
“Chiaro- fece eco Jeff- non ci faremo trovare impreparati”
“Vado a mettermi in contatto allora con Sam, prima mi da’ ulteriori informazioni prima partiamo. Aspettatemi qui” Il vecchio si alzò dalla sedia e sparì nuovamente dietro la tenda.
Nella stanza calò il silenzio di nuovo, la lampadina oscillava lentamente e Dave poteva avvertire tutte le preoccupazioni iniziare ad offuscarle la mente, non sapeva se ce l’avrebbero fatta, erano veramente provati dagli accadimenti di quei giorni e sentiva che stava iniziando a cedere.
Da oltre la tenda provenivano suoni gracchianti della radio prebellica che cercava di mettersi in contatto con gli altri, intervallati ancora da momenti di silenzio tombale che non presagiva nulla di buono.
“Jeff…non so se me la sento” sussurrò Dave.
Jeff sospirò, le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte: “Dobbiamo farcela."

 

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Capitolo 19
*** A F**ing Cataclysm ***


Odissey in the Wasteland
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Capitolo XIX -A F***ing Cataclysm
 
Nota degli autori: Intanto, vogliamo salutare chiunque sia rimasto qui, ad aspettare, che questo benedetto XIX episodio venisse fuori in qualche modo, sperando che non fossimo spariti del tutto, abbandonando per sempre quei poveri disgraziati di Jeff e Dave e le loro disavventure. Grazie a tutti voi per essere ancora qui. Che dire, 2019, anno nuovo, vita nuova, episodio nuovo (seems legit, no?). Siamo ad un punto di svolta, ci avviamo verso la fase più caotica e contorta del viaggio dei protagonisti e sia io sia Madame vogliamo darle una degna conclusione, a cominciare da questo episodio. Buona lettura!


Jeff Callaghan
 
Avamposto di Arefu                                                                    8 Settembre 2275

 
-Jeff…non so se me la sento- sussurrò Dave.
Sospirò, le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte -Dobbiamo farcela-
Lei sembrò calmarsi, ma prima che potesse aggiungere altro rispose di colpo:
- Sono successe troppe cose, abbiamo rischiato di finire all’altro mondo quante volte? Cinque? Dieci? Ho perso il conto, non è passata neanche una settimana da quando è iniziata questa storia e guardaci – indicò uno specchio a metà che giaceva incrinato contro una delle pareti polverose della stanza dove il loro riflesso si perdeva nella penombra – Siamo al limite – incrociò lo sguardo della predatrice nello specchio e sentì un brivido corrergli lungo la schiena: per la prima volta da quando si erano incontrati lo vedeva vuoto, privo di quella scintilla che lo contraddistingueva.
In un primo momento non rispose, rimanendo in silenzio, riflettendo sul fatto che non poteva che dar ragione a lei, erano entrambi al limite, provati da un susseguirsi incessanti di eventi che li aveva strapazzati come due uova di gecko.
Un’odissea folle che stava tentando in ogni modo di spezzarli, di cancellarli dalla faccia della zona contaminata. E c’era quasi riuscita.
Dave rimase immobile a fissare il riflesso nello specchio, come se stesse aspettando che fosse lui a rispondere, a trovare una risposta capace di farli respirare di nuovo.
- Ascolta Dave – si sedette su una delle sedie e vedendo che King stava tornando indietro borbottando insulti a caso gli fece cenno di aspettare fuori dalla stanza. L’uomo incrociò il suo sguardo e annuì: se c’era un pregio di quel vecchio bastardo era che sapeva quando doveva stare al posto suo.
Invitò la predatrice a sedersi accanto a lui e le allungò una sigaretta dal pacchetto ormai consumato. Da quando si erano conosciuti avevano fumato e bevuto come bestie, forse era quello che li “aveva tenuti in vita” in quel cataclisma continuo.
- Hai ragione, okay? Tutto ciò non ha senso ma cos’altro possiamo fare? Siamo con le spalle al muro, ci hanno messo in questa situazione contro la nostra volontà e abbiamo solo due opzioni: o la risolviamo o crepiamo provandoci-
- Mi sono rotta il cazzo di…- sibilò lei tentando più volte di far funzionare un vecchio accendino.
- Aspetta. Non sto dicendo che dobbiamo essere le marionette di quelle due troie, mi sono rotto il cazzo tanto quanto te. Sto solo dicendo che dobbiamo trovare una soluzione se vogliamo chiudere la faccenda, un asso da giocare a nostro favore. E quell’asso è Vance – fece un tiro anche lui, ormai gli veniva naturale tanto quanto respirare o sparare. Vivi da mercenario, muori da mercenario.
La ragazza sbuffò via una nuvoletta di fumo grigio, lanciando qualche cerchio qui e lì, osservandoli svanire uno dietro l’altro, sembrava che quella scintilla nei suoi occhi per attimo si fosse riaccesa. Un lampo.
- Spiegati meglio, non girarci intorno – girò la sedia e si sedette a cavalcioni per ascoltarlo. Bene, aveva finalmente ottenuto la sua attenzione.
- Vance è un mio amico, una vecchia conoscenza, e mi deve un bel paio di favori. Oltre a questo, la Famiglia ha instaurato rapporti con molte fazioni della zona contaminata e sa come muoversi al meglio per raggiungere DC e dintorni – spiegò, indicando con le dita punti immaginari di una mappa nell’aria.
- E con questo? Cosa ce ne dovremmo fare? Non abbiamo bisogno di una guida turistica per poter tornare a casa – nel pronunciare l’ultima parola Dave abbassò lo sguardo: “casa” probabilmente non era un termine che comprendeva appieno in quel momento, non dopo tutto quello che era successo.
- Pensaci bene – si sfilò di dosso il ciondolo delle Twin Sisters e lo lanciò sul tavolo accanto al posacenere. Dave lo fissò perplessa.
- Ci hanno incaricato di chiedere aiuto a tutte le fazioni per far fronte ai Noctar o come diavolo si chiamano quelle bestie, giusto? –
- Giusto – un altro tiro. Un’altra nuvoletta, sguardo fisso.
- Ma non dobbiamo necessariamente essere noi a consegnare questo cazzo di ciondolo, mi segui? – le labbra di Dave si arricciarono in un mezzo sorriso.
- Per una volta sembra che ragioni come me, Jeff. Vai avanti –
- Se riusciamo a salvare Vance potrò consegnare a lui il ciondolo e far sì che venga “riprodotto” in più copie e spedito a chi di dovere. Le fazioni saranno avvisate, la missione sarà stata compiuta e noi potremo dirigerci verso casa senza temere di aver un altro incontro con quelle psicopatiche – posò entrambi i gomiti sul tavolo, incrociando le dita serrate intorno alla sigaretta che si consumava in silenzio.
- Siamo sicuri che funzionerà? – chiese lei, con un’ombra di dubbio che si insinuava sotto gli occhi.
- Abbiamo mai avuto certezze? – entrambi sorrisero, un sorriso amaro pensando che se l’erano sempre cavata sul filo del rasoio, andando “contro il banco” per usare una metafora da casinò. Era quella sottile complicità mista a tenacia e follia che li teneva ancora a galla.
- Un ultimo sforzo, Dave, poi potremo riposare – sentenziò, sperando che tutte quelle parole non fossero state vane. La ragazza spense la sigaretta e lo fulminò con lo stesso sguardo di quando si erano quasi uccisi a vicenda.
- Un ultimo sforzo, Jeff –
 
                                                      […]
 
- Allora ce l’hai? – chiese per la terza volta di fila. King lo fissò ancora più perplesso per poi sputare a terra.
- Sei impazzito? Ti ho già detto che quella roba vi ammazza, non voglio avervi sulla coscienza! – rispose con i nervi a fior di pelle, cercando di nascondere la preoccupazione.
- Non abbiamo alternative – rimase impassibile – Vuoi rivedere Vance vivo? Vuoi insultare ancora una volta gli scavenger? Allora devi darci quella merda, King –
- Jeff, sappiamo entrambi che fine hanno fatto tutti i membri dei Junkies dopo che l’hanno presa – il tono del vecchio si erano fatto pacato, la rabbia era scomparsa, -sostituita da un’amara consapevolezza.
- Lo so – si volse a guardare Dave che si era di nuovo “accomodata” sul cornicione della sovraelevata – Ma non possiamo fare altrimenti, abbiamo una sola chance e per come siamo ridotti finiremmo per diventare carne da cannone. Non possiamo aspettare di riposarci, gli Artiglio non sono mai stati gente paziente –
King lo aveva ascoltato in silenzio, scuotendo la testa ogni tanto.
- Whiskey, se quello schifo di Cataclysm ti spedisce all’altro mondo, verrò a prenderti per ammazzarti di nuovo. Sono stato chiaro? –
Sorrise: il vecchio sapeva come allentare la tensione con le sue minacce.
- Chiarissimo. Bastano due mezze dosi, prendi la partita più recente che hai. Dopodiché partiremo immediatamente. Tu rimani qua a difendere il forte, ho bisogno di un fucile che ci copra il fondoschiena–
- Avrete la strada spianata, ragazzo. Se quelle teste marce si faranno vedere, gli regalerò qualche buco in più! – il vecchio si allontanò sghignazzando e lui si diresse verso la predatrice.
- Ehi, sei pronta? –
- Sì, voglio solo finire questa faccenda, sbronzarmi e morire su un dannato letto –
- Dovremo usare un piccolo aiuto per farlo – Dave lo squadrò dubbiosa.
- In che senso? –
- Sarò breve: Cataclysm, una droga sperimentale nata da un mix folle di Psyco, Med-x, Adrenalina e non so cos’altro. Puoi immaginare che effetti possa avere – fece cenno a King che si stava avvicinando con un piccolo cofanetto in acciaio segnato dal tempo.
- Ma che cazzo? Non sarà mica quella merda che ha creato i supermutanti? – la ragazza sembrava visibilmente preoccupata, ma al tempo stesso incuriosita. Un dualismo che non si sarebbe aspettato.
- Una dose intera ti permetterebbe di far fuori un Behemoth, o prendere a schiaffi un deatchclaw ma una volta finito l’effetto, beh, non faresti più parte di questo mondo…-
- Merda…- Dave tornò a guardare verso la zona contaminata per quasi un minuto.
- Okay –  gli disse voltandosi, facendo spallucce – Tanto moriremmo lo stesso senza prenderla, no?-
Una mezza a dose a testa, una piccola siringa lunga quanto un pollice. Il liquido al suo interno sembrava a tratti brillare di un giallo inquietante immerso in quel blu innaturale. Chiunque avesse concepito quella droga era completamente pazzo.
Inspirarono all’unisono e si iniettarono la dose a vicenda.
- E adesso? – chiese la ragazza, sembrava leggermente stordita e anche lui non si sentiva con i piedi a terra. Come un bicchiere di troppo dopo una notte insonne.
- Adesso andiamo a far rimpiangere agli Artiglio di averci rovinato i piani per il “week end”, sperando che questa roba non ci faccia fuori prima. King! Avvisa gli Scavenger che ci stiamo muovendo, avremo bisogno di un diversivo per entrare a Big Town – riusciva ancora a formulare frasi in modo lucido, ma sentiva crescere dentro di sé il desiderio di buttarsi nella mischia, di uccidere qualcuno, di far bruciare il mondo ancora una volta. Poteva quasi vedere gli stessi pensieri prendere forma negli occhi della predatrice.
- Radiamo al suolo quell’accampamento di merda – sibilò Dave imbracciando le armi.
- Mi inviti a nozze - rispose lui, facendo scattare l’otturatore del fucile. In entrambi i casi sarebbe stato un massacro, ma non gli importava, perché alla fine la risposta a quei dubbi era sempre la stessa: la guerra, la guerra non cambia mai.

Dave Campbell
 
Avamposto di Arefu                                                                                                       8 settembre 2275

 
Quella roba che si erano appena fatti in vena era la cosa più sorprendente che le fosse mai capitato di provare, un mix letale completamente fuori dall’umano concepibile, era adrenalina, era sesso, era come se tutta la forza del mondo, dei secoli passati, le stesse scivolando bollente nelle vene, sfiorandole la pelle con la violenza di un torrente in piena. Si sentiva viva, più viva che mai, i muscoli tesi, pronti a scattare in avanti, sentiva un turbinio di energia che le dilaniava le budella, voleva il sangue e lo voleva ora.
Guardò Jeff: “Qual è la nostra prossima mossa?” Percepiva la sua voce con una nota roca come di chi ha sete.
“Ci muoveremo verso ovest di Big Town, passeremo davanti al cinema all’aperto Moonbean, ci saranno I supermutanti ma non mi interessa, ora come ora niente conta se non il nostro obbiettivo.” Jeff aveva lo sguardo perso, non assente ma come se avesse la testa piena di vespe, il suo corpo aveva dei piccoli scatti e una leggerissima patina di sudore gli copriva i muscoli in tensione, Dave fu quasi sicura di averci visto come tante piccole stelline sopra, ma forse era un malato parto della sua mente.
 
Si incamminarono con passo abbastanza spedito, volevano a tutti i costi trovare quell’uomo il prima possibile, entrambi sentivano la necessità di tornare a casa, Cataclysm non faceva altro che aumentare l’urgenza di distruggere qualsiasi cosa gli si fosse parata davanti pur di ottenere ciò che volevano.
 
Scesero dalla sopraelevata così come erano saliti, scavalcando ammassi di rocce e districandosi tra gli spuntoni del cemento armato che un tempo probabilmente tenevano su l’intera baracca, ma la discesa sembrò essere decisamente più facile della salita, forse per gli effetti della droga, forse chissà, davvero questa volta erano determinati e non due fuggitivi persi sa Iddio dove.
 Il sole brillava alto nel cielo ormai, non una sola ora di sonno, faceva un caldo infernale, un caldo secco, torrido che ti arde la gola, intorno a loro solo distruzione rottami e un gran mucchio di polvere che si appiccicava alla pelle sudata.
Dave gocciolava sotto le cinghie della sua painspike ma non se ne curava, la vita all’esterno non la percepiva come quella che le brulicava all’interno, era come se il suo corpo fosse come un guscio vuoto indistruttibile, un’armatura atomica fatta di nervi, tendini e pelle. Anche Jeff si muoveva con estrema facilità tra le rocce e Dave pensò che forse anche lui provava quella sensazione di potere.
 
                                                                         (…)
 
Camminarono a lungo per la piana desolata senza incontrare praticamente nessuno. pensò Dave, aveva voglia veramente di spaccare qualcuno, ne sentiva la necessità fin dentro le ossa. Ogni tanto lo spazio intorno a lei era come se si distorcesse vedeva figure lontane poi vicine, non umane. E poi la terra ondeggiava o si crepava ma aveva come il sentore che nulla di questo stesse veramente succedendo nella realtà, neanche I peggiori trip di Jet le avevano mai dato quell’effetto non aveva mai provato nulla di simile. Jeff era stranamente silenzioso, camminava diritto, o così le pareva, senza proferire parola, con lo sguardo puntato all’orizzonte, come un soldato veterano pieno di consapevolezze e certezze dalla vita. Dave si sentiva persa invece, era solo contenuto senza forma, viscere che si attorcigliano su loro stesse ma senza un essere umano a contenerle, solo sensazioni, solo vita. Era giovane d’altronde, della vita non aveva mai visto veramente nulla e da quando aveva incontrato Jeff si sentiva come se avesse imparato una storia secolare tutta insieme, tutta sulle sue spalle che pesava come un macigno ma continuava a non avere forma, a non avere una direzione, un senso.
 
Scosse la testa alzò lo sguardo e lo vide camminare, incurante dei problemi del mondo, seguì la linea delle spalle, la linea del collo e lo chiamò ad alta voce: “Jeff, almeno sai dove stracazzo stiamo andando?!”
Si girò di scatto come colpito da una freccia dritta tra la sesta e la settima vertebra cervicale, con un unico gesto l’afferrò con forza e le tappò la bocca.
 
“Si può sapere che cazzo urli, Dave? Guarda di fronte a noi – e indicò con la mano un piccolo agglomerato di strutture di fronte a loro- lo vedi quello? Quello è il fottuto cinema all’aperto Moonbeam e quel posto di merda raccoglie tanti di quei supermutanti che così tanti non ne hai mai visti nella tua vita”
Dave aveva il suo fiato sul collo, il tono di voce di Jeff era serio e sbiascicato al contempo, come di un soldato ubriaco al fronte, ebbe un brivido lungo la schiena, un brivido freddo e caldo, ghiaccio e fiamma. Era questo l’effetto che gli faceva Jeff Callaghan, un uomo che l’aveva trovata e le era stata al suo fianco fino a quel momento, un odi et amo, lo aveva minacciato, picchiato ma allo stesso tempo gli aveva dato tutta la fiducia che non aveva mai riposto in nessuno.
In quel momento ad esempio, odiava che le avesse tappato la bocca come una fottuta ragazzina ma al tempo stesso averlo vicino gli dava sicurezza.
 
Deglutì piano e annuì con la testa, non appena Jeff tolse la mano dalla sua bocca lei lo rimbeccò: “Brutto stronzo, vacci più piano con me”.
Jeff emise un verso che era più simile ad un cane che ringhia che ad una persona e lei gli fece una boccaccia.
 
Di fronte a loro tutto ad un tratto un supermutante di ronda fece capolino e iniziò ad avanzare più velocemente verso la loro posizione, intorno a loro il nulla, non un posto dove nascondersi,
 
Jeff iniziò ad aprire il fuoco contro di lui il supermutante sparò un colpo, uno la prese di striscio l’altro gli sfiorò la gamba, lesionando lievemente la pelle, non sentì dolore per nulla, anzi, potè quasi affermare che tutto sommato era addirittura piacevole quella sensazione.
 Un rivolo di sangue iniziò a colare giù dalla sua coscia, piano, inesorabile, Dave lo fissò per un tempo che le parve infinito ma che non doveva essere stato più di un secondo o una manciata di secondi, colando il sangue acquisiva forme e colori differenti, prima blu, poi verde, poi diventava a forma di persona, di deathclaw, di animali vari che popolano la Zona Contaminata. Con la mano pulì la gamba e se la portò alla bocca, il sapore del sangue, .
pensò la ragazza < quindi è sbagliato, dovrebbe essere quello della bestia> I ragionamenti si erano ridotti a quelli di un robot o di un bambino di una decina di anni, macchinosi, lenti e stupidi.
Tutto era confuso, con la coda dell’occhio vide che Jeff stava dandosi da fare per tirare giù il bestione e ci stava riuscendo, voleva partecipare.
 
Iniziò a correre verso il supermutante e sparò un colpo, dritto al ginocchio, era quasi esausto ormai, già indebolito dalla furia omicida di Jeff, si inginocchiò, pronto per essere macellato, cancellato dalla faccia della Terra.
Un colpo, un unico colpo in mezzo alla fronte e il supermutante si accasciò con un rantolo.
Jeff scoppiò in una risata roca e inquietante, sanguinava anche lui, o forse era solo il sangue schizzato nella battaglia, si sedette per terra. Dave gli saltò quasi addosso iniziando a toccarlo sul viso come un animale: “Sei ferito?”
 
“Non lo so” rispose Jeff con un sorriso beffardo.
 
“Come fai a non saperlo?” Rimbeccò lei.
 
“Non lo so e basta, non sento nulla” sorrise ancora.
 
“Al diavolo! Alzati e muoviamoci, ce ne saranno altri” Dave pronunciò queste parole con una voce estremamente risoluta.
Jeff non proferì parola, si alzò da dove era seduto, spolverò gli abiti e come se fosse la persona più rilassata del mondo si incamminò verso il Cinema all’aperto che ormai era a pochi metri da loro.
 
                                                               (…)
 
Il luogo era deserto, intorno a loro niente, niente di niente.
“Dove sono gli altri supermutanti?” Sussurrò Dave
“Strano-gli occhi di Jeff si muovevano velocemente da una parte all’altra delle piccole strutture diroccate- qui non c’è nessuno.”
“Merda” sibilò Dave
“Perchè imprechi, cazzo siamo fortunati che non ci sia nessuno” rispose scocciato Jeff.
“No, perchè se non sono qui chissà dove sono, a tenderci chissà che imboscata” Dave strinse la sua amata pistola nella mano, fino a che le nocche non sbiancarono, il braccio teso in una rigidità da rigor mortis e la paura dentro le ossa.
“Dave cazzo, cosa è tutta questa paranoia? – Jeff le diede una spallata- Al posto che fare la pazza cerca se in quelle casse ci sono dei proiettili o delle bende, insomma qualsiasi cosa”
 
Obbedì senza fiatare, era come ovattata in un mondo parallelo, come in una bolla trasparente, le ansie le divorava il cervello e fu allora che capì qualcosa di quella cataclysm, la furia che da’ quando si può uccidere è solo paragonabile alla paranoia e all’angoscia di quando non c’è niente da fare. Perchè, pensò Dave, la rabbia che da questa droga va sfogata da qualche parte nell’immediato e se non si riesce ad usarla contro qualcuno, allora il cervello la usa contro se stesso provocando tremori e frutti inesistenti della mente.
 
Dave aprì la cassetta indicatale da Jeff e dentro non trovò altro che un paio di bende e uno Stimpack pensò <è qualcosa>.
 
Poi i tremori si fecero più forti e le ansie ancora più presenti, si sentiva contornata da mille ombre che la guardavano e la giudicavano in ogni mossa che faceva, pronti ad aggredirla e distruggerla, tante piccole figure scure che si insinuavano sotto la sua armatura, nella sua testa, entravano dalle orecchie ed uscivano dal naso ed era freddo, tutto era freddo e il cuore le batteva all’impazzata come avesse un cavallo imbizzarrito nella gabbia toracica, aveva bisogno di pensare ad altro ma non riusciva era come bloccata da catene invisibili d’ombra.
 
D’improvviso come dall’alto la voce di Jeff spezzò l’incantesimo
“Ti muovi?” Chiese impaziente “Cazzo- imprecò- sento dei rumori, sono forti, vengono da ovest, credo sia Big Town, andiamo, andiamo, non c’è tempo!”
 
E si sentì sollevata, la visione le tornò chiara, aveva di nuovo qualcosa da fare, l’euforia prese il sopravvento e tutto svanì come in una nuvola di fumo.

 

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