Monsieur Dubois est un voleur

di Rhona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Monsieur Dubois ***
Capitolo 2: *** Il Figlio di Nessuno ***
Capitolo 3: *** La rabbia del popolo ***
Capitolo 4: *** Il Rogo ***
Capitolo 5: *** Pettegolezzi e dicerie ***
Capitolo 6: *** 30 gennaio 1774 ***
Capitolo 7: *** Prime Impressioni ***
Capitolo 8: *** Hugo ***
Capitolo 9: *** Insopportabile dolcezza del suono 'Madeleine' ***
Capitolo 10: *** Colpo a vuoto ***
Capitolo 11: *** Un uomo della mia compagnia ***
Capitolo 12: *** “Après nous, le déluge!” ***



Capitolo 1
*** Monsieur Dubois ***



Al centro: André Dubois (maschera con occhi azzurri). In senso orario: Edouard Charpentier (Aaron Tveit; Les Misérabes, 2012) ; Madeleine De Bayonne (Liv Tyler) Maria Antonietta, Delfina di Francia (Kirsten Dunst; Marie Antoinette, 2006); Mathieu Meunier (Logan Lerman; I Tre Moschettieri, 2011).

Le persone menzionate sono solo semplici prestavolto, senza alcun collegamento di idee, comportamenti, carattere e/o azioni con i personaggi descritti nella storia. 




Monsieur Dubois est un voleur

 


1. Monsieur Dubois

 
Luglio 1772:  PARIGI, ILE DE LA CITÉ, SCANTINATO VICINO AL FIUME.

Il buio più totale avvolgeva la stanza, i volti erano illuminati da un’unica timida fiammella di candela. Il caldo soffocante penetrava all’interno del locale. «Va bene, ripassiamo il piano un'ultima volta!» Philippe batté la mano sinistra sul tavolo malandato.
«Pierre si presenta alla porta come “Jean-Jacques de la Galette, uomo d’affari e stimato gentiluomo della corte del Re Luigi XV”. Al suo seguito ci sono Gilbert, Philippe, Mathieu e Henri, che fanno i servitori.» spiegò André, calmo ma deciso.
Mathieu si allarmò «Aspettate: non potrebbero capire che è tutta una balla?» Mathieu aveva solo sedici anni, era naturale che dubitasse di tutto: difettava dell’esperienza che, invece, André possedeva.
«Quegli idioti non ammetterebbero mai di non conoscere un tizio che è a sua detta “popolare”!»  lo rassicurò l’altro.
«Bene; e poi?» proseguì Henri.
«Poi comincia a sbraitare qualcosa di convincente per attirare l’attenzione.»
 Gilbert prese la parola «Nel frattempo, André si infila nella bambagia, forza un paio di porte e arriva alla “meta”.»
Pierre, nascosto sotto quell’abito costoso e signorile, aveva l’aria confusa. L’abito era troppo largo per lui, l’avevano rubato al grasso barone di Fournier, quindi lo avevano costretto ad indossarlo sopra i suoi abiti usuali. Pierre, imbottito come un tacchino, camminava goffo e impacciato, aggrappato al bastone da passeggio e lamentandosi del caldo,  risultando piuttosto credibile come plutocrate: magari non come nobile d’alto rango, ma pur sempre un uomo ricco e rispettabile. André sapeva che ci sarebbero cascati! Pierre era anche piuttosto stupido, però «Eh?»  chiese.
Gilbert rispose malamente «I gioielli della contessa, delle carte importanti, un bauletto di risparmi... una refurtiva,idiota!»
«Ah.»  Gilbert era evidentemente nervoso.  Un furto a casa di un conte non sarebbe più passato inosservato, tutti avrebbero saputo di loro. Sarebbe stato più difficile nascondersi.
«Ricordate che se si mette male, e io non torno in tempo, pensate a voi. Intesi?»
«Si, André»
«Tutto chiaro?» chiese alla fine.
«Si.»
«Certo.»
«Aspettate, ma io cosa dico per distrarli?!» Pierre era sempre più impacciato.
«Non mi interessa, dì qualunque cosa purché li distragga!» Povero Pierre, ora ci si metteva anche André  a trattarlo male! Pierre mugugnò. Il povero Pierre non era esattamente una cima, ma era un ottimo scassinatore. Sarebbe potuto andare lui a prendere la refurtiva, ma André sapeva come evitare di essere visto, come sparire dalla circolazione, come fuggire in fretta senza lasciare tracce. Avrebbe dovuto rompere un paio serrature, forse, ma non sarebbe stato scoperto se non a lavoro finito.
«Pronti?»
Annuirono.
«Allora andiamo.» André si alzò, prese la livrea da lacchè e la indossò. Abbottonò la camicia con precisione, facendo combaciare le sue spalle larghe con quelle della giacca, annodando il fazzoletto ricamato intorno al collo, meticolosamente. Sistemò il tricorno sulla testa,  tirando indietro i capelli castani che gli arrivavano fino al collo. Pierre mise la parrucca impomatata del grasso Fournier; Philippe, Henri, Gilbert e Mathieu indossarono le livree da valletti.  Jean, il vecchio mendicante della cattedrale, bussò quattro volte alla porta di legno. André andò ad aprire. «Sbrigatevi, sta facendo buio. La carrozza è presa.» li avvertì con la sua voce bassa e roca. Jean era un uomo alto e longilineo, magrissimo e malvestito che chiedeva l’elemosina sul sagrato della cattedrale, suonando il violino. Zoppicava, aveva un bastone da passaggio che Henri gli aveva procurato. Sul suo viso, in verticale, c’era un’enorme e spaventosa cicatrice: fin da sopra l’occhio sinistro, lo attraversava e andava a sfiorare un lato della bocca, per poi fermarsi sul mento. L’occhio dove passava il taglio era molto più chiaro, marroncino contro il marrone scuro dell’altro, e André sapeva che al vecchio ormai gli restava solo l’occhio destro per poter vedere.
«Siamo pronti, Jean.»  Uscendo, il sole che illuminava Parigi con la luce del tramonto lo abbagliò. Quando la vista ritornò vide Edouard vestito da cocchiere, sulla carrozza appena rubata dalle prestigiose scuderie di ... di... Non lo ricordava. Uscirono tutti in coda dietro Pierre, dando l’impressione di essere suoi servitori. André si guardò intorno, osservando i popolani che si voltavano a guardarli con un misto di curiosità e risentimento per l’aristocrazia. Si infilarono nella carrozza. Pierre si sedette accanto alla finestrella ornata di piccole tendine. Con quella carrozza sarebbero potuti passare per duchi, rifletté André. Edouard lanciò i cavalli al galoppo, in direzione del palazzo sulla Senna del conte de Marsille. A quanto ne sapeva non era la sua residenza ufficiale, ma solo una casa in città, quando la vera tenuta era a miglia e miglia di distanza. Attraversarono un ponte, ma Alain non vide quale. Era impossibile anche sono pensare di vedere fuori da quella posizione: era incastrato fra Mathieu, il giovane orfano del mugnaio Martin, e Henri, ex-ladro di strada. Philippe –anche lui un ex-ladro di strada-  era di fronte a lui, incastrato fra Pierre, imbottito di vestiti, e Gilbert, sempre più rabbioso. Gilbert era un ex-bracciate del Sud, fuggito dalla tenuta del suo padrone per fare una vita migliore di quella di suo padre. Sulla sua schiena così come sulle braccia si vedevano ancora i profondi solchi scavati dalle frustate spietate che gli avevano inflitto da bambino. Sentiva Edouard gridare ai popolani di cedere il passo, lanciando la carrozza a tutta velocità. Edouard era suo amico da quando erano in fasce: erano cresciuti insieme nel quartiere della Cité, avevano preso la strada del crimine insieme e si consideravano fratelli, ma le loro origini erano fin troppo diverse: André era un orfano, adottato dai vicini della famiglia di Edouard, che lo avevano cresciuto come se fosse stato loro; rivelandoglielo solo al compimento della maggiore età. Ora André aveva ventidue anni –due più di Edouard- e poche informazioni su chi erano i suoi veri genitori. La banda di ladri era solo un mezzo per... La carrozza rallentò. Pierre si guardò intorno terrorizzato. André pensò che lo scassinatore sarebbe stato anche un bel ragazzo, se non fosse stato per la sua imbecillità...
«Siamo arrivati?» chiese intimorito. Le mani sudate, il viso pallido ancora più del solito, gli occhi verdi spalancati che trasmettevano ansia a chiunque li guardasse... Si, doveva essere spaventato.
«Si,» mugugnò Gilbert «calmati, scemo: ci farai scoprire.»
«Parlate piano!» li zittì Edouard, comparendo alla porticina «Da fuori si sente ogni cosa!» Edouard aprì la porticina con fare pomposo, abbassando il capo in un profondo inchino. Uscirono atteggiandosi ai rispettivi ruoli: lui, il lacchè,  accanto ad Edouard, il cocchiere, dietro tutti. Pierre apriva la fila in veste di “Jean-Jacques de la Galette” nome che lo stesso André aveva provveduto ad inventare, fra l’altro.  Il resto del gruppo era disposto in ordinata fila a due dietro a Pierre, impersonando il suo corteo, i valletti e i camerieri. André sperava che nessuno si fosse accorto che le livree erano tutte uguali, ed era un po’ improbabile che un uomo avesse quattro valletti personali. Edouard diede disposizioni per far si che la carrozza non fosse spostata: era essenziale per la fuga. Si impalò impassibile accanto ai cavalli, attendendo il ritorno del suo padrone. Idealmente André si sarebbe dovuto fermare con Edouard, ma era sera, era caldo e nessuno ormai aveva voglia di badare a questi particolari. Il palazzo che gli si stagliava davanti non era molto ricco di ornamenti. Era un palazzo visibilmente in possesso ad una famigli agiata e nobile, in un sobrio stile rococò che piaceva particolarmente alle signore. C’era un piccolo vialetto che avrebbe portato poi a delle scale, sulle quali si apriva una porta spalancata. Camminarono lungo il piccolo vialetto, arrivarono alla porta e Pierre fece la sua parte: «Il mio nome è Jean-Jacques Marie Renard de la Galette, devo assolutamente conferire con il vostro signore il conte de Marsille.» André fu stupito dall’abilità appena dimostrata dallo scassinatore.
«Entrate, monsieur: prego.» disse il servitore, messo probabilmente in soggezione, con un ampio gesto della mano. Entrarono e aspettarono al centro della stanza. Il servitore andò a chiamare il conte, lasciandoli nella grande sala barocca. Non era una bella casa: rococò all’esterno e barocca all’interno: gli veniva voglia di dare di stomaco per gli eccessivi ornamenti delle pareti della sala. Era una tenuta modesta per un conte, forse erano in rovina. Il conte de Marsille non era nelle grazie del re, ma era comunque un assiduo frequentatore delle feste alla Reggia di Versailles, non poteva essere talmente in disgrazia da non fornirgli un’adeguata refurtiva, se non altro Fu distratto dai suoi pensieri. «Ma guarda te che bel bocconcino...» sussurrò a Gilbert, mentre passava una cameriera piuttosto formosa, con dei fiori fra le mani. André le fece l’occhiolino, lei fece lo stesso, sorrise e ancheggiò ancora di più. Eh, si: gli piacevano le donne, e quel che è peggio è che era completamente perso per ognuna di loro. Era un giovane di bell’aspetto, alto e in forze, con gli occhioni azzurri, i capelli castani , un viso ben proporzionato e longilineo e, stando a quanto gli dicevano, una voce piuttosto suadente. Era soprattutto agile e scaltro, per questo era subito piaciuto ai ladri. Attratto dalla facile perda di allontanò dal corteo e la seguì. Non dovette camminare molto, perché lei rallentò. Si rifugiò in un corridoio che probabilmente portava alle camere. Le bussò sulla spalla per farla voltare.
«Io sono Robert, servitore di Monsieur de la Galette.»
 Lei si voltò sorridendo civettuola; doveva essere più o meno sua coetanea «Christine.» disse, sporgendo lievemente le labbra. André la premette verso di sé e cominciò a baciarla. La ragazza rispose con entusiasmo, si premette contro di lui e, buttati a terra i fiori, cominciò a passargli le mani sul corpo. Occhi verdi, capelli biondi: ne aveva avute talmente tanti simili a lei che se l’avesse conosciuta non se ne sarebbe accorto. Si sentì afferrare per la spalla. «Calma i bollenti spiriti, André: non dimenticarti per cosa siamo qui... »sussurrò l’altro. Gilbert lo tirò via e lo rimise al suo posto fra la banda. André si leccò le labbra e salutò la cameriera con un gesto lento della mano. Lei si morse il labbro inferiore e si chinò a prendere i fiori, sporgendo i seni alla vista di André. «André ora basta!»  lo richiamò l’uomo «Gli altri si arrabbieranno a morte se non te la smetti!» André si rese conto di essere nel torto. Se Gilbert non avesse preferito gli uomini alle donne, però, forse avrebbe capito. Il conte arrivò nella sala con un’aria seccata e annoiata. Apostrofò Pierre con un superbo e saccente «Cosa c’è?» Attese la risposta di Pierre, che non arrivò...Vide Pierre che contorceva la testa, arricciava le labbra, scuoteva il capo con aria di sufficienza mentre il servitore e il conte che aveva dinanzi lo guardavano interrogativi. André temette che tutta l’operazione potesse saltare. Pierre continuò così per un bel po’, mentre Mathieu si era voltato a chiedere aiuto ad André. Quando ad un tratto lo scassinatore schioccò le labbra, mosse un passo in avanti e proclamò con aria di sufficienza, facendo cerchi in aria con il dito destro: «Lo compro.» Il conte spalancò gli occhi. André sbatté la testa sulla schiena di Henri, ammutolito. “Ma che cazz... Ma cos... Porca putt ... Idiota!” furono i suoi pensieri in linea di massima. Il conte si mise a parlare con Pierre, spiegandogli che non poteva vendere, ma Pierre cominciò a brontolare sulla sua inospitalità, maleducazione e quant’altro... André colse il momento.  Corse via, nel corridoio dov’era scomparsa la cameriera. Alla fine del corridoio c’era una porta, aperta quella trovò una scalinata modesta, forse quella di servizio. Era perfetta! La salì e trovò una porta anche in cima. La aprì prudente. Si ritrovò nel mezzo di un corridoio. Oltre alla bambagia che creava Pierre poteva sentire la Senna che fluiva sotto il lato Nord del palazzo. Nelle cantine forse c’erano cose interessanti. Sarebbe andato a vedere dopo.  Si voltò verso la destra, alla fine del corridoio svoltò, aprì una porta e si ritrovò in una biblioteca. No, non andava. Tornò indietro e aprì una seconda porta. Bagno: non andava bene ancora. Decise di concentrarsi sulle porte chiuse a chiave. Corse fino alla fine opposta del corridoio e trovò la prima porta chiusa a chiave, bene! Prese i fili di ferro incastrati fra i ricami della giacca. Infilò due fili intrecciati nella toppa; compì una serie di movimenti precisi e accurati che Pierre gli aveva indicato, attese paziente. Non accadde nulla, forse la chiare era nella toppa dall’altro lato. Dannazione! Cercò di vedere dal buco della serratura. La stanza da letto, non sapeva di chi, ma al centro c’era un baldacchino piuttosto sobrio, una scrivania intarsiata e una toeletta che vedeva solo per metà. Appoggiato con tutto il suo peso, ad un tratto cadde. Non riuscì a rendersi conto di cosa fosse successo finché non si ritrovò sopra una ragazzina di più o meno quattordici anni, tutta spaventata.
«Perdonatemi, Monsieur! Non sapevo che doveste entrare! Volete che vada a chiamare mio padre, il conte, per assicurarci una medicazione?» la figlia del conte... bene... aspetta... molto bene! Ancora intorbidito nei pensieri e nei movimenti del la grande caduta, sussurrò «No... non preoccupatevi, mademoiselle... io sono un nuovo servitore...vostro padre mi ha chiesto di recarmi nella stanza della contessa. Vuole che gli porti il suo portagioie... ma io non so dov’è la stanza.»
La ragazzina parve sorpresa «Cosa vorrebbe fare col portagioie?!» chiese stupita.
«Ha tenuto le sue ragioni per sé, mademoiselle. Io non so...»
«Non preoccupatevi. Alzatevi e vi accompagnerò io.»  Quelle parole suonarono come grida di vittoria nella testa di André. Si alzò svelto, si inchinò alla contessina e si avviò dietro di lei. Era fin troppo facile raggirare le ragazzine. Erano talmente assillate dal voler diventare donne che –per una determinata età- si scordavano di qualsiasi altra cosa! Era una ragazzina dalla faccia ancora da bimba, con gli occhi grandi e la bocca costantemente semiaperta, in un’espressione di stupore permanente. L’abito che indossava era ricco e largo come la moda imponeva. Camminarono lentamente fino alla stanza accanto alla biblioteca di prima. La ragazzina la aprì. Non era chiusa a chiave. La stanza era più ricca di quella che aveva visto dal buco della serratura, ma non aveva comunque un lusso particolarmente sfrenato. La ragazzina lo fermò con un cenno della mano e andò verso la toeletta. Prese un cofanetto in legno ornato d’oro e glielo porse. «Vi conviene non fare aspettare mio padre.» André su inchinò, e si recò di nuovo alla scalinata di servizio. Nell’oscurità che sommergeva il locale, rischiarata solo da due candele nel mezzo, svuotò il portagioie nelle tasche interne che aveva cucito nella giacca. C’erano diversi gioielli con pietre prezione: tutti i dubbi che aveva sulla situazione economica del conti svanì. Lasciò lo scrigno nascosto in un angolo. Uscì nuovamente nel corridoio del piano terra e si mise a cercare la cantina. Edouard gli avrebbe detto di lasciar perdere... ma André si spingeva sempre oltre il limite. Cominciò a camminare su e giù per i corridoi, senza trovare nulla. Sentì una mano sulla sua spalla e il terrore lo assalì.
«Il tuo padrone è piuttosto maleducato, vero?» voltandosi vide la cameriera di prima. No, non in quel momento! Non riusciva proprio a dire di no ad una donna formosa... Lei si avvinghiò al suo viso e cominciò a baciarlo freneticamente. Un’idea balenò nella testa di André.  «Andiamo in cantina!» sussurrò, mentre le accarezzava i fianchi. Lei annuì e lo prese per una mano. Corse davanti a lui, portandolo in un corridoio dove non era ancora stato. Aprì una porta simile a quella della scala di servizio, e ne spuntò fuori un’altra. André memorizzò la strada per il ritorno. La ragazza aprì la porta in fondo. No, chiusa a chiave... allora doveva davvero esserci qualcosa di importante!  La ragazza ricominciò a baciarlo in maniera quasi ossessiva, non interessandosi alla cantina. Attese una manciata di minuti, poi disse «Aspetta...», sorrise enigmatico e tirò fuori i fili di ferro intrecciati. Forzò la serratura facilmente. La porta si aprì e la ragazza lo baciò di nuovo. Era davvero asfissiante... Lo spinse dentro e chiuse la porta dietro di lei. «Spogliati!» gli disse sorridendo, ma André resistette. Mentre la ragazza di sbottonava la camicetta e si apprestava a restare con la sola biancheria intima, André si guardò intorno. La cantina era bassa e sovrastata da ampie volte a botte in mattoni rossi, in netto contrasto con il barocco della sala e con il rococò della facciata. Una grata, alta quanto una normale porta, separava il contenuto della cantina dalla Senna che scorreva.  André intravide una cosa piuttosto interessante. Un bauletto in legno, senza pretese, accostato alla porta. Si avvicinò, forzò il lucchetto e vide esattamente ciò che voleva. Era per quasi pieno di monete. Riconosceva alcune monete straniere, ma per la maggior parte erano franchi. Sorrise soddisfatto, richiuse il lucchetto e si voltò. La cameriera –qual era il suo nome?-era mezza nuda, abbassandosi la gonna. «Rivestiti.» le disse calmo André, indugiando con gli occhi sui seni prosperosi di lei per un po’.
La ragazza rimase visibilmente delusa. «Perché? Non ti piaccio, forse?» chiese rabbiosa «Eppure mi sembra ti piaccia.»
«Si,» ammise sereno «ma ora ho altro da fare.» la ragazza non capì. «Se non vuoi trovarti nuda quando arriveranno, ti conviene rivestirti, e in fretta anche.»
«Arriveranno chi?!» chiese. André sapeva che Pierre doveva già aver mandato tutto all’aria. Passarono pochi secondi in silenzio, poi si udirono delle grida di allarme. La cameriera corse via, abbottonandosi la camicia. André forzò la grata ferrea che lo separava dal fiume e attese, tenendo ben stretta la refurtiva. Non passò molto tempo. Delle guardie, poche, con a capo il conte irruppero nella cantina.
«Salve.» salutò André sfrontatamente.
«Metti giù il mio denaro, ladro avvinazzato.» minacciò con voce ferma, strappando di mano il fucile con la baionetta alla guardia alla sua destra.
«Ma io non sono un avvinazzato.» protestò André, fingendosi offeso.
Il conte avvicinò la baionetta al mento di André «Allora cosa sei?» chiese retoricamente, sempre più rabbioso.
«Io non un gentiluomo, Monsieur.»
«E si più sapere qual è il nome di questo “gentiluomo”?!» gridò pieno d’ira, con il labbro superiore che gli tremava sempre di più.
André sorrise enigmatico e si inchinò con la sola testa. «Il mio nome è André Dubois.» mosse un passo indietro e cadde nella Senna.
 
NOTE DELL’AUTORE:
Ho cominciato a lavorare a questa storia ieri, mi è venuta di getto e chiedo scusa se ci sono degli errori. Commenti, opinioni e suggerimenti sempre bene accetti!

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Capitolo 2
*** Il Figlio di Nessuno ***


2. Il figlio di Nessuno








Era notte fonda ormai. La luna piena rischiarava le strade di Parigi come a giorno, facendo apparire tutto più candido. La Senna sembrava scorrere più lentamente, come catturata da quel torpore che avvolgeva la città intera. Un ragazzino sui dodici anni stava pescando, forse sperando di prendere qualche pesce notturno. Aspettava, seduto in dormiveglia sul pontile ligneo, la sua preda, fissando l’acqua scura. Una mano sbucò da quella stessa acqua, al lato più esterno di quello stesso pontile. Completamente bagnato, André uscì fuori dal fiume, issandosi su con una sola  mano; nell’altra teneva il bauletto tintinnante. Cercò di asciugarsi gli occhi con la manica, ma peggiorò la situazione. Rimase immobile, torreggiando sul piccolo pescatore, aspettando che la vista gli diventasse più chiara. Poi avanzò verso la terra ferma, avvertendo gli occhi del ragazzino piantati su di lui. Si calzò il tricorno sulla fronte, coprendo una gran parte del viso.  Riconobbe subito il punto in cui si trovava. Lo scantinato non era distante; si mise a camminare sopraffatto dai pensieri. Aveva commesso un’imperdonabile errore: non aveva fatto camuffare il viso a tutti. L’unico non riconoscibile, sotto gli strati di vestiti e sotto la cipria, era Pierre. Per il resto erano tutti scoperti. Soprattutto lui, che si era mostrato senza maschera o altro allo stesso conte che aveva derubato. Stupido! Stupido! Stupido! Come aveva potuto non pensarci! Sbuffò amareggiato. La sua unica speranza era che il conte non l’avesse guardato bene. Appena tornato allo scantinato si sarebbe rasato la barba ricresciuta, e avrebbe detto agli altri di fare lo stesso. Svoltò agli angoli giusti, passò sul Pont Neuf e camminò fino allo scantinato. Bussò quattro volte alla porta. Sentì qualcuno agitarsi all’interno. Gilbert venne ad aprire.  «Desidera?»
«Sono André.» disse, togliendosi il cappello. Gilbert tirò un sospiro di sollievo.
«Credevamo t’avessero preso, ormai.» disse, togliendo i catenaccio dalla porta e facendolo entrare. Con sua sorpresa trovò tutti sveglia ad aspettarlo. Edouard stava pulendo le armi. Non si poteva mai sapere quando sarebbero servite... Jean era in un angolo a bere vino; Henri, Philippe e Pierre giocavano a carte. Mathieu era seduto su una brandina, osservando la scena. «Preoccupati?»
«Ci conosci,» disse Henri, sorridendo ma continuando a fissare le carte in gioco «non dormiamo se non sappiamo che il nostro malfattore preferito è al sicuro!»
«Già.» mugugnò Philippe, fissando anche lui le carte.
André scosse la testa, sorridendo «Cosa è successo, perché il conte è venuto in cantina?» chiese poi.
Rispose Gilbert per gli altri: «Aveva già capito che era una farsa, quando Pierre ha detto che voleva comprare l’immobile. Ha cercato in tutti i nodi di cacciarci, poi ha visto Mathieu che si avvicinava ai candelabri dorati e la situazione è precipitata.» istintivamente di voltò contro Mathieu, che fissò il pavimento diventando paonazzo «Mi dispiace, André. Io volevo dimostrarti che non sono solo un orfano di cui avere pietà.»
«Non preoccuparti. So che sei un bravo borseggiatore, ma devi stare attento in certe occasioni.» si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla, comprensivo. Poi tornò a guardare Gilbert. «Ma perché subito la cantina?»
«Ha visto una certa cameriera mezza nuda che correva via! Tu ne sai qualcosa, André?»
«Io?» chiese sorridendo complice. Si spogliò all’entrata, restando solo con i pantaloni e la camicia, aderenti e fradici.
«I gioielli della contessa sono nella giacca, chiusi nelle tasche.»
«Cosa c’è nel baule?» chiese allora Mathieu. André sorrise, guardò sottecchi tutti gli uomini nella stanza. «Un regalo da parte del conte.» sussurrò misterioso. Edouard posò la pistola che stava pulendo, si passò una pezza dalla trama rozza sulle mani e si avvicinò ad André. Si abbassò, spaccò il lucchetto –ormai più debole- e, tenendo gli occhi piantati su André, lo aprì. André si compiacque nel vedere l’espressione stupefatta di tutti i compagni. Le monete erano in perfetto stato, anche se bagnate. Al contrario, l’acqua che rifletteva le fiamme danzanti della candela sul tavolo le faceva sembrare ancora più brillanti.
«Un brindisi ad André!» annunciò trionfante Jean, forse ubriaco. André fece un cenno con la testa a Mathieu, che chiuse la bottiglia e la consegnò ad Edouard perché la nascondesse. Pierre buttò le carte sul tavolo e si alzò. «È  la sesta volta di fila che perdo dei soldi con voi! Siete ladri!»
«Ma davvero, Pierre?»  disse Philippe, suscitando le risate degli altri.
«Cani bastardi...» mugugnò «Io me ne vado a dormire!»
«Vai, vai...» lo incoraggiò Henri, senza togliere gli occhi dalle carte.
«Smettetela di punzecchiarvi, io non voglio ricucire i pezzi dopo la rissa.» commentò Edouard.
«È  meglio che vada anche tu, Mathieu. Domani andiamo ad alleggerire un po’ di passanti.» si rivolse André al giovane. Mathieu sorrise, dapprima con gli occhi, poi si alzò scattante «Si, André.» esclamò. Corse per le scale. Si sentì la sua voce chiamare dall’alto «Svegliami quando vuoi, d’accordo?»
«Si.» rispose André, sorridendo. Era davvero un ragazzo zelante. Gli avrebbe insegnato i trucchi del mestiere.
Si piazzò davanti alla porta, il posto più caldo, dove poteva facilmente asciugarsi. Tirò a sé il bauletto, prendendo ad una ad una manciate di monetine e cominciando a contarle.
Le chiacchiere di Gilbert, Henri e Philippe affollarono lo scantinato. Edouard poggiò la pistola che stava pulendo, raccomandò agli altri di abbassare la voce; poi prese due bicchieri e vi versò il vino della bottiglia. Gli si avvicinò, con il vino in mano, sedendosi accanto a lui mentre contava.
«So perché lo fai, André.»
«Avanti allora.» lo incoraggiò «Illuminami.»
«È  da quando aveva diciotto anni che continui ad assillarti su chi siano i tuoi veri genitori. Sei stato cresciuto da persone meravigliose, non ti basta questo?»
André capiva perfettamente quel suo ragionamento, l’aveva fatto anche lui tante di quelle volte che aveva perso il conto, ormai. Ma la conclusione era sempre la stessa. «Dovrebbe, ma non mi basta. Io sono infinitamente grato ai Dubois per avermi cresciuto, ma tutti sanno che non sono figlio loro. Io li amo come se fossero i mie veri genitori e loro amano me, ma io –nella mia mente e in quella degli altri- resto il figlio di nessuno.»
«Non conosci neppure il loro nome, come puoi sperare di incontrarli?»
«So che mia madre era una cameriera nella casa di un importante generare, nulla di più. Forse non era sposata, forse aveva paura. Non lo so. Io spero che sia ancora viva, e con lei mio padre.»
«Quindi, che vuoi fare? Rapinare tutte le case nobiliari per vedere se in una c’è una cameriera che ti assomiglia vagamente?» lo prese in giro.
Sospirò «Centodiecimila franchi e spiccioli.» annunciò. «Io vado a dormire.» detto questo, senza aggiungere altro, si alzò agile, prese una candela dal tavolo e salì le scale lignee.
 
 
 
 
 
IL GIORNO SEGUENTE


REGGIA DI VERSAILLES




 
 
Antoinette passeggiava i meravigliosi giardini della reggia. Era un giardino meravigliosamente curato, sicuramente più bello di quello del palazzo a Vienna. Ma Vienna le mancava terribilmente, come sarebbe mancata a chiunque fosse partito da ormai due anni. Marie Antoinette aveva diciassette anni, ma le dame di corte francesi riuscivano ugualmente a farle saltare i nervi. Si fidava di poche persone, molto poche della sua età. «Mademoiselle Genet*?»
«Si, Altezza.»
«Avete visto Sua Altezza il Delfino di Francia, oggi?»
«No, Altezza. Credo che suo nonno, Re Luigi, lo stia facendo assistere al consiglio con i ministri.»
«Oh.» si limitò a dire, assorta. I meravigliosi giardini, il ricco palazzo e il sobrio stile delle dépendance non potevano nulla contro la sua tristezza. Se suo marito forse l’avesse tenuta più a conto forse sarebbe stato diverso, forse non si sarebbe sentita così sola, avendo una persona accanto. Ma a quanto pareva il principe preferiva la bottega del fabbro a lei, la compagnia dei suoi fratelli per la caccia piuttosto che quella di sua moglie nel loro letto. Dopo due anni non avevano consumato il matrimonio, nonostante ogni sera il principe si coricasse con lei nella sua stanza. Si sarebbe voluta confidare con le dame della sua età, ma non poteva. Avrebbe significato dover gettar fango sul re, e lei non voleva assolutamente questo. Le dame di corte tramavano alle sue spalle, mettendo sotto processo ogni suo passo falso, ogni minima esitazione che dava a mostrare. C’erano talmente santi pregiudizi per gli stranieri... Poi c’era stata la du Barry. Era stata praticamente umiliata di fronte a tutti, il primo gennaio di quello stesso anno, e Luigi non l’aveva neppure rivolto la parola, consolandola. Si era imposta di non farsi pesare la cosa. Sarebbe stato bello tornare a Vienna, solo per una volta, sono per rivedere i suoi fratelli: Joseph, Leopold e tutti gli altri che aveva lasciato partendo, quasi senza preavviso. Ogni tanto mandava un suo ritratto a Vienna, ma che valore aveva un ritratto?! Avrebbe tanto voluto tornare, ma non poteva... De Mercy diceva che finché non partoriva un erede non poteva contare sulla sua posizione. Se solo avessero capito che il problema non era lei, ma l’indifferenza del marito. Luigi non aveva certo il fisico che aveva sperato, ma, anche solo per le pressioni soffocanti della corte, avrebbe adempito al su dovere di moglie e Delfina di Francia, ma lui  sembrava anche impettito e imbarazzato, ogni volta che le parlava, goffo e pingue nei movimenti. Fra gli alberi magistralmente potati intravide l’enorme abito della principessa Adelaide, una della tre figlie del re. La principessa le sorrise, vedendola. Amichevole le si avvicinò. “Quanta falsità...” pensò, osservando la sua espressione compiaciuta nel notare la solitudine della Delfina.
«Vostra Altezza.»
«Madame.» si salutarono educate.
«Vedo che siete sola con la vostra cameriera, cosa ne dite di fare una passeggiata fino al Bacino d’Apollo e ritorno?» chiese, avviandosi. “E se io rifiutassi?” si crogiolo al pensiero della reazione della nobildonna, ma annuì educatamente.
«Novità da raccontare, Altezza?» chiese ipocrita.
Marie Antoinette sorrise «Spiacente di deludervi, ma non ne ho.»
«Avete sentito di quello che è successo ieri sera a casa del conte de Marsille?» chiese retoricamente. “No, naturalmente, ma è  piuttosto ovvio che voi stiate per dirmelo...”
«Quale arcano mi rivelate?» chiese, sorridente e graziosa nella sua piccola recita.
«Questa mattina, nelle prime ore, il conte è venuto a denunciare che una strana combriccola di ladri piuttosto bizzarra lo ha privato di una bella fortuna.»
«Ma li avrà visti in faccia, no?»
«Solo uno di loro. Ma il conte è riuscito solo a dire che è alto e con i capelli castani  che gli arrivano alle spalle e gli occhi chiari. Ma capirete che ci sono centinaia di uomini che potrebbero corrispondere a questa descrizione solo fra l’aristocrazia, figuriamoci in tutta Parigi!»
«E, già.» disse controvoglia. “ Certo che lo capisco...”
«Ma in compenso ricorda il nome che gli ha detto. Anche se probabilmente è solo un nome di fantasia.»
«Quale nome?» chiese, d’un tratto curiosa.
«Dubois.» disse la principessa Adelaide, continuando a camminare.




NOTE:
Mademoiselle Genet*: la futura Madame Campan.

 

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Capitolo 3
*** La rabbia del popolo ***


3. La rabbia del popolo


André si svegliò non appena un raggio di sole, sbucando dalla finestra, lo colpì in pieno volto. Si voltò a guardare se gli altri dormivano. Dormiva in stanza con Edouard, Pierre e Mathieu. Tutti gli altri dormivano in quella accanto; tutti tranne Gilbert, che aveva insistito per dormire da solo nello scantinato. André sapeva il motivo, ed era l’unico –con Edouard– a saperlo. Poco importava a lui, che lo considerava esattamente come gli altri. Ma sapeva che, per ignoranza e non certo per cattiveria, gli altri non l’avrebbero accettato facilmente. Quando Gilbert glielo aveva detto aveva sottolineato che preferire gli uomini alle donne non voleva dire essere attratto da ogni uomo, esattamente come funzionava per le donne. André avrebbe capito meglio la similitudine, se non fosse stato così maledettamente attratto da ogni donna che passasse accanto a lui... Edouard diceva che era solo questione di tempo, e che avrebbe lasciato perdere tutte le altre quando avrebbe trovato quella giusta. André rigettava del tutto l’idea, secondo lui degna di una storiella effemminata di seconda classe. Si alzò e si rimise i vestiti, ormai asciutti, della notte prima. Cercò di non fare rumore, mentre si sedeva sul letto e infilava i pantaloni neri, tuttavia lo fece. Mathieu si alzò a sedere sul letto. «Sei sveglio?» chiese, mezzo addormentato.
«Vado a prendere il pane per tutti, tu dormi. Quando torno ti sveglio e andiamo, va bene?»
Il ragazzo annuì, si stropicciò un occhio e si rigirò nel letto. André uscì dalla stanza , ed entrò nella stanza principale. Henri, che era figlio di un calzolaio, si era offerto di metter su una bottega come copertura: avrebbe cominciato fra due o tre mesi prima.  Prese la pannella che Edouard metteva per lucidare le armi dalla sedia. Uscì dall’ingresso principale, una semplice porta in legno, resistente ma rozzamente lavorata.  Abitavano in uno dei quartieri poveri, ma non era di quelli disperati. La strada era già affollata, piena di persone che camminavano. La bottega del fornaio era poco distante: André camminò dritto poi svoltò destra e poi di nuovo a sinistra, e si trovò davanti al fornaio. Il fornaio, David, si era un tempo rifornito da Martin, il vecchio padre di Mathieu. Il negozio era discretamente affollato, e il fornaio guardava in faccia ognuno. C’erano stati diversi ladri che lo avevano rapinato. Ma André pagava sempre la povera gente, il denaro –fra le altre cose- non gli mancava. «Buongiorno, David!» lo salutò cordiale.
«André!» disse educato l’altro, mentre sfornava un paio di pagnotte calde. Aspettò il suo turno in silenzio, osservano gli altri clienti. La maggior parte erano tutte donne, gli uomini lavoravano. Qualcuno avrebbe anche potuto chiedersi perché non lavorava anche lui... doveva trovare una copertura, forse? La fila passò in fretta.
«Tre pani.» lo informò.
«Subito.» disse,  passandoglieli uno ad uno. André li mise tutti nella pannella, girata al contrario. Pagò, salutò e se ne andò in fretta: meno quei pani stavano in quella pannella lurida, e meglio era. Fece il percorso inverso. Quando entrò in casa, ebbe una sorpresa infausta. Michelle, la sorella maggiore di Edouard, era seduta al tavolo della sala, piangente e disperata.  Michelle aveva gli occhi verdi e i riccioli biondo sporco come Edouard. Era una donna forte, sopravvissuta al vaiolo, sposata e con quattro figli.
«André, devo chiederti un favore!» lo bloccò Edouard all’ingresso.
«Certo.»
«Devi pagare il dottore per Claude, ti prego. Ha la febbre alta e nessuno sa cos’ha.»
«Prendi tutto quello che ti serve, Edouard. Non preoccuparti.»
Edouard gli sorrise. «Sei migliore di quanto credi, amico mio!» lo abbracciò. Michelle si alzò in piedi.  «Vi porto a casa, prendiamo Claude e andiamo dal dottore.» Annuì e seguì Michelle, correndo. Abitavano nel medesimo quartiere, spesso André vedeva i bambini di Michelle e Albert –suo marito- che giocavano in strada. La casa era preceduta da un piccolo cortile, entrandoci fu pervaso da un senso di rabbia e povertà. La casa era povera e spoglia, buia con le imposte chiuse, illuminata dalla fievole luce delle candele.
«Dice che la luce gli da fastidio agli occhi. Albert e i bambini sono con lui.» spiegò la donna.
Michelle chiamò: «Albert,» la sua voce era rauca e sottile, doveva aver pianto molto «ci porteranno loro dal dottore, che ti avevo detto...» Albert uscì dalla stanza seguito dai suoi figli, Louise, Jeanne e Jules, con il piccolo Claude in braccio. Claude aveva sei anni, gli piaceva girare per il quartiere facendo finta di essere una guardia reale: diceva che da grande avrebbe fatto il soldato della guardia.  Era un bambino dal viso simpatico e vitale, pieno di lentiggini. I capelli erano dello stesso castano chiaro dei capelli del padre, gli occhi verdi e sinceri, come la madre. Vederlo inerme fra le braccia del padre lo fece sentir male. Parlava pianissimo. Albert era un uomo basso e magro, Michelle era poco più alta. Il viso era scavato dall’età –ormai andava per i quarantotto- ma anche dal duro lavoro. «Vi ringrazio, io ero riluttante, ma Michelle mi ah convinto a chiedere aiuto a voi.»
«Qualora ti servisse qualsiasi cosa non esitare a chiedere, Albert.»
Si accorse che André guardava i bambini. «Resteranno a casa da soli, Louise può badare anche ai suoi fratelli, vero piccola mia?» chiese retoricamente, arruffando i capelli della figlia ormai tredicenne.  Albert aveva il viso rigato dalle lacrime, così come Michelle che aveva gli occhi molto arrossati, evidenti prove del fatto che non aveva dormito. Uscirono tutti insieme, mentre Claude chiamava la mamma. Edouard prese a correre, facendo strada verso il locale dove il dottore esercitava tutti i martedì. E, di conseguenza, anche martedì 28 luglio 1772. «Mamma, ma dove andiamo?»
«Dal dottore, Claude. Tranquillo, presto starai meglio: io lo so per certo!» sorrise tremante.
«Mamma, io voglio tornare a casa. Voglio giocare con i pupazzi di paglia insieme  Jules... Mamma... mi gira la testa...» Parlava con gli occhi semichiusi.
«Claude, sta’ tranquillo: presto starai bene, allora potrai giocare anche per le strade con i tuoi amici: a far finta di essere soldati della guardia, proprio come piace a te...» Michelle piangeva.
«..si...» mormorò il bambino, appoggiato al petto di Albert. Entrando trovarono una stanza deserta. Poche persone potevano permettersi un dottore, nella maggior parte dei casi i mali venivano trascurati per questioni finanziarie. André bussò alla porta dell’altra stanza.
Giunse una voce «Andatevene.»
André sentì il sangue che ribolliva nelle vene.
«Un bambino è malato. Ha bisogno di cure urgenti.» disse André, avanzando nella stanza nonostante gli ordini dell’uomo.
«No,» continuò lui, tenendo lo sguardo fisso sulle carte che leggeva «conosco quelli di questo quartiere: siete poveracci che non pagano mai. »
«Le do la mia parola che la pagherò.»
«Che me ne faccio della parola di uno straccione?» sbottò ridendo l’altro.
«Il bambino sta morendo; faccia qualcosa, in nome di Dio!» intervenne Albert.
«Non mi importa. Io faccio il medico ai piani alti, sono sicuro che la mia parcella sarebbe troppo alta per voi.»
«E la parcella vale la vita di mio figlio?» gridò furibondo Albert.
«Cinquemila franchi bastano per questa parcella?» chiese André, cogliendo di sorpresa tutti.
Il dottore si bloccò «E dove li trova un uomo come voi cinquemila franchi?» chiese sospettoso.
«Vi pago per curare il bambino, non per fare domande.» dichiarò deciso. L’uomo si fermò per un secondo, poi fece segno di mettere Claude sul letto. Albert lo adagiò delicatamente, attento a non fargli sentire il distacco. Tremava tutto, ma non era freddo. Il dottore lo visitò, tenendo le distanze, André non ci capiva molto di dottori o di medicina, e non capì cosa stesse facendo, con precisione. Si spostò e andò alla scrivania, cominciando a scrivere qualcosa. «Cosa fa?! Perché non lo cura, perché?»
«Devo fare la diagnosi. Non è facile poi: dovrò disinfettare tutti i miei strumenti dopo: potreste avere ogni genere di malattia» poi aggiunse a bassa voce «voi bifolchi.»
Claude cominciò a piangere. Michelle e Albert si precipitarono dal lui. Il bimbo tossì sangue, e André capì. Era tisi...
«Claude, Claude sono io: sono io... sono mamma!» lo chiamava Michelle.
«Mamma...» chiamò il piccolo con un filo di voce, appena udibile «...Papà... perché piangete... io starò bene. Vedrete... diventerò un soldato della guardia, forte e bravo... sarete fieri di me...»
«Ti vogliamo tanto bene, Claude: ricordatelo.»
«Anch’io vi voglio bene. E ne voglio anche a... io quando diventerò grande vi ripagherò per quello che avete speso per il dottore... io diventerò un soldato della guardia... » tossì si nuovo sangue «sarete fieri di me.»
«Lo siamo già, piccolo mio...»sussurrò Michelle.
«Quando Jules viene a trovarmi... ditegli di portare i pupazzi di paglia... quello che ho fatto io è quello che ha il vestito blu... me lo porti mamma,vero? Me lo porti quando torni con Jules?»
«Certo Claude, te lo porto presto...» singhiozzò Michelle.
«Mamma? Papà?... io ho freddo...»  e chiuse gli occhietti verdi alla vita.


 
IL GIORNO SEGUENTE

 
Il corpicino di Claude venne inumato su una piccola collinetta fuori città, spazzata dal vento, con tutti i suoi sogni per quando sarebbe diventato grande e il pupazzo di paglia con il vestito blu che aveva chiesto. Tutto il quartiere partecipò al dolore della famiglia. Quando avevano portato il piccolo cadavere esanime dallo studio del dottore, questo aveva dimostrato di essere del tutto indifferente alla morte di un bambino di sei anni, appena affacciato alla vita. Lui stesso, quelli come lui, e tutti i cortigiani avevano contribuito a quella morte. André l’aveva minacciato di morte: « Dopo quello che hai fatto meriti la morte. »  L’altro aveva continuato a tremare inerme «Fallo di nuovo ed io lo saprò: non vivrai fino a vedere l’alba del giorno seguente, intesi?» Allora aveva annuito. Mentre stava per uscire lo aveva di nuovo fermato: «E il denaro?»
«Perché, “dottore”? Quale servizio mi avete reso, perché io debba pagarvi?» E il dottore aveva taciuto.
Gli sembrava impossibile: aveva visto nascere e crescere quel bambino, sarebbe dovuto essere Claude ad assistere al funerale di André: non il contrario... Quando scesero dalla collina era già passata l’ora di pranzo, Michelle era distrutta dal dolore, Albert –che camminava tenendo abbracciata la moglie- era guardava un punto fisso e lontano, forse l’Oltretomba. Edouard teneva per mano Jules e camminava accanto a Louise e Jeanne. Le ragazze erano tristi, e Jules chiedeva del fratello. Non sapeva, povero piccolo, che avrebbe rivisto il fratello solo alla fine del suo tempo.
«Ti ho detto io di non portarlo dal dottore... che sarebbe costato troppo, che si sarebbe rimesso da solo... È  solo colpa mia, maledizione!» imprecò Albert.
«Non avrebbe fatto alcuna differenza. La tisi non lascia scampo, tantomeno ad un bambino piccolo come Claude.»
Albert scosse la testa lentamente, stringendo a sé la moglie. Rientrando in città, Michelle placò i suoi singulti. Il tramonto illuminava Parigi con la sua luce fioca e calda. Le strade erano inondate dalla folla: i bambini correvano e giocavano, approfittando delle ultime ore di sole. Le donne si raggruppavano a parlare del più e del meno, gli uomini tornavano dal lavoro. La strada affollata aveva ostruito il passaggio alle carrozze ormai: ma erano pochissime le carrozze che passavano di lì a quell’ora. André intuiva appena ciò che provavano Michelle e Albert; si augurò di non doverlo mai sperimentare sulla sua pelle. Per strada incontrarono David, il fornaio. «Albert, voglio che tu sappia che ti sono vicino: io ho perso mia figlia Marie per il vaiolo cinque anni fa.»
«Grazie, David. Te ne sono grato.» si strinsero la mano, abbracciandosi come vecchi amici. André rifletté che dovevano avere più o meno la stessa età, Mentre Albert si allontanava con la sua famiglia, André lo prese da parte. «Sembra che tu abbia visto un fantasma, David.»
«No, nessun fantasma. Mi hanno rubato un’altra fila di pane: è la quinta sono in questo mese. Vorrei che gli altri capissero che il pane è al prezzo minimo che posso fare: altrimenti ci rimetterei e mi ritroverei con l’acqua alla gola...»
«Lo sanno, David, lo sanno. Ma la fame è dura da sopportare, lo stomaco che grida è più convincente di una spada puntata al collo.» David rise amaramente, gli diede una pacca sulla spalla e proseguì. Si sentirono delle grida. Una carrozza arrivò a tutta velocità sulla strada. L’aria che mosse lo fece cadere a terra, tanto andava veloce. Si alzò immediatamente. La carrozza si arrestò bruscamente. Il cocchiere gridò di cedere il passo. Alcuni si mossero, ma un paio di bambini continuarono a rincorrersi. Tutti gli altri si scansarono; tutti tranne Albert e Michelle. Il cocchiere ripeté l’avvertimento, minacciando di passare sopra i popolani. Un uomo scese dalla carrozza, infuriato.
«Levatevi di mezzo!» gridò. Era un uomo di mezza età, con la testa ricoperta da una ridicola parrucca impomatata, come quella rubata al barone di Fournier. Vestito riccamente, con un temperamento a dir poco egocentrico e egoista, era sicuramente un nobile. Aveva l’espressione fredda e gli occhi glaciali, nonostante fossero marroni.
Albert si voltò «Perché?» chiese,  calmo e pacato, come se avesse fatto una domanda a un suo familiare.
«Io sono il...» cominciò, ma fu interrotto.
«Non mi importa chi siete, cosa fate o che volete: mio figlio è morto. Aveva solo sei anni ed è morto, sacrificato in nome di una monarchia cieca e ignorante. Per quelli come voi!» gridò. Michelle lo tirò per la manica. Albert la scansò da un lato, lentamente, spingendola verso Edouard.
«Non permetto insulti!» disse esterrefatto, scendendo dai gradini della carrozza.
«Me ne sbatto di quello che non permettete, cane bastardo! Mio figlio è morto, se volete passare aspettate che io passi, perché ho diritto di passare come voi!»
«Come mi hai chiamato?» chiese allibito.
«Come meritano di essere chiamati quelli come voi.» si voltò e se ne andò verso casa, precedendo André e gli altri. C’era mancato poco, pensò. Ancora un po’ e poteva venir arrestato: le guardie dei nobili non andavano per il sottile, poi. Sembrava che il nobile stesse per ripartire... ma non lo fece. Con un movimento fluido e naturale estrasse la pistola. André se ne accorse solo sentendo il botto, arrivato del tutto senza preavviso, e la grande macchia rosso sangue che si allargava sui vestiti semplici di Albert. Si accartocciò su se stesso e cadde a terra. Michelle gli corse in contro, seguita dai bambini, André, quasi senza volerlo, la seguì a distanza. «Albert, no!» cominciò a piangere convulsamente «Perché non hai lasciato stare! Perché! Albert...» si inginocchiò e appoggiò la testa sul suo petto. Albert la scostò con una mano e la baciò.
«Ti amo, Michelle. E voglio bene anche a tutti voi, molto più... di quanto... pensiate. Michelle, tu bada a... Louise, Jeanne e ...Jules. Penserò io a Claude... ti aspetterò, Michelle... tu sii felice, mi raccomand... » morì in mezzo alla strada, come un cane cieco che viene preso a calci da un gruppo di teppisti.  André d’istinto guardò Edouard, si voltarono insieme a vedere il “gentiluomo”. Vedendolo ancora lì, a bearsi della vista di quello che aveva fatto, parlò. Dapprima in un sussurro, poi in un grido «Assassino!» la folla guardava la scena: alcune donne gridarono, i bambini smisero di giocare e tornarono dalle loro madri.
«Lui se lo è meritato.» rispose l’altro disinvolto.
«Qui l’unico che merita la morte siete voi!»
«Sta’ zitto, idiota bifolco!» lo spintonò gettandolo a terra.
«Siete voi il bifolco!» gli gridò Edouard.
«Avete ucciso un uomo!» gli urlò contro André.
«Io non permetto di venir insultato! Io sono il colonnello Emile Antoine Martin de Bayonne, fratello del ben più noto generale Bernard Jaques Louis de Bayonne, e ho con me un invito formale alla Reggia di Versailles per stasera. Volete forse far aspettare il vostro Re? Io non ho tempo per discutere con gentaglia come voi, né tantomeno per curarmi della morte per malattia di un plebeo. Cedete il passo!»
André lo fissò negli occhi, si alzò in piedi dignitosamente. Poi si inchinò profondamente. «Come Sua Maestà il re di Francia e di Navarra Luigi XV impone.» pose l’enfasi sull’ultima frase, arrivando quasi a toccar terra con le mani, nel suo ampio gesto. Il colonnello rimontò in carrozza non accorgendosi dell’insulto implicito nelle parole e nei gesti di André. La carrozza ripartì al galoppo. Michelle, piegata sul cadavere del marito, piangeva fiumi di lacrime. Con le lacrime che le inondavano il volto e la voce roca e rabbiosa gridò: «Morte! A coloro che uccidono la povera gente: morte!» Una luce rossa e brillante come il sangue che bagnava la strada si accese negli occhi di André, intensa, disegnando una “V” sul suo iride.


Un “V”  che stava per Vendetta...

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Capitolo 4
*** Il Rogo ***


 
4. Il Rogo 



 
 
Due sere dopo l’assassinio di Albert, André si trovò nello scantinato con i suoi uomini. Edouard era l’unico mancante; era a far compagnia alla sorella e ai nipoti, trasferitisi nella sala della casa. André era felice di poter aiutare Michelle, e per una volta avrebbe fatto a meno del suo amico. Seduti intorno al tavolo delle carte, erano illuminati dalla solita candela, ormai quasi del tutto consumata, e protesi in avanti, tutti pendevano dalle sue labbra, ma continuavano a bisbigliare. Alzò una mano per imporre il silenzio, poi parlò.  «Questo è il piano: entriamo da una finestra al piano terra, Pierre la forzerà. Corrompiamo uno dei servi per gridare che sta tutto andando a fuoco. Rubiamo tutto il possibile, indisturbati: finito il lavoro bruciamo tutto.» passò lo sguardo su tutti gli uomini.
«Vuoi uccidere de Bayonne?» chiese Mathieu accigliato.
«Questo ancora non lo so.» lasciò la risposta in sospeso. Non sapeva come avrebbe reagito se si fosse trovato il colonnello davanti.
Pierre sembrava aver capito. «Dove risiede la famiglia de Bayonne?» chiese.
«Ha una grande proprietà appena fuori Parigi. Un paio d’ore di cavalcata.»
«Ci muoviamo a cavallo, quindi?» domandò di nuovo.
«Non tutti: Henri e Philippe saranno a bordo di una piccola carrozza, per la refurtiva. Io, tu, Mathieu e Gilbert andiamo a cavallo.»
«Bene, e quando si parte?»
«Ora.» gli sorrise risoluto. «Saremo lì circa all’una di notte: è un’ora perfetta per un colpo del genere.» Voltandosi trovò Edouard, annuiva.
«Vengo anch’io, Michelle e i bambini dormono, ed io voglio vedere con i miei occhi quelle bestie che scappano dalla topaia in fiamme.» aveva un tono deciso e serio. André capiva perfettamente le sue ragioni, ma si rendeva conto che avrebbe dovuto tenerlo d’occhio. Quando era così arrabbiato, Edouard era imprevedibile.
«Va bene. Allora Mathieu, tu vai con Henri e Philippe sulla carrozza. Vi fermerete sul retro.» Il ragazzo annuì. Jean bussò quattro volte alla porta. Gilbert andò ad aprire. «I cavalli sono pronti.» sussurrò. Entrando andò verso André. Il gruppo uscì dallo scantinato, gli unici a restare furono André, Edouard e Jean. «La carrozza l’ho presa dalle scuderie di LeRue, è da portare ad Argenteuil  da Hugo. I cavalli sono di Louis, li rivuole.»
«Li riavrà.» acconsentì. «Da Hugo andiamo fra un paio di giorni.»
«Sulla piazza di Nôtre-Dame ci sono una dozzina di guardie e svariati mendicanti: io la eviterei. La strada che esce ad Est è presidiata da un manipolo di soldati della guardia.» lo informò.
«Staremo attenti.» Jean annuì e fece per andare oltre, mentre André ed Edouard uscivano. Sull’uscio, Edouard si fermò. «Jean!» lo richiamò. Il vecchio fece capolino dalla scalinata con sguardo interrogativo. «Michelle e suoi figli dormono in un angoletto nella sala, attento a non svegliarli.»
«Certo, Edouard.» Edouard uscì, mentre Jean risalì le scale.
«Ehi, Jean! Lascia almeno un po’ di vino nella bottiglia!» disse ridendo. Jean mugugno. Uscendo, Mathieu gli porse il suo mantello nero. Gilbert distribuiva le maschere: questa volta non avrebbe fatto lo stesso sbaglio di non proteggere i suoi uomini e se stesso con delle maschere per non essere riconosciuti. Mise la maschera e coprì i pantaloni neri e la camicia bianca che indossava con il mantello nero. Fissò i cavalli. Li osservò bene e trasse le sue conclusioni: i cavalli non erano,  NON erano, di prima classe. Erano quattro vecchi pezzati dall’aspetto piuttosto graciluccio. Fra tutti lui era sicuramente il più alto, ma Gilbert era più corpulento, avrebbe gravato di più sul cavallo. Lasciò il cavallo più in forze a lui e saltò in sella al primo che gli capitò a tiro. Lanciò il cavallo al galoppo, seguito dagli altri. Il vento caldo che si scagliava contro la sua faccia gli dava una sensazione di libertà; gliel’aveva sempre data, fin da quando era bambino e il vecchio Romain, il padre di Louis, prestava i cavalli ai Dubois. Louis non se la passava bene con i tempo che correvano; a lui li prestava per amicizia e cortesia, sapendo che glieli avrebbe resi e che l’avrebbe lautamente ricompensato in seguito, ma alla maggioranza delle persone chiedeva un pegno in denaro o in metallo prezioso, oltre ad un modesto pagamento. Ed il pegno era generalmente alto. Ricordava quando per strada giocava con Edouard e Louis a chi arrivava prima al fiume, quando rubavano insieme i vestiti di Michelle per indossarli come mantelli e lei li rincorreva brandendo minacciosa la scopa, la rivelazione dei Dubois e la loro morte. La prima ragazza di cui si era infatuato e quando aveva fatto l’amore per la prima volta; con Joanne, la figlia del fruttivendolo, minuta e con un vitino da vespa, ma con sette anni più di lui. André aveva diciotto anni. Aveva progressivamente perso interesse per lei e realizzato che ogni donna era in grado di fare quello che faceva Joanne. Si ricordò che gli aveva anche permesso di non pagarla... In un lampo si ricordò anche quando, tre mesi dopo la morte dei genitori adottivi,  lui e Edouard –i cui genitori erano morti da due anni- avevano deciso di andare a finire su quella che l’arcivescovo di Nôtre-Dame avrebbe definito “una cattiva strada”. Quando, a diciannove anni, aveva incontrato Henri e Philippe che cercavano di spillargli soldi con il gioco d’azzardo in una taverna dei bassifondi; la stessa taverna dove aveva conosciuto Gilbert, che dopo vent’anni dalla sua fuga dai campi aveva deciso di andare a Parigi. Jean lo conosceva già da molto, ma solo di vista. Era entrato nella banda quando Edouard e André gli si erano avvicinati all’imbrunire, avevano contato con aria di sufficienza il suo guadagno della giornata, e André gli aveva sussurrato all’orecchio: «Li vedi questi soldi: io ti faccio guadagnare cento volte tanto.» E aveva mantenuto la parola. A questo punto mancava uno scassinatore, e Philippe gli aveva suggerito Pierre. In ultimo, gli venne in mente quando, appena otto mesi prima, Martin il mugnaio era morto e lui aveva preso il giovanissimo Mathieu sotto la sua protezione. Sembrava passato così tanto da quando era bambino, eppure aveva solo ventidue anni. Rallentò l’andatura, meravigliandosi di come una semplice corsa a cavallo, la pura sensazione del vento sul viso, potesse far riaffiorare alla memoria tanti ricordi. Si ritrovò a costeggiare un’alta cerchia di mura. Svoltò l’angolo e si trovò davanti ad un alto cancello bronzato. Gilbert lo chiamò, attento a non far troppo rumore. «Siamo arrivati. Henri e compagnia varia sono un po’ indietro.»
Bene, se mancavano solo loro potevano anche cominciare. «Intanto entriamo: dì a Pierre di forzare il cancello e un paio di finestre. Una volta dentro andate nelle stanze della servitù; corrompi un servo.»
«Subito.» annuì allontanandosi. Prese i cavalli e li legò ad un alberò poco lontano dalla fiancata della cinta muraria.
«André!» lo chiamò piano Edouard. «Pierre non ha portato gli attrezzi.»
“Prevedibile!”pensò soddisfatto.  «Ce li ho io.» Dalla tasca interna del mantello prese un po’ di fili di ferro, porgendoli ad Edouard. Lui scosse la testa.  «Ormai pensi ad ogni cosa. Mi chiedo a cosa ti serviamo noi.» commentò sorridendo.
André sbottò ironico, ricambiano il sorriso. «Sai che noi, rubare nelle grandi case nobiliari tutto solo?!» Edouard si allontanò. Sentì uno scalpiccio di cavalli e di ruote. Nella notte intravide Henri a guida della carrozza. «André, noi restiamo qui?»
«No, cerca di non fare rumore e vieni sotto le finestre del retro, Mathieu entra con noi.» Mathieu fece capolino dalla porticina ed uscì, correndo verso gli altri. Il cancello si aprì con un cigolio. Henri condusse la carrozza sul retro, con il minimo rumore possibile. Il palazzo era ben visibile. Era un edificio basso e allungato, in stile tutto sommato sobrio. Il porticato era segnato da una lunghissima fila di archi a tutto sesto. Le finestre erano tutte ben schierate. Il palazzo era preceduto da un piccolo giardino poco curato, pieno di erbacce. Una scalinata, non molto visibile con il buio, portava all’ingresso principale; ma questo ad André interessava relativamente poco.  La cosa importante era che, sotto il porticato, le finestre erano grandi e pronte per essere forzate da Pierre. Ne vide un paio aprirsi sotto le esperte mani dello scassinatore e, una volta arrivato, entrò.  L’interno non era ben visibile: André fece segno a Henri di portargli  la lampada ad olio che aveva appesa alla carrozza. Una volta presa accese un paio di candele su un candelabro e partirono. I piani alti erano quelli più sicuri per il momento. Pierre riaccostò la finestra scassinata... diventava sempre più intelligente...   Salì le scale in fretta, rischiando di inciampare rovinosamente un paio di volte. Una volta in cima attese. Gilbert era a corrompere un servo, aveva mandato lui perché era piuttosto persuasivo, anche con una piccola cifra: minima spesa e massima resa, come si suol dire... Conosceva bene i tempi di certe azioni. Alzò una mano a palmo aperto, chiudendo un dito alla volta. Cinque...quattro...tre...due...uno...
«Al fuoco!» si sentì gridare «La tenuta sta andando a fuoco! Svegliatevi tutti! Al fuoco! Uscite tutti!» sorrise scaltro. Mathieu aveva una strana espressione, sembrava voler chiedere come avesse fatto. «Lascia stare, Mathieu. Si pavoneggia e basta!» commentò sorridendo Edouard. Si nascosero fra le tende e le piante nella galleria al secondo piano. Le parole angosciate di una donna e il vocione falso di un de Bayonne tranquillizzante riecheggiavano verso l’alto. L’affanno dei servi che uscivano veloci; i passi di tutti risuonare sul pavimento; la pendola che batteva le due... e poi il silenzio assordante di una casa vuota. Era il momento di mettersi al lavoro.
«Pierre e Gilbert, voi andate al piano terra: non lasciate nulla che non si possa facilmente rivendere. Mathieu, Edouard ed io andremo al secondo piano. Il terzo piano lo facciamo per ultimo insieme: da lì appicchiamo fuoco. Aveva mezz’ora di tempo per la prima parte: tutte le cose vanno radunate nel lato opposto all’ingresso. Spaccate o forzate le finestre che danno sul retro. Chiamate Henri e Philippe con un semplice fischio. Intesi?»
«Si.» disse convinto Mathieu. Glia altri annuirono. 
Pierre protestò «Possiamo fare a scambio, Gilbert mi maltratta.»
«Non è il momento!» lo ammonì Edouard. Gilbert e Pierre andarono al piano inferiore. Si misero subito  cercare. La ricerca nelle stanze del colonnello fu particolarmente prolifica: André stesso trovò borselli con denaro ovunque. Le stanze della signora e delle figlie non furono da meno: trovarono gioielli stimabili per un minimo di duecentomila franchi. I vestiti furono costretti a lasciarli... la carrozza non era grande abbastanza. Dopo solo un quarto d’ora si ritrovarono al pianterreno.
«Siamo andati anche nelle cantine e nelle cucine. Ci sono diversi vini di valore, un paio di prosciutti, diverse pagnotte e un altro “magico bauletto” che potrebbero essere utili.» lo informò Gilbert.
«Magnifico!» esclamò, ammirando l’etichetta di un rosso d’annata. Il suo sguardo si spostò sulla pila di pani che avevano avvolti di tre pannelle.
«Al piano di sopra abbiamo finito, le stanze sono poche.»  disse Mathieu «Comunque abbiamo preso diverse cosucce molto interessanti.» guardò Edouard con sguardo complice.
«Date un fischio a Henri e Philippe: intanto carichiamo la roba. Ma veloci, potrebbero insospettirsi là fuori.» Gilbert eseguì gli ordini. Trascinarono la refurtiva lungo le scale e la passarono attraverso una grande finestra del pianterreno.  Ci volle poco, anche perché erano per la maggior parte piccole cose. «Sbrighiamoci, anche se non credo che al terzo piano troveremo granché.» li esortò André.
«Aspetta,» lo bloccò Edouard «io e gli altri andiamo al terzo piano, tu e Mathieu trovate cose da bruciare.»
«Si, è meglio. Allora appiccheremo il fuoco da qui.» Sparirono tutti dalla sua vista. Mathieu prese un mobile in legno pregiato e lo ribaltò, spaccando tutti ciò che c’era sopra: un orologio intarsiato e un vaso di fiori. André cominciò a farlo a pezzi, mentre Mathieu portava un altro mobile. Una voce arrivò dal piano superiore.
«André! Le carte e i libri del colonnello le prendiamo?». Era Gilbert.
«Si,» rispose «porta via tutto!»
«André, l’olio alimenta il fuoco?.» chiese Mathieu, prendendolo alla sprovvista. Ci pensò un po’, tentando di ricordare se qualcuno glielo aveva accennato... no...
Alla fine si decise: «Be’, male non farà di certo.» Mathieu annuì.
«Vado a prenderlo.» si offrì. André concordò. Quel ragazzo era davvero in gamba. Non gli sarebbe mai venuto in mente di usare qualcosa per alimentare ancora di più l’incendio. Un giorno avrebbe preso il suo posto, ne era sicuro. Forse dopo Edouard, ma comunque avrebbe avuto una sua brigata. Si rese conto di quanto era triste parlare già di successori a ventidue anni. Spostò altri tre mobili e li spaccò, in modo di mettere in mostra il legno puro e non trattato dell’interno. Tolse i cassetti e li spaccò. Ammucchiò tutto al centro della stanza, vicino alla grande scalinata che portava ai piani superiori. Sulla scalinata c’era un tappeto di velluto rosso: avrebbe appiccato fuoco su tutta la scalinata! Mathieu lo colse di sorpresa.
«Ce n’è a litri!» annunciò trionfante, con un’enorme insalatiera e due bottiglie piene d’olio. Bene! Ormai avevano finito. Avrebbe dato fuoco anche a tutte le tende, su tutti i piani: voleva che il fuoco mangiasse fino all’ultima briciola di quella casa. Claude e Albert meritavano giustizia; e se la legge non gliel’avrebbe data allora c’avrebbe pensato lui. La giustizia e la legge erano due cose differenti infondo: c’entravano ben poco l’una con l’altra. «Edouard!» chiamò «Ora basta! Porta giù tutto.» Edouard sbucò dalla balconata. «Abbiamo tirato giù le tende per raccogliere tutto. Ora arriviamo.» Dopo poco,  Pierre, Gilbert e Edouard scendevano le scale con le tende a mo’ di sacchi. Passarono tutto a Philippe, mentre Henri, prese le tende, cominciava a spargerle sulla balconata. Mathieu e André spargevano l’olio in su tutta la casa. Quando ebbero caricato tutto, giunsero delle grida da fuori. André si sorprese.  «Emile! Ti prego no! Fidati del tuo valletto, la casa va a fuoco!»
 Presto la sorpresa lasciò il posto al panico. «Andatevene!» ordinò a Henri e Philippe, spingendo Pierre nella carrozza con la refurtiva. Il ladro annuì e mandò i cavalli al galoppo. «Ci vediamo a Parigi.» disse prima di scomparire. La voce burbera e arrogante di de Bayonne gli fece venir voglia di prenderlo a pugni. «Non dire assurdità, donna! Sei solo una stupida: è da più di mezz’ora che la casa sta “bruciando”! Se fosse stato vero, dovrebbe essere già crollata!» non solo i popolani, ma anche la moglie... era un essere indegno anche solo di venir chiamato uomo... figuriamoci di vivere... Prese la pistola che aveva alla vita. Mirò al cuore inesistente del’uomo che si avvicinava sempre di più. Alzò il cane, e cominciò a fare sempre più pressione sul grilletto. Ma una cosa lo fermò. Una bambina, una piccola bambina dai capelli biondissimi e leggeri, con gli occhioni scurissimi e lucenti che lo guardavano. Doveva essere la figlia minore di Bayonne; teneva stretta una bambola. La pietà gli fermò la mano. Premette il grilletto, mancando il bersaglio come voleva. Il conte si spaventò. Fece cenno ad Edouard che, con una candela in mano, andò ad appiccare il fuoco al piano superiore con Gilbert. «Non muoverti, de Bayonne.» intimò André ad alta voce. «La casa sarà presto in fiamme, i miei uomini stanno appiccando il fuoco proprio mentre parliamo.»
«Dimmi chi sei!» ordinò rabbioso.
«Io sono Dubois. E sono qui per vendicare un omicidio. Non prenderò la tua vita, né quella dei tuoi familiari o amici: voglio solo darti una piccola lezione. Un assaggio di quello che potrei fare ad un uomo come te.» Edouard e Gilbert corsero giù, seguiti dalle fiamme. In volata, lanciò la lampada ad olio sulle tende. Tutta la casa ora era in fiamme. Fuggì, veloce come il vento, dalla finestra del retro. Correndo raggiunsero la cinta muraria. C’era un cancelletto, poco più di una porta. Era uno di quelli che venivano usati dai servitori per andare al paese o per ricevere i rifornimenti.  Scavalcando il cancelletto fuggirono. I cavalli erano dove li avevano lasciati: brucavano l’erba che cresceva rada ai piedi dell’albero. Salì in groppa a quello più in forse, portando Mathieu dietro di lui. Lanciò il cavallo al galoppo. Mentre cavalcava e teneva la testa bassa sentì il bisogno di guardarsi indietro. Rallentò e voltò il viso. Le lingue di fuoco ondeggiavano al vento caldo delle prime ore di agosto. Il calore di percepiva anche a quella distanza.
«Perché ci siamo fermati?» chiese Mathieu.
Attese un po’, sorrise e poi rispose: «Perché da questo momento in poi si sentirà davvero parlare di noi, Mathieu.»



 

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Capitolo 5
*** Pettegolezzi e dicerie ***


5. Pettegolezzi e dicerie 
 

 
 Sotto lo sguardo vigile di nobili e servitori,  Marie Antoinette mise in bocca una minuscola quantità di pesce persico, infilzato su una forchetta dorata e servito con diversi tipi di insalata, pane bianco e delle strane salse dal sapore che non le piaceva.  Sentiva il buon odore dell’insalata fresca, servita con i frutti di mare. Il cibo però non l’aiutava a dimenticare. Al suo fianco c’era Louis, Louis il Delfino di Francia, Louis suo marito. Louis che passava le giornate fra la caccia e la bottega del fabbro... Ma perché a lei! Aveva sorelle sposate per ragioni politiche eppure –tutto considerato- abbastanza felici, ma non lei. No; perché anche quando andavano a dormine insieme e lei si stendeva rivolta verso di lui, Louis si voltava dall’altro lato, quasi per riflesso, cadendo in un sonno profondo. Il banditore batté forte il bastone a terra, annunciando l’entrata di chissà quale nobile. Non gli prestò ascolto, tanto non le interessava. Si sentiva come in un acquario, osservata da tutti, convinta che anche i muri avessero occhi per spiarla, quando si sedeva scomposta e poco elegante su una di quelle poltroncine nelle sue stanze. Non aveva molti amici; molti le si avvicinavano per un impiego importante o per una nomina, mai per sincera amicizia Le figlie del re erano delle arpie, la Du Barry era una donna di malaffare. Era molto più amica di Madeleine, figlia di un generale, che di sua cognata la Contessa di Provenza, qualunque fosse stato il suo nome di battesimo. Madeleine era una delle poche persone in cui aveva una ceca fiducia; avevano quasi la stessa età, ma Madeleine era un anno più grande di lei. Aveva conosciuto anche la principessa di Lamballe, già ai tempi del suo arrivo in Francia; aveva un buon carattere, ed erano amiche, ma Madeleine era passata nella situazione in cui Antoinette si trovava, sebbene in dimensioni forse ridotte. Mademoiselle Genet non era nobile, ma era molto più educata e saggia di molte nobili che conosceva; era la sua première femme de chambre. Passava le sue intere giornate con le dame di compagnia, ma ogni tanto andava a passeggiare nel profondo dei giardini, con Maria Luisa (questo era il nome della principessa di Lamballe), Mademoiselle Genet, Madeleine e poche altre elette: le sole di cui si fidava un po’.  Spesso leggeva, Madeleine le portava i libri che aveva in casa. Aveva finito da un paio di settimane Rousseau, letto di nascosto, nel giardino, per paura di venir additata come topo di biblioteca, oltre che come austriaca. Maria Luisa le aveva riferito che la principessa Adelaide aveva cominciato a chiamarla “L’Autrichienne”, giustificando il “povero nipotino”, visto che “gli austriaci non sono affatto passionali: non posso biasimare il povero Louis, se è vero quel che dicono di lui, la ragazza non lo invoglierà di certo!” così aveva detto. Aveva pianto, ma poi si era ripresa velocemente e aveva giurato che, se l’avesse sentita con le sue orecchie, le avrebbe risposto per le rime: “ E voi come fate a saperlo, Adelaide. Non avrete mica fornicato con un austriaco?” era la prima cosa che le avrebbe voluto dire. sia a lei che alle sorelle, invidiose perché senza un minimo di gioia nella vita! E la sua di gioia? Dov’era?... era in Austria: a casa sua. Seguì tutto in lungo cerimoniale, l’etichetta di corte era straziante, e si ritirò nelle sue stanze. Attraversò i corridoi e quelle stanze piene solo d’oro con fretta, salutando educatamente quanti conosceva.
 
 

 
Entrata nella stanza si diresse verso gli sgabelli, messi in rigorosa fila di fronte a quella che aveva cominciato a chiamare “ringhiera dorata”. Stranamente non c’era nessuno: di solito c’erano sempre un paio di cameriere o Mademoiselle Genet, ma quel giorno non c’era nessuno. Si sedette, appoggiando la schiena sulla ringhiera dorata. L’abito ricco le piaceva, ma era terribilmente scomodo per sedersi. Per tutto il pranzo era stata con le stecche del bustino conficcate nelle ascelle! Quell’odioso, maledettissimo bustino: una volta era quasi svenuta perché le era stato allacciato troppo stretto. Il vestito era di un rosa chiarissimo, con un motivo floreale e le ruches sulle maniche. La gonna era larga e arricchita da pizzi, merletti e ulteriori strati di stoffa. La pettinatura di quel giorno le piaceva particolarmente: Era piuttosto alta, molto simile a quella che portava in Austria, con delle piccole roselline infilate nel...
«Perdonate se le cameriere non c’erano, Altezza.» disse una donna, entrando e facendo un profondo inchino. Non si rialzò fino a quando lei non le fece cenno che poteva farlo. Era Madeleine. Era alta quanto lei, con il viso affusolato e dai tratti proporzionati e marcati. La bocca era carnosa per quel viso, ma sarebbe risultata piuttosto sottile su chiunque altro. Il naso era dritto, e un po’ all’insù, ma dalla punta tondeggiante. Aveva un paio di grandi occhioni blu, con la pupilla nerissima e scattante ad ogni minimo movimento dell’ambiente  che la circondava. Aveva i denti storti, ma tutto sommato simmetrici e con i canini che sembravano piuttosto affilati, che le davano un’aria furba che non si vedeva spesso in una donna. Indossava un vestito sui toni del verde, semplice ma raffinato e con la gonna larga. Nei capelli, lunghi, ricci e castani, aveva una treccia che le faceva il giro della testa e Marie Antoinette non riuscita a capire da dove cominciasse e dove finisse. I riccioli ribelli, sfuggiti all’acconciatura,  le incorniciavano il viso dalla pelle chiara.
«Non importa.» la rassicurò, riferendosi alle cameriere.
Le sorrise e si chiese il permesso di sedersi con un’occhiata, Antoinette glielo concedette con un semplice gesto. Si alzò e risedette accanto a Madeleine.  «Siete aggiornata sugli ultimi fatti, Madeleine?»
«Per la verità sono venuta per cercarvi, Altezza.» continuò sorridendo irriverente.
«Per cosa?» chiese Marie Antoinette sorpresa.
«Pensavo che avreste gradito lo spettacolo dell’udienza del re.»
Marie Antoinette sorrise di riflesso. «Cosa succede, perché?» disse, alzandosi e facendo cenno di andare.
«Il colonnello Emile De Bayonne strilla come una cantante d’opera al suo debutto!» si mise a ridere, continuando fra le risate «E nessuno capisce cosa voglia dire!» Anche Madeleine si alzò, e insieme si incamminarono per il corridoio, dalla parte opposta a dove era entrata dopo il pranzo.
«Madeleine! Non si parla male dei propri parenti!» la riprese ironica.
«Non posso parlare male dei miei amici, li ho scelti io, ma i parenti mi sono toccati in sorte: posso parlarne male quanto voglio!» risero insieme. Madeleine era così irriverente e spiritosa che le faceva tornare il buon umore, anche se per poco. Il re era lì per l’udienza con i nobili, ma era raro che le udienze di facessero nella galleria.
Sulla soglia della Galleria degli Specchi trovò la Lamballe, che si guardava intorno cercandole. «Dov’eravate finite?» chiese ridendo «vi state perdendo lo spettacolo...» Entrarono di soppiatto, cercando di non farsi notare troppo.
 

 
Maria Luisa e Madeleine le aprirono un piccolo passaggio, facendola passare fra la folla di nobili che si era radunata attorno ai due. Sentì la voce burbera e secca del colonnello che riecheggiava per la grande galleria. Per un attimo temette che potesse spaccare gli specchi, o i lampadari di cristallo. Senza volerlo pestò un piede alla Du Barry e la sentì gemere dal dolore; accortasene meditò sul tornare indietro a farlo di nuovo... Madeleine e Maria Luisa si mise dietro di lei, lasciandole modo di vedere meglio. I due erano in piedi. Louis XV era vestito riccamente, con dettagli dorati nei vestiti, spille e coccarde. Il colonnello indossava un abito piuttosto semplice e dismesso. C’era anche il giovane Alain De Bayonne, il venticinquenne capitano della guardia reale, schierato in tutto il suo affascinante portamento militare dietro lo zio.
La voce del re di distinse fra le altre. «Calmatevi, colonnello!»
De Bayonne sbraitò.
«Colonnello, calmatevi o vi farò portare via!»
De Bayonne cercò di parlare di nuovo. Antoinette riuscì a distinguere alcune parti del discorso. «...ladri...fuoco... casa...rogo... Dub...»
«Siete forse un buffone De Bayonne? Parlate chiaro!»
L’uomo ricominciò a sbraitare.
«Calmatevi!»
E sbraitò nuovamente.
«Colonnello De Bayonne, spiegatevi meglio.» intervenne il Duca d’Orleans, con la sua voce calma e profonda.
L’uomo fece un profondo respiro. «Questa notte, la mia casa è stata data in pasto alle fiamme da una banda di ladri, che prima l'hanno saccheggiata e poi l’hanno bruciata sotto i miei occhi.»
«Ci sono morti?» chiese il re con aria pensierosa.
«No, Sire. Nessuno, neppure i servi. Ma è stato un atto vandalico, dedito a minare l’autorità di ogni famiglia con una posizione importante! Ed io dico che...»
«Sono io che do le sentenze qui, colonnello!» sbottò il re. Era un uomo piuttosto vecchio e corpulento. La parrucca grigia metteva in mostra i ciuffi bianchi che crescevano radi sulla sua testa. Sul collo taurino le vene pulsavano violente e visibili, tanto da far pensare a Marie Antoinette che sarebbero scoppiate.
«Chiedo perdono, Maestà.» mormorò impettito e imbarazzato col viso paonazzo. «È  stata opera di un ladro ben preciso che ha preso di mira tutti noi. È  stato Dubois, me l’ha detto lui stesso. Ha detto che è solo un assaggio di quello che potrebbe fare.» fece una pausa e riprese fiato «Ha anche tentato di spararmi, ma io l’ho schivato la pallottola!» Antoinette aveva la netta sensazione che non fosse vero: Emile De Bayonne non aveva più un certo fisico, non avrebbe schivato neppure un masso di tre libbre...
«È  la seconda volta che un nobile, nelle ultime due settimane, viene da me a lamentarsi di questo “Dubois”. Chi è?» chiese freddo, serrando i denti tanto da far sentire un piccolissimo suono stridulo che la fece tremare.
Il giovane De Bayonne si fece avanti, si inchinò e disse «Monsieur Dubois è un ladro dei bassi fondi. Dicono che difenda la povera gente, ma è solo un meschino che pensa al suo tornaconto. Incendia, ruba e uccide senza la minima pietà.»
Antoinette ebbe paura, vedendo che il re cominciava ad agitarsi. Dopo qualche attimo di respiri profondi, il re gridò:  «Trovate Dubois e giustiziatelo! Informate i soldati della guardia a Parigi! Mettete una taglia sulla sua testa, tendetegli una trappola, non m’interessa!Per oggi ho finito con le udienze!» sentenziò infine, girando i tacchi e  uscendo dalla galleria a passo svelto, seguito da alcuni soldati, il Duca d’Orleans, il Conte d’Artois, Louis e la Du Barry. Sospirò. Vedere Louis correre pingue e impacciato dietro a suo nonno le fece tornare in mente i suoi problemi... Cosa avrebbe dato per tornare a casa...
 
FINE PRIMA PARTE
 
 
 
NOTE:
E con questo finisce la prima parte del racconto! No, no: non è finita! Diciamo che era una specie d’introduzione al vero e proprio succo. Spero di poter pubblicare presto il prossimo capitolo, ma visto che sarà un po’ più lungo del solito chiedo pietà se non  riuscirò a inviarlo in tempo!

L’immagine in alto è dal film “Marie Antoinette” (2006) di Sofia Coppola, con Kirsten Dunst nel ruolo di Maria Antonietta e Jason Schwartzman in quello di Luigi XVI (entrambi nella foto). Le altre sono rispettivamente la stanza della regina e la Galleria degli Specchi della reggia di Versailles.

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Capitolo 6
*** 30 gennaio 1774 ***


PARTE SECONDA





 
In senso orario:  André Dubois  (Liam Hemsworth - Hunger Games); Maria Antonietta di Francia (Kirsten Dunst – Marie Antoinette);  Madeleine De Bayonne (Liv Tyler); Edouard Charpentier (Aaron Tveit - Les Misérables)

Le persone menzionate sono solo semplici prestavolto, senza alcun collegamento di idee, comportamenti, carattere e/o azioni con i personaggi descritti nella storia. 





 
6. 30 gennaio 1774 
 
Un anno e mezzo dopo



 
 
Facendosi strada per la via fredda e a tratti ghiacciata, André rientrò nel tardo pomeriggio. «Edouard!» chiamò allegro «Stasera c’è una festa!» Si tolse il mantello e la giacca buona, mettendone un rattoppata di lana. Cominciava a chiedersi perché il più famoso ladro di Parigi avesse due sole giacche... con quello che guadagnava avrebbe potuto averne venti!
«Come scusa?!» chiese Edouard, preso alla sprovvista. Era seduto al tavolo, con un quadernino rilegato, una piuma d’oca in mano e il calamaio a lato; intento alla scrittura. «E che ci vuoi fare da una festa?!»
«Te lo spiegherò...» lo fissò negli occhi «Ma tu verrai con me!» si sedette pesantemente sulla sedia affianco all’uomo.
«Vorrei deciderlo da solo, se non ti spiace.» ironizzò «Chi ti ha detto ch c’è una festa?»
André cominciò a spiegargli con la solita aria furba. «Hai presente la bella fioraia?» sorrise.
Edouard storse la testa. «La bella fioraia sposata?» chiese retoricamente.
«Proprio lei.» asserì André ridendo. «Ha dovuto portare molti cesti di fiori all’Opera... c’è un ballo in maschera.»
«E...?»
«E cosa c’è meglio di un ballo dove tutti hanno il volto coperto, per “ammirare” le belle collane e i bei gioielli delle donne altolocate?» chiese con sorriso furbo stampato in viso. Edouard continuava a guardarlo con aria interrogativa. André rispose per lui: «Proprio nulla!»
«Ci vuoi andare solo per divertirti a far cadere dozzine di donne ai tuoi piedi, André.» osservò accennando un sorriso. In effetti era vero... aveva considerato, oltre l’aspetto remunerativo, soprattutto quello “umano”. Nell’ultimo anno avevano bazzicato nei dintorni di Versailles , per prendere familiarità con la zona, e si era divertito a conquistare un paio di serve, molte ragazze –nobili e non- circa della sua età e anche una duchessa sposata... però aveva perso interesse per tutte nel giro di due settimane ciascuna... e il peggio era che si rendeva perfettamente conto di essere, come gli aveva detto Gilbert, “un gran bastardo”.
Fece spallucce «Sarà divertente, vedrai!» si giustificò.
Edouard scosse la testa «Gilbert non te l’appoggerà mai!»
«Gilbert può anche restare a casa, così come tutti gli altri che non hanno voglia di venire! Ma io ci vado, e tu non mi faresti mai andare da solo...» gli sorrise supplice.
Anche Edouard sorrise, sporgendosi in avanti con il busto. «Questo è vero.» restò un po’ in silenzio, ma poi aggiunse «Ci vengo, se -e solo se- prometti che non ti porterai nessuna a letto lasciandomi solo fra le frotte di nobili!»
«Prometto solennemente!» scherzò, portandosi la mano destra sul cuore. Si alzò, dirigendosi verso la porta della scala per lo scantinato.
«Non li troverai.» lo avvertì, mentre ricominciava a scrivere. André si bloccò sulla porta. «Perché?»
«Jean è a lavoro, Gilbert a trattare per la vendita delle cianfrusaglie rubate, Henri e Philippe sono con Pierre ad alleggerire i passanti: oggi quartieri alti.»
«E Mathieu?»
«Mathieu non vede altro che rose rosse, da due mesi a questa parte...» poi si voltò, guadandolo dal basso verso l’alto con un’occhiata eloquente. Annuì e arricciò le labbra. Doveva farglielo sapere... «Michelle e i bambini?»
«Michelle è nella stanza a lavorare, Jeanne e Jules sono con lei.»
«Louise è andata a comprare il pane?»
«No.» continuò lui, senza staccare gli occhi dal foglio. «Anche Louise non vede altro che rose rosse, ultimamente...» Capì perfettamente la situazione...Sbottò: cominciava ad annoiarsi, con nessuno in casa. Erano tre mesi che non facevano più un colpo serio, solo furtarelli senz’ arte né parte. Avevano diverse cose rimaste invendute a causa della crisi che gravava sui popolani, anche oggetti risalenti al grande furto di casa De Bayonne. Le preziose carte del colonnello avevano alimentato il loro fuoco per una settimana, in ottobre. In compenso, in un anno avevano fatto tremare l’aristocrazia parigina. Avevano derubato la maggior parte dei signorotti agiati e anche un paio di nobili importanti, il marchese Lambert era stato il primo e a lui erano seguiti il barone Richelle, Conte De Chardon e, ciliegina sulla torta, il Duca De Germain; tutti  garbatamente beffati, senza che si accorgessero di nulla. Aveva imparato a lasciare un biglietto con scritto Dubois -quando Gilbert gli aveva chiesto perché, lui gli aveva detto che era perché i nobili dovevano temere qualcuno in carne ed ossa, non un fantasma senza nome; la verità era che amava essere temuto da quei tronfi plutocrati, più simili ai polli all’ingrasso di Hugo che ai “migliori della società”. Era un periodo fiacco, non c’era nulla da fare, in parte la considerava colpa del freddo invernale, che intorbidiva i corpi e impigriva le menti. Ciononostante, per sentito dire, sapeva che alla reggia erano elemento costante di conversazione; soprattutto lui, che aveva la fama di essere piuttosto bello nell’immagine popolare, nonostante fosse descritto come un giovane altissimo, snello e con i tratti nordici, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda e gli occhi quasi bianchi e freddi. No, André era davvero molto alto e snello, un giovane perfettamente in forze, ma aveva i capelli nerissimi, non abbastanza lunghi da essere raccolti in una coda, con penetranti occhi blu zaffiro. «Tu cosa fai?» chiese all’amico «Non sapevo tenessi un diario.»
«Non è un diario.» spiegò, non alzando lo sguardo dal taccuino «Sono i conti delle entrate e delle uscite. Li tengo da quando abbiamo alleggerito Lambert.» gli avvicinò il taccuino e gli mostrò il suo schema. «Vedi: ci sono quattro colonne: data e luogo, la vittima e la refurtiva. L’ultima serve per annotare le cose vendute o riutilizzate. È  semplice. Il maiuscolo è per le carrozze e i cavalli dati in custodia ad Hugo.»
André si sentiva soddisfatto: «Eccellente, amico mio!» sorrise continuando a leggere quello che Edouard aveva segnato. L’amico era sicuramente quello più portato per fare una cosa del genere. Era un intellettuale mancato, e André lo sapeva. Ogni tanto, quando usciva, andava a parlare di politica e finanze con quelli dell’università: si teneva informato e loro gli spiegavano un po’ le basi della materia. Era anche per quelli come lui che combatteva, quelli che avevano le potenzialità ma non i mezzi.
«Allora scrivi.»
«Cosa?» chiese confuso.
«30 gennaio 1774, Opera di Parigi.» gli sorrise beffardo.






 
Marie Antoinette salì sulla carrozza, la più grande che avevano nelle scuderie, con addosso il mantello blu di Madeleine. Se l’avesse vista la Contessa di Noailles si sarebbe messa a strillare! Non le piaceva particolarmente che se ne andasse  a zonzo per Parigi... Nella carrozza c’erano già la Lamballe e Mademoiselle Genet. Si accomodò a sedere e tolse il mantello. Dietro di lei si infilò Louis, con indosso il suo mantello nero, sul domino*. Madeleine sbucò dal piccolo finestrino: «Non sono sicura che sia una buona idea, Altezza.» disse, aggrottando le sopracciglia, nel tipico atteggiamento di chi vuole ma ha paura. «Una persona del vostro rango deve avere il permesso scritto del re per partecipare ad un ballo in maschera a Parigi e, se mi permettete l’osservazione, non mi sembra che ne abbiate uno in tasca! Siamo già stati all’Opera, ma sarebbe meglio credere prima...» dire che era agitata era un eufemismo...
«Calmatevi, Madeleine. Quando e SE verremo scoperte, vi difenderò personalmente, ve lo garantisco. Non credo che in ogni caso  il re farebbe storie per un semplice ballo in maschera.»
«Ci parlerò io,  non crucciatevi.» intervenne gentile Louis.
Il Conte d’Artois e sua moglie si fiondarono letteralmente nella carrozza.
«Scusate il ritardo!» annunciò allegro il cognato. Era più bello di Louis, ma sicuramente più inaffidabile, influenzabile dalle passioni. Indossavano entrambi dei domino scuri, con dei cappucci per nascondere il volto. Sua cognata Maria Teresa  –per la quale doveva ammettere di nutrire una certa avversione- non era tanto bella quanto lo era lei, lo dicevano tutti, ma era sicuramente più malleabile e incline a seguire l’etichetta di corte.
Madeleine continuò.«Altezza, non sono sicura che sia u...» Antoinette la interruppe, aprendo la porticina della carrozza. «Andiamo, Madeleine: entrate e lasciate da parte tutte le vostre preoccupazioni. Pensate solo a divertirvi, per stasera.» le sorrise. Madeleine si guardò indietro, la fissò negli occhi, sbuffò ed entrò nella carrozza.  «Mettete questa, Madeleine.» le disse la Lamballe, porgendole una maschera per gli occhi, verde scuro in tinta col suo vestito. Il vestito di Madeleine era uno dei più begli esempi di semplicità che avesse mai visto. Era gonfio, ma non troppo, con diversi strati. C’erano dei ricami sulla parte centrale della gonna che continuavano sulla parte centrale del busto, ma nulla di eccessivo.  I capelli, sapientemente acconciati dal suo parrucchiere Leonard, erano alti –ma non molto- con alcuni riccioli che scendevano morbidi in sulle spalle e non lasciavano ciocche al caso, c’erano due piume verdi a contornarli. Non aveva torto, quando diceva che Leonard era il miglior parrucchiere d’Europa, per non dire del Mondo intero! Anche i capelli di Antoinette erano altissimi, anche più di quelli di Madeleine. Il suo vestito era molto più ricco e pregiato, con tantissimi strati e finissimi ricami. Era nero, e come maschera indossava una benda di fina seta, che le permetteva di vedere attraverso senza problemi **. Aveva atteso mesi per quella serata: una fuga dalla realtà, la sua identità nascosta fino all’alba e la possibilità di essere qualcun altro; almeno per una notte. Per Mademoiselle Genet era probabilmente una delle ultime occasioni di fare qualche pazzia (seppur nei suoi canoni di donna per bene): l’undici maggio di quell’anno sarebbe convolata a nozze, diventando Madame Campan. La carrozza si lasciò alle spalle in palazzo reale, al galoppo verso Parigi. Maria Luisa si ritoccava i capelli, inserendovi delle roselline gialle come il vestito. Mademoiselle Genet guardava fuori dal finestrino. Louis le prese la mano e lei gli sorrise. Madeleine sospirava preoccupata. «Sapete che se si ride si invecchia più tardi, Madeleine?» chiese, cercando di convincerla  a sorridere.
Lei le rivolse uno sguardo e rispose malinconica e arricciando le labbra: «Allora ho paura che invecchierò nelle prossime cinque ore, Altezza...» La sue espressione, seria ma buffa, la fece sorridere. «Non volete divertirvi, almeno una volta nella vita?!» chiese retoricamente.
«Ho smesso di divertirmi da quando avevo dodici anni, Altezza.» ora la sua malinconia era reale, non più semplice preoccupazione, ma vera e propria tristezza dovuta al passato.
Mademoiselle Genet prese la parola. «Potevamo almeno chiedere a qualcuno della guardia reale di accompagnarci, Altezza. Sarebbe stato più sicuro.»
Maria Luisa sbottò: «Avrebbe sicuramente riferito tutto al re.»
«Sarebbe comunque stato più prudente.» constatò Madeleine
Maria Luisa rispose graffiante «Magari potevamo chiamare il bel Alain, eh Madeleine?»
Madeleine rispose con un’occhiataccia fulminante, dagli occhi blu partirono saette a spegnere il sorrisetto ebete della dama.
Antoinette si sentì in obbligo di sedare il bisticcio «Niente litigi, vi prego.» Il resto del viaggio fu fatto quasi in completo silenzio. Antoinette riconobbe sul viso di Madeleine un’espressione arrabbiata e triste. Non ce l’aveva con Maria Luisa, né con Alain –il giovane capitano della guardia-, ma con la sua malasorte che nonostante i suoi quasi vent’anni continuava a perseguitarla. Quella di Marie Antoinette, invece, sembrava averle dato tregua per un po’... il suo rapporto con Louis era migliorato. Il matrimonio era stato consumato, e Louis si mostrava un po’ più premuroso e un po’ più interessato a lei. Amava ancora trascorrere giornate intere nella bottega del fabbro, ma Antoinette c’aveva fatto l’abitudine e aveva assecondato la sua passione per i meccanismi come chiavistelli, serrature e quant’altro. In compenso aveva stretto amicizia con i cognati e le tre coppie avevano partecipato a diversi balli a Parigi. Dopo la consumazione del matrimonio il suo rapporto col marito era anche più saldo e sincero: le voci a corte erano pressoché scomparse. Le “Madames Tantes” (“signore zie”, cioè le figlie del re Luigi XV)  avevano continuato a fare le parti del nipote, affermando che preferisse “inchiavare una serratura piuttosto che un’austriaca”, varie allusioni al matrimonio non consumato e all’atto sessuale. Voci, queste, che Marie Antoinette aveva giudicato volgari e, soprattutto, assolutamente inappropriate per la bocca di una principessa reale.  Non aveva mai provato tanta soddisfazione come in quella mattina del 22 luglio dell’anno precedente, quando Louis l’aveva presentata al nonno come “sua moglie”: quella notte, fra il 21 e il 22, sia Marie Antoinette che Louis avevano fatto l’amore per la prima volta. Il viso della principessa Adelaide aveva avuto dapprima un’espressione contorta, poi rilassata e contorta di nuovo. Aveva continuato a guardarsi intorno come se dovesse sbranare qualcuno. Louis l’aveva guardata e aveva sghignazzato, ma poi, tornati nella camera di Antoinette con una scusa, avevano riso talmente tanto che Louis le aveva confessato di avere la pancia dolente. Per la verità Marie Antoinette credeva che non fosse andato tutto proprio bene, quella notte,  come se Louis non fosse riuscito a terminare il rapporto; ma era già tanto impacciato e insicuro che fargli perdere quella piccola briciola di fiducia in sé che aveva acquisito era una crudeltà: per il momento le bastava così. Si sentì stringere la mano. Si voltò e Louis le sorrideva malinconico. «Siete preoccupato, Louis?» gli sussurrò.
«No, ma il re è sempre più... più... anziano.» rifletté «Temo per la sua salute, come se non potessi allontanarmi da lui.»
Gli rivolse un sorriso tranquillizzante. «Ha al suo servizio i migliori medici del mondo. Lo controllano 
regolarmente più volte al giorno. Il suo archiatra è sempre dei dintorni a Versailles. Non avete motivo di preoccuparvi.»
Le sorrise «Avete ragione infondo. Non sono mica un medico!» ridacchiò e Antoinette con lui. 
Arrivarono a Parigi in meno tempo del solito, Antoinette scese veloce, al braccio di Louis. La vista del palazzo illuminato la fece sorridere.
 
 









«Festa cominciata da due ore e  carrozza già piena per metà!» annunciò sorridente Mathieu, di ritorno dall’esterno. Alla fine Edouard, Henri, Pierre, Mathieu, Louise e Michelle erano venuti con lui. Philippe era nei dintorni, girava con la carrozza per la refurtiva.  André sospettava che Michelle fosse venuta solo per sorvegliare la figlia. Lui, però, poteva dirsi soddisfatto della rendita: ora il vero problema era farsi riconoscere... c’avrebbe pensato dopo! Era esaltato per la bella serata che aveva davanti. Belle donne gli si avvicinavano, lui chiedeva loro di ballare e dopo qualche bacio fugace e passionale spariva fra la folla: aveva promesso... Appoggiato ad una colonna con al fianco Henri sorseggiava champagne. «Bene, quando se ne accorgeranno e si scatenerà il panico ce ne andiamo. Hai bevuto per niente, Mathieu?»
«No, André. Non mi piacciono gli alcolici.» Il ragazzo scosse la testa.
Gli si avvicinò. «Che noioso che sei...» sbotto, sorridendogli. «Louise dov’è?»

«Con Edouard e Michelle. Secondo te...» si bloccò «se le vado a chiederle di ballare è... patetico?» si confidò.
Senza pensarci sorrise «No, ma Michelle potrebbe anche tentare di linciarti!» rise. Mathieu abbassò lo sguardo paonazzo, lievemente sorridente. André gli diede una pacca sulla schiena e, non guardandolo negli occhi, ma indicandogli le balconate del palazzo come diversivo, gli disse. «Forse per invitarla a ballare è presto, senza contare che non so se sappia ballare. Ma va’ da lei e riempila d’attenzioni: alle donne piace sempre.» Mathieu gli sorrise e, annuendo, se ne andò. Continuò sprezzante ad ammirare dame su dame che gironzolavano intorno a lui e alla sua bellissima e pregiatissima giacca blu notte, ricamato d’argento, gentile contributo alla sua causa da parte del Duca De Germain. Si voltò, notando che un gruppetto di giovani donne lo osservava. Diede un colpetto ad Henri per avvertirlo. Ormai stava dormendo. Il suo colpetto gli fece cadere il tricorno dalle mani. André non portava il tricorno, dava un’aria quasi anziana ad uno come lui. «Torno fra poco.» sussurrò svelto. Si avvicinò, sicuro di un colpo facile. Dovevano essere più piccole di lui, circa diciotto o diciannove anni d’età, erano vestite con abiti ricchi e di colori sgargianti, i capelli alti erano acconciati in maniera appariscente. Una di loro aveva una nave in testa. No, non era una battuta; era proprio una piccola nave in miniatura, con tanto di piccole vele e cordoncini. “Ma dove la trovano certa gente...” Un’altra indossava palesemente una parrucca, dall’improbabile color cenere. I volti erano coperti da piccole maschere in tinta con i vestiti. «Mesdemoiselles.» chinò il capo.
«Monsieur.» ridacchiarono quelle il coro.
«Qual è il vostro nome?» chiese quella con la nave.
André aveva imparato ad eludere certe domande. «Il lato più bello di un ballo in maschera è nascondere la propria identità, che divertimento c’è se mi chiedete di rivelarvi chi sono?» ammiccò seducente.
«Vorreste ballare con me?» gli chiese un’altra.
André sorrise. Per essere giovani nobili erano piuttosto disinibite; pensò che forse sarebbe venuto meno alla promessa fatta ad Edouard... «Se vi fa piacere, mademoiselle.» le porse la mano e fu attirato dalla figura che vide dietro di lei. Era una donna di media statura con altissimi capelli biondi e un largo e prezioso vestito nero. Parlava con un uomo della sua statura, piuttosto pingue a guardarlo. Stava cercando di capire come poteva rubare quei gioielli, quando anche lei si spostò e André rimase immobile a fissare la nuova figura che gli si era presentata davanti agli occhi. Una bella donna, tutto sommato. Alta, proporzionata e dal seno abbondante. Il vestito largo era di un insolito color verde, che aveva vari riflessi chiaro scuri sotto la luce delle candele. Era alla mano di un uomo attraente, sorridente e allegro con indosso un domino. Avvertì la sua voce  «Se tutti i conti ballassero come voi, vostra grazia, non credo che il re darebbe tanti balli a corte!» scherzava. L’uomo si finse indignato. «Esigerò la vostra testa per questa illazione!» borbottò fingendo, probabilmente imitando il re.
«Ha ragione, Charles, non sai ballare!» lo prese in giro un’altra donna. A questo punto l’uomo la rincorse e André li perse di vista fra la folla. La donna si voltò. I capelli alti e ornati da piume le lasciavano pulito il viso. André pensò che sarebbe stato meglio se incorniciato da quei riccioli, che le scendevano morbidi sulle spalle. Aveva gli occhi azzurri, il intravedeva dai buchi della maschera.  Non era la più bella che avesse visto, ma aveva qualcosa di strano, qualcosa che le dava il carattere che alle altre era sempre mancato. Sorrise, mettendo in mostra i canini un po’ affilati. Le davano un’aria furba e arguta.  «Scusatemi, mademoiselle.» disse alla ragazza che aveva per le mani. «Mi sono ricordato di dover sbrigare urgentemente una questione della massima importanza.» se ne andò, scivolando fra le persone tutt’attorno. Raggiunse il gruppo e, senza la minima inibizione, si stagliò di fronte alla dama desiderata. «Mademoiselle.» lo guardò con gli occhi azzurri e André vide il suo sguardo riflesso negli occhi della giovane. Perfettamente il battuta, la musica finì. «Mi concedereste il prossimo ballo?» l’altra ragazza, quella con l’abito nero, aprì la bocca sorpresa. Ammiccando all’amica, forse avvertendola di non perdere l’occasione, rispose per lei. «Certo che accetta...» poi, sorridente, la sospinse verso di lui. André afferrò la mano della donna e, sorridendole misterioso, la guidò verso i balli. Un fulmineo scambio di sguardi eloquenti avvenne fra la donna in nero e lei, ma alla fine lei le sorrise scuotendo la testa. 
La piccola orchestra ricominciò a suonare; era un ballo più veloce del precedente, ma André non li distingueva poi molto. Le face il baciamano, sapendo che il modo migliore per attirare una nobildonna era la galanteria. «Perdonatemi la maniera bruta con cui vi ho stappata alla vostra compagnia, ma non ho potuto fare a mano di notarvi mademoiselle...» lasciò la frase in sospeso, invitando la giovane a completarla col suo nome. Si limitò a sorridere: ma cos’era?! Stupida?! Il suo sorriso aveva qualcosa di strano... non l’aveva affatto perdonato! Cominciarono il ballo in silenzio. Non riusciva a vederla in viso mentre ballavano, ma si decise ugualmente a parlare.
«Qual è il vostro nome?» chiese. Rompendo il ghiaccio, lei si voltò. I loro visi si avvicinarono inconsapevolmente.
Con un tono di voce arguto e intelligente, la giovane donna parlò. «Il bello dei balli in maschera è poter celare la propria identità, perché dovrei dirvi il mio nome?»
André sorrise.  «Ho detto esattamente la stessa cosa ad una giovane donna che ho incontrato poco fa.»
«Non è galante da parte vostra far riferimento ad altre donne mentre siete in mia compagnia.» osservò, distaccata com’era normale che fosse a quel punto.
André adorava le sfide verbali. «Perché?» chiese sorridendo «Vi ho forse dato l’impressione di essere in cerca di una moglie?» Mentre ballava slacciò collana che indossava la ragazza e la infilò nella sua tasca. Lei, esattamente come le altre non si accorse di nulla. La mano felpata di André le tolse delicatamente gli orecchini, infilando anche questi in tasca.
«No, ma non è galante ugualmente. È  come se io vi raccontassi degli uomini che mi hanno corteggiata stasera.» Non si guardavano negli occhi.
«A me non darebbe fastidio.»
« Mi io non sono voi.» constatò pungente.
André si ritrovò ammutolito. «Siete la prima donna che, in tutta la mia vita, riesce a mettermi a tacere. Ora potrei sapere il vostro nome? Solo il nome, nulla di più.»
«Madeleine.»
«Oh...» esclamò «È  un nome che conferisce dolcezza alla donna che lo porta.»
«Peccato che la dolcezza non sia una delle mie doti più apprezzate.»
«Forse perché nessuno vi conosce abbastanza da vicino. Permettetemi di farvi notare che fuori siete ricoperta da spilloni, ma dentro è tutta un'altra storia, no?» si avvicinò alla sua bocca, tentando si baciarla. Prima di accorgersene si ritrovò un manrovescio stampato in faccia. «Non osate mai più fare una cosa del genere.» lo minacciò gelida.
«Perdonatemi, dovrei imparare a pensare prima di agire, me lo dicono tutti.» ammise.
«E quando si chiede il nome, solitamente si dà il proprio, prima.» scandì nuovamente.
«Io mi chiamo André.» sussurrò misterioso.
«Bene. Abbiamo fatto conoscenza e potrete segnarmi come conquista mancata. Buona serata!» sorrise ironica e girò i tacchi.
«Aspettate!» la trattenne per un polso. Percependo la sua resistenza, la ragazza si voltò con rabbia crescente. André la percepì dagli occhi che, da grandi, diventarono piccoli e ostili.
«Ammetto di essere stato brusco e di avervi preso dal verso sbagliato.» deglutì.
«Verreste sulla balconata? Parigi di notte è magnifica... quasi quanto di giorno!» le sorrise amichevole. Andare diretti non serviva a nulla, era meglio farsela amica, poi avrebbe tentato per l’altra via. Lei sbottò: «Solo perché ho un caldo terribile e non ne posso più di starmene stretta fra le persone.»
Le porse il braccio e lei lo afferrò. Andando sul balcone incontro Mathieu e Louise... avvinghiati. Fece l’occhiolino al ragazzo e ricambiò con un sorriso. Arrivato sul balcone, André respirò a pieni polmoni. «Aria!» esclamò. Madeleine sorrise e si sporse dalla balaustra si marmo, larga e forte.
«Mi avevate dato l’impressione che vi piacesse star là dentro.»
Si voltò. «Molto meno di quanto pensiate.»
«Allora perché siete venuto?» indagò.
«Mi ci hanno trascinato degli amici.» mentì, vago. «E voi?»
«Io cosa?» chiese, probabilmente non comprendendo a cosa si riferisse.
«Avete detto di non poter più stare fra la folla, non potete esserci venuta per divertimento.»
«Mi ci hanno trascinato degli amici.» emulò il tono di André, si svoltò a guardarlo e sorrise.
Il silenzio colmò lo spazio fra di loro. «E se io vi chiedessi il vostro nome completo?» chiese, di nuovo seducente.
«Non credo ve lo direi.» scosse la testa.
Abbassò lo sguardo, ma poi lo rialzò sorridendo misterioso: «Qual è il vostro nome per esteso?»
«Madeleine.» ribadì, sorridendo. «È  tutto quello che vi dirò di me.»
André  rise.
«Vogliate scusarmi, io torno dentro. Qui è troppo freddo.»
«Siete sola?» chiese all’estremo.
«Non sono cose che vi riguardano.» scosse la testa, lievemente accigliata. Proseguì, ma l’uomo che era con lei prima la bloccò, spuntando fuori all’improvviso.
«Madeleine!» le sorrise «Se vi va di ballare, il mio adorato fratellino ha perso la sua dama.» la informò.
«Non ne ho voglia, mi dispiace!» scosse la testa, amichevole e sorridente.
Un’altra donna sbucò da dietro l’uomo. Sorrideva e aveva le gote arrossate. «Madeleine, il duca di Berry vuole ballare, ma non troviamo più la duchessa. Ci andate voi?»
«Lascia stare, amore.» le disse «La De Bayonne è quella che si dice una vecchia!» sorrise a Madeleine e se ne andò allegro.
«...De Bayonne...» mormorò fra sé e sé. “È  una De Bayonne ...” rimase immobile, colto da un improvviso senso di inquietudine e delusione. Ma se lo scrollò di dosso subito. No, non gli importava nulla di quale fosse la sua famiglia!
La richiamò. «Aspettate, Madeleine!»
Si voltò «Si?»
«Avvicinatevi.» disse sottovoce, facendole il gesto con la mano.
Lei, seppur diffidente, si avvicinò. «Cosa volete?»
André tacque.
«Ditemi subito cosa volete?» ribadì diffidando.
André le sorrise «Siete troppo bella per privarvi dei vostri gioielli.» Estrasse dalla tasca la collana e gli orecchini di Madeleine, porgendoglieli.
Dapprima sembrò arrabbiata, ma poi si rasserenò, si avvicinò e prese i suoi gioielli. Li indossò velocemente. Guardandola da vicino di era reso conto che era davvero giovane. Doveva avere circa vent’anni, ma sembrava molto più adulta dal modo in cui parlava, in cui teneva saldamente le redini della conversazione. Madeleine lo scrutò perplessa per un po’, ma poi gli chiese. 
«Perché rubate gioielli e cianfrusaglie, per essere ricchi ci sono modi più veloci e sicuri.» lo scrutò con quei suoi occhi meravigliosi.
«Non lo faccio per me. Io tolgo ai ricchi per dare ai poveri.» sorrise misterioso.

Madeleine scoppiò in una calma risata, non distogliendo lo sguardo da lui. «Ma chi credete di essere?!» chiese ridendo «Robin Hood, forse?!» Lui sorrise, le scostò i riccioli castani dall’orecchio e le sussurrò «Io sono Dubois.» Sorrise affascinante, mentre muoveva pochi passi indietro, godendosi l’espressione sbigottita e di colpo impaurita di Madeleine. Salì con un gesto svelto e agile sul davanzale del balcone, poi, mentre le sorrideva, saltò giù nell’ombra.
 
 
 
Aggrappato agli ornamenti della balconata, si maledisse. Doveva smetterla di fare gesti stupidi per meravigliare le ragazze! Era vero, però, che forse l’aveva solo spaventata. Madeleine si guardò attorno e se ne andò svelta. Il duca di Berry, aveva detto quella donna. Non l’aveva mai sentito; forse era l’amante. Ma era molto improbabile che una donna come quella si abbassasse a fare la sgualdrina di un duca grassoccio. Aveva un bel caratterino... il suo temperamento altero lo affascinava. La sua aria astuta lo aveva sedotto. L'aveva picchiato! Non immaginava donne capaci di farlo... Assicurandosi di non essere visto, si issò all’interno del balcone. Respirò libero dalla preoccupazione di cadere, dirigendosi verso Edouard. Quando lo vide lui gli fece segno di tornare fuori. André obbedì, ed entrambi uscirono. «Alcuni hanno cominciato a rendersi conto di non indossare più gioielli...» lo informò, guardandosi attorno guardingo.
Annuì. «Allora vai da Philippe,  porta da lui Michelle e Louise, e fatti dare i domino. Poi torna su. Li facciamo tremare di paura.» il suo viso assunse una piega, a metà fra il divertito e il beffardo.
«Lo farò.»
André fece per andarsene. «André! Non avrei intenzione di perdere ancora tempo dietro alle donne, vero?! Ora basta, stiamo lavorando.» lo bloccò Edouard.
André sorrise. Edouard lo conosceva troppo bene... «Devo solo sbirciarne una in particolare, faccio subito.» si allontanò fra la folla. Vide un paio di piume verdi come quelle di Madeleine, ma non erano sulla sua testa, purtroppo. Rincontro la ragazza con la nave in testa. Intravide la donna in nero parlare con un uomo, ma non quello col dom
ino che aveva visto prima. Questo era belloccio ed evidentemente straniero, senza maschera. Lì, poco lontano, sulla scalinata, c’era una donna dal vestito largo e giallo. Aveva roselline gialle nell’alta acconciatura. Spostò gli occhi dalla sua acconciatura a quella della donna accanto. Capelli tutto sommato alti, castani, piume verdi. Scese con lo sguardo e incontrò quello di Madeleine che lo fissava. Le sorrise, ma non ebbe neppure un accenno in cambio. Allora si avviò su per le scale. Le salì lentamente, crogiolandosi nello sguardo di Madeleine. Passandole accanto le sfiorò il braccio con il suo. Con un filo di voce suadente, le sussurrò «Ci vediamo, Madeleine...» e continuò a salire con calma, sentendosi ancora bruciare il suo sguardo sulla schiena. Appena ne ebbe la possibilità, in cima al grande scalone, si  nascose dietro una colonna e la osservò da lontano.

“Madeleine De Bayonne, un giorno sarai mia...”
 
 




L’uomo che aveva davanti era sicuramente il più bell’uomo che avesse mai visto, oltre ad essere notevolmente interessante. Era svedese, così aveva detto. La Lamballe, in un momento i cui l’uomo si era voltato a guardare il ballo, le si era avvicinata e le aveva sussurrato “È  il conte Hans Axel Von Fersen, è in un Gran Tour per le capitali europee, non utilizza il suo titolo fuori dalla sua patria”. Antoinette ne era talmente affascinata che aveva paura di rivelargli la sua identità. Parlare con lui era rilassante. Aveva due bellissimi occhi chiari, azzurro-grigiastri. Non aveva mai visto occhi così. I capelli erano castano chiaro, le ricordavano il colore della cioccolata al latte.
«E così non siete francese... allora siete... italiana!» tentò di indovinare lui.
Marie Antoinette sorrise e scosse la testa, divertita dall’atteggiamento dell’uomo.
Lui arricciò le labbra. «Allora... inglese?» si morse il labbro.
Scosse la testa, stavolta più lentamente e fissandolo negli occhi.
«Allora mi arrendo.» le sorrise.
«Sono austriaca.» rivelò.
Spalancò gli occhi e rise. «non sembrate austriaca. Dicono che gli austriaci siano freddi.»
«Non sapete cosa dicono degli svedesi.» ribatté. Si perse in quegli occhi, e capì perché non poteva amare davvero Louis...
«Mesdames et Messieurs!» annunciò un uomo con un domino nero addosso, aggrappato al lampadario della sala. Alzò gli occhi, impaurita. Un mormorio si alzò. «Osservate i vostri gioielli, cercateli: non li troverete.» Una donna urlò.
«Non abbiate timore, saranno usati nel migliore dei modi.» Cominciò a far oscillare lievemente il lampadario. Marie Antoinette ebbe paura. Se l’avessero scoperta dei malintenzionati potevano anche... anche... Chiuse repentinamente gli occhi, e distolse la mente da quei pensieri; sicura che non le sarebbe capitato nulla. Istintivamente strinse la mano ad Hans Axel.
«Io e la mia banda li distribuiremo equamente fra chi ne ha davvero bisogno.» alzò la voce. Con uno slancio pauroso, l’uomo in nero scese dal lampadario. Davanti a lui, la folla si aprì ammutolita. «Non fermatevi: continuate a ballare, vi prego.» si diresse fuori dalla balconata. Intorno a lui si raggrupparono altri domino neri. Salirono tutti sul davanzale.  «Monsieur Dubois vi augura buona serata.» e, buttatosi, fu inghiottito dalla notte.




 
 
Note:
domino*= (nome maschile, invariabile) cappa nera, lunga fino ai piedi  con cappuccio e maschera, che si indossava nei balli mascherati. Viene chiamato così anche l’uomo vestito in questo modo.
**= non sono riuscita a trovare moltissime informazioni sul vestito della Delfina quella sera, quindi ho ripreso quello del celebre film di Sofia Coppola (Marie Antoinette, 2006). Dallo stesso film proviene anche la prima immagine, con Maria Antonietta (ovvero Kirsten Dunst) sulla carrozza.

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Capitolo 7
*** Prime Impressioni ***


 
7. Prime Impressioni 
 
 


 
Erano tornati al galoppo verso lo scantinato. Louise, Michelle, Mathieu  e Philippe erano andati a dormire. Jean e Gilbert li avevano aspettati svegli a giocare a carte, dopo aver messo a dormire i bambini di Michelle. Jean gli sorrise con quella sua bocca sdentata. «Posso gentilmente sapere...» fece una pausa «come ti è venuto in mente...» lo fissò sorridendo «di buttarti...» aprì le mani in gesto di preghiera «dal balcone?!»
«Dal lampadario e poi dal balcone...» lo corresse Edouard, che stillava il vino dalla nuova botte di vino rosso.
«Addirittura...» mugugnò il mendicante.
«Lasciamo perdere e sorvoliamo.»  disse André, poggiando un impacco d’acqua fredda sulla caviglia. Aveva preso una botta piuttosto forte, ma nulla a cui non si potesse mettere la toppa con un po’ di sano riposo, fortunatamente.
«Perché è un idiota!» rispose tranquillamente Edouard, poggiando un bicchiere di vino sul tavolo dello scantinato.
«Grazie...» afferrò il vino e bagnò le labbra.  «Per la verità sono saltato dal balcone due volte. Ma la prima mi sono aggrappato all’esterno.» ammise.
Gilbert storse il capo «O stavi fuggendo o volevi impressionare una di quelle oche.»
«La seconda.»
«E chi se lo sarebbe mai aspettato...» osservò Gilbert.
«E l’hai almeno baciata?» chiese Pierre.
André sorrise enigmatico. Puntò l’indice verso il naso del compagno e scandì. «È  solo questione di tempo, amico mio!»
«Strano, ero convinto che la festa fosse finita...» ribatté Pierre con una punta d’ironia.
«Ma io so chi è.» rispose tranquillo, continuando a fare degli impacchi sulla caviglia.
«Spara...» gli disse Edouard. André si avvicinò al tavolo e gli sussurrò «Madeleine De Bayonne.»
Edouard storse la testa. «Come minimo è la figlia del colonnello bastardo e le abbiamo incendiato casa.»
André annuì. «Come minimo!» disse, poi finì il vino.
«Allora: qual è la prossima mossa?» chiese Pierre, tutto preso dall’eccitazione.
«Andare a dormire, Pierre.» gli rispose, chiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro.



 

VERSAILLES
 

 
Una settimana dopo il ballo, Antoinette passò il pomeriggio al Trianon. Le piaceva suonare l’arpa, anche se le stavano venendo i calli. Madeleine sapeva suonare il pianoforte tanto bene da riuscire ad accompagnarla suonando ad orecchio. Al ballo erano stati riconosciuti; un paio di donne avevano riconosciuto lei e, circa alle tre, avevano fatto salire lei e Louis su un palchetto. Tornati alla reggia non erano stati sgridati, per fortuna. Quella notte aveva fatto l’amore con Louis; ma, dopo aver incontrato quel ragazzo svedese,  non credeva di poter dire che essere in intimità con suo marito volesse dire farci l’amore.  Aveva immaginato Hans Axel sopra di lei, un paio di volte: al solo ricordo di quei pensieri inopportuni per lei arrossiva... il ché avveniva piuttosto frequentemente negli ultimi giorni. Dopo aver assistito al suo piccolo concerto, circa alle cinque, molti di quelli che l’accompagnavano scesero al piano terra, per poter tornare alla reggia. Prima che potesse scendere, Antoinette trattenne Madeleine. Lei, comprendendo subito la situazione, tacque, fino a quando tutti non se ne furono andati. Allora Marie Antoinette parlò. «Devo raccontare questa cosa a qualcuno, Madeleine.»
Sembrò sinceramente preoccupata. «Cos’è successo, Altezza?»
«La scorsa Domenica, quella sera a Parigi, io ho conosciuto una persona. È  un conte svedese, il conte di Fersen.»
Madeleine le sorrise comprensiva. «E a quanto posso capire vi ha colpito molto.»
«Si» sorrise di rimando «Aveva un modo di parlare, un’intelligenza che io...  uno strano fascino che... io non ho mai visto in mio marito, Madeleine. Credete sia normale?» Si sedette pesantemente sul divanetto accanto alla finestra.
Madeleine le prese le mani e si sedette a sua volta accanto a lei.  «È  facile cadere in tentazione. Nella nostra situazione è inevitabile. Sarebbe mio dovere di dama di compagnia dirvi di restare fedele al Delfino, ma il mio dovere di amica è consigliarvi di seguire il vostro cuore.»
Antoinette sospirò. Madeleine era abile con le parole: le aveva detto tutto, pur non dicendole nulla. L’amica le sorrise. «Non so se sia giusto tradire; ma i matrimoni combinati non lo sono sicuramente.»
 Annuì. «Ma voi cosa fareste?»
Madeleine le sorrise. «Non lo so, forse tradirei... anche se nella situazione in cui siamo sarebbe pericoloso: voi potreste rischiare la testa.» un’altra donna non l’avrebbe mai detto, ma Madeleine non poteva non dire la verità: sapeva fingere e omettere, ma mai mentire.
La squillante voce di Charles, suo cognato, risuonò per le scale. «Noi andiamo! Finirete per dover tornare a piedi, Maestà!»
Madeleine si alzò. «Andiamo, ne parleremo dopo.»  le sorrise e le tese la mano per farla alzare.
 




 
 
Era il tramonto. André fissò circospetto la reggia di Versailles, desolata a quell'ora. «Ricordami perché siamo qui.» gli chiese l’altro.
«Perché sei il mio migliore amico, Edouard.» gli sorrise.
Edouard sbuffò e si accostò all’altissima ringhiera dalle punte dorate. «Non ho alcuna intenzione d’entrare: tu entri ed io resto nei dintorni: ti do un’ora.»
«Sei pazzo! Non so neppure dove cercarla!»
«Se era con la Delfina prova nelle stanze della delfina!» ragionò l’altro. Ebbene sì: la donna in nero, che aveva  praticamente imposto a Madeleine di ballare con lui, era la futura Regina di Francia. André era giunto alla conclusione che doveva essere una del suo éntourage. Ora il problema era un altro... Qual’era la stanza della regina?!
«Un’ora: non un minuto di più!» ribadì Edouard. André sbuffò.
«Aggiudicato...» sibilò fra i denti «Forza, cerca di lanciarmi su.» Edouard si guardò intorno, unì le mani, si abbassò e fece salire André sui suoi palmi. Gli diede una spinta. André si aggrappò il più in alto possibile e scavalcò velocemente. Si tirò il cappuccio del mantello sulla testa. «Hai un’ora.» gli ripeté Edouard prima di sparire.  André corse velocemente lungo l’immenso giardino. Il bacino dell’acqua, e monumentali fontane ancora in funzione. “La povera gente muore per la fame e patisce perfino la sete, mentre a Versailles migliaia e migliaia di galloni d’acqua vengono sprecati così...” davanti a situazioni come quella si sentiva esasperato: preso dall’irrefrenabile voglia di mollare tutto e di correre nella brezza calda, fra i campi di grano del sud. Corse svelto e agile, celandosi alla vista delle guardie. Arrivò alla porta di servizio: un’intercapedine nascosta fra gli ornamenti dell’edificio. Una ragazza uscì. André mosse un passo indietro, riuscendo a schivare una sportata in faccio. «Vi chiedo perdono Monsieur!» esclamò la ragazzina tutto d’un fiato. Doveva essere una di quelle che venivano inviate a Versailles come sguattere perché la famiglia non le poteva mantenere. Avrà avuto al massimo quindici anni. Erano quelle più facili da beffare. Assunse un’aria più effemminata possibile: «Io sono André Depuis, mi ha mandato a chiamare la prima cameriera di Sua Maestà la Delfina. Sono un parrucchiere.»
La ragazza sorrise ingenua «Oh! Allora vi staranno aspettando. Entrate, ve ne prego.» e, con un gesto cortese, lo invitò ad entrare. “L’intrusione più facile della storia...” Alla ragazzina non poteva venire in mente che era ora di cena? E che la Delfina probabilmente stava banchettando con il Delfino e i suoi fratelli?! Che ingenue che erano le sguattere di palazzo!
«Dove vado per le stanze della Delfina?» chiese nello stesso atteggiamento.
La ragazzina gli insegnò la strada. André non capì molto, perso nella preoccupazione di dover attraversare tutto il palazzo. «Potreste accompagnarmi, almeno fino al primo piano; non sono pratico della reggia.» confessò.
La sguattera annuì. «Seguitemi.» André la seguì. Lei si muoveva con passo svelto ed esperto fra le stanze, ma André faceva fatica a seguire i suoi passi. D’un tratto la sguattera si guardò attorno circospetta. Lo prese in un angolo e gli bisbigliò: «Io non posso salire la scalinata della Regina. Voi  dovrete salirla, poi svolterete a destra. Nella stanza dove vi troverete avrete due porte opposte. Prendete quella a destra. Andate avanti per altre due stanze, la terza è quella della Regina, che è occupata dalla Delfina.»
«Vi ringrazio infinitamente» disse sincero, allontanandosi. Fece quello che gli era stato detto. Gli appartamenti erano deserti, dovevano davvero essere tutti fuori a cena... Mentalmente calcolò che doveva essere passata circa una mezz’ora da quando era entrato nel giardino. La porta de terzo appartamento arrivò, aperta. André buttò l’occhio all’interno, sporgendosi.  Il servito re che la fiancheggiava lo fissò truce. André, senza pensarci due volte, lo atterrò con un pugno: in parte per il gusto di menar le mani, in parte per evitare che lo mettesse nei guai. Non vide nessuno. No, Madeleine De Bayonne non era lì. La sua unica possibilità di ritrovarla era sfumata. “Ma che c... Cosa diavolo ho?! Sono il più grande ladro di tutta la Francia e mi deprimo perché non trovo una donnetta? Ce ne sono milioni come lei!” No, non era così e lo sapeva bene: nessuna di tutte le donne che aveva conosciuto (e solo Iddio sapeva quante...) aveva mai osato tappargli la bocca e schiaffeggiarlo come aveva fatto Madeleine. Sorrise. Dal salone antistante la camera entrò una donna. André si nascose dietro la porta.  Era Madeleine. Aveva l’aria di essere stanca, e teneva con lei un libro. Poggiò il libro sul grande mobile alla sinistra del letto, impreziosito da un busto della Delfina, e si sedette su un seggiolino ornato d’oro. Sembrava serena e tranquilla. Gli dispiacque doverla spaventare entrando, ma lo fece ugualmente:
«Buonasera, Mademoiselle De Bayonne.» salutò, alzando una mano. Lei rimase basita. L’espressione del suo viso cambiò totalmente ma il cambiamento fu impercettibile; alla fine si alzò furiosa, gesticolò con la mano e gli gridò contro. «Non siete il benvenuto, Monsieur: andatevene immediatamente.»
«Sono appena arrivato!» protestò blandamente.
«Andatevene!» sibilò, indietreggiando di qualche passo.
André allargò le braccia. «Voglio solo parlarvi.» le sorrise.
Serrò le labbra. «Io sono sola.»
«Non c’è nessuno che ci vedrà: prometto che non intaccherò la vostra reputazione in alcun modo.» promise, portandosi la mano destra sul cuore.
«Chi si fiderebbe della parola di un ladro!» senza che André ebbe il minimo avviso, afferrò il libro dal mobile dorato e lo scagliò contro di lui. André lo schivò  per un pelo, abbassandosi. «Vi ho forse minacciata?» chiese ironico.
«Un assassino non ha bisogno di minacciare!» rispose pronta.
André, per assurdo, si sentì ferito da quelle parole tanto taglienti, che lo consideravano più un diavolo in terra che una persona in carne ed ossa. Non aveva mai ucciso una persona, non era e non sarebbe mai diventato un assassino. Il suo sorriso svanì. «Non tutto quello voi tronfi plutocrati dite su di me è vero.» scandì. «Non sono un assassino, e non ho mai ucciso in vita mia!»
Lei restò impassibile. «Avete bruciato delle case, avete rubato la fortuna di una vita a gente onesta. Avete stuprato.»
Si sentì avvampare. «Io non ho mai alzato le mani su una donna che non mi volesse!» gridò.
«Allora andatevene e lasciatemi stare, io non ho alcun interesse per voi.» disse calma. Aveva capito cosa André cercava di fare. Aveva un’intelligenza singolare...  Ma lui non se ne curò «La gente onesta di cui voi parlate è la stessa che ha ridotto la nazione alla fame!» gridò «Io ho dato alle fiamme la casa di quell’idiota di De Bayonne –non so quale rapporto di parentela abbia con voi e non mi interessa-  perché quel cane ha ucciso un mio amico, perché gli ha tenuto testa! E sapete una cosa? Stavamo tornando dal funerale di suo figlio, Claude: aveva solo sei anni ed è morto perché un medico bastardo non ha voluto dargli le sue cure! Ora chi è l’assassino?»
Madeleine sembrò triste. «Parlate piano o vi sentiranno.» Restò zitta per un po’, ma poi lo inchiodò con gli occhi. «Vi prego di andarvene Monsieur Dubois.» sussurrò.
André allora le sorrise, e scosse la testa. «Ho ancora mezz’ora di tempo prima che i miei uomini vadano su tutte le furie. Sono venuto per parlare: parliamo.»
«Ve lo chiedo per l’ultima volta o chiamerò qualcuno: andatevene.» disse stanca.
André si sedette su uno dei seggiolini. «Sembrate molto stanca, che avete fatto oggi?»
La donna cominciò a rifarsi scontrosa. «Non sono affari vostri, andatevene!»
Lui alzò le spalle «Se non volete ascoltarmi andatevene voi.» disse risoluto.
«Bene, allora.» si voltò e passò la stanza, uscendo da dove André era arrivato. André si alzò fulmineo e la prese per una mano. «Aspettate!»
Si spaventò alla vista del servitore svenuto. «E lui?!» chiese esterrefatta, liberandosi dalla sua presa. «Avete tanto difeso i vostri ideali ed ora questo?»
«È  solo svenuto, si risveglierà fra poco.»
Scosse lentamente la testa. «Andatevene o mi metto ad urlare.» André sapeva che non l’avrebbe mai fatto. Scosse la testa. «No.»
Madeleine cominciò ad urlare a squarciagola. André fu preso dal panico: avventò su Madeleine, le premette la mano sulla bocca per soffocare il suono e la spinse con il suo corpo contro la porta, schiacciandola. Lei cominciò ad urlare ancora più forte. «Mademoiselle calmatevi! Non voglio farvi del male!»
Lei scosse la testa.
«Me ne vado se state zitta.» si arrese «Se fate silenzio giuro che me ne vado!»
Madeleine fece silenzio. André tolse la mano, sospirò e le disse «Grazie.»
Madeleine lo spinse via brutalmente. «Non avvicinatevi a me mai più! Intesi? Mai più! Ora andate via.» sibilò rabbiosa.
«Qual è la via più breve per l’esterno?» chiese.
«La finestra!» scandì al suo orecchio, mentre passava oltre.
«Siete arrabbiata con me?» chiese, sicuro che lei avrebbe sentito. La sua figura scomparve dietro all’ennesima porta. André la seguì fino alla scalinata, aprì la finestra dell’ultima stanza e strappò la tenda.  Poi ne fece due parti, le annodò e di calò giù. “Poteva andare peggio: avrebbe potuto sputarmi in faccia...”



NOTE:
Scusate il lungo tempo d'attesa, ma i capitoli di transizione non mi prendono!
Se leggete lasciate una recensione; anche una sola riga, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Un grazie speciale a
Lilo_jest che continua a recensire ogni capitolo!

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Capitolo 8
*** Hugo ***


 
8. Hugo
 
 
 
 
La prima domenica di marzo la banda andò ad Argenteuil da Hugo. Portarono alcune cose da depositare e un po’ di regali –soldi e cianfrusaglie invendute-  per Hugo. Edouard ed André erano cresciuti con lui ed erano entrambi sicuri che avrebbe opposto resistenza: ma se André poteva sottrarre senza essere scoperto, perché non avrebbe dovuto saper fare il contrario?! André scese dalla carrozza con un mal di stomaco tremendo.  La strada era piuttosto accidentata: avevano allungato la via per stradicciole tortuose ed evitare di venire fermati dai saldati della guardia di Parigi. Scese barcollante e malfermo. Non vide Hugo arrivare e se ne pentì subito... «André! Come stai, amico mio!» gli stritolò le ossa nel suo abbraccio. Hugo, nonostante fosse di poco più grande di lui –aveva ventisette anni-, era molto più grasso. Perlomeno lo era da quando si era trasferito in campagna nella casa della sua bella moglie benestante. Lei, Ludivine, era una specie di nobile a quanto sapeva, non aveva mai approfondito: tacito dire che non sapesse nulla di quello che Hugo faceva per André e la banda.  «Starò bene quando mi lascerai, Hugo!» sussurrò soffocato. L’altro rise gioviale. «Edouard! Sei più magro: sempre a farti in quattro per gli altri, eh?» abbracciò anche lui. «Entrate in casa! Il pranzo è pronto.» cinse le spalle di André col braccio sinistro e quelle di Edouard col destro. «A Parigi fate la fame, ma qui si sta bene. Certo, c’è carestia, ma fra l’allevamento e i soldi ricavati ce la passiamo meglio della maggioranza.» spiegò «Per voi ho ucciso un maiale!» gli disse soddisfatto. Ad André fece piacere sapere che Hugo era ancora così legato a loro, ma si sentì in debito con lui; conoscendolo era sicuramente il maiale più grasso che aveva. Hugo abitava in un grande casale in campagna, diventato suo per matrimonio. André  trovò quella visione rassicurante, come un salto nell’infanzia, quando i Dubois lo portavano a vedere i campi ad Argenteuil. Costruito  in pietra, con l’edera che s’arrampicava fino al tetto e sette servi a mandarlo avanti, era costituito da tre piani: il piano terra con le stanze della servitù, le stalle, e una cantina. Al primo e al secondo piano vivevano Hugo, Ludivine, e i suoi due figli: Marie e Raphael, di quattro e due anni. Li fece accomodare in una stanza grande al primo piano, con un camino spento, una grande tavolata con piatti di ceramica rossa e  un gran vassoio con un maiale arrostito. Non vedeva così tanto cibo insieme su una tavola popolana da quando era stato al matrimonio di Michelle e Albert. Pierre di sedette allegro, Mathieu continuava a fissare con la coda dell’occhio Louise, Jules guardava il maiale con aria famelica. Edouard e André si sedettero di fronte ad Hugo e a sua moglie. Hugo aveva una gran chioma nero pece, riccia e talmente ingarbugliata che André non era mai riuscito a vedere l'amico pettinato... Era alto, né magro né grasso. Ludivine, al contrario, era una biondina pallida e magrissima. Bassa e con la tendenza a sottomettersi. Hugo era un tipo piuttosto vorace, ma fra un boccone e l’altro riusciva a parlare perfettamente: André non aveva mai capito come facesse...
«Allora: come vanno gli affari, André?» chiese a bocca piena.

«Piuttosto bene: c’è molta gente ansiosa di donare i suoi averi alla nostra associazione...» fece l’occhiolino.
«Ma io non parlavo di quegli affari!» sghignazzò gioviale «Parlo di te! Stai sempre a correre dietro alle donne, sciupafemmine?!» rise di gusto. André fissò il boccone che roteava da parte a parte nella bocca del commensale, pur di non pensare alla domanda. “Sì: il problema è che qualcuna ha cominciato a scappare...” pensò.  Madeleine, Madeleine, Madeleine... stava diventando un’ossessione. «Mi conosci, Hugo. Non credo smetterò mai! E non credo che loro smetteranno mai di correre dietro a me!» mentì spudoratamente. La verità era che si sentiva depresso. Era andato di nuovo a Versailles, facendosi vedere da Madeleine che attraversava il giardino. Indossava un cappello a tesa larga, una camicia pregiata con un busto in pelle rigida, i pantaloni  e degli stivali dello stesso colore del bustino; con ogni probabilità andava a cavallo. Purtroppo però aveva anche un frustino, appunto, e aveva ben pensato di usarlo per costringerlo ad andarsene. André non l’aveva presa sul serio e lei gli aveva fatto diventare una mano rossa ...col frustino... L’aveva spiata diverse volte a Versailles, senza farsi notare. Una volta l’aveva vista giocare a fazzoletto con altri nobili. Indossava un semplice abito bianco con dei nastri verde scuro che fasciavano il corpetto. I capelli sciolti le stavano molto meglio di quelle assurde acconciature. Li aveva ricci, vaporosi, gonfi e castani. Rideva, scherzava, sembrava piuttosto felice della vita che faceva; ma quando era sola sembrava triste, insoddisfatta. «Non cambi proprio mai!» esclamò Hugo e riprese a ridere. Non parlarono più di donne.  Il maiale finì presto, così come il vino che Hugo aveva incautamente posato vicino a Jean. Le donne -Louise compresa- presero i bambini per portarli a dormire nel primissimo pomeriggio. «Io sono vecchio per andare a dormire: tanto fra poco dormirò per sempre, a cosa serve riposarmi ora?!» Jean cominciò a ridere.
«Pierre, partitina?» chiese invitante Henri, tirando fuori il mazzo di carte dalla giacca.
Pierre rispose svogliato. «Non giocherò più a carte con te e Philippe insieme: siete dei bari.»
«Noi?» chiese sarcastico Philippe.
«Ma stai parlando di noi due?» chiese anche Henri.
«Facete solo finta tanto!A me non mi piace per niente quando mi pigliate in giro così, a me... oh!» sembrava un poppante quando cercava di spuntare una conversazione con qualcuno.
Poi Philippe si finse sorpreso: «Pierre, sei sicuro di star bene?» spalancò gli occhi «Vaneggi, dici cose senza senso. Parli e sbagli a parlare. Ed ora che guardo meglio hai anche delle strane macchioline nere sul collo.»
«Non prendermi in giro, idiota!»
Henri mise carne sul fuoco «No, no... È  vero.»
«Piantatela!»
«André, guarda!» gridò Edouard.
André finse: «O mio Dio! Ma cos’hai Pierre?»
«Nulla! Ma smettetela, non ho nulla!»
«Hai delle macchie nere, sempre di più...» si finse disperato Mathieu.
Gilbert intervenne funereo: «È  la peste...»
«Peste?» chiese impaurito Pierre. Ora ci stava credendo.
«Sì,» asserì Gilbert serioso. Poi si tradì e cominciò a sghignazzare «la peste degli idioti!» scoppiarono tutti a ridere. Pierre spinse Philippe per una spalla. «Che bastardi che siete...»
«Non siamo noi: sei tu che ci caschi, Pierre.» rispose Edouard.
«Un ratto, un ratto!» urlò Mathieu.
«Dove?» chiese disperato Pierre. Risero tutti nuovamente.
Jean accordò il violino e cominciò a suonare.
Henri e Philippe fecero diverse partite a carte contro Hugo ed Edouard. Più tardi si aggiunsero anche Gilbert e Pierre. Le donne restarono al piano superiore per parecchio tempo. André prese a passeggiare dapprima intorno alla casa, poi prese il largo verso i campi lasciati al pascolo. Mathieu venne con lui. Era piuttosto spazientito, evidentemente non vedeva l’ora che Michelle smettesse di fare il cane da guardia a Louise. André indicò un rudere in lontananza. «Quella casa è sempre stata disabitata: mi ricordo che quando i Dubois mi portavano qui finivamo sempre là dentro se pioveva.»  sorrise.
Mathieu non ascoltava molto. «Non sono in vena.» mormorò.
André gli sorrise. «Louise?»
Annuì. Sembrava sull’orlo del collasso. «Ma non è lei il problema.» le lacrime si affacciarono sui suoi occhi. «Michelle dice che lei è troppo piccola. Ma le ragazze nobili si sposano a quattordici anni. Ormai lei ne ha quasi quindici, André... »
«E tu quasi diciotto, Mathieu: è naturale che Michelle sia preoccupata per sua figlia.»
Mathieu lo guardò negli occhi, aprendo le braccia. «Ma non può neppure rilegarla in una stanza con una cintura di castità!»
André era piuttosto dubbioso: «Con Michelle come madre non ci metterei la mano sul fuoco...»
«Io mi torturo e tu scherzi...» sospirò. André gli passò il braccio sulla spalla. «Tieni duro ed aspetta: Louise penserà a sua madre.» Mathieu sorrise malinconico.
«Tu?»
«Io cosa?!»
«Non far finta di non capire: sono settimane che vai a Versailles con Edouard a fare non so cosa.» gli rivolse un’occhiata complice. «Chi è?»
«Madeleine...»
«Ancora quella?»  lo interruppe. «Complimenti: da un mese corri sempre dietro alla stessa, ti sei superato.» osservò.
«È che ancora non cede»
«“Tieni duro e aspetta.”» lo canzonò.
«Detta così sembra facile.» disse assorto. «Ma Madeleine non è affatto facile...»
«Mathieu!» chiamò Gilbert. «Pierre è impedito! Non può giocare a carte come si deve. Ci vieni tu a far coppia con me?»
André rise. «Ormai hanno capito che li frego tutti se gioco io! È  finita la pacchia.»
«Ma come fai?» gli chiese.
«Facile quando hai segnato ogni carta importante del mazzo con un simbolo...» sussurrò, girando i tacchi per tornare in dietro.
 
 
VERSAILLES
 




Marie Antoinette non aveva figli maschi. Peggio ancora, non aveva figli... Non che Louis non si applicasse, ma Antoinette credeva che lui non avesse mai... mai... si vergognava solo a pensarlo: suo marito non riusciva a provare piacere, ne conseguiva che non riuscisse a fecondarla. Oddio, cosa pensava?! Si era chiesta più volte se Fersen sarebbe riuscito a ... “no, basta con certi pensieri: sei una futura regina!” si disse. Ma ormai Louis, complice il fatto che sembrasse provare addirittura dolore nell’atto sessuale, riperdeva interesse per lei e si rifugiava di nuovo nella bottega del fabbro della reggia. Avrebbe tanto voluto che la guardasse di sottecchi, che le sorridesse di nuovo dolce o che desse almeno un accenno di amicizia. Forse credeva che il non provare piacere dipendesse da lei? «Sì, sono d’accordo.» asserì convinta a non sapeva quale affermazione, rivolta alla principessa Adelaide: ipocrita fino in fondo. Posò delicatamente la tazzina del tè sul piattino, che appoggiò a sua volta sul piccolo tavolino di madreperla. Accanto a lei c’era Madeleine, con un espressione rivelatrice sulla situazione: era annoiata ed infastidita. Erano due contro tre: era una lotta impari. «Ma a Parigi stanno tutti davvero impazzendo, indipendentemente da quello che facciamo noi qui.» disse la principessa Vittoria.
«Infatti!» concordò la sorella.
La principessa Sofia scosse la testa «Ci sono tanti di quei ladri, che... L’altro ieri il mio valletto è andato alla bottega di Rose Bertin a Parigi e per poco non gli rubavano anche i vestiti! Fortunatamente aveva già pagato il saldo. Non capisco perché debbano lamentarsi: Parigi è la città più bella di tutto il mondo, dovrebbero essere felici di vivere qui!»
Marie Antoinette si chiese perché il Buon Dio, nella Sua infinita sapienza,  avesse tripartito il cervello delle sorelle...
«Poi ci sono anche i ladri professionisti, ora:  la sapete questa,  Altezza?»  chiese Adelaide. Antoinette non rispose, sapeva che comunque avrebbe risposto Adelaide avrebbe fatto sfoggio della sua cultura sulla Parigi mondana e non.
«Avete sentito di quel mentecatto che se ne gira per i tetti con la sua banda?» le chiese Sofia.
«Quel... com’è che si chiama, Vittoria?» intervenne Adelaide.
Questa di fece avanti con il busto e spalancò gli occhi: «Monsieur Dubois!»
Madeleine si lasciò scivolare la tazza dalle mani. Toccò terra e si ruppe con un rumore che la infastidì. Madeleine sembrò agitata. Si chinò a terra a cogliere i pezzi.
«Tutto bene, Madeleine?» chiese sinceramente preoccupata.
Lei si affrettò a rispondere. «Sì,  non preoccupatevi!»
Le “Madames Tantes” si alzarono con calma. «Forse è meglio che riposiate, Madeleine.» sorrise Vittoria. Con i dovuti ossequi, lasciarono la sua presenza.
«Cos’avete, Madeleine?» chiese quando furono sole.
Lei cominciò a piangere, inginocchiata a terra.
«Io devo raccontarlo a qualcuno, Altezza. E mi dispiace doverlo dire proprio a voi che avete tanti pensieri, ma siete l’unica di cui io mi possa fidare!» cominciò esasperata.
«Parlate.» la esortò dolcemente, battendole la mano sulla spalla per tranquillizzarla.
«Quella domenica sera di gennaio, all’Opera...» iniziò, parlando sottovoce.
«Sì, c’era anche Dubois, l’abbiamo visto tutti.» la interruppe.
«Si, lo so: ma voi ricordate l’uomo che mi chiese di ballare? Voi mi spingeste contro di lui.» Antoinette annuì. «Quell’uomo si è presentato semplicemente come André. Ma poi, mentre eravamo sulla balconata... mi ha detto... ha detto che il suo mestiere era di rubare ai ricchi per dare ai poveri, poi ha detto di essere Dubois. Poco dopo l’ho incontrato sullo scalone e mi ha salutato dicendomi che ci saremmo rivisti...» singhiozzò, ma poi si riprese «La settimana dopo me lo sono ritrovata nella vostra stanza, mentre vi portavo il libro di Rousseau, mi ha chiesto di parlare. Io non ho voluto e alla fine mi sono messa a gridare e se n’è andato. Poco tempo dopo l’ho sorpreso a spiarmi da dietro un albero, quel giovedì che avevamo deciso di andare a cavallo. L’ho cacciato via col frustino, ma continuo  a vederlo spuntare fuori dagli alberi qualche volta. Mi sento il suo sguardo sulla pelle, quando sono qui, quando sono a casa mia, quando passeggio o faccio il bagno o quando...» scoppiò in lacrime. Marie Antoinette l’abbracciò. Lei continuò a parlare. «Oggi mi sono fatta accompagnare a Alain finché non ho incontrato la Lamballe. Io non ce la faccio più... Non l’ho detto a nessuno perché ho paura che lui possa...  Quell’uomo attraversa i muri, Altezza: io non so come faccia a non essere visto! Voglio solo che sparisca dalla mia vita e che quest’orribile sensazione se ne vada via con lui...» calmò il respirò.
Non credeva che le attenzione amorose che avrebbe tanto desiderato da parte di Louis, potessero far tanto male.
 
 


 
ARGENTEUIL
 


«Usa queste!» Hugo gli consegnò delle maschere bianche, dal naso lungo e piuttosto losche e pittoresche «Il padre di Ludivine le ha prese da un fabbricante di maschere a Venezia. Sono d’ottima fattura; ideali per una strana banda di ladri. Devi ammetterlo: sono suggestive.»
André le osservò. «Già, lo sono sicuramente.» alzò gli occhi verso l’amico. «Grazie di tutto Hugo.»
L’amico gli sorrise. «Di nulla, André.» Per un attimo Hugo si perse a fissarlo, mentre André maneggiava le maschere bianche.
«Mi ricordi Francis Dubois, anche se non era tuo padre.» osservò.
André sospirò e sorrise.
«Perché lo fai?» chiese di punto in bianco.
André gli rivolse uno sguardo significativo. «Tutti si chiedono sempre perché io faccia il ladro. Dovrò pur passare il tempo anch’io, no?»
«No. André se lo fai per cercare i tuoi ge...»
André non voleva sentire altro. «Non voglio sentirmi dire da un altro che è impossibile: non è facile, questo non significa che non sia possibile. Io posso. Magari qualcuno ha visto o sentito qualcosa a proposito di...»
«Di una cameriera che ha partorito un bastardo?» domandò retoricamente. «Sei figlio di un generale, questo è quanto più puoi pretendere di sapere a parer mio. Sai quanti generali ci sono a Parigi, o in tutta la Francia?»
Un’idea si accese in André. «Dovrebbero essere tutti segnati nei registri di corte, vero?»
Hugo sorrise e scosse la testa: sapeva che se André si fissava su qualcosa, questa cosa sarebbe stata fatta. «Sì, ma solo qualcuno che lavori o che viva a Versailles può avere accesso completo a quei registri. Ti basterebbe avere un servitore come infiltrato.» Henri e Philippe distrassero Hugo e chiamandolo per un'altra mano a carte. 

«Ma io conosco molto più di un servitore a Versailles...» sussurrò senza che nessuno lo sentisse.




 
NOTE:
Ok, ho dovuto ritoccare un paio di cose per la trama ma eccoci qui! Anche il prossimo capitolo è in scrittura, non credo che aspetterete troppo, anche perché è un capitolo piuttosto interessante da un certo punto di vista... Il rating l’ho abbassato al giallo dato che per la parte un po’ più violenta e piccante bisognerà aspettare un po’.

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Capitolo 9
*** Insopportabile dolcezza del suono 'Madeleine' ***


 
9. Insopportabile dolcezza del suono “Madeleine”
 






 
André baciava bene. Dopo anni ed anni passati a fare pratica su qualunque donna incontrasse ne era sicuro. E la donna che era a cavalcioni sopra di lui, con la gonna tirata su fino alla vita e la camicetta sbottonata, sembrava essere del suo stesso avviso. Steso sul letto di una stanza dell’ala ovest nella residenza dei Juillar, si lasciava accarezzare dalle piccole ed agili mani della cameriera. Il suo nome era Madeleine. Gli accarezzava il petto nudo e continuava a baciarlo freneticamente, lasciandosi sfuggire piccoli suoni involontari. Fantasticava, sussurrandole all’orecchio parole dolci, che non fosse la semplice cameriera venticinquenne Madeleine Loraine, ma che fosse l’altera e affascinante Madeleine De Bayonne. I loro abiti erano seminati in tutta la stanza, chiusa a chiave. André, tenendo gli occhi chiusi, baciava le labbra morbide di Madeleine, accarezzava le spalle di Madeleine, il viso di Madeleine, la schiena di Madeleine... ma Madeleine Loraine: si sarebbe venduto la Francia a uno qualsiasi fra i paesi stranieri che la volevano pur di avere l’altra, vera, Madeleine. I capelli della Loraine le arrivavano solo fino alle spalle, in netto contrasto con i capelli lunghissimi che aveva visto sulla vera Madeleine. Più sentiva la pelle del misero surrogato sulla sua, più sentiva che non avrebbe mai avuto la vera Madeleine. Anche il corpo della cameriera era diverso: meno alta, meno snella, meno abbondante col seno, ... Per non parlare del carattere: meno altezzosa, meno istruita, meno intelligente, meno... meno... meno... Ciononostante non smetteva di baciarla appassionatamente, immaginandosi non già Madeleine Loraine, ma Madeleine De Bayonne, a muoversi seminuda sopra di lui in preda all’estasi più profonda. «Chi è lei?» la domanda lo lasciò esterrefatto.
Tartagliò: «M-ma cosa dici, Madeaux?» tentò i baciarla di nuovo.
Lei scosse la testa e scese. Si riabbottonò la camicetta velocemente, rassettò la gonna  e cominciò a rivestirsi velocemente. «Senti: è inutile. Il vecchio metodo “chiodo scaccia chiodo” non funziona, chiaro?! Se è lei che vuoi sarà meglio che cerchi di  averla, o diventerai pazzo. Non cercare di dimenticarla perché non ci riuscirai.» lo guardò truce e uscì sbattendo la porta. Forse era il sesto senso femminile, o forse non era così ingenua come pensava lui. André restò steso sul letto, con la sola camicia addosso. Sospirò. Si guardò intorno: dovevano essere circa le sei del mattino, forse le cinque e mezzo. L’alba illuminava debolmente la stanza. Per l’ora di pranzo forse sarebbe riuscito ad intrufolarsi a Versailles e forse anche a trovare Madeleine, quella vera finalmente. Aveva bisogno della lista, per trovare i suoi genitori. Eppure la cosa non gli importava più: quella che una volta era stata la sua priorità, ora si eclissava alla luce della dolce Madeleine. “Dolce?!” ecco fatto, cominciava ad idealizzarla già dopo due settimane che non la vedeva. Era ora di riprendere contatto con la realtà... Fissò il segno quasi scomparso del frustino. Se la ricordò mentre, spaventata, parlava tremolante con gli occhioni sbarrati.  Poi se la immaginò come aveva fatto poco prima: nuda affianco a lui, mentre, raccontandogli la sua giornata, gli accarezzava il petto dopo aver fatto l’amore. “Pensi al nulla, André. Non l’avrai mai...” ora cominciava a realizzarlo.
“Basta: è ora di mettersi al lavoro.”
 
 
 
 






 
VERSAILLES
 
 
 


Era un piovoso mercoledì, era quella l’unica differenza fra quel giorno e tutti gli altri. La luce pallida e spossata del sole entrava appena e rilegava Antoinette in uno stato a metà fra l’annoiato e il triste. Le Madames Tantes insistevano a prendere il tè con lei ogni domenica, ma non disdegnavano neppure il mercoledì per torturarla. Erano arrivate fra le nove e le dieci, e alle undici ancora non accennavano ad andarsene. Ormai anche le pareti della stanza erano annoiate! Si era dovuta perfino cambiare di fronte a loro! Non che non l’avesse mai fatto: alla cerimonia della vestizione mattutina erano sempre le prime della fila; e dopo tutti gli anni che avevano, ancora non riuscivano ad allacciare decentemente un corsetto. Continuavano imperterrite a spettegolare. Ma quel giorno Antoinette era piuttosto soddisfatta: soddisfatta perché Madeleine l’aveva messa a parte di una “volgare e disgustosa” mania di dare soprannomi alle tre: Adelaide era "Loque" straccio. Vittoria: "Coche" cocchio, per la sua mole spropositata. Sofia:"Graille" cornacchia. Che gente odiosa! “Con persone come queste intorno: o diventi come loro o scappi” aveva pensato diverse volte. Come sarebbe voluta scappare via, per vivere in campagna con una vita semplice e felice... Se ne andarono alle undici, quarantasette minuti e trentasei secondi: era tanto concentrata a fissare morbosamente la pendola che non fece quasi caso alla loro partenza. La Lamballe si lasciò cadere sulla sua poltroncina fingendosi morta. La fece ridere.  Antoinette si alzò andò verso la finestra aperta: sole pallido, frescura, giornata piacevole. «Altezza, se permettete vorrei tornare da mio marito, è da poco tornato a Parigi.» chiese la Lamballe.
Antoinette le sorrise. «Certo Maria Luisa. Potete andare. Se volete siete dispensata anche per questo pomeriggio.» La Lamballe si inchinò, sorrise e indietreggiò fino alla porta senza dare le spalle.
«Volete andare anche voi Madeleine?»
Lei scosse la testa. «Aspetterò finché vorrete.» le sorrise. Antoinette tornò a guardare fuori dalla finestra. La duchessa De La Rochelle tornava alla reggia correndo, colta dalla pioggia mentre passeggiava con i suoi figli. Ma Antoinette non aveva figli. Era sposata da quasi sei anni, ma niente figli. Sentiva lo sguardo dei nobili su di lei, quando si presentava a pranzo, o la mattina durante la cerimonia della vestizione. Tutti mormoravano, tutti parlavano, tutti sputavano la loro sentenza personalizzata su di lei: la gelida austriaca sterile che non concepiva un erede al paese. Antoinette piangeva, sempre più spesso e sempre più a lungo, nella solitudine del giardino. A volte Madeleine, per tirarla su, le portava dei dolci da Parigi, della zona dove abitava. Antoinette le aveva chiesto di stabilirsi a Versailles, ma Madeleine aveva risposto semplicemente “Altezza: spero capiate che come Versailles è una gabbia per voi, lo è anche per me.” E Antoinette non aveva fatto obbiezioni. Ciononostante veniva a Versailles ogni giorno con Alain, che come capitano delle guardie della reggia doveva presentarsi a Versailles ogni sacrosanta mattina.  Infondo Marie Antoinette aveva sempre la Lamballe vicino. Maria Luisa non era semplice come Madeleine, ma aveva la classica simpatia italiana. Era divertente stare con lei. Mademoiselle Genet era in brodo di giuggiole, mancavano pochi mesi prima che diventasse ufficialmente “Madame Campan”.   «Tutto bene, Altezza?» chiese Madeleine, interrompendo le fila dei suoi pensieri. Le si sedette accanto. Antoinette sospirò. «Tutto bene, è solo che non vedo Louis da un po’...» mentì. Dopo quello che Madeleine le aveva confidato non se la sentiva di mettere sulle sue spalle anche i suoi problemi: aveva le spalle larghe, sì, ma fino ad un certo punto.
«E voi? State meglio da domenica scorsa?»
Scosse la testa. «Mi sento osservata anche ora.»
Cinse l’amica con il braccio. «Passerà.» sussurrò.
«Non ne dubito.» mormorò in ricambio «Ma è una sensazione... orribile.»
«Quand’è stata l’ultima volta che lo avete visto?»
«Circa una settimana e mezzo fa. Era su un albero, ma ho fatto finta di non vederlo.»
«Ne avete parlato con Alain?»
Scosse la testa. «Ho paura per lui: paura che possa fare qualcosa di stupido... E non ho il coraggio di andarlo a denunciare, ho paura che si vendichi... io non ce la faccio più...»
Antoinette le sorrise. «Se non se n’è andato dopo che l’avete picchiato col frustino dovete davvero piacergli. Forse non vuole farvi del male, solo... sedurvi. Ho sentito che è un donnaiolo.» ma Madeleine affondò il volto nella gonna del vestito blu che indossava. Un vestito semplicissimo ma ampio, con una pelisse damascata (strettissima sul busto e morbida sulla gonna) di un tono lievemente più chiaro. Pensò a rassicurarla: «Venendo qui si espone troppo. Presto lo noteranno: verrà arrestavo, ve lo assicuro.»
«Quell’uomo attraversa le pareti, Altezza. Nessuno l’ha mai visto entrare o uscire fino ad ora.»
Guardò la pendola. Quasi le dodici. «Credo che se non mi presenterò a pranzo nei prossimi cinque minuti, la contessa di Noailles andrà in escandescenze.» osservò ironica. Madeleine scosse la testa sorridendole. Antoinette si alzò. Mentre si avviava verso la porta Madeleine la fermò. «Grazie, Altezza.»
 
 
 
La luce del sole era debole e veniva offuscata e a tratti del tutto oscurata dalle nuvole plumbee che gravitavano su Parigi. La pioggia batteva inesorabile sulla reggia. La finestra del re era aperta. La pioggia sarebbe entrata... ci voleva qualcuno che la chiudesse. Due strani uomini, vestiti di nero, con domino ed una maschera dal lungo naso su ciascuno dei volti, s’aggiravano guardinghi sul tetto. Sapevano di correre un rischio. Il primo assicurò la fune sull’ornamento più solido e si calò giù. Il secondo fece lo stesso, utilizzando la corda del primo. Già sul balcone due guardie li attaccarono. Il primo strappò il fucile alla guardia e la colpì  con un calcio ai genitali. Tutte e quattro le guardie fecero la stessa fine: a terra, agonizzanti per il dolore. I due domino fuggirono schivando i servitori. Una dozzina di servitori avevano assistito alla scena, ed ora correvano a perdifiato per andare a chiamare aiuto. Si trovarono un vicolo cieco: una stanza chiusa e senza chiave. Guardandosi intorno videro i due domino con bianche maschere dal lungo naso chiudere la porta da dove erano entrati. Il secondo domino cominciò a ridere forte. Il primo si tolse la maschera. André era fradicio, letteralmente. I capelli erano appiccicati sulla fronte, appiattiti. Ci passò la mano, li strizzò e tornarono, seppur umidi e bagnaticci, al loro posto. Edouard però non era da meno. «E siamo qui solo da venti minuti!» constatò. Guardò fuori dalla finestra. Pioveva a dirotto... «Il Diluvio Universale è alle porte, amico mio.»
«Ed è solo mezzogiorno, pensa cosa farà ‘sta notte!» osservò l’amico sul tempo.
André sorrise. Si riscosse: «Edouard, dev’esserci una porta nascosta qui intorno, che conduce fino alle stanze della regina, cerchiamola.» Come faceva a saperlo? Facile; in ogni casa nobiliare il marito e la moglie avevano camere separata, ma comunicanti... per la notte... Era grazie a quelle porte che un paio di volte si era salvato dall’essere scoperto da qualche marito furente. Scosse tende, scansò veli, tastò le pareti, mentre Edouard controllava nei dintorni. Nulla: nessuna porta.
«André!» chiamò Edouard bisbigliando. «C’è una porta nella parete, vieni qui!»
André lo raggiunse, rimettendo la maschera sul viso. Scostò lievemente la porta. La camera della regina: la porta era molto vicino al letto a baldacchino.
All’interno c’erano due cameriere. Mettevano in ordine «Edouard, come la mettiamo con le cameriere.»
«Aspetta che se ne vadano, no? Vedi la tua donna?»
“La MIA donna... bella frase!” «No, non c’è.»
«Allora aspettiamo.» Attese paziente. Entrò un’altra cameriera, poi un’altra, un servitore, un paio di cameriere uscirono, uscirono anche le altre quattro, restò il servitore che se ne andò con un candelabro in mano. Uscirono dal loro nascondiglio circa un quarto d’ora dopo. La stanza non sarebbe rimasta vuota a lungo, dovevano esserci delle cameriere per quando la Delfina sarebbe tornata dal pranzo. Tutto stava nell’incrociare le dita e sperare che entrasse Madeleine. Scavalcò la ringhiera in legno dorato, fece un cenno distratto che indicò ad Edouard la  tenda preziosa e ampia della finestra più a destra. Si nascosero sulle due tende della stessa finestra: una ciascuno. Entrarono due donne. Una cameriera sui quaranta: magra e dalla mascella spigolosa. Gli occhi chiari infossati nelle orbite e i capelli che erano a tratti rigati di grigio argenteo. La cuffia che indossava era piuttosto piccola. Era molto bella, anche se cominciavano a vedersi in lei tutti i segni d’un invecchiamento un po’ precoce. Dietro di lei entrò, finalmente, Madeleine. André la trovava bellissima quel giorno. L’ampio abito blu si intonava con la sua pelle chiara, con quegli occhi dello stesso colore. Sorrise. Aveva i capelli raccolti in un una acconciatura più o meno alta, ma non troppo. Le scendevano delle lunghe ciocche ricce, una ventina. Poggiò un pacchettino sul mobile. La cameriera accennò ad un inchino e se ne andò. Ora aveva paura di spaventarla, avrebbe potuto reagire male. Doveva presentarsi prima? L’avrebbe spaventata non capire chi la chiamava. Meglio questo però, che spaventarla a morte, sbucando senza preavviso. Edouard aveva il preciso ordine di non muoversi, come d’accordi presi.
«Madeleine?» chiamò, restando nascosto. Lei si voltò e sorrise. «Chi c’è? Alain, sei tu?» André uscì allo scoperto. Il volto di Madeleine cambiò drasticamente, divenne spaventata e tesa. Urlò. André le si avventò sopra, tappandole di nuovo la bocca. Lei cominciò a dimenarsi: «Chi siete?!»
«Sono Dubois.» disse, come se fosse ovvio, allontanandosi mentre allentava la presa.
«Idiota, levatevi quella maschera!» André capì cos’era la cosa che gli faceva tanto caldo sulla faccia. Se la tolse velocemente e si sfilò il cappuccio del domino. «Bene.» riprese fiato. «Dov’eravamo rimasti?»
«Andatevene.» scandì, voltandogli le spalle. Edouard uscì, ma non tolse né maschera né domino. «Lui è Edouard, lavora con me.»
«Non  m’importa chi è! Non voglio vedervi, non voglio parlare con voi! Andatevene!» alzò la voce.
«Sono qui solo per chiedervi un piccolo favore.»
Lei si voltò. Aveva gli occhi spaventati. «Che favore potrei mai farvi io?» mormorò.
«Non lo immaginate neppure...» le sorrise. Sfortunatamente, il sorriso che ne uscì era il sorriso sensuale e misterioso che usava per sedurre le giovani figlie dell’aristocrazia campagnola... Madeleine ne fu spaventata: forse chiedendosi a cosa gli sarebbe servita la forza di un secondo uomo –Edouard, che non aveva mai portato fino a lei- e aggiungendo la risposta vaga e ambigua di André corse via. André ne fu preso alla sprovvista, ma con un lungo scatto l’inseguì. Passarono una stanza, poi un’altra ancora, poi un’altra fino ad arrivare a quella che riconobbe come Sala delle Guardie. Mentre si accorgeva che la porta era accostata ma non chiusa, della speranza di poterla fermare, inciampò nel domino. Il rovinoso ruzzolone lo portò a cadere su Madeleine, che cadde, voltandosi appena in tempo per atterrare sulla schiena. André le cadde sopra. Madeleine lo fissò a bocca semiaperta, col respiro affannoso. Urlò, poi si mise a gridare aiuto, ma nessuno la sentì. André non si muoveva, era ipnotizzato dal movimento del corpo della donna sotto di lui. Lei cercava di dimenarsi, ma non riusciva a spostare André, sicuramente più pesante di lei. Madeleine –non se lo sarebbe mai aspettato- cominciò a piangere.
«Farò tutto quello che volete, ma vi prego non usatemi violenza, io...» implorò fra le lacrime. In quel momento André si rese conto di essere fra le sue gambe, di costringerla a terra e di tenerle i polsi attaccati al pavimento. Si alzò subito, tenendo le mani in alto e bene in vista. «Non volevo costringervi a terra! Io... sono caduto e vi ho spinta per sbaglio. Mi dispiace, Mademoiselle!» tartagliò.

Madeleine sembrò un po’ sorpresa. «Voi non avete... non proverete a violentarmi.»
Scosse subito la testa. «Mai, Mademoiselle.»
Sospirò, scuotendo la testa: « Perché continuereste a seguirmi, allora?!»
André sorrise, sperando di rassicurarla. «Voi... bé... non posso dire che non siate una donna attraente. Forse un po’ altezzosa, ostile, altera, paranoica, testarda ma pur sempre attraente.»
«Vedo che apprezzate soprattutto il carattere in me.» osservò arricciando le labbra.
«Molto più di quanto possiate pensare, in realtà: non siete come le altre del vostro rango, sapete parlare di altro oltre che spettegolare. Non avete bisogno di essere tutelata, avete la lingua più tagliente di una spada.» poi abbassò la voce «E anche se non lo sembrate, sono sicuro che siate la persona più dolce e comprensiva che possa esistere.»
«L’insopportabile dolcezza del suono “Madeleine” non implica la dolcezza di chi lo porta in nome.»
«Io non lo so dal nome,» le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. «ma dai vostri occhi.»
«Ah, sì?» chiese ironica. Gli afferrò la mano ed André per un attimo ebbe la sensazione di non reggersi più in piedi. «Volete sapere cosa vedo io nei vostri, di occhi?»
«Cosa?»
«Vedo che non siete sincero.» era seria.
André sorrise, andando verso la finestra. «È  frustrante, sapete? Il fatto che nessuno ti creda solo perché sei un ladro.»
«Non è quello che siete?»
«No, io sono un adorabile e simpatico briccone.» le sorrise. Con sorpresa e non poca soddisfazione notò sul suo viso la comparsa si un sorriso - seppur triste e restio.
«Continuo a dubitare di voi perché mi rimane piuttosto ostico pensare che continuiate a starmi col fiato sul collo dopo così tanti rifiuti...»
André si finse offeso. «Odio voi e il vostro frustino.»
Cambiò discorso. «Cosa volevate da me, prima?» chiese dubbiosa, un po’ diffidente.
«Voi avete accesso ai registri di corte?»
«Sì,» chiese diffidente «ma a voi cosa servono?»
«Vorrei che mi faceste una lista: tutti i generali residenti a Parigi dal 1745 al 1755. Con i relativi indirizzi di adesso se è possibile.»
Madeleine scosse lentamente la testa. André ebbe il bruttissimo presentimento che stesse per sbottare «Così che possiate rapinarli indisturbato?! Come siete ipocrita, Dubois! Prima parlare bene e poi venite a chiedermi favori: a me, che credete ti conoscere così bene, eh?!»
«Vi do la mia parola che non sarà fatto nulla di male a quelle persone.»
«Ve lo ripeto: che valore ha la parola di un bugiardo?»
Sospirò. «Avete la mia parola: e se non onorerò il patto, descrivete il mio aspetto alle autorità.»
«E come so che non vi vendicherete. Avete voi il coltello dalla parte del manico.»
«Avete la mia parola d’onore.»
«Parola d’onore d’un ladro.»
André si fermò a riflettere: dire a cosa gli servivano i registri era escluso. Cosa voleva Madeleine più di qualsiasi altra cosa? «Fatelo è giuro che non mi rivedrete mai più. Vi lascerò in pace, la prossima e ultima volta che mi vedrete sarà per consegnare la lista. Dopodiché sarà finita, se così vorrete. » Aggiunse l’ultima frase per darsi una speranza. Lei sembrò pensierosa; si avvicinò alla finestra. «Lo farò.»
André annuì.
«Quando avrò finito vi verrò a cercare io. Dove vi troverò?» chiese, guardando all’esterno.
«Cattedrale di Notre Dame, a Parigi. Un mio uomo è sempre sul sagrato.»
«Dove posso trovare voi, non il vostro uomo.»
«Venite alla cattedrale di Notre Dame, non posso dirvi altro.» poi si voltò per andarsene.
« Io non parlerò con il vostro uomo: non so chi lui sia, non so se sia la persona essenzialmente buona che riconosco in voi. Io parlerò con voi, o non parlerò affatto.»
André sorrise, si voltò ed annuì. «Ci sarò anch’io.» Lei asserì. La fissò negli occhi, aspettando una risposta, ma questa non arrivò. Rimase lì a guardarla, inchiodando il suo sguardo magnetico per un secondo in più del solito. Poi lei gli si avvicinò. Fino all’ultimo André credette che venisse verso di lui, ma lo oltrepassò e giunse per prima nella stanza della regina. Anche lui raggiunse Edouard, rimasto vicino alla tenda da dove era uscito.
«Buon pomeriggio, Mademoiselle.»
«Messieurs.» li salutò entrambi, senza alcun gesto. André rimise la maschera e calzò per bene il cappuccio del domino. Si infilò nella porticina della parete seguito da Edouard. Tornarono correndo nella stanza del re, uscirono sul balcone e risalirono sul tetto grazie alla fune che avevano lasciato. Scesero con cautela dal lato Ovest, meno affollato. Scavalcarono la recinzione appena in tempo per sfuggire all’allarme appena dato.




 



 
Si erano cambiati in fretta e furia dietro la recinzione della reggia. Avevano indossato tricorni e mantelli semplici, rilegando domino e maschera di ognuno delle due sacche di stoffa rozza che avevano con loro. I cavalli li aveva tenuti Mathieu, mentre era in città con un paio di “commissioni” da fare –rivendite porta a porta per i nobili del ciarpame che avevano rubato.
«Com’è andata?» domandò Mathieu.
«Abbastanza bene.» fece una smorfia «Farà quello che le ho detto. E dice che vuole parlare solo con me, non con uno dei miei uomini!» sorrise soddisfatto, avvicinandosi a Mathieu.
«Ma per favore!» intervenne Edouard.
 «L’hai sentita anche tu, Edouard! Sono essenzialmente buono!» poteva dirsi soddisfatto.
«Ce n’è di strada fra “è essenzialmente buono” a “è l’uomo della mia vita”...» sibilò ironico Mathieu.
André allargò le braccia, lasciando le redini. «Ma è già una conquista!»
Edouard scosse la testa sorridendo: «Ha ragione il ragazzo, André.»
«Scontenti cronici...» riprese le redini con un gesto svogliato.
Edouard chiese a Mathieu: «Qualcuno ha comprato?»
«Un paio di donne hanno acquistato le stoffe, poi ho venduto diversi candelabri, un po’ di libri. Non ci possiamo lamentare. Ho pensato che se rivendessimo i vestiti nobiliari a delle sartorie potremmo ricavarci parecchio.»
«Chi ha davvero confezionato l’abito potrebbe protestare. »
«E se le vendessimo alle stesse sartorie che li anno confezionati?»
«Non so quanto Rose Bertin voglia acquistare i suoi abiti ad un prezzo maggiore di quello di produzione.»
«Chi ha detto che deve essere maggiore?!» rise Mathieu «Basta che sia maggiore di quello a cui noi lo acquistiamo; e visto che noi li rubiamo...»
«Basta un prezzo stracciato, ed è comunque più di quanto prenderemmo da altri.» ragionò André. Annuì sorridente a Mathieu. «Altre novità?»
«Mi hanno detto che il Duca De La Rochelle dà una festa in maschera...» confidò.
André storse le labbra e poi le arricciò «Edouard?» chiamò, mentre il suo cavallo trottava allegro.
«Sì?»
«Non credi che sia ora di mostrare a tutta la nobiltà parigina le nostre belle maschere italiane?» spronò il cavallo al galoppo.








(... in pratica sarebbe la maschera di Scaramouche)






NOTE:
...non voglio fare l'uccellaccio del malaugurio ma credo proprio che non riuscirò a scrivere il prossimo capitolo prima di un mese! Teniamo le dita incrociate! Il rating è di nuovo arancione per via della scena all'inizio: non so se sia proprio necessario, ma nel dubbio metto le mani avanti!
Solita dichiarazione: chi vuole lasciare la sua opinione in merito alla storia è sempre bene accetto!

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Capitolo 10
*** Colpo a vuoto ***


 
N.B. = È  stato modificato il precedente dialogo fra André e Madeleine. Il significato non cambia ma, essendo una crasi di altri due discorsi che avevo preparato non filava di coerenza... insomma Madeleine sembrava psicopatica!
 
 
 

 
10. Colpo a vuoto
 
 
 




Tornando da Versailles, si rintanarono nella cantina, cambiandosi di nuovo, visti gli abiti fradici. Ormai la stagione dei grandi freddi era passata, ma la pioggia persisteva. Uscirono solo André ed Edouard quando il sole stava ormai tramontando, ben protetti dai pastrani, portando i vestiti fradici in un cesto. «Io mi chiedo perché ti sei voluto cambiare; non era più facile entrare con abiti semplici?» disse Edouard, mentre strizzava il domino fradicio nel fiume.
«Ho un debole per il teatrale e lo sai.» rise un po’ triste.
«Lo so... infatti non sono io che mi sono voluto buttare da un balcone.»
«Me lo rinfaccerai a vita?»
«Sì, perché hai costretto anche noi altri a saltare!» trattenne una risata.
André non era in vena di risate. «Non... Quello che si è fatto male poi sono stato io, quindi tanto basta. »
«Se non è giustizia divina questa...» percepì lo sguardo di Edouard posarsi su di lui. «Cosa c’è, André?»
«Nulla di importante.» tagliò corto.
«André...»
«Le ho promesso che se mi farà la lista la lascerò stare se è questo che vuole.»
Edouard sorrise. «Sei peggio di un ragazzino sai? Ti apposti per vederla, la perseguiti. Non ti ho mai visto così.»
Gli sfuggì un sorriso.
«Ci tieni. Non so se tieni a portartela a letto o tieni davvero a lei, però ci tieni.»
«Tengo a lei, credo...»
«E lei?»
«Lei sembra fatta di pietra... Sai che pensava che volessimo violentarla oggi?»
«Non mi sorprende.» ammise franco. Restarono in silenzio. André mise tutta la sua forza nello strizzare il mantello ancora bagnato, tentando di non pensare a Madeleine. «Perché continui a starle dietro, André?» sussurrò Edouard dopo un po’ «Ho visto come ti guarda: di te ha paura, non rispetto. Figurati se potrà mai amarti.»
«Magari è così fredda proprio perché ha paura.»
«E se così non fosse?»
Tagliò il discorso. «Non ha importanza: mi darà quella busta e non la rivedrò mai più.»
Edouard annuì. Riposero i panni ancora un po’ umidi nello stesso cesto con cui li avevano portati. «Philippe ti ha detto che si è liberata una casupola in affitto, qui vicino?»
«Sì. Ieri sera. C’ho pensato: è ora di dividersi, non possiamo continuare a vivere tutti insieme. Prima non avevamo la possibilità, ora che abbiamo abbastanza posti dove andare è assolutamente necessario. Diamo nell’occhio così, vedo sempre più strani ceffi intorno alla cantina.»
Un gendarme passò proprio in quel momento dietro di loro. Rallentò fissando il cesto pieno di vestiti e le figure alte di due uomini. Fece una faccia perplessa e si allontanò veloce così com’era arrivato.
«Dovremmo mandare Madeleine a fare certi lavori.»
Edouard sospirò. «Vorrai dire Michelle...»
«Certo. Cos’ho detto, perché?»
«Madeleine.»
Rise. Era davvero su di giri! «Ti assicuro che prima o poi Madeleine mi farà in bucato!»
«Sognare non cosa nulla. Ed anche costasse tanto sei un ladro.»
«Lo sei anche tu...»
«Il governo è ladro. I nobili continuano a dare balli e noi qui a fare la fame.»
«Devi fare il politico, l’ho sempre saputo. Ora che abbiamo i soldi, perché non prendi lezioni di diritto?»
«Ormai non ne avrei la forza. Dopo anni ed anni passati per strada non riuscirei a ripulirmi.» disse mesto.
«Non mi importa quelli che pensi tu: ho deciso,  prenderai lezioni di diritto al Louis Le Grand!» cominciò a ridere.
Edouard lo guardò dispiaciuto. «Non scherzare.»
«Non sto scherzando. Davvero, secondo me è la tua strada.» ammise serio.
Edouard sorrise. «Vedo che sei di nuovo di buon umore.»
«Già!» disse, sfoggiando il suo sorriso più ebete.
«Scherzi a parte. Forse dovremmo rivolgerci a Nicole la lavandaia per il bucato.» suggerì André tornando alle questioni pratiche.
«Non possiamo: al di là del fatto che ci costerebbe, non possiamo coinvolgerla.»
«Le diamo già dei soldi. È  una brava donna, non parlerà.»
«Non è di questo che mi preoccupo, ma delle guardie. Se ci finisse di mezzo anche lei...»
«Capisco.» lo interruppe «Allora dovranno farlo Mad... Michelle e Louise.»
Edouard gli sorrise. «Prima o poi diventerai pazzo, amico mio.»
«Non lo sono già abbastanza per tenere in piedi tutta questa pagliacciata?»
Edouard gli diede una passa sulla spalla, ridendo, mentre rientravano in casa.
 
 
 
 
 
 
 
Il caso volle che il ballo del Duca De La Rochelle cadesse il giorno del ventiquattresimo compleanno di André: mercoledì 16 marzo 1774. Il regalo più grande che poteva auspicarsi era Madeleine, magari in un elegante vestito di seta scollato. Magari un suo sorriso, seppur accennato, per salutarlo. “Non so se sia la persona essenzialmente buona che riconosco in voi.”. Continuava a scrutare ossessivamente ogni donna. Loro indossavano i soliti domino e le maschere - che non tutti avevano avuto la possibilità di usare prima. Attiravano l’attenzione, efficacemente distolta dalle altre maschere, che erano più ricche, ma meno coprenti... Era con quasi tutta la banda, ormai erano impossibili le uscite di massa: non poteva portare Jeanne e Jul   es in operazioni pericolose. E quando sarebbero cresciuti Jean sarebbe stato quasi cieco. Gli aveva già confidato di vedere annebbiato. Nel frattempo poteva benissimo occuparsi dei bambini, che ormai dormivano da un pezzo. Michelle era con lui ed Edouard, Philippe si era finto il cocchiere ed Henri il lacché, Pierre e Gilbert alleggerivano gli invitati. Mathieu e Louise? Avvinghiati dietro la tenda della sala principale, al riparo dallo sguardo spietato di Michelle. La carrozza era bloccata nel piazzale, non poteva posizionarsi sotto la finestra prescelta per la fuga... questo era un bello svantaggio... ma avevano già un piano di riserva: se ne sarebbero andati come tutti gli invitati, lasciando uno  di quei biglietti scritti con la grafia elegante e chiara di Edouard. André, benché facesse fatica ad ammetterlo, era pressoché analfabeta: sapeva far di conto (che era necessario per aiutare il vecchio Dubois a vendere le sue cianfrusaglie; era un rigattiere.), sapeva leggere, ma scrivere gli rimaneva molto difficile; scambiava le lettere, non riusciva a rendere dei suoni, o dimenticava le doppie. Edouard invece aveva la scrittura fluida, spesso prendeva appunti su quello che sentiva, come se scrivere fosse la cosa più facile del mondo. Aveva anche un’ interessante abilità nell’imitare le calligrafie altrui, per quanto contorte potessero essere. Donne dagli eleganti abiti da sera volteggiavano alla mano di piacenti damerini a cui André non avrebbe dato un briciolo di fiducia. Vide Pierre ballare con una ricca matrona a cui già mancava un orecchino; non avrebbe mai pensato di dirlo ma il ragazzo stava migliorando. Cercava con lo sguardo l’unica donna che sembrava non esserci.
«André! Cosa stai facendo?!» disse Edouard pizzicandogli il fianco.
«Hai visto Madeleine?»
«André stiamo lavorando!»
«Va bene, la smetto.» disse blando. Ma poi ci ripensò... «La smetto se mi concedete una possibilità.» pose la condizione.
«Cosa?»
«Che Michelle vada a chiedere a quelle tre donne dov’è Mademoiselle De Bayonne.»
«Non ci puoi andare tu?» rispose la donna, sentitasi tirata in causa.
«Io desterei sospetti, ma tu sei una donna!»
«No, non lo farò.»
«Michelle! Io rischio di metterla in pericolo: se me ne esco fuori chiedendo di lei e poi dico di essere Dubois ci finirà di mezzo!»
Michelle sospirò. «Ma prometti che poi, che ci sia o no, farai il tuo dovere.»
«Te lo giuro!» Michelle sospirò di nuovo. Si guardò attorno e andò da quelle cinque donne sulla quarantina: le classiche pettegole che sapevano tutto della vita di corte. Non avevano pettinature alte o alla moda. Indossavano i più noiosi e monotoni pouf. Erano parrucche, fra l’altro, André lo vedeva benissimo. Michelle si avvicinò lentamente, mentre André si fermò a debita distanza, giusta per ascoltare, ma non per destare sospetti. «Scusate se m’intrometto, avete visto Mademoiselle De Bayonne?»
«Mademoiselle?»
«Mai sentita.» s’intromise una voce stridula.
«Non ci sono mesdemoiselles nei  De Bayonne.» ribatté un’altra.
«Sono tutti figli maschi.» sentenziò una vecchia matrona corpulenta.
«Forse intendevate Madame? Ce ne sono diverse allora: la moglie del colonnello De Bayonne, quella del generale De Bayonne, la sterile moglie di Alain De Bayonne e la bella e giovinetta neosposina di Joseph De Bayonne, il figlio del colonnello. Pensate, lei è già in dolce attesa!»
«Impossibile, ha solo quindici anni!»
«E allora, è fertile e giovane, perché non dovrebbe essere possibile?!»
«Si sono sposati pochi mesi fa!»
Le donne continuarono a spettegolare, ma Michelle si allontanò... Niente mademoiselle De Bayonne?! Mah... «Soddisfatto ora? La tua donna non esiste!»
«Ti assicuro che esiste, eccome...» storse la testa al ricordo delle curve di Madeleine.
In breve si ritrovò solo accanto alla finestra che dava sulla strada. Fissava fuori sperando di vederla. Nulla. «André, è mezzanotte; ce ne andiamo?» chiese Michelle, continuando a cercare con lo sguardo qualcuno...
«Sei sempre stata una nottambula. Perché vuoi andartene?» chiese curioso, anche se la risposta la sapeva bene.
Lei sospirò. «Non trovo più Louise, e credo di sapere con chi sia...»
«Non preoccuparti.»
«André.» lo fissò come se fosse stata sua madre «Mathieu ha diciotto anni.»
«Allora?»
«Alla loro età tre anni di differenza sono tanti.» sospirò. «Mathieu ha degli impulsi che Louise ancora non può capire. Ho paura che possa forzarla.»
«Mathieu non è il tipo da forzare una donna.» Non se la sentì di farle notare che le donne nobili a quattordici anni si sposavano.
Sospirò. «Non volevo dire questo. Louise lo adora, credo che possa fare qualcosa di stupido semplicemente perché lui glielo chiede.»
«Se pensi che ci vada a letto credo che lo noteremmo tutti. Casa è talmente piccola... Philippe mi ha detto che s’è liberata una casa in affitto vicino a noi. Potremmo dividerci. Io resto con Mathieu e Gilbert; tu con i bambini, Louise, Jean ed Edouard potreste tornare nella tua vecchia casa. Henri, Pierre e Philippe in quella casa in affitto. Diamo troppo nell’occhio tutti insieme, così sarà più sicuro.»
Fu fulminato dallo sguardo profondo di Michelle. André sapeva cosa voleva dire quello sguardo: “ non cambiare discorso”. «Guarda che anche tu mi preoccupi!»
André spalancò gli occhi e la fissò. «Io?!»
«Stai dando man forte a Mathieu.»
Sorrise, ma quel suo sorriso scomparve con poco. «Avevo sei anni quando Mathieu è nato. Per me è come un fratello. La madre è scappata di casa quando lui aveva due anni e se n’è fatto una ragione, ma da quando è morto Martin non è più lo stesso. Le uniche volte che lo vedo sorridere come prima è quando guarda Louise.»
«E mi preoccupi anche per altro.»
André sapeva dove stava per andare a parare.
«Ormai sei talmente tanto infatuato di quella donna che le diresti dove abitiamo senza battere ciglio!»
«Non è vero!» si affrettò a dire. «Le ho detto che mi avrebbe trovato a Notre Dame.»
Scosse la testa. «André, queste “relazioni clandestine” vanno bene per le storielle di teatro e le commediole. Nella via reale non può funzionare. Il povero ma bello si innamora della nobile.»
«Non farmi la ramanzina.»
Michelle lo guardò meglio. «Invece te la faccio e come! Hai la testa da un'altra parte, in continuazione.»
André sorrise. «Sta’ zitta.» le spinse la spalla, in segno di amicizia. Lei le sorrise bonaria e scosse la testa. André si guardò intorno. Ma dov’era finito Edouard? Cercandolo con lo sguardo incappò in lei. Una donna alta, capelli castani acconciati magistralmente, pelle chiara, modi alteri. Madeleine.
Mosse un passo in avanti. «Dove vai?» lo fermò Michelle, afferrandolo per un braccio. Con lo sguardo, André le disse tutto. «André!» lo chiamò, ma ormai lui fece finta di non sentire, allontanandosi. Si presentò dietro Madeleine. «Buonasera, mademoiselle.» Madeleine si voltò di scatto. Una donna dal viso statuario e con due grandi occhi marroni lo fissò. «E tu chi sei?!»
«Perdonatemi, vi ho scambiato per un'altra persona.»
Lei lo guardò esterrefatta. «Lo credo bene! Che razza di maleducato.» Era magrissima, bella in volto, ma magrissima. Se le avesse soffiato forse sarebbe caduta. Ma cosa si provava a stringere una così? Ad abbracciarla? Già immaginava tutto il suo corpo: le gambe simili a stecche, i fianchi ossuti, il fondoschiena inesistente. Ne aveva viste (e avute) tante, donne quasi scheletriche; le popolane povere erano così a volte. A volte, sognando di abbracciare Madeleine, aveva avvertito un calore familiare; lei che rideva forte dicendo “Lasciami, André! Lasciami!”, lui che tenendola ben stretta le pizzicava la morbida e candida pelle della schiena e le faceva solletico, mentre poggiava le sue labbra sulla spalla di lei. Preferiva le curve giunoniche di Madeleine, le cosce mai viste ma sicuramente ben tornite, che perfino in remoti sogni gli facevano provare cose indescrivibili, alle braccia scheletriche ed il temperamento frigido che aveva dinanzi. «Cosa state fissando?!»
«Nulla, solo che voi assomigliate davvero tanto a Mademoiselle Madeleine De Bayonne.»
«Non conosco nessuna Mademoiselle Madeleine  De Bayonne!»
Si congedò in fretta: «Perdonatemi di nuovo.»
«Addio!» affermò sprezzante.
André si dileguò. «Cosa è successo?»
«Nulla, Edouard. Non è lei.»
«Dobbiamo andarcene.»
André rimase spiazzato. «Perché? Cosa è successo?»
«Alcuni ci guardano male... credo che abbiano riconosciuto i domino.»
«Merde alors!» imprecò.
«Andiamo, gli altri sono tutti fuori. Mancano Louise e Mathieu.»
«Cerchiamoli e tagliamo la corda, o qui si mette male sul serio.»
Ora era preoccupato. Pensò che se prendevano lui non gli importava infondo. Ma gli altri no, non poteva lasciare che li prendessero. «Vattene Edouard, li trovo io, tu vai alla carrozza.»
«Louise è mia nipote, tu e Mathieu praticamente miei fratelli. Non vi lascio qui.»
Sospirò, sorridendogli. «Prima erano dietro le tende.»
«Quali?» gli chiese.
André indicò il salone centrale. «Là,  ma non ricordo quale finestra era.»
Cercarono dietro tutte le tende ma con scarsi risultati.
«Dove diavolo sono?!» esplose Edouard, diventato più allarmato.
«Non risolvi nulla se ti innervosisci. Calmati e cerchiamo altrove.»
«E dove cazzo cerchiamo?! Potrebbero essere ovunque!» disse quasi gridando. André riconobbe in lui terrore: raramente usava parole volgari.
«Calmati!»
Edouard setacciò tutte le tende, André cercò fra la folla per un tempo infinito.
«Edouard!» chiamò «Vedo Louise!»
Si fece strada fra spintoni e botte, arrivando a lambire il polso della ragazza.
«Louise ce ne dobbiamo andare.» le disse calmo, per non farla preoccupare.
Aveva il volto preoccupato, ed il tono in cui gli parlò ne era la dimostrazione: «Non trovo più Mathieu! L’ho perso adesso fra la gente.»
«Vieni con noi.»
«Ma Mathieu...»
«Lo troveremo, non preoccuparti.» la tranquillizzò Edouard. Poi si rivolse a lui, sussurrando: «La porto fuori e torno su.»
André annuì deciso. «Ci ritroviamo fra dieci minuti davanti alle colonne della scalinata.» Edouard scomparve inghiottito dalla marmaglia danzante.
«Monsieur Dubois!» gridò una donna. «L’ho visto al ballo in maschera di Parigi!»
«Oddio!»
La donna indicava una figura alta e slanciata, dalle spalle larghe coperto da una maschera bianca e un domino nero. Mathieu.
L’orchestra smise di suonare. «Prendetelo!» ordinò un uomo. Alcune guardie, probabilmente della guardia privata del duca, entrarono nella sala di corsa. Mathieu lo guardò.
«Ehi! State prendendo un abbaglio... Io sono Dubois.» Le persone si guardarono attorno, forse colpite dallo strano fenomeno: due uomini, un’identità gli stessi vestiti.
«Io sono Dubois!» riconobbe la voce di Edouard.
«Io sono Dubois!» Gilbert.
«Io sono Dubois!» Pierre.
Un secondo di stallo. Un’agitazione generale che causò urla e fughe. «Prendeteli tutti.» gridò lo stesso uomo di prima. Cretini! Perche erano tornati su! Edouard doveva aver sentito cosa succedeva mentre stava scendendo verso l’uscita.
“Stasera finisce male.” Realizzò con orrore.
«Corri!» fece segno a Mathieu di correre verso di lui. Quello spintonò due guardie e lo raggiunse. Corsero verso la scalinata e poi l’uscita. André prese il polso di Mathieu e se lo tirò dietro mentre volava giù dalle scale.
«André: Edouard, Gilbert e Pierre sono ancora lassù!»
«Lascia perdere. Tu e gli altri ve ne andate ora, io torno su ad aiutarli. Sanno badare a loro stessi in ogni caso.»
«No!» il ragazzo sfuggì alla sua presa, correndo di nuovo verso la sala. Non fece in tempo a mettere piede sul suolo della sala da ballo che due guardie gli si affiancarono e lo alzarono su di peso. «Mathieu!»
«André!»
«È  quello lì! Concentratevi su di lui.» diede ordini una guardia.
Uno dei suoi, forse Edouard, non lo capiva se non parlava, atterrò una guardia, aiutato da un uomo forte come un toro che doveva essere Gilbert. Liberarono Mathieu praticamente spingendolo giù per le scale. «Edouard, portalo via.»
«Dov’è quell’invasato di Pierre?!» chiese l’altro.
«Era a fare il culo a strisce ad un paio di damerini.» gli rispose Gilbert.
Vide Edouard e Mathieu allontanarsi. Gilbert fece segno di fuggire. «Dov’è Pierre?» chiese.
«A Pierre penso io! Corri!»
«Mai.» mormorò, salendo le scale a grandi passi. «Va’ fuori!» disse rivolgendosi a Gilbert.Ricevette un pugno nello stomaco, tornando a cercare Pierre. Lo scassinatore gli venne incontro, correndo e svincolandosi dalla presa di una guardia. «Corri, André!» gridò affannato «E lasciami tu!» disse scuotendo la gamba sinistra con una guardia che la tratteneva. Assestò un bel gancio destro alla guardia e fuggirono, con altri gendarmi alle calcagna. «Non c’è tempo per scendere le scale, salta!» disse, prima di saltare dalla ringhiera della scalinata. Atterrò senza alcun problema, così come Pierre.
«André!»
Mathieu lo chiamava. Perché lo chiamava? Dov’era? Sant’Iddio... era tornato indietro per aiutarlo... Alzò gli occhi e lo vide alla fine della scalinata, atterrato da due guardie. «Mathieu!» urlò Edouard rientrando.
«Andatevene!» disse Mathieu, resosi conto che poteva farli uccidere tutti. André si gettò a capofitto nel gruppo di guardie che trattenevano il ragazzo.
«Mathieu!»
«No! André!»
Edouard lo afferrò per le spalle, insieme a Pierre. «Lo libereremo. Non puoi andare a salvarlo adesso o è la fine.»
«E se lo uccidessero...»
«Non lo uccideranno: vogliono te non lui. Corri!»
«Corri André!» gli urlò Mathieu.
«Io ti libererò! Te lo giuro Mathieu! Io ti libererò!»lambì la sua mano nel momento in cui realizzò che altre guardie scendevano per prendere anche lui, Edouard e Pierre. Spinse indietro gli amici e corsero via fino alla carrozza. Corse a perdifiato, sperando che non li stessero più inseguendo. Salì sul posto del cocchiere e lanciò i cavalli ad un galoppo a rotta di collo.
«Philippe: Mathieu è stato catturato.» gli confessò quando le acque si calmarono.
L’altro si prese il capo fra le mani. «Gli avevo detto che sareste riusciti a fuggire, ma lui non mi ha ascoltato.»
«Fortunatamente c’erano poche guardie. Se fossero state di più ora saremmo tutti delle teste impalate in una piazza.»
«Dobbiamo aspettare e vedere in quale prigione lo porteranno.»
«Spera che riusciremo a salvarlo o io mi ammazzo.»
 
Il giorno dopo un manifesto venne affisso per tutta Parigi:
Mathieu Meunier, figlio del defunto Martin Meunier, accusato di essere un uomo appartenente alla “Banda di M. Dubois”, è stato rinchiuso nella prigione della Bastiglia e verrà impiccato il giorno 21 marzo 1774, sulla piazza dell’Ile de la Cité. Che Dio possa avere pietà della sua anima immortale.
 






 
NOTE DELL’AUTRICE:
Mi scuso moltissimo per il ritardo, ma non riuscivo proprio a scrivere. Ho appena finito di scriverlo, ma non ho avuto il tempo di rileggerlo. Ho comunque pensato di pubblicarlo visto che vi ho sottoposto a tempi infiniti... Come al solito commenti bene accetti!!!!

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Capitolo 11
*** Un uomo della mia compagnia ***


11. Un uomo della mia compagnia
 
 
17 marzo 1774

 
Marie Antoinette passeggiava con un’andatura lenta, svogliata, misurando passo per passo la strada percorsa. Strusciando le gambe a fatica e fissando il vuoto scese la scalinata dietro la reggia, affollata di nobili leccapiedi che toccarono terra con le ginocchia vedendola, mentre, distratta e disinteressata al discorso,  dava ad intendere alla principessa Sophia  tutt’altro.  «Non siete d’accordo, Vostra Altezza?»
«Ovviamente, concordo su tutti ciò che avete detto.» recitò magistralmente. Dietro di lei c’erano Mademoiselle Genet e Madeleine. La prima le mimò con le labbra “C’è di peggio, consolatevi”. Marie Antoinette trovava difficile figurarsi qualcosa di peggiore della principessa Sophia in vena di chiacchiere.
«Oh! E sapete quali sono le novità da Parigi? Notizie fresche fresche, arrivate stamattina, prima di pranzo!»
«Quali novità?» chiese distaccata.
«Hanno arrestato un uomo di Dubois. Un gruppo di suoi uomini era al ballo del Duca De La Rochelle fra i quali si dice ci fosse Dubois in persona, non so come ma sono riusciti a catturare un ragazzo che era rimasto indietro. Dicono sia un ragazzotto malfamato e con gli occhi indemoniati.»
Udì Madeleine trasalire. «Finalmente! Ma è proprio Dubois?»
«No, un certo Meunier.»
«Ho paura che allora vorrà vendicarsi... verrà giustiziato?»
«Ovviamente. Ho sentito che volevano usarlo come esca per catturare gli altri, ma poi s’è deciso di buttarlo in una cella angusta nella Bastiglia e giustiziarlo fra quattro giorni.»
«Mi domando perché non subito.» osservò con una freddezza che non le apparteneva. Doveva tuttavia ammettere che i malviventi di Parigi le facevano paura, soprattutto quelli come Dubois. Erano il segno del malcontento del popolo: e se il popolo era affamato, era arrabbiato. Se il popolo era arrabbiato era in vena di rivolte. E se la rivolta sfuggiva dalle mani, si tramutava in rivoluzione. Giustiziando chi voleva sovvertire l’ordine costituito (come Dubois), si giustiziava la rivoluzione. “Oddio Antoinette! Che cosa pensi? Rivoluzione! Sii realista, non vivi in uno dei romantici mondi raccontati nelle novelle, dove la regina si innamora del rivoluzionario! Povero ragazzo...” non esistevano ragazzi dagli occhi indemoniati, solo dall’espressione affamata. E lei doveva ammettere di non capire bene cosa quel ragazzo provasse davvero: non aveva mai visto un uomo affamato. Si sentì in colpa per la sua fame, prima ancora di rendersi conto di non essere lei la responsabile: né poteva essere definita una regina. Certo era la futura regina, ed essendo morta colei che la precedeva era la premiére dame di Francia, ma aveva l’influenza per ottenere abiti ricchi e pomposi, non per risolvere il problema della fame. Ma neppure la fame poteva del tutto giustificare l’atto di ribellione. E Dubois le faceva paura; si diceva che fosse l’uomo più bello che si potesse mai incontrare: tanto bello quanto malvagio. Circolavano voci di vecchie baronesse vedove illuse, di giovani promesse spose sedotte... fra queste giovani, a breve, poteva esserci Madeleine... povera ragazza, tormentata da un seduttore indesiderato. Più volte Antoinette si era interrogata su quali sensazioni fossero generate in una donna da un lussurioso sguardo maschile. Faticava ad ammetterlo, e lo faceva solo in momenti di raro eccitamento, ma agognava uno sguardo del genere da parte di suo marito: non che Louis fosse particolarmente attraente, ma essendo suo marito era l’unico a cui poteva concedersi. Il cappellano diceva che l’adulterio, anche solo pensato, era un peccato di cui pentirsi amaramente e da confessare immediatamente, senz’indugio, ché se il Giudizio suo fosse giunto prima del previsto, sarebbe di sicuro stata condannata all’eterna dannazione. Eppure conservava con particolare cura e attenzione il ricordo di un vago ed accennato sguardo a metà fra l’amore e la lussuria, sugli occhi azzurri e sul volto regolare e nordico di Hans Axel von Fersen. A volte fantasticava di rincontrarlo a un ballo e di parlare e danzare con lui fino all’alba, per concludere magari con un lieve bacio dato a fior di labbra: e nei suoi sogni più belli e privati, quelli che faceva prima di addormentarsi a metà fra conscio e inconscio, non c’era posto per Louis né tantomeno per il cappellano; quando fin troppe volte, dopo gli ormai rarissimi e goffi rapporti sessuali col marito, aveva immaginato Hans Axel che, completamente svestito e steso sul letto dietro di lei, la abbracciava addormentandosi, appena dopo avergli dato un bacio sul collo. A volte si vergognava di queste fantasie; ma quando cadeva nella disperazione si giustificava pensando alla sua rabbia quando non vedeva il marito per giorni interi; giorni che Louis preferiva passare nella bottega del fabbro come una volta. Ma lei aveva rimediato scrivendo a Gluck, il suo insegnante di musica a Vienna: era tutto deciso, avrebbe recitato per la corte l’Ifigenia in Aulide! La corte non avrebbe approvato, ma Antoinette aveva imparato ad ignorarli. Il re d’altra part...
«Altezza, mi state ascoltando?»
«Perdonatemi, ma la notizia mi ha reso pensierosa. Come dicevate?»
«Il ragazzo non è stato giustiziato subito perché si è voluto fare nella piazza antistante a Notre Dame: si dice che nei dintorni ci sia il covo di Dubois, nascosto dalla Senna. Bisogna montare il patibolo e far si che il popolo lo sappia: dobbiamo mostrare a tutti cosa succede se ci si oppone al re.»
«Sono d’accordo.» rispose glaciale: la fame del popolo andava appagata, ma chi osava levarsi contro il re, ordinato da Dio, meritava la morte, chiunque egli fosse e per qualunque ragione lo avesse fatto.
 
 
 
 
18 marzo 1774
 
«Non se ne parla! Non puoi entrare nella Bastiglia è un suicidio.» Edouard batté la mano sul tavolo così forte che André tremò.
«E allora vuoi lasciarlo morire?! Quel ragazzo è come un fratello! Morirei per lui!» gridò l’altro. André era terrorizzato, Edouard lo vedeva bene: gli occhi spalancati e arrossati, le mani tremanti, il respiro agitato. Non dormiva da giorni, era evidente. Aveva cominciato a farsi venire in mente idee disperate, aveva perso la sua peculiare tranquillità e freddezza nel pianificare. Entrare nella Bastiglia era una pazzia: ancora di più farlo mentre tutti erano agitati. Il freddo atto di infiltrarsi e sottrarre cose da un posto implica calma e accuratezza.
«Basta voi due.» li zittì Gilbert. «Non seguiremo chi urla di più: parlate piano.»
«Io cerco di essere ragionevole, ma Edouard preferisce far ammazzare Mathieu.»
Edouard esplose: «Non è questo che dico! Mi ascolti per niente?!»
«Edouard ha ragione: tentare di infiltrarsi in quell’inferno è impossibile.» asserì calmo Gilbert.
«Volete che Mathieu muoia?!»
«NO.» scandì Edouard.
«Corrompiamo le guardie.» implorò André, supplice, seduto sulla sedia di fronte ad Edouard, che era in piedi.
«Non ci riuscirai; le guardie della Bastiglia preferirebbero morire che farsi corrompere.»
«Allora suggeritemelo voi un modo! Ho chiesto a Gaumond, non vuole aiutarci.»
Edouard scosse la testa: «Che te ne fai di Gaumond? È un assassino, ed è buono per far fuori personaggi scomodi, non per condurre assalti.»
«Non parlo di un assalto ma di una fuga.»
«Nessuno dei due è comunque possibile se parli della Bastiglia!» Edouard tornò a gridare.
Gilbert parlò calmo. «Basta, voi due. Non è questa la via da percorrere.»
«Cosa suggerisci tu, eh?!». Edouard non aveva mai visto André in questo stato, neppure quando il vecchio Dubois era morto. Dovette ammettere di esserne spaventato: c’era qualcosa di strano in lui ultimamente, qualcosa che faceva sì che le loro conversazione negli ultimi periodi risultassero vuote, come se André fosse cambiato, cresciuto forse? Forse sì. Edouard, per la prima volta dopo ventiquattro anni, si trovava a dover impiegare argomenti futili con lui per parlare. La conversazione non fluiva più libera come un tempo, e quel che era peggio era che Edouard non si era reso conto di tutto ciò fino a cambiamento avvenuto.
L’altro, chiaro e calmo, espose la sua idea. «Facciamo entrare qualcuno che non desti sospetti.»
«Ad esempio?»
A quel punto Gilbert abbassò lo sguardo, ed Edouard sapeva perché. Ne avevano discusso prima, lui e Gilbert. Non che lui non fosse d’accordo, ma esporre una donna non era onorevole. Gilbert parlò infine, dicendo: «De Bayonne.»
«Madeleine?» chiese basito André.
«Lei non avrebbe problemi ad entrare.»
«Non posso chiederle questo.» scosse la testa, con gli occhi sbarrati.
«Ora chi è che non vuole salvare Mathieu?» sbottò Edouard.
André cercò di decifrate il volto di Gilbert. «Non c’entra Mathieu. Non so cosa trattenga quella donna dal denunciarmi e chiedendo una cosa simile firmerei la mia condanna a morte, se non la nostra. Madeleine m’ha visto in faccia.»
«Se non accettasse saprebbe del complotto e avrebbe i mezzi per sventarlo.» lo difese Henri.
«Ma non c’è altra soluzione. Checché tu ne dica è il modo più sicuro.»
«Non posso farlo.»
Edouard parlò con durezza: «Devi.»
«E se andasse male?»
«Non sarebbe peggio di quello che volevi fare tu.»
«E se lei venisse coinvolta?» chiese spaventato.
«È  un rischio da correre, André. Scegli: la sicurezza di una donna che ti disprezza o la vita di un uomo della tua compagnia
 
 
 
 
Dubois entrò a Versailles  scavalcando l’alta e preziosa recinzione di metallo. Senza il domino, con un semplice pastrano col cappuccio calato sul viso e con una maschera nella borsa. Salì su un albero. Non ne andava fiero ma sapeva che Madeleine passava di lì verso sera, a passeggiare, spesso da sola. Non sapeva cosa le avrebbe detto. Forse non avrebbe avuto il coraggio di dirglielo, forse non sarebbe passata di lì, o forse non sarebbe stata sola. Non era in vena di conversazioni: erano questi i momenti in cui sentiva la mancanza di un sostegno. Mathieu non riusciva a mandare notizie, non gli facevano inviare lettere. Aveva pensato di mandare Louise, chiedendo alla donna del bucato di farsi sostituire da lei; povero stolto, non aveva pensato che Mathieu non avrebbe avuto bisogno del bucato. Con lo sguardo buttato verso lo stradino vide passare una donna prosperosa, piuttosto vecchia, che parlava con un ufficiale di mezza età. Intorno ai trent’anni, forse qualcosa in meno. Guardando l’uniforme si rese conto che non era un semplice ufficiale ma era il capitano delle guardie di palazzo. Alain De Bayonne. Era un bell’uomo, lo riconobbe, gli parve perfino più bello di lui, se ben ricordava il suo riflesso negli specchi delle case nobiliari. Parlava con un sorriso dolce alla donna. Era troppo vecchia per essere la moglie, doveva essere la madre. «...ne ho parlato con il tenente, non ci saranno problemi.»
«Bene, sai quanto io e tuo padre ci teniamo. E a proposito: tua moglie?»
«Cosa volete sapere?» chiese l’altro con aria seccata.
«È  finalmente incinta? Tua suocera m’ha detto che non ha avuto il suo mestruo il mese scorso e che ha i seni più pieni.»
Lui reagì dimostrando disgusto: «Preferirei che non parlaste con me di certe condizioni femminili, madre.»
«Dopo quasi dieci anni di matrimonio non dovrebbe più imbarazzarti parlarne fra noi due. Allora lo è?»
André si fermò a pensare a quando si sarebbe sposato... lo avrebbe mai fatto? Probabilmente no, che donna poteva volerlo seguire in una vita tanto rocambolesca quanto pericolosa? Nessuna. Ora la vera domanda era se a lui dispiacesse o no. A volte aveva l’impressione di aver bisogno di una donna con cui condividere un letto, di addormentarsi sulla spalla di lei, altre invece credeva di star benissimo da solo. «Non lo so, madre. È  successo altre volte: il ciclo si interrompe, sembra ingrassare, avverte... dolori al seno e ha la nausea; ma non è mai nulla.»
«È sterile come una pietra, Alain. Dovrai chiedere l’annullamento se vuoi un erede.»
«Non parlate così di lei. Le voglio abbastanza bene da non abbandonarla.»
«Il matrimonio di un uomo nobile non è dettato dall’amore, sai bene che dobbiamo inchinarci ad altre priorità...» così parlando passarono oltre. André attese parecchio. Tanto da rivedere la donna con De Bayonne  che tornavano indietro. Quella donna doveva essere la madre di Madeleine, rifletté. Tirò su col naso, piano, senza farsi sentire... forse aveva il raffreddore, o forse era solo febbre da fieno. Sentì dei passi, stanchi. Madeleine sembrava triste. Passeggiava lentamente, aveva un fazzoletto bianco in mano, e gli occhi gli parvero arrossati. Respirava profondamente.  Aveva il trucco pesante lavato via dalle lacrime: André poté finalmente osservare davvero il suo viso, senza la spessa maschera di cipria che lo ricopriva. Sulla tempia destra, in un’area piuttosto vasta , che andava dalla fronte al lobo dell’orecchio e un po’ avanzava anche verso le guance, erano evidenti i segni malcurati del vaiolo, forse preso in tenera età. Aveva visto quei segni su molte persone, certo più fortunate di quelle persone che dal vaiolo erano state uccise, e non solo sfregiate.  La bocca, sporcata dai residui d’un rossetto non ancora lavato dalle lacrime, aveva la piega austera di sempre. Provò tenerezza vedendola. Non poteva metterle sulle spalle anche il suo peso. Ma non si sarebbe mai perdonato, se non avesse fatto di tutto per salvare Mathieu, d’altra parte. La nobildonna si sedette su una delle panchine di marmo che erano sparse per i giardini della reggia, pochi metri più in là del suo albero.
«Madeleine» la chiamò piano.
Lei non si sorprese. «Che volete Dubois? Andate via, non sono in vena. Non mi è stato possibile consultare gli archivi di corte...non ancora...» rispose con un filo di voce.
André si assicurò che fossero solo loro e saltò giù dall’albero. «Perdonate se vi ho spaventata.»
Lei sorrise amaramente fra sé, senza guardare André negli occhi. «Vi avevo già visto... ormai vi vedo ovunque...» esalò, ansimando, ed era evidente che aveva pianto e stava per continuare.
«State bene?» chiese lui, avvicinandosi circospetto.
«Non è un vostro problema.» rispose seccamente.
André si accucciò di fronte a lei, riuscì ad incrociare i suoi occhi prima che Madeleine li facesse di nuovo vagare  stanchi sugli alberi. Le prese il fazzoletto dalle mani. «Ridatemelo!» gli ordinò perentoria.
André le sorrise benevolo. «È tutto bagnato.» disse lui. «Ecco, prendete questo». E così continuando le porse un fazzolettino bianco che aveva nella tasca interna del pastrano.
Lei lo rifiutò, in un primo momento, poi –visto che André non accennava a spostarsi- lo prese e ci si asciugò gli occhi. «Grazie.» mormorò austera.
André si alzò di nuovo in piedi. «Dovere.»
«Perché siete qui?»
André le fece cenno di seguirlo, e –contro ogni sua aspettativa- lei lo fece.
«Se non foste la mia unica possibilità di salvezza, non mi sognerei neppure di chiedervelo...»
«Chiedere cosa?»
«Verrò subito al dunque: potete farmi entrare nella Bastiglia?»
L’altra non rispose: sbarrò gli occhi e –dopo un po’- disse: «Io... voi dovete essere pazzo.»
«Sapete che un mio uomo è stato portato là, vi prego, non abbandonatelo. Non ha neppure vent’anni, è solo un ragazzino...»
«Neppure io... ciononostante sembra che non importi a nessuno»
André fu sorpreso. Come poteva quella donna non avere vent’anni? «Quanti anni avete?»
«Diciannove... ne compirò venti fra tre mesi.»
L’altro annuì. «Perdonatemi... io credevo foste più grande.»
Lo fissò con quegli occhi tristi per un tempo che ad André parve interminabile. Lei affondò il viso pulito nelle candide mani: ora per la prima volta la vedeva.
«Mi dispiace di darvi tanti problemi...»
«Ciononostante mi venite a chiedere di rischiare la mia vita. Avete uno strano modo di dimostrare il vostro rammarico. Siete piuttosto incoerente.» disse, sorridendo più a sé stessa che ad André.
«Non ho il diritto di chiedervelo, ma dovevo tentate. Quel ragazzo è come un fratello per me. È una cosa troppo pericolosa, potreste essere accusata di tradimento... perdonatemi, fate conto che io non vi abbia detto nulla.»
Vide poi cambiare l’espressione della donna. Da melanconica si fece pensierosa, poi decisa e piena di rabbia. «Sapete cosa? Avete scelto il momento propizio. Se quella marmaglia di...» si fermò cercando le parole «tronfi aristocratici senza morale non rispetta me, io non rispetterò loro. Forse è il momento di reagire, no?»
André si fece serio. «Non vi chiederò cosa vi abbiano fatto, mi basta che la vostra determinazione duri fino a domani sera...»
«Per quello che mi hanno fatto potrebbe durare anche tutta la vita.» rispose, mettendolo a tacere. «E pensare che quando ho sentito che stavano per giustiziare un uomo dei vostri, stamattina, ho gioito pensando foste voi; sperando che almeno una parte del mio tormento fosse finita.»
André si sentì un po’ ferito. «Ed ora invece siete disposta ad aiutarmi?» chiese in tono ironico, dissimulando ciò che realmente provava.
«Voi siete l’Angelo della Morte che mi offre la possibilità di vendicarmi...»
«Riuscireste a farmi entrare domani?»
«Quando volete. Posso entrare ed uscire a mio piacimento.»
«Bene. Domani sera, all’imbrunire, fermatevi a Parigi, davanti alla bottega di Rose Bertin. Da lì in poi prenderò io in mano il gioco.»
 
 
20 marzo 1774
 
«Ohi! E allora?! Che è successo ieri?! Perché smontano il patibolo? E dai donna, racconta!»
«Parla piano, Robert! Ci fai arrestare tutti quanti.»
«Dimmelo!»
«E va bene... ma solo perché qui siete voi, gente del mercato, che vi conosco, eh. Allora: io facevo il lavoro mio, mi son presentata alla Bastiglia la sera, e quel momento che entro vedo anche una di quelle zoccolette di Versailles che entra con la sua bella carrozza; quella fa tutta la cretina, come se non sapesse che noialtri si muore di fame mentre loro si va in giro per salotti. Era una tutta strana, col viso pallido pallido, e un cappello che aveva così tanta stoffa per sette paia di braghe! Quella sembra che se la intende con Monsieur il conte di Jumilhac, il governatore della prigione. Dice tutta saltellante che voleva vedere il demonio di cui tutti parlavano, l’uomo di Dubois. Ché pure i giorni prima, da quando hanno catturato quel povero ragazzo, ci son frotte di nobili pomposi che vogliono vederlo. Poi non è che me ne importava tanto di saper di ‘sta donnetta, quindi mi son messa subito al lavoro. Ho preso i panni sporchi de’ quei poveracci nella Bastiglia, stavo a uscire dall’ultima cella e andar a casa, quando mi vedo due uomini, uno ben vestito ed uno tutto sporco che corrono per il corridoio. Poi quello vestito in un certo modo si allaccia una maschera svelto svelto. Allora io –che me l’immaginavo che era Dubois - zitta! Non ho fiatato, ché se non era per lui io mica campavo l’inverno scorso... E poi ho sentito l’allarme dei gendarmi, e poi una donna che urlava! Son uscita veloce veloce e mi vedo una scena che non ti dico: Dubois che ha preso in ostaggio quella donnetta tutta in tiro. Dovevate vederla: impaurita impaurita, tutta tesa. Ché finalmente in vita mia ho visto una nobile che supplica un poveraccio! Gli diceva “Per favore, per favore! Io non ho fatto nulla!”. Nel frattempo poi del ragazzo che avevano catturato...»
«Il figlio di Martin, il mugnaio. Quello che non si vede più da quando André di Rue du Champe l’ha preso con lui. Ché poi pure André non si vede più in giro!»
«Ma tu ancora non hai capito che Dubois è André, testa di rapa?!»
«Zitti! Tu tappati la bocca con un calzino, Vincent! Se lo prendono qui moriamo di fame prima di subito. Fatela finire.»
«Dicevo, che del povero figliolo di Martin Meunier non se ne sapeva più niente. Tant’è che pensavo lo avessero riacchiappato! Ma poi un po’di gendarmi hanno detto che il prigioniero era fuggito. E allora io mica son stupida, ho capito che lui era scappato! Quanto mi son sentita felice! Tutte le guardie che urlavano “Chiudete il ponte levatorio!”»
«Levatoio.»
«Sì, quello lì. E il ponte che non si chiudeva! E poi dicono che hanno già tagliato le funi. Quant’è furbo André, pure quand’era bambino ce l’aveva questa cosa di fare piani. Ehi, Maurice! Ti ricordi quando ti incantava sempre e tu gli facevi prendere le mele senza pagare? Allora lui si avvicina alla carrozza che è rimasta lì nel piazzale, sempre con la pistola sulla testa della donna, poi la spinge a terra, spara il colpo in aria e sale al posto del cocchiere. Poi fa andare i cavalli sempre più veloci, le guardie hanno cercato di sparagli, ma non penso che l’hanno preso. Passa sopra le guardie che gli sbarrano la strada e via! Alcuni soldati sono partiti per arrestarlo, ma poi hanno trovato solo la carrozza abbandonata senza cavalli. Poi la zoccoletta ha cominciato a piangere, il governatore l’ha riaccompagnata a casa. Sono usciti con un’altra carrozza appena io sono uscita a piedi.»
«È strano pensare che il nostro André ora è un benefattore...»
«Si vede che quel povero rigattiere di Dubois l’ha tirato su bene, anche se non era suo.»
«E sì. Povera Jeanne...»
«Smettila! Il mercato non è posto per parlare di certe cose. Ora zitti, c’è una guardia che vi sta fissando.»
 
 
 
 
Camminando con ampie e vaste falcate per le stanze di Versailles, sentiva solo il suono delle sue scarpe sul duro marmo del pavimento. Aveva sbagliato, e per ferire a sua volta chi un tempo l’aveva ferita si era macchiata di tradimento, buttando all’aria la fiducia di un’amica, forse l’unica persona sincera che aveva conosciuto in quasi vent’anni. Il rumore delle sue scarpe si faceva più forte ad ogni passo. Doveva uscire di lì. La camminata veloce si trasformò in corsa. L’opulenza le stava per dare il voltastomaco. Il chiasso aumentava ancora, e la sua corsa si faceva sempre più frenetica, urgente. Il suo incedere divenne disperato, cominciò a correre senza ritegno, pur di trovare subito una via d’uscita. Fingere di essere una vittima innocente quando in realtà era stata l’artefice del misfatto era insopportabile.
«Madeleine?» si era sentita chiamare poco prima: allora si era voltata, e gli occhi buoni di Marie Antoinette d’Autriche s’erano incontrati con i suoi. Si era inchinata nascondendo gli occhi rossi allora, ma la Delfina le aveva chiesto di alzarsi ed aveva cominciato a rassicurarla. «Cara Madeleine... sareste più tranquilla se poteste riposarvi un po’? Magari potreste evitare la corte per una settimana o due.»
«Non credo di averne bisogno.» aveva risposto con le labbra tremanti.
«Ma voi non state bene... so cosa vi è successo, ed essere stati così vicini alla morte è un’esperienza forte. Vi prego, io potrò cavarmela anche senza di voi per un paio di settimane, anche se saranno molto tristi se passate solo con la contessa di Noailles e con la principessa Maria Luisa.»
E Madeleine aveva pensato: “Lei non sa... e non dovrà mai sapere. Mai.”
«No, sono sicura di star bene. Non preoccupatevi. Domani mattina starò meglio. E poi, stare qui mi tiene occupata.» aveva risposto laconica, sfoderando un sorriso con tutta la falsità di cui si sentiva colpevole.
Dopo essersi congedata dalla Delfina aveva cominciato a sentire l’urgenza dell’aria, come se quelle ricche mura fossero potute crollare da un momento all’altro, uccidendola. Il caos dei suoi passi si faceva sempre più forte, e rimbombava nelle stanze alte. L’ampio vestito di muoveva con lei, l’ampia gonna sembrava tirarla in basso, pesante e superflua. Rallentò alla posta secondaria, disperata. Sentiva le lacrime spingere dietro i suoi occhi: aprì la porta e uscì. La luce tenue e calda dell’ultimo sole l’accecò per un istante appena. I raggi si insinuavano fra le piante e le aiuole nei giardini reali. Un vento freddo la investì facendola rabbrividire, spettinandola e tirandole la gonna. Continuò a procedere svelta fino a che non arrivò vicino all’ultimo viale, dove le piaceva passeggiare. Nessuno andava mai là, salvo forse Alain. Alain era un brav’uomo... eppure lei l’aveva tradito così crudelmente. E suo padre? Usato come un arnese. Ma lui se lo meritava, e per vendicare ciò che le aveva fatto, Madeleine sarebbe stata disposta all’inverosimile: cose che difficilmente si sarebbe potuto dire che una figlia avrebbe fatto. Ma la Delfina, povera piccola! Una bambina, che non aveva tratto dalle sue esperienze i dovuti insegnamenti, ma che le era affezionata come ad una sorella maggiore; a quattordici anni praticamente venduta alla Francia.
La virtù che Madeleine apprezzava più di tutte era la sincerità; una sincerità assoluta e totale. Eppure (o forse proprio per questa sua idea della sincerità) Madeleine si reputava così falsa! Indicibilmente falsa. Alle volte, pensando, arrivava alla conclusione che non c’era persona che poteva dire di conoscerla. Nessuno. Ognuno conosceva solo una parte di lei, e l’altra parte era lei stessa ad ometterla, per paura di essere giudicata o biasimata. La Delfina conosceva la sua parte forte, e riconosceva in lei il suo sostegno, un’amica che poteva comprenderla. Lei non vedeva la sua falsità interiore, e neppure il doppio gioco del quale si era resa colpevole. I suoi familiari non l’avevano mai capita.
Di tutte le persone che conosceva l’unica a comprenderla era stato Dubois. Aveva capito le sue omissioni, le sue bugie e da questo aveva estrapolato la sua essenza. La sua sostanza: ciò che Madeleine era davvero. E a fare ciò, non era stato un padre, né una madre, né un fratello o un’amica o chiunque avrebbe dovuto; era stato un delinquente, André Dubois. Era stata terrorizzata dalle sue attenzioni durante i mesi precedenti; solo poche settimane prima avrebbe dato oro puro per non rivederlo più, aveva gioito credendo che sarebbe morto, ... Ma non era lui la fonte del suo malessere; Dubois era cambiato, non era più tanto avventato come nei primi tempi e dopo quello che era successo il giorno precedente non era più tanto sicura di volerlo allontanare. La sua mano sulle spalle mentre fingeva di minacciarla, l’aveva riportata alla vita. La monotonia della sua vita era stata prepotentemente scossa da Dubois, che all’inizio la spaventava ma ora non più. Tuttavia persino lui, che aveva visto la sua essenza, conosceva solo una parte della sua storia e se lui avesse saputo la verità non l’avrebbe voluta più vedere. Dubois conosceva solo ciò che voleva conoscere, ciò che di lui voleva vedere. Aveva cercato di fargli intendere la verità, ma se prima non gli aveva rivelato tutto per paura, adesso non lo faceva per vigliaccheria.
 “Lui non sa...e non dovrà mai sapere. Mai.”




Spazio autrice:

Prima che vogliate fucilarmi devo dire solo che il ritardo nella pubblicazione, è dovuto ad un misunderstanding fra me e me stessa cioè, lo avevo finito mesi fa, ed ero convinta di averlo pubblicato, ma così non era...
Purtroppo non posso garantire che la pubblicazione sarà regolare... cercherò di impegnarmi...

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Capitolo 12
*** “Après nous, le déluge!” ***


12. “Après nous, le déluge!”1
 


 
6 Maggio 1774
«Hai ringraziato Mademoiselle De Bayonne da parte mia, vero André?» chiese Mathieu, quando André entrò in casa sbattendo la porta. Edouard pensava che André stesse impazzendo. Da due settimane era scostante, disattendo... era diventato così inaffidabile che Edouard aveva cominciato a tenere da solo il registro delle rapine. Da quando avevano salvato Mathieu aveva trascorso tanto tempo a zonzo qua e là per Parigi, Versailles... una volta era tornato a casa ubriaco, vomitando davanti l’ingresso. Ora vivevano soli: lui, Mathieu e André. Sua sorella Michelle e i suoi nipoti erano nella loro vecchia casa, Henri e Philippe dormivano dove capitava. Gilbert, Pierre e Jean vivevano nello scantinato d’una taverna oltre il fiume, ai confini di Parigi, vicino Rue du Rocher.
«Certo.» rispose André senza guardarlo, appoggiandosi alla parete. Le pareti della casa erano spoglie e si vedeva la pietra che la costituiva. Era una stanza piccola, come erano le stanze della popolazione povera, più facile da riscaldare di un grande ambiente. Al centro c’erano un tavolo e quattro sedie, e in un angolino una piccola stufa, sempre in pietra con una piastra metallica sopra grazie alla quale cucinavano e si scaldavano durante l’inverno. André continuò a fissare quella stufa per alcuni attimi, prima di alzare gli occhi a Mathieu.
Era come se avesse bevuto di nuovo, aveva gli occhi gonfi e le guance arrossate; era il momento di finirla ora. «Mathieu, non abbiamo da mangiare per stasera, andresti a comprare del pane e qualche verdura magari?»
«Sì, Edouard!» disse lui, alzandosi svelto. Il ragazzo prese il pastrano e uscì.
«Se vuoi proprio bere, almeno non farlo davanti al ragazzo.» lo riprese.
André si sedette pesantemente sulla sedia lignea, senza togliersi il pastrano. «Sì, Edouard.»  ripeté imitando stancamente il tono di Mathieu.
«André lo dico per te. Cos’hai?»
«Niente, Edouard.» disse, affondando il volto fra le grandi mani.
«André! Ascoltami quando ti parlo.» alzò la voce.
«Come vuoi, Edouard.»
Prima di rendersene conto fece qualcosa che non era da lui. Si allungò sopra il tavolo e gli diede uno schiaffo. André ne fu come risvegliato. «Perché?!»
«Perché tu non parli.»
André lo schiaffeggiò a sua volta. Edouard si alzò, mentre anche André lo faceva.
«Avanti... colpiscimi.» lo provocò. André lo fece, gli affondò un pugno nello stomaco ed Edouard fu costretto a tossire. Se non fosse stato ubriaco non l’avrebbe fatto; non era da lui assecondare chi gli dava da dire, né tantomeno Edouard avrebbe cominciato a colpirlo. Era alto quanto André, ma l’amico aveva più forza bruta nelle braccia di quanta ne ricordasse da quando erano ragazzini. Tuttavia i riflessi di André erano alterati dall’alcol e quando Edouard cercò di colpirlo, questo non riuscì neppure ad accorgersene in tempo da schivare il colpo. Cominciò a colargli sangue dal labbro superiore. «Allora, cosa c’è?»
«Niente, te l’ho detto!» rispose rabbioso, tentando di colpirlo con un pugno. Edouard afferrò il pugno chiuso con la mano e girò il braccio di André dietro la schiena di questo. «Allora è per “niente” che torni ubriaco la notte?!»
«No...»
«Parla, André» disse, allentando la presa.
«Madeleine m’ha consegnato la lista dei generali che le avevo chiesto... mi ha chiesto di non farmi più vedere». Così dicendo si liberò dalla presa dell’amico e si massaggiò la spalla. «Era questo che volevi sentirmi dire?»
«Erano i patti, t’ho sentito io stesso.»
«Speravo solo che si fosse affezionata a me.» disse, e mentre parlava Edouard avrebbe giurato d’aver visto i suoi occhi divenire lucidi.
«Non hai mai preso in considerazione l’eventualità che possa amare qualcun altro?»
«Avrei dovuto.» rispose seccamente, mentre si sedeva ed nascondeva il volto livido dietro i palmi sporchi delle grandi mani.
Edouard gli si avvicinò, gli batté la mano sulla spalla e gli disse: «Di mal d’amore non si muore, vedrai... passerà prima che tu te ne accorga.»
 
 
 
8 Maggio 1774
 

Il metronomo andava, ticchettando.

Tic, toc, tic, toc...

Marie Antoinette, seduta su una poltroncina nella sua anticamera insieme alle sue dame di compagnia, fissava il vuoto, ascoltando Madeleine che suonava il clavicembalo. E il metronomo andava, scandendo il tempo della semplice ed intensa melodia che risuonava nella stanza.

Tic, toc, tic, toc...

Alzò lo sguardo e trovò Maria Luisa che osservava Madeleine suonare. Passò in rassegna con lo sguardo tutte le dame presenti: la Lamballe, Madamoiselle Genet, Clotilde, sorella di suo marito, e poi la contessa d’Artois e la contessa di Provenza. Quest’ultima non le andava affatto a genio. Suo marito Louis Stanislas, fratello di suo marito Louis Auguste, non faceva altro che vantasi con tutta la corte di quanto fosse focosa e passionale la loro relazione a letto arrivando a proclamare le gravidanze della moglie, in realtà false, di fronte a tutti i cortigiani solo per gettare ombra su di suo fratello il Delfino e sua moglie: cioè lei. Marie Antoinette aveva però scoperto un orribile eppure sublime piacere nel prendersi le sue piccole vendette: infatti le erano giunte voci che in realtà Louis Stanislas fosse impotente ed il matrimonio ancora non consumato perché egli stesso provava ripugnanza per quella donna, sua moglie, non di bell’aspetto, tutt’altro che brillante, e poco incline all’igiene. Marie Antoinette  adorava ogni volta che sorprendeva suo cognato a guardarla, non perché fosse attratta da quel viscido e malevolo essere, ma perché si prendeva ogni volta una piccola rivincita contro di lui e sua moglie.

Tic, toc, tic, toc...

In quei giorni provava pietà persino per Louis Stanislas. Si voltò verso il clavicembalo, guardando le bianche mani di Madeleine che si muovevano agili sui tasti. Ricordò le sue lezioni di musica a Vienna con Gluck, e quella volta che Wolfgang Amadeus Mozart era venuto a palazzo per offrire un concerto alla famiglia imperiale. Il metronomo andava, scandendo il tempo di una vita.
Tic, toc, tic, toc...
Distolse lo sguardo e lo rivolse ad Elisabeth, sua cognata. La sua personalità esuberante e da molti ritenuta strana aveva lasciato il posto ad una triste melanconia nelle settimane precedenti. Si udirono dei passi, e Louis entrò nell’anticamera. Per la prima volta ora Marie Antoinette lo vedeva: era un ragazzo molto alto, robusto, che però aveva lo stesso passo ondeggiante che caratterizzava tutti i suoi parenti, ed un atteggiamento piuttosto pingue. Aveva gli occhi azzurri e mesti, ed un’espressione scoraggiata e disillusa, addolorata ed affranta. Madeleine smise di suonare, e tutti si inginocchiarono. Indossava una casacca marrone, senza ricami o aggiunte che potessero aumentarne il valore: una semplice casacca, non l’abito di un re.
La melodia era cessata, ma il metronomo continuava imperterrito il suo tuonare costante:

Tic, toc, tic, toc...

Louis fece cenno di rialzarsi, e chiese a tutti di lasciarli soli. Eccolo lì: nudo, spoglio. «State bene, Louis?» gli chiese quando tutti furono usciti. Lui non rispose, ma si sedette pesantemente sulla poltroncina dove prima era seduta la sua sorella prediletta. «Posso tradurre Virgilio ed Omero, Seneca ed Aris–»
«Di cosa parlate?» chiese subito, confusa.
« ...ed Aristotele. Parlo molte lingue, sono un buon cacciatore, ho un’ottima mira, posso anche lavorare nella bottega del fabbro, sono bravo nell’applicare la meccanica...ma, Marie Antoinette, che il Signore ci aiuti, perché io non ho idea di come si governi un paese.» si coprì il viso con le mani, e lei fu sicura che lo fece per non farle vedere le sue lacrime.
«Non è ancora morto...» tentò di rassicurarlo, nonostante lei stessa sapesse che il vaiolo raramente lasciava scampo, e con ogni probabilità avrebbe finito per uccidere anche Re Luigi XV.
«Lo sarà a breve. I suoi medici dicono che è questione di giorni. Una settimana al massimo.» disse, e nella sua voce Antoinette capì che stava per piangere.
«... una settimana.» mormorò lei fra sé e sé, quasi senza farci caso.. Il Beneamato era caduto ammalato il 29 aprile scorso, e quando era stato confermato che si trattava di vaiolo, avevano saputi che era questione di poco prima che sarebbero stati chiamati a regnare. Avevano diciannove e venti anni: una popolana nel suo stato avrebbe avuto vita facile, si disse. A diciannove anni si sarebbe probabilmente appena sposata, con qualcuno che amava magari, ed avrebbe cominciato ad avere figli, cominciando la sua vita come regina della casa, angelo del focolare. Invece lei era chiamata ad divenire la Regina di Francia, una delle massime potenze mondiali. Come faceva ad affrontare la vita a cuor leggero?
Louis si alzò. «E mi sento in colpa, perché io dovrei dispiacermi per mio nonno, non perché con la sua morte i suoi poteri passano a me.»
Marie Antinette cercò di consolarlo. «Lui capirebbe. Sarà stato così anche per lui.»
Lui scosse la testa, e si diresse verso il clavicembalo, sopra il quale il metronomo ancora ticchettava, flebile e delicato come gli ultimi battiti d’un uomo in fin di vita.

Tic, toc, tic, toc...

«Io avevo un padre e due fratelli prima di me in linea di successione...questo non doveva succedere.»
Louis tese la mano e fermò la lancetta.

Tic, toc, tic.

Uscì accompagnando suo marito al capezzale del nonno.
Il metronomo era fermo.
 


 
 
10 Maggio 1774
 

«Vi sarò debitore in eterno, per quello che avete fatto per Mathieu.»
Se ricordava bene e la sua memoria non lo ingannava, lei aveva sorriso ed era leggermente arrossita. «Non dovete.» aveva mormorato.
«Ed ora per questa.» aveva detto lui, rigirando fra le mani una busta azzurra.
Avrebbe giurato di aver visto un lampo di passione negli occhi di lei, mentre aveva detto: «Sapete come ripagarmi per quella.»
Se solo avesse potuto ripagarla davvero come intendeva lui...
«Come?»

André riaprì gli occhi di colpo ad un potente suono metallico, e quando capì perché le campane suonavano, la sua prima sensazione fu di compassione, ma la seconda fu una flebile speranza che illuminò la sua mente tetra e buia. Una vita migliore, la speranza che il nuovo re sarebbe stato migliore del precedente, con un governo migliore, dei ministri migliori, più libertà, più uguaglianza, più fraternità fra gli uomini. Erano le quattro e mezzo del pomeriggio, per far suonare le campane a Parigi doveva essere arrivato un messaggero da Versailles, e probabilmente il re era già morto da tempo. André si stese di nuovo lungo a letto, sentì due braccia calde avvolgergli il torace. «Perché suonano le campane?» chiese Thérèse, la giovane bionda con cui stava dividendo il letto.
«Il Re è morto.» rispose lui tranquillo, richiudendo gli occhi.
«Oh, sai quanto me ne importa!» sbuffò, affondando il viso fra il collo e la spalla sinistra di André. «Se fossi morta io quello neppure l’avrebbe saputo».
André trovò quell’osservazione straordinariamente leggera, eppure vera: era ovvio che il capo dello Stato non sapesse dei singoli sudditi, ma pur essendo a conoscenza della miseria crescente che avvolgeva la nazione non se n’era avveduto tanto da prendere dei provvedimenti. «Dovrei alzarmi.» rifletté ad alta voce.
Thérèse lo fermò con la mano sul palmo, dicendo gioiosa: «Devi proprio?».
André le sorrise dolce, baciandole il capo. «Sì». Così detto si alzò, si infilò le brache e la camicia andando nell’altra stanza, dove Edouard era al tavolo, scriveva, e beveva  da un bicchiere.
André si avvicinò alla dispensa del cibo accanto alla stufa e prese una mela rossa, addentandola con fame e tutto il desiderio che avrebbe voluto riversare su un’altra donna. «È sidro di mele bretone quello?» chiese stralunato, a bocca piena, indicando la bottiglia accanto all’amico.
Edouard rispose senza alzare gli occhi dal suo taccuino: «Lo è, infatti. Gilbert l’ha vinto con una scommessa, ma a quanto pare non piace a nessuno a parte me e te.»
André rise. «Si vede che siamo diventati uomini di classe a furia di entrare in casa altrui». Si sedé accanto all’amico, e quando il biondo alzò gli occhi dal taccuino, parlò: «Dov’è Mathieu?»
Edouard gli sorrise con gli occhi. «A cercare di diventare mio nipote acquisito, presumo.»
«È che pensavo... È da un po’ che non entriamo in azione, ecco.»
«Dopo l’ultima volta pensavo che...»
«Senza di lui. Solo io, te, Gilbert, Pierre, Henri, Jean e Philippe. Come ai vecchi tempi, no?»
Edouard annuì. «Sì, capisco.» disse alzando il taccuino in mano « E dobbiamo guadagnare.»
André prese un vecchio bicchiere e ci versò dentro del sidro dalla stessa bottiglia di Edouard. Bevve. «Capisco perché non piace a nessuno...»
L’amico annuì. «Lo so, non è abbastanza dolce. Ma ho bevuto di peggio... ed anche tu.» aggiunse poi ridendo.
André rise a quei ricordi: «Il vino del vecchio Lemaire, di fronte casa tua... Cielo quanto era cattivo!»
«Lo puoi ben dire. E quella locanda sul lungo fiume dove andavamo ad ubriacarci quando avevamo appena cominciato a rubare?»
Lui rise di nuovo, ricordando il brandy più cattivo che avesse mai provato. «Quella roba che spacciavano per brandy inglese? Era un incubo, ma ti ubriacava in tre bicchieri!» André si stese completamente sulla sedia, buttando indietro la testa e chiudendo le occhi: sorseggiò il liquido lentamente e se lo passò in tutta la bocca per assaporarlo al meglio.

«Onorando la vostra parola, semplicemente.»
«A mai più rivederci, dunque?» aveva chiesto lui, con un sorriso sornione sulle labbra, e ricordò di colpo il gelo che gli fece provare la sua risposta, la stessa sensazione che si prova una volta inciampati, ma prima di toccare terra.
«Esatto, Dubois. Dimentichiamoci entrambi di quel breve periodo di tempo in cui avete pensato che la mia vita fosse affar vostro.»

Edouard lo scosse dal suo stato. «Hai una lista, potremmo cominciare a dare una sfoltita a quella intanto.»
«Le avevo promesso di non usarla per derubarli.»
«Ce l’avessi io questo potere di farti promettere cose assurde...» sussurrò il biondo.
«Non biasimarmi... pensavo ancora di avere delle possibilità.» rispose ancora ad occhi chiusi.

«Addio, allora...» aveva mormorato lui.
Lei aveva risposto con un cenno della testa, per poi dire «Addio, Monsieur Dubois», voltarsi e tornare alla sala da ballo. Ripensandoci, André poteva ancora vedere chiaramente la mantellina di seta che portava per proteggersi dall’aria fresca della serata primaverile, come svolazzava nella brezza, attorno al vestito rosso.

Alzò infine il capo, risoluto e rinvigorito dall’alcol nella sua pancia. «Forse è il momento per un paio di furti svelti e mirati a certe zone, di notte. Andiamo a far festa negli hôtel particulier di un paio di tizi a caso e ce ne torniamo qua in un paio d’ore.»
Edouard annuì scorrendo la lista dei nomi: «Molti sono nello stesso quartiere: scommetto che intorno ci sono residenze che non sono scritte qui.»
André annuì, sorseggiando dal bicchiere.
«André... hai mai contemplato lo scenario in cui tu e la De Bayonne siete parenti?»
In un attimo André aveva ricordato la penultima volta che l’aveva vista, due settimane prima che gli consegnasse la lista, parlando nell’angolo più buio e tetro della cattedrale di Notre Dame.

«Non vi azzardate a biasimarmi per il ritardo! Non si erano mai pattuiti termini!» aveva risposto infuriata, quando André le aveva fatto notare che fare una semplice lista le stava richiedendo più tempo di quanto lui aveva impiegato per diventare da bambino ad adulto.

«A che punto siete almeno?» aveva risposo lui, quasi pensando che lei stesse ritardando per poter continuare a vederlo.
«Sto raccogliendo ancora gli ultimi nomi; ma la buona notizia è che i generali francesi sono tutti schedati negli archivi di corte, dal primo all’ultimo, quindi o la persona che cercate è su quella lista, o non esiste.» Lui aveva annuito. «Una sola cosa, perché volete tanto una lista di generali? Non farete la spia per qualche Stato straniero?»
«No,» aveva replicato lui ridendo sottovoce, mentre la sovrastava avvicinandosi con la sua figura mentre appoggiava il palmo della mano alla parete dietro di lei ed accostava il suo viso, le sue labbra, alle labbra di lei «è un motivo piuttosto personale, ma magari per voi posso fare un’eccezione...»
André si sarebbe ricordato quel momento per il resto della sua vita: il momento in cui per un attimo aveva pensato che Madeleine stesse al suo gioco. Si era avvicinata ancora di più, quasi arrivando a toccargli il petto con le mani, sorprendendolo con un ghigno complice ed enigmatico, mormorando. «Dite, dunque. Non fermativi proprio ora.»
André aveva allentato la tensione, tornando alla sua postura naturale ed allontanandosi quel che bastava per farle venir voglia di riavvicinarsi. Si era allora fatto serio, pensando che Madeleine avrebbe apprezzato un sincero contegno piuttosto che un sorriso malandrino che avrebbe potuto farle pensare a  tutto ciò come fosse in realtà nulla di più di una semplice e banale burla. «Sono stato cresciuto da due genitori meravigliosi, ma quando sono morti ho scoperto di essere un figlio illegittimo di non so chi... un generale mi hanno detto. Infondo sono uno di voi, Mademoiselle.» aveva detto, sfoderando nell’ultima frase un sorriso divertito.
Lei l’aveva allora scrutato, indecisa se credergli probabilmente. «Sembra una di quelle storielle dei romanzi d’appendice.»
«Forse non mi credete?» aveva replicato fingendosi offeso.
La donna aveva riso allora, dicendo: «Non faccio fatica a credervi in verità. Mio padre stesso ha tre figli illegittimi.»
André si era finto spaventato allora, anche se forse non stava solo fingendo, e le aveva chiesto sottovoce: «Non saremo mica fratelli?»
«No, i miei fratellastri sono un maschio e due femmine: il maschio è apprendista maniscalco di Versailles, e le donne sono cameriere chissà dove. So bene chi sono. Vi risparmierò di fare ricerche su mio padre e lo toglierò dalla lista.»
«Siete sicura che non ne abbia altri?» aveva chiesto dubbioso.
Madeleine si era fatta più seria. «Sì. Se ha figli illegittimi risalgono ad al massimo sei anni fa. E forse è la penombra che non vi dona, ma voi mi sembrate più vecchio.» gli aveva risposto, non riuscendo a contenere un sorriso buono che gli scaldò il petto per tutta la giornata..

Ritornò alla domanda di Edouard. «Per la verità una sola volta, e neppure troppo seriamente. E poi dice che conosce tutti i figli illegittimi di suo padre. Lo ha tolto dalla lista per risparmiarmi di cercare.»
Edouard alzò le sopracciglia e lo guardò ridendo: «Questo sì che è vero amore.»
«Ridi quanto vuoi.» sbuffò quasi divertito.
«Comunque non l’ha cancellato. Deve essersene dimenticata ma il “Generale Bernard Jaques Louis Aulmet, Conte de Bayonne” è ancora qui.» dichiarò facendo spallucce.
André sentì un’ondata di calore invadergli il petto. Distratta.«Distratta, e ci scommetterei anche disordinata... Sono le migliori a letto.» rifletté sorridendo malizioso.
«Peccato che il tuo letto non la vedrà mai, allora.» mugugnò Edouard, facendogli roteare gli occhi.


 
 
 
Quella sera Marie Antoinette fu felice di poter essere finalmente sola con Louis. Re Louis XV, detto il Beneamato, si era spento alle tre e mezzo di quel pomeriggio, e con lui erano morti i vezzi infantili e le fantasie di due giovani ancora impreparati. Quella sera Madeleine De Bayonne e Maria Luisa de Lamballe l’avevano aiutata a prepararsi per la notte. Marie Antoinette era stata di poche parole, nonostante non fosse suo solito, e quando le due dame avevano finito le aveva congedate con un sorriso addolorato. Si era stesa a letto nell’aspettare Louis, che arrivò poco tempo dopo con un valletto ed in camicia da notte, per coricarsi. Aveva gli occhi rossi, come spenti. Si coricò velocemente e congedò il valletto alla svelta. Restarono in silenzio per un po’, ed in quel silenzio in uno slancio di egoismo ricordò quando il giovane Delfino non voleva condividere il letto con un’austriaca, ed un senso di rabbia repressa la pervase. Ora, il fatto che non avevano ancora avuto un figlio sarebbe diventato un problema. Niente erede per una Delfina significava comunque avere del tempo, niente erede per una Regina significava essere in una posizione pericolante, come se fosse stata in piedi su una palla: e la corona sulla testa non la aiutava a rimanere salda sulla superficie liscia, ma le faceva perdere ancora di più il già precario equilibrio.
«Ho pensato che dovremmo fissare un giorno per il funerale...» mormorò Louis, fissando i ricchi drappi del letto a baldacchino. «E per l’incoronazione.»
«Sì.» si limitò a dire, facendo vagare le pupille alla luce soffusa e debole candele nella stanza. «Il rito funebre sarebbe bene tenerlo in gran segreto. La Principessa de Lamballe non voleva turbarmi, ma quando ho insistito mi ha detto che a Parigi ci sono stati dei festeggiamenti per le strade. Non vorrei che il popolo possa rovinargli gli ultimi onori che gli spettano.»
«Sì. Come era stato fatto per Louis XIV... Non pensavo che succedesse tutto così in fretta:  sembrava tornato in salute un mese fa, dopo la vostra Ifigenia in Aulide. Gli era piaciuta così tanto quell’opera.»
Marie Antoinette si avvicinò al marito e lo abbracciò, passandogli un braccio sopra il petto ed appoggiando la sua testa sulla spalla di lui. «Non ricordatelo con malinconia.» mentre diceva così sentiva la mano grande di Louis accarezzarle i capelli.
«Guardatemi.» le chiese in tono supplice, e quando Marie Antoinette alzò lo sguardo Louis la baciò con delicatezza. «Dobbiamo restare uniti ora, mostrarci forti. Antoinette non lasciate ricadere tutto su di me, ve ne prego...»
La guardò negli occhi per la prima volta, notò lei. Non lo faceva spesso, il suo carattere timido gli imponeva di non incrociare lo sguardo con chi non conosceva bene, eppure ora manteneva fisse le sue iridi azzurre sul volto di Antoinette. Non incrociava gli occhi neppure con il Capitano De Bayonne, nonostante lui fosse responsabile della sicurezza della Reggia, e quindi della loro stessa sicurezza.
«A cosa state pensando?» gli chiese.
«A mio nonno.» rispose lui sottovoce mentre accoccolava la sua testa su quella di Antoinette.
«Cosa di lui?»
«Tutte le volte che mi ha detto quello che avrei dovuto fare come re, tutte le volte che mi ha dato consigli che io ho preso sottogamba. Era in perfetta salute fino a sei mesi fa, ed anche prima della caduta da cavallo sembrava essersi ripreso piuttosto bene. Poi il vaiolo. Chi se lo aspettava...» rifletté ad alta voce, lasciando l’ultima frase sospesa in aria.
«Voi avete avuto il vaiolo?» mormorò allora lei.
Lui scosse la testa, pronunciando un lieve «No. Voi sì?» chiese stupito.
«Sì.»
«Non vi ha lasciato segni in volto.» constatò con un sorriso malinconico. Allora Marie Antoinette scostò i capelli dal collo e gli fece vedere la piccola cicatrice che aveva poco sotto l’orecchio destro. Sentì la grande mano di Louis sfiorare il segno lasciato dall’infezione. «Sono stata fortunata: alcuni miei fratelli ne sono morti. Altri sono stati sfigurati. Ricordate Maria Elisabetta? Doveva sposare vostro nonno, che già era in trattative con mia madre anche per il nostro matrimonio al tempo.»
«Sì. Mi ricordo di averne sentito parlare. È rimasta sfigurata dopo essere sopravvissuta al vaiolo, giusto?»
«Era la più bella di tutte le mie sorelle una volta...» rifletté malinconica. Neppure la bellezza di Liesl avrebbe potuto salvarla dall’essere venduta alla Francia, infatti lei srebbe comunque stata promessa a Louis Auguste, ma sarebbe stato bello poter avere sua sorella con lei, anche se di tutte le sorelle era anche quella un po’ più perfida... «Avete visto la Du Barry?» chiese d’un tratto.
«È stata allontanata, ma io e Stanislas pensiamo sia riuscita a portare con sé un po’ dei gioielli che mio nonno le aveva comprato.»
«Tanto meglio così, non vorrei neppure un diamante se toccato da lei.» rifletté risentita. Nonostante per un secondo avesse provato quasi pena per quella donna, nel vederla al capezzale del Re, non riusciva proprio a compatirla.
Louis riprese a parlare con una voce terrorizzata, così tanto che Antoinette si chiese cosa mai potesse essergli venuto in mente per farlo parlare così. «E poi c’è un’altra cosa.»
«Cosa?»
«Le sue ultime parole a me sono state molto strane. Ho ancora la sua voce nella testa che ripete quelle parole, non fa che ripetere, e ripetere, e mi tormenta. Si contorceva per il dolore quando le ha pronunciate per tre volte, urlava quasi, aveva una voce roca e disperata. E mi fissava negli occhi con quello sguardo vitreo, come se non potesse vedere il mio corpo, ma addirittura la mia anima...»
«Cosa vi ha detto?» chiese con un sentore di morte, alzandosi dal petto del marit e appoggia dosi ai gomiti al letto per guardarlo meglio.
Louis guardava dall’altro lato, ma voltò il suo viso verso di lei, la guardò negli occhi e ripeté: «“Après nous, le déluge!” ».1
 




Note:
“Après nous, le déluge!”1: (Dopo di noi, il diluvio!) frase attribuita a Madame de Pompadour, dopo la sconfitta di Rossbach, detta a Luigi XV. L’ho fatta ripetere a quest’ultimo in fin di vita per fare riferimento alla Rivoluzione avvenuta appunto dopo di lui: non c’è, e ripeto, NON c’è alcuna prova o memoria che faccia pensare che l’abbia pronunciata sul letto di morte, né che suo nipote fosse lì... ma era un’immagine troppo piena di pathos per lasciarmela sfuggire, scusatemi!

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