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di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: First names ***
Capitolo 2: *** Day 2: Outfits ***
Capitolo 3: *** Day 3: Unity ***
Capitolo 4: *** Day 4: Sleeping/Falling asleep ***
Capitolo 5: *** Day 5: Fluff ***
Capitolo 6: *** Day 6: Realizations ***
Capitolo 7: *** Day 7: Farewell/Reunion ***



Capitolo 1
*** Day 1: First names ***


1



 
“Un nome è necessario per distinguere un individuo da un altro. Ma cosa succede nel momento in cui incontri il tuo omonimo?”

Le parole dell'insegnante si ripetevano nella sua mente, come un disco rotto. Intonavano una ninna nanna, cullandola verso il regno dei sogni.
“Cosa succede?”, si chiedeva. “Perdi la tua individualità?”
Eppure esistevano così tante persone con il medesimo nome…
Che queste persone fossero tutte legate l’una all’altra da un filo invisibile?
Si sforzava di non pensare, ma la sua mente correva verso quella questione, cui ben presto si abbandonò. Il suo respiro divenne regolare, e il suo corpo si fece leggero, come una piuma. Volava in alto, sempre più in alto, verso l'infinito. Non c'erano limiti, né barriere, né confini; non c'era un orizzonte, né c'era una fine dove tutto era possibile. Guardò il mondo e pareva piccolissimo da lassù. Un globo rosa, circondato da vortici, schegge di petali, una rete di cuori. Uno di questi le passò sotto il naso e li riconobbe: ciliegi. Sorvolò quel tappeto rosato, osservandolo da diverse prospettive, quando un suono la sorprese. Si era abituata alla quiete, alla pace più assoluta di quel posto, eppure non ne era infastidita.
Sbatté le ampie ali bianche per scendere, con la speranza di poter risentirla, quella breve breccia nel muro del silenzio. Accostò l'orecchio al vento e riuscì a riconoscerlo: un ululato. Alzò lo sguardo al cielo, cercando la luna, ma il suo corpo, il suo mondo, erano sormontati da un buco nero. Improvvisamente spaventata scese in picchiata, sbattendo le ali alla velocità di un colibrì, e atterrò morbidamente sul suolo. I suoi piedi sprofondarono in un letto di petali e si guardò attorno, incuriosita. Il vento accarezzava le sue piume, arruffandogliele, mentre procedeva in direzione di quel suono. Quando lo raggiunse vide, sotto un maestoso albero di ciliegio, un cucciolo di lupo.
Ululava, cantava, guaiva tristemente, il muso rivolto all'insù, gli occhi marroni lucidi come cristalli. Sul dorso, nella folta pelliccia, sbucavano due piccole paia di ali bianche, candide, come le sue.
Avrebbe voluto avvicinarsi, ma qualcosa glielo impediva, e quando il cucciolo si voltò e la vide, ella si svegliò, specchiandosi nel suo sguardo.

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Capitolo 2
*** Day 2: Outfits ***


2



 
Il portale si dissolse e noi arrivammo in un nuovo mondo. Per la prima volta riuscimmo ad atterrare sui nostri piedi, senza precipitare, né cadere, né finire spiaccicati a terra l'uno sull'altro. Ci guardammo attorno. Il sole non era ancora alto nel cielo, ma faceva molto caldo; eravamo circondati da una calca indistinta di persone e tante voci si frapponevano, confondendoci. Era come se stessero in attesa di qualcosa, trepidanti. Forse un grande evento. Tra l'altro, indossavano abiti dai tagli più svariati, centinaia di colori, armi e variopinte parrucche. Distolsi lo sguardo quando un ragazzo si avvicinò a Kurogane-san esclamando:
«Bel cosplay!»
«Cosplay?», ripeté Fay-san mentre io cercavo di ricordare dove avessi già sentito quel termine.
Kurogane-san borbottò, pensieroso: «Una volta lo disse anche la strega, huh... È forse una sorta di offesa?»
Improvvisamente ricordai e Mokona aggiunse, spiegando allo sguardo sperduto di Sakura: «Un cosplay è quando ti vesti come il tuo personaggio preferito.»
«Quindi sta dicendo che sei un travestito, Kuro-tan.»
Lui si irritò, una vena gli pulsò sulla fronte. «Shiroi manjuu, passami Sou, gli faccio vedere io chi è il travestito.», abbaiò.
Mentre Fay-san e Mokona continuavano a prenderlo in giro presi Sakura per mano e dissi agli altri di allontanarci ed esplorare il luogo, per capire in che tipo di mondo fossimo finiti. Ci facemmo largo tra la folla che continuava a chiacchierare senza pensieri, ignorandoci bellamente, come se fossimo una visione comune. Incredibile pensare che per una volta ci fossimo mimetizzati bene con l'ambiente e involontariamente.
Raggiungemmo un vasto parco pieno di alberi e panchine sotto l'ombra di essi. Feci sedere Sakura su una di queste e mi avvicinai a un manifesto poco lontano. Lessi cercando di interpretarlo e tornai dagli altri, prendendo posto accanto a Sakura.
«Se non ho sbagliato a leggere dovrebbe esserci scritto “Comics” ed è un evento che si tiene tutto l'anno.»
«Comics?»
Guardai Fay-san che aveva appena parlato.
«Non ne sono convinto, ma termina con una lettera che si scrive così.» Con un rametto disegnai sul terreno una croce trasversale.
«Oh, una “x”!», esclamò.
«La riconosci?»
«Anche Mokona la riconosce!!», gioì, saltellando sulle mie gambe.
«Quindi si legge “cs”?», chiesi conferma e loro annuirono.
Kurogane-san e Sakura guardavano da una parte all'altra come per capacitarsi di quello che dicevamo e, esattamente nello stesso momento, provarono a ripetere. «Kusu?!» Alla voce gutturale di Kurogane-san istantaneamente si frappose quella insicura della principessa. «Ki... Kis?»
Mentre Fay-san e Mokona correggevano Kurogane-san io sorrisi al tentativo di Sakura.
«Più o meno, non devi pronunciare la “i”.»
«Kis!», ripeté convinta, per poi portarsi subito una mano alla bocca, imbronciata. «Perché non ci riesco?»
Ridacchiai.
«Perché il linguaggio di base di Clow è diverso dal luogo in cui ci troviamo. Certo, Mokona funge da traduttore per noi, ma anche così è complicato celare la nostra lingua madre.»
«Eh? Sai davvero tante cose, Shaoran-kun.», mi sorrise a trentadue denti e arrossii lievemente davanti al suo sguardo ammirato. Non ero poi così acculturato, c'erano moltissime cose che dovevo ancora imparare.
«Sakura, com'è che lo pronunci tu?», si intromise Mokona, scendendo dalla spalla di Fay-san alle mani di Sakura.
«Kis. Ma sbaglio.»
Mokona scosse la testa.
«Non proprio, perché sembra che tu dica “kiss” e simbolicamente lo si può scrivere con una “x”!»
Alzai un sopracciglio al suono di quella parola. Ero certo d'averla letta, sicuramente, da qualche parte.
«Kiss...», Sakura ripeté più volte il termine portandosi un dito alle labbra, pensierosa, e io ricordai.
«Ah! Significa ba-» Mi bloccai prima di continuare, arrossendo. Cosa c'era di male nel dirlo? Perché mi imbarazzavo tanto? Osservai le sue labbra un'ultima volta, prima di sviare lo sguardo.
«Shaoran, perché non dai un kiss a Sakura? Così lo capirà sicuramente!», propose Mokona, al che la guardai spalancando gli occhi.
Eh?!? Non potrei mai! Insomma, lei è la principessa, come potrei... Argh.
Mi arruffai i capelli, alzandomi.
«Direi che è il momento di cercare la piuma.», proposi, non riuscendo a guardare la principessa in faccia. Ebbi appena il tempo di concludere la frase che fui spinto da parte da una ragazzina, la quale si tuffò praticamente su Sakura.
«Ti-ho-trovata!», esclamò cantilenando. Sakura la guardò confusa, quando la nuova arrivata la afferrò per mano trascinandola via in tutta fretta.
«Ho come un senso di dejà-vu.», mormorò Fay-san e Kurogane-san ci disse, spaesato quanto noi:
«Era Tomoyo-hime. Solo molto più piccola. Dovrebbe avere dieci o undici anni.»
«Quindi, la principessa di Kuro-tan ha appena rapito la principessa di Shaoran-kun.», osservò Fay-san, mentre io continuavo a non perderle di vista. «Ahh è così ingiusto, anche io voglio una principessa!»
«Fayyy sono io la tua principessa!»
«Aww Mokona sei la principessa più bella.»
Sakura e la presunta Tomoyo di questo mondo svanirono in un edificio; corsi in quella direzione e solo una volta arrivato e nascostomi dietro dei grandi scatoloni mi accorsi che Fay-san, Mokona e Kurogane-san mi avevano seguito.
«Potevi avvisare.», mi rimbrottò Kurogane-san, incrociando le braccia.
Mi scusai mortificato per essere scappato così, dopodiché ci voltammo a guardare il luogo in cui ci trovavamo. C'era una sorta di basso palco con un tappeto d'erba finta e uno sfondo dipinto con un'immagine fantastica, cielo azzurro, alti fiori e arcobaleni; nell'angolo a sinistra era situato un grosso albero, mentre per terra erano sparsi vari oggetti che dalla nostra postazione non riuscivo ad identificare. Persone vestite tutte allo stesso modo andavano avanti e indietro, parlando in un linguaggio tecnico, per cui faticai a capirli. Uno di loro indossava occhiali da sole sopra la testa e sembrava essere il capo per come dava ordini e direttive. Somigliava moltissimo a Shogo del paese di Hanshin e Piffle.
«Sembra un set fotografico.», ci sussurrò piano Mokona.
«In cosa consiste?», chiese allo stesso modo Fay-san.
«Si fanno delle foto a persone, solitamente a modelli.»
Nello stesso tempo Sakura apparve sul palco, spinta dalla piccola Tomoyo. Alla vista del suo abbigliamento sbarrai gli occhi. Non aveva mai indossato qualcosa di un celeste tanto carico e con una quantità così assurda di fiocchi, veli e merletti. Calzava ballerine nere con calze bianche e i suoi capelli erano stati tirati in due piccole code ai lati del viso. Da quando la conoscevo non aveva mai avuto i capelli così mossi, come le onde del mare.
«Ora ti spiego!», esclamò Tomoyo su di giri, prendendola per mano e trascinandola accanto all'albero, facendola accomodare. «Il tema è “Alice nel Paese delle Meraviglie”, ti basta essere naturale e giocare con gli oggetti che trovi qui a terra. Ad esempio...»
Continuò a parlare, ma io ormai non prestavo più attenzione, totalmente stregato da quella visione. La principessa aveva raccolto un libro. La principessa lo aveva aperto, dopo averlo pulito dalla polvere col palmo della mano. La principessa aveva sorriso sfogliando le pagine, un sorriso genuino, come non lo vedevo da tempo. Era bellissima. Nell'istante in cui mi accorsi del mio pensiero mi diedi dello scemo.
Con la coda dell'occhio colsi uno scatto di Mokona che saltava impettita sul palco, esclamando: «Voglio essere io il bianconiglio!»
Tomoyo rimase un attimo allibita, ma si riprese in un battito di ciglia e applaudì, prendendola in braccio e facendole indossare un vestito che prima si trovava addosso ad un animale di pezza, ormai divenuto inutile. Non appena lei scese dal palco e sussurrò delle parole all'uomo con gli occhiali partirono dei flash in successione. Mokona sembrava a suo agio, mettendosi in posa e cantilenando «Sono una vip!» - seppure non avessi la minima idea di cosa significasse -, mentre Sakura sobbalzava ad ogni scatto, finché non si parò gli occhi con una mano per la forte luminosità.
Stavo per intervenire quando Mokona fece fermare tutto domandando: «Anche i nostri compagni di viaggio possono partecipare?»
«Chi sono i vostri compagni?»
«Loro tre!»
Mokona indicò dalla nostra parte, e tutte le luci furono puntate su di noi; così il nostro nascondiglio era appena stato scoperto. Mi morsi le labbra, preoccupato per le eventuali conseguenze che ne sarebbero derivate, mentre Fay-san salutava con nonchalance e Kurogane-san li studiava uno ad uno, assottigliando gli occhi.
Rialzai lo sguardo verso Sakura, ma era difficile vederla ora che era in ombra.
Tomoyo corse verso di noi, pensierosa, squadrandoci dalla testa ai piedi. Poi i suoi occhi cominciarono a brillare come due gemme e afferrò le mie mani, esclamando eccitata: «Kamijo-sama!» Alzai un sopracciglio. Passò a Fay-san e ripeté la stessa azione, cambiando parola: «Teru-sama!». Idem con Kurogane-san: «Masashi-sama!» Poi si voltò dove aspettava Sakura. «E lei potrebbe essere Hizaki-sama! Manca solo Yuki-sama, ma fa nulla. Portateli nei camerini e aiutateli a cambiarsi.», ordinò e così fu fatto.
Dopo un tempo che sembrava infinito finalmente ci fecero uscire da quella stanza piena di abiti, specchi, trucchi e parrucche. Ci rimirammo tutti e tre e a stento riuscimmo a riconoscerci. Non era per l'abbigliamento, ma per i nostri visi. Cosa ci avevano fatto? Mi sfiorai una palpebra, col risultato che mi feci il polpastrello nero. Per non parlare dei capelli! Ce li avevano riempiti con una sostanza gelatinosa e uno spray profumato per darvi una determinata forma, anche se quello che ne soffriva di più era certamente Kurogane-san. Gli avevano messo in testa altri capelli neri e rossi, più lunghi, e tra noi tre era quello con gli occhi evidenziati da linee più nere.
Fummo raggiunti da Mokona, la quale immediatamente si complimentò: «State benissimo!»
«Grazie Mokona.», sorrise Fay-san.
Sembrava molto divertito da quella situazione.
Kurogane-san non disse una parola per tutto il tempo, finché non ci guidarono verso il palco. Arrivati qui Tomoyo ci elogiò con le lacrime agli occhi, facendo riferimento a certi “Versailles”, a quanto li amasse e quanto vi somigliassimo. In breve tempo Sakura si ricongiunse a noi e quando la guardai mi lasciò nuovamente senza fiato. I suoi capelli, ancora ondeggianti, erano alzati e tenuti con forcine, incoronati da un piccolo diadema. Le sue iridi verdi, delineate da quelle linee scure, risaltavano persino di più. Il suo collo e le sue braccia erano carezzati da morbide perle che, sotto forma di pendenti, scendevano anche dalle sue orecchie scoperte. Il suo abito era ampio, vaporoso, stretto in vita, le circondava il corpo come una nuvola rossa al tramonto.
Deglutii a fatica, realizzando che era quello l'aspetto di una principessa. Era quello il portamento che doveva avere, quelli gli abiti che doveva indossare, quelli i gioielli che doveva possedere. Lei avrebbe dovuto avere sempre, ogni giorno, la possibilità di vivere negli agi, nella ricchezza, nella sfarzosità più assoluta. E io non avrei mai potuto fare nulla di tutto ciò. Non avrei mai potuto farla sentire come meritava. E se adesso non poteva trovarsi a palazzo, se adesso era costretta a viaggiare per i mondi, se lei aveva perso tutti quei frammenti di se stessa... Era tutta colpa mia. Tutto provocato da un mio errore, dalla mia disattenzione. Se soltanto fossi stato più attento, più cauto, adesso lei…
«Shaoran-kun?», mi chiamò e fu un colpo al cuore.
Mi costrinsi ad alzare lo sguardo e il suo, probabilmente, rifletteva il mio. Schiuse le labbra, come se fosse incapace di proseguire, mentre sbatteva gli occhi, come a capacitarsi che quello davanti ai suoi occhi fossi davvero io. Ma neppure io stesso ne ero più sicuro. Mi sentivo improvvisamente come un pesce fuor d'acqua in quella mise, ma dovevo ricordare che era soltanto un gioco. Che nulla era reale. Che anche se la voce di Tomoyo e Mokona mi ripetevano che avevo l'aspetto di un principe io non lo ero. E non lo sarei mai stato. Ma d'altra parte mi domandavo cosa mi costasse fingere di esserlo almeno per quel giorno.
Immerso totalmente nei miei pensieri non m'ero neppure accorto che le foto erano cominciate.
«Shaoran-san.» Mi sentii chiamare da Tomoyo, così la guardai, anche se mi pareva di muovermi a rallentatore. «Hai uno sguardo profondo ed è davvero perfetto per il personaggio, ma ora che abbiamo finito potresti fare un sorriso. Quanto meno, dedicalo alla tua principessa.»
Finito? Ma quando…? Quando avevamo cominciato?
Totalmente spaesato guardai Sakura alla mia sinistra, la quale mi sorrideva timidamente, le sue guance più rosee del dovuto. Accusai la macchina fotografica e tutte quelle attenzioni.
«Va tutto bene?»
Annuii, ma prima che potessi emettere qualsiasi suono una ragazzina accanto a Tomoyo – Chun’yan? - sbuffò rumorosamente.
«Potrei capire perché se vi piacete a vicenda continuate a guardarvi come due pesci lessi? I grandi sono proprio stupidi.»
Eh? Un attimo, cosa?! Oh no.
Impallidii. Guardai Sakura. Lei mi fissò a bocca aperta.
Oh no!
Arrossì di botto, divenendo della stessa sfumatura del suo abito. Si voltò verso Chun’yan ed esclamò: «Devi aver frainteso! Nel mio cuore c'è già una persona importante, anche se non ricordo più chi sia. Sto viaggiando per recuperare questi ricordi e per quanto anche Shaoran-kun sia per me una persona importante, finché non riuscirò a ricordare chi è colui che mi sfugge non posso... Io non posso...» Si morse le labbra, guardandomi. «Non voglio ferirti.»
Ferirmi? Non sapevo bene neppure io come sentirmi.
«Questa persona del tuo passato, ti piace?», le chiese nuovamente la bambina.
«I-io... Io non lo so... Non ne sono sicura... So soltanto che era una presenza davvero molto, molto importante. E anche se non so più chi sia, la sua ombra continua a vivere in me. Quindi...» Indugiò, ma a me bastava. Avevo capito.
Mi allontanai, rendendomi conto solo in quel momento che intanto Fay-san e Kurogane-san erano già andati a cambiarsi ed eravamo rimasti in pochi. Li raggiunsi e mi spogliai in fretta, indossando nuovamente i miei abiti. Il sogno era finito. Forse nulla di quello che avevo appena vissuto era stato reale. Insomma, possibile che Sakura avesse lasciato intendere che io... le piacessi? ... Io??
Quando uscimmo da quel set, pronti a trasferirci in un nuovo mondo, mi sentivo ancora un po' rintronato. Tutto era accaduto troppo in fretta. Quasi in un battito di ciglia. E non avevamo neppure trovato una piuma. L'unico risultato fu che Sakura, poco prima di partire, volle parlarmi in privato. Ero avvolto in una nuvoletta allucinogena, quindi non ero proprio sicuro che tutto quel che mi chiedesse fosse vero e non soltanto frutto della mia fervida immaginazione.
Per questa stessa ragione, quando improvvisamente insistette sul fatto di mostrarle cosa fosse un kiss non esitai. Mi avvicinai a lei, le presi una mano senza neppure pensarci, e sul suo palmo feci riposare quella sua piccola richiesta. La guardai di sottecchi. Lei sorrise e le sue guance si fecero nuovamente rosse.
«Non è la prima volta che lo penso, ma Shaoran-kun, a volte sembri davvero un principe.»
Mi inebriai della sua risata cristallina, sentendomi diverso. Totalmente diverso.
Sì, probabilmente stavo solo sognando.




NdA:
Piccolo omaggio ai Versailles (per chi non lo sapesse, sono un gruppo musicale visual kei giapponese)
Stavolta sarò meno logorroica del solito e cercherò di non rompere le scatole con le note, a meno che non sia necessario. Quindi, non sapendo quando la mia voce riprenderà il sopravvento, vi ringrazio già da adesso per leggere questa breve raccolta :3 

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Capitolo 3
*** Day 3: Unity ***


3
 


"Come viene ad orecchia dolce armonia da organo."
[Dante – Paradiso]

 


Cammino per le strade di un'uggiosa cittadina, chiedendomi cosa c'è in questa assenza che mi dilania.
Osservo le vetrine dei negozi, chiusi a tarda sera, e le gocce che inzuppano le mie maniche scivolare sui cristalli, bagnando pozzanghere.
Il rumore della pioggia mi accompagna, la nebbia si infittisce in questo lungo cammino e mi chiedo se mai mi condurrà da qualche parte.
C'è un luogo per me alla fine di questo oscuro sentiero? C'è qualcuno ad aspettarmi in una dimora oscura, velata dalla foschia?
Perduto, annego nei miei pensieri, cui non posso sfuggire perché è tutto ciò che mi appartiene. Se me ne allontanassi finirei col ferirmi e non so quanto ciò possa giovarmi.
Brancolo nel buio, la mia bussola l'eco di una flebile e lontana melodia.
Antichi ricordi di un passato ormai obliato affiorano dai recessi del mio cuore, ma è tutto inutile.
Tutto questo peso, tutta questa sofferenza, tutta questa consapevolezza di essere totalmente solo, completamente abbandonato, non mi giova a niente.
Un passo. Un altro passo. Un altro ancora.
Per quanto dovrò continuare ad andare avanti? Devo seguire questa strada, è l'unica scelta che ho.
Non posso fermarmi, non c'è niente qui per me.
Abbandonare la speranza adesso renderebbe tutto vano. Ma vale ancora la pena sperare?
Dei rombi in lontananza, oltre le montagne, interrompono l'orchestra che risuona in me.
Ombre prendono forma e mi chiedo se dovrei esserne spaventato.
Lampi squarciano il cielo, le nubi si dissipano, lacrime ripuliscono la notte dal dolore.
Gli spiriti vagano nel mondo e io, qui, proseguo, e al contempo attendo qualcosa. Qualunque cosa.
E così, la vedo.
Lassù, nel cielo, danza sulla via Lattea, nuota nel fiume del firmamento.
Il suo essere risplende, le sue sembianze delicate come un fiore, limpide come un torrente.
Preziosa, simile a una perla, allunga le sue braccia verso di me e improvvisamente non è più lontana. D'un tratto non son più solo.
Due atomi si scindono, ma noi due ci uniamo, quando le nostre ali si spiegano per poi richiudersi in un dolce abbraccio. Noi ci apparteniamo.
Questa è la sintonia, questa è la sinfonia che stavo cercando.
Capisco che c'era qualcuno che mi stava aspettando. Che per ogni prezzo che ho pagato, alla fine di questo viaggio la mia anima è redenta, perché lei mi stava aspettando.
Col calore del sole, la gioia del primo amore, mi accoglie in sé, donandomi tutto ciò che io ho sempre desiderato.
E all'alba svaniamo, lasciando al vecchio mondo la leggerezza delle nostre piume.

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Capitolo 4
*** Day 4: Sleeping/Falling asleep ***


4
 



Ripresi lentamente coscienza, svegliato dal canto degli uccellini. Sbadigliai, aprendo un occhio alla volta, coprendomeli con una mano per ripararli dalla luce che filtrava tra le tende, attraverso la finestra aperta. Una leggera brezza mi carezzò il viso, ridestandomi, mentre mi voltavo alla mia destra.
Sorrisi intenerito: Sakura stava ancora dormendo.
Le sfiorai i capelli con una mano, carezzandola dolcemente. Sembrava un angelo, con quel viso sereno e privo di preoccupazioni.
Tenni gli occhi fissi su di lei, mentre con la mente rievocavo gli eventi degli ultimi tre giorni.
Kimihiro aveva fatto sì che potessimo ritornare nel regno di Clow ed era stato il regalo di compleanno più bello che potessi ricevere: poter rivedere Sakura, dopo quella lunga assenza di quasi due anni. Avevo anelato il nostro incontro, l'avevo sognata, e pensata in ogni momento, chiedendomi come potesse sentirsi, al sicuro, nel suo Regno.
Era stata una mia scelta, ma per quanto i continui viaggi mi tenessero occupato, per quanto Kurogane, Fay e Mokona mi distraessero, non potevo affermare di non aver sofferto la lontananza. Dopotutto, Clow era ormai diventata la mia casa. Sakura mi attendeva, e io non potevo continuare a chiederle di aspettarmi per sempre, senza fare nulla per lei.
Motivo per il quale, quando Kimihiro ce lo concesse non mi sembrava vero. Appena atterrati nel Regno, lei già lo sapeva. Lei ci stava aspettando. Lei ci guardò e il suo sorriso divenne più caldo del sole. I miei occhi si specchiarono nelle sue iridi cristalline e, insieme, si tinsero di piccole lacrime. Ero così contento di essere tornato, anche se per poco, e la mia gioia si rifletteva in quella di Sakura. Ci corse incontro e come tanti, tantissimi anni fa, la prima cosa che fece fu tuffarsi tra le mie braccia. Riuscii a mantenere l'equilibrio e la strinsi, più forte che mai, incurante dello sguardo torvo di suo fratello.
«Sono tornato.», le sussurrai accanto all'orecchio e la sua voce, piena di commozione, raggiunse in un istante le corde del mio cuore.
«Bentornato, Shaoran.»
Non so come riuscii a trattenere le lacrime. Sentirmi chiamare così, nonostante l'ultima volta le avessi rivelato il mio vero nome - e scoperto con stupore che il suo fosse lo stesso -, mi rincuorava. Era ciò in cui avevo sperato perché non volevo che le cose cambiassero tra di noi, in alcun modo.
Alzò lo sguardo e le sorrisi. Lei ricambiò, e dopo poco sentimmo qualcuno schiarirsi la voce. Arrossimmo entrambi, per cui Sakura si allontanò e andò a salutare i miei compagni di viaggio, mentre io porgevo i miei formali saluti ai membri della sua famiglia. Mi sorpresi un po' quando sua madre, la regina del Regno, mi abbracciò, quasi come se fossi un figlio per loro, e il re - che per un determinato periodo pure ha rappresentato un padre per me - mi si avvicinò arruffandomi i capelli. Persino il principe Touya, a modo suo, fu più gentile e accogliente del solito, così diveniva sempre più difficile contenere le emozioni.
Mi illudevo che ora che ero diventato nessuno, ora che non avevo quasi più un'identità, potessero divenire loro la mia sicurezza, le mie radici, la mia famiglia. Ma non potevo aggrapparmi a una simile speranza, perché c'era una cosa che continuava a turbarmi: il fatto che Sakura fosse una principessa e, di norma, per succedere al trono, avrebbe dovuto sposare un principe. Prima o poi sarebbe accaduto, di certo, e da allora in poi cosa ne sarebbe stato di me?
La dimostrazione di ciò pervenne quella stessa sera, quando fu organizzato un banchetto per festeggiare il compleanno della principessa, invitando alle danze non solo gli abitanti del Regno, ma anche nobili dei paesi vicini.
Quella sera Sakura era bellissima.
Era cresciuta, era più donna, ed io ero sempre più perso in quell'affetto che da anni immemori mi legava a lei. Il suo aspetto principesco, il suo portamento regale, ogni suo sorriso così dolce, rassicurante, mi facevano capire quanto si fosse impegnata ogni giorno per poter rispondere al meglio ai suoi doveri, tanto che il sacerdote Yukito mi rivelò che ben presto avrebbe preso il posto di sua madre come grande sacerdotessa. Ed io ero certo che sarebbe stata perfetta. La conoscevo, la sua bontà d'animo, il suo spirito puro, erano soltanto alcune delle caratteristiche che la rendevano la persona speciale che era. Erano soltanto alcuni dei motivi per cui, trascorrendo tutto quel tempo insieme, mi ero innamorato di lei. Ed ora avevo la certezza di essere ricambiato.
Ma come potevo essere sicuro che niente fosse cambiato? Dopotutto, erano molti i nobiluomini che tentavano di corteggiarla, anche quella sera. Chissà com'era in altre occasioni, ad esempio al suo precedente compleanno. Non c'ero stato.
Mi morsi le labbra per la mia impotenza: era qualcosa contro cui non potevo oppormi, era una mia scelta e, come per tutte le scelte che avevo preso nel corso della mia vita, anche per questa dovevo pagare. Ciononostante era dura. Per quanto fossi forte era difficile sostenere quella situazione, ma finché mi trovavo a casa, finché sapevo che Sakura stava bene ed era felice dovevo esserlo anche io.
Così mi limitai a guardarla da lontano, vederla intrattenere lunghi dialoghi con le persone più svariate, accettare regali d'ogni sorta, ma soprattutto abbracci dai bambini.
Sorrisi intenerito, consapevole di quanto tutti le volessero bene. Poi mi crucciai, rendendomi conto d'un colpo che non avevo niente con me da regalarle. Mi rivolsi ai miei compagni di viaggio, allarmato, e Fay mi rispose che con la nostra presenza già le avevamo fatto il regalo più grande che potesse ricevere. Ma a me non bastava. Perciò, approfittando della confusione, mi allontanai.
Vagai tra i corridoi del castello, tra quelle pareti che mi avevano visto crescere, quei luoghi che ormai conoscevo a memoria, rendendomi conto che nulla fosse cambiato. Non c'erano segreti per me, così seguendo un tratto disegnato dai miei ricordi di bambino, raggiunsi il giardino interno.
Mi appoggiai a una colonna, malinconico. Nulla era cambiato. Poteva essere vero?
Feci qualche passo avanti, sedendomi nell'erba e frugai tra i vari tipi di piante, cercando di non rovinarle. Davanti ai miei occhi apparvero due figure: me e Sakura a sei anni, quando lei non poteva ancora toccarmi ma, per essermi più vicina, realizzò una coroncina di trifogli, facendola cadere sul mio capo. Dovevano essere lì da qualche parte. E infine li trovai.
Pensai che potesse essere un bel pensiero ricambiare il suo gesto del passato, a distanza di così tanti anni. Di così tanti eventi. E poi, non poteva essere così difficile.
Pertanto mi misi comodo e cominciai a intrecciare i fili d'erba, sforzandomi di realizzare ciò che una volta lei riuscì a creare per me. Sorprendentemente trovai anche un quadrifoglio. Si diceva portasse fortuna, così lo rigirai tra le dita, osservandolo sotto il pallore lunare. Avrei potuto farglielo trovare in camera, sorprendendola. Poteva essere una buona idea.
Conclusi ciò che stavo facendo, mi misi in piedi e, dopo essermi scrollato la polvere e la terra di dosso, avanzai verso gli appartamenti regali, ma proprio allora fui fermato da una sensazione familiare. Alzai la testa, sapendo già che a pochi passi da me avrei trovato Sakura. All'ultimo secondo nascosi il mio operato dietro la schiena e lei mi si avvicinò, uscendo dalle ombre, il suo viso crucciato illuminato dalla flebile luce della luna.
«Shaoran, sei sparito all'improvviso. Mi ero preoccupata.»
«Mi dispiace, c'era una cosa di cui dovevo occuparmi.», risposi in modo vago. «Ti stai divertendo?»
Lei annuì, poi notai le sue guance divenire più rosee. «In realtà ti stavo cercando per... Per chiederti se...» Esitò, sviando lo sguardo, e incuriosito la spronai a parlare. Lei continuò, abbassando la voce di un tono: «Se... Volevi danzare con me.» Mi guardò di sottecchi. «Dopotutto è il nostro compleanno.»
Arrossii, non soltanto alla sua proposta, ma anche alla sua affermazione. Mi imbarazzai un po' e sorrisi, in difficoltà.
«Sakura, ma io non so ballare.»
Lei gonfiò le guance. «Credi che io ne sia capace?» Ero certo che fosse bravissima, ma preferii tenerlo per me. «Mia madre è un'abile danzatrice, in confronto io sono irrimediabilmente sgraziata.»
Ridacchiai, figurandomi presunte lezioni di danza e tutte le volte in cui lei era inciampata.
«Non immagini neppure quante volte cado.»
Stavolta a stento trattenni una risata, mordendomi le labbra. Lei mi rivolse un'occhiataccia.
«Non ridere.», mi rimbrottò.
«Non sto ridendo.», dissi, ma subito mi ingannai, non trattenendomi a oltranza.
Lei sbuffò, ma un lieve sorriso apparve anche sulle sue labbra, per poi cominciare a ridere insieme a me. Mi asciugai le lacrime con la mano libera e lei dovette accorgersi della mia strana posa.
«Cosa nascondi?», domandò incuriosita, senza far scomparire il sorriso dal suo viso.
Mi chiesi se fosse il momento adatto e forse era meglio approfittarne prima che quel giorno volgesse al termine.
«Chiudi gli occhi.»
Lei eseguì gli ordini senza protestare e le presi una mano, posandovi sul palmo il quadrifoglio. Nel momento stesso in cui riaprì le palpebre feci cadere la coroncina sulla sua testa. Lei alzò lo sguardo dalla sua mano al mio viso, meravigliata. Le sue dita sinistre sfiorarono i trifogli tra i suoi capelli e sorrise. I suoi occhi si illuminarono, risplendendo nella notte, insieme al suo dolce sorriso.
«Te lo ricordi...», sussurrò. La sua voce mal celava lacrime, per cui chiuse gli occhi e si portò il quadrifoglio al petto. «Grazie.»
La abbracciai, affondando il viso tra i suoi capelli. Inalando il suo dolce odore. Se avessi potuto sarei rimasto così per sempre. Se mi fosse stata concessa un'altra scelta avrei deciso di rimanere sempre con lei. Avrei intrapreso una strada verso un futuro in cui noi due saremmo stati insieme, in ogni momento, per tutta la vita. Proprio come lo eravamo stati una volta.
«È il regalo più bello che io abbia mai ricevuto.»
Abbassai lo sguardo sul suo viso e mi accorsi che i suoi occhi fossero velati al contempo da lacrime dolci e amare.
«Mi hai donato fortuna. Mi hai restituito il nostro passato. E sei tornato da me.» Abbassò lo sguardo, mentre una piccola ruga prendeva forma tra le sue sopracciglia. «E io invece, non ho fatto niente per te.»
«Sakura, non è vero. Mi basta la tua presenza. Mi è sufficiente sapere che tu sia felice, perché la tua gioia diventa la mia. Quindi, regalami i tuoi sorrisi. Non chiedo altro.»
Le sfiorai le labbra con un dito e nello stesso istante gli angoli della sua bocca curvarono verso l'alto. Chiuse gli occhi, appoggiando la guancia sul mio palmo.
«Ho una richiesta.», esordì poi all'improvviso. «Mi faresti compagnia stanotte, finché non mi addormento?»
Inizialmente pensavo che bastasse starle accanto, ma non credevo di essere così stanco da addormentarmi a mia volta al suo fianco. Quando il mattino seguente ce ne accorgemmo mi scusai e feci per allontanarmi, ma lei non me lo permise. Mi trattenne ancora un po' nella sua stanza, chiedendomi di restare con lei anche la notte successiva e quella dopo, visto che non potevamo sapere quando saremmo dovuti ripartire e voleva trascorrere ogni momento insieme a me. I suoi desideri riflettevano i miei, così accettai di realizzarli, standole accanto ogni notte. Se la prima mi ero limitato a stringerle una mano, restando a distanza, seduto per terra, e la seconda mi ero appoggiato alla parete per stare più comodo, la terza mi aveva imposto di stendermi al suo fianco e stringerla tra le mie braccia. Come se poi fosse stato facile addormentarsi.
Ad ogni modo non mi ribellai e, sorprendentemente, anche quella volta, nonostante l'imbarazzo e il batticuore, fu semplice prendere sonno.
Ora che ero sveglio, dopo essere stato a contatto con lei per tutto questo tempo, mi rendevo conto che c'erano istinti reconditi in me che cercavano di destarsi. Sfioravo la sua pelle vellutata con la punta delle dita, nel timore che potessi disturbare i suoi sogni, e intanto mi si contorceva lo stomaco. La mia testa mi diceva di farmi più vicino, stringerla a me, carezzarla con delicatezza, posare le mie labbra sulle sue e ... Ma no, non potevo spingermi a tanto. Notai le mie dita tremare, così le allontanai dal suo viso, chiudendo la mano in pugno e portandomela sugli occhi. Presi un profondo respiro, sperando che i battiti del mio cuore potessero decelerare. Tuttavia la situazione sembrava soltanto peggiorare, soprattutto quando rotolò su un fianco, finendomi addosso. Mi passai quella stessa mano sul viso, richiamando l'autocontrollo. Mi morsi le labbra, più teso di una corda di violino, ma in qualche modo la situazione migliorò quando strinse le sue dita attorno la mia maglietta, pronunciando il mio nome. Era già accaduto così tante volte...
Mi calmai e abbassai lo sguardo. Un quieto sorriso affiorava sulle sue labbra, mentre si metteva più comoda al mio fianco. Non potevo negare che fosse carinissima.
Sentendomi più a mio agio ripresi a sfiorarle la guancia, pensieroso, fino a che non posò una sua mano sulla mia. Aprì lentamente gli occhi stringendo le sue dita attorno alle mie; dal suo sguardo mi fu tutto chiaro. Una parte di me si rifiutava di capire, ma l'altra già si era rassegnata all'idea che i bei sogni ben presto finiscono. Arriva il momento in cui ci si sveglia e, seppure contro voglia, dobbiamo continuare ad andare avanti.
In conflitto con i miei desideri e doveri, presi il suo volto tra le mie mani, costringendola a guardarmi.
«Tornerò.», le promisi rassicurante e lei annuì, con un sorriso mesto.
«Lo so. Io ti aspetterò.»
«Sakura.», la chiamai, cercando tutta la sua attenzione. «So che sei forte.» Il suo sorriso si allargò, divenendo più allegro. Mi diede ragione, per poi allungarsi verso di me e posare le sue labbra su una mia guancia. Sorrise imbarazzata, alzandosi sui gomiti per guardarmi.
«Buongiorno.»
Le sorrisi a mia volta, il cuore che ripartiva con la sua corsa.
«Buongiorno.»
Era il nostro ultimo buongiorno per il momento, ma non era meno bello dei nostri precedenti. Anzi, lei l'aveva appena reso speciale. Per ricambiare, l'avrei reso ancora più indimenticabile.
La guardai intensamente negli occhi mentre si faceva sempre più rossa, lentamente realizzando il suo gesto. Ma era restia ad allontanarsi, così stavolta non glielo permisi. Le spostai i capelli da una guancia, sfiorandogliela con le dita, facendomi più vicino. Chiusi gli occhi, poggiando la mia fronte alla sua.
«Tornerò sicuramente. Presto. Ad ogni costo. E un giorno potremo stare finalmente insieme, senza più essere separati.»
Diedi ascolto al mio cuore e lasciai che mi guidasse, suggellando la mia promessa con un bacio. 



NdA:

Possibile what if, ispirata al capitolo speciale di xxxholic rou. Spero di non aver spoilerato nulla a nessuno, altrimenti vogliate perdonarmi ç.ç

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Capitolo 5
*** Day 5: Fluff ***


5

 


«Sakura?»
«Sì?» Si volta. «Oh! Sha-Shaoran!» Scatta immediatamente in piedi mentre le sue amiche ridacchiano, coprendosi la bocca con le mani. Chissà di cosa stavano parlando prima che arrivassi. Erano tutte talmente prese da non accorgersi della campanella. Sembrava un discorso serio, per cui da un lato mi dispiace averle interrotte. Qualunque cosa fosse, comunque, aveva provocato un rossore sulle guance di Sakura. Cerco di non darvi troppo credito e mi rivolgo anche alle sue compagne.
«Scusatemi per l’intromissione.»
Loro fanno capire che non importa e sogghignano guardandosi l'un l'altra, mentre Sakura le ammonisce di smetterla di prenderla in giro. Alzo un sopracciglio e vado dritto al punto. Meglio toglierla il prima possibile da quell'imbarazzo.
«Volevo chiederti, torniamo insieme? O hai cambiato programmi?»
Non sto cercando di metterle fretta, affatto. Voglio soltanto essere sicuro che non abbia trovato altri impegni, perché in tal caso possiamo studiare insieme anche un altro giorno. Forse preferisce trascorrere un po' di tempo con le sue amiche o studiare con loro.
Con mia sorpresa annuisce vigorosamente.
«Certo, Shaoran! Te lo avevo promesso! Il tempo che raccolgo le mie cose e ti raggiungo.»
Le sorrido, dentro di me sospiro sollevato, e la informo che la aspetto nell'atrio prima di allontanarmi. Mentre sto per uscire dall'aula sento delle piccole grida entusiaste provenire dai banchi dove sono sedute Sakura e le ragazze.
Saluto i miei amici e dopo aver cambiato le scarpe mi appoggio ad un muro, in attesa. Nel frattempo rivolgo il mio sguardo ad un uccellino che spicca il volo da un albero lì vicino. Lo osservo mentre si libra nell'aria, volteggia tra le nuvole, e a metà del tragitto s'incontra con un suo compagno. Si scambiano un saluto e prima che svaniscano del tutto in quel cielo infinito Sakura mi posa una mano sul braccio, ottenendo tutta la mia attenzione.
«Sono pronta.», annuncia con un enorme sorriso, prima di incamminarsi.
Esco con lei e passeggiamo l'uno di fianco all'altro, in religioso silenzio. Mi sembra strano, ma non mi dispiace. Mi lascia immaginare cosa stia pensando e la mia mente comincia a vagare nelle profondità del suo cervello. D'un tratto, tuttavia, si ferma a metà strada e sospira rumorosamente, appoggiando la borsa a terra. Ero troppo distratto?
«Pesa?»
«Mmh, un po'.»
Mi abbasso per prendergliela e mi offro per portargliela. Non mi sembra così pesante, ma forse non si sente bene.
Quando la guardo incontro le sue iridi luccicanti di soddisfazione e un sorriso sornione che le increspa le labbra. Ma cosa...?
«Chi arriva ultimo dovrà pagare una penitenza!», esclama, prima di svanire dietro un angolo.
Resto un istante fermo lì, sbigottito, in simbiosi col palo della luce. Non riesco a crederci. Aveva pianificato tutto.
Trattengo una risata e parto alla rincorsa, svoltando l'angolo a destra e raggiungendola in men che non si dica. Quando mi vede arrivare accelera e taglia per il parco, abbandonando ben presto la sfida per roteare con le braccia allargate sotto la pioggia di ciliegi e danzare a zigzag tra gli alberi.
Poiché per me la sfida non è ancora finita con piccoli passi giungo alle sue spalle e tento di arrestare il suo volteggiare prendendola per una mano. Fato vuole che, nel voltarsi, scivola sull'erba e mi finisce addosso, facendo cadere entrambi.
Mi sento arrossire, seppure non sia la prima volta che ci capita qualcosa del genere. Da quando ci conosciamo Sakura è sempre stata estremamente espansiva ed impulsiva. Per quanto io fossi introverso e timido, chiuso in me stesso, quella sua spontaneità era stato uno dei primi aspetti a piacermi di lei. Ma la sua ingenuità, la sua innocenza, talvolta, potevano essere parecchio imbarazzanti. In particolar modo quando i miei ormoni partivano, come in quell'ultimo periodo.
Talvolta mi sforzo di non pensarci, davvero. Non voglio sembrare un depravato, soprattutto perché lei è la mia più cara amica. Ma Sakura è sempre così dolce e premurosa e bellissima e adesso è così vicina e...
Chiudo un istante gli occhi, sforzandomi di spazzare via quel pensiero indecente prima ancora che possa prendere forma, ma il suo calore sul mio corpo non svanisce. Percepisco il suo leggero peso premere contro la mia pelle, come se non esistessero i vestiti a separarci. Tutto ciò mi porterà al delirio.
Apro gli occhi giusto in tempo per vederla allontanarsi, mentre con una mano si porta una ciocca di capelli dietro a un orecchio con fare imbarazzato.
Tiro un sospiro di sollievo mettendomi a mia volta seduto, ma dentro di me non mi calmo. Sono agitatissimo, le mie interiora si contorcono, ho lo stomaco in subbuglio. Questo sì che lo si potrebbe definire "terremoto interiore". Potrebbe distruggermi, se non riuscirò presto a domarlo. A limitarne l'azione. Devo farlo per me; devo farlo per Sakura.
Alzo lo sguardo su di lei. Noto le sue guance rosee mentre tiene lo sguardo basso, sognante, come se fosse immersa in qualche dolce pensiero. Forse è solo frutto della mia immaginazione, ma non posso inventarmi anche il leggero venticello che le soffia tra i capelli, facendo sì che alcune ciocche le carezzino il mento. Non posso inventarmi il flebile bagliore del sole primaverile che la avvolge, rendendola un angelo solleticato da una pioggia di petali rosa.
Improvvisamente ridacchia, facendo frantumare questi pensieri smielati in mille cocci. Non mi ero accorto stesse ricambiando il mio sguardo. I suoi occhi ora brillano, come foglie bagnate dalla rugiada. Le sue labbra sono deliziosamente curvate verso l'altro, rivelando un sorriso – quello stesso sorriso che da anni custodisco nel mio cuore. Che da anni proteggo affinché non svanisca mai.
La vedo allungare una mano. Percepisco le sue dita tra i miei capelli. Sta parlando. Sento il suono della sua voce, ma non capisco cosa mi stia dicendo. È troppo dolce. È una melodia unica, inimitabile, vitale per me.
Troppo in fretta la ritrae. Non voglio vada via. Non voglio finisca tutto così in fretta. Non è neppure iniziato. Nulla tra noi è ancora cominciato. Ma come glielo dico? Quali parole è meglio usare? Dove trovo il coraggio per farlo? Come posso farle capire che per me lei è la persona più importante al mondo? Che mi basta averla al mio fianco, anche per pochi istanti, per sentirmi completo? Che vorrei non arrivasse mai il momento di separarsi perché è orribile starle lontano, è terribile tornare prigionieri della solitudine più assoluta?
Istintivamente mi faccio avanti e mi ritrovo a pochi centimetri dal suo viso. La guardo. La mia mente diventa leggerissima. Non so cosa sto facendo, so soltanto che è piacevole. Che mi rilassa. Che mi fa sentire me stesso, che mi manda su un altro pianeta, che mi tiene stretto alla sua essenza. Ed è tutto ciò che per me conta. Desidero soltanto che questo sentimento non mi lasci mai. Che questa pace possa essere eterna. E se è questo il paradiso, allora posso ben affermare di essere lieto d'essere morto, purché io possa perdermi nel suo calore. Purché io possa sprofondare nella sua essenza. Per l'eternità.



 


 
Tum tum. Tum tum. Sento il mio cuore battere, com'è ovvio che sia. Ma è naturale che le mie pulsazioni siano talmente accelerate dal farmi chiedere se non stia per esplodere? È tutto ciò che riesco ad udire. Il mio cuore, e Shaoran che mormora accanto al mio orecchio: «Restiamo un po' così.»
Mi sento le guance in fiamme e trattengo il respiro. Mi sforzo di rilassarmi e comportarmi come sempre, ma non ci riesco. Sono felicemente sorpresa. Non ho parole, non ho pensieri... Perché non riesco a credere che stia accadendo davvero.
Quando ho conosciuto Shaoran (parliamo di anni fa) mi sono subito affezionata a lui e ogni giorno ho cercato di dimostrargli quanto gli volessi bene. Sin dal nostro primo incontro mi sono immediatamente sentita a mio agio al suo fianco. E col tempo i miei sentimenti nei suoi confronti non hanno fatto altro che crescere e rafforzarsi. Per questo ogni volta che ci vediamo, nel salutarlo, la prima cosa che faccio è gettarmi tra le sue braccia. Adoro abbracciare Shaoran. Se soltanto potessi rimarrei sempre, per sempre, stretta a lui. Anche perché uno degli aspetti più belli è la sua reazione: talvolta si fa tutto rosso per l'imbarazzo (soprattutto i primi tempi, anche se tuttora non riesco a spiegarmelo. Cosa mai ci sarà di male nello stringere tra le braccia la persona per te più importante al mondo?), altre volte si irrigidisce come un pezzo di legno e devo scuoterlo per farlo sciogliere (ammetto che è divertente), altre ancora ricambia ma timidamente, come se temesse di potermi fare del male in qualche modo.
In effetti, è proprio questo suo indugiare a ferirmi – in parte. Mi sono sempre domandata se non gli desse fastidio questo mio essere espansiva. Ma poi lo guardavo e lui mi sorrideva. E il suo sorriso cacciava via tutti i dubbi che adombravano la mia mente.
Di una cosa mi ero ormai rassegnata: Shaoran non avrebbe mai preso l'iniziativa. Lo conoscevo bene. Perlomeno, ne ero certa fino a qualche secondo fa. Perché sorprendentemente, adesso, è lui che sta abbracciando me, lasciandomi basita. E sono talmente stupefatta da non riuscire a reagire. So soltanto che il mio sangue sta ribollendo nelle vene e furiose palpitazioni mi stanno sopraffacendo. Tutto ciò è ragionevole se si considera il fatto che non avrei mai pensato potesse essere così bello essere avvolta dalle sue braccia. Così piacevole. Così rilassante e al contempo emozionante. Mi calma, ma al contempo mi rende esagitata.
Sbatto gli occhi e mi chiedo se non sto sognando.
Dopo pochi istanti lui lascia la presa, allontanandosi. Mi sento improvvisamente come un albero spoglio. Ho perduto i miei frutti, i miei fiori, perfino le foglie. Un'esplosione primaverile ci abbraccia, ma il mio corpo è cristallizzato dall'inverno.
Shaoran non mi guarda mentre recupera le nostre borse. Cerco di risvegliarmi da quello stato di trance e faccio per alzarmi; lui se ne accorge e si abbassa di poco per porgermi una mano e aiutarmi.  Incontro i suoi occhi e attraverso essi mi vedo arrossire. Perché reagisco così? Non lo capisco. Devo ancora essere scombussolata dalla sua azione baldanzosa.
Mi metto in piedi e lo affianco, diretta verso il suo appartamento.
Non riesco a smettere di pensarci. Shaoran mi ha abbracciata. Lui ha abbracciato me. Senza preavviso. Senza un apparente motivo. E io sono quasi svenuta per la contentezza. Mi sento scaldare nel desiderare che lo rifaccia. Ma è stato un caso fortuito e non credo si ripeterà presto. Mi sento sciocca. Se lo desidero davvero tanto, perché allora non lo abbraccio io? Cosa mi ferma dal comportarmi come sempre?
Una parte di me conosce fin troppo bene la risposta, ma non riesce ad elaborarla. È irragionevole.
Mi tornano alla mente i commenti delle mie compagne di classe. Ripenso alla loro domanda, in cerca di un responso. Perché io e Shaoran non ci mettiamo insieme? Non lo so. Non capisco se quello che provo per lui è semplice amicizia o amore. Non sono mai stata innamorata, quindi come faccio a capire se è questo il caso? L'unica cosa di cui sono certa è che Shaoran è la persona a me più cara. Il che lo rende il mio migliore amico, no?
Alzo di poco lo sguardo su di lui e lo fisso cercando di non farmi notare, mentre lui cammina guardando dritto davanti a sé senza battere ciglio. Chissà cosa occupa i suoi pensieri in questo momento. Chissà a cosa pensava prima. Chissà se anche lui è confuso, come me. Chissà se lui ha mai amat- no. Lo so, nemmeno lui si è mai innamorato. O me l'avrebbe detto. Almeno spero.
Shaoran è la prima persona da cui vado quando ho bisogno di aiuto. Ma non solo. È il mio supporto. È il mio confidente. Gli mostro ogni mio umore. È l'unica persona che conosco con cui sono realmente sincera. Con lui non fingo mai – anche perché se ci provassi lo capirebbe subito. Amo parlare con lui. Amo scherzare con lui. Amo confidarmi con lui. Amo ascoltare la sua voce. Amo quei momenti in cui mi consola quando sono più triste. Amo essere presente quando lui ne ha più bisogno. Amo camminare al suo fianco. Amo il suo sorriso, amo la sua risata, amo i suoi sguardi, amo i suoi pensieri, amo ogni suo gesto. Amo ogni singolo aspetto di lui, ma è naturale quando si sta sempre al fianco di una determinata persona, no? Un simile sentimento si può provare anche nei confronti di un amico... Vero?
Abbasso lo sguardo, riflettendo, e noto che le nostre mani distano pochi millimetri tra di loro. Faccio come per eludere tale distanza, ma come posso essere sicura che gli faccia piacere? E se finisce col fraintendere il gesto? Ahhh, mi sento ridicola. Non ho mai pensato a queste cose quanto lo sto facendo negli ultimi giorni. E questi pensieri non mi piacciono. Mi fanno indugiare. Mi fanno temere. Mi portano a incertezze che –
«Eccoci qui. Kimihiro non è in casa, quindi siamo soli.»
Perdo il filo dei miei ragionamenti sentendolo parlare. Ritorno alla realtà e attraverso con lui il cancello, realizzando solo in quel momento che lui ha portato entrambe le borse.
«Ah! Scusami Shaoran!» Faccio per riprendermi la borsa, ma lui non me lo permette e avanza, aprendo la porta di ingresso.
«Non pesa.»
Mi mordicchio le labbra, seguendolo all'interno, e solo in quel momento do un senso alle sue parole. Siamo soli. Soli. Soli... La parola si ripete ostinatamente nella mia testa.
Calma, Sakura, hai sempre adorato restare sola con Shaoran. Non è il momento di vergognarti. E poi sei lì per studiare, non per bighellonare o lasciarti inondare da pensieri sdolcinati sul tuo migliore amico.
Lui posa entrambi gli zaini accanto alla tavola in sala e, fortunatamente per me, prepariamo tutto all'istante, cominciando con la sessione di studio senza perdere tempo. Ogni volta che non capisco lui mi spiega pazientemente le cose, rendendole estremamente chiare – ecco perché amo anche studiare con lui – e dopo qualche oretta mi chiede se mi vanno dei dolcetti.
«Dolcetti?» Mi metto subito sull'attenti.
Lui annuisce, alzandosi, e dirigendosi verso un mobile risponde: «Li abbiamo preparati ieri sera io e Kimihiro. Sono ripieni con le mele.»
Torna con un contenitore trasparente i cui tre quarti sono riempiti di invitanti mezzelune ricoperte di zucchero a velo. Sono quasi certa di avere due cuori al posto degli occhi – e probabilmente starò anche sbavando. Shaoran è ben consapevole che uno dei miei punti deboli sono i dolci. Per non parlare di quelli con le mele! Probabilmente mi starò comportando come un cagnolino davanti ad un succulente osso, perché nel notare la mia espressione Shaoran ridacchia.
Li posa davanti a me e mi invita a non fare complimenti, mentre lui va a preparare del tè. Non me lo faccio ripetere due volte e, abbandonando i libri senza neppure pensarci, assaggio il primo. Mi sciolgo a quel delicato, dolce, zuccheroso sapore tanto familiare. Le mele sono il mio frutto preferito e Shaoran sa fin troppo bene che questo è uno dei metodi più efficaci per conquistarmi.
Gongolo assaporandolo e quando ingoio cantileno: «Oishii», ripetendolo dondolando da una parte all'altra. Ne afferro un altro e quando Shaoran torna con una teiera e delle tazzine mi rivolge un enorme sorriso.
«Ne sono felice.», dichiara, tornando a sedersi al mio fianco e versandomi il tè nella tazza.
Addento il terzo dolcetto e non appena vedo che si liberano le sue mani gliene porgo uno, sorridendo appagata. Lui mi ringrazia e nel prenderlo le nostre dita si sfiorano. Poi alza lo sguardo e il suo sorriso si allarga, tramutandosi in una risata.
«Cosa c'è?», chiedo, piegando la testa su un lato.
Senza perdere quello sguardo ilare allunga la mano libera e con un dito mi sfiora gli angoli delle labbra, come se mi stesse pulendo. Un attimo dopo porta quello stesso dito alla bocca e poi commenta, ridente: «Come una bambina.»
Apro la bocca per ribattere, ma non ne esce nessun suono. Cerco di razionalizzare quel che è appena accaduto. Dovevo essere sporca di zucchero a velo, quindi col suo pollice mi ha pulita. Ma poi quello stesso pollice se l'è portato alle labbra. C'è stato un trasferimento indiretto dalle mie labbra alle sue. Come posso restare tranquilla? Non devo pensarci. Non devo fantasticarci sopra. Le mie labbra. Le sue labbra. No, Sakura. No. Sto andando nel pallone. Mi sento evaporare. E probabilmente tra poco mi metto a piangere, dato che sento gli occhi pizzicarmi. Anche se non me ne spiego la ragione.
Non sentendomi ribattere si volta a guardarmi. Non so cosa legge sul mio viso. So soltanto che mi incatena coi suoi occhi e improvvisamente diventa difficile respirare. Ma non voglio farlo. Voglio restare ad ammirarlo col fiato sospeso. Voglio continuare a fissarlo senza battere ciglio. Voglio sentire soltanto il mio cuore. Voglio continuare a vedere quelle due dolci iridi farsi sempre più vicine, sempre di più... Come posso distogliere lo sguardo dal suo? Come posso, proprio ora che mi guarda con una tale intensità...? Proprio ora che i suoi occhi sono diventati talmente magnetici... Proprio ora che il suo caldo respiro carezza il mio, ora che il suo viso è così vicino e sento il calore che si sprigiona dalle sue labbra carezzare la mia pelle... Ora che mi sento bruciare, e non vedo altro che i suoi occhi... Ora che mi sento annegare in lui, mi sento scivolare e cadere tra le sue braccia, mi sento precipitare nel vuoto, ma non ho paura. Non posso avere paura, perché Shaoran è qui. Shaoran mi guarda. Shaoran mi guida. Shaoran mi protegge. Shaoran mi avvolge col suo essere. Shaoran mi bacia. E in questo eterno istante potrei anche morire. Perché mi rendo conto che è un qualcosa che desidero da sempre.
Shaoran mi sta dicendo che mi ama. E io, finalmente, trovo il coraggio di ammetterlo. Così posso dargli la mia risposta.




NdA:
1) perdonate il ritardo! Questa settimana ho cominciato un tirocinio che mi terrà impegnata per parecchio tempo... Fortuna che si tratta di one-shot ^^'
2) Scuola AU ^_^ con tanto di Watanuki "fratello" di Shaoran... *me misteriosa*

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Capitolo 6
*** Day 6: Realizations ***


6
 


Forelsket: The euphoria you experience when you're first falling in love.
 

 
Verde.
Non appena il semaforo cambiò colore attraversai le strisce pedonali, in mezzo ad una massa di gente. Tenni la borsa stretta al petto, mentre il vento mi faceva oscillare la sciarpa accanto al viso. La misi a posto con la mano sinistra, temendo potesse involontariamente colpire qualcuno alle mie spalle. Impegnata in questa piccola manovra d'emergenza per la salvezza altrui non m'accorsi d'essere arrivata sul marciapiede, così inciampai e con una rocambolesca caduta trascinai qualcuno con me. Cercai di alleggerire l'impatto posando le mani sull'asfalto, ma non ne risultò nulla di buono, in quanto finii comunque con lo sbucciarmi la pelle. Strinsi i denti, guardandomi i polsi arrossati, ma subito dimenticai il dolore, preoccupata per l'altra persona che avevo coinvolto con il mio essere imbranata.
Mi allontanai mettendomi seduta sulle ginocchia, scusandomi umilmente, profondamente mortificata, quando poi udii la sua voce. «Non preoccuparti, non mi sono fatto niente. Piuttosto, tu come stai?» Un ragazzo?
Notai le sue mani avvicinarsi alle mie, girandole per esaminarle. Alzai lentamente lo sguardo, percependo uno strano calore impossessarsi delle mie guance. Vergogna? Si, mi vergognavo da morire. Non era mai successo nulla di simile. Ma non era soltanto questo.
Prima vidi il profilo della sua mascella, poi le sue labbra che si schiudevano in un'esclamazione di stupore, la zona centrale del suo viso, i suoi occhi e quel luccichio di preoccupazione, i capelli che incorniciavano quel volto così... mozzafiato.
Stupore per cosa, poi?
Ma in quell'istante non me lo chiedevo. In quell'istante smisi di pensare e probabilmente smisi anche di respirare. Sapevo che ero viva soltanto perché i miei battiti cardiaci erano forti, prepotenti, battevano ad un ritmo sempre più accelerato, fino ad assordarmi le orecchie, quasi come se il mio cuore volesse vincere una gara a me ignota con un corridore sconosciuto. Se si trattava del mio cervello aveva tagliato il traguardo. Non c'era confronto, perché la mia mente sembrava d'un tratto leggerissima e forse la mia materia celebrale s'era sciolta, così come a breve si sarebbe sciolto il resto del mio corpo.
Le sue dita accarezzarono la mia pelle ferita con delicatezza, il calore che emanavano i suoi polpastrelli invase la mia – fino a pochi minuti prima – gelida epidermide.
Parlò nuovamente, con un tono mortificato, come se fosse stata colpa sua. Come se fosse stato lui a travolgermi.
«Mi dispiace, non credo di avere cerotti con me.»
Mi guardò e dovetti subito ricredermi. Eh sì, era stato proprio lui a travolgermi.
La voce mi morì in gola, le mie orecchie presero fuoco – fortuna che erano coperte dal cappello di lana – e il mio viso dovette mutare colore dalla più tenue sfumatura purpurea alla più intensa nel giro di un nanosecondo. Improvvisamente era diventata estate, il sole cocente mi abbagliava con i suoi raggi.
Mi sentivo un'idiota a non aver ancora spiccicato parola, così sbattei più volte gli occhi per riprendermi, credendo di essere ancora nel mio letto, intrappolata in una tela tessuta da Morfeo.
Dovette fraintendere la mia azione perché si avvicinò al mio viso, ancora più in ansia, chiedendomi: «Ti è finito qualcosa negli occhi? Oggi non me ne va bene una.»
Mi parve di andare in tilt. Com'era possibile che una persona fosse così gentile, e premurosa, con una perfetta sconosciuta? Forse stavo soltanto esagerando, forse semplicemente mi sembrava tutto più bello e roseo perché... Al momento fui incapace di trovare una risposta.
Tenni lo sguardo fisso in quelle iridi marroni, annegando in due tazze di cioccolata calda.
«Ohi, tutto bene?»
Una terza voce riuscì a riportarmi in superficie. Mi guardai intorno, spaesata, realizzando solo in quell'istante di trovarmi ancora a terra, sulla soglia di due strade, sotto gli occhi di molti curiosi – turisti più che altro. Mi portai le mani al viso, incurante della polvere - ero troppo imbarazzata per ragionare. Feci per alzarmi, pensando a cosa dire, quando lui mi anticipò mettendosi in piedi, per poi darmi una mano a fare altrettanto. Incredibile. Dovevo dirgli qualcosa, scusarmi, ringraziarlo, qualunque cosa, ma non sapevo neppure da dove cominciare. La risposta era semplice, dovevo soltanto essere me stessa.
Così presi un bel respiro, pronta a rivolgermi a lui, quando lui si voltò verso un omone alto, dalla presenza possente, ossia colui che aveva appena parlato.
«Io sì, ma lei si è sbucciata le mani e ha i polsi arrossati. Fay-san, non abbiamo un kit di pronto-soccorso in valigia, vero?»
Al duo si aggiunse un terzo uomo, slanciato, mingherlino, dai tratti nordeuropei.
«Non mi pare. Ma possiamo andare nella farmacia alle nostre spalle e rimediare.»
Guardandoli così, uno accanto all'altro, mi chiesi se non fossero dei modelli. O idol? Avrei dovuto chiedere un autografo? E se poi avessi fatto ancora di più la figura dell'idiota?
Ripresi un altro respiro, ingoiando saliva, e mi decisi a parlare, rivolgendo loro un sorriso rassicurante.
«Anche io sto bene, non mi sono fatta niente. Non dovete preoccuparvi così tanto e...» Rivolsi tutte le mie attenzioni al ragazzo al centro, e non capii perché mi sentissi nuovamente arrossire. Chinai di poco il capo, facendomi piccola sul posto. «E sono davvero dispiaciuta per l'inconveniente.»
«Non importa, davvero!» Il suo tono gioviale risuonò nei miei timpani come un dolce scampanellio.
Accidenti, ma cosa mi stava succedendo?
Mi mordicchiai l'interno della guancia, e notai mi fosse caduto il portachiavi che tenevo appeso vicino alla borsa. Mi abbassai per riprenderlo, senza accorgermi che lui stesse per fare lo stesso; così le nostre dita si sfiorarono, e fu come trovarsi a tu per tu col dio del fuoco.
Sobbalzai - fu più forte di me, un riflesso incondizionato - e alzai lo sguardo su di lui. Lui fece lo stesso, ripetendo i miei stessi gesti, i miei movimenti. Stavolta anche le sue guance assunsero una tonalità scarlatta e nei suoi grandi occhi c'era una nuova luminosità.
Andai in subbuglio, totalmente, e non ci capii quasi più nulla. C'era una parte di me che lo implorava per udire nuovamente la sua voce, lo pregava di guardarmi e toccarmi e abbracciarmi magari, perché no. Questa Sakura sconosciuta, disinibita, senza freni, voleva conoscere tutto di lui, partendo dalla sua identità, le sue origini, il suo passato, il suo presente, i suoi progetti futuri.
Ma in fondo che importava, quando tutto ciò che per me contava era che lui fosse lì presente davanti ai miei occhi?
D'altra parte, tuttavia, mi chiedevo se non fossi completamente impazzita. Era uno sconosciuto e se già avevo fatto una brutta figura la sua prima impressione su di me non stava che peggiorando.
Impacciata, mi abbassai nuovamente per afferrare l'oggetto e, poiché mi tremavano le mani, mi limitai a metterlo nella tasca del cappotto, nascondendo anche queste. Il mio sguardo cadde sull'orologio della farmacia in questione e sgranai gli occhi, rendendomi conto che fosse trascorso molto più tempo di quanto mi aspettassi. Mi scusai un'ultima volta e, in fretta e furia, mi congedai, allontanandomi, quasi fuggendo da quel sentimento totalmente assurdo che si era impossessato di me.
Eppure fu più forte di me, così mi voltai e con la coda dell'occhio vidi l'uomo biondo dare uno spintone all'uomo dai capelli corvini e il ragazzo, che probabilmente doveva avere la mia stessa età, ridere divertito. Il suo ampio sorriso mi catturò, nonostante ci fossero molti metri a separarci. Lo fissai muta, inebetita, immobile sul ciglio della strada, finché i suoi occhi vagarono sui miei. Tesi le labbra, stringendo la borsa con forza, quasi volessi stritolarla, e feci dietrofront, voltandogli le spalle e riprendendo il cammino per raggiungere la mia meta.
Dopo qualche passo mi sforzai di dimenticare l'accaduto – dopotutto, per quanto fosse stato emozionante, probabilmente non avrei mai più rivisto la mia povera "vittima" – e bagnai un fazzoletto di disinfettante per ripulirmi le mani. Ovviamente bruciava.
A un certo tratto dovetti fermarmi accanto a un cestino per buttarlo e fu in quel momento che la vetrina di un negozio colse la mia attenzione. O meglio, fu il mio riflesso in essa. Ero incredibilmente sorpresa  nel vedere quel sorriso stampato sul mio volto. Come se fosse avvenuto l'evento migliore della mia vita, quando invece era cominciato col piede sbagliato - letteralmente.
Riportai la mano in tasca trovandoci il piccolo portachiavi di pezza. Lo fissai interdetta, a corto di parole, ricordando in un unico flash tutte le sensazioni provate in quanto, nel giro di 5 minuti? Mi morsi le labbra, con le lacrime agli occhi, sentendomi stupida. Cos'era quel sentimento a me ignoto? L'unica cosa che si ripeteva nella mia testa era che avrei potuto quanto meno chiedergli come si chiamava, in modo tale da non ritrovarmi un giorno, in futuro, a dover fantasticare anche sul suo nome. Ma perché mai avrei dovuto fantasticarvi? D'altronde la percentuale che potessimo rincontrarci era davvero bassa.
Rigirandomi quel caro oggetto tra le mani mi accorsi che mancava il gancetto. Mi dispiacqui, ma sarebbe stata un'ulteriore perdita di tempo tornare indietro, se consideravo tutte le persone che probabilmente l'avevano calpestato senza notarlo.
Con un sospiro feci per allontanarmi da quel posto, quando mi irrigidii divenendo una statua, notando quel ragazzo correre verso di me. Impossibile. Cosa ci faceva lì? Mi stava seguendo? Era una pura coincidenza? Il cuore parve stringersi in una morsa.
Si fermò a meno di due metri da me, riprendendo fiato, e sorridendo imbarazzato allungò una mano. Feci altrettanto e lui lasciò cadere sul mio palmo non soltanto il gancetto perduto, ma anche una piccola confezione di cerotti.
“Impossibile.”, pensai con forza, cercando di capacitarmi di quella situazione.
Il suo sorriso si fece più ampio, notando la mia reazione, e riprese parola grattandosi una guancia.
«Non volevo metterti a disagio, solo che mi sentivo in colpa se non avessi fatto nulla. E poi mentre stavamo andando via ho notato quel gancio e ho supposto l'avessi perso tu. Ma probabilmente ho appena fatto una figuraccia, a giudicare dal tuo sguardo.», ridacchiò.
Il mio sguardo? Scossi la testa, negando la sua convinzione, spiegandogli che fossi soltanto sorpresa che se ne fosse accorto. E poi non mi aspettavo che andasse davvero in farmacia. Nessuno l'avrebbe mai fatto, al suo posto.
«Allora, spero tu guarisca presto.», sorrise, facendo per andarsene.
«Ah, aspetta!», lo richiamai.
Lui si voltò e istantaneamente avvampai. Mi guardò incuriosito e io mi morsi le labbra con forza.
“Sii te stessa Sakura. Te stessa.”
«Posso almeno sapere il tuo nome?» Perfetto, quella non ero io. Non mi sarei mai azzardata a chiedere qualcosa di simile. Ero completamente fuori di me e non sapevo se era gioia, ansia o chissà cosa.
«Shaoran.» Mi rivolse un sorriso a trentadue denti, porgendomi una mano.
Feci scivolare le mie dita libere sulle sue.
«Io sono Sakura.» Strinsi le mie dita attorno a quella grande mano, assorbendone il calore, lasciando che mi avvolgesse. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me, oggi.» Gli sorrisi sincera, parlandogli col cuore, sentendomi finalmente a mio agio.
Incontrai i suoi occhi e non andai in ebollizione come pochi secondi prima. Ero rilassata, e improvvisamente sicura di me stessa. Conoscere almeno una parte di lui aveva cambiato qualcosa: mi aveva fatto capire cos'era quello strano comportamento, da cosa era guidato, da cosa era indotto.
Anche lui strinse le sue dita attorno alle mie e fu quasi come se non volesse più lasciarle. In cuor mio, ad essere onesta, non avrei avuto nulla da ridire.
«Non c'è bisogno di ringraziarmi, è naturale che io mi preoccupi. Chiunque si sarebbe comportato così.»
Tacqui, chiedendomi se al suo posto in quel momento avrebbe potuto esserci qualcun altro, se avesse fatto lo stesso, se avesse avuto su di me lo stesso effetto. Ma la risposta che trovavo era sempre un “no” secco.
«Ma sono contento di averti conosciuta, Sakura. Ti auguro una buona giornata.»
La sua voce carica di sentimento sfiorò le tese corde del mio cuore, strimpellandole e facendone riecheggiare il suono che ne derivò nelle mie vene. Anche io ero contenta e, per una volta, grata alla mia imbranataggine.
«Anche a te, Shaoran.»
Carezzai il suo nome, cullandolo tra i miei pensieri, beandomi di questo. Bastava, davvero, insieme al ricordo della sua figura, della sua voce, della sua risata. Era la prima volta che mi innamoravo e, anche se non eravamo destinati, questo piccolo incontro era abbastanza per lasciarmi un dolce amaro ricordo nel cuore.
«Se è destino, ci rincontreremo nuovamente.» Il suo sguardo si fece più determinato, la sua voce più profonda, mentre pronunciava queste parole. E io riposai in esse, sperando che potesse essere vero. Se eravamo in due a crederci, forse era realizzabile, e questo contrastante, sorprendente, lontano amore sarebbe divenuto possibile.

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Capitolo 7
*** Day 7: Farewell/Reunion ***


7
 


Retrouvailles: The happiness of meeting or finding someone again after a long separation



If I could fly I'd be coming right back home to you.  

Mi guardai allo specchio, chiedendomi se fosse possibile far crescere all'improvviso delle ali sulla mia schiena. Dopotutto, ciò era scritto nel mio nome. Ma se fosse stato possibile, sarei stato in grado di attraversare le dimensioni? Avrei potuto vedere esaudito un ultimo desiderio? Avrei avuto un'altra possibilità, quella di cominciare una nuova vita, insieme a colei che tanto mancavo?
Talvolta mi sorprendevo di me stesso, soprattutto quando ragionavo sul fatto che tutto era cominciato per un mio egoistico desiderio di trovare Shaoran. E adesso invece volevo tornare sui miei passi e poter scegliere di stare con lei. Di restare al fianco di Sakura.
Portai una mano sugli occhi, facendo svanire il mio riflesso, accogliendo l'oscurità, da tempo mia fedele compagna. Mi sentivo un essere spregevole e a volte mi chiedevo quanto meritassi di vivere. Avevo fatto soffrire troppe persone, avevo distrutto le leggi dell'universo, avevo provocato il caos, il tutto per il mio puro egoismo.
Normalmente riuscivo a non pensarci, ad andare avanti, a cercare di trovare soluzioni che potessero rimediare ai danni che avevo provocato.
Tuttavia c'erano momenti, periodi, soprattutto durante la notte, quando venivo lasciato da solo, quando la “incontravo” nei miei sogni, in cui venivo sopraffatto dallo sconforto. In cui volevo piangere, come un bambino, dare sfogo a tutte le mie debolezze.

I'm missing half of me when we're apart.  

Potevo essere forte, potevo andare avanti. Potevo sorridere e lottare e fingere che tutto andasse bene. Fingere che io stessi bene. Potevo convincermene, potevo dirmi che tutto ciò che contava era la consapevolezza del nostro amore e quello bastava. Se pensavo a tutte le persone che venivano separate e continuavano ad amarsi come il primo giorno mi sentivo ridicolo. Non avevo poca fiducia in Sakura, affatto. E nemmeno in me stesso. Non l'avrei mai tradita, non mi sarei mai invaghito di nessun'altra, neppure se si fosse trattata di una Sakura di un'altra dimensione. Non sarebbe stato possibile, perché non sarebbe stata lei. Non la mia Sakura.
Eppure talvolta ci pensavo: a quanto poco tempo avessimo trascorso insieme rispetto a quello in cui eravamo stati separati. Pensavo a come mi struggevo, mentre l'altro me stesso aveva avuto la possibilità di conoscerla e stare al suo fianco. Ma adesso lui era sparito. Mio padre era svanito, insieme a mia madre. E io, allora...
“Io chi sono?”
Osservai nuovamente il mio riflesso, tentando di riconoscermi in quel viso triste. In quegli occhi abbandonati alla solitudine. Non ero solo, certo. Fay, Kurogane e Mokona erano diventati come una famiglia. Ma qualcosa mi mancava. La mia identità. La certezza di essere qualcuno. L'appartenenza ad un nido. La mia unica sicurezza. Sakura...
Mi stesi sul letto, nascondendomi gli occhi con un braccio. Piansi in silenzio, non volendo svegliare e far preoccupare gli altri. Un dolore tremendo mi colpì il cuore, annebbiando la mia mente, finché stremato, spossato, distrutto nello spirito, riuscii ad addormentarmi.
Senza sognare assolutamente nulla.

I've got scars, even though they can't always be seen and pain gets hard, but now you're here and I don't feel a thing.

Quando volse il giorno era come se non avessi affatto riposato. Mi sentivo persino più stanco, le tempie pulsavano a un ritmo martellante. Ma dovevo darmi una regolata e trovare la forza di alzarmi. Il coraggio di affrontare un nuovo giorno.
Sospirai amareggiato e mi sforzai di aprire gli occhi, nonostante le palpebre pesanti. Attraverso la vista offuscata mi accorsi che qualcosa non quadrava. Udivo il frusciare del vento e sulla mia testa scorgevo il velo di un baldacchino. Tende bianche, trasparenti. Mi sembrava di averle già viste, ma di certo non c'erano quando ero andato a letto in quella stanza quasi spoglia. E poi, c'era troppa luce.
Stavo sognando? In tal caso, mi sarebbe bastato chiudere gli occhi e attendere di svegliarmi altrove.
Meditai, per un piccolo istante, sul fatto che Mokona avrebbe potuto trasferirci mentre dormivamo. Tuttavia non era mai successo, quindi non lo ritenevo possibile.
Mi voltai su un fianco e stavo per richiudere gli occhi quando mi ritrovai a trattenere il fiato fin troppo a lungo. Mi pietrificai. Ora era quasi sicuro che fossi ancora intrappolato nei miei meschini sogni. Eppure ci stavo cascando in pieno.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
Non riuscivo a muovermi, nonostante avessi voluto farmi un po' più distante per osservarla interamente.
E se fosse stato un bel sogno che ben presto si sarebbe trasformato in un incubo?
Mi morsi le labbra, mettendomi seduto, sperando di riuscire a liberarmene prima che la situazione degenerasse. Evidentemente il mio rapido spostamento dovette svegliarla. Mi sentii in colpa per averla disturbata, ma d'altronde si trattava soltanto di un sogno, no? Un sogno crudele, tra l'altro. Qualche divinità da qualche parte si stava dilettando a giocare con i miei punti deboli.
La vidi aprire un occhio alla volta e sbadigliare, alzando la testa dal letto e stiracchiarsi, mentre una sua mano era ancora stretta nella mia. Con la sinistra si stropicciò gli occhi e quando la riabbassò il suo sguardo era ancora sonnecchiante. Ma era bellissima. Esattamente come la ricordavo.
Trattenni nuovamente il fiato. Non era divertente, per niente. Dovevo svegliarmi a tutti i costi, non potevo rifugiarmi in un dolce sogno in cui lei era al mio fianco.
«Shaoran?» La sua voce, ancora impastata dal sonno, fu il colpo di grazia. Come potevo rifiutarla, anche se fosse stata un’effimera proiezione della mia mente?
«Sa-Sakura...», sussurrai con un filo di voce, esitante, quasi volessi una conferma che fosse davvero lì, presente.
Lei sgranò gli occhi, portandosi entrambe le mani alle labbra. Era come se avesse appena realizzato qualcosa. Un qualcosa che mi era ancora oscuro.
Si gettò tra le mie braccia, stringendomi fortissimo. Il cuore mi finì in gola. Non poteva neppure minimamente immaginare quanto mi era mancato sentirla così vicina.
Ricambiai la stretta, sprofondando il viso tra la sua clavicola e il suo collo, respirandola, ascoltando i suoi gemiti, la sua voce che continuava a chiamarmi e ripetermi «Bentornato.», percependo i suoi battiti cardiaci, dimenticando la mia supposizione. Lei era lì, viva, in carne ed ossa. Non era una proiezione, non era uno spettro, non era un'illusione, non era uno scherzo del destino.
«Sono tornato.», sussurrai, ancora incredulo. Non capivo ancora come fosse successo, ma era senz'altro così. Potevo immaginare molte cose, ma non l'odore e il calore della sua pelle. Non la sua voce così nitida, e distinta. Non le sue lacrime che rigavano anche le mie guance.
La guardai, asciugandogliele con le mie labbra.
«Non riesco a crederci.», singhiozzò, ma non era affatto triste. Il suo sorriso coinvolgeva i suoi occhi, facendoli splendere come luce del mattino. «Mi sei mancato così tanto.»
Mentre le sue lacrime non cessavano di cadere asciugò le mie con i polpastrelli. Le tremavano le mani. Le sue labbra erano umide, bagnate da quelle piccole perle che parevano irrefrenabili. Un pensiero orribile attraversò i miei pensieri. Quanto la avevo costretta a soffrire? Poi mi diedi una risposta da solo. Avevo fatto a lei un torto orribile, lo stesso che avevo fatto a me medesimo. Ma ora andava tutto bene. Purché lei fosse al mio fianco, sarebbe andato tutto bene.
Le sorrisi, carezzandole il viso. Mi sentivo finalmente leggero, in pace. Le sue guance arrossirono, ma quelle labbra continuavano a contenere a stento la gioia, quello sguardo liquido continuava a rivolgersi direttamente ai miei occhi. La osservai, senza distogliere neppure per un istante lo sguardo, e così le aprii il mio cuore.

For your eyes only, I show you my heart.


 
 
NdA: 
Perdonate l'estremo ritardo! Ma quanto meno siamo giunti alla fine, quindi ringrazio tutti coloro che hanno letto questa breve raccolta ^_^ So di non essere bravissima, e spero di non aver fatto troppi errori ç.ç  
Riguardo quest'ultima one-shot, è incentrata su un piccolo momento di debolezza. Penso che capiti a tutti, prima o poi, di sentirsi persi e colpevoli, ma alla fine la luce tornerà sempre a risplendere. Quindi, non abbandoniamoci mai allo sconforto!
Come qualcuno avrà capito, l'idea mi è venuta ascoltando la canzone dei One Direction "If I could fly". Penso che si noti che è la prima volta che scrivo una sorta di song-fic haha Devo ancora migliorare molto, e ce la metterò tutta!
Un grazie ancora a voi che leggete, siete stati molto carini a giungere fin qui.
Tanti abbracci, 
Steffirah

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