Una vita senza di te significa non vivere per niente 2

di Horse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love. ***
Capitolo 2: *** Problems. ***
Capitolo 3: *** It's over. ***
Capitolo 4: *** Eve. ***
Capitolo 5: *** Merry Christmas. ***
Capitolo 6: *** Getting together ***
Capitolo 7: *** Nina's birthday. ***
Capitolo 8: *** Where are you? ***
Capitolo 9: *** Broken. ***
Capitolo 10: *** We hate you. ***
Capitolo 11: *** You're just ridiculous. ***
Capitolo 12: *** I will be always with you. ***
Capitolo 13: *** I feel weird. ***
Capitolo 14: *** I'm sorry. ***
Capitolo 15: *** What are you doing? ***
Capitolo 16: *** Upset. ***
Capitolo 17: *** What's goin on? ***
Capitolo 18: *** You'll be fine. ***
Capitolo 19: *** It's done. ***
Capitolo 20: *** Only us. ***
Capitolo 21: *** You'll be able to walk. ***
Capitolo 22: *** Welcome back, Nina. ***
Capitolo 23: *** I did it! ***
Capitolo 24: *** She made me better. ***
Capitolo 25: *** This is the end. ***
Capitolo 26: *** We'll be together, forever. ***
Capitolo 27: *** We're just us, we and the kids. ***
Capitolo 28: *** We are the same. ***
Capitolo 29: *** Much love. ***
Capitolo 30: *** Heaven. ***
Capitolo 31: *** We are together. ***
Capitolo 32: *** Peace. ***
Capitolo 33: *** The problems begin. ***
Capitolo 34: *** They know. ***
Capitolo 35: *** I'll be your hero. ***
Capitolo 36: *** Let them know. ***
Capitolo 37: *** Like famous people. ***
Capitolo 38: *** Home is where you are. ***
Capitolo 39: *** Finally at home. ***
Capitolo 40: *** You are my life. ***
Capitolo 41: *** I'm here for you. ***
Capitolo 42: *** News. ***
Capitolo 43: *** Organization. ***
Capitolo 44: *** We'll try. ***
Capitolo 45: *** Happiness or not? ***
Capitolo 46: *** You are my person. ***
Capitolo 47: *** With all the Love. ***
Capitolo 48: *** Eight Years Old. ***
Capitolo 49: *** Be positive. ***
Capitolo 50: *** Happiness is everywhere. ***
Capitolo 51: *** We're going to try. ***
Capitolo 52: *** Going on. ***
Capitolo 53: *** Birthday and wishes ***



Capitolo 1
*** Love. ***


                                       Love.

First Chapter.

Pov Ian.

Dovrei dormire, lo so, eppure non ci riesco. Averla qui, addormentata, tra le mie braccia, mi rende l’uomo più felice del mondo e in questo momento potrei toccare il cielo con un dito. Aspettavo da tanto questo momento, non tanto il fatto di fare l’amore con lei -non era nemmeno mia intenzione farlo, io ero venuto solamente per dirle che l’amo e chiarire- anche se non mi è comunque dispiaciuto, e tutto è andato a finire nel migliore dei modi, mi sembra quasi di star sognando ad occhi aperti. Tutto quello che le ho detto è la pura verità e sono felice, molto più che felice, che Nina abbia capito e penso di essermi meritato quello schiaffo, anche se comunque un secondo dopo mi ha baciato. Giuro di aver avuto veramente paura quando me l’ha tirato, ma fortunatamente un secondo dopo le sue labbra sono state sulle mie e abbiamo finito col fare l’amore. Ho provato così tante sensazioni in una sola volta che non riesco quasi a ricordarle, ma il ricordo delle mie labbra su tutto il suo corpo e delle sue sul mio rimarrà per sempre nella mia testa, come un segno indelebile che non può essere cancellato.

Non ho più alcun pensiero, mi sembra di essere tornato semplicemente l’uomo felice di una volta -l’uomo che ero solo con Nina. Sono sparito questa mattina, lasciando un misero bigliettino con scritto che avevo un impegno di lavoro, ho preso la macchina e sono partito per Toronto con un solo obiettivo e l’ho realizzato. Credo che, a dispetto di tutto, questo sia il miglior compleanno di tutta la mia esistenza e lo sarà sempre quando avrò Nina al mio fianco. Spero solo che Nikki non si sia insospettita, non perché mi importi qualcosa di lei, ma voglio essere io a spiegare tutto, in modo particolare ai bambini. No, non l’ho fatto per loro. Certo, la situazione migliorerà sicuramente anche per loro e ne saranno felicissimi, ma ho fatto tutto questo perché io amo veramente Nina come non ho mai amato nessun’altra.

Nina ogni tanto si muove contro il mio petto, mormorando qualcosa nel sonno, ma è completamente tranquilla e rilassata. Con una mano le cingo la vita, mentre con l’altra continuo ad accarezzarle i capelli e dopo un po’ mi addormento contro il cuscino.

Mi sveglio colpito dai raggi del sole che entrano dall’enorme finestra della grande stanza in cui ci troviamo, mentre Nina continua a dormire come un ghiro e non me la sento di svegliarla proprio ora, credo che abbia bisogno di dormire almeno un altro po’. Il lenzuolo è caduto fermandosi all’altezza della vita ed è quasi completamente scoperta contro il mio petto. La mia pelle, a contatto con la sua, brucia ancora, ma non è il momento. Questa notte è stata la migliore di tutta la mia vita e ci vorrà del tempo per sistemare tutto, per ora voglio solo godermi questo fantastico momento contornato da pace e da tranquillità.

Mi volto leggermente per afferrare il cellulare per controllare l’ora, ma il mio schermo è invaso da messaggi e da chiamate perse -quasi tutte da Nikki. Non voglio leggere i messaggi, per questo apro solo quello di mia madre e mi assicuro che i bambini stiano bene, poi appoggio di nuovo il cellulare sul comodino.

Sono le 9.15 pm, decisamente tardi, e solo ora mi chiedo a che ora Nina abbia il volo per ritornare ad Atlanta. Ieri parlava di qualcosa riguardante la mattina e spero solo che non lo abbia già perso, ma rimedieremo comunque in qualche caso. Decido di svegliarla e le poso un bacio sul naso, all’angolo della bocca e poi sulla fronte. Mugugna qualcosa, apre un occhio, poi si lascia ricadere sul cuscino facendomi ridacchiare. 

 

“Nina, svegliati, forza.”- le sussurro all’orecchio.

“Altri cinque minuti.”- borbotta con la bocca schiacciata contro il cuscino.

 

E’ troppo addormentata perfino per alzare la testa o per guardarmi negli occhi. Mi sembra tutto così normale, ma so, per certo, che dobbiamo parlare. Non mi sto pentendo di nulla, sia chiaro, ma quello che è successo ieri sera ha bisogno di essere spiegato o, per lo meno, Nina ha bisogno di chiarire perché è lei quella con mille dubbi.

 

“A che ora avevi il volo?”- le domando giocando con una ciocca di capelli.

“Non lo so…”- mormora coprendosi fin sopra la testa. -“Per le otto, credo. Forse otto e mezza.”

“Sono quasi le nove e mezza, l’hai perso.”- le faccio notare.

Come sempre.”- mi dice e la sento sbadigliare.

“Non credi che sia ora di alzarsi?”- le domando sorridendo.

Tu fai troppe domande.”- mi dice cinica togliendosi finalmente le coperte dalla testa.

 

Ha un sorriso ad incurvarle le labbra e i capelli tutti spettinati, ma non l’ho mai vista più bella di così e il solo pensiero di quello che è successo questa notte mi fa sorridere come un ebete.

 

“Sei sempre così attivo di prima mattina.”- borbotta appoggiando la testa contro la testiera.

“Dovresti ricordartelo.”- le ricordo appoggiando una mano sulla sua gamba.

“Credo che noi due dobbiamo parlare.”- mi dice guardandomi, ma non trovo traccia di pentimento sul suo sguardo, è completamente rilassata. -“Senza saltarci addosso.”

“Sei tu che l’hai fatto, non io.”- le ricordo fintamente offeso.

“E tu hai continuato.”- sorride spostandosi una ciocca di capelli dal volto. 


Okay, ha ragione, ma non potevo non farlo. Sinceramente ieri sera non ero molto in me, non che fossi ubriaco, ma ho dato libero sfogo a quello che credevo più giusto e ho fatto bene, davvero.

 

“Non me ne sono pentita, se è questo che vuoi sapere.”- mi dice.

“Neanche io, assolutamente.”- le dico accarezzandole una guancia.

“E’ solo… E’ tutto così strano.”- mi dice piano.

“Strano perché?”- domando leggermente spaventato.

“Ian, non devi spaventarti.”- mi sorride dolce. -“Strano perché… Non l’avevo pianificato. Ho passato otto anni della mia vita a pianificare tutto e ieri è stato tutto così improvviso. Vivere alla giornata è quello che facevamo insieme ed è stato come ritornare ai vecchi tempi.”

“Ci stavo pensando anche io. Mi mancavano i vecchi tempi.”- mormoro continuando a sorridere. Le poso un bacio sulla fronte e lei non si ritrae facendomi sorridere ancora di più. -“Mi mancavi tu.”

“Mi sei mancato anche tu. Sono ancora arrabbiata con te per quello che mi hai detto, nel senso… Sei stato stupido a lasciarmi andare anni fa, ma so che l’hai fatto per il mio bene. Hai pensato prima a me e dopo a te, e questo ti fa onore, ma tu sei sempre stato così. Ma fallo un’altra volta, intendo decidere per me, e ti spezzo le gambe, giuro.”- mi guarda seria incrociando le braccia al petto coperto dal lenzuolo.

 

E questa minaccia mi fa paura, ma mi fa anche sorridere. So che ha sempre odiato che gli altri decidessero per lei e se tornassi indietro non lo rifarei, ma sono comunque felice per la mia scelta -per metà ovviamente-, perché se non l’avessi fatto non sarebbe mai diventata così indipendente.

 

“Non lo farò, te lo prometto. Ora che ti ho trovato non ti lascerò mai più.”- le dico guardandola negli occhi. 

“Ne sei convinto?”- mi domanda.

 

E ora rivedo la donna insicura di anni fa, quella che credeva che avessi potuto lasciarla perché non la ritenevo degna, quando, quello a farsi problemi, sarei dovuto essere io, io ero quello non degno, non lei. La bacio dolcemente sulle labbra appoggiando una mia mano dietro la sua schiena nuda.

 

“Non ti sembro convinto?”- le domando. -“Ho fatto quindici ore di macchina per venire da te nel giorno del mio compleanno, ho attraversato mezza America per te. Ti sembra che io non ne sia convinto? Nina, te l’ho detto ieri, te lo dico oggi e te lo ripeterò all’infinito. Io ti amo, ti amo in un modo devastante, in un modo struggente, ma appagante allo stesso tempo. Hai idea di come tu abbia cambiato la mia vita? Da quando… Ci siamo lasciati, ero… Non ero più io e tu, in meno di cinque mesi, mi hai fatto ritornare quello che ero. Certo, l’hai fatto a suon di litigate, ma l’hai fatto.”

 

Nina sorride sulle mie labbra e appoggia una mano sul mio petto caldo, poi alza gli occhi sui miei. 

 

“Sono stata cattiva con te.”- si scusa. 

“Non quanto io lo sono stato con te, ma è acqua passata.”- le dico baciandola ancora.

 

Le sue labbra sono come una calamita per le mie e, ora che posso baciarla senza alcun freno, non posso più farne a meno.

 

“Vuol dire che mi perdoni?”- mi domanda con voce piccola.

“L’ho già fatto da un bel pezzo, arrivi tardi.”- scherzo solleticandole un fianco facendola ridacchiare. -“Tu l’hai fatto?”

“Credo di averlo già fatto da tempo, ma, come hai detto tu, sei venuto qui, nel giorno del tuo compleanno, per me, quindi si, ti perdono.”- mi dice.

“E’ stato il miglior compleanno della mia vita, sai?”- le dico abbracciandola dolcemente.

 

Nina appoggia la testa sul mio collo e io respiro il profumo dei suoi capelli. Mi era mancato anche questo, ma c’è ancora qualcosa che manca, il mio profumo sul suo meraviglioso corpo.

 

“Non ti ho fatto nemmeno gli auguri.”- si scusa guardandomi incerta negli occhi. -“Sono un mostro.”

“No, non lo sei. Credo che tu mi abbia fatto il miglior regalo della mia vita.”- le dico sincero.

“Venendo a letto con te?”- mi domanda timida.

“Io direi più aver fatto l’amore.”- la correggo, ma poi scuoto la testa. -“No, non per quello. Il tuo regalo è stato dirmi ti amo.”

“Ti amo.”- mormora contro le mie labbra.

“Ti amo anche io.”- le dico riprendendo a baciarla.

 

















 

                                                                       * * *

















 

Alla fine Nina mi ha bloccato dicendomi che aveva bisogno di una doccia e mi ha invitato a seguirla -ed io, ovviamente l’ho fatto. Ci siamo ritrovati a fare l’amore sotto la doccia e come risultato siamo usciti più freddi dei pinguini, ma n’è valsa la pena. Ci siamo vestiti, abbiamo ordinato la colazione in camera e ora siamo pronti per partire, più o meno.

 

“Credo di dover prendere un altro biglietto visto che il mio è andato perso.”- mi dice chiudendo la cerniera della sua mega borsa.

“Potresti venire con me.”- le suggerisco baciandole piano il collo.

“Sai che disastro verrebbe fuori?”- mi domanda voltandosi quasi totalmente verso di me. -“Voglio dire… Sarebbe troppo palese.”

“Io non ho nessun problema.”- le dico con un’alzata di spalle.

 

E’ forse lei ad avere qualche problema?

Fortunatamente si affretta a chiarire.

 

“Neanche io, lo sai.”- mi accarezza una guancia coperta da un leggero strato di barba. -“Ma non voglio crearti problemi.”

“Mi annoierò a morte per quindici ore, ti prego.”- la supplico. -“All’andata stavo pensando ad un discorso serio da farti, anche se alla fine ho dimenticato tutto, mentre ora non ho niente da fare, tranne pensare a quello che abbiamo fatto.”

 

Le rivolgo un sorrisetto malizioso e le sue guance si colorano di rosso. La amo ancora di più per questo suo lato in costante imbarazzo.

 

“Quindi ho bisogno di qualcuno che possa distrarmi, tipo”- faccio finta di pensarci. -“tu.”

“Sei impossibile.”- borbotta, ma posso vedere il suo sguardo divertito.

“Allora, vieni con me?”- le domando.

“Ho altra scelta?”- mi dice inclinando la testa di lato.

“Mmm… No.”- le rispondo.

“Andiamo, allora.”- mi dice accarezzandomi il dorso della mano.

 

Pov Nina.

Quello che è successo questa notte è stato… E’ successo e basta. Non mi pento di nulla, però. Prima l’avrei fatto sicuramente, avrei continuato a rimuginare su tutto mettendo gli altri al primo posto, ma ora no, perché so quello che voglio. Voglio Ian, l’ho sempre voluto, ma me ne sono resa conto soltanto ora. Io non volevo rovinare il rapporto che aveva con sua moglie, ma ho capito che è già un rapporto rovinato e che non si potrà mai riparare, quindi, come ha detto Ian stesso, non è assolutamente colpa mia e se lui lo vuole lo voglio anche io. L’ho respinto per troppo tempo, chiudendomi in me stessa, cercando di nascondere, di sotterrare brutalmente, i miei veri sentimenti, ma ora sento che non posso più farlo perché io lo amo veramente e lui ama me. Sebbene non apprezzi molto il suo comportamento di otto anni fa ho capito perché l’ha fatto, ha messo davanti alla sua felicità prima me, per lasciarmi libera, e lo amo ancora di più per questo, ma non deve più decidere per me. Sono una donna indipendente ora, con i miei spazi, e non voglio che uno decida per me rovinando tutto, ma credo che Ian l’abbia capito ora. Se solo l’avessimo fatto prima… Avremo evitato sicuramente molte situazioni e avremo ferito meno persone -ci saremo feriti di meno.

Sono già passate cinque ore di viaggio e Ian non ha mai smesso di stuzzicarmi e sembra tornato tutto alla normalità, come tanto tanto tempo fa. 

 

“Ora tocca a me scegliere!”- gli dico mettendo la mano avanti sulla manopola della radio.

“Credevo che i miei gusti musicali ti piacessero.”- si lamenta mettendo il broncio.

“Si, ma ora tocca a me.”- gli dico cambiando canzone mettendo i Coldplay. -“Abbiamo deciso così, non imbrogliare.”

 

Le note di Paradise inondando la macchina facendomi subito rilassare contro il sedile di pelle dell’auto. Mi mancava tutta questa tranquillità e sentirmi così con Ian mi fa sentire in pace con me stessa.

 

“Come puoi non apprezzare i Linking Park?”- mi domanda. -“Non l’ho mai capito.”

“Non è che non gli apprezzi.”- tento di spiegarmi facendolo ridacchiare. -“Ho diritto anche io di ascoltare una cosa che mi piace davvero.”

“Imparerai ad apprezzarli.”- mi dice sicuro di se.

“E tu imparerai ad apprezzare i Coldplay.”- ribatto io incrociando le braccia al petto.

 

Ian scuote la testa e io continuo a canticchiare le note della canzone che ormai sta quasi giungendo al termine. La mano di Ian, quella non impegnata al volante, si appoggia sulla mia, appoggiata a sua volta sulla mia gamba, e ne accarezza piano il dorso. Incrocio il suo sguardo e sorrido, mentre i suoi occhi brillano.

 

“Hai fame?”- mi domanda.

“Un po’.”- mormoro sentendo il mio stomaco brontolare. -“Ci fermiamo da qualche parte?”

“Con qualche parte intendi qualche Burger King, vero?”- mi domanda ridacchiando.

 

Sa che adoro i panini e qualsiasi cosa legati ad essi. Mi conosce troppo bene ormai e la cosa non mi spaventa. Siamo diversi, ma molto simili, e credo sia importante per una coppia conoscere i pregi e i difetti dell’altro, è una cosa che mi è sempre piaciuta.

Non so cosa siamo io e Ian, ma per ora mi godo il momento. Vogliamo stare insieme, Ian me l’ha ripetuto per tutte le cinque ore di viaggio, e io mi trovo d’accordo con lui, ma dobbiamo risolvere tante cose.

 

“Si, ti prego!”- lo supplico con gli occhi.

“Ai suoi ordini, madame.”- mi dice ridacchiando per la mia faccia, sicuramente. -“Ne vedo uno proprio lì.”

 

Ian svolta a sinistra bruscamente, facendomi quasi finire in braccio a lui, e accosta la macchina. E’ una fortuna che questa abbia i vetri oscurati, abbiamo potuto viaggiare in tutta tranquillità fino ad ora. Prima di scendere mi chiede se prendo il solito ed io annuisco sorridendo, poi va a prendere il nostro pranzo. Non vedo l’ora di essere a casa, non vedo l’ora di mettere i piedi su qualcosa di fermo e stabile, ma se scendessi, e se ci fosse qualcuno, sarebbe veramente la fine. Voglio tenere ancora la cosa segreta per un po’, aspettare che le cose si stabilizzino, e poi quello che dovrà accadere accadrà. Ian ritorna dieci minuti con due sacchetti enormi di cibo spazzatura in mano che fanno gorgogliare ancora di più il mio stomaco. Apre la porta, si siede, e poi la richiude porgendomi il mio sacchetto, dal quale fuoriesce un profumo fantastico.

 

“Non è la cosa migliore, ma andrà bene.”- mi dice mentre apre il suo sacchetto con un menù senza glutine.

“Per me è la cosa migliore, fidati.”- gli dico dando un morso al panino.

“Mi dispiace soltanto per il tuo fegato!”- mi dice inclinando il capo.

“Anche tu”- mangio una patatina. -“stai mangiando questo.”

“Non oso immaginare quante volte tu l’abbia fatto in questi anni.”- mi dice ridacchiando.

“Non molto, se devo dire la verità.”- gli dico sorseggiando la Coca-Cola. -“Non voglio che i bambini si abituino a mangiare troppe schifezze. Già Stefan di nascosto rubava i biscotti.”

 

Ian mi guarda sorpreso e poi scoppia a ridere trascinando anche me.

 

“E’ proprio tuo figlio!”- continua a ridacchiare.

“Quando si comporta bene è tuo figlio e quando mangia è mio figlio?”- gli domando accigliata, ma comunque divertita.

 

So che sta scherzando, e mi piace questa complicità. Mi mancava il nostro rapporto e per quanto prima fossimo tornati amici non eravamo mai come siamo adesso.

Ora è tutto diverso, siamo più noi e la cosa mi rende la donna più felice del mondo perché, soprattutto, sono con l’uomo che amo. E’ stata travagliata tutta questa storia, ma so che si risolverà nel migliore dei modi, me lo sento.

 

“Decisamente si!”- annuisce convinto.

 

Gli tiro dietro una patatina, che prontamente schiva, facendola finire contro il finestrino. Continuiamo a parlare tranquillamente, poi alla fine, una volta finito di mangiare e pulito tutto, ci rimettiamo in viaggio.

 

















 

                                                                              * * *

















 

Penso di essermi addormentata, anzi, l’ho sicuramente fatto visto che sento qualcuno scuotermi dolcemente. Apro gli occhi e mi scontro con l’azzurro limpido di quelli di Ian.

Mi accarezza piano i capelli e mi da un bacio sulle labbra che io ricambio subito. 

 

“Ti ho portata a casa, ora vado a prendere i bambini.”- mi dice sorridendo.

 

E ancora una volta capisco che mi conosce troppo bene. Apprezzo la sua scelta, arrivare insieme sarebbe stato un controsenso, avremmo fatto solo confusione e basta e la scusa ci siamo trovati per caso non avrebbe retto, non con Nikki. Mi aiuta a scendere dalla macchina e io accetto volentieri il suo invito.

 

“Hai tutto?”- mi domanda apprensivo.

“Certo, si.”- gli sorrido.

“Non combinare danni, tra quindici minuti sarò di ritorno.”- mi beffa.

“Guarda che potrei offendermi.”- dico mettendo su il broncio.

“No, non farlo…”- mormora contro le mie labbra.

 

Questa volta sono io a baciarlo facendolo sorridere. 

Mi da un ultimo bacio e mentre accende la macchina io vado dentro casa. Non appena entro mi butto subito in divano e ogni mio muscolo si rilassa facendomi sorridere beata. Sono stata via solo per un giorno, quasi due, ma mi era mancata veramente casa -i bambini, ovviamente, sono quelli che mi sono mancati di più. Spike mi viene incontro, richiedendo attenzioni, e lo prendo in braccio mettendomelo sopra la pancia. Sta crescendo, ma non è ancora così grosso. Mi lecca il naso felice.

 

“Si, mi sei mancato pure tu.”- gli dico ridacchiando e inizio a coccolarlo un po’.

 

Non so quanto tempo passa, ma quando sento il campanello suonare mi precipito subito verso la porta. I bambini mi saltano in braccio facendomi cadere all’indietro e io gli riempio di baci.

Loro mi sono mancati più di tutti! 

 

“Mamma, ci sei mancata!”- mi dicono in coro.

“Anche voi, tantissimo!”- li bacio ancora su una guancia mentre Ian si chiude la porta alle spalle sorridendomi. Non credo sia il caso di dire loro le novità, prima dobbiamo essere sicuri di tutto. -“Venite, vi ho preso qualcosa.”

 

I bambini mi seguono felici mentre Ian ridacchia divertito. Dalla mia borsa tiro fuori due peluche, un cane, il preferito di Stefan, e un serpente, il preferito di Joseph. 

 

“Grazie mamma!”- mi dice Stefan buttandomi le braccia al collo.

“E’ bellissimo!”- urla Joseph dandomi un bacio sulla guancia.

 

Ian accarezza entrambi i bambini sulla testa, mentre io dico loro di andare a letto perché è tardi. Entrambi, senza fare troppi capricci, obbediscono lasciandoci da soli. Ian, una volta accertatosi che i bambini siano spariti, mi prende per i fianchi e mi attira a se. Mi bacia con tale irruenza da farmi tremare le gambe, ma io lo lascio fare ricambiando il bacio allo stesso modo. Mi morde piano un labbro mentre io mi diverto a scompigliargli i capelli. Quando lo fanno gli altri li ha sempre fulminati, mentre quando lo facevo io -come adesso- se lo lascia fare.

Si stacca da me ansante.

 

“Devo tornare a casa, altrimenti si insospettiranno tutti quanti.”- mi dice accarezzandomi una guancia. So che ha ragione, inoltre anche i bambini potrebbero scendere da un momento all’altro per venire a controllare e sarebbe la fine. -“Tornerò domani, devo solo dirglielo.”

 

Non dice il nome, ma so bene a chi si riferisce.

 

“Ha detto che mi deve dire una cosa di vitale importanza, spero solo che non abbia scoperto qualcosa.”- mormora guardandomi leggermente turbato.

“Vedrai”- gli accarezzo i capelli. -“non sarà nulla.”

“Lo spero.”- mi bacia ancora. -“Ti amo.

“Ti amo anche io.”- gli dico e lo vedo allontanarsi.

 

Dentro di me però nasce un profondo senso di inquietudine.

Perché questo bacio e questo discorso sembrano tanto di allontanamento?

 

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Come vi avevo promesso eccomi qui con il sequel di Una vita senza di te significa non vivere per niente. Il titolo non è il massimo dell'originalità, lo so, ci ho aggiunto solo un 2, ma mi avrebbe turbato parecchio stravolgere completamente anche quello, quindi ho preferito così.
Questo, come avrete potuto vedere, è un capitolo molto diverso degli altri perchè i nostri Nian sono finalmente insieme e... Ho adorato scrivere scene di questo tipo, ma... Si, c'è sempre un ma. Non sarà tutto rose e fiori, vi ho detto che mi amerete e odierete allo stesso tempo, sorry :')
Sostanzialmente non ho nulla da dire su questo capitolo fatto completamente da momenti dolci dei Nian, spero solo che vi sia piaciuto.
Ringrazio ancora tutte voi per il successo che ha avuto la versione precedente di questa storia e spero che questo sequel venga altrettanto seguito visto che molte di voi me l'avevano chiesto e sono stata ben felice, avendolo già pensato, di accontentarvi.
Per quanto riguarda i Missing Moments inizierò oggi a scriverli, non saranno molto lunghi, ma saranno comunque un tuffo nel passato e spero che siano seguiti anche quelli :)
Per adesso, come ho sempre fatto, posterò ogni tre giorni; da settimana prossima, da quando comincerà la scuola, quindi, vedrò di organizzarmi per gli aggiornamenti, ma comunque vi dirò tutto la prossima settimana.
Grazie ancora, alla prossima <3

 

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Capitolo 2
*** Problems. ***


                                      Problems.            


Second Chapter.

Pov Ian.

Sono felice, dopo tanto tempo finalmente sono di nuovo felice come non lo sono mai stato -esclusi i bambini, loro saranno sempre la mia felicità.

Nessuno ha sospettato niente, la scusa del lavoro è andata a buon fine, e un po’ mi sento in colpa, ma ho capito che nella mia vita ho sacrificato davvero tanto e ora per me è venuto il momento di essere di nuovo felice. Mi dispiace per Nikki, infondo è stata con me per quasi nove anni, e le voglio bene, ma non la amo più e non avrebbe più senso. Sembrava andasse tutto bene, prima, ma poi le cose da due mesi, circa, sono capitolate di nuovo e, ora, l’unica cosa che ha senso è farla finita, per davvero. Dopo vivrò con Nina, la donna che amo, e i miei figli e finalmente potremo essere una vera famiglia.

L’unica cosa che mi preme sapere, però, è quello che Nikki abbia da dirmi. Sembrava seria, tesa, forse un po’ emozionata. La cosa mi spaventa un po’, ma prima mi dirà quello che deve dirmi e prima tornerò da Nina.

La raggiungo a casa nostra, che tra poco sarà solo sua, parcheggio la macchina e, una volta essere sceso, mi dirigo verso l’appartamento. Non busso nemmeno, apro la porta con le chiavi, e trovo la luce accesa con Nikki seduta sul divano con qualcosa in mano.

Non appena mi vede un sorriso spontaneo le nasce sulle labbra e io sorrido di rimando, ma è più un sorriso falso. Mi viene incontro felice e mi abbraccia.

Sul serio mi sta abbracciando dopo che, in questi ultimi due mesi, non abbiamo fatto altro che urlarci contro?

Io le donne non le capirò mai.

 

“Finalmente sei tornato!”- mi dice sorridendo.

“Si, uhm.”- mormoro grattandomi la testa. -“Senti Nikki, devo dirti una cosa.”

“Anche io, è davvero importante.”- mi sorride e, a differenza mia, non sembra affatto tesa.

 

Forse dovrei lasciare che parli prima lei, almeno dopo, quando avrà finito, potrò finalmente sganciare la bomba.

 

“Prima tu.”- le dico cercando di sembrare tranquillo.

“Io… Io non so come sia possibile, non… L’abbiamo cercato per tanto tempo, è… Fantastico!”- mormora emozionata. Cosa vuole dirmi? Cos’è che abbiamo cercato per tanto tempo? -“Sono così felice, Ian, finalmente ora potremo andare avanti.”

 

Ha trovato qualcun altro e mi sta lasciando? Se è felice per questo credo che sia tutto più semplice, ma sarebbe troppo facile. Tra le mani tiene qualcosa di bianco, di rettangolare. Senza giri di parole me lo porge con mani tremanti mordendosi il labbro.

Prendo l’oggetto tra le mani e sbianco di colpo.

No, non può essere.

 

“Sono incinta, avremo un bambino!”- mi dice euforica.

 

Ian, svegliati, ti prego. E’ un sogno, anzi, è un incubo. Deve essere un incubo! Ora mi sveglierò e sarò tra le braccia di Nina, deve essere così. Lei non… Non può essere incinta, non può aspettare un bambino da me.

Io… No, non può essere. Non ora.

 

“Non dici nulla?”- mi domanda leggermente turbata scuotendomi dai miei pensieri. -“Hai sempre voluto un bambino, ora ne avrei uno. Sarà nostro. Certo, ci sono anche i gemelli, ma avremo qualcosa di nostro.”

 

Cosa dovrei dirle? Che ero venuto qui per lasciarla e che non voglio prendermi la responsabilità di questo bambino?

Che razza di uomo sarei? Non posso farlo, è pur sempre mio figlio. Sto ancora sperando, però, che qualcuno sbuchi dal nulla e urli pesce d’aprile, anche se non siamo ad aprile.

Ma nessuno esce dal nulla, siamo solo io, impietrito, e Nikki, confusa. E’ incinta, Nikki aspetta un bambino, mio figlio. Perché il karma è così stronzo? Perché proprio ora?

Nikki mi prende una mano e se la porta sulla pancia chiara. 

 

“Non sei felice?”- mi domanda amareggiata. -“Qui dentro sta crescendo nostro figlio.”

 

No, non sono felice, ma non posso nemmeno abbandonare mio figlio. E’ mio, così come i gemelli, non… Non posso fare lo stesso errore che ho fatto tempo fa, lui ha diritto di crescere con me.

Sorrido allora, seppur il mio sorriso sia falso come le banconote del Monopoli, sorrido. Goffamente, cercando di mettere in atto le mie doti d’attore, abbraccio Nikki, ma non provo nulla. Non provo le scosse e i brividi che provo con Nina, provo il vuoto.

 

“Certo che sono felice.”- mento tentando di risultare convincente. Nikki mi stringe ancora più forte. -“Sono rimasto solo sorpreso.”

“Credevo che non lo fossi.”- mormora contro una mia spalla. -“Credevo non lo volessi.”

“Non potrei mai farvi questo…”- mormoro mordendomi la lingua.

 

Perché non posso avere nemmeno un briciolo di felicità? Non posso abbandonarla ora che porta in grembo mio figlio, ma così distruggerò completamente Nina, e io non voglio ferirla.

Ma non posso nemmeno abbandonare questa piccola creatura nata per sbaglio e so, nel profondo del mio cuore, che Nina non me lo permetterebbe mai. Nina, sapendo quello che hanno provato i gemelli, non mi permetterebbe mai di abbandonare questo bambino, mentre io non so cosa fare.

Non voglio abbandonare questo bambino, è pur sempre mio figlio, ma anche i gemelli lo sono e Nina è la donna che amo. Se stessi con Nina farei felice me, lei e i bambini, ma priverei un altro bambino, quello di mia moglie, di avere una figura costante nella sua vita. Ma se stessi con Nikki renderei felice solo lei, mentre starei male io -e di conseguenza i bambini e Nina.

Non so cosa fare.

 

“Avremo un bambino…”- mormora felice contro la mia spalla. -“Uno tutto nostro.”

“Avremo un bambino, si…”- mormoro anche io, ma molto meno felicemente.

 


















 

                                                                       * * *


















 

 

Questa notte, dopo così tanto tempo, Nikki ha dormito abbracciata a me e ha continuato a parlare per quasi due ore di questo bambino e di come lei sia felice. Ho cercato di starle dietro, ho veramente tentato, e forse ci sono pure riuscito visto che lei non ha sospettato nulla.

Ha detto che voleva dirmelo ieri, nel giorno del mio compleanno, per farmi un regalo, ma io ovviamente non c’ero e quindi me l’ha detto solo oggi.

Non ho dormito per niente e oggi devo lavorare, devo recuperare qualche scena. Lavoreremo per un’altra settimana circa, poi andremo in pausa per le vacanza di Natale. Questa notte non ho dormito, ho pensato troppo e ho cercato di venire a capo di qualche soluzione, ma non l’ho trovata. Forse una ne ho trovata, ma sarebbe quella peggiore.

So quanto delicata sia una gravidanza e se dicessi a Nikki che la voglio lasciare potrebbe accadere qualcosa di brutto e io non voglio. Mia sorella mi ha raccontato, ancora tempo fa, che il malessere della madre si riflette sul bambino e io non posso farlo e non voglio neppure ferire Nikki in questo preciso momento della sua vita. Ci sarò per questo bambino, mi sembra ovvio, ma non so come. Dall’altra parte c’è una donna, quella che amo, che questa notte avrà dormito serenamente e felice di rivedermi ancora una volta, non sapendo quello che l’aspetta. Con che coraggio dirò a Nina che Nikki è incinta di mio figlio? Non andavamo d’accordo da tempo, ma per sbaglio, o per provare a riparare qualcosa, meno di due mesi fa sono andato a letto con lei e, come se fosse uno scherzo del destino, è rimasta incinta, proprio ora. 

Chi devo mettere davanti prima? Nina, con i miei figli, o Nikki, con un bambino non ancora nato? I bambini non sanno nulla dell’attuale avvicinamento, in questo modo provocherei dolore solo a Nina, ma io non voglio farle del male, la amo troppo per distruggerla. Ma dall’altra parte farei del male a due persone, facendo lo stesso errore che ho fatto con Nina e che mi sono ripromesso di non fare mai più. Molto probabilmente perderò alcune cose importanti di mio figlio, quello non ancora nato, perché Nikki sarà troppo incazzata perfino per farmelo vedere. Potrei ricorrere all’uso di un avvocato, ma a che pro? Non ci sarebbe nessuna spiegazione logica per ricorrere a questa via, lo so.

La sveglia suona e mi alzo dal letto attento a non svegliare la donna accanto a me -penso che sia troppo stanca.

Mi preparo svogliatamente, non faccio nemmeno colazione, e, una volta uscito, mi blocco con le chiavi in mano davanti alla macchina.

Cosa devo fare? Ho promesso ai bambini che li avrei accompagnati a scuola, ma questo significa rivedere Nina. Voglio vederla, ho veramente bisogno di farlo, ma come posso dirle quello che ho appena scoperto?

Non posso fare un torto ai bambini però -e non posso tenere Nina all’oscuro di tutto. Devo parlarne con qualcuno, qualcuno che non sia Nina, tipo Paul. Mi… Ci ucciderà per quello che abbiamo fatto, ma ho veramente bisogno di un consiglio. 

In cinque minuti arrivo a casa di Nina e busso alla porta mentre mi preparo a mettere su un’espressione quasi convincente. Ad aprirmi la porta, come temevo e speravo allo stesso tempo, è Nina. Mi sorride raggiante e mi da un casto bacio sulle labbra che mi fa tremare leggermente le gambe e mi fa salire un magone in gola, che sono costretto a ricacciare. Come posso rovinare tutto questo?

 

“Non ti aspettavo così presto.”- mi dice lei sorridendo mentre entro in casa.

“Ho promesso ai bambini che li avrei portati a scuola.”- le spiego cercando di non far trasparire il mio malessere.

“Certo, sono praticamente pronti. Mi faresti un favore enorme.”- mi sorride afferrando la borsa. -“Io devo andare da Candice per portarle una cosa, un libro.”

“Si, uhm… Va bene.”- biascico.

“E’ successo qualcosa?”- mi domanda rabbuiandosi. -“Gliel’hai detto?”

“Non… Non ne ho avuto il tempo…”- borbotto.

“Non ne sei più sicuro?”- mi domanda con la voce che trema.

 

Esserne sicuro? Ucciderei per stare con lei, solo che non posso dirle quello che ho scoperto, non ora. La ucciderei e ho bisogno di qualche consiglio. La amo così tanto e non voglio accollarle tutte le mie preoccupazioni.

 

“Certo che ne sono sicuro.”- le dico baciandola spinto dal desiderio. E’ sbagliato, lo so, ma questa può essere anche l’ultima volta e io ho bisogno di farle capire quanto la amo. Assaporo piano le sue labbra e lei fa lo stesso con le mie gettando le sue braccia oltre il mio collo. -“Devo solo trovare il… Momento adatto.

 

Nina si stacca da me accarezzandomi dolcemente la guancia.

 

“Va bene, si, lo capisco.”- mi sorride raggiante. -“Mi è sembrato che avessi qualcosa, tutto qui.”

“Non è niente, non ho dormito molto.”- le dico spostandole una ciocca di capelli dalla fronte. -“Andrà tutto bene.”

“Papàààà!”- sento urlare dal salotto.

 

In poco tempo due furie castane si abbattono contro di me facendomi sorridere. Mi si stringe il cuore al pensiero di quello che avrebbero potuto avere i miei figli e che, forse, non potranno più avere. Li abbraccio veramente forte e loro ridono dicendomi che rischio di soffocarli.

 

“Andiamo o faremo tardi.”- dico ad entrami prendendoli per mano. -“Ci… Ci vediamo dopo, sul set.”

 

Nina annuisce e, seppur poco convinta, ci lascia andare chiudendosi la porta alle spalle. I bambini, per tutto il viaggio, mi raccontato cosa hanno fatto con mia madre e il resto della mia famiglia e di come Klaus, o palla di pelo, abbia distrutto quasi tutta la carta da regalo. Mi fingo interessato ai loro discorsi, e qualche volta rispondo pure, ma la mia testa è completamente da tutt’altra parte. Quando arriviamo a scuola saluto i bambini e si dirigono dentro l’edificio insieme ad alcuni amichetti e amichette, ed io approfitto della situazione e del fatto che Phoebe sia andata ad accompagnare all’asilo Rachel per andare da Paul.

Quando mi viene ad aprire la porta è già completamente vestito di tutto punto per andare sul set.

 

“Hey, Ian, vieni, entra!”- mi dice cordiale facendomi entrare.

 

Seguo Paul in salotto e mi siedo sul divano accanto a lui. Ho bisogno di qualcosa da bere, di qualcosa di forte, tipo bourbon.

 

“E’ successo qualcosa?”- mi domanda apprensivo. -“Ti vedo turbato.”

“E’ successo di tutto. Hai qualcosa da bere?”- gli domando.

“Certo, si. Cosa vuoi? Acqua? Coca-Cola? Aranciata? Succo?”- mi domanda e io inarco un sopracciglio facendo una smorfia. Davvero mi conosce così poco? Sembra capire quello che mi passa per la testa e afferra una bottiglia del mio adorato bourbon. -“La situazione deve essere grave se bevi a quest’ora.”

 

Versa il liquido ambrato su un bicchiere di vetro e me lo porge. Lo bevo tutto in un sorso e sento il liquido bruciarmi la gola, ma non mi importa. Ho così tanti pensieri e problemi per la testa che bere un po’ non mi farà di certo male.

 

“Ho combinato un disastro!”- esplodo così.

“Che cos’hai combinato, Ian?”- mi domanda esasperato mentre io mi porto una mano tra i capelli. -“L’ultima volta che mi hai detto di aver combinato un disastro è stato quando hai iniziato ad andare a letto con Nina e, per la cronaca, si, quello era un disastro.”

 

Sto zitto e improvvisamente mi fisso le scarpe. Credo che siano più interessanti dello sguardo di Paul in questo momento. Il disastro a cui mi riferivo non è stato certamente andare a letto con Nina -tra l’altro abbiamo fatto l’amore, c’è una notevole differenza- ma all’aver messo incinta Nikki, però comunque ha c’entrato una delle cose che ho fatto.

Paul non parla e la cosa mi spaventa. Ho il brutto presentimento che possa uccidermi da un momento all’altro, ma non lo fa, mi fissa sconvolto.

 

“Voi due avete fatto… Cosa?”- mi domanda balbettando.

“Siamo andati a letto insieme, ma non è questo il disastro di cui ti stavo parlando. Io la a-”

 

Paul mi blocca e la sua espressione, per quanto possa essere possibile, diventa ancora più sconvolta con una sfumatura di rabbia -tanta rabbia.

 

“L’hai messa incinta di nuovo?”- quasi lo urla.

 

Cosa? No!

 

“Cosa?”- domando sconvolto. -“No, certo che no. Noi… Sai il giorno della festa? Quando lei è andata fuori io l’ho seguita e l’ho baciata. Dannazione se l’ho baciata, Paul!”

“Quindi… Tu… L’hai baciata…”- constata cauto.

“Si, l’ho baciata, e non puoi nemmeno immaginare cos’ho provato in quel momento. Te l’ho detto un mese fa e te lo ripeto ora: io amo Nina.”- lo dico tutto ad un fiato.

 

Per un attimo, parlando di Nina, mi dimentico del vero disastro.

 

“Si, l’avevo capito già dalla prima volta in cui vi siete rivisti, ma, ovviamente, masochisti come siete, l’avete capito dopo la bellezza di”- si ferma un attimo per pensare. -“cinque mesi, più o meno. Ma… Quando è successo tutto?”

“L’ho seguita fino a Toronto perché vedi… Dopo che l’ho baciata mi ha tirato uno schiaffo e, dopo avermi urlato contro, se n’è andata. Ma non potevo lasciare che finisse così… Così l’ho seguita. L’ho obbligata ad ascoltarmi e, dopo avermi tirato un’altra sberla, mi ha baciato lei.”- racconto.

“Quindi… Tu hai baciato Nina, ma poi lei ti ha tirato uno schiaffo. Poi tu l’hai rincorsa fino a Toronto dove Nina, prima ti ha tirato un altro schiaffo, e poi ti ha baciato. Deduco, perciò, che poi siate finiti a letto insieme…”- conclude.

“Si, è un po’ più complicata di così, ma si. Io le ho raccontato tutto e mi sono aperto con lei. Le ho detto, per l’ennesima volta di amarla, e anche lei ha detto che mi ama. Abbiamo parlato e poi… E’ stato… Fantastico.”- continuo a raccontargli.

“Tu sei felice, deduco che lo sia anche lei.”- constata. -“Qual è il problema, dunque? Nina si è pentita?”

“Nina non si è pentita, nemmeno io. Volevo iniziare una nuova vita con lei, la donna che amo, e i miei figli, veramente, ma…”- mi blocco lasciando tutto in sospeso.

“Quel volevo mi spaventa.”- mi dice.

“Ma questa mattina, quando sono tornato a casa per dire a Nikki di volerla lasciare, lei mi ha detto di…”- mi blocco coprendomi il viso con le mani. -“Di essere incinta. Quel… Bambino, per ragion di logica, è mio figlio.”

 

E Paul entra nuovamente in uno stato di shock, ma questa volta china il capo e vi ci appoggia sopra le mani. Questa, più o meno, è la reazioni che ho avuto io ieri sera, solo che la mia doveva essere molto più tragica, ma mi sono trattenuto.

 

“Io voglio stare con Nina, la amo, ma la mia attuale moglie aspetta un figlio da me e io…”- mi fermo.

“Non sai che cosa fare.”- termina lui per me. -“Non so cosa dirti…”

“Speravo in un tuo consiglio…”- mormoro affranto.

“Io ti direi di seguire dove ti porta il cuore, Ian. Ho sempre visto in te e Nina la coppia perfetta, quella da imitare, ma ora è… Diverso. C’è un bambino di mezzo…”- mormora.

“Come ci sono anche i gemelli, i figli miei e di Nina.”- gli dico.

“Lo so questo, ma loro… Loro non sanno nulla.”- mi sorride amaramente. -“Io non sono nessuno per dirti cosa fare, la decisione è tua, solo che è tutto così incasinato. Devi capire cosa ti rende più felice, anche se, per una o per l’altra, proverai sempre rimorso. Dillo a Nina. Dille quello che hai scoperto, forse, insieme, troverete la soluzione giusta.”

 

E per quanto sia difficile Paul ha ragione.

 

“Lo farò.”

 

____________________________________________________

 

Okay, dopo questo capitolo credo di dovermi nascondere. Molte di voi, se non quasi tutte, avevano intuito che cosa c’era sotto e si, l’avete indovinato. Mi avete implorato di non farlo, ma ormai la storia me la sono già tutta immaginata ed ho messo giù così tante idee e non potevo stravolgere tutto così. So che non approverete la mia scelta -l’ho capito in alcune recensioni- ma vi dico solo di aver fiducia in questa storia e, se alcune cose vi sembrano sbagliate, tutto ha comunque una connessione e un senso logico.

Sembra tutto così scontato, ma quando alcune questioni verranno a galla capirete il perché di tutto.

Bene, dopo avervi lasciato questo piccolo commento, passiamo direttamente al capitolo. Nikki è incinta, si e non sta fingendo nessuna gravidanza. Il bambino c’è. Ian è andato a letto con lei per tentare, fino all’ultimo, di recuperare qualcosa e non ha pensato a quello che sarebbe potuto accadere dopo -in modo molto stupido aggiungerei- e il karma l’ha punito. Ora starà a lui risolvere la situazione, ma l’ostacolo più grande non è lui, ma Nina. Capirete nel prossimo capitolo il perché di tutto questo.

Ian, come ha sempre fatto, ha chiesto un consiglio a Paul, ma anche lui, seppur lo conosca da una vita, si è trovato alle strette perché la situazione non potrebbe essere più complicata di così.

Ringrazio le fantastiche 13 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo con parole meravigliose e spero che, indipendentemente dalle mie scelte, la storia continuerà ad essere seguita e recensita con la stessa passione ^^

Ringrazio anche coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, siete veramente tantissime.

Come ultima cosa voglio dirvi che ieri pomeriggio ho postato il primo Missing Moments della raccolta che vi avevo promesso, si intitola Meeting e spero che vi piaccia.

A domenica 13 settembre :)

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Capitolo 3
*** It's over. ***






                                                 It's over.



Third Chapter.

Pov Nina.

Mi sembrava che tutto stesse andando bene, ma da quando Ian è venuto a casa mia questa mattina ho visto che qualcosa è cambiato. Non so dire cosa, non ne so nemmeno il perché, ma c’è qualcosa che lo turba. Che abbia detto tutto a Nikki e lei l’abbia minacciato in qualche modo? Sarebbe davvero orribile, ma comunque potrebbe parlarne, con me magari. Si è comportato come al solito, certo, ma lo vedevo teso. Ho fatto finta di niente, ma ormai lo conosco troppo bene per capire se c’è qualcosa che non va.

Arrivo sul set stranamente in orario, tanto a casa non avevo nulla da fare e alla fine Candice mi ha detto di portarle il libro sul set.

 

Dobreva, com’è andata a Toronto?”- mi domanda Michael prendendomi a braccetto.

“Benissimo.”- gli dico con un sorriso smagliante ricordando, effettivamente, quello che è successo.

“Ouch. Qui qualcuno ha fatto conquiste.”- mi canzona.

 

Gli tiro una pacca sulla spalla facendolo ridacchiare. Non ho fatto conquiste, ho solo ritrovato qualcuno -anzi, ci siamo ritrovati. Quando penso a quello che è successo mi stacco dal mondo perdendomi tra i miei pensieri e sapere che da ora in avanti tutto questo continuerà mi fa continuare a sorridere.

Spero solo che il problema di Ian sia passeggero.

 

“No, non ho fatto conquiste.”- ridacchio.

“Cosa ti rende così di buon umore allora?”- mi domanda curioso.

“Lo sai che sei un impiccione?”- gli domando sorridendo. -“Mi sono svegliata bene, tutto qui.”

“Va bene, ti credo.”- mi dice facendomi fare una giravolta. -“Mi mancava vederti così rilassata!”

 

Non faccio in tempo a ribattere che, in lontananza, vedo Julie venire verso di noi a passo di carica. Io, almeno questa volta, non c’entro. Sono in orario e devo iniziare a girare tra un’ora.

 

“Malarkey! Al lavoro, subito!”- lo minaccia Julie.

“Va bene, capo, corro subito.”- le dice alzando le mani in segno di scuse, poi si rivolge a me. -“Ordini del boss, mi dispiace. Ci vediamo in giro.”

 

Lo saluto con un cenno della mano, poi mi dirigo verso Julie per sapere se c’è qualche novità.

 

“Mi sono persa qualcosa?”- le domando.

“Nessuna novità.”- mi sorride. -“Com’è andata a Toronto?”

“Bene, il servizio non è stato niente male.”- le sorrido, poi le schiocco un bacio sulla guancia. -“Devo portare questo a Candice, ci vediamo dopo.”

“Ma perché voi giovani siete sempre di corsa?”- la sento borbottare in lontananza.

 

Mi dirigo verso la sala relax, sono sicura che Candice si trovi lì. Ci arrivo in poco tempo, tipo un minuto, ed apro la porta trovando la mia amica seduta in una poltrona con il piccolo Daniel, stranamente sveglio, tra le braccia.

Amo quel bambino. Candice si accorge di me e mi sorride, così decido di andarmi a sedere accanto a lei.

 

“Ecco il libro.”- le dico porgendogli il libro, poi mi rivolgo al bambino accarezzandogli una manina. -“Buongiorno anche a te.”

“Saluti lui e non saluti me?”- mi domanda divertita.

“Buongiorno anche a te, allora.”- ridacchio. -“Posso tenerlo un po?

“Certo che puoi.”- annuisce mentre mi porge il bambino. Lo prendo piano e lo sistemo meglio tra le mie braccia. Ha tre settimane, ma è cresciuto tantissimo. -“Sperando che non pianga, tra poco dovrebbe mangiare.”

 

Cullo piano il piccolo Daniel che mi osserva beato muovendo le piccole gambine. Ha gli occhi chiarissimi e i capelli quasi bianchi. Sembra un bambolotto. E’ da tanto che non tengo in braccio un bambino così piccolo, dalla nascita dei gemelli, e mi sorprendo di quanto familiare mi sia questa situazione, ma credo sia l’istinto materno. Una volta che diventi madre tutto il tuo mondo cambia, e il mio è cambiato radicalmente.

 

“Farà il bravo, è un angioletto.”- le assicuro.

“Certo, qui si, a casa no. Alla notte è una cosa impossibile…”- mormora scuotendo la testa, ma guardando comunque suo figlio emozionata. 

 

So bene a cosa si sta riferendo e quanto faticoso sia, ma dopo un po’ tutto passa. Anche i gemelli alla notte non mi facevano dormire e, sebbene nel primo periodo ci fu mia madre con me, era davvero difficile. Con due bambini era davvero più complicato, perché se piangeva uno piangeva anche l’altro. 

 

“Me lo ricordo bene, ma tra un po’ finirà tutto.”- le dico sorridendo, poi bacio una guancia morbida del bambino. -“Vero che farai il bravo?”

 

Il piccolo Daniel sorride in maniera sdentata, anche se credo fosse più una smorfia che un vero sorriso, ma questo fa ridacchiare sia me che Candice.

 

“Mi mancava vederti così, sai?”- mi dice.

“Così come?”- le domando.

“Con un bambino piccolo. Mi ricordo ancora quando i gemelli erano così piccoli…”- mormora sorridendo.

“Mancano anche a me quei tempi, ma ora sono cresciuti. Certo che questi anni sono passati davvero in fretta.”- sospiro. -“Mi sembra ieri la prima volta che li presi in braccio.”

 

E’ stato magico, il miglior momento di tutta la mia vita. Quando mi perdo tra i ricordi mi pento ogni volta di non aver dato a Ian l’occasione di esserci, ma ormai è tutto passato. 

 

“Prossimamente voglio una femminuccia eh!”- mi dice maliziosa.

“Candice!”- la rimprovero bonariamente.

“Suvvia… Tu ed Eric siete fantastici insieme.”- continua il suo monologo.

 

Eric… L’ho tradito andando con Ian… Sono una persona orribile, mi dispiace così tanto per lui. Era così interessato a me, ed anche io provavo un interesse reciproco, ma con Ian… Ian è sempre stato Ian e lo sarà per sempre. Non mi pento di quello che ho fatto, lo amo, mi dispiace tanto per Eric.

 

“Io-”

“E’ fatto per te. Certo, Ian rimarrà sempre il padre dei tuoi figli, ma è un bene che tu abbia trovato qualcun altro. I gemelli lo adorano, a lui tu piaci molto, fidati di me, a te piace… Credo che dobbiate passare allo stadio successivo.”- mi dice sorniona.

“Candice, vedi-”- mi blocco.

 

Dovrei realmente raccontare a tutti quello che è successo? Candice è la mia migliore amica, ma non credo di essere pronta a raccontare tutto. Vorrei farlo, raccontarle di come sia stato tutto magico, ma preferisco che prima tutte le cose siano sistemate, dopo potremo raccontare tutto. Jo entra nella stanza e quando vede Candice tira un sospiro di sollievo. Il viso di Candice si illumina alla vista del marito, sono l’amore insieme.

 

“Io vado.”- sorrido mentre porgo Daniel a Candice. -“Ci vediamo dopo, ciao Joe.”

“Ciao Nina.”- mi sorride raggiante l’uomo.

 

Saluto anche Candice poi decido di andare nel mio camerino per iniziare a prepararmi. Ho tanto lavoro da fare, devo recuperare alcune scene di ieri e devo fare quelle segnate per oggi. 

 






















 

                                                                             * * *






















 

 

Sono quasi le dieci di sera quando finisco tutto. I bambini rimangono a dormire da Edna questa sera, che ha fatto un favore a me e a Ian sapendo che avremo finito tardi. Mi tolgo i vestiti di Elena e mi infilo i miei, poi raccolgo i capelli in una coda di cavallo facendone fuoriuscire alcuni ciuffi dietro le orecchie. Ian aveva poche scene oggi e ha detto, dopo avermi baciata lontano da tutti, che mi avrebbe aspettata a casa perché aveva una cosa importante da dirmi. Esco dal camerino, non prima di aver afferrato la borsa, saluto le ultime persone che ci sono sul set e poi mi dirigo verso casa.

Arrivo in dieci minuti, parcheggio la macchina, e apro la porta di casa. La luce è accesa e vedo Ian seduto sul divano che si sta torturando le mani -lo fa sempre quando è nervoso. Ora la mia domanda si fa più insistente: che cos’è successo?

 

“Hey, ciao.”- mi sorride di sbieco.

“Scusami se ho fatto tardi, ma Julie non mi lasciava più.”- sorrido abbandonando la borsa per terra e sedendomi nel divano accanto a lui. -“Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”

“Vorrei non dirtelo, ma devo farlo…”- mormora.

“Non ti ucciderò, te lo prometto.”- gli dico cercando di buttarla sul ridere, ma in realtà sono preoccupata, davvero preoccupata. -“Puoi dirmi cosa c’è che non va, sono qui per ascoltarti.”

 

Ian mi guarda dispiaciuto e triste, a tratti sconvolto, ma non per quello che ho detto io, per qualcosa che è successo. Ora mi sto veramente preoccupando, niente l’ha mai ridotto così da quando lo conosco, soltanto in casi estremi era così abbattuto.

Voglio sapere cos’è successo anche se, presumo, che tutto questo cambierà le nostre vite. Non è felice, lo vedo, eppure fino a ieri pomeriggio aveva un sorriso che andava da guancia a guancia.

 

“Io non voglio, ma è accaduto e… Non posso fare niente…”- balbetta.

 

Che cosa è accaduto? Perché non può fare niente?

 

“Sono qui per aiutarti, voglio aiutarti, Ian.”- gli dico dolcemente prendendo le sue mani tra le mie. Voglio che si confidi con me, non importa quanto grave sia la cosa.

“Mi odierai per questo, lo so…”- mormora.

 

Perché dovrei odiarlo? E’ così grave quello che ha combinato? L’unica cosa che può ferirmi davvero è che sia andato a letto con Nikki ieri sera, ma so che non l’ha fatto, altrimenti non mi guarderebbe nemmeno in faccia. Io mi fido di lui, so che non l’avrebbe mai fatto.

 

“No, non ti odierò per questo.”- gli dico cercando di nascondere il mio tumulto interiore.

“Ieri, quando sono tornato a casa, ero… Pronto per dire a Nikki che volevo stare con te, ma lei mi ha detto una cosa e… E’ un disastro.”- balbetta.

 

Okay, non è andato a letto con lei, ma questo lo sapevo già. Cosa può essere successo allora? E’ malata?

Per quanto mi stia antipatica… Mi dispiace per lei, se fosse così.

 

“Cos’è successo, Ian?”- gli domando.

E’ incinta e quel bambino è mio.”- mormora piano.

 

Credo… Credo di non aver sentito bene, no, sicuramente no. Non può aver detto che Nikki, sua moglie, è incinta. No, mi sta prendendo in giro, non può essere. Allora perché non scoppia a ridere? Credo che la mia faccia sia parecchio sconvolta, forse peggio della sua. 

Adesso sbucherà sicuramente qualcuno, con una telecamera in mano, che urlerà pesce d’aprile, anche se ad aprile mancano ancora più di quattro mesi, e ci faremo una grossa risata, deve essere così. Non può essere incinta, non proprio ora. Guardo Ian alla ricerca di qualche sorriso che mi indichi che sta scherzando, ma trovo solo i suoi occhi lucidi.

E allora capisco… Capisco che Ian non sta scherzando e che, effettivamente, sua moglie è incinta. Non è… Possibile… Io… Non so nemmeno cosa dire… Questo… Questo cambia tutto…

 

“Ti prego, dì qualcosa…”- mi implora.

 

Che cosa dovrei dire? Sento i miei occhi farsi lucidi, ma cerco di trattenere le lacrime. Io… Non posso, non voglio dire qualcosa perché altrimenti so che scoppierei. Fino a ieri andava tutto bene, ci eravamo fatti mille promesse, mi aveva detto che avremo costruito un futuro insieme e ora… Sua moglie, la donna che aveva detto di non amare, è incinta. Chi mi sta prendendo in giro ora?

“Cosa… Cosa dovrei dire?”- balbetto cercando di ricacciare indietro le lacrime, ma non ce la faccio.

 

Dovrei dirgli che andrà tutto bene? Dovrei dirgli che troveremo una soluzione? A una cosa così non si può trovare una soluzione. Lei è sua moglie ed è incinta di suo figlio, non posso… Non possiamo rovinare tutto così. Anche se ci fosse una via semplice per arginare il problema, sarebbe la peggiore. Non intendo uccidere un bambino, assolutamente no, io non ho nemmeno la minima intenzione/idea di mettere parola su questo, intendevo altro… Non permetterei mai a Ian di abbandonare la sua vera famiglia per stare con me. Anche se… I bambini… I miei figli… So che amerebbero me e Ian insieme, ma non posso privare Ian di passare tempo con suo figlio. Lo farebbe lo stesso, ma sarebbe diverso. L’ho già privato di farlo stare con i gemelli dall’inizio, non posso fare anche questo. Non posso fargli perdere quelle piccole cose che potrebbe avere stando con sua moglie, non posso essere così egoista nei suoi confronti, semplicemente non posso. Mi pento ogni giorno di quello che Ian ha perso stando lontano dai gemelli, ora la situazione si capovolge e… So che mi pentirei comunque facendolo stare con me. Lui ora non capisce, a lui andrebbe bene e so, nel profondo, che vorrebbe stare con me, ma cosa accadrebbe tra due, tre o quattro anni? Io sarei la ragione che l’ha fatto allontanare da suo figlio perché non vivere in casa con lui sarebbe diverso. L’ho visto con i bambini, so che sarebbero davvero più felici avendo Ian qui, ma non posso essere nemmeno egoista con un altro bambino. Come madre dovrei volere il bene per i miei figli, che sarebbe stare con Ian, ma non posso nemmeno privare Ian di una cosa del genere, non posso. Ora a lui andrebbe bene, ma domani? Ha già perso cosa importanti per colpa mia, non posso di nuovo fare lo stesso.

E poi… E’ incinta, ma di quanto? Questo vuol dire che mentre veniva da me lamentandosi dei suoi problemi… Andava comunque a letto con lei… Non spetta a me accusarlo, ma fa male questo. Mi sono allontanata io, certo, ma ci è comunque andato a letto.

Perché?

 

“Dì qualcosa, urlami contro, ma… Questo silenzio mi distrugge!”- mi implora per l’ennesima volta.

“Non posso… Non posso decidere per te!”- mormoro mordendomi le labbra a sangue.

 

Ci sarebbero troppe cose da dire, avrei voglia di urlargli contro, ma è distrutto pure lui. Mi sento comunque arrabbiata, ferita, presa in giro. Sia da Ian e sia dal karma. Mi fa male questa situazione perché, seppur in un giorno, avevo già costruito una vita, mi ero sentita più leggera perché finalmente potevamo stare insieme, perché ci amiamo, ora, evidentemente, è tutto distrutto. E mi sento tradita perché lui mi diceva che non ci stava più bene insieme, ma comunque ci è andato a letto. Se me l’avesse detto prima, tipo ieri, ci sarei passata sopra, ma lei è incinta dannazione!

 

“Dimmi qualcosa, dimmi cosa ti passa per la testa, ce la faremo insieme.”- mi dice convinto accarezzandomi una guancia.

 

Mi scosto da lui bruscamente mettendomi le mani sul volto.

 

“Non faremo niente insieme, non lo capisci?”- gli domando ormai con gli occhi pieni di lacrime. -“Non… Non possiamo stare più insieme… E’ durato tutto un giorno, ma… Vuol dire che non è destino.”

“Che diavolo stai dicendo?”- mi domanda spaventato.

“Non puoi abbandonare tutto così per me…”- gli dico distrutta.

“Farei di tutto per te!”- urla disperato.

“Lo so, lo so…”- gli dico con la voce che trema mentre le lacrime sono già arrivate alle guance. -“Allora devi fare un’ultima cosa per me, una soltanto. Va da lei, vai da tua moglie, ritorna ad amarla come hai fatto, stalle vicino per tutta la gravidanza e ama tuo figlio. NoiNoi ce la caveremo…”

“Non puoi dire sul serio…”- mormora cercando di avvicinarsi. -“Non puoi dire così ora che abbiamo risolto tutto.”

“Dobbiamo farlo prima che diventi una cosa più grande di noi, prima che lo vengano a sapere anche i bambini o gli altri. Non posso chiederti di abbandonare tutto…”- gli dico scostandomi ancora.

 

Sto cercando di allontanarmi perché se lo lasciassi avvicinare crollerei del tutto, ma non posso. Mi fa male questo, male da morire, ma così gli rovinerei ancora il piacere di diventare padre e non posso essere così crudele.

 

“Ma io voglio stare con te!”- continua disperato.

“Anche io, credimi, ma… Non posso essere così egoista con te, è proprio perché ti amo che non posso farlo, non… Ora andrà bene, ma tra un anno? Tra due? Ti perderesti troppe cose e ne hai già perse tante per colpa mia,”- un singhiozzo mi sfugge incontrollato dalle labbra. -“non posso fare anche questo. Devi vivere tutte le cose che hai perso con me, goditi tuo figlio. Non ti priverò dei bambini, questo non potrò mai farlo, continueremo a fare come abbiamo sempre fatto. Andrà tutto bene…”

“Non andrà tutto bene, io… Non andrà tutto bene…”- mormora e per la prima volta, in vita mia, lo vedo piangere. -“Non farlo…”

“Lo faccio perché so… So come andrà a finire… Non… Non rendere tutto più… Più difficile…”- balbetto anche io.

“Non posso allontanarmi da te…”- mi dice.

“Neanche io, ma è meglio così. Non posso privarti di cose che non hai mai vissuto, ti amo troppo per impedirtelo. E’ meglio così, credimi. Ora non lo capisci, ma io si. Ti ho fatto del male privandoti dei bambini, quando… Quando erano piccoli, non posso farti anche questo, per favore, cerca di capire…”- termino.

“No, non capisco… …”- mormora alzandosi dal divano andando verso la porta. -“Non smetterò mai… Mai di amarti, perché non lo capisci?”

 

Vorrei andare lì, baciarlo per l’ultima volta, ma non posso. Crollerebbe e io con lui.

 

“Neanche io smetterò mai di amarti, ma non posso separarti da tuo figlio, semplicemente non posso.”- gli dico solo.

 

_________________________________________

 

Okay, sono una cattiva persona, per molte cose. Vi ringrazio subito qui per le fantastiche dieci recensioni dello scorso capitolo, a cui ora risponderò subito. Avrei dovuto rispondere prima, lo so, è che, avendo un po’ di tempo libero (finalmente!) ho deciso di fare una sorta di copertina per questa storia (e anche una per i Missing Moments) e spero che vi piaccia. Non sono mai stata un mago con le modifiche, ma ho fatto quello che ho potuto ;)

Passiamo al capitolo, dunque. Lo so, vorreste uccidermi già dallo scorso capitolo, e con questo ho solamente aggravato la situazione, ma a tutto c’è un perché. Nonostante la piega che ha preso questa storia ho visto, con tantissima felicità, che, bene o male, siete sempre le stesse a recensire e questo vuol dire che avete molta fiducia in questa storia, non ve ne pentirete, ve lo giuro :)

Per quanto la scelta di Nina vi sembri sbagliata o da martire potrete capire da sola che è quella giusta. Come lettore non l’approverei neanche io, sono sincera, ma come scrittore, tentando di scrivere e di capire come si comportano le persone in determinate situazioni, ho visto solo questa scelta. Ian ama Nina con tutto e stesso e anche per Nina è così (da come avrete capito lei lo ama, non si è pentita assolutamente), ma provate a mettervi nei loro panni. Ian, ovviamente, non è d’accordo, ma è sempre stato quello più impulsivo e ci mette tempo per capire, effettivamente, qual’è la situazione e la gravità di questo. Nina, che ha già fatto errori in passato, capisce perfettamente quello che potrebbe passare Nikki, ma non si preoccupa comunque per lei, ma per quella povera creatura che deve ancora venire al mondo avendo visto quanto ha influito tutta questa situazione sui gemelli. Logicamente potrebbe fare l’egoista e tenersi Ian, visto che lui è ben disposto, ma ancora una volta non lo fa perché sa, in cuor suo, che Ian potrebbe da un momento all’altro pentirsi della sua scelta e soffrire per quello che ha fatto. Il tutto, comunque, verrà approfondito nei prossimi capitoli e comincerete a capire bene le scelte di entrambi e anche perché non abbiano scelto una via più semplice. Nina vuole il bene dei suoi figli e sa molto bene che se Ian stesse con lei sarebbero tutti più felice, ma, vedendo che i gemelli si sono in qualche modo adattati, preferisce far rimanere tutto intatto.

Spero che, in qualche modo, abbiate capito il mio ragionamento (parecchio contorto devo dire eh!) e in qualche modo lo apprezziate e continuerete a seguire comunque questa storia. Siamo ancora ai primi capitoli, la storia sarà lunga, tutto può succedere.

Bene, per quanto riguarda il capitolo ho praticamente finito :’)

 

-Nell’immagine di copertina, come avrete sicuramente visto, i bambini hanno i capelli rossicci. Immaginatevi i gemelli così solo con i capelli più scuri, tipo il colore naturale di Nina (quello che ha adesso per intenderci!). Avevo trovato un immagine fantastica di un bambino che sembrava il perfetto mix Nian, ma l’immagine aveva la firma che copriva gran parte della foto e, quindi, non era adatta per essere modificata. Non ho trovato nessun bambino che corrispondesse alla mia idea, spero che vada bene comunque così.

 

-Avete visto ieri Nina agli Emmy? Ma quanto bella era? Vi giuro che, ogni giorno che passa, la Dobrev diventa sempre più splendida. Inoltre si è cambiata tipo come un lampo per andare al matrimonio di Kayla (ve la ricordate Vicky?) insieme ad Austin. Al matrimonio c’erano anche Zach, Trevino, Sara (la tanto cara zia Jenna) e Candice con il marito (quel pancino da favola *___*).

 

-Avete visto il promo di The Vampire Diaries della settima stagione? Io l’ho guardato per curiosità ed è stata una fortuna perché non ha fatto altro che ribadire la mia idea, ovvero che non seguirò la settima stagione. Non è più TVD, non lo è più già da tempo e questo non ha fatto altro che dimostrarlo. Damon, di nuovo, senza emozioni. Gli eretici che hanno in mano la città (fa tanto quinta stagione con i viaggiatori). Bonnie che vuole fare la primadonna. L’unica nota buona è lo Steroline, a questo punto. A me come coppia non è mai piaciuta, sinceramente, sapete quanto ami il Klaroline, ma è l’unica cosa nuova questa e, avendo ormai imparato che non avremo mai più Klaus con la sua biondina, comincio un po’ a simpatizzare questa coppia.

E voi, che cosa ne pensate di questo promo?

 

Ora me ne vado, cercherò di aggiornare mercoledì 16 settembre (quando inizia la scuola insomma >.<)

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Capitolo 4
*** Eve. ***



                                                             Eve.



Fourth Chapter.
Pov Nina.

Domani è Natale e abbiamo appena portato l’albero a casa. E’ un pino enorme, verdissimo, e non so come, e in quanto tempo, riusciremo a finirlo. I bambini sono entusiasti di fare l’albero, come ogni anno, e sono felici che sia venuto anche Eric con noi, insieme al fratello. Sebbene Jonathan sia più grande dei gemelli hanno legato subito e questo mi rende veramente felice. Sono passate due settimane da quando è successo e… Credo che tutti si siano accorti che qualcosa si è rotto, perfino i miei genitori. Non ho… Non ho detto a nessuno quello che è successo, tutti devono credere che tutto sia come prima, ma non ce la faccio -al tempo stesso però non posso dire quello che è successo a Toronto, rovinerei tutto. Con Ian non riesco più a parlarci, non perché io sia arrabbiata con lui, ma perché se mi avvicinassi a lui lo pregherei di tornare con me e non voglio questo. Lui ha capito, due giorni dopo il nostro allontanamento, mi ha parlato e… Era arrabbiato con se stesso e con me, ma ha comunque capito il motivo che mi ha spinto a lasciarlo andare. Non è contento, lo so, ma sarebbe stato più infelice se l’avessi privato di sua moglie e di suo figlio, quindi sopporto il peso per entrambi. Non ho nemmeno detto ad Eric che io e Ian siamo andati a letto insieme, mi sento in colpa nei suoi confronti, ma credo passerà. Devo dirglielo, so che devo farlo, ma non ora. Magari non dovrei nemmeno farlo, ci stiamo conoscendo e stiamo bene insieme -non provo tutta l’elettricità che provo con Ian però- ma forse non sarebbe giusto dirglielo, non voglio ferirlo. Mi fa stare bene, forse è questo l’importante. Ogni giorno penso a quello che ho perso e a quello che sarebbe potuto accadere, ma devo imparare a convivere con questo ed andare avanti con la mia vita, come se nulla fosse successo. Fa male pensare a questo, ma devo farlo, per Ian. 

 

 

 

 

 

 

“Sapevo che ti avrei trovata qui. Vieni sempre qui quando devi pensare..”- mormora una voce alle mie spalle.

 

So a chi appartiene, ma non mi giro lo stesso. Sono seduta su una panchina di Mystic Falls, sono sempre venuta qui quando avevo bisogno di pensare e schiarirmi le idee. I bambini sono con mia madre e mio padre, quindi io sono qui, da sola. Ian si siede accanto a me sulla panchina, non troppo vicino comunque.

Perché è qui? Gli avevo detto che non avremo più dovuto stare insieme, ma evidentemente non l’ha capito, o forse si ed è venuto qui per dire la sua.

 

“Perché sei qui?”- gli domando.

“Ho capito… Alcune cose… Io… Una parte di me non accetterà mai questa situazione, la vedo come un ripiego, ma capisco perché l’hai fatto e l’accetto. Accetto il tuo pensiero, ma non comunque la tua scelta, ma so che l’hai fatto per me.”- mi dice.

“L’ho fatto per te e per me.”- gli dico. -“Non avrei mai sopportato l’idea di averti privato di qualcosa di così prezioso.”

“Lo so, ed è per questo che ti amo ancora di più.”- mi dice.

“Non… Non dire che mi ami, ti prego…”- mormoro abbassando lo sguardo.

“Va bene, non lo farò, ma devi ricordartelo.”- mi dice dolcemente accarezzandomi una guancia. -“Anche nei momenti più bui, anche quando soffrirai per questo, perché, anche se tu non te ne accorgi, io so che soffri, sappi che ti amo. Dobbiamo ricordare, entrambi, che ci amiamo. Tu devi ricordati che ti amo e che solo forze maggiori ci hanno impedito di stare insieme.”

 

E altre lacrime premono per uscire, ma in questi giorni ne ho spese fin troppe. Sono stanca di piangere, ma non posso fare a meno di farlo.

 

“Lo so, devi ricordarlo anche tu.”- gli dico alzando lo sguardo su di lui. -“Evidentemente non era destino.”

“E’ solo… Il karma che è uno stronzo, credimi.”- sorride amaro. 

“Voglio solo che tu sia felice…”- mormoro.

“Anche io ed è per questo che devi promettermi una cosa.”- mi dice e io annuisco. -“Vorrei farti cambiare idea, non sai quanto, ma comprendo il perché della tua decisione e senza di te… Mi sarei pentito in entrambi i casi se avessi… Deciso da solo. Voglio che tu continua la tua vita, magari con Eric. Sono geloso di lui perché può averti senza problemi, ma so che non ti farebbe mai del male. Ti piace, magari non quanto me, ma… Okay, forse sono un po’ egocentrico.”

 

Ridacchio leggermente, sa ancora come farmi tirare su di morale, almeno un po’.

 

“E lui penso che sia innamorato di te, insomma, l’ho visto. Ho visto come ti guarda e rispetta i tuoi spazi, questo mi piace. Non approverò mai la cosa, ma voglio che tu sia felice e se non lo sarai con me… Lui prenderà il mio posto, o chiunque altro. Vorrei essere io al suo posto, ma non posso. Devi tornare ad essere felice e lui ti ha portato a sorridere veramente di nuovo, quindi è passabile per quello, inoltre è buono con i gemelli, mi fido. Ritorna a sorridere con lui, sii felice. Una parte del mio cuore, se non tutto, sarà sempre legato a te, ma voglio che tu viva la tua vita, hai già speso troppo per me.”- mi dice serio, ma con una nota di dolcezza e dedizione.

 

I miei occhi si riempiono per la milionesima volta in due giorni di lacrime e so che siamo giunti alla fine. Sono felice che abbia accettato la situazione e che a lui piaccia Eric -non così tanto come vuole farmi credere, ma apprezzo lo sforzo. Anche il mio cuore sarà sempre con lui, non amerò mai nessuno come amo lui, ma va bene così. In realtà no, ma devo farmela andare bene. Tengo ad Eric, non so se è uno spiraglio d’amore, ma mi fido ciecamente di lui e forse Ian ha ragione, forse… Forse posso provare qualcosa.

 

“Ricordati che ti amo…”- mormoro appoggiando la fronte contro la sua.

“Anche io моята малка котка*…”- mormora dolcemente.

 



 

“Mi aiutate con i balocchi?”- chiede Eric ai bambini e al fratello.

 

Tutti e tre annuiscono elettrizzati facendomi sorridere. Eric ci sa fare veramente con i bambini, i gemelli sono veramente attaccati a lui, e sono veramente felice di questo. Sembriamo quasi una famiglia e per quanto il pensiero possa risultare veritiero, una parte di me immagina Ian lì con loro, ma ormai devo rassegnarmi, devo far finta di nulla. Ian in questo ultimo periodo -queste ultime due settimane- si è mostrato forte, sorride a tutti e dice a chiunque che è felicissimo di diventare papà per un’altra volta, ma nei suoi occhi leggo che non è così. E’ felice di un altro bambino, so che l’ha sempre voluto, ma non di tutta la situazione. Ormai tutti sul set sanno della cosa, del fatto che Nikki sia incinta, e ogni giorno fanno domande a Ian su come stia la moglie e congratulazioni. L’unico che mi rivolge sguardi teneri e comprensivi è Paul, ho l’impressione che Ian gli abbia raccontato tutto, ma ho deciso di non indagare, è meglio così. Non potrei sopportare le sue parole, o qualche commento, immagino che non approvi quello che è successo, ma apprezzo comunque il fatto che non mi abbia detto niente. Quando sono da sola, in camerino, e quando Nikki non gironzola sul set appiccicata a Ian, quest’ultimo viene sempre a trovarmi e mi domanda ogni volta se io stia bene… Ovviamente gli dico di si e ogni volta gli ripeto che è meglio così, ma nulla, per quanto riguarda la nostra relazione, va bene. Gli unici che non sanno di star per avere un fratellino sono proprio i bambini, ma credo che lo dirò loro dopo Natale, è meglio così.

 

“Mamma, mi aiuti?”- mi chiama Stefan distogliendomi dai miei pensieri indicando l’enorme albero di Natale quasi interamente addobbato. -“Non ci arrivo.”

 

Prendo Stefan in braccio mentre Joseph e Jonathan stanno aiutando Eric a sistemare le ultime cose. Attacca una delle ultime palline a un’estremità dell’albero poi si gira verso di me felice.

 

“Ti piace?”- mi domanda speranzoso.

“Certo che mi piace.”- gli dico dandogli un grosso bacio sulla guancia. -“E’ bellissimo.”

“Credo che questa debba metterla tu.”- mi dice Eric sorridendo porgendomi la famosa stella cometa. -“Stefan e Joseph prima stavano litigando su chi dovesse metterla.”

 

Lo immaginavo, ma non dico nulla. Noto che Jonathan è seduto per terra con le ultime palline in mano e decido che è giusto che sia lui a metterla, almeno i gemelli non litigheranno più. Inoltre voglio renderlo partecipe e mi sono affezionata a lui, è un così bravo bambino. Mentre Joseph e Stefan stanno giocando con le lucette mi avvicino a lui e mi inginocchio di fronte.

 

“Vorresti metterla tu?”- gli domando sorridendo e vedo i suoi occhi illuminarsi felice. Gli do la stella e lui mi ringrazia. -“Il più grande ha il diritto.”

 

Mi accorgo solo un attimo dopo che Eric ci sta osservando veramente felice e sono contenta che lo sia. So quanto legato sia al fratello e di come sia difficile la situazione in cui sta vivendo -la morte dei genitori e il divorzio- quindi la cosa non può fargli altro che bene. Joseph e Stefan non obbiettano, anzi, mi sorridono capendo il perché del mio gesto. 

 

“Vieni, ti aiuto.”- invito Jonathan.

 

Lo prendo in braccio e lui, grazie al mio aiuto, arriva all’altezza giusta e sistema al meglio la stella cometa felice. Mi rivolgo ai miei figli sorridendo.

 

“Forza, accendete le luci.”- li invito rendendo anche loro, giustamente, partecipi.

 

Entrambi toccano alcuni bottoni e l’albero si accende improvvisamente tutto colorato da lucette, palline, e alcune striscioline colorate. E’ venuto veramente bene, forse il migliore degli ultimi anni. Il Natale è sempre stato il mio periodo dell’anno preferito, infonde tranquillità ed inoltre ho sempre passato il tempo con tutta la mia famiglia. Fin da quando ero piccola tornavo sempre in Bulgaria, ho ancora dei parenti lì, ma è da circa dieci anni che non ci vado più. Tre perché beh… Perché ero con Ian, mentre gli altri otto ero con i bambini, ma credo che dovrei portarli in Bulgaria. Non ho mai girato molto negli ultimi otto anni, l’ho fatto per non esporre troppo i bambini e devo dire che ci sono perfettamente riuscita, ma quanto può durare ancora?

 

“E’ venuto veramente bene.”- dico sorridendo ad Eric.

 

I bambini, insieme a Jonathan, sono seduti sul tappeto di fronte al camino e stanno giocando con alcuni supereroi, mentre io ed Eric siamo seduti sul divano, molto vicini, ad osservarli. A dispetto di quello che pensavo la sua vicinanza non mi fa male, mi fa stare bene, ma c’è sempre quel sentimento di colpa repressa che continua a venire fuori, ma, a questo punto, non so quanto sia giusto dirglielo. Dovrei far finta di nulla o dirglielo? Sono così confusa.

 

“Molto, era da anni che non ne facevo uno…”- mormora guardandomi negli occhi. -“E mi mancava. Prima erano sempre i miei genitori a farlo.”

“Mi dispiace tanto, ne hai veramente passate tante…”- mormoro io di rimando.

“Ci ho fatto l’abitudine, l’importante, per me, è che mio fratello sia felice, tutto qui. Non so cosa farei senza di lui.”- mi dice sincero. 

“Sei un bravo fratello, ti vuole molto bene.”- gli dico sorridendo.

“Cerco di fare meglio che posso, a questo punto è diventato come un figlio per me.”- mi dice guardando di sfuggita suo fratello. -“Ma credo che tu questo lo capisca meglio di tutti, crescere un bambino da sola, intendo.”

“Devo dire che mi ritengo fortunata, dopotutto. Non so quello che avrei fatto se non ci fossero stati loro due, forse non mi sarei più tirata su. Ma un bambino cambia tutto.”- gli spiego guardando dolcemente le mie ragioni di vita.

 

Continuiamo a parlare, poi i bambini ci dicono di aver fame e, siccome non ho nulla in casa, complice il fatto che domani sarò sia a pranzo e sia a cena da mia madre, ordiniamo cinque pizze, di cui una rigorosamente senza glutine per Joseph. Mangiamo ridendo e scherzando e quando si fa tardi, sono ormai quasi le undici, Eric e Jonathan, non prima di averci salutati, ritornano a casa. Questa sera sono stata veramente bene come non mi capitava da tempo, escludendo quello che è successo con Ian, e forse, qualcosa, anche se di piccole dimensioni, sta andando per il verso giusto.

 





















 

                                                                         * * *

 





















 

 

“Mammaaaaaa, buon Natale!”- urlano due piccole vocine in coro.

 

So a chi appartengono ed ho quasi paura ad aprire gli occhi per controllare la sveglia visto che, puntualmente, ogni anno, è sempre così. Alla mattina di Natale si svegliano prestissimo, molto più del solito, escludendo ovviamente quando devono andare a scuola perché rimarrebbero a letto tutto il giorno, e mi obbligano a portarli in sala per aprire i regali.

Apro gli occhi trovando i miei figli seduti ai piedi del letto con i loro piccoli pupazzetti in mano e mi sorridono raggianti.

Hanno preso dal padre per quanto riguarda l’essere mattinieri -quando si include qualche loro interesse- non ne ho alcun dubbio. Allargo le braccia e li invito a tuffarcisi dentro e loro non se lo ripetono due volte. Bacio entrambi sulla testa e solletico loro la pancia facendoli ridere. Hanno la risata più bella del mondo.

 

“E’ presto?”- domando loro continuando a coccolarli.

“Sono le”- Joseph si blocca, poi volta la testa di lato cercando la sveglia con lo sguardo. -“cinque e venticinque.”

“Quindi no… Non è presto!”- mi dice Stefan sorridendomi sornione. -“Vogliamo aprire i regali.”

“Sono diventati più importanti i regali di me?”- domando fintamente offesa e loro scuotono immediatamente la testa. -“Non mi avete neanche dato un bacio.”

 

Mi buttano subito le braccia al collo e mi danno un bacio sulla guancia. Uno per parte. 

Così va meglio.

 

“E se rimaniamo un altro po’ a letto?”- li imploro. Perfino Spike sta ancora dormendo beatamente nella sua cuccia affianco al letto. Alla fine ho optato per spostarlo qui, tanto era sempre in camera mia. -“Perfino Spike dorme.”

“Noi non abbiamo sonno.”- mi fa notare Stefan con un’alzata si spalle.

“Vogliamo i regali!”- mi dice Joseph convinto. -“Ti pregooo…”

“Va bene, ma se questa sera sarete troppo distrutti per andare da vostro padre non sarà certamente colpa mia.”- li avviso scompigliando ad entrambi i capelli.

 

Mi assicurano che non saranno affatto stanchi e mi trascinano giù fino in cucina per poi arrivare in salotto. L’albero è pieno di regali, dei miei, di quelli del cast, di Eric e delle mie amiche. Ian, penso, che glieli darà questa sera, mentre quelli della mia famiglia sono a casa di mia madre. I bambini aprono euforici tutti i regali trovando cose che gradiscono molto, in modo particolare due robot telecomandati che possono fare qualsiasi cosa. Afferro il mio cellulare per vedere se ho chiamate perse o qualche messaggio e noto, con stupore, che ce n’è uno da parte di Ian.

Lo apro e lo leggo.

 

 

Molto probabilmente starai dormendo, io non ho sonno quindi eccomi qui a scriverti. Volevo chiederti se potevo passare domani mattina -o questa mattina, dipende dai punti di vista- per portare i regali ai bambini. Mi farebbe piacere darglieli di mattina e non di sera, se non c’è alcun problema.

Xoxo, Ian.

 

 

L’ha scritto alle due di questa mattina e per me, a quell’ora, sarà sempre domani mattina. Mi affretto a rispondergli, alla bellezza delle 5.41 am, e gli dico che non c’è alcun tipo di problema e che può passare quando vuole. Lo avverto anche che i bambini sono già svegli troppo euforici perfino per dormire. Apro anche il messaggio di Eric e sorrido nel vedere che mi ha fatto gli auguri di buon Natale e io ricambio molto volentieri scrivendogli anche di farmi sapere se a Jonathan è piaciuto il mio, nostro contando anche i bambini, regalo.

 

“Guarda mamma, Babbo Natale ha mangiato tutti i biscotti!”- mi dice Joseph mentre Stefan mi porge il bicchiere vuoto insieme ad un piatto anch’esso vuoto.

 

Il latte ora è nella pancia di Spike mentre i biscotti sono dentro la mia, per metà, e il restante è finito nella pattumiera. Come tutti i bambini della loro età credono ancora nell’esistenza del famoso Babbo Natale, non oso immaginare lo shock quando scopriranno che non esiste. Per me lo fu, spero che per loro non accada la stessa cosa.

 

“Si vede che era proprio affamato.”- dico ridacchiando cercando di essere convincente. -“Vi sono piaciuti i regali?”

“Tantissimo!”- mi dice Joseph entusiasta. 

“Mamma, ci aiuti a montare questi?”- mi domanda Stefan con dei pezzi di qualcosa in mano. -“Sono gli aeroplani telecomandati!”

 

Ah, ecco cos’erano. Un’ora e quindici minuti dopo abbiamo finito di montare i due aeroplani ed abbiamo rischiato di far cadere più volte l’albero, alla fine tutto è andato meglio del previsto. 

Abbiamo fatto colazione con latte e biscotti e ora i bambini stanno guardando i cartoni animati visto che sono quasi le sette di mattina. Sento il cellulare vibrare, segno che mi è arrivato un messaggio da parte di Ian.

 

 

Buon Natale anche a voi, naturalmente. Posso passare ora se non disturbo? Non ho molto tempo questa mattina e voglio passare un po’ di tempo con voi.

Xoxo, Ian.**

 

 

Quel voi mi fa tremare leggermente il cuore al pensiero che voglia stare anche con me, ma scaccio subito il pensiero dalla mia testa perché non è giusto. Lui ha una moglie a casa, incinta di suoi figlio, e io sto continuando la mia relazione con Eric e va bene così, deve andare bene così.

 

____________________________________________________

 

 

*significa mia piccola gattina in bulgaro.

**in qualsiasi cosa pubblicata da Ian, che siano screen di messaggi pubblicati da altri o post su Twitter, ci mette sempre uno XoXo.

 

Buon inizio di scuola a tutte (io almeno ho iniziato questa mattina) e buona fortuna a chi deve affrontare i test per l’università o che la frequenta già.

Come promesso eccomi qui con il quarto capitolo di questo sequel molto Nina centrico, insieme ad Eric. Ebbene si, ad alcune di voi piace Eric e sono felice di questo :) Ovviamente non posso dire nulla su come proseguirà la storia, ma Eric, da ora in avanti, sarà più presente. 

La parte importante, oltre al Natale -nel prossimo capitolo succederà una cosa importante a Nina-, è il flashback in cui Ian e Nina si lasciano andare. Quello che voglio precisare, per non creare conflitti, è che Ian e Nina si amano -davvero molto, forse troppo- e il primo ha capito che non potrà mai far cambiare idea a Nina e non se la sente di abbandonare la moglie, non in questo momento almeno. Nikki è incinta, aspetta un bambino, e abbandonarla ora sarebbe veramente meschino e da cattiva persona e Ian non lo farebbe mai. L’idea di Nina ormai la conoscete, non mi sbilancio più di tanto.

Per quanto riguarda la situazione Eric… Nina ha la sua idea in testa e non è una donna che passa da un uomo all’altro, ma semplicemente si sta lasciando andare. In questo momento la storia con Ian è irrecuperabile e Nina cerca una certezza che in Eric sicuramente può trovare. Ovviamente si sente in colpa per quello che è successo con Ian, non perché non l’abbia voluto, ma in colpa nei confronti di Eric che non lo meritava. Nina non si pentirà mai di quello che è successo, prova un po’ di risentimento per Eric, tutto qui. Credo sia normale, dopotutto. 

Bene, ho detto tutto quello che dovevo dire. Ringrazio le fantastiche nove ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, ora dovrei aggiornare sabato 19, tempo permettendo anche con la scuola. Direte che è il primo giorno, ma… Abbiamo già compiti, parecchi :/

Grazie ancora, alla prossima <3

 

PS: Avete sentito che Ian è stato nuovamente hackerato? Vi giuro, sto morendo dal ridere. Tecnicamente questa volta è vero, o almeno così ho capito visto che è venuto fuori un nome, ma la situazione non potrebbe essere più divertente di così. Ha twittato I love you Nina e mi era tipo venuto un colpo… Mannaggia  a lui… L’hacker, inoltre, (se è stato un hacker) ha risentito Nina, ma Ian, quando ha ripreso in mano il suo profilo (sempre se non era lui) ha smesso di nuovo di seguirla e nella bio ha scritto lucky husband, tra l’altro mi sembra una cosa parecchio ridicola, ma vabbeh :’)

Vi giuro, è meglio delle telenovela spagnole e argentine quest’uomo. Paul, Daniel, Phoebe e Matt hanno cominciato di nuovo a prenderlo per i fondelli (Matt l’aveva preso in giro anche l’altra volta con la storia dell’hacker) cambiando le immagini del profilo e mettendole come quelle di Ian. Sono mitici, lo giuro!

Mi sa che qui qualcuno è parecchio confuso… 

 

 

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Capitolo 5
*** Merry Christmas. ***


                                Merry Christmas.


Fifth Chapter.
Pov Nina.

“Mamma, ma quando arriva papà?”- mi domanda Joseph con la testa appoggiata sulle mie gambe.
 

Stefan invece ha deciso che la mia spalla sia più comoda, così, con la testa appoggiata sulla mia spalla e un succo in mano, aspetta l’arrivo di suo padre. Tra poco dovrebbe essere qui.

Infatti, dopo neanche tre secondi, sento il campanello suonare e i bambini corrono ad aprire la porta trovando l’imponente figura di Ian ad aspettarli. Non appena li vede i suoi occhi si illuminano e li prende entrambi in braccio entrando con difficoltà in casa, riuscendo comunque a chiudersi la porta alle spalle.

Buon Natale mi mima con le labbra sorridendomi mentre i bambini non lo lasciano per un secondo, così mi sento di dover intervenire.

 

“Lasciata stare vostro padre, forza.”- corro in suo soccorso. -“Perché piuttosto non gli mostrate i vostri regali?”

“Fermi là.”- li blocca Ian. -“Ho anche io qualcosa da darvi!”

 

Da una borsa, che evidentemente aveva dietro la schiena visto che non l’avevo minimamente notata, sbucano fuori due enormi pacchi, che sono contenuti a fatica, e altri due più piccoli.

I bambini lo guardano incantato a Ian distribuisce ad entrambi un pacco grande e uno più piccolo.

 

“Possiamo aprirli ora?”- mi domandano eccitati.

“Certo, perché no.”- sorrido loro andandomi a sedere sul divano.

 

Ian mi segue sedendosi accanto a me e appoggiandomi una mano sulla gamba. Questo gesto mi fa rabbrividire, non perché non lo apprezzi, ma proprio perché mi fa piacere. Credo sia un gesto quasi involontario visto che lui non si accorge di niente e io non me la sento di fargliela togliere. E’ sbagliato, dannatamente sbagliato, ma mi sento così bene. I bambini aprono euforici i regali e rimangono a bocca aperta. Mi sporgo dal divano per cercare di capire che cosa sia così bello da aver attirato la loro attenzione e, solo in un secondo momento, mi rendo conto di che cosa sia. Sul pacco più grande c’era un costume da Batman per Joseph e quello di Spiderman per Stefan, mentre su quello più piccolo c’era una sorta di aggeggio che spara cose di plastica a forma di pipistrello e sull’altro una cosa che, in teoria, dovrebbe sparare ragnatele. Ian, ormai, conosce perfettamente i suoi polli.

I bambini si buttano, letteralmente, addosso a Ian e continuano a ringraziarlo per circa dieci minuti e rido vedendoli così felici. Ian li guarda soddisfatto. I gemelli non sono troppo attaccati ai beni materiali, ho sempre insegnato loro che i beni sono altri -come l’amore, la famiglia, l’uguaglianza, il rispetto e l’amicizia- ma, come tutti i bambini, impazziscono per i giocattoli e Ian, in qualche modo, si sente più utile.

Non sono dei bambini viziati, comunque.

 

“Sono contento che gli piacciano.”- mi dice Ian osservando i bambini che stanno tentando di mettersi il costume. 

 

Volete una mano? Ho chiesto loro.

No, mamma, siamo grandi, facciamo da soli. Mi hanno risposto.

Staremo a vedere.

 

“Li hai fatti felici!”- gli dico sorridendo.

“Non sapevo cosa prendergli. Sai”- si interrompe un attimo. -“il loro compleanno è stato poco fa e beh… Con tutti parenti e amici che hanno credo che abbiano un po’ tutto.”

“Sei riuscito comunque a renderli felicissimi e a prendere loro una cosa che non hanno.”- sorrido. -“Questo ti fa onore.”

“Credi… Credi che sia migliorato come padre?”- mi domanda leggermente timoroso.

“Non si migliora a fare i genitori, Ian.”- gli dico sinceramente. -“Si impara a crescere con i bambini, tu sei sempre stato perfetto.”

“Insomma, io… Con loro ci so fare, si, ma… Con un bambino piccolo come farò?”- mi domanda leggermente agitato.

 

So che si riferisce a suo figlio. L’altro figlio. Al solo pensiero mi si forma un nodo in gola che, con non poche difficoltà, tento di ricacciare indietro, non posso crollare, non ora. Sta soffrendo la situazione, ma è comunque felice. Pensare che… Fino a un anno fa non aveva nemmeno un figlio e in poco tempo si ritrova con non uno, ma tre. E io che avevo, in quel poco tempo passato veramente insieme, fantasticato sul nostro futuro… Di vivere insieme, come una famiglia, e, magari un giorno, quella famiglia sarebbe pure cresciuta.
 

“Scusa, non volevo, so… So… Io, lo so, è difficile per te, lo comprendo.”- si scusa mortificato. -“Non so cosa mi sia preso, davvero… Volevo un consiglio, credo…”

“Dovrò imparare a farci l’abitudine.”- sorrido amaramente. -“Sarai fantastico, vedrai. E’ più facile fare il genitore con un bambino piccolo che con uno già grande.”

“Quando siamo stati insieme, pensavo… Pensavo al nostro futuro. Mi ero già immaginato tutto, sai? Io, te, i gemelli… La nostra famiglia, che poi magari si sarebbe allargata, ma ora… Ma ora i miei sogni non ci sono più…”- mi dice.

 

Ed è quello che pensavo anche io, ma sentirlo dire ad alta voce, da lui, fa ancora più male. So che non l’ha fatto per cattiveria, sta esprimendo il suo dolore, ma fa male lo stesso.

 

“Non farmi del male, ti prego…”- lo supplico. -“Non facciamoci del male.”

“Mamma, papà, ci aiutate?”- mi interrompe Stefan con il suo costume in mano indicando anche Joseph.

“Certo, venite qui.”- dice Ian per entrambi.




















 

 

 

                                                                                * * *

 






















 

Arriviamo a casa dei miei genitori verso mezzogiorno e i bambini, non appena vedono i nonni, li abbracciano subito urlando “Buon Natale!”.

Poi corrono ad abbracciare Alex che li afferra entrambi al volo stritolandoseli addosso facendoli ridere.

 

“Buon Natale tesoro.”- mi sorride mia madre abbracciandomi stretta, seguita da mio padre che fa lo stesso.

“Buon Natale anche a voi.”- rispondo loro, poi mi rivolgo a mia mamma. -“Ti serve un aiuto in cucina?”


Mi guarda un attimo, poi scuote la testa.
 

“Aiuta tuo fratello ad apparecchiare la tavola, al cibo ci penso io.”- mi sorride incoraggiante.

“Potresti anche dirlo che non vuoi il mio aiuto in cucina perché sono un disastro.”- le dico fintamente offesa.

“Mi serve qualcuno che prepari la tavola, tutto qui.”- ridacchia.

“Fingerò di crederci!”- ribatto andando verso mio fratello con dei piatti in mano.

 

Mia madre va in cucina per terminare di preparare il pranzo -che poi, visto la quantità del cibo, diventerà anche la cena-, i gemelli sono con mio padre e stanno tentando di montare una sorta di nave dei pirati, mentre io aiuto mio fratello ad apparecchiare la tavola.

Rimaniamo in silenzio per qualche attimo, poi è proprio Alex ad interrompere il silenzio.

 

“Ultimamente ti ho visto strana…”- mormora affiancandomi e mettendo le posate al loro posto.

“A me sembra di essere stata normale.”- gli rispondo continuando a sistemare i bicchieri.

“Mmm… Non mi sembra, per niente.”- mi punzecchia. -“E’ cambiato tutto da quando sei tornata da Londra. Eri spaventata, da tutto.”

 

No, mio fratello non sa quello che mi è successo. E non voglio nemmeno dirglielo, ormai è acqua passata, credo. Certo, molte notti mi sveglio in preda agli incubi, rivivendo quello che è successo, ma poi mi convinco che Ian è arrivato in tempo e non è successo nulla. Non voglio raccontare niente perché non avrebbe più senso e non voglio far preoccupare, ormai inutilmente, i miei genitori e mio fratello.

 

“Magari era il periodo, non è successo niente, davvero.”- provo a convincerlo e sembra cascarci.

“Cercherò di crederti.”- mi dice passandosi una mano sul mento. -“Voglio solo capire perché sei strana, tutto qui. Ti voglio bene e vedo che c’è qualcosa che ti turba… E’ perché Ian ultimamente è distante?”

 

Abbiamo preso noi le distanze ed è meglio così, per tutti. Per me, per lui e per il bambino in arrivo.

Sebbene volessi stare con lui -e lo voglio ancora con tutta l’anima- è meglio così. Lui potrà vivere con la sua famiglia, crescere suo figlio dal primo momento, ma potrà comunque stare con i bambini, come ha sempre fatto.

 

“Nikki è… Incinta.”- mollo la bomba così.

“Che cosa?!”- quasi urla.

“Shhh… Non urlare.”- mi porto un dito vicino alle labbra per intimargli di stare zitto. -“Si, comunque lo è.”

“Ma non erano in crisi?”- mi domanda dubbioso.

 

Si, lo erano, ma devo comunque trovare una scusa. Una parte di me rimarrà sempre ferita dal fatto che Ian sia andato a letto con Nikki quando mi diceva che tutto stava andando a rotoli, ma credo che l’abbia fatto per tentare di recuperare qualcosa, anche se con il sesso non si recupera mai nulla -e questo, purtroppo, l’ho capito a mie spese.

 

“Evidentemente no…”- mormoro abbassando lo sguardo.

“Mi dispiace, davvero. I bambini lo sanno?”- mi domanda.

“No, ancora no, ma credo aspetti a Ian dirglielo, non è affar mio.”- gli dico torturandomi il lembo della camicia.

“Lo so, solo che mi sembri parecchio scossa, insomma… So che, quando tu sei andata a Toronto, Ian è sparito nel nulla ed è tornato il giorno dopo. E’ sparito nel giorno del suo compleanno… Non è che magari ti abbia raggiunto a Toronto per chiarire qualcosa?”- mi domanda allusivo.

 

Lo guardo sotto shock negli occhi, ma capisco in fretta che è solo una supposizione questa e che non abbia scoperto nulla. Resta il fatto, però, che ci abbia comunque preso e questo mi mette in soggezione.

 

“Che cosa stai dicendo?”- gli domando fingendomi il più sconvolta possibile da questa rivelazione. -“Ian ti sembra il tipo da fare quindici ore di macchina soltanto per raggiungere me?”

“Per te avrebbe fatto qualunque cosa, ma evidentemente mi sto sbagliando.”- mi dice solo.

“Alex, smetti subito di importunare tua sorella, la stai esasperando.”- interviene mio padre alle mie spalle. -“E’ ora di pranzo, forza.”

 

Ringrazio mio padre con lo sguardo rivolgendogli un sorriso caloroso mentre lui mi appoggia un bacio sulla fronte, proprio come quando ero piccola. Accompagno i bambini in bagno e insieme ci laviamo le mani e ritorniamo in tavola poco dopo. Il pranzo passa veloce e tranquillo, ridiamo e scherziamo tutti insieme e la chiacchierata avuta poco fa con mio fratello sembra quasi un lontano ricordo. Dopo aver pranzato con mille cose preparate da mia madre e aver mangiato un pezzo di dolce ripieno di panna e cioccolata, ci mettiamo a fare subito i giochi da tavola che tanto piacciono ai bambini, compreso mio fratello Alex.

Sono quasi le cinque del pomeriggio quando decido di alzarmi ed andare fuori per prendere una boccata d’aria. La neve, a differenza di ogni anno, deve ancora scendere, meglio così. Mi siedo sulla panca a dondolo della veranda del giardino del palazzo ad osservare gli alberi che ogni tanto si piegano colpiti da una folata di vento.

Sento qualcuno sedersi accanto a me e appoggiarmi una mano sulla gamba.

E’ mio padre.

Appoggio la testa sulla sua spalla rilassandomi immediatamente.

 

“Non hai freddo a stare qui?”- mi domanda mio padre.

“No, sto bene.”- sorrido. -“Avevo bisogno di una boccata d’aria.”

“Sei sicura di stare bene?”- mi domanda apprensivo. -“Ti ho vista nervosa mentre parlavi con Alex.”

“Sai com’è… Si preoccupa sempre troppo e continua a farmi mille domande.”- gli dico sollevando le spalle.

“Lo fa perché ti vuole bene.”- mi dice dandomi un buffetto. -“Sei la sua sorellina e credo che svolga perfettamente il ruolo di fratello maggiore.”

“Lo credo anche io, solo che a volte è un po’ opprimente.”- ridacchio.

 

Rimaniamo alcuni secondi in silenzio, cullati dal rumore del vento, poi è sempre mio padre ad interrompere questa pace.

 

“Con Ian come va?”- mi domanda lasciandomi spiazzata.

“Bene, è molto bravo con i bambini e loro lo adorano. Hanno finalmente trovato il papà che hanno sempre sognato.”- gli dico convinta.

“Con i bambini so che va tutto bene, me l’hanno detto. Sono molto orgogliosi di lui, sai?”- mi dice. -“Io intendevo come si comporta con te.”

“Bene, davvero. Sta andando tutto bene, per me l’importante è che si occupi di loro, il resto non conta.”- gli dico.

“Certo, però l’importante è che tratti bene anche te. Se succede qualcosa chiamami e parlerò io con lui.”- mi dice serio.

“Papà, non ho più cinque anni.”- gli sorrido.

“Lo so, ma rimarrai sempre la mia piccola Ninì.”- mi schiocca un altro bacio sulla fronte. -“Non sopporterei che qualcun altro ti facesse del male, hai sofferto già troppo…”

 

Mi accoccolo meglio contro di lui sospirando, so che mio padre ci sarà sempre per me ed è per questo che gli voglio così tanto bene. Abbiamo sempre avuto un legame speciale io e lui, sono sempre stata la sua piccolina, la sua bambina, e con lui ho potuto fare qualsiasi cosa.

Non mi ha mai fatto pesare il fatto di essere rimasta incinta di Ian sebbene non stessimo più insieme da un anno e non mi ha mai chiesto il perché. Non che mia madre l’abbia fatto, ma per mio padre ho sempre pensato che fosse una maniera per deluderlo veramente, invece non fu così.

 

“Ti voglio bene papà.”- gli dico abbracciandolo.

“Anche io tesoro.”- ricambia anche lui l’abbraccio. Poi si stacca leggermente da me rivolgendomi uno sguardo complice. -“Come va con Eric?”

“Non dirmi che mamma ti ha raccontato tutto…”- mormoro coprendomi il viso rossa dall’imbarazzo.

“Non posso sapere se la mia bambina si frequenta con qualcuno?”- mi domanda accigliato.

“Certo papà, sai che te l’avrei detto, solo che aspettavo il momento giusto.”- affermo convinta.

“Si comporta bene con te?”- mi domanda ancora.

“Si, papà, non preoccuparti, nessuno mi sta facendo del male in questo momento.”- ridacchio per la sua apprensione, è sempre stato così. -“E’ veramente fantastico con me, anche con i bambini. Mi fa sentire bene.”

“Allora voglio conoscere l’uomo che fa felice mia figlia. Quando ti degnerai a presentarlo al tuo vecchio?”- mi domanda sorridendo sornione.

“Presto.”- gli rispondo.

 






















 

 

                                                                             * * *























 

Ian è appena passato a prendere i bambini e li ha portati via con lui. Giustamente hanno passato la giornata con me e ora passeranno il resto della serata con Ian e la sua famiglia. Mia madre è andata subito ad abbracciarlo, Alex gli ha stretto la mano sorridendo -più o meno- e mio padre gli ha rivolto un cenno del capo, ma non ha detto nulla, meglio così.

Mia madre mi ha ‘obbligata’ a rimanere qui anche per questa sera, poi, finita la cena, me ne ritornerò a casa. Faccio per sedermi a tavola quando il campanello suona.

Credevo che non aspettassimo ospiti.

 

“Ho invitato qualcuno.”- dice subito Alex lanciando uno sguardo complice a mia madre.

 

Alzo le spalle non curante, sicuramente sarà qualche amico di Alex, o magari un’amica. Sarebbe ora che mettesse la testa apposto, non è più molto giovane ormai. Alex va ad aprire la porta e sento una voce familiare parlottare con mio fratello.

Non ci metto molto a riconoscerla.

Eric!

Sono felicissima che sia qui, ma sinceramente non me l’aspettavo. Credo sia opera di mio fratello, ma decido di non dire nulla, infondo sono felice che sia qui per passare la serata con noi.

 

“Nina!”- urla una piccola vocina, Jonathan, che mi corre incontro.

“Ciao Jonathan, buon Natale.”- gli dico dandogli un bacio tra i capelli, poi mi alzo andando incontro ad Eric che mi rivolge un sorriso radioso che mi scalda il cuore. -“Buon Natale anche a te.”

 

Eric prende la mia mano e la bacia mormorando Buon Natale e questo gesto mi fa veramente piacere. Ormai, visto che una parte della mia vita è andata persa per sempre, per ovvie circostante, ho deciso di iniziare da qui. Bacia la mano anche a mia madre, sempre facendole gli auguri, e le porge una bottiglia di spumante, poi stringe la mano a mio padre.

 

“Quindi tu sei Eric, ho sentito parlare molto di te.”- gli sorride mio padre indicandomi facendomi arrossire. -“Sono felice che tu sia qui, se avessi aspettato mia figlia ti avrei conosciuto da morto.”

“Non dica così.”- lo ammonisce Eric sempre educatamente. -“Ci stiamo conoscendo.”

“Sono davvero felice che abbia trovato un buon ragazzo come te, mi piaci.”- gli dice mio padre dandogli una pacca sulla spalla sorprendendomi del tutto. -“E dammi pure del tu, così mi fai sentire troppo vecchio.”

“Sarà fatto.”- sorride Eric per poi avvicinarsi a me. Mi porge un pacchetto rosso con un nastro bianco. -“Questo invece è per te.”

 

Prendo il pacchetto che mi porge tra le mani e gli sorrido grata. Non mi aspettavo un regalo da parte sua, certo, gli ho fatto un regalo anche io, ma se faccio un regalo non lo faccio per averne uno anche io, sono fatta così.

 

“L’avevo preso un po’ di tempo fa, ho pensato che ti stesse bene addosso.”- mi dice indicando ancora il pacco.

“Non dovevi, ma… Grazie…”- mormoro sorridendogli dolcemente.

 

Scarto il pacco regalo e trovo una scatola color panna. La apro, facendo attenzione a non distruggere tutto come mio solito, e all’interno ci trovo una collana d’argento. E’… Bellissima… Davvero… Come simbolo ha un angelo ricoperto, sul vestito, di brillantini che lo fanno luccicare.

E’ un regalo bellissimo mi ritrovo a pensare, ed è anche un gesto infinitamente dolce da parte sua. E questo lato mi piace veramente tanto.

 

“E’ bellissima, davvero.”- gli dico sinceramente colpita. Solo ora mi accorgo che sono tutti spariti in sala, compreso Jonathan. 

“Sono contento che ti piaccia, appena l’ho vista ho subito pensato a te.”- mi dice accarezzandomi una guancia.

 

Socchiudo leggermente gli occhi trovandomi bene con quel gesto così intimo. La cosa ancora un po’ mi spaventa, non Eric in se, ma il fatto di avere una nuova storia dopo tutto quello che ho passato, ma mi fido di Eric e non stavo così bene dai tempi di Ian e sento che è la cosa giusta da fare. Non mi sento obbligata a farlo, lo voglio fare. Mi sento solo un po’ in colpa per quello che è successo con Ian nei confronti di Eric, non che mi senta in colpa di averlo fatto con Ian, ma tanto ormai non serve a nulla.

Un pezzo del mio cuore sarà sempre con Ian perché lo amo e lo amerò per sempre, ma è giusto che il mio cuore venga donato anche a qualcun altro.

 

“Puoi?”- gli domando indicando la collana.

“Certo.”- annuisce prendendo la collana dalle mie mani ed agganciandola al mio collo. 

“Davvero, è… Bellissima…”- mormoro osservandomi la collana al collo.

“Ti svelo un segreto…”- mormora al mio orecchio facendomi rabbrividire e le guance mi diventano leggermente rosse. Non capisco come, a quasi trentaquattro anni, mi possa imbarazzare ancora così… -“La collana è bella, ma tu di più.”

 

Poi mi sorride e se ne va in sala per andare a cercare suo fratello, credo, lasciandomi imbambolata di fronte al forno.

Sorrido, continuando a toccarmi la collana, e rimango per qualche istante immobile, poi decido di andare anche io in sala.

 





















 

                                                                               * * *






















 

 

Abbiamo cenato in compagnia, abbiamo riso e abbiamo parlato, parecchio. I miei genitori sembrano apprezzare parecchio Eric, non li avevo mai visti così disinvolti con qualche ragazzo… Escludendo Ian, ma quella è una faccenda a parte, e ne sono felice. 

Loro hanno sempre avuto occhio per certi tipi di cose, ma poi… Non puoi non voler accettare Eric, è fantastico, questo lo devo dire.

E mi piace veramente stare con lui, mi sento tranquilla e felice come non mi capitava da parecchio tempo -escludendo, lo ripeto, Ian. 

Ormai la serata è terminata ed io sto accompagnando Eric giù per le scale. Jonathan è già corso in macchina, troppo stanco per aspettare, mentre noi continuiamo a chiacchierare della serata appena passata.

 

“E’ stata una bella serata!”- mi dice Eric particolarmente allegro.

“Si, è stata veramente bella.”- gli dico con lo stesso tono particolarmente felice. -“E’ stato piacevole averti qui con noi…”

“Sono molto lusingato di questo, signorina Dobrev…”- mormora facendomi ridacchiare.

 

Da genio quale sono non ho portato nessuna giacca con me e, grazie alle temperature elevate di dicembre, sto morendo, letteralmente, di freddo. Eric si avvicina piano a me, si sfila la giacca nera e, prima che io possa fermarlo, me l’appoggia bene sulle spalle. Con lui è sempre così… Io ho freddo e lui, puntualmente, mi riscalda. Sorrido per quel gesto, credo che non mi abituerò mai a tutte queste attenzioni, e lo ringrazio con lo sguardo.

 

“Ti dovrò delle giacche con tutte quelle che mi presti…”- mormoro giocando con l’orlo della manica.

“E’ un’occasione in più per rivederti di nuovo, no?”- mi dice ridacchiando.

“Credo di si.”- ridacchio anche io osservandolo. -“Ma non servono giacche di mezzo per incontrarci.”

 

Eric ed io, in questo preciso istante, siamo parecchio vicini, molto vicini. Riesco a sentire il rumore del suo respiro ed improvvisamente questo accelera. I nostri nasi quasi si scontrano, le labbra ormai sono separate da cinque millimetri, forse meno. Mi accorgo dopo, forse troppo presa dal momento, che una mano di Eric è andata a finire dietro la mia schiena, ma non troppo in basso, è in mezzo. Un attimo dopo non sento più nemmeno il vento soffiare, gli uccelli cinguettare, le macchine passare e le persone parlare, siamo solo noi. Un secondo dopo le labbra di Eric si appoggiano delicatamente sulle mie e combaciano alla perfezione. Rimango un po’ stupita dal gesto, non me lo sarei mai aspettata, ma mi piace, per questo ricambio subito dopo mettendogli entrambe le mani dietro sul collo. Anche l’altra mano di Eric è andata a finire dietro la mia schiena e vengo appoggiata contro la porta del palazzo, provocando uno strano rumore, ma non ce ne curiamo. Provo sensazioni strane, simili a quelle che ho provato in passato, con lui, e questo mi provoca un po’ di timore, ma mi ispira a continuare. 

E’ un bacio, è il bacio. Non c’eravamo mai baciati prima, Eric mi ha lasciato i miei spazi e io non me la sono mai sentita di andare oltre, un po’ per me, ma soprattutto per lui visto che è stato sposato, prima di me, e poi si è separato, ma se mi sta baciando vuol dire che se la sente e questo mi fa stare bene. Non è un bacio qualunque, è un bacio serio, e sento che le cose stanno tornando finalmente al suo posto. Ci stacchiamo quando sentiamo qualcosa scendere sulla nostra testa e ci accorgiamo subito che è neve, sta nevicando.

Ci guardiamo negli occhi e sorridiamo, non c’è imbarazzo tra di noi, ed è bene così.

 

“Si è messa di mezzo anche la neve…”- mormoro guardando la sua testa con alcuni fiocchi bianchi.

 

Le sue mani sono ancora dietro la mia schiena, le mie dietro il suo collo, e non da fastidio a nessuno dei due.

 

“E anche il vischio, credo porti fortuna!”- mi dice indicando qualcosa alle mie spalle.

 

Mi volto leggermente e noto che, effettivamente, c’è del vischio attaccato sulla porta e scoppio a ridere seguita ruota da Eric.

Chissà… Magari è di buon auspicio.



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Buona domenica a tutte :')
Lo so, avrei dovuto aggiornare ieri, ma ho avuto una partita ed ero troppo stanca perfino per aggiornare, ma ora sono qui. Voglio avvisarvi che, da ora in avanti, non avrete più un aggiornamento ogni tre giorni, ma uno ogni cinque (se ce la faccio) o uno alla settimana perchè sono piena di cose da fare. Il professore di filosofia inizia ad interrogare tra cinque giorni su più di settanta pagine, ma vabbeh u.u
Prima di iniziare a commentare questo capitolo, voglio dirvi che, se la storia vi è sembrata tranquilla, fino ad adesso beh... Non lo sarà. Nel settimo capitolo capiterà qualcosa ad un personaggio in particolare che creerà, purtroppo, parecchi problemi. Bene, detto questo, passiamo al capitolo.
E' piuttosto Nina centrico e vediamo quattro scene distine. Ian, Alex, papà Dobrev ed Eric.
Ian arriva per portare i regali ai bambini e, insicuro, chiede qualche consiglio a Nina rendendosi conto dopo di averla in qualche modo ferita tirando fuori il discorso di suo figlio, l'altro figlio. Nina è ferita, ma Ian è pieno di dubbi, non sa cosa fare sia nel piano sentimentale -Nina o Nikki?- e sia dal punto di vista genitoriale, in quanto ha due figli che non ha cresciuto veramente lui ed ora si trova a fare i conti con una piccola vita.
La scena poi viene spostata a casa dei genitori di Nina con Alex che tempesta di domande Nina. Si è accorto dei vari cambiamenti della sorella, sia da Londra e sia da Toronto. Ovviamente sappiamo tutti quello che è successo a Londra, ma Nina non ha detto nulla a nessuno non perchè non si fidi, ma perchè ormai è acqua passata e non avrebbe senso avvisarli ora. Toronto è... Toronto. Quello che è accaduto a Toronto rimane a Toronto, insomma. Il fratello di Nina ci ha visto giusto, ma lei, in qualche modo, gli fa cambiare idea. La scena più dolce, oltre a quella con Eric, secondo me è stata quella tra Nina e suo padre, ci voleva una scena dolce tra loro due, ho adorato scriverla. Lui, ovviamente, si preoccupa costantemente per lei sebbene Nina sia cresciuta e vuole proteggerla da tutti *^*
La scena tra Nina ed Eric è stata la scena. So che molte di voi non apprezzano questa coppia (c'è chi però l'apprezza veramente ^^), ma ho una particolare scaletta per questa storia e beh... Ho già tutti gli eventi in mente e, da come ho strutturato la storia, deve accadere anche questo :)
Nina ed Eric hanno finalmente il loro bacio sotto la neve e sotto il vischio, dovrebbe portare fortuna tecnicamente. Nina ama ancora Ian, non lo dimenticherà mai, ma, come ha più volte precisato, avendo lasciato andare Ian, deve crearsi una propria vita, ma non vede comunque Eric come un obbligo, le piace.
Ringrazio le fantastiche dieci ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (alle quali adesso risponderò).
Alcune di voi mi hanno chiesto l'immagine che avevo in mente per i gemelli, eccola:

(149422124-portrait-of-young-boy-gettyimages.jpg)
Appena l'ho vista ho subito pensato al mix Nian *__*

Grazie ancora, alla prossima <3

 

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Capitolo 6
*** Getting together ***


                                                      Getting together.



Sixth Chapter. 
Pov Nina.

“Cosa siamo, quindi?”- domando ad Eric.

 

E’ il 30 dicembre, domani è Capodanno. Eric mi ha chiesto di passarlo da lui e magari, se mi avrebbe fatto piacere, di portare anche i gemelli e Ian ne è stato d’accordo -di tenere i gemelli per la sera, non sa che andremo da Eric. Abbiamo cominciato a vederci più assiduamente da Natale, non che prima non ci vedessimo, solo molto più frequentemente e siamo diventati molto più intimi. Ci siamo scambiati altri baci, ma non abbiamo mai parlato seriamente di tutto questo.

Voglio capire cosa siamo, tutto qui. Eric non mi sembra turbato dalla mia domanda, anzi, è come se… Se l’aspettasse, credo che, in questi giorni, ci abbia riflettuto anche lui.

 

“Ci siamo baciati, passiamo molto tempo, tra l’altro molto piacevole insieme, non saprei.”- mi sorride ilare, poi mi prende una mano tra le sue accarezzandone il dorso. -“So a cosa stai pensando, ci stavo pensando anche io… Secondo me siamo diventati molto più che amici.”

“Quindi, intendi”- mi torturo le mani. -“che siamo qualcos’altro.”

 

Annuisce dolcemente accarezzandomi una guancia. Socchiudo gli occhi a quel contatto e la mia pelle brucia leggermente.

Ormai mi sono completamente buttata in questa relazione e sento che possa funzionare, nel senso che noi due, io ed Eric, possiamo veramente costruire qualcosa.

 

“Già, secondo me siamo qualcos’altro. Quel qualcos’altro.”- mi dice inclinando la testa di capo. -“Mi piace stare con te, davvero, siamo molto simili, ma allo stesso tempo così diversi. Mi piacerebbe davvero che ci conoscessimo meglio, in quel senso. Non… Non pensare male, nel senso-”

 

Scoppio a ridere per il suo imbarazzo, so che non intendeva quello.

 

“Non preoccuparti, credo di aver capito.”- continuo a ridacchiare facendolo diventare più sereno. So che non è quel tipo di uomo. 

“A volte non sono molto bravo con le parole.”- ridacchia anche lui grattandosi la nuca. -“Allora, signorina Dobrev, diventiamo quel qualcos’altro?”

 

 

 

Quindi si, io ed Eric stiamo insieme, più o meno ufficialmente. Diventerà ufficiale anche quando gli altri, oltre a noi due, sapranno della nostra relazione.

Siamo fidanzati.

Dirlo ad alta voce fa tanto quindicenni in preda agli ormoni, quindi ci siamo definiti più che amici, ma il senso, come ha detto Eric, è quello.

E la cosa mi piace, davvero, e non mi spaventa veramente più. I bambini hanno capito che c’è qualcosa che non va, ma in senso positivo. Mi chiedono molto spesso perché io sia così felice, loro ne sono contenti, ovvio, ma io trovo sempre delle scuse.

Abbiamo pensato, io ed Eric, di comune accordo, di dirglielo questa sera, a Capodanno e credo che i bambini ne saranno veramente felici, o almeno lo spero.

 

“Nina, ti sei incantata, di nuovo.”- mi rimbecca Candice, mentre Phoebe mi lancia uno sguardo leggermente preoccupato.

 

Credo che Paul non le abbia detto niente -di quello che abbiamo fatto io e Ian, intendo- e per questo gli sarò sempre grata, anche se, penso, che prima o poi dovrò affrontare il discorso, almeno con lui. 

 

“Stavo solo-”

“Pensando, si.”- ridacchia Phoebe. -“Ultimamente lo fai spesso.”

“Secondo me c’entra Eric!”- dice Candice mentre continua a fare facce strane al piccolo Daniel. 

“Uh, allora voglio sapere dell’altro!”- Phoebe mi rifila un sorriso malizioso. -“Stavi pensando a lui, vero?”

“Non serve domandarglielo, è ovvio!”- dice Candice guardandomi allo stesso modo di Phoebe.

“La smettete tutte e due?”- le incenerisco con lo sguardo. 

“Dai Ninaaa!”- mi implora Phoebe. -“Sappiamo a quello che stavi pensando, ma vogliamo sentirlo da te.”

“Insomma… Stavi sorridendo e avevi la faccia da pesce lesso.”- mi dice Candice con un’alzata di spalle.

“Siete due pettegole!”- le ammonisco facendole ridacchiare. -“Okay, stavo pensando ad Eric, contente?”

 

Entrambe annuiscono e si guardano soddisfatte battendo il cinque come due bambine di cinque anni. Credo che Rachel sia meno bambina di loro a questo punto.

 

“Questo è lo scoop del secolo!”- afferma convinta Candice. -“E’ veramente un brav’uomo!”

“Secondo me c’è qualcosa che ci stai tenendo nascosto, vero Nina?”- mi domanda Phoebe.

 

Ma perché devono essere sempre così curiose? Certo, mi fa piacere avere delle amiche così che si preoccupano costantemente per me, ma volevo ancora tenerlo un po’ nascosto, tenerlo per me. E’ un momento fantastico, così nostro.

 

“Questa sera andrò da lui, siete contente?”- dico loro.

Capodanno. Voi due. Insieme. Da soli. Mi aspetto una serata con i fuochi d’artificio!”- commenta Candice maliziosa.

“E’ Capodanno, vero, ci saranno i fuochi d’artificio, assolutamente non quelli che intendete voi, ma non saremo soli. Ci saranno anche i bambini con il fratello di Eric, Jonathan.”- spiego loro cercando di placare il loro entusiasmo.

“Vuoi che li teniamo noi?”- mi domanda Phoebe comprensiva.

“Cosa? No. Passeremo una serata tranquilla, tutti insieme.”- mi affretto subito a chiarire.

“Era una richiesta a fin di bene.”- mi dice Candice.

“Non sono ancora pronta a quello. Stiamo andando per gradi.”- spiego loro.

 

Siamo usciti entrambi da due storie difficili, abbiamo bisogno di tempo. Poi ho sempre creduto che una storia non si potrebbe mai basare solo sul sesso, deve esserci amore per andare avanti.

E noi stiamo costruendo tutto dall’inizio, come una qualsiasi coppia che vuole stare insieme.

 

“Resta il fatto che ti ha invitato a casa sua.”- sottolinea Candice.

“Anche io l’ho invitato più volte qui, non vedo dov’è il problema…”- dico io di rimando.

“L’hai detto con un tono strano…”- mormora Phoebe con uno strano sorrisetto ad incorniciarle le labbra. -“Non è che per caso state insieme? Come due fidanzati, intendo.”

 

E maledico la mia capacità di non riuscir a non rendere le guance rosse, ormai è evidente. Candice e Phoebe sorridono vittoriose poi lanciano un urletto di puro apprezzamento. Pochi secondi dopo sento quattro braccia avvolgermi.

 

“E’ una cosa fantastica!”- esclama Candice.

“Assolutamente si!”- continua Phoebe allegra. -“Siamo così felici per te.”

 

E mi convinco che forse ho fatto veramente bene a dirlo, almeno a loro. Iniziano a tempestarmi di domande che non hanno mai fine, ma continuo a rispondere con il sorriso, finalmente l’ho detto a qualcuno e mi sono liberata di un peso.

 





















 

 

                                                                                 * * *





















 

 

I bambini sono appena arrivati insieme ad un Ian particolarmente stanco. Sono subito corsi a lasciare giù i loro zaini in camerata e poi sono ritornati in sala per raccontarmi di come, insieme a Ian, hanno costruito un puzzle enorme e, proprio alla fine, Klaus ha mordicchiato due pezzi impedendo così di finire il loro lavoro.

E’ un gatto fin troppo malefico, l’ho sempre detto.

 

“Va tutto bene?”- domando a Ian quando finalmente siamo soli.

 

I bambini sono corsi a bere dell’acqua, lasciandoci così in salotto.

 

“Sono solo stanco,”- si passa una mano tra i capelli. -“ultimamente non dormo molto. Nikki mi sveglia di continuo in preda alle voglie più assurde e alle nausee…”

“Mmm… Capisco, si.”- gli dico giocando con l’orlo della mia maglietta. -“Ti ci abituerai, credo.”

“Lo spero, in più ho altri pensieri per la testa che non mi portano a dormire.”- mi racconta.

“Del tipo?”- gli domando.

 

Non voglio forzarlo a dirmi cosa lo turba, ma mi fa male vederlo così abbattuto. E’ ritornato quello di prima, costantemente stanco e con un sorriso finto.

 

“Robyn mi ha detto che mi sto rovinando la vita. Quando le ho detto che Nikki aspettava un bambino, l’abbiamo annunciato a Natale, se n’è andata in cucina e mi ha tenuto il muso per tutto il giorno…”- mormora.

 

Sgrano gli occhi non capendo, o forse non ci voglio arrivare. Questo non è un comportamento da Robyn, mi ricordo che è stata una delle poche ad apprezzare il loro matrimonio, ma forse era solo una facciata.

Me lo sarei aspettato da Robert, lui non ha mai mandato giù la scelta di Ian e questa magari sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, ma da Robyn non me lo sarei mai aspettato, mai.

 

“Non me lo sarei mai aspettato da Robyn, dico davvero…”- mormoro guardandolo.

“Neanche io. Insomma, da Robert magari si, ma da lei no. Mi ha detto che, oltre ad incasinare la mia vita, incasinerò anche quella di una povera vita che deve ancora nascere…”- mormora.

 

Beh, questo è vero, ma preferisco non dirglielo.

Abbiamo voluto noi così, l’abbiamo deciso, e non mi sembra giusto interferire, altrimenti so che lo distruggerei così. Ci siamo lasciati andare di comune accordo e va bene così, ma mi fa male vederlo così, perché lo amo ancora, ma allo stesso tempo sto tentando di andare avanti.

E forse è sbagliata questa scelta, ma è meglio così, per entrambi.

 

“Magari le passerà, sono sicura che sarà così.”- provo ad incoraggiarlo mordendomi le labbra.

 

Ci sarebbero così tante cose da dire, ma non posso.

 

“No, non credo. Ha detto che tra me e Nikki non c’è più amore e diavolo… Ha fottutamente ragione, ma non posso fare più niente, lo capisci?”- mi dice con la voce che trema.

 

Lo abbraccio di slancio lasciando che in qualche modo si sfoghi. Perché, se ami veramente una persona, sei pronta a tutto per lei, a farti del male per cercare di farla vivere al meglio e questo Ian me l’ha dimostrato. Anni fa mi ha lasciata andare, in un modo veramente contorto, ma non sarei mai diventata quella che sono ora.

Certo, avrei preferito che fosse accaduto in modo diverso, ma è avvenuto così e ormai non si può più tornare indietro. Ora sono pronta io, con tutto l’amore che provo per lui, a lasciarlo andare per permettergli di crescere suo figlio -o figlia- perché, da quello che ho imparato, più grande dell’amore tra due persone c’è quello che si prova per un figlio. E questo lo sa anche Ian, l’ha capito -forse perché mi ha visto completamente decisa o perché si è reso anche lui conto che un povero bambino non deve pagare per degli errori- e questo, un po’, mi rincuora.

 

“Non andrà mai tutto bene…”- mormora.

“E invece andrà tutto bene. Quando vedrai tuo figlio, o tua figlia… Andrà tutto bene.”- glielo sussurro piano. -“Non sarà quello che hai sempre voluto, quello che volevamo, ma va bene così.”

 

E non me la sento di dirgli di essermi fidanzata con Eric perché so, se glielo dicessi oggi, che potrei veramente distruggerlo. Rimaniamo così per altri pochi secondi, poi i bambini corrono di nuovo in sala reclamando attenzione che noi prontamente diamo loro.

 

Siamo appena arrivati a casa di Eric e i bambini sono subito corsi a giocare con Jonathan che ha mostrato loro la sua cameretta. E’ una casa veramente molto bella, ispira tranquillità, ma comunque l’avevo già vista. Eric, da brav’uomo di casa, si è offerto di cucinare tutto lui, dicendo che questa era una serata speciale, e gliel’ho lasciato fare, anche perché io non sono veramente un asso in cucina, ma questo l’ha capito pure lui.

 

“La sai una cosa? Candice e Phoebe oggi mi hanno sottoposto ad un interrogatorio.”- iniziò così mentre lo aiuto a preparare la tavola.

“Davvero?”- mi domanda ridacchiando. -“E cosa ti hanno chiesto?”

“Se stiamo insieme.”- gli dico sorridendo.

 

Si avvicina a me e mi schiocca un bacio sulle labbra spostandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che avevo davanti agli occhi.

 

“Ovviamente ho detto loro di si.”- gli dico appoggiando una mano sul suo petto muscoloso.

 

“Mmm… Devo già dividerti con altri?”- mi domanda accarezzandomi un braccio.

“No, erano solo curiose.”- ridacchio facendo ridacchiare anche lui. -“Troppo curiose.

“A me stanno simpatiche e credo che, come buone amiche, si stessero preoccupando per te.”- mi dice convinto.

“Si, è così.”- gli dico. -“Quando lo diremo ai bambini?”

“Sai che non c’è fretta, quando ti senti più sicura…”- mormora stringendomi al suo petto.

 

Apprezzo veramente quello che ha detto, ma lo sapevo già. Un altro fatto per cui lo adoro è proprio perché mi lascia i miei spazi e non vuole essere affrettato. E’ d’accordo con me sull’andare per gradi.

 

“Io avevo intenzione di dirglielo questa sera…”- gli dico torturandomi le mani. -“Se per te va bene.”

“Certo che a me va bene, se ne sei convinta tu lo sono anche io.”- mi dice facendomi fare una leggera piroetta.

“Allora andiamo a dirglielo.”- gli dico prendendolo per mano.

 

Andiamo insieme in sala, dove i bambini stanno giocando a Monopoli, e ci sediamo entrambi sul divano, vicini.

Hanno già accettato Eric, mi chiedo, però, come la prenderanno sapendo che stiamo insieme.

I bambini si accorgono di noi e smettono di giocare sorridendoci -per bambini, ovviamente, intendo i gemelli e Jonathan.

 

“E’ pronto da mangiare?”- mi domanda Stefan sedendosi per terra accanto alle mie gambe.

“Tra poco, tesoro.”- gli accarezzo la testa. -“Siamo qui per dirvi qualcosa di importante.

“Siete fidanzati?”- ci domanda Joseph schietto.

 

Io spalanco gli occhi, mentre Eric, accanto a me, resta sorpreso da tutta questa schiettezza. Certo, ormai ci vedono più tempo insieme, ma non mi aspettavo che giungessero subito a conclusioni -vere, tra l’altro.

Ma ormai credo che, dopo sette anni di vita, non mi debba più stupire dei ragionamenti dei gemelli.

 

“Si, lo siamo.”- risponde dolcemente Eric per entrambi accarezzandomi una mano. -“Volevamo dirvelo per-”

“Volevamo avvisarvi, tutti e tre.”- concludo io per lui. -“Sappiamo che state vivendo una situazione particolare, volevamo farvelo sapere.”

“L’avevamo già capito, mamma!”- ridacchia Joseph gettandomi le braccia al collo seguito da Stefan. 

“Ci stavamo domandando quanto ci avreste messo!”- ride Stefan.

 

Scoppiamo a ridere anche io, Eric, Jonathan e Joseph. 

 

“Vi sta bene?”- domanda Eric.

“Certo che a noi va bene!”- conferma Joseph, mentre gli altri due annuiscono. 

“Sono contento anche io.”- mi dice, più timidamente, Jonathan dandomi un bacio sulla guancia.

 

Gli accarezzo i capelli mentre i gemelli sorridono ad Eric. Sono contenta che non siano diventati gelosi e che abbiano accettato bene tutto, anche se, in pratica, hanno scoperto da soli. Inoltre sono felice che non siano gelosi di Jonathan, anzi, vedono in lui una sorta di fratello maggiore.

 



















 

                                                                                 * * *






















 

 

“Non mi sarei mai aspettata una reazione così da parte dei bambini…”- mormoro fissando il soffitto.

 

Abbiamo messo i bambini a letto. In pratica stanno dormendo tutti e tre in un materasso ad acqua che Eric ha trovato in soffitta. Io e lui, invece, siamo distesi comodamente sul suo letto, in piena tranquillità. Questa atmosfera fa bene e mi rilassa i nervi.

 

“L’hanno scoperto da soli”- ridacchia Eric giocando con una ciocca dei miei capelli. -“credo sia stato meglio così.”

“Lo credo anche io.”- sorrido sospirando. -“Forse è perché gli piaci.”

“Sono adorabili, si fanno amare da tutti. Anche a Jonathan piaci, sai? Non aveva mai legato così tanto con qualcuno.”- mi dice sorridendo.

“E’ un bambino fantastico e sono contenta di piacergli. Inoltre mi piace molto il rapporto che hanno costruito lui e i gemelli…”- mormoro socchiudendo gli occhi.

 

Non sento nemmeno le ultime parole che Eric mi sussurra all’orecchio perché mi addormento tra le sue braccia.

 

_____________________________________________________________

 

Buon fine settimana a tutte, eccomi qui con il nuovo capitolo dopo solo cinque giorni. Mi sto organizzando per gli aggiornamenti e credo di aggiornare almeno una volta a settimana, per ora. Cercherò di non andare mai oltre, spero di farcela :)

Il prossimo capitolo, quindi, arriverà o venerdì prossimo o domenica prossima, ed è quello sostanzialmente un capitolo di svolta, dove accadrà una cosa che renderà molto vulnerabile un personaggio in particolare.

Questo capitolo è stato, ancora una volta, Nina centrico, così come il prossimo, mentre dall’ottavo avremo altri Pov Ian e capirete in seguito perché, ce ne saranno veramente abbastanza. 

Nina ed Eric sono stanno ufficialmente insieme, ormai, indipendentemente da tutto quello che è successo, si conoscono da cinque mesi (stanno per entrare nel sesto) e, grazie alla scelta di Nina, era inevitabile che questo accadesse ^^

Io continuo a trovarli sempre più carini, non so voi. Ian, invece, è un’anima in pena ed è stato abbandonato perfino dalla sorella. Robyn ha detto delle parole veramente pesanti (ovviamente in privato a Ian), ma è praticamente arrivata alla giusta conclusione e vedremo ancora uno scontro tra lei e il fratello. La situazione continuerà a peggiorare, purtroppo.

Nei prossimi capitoli vedrete anche come i gemelli scopriranno del loro futuro fratellino (o futura sorellina) e, come già annunciato, non prenderanno la notizia troppo bene.

Ringrazio le fantastiche otto ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e chi continua ad inserire la storia tra le preferite/ricordate/seguite :’)

Alla prossima <3

 

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Capitolo 7
*** Nina's birthday. ***


                           Nina’s birthday.




Seventh Chapter.
Pov Nina.

La mia sveglia suona, ma non ho voglia di alzarmi. Metto una mano fuori dal piumone, il mio piccolo angolo di paradiso, e tento di schiacciare qualche pulsante per fermarla, ma la faccio finire rovinosamente a terra. Ho sonno, avrò dormito più o meno cinque ore, ma sono felice di aver trascorso una bella serata ieri sera. Eric e Jonathan sono venuti a mangiare qui per una pizza e se ne sono andati via all’una, circa, non prima di avermi fatto gli auguri di buon compleanno. Eric è stato veramente dolce e, dopo avermi dato un lungo bacio, facendo ridacchiare i bambini, mi ha dato il suo regalo. E’ un vestito bellissimo, blu, e, ad occhio e croce, gli è costato una piccola fortuna, ma ho davvero apprezzato il gesto. Per me potevano essere anche solo quattro stracci, ma sarebbe stato bello comunque. Mi aveva proposto di festeggiare il compleanno questa sera, ma i miei avevano piacere di passare del tempo con me, così l’ho invitato dai miei genitori che hanno subito accettato senza alcun tipo di problema -credo che abbiano capito che il nostro rapporto si è evoluto, ma non mi hanno comunque chiesto niente.

Comunque, si, oggi è il mio compleanno. Compio la bellezza di trentaquattro anni, ormai sto diventando vecchia.

Apro gli occhi e mi giro su un fianco, ma sbatto contro qualcosa, o meglio qualcuno. I bambini sono seduti dall’altra parte del letto matrimoniale e, non appena vedono che sono sveglia, mi rivolgono un sorriso adorante.
 

“Tanti auguri mamma!”- urlano abbracciandomi e riempiendomi di baci.

 

Mi fanno cadere all’indietro e iniziano a farmi il solletico. Non è un vero e proprio solletico, ma fingo di ridere e mi dimeno. Ovviamente loro ci cascano e ridono divertiti, hanno la risata più bella del mondo. 

 

“Mamma”- Joseph si volta prendendo qualcosa alle sue spalle. -“questo è per te.”

 

Mi porge un foglio tutto disegnato e gli sorrido grata. Anche Stefan fa lo stesso e sorrido anche a lui, poi li bacio entrambi.

Sono dei disegni stupendi, con qualche schizzo qua e là, ma per me sono bellissimi. Inoltre mi fa veramente piacere che abbiano deciso di fare qualcosa di proprio, sono così orgogliosa dei miei marmocchi.

 

“Sono stupendi, tutti e due!”- li bacio ancora facendoli ridacchiare. -“Andiamo a fare colazione?”

 

Questa mattina non andranno a scuola, mi hanno pregato di tenerli a casa visto che è il mio compleanno e ho accettato.

Sanno estorcermi ogni cosa, purtroppo. Scendiamo insieme in sala e facciamo colazione allegramente con Spike altrettanto allegro che aspetta le crocchette. Quando finiamo mi dedico a lui.

 

“Mamma, possiamo tirarti le orecchie?”- mi domanda Stefan.

“Dovete proprio?”- domando sconfitta.

“L’abbiamo sempre fatto quando compi gli anni, mamma!”- mi ricorda Joseph schioccandomi un bacio sulla guancia. 

 

Mi abbasso alla loro altezza e si divertono a tirarmi le orecchie per ben trentaquattro volte. Con le orecchie doloranti finisco di sistemare la cucina e i bambini corrono in camera per vestirsi e li sento parlottare tra loro su qualche sorpresa, ma faccio finta di niente.

Sebbene oggi sia il mio compleanno devo lavorare fino a tardi, ma ormai ci sono abituata, ogni compleanno è così. Non appena finisco di sistemare la tavola sento il campanello suonare, chi può essere a quest’ora di mattina? Infondo è relativamente presto.

Vado ad aprire la porta e mi scontro quasi con la faccia di Ian. Mi sorride leggermente imbarazzato tenendo tra le mani un enorme pacco bianco.

 

“Ero convinto che sarebbero venuti i bambini ad aprire.”- mi dice porgendomi il pacco. -“Comunque questo è per te, buon compleanno.”

 

Prendo il pacco tra le sue mani cercando di non farlo cadere e mi sposto di lato per farlo entrare. Ha i capelli spettinati, un filo di barba e, visto lo sguardo mezzo addormentato, deve essersi svegliato da poco, ma è venuto qui, per me.

 

“Grazie, io”- balbetto. -“non dovevi.”

“Mi ha fatto piacere fartelo, è il tuo compleanno, dopotutto!”- mi dice accarezzandomi un braccio e stringendomi a lui.

 

Mi scosto da lui lasciandolo parecchio perplesso. Va bene tutto, ma non può fare così, non è stato uno sfioramento improvviso. Sa quanto sia difficile questa situazione, non può comportarsi in questo modo.

Ian mi guarda parecchio turbato, forse non ha capito la situazione, in più in casa ci sono i gemelli, quindi è ancora peggio. Non hanno digerito molto bene l’idea di avere un fratellino -ho passato un intero pomeriggio, dopo che Ian gliel’aveva detto, cercando di convincerli che non aspettavo nessun bambino e che il loro papà aspettava un bambino da un’altra-, non voglio che fraintendano tutto. Inoltre sono felicemente fidanzata, non posso andare avanti così, ma lui non lo sa.

 

“Ian”- appoggio il pacco sul divano. -“non possiamo fare così.”

“Così come?”- mi domanda avvicinandosi ancora.

“Non… Non puoi toccarmi in quel modo, ci sono i bambini e-”

 

Ian scuote il capo leggermente amareggiato.

 

“Credevo non fosse cambiato nulla tra di noi…”- mi ricorda.

“Lo so, ma abbiamo deciso di prendere due strade, separate. Tu stai con Nikki, io sto con Eric, l’abbiamo deciso di comune accordo…”- mormoro.

“Non sono mai stato molto d’accordo con questa decisione.”- mi fa notare. -“E questo lo sai bene.”

“Ian, sto cercando di andare avanti… Ti prego.”- gli dico.

“Hai già dimenticato quello che è successo un mese fa?”- mi domanda accigliato. -“Un mese fa, per l’esattezza, eravamo in un letto d’albergo a rotolarci tra le lenzuola.”

“Non l’ho dimenticato, non potrei mai farlo…”- dico amaramente. -“Ma abbiamo deciso così e dobbiamo fare così. Mi sembravi propenso con questa cosa…”

“Lo ero, ma ogni giorno, quando mi sveglio, trovo accanto a me una donna che non amo più. Sto insieme a lei solo per il bambino, nient’altro… E molte volte penso di mollare, ma poi mi ricordo quello che mi hai detto e allora cerco di tenere duro.”- mi dice iniziando a camminare avanti e indietro con la testa tra le mani.

 

Mi fa male vederlo così, so che non è facile, non lo è per entrambi, ma non posso cedere. Io sto con Eric, sono fidanzata con Eric, lui sta con Nikki e aspetta un figlio (o figlia) da lei e va bene così.

Ogni cosa, a quanto pare, era destinata ad andare così.

 

“Fallo per tuo figlio.”- gli dico.

“E per chi credi che lo stia facendo?”- mi domanda. -“E’ logico che lo stia facendo per lui, altrimenti io sarei qui, con te.”

“Ian, ti prego, non voglio ritornare sullo stesso argomento…”- mormoro passandomi una mano tra i capelli.

 

Sento i passi dei bambini correre veloci sulle scale per questo mi stacco subito da lui in modo che non ci trovino troppo vicini. I bambini, non appena vedono il padre, come al solito gli corrono incontro e lo abbracciando. Stranamente, questa volta, non abbiamo alzato i toni, abbiamo parlato con rassegnazione, quindi i bambini, che erano di sopra, non hanno sentito praticamente nulla.

 

“E quello che cos’è?”- domanda Joseph indicando il mio regalo.

“Un regalo per la vostra mamma.”- sorride Ian scompigliando ad entrambi i capelli. -“Credo che dovreste aiutarla ad aprirlo.”

“Possiamo, mamma?”- mi domanda Stefan.

“Certo, aiutatemi pure.”- dico ad entrambi che corrono subito verso il divano.

 

In poco tempo i bambini distruggono tutta la carta da regalo, poi aprono una scatola. Rimangono un attimo perplessi, forse non si immaginavano quel regalo. Mi sporgo anche io, per vedere il contenuto della scatola, e vedo subito un tessuto rosso, non troppo scuro.

Afferro il vestito, perché è chiaro che lo sia, e lo stendo sopra le gambe meravigliata, è bellissimo. E’ un modello molto simile a quello che mi ha regalato Eric, ma questo è rosso, un colore fantastico.

Sono entrambi fantastici.

 

“Ero indeciso tra”- si gratta la testa imbarazzato. -“il blu e il rosso, ma alla fine ho optato per questo, mi ricorda tante cose.”

 

E so a cosa si riferisce con quelle cose. Agli eventi più importanti che ho partecipato insieme a lui indossavo abiti rossi, me li ricordo bene.

Questo uomo mi farà impazzire, giuro. 

 

“E’… E’ bellissimo…”- mormoro.

“Sono contento che ti piaccia.”- mi sorride facendo il solletico a Stefan sulla pancia.

 

Joseph è troppo impegnato ad osservare il vestito. 

 

“Mamma, perché non lo provi?”- mi domanda. -“Secondo me ti starà benissimo.”

“Non credo sia il caso.”- gli dico.

“Dai mamma!”- mi implora Stefan ridacchiando perché Ian non smette di torturarlo. -“Ti prego…”

“E va bene, ma solo due minuti, dopo dobbiamo andare.”- decreto infine facendo sorridere i bambini.

 

Anche Ian non è da meno per quanto riguarda il sorridere. Mi alzo dal divano e vado nel bagno, quello del piano terra. Mi spoglio velocemente, siamo già in leggero ritardo per andare sul set, il tempo è volato. Una volta rimasta in biancheria mi infilo il vestito e, con non poche difficoltà, riesco a chiudere la cerniera, non troppo complicata. Credo che qui ci sia lo zampino di Ian, ha sempre saputo che odio i vestiti con le cerniere troppo complicate. Mi guardo un attimo allo specchio e devo dire che non è niente male, sembra fatto apposta per me.

Vuoi vedere che Ian me l’ha fatto fare su misura? Non sono cambiata nel tempo infondo.

Vado in sala un po’ imbarazzata. I bambini, non appena mi vedono, mi sorridono con gli occhi che brillano e Ian rimane leggermente a bocca aperta. So di non essere brutta, ma nemmeno questo granché.

 

“Mamma, sei fantastica!”- mi dicono entrambi correndomi incontro.

“Credo di aver scelto bene…”- mormora Ian convinto che non l’abbia sentito.

“Mamma, perché non lo metti questa sera?”- mi domanda Joseph.

 

Questa sera? Perché questa sera?

 

“Questa sera?”- domando dubbiosa inclinando leggermente il capo.

 

Per tutta risposta Joseph si becca un calcio da Stefan -e lo rimprovero per questo- mentre Ian si alza cercando di calmare le acque. Guarda i suoi figli sconsolato, dopo prova a inventare una scusa. 

 

“Joseph intendeva”- Ian si blocca un attimo guardando il figlio. -“che magari, visto che è il tuo compleanno, avevi organizzato qualcosa, si.”

“Si, papà ha ragione!”- concorda Joseph.

“No, a dire la verità non ho organizzato niente. Mia madre vuole passare un compleanno in famiglia.”- gli dico facendo spallucce.

“Uhm, okay.”- borbotta Ian, poi guarda l’orologio appeso al muro. -“Si è fatto tardi, dovrei andare. Ancora tanti auguri.”

“Grazie per il regalo.”- gli dico, ancora.

 

Mi sorride solo e, dopo aver dato un bacio ai bambini, se ne va. Rimango per qualche istante a fissare la porta, poi abbasso lo sguardo. 

Me la sono cercata.

 






















 

                                                               * * *
























 

Non appena arrivo sul set, insieme ai bambini, ricevo auguri da tutte le parti. Candice mi salta letteralmente in braccio, seguita da Phoebe, Claire e tutte le altre. Mano a mano che percorro il corridoio per arrivare nel mio camerino incontro anche gli altri e mi fanno gli auguri. Michael Malarkey, che momentaneamente non ha nulla da fare, tenta di tirarmi le orecchie, ma lo fulmino con lo sguardo e se ne va a testa bassa, ma posso comunque sentire la sua risata dal fondo del corridoio.

 

“Auguri di buon compleanno, Nina!”- mi dice Erika allegra non appena entro nel camerino seguita dai bambini.

“Grazie!”- le dico ricambiando il suo abbraccio. -“Che fine avevi fatto? Ultimamente non ti ho più vista in giro. Non dirmi che c’entra qualcuno!”

“Qualcuno c’entra…”- mormora sorridendo timida.

“Racconta, sono curiosa!”- le dico eccitata.

 

Sono così contenta che finalmente abbia trovato qualcuno.

 

“Anche tu devi dirmi qualcosa, o no?”- mi domanda con un sorrisetto malizioso.

“Mamma, noi andiamo da papà.”- mi dice Joseph alzandosi dal divano.

“Troppi discorsi da donne.”- borbotta Stefan seguendo il fratello.

 

Io ed Erika scoppiamo a ridere e iniziamo a parlare tra di noi del suo presunto fidanzato e di Eric. Alla fine, mezz’ora dopo, sono pronta con il trucco e con i capelli già pronti per girare. Sento qualcuno bussare alla porta e vedo la testa di Paul fare capolino.

 

“Tanti auguri, Neens.”- mi dice sorridendo sornione.

“Buongiorno Wesley e… Grazie.”- ricambio il suo sorriso.

 

Erika si alza dalla sedia e, con una scusa futile, sparisce al di là della porta lasciando me e Paul da soli. Il mio amico, dopo avermi chiesto il permesso con lo sguardo, si siede del divanetto di fronte alla mia sedia.

Perché ho il timore di stare con lui? Sono sicura, quasi al 100%, che potrebbe tirare fuori da un momento all’altro quell’argomento.

 

“Quanti sono? Novanta?”- mi domanda ridacchiando.

“Sai benissimo quanti sono, Paulino.”- lo schernisco tirandogli dietro un cuscino che schiva prontamente.

“Oh, lo so, mi sembra ieri la prima volta che ti ho visto.”- mormora. -“Eri così piccolina, una ragazzina di vent’anni.”

“Ti stai perdendo tra i ricordi?”- gli domando ridacchiando alzandomi dalla sedia.

 

Mi siedo accanto a lui che scuote la testa.

 

“Sono qui per farti due discorsi seri.”- mi dice titubante.

“Due discorsi seri? Da te?”- domando allibita cercando di stemperare la tensione. -“Allora è proprio grave.”

Eric e Ian.”- mi dice. -“Quale vuoi per primo?”

“So che non mi piaceranno entrambi…”- mormoro mordendomi il labbro inferiore. -“Lo so, ho sbagliato tutto.”

“Ascoltami per un secondo, almeno. Ian… Mi ha detto di quello che avete fatto e spero, con tutto il mio cuore, che abbiate preso precauzioni.”- inizia.

 

Le mie guance diventano rosse, ma annuisco. Prendo la pillola da beh… Un po’, quindi non c’è nessun rischio.

 

“Bene, ora, sorvoliamo questo fatto. Vi rendete conto di quello che avete combinato?”- mi domanda accigliato. -“Se Nikki venisse a saperlo, se-”

“Ti preoccupi per Nikki?”- gli domando offesa.

 

Davvero si preoccupa per lei? Che storia è mai questa?

 

“Non mi sto preoccupando di lei, ma per te, per voi. Sai che quella donna è una bomba ad orologeria, potrebbe esplodere da un momento all’altro. E se lo dicesse a qualcuno e questa storia finisse sui giornali? Tutta la storia.”- mi dice preoccupato.

“Nessuno gliel’ha detto, è una cosa tra me e Ian e… Te.”- tento di spiegargli.

“Mi auguro che non lo venga mai a sapere.”- borbotta. -“Io ovviamente terrò la bocca chiusa, Phoebe non lo sa e non lo verrà mai a sapere, sono vostri affari, dopotutto.”

“Quindi tu stai dicendo che se… Nikki venisse a sapere di tutta questa storia potrebbe far finire tutto sui giornali. In pratica potrebbe raccontare di come io e Ian siamo andati a letto tempo fa, magari dicendo anche che l’ho abbindolato, e di come, anche, gli abbia nascosto di avere due figli. Poi, alla fine, racconterebbe anche di come io mi sia portata a letto suo marito sapendo, magari, che lei fosse incinta.”- gli dico velocemente. -“E’ ridicolo, Paul, non potrebbe mai essere così meschina.”

Era, per fortuna non lo è più, la tua migliore amica e non ci ha pensato minimamente due volte di andare a letto con Ian sapendo quanto steste soffrendo entrambi.”- mi dice serio.

“L’ha fatto anche Ian.”- puntualizzo con rammarico.

“Le donne dovrebbero essere più intelligenti, tutto qui.”- mi dice con un’alzata di spalle.

“Non lo farebbe mai, Paul.”- gli dico convinta. -“Io e Ian abbiamo… Chiuso.”

“Ian mi ha detto anche questo. Mi sto domandando una cosa… Perché?”- mi domanda fissandomi negli occhi.

 

Quello sguardo mi mette in soggezione, Paul è in grado di leggerti perfino l’anima e se lo guardassi negli occhi mi estorcerebbe informazioni che non voglio dire.

L’ho fatto per il bene di Ian, ho visto quanto ha sofferto per non aver potuto crescere i gemelli fin da piccoli e non voglio che tutto questo si ripeta. Ho messo da parte il mio bene, il mio amore -non che con Eric stia male, stiamo benissimo insieme ora- per lui. Lui l’ha fatto per me una volta, io l’ho fatto per lui.

 

“Alla fine siamo stati d’accordo entrambi, tutto qui.”- cerco di sviare così la domanda.

“Mh. Ian non mi sembra molto d’accordo, ma io ho capito perché l’hai fatto. L’hai fatto per Ian, non è così?”- conclude. -“Non ha potuto crescere i gemelli come avrebbe dovuto e allora vuoi che lo faccia con questo bambino. Ti sei mai chiesta, però, se è quello che vuole lui? Pensaci, Neens.”

 

Si alza dal divano e, dopo avermi dato un bacio sulla fronte, se ne va lasciandomi da sola nel camerino.

 





















 

                                                                  * * *























 

 

Ian ha portato Nikki sul set, ma dovevo immaginarmelo. E’ incinta, è sua moglie, non dovrebbe darmi fastidio, va bene così.

No, in realtà non va bene, Ian sa quanto mi dia fastidio, ma un po’ lo capisco. Abbiamo deciso cosa fare ed è giusto così. I bambini sono stati buoni come sempre e hanno tentato di andare d’accordo perfino con Nikki. Sono rimasta stupita da questo loro comportamento, ma ne sono orgogliosa anche se sono convinta che sia merito di Ian.

Poco fa è venuto anche Eric qui sul set e mi ha fatto piacere. Ian l’ha guardato malissimo e questa cosa mi ha lasciato un po’ spiazzata. E’ stato lui a dirmi che Eric gli andava bene invece prima l’ha fulminato con lo sguardo.

Ma non gliene faccio una colpa, credo che stia provando le mie stesse sensazioni. Vogliamo legarci ad una persona perché stiamo veramente bene con lei -almeno è nel mio caso, non nel suo-, ma un pensiero andrà sempre per l’altra.

 

“C’è qualcosa che non va?”- mi domanda Eric apprensivo spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

 

Siamo vicini al mio camerino, avevo bisogno di un attimo di tranquillità.

 

“No, sono solo stanca.”- gli dico sorridendo.

“Mi dispiace che tu debba lavorare anche il giorno del tuo compleanno.”- mi dice sincero.

“Sono un’attrice e va bene così.”- gli dico dandogli un bacio.

 

Eric sorride sulle mie labbra, ma, nell’esatto momento in cui ricambia il bacio,  Ian entra nel corridoio. Non appena ci vede si blocca con la bocca leggermente aperta. Eric è il primo a staccarsi, ma tiene comunque la mia mano tra le sue, credo che l’abbia fatto per rispetto nei suoi confronti e lo apprezzo molto. Ian continua a guardarci, a guardarmi.

 

“Credo… Vi lascio da soli, okay?”- mi dice Eric.

 

Ha capito che non gli ho detto nulla, ma non me l’ha detto in tono di rimprovero. Ha semplicemente compreso che dobbiamo chiarirci. Annuisco e lui se ne va, lasciando me e Ian da soli.

 

“Così state insieme, eh?”- mi domanda tagliente e il suo tono mi ferisce.

 

Era stato lui stesso a dire che non c’era nessun tipo di problema. Perché si comporta così? Mi ama ancora, lo so, ma abbiamo deciso di prendere due strade diverse, ancora una volta.

 

“Possiamo… Possiamo parlarne fuori?”- domando.

 

Ian non mi risponde nemmeno, mi da le spalle e va fuori. Respiro a fondo prima di raggiungerlo.

Lo trovo fuori, in piedi, davanti al muretto di pietra del parcheggio. Ha entrambe le mani distese lungo i fianchi, immobile.

 

“Lo so, avrei dovuto dirtelo, ma… Sono successe così tante cose…”- mormoro in tono di scuse.

“Cos’è successo?”- mi domanda aspro voltandosi verso di me. -“Hai cambiato così presto idea su di me, su di noi?”

“Non ho cambiato idea su di noi, Ian, lo capisci?”- lo urlo quasi. Mi sembra essere ritornata come prima, quando urlavamo sempre. -“Cosa avrei dovuto fare? Morire da sola? Io mi trovo veramente bene con lui, sei stato tu a dirmi che ti fidavi. Comunque non l’ho fatto perché me l’hai detto tu, me lo sentivo. Una parte di me continuerà ad amarti, lo sai, ma non posso fare più nulla. Perché tu puoi stare con qualcuno e io no?”

“Le cose sarebbero dovute andare diversamente!”- sbotta stringendo le mani a pugno.

“Come?”- gli domando. -“Io da sola e tu con Nikki? Anche io avrei voluto che le cose fossero andate diversamente, ma non viviamo in un mondo parallelo, Ian. Le cose stanno così, ora.”

“Mi fa male vederti con un altro!”- urla, ancora.

“Cosa posso farci? Dovrei rimanere da sola, perché piace a te? Ti rendi conto di quanto tu sia egoista?”- urlo anche io.

 

Si, siamo tornati quelli di una volta, ma ancora più feriti di prima. Perché lui può stare con Nikki e io non posso stare con Eric? Perché Nikki è incinta? Baggianate. E’ sempre stato geloso e possessivo, ma non può arrivare fino a questo punto, semplicemente non può. Lo sto facendo per lui, non per me. So che mi odierebbe per tutta la vita se gli portassi via suo figlio. Nikki è una bomba ad orologeria, come ha detto Paul, possessiva e altro, so che, per dispetto, impedirebbe a Ian di vedere suo figlio con qualsiasi mezzo.

Avvocato? Servirebbe, si, me lei potrebbe tirare fuori la storia dei bambini, di quanto noi due siamo stati infedeli, e purtroppo, visti i gemelli, crederebbero a lei.

 

“Si, lo sono!”- ringhia.

“Non sono un giocattolo, Ian, sono una donna.”- abbasso i toni, cercando di farlo ragionare.

“Eri la mia donna!”- sbraita.

“Ero.”- puntualizzo. -“Non sono andata io a letto con Nikki, mettendola poi incinta, dicendo in giro che volevo lasciarla.”

 

Esplodo così. Perché, una parte di me, è veramente ferita da quel tradimento. Prima di andare a letto con Ian, al suo compleanno, avevo capito che c’era qualcosa in lui, ci stava provando con me da tempo prima, eppure è andato a letto con Nikki, mettendola pure incinta.

E’ colpa mia, questa?

 

“Ora è colpa mia?”- urla adirato.

“No, è solo una conseguenza, questa. E’ tua moglie, lo capisco, ma mi ha ferito questo tuo comportamento. Se… Se fossimo andatati a letto prima, verso ottobre, cosa sarebbe successo? Per me sarebbe stato troppo presto, ma per te? Cosa ti avrebbe impedito di andare a letto con tua moglie? Il tuo amore per me?”- continuo a ribadire.

“Non mettere in discussione il mio amore per te, non puoi farlo!”- urla disperato. 

“Lo so che mi ami, ma se quella notte avessi pensato a me, ti saresti fermato. Hai tentato comunque di recuperare il rapporto con tua moglie, pur dicendo di amarmi. Ora te lo chiedo io, perché?”- gli dico ferita. 

“Tentavo… Di recuperare un rapporto, io”- balbetta. -“era pur sempre mia moglie…”

 

Abbasso lo sguardo ferita, voltandomi dall’altra parte. Mi stringo al mio giubbotto, cercando qualche appiglio, e mi incammino verso la mia macchina. Sono le nove e mezza di sera, ho bisogno di staccare la spina per mezz’ora, tutto questo mi sta opprimendo, ma tanto dovrò ritornarci qui. Julie ha detto che dobbiamo girare anche di notte, ci ha detto di essere qui per le dieci e un quarto. Andare a casa, sebbene per poco, mi farà bene. 

 

“Dove stai andando?”- mi domanda allarmato. -“Dobbiamo girare.”

“A casa, devo staccare per un po’.”- mormoro solo. 

“Nina, senti, io-”

“Va bene, no? Abbiamo chiarito i nostri punti di vista, incompatibili ancora una volta.”- soffio arrivando davanti alla macchina.

 

Ian è a pochi metri di distanza da me, non mi ferma. Questo mi fa capire che abbia smesso di lottare, ancora una volta.

Metto in moto ed esco velocemente dal parcheggio, non prima di aver inviato un messaggio ad Eric spiegandogli che andavo a casa per mezz’ora, allontanandomi il più possibile da Ian fermo in mezzo alla strada.

Getto il cellulare nei sedili posteriori e cerco di prestare attenzione alla strada, visto che è tutta ghiacciata a causa del freddo invernale. Continuo a pensare a quello che è successo e a come abbiamo distrutto il nostro rapporto, per l’ennesima volta. Proprio distrutto non è, ma ormai non possiamo più tornare indietro -tornare felici e spensierati come al giorno del suo compleanno.

Sono troppo persa nei miei pensieri, non mi accorgo nemmeno dei rumori fuori dall’abitacolo della macchina. Mi accorgo troppo tardi di quello che sta succedendo e ormai non posso fare più niente. Tento, fino all’ultimo istante, di schivare una macchina che sta andando in contromano, ma faccio solo peggio. Le due macchine -la mia e quella dell’uomo o della donna al volante- si scontrano e l’ultima cosa che sento, oltre al rumore dell’impatto, è il suono delle mie costole che si rompono e un dolore lancinante alle gambe.

Poi tutto diventa buio.

 

_____________________________________________

Eccomi qui con un giorno d'anticipo, domani non avrei potuto aggiornare quindi ho preferito farlo ora sennò sarebbe passato troppo tempo :)
Finalmente dalla prossima settimana inizieranno le serie TV e io ne ho veramente troppe da seguire: The Originals, Arrow, The Flash e iZombie!
Comunque, visto che delle mie serie TV sicuramente non ve ne importa nulla, passiamo direttamente al famoso capitolo sette. 
Molte di voi si sono chieste come Ian avrebbe reagito sulla storia di Nina ed Eric e beh... Non ha reagito molto bene. E' vero, è stato lui a spingerla tra le braccia di un altro, ma vederlo con i propri occhi è stato peggio di quanto si aspettava, ma, soprattutto, è stato troppo presto. Effettivamente i due (Nina ed Eric) si sono messi insieme dopo neanche un mese da quello che era successo tra Nina e Ian, quindi per quest'ultimo è stato un duro colpo. 
Inoltre l'ha scoperto da solo, quindi è stato ancora peggio. Sostanzialmente l'unica parte tranquilla, più o meno, è stata la prima dove Ian ha portato pure un regalo a Nina. Notare come i vestiti siano molto simili, ma comunque di colori diversi. Credo che sia del tutto giustificata la scelta di Ian sul colore rosso, sto pensando ad un vestito particolare. L'avete capito anche voi? Ovviamente il magnifico vestito degli Emmys 2011 con il quale Nina era una dea (*^*) ed era accompagnata da Ian. Non potevo scegliere un altro colore, semplicemente non potevo.
Nina e Ian poi finiscono per litigare e questo non finisce nei migliori dei modi. Nina si allontana e Ian non fa niente per inseguirla. 

La fine non la commento credo sia abbastanza... Commentabile (?) anche da sola.
Ringrazio le splendide 12 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (stiamo ritornando come prima!) e mi scuso per non aver risposto, ma sono particolarmante di fretta e cercherò di rispondere tra domani e sabato ^^
Alla prossima <3

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Where are you? ***


                            Where are you? 



Eighth Chapter.
Pov Ian.

Abbiamo litigato, ancora una volta. Sono arrabbiato con me stesso, con lei e con il resto del mondo.

Ho detto a Nina che mi fidavo di Eric, è vero, ma non pensavo che si mettessero insieme così presto perché, si, è un dato di fatto ormai che formino una coppia. Volevo che almeno me lo dicesse, avrei avuto tempo di prepararmi mentalmente, cercare di fingere, invece li ho sorpresi a baciarsi, lì, davanti ai miei occhi.

E poi Nina mi ha accusato di essere andato a letto con Nikki mettendo in dubbio l’amore che provo per lei. Perché si, ovviamente, l’amo ancora, non posso dimenticare tutto da un giorno all’altro, non potrei mai farlo. Amerò per sempre Nina e, ahimè, il mio amore per Nikki è forse un quinto di quello che provo per la madre dei miei figli. Nina lo sa, eppure si sta opponendo con tutte le sue forze e sta tentando di allontanarsi sempre di più.

Avrei dovuto capire che stava insieme ad Eric, i bambini, durante le vacanze di Natale, mi hanno detto che stavano passando più tempo insieme, avrei dovuto arrivarci, ma, ovviamente, non l’ho fatto. 

Sono andato a letto con Nikki quella dannata sera perché ero frustrato, Nina mi stava facendo uscire fuori di testa, io, seppur non amassi più la mia attuale moglie, ho tentato fino all’ultimo di recuperare qualcosa e tutto si è concluso al peggio. Non ho recuperato niente con Nikki, a causa della mia mancanza d’amore e la sua gelosia, e l’ho messa incinta.

Si dice che gli uomini -e le donne- imparino dai propri errori, ma io, evidentemente, non l’ho fatto. Otto anni fa ho avuto due figli nella stessa situazione quindi no, non ho imparato dal mio errore. E’ un errore in senso metaforico perché non reputo assolutamente i gemelli un errore, sono la mia benedizione, la mia rinascita.

Le cose con Nikki sono piatte. Per lei ormai non provo più niente, fingo tutto il tempo e lei sembra non accorgersene, a parte che non vede più in là del suo naso. Molte volte vorrei mollare tutto, rapire Nina e scappare con lei, insieme ai nostri figli, ovviamente, ma so che non posso farlo, Nina ha ragione. Perderei tutto di mio figlio, lo so, Nikki me la farebbe pagare cara. In più, se venisse a scoprire che io e Nina, il giorno del mio compleanno, siamo andati a letto insieme, mi ucciderebbe e scapperebbe via con mio figlio. E’ brutto da dire, ma la conosco, so quanto possa essere vendicativa.

I bambini, tra l’altro, non hanno accettato proprio bene la storia del fratellino o della sorellina.

 

 

 

 



 

Sono in cucina e i bambini stanno finendo di decorare dei biscotti che ha preparato mia madre. Mentre li guardo immagino come sarà mio figlio, l’altro figlio. Sarà buono e bravo come loro? Sicuramente si, vorrò bene a lui così come ne voglio ai gemelli, non farò distinzioni.

E’ pur sempre mio figlio e credo che questo sia il momento più adatto di dire tutto ai bambini, spero solo che non la prendano troppo male. Colgo l’occasione quando Nikki entra in cucina per bere un bicchiere d’acqua. Mi avvicino a lei, senza destar sospetto, e le dico che ho intenzione di dire ai miei figli di nostro figlio e lei mi dice che ne è d’accordo.
 

“Joseph? Stefan?”- li chiamo.
 

I bambini alzano lo sguardo dai biscotti e mi guardano attenti.

 

“C’è una cosa che dobbiamo dirvi.”- inizio. -“Io e Nikki.”

 

Stefan apre la bocca per dire qualcosa, ma Joseph gli tira la maglietta e il primo rimane zitto. Ho paura di quello che avrebbe potuto dire. Mi siedo tra i due bambini e Nikki si siede davanti a noi sorridendo. 

 

“Cosa c’è?”- domanda Joseph.

“Dobbiamo dirvi una cosa… Veramente importante.”- dico nervosamente.

“Questo l’abbiamo capito, si…”- mormora Stefan mentre Joseph annuisce.

“Ce l’hai già detto.”- sottolinea quest’ultimo. 

“Abbiamo un regalo per voi.”- dico ad entrambi e li vedo sorridere felici. 

 

Naturalmente non hanno capito quale regalo. Non so come iniziare, mi tremano leggermente le mani. Ho paura della loro reazione. 

 

“Che tipo di regalo?”- domanda Stefan pimpante.

“Ecco…”- mi blocco cercando di trovare le parole giuste.

“Sono incinta.”- termina Nikki.

 

I bambini la guardano confusi, poi mi guardano con lo stesso sguardo con cui hanno guardato Nikki.

Credo che non sappiano cosa significa incinta, non immaginano ancora nulla.

 

“Nikki intendeva che… Molto presto arriverà un nuovo bambino a casa nostra.”- cerco di spiegarmi meglio. -“O una bambina.”

 

Ed è adesso che capiscono il vero significato di incinta. Sgranano leggermente gli occhi, si guardano confusi e un po’ timorosi, poi alternano lo sguardo da me e Nikki parecchio sconcertati. Spero che si stiano domandando perché non lo porterà la cicogna o perché lo sappiamo con così largo anticipo, ma mi stupiscono, ancora una volta.

 

“Ci sarà un altro bambino?”- domanda piano Joseph.

“O una bambina?”- continua Stefan.

 

Annuisco ad entrambe le domande, non sembrano averla presa tanto male.

 

“E non avrà la nostra stessa mamma?”- domanda Stefan.

“La sua mamma non sarà la nostra?”- domanda ancora Joseph.

 

No, purtroppo no. Non è Nina la madre del mio prossimo figlio, no. E’ mia moglie. Avrei voluto con tutto me stesso che fosse la donna che amo la madre di tutti i miei figli. 

 

“No, sono io.”- dice loro Nikki dolcemente.

 

I bambini rimango zitti per alcuni secondi, secondi che sembrano ore. 

 

“Perché arriverà un altro bambino?”- domanda Joseph con voce grave. -“Noi non bastiamo più?”

 

Il labbro inferiore di mio figlio trema e, non appena faccio per sporgermi per abbracciarlo, salta giù dalla sedia seguito da Stefan.

 

“E poi perché non avrà la nostra stessa mamma?”- domanda Stefan. -“I bambini di una famiglia devono avere la stessa mamma e lo stesso papà.”

“E’ un po’ complicato da spiegare…”- mormoro. -“Ma avrete un bambino o una bambina con cui giocare.”

“Noi non lo vogliamo!”- esclamano in coro correndo via.

 

Inutili i miei tentativi di fermarli, si chiudono in camera a chiave.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Papà?”- sento una piccola vocina che mi chiama.

 

Mi volto e vedo Stefan all’entrata della porta che mi sta guardando. Fortunatamente ha indossato il giubbotto, si muore dal freddo.

Mi avvicino a lui e lo prendo in braccio.

 

“Dimmi amore.”- gli dico dandogli un bacio sulla guancia.

 

Joseph e Stefan sono in grado di farmi dimenticare qualsiasi cosa, sono come una medicina per me.

 

“Dobbiamo finire di preparare la festa per la mamma!”- puntualizza accoccolandosi sul mio petto. -“Te lo ricordi?”

“Certo che me lo ricordo.”- gli dico sorridendo.

“La mamma dov’è andata?”- mi domanda curioso.

“E’ andata a… Casa. Voleva farsi una doccia, ma è meglio così, almeno non si accorgerà di nulla.”- gli dico.

“Hai ragione papà, muoviamoci allora!”- mi dice ridendo.

 

Mi fa segno di metterlo giù e, non appena lo faccio, mi prende per una mano e mi obbliga a seguirlo in sala. Non appena entro cerco subito con lo sguardo Joseph che sta disegnando insieme a Rachel, sotto lo sguardo attento di Phoebe, mentre gli altri stanno finendo di sistemare dei palloncini. C’è un grande festone con scritto, a caratteri cubitali, Happy Birthday Nina. Eric, con mio rammarico, è ancora qui, sta parlando con Candice e la sta aiutando a sistemare le bibite sul tavolo. Penso che, da ora in poi, dovrò convivere con tutto ciò. Nikki, invece, è seduta su un divano bianco e sta conversando tranquillamente con Kat, non sembra colpita dalla festa. I genitori di Nina, con Alex, e i miei (avevano piacere di venire per farle gli auguri) dovrebbero arrivare tra poco. Guardo l’orologio e noto che sono già le dieci, Nina, secondo le mie previsioni, dovrebbe essere qui tra un quarto d’ora, ma molto probabilmente sarà in ritardo, come sempre.

 

“Papà, papà!”- mi chiama Joseph porgendomi un disegno. -“Ti piace?”

“Uh, ma è bellissimo.”- gli dico e lo vedo sorridere orgoglioso. -“E’ per la mamma?”

“No, le abbiamo fatto dei disegni questa mattina. E’ per te!”- mi dice convinto.

 

Prendo il disegno dalle mani di mio figlio e sorrido. Ha disegnato un parco, lo posso capire dagli alberi, dalle altalene e da un laghetto, con delle persone. Sono quattro. Leggo i nomi e, con tutto me stesso, cerco di non mostrare alcuna espressione. Siamo noi, io, Nina e i bambini. 

 

“E’ veramente bello, grazie.”- gli dico dandogli un bacio tra i capelli.

“Vieni a disegnare anche tu?”- mi domanda Stefan.

“Credo di dover aiutare qui…”- mormoro guardandomi attorno.

“Non preoccuparti, Ian.”- mi dice Matt. -“Gioca pure con i bambini, tanto ormai abbiamo finito.”

 

Lo ringrazio con lo sguardo e mi siedo tra Joseph e Stefan che mi danno una matita. Non sono bravo a disegnare, l’ho sempre saputo, ma almeno così li farò felici. 

Finiamo di disegnare venti minuti dopo e, come avevo previsto, di Nina neanche l’ombra. E’ in ritardo di cinque minuti, di solito fa peggio.

Ma quando i cinque minuti diventano quaranta inizio seriamente a preoccuparmi. Prendo in mano il cellulare e non c’è nessun messaggio, niente. Mi accorgo che anche Eric tiene tra le mani il cellulare preoccupato, ma non diciamo nulla. 

I minuti alla fine diventano cinquanta, quasi un’ora, non ha mai ritardato così tanto.

 

“Paul?”- chiamo il mio amico che ha la mia stessa espressione corrucciata. -“Nina ti ha scritto qualcosa?”

“No, ma credo che non ci sia nulla da preoccuparsi, sai che ritarda sempre.”- mi dice cercando di convincermi.

 

In realtà sta tentando di convincere anche se stesso, è nervoso e preoccupato pure lui. Candice domanda a me e a Paul se Nina ci ha scritto, ma noi le diamo una risposta negativa.

 

“Provo a chiamarla…”- dico.

 

Quasi tutti annuiscono, non è da lei ritardare così tanto. Faccio il numero, schiaccio il verde e aspetto che risponda.

Il cellulare squilla a vuoto, niente. Poco dopo parte pure la segreteria telefonica.

 

Nina, che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando per… Girare, Julie è arrabbiata.”- le lascio questo messaggio.

“Perché tirate sempre in mezzo il mio nome?”- domanda Julie cercando di smorzare la tensione.

 

Tutto quello che riceve sono sorrisi smorzati. Michaela e il padre di Nina sono preoccupati, così come Alex. A dir la verità tutti lo siamo, io sto cercando di controllarmi per i bambini.

 

“Papà, ma la mamma dov’è?”- mi domanda infatti Joseph.

“Vedrai che arriverà a momenti, magari ha fatto una doccia un po’ più lunga.”- cerco di rassicurarli entrambi.

 

Alla fine, quando ormai è passata un’ora e un quarto, i genitori di Nina, insieme ad Alex, Eric e Paul, decidono di andare a casa di Nina per controllare. Insomma, se non è qui è sicuramente a casa sua, magari ha preso sonno. Passano i minuti, ma di Nina nessuna traccia. E se le fosse successo qualcosa? Scaccio subito questo pensiero, lei è Nina, non può esserle accaduto qualcosa di male, no, è impossibile.

Ma quando ricevo un messaggio da Paul, nel quale c’è scritto che Nina non è nemmeno a casa, entro nel panico.

I bambini, fortunatamente, si sono addormentati e posso dare libero sfogo alle mie paure.

 

“Non è… Non è nemmeno a casa.”- sbotto frustrato. -“Dove diamine è andata?”

“Magari si è fermata a prendere qualcosa, sarà sicuramente così.”- dice Michael, ma non gli credo.

“Amore, vedrai, non le è successo nulla.”- mi dice Nikki accarezzandomi un braccio, ma io mi scosto bruscamente.

“Nikki, è tardi, forse è meglio che tu vada a casa con i miei genitori, ormai qui non si farà nulla.”- le dico con la voce ferma, sembra quasi un ordine.

“Non voglio tornare a casa, Ian.”- mi dice quasi offesa.

“E’ tardi.”- cerco di addolcire il tono della voce. Le appoggio una mano sulla pancia. -“Non ti fa sicuramente bene stare sveglia troppo a lungo.”

 

Nikki addolcisce lo sguardo e si convince. Poco dopo se ne va via con i miei genitori e Robyn, mentre i genitori di Nina, Alex compreso, hanno portato a casa loro i bambini. Proveranno a rintracciarla da lì.

Sono quasi le 11.30 pm quando il mio cellulare squilla. Lo tiro velocemente fuori dalla tasca e quando leggo il nome di Nina tiro un sospiro di sollievo.

Non le è successo nulla, finalmente.

 

-Nina, che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando!- le dico tutto trafelato.

-Mi scusi, è lei Ian?- domanda una voce che non riconosco.

 

Chi è quest’uomo? Ha per caso fatto del male a Nina?

Aggrotto le sopracciglia turbato e Paul si avvicina a me cercando di capire qualcosa.

 

-Si, sono io. Ian Somerhalder. Mi scusi, lei chi è?- domando forse troppo bruscamente.

-Mi serve sapere che rapporto lega lei e la signorina Dobrev.- mi dice.

-Siamo amici.- mento. Non voglio che qualcuno sappia qualcosa di me e lei Perché ha il telefono di Nina? -Chi è lei?-

-Sono un paramedico dell’ospedale di Atlanta. La signorina Dobrev è stata portata qui circa un’ora fa.- mi dice.
 

Il mio cuore perde battiti. Cos’è successo a Nina? Perché è all’ospedale?

 

-Che cosa?- quasi urlo facendo spaventare tutti.

-La signorina ha avuto un incidente, è molto grave. La prego, se conosce qualcuno della sua famiglia lo faccia venire subito qui, all’Atlanta Medical Center.- mi dice e tutto il mio mondo crolla.

-Non è possibile, lei era- cerco di negare l’evidenza.

-E’ così, signore, avvisi la sua famiglia, per favore, lo faccia per la ragazza.- mi dice il paramedico prima di attaccare.

 

Le mie gambe crollano sotto il mio peso mentre tutti mi fissano preoccupati. Nina, la mia Nina, ha appena avuto un incidente. 

E’ grave. E se… E se non dovesse salvarsi? Non posso… Non può. Lei non può farmi questo. No, Nina starà bene, deve stare bene.

 

“Ian”- mi scuote Paul. -“cos’è successo? Dov’è Nina?”

 

Lui non immagina nemmeno dove sia Nina in questo momento.

 

“Lei è… Lei… Ha avuto un incidente, si trova all’ospedale.”- balbetto ancora sconvolto.

 

Si alzano tanti mormorii nella stanza, tutti sono nella mia stessa situazione. Noi eravamo qui a pensare alla festa per Nina e, quella stessa ragazza, ora si trova in ospedale. Sarei dovuto andare con lei, non avrei dovuto lasciarla da sola. Il primo a fare qualcosa, con mia grande sorpresa e un pizzico di ammirazione, è Eric. Si alza di scatto dalla poltrona e, sebbene sia veramente sconvolto, afferra la sua giacca e le chiavi della macchina.

 

“Eric, dove vai?”- gli domanda Candice.

“Come dove vado?”- domanda lui turbato. -“In ospedale, non posso rimanere qui.”

 

E senza dire altro abbandona la sala. Ha ragione, per una volta -la prima e anche l’ultima- sono d’accordo con lui, non posso rimanere qui, devo andare da Nina. Non è egoismo questo, io devo vederla, assicurarmi che stia bene. Non credo alle parole del medico, lei deve stare bene. Devo andare in ospedale e le chiederò scusa per tutto quello che le ho detto. Afferro anche io la mia giacca e mi dirigo verso la porta.

 

“Veniamo anche noi, Ian, non possiamo lasciarla da sola.”- mi blocca Paul e io annuisco soltanto.

 

Non ascolto nemmeno che cosa dicono gli altri, mi dirigo verso la mia macchina inseguito da Paul e Phoebe. Non mi importa di loro, devo andare da Nina.

 

“Ian, fermati, Ian.”- mi urla Paul rincorrendomi.

“Devo andare da Nina, Paul!”- urlo.

“Ci andremo, insieme. Guido io.”- mi dice. Vorrei ribattere e dire che sta parlando della mia macchina, ma mi fulmina con lo sguardo. -“Non sei in grado di guidare.”

 

 





















 

                                                                * * *

 
























 

Arriviamo in ospedale dopo un quarto d’ora circa, Paul ha fatto più in fretta possibile e credo che, durante tutto il tragitto, abbia preso più di qualche multa con la mia macchina, ma in questo momento non mi importa nulla di nessuno, voglio solo vedere Nina.

Non riesco nemmeno a parlare, è Paul che chiede informazioni.

 

“Nina Dobrev?”- domanda la ragazza seduta al bancone ripetendo il nome per essere sicura.

“Si, lei. Dovrebbe essere arrivata qua un’ora fa.”- le spiega Paul.

 

Phoebe ha gli occhi lucidi, non parla. Credo che potrebbe scoppiare qui da un momento all’altro.

Non c’è traccia di Eric.

La ragazza digita qualcosa sul computer e annuisce.

 

“E’ arrivato un ragazzo poco fa chiedendomi informazioni. La ragazza ha avuto un incidente stradale, un ubriaco andava in contromano e l’impatto è stato terribile.”- ci spiega.

 

Non voglio sapere tutta la storia, per quella ci sarà tempo, voglio sapere solo se Nina sta bene.

 

“Non mi importa che cos’è successo. Nina sta bene, vero?”- chiedo speranzoso.

 

La ragazza mi guarda impaurita, ma alla fine parla.

 

“E’ entrata in sala operatoria un’ora fa, circa. Non è ancora uscita, ma credo che l’intervento sarà ancora lungo. E’ grave, è messa proprio male. Povera ragazza…”- mormora la donna.

 

Se prima ero veramente preoccupato ora sono terrorizzato. Lei non può abbandonarmi così, non può farlo. Non possiamo stare insieme, lo so, ma non posso perderla per questo motivo, lei non può andarsene così. Deve combattere e tornare da me, deve farlo. Deve aprire quei suoi maledetti occhi da cerbiatta e, quando lo farà, non la lascerò più andare via perché io, senza di lei, non sono niente.

E non mi importa degli altri in questo momento, troppe cose sono successe, io voglio stare con Nina e niente e nessuno mi impedirà di stare con lei. Sto per avere un figlio da Nikki, non importa, lo cresceremo insieme ma in sedi separate. E non mi importa nemmeno degli avvocati ormai, sono stato stupido a farmi sottomettere così, perché, al costo di fuggire in Nuova Zelanda con Nina e tutti e tre i miei figli, crescerò questo bambino.

Ma ora l’importante è che Nina stia bene e che non abbia nulla di grave. Penserò dopo al resto, a lasciare Nikki e tutto quanto. Aspetterò che il bambino nasca, dopo la farò veramente finita. Non mi accorgo nemmeno di essere arrivato in sala d’attesa e di essermi seduto sulle seggiole verdi dell’ospedale. Accanto a me si siede Paul e accanto a lui Phoebe in lacrime. Si aggrappa alla sua maglietta e continua a singhiozzare. Vorrei piangere anche io, urlare, ma non ne ho nemmeno la forza. Poco a poco cominciano ad arrivare anche gli altri e sono nella nostra stessa situazione, più o meno. Candice e Phoebe si abbracciano e continuano a singhiozzare, mentre tutto quello che vorrei fare io è strapparmi i capelli dalla testa.

Poco dopo ci viene incontro Eric e noto che ha il mio stesso sguardo perso, è stravolto. Ama veramente Nina, ne sono consapevole, e la cosa mi fa male. Ma, d’altra parte, so che con lui è in buone mani, mi fido di lui. E non so nemmeno più a cosa pensare… Nina è felice con lui, ma è felice anche con con me.

 

“Come sta? Che cosa hanno detto?”

 

Sono queste le domande che vengono rivolte ad Eric mentre io continuo a fissare il muro bianco di fronte a me. C’è un grande via vai di dottori, ma a nessuno sembra importare di noi.

 

“Nessuno ha detto ancora niente. Da quello che so”- si blocca un attimo, la sua voce trema. -“è che… E’ entrata in sala operatoria un’ora fa, circa, e… A quanto pare sarà una lunga nottata.”

“Starà bene… Lei… Deve stare bene…”- singhiozza Candice sulle spalle di Phoebe.

 

E per la prima volta, da quando sono arrivato qui, lascio che qualche lacrima scenda sul mio viso. Ho paura, ho paura di perderla veramente.

 


_____________________________________________

Okay, sono una persona meschina a tornare dopo circa 10 giorni e con un capitolo del genere, ma non è mica colpa mia. Se qualcuno non soffre non sono contenta. Forsa detta così è macabra come cosa, ma non sono poi così cattiva, forse solo un po' u.u
Il capitolo è collegato al capitolo sette, però questa volta dal punto di vista di Ian per ovvie ragioni. Ian è ritornato quello bipolare di sempre e gli brucia un sacco la nuova storia tra Eric e Nina, sebbene sia stato lui a dire a Nina che Eric in qualche modo la meritava. E' un comportamento contorto, ma anche giusto. A parole sono bravi tutti, ma con i fatti? Ovviamente è geloso, geloso marcio. Vediamo poi un flashback e di come i bambini abbiano appreso, per modo di dire, la notizia. Come avevo già anticipato non ne sono stati contenti, per niente, e avrà conseguenze anche più avanti questo, in modo particolare con tutta questa situazione.
Il capitolo sostanzialmente è incentrato su Ma dov'è Nina? e alla fine, grazie ad una telefonata, si è scoperto tutto. Ian era l'ultimo numero sul cellulare di Nina -visto che l'aveva chiamata prima- e i paramedici si sono rivolti a lui, colpo di fortuna in questo caso. Per Nina le cose non si metteranno affatto bene, ma scoprirete nel prossimo capitolo quali quante conseguenze avrà su di lei questo incidente :/
Ringrazio le fantastiche nove ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui adesso risponderò, sul serio questa volta! Mi dispiace di non aver risposto anche alle altre, ma ultimamente non ho più tempo per far nulla e che Dio me la mandi buona per l'interrogazione di filosofia di domani .____.
Ho recuperato oggi le ventordicimila serie TV che seguo facendomi spoiler assurdi -__-"
Alla prossima <3

PS: Vi ricordo anche i Missing Moments su questa storia Nian :)

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Capitolo 9
*** Broken. ***



                                                      Broken.


Ninth Chapter.
Pov Ian.

Continuano a dirci di aspettare, che sta andando tutto per il meglio, ma io non ci credo. I medici continuano a fare avanti e indietro e tentano, non riuscendoci per niente, di tranquillizzarci, ma qui le ore passano e Nina non è ancora uscita dalla sala operatoria. I genitori di Nina, compreso Alex, sono arrivati cinque ore fa mentre i bambini sono con mia madre e mia sorella a casa mia. Di Nikki non so nulla, ma va bene così, per ora. Phoebe è crollata sulla spalla di Paul, Candice continua a mordersi il labbro duramente mentre gli altri sono in attesa, come me. C’è chi è seduto, chi è in piedi ed io, insieme ad Eric, siamo gli unici a fare avanti e indietro, non riusciamo a rimanere fermi, la preoccupazione è troppa.

Passano altre tre ore e non sappiamo niente. 

Il nulla più totale. 

 

“Vuoi un caffè?”- mi domanda Paul.

 

E’ riuscito a sistemare al meglio Phoebe sulle sedie, riuscendo a non svegliarla, e ora è in piedi. Scuoto piano la testa, non ho voglia di toccare niente.

 

“Ti si stanno chiudendo gli occhi, forza, andiamo.”- continua ad insistere, ma non ne ho proprio la voglia.

 

Tento di oppormi in qualche modo, di fargli capire che voglio rimanere qui, ma lui è più veloce di me e mi afferra per la giacca tirandomi via da lì. 

Non ho nemmeno la forza per resistergli, troppo esaurito perfino per parlare, così mi lascio condurre davanti al distributore del caffè. Poco dopo Paul me ne porge un bicchiere ed io l’accetto bevendolo in poco tempo.

 

“Andrà tutto bene, vedrai.”- cerca di tirarmi su il morale Paul.

 

Ma non ci riesce comunque visto che ho il morale sotto le scarpe*. Non faccio altro che pensare a Nina, a come ci siamo lasciati l’ultima volta e non posso vivere con il rimorso di aver litigato con lei con la probabilità che non si risvegli più. Voglio semplicemente vederla sveglia, con gli occhi aperti, e chiederle scusa per l’ennesima volta. L’ho ferita, ancora, e non me lo perdonerò mai.

 

“Ian, Nina è forte, ce la farà. Magari dovrà riprendersi un po’, ma sono sicuro che andrà tutto per il meglio.”- continua Paul.

“Come potrà andare meglio?”- gli domando aspro. -“E’ da… Più di otto ore che è lì dentro e nessuno dice niente. Chiediamo e tutti abbassano la testa non sapendo cosa dire. Hai idea di come mi possa sentire?”

 

Paul si rabbuia e getta violentemente il bicchiere nel cestino, poi chiude le mani a pugno.

 

“Tutti noi vogliamo bene a Nina, non solo tu. Siamo tutti in pensiero, Ian, e invece di starci vicino ci urliamo contro. Nina è mia sorella, lo sai bene, e tengo a lei quanto ci tieni tu. Ti ho portato qui per farti schiarire le idee, non per farmi urlare contro.”- mi dice serio.

 

Ed ha ragione, lo so che ha ragione. Lui non ha nessuna colpa, so che vuole un bene dell’anima a Nina, così come tutti gli altri. Mi dispiace di essermi comportato così, lui non merita questo, semplicemente non lo merita.

 

“Scusami, Paul io… Non volevo urlarti contro, ho solo…”- mormoro frasi sconnesse.

 

Paul, sorprendentemente, mi abbraccia. Mi ricorda tanto gli abbracci che ci davamo un tempo, quelli sentiti, quelli veri, da fratelli. Mi sta abbracciando cercando di rassicurarmi e non so come farei senza di lui. Se non ci fosse lui -che è meglio di un fratello- molto probabilmente avrei combinato una cazzata dopo l’altra. Ma Paul c’è sempre stato per me, invece io, anni fa, l’ho allontanato. Fortunatamente ora siamo ritornati come prima e questo mi fa stare meglio.

 

“Hai solo paura di perderla.”- termina per me la frase. Trasalisco al suono della sua voce, fa male sentirlo dire da qualcun altro. -“Ma starà bene, okay? Vedrai che tra poco la porteranno fuori da , con gli occhi aperti, e potrete amarvi e litigare ancora.”

“Non posso perderla di nuovo, Paul…”- mormoro staccandomi leggermente da lui per guardarlo meglio negli occhi. -“Io… Non voglio separarmi ancora da lei.”

“Non ce ne sarà bisogno, vedrai.”- mi rassicura.

 

Ma lo vedo il suo sguardo preoccupato, ha paura anche lui, ma sta tentando in ogni modo di non dimostrarlo perché sa che cederei del tutto. Rimaniamo così, in silenzio, aspettando qualche notizia.






















 

 

                                                                   * * *






















 

Sto fissando il muro bianco di fronte a me quando sento dei passi provenire da destra, esattamente dalla porta della sala operatoria. Vediamo due medici in camice uscire da lì e ci alziamo tutti. Vogliamo avere notizie di Nina, lo vogliamo tutti, e giuro che potrei commettere un omicidio se trovassero altre inutili scuse.

 

“Siete i parenti della signorina Dobrev?”- domanda un medico, il più anziano.
 

Tutti noi annuiamo, senza fare distinzioni di alcun tipo. 

L’altro dottore, quello più giovane, scambia uno sguardo preoccupato e fugace con l’altro medico, poi fissa la mamma di Nina. Sono uguali, si assomigliano troppo per non vedere il grado di parentela.

 

“Lei è la madre, giusto?”- domanda il medico.

“Si, sono io.”- risponde Michaela con la voce tremolante. -“Come… Come sta mia figlia?”

“Come medico devo dirle le cose come stanno, non mi è permesso aggirarle.”- inizia quello più vecchio e ci fissiamo preoccupati. Come inizio è veramente grave. -“L’impatto tra le due auto è stato devastante. La ragazza ha subito un trauma cranico con conseguente ematoma celebrale, ma, grazie ad craniotomia siamo riusciti a svuotare il cervello dal cumulo di sangue che si era creato riducendo così l’ematoma. Il cervello, comunque, non è quello che ci preoccupa. Quando si sveglierà, se si sveglierà, non avrà problemi e avrà bisogno di un po’ di tempo per riprendersi. L’impatto ha provocato anche la rottura di quattro costole, ci è mancato poco perché una di queste perforasse un polmone. Abbiamo dovuto fare un ulteriore intervento di estrazione della milza perché era, letteralmente, spappolata.”

 

Sto seguendo a grandi linee quello che stanno dicendo, voglio solamente sapere come sta. Mi stanno riempiendo la testa di termini medici e non ci sto capendo poi molto. Non sono stupido, ho capito che è stata operata alla testa e le è stata esportata la milza -che, da quello che mi ricordo, non è poi così importante per la sopravvivenza di una persona-, ma voglio sapere se si è svegliata.

Mi preoccupa, però, quel se si sveglierà. Che cosa vuol dire? Nina deve svegliarsi, deve farlo.

 

“Cosa intende con se si sveglierà?”- domando brusco facendo trasalire gli altri.

“E’ entrata in coma.”- dice senza giri di parole il dottore più giovane.

 

Le gambe di Michaela cedono e fortunatamente c’è il padre di Nina pronto a sorreggerla. Se prima stava piangendo ora scoppia letteralmente. Può sembrare un comportamento egoista, ma so cosa sta provando. Nina… Nina è in coma. Lei, la donna che amo, potrebbe non svegliarsi mai più. 

Dolore è quello che provo.

Frustrazione.

Rabbia.

Perché non doveva capitare, non doveva succedere e basta.

 

“Ma non è quello che ci preoccupa di più.”- interviene l’altro grattandosi la testa.

“Che cosa vuole dire con questo?”- interviene Eric che non ha mai smesso un attimo di torturarsi le mani.

“Anche se si svegliasse, cosa che ci auguriamo, potrebbe… Rimanere paralizzata per il resto della sua vita.”- termina il medico.

 

No, mi stanno prendendo in giro. Non è semplicemente possibile, no. Nina non può non riuscire più a camminare, no, stanno sicuramente scherzando. Ora qualcuno mi tirerà un pizzicotto, mi sveglierò e ritornerò al mio compleanno, nell’esatto momento in cui io e lei stavamo facendo l’amore. Tutto proseguirà liscio, Nikki non sarà mai incinta e noi vivremo le nostre vite insieme.

Questo deve essere per forza un incubo.

 

“Voi state scherzando, vi prego, ditemi che state scherzando.”- inizio a blaterare.

“Non mi sembra né il luogo e né il momento adatto per scherzare, signore.”- mi risponde grave il dottore più vecchio. -“Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per salvarla e, mi creda, la ragazza è forte e non mollerà, ma d’ora in poi tutto dipenderà da lei, dal destino e dalla fortuna. Scopriremo soltanto quando si sveglierà in che condizioni sono le sue gambe e se risponderanno agli stimoli, per ora possiamo solamente aspettare. Si tratta di mielolesione, ovvero una sorta di trauma legato alla lesione del midollo spinale che comporta una grave disabilità fisica. Il danno, ovviamente, è al livello del midollo spinale e si parla quindi di paraplegia. Siamo fiduciosi sul fatto che sia incompleta. Quando si sveglierà ci accerteremo delle condizioni effettive della paziente, potrebbe riprendersi subito, ci potrebbe volere del tempo… Oppure, se in caso fosse completa, potrebbe non camminare più.”

“Quindi”- tento di moderare il tono. Ormai sono l’unico a parlare, gli altri sono troppo scossi. -“c’è una probabilità che lei possa svegliarsi e riuscire a camminare?”

“Si, le probabilità ci sono. Potrebbe aver bisogno di tempo per riprendere l’uso delle gambe e se, troveremo le condizioni adatte, tutto questo potrà avvenire soltanto dopo un lungo periodo di riabilitazione. Dopo questo periodo potremo avere dei miglioramenti, però possono volerci alcuni mesi, o anche anni. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe rimanere paralizzata a vita.”- termina il medico.

 

Ma perché i medici vedono sempre il lato negativo della cosa? Io sono sicuro, con tutte le mie forze, che Nina si sveglierà tra poco e che camminerà ancora meglio di prima. Mi rincorrerà per prendermi a schiaffi, come ha sempre fatto, e io glielo lascerò fare. Poi però sarò io a correre da lei e a baciarla come non ho mai fatto.

 

“Perché pensate sempre ai lati negativi?”- domando brusco. -“Dovreste rassicurarci, non dirci che ci sono pochissime possibilità.”

 

Il dottore, quello che mi ha risposto prima in modo parecchio scorbutico -ma penso di essermelo comunque meritato-, mi guarda ancora in modo grave e penso che la sua pazienza abbia raggiunto il limite.

 

“Noi vi stiamo informando su quello che è accaduto e abbiamo fatto, il resto non spetta a noi. Ci prenderemo cura della signorina Dobrev e faremo del nostro meglio, bisogna solo avere fede.”- mi risponde.

 

Fede? Se esistesse davvero un Dio ora Nina non sarebbe qui in un letto d’ospedale. Tutti i malati di cancro sarebbero vivi, così come tutte le altre persone di questa terra.**

Mi allontano velocemente da quel luogo e vado fuori, alla ricerca d’aria. Ormai rimanere lì stava diventando insopportabile, tutto sta diventando insopportabile. Non voglio parlare con nessuno in questo momento, voglio rimanere da solo. Ho avuto un comportamento infantile, lo so, ma sono troppo preoccupato -e terrorizzato e arrabbiato- per preoccuparmi di come mi sono comportato.

Voglio Nina, solo lei. Non so quanto tempo passo seduto nel muretto fuori dall’ospedale, ma mi accorgo di aver passato un po’ più tempo del dovuto quando una figura maschile si siede accanto a me.

No, non è Paul.

 

“L’hanno portata in stanza mezz’ora fa.”- mi dice sospirando. -“Ho pensato che lo volessi sapere.”

 

Vuole risultarmi simpatico, forse? Vorrei con tutte le mie forze essere gentile con lui, ma il problema è che sono geloso perché lui ha la mia donna. E’ un bravo ragazzo, lo ammetto, ma ha tutto quello che vorrei avere io -tranne i miei figli, sono io il padre.

 

“Grazie.”- gli dico solo.

“So che noi due non siamo mai andati d’accordo ed è stata un po’ anche colpa mia perché non ci ho provato più di tanto.”- ammette Eric. -“Ma so quanto tu tenga ancora a Nina e… Mi dispiace.”

 

Sorrido amaramente non per lui, ma per il fatto che ci troviamo nella stessa e identica situazione.

La donna che amiamo è in coma, non potremmo essere più simili in questo momento.

 

“Dispiace anche a me.”- gli dico. -“Ho sbagliato anche io, comunque. Non mi sono comportato troppo bene con te.”

“Non importa.”- mi dice con un’alzata di spalle. -“Volevo solo dirti che non ho mai avuto intenzione di prendere il tuo posto, non succederà mai.”

“Se stai parlando dei bambini lo so, dopotutto sono il padre. Ma sono affezionati anche a te, comunque. Da una parte sono felice, se tu fossi stata un’altra persona magari i gemelli avrebbero avuto dei problemi.”- gli dico sinceramente.

“Mi sono affezionato a loro, ma rimangono comunque i tuoi figli.”- mi rassicura tirando fuori dalle tasche un pacchetto di sigarette.

 

Me ne offre una e io l’accetto. Ho smesso quasi completamente anni fa, ultimamente fumo quando sono agitato e ora, per ovvi motivi, lo sono tantissimo. Accendo la sigaretta e me la porto in bocca. Lascio uscire fuori il fumo dalle mie labbra e ricomincio.

 

“E so anche che Nina tiene veramente a te.”- mi dice tirando una boccata anche lui.

“Nina ti ama.”- gli dico.

 

Non quanto ama me, vorrei dire, ma preferisco stare zitto, non voglio creare casini.

 

“Lo so e anche io la amo moltissimo.”- mi dice e lo riconosco quello sguardo. E’ lo sguardo di una persona innamorata, come il mio. -“Ma so che anche tu sei importante per lei e… Io le starò accanto, sempre, ma se dovesse trovarsi davanti ad una scelta la rispetterei, senza alcun dubbio.”

“Sei un brav’uomo, Eric.”- gli dico.

“Anche tu.”- mi dice sorridendo di sbieco.

 






















 

                                                                   * * *

 





















 

Io ed Eric alla fine, dopo la nostra chiaccherata, siamo ritornati in ospedale e ci siamo diretti fino al quinto piano, quello della terapia intensiva dove si trova Nina. Per rispetto ho fatto entrare prima lui, è pur sempre il suo fidanzato, sebbene il mio unico desiderio fosse quello di andare da lei, di andare dalla mia Nina.

Ora mi trovo con la mano sulla maniglia, indeciso se entrare o meno. Tremo. Voglio andare dentro, lo voglio con tutte le mie forze, ma ho paura di quello che potrei trovare. Ho visto gli sguardi distrutti dei suoi genitori e quello di Eric e questo ha fatto aumentare tutta la mia paura. Alla fine, dopo uno sguardo d’incoraggiamento da parte di Paul, decido di entrare all’interno della stanza. Non è molto grande la stanza per questo, non appena entro, vedo la figura esile di Nina stesa sul letto, immobile. 

Sembra morta, ma non lo è continuo a ripetermi. Ha un lenzuolo che le arriva all’altezza del seno, le braccia distese lungo i fianchi, i capelli adagiati placidamente sul cuscino. Ha una fasciatura che le copre la testa, una mascherina sulla bocca che l’aiuta a respirare, qualche flebo e altri vari tipi di macchine che, in qualche modo, continuano a farla vivere. 

Ed è una visione terrificante questa, mi fa male da morire vederla così. Mi avvicino piano a lei, come per paura di disturbarla, e mi siedo sulla sedia bianca accanto al suo letto. Prendo una sua mano delicata tra le mie e noto, con orrore, che è fredda e bianca. Nina ha sempre avuto la carnagione scura, ora è bianca. Nina è anche sempre stata calda, ora è freddissima. Un altro particolare che mi fa tremare. Le bacio il dorso della mano e continuo ad osservarla in attesa di qualche movimento, di qualcosa. Magari potrebbe muoversi, anche solo un po’, potrebbe anche solo darmi qualche segno.

Si dice che, quando una persona entra in coma, tutto quello che le persone dicono venga recepito, chissà se anche per Nina sarà così. Tentare non nuoce, voglio che sappia quanto la amo e quanto la stia aspettando.

 

“Possibile che, ogni volta che litighiamo, dopo capiti qualcosa?”- inizio così, cercando di darmi un contegno. -“Dovevi ridurti così affinché arrivassi, di nuovo, da te? Sai quanto ti amo Nina, ti amo più della mia stessa vita e non puoi farmi questo, non puoi abbandonarmi così. Non dico che tu ti debba svegliare ora, in questo preciso istante, credo che tu debba riposare, almeno un po’, ma non metterci troppo tempo. Va bene anche domani, sai? Questa sera sarebbe meglio. E devi lottare, devi farlo. Io sono qui per te, con te, quindi non devi azzardarti a lasciarmi perché non te lo perdonerei mai. I bambini non sanno ancora nulla, staranno ancora dormendo da mia madre, e non so come dirglielo, per questo devi svegliarti. Non possiamo fare loro questo, lo capisci vero? Loro hanno bisogno di te, io ho bisogno di te. Tutti noi abbiamo bisogno di te. Per questa stupida situazione ho avuto perfino una conversazione civile con Eric, dovresti darmi un bacio per questo. Lui ha detto che ti ama, ti ama veramente tanto, ha il mio stesso sguardo innamorato, ma in questo momento non sono geloso. Io ti amo di più di tutti e so che anche tu mi ami, mi servirebbe soltanto che tu mi rinfrescassi la memoria. So che ti piace Eric, è un brav’uomo, ma quando ti sveglierai avremo tutto il tempo del mondo, questo lo so. Sei bella perfino mentre dormi, ma non prendertela troppo comoda, ti voglio qui, con me. Ho promesso una cosa a me stesso, una cosa che ti riguarda, e la manterrò. Dopo starà a te decidere, comunque. Non lasciarmi da solo, non puoi abbandonarmi. Io ti amo, Nina.”

 

Mi blocco perché sento qualcuno battere insistentemente la porta, molto probabilmente sono stato qui dentro più tempo del dovuto ed è arrivato il momento per me di andare via. Non voglio farlo, non voglio abbandonarla qui, ma devo. Hanno diritto i suoi genitori e suo fratello a stare qui con lei, non io. Mi alzo dalla sedia e le do un bacio sulla guancia. Mi soffermo qualche secondo in più alla ricerca del suo odore, ma tutto quello che sento è l’odore di medicinali, da ospedale. La guardo ancora per l’ultima volta, poi esco dalla stanza.

Quando esco dalla stanza molti del cast sono andati a casa. Gli unici rimasti siamo io, Paul con Phoebe, Candice con il marito, Julie con Kevin, Eric e i genitori di Nina con Alex.

 

“Mi ha… Mi ha appena chiamato Edna…”- balbetta la madre di Nina. -“I… I bambini hanno chiesto di Nina e… E di te…”

 

Mi avvicino a Michaela, che da anni è come una seconda madre per me, e l’abbraccio di slancio. Alex e il padre di Nina non dicono nulla, so che ce l’hanno ancora con me anche se molto meno di prima.

 

“Nina è forte, Michaela, ce la farà. Andrà tutto bene, te lo giuro.”- le dico cercando di mantenere la voce ferma, ma trema comunque. -“Cercherò di trovare una scusa per i bambini o… Perlomeno di far sembrare questo il meno grave possibile…”

 

Dopo aver salutato gli altri, che a stento ricambiano -troppo addolorati perfino per alzare la testa- esco dall’ospedale per andare a casa di mia madre.

Il mio problema, oltre alla salute precaria di Nina, è come dirlo ai bambini.

 

________________________________________________

 

*da me si dice così e più o meno significa essere veramente abbattuto.

 

**sono assolutamente cattolica (e non ho nulla contro le altre religioni), niente paura, ma queste sono domande che a volte ci poniamo un po’ tutti.

 

Perdonatemi inoltre se ci sono strafalcioni per quanto riguarda tutta la questione della medicina. Ho fatto molte ricerche, lo ammetto, ma posso comunque sbagliarmi quindi se sapete qualcosa in più -o se mi sono sbagliata- non preoccupatevi a dirmelo.
Credo che questo capitolo sia parecchio malinconico/triste, ma ho dovuto scriverlo, per forza. Ho raggiunto il livello di sadica, ormai. 
Lo so, sono cattiva, ma... No, non posso dirvi nulla sui capitoli futuri. Ve l'avevo detto... Mi amerete e mi odierete, credo che in questo momento siate più dalla parte dell'odio u.u
Vi avevo detto che le conseguenze dell'incidente sarebbero state gravi e, ahimè, lo sono. Nina ha riportato un trauma, delle costole rotte e dell'altro, che sembra essersi risolto, ma la parte più grave è quello che ha subito dalla colonna in giù >__< Scoprirete soltanto quando si sveglierà, e se si sveglierà (cit.), cosa sarà in grado o cosa non sarà in gradi di fare, ma per ora il quadro clinico non è messo bene. 
Mi sono parecchio commossa a scrivere il discorso di Ian ed una Nina che sente e non sente, chissà se manterrà quello che le ha detto. 
Nel prossimo capitolo Ian lo dirà ai bambini e credo sia immaginabile la loro reazione.
Ringrazio le fantastiche sette ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, ma ho notato che siamo diminuite un po', anche le visite. Spero che la storia continui ancora a piacervi, anche se non sta prendendo una bella piega.
Grazie ancora, alla prossima <3

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Capitolo 10
*** We hate you. ***



                                  We hate you.



Tenth Chapter.
Pov Ian.

Rimango più del dovuto fuori dalla porta della casa di mia madre sperando che mi venga in mente qualcosa di intelligente da poter dire ai bambini, ma ormai sono giunto ad una drastica conclusione. I miei figli hanno sette anni, sono dei bambini intelligenti, non accetterebbero nessun tipo di bugia -anche se detta a fin di bene- e l’unica soluzione è quella di dire loro la verità, cercando comunque di renderla meno drammatica possibile.

Suono il campanello e qualche secondo dopo è la figura di mia madre a venire ad aprirmi la porta. Il suo viso è stravolto dalla preoccupazione.
 

“Ti prego, dimmi che sta bene.”

 

Ecco la prima cosa che mi dice e vorrei dirle che Nina sta bene, ma, purtroppo, non è affatto così. Si scansa dalla porta per farmi passare e le faccio cenno di rimanere lì. Non voglio che i bambini sentano tutta la storia.

 

“Non sta bene, per niente. L’impatto è stato devastante, un uomo ubriaco guidava in contromano e si è scontrato con la macchina di Nina.”- sospiro pesantemente passandomi una mano tra i capelli esausto. Per quanto in questo momento sia stanco non ho assolutamente voglia di dormire. -“L’impatto è stato molto violento. L’altro uomo, quel bastardo, non si è fatto nulla di grave in confronto a Nina. Lei… Ha subito un trauma cranico, la rottura di quattro costole e la milza le si è spappolata.”

 

Mia madre si porta una mano al petto terrorizzata, ma non le ho ancora dato la notizia peggiore.

 

“Fortunatamente sono riusciti a risolvere tutto questo.”- le dico.

“C’è un ma, vero?”- mi domanda angosciata.

“E’ entrata in coma…”- mormoro abbassando lo sguardo mentre un singhiozzo sfugge incontrollato dalle labbra di mia madre. -“Ci sono buone probabilità che possa svegliarsi, ma… Non sono queste le notizie peggiori, mamma… Nina… Nina potrebbe rimanere paralizzata a vita.”

“Che cosa?”- lo urla quasi.

“Questo lo sapremo soltanto quando si sveglierà…”- continuo io.

 

Mia madre ormai ha gli occhi lucidi ed è sul punto di piangere, ma, quando sente arrivare Stefan con in mano un bicchiere di succo, si ferma. Non deve essere bella la scena, io sono stravolto e mia madre è girata verso la porta per non far preoccupare mio figlio.

 

“Papà?”- mi chiama piano stringendosi di più nel suo pigiamino. -“Dov’è la mamma?”

 

Dal salotto spunta anche Robyn che tiene in braccio Joseph. Anche lei ha lo sguardo preoccupato, ma, sapendo che ci sono anche i bambini, non chiede comunque niente. Mia sorella mette giù Joseph che corre verso di me. Si guarda attorno e mi guarda interrogativo.

 

“Papà, la mamma dov’è?”- mi domanda anche lui.

“Ve lo dirò a casa, va bene?”- domando ad entrambi.

“Ma io voglio sapere dov’è la mamma…”- piagnucola Joseph.

“Andiamo a casa.”- dico accarezzando ad entrambi una guancia. -“Faremo una bella merenda e dopo vi dirò tutto, promesso.”

“La mamma non ci ha abbandonato, vero?”- mi domanda Stefan nascondendo la testa nell’incavo del mio collo.

“No amore, assolutamente no. La vostra mamma vi ama moltissimo, non vi abbandonerebbe mai.”- li rassicuro entrambi. Me l’ha chiesto Stefan, è vero, ma anche Joseph ha il suo stesso sguardo preoccupato. -“Andiamo a casa ora, dopo vi racconterò tutto.”

 

Alla fine annuiscono entrambi e corrono al piano di sopra per prendere i loro zainetti. Mia sorella approfitta di questo momento.

 

“Come sta?”- mi domanda infatti.

“E’ messa male, parecchio.”- le dico senza giri di parole. Mi passo stancamente una mano tra i capelli. -“Non mi va di parlarne ora… Fattelo dire dalla mamma…”

 

Robyn non mi dice niente, credo abbia capito. Qualche minuto dopo i bambini scendono di corsa le scale e mi vengono incontro tenendo sulle spalle i loro zainetti. Glieli faccio togliere e li aiuto ad infilarsi il giubbotto poi, una volta ripresi gli zaini, salutiamo mia madre e mia sorella e saliamo in macchina dirigendoci verso casa mia. Per tutto il viaggio i bambini non dicono una parola e sono stati tutti vani i miei tentativi di farli parlare.

Quando ho chiesto loro se volessero vedere dei cartoni o un film mi hanno risposto che non ne avevano voglia ed è strano da parte loro visto che adorano guardare la televisione. Non sono stupidi, hanno intuito che c’è qualcosa che non va.

Parcheggio e li faccio uscire dalla macchina, poi velocemente arriviamo al mio appartamento. Apro con le chiavi, Nikki molto probabilmente starà ancora dormendo, ma, quando apro la porta, la trovo intenta a preparare qualcosa da mangiare. Non appena mi vede mi viene subito incontro con un sorriso ad incurvarle le labbra (e non capisco, davvero, come possa sorridere così in una situazione del genere) e mi abbraccia. Sono costretto a ricambiare, ma non con il suo stesso entusiasmo.

 

“Ero convinto che stessi dormendo.”- le dico osservando i pancake che si stanno cuocendo.

“Queste nausee non mi lasciano tregua…”- mormora appoggiandosi una mano sulla pancia. -“Ed avevo fame.”

 

Annuisco soltanto mentre i bambini si siedono svogliatamente sul tappeto. Forse dovrei dire loro qualcosa, non posso vederli così, ma mi preoccupa la loro reazione. Se sono così giù di morale non sapendo niente che cosa faranno quando scopriranno tutto?

 

“Come sta?”- mi domanda Nikki.

 

So a chi si riferisce e mi fa leggermente piacere che me l’abbia chiesto. Piacere nel senso che è un bel gesto dopotutto, visto i trascorsi che hanno lei e Nina.

 

“Non bene, ecco.”- le dico grattandomi il mento. -“Non so come dirlo ai bambini.”

“Credo che meritino di saperlo, ormai hanno sette anni.”- mi fa notare sedendosi sulla sedia.

 

Sospira stancamente e mi avvicino a lei. La vedo parecchio stanca, ma penso sia normale, una gravidanza non è una cosa facile da affrontare. Dopotutto, sebbene io non la ami, dovrei prendermi cura anche di lei, è pur sempre la madre di mio figlio e quel piccolo esserino è ancora dentro la sua pancia.

 

“Sei stanca?”- le domando, infatti.

“Un po’, ma penso sia normale.”- mi dice sorridendomi leggermente. -“Ho un leggero mal di testa, tutto qui.”

“Dovresti riposarti, almeno un po’.”- le dico accarezzandole una guancia. -“Vai a letto, io devo parlare con i bambini.”

“Si, forse è meglio così.”- concorda con me dandomi un bacio sulle labbra.

 

Non mi ritraggo, però. Potrebbe notare che c’è qualcosa che non va e voglio chiudere tutto quando il bambino sarà nato, quando non ci sarà più alcun tipo di problema. Nikki si alza dalla sedia e si dirige in camera, non prima di aver sorriso ai bambini. Spengo il fuoco, prendo alcuni piatti e ci metto sopra dei pancake.

 

“Avete fame?”- domando loro.

 

Scuotono entrambi la testa. Sconsolato decido di sedermi con loro sul tappeto. Nietzsche accoccola sulle mie gambe, forse ha capito la gravità della situazione.

 

“Non parlerete fino a quando non vi dirò qualcosa, giusto?”- domando.

“Vogliamo solo sapere dov’è la nostra mamma…”- mormora Stefan.

 

Joseph annuisce supportando il fratello.

 

“L’altra sera è successa una cosa.”- mi blocco alla ricerca delle parole giuste. -“Vostra madre stava tornando a casa quando… Una macchina si è scontrata con la sua. Ha un po’ di ammaccature, ma sta bene.”

 

Lo so che sto mentendo, ma lo sto facendo per il loro bene. Come posso dire a due bambini di sette anni che ci sono delle probabilità che Nina possa morire? Non posso dirglielo, non posso e basta. Stefan e Joseph si guardano per una frazione di secondo negli occhi parecchio turbati -e anche impauriti. Continuano a non parlare.

 

“Perché non ce lo volevi dire?”- mi domanda Joseph.

“Perché non è nulla di grave.”- mento, di nuovo.

“E perché non è qui con noi?”- mi domanda ancora Stefan. -“Se sta bene dovrebbe essere qui con me e Jo.”

“Stef ha ragione…”- mormora Joseph. -“Perché la mamma non è qui con noi?”

“La vostra mamma è stanca e deve recuperare un po’ le forze.”- tento di spiegarmi al meglio.

“Quindi è ancora in ospedale?”- domanda Stefan.

“Si, è ancora lì.”- annuisco mentre mi si forma un nodo in gola.

 

Vorrei essere lì con lei in questo momento, ma so che anche i miei figli hanno bisogno di me. Se anche io li abbandonassi così, senza dire niente, potrebbero fraintendere ogni cosa e sentirsi soli, io non voglio questo per loro.

Loro, i miei figli, devono fare affidamento su di me.

 

“Possiamo andare a trovarla allora?”- mi domanda Stefan con sguardo speranzoso.

“Non la disturberemo, vogliamo solo abbracciarla.”- continua Joseph con lo stesso sguardo di Stefan.

“No, non possiamo.”- dico ad entrambi e li vedo diventare improvvisamente tristi. -“Rimarremo qui fino a quando Nina non tornerà a casa.”

 

Vorrei dire loro che tornerà presto, ma non so nemmeno io quando si sveglierà. Perché si, indipendentemente da quello che hanno detto i dottori, lei si sveglierà.

 

“No, noi vogliamo andare dalla mamma!”- si impunta Joseph.

“Siete troppo piccoli per stare in ospedale.”- dico loro con voce ferma.

 

Non posso portare i miei figli in ospedale, non con Nina in quelle condizioni.

 

“Ma noi vogliamo vedere la mamma!”- continua Stefan testardo.

“Vi ho appena detto che non potete. Non potete entrare in ospedale.”- continuo io fermamente.

 

Nikki, forse disturbata dalla confusione, arriva in sala preoccupata. Si avvicina a noi tre e mi appoggia una mano sulla spalla.

 

“Noi vogliamo andarci comunque!”- urla Joseph alzandosi di scatto dal tappeto incrociando le braccia al petto.

“Dovreste ascoltare vostro padre.”- interviene Nikki e socchiudo leggermente gli occhi. Conoscendoli le urleranno contro. -“Ha ragione.”

 

Anche Stefan ormai si è alzato dal tappeto e fulmina Nikki non lo sguardo.

 

“Tu non sei la nostra mamma, non puoi dirci quello che dobbiamo fare.”- le urla contro.

 

Per quanto possa capire che Nikki non vada loro a genio non possono risponderle in questo modo, non è giusto nei confronti di qualsiasi persona e devono capirlo. 

Nikki rimane profondamente ferita da queste parole, ma non dice niente.

 

“Chiedile scusa, non devi risponderle in questo modo.”- lo sgrido.

“Lei non è la nostra mamma, io voglio la mia.”- piagnucola Joseph.

“Ora non potete vederla, cercate di capirlo.”- dico loro.

“No, vogliamo andare da lei!”- continua Joseph.

“Per prima cosa dovreste chiedere scusa a Nikki, che cosa vi sta succedendo?”- ribatto io duro.

“No, non lo farò.”- urla Stefan, poi si volta verso di me arrabbiato. -“Ti odio!

 

Non mi da nemmeno il tempo di ribattere che corre veloce in camera sua -sua e di Joseph, quella che abbiamo preparato tempo fa insieme. Joseph mi rifila lo stesso sguardo carico d’odio, per quanto odio possa provare un bambino di sette anni, e lo segue. Non faccio nemmeno in tempo a rincorrerli che si sono chiusi a chiave dentro la stanza mentre il mio cuore si rompe in mille pezzettini. I miei figli, le due persone che amo di più in questo mondo, hanno appena detto di odiarmi. Odiano me, odiano il loro papà. Cado in ginocchio sul tappeto prendendomi la testa tra le mani sotto lo sguardo preoccupato di Nikki.

I miei figli mi odiano.

Sono stato troppo duro con loro, ho alzato troppo la voce quando, invece, avrei dovuto essere calmo cercando di rendere calmi anche loro. E’ che… Non ce la faccio, non… Non so come gestire la situazione. Nina, la donna che amo, è sospesa tra la vita e la morte, i miei figli ora mi odiano, Nikki è incinta. Perché la mia vita deve essere sempre così complicata? Ho sbagliato tutto con loro, non dovevo comportarmi in quel modo. Avrei dovuto rassicurarli, dire loro che io ci sono, invece sono riuscito a farmi odiare. Che razza di padre sono? Se non riesco a gestire loro, i miei figli, come farò a gestirne uno più piccolo?

 

“Sono solo preoccupati, andrà tutto bene.”- mi dice Nikki dandomi un bacio sulla spalla.

 

In questo momento voglio rimanere solo. Sebbene voglia andare dai miei figli li conosco, vorranno sicuramente rimanere da soli. Sotto questo punto di vista hanno preso da me. Mi auguro solo che tutto questo passi in fretta.

 

“Hanno detto di odiarmi, Nikki, i miei figli mi odiano.”- borbotto a denti stretti.

“Non ti odiano, fidati di me. Sono solo scossi, tutto qui. Tra non molto passerà tutto,bisogna solo aspettare.”- mi dice dolcemente accarezzandomi una guancia. -“Ti lascio da solo.”

 

E per la prima volta rimango stupito di come Nikki abbia capito, in così poco tempo, i miei bisogni e di come mi abbia lasciato i miei spazi.

Rimango così perso tra i miei pensieri sul tappeto del soggiorno.

 

























 

                                                                  * * *



























 

E’ quasi l’una e i miei figli sono ancora chiusi dentro la loro stanza. Questa mattina non hanno fatto colazione, non hanno voluto, e tra poco è l’ora di pranzo. Ci mancherebbe solo che si mettessero a fare digiuno. Il silenzio regna sovrano e tutto questo sta diventando insopportabile. Mi alzo dal tappeto, ormai diventato più che scomodo, e mi avvicino piano alla porta della camera dei bambini. Devo scusarmi con loro, non posso continuare a stare in questa situazione.

Busso alla porta, ma non ricevo nessuna risposta. Busso una seconda volta, una terza, una quarta, ma niente.

 

“So che siete lì dentro…”- dico dolcemente. -“Avanti, apritemi.”

 

Ma, come sospettavo, non ricevo nessuna risposta. 

 

“Joseph, Stefan, vi prego, ho bisogno di parlarvi.”- continuo ancora appoggiando la fronte sulla porta fredda.

 

Loro continuano a rimanere zitti, non sento nessun rumore provenire dalla stanza. Sto iniziando a preoccuparmi, continuo a ripetermi che lo stanno facendo apposta e che non sia successo niente.

 

“Vi devo delle scuse, lo so. Vi ho detto che”- sospiro pesantemente. -“non volevo portarvi in ospedale perché… Perché semplicemente non è un luogo adatto per voi. Ci sono così tante persone che stanno male e portarvi lì… Ho paura che ne possiate uscirne turbati. Non volevo alzare la voce con voi, sono solo preoccupato per vostra madre e non stavo pensando a quello che stavo dicendo. Non sopporto tutto questo, non sopporto che voi due siate arrabbiati con me, vi voglio troppo bene ed ho bisogno di avervi qui, con me.”

 

Nessuna risposta arriva e sto quasi per arrendermi quando, contro ogni mia previsione, sento dei piccoli passi avvicinarsi alla serratura. Questa scatta e sento di nuovo dei piccoli passi tornare indietro, molto probabilmente a letto. Aspetto qualche istante, dopo entro. Sono entrambi seduti sul letto di Stefan, stringono tra le mani i loro pupazzi preferiti, e mi guardano con sguardo colpevole. Hanno gli occhi rossi e le guance arrossate, hanno sicuramente pianto. Non mi dicono niente, per questo gli corro subito incontro e li abbraccio forte. Loro non si oppongono, si lasciano abbracciare, e credo che ne abbiano bisogno. Per quanto possano essere intelligenti sono dei bambini di sette anni dopotutto, quello che ha sbagliato sono io.

Rimaniamo in silenzio per parecchi minuti, loro non si muovono, io continuo ad abbracciarli.

Il primo a parlare, sorprendentemente, è Stefan.

 

“Non avrei”- singhiozza mentre io continuo ad accarezzargli la schiena. -“dovuto dirti tutte quelle cose. Io non ti odio, papà.”

 

E sebbene lo sapessi -lo avevo intuito- il mio cuore diventa molto più leggero. Sorrido leggermente e gli poso un bacio tra i capelli.

 

“Neanche io ti odio, papà…”- mormora Joseph stringendosi di più a me.

“Lo so, non dovete scusarvi, quello che deve scusarsi qui sono io. Ero nervoso, non avrei dovuto usare quel tono con voi.”- dico ad entrambi.

 

Li sento tirare su con il naso, poi si staccano leggermente da me rimanendo comunque aggrappati alla mia maglietta.

 

“Quindi ci vuoi ancora bene?”- mi domanda Joseph.

“Non dovete assolutamente mettere in dubbio questo. Vi voglio un bene infinito, non immaginate nemmeno quanto ve ne voglia. Siete i miei figli, vi vorrò sempre bene.”- rispondo dando loro un grande bacio sulla guancia.

“Anche noi ti vogliamo tanto bene, papà.”- mi dice Stefan abbracciandomi seguito da Joseph.

“Scusaci.”- dicono entrambi all’unisono.

“Sono io che mi devo scusare, non vi parlerò mai più così.”- spiego.

“Non dovevo dire a Nikki quelle cose…”- mormora Stefan. -“Mi dispiace.”

 

Gli scompiglio i capelli sorridendo. So che non volevano dire tutte quelle cose, l’ho sempre saputo.

 

“Lo so tesoro, questo ti fa onore.”- gli dico. -“Dovresti dirglielo tu, però.”

 

Stefan annuisce soltanto, ma mi basta solo questo. Glielo dirà, mi fido di lui.

 

“Ma la mamma starà bene, vero?”- mi domanda Joseph torturando l’orlo della sua maglietta.

 

Faccio cenno ad entrambi di sedersi sulle mie gambe e lo fanno volentieri.

 

“Ora sta riposando, non so quanto tempo ci vorrà, ma si sveglierà, ve lo prometto. Vi fidate di me?”- dico ed entrambi annuiscono. -“Vi prometto che si sveglierà.”

“Ma se sta riposando così tanto è perché l’abbiamo fatta stancare noi?”- mi domanda Stefan con sguardo colpevole.

 

Mi si stringe il cuore a questa domanda. Ecco lì che ritorna il fatto che sono ancora bambini. Si stanno incolpando per nulla.

 

“Voi non c’entrate assolutamente nulla. La mamma sta riposando perché, a causa dell’incidente, si è fatta alcune botte che le fanno male e i dottori, per evitare che senta dolore, le hanno dato una buona medicina. Quando l’effetto della medicina svanirà aprirà gli occhi.”- spiego loro.

 

Finalmente sembrano abboccare a questa scusa. 

 

“La vostra mamma vi vuole tanto bene, siete le persone a cui tiene di più al mondo, voi non potrete mai farla stancare.”- continuo io mentre i miei figli si stanno convincendo sempre di più.

 

Le mie parole sembrano aver avuto effetto.

 

“Anche noi vogliamo tanto bene alla mamma.”- mi dice Stefan.

“Così come vogliamo tanto bene a te.”- termina Joseph.

“Anche voi ve ne vogliamo, tanto.”- dico loro abbracciandoli entrambi.

 

Alla fine riesco a distrarli un po’ con qualche gioco, ma, dopo un po’, mi domandano di nuovo se possono andare anche loro a trovare Nina. A questo punto, dopo tutto quello che gli ho raccontato, non so come dire di no, quindi decido che, quando la situazione si sarà un po’ stabilizzata, li porterò con me. Per ora è meglio di no, la situazione è ancora troppo instabile.



_____________________________________________

Buon fine settimana a tutti, questa volta sono stata puntuale, credo C:
Uhm, dovevo ringraziarvi ancora l'altra volta per gli auguri per l'interrogazione di filosifia, ma lo faccio adesso, quindi grazie, avete portato bene!
Questo capitolo è stato un po' particolare e risponde, sostanzialmente, al vostro dubbio più importante. I bambini hanno reagito male, non tanto per la notizia in se (certo, gran peso l'ha avuto anche quello), ma per il fatto di aver percepito che Ian era nervoso. E' la prima volta che lo vediamo sgridare i  bambini e questa volta, ahimè, mi schiero dalla sua parte. I bambini ovviamente sono piccoli, sono preoccupati per Nina, ma lui, ultimamente, è costantemente sull'orlo di una crisi di nervi. Nikki è incinta, Nina è in coma e ha due bambini da supportare, non è una situazione facile e credo che chiunque possa andare in escandescenza. Certo, non è stato bello vedere Ian sgridare i bambini, ma questo povero uomo è soltanto da compatire. 
Poi alla fine sono riusciti a chiarire, ma i bambini continueranno a premere per vedere Nina e staranno sempre più male, poveri cuccioli w.w' Escludendo Nina, loro due sono i miei personaggi preferiti *^*
Okay, basta, questa volta non ho nient'altro da dire.
Ringrazio le fantastiche dieci ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, siete fantastiche <3

Alla prossima ^^

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Capitolo 11
*** You're just ridiculous. ***


                              You're just ridiculous.

Eleventh Chapter.
Pov Ian.

Sono passati sei giorni dall’incidente di Nina e non ci sono miglioramenti, è tutto ancora come prima. Certo, le costole stanno cominciando ad aggiustarsi e il taglio alla milza, compreso quello alla testa, sta cominciando a rimarginarsi -anche se ci vorrà ancora del tempo- ma Nina deve ancora svegliarsi. Tiene semplicemente gli occhi chiusi, sta dormendo.

Io, invece, mi sto comportando veramente da codardo. Sono andato l’altra sera a trovarla, approfittando che non ci fosse nessuno. I bambini erano da mia madre e Nikki stava dormendo, così io ho deciso di andare da lei. Da una parte per non destare sospetti -è sempre la madre dei miei figli, è vero, ma sarebbe troppo palese il mio amore per lei se la andassi a trovare ogni giorno- e dall’altra perché non ce la faccio a vederla ridotta in quelle condizioni. So che dovrei starle vicino, dovrei parlarle, ma ogni volta che entro in quella stanza vorrei solo scappare il più lontano possibile. L’ultima volta che l’ho vista l’ho fatta arrabbiare e ora mi sembra quasi morta. So che è solo una questione di testa, me ne rendo conto, ma è più forte di me. Se non avessi Nikki magari potrei andarla a trovare più spesso, ma ho capito lo sguardo che mi ha rifilato la prima volta che sono tornato a casa dall’ospedale.

Prima di addormentarsi, l’altra sera, mi ha detto che mi sto preoccupando più per Nina che per lei e, per quanto l’abbia rassicurata che non sia vero, purtroppo è così. Certo, ora mi sto occupando di lei, almeno un po’, e la sto aiutando su varie cose, ma il mio pensiero costante rimane comunque sempre Nina. E’ lei che è in pericolo di vita, non Nikki.

Nina, però, non è comunque sola. Candice, Paul, Phoebe, Julie, Kevin, Caroline e tutti gli altri vanno a trovarla continuamente, così come i suoi genitori ed Alex. L’unico che rimane costantemente lì, riuscendo ad arginare perfino l’orario delle visite, è Eric. Me l’ha detto l’altro giorno Paul quando mi ha rinfacciato il fatto di non essere mai andato a trovare Nina -lui non sa che almeno una volta ci sono andato. Eric è sempre lì, ogni giorno. Vorrei essere io lì al suo posto, essere forte per Nina, ma non riesco a gestire tutto. Non riesco a gestire la paura, la frustrazione e tutti gli altri sentimenti che provo. Non riesco a gestire i bambini che ogni giorno mi chiedono di poter andare a trovare la loro mamma e Nikki, incinta e sospettosa.


“Papà?”- mi chiama Joseph tenendo una matita colorata in mano.

 

Li sto aiutando a colorare qualche disegno, sto cercando in tutti i modi di tenerli con la testa impegnata affinché non pensino a Nina. E’ difficile, però. Il set è stato momentaneamente chiuso, nessuno, ovviamente, ha voglia di recitare. Il ritmo della messa in onda rallenterà, questo è poco ma sicuro, ma tutti i pensieri del cast e della crew sono rivolti costantemente alla salute di Nina e sarebbe improponibile continuare a girare.

Per ora la notizia dell’incidente non è ancora trapelata, ma non oso immaginare cosa succederà quando tutto questo verrà fuori.

 

“Dimmi amore.”- lo invito a parlare.

“Possiamo andare a trovare la mamma?”- mi domanda titubante.

“Ti prego, papà.”- continua Stefan fermandosi di disegnare. -“Vogliamo solo vederla, almeno un po’.”

 

Come posso rifiutare ancora questa loro richiesta? In questi giorni hanno tentato -riuscendoci alla grande- di comportarsi il meglio possibile, hanno fatto tutto quello che gli è stato chiesto e non hanno preteso mai nulla. L’unica domanda costante è stata quella di andare a trovare Nina, ma ho sempre negato loro questa possibilità.

Non posso ripetergli, per l’ennesima volta, no. Mi serve l’aiuto di qualcuno, però. So che, decidendo di portarli, sto rischiando veramente grosso in tutti i fronti -di farli stare ancora più male o di svelare al mondo di avere due figli- ma glielo devo, almeno un po’.

 

“Dovete promettermi una cosa, però.”- dico loro ed improvvisamente si fanno più attenti. -“Se vi chiedo di rimanere fermi e buoni dovrete farlo, va bene?”

 

Entrambi annuiscono seri.

 


























 

                                                                         * * *



























 

Non potremmo essere qui, i bambini non potrebbero essere qui a dir la verità, ma, grazie ad alcune mie conoscenze e ad aver spiegato la storia, ci troviamo nel reparto di terapia intensiva. La camera di Nina è sempre quella ed, come ogni paziente all’interno di questo reparto, è singola. Robyn è alle mie spalle e sta aiutando i bambini ad infilarsi un mini camice verde, quello che sto indossando anche io in misura più grande. Abbiamo solo dieci minuti, è già un miracolo che il dottore ce li abbia concessi, e tenterò di sfruttare questo tempo al massimo. Fortunatamente, rispetto ai primi giorni, la visione è più accettabile e meno drammatica, quindi credo che i bambini non ne usciranno fuori troppo traumatizzati.

Robyn rimane fuori, vuole lasciarci da soli in questo momento. Credo che abbia capito qualcosa, ma non vuole domandarmi niente e l’apprezzo veramente tanto per questo.

Non appena entriamo nella stanza di Nina i bambini cercano subito con lo sguardo la madre e non appena la vedono stesa sul letto le si avvicinano piano, senza fare alcun rumore. Mi stupisco per l’ennesima volta dell’enorme tatto che hanno i bambini.

 

“Sta dormendo?”- mi domanda Stefan a voce bassa.

“Si, è ancora un po’ stanca.”- gli rispondo io avvicinandomi a loro.

 

Joseph allunga una mano per toccare Nina e io, il più dolcemente possibile, gli dico di stare attento a non toccare i fili delle varie macchine.

 

“A cosa servono papà?”- mi domanda allora Joseph.

“Per controllare come sta la vostra mamma.”- spiego io.

 

In effetti è vero, ma preferisco non entrare troppo nei particolari, in particolar modo sul fatto che alcune servono per tenerla in vita, come il respiratore. Ora riesce a respirare anche da sola, sta migliorando, ma i dottori non si fidano comunque di lasciarla senza niente.

 

“Sembra la Bella Addormentata…”- mormora Stefan non staccando per un solo istante gli occhi da Nina.

“Ci assomiglia.”- sorrido loro accarezzando ad entrambi la testa.

“Tra quanto si sveglierà, papà?”- mi domanda Joseph.

“Uh, non lo so, ma lo farà molto presto.”- cerco di risultare convincente.

 

Purtroppo non so quando si sveglierà Nina, tutto dipende da lei ora.

 

“Potremo venire qui quando si sveglierà?”- mi domanda in modo impacciato Joseph.

“Certo che potrete venire qui.”- rispondo.

“Così le porteremo una torta e i disegni che abbiamo preparato per lei.”- assicura solenne Stefan.

“Ne sarà felicissima.”- rispondo loro. Un dottore entra all’interno della stanza e credo che sia ora di andare. Se fossi stato solo sarei rimasto un altro po’, ma con i bambini qui non posso. -“Ora dobbiamo andare, forza.”

 

I bambini aprono la bocca per ribattere, ma quando si accorgono anche loro del dottore annuiscono solamente. Il dottore, uno di quelli che ha operato Nina, mi rivolge un cenno del capo a mo’ di saluto ed io ricambio. Dico ai bambini di andare un attimo fuori, ho bisogno di sentire come sta Nina e non voglio che loro sentano qualcosa.

Non appena escono decido di farmi coraggio.

 

“Come sta dottore?”- domando titubante.

 

L’uomo, che fino a qualche secondo fa stava controllando i parametri vitali di Nina, alza lo sguardo su di me e mi guarda senza nessuna emozione. Non mi fa rabbia, però. Credo che tutti i dottori alla fine abbiano questa espressione, non possono lasciarsi andare ad emozioni e farsi travolgere per ogni cosa.

 

“La situazione è stabile, per ora. Ieri pomeriggio le abbiamo fatto alcuni accertamenti e i parametri sono nella norma. Certo, alcuni valori sono sballati, ma in questa situazione è normale. Ogni cosa sta cominciando ad andare al proprio posto, ma per quanto riguarda gli arti inferiori non abbiamo ancora nessuna risposta.”- mi spiega accuratamente.

“E’ così grave la situazione?”- domando affranto.

“Potrebbe andare meglio, ma stiamo cercando di fare ogni cosa in nostro possesso affinché possa guarire.”- mi dice sincero. -“Sua moglie è forte, vedrà che in una maniera o nell’altra ce la farà. Ora mi scusi, ma dobbiamo fare altri esami e lei non può rimanere qui.”

 

Vorrei dire al dottore che ha frainteso, che Nina non è mia moglie, ma lascio perdere. Guardo per l’ultima volta la donna che amo distesa in quel letto d’ospedale poi esco dalla stanza.

Mi ha detto che la situazione è nella norma, ma comunque non ci sono miglioramenti. Vorrei solo che si svegliasse, non ce la faccio più a vederla così. Non appena esco Robyn alza lo sguardo su di me e io le sorrido forzatamente, i bambini invece mi vengono incontro e mi sorridono.

Sono convinti che Nina stia dormendo, fortunatamente non hanno capito la gravità della situazione.

 

“Possiamo tornare anche dopo?”- mi domanda innocentemente Joseph.

“Magari facciamo un altro giorno, va bene? Ora dobbiamo lasciarla un po’ da sola.”- gli rispondo. Rimane deluso dalla mia risposta, per questo decido di giocarmi al carta del cibo. -“Andiamo tutti insieme a mangiare una fetta di torta con una cioccolata calda?”

 

Entrambi annuiscono raggianti e prendono per mano sia me che Robyn trascinandoci giù dalle scale. Come accordato, usciamo dalla porta secondaria e andiamo via dall’ospedale. Decidiamo, per il bene di tutti, di andare a casa di nostra madre, anche perché i bambini la vogliono vedere visto che ieri sono rimasti un po’ da Michaela -sono gli unici in grado a sollevarle un po’ il morale.

Non appena entriamo i bambini corrono subito in cucina da mia madre, mentre Robyn mi afferra per un braccio costringendomi a rimanere lì.

 

“Come sta?”- mi domanda in apprensione.

“Come al solito, non c’è nessun miglioramento.”- le dico stringendo una mano a pugno frustrato. -“I parametri sono nella norma, più o meno, ma non si sveglia.”

“Magari ci vorrà ancora del tempo, ma si sveglierà.”- mi dice cercando di convincermi.

 

Lo spero veramente.

 

“Quando?”- le domando. -“E’ già passata una settimana.”

“Potrebbero volerci anche mesi, Ian.”- mi ricorda.

“Assolutamente no.”- le dico scuotendo la testa. So che ha ragione, ma Nina deve svegliarsi al più presto. -“Non può rimanere così.”

“Non puoi controllare tutto questo.”- mi dice inclinando leggermente la testa. -“Ma si sveglierà. Piuttosto… Come sta Nikki?”

“Uhm… Bene, credo…”- borbotto disinteressato.

“Come credi?”- mi fissa accigliata. -“Per quanto voi due non andiate più d’accordo è pur sempre tua moglie ed è incinta di tuo figlio.”

“A Natale mi sembrava che fossi contraria a tutto questo.”- sottolineo frustrato.

“Sono ancora contraria, se non andavate più d’accordo bastava finirla, non continuare a far cazzate. Ritieniti fortunato che me ne sia accorta solo io, la mamma crede che tu sia felice. Secondo me si è accorta di qualcosa, ma preferisce non chiedere. Robert è… Robert… Non ha tempo per controllare ogni cosa, ma io sono tua sorella, Ian. Se hai deciso di stare con Nikki almeno prova a prenderti cura di lei. E’ incinta e una gravidanza non è mai facile da passare da sola. Già una donna si è trovata in questa situazione, non farlo un’altra volta.”- mi dice guardandomi negli occhi.

 

Ha ragione, di questo posso rendermene conto anche da solo. Sto cercando di starle vicino, davvero, solo che in questo momento ho altri pensieri per la testa. Da quando ho scoperto che è incinta ho cercato di lasciarla da sola il meno possibile, ultimamente poi me ne sono andato via solo due volte. L’altra sera, ma lei comunque questo non lo sa, e adesso.

Sto cercando in ogni modo di fare del mio meglio, ma evidentemente nessuno apprezza tutto questo.

 

“Pensi che non lo stia facendo?”- le domando serrando la mascella. -“Guardami, Robyn. Ultimamente sto dormendo a malapena con tutto quello che mi passa per la testa. Nikki è incinta, lo so anche io questo, e sto cercando in ogni modo di prendermi cura di lei e credo, almeno un po’, di riuscirci. Sto tenendo i miei figli, come giusto che sia, e sto tentando di distrarli il più possibile perché mi chiedono continuamente di andare da Nina e quando si sveglierà. Infine, la donna che amo è in un letto d’ospedale che lotta tra le vita e la morte e molto probabilmente non riuscirà più a camminare. Hai idea di quanto sia difficile per me tutto questo?”

 

Robyn mi guarda con un misto di sorpresa e di confusione. Avevo bisogno di sfogarmi e senza pensarci l’ho fatto, non dovrebbe guardarmi così. E’ dannatamente difficile gestire tutto questo e riuscir a far combaciare ogni cosa.

 

“Che cosa hai detto?”- mi domanda con un filo di voce.

“Hai capito bene, Robyn. Per quanto voglia non ce la faccio a gestire tutto.”- le dico sospirando.

“Non… Non quello. Un’altra cosa…”- mormora.

“Cosa?”- domando.

“Riguardo a Nina.”- mi dice.

 

La fisso dubbioso. Le ho detto che molto probabilmente non camminerà più, ma questo lo sapeva già.

 

“Ti ho detto tutte cose che sai già.”- le rispondo passandomi una mano tra i capelli.

“No, no.”- mi dice scuotendo la testa. -“Tu hai detto che la ami.”

 

Oh, quello. Okay, forse non dovevo dirglielo così direttamente, avrei dovuto tenerlo per me. Si, avrei dovuto.

Ma che diavolo ho combinato? Dovevo stare zitto, non dovevo dirgli che io amo Nina. Ora mi ucciderà. Già mi odia per tutta questa situazione -del fatto che, nonostante non andassimo più d’accordo, ho messo incinta Nikki- ora non farà altro che arrabbiarsi di più.

Abbasso lo sguardo ed è allora che mia sorella capisce. Non ha bisogno di parole. Si allontana di qualche passo da me ed inizia a fare avanti e indietro per il corridoio che precede il salotto. I bambini sono ancora con mia madre, credo che stiano facendo una torta.

 

“Tu non hai un cervello, hai solamente tanta polvere dentro quella dannata testa.”- mi dice cupa.

 

Si, molte volte credo anche io di non avere più un cervello. Ormai è partito chissà dove, ma qui non è una questione di cervello, è una questione di cuore.

 

“Non è una questione di cervello, questa. C’entra il cuore.”- le dico, infatti.

“Non fare il filosofico con me. Sei solo un… Coglione…”- borbotta e questo mi ferisce, davvero. -“Hai idea di quello che stai combinando? Avrei dovuto capirlo, però. Anzi, forse l’ho già capito tempo fa, ma non mi sono mai voluta rendere conto di questa cosa. Di come la guardavi, di come pendevi dalle sua labbra. Magari avevi anche pensato di lasciare Nikki per lei, ma, ovviamente, essendo rimasta incinta i tuoi piani sono cambiati.”

 

Rimango zitto per l’ennesima volta, ormai non ha bisogno di conferme, sta dicendo tutta la verità.

Fa male sentirla da qualcun altro, però. Fa male sentire il tono di disprezzo che mia sorella sta usando con me. In questo momento credo che gli faccia parecchio schifo avere un fratello come me.

 

“Suppongo, infine, che Nina se ne sia accorta, no? Che vi siate illusi insieme e alla fine tutto è andato distrutto.”- conclude.

“Senti Robyn, io-”

 

Ma Robyn, evidentemente, non vuole sentire nessuna parola fuoriuscire dalla mia bocca.

 

“Perché sei così dannatamente complicato, Ian? Che male ti hanno fatto? Nina e Nikki, intendo. Non hai rovinato una donna, ne hai rovinate due. Con Nikki stai tentando di recuperare, nulla è ancora perduto, ma ti rendi conto di quello che hai fatto alla madre dei tuoi figli? L’hai illusa, per ben due volte.”- mi dice puntandomi il dito contro. -“Che cosa ti ha fatto Nina per meritare tutto questo?”

“Si è innamorata di me, come io sono innamorato di lei. Io la amo, Robyn.”- gli dico disperato.

 

In realtà non ho nulla da difendere, so anche io di essermi comportato da schifo, da codardo.

 

“L’unica cosa che ti fa onore, in questo momento, è il fatto che tu voglia prenderti le responsabilità su tuo figlio e che, indipendentemente da tutto, rimanga ancorato ai valori del matrimonio. Per il resto sei solo ridicolo, veramente.”- influisce ancora. -“Mi auguro, vivamente, che tu non cambi nuovamente idea, perché rovineresti nuovamente la vita di una povera creatura. Lascia libera Nina, tu non la meriti.

 

Non mi lascia nemmeno il tempo di ribattere che, una volta afferrato il suo giubbotto e la borsa, va via sbattendo la porta di casa. 

E per quanto le sue parole possano far male -così come il suo disprezzo- ha ragione, su tutto.

Che razza di uomo sono?

 

“Papà, dov’è andata zia Robyn?”

 

La voce di Stefan mi giunge quasi ovattata distogliendomi così dai miei pensieri. 

 

“E’ andata via, non si sentiva molto bene.”- gli dico cercando di non aumentare ancora di più i suoi sospetti. -“Avete finito la torta?”

“E’ in forno, non vediamo l’ora di mangiarla.”- annuisce. -“Vieni di là?”

 

Fortunatamente nessuno sembra aver sentito la nostra discussione. Non appena entro in cucina trovo Joseph in piedi su una sedia che sta aiutando mia madre a preparare della cioccolata calda. Non appena sentono i nostri passi si voltano entrambi. Lo sguardo di mia madre è alla ricerca di Robyn.

 

“Dov’è Robyn?”- domanda infatti.

“La zia non si sentiva molto bene, se n’è andata.”- spiega Stefan dando, giustamente, la mia versione dei fatti.

 

Mia madre sposta lo sguardo da Stefan e me e mi guarda dubbioso.

Evidentemente non ci crede, ha capito perfettamente che questa è una scusa che mi sono inventato, ma non mi dice niente.

Continua semplicemente a preparare la cioccolata calda con i miei figli non dicendo nemmeno una parola.

 

_____________________________________________________

 

So, assolutamente, che l’ospedale non è un luogo per bambini, lo capisco. Inoltre, parlando di terapia intensiva, è già un miracolo che possano entrare adulti, ma in questo caso è stata fatta un’eccezione. Non so se si possa fare, lo metto subito in chiaro, ma ho deciso di rompere alcune regole. Magari si può anche fare, non dico di no, ma non essendo ben informata prendo tutto con le pinze. Sto scrivendo io questa storia, ovvio, ma se accadesse una cosa del genere nella realtà, intendo un figlio che chiede al padre di vedere la madre a dispetto di tutto, credo che, il padre in questione, farebbe di tutto per il figlio. 
Buona domenica a tutte, comunque :)
Com'è stato il vostro Halloween? Spero che abbiate passato un bel sabato!
Scusatemi per il ritardo, ma in questa settimana ho avuto parecchie cose da fare e alcuni episodi da recuperare, ma l'importante è che il capitolo sia arrivato prima dell'inizio della settimana. Ho visto che le recensioni sono diminuite un po', mi dispiace che questo sequel sia così altalenante rispetto al primo, ma vabbeh, non ci posso far nulla, l'importante è che venga seguito ancora :)
Questo è uno dei miei capitoli preferiti perchè accadono due scene importanti: i bambini all'ospedale e il confronto-scontro tra Ian e Robyn. Per quanto riguarda i bambini, mi sono sciolta a scrivere quella scena *^* 
Penso che i bambini, in sostanza, abbiano molto più tatto degli adulti e... Finalmente hanno potut rivedere la loro mamma -che era in una situazione più presentabile rispetto al post operazioni, quindi non ne sono rimasti traumatizzati. La parte più importante è quella con Robyn, ovviamente. Lei fa pressione a Ian su tantissime cose arrivando persino a giudicarlo e lui...Scoppia, letteralmente. Ammette che ama Nina e Robyn rimane sconvolta, ma cominciano a ritornarle alcune cose. Ha capito tutto e litiga con Ian, giustamente. Ha capito perfettamente che suo fratello si sta rovinando (si è rovinato!) la vita e gliel'ha semplicemente rinfacciato; il rapporto tra di loro, da ora in avanti, si andrà sempre deteriorando .-.
Ringrazio le fantastiche otto persone che hanno recensito lo scorso capitolo, siete fantastiche, come sempre <3
Vi ricordo i Missing Moments di questa storia.
Alla prossima <3

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** I will be always with you. ***


I will be always with you.




Twelfth Chapter.
Pov Ian.

Questa mattina ho dovuto lavorare alla ISF perché è da un po’ di tempo che la sto trascurando e senza il suo fondatore non può andare avanti. Oggi pomeriggio ho aiutato i bambini a fare i compiti e sono stato vicino a Nikki che non si è sentita molto bene. I bambini in questo momento sono a letto, visto l’ora tarda, e io sto cercando di fare una benedetta tisana allo zenzero per Nikki visto le sue continue nausee. Ho letto su un libro che lo zenzero dovrebbe fare bene contro queste continue nausee e spero sia così. 

Con Nina, invece, nessun miglioramento. E’ passata un’altra settimana, siamo già a quota due, e lei continua a dormire senza dare nessun segno di volersi svegliare e la cosa continua a farmi male. Ho portato i bambini ieri pomeriggio a vederla e le hanno raccontato delle loro giornate e di come giocano con mia madre o con la madre di Nina e sono convinti che si possa svegliare da un momento all’altro, ma non sanno che, più tempo passa, peggio è. Ma non voglio comunque distruggere i loro sogni, sarebbe troppo meschino e cattivo. Una volta che la tisana è pronta mi avvio in camera nostra, mia e di Nikki. Fa strano pensarla ancora come nostra, ma, purtroppo, è così. Le parole di Robyn mi hanno fatto riflettere (tra l’altro non mi rivolge ancora la parola) e ha ragione, Nina non mi merita, ma io la amo troppo per lasciarla andare. Ma non posso nemmeno abbandonare Nikki così, non posso farlo ora.

 

“Questa dovrebbe andare bene.”- mi siedo nella mia parte del letto porgendo la tazza di tisana a mia moglie. Lo è ancora, dopotutto. -“Ho letto che lo zenzero dovrebbe aiutarti.”

“Grazie.”- mi sorride sorseggiando la tisana. -“Stai bene?”

“Sono solo un po’… Stanco…”- le dico appoggiandomi allo schienale del letto.

“Mi dispiace di farti stancare così tanto…”- mormora tenendo la tazza tra le mani.

“Non sei tu a farmi stancare, è tutto un insieme di cose. Ma andrà meglio.”- le dico cercando di tirarle su il morale.

“Mi sei sembrato distante, tutto qui.”- mi dice con semplicità. -“Ma forse è solo una mia impressione.”

“Lo è.”- le dico. -“A me sembra tutto normale.”

 

Nikki annuisce e continua a bere la mia tisana, mentre io mi perdo tra i miei pensieri. E’ la voce di Stefan a riportarmi alla realtà. La sua testa fa capolino all’interno della nostra stanza e mi cerca subito con lo sguardo.

 

“Papà, non riesco a dormire.”- mi dice tenendo tra le mani il suo orsacchiotto.

 

Io invece ho tanto di quel sonno che potrei addormentarmi anche in piedi, ma credo comunque di dover fare qualcosa. Hanno sempre dormito tranquillamente, non so perché questa sera non riescano a farlo.

 

“Prova a chiudere gli occhi, vedrai che ti addormenti subito.”- gli suggerisco troppo stanco per alzarmi dal letto.

“Ho provato, ma non ci riesco…”- mi dice dondolandosi da un piede all’altro con sguardo di scuse. -“Neanche Jo ci riesce.”

 

Bene, neanche Joseph si è addormentato. Che cosa dovrei fare ora? Non mi sembra che soffrano d’insonnia, non hanno mai avuto problemi ad addormentarsi. Certo, hanno sempre fatto qualche capriccio, ma dopo alla fine si sono subito addormentati.

 

“Scommetto che tra un po’ vi addormenterete.”- provo a convincerlo.

“No, non ce la faccio.”- mi dice scuotendo la testa. Guarda a terra e si tortura con una mano il lembo del pigiama. -“La mamma ci leggeva sempre una storia…”

 

Oh. 

Io non sono capace a leggere storie, non l’ho mai fatto. Non ho nessun libro di fiabe poi e ne conosco veramente poche. Le poche che conosco poi non le so nemmeno perfettamente, sono pessimo in queste cose.

 

“Non ho dei libri, tesoro.”- gli dico passandomi stancamente una mano tra i capelli. -“Vai a letto, forza.”

 

Stefan, se prima era speranzoso, ora mi rivolge uno sguardo deluso e, dopo aver borbottato “La mamma lo faceva”, se ne ritorna in camera lasciandomi particolarmente dispiaciuto. Nikki non dice niente, anzi, è sul punto di prendere sonno mentre io continuo a fissare la porta. 

Credo di aver sbagliato, parecchio. E’ che ultimamente non riesco a gestire tutto e penso che i bambini ne risentano. Non appena Nikki si addormenta decido di alzarmi e di andare in camera dei bambini. Apro piano la porta della loro camera e li trovo entrambi nel letto di Joseph con la testa appoggiata sul cuscino e gli occhi perfettamente aperti. Si accorgono di me, ma comunque non dicono niente. Credo che ci siano rimasti parecchio male, non gli avevo mai detto di no -tranne sull’andar a trovare Nina. Mi siedo sul bordo del letto e, dopo aver dato una carezza ad entrambi, li guardo.

 

“Non riuscite a dormire?”- domando loro.

 

Rimangono per qualche attimo in silenzio, indecisi se rispondermi, poi scuotono entrambi la testa con veemenza.

 

“Perché?”- domando loro semplicemente. -“Non avete mai avuto problemi a dormire.”

Ci manca la mamma.”- mormora Joseph con voce rotta.

“Lei non si sveglia, ma a noi manca tanto…”- continua Stefan passandosi una mano sugli occhi.

 

Mi si stringe il cuore a sentirli parlare così e sapere di non poter fare nulla per cambiare questa situazione mi distrugge. In un altro caso avrei fatto qualsiasi cosa per renderli felici, ma qui non posso fare assolutamente nulla, non controllo io il corso degli eventi.

 

“Si sveglierà, non manca molto.”- dico loro cercando di tirarli su di morale. 

“Non è vero… Lei non si sveglia…”- borbotta Joseph frustrato.

“Non dire così.”- lo ammonisco dolcemente. -“Vi ricordate quello che vi ho detto?”

 

Entrambi mi guardano confusi non capendo.

 

“Voi mi avete detto che vi fidate di me e io vi giuro che Nina si sveglierà, ve l’ho promesso.”- li rassicuro. -“Magari ci vorrà ancora un po’, ma si sveglierà.”

“A noi manca tanto però…”- mormora Stefan.

“Lo so, anche a me manca, ma dobbiamo essere forti.”- dico loro.

“Anche a te manca?”- mi domanda Joseph sorpreso.

“Si, manca tanto anche a me.”- gli rispondo.

 

Mi ferisce questo pensiero, ma so che non è colpa sua. Effettivamente non lo sto dimostrando molto di fronte a loro, ma lo faccio per il loro bene. Se vedessero quanto stia male per Nina  crollerebbero ancora di più ed io non posso permetterlo.

 

“Ma tu stai sempre con Nikki…”- mormora Stefan.

“E con noi stai poco…”- dice Joseph.

“Anche oggi… Non hai colorato con noi perché dovevi stare con lei.”- mi dice Stefan parecchio risentito.

 

E’ vero, oggi sono stato poco con loro, ma solo perché Nikki non stava molto bene ed è mio dovere cercare di farla stare meglio, almeno un po’. Non pensavo che l’avessero presa così tanto sul personale, ma, ancora una volta, ho sbagliato. Per quanto siano intelligenti sono pur sempre dei bambini e hanno bisogno di determinate attenzioni.

 

“L’ho fatto perché… Perché per via del bambino non si sente molto bene…”- tento di spiegarmi.

“Questo vuol dire che vuoi più bene al bambino che a noi?”- mi domanda Joseph con voce piccola.

“No, assolutamente. Voglio bene a lui quanto ne voglio a voi.”- li rassicuro, ma, guardando le loro facce, è evidente che non mi credano.

 

Non potrei mai abbandonare loro per il bambino, l’ho già fatto con Nina. Loro sono i miei figli, così come quel bambino. Vorrò bene a tutti e tre allo stesso modo, senza fare nessun tipo di distinzione. Non posso scegliere, non con loro.

 

“E allora perché sta arrivando un altro bambino se avevi già noi?”- mi domanda Stefan con voce tremolante. -“Non bastavamo più?”

 

Cosa dovrei dire ora? Che questo bambino sta arrivando per caso? Che non è mai stato voluto?

Combinerei un disastro assurdo e potrebbe succedere il finimondo se dicessero in giro una cosa del genere, non posso dire loro la verità -una verità che sappiamo solo io e Nina però.

 

“Voi sarete sempre i miei figli, le persone a cui vorrò più bene, non dovete assolutamente pensare questo.”- dico stringendoli entrambi al mio petto. Do un bacio ad entrambi continuando a tenerli stretti a me. -“Lui non prenderà mai il vostro posto, voi avrete sempre un posto nel mio cuore. Avevo un po’ d’amore in più e questo piccolo spazio andava riempito.”

“Quindi ci vorrai bene comunque?”- mi domanda Joseph.

“Certo, non potrei mai cambiare idea. Siete i miei figli, lo sarete per sempre.”- li rassicuro continuando a coccolarli.

“Quindi… Anche quando arriverà il nuovo bambino starai con noi?”- mi domanda Stefan.

“Certo, avrò sempre del tempo per voi.”- confermo.

“Sempre?”- mi domandano all’unisono.

“Sempre, non potrei mai rinunciare a voi.”- termino.

 

Entrambi appoggiano la testa sul mio petto mormorando “Ti voglio bene”. Sono gelosi, questo l’ho capito, ma hanno tentato fino all’ultimo di non dimostrarlo. Un po’ hanno ragione, però. Effettivamente oggi li ho trascurati abbastanza, ma questo non capiterà più. Stanno già affrontando tanto, non voglio che si sentano abbandonati da me, non potrei mai farlo.

Loro saranno sempre i miei figli. Ci addormentiamo tutti e tre sul minuscolo letto di Joseph. Non vorrei essere in nessun altro posto in questo momento.

 


 

Tre giorni dopo.

Oggi, come richiesto dai miei figli, ho passato tutto il giorno con loro. Sono rimasti a casa a causa di un’assemblea, di cui non ricordo nemmeno il motivo, e, dopo essere andati al parco con i cani, Spike compreso, abbiamo giocato con Klaus. Quel gatto è incontenibile, morde tutti, tranne i bambini. 

Ora siamo sulla strada del maneggio di Tod, un mio carissimo amico, dove si trovano ancora i miei cavalli*. I bambini non sono mai saliti su questo tipo di animale e mi sembrava carino far fare loro questo tipo di esperienza ed inoltre penseranno meno a Nina.

 

“Papà, ma sono tanto grandi?”- mi domande Joseph riferendosi ai cavalli.

“Un po’, ma non vi succederà nulla.”- lo rassicuro.

“Starai anche tu con noi, vero?”- mi domanda Stefan continuando ad osservare incantato il paesaggio fuori dal finestrino.

“Certo, starò con voi tutto il tempo.”- sorrido loro.

“E se cadremo ci sarai tu, vero?”- continua ancora Joseph.

“Non cadrete, ve lo prometto.”- li rassicuro.

 

Siamo finalmente arrivati al maneggio. Una volta parcheggiato scendiamo dalla macchina e i bambini si guardano attorno estasiati. Curiosano dappertutto e rido nel vederli così entusiasti. Si avvicinano ad un recinto con cinque cavalli e li guardano rapiti, poi mi fanno segno di avvicinarmi.

 

“Papà, ci sono i tuoi cavalli qui?”- mi domanda Stefan indicando il gruppetto di cavalli.

“No tesoro, il miei sono lì dentro.”- gli spiego indicando una struttura coperta.

“Possiamo dare a questi cavalli un po’ d’erba?”- mi domanda apprensivo.

“Va bene, però venite un attimo qui che vi spiego come dargliela.”- dico.

 

I bambini mi vengono vicino e, una volta strappati due ciuffi d’erba, spiego loro come tenerla. Mi ascoltano attentamente e mettono le mani proprio all’inizio del ciuffo. Non vorrei che per sbaglio qualche cavallo li mordesse. Li prendo entrambi in braccio, con non poca fatica, e li guardo sorridendo mentre danno da mangiare ai cavalli.

Veniamo interrotti da un uomo sulla sessantina, il buon vecchio Tod. Lo conosco da abbastanza tempo e mi sono sempre fidato di lui per la custodia dei miei cavalli.

 

“Finalmente sei arrivato, Somerhalder.”- esclama felice di vedermi, poi guarda attentamente i miei figli. -“E questi dovrebbero essere i i mini Somerhalder, ma quanto belli siete?”

 

I miei figli mi guardano leggermente imbarazzati, hanno preso della madre quando si tratta dei complimenti. Molto educatamente salutano il signor Tod e si presentano. Dopo aver scambiato qualche parola, non chiede nulla del perché la madre non sia Nikki, ci porta finalmente all’interno dello spazio coperto dove si trovano i cavalli con proprietario fisso. In lontananza vedo i miei cavalli che stanno mangiando tranquillamente del fieno e li indico ai miei figli. I gemelli corrono subito incontro agli animali, ma, non appena arrivano abbastanza vicini, rallentano per non spaventarli. Rimangono per l’ennesima volta incantati da questi animali e io ne approfitto per accarezzarli entrambi.

 

“Ma sono enormi, proprio come quelli lì fuori!”- esclama Stefan eccitato.

“Sono bellissimi!”- continua Joseph contento come il fratello. -“Possiamo andarci ora?”

“Si, papà, possiamo?”- continua Stefan.

“Va bene, ma dovrete aspettare qualche minuto perché devono essere preparati.”- li avviso e il signor Tod annuisce.

 

Dieci minuti dopo i bambini sono già in sella agli animali all’interno del recinto apposito. Il signor Tod segue Joseph, io Stefan. Ogni tanto ci diamo il turno e, quando i cavalli si fermano, ne approfitto per scattare loro delle foto. Ce n’è una che mi piace moltissimo e la farò sicuramente stampare per metterla nello studio della ISF, a casa e nel mio camerino.

 

“Stiamo andando bene, papà?”- mi domandano entrambi.

“State andando alla grande, siete bravissimi.”- mi complimento con loro.

 

Mi sorridono orgogliosi e continuiamo così per circa un’ora. Credo di aver fatto la scelta giusta a portarli qui, sono così spensierati e felici. Prima di andare via diamo da mangiare ai cavalli e insegno loro come spazzolarli, poi, dopo aver salutato Tod, ce ne andiamo. Il ritorno in macchina è parecchio silenzioso perché i bambini sono praticamente crollati sui sedili posteriori ed io di tanto in tanto li osservo per accertarmi che sia tutto apposto.

Arriviamo a casa verso le 7.30 pm e, a malincuore, devo svegliarli per portarli di sopra. Alla fine, come ogni volta, ci troviamo in bagno pronti per il bagno.

 

“Ci siamo divertiti tantissimo oggi!”- mi dice Stefan entusiasta mentre gli strofino i capelli.

“Possiamo tornare ancora?”- mi domanda Joseph mentre spruzza dell’acqua in testa al fratello.

 

Stefan trucida Joseph con lo sguardo, ma alla fine non gli dice niente.

 

“Torneremo quando vorrete.”- gli rispondo.

 

Appena detto. Non appena Joseph si gira verso il fratello Stefan lo riempie d’acqua. E, come ogni volta, inizia una battaglia d’acqua infinita. Alla fine mi ritrovo zuppo dalla testa ai piedi anche io che avevo solamente tentato di fermarli. Scoppiamo a ridere tutti e tre e alla fine li aiuto ad asciugarsi e ad infilarsi il pigiama.

 

“Cosa c’è da mangiare questa sera?”- mi domanda Stefan mentre scendiamo le scale.

“Pizza.”- rispondo.

“Ma è fantastico!”- esclama Joseph iniziando a correre verso la cucina.

 

Si siedono subito a tavola, non chiedendo nemmeno di guardare i cartoni, aspettando impazienti la pizza.

 

“Com’è andata oggi?”- ci domanda Nikki versandosi un bicchiere di succo.

“Benissimo!”- le risponde Joseph ripensando al pomeriggio appena trascorso. -“Siamo andati a cavallo.”

“E com’è stato?”- domanda Nikki curiosa.

“E’ stato bellissimo, erano così grandi.”- continua Stefan gesticolando.

 

Ha preso da me sul fatto di gesticolare, sicuramente. Poco dopo sento il campanello suonare e, non appena apro, mi trovo di fronte l’uomo delle pizze con quattro cartoni in mano. Gli do i soldi, lasciandogli una lauta mancia, e, dopo averlo salutato, chiudo la porta. Passiamo così una normale serata in famiglia, come lo sono state molte altre, finendo per parlare. In realtà sono i gemelli che parlano, io li ascolto soltanto così come Nikki.

Appena finito di mangiare andiamo a guardare i cartoni mentre Nikki va a letto, è visibilmente stanca.

 

“Papà, guardiamo il Re Leone?”- mi domanda Stefan.

“Ma io non voglio vedere il Re Leone…”- piagnucola Joseph.

 

Ah, i classici della Disney, c’è sempre l’imbarazzo della scelta.

 

“Voglio vedere Pinocchio!”- continua Joseph.

“Ma io non voglio vedere Pinocchio!”- esclama Stefan. -“Papà, ti prego, guardiamo il Re Leone.”

 

Non si metteranno mai d’accordo, me lo sento. Io opterei per qualcos’altro.

 

“E se guardassimo Bambi?”- domando loro.

 

Bambi.

Nina.

 

“Bambi?”- mi guarda dubbioso Stefan.

“Si, Bambi.”- affermo.

“Non abbiamo mai visto Bambi…”- mormora Joseph.

 

Come non hanno mai visto Bambi? Quel cartone è stato una parte fantastica della mia infanzia.

 

“Non l’avete mai visto?”- domando stupito.

“No, la mamma ha sempre detto che non le piace…”- mi spiega Stefan.

 

Ora mi è tutto più chiaro. Nina adorava quel cartone, ma… Penso che non abbia voluto più vederlo perché le ricordava molte cose.

La mia piccola Bambi.

Il mio telefono inizia a squillare e mi maledico per non averlo spento prima. Sullo schermo lampeggia il nome di Paul. Che cosa vuole a quest’ora?

 

-Pronto?- rispondo.

-Ian, sei tu… Oh mio Dio…- balbetta.

-Si, Paul, sono io.- gli dico confuso. -C’è qualcosa che non va?-

-No, no, tutto va ora!- trilla euforico.

 

Phoebe è nuovamente incinta?

 

-Continuo a non capirti, Paul.- gli dico.

-Ian, Nina si è svegliata!- urla dall’altro capo della cornetta facendomi spalancare la bocca.

 

Nina si è… Svegliata.

Nina è sveglia!


 

________________________________________________________________________________

 

*Ian e sua moglie hanno due cavalli, Eagle e Millie.

Buona domenica a tutte :)
Sono stata puntuale, tecnicamente. La prossima settimana non so se riuscirò ad aggiornare, cercherò di fare in qualsiasi modo possibile, ma non vi prometto niente.
Capitolo interamente dedicato a Ian in versione Baby daddy *^* Continuo a ribadire che i gemelli sono i miei personaggi preferiti e che... Vorrei aggiungerli ovunque, credo che quei due bambini siano i più intelligenti di tutti (e più avanti lo dimostreranno anche bene!).
Ian continua ad essere distrutto, per una via o per l'altra e a "peggiorare" la situazione ci sono i bambini che sono alla ricerca costante di Nina. Ancora una volta vediamo un piccolo "litigio" tra tutti e tre che alla fine si risolve, in qualche modo. I gemelli hanno paura che, quando arriverà il bambino, Ian si allontani da loro, ma lui li rassicura e sembrano crederci. Ho voluto far passare una giornata tra soli uomini perchè non abbiamo mai visto interamente Ian e i bambini da soli in giro per il mondo.
Ovviamente cosa capita quando loro non ci sono?
Nina si sveglia! Nikolina is back, yes! Lo so, non dovrei essere così tanto entusiasta visto che l'ho fatta fuori io, ma finalmente continuerà anche lei a far parte della storia, anche se... No, non dico niente.
Ringrazio le fantastiche nove ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui tenterà di rispondere entro domani, ora sono veramente di fretta! 
Grazie ancora, alla prossima <3

 

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Capitolo 13
*** I feel weird. ***


                                                     I feel weird.


Tirtheenth Chapter.
Pov Nina.

La testa gira, parecchio. Sento dolore ovunque, ma voglio comunque aprire gli occhi. Perché ho così male dappertutto? Cosa diavolo mi è successo? L’ultima cosa che mi ricordo è una macchina che arrivava dalla parte sbagliata e poi… Buio.

Ho avuto un incidente? 

Tento per l’ennesima volta di aprire gli occhi, ma li sento veramente tanto pesanti. Non dovrebbe essere difficile, però. Prima uno e poi l’altro, ma il mio corpo non risponde.

Non so per quanto tempo rimango così, ferma, immobile, ma al milionesimo tentativo finalmente ci riesco. Prima apro l’occhio destro e poi quello sinistro scontrandomi immediatamente con molta -troppa- luce. Tutto attorno a me è bianco, sono forse in ospedale? Cerco di muovermi, perlomeno di alzare la testa, ma è tutto troppo pesante. 

 

“Nina?”

 

Una voce mi distoglie dai miei pensieri. E’ una voce maschile. Eric. Anche girare la testa mi risulta difficile, ma alla fine ci riesco. Eric si trova accanto a me, seduto su una sedia verde, e ha uno sguardo tra il sollevato e il preoccupato. Ho davvero fatto preoccupare tutti?

 

“Nina, mio Dio, sei sveglia!”- esclama euforico.

 

Per un attimo socchiudo gli occhi, ma sorrido. Mi era mancato il suo della sua voce, eppure ricordo qualcosa, ho come l’impressione che qualcuno, mentre dormivo -perché ormai è evidente che l’ho fatto- continuasse a parlarmi, a dirmi cose importanti, ma non ricordo.

E’ ancora tutto così confuso.

 

“Cos’è… Cos’è successo?”

 

La mia voce esce debole e leggermente impastata, ma sono finalmente riuscita a dire qualcosa. Il mal di testa continua, così come quello al petto e alla pancia. Mi è per caso passato sopra un treno?

 

“Hai… Hai avuto un incidente, hai rischiato… Hai rischiato di… Lasciamo perdere, ora sei sveglia…”- mormora posandomi un bacio sulle labbra.

 

Mi accarezza un braccio scoperto e noto, con orrore, di avere un ago infilato dentro una vena.

Io odio gli aghi, tremendamente. 

 

“Devo andare a chiamare un dottore, va bene?”- mi domanda.

 

No, non voglio dottori, voglio rimanere per un po’ così, tranquilla. Dove sono i miei figli? Dove sono Joseph e Stefan?

Ho voglia di vederli, loro mi sono mancati più di tutti. Chissà cosa avranno pensato non vedendomi più.

 

“Un attimo, un attimo solo…”- mormoro sospirando e sento un fastidioso dolore al petto.

“Piano, le costole si stanno ancora sistemando…”- mi dice cercando di farmi rimanere tranquilla.

“I bambini… I bambini dove sono?”- domando preoccupata.

“Sono con Ian, non preoccuparti, stanno bene. Ci sei mancata così tanto… I bambini chiedevano costantemente di te…”- mi spiega baciandomi il dorso della mano.

“Come… Come stanno?”- domando.

“Bene, non preoccuparti. Alla fine Ian è stato costretto a portarli qui e i medici hanno fatto un’eccezione. Ormai li conoscono tutti.”- mi spiega cercando di tranquillizzarmi e apprezzo davvero molto questo gesto. -“Ma ora devi pensare solo a te, loro stanno bene.”

 























 

                                                                 * * *























 

Dopo essere stata tranquilla per qualche minuto, Eric è andato a chiamare i dottori e questi mi hanno visitata da cima a fondo. Mi hanno riempito di medicine, antidolorifici e mi hanno spiegato cos’è successo. Sono rimasta in coma per più di due settimane -non l’avrei mai detto, io ero convinta di aver dormito solamente- ed ho rischiato veramente la vita. Mi hanno salvata praticamente per miracolo. Lassù, da qualche parte, c’è qualcuno che mi vuole davvero molto bene.

Eppure ho come la sensazione che i medici, Eric compreso, mi stiano nascondendo qualcosa.

C’è qualcosa che devo sapere? A parte dolori vari, coperti ora in parte da qualche antidolorifico, mi sento normale, più o meno. Certo, sono ancora intontita e parecchio affaticata, ma va tutto bene.

 

“Nina, bambina mia!”

 

Mia madre mi corre incontro e si schianta, rimanendo comunque attenta al mio povero petto, addosso a me. Non immagino quanto preoccupata sia stata in tutto questo periodo, non volevo darle altre preoccupazioni. Mi stringe forte e io mi stringo forte a lei. Sento un po’ di dolore, ma non voglio interrompere questo momento.

 

“Ho creduto… Ho creduto…”- continua a singhiozzare e i miei occhi diventano lucidi insieme ai suoi. -“Ho creduto di perderti Nina…”

“Sono qui ora ed è questo l’importante.”- tento di rassicurarla, ma lei continua a singhiozzare lo stesso.

 

Credo che sia un modo per sfogarsi, così la lascio fare. Poi è il turno di mio padre, che si trova nella stessa situazione di mia madre, e di Alex.

 

“Ti uccido io se mi farai ancora prendere un colpo del genere…”- mi sussurra all’orecchio mio fratello. 

“Non ho voluto mica io avere un incidente.”- lo punzecchio tirandogli un pugno sul braccio.

 

Lui non ribatte, mi sorride raggiante e mi abbraccia di nuovo. Si è preoccupato a morte pure lui, non è mai stato così espansivo. Non che non mi voglia bene, ma dimostra l’affetto che prova per gli altri in un altro modo.

 

“Voglio vedere i bambini…”- mormoro.

 

Prima sarei stata contraria, l’ospedale non è un luogo adatto per loro, ma visto che ci sono già venuti, e io muoio dalla voglia di vederli, non ci vedo nulla di male.

 

“Stanno arrivando gli altri… Candice, Paul, Phoebe.”- mi avvisa mia madre. -“I bambini sono con Ian al maneggio.”

“Li avviseremo dopo allora.”- sorrido con un po’ di rammarico.

 

L’importante è che si stiano divertendo, il resto non conta. Non nascondo il fatto che non aver visto Ian come prima persona, o come una delle prime, al mio fianco mi abbia fatto parecchio male, ma lascio correre. Infondo ora si trova con i bambini ed Eric mi ha spiegato che è stato praticamente tutto il tempo con loro per cercare di distrarli. 

Poco dopo sento qualcuno bussare ed entrano con le lacrime agli occhi Phoebe e Candice, poi, dopo di loro, entra Paul con gli occhi lucidi, ma comunque più contenuto delle mie due amiche. 

 

“Nina, sei sveglia!”- quasi urla Candice correndo subito ad abbracciarmi.

 

Poco dopo la stretta si rafforza da Phoebe e da Paul. Sto quasi rischiando di soffocare, ma non dico nulla, mi sono mancati anche loro e, da quello che vedo, sono stati davvero preoccupati per me.

Iniziano a farmi tantissime domande e mi chiedono ogni due secondi il mio stato di salute e io rispondo che va tutto bene, che mi sento bene. Sono domande di routine, lo so, ma sono sempre le stesse.

Eric, Alex e i miei genitori sono andati fuori per lasciarci un po’ da soli ed ho veramente apprezzato questo.

 

 

“Sei sicura di sentirti bene?”- mi domanda Candice preoccupata.

“Insomma, si… Hai male da qualche parte?”- continua Phoebe. -“L’incidente è stato veramente brutto.”

“Lasciatela un po’ stare, poverina. Si è appena ripresa.”- le ammonisce Paul dandomi un bacio sulla guancia.

 

Ruffiano.

 

“Grazie Paul.”- lo ringrazio sorridendo. -“Sono piena di antidolorifici, in pratica non sento nessuna parte del corpo.”

 

Si guardano tutti e tre per alcuni istanti senza dire nessuna parola, poi mi guardano come se nulla fosse.

Ho detto forse qualcosa di sbagliato? Non mi sembra di aver detto chissà che cosa.

 

“Hai parecchie ammaccature ovunque.”- sottolinea Candice cambiando repentinamente l’andamento del discorso.

“Poteva andare peggio, credo.”- ammetto.

 

Sono stata fortunata. Ogni anno muoiono tantissime persone a causa di incidenti di questo tipo mentre io… A parte un trauma cranico, qualche costola rotta e l’esportazione della milza sono qui, viva.

Eppure sento che qualcosa dentro di me è cambiato -in negativo-, ho una strana sensazione, ma nessuno mi ha detto ancora niente e i medici hanno detto che va tutto bene, quindi mi sto preoccupando sicuramente per nulla.

Quello che non mi torna, sostanzialmente, è la parte motoria. Ho provato a muovere prima la gamba, poi un piede, ma niente. Volevo almeno provare ad alzarmi, non ce la faccio più a rimanere a letto, ma non ce l’ho fatta. 

Però credo che non mi debba preoccupare. Ho tutto il corpo indolenzito, pieno di medicine e antidolorifici, quindi è sicuramente per questo. Tra qualche ora ritornerà tutto come prima, spero.

 

“L’importante è che tu sia qui, con noi.”- mi sorride Paul e entrambe le ragazze annuiscono.

“Cos’è successo in queste due settimane?”- domando interessata.

 

Non voglio più parlare della mia salute, sono viva e vegeta, voglio parlare di qualcos’altro.

 

“Mmh… Niente di che.”- mi dice Candice provando a ricordare qualcosa. -“A dire la verità sono quasi tre settimane, comunque.”

 

Phoebe l’ammonisce con lo sguardo e poi scuote la testa.

 

“Il set è stato chiuso, tutto è rimasto fermo.”- mi spiega Phoebe.

“Perché?”- domando confusa.

 

Perché non hanno girato niente? Insomma… Potevano fare tutte le scene del mondo, ovviamente dove io non ero inclusa.

 

“Come perché?”- dice Paul crucciato. -“Nina, tu eri qui, in un letto d’ospedale a lottare tra la vita e la morte. Non avevamo molta voglia di girare, questo mi sembra ovvio.”

“Oh.”- rimango stupita per qualche attimo, ma dopo mi riprendo. -“Avreste dovuto continuare comunque, lo show è importante.”

“Sei più importante tu.”- interviene Candice.

“E comunque abbiamo fatto vacanza.”- scherza Paul facendomi sorridere.

 

Phoebe e Candice gli tirano un pugno su entrambe le braccia e Paul mormora qualcosa come “Ormai le donne stanno diventando sempre più violente” facendoci scoppiare tutte a ridere. Ovviamente rido in maniera limitata perché sento continuamente il petto bruciare ed è come se volesse rompersi di nuovo da un momento all’altro. La testa inizia a pulsare di nuovo e non riesco a trattenere una smorfia -molto probabilmente l’antidolorifico è finito.

 

“Ti fa male da qualche parte?”- mi domanda preoccupata Phoebe avendo notato, evidentemente, la mia smorfia.

“Un po’ la testa, ma credo sia normale.”- ammetto.

“Vado a chiamare un dottore.”- dice subito Paul alzandosi dalla sedia.

“E’ sopportabile.”- gli dico tentando di fermarlo. -“Non serve.”

“Per sicurezza vado lo stesso. Non si sa mai.”- mi dice uscendo repentinamente dalla stanza.

 

Sbuffo sonoramente. Non serviva.

 

“E’ preoccupato, tutto qui.”- lo scusa Phoebe. -“Ora ce ne andiamo, hai bisogno di riposare.”

“Ho riposato fin troppo.”- le dico.

“Riposare un altro po’ non ti farà sicuramente male.”- l’appoggia Candice.

“Va bene, ho solo una domanda, però.”- dico e si fanno subito più attente. -“Come faremo con lo show? Andrà in pausa?”

“Dovresti preoccuparti per la tua salute, non per lo show.”- mi fa notare Phoebe.

“Voglio saperlo.”- affermo convinta.

“Logicamente andrà in pausa, avrai bisogno di riprenderti. Ti servirà… Parecchio tempo…”- dice Phoebe e l’ultima parte della frase le esce quasi strozzata.

“Non mi servirà parecchio tempo… Insomma… Un mese, anche meno. Sto bene.”- dico convinta.

 

Candice e Phoebe non mi rispondono, rimangono solamente a fissarmi.

 

“Mi state nascondendo qualcosa, non è vero?”- domando cupa.

“Cosa?”- sbotta Candice.

“No!”- continua Phoebe. -“Dovrai riprenderti al meglio, ecco tutto. E dovrai risposarti, sicuramente.”

“Una pausa non può durare così tanto…”- sottolineo.

“Infatti, quando… Quando starai meglio credo che… Dovresti fare una dichiarazione, si, insomma… Abbiamo già prolungato la pausa e si sospetta che ci sia sotto qualcosa, alla fine tutti capiranno che c’è qualcosa di grave.”- tenta di spiegarmi Candice.

“Ho capito, si. Per ora va bene così…”- mormoro appoggiando la testa sul cuscino.

“Ti lasciamo riposare, fai la brava.”- mi dicono entrambe.

“Non sono una bambina…”- mormoro offesa.

 

Entrambe ridacchiano e, dopo avermi salutata, se ne vanno dalla stanza. Poco dopo entra un dottore e, dopo avermi chiesto per l’ennesima volta come mi sento, mi da altri antidolorifici. Poco dopo cado in un sonno profondo.

 

 

 



Pov Ian.

Sono in macchina diretto verso l’ospedale -anzi, siamo in macchina. Ovviamente ci sono anche i bambini con me, non appena ho mormorato Nina si è svegliata mi hanno guardato come se avessi avuto tre teste e poi hanno iniziato ad urlare di gioia e mi hanno praticamente obbligato a portarli, non ho potuto dire loro di no.

Finalmente la loro mamma, dopo così tanto tempo, si è svegliata ed è logico che vogliano vederla. Paul ha provato a rintracciarmi prima, ma eravamo al maneggio e non prendeva.

Proprio oggi abbiamo scelto di andare a cavallo! In poco tempo arriviamo in ospedale e, entrando sempre per un entrata secondaria, arriviamo all’interno della struttura senza essere visti. Arriviamo in fretta nel reparto dove si trova Nina e troviamo i suoi genitori insieme ad Alex.

Non appena ci vedono ci salutano e, per la prima volta in tre settimane, sorridono veramente.

I bambini gli corrono incontro.

 

“Nonna! Nonna! Dov’è la mamma?”- domandano all’unisono.

“Tranquilli, uno alla volta.”- li ammonisce Michaela dolcemente. -“Sta riposando, si è addormentata un paio di ore fa.”

“Ancora?”- domanda Joseph sconsolato.

“Ma è un sonno molto più leggero rispetto a prima.”- dico ad entrambi abbassandomi alla loro altezza. -“Si sveglierà sicuramente tra qualche minuto.”

“Sul serio?”- domanda Stefan.

“Sul serio.”- confermo.

“Entrate pure e aspettate che si svegli.”- ci dice il padre di Nina, poi mi guarda per qualche istante. -“Anche tu.”

 

Lo ringrazio con lo sguardo e, dopo aver preso i bambini per mano, li porto all’interno della stanza. Il mio sguardo corre subito sul corpo di Nina e la vedo molto più viva. Non è più pallida come prima, il respiro è regolare e non ha più così tante macchine attaccate al corpo. 

E’ normale.

Sta solo riposando.

Vorrei sapere cos’hanno detto i dottori, però. L’avranno sicuramente visitata e voglio sapere qualcosa sulle sue gambe. 

 

“Rimanete qui per qualche secondo, non toccate nulla.”- mi rivolgo ai bambini. -“Papà va un attimo fuori.”

 

I bambini annuiscono seri, sanno che non devono toccare nulla, e io esco fuori. Michaela alza subito lo sguardo su di me e noto che è da sola.

Meglio così, credo che il padre di Nina ce l’abbia ancora un po’ con me -Alex mi sopporta.

 

“Sono andati a prendere un caffè, tranquillo.”- mi sorride Michaela capendo i miei pensieri. -“Non ti mangiano mica.”

“Lo so, ma è strano, insomma…”- balbetto, ma, per non incasinarmi di più, decido di arrivare dritto al punto. -“Che cosa hanno detto i medici?”

“Sta bene. Le costole si sono quasi sistemate, per quanto riguarda i tagli degli interventi è tutto apposto, tra poco le toglieranno anche i punti.”- mi spiega.

“E… Per le gambe?”- domando leggermente preoccupato.

 

Michaela si fa leggermente più cupa e sospira pesantemente.

 

“Per quello… Oggi hanno deciso di non fare nessun controllo, Nina si sarebbe insospettita, non è stupida. Sono fiduciosi, però.”- mi dice cercando di sorridere.

 

Non ci sono prove certe, comunque. Dobbiamo sapere, io ho bisogno di sapere.

 

“Quando le faranno gli esami?”- domando.

“Domani, penso.”- mi dice.

“Prima o poi dovranno dirglielo… Insomma… Molto probabilmente è una paraplegia incompleta, ma deve saperlo.”- le dico.

“Lo so, Ian, questo lo so. Ho solo paura di come la prenderà.”- mi dice sincera.

“Non bene, mi dispiace essere così pessimista, ma è la verità. Ma sono sicuro che andrà tutto bene alla fine.”- cerco di farle coraggio, e di farmi coraggio.

“Grazie per preoccuparti così per lei…”- mormora.

“Io tengo veramente a Nina.”- le dico per poi alzarmi dalla sedia.

 

Con un cenno la saluto e ritorno dentro la stanza, non voglio che mi faccia strane domande come Robyn o mia madre o, peggio ancora, che capisca qualcosa.

Non appena apro la porta l’immagina che mi trovo davanti mi fa spalancare gli occhi e il mio cuore diventa più leggero. Sorrido felice d’istinto.

E’ sveglia.

I bambini sono entrambi seduti sul letto e Nina li sta coccolando. Le si sono praticamente attaccati addosso. 

 

“Ian…”- mormora accorgendosi finalmente di me.

“Hey, ciao.”- mormoro con dolcezza avvicinandomi al suo letto. Mi è mancata tanto, veramente tanto. -“Come ti senti? Veramente intendo, sicuramente te l’avranno chiesto mille volte.”

 

Mi sorride e annuisce, l’ho sempre capita al volo.

 

“Mi sento come se mi fosse passato sopra un treno, ma credo sia normale.”- mi dice sorridendo stancamente.

“Non ti è passato sopra un treno, vero mamma?”- le domanda Stefan dandole un grosso bacio sulla guancia.

“No tesoro, non preoccuparti.”- lo rassicura Nina mentre anche Joseph richiede le sue attenzioni.

 

Vederla qui, di fronte a me, sveglia e che gioca con i nostri figli mi rende l’uomo più felice della terra.

E mi pento all’istante di non essere stato lì con lei nell’esatto momento in cui ha aperto gli occhi. Non mi sono voluto informare, ma penso ci siano stati i suoi genitori o Eric -ho la netta sensazione però che ci sia stato quest’ultimo.

Ora l’importante è che sia sveglia e che stia bene -almeno in parte.

 

“Mamma, lo sai che oggi siamo andati a cavallo?”- attira la sua attenzione Joseph.

“Davvero?”- gli risponde Nina fingendosi sorpresa.

 

Entrambi annuiscono poi iniziano a raccontarle tutto quello che hanno fatto oggi. Di come siano andati a cavallo, sottolinenando il fatto che mi sono complimentato con loro più volte, e di come si siano presi cura di questi animali. Alla fine le raccontano praticamente tutto quello che hanno fatto da quando lei si è “addormentata”.

Nina non fa domande, ha capito che ho raccontato ai bambini una mezza versione in grado di non farli preoccupare troppo.

Dopo mezz’ora circa i bambini corrono fuori dalla stanza alla ricerca di cibo lasciandoci così da soli. Ne approfitto per sedermi sul letto, accanto a Nina.

 

“Ian…”- mi ammonisce lei con lo sguardo. -“Se qualcuno entrasse, se-”

 

La interrompo prima che inizi a parlare a vanvera.

 

“Diremo che ti sei sentita poco bene e che ti stavo controllando…”- mormoro accarezzandole una guancia. -“Non hai idea di quanto mi sia preoccupato per te.”

 

Nina distoglie per un attimo gli occhi dai miei, poi si guarda le mani.

 

“Me l’hanno ripetuto in molti oggi, sai?”- mi dice.

“Lo so, teniamo in tanti a te.”- le dico prendendo una sua mano, quella del braccio libero dalla flebo, tra le mie.

“Eppure… Eppure non volete dirmi la verità.”- mi dice guardandomi finalmente negli occhi.

 

Verità? Quale verità?

 

“Nina, non capisco…”- mormoro sincero e anche leggermente preoccupato.

“C’è… C’è qualcosa che mi state nascondendo ed io mi sento strana…”- mormora.

 

Che abbia intuito qualcosa? E’… E’ impossibile, più o meno.

 

“Non ti siamo nascondendo niente, Nina.”- cerco di rassicurarla.

“Hai ripetuto il mio nome per due volte in così poco tempo… Lo fai solo quando sei arrabbiato o teso. Sei teso, lo vedo.”- mi dice sottraendo la sua mano dalle mie.

 

Oh.

Ha ragione, sono fottutamente teso. E mi ha beccato, dannazione.

 

“Non è vero, non sono teso… Non ti siamo nascondendo nulla, stai bene.”- continuo cercando di convincerla.

“E allora perché, da quando mi sono svegliata, non mi sento più le gambe?”- mi domanda con voce angosciata spiazzandomi del tutto.


____________________________________________________

Buon fine settimana a tutte e scusatemi per il ritardo, ma, come vi avevo già anticipato, settimana scorsa non ho potuto aggiornare perchè non ho mai avuto un attimo libero, a parte dare il via a una nuova storia che spero seguirete in molti. Si chiama if it had been different? ed è una sorta di spin-off (si può dire?) di questa storia, comunque è una versione alternativa.
Se siete interessate passate a leggerla e lasciatemi un commento, ne sarei veramente molto felice :)
Torniamo a noi, dunque. Nello scorso capitolo abbiamo visto che Nina si è svegliata e qui abbiamo avuto il proseguo dal suo punto di vista, a partire dal risveglio. Come era già stato detto, lei si è svagliata senza Ian, che comunque l'ha raggiunta subito dopo, con parecchie ammaccature, data la gravità dell'incidente. 
Ha subito cominciato a sentirsi strana, ma, ovviamente, ha dato la colpa al fatto di essere rimasta a letto troppo a lungo e alle medicine senza sapere, effettivamente, le sue condizioni.
La parte fondamentale, sostanzialmente, è stata l'ultima e beh... A chi altro Nina avrebbe potuto chiedere informazioni sulle sue condizioni se non a Ian? Povero uomo :/
Ringrazio le fantastiche sette ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e vi invito, ancora una volta, a passare da If it had been different? 
Alla prossima ^^

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Capitolo 14
*** I'm sorry. ***



                                                           I'm sorry.


Fourteenth Chapter.
Pov Nina.

Ian per qualche istante spalanca la bocca, quasi alla ricerca d’aria, e deglutisce un paio di volte. Questo, per l’esattezza, non fa altro che innervosirmi. Per tutto il giorno hanno tentato di tenermi buona, hanno tentato di nascondermi più informazioni possibili sul mio stato di salute e io ho dato la colpa alle medicine. Ma ora è sera, l’effetto è quasi passato, lo posso percepire da alcuni fastidi che provengono dalle mie ferite, ed io… Io continuo a non sentire le gambe. Ho provato per tutto il tempo a muovere una gamba e niente. Un piede e niente. Anche un dito, ma non è successo nulla.

Le mie gambe non rispondono e dall’espressione di Ian sono perfettamente convinta di aver centrato il punto. C’è qualcosa che non va nelle mie gambe!

 

“Per una buona volta voglio sapere la verità.”- esalo cercando di mantenere la calma mentre tutto quello che vorrei fare è urlare. -“La verità, Ian. Voglio la verità!”

 

Ian continua a non rispondermi, tutto quello che fa è continuare a guardarmi rassegnato ed io mi sto decisamente innervosendo.

Questo non fa altro che incrementare non sono l’ansia, ma anche la paura. Se non vuole dirmelo è perché… E’ perché mi è successo qualcosa di grave.

Ian si alza dalla sedia e si siede accanto a me, sul letto. Vorrei cacciarlo via, non voglio stare con persone che continuano a mentirmi, ma mi ricredo quando, dopo aver sospirato, inizia a parlare.

 

“C’è… C’è una cosa che… Ti è successa una cosa, ma non è detto che andrà avanti ancora a lungo, i medici hanno detto”- si interrompe per qualche secondo prendendo le mie mani tra le sue. In un’altra situazione questo gesto mi avrebbe dato conforto, ma ora voglio sapere solo la verità, ne ho il sacrosanto diritto. -“che molto probabilmente sarà passeggera, che starai bene.”

 

E allora perché non vuole dirmelo? Se sarà una cosa passeggera perché continua ad arginare il discorso?

Il suo tocco frenetico, i suoi sospiri, mi stanno mandando ancora più in confusione ed ho la testa che scoppia.

 

Cosa sarà passeggera?”- domando dura guardandolo negli occhi. -“Cosa?!”

“Non dovrei dirtelo io, non spetterebbe a me dirtelo…”- mormora con la voce tremante.

 

Non l’ho mai sentito parlare così, o almeno non l’ho mai visto titubante su una cosa, togliendo tutto quello che è successo legato ai bambini.

Lui è sempre andato dritto al punto, su qualsiasi cosa, ora sembra come… Come se volesse essere da tutt’altra parte che qui con me ad affrontare questo problema perché è evidente che lo sia.

E no, non può nemmeno uscirsene così, non può scaricare tutto sugli altri perché in questo momento ho bisogno di lui, ho dannatamente bisogno di Ian. Lui è l’unico, anche dopo tutto quello che è successo, di cui mi fidi ancora.

 

“Non tradire la mia fiducia Ian perché, in questo momento, sei l’unico di cui mi fidi ancora. Se mi ami, almeno un po’, dimmi quello che mi sta succedendo…”- ribadisco stringendo le coperte tra le mani.

“Promettimi che non ti chiuderai in te stessa, promettimi che non mi caccerai via, Nina, promettimelo.”- mormora contro la mia fronte. -“Supererai anche questo, come hai superato tutto…”

 

Rimane per qualche attimo in silenzio mentre una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco ed allora capisco il perché di tutto questo temporeggiare.

Non camminerò più.

Che cosa può esserci di peggio? Parlo, ragiono a meraviglia, ricordo tutto e l’unica cosa fuori posto sono le gambe.

Non camminerò mai più.

E questo quello che sta per dirmi?

 

“Non camminerò più, vero?”- domando in un sussurro mentre tento di scacciare via le lacrime.

 

Sento Ian irrigidirsi al mio fianco e scostarsi leggermente da me. Non so con quale forza riesco ad alzare la testa, ma riesco ad incontrare i suoi occhi chiari che si incatenano ai miei ed è lì che leggo la verità.

Ho ragione, non camminerò mai più. Non muoverò più un passo, non riuscirò mai più a correre e a fare le cose più basilari. Non potrò crescere i miei figli nel mondo giusto, non potrò supportare tutto questo perché… Perché le mie gambe hanno smesso di funzionare.

Non potrò più fare nulla, non potrò più recitare, non potrò più… Non potrò più vivere.

Ian abbassa il capo incapace di continuare mentre io… Non so nemmeno cosa provare. La verità -la sola e unica verità- è che le mie gambe non si muovono. Sono come un giocattolo rotto o uno spento. L’idea del giocattolo rotto forse è quella che mi rispecchia di più, perché non basta solo un telecomando per accendere i miei arti inferiori. 

Non posso camminare, non posso muovermi. Il mio corpo non risponde più ai segnali che gli impartisco. E’ tutto fermo, immobile. Da ora in avanti non potrò più camminare, non potrò più correre dietro ai miei figli, non potrò fare più niente.

Non potrò più… Recitare. Non potrò più fare l’unico lavoro che mi è sempre piaciuto, l’attrice. Come faranno a mandare avanti lo show? Io non posso più recitare, non sarò più in grado di fare nulla. Camminare dovrebbe essere la cosa più facile del mondo, è una delle prime cose che impari da bambino -è una delle prime cose, infatti, che i miei figli hanno imparato-, eppure io non ci riuscirò più. Come farò ad andare avanti in questa situazione?

E no, non sto traendo conclusioni affrettate perché è così, sento che è così.

 

“Non è tutto perduto, troveremo un modo…”- mormora Ian cercando di farmi credere che andrà tutto bene. -“Tutto questo sarà solo passeggero.”

 

Tutto quello che voglio ora è rimanere da sola.

 

“Voglio… Voglio stare da sola.”- esalo.

“No, non ti lascerò. Hai promesso che non mi avresti mandato via, non voglio lasciarti, non posso.”- ribadisce lui prendendo il mio viso tra le sue mani.

 

Mi scosto da lui bruscamente mettendo una distanza tra di noi, per quanto sia possibile metterla.

 

“Ho detto che voglio rimanere da sola.”- ribatto duramente.

“No, non ti lascerò sol-”

“VAI VIA, IAN, VATTENE!”- urlo facendolo sussultare.

 

So che non è colpa sua, ma voglio rimanere da sola. Ma lui non demorde comunque, siamo testardi entrambi. Io voglio rimanere sola e lui non vuole lasciarmi andare, non così. 

 

“Urlami contro tutto quello che vuoi, Nina, ma ora come ora non dovresti rimanere da sola.”

 

 



Pov Ian.

E tutte le mie barriera si annullano vedendola così distrutta. E’ stata colpa mia in un certo senso, ma non ho potuto fare altrimenti.

Ho dovuto dirle la verità, sebbene non spettasse a me. So che vuole rimanere da sola, ma crollerebbe del tutto e non posso permetterglielo, non ora. Non le sono stato molto vicino per alcuni motivi, ma ora che posso, ora che sono qui per lei, non ho nessuna intenzione di andarmene così.

La amo e non posso permettere che cada senza nessuna possibilità di alzarsi. E tutti mi odieranno per questo, per averle detto la verità, ma meritava di saperlo e mi ha messo alle strette.

Se le avessi mentito mi avrebbe portato rancore per molto, troppo, tempo e non avrei potuto farlo, non adesso che ha bisogno di me. Perché, per quante persone ci siano attorno a lei, ha chiesto la verità a me perché di me si fida, ciecamente. Nonostante tutto, nonostante tutti, lei si fida ancora di me e non potevo tradirla così.

Nina non mi guarda più, ha il capo chino e lo sguardo rivolto verso le sue gambe. E’ immobile, ma ogni tanto trema leggermente. Credo che stia facendo di tutto per non scoppiare, ma tenersi tutto dentro non serve a nulla. Lentamente mi risiedo di nuovo accanto a lei e piano avvolgo le mie braccia attorno al suo corpo. Le scosto i capelli dal collo e appoggio il mio mento sopra la sua spalla mentre la stringo ancora più forte a me.

 

“Andrà tutto bene, te lo prometto…”- le dico piano mentre inizia a tremare leggermente di più. -“E va bene anche sfogarsi, ci sono io qui con te. Sfogati, ne hai bisogno.”

 

Non mi risponde nemmeno, forse non ha neppure la forza di farlo. Continuo a tenerla stretta a me, per farle sentire la mia presenza. Voglio darle tutto il sostegno possibile. Non so quanto tempo rimaniamo così, io che la stringo e lei che piano piano si abbandona contro di me, ma il momento viene interrotto da un suo singhiozzo, seguito da tanti altri.

E mentre continua a singhiozzare io la stringo forte, mormorandole all’orecchio che ce la farà, che supererà anche questa. Nina si aggrappa alla mia camicia e nasconde la testa nell’incavo del mio collo mentre io le accarezzo piano la schiena. Tutto questo mi distrugge, ma lei, in questo momento, sta peggio di me e devo essere forte per lei, almeno questa volta. E non ho nemmeno la preoccupazione che qualcuno entri perché Michaela è con i bambini e tutti gli altri sono andati via, compreso Eric che, dopo averla coccolata prima, è dovuto andare chissà dove con Jonathan. Ed è brutto da pensare, ma in questo momento la sto aiutando io e mi sento utile per questo. 

 

“Non… Non camminerò… Non camminerò più…”- tenta di parlare disperata tra i singhiozzi. -“Non camminerò più… Ian…”

“I dottori hanno detto che sarà una cosa temporanea e io ci credo! Ci credo Nina e… E dovresti sentire loro, per un parere, io non ne so molto.”- le spiego dandole un bacio sulla fronte.

 

Non si stacca da me, continua a singhiozzare contro la mia maglietta diventata ormai fradicia.

 

“No…”

 

Cosa no?

 

“Cosa no, Nina?”- le domando cercando di capire.

“Non voglio… Voglio andare a casa.”- singhiozza ancora contro il mio petto.

“Non puoi andare a casa, tesoro.”- mormoro piano accarezzandole la schiena, baciandole la fronte. -“Non so quanto ancora tu debba rimanere qui, i dottori ti devono visitare.”

“Non voglio che vengano qui, non voglio che… Mi visitino.”- mormora cercando di smettere di singhiozzare.

“Devono, così capiranno cosa c’è che non va e come potrai guarire.”- le dico dolcemente cercando di farle capire il perché i medici debbano visitarla.

“So già cosa c’è che non va. Le mie gambe non vanno e me l’hai confermato tu.”- mi risponde.

 

Aspetto che si calmi e, quando smette di singhiozzare, almeno un po’, le rispondo.

 

“Questo te l’ho detto io ed è quanto io ho capito, non so che cosa abbiano detto i medici o cosa pensino veramente di tutta questa situazione. Io so solo che è una cosa temporanea, passerà.”- le spiego cercando di tirarle su il morale, ma non cambia nulla. -“Vado a chiamare un medico, cosa dici? Almeno ti spiegherà tutto quanto e vedremo cosa fare, va bene?”

 

Guardo Nina negli occhi scostandomi leggermente da lei e tutto il suo corpo mi sta dicendo di no, ma alla fine annuisce debolmente permettendomi di alzarmi dal letto. Non vorrei lasciarla da sola, ma è giusto che i dottori la visitino di nuovo e le dicano tutto. Le lascio un ultimo bacio tra i capelli ed esco dalla stanza. Non appena mi chiudo la porta alle spalle mi scontro con gli occhi stanchi della madre di Nina e noto che i bambini si sono addormentati sulle sedie accanto a lei.

 

“Non volevo disturbati.”- mi saluta così con tono neutrale. Non mi domanda perché sia stato così tanto tempo con Nina, ma percepisco che ha capito qualcosa, che sente qualcosa. -“Si sono addormentati poco fa, erano distrutti.”

 

Li guardo per qualche istante e noto che sono più rilassati. Anche il più piccolo particolare mi fa notare quanto siano felici di avere di nuovo la loro mamma con loro e sorrido all’istante, ma poi ritorno subito serio. Afferro il cellulare e invio un messaggio a mia madre dicendole di venire a prendere i bambini, poi mi rivolgo nuovamente a Michaela.

 

“Mia madre sarà qui a momenti per portare via i bambini.”- le spiego.

 

Aggrotta leggermente le sopracciglia e la sua faccia assume un’espressione tipo Ma tu non te ne vai con loro? e mi passo nervosamente una mano tra i capelli. Mi siedo nella sedia di fronte a lei e la guardo incerto, poi decido di confessarle tutto.

 

Le ho detto tutto.

 

Non serve nemmeno che specifichi cosa, lo capisco nell’esatto momento in cui il suo viso si tramuta in dolore. Rimane per qualche attimo senza parole, poi mi fissa come se volesse staccarmi la testa.

 

“Tu hai fatto cosa?”- mi ringhia contro cercando di non svegliare i bambini.

 

Le sono grato per questo, a parte che non si sveglierebbero nemmeno se cadesse giù l’ospedale, ma quello è un altro dettaglio.

 

“Mi ha messo alle strette e sono stato obbligato.”- tento di difendermi.

“Tu avresti dovuto essere l’ultima persona a parlarle o a dirle qualcosa.”- mi dice alzandosi in piedi. E’ arrabbiata, molto arrabbiata. 

 

So che è la preoccupazione a farla parlare così, anche se c’è ovviamente della rabbia repressa.

 

“Io avrei dovuto dirglielo, non tu. Al massimo Eric, tu non c’entri niente con lei.”- mi accusa e questo mi fa stringere la mascella.

 

Siamo in un ospedale ed è la madre di Nina, donna che ho sempre amato come una seconda madre e ammirato, e sto facendo di tutto per trattenermi. Nina ha chiesto a me che cosa le stesse succedendo, non agli altri. Gli altri le stavano mentendo, io non ce l’avrei mai fatta. L’ho fatto per troppo tempo, reprimendo il mio amore per lei, ma qui non ce l’ho fatta. Meritava di sapere e non potevo tradirla anche io così, semplicemente non potevo.

 

“Me l’ha chiesto perché si fida di me. Avete passato ore tenendole nascosta la verità e lei è così intelligente che l’ha capito subito.”- le dico prendendo le mie difese. -“Non avrei potuto mentirle.”

“Non ti bastava averle già rovinato la vita una volta, eh?”- mi domanda dura e io spalanco leggermente gli occhi. -“L’hai fatto ancora.”

“Dirle la verità è rovinarla la vita?”- le domando aspro stringendo le mani a pugno. -“Da quando in qua?”

“Tu semplicemente non avresti dovuto dirle niente, ma ti sei messo in mezzo, ancora. Che cosa ti ha fatto di male per volerla sempre tra i piedi? Non basta quello che le hai combinato in passato?”- mi domanda alzando il tono della voce.

“Cosa c’entra il passato con il presente?”- le domando io. -“E’ forse ripicca quello che sento?”

“Credi che non mi sia accorta di come la guardi? Di come ancora la guardi? O sei un bravissimo attore e fingi che ti importi ancora qualcosa di mia figlia, oppure la ami ancora. Sono due le spiegazioni, Ian, e spero sia la prima per il tuo bene e per quello di mia figlia. E Dio”- si blocca portandosi le mani tra i capelli. -“anche lei ha quello stesso sguardo da innamorata… Ce l’ha da quando vi siete rivisti per la prima volta… Non sono stupida, sono solo confusa e arrabbiata, molto arrabbiata con te.”

 

Si blocca per qualche istante mentre il suo sguardo -terribilmente spietato e accusatore- è ancora su di me.

 

“Non so cosa sia successo otto anni fa, ma non ho mai creduto ad una singola parola di quello che le hai detto, di cosa Nina mi ha detto. Credevo che mia figlia avesse trovato l’uomo perfetto per lei, lo credevo davvero. Non ti ho ancora perdonato per quello che le hai fatto, ma non ti perdonerò più se impedirai ancora la sua felicità.”- mi dice in un misto di rabbia e rassegnazione.

 

Sospiro e prendo coraggio. Dico l’unica cosa che mi sta passando per la mente, una cosa privata e che deve sapere.

 

Io la amo, la amo ancora così tanto. Ho provato Michaela a dimenticarla, ci ho davvero provato, ma non ci riesco. E tu… Tu non l’hai vista quando me l’ha chiesto, non ho potuto mentirle. L’ho già fatto così tante volte e… Se l’avessi fatto l’avrei distrutta, semplicemente non ho potuto. Le ho fatto così tanto male, sto solo”- mi blocco per qualche istante fissandomi le scarpe. -“cercando di rimediare ai miei errori. So che non è possibile, ma ci sto provando.”

“Sei sposato, hai una moglie e stai per avere un figlio da lei, che cosa vuoi da mia figlia?”- mi domanda atona.

 

Sorprendentemente non mi sta urlando contro, sembra solo rassegnata, sembra come se… Ne avesse avuto la conferma.

 

“Quello che vuole lei. Voglio stare con lei, ma tutto questo”- mi fermo indicando i bambini e la porta della camera di Nina con la testa. -“l’abbiamo deciso insieme. Nina ha deciso per me, per noi.

“Che cosa vuoi dire? Lei se che la ami?”- mi domanda accigliata.

“Eccome se lo sa, certo che lo sa! Abbiamo deciso, quasi di comune accordo, tutta questa situazione e ogni cosa ci si sta ritorcendo contro. Voglio stare con lei, ma tutto questo me lo impedisce.”- mormoro guardandola negli occhi.

“Se volessi stare con lei, indipendentemente da tutto, ti prenderesti le tue responsabilità e molleresti tutto per lei. Sei venuto a malapena a trovarla, Ian.”- mi dice con rammarico.

 

Oh, come se sapesse il perché. Ogni giorno avrei voluto mollare tutto e correre in ospedale da lei, ma i bambini e il mio senso di colpa me lo impedivano. Soltanto il pensiero di lei su un letto d’ospedale mi faceva morire, figuriamoci vederla per davvero. Per quel poco che l’ho vista avrei preferito subire qualsiasi cosa, essere io al suo posto.

 

“Il pensiero di lei in un letto d’ospedale mi faceva morire, Michaela. Sono qui, ora, per non commettere lo stesso errore. Io ci sono per lei, fino a quando lo vorrà.”- mormoro guardando tristemente la porta della stanza di Nina.

 

Dio, si starà insospettendo di non vedere nessun dottore. 

 

“Lo so, ed è questo che mi preoccupa. Ha già sofferto troppo, tutto questo la sta distruggendo, e con te la situazione non potrà altro che peggiorare. Già le sue gambe sono ‘rotte’, non vorrei che il suo cuore si rompesse del tutto.”- mi fa notare scuotendo leggermente il capo.

“Raccoglierò io ogni suo pezzo.”- le rispondo di getto.

“Stando con tua moglie?”- mi domanda leggermente acida.

“No, assolutamente. Voglio starle accanto e troverò un modo per farlo.”- ribatto duro.

“Non illuderai mia figlia, Ian.”- mi minaccia.

“Non la illuderò…”- mormoro e un sorriso mi affiora le labbra. 

 

Un flash mi ritorna in mente. Inizio a collegare alcune cose. 

No, non può essere vero, non può avermi mentito così spudoratamente.

Inizio a sudare freddo, non può essere vero ciò che sto pensando.

 

“Ian, stai bene?”- mi domanda Michaela leggermente preoccupata.

 

Ci metto qualche secondo per rispondere.

Se fosse la verità sarebbe perfetto. Deve esserlo!

 

“Si, sto bene.”- mormoro.

 

Faccio per dire qualcos’altro, ma un rumore, come un tonfo, ci fa sussultare entrambi. Proveniva dalla camera di Nina. Con uno scatto afferro la maniglia e apro subito la porta trovandomi di fronte il corpo di Nina accasciato a terra.

Il sangue mi si gela nelle vene e sia io che Michaela ci precipitiamo su Nina. E’ a terra, accasciata al suolo, e ci guarda mortificata.

Che cosa diamine è successo? Come ha fatto a cadere?

 

“Che cosa diavolo è successo?”- domando spaventato anticipando la madre di Nina.

“Urlavate, stavate litigando, non volevo che litigaste per me.”- ci guarda grave e al tempo stesso mortificata. -“Non veniva nessuno e ho tentato di… Ho tentato di alzarmi, ci ho davvero provato. Quando… Quando ho visto che non ci riuscivo ho provato a fare forza sulle braccia, ma non hanno retto e sono… Sono caduta…”

 

Non ci guarda più, guarda per terra. La prendo in braccio delicatamente e, dopo aver controllato che non si sia fatta nulla, l’appoggio delicatamente sul letto coprendola con il lenzuolo. Michaela alla mie spalle non dice nulla, è spaventata. Si avvicina al letto della figlia e le appoggia una carezza sulla fronte.

 

“Andrà tutto bene, tesoro, vado a chiamare un dottore.”- le dice dolcemente e Nina indurisce lo sguardo.

 

Non è per quello che le ha detto, è per quello che non le ha detto. Devono parlare e sono sicuro che lo faranno dopo.

Prima di andare via Michaela mi sussurra all’orecchio Questa cosa rimarrà tra noi e parleremo, ancora.

Lo faremo e, se ho ragione, tutto questo cambierà.

 

 

 

_______________________________________________

 

Sostanzialmente non so nemmeno da dove partire con le scuse, ma è stato un periodo difficile per me, tra problemi personali e beh… un blocco dello scrittore (si dice così, no?). Sono arrivata a scrivere fino al capitolo diciotto, ma ogni cosa che scrivevo, ricontrollandola, non mi andava bene quindi ho cancellato tutto, quindi non ho pronto nessun capitolo e beh, credo ora di aver ritrovato di nuovo la strada. Da come stavo scrivendo i capitoli mi sono resa conto che sarebbe venuta fuori una cosa un po’ banale e, in un colpo di follia, ho eliminato tutto, ma ora sono decisa a portare tutto avanti per questa direzione e spero, me lo auguro, di aver fatto davvero la scelta giusta!

La storia ha perso veramente tanto, sia come recensioni, come visite, e come persone che l’hanno inserita tra le preferite/ricordate/seguite e mi dispiace davvero tanto, spero solo di rifarmi perché ce la sto mettendo davvero tutta ^^

Durante le vacanze di Natale dovrei aggiornare più spesso, tenete conto che devo scriverli i capitoli, non ne ho nessuno pronto. Se non dovessi aggiornare prima di Natale… Buon Natale! (anche se credo comunque di riuscire a fare almeno un aggiornamento).

Passiamo al capitolo, dunque. Credo che si commenti parecchio da solo e, dopo secoli, finalmente un capitolo Nian come si rispetti! Ian è stato praticamente costretto a dire tutto a Nina, per i motivi che lui stesso ha detto, ma, soprattutto, perché ha visto che Nina l’ha chiesto a lui perché lui è l’unico per lei. Sarà fidanzata pure con Eric, ma ama Ian al di sopra di ogni cosa. E Ian la ama immensamente tanto da arrivare a scontrarsi con Michaela, la mamma di Nina. Se non fossero stati in ospedale Michaela molto probabilmente l’avrebbe ucciso, ma si è dovuta “trattenere”, ma Nina comunque li ha sentiti litigare rischiando di spaccarsi l’osso del collo. 

Ian starà vicino a Nina, ve lo posso assicurare e ora sta cominciando a fare 2+2 riguardo qualche sospetto, ma scoprirete tutto nei prossimi capitoli. Ian ha capito (anche se lo sapeva già, e anche molto bene!) che Nina in questo momento ha bisogno anche di lui, soprattutto di lui, e le starà accanto.

Ecco, non ho nient’altro da dire se non ringraziare le cinque fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (questo capitolo è in particolare modo per tutte voi cinque!).

Grazie ancora, a presto <3

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Capitolo 15
*** What are you doing? ***


                                                       What are you doing?


Fourtheenth Chapter.
Pov Ian.

I bambini sono andati via con mia madre e Nina ha voluto che rimanessi con lei. Quando Michaela è entrata nella stanza con un dottore io stavo per andarmene, ma Nina ha rafforzato di più la presa sulla mia manica impedendomi di lasciarla.

Non che avessi voluto andarmene via e lasciarla da sola, ma sua madre avrebbe avuto più diritto a stare con lei in quel momento, ma la mia piccola kote non ha voluto sentire ragioni e mi ha costretto a rimanere con lei e io l’ho fatto, non sarei mai potuto andare via e lasciarla lì. Ha bisogno di me in questo momento e io, proprio perché la amo, non ho intenzione di lasciarla da sola.

I dottori le hanno spiegato tutto, le hanno confermato quello che già sapeva -quello che le ho detto. 

Paraplegia incompleta e con buona possibilità di ripresa, ma, ovviamente, i tempi sono ancora a noi sconosciuti. Ha reagito meglio di quanto mi aspettassi, ma forse perché lo sapeva già e perché si sta tenendo tutto dentro, so che è così. Non ha reagito certo sorridendo, è rimasta impassibile ed ha continuato ad annuire, ma credo che non abbia ascoltato molto di quello che le hanno detto.

Appoggio una mano contro il vetro e continuo ad osservare i medici che stanno visitando Nina, ancora. Le stanno dicendo qualcosa, ma non posso sentire nulla. I medici hanno deciso di provare a farla alzare, per vedere come rispondono le gambe, e hanno lasciato me e Michaela fuori. 

In questo preciso istante due medici la stanno sostenendo per mantenerla in posizione eretta, ma, non appena allentano la presa, il corpo di Nina cade a peso morto sulla sedia a rotelle. 

E’ come se non avesse le gambe e questo mi fa male, figuriamoci a lei. Il mio cuore si distrugge a vederla in questo stato. I medici tentano di farlo ancora, ma vedo Nina scuotere la testa.

Perché? 

Uno dei medici che ha operato Nina annuisce e fa cenno agli altri medici di portarla fuori. Poco dopo esce dalla stanza spinta da un medico.

 

“E’ stanca, è meglio riprovare domani.”- ci dice un medico sorridendo leggermente.

 

Il classico sorriso di circostanza.

 

“Adesso l’accompagno in camera.”- ci spiega. -“Un’infermiera verrà a portarle degli antidolorifici per facilitarle il sonno.”

 

Nina non ha ancora alzato lo sguardo. Ha il capo chino e non guarda nessuno. Le accarezzo piano un braccio, ma non alza lo sguardo comunque.

Conosco il suo cervello, conosco come ragiona, e si sta addossando colpe che non ha.

Non ha nessuna colpa. Come può avere qualche colpa quando è stata la vittima di un incidente e non la causa?

Faccio per seguire il dottore, ma Michaela mi afferra per un braccio e mi fa cenno di rimanere fermo. Non c’è risentimento o rabbia nei suoi occhi, capisco perfettamente che ha bisogno di parlare con la figlia. 

Annuisco solo e seguo con lo sguardo Nina che si allontana sempre di più da me.

 



























 

                                                                * * *




























 

-Ian, sono quasi le undici, dove sei?- urla mia madre dall’altro capo del telefono.

-Sono ancora in ospedale, mamma.- sbuffo roteando gli occhi al cielo.

-I bambini vogliono che tu venga a dargli la buonanotte ed hai una moglie, a casa.- sottolinea mia madre con tono di rimprovero.

-Dì ai bambini che telefonerò loro tra venti minuti.- le rispondo solo.

-E a Nikki cosa devo dire, Ian?- mi domanda grave. -Ha detto che non le hai risposto per tutto il giorno.-

-Dille che non tornerò. O che tornerò tardi.- le rispondo sbrigativo.

-Ian, cos’è succes-

 

La interrompo prima che possa finire la frase.

 

-Mamma, devo andare. Chiamerò tra poco per i bambini.-

 

Chiudo così la chiamata, non voglio che faccia domande. 

Eric è andato via mezz’ora fa e non ha saputo che c’ero anche io. Non valeva la pena nemmeno tornare a casa, ho fatto di tutto per evitarlo perché non voglio creare problemi tra lui e Nina. Finché c’erano i bambini avevo una valida scusa, ma senza di loro potrebbe insospettirsi e lei ha già così tanti problemi ora che non voglio creargliene altri. Michaela esce dalla stanza di Nina con un’espressione impassibile.

Non ho visto Nina da quando l’hanno portata in stanza e beh… Voglio sapere come sta, voglio vederla.

 

“Puoi pure andare dentro.”- mi anticipa. -“Ma per poco. E’ tardi e deve dormire. E’ sotto gli effetti degli antidolorifici e credo che possa crollare da un momento all’altro.”

 

Le annuisco grato, lei non ricambia. Ci rimango male, ma decido di lasciar perdere ed entro nella stanza. Ho poco tempo, ma devo almeno salutarla prima di andarmene.

La trovo distesa con la testa sul cuscino ad occhi chiusi. Sembra che stia dormendo e faccio per andarmene, quando sento la sua voce.

 

“Ian?”- domanda aprendo piano gli occhi.

 

In pochi passi arrivo vicino al letto prendendole la mano. E’ calda, molto meglio di quando era in coma.

 

“Sono qui. Sono venuto a salutarti.”- le accarezzo il dorso della mano mentre la vedo socchiudere leggermente gli occhi. Sta crollando. -“Ora dovresti dormire, è tardi.”

“Te ne vai?”- mi domanda piano.

“Devo.”- le sorrido malinconico. -“Mia madre ha chiamato e i bambini mi aspettano per la buonanotte. E per qualche storia. Molte storie.”

 

La vedo sorridere leggermente e le accarezzo una guancia morbida. Non mi stancherò mai della sua pelle.

 

“Puoi… Puoi dare la buonanotte anche da parte mia?”- mi domanda speranzosa.

“Certo che si, non devi nemmeno chiederlo. Domani magari li porterò qui, ovviamente dopo scuola.”- le spiego.

“Puoi rimanere qui? Almeno… Almeno finché non mi addormento…”- mi domanda con voce lieve.

 

Le sorrido soltanto sedendomi sul letto, vicino al suo corpo. Nina gira la testa di lato e la sua guancia va a sfiorare la mia gamba coperta dai pantaloni. Le accarezzo delicatamente i capelli e la vedo chiudere gli occhi. Quando sono convinto che si sia addormentata la sua domanda mi spiazza.

 

“Credi che possa riuscire a… A camminare di nuovo?”- mi domanda con voce assonnata. -“Voglio che tu sia sincero con me.”

“Vuoi che sia sincero?”- le domando e la vedo annuire lentamente. -“Si, camminerai di nuovo. Devi solo crederci, ma è ancora presto per dirlo.”

 

Rimaniamo per qualche secondo in silenzio, poi decido di porgergli una domanda.

 

“E tu ci credi?”- le domando accarezzandole la punta del naso.

“Non lo so…”- mi risponde sollevando gli occhi su di me. -“Ma è ancora presto per dirlo.”

 

Si addormenta così, cullata tra le mie carezze e la testa vicino alla mia gamba. Sono le 11.15 pm quando esco dalla sua stanza trovo Michaela sul punto di andarsene.

 

“Vuoi un passaggio?”- le domando cortese.

“No, vai pure a casa. Kostantin mi verrà a prendere a momenti.”- mi risponde afferrando la borsa.

“Michaela, mi… Mi dispiace per prima…”- mormoro sospirando.

 

Ha ragione su tutto, ma voglio lottare ancora per Nina e lo farò, in un modo o nell’altro.

 

“In quanto sua madre voglio solo che non si faccia del male. Altro male. Ora ha bisogno di concentrarsi sulla sua salute e non voglio che pensi ad altro.”- mi dice seria guardandomi negli occhi. Io mi passo una mano nervosamente sui capelli. -“Non voglio che tu la illuda ancora, ma non te ne sto facendo una colpa, almeno non ora. Se tu la illudessi di nuovo, non ce la farebbe più ad alzarsi e, per quanto possa essere banale come cosa, crollerebbe del tutto. Eric la fa stare tranquilla, la fa sorridere ed è un porto sicuro.”

 

Lo so che sarebbe tutto più semplice e una parte di me è disposta a lasciarla andare, ma l’altra -quella che prevale e preverrà sempre- non mi permette di abbandonarla e con tutto me stesso non voglio farlo. Neanche Nina lo vuole. Abbiamo decido entrambi di lasciarci andare, ma, in ogni momento di debolezza, siamo uno alla ricerca dell’altro e questo è uno di quei momenti. Nina è debole, fragile, ed ha bisogno di qualcuno che le stia accanto, di qualcuno che la faccia sentire al sicuro. Ha bisogno di me. Può sembrare un ragionamento egoistico, ma è così. Ha chiesto a me quello che le era successo, non ad altri.

A me.

L’uomo che ama.

Il padre dei suoi figli.

A me e a nessun altro.

E se prima tentassi in ogni modo di allontanarmi da lei, ora non lo farò più. Ho una strana sensazione che mi logora dentro e non mi riferisco a Nina. C’è qualcosa che non quadra nella mia vita, nel mio matrimonio, e, se quello che sto pensando fosse vero, finirebbe tutto ed io e Nina potremo essere felici. Per quanto si ostini ad essere legata ad Eric, tornerà sempre da me. Ci attraiamo a vicenda e questo può far male, ma anche bene. Nina ha bisogno del bene adesso e io sono pronto a donarglielo.

 

“Lo so, sono consapevole dell’effetto che Eric abbia su Nina e di come stiano insieme, ma non sono disposto a perderla, non dopo tutto quello che è successo. Ultimamente sono successe delle cose che non mi tornano e farò luce su tutto ciò, ma, indipendentemente da come andrà a finire, lotterò per lei con le unghie e con i denti, non mi interessa di quello che pensano gli altri.”- le rispondo convinto sottolineando che, con quel altri, c’è anche lei.

 

Ci guardiamo per qualche istante e il suo sguardo cambia. In bene, credo. Annuisce soltanto e io mi dirigo fuori dall’ospedale.

Arrivo a casa quindici minuti dopo e trovo ancora tutte le luci accese. Suono il campanello, capendo ormai che sono tutti svegli. Ad aprirmi la porta c’è Stefan e dietro di lui subito Joseph. Non faccio nemmeno in tempo a chiudere la porta che mi saltano addosso e sono costretto a prenderli entrambi in braccio per non farli cadere. Con molta fatica chiudo la porta ed entrambi mi gettano le braccia al collo. Sorrido d’istinto dando un bacio ad entrambi sulla fronte. Per qualche istante mi dimentico di tutto, la mia attenzione è concentrata su di loro.

E’ proprio vero che i bambini sono in grado di far passare ogni cosa in secondo piano.

 

“Alla buon ora, figliolo.”- mi fulmina mia madre con lo sguardo. -“Sai che ore sono?”

“Non ho più quindici anni.”- ribatto io mentre i miei figli nascondono il volto nell’incavo del mio collo. -“Porto a letto i bambini, sono rimasti svegli fin troppo a lungo per i miei gusti.”

 

Entrambi mormorano qualcosa in segno di protesta, ma non li ascolto nemmeno. E’ tardi, domani devono andare a scuola e hanno bisogno di dormire. Entro nella mia camera, ormai camera dei bambini quando vengono a dormire qui, e li metto giù. Scosto le coperte e li invito a mettersi comodo e, con qualche lamentela, riesco a coprirli.

 

“Papà, ma non abbiamo sonno…”- mormora Joseph strofinandosi gli occhi.

 

Stanno entrambi crollando, ma non vogliono farmi vedere che sono stanchi.

 

“Qualche ora fa siete crollati in ospedale e si, avete sonno.”- li punzecchio io dando ad entrambi il loro pupazzo.

“Ma non abbiamo più sonno!”- ribatte Stefan cercando l’appoggio del fratello che annuisce.

“Se non dormite adesso lo farete domani. E domani avrete scuola. Non potete andare senza aver dormito almeno un po’.”- spiego loro.

“La mamma come sta?”- mi domanda Joseph cambiando repentinamente discorso.

 

Furbo.

E preoccupato.

 

“Sta molto meglio e ha detto che le mancate. E mi ha anche detto di darvi la buonanotte, quindi a letto.”- ordino loro.

“Ma quando tornerà a casa con noi? Ci manca tanto.”- mi domanda Stefan.

“Non lo so, tesoro, purtroppo questo non posso saperlo.”- gli dico e tento di mascherare tutta la mia tristezza.

“Manca anche a te, papà?”- mi domanda Stefan.

“Chi?”- domando aggrottando le sopracciglia.

“Ma la mamma, ovvio.”- mi risponde pacato Joseph roteando gli occhi al cielo.

“Si, mi manca tanto. E non vedo l’ora che possa tornare a casa.”- rispondo quasi senza pensarci.

 

Mi accorgo solo in un secondo istante di quello che ho detto grazie allo sguardo, parecchio ambiguo, dei bambini. 

Tento di rimediare al mio errore. Loro non capirebbero tutto questo attaccamento, sono ancora così piccoli.

 

“Forza, è ora di andare a letto.”- li incoraggio.

“Papà, ci racconti una storia?”- mi domandano all’unisono.

“Almeno ci addormentiamo prima.”- continua Joseph scostandosi dal fratello per farmi posto in mezzo a loro.

 

Sono indeciso, dovrebbero dormire, ma hanno anche bisogno che gli stia vicino. Con loro non c’è Nina e hanno bisogno di tutto il mio amore e affetto. Nelle ultime settimane sono stato un po’ -abbastanza- fuori di me e l’hanno capito, devo rimediare.

 

“E va bene, ma solo una.”- dico sistemandomi meglio in mezzo a loro.

 

Entrambi sorridono entusiasti e appoggiano la testa contro il mio petto.

 

“Possiamo scegliere quale vogliamo?”- mi domanda Stefan.

“Si, ma non troppo difficile.”- mi difendo scompigliando ad entrambi i capelli.

 

Si scambiano uno sguardo fugace, poi Joseph sorride.

 

“Vogliamo la vostra storia.”- mi dice di punto in bianco.

“Mia e di chi?”- domando leggermente preoccupato.

 

Ho paura di cosa mi possano domandare.

 

“Tua e della mamma.”- sottolinea Stefan. Faccio per ribattere, ma mio figlio, più furbo di me, mi anticipa. -“Hai detto che potevamo scegliere quella che volevamo.”

“Stef ha ragione, papà.”- mi dice Joseph alzando la testa dal mio petto.

 

Mi hanno fregato, letteralmente. 

Sono riuscito a farmi fregare da due bambini. Ho rimandato troppe volte, ho inventato troppe scuse e ora non so nemmeno cosa dire. Sono troppo stanco per ribattere.

 

“Vi dirò qualcosa…”- mormoro piano. -“Ma dopo dormirete, senza storie.”

“Va bene, va bene.”- tagliano corto entrambi sbuffando.

“Come vi siete conosciuti?”- mi domanda Joseph girandosi su un fianco, ma la sua testa rimane ancora sul mio petto.

 

Sorrido al ricordo di come ci siamo conosciuti e aspetto qualche attimo per parlare.

 

“Era il primo giorno sul set. Julie mi stava spiegando delle cose e mi aveva detto di andare nella sala make-up per fare la prova dei denti da vampiro.”- inizio ridacchiando leggermente. -“Vostra madre era di corsa e non stava guardando da che parte stesse andando… Mi è venuta addosso e l’ho afferrata al volo prima che cadesse.”

“Tipico della mamma!”- ridacchia Stefan seguito dal fratello.

“E ovviamente lei ha dato la colpa a me.”- sorrido con leggerezza ripensando alla scena. -“Non ha voluto nemmeno sentirmi.”

“E ti ha sgridato?”- mi domanda Joseph curioso.

“Non proprio.”- rispondo io scuotendo la testa. Tralascio la parte delle mie avance, loro non capirebbero. -“Ho iniziato a punzecchiarla e più la prendevo in giro, più si arrabbiava.”

“Quindi all’inizio non andavate d’accordo?”- continua Stefan.

“Non molto, ma poi abbiamo cominciato a trascorrere più tempo insieme e siamo diventati amici.”- continuo io rimanendo comunque sul vago.

“E poi vi siete messi insieme.”- mi blocca Stefan.

“Come due fidanzati.”- termina Joseph.

“Frenate un attimo.”- cerco di placare il loro entusiasmo. -“Quello è accaduto molto dopo.”

 

Si stanno entusiasmando troppo, da una cosa sola siamo passati a metà della nostra vita.

Ancora una volta mi sono lasciato fregare dai miei figli, come al solito.

 

“Quanto dopo?”- mi domanda Joseph.

“Non me lo ricordo, ma è successo dopo un po’.”- rispondo sospirando.

“E poi siamo arrivati noi, giusto?”- mi domanda Stefan.

 

Loro sono arrivati circa due anni dopo, mese in più, mese in meno.

Senza preavviso, ma, nonostante tutto, non so cosa farei senza di loro.

Sono la mia vita. Loro e Nina sono la mia vita.

 

“Anche voi siete arrivati parecchio dopo.”- spiego ad entrambi.

“E come siamo arrivati?”- mi domanda Joseph.

 

Come… Come sono arrivati? Non mi staranno mica domandando quel come

No, non è possibile.

 

“Come?”- domando io sperando di aver capito male.

“Si, papà, noi siamo arrivati da qualche parte, no?”- continua ancora Joseph.

“Come siamo nati? Noi bambini, intendo.”- termina Stefan.

 

Qui la situazione si sta facendo veramente tanto complicata, troppo complicata. Non potevano chiedermelo tra… Tra quindici anni? Hanno sette anni, sono ancora troppo piccoli per queste cose.

Li guardo entrambi e sono in cerca di una risposta plausibile, dannazione!

Cosa mi hanno detto i miei genitori per la prima volta?

La cicogna! 

Questa mi sembra la spiegazione perfetta e spero che i miei figli, come dei normalissimi bambini della loro età, ci caschino.

 

“Vedete… Nel mondo ci sono tanti bambini che aspettano il loro momento per avere una famiglia. Quando è il momento giusto la cicogna decide di prendere un bambino, o una bambina, e di portarlo alla mamma e al papà che l’hanno tanto desiderato. Lo lasciano a loro affinché se ne possano prendere cura e crescerlo nel modo giusto.”- taglio corto, ma con convinzione.

“E come mai noi siamo due?”- mi domanda Stefan cercando di elaborare quanto gli ho detto.

 

Già, non avevo tenuto conto anche di questo.

 

“Ogni tanto capita che ci siano dei bambini tanto legati tra di loro che non vogliono essere separati e quindi la cicogna è obbligata a lasciarli insieme. Alcune famiglie, fortunate anch’esse, hanno il privilegio di avere due bambini invece di uno.”- dico cercando di cavarmela così.

 

Mi sembra una spiegazione parecchio convincente.

Credo di essere stato bravo, più o meno.

 

“Quindi io volevo bene a Stef anche prima?”- mi domanda Joseph osservando il fratello con un sorriso ad incurvargli le labbra.

“Si, certo. Vi siete sempre voluti bene.”- mormoro dolcemente accarezzando ad entrambi la punta del naso.

 

Si sorridono a vicenda e, quando spero che le domande siano finite, iniziano con delle nuove.

 

“Quindi tu e la mamma ci avete voluto, giusto?”- mi domanda Stefan osservandomi serio. -“Sennò non saremo arrivati da voi.”

 

Loro sono arrivati… Non lo so nemmeno io perché sono arrivati. Certo, so come si creano dei bambini, mi pare ovvio, ma a questo punto sono sempre più convinto che siano frutto del destino.

Potrebbe sembrare uno sbaglio -all’inizio lo reputavo anche io- ma ora, con tutto quello che sta succedendo, sono stati un miracolo e un regalo per la nostra storia. Mia e di Nina.

 

“Certo che vi abbiamo voluto.”- mormoro con voce ferma.

“E poi hai dovuto lavorare molto, ecco perché non sei stato con noi…”- mormora Joseph.

“Si, ho dovuto lavorare parecchio, ma poi ho deciso che era giusto dedicarmi a voi e così ho fatto.”- sorrido ad entrambi leggermente malinconico. -“Ci ho messo parecchio tempo, ma ora sono qui, per sempre.”

“Ma perché la cicogna porti i bambini, i genitori devono volersi bene, giusto?”- mi domanda Stefan.

 

Annuisco leggermente.

 

“Quindi tu e la mamma vi volevate un gran bene, ma poi non più… E poi tu hai cominciato a volere bene a Nikki e ora la cicogna porterà un altro bambino…”- continua Joseph.

“In un certo senso è così, ma non ho comunque smesso di voler bene alla vostra mamma.”- rispondo io.

“Quindi avremo anche noi un fratellino o una sorellina dalla mamma? E sarai tu il suo papà?”- mi domanda Stefan con un ragionamento che non fa nemmeno una piega.

 

Magari vorrei rispondere.

Certo che si sarebbe il mio sogno.

Ma ora devo ragionare in modo reale.

 

“La situazione è un po’ più complicata di così.”- rispondo, poi decido di tagliare corto. -“Perché siamo passati a parlare di bambini? E’ ora di andare a letto, forza.”

“Ma pap-”

 

Tentano entrambi di ribattere, ma scuoto la testa con veemenza.

 

“Forza, a letto, è già troppo tardi.”- mi impongo sporgendomi per spegnere la luce, facendo comunque attenzione a non far del male a Joseph.

“Dormi con noi?”- mi domanda Stefan una volta che la camera è diventata buia.

“Si, amore.”

“Non torni a casa?”- domanda ancora Joseph.

“No, preferisco stare con voi. Buonanotte, vi amo tanto, entrambi.”- concludo dolcemente.

 

Entrambi mi rispondono con un ti voglio bene anche io, papà prima di smettere di parlare completamente e abbandonarsi al mondo dei sogni.

Poco dopo sento la porta aprirsi e il capo di mia madre fare capolino all’interno della stanza.

 

“Non vai a casa?”- mi domanda mia madre dalla porta.

“Mamma, mi sembra che tu voglia cacciarmi di casa.”- ribatto io.

“Sei mio figlio, non potrei mai cacciarti di casa. Rimani a dormire qui, quindi.”- mi risponde.

“Si, dormirò qui con i bambini, anche perché se mi muovessi si sveglierebbero subito.”- puntualizzo.

“Sei sicuro che vada tutto bene, tesoro? Non è da te questo comportamento, non è da te evitare Nikki senza una spiegazione.”- mi dice, poi continua. -“Con questo non voglio farmi gli affari tuoi, sono solo preoccupata per te.”

“Devo solo staccare un po’ e sono successe così tante cose… Ho perfino litigato con Michaela.”- le rispondo io e vedo mia madre quasi gelare. -“Ho un dubbio, veramente forte e… E’ meglio che ti dica tutto domani, non voglio svegliare i bambini.”

“Va bene, dormi bene. E ricordati… Sono tua madre, puoi parlare con me di qualsiasi cosa.”- mi dice prima di chiudere la porta, non prima di avermi dato la buonanotte.

 

Lo so e lo farò.

 

 

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Eccomi qui come vi avevo promesso e mi scuso subito per non aver risposto a tutte le fantastiche recensioni, ben 14, ma altrimenti non sarei stata in grado di postare il capitolo ora e penso sia meglio così.

Ovviamente domani risponderò a tutte, perché ve lo meritate e… Siamo ritornate quelle di un tempo, ormai. Se vi piacciono così tanto i capitoli Nian sarò costretta a cambiare la storia! Ovviamente scherzo ahahaha

Però da ora in avanti ovviamente ci saranno ancora più scene tra loro perché capiteranno alcune cose che li avvicineranno di più, ma non posso dire nulla.

Veniamo al capitolo, dunque. Ian, come nello scorso capitolo, ha deciso che non abbandonerà Nina e che le starà accanto, cosa che, effettivamente, ha fatto. Nella prima parte vediamo Nina alle prese con una visita e non sembra andar bene e più avanti, nei prossimi capitoli, vedremo come effettivamente reagirà a questa nuova condizione -ovviamente andrà sempre peggiorando.

Il rapporto tra Ian e Michaela sta diventando sempre più gelido, anche se la madre di Nina sembra che stia capendo qualcosa e Ian farà di tutto per confermare quanto ha detto.

Edna, intanto, si sta insospettendo sempre di più e non capisce il comportamento del figlio, pensando appunto che stia rovinando il suo matrimonio, ma Ian è deciso a seguire il percorso che si è disegnato e che lo porterà ad una conclusione.

Ovviamente ho inserito un momento anche con i bambini, non poteva mancare e credo si possa commentare da solo, soprattutto l’imbarazzo su qualche argomento.

Vi ringrazio ancora per le recensioni e… Buon Natale a voi e alle vostre famiglie, anche se non ci conosciamo di persona.

Spero che riusciate a passare delle buone feste e… Spero di postare prima della fine dell’anno, sennò anche Buon anno nuovo!

Alla prossima <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Upset. ***


                                                 Upset.           

Sixteenth Chapter.

Pov Nina.

Mi sveglio quasi di soprassalto quando sento qualcuno accarezzarmi la mano. Chi può essere a quest’ora? Mi sono appena addormentata. 

Apro piano gli occhi scontrandomi con il viso luminoso di Eric. Non appena si accorge che ho aperto gli occhi il suo sorriso si fa ancora più ampio e io, stranamente, non ricambio.

In questo momento non ho voglia di sorridere, non sorrido e basta. Non perché ce l’abbia con lui, mi sta continuamente vicino, ma perché dovrei sorridere in una situazione del genere?

Eric, invece, non sembra aver preso male questo mio gesto, anzi, mi posa un casto bacio sulle labbra.

 

“Buongiorno.”- mormora sulle mie labbra, per poi staccarsi. -“Come ti senti oggi?”

“Come ieri.”- rispondo io per poi afferrare il cellulare per controllare l’ora. -“Sono le dieci del mattino?”

 

Ma quanto diavolo ho dormito? Non dormivo così tanto da molto tempo, eppure mi sento ancora stanca.

Credo di aver dormito così a lungo per le medicine, ieri, a causa dei vari dolori, mi hanno dato parecchio antidolorifico e questi sono i risultati.

 

“Ne avevi bisogno, non è poi così tardi, comunque.”- sorride accarezzandomi un braccio. -“Tra poco ti porteranno la colazione, anche se è passata due ore fa circa. Poi verranno a visitarti e faranno altri accertamenti.”

“Ancora?”- domando tra l’allibito e il scocciato.

 

E’ da quando mi sono svegliata che continuano a farmi esami. Che cos’altro devono esaminare? Le mie gambe non funzionano, non vedo che altro debbano controllare.

Eric annuisce capendo il mio disagio.

 

“Devono controllarti le ferite, per capire quando togliere i punti, e le costole. Poi anche le gambe, sai per…”- inizia, ma non termina la frase non trovando le parole adatte.

 

Effettivamente in tutta questa situazione non ci sono parole adatte. E’ la situazione che non va, sono io che non vado.

E voglio tornare a casa, sono stufa di rimanere qui. Sono stata in coma per tre settimane, da quello che ho capito, e non voglio passare un giorno di più in questo maledetto ospedale. I medici, invece, sembrano intenzionati a tenermi qui il più a lungo possibile, ma io voglio vedere i miei figli e allontanarmi da tutto questo bianco.

 

“I bambini sono a scuola?”- domando lieve.

“Si, hanno chiamato tua madre questa mattina per salutarti, ma, per ovvie ragioni, non hanno potuto. Credo che richiameranno più tardi, o che comunque vengano qui.”- mi spiega dandomi un bacio sul naso.

“Jonathan?”- domando.

“Lui sta bene.”- mi sorride. -“Non ti devi preoccupare degli altri in questo momento, ma solo di te stessa.”

 

Qualche secondo dopo sento bussare e vedo mia madre fare capolino all’interno della stanza con un vassoio più grande di lei. Davvero la colazione dell’ospedale è così sostanziosa? Dallo sguardo che ha Eric capisco che non è quella dell’ospedale, ma è qualcosa architettato da lei.

C’è di tutto sul vassoio, peccato che io non abbia fame. La fame è l’ultimo dei miei pensieri adesso. 

Uno di questi è il fatto che nessuno mi abbia voluto dire la verità, Ian escluso. Nè mia mamma, né mio fratello, né mio padre, nemmeno Eric. Ian me l’ha detta, non loro. Con mia madre ci siamo ‘chiarite’, diciamo che ho dovuto lasciar perdere anche se mi sento profondamente tradita.

Ho dovuto rendermene conto da sola, nessuno si è scomodato per dirmi quanto stava accadendo e credo che questo non glielo perdonerò mai. A nessuno. Me lo sarei aspettato da tutti, ma non dalla mia famiglia e dal mio fidanzato. Loro l’hanno fatto per il mio bene, ieri mia madre me l’ha ripetuto così tante volte che, ad un certo punto, ne ho perso il conto, ma il mio bene era la verità, non le bugie.

 

“Tesoro, ti ho portato la colazione.”- mi sorride mia madre camminando a fatica fino al mio letto. -“Ho cercato di trovare quello che ti piace, è stato quasi impossibile, ma penso che vada bene, no? Sicuramente è meglio di quella che ti avrebbero dato qui, se proprio vogliamo essere sinceri.”

“Ti ringrazio, mamma, ma… Non ho molta voglia di fare colazione in questo momento.”- le dico.

 

Mia madre mi guarda come se fossi impazzita del tutto.

Apprezzo il gesto che ha fatto, davvero, ma i miei problemi sono altri e non il cibo. Non ho fame e non mangerò.

 

“Spero che tu stia scherzando.”- mi riprende appoggiando il vassoio sul tavolino accanto al mio letto. -“Ti sei svegliata ieri ed è da allora che non mangi niente. Non che tu abbia mangiato qualcosa di solido in questo mese, ma almeno sei stata nutrita per via flebo. Devi rimetterti in forze, altrimenti non accadrà nulla. Come pensi di poter camminare senza recuperare le forze?”

“Non penso di camminare e basta.”- le dico dura. -“Voi ci potrete pure cascare, io no. Gli sguardi che mi hanno rifilato i medici ieri non avevano nulla di rassicurante e molti erano pure falsi. Conosco il mio corpo e sono arrivata ad una conclusione.”

“Stai facendo la melodrammatica, Nina!”- mi rimprovera mia madre sotto lo sguardo attonito di Eric. Lui non è ancora intervenuto e in questo momento lo sto ringraziando mentalmente. -“E’ passato solo un giorno da quando ti sei svegliata, non puoi avere tutto subito.”

“E quasi un mese da quando ho fatto l’incidente. Se foste tutti sicuri della mia miracolosa guarigione non avreste aspettato ore per avvertirmi. Non ne siete convinti nemmeno voi, figuriamoci se posso esserlo io.”- rimetto io incrociando le braccia al petto.

“Se parti già così, dopo solo poche ore, rimarrai così a vita.”- ribatte mia madre gesticolando nervosamente.

“Come se avessi altra scelta, dopotutto.”- rispondo io.

“Vuoi almeno ringraziare il fatto che tu sia ancora viva?”- urla mia madre facendo sobbalzare sia me che Eric. -“Non hai le gambe, ma sei viva. E’ da ieri che non fai altro che parlare di questo, ma a quest’ora potevi essere già morta. Ringrazia il cielo che tu sia viva e vegeta.”

“Avrei preferito morire che rimanere così a vita.”- sbotto io.

 

Il dolore lo sento subito, ma non è niente in confronto al gesto. E’ uno schiaffo forte, preciso. Mia madre mi osserva per qualche istante, con occhi furenti, poi esce sbattendosi la porta alle spalle. Rimango un attimo in trance per il gesto, non avevo mai ricevuto uno schiaffo da lei, nemmeno da piccola.

Solo epiche sgridate e punizioni, non mi ha mai toccato nemmeno con un dito -in senso cattivo.

Sono dovuta arrivare a trentaquattro anni d’eta per ricevere uno schiaffo da mia madre, più che meritato direi.

Non volevo dire quello che ho detto, ho cominciato a non ragionare e mi è semplicemente uscito dalla bocca. Mi porto una mano sulla guancia sotto lo sguardo preoccupato di Eric.

Non mi dice nulla, io abbasso solo lo sguardo imbarazzata non trovando nulla da dire.

C’è veramente qualcosa da dire in questa situazione? Ho appena fatto arrabbiare l’unica persona che ci sarà sempre per me e questa volta credo di averla combinata grossa.

 

“Nina, lei… Non avrebbe voluto farlo, era solo-”

 

Eric inizia a parlare tentando di consolarmi e di scusarci, di scusarmi, di scusarla, ma in questo momento non ho voglia di affrontare una lunga discussione su quello che ho fatto -su quello che è successo. Non ho voglia semplicemente perché so quello che mi aspetta dopo, voglio solo rimanere sola. E’ da un giorno, anche qualcosa in più, che mi sono svegliata e non ho mai avuto un attimo di tregua per mettere in ordine le mie idee.

Ora ho davvero bisogno di stare da sola, almeno un po’, per pensare a tutto quello che è successo e mi sta accadendo.

Ne ho bisogno.

 

“Eric, voglio stare da sola.”- gli dico.

“Nina, non credo che ti faccia bene stare da sola.”- mi dice dolcemente lui.

Ho bisogno di stare da sola, ti prego.”- lo imploro quasi e lui capisce.

 

Mi lascia da sola, non prima di avermi dato un bacio sulla fronte.

Mi copro la faccia con le mani scuotendo più e più volte la testa. E’ da quando mi sono svegliata che niente va per il verso giusto, la mia vita non va per il verso giusto.

Le gambe in primis, Ian, mia madre. Da quando ho aperto gli occhi non c’è una sola persona che non litighi per me, con me. Ian con mia madre, io con mia madre. In un modo o nell’altro il motivo sono sempre io. Ho sbagliato a dire quello che ho detto prima a mia madre, ho veramente sbagliato. Mi hanno detto -e l’ho immaginato da subito, ne ho avuto la certezza- che non ha praticamente mai abbandonato questa stanza, era sempre con me. Qualche volta l’ha abbandonata per i bambini, perché avevano bisogno anche di lei, ma è sempre ritornata. So che ha sofferto molto, come tutto il resto della famiglia. Mia madre, Alex, mio padre, i bambini, Ian, Eric, i miei amici. Tutti l’hanno fatto, ma la persona che ha sofferto più di tutti è stata mia madre. Anche i bambini, certo, loro hanno sofferto come pochi, ma niente può essere paragonato al dolore di una madre mentre vede il proprio figlio, o la propria figlia nel mio caso, tra la vita e la morte. Sapere da Ian la verità -per quanto mi abbia fatto piacere ed abbia aumentato la mia fiducia su di lui- mi ha scombussolato un po’ tutto perché volevo sentirlo da mia madre.

L’ho chiesto io a Ian, è vero, ma perché avevo capito che mia madre non mi avrebbe detto nulla. E forse è per questo che ho alzato la voce con lei, mi sono sentita tradita perché… Avrei voluto che fosse lei a dirmelo, perché sarebbe stata capace di farmelo affrontare forse al meglio, mettendomi davanti la cruda realtà, ma riuscendo in qualche modo ad aiutarmi come solo una madre sa fare. Non che Ian non abbia giocato un ruolo importante, solo lui avrebbe potuto dirmelo e solo lui ha evitato che perdessi la testa, ma mia madre è pur sempre mia madre.

E mi sto odiando in questo momento per quello che le ho detto, per quello che le ho fatto fare. Lo schiaffo… Lei non l’avrebbe mai fatto, l’ho costretta a farlo e, ovviamente, si starà incolpando anche per questo, come si incolpa per quello che mi è successo. Non lo dice, ma lo vedo. La colpa è mia, invece. C’ero io in quella macchina, non lei. Lei non avrebbe potuto fare nulla, io forse qualcosa di più. Magari non sarei dovuta scappare via da Ian in quel modo, l’ho fatto perché avevo bisogno di staccare la spina da tutto ed è successo un disastro.

La mia vita ultimamente è un disastro. Ero a così poco dalla felicità, dall’essere con Ian, che mi è stata portata via in un soffio ed ora la perdita delle gambe non ha fatto altro che aggravare la situazione. E’ sbagliato quello che sto dicendo, ma è inutile continuare a nasconderlo.

Quello che provo per Ian non lo proverò mai per nessun altro. Il fuoco ad ogni suo tocco, l’attrazione che c’è tra di noi, la passione, la complicità e il solo fatto di non pensare più a nulla… Nessuno prenderà il posto di Ian, nemmeno Eric. Ma Ian ha una moglie e un figlio, io ho Eric. Ad Eric sono legata e voglio bene, non sarà mai Ian, ma è comunque un uomo perfetto. Magari quell’amore travolgente arriverà, solo che con Ian era arrivato subito, come una scossa.

E ho paura, ho dannatamente paura di perdere tutto. Tutto quello che ho avuto fino ad ora… Ho paura di perderlo. Non sono più in grado di essere autosufficiente, date le circostanze, e sarò un peso per chiunque. Prima ero in grado di fare qualsiasi cosa da sola, ho cresciuto due bambini praticamente da sola -escludendo ovviamente i miei genitori e Alex, aiuto comunque importantissimo e costante-, ed ora non sono più in grado di andare in bagno senza l’aiuto di nessuno.

E francamente quanto potrà durare questo? Ora sono tutti qui, per me, ma per quanto?

 



























 

                                                              * * *
























 

 

Una settimana dopo.

 

“Non senti niente?”- mi domanda il medico tastando la mia gamba. -“Nemmeno se premo un po’ più forte?”

 

Scuoto la testa sospirando. E’ da un’ora che stanno facendo i soliti esami, con qualcosa anche di nuovo, ma niente. Non sento niente. Se mi amputassero una gamba non sentirei niente ed è brutto da dire, ma è così.

 

“Vuoi che riproviamo di nuovo?”- mi domanda ancora lo stesso medico. E’ l’unico qui che non si abbatte ed è quello che mi piace di più. Ha gli occhi azzurri che mi ricordano parecchio quelli di Ian. Ian che da una settimana è stano e non riesco a capire il perché. -“Ti aiuto ad alzarti.”

 

Si, è passata una settimana e sono ancora in ospedale. E’ un mese esatto che sono qui, forse qualche giorno in più. La situazione è ancora uguale, ogni giorno faccio continue visite e continui esercizi, ma nulla è ancora cambiato. Niente. Mia madre è ancora arrabbiata con me, Ian viene a trovarmi ogni giorno, ma c’è comunque qualcosa che lo tormenta e non capisco cosa, ed Eric è sempre una presenza costante.

Anche i bambini vengono ogni giorno a trovarmi e non vedono l’ora di portarmi a casa. Io non vedo l’ora di tornare a casa per stare con loro.

 

“Ieri non ce l’ho fatta, non ce la farò nemmeno ora.”- gli rispondo.

“Sei la paziente più pessimista che abbia mai avuto.”- mi rimprovera bonariamente. -“Dovresti sorridere. Hai un marito e dei figli stupendi.”

 

Marito? Quale marito?

Aggrotto le sopracciglia non capendo. Fino a prova contraria non sono sposata.

 

“L’uomo dagli occhi azzurri, capelli neri. Quello di ieri.”- mi ricorda il medico prendendomi in braccio e sistemandomi sulla sedia a rotelle.

 

Oh. Ian.

 

“Siete una bella coppia.”- commenta iniziando a spingere la carrozzina.

 

All’inizio avevo pensato che si fosse preso una cotta per me, mi era sembrato fin troppo caloroso da subito. Poi, invece, ho scoperto, anzi, mi ha raccontato, di essere gay e pure sposato. All’inizio ho pensato che mi avesse riconosciuta, ma alla fine non sapeva nemmeno chi fossi. Le ricordavo solamente la sorella. Sorella tra l’altro fan di The Vampire Diaries. Il povero medico, quando ha capito chi fossi, mi ha guardato come se fossi un marziano e mi ha chiesto un autografo per la sorella. La sorella ne è stata felicissima, ma ovviamente lui non ha potuto dire nulla sulla mia condizione. Segreto professionale e mia volontà.

 

“Oh, ma lui non è mio marito.”- lo correggo subito.

“E’ comunque un compagno fantastico.”- mi dice portandomi fuori dalla stanza. -“Si dice ancora compagno? O è meglio fidanzato?”

“Non è nessuno dei due, lui è… Il padre di miei figli.”- mormoro osservando le pareti bianche dell’ospedale.

“Ohm. Uhm. Brutta storia?”- mi domanda aprendo la porta della mia camera.

 

Non rispondo perché, con mia sorpresa, noto che c’è Ian all’interno della stanza, proprio quel qualcuno di cui stavamo parlando.

Non appena mi nota mi sorride raggiante, mentre Oliver, il medico, lo sta guardando come se fosse l’uomo più bello del mondo.

Okay, lo è. Per me lo è. Anche per lui lo è. Dio, che confusione!

 

“Non per dire, ma… Ha una cotta colossale per te…”- mormora al mio orecchio per poi sparire dalla stanza.

 

Ian mi guarda per qualche istante, poi si avvicina a me.

 

“Te la fai con il medico?”- mi domanda tra il curioso e tra l’irritato.

 

E’ serio? Tecnicamente quella preoccupata dovrei essere io.

 

“Secondo te ho il tempo o la voglia per certe cose?”- gli domando guardandolo negli occhi.

“No, è solo che… Avete una certa intesa, tutto qui.”- borbotta.

“Intesa? Ci siamo scambiati una parola in croce di fronte a te. E poi sua sorella è una nostra fan e le ho fatto un autografo.”- gli rispondo e lo vedo spalancare gli occhi. -“Ovviamente non sa che sono qui, ma non so comunque che scusa le abbia inventato.”

“Uhm, meglio.”- mi domanda ancora poco convinto.

“E comunque quella preoccupata dovrei essere io, o qualcun’altra.”- gli dico. 

 

Ian rimane per qualche istante imbambolato, non capendo dove voglia arrivare. 

 

“Non mi aiuti?”- gli domando indicando con la testa il letto.

 

Annuisce ancora confuso, poi mi prende delicatamente in braccio e mi adagia sul letto. Mi copre bene affinché non possa prendere freddo, visto che siamo a febbraio.

 

“Preoccupata tu?”- mi domanda, poi annuisce confuso. -“Oh… Ho… Ho capito.”

 

Ridacchio mentre lo osservo chiaramente in difficoltà.

 

“Non che abbia qualcosa contro, solo… Avrei dovuto capirlo da come mi guardava e non… Non voglio avere strane relazioni.”- balbetta.

“Non preoccuparti, è sposato.”- lo avviso cercando di non scoppiare a ridere.

 

Non che abbia qualcosa contro gli omosessuali, ognuno è libero di amare chi vuole, ma vedere Ian così in difficoltà mi diverte un sacco e per un attimo riesco a dimenticare qualsiasi cosa.

 

“Uhm, bene.”- borbotta scuotendo la testa.

“Non ti aspettavo oggi.”- gli dico. -“Ero convinto che venissi questa sera con i bambini.”

“Avevo voglia di salutarti e… Ho alcune cose da dirti.”- mi dice inclinando leggermente la testa.

 

E’ successo qualcosa ai bambini?

 

“E’ successo qualcosa ai bambini?”- domando, infatti.

“Beh, è successo qualcosa con Stefan.”- mi dice, ma dal suo tono capisco che non è niente di così grave.

 

E’ allarmato, ma comunque non è così grave da farmi andare fuori di testa.

 

“Che cosa ha combinato?”- domando leggermente rassegnata.

“Oltre al fatto di aver rovesciato due bottiglie di latte in piena notte per dei biscotti?”- mi domanda retorico.

 

Scoppio a ridere di gusto e dopo qualche istante Ian mi segue. Tipico di Stefan. E’ sempre stato quello più goloso tra i due ed è sempre alla ricerca di cibo, soprattutto di notte.

Pensavo peggio, dopotutto.

Ma quell’oltre mi preoccupa leggermente. Che cos’ha fatto ancora?

 

“E’ alla continua ricerca di biscotti.”- sottolineo io ridacchiando ancora. -“Che cos’altro ha fatto? Ha mangiato una torta intera?”

“No, quello potresti averlo fatto tu.”- mi dice, poi si fa improvvisamente serio. -“A proposito di cibo, sono venuto a sapere che tu-”

 

Lo zittisco portandogli un dito sulle labbra.

Non si sta parlando di me, ma dei bambini. Ho già litigato con mia madre per questo, anche se sotto c’era dell’altro, e ho avuto qualche dibattito con mio padre, Eric e Alex, non voglio affrontare di nuovo l’argomento.

 

“No, stiamo parlando dei bambini.”- lo ammonisco.

 

Sospira rassegnato sedendosi sul letto accanto a me.

 

“Ha la ragazza.”- mormora affranto.

 

Davvero? Ed è una cattiva cosa? Joseph è da quando ha cominciato ad andare all’asilo che nomina sempre nomi diversi di ragazze. Ogni giorno usciva a mano con qualche bambina nuova. Stefan è stato sempre quello più riservato, ma comunque sono felice per lui.

Ha solo sette anni, ma è un piccolo ometto. E’ il mio piccolo ometto.

 

“Ed è un dramma?”- gli domando ridacchiando di nuovo.

“No, cioè… Mi ha chiesto di portarlo a prendere qualcosa per San Valentino! Ti rendi conto? San Valentino!”- borbotta.

“E allora?”- gli domando.

“Andiamo, Neens, non so nemmeno io cosa sia San Valentino, figuriamoci lui.”- borbotta ancora.

“Tu odi San Valentino.”- gli ricordo.

“Si, ma non è questo il punto. Mi aspettavo che mi chiedesse qualche consiglio per conquistarla, non sono tipo da regali. Mi aspettavo che me lo chiedesse, è pur sempre mio figlio.”- mormora affranto.

“Ha solo sette anni, non penso sappia il significato di conquistare in amore.”- gli ricordo io.

“Lo so, ma… Gli ho anche chiesto se gli servisse una mano o qualche consiglio sulle ragazze… Bambine, in questo periodo è più… Adatto.”- borbotta ancora facendomi sorridere. -“Sai cosa mi ha risposto? ‘Papà, ormai sono grande, faccio da solo.’ Mi ha dato del vecchio in pratica, capisci?”

“Ti ha solo detto che non ha bisogno di aiuto, non fare il melodrammatico.”- obietto io scuotendo la testa.

“Stanno crescendo così in fretta, mi sembra ieri la prima volta che li ho visti.”- mormora accarezzandomi distrattamente un braccio. -“Non manca così molto che se ne vadano via di casa.”

“Hanno sette anni, entrambi. Devi stare tranquillo, è ancora presto.”- ribatto io ridacchiando per l’ennesima volta.

“Oh, ma hanno già la fidanzatina. Penso anche Joseph. No, Joseph penso ne cambi una al mese, o una a settimana. Dio, devo fare qualcosa con quel bambino. Non può iniziare subito così, l’età adatta è dai quindici anni in poi.”- continua a blaterare.

“Non insegnerai a nostro figlio la tattica della botta e via. Sono piccoli, non hanno il senso dell’amore, ma quando diventeranno più grandi dovranno capire che non è giusto fare così.”- lo ammonisco.

“Ma è così bello divertirsi finché si è giovani-”

“Non voglio pensare a mio figlio sotto quella veste, Ian!”- urlo quasi coprendomi le orecchie. 

 

Sento comunque quello che mi deve dire.

 

“Sai che mi hanno chiesto come si fanno i bambini l’altro giorno? Credo che la mia presenza gli faccia male.”

 

Ride, mentre io mi porto le mani nei capelli.

Oh, mi sembra un argomento perfetto.

________________________________________

 

Buon pomeriggio a tutte :)

Ebbene si, sono riuscita ad aggiornare prima dell’anno nuovo. Avrei preferito aggiornare domani, ma non ero sicura di riuscire a farcela quindi, per evitare di non aggiornare, ho fatto tutto oggi.

Inizio con il farvi gli auguri di Buon Anno Nuovo anche se in anticipo di due giorni perché è evidente che non ci sentiremo più fino a inizio 2016! Buon Anno Nuovo a voi e alle vostre famiglie, dunque ^^

Passiamo direttamente al capitolo. E’ un capitolo molto leggero, se escludiamo la prima parte, e l’ho tagliato così perché altrimenti sarebbe diventato troppo lungo e leggeremo il continuo sul prossimo.

La prima parte forse è quella più strana perché non abbiamo mai visto un litigio tra Nina e Michaela, nemmeno quando lei, nel flashback, le ha detto di essere incinta. Ma Michaela qui è semplicemente scoppiata. Nina, ovviamente, si è subito pentita di quello che ha detto, ma, presa dalla situazione e da tanti altri fattori, ha detto quello che pensava in quel momento, non quello che effettivamente voleva. Sua madre ovviamente ha agito di conseguenza provocando un’incrinatura nel loro bellissimo rapporto, ma vedremo come lo affronteranno, anche se non durerà molto questa ‘rottura’, perché comunque Nina ha bisogno di lei più di chiunque altro.

La seconda parte, che occupa gran parte del capitolo, è quella più leggera e forse più comica. Dopo capitoli pieni di tristezza -e noia?- ho deciso di inserire qualche momento leggero. Ian, poi, sta tentando di portare leggerezza a Nina, anche se rimane comunque preoccupato per Stefan, bambino che tra l’altro ha la ragazza.

Questione da niente, ma tanto basta per far preoccupare Ian, per un motivo futile, ma è sempre comunque un padre apprensivo. Ian che è preoccupato per altri motivi, ma verranno svelati nel prossimo capito anche se, uno di questi, sarà un tabù anche per voi.

Se avessero avuto una bambina credo che sarebbe stato peggio ahahaha

Ringrazio le 13 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo a cui risponderò a breve, alla prossima ^^

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Capitolo 17
*** What's goin on? ***


                                          What's going on?


Seventheenth Chapter.
Pov Nina.

Rimango per qualche istante a guardarlo ridere, poi decido di domandargli perché è effettivamente qui. Mi fa piacere che sia qui, non posso nasconderlo, ma c’è dell’altro. Dell’altro che riguarda me o lui.

 

“Ian, perché sei qui?”- gli domando piano.

 

Lui in risposta aggrotta le sopracciglia, turbato.

 

“Ti dispiace che sia venuto qui a trovarti?”- mi domanda sorpreso.

“Non ti ho detto questo.”- gli faccio notare abbassandomi un po’ la coperta. -“Sei sul serio venuto qui per dirmi di Stefan?”

“Si e… No.”- mi risponde.

 

Ecco, lo sapevo.

Che cosa c’è ancora?

 

“Ho saputo che… Avete litigato. Tu e tua madre, intendo.”- mormora cercando di misurare le parole.

 

Si, io e mia madre abbiamo litigato, ma è una cosa nostra. Ho tentato di iniziare una conversazione, ma… Ha sempre tagliato corto. L’ho offesa veramente, non con parole pesanti, ma credo di averla offesa nell’anima e dovrò impegnarmi veramente tanto per avere il suo perdono. Solo che non trovo nemmeno io le parole adatte.

Può bastare un semplice Scusa? Può essere, come no.

 

“Si, allora?”- domando diffidente.

“Da quello che mi ha detto ha ragione.”- ribatte serio guardandomi attentamente negli occhi. -“Non dovevi dirle quelle cose.”

 

Da quello che mi ha detto? Da quando lui e mia madre sono diventati confidenti? Fino a una settimana fa stavano litigando per causa mia, com’è possibile? Quante cose possono cambiare in una settimana.

 

“Da quando siete diventati confidenti?”- domando forse troppo brusca.

“L’altro giorno è venuta a prendere i bambini da me, voleva vederli e i gemelli volevano stare con lei, come giusto che sia. Non mi sembrava la Michaela del solito e… Mi ha spiegato quello che è accaduto. Come puoi pensare una cosa del genere?”- mi domanda con tono grave. -“Sei viva, Nina, ed è questo l’importante.”

“L’ho detto in un momento di… Non era un bel momento, okay? Tutti possono sbagliare, perché io no?”- domando, invece.

 

Lo sguardo di Ian si addolcisce e mi accarezza delicatamente una mano.

 

Tutti possiamo sbagliare, senza distinzioni. Quello che volevo dire è… Sono state parole molto forti. Tu pensi davvero questo? Avresti preferito morire piuttosto che essere qui?”- mi domanda.

 

Sospiro abbassando lo sguardo. Vivere è un dono, lo sappiamo tutti e si, preferisco essere viva così. Adesso lo penso, ma dopo? Cosa dirò tra qualche mese, tra qualche anno?

Ho dannatamente paura di non riuscire a farcela e il futuro -un futuro così- mi spaventa.

 

“No, sai che non è così. E’ stato uno sbaglio dire quello che ho detto.”- rispondo infine.

“Tua madre è preoccupata Nina. E si sente tanto in colpa.”- mi dice piano.

“Perché in colpa?”- domando leggermente sbigottita. -“Lei non ha fatto nulla.”

“Per cosa ha fatto dopo quello che le hai detto.”- sottolinea.

“Io mi sto sentendo in colpa, non lei.”- specifico invece. -“E vorrei chiederle scusa, ma non ne trovo la forza.”

“Perché?”- mi domanda mentre io appoggio la testa sulla sua spalla. 

“Perché ho paura che dopo abbia troppe aspettative e io non… Non ce la faccio. Dopo si metterebbe in testa che io sia in grado di farcela e non voglio deluderla, non ancora. L’ho delusa con quello che le ho detto, me ne rendo conto, ma non posso farlo ancora.”- mormoro abbassando il capo mentre i miei occhi diventano lucidi.

“Non hai deluso tua madre, Nina, è solo rimasta… Sorpresa, tutto qui. E no, nessuno si aspetta nulla. Non deluderai tua madre anche se non riuscissi a”- si blocca per qualche istante osservandomi indeciso se continuare. “farcela, perché ce la farai.”

“E se non ce la facessi?”- domando io. Mi indico le gambe con la testa. -“Guardami, sono qui da una settimana e… Nulla.”

“Hai troppa fretta, sei sempre stata così frettolosa. Ci vuole tempo e calma per queste cose.”- mi risponde Ian accarezzandomi una gamba.

 

Sospiro frustrata. Lui l’accarezza, ma io non sento nulla.

 

“Credi che possa perdonarmi?”- gli domando. -“Per quello che le ho detto.”

“Sono sicuro che lo farà. Avete avuto un brutto momento entrambe, ma andrà tutto bene.”- mi dice toccandomi il naso con la punta delle dita.

“Ti ha mandato mia madre qui? O vuoi soltanto guadagnare dei punti con lei?”- domando io leggera.

“Se tua madre sapesse che sono qui mi ucciderebbe e no, non voglio guadagnare punti con lei, non deve sapere che sono stato io a farti rinsavire.”- mi dice sorridendo.

 

Gli tiro un pugno sul braccio e lui fa una smorfia addolorata.

 

“Non sei stato tu a farmi rinsavire, avrei fatto pace comunque.”- borbotto io.

“Quindi mi stai dicendo che non ti sono stato d’aiuto?”- mi domanda offeso.

“Al contrario. Grazie per essere stato il mio confidente, ne avevo bisogno…”- mormoro invece sorridendogli.

 

Rimaniamo per qualche secondo in silenzio. Secondi che sembrano minuti, ore, ma non mi pesano affatto. Il silenzio tra noi è sempre stato pieno di parole, tranquillità, calma.

Ed è proprio vero che, quando stati bene con una persona, il silenzio non è per nulla imbarazzanti e ti senti a tuo agio comunque.

Poi, però, decido di domandargli dall’altro.

 

“E tu invece cos’hai? Ti ho visto parecchio turbato e non penso che sia colpa di mia madre…”- mormoro alzando gli occhi verso di lui.

 

Lo vedo sospirare leggermente passandosi una mano tra i capelli. Gesto che fa quando è nervoso. O agitato. O nervoso e agitato insieme, cosa che, in questo momento, sembra essere veramente.

 

“Non ho niente, davvero.”- mi risponde. 

“Mi sembri strano, mi sto preoccupando per te.”- gli dico accarezzandogli una guancia.

“Non ti devi preoccupare per me, sto bene.”- mi dice dolcemente.

“Mi stai aiutando, vorrei ricambiare.”- gli rispondo io.

“Non preoccuparti, mi stai già aiutando così.”- mi dice.

 

Non mi sembra convinto di quello che sta dicendo, ma decido di non sforzarlo. Quando è sotto pressione rischia di fare cose di cui potrebbe pentirsi non voglio che accada questo. La nostra bolla di sapone è rotta da una porta che si spalanca facendoci sobbalzare entrambi. Davanti a noi c’è Eric.

Oh.

Ian, molto più lucido di me, si alza di scatto facendo finta di nulla.

 

“Non sapevo che fossi qui…”- mormora Eric all’indirizzo di Ian.

“Sono venuto per dirle una cosa sui bambini, ma me ne stavo andando.”- gli risponde Ian con tono pacato, mentre io vorrei solo sprofondare. Non abbiamo fatto niente di male, eppure perché vorrei sparire sotto terra? -“Verrò questa sera con i bambini.”

 

Annuisco incapace di dire altro. Ian e Eric si guardano per qualche istante, poi alla fine il primo se ne va, non prima di aver salutato entrambi.

Il silenzio cade su di noi ed è una situazione parecchio scomoda. Certo, Eric non ci ha beccato a fare chissà cosa, ma non è stato comunque piacevole ed io mi sento in colpa.

Eppure quando sono con Ian non lo sono, è una situazione così complicata.

Ma quando alzo lo sguardo su di Eric lo trovo tranquillo e nulla mi dice che se la sia presa per quello che ha visto. Anche se non ci sarebbe nessun motivo per prendersela, non abbiamo fatto niente, eravamo solo insieme. Ecco un’altra cosa che distingue Ian con Eric. Il primo è terribilmente geloso e possessivo, il secondo è più mite e molto meno possessivo.

 

“Sono venuto a trovarti per sapere come stai.”- mi dice dolcemente sedendosi sulla sedia accanto al letto. Poi mi porge una scatola. -“E ti ho portato queste. Non sono il massimo per la salute, ma sicuramente scaturiranno un po’ di fame.”

 

Apro la scatola e vedo ciambelle ricoperte di glassa con la cioccolata. Il mio stomaco brontola e forse, almeno una, posso anche mangiarla. La fame c’è, poca, ma c’è e non vorrei offendere Eric. E’ tanto preoccupato per me e non voglio deluderlo ancora. In questa settimana sono stata un po’ nel mio mondo e non gli ho dato le meritate attenzioni, anche se non è una colpa grave. Il mio pensiero è solo una e potrebbe essere una cosa egoista, ma con tutto quello che mi è capitato non potrebbe essere diversamente.

 

“Grazie.”- gli sorrido prendendo una ciambella. Eric mi guarda soddisfatto e felice nel vedermi mangiare qualcosa. -“Mi mancavano le ciambelle.”

“Non ti piace proprio il cibo dell’ospedale, eh?”- mi domanda scuotendo leggermente il capo.

“Non è che non mi piace, è solo…”- mi blocco per qualche secondo. -“Okay, fa schifo, ma ultimamente non ho molta fame e non voglio essere pressata.”

“Va bene.”- alza le mani in segno di resa facendomi ridacchiare. -“Niente più pressioni, ma sono comunque felice di vederti mangiare qualcosa.”

 

Finisco di mangiare la ciambella e appoggio la scatola sul comodino accanto al letto sentendomi già piena. 

 

“Solo una?”- mi domanda quasi con rimprovero. -“Mangiane almeno un’altra, ti farà bene.”

“Credo sia la prima volta che sento dire che i dolci fanno bene.”- ridacchio, ma poi ritorno seria. -“Sono piena, davvero, magari dopo ne mangerò un’altra.”

 

Rimaniamo per qualche istante in silenzio, godendo uno della presenza dell’altro, poi Eric mi bacia la fronte dolcemente sedendosi accanto a me nel letto.

 

“I medici ti hanno detto qualcosa di nuovo?”- mi domanda piano, come per paura di una mia reazione.

“No, nulla. Hanno solo detto che le costole e le altre cose sono apposto, ma… Nulla di nuovo.”- gli dico sospirando.

“Nemmeno quando potrai tornare a casa?”- mi domanda.

“No, non hanno ancora parlato di questo. Spero il prima possibile, ma…”- rimango zitta per qualche istante. -“Sono stanca di questo posto.”

“Lo so, amore, ma vedrai che tra poco sarà tutto finito…”- mormora contro le mie labbra.

 





























 

                                                                   * * *





























 

 

Sono stesa sul lettino dello studio del medico e quest’ultimo sta guardando le lastre delle mie costole e quelle della testa.

Poco fa mi ha anche controllato le zone del corpo dove fino a poco tempo fa avevo dei punti e sembra stia andando tutto bene. Mia madre è seduta accanto a me. Ce l’ha ancora con me, ma ha comunque voluto assistere alla visita.

 

“Le costole si sono perfettamente sistemate, visto il tempo che sei stata qui con noi.”- mi dice e io annuisco soltanto. -“Alla testa non hai più problemi, ma questo lo sapevamo già da prima; tutto sommato è stato il punto meno delicato. Le ferite si sono già rimarginate e abbiamo tolto i punti dopo il giusto periodo, quindi è tutto apposto.”

“Questo vuol dire che posso tornare a casa?”- domando con una nota di felicità nella mia voce.

 

Il medico, purtroppo, scuote la testa.

 

“No, non ancora. Tra qualche giorno verrà qui un medico specializzato in casi come questi e vogliamo sentire un suo parere. Non ti farà male rimanere qualche giorno in più.”- mi dice guardandomi.

 

Abbasso il capo sconfitta. Se va tutto bene, almeno quello che dovrebbe andare, perché non posso tornare a casa mia?

Non posso far altro che annuire, mogia.

 

“Non è un dramma, Nina, tra un po’ potrai farlo, solo che quel giorno non è oggi.”- mi risponde aiutandomi a mettermi seduta.

 

Ormai mi conoscono tutti, o quasi. Grazie ai miei figli. Hanno fatto amicizia con tutti venendo costantemente qui e il più delle volte se ne vanno a casa pieni di caramelle. Sarebbero in grado di sciogliere chiunque. Ovviamente, conoscendo i miei figli, conoscono anche me.

Ma non mi importa, io voglio tornare a casa mia.

Ormai sono quasi due settimane che sono qui dentro. Il medico mi prende in braccio e mi adagia sulla carrozzina, poi, seguito da mia madre, mi accompagna all’interno della mia stanza.

Se ne va, una volta sistematami sul letto, lasciandoci da sole. Mia madre fa per andarsene, ma la blocco.

Credo sia giunto il momento per chiarire.

 

“Non andartene.”- le dico e la vedo bloccarsi sulla soglia della porta. -“Ho bisogno di parlarti, ti prego… Mamma.”

 

E mi sembra essere ritornare indietro nel tempo quando, dopo qualche guaio, le chiedevo scusa. Effettivamente la situazione non è molto cambiata, ma questa è più grave.

 

“Dimmi quello che devi dire.”- ribatte fredda.

 

Più fredda del previsto. Non è un buon inizio, ma ho tutta l’intenzione di farmi ascoltare. So che l’ho delusa, ma sono rimasta delusa anche io dal mio comportamento.

 

“Mi dispiace per quello che ti ho detto… L’altro giorno… Più di qualche giorno, l’altra… Quasi due settimane fa…”- mormoro.

 

Mi dispiace? Davvero Nina? Sono in grado di dire molto più che un Mi dispiace.

 

“Non pensavo davvero quello che ho detto, è stato… Non è stato un bel momento, ma non lo pensavo davvero, mamma, devi credermi! Ho sbagliato a dirlo, ma mi è uscito. Sai che non avrei preferito morire, non avevo digerito bene tutto… Non l’ho digerito ancora, ma mi sto davvero impegnando, sto cercando di farlo. Solo che ho… Ho paura, ho davvero paura di tutto questo. Non so come affrontarlo, è tutto così difficile, e non avrei dovuto prendermela con te.”- mormoro.

 

Mia madre mi guarda e non riesco a capire come abbia preso le mie parole. E’ un bene o un male?

 

“Di che cos’hai paura?”- domanda infine.

 

Di che cos’ho paura?

Di tutto, ovvio. 

 

“Di questo, di che cosa possa accadere d’ora in avanti e non so… Non so come affrontarlo.”- le rispondo abbassando lo sguardo. -“Ho paura di non essere abbastanza forte e i bambini… Come farò a prendermi cura di loro da sola?”

“Tu pensi di essere da sola, ma non lo sei. Ti ho mai abbandonata in questi trentaquattro anni di vita? Mai, nemmeno quando mi hai detto di essere incinta. Credevo avessi più fiducia in me. Sono tua madre, come potrei abbandonarti?”- mi domanda chiudendo la porta.

 

Non e n’è andata, è un buon segno.

Io ho fiducia in mia madre, so che non mi lascerà mai, ma non voglio obbligarla a fare questo. Ognuno ha la propria vita e non deve essere obbligato ad essere il mio baby-sitter personale. Ho perso la mia indipendenza, l’unica cosa che mi faceva sentire veramente forte.

 

“So che non mi abbandoneresti mai, mamma, ma ho perso la mia indipendenza, capisci? Prima ero in grado di fare qualsiasi cosa, ora non più. E sto impazzendo qui. Ogni giorno è sempre uguale e… E tutte queste cose… Non… Mi dispiace, non… Non avrei mai dovuto dirti quelle cose, non le ho mai pensate veramente, mi… Mi dispiace. Non ti dico di perdonarmi così su due piedi, perché non ci riesco nemmeno io, ma avevo bisogno di scusarmi…”- le dico affranta.

 

Non alzo gli occhi quando termino la frase perché ho paura di qualsiasi cosa. Nella stanza c’è silenzio e non credo sia un bene. Non mi aspettavo silenzio, magari qualche altra parola, ma… Subito dopo sento due braccia calde avvolgermi e rimango parecchio interdetta e sconvolta. Interdetta e sconvolta. Sconvolta e felice. Felice.

Se mi sta abbracciando vuol dire che mi ha perdonata, credo.

 

“Non serviva tutto questo discorso per dirmi che ti dispiaceva, ma l’ho apprezzato comunque.”- mi dice mia madre accarezzandomi una guancia. Alzo il capo e mi scontro con il suo sorriso. -“Non sono rimasta arrabbiata con te, che poi arrabbiata non ero, per quello che hai detto, ma per come avevi deciso di affrontare il problema. Se anche tu rimanessi così, cosa che nessuno pensa, avresti sempre me ad aiutarti. E tuo padre. E pure tuo fratello, ovviamente, insieme ai bambini. E Ian.”

 

Ho sentito veramente Ian uscire dalla bocca di mia madre?

 

“Non guardarmi così, tesoro, hai capito quello che ho detto. Io e lui abbiamo avuto una conversazione, oh, ma non è importante in questo momento.”- continua stringendomi un po’ più forte. -“Quello che volevo dirti è… Puoi sempre contare su di noi e questo non è assolutamente un obbligo. Ci vorrà del tempo perché le cose si sistemino. Settimane, mesi, forse un anno. Ma andrà tutto bene e, nel peggiore delle ipotesi, avrai sempre la tua famiglia accanto. L’indipendenza non è dettata solo dal corpo, ma anche dal carattere, e tu lo sai.”

“Lo so, ma-”

“Niente ma.”- mi riprende mia madre. -“Hai sentito quello che ha detto il dottore? Tra qualche giorno verrà uno specialista e sicuramente lui ci dirà cosa fare e faremo tutto il possibile per aiutarti. I dottori hanno detto che è incompleta, un motivo c’è.”- continua mia madre.

“Si, però dopo qualche settimana dovrebbe vedersi, sentirsi, qualcosa, no?”- domando.

“No, perché il corpo di ogni persona ha una ripresa diversa. Ci vorrà un po’ più tempo, ma andrà tutto per il meglio, te lo prometto! E non voglio più sentire storie… E’ giusto che tu mi confida le tue paure, puoi sempre farlo, questa non è una situazione facile, ma non voglio più sentirti ragionare così e voglio che tu ti riprenda seriamente.”- mi dice seria. -“Hai mangiato?”

“Una ciambella, questa mattina. Magari ne mangerò una dopo.”- le rispondo. -“Sono perdonata?”

“Serve chiederlo?”- mi sorride amorevole, di un sorriso che solo le mamme sono in grado di fare. -“Vorrà dire che adesso andrò a prenderti qualcosa.”

 

Non ribatto, annuisco soltanto per una volta. 

 

 

 

 

Cinque giorni dopo.

 

“Sei nervosa?”- mi domanda Eric dolcemente.

“Un po’.”- mormoro fissandomi le gambe. -“Non dovrei?”

“Credo sia normale, dopotutto.”- mi bacia dolcemente.

“E se trovasse qualcosa che non va?”- domando piano tamburellando le dita contro il materasso. -“Oltre a quello che ho già.”

 

Il famoso dottore è arrivato due ora fa e tra poco verrà a visitare anche me. Ovviamente ha dovuto visitare anche altri pazienti e questo non ha fatto altro che accrescere la mia ansia… E se magari tutti si fossero sbagliati ed in realtà la situazione è più grave del previsto?

 

“Non troverà nulla, confermerà quello che hanno già detto, vedrai.”- mi dice staccandosi da me. -“Mi dispiace andarmene, avrei voluto esserci.”

“Lo so, non fa… Niente.”- mormoro io al suo indirizzo.

 

Jonathan ha una recita ed Eric, ovviamente, andrà da lui. All’inizio era titubante, ma alla fine l’ho convinto. Non perché non lo voglia, ma suo fratello non ha nessuno altro oltre a lui ed è giusto così.

 

“Non appena finirai la visita chiamami.”- si assicura.

“Lo farò.”- gli rispondo. -“E tu mi racconterai della recita, dì a Jonathan buona fortuna da parte mia.”

 

Annuisce sorridendomi e, dopo avermi dato un veloce bacio, se ne va.

 

 

 

***

 

 

Matthew, il dottore specialista di cinquant’anni circa, mi ha fatto, con l’aiuto degli altri medici dell’ospedale, una visita completa durata quasi un’ora.

Ora sta osservando attentamente tutte le carte e il mio cuore batte a mille. La presa di mia madre si fa più forte e sento anche io la sua ansia. Mio padre e accanto a me, dall’altra parte del letto. Il medico non ha ancora detto nulla, continua a leggere il referto fatto dagli altri medici. La porta all’improvviso si apre e rimango sorpresa.

Ian. Ian? E’ davvero qui per me? Mi guarda e mi sorride, mentre mio padre lo fulmina con lo sguardo, ma si trattiene dal cacciarlo via.

 

“Lei è?”- gli domanda infatti il medico titubante.

“Sono… Mi dispiace essere arrivato così tanto in ritardo, ho-”

“Può rimanere.”- interviene mia madre troncando ogni domanda sul nascere.

 

Mio padre la guarda sbalordito, Ian meravigliato, io non dico nulla. Apprezzo veramente che Ian sia qui in questo momento, lo apprezzo davvero tanto. E non domando nulla nemmeno a mia madre per questo suo comportamento, ora sono concentrata su altro. Ian rimane sulla porta appoggiandosi allo stipite, forse non vuole sentirsi di troppo. Io gli sorrido, grata, e lui ricambia il mio sguardo con la stessa intensità.

Questo momento è rotto dal medico che alza lo sguardo su di me e il sangue mi si gela nelle vene.

 

 

 

_____________________________________________

 

Okay, sono riuscita ad aggiornare prima dell’Epifania, un premio a me. No, nessun premio, è che questa settimana avrei avuto difficoltà ad aggiornare perché sto preparando alcune cose per il mio compleanno e quindi ho preferito aggiornare oggi :)

Altro capitolo Nian, più o meno, se si esclude la parte centrale. Ian è venuto a sapere, tramite un dialogo con Michaela, che lei e Nina hanno litigato e, come un buon pacifista, riesce a far ragionare la ragazza. Non che lei non volesse scusarsi, ma non sapeva bene come farlo perché aveva paura della reazione della madre, quando questa si sentiva pure in colpa.

I “classici” problemi tra madre e figlie, ma poi hanno risolto, anche perché Michaela, come ogni mamma, è un muro portante per Nina e se l’abbandonasse anche lei crollerebbe del tutto. So, le due hanno fatto pace *^*

Ian ha qualcosa che lo sta tormentando, qualcosa che non sapete pure voi, e Nina se ne accorge subito, ma lui non vuole rivelarle nulla. Comincerete a capire qualcosa dai prossimi capitoli, don’t worry.

Poi c’è la parte con Eric, anche se sta andando e venendo a spezzoni, c’è. La situazione del triangolo (Nina-Ian-Eric) è ancora lì e per il momento così rimarrà, anche se Nina si sta rendendo sempre più conto che Eric, attuale fidanzato, non sarà mai come Ian e che non proverà mai un amore così travolgente per lui, ma per quello abbiamo ancora un po’ di tempo. 

L’ultima parte… Non dico nulla sull’ultima parte.

Grazie alle fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, a cui risponderò a breve ^^

Alla prossima <3



PS: E Nina che è andata a fare il bagno con gli squali l'avete vista? Dio mio, senza nessuna gabbia e a vivo contatto con loro... E io che ho paura anche di un minuscolo granchio sulla sabbia, pur abitando al mare... Non ce la posso fare >.<

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Capitolo 18
*** You'll be fine. ***



                                               You'll be fine.




Eighteenth Chapter.
Pov Nina.

 

“L’unica possibilità per una rapida ripresa è un intervento alla colonna vertebrale.”- mormora il dottore guardandomi negli occhi.
 

Il silenzio cala nella stanza, mentre un brivido attraversa il mio corpo. Deglutisco con paura.

Intervento? Nessuno ha mai parlato di intervento, qui. Hanno sempre parlato sempre e solo di riabilitazione, mai di un intervento. 

 

“Intervento?”- domanda mia madre allarmata stringendomi la mano. -“Fino ad ora avevano detto che sarebbe bastata solo la riabilitazione.”

“La lesione spinale, alla colonna, fortunatamente non è andata ad incidere interamente sulla futura capacità motoria della paziente. Come è stato detto, si tratta di paraplegia incompleta, ma, con uno studio accurato, sono arrivato alla conclusione che la riabilitazione non è l’unica cosa sufficiente. Abbiamo danni sulle vertebre e con la sola riabilitazione non si può concludere nulla. Ci vuole un intervento a livello spinale per avere speranza.”

“Speranza in che senso?”- interviene Ian, mentre io sono ancora incapace di parlare.

 

Intervento? Di nuovo?

 

“Ovviamente, dopo l’intervento, bisognerà vedere come risponderà la paziente qui presente.”- spiega il medico indicandomi con lo sguardo. -“Ogni corpo reagisce in modo diverso. Ci potrebbero volere settimane, oppure mesi. Ovviamente dopo l’intervento ci vorrà della riabilitazione, non lo escludo, ma se continuiamo di questo passo non accadrà nulla. Ci troviamo di fronte a una lesione lombare tra la vertebra L1 e L5 e dobbiamo intervenire in quel punto. Sostanzialmente si tratta di ‘mettere a posto’ le vertebre, cioè di togliere i frammenti ossei spezzati, o comunque sul punto di spezzarsi, visto la forza dell’impatto e di sostituirne con dei nuovi.”

 

Dodici occhi si puntano su di me. Quelli dei due medici e della mia famiglia, Ian compreso.

Stanno parlando di aggiustare la mia schiena, quindi? Tutte queste settimane in ospedale non sono servite a niente? Basta davvero un intervento per sistemare tutto?

 

“Quindi lei è convinto di poter aggiustare la mia schiena, non è così?”- domando piano, sperando di aver capito bene.

“Sostanzialmente si, signorina Dobrev. La ripresa richiederà pazienza, ma sono fiducioso sul risultato. Lei è giovane, forte, le sarebbe potuta andare molto peggio. Mi hanno mostrato la sua cartella clinica e si è ripresa alla grande, ora manca solo la sua colonna vertebrale. Alcuni nervi purtroppo sono danneggiati, vedremo in seguito se sistemarli direttamente o con un secondo intervento.”

“Un ulteriore operazione?”- domando con la voce che trema leggermente.

 

Il medico deve aver visto la mia espressione spaventata, per questo mi sorride rassicurante.

Lui, a differenza degli altri, mi ispira fiducia. Sa il fatto suo, non sembra brancolare nel buio.

 

“Non vorremmo procedere per le lunghe. L’intervento al midollo spinale sarà lungo e non sarà semplice, non voglio nasconderle nulla. Non voglio aumentare i tempi della proceduta. D’altronde capisco anche che sottoporsi a due interventi sia piuttosto difficile, ma la scelta è comunque sua. In entrambe le cose.”

 

 

 

 

Apro gli occhi piano, abituandomi poco a poco alla luce che entra all’interno della stanza. Ieri sera, dopo aver parlato a lungo con la mia famiglia, sono crollata sul letto d’ospedale, esausta. E’ stata mia madre a telefonare ad Eric e lui le ha dato tutto l’appoggio possibile, sostenendo che l’operazione sia l’unica via da percorrere, peccato che, sottopormi ad un altro intervento, o a due, per me non sia la prospettiva migliore.

Ma ho deciso: se questo mi permetterà di camminare, allora lo farò. Ho sempre sentito, dentro di me, che la strada percorsa dagli altri medici era senza capo né coda, ma lo specialista mi ha aperto gli occhi. Ho fiducia su di lui, credo che sia l’unico in grado di restituirmi l’uso della gambe. Però un altro intervento implica ancora permanenza in ospedale ed io… Non ce la faccio veramente più. E’ quasi un mese che sono qui e sto andando fuori di testa, letteralmente.

 

“Sei sveglia?”- mi domanda una voce da una parte indistinta della camera.

 

Trovo Ian seduto sulla poltrona, poco più in là del mio letto, che mi sta osservando. Tiene tra le mani un giornale, probabilmente di qualche giorno fa. Mi sorride, dolcemente. Ormai è una persona abituale all’interno dell’ospedale e… Sta passando molto più tempo con me che con sua moglie, infischiandosene di quello che avevamo deciso, di quello che ho deciso. Ma lui non ha voluto sentire storie ed io… Non me la sono sentita di cacciarlo via perché ho bisogno di lui, lui è semplicemente la mia roccia. Ed è brutto pensare a questo mentre ho un altro uomo che si pena per me continuamente, ma è così.

 

 

“A quanto pare.”- gli sorrido. -“Quando sei arrivato?”

“Mezz’ora fa, circa. Ho portato i bambini a scuola e sono venuto qui.”- mi sorride alzandosi dalla poltrona e sedendosi sul letto, accanto alle mie gambe. -“E ti ho portato anche della torta.”

 

I miei occhi si illuminano e, sebbene ultimamente abbia perso l’appetito, la voglia per i dolci è scomparsa. Non mangio molto, nemmeno quelli, però comunque mi invogliano decisamente di più.

 

“A dir la verità l’ha preparata mia madre, ma ha voluto che te la portassi io. Oh, anche i bambini l’hanno aiutata a farla.”- mi dice tirando fuori da una busta un contenitore rotondo con dentro la torta.

“Dì a tua madre che non la mangio.”- gli sorrido. “Lei intendo.”

 

Ian ridacchia, divertito.

 

“Può venire, se ha piacere.”- gli dico.

“Pensa che tu debba stare con la tua famiglia, si sente di troppo.”- sospira passandosi una mano sui capelli.

“Lei è pur sempre la nonna dei bambini, fa parte della famiglia, in qualche modo.”- gli sorrido inclinando la testa di lato. -“Mi farebbe piacere salutarla.”

“Glielo dirò.”

 

Rimane per qualche istante zitto, poi mi guarda serio.

 

“Cos’hai deciso? Riguardo a ieri, intendo.”- mi domanda serio.

“Credo di non aver avuto altre alternative. Lo farò. Non so se funzionerà, ma ho fiducia sul medico, di più di quella che avevo riposto sugli altri. Però non so quando farlo.”- gli rispondo.

“Come quando farlo?”- mi domanda aggrottando le sopracciglia.

“Io… Hai idea da quanto tempo non torno a casa dai bambini?”- gli domando con la voce leggermente incrinata. -“Mi mancano come l’aria.

“I bambini stanno bene, Nina. Sono con me e possono venire tranquillamente qui.”- mi risponde dolcemente.

“Hanno bisogno di una madre ed è da più di un mese che… Mi sto perdendo troppe cose e so che è un pensiero… Egoista, visto quello che è successo tra di noi, ma io…”

 

Non termino nemmeno la frase. Non saprei che altro dire.

Joseph e Stefan, i miei bambini, mi mancano come l’aria e non averli attorno tutto il giorno mi fa andare fuori di testa. Questo mi sta destabilizzando più di tutti, voglio solo stare con i miei figli e loro hanno bisogno di me. Ogni volta che mi vengono a trovare è come tornare a respirare, per tutti e tre, ma, quando è il momento di salutarci, li vedo distrutti, ed io con loro. Per quanto ancora potranno andare avanti così?

 

“Non hanno bisogno di una madre malata. Hanno bisogno di una madre sana. Non che tu non lo sia e… No, non mi sto riferendo nemmeno al fatto della tua paraplegia. Vuoi tornare a casa? E dopo? Sai quanto difficile sarà abbandonare l’ospedale per poi ritornarci?”- mi domanda.

“Lo so.”- mormoro.

“Prolungheremo soltanto le cose e tu hai voglia di guarire. Ma se non agiamo subito, se non facciamo subito qualcosa, tutto questo si protrarrà a lungo e magari tornerai a camminare con mesi di ritardo. Devi fare questo. I bambini sanno che stai attraversando un momento difficile, ma vogliono solo che tu guarisca e sanno, che per farlo, dovrai rimanere in ospedale ancora per un po’.”- mi dice. -“E se non vuoi farlo per loro, fallo per me. Non posso continuare a vederti così… E se questo andrà per le lunghe, peggio sarà. Voglio tornare a vederti come una volta, voglio vedere la Nina combattiva di cui mi sono innamorato.”

 

Le parole di Ian mi colpiscono in senso buono e in senso cattivo. Sto combattendo, lo sto facendo davvero, ma perché pensa il contrario?

 

“Pensi che non stia lottando?”- domano con voce lieve. -“Lo sto facendo!”

“La Nina che conosco a quest’ora sarebbe già in sala operatoria. Sembra quasi che tu stia tentennando per paura.”- mi dice ed io serro le mani a pugno.

 

Possibile che, in due minuti, abbia capito veramente il mio motivo di tentennamento? L’altro motivo. Ovviamente il primo sono i miei figli, loro vengono sempre prima di tutto.

 

“Non è vero.”- mento.

 

Ma Ian mi conosce bene, abbiamo condiviso così tanto, e non abbocca, anzi, mi guarda serio, con sguardo quasi glaciale.

 

“Lo è, so che stai mentendo. Non devi avere paura, andrà tutto bene.”- cerca di rassicurarmi. -“Ammetterlo di farà stare meglio.”

Ho paura, va bene?”- domando serrando la mascella.

“Non che non va bene. Io lo so che hai paura, anche tu lo sai, ma è come se avessi paura di non essere abbastanza forte. Hai affrontato cose peggiori di questo, sei più forte di così.”- mi dice.

 

 

 

Pov Ian.

E la vedo la paura nei suoi occhi, nei suoi gesti.

Ha paura di tutta questa situazione. Di come potrà andare a finire. Dell’operazione. Di gestire tutto questo. Di non mostrarsi abbastanza forte per gli altri. Ma Nina è molto più di questo, ha affrontato mille cose nella sua vita e riuscirà ad affrontare anche questo e, quando lo farà, tornerà più forte di prima.

 

“Ho paura di tutto questo e di come andrà a finire. Vorrei essere forte anche per gli altri, ma non ce la faccio.”- mormora abbassando lo sguardo.

 

Questa visione mi toglie il fiato. Mi avvicino ancora di più a lei e la prendo tra le braccia, tenendola forte a me. Si abbandona contro il mio petto, sospirando. Le accarezzo la base della schiena con una mano, mentre con l’altra le accarezzo il braccio.

 

“Non devi essere forte per gli altri, ma solo per te stessa. Ora conti solo tu, gli altri, me e i bambini compresi, sono in grado di arrangiarsi da soli. L’importante è che tu guarisca, il resto non conta. Tu sei importante, ora.”- mormoro piano e le do un bacio sulla fronte.

 

Rimaniamo zitti per minuti che sembrano ora, entrambi ad ascoltare i respiri dell’altro. E, sebbene la situazione sia drammatica, non riuscirei ad immaginarmi da nessun’altra parte, non vorrei essere in nessun altro posto se non qui.

 

 

























 

                                                                      * * *





























 

 

La prima a rompere il silenzio è Nina.

 

“Lo farò.”

 

Mi stacco leggermente da lei, che fa altrettanto, aggrottando le sopracciglia.

 

“Il prima possibile.”- prosegue. -“L’operazione, intendo. Non ho nulla da perdere, giusto?”

 

Annuisco, sorridendo contro la sua guancia. Questa è la Nina che conosco, la donna che amo alla follia.

 

“Proprio nulla e io sarò qui, con te. E andrà tutto bene, perché ho fiducia in te. Tornerai a camminare e a combinare guai in giro.”- mormoro posandole un bacio sul naso.

“Non sono una bambina.”- si imbroncia, ma sorride. 

“Oh, lo so. Porterò i bambini oggi qui, hanno voglia di vederti.”- le dico.

 

E ho in mente qualcosa per questa domenica, ma sarà una sorpresa. La stiamo escogitando con i bambini e spero che vada a buon fine. Mi auguro solo che non spifferino niente, me l’hanno promesso, ma i miei figli non sanno mantenere i segreti. Per un certo verso è un bene, ma quando si tratta di preparare sorpresa… Rovinano un po’ tutto, ma li amo anche per questo.

 

“Non quanta ne abbia io.”- sospira, ma la vedo felice. -“Mi mancano un sacco.”

 

Rimaniamo per qualche altro istante in silenzio, un silenzio per nulla imbarazzante, quando il mio sguardo si posa sul giornale che stavo leggendo. Me ne stavo dimenticando e questa notizia le darà un po’ di grattacapi. Mi stacco un attimo da lei, che mi guarda quasi contrariata, e afferro il giornale, poi mi risiedo accanto a Nina.

 

“Me ne stavo dimenticando, leggi.”- le dico sospirando e le porgo il giornale.

 

Nina mi guarda stranita, poi lo prende ed inizia a scorrere lo sguardo sulla prima pagina. Rimane per qualche istante in silenzio, poi, dopo aver letto, mi guarda rassegnata. Ha esattamente letto quello che le volevo far leggere. Le notizie sui giornali si stanno facendo sempre più insistenti per quanto riguarda la lunga pausa di The Vampire Diaries e si stanno facendo un sacco di ipotesi al riguardo. Credo sia ora di dire quello che è effettivamente successo perché, almeno per le prossime settimane, non verrà trasmesso ancora nulla. Ovviamente, vista la situazione, Elena non si vedrà fino ad ottobre, se tutto va bene, e per quanto riguarda me e gli altri stiamo valutando il da farsi. La donna che ho di fianco vuole che continuiamo, ma devo curarmi di lei e dei nostri figli, non posso trascurare nessuno dei due. Ma se non comparissi nemmeno io allora ci sarebbero ancora più malelingue su di noi.

 

“Devo fare qualcosa, giusto?”- mi domanda incerta. -“Scrivere qualcosa, almeno.”

“Penso di si, almeno per i fan, ma solo quello che senti di fare.”- mormoro dolcemente spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Niente interviste, non voglio cose di questo genere. Scriverò qualcosa.”- mi dice appoggiando la fronte contro la mia spalla.

“Magari su Instagram o Twitter.”- provo a suggerirle.

“Si, penso di si.”- mi dice alzando gli occhi sui miei. -“Che cosa dovrei dire?”

 

Io non lo so, credo che debba scrivere quello che si sente.

 

“Quello che senti in merito a questa situazione.”- le dico sinceramente. -“Non devi sentirti obbligata a scrivere cose che non vuoi, solo quello che credi giusto.”

“Pensi di potermi aiutare?”- mi domanda. 

“Ti aiuterò con qualsiasi cosa.”- mormoro dandole un bacio sulle labbra.

 

Ed’ è sbagliato questo, tremendamente sbagliato, ma non posso farne a meno. Ho una moglie incinta, a casa, eppure l’unico posto in cui mi sento finalmente io è qui, con lei. Anche con i bambini, certo, ma con lei è tutta un’altra cosa. Lei è la mia metà, mi completa. Ci completiamo a vicenda. Ed ho bisogno di starle vicino, così come lei ha bisogno di me, perché, se non ne avesse, non ricambierebbe così il mio bacio. Percepisco che ha bisogno di me, non in senso carnale -o almeno solo quello-, ma perché sono l’unico con cui abbia una connessione così forte. E sto lottando con le unghie e con i denti per averla e, quando porterò a termine quello che mi sono prefissato, quello che sto scoprendo poco a poco, nessuno mi impedirà di stare con lei.

 

 

 

 

Qualche ora dopo il post di Nina su Instagram, e successivamente su Facebook e Twitter, ha fatto andare in delirio milioni di persone.

 

Cara famiglia di TVD,

la pausa quest’anno si è protratta più a lungo del solito, molto più a lungo, ed è giunto il momento anche per voi di sapere il motivo di tutto ciò, il mio motivo. Si, sono io la causa di tutto questo, sono io la causa di questa infinita pausa. Quasi tre mesi fa ho subito un incidente, un grave incidente. Per fortuna sono qui a raccontarlo, ma il mio corpo non è… Non è più lo stesso. Ce la sto mettendo davvero tutta per recuperare, ma le cose non stanno andando come previsto e questo… E questo sta complicando davvero tutto. Ce la sto mettendo davvero tutta per affrontare quello che mi sta accadendo, grazie alla mia famiglia e all’aiuto delle persona a me più care, e sono sicura che, tra non molto tempo, potrò tornare a fare quello che amo di più: recitare. Molti di voi per giorni e settimane si sono chiesti che cosa fosse successo e perché lo show non fosse più trasmesso. Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto, ma ora, dopo mesi, sono riuscita a vedere la luce in fondo al tunnel.

A presto.

Con amore, 

Nina.

 

 

 

“Hai fatto la scelta giusta.”- le sorrido mentre le rubo un pezzo di torna.

 

Nina mi tira una sberla sul braccio e questo mi fa sorridere, ancora di più.

 

“Perché mi rubi sempre il cibo?”- mi domanda contrariata mentre si porta la forchetta alla bocca.

“Mi piace irritarti.”- mormoro sorridendo sornione.

“Sei un’idiota!”- borbotta con la bocca piena.

“Sono colpito, non lo sentivo da così tanto tempo.”- rido.

“Quando riuscirò a camminare sulle mie gambe non sarai così tanto contento. Mi manca prenderti a calci.”- mi punta il dito contro sorridendo a sua volta.

“Oh, non vedo l’ora.”- rido posandole un bacio all’angolo della bocca sporca di panna.

 

Sembrerebbe una scena innocua, normale, ai nostri occhi. Scherzare così, ridere, punzecchiarci e scambiarci baci fugaci.

Per noi, appunto. Non per Eric che ci sta guardando con faccia tra lo sorpreso, lo scandalizzato -e il consapevole?- e l’irritato. I fiori, che teneva tra le mani, cadono per terra, mentre io e Nina geliamo sul posto.

Oh merda.

 

 

 

 

_____________________________________________

 

 

Scusate per l’enorme ritardo, ma ultimamente sono stata parecchio impegnata con alcune cose e non ho avuto molto tempo di scrivere. In più mi sono portata avanti con l’altra storia, di cui posterò il capitolo entro questa o comunque in settimana, e… Niente, eccomi qui.

Nell’altro capitolo ci eravamo lasciata con il medico specialista e troviamo tutto nel flashback. Ora, per quanto riguarda operazioni e cose varie su questa situazione, mi sono documentata su Internet visitando tutti i siti possibili e immaginabili. Spero solo di non aver fatto qualche gaffe, fatto sta che ormai so praticamente tutto su spina dorsale, vertebre e quant’altro u.u Ma se c’è qualcosa che non va, non esitate a dirlo.

Comunque si, Nina ha bisogno di un ulteriore intervento perché la riabilitazione non avrebbe portato a nulla e, grazie a Ian (ormai è una presenza costante!), ha deciso di farla il prima possibile. Nel prossimo capitolo, comunque, vedremo di nuovo i gemelli, mi manca troppo non scrivere su quei piccini *^*

Un altro argomento importante è il fatto di aver reso pubblica la cosa perché, giustamente, anche il resto del mondo meritava di sapere e non potevo non trattare una cosa così. 

La parte finale credo si… Commenti un po’ da sola. Ian e Nina non riescono a stare separati e, quando sono insieme, è come se fossero solo loro due e che gli altri non esistessero. Anche nell’altro capitolo sono stati beccati insieme da Eric e, anche se per alcune non è sembrato, la cosa l’ha turbato parecchio e beh questa… E’ semplicemente la prova del nove :’)

Ancora oscuro rimane la questione in sospeso di Ian, ma piano piano capirete tutto.

Ringrazio le sei ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima ^^

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Capitolo 19
*** It's done. ***



It's done.



Ninetheenth Chapter.
Pov Nina.

Eric è il primo a fare qualcosa. Ci guarda scandalizzato, ferito -consapevole?- e, prima che possa dire qualcosa, se ne va, lanciandomi uno sguardo risentito e frustrato.

Questo non sarebbe dovuto accadere, non sarebbe dovuto accadere e basta! Avrei dovuto dirglielo io di persona, non avrebbe dovuto scoprirlo così. 

 

“Eric!”- urlo, quasi, sperando che possa ritornare indietro.

 

Non posso lasciarlo andare così, merita assolutamente una spiegazione, non avrei dovuto portare tutto questo a lungo. Oppure semplicemente non avrei dovuto farlo, non avrei dovuto trascinare entrambi fin qui. Me e Ian, intendo. Sono stata una stupida, dannatamente stupida.

Ian, al mio fianco, non fa nulla, è rimasto paralizzato anche lui. Ironia della sorte.

 

“Aiutami!”- gli ordino indicando con la testa la sedia a rotelle, accanto al letto. -“Devo andare da lui, non posso lasciarlo andare così.”

 

Ian, ripresosi dallo shock, mi guarda come se fossi impazzita.

 

“Non guardami così, dannazione! Aiutami e basta, devo parlargli.”- lo imploro, quasi.

“Non credo sia il caso, lui-”

“E’ il caso, si! Dio, mi vergogno così tanto. Ti prego, aiutami, non posso salirci da sola.”- continuo ancora, non volendo ascoltare nessun’altra parola.

 

Ian, finalmente, mi prende in braccio e mi adagia delicatamente sul quel trabiccolo. Esco velocemente dalla stanza, essendo diventata ormai abile sulla carrozzina, e mi guardo attorno. Non c’è. Percorro tutto il corridoio velocemente, per quanto velocemente possa muovermi, e finalmente lo scorgo in fondo al corridoio. Sta camminando veloce, ma devo fermarlo, assolutamente. 

 

“Eric!”- urlo ancora.

 

Vedo i suoi muscoli irrigidirsi, ma non si blocca. Per fortuna non c’è quasi nessuno sul corridoio, ho una stanza privata e questo gioca a mio favore. Poi, all’improvviso, lo vedo rallentare di qualche passo e approfitto del momento per raggiungerlo. Respiro profondamente e lo afferro per la manica della giacca. Lui si stacca da me ed io lo lascio fare. Quando incontro il suo sguardo gelo all’istante. Non mi sono mai sentita così in tutta la mia vita perché non ho mai tradito nessuno e con lui l’ho fatto, non lo meritava, ma me ne rendo conto solo ora.

E mi sento uno schifo per questo, perché, una persona come Eric, non meritava quello che ho fatto, semplicemente non merita me. Lui mi ha dato tutto, si è annullato per me, io invece, sebbene provi qualcosa per lui -che non è amore, perché amore è quello che provo per Ian-, l’ho completamente tradito, in tutti i sensi. Quando stavo con lui sono andata a letto con Ian e ho provato l’impulso di essere single in quel momento, di passare il resto della mia vita con lui. Eppure, poi, con tutto quello che è accaduto, ho fatto finta di niente arrivando ad ora. L’ho distrutto, completamente.

 

“Lascia che ti spieghi, io-”

 

Eric mi interrompe stizzito con un gesto della mano. E’ arrabbiato, frustrato, deluso e ferito. Ogni persona al mondo, vedendo la persona a cui tiene con un altro, si sentirebbe così. Anche io sarei distrutta nel veder tornare Ian di nuovo con lei. Lo sono stata per così molto tempo, so cosa si prova.

 

“Credo che sia abbastanza palese quello che è successo, no?”- ringhia lui guardandomi adirato negli occhi. -“Avrei dovuto immaginarlo, avrei dovuto capirlo! Avevo tutto davanti agli occhi, sono stato uno stupido!”

“Eric, io… Mi dispiace, non meritavi… Non meritavi questo…”- mormoro io, abbassando lo sguardo.

“Davvero lo pensi?”- mi domanda, ilare. -“L’hai capito solo adesso? Ho fatto finta di niente per così tanto tempo, ma gli sguardi che vi lanciate sono inequivocabili. E lui… Lui mi ha pure rassicurato su questo.”

 

Ian ha fatto cosa?

 

“Mi ha pure detto che mi amavi, che ci tenevi a me. Cazzate, no?”

“Io tengo veramente a te!”- ribatto io, mentre sento le lacrime premere per uscire. -“Avrei dovuto dirtelo…”

“Avresti, si. Dovevi dirmelo. Ed io che ero convinto di averti conquistata, di aver rubato il tuo cuore, ma è sempre stato evidente che lo ami. Quello che non mi spiego è perché ho continuato a fare finta di niente per così tanto tempo!”- esplode, stringendo le mani a pugno.

“Non avrei dovuto farti una cosa del genere, non avrei dovuto, ma io-”

“Mi fidavo di te, Nina! Se me lo avessi detto prima, se tu me lo avessi detto, avrebbe fatto meno male!”- mi dice, tagliente.

“Non volevo ferirti, non volevo…”- mormoro e sento qualcosa bagnarmi la guancia. -“Devi credermi, ti prego.”

 

Ed è vero quello che sto dicendo, tremendamente vero, ma quando sto con Ian il tempo si ferma e non so nemmeno io quello che faccio. Se fossi stata più razionale, con la testa sulle spalle, non avrei mai fatto tutto questo e, sebbene in questo momento mi stia odiando, non riesco a pentirmene ed è questo quello che fa più male. Sto male per quello che è successo, ma non me ne pento. Non mi pento di niente, non mi pento di essere stata con Ian in tutti i sensi ed è un male questo?

Lo è, ma lo amo troppo per fare finta di nulla.

 

“Lo so che non volevi ferirmi, te lo leggo negli occhi, ma ci sei riuscita, hai fatto peggio. Hai fatto peggio perché, mentre stavi con me, pensavi a lui. Anche quando lo incontravi con i gemelli, per qualche secondo, sorridevi in modo così spontaneo, come non hai mai fatto con me.”- mormora lui.

“Sono stata bene con te, ogni singolo momento che ho passato con te mi ha fatto stare bene, non ho mentito su questo!”- ribatto io, cercando di spiegarmi.

“Potresti non aver mentito, ma hai costantemente mentito a me e a te stessa. Avresti dovuto lasciarmi andare tempo fa o troncare tutto sul nascere. Si vede lontano un miglio che lo ami, ma non avresti dovuto ferire me.”

 

Detto questo, con uno scatto, si stacca da me e mi volta le spalle. 

 

“Darò a tuo fratello le tue chiavi di casa.”- mi dice, non guardandomi.

“Eric, aspetta!”- tento di bloccarlo, di nuovo. -“Non voglio che finisca così, lasciami spiegare.”

“E invece finirà così, non c’è più nulla da spiegare.”- ribatte secco e, così come l’ho fermato, se ne va.

 

Faccio per rincorrerlo, ma vengo bloccata dalle scale, ovviamente. Se provassi a scendere con la sedia a rotelle finirei dritta in obitorio e, sebbene voglia corrergli dietro, metaforicamente parlando, mi blocco frustrata. Sbatto un pugno contro il muro tremando leggermente.

Che cos’ho combinato?

 

“Quel muro non ha colpa.”- mormora una voce alle mie spalle. So a chi appartiene. Ian. -“E nemmeno tu.”

“Davvero?”- domando piano stringendo le mani a pugno.

“E’ anche mia, non avremo dovuto dargli false speranze.”- sospira alle mie spalle. Lo sento appoggiare le mani sulle manopole della sedia e questa inizia a muoversi. -“Parliamo in stanza, ti va?”

 


























 

                                                                   * * *




























 

“Non lo meritava, Ian.”- ribatto io, incrociando le braccia al petto.

 

Ian è in piedi, di fronte a me. Mi sta scrutando serio, cercando di captare qualcosa dal mio tono di voce.

 

“Non lo meritava, hai ragione, ma non possiamo farci niente! Quel che è successo è successo!”- ribatte lui, passandosi una mano tra i capelli.

“E’ successo si, ma per colpa nostra!”- ribatto io, alzando il tono della voce. -“E mi sento uno schifo, sai perché? L’ho tradito, eppure non mi sento in colpa!”

 

Ian mi sorride di sbieco e si siede accanto a me, sul letto. Che cosa c’è da sorridere? E’ una tragedia, questa.

 

“Non c’è niente da ridere!”- gli sibilo contro, tirandogli un pugno sul braccio.

“Sei così bella quando ti arrabbi…”- mormora lui baciandomi il collo.

 

Mi volto di scatto, non sapendo se lasciarlo continuare -come mi dice il cuore e il corpo, in modo particolare quest’ultimo- o se ucciderlo -come mi dice il cervello.

Ho appena fatto un disastro e lui mi provoca? Ma dove ha la testa? Alla fine mi stacco da lui, stizzita, sotto il suo sguardo divertito.

 

“Hai capito quello che ti ho detto, almeno?”- gli sbraito contro.

“Certo, si. Ho capito che ti senti in colpa, ma anche no. Che avresti dovuto dirglielo prima, avremmo dovuto dirglielo prima, scusami, ma non l’abbiamo fatto. Che altro?”- mi dice. -“Oh, si, sei bellissima quando ti arrabbi così, fantastica.”

 

Si sporge ancora per darmi un bacio, ma lo spintono via.

 

“Che c’è? Sei single, non posso baciarti?”- mi domanda, sbuffando.

 

Bambino, in tutti i sensi.

 

Tu no, però.”- puntualizzo guardandolo seria. -“Ma non è questo il punto.”

“Dovrei sentirmi in colpa perché ti amo? L’abbiamo fatto perché ci amiamo, non ci vedo nulla di male. Ti senti in colpa tu, e non era neppure il tuo fidanzato.”- mi dice Ian. Cerco di interromperlo, ma lui continua indisturbato. -“Okay, lo era, ma non è questo l’importante. Ti senti in colpa tu e non io, che sono sposato. E’ così sbagliato amarsi?”

 

Non che non lo è. E’ sbagliato quello che abbiamo fatto. Eppure ha ragione. Dovrei sentirmi in colpa anche per lei, eppure non è così.

Perché non me ne importa niente, deduco, ed è così vero. 

 

“Mi ami?”- mi domanda, guardandomi negli occhi.

 

Se lo amo? Eccome se lo amo.

 

“Si.”- rispondo senza esitazione.

“E allora smettila di tormentarti. Sono sicuro che risolverete il tutto, nel senso che magari potrete chiudere i rapporti in maniera più civile.”- mi dice, poi, accarezzandomi una mano. -“Ora che tutto questo è finito, possiamo finalmente stare insieme.”

“Ti sbagli, c’è ancora qualcuno…”- mormoro, guardandolo negli occhi.

“Senti, a proposito di questo, c’è una cosa che devo dirti-”

 

Ma le sue parole vengono interrotti da delle piccole grida vivaci non appena si spalanca la porta della stanza.

Joseph e Stefan, i miei bambini!

 

“Mammaaa!!!”- gridano all’unisono, arrampicandosi sopra il letto.

 

E ogni mio pensiero passa in secondo piano alla loro vista. Mi sono mancati così tanto. Li stringo forte, più forte che posso. Non vedo l’ora di tornare a casa, voglio ritornare alla mia routine con loro. Quello che mi fa impazzire, maggiormente, oltre al fatto di non essere indipendente, è proprio non essere 24 ore su 24 con i miei figli. Mi manca l’aria quando non sono con me.

 

“Mam…Mamma… Ci stai soffocando…”- sento borbottare Joseph, mentre vedo Ian sorridere.

 

Allento di più la presa, ma li stringo forte a me.

 

“Non dovreste essere a scuola, voi due?”- domando io guardando mia madre che è appena entrata all’interno della stanza.

“Diciamo che avevo preparato qualcosa…”- mormora Ian grattandosi la nuca imbarazzato. -“Ma alla luce dei fatti è saltato un po’ tutto…”

 

Guardo i miei figli, mia madre e Ian con sguardo dubbio, ma anche curioso. Che cos’è saltato?

 

“Ma non andiamo più a fare il picnic?”- piagnucola Stefan.

 

Picnic?

Joseph fulmina Stefan con lo sguardo, mentre Ian sospira esasperato.

 

“Ecco, ora è saltato veramente tutto…”- borbotta scuotendo la testa, mentre mia madre ridacchia divertita. -“Volevamo farti una sorpresa, un po’ tutti, ma diciamo che, con quello che è successo-”

 

Ian si blocca qualche istante e mi fa intendere con cosa si riferisce con quel quello, ma capisco anche che nessuno sa nulla.

 

“Abbiamo ritardato parecchio e me n’ero dimenticato.”- termina poi.

“Niente più picnic?”- domanda Joseph, afflitto.

“Perché no?”- domanda mia madre, inclinando la testa. -“Non siete così tanto in ritardo!”

Siete?”- domando confusa.

 

Picnic? Siete?

Che cosa stanno organizzando?

 

“Avremmo dovuto farlo domenica, ma hanno chiamato brutto tempo.”- inizia Ian, vedendo la mia confusione. -“Il tutto è slittato ad oggi. I bambini avevano voglia di vederti e così abbiamo organizzato qualcosa.”

“Il picnic!”- completano i bambini trionfanti.

“Qui?”- domando.

 

Non mi importa dove, sono così felice che lo abbiano organizzato per passare un po’ di tempo insieme. Joseph mi getta le braccia al collo, ridacchiando.

 

“Non si può fare un picnic all’ospedale, mamma.”- mi dice poi.

“Al parco!”- continua poi Stefan.

“Non è proprio un parco. E più una distesa d’erba proprietà di un mio conoscente.”- mi dice Ian sorridendo sornione, mentre i gemelli annuiscono. 

“Non posso uscire da qui.”- faccio notare.

“E chi l’ha detto?”- domanda mia madre, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Ian. -“Siamo riusciti ad ottenere un permesso per il pomeriggio.”

“Permesso?”- domando incredula.

“I dottori hanno detto che un po’ di tranquillità e aria aperta ti farà bene. In fin dei conti sei qui solo in attesa dell’operazione, ma stai bene.”- mi spiega Ian.

“Quindi posso uscire?”- domando euforica.

“Si, mamma!”- esclama Stefan, dandomi un bacio sulla guancia.

“Davvero posso uscire?”- domando mentre gli occhi mi brillando di felicità, lo percepisco. -“Non è uno scherzo?”

“Perché dovrebbe essere uno scherzo?”- domanda Joseph al madre.

 

Ian gli sorride, accarezzandogli i capelli.

 

“No, non è uno scherzo. E’ solo per oggi pomeriggio, ma è già qualcosa.”- mi sorride Ian.

“Possiamo uscire ora?”- domando io, felicissima. -“Subito?

 

Ian ride, vedendo il mio entusiasmo da bambina, mentre i gemelli annuiscono entusiasti. Guardo per qualche istante mia madre, che ci sta osservando tranquillamente, fin troppo tranquillamente. Lei non sa quello che è successo qualche ora fa tra me ed Eric, eppure le sembra così normale vederci insieme, me e Ian intendo. Che Ian le abbia detto qualcosa che io non so? E’ per questo che nell’ultimo periodo sono diventati così affiatati?

Non faccio domande, oggi voglio solo godermi un po’ di tempo con i bambini.

 

“Certo, però ti consiglio di cambiarti, non credo ti convenga girare con la camicia dell’ospedale.”- mi fa notare mia madre guardandomi divertita.

“Giusto, si.”- borbotto io.

 

Me ne ero già completamente dimenticata.

Ian si avvicina a me, pronto per darmi una mano, ma mia madre lo fulmina con lo sguardo.

 

“Ti aiuterò io, tesoro. Ian può andare giù con i bambini, no?”- mi dice mia madre, mentre Ian si gratta confuso la testa.

 

Mia madre mormora qualcosa a Ian del tipo “Va bene tutto, ma non prenderti troppe confidenze quando ci sono io” e lui annuisce, facendo cenno ai bambini di uscire. I miei dubbi vengono confermati ancora di più, quei due hanno sicuramente parlato di qualcosa che non vogliono dirmi.

 

“Che cosa c’è tra te e Ian?”- domando a mia madre, mentre mi faccio passare una maglietta pulita.

 

Quella sono ancora in grado di metterla da sola.

Mia madre mi guarda confusa, non del tutto però. Mi guarda come se fosse stata colta con le mani nel sacco.

 

“Non che non ci sia mai stata una certa connessione tra te e Ian.”- mi affretto a chiarire, finendo di infilarmi la maglietta. -“Ma ultimamente non correva buon sangue tra voi due.”

“Abbiamo chiarito.”- mi dice mia madre indifferente, mentre afferra dei jeans puliti.

“Chiarito, come?”- domando io iniziando a sfilarmi i jeans.

 

Arrivata a metà gamba ci pensa mia madre ed aiutarmi. 

 

“Chiarito, normalmente.”- ribadisce, finendo di vestirsi.

“E per normalmente cosa intendi?”- domando io ancora.

Normalmente, si, normalmente.”- ripete.

“Ho capito, chiederò a Ian.”- rispondo io.

 

Mia madre apre la bocca per dirmi qualcosa, ma la richiude non appena entra un medico, uno di quelli che si sta occupando di me.

 

“Allora, Nina, come ti senti oggi?”- mi domanda sorridendo.

“Come al solito.”- gli sorrido di rimando.

“Mi hanno detto che hai intenzione di uscire, oggi.”- mi dice.

 

Lo guardo preoccupata, ma lui si affretta a chiarire.

 

“Non preoccuparti, ho già detto che non c’è nessun problema.”- mi sorride rassicurante e, vedendomi tirare un sospiro di sollievo, ridacchia divertito. -“Sono passato per vedere come stavi.”

“Credevo ci fosse qualcosa in contrario, per fortuna non è così.”- sospiro.

 

Il medico, dopo il mio assenso, mi aiuta a salire sulla sedia a rotelle e mi affida, per l’ennesima volta, al controllo di mia madre.

 

“Questa sera, quando sarai di ritorno, ci sarà anche lo specialista, te lo ricordi?”- mi domanda.

 

Eccome se me lo ricordo, quell’uomo potrà cambiare la mia vita per sempre.

Annuisco in risposta.

 

“Vuole fissare la data dell’intervento, se per te non è un problema.”- mi spiega.

“Assolutamente no. Prima lo facciamo, meglio è.”- rispondo io.

 

In realtà ho paura, molta paura. Sarà un intervento parecchio complesso e non si sa che cosa ne verrà fuori. Sono tutti molto fiduciosi, specialista compreso, ma è pur sempre un intervento e sono terrorizzata che qualcosa possa andare storto.

Il medico ci saluta e se ne va, mentre io mi volto a guardare mia madre.

 

“Andiamo, non vedo l’ora di passare un po’ di tempo fuori di qui.”

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Buon inizio settimana e buon Carnevale a tutti :)

Avrei voluto aggiornare ieri, ma per una partita spostata non ho potuto fare nulla, ma sono qui.

Come sempre ringrazio le fantastiche sei ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e spero che, con le vacanze, ci sia qualche commento in più ^^

Capitolo molto Nian e ormai, mi dispiace dirlo, Eric è quasi fuorigioco. Dico quasi perché, sebbene molte di voi non lo sopportino (magari come persona si, ma come persona vicino a Nina no), è pur sempre stato un personaggio importante nella sua vita e avranno il chiarimento che meritano, anche perché chiudere così tutto velocemente non mi sembra giusto, ma comunque ormai hanno rotto.

Finalmente sono ricomparsi i bambini per la mia (vostra?) gioia. Il prossimo capitolo sarà dedicato a loro due, insieme a Ian e Nina, ovviamente. Avevo intenzione di fare un picnic con tutti e, quando dico tutti, intendo anche il cast, ma poi ho preferito fare una cosa più in famiglia. 

Ci avviciniamo sempre di più all’intervento di Nina e scopriremo come andrà a finire tutto questo ;)

Avete visto l’ultima puntata di The Vampire Diaries?

Diciamo che io ho guardato/seguito le ultime quattro puntate, più o meno (si, mi manca tutto l’inizio) perché mi intrigava un po’ la storia degli eretici (Nora the best, always!) e un po’ Caroline, ma mi hanno fatto cadere tutto. Le ultime due puntate sono state una noia mortale. Bello (?) l’inferno di Damon, bravo Ian e chi volete, ma noia pura. Non vedevo l’ora che finisse tutto e non so se continuare a guardarlo, sinceramente.

Poi, con l’ultima scena, hanno distrutto tutto, ma tanto (per forza!) sarà un’allucinazione o qualcosa di simile.

Niente, volevo sentire i vostri pareri al riguardo =)

Alla prossima <3

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Capitolo 20
*** Only us. ***


                                      Only us.


Twentieth Chpater.
Pov Nina.

Mia madre mi ha accompagnato fuori e se n’è andata inventando qualche scusa che non ricordo. I bambini sono già saliti in macchina pronti per partire, mentre io, non appena ho visto la macchina, ho cominciato a tremare e Ian sembra essersi accorto del mio stato d’animo perché, non appena l’ha notato, mi è venuto subito incontro.

Non lo sto facendo apposta, eppure, dopo aver visto la macchina, una strana paura mi ha assalito. Ho paura, veramente. E’ da più di un mese che non vede uno macchina e l’ultima volta che ci sono salita è successo l’incidente. Qualcosa mi sta bloccando e so che è la paura. Ho paura che possa capitare di nuovo. Ho come la sensazione che, presto o tardi, possa capitarmi ancora e so, per certo, che non ne uscirei viva.

Ian si inginocchia di fronte a me, preoccupato.

Mi appoggia una mano sulla gamba, rassicurante, e mi viene quasi da sbuffare  perché non percepisco il suo tocco.

 

“Hey, Nina, va tutto bene.”- mi dice guardandomi e cercando di rassicurarmi. -“Non sta succedendo nulla, ci sono io qui con te.”

 

Non gli rispondo, alterno solo lo sguardo da lui alla macchina. Non voglio salirci sopra, non voglio. E non mi sto comportando da bambina, semplicemente non ce la faccio. I miei tremori si fanno più evidenti, non lo percepisco tanto dal corpo, ma dal livello di preoccupazione di Ian che sta salendo ormai alle stelle.

Non mi sta giudicando, vuole solo aiutarmi.

 

“Hai paura, non è così?”- mi domanda lieve, cercando di non far sentire nulla ai bambini. Io annuisco, quasi incapace di parlare. -“Non accadrà nulla, te lo prometto. Ti fidi di me?”

 

Annuisco ancora. Mi fido di lui, so che morirebbe per me, ma qui non stiamo parlando di fiducia. Se succedesse un incidente non sarebbe per colpa sua o per il non essermi fidata, accadrebbe e basta. Qui la fiducia c’entra ben poco, qui sono io, bloccata dalla paura.

 

“Ti prometto che non accadrà nulla. Non ci metteremo molto, al massimo dieci minuti.”- mi dice baciandomi il dorso della mano.

 

E’ una fortuna che i bambini non ci stiano guardando, non so che cosa potrebbero pensare a vederci così.

 

“Non possiamo andare a…”- deglutisco. -“A piedi? Cioè… Voi a piedi ed io… Così.”

 

Indico la carrozzina che mi sta sorreggendo.

 

“No, non possiamo.”- mi spiega Ian, ma mi sorride dolce, rassicurante. -“E’ giusto che tu abbia paura, hai subito un trauma forte, ma è ora di superarlo, non pensi?”

 

Annuisco, un po’ convinta e un po’ no. Lo so anche io che dovrei, devo, superarlo, ma è così difficile. Il solo pensiero di salire su una macchina, una qualsiasi macchina, mi fa star male da morire.

Ho paura.

Ho paura che possa accadere di nuovo e questa volta ci sarebbero anche loro. I bambini e Ian. I nostri figli e Ian. E se succedesse ancora, ma con loro? Non potrei mai sopportare il pensiero di perdere uno di loro tre.

 

“Ti giuro che non accadrà nulla. Andremo piano e se vorrai tornare indietro torneremo, okay?”- mi domanda, ma io non rispondo.

 

Ian mi fissa ancora per qualche istante, poi mi accarezza una guancia, comprensivo.

 

“Se non vuoi andare va bene, rimarremo qui, non c’è problema.”- mi spiega dolce.

“No, io voglio andarci, e i bambini-”

 

Ian mi blocca, prima che possa continuare.

 

“Non preoccuparti di quello che pensano i bambini, loro sono contenti di averti con loro, un posto vale l’altro. Ho solo pensato che avrebbe potuto farti piacere passare un po’ di tempo fuori dall’ospedale, all’aria aperta, da soli. Ma rimarremo qui, non c’è problema, non sei ancora pronta.”- mi dice, dandomi un bacio sulla fronte.

 

Non c’è nessun risentimento nella sua voce, solo tanta consapevolezza, amore e voglia di aiutare. Forse si sente anche leggermente in colpa per la mia reazione, per non averci pensato, ma non ho intenzione di rovinare la giornata dei miei figli e anche di Ian, dopo aver faticato tanto per portarmi fuori. Paura o no devo farcela, anche se sarà difficile, anche se saranno i dieci minuti più lunghi della mia vita.

 

“Non è giusto che vi roviniate la giornata per colpa mia.”- gli dico io, afferrandogli un braccio, bloccandolo così dall’aprire la porta.

“Non andremo da nessuna parte senza di te.”- mi risponde serio. -“Rimarremo qui, non c’è problema, te l’ho già detto.”

“No, andremo via di qui perché so con quanta difficoltà avete organizzato tutto questo. Io… Devo affrontare le mie paure, no? Andrà tutto bene.”- gli dico sorridendogli.

“Non mi sembri affatto convinta di quello che dici.”- mi fa notare leggermente preoccupato.

“Non sono convinta, ma me ne convincerò. Ho bisogno di allontanarmi un po’ da qui, di smettere di pensare e mi farà bene.”- gli dico guardandolo negli occhi così azzurri da farmi tremare quasi le gambe, se ne avessi il controllo. -“Andiamo.”

 

Ian frena il mio entusiasmo guardandomi serio.

 

“Non devi farlo perché ti senti in obbligo con noi.”

 

Scuoto la testa e gli sorrido.

Mi sento obbligata anche verso me stessa. So che la paura non sparirà da un momento all’altro, ma se non la affronterò mai non potrò migliorare. Mi terrorizza tutto questo, preferirei fare altre cose, ma devo farlo. Saranno i dieci minuti, venti considerato il ritorno, più brutti e lunghi della mia vita, ma me lo devo, glielo devo.

 

“Non mi sento in obbligo, devo affrontare le mie paure e devo farcela.”

 

Ian, forse rincuorato dalla mia determinazione e dalle mia parole, mi sorride orgoglioso, apre nuovamente la porta e, dopo avermi preso in braccio, mi mette a sedere delicatamente sul sedile e mi sistema la cintura.

Va a sistemare la sedia a rotelle nel portabagagli, poi si mette al voltante. Guardo i bambini dallo specchietto e credo di non averli mai visti più felici di così ed il motivo è semplice: siamo insieme, tutti insieme. E’ la prima volta che usciamo solo noi quattro e il loro entusiasmo è alle stelle.

Prima di partire mi afferra la mano e con lo sguardo capisco che è ancora preoccupato, per me.

 

“Va tutto bene.”- gli dico cercando di calmare i battiti del mio cuore. Cerco di concentrarmi sui bambini, su Ian e sull’essere, finalmente, fuori dall’ospedale. -“Puoi partire.”

“Ne sei sicura?”- mi domanda piano.

 

Annuisco in risposta.

 

“Papà! Quando partiamo?”- domanda Stefan spazientito. 

“Partiamo, partiamo.”- ridacchia Ian mettendo in moto.

 

Ian mette in moto e la macchina comincia a muoversi. Il mio cuore continua a battere per cinque minuti buoni e Ian, nei momenti in cui i bambini non guardano verso di noi troppo impegnati a guardare il paesaggio, mi accarezza la mano per tranquillizzarmi.

Più strada percorriamo e più mi rilasso, ma penso che per un po’ -un bel po’- continuerò ad avere paura.

 

“Papà, ma siamo solo noi, vero?”- domanda Joseph a un certo punto.

Solo noi.”- conferma Ian tenendo gli occhi fissi sulla strada.

Solo noi?”- ripete Stefan titubante.

“Si, solo noi.”- risponde Ian e lo vedo sorridere.

“Come mai solo noi?”- continua Stefan.

“Perché siamo solo noi.”- risponde Ian, leggermente confuso. 

“Non siamo mai stati solo noi.”- ci fa notare Joseph, mentre Ian svolta a destra. -“Ma è fantastico!”

 

Entrambi i bambini sorridono e sorrido anche io, in modo spontaneo. Sono sempre più felici di questa giornata, qualsiasi persona è in grado di capirlo perfino ad occhi chiusi.

 

“Siamo quasi arrivati…”- mormora Ian al mio indirizzo. -“Stai bene?”

“Si, sto bene, non… Preoccuparti.”- mormoro io, mentre i bambini ci guardano curiosi.

 

Arriviamo dopo qualche minuto e siamo circondati da erba. Ettari ed ettari di terreno ricoperti da erba. Mi guardo attorno e noto qualche albero disposto in maniera irregolare, ma comunque in grado di fare dell’ombra ed è una buona cosa visto che c’è un bel sole. Ian scende dalla macchina e, qualche secondo più tardi, apre la porta dalla mia parte e sistema bene la carrozzina sul terreno. Mi slaccia la cintura e, delicatamente, come se fossi fatta di cristallo, mi posa sulla sedia a rotelle e si assicura, per l’ennesima volta, che io stia bene. Poi è il turno dei bambini che scendono tutti pimpanti e si guardano attorno estasiati. I bambini si staccano da noi ed iniziano ad esplorare ovunque.

 

“Joseph, Stefan, non allontanatevi troppo!”- li richiamo preoccupata. Non voglio che si allontanino troppo, potrebbero perdersi e, visto che non posso correre loro dietro, preferisco averli sotto gli occhi. -“Rimanete sempre dove possa vedervi, entrambi.”

 

I bambini mormorano qualcosa di indistinto, che non posso sentire, e continuano a rincorrersi, ma comunque non si allontanano di molto. Ian, al mio fianco, ridacchia mentre comincia a scaricare la macchina.

 

“Non andranno da nessuna parte e non ci sono pericoli qui.”- mi avvisa tenendo in mano un cestino.

“Meglio avvertirli, non voglio che gli succeda qualcosa…”- mormoro continuando ad osservarli correre.

“Siamo in due, andrà tutto bene.”- mi dice Ian accarezzandomi una guancia.

 

Chiudo gli occhi beandomi del suo tocco, poi mi volto verso di lui.

 

“Ti serve una mano con tutte queste cose?”- domando.

“Non preoccuparti, ce la faccio.”- mi sorride fiero. -“Prima è meglio che ti sistemi all’ombra.”

 

Prima che possa dire o fare qualcosa sta già spingendo la mia carrozzina e, con non poca fatica, visto l’attrito dell’erba, arriviamo vicino agli alberi. Ian adagia una coperta azzurra sull’erba e poi fa lo stesso, aiutandomi ad appoggiare la schiena su uno dei tronchi.

 

“Se ti lascio qui tre secondi da sola, mi prometti di non fare nulla?”- mi domanda.

“Dove posso andare?”- gli domando ilare indicandomi le gambe.

“Okay, ma tu non provarci neanche!”- mi dice dandomi un buffetto sulla guancia.

 

Scuoto la testa e Ian va a recuperare le cose che mancano. I bambini, intanto, si degnano di venire all’ombra e sono già incredibilmente sudati.

 

“Siamo qui da soli cinque minuti e siete già ridotti in queste condizioni?”- domando accigliata.

“Ma mamma… Questo posto è fantastico!”- borbotta Joseph.

“Fantastico si, ma sedetevi qui per un po’ e rimanete tranquilli. Dobbiamo rimanere qua tutto il giorno, avrete tempo per correre e credo che ora sia arrivato il momento di stare un po’ fermi.”- spiego loro, mentre sposto a Stefan alcune ciocche di capelli dalla fronte.

“Mamma, ho caldo, posso togliere la giacca?”- mi domanda quest’ultimo.

“Rimani qui tranquillo e tra un po’ potrai toglierla. Se te la togli tutto sudato rischi di prendere un malanno.”- gli spiego, mentre Joseph si siede accanto a me.

“Ed ho anche fame!”- continua Stefan.

“Tra un po’ mangiamo, tesoro.”- gli rispondo dandogli un bacio sulla guancia.

 

Stefan appoggia la testa sul mio grembo, mentre Joseph sulla mia spalla. Accarezzo entrambi, mi sembra così surreale averli qui ed essere fuori dall’ospedale.

 

“Mamma, ci sei mancata così tanto…”- mormora Stefan alzando lo sguardo su di me.

“Si, mamma, ci sei mancata proprio tanto!”- continua Joseph continuando a tenere la testa sulla mia spalla. -“Con papà siamo stati bene, ma ci mancavi comunque.”

“Anche voi mi siete mancati tanto…”- mormoro dolcemente.

“Vero che dopo torneremo a casa? A casa nostra, con te?”- mi domanda Stefan.

 

Purtroppo no. Questa sera io tornerò in ospedale e loro torneranno a casa con Ian. O con mia madre. O con Edna.

Pagherei oro per dire di si e perché questo si avveri, ma non posso. Quando tutto questo sarà finito si, ma ora no e la cosa mi distrugge, ma prima tutto questo finirà, prima potrò ritornare da loro.

 

“Purtroppo no, magari tra qualche giorno.”- rispondo, cercando di dare loro una mezza verità.

 

Joseph si stacca leggermente da me e mi getta le braccia al collo.

 

“Quanto tra qualche giorno?”- mi domanda proprio lui.

“Non lo so piccolo mio, spero presto. Ma possiamo vederci comunque.”- gli sorrido, dandogli un bacio sulla fronte. Accarezzo Stefan su una guancia. -“Come abbiamo sempre fatto, no?”

“Si, ma è diverso.”- borbotta Stefan incrociando le braccia al petto.

 

Dio, è uguale identico a suo padre quando fa così.

Ian, intanto, è già di ritorno carico di cose. Non appena arriva e mette giù tutto quello che aveva in mano, guarda i figli accigliato.

 

“Siete già ridotti in queste condizioni?”- domanda, mentre io sorrido.

“Abbiamo sudato, solo un po’.”- dice Joseph sorridendo di sbieco.

 

Ecco un’altra espressione tipica del padre. Più crescono e più diventano simili a lui.

 

“Abbiamo qualcosa per cambiarli, vero?”- domando.

“Certo, si. Tua madre dovrebbe aver messo tutto dentro questa”- Ian si sporge per afferrare una borsa gialla. -“borsa.”

 

Apre la borsa alla ricerca di qualche maglietta di ricambia e, quando trova qualcosa, sorride trionfante. Tiene in mano una maglietta bianca e una rossa e ne da una ai gemelli. I bambini felici -molto probabilmente stanno già pensando a quello che potranno fare dopo una volta cambiati- si tolgono velocemente la giacca e la maglia a maniche corte e si infilano la maglietta nuova.

 

“C’è qualcosa da mangiare, vero papà?”- domanda Stefan osservando il cestino.

“Pensi sempre al cibo, Stef!”- lo punzecchia Joseph facendo sorridere sia me e sia Ian.

“Non è colpa mia se ho fame…”- borbotta l’altro.

“Hai preso proprio da tua madre!”- ridacchia Ian, mentre io lo guardo indispettita.

 

Non è vero che ho sempre fame. Quasi. Ultimamente non molta, ma non è comunque vero.

 

“Anche tu non scherzi, eh!”- ribatto io.

“Si, effettivamente ho messo su un po’ di pancia!”- ribatte Ian, facendo ridere.

“Ecco, dovresti andare in palestra!”- lo punzecchio ancora.

“Si, dovrei.”- afferma convinto.

 

Ha sempre avuto un fisico statuario e ora non lo è da meno. 

 

“Posso venire anche io in palestra?”- domanda Stefan.

“No, sei ancora piccolo.”- gli risponde Ian.

“Ma anche a scuola facciamo palestra!”- ribatte lui, mentre afferra il panino che Ian gli sta porgendo.

“A scuola fate educazione fisica in palestra. Andare in palestra è diverso.”- preciso io e ringrazio Ian con lo sguardo per avermi passato il panino.

“Tu ci sei mai andata in palestra, mamma?”- mi domanda Joseph addentando il suo panino, rigorosamente senza glutine, come quello di Ian.

“Si, ancora parecchi anni fa.”- rispondo io.

“E perché si va in palestra? Per farsi belli?”- domanda Stefan.

“Io direi più tenersi in forma, ma comunque il concetto è quello.”- risponde Ian iniziando a mangiare.

“E allora Stefan deve farlo…”- lo punzecchia Joseph, mentre le guance di Stefan si colorano di rosso.

 

Possibile che qualche bambina abbia rubato il cuore di mio figlio?

 

“C’è qualcosa che devo sapere?”- domando innocentemente, mentre le guance di mio figlio si colorano di più. 

“Stefan ha la ragazza.”- ci dice Joseph, mentre Stefan gli tira un pizzicotto.

 

Anche Joseph prova a pizzicarlo, ma lo blocco prima che una semplice battuta possa trasformarsi in ‘rissa’.

 

“Non tiratevi i pizzicotti!”- li ammonisco entrambi.

“Ma ha cominciato lui!”- dicono in coro guardandosi in cagnesco.

“Non è vero, mi hai tirato tu un pizzicotto!”- ribatte Joseph incrociando le braccia al petto.

“E tu non stai zitto!”- ribatte Stefan facendogli la linguaccia.

 

Joseph si volta verso di me indicando il fratello.

 

“Mamma, mi ha fatto la linguaccia!”- ribatte Joseph.

“E tu mi hai detto di stare zitto!”- gli risponde Stefan.

 

Anche questi litigi mi sono mancati. I fratelli litigano, questo lo sanno tutti -io e mio fratello l’abbiamo fatto così tante volte-, ma con i gemelli è diverso. Litigano in continuazione, vogliono essere uno meglio dell’altro, ma poi finisce tutto lì. Il legame tra fratelli è unico, quello dei gemelli lo è ancor di più. Joseph e Stefan molto probabilmente continueranno a litigare per tutta la vita, ma quando qualcuno dice o fa qualcosa ad uno dei due… Lì sono guai. Tra di loro possono fare qualsiasi cosa, ma nessuno deve intromettersi. Da piccoli era sempre così. Mi ricordo tutte le volte che hanno litigato. Quando cercavo di sgridare uno, perché aveva iniziato per primo, l’altro, invece di gongolare e di darmi ragione, difendeva il fratello. E’ sempre stato un controsenso, ma sono sempre stati così.

 

“Non interveniamo?”- mi sussurra Ian sull’orecchio. -“Non è che potrebbero che ne so… Picchiarsi?”

“Non arriveranno a quel punto, credimi.”- gli sorrido, mentre i bambini continuano a bisticciare e a ricordare chi sia colpevole su qualcosa che è successa tipo due mesi fa. -“Non vorrei essere il soggetto della loro ira. Possono farsi qualunque cosa, ma guai a chi interviene. Potrebbero unirsi e sarebbe la fine.”

“Mi stai dicendo che dovrei avere paura di dei bambini di sette anni?”- mi domanda Ian divertito.

“Ridacchia pure, ma fanno seriamente paura quando si uniscono insieme.”- gli rispondo io, tirandogli un pugno sul braccio.

 

Ian appoggia il mento sulla mia spalla mentre osserviamo i bambini che si rincorrono. Devo ancora capire se è per litigare ancora o perché hanno inventato qualche nuovo gioco.

 

“Sono perfetti anche quando litigano…”- mormora accarezzandomi il dorso della mano.

“Abbiamo fatto proprio un bel lavoro…”- gli rispondo sospirando, ma di felicità.

“Il lavoro più bello della mia vita.”- mi risponde Ian sfiorandomi con la dita una guancia.




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Buona domenica a tutte :')

Eccomi qui con un nuovo capitolo interamente Nian e con i gemelli *^*
Adoro scrivere di questi capitoli così spensierati e con solo loro quattro, come una famiglia.
Il prossimo capitolo, comunque, sarà sull'operazione di Nina e quello che ne verrà in seguito.
La parte più importante, forse, è quando Nina affronta la sua paura per la macchina. Ha avuto un grave incidente in macchina e, come qualsiasi uomo o donna sulla faccia della terra, ne è terrorizzata e lo sarà per molto tempo. Ian, però, la aiuta come può e alla fine si tranquillizza anche se la paura c'è e rimane. E' sempre difficile superare un trauma, ma ne uscirà e sarà più forte di prima.
La scena che mi è piaciuta di più, personalmente, è stata quella tra Nina e i bambini ed è stata un po' un ritorno alle origini, loro tre da soli. I bambini sentono la mancanza di Nina e anche ques'ultima soffre, ma, purtroppo, non possono fare altrimenti. Non che si trovino male con Ian, bisogna sottolinearlo, ma Nina è pur sempre la loro mamma ed è stata la loro figura portante per ben sette anni.
I bambini continuano a litigare sul fronte ragazza e prima o poi verranno fatte le presentazioni ufficiali e Joseph... Joseph fa il bambino tanto bravo, ma si è affezionato ad una certa bambina e creerà qualche problema tra adulti ahahaha
Niente di grave, comunque :')
Ringrazio le fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima <3

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Capitolo 21
*** You'll be able to walk. ***


                                              You'll be able to walk.




Twenty-First Chapter.
Due settimane dopo. 

Pov Ian.

Oggi probabilmente sarà il giorno che cambierà la vita di Nina e io, ovviamente, sono con lei. Finalmente oggi verrà operata e tutto questo potrà finire perché io sono fiducioso. So che andrà tutto bene e so, per certo, che tornerà a camminare. Ormai è marzo e sono passati praticamente due mesi dall’incidente. Non è molto tempo, ma nemmeno così poco. Ormai è questione di minuti e una strana ansia mi pervade, ma non devo mostrarmi agitato, altrimenti lei lo capirebbe e sarebbe la fine. Abbiamo parlato tanto in questi giorni e ha paura, ma non la biasimo, è il sentimento più normale del mondo. Non è un’operazione semplice e potrebbe succedere qualsiasi cosa, ma l’ho convinta a pensare sempre positivo. Abbiamo bisogno di cose positive nella nostra vita e ritornare a camminare è una di quelle.

Oggi, tra l’altro, sarei dovuto andare con Nikki per un’ecografia, ormai è al quinto mese, credo. Credo perché ultimamente, oltre a Nina e ai bambini, mi sono estraniato da tutti e non conta più nulla per me. Ovviamente anche la mia famiglia conta, senza ombra di dubbio, intendo al di fuori di loro. Si, comunque dovrebbe essere di cinque mesi e oggi, per ovvie ragioni, non potrò essere con lei. Non mi ricordo nemmeno se le ho dato una motivazione valida -può anche essere che le abbia detto la verità-, ma non mi importa. Se è vero quello che sto scoprendo -ho scoperto- allora niente avrà più senso ormai. Sette anni della mia vita saranno soltanto un brutto ricordo e sarò pronto per iniziare una nuova vita, con Nina e i miei figli.

 

“Mi stai facendo ansia!”- mi richiama Nina.

 

La guardo confuso, poi mi accorgo di essere in piedi e di star facendo avanti e indietro per la stanza.

 

“Scusami.”- mi blocco sedendomi accanto a lei. -“Non voglio metterti ansia.”

 

Nina ovviamente non sa nulla della mia situazione coniugale. Penso che abbia capito qualcosa, percepisce che c’è qualcosa che non va, ma non fa domande, mi lascia il mio spazio. Prima di darle false speranze, o comunque di dire il falso, devo esserne sicuro al cento per cento, anche se carta canta.

 

“Come ti senti?”- le domando.

 

Credo di averglielo domandato come minimo venti volte in dieci minuti e lei me lo fa notare.

 

“Me l’hai già chiesto tipo… Trenta volte.”- mi fa notare scuotendo la testa.

“Un po’ meno.”- preciso io, scostandole dalla fronte una ciocca di capelli che le è sfuggita dallo chignon. -“Voglio solo sapere come ti senti.”

Bene.

“Bene bene?”- le domando io.

“Ian, sei serio?”- mi domanda lei con cipiglio corrucciato. 

 

Poi Nina si fa improvvisamente seria e questo mi fa perdere qualche battito. Un minuto prima sorrideva, ora perché è seria?

 

“Posso chiederti una cosa?”- mi domanda.

 

Annuisco, incapace perfino di parlare. Rimaniamo in silenzio per secondi che sembrano ore e l’unico rumore all’interno della stanza sono i nostri respiri.

 

“Puoi promettermi una cosa?”- mi domanda, ancora.

Qualsiasi cosa.

“Se dovesse succedermi qualcosa-”

 

La interrompo, in un misto di rabbia, per quello che sta pensando, e frustrazione. Non le accadrà nulla e non perché lo dico io, ma perché andrà tutto bene. A che diavolo sta pensando?

Non deve accadere nulla, starà bene e ne uscirà più forte di prima.

 

“Non ti accadrà nulla, andrà tutto bene. Siamo tutti fiduciosi qui, perché dovrebbe andare storto qualcosa?”- domando.

“Lo so, ma…”- tento di bloccarla per l’ennesima volta, ma lei mi precede. -“Se dovesse succedermi qualcosa, in via molto ipotetica, mi prometti di prenderti cura di Joseph e Stefan?”

 

Cosa c’entrano i bambini ora? Qui stiamo parlando di lei. I bambini sono già con me, mi sto già prendendo cura di loro, che problemi ci sono?

Che cosa vuole dirmi con la sua mente contorta?

 

“Mi sto già prendendo cura di loro.”- le faccio notare.

“Lo so, ma promettilo. Stai facendo un lavoro grandioso con loro, voglio solo assicurarmi che, se succedesse qualcosa, staranno con te.”

 

La fisso per qualche istante e la mia prima risposta sarebbe No, non ti prometto nulla perché non ti accadrà niente, ma continuo semplicemente a fissarla e annuisco, lentamente.

 

“Te lo prometto, ma comunque non ti accadrà nulla. Andrà tutto bene e tra qualche ora sarai di nuovo qui a parlare con me e di quanto stupida sia stata questa tua idea.”- le dico, cercando di farla sorridere e di tranquillizzarla.

 

In verità cerco di tranquillizzare anche me.

 

Grazie.”

 

Sto per baciarla, baciarla davvero, per farle sentire tutta la fiducia che ho su di lei e su quanto possa andare bene l’operazione, quando la porta della camera si spalanca rivelando uno dei medici che opererà Nina.

Dannazione!

 

“Signorina Dobrev, è tutto pronto, siamo qui per portarla in sala operatoria.”- dice questo, mentre altri infermieri entrano all’interno della stanza.

 

Mi stacco da lei, permettendo che possano portarla via. Non mollo le nostre mani fino a quando uno degli infermieri non si avvicina a noi, facendomi gentilmente segno di spostarmi.

 

“Andrà tutto bene.”- le sorrido.

“Ricordati quello che mi hai promesso!”- mi dice lei.

“Non stai mica andando in guerra. Ci vediamo dopo e porterò con me anche i bambini.”- le dico io sorridendole.

 

Molto probabilmente non sarà così, non porterò i bambini. E’ pur sempre un’operazione quella che dovrà subire e almeno per oggi penso che debba stare tranquilla. Molto probabilmente quando si sveglierà sarà ancora intontita dall’anestesia.

Mi sorride per l’ultima volta, poi rimango da solo all’interno della stanza e il cuore inizia a battere più velocemente.

Ora il mio desiderio più grande è poterla vedere ancora e parlarci di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sono passate quasi cinque ore ed io sto andando in escandescenza. Non ce la faccio più, devo sapere che sta bene e vederla. Sono fuori dalla sala operatoria con i suoi genitori, Alex -che se potesse mi staccherebbe la testa-, Paul, Phoebe, Candice e Julie. Mia madre è andata a prendere i bambini, non sarei potuto andare a prenderli comunque. Nikki mi ha richiamato altre tre volte da questa mattina, ma ho continuato ad ignorarla bellamente. Deve aver capito che c’è qualcosa che non va in me e penso che lo capirà da sola, o glielo farò capire io. Ci sono così tante cose da dire, da spiegare, ma ora tutto quello di cui mi importa è Nina. 

Sto per alzarmi ed iniziare a camminare ancora -a quanto pare è l’unica cosa che mi aiuta a tenere la mente lucida-, ma Paul mi afferra per un braccio e mi guarda truce.

 

“Se inizierai ancora a fare avanti e indietro potrei ucciderti.”- mi minaccia seriamente.

“Sto iniziando ad impazzire, Paul.”- mormoro io sottovoce, in modo che nessuno ci possa sentire. Phoebe è accanto a Paul, ma non è interessata ai nostri discorsi perché sta cercando di farsi forza con Candice e Julie. I genitori di Nina sono davanti a noi, stretti l’uno all’altro, mentre Alex è in piedi con la schiena appoggiata contro il muro. -“Vado a prendere una boccata d’aria.”

 

Mi stacco da lui, obbligandolo quasi a mollarmi, e mi alzo per dirigermi fuori nel terrazzo dell’ospedale. Stare là dentro stava diventando sempre più opprimente. So che sta andando tutto bene, Nina non è assolutamente in pericolo di vita, è solo un’operazione per aiutarla a camminare, ma sono comunque preoccupato. Ho cercato di farle forza, ma in realtà ho paura anche io, per lei. Per quanto sia convinto che stia andando tutto bene ho comunque paura. Non posso perderla di nuovo, non posso perderla non appena che l’ho ritrovata. I miei pensieri vengono interrotti da qualcuno che si sta schiarendo la voce proprio dietro di me. 

Mi sta semplicemente avvertendo della sua presenza. Non mi volto nemmeno, perché sento dei passi avvicinarsi e appoggiarsi con le braccia alla ringhiera, accanto a me.

E’ Alex.

Ecco, ora sono quasi sicuro che sia venuto qui per prendermi a botte. Ha tentato più volte nell’ultimo periodo di parlarmi, ma sono sempre stato salvato o da Nina, o da Michaela o dai bambini, ma ora siamo soli.

Io e lui.

Lui e io.

Non dico niente, aspetto che lui parli. E’ venuto lui da me e vuole parlarmi, quindi non dico nulla.

 

“Andrà tutto bene, ormai non manca poi molto.”

 

Lo dice piano, ma è comunque sicuro di quello che dice. Lo so anche io che andrà tutto bene, spero che vada tutto bene, ma continuo a rimanere zitto. Un po’ perché sono perso nei miei pensieri, un po’ perché questa volta è lui che deve parlare.

 

“Un medico ha detto che tra mezz’ora sarà fuori dalla sala operatoria, pensavo che avresti voluto saperlo.”- mi dice tranquillo.

 

Che sia la calma prima della tempesta?

Spero di no, anche se me lo sento.

 

“Non sono venuto qui per crocifiggerti, se è quello che stai pensando.”- mi dice e lo vedo quasi sorridere. -“Voglio solo parlare.”

“Parliamo, allora.”- esalo io.

“So quello che è successo tra mia sorella ed Eric… Quello che ha fatto più male è stato saperlo da lui, non da Nina, ma non sono qui per questo.”- sospira Alex, mentre si passa una mano tra i capelli. -“Eric non ha fatto il tuo nome, ma sono sicuro che c’entri tu.

 

Rimango zitto, io c’entro eccome.

 

“E non sono venuto qui per incolparti, ma solo a chiederti perché. Che intenzioni hai con mia sorella?”- mi domanda e sento il suo sguardo puntato su di me. Mi volto anche io, incontrando così i suoi occhi. -“Perché è evidente che tu intenda fare qualcosa con mia sorella. Hai rovinato ancora una volta la sua felicità.”

 

Apro la bocca per dire qualcosa, per difendermi, ma Alex mi precede ancora una volta.

 

“Con questo non ti sto accusando, c’entra anche lei con la sua rottura con Erik, lo so per certo. E’ da tempo che voi due vi guardate diversamente, vi guardate semplicemente come una volta. Anzi, credo che voi due non abbiate mai smesso…”- mormora sospirando stancamente. -“E non voglio che mia sorella soffra ancora, semplicemente questo. Ha sofferto così tante volte in tutta la sua vita, ne ha passate così tante, che non penso ce la farebbe un’altra volta. Sei sposato, tua moglie è incinta, perché non la lasci andare?”

“Perché la amo, Alex, la amo.”- rispondo io, liberandomi così da un peso enorme. Ormai sono sempre di più le persone che lo vengono a sapere, che ne hanno la conferma a dir la verità, ma era un peso non poterlo dire a lui. -“La amo così tanto.”

 

Alex rimane zitto per qualche istante, poi mi sorride scuotendo la testa. E’ come se ne fosse già a conoscenza.

 

“Questo lo so già, pensi che non me ne sia accorto?”- mi domanda. -“Mi sarei aspettato una risposta molto produttiva.”

“Non posso lasciarla andare perché non voglio farlo. E’ vero, la mia vita è parecchio”- mi blocco per qualche istante alla ricerca della parola giusta. -“Incasinata, ma comunque non posso separarmi da lei. Ho una moglie, vero anche quello, ed è incinta, ma su questa questione non posso sbilanciarmi poi molto, sto facendo chiarezza su tutto.”

“In che senso chiarezza?”- mi domanda confuso e vagamente interessato.

“Sono successe delle cose che… Mi stanno facendo mettere in dubbio altre cose.”- sospiro. -“Ma non posso dire ancora nulla.”

“Quindi… Fammi capire… Tu ami mia sorella, ma siamo ancora a questo punto?”- mi domanda.

“Amo tua sorella e si, siamo ancora a questo punto, ma non ho intenzione di lasciarla andare.”- gli rispondo.

“Ha bisogno di vivere la sua vita, è ancora giovane, e per farlo deve staccarsi da te. Avete un amore malato, lasciatevelo dire…”- mormora contrariato.

“Stai pur certo che non la lascerò andare e non mi interessa che tu ne sia d’accordo o meno. Ci amiamo e vivremo la nostra vita.”- ribatto.

“Mia sorella non può vivere facendo l’amante!”- mi dice quasi schifato.

“Oh, non lo farà…”- mormoro e un sorriso mi spunta sulle labbra. -“Quando non sarò più sposato sarà mia a tutti gli effetti.”

 

Ed ora Alex mi fissa particolarmente sconvolto. Okay, ho fatto un azzardo e dire questo, ma è la verità. Quando sarò di nuovo single non ci saranno più problemi. Nè di fronte alla legge e né per valori morali.

Sarò libero.

 

“Come… Quando non sarò più sposato?”- mi domanda leggermente scandalizzato.

“Semplice, ho avviato le pratiche per il divorzio.”- rispondo io scrollando le spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Che cosa?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Alex mi ha promesso, solennemente, di non farne parola con nessuno, nemmeno con Nina, altrimenti lo ucciderò, gliel’ho detto e mi sembra di essere stato abbastanza convincente. Quando siamo ritornati dentro tutti si sono girati sconvolti a fissarci e, dopo aver appurato di non esserci sbranati, hanno tirato un sospiro di sollievo. Siamo entrati nel momento esatto in cui hanno portato fuori dalla sala operatoria Nina e… Ed era ancora addormentata, a causa dell’anestesia. Si sveglierà entro questa sera, hanno detto i dottori. E’ stato un colpo al cuore vederla in quelle condizioni, addormenta come lo era quando è stata in coma, ma so che dopo un’operazione è sempre così e quindi mi sono rincuorato leggermente. I primi ad entrare in camera e a parlare con i dottori sono stati i genitori di Nina e Alex stesso, come giusto che sia. 

Ora sono qui, insieme agli altri, ad aspettare per entrare. 

 

“Hai visto che è andato tutto bene?”- mi domanda Paul sorridendo trionfante. 

“Si, ma sarò contento soltanto quando si sveglierà.”- sospiro stiracchiandomi sulla sedia.

 

 I bambini mi hanno chiamato poco fa alla ricerca della madre, ma ho detto loro che stava dormendo e che li avrebbe chiamati più tardi. Ci sono rimasti male, ma hanno comunque capito. Sono intelligenti, i miei bambini. 

 

“Per una volta non puoi essere contento?”- mi domanda Phoebe, appoggiando la testa sulla spalla di Paul.

“E’ ovvio che sia contento. Ma voglio parlarle, anche i bambini lo vogliono.”- rispondo.

“A proposito dei tuoi figli, di uno in particolare…”- inizia Paul minaccioso. Che cosa hanno fatto? -“Devo fargli un bel discorsetto…”

“Che cosa hanno fatto?”- domando leggermente spaventato dal suo tono.

 

Paul non finisce di parlare perché i dottori escono dalla stanza. Non domandiamo nulla, ormai ci conoscono tutti, sia per il fatto che siamo famosi e sia perché ormai abbiamo trascorso tanto tempo qui.

 

“E’ andato tutto per il meglio.”- ci sorride uno di loro e ci guardiamo tutti negli occhi, felici. -“L’operazione non sarebbe potuta andare meglio di così. Ora sta dormendo, l’effetto dell’anestesia sta passando, ma confidiamo tutti in una veloce ripresa. Ci vorranno settimane, magari qualche mese, ma dobbiamo avere solo calma e pazienza. E’ una donna giovane e forte, non ci metterà poi molto.”

“Q…Quindi… Ci state dicendo che camminerà?”- domando e sento quasi gli occhi pizzicare dalla gioia.

“Nina è forte, è giovane, e l’operazione è andata benissimo, senza nessun intoppo. Non vedo perché ci dovrebbero essere problemi.”- mi risponde un altro dottore.

 

Sia ringraziato il cielo! 

 

“Quindi sta bene?”- domanda ancora Candice.

 

Vogliono fare le dure e poi sono preoccupate quanto me…

 

“Si, come abbiamo già detto.”- le sorride un dottore.

“E quando potrà tornare a casa?”- domanda Paul. -“Perché tornerà, vero?”

“Diciamo che tutto dipende dal tempo di ripresa dall’operazione e da come reagirà agli stimoli, ma contiamo di mandarla a casa tra due settimane. Ovviamente dovrà venire qui per la riabilitazione, senza ombra di dubbio.”- ci spiega il medico.

 

Gli altri hanno qualche altra domanda, mentre io sono in trepidazione nel vederla. Giustamente ha avuto la precedenza la sua famiglia, ma credo di averne anche io il diritto. 

I dottori alla fine vanno via e, dopo circa venti minuti, i genitori di Nina escono dalla stanza, insieme ad Alex, e ci dicono di andare pure a casa o a mangiare qualcosa. Julie, Candice e Phoebe se ne vanno, rimaniamo solo io e Paul. 

 

“Forza Ian, entra.”- mi inviata la madre di Nina, mentre suo marito quasi la fulmina con lo sguardo.

 

Mi sono già graziato Michaela e Alex, so che con Kostantin sarà difficile, ma la speranza è l’ultima a morire. Non me lo faccio ripetere due volte e, dopo averle ringraziata con lo sguardo, entro all’interno della stanza. Mi richiudo la porta alle spalle e il mio sguardo corre subito sulla figura esile di Nina. E’ stesa a letto, ha molto più colorito di prima, e vederla dormire quasi normalmente mi fa tirare un sospiro di sollievo. Mi avvicino subito al letto e mi siedo sulla sedia accanto a lei. Prendo una sua mano tra le mie e la bacio. 

 

“Hai sentito quello che hanno detto i dottori?”- le domando, anche se so benissimo di non poter ricevere nessuna risposta. -“E’ andato tutto benissimo, ce l’hai fatta. Hanno detto che potrai tornare a camminare. Rimarrai qui un altro po’, ma poi finalmente ti manderanno a casa. A casa, tesoro, a casa. Ovviamente avrai bisogno della riabilitazione, ma non è niente al confronto di quello che hai passato, no?”

 

Rimango per qualche istante in silenzio, poi le accarezzo una guancia.

 

“Ho parlato con tuo fratello e… In qualche modo ci ha dato la sua benedizione, più o meno.”- le dico ridacchiando leggermente. -“L’unico da convincere rimane tuo padre, ma ha tutte le ragioni di questo mondo per odiarmi, ma ce la farò, infondo mi hai sempre detto di essere irresistibile, no?”

 

Rimango un altro po’ con lei, continuo a parlarle, ben sapendo che non sta ascoltando nulla e che non potrà rispondere, ma mi fa bene dirle alcune cose e dirle, soprattutto, ad alta voce. 

 

 

 

Tre ore dopo.

 

Sono di nuovo in ospedale. Mi sono staccato da Nina solo per andare a casa a fare una doccia e per rassicurare i bambini. Mi hanno pregato di portarli in ospedale, ma ho spiegato loro che Nina stava ancora dormendo. Ho spiegato loro anche che ha dovuto subire una piccola operazione -ormai sono in grado di capirlo, più o meno- per sistemarle le gambe -sono a conoscenza del fatto che abbia qualcosa che le impedisca di muoversi- e alla fine hanno capito. Ho promesso ai miei figli che li avrei portati domani, anche perché sono sicuro che anche Nina voglia vederli. 

 

“Si è svegliata?”- domando a Michaela, che sta leggendo un libro fuori dalla stanza.

“Non ancora, ma sono sicura che tra un po’ lo farà.”- mi sorride. -“Tu hai riposato almeno? Hai certe occhiaie…”

 

Scuoto la testa, mentre l’altra sorride. 

 

“Riposerò dopo…”- mormoro. -“Ti dispiace se… La saluto prima di tornare definitivamente a casa?”

 

Michaela scuote la testa, così entro per l’ennesima volta all’interno della stanza. Ormai l’ospedale è il posto che odio d più, per ovvie ragioni. Mi risiedo di nuovo accanto a lei ed inizio a raccontarle di quello che mi hanno chiesto i gemelli. Le prometto, appunto, di portarli il giorno successivo. Le dico anche  che mia madre e mia sorella non vedono l’ora di passare a trovarla e che ultimamente sta facendo preoccupare un po’ troppe persone.

Sono troppo perso nel raccontarle quello che è successo, quando è la sua voce a riportarmi a terra.

 

“Ti hanno mai detto di non disturbare la gente che dorme?”

 

La sua voce esce flebile e impastata, ma mi sembra il suono più bello del mondo. Sorrido istintivamente, mentre il mio cuore perde qualche battito.

 

“Sei sveglia…”- mormoro, mentre la mia voce trema.

“Lo sono.”- mi sorride debolmente. -“Comunque dì a tua madre e a tua sorella che possono venire quando vogliono…”

 

La guardo confuso. Mi stava ascoltando?

 

“Mi stavi ascoltando?”- le domando sorridendo.

“Ho ascoltato involontariamente l’ultima parte del tuo discorso.”- mi sorride. 

 

Non mi importa, l’importante è che sia sveglia.

 

“Sei sveglia…”- mormoro contro le sue labbra prima di darle un bacio. -“Un’altro po’ e sarei andato fuori di testa.”

“Ne sono convinta anche io…”- sospira sulle mie labbra. Alza un braccio e mi accarezza una guancia. -“E’ andato tutto bene?”

 

Le sorrido ancora più felice e le do un altro bacio, questa volta più lungo.

 

“Se è andato tutto bene? E’ andato alla grande. Nina, hanno detto che tornerai a camminare!”

 

 

 

 

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Buona domenica a tutte e scusatemi per il ritardo. Ovviamente a chi importa, visto che stiamo calando sempre di più e mi dispiace immensamente. Se non vi piace più la piega che sta prendendo la storia basta dirlo, davvero, non mi offendo :)

So che ognuno ha i propri impegni, ma è molto demotivante passare da 17 recensioni a 3. Ovviamente ringrazio quelle tre ragazze che hanno recensito, davvero!

Passiamo al capitolo, dunque. Nina finalmente è stata operato, sia ringraziato il cielo, ed è andato tutto perfettamente. I dottori hanno detto che tornerà a camminare, non ci sono problemi, ora è Nina che deve metterselo in testa e impegnarsi fino in fondo. La parte più importante del capitolo, oltre a questa, è il discorso che hanno Ian e Alex. Alex è diffidente nei suoi confronti (e vorrei vedere io u.u), ma Ian, come aveva fatto con Michaela, mette subito le cose in chiaro e fa una rivelazione parecchio scioccante. Sta preparando il divorzio con Nikki, senza ma e però. Decisione presa su due piedi, magari insensata per molti (no, non è vero, so che non stavate aspettando altro!), ma verrà chiarito tutto in seguito con dei flashback .-.

Basta, non ho nient’altro da dire, alla prossima e spero di trovarvi in molte ^^

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Welcome back, Nina. ***


                      Welcome back, Nina!




Twenty-Second Chapter.
Due settimane dopo.

Pov Ian.

Appoggio una mano contro il vetro della finestra della stanza e scuoto leggermente la testa. Nina è dentro insieme a sua madre e a due dottori, i quali stanno provando a farla reggere in piedi, ma è tutto inutile. Nell’ultima settimana, quella prima è stata necessaria per farla riprendere dall’operazione, hanno iniziato a farle la riabilitazione e ogni tanto hanno provato a farla rimanere in piedi, ma nulla. So che è difficile, sarà difficile, ma vederla così è un continuo colpo al cuore. Ce la sta mettendo tutta, so che ce la sta mettendo tutta, ma non ci sono stati progressi, di nessun tipo. Forse è più rilassata, questo si, ma siamo sempre punto a capo.

 

“Ancora nulla?”- domanda una voce alle mie spalle.

 

Paul.

 

“Ancora nulla.”- gli dico, mentre mi passo una mano tra i capelli.

“Hanno detto che ci vorrà tempo, Ian, ma sono sicuro che ce la farà. L’hanno detto anche i dottori.”- mi risponde Paul appoggiandomi una mano sulla spalla.

 

Lo so che ce la farà, ho la massima fiducia in lei. E’ una donna forte, la donna più forte che conosca, ma fa comunque male vedere la donna che amo soffrire in questo modo. Sono passati praticamente quattro mesi dall’incidente ed è ancora ferma, le gambe sono immobili. 

 

“Lo so, ma fa comunque male vederla così…”- mormoro frustrato.

“Lo so, Ian, fa male a tutti.”- mi dice sospirando. -“Ma sono sicuro che andrà tutto per il meglio, io so che ce la farà.”

“Come sta andando la festa?”- domando io, cercando di cambiare discorso.

“Alla grande, è quasi tutto pronto.”- mi dice sorridendo eccitato. -“Candice e Phoebe sono andate a prendere la torta. Quanto manca?”

“Penso circa mezz’ora, ti scriverò un messaggio quando partiamo.”- gli dico.

“L’importante è che stia tornando a casa, il resto verrà dopo.”- mi dice staccandosi da me. -“Corro a prendere i gemelli e Rachel a scuola, ci vediamo dopo.”

 

Annuisco e, in pochi secondi, rimango nuovamente solo. Qualche minuto dopo Michaela esce dalla stanza e mi sorride.

 

“Vado giù a prenderle una bottiglietta d’acqua, potreste farle tu compagnia?”- mi domanda.

 

Annuisco subito e le sorrido grato per l’opportunità che mi sta dando. Non me lo faccio ripetere due volte e entro all’interno della stanza di riabilitazione. Non appena Nina mi vede mi sorride raggiante, dimenticandosi completamente di tutta la situazione, e io le sorrido con la stessa intensità. I medici intanto stanno guardando alcune carte di alcuni esami, lasciandoci così qualche attimo libero.

Mi inginocchio di fronte a lei appoggiando le mie mani sulle sue gambe.

 

“Sei contenta di tornare a casa?”- le domando.

“Moltissimo.”- mi sorride raggiante e lo sconforto è già sparito dal suo volto. Credo che la felicità per l’imminente ritorno a casa sia in grado di spazzare via lo sconforto per non aver ottenuto alcun risultato. -“Non vedo l’ora di andarmene da qui.”

“Poche ore e sarà tutto finito.”- le dico accarezzandole la fronte. -“Come stiamo andando?”

 

L’ultima domanda, ovviamente, si riferisce a quello che stava facendo fino a qualche minuto fa.

 

“Come al solito, ma… Credo sia ancora presto, insomma… L’operazione è avvenuta due settimane fa e sto tentando di camminare davvero da una…”- mi dice inclinando leggermente la testa. Non c’è rabbia o disperazione nella sua voce, solo convinzione. E mi fa bene vederla così, non posso sopportare di vederla abbattuta. -“E’ presto.”

“Lo penso anche io.”- le sorrido raggiante. -“Sono felice di vederti così.”

“Così come?”- mi domanda.

Felice. Sei molto più tu nell’ultima settimana…”- mormoro sorridendole.

“Perché sono sicura che andrà tutto bene.”- mi dice, facendomi annuire.

“Andrà tutto bene e rimarrò al tuo fianco, per qualsiasi cosa.”- le rispondo e vedo i suoi occhi brillare.

“Lo so.”- mi sorride. -“Ed è per questo che ti amo.”

Ti amo anche io.”- le rispondo.

 

La bacio, la bacio quasi fino a toglierle il respiro. La bacio perché la amo, perché ne ho il bisogno, semplicemente la bacio senza troppe cerimonie.

Amo questa donna più della mia stessa vita e so che tutto andrà bene, deve andare bene.

 





























 

                                                               * * *
























 

“Ian, casa mia è dall’altra parte.”

 

Nina blocca lo scorrere dei miei pensieri. E’ uscita dall’ospedale venti minuti fa e ora siamo diretti sul set. Siamo diretti lì perché abbiamo organizzato una festa a sorpresa per il suo ritorno. All’inizio volevamo organizzarla a casa sua, ma dopo abbiamo cambiato idea perché non sarebbe stato molto produttivo. Il set è grande ed inoltre lì possiamo tornare a sistemare quando vogliamo, mentre a casa di Nina avremmo creato più confusione che altro. Sono convinto, così come gli altri, che Nina dovrebbe stare tranquilla a casa sua ed avere un continuo via vai di gente per sistemare tutto e fare quant’altro non sarebbe molto salutare. Così abbiamo optato per il set ed è, in qualche modo, anche un luogo simbolico. E’ dove ci siamo uniti, dove siamo diventati una famiglia, e quella stessa famiglia è pronta ad aiutare Nina senza nessun timore.

 

“Lo so, lo so…”- mormoro, mentre sento Michela ridacchiare dal sedile posteriore.

 

Ha insistito affinché Nina stessa davanti con me e lei se ne sta comodamente dietro. 

 

“E se lo sai perché stiamo andando da tutt’altra parte?”- mi domanda quasi scocciata. So cosa sta frullando nella sua bella testolina e so anche quanti problemi si stia facendo. -“Voglio andare a casa, dai bambini.”

“Ti rubo solo cinque minuti.”- le dico.

 

La sento quasi sussultare non appena nota dove siamo arrivati.

 

“Perché siamo sul set?”- mi domanda con sguardo corrucciato.

“Perché ho dimenticato il copione e dopo non farei più in tempo a tornare indietro… Devo ancora imparare la parte per domani e Julie potrebbe uccidermi…”- le dico, facendo valere le mie doti d’attore.

 

Per tutta la mattina ho ripetuto queste frasi nella mia testa, cercando di trovar un tono credibile, e Nina sembra quasi cascarci. Dico quasi perché non mi crede del tutto. Forse sono gli occhi, i movimenti, non so… Ma non credo di aver fatto completamente centro.

 

“Farò finta di crederti…”- borbotta incrociando le braccia al petto.

 

Ridacchio leggermente e scendo dalla macchina. Apro prima la porta a Michaela che mi ringrazia con lo sguardo, poi, dopo aver preso la sedia a rotelle da bagagliaio, apro la porta di Nina. Nina continua a guardarmi dubbiosa.

 

“Perché devo scendere anche io?”- mi domanda osservandomi. -“Che cos’hai in mente?”

“Un po’ d’aria ti farà bene.”- le dico inventando una scusa.

 

Nina mi guarda e fa di tutto per non scoppiarmi a ridere in faccia.

 

“Un po’ d’aria? Seriamente?”- ridacchia lei. -“In un posto chiuso?”

“Perché voi donne fate così tante domande?”- domando io, invece.

“Perché voi uomini fate schifo a mentire.”- ribatte lei.

 

Okay, questo è vero. E’ che non avrei mai pensato che facesse troppe domande. Io non le farei, per esempio.

Quello che dimentico costantemente è quanto curiosa sia e gioca ogni volta a mio sfavore.

Nina, per mia fortuna e per quella di Michaela, non fa più domande, così decidiamo di entrare. Spingo la carrozzina di Nina per un po’, fino ad arrivare di fronte alla sala relax. Dietro questa porta è perfettamente tutto addobbato.

 

“Come mai non c’è praticamente nessuno?”- mi domanda Nina. -“E perché stiamo andando in sala relax?”

“Vuoi che vi lasci in mezzo al corridoio?”- le domando divertito.

 

Nina sbuffa sonoramente, mentre mi blocco di fronte alla porta. Mi scosto da Nina per aprire la porta e ci scontriamo subito con il buio che regna sovrano all’interno della stanza. Perfetto, non si vede praticamente niente. Hanno fatto davvero un ottimo lavoro. Spingo la carrozzina di Nina all’interno della stanza, mentre Michaela mi segue e si chiude la porta alle spalle.

 

“Perché è tutto buio?”- domanda innocentemente Nina. -“Non c’erano delle finestre qui una volta?”

 

Non appena finisce la frase le luci si accendono all’improvviso rivelando tutto il cast, amici, parenti e i bambini che urlano Bentornata Nina. La stanza è addobbata alla perfezione, hanno fatto un ottimo lavoro. Ci sono un po’ troppi palloncini, ma credo che la colpa sia dei gemelli e di Rachel. Mi godo divertito, e anche un po’ emozionato, la reazione di Nina che ha la bocca spalancata e gli occhi leggermente lucidi. Credo che non si aspettasse una cosa del genere, ma non potevamo non farlo. I primi ad abbracciarla sono, naturalmente, i bambini, che le si gettano praticamente addosso. L’hanno vista spesso, ma, saperla qui, con loro, e non più in ospedale, li rende felicissimi e non posso non emozionarmi di fronte a una scena del genere. Poi è il momento di tutti gli altri che l’abbracciano e si congratulano con lei per essere ritornata. 

 

“Grazie a tutti, davvero…”- mormora Nina visibilmente emozionata mentre i bambini rimangono attaccati a lei. -“Non so cosa dire…”

“Averti qui è già abbastanza.”- le sorride Julie. -“Ed era d’obbligo darti un bentornato visto che sei rimasta per mesi chiusa dentro un ospedale.”

“Già, piccola Dobrev.”- interviene Michael Malarkey tenendo tra le braccia Joshua* il suo secondogenito. -“Guai a te se combini un’altra volta una cosa del genere.”

 

Nina gli sorride scuotendo la testa.

 

“Non preoccuparti, cercherò di tenermi parecchio lontana da eventuali incidenti.”- lo rassicura lei.

 

 

 

Pov Nina.

Mi sarei aspettata di tutto, ma non una festa a sorpresa in mio onore. Qualcosa avevo già iniziato ad intuire questa mattina e i miei dubbi sono diventati più insistenti visto il comportamento parecchio sospetto di Ian, il quale è veramente pessimo a mantenere i segreti. Lo è sempre stato in qualsiasi cosa e perfino qui. Con il tempo è decisamente migliorato, questo è vero, ma il suo problema sono ancora il trovare scuse decenti. 

Comunque ci sono praticamente tutti. Il cast di The Vampire Diaries e The Originals al completo, Riawna, che ha passato circa mezz’ora a stritolarmi, sebbene ci siamo viste una settimana fa, Ericka, Julianne, Lauren e tanti altri. E averli qui, tutti per me, mi ha fatto emozionare tantissimo. Non nascondo però che le persone che mi sono mancate più di tutti sono, ovviamente, i miei figli. Sono arrivata qui circa un’ora fa, più o meno, e non si sono staccati da me nemmeno un attimo. Continuano a riempirmi di baci, di abbracci, e dirmi quanto sia mancata loro. Sono sempre stati affettuosi, diciamo che lo sono sempre stati con me, ma non a questi livelli, ma la cosa non mi dispiace. E’ evidente che sia mancata loro tantissimo, ma ora non importa più, questa sera tornerò finalmente a casa con loro.

Stefan inizia a staccarsi da me quando Rachel lo reclama e la cosa mi fa insospettire. Sono sempre stati amici, da quando si conoscono, cioè da quasi un anno, ma non così affiatati. Mi perdo qualche istante ad osservarli ed un sorriso affiora sulle mie labbra. Stefan si alza in punta dei piedi ed afferra due bicchieri di aranciata e ne da uno a Rachel che gli sorride gioiosa, poi prende un piattino con della torta e glielo porge sempre gentilmente.

Qui gatta ci cova e nessuno mi ha detto niente. Joseph, invece, sta giocando con il figlio di Michael, di qualche anno più grande di lui, e la figlioletta di Joseph Morgan.

 

“Oh oh…”- sento borbottare, quasi sconsolato, una voce alle mie spalle. Sorrido istintivamente alla persona che si siede di fronte a me. -“Ora capisco perché Paul doveva parlarmi.”

 

Rido, mentre Ian mi fissa leggermente sconvolto e alterna lo sguardo da me a Stefan con Rachel. Allora sono l’unica a non sapere niente? Se Paul deve parlare a Ian, e questo sembra abbastanza preoccupato, vuol dire che il tutto ruota attorno alla materia figli. Credo che Paul stia diventando geloso della figlia.

 

“Per Stefan?”- domando ridacchiando.

“Non lo so, parlava di farmi un discorso serio sui gemelli, in particolare su uno, con tono abbastanza minaccioso e sono quasi sicuro che si tratti di Stefan e di quello.”- mi dice Ian indicando nostro figlio e la figlia di Paul parecchio sconsolato. -“Non vorrei che mi picchiasse ancora o che le colpe di nostro figlio ricadano su di me.”

“Ha solo sette anni… Che gravi colpe può commettere?”- gli sorrido.

“Questo non lo so, ma sai quanto Paul possa essere geloso di quella bambina, è pur sempre sua figlia…”- mormora scuotendo la testa.

“Secondo me ne stai facendo un dramma…”- gli dico io riportando l’attenzione su Stefan e Rachel. Sono bellissimi. -“Sono così teneri.”

“Teneri?”- domanda Ian alzando un sopracciglio.

“Non puoi non trovarli teneri, guardali.”- gli dico indicandoli nuovamente. Stefan dice qualcosa a Rachel e questa ride deliziata. -“Sono così belli insieme.”

“Così belli un corno!”- esclama una voce leggermente adirata, mentre un’altra ridacchia accanto a me.

 

Paul fissa i nostri figli preoccupato, mentre Phoebe mi sembra parecchio divertita.

 

“Spero che tuo figlio abbia buone intenzioni, perché la mia bambina non si tocca.”- tuona e non capisco con chi ce l’abbia.

“Un altro che sta facendo il drammatico…”- borbotta Phoebe. -“Io li trovo tremendamente carini…”

 

Io e Phoebe ci scambiamo uno sguardo d’intesa, mentre Paul fissa la moglie sconvolto. 

 

“Come puoi trovarli carini? Ci sta provando con nostra figlia, è ancora troppo piccola per certe cose!”- continua Paul, mentre io e Phoebe continuiamo a ridere.

“Ritieniti fortunato che quello non sia Joseph, sono sicuro che Stefan la tratterà bene.”- interviene Ian.

“Andiamo di bene e in meglio…”- borbotta Paul sprofondando sul divano.


























 

 

                                                                * * *

 

























 

Casa. Finalmente a casa. Casa dolce casa. Mi è mancato tutto questo, mi è mancato veramente casa. Non appena mia madre apre la porta i miei nervi si rilassano completamente. Può essere stupido, ma credo che il corpo di ogni persona riconosca quando si trova finalmente a casa.

E anche Spike mi riconosce visto che si lancia quasi contro di me ed inizia a leccarmi tutta la faccia. Non lo vedo tipo da quattro mesi ed è diventato enorme. Enorme è un eufemismo. Ed io che credevo rimanesse di taglia piccola o al massimo media… Spike ha le dimensioni quasi di un pastore tedesco. 

 

“Spike, buono su…”- borbotto mentre il cane continua a leccarmi.

 

Avrò sicuramente bisogno di una doccia.

 

“Gli sei mancata tanto, mamma…”- interviene Stefan guardando Spike. -“Quando tornavamo a casa lo trovavamo sempre sopra il tuo letto.”

“Era sopra il mio letto?”- domando accigliata.

 

Una delle regole che gli ho sempre dato, anche se qualche volta è stata infranta, era di non salire sul letto.

I bambini mi guardano colti in fragrante.

 

“Mamma, gli mancavi e lo sappiamo che non doveva salire sul letto…”- mormora Joseph.

“Non fa nulla.”- gli sorrido scompigliandogli i capelli. -“Forza, correte a lavarvi i denti.”

 

I bambini annuiscono e, dopo essersi tolti le scarpe, a velocità della luce corrono su per le scale diretti in bagno.

 

“Stai bene, tesoro?”- mi domanda mia madre.

“Mai stata meglio.”- le dico avvicinandomi a lei. -“Mi è mancata l’aria di casa.”

“L’importante è che tu sia qui.”- mi sorride raggiante lasciandomi una carezza sulla guancia. -“Ho cambiato le coperte sia della tua camera e sia della camera degli ospiti, dove preferisci dormire?”

 

Il primo istinto sarebbe la mia camera. Una delle cose che ho odiato di più dell’ospedale è stato il letto. Non era niente al confronto del mio.

Ma, visto la mia impossibilità a salire le scale e non volendo continuamente scomodare i miei genitori o mio fratello a portarmi su e giù, decido di scegliere la seconda opzione, la camera degli ospiti. E al piano terra e quindi non ci saranno problemi.

 

“Penso sia meglio la camera degli ospiti, visto che è al piano terra.”- le dico.

“Ne sei sicura?”- mi domanda.

“Sicura, almeno sarò direttamente al piano terra. Tu e papà potete prendere la mia stanza.”- le sorrido.

 

Ho tentato più volte di convincere i miei genitori a tornare a casa loro, ma hanno deciso di rimanere  a casa mia, con me, per me, per evitare problemi. Non cercavo di convincerli per mandarli via, ma soltanto perché lo trovavo più giusto così. Mi sembrava giusto, e logico, che andassero a casa loro e che continuassero la loro vita, ma poi mia madre e mio padre mi hanno fatta riflettere. Non potrei mai rimanere a casa con i gemelli in queste condizioni. Se mi accadesse qualcosa non sarei in grado di fare nulla visto che non posso muovermi o peggio… Se accadesse qualcosa ai gemelli non sarei in grado di chiamare aiuto. Così i miei genitori hanno decido di rimanere qui fino a quando tutto non si sarà sistemato e li ringrazierò a vita per questo. 

 

“Mamma, ci leggi la favola della buonanotte in camera?”- mi domanda Stefan.

 

Sono entrambi in pigiama e devo ringraziare mio padre per questo.

Li guardo e sono entrambi speranzosi. Vorrei dire loro di si, come meritano, ma dovrei far rimanere svegli a lungo i miei genitori, perché mi riportino giù, e mi dispiace farlo. Non ho molte altre soluzioni.

Ma so anche che questo è un modo per passare più tempo con me. Oggi siamo stati insieme, ma siamo sempre stati circondati da molte persone e non siamo riusciti a passare del tempo da soli.

 

“Se non puoi salire le scale”- inizia Stefan. Loro sanno quello che mi è successo, è stato Ian a dirglielo. L’ha spiegato loro a grandi linee, in pratica sanno che ho fatto un ‘piccolo incidente’ e che ho un problema alle gambe che mi impedisce di camminare. -“stiamo noi giù, in camera con te.”

 

Eccoli lì che ritornano ad essere dei bambini furbi. Il pretesto è quello di dormire con me in camera. Ian mi ha raccontato anche questo. In questi ultimi mesi, sebbene fossero con lui, hanno sempre fatto fatica a dormire e più volte si sono lamentati di non esserne in grado perché gli mancavo. Non per il fatto che non sono in grado di dormire se non dormono insieme a me, perché sono sempre stati in grado di farlo, ma proprio perché sentivano completamente la mia mancanza e tutto un accumularsi di cose. Ma come posso dire loro di no ora?

 

“Piccoli furbetti, è un pretesto per stare con me?”- domando loro ridacchiando.

“Dai mamma!”- mi pregano entrambi.

“E va bene… Forza, andate di sopra a prendere quello che vi serve e poi tornate giù.”- dico loro.

“Grazie mamma!”- esclamano all’unisono gettandomi le braccia al collo.

 

Dopo avermi dato un bacio corrono veloci su, mentre mio padre mi sorride e mi prende tra le sue braccia.

 

“Senza di te erano persi…”- mormora mentre mi accompagna in camera, seguito da mia madre. -“Abbiamo fatto di tutto per svagarli in questi ultimi mesi, ma sei stata un pensiero fisso per loro.”

“Non voglio nemmeno pensare a quanto abbiano sofferto…”- mormoro amareggiata.

“Ma ora sanno che sei qui e che non te ne andrai più.”- interviene mia madre con il mio pigiama tra le braccia. -“E sono tornati subito quelli di prima.”

“Vi lascio, se serve qualcosa non esitate a chiamarmi.”- interviene mio padre. -“Buonanotte tesoro, sono così felice che tu sia qui.”

 

Saluto mio padre e mia madre mi aiuta a togliermi i vestiti e ad infilarmi il pigiama. E’ un po’ imbarazzante tutto questo. Non perché mi vergogni di mia madre, ma per il fatto di non riuscire a fare le cose essenziali. Ma so che devo essere forte e che prima o poi tutto questo finirà. 

Sono già a letto sotto le coperte quando i gemelli ritornato con i loro fedelissimi pupazzi e con Spike alle calcagna. 

 

“Vado anche io a letto, notte.”- mi dice mia madre e da ai gemelli un bacio sulla fronte.

 

I gemelli si catapultano direttamente sul letto e li aiuto a mettersi sotto le coperte, mentre Spike si siede sul pavimento accanto al comodino.

 

“Mamma, forse vuole venire anche lui…”- mi fa notare Stefan accoccolato sul mio petto. -“Guardalo…”

“Si mamma, vuole venire con noi…”- continua Joseph con la testa appoggiata sopra la mia pancia.

“Ci stiamo a malapena noi in tre…”- faccio notare ad entrambi.

“E gli facciamo un po’ di posto!”- mi dice Stefan.

“Può stare in fondo al letto…”- continua Joseph mettendomi alle strette. 

 

Messa alle strette decido di far venire anche Spike con noi. Batto una mano sul letto e il cagnolone non se lo fa ripetere due volte. Con poca grazia salta sul letto e va a depositarsi esattamente sopra i miei piedi. Questa notte riuscirò a dormire?

 

“Ci stiamo tutti, visto?”- mi domanda Stefan dandomi un bacio sulla guancia.

“Proprio come una volta…”- mormora Joseph.

 

Già, sembra tornato tutto come una volta. Noi tre, su un letto, a coccolarci, con l’aggiunta di Spike. Tutto come una volta, ma tante cose sono cambiate dal nostro arrivo ad Atlanta. Una di queste, se non la più importante, è Ian. Ian che è con noi, ma allo stesso tempo non lo è. Ian che ha una moglie a casa e un futuro bambino e che non capisco che cosa abbia intenzione di fare. Ormai non dovrebbe mancare molto alla nascita di quel bambino, un paio di mesi, credo. E la cosa comincia un po’ a puzzarmi. Da quando ho avuto l’incidente Ian è sempre stato praticamente con me, non stando mai a casa con la moglie. Certo, ci stava insieme, ma in modo sporadico. E poi tutte le volte che Paul mi ha detto di come stessero andando male le cose tra lui e Nikki e di come mia madre mi continuasse a dire che c’era qualcosa che non andava. E’ ovvio che ci sia qualcosa che non va, ma cosa? Tutte le volte che ho chiesto qualcosa a Ian cambiava subito discorso, come se qualcosa lo stesse tormentando. E vorrei davvero capire cosa.

 

“Forza, è ora di dormire.”- li incito.

“E la favola?”- mi domanda Joseph.

 

Mi viene un’idea.

 

“Perché non mi raccontate che cosa avete fatto in questi mesi?”- domando io.

 

Voglio ritornare dentro le loro vite. Non che prima non fossi presente, ma mi sono persa parecchie cose in questi mesi e ho tutta l’intenzione di recuperare.

E così i bambini, sovrastandosi molte volte, iniziano a raccontarmi di come stiano andando a scuola, di come abbiano imparato a leggere bene e a scrivere e di come si siano appassionati ad alcuni sport. E, tra i loro racconti, ci addormentiamo tutti e tre abbracciati. 

 

 

_____________________________________________________

 

 

*E’ puramente inventato. Michael ha già un figlio, mi sembra si chiami Marlon, ma, secondo i calcoli, in questa storia dovrebbe avere all’incirca 10/11 anni, quindi ha avuto anche un altro figlio.

 

 

Buon inizio di settimana a tutte, eccomi qui con l’ennesimo capitolo :)

Ringrazio subito le splendide dodici persone che hanno recensito lo scorso capitolo, dimostrandomi ancora una volta il grande affetto che provate per questa storia, e spero di trovarne altrettante, o comunque abbastanza, anche perché, da qui in poi, la storia è praticamente tutta in discesa.

Manca poco per scoprire che cos’ha scoperto Ian, manca poco, insomma, affinché lui capisca che quello che ha scoperto (che giri di parole!) sia la verità. Lo so che fremete, ma ogni vostro desiderio di conoscenza sarà presto esaudito ;)

Questo è più un capitolo di passaggio, uno di quei capitoli leggeri. Nina, dopo mesi e mesi, esce finalmente dall’ospedale e, ovviamente, il cast le prepara una grandissima festa a sorpresa. Mi dispiace non essermi dilungata molto con la festa, a parte il momento Nina-Ian-Paul-Phoebe, ma non avrei saputo che altro aggiungere. Ebbene si… Alcune di voi l’avevano indovinato… Paul voleva fare un discorso a Ian sui gemelli per quanto riguarda Rachel, ma Stefan l’ha preceduto ahahaha

Non so chi dei due vi aspettavate, magari Joseph, ma Stefan mi sembra quello più serio e “adatto” a Rachel e alla gelosia di Paul :’)

Non so come li trovate voi, ma io li trovo carinissimi (cit. Nina e Phoebe) insieme *^*

L’ultimo momento è quello che mi è mancato più di tutti scrivere e ci riporta un po’ alle origini, quando erano solo Nina e i gemelli, tutti e tre nel lettone, madre e figli. Con il passare del tempo si aggiungerà anche qualcun altro, ma non so… Mi è piaciuto scrivere di un ritorno alle origini, ecco. 

Il prossimo capitolo avrà due flashback, vi avviso. Passerà un mese da questo (non che aggiorni tra un mese, ma dico come lasso di tempo all’interno della storia ahahaha) e ci saranno alcuni piccoli-grandi cambiamenti, in maniera particolare sul fronte Nina, anche perché se lo merita, povera cucciola w.w’

E non dovrei dirlo, ma… Ho già in mente un’altra Nian, totalmente diversa da questa. Niente più And if su questa, anche perché non saprei proprio cosa inventarmi. Non ho scritto ancora nulla, se non un mini prologo, e sto capendo un po’ come impostarla, e, ovviamente, non abbandonerò queste storie, anche perché devo portarle a termine. 

Forse la pubblicherò, dipende da cosa ne viene fuori, ma comunque ve lo farò sapere, come ho sempre fatto. Sarà totalmente diversa da questa e… Già lo so che mi mancheranno a morte i gemelli :/

Basta, non ho altro da aggiungere, alla prossima <3

PS: Ho appena scritto il prossimo capitolo e boh... Mi sono parecchio emozionata *^*

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Capitolo 23
*** I did it! ***


                               I did it!



Twenty-Third Chapter.

Un mese dopo.

Pov Nina.

 



 

“Devo parlarti.”- dico perentoria all’uomo di fronte a me.

 

Ian si volta di scatto nella mia direzione e smette di fare quello che sta facendo. Ultimamente lo vedo molto strano e la cosa mi preoccupa. E’ da qualche mese che è strano, appunto devo parlargli di questo, ma sembra che ultimamente le cose siano peggiorate, e anche drasticamente. Siamo sul set. I gemelli sono a scuola e sono passata a salutare tutti. Mi ha portato mia madre qui ed è andata via mezz’ora fa. Candice mi ha chiesto gentilmente di fare da baby-sitter al piccolo Daniel, che si sta divertendo a mordere un giocattolo di gomma, ed io ho accettato. Se avessi bisogno di qualcosa, se lui avesse bisogno di qualcosa, potrei chiedere a chiunque. Daniel volta la piccola testolina verso Ian e muove le gambe, mentre io gli accarezzo la testolina bionda.

 

“E… Di che cosa dovresti parlarmi esattamente?”- mi domanda accarezzando la guancia del bambino seduto sopra le mie gambe.

Di te.”- gli rispondo. 

“Di me?”- domanda aggrottando le sopracciglia sedendosi sul divano di fronte a me.

“Di te, esatto.”- concludo muovendo leggermente il gioco di Daniel facendolo ridacchiare. Questo bambino assomiglia ogni giorno di più a Candice. Capelli biondi e occhi azzurrissimi. E’ un bambolotto. -“Sono seriamente preoccupata.”

 

Ian si passa una mano tra i capelli nervoso e già la cosa comincia a farmi agitare. Perché è così nervoso?

 

“Ultimamente sei strano.”- gli dico senza giri di parole.

 

Ian si mette più composto e posso vedere i suoi muscoli, sotto la maglietta, completamente tesi.

 

“Strano?”- mi domanda quasi annaspando. -“Cosa intendi per strano?”

Strano.”- gli rispondo facendolo sbuffare sonoramente. -“Okay, non sembri tu, ecco. Sembra che ci sia qualcosa che ti stia tormentando, non so se mi spiego.”

“Non mi sta tormentando niente.”- asserisce lui. -“Davvero?”

“Sono preoccupata per te.”- sbotto, forse con un po’ troppa veemenza. Cerco di tranquillizzarmi e ci riesco. -“Sai che puoi parlarne con me, voglio solo aiutarti.”

 

Ho come l’impressione che si stia chiudendo in se stesso, oppure di essere l’unica a non sapere qualcosa.

 

“Lo so, mi fido di te.”- mi dice sicuro.

“E perché non mi sembra?”- domando io frustrata. -“Ovviamente c’è qualcosa che ti tormenta, ma voglio sapere cosa.”

“Non c’è nulla che mi tormenta.”- mi risponde facendo schioccare la lingua contro il palato.

“Sei nervoso per l’imminente nascita di tuo figlio?”- domando ingenuamente.

 

Ian serra la mascella e io mi pento all’istante della domanda. Se è nervoso per quello voglio solo aiutarlo. Okay, mi fa male tutta questa situazione, sto soffrendo troppo, stiamo soffrendo troppo, ma se posso essergli d’aiuto mi farebbe piacere. So che Ian mi ama ed è questo che riesce a farmi un po’ meno male, sapere che mi ama e che, in qualche modo, tutto questo migliorerà. Credo che ci vorrà del tempo. Ci siamo ripromessi tempo fa di prendere entrambi la nostra strada, separarsi, ma, dopo tutto quello che è successo, è evidente che non ne siamo in grado. Ci amiamo, ce lo siamo detto più volte, e entrambi abbiamo deciso di lottare per l’altro e vogliamo esserci per entrambi. Ecco perché voglio capire che cos’abbia Ian, per aiutarlo, per farlo sentire meno solo. Le cose con Robyn, da quello che ho capito, non sono migliorare e non so nemmeno perché abbiano litigato, anche se penso che sia per causa mia.

 

“Scusa, non volevo turbarti, io-”

“Non mi hai turbato.”- ribatte lui cercando, in qualche modo, di tranquillizzarmi.

“Davvero, non volevo, non dovremmo nemmeno parlarne, hai ragione.”- continuo a scusarmi e abbasso lo sguardo.

 

Daniel decide che il suo gioco non gli piace più e si sta divertendo con i miei capelli. Lo lascio fare, basta che non inizi a tirarli.

 

“Nina, io”- si ferma e lo sento sospirare prima di continuare a parlare. -“… ultimamente sono successe alcune cose, delle cose che mi hanno profondamente turbato e voglio capire se siano vere.”

 

Alcune cose? Se siano vere?

Cosa diavolo è successo? 

E’ qualcosa di grave?

 

“Alcune cose? Se siano vere?”- domando aggrottando le sopracciglia. -“Non capisco.”

“Non ci sto capendo molto nemmeno io…”- mormora amaramente.

“Vorrei poterti aiutare, davvero…”- continuo io.

 

Mi avvicino di più a lui, per quanto questo aggeggio infernale possa permetterlo, tenendo saldo Daniel tra le braccia, in modo da non farlo cadere, e gli accarezzo una guancia segnata da un filo di barba. E’ bellissimo, anche se lo preferisco senza barba.

 

“Lo so.”- mi sorride dolcemente e mi tocca la punta del naso. Gli sorrido istintivamente. -“Lo so che vorresti aiutarmi, ma le cose sono molto più complicate di così. E’ una cosa personale.”

 

Abbasso lo sguardo, ferita. Personale. Forse non vuole che mi intrometta nella sua vita e forse ha ragione.

Chi sono io per farlo? 

Ian molto probabilmente si accorge del mio repentino cambio d’umore e mi obbliga a guardarlo tenendomi il mento. Il suo tocco delicato mi fa rabbrividire, ma non per cattive sensazioni.

 

“Personale non nel senso che intendi tu. Sai che se potessi ti direi tutto, ma prima di andare oltre questa faccenda devo chiarirla. Prima farò chiarezza, poi ti dirò ogni cosa, te lo prometto.”- mi dice sporgendosi per darmi un delicato bacio sulle labbra.

 

Una mia mano, mentre l’altra è impegnata a sorreggere Daniel, va dietro il suo collo e lo trattengo in modo da far combaciare ancora le nostre labbra. Sento Ian sorridere e approfondisce il bacio in modo passionale, ma entrambi siamo costretti a staccarci quando Daniel diventa irrequieto sulle mie gambe in cerca di attenzioni.

 

“Sei proprio tale e quale a tua madre, piccoletto.”- ridacchia Ian scompigliandogli piano i capelli. -“Interrompi sempre i momenti migliori.”

 

Daniel lo guarda stranito e allunga le braccia verso Ian, che lo prende tra le braccia iniziando a fargli il solletico. Il bambino ride sdentato e io mi ritrovo a ridere con lui. E’ sempre stato bravo con i bambini, l’ho sempre saputo e lo vedo ogni giorno con i gemelli. Mi sentirò in colpa per tutta la vita per aver fatto perdere loro questi momenti con il padre. 

Ian nota subito il mio repentino cambiamento d’umore e mi fissa allarmato.

 

“Cos’hai? Stai bene?”- mi domanda preoccupato.

“Si, va… Tutto bene…”- mormoro distogliendo lo sguardo da lui.

“So che non va tutto bene.”- mi dice Ian mettendosi a sedere Daniel sulle gambe. -“Non è da te cambiare umore così.”

“Come… Come puoi avermi perdonato per quello che è successo? Con i bambini intendo…”- gli dico.

 

Ian mi fissa confuso, ma poi capisce il perché di questa domanda. Credo abbia fatto il mio stesso collegamento. Quello che fa è sorridermi, dolcemente.

 

“Nello stesso modo in cui mi hai perdonato tu. Abbiamo sbagliato entrambi, tu per non avermi detto dei bambini ed io per averti abbandonato e non essermi più fatto trovare. Ma è acqua passata.”- mi dice accarezzandomi una guancia. -“Quando tutto questo sarà finito saremo finalmente una famiglia e quello che ci è accaduto, la parte brutta, sarà solo un vecchio e brutto ricordo.”

 

 



 

 

E da quel giorno le cose non sono cambiate poi molto. Certo, io e Ian siamo sempre più affiatati, ma la situazione, campo matrimonio e tutto il resto, è ancora quella, piatta. Una situazione che si è sbloccata, forse quella più importante, è la mia. Non sono ancora in grado di camminare, ma i progressi ci sono. Riesco a sollevare le gambe, finalmente ci riesco! E se quelle si muovono, perché lo fanno, tra non molto sarò in grado di camminare. Sono consapevole che ci vorrà ancora del tempo, per ritornare come prima, ma i progressi si vedono, ci sono. Sto seguendo una dieta ferrea, ricca di vitamine e proteine, faccio fisioterapia cinque volte a settimana e, ovviamente, faccio molto esercizio anche a casa. Esercizio per riprendere l’uso degli arti e per tonificare muscoli e tutto il resto. Per reggermi in piedi, ovviamente, non serve solo che le gambe mi rispondano, ma devono essere anche in grado di tenere tutto il mio peso. Non che sia ingrassata, anzi, ho perso dei chili, ma essendo state ferme a lungo, hanno bisogno di riprendere massa muscolare e quant’altro. 

 

 

 

 

 

 

Ormai sono passate altre due settimane dall’operazione, circa un mese, dall’operazione e mi sento decisamente meglio. Non che abbia ripreso l’uso delle gambe, ma mi sento meglio in generale. Ho finalmente ripreso la mia routine, più o meno, ho di nuovo la mia vita in mano e sono rientrata nuovamente nella routine dei miei figli. Bambini che, ogni giorno che passa, diventano sempre più felici. A scuola va tutto bene, con Rachel, almeno per Stefan, va tutto bene -anche se più volte Paul gli ha fatto un discorso da uomini-, e anche sullo sport. I bambini, qualche giorno fa, hanno deciso di iniziare a fare calcio*, come dei loro amichetti di scuola. E chi sono io per impedirglielo? Vederli felici fa felice anche me, così, in comune accordo con Ian, li abbiamo iscritti ad una scuola calcio. Per non creare problemi alla nostra figura, ovviamente, non siamo noi a scortarli agli allenamenti, ma dei nostri conoscenti -tipo Julianne, a volte Riawna, ed altri amici, a volte addirittura mio padre, visto che praticamente nessuno lo conosce. Ci siamo dovuti adattare così per non creare sospetti. Ho vissuto più di sette anni nascondendo la loro esistenza e, per quanto risulti difficile, non voglio che lo vengano a scoprire ora. Tutto questo con la collaborazione di un amico di Ian, che è anche l’allenatore della squadra, e del presidente, la persona che si occupa di tutto. Se li avessimo iscritti ad un’altra società tutto il mondo lo saprebbe, visto che non avremmo potuto fare nomi falsi, così abbiamo optato per quello e non ci sarà nessun problema. 

Abbiamo già avuto fortuna con la scuola ed essendo privata, come giusto che sia, non ha diramato nostre informazioni in giro, quindi non abbiamo voluto rischiare. 

I bambini ne sono felicissimi e vanno entusiasti agli allenamenti. Giocano da poco, ma, da quello che ho capito, se la stanno cavando alla grande. A Stefan piace dirigere il gioco, quindi presumo, per quanto ne sappia, che faccia il centrocampista, colui che crea il giorno, in teoria, e Joseph è rimasto affascinato dal ruolo di portiere. Ian me l’ha raccontato a grandi linee e non ci ha capito molto, lui non se ne intende, e i bambini sono sempre troppo eccitati affinché possa capirne qualcosa. 

L’importante è che siano felici e che non si facciano male, il resto non conta. 

Quindi i bambini sono felici, lo siamo tutti. Ian si è tranquillizzato nell’ultimo periodo, o almeno mi sembra molto più rilassato, anche se fremo dalla curiosità, e dalla preoccupazione, di scoprire che cosa abbia.

E’ proprio lui che mi sta accompagnando nella clinica fuori Atlanta, dove faccio riabilitazione.

 

“Ti senti bene?”- mi domanda.

 

Roteo gli occhi al cielo sbuffando.

 

“Me lo domandi ogni volta che mi accompagni. Sto bene.”- gli rispondo.

“Mi preoccupo per te.”- mi dice parcheggiando con cautela la macchina.

 

Una cosa che non è cambiata, da quando ho avuto l’incidente, è la mia avversione per la macchina, ma sto decisamente migliorando. Mi fa ancora paura, ma è l’unico mezzo con cui posso spostarmi, ovviamente sempre accompagnata da qualcuno. Ovviamente non mi fido ancora di guidare, non posso farlo. Non mi fido nel senso che non mi sento pronta, è logico che in questo preciso momento non possa farlo. Prima di tutto dovrei riuscire a camminare, o perlomeno essere in grado di muovere perfettamente le gambe. Seconda cosa avrei bisogno di una macchina, visto che la mia è andata distrutta. Non che i soldi mi mancano, ma la mia prospettiva di comprare una macchina è lontana anni luce dalla realtà.

 

“Lo so, questo ti rende onore.”- rido leggera e lo vedo scuotere la testa divertito.

 

Quindici minuti dopo sono già cambiata, grazie all’aiuto di Ian, e ho iniziato a fare i miei esercizi di riabilitazione con una dottoressa. Ci è stata consigliata dal dottore che mi ha operato, il quale tornerà per una visita completa tra qualche settimana, ed è davvero una ragazza dolcissima e veramente professionale. Mi aiuta, come richiede il suo lavoro, in tutto e non è nemmeno invadente, sapendo benissimo chi siamo e cosa facciamo. Fa sempre parte dell’equipe medica dell’ospedale e, naturalmente, come da politica dell’ospedale, non è tenuta a divulgare informazioni, ma so che non lo farà, mi fido di lei. Mi sarebbe piaciuto avere anche il medico che avevo all’ospedale, quello che aveva la cotta per Ian, mi è da subito stato simpatico, ma non si può avere tutto dalla vita. Ian è fuori dalla stanza, come obbligatorio, ma posso sentire in qualche modo i suoi occhi su di me. Iniziamo sempre con i soliti esercizi, quelli tipici, di rafforzamento muscolare e poi passiamo a quelli veri e propri di riabilitazione, questa volta aiutati sempre da un giovane medico. Ian non l’ha visto molte volte, ma credo gli stia antipatico. Ha detto che non gli piace a pelle, ma credo sia a causa delle occhiate che mi lancia e Ian fa di tutto per accompagnarmi il più spesso possibile per questo, credo. Mi aiutano a muovere le gambe, o almeno… Io faccio di tutto per essere partecipe e loro fanno tutto il resto. Le fanno piegare, in modo da far rafforzare anche tutte le articolazioni, poi iniziano a far muovere su e giù prima una e dopo l’altra. Continuiamo per un bel pezzo, poi decidono di farmi fare una pausa per lasciarmi anche un po’ di tempo di stacco tra una seduta e l’altra.

Una volta rimasta sola Ian entra all’interno della stanza e mi posa un bacio sulla fronte. 

 

“Siamo ancora convinti di non voler chiamare un’altra fisioterapista?”- mi domanda continuando ad osservare la porta.

“Ian!”- lo richiamo sollevando gli occhi al cielo. -“La vuoi smettere?”

“Ma hai visto come ti guarda? Dovrebbe avere un po’ più di contegno, dannazione.”- borbotta chiudendo gli occhi a due fessure.

“Ian, ha anche troppo contegno. Non sta facendo niente di male.”- gli faccio notare divertita.

“Oh, tu non vedi quello che vedo io.”- mi fa notare lui incrociando le braccia al petto.

 

I suoi muscoli si tendono mostrandomi perfettamente le sue braccia muscolose. Indossa una maglia nera a maniche corte che mette ancora più in risalto il suo fisico. E quelle braccia, poi… Okay, non devo pensare a questo ora.

 

“E cosa vedi? Sentiamo…”- lo invito a parlare con un eloquente gesto della mano.

“Non ti stacca gli occhi di dosso, Nina.”- mi dice e quando pronuncia il mio nome con quel tono non va mai a finire bene. -“E non deve guardarti così.”

 

Mi passo una mano tra i capelli esasperata, ma sono sinceramente colpita, in positivo, di questa sua gelosia.

 

“E perché dovrei chiamare una fisioterapista?”- gli domando. -“Potrebbe fare la stessa cosa con te.”

“L’altra ragazza non lo fa.”- mi fa notare.

 

Oppure prova troppo rispetto nei miei confronti e non vuole infierire oltre, oppure maschera tutto molto bene. Come si può rimanere impassibili di fronte a Ian?

 

“Oppure lo maschera molto bene.”- gli faccio notare.

“Ma questo non c’entra.”- ribatte lui fermamente convinto. -“So che non ti lasci influenzare, visto il mio meraviglioso aspetto, ma deve smettere di guardarti così.”

 

Ecco che inizia a fare il modesto. Mentre Ian continua a nominarmi un sacco di ragioni sul perché quel povero fisioterapista non mi debba nemmeno guardare, io mi concentro sulle mie gambe. 

Volere è potere, no? Io voglio muovere questa dannatissime gambe, perché non posso? L’operazione è fatta, sto bene sia fisicamente che mentalmente, allora deve funzionare anche questo. Mi concentro sulle mie gambe ed è come se ci fossi solo io all’interno della stanza. La voce di Ian è come una sorta di eco. Mi fisso le gambe, attentamente. Mi basta percepire anche solo il più piccolo movimento, uno solo, almeno capirei se vale ancora la pena lottare.

So che ne vale la pena, ma è parecchio demoralizzante non vedere nessun risultato. Siamo quasi a maggio ed è ora che qualcosa cominci a muoversi. Mi concentro sui miei muscoli, su tutto il mio corpo e provo ad alzare una gamba, almeno una. Strizzo leggermente gli occhi e non succede nulla. Devo riprovarci, devo riuscirci, posso e devo farcela. Ci provo di nuovo, ma niente, mi sento le gambe ancora pesanti, ma non mi importa, devo, voglio, farcela. E quasi non mi accorgo nemmeno di quello che sta effettivamente accadendo. Mi rendo conto quasi a sprazzi di quello che sto facendo, di quello che riesco a fare. La mia gamba destra si solleva piano, di poco, pochissimo, ma si solleva! Si solleva! 

La mia gamba ricade, forse per il troppo sforzo, e quasi non mi sembra vero, mi sembra di star sognando. 

Ma, quando per la seconda volta ci riesco, capisco che non è tutto un sogno. Sebbene non si alzi di molto e sebbene stia facendo una fatica immensa, si muove, riesco a muoverla. La muovo perché lo voglio io, perché glielo sto ordinando.

La faccio ricadere ancora e strattono Ian per un braccio, incredula. Uno Ian che non si è accorto di nulla, presumo.

Inizio a tremare visibilmente e alzo lo sguardo su Ian. Sono convinta di star quasi piangendo, perché sento gli occhi incredibilmente umidi, e vedo Ian spalancare gli occhi e la bocca preoccupatissimo.

 

“Ian…”- mormoro incapace di proferire parola.

 

E si, sto piangendo, lo sento dalle guance bagnate. Ma non è un pianto triste, è un pianto di gioia.

 

“Nina, che cos’hai?”- mi domanda allarmanti inginocchiandosi di fronte a me. -“Perché piangi? Ti stai sentendo male?”

“Io… Io… Ian… Non mi sento male, io…”- balbetto e singhiozzo, ormai non capisco più nulla. -“Ci riesco… Ci riesco… Ci riesco!”

“A fare cosa? Cosa riesci a fare?”- mi domanda prendendomi il viso tra le mani. -“Ti prego, dimmi qualcosa, parlami!”

 

Sebbene sia troppo scossa ed euforica per fare qualsiasi altra cosa, decido di mostrargli quello che ho appreso e spero, prego, che non sia stata solo un’allucinazione e che sia vero. Non potrei reggere se si trattasse di qualcosa che la mia testa ha elaborato. Così gli indico le mie gambe, mentre Ian mi fissa ancora più confuso. Prendo una sua mano tra le mie e la stringo, forte. 

E, mentre Ian osserva le mie gambe, ci riprovo. Faccio come ho fatto prima, mi concentro e faccio di tutto per riuscirci, perché devo mostrarlo anche a lui. Ed eccolo lì di nuovo il movimento della mia gamba. Riesco ad alzarla come prima, forse un po’ di più. Sento la presa di Ian farsi ancora più forte ed alterna lo sguardo dalle mie gambe a me, incredulo.

 

“Ti prego… Dimmi… Dimmi che stai vedendo quello che… Quello che vedo io…”- balbetto.

“La tua… La tua gamba si… Si muove…”- balbetta incredulo.

“Lo vedi anche tu, quindi?”- domando estasiata.

“Lo vedo, io… Lo vedo!”- trilla euforico guardandomi negli occhi, diventati improvvisamente lucidi. -“Come… Come hai fatto? E… L’altra?”

 

Non ci ho ancora provato, ma decido di provarci adesso. Se si muove una, deve muoversi per forza anche l’altra, non posso andare avanti con una gamba si e una no. E ci provo, con l’appoggio di Ian. Faccio un po’ più fatica dell’altra, visto che ho già provato a muoverla più volte, ma ce la faccio. Si muove anche la sinistra.

Si muovono entrambe!

 

“Si muovono… Si muovono entrambe…”- balbetta Ian euforico.

“Ce l’ho fatta!”- gli dico io in risposta fissandomi entrambe le gambe. -“Non è un sogno, vero?”

“Non che non lo è, no che non lo è!”- mi dice Ian e gli occhi gli diventano, se possibile, ancora più lucidi. In pochi secondi le sue braccia sono attorno al mio collo e mi stringono forte a lui. -“Ce l’hai fatta… Oh mio Dio… Ce l’hai fatta Looch!”

 

Mi stringo di più a lui ed inizio a singhiozzare. Il mio corpo si rilassa completamente a causa di questo cambiamento e per la vicinanza di Ian. E Ian questa volta non mi dice niente sul perché sia scoppiata a piangere, anzi, lo sento tirare su col naso e so che si sta trattenendo. Non gli dico nulla, penso che non ci siano parole per questo momento.

Io… Ce l’ho fatta! Le mie gambe si muovono!

 

“Questo vuol dire che…”- mi blocco, troppo euforica, felice, scombussolata per parlare.

“Che non è un sogno e che tornerai a camminare presto!”- termina la frase per me Ian.

 

Mi prende d’impeto e mi bacia, lasciando che alcune sue lacrime, poche, ma ci sono, si mischino con le mie. Penso di essere diventata una fontana. Ridiamo entrambi e ci osserviamo felici, come non lo siamo mai stati. Ian mi accarezza la fronte e mi scosta una ciocca di capelli sistemandola dietro l’orecchio.

 

“Non ho mai, e dico mai, perso la fiducia su di te!”- mi dice aprendosi in un enorme sorriso.

“Hai sempre avuto fiducia su di me? Dopo tutto questo tempo?”- gli domando.

Sempre.”- mi dice.

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*Non potevo assolutamente scegliere uno sport diverso, mi dispiace u_u

 

 

Buona domenica a tutte ^^

Lo so, capitolo ricco di flashback, ma mi servivano entrambi per dare una svolta alla storia. Parto prima dal secondo. Non so se sembra surreale come cosa (dopo aver visto Arrow niente lo sembra più .-.), ma mi sono sempre immaginata questo momento per il ritorno di Nina a camminare. Non è che cammini, ma le sue gambe hanno iniziato a muoversi e da qui il passo è davvero breve. Ha subito l’operazione un mese prima e mi sembra un tempo abbastanza ragionevole per una ripresa. E’ anche vero che si è svegliata in febbraio, circa, ma siamo quasi agli inizi di maggio e quindi sono passati praticamente tre mesi. Nina, quindi, ha riacquistato l’uso delle gambe e migliorerà sempre di più, come vi avevo promesso. Merita un po’ di felicità e presto ne avrà, lei e Ian la meritano :)

Nei prossimi capitoli vedremo ancora dei miglioramenti, sia al presente e sia sotto forma di flashback, ma sto tentando di velocizzare un po’ le cose perché non ho intenzione di perdere capitoli su capitoli a scrivere di come migliori e altro. Ci sono cose più importanti al momento, tanto il più è stato fatto.

Per quanto riguarda il secondo flashback… Nina preme per capire che cos’abbia Ian e lui, ancora una volta, fa il misterioso, ma ormai siamo agli sgoccioli. Nel prossimo capitolo comparirà Nikki (perdonatemi, non voglio essere presa a sprangate!) e gli animi cominceranno a scaldarsi abbastanza tra lei e Ian. Ormai siamo quasi giunti alla conclusione della questione e la tanto agognata felicità arriverà a breve, ve lo prometto.

Grazie alle sette ragazze che hanno recensito il capitolo, davvero ^^

Grazie ancora, alla prossima <3

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Capitolo 24
*** She made me better. ***


                                          She made me better.



Twenty-Fourth Chapter.
Tre settimane dopo.

Pov Ian.

Reggo il corpo di Nina con le mie braccia, mentre quest’ultima continua a lamentarsi su come non si senta sicura e di come potrei farla cadere, non capendo che la prenderei comunque e che non la lascerei mai, per nulla al mondo, finire a terra. Sono passate un paio di settimane da quando ha cominciato a muovere le gambe e i progressi che ha fatto sono grandiosi. Ormai riesce a muoverle molto meglio di prima, riesce a sollevarle ancora di più. Certo, fa ancora fatica, ma i progressi ci sono e stanno continuando, il suo corpo si sta semplicemente adattando. E lo sa anche lei, ne è consapevole. Credo di non averla mai vista più felice di così, davvero, ormai è tornata quella di una volta -quella dei giorni migliori, quella di tanti anni fa, quella del periodo in cui siamo stati insieme. Non voglio dire che io sia la sua felicità, ma il sorriso, la spensieratezza, è quella.

 

“Ti tengo io, te lo prometto…”- la rassicuro. -“E se non ti fidi di me, proviamo con qualcos’altro.”

“Non riesco a stare in piedi per più di due secondi, Ian.”- mi fa notare lei sbuffando sonoramente.

“Ma adesso ci sono io a tenerti.”- le ripeto, mentre le prendo le mani e la obbligo ad appoggiarle sulla sbarra delle scale. -“Ecco, oltre a tenerti io puoi avere un appiglio in più così.”

 

Nina continua a guardarmi contrariata, ma poi annuisce. Non ne sembra molto convinta, ma vale provarci. Oltre a riuscire a muovere le gambe più liberamente, riesce anche a stare in piedi -ovviamente tenendosi saldamente a qualcosa. Per pochi secondi, ma comunque ci riesce. E’ una conquista già questa, figuriamoci se riuscisse a stare in piedi più a lungo, cosa che voglio farle fare. Il medico che l’ha operata l’ha visitata nuovamente una settimana fa, per controllare eventuali progressi -che ci sono stati- e per valutare le conseguenze dell’operazione. Ha confermato anche lui tutti i miglioramenti e ha detto che sta accadendo proprio quello che si aspettava e che sta andando tutto alla grande. Non è la prima volta che ha fatto un’operazione simile, quindi sa quello che sta dicendo, e non gli sarò mai grato abbastanza per quello che ha fatto per Nina. Certo, è il suo lavoro, ma le ha comunque permesso di tornare a camminare. 

Nina è in piedi, davanti a me, mentre io la tengo per i fianchi. Vedo le sue gambe tremare leggermente, perché è evidente che non siano abituate a stare in piedi per più di qualche secondo, ma continuo a sorreggerla.

 

“Ci sono io a sostenerti, tranquilla. Stai andando alla grande, vedi?”- le dico.

“Mi tremano… Le gambe…”- mi fa notare lei.

“Lo vedo, ma è un buon segno che tremino, no? Vuol dire che sono attive.”- le dico.

“Voglio sedermi, basta così…”- mormora lei. -“Non ce la faccio, è troppo presto.”

“Stai facendo progressi ogni giorno, non abbatterti così.”- le dico io.

“Ma non riesco a rimanere in piedi.”- continua lei.

 

Quello che non sa, effettivamente, è che ce la sta facendo. E’ troppo impegnata a lamentarsi sul non farcela, ma in realtà ce la sta facendo benissimo. Poco dopo averla alzata, ho smesso di trattenerla spasmodicamente e le ho appoggiato solo le mani sui fianchi, ma Nina non se n’è nemmeno accorta. E’ in piedi, di fronte a me, completamente da sola. Certo, si sta trattenendo a una sbarra, ma non si può correre troppo. Sono consapevole anche io che non rimarrebbe per più di tre secondi in piedi senza fare presa su qualcosa, ma siamo migliorati ancora. E’ in piedi, interamente da sola.

Le gambe stanno tremando per lo sforzo, non perché non ci riescano.

 

“Ah si?”- le domando ironico sorridendo spavaldo. -“E che cosa stai facendo in questo preciso momento?”

 

Nina volta la testa di scatto, poi, vedendo il mio sorriso spavaldo, abbassa lo sguardo sulle mie mani e finalmente si rende conto che non la sto per nulla trattenendo e che sta facendo tutto da sola. 

Prima che si agiti maggiormente decido di parlarle.

 

“Stai facendo tutto tu, vedi?”- le dico. -“Sei in piedi ed io non ti sto nemmeno trattenendo.”

 

La prendo prima che possa cadere a terra e l’aiuto a rimettersi sulla sedia a rotelle. Pian piano riuscirà a stare anche ore così, per ora va bene qualche minuto. 

 

“Grazie.”- mi sorride quasi euforica.

“Per cosa?”- le domando inginocchiandomi di fronte a lei.

“Molto probabilmente non ce l’avrei fatta senza la tua intraprendenza.”- mi dice accarezzandomi una guancia.

 

Socchiudo gli occhi a quel tocco e tremo leggermente. Il solo suo tocco è in grado di mandarmi in visibilio. Ogni volta è così, anche prima non è stato da meno, ma, per quanto abbia bisogno di lei, in tutti i sensi, ora non è il momento adatto. L’unico mio pensiero è il suo miglioramento e la sua felicità, perché, se è felice lei, lo sono anche io.

 

 



























 

                                                              * * *




























 

Ho appena portato i miei figli a casa di Nina e ora sono appena entrato a casa, esausto. Ultimamente, da qualche anno per essere precisi, preferisco passare del tempo fuori casa anziché nella mia dimora, è come se non la sentissi più mia. 

Nietzsche mi viene incontro scondinzolante, mentre trovo Klaus intento a mordere un cuscino del divano. Dannato mostriciattolo, è già il quarto cuscino che distrugge nel giro di una settimana. 

Lascio una tenera carezza sul capo del mio cane e, dopo aver preso un bicchiere, mi verso un po’ d’acqua.

Proprio quando mentre inizio a cantare vittoria per l’improvvisa assenza di Nikki eccola che ricompare dalla nostra camera. Nostra è un po’ un eufemismo, visto che ultimamente trovo mille scuse e dormo da mia madre, alla quale ho raccontato tutto quello che sta capitando tra di noi, o sul divano, posto molto più invitante del mio letto. Talvolta passo intere nottate alla ISF. E’ vero, potrei andare anche da Nina, ma sarei di troppo. Ha già i suoi genitori e non vorrei tirare troppo la corda con Kostantin, visto che mi odia. Non me l’ha detto esplicitamente, ma lo sento perfettamente.

 

“Alla buon ora.”- mi saluta lei sgarbatamente dopo aver incrociato le braccia sopra la pancia. -“Sai che ore sono?”

“Quasi le dieci.”- le rispondo.

“Dove sei stato?”- mi domanda dubbiosa.

“Con i bambini, da mia madre.”- le rispondo versandomi un altro po’ d’acqua. 

Bambini di qua, bambini di là.”- tuona lei fissandomi dritta negli occhi. -“Ti rendi conto che passi sempre meno tempo a casa?”

“E che cosa dovrei fare?”- le domando corrucciando lo sguardo. -“Hanno bisogno di me, sono i miei figli.”

“Anche io ho bisogno di te, dannazione!”- mi sbraita contro ferita. Non provo pena, però. -“Hai idea di come sia stare tutto il giorno da sola in casa senza poter fare praticamente nulla?”

“Esci all’aria aperta, allora.”- le dico con un’alzata di spalle.

“Ma sei serio? Per l’amor di Dio, hai quarantacinque anni! Esci all’aria aperta, si. Sono una donna incinta e ho i miei bisogni.”- mi risponde serrando la mascella. -“Volevi tanto un figlio… E ora? Mi stai mettendo da parte.”

“Non ti sto mettendo da parte.”- ribatto io.

 

Okay, la sto mettendo da parte, ha ragione, ma non potrei fare altrimenti. Stare qui, da solo, con lei, mi da il voltastomaco. Se solo sapesse quello che ho scoperto, ma ho bisogno di andare oltre, ho bisogno di altre prove. Certo, quello che ho trovato è più che sufficiente, ma mi basta così poco per terminare tutto che devo soffrire ancora un po’.

 

“E invece si.”- ribatte lei frustrata. -“Ti importa così poco di tua moglie? E’ tutta colpa sua.”

 

E so bene a chi si riferisce con quel sua. Nina, ovviamente. Ma niente è colpa sua, è colpa mia è basta. E’ colpa mia per la scelta sbagliata -fin troppo direi- che ho fatto anni fa, ma non è ancora tutto perduto. Se solo avessi seguito il mio cuore e avessi lasciato perdere qualsiasi cosa ora avrei tutto quello che si possa desiderare senza ostacoli. Invece, da dannato idiota quale sono, ho rovinato tutto.

 

Lei non c’entra niente.”- ribatto io.

“E cosa ci è successo allora?”- mi domanda con la voce incrinata.

 

Se non sapessi la verità molto probabilmente cercherei migliori parole di conforto e mi farebbe quasi pena, ma, dopo tutto quello che è successo, provo solo ribrezzo nei suoi confronti. 

 

“E’ successo quello che è successo!”- ribatto io. -“E non ho nemmeno voglia di discuterne con te in questo momento.”

Nella buona e nella cattiva sorte, ricordi?”- mi domanda. -“Se c’è qualcosa tra di noi va affrontato subito, non dopo la nascita del bambino.”

“Dovrà essere affrontato, ma non questa sera.”- concordo con lei, in tono quasi sarcastico. 

“Vuoi davvero far crescere nostro figlio in un ambiente così?”- mi domanda portandosi una mano al ventre. -“Che cosa ti ho fatto?”

Niente, è questo il fatto.”- ribatto aspro voltandole le spalle.

 

E quel niente è carico di significato. Non nel senso che non abbia fatto nulla e che sia santa, ma nel senso che non abbia fatto quello che andava fatto da tempo.

Dirmi la verità, per esempio.

 

“Sono stanco, ho avuto una giornata pesante. Va’ a letto, che è meglio.”- le dico iniziando a camminare verso lo studio. Dormirò lì, lontano da lei. 

“Non è finita qui!”- mi dice lei irata. -“Perché non cresci un po’? Lei ti ha cambiato, io non volevo questo.”

 

No, lei mi ha reso migliore. 

 


 

Due settimane dopo.

Pov Nina.

Sono sul set, avevo bisogno di svagarmi un po’ invece di rimanere sempre chiusa in casa. Fino a poco fa sono stata con Candice, il piccolo Daniel, e le sue figlie -figlie di Joe, ma che Candice considera praticamente anche sue- ed ora sono con Phoebe.

Stiamo parlando del continuo della stagione di The Originals, ma è da quando ha iniziato a parlare che è strana. C’è qualcosa che non va o che non vuole dirmi -o che muore dalla voglia di dirmi.

La trovo più serena, più spensierata, più felice. Diciamo che è un bel periodo, questo. Tutto sembra tornato alla normalità ed io continuo a fare progressi giorno dopo giorno. Ho iniziato a muovere qualche passo, ovviamente sempre tenuta sotto stretta sorveglianza, e con qualche appiglio perché sono terrorizzata di poter cadere a terra. Ian un po’ mi prende in giro, perché sostiene che la peggior cosa che mi possa accadere è finire col sedere per terra, ma non mi sento ancora completamente sicura, ma ormai il più è stato fatto. Siamo ad inizio giugno e sono passati sei mesi da quel dannato incidente e mi sto riprendendo alla grande. Mi sembra ieri la prima volta in cui ho mosso le gambe e credo di non essere mai stata più felice in tutta la mia vita. Togliendo la nascita dei gemelli e aver rivisto Ian.

 

“Paul mi ha detto che hai fatto un sacco di progressi!”- si interrompe Phoebe guardandomi euforica, poi il suo sorriso si smorza un po’. -“Ti avevo detto di tenermi aggiornata.”

 

Alzo le mani in segno di resa. Ha ragione, ma ultimamente ci sono state così tante cose che mi è passato dalla testa.

 

“Hai ragione, ma tra una cosa e l’altra mi dimentico un po’ di tutto. Ma ti ho tenuto aggiornata comunque.”- le faccio notare.

“Lo so, lo so, ma voglio essere il più aggiornata possibile. Voglio esserci il giorno in cui tornerai completamente a camminare!”- mi dice emozionata.

 

Ridacchio divertita.

 

“Non sono mica una bambina.”- le faccio notare.

“Lo so, lo so, ma è comunque una questione importante.”- mi fa notare lei e io le sorrido. Non so cosa farei se non ci fosse. -“Sono così contenta per te.”

“Grazie, davvero, non so cosa farei se non ci fossi tu.”- le sorrido e lei ricambia, poi però decido di domandarle una cosa. -“Cos’è che mi nascondi?”

 

Phoebe mi fissa accigliata, poi mi guarda quasi a volermi dire Come lo sai?. Quando si accorge che ho intuito qualcosa cambia velocemente espressione.

 

“Io? Niente.”- mi fissa indifferente.

“Andiamo, Phob! C’è qualcosa che ti fa felice, è ovvio. E non si tratta di me, ma di te. Sei frizzante oggi!”- le faccio notare.

“Non c’è niente da nascondere.”- mi dice lei sistemandosi meglio sulla poltrona. 

“Quindi sei felice perché… Si?”- le domando stranita.

 

Phoebe rimane qualche istante in silenzio, poi mi guarda indecisa se parlare o meno. E’ morto qualche parente, di cui non sapevo niente, e lei e Paul sono diventati miliardari? Se fosse così capirei tutta questa segretezza. Ma mi sembra troppo felice per esserle morto un parente. 

 

“Okay, se non vuoi dirlo va bene.”- le dico arrendevole. 

“Non è che non voglia dirlo, non so come dirlo.”- cerca di spiegarmi lei sorridendo.

 

Capisco che non si sente obbligata a dirmelo. Se sorride vuol dire che è una cosa bella.

 

“Ti ricordi quando ti ho detto che io e Paul stavamo provando ad avere un bambino?”- mi dice sorridendo e con tono leggermente imbarazzato.

 

Oh. Mio. Dio.

Le sorrido emozionata.

 

“Sei?”

“Sono incinta*, si!”- mi dice sorridendomi apertamente.

 

Le getto le braccia al collo felicissima per lei.

Paul e Phoebe avranno un altro bambino. Non so dopo quanto tempo mi stacco da lei. Mi passo una mano tra gli occhi per cercare di asciugarli. Sono così emozionata. E’ da un po’ che ci stavano provando e sono felicissima di sapere che ci siano riusciti.

 

“Di quanto sei?”- le domando dolcemente.

Dieci settimane.”- mi sorride lei poggiandosi una mano sul ventre. -“L’abbiamo scoperto una settimana fa.”

“Mi dispiace di averti praticamente obbligato a dirmelo”- le dico sinceramente dispiaciuta.

“Te l’avrei detto subito, solo che non trovavo il modo più adatto.”- mi rassicura lei convinta.

“Un semplice sono incinta sarebbe bastato.”- le sorrido.-“Come ti senti?”

“Un po’ stanca, ma è normale. Ho meno nausee, se non quasi nessuna, rispetto a quando aspettavo Rachel e ho fatto un po’ fatica ad accorgermene. Ma avevo questo dubbio e… Ho fatto un test ed è risultato positivo.”- mi spiega sorridendomi.

“Hai già fatto una visita?”- le domando.

“Certo, una settimana fa. Siamo andati io e Paul e sta andando tutto alla grande. Bisogna aspettare il terzo mese per essere fuori pericolo, però è già un inizio.”- mi spiega lei.

“Andrà tutto bene.”- la rassicuro incoraggiante. E’ un po’ la paura di tutte le mamme che qualcosa possa andare storto, ma andrà tutto bene. -“Non hai idea di quanto sia felice per voi!”

“Sei la prima a cui lo dico, sai?”- mi dice. -“Quindi acqua in bocca.”

“Non dirò niente a nessuno, lo giuro!”- le dico solennemente facendola ridacchiare. -“Volete un maschio o una femmina?”

“La femmina ce l’abbiamo già e se fosse un’altra femmina credo che Paul andrebbe fuori di testa. Puntiamo sul maschio, ma anche se fosse una femminuccia saremmo felici lo stesso, basta che sia sano, o sana.”- mi dice lei.

“Mi sembra giusto. Pensa se fosse un’altra femmina… Non sarebbe male per Joseph!”- le dico ridacchiando.

 

Phoebe mi segue a ruota.

 

“Non possiamo fare questo a Paul. Già sta andando fuori di testa con Stefan, figuriamoci con Joseph!”- mi fa notare ed io annuisco ridacchiando.

“Paul mi ha fatto promettere di tenerli d’occhio, come se due bambini, uno dei sette e una di quasi sei, potessero realmente fare qualcosa.”- le dico.

“E’ troppo protettivo, ma è pur sempre la sua bambina.”- mi dice lei ridendo.

“Un giorno potremmo diventare parenti, quindi.”- le dico ridacchiando.

“Non ci potrebbe capitare suocera migliore!”- ride Phoebe ed io la seguo.

 

 

 

_____________________________________________

 

*Okay, si, Em_, questo è in tuo onore. So quanto ami la coppia Paul-Phoebe (non che io non la ami, i miei Weskin *w*) e ho deciso di accontentarti. Avevo già progettato una cosa simile più avanti, ma perché non decidere di metterla ora?

Eccola qui allora ahahaha

 

Eccomi qui con un altro capitolo e colgo l’occasione per augurare a voi e alle vostre famiglie buona Pasqua, anche se penso di farlo anche domani con l’altra storia, l’altra Nian!

Come ho già detto nello scorso capitolo noterete che sto mandando avanti la storia, temporalmente parlando, abbastanza veloce, ma, per dimostrarvi i progressi di Nina ho bisogno di questo e, soprattutto, non posso dedicare interi capitoli a ciò. Non che non sia importante, lo è anche troppo, ma altrimenti la storia non prenderebbe la piega che ho in mente.

Nina continua a fare progressi ed, grazie all’operazione e al supporto della sua famiglia, in modo particolare a Ian, è migliorata ancora, riuscendo perfino a stare in piedi da sola, cioè… Le gambe hanno imparato a reggere il suo peso e tutti, ovviamente, sono felicissimi di questi progressi.

Veniamo alla parte più importante del capitolo, il ritorno in scena di Nikki. Importante non perché ci sia lei, ma perché capiamo come Ian sia diventato più freddo e più lontano nei suoi confronti. Nikki non capisce perché Ian sia così, o fa finta di non capirlo, mentre Ian ormai è stufo di lei, completamente. Lei continua a richiedere attenzioni che lui non le da e ormai sono arrivati in un punto di non ritorno.

Credo che, da questo punto di vista, il prossimo capitolo vi farà felici e quello dopo ancora di più. Ho preparato una serie di cose e spero vi piacciano :)

L’ultima parte del capitolo non ha bisogno di essere commentata sostanzialmente, avremo un altro -o un’altra- baby Weskin in arrivo *___*

Ringrazio le meravigliose otto ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima ^^

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Capitolo 25
*** This is the end. ***


                                This is the end.




Due settimane dopo.

Pov Nina.

Metto prima un piede di fronte a me, poi l’altro. Mi sembra di essere tornata bambina, quando non si è capaci di camminare, e i genitori ti insegnano come fare. E, se prima mi sembrava la cosa più facile del mondo, ora capisco come si possano sentire i bambini. E’ faticoso, molto, ma ci sto riuscendo. Faccio ancora fatica a camminare per più di qualche minuto, ma il poco che faccio lo faccio alla grande, a detta di tutti.

Ian è a qualche metro da me e mi tende le braccia. In un altro momento scoppierei a ridere per la scena, ma non ho tempo per farlo. I bambini sono in ginocchio sul divano, con i gomiti appoggiati sopra il divano e la testa appoggiata sulle mani, e ci stanno guardando curiosi. Ultimamente li vedo molto più felici e, in qualche modo, ne capisco il perché. Ian continua a passare molto tempo a casa nostra, con me, e a loro sembra giovare. Non fanno domande, si godono il nostro tempo insieme, come la più normale delle famiglie.

 

“Non vale, ti sei allontanato!”- lo accuso puntandogli il dito contro.

“Non fare la bambina, forza.”- mi incoraggia Ian. -“Mi sono spostato di pochi metri, prima sei arrivata fin lì.”

 

Indica con un gesto della mano il divano sul quale sono seduti i bambini. Il divano però era molto più vicino e facilmente raggiungibile, mentre ora Ian si trova all’ingresso della cucina, tipo dieci metri più in là. Ho fatto fatica prima, figuriamoci ora.

 

“Non ci arriverò fino lì.”- puntualizzo.

“Arriva fino al divano, poi ti riposi un po’ e riprendi.”- mi dice appoggiandosi allo stipite della porta.

“La fai facile tu.”- gli dico fulminandolo con lo sguardo.

“Sei tu che la vedi troppo difficile.”- mi dice lui, mentre i bambini ridacchiano divertiti.

 

E allora decido di accontentarlo. Mi stacco dalla transenna delle scale e rimango in piedi, immobile. Ormai ho imparato a stare in piedi senza nessuna difficoltà. Certo, è ancora duro, però ce la faccio. Inizio a muovere le gambe, incominciando a mettere avanti prima il piedi sinistro, poi quello destro di fronte a quello sinistro. Inizio a muovermi piano e, sempre molto lentamente, mi dirigo verso di Ian. Cammino piano, un po’ traballante, ma è normale, sto camminando di nuovo. Alzo la testa verso di Ian, il quale mi sorride apertamente, e decido di continuare. Il mio primo istinto è quello di fermarmi accanto al divano, ma visto che ce la sto facendo decido di continuare. I bambini battono le mani deliziati e sorrido mentre continuo a camminare. Inizio a barcollare leggermente e vedo Ian che muove qualche passo per venirmi incontro, ma lo blocco con lo sguardo. Mi ha lanciato una sfida e sono del tutto intenzionata a portarla al termine. Continuo a camminare, mettendo i piedi uno di fronte all’altro e, dopo quella che sembra un’eternità, arrivo di fronte a Ian. Le mie gambe iniziando a cedere nell’esatto momento in cui i nostri corpi si sfiorano e Ian mi sorregge prontamente evitandomi così una rovinosa caduta, ma ce l’ho fatta.

Ce l’ho fatta! Sono arrivata fino da Ian percorrendo più di dieci metri solo ed unicamente sulle mie gambe!

 

“Ce l’hai fatta, hai visto?”- mi domanda Ian con un sorriso che va da guancia a guancia. 

 

Annuisco troppo euforica per rispondergli e d’impulso vorrei gettargli le braccia al collo, ma fortunatamente ci sono i bambini a riportarmi alla realtà perché ci corrono incontro urlando felici.

 

“Mamma! Mamma! Ce l’hai fatta!”- mi dicono all’unisono gettandomi le braccia al collo.

 

E, non so come, ci ritroviamo per terra tutti e quattro.

 

“A quanto pare…”- mormoro io.

“Quindi questo vuol dire che potremo giocare a calcio tutti insieme al parco!”- esclama Stefan.

“Frena, tesoro.”- lo calma Ian scompigliandoli i capelli. -“E’ ancora presto per fare certe cose.”

“Mamma, ma tu cammini!”- mi fa notare Joseph.

“Lo so, tesoro, ma faccio ancora tanta fatica.”- gli sorride e lui annuisce dispiaciuto. Do un bacio ad entrambi e cerco di tirare loro su il morale. -“Quando starò bene potremo andare a giocare tutti insieme al parco.”

“Davvero?”- domandano entrambi.

“Davvero.”- sorrido loro. -“E’ una promessa.”

“Mamma, ricordati che le promesse vanno sempre mantenute.”- mi dice Stefan solenne.

“Ho sempre mantenuto le promesse.”- gli faccio notare toccandogli il naso, facendolo così ridacchiare. 

 

Il momento viene interrotto dall’orologio che segna le dieci spaccate. Ma è tardissimo.

 

“Voi due, a letto, forza!”- dico ad entrambi. -“Sono già le dieci e voi dovreste essere a letto già da mezz’ora, domani c’è scuola.”

“Ma domani è l’ultimo giorno.”- mi fa notare Joseph.

“Proprio perché è l’ultimo giorno.”- continuo io irremovibile. -“Forza, l’ultimo sforzo e poi è finito tutto.”

 

I bambini annuiscono e, dopo aver salutato Ian con un abbraccio, che lui ricambia più che volentieri, corrono in camera a mettersi il pigiama. I miei genitori dovrebbero tornare a momenti ormai.

 

“Sei sempre la solita testarda. Hai visto che ce l’hai fatta senza problemi?”- mi domanda Ian dandomi un bacio sulla spalla lasciata scoperta dalla canottiera.

 

Appoggio la mia testa contro il suo petto, mentre lui mi accarezza il dorso della mano. Finalmente un po’ di pace e tranquillità, anche se tra poco verrà interrotta dai bambini che reclameranno sicuramente la favola della buonanotte.

 

“Ho fatto un po’ di fatica, ma ormai le gambe rispondono ad ogni mio comando.”- mormoro accarezzandogli un braccio.

“Mi sembra ieri quando… Quando ci hanno detto che non avresti potuto più camminare… Non sarebbe stato definitivo, però è stato un brutto colpo.”- mormora lui cingendomi la vita con un braccio.

“Ed ora siamo qui…”- continuo io. 

“E tu cammini.”- mi dice lui facendomi sorridere. 

“E io cammino…”- annuisco. -“E siamo insieme…”

“E siamo insieme…”- continua lui lasciandomi un bacio tra i capelli.

 

I bambini ci chiamano a gran voce e noi, rassegnati, ci alziamo. E’ Ian quello che si alza e poi mi aiuta a tirami su. Iniziamo a salire le scale. Lui mi sostiene da una parte ed io con la mano libera, quella che non è impegnata a cingergli la vita per sorreggermi, mi reggo alla transenna e, lentamente, arriviamo al piano di sopra. Nell’ultimo periodo ho cominciato a fare circa tre volte al giorno le scale, ovviamente attaccandomi alla transenna e sorretta da qualcuno, perché i medici hanno detto che mi avrebbe aiutato. Ogni tanto provo a fare qualche scalino da sola, senza aggrapparmi a nulla, e piano piano riuscirò ad arrivare fino in cima anche da sola.

Arriviamo nella camera dei bambini e li troviamo già a letto, entrambi sotto le coperte. Tengono tra le mani un libro delle favole e, quando leggiamo il titolo, io e Ian ci guardiamo negli occhi e sorridiamo.

La Bella e la Bestia. 

 

“Mamma, ci leggi questa?”- mi dice Joseph indicando il libro con la testa.

“Ma non era il turno di Peter Pan questa sera?”- domando, mentre Ian mi aiuta a sedermi e a sistemarmi al meglio sul letto, accanto a Joseph.

 

Ian, invece, dopo avermi aiutato, si sistema accanto a Stefan.

 

“Abbiamo scelto questo.”- continua Stefan stropicciandosi gli occhi, segno che tra poco crollerà dal sonno. -“Possiamo?”

“Certo.”- gli sorrido, poi mi rivolgo a Joseph. -“Forza tesoro, dammi il libro.”

 

Joseph mi cede volentieri il libro, e, dopo essermi sistemata meglio il cuscino, lo apro.

 

“Solo una, poi dormirete senza fare storie.”- li avviso guardandoli entrambi.

 

Entrambi annuiscono, troppo impazienti.

Inizio così a leggere la storia, di come una semplice ragazza venga tenuta in ostaggio in un castello incantato e di come il proprietario di questo castello sia una temutissima bestia. Di come la ragazza, con la sua dolcezza, gentilezza e il suo essere genuina riesca a scalfire l’animo dell’orrido mostro che alla fine non si rivela altro che un bellissimo principe, finito sotto incantesimo. E i bambini, proprio sulle note finali, si addormentano entrambi in un sonno profondo.

 

Potrei essere io la bestia.”- dice una voce nella penombra ed è ovvio che sia quella di Ian.

Sei troppo carino per fare la bestia.”- gli rispondo io.

“Te la ricordi anche tu?”- mi domanda, giocoso.

“Come potrei dimenticarla?*”- gli domando io ridacchiando. -“Mi sono divertita moltissimo quella volta.”

“Già.”- ridacchia Ian divertito. -“Hai mandato in visibilio decide di fan per quell’affermazione.”

“Mi è scappata!”- ridacchio leggermente offesa. 

 

Sento Ian ridacchiare piano, molto probabilmente per non svegliare i bambini, e, poco dopo, sento anche la porta di casa aprirsi, segno che sono arrivati i miei. 

 

“Devo andare.”- mi dice lui. Poi si alza molto lentamente, per non svegliare Stefan e mi viene vicino per aiutarmi ad alzarmi. -“Ti accompagno giù o in camera tua?”

“Ormai dormo giù, ma prima o poi tornerò in camera mia.”- gli sorrido.

 

Così, come abbiamo fatto prima per salire, ritorniamo giù. Alex ci saluta sorridendo e mi stupisco del fatto che non abbia guardato Ian in cagnesco, anzi, gli da amichevolmente una pacca sulla spalla.

Che cosa mi sono persa?

 

“Mamma e papà sono fuori e stanno finendo di scaricare la macchina.”- mi dice Alex.

“Io allora tolgo il disturbo.”- ci dice Ian, poi si rivolge a me piano, in modo che nessuno senta. -“Fino a che ora hai riabilitazione domani?”

“Fino alle tre.”- gli rispondo. -“Perché?”

“Così, per sapere.”- mi dice con un’alzata di spalle.

 

Mi accompagna vicino al divano, in modo che possa reggermi se le gambe dovessero farmi qualche scherzo, e, dopo avermi salutato ed aver salutato Alex, se ne va. Fisso mio fratello dubbiosa e lui, intuendo le mie intenzioni, con una debole scusa, sparisce fuori per andare ad aiutare i nostri genitori. Ero rimasta al punto in cui loro due non erano in buoni rapporti.

Mi sono sicuramente persa qualcosa. 

 




























 

                                                                * * *

























 

 

Altre due ore di fisioterapia e di rafforzamento per i muscoli sono passate. Ovviamente, visto il quasi pieno recupero delle mie gambe, gli esercizi sono cambiati e sono molto più stancanti di prima, ma ora sono ancora più motivata. Saluto amichevolmente i miei due fisioterapisti e, grazie all’aiuto di mio fratello, in poco tempo arriviamo fuori dalla struttura. Con mia grande sorpresa e stupore -e anche gioia- ad aspettarci non c’è mia madre, o mio padre, ma Ian. Che cosa ci fa lui qui? Mi aveva detto che sarebbe andato a prendere i bambini e che sarebbe stato per qualche ora da sua madre. E’ strano averlo qui, anche perché mi aveva detto di essere parecchio impegnato con la ISF.

 

“Ian ti porterà a casa, io ho alcune commissioni da sbrigare.”- mi dice mio fratello sornione. -“Non ti dispiace, vero?”

 

Scuoto la testa parecchio confusa, poi, grazie all’aiuto di Ian, entro nella sua macchina, mentre mio fratello si dirige verso la sua.

 

“Non è che ti stai vedendo con una ragazza e stai correndo ad un appuntamento segreto?”- domando a mio fratello non appena sale nella sua macchina.

“No, sorellina, anche perché saresti la prima a saperlo.”- mi dice. -“Ci vediamo dopo.”

 

Con un gesto della mano saluta anche Ian mentre lui, dopo aver chiuso la porta della macchina, si siede nel posto del passeggero e mette in moto.

 

“Non sei felice di vedermi?”- mi domanda uscendo dal parcheggio.

“Sono sorpresa, ero convinta che fossi impegnato.”- gli dico.

“Diciamo che sono riuscito a disdire alcuni impegni.”- mi sorride. -“Com’è andata?”

“Alla grande, anche se più o meno come al solito.”- gli rispondo passandomi una mano tra i capelli.

Alla grande, anche se più o meno come al solito?”- mi riprende lui ridacchiando.

“Hai capito, su. Non fare il puntiglioso!”- gli rispondo tirandogli un colpetto sul braccio.

“Hai ragione, mi scuso.”- mi dice lui con un’alzata di spalle.

 

Faccio per dire qualcosa, ma, quando sento la canzone di Adele, decido di impossessarmi della radio e la alzo a tutto volume, sotto lo sguardo un po’ scandalizzato di Ian.

 

“Una canzone meno deprimente no?”- mi domanda lui corrucciando lo sguardo. -“Penso che sia la canzone più deprimente mai esistita**.”

“Non insultare Adele e cerca di migliorare i tuoi gusti musicali.”- puntualizzo io.

“Davvero?”- mi domanda ridacchiando. -“Io?”

“Hai sempre avuto dei gusti musicali un po’… Pessimi.”- gli rispondo io.

 

Ian cerca di fingersi offeso, ma, quando scoppio a ridere io, lui mi segue a ruota. Mi accorgo dopo qualche minuto che la strada, quella che stiamo facendo, non porta a casa mia. Ormai l’abbiamo superata da un pezzo. 

Perché? Non è nemmeno la strada per andare a casa di Ian, nemmeno quella per andare da mia madre o dalla sua. Dove stiamo andando?

Mi sta per caso rapendo?

 

“Ian?”- lo chiamo.

“Mhm?”

“Mi vuoi dire perché non stiamo andando a casa mia?”- gli domando leggermente preoccupata. -“A meno che non abbiano inventato una scorciatoia credo che tu abbia preso la strada sbagliata.”

“Nessuna strada sbagliata.”- mi dice lui alzando le spalle.

 

Lo guardo parecchio sconvolta e leggermente scocciata. Che diamine sta facendo? Sa benissimo che, per andare a casa mia, avrebbe dovuto svoltare a destra tipo cinque minuti fa. E, ora che ci sto pensando, è da alcuni giorni che è strano, più rilassato ed ora sprizza allegria da tutti i pori.

Ripeto… Che diamine ha intenzione di fare?

 

“Ian, casa mia è da tutt’altra parte. E anche casa tua. E anche casa di mia madre e di tua madre.”- gli faccio notare sperando che si sia solamente sbagliato.

“Uhm, questo lo so.”- mi dice beffardo e continua a tenere gli occhi puntati sulla strada.

“Ian, non fare il bambino e riportami a casa.”- gli dico incrociando le braccia al petto. -“Se volevi passare un po’ di tempo con me bastava dirlo, non andare chissà dove.”

“Ma stiamo andando in un posto che tu conosci alla perfezione, che conosciamo alla perfezione.”- mi dice lui.

 

Continua a sorridere e non capisco il perché.

 

“Continuo a non capire.”- gli dico dubbiosa. -“Perché devi sempre essere così enigmatico? Sai che odio i misteri.”

“Ma questo non è un mistero. E’ una sorpresa.”- mi dice.

“Sai anche che odio le sorprese.”- gli dico io.

 

Ho sempre odiato le sorprese. Forse è per il fatto che programmo costantemente la mia vita ogni giorno, forse è una parte del mio carattere o forse è semplicemente così, fatto sta che non mi sono mai piaciute, per quanto gradevole possa esserne il risultato.

Stefan, ahimè, ha ereditato questa parte del mio carattere, oltre ad essere tremendamente testardo, anche se quello più testardo è Joseph.

 

“Non puoi semplicemente goderti un po’ questo momento?”- mi domanda sbuffando.

 

Io scuoto la testa, ma sorrido comunque. Mi sistemo meglio sul sedile e mi rilasso, ma comunque sono intenzionata a fargli dire la verità.

Non è da lui fare una cosa del genere, non in questo momento, non adesso. Per quanto mi piaccia l’idea di questa sorpresa, non per il fatto in se, ma più per il gesto e per il nostro essere soli, abbiamo ancora mille problemi da affrontare, uno su tutti. 

Io e lui, effettivamente, stiamo insieme, ma, allo stesso momento, non stiamo insieme.

C’è ancora un grande ostacolo da affrontare, ma perché sembra che importi solo a me?

 

“Hai deciso di arrenderti?”- mi domanda divertito.

“No, sto solo cercando un modo di farti ammettere la verità.”- gli dico sbuffando e mi raddrizzo sul sedile. -“E i bambini? Saresti dovuto andare a prenderli.”

“Ci ha già pensato mia madre, tranquilla.”- mi dice.

“Perché ho l’impressione che tutti sappiano cosa stai facendo e io no?”- domando.

“Non è proprio così.”- mi fa notare lui. -“Lo sa solo tua madre e potrei, accidentalmente, aver accennato qualcosa a tuo fratello.”

“Ecco perché eravate così in sintonia nell’ultimo periodo.”- ammetto leggermente curiosa.

 

Ian ridacchia divertito, mentre io continuo ad incalzarlo curiosa.

 

“Sono sicuro che ti piacerà. Dove stiamo andando, intendo.”- mi dice.

“Ian, non possiamo farlo.”- gli dico seria. -“Non possiamo e basta. Ti rendi conto che abbiamo un sacco di problemi?”

“Nessun problema. Tu stai bene, i bambini stanno bene, la mia famiglia e la tua stanno bene ed io sto bene. Vedi qualche problema?”- mi domanda.

 

Dove vuole arrivare?

 

“Mi puoi dire che cosa sta succedendo?”- gli domando.

“Ti sto proponendo, o obbligando, a passare qualche giorno con me, da soli. I bambini ci raggiungeranno tra qualche giorno.”- mi dice entusiasta.

 

Io e lui? Da soli? I bambini ci raggiungeranno tra qualche giorno?

 

“Ian, per diamine, sei sposato e hai una moglie incinta a casa.”- gli dico cercando di farlo ragionare.

“Ed è qui che ti sbagli. Tra poco non sarò più sposato e quella non è più mia moglie.”- mi dice serio.

 

Eh?

 

“Eh?”- ripeto infatti.

“Nikki mi ha mentito, su tutto.”- mi dice ed io spalanco la bocca.

 

 

 

______________________________________________________
 

*Ian e Nina fanno riferimento a una Con, mi pare fosse la Mystic Love di Nimes, dove le chiedono che personaggio di che cartone avrebbe voluto interpretare. Lei risponde di voler essere Bella (Belle) di Bella e la Bestia e Ian le dice che vorrebbe fare lui la Bestia, ma Nina gli risponde che lui non potremmo mai fare la Bestia perché è troppo carino per interpretare un mostro. 

(I miei feels *w*)

 

**Ovviamente non sto insultando Adele, è una battuta. Io adoro quella cantante e si… Per quanto Hello possa essere deprimente è la mia canzone preferita. Credo perché dica Hello from the other side perché mi ricorda TVD, ma vabbeh ahah

 

 

Buona domenica a tutte, eccomi qui con il venticinquesimo capitolo di questa storia. Mi sono accorta di non avervi ancora ringraziate per il superamento delle 200 recensioni, quindi… Grazie, grazie davvero <3

Capitolo che segna la fine di una storia e l’inizio di un’altra, ma andiamo per gradi. Cominciamo da Nina visto che, giustamente, nell’ultimo periodo tutto è ruotato attorno a lei e a ben ragione. Ha fatto moltissimi progressi e cammina, a difficoltà e con qualche acciacco, ma cammina! Sebbene nella storia siano passati non molti capitoli dall’operazione, nell’arco di tempo è passato più di un mese, circa due, ed è un tempo più che ragionevole per una ripresa.

Nina, dopo mille difficoltà e mille problemi, è tornata di nuovo a camminare. Sicuramente l’avevate già immaginato visto la direzione che stava prendendo la storia, ma ora ci riesce, sta in piedi sulle sue gambe, da sola, e cammina, da sola. E dopo aver lottato, dopo quanto hanno lottato lei e Ian, un po’ di felicità è arrivata anche per loro. Ritornano i bambini, finalmente, anche se da adesso in avanti spariranno per qualche capitolo, ma è giunto il momento per Ian e Nina di rimanere da soli. Hanno bisogno di un po’ di tempo insieme e mi è sembrato giusto così. Bambini che stanno cominciando ad apprezzare il loro tempo in famiglia e che sembrano, anzi, sono, sempre più sereni *^*

L’ultima parte è importantissima, quasi, se non di più, della prima. A dir la verità questo capitolo è veramente importante, almeno per me. Nella prima parte, ancora una volta, vediamo come Ian e Nina siano tornati quelli di una volta, quelli affiatati e che si amano alla follia, e di come i bambini adorino i loro genitori insieme. La seconda parte è quella che è in grado di aprire il futuro. Ian rapisce, letteralmente, e con l’aiuto di Alex, Nina per portarla in un posto a lei ancora sconosciuto e si, se ve lo state domandando, è tipo una fuga d’amore, per loro due. Ovviamente li raggiungeranno anche i bambini, ma hanno bisogno, come detto prima, di un po’ di tempo da soli, loro due, ad amarsi come due persone normali. I bambini sono la parte più importante per loro due, ma hanno perso così tanto tempo insieme che qualche giorno da soli se lo meritano, o no?

E l’ultima parte anticipa un po’ tutto il prossimo capitolo, dove Ian dirà a Nina tutto quello che ha scoperto, attraverso un flashback che sarà un completamento di un capitolo che è già all’interno della storia, dove Ian si confiderà con qualcuno importante per lui. Alcune magari riusciranno a capirlo, altre no, ma scoprirete tutto nel prossimo capitolo ;)

Basta, sinceramente non ho nient’altro da dire, a parte ringraziare le sei fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e… Avete sentito del rinnovo, per l’ennesima volta, di The Vampire Diaries?

Che gioia… Ovviamente in modo ironico.

Grazie ancora, alla prossima <3

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Capitolo 26
*** We'll be together, forever. ***


                                     We'll be together, forever.


Twenty-Sixth Chapter.
Pov Ian.

 

“Mamma?”

 

Esco dalla stanza, nella quale stanno dormendo i bambini, e mi fermo sulla soglia della porta. Mia madre si volta e mi guarda, con un misto di curiosità e preoccupazione.

 

“Dimmi.”- mi dice lei.

“Ho bisogno di parlarti, seriamente.”- le dico perentorio.

“E’ da tempo che aspettavo queste tue parole, indipendentemente da quello che mi vuoi dire.”- mi dice lei annuendo. Mi fa cenno di seguirla e così faccio. -“E’ da un po’ che sei strano.”

 

Annuisco leggermente e, dopo essere arrivati in cucina, ci sediamo sulle sedie. Robyn, per ovvie ragioni non c’è, siamo solo io, lei e i bambini, ma quest’ultimi stanno dormendo beatamente. Ho bisogno di parlare con qualcuno di quello che ho scoperto, me lo sto tenendo dentro da un po’ e sto rischiando di impazzire. Se quello che ho scoperto fosse la verità, cambierebbe tutte le carte in tavola e potrei finalmente essere libero senza alcun tipo di problema a seguito.

Quando Nikki mi ha detto di essere incinta il mio mondo è crollato, ma ho voluto, anche su consiglio di Nina, assumermi le mie responsabilità perché un bambino non deve in alcun modo soffrire per gli sbagli degli adulti, ma ora è tutto diverso.

 

“Nikki è incinta, no?”- inizio.

“Si, lo so.”- mi dice, poi spalanca gli occhi. -“Non dirmi che hai messo nuovamente incinta Nina!”

 

La guardo scandalizzato, anche se non mi dispiacerebbe, ma so che questo non è il momento adatto. 

 

“No, no, cosa vai a pensare!”- le dico scuotendo la testa con vigore.

 

Mia madre annuisce e sospira più leggera. Non che odi Nina, la ama quanto una figlia e l’ha sempre amata più di Nikki, ma sa anche lei che questo, effettivamente, non è il momento adatto.

 

“C’è una cosa che ho scoperto, qualche settimana fa. Non l’ho scoperto di proposito, sono convinto che ognuno non debba ficcanasare sulle cose degli altri, ma è capitato…”- mormoro, mentre mia madre annuisce, anche se confusa.

“Di che cosa sei venuto a conoscenza?”- mi domanda.

“All’inizio l’ho trovata strana come cosa. Insomma… Quei test si fanno in caso di dubbi, no?”- le dico.

“Che test, Ian?”- mi domanda lei.

“I test di paternità.”- le dico tetro.

 

Mia madre spalanca ancora di più gli occhi e capisco perfettamente che sta iniziando a collegare alcune cose. Non mi interrompe, mi invita solamente a continuare.

 

“L’abbiamo già fatto con i gemelli e, più o meno, so come funzionano queste cose.”- le dico grattandomi la testa. -“Quindi, come detto prima, in teoria si fanno quando si ha qualche dubbio perché, altrimenti, non ne vedrei il motivo.”

 

Mia madre continua a rimanere zitta, così proseguo.

 

“A dir la verità non stavo facendo niente di male, insomma… Ho visto dietro lo scaffale un’ecografia e ho subito pensato di dargli un’occhiata perché… Non sono mai stato molto vicino a Nikki, sai…”- le dico e mia madre annuisce, concordando con me. -“E c’erano altre carte, esami fatti in una clinica privata, di cui non sapevo l’esistenza. Ho cominciato a guardarli, convinto che Nikki mi stesse nascondendo qualcosa sulla salute del bambino, ma poi ho visto qualcosa.”

“Credo di sapere cosa, arrivati a questo punto.”- mi dice, ma mi lascia libertà di continuare.

“Era un test di paternità. Quando l’ho visto mi sono domandato, giustamente, perché Nikki avesse avuto il bisogno di farne uno, ma, quando ho visto il nome accanto a padre, ho capito tutto…”- mormoro stringendo le mani a pungo.

 

Io mi sono fidato di lei, ho quasi rovinato la mia relazione con Nina per lei, e invece tutto quello che mi ha detto è sempre stata una bugia. Una bugia colossale. 

 

“Non c’era il tuo nome, vero?”- mi domanda per avere conferma.

 

No, non c’era il mio.

 

 

“No.”- dico scuotendo la testa e sorrido amaramente. Mi sarei aspettata qualsiasi altra persona, ma non lui. -“Quello di Paul McDonald.

 

Mia madre, se possibile, mi fissa ancora più sorpresa e si porta entrambi le mani alla bocca. Ho reagito più o meno così anche io solo che in quel momento ero parecchio confuso. Non ho mai provato così tante emozioni. Sconvolgimento, rabbia (tanta rabbia), istinti omicidi e felicità. Le prime per essere stato preso in giro. Il tradimento, in se, non è che abbia fatto male, visto che ho fatto la stessa cosa con Nina, e sarebbe da ipocriti pensare il contrario, ma quello che ha fatto più male, appunto, e essere stato preso in giro. Ha voluto -ed evidentemente vuole ancora- spacciare il figlio di Paul McDonald per il mio, per immagine e per rovinarmi, sicuramente, la vita. Felicità ovviamente perché questo mi permetterebbe di tornare con Nina e di vivere serenamente la mia vita con lei, e con i miei figli.

 

“Il suo ex marito?”- mi domanda parecchio sconvolta.

“Lui, si.”- confermo.

 

Rimaniamo per qualche istanti in silenzio, poi mia madre alza lo sguardo su di me e mi guarda intensamente.

 

“Hai idea di quello che stai dicendo?”- mi domanda.

 

La fisso stranito.

 

“Si che ce l’ho. Mi ha mentito, lo capisci?”- le domando.

“Sei sicuro che sia così?”- mi domanda.

“Certo che lo sono. Perché avrebbe nascosto quei fogli? E perché non c’è il mio nome scritto su quelle maledette carte?”- le domando.

“Questo è vergognoso.”- sbotta lei indignata, poi si porta entrambe le mani trai capelli. -“Oh mio Dio.”

 

Ora è nella fase dell’accettazione.

 

“Cosa farai ora? Perché è ovvio che tu voglia fare qualcosa.”- mi dice.

“Sicuramente si, non posso stare con le mani in mano, non posso crescere un bambino che non è mio, per quanto ami i bambini. Ho già privato i miei figli di tantissime cose a causa di Nikki, non ho intenzione di continuare.”- le dico serio.

“Cosa hai intenzione di fare?”- mi domanda.

“Per prima cosa scoprirne di più, ovvio. Ho intenzione di prendere più informazioni possibili, perché con quella carta, sebbene ne abbia fatta una fotocopia, posso fare ben poco. Ho intenzione di cercare qualche prova in più, per fare chiarezza su questa questione e ne parlerò anche con il mio avvocato.”- le dico.

“Mi sembra la cosa più ragionevole da fare, si.”- mi sorride lei e prende entrambe le mie mani tra le sue. -“Mi dispiace, tesoro, non lo meriti, so quanto ami i bambini.”

“Ne ho già due che amo più della mia stessa vita.”- le sorrido per confortarla.

“Eppure non mi sembra che tu sia scontento di tutta questa faccenda.”- mi fa notare lei.

 

Affatto, sono l’uomo più felice del mondo in questo momento. Inoltre, averlo detto a qualcuno, mi fa sentire meglio. La prima persona a cui avrei voluto dirlo è Nina, ma non voglio illuderla o correre troppo, prima risolverò questa faccenda, meglio è e prima glielo dirò.

 

“E con questo c’entra Nina, no?”- mi domanda curiosa.

“Nina?”- le domando.

 

Che abbia notato qualcosa?

 

“Andiamo! Sono pur sempre tua madre e le madri capiscono sempre quando c’è qualcosa che non va, sia in negativo e sia in positivo. Ovviamente qui siamo in positivo.”- mi dice ammiccando. -“E potrei aver sentito qualche parola tra te e Robyn.”

 

La fisso allarmato, ma ormai quello che è fatto è fatto.

 

“E quanto hai sentito?”- le domando.

“Quanto basta.”- mi dice lei inclinando la testa di lato. -“Perché ti ho fatto così complicato, ragazzo mio? Avresti potuto avere la felicità otto anni fa e invece… Se non ti complichi la vita non sei contento.”

 

L’ultima parte la dice con tono di rimprovero ed io abbasso lo sguardo, leggermente imbarazzato.

 

“Ma ti amo anche per questo.”- mi dice allungando la mano ed accarezzandomi una guancia. -“Quando è che te la riprenderai, eh?”

“Quando tutta questa storia sarà finita me la riprenderò, senza nessun ostacolo.”- le dico sorridendo innamorato. -“La amo troppo.”

“Lo so, una madre si accorge di queste cose e diciamo che… Sei abbastanza pessimo a nascondere il tuo amore per lei, quando ce l’hai attorno sei diverso.”- mi dice e scoppia a ridere, leggera.*

 

 



 

 

 

 

 

 

Nina mi fissa sconvolta, lo posso sentire il suo sguardo addosso. Finalmente le ho rivelato tutta la verità, senza tralasciare nulla. Finalmente sono libero perché, dopo mesi alla ricerca di prove e quant’altro, finalmente è finito tutto. Ora possiamo veramente stare insieme, io, lei e i bambini. 

 

“Come… Com’è possibile?”- balbetta.

“Non lo so, ma l’ha fatto.”- mormoro duro, ma comunque con una nota di felicità nella voce. Ora possiamo stare insieme senza nessun tipo di ostacolo, possiamo amarci alla luce del sole. -“Non me ne capacito ancora, so solo che gliela farò pagare. Mi ha mentito per tutto questo tempo!”

“Quindi lei… Lei ti ha mentito per tutto questo tempo? Per otto mesi? Se non l’avessi scoperto avresti cresciuto un figlio non tuo. Chi diavolo farebbe una cosa del genere?”- mi domanda schifata.

 

Già, chi diavolo lo farebbe?

Il diavolo in persona, Nikki. Non avrei mai creduto che potesse fare una cosa del genere e vorrei infliggermi una tortura per aver solo insinuato, sebbene Nikki mi avesse praticamente obbligato, a far fare il test di paternità a Nina. Un’altra cosa che non mi perdonerò mai per il resto della mia vita.

 

“Nikki, appunto…”- mormoro guardandola di sfuggita. -“Ma non importa…”

“Non importa?”- mi domanda aspra, ma so che non si sta riferendo a me così, ma per tutta la situazione.

“Non abbiamo più ostacoli tra di noi, no?”- le domando e la fisso, solo per qualche istante.

 

E Nina si volta verso di me riservandomi un bellissimo sorriso, una delle tante cose che amo di lei. Vorrei baciarla in questo preciso istante, per farle sentire tutta la mia felicità, ma non è il momento, sebbene voglia farlo con tutto me stesso. L’orario della partenza si sta avvicinando e non possiamo perdere l’aereo.

 

“Quindi è… Finita?”- mi domanda infine, un po’ timorosa.

“Finita, assolutamente. Non voglio più vederla per tutto il resto della mia vita, se non di fronte ad un avvocato con le carte del divorzio. Come ho fatto a rovinarmi la vita così?”- dico, più a lei che a me.

“Perché se non ti complicassi la vita non saresti contento.”- ridacchia divertita e rido anche io, trasportato dalla sua allegria. -“E poi cos’hai fatto? Gliel’hai detto?”

“Diciamo che… Le ho gentilmente fatto le valigie e scritto un bigliettino, sul quale le ho detto esplicitamente di andarsene e altre cose, in pratica di cercarsi un’altra casa e di non cercarmi più, perché mi sarei fatto sentire io per il divorzio e che se ne andasse dal suo ex marito, visto che il figlio è suo. Non ho scritto come l’ho scoperto, non importa. Ho raccolto abbastanza prove e… Mentre mi diceva di non essere mai a casa lei se ne andava in giro con suo il suo ex marito, ovviamente.”- le dico accarezzandole una guancia.

“Che cosa?”- mi domanda allibita.

“Un giorno potrei averla seguita e… Okay, l’ho seguita, dovevo far chiarezza su tutto ed è andata dal suo ex marito… Sembravano molto in sintonia, ecco. E quella ne è stata la prova, ovviamente ho fatto delle foto, sono sempre prove in più, oltre al test e ad alcune cose che ho trovato.”

“Mi sembra la cosa più logica.”- mi sorride lei. -“E quindi è questo il motivo per cui eri così… Strano?”

“Si.”- annuisco. -“Prima volevo concludere e dopo te ne avrei parlato, come ho fatto. E ora siamo qui.”

“Diciamo che mi hai rapito, ma ti perdono.”- mi dice lei.

“Ma non dirlo a nessuno.”- scherzo. -“Ti piacerà, ne sono sicuro.”

“Sai una cosa? Potrei iniziare ad amare le sorprese se arriviamo a questo.”- mi dice portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

 

Sapevo che prima o poi avrebbe ceduto. E’ da un po’ di tempo che ci penso e credo che sia perfetto. Ho organizzato tutto e un po’ di tempo ci farà bene. Io e lei, da soli, a recuperare quello che abbiamo perso in questi otto anni. I bambini, come le ho detto, ci raggiungeranno tra qualche giorno, ho informato mia madre di tutto che, a sua volta, avrebbe dovuto informare anche Robyn. Penso che mia sorella mi odierà e amerà allo stesso tempo, ma con lei le cose si sistemeranno. Abbiamo bisogno di lasciarci un po’ tutto alle spalle e, fare un piccolo viaggio, ci sarà di grande aiuto. Voglio passare un po’ di tempo con lei, ritornare un po’ a quando stavamo insieme. Non che non voglia i bambini tra i piedi, loro sono la mia felicità, ma abbiamo bisogno di un po’ di tempo libero come due persone normali, lontani da tutto e tutti. Abbiamo bisogno di trascorrere un po’ di tempo insieme liberi da qualsiasi tipo di problema, di un po’ di tempo per ascoltarci, per parlarci, per decidere cosa fare e perché no, per vedere qualche film, andare a teatro e amarci. Come una coppia normale, come una qualsiasi coppia. 

Ora possiamo farlo, non c’è più niente a separarci. 

 

“Questo è uno scoop!”- la prendo in giro. 

 

Mi accorgo di essere arrivato all’aeroporto quando me lo fa notare Nina. Ero troppo perso a guardarla e tra i miei pensieri.

 

“All’aeroporto? Andiamo così lontano?”- mi domanda lei e posso sentire una nota d’euforia nella sua voce.

“Abbastanza.”- le sorrido. 

 

Non vado dritto verso il parcheggio principale, ma verso la pista stessa. Gli aerei normali partiranno tra qualche ora, ne ho prenotato uno privato per noi. Avremmo dato troppo sull’occhio e non voglio iniziare a mettere sotto gli occhi di tutti la nostra vita privata proprio ora. 

 

“Jet privato?”- mi domanda sbalordita.

 

Annuisco. I soldi non mi mancano, posso mantenere la segretezza in questo modo.

 

“Ian.”- mi dice toccandomi un braccio non appena spengo la macchina. -“Non ho una valigia, non ho niente.”

“Pensi che non abbia provveduto anche a questo?”- le domando.

 

Gli addetti a scaricare i bagagli, che ci seguiranno anche sull’aereo, ci aprono le porte e io, dopo essere sceso, aiuto anche Nina a scendere. Faccio in modo che si sorregga a me, non voglio che sforzi troppo le gambe più del necessario.

 

“Hai pensato a tutto, eh?”- mi domanda a metà tra il sorpreso e il divertito.

“So che saresti stata persa senza metà casa da portarti dietro.”- le dico prendendola in giro.

“Non mi sono mai portata via così tante cose!”- esclama fintamente offesa.

 

Le poso un bacio sulla fronte divertito.

 

“Oh, andiamo. Hai sempre girato in media con quattro valigie, solo per le tue cose.”- le dico.

 

A dir la verità non ho prestato molta attenzione a cosa mettevo in valigia. Ero troppo euforico per decidere che cosa mettere e che cosa no, il mio unico obiettivo era arrivare il prima possibile da lei e raccontarle tutto.

Ho messo il minimo indispensabile perché, dove andremo, farà caldo e comunque abbiamo una lavatrice e sappiamo, entrambi, come usarla. E poi preferisco vedere Nina non troppo vestita, ma questo non glielo dico, lo tengo semplicemente per me.

 

“Perché sono indispensabili.”- ribatte lei e si sporge oltre la mia spalla per vedere le valigie. -“Vedo che non ti sei allargato molto.”

“Avremo tempo per prendere dei vestiti o comunque per lavarli, quindi questo è solo il minimo indispensabile.”- le dico con un’alzata di spalle.

“Ci passerò sopra questa volta.”- mi dice annuendo. -“Andiamo, non sto più nella pelle!”

 

Sorrido felice per questa sua voglia di partire, all’improvviso è diventata euforica e credo che abbia scaricato la tensione dell’ultimo periodo. Ormai si è resa conto che staremo insieme senza nessun ostacolo. Mi sembra quasi un’altra persona. Mi tira per un braccio e io le sorrido dolcemente. La guardo negli occhi ed ha un nuovo bagliore, pieno di luce. Mi sorride come una bambina e questo mi fa completamente sciogliere.

Si può amare qualsiasi cosa di una donna? Evidentemente si.

 

“Andiamo, andiamo.”- ridacchio aiutandola a camminare.

“Penso di aver drasticamente cambiato idea… Adoro le sorprese!”- mi risponde lei.

 

 

 

 

 

 

 

__________________________________________________________

 

*Ian racconta a Nina tutto quello che è successo, ma io l’ho scritto sotto forma di flashback per farvi capire meglio che cosa sia accaduto. Vi ricordate il capitolo quindici? Ecco, la parte del flashback è il continuo di quella serata, dove Ian decide di parlarne con sua madre. Non so come vi foste aspettati il momento, ma ho preferito farlo così e sottolineare, ancora una volta, quando sia forte il legame tra Ian ed Edna, che magari qui è un po’ in secondo piano, ma c’è.

 

 

Dopo… Più di venti capitoli, sicuramente, ecco che salta fuori la verità. Come già anticipato Ian ha raccontato tutto a Nina e voi l’avete letto attraverso un flashback, nel quale Ian racconta tutto alla madre.

Avrei potuto scrivere un altro flashback, tipo quando lo scopre, ma ho voluto mettere il luce il modo in cui Ian, anche se non è più un ragazzo, si confidi con la madre. Quello che è successo è molto semplice e molte di voi c’erano andate vicino, anche se non è poi, arrivati a questo punto, una vera e propria bomba. Nikki, mentre stava con Ian, lo ha tradito con il suo ex marito, Paul, e il bimbo è di quest’ultimo, ma lei ha continuato a farlo passare per quello di Ian. Ian è arrabbiato, è logico che lo sia, ma ha avuto del tempo per sbollire un po’ il tutto e nel frattempo ha cercato altre prove perché, onde evitare possibili problemi in futuro, sono sempre necessarie. Ovviamente ci sarà un confronto tra i due, Ian e Nikki intendo, più avanti, ma i prossimi capitoli saranno incentrati su Ian e Nina e sul tempo che trascorreranno da soli, ovviamente in aggiunta con i gemelli ;)

Nel prossimo capitolo scoprirete anche dove vanno e preparatevi a qualche momento di intimità tra i due, credo ne abbiano veramente bisogno, e si sa che, quando due persone vengono prese dalla passione, cosa possano concludere *nientespoiler*

E ora posso finalmente dirlo: i Nian sono tornati e stanno insieme!

Sostanzialmente non ho altro da dire, il capitolo si commenta da solo.

Ringrazio le splendide cinque ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e spero in qualche recensione in più in questo, alla prossima :)

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Capitolo 27
*** We're just us, we and the kids. ***


            We're just us, we and the kids.


Twenty-Seventh Chapter.
Pov Nina. 

Quella che stiamo facendo è una pazzia, ma credo che sia la cosa migliore che abbia mai fatto in tutta la mia vita. Io e Ian ne abbiamo fatte di fughe romantiche anche quando stavamo insieme, ma questa è la migliore perché è semplicemente un ritorno al passato.

Mi sarei aspettata tutto, ma non che Nikki gli stesse mentendo, che gli avesse detto che il bambino fosse suo quando è del suo ex marito. Questo è stato il gesto più meschino che si potesse mai fare. Ian invece è felice. Si, è arrabbiato e credo che, in qualche modo, la farà pagare a Nikki, ma è felice, come lo sono io. Lo vedo da come continua a sorridermi, da come mi guarda o come semplicemente si comporta. Non l’ho mai visto così o semplicemente è tornato il vecchio Ian, quello che pur di farmi stare bene era in grado di muovere mari e monti per me. 

 

Cos’è quella faccia?”

 

La domanda mi fa sorridere ancora di più all’istante. 

 

Quale faccia?”- domando io ingenuamente.

Quella faccia!”- continua ancora sorridendomi.

Sono felice.”- gli dico io di rimando. Appoggio la mia mano sopra la sua che è intenta a cambiare le marce. -“Molto felice.

“Hai aggiunto una battuta in più.”- mi fa notare ed io rido felice.

“E tu? Tu sei felice?”- gli domando io guardando la strada di fronte a noi.

“Credo di non essere mai stato così felice negli ultimi otto anni, escludendo il tempo passato con te e con i bambini.”- mi dice raggiante.

 

I bambini sono con Edna, o con Robyn. Credo più la prima, visto che è stata anche la prima a scoprire quello che stesse succedendo. Non so ancora dove Ian mi stia portando, anche se qualche idea ce l’ho, so solo che i bambini ci raggiungeranno tra qualche giorno. Mi mancano già, mi mancheranno, ma percepisco con tutta me stessa il bisogno che abbiamo io e lui di stare insieme, da soli.

Ora siamo insieme, senza più costrizioni. Siamo liberi da qualsiasi cosa. E sono la donna più felice del mondo, perché finalmente sono con l’uomo che amo.

 

“Non si metterà più nessuno tra noi due, vero?”- domando piano.

“Nessuno, tesoro.”- mi risponde e sorrido come una bambina non appena pronuncia quel tesoro. Ian non è mai stato uno da nomignoli sdolcinati e troppe smancerie, ma ogni tanto gli escono da soli e lui non se ne accorge nemmeno e questo mi fa addolcire ancora di più. -“Siamo solo noi due e i bambini.”

“Non sai da quanto lo aspettassi.”- mormoro appoggiando la testa sul sedile. -“Mi dici dove stiamo andando?”

 

 

Ian ridacchia divertito dalla mia impazienza, poi mi fa cenno di guardare di fronte a me. La mascella quasi non mi si stacca per la sorpresa. 

Non ci posso credere. 

 

Sorpresa, eh?”- mi domanda, mentre i miei occhi brillano di felicità.

 

Non mi sarei mai aspettata che mi portasse a Miami, in Florida. E’ uno dei primi posti in cui siamo andati insieme. Quando siamo saliti in aereo avevo immaginato che saremmo andati lontano da Atlanta, ma non mi sarei mai aspettata Miami. 

Miami dove… I miei pensieri vengono interrotti quando Ian si ferma di fronte ad una casetta bianca e azzurra in legno. Quando vedo il mare il mio sorriso si apre spontaneo. La casa sulla spiaggia. Casa sulla spiaggia nelle quale ho passato i migliori momenti della mia vita con Ian. Abbiamo passato i migliori momenti della nostra vita.

 

“Dal tuo silenzio deduco che tu ne sia rimasta parecchio sorpresa!”- esclama Ian fermando la macchina.

“E’ quella casa?”- domando piano io.

“Non ho molte altre case sulla spiaggia.”- ridacchia lui sfiorando le mie labbra con le sue. -“Penso di avere solo questa.” 

 

Scuoto la testa divertita e non mi accorgo nemmeno di avere Ian al mio fianco. In un secondo è sceso dalla macchina e mi ha aperto la porta dall’altra parte. Mi slaccio la cintura e con fatica mi metto in piedi, tenendomi saldamente alla portiera e a Ian. Sebbene sia migliorata parecchio faccio ancora fatica e non ho molta autonomia. Ian si mette accanto a me e mi sorregge e insieme camminiamo verso l’entrata.

 

“Ce la fai?”- mi domanda preoccupato, mentre mi aiuta ad appoggiarmi al muro.

“Si, non preoccuparti, ce la faccio…”- mormoro io guardandolo negli occhi.

 

Ian apre la porta di casa ed insieme entriamo. L’odore di chiuso mi colpisce subito le narici, ma non è quello l’importante, è quello che vedo. E’ tutto come l’ultima volta e ne sono passati di anni. Quasi nove. E’ tutto identico, non è cambiato niente di una virgola.

Lui non ha cambiato niente. 

Mi appoggio con una mano sul divano e continuo ad osservarmi intorno. 

 

“E’ proprio tutto come lo ricordavo.”

 

Ian mi sorride e mi sostiene dolcemente per la vita. Appoggia il mento sopra la mia spalla e mio mi lascio andare contro di lui.

 

“Te lo ricordi ancora?”- mi domanda poi.

“Si, ho una buona memoria per le cose che mi piacciono…”- mormoro accarezzandogli il braccio muscoloso. 

 

La mia non è una frase maliziosa, ma a quanto pare Ian l’ha intesa in tutto un altro modo. Mi bacia piano il collo lasciandoci sopra qualche morso. Mi ritrovo a sospirare contro di lui e mi stupisco ancora una volta come il mio corpo reagisca a contatto con il suo. Non ci tocchiamo da mesi, da dicembre dell’anno scorso, al suo compleanno, ma non ho comunque dimenticato i suoi tocchi sulla mia pelle.

 

“Deduco che tu non abbia dimenticato nemmeno quello che sono in grado di fare…”- mormora mordendo piano il mio lobo.

 

Mugugno qualcosa di incomprensibile e sento Ian sorridere sulla mia pelle. Mi bacia piano una spalla lasciata scoperta dalla canottiera bianca che indosso.

 

“Non dovremmo…”- fatico perfino a parlare. -“Sistemare?”

 

Ian ridacchia contro la mia spalla nuda e le sue mani si infilano sotto la mia canottiera andando a toccare la pelle nuda del mio ventre. Rabbrividisco, ma non di freddo.

 

“Vuoi davvero”- si ferma per baciarmi il collo, mentre le sue mani salgono sempre più su, fino ad arrivare al mio reggiseno. -“sistemare ora? Potrei sentirmi profondamente offeso. L’unica cosa che voglio è gettarti su quel divano e non farti più andare via fino a quando non avrò toccato ogni centimetro del tuo corpo.”

 

Mi stacco da lui e mi volto, in modo da far incontrare le nostre bocche in un bacio vorace.

Chi sono io per dirgli di no?

Questo mi sta decisamente piacendo molto.

Tantissimo. Ian continua a giocare con il mio reggiseno, evidentemente vuole farmi morire visto che non me l’ha ancora tolto. Allaccio le mie braccia attorno al suo collo e gli appoggio un bacio sotto il mento.

 

Chi sono io per dirti di no?”- domando quasi innocente, mentre vedo gli occhi di Ian accendersi.

 

Ed io che pensavo di essere stata innocente. 

Sorride contro le mie labbra, mentre le sue dita sganciano il reggiseno. Le mie mani vanno ad infilarsi sotto la sua maglietta e mi perdo a tracciare i suoi pettorali con le dita. Sebbene abbia quarantacinque anni ha ancora un corpo fantastico. Sono sempre più convinta che migliori ogni anno di più. Più invecchia e più migliora. Ian, intanto, fa scivolare delicatamente le spalline della canottiera lungo le mie braccia ed io, intuendo le sue intenzioni, lo aiuto a togliermela e, prima che me ne possa accorgere, il mio reggiseno fa la stessa fine. Gli occhi di Ian si infuocano ancora di più e preme contro il mio corpo affinché possa stendermi sul divano.

Abbiamo veramente intenzione di farlo sul divano? Incontro nuovamente i suoi occhi e si, abbiamo intenzione di farlo sul divano. Dico abbiamo perché neanche io ho voglia di muovermi, sto così bene in questo momento. Ian mi fa stendere sul divano si mette sopra di me, rimanendo comunque sollevato perché appoggia le ginocchia ai lati dei miei fianchi. Io, invece, gli tolgo direttamente la maglietta e mi alzo con il busto per andare a baciare ogni centimetro della sua pelle bollente. Le mani di Ian sono dietro la mia schiena e fa scorrere le sue dita lungo la mia colonna vertebrale, provocandomi numerosi brividi. La mia bocca è sul suo collo mentre lui mi appoggia un bacio tra i capelli. Lo sento sospirare e sorrido contro la sua pelle, so che gli è sempre piaciuto farsi baciare in quel punto, sotto il mento. E mi sembra tutto così naturale quando sto con lui, questo mi sembra tutto così naturale. Ogni movimento viene senza timore, senza paura, come se tutto fosse così semplice. Le mie mani corrono veloci sul bottone dei suoi jeans e li apro ed inizio a farli sfilare lungo i suoi fianchi. Ian cerca di aiutarmi, ma si muove troppo e finisce con il ruzzolare a terra, ed io con lui, visto che mi ha trascinato con se.

Ci ritroviamo a ridere come due ragazzini e si assicura che io stia bene. Gli sorrido e annuisco e Ian capovolge nuovamente le posizioni portandomi sotto di lui. Siamo a terra, sul pavimento freddo, eppure non vorrei essere in nessun altro posto in questo momento. Sono qui, con lui, e questo basta.

Ian mi sfila i jeans lasciandomi solo in mutandine. Ormai abbiamo solo degli stupidi tessuti a tenerci separati. Ian mi bacia obbligandomi ad unire la mia lingua con la sua, mentre fa scorrere una sua mano sopra la mia intimità coperta. Mi ritrovo a sospirare contro la sua bocca e prego che quelle mutandine spariscano all’istante. Ian sembra capirlo e capisco anche io che non ce la fa più. Lo sento pulsare contro la mia gamba nuda e mi ritrovo a pensare che, dopo tutto questo tempo, mi voglia ancora così tanto, come ci vogliamo ancora così tanto. Ian mi sfila le mutandine ed io faccio lo stesso con i suoi boxer. Siamo entrambi nudi ed io mi ritrovo, quasi come se fossi sotto comando, a piegare leggermente le gambe e ad allargarle, in modo da dargli libero accesso. Ian non se lo fa ripetere due volte e, dopo essersi sollevato mettendo le mani ai lati della mia testa per non pesarmi, con un’unica spinta entra dentro di me. Entrambi ci ritroviamo a sobbalzare e a gemere per il piacere. Sento tutti i miei muscoli adattarsi a lui e rimaniamo fermi, immobili. Sento solo Ian baciarmi piano le labbra e ci godiamo per qualche istante il momento. I nostri corpi funzionano ancora perfettamente e sembrano fatti l’uno per l’altro, funzioniamo come un incastro. Siamo semplicemente persi l’uno dell’altra e mi sento così bene in questo momento, perché con lui ho trovato il mio posto nel mondo.

 

Ti amo così tanto, Neens…

 

Mormora contro le mie labbra e io mi ritrovo a sorridere come un ebete.

Anche io lo amo. 

 

Ti amo anche io…”- mormoro tirandogli leggermente il labbro inferiore con i denti.

 

E Ian comincia a muoversi dentro di me. Lento, ma passionale. Le mie gambe si intrecciano con le sue e le mie mani vanno a perdersi tra i suoi capelli. Lo costringo a baciarmi e lui non oppone resistenza, anzi, mi divora sempre con la stessa passione. Le nostre lingue si muovono in sincronia, così come i nostri corpi. Anche il mio bacino ha cominciato a muoversi andando incontro alle sue spinte che si stanno facendo via via sempre più calcolate e veloci. I nostri petti si sfiorano, mentre le mani di Ian vanno a stringermi i glutei e mi spingono di più contro di lui ed arrivo a sentirlo fino in profondità. E poi non capisco più niente. Diventiamo un insieme di baci, tocchi, saliva e sudore. Schiudo le labbra alla ricerca d’aria mentre sento i miei muscoli stringersi attorno a lui, sempre di più. Ed arriva a fare quasi male tutto questo e sento questo primordiale bisogno di lasciarmi andare. Ian sembra capirlo con un solo sguardo e aumenta il ritmo obbligandomi a soffocare un grido contro la sua spalla. Mi aggrappo con le mani alla sua schiena ed arrivo perfino a graffiarlo, ma questo non sembra turbarlo, anzi, sembra piacergli visto il ringhio che soffoca contro l’incavo del mio collo. Con altre poche spinte veniamo contemporaneamente e Ian, dopo essere uscito dolcemente da me, si accascia sul mio petto, ansante. 

La sua testa è appoggiata contro il mio petto, vicino al cuore, che batte ancora frenetico dopo questi ultimi sviluppi. Sento Ian accarezzarmi con una mano il braccio, mentre le mie mani sono tra i suoi capelli. E mi sembra quasi un dèjà vu questo, mi sembra di essere tornata indietro di qualche mese al suo compleanno solo che ora, dopo tutto questo tempo, la situazione è cambiata. Non dobbiamo più far finta di niente di fronte agli altri, non dobbiamo più nascondere quello che c’è tra di noi perché uno è sposato e l’altro è fidanzato, ora possiamo amarci alla luce del sole. Certo, Ian è ancora sposato, ma è stato lui il primo che mi ha detto di voler chiedere il divorzio. Lo farà quanto si sentirà pronto, ora mi basta averlo qui, con me. Ora siamo insieme e siamo veramente felici perché niente, e nessuno, potrà turbare questa tua felicità.

 

“A cosa stai pensando?”- mi domanda dolcemente alzando lo sguardo su di me. -“Sei estremamente silenziosa, di solito hai sempre voglia di parlare dopo questo.”

“Stavo solamente pensando.”- gli sorrido toccandogli una guancia.

“Posso sapere a che cosa?”- mi domanda curioso, poi il suo sguardo cambia. -“Abbiamo sbagliato a farlo? E’ stato forse presto? L’ultima volta è stato tutto molto veloce e-”

 

Lo interrompo, prima che possa spingersi troppo oltre. Sorrido, divertita. Troppo presto? Assolutamente no, almeno per me. Ci corriamo dietro da mesi ed è stato perfetto. Non che la nostra storia sia basata solo su questo, ma sono arrivata ad un punto -siamo arrivati ad un punto- di avere un bisogno fisico l’uno dell’altro a credo che capiti a tutte le normali coppie, quelle in cui c’è amore e tanta attrazione fisica. Siamo adulti, non vedo che male ci sia. Non mi stancherei mai di lui, non potrei mai. Credo che fare l’amore sia il gesto più bello che si possa fare quando si ama una persona. Diventare una cosa sola, appartenersi, donare del tuo all’altro, è un gesto intimo, ma pieno di amore, perché ti permette di creare un collegamento con la persona che ami fuori dal comune. Certo, ci sono altre cose per dimostrare di amarsi, ma questa è una di quelle, sicuramente.

 

“Non stavo pensando a questo.”- gli dico ridacchiando. -“O meglio… Stavo pensando anche a questo, ma più in particolare alla nostra vita in generale. Mi ha ricordato tanto il tuo compleanno.”

“Ci stavo pensando anche io.”- mi dice ora più leggero. Alza il busto e mi posa un bacio sulle labbra, ancora gonfie per la voracità dei suoi baci. -“Ma è stato diverso.”

“In che senso?”- domando curiosa.

“A dicembre eravamo… Non eravamo liberi, capisci?”- mi domanda.

“Tu eri sposato, io ero quasi… Si, capisco. Ci stavo pensando anche io. Ora siamo insieme, solo noi due.”- gli dico.

“Sono contento che la pensiamo allo stesso modo.”- mi dice solleticandomi la pancia.

 

Ridacchio divertita, ma tento comunque di divincolarmi da lui perché ho sempre odiato il solletico. Lo soffro in qualsiasi punto, ovunque, perfino sulle mani. Lui lo sa e, invece di lasciarmi andare, rafforza ancora di più la presa attorno ai miei fianchi.

 

“Dovrei pensarla diversamente?”- domando tra una risata e l’altra.

“Ti sei pentita di qualcosa?”- mi domanda.

“Assolutamente no.”- gli sorrido dolcemente toccandogli le labbra rosee con l’indice. Lui lo mordicchia facendomi sorridere. -“Non mi sto pentendo di niente.”

 

























 

                                                                * * *




























 

 

Pov Ian.

La guardo ridere e sorrido istintivamente anche io. Dopo aver passato circa due ore sul pavimento sporco a parlare abbiamo deciso di fare una doccia, separatamente. Io avrei voluto farla insieme a lei, ma Nina mi ha obbligato a farla dopo di me. A dir la verità mi ha dato la possibilità di scegliere se farla prima o dopo, ma alla fine ho deciso di farla dopo perché, mentre lei ha fatto la doccia, ho dato una ripulita alla casa, quello che sono riuscito a fare ovviamente. A niente sono valse le mie parole per tentare di convincerla a farla insieme, ma è stata irremovibile, sostenendo che avremo finito per non fare la doccia e credo che abbia ragione, ma recupererò comunque a breve. 

E’ seduta sopra il bancone della cucina, indossa solo dell’intimo e la mia camicia, abbottonata fino al seno coperto. I capelli castani sono raccolti in una crocchia disordinata e non può essere più bella di così, ma lei è sempre bellissima. Sta muovendo le gambe e ogni tanto sorride mentre parla al telefono con i nostri figli. I bambini hanno voluto chiamarci, chiamarla. Loro non sanno che io e Nina siamo insieme e che molto presto ci raggiungeranno, vogliamo fare loro una sorpresa anche se sono bambini molto svegli e hanno sicuramente intuito qualcosa, visto che manchiamo entrambi da casa. 

Io, invece, sto preparando la cena, del pollo arrosto con delle patate al forno. 

Sento Nina salutare i bambini, augurando loro la buonanotte, e poi la sento attaccare.

 

“I bambini mi hanno chiesto dov’eri, ho dovuto mentire.”- mi dice inclinando la testa di lato. -“Sembravano molto preoccupati, credo non abbiano abboccato molto a tutte queste scuse.”

“Saranno felici quando verranno qui, vedrai. Li porterà Robyn dopodomani.”- le spiego avvicinandomi a lei.

“Mi mancano, sai?”- mi domanda.

 

Annuisco e mi appoggio al bancone, accanto a lei.

 

“Non mi sono mai allontanata da loro, tranne per il servizio fotografico a Toronto.”- mi dice sospirando.

“Staranno bene.”- la rassicuro.

“Lo so, è che… Non so… Ho come la sensazione di essermi persa così tanto di loro negli ultimi mesi. Mi sono persa il loro percorso scolastico, la loro vita e tanto altro…”- continua afflitta.

“Non è stata colpa tua.”- le faccio notare accarezzandole una guancia. -“Non è stata assolutamente colpa tua. Ma ora è tutto finito, no?”

 

Nina annuisce, poi appoggia la fronte contro la mia.

Rimaniamo in silenzio per alcuni minuti, godendo uno della presenza dell’altro. Il silenzio non è mai stato imbarazzante tra noi, a volte le parole non servono.

E’ proprio Nina ad interrompere questo momento.

 

“Non è forse puzza di bruciato quella che sento?”- mi domanda sollevando la testa di scatto e arricciando il naso.

 

Oh cavolo. Mi volto di scatto verso il forno e vedo del fumo grigio fuoriuscire da esso. Si sa puzza di bruciato perché la nostra cena, quella che stavo preparando con tanto amore, è andata in fumo. Sapevo che non dovevo distrarmi.

Mi stacco da Nina e spengo subito il forno. Lo apro e il fumo fuoriesce, facendomi tossire un po’.

Già, ormai la cena è da buttare. 

 

“Mi sa che non abbiamo più una cena.”- annuncio non appena riesco a capirne qualcosa. E’ tutto abbrustolito e non molto commestibile. -“Decisamente, ormai è tutto da buttare.”

“Se fossimo al primo appuntamento direi subito che tu sia un disastro in cucina, quasi quanto me, ma, per tua fortuna, ho ancora una buona opinione sulle tue doti culinarie.”- ridacchia lei, incurante. -“Ordino delle pizze?”

“Credo che sia l’unica soluzione plausibile.”- le dico scuotendo la testa. -“Peperoni e olive nere, per me.”

“Oh, me lo ricordo. Non sono cambiati neppure i tuoi gusti, vedo.”- mi dice strizzandomi un occhio. -“Peperoni e olive nere senza glutine per te, io deciderò mentre chiamo.”

 

Prendo un guanto da cucina, quelli che ti impediscono di scottarti, anche se spesso capita comunque, e tiro fuori la teglia con il pollo e le patate ormai abbrustolite e le butto in un sacco nero, che dopo porterò fuori.

 

“Tanto sceglierai sempre quella, l’hai sempre fatto.”- le dico sorridendo. -“Tonno e olive verdi, ormai è diventata una pizza storica.”

“Magari i miei gusti sono cambiati.”- mi dice lei fintamente offesa.

“Non penso proprio, i bambini hanno detto che è la tua pizza preferita.”- le rispondo ridacchiando. 

“E com’è saltato fuori questo discorso?”- mi domanda lei curiosa.

“Dovevamo ordinare delle pizze e Stefan ha voluto prendere quella che, a detta sua, prendevi sempre tu.”- le dico.

“Non farò altre domande, ordino le pizze.”- mi dice scuotendo divertita il capo, poi afferra il cellulare. 

 

Mezz’ora dopo siamo seduti per terra, di fronte al televisore, che miracolosamente funziona ancora, intenti a mangiare la nostra pizza. Mangiare è una parola grossa perché io continuo a punzecchiarla e lei, per ripicca, continua a rubarmi le olive nere dalla pizza, che ormai ha praticamente solo peperoni. E’ da quando ci conosciamo che si ostina a prendere la pizza con le olive verdi per poi scartarne la maggior parte e rubare a me quelle nere. 

E glielo lascio fare, perché io comunque le rubo il tonno e quelle verdi. Abbiamo trovato una pizzeria Gluten Free, di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza, e abbiamo ordinato entrambe le pizze lì, tanto il gusto non è che cambi poi molto. E la serata continua così e ci abituiamo a tutta questa normalità ritrovata, una normalità che cercavamo da tempo e che abbiamo finalmente trovato.

 

 

 

________________________________________________

 

No, non sono sparita, sono sempre qui. Lo so che di solito aggiorno dopo cinque-sei giorni e che sia già passata una settimana, quasi otto giorni, ma credo che sarà così per un bel po’. Ormai l’anno scolastico sta per finire e beh… I professori, invece di organizzarsi per tempo, caricano tutti gli studenti a fine aprile e per tutto maggio, quindi potrete ben capirmi. Tra interrogazioni, verifiche e sport non so quanto riesca a destreggiarmi, ma è una fortuna che abbia qualche capitolo pronto, quindi cercherò di aggiornare appena posso e di non far passare troppo tempo tra un aggiornamento e l’altro; per quanto riguarda l’altra storia (la if) ho iniziato a scrivere il prossimo capitolo e terminerò quando avrò tempo, quindi mi scuso per eventuale attesa, ma non posso fare altrimenti.

Passiamo al capitolo, non voglio annoiarvi con i miei problemi da studente, visto che ne sapete quanto me e che alcune di voi fanno già l’università ^^

Questo, decisamente, è uno dei miei capitoli preferiti *^*

Ian e Nina sono finalmente insieme, dopo quanti capitoli… 70 capitoli? Wow, poveretti, ho fatto passare loro l’inferno, lo ammetto… Comunque si, Nina e Ian sono insieme e sono più felici che mai, ma, sopratutto, pendono uno dalle labbra dell’altro, perché sono innamorati persi. Ah, che nostalgia, non potete capire il dolore di scrivere su loro due… Mi mancano, mi mancano troppo.

Ian ha preparato una specie di fuga per Nina, che accetta ben volentieri alla fine, perché, come ribadito nello scorso capitolo, hanno veramente bisogno di passare un po’ di tempo insieme. E non si tratta solo sull’andare a letto insieme (fare l’amore, lo preferisco di più), ma sul fatto che… Okay, sono genitori e hanno due bambini, ma ogni normalissima coppia ha diritto di un po’ di tempo da sola, figuriamoci loro che non sono mai stati completamente soli per qualche giorno da più di otto anni. Quindi si, rimarranno da soli per qualche giorno per amarsi, viversi, stare insieme e comportarsi anche da ragazzini e si… Si rotoleranno molto anche tra le lenzuola, o nella doccia (ops, spoiler!), ma credo che faccia loro bene. Spero di non aver turbato nessuno con la scena da rating rosso, non sono una che ne scrive molte, spero solo che l’abbiate apprezzata anche se so perfettamente di non essere molto brava con questo tipo di scene, ma credo che ogni tanto servano anche perché nei prossimi capitoli ce ne sarà un’altra. Ovviamente spero che l’abbiate apprezzata almeno un po’, ma accetterò qualsiasi tipo di parere ;)

L’ultima parte è un po’ il preludio di quello che accadrà in futuro, i bambini sono presenti, anche se non lo sono fisicamente, e presto verranno a conoscenza che i loro genitori sono insieme, questa volta per davvero. Lasciamo perdere le doti culinarie di Ian, ma… Ehm… Era troppo perso a guardare Nina ahahah

Ringrazio le meravigliose ragazze (ben 9!) che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui spero di rispondere a breve, alla prossima <3

 

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Capitolo 28
*** We are the same. ***


                             We are the same.

Twenty-Eighth Chapter.
Pov Ian.

Mi sveglio aprendo prima un occhio e poi l’altro. Sorrido istintivamente sentendo un corpo caldo accanto al mio. Accarezzo delicatamente i capelli della donna accanto a me. Ha la testa appoggiata sopra il mio petto, evidentemente perché lo trova molto più comodo di un normalissimo cuscino, un braccio sotto la pancia e uno nell’atto di abbracciarmi e le nostre gambe sono aggrovigliate, quasi non capisco dove finiscano le mie e inizino le sue. Una leggera brezza estiva entra dalla finestra lasciata aperta e fa muovere le tende bianche, mentre in sottofondo, non molto lontano, si sentono le onde che si infrangono sugli scogli. Potrebbe sembrare una visione surreale, ma, fortunatamente, non lo è. 

La mia pelle, a contatto con la sua nuda, brucia ancora. Decido di non svegliarla, questa notte abbiamo fatto le ore piccole, e, muovendomi piano, riesco ad uscire dal letto senza minimamente svegliarla. Non che sia molto difficile, perché Nina ha il sonno parecchio pesante, ma mi dispiacerebbe comunque svegliarla perché ho intenzione di prepararle la colazione. Afferro i boxer dal pavimento e, dopo essermeli infilati insieme ad un paio di pantaloni neri, vado in cucina ed inizio a preparare la colazione. Prendo un vassoio, ci metto sopra due bicchieri e ci verso del succo. Mentre preparo l’impasto delle crepes, metto sul fuoco una moka con del caffè, non posso dimenticarlo assolutamente, Nina mi ucciderebbe se lo facessi. Ha sempre avuto una strana adorazione per il caffè. Non che a me non piaccia, lo bevo anche io, ma lei lo consuma in grandi quantità ogni giorno. 

Dopo dieci minuti è tutto pronto e ne sono parecchio soddisfatto. Entro in camera di soppiatto e noto che Nina sta dormendo ancora. Appoggio la colazione sopra il comodino, in modo da non rovesciare tutto, e decido di svegliarla. Mi metto in ginocchio sul letto e mi sporgo per darle un bacio sulla fronte, poi uno sul naso e uno sulle labbra. Sento Nina muoversi e sorrido trionfante, poi continuo a posarle dei baci ai lati del viso. Nina continua a tenere gli occhi chiusi, ma sorride. Sento le sue braccia circondarmi il collo ed io le poso un bacio sulle labbra.

 

“Buongiorno…”- bofonchia lei decidendosi di aprire gli occhi. -“Che ore sono?”

“Quasi le nove.”- le rispondo accarezzandole una guancia.

“Quasi le nove?”- mi domanda stupita. Si alza di scatto a sedere sul letto coprendosi con le lenzuola. Scuoto la testa divertito. Mi è sempre piaciuto questo lato del suo carattere. Alterna momenti di imbarazzo a momenti di pure passione e questo la rende imprevedibile. -“Avresti dovuto svegliarmi prima!”

“E perché?”- le domando. -“Stavi dormendo così bene, era davvero un peccato svegliarti. E poi abbiamo ancora tanto tempo.”

 

Nina annuisce poi, non appena nota la colazione sopra il comodino, i suoi occhi si illuminano, letteralmente. Ha sempre avuto un fisico mozzafiato sebbene mangi abbastanza. A parte che ha sempre fatto palestra e yoga, però non ha mai avuto un chilo di troppo. Anche se pesasse tonnellate l’amerei lo stesso.

 

“L’hai davvero preparata tu?”- mi domanda.

“Ovvio, non avrei potuto fare altrimenti. Siamo soli.”- le faccio notare.

“Chissà… Magari c’è qualche maggiordomo nascosto dentro qualche armadio.”- ridacchia lei mentre io mi sporgo per afferrare il vassoio ed appoggiarlo sopra al letto.

“Non sarebbe una brutta idea però.”- le dico sedendomi accanto a lei. 

 

Afferro il caffè e inizio a berlo. 

 

“E hai preparato anche le crepes e c’è la cioccolata!”- esclama lei afferrando la forchetta felice. 

 

E dopo mi domando da chi abbia preso Stefan. Tale e uguale a lei. Quando vedono dolci non capiscono più niente. Potrebbe finire il mondo e a loro non ne importerebbe nulla, continuerebbero a mangiare come se nulla fosse.

 

“Sono o non sono un uomo da amare?”- le domando ridacchiando.

“Oh, certo che lo sei.”- ribatte lei continuando a mangiare indisturbata le crepes. -“Ti sei riscattato da ieri sera.”

“Tu mi hai distratto.”- le ricordo alzando gli occhi al cielo.

“Certo, certo, è colpa mia.”- borbotta, ma la vedo sorridere. 

“Paul mi ha scritto un messaggio ieri sera, seguito da uno di Julie e da tanti altri… Si stanno domandando dove diavolo ci siamo cacciati.”- le dico rubandole un pezzo di crepes.

 

Nina mi schiaffeggia una mano, ma tanto ormai non può più fare nulla.

 

“Ah si?”- mi domanda sorpresa e nel frattempo mi allontana il piatto.

“Nessuno sa dove siamo.”- le dico.

“A parte mia madre, tua madre e mio fratello.”- mi fa notare lei.

“No, nessuno. Sanno che cosa ho fatto, ma non dove siamo. Avviserò mia madre questa sera per portare i bambini fino a qui, ma nessuno sa dove siamo in questo preciso momento.”- le spiego.

 

Mi sporgo con il busto e tento di afferrare un pezzo di crepes, ma Nina, salda nelle sue convinzioni, mi impedisce di prendergliene un ultimo pezzo.

 

“Quindi… Se io ti uccidessi in questo preciso istante nessuno lo saprebbe…”- mormora pensosa, poi mi sorride maligna. -“Fantastico. Hai le tue crepes, mangia le tue.”

“Ma è molto più divertente rubarle a te!”- esclamo io e, mentre lei è intenta a fulminarmi con lo sguardo, mi sporgo ancora di più e riesco a rubargliene un altro pezzo. 

 

Non ho calcolato bene che cosa potesse succedere però. Per schivare l’ira di Nina mi sbilancio all’indietro, trascinandomi irrimediabilmente anche lei perché, per cercare di prendermi e non trovandomi, si è sbilanciata anche lei. E nel mentre, tutto quello che avevo preparato si riversa su di noi e sul letto. Diventiamo un misto di cioccolata, succo di frutta, zucchero a velo e quant’altro.

 

“Hai visto quello che hai combinato?”- mi domanda Nina fulminandomi con lo sguardo.

 

Mi gratto la testa divertito e, incurante del farneticare di Nina, le poso un bacio all’angolo della bocca per toglierle via del cioccolato.

 

“Adesso dobbiamo andare a fare un’altra doccia e sistemare questo casino.”- sbuffa lei. -“E guardati… Sei un disastro.”

“Non che tu sia messa meglio.”- le dico cercando di toglierle un po’ di zucchero a velo dalla faccia.

“Se era un pretesto per fare una doccia con me potevi chiederlo benissimo in altri modi.”- mi dice scuotendo la testa e, dopo essere uscita dall’intrigo di lenzuola, gambe e quant’altro, si alza a fatica dal letto per dirigersi verso il bagno.

“Ma così è stato molto più divertente.”- le rispondo io mentre la osservo prendere degli asciugamani puliti. Poi decido di alzarmi per aiutarla. -“Vieni, ti aiuto.”

“Sono ancora in grado di prendere degli asciugamani…”- mormora incontrando i miei occhi. La sostengo, per paura che possa cadere da un momento all’altro. Le mie mani, a contatto con la sua pelle nuda, tremano leggermente. -“E ora in grado di rimanere in piedi per più di cinque minuti.”

 

Si stacca da me titubante e muove qualche passo verso il bagno.

 

“Vuoi che ti accompagni? Non voglio correre il rischio che tu ti rompa la testa.”- le dico preoccupato.

“So raggiungere il bagno, ce la faccio.”- mi dice, poi si volta verso di me puntandomi un dito contro. -“E smettila di guardami il sedere!”

 

Scoppio a ridere e decido di lasciarla andare in bagno perché so che, se avesse qualche problema, mi chiamerebbe. Tolgo i residui di cibo sopra al letto, insieme alle posate e ai bicchieri, e tolgo le lenzuola dal letto. Quelle avranno bisogno di una bella lavata, per fortuna che mia madre, molto ligia all’igiene, mi ha obbligato a portare delle lenzuola pulite, almeno potremo lavare le altre con tranquillità e usarne lo stesso un paio di pulite. Sento l’acqua scrosciare dalla doccia e decido di raggiungere Nina. L’acqua ha già cominciato a fare un leggero vapore, per questo non riesco a distinguerla bene sotto la doccia, ma poco importa visto che adesso la raggiungerò. Mi tolgo i pantaloni e i boxer in un solo colpo e qualche secondo dopo sono già sotto la doccia con Nina, che mi sta guardando in modo malizioso e questo, naturalmente, non fa altro che eccitarmi ulteriormente. Come se la sua vicinanza non fosse già abbastanza. Mi avvicino a lei, facendo si che il getto d’acqua tiepida bagni anche il mio corpo. Afferro Nina per la vita e faccio aderire il suo petto al mio. E’ una scusa per averla vicina e evitare che, stancandosi, possa finire a terra. 

 

“Hai zucchero a velo ovunque…”- mi fa notare lei passando una mano bagnata sulla mia fronte.

“Ecco perché siamo qui.”- le dico suadente avvicinando la mia bocca alla sua. Faccio per baciarla e poi, nell’esatto momento in cui le nostre labbra si sfiorano, mi stacco da lei. Nina alza gli occhi su di me contrariata, mentre io mi sporgo per prendere un flacone di bagnoschiuma, tenendola sempre salda con un braccio. Ho intenzione di fargliela pagare per ieri pomeriggio, visto che non ha voluto, a buona ragione, devo ammetterlo, fare la doccia con me. Non so quanto resisterò, ma è troppo divertente vedere le sue reazioni. -“Dobbiamo lavarci, no?”

 

L’ultima frase la dico nel modo più innocente possibile, tanto che sento Nina sbuffare.

 

“Cosa ti aspettavi?”- le domando.

“Oh… Lo sai bene…”- mormora lei passandomi una mano sul petto in modo seducente. 

“Ieri non mi è sembrato.”- le dico io con un’alzata di spalle.

 

Apro il flacone di bagnoschiuma e me ne verso un po’ sulle mani, poi lo rimetto al suo posto, dietro la testa di Nina.

 

“Davvero tiri in ballo ancora la questione di ieri?”- mi domanda vagamente divertita.

 

Forse ha capito le mie intenzioni, forse no.

 

“Mi pare che questa notte abbiamo recuperato.”- continua, mentre io inizio ad insaponarla con una mano. 

 

 

Parto prima dall’alto, passo le mie mani sulle sue spalle, fermandomi ogni tanto a lasciarle qualche massaggio, e poi passo alle braccia.

 

“Certo, lo abbiamo fatto, ma certe proposte sono difficili da rifiutare.”- le sussurro all’orecchio per poi passare sul suo torace. 

 

Non mi soffermo volutamente sul suo seno, preferisco, per il momento, concentrarmi su altro.

 

“Lo stiamo facendo ora…”- mormora lei facendoci indietreggiare entrambi, visto che appoggia la schiena sul muro.

“Ora? Io ti sto semplicemente lavando.”- le dico innocentemente passando al suo ventre. 

 

 

Decido di lasciarla in piedi da sola per qualche istante. Le mie mani scorrono veloci lungo il suo corpo, arrivano alle cosce e poi alle gambe lunghe, fino alla punta dei piedi. Ritorno di nuovo su e mi verso sulle mani dell’altro bagnoschiuma e faccio di nuovo lo stesso percorso, seppur più lentamente. Quando lo rifaccio per la terza volta inizio ad avvicinarmi pericolosamente al suo seno, ma, quando sento Nina sospirare, mi allontano di nuovo.

 

Ti odio, lo sai, vero?”- mi dice sbuffando sonoramente. -“E questo non mi sta piacendo.”

“Tu dici?”- le domando ironico, mentre con le dita le solletico il seno. 

 

Mi abbasso leggermente e le poso un bacio vicino al capezzolo, mentre una mia mano è ancorata dietro la schiena di Nina e l’altra appoggiata su un suo fianco. La bacio dolcemente, non con troppa irruenza, e ogni tanto le lascio qualche morso leggero, prima in uno e poi nell’altro. Le mani di Nina vanno dietro al mio collo e appoggia anche la testa contro il muro.

No, non le sta sicuramente piacendo, come no.

Scendo a baciarle il petto, soffermandomi su ogni costola, poi il ventre e le lascio un morso all’altezza dell’ombelico. Le mie mani sono scese lungo le sue gambe e le stanno accarezzando. Le do un morso vicino alla cicatrice, poi su quella vi poso sopra un bacio, mentre Nina preme ancora di più le mani sul mio collo. Una mia mano si avvicina pericolosamente , dove giace il centro di ogni donna, ma, proprio nell’esatto momento in cui la sfioro, mi tiro su di scatto, guardando Nina parecchio soddisfatto. Lei, notando questo cambiamento improvviso, spalanca gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto chiusi, e mi guarda allibita.

 

“Io credo di aver finito, qui.”- le dico angelicamente.

 

Nina, dopo un momento di confusione mista frustrazione, mi guarda maliziosa e ricambia il mio sguardo soddisfatto.

Credo che qui si metterà male, o parecchio bene, dipende dai punti di vista.

Si volta ed afferra il bagnoschiuma e se lo versa sulle mani, per poi riposare il flacone al suo posto.

 

“Effettivamente credo che anche tu abbia bisogno di una bella ripulita, effettivamente sei così sporco…”- mormora fintamente dispiaciuta ed inizia ad insaponarmi il petto.

“Si, hai ragione, ho proprio bisogno di qualcuno che mi aiuti a lavarmi…”- mormoro fintamente afflitto ed allaccio le braccia attorno alla sua schiena.

 

Nina ricambia il mio sguardo e continua ad insaponarmi il petto e traccia delle line immaginarie lungo tutto il mio corpo. Passa le sue mani sulle mie braccia muscolose, mentre la sua bocca è sul mio collo che mordicchia leggermente, scendendo poi sull’incavo e sulla clavicola. Le sue mani intanto si sono spostate dalle mie braccia e sono sui miei fianchi, mentre la sua bocca è sul mio petto dove lascia dei baci che mi fanno fremere. Mi sta ripagando con la mia stessa moneta e credo di essermelo meritato, però la cosa mi sta piacendo parecchio. La sua bocca ritorna su, sulle mie labbra che mordicchia leggermente per poi darmi un bacio che approfondisco, visto l’urgenza del suo. Una mia mano va sul suo fianco e faccio per spingerla contro di me, quando sento le sue mani . Sobbalzo leggermente, colto alla sprovvista, e Nina sorride sulle mie labbra, lo sento. Già sto facendo di tutto per trattenermi e lei vuole peggiorare la situazione. Lo accarezza piano, facendomi gemere, e, proprio nell’esatto momento in cui mi aspetto che continui, si blocca e si stacca da me, trionfante. Okay, me lo sono meritato, però… 

 

“Mi sembra di averti aiutato abbastanza.”- mi dice con un’alzata di spalle, poi si volta a prendere lo shampoo. -“Io finisco di lavarmi i capelli, tu fai come vuoi. Puoi lavarti o rimanere lì con quella faccia da pesce lesso.”

 

Io?

Questa donna vuole farmi morire. E’ vero che ho iniziato io, ma non mi aspettavo che mi lasciasse così.

Lei, incurante di quello che ha detto, va sotto il getto d’acqua della doccia e, dopo essersi bagnata i capelli, si versa del shampoo sulle mani. 

Non ho intenzione di lasciarla finire così. Non la faccio nemmeno iniziare che, con uno solo semplice movimento, la faccio girare e la sua schiena aderisce al mio petto. 

 

“Qualcuno si è svegliato…”- mormora.

“E qualcuno si è vendicato…”- continuo io imprigionandola con le mie braccia.

“Te lo sei meritato…”- mi risponde lei obbligandomi a baciarla.

 

E senza dire nulla mi unisco a lei, facendola sobbalzare per la sorpresa, più che gradita direi visto che si abbandona completamente, appoggiando la testa sull’incavo del mio collo. Le circondo la vita con entrambe le braccia e le poso un bacio sul collo. Una mano di Nina artiglia il mio braccio non appena accenno un movimento dentro di lei e la vedo chiudere gli occhi. Sorrido sul suo collo e le mordicchio una clavicola. Mi piace vedere -e sapere- come sia completamente abbandonata al mio tocco, come sia in grado di farla sentire. Inizio a spingere piano dentro di lei, mentre Nina rimane immobile, godendosi appieno la nostra intimità. L’altra mano di Nina, quella libera e non impegnata a torturare il mio braccio, si posa alla base della mia schiena invitandomi a continuare, cosa che faccio, senza bisogno di altri ordini. 

 

“Oh… Dio… Ian…”- geme mordendosi le labbra a sangue.

 

Sorrido eccitato per questi suoi lamenti e la mordo sotto il mento, mentre la presa sul mio braccio e sul mio fianco si intensifica ancora di più.

 

“No, tesoro, sono solo Ian…”- le sussurro all’orecchio.

 

Nina impianta le unghie sul mio braccio facendomi sobbalzare.

 

“Perché devi… Fare…. Fare l’idiota anche in queste… Situazioni?”- geme.

 

In risposta aumento il ritmo e questa volta lei decide di seguirmi, muovendo i fianchi al ritmo che ho scelto per noi. Rafforzo ancora di più la presa sulla sua vita, sentendo che le sue gambe hanno qualche accenno di cedimento, in modo da non farla cadere, e continuo a muovermi dentro di lei, continuiamo semplicemente a fare l’amore. Sento il piacere iniziare a crescere dentro di me e alla donna che ho di fronte capita lo stesso, posso vederlo, posso percepirlo chiaramente. Aumento ancora il ritmo, dando a lei e a me quello di cui chiaramente abbiamo bisogno. I miei gemiti si confondono con i suoi e mi accorgo, per l’ennesima volta, di come i suoni che escono della sua bocca siano i miei preferiti. Veniamo in contemporanea, con io che mi riverso dentro di lei. Sento anche le mie gambe iniziare a cedere, per la stanchezza che per tutto il resto, e mi lascio scivolare contro il muro della doccia, portando Nina con me. Ci ritroviamo seduti a terra, io con la schiena appoggiata al muro e Nina con la sua schiena appoggiata al mio petto. Il suo petto si sta ancora alzando e abbassando velocemente e continua a tenere la testa sull’incavo del mio collo con gli occhi chiusi. 

L’acqua calda continua a scrosciare su di noi ed io decido di iniziare a lavarle i capelli. Ha sempre adorato che lo facessi.

 

“Te lo ricordi ancora?”- mi domanda dolcemente non appena mi risiedo dietro di lei con shampoo e balsamo tra le mani.

“Certo che me lo ricordo.”- le dico versandomi del shampoo e iniziano a lavarle i capelli. -“Non potrei mai dimenticarlo.”

“Adoro tutto questo… Adoro come, dopo tutti questi anni, il nostro rapporto, adesso, sia come quello di una volta…”- mormora voltandosi verso di me e baciandomi. -“E’ come se… Come se niente fosse successo.”

 

L’aiuto ad alzarsi, in modo da risciacquarla. Una volta finito il risciacquo le metto il balsamo e mi sporgo per afferrare un pettine ed inizio a lisciarle i capelli. Non me ne intendo molto di capelli, ma ho sempre adorato i suoi.

 

“E’ successo, ma questo è servito per rafforzare il nostro rapporto, la nostra storia.”- le dico posandole un bacio sulla guancia. -“Ci ha solo resi più uniti.”

“Lo credo anche io.”- mi dice sorridendo e a sua volta decide di aiutarmi a finire di lavarmi. Non che non ne sia in grado io, ma la lascio fare, mi piace che anche lei decida di aiutarmi. Sono sempre un uomo, ma mi piace comunque ricevere attenzioni da una donna, la mia donna. -“Certo che ci siamo complicati sono la vita, così.”

“Si, assolutamente.”- concordo con lei chiudendo la doccia, visto che abbiamo finito. Mi allontano da qualche passo ed esco dalla doccia, poi le tendo la mano, che lei prontamente afferra, per aiutarla ad uscire ed evitare che possa cadere. -“Diciamo che abbiamo creato una storia degna del miglior film.”

 

Nina ride ed io con lei, poi l’aiuto ad infilare l’accappatoio e le friziono i capelli con il cappuccio, poi mi annodo un asciugamano alla vita. 

 

“Ora basta cose complicate, però.”- mi dice ed io l’attiro a me di nuovo, per catturare le sue labbra con un altro bacio, l’ennesimo della giornata, e non l’ultimo.

 

Baciare Nina è come farlo sempre per la prima volta e non riesco a staccarmi da lei.

Ma è proprio questo che fa l’amore, no? Quando ami immensamente una persona non sei più in grado di separartene.

 

“Sono d’accordo con te, ormai la nostra vita è tutta in discesa.”- concludo io. 

 

________________________________


Mi scuso dell’immenso ritardo di quasi due settimane, ma i motivi sono gli stessi dello scorso capitolo :/

Altro capitolo interamente Nian con un unico momento hot. Si, se ve lo state domandando… Questi due si stanno dando alla pazza gioia e vorrei vedere… Troppo tempo separati, veramente troppo. I bambini verranno fuori tra circa due capitoli, quindi per altri due capitoli avremo Ian e Nina intenti a comportarsi come una coppia normale, senza nessuna preoccupazione. Quando arriveranno i gemelli, ovviamente, inizierà la loro vita da famiglia, tutti e quattro insieme, come hanno sempre desiderato.

Il momento si commenta da solo, con Ian che ha affettivamente ottenuto un momento spinto in doccia, come voleva il giorno precedente ahaha

Basta, non ho altro da dire, perchè, effettivamente, questo è un capitolo di passaggio e non c’è praticamente nulla da dire, se non quello che ho già detto :)

Ringrazio le sei ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima ^^

 

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Capitolo 29
*** Much love. ***


                                  Much love.



Twenty-Ninth Chapter.
Pov Nina.

Tutto questo mi sembra surreale. Ogni cosa sembra così surreale. Due giorni fa ero ad Atlanta, a fare riabilitazione per le mie gambe, ed ora sono a Miami, con Ian, nella sua casa sulla spiaggia. E non sembra vero perché queste ultime ore sono state le migliori della mia vita.

Sono con l’uomo che amo di più al mondo e stiamo trascorrendo dei momenti indimenticabili. E non sto parlando del fatto di essere andata a letto con lui, a parte al fatto che abbiamo fatto letteralmente l’amore, anche se è comunque una parte importante, perché i suoi tocchi, su tutto il mio corpo, mi erano mancati come l’ossigeno. Ma proprio essere qui, con lui, avere lui al mio fianco. In questi ultimi otto anni non sono mai stata con nessuno, esclusa la storia con Eric, ovviamente, perché una parte di me è sempre stata dolorosamente legata a Ian. Prima di incontrarlo ho avuto qualche ragazzo, ma, sebbene avessi avuto solo vent’anni la prima volta che l’ho visto, non ho mai creduto all’amore dei film, un esempio lampante ne è quello tra Damon ed Elena, i nostri personaggi. Ma poi, quando l’ho visto, ogni cosa è cambiata, ogni mio pensiero è cambiato. Avevo -ho- trovato finalmente quello che cercavo, l’Amore, quello con la A maiuscola. Nessuno è mai stato in grado di accendermi come ha fatto -fa- Ian, nessuno è mai stato in grado di farmi sentire viva. E poi tutto era crollato. Tutte le mie speranze se n’erano andate con lui. Poi non ho più voluto nessuno. Un po’ perché, appunto, una parte di me sarebbe stata sempre legata a Ian, e un po’ per i bambini. Ci sono le classiche famiglie allargate, è vero, stavo “iniziando” a costruirne una con Eric, ma durante tutto l’arco di vita dei bambini non ho mai voluto nessuno per loro. L’ho sempre trovato in qualche modo irrispettoso nei loro confronti, perché ho sempre voluto che conoscessero il loro vero papà. E ne hanno sofferto in questi anni, tutte le volte che mi chiedevano dove fosse ho sempre inventato delle inutili scuse. Ma poi è arrivato, è semplicemente ritornato nella mia vita, come un fulmine a ciel sereno è ha scombussolato tutto, un’altra volta. Non avrei mai detto, però, che saremo tornati insieme, perché non ne ero convinta nemmeno io. Ma poi, semplicemente, ci siamo ritrovati, l’amore ci ha fatto ritrovare. 

E non so che cosa ne sarà della nostra vita adesso, se filerà tutto liscio o se ci sarà qualche ostacolo ancora tra di noi, l’importante è essere insieme e so, per certo, che questo lo sarà per molto molto tempo.

 

“Hey, mi stavo preoccupando, non ti ho vista rientrare…”- mormora una voce alle mie spalle che so, per certo, essere quella di Ian.

 

Sento qualcosa appoggiarsi sulle mie spalle nude, lasciate scoperte da una canottiera. Alzo lo sguardo e gli sorrido, mentre mi stringo un po’ di più addosso la coperta. E’ quasi sera e, sebbene sia estate, l’aria si sta facendo leggermente più fredda rispetto al pomeriggio. Ian si siede accanto a me, sulla sabbia, ed io approfitto per appoggiargli la testa sulla spalla. Lui circonda con un braccio la mia vita e mi appoggia un bacio sulla tempia.

 

“Si sta così bene qui.”- gli rispondo.

“Lo so.”- mi sorride. -“Ma mi avevi detto che saresti andata fuori due minuti, non quaranta.”

 

Mi volto di scatto verso di lui sorpresa.

 

“Sono davvero passati quaranta minuti?”- gli domando sconvolta.

 

Sono stata così tanto tempo persa tra i miei pensieri?

 

“Quasi quarantacinque, adesso.”- ridacchia lui. -“Poi ti ho visto qui, seduta, a guardare il mare, e ho deciso di non disturbarti, sembravi così persa tra i tuoi pensieri. Ma poi ho deciso di venire perché mi stavi facendo preoccupare.”

 

Ridacchio anche io e mi porto le ginocchia al petto. 

 

“Stavo mettendo in ordine le mie idee, troppe cose a cui pensare…”- gli dico accarezzandogli una guancia. -“Ma è tutto apposto.”

“Ne sei sicura?”- mi domanda leggermente preoccupato. -“Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare sono qui, per te.”

 

Mi sporgo e gli do un bacio sulle labbra. Casto, ma comunque dolce. Ian sorride sulle mie labbra e mi accarezza la fronte, poi mi stringe a se in un comodo abbraccio.

 

“Lo so che ci sei per me, ma avevo bisogno di pensare. Stavo pensando a tutto quello che è successo, ho solo riordinato un po’ tutto.”- gli spiego accoccolandomi ancora di più contro di lui, perché ho bisogno di sentirlo vicino.

“Non posso darti torto, sono successe parecchie cose…”- mormora accarezzandomi la schiena.

“Ian, stavo pensando… Credo che, quando torneremo, dovrò parlare con Eric.”- gli dico di getto.

 

Sento i muscoli di Ian irrigidirsi e così decido di guardarlo negli occhi. Non voglio parlarci assolutamente per tornarci insieme, mi è dispiaciuto il modo in cui si sono concluse le cose tra di noi. Ci tengo a lui, non nel senso che lo amo, ma comunque siamo stati per un po’ insieme e mi sembra giusto così, per rispetto nei suoi confronti. Non dovrei nemmeno parlare di rispetto visto che io e Ian l’abbiamo tradito a sua insaputa, anche se non è stato un vero e proprio tradimento visto che non eravamo ancora fidanzati, ma comunque penso che sia una cosa ragionevole.

 

“E perché mai dovresti parlare con lui?”- mi domanda leggermente seccato.

 

Ed eccolo che entra in modalità gelosia alle stelle.

Gli prendo il volto tra le mani e gli do un altro bacio, questa volta però mi soffermo più a lungo sulle sue labbra.

 

“Non voglio assolutamente tornare con lui, sia chiaro.”- cerco di tranquillizzarlo, ma Ian mi guarda ancora sospettoso. -“Voglio solo scusarmi con lui. L’ho illuso, capisci?”

“Vuoi parlarci dopo tutto questo tempo?”- mi domanda Ian.

“E’ passato del tempo, ma non ho davvero avuto il tempo io di parlarci con lui, sono successe troppe cose. Non dico di farlo domani, siamo qui, insieme, tra poco arriveranno anche i bambini e… Abbiamo bisogno di un po’ per passare del tempo come una famiglia.”- gli spiego. -“Quando torneremo ad Atlanta, quando tutto questo si sarà attenuato un po’. Solo scusarmi per averlo illuso, per avergli fatto credere che ci potesse realmente essere qualcosa tra di noi, sai che ti amo, Ian. Solo questo.”

 

Ian si rilassa leggermente contro di me.

 

“Te lo giuro.”- continuo.

 

Ian mi accarezza la fronte e mi sorride.

 

“Non è che non ti creda, è solo…”- si ferma per qualche istante sospirando. -“Hai ragione, dovresti farlo, è che ero convinto fosse una storia chiusa.”

“E’ assolutamente una storia chiusa!”- esclamo con forse troppa veemenza, visto che riesco perfino a farlo ridacchiare. -“Solo che mi dispiace come si sia conclusa, tutto qui. Ma se non vuoi ne farò a meno, non morirà nessuno.”

“No, hai ragione. E’ giusto che ci scusiamo, entrambi. Porterai anche le mie scuse a Eric, okay?”- mi dice baciandomi la punta del naso. -“E’ solo che non mi piace vedere uomini che ti gironzolano attorno.”

“Ormai non sei più l’unico uomo della mia vita, Ian, questo dovresti saperlo.”- gli dico fingendomi seria.

 

Mi alzo in piedi a fatica, mentre Ian mi guarda sconvolto. Vorrei scoppiargli a ridere in faccia, ma cerco di trattenermi in tutti i modi possibili. Valuto anche dei modi per sfuggirli. La casa è troppo distante, mi prenderebbe subito, correre lungo la battigia non se ne parla, perché non ce la farei. Sono a malapena in grado di camminare, non ce la faccio ancora a correre. L’unica opzione è il mare, sicuramente non mi seguirà mai lì dentro.

 

“I bambini non li consideri?”- gli domando innocentemente.

 

Ian mi guarda ancora più sconvolto e, quando si rende effettivamente conto di come io stia scherzando con lui, io ho già quasi raggiunto l’acqua, il mio porto sicuro. Troppo prevedibile, sapevo che mi avrebbe rincorso.

 

“Mi hai fatto prendere un colpo!”- mi dice fintamente offeso. -“I bambini, sei seria?”

“Certo che sono seria! Loro mi hanno letteralmente rubato il cuore, sono sempre stati i miei uomini!”- gli dico immergendo i piedi dell’acqua. Tremo leggermente per l’acqua fredda, ma è anche una bella sensazione. Da quanto tempo non andavo al mare? -“E’ un dato di fatto. E poi non ho mica detto che non ci sei…”

“Io sono l’unico in quel senso, però.”- mi dice lui avvicinandosi un poco a me.

 

Tanto non entrerà mai in acqua.

 

“Stai davvero surclassando i tuoi figli?”- gli domando fintamente sorpresa. 

 

E poi scoppio a ridere e non riesco più a fermarmi. Le sue espressioni sono state esilaranti.

 

“Ti faccio ridere?”- mi domanda arcuando un sopracciglio. 

“La tua… La tua… Faccia…”- continuo a ridacchiare. -“Dovevi vedere la tua faccia!”

 

Faccio qualche passo all’indietro e l’acqua mi arriva quasi fino alle ginocchia. Ian, intanto, si è fermato a qualche centimetro dalle onde. 

 

“Credi davvero di riuscirmi a scappare così facilmente?”- mi domanda lui incrociando le braccia al petto. 

“Dai, non avresti mai coraggio di venire in acqua.”- lo punzecchio. -“E poi stavo scherzando.”

“Anche nel mio cuore ci sono due uomini, ma non te lo vengo mica certo a dire.”- sottolinea lui.

 

Ridacchio ancora.

 

Paul e Daniel, ma oramai non mi scandalizzo più.”- gli dico ridendo, poi mi correggo. -“Nessuno si scandalizza più.”

“Oh, giusto, anche loro.”- annuisce. -“Hai intenzione di rimanere lì dentro tutta la sera?”

“Se non mi guardi in modo così minaccioso potrei anche uscire.”- gli rispondo avvicinandomi leggermente.

 

Non avrei mai potuto fare mossa sbagliata. Nel momento in cui intuisco cosa sta per fare lui mi è già addosso, ma avrei dovuto immaginarmelo, solo che non avrei mai calcolato che avesse davvero intenzione di farlo. Ovviamente lui è più veloce di me, io sono lenta a causa della gambe in terra, figuriamoci in acqua. Mi ritrovo sotto acqua senza capire perché, poi due braccia forti mi aiutano a risalire. Tossisco un po’ d’acqua che ho bevuto per colpa di Ian e gli tiro un pugno sul petto, mentre lui scoppia a ridere di gusto. Io sono quasi morta annegata e lui ride di gusto?

 

Avresti dovuto vedere la tua faccia.”- ride prendendomi in giro.

“Hai rischiato di farmi morire annegata, disgraziato!”- lo rimprovero cercando di togliermi delle ciocche di capelli dal viso.

“Esagerata, non saresti mai morta annegata, ti avrei salvato io.”- mi dice sicuro.

“Quindi… Avresti attentato alla mia vita per poi salvarmi?”- domando dubbiosa.

“In un certo senso è così.”- mi dice cercando di abbracciarmi, ma io mi sposto. 

“Nemmeno i bambini arriverebbero a tal punto.”- gli dico.

“Allora dovrò insegnare loro alcune cose.”- mi dice riuscendo ad imprigionarmi tra le sue braccia comunque, nonostante i miei tentativi di allontanarmi da lui. 

“Quanti anni hai, dodici o quarantacinque?”- gli domando io.

“Ti sarei piaciuto anche a dodici anni, sai?”- mi dice lui, alludendo alla mia domanda. -“Ero davvero un ragazzino carino e molto timido.”

“Il contrario di adesso.”- ridacchio mentre lui mi lascia un bacio sulla guancia -“E per la cronaca… Io avevo tipo un anno…”

“Mi sarei innamorato comunque di te. Eri una bambina adorabile!”- mi dice accarezzandomi un braccio.

“Non tirare in ballo ancora quelle foto…”- lo minaccio.

 

In uno degli ultimi Natali passati insieme mia madre mostrò a Ian tutte le mie foto da bambina e quando dico tutte intendo proprio tutte. Non ho mai provato così tanto imbarazzo in tutta la mia vita, ma Ian ne è rimasto parecchio entusiasta quella volta, ha continuato a dire come fossi bella da piccola e a prendermi in giro per alcune espressioni. Ma mi sono vendicata comunque la festa successiva, visto che Edna mi ha mostrato le sue foto da bambino ed anche lui, come lo ero stata prima io, si è trovato parecchio in imbarazzo.

 

“E va bene, capitolo chiuso, non parlerò più di quelle foto, te lo prometto solennemente!”- mi dice. -“Ora è meglio andare, non vorrei che ti ammalassi.”






























 

 

                                                               * * *



























 

 

-Mamma, ci manchi tanto!- mi dicono entrambi all’unisono.

 

Il cuore mi si stringe dolorosamente, anche loro mi mancano tantissimo, sebbene li abbia visti soltanto ieri mattina, ma domani sera saranno qui, con noi. Vogliamo fare loro una sorpresa e, sebbene mi costi tantissimo farlo, non vedo l’ora di vedere la loro reazione. Ho sempre visto come ci guardavano, quanto desiderassero vederci insieme ed ora è tutto vero. Ovviamente non sono insieme a Ian per questo, sono con lui perché lo amo, e la stessa cosa vale per lui, lo so, ma questo è soltanto il completamento di tutto.

 

-Anche voi mi mancate tanto.- rispondo. -Ma mamma tornerà presto!-

-E quando tornerai, mamma?- mi domanda la voce che riconosco essere quella di Stefan.

-Presto, tesoro, te lo prometto, mamma è via per lavoro.-

-E perché non ce l’hai detto?- mi domanda Joseph. 

-Perché sono dovuta andare via all’improvviso, ma vi prometto che vi porterò un regalo.- cerco di sviarmela così. 

 

Ecco, domani dovrò andare a prendere assolutamente qualcosa. 

 

-E che genere di regalo?- mi domanda Stefan.

-Tutto quello che volete.- rispondo.

-Un pupazzo, bello grande, anzi… Gigantesco!- ridacchia Joseph e io sorrido istintivamente.

-Non ne avete già abbastanza?- domando io.

-No, lo vogliamo grande grande! Più grande di noi!- continua Stefan.

-Vedrò cosa posso fare allora, cercherò di trovare qualcosa di bello.- dico loro cedendo. 

-Sai, mamma… Anche papà è andato via per lavoro…- mormora Joseph.

-Mhm… Davvero?- domando colta alla sprovvista.

-Davvero davvero.- continua Stefan. -Ora siamo con nonna, la tua mamma, ma ci manca anche lui.-

-E glielo avete detto?- domando io.

-Certo!- mi risponde Joseph. -Anche lui ha detto che tornerà tra poco.-

 

Rimaniamo per qualche istante in silenzio, poi sento Stefan mormorare qualcosa a Joseph e poi parlare.

 

-Mamma?- mi chiama.

-Dimmi tesoro.- gli dico.

-Ma… Tu sei via… Papà è via…- inizia Stefan.

 

No, non possono aver capito che siamo insieme

 

-Non è che siete andati via perché avete litigato?- mi domanda Joseph.

 

Se solo sapessero… Il tono di Joseph è realmente dispiaciuto e mi dispiace che la pensino così, quando in realtà è tutto l’opposto.

 

-No piccoli, non preoccupatevi, non abbiamo litigato, ve lo giuro.- rispondo cercando di rassicurarli.

-Lo giuri?- mi domanda Joseph.

-Solennemente?- continua Stefan.

-Lo giuro solennemente!- rispondo. -Siamo attori, è normale che ci capiti di andare via, ma tra non molto saremo a casa, sono sicura che anche lui tornerà presto da voi. E poi… La nonna mi ha detto che vi state divertendo un mondo.-

-Si!- urla Stefan e i dubbi di prima sembrano spariti. -Abbiamo fatto la torta alla cioccolata, quella al latte, la mia preferita!- 

 

Non ne avevo alcun dubbio. Rido divertita e Ian si volta verso di me cercando di capire il mio repentino cambio d’umore.

Stefan, torta al cioccolato gli mimo con le labbra e lui fa di tutto per non scoppiare a ridere.

 

-Mamma…- mormora Joseph grave. -Voleva mangiarsene più di metà, ma nonno l’ha fermato in tempo.-

-Stefan! Quante volte ti ho detto di mangiare solo una fetta di torta?!- gli dico severa. -Rischierai di fare una indigestione!-

-Mamma… Non lo farò più…- mormora lui parecchio abbattuto. -Lo prometto.-

-Me l’hai già promesso…- gli ricordo sospirando.

-Ma questa promessa ha più valore.- mi dice lui e questo mi strappa un sorriso. Il mio tenero e piccolo golosone. -E poi anche Joseph ha promesso di non fare più la spia e continua a farlo.-

 

I bambini iniziano a bisticciare tra di loro, di come uno sia un ingordo e di come l’altro sia una spia e cerco di riportare l’ordine tra di loro, mentre tutto questo sembra divertire Ian. Sta preparando la cena e sto pregando che non la bruci. Saremmo voluti uscire, ma abbiamo preferito posticipare tutto più tardi per non trovare persone in grado di riconoscerci o paparazzi. E’ vero che sono ovunque, ma più tardi è meglio è per noi.

 

-Bambini, bambini! Datevi una calmata, entrambi, e non litigate!- alzo la voce per sovrastare le loro e in un attimo si ammutoliscono entrambi. -Quante volte vi ho detto di non litigare per queste sciocchezze?-

-Scusaci…- mormorano entrambi.

-Va bene, vi perdono… Vi siete lavati i denti?-

-Si.- rispondono entrambi.

-Avete aiutato la nonna a sistemare la vostra camera?- domando.

-Si, l’ho fatto.- mi dice subito Stefan.

 

Joseph non mi dice nulla, ma due secondi dopo ci pensa il fratello a parlare per lui.

 

-Joseph non l’ha fatto!- continua Stefan e lo sento gongolare, poi sento una mano colpire qualche parte del corpo. -Ahia! Mamma… Joseph mi ha tirato una schiaffa!-

-E lui ha fatto la spia!- dice Joseph.

-Chiedi subito scusa a tuo fratello, Joseph. E quando dico subito intendo ora.- gli dico perentoria.

 

Ian scoppia a ridere più forte e gli tiro dietro la prima cosa che mi capita a tiro, una ciabatta. Lui, con nonchalance, la schiva e continua a ridere. Lui ride e io sono qua a tentare di calmare anche i suoi figli.

 

-Scusa…- mormora Joseph a denti stretti. 

-Scuse… Non accettate!- dice Stefan e lo sento correre via. 

 

Il telefono fa un tonfo sordo su qualcosa di morbido, molto probabilmente il divano, e anche Joseph corre via, molto probabilmente per picchiare il fratello. Poco dopo sento qualcun altro sospirare.

 

-Ciao tesoro!-

-Ciao mamma… Ti prego, dimmi che non si stanno picchiando.- sospiro.

-Sono andati in camera e tuo padre è andato a controllare, non si uccideranno, tranquilla…- mi rassicura.

-Lo spero bene. E’ tutto apposto lì?- domando.

-Tutto okay, tu, piuttosto… O dovrei dire voi?- mi domanda.

-Non mi sembri tanto… Scontenta di questo…- le dico.

-Io e Ian un po’ di tempo fa abbiamo fatto una chiacchierata e… Mi ha detto alcune cose… E poi sai che l’ho sempre adorato!- ridacchia lei.

-Lo so.- sbuffo. -Sono sempre l’ultima a sapere le cose…-

-Era una sorpresa e mi sembra, da come parli, che ti sia piaciuta.- mi dice lei.

-Molto.- le dico e alzo lo sguardo su Ian guardandolo dolcemente. 

 

E’ intento a mescolare qualcosa dentro una pentola ed è incredibilmente sexy con un solo paio di pantaloni addosso. 

 

-E poi non so dove siate, quindi è un punto a tuo favore. Domani sera Robyn porterà i bambini da voi, sono sicura che ne saranno felici.- 

-Lo spero.- sospiro.

-Se voi siete felici lo saranno anche loro.- ridacchia. -Non oso immaginare quante domande faranno!-

-Oh, non ci voglio nemmeno pensare.-
 

________________________________________________________________

Buon inizio di settimana a tutte :)

Lo so, sono in sta ritardo, ma ho dovuto studiare per due interrogazioni e ho dovuto completare il capitolo dell’altra storia, ma eccomi qui!

Capitolo, ancora una volta, interamente Nian (ormai mi sto divertendo e addolcendo troppo a scrivere di loro due), dove non succede nulla di particolare, se non Ian e Nina che si rincorrono sulla spiaggia, diciamo che Nina si è solo spostata di qualche metro in acqua (visto che ha ancora alcune difficoltà con le gambe), non calcolando che Ian avrebbe reagito comunque, facendola andare sott’acqua. E’ un po’ un rinvio a uno dei flashback dei primi capitoli della storia, quando erano andati in spiaggia con il cast e Nina era terrorizzata dall’acqua ahaha

Importante, almeno in parte, è il fatto che Nina voglia parlare con Eric. Mettete giù i forconi, non vuole tornare insieme a lui (assolutamente no, Nian always and forever, per citare i miei adorati Mikaelson), ma, giustamente, ha bisogno di scusarsi per averlo illuso e per averla tirata tanto per le lunghe, o comunque per non aver messo subito in chiaro le cose. E’ un discorso un po’ complicato, ma comunque Eric merita delle scuse e Ian è arrivato a capirlo. 

I bambini ritornano, seppur per mezzo di una chiamata, all’interno della vita dei due. I miei gemelli *^* 

Mi mancano così tanto da inserire all’interno della storia, ma spunteranno fuori tra due capitoli, quindi non preoccupatevi, arriveranno anche loro.

Niente, non ho altro da dire, se non ringraziare le cinque splendide ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e spero che la storia continui a piacere, perché mi sembra che sia calata parecchio, o che comunque l’altra storia (intendo la storia madre di questa) avesse più seguito.

Alla prossima :)

 

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Capitolo 30
*** Heaven. ***


                                     Heaven.


Thirty Chapter.
Pov Ian.

E’ mattina presto, veramente presto. Sono le sei e mezza circa ed io e Nina stiamo passeggiando per le strade di Miami, senza allontanarci troppo comunque dalla casetta sulla spiaggia. La tengo vicino a me e ogni tanto ci fermiamo per riposarci -più per farla riposare. Per quanto sia in grado di camminare, non riesce a farlo troppo a lungo e quindi ha bisogno di un po’ di riposo. Stiamo andando in giro a quest’ora perché, ovviamente, non c’è praticamente nessuno e non possiamo rischiare di farci vedere qui. Non avremo più vita, letteralmente, e saremo costretti a tornare indietro e non voglio questo. Non perché non voglia farmi vedere con lei, sono così orgoglioso della nostra storia, ma perché nessuno ci lascerebbe in pace. Abbiamo lottato tantissimo per avere un po’ di normalità e tranquillità, non voglio che venga rovinato tutto ora. Camminiamo mano nella mano e ogni tanto ci fermiamo a guardare il panorama. Nina si ferma a guardare il panorama. Sebbene abbia già visto questo posto ne rimane sempre affascinata e io glielo lascio fare. Adoro vederla così spensierata e vederla così amante verso tutto quello che la nostra terra ci offre. 

Lei è stata la prima e sarà l’ultima a venire qui, con me. Non ci ho mai portato Nikki, perché, per quanto possa sembrare assurdo, ho sempre voluto che rimanesse una cosa tra me e Nina, una cosa nostra. Ed ora capisco di aver fatto la scelta migliore. 

 

“Ian…”- sento Nina che mi chiama e sbatto leggermente gli occhi. Mi ero incantato a guardarla. -“Ti eri incantato…”

“Scusami, ti… Stavo guardando…”- ammetto accarezzandole una guancia. 

 

La tiro verso di me, facendola sorridere sorpresa, e la bacio. Nina sorride sulle mie labbra e porta entrambe le sue braccia dietro al mio collo, mentre le mie mani corrono sui suoi fianchi. Non mi stancherei mai di lei, come potrei? Come potrei stancarmi della persona che amo di più al mondo, oltre ai miei figli? Amo questa donna in un modo che non riesco a spiegare, la amo e basta, la amo perché è semplicemente lei.

Mi stacco da lei, ma questa volta è Nina a baciarmi di nuovo, e la sento giocare con i miei capelli. Ha sempre adorato farlo e io ho sempre adorato che lo facesse. Sono sempre stato un po’ geloso dei miei capelli e non mi è mai piaciuto che qualcuno me li toccasse, ma lei può farmi qualsiasi cosa e mi piace che lei me lo faccia piacere.

 

“Quanto sei bella…”- mormoro contro le sue labbra.

 

Le guance di Nina si colorano leggermente ed io ridacchio divertito, beccandomi, ovviamente, un suo pugno, seppur leggero, sul braccio.

 

“Non posso farti dei complimenti?”- le domando togliendole una ciocca di capelli dalla fronte.

“Sai che mi imbarazzano…”- borbotta in un modo che trovo estremamente dolce.

“Cosa posso fare con te?”- le dico fingendomi esasperato.

“Portarmi a fare colazione, per esempio. Sto morendo di fame.”- mi dice sofferente.

“Va bene, ai tuoi ordini Neens.”- le dico.

“Non sai quanto ti sto amando in questo momento!”- esclama lei.

 

Alzo un sopracciglio fintamente offeso.

 

“Solo in questo momento?”- le domando, infatti.

“Assolutamente no, lo sai che ti amo comunque.”- mi dice schioccandomi un bacio sulla guancia.

Ti amo anche io, comunque.”- le dico prendendola per mano. -“Forza, hai messo fame anche a me.”

 


























 

 

                                                          * * *

 


























 

-A Miami?- mi domanda Robyn. -Proprio a Miami?-

-Si, Robyn, proprio a Miami.- le rispondo mentre continuo ad osservare Nina per paura che possa cadere. Sta preparando la tavola, cosa che volevo fare io, ma mi ha praticamente impedito. Questa mattina, dopo aver fatto colazione, siamo tornati a casa e siamo andati sulla spiaggia. Abbiamo camminato per un po’, poi siamo rimasti per un tempo indefinito seduti sulla sabbia a parlare. Troviamo sempre argomenti su cui parlare ed è sempre una cosa positiva, starei ore e ore ad ascoltarla. -Dove altro saremmo potuti andare?-

-Magari in un posto più vicino, Ian.- mi risponde lei.

-Fai venire mamma allora.- le rispondo scocciato.

-Credi che i bambini mi vogliano seguire in aereo, da soli? Nina una volta mi ha raccontato che hanno viaggiato solo una volta, per venire ad Atlanta, potrebbero rimanerne terrorizzati.- mi dice

 

I bambini la seguiranno sicuramente, le sono molto affezionati e fanno qualunque cosa lei dica loro. 

 

-Ti seguiranno, sei la loro zia preferita.-

-E anche l’unica, togliendo tutti i parenti acquisiti.- mi ricorda lei facendomi sorridere.

-Lo faccio per i bambini e per Nina. Con te ho ancora un conto in sospeso.- mi dice e posso sentire la sua voce farsi più dura.

 

 

Davvero non mi ha ancora perdonato? Capisco sia mia sorella e che non le sia piaciuto il mio comportamento, nemmeno a me è piaciuto, sono stato un idiota, ma prendersela così tanto mi sembra parecchio eccessivo.

 

-Sei davvero ancora arrabbiata?- le domando confuso. 

-Potresti aver guadagnato punti dopo quello che hai fatto, anche se non ci ho capito praticamente niente. La mamma ha detto che me l’avresti detto.- mi dice. 

-Non mi piace dirtelo per telefono, sul serio.- le dico sincero. -E’ una cosa abbastanza grave, è meglio parlarne a voce.-

-Mi stai praticamente obbligando a venire, Ian.- mi fa notare lei.

 

Sbuffo seccato e lei invece sospira, sembra rassegnata.

 

-Come faremo ad arrivare entro questa sera? Non abbiamo ancora i biglietti.- mi dice.

-Ho pensato a tutto io, mamma ha già i biglietti, tre. L’aereo è tra due ore, arriverete qui al massimo tra cinque ore, senza complicazioni. Nessuno ti noterà e non succederà nulla.- le dico sicuro. 

-Esatto, non sono io quella famosa. Che poi… Come avete fatto ad arrivare a Miami senza essere visti?- mi domanda.

-Jet privato.- le rispondo sorridendo sornione.

-Meglio che non faccia altre domande.- mi dice e posso giurare che, in questo preciso momento, stia scuotendo la testa. -Come minimo, dopo aver fatto questo, pretendo una spiegazione con i fiocchi.-

-Avrai tutte le spiegazioni che vorrai.- le prometto.

-Allora ci vediamo dopo.- mi dice ormai rassegnata. -Non dirò nulla ai bambini, mi inventerò qualcosa.-

-Sei ufficialmente la mia sorella preferita.- le dico.

-E anche l’unica.- mi fa notare.

 

Ridacchio e poco dopo mia sorella attacca il telefono. Mi volto verso Nina che sta mescolando qualcosa su una pentola e dall’odore sembra sugo. Dell’ottimo sugo aggiungerei. Non è mai stata molto brava in cucina, come ripete lei stessa, ma questo non sembra affatto male. Nel periodo in cui siamo stati insieme cucinavo io per noi perché ha rischiato più volte di avvelenarci, quasi. Ridacchio al pensiero e Nina si volta verso di me, curiosa.

 

“Cosa c’è da ridere?”- mi domanda sorridendo.

“Stavo pensando al fatto che tu stia cucinando in questo momento.”- le dico.

“E ti fa tanto ridere?”- mi domanda corrucciando le labbra.

“Un po’.”- le dico avvicinandomi a lei. Le circondo la vita con le braccia e appoggio il mento sopra la sua spalla. -“Ridacchiavo perché è strano vederti cucinare.”

“Non sarò bravissima, ma ho dovuto imparare per forza… Sai… Abbiamo due figli che mangiano quasi quanto due adulti.”- mi fa notare lei scoccandomi un’occhiataccia.

“L’ho notato, sono due maschi, dopotutto.”- le ricordo. 

“E hanno preso da te.”- mi fa notare lei.

Senza ombra di dubbio.”- rido io.

 

Nina mi porge il mestolo con del sugo ed io lo accetto volentieri. Lo assaggio ed, effettivamente, è migliorata parecchio. E’ davvero molto buono.

 

“Sei migliorata, ragazzina.”- le dico.

“Non chiamarmi ragazzina!”- mi dice, ma non c’è durezza nel tono della sua voce. La chiamo così dalla prima volta che ci siamo visti e, sebbene all’inizio lo odiasse, dopo ha imparato ad apprezzarlo, anche se mi diceva di non usarlo. -“Con tutti i soprannomi che mi hai dato… Proprio quello…”

“Ammettilo che ti è sempre piaciuto.”- la punzecchio io.

 

Nina mescola gli spaghetti, poi sospira.

 

“Ce ne sono di meglio.”- mi ricorda lei.

“Ho sempre adorato questo.”- le dico baciandole piano il collo.

“Lo so, Smolderholder.*”- mi dice lei ed io sorrido.

“Ecco, questo forse è il mio preferito.”- le dico accarezzandole un braccio. -“E mi rispecchia al meglio.”

“Purtroppo non posso dire di no.”- mormora ridacchiando.

“Vedo che finalmente mi dai ragione.”- le dico io.

 

Scuote la testa divertita e io l’aiuto a scolare la pasta e a metterci il sugo. Cinque minuti dopo siamo seduti a tavola a mangiare la nostra pasta.

 

“Prima mi ha telefonato Candice.”- mi dice Nina.

“Avrei dovuto immaginarlo.”- ridacchio. -“Di solito non stai così tanto al telefono.”

“Erano lei e Phoebe.”- mi dice sorridendo.

 

Appunto.

 

“Mi pareva strano che la biondina e la mora non ti avessero ancora chiamato.”- continuo io bevendo un sorso d’acqua.

“Ho dovuto dire loro dove siamo, non me lo avrebbero mai perdonato.”- mi dice.

“Ti prego… Dimmi che domani non ce le ritroveremo qui…”- mormoro fintamente esasperato.

 

Nina scoppia a ridere.

 

“Non penso, o almeno lo spero. Anzi, si sono anche congratulate con te.”- continua lei prendendo una forchettata di pasta.

“Davvero?”- le domando.

“Hanno detto che è stata una cosa romantica e ne sono rimaste colpite.”- mi racconta.

“Hey!”- esclamo fintamente offeso. -“Non credevo avessero una così bassa considerazione di me.”

 

Nina ride ancora ed io con lei.

 

“Hai stupito tutti, me compresa.”- mi dice. -“L’hai sempre fatto.”

“Non sai quanto sia difficile farlo.”- le dico.

“Mi stai dando della donna complicata?”- mi domanda alzando un sopracciglio.

“Solo che sia difficile sorprenderti.”- le dico sorridendole.

“Comunque mi hanno promesso di lasciarci in pace, anche se vogliono sapere cosa sia successo.”- continua.

“Ah… Le donne…”- sospiro. 

 

Nina in tutta risposta mi tira dietro una salvietta, che prontamente schivo.

 

“Senza le donne voi uomini sareste persi.”- mi ricorda.

“Senza ombra di dubbio.”- annuisco. -“Ma non puoi non dire che non siete complicate.”

“Non sono così complicata…”- mormora lei.

“Tu lo dici.”- le sorrido. -“Ma mi piace il tuo essere così complicata.”

“Come se tu non lo fossi abbastanza.”- mi dice contrariata.

 

 

 

Pov Nina.

 

Ian mi bacia piano il collo nudo, poi scende sulla mia clavicola, per poi arrivare alla spalla che morde leggermente, lasciandoci poi sopra un bacio. Mi ritrovo a sospirare contro il suo collo, mentre una mia mano preme contro il suo fondoschiena. Le nostre gambe sono intrecciate e noi siamo, letteralmente, incastrati tra le lenzuola. I bambini arriveranno a momenti e tutta questa tranquillità finirà. La tranquillità tra me e Ian, intendo, perché sono felicissima di averli di nuovo qui con noi; nel senso che non avremo più un momento libero perché i bambini, giustamente, richiedono tempo e spazio. Ma l’equilibrio che si è venuto a creare tra me e lui, che noi stessi abbiamo creato, non cadrà così tanto facilmente.

E in questo preciso istante non potrei chiedere di meglio, perché di meglio non potrei avere. Non potrei chiedere qualcosa in più perché ho già tutto; ho dei genitori fantastici, un fratello fantastico, degli amici fantastici, ma, soprattutto, una mia famiglia, anche quella fantastica. Io, Ian e i bambini, una famiglia composta solo da noi. Una famiglia per cui sia io che Ian abbiamo lottato con le unghie e con i denti, ma che ora è insieme e che non avrà più nessun ostacolo davanti, perché ora ne sono sicura. Chi mai potrà rompere tutto questo? Ormai non c’è più niente a danneggiarci, teoricamente parlando. Siamo stati parecchio sfortunati in questi anni, io precisamente nell’ultimo, credo che per un po’, per molto spero, la sfortuna possa andare anche da qualche altra parte. 

Continuo ad accarezzare il petto di Ian, mentre lui mi sfiora di tanto in tanto la pelle nuda, facendomi rabbrividire. Si sofferma sulla mia cicatrice, non quella della milza, ma quella del taglio cesareo. Diciamo che ho accumulato parecchie cicatrici e che non voglio averne altre. Ci passa delicatamente sopra due dita, quasi per paura di farmi male, ma ormai male lì non ne sento più da tempo. Diciamo che quella cicatrice mi ha salvato la vita, ci ha salvato la vita. Non è la cicatrice di per se, ma l’operazione, ma comunque continua a ricordarmi cos’è accaduto e che cosa sarebbe potuto accadere.

 

“Non ti faccio male, vero?”- mi domanda leggermente preoccupato.

“No, assolutamente.”- gli sorrido sincera. -“Ormai lì non sento più niente.”

“Non… Non mi hai mai parlato veramente di quello che è successo quel giorno.”- mi dice lui accarezzandomi la guancia con una mano, mentre con l’altra mi stringe più forte a se.

 

Lo fisso accigliata, ma, quando indica di nuovo la cicatrice, capisco che cosa intenda. Sa cos’è successo a grandi linee, gliene ho parlato la prima, e anche l’ultima, volta a casa mia, la sera in cui c’era una tempesta ed è rimasto da me, quando ancora litigavamo ogni due minuti. Non mi è mai piaciuto parlare di quel giorno, è accaduto troppo in fretta, tutto così velocemente che non me ne sono resa conto. Venti minuti prima ero a casa, tranquilla, poi ho cominciato a sentire dei dolori lancinanti, come quelli il giorno in cui ho rischiato di perderli (non sapevo ancora che fossero due, in realtà), e mi sono ritrovata in poco tempo su un lettino della sala operatoria con i medici che mi tagliavano, letteralmente, la pancia. Non so quello che sia successo, so solo che mi sono addormentata, a causa dell’anestesia**, e mi sono svegliata ore dopo con i punti che facevano un male cane, ma con i miei bambini sani e salvi. Quel giorno è stato orribile per tutto quello che è accaduto, ma anche meraviglioso perché ho potuto conoscere finalmente i miei figli.  

 

“Perché non è un momento bello da ricordare.”- gli sorrido amaramente.

“Non vuoi parlarmene nemmeno un po’?”- mi domanda posandomi un bacio sulla fronte. Mi rannicchio ancora di più contro il suo petto nudo, mentre lo sento sospirare sui miei capelli. -“Se non vuoi farlo va bene, non voglio sforzarti.”

“Ho avuto paura. Non per me, ma per loro. Io… Non mi sarei mai perdonata se gli fosse successo qualcosa… Sono stata sempre attenta, non ho mai fatto qualcosa per metterli in pericolo…”- mormoro.

“Lo so, ne sono sicuro.”- mi dice bacandomi la testa. -“Non è stata colpa tua, non è capitato solo a te, non devi fartene una colpa.”

“Lo so, solo… Ero io a portarli in grembo e-”

“Ed io non c’ero, non c’ero e avrei dovuto esserci.”- mi dice sospirando. Non mi sta accusando, si sta prendendo, ancora una volta, tutte le colpe lui, quando, evidentemente, c’entro anche io. -“Quando me l’hai detto, io… Mi è crollato il mondo addosso, ho rischiato di perdervi tutti e tre e non l’avrei mai saputo.”

“Ma stiamo bene, no?”- gli rispondo e lo vedo annuire. -“E’ questo l’importante.”

“Ovvio che lo è, ma avrei dovuto esserci. Avrei dovuto rassicurarti, dirti che sarebbe andato tutto bene e che sareste stati bene, tutti e tre. Avrei dovuto aiutarti.”- continua lui.

 

Anche io lo avrei voluto. Lo avrei voluto al mio fianco, dirmi che sarebbe andato tutto bene. Lo avrei obbligato ad entrare in sala operatoria con me, perché non ce l’avrei mai fatta da sola -e, da questo punto di vista, è stata una fortuna essermi addormentata- e so che lui l’avrebbe fatto, indipendentemente dalla situazione. Forse ci saremmo riavvicinati, forse no, ma so che mi sarebbe stato vicino, che ci sarebbe stato vicino, nonostante tutto. E avrei voluto averlo vicino perché sarebbe stato giusto così, i bambini sarebbero cresciuti con il loro papà. Ora lo stanno facendo ed è come se non fosse mai accaduto nulla, ma i genitori sono figure importantissime fin dai primi istanti di vita ed, essendo cresciuti senza un padre per più di sei anni, è comunque un dato da tenere presente. 

 

“Anche io lo avrei voluto.”- gli dico alzando la testa e incontrando le sue labbra leggermente gonfie. -“Lo avrei voluto così tanto, ma ormai non ci possiamo fare più niente. Ormai sono passati più di sette anni, ma siamo qui, ancora noi due. Abbiamo due bambini meravigliosi, che cresceranno, d’ora in poi, con entrambi i loro genitori.”

“Da quando sei diventata così saggia?”- mi domanda sorridendo sulla mia pelle.

 

Ridacchio divertita e gli pizzico leggermente un fianco prima di rispondergli.

 

“Sono sempre stata saggia.”

 

Ian mi bacia dolcemente, mentre le sue mani corrono lungo il mio corpo. Con una leggera torsione si mette sopra di me, sovrastandomi con il suo possente corpo. Scende a baciarmi il collo, per poi risalire e mordicchiare piano il mio lobo, mentre una mia mano è finita dietro la sua schiena e l’altra è impegnata ad accarezzargli il volto. 

E mi perdo ad osservarlo e ne rimango, come sempre, incantata. Al di là della nostra storia, di quando burrascosa sia stata e ancora lo sia, non so cos’ho fatto per meritarmi un uomo così. Mi ha ferita, ci siamo feriti, ma l’amore, quello vero, non muore mai, e noi ne siamo una testimonianza.

Amo quest’uomo in un modo che non posso nemmeno immaginare, spiegare.

 

“Perché sorridi?”- mi domanda baciandomi vicino al cuore.

“Solo felice.”- sospiro mentre sento una sua mano correre veloce verso il mio interno coscia.

“Sei così bella quando sorridi…”- mormora lui baciandomi vicino all’ombelico. -“Sei sempre bella…”

“Siamo”- mi blocco gemendo involontariamente, mentre sento Ian far entrare dolcemente un dito dentro di me. -“in vena di… Di… Di romanticherie oggi…”

 

Ian in tutta risposta aggiunge un dito ed inizia a torturarmi, facendomi perdere completamente la testa. 

 

“Sono sempre in vena di romanticherie…”- soffia contro le mie labbra, mentre la sua mano continua a lavorare. Mi inarco involontariamente, volendo di più, mentre lui mi morde il labbro inferiore. Una mia mano gli artiglia il fianco e le mie dita premono contro la sua pelle mentre lui continua indisturbato. -“Ho sempre adorato il modo in cui il tuo corpo reagisce a me…”

 

Chiudo gli occhi e mi mordo il labbro per non gemere più forte, mentre i miei piedi premono contro il letto. Questo uomo continua a farmi morire, ogni volta.

Mugugno qualcosa di incomprensibile, molto probabilmente il suo nome, mentre lui mi spinge al limite. E lavora molto più velocemente ora, ma, proprio nel momento in cui sto per raggiungere il massimo piacere, una voce dal piano di sotto ci fa bloccare entrambi.

Dannazione!

Una voce?

Robyn… Oh mio dio… I bambini…

 

“Ian?”- urla per l’ennesima volta.

“Robyn…”- mormora Ian frustrato. -“Non poteva ritardare altri dieci minuti?”

 

Lo spingo via da me coprendomi il meglio possibile con le coperte, mentre Ian mi guarda divertito.

 

“Non salirà mai fin qui su…”- mi dice piano, facendo in modo da non far sentire nulla al piano di sotto.

“Vai giù, non voglio che i bambini ci trovino in una situazione compromettente…. O peggio tua sorella…”- borbotto imbarazzata.

“Sa come si fanno i bambini e i gemelli, oltretutto, ne sono la prova…”- mormora lui malizioso, mentre io gli tiro una schiaffa sul sedere. 

 

Si infila una maglia bianca a maniche corte al volo, i boxer e i jeans, poi lo spedisco dritto in bagno a lavarsi le mani per decenza almeno. Sicuramente Robyn avrà intuito tutto, ci sta mettendo troppo tempo.

Come se non bastasse, quando esce dal bagno, è evidente quello che abbiamo fatto, anzi, che stavamo per fare. 

L’erezione insoddisfatta di Ian è ben evidente, anche attraverso i boxer e i pantaloni.

 

“Ian?”- lo richiamo prima che possa uscire. -“Fai in modo di… Oh Dio… Che imbarazzo…”

 

Il mio sguardo cade e lui, dopo aver abbassato il suo, se ne accorge e mi guarda tra l’imbarazzato e il divertito.

 

“I bambini non se ne accorgeranno.”- mi dice.

“Ma tua sorella si.”

“Credi che non lo sappia già?”- mi domanda divertito. -“E’ arrivata cinque minuti fa e non sono ancora sceso…”

“Sei osceno!”- esclamo portandomi entrambe le mani sul viso e scendo dal letto, come meglio posso. Mi infilo al volo i vestiti. -“Mi sa che sia giunto il momento di rivelare la nostra sorpresa ai gemelli, con qualche minuto di anticipo.”

 

 

 

 

 

________________________________

 

*E’ uno dei tanti soprannomi che Nina, nei tempi migliori, ha dato a Ian, oltre a Smolder, Smouldy e altri.

 

**Nei parti cesarei di solito si usa l’anestesia spinale, per anestetizzare la donna dal seno in giù, in pratica, ma nei casi gravi, o comunque di maggiore urgenza, si fa un’anestesia totale perché non c’è il tempo per farla in modo normale, giustamente. Nina, come ricordato tempo fa, non se l’è passata bene neppure lì e, purtroppo, è stata costretta a fare l’anestesia totale e quindi non ha potuto vedere i bambini appena nati, anche se comunque ha recuperato dopo. E’ per questo che, nell’altra storia, non sarà così, visto che c’è anche Ian, perché, se facessi lo stesso anche lì, entrambi si perderebbero la nascita dei bambini. 

 

 

 

Buona domenica a tutte :)

No, non è un miraggio quello che vedete, ma la verità. Non ho mai aggiornato due storie Nian nello stesso giorno, ma, siccome era da un po’ che non le aggiornavo, ho preferito fare tutto oggi visto che, come spiegato nell’altra storia, non potrò aggiornare per circa una settimana!

Ultimo capitolo in cui i nostri Ian sono interamente soli perché, dal prossimo capitolo, come promesso, ci saranno i gemelli finalmente!

Robyn non sa nulla di quello che è successo, anche se ovviamente sa che c’è qualcosa che non va visto che suo fratello e Nina sono spariti… Ian le racconterà tutto nel prossimo capitolo e lei si dimostrerà abbastanza comprensiva, come giusto che sia. 

Capitolo parecchio leggero, anche perché dai prossimi capitoli vedremo la famiglia tutto per intero e, tra non molto, sbucherà fuori qualcosa di importantissimo e che avrà notevoli conseguenze su tutti loro.

Non ho altro da dire, se non ringraziare le quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo :)

Alla prossima :3

PS: Avete sentito che, per l'ultimo episodio, Nina è tornata sul set per registrare la sua voce? Io l'ultimo episodio non l'ho visto, perchè come sapete ho deciso di non guardare la settima stagione (ci ho anche provato per due episodi, circa a metà, ma sono stati di una noia mortale!), ma quando ho visto un pezzo di video mi ha assalito una grande nostalgia... Sapere che è andata lì, sul set, in mezzo a tutti loro... Il mio povero cuore non può reggere certe cose... E poi... Avere un piccolissimo spezzone Delena... Che poi... Potevano mostrarla anche un nanosecondo per rendere tutto più reale visto che si trattava di 'immaginazione', ma, ovviamente, non è capitato niente di questo.
Unica nota negativa è stato il fatto che The Originals è stato spostato in mid-season. Lo rivedremo a partire da gennaio e con meno episodi, quando il finale è stato scoppiettante. E non solo il finale, ma tutto l'insieme. Ma la CW che cos'ha in testa? E' vero che fanno tutto in base agli ascolti, ma... Gli americani che cosa hanno in testa? Secondo me The Originals merita molto di più di TVD e non lo dico perchè non c'è più Nina... Ma ormai TVD ha smesso di essere una serie dalla quinta stagione, più o meno. E' vero che la sesta ha risollevato un po'... Ma la settima ha fatto cadere tutto un'altra volta. Si vocifera che l'ottava sarà l'ultima e lo spero. Kat Graham non ci sarà dopo l'ottava stagione (e meno male!) e a quanto pare anche Ian vuole mollare... Quindi è meglio che concludano con un ottava stagione e siamo apposto.

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Capitolo 31
*** We are together. ***


                 We are together.



Thirty-first Chapter.

Pov Ian.

Alla fine ho convinto Nina a far scendere solo me, perché voglio che sia una bella sorpresa per i gemelli. Penso, comunque, che odierò, o comunque porterò un po’ di rancore, a Robyn per aver interrotto un nostro momento di intimità. Dieci minuti dopo no?

Non faccio neppure in tempo a toccare l’ultimo gradino che due furie castane mi si lanciano addosso, rischiando di farmi cadere all’indietro, sotto lo sguardo divertito di Robyn. 

Quanto mi sono mancati! I miei figli mi stringono forte ed io ricambio con altrettanta forza, stando attendo comunque a non fare loro del male. Siamo stati benissimo insieme io e Nina in questi giorni, la vacanza migliore della mia vita, ma mi sono mancati tantissimo, così come a Nina. Non avrei mai pensato, un tempo, di poter dipendere così tanto da due bambini, ma ora ho cambiato completamente idea. Mi abbasso alla loro altezza e bacio entrambi sulla fronte, coccolandoli ancora un po’.

Il primo a rompere il silenzio, come al solito, è Stefan.

 

“Papà, ma dove siamo?”- mi domanda curioso continuando a guardarsi attorno.

“Si, papà, dove siamo?”- continua Joseph. -“Non eri al lavoro?”

“Uhm… Ecco… Ci sono stato, si, ma ho dormito qui.”- spiego loro, mentre saluto anche Robyn, che mi si è avvicinata, con un abbraccio.

 

Mi sembra troppo mansueta, mi sa che ha parlato con nostra madre. Oppure si sta contenendo perché ci sono i bambini e, al piano di sopra, Nina.

 

“Qui? Al mare?”- mi domanda Joseph.

“Si, al mare.”- rispondo e scompiglio ad entrambi i capelli, facendo loro borbottare qualcosa di incomprensibile.

“Ed è tua, papà?”- mi domanda Stefan.

“Certo, è nostra.”- gli dico.

“Abbiamo una casa al mare?”- continua lui. -“Ma è fantastico! E c’è pure la sabbia!”

“Ora è sera, ma domani, se vi fa piacere, possiamo starci tutto il giorno.”- sorrido loro.

“Possiamo?”- mi domandano all’unisono.

“Certo che possiamo.”- confermo.

 

I miei figli si scambiano un cinque, poi annuiscono felicissimi. Mi stacco da solo e mi rivolgo a Robyn.

 

“Com’è andato il viaggio?”- le domando.

“Benissimo, sono stati molto bravi.”- mi dice, poi guarda i bambini e li accarezza entrambi.

“Si, non abbiamo nemmeno avuto paura!”- mi dice Joseph orgoglioso.

“Sapevo che non ne avreste avuta.”- gli rispondo io sorridendo.

“Papà… Ho un problema…”- mormora Stefan.

“E’ successo qualcosa?”- gli domando e poi guardo Robyn in cerca di spiegazioni, ma lei scuote la testa leggermente preoccupata.

Ho fame, davvero tanta fame!”- esclama lui con tono disperato, facendoci scoppiare a ridere tutti e tre. -“C’è qualcosa da mangiare, vero?”

“Certo tesoro, ti darò tutto quello che vuoi.”- gli rispondo. -“Robyn, perché non ti accomodi? Penso che dovresti trascorrere la notte qui.”

 

Per quanto voglia trascorrere un po’ di tempo con la mia famiglia, non ho nessuna intenzione di farla tornare a casa dopo essere appena arrivata, sarà sicuramente stanca. Le sono grato per aver portato i bambini qui, è giusto che rimanga.

 

“Mi dispiace, devo tornare a casa. Ho promesso ai bambini che sarei tornata, abbiamo organizzato di andare in campeggio.”- mi dice. 

“Non puoi partire domani?”- le domando. -“Sarai stanca.”

“Non preoccuparti, non farei mai in tempo.”- mi dice sorridendo leggermente.

“Andate a lavarvi le mani, poi iniziamo a mangiare.”- dico ai bambini indicando con la testa la porta del bagno al piano terra. Nina è ancora di sopra, tra pochissimo la farò scendere. -“Forza.”

 

I bambini annuiscono pimpanti e corrono in bagno, mentre lo sguardo di Robyn, prima sereno, ora si fa più serio.

 

“La mamma mi ha detto tutto.”- inizia così, facendomi sospirare. -“Non avrei… Non avrei mai pensato che potesse accadere una cosa del genere, Ian.”

“Dispiace anche a me.”- le rispondo passandomi una mano tra i capelli.

“Capisco perché sei stato così… Scostante nell’ultimo periodo.”- mi dice appoggiandomi una mano sulla spalla. -“Avrei capito.”

“Dovevo fare prima chiarezza sulla questione, Robyn.”- le rispondo, ma apprezzo comunque che voglia confortarmi.

“Lo so, ma… Avremo potuto far chiarezza insieme, invece hai continuato per la tua strada da solo.”- mi rimprovera bonariamente. -“Avrei dovuto pressarti di più.”

“Non avrei detto niente comunque.”- le dico.

“No, ma… Ti ho accusato di cose che… Pensavo… Pensavo che fosse giusto che tu rimanessi con Nikki, quando… Quando lei ti ha fatto questo…”- mormora abbassando lo sguardo. -“Non avrei dovuto mettermi in mezzo sulle tue questioni.”

“Non avresti dovuto, certo, ma… Ma infondo tentavi di fare qualcosa per il mio bene.”- cerco di rassicurarla.

 

Non ce l’ho mai avuta con lei, in nessun momento della mia vita. Lei ha tentato di consigliarmi la via più giusta, come posso incolparla?

 

“Il tuo bene è sempre stato Nina.”- mi dice sorridendomi.

“Lo so, lei è… E’ tutta la mia vita…”- sospiro osservando le scale che portano al piano di sopra. -“Non avrei mai pensato che una donna potesse ridurmi in questo modo…”

“L’amore fa questo, Ian, questo e altro. Sono così felice che vi siate ritrovati, ora è giunto il momento che diventiate una famiglia, a tutti gli affetti.”- mi dice sorridendomi dolce, poi ridacchia. -“E voglio un altro nipotino o una nipotina.”

 

La guardo scandalizzato, mentre lei scoppia a ridere di gusto.

 

“Suvvia, Ian, perché mi guardi così? Presumo che vi siate dati molto da fare in questi giorni.”- mi dice ridacchiando.

“Non in quel senso e… Non parlerò della mia vita sessuale con te, Robyn.”- le dico perentorio.

“Va bene, va bene.”- mi dice alzando le mani in segno di resa. -“Ma voglio comunque un nipotino, preferibilmente una nipotina questa volta.”

“Non abbiamo ancora parlato di questo… E non voglio che lei possa pensare che sto con lei per fare figli. La amo, amo i nostri bambini, mi basta solo questo…”- mormoro passandomi una mano tra i capelli.

“Nina lo sa, sa che la ami, sa che non stai con lei solo per i bambini o per fare figli, perché altrimenti avresti continuato con altre donne, non vedo che male c’è ad allargare la famiglia…”- mi dice lei dandomi una pacca sulla spalla, poi si blocca notando che i bambini stanno tornando in cucina, ancora una volta parecchio bagnati. Ecco perché ci hanno messo così tanto. -“Salutami Nina, comunque.”

 

Guardo i bambini sospettoso, mentre loro mi guardando in un modo così dolce da farmi intenerire.

 

“Cosa avete combinato voi due?”- domando.

“Io me ne vado.”- ci saluta, poi da un bacio ai bambini. -“Mi raccomando, controllate vostro padre, non voglio che combini qualcosa.”

“Sono qui, Robyn.”- le faccio notare, mentre i bambini ridono e mi ritrovo a sorridere anche io.

“E fatevi dare la sorpresa.”- mormora Robyn, mentre i bambini mi guardano curiosi, poi si rivolge a me. -“Lì ci sono i vestiti dei bambini e tutto quello di cui hanno bisogno.”

 

Indica due valigie e annuisco, poi la salutiamo e lei, dopo aver ricambiato, se ne va. 

I bambini mi si avvicinano alla ricerca di spiegazioni.

 

“Una sorpresa?”- domanda Stefan.

“Abbiamo un regalo?”- continua Joseph.

“E’ un regalo un po’ speciale… Non so se sia un vero e proprio regalo…”- dico loro alzando il tono della voce, in modo da far capire a Nina quello che ho intenzione di fare. 

“Speciale e non è un vero regalo?”- domanda Joseph dubbioso.

 

Mentre i bambini sono troppo impegnati a chiedersi che tipo di regalo si tratti, sento qualcosa muoversi al piano di sopra e qualcuno scendere le scale. I bambini, per fortuna, non si accorgono di nulla, anche se comunque non riuscirebbero a vedere Nina scendere le scale.

 

“Diciamo che è così.”- sorrido dando un buffetto sulla guancia ad entrambi.

“E che cos’è?”- domanda Stefan. -“E’ forse una torta?”

“Stef, pensi sempre al cibo!”- lo rimprovera Joseph esasperato, facendomi ridacchiare.

 

Li amo troppo.

 

“No, non è una torta, anche se domani potremo prepararla.”- gli dico e vedo Stefan annuire soddisfatto.

“Io non sono un regalo?”- domanda una voce alle mie spalle, che mi fa sorridere automaticamente.

 

Mi godo la reazione dei bambini perché è fantastica. Spalancano entrambi la bocca e gli occhioni azzurri si dilatano per la sorpresa, poi si lanciano, come poco prima hanno fatto con me, sulla madre. Nina barcolla leggermente, ma la vedo tenersi salda alla ringhiera. Mi alzo e vado ad aiutarla, prima che possa cadere e farsi male, visto che non è ancora in grado di fare determinate cose.

I bambini la stringono forte e Nina ricambia, mentre io mi godo questa piccola scena, che tanto piccola non è, visto la gioia che provo nel vederli così. Ogni rapporto tra madre e figlio (in questo caso figli) è unico e loro, le persone più importanti della mia vita, me lo dimostrano continuamente.

 

“M-mamma, ma… Cosa ci fai qui?”- le domanda Joseph dopo averle dato un bacio sulla guancia.

 

Nina li riabbraccia di nuovo, poi da un bacio ad entrambi. 

 

“Non vi fa piacere che io sia qui?”- domanda Nina continuando a coccolare i bambini.

“Certo che ci fa piacere! Jo, anche a te fa piacere, vero?”- domanda Stefan e il fratello annuisce convinto. -“Solo… Anche tu eri al lavoro.”

“Anche io ho lavorato, si.”- sorride loro Nina. 

“E anche papà. E tu sei qui… Con papà. Siete qui, insieme.”- constata Joseph e i bambini si guardano per qualche istante.

 

Sono sicuro che le loro testoline stanno elaborando qualcosa.

 

“Si, siamo qui, insieme.”- conferma Nina, mentre io mi avvicino a lei.

“E… E Nikki?”- domanda Stefan osservandosi attorno.

“Non c’è.”- rispondo io.

“E perché? E il bambino?”- domanda Joseph.

“Non c’è nemmeno lui.”- continuo io abbassandomi alla loro altezza. Non so come, ma ci ritroviamo seduti tutti e quattro a terra. -“Non ci sarà più.”

 

I bambini si guardano per qualche istante, poi scuotono la testa parecchio confusi. 

 

“E’ andato in cielo?”- domanda Joseph dispiaciuto.

“No, certo che no.”- risponde Nina accarezzandogli una guancia.

“Quindi… Se la moglie di papà non c’è, il bambino di papà non c’è, Eric non c’è… Siamo noi? Solo noi?”- conclude Stefan.

“Solo noi.”- confermo io, mentre Nina annuisce.

“E quindi… Non avete litigato?”- domanda Stefan.

“Io ti avevo detto che non hanno litigato, anche mamma l’ha detto, Stef!”- lo riprende Joseph.

“No, non abbiamo litigato, nessuno di noi ha litigato.”- risponde Nina accarezzando entrambi dolcemente.

“Siamo insieme come quella volta all’acquario e al picnic?”- domanda Joseph.

 

Più o meno, anche se ora è diverso. Ora siamo insieme come famiglia. Non che al picnic non lo possiamo, l’acquario era tutt’altra storia, ma ora siamo pronti a rivelare loro la verità, perché siamo ufficialmente una famiglia.

 

“Diciamo che è diverso.”- concludo io.

“Diverso in che senso?”- domanda, giustamente, Stefan.

“Ultimamente sono successe alcune cose…”- inizia Nina e, senza accorgersene, appoggia una sua mano sulla mia, facendomi sorridere. -“Alcune cose che hanno fatto riflettere me e papà… Molto tempo fa, quando ancora voi non c’eravate, abbiamo avuto qualche problema…”

“Ed è stato grave?”- domanda Joseph preoccupato.

“Non molto, ma ci siamo un po’… Un po’ persi di vista…”- mormora Nina.

“Perché papà è andato a curare gli animali, giusto?”- domanda Stefan.

 

Io e Nina annuiamo.

 

“Ci siamo un po’ allontanati, come sapete.”- continua Nina.

“Si, lo sappiamo.”- dicono entrambi.

 

Nina mi guarda, facendomi decidere se voglio continuare io o meno. E’ sempre stata più brava lei con le parole, ma capisco anche come i bambini abbiano bisogno di sentire anche la mia versione. Le sorrido, facendole capire di voler continuare personalmente.

 

“E poi sono successe un po’ di cose, che ci hanno allontanati ancora di più. Ed ho cominciato a voler bene ad una persona-”

“A Nikki.”- mi interrompe Stefan.

“Si, a lei. Ma… Ma al tempo stesso ho sempre voluto bene anche ad un’altra persona, una donna, che ha sempre avuto un posto nel mio cuore. Ero convinto di voler molto bene a Nikki, quando, in realtà, il mio cuore aveva posto per una sola persona.”- continuo io, mentre i bambini si fanno più attenti e guardano di tanto in tanto me e Nina. Credo che abbiano capito ormai, sono bambini svegli. -“E poi, dopo tanto tempo, con tutte le mille cose che sono successe, ho capito che non ce l’avrei mai fatta a stare separato da quella donna, che mi aveva completamente cambiato la vita. Poi ho capito che anche lei teneva -tiene- molto a me…”

 

I bambini hanno ora gli occhi puntati su Nina che gli sorride leggermente in soggezione. Sostanzialmente avevamo programmato il discorso in tutt’altro modo, ma le parole sono uscite così, senza bisogno di ricorrere a frasi fatte.

 

“E… Questa donna è… La mamma?”- domanda Joseph, mentre anche Stefan sostiene il fratello con lo sguardo.

“Si, è la vostra mamma…”- mormoro dolcemente e mi perdo per qualche istante negli occhi di Nina, così profondi, così belli.

“E anche per te, mamma, è lo stesso?”- domanda Stefan.

“Si, è lo stesso.”- risponde Nina ricambiando il mio sguardo adorante.

 

Quasi ci perdiamo in noi, ma i gemelli, ancora una volta, ci riportano alla realtà.

 

“E state insieme?”- domanda Stefan.

 

Stiamo insieme? Si.

Annuiamo, entrambi. I bambini scuotono la testa e sia io che Nina ci rimaniamo di sasso.

Non ne sono felici?

 

“E quanto ci voleva a dirlo? Siete come le coppie sdolcinate dei film che piacciono tanto a mamma, l’avevamo capito!”- ribatte Joseph facendo sorprendere ancora di più me e Nina.

“Vi tenete per mano”- continua Stefan indicando le nostre mani, che eravamo convinti di aver nascosto per bene. -“e vi guardate in modo strano… Potevate dirlo subito.”

 

Noi abbiamo impiegato mezz’ora, all’incirca, per spiegare tutto e loro l’avevano già capito da un pezzo?

Io e Nina ci guardiamo negli occhi, poi, senza preavviso, scoppiamo a ridere entrambi di gusto.

 

“Non siamo stupidi, l’avevamo capito.”- continua Joseph guardando il fratello.

“Volevamo spiegarvi per bene come stessero le cose.”- si difende Nina abbracciandoli di slancio entrambi.

 

I bambini ridacchiano e si lasciano abbracciare felici, mentre io accarezzo loro la testa.

 

“Ma non è uno scherzo, vero?”- domanda Stefan leggermente più insicuro.

“Nessun scherzo, tesoro.”- gli sorrido dandogli un bacio sulla fronte, mentre Joseph richiede delle coccole che mi prodigo a dargli. -“Siamo insieme.”

“Non andrà a finire come con Eric, mamma?”- domanda Stefan accoccolandosi sul petto di Nina.

“No, assolutamente no.”- gli dice Nina, poi mi guarda. -“Nel mio cuore c’era qualcuno di più importante.”

“Puoi anche dirlo che è papà, non ci scandalizziamo mica!”- le dice Joseph, facendoci ridacchiare di nuovo.

“A voi… A voi va bene, quindi?”- domando io.

 

Non sembrano averla presa male, ma potrebbero esserne turbati, o peggio, non potrebbe piacere loro. Ci amano, siamo i loro genitori, ovvio, ma magari non ci vogliono insieme.

Stefan e Joseph alzano gli occhi su di noi e sospirano, nello stesso momento, esasperati.

 

“Ci avete solo facilitato il lavoro…”- mormora Stefan.

 

Che lavoro?

 

“Stef, taci, non dire altro.”- lo minaccia Joseph.

Che lavoro?”- domanda Nina intuendo i miei pensieri.

“Nessun lavoro.”- risponde Joseph.

“Ma ormai possiamo dirlo…”- mormora Stefan.

“No che non possiamo.”- ribatte Joseph.

“Ma ormai sono insieme.”- gli risponde Stefan.

“Volevate cercare di farci mettere insieme?”- domanda Nina sorpresa.

 

Ecco, l’avevo immaginato. Sono terribili, in tutti i sensi, ma anche estremamente dolci.

 

“Siete i nostri genitori…”- mormora Stefan abbassando lo sguardo.

“E volevamo… Volevamo… Tu, mamma, non stavi molto bene, nel senso… Non sorridevi molto… E tu, papà, eri strano… E noi abbiamo pensato che avreste potuto essere felici insieme…”- mormora Joseph.

“Si, insomma… Papà, tu ci hai detto che i bambini arrivano alle persone che si vogliono bene, quindi… Era ovvio che vi volevate bene… E abbiamo pensato che sareste stati felici insieme… ”- borbotta Stefan cercando di darci una spiegazione logica.

 

Il mio sguardo incontra quello di Nina, che mi sorride dolcemente, io ricambio. 

 

“Davvero avete pensato questo?”- domanda loro Nina. -“Volevate vederci felici?”

“Si…”- mormora Joseph.

“E poi… Con papà sei sempre stata strana…”- continua Stefan e aggrottiamo entrambi le sopracciglia. Strana? Nina con me è strana? -“Sorridevi in modo diverso… Soprattutto nell’ultimo periodo… Sembravi veramente felice.”

“E anche papà era diverso… Sempre per lo stesso motivo…”- continua Joseph.

“Questo perché ci amiamo, ci amiamo per davvero…”- risponde Nina per entrambi. 

“Io e vostra madre ci amiamo e staremo insieme, se per voi non è un problema…”- mormoro accarezzando una guancia di Nina.

“Perché dovrebbe essere un problema? Ve l’abbiamo già detto che non lo è!”- ci dice Joseph.

Certo che voi adulti siete strani…”- borbotta Stefan scuotendo la testa, ma ridacchia, seguito da Joseph.

 

Rimaniamo per qualche istante in silenzio, poi i bambini si guardano e ci gettano le braccia al collo.

 

“Siamo così felici che stiate insieme!”- ci dicono all’unisono e il mio cuore scoppia quasi dalla gioia e, sono sicuro, che anche quello di Nina ha appena fatto lo stesso.

 

Amo Nina, amo i miei figli, e quest’ultimi hanno accettato senza nessun problema la nostra relazione, visto che, in primis, avrebbero voluto vederci insieme.

Non posso desiderare nient’altro della vita, perché ho già tutto.

 

 

 

 

 

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Buon fine settimana a tutte, eccomi qui con il trentunesimo capitolo :)

Non avrei mai pensato di prolungare una storia così tanto, davvero, ma i Nian, e non so se sia un bene, mi ispirano su ogni cosa u.u

Capitolo dolce, forse uno dei più dolci che abbia mai scritto. Per la gioia di tutte sono tornati i gemelli *^*

Non nascondo di come siano i miei personaggi preferiti, ma ormai lo sapete già.

La prima parte del capitolo è incentrata su Ian e Robyn, la quale, dopo aver capito che cosa ha passato e fatto il fratello, si scusa con lui. Ha agito tentando di fare il suo bene, ma ha capito che il suo bene è unicamente Nina e di come sia meglio far agire suo fratello da solo, senza mettersi in mezzo. Robyn, da come avrete capito, adora Nina, ha solo avuto paura che suo fratello combinasse qualche casino, ferendosi e arrivando a ferire anche la madre dei suoi nipoti; Robyn è assolutamente team Nian, tanto che arriva a chiedere un nipotino, preferibilmente una nipotina ;)

Seconda parte del capitolo incentrata sulla nostra famiglia. I gemelli vengono a conoscenza che i loro genitori si sono messi insieme e di come saranno una famiglia. Ian e Nina ovviamente hanno cercato di spiegar loro le cose nel modo più semplice possibile e i bambini dimostrano ancora una volta la loro intelligenza, infatti avevano capito che stessero insieme già da quando avevano visto la madre a mano con il padre e questo era uno dei loro intenti. Sempre detto che sono i più svegli di tutti :’)

Nel prossimo capitolo Ian e i gemelli faranno un discorso tra uomini riguardo Nina e la loro storia.

Ringrazio le cinque ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, spero che la storia continui a piacere e che con le vacanze ci siano un po’ più persone che la leggano ^^

Alla prossima!

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Capitolo 32
*** Peace. ***


                                     Peace.          



Thirty-Second Chapter.
Pov Ian.

Sto aiutando Nina a lavare i piatti, o meglio… Lei mi sta aiutando e mi ha obbligato ad accettare il suo aiuto minacciandomi quando, visto la non difficoltà della cosa, sono capace anche io di lavare due piatti. Ma ha preferito aiutarmi, perché si considera utile, come se mi bastasse questo ad amarla, e alla fine ho accettato per non farla rattristare. I bambini sono seduti sul tappeto, di fronte la televisione, e stanno decidendo insieme che cartone guardare. Più che decidere stanno bisticciando, come al solito, ma mi sono mancati così tanto che non me la sento di sgridarli e Nina è del mio stesso avviso. E’ da tre ore che sono qui e non hanno mai smesso di sorridere, nemmeno un istante. Credo di non averli mai visti più felici di così.

Quando anche l’ultimo piatto è stato risciacquato e inserito nella lavastoviglie abbraccio Nina da dietro, appoggiando il mio mento sulla sua spalla, e la sento sorridere. Inclina leggermente la testa e le appoggio un bacio sulle labbra, che sanno ancora di cioccolata. 

Ci perdiamo per qualche istante ad osservare i nostri figli e i nostri sguardi si incrociano, orgogliosi. A volte le parole sono di troppo. Abbiamo dato vita a due creature perfette e che amiamo alla follia, come ogni genitore.

 

“Credi ce la faranno a decidere entro la fine della serata?”- le domando piano.

“Non credo, continueranno così per un bel po’. E poi sarà ora di andare a letto.”- mi dice lei accarezzandomi un braccio.

 

Le solletico la pancia e lei ride, poi mi schiaffeggia una mano.

 

“Potrebbero rimanere svegli un po’ di più, infondo non ci corre dietro nessuno.”- le dico e lei annuisce, d’accordo con la mia scelta.

“Tanto poi verranno a letto con noi, ne sono sicura.”- mi sorride lei.

“Dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato prima…”- mormoro malizioso al suo orecchio.

 

Le guance di Nina diventano rosso fuoco ed io sorrido ancora di più. 

Assolutamente.

Nina, però, con mia grande sorpresa, scuote la testa contrariata.

 

“Non faremo nulla con i bambini nei paraggi, scordatelo!”- mi dice perentoria facendomi sbuffare frustrato. -“Faremo i genitori normali.”

“Ma i genitori normali fanno anche quello, come pensi che si mantenga una vita sessuale attiva?”- le domando innocente.

“Con i bambini in giro no, non voglio che sentano o vedano qualcosa, sono troppo piccoli. Anche se avessero trent’anni non sarebbe giusto comunque.”- mi dice lei seria.

“Devo ricordarti cos’è successo quella volta a casa di mia madre?”- le domando.

 

Nina mi tira un pugno sul braccio e si copre gli occhi con le mani. Anni fa, quando ancora eravamo insieme, è capitato che mia madre ci trovasse in situazioni compromettenti. La mattina dopo Nina non voleva più uscire dalla camera, ma alla fine l’imbarazzo si è sciolto quando mia madre le ha detto di non preoccuparsi e che era tutto più che naturale.

 

“Non vale comunque, sono i nostri figli e sono piccoli.”- mi dice lei incrociando le braccia.

“E non potrò toccarti per… Per chissà quanto?”- domando sconvolto.

 

Annuisce leggermente divertita, mentre io scuoto la testa.

Alla fine l’avrò vinta io, prima o poi, ma comunque penso abbia ragione. Sono sempre dei bambini, molto svegli tra l’altro, e anche io non voglio che si impressionino o che rimangano scandalizzati in così giovane età.

 

“Va bene, ho capito, ma scenderemo a qualche compromesso.”- le dico toccandole il naso, facendola ridacchiare. 

“Mamma? Papà?”- sento una voce che ci chiama.

 

Ci voltiamo entrambi verso i nostri figli che, a quanto deduco dalle facce, non hanno ancora deciso che cosa guardare.

 

“Io voglio vedere Gli Incredibili e Stefan non vuole!”- piagnucola Joseph.

“E io voglio vedere Shrek e Joseph non vuole!”- lo imita Stefan.

 

Incredibili? Shrek? Esistono ancora? Saranno venuti fuori più di vent’anni fa, ma, giustamente, come ogni cartone perdurano nel tempo.

Non me li ricordo più.

 

“Perché voi due non siete mai d’accordo su qualcosa?”- domanda Nina esasperata, facendomi ridacchiare. -“Scegliete quale guardare per primo, poi guarderemo l’altro per non fare un torto a nessuno.”

 

Vuole fare una maratona di cartoni animati?

 

Vuoi fare una maratona di cartoni animati?”- le domando piano.

“Vedi altra alternativa?”- mi domanda inclinando la testa e abbassa la voce, in modo che possa sentire solo io. -“Non sceglieranno mai quale guardare e quale escludere, li guarderemo entrambi, tanto prima o poi crolleranno.”

“Io voglio guardare il mio per primo!”- esclama Stefan.

“Tiriamo una monetina, fate sasso, carta o forbice. Decideremo in modo imparziale, così nessuno si arrabbierà.”- decreta Nina, mentre i nostri figli annuiscono leggermente sconsolati per la scelta.

 

Alla fine viene fuori Shrek e così si accontenta Stefan, ma, di comune accordo, domani toccherà al cartone di Joseph essere guardato per primo, sebbene dopo guarderemo anche gli Incredibili. Ho i miei dubbi che riusciremo a guardarlo, visto che si stanno già stropicciando gli occhietti stancamente.

Ci sistemiamo sul divano, abbastanza grande da contenerci tutti e quattro. Io da una parte, Nina dall’altra, e i bambini in mezzo. Joseph appoggia la sua testa sul braccio di Nina, accoccolandosi contro di lei, mentre Stefan fa lo stesso con me. Schiaccio il pulsante per far iniziare il cartone e questo parte, trasportandoci così dentro il mondo delle favole, anche se questa è una fiaba parecchio strana e contorta. Per tutto il cartone i bambini non fanno altro che parlare, commentare ogni scena, ridere a crepapelle (perfino Joseph che non lo voleva vedere) e chiedere nostri pareri, obbligando così me e Nina a stare attenti ad ogni minimo particolare. Credo che, da ora in poi, la mia cultura in fatto di cartoni aumenterà a dismisura.

 

“Non siete stanchi?”- domando ai miei figli sentendo il sonno crescere.

“Assolutamente no!”- esclamano entrambi.

 

Guardo Nina sconsolato, ma lei ricambia divertita. Penso che sappia meglio di me cosa vuol dire questo. Così, alla fine, mettiamo anche gli Incredibili, entrando così nel mondo dei supereroi. 

 

“Non esistono i supereroi, vero?”- domanda Joseph a nessuno in particolare.

“No amore, non esistono.”- gli risponde Nina dolcemente. 

“Come non esistono i vampiri?”- domanda Stefan.

“Si, come non esistono i vampiri.”- annuisco io. 

“E perché le persone si sono inventate tutte queste cose?”- domanda ancora Stefan.

“Per intrattenere altre persone. E’ divertente immaginare delle cose, personaggi fantastici, scene divertenti e quant’altro.”- gli sorride Nina.

“Bisogna avere tanta immaginazione, quindi.”- constata Joseph.

“Si, parecchia!”- ridacchio scompigliandogli i capelli. 

“Quando possiamo guardare anche noi la vostra serie sui vampiri?”- domanda Stefan e guarda sia me che Nina.

 

Io e Nina ci lanciamo un’occhiata veloce e capiamo al volo cosa rispondergli. Sono ancora troppo piccoli per guardare una serie del genere e, sebbene siano tutte scene finte, sono pur sempre dei bambini e, come tali, non è giusto che guardino queste cose alla loro età.

 

“Non ancora, siete ancora troppo piccoli.”- rispondo io per entrambi, mentre Nina annuisce. -“Quando sarete un po’ più grandi potrete vederla quando volete.”

“Ma noi siamo grandi!”- ribattono in coro.

“Oh, lo sappiamo, si, ma non siete ancora abbastanza grandi per guardare una cosa del genere.”- dico loro.

“E quando saremo abbastanza grandi?”- mi domanda Joseph inclinando la testa di lato. 

“Tra un po’ di anni.”- gli risponde Nina dolcemente. L’orologio suona mezzanotte e credo sia ora di metterli a letto. Nina è del mio stesso avviso perché, dopo aver guardato l’orologio attaccato al muro, sopra alla porta, guarda entrambi. -“Forza, è ora di andare a letto.”

“Di già?”- sbuffa Joseph.

“Ma è prestissimo!”- ribatte Stefan.

“E’ mezzanotte ed è già più tardi del solito.”- ripeto io alzandomi dal divano. -“Forza, domani avremo una giornata parecchio impegnativa.”

“Ci portate in spiaggia?”- domanda Stefan felice.

“Certo, ve l’abbiamo promesso.”- risponde loro Nina.

 

I bambini annuiscono e accettano docili di andare a letto. Io e Nina abbiamo preparato una stanza per loro, quasi accanto alla nostra, ma sono sicuro, prima o poi, che verranno a dormire da noi. Siamo rimasti separati a lungo ed è giusto così.

Nina sbadiglia stanca, a causa della lunga giornata, e mi fa tanta tenerezza.

 

“Vai pure a letto, li sistemo io.”- le dico dolcemente.

“Sei sicuro di farcela?”- mi domanda lei alzando lo sguardo su di me.

“Certo, non è la prima volta che lo faccio.”- le dico osservando i bambini che stanno salendo le scale. -“Vai pure.”

 

Le do un bacio sulle labbra e lei mi sorride grata. L’aiuto ad alzarsi dal divano e insieme saliamo le scale. E’ stanca ed ho paura che le gambe possano cederle da un momento all’altro, sebbene ormai sia migliorata tantissimo e non abbia più praticamente problemi. Nina da un bacio ai bambini ed augura loro la buonanotte, poi si ritira in camera. Entro anche io con i bambini che si guardano attorno meravigliati. La camera non è un granché, è molto semplice, tendente all’azzurro, ma a loro sembra piacere molto.

 

“Questa sarà la nostra camera?”- mi domanda Stefan mentre Joseph si è già catapultato sul letto.

 

Annuisco al loro indirizzo.

 

“Vi piace?”- domando loro.

 

Entrambi annuiscono raggianti, poi li aiuto a mettersi il pigiama. Mia madre, Robyn ed Edna hanno messo dentro le valigie un sacco di cose per i bambini, ma non è colpa loro visto che non sanno entro quanto torneremo. Io e Nina non ne abbiamo ancora parlato, ma per ora va bene così, vogliamo goderci un po’ di tempo da soli, noi quattro.

Li aiuto a mettersi a letto, poi rimbocco loro le coperte dando ad entrambi un bacio.

 

“Papà?”- mi chiama Joseph.

“Dimmi, tesoro.”- lo invito a parlare.

“E’ tutto vero quello che avete detto tu e la mamma?”- mi domanda con voce titubante. -“Staremo sempre insieme? Come una famiglia?”

“Certo, è tutto vero, non potrei mai mentirvi su una cosa del genere.”- lo rassicuro.

“Ma tu vuoi davvero tanto bene alla mamma?”- continua Stefan.

 

Rimango spiazzato per qualche istante. Io amo Nina, l’ho già detto, ma evidentemente non ne sono ancora convinti. O non mi credono.

 

Io amo la vostra mamma, davvero tanto.”- rispondo loro dolcemente.

“Quindi non litigherete più? Starete insieme?”- continua Stefan.

“No, mai più. E si, staremo insieme.”- lo rassicuro.

“Ma se ami così tanto la nostra mamma… Perché non è successo tutto questo prima?”- mi domanda Joseph.

 

E’ una domanda che mi aspettavo, anche se mi lascia completamente sorpreso. Mi stanno mettendo alla prova, non l’hanno mai fatto. Forse… Forse è stato un cambiamento davvero troppo improvviso, forse avrebbero dovuto scoprirlo dopo e con più calma, ma ormai è accaduto e non si può più tornare indietro.

Io amo Nina con tutto me stesso. Amo i miei figli con tutto me stesso, vivo per loro -e per Nina. 

 

“Vedete… Qualche tempo fa, quando voi non c’eravate ancora, io e la vostra mamma ci eravamo allontanati un po’. Vedevamo le cose in maniera diversa.”- spiego loro. -“Ecco, si, in maniera diversa, ma questo non vuol dire che ho mai smesso di amarla. Ci siamo allontanati ed io… Ed io ho trovato Nikki perché era qualcosa di più sicuro.”

“Più sicuro?”- domanda Stefan.

“Più sicuro nel senso che… Sapevo già cosa sarebbe accaduto dopo, era tutto come un libro finito di cui conoscevo già il finale. Ma è bello un libro di cui si conosce già tutta la storia ancor prima di iniziarlo?”- domando loro ed entrambi scuotono la testa. -“Vostra madre per me era un libro ancora tutto da scoprire, con lei sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa e questo mi spaventava, parecchio.”

“Ma un libro di cui non si conosce tutta la storia è molto meglio, papà!”- obietta Joseph. -“Che senso avrebbe leggere un libro di cui si conosce tutta la storia?”

“Hai ragione, piccolo. Ma a quel tempo… Non la pensavo così…”- mormoro sospirando.

“E come mai ora hai cambiato idea?”- mi domanda Stefan.

“Perché, quando ami veramente tanto una persona, non sei disposto a perderla. Puoi allontanarti da lei quanto vuoi, ma alla fine si torna sempre indietro, e a me è successo così. Vostra madre in questi anni mi è mancata tanto, davvero tanto. Poi sono successe alcune cose, ma ora non c’è più niente che ci impedisce di stare insieme.”- dico come un fiume in piena.

 

I miei figli si guardano per qualche istante negli occhi, poi sorridono. Si sbilanciano in avanti e mi abbracciano, forte. Li stringo a me ancora più forte e non vorrei più lasciarli andare. Li amo troppo.

 

“Siamo felici che la mamma abbia te, papà. Lei sorride in modo diverso quando ci sei tu nei paraggi, l’ha sempre fatto.”- mi dice Stefan.

“Con Eric stava bene, ma… Con te è tutto diverso.”- continua Joseph facendomi aggrottare le sopracciglia.

 

Diverso come?

 

“Diverso come?”- domando curioso.

“Come se non avesse nessun tipo di problema…”- mormorano entrambi lasciandomi sorpreso.

 

Davvero Nina sembra così quando sta con me? Non lo sapevo. Davvero loro si sono accorti di tutto questo subito e noi ci abbiamo messo così tanto tempo?

 

“Sono felice che vostra madre sia così spensierata con me.”- sorrido loro.

“Se è così… Vuol dire che anche lei ti ama?”- mi domanda Joseph.

“Penso di si, insomma… Ve l’ha detto prima, no?”- dico loro.

“Ora siamo proprio una famiglia…”- mormora Stefan leggermente assonnato. Si stropiccia gli occhi stanco, ma sorride felice. -“Sono così contento di averti insieme alla mamma, papà.”

 

E il mio cuore si stringe ancora di più, non per il dolore, ma per la gioia. I miei occhi diventano leggermente lucidi, ma cerco di trattenere ogni tipo di emozione. Continuano a cercare conferme, è normale, ma ne sono veramente felici e questo rende felice, molto più che felice, anche me.

 

“Anche io…”- mormora Joseph appoggiando stancamente la testa sul cuscino, accanto a quella del fratello.

 

Sebbene abbiano passato la serata a litigare per un cartone, alla fine, in pochissimi secondi, tutto si è placato e ora vogliono dormire insieme. Possono litigare all’infinito, ma, da bravi fratelli, alla fine faranno sempre pace.

Accarezzo ad entrambi la testa e do loro un bacio.

 

“Forza, è ora di dormire.”- dico loro.

 

Entrambi annuiscono e mi augurano la buonanotte, poi mi allontano da loro per lasciarli riposare. Mi dirigo nella nostra stanza, mia e di Nina, e la trovo già in pigiama. Pigiama è una parola grossa visto che indossa un paio di pantaloncini corti, che le lasciano scoperte le lunghe gambe, che personalmente guarderei per ore, e una mia maglietta grigia. Ha sempre adorato indossare le mie cose ed io amo questo più di lei, forse. 

 

“Stanno dormendo?”- mi domanda alzando lo sguardo su di me. 

 

Annuisco e mi getto a peso morto, accanto a lei.

 

“Li ho lasciati ancora svegli, ma stavano crollando dal sonno.”- le spiego avvicinandomi a lei e le bacio le labbra morbide, più volte. La sento sorridere sulle mie labbra e automaticamente sorrido anche io. -“Non hanno fatto storie, solo qualche domanda.”

“Che tipo di domande?”- mi chiede lei sistemandosi meglio sul letto.

“Se fosse vero quello che gli abbiamo detto.”- le dico io e mi sistemo meglio accanto a lei, appoggiando la schiena sulla testiera del letto. Invito Nina ad accoccolarsi tra le mie braccia e lei lo fa, senza pensarci due volte. Le bacio la testa e lei mi accarezza un braccio. -“E ho detto loro di si.”

“Mi dispiace che non ne siano ancora convinti…”- mormora lei sospirando. 

“Non è colpa loro, sono solo dei bambini.”- le faccio notare.

“Lo so, lo so.”- mi dice lei annuendo. -“Voglio solo che siano felici. Ti sono sembrati felici?”

 

Le bacio la punta del naso prima di risponderle. Si sta preoccupando troppo.

Si, mi sono sembrati felici. Li conosco da nove mesi circa, ma non li ho mai visti più felici di così. 

 

“Ne sono convinto.”- le dico.

 

Faccio per baciarla di nuovo, questa volta con più passione, quando sentiamo dei passi avvicinarsi alla porta. I bambini, ovvio. Strano che non siano venuti prima. Sentiamo bussare ed io e Nina ci scambiamo uno sguardo a metà tra lo sconsolato e il divertito. Poco dopo le teste dei nostri figli fanno capolino sulla stanza e entrambi ci guardano leggermente imbarazzati.

 

“Non riusciamo a dormire…”- mormora Joseph guardando prima noi e poi il fratello.

“Si, non ci riusciamo.”- afferma Stefan dondolandosi da un piede all’altro. -“Possiamo… Possiamo dormire con voi?”

 

Ecco la domanda che sia io che Nina ci aspettavamo. Avrei voluto chiederglielo io prima, ma è giusto che si abituino a dormire anche da soli. Comunque non posso dire loro di no e anche la donna che amo è del mio stesso avviso perché li sta già invitando a salire sul letto. I bambini sorridono felici e, dopo aver corso, si lanciano letteralmente sopra al letto.

I bambini, ovviamente, si mettono tra di noi. Stefan accanto a Nina e Joseph accanto a me, poi Nina ci copre tutti e quattro. 

 

“Mamma? Papà?”- ci chiama Joseph.

 

Io e Nina ci facciamo attenti.

 

“Per quanto tempo rimarremo qui?”- ci domanda.

“Per tutto il tempo che vorrete.”- rispondo io. -“Vi piace qui?”

“Tantissimo!”- dice Stefan. 

“Mi piacerebbe tantissimo rimanere qui!”- esclama Joseph. -“C’è il mare fuori casa!”

“Potremo tornare ogni volta che volete, ve lo prometto.”- assicuro loro.

 

Entrambi annuiscono, poi si sistemano meglio su di noi. Mi allungo per spegnere la luce, non dopo prima aver dato un bacio a Nina, contorcendomi forse anche meglio di un contorsionista.

Il silenzio cala sulla stanza, si sentono solo i nostri respiri, quelli dei bambini si fanno via via sempre più pesanti, segno che si stanno addormentando.

Proprio quando sto per chiudere gli occhi, la voce di Stefan rimbomba piano nella stanza.

 

“A me piace stare qui, tantissimo… Ma non per sempre… Vero che torneremo da Rachel?”- domanda innocentemente.

 

Sento Nina ridacchiare e faccio di tutto per non ridere anche io.

 

“Non preoccuparti tesoro, torneremo da Rachel.”- rispondo io.

 

________________________

 

Buon inizio di settimana ed eccomi qui con il 32° capitolo. Avevo pensato, all’inizio, di chiudere la storia sui 40 capitoli, più o meno come l’altra, ma… Sono arrivata a scrivere circa al 42° capitolo e mi sono accorta che si sono ancora alcune cose da raccontare e quindi durerà sicuramente più dell’altra. Spero che mi sopportiate ancora per un po’, comunque :)

Primo capitolo in cui abbiamo interamente i gemelli dall’inizio ed è praticamente il primo capitolo in cui vediamo la famiglia unita, perché l’altro è stato un po’ una sorta di introduzione. I bambini si sono ambientati perfettamente all’interno di questo ambito e ne sono felicissimi, euforici quasi. Hanno sempre voluto i loro genitori insieme e vederli uniti e affiatati per loro è il più bel regalo del mondo.

Come vi avevo anticipato nelle scorse note abbiamo visto il discorso serio tra Ian e i suoi figli. I bambini, lo ripeto, sono felicissimi di tutta questa storia, è ovvio che lo siano, ma hanno sempre visto la madre da sola, Eric escluso, e hanno voluto assicurarsi che tutto quello che è stato detto loro fosse vero e che entrambi i loro genitori siano felici con l’altro. Ho sempre detto che sono più maturi della loro età u.u

Ian e Nina hanno intrapreso la strada della vera famiglia e sarà dura avere un po’ di intimità per quei due, come ha sottolineato Nina e di cui Ian farà assolutamente qualcosa ahahaha

L’ultima scena è stata un po’ simbolica… Rinvia un po’ anche all’altra storia… Più volte abbiamo visto i gemelli e Nina dormire da soli, sentendosi una famiglia, ma comunque con un pezzo mancante, e ora sono tutti e quattro insieme e non manca loro nulla ^^

Ringrazio le quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e mi dispiace che la storia, come visite e recensioni stia andando in picchiata, ma sono comunque contenta di aver mantenuto alcune fedeli lettrici. Se tutto va bene potrei iniziare ad aggiornare un po’ come l’anno scorso, una volta ogni tre giorni, il tutto dipende dall’interesse e dai miei impegni, ma cercherò di farcela, sperando in un aumento di visualizzazioni e perché no, anche di recensioni :’)

Alla prossima <3

 

 

 

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Capitolo 33
*** The problems begin. ***


                          The problems begin.





Thirty-Third Chapter.
Pov Nina.

“Mamma?”- mi chiama una voce.

 

Apro gli occhi di scatto, voltandomi verso i miei figli. Mi scontro quasi con la testa di Stefan che mi sta guardando ancora mezzo addormentato, mentre Ian e Joseph stanno ancora dormendo beati. Joseph è praticamente spalmato sopra Ian, ha la testa appoggiata sulla parte alta del suo petto e il suo piccolo corpo è sopra quello del padre. Rimarrei ore a guardarli così, ma ho mio figlio che mi reclama.

 

“Dimmi tesoro…”- lo invito a parlare. -“Hai fatto un brutto sogno?”

“No, devo andare in bagno. Ma non mi ricordo più dov’è… Questa casa è troppo grande…”- borbotta.

 

Ridacchio divertita, poi lo invito a scendere per accompagnarlo in bagno.  Stefan, con un balzo agilissimo, è già in piedi, invece io ci impiego un po’ più tempo. Mi reggo per qualche istante al comodino, per evitare di cadere, poi, quando sento le gambe reggermi, seguo mio figlio. Fuori c’è il sole, questo vuol dire che è mattina, ma che ore sono?

Accompagno Stefan in bagno e, mentre lui rimane lì a fare quello che deve fare, io vado in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. L’orologio attaccato alla parete sotto la porta segna quasi le nove.

 

“Mamma, io non ho più sonno…”- mormora Stefan alle mie spalle. 

 

Lo immaginavo e comunque non è presto, quindi ha tutte le ragioni del mondo per non voler tornare a dormire. 

Gli sorrido e annuisco.

 

“Va bene tesoro, rimaniamo qui, okay?”- gli domando e lui annuisce raggiante. -“Facciamo colazione?”

“Si, sto proprio morendo di fame!”- esclama ed io scoppio a ridere.

“Mi aiuti a preparare la colazione anche per Joseph e papà?”- gli domando.

“Okay, però prima mangiamo qualcosa, ti prego mamma.”- mi dice facendomi gli occhioni dolci.

“Mangiamo, mangiamo.”- annuisco. -“Mi aiuti a preparare la tavola?”

 

Stefan annuisce ed insieme prepariamo la tavola. Mettiamo quattro bicchieri, quattro cucchiai e quattro forchette, quattro tovaglioli e delle bottiglie di succo e di latte. 

 

 

“Cosa vuoi mangiare?”- gli domando.

 

Stefan storce il naso e si mette una mano sotto il mento con fare pensieroso. 

 

“Prepariamo una torta?”- mi domanda.

 

Ora non abbiamo tempo, magari più tardi. Non faremo mai in tempo a preparare una torta prima che Ian e Joseph si sveglino.

 

“Non faremo mai in tempo a finire di prepararla.”- gli dico. -“Magari oggi pomeriggio, tornati dal mare. Dei pancake andrebbero bene in alternativa?”

“Vanno bene anche i pancake.”- annuisce. -“Mamma, posso aiutarti a prepararli?”

“Certo che puoi, vieni qui vicino a me con una sedia.”- gli dico.

 

Stefan prende una sedia reclinabile accanto al muro e, con qualche difficoltà, mi affianca. Lo aiuto a sistemare la sedia accanto a me e lo aiuto a salirci sopra, in modo che arrivi all’altezza dei fornelli. Decidiamo di preparare i pancake a parte e soltanto in un secondo momento di cuocerli. Stefan segue tutto quello che gli dico di fare e, da buon aiutante, mette tutti gli ingredienti al posto giusto al momento giusto.

 

“Ecco, versa tutto qui.”- gli indico la padella. -“Attento, allontanati un po’, altrimenti finirai per scottarti.”

 

Mio figlio annuisce e versa tutto nella padella, poi mi aiuta a distendere tutta la pasta con l’utilizzo di un mestolo. Dieci minuti dopo i nostri pancake sono finiti e siamo entrambi seduti a tavola gustandoci la nostra colazione, aspettando Joseph e Ian che, evidentemente, hanno ancora voglia di dormire. Stefan è sulle mie gambe e si sta gustando gli ultimi pancake ricoperti di sciroppo d’acero. Si volta verso di me per darmi un bacio, ma lo fermo in tempo prima che la mia guancia diventi più sciroppo che pelle. Afferro una salvietta dal tavolo e gli pulisco la bocca, poi lascio che mi schiocchi un bacio.

 

“Erano veramente molto buoni!”- mi dice appoggiando la testa sull’incavo del mio collo.

“Meglio di quelli che prepara papà?”- gli domando divertita.

“Quasi…”- borbotta lui ridacchiando.

“Stai offendendo le mie doti culinarie?”- gli domando solleticandogli la pancia.

 

Mio figlio inizia a ridacchiare e tenta di scappare, ma lo blocco con le braccia e continuo a solleticargli il corpo. Lui inizia a ridere più forte, facendo ridere anche me. Mi erano mancati tantissimo, entrambi. I mesi dell’incidente, lontani da loro, sono stati una continua agonia. Il poterli vedere qualche volta, in modo sporadico, e rimanere in ospedale, sapendoli lontani da me, è stata la cosa peggiore che mi potesse capitare, più brutta dell’incidente. 

Sono passata dal non essermi mai separata da loro, per ben sette lunghi anni, a vederli qualche volta per ben due mesi. Certo, dopo sono tornata a casa, ma come madre mi ha fatto veramente male l’esser separata da loro.

 

“MAMMA!”- urla continuando a ridere. -“Basta… Ti prego…”

 

Alla fine la smetto e lui tira un sospiro di sollievo.

 

“Non offenderò più il tuo cibo, va bene…”- mormora lui alzando le mani in segno di resa.

 

Gli do un bacio sul naso facendolo sorridere.

 

“Affare fatto tesoro.”- concordo con lui stringendolo forte a me.

“Sai una cosa, mamma?”- mi domanda.

“Dimmi…”- lo invito dolcemente.

“Mi sei mancata tanto in questi giorni. Davvero tanto tanto.”- mi spiega lui parecchio serio. -“Siamo stati bene con la nonna, ma ci sei mancata tanto…”

“Anche voi mi siete mancati tanto, ma non vi abbandonerei mai per nessuna cosa al mondo. Siete i miei figli, le persone a cui voglio più bene”- gli dico accarezzandogli i capelli.

“Noi e papà…”- continua.

“Certo, voi e papà. Papà mi ha fatto una sorpresa, ma voi dovevate finire la scuola e lo sport, quindi non abbiamo potuto portarvi prima con noi.”- gli spiego sperando che possa capire. -“Ma ora siamo qui, tutti insieme.”

 

Rimane appoggiato al mio petto, mentre io continuo a coccolarlo. Stefan inizia a raccontarmi dell’ultimo periodo scolastico e di come sia entusiasta di fare uno sport che veramente gli piace. Mi racconta di come abbiano fatto una festicciola a scuola l’ultimo giorno e di come gli abbiano anche dato dei compiti per le vacanze. Sembra parecchio turbato sotto questo punto, perché continua a sostenere che, siccome si chiamano vacanze, non ci sia un buon motivo per fare i compiti, ma, ovviamente, li farà. Ora siamo veramente in vacanza, ma, come ogni bambino della sua età, a settembre andrà a scuola con i compiti fatti, così come Joseph. Veniamo interrotti proprio da quest’ultimo, che scende le scale in braccio dal padre. Ian e Joseph sono una visione paradisiaca. Ian lo tiene tra le braccia, non avendo nessun tipo di problema a sollevarlo, e Joseph ha la testa sul suo petto e ogni tanto si stropiccia gli occhi ancora mezzo addormentato.

 

“Guarda chi ha fatto colazione senza di noi…”- borbotta Ian divertito, mentre Joseph, alla parola colazione, alza la testa di scatto.

“Avevamo fame, vero tesoro?”- mi rivolgo a Stefan.

 

Lui annuisce convinto, staccandosi dal mio petto.

 

“Si si, molta fame!”- conferma lui serio. -“Ma io e la mamma abbiamo preparato la colazione anche per voi. Abbiamo fatto i pancake!”

“Pancake?”- domanda Joseph. -“Si, voglio i pancake.”

 

Ian lo fa scendere e Joseph si siede a tavola, accanto a me. Gli do un bacio e lui mi sorride raggiante, poi afferra la forchetta ed io, in risposta, gli metto alcuni pancake sul piatto.

 

“Possiamo fidarci dei pancake della mamma?”- domanda Ian a Stefan.

 

I bambini ridacchiano, mentre io incrocio le braccia al petto e lo guardo truce. 

Non sono bravissima a cucinare, ma non ho mai avvelenato nessuno.

 

“Possiamo.”- annuisce Stefan, poi si alza da me e corre dal padre. -“Però i tuoi sono un po’ più buoni.”

“Stefan! Avevi detto che non avresti più offeso le mie doti culinarie.”- gli ricordo fintamente offesa, mentre Ian ridacchia divertito e afferra nostro figlio al volo prendendolo in braccio.

 

Viene a sedersi anche lui a tavola, con Stefan sulle gambe.

 

“Mamma, li mangio io i tuoi pancake.”- mi assicura Joseph e io lo bacio dolcemente sulla guancia.

“Grazie tesoro, almeno tu mi apprezzi.”- lo ringrazio.

“Non fare la drammatica.”- mi sorride sghembo Ian. Quel classico sorriso da schiaffi, ma che a me fa tremare le gambe. Si mette gli ultimi pancake nel piatto ed afferra la forchetta. -“Assaggiamo questi pancake.”

“Per la cronaca… Non ne meriteresti nemmeno uno.”- gli dico.

 

Ian si sporge e mi da un bacio all’improvviso, non dandomi nemmeno il tempo di staccarmi per ripicca. Quando ci stacchiamo, per non dare ulteriore spettacolo ai bambini, questi ci guardano felici, poi, vedendo che li abbiamo notati, continuano a parlare tra di loro come se nulla fosse. Li abbiamo davvero resi felici con un semplice bacio? 

Finiamo -Ian e Joseph finiscono- di fare colazione verso le dieci e i bambini, dopo qualche preghiera, ci convincono a spostarci sulla spiaggia. Glielo avevamo promesso, questo è ovvio, ma avrei preferito portarli oggi pomeriggio dopo mangiato. Alla fine, anche a causa di Ian, ho ceduto, rendendoli veramente contenti e ora sono tutti pimpanti mentre finiscono di infilarsi il costume. Non c’è bisogno che si vestano, visto che abbiamo la spiaggia proprio davanti casa. 

Quello che mi ricordo, in un flash, è che io non ho un costume. Me ne accorgo non appena arrivo in camera, dopo aver finito di preparare i gemelli, che ora sono in sala ad aspettarci.

 

“Cosa stai cercando?”- mi domanda Ian mentre si sfila la maglietta.

 

Per quanto vorrei perdermi nei suoi pettorali (e che pettorali!), ora non ho tempo.

 

“Mi sono appena ricordata di non avere un costume… Non l’ho visto in valigia…”- mormoro guardandolo.

“Capisco di essere un uomo, ed hai ragione a dubitare delle mie qualità in fatto di vestiti, ma-”- si interrompe cercando qualcosa nella valigia, poi mi sorride trionfante mostrandomi uno dei miei costumi. -“so che per andare in spiaggia ci serve un costume.”

 

Mi porge il costume, non prima di avermi attirato a se. Mi bacia sotto il mento, facendomi sorridere.

 

“Adoro il fatto che ci siamo solo noi in spiaggia.”- mi dice serio, accarezzandomi il braccio lasciato scoperto dalla canottiera. -“Posso vederti solo io in costume.”

 

Mi stacco leggermente da lui divertita.

 

“Entriamo in modalità geloso?”- gli domando. -“Ian, non sei più un ragazzino.”

“Uh, lo so.”- mi dice solleticandomi un fianco. Mi volta e mi bacia, questa volta con più passione. -“Ma mi piace comunque.”

 

Rido scuotendo la testa, poi mi stacco da lui per andare in bagno a mettermi il costume, sotto le sue proteste. A volte mi domando se non sia tornato ragazzino di nuovo. Io, sicuramente, un po’ lo sono, perché con lui mi sento un’altra, mi sento me stessa, libera da qualsiasi costrizione. Esco poco dopo dal bagno, ma non lo trovo, evidentemente è sceso in sala per controllare i bambini che non si facessero male. Infatti, quando scendo le scale, lentamente, li trovo intenti a sistemare le ultime cose. I bambini sostengono un materassino per uno, uno blu e uno giallo, più grande di loro. Quasi scompaiono dietro i materassini.

 

“Venite qui che vi do una mano.”- mi offro di aiutarli.

 

Loro scuotono la testa.

 

“Ce la facciamo, siamo grandi.”- mi dicono entrambi convinti.

 

Annuisco sconsolata, mentre Ian sorride divertito dall’intraprendenza dei suoi figli.

Un quarto d’ora dopo siamo tutti e quattro in spiaggia a goderci una delle nostre prima, e non l’ultima, giornata in famiglia. Siamo sotto l’ombrellone, montato da Ian che si è rivelato essere un amabile tuttofare (più meno, ci ha messo circa dieci minuti a montarlo), sopra gli asciugamani, mentre i bambini sono intenti a costruire un accampamento -a detta loro militare- con la sabbia, aiutandosi con secchielli, acqua e palette. Io sono tra le braccia di Ian, che è dietro di me, e insieme li osserviamo e ogni tanto diamo loro una mano. E’ Ian ad aiutarli per la maggior parte delle volte, perché è lui che capisce meglio di me questi meccanismi. Non che non sappia fare un castello di sabbia -ammetto comunque di essere parecchio negata per queste cose- ma stanno facendo delle strane costruzioni e strani meccanismi complicati da capire. 

 

“No, no e ancora no!”- si impunta Stefan. -“Li ci va più sabbia, Jo.”

“Ma cosa dici? Ce ne va più lì.”- replica Joseph indicando un ammasso di sabbia posta ai lati del rettangolo che hanno fatto.

“Ma lì non serve a niente.”- ribatte Stefan sconsolato. -“Possiamo metterla qui, invece. E’ al centro, non molto distante dalla mia parte e nemmeno dalla tua.”

“Okay, questo va bene Stef.”- concorda Joseph convinto dell’idea del fratello.

 

Io e Ian ridacchiamo, poi lui avvicina la bocca al mio orecchio.

 

“Si sono messi d’accordo subito.”- mormora al mio orecchio.

“Strano.”- gli rispondo io, poi lo bacio castamente. -“Ma è una buona cosa che abbiano trovato un punto d’incontro, no?”

 

Lui sorride appoggiando la testa sulla mia spalla.

 

“E’ una buona cosa. Potremo trovare anche noi un accordo, no?”- mi domanda allusivo.

 

Capisco la domanda perché ha utilizzato un tono allusivo e parecchio malizioso. 

 

“Ian!”- borbotto divertita e gli tiro un pizzicotto sul fianco. -“Ti sembra il momento?”

 

Lui in risposta rotea gli occhi in modo teatrale, poi mi obbliga ad appoggiarmi di nuovo contro di lui. 

 

“Mamma! Papà!”- ci chiamano i bambini. 

 

Trasaliamo entrambi alla voce dei bambini, molto probabilmente perché ci eravamo persi nel nostro mondo. 

 

“Vi piace?”- ci domanda Joseph, mentre Stefan finisce di sistemare un pezzo di torre.

“Ecco, ora è finito!”- esclama Stefan soddisfatto.

 

E’ un ammasso di sabbia, conchiglie e acqua, ma ai nostri occhi non potrebbe essere più bello. 

 

“E’ stupendo.”- dico loro dolcemente, lasciandogli una carezza tra i capelli.

“Ben fatto!”- si complimenta Ian con i figli. -“Non sarebbe potuto venire meglio.”

 

I bambini sorridono orgogliosi di tutti questi complimenti e ci invitano a a finire di sistemare le ultime cose con loro. Li aiutiamo volentieri e non ci rendiamo conto di come possa volare velocemente il tempo. Mangiamo circa all’una e mezza, troppo intenti a sistemare il loro accampamento militare e a fare altre particolari costruzioni. 

I bambini alla fine si mettono a correre per tutto il bagnasciuga, mentre Ian tenta loro di stargli dietro. Io, ovviamente, mi godo lo spettacolo seduta sull’asciugamano, non avendo ancora la capacità di correre per così tanto tempo. 

Joseph mi riscuote dai miei pensieri.

Tenta di abbracciarmi tutto bagnato e, nonostante i miei vani tentativi di allontanarlo a causa del suo corpo ghiacciato, alla fine riesce nel suo intento bagnando il mio corpo con il suo.

 

“Mamma! Mamma! Vieni anche tu con noi!”- mi invita Joseph continuano a starmi addosso.

 

Rabbrividisco per il suo corpo freddo sopra il mio e, in tutta risposta, gli scompiglio i capelli. Mio figlio sbuffa, ma continua comunque a pregarmi di seguirlo.

 

“Non è che mi state preparando un attentato o qualcosa?”- domando divertita.

“Ma mamma…”- borbotta sconsolato, facendomi sorridere ancora di più per il suo tono. -“Vieni anche tu, ci manchi.”

“Davvero vi manco?”- domando.

“Si, ci stiamo divertendo un sacco. Vieni anche tu con noi…”- mi invita Joseph. Poi mi porge la sua mano. -“Ti aiuto, mamma.”

 

Accetto volentieri l’aiuto di mio figlio e, con non poca fatica, riesco a sollevarmi e a mettermi in piedi. Noto che Ian ci sta osservando, pensando ad intervenire, ma con un gesto della mano gli dico di rimanere lì, con Stefan. Sto diventando sempre più indipendente e, se continuo a cercare sempre l’appoggio di qualcuno, non tornerò mai completamente alla mia vita. Inoltre non voglio che Stefan rimanga da solo, potrebbe accedergli qualcosa.

Joseph mi sorride raggiante e, mano nella mano, ci dirigiamo verso Ian e Stefan, immersi nell’acqua. A Stefan l’acqua arriva fino alla pancia, mentre a Ian ovviamente no.

 

“Sono proprio obbligata ad entrare?”- domando rabbrividendo al solo pensiero di entrare nell’acqua fredda.

“Mamma, è caldissima!”- esclama Stefan invitandomi ad entrare. -“Davvero.”

 

Metto un piede in acqua, poi lo riappoggio sulla sabbia cambiando improvvisamente idea.

E’ gelata!

 

“Dai Looch, l’altro giorno giorno non hai fatto tutte queste storie!”- ridacchia Ian.

 

Ma l’altro giorno è stata una questione di sopravvivenza. 

 

“E’ fredda.”- mi impunto.

“Se rimani lì sarà sempre troppo fredda.”- mi dice Ian e i nostri figli annuiscono, dando ragione così al padre. -“Forza, entra.”

 

Ma è davvero troppo fredda. E si stanno divertendo a prendermi in giro, sapendo perfettamente quanto odi l’acqua del mare. Un po’ perché è sempre costantemente fredda, anche con quaranta gradi, un po’ per tutte le strane creature che ci sono nei fondali. 

Alla fine, a causa di Ian che mi afferra per le mani e mi ci tira dentro, entro in acqua, sotto lo sguardo divertito dei bambini. Dopo qualche minuto non ho più così tanto freddo e comincio a godermi la temperatura.

 

“Visto che non era poi così fredda?”- mi domanda Ian.

 

Mi ritrovo costretta a dirgli che ha ragione, anche se non vorrei.

Trascorriamo così tutto il resto nel pomeriggio ammollo nell’acqua, con Ian che fa fare dei classici tuffi ai bambini. Non nego di aver fatto quasi un infarto in più di qualche situazione, vedendo come i bambini continuassero a dire che volevano essere lanciati più in alto, per quanto effettivamente si possa lanciare un bambino. I bambini, però, ne sono stati felicissimi e ci hanno fatto promettere di portarli ancora. Ovviamente li abbiamo rassicurati e promesso di portarli ancora, visto che trascorreremo parecchi giorni qui e, avendo la spiaggia a un metro dalla porta, non c’è nessun tipo di problema.

Rientriamo a casa quasi alle sette di sera e decidiamo prima di lavare i bambini, così che, una volta sistemati loro, potremmo lavarci anche noi. Io e Ian aiutiamo i bambini a lavarsi e a togliersi i residui di sabbia in tutte le parti del corpo, soprattutto nei capelli. Mi domando come abbiano fatto a portare a casa così tanta sabbia.

Dopo averli lavati e asciugati, mettiamo loro il pigiama, uno bianco e azzurro e l’altro blu e rosso. 

 

“Ti lavi prima tu?”- mi domanda Ian mentre mi passa un asciugamano.

 

I bambini sono giù, sul divano, a guardare la televisione. Ci hanno promesso di stare buoni e mi fido di loro.

 

“Come vuoi, puoi lavarti tranquillamente anche tu.”- gli sorrido. -“Io posso preparare la cena.”

“Ne sei sicura?”- mi domanda.

“Metti in dubbio anche tu le mie doti culinarie?”- gli domando.

“No.”- scuote la testa e mi si avvicina. Mi posa un bacio sulla fronte, mentre io respiro contro il suo collo. Sa di acqua salata e… Ian. -“Non voglio che tu ti stanchi troppo, è stata una giornata parecchio faticosa.”

 

Effettivamente ha ragione, comincio ad essere stanca e le mie gambe non sono abituate a tutto questo movimento, ma mi sento bene.

 

“Sto bene, non preoccuparti.”- gli dico dolcemente. 

“Lo dici sempre, a meno che tu non sia in punto di morte.”- mi dice lui posandomi un bacio all’angolo della bocca. -“Vai pure tu, io tengo d’occhio i bambini e inizio a preparare qualcosa, poi, se te la senti, finisci tu.”

 

Gli annuisco grata e, prima che possa allontanarsi da me, gli rubo un bacio veloce.

Nell’esatto momento in cui decido di prendere dei vestiti puliti il mio cellulare suona, facendo bloccare Ian sul colpo.

Candice. Noto qualche altra chiamata, la maggior parte da Phoebe e Candice, con qualche messaggio. Che sia successo qualcosa di grave? A Daniel? O a Phoebe?

Mi do della stupida, magari vogliono sapere dove siamo, visto che ho tenuto il telefono spento per la maggior parte del tempo.

 

E’ Candice.”- lo informo.

“E io che  avevo detto alla biondina di non importunare…”- borbotta Ian sconsolato. -“Vi lascio ai vostri discorsi da donne, allora.”

 

Gli sorrido e lui se ne va, lasciandomi da sola. Afferro il cellulare e rispondo, sedendomi poi a letto.

 

-Can, se vuoi sapere dove siamo-

 

Candice mi interrompe con voce allarmata.

 

-Oltre al fatto che non ti fai sentire da giorni dispersa chissà dove… Non fraintendermi, adoro come tu e Ian stiate passando il tempo a fare chissà cosa, ma… E’ successa una catastrofe, Nina…-

-Cos’è successo?- domando allarmata.

-Non hai ancora aperto Twitter, Instagram, Facebook o… Qualsiasi diavolo di social da questa mattina, vero?- mi domanda tra lo sorpreso e l’allarmato.

-Avrei dovuto farlo?-

-Non riesco… Dio… Non riesco nemmeno a dirlo… Non so… Non so come sia successo… Nessuno di noi ha mai detto niente, lo giuro!- mi dice.

 

Cosa diavolo sta succedendo? Cosa sta facendo allarmare così tanto Candice sui social?

Metto in viva-voce, in modo da sentire Candice, e di aprire i vari social network. Quello con più giri di notizie, senza ombra di dubbio, è Twitter. Apro prima quello, per capire di che costa stia parlando Candice, visto che continua a farneticare su qualcosa che nemmeno capisco.

No, non è possibile.

Non può essere vero. 

 

 

_______________________________________________

 

 

Buon inizio di settimana a tutte :)

Capitolo interamente dedicato alla famiglia, come saranno i prossimi, e penso sia giusto così dopo tutto quello che hanno passato. 

Anche se è un capitolo dedicato ai Nian e ai loro bambini, c’è sempre un fattore rischio che si rispecchia nell’ultima parte del capitolo con la telefonata di Candice.

Andiamo per gradi, dunque. I bambini hanno accettato di buon grado tutta la situazione che li circonda e amano il fatto che i loro genitori siano finalmente insieme.

Ian e Nina si dedicano completamente ai bambini, creando così un’atmosfera ideale per loro e i loro figli.

I Nian, invece, sono sempre più affiatati e innamorati *^*

Con l’ultima parte apriamo un capitolo che ho tenuto nascosto per tanto tempo, ma che prima o poi doveva venire fuori e verrà spiegato nei prossimi capitoli.

Ringrazio le quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e tutte quelle che hanno letto solo il capitolo. Spero che le visualizzazioni e le recensioni possano aumentare :)

Alla prossima :3

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Capitolo 34
*** They know. ***


                                               They know.




Thirty-Fourth Chapter.
Pov Nina.

Non può essere vero, non è possibile.

Come possono aver scoperto tutto?

E’ possibile che la mia felicità venga spazzata via ogni dannata volta?

Siamo stati attentissimi, non possono aver scoperto nulla da noi. Robyn è stata dannatamente attenta, hanno preso il volo con meno persone possibili e nessuno ha fatto, chiesto o detto niente.

Come possono aver scoperto ogni cosa?

 

-Nina-

 

Blocco Candice, prima che possa dire qualcosa.

 

-Da quanto tempo?-

 

La mia voce esce più tetra del previsto, ma Candice, da buona amica, capendo il mio stato d’animo, non me lo fa notare.

 

-Da questa mattina…- mormora lei.

 

Un solo giorno. Un solo dannatissimo giorno. Abbiamo trascorso tranquilli, da famiglia, un solo giorno. Non dieci, non venti, uno. Ho sempre pensato che prima o poi l’avrebbero scoperto, sarebbe stato impossibile, una volta insieme e in giro per il mondo, tenere nascosto un segreto così grande, ma non mi sarei mai aspettata che venisse fuori così presto. Le mie gambe cedono, non per qualche problema legate ad esse, ma proprio per rabbia e frustrazione. Mi ritrovo quindi seduta sul letto, con la testa tra le mani.

 

-Ho provato ad avvertirti il prima possibile… Mi… Mi dispiace così tanto…-

-Non è colpa tua, non è assolutamente colpa tua.- la rassicuro, tentando di calmare il mio respiro. -Sapevo che non avremmo dovuto farlo.-

-Non è colpa vostra, Nina! Avete tutto il diritto di trascorrere un po’ di tempo insieme, tutti e quattro, da famiglia. Dovete recuperare tutto il tempo perso e dei dannati paparazzi non possono rovinare la vostra vita!- mi dice lei.

 

Magari fosse così semplice. Atlanta è sempre stato un posto tranquillo, con gente discreta. Ma, ora, dopo tutto quello che sta succedendo, dubito che possa ancora essere tranquilla. Faranno di tutto per avere qualche informazione in più e i bambini non sono ancora pronti. 

Volevo trascorrere del tempo come una famiglia normale, ho chiesto forse troppo?

 

-Non ci daranno pace, Candice. Faranno di tutto per… Per qualsiasi cosa… Hai idea del putiferio che si scatenerà?-

-Si è già scatenato.- ribatte lei. -Scusa non… Volevo solo sottolineare come stessero le cose. E… Ci sono un sacco di articoli, un sacco di discussioni…-

-Mi è bastato leggere il titolo per capire.- ribatto io, tirando un pugno al materasso.

 

Siamo stati nel segreto per otto anni, perché proprio ora? Perché proprio dopo qualche giorno dalla nostra ritrovata felicità?

Mi fido ciecamente dei miei amici, dei miei parenti e del cast, so perfettamente che nessuno di loro c’entra con questa storia. Non avrebbe senso, non potrei mai dubitare di loro. La storia sarebbe venuta fuori prima, non ora.

Un altro titolo, però, cattura la mia attenzione.

Nikki Reed tradita da Ian Somerhalder a qualche mese dal loro matrimonio. 

Risultato? Due figli con la co-star, Nina Dobrev.

Come fanno a sapere che è prima del matrimonio? Da nessuna parte ci sono foto dei bambini con Robyn, quindi questo vuol dire che qualcuno ha messo in giro la voce. Qualcuno di molto vicino a noi, quindi.

 

-Prima del matrimonio? Davvero c’è scritto prima del matrimonio?- mi domanda Candice.

 

Okay, l’ho pensato ad alta voce.

 

-Ho aperto un articolo a caso… Non so io… Non ci sto capendo nulla…- mormoro.

 

Con le dita scorro l’articolo, iniziando a leggere qualcosa. Devo fare chiarezza su questa questione.

 

Ci è sempre sembrato strano che Nina Dobrev fosse sparita dai social per più di sette anni, lasciando dietro di se pochissime tracce, se non nulla. E’ sempre stata una donna legata profondamente al network e la sua sparizione non ha fatto altro che fomentare dubbi, fino ad ora infondati. Ian Somerhalder, in sette anni, si è completamente ritirato nella sua attività di protettore di animali, in una vita che ci è sempre sembrata rose e fiori con la moglie, ma, ora, dalle ultime notizie, non è mai stato così. Nel 2015 si è celebrato il matrimonio più discusso dell’anno, alquanto sbrigativo a nostro parere, tra l’affascinante Damon e la bella Rosalie* e tutto sembrava rose e fiori tra i due neo sposini quando, evidentemente, non è mai stato così. Lontano dai riflettori Ian e Nina, la coppia che ha fatto innamorare il mondo intero, così simile a quella dei loro personaggi, non ha mai smesso di frequentarsi perché i frutti si sono visti. I due, infatti, hanno continuato a frequentarsi e da questa relazione è sbocciato il frutto del loro amore, due bambini, gemelli, di sette anni. I nomi a noi ancora sconosciuti, ma, sapendo quanto i due siano affascinanti, siamo sicuri siano risultati due capolavori. 

Quello che ci chiediamo, però, è un’altra cosa: com’è possibile che sia accaduto tutto ciò? Che sia stato uno sbaglio? Che Nina abbia mentito a Ian sui suoi figli? Che Ian si sia rifiutato di riconoscerli?

Tante domande, troppe, alle quali avremo sicuramente una risposta.

 

Come diavolo fanno a sapere che i miei figli hanno sette anni?

Sto quasi per chiudere l’articolo, quando qualcosa attira nuovamente l’attenzione. No, non è la voce di Candice che continua a parlare e a chiamare il mio nome, ma qualcos’altro. Un altro pezzo d’articolo.

 

Per quanto questa cosa ci faccia emozionare, in quanto i bambini sono sempre un dono prezioso, ci lascia parecchio interdetti sulla scelta di Ian di continuare il matrimonio e l’unica opzione possibile è quella che il tutto sia stato un errore e che, indipendentemente dalla gravidanza della Dobrev, lui abbia continuato a stare con la moglie. Ma sarà vero? Ian è riuscito a dimenticare Nina? I due sono finiti sulle prime pagine anche l’anno scorso, durante una Convention a Londra, e sembravano più affiatati che mai, innamorati quasi. La moglie del nostro filantropo della Luisiana, però, non sembra d’accordo con quello che sta succedendo ed è proprio lei ad aver decido di rivelare tutto alla stampa.

 

Nikki, dannazione! Avrei dovuto immaginarlo.

 

-E’ stata Nikki…-

-CO…COSA?-urla Candice. -Non ci credo…-

-Credici io… Avrei dovuto immaginarlo! Avrei dovuto immaginare che fosse stata lei a sbandierarlo ovunque! Ma non… Non hai letto l’articolo?-

-E’ da questa mattina che… Che escono articoli, Nina! Ho solo letto i titoli, non ho voluto approfondire su tutto quello che scrivessero, ma… Ha un senso, cioè… Che sia stata lei, non fraintendermi… Mi dispiace, Nina, davvero…- mormora.

-Non è colpa… Tua, okay? Ti richiamo dopo devo… Metabolizzare la cosa e… Parlarne con Ian…-

-Si, capisco. Non farti influenzare dai social, non farlo. Loro non devono rovinare la nostra vita, non ora che siete così felici. Non ne avevano il diritto prima, ma figuriamoci ora.-

-Grazie Can per avermelo detto. Suppongo che… Che Phoebe avesse voluto dirmi questo…-

-Si, abbiamo provato tutto il pomeriggio a chiamarti.- mi dice lei.

-Dopo la chiamerò.- rispondo.

 

Ora devo parlare con Ian, assolutamente. Chiudo la chiamata, poi, come un automa, mi alzo dal letto, tenendo il telefono stretto dalle mani. Valuto cosa fare. E’ meglio che lo chiami qui di sopra, non voglio che i bambini sentano qualcosa. Spiegheremo loro la situazione, senza ombra di dubbio, ma ora ho bisogno di lui.

 

“IAN!”- lo chiamo abbastanza forte, in modo che mi possa sentire.

 

Pochi secondi dopo è di fronte alla porta e mi corre incontro preoccupato.

 

“Stai male? Ti sei fatta male? Hai qualcosa alle gambe? Stai bene? Nina, ti prego, rispondimi!”- mi fa domande a raffica e mi controlla dalla testa ai piedi per assicurarsi che io stia bene.

 

Non gli rispondo, ancora troppo scossa per quello che sta succedendo. Al telefono con Candice stavo elaborando il tutto, ma arrivati a questo punto sono decisamente sconvolta.

Gli do semplicemente il mio telefono, indicando l’articolo sullo schermo. Ian mi lancia uno sguardo parecchio turbato, poi lo invito a leggere. Mi basta solo qualche secondo per capire che ha compreso anche lui quello che sta accadendo. Alza gli occhi ed incontra i miei, mi guarda triste. Non dice nulla, mi afferra con un braccio e mi tiene stretta a se, mentre continua a leggere l’articolo.

Ho sempre saputo che la mia vita non sarebbe mai stata normale, infatti non mi sto preoccupando per me, perché potrebbero dirmi qualsiasi cosa, ma per i nostri figli. Loro non meritano di fare una vita ai ritmi della nostra, con la costante paura di essere scoperti e di non poter passare un pomeriggio tranquilli con i loro genitori, cioè noi. Hanno bisogno di vivere la loro vita da bambini, da due bambini di sette anni, non oppressi e chiusi in casa, non se lo meritano. Sono così piccoli, non voglio che passino costantemente da una pagina di giornale ad un’altra, hanno il diritto di vivere una vita normale. Voglio solo proteggerli perché so quanto i paparazzi (e il mondo dello spettacolo) possano essere invadenti ed estenuanti. Ian mi lascia un bacio sui capelli, poi appoggia il mio cellulare sul comodino, e mi prende delicatamente il mento, obbligandomi a guardarlo negli occhi. Sa quello che sto provando, sono sicura che lo stia provando anche lui in questo momento.

 

“Andrà tutto bene, te lo prometto, staranno bene.”- mi dice accarezzandomi un braccio e mi posa un casto bacio sulle labbra. -“Faremo di tutto affinché non capiti loro nulla, te lo prometto. Non permetterò che vi accada qualcosa.”

“In questo momento mi importa solo dei bambini, loro… Non sono pronti per una cosa del genere… Hanno solo sette anni…”- mormoro.

“Non accadrà loro nulla. Ci saremo sempre noi con loro, okay? Non mi importa di tutto quello che stanno dicendo i giornali, sappiamo solo noi come sono andate veramente le cose. Joseph e Stefan non sono degli errori, sono i nostri piccoli grandi miracoli, e noi ci amiamo. Io ti amo come non ho mai amato nessun’altra, perché tu sei la mia vita, non dimenticarlo.”- mi dice accarezzandomi la fronte, in un gesto dolcissimo.

 

Queste parole mi entrano fin sotto la pelle e tutto quello che posso fare, oltre a sorridergli dolcemente, è stringermi ancora di più a lui. In un altro momento molto probabilmente gli sarei saltata addosso, ma ora ho bisogno di lui, entrambi abbiamo bisogno dell’altro. E lo amo, anche io lo amo come non ho amato mai nessun altro, anche lui è la mia vita, l’unico uomo con voi voglio stare.

Lo amo in un modo che non riesco nemmeno a spiegare.

 

“Anche io ti amo, Ian, ti amo così tanto.”- mormoro stretta a lui. -“Non dimenticarlo mai nemmeno tu.”

 

Rimaniamo per qualche istante così, poi è lui a rompere il silenzio.

 

“Se solo avessi chiuso prima con lei non sarebbe successo tutto questo…”- mormora.

 

Mi stacco leggermente da lui scuotendo la testa.

Non è assolutamente colpa sua, la colpa non è nostra, ma di Nikki. Mi sarei aspettata di tutto, ma non questo. Anche lei ha mentito a Ian, eppure noi non abbiamo fatto nulla, non abbiamo detto nulla a nessuno, per il bene di tutti. Lei, invece, ha colto l’occasione per fare la vittima.

 

“Non è assolutamente colpa tua, Ian!”- gli dico e prendo il suo viso tra le mie mani. -“Tu non c’entri assolutamente nulla. Hai fatto del tuo meglio, non avresti potuto fare nient’altro. Sei stato fantastico a gestire tutto questo, ora dobbiamo solo… Affrontarlo insieme, okay?”

“Affronteremo sempre tutto insieme, non ti lascerò mai affrontare niente da sola.”- rimarca lui.

“Lo so, quindi non sentirti in colpa.”- gli dico.

 

Mi da un bacio leggero sulle labbra in risposta.

Il mio umore è migliorato un po’, grazie a lui. Sono arrabbiata, confusa e sconvolta da tutto questo, molto probabilmente ci vorrà un po’, ma non ho paura di affrontare tutto questo perché ho Ian al mio fianco. Cosa potrebbe accaderci ancora di peggio?

 

“Cosa facciamo?”- gli domando piano.

“Per prima cosa finiamo la nostra serata, lasciando tutto questo fuori dalla nostra vita. Tu ora ti farai una doccia rilassante, io andrò giù a preparare la cena con i bambini, poi, una volta, finito mi laverò e mangeremo tutti insieme. Trascorreremo una serata in famiglia, come ieri, a guardare cartoni animati o un film, come piace ai bambini, e dopo questo penseremo a cosa fare, va bene? Non dobbiamo lasciare che gli altri ci condizionino, noi sappiamo come sono andate le cose e siamo noi a viverle, non gli altri. Twitter, Facebook e Instagram lasciamoli a domani.”- mi dice.

 

Il suo tono mi rassicura e annuisco, più tranquilla di prima. Ian ha ragione, siamo noi a vivere questa storia e solo noi sappiamo cos’è realmente accaduto.

Mi tocca una guancia, facendomi sorridere.

 

“Ecco, mi piaci molto di più quando sorridi. Non voglio vederti triste per questo, okay? Prima o poi sarebbe dovuto venire fuori, ora dobbiamo imparare a gestirlo.”- mi dice ed io gli sorrido apertamente, per poi baciarlo di slancio, facendogli sentire tutta la mia gratitudine.




























 

 

                                                                    * * *

 
































 

“Joseph, tesoro, vieni qui.”- chiamo mio figlio che si sta alzando dalla tavola. 

“Cosa c’è, mamma?”- mi domanda lui.

 

Afferro una salvietta e gli pulisco la bocca. Se Stefan ha preso da me l’amore per il cibo, Joseph è in grado di sporcarsi ovunque mentre mangia, come il padre. 

 

“Ecco, ora puoi andare.”- gli sorrido dolcemente, non prima di avergli appoggiato un bacio sulla fronte.

“Grazie mamma.”- mi dice lui riconoscente, per poi correre dietro al fratello.

 

A metà strada si blocca, poi si volta verso di me.

 

“Mamma, dopo possiamo mangiare il gelato?”- mi domanda.

 

Noi non abbiamo del gelato.

 

“Non penso che ci sia del gelato.”- gli rispondo.

“Papà, hai detto che avremmo mangiato il gelato.”- ribatte Joseph rivolto verso Ian.

 

Mi volto verso Ian inclinando la testa.

Abbiamo del gelato?

 

“Certo che ve l’ho detto e manterrò la promessa.”- gli risponde Ian sorridendo.

“Abbiamo del gelato?”- gli domando scettica. -“Io e te siamo qui da giorni e vengo a scoprire solo ora che abbiamo del gelato?”

 

Ian ridacchia divertito, per poi alzarsi dalla tavola. Mi lascia una carezza tra i capelli, poi apre il freezer e tira fuori due vaschette di gelato.

 

“Me ne ero dimenticato.”- mi dice con sguardo colpevole. -“Non me lo sarei mai ricordato se i bambini non lo avessero notato prima.”

“Devo ringraziare i bambini, dunque?”- gli domando.

Gelato? Dov’è il gelato? Anche io voglio il gelato!”- interviene Stefan saltando giù dal divano.

“Alla buon ora, Stefan!”- ridacchia Ian, per poi appoggiare una vaschetta di gelato sul tavolo, mentre l’altra la porge a me. -“Ti ho presto menta e cioccolato, il tuo preferito. Mi perdoni per essermelo dimenticato?”

 

Come posso non perdonarlo mentre mi sta offrendo un’intera vasca di gelato?

Annuisco sorridendo e afferro la vaschetta, per poi allungarmi ad aprire il cassetto prendendo quattro cucchiai. 

 

“Papà, abbiamo anche noi una vaschetta di gelato?”- gli domanda Stefan facendogli gli occhi dolci.

“Questa. Ci sono pistacchio e cioccolato, mi avevate detto che vi piacciono.”- gli risponde Ian.

“Quindi non abbiamo una vaschetta di gelato per noi?”- domanda Joseph.

“Non potete mangiare una vaschetta di gelato intera.”- cerca di farli ragionare Ian. -“Vi verrà mal di pancia.”

“Ma anche alla mamma verrà mal di pancia.”- ci fa notare Stefan.

“Forza, potrei condividere un po’ del mio gelato con voi, insieme ai vostri gusti.”- dico loro.

 

Alla fine io e Joseph condividiamo la mia vaschetta di gelato, mentre Stefan e Ian condividono l’altra. 

E riusciamo perfino a dimenticare per un po’ che tutto il resto del mondo sa dei bambini, ma entrambi sappiamo che bisogna fare qualcosa, e anche alla svelta, perché non ci lasceranno mai un attimo di pace.

 

 

__________________________________________________________________
 

*Per chi non lo sapesse, la moglie di Ian ha recitato in Twilight, facendo la parte di Rosalie Hale in Cullen.

 

Buon inizio di settimana a tutte, eccomi qui con il trentaquattresimo capitolo :)

Voglio avvisare che, da mercoledì, parto, quindi non avrete aggiornamenti, in tutte le storie, per circa una settimana, più o meno.

Capitolo con un punto di svolta, a differenza degli altri. Molte di voi magari avranno pensato che mi fossi dimenticata di questo argomento o che non avessi intenzione di trattarlo, ma aspettavo il momento “giusto” per tirarlo fuori.

Tutto il mondo sa che Ian e Nina hanno due bambini, avuti otto anni prima e di cui hanno nascosto ogni traccia per molto tempo. Ora, senza nessun tipo di dichiarazione da parte loro, è stato rivelato al mondo intero la loro esistenza e chi, meglio di Nikki, poteva farlo? L’unica a sapere, a parte i familiari, della loro esistenza e l’unica che poteva, in qualche modo, trarne vantaggio. I due, Ian e Nina, ora sono amareggiati, confusi e spaventati, in particolare modo la seconda, non per loro, ma per i bambini. Ogni giorno i bambini di attori vengono visti in giro, ma qui, come potrete ben capire, la situazione è completamente diversa. I gemelli sono stati tenuti nascosti al mondo per più di otto anni e ora sono stati catapultati in qualcosa più grande di loro e sappiamo tutti come può essere cattivo il mondo dello spettacolo. Ma, dopotutto, sono Ian e Nina, affronteranno, seppur con difficoltà, anche questo.

Ringrazio le tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e, ahimè, siamo diminuite invece di aumentare, ma pazienza, continuerò a fare quello che ho sempre fatto per chi c’è :)

Alla prossima <3

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Capitolo 35
*** I'll be your hero. ***


                                         I'll be your hero.



Thiry-Fifth Chapter.
Pov Ian.

“Si mamma, siamo a Miami.”

 

Nina sta parlando al telefono con sua madre, mentre io sto cercando il mio per chiamare Paul. L’ho appena sentito squillare, possibile che non sappia dove sia?

I bambini stanno dormendo, visto che è ancora presto. Ovviamente sono sul nostro letto, ma glielo lasciamo fare. Sono così felici di tutta questa situazione e approfittano di ogni momento per stare con noi. Siamo in vacanza ed è giusto così, per quanto vorrei trascorrere un po’ di tempo con Nina. Quando torneremo a casa dormiranno nel loro, ma per ora lasciamo correre.

Casa. 

In quale casa vivremo? Nella mia o nella sua? Ovviamente dove vivevo con Nikki è casa mia, ma credo che Nina opterà per casa sua e penso abbia ragione. La conosco, le farebbe un certo effetto vivere dove prima vivevo con un’altra donna, nemmeno a me piacerebbe. Asseconderò qualsiasi sua decisione, casa è dove ci sono Nina e i bambini, la mia famiglia. 

Trovo il cellulare cinque minuti dopo, incastrato tra i cuscini del divano. Avrei dovuto immaginarlo visto che ieri Joseph e Stefan si sono messi a giocare con quello e a scattarsi foto buffissime. 

La prima cosa che vedo sono le tantissime chiamate da parte di tutti, seguiti da innumerevoli messaggi. La maggior parte delle chiamate sono da parte di mia madre, mia sorella e Paul. 

Faccio partire la chiamata e, dopo qualche secondo, contro ogni mia previsione, il mio amico risponde.

 

-Finalmente ti sei reso conto di avere un cellulare! Sono giorni che ti provo a chiamare!-

 

E’ la prima cosa che mi dice.

 

-Buongiorno anche a te, Paul.- lo saluto.

-Ah, mio Dio. Che cosa devo fare con te? Dove diavolo siete finiti?-

-A Miami.- gli rispondo.

-A Miami? Nella casa sulla spiaggia?- mi domanda.

-Esatto, proprio quella.

-Avrei dovuto immaginarlo, visto la tua vena romantica.- mi punzecchia, ma poi ritorna serio. -Potevi degnarti di chiamarmi, perfino Nina ha chiamato Phoebe. Okay… L’ha chiamata ieri sera perché anche lei era sparita.-

-Hai ragione, scusaci, ma abbiamo voluto estraniarci un po’ dal mondo per passare un po’ di tempo da soli con i bambini.-

-Potevate chiamarci quando eravate senza bambini…- mormora. -No, okay, fuori luogo… Conoscendovi non sarete mai scesi dal letto!-

-Paul…- borbotto, ma non posso fare a meno di non ridacchiare. -Ti sto chiamando ora, non fare il lagnone.-

-Okay, okay. In nome della nostra amicizia quasi secolare ti perdono. Comunque… Ho voluto chiamarti sai per… Per quello che è successo ieri… Mi dispiace per quello che è successo, non me lo sarei mai aspettato.- - mi dice.

 

Sospiro e mi passo una mano tra i capelli prima di rispondere. Sento Nina scendere le scale e mi volto verso di lei, rimanendo incantato ad osservarla in tutta la sua bellezza. Indossa una mia maglietta blu e un paio di pantaloncini azzurri ed è semplicemente stupenda, anche mentre sbadiglia portandosi una mano sugli occhi. La saluto con un sorrido radioso, che lei ricambia. Mi viene vicino e mi posa un bacio sulle labbra. L’attiro a me, premendo il suo corpo contro il mio. E rimarrei così per ore, se solo non ci fosse Paul che continua a chiamarmi. Il mio primo impulso sarebbe quello di chiudere la telefonata, ma poi è Nina a bloccarmi.

 

“Vi lascio parlare.”- mi dice dandomi un altro veloce bacio. -“E salutami Paul. Vado a farmi una doccia.”

 

Annuisco e la lascio andare, poi riprendo a parlare con il mio amico.

 

-Nina ti saluta.-

-Lo so, ho sentito, ed ero preoccupato di sentire anche altro. Comunque… Tornando al discorso di prima… Ti serve una mano per qualcosa?- mi domanda.

-Io e Nina dobbiamo ancora decidere cosa fare. Ormai tutto il mondo sa dell’esistenza dei bambini.- gli rispondo.

-Smentire?- 

-Non avrebbe senso, prima o poi lo verrebbero a sapere comunque. E poi… Ci staranno con il fiato sul collo e non possiamo rinchiudere i bambini dentro casa.- gli dico.

-Mi sembra giusto, si. Non mi sarei mai aspettato che potesse fare una cosa del genere…-

-Nemmeno io. Non dopo tutto quello che ha fatto.-

-Avete intenzione di dire quello che… Quello che ti ha fatto? Intendo su come ti abbia mentito riguardo alla sua gravidanza.-

 

Ci penso per qualche istante. Giustamente potrei anche farlo, visto quello che ci ha fatto, ma a che pro? Si scatenerebbe un ulteriore putiferio e non sarebbe più finita. Già è un problema quello che ha rivelato, figuriamoci se rivelassi che mi ha mentito dicendo che il bambino che porta in grembo è mio figlio. 

Vivremo un inferno.

 

-Con Nina non ne abbiamo parlato, ma… Non me la sento. Lo meriterebbe, di questo ne sono sicuro, ma alimenteremo soltanto il putiferio che già sta accadendo.- 

-Mi sembra giusto anche questo, decisione saggia. Ma deve pagare per quello che vi ha fatto, no? Non sono un tipo vendicativo, ma… Avrebbe potuto rovinarti la vita.- mi dice Paul.

-Lo so, farò qualsiasi cosa affinché paghi per quello che ha fatto. Divorzio per prima cosa, che lei lo voglia o no. Però rimane il fatto che dobbiamo fare qualcosa.- gli dico.

 

E’ ovvio che, dopo tutto quello che è successo, dobbiamo chiarire, o perlomeno imporre che ci lascino in pace. Nina non ne sarà d’accordo, conoscendola non vorrà fare dichiarazioni o quant’altro, ma so che dobbiamo. Per noi, per la nostra famiglia, e per tutti. Non voglio vivere il resto della mia vita tra pagine di giornali e persone che gettano la nostra storia d’amore nel fango. Perché, oltre al fatto dei bambini, molti premono proprio su quello. Io sto con Nina perché la amo da impazzire, non per i bambini. Ovviamente loro sono qui, con noi, e farei qualsiasi cosa per loro, come qualsiasi padre, ma i bambini e Nina sono una cosa distaccata. Certo, Nina è la madre dei nostri figli, ma è anche la donna che amo, non voglio che qualcuno l’accusi inutilmente o che continuino a vederla come la mia amante. Lei è la mia donna.

 

-Una dichiarazione?-

-E’ l’unica via d’uscita. Almeno smetteranno di inventarsi cose. So che non sarà finita, ma è un inizio.- gli dico.

-Mi sembra una cosa ragionevole, l’importante è che vi godiate la vostra famiglia, ve lo meritate entrambi, così come lo meritano i bambini. Avete sofferto troppo, è giunto il momento che anche voi viviate felici.- mi dice Paul.

-Grazie, Paul, avevo bisogno di parlare con qualcuno di esterno, che mi desse qualche consiglio.- gli dico sinceramente.

-Sono tuo fratello, Ian, mi sembra il minimo. Vi ho visti distrutti per troppo tempo, ma ho sempre saputo che ce l’avreste fatta. Siete due zucconi, lasciatevelo dire!- l’ultima frase la conclude ridacchiando e io lo seguo.

 

Ha ragione, su tutto.

 

-Visto che siamo in vena di confessioni… Non mi devi per caso dire qualcosa?- gli domando.

 

Nina non è riuscita a trattenersi.

 

-Phoebe l’ha detto a Nina che l’ha detto a te, giusto?- mi domanda.

-Si, Paulino. Congratulazioni!- gli dico emozionato e veramente felice per lui. Meritano questa nuova felicità. Non che prima non lo fossero, ma meritano tutto il bene del mondo. -E’ maschio o femmina?-

-Dovremmo saperlo tra qualche settimana. Voglio un maschio, almeno avrò un alleato.- mi dice ed io scoppio a ridere. -Tu ridi, ma non è facile la vita con due donne in casa. Vestiti ovunque, scarpe ovunque, trucchi ovunque! Rachel ha cominciato a volersi truccare perché vede Phoebe, dice che vuole farsi bella.-

 

Quella bambina è un piccolo terremoto e diventa un dolce agnellino solo con Stefan.

 

-Dai, Paul, quella bambina stravede per te.- gli dico.

-Beh… Vuole bene a tutti e due…- borbotta imbarazzato.

-Però ha un debole per te.- sottolineo divertito. -Gliel’avete già detto?-

-Aspettiamo prima di sapere cos’è, altrimenti ci darebbe il tormento.- mi dice.

 

Continuiamo a parlare per un po’, poi alla fine ci salutiamo con la promessa di sentirci. Appoggio il cellulare sul ripiano della cucina. Nina è ancora nella doccia. Salgo le scale per vedere se i bambini stanno dormendo. Apro piano la porta e mi sciolgo alla vista dei miei figli, ancora tutti addormentati. Joseph è con la pancia rivolta verso il soffitto, mentre Stefan a pancia in sotto, e dormono entrambi beatamente. Decido di scendere in cucina e, dopo averci pensato per qualche istante, decido di raggiungere Nina sotto la doccia. Ma, nell’esatto momento in cui sto per aprire la porta del bagno, questa si apre e Nina sbuca fuori in accappatoio. Credo abbia finito. Ha i capelli ancora bagnati ed alcune goccioline le cadono lungo il collo. Deve aver capito le mie intenzioni, perché i suoi occhi si accendono di lussuria. Non la tocco da tre giorni. Ed è vero che siamo stati lontani per anni e, dopo dicembre, per mesi, ma ormai averla tutta per me ha abbattuto qualsiasi freno. Mi getto sulle sue labbra con voracità e lei, con altrettanta voracità, ricambia il bacio, gettando le sue braccia oltre il mio collo. La trascino di nuovo dentro il bagno, chiudendomi poi la porta alle spalle. Le mie mani vanno ad insinuarsi sotto l’accappatoio, andando a toccare la sua pelle nuda. Nina sobbalza al contatto delle mie mani sulla sua pelle, ma poi preme ancora di più le labbra contro le mie.

Questa donna mi fa impazzire, ogni giorno sempre di più. Le sue mani vanno sotto la mia maglietta, tracciando alcune linee sui miei pettorali, ma, quando penso sia sul punto di togliermi la maglietta, si stacca ansante da me e mi guarda negli occhi.

 

“Ci sono i bambini di sopra…”- mormora lei.

 

In tutta risposta mi rigetto di nuovo su di lei, questa volta sul collo. La sento fremere sotto di me e sorrido, vedendo e sentendo quello che sono ancora in grado di farle provare.

 

“Stanno dormendo… Profondamente…”- mormoro io, per poi lasciarle un morso sulla spalla.

 

Emette un sospiro pesante, per poi stringere con la mano il mio fianco quando inizio a sfilarle molto lentamente l’accappatoio.

 

“Non ci beccheranno…”- mormoro ancora contro la sua pelle.

 

Le mani di Nina sono tra i miei capelli e si perdono tra le mie ciocche scure.

 

“Non vogliono che ci sentano…”- mormora lei ansante, incapace quasi di intendere e di volere.

“Non ci sentiranno…”- soffio sul suo petto, mentre le sfilo l’accappatoio completamente.

 

Questo cade a terra, lasciando Nina completamente nuda e esposta ai miei assalti.

 

“E se avessero bisogno di… Qualcosa?”- mi domanda e poi si morde il labbro inferiore non appena la mia bocca si avvicina pericolosamente al suo seno.

“Aspetteranno…”- mormoro ritornando a baciarla. -“Dormiranno quanto basta… L’importante è che tu… Che tu trattenga ogni tipo di suono…”

“Come se… Come se fossi l’unica…”- sospira lei spingendo il suo bacino contro il mio.

 

Senza nemmeno accorgermene emetto un ringhio, che Nina mi fa mascherare con un bacio.

Impudente. 

 

Te l’avevo detto…”- mormora lei.

“Così giochi sporco…”- le sussurro all’orecchio.

 

Nina mi aiuta a togliermi la maglietta e sembra quasi le dispiaccia che non indossi una camicia. Ha sempre adorato far saltare via tutti i bottoni, obbligandomi continuamente a comprarne di nuove, ma non mi è mai dispiaciuta questa sua intraprendenza.

E tutto quello che accade dopo è un insieme di ansiti, di gemiti mascherati e amore, tanto amore.

 


































 

                                                                           * * *

 






























 

Nina e Joseph sono in bagno e la prima sta aiutando il secondo a finire di pulirsi, mentre Stefan mi sta aiutando a sistemare la borsa. Abbiamo deciso di fare una passeggiata all’aria aperta fuori Miami, precisamente al Parco nazionale delle Everglades. Io e Nina abbiamo voluto fare qualcosa di diverso per i bambini e, anziché tenerli perennemente in spiaggia, sebbene a loro piaccia, abbiamo deciso di optare per un parco nazionale. E’ una cosa alternativa, non ne hanno mai visto uno, e io ho discreta conoscenza di quel parco visto che ci sono stato più di qualche volta. Ci fermeremo per due giorni, abbiamo prenotato una camera in un hotel.

 

“IAN!”

 

Sono praticamente sicuro che sia stata Nina. Io e Stefan ci guardiamo per qualche istante, poi lasciamo quello che stavamo facendo e corriamo in bagno. Il mio cuore batte velocemente, ho paura che possa essere successo qualcosa, ho paura che Nina o Joseph si stia sentendo male, o entrambi.

Ma, quando entro, posso finalmente tirare un sospiro di sollievo, più o meno. Nina è immobile, indica qualcosa sopra una mensola, mentre Joseph, incurante della madre, tenta di avvicinarsi e tentare di afferrare qualcosa.

 

“Nina, cosa sta succedendo?”- domando dopo essermi accertato che siano tutti interi.

“Joseph, non azzardarti a toccare quella cosa!”- gli dice Nina spaventata, poi si volta verso di me tremante. -“C’è… C’è… C’è un enorme ragno nero sopra la mensola… E’ enorme e… E grosso e… E ha le zampe pelose…”

 

Non posso non scoppiare a ridere di gusto. Ho anche tentato, seppur minimamente, di non scoppiare a ridere, ma non ce l’ho fatta. 

Nina mi fulmina con lo sguardo, ma non dice niente perché continua a fissare la mensola. E’ aracnofobica*, l’ho sempre saputo.

Stefan, intanto, si è avvicinato alla madre e capisco al volo che anche lui sia abbastanza preoccupato per il ragno. Okay, non ha assolutamente preso da me in quanto a animali minuscoli.

 

“Va bene, ho capito, lo tolgo da lì.”- dico avvicinandomi a mio figlio.

“Papà, lo prendo io. Povero, sicuramente sarà spaventato…”- mormora Joseph osservando la mensola.

“Tesoro”- mi rivolgo a lui dolcemente e gli accarezzo la testa. -“credo sia meglio che lo prenda io, altrimenti a tua madre verrà un infarto. Però puoi aiutarmi a liberarlo.”

 

Joseph annuisce, poi mi mi allungo e riesco a vedere il ragno rintanato in un angolo. Da com’è spaventata Nina ero convinto fosse più grosso, non una cosa minuscola. Prima che possa muoversi, e non senza difficoltà, riesco a prenderlo a chiudo la mano a pugno, in modo da non farlo scappare e per portarlo fuori. Stefan rimane attaccato a Nina e, non appena mi avvicino per sorpassarli in modo da uscire, scappano fuori, facendo ridacchiare me a Joseph. Dieci minuti dopo il povero ragno scorrazza fuori da casa nostra, alla ricerca di un nuovo posto sicuro in cui vivere.

 

“Era proprio carino, vero papà?”- mi domanda Joseph.

“Certo tesoro, davvero carino. Ti piacciono così tanto gli artropodi?”- gli domando abbassandomi alla sua altezza. -“Quando ero un po’ più giovane ho scattato tantissime foto di tantissimi tipi di ragni.”

“Davvero?”- mi domanda e vedo i suoi occhi brillare. -“Voglio vederle, papà.”

“Certo tesoro.”- gli rispondo dandogli un bacio sulla fronte. -“Quando torneremo a casa te le mostrerò.”

“Ma papà… Artropodi? E’ un altro modo per dire ragno?”- mi domanda curioso.

“Diciamo che il termine artropodi si riferisce ad un ordine. Il ragno fa parte della classe degli aracnidi che, a sua volta, fa parte dell’ordine degli artropodi.”- gli spiego e Joseph annuisce.

“E’ come dire che… Io sono un maschio, no? Quindi faccio parte della classe degli uomini che appartiene all’ordine umano… Più o meno…”- mormora lui serio.

“Esatto, tesoro, il concetto è proprio quello!”- esclamo entusiasta. 

“E quindi… Non sono insetti?”- mi domanda lui.

“No, non lo sono, anche se molte persone sono convinte di si.”- gli spiego.

“Devo spiegarlo alla mamma, allora, sono sicuro che le faranno un po’ meno paura, visto che lei ha paura degli insetti.”- mi dice.

“Penso che tua madre continuerà ad averne paura lo stesso, le donne ne hanno sempre paura. E tua madre ha sempre avuto terrore dei ragni.”- gli spiego ridacchiando.

“Ma quando l’abbiamo preso… Cioè… Quando tu l’hai catturato la mamma ha avuto un po’ meno paura.”- mi dice lui.

“Oh… Perché il mio compito è cercare di farle avere meno paura di qualcosa di cui ha terrore.”- gli spiego.

“Allora sei come un eroe? L’eroe della mamma.”- mi dice lui abbracciandomi di slancio. -“E anche l’eroe di Stefan, perché anche lui ha paura dei ragni…”

 

Me lo carico sulle spalle, facendolo ridacchiare.

 

“Posso essere anche il tuo eroe, sai?”- gli domando alzando lo sguardo su di lui.

“Ma io non ho paura dei ragni!”- puntualizza lui ridacchiando.

“Oh, lo so, ma posso essere il tuo eroe su qualsiasi cosa, ricordatelo sempre.”- gli dico dolcemente.

 

 

 

 

___________________________________________________________

 

*Nina è veramente aracnofobica, l’ha dichiarato in un’intervista.

 

Buon inizio di settimana a tutte :)

Perdonatemi per il ritardo, ma, come scritto nello scorso capitolo, sono partita per una settimana e alla fine mi sono trattenuta via più a lungo.

Siamo arrivate al 35° capitolo e, a dispetto di quanto pensavo, la storia durerà ancora un po’, un po’ di più dell’altra. Sono già arrivata a scrivere circa 47 capitoli e mi manca ancora un po’. Si, lo so, sono un caso perso, ma quando si tratta dei Nian non ho nessun freno.

Capitolo che è sostanzialmente il continuo dell’altro. Dopo qualche capitolo abbiamo di nuovo la comparsa di Paul, seppur tramite una telefonata, e di come si offra per aiutare Ian. Ho sempre adorato il rapporto che li lega e spero di averlo messo in luce anche qui :)

Ian è venuto a conoscenza del segreto di Phoebe e Paul e ne è molto felice, dopotutto non sarebbe potuto accadere il contrario.

La vita di Ian e Nina procede a gonfie vele e alla fine Ian l’ha avuta vinta su alcune cose (If you know what I mean). A dispetto di quello che stanno accadendo vogliono godersi la propria vita e vogliono far si che anche i bambini, giustamente, abbiamo il loro divertimento, così organizzano una gita al parco nazionale di Everglades, in Florida. 

L’ultima scena penso si commenti da sola ahahah

Come specificato Nina è seriamente aracnofobica, quindi penso capiate bene la sua situazione. Lei è impaurita, mentre Joseph, incurante della madre, tenta di prendere e difendere un povero ragno -a detta sua. Ian, ovviamente, interviene per riportare la calma e insieme a suo figlio va a liberare il ragno, mentre Stefan, più simile alla madre, trova più prudente scappare con lei. 

Ringrazio le quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e chi continua a leggere questa storia.

Prima di chiudere le mie solite note d’autore vorrei spendere quattro (lo so, come al solito sicuramente mi dilungherò) parole per quanto sta succedendo in questo momento: la fine di TVD.

Rileggendo il tutto sta venendo fuori un commentone, quindi se volete saltatelo oppure, se avete piacere, proseguite con la lettura ;)

Come ben sapete io sono stata una delle tante -o poche, dipende dai punti di vista- che hanno deciso, un po’ per ripicca e un po’ per altro, di non vedere la settima stagione di The Vampire Diaries. Un po’ è c’entrata l’assenza di Nina che, come ben sapete, adoro sopra ogni cosa e un po’ perché, appunto, senza di lei The Vampire Diaries non è più lo stesso. Alla fine, leggendo qualche recensione qua e là ho deciso di provare a vedere qualche episodio, incuriosita dal casino sulla gravidanza di Caroline e sulla congrega degli Eretici. Mi sono piaciute? Noia mortale. Mi sono perfino addormentata guardando una puntata, quindi potete ben capire. L’unica cosa che ho apprezzato un po’ è stato il cambiamento di Lily e gli Eretici, in particolare Nora. Si, Nora è stata la mia preferita, ma, ovviamente, è morta anche lei. Quindi si, alla fine ho guardato due puntate, ma sono state comunque deludenti a parte qualche scena. Diciamocelo… Ormai TVD ha perso il suo fascino da parecchio tempo, dalla quarta stagione. La quinta è stata la più brutta delle sette stagioni, la sesta secondo me ha recuperato alla grande, ma tutto è piombato nel dimenticatoio con la settima.

Come ben sapete negli ultimi giorni si è svolto il SDCC (ovvero il San Diego Comic Con) e abbiamo ricevuto una notizia forte (non triste, quella triste è stata l’ultima stagione di Teen Wolf!), ma scontata e comunque mi ha reso abbastanza felice. Potrei sembrare una a cui non frega nulla perché ormai Nina è andata via e basta, ma non è assolutamente così. Seguo TVD ormai da cinque anni e vedere la fine che ha fatto è veramente un colpo al cuore quindi si, sono felice della sua fine (anche se comunque mi mancherà tantissimo tutto quello che mi ha fatto provare e penso sempre mi farà provare) perché merita un finale degno e non tutta questa tiritera tra Matt Donovan che odia tutti, ma sopravvive comunque, tra Bonnie che è sempre martire e poi si incazza comunque, tra Alaric che non avrà mai una gioia in vita sua (e spero che almeno le bambine sopravvivano come unica sua ancora di salvezza), tra Caroline che non si capisce bene cosa voglia, tra Stefan anche lui povero martire e Damon che fa un passo avanti e dieci indietro. Non è colpa sua, c’è un nuovo cattivo, ma alla fine si riduce sempre a quello. The Vampire Diaries è stata la mia prima serie e, a dispetto di tutto, per quante serie possa guardare (e ne guardo veramente molte!), è stato l’unico a farmi provare emozioni così forti ed è per questo che non voglio che cada nel ridicolo. Nonostante tutto questo Comic Con mi è piaciuto, mi sono piaciuti loro, tutti. Gioia più grande è stato sapere che Kevin (si, quel Kevin!) è tornato per scrivere il copione e, come si sapeva, ci sarà il grande e tanto atteso ritorno della nostra Neens *-*

Atteso da tutti, tranne che da Ian. Ho amato Ian per lungo tempo e da mesi ormai mi è caduto veramente in basso. Non so se sia la colpa del matrimonio o altro, ma, purtroppo, è così. Non mi sto attaccando al matrimonio perché uno è libero di amare chi vuole e, come ripetuto più volte, sebbene non mi piaccia Nikki, sono felice se lui è felice. Mi attacco al semplice fatto che ogni volta che si parla del Delena lui dice di essere felicemente sposato ed è il primo a dire di non confondere la finzione con la realtà, ma evidentemente è anche il primo a fare il contrario. L’ho sempre visto, saputo e ho avuto conferma di questo anche nell’ultima intervista fatta al SDCC. L’intervistatore ha chiesto in generale se ci sarà qualche ritorno, riferendosi ovviamente a Nina, e Ian, ovviamente, dopo aver fatto una faccia come se gli avessero ucciso un panda di fronte agli occhi, ha cominciato a dire che non ci sarà nessun ritorno, ZERO RITORNI, tanto per citarlo. Non vi dico le facce epiche del cast, in particolare modo quella di Paul e Candice, che, dopo averlo guardato, ha ripreso a bere della birra dalla disperazione. Al che è intervenuta Julie esclamando un scusami? che, se fossi stata in Ian, mi sarei scavato la fossa da solo. C’è stato imbarazzo, ma alla fine, grazie anche agli altri, si è cambiato un po’ discorso. E ve lo dico, non l’ha detto per scherzo, c’è stato risentimento nella sua voce. Ahimè sappiamo che i tempi sono quelli che sono ed è inutile dire che all’interno del cast è ancora tutto rose e fiori perchè, evidentemente, non è così. Ed è brutto dirlo perché sono stati una famiglia per otto anni, sei con Nina, e vedere come certa gente si comporta fa male. Non oso immaginare quando tornerà sul set cosa accadrà, mi dispiace solo per lei.

Detto questo ricorderò l’uomo che Ian è stato perché ormai, di quell’uomo, non c’è praticamente più nulla.

Altro tassello importante è stato The Originals. Ma l’avete visto il promo?

Mi si è sciolto il cuore a vedere la piccola Hope ormai cresciuta chiedere alla madre se andassero a riprendere suo papà *___*

Adoro già quella bambina ed è un’ingiustizia che venga mandato in onda a marzo con pochi episodi (tra l’altro anche TVD avrà 16 episodi rispetto ai soliti 22!).

Detto questo… Il 2017 sarà un anno brutto… La fine di TVD, di TW e di PLL… Che il mondo stia per finire?

Alla prossima :)

 

[Il commento è quasi più lungo del capitolo, non ho parole ahaha]

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Capitolo 36
*** Let them know. ***


                                      Let them know.




Thirty-Seventh Chapter.

Pov Nina.

I bambini sono entusiasti di visitare il parco. La decisione è stata presa all’ultimo minuto e, fortunatamente, ogni cosa ha coinciso con i nostri piani, a partire dall’apertura del parco fino alla disponibilità dell’hotel. Io e Ian abbiamo deciso di far fare loro qualcosa di alternativo e, visto che siamo in Florida, abbiamo optato per questo parco naturale. Potrebbero essere i due giorni più terrificanti della mia vita, visto che gli animali che ci vivono sono assolutamente tra quelli di cui sono più spaventata, ma l’importante è che i bambini si divertano. 

Dormiremo una notte in albergo e staremo qui tutto oggi pomeriggio e tutto domani, per poi ripartire alla sera senza problemi, visto che il parco dista circa un’ora da Miami. Siamo vestiti in maniera molto casual e i bambini indossano un berretto azzurro e tengono in mano una macchina fotografica e al collo un binocolo, regalo di mio padre di qualche anno fa. 

Ian mi mette un braccio attorno ai fianchi e io gli appoggio un bacio sulle labbra, poi tira fuori la cartina per capire con che cosa iniziare e dove andare. E’ enorme, ma non può essere diversamente visto che è un parco nazionale.

 

“Per oggi, visto che abbiamo appena parcheggiato la macchina, direi di escludere Loop Road.”- dice Ian.

 

Mi pare sia il percorso da fare in auto su una strada sterrata circondata da alberi, piante e coccodrilli, più qualche altro strano animale.

 

“Che cos’è, papà?”- domanda Stefan.

“E’ un percorso che si fa su una strada sterrata circondata dalla natura. Ai bordi della strada e, molto spesso anche in mezzo, vi si trovano alligatori, coccodrilli, serpenti, tartarughe e molte specie di uccelli.”- spiega Ian a tutti e tre, confermando le mie ipotesi.

“Davvero? Ma è una cosa fantastica! Se… Se non possiamo farla oggi, possiamo farla domani?”- domanda Joseph.

“Certo, domani sarà la prima cosa che faremo.”- lo rassicura Ian.

“Ma sono liberi? Non sono nelle gabbie, quindi?”- domanda Stefan.

“Liberi, senza nessuna costrizione!”- conclude Ian entusiasta.

 

Stefan ha preso da me l’odio per gli insetti e i ragni (Joseph prima mi ha fatto una spiegazione accurata a cosa appartengono e all’ordine), ma adora tutti gli altri animali, mentre Joseph adora proprio tutto. Hanno preso comunque entrambi dal padre; non che io odi gli animali, ma diciamo che provo simpatia per alcune specie limitate, non su tutto.

 

“Potremmo fare la Royal Palm Visitor Centre o la Shark Valley oppure Anhinga Trail. Le ultime due sono molto simili, ora vi spiego di che cosa si tratta.”- ci dice Ian, vendendo tutti e tre molto perplessi. -“La prima è una visita all’interno del parco, immersi all’interno della natura dove si possono vedere uccelli, pesci, tartarughe e qualche alligatore o coccodrillo. Le altre due sono più specifiche per coccodrilli e alligatori. Si fanno tutte e tre a piedi su passerelle.”

“E’ sicuro?”- domando io.

“Certo che è sicuro.”- conclude Ian accarezzandomi un braccio.

“Potremo sceglierne due e ci occuperanno quasi sicuramente tutto il pomeriggio, per questo ho escluso Chokoloskee Bay. Preferirei farla domani pomeriggio o domani mattina, quando ci sono meno zanzare.”

“Sarebbe?”- domando io.

“Una gita in barca e, anche lì, potremmo vedere coccodrilli e alligatori nel loro habitat naturale e, se siamo fortunati, anche qualche delfino.”- mi spiega lui e i bambini annuiscono euforici.

“Dobbiamo farlo assolutamente!”- esclama Joseph, mentre Stefan annuisce concordando con il fratello.

 

Alla fine optiamo per Shark Valley e per Royal Palm Visitor Centre, mentre domani faremo tutto il resto. 

Iniziamo con la Shark Valley, un percorso lungo il parco fatto di una passerella, dove si può passeggiare tranquillamente in mezzo alla flora e la fauna, in modo totalmente sicuro, per mia fortuna. I bambini ci stanno davanti, tenendo in una mano la macchina fotografica, pronti per scattare foto agli animali, e il binocolo per osservare meglio gli animali distanti. Io e Ian stiamo qualche passo dietro di loro, mano nella mano. Ogni tanto ci fermiamo per riposare -per farmi riposare- e, grazie al cielo, c’è qualche panchina in legno lungo la passerella. 

Ci fermiamo per l’ennesima volta e, mentre i bambini si avvicinano ai bordi della passerella per scattare qualche foto al panorama, protetti comunque da una staccionata che impedisce loro di cadere in acqua, io e Ian ci fermiamo su una panchina.

 

“Come ti senti?”- mi domanda preoccupato appoggiandomi una mano sulla gamba. -“Sei stanca?”

“Sto bene, davvero.”- gli sorrido dandogli un bacio sulle labbra. -“Non sono stanca.”

“Ne sei sicura? Forse avrei dovuto smistare i percorsi dove bisogna camminare e farne uno domani, anziché farli tutti e due oggi.”- mormora lui preoccupato.

“Non preoccuparti, va bene così. Magari domani saremo più stanchi ed è un bene fare il percorso in macchina e quello in barca. Ti stai preoccupando troppo.”- gli dico accarezzandogli una guancia.

 

Mi sento bene, veramente. Certo, ogni tanto sento proprio il bisogno di fermarmi per riposare qualche istante, ma ormai è tutto passato. Ho affrontato mesi di infermo, ma poi l’operazione è riuscita alla perfezione ed ora le mie gambe funzionano. Non posso nascondere il fatto che, molto spesso, ho pensato di non farcela e di non riprendere più a camminare, ma con l’aiuto della mia famiglia, dei bambini e dei miei amici ce l’ho fatta. Una parte importante, se non quella più importante, ce l’ha avuta Ian, senza ombra di dubbio. Mi è stato accanto ogni istante, come meglio ha potuto, preoccupandosi unicamente di me -e dei bambini- tralasciando tutto il resto. Ma è questo che fa l’amore, dopotutto, ti spinge a stare accanto alla persona che ami, senza nessun tipo di barriera e costrizione.

 

“Mamma! Papà! Guardate che belle foto abbiamo scattato!”- urlano i bambini entusiasti sventolandoci sotto gli occhi le macchine fotografiche.

 

Sorridiamo entrambi, poi guardiamo le foto che hanno scattato ai bambini. Sono decine e molte sono sempre le stesse, ma loro sono così felici e noi lo siamo per loro. Promettiamo loro di portarle a stampare e di fare un bel album, così avremo il primo ricordo della nostra famiglia unita. 

Joseph e Stefan sembrano entusiasti dell’idea. Rimaniamo qualche altro minuto ad osservare il panorama, poi decidiamo di proseguire. Continuiamo a camminare lungo la passerella in legno, esattamente come abbiamo fatto poco prima. Stiamo parlando tranquillamente, quando Joseph, dopo aver assottigliato gli occhi, corre avanti, molto probabilmente perché ha visto qualcosa. Stefan lo segue a ruota ed io e Ian gli andiamo dietro. E’ una fortuna che il posto sia sicuro, altrimenti a quest’ora si sarebbero già presi una bella sgridata. Joseph indica qualcosa in mezzo all’erba, non poco distante da noi. E’ nascosta in mezzo agli alberi, ma è comunque distinguibile. 

Ma quello è un puma. 

 

“E’ un puma! E’ un puma!”- urla Joseph euforico. -“E’ la prima volta che ne vedo uno!”

“Si sta muovendo!”- esclama Stefan, euforico quanto il fratello.

 

Io sto pregando che rimanga lì, fermo dov’è. Siamo al sicuro, ma non si sa mai.

 

“E’ una pantera della Florida, per la precisione.”- spiega loro Ian abbassandosi all’altezza dei suoi figli. -“Siamo davvero fortunati a vederla, è molto rara.”

“E’ in via d’estinzione, quindi?”- domanda Stefan dispiaciuto.

“Purtroppo si, al mondo ci sono pochissimi esemplari. Non è bellissima?”- chiede Ian.

 

I bambini annuiscono incantati, poi iniziano a scattare subito delle foto. 

 

“Non verrà qui, vero?”- domando io.

“Siamo al sicuro. E’ impossibile che riesca a raggiungerci.”- mi dice Ian accarezzandomi la spalla.

“Ti credo… L’importante è che rimanga ferma lì, immobile.”- gli dico continuando a guardare l’animale.

 

Ian sorride scuotendo la testa, mentre io tengo lo sguardo fisso sul felino. Sebbene sia preoccupata non posso negare la bellezza dell’animale. E’ tranquillo e molto probabilmente non si è accorto di noi, ma anche se l’avesse fatto penso che non sarebbe cambiato nulla. 

 

“Papà?”- lo chiama Stefan.

“Dimmi tesoro.”- lo invita Ian a parlare.

“Che differenza c’è tra la pantera della Florida e il puma? Mi sembrano identici.”- gli dice Stefan.

“Effettivamente è molto difficile distinguerli, ma cercherò di spiegartelo in breve. Per prima cosa qui,in questo parco, non ci sono puma. La pantera della Florida si riconosce per le dimensioni più piccole, il teschio più largo e le zampe più lunghe.”- spiega Ian.

 

Mi perdo ad osservarlo per qualche istante e sorrido. Gli animali sono il suo mondo, conosce ogni cosa su di loro e io adoro ascoltarlo, così come i gemelli, che, ogni qualvolta inizi a spiegare qualcosa, pendono dalle sue labbra.

 

“Ow. E tu hai mai visto un puma, papà?”- domanda Joseph.

“Si, tesoro, proprio in Florida, ma non in questo parco.”- spiega Ian.

“Possiamo andare a vedere anche noi i puma?”- domanda ancora Joseph.

“Diciamo che è complicato. Ne ho visti un paio nell’Isola di Vancouver, in Canada.”- spiega Ian.

“Ma non ti hanno attaccato, vero?”- domanda Stefan.

“No, certo che no. Ero al sicuro dentro una jeep e non mi avrebbero potuto fare niente. Magari quando sarete più grandi ci andremo, se a vostra madre, nel frattempo, non viene un infarto.”- dice Ian ridacchiando.

 

Lo guardo truce, poi però scuoto la testa e sorrido. So che non farebbe mai qualcosa per metterli in pericolo e mi fido di lui. Arriviamo a fine giornata tutti e quattro interi. Dopo aver finito il primo percorso siamo passati al secondo e abbiamo visto tanti altri animali, per la maggior parte uccelli, alligatori e coccodrilli. 

Dopo aver cenato siamo saliti in camera dell’albergo -camera che assomiglia molto ad un mini appartamento. L’ha prenotato Ian e devo dire che ha davvero fatto un’ottima scelta, complice il fatto che conosce i proprietari e alcune persone che lavorano all’interno del parco. Abbiamo lavato i bambini e poi ci siamo lavati a turno, per evitare che potesse accadere qualcosa. Ora siamo seduti sul divano a guardare la televisione. Guardare è una parola grossa visto che Joseph e Stefan sono indecisi su che cosa guardare e Ian sta cambiando i canali alla ricerca di trovare qualcosa che possa piacere loro. Io ho la testa appoggiata sul suo petto, mentre un suo braccio è avvolto attorno alla mia vita e l’altro impegnato a tenere il telecomando. Potrei addormentarmi seduta stante, ma il mio intento viene rovinato dal telecomando che cade per terra e dai muscoli di Ian che si tendono all’inverosimile.

 

“Papà! Mamma! Ma siete voi!”- esclamano i bambini.

 

Apro gli occhi di scatto e sussulto nel vedere la nostra immagine sullo schermo al telegiornale. Faccio in tempo a leggere qualcosa e a captare il minimo indispensabile, perché Ian, dopo essersi ripreso dallo shock, afferra il telecomando e cambia subito canale. La notizia della nostra storia si sta diffondendo anche nei canali più importanti, logico. In pochi giorni l’ha saputo tutto il mondo. Non è la prima volta che finiamo in televisione, siamo degli attori e questo è più che logico, ma non voglio che questo venga sbattuto in faccia a tutti. 

 

“Papà? Mamma? Ma perché eravate in televisione se siete qui?”- domanda Joseph.

“Già… Sembrava una cosa seria…”- borbotta Stefan.

 

Io e Ian ci guardiamo per istanti interminabili negli occhi, non sapendo cosa dire loro. La verità? Molto probabilmente non capirebbero.

Il mio cellulare inizia a squillare e il nome di mia madre continua a lampeggiare sullo schermo. Non l’ho voluta informare perché trovavo più giusto dirglielo a voce, non per telefono. Ha qualche social, ma ormai non li utilizza più da tempo.

 

E’ mia madre.”- dico a Ian.

“Tranquilla, spiegale quello che sta succedendo.”- mi dice, poi si volta verso i bambini. -“Mi occuperò io di loro, anche se dopo penso dovrei chiamare la mia.”

 

Annuisco e mi alzo dal divano, per poi andare in camera a rispondere.

Prima che possa dirmi qualcosa l’anticipo io.

 

-So perché stai chiamando e si… Avrei dovuto dirtelo, ma preferivo dirtelo di persona visto la gravità della situazione.-

-Per quanto sia ancora sotto shock per tutto quello che è capitato ti comprendo, non voglio abusare di ciò. Volevo sapere come stai, come state. So che… So che tutto quello che sta accadendo va contro la vostra volontà.- mormora dolcemente.

 

Sospiro stanca e mi siedo sul letto.

 

-Noi… Sta andando alla grande, se solo non stesse succedendo questo. E potrei sembrare drammatica, visto che ormai ho tutto quello che voglio, ma… Voglio solo che i bambini abbiano una vita normale, chiedo tanto? Magari mi sto fasciando la testa prima del tempo e non accadrà nulla di quello che mi sto immaginando, ma… Tutti i social sono in delirio da giorni, i giornali e ne stanno parlando perfino in televisione. Ho già dovuto subire tutto questo dopo la rottura con Ian, figuriamoci ora con due bambini di mezzo. Non ho paura per me, non voglio che i bambini diventino centro di polemiche.- sbotto.

-Tesoro, è normale che tu sia così preoccupata. Sei una madre che si preoccupa per i suoi figli, per il loro benessere e la loro serenità. Ian cosa ne pensa?- mi domanda.

-Cerca di vedere la parte positiva… Ma è preoccupato anche lui.- le spiego.

-Andrà tutto bene, ma rimane il fatto che dobbiate fare qualcosa.- mi dice lei.

-Lo so e lo faremo, ma non so cosa.-

-Più andrete avanti senza fare nulla, peggio sarà.- conclude mia madre. -Perché continueranno ad alimentare dicerie su di voi e su di loro, sai quanto possa essere cattivo il mondo dello spettacolo. Basta anche solo che diciate loro di voler essere lasciati in pace.-

 

Ha ragione ed è l’unica cosa ragionevole da fare. Sappiamo tutti che non smetteranno mai di alimentare le voci su di noi e, senza una nostra smentita o un nostro intervento, la situazione potrebbe solo peggiorare. Non saremo famosi in tutto il mondo, ma in America si, in modo particolare, per ragioni logiche, negli Stati Uniti. Si parla di noi, si è continuato a parlare di noi per anni. E’ stato un miracolo -o fortuna- aver tenuto nascosti i gemelli per tutti questi anni, ma ho sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento.

 

-Si, dobbiamo fare qualcosa.-

-Ora godetevi solo la vostra vacanza.- mi consiglia mia madre. -Ci penserete al vostro ritorno, almeno secondo la mia opinione. Non è giusto che vi roviniate dei momenti di serenità per questo.-

-Hai ragione. Stiamo così bene in questo periodo, i bambini sono felicissimi. Non li ho mai visti così… Spensierati. Certo, anche prima di conoscere Ian lo erano, ma… La sua mancanza, indirettamente, incombeva sulle nostre vite… Ora sono veramente felici, mamma.- le dico.

-L’ho sempre saputo e adoro tutto questo. La mia preoccupazione più grande è sempre stata quella e sapere che sono felici, totalmente felici, mi rende euforica. Sapere che tutti e tre siete felici è la cosa più bella del mondo.- mi dice lei dolcemente e posso sentirla sorridere.

-Sono veramente felice con Ian, mamma… Quando sono con lui mi sembra di essere un’altra persona, di essere semplicemente me.-

-Perché con lui non hai bisogno di fingere, puoi essere te stessa ed è la sensazione più bella del mondo.- conclude lei.

-Lo è, mi fa sentire viva come non mi sentivo da tempo. E non voglio che la nostra felicità venga rovinata.-

-Non verrà rovinata, prima o poi tutto questo sarebbe dovuto venire fuori ed è, forse, un bene che lo sia venuto fuori ora e non più avanti. Supererete anche questo e magari ci saranno anche dei vantaggi.- mi dice lei. -Parlatene e decidete cosa fare, ogni vostra decisione andrà bene a tutti.-

-Grazie, mamma. Grazie per tutto…- mormoro.

 

Per quanto sia in grado di prendere le mie decisioni da sola, consultare mia madre ha sempre una buona influenza su di me. Sa darmi i giusti consigli e sa rassicurarmi. Molto spesso vado in panico per niente e ci pensa lei a riportarmi sulla retta via. Avevo bisogno di sentirla e di sapere cosa fare. Ian, fin da quando si è scoperta la cosa, ha sempre voluto dire qualcosa pubblicamente, mentre io l’ho sempre frenato. Non volevo che la nostra vita fosse messa ancor di più sotto i nostri riflettori dopo le nostre dichiarazioni, ma non agire è peggio. Faremo un’intervista pubblica o pubblicheremo noi stessi qualcosa, è inutile cercare di nascondersi.

 

-Ci sono sempre per te, tesoro, ricordalo. E cercate di spiegare la situazione ai bambini, capiranno. Magari rimarranno perplessi, ma almeno sapranno come comportarsi.- mi dice.

 

Anche qui ha ragione. Spiegheremo loro come stanno le cose, in modo semplice, e non è necessario che vengano a sapere tutto, per ora, ma, giustamente, hanno bisogno di sapere, di conoscere.

 

-Lo faremo, parleremo loro. Ci hanno visti alla televisione e hanno cominciato a farci domande, è giusto che sappiano.-

 

Parlo un altro po’ con mia madre, poi attacco. Mi dirigo in salotto, trovandoli tutti e tre addormentati sul divano. Sono stata al telefono così tanto? Mi perdo per qualche istante ad osservarli, tutti e tre. I gemelli hanno la testa appoggiata sul grembo di Ian, mentre questo ha le mani appoggiate sulla loro schiena. 

Sto quasi per andarmene in camera, visto che, momentaneamente, non ho la forza per portare i gemelli in camera e nemmeno per sollevare Ian, perché logicamente non ce la farei mai, quando proprio la testa di quest’ultimo si solleva di scatto.

 

“Pensavo dormissi.”- gli dico sorridendo.

“Volevo aspettarti. Non riesco ad addormentarmi senza di te affianco.”- mi dice ed io quasi mi sciolgo. -“Li porto a letto.”

 

Annuisco e lo aiuto a togliersi i bambini dal grembo. Ian porta nella loro camera prima Joseph e poi Stefan, poi mi raggiunge a letto. Io sono in pigiama già da prima, mentre lui mi segue a letto, togliendosi solo la maglietta bianca, rimanendo così a petto nudo. 

 

“Ho deciso cosa fare.”- gli dico, non appena mi accoccolo contro il suo petto.

 

Mi avvolge la vita con le sue possenti braccia, per poi appoggiarmi un bacio tra i capelli. 

 

“Si?”

 

Annuisco, per poi lasciargli un bacio sulle labbra.

 

“Tu e mia madre avete ragione. Più stiamo zitti e peggio è. Dobbiamo fare una dichiarazione pubblica, non mi importa se tramite Facebook, Twitter o intervista.”- gli spiego.

“La faremo. Ora godiamoci questi giorni e poi faremo tutto. Potremmo scrivere qualcosa sui social e dopo, una volta tornati, affrontare la parte più importante.”- mi dice.

 

E’ una cosa ragionevole. Potremmo farlo domani sera, un giorno in più o un giorno in meno non cambia niente.

 

“Lo faremo e domani parleremo anche con i bambini.”- gli dico.

“Mi sembra giusto. Ho detto loro che glielo avremmo spiegato e hanno capito, senza fare più domande.”- mi dice coprendoci entrambi.

“Ti amo, lo sai?”- gli dico.

 

Sorride raggiante, per poi darmi un bacio sulle labbra.

 

“Anche io, sei la donna della mia vita, Nina, lo sei sempre stata.”- mormora stringendomi più forte a se. -“Mi hai dato tutto quello che potessi desiderare.”

“Anche tu… Sei sempre stato tu l’unico uomo che abbia mai amato…”- mormoro.

 

E crolliamo così, entrambi abbracciati, con la consapevolezza che niente e nessuno avrebbe più potuto distruggere quello per cui abbiamo lottato così strenuamente. 

 

 

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Buon primo agosto! Dio, è quasi finita l’estate u.u

Ringrazio subito le quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui risponderò subito. Mi è piaciuto sapere cosa ne pensaste di tutto quello che sta capitando, mi piace sempre confrontarmi anche con gli altri.

Ieri ci sono stati i TCA e TVD non ha vinto niente. Per il primo anno non ha vinto niente. Non so se sia per la mancanza di Nina o per altro, ma fatalità manca Nina e niente. 

Comunque, torniamo al capitolo. Capitolo di passaggio, anche se c’è un punto molto importante.

Vediamo Ian, Nina e i gemelli ancora in vacanza, ma la loro tranquillità viene turbata da un fatto fondamentale: la loro storia non solo è andata a finire sui social, ma anche in televisione. In America sono persone famose e sicuramente si parla -si è parlato di loro- nei canali di gossip, così come accade da noi qui in Italia con i nostri attori. 

I gemelli, ovviamente, iniziano a fare domande. Sono dei bambini intelligenti e curiosi e hanno cominciato a capire qualcosa, che verrà svelato loro nel prossimo capitolo :)

Alla prossima ^^

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Capitolo 37
*** Like famous people. ***


                                    Like famous people.



Thirty-Seventh Capter.
Pov Nina.

I gemelli sono seduti sul divano, di fronte a me e Ian. Ci guardano curiosi e stanno aspettando la nostra rivelazione. Abbiamo svegliato i bambini mezz’ora fa, abbiamo fatto colazione come se nulla fosse successo -anche loro hanno fatto così- e poi abbiamo deciso di informarli su quello che hanno visto ieri sera, perché devono capire e perché lo meritano. Hanno bisogno di sapere che cosa sta accadendo e che cosa potrebbe accadere in futuro.

Sono ancora in pigiama e, dopo aver finito di parlare loro, termineremo la nostra gita al parco nazionale. 

Io e Ian abbiamo deciso di tornare a casa tra tre giorni, perché, ormai, siamo rimasti via abbastanza ed è giusto che riprendiamo la nostra vita in mano, anche perché ci sono ancora troppe cose da chiarire con i nostri familiari e anche con i nostri amici. 

 

“Vi ricordate che cosa avete visto ieri sera?”- inizio io, mentre i bambini annuiscono.

“Vi abbiamo visto in televisione.”- ricorda Stefan, mentre anche Joseph annuisce.

“Perché siete famosi, giusto?”- domanda incerto Joseph.

“Giusto.”- conclude Ian.

“E perché vi siete spaventati così tanto?”- ci domanda Joseph.

 

Io e Ian sospiriamo pesantemente nello stesso istante, poi lui mi guarda negli occhi.

Stiamo decidendo silenziosamente per chi debba sganciare la bomba. Ian mi afferra la mano e mi sorride rassicurante, io ricambio il suo sorriso. E’ meglio che parli lui, sa sempre trovare delle buone parole. Annuisco piano e lui mi da un bacio sulle labbra, per poi portare di nuovo l’attenzione sui nostri figli.

 

“C’è qualcosa di più grosso dietro tutto questo. Per un periodo, un lungo periodo, ci siamo allontanati un po’ dal mondo dello spettacolo e nessuno ha più parlato di noi. Ma con la nuova stagione della nostra serie si è iniziato a parlare nuovamente di noi e della nostra vita privata.”- inizia Ian, mentre i bambini corrucciano le labbra e si fanno pensierosi.

“E perché? Se è privata… Perché ne parlano?”- domanda intelligentemente Stefan.

 

Ecco, è quello che mi domano pure io.

Privata e non pubblica, ma i paparazzi non lo capiscono e non lo capiranno mai.

 

“Perché a loro piace parlare di quello che facciamo al di fuori del nostro lavoro. Perché alle persone di tutto il mondo piace sapere quello che facciamo ogni giorno e a qualsiasi ora.”- continua Ian.

 

Mi sembra che stiano capendo ed infatti scuotono la testa, quasi disgustati.

 

“Ma papà… E’ così brutto tutto questo. Che divertimento c’è in tutto ciò?”- domanda Joseph.

“Non lo so, tesoro, ma a tutto il resto del mondo piace. A loro piace sapere cosa fa la gente famosa e ci sono delle persone che vivono per questo. Fanno continuamente foto di cosa facciamo, dove ci troviamo e con chi stiamo.”- spiega loro Ian.

“E le hanno fatte anche a voi?”- domanda ingenuamente Stefan.

“Non ci hanno fatto foto, ma…”- sospiro passandomi una mano tra i capelli. Ora viene la parte più difficile. -“E’ uscita una notizia che io e vostro padre volevamo tenere nascosta ancora per un bel po’.”

 

Ian mi accarezza la schiena in segno di conforto, mentre io gli stringo la mano libera.

 

“E che cosa?”- domandano i bambini in coro.

“Vedete… Di comune accordo avevamo deciso di… Di tenere la nostra vita privata fuori dalla loro portata e per anni ci siamo riusciti, ma pochi giorni fa sono venuti a sapere di qualcosa che abbiamo da sempre tenuto nascosto e che ha destato parecchio… Stupore… Voi due…”- mormoro osservando i nostri figli.

 

Joseph e Stefan corrucciano la fronte, poi si guardano tranquilli e riportano lo sguardo su di noi alzando le spalle.

 

“Che male c’è?”- domanda Joseph. 

“Perché nessuno sapeva di noi?”- domanda poi Stefan abbassando la voce e lo sguardo. -“Non volevate che gli altri sapessero di noi perché… Perché non siete orgogliosi di noi?”

 

Io e Ian ci irrigidiamo sul posto, mentre il mio cuore inizia a perdere battiti. E’ vero che sono ancora dei bambini e per loro è difficile capire che cosa comporta questo, ma non mi sarei mai aspettata una frase del genere. 

Io e Ian ci alziamo dal divano quasi all’unisono e andiamo dai nostri figli per abbracciarli. 

 

“Io e vostra madre siamo orgogliosissimi di voi, non dovete mai e poi mai dubitare di questo. Siete due bambini fantastici ed intelligenti, ma, soprattutto, siete i nostri figli, le persone che amiamo di più al mondo. Non potremo mai dubitare di voi o non considerarvi importanti, perché lo siete, siete le persone più importanti per noi, senza ombra di dubbio.”- li rassicura Ian dando voce anche ai miei pensieri.

 

Stefan continua a tenere la testa sul petto di Ian, mentre Joseph sul mio. Diamo ad entrambi un bacio sulla testa, mentre Joseph pone la fatidica domanda.

 

“E allora perché non lo sapeva nessuno?”

“Perché volevamo proteggervi.”- intervengo io prendendo coraggio. -“Voi due siete i figli di due persone famose e molte persone farebbero di tutto per avere qualche informazione su di voi, anche solo una foto. Non vogliamo che vi venga fatto del male, in nessun modo.”

“Ma sono belle le foto, a me piacciono.”- interviene Stefan alzando la testa dal mio petto e mi guarda intensamente negli occhi.

“Tesoro, queste non sono semplici foto… Non sono come quelle foto che vi scattiamo io e papà, i nonni o gli zii. Non sono foto ricordo che teniamo noi, sono foto che… Non sono foto cattive, certo che no, ma siete figli nostri e le vostre foto devono rimanere tra di noi, non nel resto del mondo.”- tento di spiegarmi.

 

E’ difficile spiegare loro cos’è sbagliato, dannatamente difficile. 

 

“Quindi possono vederle proprio tutti?”- domanda Joseph.

“Proprio tutte le persone. Essere figli di persone famose comporta anche questo.”- sospira Ian accarezzando la testa di entrambi. -“E noi non vogliamo che girino vostre foto, non perché ci vergogniamo di voi, ma perché non è giusto che delle foto di bambini girino in tutto il mondo. E poi vogliamo trascorrere più tempo possibile con voi in maniera serena e non pensare a nasconderci o con la paura che qualcuno non ci lasci in pace perché vuole avere vostre foto o parlare con voi per sapere qualcosa.”

“Che cosa vorrebbero sapere da noi?”- domanda ancora Joseph.

Qualsiasi cosa. Ed è giusto che viviate come due bambini normali, farvi degli amici o delle amiche, trascorrere del tempo in maniera naturale e non con la continua pressione di essere non Joseph e Stefan, ma i figli di Ian e Nina.”- continua Ian.

 

Annuisco alle sue parole. Ha profondamente ragione.

 

“Ma noi siamo i vostri figli, voi siete la nostra mamma e il nostro papà.”- ribatte Stefan inclinando la testa di lato.

“Certo che lo siamo e ne andiamo fieri.”- sorrido loro e do ad entrambi un bacio sulla fronte. -“Però è giusto che vi vedano tra qualche tempo, quando sarete grandi, come due persone indipendenti e capaci, non come solo i nostri figli. E’ un concetto complicato, ma… Quello che voglio dire è che non è bello non poter passare più delle giornate in tranquillità con la preoccupazione che qualcuno possa scoprirci e mandare all’aria tutto. Con qualcuno che non ci lasci mai in pace perché vuole sapere qualcosa sulla nostra vita privata e di come nessuno sapesse di voi e di come sia possibile che voi siate i nostri figli.”

“Come… Come sia possibile che voi siate i nostri figli? Non sanno come nascono i bambini? Papà c’è l’ha spiegato una volta…”- mormora Joseph. -“Ci ha portati la cicogna.”

 

Ian scoppia a ridere di gusto, mentre io mi copro il volto con entrambi le mani. Mi ricordo che gliel’ha spiegato e mi auguro che arrivino a domandare la verità quando saranno grandi -quindi tra un bel po’ di anni. Ovviamente sarà Ian a parlargliene, io me ne tiro fuori.

 

“Oh, certo… Vostro padre ha ragione, ma non è questo il punto.”- continuo io, mentre Ian continua a ridacchiare divertito. -“Nessuno sapeva prima di oggi che ci foste anche voi e, ovviamente, si stanno domandando che cosa sia successo e come siamo riusciti a non far sapere loro nulla.”

 

I bambini annuiscono, non sembrano troppo turbati di quello che sta succedendo, solo molto curiosi, ma è normale.

Ian mi lascia un bacio dolce sulla spalla scoperta dalla canottiera e i miei muscoli si rilassano all’istante. Un suo semplice tocco è in grado di farmi tranquillizzare. 

 

“Come dobbiamo comportarci?”- domanda Stefan.

“Come al solito, senza nessun tipo di preoccupazione. Ci tenevamo che lo sapeste.”- sorride loro Ian.

“Non dovete più pensare a questo, la vostra vita sarà sempre la stessa.”- continuo io.

“Ma se ora… Ma se ora tutti sanno di noi… Potremo venire a qualche festa con voi? Ti ricordi che ci hai mostrato una foto di una festa una volta, mamma?”- mi domanda Stefan.

 

Non era una festa, ma un evento. Gli Emmy Awards del 2011 e mi ricordo benissimo quell’evento, soprattutto il vestito. E’ sempre stato il mio vestito preferito e tutti se lo ricordano. Ovviamente quella sera ho presenziato con Ian ed è stato il giorno più bello della mia vita. Ogni cosa è stata perfetta.

 

 

“Si, me lo ricordo anche io. Eri stupenda, mamma!”- esclama Joseph annuendo al fratello. -“Possiamo venire anche noi? Dobbiamo vestirci anche noi eleganti come nei film?”

“Che festa?”- domanda Ian corrucciando la fronte.

“Gli Emmy Awards del 2011.”- gli rispondo.

 

Ian ci pensa un attimo e poi mi rivolge un sorriso malizioso che mi fa tremare le gambe. E’ ovvio che si ricordi praticamente solo il dopocena, visto le fine che ha fatto quel vestito.

 

“Ricordo perfettamente…”- mormora piano sul mio orecchio. -“Quel vestito ti fasciava le curve perfettamente… Eri una dea…”

“Povero vestito.”- borbotto forse un po’ troppo ad alta voce, infatti i bambini mi sentono.

“Perché povero vestito, mamma?”- mi domanda Stefan.

“Oh… Perché… Perché…”- inizio a balbettare.

“Perché poi si è un po’ rovinato.”- conclude Ian per me.

 

Ha la capacità di mettermi in imbarazzo sempre e comunque. Lo guardo negli occhi e faccio di tutto per non scoppiare a ridere, poi annuisco in direzione dei nostri figli.

 

“Era proprio bello!”- continua Joseph.

“Sembravi proprio una principessa, mamma…”- mormora Stefan gettandomi le braccia al collo.

 

Ruffiano. 

Ovviamente Joseph non vuole essere da meno del fratello e fa altrettanto, continuando a dirmi che ero bellissima a quell’evento.

 

“Lo credo anche io.”- si intromette Ian. -“Era bellissima, la più bella di tutta la sala. Tutti gli occhi erano puntati su di lei.”

 

Le mie guance si colorano un po’ al ricordo di quella serata. Quel vestito non mi stava male, ma non sembravo neppure una dea scesa in terra, come mi acclama Ian. 

 

“Davvero?”- domanda Stefan sollevando la testa e guardando suo padre.

“Davvero. Ogni persona si girava a guardarla.”- continua Ian annuendo in direzione di nostro figlio.

“E tu non eri geloso, papà?”- domanda Joseph.

 

Ridacchio divertita alla domanda di nostro figlio. Ian, quella sera, non mi staccava gli occhi di dosso e mi ha sempre tenuta al suo fianco, tranne per qualche foto. Chi osava guardarmi, che non fossero i fotografi, veniva fulminato dal suo sguardo geloso.

 

“Oh, si che lo era.”- continuo ridacchiando. -“Non mi lasciava mai da sola. Vi sembra giusto?”

“Certo che si, mamma. Papà ha fatto bene.”- mi dice Joseph incrociando le braccia al petto.

 

Ecco, questo l’hanno imparato dal padre. Fin da piccoli sono sempre stati gelosi e difficilmente lasciavano che qualcuno si avvicinasse a me. Con il passare del tempo, crescendo, volevano proteggermi da qualsiasi cosa. E’ un po’ ironico da dire, visto che dovrei essere io quella a proteggerli, ma hanno sempre avuto un rapporto ostile verso il genere maschile, perché avevano paura che qualcuno potesse ferirmi. 

O comunque gelosia da bambino, tipico nei confronti della madre.

 

“E perché mai?”- domando divertita, mentre Ian appoggia il mento sulla mia spalla.

 

Una sua mano si appoggia sulla mia schiena e va sotto la mia canottiera a toccare la pelle nuda. Di tanto in tanto sento qualche brivido e lo sento sorridere sulla mia spalla.

 

“Perché doveva proteggerti. Eri la sua fidanzata e nessuno doveva farti del male.”- mi dice Stefan.

“Nessuno mi avrebbe fatto niente.”- preciso leggermente esasperata.

“Però papà doveva proteggerti ed ha fatto bene.”- continua Joseph.

“Certo, certo…”- borbotto.

 

E’ inutile parlare su queste cose, avranno sempre ragione loro tre.

Con la nostra famiglia al completo sono l’unica donna di casa, ho perfino un cane maschio e anche un gatto, Klaus. Sicuramente, quando vivremo insieme, verrà anche lui con noi. L’unica nota positiva è la vecchia Nietzsche.

Ora che ci penso questo è un discorso serio, il vivere insieme. Non tutta la faccenda in se, ma il dove. Non ho comprato casa da molto e mi dispiacerebbe venderla o lasciarla lì. D’altra parte c’è l’appartamento di Ian, ma non sono molto propensa ad andare a vivere lì. Sicuramente lui ci tiene, ma io… Io no. Quella è la sua casa da sposato ed è la casa che ha condiviso con un’altra per tantissimo tempo. E’ vero che a casa mia è venuto qualche volto Eric, ma non è mai successo nulla tra di noi, a differenza di Ian e Nikki. 

 

“A cosa stai pensando?”- mi sussurra Ian all’orecchio.

“E’ una cosa importante.”- gli dico voltandomi verso di lui per dargli un delicato bacio sulle labbra. -“Ne parliamo dopo, okay?”

“E’ grave?”- sussurra lui.

“No, ma dobbiamo parlarne con calma.”- gli dico accarezzandogli la fronte, poi gli passo una mano sul mento. -“E devi farti la barba, punge.”

 

Ian si passa una mano sul mento e ride, mentre i bambini si alzano in piedi.

 

Punge?”- mi domanda.

“Parecchio.”- ridacchio alzandomi. Ian fa lo stesso e mi cinge la vita con le braccia. -“E tagliarti un po’ i capelli.”

“Credevo ti piacessi capellone.”- mi dice lui.

“Mi piaci sempre, ma non ti voglio nemmeno come un barbone.”- gli rispondo.

“Va bene, va bene, quando torniamo provvedo.”- mi dice dandomi un bacio sulla fronte.

“Mamma? Papà?”- ci chiamano i bambini.

 

Io e Ian ci voltiamo verso di loro e li guardiamo in attesa che ci dicano cosa vogliano.

 

“Possiamo andare ora?”- ci domanda Stefan.

“O starete tutto il giorno a baciarvi?”- domanda ancora Joseph facendoci ridacchiare un po’ imbarazzati.

“Va bene che vi baciate, ma… Siete peggio delle coppie dei telefilm che guarda la mamma.”- borbotta Stefan quasi sconsolato.

“Andiamo, andiamo.”- dice Ian ridendo.

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Buona sera a tutte :)

Capitolo di passaggio, ma comunque importante perché Ian e Nina, finalmente, spiegano la situazione ai bambini, per quanto sia possibile spiegarla a dei bambini di sette anni. Loro non ci mettono cattiveria, cosa che, effettivamente, c’è. Non che vogliano ucciderli, ma comunque il mondo dello spettacolo sa essere cattivo molte volte.

I bambini, comunque, hanno finalmente capito la situazione e cosa comporta essere famosi ed essere, soprattutto, figli di genitori famosi. Niente traumi, continueranno a comportarsi come prima.

Ringrazio la tre persone che hanno recensito lo scorso capitolo e che ormai mi seguono da una vita e dedico il capitolo a MGleek_98 che aspetta questo capitolo con ansia :)

Alla prossima ^^

 

PS: Ho aperto un nuovo account su WattPad, Giulis_Delena_, e per chi volesse passarci mi farebbe piacere. Nessuna storia pubblicata, ma, chissà, potrei farci un pensierino ^^

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Capitolo 38
*** Home is where you are. ***


                            Home is where you are.


 

Pov Ian.

I bambini stanno dormendo. Sono crollati sui sedili posteriori non appena li abbiamo messi in macchina. E’ stata una giornata parecchio stancante per tutti e quattro, ma i gemelli si sono divertiti tantissimo. Sono rimasti entusiasti da tutto quello che hanno visto, in maniera particolare dagli alligatori e dai coccodrilli. Hanno fatto tantissime foto e si sono fatti promettere, cosa che avevamo già promesso, di stamparle tutte il prima possibile e di creare un album. 

 

“Ian?”- mi chiama Nina, con voce leggermente assonnata.

 

Ero convinto stesse dormendo. E’ esausta anche lei, ovviamente. Questa notte non ha dormito praticamente niente perché si stava logorando su tutto quello che è successo ieri sera, riguardo la nostra storia e quella dei bambini in TV. Oggi abbiamo camminato tutto il giorno e, sebbene ci siamo fermati parecchie volte per lei, le gambe faticano ancora a sorreggere per troppo tempo il corpo. Ho continuato a ripeterglielo, ma lei ha continuato a fare l’ottusa, ma posso vedere com’è stanca.

 

“Cosa c’è?”- le domando dolcemente.

“Partiamo dopodomani, giusto?”- mi domanda sistemandosi meglio sul sedile.

“Si, esatto.”- annuisco continuando a tenere lo sguardo sulla strada.

 

Non voglio ci capiti nulla ed è più per tranquillizzare Nina. E’ ancora spaventata dalla macchina, infatti guido io. Non che sia il caso di farla rimettere al volante ora, visto che non si è ancora ripresa completamente del tutto, ma non se la sente e io, come gli altri, non voglio obbligarla. Se non se la sente non lo farà.

 

“Cosa accadrà dopo?”- mi domanda.

 

Questa domanda mi lascia spiazzato. In che senso dopo? E’ logico che rimarremmo insieme, mi sembra di averlo già confermato tantissime volte.

Che cosa c’è che non va?

 

“Dopo? Non accadrà nulla. Siamo insieme, che cosa dovrebbe accadere?”- le domando leggermente turbato.

 

Nina scuote la testa e sospira. 

 

“Questo lo so, nel senso… Come staremo? Dove?”- domanda.

 

Tiro un sospiro di sollievo e un sorriso affiora sulle mie labbra. 

Penso sempre al peggio. Forse perché il peggio è già capitato ed ho paura che tutto questo possa finire da un momento all’altro. E’ tutto troppo bello per essere vero, ma so anche che non mi devo più preoccupare perché con loro, Nina e i miei figli, al mio fianco non ho paura di nulla.

 

“A te dove piacerebbe stare?”- le domando accarezzandole una gamba, mentre tengo l’altra mano sul volante.

 

Abbiamo sostanzialmente tre opzioni. Casa sua, casa mia e una casa nuova. Nina ha comprato la sua casa nemmeno un anno fa e i bambini hanno trascorso questo ultimo anno lì, quindi sarebbe brutto cambiare casa di nuovo, quando si sono appena abituati. Casa mia è casa mia, ormai sono abituato a vivere lì e anche i bambini si sono ambientanti parecchio bene, è grande, spaziosa e adatta alla nostra nuova vita. Una casa nuova sarebbe un’incognita per tutti e quattro, ma potrebbe essere l’ideale per gettare le basi del nostro futuro insieme.

Tre opzioni e un problema, che credo di aver afferrato. Conosco Nina, so quello che sta pensando. Casa mia non è solo mia, ma anche di Nikki. Anche lei comanda di una parte, ma non è quello il problema. So perfettamente che Nina non la sentirà mai come casa nostra, perché ci ho trascorso anni con un’altra donna, una donna che non è lei.

 

“Casa mia è un problema, vero?”- le domando dolcemente, senza nessuna accusa.

 

Non voglio muovere accuse perché ha perfettamente ragione. Anche io non sopporterei di condividere una casa in cui lei abbia vissuto con qualcun altro. Certo, per un periodo c’è stato Eric, ma ha trascorso qualche ora lì, non è successo niente. E comunque non hanno vissuto insieme, cosa che io e Nikki abbiamo fatto. Posso capire il suo disagio, mi sentirei anch’io così al posto suo.

 

“Non è un problema, è solo-”

“E’ solo che ci ho vissuto anche con Nikki. Non devi scusarti, l’ho capito e mi sentirei anche io così al tuo posto. A disagio. So che non la sentiresti mai come casa nostra e io non voglio questo. Voglio darti un posto sicuro, che tu possa chiamare casa senza nessun problema. Ogni tua decisione mi andrà bene, perché ti amo e voglio stare con te.”- le dico accarezzandole la gamba.

 

Nina appoggia la sua mano sulla mia e ne accarezza dolcemente il dorso. Con la coda dell’occhio la vedo sorridere. E’ giusto che ci confrontiamo anche su questo perché in un buon rapporto, se si vuole che sia stabile, è bene parlarsi e chiarire.

 

“Anche io ti amo e casa è dove siete voi…”- mormora dolcemente guardando i gemelli dietro di noi. -“Non mi importa dove stiamo, l’importante è che ci siate voi tre.”

“Lo stesso vale per me, ma capisco che dobbiamo decidere dove stare. E’ giusto, dobbiamo trovare un posto.”- le dico. -“Le uniche due alternative sono casa tua e una nuova casa.”

“Escludi il tuo appartamento, quindi?”- mi domanda con voce lieve.

“Te l’ho già spiegato, l’ho escluso a prescindere. Rievocherebbe brutti ricordi a te e anche a me…”- mormoro sospirando.

 

Anche io mi sentirei fuori posto. Penserei continuamente agli anni che ho trascorso con la mia futura ex moglie e di come avrei potuto vivere diversamente, di come mi sia fatto prendere in giro soprattutto nell’ultimo periodo. Se Nina non la sentirà mai casa, io non la sentirò mai più. Abbiamo bisogno entrambi di un nuovo inizio e potrei averlo lontano da lì, in modo da cancellare tutto quello che è successo.

Casa sua mi sembra una valida alternativa, l’ho sempre adorata, oppure una nuova. Comprare un’altra casa, però, non la vedo come l’alternativa migliore. Non che ci manchino i soldi, perché sia io che Nina siamo messi bene economicamente -davvero bene-, ma lo vedrei come uno spreco. Potrei acquistarne da Nina metà, almeno potrò dire di aver contribuito anche io.

 

“A cosa stai pensando?”- mi domanda ridacchiando leggermente. -“Ti vedo concentrato.”

“Stavo pensando alle altre due alternative.”- le dico svoltando a destra. -“Potrei comprare metà della tua casa.”

“Metà della mia casa?”- mi domanda sconcertata. 

“Ho valutato le due alternative: casa tua o casa nuova. La casa nuova è uno spreco di soldi, visto che ne hai già acquistata una meno di un anno fa. L’unica alternativa è quella. Voglio contribuire.”- le dico.

“Ian,”- mi riprende esasperata. -“casa mia diventerà casa tua automaticamente.”

“Lo so, ma è giusto che faccia la mia parte.”- le ricordo fermandomi al semaforo rosso.

 

Mi volto a guardarla e lei scuote la testa con convinzione.

 

“E’ casa mia com’è casa tua.”- sottolinea lei incrociando le braccia al petto.

“Ma è giusto che ti dia anche la mia parte.”- le dico accarezzandole la fronte.

“Sai perfettamente che le cose mie diventeranno anche cose tue.”- mi dice lei.

“E lo stesso vale anche per me.”- le dico io. -“E i soldi miei diventeranno anche tuoi.”

“Ecco, appunto. Vale anche per me, quindi non ha senso che tu mi dia qualcosa, visto che il tuo denaro diventerà mio e viceversa.”- mi dice lei.

“Non voglio sentirmi abusivo.”- le dico con un’alzata di spalle.

“Hai preso una botta in testa?”- mi domanda passandosi una mano sui capelli esasperata. -“E quando mi sono trasferita da te anni fa?”

 

Touche. Ma per me non è mai stato un peso e gliel’ho proposto io.

 

“Non è mai stato un peso per me e te l’ho proposto io.”- le dico facendo partire la macchina.

“Non è un peso neppure per me e… Ho tirato fuori io il discorso ed era ovvia casa mia.”- mi dice lei sorridendo beffarda.

 

Doppio touche. Triplo touche.

 

“Credo di aver fatto centro.”- ride lei, mentre io scuoto la testa.

“Dico sul serio…”- mormoro.

“Anche io, Ian, davvero. Il mio pensiero era dove, perché ero convinta tu ci tenessi al tuo appartamento o che comunque ti avrebbe fatto piacere andar lì e nient’altro. Adoro il fatto che tu voglia venire da noi e come la consideri anche casa tua, tutto il resto non conta.”

 

 


























 

                                                                          * * *

 
































 

Nina mi guarda e annuisce. Guardo per l’ultimo istante il cellulare e premo invio ed entrambi tiriamo un sospiro di sollievo. Ieri sera, dopo aver varcato la soglia di casa nostra e aver sistemato i gemelli a letto, siamo crollati anche noi ancora vestiti. Questa mattina abbiamo fatto colazione tutti e quattro allegramente, siamo andati in spiaggia, per la gioia dei gemelli, e nel pomeriggio, visto il brutto tempo, siamo rimasti a casa per sistemare le ultime cose, visto la nostra partenza imminente. Partiremo domani sera, sperando di non trovare nessuno.

 

“Cosa ne pensi?”- le domando.

“Abbiamo fatto la cosa giusta, altrimenti sarebbe accaduto di peggio.”- mi dice accarezzandomi un braccio.

 

Siamo in cucina e i bambini sono nel divano a guardare dei cartoni. Abbiamo appena fatto quello che avremmo dovuto fare da tempo. Ho scritto un post su Facebook, che poi copierò in Instagram e Twitter, su quello che è successo l’altra sera, su quello che ci è successo.

Ora potranno speculare su quello che vogliono, ma la nostra parola vale di più. Sicuramente faremo un’intervista o qualcuno ci porrà delle domande a qualche evento, ma almeno anche noi abbiamo detto la nostra su tutta questa situazione.

 

“Hai ragione, è stato giusto così. E’ giusto che sappiano che stiamo insieme, che ci amiamo e che lascino stare i bambini. Il resto lo sappiamo solo noi.”- le dico.

 

Le prendo il volto con le mani e la bacio. Per qualche istante mi dimentico di tutto e tutti, mi capita sempre quando sono con lei. Nina mi fa perdere la testa, ovviamente in senso positivo. Se non ci fossero i gemelli molto probabilmente a quest’ora staremmo già facendo l’amore, magari proprio su questo tavolo, ma ora non mi sembra il caso. Mi manca poterla toccare spesso, ma con i bambini tutto diventa più complicato. Tra un po’ organizzerò qualcosa per noi due, ne abbiano bisogno.

 

“Ed è giusto così.”- mormora sulle mie labbra. Una mia mano si infila sotto la sua maglietta, andando a toccare la sua schiena nuda. La sento tremare contro di me e sorrido soddisfatto, ma un istante dopo Nina mi morde il labbro con forza. -“Smettila, ci sono i bambini.”

“E allora?”- le domando strofinando il mio naso sul suo collo.

“Non tentarmi, Ian.”- me lo ordina quasi.

“Una volta avevi più autocontrollo…”- mormoro.

“Certo, certo.”- borbotta scuotendo la testa, poi afferra il mio cellulare e me lo mette tra le mani. -“Dovresti terminare quello che abbiamo iniziato.”

 

Sospiro frustrato, poi annuisco. Rileggo ancora una volta quello che abbiamo scritto di comune accordo. L’ho pubblicato io, poi lo pubblicherà anche Nina, ovviamente cambiando qualcosa.

 

 

Sono sempre stato un amante dei social, anche se nell’ultimo periodo mi sono completamente allontanato da questo mondo. Li ho sempre trovati utili per diffondere pensieri, idee, paure e gioie. Quello che sto per condividere con voi è importante per me e per la mia famiglia. Si tratta di gioia e paura. Gioia nel vero senso della parola, perché ho finalmente capito, dopo anni, qual è il mio posto nel mondo e  con chi, paura in senso lato, perché non oso immaginare che cosa sia venuto fuori in questi ultimi giorni.  Non sono mai stato amante dei gossip o di quello che accade nella vita di ognuno, nemmeno nella mia, ma, purtroppo, sono costretto ad intervenire. Tutto quello che i giornali stanno dicendo è falso, c’è solo una verità. Si, ho due figli con Nina Dobrev. Questa è la verità, tutto il resto è bugia. Si, Ian Somerhalder e Nina Dobrev hanno avuto due figli sette anni fa. Tutto quello che hanno detto i giornali, a parte questo, è cosa falsa. Si, io e Nina stiamo insieme perché ci amiamo, senza mezze misure o per fare pubblicità. Forse i nostri figli sono arrivati in un periodo rocambolesco della nostra vita, ma non hanno fatto altro che unirci ancora di più. Abbiamo intrapreso strade diverse, ma alla fine, dopo anni, abbiamo capito che era inutile combattere contro il nostro amore, perché l’amore vince sempre. Può sembrare una frase fatta oppure no, ma è quello che sento, quello che provo per Nina e per i nostri figli. Nessuno ha saputo nulla perché abbiamo tentato di proteggerli e ci saremmo riusciti se qualcuno non avesse voluto attirare l’attenzione su di se utilizzando due bambini. Tutto quello che leggerete e sentirete diverso da quello che ho appena scritto è una bugia. Siamo felici ora, siamo felici come una famiglia, il resto non conta.

Con amore,

Ian.

 

 

 

 

 

Dopo averlo pubblicato anche su Instagram e Twitter scoppia il putiferio, come era già accaduto su Facebook. Commenti positivi, commenti negativi, commenti adoranti, c’è chi si chiede come sia possibile il fatto di aver tenuto nascosti due bambini per sette anni e una gravidanza, chi si chiede come si chiamano e come sono, se assomigliano più a me o a Nina, chi ci fa i complimenti e chi getta fango. I commenti positivi e adoranti sono molti di più, ma ahimè, come giusto che sia, ci sono anche quelli negativi, ma impareremo a conviverci. 

 

Sono felice.”- mormora contro il mio petto.

 

La stringo e me e le do un bacio sulla fronte.

 

“Anche io.”- le dico sorridendo. -“Prima mi ha chiamato Paul.”

“Mi ha chiamato Candice e poi Phoebe. Mi hanno chiesto quando torniamo.”- mi dice lei.

“Stessa cosa lui.”- le dico.

“Mi mancherà tutto questo, anche se mi mancano tutti gli altri.”- mi dice.

“Anche a me, davvero. Potremmo ritornare qui, quando vuoi. Con i bambini o da soli.”- le dico piano.

“Stai tentando nuovamente di sedurmi?”- mi dice lei ridacchiando.

“Potrei. Ci aspetta un letto invitante di sopra, non appena si saranno addormentati i bambini.”- ammicco io baciandole piano il collo.

“Pensi sempre a questo.”- mi rimbecca lei, ma posso vedere la lussuria sui suoi occhi.

“Sono un uomo e tu sei la mia donna.”- le rispondo io con un’alzata di spalle.

 

Nina mi fissa per qualche istante, poi sorride mordendosi il labbro inferiore.

 

 

“Ti ho convinta?”- le domando.

“Mi piace come mi hai chiamata.”- mi dice lei.

 

La mia donna? 

E’ ovvio che lo sia. Amo lei, nessun’altra.

 

La mia donna?”- domando e annuisce leggermente. -“Sarai sempre la mia donna, ricordalo.”

 

 

 

 

 

______________________
 

I know. E’ da quasi due settimane che non aggiorno, ma sono dovuta partire e ovviamente non ho potuto aggiornare prima di oggi. 

Capitolo, ancora una volta, dedicato alla famiglia e in maniera particolare a Ian e Nina. Ian e Nina che affrontano due questioni veramente importanti. La prima, senza ombra di dubbio, è quella legata alla casa, il posto in cui dovranno stare. Penso che la questione sia stata spiegata bene attraverso i nostri protagonisti e di come siano arrivati alla conclusione che la casa di Nina è il luogo più consono per vivere la loro vita da famiglia. 

L’altro problema è legato al capitolo precedente. Non potevano, per ora, affrontarlo in nessun altro modo. L’unica via erano i social network, cosa che hanno fatto. Sappiamo che Ian è molto attivo sui social, che a noi piaccia o meno, e ho pensato di inserirlo anche qui per ribadirlo e perché, ripeto, l’ho trovata l’unica via alternativa per dove sono e per le loro idee.

Ringrazio le quattro persone che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima :)

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Capitolo 39
*** Finally at home. ***


                                       Finally at home.

 

 

Pov Ian.

“Ci torneremo ancora qui, vero?”- mi domanda Joseph non appena finisco di allacciargli la cintura.

“Certo, quando volete.”- gli rispondo dandogli un bacio sulla fronte. -“Ma è ora di tornare a casa, ci sono delle persone che ci aspettano anche lì.”

“Siamo stati bene qui.”- continua Stefan. -“E’ proprio un bel posto.”

“Possiamo venirci ancora prima di iniziare la scuola.”- propongo, per poi dare un bacio anche a lui.

“Sarebbe fantastico!”- esclamano entrambi felici.

 

Chiudo la porta dei passeggeri ed entro nella mia parte, accanto a Nina.

 

“Non abbiamo dimenticato nulla, vero?”- le domando.

“Abbiamo controllato dappertutto e non c’era niente. Quindi no.”- mi dice lei sorridendo. -“O almeno lo spero. Bear c’è, Rudolph c’è e ci sono anche Fred e George.”

 

Fred e George? Chi diavolo sono Fred e George?

 

“Chi sono Fred e George?”- domando curioso e leggermente confuso mentre faccio partire la macchina. -“Mi ricordano qualcosa…”

“Come chi sono Fred e George, papà?”- mi domanda Stefan sbigottito come se fosse la cosa più facile del mondo sapere chi siano Fred e George.

 

Hanno tantissimi pupazzi, qualcuno può anche sfuggirmi.

 

“Sono i nostri procioni.”- ribatte Joseph e posso vedere, dallo specchietto, come incrocia le braccia al petto.

“Avete dei pupazzi procioni? Non erano lemuri?”- domando io.

“Assomigliano più ad un incrocio tra una scimmia ed un lemure… Ma… Lasciali convinti che siano dei procioni…”- mi sussurra Nina.

 

Le annuisco complice.

 

“Comunque quei due nomi mi sono familiari, li ho già sentiti da qualche parte… Non ricordo dove…”- mormoro io.

 

Nina, Stefan e Joseph si zittiscono per qualche istante e mi guardano come se fossi pazzo.

Che cosa ho detto di male? Li ho già sentiti, ma non mi ricordo dove e chi siano.

 

“Papà, ma sono i gemelli di Harry Potter!”- esclama Stefan sconsolato.

“Fred e George Weasley!”- continua Joseph.

“Così mi deludi…”- mormora Nina scuotendo la testa.

 

Dio, Harry Potter. Oltre al cibo, la più grande passione di Nina è Harry Potter, praticamente da sempre.

Sebbene lavori con il soprannaturale, non mi ha mai attratto. Una volta, quando ancora stavamo insieme tempo fa, l’ho detto a Nina e lei, quando è stata ammalata per quasi una settimana, ha approfittato del fatto che volessi fare qualsiasi cosa per farla stare meglio e così mi ha obbligato a fare una maratona di Harry Potter. In una settimana li abbiamo visti tutti per due volte e voleva farmi leggere anche i libri, ma l’ho fermata appena in tempo.

Ora comincio a ricordare però.

 

“Si, okay… Sto ricordando… Weasley… La famiglia di Ron, no?”- domando.

“Esatto! Bravo papà!”- si complimenta Joseph.

“Qualcosa ancora mi ricordo…”- mormoro e di sfuggita guardo Nina che mi sta guardando sconsolata. Mi rivolgo a lei con tono di scuse, tenendo sempre gli occhi fissi sulla strada. -“Sono passati anni, Neens.”

“Me lo ricordo, si. Non ho mai capito come faccia a non piacerti Harry Potter.”- mi dice lei scuotendo la testa, ma posso vedere comunque il suo sorriso divertito.

“Questione di gusti.”- le rispondo io.

“Non hai mai visto Harry Potter, papà?”- mi domanda Stefan.

“Ho visto tutti i film per ben due volte, colpa di vostra madre e delle sue fissazioni.”- gli spiego.

“Mamma te l’ha fatto vedere?”- domanda Joseph.

“Era ammalata e, sfruttando il mio animo nobile, mi ha obbligato a fare una maratona di Harry Potter.”- concludo io, mentre Nina, al mio fianco, scoppia a ridere.

“Ammettilo che infondo ti è piaciuto…”- mi punzecchia lei.

 

Roteo gli occhi al cielo mentre i bambini, nei sedili posteriori con un apposito seggiolino, ridacchiano divertiti. 

Continuiamo il resto del viaggio bisticciando su Harry Potter e arriviamo in fretta all’aeroporto. Così come abbiamo fatto all’andata, anche al ritorno useremo un aereo privato. Dei bodyguard ci stanno aspettando ad Atlanta. Visto il diffondersi della notizia non vorrei che accadesse qualcosa dall’aereo alla macchina. 

Arriviamo per il parcheggio secondario dell’aeroporto e, dopo aver mostrato la mia carta d’intensità ed un supervisore, guido fino alla pista dell’atterraggio, dove ci sono alcune persone ad aspettarci, come hanno fatto per l’andata.

Prima di far scendere i bambini dalla macchina do loro alcune indicazioni.

 

“Adesso scenderemo tutti insieme, poi voi e la mamma andrete subito su quell’aereo, va bene?”- spiego loro indicando l’aereo privato. 

 

I bambini annuiscono seri.

 

“E’ tuo, papà?”- mi domanda Stefan.

“No, tesoro, l’ho solo affittato, ma per oggi sarà nostro.”- gli rispondo.

 

Scendo dalla macchina e, prima che Nina possa fare qualcosa, l’aiuto a scendere, poi apro la porta per i bambini e li libero finalmente dalle cinture. I bambini, su mio consiglio, prendono subito la mano di Nina, uno a ciascuno, e la seguono nell’aereo, mentre io mi occupo di dare le ultime istruzioni agli altri uomini. Alla fine li seguo anche io, lasciando che loro si occupino delle valigie. Non appena entro nell’aereo li trovo tutti e tre seduti che mi stanno aspettando. Hanno occupato tre posti, il mio è il quarto. Mi siedo accanto a Nina e i bambini ci sono davanti e sono veramente molto eccitati. Hanno viaggiato due volte su un aereo, una volta con Nina e una volta con Robyn, non abbiamo mai viaggiato tutti e quattro insieme, soprattutto loro non hanno mai viaggiato su un aereo privato. 

 

“E’ fantastico! Un aereo tutto per noi!”- esclama Joseph continuando ad osservarsi attorno. 

“Sono contento che ne siate felici.”- ridacchio io e Nina mi da un bacio sulla guancia. 

 

Il pilota ci saluta e, dopo averci chiesto se siamo pronti per partire, se ne ritorna ai comandi. Qualche minuto dopo l’aereo parte in direzione Atlanta.

 

“Papà, quanto ci metteremo per tornare ad Atlanta?”- mi domanda Joseph.

“Circa due ore. Passeranno veloci, vedrete.”- dico loro.

“Possiamo accendere la televisione? A quest’ora c’è il nostro cartone preferito!”- domanda Stefan.

 

Nina ridacchia divertita, mentre io annuisco. La televisione si trova più avanti, quindi faccio sistemare i bambini nei sedili di fronte alla televisione e allaccio loro le cinture, in modo che non possa accadere loro nulla di male.

 

“Se avete fame, sete o bisogno di qualcosa venite a chiedere a noi, va bene?”- chiedo loro.

 

Entrambi annuiscono, poi la loro attenzione viene catturata dai cartoni, così io ritorno da Nina. Mi siedo di nuovo accanto a lei e lei, non appena mi sistemo, appoggia la testa sulla mia spalla.

 

“Va tutto bene?”- le domando dolcemente posandole un bacio sui capelli.

“Credi che ci sia qualcuno ad Atlanta? Qualche paparazzo?”- domanda.

“Spero di no.”- sospiro passandomi una mano tra i capelli. -“Nessuno sa dove siamo e… Se dovessero esserci troveremo una soluzione. Ormai tutti sanno tutto. Faremo in modo di esporre il meno possibile i bambini.”

“Mi sembra la scelta migliore.”- mi risponde.

“Sono contento che l’abbiano saputo.”- le dico.

Chi?”- mi domanda Nina.

“I giornalisti, tutti…”- mormoro inclinando la testa in modo da toccare la sua con la mia. -“Mi sembra di essermi tolto un peso.”

“Per quanto odi tutto questo… Anche io mi sento più leggera.”- sospira lei accarezzandomi il braccio.

“Non dobbiamo più nascondere nulla. Tutto il mondo sa di noi, dei bambini… Del nostro amore… E’ tutto perfetto nella sua imperfezione.”- mormoro io.

 

Nina si stacca leggermente da me e mi guarda negli occhi.

 

“Faranno domande. Molte domande. Ogni tipo di domande.”- mi dice.

 

Ha ragione. So che faranno molte domande, ogni tipo di domanda. Del tipo con che coraggio l’abbia messa incinta per poi andarmene. Se io, a tempo debito, abbia saputo dei bambini. Se il mio matrimonio con Nikki sia stata solo una copertura.

Vorrei dire la verità, ma ci rimetteremo entrambi. Primo perché apriremo ferite che abbiamo fatto fatica a chiudere e secondo perché creeremo solo ulteriore scandalo.

Nikki ha mentito, lo faremo anche noi.

 

“Che cosa vuoi fare?”- le domando. -“Io la mia decisione l’ho presa.”

“Riguardo alle domande che sicuramente faranno?”- mi domanda lei.

“Esatto. Odio mentire, sai quanto odio farlo, ma… Dicendo la verità creeremo solo ulteriore scandalo e… Riapriremo ferite che abbiamo fatto fatica a chiudere. Mi pento di tutto quello che ti ho fatto, che vi ho fatto.”- le spiego.

“Anche io mi pento di tutto quello che ti ho fatto.”- mi dice Nina sospirando e guarda per qualche istante i bambini. -“Che vi ho fatto.”

 

Rimane per qualche istante in silenzio, poi riprende a parlare.

 

“Intendi dire che dobbiamo… Mentire?”- mi domanda.

 

Annuisco solamente. La vedo l’indecisione sui suoi occhi, ma alla fine annuisce. Sa anche lei che è la scelta migliore, lo è per noi e lo è per tutti. Non mi preoccupo per me, ma per Nina e i miei figli. Anche lei ha una parte della colpa -ormai per me è tutta acqua passata comunque-, ma quello che è scappato sono io. Non lo faccio per la mia immagine, ma per come potrebbero accusare Nina di essere una infame, visto che sono scappato lasciandola da sola. Infame nel senso che il suo unico scopo sia stato mettere i bastoni tra le ruote a Nikki. Il mondo dello spettacolo è cattivo e lei non merita questo, non lo merita e basta.

 































 

 

                                                                                    * * *


































 

 

“Signori Somerhalder, abbiamo un problema.”- mi avverte un bodyguard.

 

Nina mi guarda per qualche istante spaesata. Signori Somerhalder. Ci sta benissimo. Le rivolgo uno sguardo dolce e le poso una mano all’altezza della schiena.

Lei non è ancora la signora Somerhalder, ma, presto o tardi, ho intenzione di fare il mio passo in avanti. Sono tecnicamente ancora sposato, anche se ho già predisposto le carte per il divorzio, e poi, una volta libero, ci penseremo. Non voglio comunque forzare la mano, so quanto spaventata sia Nina dal matrimonio. Anni fa ha rifiutato una mia proposta e non reggerei un secondo rifiuto, ma capisco anche la sua indecisione e di come, quella volta, abbia rifiutato vista la sua giovane età. Non è una cosa che mi preme, io amo Nina. La amo come non ho mai amato nessun altra e non serve uno stupido anello per confermarlo.

 

“Che tipo di problema?”- domando io.

 

Joseph e Stefan escono dall’aereo con altri due bodyguard. Hanno fatto amicizia pure con loro durante il viaggio. 

Tipico dei miei figli.

 

“Ci sono dei giornalisti in aeroporto e dei giornalisti nell’entrata principale. Oh… Anche in quella secondaria.”- mi spiega cercando di mantenere il tono della voce fermo.

 

Sbuffo frustrato, mentre Nina scuote leggermente la testa.

Come diavolo hanno saputo del nostro arrivo?

 

“Come hanno fatto a sapere del nostro arrivo?”- domando allora.

“E’ da giorni che si vociferava di un vostro ritorno e… Hanno scoperto che sarebbe arrivato un aereo privato. Hanno fatto due conti e… Hanno capito che l’aereo che stava per arrivare è lo stesso che vi ha portati a Miami. E’ tutto segnato nei computer e qualcuno deve esserci entrato per forza.”

“Neanche fossimo il presidente e sua moglie.”- borbotto nervosamente.

 

Nina mi tira la maglietta e mi guarda seria.

 

“Ian. Mi stai facendo innervosire e, di questo passo, anche Joseph e Stefan cominceranno a farlo. Devono rimanere tranquilli, okay? Così come dobbiamo esserlo noi.”- mi dice accarezzandomi la guancia.

 

Al suo tocco i miei muscoli si rilassano e chiudo leggermente gli occhi beandomi del suo tocco. Ha ragione, non voglio che i bambini si spaventino.

 

“Okay. Jo, Stef, venite un attimo qui.”- richiamo i miei figli. I bambini ci si avvicinano tutti sorridenti. Mi abbasso alla loro altezza, tenendo comunque stretta la mano di Nina. -“Abbiamo un piccolo… Problemino…”

“Che tipo di problema?”- domandano in coro osservandoci entrambi.

“Ci sono dei… Delle persone interessate a fare delle foto di noi, soprattutto di voi. Vi ricordate il discorso dell’altra volta?”- domanda loro Nina.

 

I bambini annuiscono.

 

“Ma non dovete avere paura, non vi accadrà niente. Finché ci siamo io e la mamma non vi accadrà nulla, okay?”- continuo io.

 

I bambini annuiscono seri, ma non c’è nessuna traccia di paura.

Infondo non bisogna averne, non stiamo mica per morire, ma bisogna stare comunque attenti. 

 

“Non dovete avere paura. Solo starci vicino.”- li rassicura Nina dando una carezza ad entrambi.

 

Alcuni addetti prendono le valigie, mentre due bodyguard si mettono al nostro fianco.

Joseph afferra la mano di Nina, Stefan la mia. Hanno già capito cosa abbiamo intenzione di fare. Un bodyguard ci si mette dietro, uno davanti e uno per lato.

 

“Rimanete vicino a me e a papà, d’accordo?”- spiega Nina e i bambini annuiscono. -“Se vi chiedono qualcosa non dite nulla…”

“E, soprattutto, non staccatevi mai da me o dalla mamma. Non fermatevi a parlare con loro, tenete lo sguardo fisso per terra come me e la mamma.”- continuo io dolcemente. Non voglio che si spaventino. Fortunatamente sembrano capire alla grande. -“Adesso andiamo e tra poco saremo a casa.”

“Casa nostra?”- domanda Joseph. -“Verrai a casa nostra, papà?”

“Io e vostra madre ne abbiamo parlato. Abbiamo pensato a lungo dove vivere e… So quanto siate affezionati alla vostra casa e… Mi trasferirò da voi.”- gli rispondo.

“Davvero? Ma è fantastico!”- trilla Stefan felice e anche Joseph sorride euforico. -“Vivremo insieme proprio come nella casa sulla spiaggia.”

“Esattamente!”- esclamo io.

 

Cominciamo a camminare lentamente, senza fretta, altrimenti anche chi non sa nulla si insospettirebbe. Purtroppo, quando arriviamo all’entrata secondaria, sono più del previsto. 

 

“Stefan, Joseph, venite in braccio da papà.”- sussurrai ai miei figli.

“Ian, ne sei sicuro? Posso portarne uno io e-”

“Assolutamente fuori discussione. Non hai ancora ripreso l’uso completo delle gambe e non voglio forzarle proprio ora. Li ho già presi in braccio insieme, ce la posso fare.”- le dico, poi le sorrido e tento di smorzare la tensione. -“Hai sempre detto che sono muscoloso, vuoi rendermi meno virile proprio ora?”

 

Nina mi sorride scuotendo la testa. Cammina, è vero, ma non è ancora in grado di camminare reggendo pesi. Seppur non siano grassi, visto che sono nella norma e stanno perfettamente bene anche di fisico, sono pur sempre dei bambini di sette anni e Nina si sta ancora riprendendo. Per una stupidaggine del genere non la metterò in pericolo e non peggiorerò la situazione.

Riesco a prendere i bambini in braccio senza difficoltà e questi, ricordandosi quello che abbiamo detto loro, appoggiano la testa sul mio petto, nascondendosi dai successivi flash. Nina mi sta accanto.

 

“Andrà tutto bene. Sarà tutto molto veloce.”- mi dice uno dei bodyguard. -“Andremo avanti io e Sebastian, apriremo le porte e vi faremo da scudo.”

 

Io e Nina annuiamo, poi seguiamo i bodyguard. Non appena usciamo fuori veniamo accolti da troppi flash e tantissime urla e voci che ci sovrastano. Non guardo nemmeno, così come fa Nina, e il nostro obiettivo è la macchina che abbiamo affittato, dove dentro ci aspetta già il guidatore. I bambini sono bravissimi, stanno immobili sul mio petto. Non tremano.

 

“State andando alla grande. Siamo quasi arrivati.”- sussurro loro.

 

Non sono assolutamente dei fenomeni da baraccone, sono dei bambini, i nostri figli. Non si deve speculare su di loro.

 

“Ian! Nina!”- urlano.

 

Com’è possibile che abbiate due figli?

Sono bellissimi, non potremo vederli meglio?

Come avete fatto a tenere la gravidanza nascosta?

Quando sono nati?

Quanto sono alti?

E gli occhi? Sono azzurri come quelli del papà?

Sono le domande più frequenti.

 

“Nessuna dichiarazione.”- dico gelido ed entro in macchina, seguito da Nina.

 

Un bodyguard si sistema davanti, mentre gli altri impediscono ai giornalisti di avvicinarsi alla macchina.

I bambini sono sulle mie gambe, con le teste ancora sul mio petto.

 

“Possiamo partire?”- domanda il guidatore.

“Parta pure.”- gli dico.

 

Usciamo dal parcheggio non troppo facilmente, ma alla fine, finalmente, riusciamo a risalire e a sfrecciare via. L’aeroporto ormai diventa sempre più piccolo e ci siamo liberati dai giornalisti, almeno per oggi.

 

“Potete stare tranquilli ora, è tutto finito.”- mormoro dando un bacio ad entrambi.

 

Nina mi sorride e mi bacia piano.

 

“Avete avuto paura?”- domanda ai nostri figli.

“Facevano tantissima confusione…”- borbotta Stefan e Nina gli fa cenno di sedersi sulle sue gambe.

 

Stefan lo fa e si accoccola sul petto della madre, mentre Joseph appoggia la sua schiena sul mio.

 

“E tante domande, veramente tante domande.”- sottolinea Joseph esasperato facendoci scoppiare a ridere.

“L’importante è che non vi siate fatti male. E che non sia successo nulla.”- dice Nina.

 

Sono d’accordo con lei.

 

“Capiterà sicuramente altre volte, ma sapremo affrontarle nel modo giusto.”- dico io.

 

Avvolgo con un braccio Nina e Stefan, mentre con l’altro tengo stretto a me Joseph.

Non vedo l’ora di arrivare a casa.

Casa che posso definire nostra. 

 

 

 

 

_________________________________________

 

Buon inizio di settembre a tutti :)

Purtroppo le vacanze sono quasi finite e tra poco riprenderà la scuola, un vero e proprio incubo, quindi non so quando potrò aggiornare. In definitiva gli aggiornamenti dovrebbero arrivare come l’anno scorso, se non ci sono problemi di qualche tipo.

Capitolo più lungo rispetto ai precedenti perché ho affrontato una tematica abbastanza delicata e che in tanti mi avevate chiesto quando sarebbe saltata fuori… Ian e Nina hanno deciso di fare ritorno a casa perché, per quanto si siano divertiti lontani un po’ da tutti con i gemelli, è giusto che ritornino alla propria vita. Quando arrivano all’aeroporto, però, trovano tantissimi paparazzi ad aspettarli e Ian prende in mano la situazione, salvaguardando così la sua famiglia e anche lui stesso. 

I bambini, sebbene abbiano ricevuto una spiegazione parecchio esaustiva sulla situazione, non sono spaventati, ma comunque eseguono perfettamente qualsiasi cosa Ian abbia detto loro, come giusto che sia. 

Nei prossimi capitoli vedremo come affronteranno la vita ad Atlanta e sono in arrivo parecchie novità!

Ringrazio le tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (justgopika, lilla 98 e ciaramy93) e per le belle parole, le quali mi fanno capire se vale la pena continuare la storia oppure no e spero di ricevere anche qualche altro parere :)

Alla prossima ^^

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Capitolo 40
*** You are my life. ***



                           You are my life.



Qualche giorno dopo.

Pov Nina.

Siamo a casa ormai da qualche giorno. I giornali, ovviamente, dopo il nostro ritorno, sono letteralmente scoppiati e hanno fatto articoli su articoli con varie supposizioni -praticamente tutte errate. A discapito di questo tutto sta andando bene. I miei genitori sono venuti a trovarci e ho subito notato la sintonia di Ian con mio fratello e mia madre, meno con mio padre. Lo guarda ancora in cagnesco e gli rivolge a malapena la parola, ma sono sicura che le cose andranno meglio. Certo, vorrei che si risolvessero subito, ma lo capisco. E’ passato del tempo, ma lui, oltre a mia madre, mi ha aiutato più di tutti e sa quanto abbia sofferto, ma capirà il perché della mia scelta e di come sia felice ora con Ian. La mamma di Ian verrà tra qualche giorno, perché è impegnata ad aiutare Robyn con la pizzeria. Molto probabilmente verrà anche quest’ultima con i bambini. Joseph e Stefan sono molto in sintonia con i loro cugini e forse verrà anche Robert con la moglie. Sarà strano, ma mi ci abituerò. So quando mi voglia bene Edna -anche Robyn e Robert me ne vogliono-, ma sarà comunque strano. 

 

“A che ora è il picnic?”- domanda una voce assonnata alle mie spalle.

 

Mi volto verso Ian e un sorriso dolce mi sorge spontaneo. Ha il lenzuolo che gli arriva poco sotto l’ombelico, il petto nudo premuto contro il materasso e la testa immersa sul cuscino. I capelli sbarazzini ne occupano buona parte. Quando dorme assomiglia ad un bambino. Non per il suo modo di dormire, spesso e volentieri dormo anche io così, ma proprio per le smorfie che fa. E’ anche sempre stata una brutta cosa questa perché, dopo qualche litigata anche per qualche futile motivo, mi bastava osservarlo addormentato e mi passava tutto.

 

“Alle undici.”- gli rispondo accarezzandogli una guancia.

 

Ian mette la sua mano sopra la mia e rimane per qualche istante immobile, come a voler godere del mio tocco.

 

“Abbiamo ancora tempo, comunque. Tra due minuti saranno le otto.”- gli dico sdraiandomi su un fianco.

“I bambini?”- mi domanda lui aprendo finalmente gli occhi.

“A letto. Penso siano ancora stanchi da ieri.”- sospiro io.

 

Ieri siamo rimasti svegli fino a tardi. Ian doveva terminare alcune cose per la ISF, visto che nelle ultime settimane non ha fatto praticamente nulla -è vero che ha degli assistenti, ma il capo, quello che dirige, è comunque lui- e allora abbiamo deciso di aiutarlo. All’inizio i bambini dovevano andare a letto, ma, essendoci in mezzo anche cose riguardanti gli animali, ci hanno pregati di rendersi d’aiuto. Alla fine abbiamo fatto notte inoltrata e i bambini, dopo una certa ora, non hanno più retto e li abbiamo portati a letto. Siamo crollati anche noi, troppo stanchi da tutti gli avvenimenti che stavano accadendo.

 

“E’ un bene…”- mormora maliziosamente al mio orecchio. Con una leggera torsione, tanto veloce da capirla, mi ritrovo senza coperte e sotto di lui. -“Posso coccolarti come non ho fatto ieri.”

 

Allaccio le mie mani dietro il suo collo. 

 

“Mhm… Questa cosa mi”- gli do un bacio sulla punta del naso. -“piace.”

“Piace molto anche a me…”- mormora contro il mio collo. Le sue mani corrono veloci lungo tutto il mio corpo. -“Non c’è nessun rumore, ci siamo solo noi…”

 

Ian mi da un bacio sul collo e poi scende giù, sempre più giù. Una mia mano si perde tra i suoi capelli corvini, che ho sempre adorato -e finalmente li ha tagliati, ora è più o meno quando l’ho rivisto per la prima volta dopo tanto tempo, alla Damon della quinta stagione-, l’altra corre lungo la sua schiena. Sebbene abbia quarantacinque anni ha ancora un fisico statuario, uno di quei fisici che ti mandano in visibilio gli ormoni continuamente. 

 

“Siamo proprio obbligati ad andarci?”- soffia Ian al mio orecchio. -“Potremo mandare i bambini e noi rimanere qui tutto il giorno.”

 

Per quanto la proposta sia allettante -e lo è davvero- non possiamo farlo. Ormai l’abbiamo promesso a Paul ed è giusto che trascorriamo un po’ di tempo anche con gli altri. Saremo noi quattro, Paul, Phoebe e, per la gioia di Stefan, Rachel, Candice, Joe, il piccolo Daniel e le due figlie di Joe. Nel pomeriggio dovrebbe arrivare anche Matt Davis con la sua nuova fidanzata; da quello che racconta è veramente molto innamorato e non solo perché ne parla, ma perché, quando ne parla, gli brillano gli occhi.

 

“Ian… L’hai promesso a Paul…”- lo rimprovero tirandogli una pacca sul braccio mentre lui, in tutta risposta, mi morde un fianco.

“Lo so, ma… La mia proposta sembra molto più allettante…”- mormora lui sfilandomi le mutandine.

 

Sto per ribattere, ma un grido mi muore in gola nell’esatto momento in cui, senza tanti preamboli, entra dentro di me. Ian sorride soddisfatto della mia reazione, mentre io, quasi impotente, non ribatto nemmeno. Mi godo solamente questo momento di pienezza e sensibilità. Al di là di tutto quello che è successo, di tutto quello che ci è capitato, ad un certo punto sono arrivata alla conclusione che siamo fatti per restare insieme. Siamo un po’ degli antipodi e, tralasciando il proverbio gli opposti si attraggono, molte cose mi hanno fatto capire di aver ragione. Ci capiamo al volo e non siamo due donne, uno è sempre pronto ad aiutare l’altro, il destino ci ha uniti di nuovo dopo averci separati, abbiamo due figli meravigliosi, ci amiamo tantissimo e i nostri corpi si adattano perfettamente.

 

Ti amo, lo… Sai?”- esalo.

 

Ian mi bacia dolcemente. Il sesso tra di noi è sempre stato strano. Alterniamo attimi di pura passione ed attimi di pura dolcezza, come adesso. E amo entrambi. La passione tra di noi è sempre stata travolgente, ma forse la dolcezza ancora di più. E’ dolce il modo in cui inizia a spingersi dentro di me mentre le nostre mani scorrono smaniose sul corpo dell’altro. E’ dolce il modo in cui mi ritrovo sopra di lui, incapace di capire se l’abbia fatto io o l’abbia fatto lui. E’ dolce il modo in cui lui si adegua al ritmo che ho scelto per noi ed è dolce il modo in cui continuiamo a baciarci, non smettendo mai di guardarci negli occhi. 

 

Anche io, sempre…”- mormora lui posando le sue mani nei miei fianchi.

 

Ed è dolce il modo in cui, insieme, raggiungiamo l’apice. Crollo quasi su Ian e lui, molto premurosamente, mi adagia sul suo petto e mi stringe a se. Non parliamo entrambi, rimaniamo soltanto ad ascoltare i nostri respiri ansanti. Amo fare l’amore con lui per il modo in cui mi fa sentire, protetta, amata, felice. Non che non lo faccia anche con qualcos’altro, ma succede anche nel nostro momento più intimo.

 

“Mi è mancato questo…”- mormoro mentre il mio petto si alza e si abbassa ancora velocemente.

 

Ian mi da un bacio tra i capelli e mi accarezza un braccio nudo.

 

“Pensavo di essere io quello che pensava a queste cose…”- ridacchia.

 

Alzo la testa dal suo petto e lo guardo leggermente imbronciata. Ho detto una cosa quasi dolce e lui devia tutto.

Ian, in risposta, mi bacia e mi obbliga a riappoggiare la testa sul suo petto. 

 

“Anche a me è mancato, comunque.”- mi dice, riuscendo finalmente a capire che cosa intendessi.

“Sarà sempre così tra noi, non è vero?”- gli domando piano.

“Sempre. Non mi stancherei mai di te. Sei… Sei la mia vita, Nina.”- mormora lui stringendo leggermente di più la presa sul mio corpo.

 

Sorrido intenerita per le sue parole. Non è mai stato troppo romantico, perché non amo molto le romanticherie -quelle esagerate, da diabete-, ma nel suo è sempre stato perfetto.

Abbandono un mio braccio sul suo petto, mentre l’altro lo posiziono dell’atto di abbracciarlo. Abbiamo sofferto, abbiamo litigato, ma non potevo trovare un uomo più perfetto di lui.

Anche lui è la mia vita.

 



































 

 

                                                                      * * *

 

































 

“Quel gatto è un dannato demone!”- sbraito contro Klaus.

 

Si, oltre a Ian, si sono aggiunti anche Klaus e Nietzsche. Il cane di Ian, che ho sempre amato, è buonissimo. Il gatto invece -quello che abbiamo comprato noi e di cui mi pento ogni giorno- è un vero demone. Se non amassi così tanto gli animali e se Ian e i nostri figli non amassero così tanto gli animali, l’avrei già ucciso seduta stante.

 

“Mamma, non l’ha fatto apposta.”- cerca di scusarlo Joseph.

“Non l’ha fatto apposta?”- domando osservando in cagnesco il gatto che, come a voler rimarcare la situazione, fa l’indifferente. Ian e Stefan stanno ridacchiando alle mie spalle. Mi volto verso Ian fulminando anche lui. -“Quel vaso era di mia madre e ci teneva tantissimo.”

“Potremmo… Potremmo comprarne uno uguale, no?”- mi domanda lui inclinando la testa di lato.

“Non ne troveremo mai uno di uguale e se ne accorgerebbe comunque.”- sbuffo. 

 

Faccio per inginocchiarmi e raccogliere i cocci, ma Ian mi precede facendolo al posto mio. Gli rivolgo uno sguardo di gratitudine. Faccio ancora una certa fatica a piegare troppo le gambe e penso che se ne sia accorto. 

 

“Mamma, andiamo?”- mi domanda Joseph.

“Andiamo, andiamo.”- gli dico dando una carezza a Spike e a Nietzsche. “Abbiamo già tutto in macchina?”

“In macchina c’è tutto, possiamo andare.”- mi dice Ian.

 

Joseph, tutto pimpante, apre la porta ed esce con Ian, mentre Stefan rimane indietro. Mi volto verso di lui e lo trovo un po’ troppo zitto per i miei gusti e leggermente pallido. Effettivamente non è che abbia mangiato troppo questa mattina ed è stranissimo da parte sua. E’ anche vero che ieri hanno mangiato tantissimo, più di me e Ian messi assieme, ma è comunque molto strano.

 

“Tesoro, c’è qualcosa che non va?”- gli domando accarezzandogli una guancia.

“Mi fa male un po’ qui.”- mi dice toccandosi la testa. 

“Tanto male?”- gli domando leggermente preoccupata.

 

Non si sono mai lamentati per nessun tipo di male. Non che siano stati ammalati chissà quante volte, sono sempre stati sanissimi, ma, anche quando avevano qualcosa, hanno sempre cercato di mascherarla.

 

“Un po’. Mi pulsa la testa…”- mormora lui.

 

Appoggio le mie labbra sulla sua fronte e non mi sembra che scotti. Può essere solo un semplice mal di testa come no.

 

“Ti fa male da qualche altra parte?”- gli domando.

“Un po’ la gola…”- mormora lui afflitto. -“Ma non voglio saltare il picnic.”

“Tesoro, se stai poco bene potremmo rimandare…”- gli consiglio abbracciandolo dolcemente. -“Potremmo farne tanti altri…”

“Non voglio… Mi sta già passando…”- mente lui.

“Stefan, non c’è bisogno che tu menta. Non è la fine del mondo se stai poco bene… La tua salute viene prima di tutto…”- gli ricordo.

“Lo so, mamma… Ma… Sta passando…”- continua lui.

“Stefan…”

“Ti prego, mamma. Non ho già più mal di testa, sto bene…”- continua lui.

 

Lo guardo ancora e non so cosa fare. Vuole andare, ci tiene tanto, ma non voglio che, portandolo fuori, la situazione possa peggiorare. E’ vero che ha solo un leggero malessere e che fuori è una bellissima giornata, né troppo calda e né troppo fredda, ma mi dispiacerebbe che si prendesse qualcosa. E’ anche vero e che sono troppo apprensiva visto che, a parte un po’ di mal di testa e mal di gola, non ha febbre o altro.

 

“Prendiamo qualcosa per il mal di gola e la testa, va bene?”- gli suggerisco.

 

Per quanto lui odi le medicine annuisce subito. Ci tiene davvero ad andare ed in più ci sarà anche Rachel, quindi figuriamoci se vuole rimanere a casa. Trovo le medicine adatte sul mobiletto in alto a destra della cucina e le faccio prendere a Stefan.

 

“Tutto bene?”- domanda Ian entrando nuovamente a casa. -“Non uscivate più.”

“Stefan ha un po’ di mal di testa e mal di gola, gli ho dato qualcosa.”- gli spiego e il suo sguardo corre a nostro figlio che gli sorride rassicurante. Ha già preso un po’ di colore, magari è stato il momento. -“Ma adesso sembra stare meglio. Ho provato a convincerlo a rimanere a casa, ma non vuole.”

“Sei sicuro, tesoro?”- gli domanda Ian leggermente preoccupando abbassandosi alla sua altezza.

“Papà, sto molto meglio adesso.”- gli risponde alzando gli occhi al cielo. -“Possiamo andare?”

 

Ian mi guarda in cerca di qualche risposta. Sembra stare bene, non ha nulla che non va ora. Annuisco e Stefan mi sorride felice, poi esce dalla porta di casa e va in macchina dal fratello.

 

“Sta mentendo, non è vero?”- mi domanda Ian.

“Speriamo che quello che gli ho dato funzioni. Non possiamo nemmeno legarlo a letto, magari è solo una cosa passeggera.”- gli dico. -“Sono bambini.”

 

Ian annuisce e ci avviamo fuori. Ovviamente abbiamo scelto una località fuori Atlanta perché, con tutto quello che sta succedendo, non è il massimo farsi trovare in giro. 

Ci mettiamo circa mezz’ora a raggiungere il posto prestabilito e, ovviamente, siamo in ritardo. Non faccio nemmeno quasi in tempo a scendere dalla macchina che una furia bionda mi si abbatte contro, con il rischio di far cadere entrambe sull’erba.

 

“Candice, non… Non mi stai facendo… Respirare…”- bofonchio alla ricerca di un po’ d’aria.

“Scusami, ma”- si stacca da me. -“non ti vedo da un sacco di tempo.”

“Saranno si e no due settimane.”- le dico.

“Ma sono comunque tante!”- ribatte lei, poi saluta Ian con la mano. -“Ciao anche a te.”

“Non mi salti addosso?”- domanda lui mentre fa scendere i nostri figli.

“Non vorrei che qualcuna diventasse gelosa…”- mormora convinta che non la possa sentire.

“Sono qui e ci sento.”- faccio presente ai due che scoppiano a ridere di gusto.

 

I bambini scendono finalmente dalla macchina e corrono dalle figlie di Candice e Joe. Sono più grandi di loro di qualche anno, ma ci vanno d’accordo comunque. Joe ci saluta da lontano, impegnato a cucinare la carne, mentre il piccolo Daniel sta mordendo un giocattolo di gomma sopra una coperta a fiori, tipica di Candice.

 

“Vado ad aiutare Joe. Così voi potrete fare i vostri discorsi da donne.”- ci avvisa Ian, poi si rivolge a me. -“Stai bene? Sei stanca?”

“Tranquillo, Ian, non sto per morire.”- ridacchio divertita.

 

Lui annuisce e, prima di andarsene, mi da un bacio sulle labbra.

Ian va ad aiutare Joe, i bambini stanno giocando tra loro e io sono da sola con Candice.

Aiuto.

 

“Phoebe, Paul e Rachel?”- domando.

“Arriveranno a momenti, stranamente sono in ritardo.”- mi dice con un alzata di spalle, poi mi guarda a metà tra il curioso e il serio. -“Sai che mi devi raccontare un sacco di cose, vero?”

“Non possiamo aspettare anche… Phoebe?”- domando in un sussurro.

“Comunque non scappi, Nina.”- mi avverte lei con le mani sui fianchi.

 

 

 

_______________________________________

 

Buona domenica a tutte ^^

Scusatemi per il ritardo, ma tra l’inizio della scuola e altre mille cose da fare non ho più avuto tempo per recensire. 

Ho una domanda seria prima di continuare: sono arrivata a 64 capitoli scritti (ormai la storia diventerà più lunga dell’altra, questo si sa) e per accorciarla (niente paura, non voglio eliminare i capitoli!) e non farla diventare troppo lunga avevo mezza intenzione di unire due capitoli in uno. In pratica al posto di pubblicare due capitoli ne pubblico uno con gli stessi contenuti dei due. Avrete capitoli più lunghi senza perderne nessuno, visto che molte di voi preferirebbero avere capitoli più lunghi e rimarremo sulle 18/19 pagine di Word per intenderci. 

A me non cambia nulla, è per non fare troppi capitoli corti della storia e così, al tempo stesso, avrete capitoli più lunghi.

Voi cosa preferite?

(Spero di essermi spiegata bene almeno!)

Comunque, tornando al capitolo. Ian e Nina sono finalmente tornati a casa e hanno cominciato ad intraprendere la loro nuova vita insieme -cosa che avevano già fatto in vacanza, ma qui è diverso. Cosa c’è di meglio di un picnic tra amici per cominciare al meglio?

Nel prossimo capitolo vedremo un dialogo divertente e intenso tra Candice, Phoebe e Nina e tireranno in ballo argomenti anche per un prossimo futuro.

Ringrazio le fantastiche cinque ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e vedo che siamo un po’ aumentate, non potrei esserne più felice!

Alla prossima :)

 

 

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Godetevi questa immagine Nian uscita solo ora. Non avete idea di che colpo abbia fatto oggi alla vista di questa immagine e dei pensieri che ho fatto u__u

A quanto pare risale al 2013 e con la precisione al compleanno di Nina, ma niente è sicura.

Ma quanto belli erano?

Il mio cuore sta piangendo :(

 

PS: Mi scuso se qualcuna ha avuto problemi a vedere lo scorso capitolo, ma è un problema del sito che, a quanto pare, non è ancora risolto. Ho avuto problemi anche io per alcuni giorni, con il capitolo che compariva e scompariva.

 

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Capitolo 41
*** I'm here for you. ***


                          I'm here for you.




Pov Nina.

Phoebe e Paul sono arrivati da alcuni minuti con la piccola Rachel. Quest’ultima ha raggiunto Joseph e Stefan, che ha voluto dargli personalmente il regalo che abbiamo scelto per lei. Abbiamo preso qualcosa anche per Daniel e per le figlie di Joe e Candice, senza ombra di dubbio. Dopo i ringraziamenti per i regali, che tutti i bambini hanno apprezzato, Paul ha raggiunto Ian e Joe -e sicuramente anche a lui toccherà un interrogatorio-, mentre Phoebe si è seduta con me e Candice. Nonostante la stanchezza e le nausee, sebbene ne abbia di meno rispetto a quanto aspettava Rachel, come ci ha raccontato, è veramente radiosa e sia lei che Paul ne sono felicissimi.

Daniel si è addormentato contro la mia gamba e sono immobile, perché non vorrei svegliarlo e subirmi le ire di Candice, mentre quest’ultima e Phoebe mi stanno osservando, quasi fameliche, in cerca di risposte a qualcosa che nemmeno so.

 

“Che cosa volete sapere?”- domando sospirando. -“Via il dente e via il dolore, no?”

 

Le ragazze annuiscono convinte.

 

Sei incinta?”- mi domandano in coro e quasi muoio perché l’acqua, che stavo bevendo, mi va di traverso.

 

Eh?

 

Eh?

“Ian ti guarda come se stessi per morire da un momento all’altro.”- sottolinea Candice e Phoebe annuisce dandole man forte.

“E’ premuroso e… Se ve lo foste dimenticate… Sei mesi fa sono stata in coma per un sacco di tempo e ho ripreso a camminare da nemmeno tre mesi… Perché è preoccupato per me non significa che io sia incinta.”- rispondo allibita.

 

Non sono incinta.

 

 

“Non vorresti un altro bambino da Ian?”- mi domanda Phoebe.

“Non volevate sapere altro?”- domando io cercando di sviare il discorso da un’altra parte. -“Non volevate sapere com’è andata e perché?”

“Anche. Okay, abbiamo capito, argomento bollente.”- interviene Candice scuotendo leggermente la testa. -“Ma dopo parleremo anche di quello.”

“Candice ha ragione…”- annuisce Phoebe.

“Piuttosto tu… Come stai? State bene?”- domando a quest’ultima.

“Stiamo alla grande. Fra qualche settimana potremo conoscerne il sesso.”- mi dice lei tutta eccitata, ma poi riporta lo sguardo su di me. Lei e Candice hanno passato troppo tempo insieme, mi fanno veramente paura. -“Allora? Vogliamo sapere tutto dall’inizio.”

“E’ un bel problema… Da dove inizio?”- domando inclinando la testa di lato.

 

Daniel si muove contro la mia gamba e trattengo quasi il fiato per paura di svegliarlo. Continua a dormire beatamente e gli lascio una carezza sulla testolina piena di capelli.  

 

“Cos’è successo tra lui e Nikki, per esempio.”- propone Candice.

“Nikki gli ha mentito sul bambino.”- dico loro.

 

Non sanno niente di quello che è successo. Ian ha accennato qualcosa a Paul, ma giustamente ha sempre voluto parlargliene di persona e non per telefono. Ed è giusto così, certe questioni vanno trattate di persona e questa lo è, vista la gravità della situazione.

 

“Questo lo sappiamo.”- interviene Phoebe. -“Ma non su cosa, anche se ci siamo fatte delle idee.”

“L’ho pensato. All’inizio avevo pensato, quando me l’ha detto, che non fosse incinta e che gli avesse mentito. Tipico dei film, no?”- asserisco e loro mi guardano attente. -“Ma poi… Poi… Quel bambino c’è…”

Ma non è suo.”- continua Candice per me.

 

Io annuisco e Phoebe la guarda stranita. Quello che si può immaginare sia successo verte solo su due opzioni.

Nessun bambino.

Bambino, ma non suo.

Se non è la prima è la seconda.

 

“Sono arrivata alla conclusione.”- spiega Candice guardando Phoebe, poi si passa una mano tra i capelli spazientita. -“Dio mio…”

“E tu e Ian vi stavate preoccupando per niente?”- domanda Phoebe.

“Beh… In teoria l’ha spacciato per suo figlio e-”

“E quindi ha fatto fare il test di paternità a te e non a Nikki?”- domanda Candice alzando la voce di un’ottava. Io e Phoebe la fulminiamo immediatamente. Fa ancora male quell’episodio. -“Ma quanto può essere stupido?”

 

Per fortuna quella è acqua passata.

 

“E’ acqua passata…”- mormoro.

“Ho capito, ma avreste risolto molte più cose.”- continua la bionda. -“Comunque… Di chi è il bambino? Disperata è andata in un bar e si è fatta mettere incinta?”

“Già… Di chi è?”- continua Phoebe. -“Lo sapete?”

“Del suo ex marito…”- mormoro.

 

Candice e Phoebe spalancano la bocca sorprese all’inverosimile.

 

“Quel Paul?”- domanda Phoebe.

“Sicuramente non il tuo Paul.”- conclude Candice. -“Dio mio… Non avrei mai pensato che… Che potesse succedere una cosa del genere…”

“L’abbiamo fatto anche noi e-”

“Ma voi vi siete sempre amati!”- ribatte Candice, mentre Phoebe annuisce convinta. -“Mentre lei… Lei l’ha fatto apposta, l’ha sempre fatto…”

“Forse-”

“Nessun forse! Ha mentito a Ian su una cosa colossale. L’avrebbe obbligato a crescere un figlio non suo. Che schifo.”- ribatte Candice incrociando le braccia al petto.

 

Daniel, dopo tutto il trambusto che ha fatto la madre, si sveglia aprendo i suoi piccoli e graziosi occhi azzurri. E’ un bambolotto, ogni giorno che passa diventa sempre più bello. Sta diventando bello grande ormai e riconosce perfettamente le persone. Alza gli occhi su di me e mi sorride sdentato, non affatto turbato dell’interruzione del suo riposino. Lo prendo in braccio e lo faccio sedere sulle mie gambe, tenendolo ben stretto con le braccia. 

 

“Buongiorno tesoro…”- lo saluto e lui mormora qualcosa di incomprensibile, ma che sa tanto di risposta.

“Stai boicottando mio figlio!”- ci interrompe Candice, ma comunque in tono scherzoso. -“Quando si sveglia di solito è una piccola iena.

“Questo piccolino qui?”- domando dandogli un bacio sulle guance paffutelle. -“Ma se è un piccolo angioletto. Vero che sei un piccolo angioletto?”

“Solo con te.”- continua Candice.

“Perché sono zia Nina.”- continuo con al voce da idiota, la solita che si fa con i bambini.

 

Phoebe non smette di ridere da questo battibecco. 

 

“Anche con Phoebe fa lo stesso.”- continua Candice fintamente sconsolata. -“Forse mi odia.”

“O forse perché sei sua madre e… Gli piace farti dannare.”- continuo io mentre Daniel mi ha rubato le mani ormai.

“E tuo figlio farà dannare mio marito…”- continua Phoebe indicando Stefan e Rachel.

 

Li guardo anche io e sorrido istintivamente. Stanno giocando con delle palline e si stanno divertendo a farle rotolare in giro per il prato. Le bambine di Candice stanno parlando tra loro e Joseph sta aiutando Ian, Paul e Joe a cucinare la carne -il tutto senza glutine, ovviamente. Ogni tanto Paul guarda Stefan e Rachel e Ian e Joe continuano a ridacchiare.

 

“Sono così carini quei due…”- mormora Candice.

“Già, Stefan ha la testa sulle spalle.”- continuo io.

“Lo dico sempre anche io, ma Paul continua a ribattere di come nostra figlia sia troppo piccola ancora… Uno ha sette anni, l’altra sei.”- ci spiega Phoebe.

“Forse ha ragione, ma magari sono solo amici…”- continuo io mentre Daniel si diverte a tirarmi i capelli.

“Tu dici?”- mi domandano entrambe divertite.

 

Scuoto la testa ridacchiando e lo sguardo corre nuovamente sui miei figli. Sono felici, sono felice, siamo tutti felici. Quello che mi preoccupa è Stefan. Sta giocando, va bene, ma non è così attivo come gli altri giorni. Ogni tanto si gratta da qualche parte, non vorrei che fosse andato a finire su qualche ortica. Ma dopo riprende a giocare come se fosse tutto normale. Magari mi sto facendo solo inutili paranoie.

 

“Dove eravamo rimaste?”- domanda Candice, poi sorride. -“Si, okay… Di come il bambino non fosse di Ian.”

“E, tra l’altro, è stata lei a spifferare tutto. Che cosa avete intenzione di fare?”- domanda Phoebe.

“Non lo so… Ian vuole il divorzio e… So che ha già firmato tutte le pratiche. Ovviamente manca la sua firma.”- spiego loro.

“Hai paura che non voglia firmare?”- mi domanda Phoebe.

“Deve firmare!”- sbotta Candice, poi addolcisce i toni. -“Insomma, è obbligata dopo tutto quello che ha fatto.”

“Ci mancherebbe. Non creiamo altri danni, tipo denunce, per noi. Lo meriterebbe, è chiaro, ma alimenteremo ancora di più il casino che si è venuto a creare.”- chiarisco.

“Beh si… Non finirebbe più una storia del genere…”- concorda Phobe.

“Esatto, anche se se lo meriterebbe, ma abbiamo deciso così. Siamo felici, tutti e quattro, il resto non conta.”- concludo io. 

“A proposito di questo… A quando un altro baby Somerhalder?”- mi domanda Candice. -“Dai, non dirmi che non ci avete pensato.”

 

Se ci ho pensato? Si, ci ho pensato.

Se ci abbiamo pensato? No, non ci abbiamo mai pensato.

Amo i bambini, ne ho sempre desiderati più di uno e tre sarebbe il numero perfetto, il raggiungimento di un sogno. Non che voglia un altro bambino perché mi sia stufata dei miei figli, assolutamente no, non è nemmeno da chiedere o da domandare. I miei figli sono i miei figli, li amo sopra ogni cosa, ma un altro bambino mi piacerebbe. Quando due persone si amano pensano sempre ad allargare la famiglia, non per abitudine, ma perché, vedere il frutto del loro amore, è un po’ il coronamento di un sogno. E per me lo sarebbe. Questa volta avrei Ian al mio fianco, lo so io, lo sa lui e lo sanno tutti. E’ un passo importante comunque, non è una cosa da decidere in tre secondi. E’ anche vero che lui non ha mai esternato nessun desiderio di allargare la nostra famiglia, ma è anche vero che non l’ho fatto nemmeno io. Adesso è troppo presto. E’ vero che lui ha già quarantacinque anni e più aspettiamo più sarebbe scomodo, perché comunque lui sta andando avanti con gli anni. Non che vada in menopausa, quello può capitare solo a me, ma comunque è un po’ tardino dopo i quarantacinque anni, quindi sarebbe il periodo perfetto. E’ presto perché ci sono ancora tante cose da sistemare. L’amore c’è, quello non manca, la felicità pure, ma dobbiamo ancora affrontare parecchie cose. Il suo divorzio, la mia salute e The Vampire Diaries. Julie non ci ha ancora informati su quello che vuole fare, ma sicuramente sta aspettando il mio via libera per concludere il tutto. La prossima settimana ho una visita e so che dovrò continuare ancora un po’ fisioterapia, è giusto così. Ormai cammino, non sento dolore, ma non posso camminare per troppe ore, per esempio, e faccio ancora un po’ di fatica a inginocchiarmi e quindi con le articolazioni delle ginocchia. Avere un pancione ingombrante non aiuterebbe. Si fa fatica normalmente, figuriamoci nella mia condizione. Però, se me lo chiedesse, non potrei nemmeno dirgli di no. Non perché mi senta in debito, ma è giusto così. Potrebbe veder nascere suo figlio, potrebbe vederlo crescere fin dai primi istanti della sua vita e stargli accanto, come non ha potuto fare con Joseph e Stefan. So che lo vorrebbe, non può essere il contrario. E anche io lo voglio.

 

“Credo non sia ancora il momento adatto, ecco.”- rispondo.

“Quindi… Non ci avete pensato?”- mi domanda Phoebe.

“Io ci ho pensato, ci stavo pensando anche ora. Insieme no, non mi ha mai detto niente, ma non posso fargliene una colpa, non l’ho fatto nemmeno io.”- spiego.

“Dovreste parlarne.”- mi suggerisce Candice. -“Non vuoi un altro bambino?”

“Certo che lo voglio. Certo che vorrei avere un altro bambino che scorrazza per casa. Sarebbe di nuovo il coronamento del nostro amore e… E sarebbe fantastico. Guardare Daniel-”- mi interrompo guardando prima Daniel e poi Candice, infine guardo Phoebe. -“e guardare Phoebe così raggiante mi fa desiderare un altro figlio, ma ora non è il momento. Non perché non lo senta, perché se accadesse sarei la donna più felice del pianeta, ma prima bisogna risolvere alcune cose. Il divorzio, The Vampire Diaries e la mia salute.”

“Tralasciando le prime due… Penso sia più la terza, no?”- mi domanda Candice.

“Esatto… Per quanto… Per quanto sia in grado di camminare non ho ancora una certa indipendenza per ora e faccio fatica ad inginocchiarmi e… Sai… Con un pancione questo non aiuterebbe. Voglio avere un altro figlio quando sarò apposto con il mio corpo.”- spiego loro. -“Non che non l’accetti, perché è successo e… Sono così fortunata ad essere qui, ma voglio occuparmi a tempo pieno di un futuro bambino.”

“Hai ragione, su tutto.”- continua Phobe e Candice annuisce, d’accordo con lei. -“Ma tu e Ian dovreste parlarne.”

“Magari anche lui la pensa così, Nina, e… Se non ne parlate rischiate di perdere il treno e sai che, quando passa, non si prende più.”- continua Candice.

 

Ha ragione e sicuramente ne parleremo, solo non so quando e non so come.

Come posso iniziare un discorso con una cosa del genere?

Voglio un altro bambino, ti piacerebbe?

Non è una cosa da prendere alla leggera, ma sono consapevole del fatto che sia un bene parlarne. Ora dobbiamo sistemare i nostri problemi, poi ne parleremo sicuramente.

 

“Ne parleremo sicuramente, solo prima dobbiamo risolvere quello che vi ho detto. Del divorzio sostanzialmente non mi importa… Cioè… Okay, mi importa, ma… Non voglio e non devo pressarlo e… Lui mi ama, stiamo insieme ed è come se non fosse nemmeno sposato. E’ adulto e sa quello che fa.”- dico.

“Sicuramente si.”- annuisce Phoebe. -“Ed è bello vedervi così felici dopo tutto quello che avete passato.”

“Esattamente. Ora potete fare i piccioncini in santa pace e non vi lanciate più quegli sguardi carichi di odio-amore.”- mi dice Candice.

 

La guardo a metà tra lo scandalizzato e il divertito.

 

“E’ vero, eh, cosa credi. Un minuto prima sbavavate uno dietro l’altro e un minuto dopo volevate uccidervi.”- continua Candice facendo scoppiare a ridere me e Phoebe. Daniel ci guarda curioso, non capendo il motivo del nostro divertimento. Poi alla fine, come ogni bambino, allunga le braccia verso la madre che lo prende e se lo mette in braccio. -“Finalmente ti sei accorto della mamma, eh birbante? Comunque… Tornando a noi… E’ vero… Certi sguardi non si scordando.”

“Tutti si sono accorti dei vostri sentimenti repressi da tempo… Appena lui è entrato tipo… Tranne voi…”- continua Phoebe.

“Non è colpa mia se è successo di tutto…”- ribatto incrociando le braccia al petto.

“E’ vero anche questo, ma siete stati ottusi al massimo.”- conclude Candice scuotendo la testa. -“Un minuto prima volevate saltarvi addosso, un minuto dopo facevate finta di niente. E’ vero che l’avete sempre fatto, ma… No, anni fa vi saltavate addosso sul serio.”

“CANDICE!”- esclamo mentre le mie guance diventano rosse.

 

Phoebe ride ancora più forte, mentre la bionda mi rifila uno sguardo malizioso.

 

“Perché andate sempre a finire lì?”- domando sbigottita.

“Perché ogni momento era buono per chiudersi da qualche parte a fare sesso, ecco perché.”- continua imperterrita la bionda.

“Questo Paul me l’ha raccontato…”- si intromette Phoebe.

“Paul ti ha raccontato cosa?”- domando.

“Che siete stati sempre molto… Ehm… Focosi…”- blatera la mora.

 

Mi copro il volto con le mani, non volendo più ascoltare determinati discorsi sulla mia vita privata. Eravamo giovani, passionali e… Okay, anche ora lo siamo.

I nostri discorsi vengono interrotti da Ian con Stefan in braccio. Non guardo nemmeno Ian, i miei occhi sono solo per Stefan. Stefan che non ha una bella cera, è parecchio pallido, ed ha delle strane bollicine sulla pelle.

 

“Credo che dovremmo andare. Stefan ha la febbre e anche molto alta.”- prorompe così.

 






























 

                                                                             * * *

 
































 

Varicella.”

 

Lo avevo immaginato. Sospiro guardando mio figlio e gli accarezzo i capelli teneramente. 

 

“E’ una malattia grave? Morirò?”- domanda Stefan preoccupato steso sul lettino del pediatra.

“Non è una malattia grave, Stefan.”- gli sorride il pediatra dandogli una caramella. -“Ecco, tieni, sei stato veramente molto bravo. Un paio di settimane e sarai come prima.”

“Così tanto?”- domanda lui frustrato.

 

Ian gli annuisce e gli da un bacio sulla fronte. Non appena ho concluso di cosa si trattasse, ancor prima di arrivare in ospedale, ho fatto in modo che mia mamma venisse a prendere Joseph. E’ stato a contatto con Stefan, è vero, e molto probabilmente la svilupperà anche lui, ma non potevo comunque portarlo in ospedale con noi. Quella che mi preoccupa ora è Phoebe. Candice ha già avuto la varicella e Daniel è al sicuro perché i bambini, per i primi mesi di vita, ne sono immuni grazie anche all’assunzione di latte dalla madre. Candice l’ha già presa e, essendone divenuta immune, ha trasmesso l’immunità anche a Daniel per un po’ ed è un bene. Rachel, da quel che mi ha raccontato Paul e da quello che ricordo, l’ha avuta due anni fa per fortuna e anche le figlie di Joe. L’unico punto interrogativo rimangono Phoebe e il bambino e sto pregando con tutto il cuore che Phoebe l’abbia già presa, non mi potrei mai perdonare che accadesse loro qualcosa.

 

“Ian… Devo chiamare Phoebe, puoi… Puoi farti spiegare dal dottore cosa bisogna fare?”- gli domando.

 

Ian annuisce leggermente spaesato e con lo sguardo si assicura che mi senta bene. Non gli dico nulla, glielo spiegherò dopo.

Ci impiego circa dieci minuti ad effettuare la chiamata e, fortunatamente, sia Paul che Phoebe hanno avuto la varicella da bambini e non succederò niente al loro bambino. 

 

“Tutto bene?”- mi domanda Ian non appena rientro. 

“Tutto okay, anche Phoebe e Paul hanno già avuto la varicella, sono al sicuro.”- gli dico.

 

Ian annuisce poco convinto, dovrò spiegarglielo dopo comunque.

 

“La cosa più importante, dunque”- riprende il medico che era stato interrotto. -“è evitare che il bambino possa grattarsi. Avrà prurito, ma non dovrà grattarsi. Per alleviare il prurito consiglio bagni con acqua fredda o tiepida e magari passarci ogni tanto salviette umide e fresche. Se il prurito persiste ed è insistente vi consiglio di andare i farmacia a comprare alcune pomate. La febbre andrà e verrà in questi giorni, vi consiglio per abbassarla tachipirina, mai e dico mai aspirine. Questo è un punto parecchio importante, non usate mai l’aspirina perché potrebbe provocare alcuni problemi. Per quanto riguarda il cibo… Stefan mi ha detto di non avere male in bocca, ma vi consiglio comunque di dargli cibi freddi, blandi e morbidi. Vi sconsiglio cibi caldi e salati, assolutamente. E’ anche estate, quindi non sarà un problema.”

“Questo vuol dire che potrò mangiare il gelato?”- domanda Stefan felice.

 

Si è ripreso un po’. Il pediatra gli ha dato qualcosa per la febbre e si è abbassata, ma sicuramente si rialzerà di nuovo. La sua pelle si è coperta ancora di più di bollicine. Ci si prospettano settimane fantastiche.

 

“Si, puoi mangiare il gelato. Anche un po’ più del solito visto che è un cibo bello fresco.”- gli sorride il medico, poi si rivolge a me e a Ian. -“Se ve lo chiede non esitate a darglielo. A parte la varicella è un bambino in perfetta salute, non è sovrappeso ne altro. Quindi non fatevi problemi.”

“Ed è molto goloso.”- aggiunge Ian guardando nostro figlio.

 

Finalmente si è rilassato. Quando, al picnic, è arrivato con Stefan in braccio era quasi più pallido di lui e per tutto il viaggio non ha fatto altro che pensare alle ipotesi peggiori. Fortunatamente ora si è tranquillizzato. Certo, nostro figlio è malato, ma non è una malattia grave. E’ brutto vederlo star male, ma poteva capitare qualcosa di peggio. 

 

“Non ne dubito, un po’ come tutti i bambini. Ha fratelli o sorella che hanno avuto la varicella?”- domanda il medico.

“Un gemello e… Da come può vedere, no. E’ infetto anche lui?”- intervengo.

“Molto probabilmente si, è praticamente certo. Non si manifesterà subito, ci vorrà almeno una settimana. Quindi non ha senso allontanarlo dal fratello, la prenderebbe praticamente comunque. Se dovesse contrarre anche lui la varicella fate lo stesso che farete ora con Stefan e, se ci dovessero essere problemi, portatelo qui.”- ci spiega. 

“Mamma”- mi chiama mio figlio. -“ma anche Joseph si ammalerà per colpa mia?”

“Non è colpa tua, amore. Ti sei semplicemente ammalato, ma, se anche Joseph si ammalerà, non sarà assolutamente colpa tua. E’ un virus che gira da un corpo all’altro.”- lo rassicuro.

“Vi ammalerete anche tu e papà?”- mi domanda.

“Ho già avuto la varicella quando ero molto piccola e quindi non mi ammalerò, nemmeno tu ti ammalerai ancora di questa malattia.”- gli rispondo, poi mi volto verso Ian. -“Tu hai già avuto la varicella?”

“Mi sa di si, ne sono quasi sicuro.”- annuisce lui.

Quasi?”- gli domando titubante.

“Sicuramente si, è una cosa che prima o poi si prende e… Negli ultimi anni non l’ho avuta quindi penso di si.”- continua lui.

“Glielo auguro.”- interviene il medico. -“E’ meglio prenderla da bambini, perché da adulti è molto peggio.”

 

 




























 

 

                                                                    * * *





























 

 

“Mamma… Mi fa male la testa…”- mormora Stefan disteso a letto. 

 

Ian è in soggiorno con Joseph, mentre io sono qui di sopra con Stefan. Anche Ian avrebbe voluto esserci, ma stiamo cercando di non farli entrare troppo in contatto e di non far vedere a Joseph il fratello malato. Hanno sempre avuto un legame forte -fortissimo, quello tipico dei gemelli. Non appena gli abbiamo detto che Stefan è malato Joseph non ha più voluto stargli lontano. Si sono ammalati rare volte e in maniera molto lieve, ma la varicella, comunque, su un bambino, è un duro colpo. 

 

“Lo so, tesoro, lo so.”- gli dico dolcemente e nel frattempo gli bagno la fronte con un panno bagnato. -“Proviamo a chiudere un po’ gli occhi, va bene?”

“Mi bruciano anche gli occhi…”- mormora lui.

 

Per una madre, vedere il proprio figlio stare male, che sia influenza o tosse o raffreddore o altro, è sempre brutto.

 

“E’ la febbre e molto probabilmente si alzerà ancora. Aspettiamo un altro po’ e poi ti do ancora della tachipirina.”- gli spiego.

“Non… Non mi… Piace…”- borbotta lui.

“Lo so, non ha un buon gusto, ma ti aiuta sicuramente a stare meglio.”- gli sorrido. -“Proviamo a dormire un po’, va bene?”

 

Stefan annuisce esausto e mi metto su un fianco accanto a lui.

 

“Rimani finché non mi addormento?”- mi domanda piano.

“Certo, tesoro.”- gli rispondo dandogli un bacio sulla fronte calda. Tra poco l’effetto della tachipirina svanirà di nuovo. -“Rimango qui con te. Ti voglio tanto bene amore mio.”

 

Dieci minuti dopo, quando mi assicuro che mio figlio sia completamente nel mondo dei sogni, scendo giù in soggiorno con Ian e Joseph. Mia madre si è offerta di tenerlo, ma ho rifiutato perché Joseph non vuole abbandonare il fratello. Hanno detto che passeranno dopo per dare un saluto ad entrambi. Non li hanno visti per tanto tempo e, sebbene li abbiano visti anche due giorni fa, non li biasimo. 

 

“Come sta?”

 

E’ la prima cosa che mi domanda Ian.

 

“La febbre si sta alzando, ma fortunatamente ora sta dormendo, anche se non so per quanto.”- gli dico cercando di sorridergli rassicurante. 

“Ma starà presto bene? Starà bene vero?”- mi domanda Joseph preoccupato.

 

Mi siedo sul divano accanto a lui e lo faccio sedere sulle mie gambe per poi abbracciarlo.

 

“Non è niente di grave, è una cosa passeggera. In tempo due settimane starà bene, te lo prometto.”- gli dico dandogli un bacio tra i capelli.

“Così tanto?”- mi domanda preoccupato.

“Non durerà molto, solo che poi deve riprendersi per bene.”- gli rispondo, poi guardo Ian negli occhi. Che sia il caso di dirglielo? Ian sembra avermi letto nel pensiero e annuisce. -“Tesoro, visto che nemmeno tu hai avuto la varicella potresti averla. E’ un virus che va da persona a persona, quindi, se ti sentissi male o avessi della bollicine come quelle di Stefan dimmelo subito, va bene?”

“Okay, ma… Guarirò anche io?”- ci domanda.

“Certo che guarirai anche tu tesoro mio.”- gli sorride Ian dandogli un bacio, poi si rivolge a me e mi accarezza una guancia. -“Prima ha chiamato mia madre per sentire come stessimo e gliel’ho detto… Sarebbe voluta venire qui, ma le ho detto che è più conveniente che venga domani.”

“Lo penso anche io. Un giorno in più o un giorno in meno non cambia nulla.”- concordo io passandomi una mano tra i capelli.

 

Ian si alza dal divano sorridendomi dolcemente.

 

“Preparo qualcosa da mangiare.”- mi dice. -“Cosa volete?”

 

 

Pov Ian.

Da quando sono con i miei figli non si sono mai ammalati e vedere uno di loro stare così e un inferno. Penso lo sia per ogni genitore, perché per me, così come lo è per Nina, è così. I primi segni si sono visti questa mattina e alla fine ci siamo lasciati abbindolare, ma poi mi sono accorto che era strano -che non era il solito Stefan. E quando al picnic è venuto da me dicendomi di non sentirsi tanto bene, pallido come un lenzuolo bianco, sono entrato in panico. E’ stata Nina sostanzialmente a prendere in mano la situazione quando l’ho avvertita e, dopo aver affidato Joseph a Michaela, l’abbiamo portato di corsa in ospedale. Ha continuato a ripetermi di stare tranquillo e di come, secondo lei, si trattasse dalla varicella, ma mi sono calmato soltanto quando me l’ha detto il pediatra. Guarirà entro un paio di settimane, ma vederlo con la febbre alta e debole è orribile.

 

“Papà?”- mi chiama la sua vocina assonnata. 

“Dimmi tesoro, sono qui.”- gli dico appoggiandogli il panno bagnato sulla fronte.

“C’è dell’acqua?”- mi domanda piano.

“Certo, è bella fresca.”- gli rispondo prendendo il bicchiere dal comodino. Lo aiuto a tirarsi un po’ più su e l’aiuto anche a bere, non voglio che si sforzi troppo. Poi lo risistemo al meglio. -“Va un po’ meglio?”

 

Nina sta mettendo a letto Joseph nella nostra stanza. E’ vero che potrebbe già essere infetto, ma è meglio così, anche perché abbiamo deciso che uno di noi due starà con Stefan durante la notte. Potrebbe aver bisogno di qualsiasi cosa ed è meglio che uno di noi due sia con lui per aiutarlo. 

 

“Un pochino…”- mormora lui appoggiando la testa contro il mio petto, coperto da una maglietta bianca.

“Tra poco la mamma arriverà con un po’ di tachipirina.”- gli dico non appena sento che è molto caldo. Scotta più o meno come oggi, se non di più, ma è sera e si sa che la temperatura si alza sempre di più alla notte. -“Vuoi qualcosa di fresco da mangiare? Non hai toccato nulla oggi.”

“Non ho… Molta fame…”- mormora lui.

“Un po’ di gelato? E’ fresco ed è buono. Ti concedo anche un po’ di panna se ti va.”- cerco di convincerlo. -“Una bella tazza grande.”

 

Stefan scuote piano il capo ed è grave che non voglia mangiare il gelato. Si sa che quando hai la febbre e stai poco bene non hai nemmeno voglia di alzare la testa, ma per lui, non voler mangiare, è grave.

 

“Ho prurito dappertutto, papà…”- mormora con la voce incrinata.

“Facciamo una bella cosa, okay? Adesso riempiamo la vasca con un po’ di acqua fresca, così vediamo se scende un po’ la febbre e passa un po’ il prurito. Dopo proviamo a mangiare un po’ di gelato oppure un bel ghiacciolo. Anche il ghiacciolo è fresco e aiuterà un po’.”- gli suggerisco e lui annuisce debolmente.

 

Lo sollevo piano dal letto e me lo stringo al petto, nell’esatto momento in cui Nina entra nella stanza.

 

“Credo che gli si sia alzata la febbre ed ha prurito ovunque. Ho pensato che un po’ d’acqua fresca gli farebbe bene.”- le dico.

“E’ un’ottima idea, si.”- sospira passandosi una mano tra i capelli. -“Ho messo a letto Joseph, vado giù a prendere della tachipirina per dopo.”

“Va bene, noi intanto andiamo a fare una bella vasca con tanta acqua fresca, va bene?”- dico a Stefan. Annuisce e tiene sempre la testa contro il mio petto. -“Se vuoi rimango con lui questa notte.”

“Ne sei sicuro?”- mi domanda Nina. -“Sarai stanco.”

“Perché… Tu no?”- le domando accennando un sorriso. E’ stata praticamente lei tutto il giorno con Stefan ed ha continuato a fare avanti e indietro per portargli qualsiasi cosa servisse. Io sono stato con Joseph, ma è ovvio che il lavoro più duro l’abbia fatto lei. Ed è giusto che faccia la mia parte anche io. -“E’ giusto che tu ti riposi.”

“Sicuro?”- continua lei.

“Certo.”- annuisco. 

 

Nina annuisce e, dopo pochi secondi, sparisce, mentre io vado in bagno con Stefan, ancora tra le mie braccia. Apro la vasca e, mentre aspetto che si riempia almeno un po’, lo tengo sulle mie gambe, con la testa appoggiata al petto, e ogni tanto gli bagno un po’ la fronte con l’acqua fresca che scende dal rubinetto. Quando la vasca si è riempita abbastanza inizio a spogliare delicatamente mio figlio e, quando non ha più vestiti, lo immergo nell’acqua fredda. Trema leggermente a contatto con l’acqua, ma alla fine, piano piano, comincia ad abituarsi. La temperatura così scenderà di un po’ e starà sicuramente meglio. 

 

“Va un po’ meglio?”- gli chiedo accarezzandogli i capelli.

“Un pochino… E’ fredda però…”- mormora.

“Lo so, ma serve a far abbassare la temperatura del tuo corpo e a darti un po’ di sollievo.”- gli spiego.

 

Stefan annuisce, un po’ titubante, e si riappoggia con la testa sulla vasca di marmo. Nina, nel frattempo, entra in bagno con la tachipirina in una mano e il cucchiaio nell’altra.

 

“Tesoro, stai un po’ meglio?”- domanda a nostro figlio avvicinandosi a noi.

“Un po’…”- mormora lui alzando gli occhi sulla madre.

 

Nina si sporge per dargli un bacio ed io, automaticamente, l’attiro a me dandole un bacio sulla guancia.

 

“Joseph?”- le domando.

“E’ a letto e aspetta la favola della buonanotte. Dice che è da un po’ che non gliene racconto una. E vuole sapere anche come sta Stefan, è preoccupato. Voleva venire qui, ma l’ho fermato in tempo.”- mi spiega guardando nostro figlio.

“Va’ da lui, noi stiamo bene qui. Tra un po’ lo tiro fuori, l’asciugo e lo rimetto a letto. Prima di fargli prendere la tachipirina ho intenzione di fargli mangiare almeno qualcosa, non ha toccato praticamente nulla.”- le spiego.

“Okay, vado da Joseph allora.”- mi dice, poi mi guarda negli occhi. -“Se avessi bisogno di qualcosa… Chiamami… O anche Stefan.”

Neens, tesoro… Non stiamo andando in guerra, ce la caveremo benissimo. Anche se rimaniamo un po’ da soli non morirà.”- la rassicuro e mi alzo per darle un bacio sulle labbra.

“Lo so.”- mi sorride. -“Mi fido di te, ma… Okay… Lo so… Sei suo padre e sai quello che fai, giusto?”

“Giusto.”- le sorrido spostandole dalla fronte la sua solita ciocca ribelle. -“Starà bene, ce la caveremo.”

 

Nina annuisce e, dopo avermi dato un bacio e aver salutato nostro figlio, con bacio annesso, ritorna da Joseph. Mi aspetta una lunga nottata, ma per mio figlio farei qualsiasi cosa per farlo stare meglio.

 

 

 

 

_________________________________________
 

Come promesso eccomi qui con capitoli più lunghi rispetto ai precedenti. 

Va bene così o è troppo lungo? Fate conto che sono due capitoli (i miei soliti) messi insieme. 

Ringrazio le cinque fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo lasciandomi, come sempre, bellissime parole di incoraggiamento :*

Capitolo, dunque, che si può dividere in due parti. Nella prima parte abbiamo il picnic e il ritorno del nostro trio Nina-Candice-Phoebe, dove le due amiche sottopongono la nostra Nina ad un interrogatorio bello spietato. Nessuno sapeva cosa fosse realmente successo tra Ian e Nikki, come è stato specificato, perché Nina e Ian volevano parlarne con gli altri di persona, perché certi argomenti non sono belli da trattare per telefono, giustamente. Il discorso, però, alla fine verte sull’intimità dei nostri Nian e salta fuori un argomento importante che verrà ripreso ancora nei prossimi capitoli. 

La seconda parte del capitolo è dedicata alla malattia di Stefan, che si è preso la varicella. Avevo lanciato l’allarme già nello scorso capitolo e qui ho rivelato che cosa avesse il povero bambino. La varicella è una malattia tipica nei bambini e passerà, quindi non è nulla di grave, anche se, giustamente, Ian e Nina, come qualsiasi genitore, sono preoccupati per il loro figlio. Joseph, invece, se ne infischia di quello che potrebbe accadergli (anche se il pediatra ha sottolineato che molto probabilmente l’ha già incubata) e vuole stare vicino al fratello *^*

Quindi abbiamo visto i Nian, ancora una volta, in veste di genitori premurosi. Ho voluto dedicare l’ultima parte a Ian, quando sta con Stefan, perché Nina ha vissuto quella situazione tante volte e questa volta ha deciso (non per menefreghismo, è pur sempre la madre) il comando a Ian, che l’ha quasi pregata di occuparsi di Stefan. 

Niente, mi è sembrata una cosa simbolica e veramente dolce. 

Basta, non ho nient’altro da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere se la lunghezza va bene, alla prossima ;)

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Capitolo 42
*** News. ***


                                                News.




Pov Nina.

Il colmo di quest’ultime settimane è stato il suo: “Ho già preso la varicella, credo.

Quel credo era azzeccato. Quel credo indicava incertezza e c’è stata tutta. Una settimana dopo Stefan si è rimesso completamente, anche se ci sono voluti alcuni giorni in più affinché sparissero i segni dal suo corpo. Anche Joseph, come previsto, si è ammalato e, ovviamente, ha ricevuto le stesse cure del gemello. Con lui il tutto è stato meno aggressivo rispetto a Stefan. Il colmo, ripeto, è stato Ian. Non appena Joseph si è ripreso, almeno un po’, Ian è entrato nella nostra stanza e, in maniera poco trionfale, ha mormorato Mi sa che ho anche io la varicella, con tanto di sguardo abbattuto, testa bassa, e con le mani che ogni tanto grattavano qualche parte del corpo. Si, si è beccato la varicella a quarantacinque anni e, ovviamente, negli adulti è più aggressiva che nei bambini e quindi le conseguenze sono state abbastanza disastrose. Abbiamo preferito mandare i bambini qualche giorno da mia madre perché, sebbene avessero già preso la varicella, uno dei sintomi è anche la febbre e, visto che gira già come influenza, sarebbe stata una perfetta combinazione. 

Un importante aiuto ci è stato dato senza ombra di dubbio da Edna, tornata in città per godersi ancora un po’ i nipotini e per aiutarci. Sostanzialmente siamo sempre stati in grado di cavarcela da soli, ma, come ogni nonna, è affezionata ai suoi nipoti ed ha voluto prendersi cura di loro da ammalati. Edna adora anche i figli di Robert e Robyn, ma con i gemelli ho una sensazione diversa. In positivo, ovviamente. Sembra che per loro abbia proprio perso la testa. Non so se sia per il fatto che non li abbia visti crescere negli anni precedenti e che quindi voglia star loro accanto o che siano i figli del suo figlio preferito -Ian lo è sempre stato, lo sanno tutti, soprattutto lui. Ian continua a negarlo, ma è così da sempre, si vede dal modo in cui lo guarda e come si comporta con lui-, ma comunque li adora sopra ogni cosa.

Ogni cosa è al suo posto, come il mio rapporto con Robyn e Edna. Con Robyn ho avuto più occasioni per parlarci, mentre con Edna meno, ma non ce l’hanno mai avuta con me e non mi hanno mai fatta sentire in difetto. E non che l’abbia scoperto ora, lo so da sempre, ma il discorso che mi ha fatto l’altro giorno Edna mi ha fatto completamente cambiare visione sulle cose.

 

 

 

 


 

 

 

 

Sono in cucina. Edna è appena arrivata ed ora è con Ian e Joseph da Stefan. Io sto sistemando le due torte che ha fatto personalmente e portato qui per noi. Sono entrambe delle torte fresche, estive, non di quelle elaborate, adatte alla stagione, ma, soprattutto, adatte nella situazione in cui ci troviamo ora con Stefan. Ieri sera fortunatamente ha mangiato un po’ di gelato che Ian gli ha dato e spero che oggi faccia altrettanto con la torta. E’ vero che troppi dolci fanno male, ma questa è una situazione parecchio drastica e il pediatra ha detto che si può anche chiudere un occhio, quindi lo chiuderò anche io, l’importante è che riesca a mangiare qualcosa, non mi importa se sia torta o qualcosa di più salutare. 

 

“Spero che possano andare bene le torte.”- dice una voce dolce alle mie spalle. -“So che Stefan non ha mangiato praticamente nulla e ho pensato, visto il suo attaccamento per i dolci, che potessero servire a qualcosa.”

 

Mi volto verso Edna e le sorrido. E’ sempre stata così dolce con me e, a dispetto di tutto, non mi ha mai fatto pesare tutta la storia dei gemelli, anzi, mi è sempre stata vicina, che lo fosse direttamente o indirettamente.

 

“Grazie mille, davvero. Sono sicura che l’apprezzerà.”- le rispondo sinceramente.

“Lo spero. E’ davvero una brutta cosa la varicella, ma è meglio che la prendano ora che più avanti.”- mi dice.

“Ne sono convinta anche io. Il pediatra ha detto che negli adulti è molto più violenta, quindi, da una parte, forse è meglio così.”- concordo. -“E’ brutto vederlo stare male.”

“Ogni madre sta male quando suo figlio sta poco bene, ma passerà anche questa.”- mi dice dolcemente. -“Joseph sembra stare bene, ma la prenderà anche lui, vero?”

“E’ praticamente certo, ma almeno sapremo come comportarci anche con lui.”- le dico sospirando.

“Se avete bisogno di qualcosa non esitate a chiedere. Rimarrò qui ad Atlanta ancora per un po’ e se c’è bisogno di tenere Joseph lo farò volentieri.”- si offre.

“Per ora no, ma questo non toglie che può venire a vederlo quando vuole. E la casa è grande, può stare anche qui, non ci sono problemi.”- le dico.

 

Edna, invece di rispondermi subito, scoppia a ridere scuotendo la testa.

 

“Nina, tesoro, siamo ritornati al lei? Te l’ho detto tempo fa e te lo ripeto, è come se fossi mia figlia e sei la madre dei miei nipoti, togliamo tutti questi formalismi.”- mi dice dolcemente.

 

Rimango lì per lì sbalordita. Non per il discorso tu e lei, ma per come, nonostante tutto, continui a trattarmi come una di famiglia. Anche la prima volta che mi ha visto, dopo otto anni, l’ha fatto e non mi ha mai fatto pesare nulla, nemmeno adesso. So di non essere io la causa della fine del matrimonio tra suo figlio e Nikki, ma non mi fa pesare nemmeno quello. Non è nemmeno turbata del fatto che ci siamo messi assieme, niente. E so che Ian le ha raccontato tutto quello che è successo tra noi, ha sempre avuto un rapporto stupendo con la madre -come ce l’ho io con la mia, anche con mio padre-, ma continua a trattarmi come se nulla fosse successo. 

Ed è estremamente bello.

E anche il rapporto tra lei e mia madre è tornato quello di prima, forse non è mai cambiato. Tutti sono tornati al rapporto che avevano prima, tranne Ian e mio padre. La “colpa” è più di quest’ultimo, ma da una parte lo comprendo, anche se vorrei che chiarissero. Ma so anche che è fatto così e, dopo tutto quello che è successo, so anche che cambierà idea.

 

“Grazie, Edna.”- le dico solo.

“E di cosa? Sono io che dovrei ringraziarti.”- mi spiazza lei.

 

Dalla mia faccia turbata capisce al volo che non ho inteso quello che ha detto e mi sorride rassicurante.

Con Robyn è più facile, anche se è la sorella di Ian. Proprio perché è la sorella.

 

“Di avermi dato due nipotini che adoro sopra ogni cosa. Amo anche gli altri, non fraintendermi, ma anche loro sono i miei nipoti e ne ho sempre desiderati altri.”- mi dice lei dolcemente. Non aggiunge anche perché sono i figli di Ian, perché, come ho sempre saputo, Edna ama Ian sopra ogni cosa. Ama anche i suoi altri figli, ma per Ian ha un vero e proprio punto debole e poi lui è un ruffiano e questo semplifica tutto. -“E per rendere felice mio figlio. Le cose che sono successe tra di voi sono cose vostre, non mi metterò mai in mezzo perché non mi spetta, ma l’hai reso felice, lo stai rendendo felice. Per un certo periodo di tempo, molto lungo, tra l’altro, ho creduto di aver perso mio figlio. Non lo dico ora per tutto quello che sta capitando, ma perché è vero. Tralasciando il fatto che ho sempre avuto un debole per te e che ti ho sempre trovata perfetta per lui… Con la sua, ormai, ex moglie lui… Okay, sembrava felice, ma alla luce dei fatti forse non lo è mai stato realmente.”

 

Le sue parole mi colpiscono. In positivo. Me ne sono accorta anche io, ma sentire tutto questo da una voce esterna, da sua madre, rende tutto più reale.

 

“Mentre con te… Con te Ian è se stesso, è il figlio che ho cresciuto. E ti ama immensamente.”- mi dice.

“Lo so, anche io lo amo, tanto. E mi dispiace per tutto quello che è successo.”- le dico sinceramente.

 

Edna mi si avvicina e mi appoggia una mano sulla spalla e poi mi guarda con quegli occhi azzurri tanto simili, ma anche tanto diversi, al figlio. 

 

“Lo so, Nina, vi amate tanto, entrambi. E le cose che sono successe tra voi, giuste o sbagliate, non hanno fatto altro che solidificare il vostro legame. E’ difficile, se non praticamente impossibile, trovare un amore così ai giorni nostri e ve lo meritate, entrambi. Sei sempre stata una brava ragazza, tesoro, e sono contenta che mio figlio, nonostante tutto, abbia trovato te e sono felice che tu sia la madre dei miei nipotini.”- mi dice.

 

E cerco di trattenermi e di non fare troppo la sentimentale, ma le sue parole mi arrivano dritte al cuore.

 

“Anche io sono felice di aver trovato tuo figlio.”- le dico sinceramente e Edna mi sorride apertamente. -“Non avrei potuto trovare un uomo migliore per i miei figli.”

“E lui donna migliore. Non sminuirti.”- mi dice ridacchiando.

“Non sono perfetta.”- sottolineo sorridendole.

“Nessuno lo è, ma è proprio nell’imperfezione che agli occhi degli altri si risulta perfetti.”- mi dice.

 

E, inaspettatamente, mi abbraccia. E anche io, senza alcuna esitazione, ricambio. Ogni cosa è tornata al suo posto.

 

 

 

 



 

“Stai meglio?”- domando a Ian.

 

Ian, ancora mezzo morto, è disteso sul nostro letto e tenta di scrivere qualcosa su dei fogli, molto probabilmente per la ISF. I bambini sono a casa di mia madre e, da quello che ho capito, si è aggiunta con loro anche Edna. 

 

“Più o meno…”- mormora lui alzando gli occhi su di me.

“Hai ancora la febbre?”- gli domando sedendomi accanto a lui.

 

Ha preso la varicella cinque giorni fa e su di lui, come preannunciato, gli effetti sono stati più devastanti che sui bambini. Tralasciando il fatto che gli uomini anche con 37 C° di febbre (sebbene sia più alterazione che febbre) siano o si fingano praticamente morti, è stato veramente male. 

 

“Per adesso no.”- mi dice prendendo una mia mano tra le sue. -“I bambini sono ancora da tua madre?”

“Dovresti preoccuparti più per te che per i bambini in questo momento.”- gli sorrido posandogli un bacio sulla fronte. -“Comunque si, li ha raggiunti anche tua madre.”

“Mi dispiace essermi ammalato proprio ora…”- mormora lui abbassando la testa.

 

Tra 6 giorni ho la visita con il medico che mi ha operata, per stabilire i miei progressi ed eventuali cure, anche se sto perfettamente bene. Sono fiduciosa, ormai ho ripreso completamente la mia vita in mano. E Ian, se continua così, non potrà venire. Sebbene lo voglia al mio fianco non lo farò venire mezzo morto solo per un mio capriccio.

 

“Mi accompagnerà mia madre oppure Alex.”- lo rassicuro. -“Tu devi soltanto guarire.”

“Voglio essere con te. Non voglio lasciarti sola in questo.”- continua lui ottuso.

“Non mi hai mai lasciata sola.”- gli rispondo dandogli un bacio sulle labbra. -“E di questo te ne sarò infinitamente grata.”

“Perché ti amo.”- sottolinea lui.

 

Gli sorrido dolcemente.

 

“E proprio perché ti amo anche io che non ti farò venire in queste condizioni.”- sottolineo.

 

Ian sbuffa frustrato.

 

“La visita è tra sei giorni, potrei recuperare.”- continua lui.

“Potresti, ma comunque saresti ancora convalescente e in grado di attaccare la varicella anche a altre persone.”- gli ricordo. 

“Al costo di mettermi una tuta da astronauta verrò con te.”- continua lui imperterrito.

“Va bene, va bene.”- gli do corda per farlo riposare almeno un po’. Mi sporgo e gli prendo i fogli dalle mani, per poi appoggiarli sopra al comodino. -“E’ meglio che tu ti riposa un po’.”

 

Ian annuisce stancamente e socchiude gli occhi, non prima di avermi tirato contro il suo petto.

 

“Devi riposare.”- gli ricordo divertita.

“Lo so.”- mi dice lui strofinando il naso tra i miei capelli. -“Ma riposo meglio con te.”

 

 

 

 

Sei giorni dopo.

 

Sono agitata come mai lo sono stata in tutta la mia vita. Ian sembra notarlo perché stringe una mia mano tra le sue, per farmi capire che lui è qui, al mio fianco. 

Non dovrei essere preoccupata perché cammino e ormai praticamente sono autonoma, ma lo sono comunque. E’ luglio ormai e l’incidente è solo un lontano ricordo, ma gli effetti sulle gambe ci sono ancora. Cammino, ma se sto troppo in piedi comincio a stancarmi e ho ancora alcune, sebbene lievi, difficoltà a piegarmi completamente. 

 

“Andrà tutto bene, vedrai.”- mi dice Ian lasciandomi un bacio dolce sulle labbra. -“Ti controlleranno e diranno che è tutto apposto. Ormai sei guarita.”

“Lo so, ma… Se ci fossero altri problemi?”- gli domando piano.

“Che generi di problemi?”- mi domanda lui.

 

E’ da tre giorni che non ha più a febbre e sta meglio, pian piano i segni della varicella stanno svanendo, anche se ci vorrà ancora più di qualche giorno per tornare come prima. In faccia non ha praticamente più nulla e il resto del corpo sta guarendo. 

 

“Non lo so… Ho solo paura che ci sia qualcos’altro…”- mormoro abbassando lo sguardo.

“Hey, Neens, guardami…”- mi dice lui obbligandomi a guardarlo. Mi accarezza la guancia con il pollice e mi sorride rassicurante. -“Ormai cammini perfettamente ed è normale che dopo un po’ le tue gambe si stanchino. Hai avuto un incidente nel quale hai rischiato di perdere l’uso delle gambe e poi sei stata operata. Sei stata mesi senza muoverle e ora si stanno abituando e stai andando alla grande.”

“Lo pensi davvero?”- gli domando.

“Davvero. Stai tranquilla, andrà tutto bene.”- mi dice lui dandomi un bacio sulla fronte.

 

Ci hanno portato i miei genitori e, nonostante abbia ribadito più volte di far entrare anche loro, non hanno voluto. Non perché non gli interessi nulla, sono i miei genitori, ma hanno voluto lasciarci libertà e hanno detto che è una cosa nostra. Anche mio padre, credo convinto da mia madre, ha accettato. Hanno voluto dare a Ian la possibilità di essere con me e hanno preferito lasciarci da soli ad affrontare questo perché l’hanno trovato più giusto. Penso che parlerò con mio padre di Ian. Lui l’ha sempre adorato e, sebbene stia iniziando ad ammorbidirsi, c’è ancora del lavoro da fare. 

Qualche secondo dopo ci viene incontro un’infermiera che ci avvisa dell’arrivo del dottor Matthew, lo stesso dottore che mi ha operato qualche mese fa. E’ arrivato per controllare alcuni pazienti e, in accordo con l’altro mio medico, visto che è stato lui ad operarmi è voluto passare per fare un controllo di persona.

Ian si alza e mi tende la mano, che io afferro prontamente. Percorriamo qualche metro e poi, su indicazione dell’infermiera entriamo all’interno della stanza.

 

“Non preoccuparti, andrà tutto bene.”

 

E’ l’ultima cosa che mi dice Ian prima di entrare all’interno della stanza.

 

 

 

Pov Ian. 

Vedere l’emozione e la gioia negli occhi di Nina non ha avuto prezzo, è stata la miglior cosa che mi potesse capitare nelle ultime settimane. Siamo stati dentro lo studio del medico per più di mezz’ora per fare analisi e altre cose varie, ma, quando ha confermato quello che già sapevo, ovvero che si è ripresa alla grande e che ormai le gambe sono apposto, tutto finalmente è andato al posto giusto.

Avrà un altro controllo tra due mesi, agli inizi di settembre e uno a dicembre, poi tutto finirà. Il dottore, giustamente, ha consigliato che se si sente stanca di fermarsi ed è giusto così; le ha anche detto che è normale avere alcune difficoltà su alcuni piegamenti, ma che più avanti si andrà migliorerà sempre di più. E ora, a distanza di giorni, la vedo più libera che mai.

 

“Ian, posso parlarti?”

 

Quasi stento a riconoscere la voce alle mie spalle. Distolgo lo sguardo da Nina e i nostri figli, che stanno parlando con Michaela, e mi volto verso il padre della mia donna, Kostantin. 

 

“Certo.”- gli rispondo a metà tra il curioso e il preoccupato.

 

Ho quarantacinque anni, ma è pur sempre il padre di Nina. Da quando ci siamo avvicinati lui è stato l’unico a mal sopportarmi -più precisamente da quando sono ritornato ad Atlanta-, ma non gli do nessuna colpa. Da padre posso capire il suo modo di agire. Se qualcuno avesse fatto la stessa cosa a mio figlio -o figlia- avrei reagito allo stesso modo, se non peggio. E’ umano volere sempre il bene dei propri figli e, se qualcuno fa qualcosa di male, avercela con lui. Lo comprendo e lo rispetto.

Mi fa cenno di sedermi sul divano e io obbedisco, mentre lui si siede di fronte a me, non prima di aver preso una bottiglia di vetro, con del bourbon dentro, e due bicchieri, sempre di vetro. Versa il liquido in entrambi i bicchieri e me ne porge uno, che accetto.

Nina, accorgendosi della situazione, fa per venirci in contro, ma le faccio cenno di rimanere lì dov’è. E’ giunto il momento per noi due di parlare e, anche se da una parte sono preoccupato, ne sono anche felice.

 

“Mi sono comportato da immaturo e, data la mia età, un po’ me ne vergogno.”- inizia il padre di Nina sorseggiando un po’ di bourbon, io faccio altrettanto. -“Ma devi capire che Nina è mia figlia e ho sempre fatto di tutto per proteggerla.”

“Da padre la capisco, non gliene faccio assolutamente una colpa.”- continuo io passandomi una mano tra i capelli, mentre l’altra tiene ancora il bicchiere in mano.

“Lo so, non leggo accusa nei tuoi occhi, come non c’è nei miei. La prima volta che ti ho visto, anni fa, mi sei subito piaciuto. Nina è sempre stata una ragazza vivace, aperta, solare e alcune volte spericolata, ma con te sembrava aver trovato il suo posto nel mondo. Ha iniziato a vivere da sola a vent’anni, anche contro il mio parere, perché non la vedevo pronta, ma, la prima volta che l’ho vista dopo che se n’era andata, ho capito di aver riposto giustamente la mia fiducia su di lei, ma ho anche capito che c’era qualcun altro dietro la sua maturazione. Quando ti ho visto ho subito capito che quel qualcun altro eri tu. Non so se foste amici o all’inizio della vostra storia, la mia bambina è sempre stata riservata su questo tipo di cose, ma ho subito capito che c’era qualcosa che vi legava.”- mi dice serio, ma non c’è durezza nel suo tono. 

“Nina è stata un bel colpo anche per me, nel senso buono, ovviamente.”- chiarisco subito. -“Sono sempre stato parecchio incasinato, ma lei mi ha messo apposto. E’ vero che ero molto più grande di lei, ma c’è chi matura prima e chi dopo. L’ho sempre trovata matura.”

“Matura, ma non troppo. Vi siete… Completati, diciamo. Devo confidarti che, dopo l’inizio della vostra storia, sebbene abbia sempre pensato fossi un bravo ragazzo, non mi piacevi molto. Eri, sei, molto più grande di lei e questa cosa mi ha destabilizzato parecchio, al contrario di Michaela.”- continua con il suo monologo. Annuisco pensieroso, l’età è sempre stato uno dei primi nostri problemi, ma siamo riusciti ad affrontarlo, nonostante tutto. -“Ma hai fatto le cose con calma e, quando ho capito che con te poteva essere veramente felice, ti ho accettato e ho cominciato a volerti bene come se fossi stato mio figlio. Nina è stata veramente felice con te, questo te lo posso dire. In tutta la sua vita non l’ho mai vista più felice di così, poi le cose sono andate come sono andate. Avete sbagliato entrambi, la colpa non è solo tua.”

 

Fa un attimo di pausa e io annuisco, d’accordo con le sue parole.

Fa male ripensare al passato -a determinate cose del passato-, ma è anche il passato che ci ha portati fin qui.

 

“Ha cominciato a non essere più lei, ma sono convinto che anche tu abbia sofferto. Perché se siete qui ora e vi amate, avete sofferto entrambi. Quando mi ha detto di essere incinta di te mi è crollato il mondo addosso e sapere che avrebbe affrontato tutto questo da sola ha cominciato a far si che ti odiassi. Da padre ti ho veramente odiato. Sola ovviamente inteso senza di te, perché ci siamo sempre stati noi al suo fianco, io, Michaela e Alexander. E di nuovo hai sbagliato, così come ha fatto lei. Tu non sapevi di stare per diventare padre e lei non te l’ha detto, ma posso assicurarti che ha fatto di tutto perché tu lo sapessi. Non sono qui per giustificarla, comunque. Anche lei ha fatto scelte sbagliate, ma soltanto sbagliando si può imparare.”- continua.

“Ne sono d’accordo e ha ragione sul fatto che abbia sofferto anche io. Vede… Forse l’età è stato uno dei fattori dominanti, non lo nego. Ad un certo punto della mia vita ho capito di volere una famiglia e dei figli da Nina, ma ho tirato troppo la corda, non mettendo in conto anche delle sue necessità e se potessi tornare indietro non lo farei. Sono stato egoista, metter su famiglia non è assolutamente una cosa da poco. Ho trovato una donna che ero convinto di amare anche se, lo confesso, non avrei mai amato come Nina. Non so se siamo anime gemelle o meno, ma l’amore che provo per Nina non l’ho mai provato con nessun’altra.”- spiego io. -“Mi sono adagiato ed è stato uno dei tanti errori che ho commesso. Avrei voluto essere al fianco di Nina, lo giuro. Avrei voluto aiutarla come meglio potevo, aiutare lei e i nostri figli.”

“Questo lo so, ragazzo, lo sento e l’ho capito.”- mi sorride lui più apertamente e finisce di bere il suo bourbon. -“Vedo continuamente quanto ami quei bambini e credimi… Avrei preferito che le cose fossero andate diversamente soprattutto per Joseph e Stefan, ma, ripeto, comprendo la situazione.”

“Lo so, non essere stato presente nella vita dei miei figli è il più grande rammarico che avrò per tutta la mia vita.”- confesso.

“Ed è qui che ti sbagli. E’ stato brutto per loro non avere un padre per così tanto tempo, ma capisco che lo sia stato anche per te. E’ successo, ma non continuare a piangerti addosso, pensa solo che avrai ancora tutta la vita, e la loro vita, davanti per stare con loro.”- mi dice scuotendo leggermente la testa.

 

Concordo con l’uomo di fronte a me.

 

“Ma poi ho capito che la mia, ormai, ex moglie non sarebbe mai stata Nina. E, quando l’ho rivista, ogni pezzo della mia vita è tornato al suo posto. L’ho fatta soffrire di nuovo… E anche di questo mi pento, ma averla ora, al mio fianco, mi rende l’uomo più felice del mondo ed un uomo migliore. Può sembrare una frase fatta o meno, ma mi sento completo e l’uomo che ho sempre voluto essere quando sono con lei. Amo veramente Nina, di questo ne sono sicuro. E amo, ovviamente, i miei figli, darei la vita per loro. Darei la vita per tutti e tre.”- concludo io.

“So che sei l’uomo adatto per mia figlia, l’ho capito da tempo ormai. Basta vedere il modo in cui vi guardate per capire cose c’è realmente tra di voi. Il passato è passato, ora state costruendo il presente e il futuro.”- continua lui.

“Ne sono d’accordo.”- gli sorrido bevendo l’ultimo sorso di bourbon. 

“Mi dispiace essermi comportato da testardo con te. Sono felice, nonostante quello che sia capitato, che mia figlia e i miei nipoti abbiano te. Sei un grande uomo, l’ho sempre saputo, ma ora ti ammiro anche di più.”- mi dice.

 

Kostantin si alza dalla poltrona e mi da una pacca nella spalla sorridendomi rassicurante.

 

“Mettiamo da parte quello che è successo in passato.”- mi sorride. -“Benvenuto in famiglia di nuovo, Ian.

 
































 

 

                                                                          * * *


































 

“Prima ho parlato con tuo padre.”- dico a Nina mentre finisco di togliermi la camicia.

“L’avevo intuito.”- mi dice lei sistemandosi a letto. I bambini sono crollati a letto, letteralmente, dopo la favola della buonanotte. -“Non ti ha minacciato, vero?”

 

Scuoto la testa divertito e poi mi tolgo anche i pantaloni, rimanendo solo in boxer. 

 

“No, abbiamo parlato e lui mi ha spiegato del perché fosse così schivo nei miei confronti. E comunque non posso far altro che dargli ragione, da padre lo capisco.”- le dico voltandomi verso di lei. Sussulto leggermente alla vista di Nina distesa sul nostro letto, con solo una misera maglietta a maniche corte a coprirla, oltre, ovviamente alla biancheria. Le sue gambe scoperte sono una tentazione enorme. -“Mi stai per caso tentando, Looch?”

“Chi? Io?”- mi domanda ingenuamente, o forse fa la finta ingenua.

“Da quando in qua dormi così?”- le domando malizioso guardando il suo corpo.

 

Mi avvicino lentamente al letto e lei si tira su a sedere e si guarda.

 

“Fa caldo.”- mi dice lei con un’alzata di spalle.

“Ahn si?”- le domando divertito. -“Abbiamo l’aria condizionata accesa, non fa così tanto caldo, ma forse ho capito che caldo intendi…”

 

Prima che possa dire qualcos’altro chiudo la porta a chiave, in modo tale da non far entrare i bambini e lasciarli sconvolti, anche se credo dormiranno tutta la notte.

 

“Che cosa hai intenzione di fare?”- mi domanda con un sorriso biricchino.

 

Sta al mio gioco.

 

“Mhm… Sai… Con quelle gambe lì sei parecchio provocante…”- le dico inginocchiandomi di fronte a lei.

 

Lei si sporge avvicinando la testa alla mia.

 

“Tu dici?”- continua lei allacciando le sue braccia dietro al mio collo. 

“Dico, dico.”- mormoro contro le sue labbra.

 

Nina avvicina le sue labbra alle mie e i miei occhi cadono lì. Le labbra leggermente gonfie per qualche bacio, quella labbra che manderebbero al manicomio, in senso positivo, veramente chiunque. Mi bacia dolcemente, mentre una sua mano corre a perdersi tra i miei capelli. Ha sempre adorato farlo e io, per quanto sia geloso dei miei capelli, glielo lascio fare, forse perché, fatto da lei, lo adoro di più io. 

 

“Anche tu sei parecchio provocante…”- mormora lei al mio orecchio, per poi morderne il lobo. -“Con solo dei miserabili boxer addosso…”

 

Le mie mani sono sui suoi fianchi e la mia bocca sul suo collo, impegnata a baciare ogni sua parte libera. Nina, in risposta, inclina la testa di lato, lasciando ancora di più la sua pelle scoperta. Fa pressione sul mio collo e la seguo mentre si distende. Prima che la sua schiena tocchi il materasso le sfilo via la maglietta, ostacolo inutile a quello che stiamo per fare. La donna che amo avvicina le mani al bordo dei miei boxer, mentre io, ancor più velocemente, le tolgo il reggiseno, lasciando finalmente i suoi seni in bella mostra.

 

“Adoro… Il tuo… Corpo…”- mormoro tra un bacio e l’altro, dedicando la mia attenzione ai suoi seni.

 

Nina non mi risponde e la sua bocca, prima impegnata a baciarmi il petto, ora è socchiusa e si lascia sfuggire dei gemiti. Il suo petto si inarca contro il mio, mentre le sue gambe si incastrano altrettanto con le mie. Bacio ogni centimetro del suo corpo, più volte, insaziabile -perché è vero, il corpo della mia donna è come acqua nel deserto per un assetato. E ora è Nina che inverte le posizioni, sedendosi sopra il mio bacino, rendendo viva, ancor di più, la mia eccitazione. Le sue mani corrono dappertutto, mentre la sua bocca mi bacia il petto, alternando il tutto anche da qualche morso, che mi provoca brividi di piacere ancora più immensi. Mi riapproprio delle sue labbra, smanioso di assaggiarle ancora una volta, mentre le nostre lingue si incrociano in una danza che conoscono fin troppo bene. E Nina nemmeno si accorge di essere finita nuovamente sotto di me, mentre le mie mani, prima impegnate ad accarezzarle i fianchi, ora le sfilano via gli slip. Un sorriso affiora sulle sue labbra mentre, in maniera provocante, urta la mia eccitazione con il suo bacino, facendomi chiudere per l’ennesima volta gli occhi e soffocare un gemito -più simile a un ringhio- contro la sua spalla. Prima che possa fare qualcosa Nina mi toglie i boxer, evidentemente impaziente di quello che posso darle -di quello che possiamo darci. Allaccia di nuovo le braccia dietro il mio collo ed è lei questa volta a baciarmi con passione, sentendo il mio stesso bisogno. Le mie mani vanno dietro la sua schiena e l’attiro a me, un momento prima di fondermi con lei. Sembriamo una cosa sola ora. Petto contro petto, labbra contro labbra e uniti, nel vero senso della parola. I capelli di Nina, ormai completamente andati visto tutto il movimento, mi solleticano il viso ed io, staccandomi dalla sue labbra, mi perdo nel suo profumo. Sanno di Nina. Impazzisco per il suo odore, l’ho sempre fatto. Non saprei nemmeno io definire il suo odore, però è buono, mi fa stare bene, mi attira a lei. Lei appoggia la fronte contro la mia spalla, godendosi il momento. Sono pochi gli effettivi momenti che abbiamo insieme ed è bello goderceli. Abbiamo due bambini di sette anni, che, giustamente, richiedono le nostre attenzioni, e una vita da vivere al di fuori, forse è per questo che i pochi momenti che possiamo trascorrere insieme sono così speciali. Tutta la nostra vita è speciale, ma trascorrere del tempo con lei lo è di più. Non che con i bambini non lo sia, sono solo due sensazioni completamente diverse. 

Inizio a muovermi piano, godendo del nostro momento, e Nina partecipa con me. Non parliamo, ci capiamo con i gesti e con gli sguardi e godiamo appieno del silenzio dell’altro, intervallato soltanto da gemiti, alle volte troppo alti che tentiamo di nascondere. Continuiamo anche a baciarci, mai stanchi dei nostri contatti, e raggiungiamo l’apice insieme, esausti, ma appagati. Esco da Nina e mi distendo al suo fianco, non prima di averla attirata a me e di averci coperti, perché, ovviamente, queste sono andate ovunque tranne che a coprire i nostri corpi. 

Le accarezzo i capelli, lasciandoci ogni tanto qualche bacio, mentre lei si diverte ad accarezzare il mio braccio. Stiamo quasi per addormentarci, cullati entrambe dalle carezze dell’altro, quando il cellulare, probabilmente quello di Nina, perché il mio lo spengo sempre di sera, inizia a vibrare. La donna che tengo tra le braccia sbuffa, a metà tra il frustrato e l’addormentato, poi, senza nemmeno guardare chi sia, risponde, con voce sonnolenta.

 

-Pronto?- la sento dire, mentre appoggio il mento sulla sua spalla. Si gira a guardarmi e mi ruba un bacio, prima di parlare con chi la sta chiamando.-A quest’ora, Phoebe?-

 

Phoebe? Maledetti lei e Paul. Se avessero chiamato prima e interrotto qualcosa sarei andato direttamente a casa loro. Quando riesco finalmente a collegare qualche punto mi allarmo, perché, se stanno chiamando a quest’ora, deve essere successo qualcosa di grave. Nina, sentendo probabilmente i miei muscoli tendersi, si volta verso di me e mima un Stai tranquillo, niente di grave che mi fa rilassare all’istante. Decido allora di chiudere gli occhi e i loro discorsi diventano insensati e distanti per me. Sto quasi per addormentarmi, quando Nina mi scuote di nuovo.

Apro piano gli occhi e mi scontro con il sorriso luminoso della mia ragazza. 

 

“Deve essere un motivo importante, altrimenti domani ammazzerò sia Paul che Phoebe.”- l’avviso prima che possa dire qualcosa. -“E’ mezzanotte passata.”

“Scusali, ma hanno provato a chiamarci per tutto il giorno e noi siamo stati impegnati. Dannazione, prima rispondevo sempre al telefono, mentre ora non ho più il tempo di fare nemmeno quello. Comunque, non stavo parlando di quello…”- mormora lei dandosi una pacca sulla fronte che mi fa sorridere, nonostante la stanchezza. -“Lo sanno, l’hanno scoperto oggi.”

 

E l’ultima frase la dice in maniera così euforica che fatico perfino a starle dietro.

 

“Cosa sanno?”- domando. Nina mi guarda truce. -“Scusami, ma sono ancora parecchio addormentato se non si vede.”

 

Nina scuote la testa divertita, poi si tira su a sedere, infischiandosene del fatto che le coperte siano scivolate dal suo corpo.

 Ian, hai sonno, fai il bravo, non guardare continuo a ripetermi. 

 

“Aspettano un maschietto!”

 

 

 

 

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Buon pomeriggio, eccomi qui con il 42° capitolo :)

Scusatemi per il ritardo, ma in questo periodo ho veramente avuto un sacco di cose da fare e il tempo per aggiornare non è mai stato molto da permettermi di sistemare alcune cose.

Capitolo lungo anche questo, nel quale accadono parecchie cose.

Nella prima parte del capitolo, con il Pov Nina, veniamo a sapere di come anche Ian si sia preso la varicella. Nello scorso capitolo era convinto di averla presa, ma, purtroppo, non è stato così, quindi Nina ha dovuto prendersi cura di lui.

A pensare a lui che entra, tutto abbattuto, nella stanza dicendo di avere la varicella sono morta dal ridere ahahah

Importante è stato il dialogo che Nina ha avuto con Edna. Edna, ripeto (e lo sapete anche voi), non ce l’ha mai avuta con Nina e avevano già parlato, più o meno, in precedenza del discorso tirato fuori, ma ora Nina sta con suo figlio ed è giusto che si siano chiarite una volta per tutte, anche se, almeno per Edna, non ce n’era bisogno, visto che ama Nina come una figlia (e anche Nina considera Edna come una seconda madre).

E’ stato ripreso, ancora una volta, il progresso che Nina ha fatto dall’intervento fino a qui ed ormai, come i dottori hanno confermato, sta alla grande e si è ripresa completamente. Lo sapevamo già, ma è giusto che ci fosse una conferma anche da parte dei medici. 

Nella seconda parte vediamo il dialogo tra Ian e il padre di Nina che, a differenza della Dobrev e di Edna, non si sono mai chiariti. Si sono parlati sempre a stento e nemmeno dopo essere venuto a sapere che Nina e Ian si sono messi insieme Kostantin non è intervenuto. E’ stato burbero e testardo, ma sappiamo tutti come sono i padri: vogliono il bene delle proprie figlie e sono tremendamente gelosi. Anche Ian e Kostantin quindi si sono chiariti e non intercorre più nessun problema. Non che prima ce ne fossero, ma è giusto così.

L’ultima parte del capitolo svela il sesso del futuro Wesley, un bel maschietto ;)

Apriamo il toto nome? Penso che qualcuna di voi potrebbe arrivarci ^^

Grazie alle tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e mi dispiace che le recensioni siano diminuite :/

Alla prossima <3

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Capitolo 43
*** Organization. ***


                                                              Organization.



Pov Nina.

Non so se verrà e, se non si presentasse, avrebbe tutte le ragioni di questo mondo. Mio fratello l’ha chiamato e, in nome della loro amicizia, che, fortunatamente, non è andata in frantumi dopo quello che è successo, gli ha chiesto un favore, spiegandogli solo che voglio parlargli. Non so se si sono detti altro, so solo che in teoria, anche grazie ad Alex, alla fine Eric ha accettato.

Ho scelto un bar fuori Atlanta, uno di quelli che si usano per fermarsi quando si è di fretta, uno di quelli dove nessuno attira l’attenzione di qualcun altro. Non c’è niente di male in questo incontro, Ian lo sa, ma non vorrei che iniziassero a girare strane voci di un possibile tradimento, quando, ovviamente, non lo è. Ian era ancora titubante su questa cosa, ma alla fine ha acconsentito -le motivazioni che gli ho detto sono le stesse che gli ho esposto quasi un mese fa a Miami.

Ordino un caffè, un po’ per educazione e un po’ per stemperare la tensione. Ho sbagliato, completamente, e sono pronta ad ammettere i miei errori. Sebbene abbia amato sempre e solo Ian, pian piano ho cominciato a tenerci a lui e mi dispiace aver rovinato tutto. Non mi pento assolutamente di aver scelto il padre dei miei figli, mi sento in colpa per non aver chiuso prima e per non aver smesso di incrementare le aspettative di Eric -su di me, su di noi. Guardo l’orologio nero fisso sulla parete bianca e segna le 10.15, l’appuntamento -l’incontro- era fissato per le dieci in punto. Sbuffo frustrata e mi ravvivo i capelli, per dar loro un tono. Non sono vestita elegante, sono vestita normalmente. Indosso un paio di sandali azzurri, dei pantaloncini corti dello stesso colore e una camicia bianca. I capelli sono mossi e lasciati cadere morbidi sulle mie spalle. Mi ha accompagnata qui Ian e mi verrà a prendere non appena finiremo -se verrà- di parlare. Ovviamente non posso ancora guidare e, soprattutto, non me la sento. La macchina, ahimè, continua a farmi paura, figuriamoci tornare a guidarla, ma non farlo mi farà rimanere sempre legata all’incidente e io non voglio questo. Forse, con il tempo, riuscirò a fare anche quello.

Tiro fuori il cellulare ed entro in Twitter per spulciare un po’ di notizie e, sebbene siano passate settimane, al centro dell’attenzione rimaniamo io, Ian e i bambini. Non è stato fatto altro oltre la dichiarazione via social network, per il momento stiamo bene così e abbiamo chiarito la situazione, ma, sicuramente, prima o poi dovremo fare qualcosa anche per questo. Sto quasi per abbandonare ogni mia speranza, visto che ormai si sono fatte le 10.40 quando, alzando lo sguardo per guardarmi attorno, noto due occhi azzurri che ho imparato a conoscere tempo fa. Così simili a quelli di Ian, ma così diversi. Eric sembra accorgersi di me e rimane fermo, immobile, esitante. Ci guardiamo per alcuni attimi, poi, inaspettatamente, mi rivolge un caldo sorrido e si incammina verso il mio tavolo, che a secondi diventerà anche nostro. Mima qualcosa al cameriere, molto probabilmente un ordine, poi si avvicina al tavolo. 

 

Ciao, Nina.

 

Inizia lui e la cosa mi sorprende. Sfrutta questo attimo di sorpresa e si siede, proprio di fronte a me. Un momento dopo il cameriere torna con un caffè, probabilmente un caffè macchiato, sul vassoio e, dopo aver messo la tazzina sul tavolo, se ne va, lasciandoci finalmente soli.

 

“Ciao.”- lo saluto io, ancora tesa.

 

Mi aspettavo qualsiasi cosa, ma non questa calma, questa tranquillità.

 

“Devi scusarmi per il ritardo, ma ho dovuto concludere un affare.”- mi spiega mentre mette una bustina di zucchero nel liquido e mescola il tutto con un cucchiaino, molto probabilmente d’argento. -“E valutato se venire.”

 

L’ultima frase non ha bisogno di spiegazione, avevo intuito, visto il ritardo, che ci fosse qualcos’altro sotto, ma non lo biasimo, anzi, ha ragione, su tutto.

Mi sono comportata male, non mi sono comportata da me stessa, ed ha ragione a dire di essere stato indeciso sul venire o meno.

 

“Non ti avrei accusato se non fossi venuto.”- inizio io passandomi una mano tra i capelli, un po’ in imbarazzo. -“E l’avrei capito, sei stato molto… Buono a venire qui.”

“Diciamo che l’ho fatto più per Alex, perché me l’ha chiesto ed è mio amico. E l’ho fatto per quello che c’è stato tra di noi, una volta.”- mi dice lui tranquillo.

 

Annuisco e mi mordo il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Per prima cosa gli devo delle scuse, assolutamente.

 

“Mi dispiace per tutto quello che è successo. Non lo meritavi, non dopo tutto quello che ti è successo.”- gli dico sinceramente.

 

Eric annuisce, poi beve il suo caffè. Il silenzio cala tra di noi e il mio cuore inizia a battere ancora più veloce. Non capisco se sia tranquillo o se stia fingendo tranquillità.

 

“Non avrei mai pensato che sarebbe accaduto. Lui per me, all’inizio, era una storia chiusa.”- gli dico.

“Fidati, non lo è mai stata. Ho sempre visto il modo in cui… Vi guardavate, vi cercavate, anche inconsapevolmente. E credimi… Dal primo momento in cui vi ho visti insieme ho sempre presagito come sarebbe andata a finire.”- mi dice lui con un sorriso amaro sulle labbra.  -“Sono stato stupido e un incosciente forse… A credere che avesse potuto esserci qualcosa di serio tra noi.”

 

Abbasso lo sguardo, colpita dalle sue parole. Non sono parole cattive, sono così giuste.

 

“Per qualche tempo ci ho creduto anche io. Sei una brava persona, Eric.”- gli dico sinceramente, cercando di guardarlo negli occhi.

 

Lui lo fa, mi guarda negli occhi. Occhi che sono sempre stati gentili, anche ora.

 

“Sono una brava persona, ma non sono lui. E, con il tempo, ho cominciato a farmene una ragione, di condividere te con lui, dico.”- mi dice.

“Abbiamo sbagliato, Eric, io e Ian. Io ho sbagliato, più di tutti, avrei dovuto dirti da subito che-”

“Che lo ami?”- mi interrompe lui. -“L’avevo già capito io stesso, ma cosa avresti potuto dirmi, oltre a questo? Hai sbagliato, avete sbagliato entrambi, ma siete umani, tutti e due.”

“Non avrei mai dovuto comportarmi così, meritavi di sapere la verità.”- gli dico.

“Lo meritavo, hai ragione.”- mi dice lui passandosi una mano tra i capelli. -“Avrei meritato di saperla, la verità, dico. Avrei meritato la tua onestà, ma un po’ ti capisco. Sono stato arrabbiato con te, Nina, mi hai ferito, ma poi, semplicemente, ho capito che è stata la cosa giusta.”

 

Lo guardo interrogativa e lui sembra capirlo.

 

“Saresti potuta stare con me e poi? Io ti avrei amato, ma tu? Saremo potuti andare avanti, ma prima o poi qualcosa ci avrebbe divisi e la presenza di Ian sarebbe comunque stata costante. Forse è stato meglio così, anzi, lo è stato davvero. Lui è l’uomo che ami, lui è l’unico in grado di accenderti e l’ho provato anche io sulla mia pelle. So cosa significa amare ardentemente una persona, voler dare la vita per lei. E, sebbene ci sia rimasto male, l’ho compreso e semplicemente ho capito che era inutile arrabbiarsi e starci male. Tu sei felice.”- mi dice.

“E tu? Io sono felice, ma tu?”- gli domando. 

“Nel mio piccolo lo sono. Ho mio fratello e questo mi basta. Magari prima o poi troverò una donna semplice, con nessun tipo di problema, alla quale affidare il mio cuore. Nel frattempo aspetterò e mi dedicherò a mio fratello.”- mi dice lui con un’alzata di spalle.

“Come sta? Jonathan intendo.”- gli chiedo timidamente.

 

Mi sembra di invadere un po’ la sua privacy, ma comunque mi ero affezionata a quel bambino.

 

“Lui sta benone, si diverte, si comporta da bambino. Tra due settimane partiremo per l’Europa, andiamo in Italia.”- mi dice lui.

“Ne sono felice e ve lo meritate.”- gli dico.

“Già, ci meritiamo un po’ di pausa da tutto e da tutti, ci farà bene.”- mi dice sorridendo, molto probabilmente al ricordo del fratello. -“I gemelli?”

 

Mi sorprende che mi chieda di loro, ma forse neanche tanto. Anche Eric si era affezionato a loro, così come i miei figli.

 

“Stanno bene, crescono, si divertono. Sono dei bambini felici.”- gli dico e alla mente mi balzano le immagini dei miei figli intenti a riempire la piscina con Ian l’altro giorno. Felici, gioiosi, innamorati persi del padre. -“Mi dispiace per quello che ti ho fatto, ma sono felice che tu abbia accettato di venire qui.”

“Non sono venuto qui perché volevo delle scuse, ma solo per chiarire, ecco. Mi sembrava tanto una questione irrisolta.”- chiarisce lui. -“Le gambe?”

“Vanno. Okay, forse non è il giusto termine da utilizzare, ma… Funzionano, alla grande. Qualche fastidio c’è, ma cammino da sola.”- gli dico, leggermente emozionata, forse.

“Ne sono felice.”- mi dice lui, poi il suo cellulare suona, la classica notifica di qualche promemoria. Guarda lo schermo e mi sorride quasi triste. -“Mi dispiace, devo andare, lavoro.”

 

Annuisco, ma, prima che se ne vada, gli dico un’ultima cosa.

 

“Ti auguro che tu possa vivere bene la tua vita e che tu possa trovare una donna migliore di me.”- gli dico.

“Tu eri la migliore, ma innamorata di un uomo migliore di me.”- mi sorride, ma senza rimpianto. -“Ti auguro anche io di vivere felicemente la tua vita.”

 

Mi saluta con un cenno del capo e, prima che possa fare qualcosa, ha già pagato il contro per entrambi. Eric sparisce dalla porta ed io invio un messaggio a Ian, più rincuorata.

 

Ho finito.

La sua risposta non tarda ad arrivare.

Così presto? Dammi cinque minuti e sono lì.

Dieci minuti dopo sono di nuovo in macchina, al fianco di Ian che sta guidando.

 

“Com’è andata?”- mi domanda lui curioso.

“Pensavo peggio.”- sospiro. -“E’ stato… Comprensivo, credo.”

“Comprensivo?”- mi chiede.

“Diciamo che si è semplicemente rassegnato e ha capito che lui non era l’uomo giusto per me.”- gli spiego accarezzandogli il braccio lasciato scoperto dalla maglietta grigia che porta. -“Perché lo sei tu.”

 

Lo vedo sorridere mentre continua a guidare.

 

“Anche in tutte le mie imperfezioni?”- mi domanda.

“Anche con quelle.”- gli rispondo io.

“Peccato che non ne abbia.”- ribatte lui divertito, facendomi ridacchiare. -“Sono l’uomo perfetto.

“Va bene, Mr sono perfetto, continua a guidare.”- gli dico e lui scoppia a ridere.

 


































 

                                                                                      * * *

 


































 

Rachel continua a correre di fronte a noi e a saltellare. Da quando le hanno detto che avrà un fratellino ne è super felice, anche se avrebbe preferito una femminuccia. Io e Phoebe siamo in giro alla ricerca di qualche vestito per il bambino, cosicché inizi ad avere qualcosa. Paul non ne è adatto, come ogni uomo, per questo lui, Ian e i bambini sono andati a pescare. Non oso immaginare in che condizioni possano tornare a casa.

 

“Mi sembra felice.”- dico a Phoebe indicando con il capo Rachel.

“Lo è. Euforica credo sia la parola giusta.”- ridacchia la mia amica. Sarebbe dovuta venire anche Candice, ma è rimasta a casa perché una delle due bambine ha preso l’influenza. -“Anche se avrebbe preferito una femmina.”

“La comprendo.”- rido. -“Ma sono sicura che sarà un’ottima sorella maggiore.”

“Lo penso anche io, a meno che non decida di ammazzarlo nel frattempo. Sta già pensando a che giochi fargli fare non appena nascerà, credo che sarà difficile dirle che bisogna aspettare.”- mi spiega Phoebe mentre entriamo in un negozio per bambini.

“Già mi immagino tuo figlio obbligato a stare seduto in un piccolo tavolo a bere del the finto.”- ridacchio.

“Paul lo fa già e non ti dico quanto è comica la cosa.”- ride anche lei, poi cerca il telefono dentro la borsa e, dopo aver cercato sulla galleria, me lo da. -“Ecco, guarda.”

 

E quasi non riesco più a smettere di ridere mentre continuo a guardare una foto di Paul, seduto su una seggiolina rosa, che non so come tenga su il suo peso, che fa finta di bere, con espressione concentrata, del finto da the da una tazzina altrettanto rosa. Oh, come dimenticare. In testa ha anche un cappellino rosa e viola, tipico delle feste di compleanno.

 

“Dio mio, questa è una foto ricatto per tutta la vita.”- ridacchio.

“Non immagini quanto.”- mi dice e ci lanciamo uno sguardo d’intesa pensando a mille possibili scenari su come utilizzarla. -“Non hai idea della scena con cui mi sono trovata di fronte una volta tornata a casa.”

“Immagino, dobbiamo sfruttare questa foto in qualche modo!”- le dico io.

“Mamma! Mamma!”- urla Rachel tenendo tra le mani alcune tutine. -“Guarda che cos’ho trovato.”

 

Rachel ci mostra orgogliosa le tutine che ha scelto per il fratellino e, quando le guardiamo, ci tratteniamo per non scoppiare a ridere.

A quanto pare adora il rosa, anche per suo fratello.

 

“Tesoro, bisogna prendere qualcosa per un maschietto. Con colori tipo il bianco, l’azzurro, il blu, il verde o il nero. Magari anche il giallo, non è male, ma il rosa è per le bambine.”- le spiega Phoebe.

“A te piacciono, vero zia Nina?”- mi domanda la bambina. -“Anche papà ha indossato il cappellino rosa l’altra volta.”

 

E collego il tutto con la foto che Phoebe mi ha mostrato prima. 

 

“Mi piacciono tantissimo, sono veramente carine.”- le dico abbassandomi alla sua altezza. -“Per una bambina andrebbero benissimo, ma per un maschietto ci vuole qualcosa di più diverso.

“Si, forse avete ragione.”- concorda Rachel rimettendo le tutine al suo posto, poi corre via da noi e poco dopo torna con un’altra tutina, questa volta adatta. -“E questa? Va bene?”

“Certo tesoro mio, questa possiamo prenderla.”- le dice Phoebe dandole un bacio sulla fronte. 

 

Continuiamo a girare per il negozio a fare compere. Phoebe compra molte tutine -da maschio, ovviamente-, delle scarpette, dei biberon, tutto quello che serve per un neonato. 

E’ ancora presto, mancano alcuni mesi alla nascita del bambino, ma è sempre bene prepararsi prima.

Alla fine Rachel è riuscita a convincere Phoebe -anche se gliel’ha solo chiesto e la mia amica ha subito accettato- a farsi prendere qualche vestitino. Le stanno veramente molto bene. Ha fatto avanti e indietro dal camerino circa una ventina di volte, provandosi tutti i vestiti che trovava e che le piacevano. Phoebe, tra una parola e l’altra, mi ha detto che ha preso questo lato dalla sorella di Paul, perché lei non è mai stata così.

Prima di uscire dal negozio Rachel richiama la nostra attenzione.

 

“Zia Nina, potresti prenderle tu.”

 

Mi giro verso Rachel, che è di nuovo con le tutine da bambina in mano. 

La guardo per qualche istante, non capendone il senso.

 

“Tesoro, zia Nina non aspetta un bambino.”- le fa notare Phoebe.

“Questo lo so, mamma.”- mormora lei, poi riporta il suo sguardo su di me e mi porge le tutine. -“Ma se avrò un fratellino anche io, perché Stefan e Joseph non potranno avere una sorellina?”

“Ci vuole tempo per queste cose.”- le spiega Phoebe, tentando, credo, di dissuaderla, mentre io continuo a fissare Rachel e le tutine.

 

Già, ci vuole tempo. E, per quanto sia un mio desiderio, con Ian non è mai venuto fuori il discorso.

Magari lui è contento così e, con l’età che avanza, preferisce che le cose rimangano così.

E’ anche vero che adora i bambini e che è inutile che mi faccia mille problemi per niente visto che non so cosa ne pensa, però non lo so.

 

“So anche questo, mamma. Ma tu mi hai detto che un bambino arriva tra due persone che si vogliono molto bene e zia Nina e zio Ian sono perfetti insieme.”- continua Rachel con la sua caparbietà. -“E almeno avrò una bambina con cui giocare!”

 

Phoebe si scusa con lo sguardo, mentre Rachel continua a guardarmi in attesa di una risposta.

 

“Le puoi mettere via, zia Nina, e quando arriva la bambina… Usarle.”- continua lei sorridendomi.

“Va bene, le prendo.”- gli dico dolcemente per accontentarla.

 

O forse sto accontentando me.

 



































 

                                                                               * * *

 



































 

 

Ho fatto appena in tempo ad andare a casa, accompagnata da Phoebe, mettere giù le borse, con anche alcune cose per i gemelli, che ho ricevuto una chiamata da Julie con l’obbligo di  presentarci sul set -noi attori di The Vampire Diaries.

Ian, dopo qualche minuto, mi ha chiamata -e mi ha preceduta, perché volevo farlo io- dicendomi che ha portato a casa di mia madre i bambini e che mi veniva a prendere. Dieci minuti dopo sono nuovamente in macchina, con questa volta Ian al mio fianco.

 

“Pensi sia per iniziare le riprese?”- mi domanda lui.

“Penso di si, ce l’aveva già accennato.”- gli dico sistemandomi meglio sul sedile.

“Lo penso anche io, l’ultimo episodio andato in onda è il dodicesimo e ne mancano ancora dieci, se non ricordo male.”- concorda lui.

“Si, in teoria doveva essere una stagione da ventidue episodi, non da dodici.”- continuo io. -“Ma magari ha intenzione di fare una stagione breve, anche se non siamo in mid-season e una stagione più lunga.”

“Potrebbe essere una soluzione.”- annuisce lui e nel frattempo svolta a sinistra. -“L’unica soluzione, così potremo iniziare una nuova stagione senza problemi.”

 

Annuisco e alzo, di poco, l’aria condizionata, facendo si che l’abitacolo inizi a raffreddarsi un po’ di più.

Arriviamo dopo qualche minuto e Ian parcheggia nel solito posto, quello riservato a lui. Spegne la macchina e, prima che possa fare qualcosa, è già della mia parte aprendomi la porta. Gli sorrido dolcemente, ma, prima che possa scendere, lui si abbassa alla mia altezza e mi appoggia una mano sulla gamba.

 

“Non te l’ho chiesto perché credevo di avere più tempo, ma… Ne sei sicura? Se non ti senti pronta e hai ancora qualche dolore potresti riprendere più avanti…”- mi suggerisce dolce. -“Non devi affaticarti per nulla se non te la senti.”

 

Appoggio la mia mano sulla sua e ne accarezzo il dorso, poi lo guardo negli occhi. 

 

“Ian, sto bene, davvero.”- gli dico sorridendogli. -“Sono passati mesi dall’incidente e un paio dell’operazione, ma sono in grado di camminare e di fare quello che facevo prima.”

“Ne sei sicura? Non devi sentirti obbligata, Julie capirà.”- continua lui apprensivo.

“Lo faccio perché me la sento e perché è giusto così.”- gli dico.

 

Lui mi guarda severo e scuote leggermente la testa.

 

“Non devi farlo perché è giusto così, prima di tutto viene la tua salute, dopo tutto il resto.”- mi dice lui.

 

Gli accarezzo una guancia con la mano e gli lascio un bacio casto sulle labbra.

 

“Lo so e il mio corpo è in grado di reggere il tutto. Se mi sentirò stanca o dolorante mi fermerò.”- lo rassicuro.

“Me lo prometti?”- mi domanda lui e sento l’insicurezza della sua voce. -“Non posso sopportare l’idea che possa capitarti ancora qualcosa.”

“Non mi succederà nulla, non sto andando in guerra, solo a recitare.”- gli dico.

 

Vederlo così mi fa provare un’emozione strana. Io ho subito l’incidente, è vero, ma anche lui, da come si sta comportando e si è comportato, ha avuto paura.

Paura di perdermi.

E lo so con certezza perché anche io, al suo posto, avrei dato di matto.

 

“Lo so, ma mi preoccupo per te e per la tua salute.”- continua lui.

“E mi piace che sia tu a prenderti cura di me.”- gli dico e lo vedo sorridere. -“Ti prometto che ti dirò tutto.”

“Anche il minimo dolore.”- mi dice, quasi in tono minaccioso.

“Anche il minimo dolore, va bene.”- gli sorrido.

 



































 

                                                                                    * * *

 




























 

“Nina, posso parlarti un attimo?”- mi dice Julie, non appena varco, insieme a Ian, la soglia del set.

 

Annuisco e, dopo aver sorriso a Ian, che mi guarda ancora titubante, seguo Julie nel suo studio -è rimasto sempre quello, nonostante gli anni siano passati.

La mia produttrice esecutiva si siede sulla poltrona, mentre io prendo posto su una poltrona molto simile, di fronte a lei.

 

“Iniziamo la riunione in ritardo?”- le domando.

“L’orario è quello e, per quanto sia precisa, oggi mi importa poco, quello che mi importa è parlare con te.”- mi dice lei sorridendomi dolcemente. -“Come ti senti?”

“Io? Bene, perché?”- le rispondo.

“Le gambe… Stanno bene?”- mi domanda.

“Anche Ian mi ha appena fatto lo stesso discorso.”- l’avviso, ancor prima di rispondere. -“Sto bene e anche le mie gambe sono apposto.”

“Di quello che faremo ne parleremo dopo, con tutti gli altri, ma ora la cosa più importante è la tua salute. Lo show è importante, ma tu di più.”

“Sto bene, Julie, davvero.”- continuo io.

 

E’ bello che tutti mi chiedano come stia continuamente, ma non sto mentendo. Mi sono ripresa alla grande e, come se non bastasse, anche i medici l’hanno detto, gli stessi medici che mi hanno operata e seguita per mesi. Magari un po’ di fatica su alcune cose la faccio, ma è normale -confermato anche questo dai medici.

 

“Ovviamente avrai orari diminuiti.”- mi avvisa subito.

“Julie, sto bene.”- le ripeto sospirando.

“Lo so, ma comunque non devi assolutamente affaticarti troppo. Anche gli orari degli altri sono diminuiti, perché, giustamente, ognuno di voi ha una famiglia. Lasceremo un po’ più spazio a tutti.”- mi dice.

“Non lo fai per la mia salute, vero?”- le domando dubbiosa. -“Perché sto bene.”

“Per una serie di cose ed è giusto che tu abbia il tuo riposo.”- mi dice.

“Mi sono riposata abbastanza.”- le faccio notare.

 

Per quanto mi piaccia recitare è giusto che gli orari siano diminuiti. Quando ero giovane non mi importava molto degli orari di lavoro, anche se erano massacranti, soprattutto quando dovevo interpretare sia Elena che Katherine. Ero quella che passava più tempo sul set. Ma ora, essendo madre, lo capisco ed è giusto così. Amo recitare, ma al primo posto ci sono comunque Joseph e Stefan, i miei figli. Loro vengono prima di tutto e non voglio trascurarli per lavorare.

 

“Però, per la storia delle famiglie, lo trovo giusto.”- continuo e la vedo annuire. -“Non piace nemmeno a me trascurare i bambini.”

“L’ho fatto principalmente per quello. Candice ha avuto Daniel, che farà un anno a novembre, ma comunque è ancora piccolo, in più anche le altre due bambine. Paul e Phoebe hanno Rachel e un bambino in arrivo. Tu e Ian avete i gemelli e anche gli altri. E’ vero che se si lavora ci si dovrebbe organizzare, ma la famiglia viene prima di tutto e, in base a come io, Kevin, Caroline e gli altri abbiamo organizzato le cose ce la faremo alla grande e avrete addirittura del tempo per andare in vacanza.”- mi spiega.

“Mi sembra un’ottima cosa.”- concordo con la mia produttrice, poi divento improvvisamente curiosa. -“Come vi siete adattati per le riprese?”

 

Julie scoppia a ridere divertita per la mia curiosità, mentre io sospiro frustrata.

Domanda curiosa la mia, ma, ovviamente, non mi dirà niente come al suo solito.

 

“Conosci già la risposta a questa tua domanda.”- mi fa notare lei incrociando le braccia al petto.

“Va bene, va bene.”- sbuffo alzando le mani in segno di resa. -“Aspetterò il momento.”

“Tra poco saprai tutto.”- mi rassicura lei.

 

Usciamo insieme dal suo studio e ci dirigiamo verso la sala riunioni. 

O almeno il mio obiettivo è quello, ma, prima di arrivarci, con una scusa Ian mi rapisce dalla nostra produttrice.

 

“Non riesci a stare cinque minuti senza di me?”- lo stuzzico divertita.

“Come siamo sicure di se oggi!”- mi canzona lui spostandomi una ciocca di capelli dal viso. -“E’ vero anche questo, ma devo chiederti una cosa importante.”

“Sono tutta orecchi.”- gli dico. 

“Kevin ci ha già detto quando possiamo riportare le nostre cose sul set. Sai… Vestiti, scarpe, averi personali…”- inizia lui leggermente titubante.

 

Annuisco, so come funzionano queste cose.

 

“Hai ancora intenzione di prendere il camerino in fondo dall’altro lato del corridoio?”- mi domanda lui inclinando la testa di lato. -“Sai, quello che hai preso per evitarmi.”

 

Aggrotto le sopracciglia, poi ricordo. Già, quel camerino. Quel camerino che era di Paul e con cui ho fatto uno scambio ancora tempo fa, quando tutto è iniziato di nuovo.

Ma quella è stata una situazione diversa.

 

“Intendi quello che era di Paul, giusto?”- gli domando per conferma.

“Si, esatto.”- mi dice lui annuendo, poi si passa una mano tra i capelli, quasi imbarazzato. Mi fa tenerezza quando fa così e infatti mi ritrovo a sorridere. -“Quindi… Hai intenzione di prendere nuovamente quello?”

“Come vuoi tu.”- gli dico con un’alzata di spalle. Per me un camerino vale l’altro, l’importante è vederci e stare insieme. Certo che se l’avessi vicino a lui sarebbe il massimo. -“Vuoi avermi tra i piedi anche qui?”

 

L’ultima frase la chiedo ridacchiando. Lui mi attira a se e mi posa un bacio sulla fronte.

 

“Voglio averti sempre tra i piedi.”- sorride lui tra i miei capelli. Mi volto verso di lui e, alzandomi leggermente in punta dei piedi, gli do un casto bacio sulle labbra. -“Potremo tornare come ai vecchi tempi, no?”

 

Ecco perché ha iniziato questo discorso. Vuole che torniamo a condividere lo stesso camerino. Sempre il solito Ian, quello che fa mille domande per arrivare al punto. Ma mi piace anche questo di lui -amo ogni cosa di lui.

 

“Potevi chiedermelo direttamente.”- gli dico dolcemente accarezzandogli un braccio. -“Sai che non potrei dirti di no.”

“L’ho chiesto per sicurezza.”- si scusa lui ridacchiando.

“Condividiamo la stessa casa, la stessa macchina, lo stesso letto e quant’altro e sei titubante sul chiedermi questo?”- ridacchio. -“Sai che non ti devi fare scrupoli.”

“Lo so è che… Mi sembra di essere tornato ragazzino, tutto qui.”- mi dice lui solleticandomi un fianco. 

“Ho sempre detto che ti faccio tornare giovane.”- rido divertita appoggiando la testa contro la sua spalla.

“E’ un si?”- mi domanda.

“Potrei dirti di no?”- domando ilare.

“No.”- mi dice lui risoluto.

“E’ un si!”- gli rispondo prima di baciarlo e lui, ovviamente, ricambia con ardore.

 

Un colpo di tosse dietro di noi, purtroppo, ci obbliga a staccarci.

 

Piccioncini, la riunione sta per cominciare.”- ci ricorda Paul.

“Sempre il solito guastafeste…”- sussurra Ian al mio orecchio facendomi sorridere.

 

Alla fine entriamo tutti e tre nella sala riunioni e ci accomodiamo al nostro posto. Julie, Kevin e Caroline iniziano a parlare delle solite cose, dall’andamento dello show -a dispetto di quello che si pensava è molto buono- e dei turni di lavoro.

 

“Come ben sapete siamo arrivati a dodici episodi, dieci in meno rispetto a quello che avevamo previsto.”- prende la parola Kevin, alzandosi dalla sedia e appoggiando le mani sopra il tavolo. -“Il penultimo episodio è l’ultimo dove compare Nina, mentre nell’ultimo, di quelli andati in onda, si stava sviluppando la trama che avremo approfondito negli altri episodi.”

“Continuare la stagione ora sarebbe improponibile. Si potrebbe fare ma rischieremo di far saltare tutti i tempi di ripresa e quant’altro. Io, Kevin e Caroline ne abbiamo parlato e siamo giunti ad una conclusione, che molti di voi avranno sicuramente immaginato.”- interviene Julie e tutti i nostri sguardi sono puntati su di lei. -“Il dodicesimo episodio ci sembra un buon modo per concludere l’ottava stagione e per dare inizio alla nona. Ovviamente le idee che avevamo per l’ottava continueranno, logicamente, sulla prossima stagione e potremo allungare di qualche minuto gli episodi e farne qualcuno in più.”

“Nella quarta stagione, come ricorderete, gli episodi sono stati ventitré invece di ventidue, cosa molto apprezzata, e stavamo pensando di arrivare circa a venticinque, episodio in più episodio in meno.”- conclude Caroline.

 

Rimaniamo per alcuni attimi in silenzio a ragionare su quanto detto. Mi sembra la cosa più logica da fare. Così potranno concludere quanto iniziato nell’ottava e sviluppare al meglio quello che vogliono mettere sulla nona, magari ricollegando il tutto all’argomento precedente. 

Gli orari di lavoro saranno diminuiti, da quanto ha detto Julie, ma, con più episodi, la stagione si concluderà sicuramente dopo.

 

“Se gli episodi sono tre in più rispetto al solito, questo vuol dire che la stagione non finirà sicuramente ai primi di maggio.”- fa notare Matt.

“No, infatti.”- interviene Julie. -“Vi abbiamo promesso orari più ragionevoli, per passare del tempo con le vostre famiglie e per avere più tempo per voi, ma, con questo, è logico che si debba proseguire un po’ di più. Gli episodi termineranno a giugno, più o meno. Non è mai successo, ma se vogliamo fare questo siamo obbligati a farlo. Ovviamente, come sapete da anni, le riprese finiranno prima, quindi potrete considerarvi liberi a metà maggio circa, massimo fine maggio.”

“Ovviamente la scelta sta a voi.”- concludono tutti e tre.

 

Ci guardiamo tutti e, alla fine, dopo qualche scambio di parole siamo tutti d’accordo. Kevin, Julie e Caroline ci illustrano gli orari e sono ridotti di qualche ora rispetto agli anni precedenti. Alla mattina, almeno per chi ha figli, si arriva un’ora più tardi, quindi sul set alle otto, così potremo portare noi i gemelli a scuola senza nessun tipo di problemi. Finiremo di girare le scene attorno alle sei del pomeriggio, così potremo trascorrere del tempo anche con i bambini. Anni fa, così come prima che capitasse questo, avevamo liberi il sabato e alla domenica -e venivano occupati solo in casi estremi-, mentre ora abbiamo libera solo la domenica, mentre al sabato si gira dalle otto fino all’una circa, ma comunque abbiamo libero tutto il pomeriggio. Potremo richiedere alcuni giorni liberi al mese quando serve. Tutto sommato poteva andare peggio, invece siamo riusciti ad accordarci tutti per fare un ottimo lavoro.

Le riprese, visto che siamo ai primi di luglio, inizieranno tra due settimane circa e bisogna ancora stabilire se andremo -andranno- al Comic Con a San Diego o meno.

Dopo le ultime delucidazioni finalmente siamo liberi di tornare a casa. Prima di tornare, ovviamente, passiamo a prendere i bambini. Mia madre ci chiede se vogliamo fermarci per cenare da loro, ma decliniamo l’invito perché siamo stanchi e preferiamo fare qualcosa di veloce e andare a letto -anche i bambini stanno crollando visto la giornata a pesca con il padre. 

Mangiamo tutti insieme e i gemelli si divertono a raccontarmi quello che hanno fatto oggi con Ian, sottolineando più volte di come sia quasi caduto in acqua scivolando su un sasso e anche di come Paul, per afferrarlo, abbia rischiato grosso. Si sono divertiti e ne sono felice, perché è giusto che passino comunque del tempo da soli a fare cose da “maschi” perché io non potrei mai andare a pesca. Odio il pesce di mio e prendere dei pesci vivi, immaginando poi la fine che debbano fare, mi fa rabbrividire. E’ anche vero che mangio carne -la mangerei a qualsiasi ora-, ma comunque anche gli animali in se mi fanno pena.

Quando abbiamo finito di cenare e aver messo a letto i bambini Ian si offre di sparecchiare la tavola, lasciandomi il tempo di fare una doccia veloce. 

Quando ho finito scendo giù, per capire se Ian abbia bisogno di qualcosa, perché, per quanto lui si offra, è giusto che faccia anche io il mio.

Mentre mi avvicino, però, noto che tiene qualcosa tra le mani. Noto anche che, accanto a lui, c’è una borsa, quella borsa. Ho la conferma di cosa tiene tra le mani quando si volta verso di me, con lo sguardo a metà tra lo stupito e il titubante. Mi si ghiaccia il sangue nelle vene.

Tiene tra le mani le tutine da bambina che ho comprato oggi.

Oh Dio.

 

________________________________________

 

Buongiorno, eccomi qui con un nuovo capitolo (:

Capitolo importante questo perché aprirà una serie di nuovi argomenti per il futuro. Già nel prossimo capitolo vedremo quello che succederà e Nina e Ian avranno un dialogo molto importante nel quale metteranno in luce i loro pensieri e i loro desideri riguardo a una questione importante, che penso si sia già capita, più o meno.

La prima parte del capitolo è incentrata su due questioni, Eric e il tempo trascorso con Phoebe. Tra le due ovviamente la questione più importante è la prima, senza ombra di dubbio.

Vi eravate dimenticate di Eric? Io no, infatti già qualche capitolo fa vi avevo accennato che sarebbe ricomparso, ma solo per chiudere la sua storia. Nina non è stata corretta nei suoi confronti perché, per quanto adoriamo lei e Ian e di come siano fatti l’uno per l’altra, ha ferito i sentimenti di un uomo che teneva veramente a lei -Eric si stava innamorando di Nina, mentre quest’ultima, come lei stessa ha detto, provava solo un profondo affetto nei suoi confronti che magari, col tempo, si sarebbe trasformato in altro.

Mi è sembrato giusto quindi chiudere la storia di Eric e non lasciare nulla in sospeso, perché comunque è stato importante per Nina e ha avuto la sua bella fetta di gloria, almeno per un po’. E poi è sempre stato un personaggio che mi è particolarmente piaciuto :’)

Nina, quindi, chiarisce con Eric e i due si lasciano in buoni rapporti, senza astio da entrambe le parti, in maniera particolare da parte dell’uomo. 

La seconda parte del capitolo riprende il tema delle stagioni e viene chiarito come si sia conclusa l’ottava stagione, ovvero con dodici episodi. L’incidente di Nina non ha solo inciso sulla sua vita, ma anche su quella dello show e ovviamente si sono dovuti fermare perché non avrebbero saputo come chiudere la storia di Elena per poi riaprirla nuovamente. Julie e gli altri danno il via a una nuova stagione, la nona, con ben più episodi, in modo da sviluppare alcuni tempi dell’ottava e continuare con l’ennesima stagione, un po’ come Grey’s Anatomy.

L’ultima parte del capitolo penso sia possa commentare da sola u_u

Grazie alle quattro fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e spero che anche questo vi sia piaciuto e che la storia continui a piacere!

Alla prossima =)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 44
*** We'll try. ***


                                                                                                        We'll try.



Pov Ian.

Nina si sta facendo una doccia veloce di sopra e io ho optato per sistemare qui. E’ stata una giornata parecchio sfiancante e non vedo l’ora di toccare il letto.

I bambini si sono divertiti tantissimo oggi con me e Paul, anche se ho rischiato di finire in acqua più di qualche volta e il mio amico, per poco, non ha fatto lo stesso. 

Una borsa bianca attira la mia attenzione, molto probabilmente è qualcosa che ha comprato Nina oggi andando a fare compere con Phoebe. La prendo e l’appoggio sopra al tavolino, accanto al divano, perché non è giusto che controlli tra le cose della mia ragazza.

Già, mia ragazza, è una bellissima sensazione. Purtroppo ho calcolato male l’appoggio e la borsa cade, riversandone per terra il contenuto. Mi inginocchio per raccogliere quanto caduto, in modo da rimettere tutto apposto, ma, prima che possa farlo, qualcosa attira la mia attenzione.

Una tutina rosa. 

Accanto ad essa ce n’è una bianca e rosa, di un rosa semplice, rosa pastello.

Tutine. 

Piccole. 

Piccole tutine.

Tutine da bambine.

Tutine da neonato.

E no, ho la netta sensazione che non siano per Paul e Phoebe visto che, come hanno ripetuto più volte, è un maschio quello che aspettano. Le mie mani iniziano visibilmente a tremare mentre tengo tra le mani quelle due tutine da bambina, delle tutine graziose, adatte proprio ad un piccolo essere vivente. E mille scenari mi passano davanti. Nina potrebbe averle benissimo comprate per qualcuno, qualcuno di esterno alla nostra famiglia, ma me l’avrebbe comunque detto se qualcuno aspettasse un bambino -una bambina in questo caso. E più osservo quelle tutine e più una strana sensazione si fa strada in me.

Ne accarezzo piano il tessuto e mi trovo automaticamente a sorridere. E, nemmeno farlo apposta, la mia mente vola ad immaginare una bambina, una neonata, con questa meravigliosa tutina addosso. Una piccola bambina dai capelli castano scuri e due occhi azzurri, oppure due occhi marroni caldi, belli, espressivi. Una bambina così simile a noi.

Nina mi ha sempre detto di prendere la pillola e se… E se fosse successo qualcosa come con i gemelli?

E se aspettasse veramente un bambino? Un bambino nostro? Un bambino da me?

Un sorriso euforico mi si dipinge sulle labbra, ma sono costretto a mascherarlo subito non appena sento dei passi dietro di me. Mi volto verso Nina che mi sta osservando con la bocca spalancata, il suo sguardo saetta da me alle tutine che tengo in mano. Non mi corre incontro, non dice niente, rimane ferma davanti a me, immobile e continua a guardarmi. Mi alzo in piedi e, sempre tenendo le tutine tra le mani, mi avvicino a lei, ancora lì, incapace di muoversi o di dire qualcosa.

Ha paura di me? Ha paura di che cosa posso dirle?

Se solo sapesse quanto sarei felice di una bambina. Di una bambina nostra. 

 

Neens…”- la chiamo dolcemente, ridestandola così dal suo stato di catalessi.

 

Lei sussulta quasi e si porta una mano alla bocca, mentre l’altra le ricade inerme lungo il fianco.

 

“Ian… Io…”- balbetta e poi si blocca, incapace se continuare o meno.

 

Le appoggio dolcemente una mano sulla spalla e lei alza gli occhi sui miei, impauriti e leggermente lucidi.

 

“Mi… Mi… Mi dispiace…”- balbetta.

 

Le dispiace per cosa?

Decido di appoggiare le tutine sopra il divano e porto entrambe le mie mani sulle sue spalle e la scuoto leggermente.

Perché sta reagendo in questo modo? E’ successo qualcosa di grave?

 

“Cosa sta succedendo?”- le domando dolcemente, cercando di rassicurarla, mentre dentro di me sta avvenendo di tutto. Perché le donne sono così complicate? -“E’ successo qualcosa di grave? Perché quelle tutine?”

“Io… Le tutine… Io… Un bambino e… E Rachel… A lei piacevano e-”

 

La blocco, prima che possa confondermi più le idee e farla uscire fuori di testa.

Apprendo subito che non sia incinta, che non aspetta nessun bambino. Lo capisco dal suo sguardo. Qualcosa dentro di me si rompe, ma non lo do a vedere, d’altronde prende la pillola e non abbiamo mai pensato a questo.

 

Neens, hey, tesoro, guardami.”- le dico prendendo il suo volto tra le mie mani. -“Mi dici che cos’è successo e il perché delle tutine? Ti va?”

 

Sembra ridestarsi dal suo stato di shock e annuisce, un po’ più convinta.

 

“Mi dispiace se… Se hai… Se hai pensato che io… Sai…”- mormora abbassando lo sguardo e indica le tutine con una mano.

“Facciamo finta che non sia successo niente, okay?”- le chiedo e la sento sospirare. -“Solo… Vorrei sapere che cos’è successo, tutto qui.”

 

Non è da lei comprare delle tutine da bambino -in questo caso da bambina- dal nulla. 

Che cosa le sta succedendo?

 

“Oggi siamo andate con Phoebe per fare compere per il bambino e… Rachel voleva comprare qualcosa di rosa, ma, ovviamente, Phoebe ha continuato a dirle di non poter prendere qualcosa di rosa visto che avrà un fratellino e non una sorellina.”- mi spiega, un po’ titubante e un po’ perplessa. Le appoggio le mani sulle gambe e ne accarezzo una dolcemente per invitarla a continuare. Fin qui mi sembra tutto chiaro, quello che non mi spiego è perché lei abbia delle tutine rosa. -“Quando stavamo uscendo Rachel è sparita e qualche secondo dopo è tornata con quelle tutine. Ha cominciato a dire che siccome lei avrà un fratellino anche Stefan e Joseph avrebbero dovuto avere una sorellina e ha continuato a farneticare su quanto fossero belle quelle tutine e…”

“E tu le hai prese.”- concludo io per lei. -“Visto che sono qui tu le hai prese.”

 

Nina rimane zitta per qualche secondo, poi annuisce. Alza lo sguardo su di me e mi osserva per qualche istante.

 

“E tu hai pensato che io fossi… Beh… Che io fossi… Incinta…”- continua lei.

“Avrei potuto pensare altro?”- le domando passandomi una mano tra i capelli. -“Non avrei dovuto rovistare sulle tue cose, ma ho sistemato la borsa ed è caduta. Tutto quello che mi chiedo è… Perché?”

 

Nina si alza di scatto dal divano e si porta entrambe le mani tra i capelli. La osservo senza dire una parola.

 

“E tu ne sei deluso. L’ho capito dal tuo sguardo.”- mi dice lei.

 

Non dico niente perché infondo ha ragione. Ci ho sperato, non posso nasconderlo perché, per quanto sia felice ora, un altro bambino con lei, da crescere insieme, sarebbe la mia gioia più grande. Non posso negare di aver sperato, per qualche secondo, di averla messa nuovamente incinta perché è uno dei miei desideri più grandi.

Non posso negarlo, semplicemente non posso, ma non potrei mai essere deluso da lei.

 

“Non posso negare di averci sperato.”- le dico alzandomi dal divano e guardandola. -“Non posso negarlo, ma non sono deluso assolutamente da te.”

 

Mi passo una mano tra i capelli esausto.

 

“Tutto quello che mi chiedo è perché. Insomma… Va bene che Rachel abbia voluto mettere del suo in tutta questa storia, ma… Continuo a non capire.”- le dico facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.

 

Nina sospira frustrata. E’ come se l’avessi messa alle strette.

Poi, improvvisamente, i suoi occhi diventano lucidi e il labbro inferiore trema.

 

“Ho pensato a… A quanto potesse essere bello qualcosa di nostro.”- mi dice con voce così bassa che quasi faccio fatica a sentirla. -“A quanto potesse essere bello avere una bambina nostra. Ma è un’idea stupida, lo so, hai ragione.”

 

Si volta dandomi le spalle mentre io mi blocco. Mi blocco perché rimango pietrificato dall’emozione. 

A quanto potesse essere bello avere una bambina nostra. L’ho sentito davvero?

Ha pronunciato davvero queste parole?

 

“E’ vero quello che dici?”- le domando lieve e mi avvicino per l’ennesima volta a lei. -“E’ tutto vero?”

“Io… Lo so, è un’idea stupida. Abbiamo già due bambini, un lavoro e-”

 

La zittisco con un bacio prima che possa dire qualche altra cavolata. Il lavoro è una cosa secondaria. I bambini, i nostri figli, ci sono, ma fanno parte della nostra famiglia e con un’aggiunta in più avremo soltanto un allargamento. Avremo un nuovo membro nella nostra famiglia a cui dare amore e affetto, in grande quantità.

Il resto non conta, conta solo la nostra famiglia.

 

“Il resto non conta, conta solo la nostra famiglia, Looch.”- le rispondo usando quel nomignolo che tanto le piace. La sento rilassarsi contro di me mentre nasconde la testa sul mio petto. -“Avere una famiglia con te è la cosa che ho sempre desiderato più al mondo. Abbiamo soldi a sufficienza per smettere di lavorare completamente e dedicarci alla nostra famiglia. E non pensare, nemmeno un secondo, che un altro bambino con te sia un’idea stupida perché questo è uno dei miei più grandi desideri.”

 

Nina alza lo sguardo su di me e si passa una mano sugli occhi. Per la prima volta, da quasi un quarto d’ora, mi sorride apertamente e il mio cuore accelera nel vedere questo suo sorriso così vivo.

 

“Vuoi dire che… Vuoi un bambino da me?”- mi domanda timidamente.

“Come potrei non volerlo?”- le domando baciandole la punta del naso.  -“Come potrei non volere un bambino dalla donna che amo?”

 

Mi da un bacio sulle labbra, profondo, intenso.

 

“Da quanto ci stavi pensando?”- le domando accarezzandole la base della schiena.

 

Sospira profondamente prima di rispondermi.

 

“Da un po’.”- mi dice.

“Perché non me l’hai detto prima?”- le domando leggermente turbato. -“Sai che possiamo parlare di qualsiasi cosa.”

“Lo so, ma non sapevo come affrontare l’argomento e non sapevo se ne saresti stato felice.”- mi dice lei. -“Solo adesso mi rendo conto di quanto sia stata stupida.”

“Non sei stata stupida.”- l’ammonisco. -“Avere un altro bambino da te, maschio o femmina che sia, è il mio desiderio più grande. Non l’ho mai detto perché ero convinto fossi felice così.”

 

Nina si stacca leggermente da me e mi guarda sugli occhi.

 

“Sono felice così. Ho due bambini dall’uomo che amo, sto con l’uomo che amo, ho un buon lavoro, una famiglia fantastica, dei buoni amici, una bella casa e perfino degli animali. Io sto bene così, ma sento che… Che c’è qualcos’altro che potrei, che vorrei, avere con te.”- mi dice accarezzandomi un braccio. -“Qualcosa che potremo affrontare insieme. Solo che… Con tutto quello che è successo ho accantonato l’idea.”

 

Le accarezzo una guancia e lei appoggia la sua mano sopra la mia.

 

“Quello che è successo è successo, ora dobbiamo guardare solo al presente e al futuro. A me qualsiasi tua decisione andrà bene, sia che tu voglia un altro bambino o meno.”- le dico ed è la verità.

 

A me basta che lei sia felice, il resto non conta -ovviamente anche i miei figli devono essere felici.

 

“Io voglio un altro bambino!”- mi dice lei guardandomi intensamente negli occhi. Quasi mi sciolgo alle sue parole. -“Un bambino nostro, da crescere insieme. Un fratellino o una sorellina per i gemelli. Un’altra persona a cui dare il nostro amore.”

 

Rido felice e lei mi segue. Ecco come mi sento ora, come mi sento sempre quando sono con lei e i miei figli. Felice.

 

“Anche io voglio un bambino nostro. Voglio essere al tuo fianco questa volta.”- le dico dolcemente.

“Anche quando vomiterò l’anima non appena avrò finito di mangiare?”- mi domanda leggermente imbarazzata e le sue guance ci tingono di rosso.

“Anche quando vomiterai l’anima io ci sarò.”- annuisco baciandole la fronte.

“Anche quando avrò voglia di frutti strani introvabili?”- continua lei.

“Anche quello. Cercherò ovunque pur di farti contenta.”- la rassicuro e la stringo forte al mio petto.

“Anche quando ti sveglierò nel cuore della notte per guardare un film con me?”- mi domanda ancora.

“Anche quello. Guarderò pure Harry Potter se necessario.”- la rassicuro.

 

Il suo sorriso, se possibile, si ingrandisce ancora di più.

 

“Farò tutto quello che mi chiederai per farti stare meglio.”- le dico infine, mentre lei mi sorride dolcemente e mi guarda con uno sguardo che è in grado di farmi tremare le gambe.

“Ti amo, lo sai vero?”- mi dice.

“Certo che lo so, perché ti amo anche io.”- le rispondo accarezzandole i capelli.

“Ci proviamo, quindi?”- mi domanda lei appoggiando una mano sul mio petto. -“Proviamo ad avere un altro bambino?”

“Non sai quanto adori provare.”- le dico morendole una spalla.

 

Nina si stacca da me e mi fissa sconvolta, poi scoppia a ridere di gusto. Speriamo di non aver svegliato i bambini.

 

“Sono seria!”- mi dice lei.

“Anche io.”- le assicuro sorridendole mestamente. 

 

Rimaniamo qualche attimo in silenzio, io perso nei suoi occhi, lei persa nei miei.

 

“Da domani smetterò di prendere la pillola.”- mi dice.

 

E mi rendo conto di come tutto si stia avverando. Ci proveremo. Non è detto che possa capitare domani ne dopodomani, ma ci proveremo.

 

“Nessuno ci vieta di fare pratica già da questa sera però.”- le dico e, prima che possa accorgersene, la prendo in braccio e la porto in camera.

 

Nina mi supplica di farla scendere, ma io non le do ascolto.

 

“Prega di non aver svegliato i bambini.”- mi minaccia.

“Sei stata tu a fare confusione, non io.”- le ricordo e la metto sul letto.

 

Mi chiudo la porta alle spalle e la chiudo anche a chiave per evitare intrusioni.

Mi inginocchio di fronte a Nina, seduta sul letto, e inizio a baciarla.

 

“Io direi che un po’ di pratica non guasta…”- le sussurro all’orecchio. -“Non fare la santarellina…”

 

Nina sorride maliziosa sulle mie labbra e ricambia il bacio. 

Questa notte si prospetta interessante. 

 

 

 

 

Due settimane dopo.

Pov Nina.

I bambini, ancora prima di scendere dalla macchina, sono corsi sul set. Oggi è ufficialmente il primo giorno di riprese e la lettura dei copioni avverrà tra poco. Le ultime due settimane sono passate così in fretta che quasi mi dispiace di essere tornata nuovamente a lavorare. I gemelli sono contenti di essere venuti sul set con noi, in particolar modo Stefan, visto la presenza anche di Rachel, e hanno promesso di non toccare nulla e di fare i bravi, così io e Ian, d’accordo entrambi, abbiamo deciso di portarli con noi perché ci fidiamo -e anche perché nessuno avrebbe potuto tenerli, visto che sua madre è tornata di nuovo in Luisiana, per aiutare Robyn e Robert, e i miei genitori a Toronto per Alex, che, tra l’altro, sembra abbia messo la testa apposto e trovato una ragazza. 

Sono contenta che mio fratello abbia trovato una ragazza, a quanto pare l’ha conosciuta all’interno del suo gruppo di amici, perché, almeno da quello che ho capito, è la sorella di un suo caro amico. E’ da un po’ di tempo che lo vedo euforico e ho intuito da subito di che cosa potesse trattarsi, ma ho preferito lasciargli i suoi spazi, come ha sempre voluto. Non so quando ce la presenterà e se la cosa andrà in porto, ma lo spero per entrambi i casi.

 

“Siete in anticipo?”- trilla una voce alle nostre spalle.

 

E’ proprio la voce della mia bionda preferita.

 

“Colpa di Ian che ha sbagliato a mettere la sveglia.”- le rispondo con un’alzata di spalle voltandomi verso Candice.

 

Ian sbuffa e borbotta qualche scusa che ci fa sorridere entrambe.

 

“I bambini?”- ci domanda Candice.

“Sono corsi dentro.”- le spiega Ian finendo di scaricare le cose dalla macchina. Sono le ultime cose da portare in camerino. -“Sono i più euforici.”

“Già.”- concorda Candice sospirando. -“Si stava così bene in vacanza.”

“Vedo che siamo tutti qui.”- dice una voce che riconosco fin troppo bene.

 

Rachel mi corre incontro e mi abbraccia salutandomi con un Ciao, Zia Nina e poi fa lo stesso anche con Candice.

 

“Phoebe?”- domandiamo io e la bionda.

“L’abbiamo lasciata a casa a dormire.”- ci dice Paul scambiando uno sguardo d’intesa con la figlia. -“Tanto The Originals comincia la prossima settimana.”

 

Alla fine entriamo tutti quanti sul set e l’aria familiare ci investe subito. Gente che corre ovunque, Julie che impartisce ordini, Kevin che controlla tutto e Caroline che finisce di mettere appunto le ultime cose. E gli altri che sistemano le ultime cose nei loro camerini. Paul e Ian vanno ad appoggiare le cose dentro i rispettivi camerini, mentre io, Candice e Rachel ci aggiriamo per il set alla ricerca dei miei figli.

Li troviamo in sala relax, insieme ai figli di Michael Malarkey, intenti a giocare a quella che sembra una PlayStation. Da quando in qua c’è una PlayStation in sala relax? Sarà relax, tra l’altro, che sembra essersi trasformata in sala giochi. 

 

“Hanno trasformato la sala relax in una sala giochi?”- da voce ai miei pensieri Candice.

 

Stefan sembra l’unico ad accorgersi di noi e, quando ci vede, ci viene subito incontro. Ovviamente la sua attenzione è rivolta a Rachel che gli sorride raggiante.

 

“Mamma, hai visto?”- mi dice lui, non prima di aver preso per mano Rachel. -“C’è la PlayStation!”

 

Prima che possa dire qualcos’altro si è già allontanato con Rachel e le sta mostrando come funziona il gioco, mentre Joseph e Marlon hanno il controllo dei joystick.

 

“A quanto pare.”- concordo io. -“Penso sia per tenerli buoni, altrimenti correrebbero da tutte le parti.”

“Devo dire che è stata un’ottima idea.”- mi dice Candice.

“Già, non potevano assolutamente fare qualcosa di meglio.”- le dico, poi riporto l’attenzione sui miei figli. -“Joseph, Stefan, mi raccomando… Non dovete stare tutto il giorno attaccati alla PlayStation.”

 

Entrambi esclamano un Va bene, mamma! che non mi convince molto, ma non posso fare altrimenti, se non passare qualche volta a controllarli -cosa che avrei fatto comunque.

Dopo le ultime raccomandazioni, in particolare modo quella di stare attenti a Rachel, visto che è la più “piccola”, ed essermi beccata uno sguardo esasperato da parte di Stefan, usciamo dalla stanza.

Incrociamo Ian, Paul e Matt lungo il corridoio.

 

“I bambini?”- mi domanda subito Ian.

“Dentro la sala relax. Ormai ex sala relax.”- mi correggo, poi rassicuro Paul. -“Anche Rachel è lì con loro.”

“Perché ormai ex?”- domanda Matt.

“Perché si è trasformata in una sala giochi.”- spiego loro.

“C’è pure la PlayStation!”- sottolinea Candice con finta aria esasperata.

“La PlayStation? Questa si che è una sala relax!”- trilla Zach sbucando dal nulla.

 

Io e Candice scuotiamo la testa esasperate, mentre gli altri ridacchiano. Alla fine ci dirigiamo verso la sala riunioni, non prima di aver controllato per l’ennesima volta i bambini ed esserci assicurati che ci vengano a chiamare in caso di bisogno.

Non appena entriamo notiamo che ci sono quasi tutti e, dopo aver salutato, ci sediamo ai soliti posti. 

Julie, Kevin e Caroline iniziano a distribuirci i copioni e intanto parlano di qualche mezza intenzione di fare qualche crossover con The Originals, visto l’attenzione e il successo che riscuote ogni volta. Io continuo a sfogliare il mio copione e le prime scene, nemmeno a farlo apposta, sono con Ian. Alziamo lo sguardo contemporaneamente e ci sorridiamo, poi continuiamo a revisionare il tutto. 

 


































 

                                                                              * * *

 




































Abbiamo girato due scene nel pomeriggio. Io le ho girate entrambe con Ian. I bambini sono stati veramente bravi, come ci avevano promesso, e hanno giocato quasi tutto il tempo con Rachel, i figli di Michael e anche la figlia di Zach si è aggiunta dopo. Ovviamente, tra una pausa e l’altra, abbiamo trovato del tempo per stare con loro perché è giusto che non si sentano trascurati. 

 

“Andiamo già a casa?”- domanda Joseph sconsolato. -“Ci stavamo divertendo.”

“E’ ora di andare a casa, tesoro, ma ci torneremo domani.”- gli spiego mentre li vedo annuire.

 

Sistemiamo i gemelli in macchina e, dopo aver allacciato le loro cinture ed esserci sistemati anche noi, partiamo.

 

“Mamma? Papà?”- ci chiama Stefan.

“Si?”- lo invitiamo a parlare entrambi.

“Possiamo avere anche noi la PlayStation per il compleanno?”- ci chiede Stefan. -“Faremo i bravi.”

 

Non è la prima volta che me la chiedono e ho sempre declinato questa loro proposta. So quanto adorino i videogiochi e con la PlayStation in casa non avremo più vita, perché passeranno tutto il loro tempo lì. Ora sono grandi, però. Hanno sette anni, ad ottobre ne compiranno otto, e sono perfettamente in grado di capire le regole. Ian mi guarda per qualche istante e capisce al volo a cosa stia pensando. 

 

“Scommetto che non è la prima volta che te la chiedono, no?”- domanda lui.

 

Vedo, grazie allo specchietto, che i nostri figli annuiscono, a metà tra lo sconsolato e il speranzoso.

 

“Non è la prima volta, è vero.”- gli rispondo sospirando. -“Questi due furbetti adorano troppo i videogiochi.”

“Come tutti i bambini.”- sottolinea Ian e ho la netta sensazione che stia prendendo la difesa dei suoi figli.

“Come tutti i bambini, si.”- concordo. -“Ma ora siete grandi. Vi ho sempre detto di no perché eravate troppo piccoli.”

“Quindi la prendiamo?”- domandano eccitati in coro.

“Un attimo, frenate il vostro entusiasmo.”- li fermo e il loro sorriso si spegne. Ian, accanto a me, ridacchia scuotendo la testa. -“Dobbiamo mettere delle regole.”

“Mi sembra ragionevole.”- mi da man forte Ian.

“Regole?”- sbuffa Joseph.

“Quali regole?”- domanda Stefan.

“Potrete usarla soltanto per un tot d’ore al giorno. Ora siamo in vacanza e va bene, ma non voglio che trascuriate la scuola e lo sport per dei videogame, chiaro?”- domando loro ed entrambi annuiscono. -“Potrete scegliere voi quando e decideremo insieme quanto tempo.”

 

I bambini si guardano per qualche istante, molto probabilmente per decidere sulla proposta appena fatta, poi annuiscono.

 

“Va bene, ci stiamo!”- esclamano all’unisono facendo sorridere me e Ian.

 

Una volta arrivati a casa scendiamo dalla macchina ed entriamo. Abbiamo già mangiato sul set, perché hanno deciso di organizzare qualcosa come primo giorno di riprese, così non serve preparare niente per la cena. Quello che serve è sicuramente una doccia.

 

 

“Andate a prendere i pigiami e la biancheria e aspettatemi in bagno.”- dico ai miei figli.

 

Annuiscono e corrono subito a fare quanto detto. Mi volto verso Ian, per capire se vuole aiutarmi, quando lo trovo particolarmente distratto e pensieroso. E’ da qualche ora che è così, precisamente da dopo pranzo.

 

“Va tutto bene?”- gli domando avvicinandomi a lui.

“Si, solo…”- si ferma per qualche istante. -“Ti dispiacerebbe se mi assentassi per un’ora?”

 

Lo guardo per qualche istante, cercando di capirci qualcosa, poi alzo leggermente le spalle.

Mi fido di lui, può andare dove vuole. E’ una persona e può fare qualunque cosa voglia.

 

“No. Vai pure.”- gli rispondo.

 

Posso percepire qualcosa di strano dal suo sguardo e prego che non sia successo nulla di male. Perché cambiare così umore nel giro di poche ore?

Lui annuisce e, dopo avermi dato un bacio veloce sulle labbra, se ne va.

Guardo per qualche istante la porta che si è chiusa, poi decido di andare in bagno dai miei figli. Non è un bene lasciarli troppo tempo da soli in bagno, potrebbero farsi male. 

 

“Mamma, abbiamo già cominciato a riempire la vasca.”- mi dice Stefan indicando l’acqua che scende dal rubinetto. -“E ci abbiamo pure messo il bagnoschiuma, guarda quanta schiuma.”

 

C’è più schiuma che acqua praticamente. Sorrido divertita e do ad entrambi un bacio. Li aiuto a spogliarsi e ad immergersi nella vasca. 

 

“Mamma, ma dov’è papà?”- mi domanda Joseph mentre prende una spugna.

“E’ dovuto uscire per mezz’ora, tra poco sarà di ritorno.”- gli sorrido.

 

Alla fine, come al solito, tra schizzi, schiamazzi e quant’altro mi trovo bagnata dalla testa ai piedi, sotto gli sguardi divertiti dei bambini. Li faccio uscire dalla vasca e li aiuto ad asciugarsi e poi a vestirsi. 

Sono quasi le nove di sera ormai e Ian è andato via da un bel po’ più di mezz’ora. Ma mi fido di lui, se fosse successo qualcosa di grave me l’avrebbe detto. 

 

“Guardiamo un cartone, vi va?”- propongo ai miei figli.

 

Entrambi annuiscono entusiasti.

 

“Facciamo così. Ora andiamo in camera mia e di papà e voi state buoni sul letto a guardare la TV finché mi faccio la doccia e intanto decidete il cartone.”- suggerisco loro.

“Va bene, mamma.”- annuisce Stefan. -“Non tocchiamo nulla.”

“Promesso.”- mi dice solenne Joseph.

 

Do ad entrambi un bacio e, dopo aver preso le mie cose, mi chiudo in bagno. Faccio una doccia veloce perché, per quanto mi fidi, non è un bene lasciare due bambini da soli, potrebbe capitar loro qualsiasi cosa. Esco dal bagno in maglietta e pantaloncini corti e con i capelli raccolti in una crocchia disordinata.

In camera, oltre ai miei figli, ci sono anche Spike, Nietzsche e Klaus, quest’ultimo intento a mordicchiare il tappeto. Quel gatto sta avendo una convivenza parecchio civile con tutti, dopotutto. 

 

“Mamma, penso abbiano fame.”- mi fa notare Joseph.

“Lo penso anche io, tesoro.”- gli dico per poi guarda i due cani e il gatto. -“Andiamo giù a dar loro da mangiare allora.”

 

I bambini saltano giù dal letto e andiamo tutti e tre in sala per dar da mangiare agli animali, che, ovviamente, ci seguono come se fossimo veramente del cibo che cammina. Joseph e Stefan mettono i croccanti sulla ciotola di Spike e Nietzsche, mentre io do da mangiare a Klaus, che mi guarda con sguardo famelico. Gli lascio una carezza molto veloce sulla testa per evitare qualche graffio da parte sua, poi torno su insieme ai bambini. 

 

“Avete deciso cosa guardare?”- domando una volta sistematici sotto le coperte.

Il Re Leone!”- trillano in coro.

 

Perché proprio il Re Leone? Dopo averlo visto la prima volta sono rimasta traumatizzata a vita. E lo so che ho trentaquattro anni, ma certe morti fanno sempre effetto.

 

“Ne siamo sicuri?”- domando, sapendo bene come sono fatti i miei figli.

 

Ad un certo punto sembrano parecchio sadici. Soffrono per la morte di Mufasa eppure continuano a dire di volerlo guardare.

 

“Sicuri sicuri!”- afferma Stefan.

“Okay, Re Leone sia allora.”- dico andando sulla sezione cartoni e facendolo partire. -“Ma poi non lamentatevi con me.”

“Va bene, mamma, ma noi non piangiamo come te per la morte di Mufasa.”- mi prende in giro Joseph.

 

Stefan, al mio fianco, ridacchia divertito.

 

“Senti chi parla! Vedremo dopo.”- dico ad entrambi.

 

I miei figli si accoccolano sul mio petto e ci perdiamo a guardare il cartone, uno di quelli che ha fatto la storia della Disney.

Ogni tanto il silenzio viene interrotto dai miei figli che fanno un sacco di domande, anche se l’hanno visto decine di volte, e continuano a spoilerare scene. E’ sempre così, non riusciamo mai a guardare un cartone in santa pace. A metà cartone ci raggiungono anche Spike e Nietzsche, Klaus molto probabilmente è in giro per la casa. 

 

_________________________________________

Buon fine settimana a tutti :)

Scusatemi per il ritardo, ma non avete idea di quante verifiche e interrogazioni abbia avuto nelle ultime due settimane.

Se è per questo anche la prossima, ma vabbè, l’importante è che abbia trovato un po’ di tempo per pubblicare ora!

Capitolo questo che tratta un tema molto importante e uno che salterà fuori anche nel prossimo capitolo, che chiuderà un po’ il ciclo, ma andiamo per ordine.

Eravamo rimasti a Ian che trovava delle tutine, che Nina aveva precedentemente comprato (apparentemente senza nessun senso), e che comincia a chiedersi il perché e, ovviamente, Nina lo scopre. In questo capitolo vediamo effettivamente di come sia accaduto tutto in maniera casuale e di come entrambi abbiano reagito.

Non è la prima volta che viene tirata fuori la questione bambino (è la prima volta che ne parlano insieme, ma l’argomento era sulla mente di entrambi già da un po’), ma Ian e Nina, un po’ per paura di quello che avesse potuto pensare l’altro -più che lecita, direi- e un po’ per timidezza non l’hanno mai affrontato. Prima o poi però sarebbe dovuto venire fuori ed ecco che è sbucato ora. Ian comincia con il farsi domande più che lecite ed inizia a fantasticare su una loro futura bambina (*_*), ma Nina, per ovvie ragioni, demolisce ogni sua supposizione, facendolo riflettere. Nina si è sempre tirata indietro sull’argomento perché in primis non sapeva come affrontarlo e anche perché era convinta che a Ian bastassero due figli e che non ne volesse un altro, cosa evidentemente sbagliatissima. Ian, invece, non ha mai manifestato il suo interesse perché era contento così (vivere con la donna che ama e con i loro due bambini), ma lui ha sempre voluto un altro bambino, ma anche lui, come Nina, non sapeva come affrontare un argomento. Sembra facile parlare di ciò, ma, almeno secondo me, non lo è affatto. I due quindi arrivano ad un chiarimento, più che lecito e… Hanno deciso di provarci! Quindi, d’ora in avanti, ci proveranno sul serio. Non che fosse difficile per loro provarci, comunque AHAHAHAH.

Vedremo una mini Nina o un altro mini Ian prima o poi?

La seconda parte è un preludio di una successiva, che verrà spiegata nel prossimo capitolo, anche se da questo non si capisce poi molto. Scopriremo dove è andato Ian, tranquille, non è impazzito.

Sostanzialmente non ho molto da dire sulla seconda parte, se non Joseph e Stefan due piccoli appassionati di videogiochi *^*

Ringrazio le tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e spero che in questo aumentino, anche se di poco.

Alla prossima ^^

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Capitolo 45
*** Happiness or not? ***


                                       Happiness or not?



Pov Ian.

Suono al campanello della casa ed aspetto, a metà tra l’irritato e l’impaziente. Sono venuto qui per una determinata cosa e non me ne andrò via finché non l’avrò ottenuta.

Mi è dispiaciuto lasciare Nina e i bambini da soli, ma, dopo quello che mi ha detto il mio avvocato, ho deciso di risolvere le cose, almeno in parte, per conto mio.

Ho chiesto il divorzio mesi fa e non è ancora pronto perché la suddetta persona continua a non firmare le carte. Sento dei passi dietro la porta e i miei tratti si irrigidiscono. La porta si apre, rivelandomi la figura della mia ex moglie in vestaglia. L’unica cosa che è cambiata, dall’ultima volta che l’ho vista, è la pancia. Adesso mette in mostra un pancione e, da quello che so, dovrebbe essere prossima al parto, ma non mi importa, deve mettere quella firma su quelle maledette carte. 

Fa per chiudermi la porta in faccia, dopo avermi guardato con sgomento e, giurerei, anche un po’ di paura, ma sono più veloce di lei e metto un piede tra la porta e il muro, impedendole così di chiuderla. 

 

“E’ inutile che scappi, sai perché sono qui.”- le dico freddo, mentre lei sbatte impaurita le palpebre. -“Non ti farò del male, non sono quel tipo d’uomo, anche se meriteresti ogni tipo di male possibile.”

 

Lei continua a guardarmi impaurita e rimane immobile. Decido di prendere in mano la situazione e apro la porta, sorpassandola ed entrando così in casa. 

 

“Non è casa tua e non-”

 

Ha anche il coraggio di parlare? Evidentemente si. Dopo tutto quello che ha fatto, che ci ha fatto, ha ancora il coraggio di rivolgermi la parola.

 

“Me ne starò qui per cinque minuti, ovviamente se acconsentirai a quello che sto per dirti.”- le dico tetro. -“Non che tu abbia molta scelta, comunque. Ma penso che tu sappia perché io sia venuto qui.”

“Ian, senti, io-”

 

La interrompo nuovamente, prima che possa dire altro. Il solo sentire la sua voce mi rende nervoso e mi viene la nausea.

 

“No, parlo io. Non voglio più sentire la tua voce e né vedere più la tua faccia. Hai fatto del male a me e alla mia famiglia e questo non potrò mai perdonartelo. A quest’ora avrei potuto fare di tutto, spiegare il perché del nostro allontanamento, ma non voglio assolutamente alimentare ancora più voci di quanti ce ne siano in giro. Sono stufo di stare sotto i riflettori, anche la mia famiglia lo è.”- sputo fuori. Per famiglia, ovviamente, intendo Nina e i nostri figli. -“Avevo intenzione di farlo, sai? Dire quello che hai combinato.”

“Ero convinta che fosse tuo fin quando-”

 

La fulmino con lo sguardo e preferisce, fortunatamente, zittirsi sa sola.

 

“Non mi importa di che cosa tu fossi convinta. Volevi obbligarmi a stare con te, vivere la mia vita, e crescere un figlio non mio. Ma che razza di persona potrebbe fare questo? E pensare che ho messo in dubbio Nina in una situazione simile solo perché me l’hai chiesto tu. Non mi perdonerò mai una cosa del genere!”- esclamo, poi tento di riprendere il filo del discorso. -“Non osare mai più avvicinarti a me o alla mia famiglia, altrimenti non potrei rispondere di me. Hanno sofferto troppo in questi anni, per causa mia e per causa tua, non ho intenzione che tu venga da noi e rovini la nostra felicità. Firma quelle dannate carte per il divorzio.

“Non ho nessuno, io… Non ho nessuno, sono rimasta sola…”- balbetta lei dando sfogo alle lacrime.

 

Un tempo mi sarei preoccupato, ora mi fa solo ribrezzo.

 

“Non mi interessa, l’hai voluto tu, non io. Corri dal tuo ex marito, sembra che ti riesca bene.”- esplodo stringendo le mani a pugno. -“Hai tempo due giorni per firmare le carte del divorzio, altrimenti prenderò alcuni provvedimenti e non sarà affatto piacevole. Non sarei mai dovuto diventare così, ma hai superato, fin troppo, il limite. Un conto era fare del male a me, un conto è stato toccare i miei figli.”

“Mi dispiace… Non avrei dovuto… Non avrei dovuto… Farlo…”- balbetta.

“Si, non avresti dovuto. Ma l’hai fatto. Hai fatto fin troppo.”- dico gelido osservandola negli occhi. -“Ed ora è meglio che tu firma quelle carte, altrimenti non potrei rispondere delle mie azioni. Spero sia l’ultima volta questa, l’intendo vederci. E se in futuro dovessi vedermi cambia strada, è meglio.”

 

Rimane zitta e abbassa lo sguardo. Decido di andarmene, sono rimasto qui più di quanto mi sia promesso.

Tutto quello che voglio fare ora è tornata a casa dalla mia donna e dai miei figli.

 

“Lo farò.”- dice flebile. -“Firmare i documenti, dico.”

“E’ la tua unica scelta.”- le dico. Poi esco dalla casa, ma prima di chiudermi la porta alle spalle la guardo per l’ultima volta. -“Due giorni di tempo, altrimenti prenderò provvedimenti seri. E non mi importa dove tu sia, potresti andare in Australia e io sarei comunque lì.”

 

Mi chiudo la porta alle spalle, non volendo nemmeno sentire la sua risposta. Sa, l’ho capito dal suo sguardo, che farei qualsiasi cosa se non firmasse quei documenti. Voglio essere al più presto libero.

Deve ringraziare Nina e i miei figli, perché, senza di loro, ci avrei messo due secondi a far uscire tutto.

Tutto quello che voglio ora è vivere felice senza scheletri nell’armadio -ovvero essere ancora legato a qualcuno legalmente.

Voglio stare con Nina e i nostri figli e chissà, un giorno, quando si sentirà pronta e tutto questo sarà finito, le chiederò di sposarmi.

Nina Somerhalder.

Ho sempre pensato che il suo nome stesse benissimo accanto al mio cognome.

 


































 

                                                                            * * *


































 

 

Le luci di casa sono tutte spente. Dovevo immaginarlo, sono stato via più tempo del previsto. Mi sento in colpa. Sono andato via senza dare nessuna spiegazione a Nina, perché si sarebbe preoccupata per me e di quello che avrei potuto fare, e sicuramente ce l’ha con me.

Ma ho pensato che sarebbe potuta andare peggio e darle false speranza non mi è sembrato il massimo. 

Entro in casa e nessuno mi viene incontro, nemmeno Spike e Nietzsche. Klaus non è da contare, è un gatto -il più pigro e pestifero, per quanto possano essere antipodi, che abbia mai conosciuto. 

Mi tolgo le scarpe e salgo velocemente al piano di sopra. Vedo la luce della televisione provenire dalla camera di Nina. Che mi abbia aspettata sveglia? Da una parte spero di no. Domani dobbiamo lavorare e le fa bene a dormire. Dopo essere passato per la camera dei gemelli capisco subito che siano da Nina, in camera nostra. Non appena entro nella nostra camera il mio cuore si scioglie. Sono tutti e tre nel nostro letto. Nina è al centro e Joseph e Stefan si sono addormentati con la testa sul suo petto. E’ strano che Nina abbia preso sonno così, così come Stefan, visto che è abituata a dormire a pancia in giù. Sarà stata così stanca da crollare praticamente subito. Noto che alla TV c’è un cartone animato. Il Re Leone, tipico dei nostri figli. Prima di spegnere subito decido di prendere il mio iphone e scattare loro una foto, sperando che il flash non rovini l’atmosfera. Continuano a dormire comunque. Spengo la televisione e, dopo essermi messo un paio di pantaloni della tuta, decido di mettermi a letto con loro. 

Mi sveglio quando è già mattina. Mi volto, sperando di trovare la mia donna e i miei figli, ma non c’è nessuno sul letto. Molto probabilmente sono giù a fare colazione. Guardo l’ora e sono perfettamente in orario. Mi alzo dal letto e, dopo esseri infilato una maglietta, scendo le scale e vado in cucina, dove trovo i miei figli seduti a tavola con un bicchiere di latte fumante e Nina di spalle, intenta a preparare qualcosa.

 

“Papà!”- esclamano all’unisono.

 

Mi rivolgono un sorriso raggiante ed io ricambio avvicinandomi a loro, lasciando una carezza ad entrambi sulla testa. Nina si volta verso di me e, dopo avermi guardato per qualche istanti con occhi indecifrabili, si gira e continua a cucinare qualcosa. Mi passo una mano tra i capelli e, per non creare ulteriori problemi, do un bacio ai miei figli sulla testa e decido di andarmi a fare una doccia, visto che ieri non ne ho avute le forze.

 

“Ma papà, la mamma sta preparando i pancake!”- mi avvisa Stefan.

“Lo so tesoro, ma ho veramente bisogno di fare una doccia. Magari posso mangiarli dopo.”- gli spiego.

 

Già, Nina ce l’ha con me e non posso biasimarla. Mi sa che le devo delle spiegazioni.

Decido quindi di tornare in camera e andarmi a fare una doccia. Apro un cassetto e comincio a prendere della biancheria pulita, una maglietta e un paio di pantaloni. Faccio per andare in bagno quando un colpo di tosse mi obbliga a fermarmi. Nina è appoggiata allo stipite della porta e mi guarda, a metà tra lo seccato e il preoccupato.

Le rivolgo un sorriso -quello che so che è in grado di farle tremare perfino il cuore-, ma lei non cede, continua a guardarmi imperturbabile.

Ha ragione. Ho fatto una cosa per il nostro bene, ma sparire così e tornare ore dopo effettivamente non è stata una buona azione.

 

“Mi sa che forse ti devo delle scuse.”- le dico leggermente imbarazzato.

 

Ho quarantacinque anni eppure certe volte mi sento ancora un bambino.

 

Forse?”- mi domanda lei alzando un sopracciglio.

“Okay, ti devo veramente delle scuse.”- mi correggo subito dopo.

 

Non mi dice niente, aspetta che sia io a parlare. Cerco di elaborare un discorso serio nel quale spiegarle che cosa ho fatto, perché e quale sia il mio obiettivo finale, ma, evidentemente, ci metto un po’ troppo perché Nina si stacca dallo stipite spazientita. 

 

“Ho provato a chiamarti quattro volte.”- inizia lei e la fisso interrogativo. Ci metto qualche secondo a capire che avevo spento il telefono e mi do dell’idiota all’ennesima potenza perché sarebbe potuta capitare qualsiasi cosa. -“E non ho ricevuto risposta. Non starò qui a chiederti dove tu sia stato, perché sei libero, giustamente, di fare quello che vuoi, ma mi sono preoccupata. Di solito sei uno che ha il cellulare sempre acceso, non ti dico a che cosa ho pensato.”

 

Abbasso lo sguardo colpevole. Ha ragione. Avrei dovuto almeno tenere il cellulare acceso. Non le ho detto nulla per non farla preoccupare ed è successo quello che esattamente temevo, solo che la colpa è esclusivamente mia.

 

“E ho dovuto trovare delle scuse anche con i bambini perché, ovviamente, si sono domandati perché il loro padre sia sparito praticamente senza dire nulla.”- continua lei incrociando le braccia al petto. 

“Sono andato a fare una cosa e-”

“Questo l’avevo capito.”- ribatte lei passandosi una mano tra i capelli. 

 

Non dice più nulla. Non chiede più nulla. Percepisco come si sente. Non lo da a vedere, ma è delusa. Non mi chiede nulla perché vuole lasciarmi i miei spazi e la mia libertà, ma è stata delusa dal mio comportamento. Non per non averle detto niente, ma per essere sparito per ore. Se l’avesse fatto lei molto probabilmente sarei andato fuori di testa. Me ne rendo conto ora perché ieri ero troppo concentrato ad andare da Nikki per chiudere definitivamente la questione.

 

Looch, senti, mi dispiace.”- le dico tentando di ammorbidirla. Muovo qualche passo verso di lei che rimane ferma. -“Non sarei dovuto sparire così, magari avrei dovuto mandarti un messaggio per dirti che avrei fatto tardi.”

“Avresti dovuto.”- ribatte lei scontrosa.

“Ma era una cosa importante…”- continuo io.

 

Lei annuisce, ma comunque mantiene sempre lo stesso sguardo.

Dovrei dirglielo ora, o adesso o mai più.

 

“Ho dovuto fare una cosa importante per noi. Te ne ho parlato più volte, ma, visto che la situazione non cambiava, ho deciso si prenderla in mano io.”- le dico dolcemente.

 

Nina mi guarda e ora il suo sguardo passa dallo scocciato al curioso.

 

Sono stato da Nikki.”- le dico senza preamboli.

 

Nina sbatte le palpebre confusa, poi la sua mascella si irrigidisce. Diciamo che se potesse prenderla a calci lo farebbe seduta stante, cosa che avrei voluto fare io, ma non ho potuto perché, come uomo, non oserei mai toccare una donna, per quanto male possa avermi -averci- fatto.

 

“Ho parlato nuovamente del divorzio e l’ho messa alle strette. Firmerà e non perché lo dico io, ma lo farà. Prima non l’ha fatto perché era convinta che in qualche modo potessi tornare da lei, cosa che non avrei mai fatto, e ha fatto tutto questo per attirare l’attenzione, seppur in modo contorto, ma lo farà. E se non lo farà andrò ovunque lei vada per obbligarla a farlo.”- le spiego cercando di farmi capire e di dirle quello che ho capito. 

“Perché non me l’hai detto subito?”- mi domanda.

 

Ecco la domanda che mi aspettavo.

 

“Non sapevo se sarebbe andata a buon fine e non volevo illuderti.”- le spiego passandomi una mano tra i capelli.

 

Nina sbuffa e scuote la testa, ma finalmente si stacca dallo stipite.

 

“Non mi importa che tu sia ancora sposato o meno. O perlomeno mi importa fino ad un certo punto per la tua felicità e la tua sanità mentale. Potresti rimanere sposato a vita, ma siamo insieme, è questo l’importante.”- mi dice lei guardandomi.

“Lo so, ma voglio chiudere il matrimonio e lasciarmelo alle spalle.”- le spiego sospirando.

“Questo lo so, ma non cambierà nulla anche se rimarrai sposato. In futuro potrebbe darci qualche problema se dovesse succedere qualcosa, ma sto bene così.”- mi dice lei.

“Andava fatto questo. Non voglio più essere legato a nessuno, solo a te e ai nostri figli.”- le dico portandomi di fronte a lei. -“E non volevo che ti facessi false speranze.”

“Non me ne sarei fatta.”- mi dice lei prendendo le miei mani con le sue.

 

Ecco, mi ha perdonato. O comunque le è passata. Non avrò mai più questo comportamento del genere, non con lei.

 

“Ti conosco, ci avresti rimuginato comunque.”- le dico dandole un bacio tra i capelli.

“Non è vero…”- borbotta lei.

“Dobbiamo metterci a discutere su questo?”- le domando stringendola a me prendendola così alla sprovvista.

 

Veniamo interrotti dalla voce dei nostri figli che sbucano sulla porta della nostra camera.

 

“Mamma, papà, noi abbiamo finito la colazione.”- ci informa Joseph, mentre Stefan sta ancora finendo di mandare giù qualcosa.

“Va bene, correte a pulirvi che vi aiuto a prendere i vestiti.”- dice loro Nina.

 

I bambini annuiscono e corrono in camera loro.

 

“Siamo obbligati ad andare?”- le domando immergendo il viso nei suoi capelli.

 

Si sta così bene.

 

Dobbiamo. Abbiamo una serie da portare avanti.”- mi dice staccandosi da me dandomi un bacio sulle labbra.

“Potrei farmi perdonare portandoti a cena questa sera.”- le propongo.

 

Le mi guarda e ridacchia.

 

“Ti ho già perdonato, solo la prossima volta rispondi. Ho pensato fossi finito sotto un camion.”- mi dice lei ritornando seria.

“Okay, quello no.”- le sorrido. -“Non posso portarti fuori a cena?”

“Quello puoi farlo quando vuoi.”- mi dice lei sorridendomi.

“Allora questa sera ti porto fuori a cena.”- le dico. -“Noi due, in un ristorante, qualcosa di romantico.”

 

La prospettiva mi piace, eccome se mi piace.

 

“Quindi vuoi farmi vestire elegante?”- mi domanda lei divertita.

“Potresti venire anche in pigiama, saresti la più bella di tutte lo stesso.”- le dico rubandole un bacio.

“Non verrei mai in pigiama.”- mi dice lei, poi sorride. -“Io e te… E i bambini?”

“Con mia madre o con la tua. Magari con entrambe.”- le dico.

“Mhm… Andata. E’ da un po’ che non stiamo da soli.”- mi dice.

“Lo so. Io, te, ristorante romantico. Passeggiata sotto le stelle. Prevedo un bel dopo cena anche.”- le dico solleticandole un fianco.

“Ian!”- esclama lei tirandomi uno schiaffo sulla nuca.

 

La riprendo tra le mie braccia.

 

“So che piace a te quanto piace a me!”- le sussurro all’orecchio malizioso. -“E poi dobbiamo fare pratica, ricordi?

“Lo ricordo, ma per te ogni scusa è buona.”- mi rimbecca lei divertita.

“Vuoi dirmi che non ti piace?”- le domando fintamente scioccato.

Non vedo l’ora…”- mi dice in tono malizioso per poi sfuggire dalla mia presa e dirigersi in camera dei bambini.

 

Questa donna mi fa perdere la testa.

 

 

 

 

Qualche mese dopo.

Pov Nina.

“Congratulazioni, papà!”- dico a Paul abbracciandolo.

 

Paul ricambia la mia stretta e sento che il suo corpo si rilassa contro il mio. Il secondogenito dei Wesley è nato una ventina di minuti fa e, da quanto abbiamo capito, l’hanno portato insieme a tutti gli altri bambini. 

Mi stacco da lui e lascio che anche gli altri possano fargli le congratulazioni.

 

“Com’è andata?”- gli domando una volta che le acque si sono calmate.

 

Paul si passa esausto una mano tra i capelli prima di rispondermi.

 

“E’ andato tutto bene.”- mi dice sollevato. -“Sono quasi svenuto, ma ora sono apposto.”

“Troppo sangue?”- gli domando.

“Un po’.”- mi dice lui scuotendo leggermente la testa. -“Ma Phoebe sta bene e anche nostro figlio, l’importante è questo.”

 

Phoebe ha dovuto subire un taglio cesareo. Niente di preoccupante visto che è stato programmato qualche mese addietro perché il bambino, purtroppo, si presentava in posizione podalica e per non rischiare i medici sono arrivati alla conclusione che il taglio cesareo sarebbe stata la scelta perfetta. Ovviamente Paul e Phoebe hanno accettato, sebbene la riluttanza iniziale della seconda, per non mettere in pericolo il loro bambino.

 

“Possiamo vederlo?”- domanda Candice eccitata.

 

Paul annuisce sorridendo e lo seguiamo. Ian mi avvolge un braccio attorno alla vita e mi da un bacio sulla guancia felice. 

 

“Speriamo non prenda i capelli di Paul, sennò starà ore e ore davanti allo specchio.”- mi sussurra lui facendomi sorridere.

“Paul ha dei bei capelli.”- sottolineo sempre a voce bassissima mentre seguiamo gli altri.

“Preferisci i capelli di Paul ai miei?”- mi domanda lui fintamente offeso.

 

Per dispetto gli scompiglio i capelli facendolo sbuffare.

 

“Sai che adoro i tuoi capelli.”- gli sussurro dolcemente.

“Oh, lo so.”- mi sussurra lui all’orecchio e la sua mano scivola sotto la maglietta, sulla mia schiena, facendomi rabbrividire, e non di freddo. -“Lo so ogni notte, mentre le tue mani si perdono tra i miei capelli.”

 

Non faccio in tempo a ribattere perché finalmente arriviamo al nido, dove tengono tutti i bambini. Ci incantiamo tutti quanti ad osservare i bambini, piccolissimi, dormire beati, mentre alcuni muovono le manine, altri le piccole gambe e altri ancora gli occhietti. Paul ci indica suo figlio ed è amore a prima vista. L’avevo riconosciuto, i tratti sono un perfetto misto tra Paul e Phoebe, anche se predominano quelli del mio amico, ma averne la conferma mi fa sciogliere completamente il cuore. E’ bellissimo. I capelli sono castano chiaro e gli occhietti chiusi non ci permettono di capire di che colore siano, ma ho la netta sensazione che diventeranno verdi, proprio come quelli di Paul. Ora è ancora troppo piccolo per capirlo, ci vorrà ancora qualche mese. 

 

“E’ la tua fotocopia sputata, anche se ha qualcosa di Phoebe.”- rompe il silenzio Ian guardando l’amico.

“Dici?”- domanda lui non staccando gli occhi da suo figlio. Un sorriso orgoglioso gli affiora sulle labbra. -“Ha anche molto di Phoebe.”

“Non fare il modesto, è la tua fotocopia se non per qualche piccolo particolare, tipo il taglio degli occhi.”- lo blocca Candice facendoci scoppiare tutti a ridere.

Wesley, quel bambino è l’Innominato?”- interviene Matt facendoci ridacchiare tutti. Effettivamente c’è solo il cognome, non il nome, magari è una sorpresa. Infatti in tutti questi mesi non hanno proferito nulla sul nome. -“Non ha un nome.”

“Certo che ce l’ha, ma è una sorpresa.”- dice lui con un’alzata di spalle.

 

Un’infermiera carina avvicina il bambino al vetro così che possiamo vederlo meglio. Il piccolo Wesley si muove leggermente dal brusco movimento, ma poi continua a dormire beato con la boccuccia semiaperta. E un ricordo lontano mi affiora. I miei bambini appena nati, tanto piccoli, ma forti combattenti. Anche loro all’inizio dormivano con la boccuccia semiaperta ed erano lo spettacolo più bello del mondo. 

Lo sono ancora. 

 

































 

                                                                         * * *

 

































 

Il piccolo Wesley si è addormentato qualche minuto fa tra le mie braccia. E’ uno scricciolo piccolissimo, per quanto sia lungo 54 cm e pesi 3,100 kg, e per adesso non fa altro che mangiare e dormire, come qualsiasi bambino appena nato. 

Ci siamo solo io e Ian con Paul e Phoebe, perché gli altri sono andati a casa. Rachel, visto l’ora tarda, verrà domani mattina a conoscere il fratellino. Ridò il bambino a Phoebe, che se lo sistema tra le braccia, e con uno sguardo io e Ian decidiamo di andare a casa. Dobbiamo passare a prendere i bambini e domani per noi è comunque un giorno di lavoro. Phoebe è entrata in maternità e Paul tornerà come minimo tra una settimana.

 

“Noi andiamo, vi lasciamo un po’ da soli.”- dice loro Ian.

 

Per quanto sia è stata una giornata pesante anche per loro, se non più di tutti. E Phoebe ha bisogno di riposo, ha pur sempre subito un intervento.

 

“Un attimo, vogliamo dirvi qualcosa.”- ci dice Phoebe sorridendo.

“Vogliamo che voi siate i primi a saperlo, per gli altri c’è tempo anche domani. Candice molto probabilmente ci chiamerà tra dieci minuti, ma vogliamo che lo sappiate prima voi.”- ci dice Paul lasciando una carezza sulla testa del figlio. 

“Che cosa?”- domanda Ian curioso.

 

Penso sia il nome.

 

Il nome.”- gli sorride Paul.

“Non dirmi che l’hai chiamato Geremia perché lo chiamerò con il suo secondo nome.”- puntualizza Ian facendoci ridacchiare tutti e tre.

“Niente Geremia.”- lo rassicura Phoebe con un sorriso. -“Fortunatamente ho fatto cambiare idea a Paul.”

“Anche Geremia era carino…”- bofonchia Paul, ma posso comunque sentire divertimento nella sua voce. -“Comunque no, non è Geremia.”

 

Paul guarda Ian per qualche istante. 

 

“Credo che il Defan si ripercuoterà anche nella nostra quotidianità.”- aggiunge Paul guardando il figlio. -“Date il benvenuto a Damon Owen Wesley.”

 

Ian accanto a me spalanca la bocca, mentre io sorrido ai nostri amici. L’avevo intuito dai loro continui sguardi a Ian, mentre l’uomo affianco a me sta ancora cercando di metabolizzare la cosa.

Damon.

Non potevano trovare nome più azzeccato.

 

Damon?”- domanda Ian cercando una conferma.

“Proprio Damon.”- conferma Paul. -“Vuoi ancora chiamarlo per secondo nome?”

“No, mi sembra… Perfetto…”- balbetta lui leggermente in soggezione.

“Non montarti la testa, però.”- gli dice Paul abbracciando Ian. -“E mi auguro che il carattere sia completamente diverso.”

“Damon non ha un brutto carattere.”- gli fa notare Ian.

“No, certo che no.”- borbotta Paul.

“Stefan è un piagnone eppure mio figlio non è così.”- gli dice Ian con un’alzata di spalle.

“Stanno davvero discutendo su questo?”- mi domanda Phoebe una volta che mi sono avvicinata a lei.

“A quanto pare.”- ridacchio.

 

Alla fine, dopo aver passato altri dieci minuti con loro, decidiamo di andare per concedergli un po’ di tranquillità.

Andiamo a prendere i bambini da mia madre e ci riempie di domande su come sia il bambino, come stia e se sia andato tutto bene. Una volta finito e aver messo i bambini in macchina in poco tempo arriviamo a casa.

I bambini ci chiedono di mostrare loro una foto del piccolo Damon e noi gliela mostriamo senza problemi.

 

“E’ piccolissimo!”- esclama Stefan toccando lo schermo meravigliato.

“Anche noi eravamo piccoli così, mamma?”- mi domanda Joseph.

“Un po’ più piccoli.”- gli spiego.

“Di che colore sono gli occhi?”- domanda Stefan osservando incantato il bambino.

 

Sembrano veramente attratti da Damon o forse perché è piccolo. Hanno sempre avuto una dolcezza unica nei confronti dei bambini più piccoli di loro, mi è bastato vedere anche con Daniel. 

Sarebbero dei fratelli maggiori fantastici se solo arrivasse un altro bambino. 

Io e Ian ci stiamo provando ormai da mesi e, per quanto mi possa piacere, nessun bambino è ancora arrivato. Ci sono coppie che provano anche per anni senza mai riuscirci. E se fosse il nostro caso? 

Che il destino si stia accanendo ancora contro di noi? Spero di no.

Desideriamo un bambino e non solo per il gusto di averlo, ma perché lo vogliamo veramente. Desideriamo mettere al mondo una nuova vita di cui prenderci cura e a cui dare amore.

Spero solo che prima o poi possa accadere.

 

 

“Hey, ti sei incantata?”- mi domanda Ian mettendomi una mano sulla spalla.

 

Sbatto le palpebre. Non mi sono accorta della sua vicinanza.

 

“No, stavo solo pensando.”- gli sorrido cercando di rassicurarlo.

 

Ian mi guarda negli occhi e, evidentemente, capisce che c’è qualcosa che non va. Annuisce solo, ma so che dopo mi domanderà che cosa c’è che non va.

Dovremmo parlarne? Evidentemente no. Magari anche lui se lo sta chiedendo, non ora, ma a qualsiasi ora del giorno, e forse buttarsi giù non fa altro che peggiorare la situazione.

 

“Allora mamma? Di che colore ha gli occhi?”- mi domanda Stefan.

“Non lo so, tesoro. E’ ancora piccolo per capirlo. Ce li ha chiari, ma potrebbero scurirsi, come rimanere così.”- gli spiego.

“E i nostri sono stati subito chiari?”- mi domanda Joseph.

“Si, amore, sono sempre stati chiari. E dovete essere orgogliosi dei vostri occhi, sono stupendi.”- rispondo.

“Anche i tuoi sono belli.”- mi dice Stefan. -“Papà dice sempre che assomigliano a quelli di un cerbiatto.”

“E’ vero.”- conferma Ian lasciandomi un bacio tra i capelli. -“Posso confermarlo.”

 

Ian me l’ha sempre detto. Ha sempre detto che ho gli occhi da cerbiatto, da cui deriva uno dei miei soprannomi (Bambi), e che sono in grado di fargli fare qualsiasi cosa quando lo guardo. 

Per me sono degli occhi come gli altri, a differenza dei suoi che sono come il cielo, così uguali a quelli dei nostri figli. 

 

“Potremo vederlo anche noi?”- mi domanda Joseph indicando la foto di Damon sul cellulare.

“Certo, magari quando Phoebe e il bambino tornano a casa.”- gli sorrido.

“Come si chiama?”- domanda Stefan curioso.

Damon.”- gli risponde Ian.

“Damon come il tuo personaggio, papà?”- gli domanda ancora Stefan.

“Esatto, proprio come il mio personaggio.”- gli sorride Ian. -“Così come il tuo nome è quello del personaggio di Paul.”

“E il tuo”- mi rivolgo a Joseph. Non voglio che si senta messo in disparte perché gli altri hanno nomi dei personaggi e lui no. -“è il secondo nome di papà. Avete tutti e due nomi importanti.”

 

I bambini alla fine decidono di giocare con Ian a dama. Hanno imparato da qualche giorno, grazie alle spiegazione di Ian, e ogni momento è buono per sfidarsi o sfidare il padre. 

Io, così, decido di salire in camera per andarmi a fare una bella vasca rilassante. 

Non so quanto tempo sto dentro, so solo che quando esco il mio cellulare inizia a squillare. Rispondo qualche secondo dopo e capisco subito che si tratta di Julie.

 

-Ti ho disturbata?- mi chiede lei.

-No, sono appena uscita dalla doccia.- la rassicuro.

-Ho una proposta da farti.- mi dice lei e mi siedo sul letto, avvolta nell’accappatoio, incuriosita. -Anche se sono quasi sicura che Ian mi ucciderà dopo questo.-

 

Aggrotto le sopracciglia pensierosa.

 

-Perché dovrebbe ucciderti?-

-Per la tua salute, sai com’è, è molto premuroso e meno cose fai più lui è contento.- mi spiega con ovvietà.

-Certe volte si preoccupa un po’ troppo.- le dico, ma sorrido. Mi piace che si preoccupi per me, dimostra quanto tiene a me. -Non ti ucciderà, ne sono sicura.-

 

Sospira dall’altro lato del telefono, poi, finalmente, decide di parlare.

 

-Ormai sei fuori gioco da parecchio tempo.- inizia.

-Mi vuoi licenziare?- domando.

-Scherzi? Dopo tutto quello che ho fatto per farti tornare!- esclama lei facendomi ridacchiare. -Tu sei proprio l’ultima persona che licenzierei, se ce ne fosse bisogno.-

-Questo mi rincuora parecchio.- ridacchio.

-Mi è arrivata un’offerta. Un’offerta molto importante.- mi dice lei.

 

Un’offerta? Per me.

 

-Hanno chiesto a me e se accetti ti darò il loro numero, oppure potrai dargli il tuo. E’ per un film, non una serie TV.- mi spiega lei.

 

Film? Per un film? Da quanto è che non recito per un film?

 

-Che film è?- le domando.

-E’ un buon film. Davvero ottimo. C’è un ottimo regista e anche alcuni personaggi già conosciuti. Tipo Vin Diesel. Sai chi è Vin Diesel?*- mi chiede.

-Julie… Vin Diesel… Fast and Furious… So chi è Vin Diesel!- la rassicuro. 

-Ecco, lui. Ruby Rose, Robert Pattinson, Tom Felton e qualche altro.** Parla del sovrannaturale e vogliono anche te in mezzo a tutti loro.- continua Julie.

 

Tom Felton? Draco Malfoy. Accetterei solo per quello!

Sono tutti grandi attori. Attori di grande calibro aggiungerei.

 

-E anche qualche altro, insomma, non mi ricordo perfettamente chi, ma loro ci sono. E vogliono te. E devo dire, a mio personale parere, che ci tengono moltissimo. Non hanno bisogno nemmeno di farti un provino.- mi spiega.

-Loro sono bravi, veramente molto bravi.- sottolineo.

-Nina, anche tu sei brava, veramente molto brava.- mi dice Julie.

-Hanno carriere fantastiche.- le dico.

-Anche tu hai avuto una bella carriera e sarebbe potuta essere fantastica se non fosse successo quello che è successo. Devo ricordarti le tre proposte di film importanti che hai dovuto rifiutare quando sei rimasta incinta? Anche li hanno voluto te.- continua Julie. -Non è troppo tardi per ricominciare.-

 

Non che non lo è, ma ho una famiglia a cui pensare.

 

-Ho una famiglia.- le dico.

-Lo so, ma ce la faresti. Potreste accordarvi che alla mattina sei con noi e al pomeriggio con loro. Di sera saresti libera, se non qualche volta, e sicuramente avrai anche la domenica libera. Qualche imprevisto può sempre capitare, ma starai comunque con Ian e i bambini. E non è per sempre, il tempo di iniziare e finire le riprese.- mi spiega.

-Non lo so…- mormoro passandomi una mano tra i capelli.

 

Questa proposta mi attira tantissimo e ne sono lusingata, ma non so che cosa fare. Abbiamo finalmente trovato un equilibrio, io, Ian e i bambini siamo felici e ci stiamo godendo la nostra famiglia. 

 

-Pensaci, Neens. E’ una buona occasione. Sono disposti a tutto, anche farti lavorare due ore al giorno. Parlane con Ian e con i bambini, domani o tra qualche giorno ne parleremo anche noi insieme. Potresti chiamare e sentire che cosa vogliono e come.- mi suggerisce.

-Sicuramente ne parlerò con Ian. Domani ne parleremo meglio, okay?- le dico.

-Mi sembra un’ottima idea. Ti lascio andare, buonanotte.- mi dice dolcemente.

 

La saluto anche io e poi riattacco. 

Ho la netta sensazione che Ian non la prenderà molto bene.

 

 

 

_____________________________________________

 

*per questioni di trama Nina non ha mai recitato in XXX: The return of Xander Cage.

**ovviamente è un film e cast inventato da me, anche se non mi dispiacerebbe questo tipo di collaborazione.

 

 

 

Buona domenica a tutte :)

Eccomi qui con il quarantacinquesimo capitolo. Già, quarantacinquesimo. Due capitoli in più rispetto alla prima parte e questa seconda parte deve ancora finire!

Capitolo diviso in tre parti e l’ultima parte introduce l’argomento dei capitoli successivi, ma andiamo per gradi.

Nella prima parte scopriamo dove Ian è andato nello scorso capitolo. Niente fuga notturna per comprare un anello, mi dispiace >.>

Non mi ero assolutamente dimenticata di Nikki infatti, al momento meno opportuno, salta nuovamente fuori. Indipendentemente da tutte le cose che sono successe e che succederanno Ian doveva chiudere la questione matrimonio. Infatti, da come si è capito, Nikki doveva ancora firmare le carte e Ian, ormai stufo dell’intera situazione, si è presentato direttamente a casa sua. Obbliga così Nikki a firmare quelle carte -non l’ha fatto davanti a lui, ma lo farà- cosicché finalmente non sia più un uomo sposato. Avrei potuto concludere questa parte di storia in mille modi, ma ho voluto mostrare ancora una volta di come Ian e Nina siano due persone intelligenti e superiori. E’ vero che qualche volta ci sta “l’occhio per occhio, dente per dente”, ma si sarebbero imbarcati in una situazione scomoda che non sarebbe più finita, per quanta ragione abbiano.

Nina, ovviamente, si è preoccupata, non per quello che avesse potuto fare Ian, perché lei si fida dell’uomo che ama, ma perché era convinta che gli fosse successo qualcosa, ma poi alla fine hanno chiarito.

La seconda parte del capitolo è dedicata alla nascita del nuovo membro della famiglia Wesley, Damon. yogia_02 l’ha indovinato, bravissima! Em_ invece ha intuito a cosa fosse legato, quindi brave tutte e due ;)

Mi piaceva l’idea che anche il figlio di Paul avesse un nome legato a Ian, così come il figlio di Ian ha un nome legato a Paul. Mi è sembrato qualcosa di veramente simbolico, quindi spero possa piacervi l’idea :)

L’ultima parte, come detto prima, è un preludio di quello che accadrà nei prossimi capitoli e ci sarà qualche nuvola nera all’orizzonte, chissà se porterà bene o male.

Ringrazio le tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che mi seguono da così tanto tempo, ma mi dispiace che le recensioni siano un sesto di quelle di una volta, ma magari la storia, essendosi protratta a lungo, sta diventando pesante ><

Grazie ancora, alla prossima ^^

 

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Capitolo 46
*** You are my person. ***


                                        You are my person.

 

 

Pov Nina.

Non è una buona idea.

E’ tutto quello che mi ha detto dopo dieci minuti di spiegazione. 

E tutto quello che mi sto chiedendo è perché non sia una buona idea. E’ vero che abbiamo due bambini e che siamo impegnati sul set, ma Julie mi ha detto che il produttore può darmi gli orari di lavoro che meglio preferisco, sempre in accordo con Julie.

Allora perché non è una buona idea? Dovrò lavorare, è vero, ma mi sembra un buon film.

 

“Perché non dovrebbe essere una buona idea?”- gli domando cercando di capire. 

 

Ian evita il mio sguardo e si passa una mano tra i capelli. 

 

Per me non è una buona idea, ma se per te lo è fai quello che vuoi.”- mi risponde lui noncurante. 

 

Odio davvero quando fa così. Invece di dirti direttamente le cose devi impegnarti per capire che cos’ha. Il problema è che Ian è sempre stato difficile da capire, per quanto sia quasi l’unica in grado di farlo.

 

“Ho subito pensato che parlarne con te mi avrebbe chiarito le idee, non arrivare a questo punto. Ti ho chiesto un consiglio.”- gli rispondo.

“E io ti ho risposto.”- mi dice lui incrociando le braccia al petto.

“Mi hai risposto come se avessi ucciso un panda, cosa che non ho fatto. Perché sei così scontroso?”- gli domando.

“Mi sembra di averti risposto.”- ribatte lui.

“Dobbiamo litigare per questo?”- gli domando cercando di stemperare la tensione. -“Siamo adulti.”

“Non stiamo litigando, ci stiamo scambiando opinioni diverse. Io ti ho dato un consiglio, poi fai come vuoi.”- mi risponde.

 

Sto per ribattere, ma veniamo interrotti dai nostri figli pronti per andare a letto. Vogliono che leggiamo loro una storia.

Ian sorride ai bambini e, senza degnarmi di uno sguardo, li segue in camera loro. Guardo per qualche altro istante il punto in cui era prima e scuoto la testa.

Che cos’ha che non va?

Ho solo detto che ho una proposta per un nuovo film, non che vado in Iraq per la guerra, ma ho la netta sensazione che avrebbe preferito la seconda. Ero convinta che ne sarebbe stato felice, che mi avrebbe fatto dei complimenti, non che la prendesse così male e sul personale.

Gli ho anche spiegato che avrò turni moderati e che non abbandonerò assolutamente le nostre attività e la nostra famiglia, ma lui ha continuato a comportarsi come un bambino.

Continuo a non capire il perché di questo suo comportamento. E’ sempre stato impulsivo, ma qui non ci vedo nulla di male.

Decido di andare in camera dei bambini per dar loro almeno la buonanotte.

 

“Mamma, rimani anche tu qui un po’ con noi?”- mi domanda Joseph mentre si sistema meglio sul letto.

 

Do un bacio ad entrambi prima di rispondere. Ian, intanto, si è seduto sul letto di Stefan.

 

“Sono un po’ stanca, è meglio che vada a letto.”- gli rispondo lasciando una carezza sulla testa dei miei figli.

 

La verità è che si accorgerebbero subito che c’è qualcosa che non va e non voglio che pensino che abbiamo litigato.

Non è stato un litigio, ma lo può sembrare. E sono bambini, non devono pensare ai nostri problemi.

I bambini annuiscono e, dopo esserci scambiati la buonanotte, ritorno in camera, sotto lo sguardo impassibile di Ian. 

Mi metto a letto e decido di mettermi a dormire, sempre se ci riuscirò. Conosco Ian ormai da una vita e so, per il mio e per il suo bene, che è meglio lasciarlo sbollire, sebbene il suo comportamento sia infondato.

L’unica cosa che so, con certezza, è che rinuncerò alla proposta se continuerà a tenermi il muso.

 



































 

                                                                             * * *

 




































 

Mi sveglio di soprassalto la mattina dopo. Lo deduco dalla luce e dall’orologio che segna le 7.15 del mattino. Ian, con mio grande rammarico, non è al mio fianco, ma posso vedere che comunque ha passato la notte qui dalle pieghe delle lenzuola e dal cuscino. 

Spero con tutto il cuore che gli sia passata. Sento delle voci in cucina e le riconosco perfettamente. Gli uomini di casa stanno facendo la colazione allegramente. Mi prendo qualche attimo di riflessione su cosa debba fare: fare finta di niente o tenergli il muso anche io?

Mi sembra di essere tornata una bambina che non sa se comportarsi come se nulla fosse con la mamma dopo una sgridata o fare l’offesa.

Scendo in cucina e trovo i miei figli intenti a finire di bere il loro latte, mentre conversano tranquillamente con il padre. 

Mi salutano raggianti, mentre Ian mi rivolge un accenno di saluto. Se non ci fossero i bambini molto probabilmente lo prenderei a pugni.

 

“Mamma, possiamo andare con la nonna al parco oggi?”- mi domanda Stefan.

“Se volete andarci certo che potete.”- gli rispondo. -“Volete che vi portiamo direttamente lì prima di andare sul set?”

“No, vogliamo venire questa mattina con voi.”- mi dice Joseph. -“E oggi pomeriggio con la nonna.”

“Va bene, dopo chiamiamo la nonna e la informiamo.”- gli sorrido.

 

Senza che possa far nulla o dire qualcosa mi trovo un bicchiere di latte sotto il naso con dei pancake preparati da poco. Alzo lo sguardo su Ian, che nel frattempo mi da una forchetta e un coltello, e lui fa finta di niente.

Quindi… Abbiamo litigato, più o meno, ma lui comunque mi fa lo stesso la colazione?

Perché questo uomo deve essere sempre più complicato del previsto?

Vorrei seriamente parlare con lui, ma questo non è il momento adatto perché ci sono i bambini. Non faccio nulla, lo ringrazio con un timido e semplice Grazie e inizio a mangiare la colazione. 

I bambini, forse capendo la situazione o forse no, iniziano a parlare su che cosa abbiano intenzione di fare al parco e ben presto, dopo esserci finiti di preparare, arriviamo sul set. I bambini, dopo aver ricevuto le solite raccomandazioni, corrono per il set alla ricerca di qualcuno con cui giocare, ed io e Ian rimaniamo soli -per quanto si possa rimanere soli in un set.

 

“Possiamo parlare?”- gli domando fermandomi di fronte a lui. -“Ti rendi conto di come ti stai comportando?”

“Dobbiamo girare delle scene.”- mi ricorda lui.

“Le scene possono aspettare, noi no. Mi stai davvero tenendo il muso perché ti ho detto che forse potrei recitare in un film?”- gli domando incrociando le braccia al petto. -“E non puoi ribattere su nulla perché la prima cosa che ho fatto è stata parlarne con te. Tu, invece, mi stai tenendo il muso come se avessi accettato quando, evidentemente, non l’ho fatto!”

“Credevo che bastasse quello che stiamo facendo.”- mi dice lui guardandomi per la prima volta negli occhi.

“E’ un film, Ian, non ti ho mica chiesto di andare in Iraq per combattere una guerra!”- esclamo sbuffando. -“Ero felice perché ho ricevuto una proposta ed ero convinta che anche tu avresti reagito allo stesso modo, ma, evidentemente, ho sbagliato.”

 

Dietro di noi compare Kevin, un cameraman, informandoci di muoversi perché abbiamo parecchie scene da girare oggi e che Julie vuole la massima puntualità. Il mio camerino è in quello di Ian -o il suo è nel mio, dipende dai punti di vista-, ma non ho proprio voglia di passare altri minuti in questa situazione, per questo decido di andare in quello di Candice sotto lo sguardo attonito di Ian. Non mi ferma e non perché non ci tenga, ma perché sa che comunque non lo farei.

La mia amica bionda, non appena entro nel camerino, intuisce subito che c’è qualcosa che non va.

 

Neens, dimmi quali e quanti problemi ti affliggono.”- mi dice mentre finisce di infilarsi uno stivaletto.

“Non ho alcun tipo di problema…”- le dico rubandole la sedia.

“Ah no?”- ribatte lei scrutandomi attentamente con le braccia incrociate al petto. -“So che sei arrabbiata con qualcuno, chiunque lo capirebbe con quella faccia.”

 

Mi lascio andare contro lo schienale e mi porto entrambi le mani sulla faccia.

 

“Il problema è che gli uomini sono troppo complicati. Complicati è un eufemismo. Che cosa ho fatto di male?”- gli domando.

“Se non mi spieghi dal principio non posso aiutarti!”- mi dice lei sedendosi sulla sedia accanto alla mia.

“Ne ho parlato con lui. Con nessun altro. La prima cosa che ho fatto è stata parlarne con lui e beh… L’ha presa sul personale! Vorrei prenderlo a schiaffi quando si comporta così!”- ribatto io.

Neens, tesoro, vorrei tanto aiutarti, ma ci sto capendo sempre meno.”- mi dice Candice scuotendo leggermente la testa. -“Puoi dirmi che cosa sta succedendo?”

 

Si, okay, ha ragione.

 

“Ieri mi ha chiamato Julie. A quanto pare ho ricevuto una proposta per un film, un gran bel film.”- le spiego.

“Ma è fantastico!”- esclama lei entusiasta.

“Anche io l’ho pensato, più o meno. Insomma… Ho subito pensato ai pro e ai contro, ma questo è un altro discorso. Ovviamente ho detto a Julie che ci avrei pensato e la prima cosa che avrei fatto sarebbe stato parlarne con Ian.”- le spiego sospirando. -“Ovviamente siamo una coppia ed è logico che ne parli prima con lui invece di prendere una mia decisione.”

“Si, mi sembra giusto.”- annuisce Candice.

“E lui cos’ha fatto? Continua a ripetermi che secondo lui non è una buona idea.”- sbotto alla fine. -“E, di tutto questo, non ci sto capendo niente. Non mi vuole dire perché secondo lui non è una buona idea, mi ha detto questo e oh… Fai come vuoi, si, mi ha detto anche questo.”

 

Candice rimane zitta per qualche istante, poi mi guarda attentamente negli occhi.

 

“Ha semplicemente paura.”- conclude Candice con un’alzata di spalle.

 

Paura? Paura di cosa?

 

“Gli ho detto che non cambierà nulla e che starò comunque con la mia famiglia perché, per me, è la prima cosa. L’ha capito? Penso di si.”- concludo io.

“Ma non per quello… Okay che l’hai detto, ma è pur sempre un film e sai meglio di me quanto dura il tutto. Vi siete appena sistemati, avete appena trovato la vostra stabilità, e lui ha semplicemente paura che possa cambiare tutto.”- mi spiega lei.

“Ma non cambierà!”- ribatto io.

“Ne sei sicura?”- mi domanda lei con un sopracciglio alzato. -“Sappiamo già che le ore libere che avrai si dimezzeranno, come minimo. Se prima potevi passare otto ore con Ian e i bambini, ora ne avrei a malapena quattro.”

“Ma sarà per un periodo di tempo limitato.”- le dico io.

“Oh, questo lo so, ma il tempo scorre Neens. E ha paura che tutto cambi e che niente sia come prima. Ci avete messo tanto tempo per ritrovarvi e già una volta vi siete allontanati per la carriera.”- mi spiega lei.

 

Questo non accadrà mai più. Non lascerò mai che Ian si allontani -o che io stessa lo allontani- per la mia carriera. Lui e i bambini sono la cosa più importante della mia vita, tutto il resto passa in secondo piano.

 

“Ma non accadrà assolutamente più. Lui e i gemelli sono troppo importanti per me. In passato ho commesso un errore e non si ripeterà più.”- le rispondo.

“Gliel’hai detto?”- mi domanda dolcemente lei. -“Ha paura di perderti un’altra volta.

 

Abbasso lo sguardo e mi mordo le labbra. Non gliel’ho detto perché ero convinta che questo non c’entrasse, ma, effettivamente, Candice può avere ragione. Ian si è sentito davvero così ieri sera e anche questa mattina? Ha veramente paura di perdermi? Non lo farei mai, ma Ian è sempre stato anche insicuro, al contrario di quello che da a vedere.

Molto probabilmente ha già immaginato come andrà a finire e, ovviamente, se ne sarà anche convinto con gli scenari peggiori.

Ma io lo amo, siamo una famiglia, non farei mai niente per spezzare tutto ciò. Ho già pagato in passato per le mie scelte, non voglio che capiti di nuovo perché Ian è la mia ragione di vita, è la mia vita.

 

“Dovrei rinunciare?”- le domando piano. 

“Non ti ho detto questo, ti dico solo di parlargli.”- mi dice Candice appoggiandomi una mano sulla gamba. -“Parlagli.”

“Non vuole parlarmi.”- le dico.

“Fa il finto offeso, gli passerà.”- ridacchia Candice. -“Fai in modo di parlargli. Sono sicura che, una volta spiegatagli la situazione, capirà. Non può sempre andare tutto liscio, ha bisogno di conferme.”

“Mi sembra che gliene abbia date di conferme.”- sottolineo io.

“Lo so, ma sai, meglio di me, che Ian è sempre stato insicuro su qualsiasi cosa, soprattutto su di te. Non sui suoi sentimenti, ma è spaventato dalla paura di perderti, che possa capitare qualcosa e allontanarti. Ti ama così tanto.”- mi dice dolcemente.

“Anche io lo amo. Lo amo come non ho mai amato nessun altro e come mai amerò. E’ la mia anima gemella.”- le dico.

“Anche tu sei la sua. Parlagli, chiaritevi. Capita nelle coppie che ci sia qualche incomprensione, ma l’importante è sapersi chiarire.”- mi spiega.

 

Rimaniamo zitte per qualche istante, poi sono io a parlare.

 

“Grazie, Can, non saprei cosa avrei fatto senza di te, molto probabilmente gli avrei tenuto il muso per molto tempo.”- ammetto.

“Vi sareste sicuramente chiariti anche senza il mio aiuto.”- mi dice lei.

“Nah, non lo so. Ma comunque grazie.”- le dico abbracciandola. -“Potresti fare consulente di coppia, lo sai?”

“Hai ragione, potrei essere molto brava.”- scherza lei ridacchiando. 

 

Continuiamo a parlare per un po’ di altro, poi decido di sganciare la bomba. Voglio solo parlarne con qualcuno che non sia Ian.

 

“Stiamo provando ad avere un bambino.”- le dico.

“Davvero?”- mi domanda lei portandosi entrambe le mani alla bocca emozionata.

“Già, ormai da un po’ di mesi. Ne abbiamo parlato… C’è stato un malinteso, ma alla fine ne abbiamo parlato e beh… Siamo stati due stupidi perché avremo potuto parlarne prima.”- le spiego e la vedo scuotere la testa, a metà tra il divertito e lo sconsolato. -“E ci stiamo provando, non scendo nei particolari, ma ci stiamo provando. Saranno tre o quattro mesi più o meno, ma non arriva.”

“Ci vuole tempo per certe cose.”- mi dice Candice. -“L’importante è provarci e non abbattersi.”

“Lo so, ma… I gemelli sono arrivati così in modo improvviso, non programmati e al tempo prendevo anche la pillola quindi beh… Puoi arrivare alle conclusioni da sola, mentre ora… Sembra che la fortuna non giri mai.”- le dico esasperata.

“Non devi farci un dramma. Va bene provarci, non lo nego, ma più ci pensi e meno arriverà. Fate con calma. Tu sei giovane e Ian, sebbene abbia passato i quaranta, non è comunque vecchio.”- mi dice lei mettendomi una mano sulla spalla. -“E, quando meno te lo aspetti, arriverà.”

“Lo spero…”- sospiro.

“Ne sono sicura, anche perché non vedo l’ora di vedere in giro un altro baby Dobrev-Somerhalder e diventerà un altro piccolo patrimonio dell’umanità, in fin dei conti avete dei geni da far invidia a tutti.”- mi dice lei sorridendo.

 

Scuoto la testa divertita e decido di andare a parlare con Ian. Lui non si è spiegato, ma io sono staccata egoista per non aver pensato, almeno in parte, che cosa gli passasse per la testa.

 

“Nina?”- mi richiama Candice prima che possa uscire dal suo camerino. -“Parla con Ian e… Questa sera potremmo tenere io e Joe i bambini. Daniel li adora e anche noi.”

“Candice, non… No, insomma-”

“Non accetto un no come risposta. E’ da tanto che non mi coccolo quei due e io e Joe non abbiamo nessun problema. In più le bambine sono con la loro madre, quindi non abbiamo nessun problema.”- mi dice lei.

“Sai che dovrebbe essere il contrario? Io che chiedo a te di Daniel per darvi un momento libero?”- le domando.

“Potrai ricambiare il favore più avanti. Dormiranno da me e guarderemo i cartoni della Disney, così Daniel si fa un po’ di cultura e tu e Ian avrete un po’ di tempo libero, da soli.”- mi dice facendomi l’occhiolino.

 

Le mie guance, ne sono sicura, diventano rosse.

 

“Comunque lo prendo per un si, ti ho detto che un no non lo voglio.”- continua lei.

 

E per quanto voglia dirgli di no per non accollarle i miei figli, so che è praticamente impossibile.

 

“Ricordati che ricambierò il favore non appena possibile.”- le dico solo.

 

Quando finalmente esco dal mio camerino, in cui ero andata per cercare Ian, incontro Michael Malarkey.

 

Dobreva, che cosa avete combinato tu e Ian?”- mi domanda facendomi aggrottare le sopracciglia. -“E’ di umore nero.”

 

Alzo gli occhi al cielo e scuoto la testa. Perfetto, se la sta prendendo con chiunque.

 

“Mi puoi dire dove trovarlo? Gli devo parlare. Subito.”- gli dico.

“Ora sta girando e poi ha un’altra scena in esterna con Matt. Poi non so se abbia qualcos’altro.”- mi spiega lui.

“Nina, dov’eri finita?”- domanda una voce alle mie spalle e riconosco essere quella di Julie. -“Dovevamo parlare e sei in ritardo di due minuti per una scena.”

 

Non vedo l’ora che questa giornata finisca.

 

“Michael, grazie, parlerò dopo con Ian e non preoccuparti, niente di grave.”- dico al mio amico, poi mi volto verso la bionda. -“Adesso corro, sarò lì in meno di un minuto e… Dopo devo parlare con Ian prima di parlare con te.”

 

I due non fanno nemmeno in tempo a rispondermi che mi sono già dileguata, per quanto veloce possa andare, oltre al corridoio. 

Non appena arrivo mi scuso per il ritardo e, dopo aver salutato quelli che ci sono nella sala, inizio a girare con Michael Trevino. Mezz’ora dopo finalmente finisco di registrate le mie due scene e sono finalmente libera per almeno venti minuti, nei quali ho intenzione di chiarire con quella testa calda del mio fidanzato.

 

“Steven, hai visto Ian?”- domando a mio fratello/cugino prima che possa sparire dalla mia vista.

“Ian? Oh, si. Ha finito di girare qualche minuto fa e penso stia gironzolando per Mystic Falls, non è di buon umore oggi.”- mi spiega.

 

Annuisco e, dopo averlo salutato, esco dallo studio e mi dirigo in esterna. Può essere andato ovunque come no. Questo posto è enorme, ci sono ettari e ettari di terra con stradine, ville, case normali e tanto altro. Potrei mettermi a cercare ovunque, ma sono quasi sicura di sapere dove si trova. Mi dirigo lentamente verso la torre dell’orologio cercando di elaborare, durante la strada, cosa dirgli. Tanto so che, una volta lì, mi dimenticherò tutto. Abbiamo già litigato in passato, così tante volte che ormai ho perso il numero, ed ogni volta abbiamo sempre chiarito, ma questo è un motivo stupido. Stupido e tenero. Posso considerarlo tenero? Se è la verità quello che ha detto Candice, e penso che lo sia perché non trovo nessun’altra spiegazione, mi pentirò di averci pensato anche solo per qualche istante per tutta la mia vita. Arrivo davanti la torre dell’orologio e ci metto mezzo secondo per individuarlo. E’ seduto sugli scalini con la testa all’insù ad osservare il cielo, cielo che ha anche negli occhi. Mi avvicino lentamente a lui e mi ci siedo accanto e mi metto anche io ad osservare il cielo.

 

“Hai trovato qualcosa di interessante?”- gli domando dolcemente. 

 

Decido di smettere di guardare il cielo, sebbene l’abbia osservato soltanto per qualche secondo, e riporto i miei occhi su di lui. Lo trovo combattuto. E’ orgoglioso e non vuole ammettere di aver sbagliato, ma lo capisco dal suo sguardo che si pente di aver reagito così. Sono orgogliosa anche io, ma in una coppia uno deve cedere prima dell’altro, indipendentemente se i motivi siano stupidi o meno.

 

“Ho sempre pensato, fin da bambina, alla mia vita. Ho da sempre voluto fare la ginnasta e me la cavavo parecchio bene. Mi divertivo, parecchio. Poi, però, sebbene abbia preso parte a competizioni importanti, ho capito che non volevo fare per tutta la vita la ginnasta perché c’era qualcos’altro che mi piaceva e che mi faceva sentire viva. Fare l’attrice. Interpretare mille ruoli diversi con mille personalità diverse, conoscere nuove persone e nuovi posti. Ho capito che avrei fatto quello nella mia vita, l’attrice e che non avrei più smesso. E’ da sempre stato il mio sogno e ho sempre pensato che niente e nessuno l’avrebbe interrotto, ma poi, con tutto quello che è accaduto, mi sono fermata a riflettere.”- inizio così il mio sproloquio. Mi fermo per qualche attimo e so perfettamente che Ian mi sta osservando e sta trattenendo perfino il respiro. -“Okay che fare l’attrice è sempre stato il mio sogno, ma ho capito che le mie priorità sono altre. La famiglia è la priorità, la mia famiglia, di cui tu fai parte. Ho già fatto una volta un errore che, probabilmente, non mi perdonerò mai, non lo farò assolutamente una seconda volta.”

 

Mi fermo per riprendere fiato per qualche istante e riordinare i pensieri. Io avevo bisogno di dirlo e lui di ascoltarlo.

 

“Ho sbagliato.”- lo sento mormorare. Mi giro ad osservarlo e lui alza lo sguardo su di me. -“Sarei dovuto essere felice per te invece, ancora una volta, ho rovinato tutto. Sono stato un’idiota, mi sono comportato da idiota. Sono veramente felice per te è solo che-”

“Hai paura che tutto cambi, lo so.”- gli dico dolcemente appoggiando una mia mano sulla sua gamba. -“Ma nulla potrà cambiare finché stiamo insieme. Se accettare quel film equivale a perderti declinerò l’offerta. Ti amo così tanto e non sono disposta a perderti, non più.”

 

Ian, prima ancora che possa fare qualcosa, prende il mio volto tra le sue mani. Mi guarda e io ricambio. Nei suoi occhi trovo tutto e capisco quanto Candice abbia avuto ragione.

Se accettare il film vuol dire perderlo o che qualcosa cambi tra noi rifiuterò, non posso pensare nemmeno per un secondo alla mia vita senza di lui.

 

“Tu devi accettare io… Ho sbagliato tutto e non sai quanto me ne stia pentendo in questo momento.”- mi dice accarezzandomi una guancia e io socchiudo leggermente gli occhi beandomi di quel tocco. -“Ho solo avuto paura che qualcosa potesse cambiare tra di noi che… Ma io lo so che tu non faresti questo, solo che non so che cosa mi sia preso. Sono egoista, dannatamente egoista, con le persone che amo. Ma tu hai ragione, nella tua vita non ci siamo solo noi e i bambini e meriti altre opportunità. Opportunità che non hai avuto perché ti stavi prendendo cura dei nostri figli.”

“La paura è un sentimento lecito, Ian, non devi vergognarti per questo. Non nego di esserci rimasta male ieri, e anche questa mattina, dalla tua reazione perché mi aspettavo che mi comprendessi, ma sono stata un’idiota anche io. Avrei subito dovuto capirlo, invece… Invece ho pensato chissà cosa. Ormai siamo una famiglia e quel tempo che ci rimane dobbiamo sfruttarlo appieno.”- gli spiego.

 

Ian scuote la testa e mi accarezza una guancia con il pollice.

 

“Proprio perché siamo una famiglia dovresti accettarlo. Non smetterò mai di chiederti scusa e non ti dirò ancora una volta che ho avuto paura perché… Avrei dovuto capire che non sarebbe cambiato nulla invece ho rischiato di rovinare, ancora una volta, tutto. Starò io con i bambini e tu potresti… Dovresti accettare.”- mi dice lui.

“Questo significherebbe mettere la nostra famiglia da parte. Mettere te da parte e non potrei mai farlo. Il lavoro è una cosa passeggera, l’amore resta. E non voglio perderti per qualcosa di futile come questo. Non posso immaginare in nessun modo di perderti perché ormai ogni singola cosa ruota intorto a te perché tu sei la mia persona* e lo sarai sempre.”- gli dico di getto.

 

Lui non dice niente. L’unica cosa che fa è baciarmi. Ancora con il mio viso tra le sue mani mi bacia. E non un semplice bacio, quello che ti scambia perché sei di fretta, ma un bacio. Uno di quei baci che dicono tutto. Uno di quei baci che ti fanno girare la testa non appena le labbra entrano in collisione tra loro. Uno di quei baci in grado di toglierti il respiro e rischiare di farti scoppiare il cuore per tutte le emozioni che provi in quel momento. 

Ian mi bacia con una passione tale che quasi non mi sento più il terreno sotto il corpo. Le sue mani abbandonano il mio viso per stringersi sui miei fianchi, mentre le mie sono già perse nei suoi capelli corvini morbidi come la seta. E’ un attimo in cui le nostre lingue entrano a contatto tra di loro e si intrecciano, quasi come fossero protagoniste di una danza. 

E questo è amore, amore puro.

Ci stacchiamo ansanti guardandoci negli occhi, occhi carichi di speranze e di aspettative. 

 

“Ti amo così tanto.”- mormora sulle mie labbra a mezzo centimetro dalla sue con ancora le mani sui miei fianchi.

 

Le mie, in effetti, sono ancora tra i suoi capelli.

 

“E proprio perché ti amo voglio che tu accetti la proposta. Ti farà bene fare qualcosa di diverso dalla serie e fare qualche altra esperienza.”- mi dice spostandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli. 

“Voglio stare con te e i bambini…”- mormoro con ancora il petto che si alza e si abbassa velocemente. -“E non mi importa del film, mi importa solo di te e dei nostri figli.”

“E a me importa di te.”- mi dice lui accarezzandomi la base della schiena, mentre l’altra mano rimane sul mio fianco. -“Voglio che tu sia felice e se questo ti rende felice lo sono anche io.”

Tu mi rendi felice.”- gli dico appoggiando ancora le mie labbra sulle sue, questa volta in un bacio casto. Ian sorride sulle mie labbra e io gli accarezzo una guancia per poi staccarmi da lui. -“E rifiuterò.”

“Elimina tutto quello che è successo ieri e questa mattina. Ne sei stata felice e avevi intenzione di accettare, o comunque una parte di te voleva. Mi sono comportato da idiota, ma ora ho capito. Accetta, ti prego.”- mi dice lui.

 

E’ sincero, lo capisco.

Lui vuole che io accetti per esserne felice, ma la mia felicità è lui -ovviamente insieme ai bambini. La proposta che mi ha fatto Julie diventa ogni secondo sempre meno allettante.

 

“E non mi perderai.”- precisa lui. -“Non ci perderemo.

“La proposta diventa ogni secondo sempre meno allettante.”- gli confesso.

“Non farlo per me. Accetta per te.”- mormora lui dolcemente.

“Le riprese inizieranno a gennaio e ho ancora un po’ di tempo, ma sappi che… Ho perso qualsiasi voglia. Non per te, ma per me. E’ da questa mattina che ci rifletto.”- gli dico.

“Prenditi il tuo tempo.”- mi dice lui.

 

Ed è vero. Ieri ero euforica e forse anche un po’ questa mattina, ma poi ho pensato al quadro generale e al tempo che potrò dedicare al resto: praticamente nulla. E io non voglio avere il nulla per la mia famiglia. Un film non farà differenza per la mia carriera, che praticamente non ho più da tanto tempo, e nemmeno mi interessa.

Ian si alza e mi porge la mano che io afferro. Mi ritrovo in piedi accanto a lui.

Appoggio la testa sulla sua spalla e lui mi avvolge un braccio attorno alla vita e iniziamo a camminare.

 

“Quante persone hai fulminato con lo sguardo questa mattina?”- gli domando divertita ricordando Michael.

“Un po’. Sai che sono felice soltanto quando sto con te o quando lo sei tu.”- mi dice lui.

“Un po’ possessivo, non credi?”- gli domando.

“Odio litigare con te.”- mi dice lui.

Non abbiamo litigato, ci siamo scambiati opinioni diverse.”- lo scimmiotto.

 

Ian ride divertito e mi pizzica un fianco.

 

“Mi stai prendendo in giro?”- mi domanda fermandosi.

“Forse.”- gli dico gettandogli le braccia al collo. -“Candice mi ha fatto una proposta.”

 

E l’ultima frase gliela sussurro maliziosamente a un centimetro dalle labbra.

 

“Da come partiamo potrebbe piacermi questa proposta.”- mi dice lui con il mio stesso tono.

“Questa sera terrà i bambini per lasciarci un po’ di tempo da soli.”- gli spiego maliziosamente. -“Anche per la notte.”

“Una serata e un’intera nottata da soli?”- mi domanda Ian e un guizzo malizioso gli attraversa gli occhi. 

“Esattamente. Soli.”- gli rispondo io. -“Potremmo cenare, guardare un film o… Fare l’amore… Oppure no.”

“Oppure si!”- esclama lui facendomi ridacchiare. -“Faremo l’amore tante e tante volte. C’è una doccia che ci sta aspettando.”

“Uhm… Sotto la doccia?”- domando ridacchiando.

“Oh, si, sotto la doccia. E sul letto. E sul divano. E sul pavimento.”- mormora lui malizioso. “Peccato che sia caldo per il camino.”

“Già, non sarebbe una bella trovata il camino.”- concordo con lui strofinandogli i capelli.

“Sotto il condizionatore, sai per… Raffreddare gli animi…”- mormora lui contro le mie labbra.

“Si potrebbe fare…”- continuo io con il suo stesso tono malizioso.

 
































 

                                                                            * * *

 




































 

“Qui qualcuno ha fatto pace.”- cantilena Candice non appena finisco la mia scena.

 

Sollevo gli occhi al cielo mentre la mia amica mi guarda divertita.

 

“Dai, su, è una bella cosa.”- mi dice lei.

“Avevi ragione tu.”- le confesso. -“Ma ora mi ha detto di accettare e non come fai come vuoi tu, ma più come accetta perché ne sarai felice e lo sarò anche io.”

“Sai che è sempre stato bipolare.”- ridacchia Candice scuotendo la testa. -“Cosa hai intenzione di fare?”

“Non lo so. Vorrei lasciar perdere, ma d’altra parte mi attira… Mi vogliono e… Non so veramente cosa fare. Dovrei pensarci su ancora un po’.”- le confesso.

 

Sento dei piccoli passi dietro di me e qualcuno abbracciarmi da dietro. Mi volto verso Stefan che mi sta osservando sorridendo.

 

“Mamma, zia Candice ha detto che dormiremo da lei questa sera!”- trilla felice.

 

Hanno sempre adorato Candice. 

Alzo lo sguardo su di Candice che guarda mio figlio sorridendo. Avrei voluto chiederne se ne fosse sicura (ancora), ma la sua faccia mi dice già tutto.

 

“Dovrete fare i bravi, va bene?”- domando a Stefan.

“Certo, mamma! Giocheremo con Daniel! Possiamo portare anche alcuni giochi?”- mi chiede.

“Non quelli troppo piccoli perché potrebbe metterli in bocca e farsi male.”- gli spiego accarezzandogli la testa.

 

Da dietro il corridoio sbuca anche Joseph che mi viene incontro e, ovviamente, come ha fatto il fratello, mi abbraccia anche lui.

 

“Mamma, sai che andiamo da zia Candice questa sera?”- mi domanda anche lui mentre Candice scoppia a ridere.

“Si, tesoro, ci siamo messe d’accordo noi così.”- gli dico dandogli una carezza sulla guancia. 

“E’ logico che portiamo solo quelli grandi e morbidi, non siamo mica dei bambini piccoli noi. Certe cose le capiamo.”- mi ammonisce Stefan con tono autoritario.

 

Candice dietro di me ride ancora più forte mentre io sorrido ad entrambi. Stanno diventando sempre più grandi e indipendenti ormai.

 

“Lo so, tesoro, siete i miei uomini.”- gli rispondo.

“Certo che lo siamo!”- esclamano entrambi per poi scappare via da qualche parte.

“Mi sembra ieri la prima volta che li ho presi in braccio e ora sono già così grandi.”- mi dice Candice sospirando.

“Già, sta passando tutto troppo in fretta.”- sospiro. -“Tra qualche anno anche Daniel correrà in giro a combinare marachelle con loro.”

“Sicuramente.”- ride la mia amica bionda. -“E’ già un piccolo teppista, figuriamoci tra qualche anno.”

 

 

 

_____________________________________________

 

*Penso che la frase tu sei la mia persona la conosciate tutti. Per chi non lo sapesse è la celebre frase di Cristina e Meredith, di Grey's Anatomy ^^

 

 

Buon inizio di settimana a tutte e, se non dovessi aggiornare in tempo (cosa probabile, ma non impossibile) vi auguro un Buon Natale, a voi e alla vostra famiglia, ovviamente.

Ringrazio le cinque ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e delle bellissime parole che ogni volta mi lasciano, siete fantastiche ;)

Capitolo parecchio lungo, questo, in cui accade un po’ di tutto. E’ il continuo di quello precedente e abbiamo visto la reazione di Ian alla notizia di Nina, che non ha reagito in modo brillante.

Penso che le motivazioni di Ian si siano capite, più o meno. I due, quando si sono lasciati, l’hanno fatto perché Ian voleva una famiglia e Nina voleva concentrarsi ancora un po’ sulla carriera e Ian (quello di adesso, nella storia) si è fatto prendere, letteralmente, dal panico. Ormai penso che lo conosciate e sappiamo che una delle sue più grandi pecche è quella di combinare casini, oltre ad essere impulsivo, ma sa anche rimediare ai suoi errori (aspettatevi una parte un po’ piccante per il prossimo capitolo :’) )

Ian, quindi, aveva paura che la situazione tra loro due potesse cambiare visto che adesso hanno trovato la stabilità che cercavano da anni, mentre Nina, una volta capite le sue motivazioni, l’ha compreso. Lei gliene ha parlato (era felice di ciò), senza mettere in conto però il carateranno del suo compagno, cosa che ha capito. Ian non è geloso di Nina (non è nemmeno da mettere in conto questo sentimento) e, infatti, vuole, alla fine, che lei accetti la proposta, anche se Nina ci penserà comunque su perché, vi ricordo, stanno provando ad avere un altro baby Dovbrev-Somerhalder e sarebbe veramente duro far coincidere tutto. Se Nina dovesse rifiutare non sarà per colpa di Ian, ma per sua scelta, non vorrei che si fraintendesse. Ian non la obbliga a fare niente, ha capito i suoi errori e lui vuole che lei sia felice.

Candice, come sempre, fa aprire gli occhi a Nina, bisognerebbe farla santa quella donna ahahah

Dai prossimi capitoli aspettatevi delle belle sorprese.

Basta, ho detto tutto, alla prossima ^^

 

 

 

 

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Capitolo 47
*** With all the Love. ***


                                       With all the Love.



Pov Nina.

“Grazie Can, non avresti dovuto.”- le ripeto per l’ennesima volta.

 

Ian si è dileguato prima dal set con la scusa di un impegno alla ISF e mi ha affidata a Candice per la strada del ritorno. No, da dopo l’incidente non ho ancora guidato una macchina, ma prima o poi dovrò farlo e oltrepassare questa mia paura.

I miei genitori e Ian dicono che è normale, visto il forte trauma, e l’ha detto anche il medico, ma devo tornare ad essere indipendente e lasciarmi quello che è successo alle spalle.

 

“Se mi ringrazi ancora ti uccido.”- mi dice la bionda facendo ridacchiare i miei figli seduti dietro.

 

Scendo dalla macchina e, prima di andarmene, mi rivolgo a loro.

 

“Mi raccomando, fate i bravi. Se succede qualcosa zia Candice mi avviserà subito.”- dico loro.

 

Non è che non mi fida dei miei figli, è solo che Candice ha anche un bambino piccolo da controllare e non voglio che si stanchi ancora di più.

 

“Forza mammina apprensiva, corri da Ian e lasciaci in pace.”- mi dice Candice. -“Staremo bene, abbiamo già scelto i cartoni da guardare.”

“E mangeremo la pizza!”- trilla Stefan.

“Era un segreto quello!”- lo sgrida Joseph.

“Si, quello era un segreto.”- ridacchia Candice. -“Ma va bene così. Noi ci vediamo domani.”

 

I bambini mi salutano e, dopo aver ringraziato ancora una volta Candice ed essermi beccata uno sguardo omicida, entro dal cancello dirigendomi verso la porta.

Cerco le chiavi dentro la borsa immaginando che Ian non sia a casa visto che è praticamente tutto spento. Ci impiego più di un minuto, visto il disastro che ho nella borsa, e alla fine riesco ad entrare. I primi a venirmi incontro sono Spike e Nietzsche, ovviamente Klaus è in giro per casa a farsi gli affari suoi. Mi accorgo solo in un secondo momento, visto il buio, che c’è qualcosa di luminoso in cucina. Lascio la borsa per terra e, mentre cammino, cerco di ricordare se ho lasciato acceso qualcosa, anche se la luce è parecchio soffusa. Tranquilla entro in cucina, ma quello che vedo mi lascia a bocca aperta. 

Doppiamente a bocca aperta.

La prima cosa che noto sono dei petali sparsi un po’ ovunque su tutta la cucina, delle candele sul tavolo e sui ripiani. La seconda cosa che noto, ed è quella che mi piace di più, è Ian.

Ian nudo con un solo paio di boxer a coprirlo.

 

“E’ questo il tuo modo di accogliermi?”- gli domando divertita.

 

Posso dire che la serata sia cominciata già parecchio bene. Ian alza lo sguardo su di me e mi sorride, il classico sorriso alla Damon, quello malizioso e anche un po’ strafottente.

 

“Devo dire che non ti dispiaccia però.”- mi dice lui, forse alludendo alla mia faccia.

 

Perché sono sicura di avere un’espressione in volto parecchio leggibile.

 

“L’ho forse detto?”- gli domando togliendomi la giacca e lasciandola sul ripiano. Mi avvicino a lui lentamente. -“Non ho detto niente.”

“No, certo che no. La tua faccia dice tutto.”- mi dice con un’alzata di spalle muovendo qualche passo verso di me.

“Ho sempre detto di essere un libro aperto…”- borbotto fintamente dispiaciuta.

 

Ian, senza preamboli, mi attira a se facendomi quasi perdere l’equilibrio. Molto probabilmente sarei caduta se lui non mi avesse tenuto. Il mio petto, coperto dalla maglietta che indosso, si scontra contro il suo nudo. 

 

“La cosa non mi dispiace neanche un po’.”- mi dice lui accarezzandomi un braccio.

“Non pensi sia troppo… Prevedibile?”- gli domando appoggiando una mano sul suo petto.

“No… Non lo… Penso…”- mormora lui iniziando a posarmi dei baci sul collo. -“Penso sia… Una bella… Cosa…”

 

Reclino leggermente la testa di lato per lasciargli più porzione di collo libera. Lui sorride contro la mia pelle e continua indisturbato. 

 

“Salti subito al dolce?”- gli domando socchiudendo gli occhi.

 

Ian strofina il naso contro la mia pelle e poi si stacca.

 

“Direi che è più un… Antipasto.”- mormora lui per poi catturare le mie labbra con le sue.

 

Gli getto le braccia oltre al collo staccandomi dalle sue labbra. Ian sbuffa frustrato, forse convinto che mi possa allontanare, ma lo sorprendo iniziando a baciarlo sotto il collo. Le mani di Ian intanto scendono lungo la mia schiena e, quando lo mordicchio proprio sotto il mento, sento la sua presa rafforzarsi sui miei fianchi. Scendo di nuovo lungo il collo sul suo petto, continuando a lasciargli dei baci che gli fanno socchiudere gli occhi. Le mie mani si staccano dal suo collo e scendono giù a toccare l’elastico dei boxer, ma Ian è di tutt’altro avviso visto che mi ferma e mi fa capire, con un solo sguardo, di volermi completamente svestita. Senza che me ne possa rendere conto mi ritrovo seduta sopra il ripiano di marmo, con Ian che mi bacia ovunque. Allaccio le gambe attorno alla sua vita mentre lui mi bacia il collo e inizia a togliermi i bottoni della camicia, che questa volta indosso io. Ben presto, forse per ripicca o per la fretta, la mia camicia giace a terra assieme a praticamente tutti i bottoni. Gli rivolgo uno sguardo di ammonimento e lui si scusa con ormai io ci sono abituato che lo rende ancora più sexy. Le nostre labbra si scontrano ancora una volta, si cercano, si seguono, si vogliono. Attiro Ian più vicino a me e, mentre gli bacio una scapola, le sue mani si stanno già muovendo verso i miei pantaloni. Sento il bottone sfilarsi e il suono della zip scendere. I pantaloni, grazie anche a un mio piccolo aiuto, fanno ben presto compagnia alla camicia e rimaniamo coperti soltanto dalla biancheria. La testa di Ian si tuffa tra i miei seni ancora coperti e mi posa un bacio sul petto ed io, d’istinto, premo di più la sua testa contro il mio corpo. Lo sento tremare leggermente contro di me ed è la stessa cosa che fa il mio corpo, forse in una sorta di riflesso. 

 

“Questo”- sospira Ian mettendo le mani sul gancetto del reggiseno che ancora mi copre. -“va assolutamente tolto.”

 

Sorrido contro le sue labbra, ma il mio sorriso diventa quasi subito una smorfia quando sento uno strano rumore con gancetto del mio reggiseno. Nella troppa foga ha rotto il gancetto.

 

“Ian! Era uno dei miei preferiti!”- lo rimprovero mentre lui mi guarda beffardo con ormai il mio inutilizzabile reggiseno in mano.

“Quindi vuol dire che con me usi solo la tue cose preferite?”- mi domanda lui malizioso.

 

Gli tiro una pacca sul sedere e questo non fa altro che farlo divertire ancora di più. Senza preoccuparsi di nulla getta a terra il mio reggiseno e, passionale, si tuffa di nuovo su di me, smanioso di continuare. Ormai il reggiseno è un lontano ricordo perché ora la mia mente è completamente libera. Con una mossa improvvisa scendo dal ripiano e lo trascino nel pavimento della cucina, stufa di rimanere seduta e desiderosa di passare oltre. 

Le mie mani sono sulla schiena di Ian e ad ogni suo bacio traccio una linea immaginaria lungo tutta la sua colonna vertebrale. Mi bacia i seni e non posso far altro che socchiudere gli occhi da tutte le emozioni che provo. Fare l’amore con lui, che sia passionale o dolce, è sempre stato qualcosa di veramente molto travolgente. Sussulto quanto mi lascia un piccolo morso, non per il dolore, perché non me ne ha assolutamente fatto, ma perché sono stata colta alla sprovvista. Ribalto le posizioni, o forse è Ian che me lo lascia fare. Mi ritrovo seduta su di lui e, dopo aver osservato per qualche istante il suo petto marmoreo, che è in grado di farmi perdere la testa in qualsiasi momento, ricambio io il suo favore, iniziando a lasciargli baci dalla clavicola fino quasi ai boxer. Mano a mano che scendo sento la presa di Ian sulla mia schiena farsi più forte e, ad un certo punto, quando anche io mi diverto a lasciargli qualche morso, abbandona la testa contro il pavimento socchiudendo gli occhi. Senza farlo apposta -o forse no- mi struscio su di lui e lo sento gemere e sono sicura di quanto sia pronto.

 

“Dio… Nina…”- sospira lui.

“Chi è che parla ora?”- gli domando posandogli un dito sulle labbra.

 

Ian apre gli occhi e, dopo avermi afferrata per i fianchi, mi ritrovo nuovamente sotto di lui. Le sue mani scorrono lungo le mutandine e, prima che possa quasi accorgermene, le toglie, lasciandomi così completamente nuda. Io ricambio, togliendogli finalmente i boxer. Lo tiro a me di nuovo prima che possa perdersi di nuovo in giochetti perché mi ha completamente spinta al limite. Lui, però, non è da meno vista la foga con cui si unisce a me. Ci troviamo a sospirare pesantemente non appena i nostri corpi si uniscono, come sempre, ma come se fosse la prima volta. Si spinge per la prima volta dentro di me ed io inarco la schiena a volere di più, a volerlo sentire di più. La mia bocca si schiude alla ricerca d’aria, ma lui pensa bene di tapparmela con un bacio. Le sue mani scorrono ovunque mentre continua a muoversi dentro di me. Le mie, invece, sono ancorate alla sua schiena, poi scendono giù, verso il suo fondoschiena. Le nostre gambe sono intrecciate, quasi come se fossero una cosa sola, quello che siamo noi in questo momento. Ian sposta le labbra dalla mia bocca al mio collo e sensuale lo bacia e lo succhia. Poco dopo si stacca dal mio collo tutto soddisfatto, mormorando solamente un ops che mi fa capire all’istante che cosa abbia fatto. Lo guardo, a metà tra lo sconvolto e l’adirato. Mi ha appena fatto un… Succhiotto? 

 

“Ian…”

 

E la mia voce non assomiglia per niente ad un rimprovero perché ha ripreso a muoversi e non capisco più nulla. Molto probabilmente lo sgriderò dopo, perché lì non è facilmente copribile, quello che voglio fare solo ora è godermi il momento. Le sue spinte diventano sempre più veloci e i nostri movimenti sono così in sincrono da sembrare quasi calcolati. Socchiudo gli occhi nell’esatto momento in cui sento il piacere crescere mentre Ian appoggia la fronte sulla mia spostando le sue mani sui miei fianchi. Sento la sua presa rafforzarsi sulla mia pelle mentre le mie unghie si conficcano sulla sua schiena. Molto probabilmente gli rimarranno dei segni ed è un po’ una vendetta visto quello che mi ha combinato. 

 

“Ian…”

 

E non so se sia il momento o una richiesta d’aiuto quello che dico, mentre il mio corpo si inarca per l’ennesima volta toccando il suo.

 

“Lo… So…”- mi dice solo mentre con un’ultima spinta raggiungiamo il punto di non ritorno.

 

Rimaniamo per alcuni interminabili minuti in silenzio mentre cerchiamo di riprenderci. Ian si sdraia accanto a me e io ne approfitto per appoggiare la testa sul suo petto. Siamo sdraiati, sul pavimento, troppo esausti per alzarci, ma non vorrei essere in nessun altro posto in questo momento.

 

“Prega che tu non mi abbia lasciato nessun segno.”- gli dico non appena ritrovo un po’ di contegno, riferendomi, ovviamente, a quanto successo prima. -“Come faccio a coprirlo?”

 

Lui ridacchia divertito passandomi una mano tra i capelli. Un suo dito gioca con le mie ciocche divertendosi ad arricciarle.

 

“Nemmeno le tue unghie scherzano.”- dice lui facendo una smorfia. -“Sento già un fastidioso bruciore.”

“Con una maglia copri tutto.”- sbuffo stizzita. -“Io no. Come minimo dovrò andare in giro con una sciarpa.”

 

Mi tocco il collo nel punto in questione scuotendo la testa. Ian, in tutta risposta, ci lascia sopra un bacio.

 

“Potrai sempre dire che hai mal di gola.”- mi dice lui.

“Girare con un sciarpa a metà settembre?”- gli domando. -“Non ti sembra un po’ caldo per questo?”- gli domando.

“La scusa del mal di gola va sempre bene.”- dice lui avvolgendo un braccio attorno alla mia vita. -“Non farne un dramma.”

“La fai facile tu.”- lo accuso bonariamente.

“Suvvia, almeno gli altri sapranno quanto ci divertiamo insieme…”- mormora lui al mio orecchio.

 

Alzo gli occhi sconsolata, mentre lui appoggia il mento sulla mia spalla. 

Un brivido di freddo mi corre lungo la schiena. Quello di cui ho bisogno, ora, è di una bella doccia calda. Magari di una vasca calda.

 

“Ho bisogno di lavarmi…”- gli dico staccandomi da lui.

“Devo dire che è un’ottima idea.”- mi dice baciandomi una scapola.

Lavarmi.”- sottolineo.

“Oh, si, lavarti…”- mormora lui allusivo alzandosi da terra e prendendomi in braccio cogliendomi alla sprovvista. -“Andiamo a lavarti allora.”

 





































 

 

                                                                                   * * *

 













































 

Non abbiamo cenato. Tutto il ben di Dio che Ian ha preparato è finito in frigo e molto probabilmente verrà mangiato domani. Abbiamo fatto altro invece di mangiare. Abbiamo fatto l’amore sotto la doccia, perché Ian ha continuato a sostenere per due minuti -non oltre, perché non abbiamo resistito- di come fosse noioso fare la doccia da soli, sebbene la mia idea fosse stata quella della vasca. Poi, dopo esserci concessi una vasca rilassante, perché Ian, anche lì, ha detto che avrebbe voluto anche lui fare una vasca e che, in compagnia, sarebbe stato più bello, l’abbiamo fatto sul pavimento del bagno. Poi, come se non bastasse, anche a letto, due volte, perché, testuali parole di Ian, non possiamo non farlo anche lì, dove si sta più comodi

Ed eccoci qui, alle tre della notte, a cenare con latte e cereali perché al solo pensiero di mangiare pollo arrosto con le patate ci fa venire il voltastomaco. 

 

“Dobbiamo passare a prendere i grembiuli per i bambini.”- dico a Ian appoggiando una guancia sul tavolo.

“E’ vero!”- esclama tirandosi una pacca sulla fronte. -“Tra cinque giorni ricominciano ad andare a scuola.”

 

Già, andranno in seconda. Quest’anno hanno cominciato in ritardo per alcuni problemi legati ai lavori di ampliamento della scuola e, ovviamente, a loro non è dispiaciuto. Penso che a nessun bambino sia dispiaciuto.

 

“Possiamo andarci dopodomani.”- propongo finendo di bere il mio latte.

“Dopodomani abbiamo la festa per la ISF.”- mi ricorda lui.

 

E’ vero. Ormai da anni si tiene una festa inaugurale e, ovviamente, sono invitati anche gli altri. 

 

“Domani, per forza. Cioè… Oggi… Visto che sono le tre di notte…”- mormoro strofinandomi gli occhi.

 

Sto morendo di sonno e al solo pensiero di dover essere in piedi tra quattro ore vorrei sprofondare.

 

“Qui qualcuno ha sonno.”- mormora lui sornione. 

“Tu no?”- domando portandomi una mano alla bocca per evitare di sbadigliargli in faccia.

“Una volta eri tu quella a rimanere sveglia, mentre io ero quello che crollava.”- mi ricorda lui.

 

Questo lo so, si vede che sto invecchiando.

 

“L’età gioca brutti scherzi.”- continua lui.

“Forza, nonnetto, andiamo a dormire che sono stanca.”- lo invito alzandomi dalla sedia.

 

Lo sento ridere dietro di me per poi raggiungermi. 

 

 

 

Un mese dopo, metà ottobre.

Pov Ian.

Tra qualche giorno sarà il compleanno per i bambini e mi sto dannando per capire che cosa regalare loro. L’ultimo mese è stato veramente intenso. Qualche settimana dopo la mia discussione con Nikki mi sono arrivate a casa le carte del divorzio firmate e senza nessun tipo di problema mi sono ritrovato dall’essere sposato all’essere divorziato. Non poteva essere altrimenti, sennò avrei dovuto prendere misure più drastiche. La ISF ha ricominciato il suo lavoro, come ogni anno, e stiamo puntando ad ingrandire il santuario in modo da ospitare ancora più animali e magari di creare anche delle recinzioni più grandi, in modo da permettere anche agli altri animali di vagare liberi. Su questo mi stanno aiutando anche i bambini e ne sono veramente entusiasti. Nina ha fatto un’altra visita di controllo due settimane fa e sta andando alla grande, ormai non ha nessun tipo di fastidio e di dolore, riesce finalmente a piegarsi e a fare tutto liberamente. Avrà un’altra visita conclusiva a dicembre però. Il dottore le ha anche detto di poter riprendere a guidare, visto che non c’è ormai nulla ad impedirglielo, ma lei non ha ancora provato e penso che ci vorrà ancora del tempo, ma nessuno, in modo particolare io, è intenzionato a spingerla -o ad obbligarla- a farlo perché ha vissuto un’esperienza traumatica ed ha bisogno di sentirsi pronta.

Per quanto riguarda la proposta del film ha deciso di aspettare ancora un po’ prima di dare la risposta, anche se la data del termine si avvicina sempre di più. Ho reagito male e me ne pentirò a vita forse, ma ora la sto spingendo ad accettare perché merita di poter fare qualcosa di alternativo alla nostra serie TV e magari di svagarsi un po’, quello che non ha fatto per quasi otto anni. Lei, comunque, è ancora indecisa, sebbene io la stia spingendo ad accettare.

I bambini, invece, hanno iniziato la scuola da un mese e stanno andando bene, sono diligenti, svolgono i loro compiti, anche se qualche volta c’è da bisticciare su alcune cose, e frequentano regolarmente la scuola di calcio, tanto che tra poco inizieranno a fare qualche partita -e abbiamo promesso loro di andarci, non sappiamo in che modo, ma ci andremo. 

Per la questione compleanno è abbastanza difficile. Come detto mi sto scervellando parecchio e anche Nina è al mio stesso punto. Giochi ne hanno a bizzeffe, vestiti pure, ma quelli non sono da considerarsi regali, non sappiamo proprio cosa fare. 

Finisco di preparare le ultime cose da sistemare sul vassoio e, dopo aver finito, salgo fino in camera nostra. Ho accompagnato questa mattina i bambini a scuola e poi sono tornato a casa. Julie ha spostato le riprese alle nove di mattina e ha allungato la giornata un po’ di più perché alcune scene richiedono una determinata ora del tardo pomeriggio. Nina è rimasta a casa perché aveva un po’ di mal di testa e ho preferito lasciarla riposare un po’ di più visto la giornata stancante che ci prepariamo ad affrontare. Quando entro in camera la trovo girata su un fianco mentre si sta strofinando gli occhi. Ha le labbra semiaperte e il naso arricciato ed è bellissima, anche con i capelli scompigliati e ancora addormentata.

 

“Buongiorno…”- biascica con la bocca ancora impastata dal sonno.

“Buongiorno.”- le sorrido sedendomi sul letto di fronte a lei e mettendo il vassoio pieno di pietanze davanti a noi. -“Sono appena tornato dalla scuola dei bambini e ho comprato questi.”

 

Con la testa indico dei cornetti al cioccolato, che lei adora. Il suo volto si illumina e il sonno scompare di fronte al cibo. 

 

“Ti adoro!”- esclama afferrando un cornetto dal piatto dopo avermi stampato un bacio sulle labbra. 

“Hai ancora mal di testa?”- le domando preoccupato accarezzandole la fronte.

 

Ora sembra stare bene e non è calda, quindi non ha febbre.

Lei scuote la testa per poi addentare il cornetto.

 

“No, ora mi sento meglio…”- sospira passandosi una mano tra i capelli. -“Ero solo un po’ stanca.”

 

La guardo negli occhi ed effettivamente sembra che sia stanca ancora. Ieri è andata a letto presto, dicendo di essere stanca, ed ha riposato parecchio anche questa notte, visto che, quando sono entrato in camera nostra ieri sera, era già crollata da un bel po’. Non vorrei che avesse qualcosa o che fossero i primi sintomi di un’influenza.

 

“Se sei stanca possiamo dire a Julie di andare più tardi o di stare a casa oggi.”- le suggerisco. -“Per un giorno ci perdonerà.”

“No, sto bene.”- mi dice lei e, di fronte alla mia espressione titubante, continua. -“Ian, davvero, sto bene.”

 

Annuisco poco convinto, poi decido di continuare la colazione, sebbene rimanga parecchio turbato dal suo comportamento. La mia ragazza è sempre stata una gran bevitrice di caffè -perché la aiuta ad affrontare meglio la giornata, a detta sua- eppure prima, non appena gliene ho portato una tazza bella fumante, ha fatto una smorfia e mi ha pregato di allontanargliela perché le faceva venire la nausea. 

Ora siamo in macchina e stiamo andando sul set per continuare la stagione. La prima puntata è stata mandata in onda la scorsa settimana e ha riscosso enorme successo, quasi quanto le prime stagioni, e le cose non potrebbero andare meglio.

 

“Stavo pensando al regalo per i bambini.”- le dico mentre svolto a destra. -“E’ da giorni che ci penso.”

“Non dirlo a me.”- sospira pesantemente. -“Ogni anno diventa sempre più difficile regalar loro qualcosa.”

“Perché hanno già praticamente tutto.”- sottolineo ridacchiando. 

 

Alla fine la PlayStation non gliela abbiamo presa come regalo di compleanno, ma come semplice regalo, perché ci tenevano ad averla e se la sono meritata.

Sebbene abbiano praticamente tutto quello che ogni bambino possa desiderare non sono assolutamente vanitosi o viziati, anche perché né io e né Nina l’avremo permesso.

 

“E’ proprio per questo.”- continua lei corrucciando le labbra. -“Non dirmi altri animali perché ne abbiamo già troppi.”

“Assolutamente. Penso che due cani, un gatto e tutto gli animali al santuario, più un cavallo possano bastare.”- le dico trovandomi d’accordo con lei.

 

Nikki si è tenuta il suo cavallo, giustamente, ma io ho tenuto il mio. 

Mi è venuta un’idea.

 

“Potremo regalare loro due pony… O due cavalli!”- esclamo. -“Okay che hai appena detto non animali, ma comunque non starebbero a casa nostra.”

 

Nina mi guarda sconsolata.

 

“E chi ci starebbe dietro visto i nostri impegni?”- mi domanda lei.

 

Effettivamente ha ragione. Ho già un cavallo da cui vado una volta ogni tanto in modo sporadico quando passo dalla ISF, aggiungerne altri due sarebbe un po’ un massacro. Ma potrei semplicemente dire ad Ansel, l’uomo che si occupa del mio cavallo e anche degli altri, di occuparsi anche di altri due, lui accetterebbe volentieri.

 

“Potrei chiedere ad Ansel. Porteremo i bambini nel weekend. Sarebbe grandioso, potrebbero imparare veramente a fare equitazione.”- continuo io sempre più convinto.

 

Nina sembra ammorbidirsi, anche se non ha ancora accettato.

 

“Potrebbe essere pericoloso.”- continua lei.

 

Questo lo so, ma ogni cosa al mondo è pericolosa. Anche un letto potrebbe essere pericoloso perché, cadendo da lì, potresti romperti un braccio. 

 

“Ogni cosa è pericolosa, Looch. Pensa a quanto felici ne sarebbero i bambini!”- continuo entusiasta. -“Sono sicuro che sia un regalo perfetto.”

“Ian, ne sei sicuro?”- mi domanda lei.

 

Sicurissimo. Immagino già la faccia dei gemelli al loro futuro regalo, sicuramente ne saranno entusiasti.

 

“Sicurissimo.”- concludo io entrando nel parcheggio del set. -“Ne sarebbero felicissimi.”

 

Nina rimane zitta per qualche secondo, poi alza gli occhi sui miei.

 

“Okay, prendiamo loro due cavalli.”- sospira lei infine ed io le sorrido, felice che la mia idea sia stata apprezzata ed accettata. -“Ma ad una condizione.”

“Quale condizione?”- le domando spegnendo la macchina sorridendole sornione.

“Che se ne prendano cura anche loro. Sono degli animali e come tali vanno rispettati, quindi anche loro dovranno prendersene cura.”- mi dice lei seria.

“Ma certo che se ne prenderanno cura.”- le dico.

 

Scendo dalla macchina e, prima che possa dire o fare qualcosa, sono già dall’altra parte aprendole la porta. Nina esce dall’abitacolo e mi guarda negli occhi.

 

“Volevo solo essere chiara.”- mi spiega lei.

Cristallina.”- le sorrido dandole un bacio sul naso. -“Possiamo prendere un cavallo anche a te.”

 

Nina mi fulmina con lo sguardo e io scoppio a ridere.

 

“Ti stai allargando un po’ troppo, non credi?”- mi domanda appoggiandomi una mano sul petto. 

 

La stringo al mio petto posandole un bacio tra i capelli.

 

“Sarebbe carino, non trovi?”- le domando.

“Più avanti. Ora abbiamo già deciso questo.”- mi dice lei sfiorando le mie labbra con le sue.

“Hmh hmh.”- borbotto approfondendo il bacio.

 

Potremmo continuare per qualche altro minuto così, se non fosse per un colpo di tosse alle nostre spalle che ci fa staccare e girare contemporaneamente. Dietro di noi c’è un Paul divertito mentre tiene tra le braccia un piccolo fagotto azzurro.

 

“Hey, Paul!”- lo saluta Nina felice andandolo ad abbracciare, stando comunque ben attenta al piccolo tra le braccia del mio amico.

“Sapevo che vi avrei trovato così.”- sottolinea lui facendomi ridacchiare, mentre le guance di Nina diventano leggermente rosse. 

“Cosa ci fai tu qui?”- gli domando avvicinandomi a lui.

 

Damon ha gli occhietti aperti e sta guardando Nina, per quanto possa effettivamente vedere un bambino di un mese e mezzo. 

 

“Sono venuto a prendere il copione, sai… Tra poco mi toccherà ritornare qui.”- mi spiega porgendo il bambino a Nina.

“Ma quant’è cresciuto? E’ più grande e l’ho visto solo tre giorni fa…”- dice Nina toccando il nasino di Damon.

 

Il bambino fa una smorfia buffissima e Nina lo osserva estasiata. Mi perdo ad osservarla per qualche istante e vorrei tanto che tra le sue braccia ci fosse nostro figlio. Continuiamo a provare, ma niente. 

 

“Puoi pure portarlo a fare un giro.”- le suggerisce Paul. -“Anche Candice vorrebbe vederlo.”

 

Nina annuisce felice e, dopo averci salutato, sparisce con il piccolo Damon tra le sue braccia.

 

“Allora… Come stanno andando le cose?”- gli domando appoggiandogli una mano sulla spalla. -“Ti vedo stanco.”

 

Paul si passa una mano tra i capelli e mi sorride sconsolato.

 

“E’ una piccola peste. Di giorno è anche bravo, piange ogni tanto quando deve mangiare o deve essere cambiato, ma di notte è una vera e propria agonia.”- mi spiega guardando il punto in cui Nina è sparita con suo figlio. -“Rachel la notte dormiva, mentre lui, quando ci va bene, dorme tre ore di fila e poi si sveglia per qualsiasi cosa, anche solo per essere preso in braccio. Non so perché di giorno sia abbastanza tranquillo e di notte non riesca a dormire.”

“Magari ha gli orari un po’ sfalsati, tutto si risolverà.”- gli dico.

“Lo spero. Io e Phoebe facciamo dei turni e per adesso sta andando bene, figuriamoci quando dovrò tornare al lavoro.”- continua lui sconsolato.

“Prima o poi crollerà.”- gli sorrido.

“Tu lo dici… Recupera durante il giorno e alla notte si diverte rimanendo sveglio.”- continua lui e provo quasi pena. Non deve essere assolutamente facile. -“Sei così sicuro di volere un altro bambino?”

 

La domanda doveva risultare ironica, ma dal mio sguardo capisce che ci sia qualche problema.

 

“Ancora nulla quindi?”- mi domanda.

“Già… Ci stiamo provando da un po’ e non lo so…”- gli dico incrociando le braccia al petto. -“Lo so che molte coppie aspettano anche anni, ma pensare a come i gemelli siano arrivati mentre usavamo precauzioni e ora… Beh… Insomma… Stiamo avendo più difficoltà ora cercandolo che prima andando sul sicuro, non so se mi spiego…”

“Capisco perfettamente, ma non devi abbatterti. E’ vero, potrebbero volerci anni, come no. Magari potrebbe rimanere incinta domani, questa sera, o magari tra due giorni.”- mi dice Paul appoggiandomi una mano sulla spalla. -“Sono passati solo alcuni mesi.”

“Stiamo provando da cinque mesi, qualcosa di più.”- sospiro. -“Mi sembra che più ci proviamo e meno arriverà.”

“E’ una questione di testa.”- mi dice lui. -“Io e Phoebe lo volevamo, certo, ma… Come posso dire… L’abbiamo presa con leggerezza… Nel senso che quello non era il nostro unico obiettivo.”

“Ma nemmeno il nostro, assolutamente. Vogliamo un bambino, certo, ma non lo facciamo solo per quello, è una cosa nostra.”- continuo io cercando di spiegarmi.

 

Non facciamo l’amore solo perché vogliamo un bambino, lo facciamo perché ci amiamo.

 

“Ecco, meno ci pensate e prima arriverà, ne sono sicuro.”- mi dice Paul rivolgendomi un sorriso. 

 





































 

 

                                                                                   * * *

 







































 

“Hey, Paul dov’è?”- mi saluta Nina con Damon ancora in braccio.

 

Le do un bacio sulla guancia prima di risponderle.

 

“A prendere il copione e a parlare con Julie per quando deve ritornare.”- le spiego poi le faccio segno di passarmi il piccolo Damon, cosa che lei prontamente fa. -“Ma quanto sei bello?”

 

Nina ride divertita. Alzo lo sguardo su di lei interrogativo.

 

“Che cosa c’è?”- le domando.

“Sei buffo.”- ride lei. 

“Perchè?”- le domando.

“Hai fatto una voce stupida.”- mi prende in giro lei.

“Sto pur sempre parlando con un bambino.”- mi difendo fintamente offeso per poi toccare delicatamente una guancia paffuta di Damon. Il bambino agita piano le manine, ma continua a rimanere calmo. Ogni giorno che passa diventa sempre più uguale a Paul. -“Vero che tu mi capisci?”

 

Damon borbotta qualcosa di indefinito mentre Nina ridacchia divertita. 

 

“Guarda che mi ha capito, stava solo rispondendo!”- mi difendo ancora.

“Sei adorabile.”- mi dice lei lasciandomi divertita un buffetto sulla guancia.

 

Adorabile? Così sta offendendo il mio ego.

 

“Stai dicendo ad un uomo che è adorabile?”- le domando con un sopracciglio alzato mentre cullo piano il bambino.

“Si, veramente adorabile.”- mi dice lei.

“Così ferisci il mio ego.”- borbotto.

“Perdonami, ma è l’unico termine che trovo adatto in questo momento.”- ridacchia lei divertita per poi darmi un bacio sulle labbra. -“Ci vediamo dopo, lascio a te Damon.”

 

Continuo a guardare la sua figura per ancora qualche secondo, poi ritorno a guardare Damon tra le mie braccia che sta cominciando lentamente ad addormentarsi.

 

“Forza piccoletto, andiamo a trovare tuo padre.”- gli dico mettendomi alla ricerca di Paul. 

_____________________________________________________

Buon fine settimana a tutte, eccomi qui con il capitolo 47! Wow, ancora tre capitoli e arriviamo a 50, questa è decisamente molto più lunga dell’altra storia, anche se sta avendo decisamente meno seguito.

Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto alcuni problemi con il computer e durante le vacanze sono stata impegnatissima ed ora il 2017 scolastico non poteva iniziare peggio… Un sacco di simulazioni fissate con altrettante verifiche e interrogazioni -__-

Capitolo di passaggio, che mi servirà per introdurre qualche nuovo argomento, anche se comunque abbiamo delle questioni importanti. Nikki, come anticipato, ha finalmente firmato le carte del divorzio e ora Ian e… Divorziato! Finalmente direte voi… Finalmente dico anche io ahah

La prima parte si commenta da sola, ogni tanto quei due devono darsi alla pazza gioia (ringraziate nuovamente Candice!) u.u

La seconda parte è abbastanza incentrata per il futuro compleanno dei gemelli e i nostri Nian hanno scelto un regalo adatto (visto l’amore per gli animali che provano i bambini), anche se Nina inizialmente non ne era d’accordo, visto gli impegni che hanno, ma Ian comunque ha trovato la situazione. 

Ultima parte con Paul, Ian e Nina e il piccolo Damon *^*

Damon è praticamente la fotocopia del padre (anche Rachel è abbastanza uguale a lui, povera Phoebe) e i nostri Nian a turno se lo portano a spasso *^* *^*

Basta, non ho altro da dire. Ovviamente ringrazio le tre ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che spendono sempre qualche minuto per lasciarmi qualche parere, sempre ben accetto perché mi fa capire come sta andando l’andamento della storia ^^

E niente… Alla prossima :)

(Non ci metterò così tanto, ma sicuramente non aggiornerò per tutta la prossima settimana e forse la prossima ancora… Non si sa…)

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Capitolo 48
*** Eight Years Old. ***



                                                            Eight Years Old.




Una settimana dopo.

Pov Ian.

Oggi è il compleanno dei miei figli. 

Otto anni.

E’ un grandissimo traguardo. Mi sembra ieri la prima volta che li ho visti, lì, aggrappati a Nina, preoccupati di essere sgridati da Candice. Mi sembra ieri quando Nina mi ha urlato contro di essere il loro padre e di come mi sono sentito. E mi sembra ieri quando abbiamo detto loro che ero il loro papà e di come loro, dopo attimi di stupore, mi sono saltati addosso e mi hanno abbracciato, dandomi l’amore che solo i bambini possono dare. Poi il loro primo compleanno per me, il settimo per loro e la gita organizzata all’acquario. E ora siamo tutti insieme, come una famiglia, e festeggeremo anche oggi insieme. 

Ormai è tutto pronto. Questa mattina li porteremo dei loro regali. Ci abbiamo messo qualche giorno per andare alla ricerca dei due animali giusti, poi, però, sono arrivati al santuario dei cavalli sottratti ad un proprietario a cui non importava nulla di loro e il quale voleva mandarli al macello, così li abbiamo tenuti lì e abbiamo scelto quelli più docili. Uno è marrone, l’altro è grigio. Ovviamente abbiamo tenuto anche gli altri tre e ci siamo già messi in moto per cercare qualche famiglia a cui donarli e che possano prendersi cura di loro, in modo da dargli una vita migliore. 

Oggi pomeriggio, invece, li porteremo sul set dove abbiamo organizzato una piccola festa per loro, insieme agli altri.

Abbiamo avuto anche la fortuna che il loro compleanno cadesse di domenica, così abbiamo tutto il giorno libero da dedicare a loro, ma, anche se fosse stato un giorno in mezzo alla settimana, lo avremmo fatto lo stesso, perché passare il compleanno con i miei figli è una cosa troppo importante per essere saltata o essere messa da parte.

I bambini stanno ancora dormendo, visto che è domenica, così ne ho approfittato per andare a prendere dei cornetti, visto che piacciono anche a loro, non solo a Nina, e delle pastine per festeggiare tra di noi. Questa sera, invece, come se la giornata non fosse già abbastanza piena, andremo dai genitori di Nina -ovviamente ci sarà anche Alex-, che passeranno ovviamente anche dopo, per mangiare là e hanno invitato anche mia madre. Robyn forse ci raggiungerà dopo con i miei nipoti, altrimenti la chiameremo con Skype. Le dispiace non esserci, ma è impegnata con il lavoro e suo marito ha l’influenza. 

Entro in casa sperando di fare meno rumore possibile e, dopo essermi richiuso la porta alle spalle, mi ritengo parecchio bravo perché nessuno sembra essere sveglio. Mi vengono incontro Nietzsche e Spike, mentre Klaus, sdraiato sul divano, alza la testa e, dopo essersi accertato della mia presenza, ritorna beatamente a dormire. Appoggio quello che ho comprato sul ripiano più alto, in modo che il gatto non vada a curiosare, poi, dopo essermi tolto il giubbotto, mi dirigo verso il piano superiore. La porta della camera dei bambini è semichiusa. La apro leggermente per controllare un po’ la situazione e li trovo ancora addormentati, così decido di andare da Nina, la quale, prima di andare via, stava ancora dormendo, per andare a svegliare i bambini insieme. Ultimamente mi sembra sempre stanca, non vorrei che stesse lavorando troppo, anche se, anni fa, ha fatto veramente molto peggio, per quanto riguarda gli orari lavorativi. C’è da dire che ultimamente ha anche alcune scene in più delle mie, visto che nella passata stagione, con l’incidente, non si è vista poi così tanto negli ultimi episodi. Devo assolutamente parlare con lei e dirle di rallentare. Entro in camera convinto di trovarla ancora a letto, ma non c’è. Le coperte sono tutte in disordine e mi guardo attorno per capire dove possa essere finita. Capisco dov’è quando sento dei rumori sospetti in bagno. Vado subito lì e trovo Nina riversa nel water mentre vomita anche l’anima. Mi inginocchio accanto a lei e le tengo i capelli, prima che possa sporcarseli. Lei alza lo sguardo su di me, ma, prima che possa dire qualcosa, si piega nuovamente nel water a vomitare.

Che cosa le sta succedendo? Non è normale vomitare in questo modo. 

Quando finisce mi sporgo ed afferro un elastico, per poi legarle in capelli come posso. Mi alzo dal pavimento e bagno un asciugamano per poi porgerglielo, in modo che possa pulirsi e rinfrescarsi le labbra. Nina mi rivolge uno sguardo pieno di gratitudine. Tiro lo sciacquone perché la vedo incredibilmente scossa. Mi risiedo di nuovo accanto a lei e l’avvicino, delicatamente, a me, prendendola tra le mie braccia.

 

“Stai bene?”- le domando piano accarezzandole i capelli.
 

Nina appoggia la testa sul mio petto e annuisce piano.
 

“Ne sei sicura?”- le domando ancora, non smettendo di accarezzarle i capelli. Sono preoccupato. -“Hai vomitato anche l’anima lì dentro. Dovremmo andare da un medico, è da un po’ che sei strana.”

 

Alza la testa dal mio petto e mi guarda preoccupata.

 

“No… Sto bene… E’ stato solo… Magari è un po’ di influenza, oppure non ho digerito bene la cena di ieri sera…”- mormora lei appoggiando di nuovo la testa contro la mia maglietta. -“Ieri sera ho mangiato troppo…”

 

In effetti è vero. E’ sempre stata una mangiona, ma ultimamente sta superando se stessa. E’ un bene che mangi così, vuol dire che è in salute, ma nemmeno che vomiti tutto il giorno dopo.

 

“Ho fatto indigestione… Ne sono sicura…”- mi rassicura lei accarezzandomi un braccio. -“Sto già meglio…”

“A me non sembra.”- le dico serio.

“Sto già meglio. Non posso essere ammalata, non oggi.”- mi dice lei tentando di alzarsi.

 

L’aiuto a rimettersi in piedi e sembra, momentaneamente, che non stia più così male e che possa anche farcela da sola. 

 

“Forse dovremo rimandare tutto, che ne dici?”- le propongo.

 

Se sta male dovremo rimandare. E’ vero che è il compleanno dei bambini, ma la sua salute viene prima di tutto e loro capiranno. Ci aspetta una giornata parecchio impegnativa oggi e se sta così non è un bene, soprattutto per lei. Gli altri capiranno e potremo fare qualcosa solo noi quattro, magari un bel film o qualche bel cartone mangiando un pezzo di torta. Non serve per forza fare una festa in grande se sta così.

Nina spalanca gli occhi e mi guarda sconvolta.

 

“Che cosa? No, assolutamente no! I bambini meritano di festeggiare il loro compleanno.”- mi dice afferrando lo spazzolino e mettendoci sopra del dentifricio.

“Potremo festeggiarlo noi quattro, insieme. Non c’è bisogno di fare tante feste se tu stai così. Capiranno.”- continuo imperterrito. 

“Sono dei bambini, hanno bisogno di festeggiare il loro compleanno in compagnia.”- mi dice lei risciacquandosi la bocca subito dopo. 

 

Si asciuga la bocca con l’asciugamano e si sistema i capelli in una crocchia disordinata.

 

“E tu, se stai così, hai bisogno di riposo.”- le ricordo.

“Ma sto bene… Ho solo fatto indigestione con tutto quello che ho mangiato ieri. Guardami.”- si indica. -“Sto bene.”

“Sei ancora pallida.”- le dico.

 

Lo è. E si vede che è stanca. Ma non demorderà facilmente, questo lo so.

 

“Ma sto bene. Ho solo bisogno di bere qualcosa e magari anche di mangiare e dopo mi riprenderò.”- mi rassicura lei.

“Nina…”- la riprendo.

“Ian, davvero. Sto bene…”- continua lei accarezzandomi un braccio. 

 

Sono preoccupato perché non voglio che stia male, ma non posso nemmeno legarla al letto e so quanto ci tiene al compleanno dei bambini. E anche quanto ci tengano i bambini. Io sono sicuro che capiranno, ma lei continua a voler fare tutto. 

 

“Andiamo giù a prendere qualcosa da bere, va bene?”- le dico.

“No, prima andiamo a svegliare i bambini.”- mi dice lei per poi lavarsi i denti.
 

La seguo in camera da letto, non appena esce dal bagno. 

 

“Ti dirò se starò poco bene, okay?”- mi dice lei. 

 

La guardo e annuisco, titubante. So che non me lo dirà, ormai la conosco, farà di tutto per nascondermelo.

 

“Davvero, lo giuro.”- continua lei capendo i miei dubbi. 

“Lo voglio sapere e, se ti sentirai ancora male, non esiterò a portarti a casa, anche al costo di portartici di peso.”- le dico e suona quasi come una minaccia.

 

Lei annuisce e, dopo avermi rivolto un sorriso, che ricambio, esce fuori dalla stanza e mi aspetta impaziente per andare a svegliare i bambini. Entriamo in camera dei bambini lentamente e, mentre io mi dedico a svegliare Stefan, Nina pensa a Joseph. I bambini, come al solito, fanno strane smorfie e alcuni lamenti, perché, evidentemente, avrebbero preferito dormire, poi, alla fine, rendendosi conto di che giorno è oggi, spalancano gli occhi e si rivelano subito essere pimpanti. 

 

“Buon compleanno!”- esclamiamo all’unisono io e Nina abbracciando i nostri figli.

 

Abbraccio prima Stefan e poi Joseph e anche Nina fa lo stesso, abbracciando ovviamente prima Joseph e poi Stefan. I bambini si lasciano coccolare a turno, sfruttando al meglio il fatto che sia il loro compleanno, poi, dopo aver sentito che ci sono i cornetti al cioccolato e le pastine, sfrecciano giù in cucina ancor prima di averci permesso di alzarci dal letto. Li seguiamo divertiti, ovviamente tengo sempre sotto d’occhio Nina.

Alla fine facciamo colazione con le cose che ho comprato, più con il succo e del latte. Trascorriamo una tranquilla mezz’ora in famiglia, poi, dopo esserci scambiati uno sguardo d’intesa, io e Nina decidiamo di fare la prima cosa della giornata.

 

“Io e la mamma vi abbiamo preso una cosa un po’ speciale come regalo di compleanno.”- inizio io e i bambini si fanno subito più attenti.

“Davvero? E quanto speciale è?”- domanda Stefan curioso.

“Davvero molto speciale.”- continua Nina. -“E per andarla a prendere dobbiamo andare in macchina.”

“In macchina?”- domanda Joseph. -“Ma oggi è domenica e i negozi sono chiusi.”

 

Io e Nina ridacchiamo.

 

“L’abbiamo già comprata, se così si può dire. Ci metteremo circa un quarto d’ora, ma ne varrà la pena.”- continuo io. -“Però, bisogna prima avvertirvi… Non potrete portarla a casa.”

 

I bambini ci guardano per qualche istante, poi si guardano negli occhi e riportano il loro sguardo su di noi.

 

“E che regalo è se non si può portate a casa?”- domanda, giustamente, Stefan. -“E’ così grande?”

“Abbastanza.”- gli sorride Nina.

“Mhm… Ma che regalo è? Mamma… Papà… Sono troppo curioso!”- si lamenta Joseph.

“Un po’ di pazienza e lo scoprirete.”- dico. -“Forza, andiamo a vestirci così possiamo andare a vederlo.”

 

I bambini, dopo essersi alzati, ci trascinano in camera loro per aiutarli, poi, una volta finito ed esserci vestiti anche noi, ci mettiamo le scarpe e, dopo esserci messi anche i giubbotti, con annessi cappello, sciarpa e guanti, andiamo in macchina. 

Per tutto il viaggio i bambini non fanno altro che riempirci di domande, alle quali alcune volte rispondiamo, altre volte no per non rischiare di rovinare loro la sorpresa. Di tanto in tanto osservo Nina e sembra che stia bene, anche se, ogni tanto, qualche sbadiglio affiora sulle sue labbra, ma magari è normale perché si è appena svegliata.

Arriviamo al maneggio nell’orario stabilito e facciamo scendere i bambini. Joseph e Stefan si guardano attorno alla ricerca di qualcosa che, ancora, non possono vedere. I loro regali sono all’interno di un recinto al coperto, dove non fa così tanto freddo, e dove potranno anche farci un bel giro. Stefan prende la mano di Nina, Joseph la mia e ci incamminiamo.

 

“E’ così grande il nostro regalo da trovarsi all’aperto?”- mi domanda Joseph.

“Uhm, lo è.”- gli sorrido accarezzandoli i capelli. -“E’ un bel regalo.”

“Bello bello?”- mi domanda Stefan.

“Davvero bello.”- gli sorrido accarezzando i capelli anche a lui. -“Ora, però, dovete chiudere gli occhi.”

 

I bambini, un po’ titubanti, annuiscono. Camminiamo ancora per qualche metro e ci assicuriamo che non gli aprano per sbirciare. Stefan la prima volta tenta, ma, dopo essere stato scoperto, alla fine fa quanto gli viene detto. Entriamo dentro il recinto al coperto e, con un cenno del capo, saluto Ansel, e ci fermiamo qualche metro più avanti dei cavalli. Fortunatamente sono immobili e non fanno quasi nessun rumore.

 

“Al mio tre dovrete aprire gli occhi, va bene?”- chiedo ed entrambi annuiscono. 

 

Al tre i bambini aprono gli occhi e si ritrovano davanti ai due cavalli. Joseph e Stefan spalancano la bocca all’istante e osservano i due animali per interminabili minuti, poi cominciano ad alternare lo sguardo da me alla madre in cerca di spiegazioni -o meglio, di conferme.

 

“Un giro a cavallo?”- mi chiede Stefan entusiasta.

 

E’ felice di un giro a cavallo, figuriamoci sapere che quel cavallo è suo. Stefan avrà quello marrone, Joseph quello grigio. Non è stata una scelta casuale, una volta li ho visti disegnare e Stefan mi ha detto di preferire i cavalli scuri, Joseph quelli chiari, sul bianco o sul grigio. Uno dei motivi della scelta di questi due cavalli, oltre alla docilità, qualità molto importante, visto che sono animali e non ci si scherza, è stato anche il colore. 

 

“Un giro?”- domando pensieroso. -“Un solo giro?”

“Più di uno allora!”- esclama Joseph entusiasta tanto quanto Stefan.

“Oh, non sarà solo un giro.”- ridacchio io divertito.

 

I bambini ci guardano interrogativi e sia io che Nina ci abbassiamo alla loro altezza.

 

“Io e vostro padre ci abbiamo messo un po’ per trovare il regalo adatto. Poi lui, un giorno, è venuto da me con un’idea parecchio folle, ma che, alla fine, ho accettato ad una condizione. Dovrete essere responsabili nei confronti di questi due animali.”- spiega loro Nina e i bambini la guardano confusa.

“Responsabili come?”- domanda Joseph.

“Dovrete prendervi cura di loro.”- continuo io.

 

I bambini ci guardano ancora, poi guardano, increduli, i due cavalli dietro di loro, poi, di nuovo, riguardano loro e questa volta sembrano aver capito.

 

“Questi due cavalli sono vostri.”- concludiamo io e Nina insieme.

 

I bambini spalancano la bocca e i loro occhi iniziano a brillare di gioia.

 

Tutti nostri?”- domanda Joseph.

“Davvero nostri? Solo nostri?”- continua Stefan incredulo.

“Tutti vostri.”- continua Nina. -“Stefan avrà il cavallo marrone e Joseph quello grigio. Saranno vostri a tutti gli effetti. Dovrete dar loro da mangiare quando verrete qui, da bere, pulirli, spazzolarli, magari giocare anche con loro. Ovviamente potrete farci anche un giro… Più di un giro quando vorrete…”

 

Nina non fa quasi in tempo a terminare il discorso che i nostri figli ci stanno già abbracciando, così forte quasi da stritolarci.

Continuano a dirci un sacco di volte grazie ed io e Nina ci ritroviamo a sorridere felici per loro. Sono veramente felici di questo regalo e noi lo siamo per loro. 

 

“Su, forza, non vorrete mica stare qui senza almeno conoscerli un po’.”- dico loro indicando i cavalli con lo sguardo.

 

Ansel si congeda, lasciandoci così del tempo da soli, e si fa promettere di farsi chiamare se c’è bisogno di aiuto, ma ormai conosco bene i cavalli e posso fare anche da solo. 

I cavalli sono legati a un palo, distanziati l’uno dall’altro, in modo che Stefan e Joseph possano imparare a conoscerli. Prima di farli avvicinare do ad entrambi un po’ di cubetti di zucchero. I cavalli ne vanno matti e sicuramente è un buon modo per instaurare un legame iniziale. Joseph va con Nina, Stefan con me. I bambini iniziano così a conoscere i due animali. Danno loro i cubetti di zucchero, fanno loro delle carezze, parlano anche con loro e alla fine, entrambi decidono anche un nome da dare ai due animali, chiedendo a noi anche dei consigli. Noi esprimiamo più pareri. Stefan sceglie Star per il suo cavallo, visto che questo ha una stella bianca in fronte, mentre Joseph sceglie Grey, per il colore del mantello del cavallo. Alla fine aiuto entrambi a salire a cavallo, ovviamente dopo essersi messi il casco apposito e anche il giubbotto, e iniziano a gironzolare con i loro animali, ovviamente al passo e sempre sotto lo sguardo attento mio e di Nina.  

 



































 

                                                                          * * *































 

 

Faccio scendere i bambini dall’auto e li invito a correre sotto il portico di casa nostra mentre decido di svegliare Nina. Finalmente la giornata si è conclusa e i bambini ne sono stati felicissimi. Dopo essere tornati dal maneggio e aver mangiato, dopo aver fatto anche una doccia, siamo andati sul set con la scusa di dover prendere qualcosa. Ad attenderli, ovviamente, c’era una festa a sorpresa e ne sono rimasti entusiasti. Hanno ricevuto un sacco di regali, tutti apprezzati, ma, cosa più importanti, si sono divertiti un sacco a festeggiare con tutti gli amichetti, figli dei nostri amici, sul set e con persone che conoscono. Poi siamo andati a casa dei genitori di Nina e abbiamo festeggiato anche lì, cenando e mangiando la torta. Sulla strada del ritorno Nina si è addormentata in macchina come un ghiro e non si è ancora svegliata. 

 

“Neens… Siamo arrivati a casa…”- le dico piano scuotendola leggermente.

 

Nina si stiracchia leggermente e apre gli occhi.

 

“Siamo già arrivati?”- mi domanda lei ancora mezza addormentata.

“Si, siamo arrivati.”- le sorrido spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. -“Ci conviene andare, così potrai dormire.”

 

Nina annuisce e l’aiuto ad uscire dalla macchina, poi ci incamminiamo dai bambini sotto il portico.

 

“Sono stanchissima.”- mormora lei strofinandosi un occhio. -“E mi fa malissimo la schiena.”

“Avresti potuto mettere delle scarpe più comode.”- dico alludendo ai tacchi.

“Lo so, ma… Ho male un po’ ovunque.”- mi dice lei portandosi una mano alla base della schiena.

 

Entriamo insieme ai bambini e, dopo avergli fatto togliere le scarpe, comincio a fare avanti e indietro dalla macchina per portare dentro i regali. Nina, intanto, è andata con loro per aiutarli a mettere il pigiama. Finisco dieci minuti dopo e, dopo essermi assicurato di aver chiuso bene e che i bambini fossero a letto -già addormentati, tra l’altro- vado in camera nostra. Nina è già stesa a letto in pigiama, così decido anche io di mettermi più comodo. Due minuti dopo sono sdraiato accanto a lei.

 

“Ti fa ancora male alla schiena?”- le domando dolcemente.

“Un po’.”- borbotta lei appoggiando la testa accanto al mio petto. 

“Forza, mettiti su un fianco. Provo a farti un massaggio.”- le suggerisco.

 

Nina alza lo sguardo su di me e mi sorride.

 

“Da quando fai massaggi?”- mi domanda dandomi la schiena.

“Da quando stai diventando vecchia.”- le sorrido ilare per poi sollevarle la maglietta iniziando a farle un massaggio. -“Funziona un po’?”

 

Nina annuisce socchiudendo gli occhi. 

 

“Lì, proprio lì…”- mugugna, a metà tra il dolorante e il sollevato.

 

Continuo a massaggiarle i punti implicati per qualche altro altro minuto, poi mi fermo non sentendo più nulla. Anzi, qualcosa sento. Sento il suo respiro più pesante, segno che si è addormentata. Sorrido intenerito, poi decido di dormire anche io, non prima di averle posato un bacio tra i capelli. 

 

 

Pov Nina.

La giornata è iniziata veramente molto male. Ultimamente sembra che non riesca a trattenere niente dentro il mio corpo. 

Sono riuscita a nasconderlo a Ian perché sono riuscita a correre al piano di sotto prima che si svegliasse, ma mi sento ugualmente uno schifo. Mi capita da un po’ di giorni -e sono sempre riuscita a nasconderlo a Ian-, ma è da ieri che la cosa sembra essere peggiorata. E’ vero che ieri è stata una giornata stancante, ma non penso che questo influenzi i miei problemi di stomaco, anche se ho mangiato veramente tanto tra pranzo, il pomeriggio e a cena dei miei genitori. Di mattina, dopo il malessere iniziale -e non nascondo di essere stata in bagno almeno una ventina di minuti non riuscendo nemmeno a sollevare la testa perché dovevo vomitare-, sono riuscita ad andare avanti, al pomeriggio è capitata più o meno la stessa cosa, ma, grazie alla complicità di Candice, sono riuscita ad evitare Ian, altrimenti mi avrebbe obbligata ad andare a casa e non avrei mai potuto saltare -o peggio, rovinare- la festa dei miei figli. Non vorrei fosse uno di quei virus che si protrae per lungo tempo, perché altrimenti rischierei di attaccarlo ai bambini, e non sarebbe un buon momento, o a Ian. 

Mi lavo per l’ennesima volta i denti e tutto quello che vorrei fare ora sarebbe andare a letto, perché mi sento come se non avessi riposato -e l’ho fatto, anche molto bene-, ma i bambini devono fare merenda e noi andare al lavoro. 

In più oggi devo parlare con Julie per il mio futuro -o no- film e tra poco dovrò anche darle una risposta concreta; il problema è che nell’ultimo periodo non ci ho veramente pensato perché tra i bambini, altri problemi e la mia salute non ottima mi è passato dalla testa.

Sento dei passi frenetici scendere giù le scale e riconosco chi è, chi sono.

 

“Buongiorno mamma…”- mormorano i miei figli stropicciandosi gli occhietti ancora pieni di sonno.

“Siete già svegli?”- domando sorpresa allungando le braccia per abbracciarli.

 

Non se lo fanno ripetere e si stringono entrambi a me. Poso ad entrambi un bacio sui capelli e li invito a sedersi a tavola.

 

“Abbiamo sentito la sveglia di papà suonare.”- mi dice Joseph mentre gli verso del latte sulla tazza.

“E papà dov’è?”- gli domando.

 

I bambini si guardano per qualche istante non sapendo bene cosa dirmi.

 

“In bagno!”- esclama prontamente Stefan.

“In camera nostra!”- esclama Joseph nello stesso momento di Stefan.

 

Li guardo corrucciata.

E’ in bagno o in camera loro?

 

“Nello studio!”- esclamano in coro.

 

Nello studio?

Si dia il caso che la loro camera non sia lo studio e in entrambi non ci sia un bagno.

 

“Dov’è realmente?”- domando portandomi entrambi le mani sui fianchi.

“Nello studio!”- esclamano nuovamente insieme.

“Quindi… Fatemi capire… Prima era in bagno… Poi in camera… E ora nello studio?”- domando.

“Si è spostato.”- mi dice Stefan con un’alzata di spalle. 

“E come lo sapete?”- domando ancora. -“Che cos’è successo?”

 

Ian, chiamato in causa, scende le scale con qualcosa in mano. Più di qualcosa. Sembrano dei cocci di qualche vaso. 

Spero non sia quello che penso.

Lui, sorpreso, mi guarda e poi guarda i nostri figli, poi si gratta la testa imbarazzato.

 

“Mi sa che hai già capito…”- mormora lui scendendo anche l’ultimo gradino.

“E ho anche capito che vi stavate coprendo a vicenda.”- borbotto stizzita guardandoli tutti e tre. -“E’ già il terzo in questo mese, ormai non abbiamo più vasi.”

“Mamma, si diverte a romperli.”- lo difende Stefan, alludendo, ovviamente, a Klaus.

“Non c’è nessun divertimento a rompere i vasi.”- sottolineo scuotendo la testa. -“Gli ultimi due erano della nonna, ancora.”

“La nonna non se la prenderà.”- mi dice Joseph. 

“Tu dici?”- gli domando inclinando la testa di lato.

“Ne compreremo uno uguale, potremo farlo.”- mormora Ian che, dopo aver gettato i cocci nel secchio, mi da un bacio sulla guancia.

“Romperebbe anche quello.”- gli faccio notare.

“Allora togliamo i vasi!”- propone Stefan. -“Non possiamo togliere il gatto.”

 

Rimango zitta e i bambini mi guardano in attesa di qualche risposta.

 

“Non mandiamo via Klaus, vero mamma?”- mi domanda Joseph preoccupato.

“No che non lo mandiamo via, ma dovrebbe capire che non si fa.”- lo rassicuro e vedo tutti e tre i miei uomini sospirare sollevati.

“E’ un gatto.”- ridacchia Ian avvolgendo un suo braccio attorno alla mia vita. -“Gli piace.”

“Moke era più bravo e diplomatico.”- gli ricordo.

 

L’immagine del gattone rosso e grassoccio di Ian mi balza alla mente. Adoravo quel gatto, l’ho sempre amato quanto la mia Lynx. 

 

“Moke non distruggeva i vasi?”- domanda Joseph mangiando un biscotto.

“No, lui no.”- gli sorride Ian. -“Ma si divertiva a mordicchiare le ciabatte di vostra madre.”

 

Annuisco al ricordo. Si divertiva parecchio, poi però ogni occasione era buona per dormirci sopra, penso sia sempre stata una forma di affetto.

 

“E tu ti arrabbiavi mamma?”- mi domanda Stefan.

“All’inizio si, poi però ci dormiva sopra tutto felice.”- gli spiego. -“Penso fosse una forma di affetto. Strana, ma di affetto.”

 

Ian finisce di sistemare le cose sopra al tavolo. Mi siedo accanto a lui e mi porge una tazza fumante di caffè.

Errore madornale. Non appena l’odore del caffè arriva alle mie narici il mio stomaco si contrae e comincio a sudare freddo.

Devo correre subito in bagno.

Senza dare nessuna spiegazione, perché altrimenti potrei vomitare qui e non voglio dare spettacolo, mi alzo in fretta dalla sedia e corro, per l’ennesima volta, in bagno. Arrivo appena in tempo al water e mi ritrovo a vomitare, anche se non ho toccato cibo. Ian, ovviamente, è subito dietro di me e, proprio come ieri, mi sorregge e mi raccoglie i capelli, in modo che non possa sporcarli.

 

Di nuovo?”- mi chiede lui.

 

Non c’è durezza nella sua voce, solo preoccupazione.

Vorrei rispondergli, ma non posso farlo perché continuo a vomitare. I bambini, ovviamente, sono dietro di noi e vorrei sprofondare. Non avrei mai voluto questo. Sento Ian dire loro di non preoccuparsi e di tornare a fare colazione perché mi sento solo un po’ male e che non è nulla di grave. Li sento andare via, anche se non se la sono bevuta fino in fondo. Dieci minuti dopo ho finalmente finito.

 

“Dobbiamo andare da un medico.”- mi dice lui perentorio aiutandomi ad alzarmi dal pavimento.

 

Questa volta sono io a tirare lo sciacquone. Mi avvicino al lavandino ed afferro lo spazzolino. 

 

“E’ solo-”

“No.”- mi interrompe lui. -“Non rifilarmi che è un virus intestinale o qualcosa del genere perché, evidentemente, non lo è. Andremo da un medico. Oggi.

“Oggi no… Dobbiamo… Dobbiamo lavorare e devo parlare con Julie del film e-”

“Il resto viene dopo. Lavoro, film, soldi. Prima ci sei tu ed è evidente che stai male.”- continua lui.

 

E’ serio. Molto. Mi guarda severo e so che non demorderà e che, conoscendolo, potrebbe portarmi benissimo dal medico di peso. 

 

“Se continuerà mi porterai dal medico, ma sto meglio ora.”- gli dico dopo essermi lavata per l’ennesima volta i denti. 

“No, no, Nina, non mi fai abboccare. Ti porto oggi stesso.”- conclude lui.

“Dobbiamo litigare veramente su questo?”- gli domando.

“Non stiamo assolutamente litigando perché ti ci porterò e tu ne sarai d’accordo.”- mi dice lui incrociando le braccia al petto. -“Si parla di salute qui, Nina.”

 

E mi chiama Nina solo quando è arrabbiato o tremendamente eccitato. Ovviamente questo è il primo caso.

 

“Ian, ti prego…”- lo supplico.

 

Odio gli ospedali. Odio i medici. Odio tutto quello che è legato ad esso e mi pare quest’anno di esserci stata già parecchio.

 

“Non ci sarà nessun Ian ti prego in grado di farmi cambiare idea.”- mi dice lui. 

“Mamma? Papà?”- ci interrompono i bambini.

 

Ci voltiamo entrambi verso di loro.

 

“Faremo tardi per andare a scuola.”- ci avvisa Stefan guardandoci entrambi, mentre Joseph annuisce.

“Di solito siamo già in macchina a quest’ora.”- continua Joseph.

 

Ian mi lancia un ultimo sguardo poi annuisce ai bambini.

 

“Tu rimani qui.”- dice ovviamente a me. -“Accompagnerò io a scuola i bambini, poi noi due concluderemo quel discorso.

 

Sbuffo irritata da questo suo comportamento. Da una parte ha ragione, non lo nego, ma sto meglio, non ho bisogno di un medico.

Ian va via con i bambini che mi salutano con un bacio sulla guancia, così rimango sola in bagno. Mi passo una mano tra i capelli esausta. 

Potremo litigare su qualsiasi cosa, invece litighiamo su una stupidaggine del genere. Un po’ me ne pento, perché so che non vuole che mi accada qualcosa di male e lo amo ancora di più per questo, ma dall’altra è un po’ troppo tragico.

Sistemo lo spazzolino del bicchierino sul lavandino, poi apro l’armadietto per cercare delle salviette quando il mio sguardo cade sugli assorbenti. 

Le braccia mi ricadono lungo il corpo e l’anta dell’armadietto rimane aperta. Con entrambe le mani mi copro gli occhi e mi lascio cadere a terra sul pavimento.

Sto assimilando una serie di cose.

Cosa?

Il fatto che io sia in ritardo. Sono sempre stata puntualissima, mai un giorno di ritardo. Secondo i miei calcoli avrei dovuto avere le mie cose al primo ottobre, peccato che siamo quasi alla fine di ottobre. 

E se stessi sbagliando? Se avessi un ritardo per il troppo stress dell’ultimo periodo? Ma come posso spiegare le continue nausee, il troppo cibo, la stanchezza e il mal di schiena? 

Questi sintomi conducono ad un’unica cosa.

Ma se mi stessi sbagliando?

Dio, lo stiamo cercando così tanto! Potrebbe esserlo come no. 

Spero con tutto il cuore che sia così perché, se non lo fosse, che altro potrebbe essere? 

Mi porto una mano al ventre piatto e, dopo qualche istante, osservo la mia mano che trema leggermente.

Potrei essere sul serio incinta? Sto davvero aspettando un bambino?

Se non lo fosse io… E’ vero che molte coppie ci provano per anni, ma i sintomi ci sono, eccome se ci sono.

E sono stata una stupida a non pensarlo prima. Ci sono già passata, in modo travagliato, ma l’ho fatto. Perché non ci sono arrivata subito? Non sono una novellina, ho già affrontato una gravidanza. E’ anche vero che l’ultimo periodo è stato veramente molto pieno e che non ho avuto tempo praticamente di pensare a niente, visto la moltitudine di cose da fare. 

Prima ancora che possa fare qualcosa Ian è già di ritorno dalla scuola. 

 

“Che cosa ci fai seduta lì sul pavimento del bagno?”- mi domanda preoccupato abbassandosi alla mia altezza. -“Stai ancora male, non è così?”

 

Alzo lo sguardo su di lui e cerco i suoi occhi tremendamente preoccupati. Se fosse vero, se fossi incinta, sarebbe normale e non ci sarebbe niente di cui preoccuparsi, per quanto riguarda il malessere.

 

Penso di essere incinta.”- gli dico solo. 

 

 

 

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Buona domenica a tutte, eccomi qui con il nuovo capitolo :)

Non ho ritardato poi molto dall’ultimo aggiornamento, ma, come vi avevo avvisato, sono impegnatissima in quest’ultimo periodo e non ho mai avuto tempo per aggiornare!

Prima di perdermi in sproloqui voglio dire una cosa… TORNA NINA! NINA, LA NOSTRA NINA, TORNA IN TVD!

Okay, molto probabilmente lo sapevate già, ma devo condividere la mia gioia con qualcuno *^*

Mi credete che quando ha pubblicato la foto sono scoppiata a piangere per la gioia? Hanno rovinato un po’ l’effetto sorpresa, ma secondo me l’hanno fatto dall’esasperazione visto quanto noi fans abbiamo rotto le scatole (in senso positivo, ovviamente) ahaha

Ora voglio il finale Delena e spero che Julie ce lo dia senza combinare cavolate (anche se i suoi ultimi tweet mi preoccupano assai!), altrimenti vado personalmente in America u__u

Bene, dopo questo attimo di pazzia, possiamo passare al capitolo, perché altrimenti potrei continuare all’infinito.

COMPLEANNO DEI GEMELLI! I nostri mini Somerhalder hanno raggiunto otto anni d’età. E pensare che all’inizio della storia ne avevano ancora sei… Quanto sono cresciuti! Erano così piccolini, senza un papà, con solo la figura materna, ora invece sono cresciuti, hanno un papà che sta insieme alla loro mamma.

Si, oggi sono troppo sdolcinata, ma è “colpa” del ritorno di Nina se sono così, sono euforica da giorni!

Capitolo pressoché tranquillo, ogni tanto intervallato dai problemi di salute di Nina e con Klaus che combina disastri in ogni angolo della casa, mentre Ian e i bambini cercano di difenderlo. 

L’ultima parte racchiude un po’ lo scorso capitolo e tutto questo… Nina continua a sentirsi male e… Sarà perché sia incinta?

Non posso svelarvi nulla, scoprirete tutto con il prossimo capitolo!

Ringrazio le fantastiche quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, alla prossima <3

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Capitolo 49
*** Be positive. ***


                                                             Be positive.



Pov Nina.

Ian, di fronte a me, spalanca la bocca. Lo guardo per qualche istante, in attesa che dica qualcosa -o almeno faccia qualcosa.

E’ una notizia che ti mette parecchio sotto shock, anche se ci abbiamo provato e lo vogliamo. Poi non è detto che sia vero, potrei anche non esserlo, ma se lo fossi… Se lo fossi avremo tutto quello che abbiamo sempre voluto.

 

“Ian?”- lo chiamo piano.

“Ne sei… Sicura?”- mi domanda lui con il mio stesso tono. -“E’ per questo che stai male?”

“Io… Potrei esserlo… Cioè… I sintomi ci sono. Nausee, vomito, mal di testa, mal di schiena, stanchezza… Con i gemelli ho avuto gli stessi sintomi, ma…”- cerco di spiegargli. 

“Ma?”- mi domanda lui prendendo le mie mani tra le sue. Si apre in un sorriso bellissimo. -“Potremo avere un bambino!”

 

E l’ultima frase gli esce emozionata. E’ emozionato in un modo tale da averlo visto così poche volte. 

Vorrei esserlo anche io, perché desidero così tanto un bambino, ma non vorrei nemmeno deluderlo. I sintomi ci sono, okay, ma se non lo fossi? Non voglio illudermi così. E’ stato un anno così difficile quest’anno e non vorrei che peggiorasse.

 

“Hey, Neens, che cosa c’è che non va?”- mi domanda lui accarezzandomi delicatamente una guancia. E’ felice, ma sta anche tentando di capire che cosa abbia. -“Lo volevamo, no? Ci abbiamo provato per tanto tempo.”

“Lo so è solo… Non lo so…”- mormoro abbassando lo sguardo guardando le nostre mani intrecciate. -“Quest’anno sono successe così tante cose e ho paura… Ho paura che non sia vero.”

 

Ian addolcisce lo sguardo e mi attira a se. 

 

“Possiamo pensare che qualcosa vada per il verso giusto anche per noi? Che qualcosa di bello, ogni tanto, possa capitare anche a noi?”- mi chiede dolcemente. -“Abbiamo passato mesi difficili, è vero. Diciamo più un anno difficile con tutto quello che è successo, ma ora siamo qui, insieme, come famiglia. Abbiamo due bambini fantastici e in salute, noi siamo in salute, soprattutto tu che stai meglio, e stiamo provando ad avere un bambino che magari è arrivato. Non ti sembra che la fortuna stia girando anche per noi?”

 

Lui è il solito ottimista, lo è sempre stato, io la solita pessimista. Ho rischiato di rovinare anche questo bel momento. 

Ho solo paura che possa accadere qualcosa di brutto.

 

“E se non fossi incinta?”- gli domando.

“Ci proveremo di nuovo, se tu lo vorrai.”- mi dice lui accarezzandomi un braccio. -“E se lo fossi? Mi sembra una bella domanda anche questa.”

“Ti amo, lo sai questo?”- gli dico dandogli un bacio sulle labbra.

 

Ian si stacca da me solo per rispondermi.

 

“Lo so.”- mi sorride. -“Come ti amo io… E amo anche il tuo lato pessimista.”

“E io quello ottimista.”- gli dico. -“Dovrei fare un test.”

“Un test di cosa?”- mi domanda.

 

Lo guardo truce. Mi sta prendendo in giro?

 

“Di gravidanza. Ian, mi prendi in giro?”- gli rispondo.

“Oh, si…”- mormora lui grattandosi la testa imbarazzato. -“Si, dovremo.”

“Mi lasci andare?”- gli chiedo divertita osservando le sue braccia ancora strette a me.

“Dove vuoi andare?”- mi domanda guardandomi. -“Tu non ti muovi da qui, andrò io a prenderlo.”

 

Cerco di trattenermi, ma non ce la faccio. Scoppio semplicemente a ridere sotto il suo sguardo turbato. Ian a prendere un test di gravidanza in farmacia? No, assolutamente. Primo perché chiunque potrebbe vederlo e trapelerebbe la notizia -vera o falsa- prima del previsto, secondo perché non ce lo vedo un uomo a prendere un test di gravidanza.

 

“Stai ridendo di me?”- mi domanda fintamente offeso.

 

Fortunatamente ho previsto la cosa. E’ da quando abbiamo cominciato a provare ad avere un bambino che tengo un test di gravidanza nell’armadietto in basso, dietro gli asciugamani. Non l’ho mai usato perché non ce n’era motivo e nessun dubbio, ma ora ce n’è bisogno.

 

“Non serve, ne ho uno lì.”- indico l’armadietto in basso. -“L’ho preso… Candice l’ha preso… Quando abbiamo cominciato a provare…”

 

Lui annuisce riflettendo sulla cosa.

 

“Quindi… Lo facciamo?”- mi domanda osservandomi negli occhi.

“Lo facciamo.”- annuisco.

 

Prendo, con mani tremanti, la scatolina in fondo all’armadietto, poi lo richiudo. Da questo test la nostra vita cambierà per sempre -che sia positivo o negativo. 

Ian è dietro di me. Mi volto verso di lui per capire quando ha intenzione di uscire dal bagno perché non farò pipì con lui accanto.

 

“Ian, dovresti uscire.”- gli suggerisco.

 

Lui mi guarda come se avessi appena detto una barzelletta o la cosa più stupida dell’anno.

 

“E perché mai?”- mi domanda inclinando la testa di lato. -“Dai, andiamo, ti ho vista molto più nuda di così, per un po’ di pipì non mi scandalizzo.”

“Ian, fuori.”- gli ordino con un eloquente gesto delle braccia. -“Non farò nulla finché non sarai fuori di qui.”

“Dai Neens.”- borbotta lui.

FUORI DAL BAGNO!”- lo urlo quasi. -“ Ti prometto che quando avrò finito ti chiamerò dentro, okay? Perché comunque non avrei coraggio di guardarlo da sola… Quindi non farò pipì con te qui dentro.”

 

Ian alza le mani in segno di resa e va fuori dal bagno, lasciandomi sola. Prendo un profondo respiro prima di aprire la scatola. Prima di fare il tutto mi rigiro qualche secondo il bastoncino tra le mani, come a voler indovinare già il responso, poi alla fine mi convinco di farlo. Quando ho finito mi lavo le mani e le asciugo nell’asciugamano, poi chiamo dentro Ian. Non appena entra posso percepire quanto agitato sia.

 

“Allora? Dobbiamo guardare?”- mi domanda lui leggermente concitato.

 

E se non fossi agitata anche io molto probabilmente riderei di questo.

 

“Dobbiamo aspettare tre minuti…”- gli spiego indicando il bastoncino sopra il lavandino.

 

Lui ne sembra leggermente deluso, poi annuisce. Mi siedo per terra, perché ho bisogno di stare ferma, altrimenti comincerei a fare avanti e indietro per il bagno, e Ian mi imita, solo che si siede dietro di me prendendomi tra le braccia. Appoggio la schiena contro il suo petto e la testa contro la sua spalla.

 

“Perché ho l’impressione che questi saranno i tre minuti più lunghi di tutta la nostra vita?”- mi domanda. 

“Non sai quanto tu abbia ragione…”- mormoro. 

 

Aspettiamo. 

Aspettiamo che uno stupido bastoncino ci dia il responso. Alcune immagini mi investono. 

Io, nella mia vecchia casa, seduta sul pavimento del bagno, da sola, ad aspettare sempre il test di gravidanza che mi dicesse se fossi incinta o meno. Il terrore nei miei occhi quando ho scoperto di come fosse positivo e di come mi fossi incasinata la vita -che, all’epoca, era già incasinata parecchio.

Anche ora sono qui, seduta sul pavimento del bagno, ma non sono da sola. Non sono sola come otto anni fa, questa volta c’è Ian al mio fianco. Ed è quasi ironico vedere come siano cambiate le cose, come prima lui non ci fosse e ora c’è. Lo so che c’è e non solo per la sua presenza fisica dietro di me, lo so nel cuore. 

 

“Mi sembra di essere tornata indietro.”- do voce ai miei pensieri così, un po’ per liberarmene e un po’ per far passare il tempo. -“Seduta sul pavimento del bagno ad aspettare.”

 

Ian mi posa un bacio tra i capelli prima di dire qualcosa. Per lui è una nuova esperienza questa.

 

“Ma ora ci sono io qui con te. All’epoca eri da sola, ora ci sono io.”- mi dice rafforzando un po’ di più la presa stringendomi meglio al suo petto. -“Ci sono io qui con te e affronteremo tutto questo insieme.”

 

Lo bacio, un po’ perché ho voglia di farlo, un po’ perché ne ho bisogno. Ho bisogno di sentirlo vicino in questo momento, ho semplicemente bisogno di lui.

Più il tempo passa -e si avvicina quindi allo scadere- più divento nervosa e Ian non è da meno, solo che tenta di mascherare la cosa. 

Dopo tre minuti, che sembrano ore, la sveglia del telefono di Ian suona e entrambi sussultiamo a quel rumore. Giro la testa verso di Ian e entrambi ci guardiamo, tentando di capire cosa fare. 

 

“Ci alziamo, okay?”- mi domanda lui.

 

Ci sono già passata, dovrei essere io a fare il primo passo, invece sono più terrorizzata di lui -o lui è più terrorizzato di me, ma ha sempre saputo affrontare tutto, o quasi.

Annuisco e mi stacco da lui per alzarmi, poi, qualche secondo dopo, anche lui è in piedi accanto a me.

Ian, con un cenno del capo, mi invita a guardare. Prendo un respiro profondo prima di guardare il responso. Allungo la mano verso il bastoncino e lo prendo in mano, con il cuore che batte più velocemente del normale. 

Lo guardo per capire se sia positivo o negativo. Riesco a trattenere ogni tipo di emozione, riesco a non far trapelare nulla. Non dico niente, lo passo solo a Ian.

 

 


 

Pov Ian.

Nina, di fronte a me, afferra il bastoncino tra le mani, non prima di aver tentennato almeno un po’. Lo guarda e io chiudo gli occhi, preparandomi a sentire urla di gioia -se fosse positivo- o frustrazione -se fosse negativo-, ma non accade nulla di tutto questo.

Con sguardo quasi impassibile, che comunque non fa trapelare nulla, si gira verso di me e mi offre il bastoncino. 

La guardo negli occhi ed ho paura perché, per comportarsi così, è sicuramente negativo.

Con mano leggermente tremante, e con il cuore pesante e ormai rassegnato, accetto il bastoncino in mano e lo giro.

Guardo il responso, ma il problema è che non ricordo come si faccia a capire se sia incinta o meno.

Mi sembra che ++ sia positivo, e + sia negativo, ma forse è il contrario; magari ++ è negativo e + è positivo, ne sono quasi certo.

Qui c’è segnato ++.

Positivo o negativo?

Mi rigiro il bastoncino tra le mani.

 

“Io… Con due più è negativo, vero?”- domando amareggiato. 

“Mi sa che tu sia un po’ confuso.”- mi dice lei e finalmente, dopo tanto tempo, si apre in un sorriso radioso ed emozionato. Mi ha preso in giro? -“Con due più il test è positivo!”

 

Positivo quindi… Quindi è incinta?

 

“Quindi…”

 

Lascio la frase sospesa.

 

“Quindi sono incinta!”- trilla lei e le braccia mi ricadono lungo i fianchi. -“Auguri, papà!”

 

Rimango un attimo stordito dalla rivelazione, tutto il contrario di quello che avevo creduto visto il comportamento di Nina, ma poi l’unica cosa che riesco a fare è quella di prenderla tra le mie braccia e sollevarla. Lei aggancia le gambe al mio bacino e mi getta le braccia al collo e ride.

E’ felice, così come lo sono io.

Diventerò papà! Diventerà papà di nuovo. Ho aspettato così tanto questo momento e ora mi sembra un sogno. Avremo un bambino insieme -un altro bambino insieme. 

 

“Oh Nina…”- mormoro emozionato mentre la stringo più forte a me. -“Avremo un bambino.”

 

Nina mi bacia e sorride sulle mie labbra.

 

“Avremo un bambino si…”- mormora lei immergendo le dita tra i miei capelli. -“Stai piangendo?”

“Cosa?”- le chiedo aggrottando le sopracciglia. -“No.”

 

Lei mi accarezza la fronte.

 

“Hai gli occhi lucidi…”- mi fa notare lei sorridendomi dolcemente.

“Perché sono felice. Felicissimo!”- le dico dandole un bacio sulla punta del naso facendola ridacchiare. -“Aspettiamo un bambino!”

 

Nina scoppia a ridere e mi abbraccia, di nuovo.

 

“Quella che lo aspetta sono io, ma si… Hai contribuito anche tu.”- mi prende in giro lei pizzicandomi un fianco.

“Certo che ho contribuito!”- esclamo guardandola fintamente offeso. -“Dovresti ricordarlo.”

 

Nina scende dalle mie braccia e mi appoggia una mano sul petto.

 

“Certo che lo ricordo…”- mormora sulle mie labbra per poi baciarmi il mento. 

 

Socchiudo gli occhi mentre rafforzo la presa delle mie mani sui suoi fianchi.

 

“Stai tentando di sedurmi?”- le domando.

“Potrei.”- mormora lei sulle mie labbra. -“Ma non possiamo perché dobbiamo andare sul set.”

 

Spalanco gli occhi.

Sul set? Cosa?

Lei non si muoverà da qui per i prossimi mesi.

 

“Cosa? No, assolutamente no. Sei incinta, hai bisogno di riposo e quindi niente lavoro.”- le dico perentorio.

 

Ora che si sono spiegati i sintomi, in maniera particolare la stanchezza, non dovrà assolutamente stancarsi. La terrò d’occhio io. Nina rotea gli occhi al cielo e scuote la testa.

 

“Non guardami così.”- l’avviso già. -“Ora che abbiamo dato una spiegazione ai tuoi sintomi non andrai assolutamente a lavorare. Sei incinta e hai bisogno di riposo. Molto riposo, per questo chiamerò Julie e le dirò che stai poco bene.”

“Non sono malata!”- esclama lei incrociando le braccia al petto. -“Andiamo, Ian, lo sai anche tu che posso farlo.”

 

Mia sorella, Candice e Phoebe hanno continuato a lavorare, ma Nina non è loro e non voglio che capiti qualcosa di brutto a lei e a nostro figlio. Prima si farà visitare, poi ne riparleremo.

 

“Prima andremo da un dottore per farti visitare, poi potremo parlare di questo.”- le dico irremovibile.

“Ma non è detto che riesca ad avere un appuntamento per oggi, di solito ci vuole sempre qualche giorno.”- mi spiega lei mettendo una mano sul mio braccio.

“Se andiamo in una clinica potremo averlo in breve tempo.”- le suggerisco accarezzandole una guancia. -“Potrei provare a chiamare un amico, sua moglie è una ginecologa.”

 

Potremo avere un appuntamento entro questa sera e mi sembra una cosa perfettamente ragionevole.

 

“Sto bene, Ian, e non te lo dico come contentino. Ho solo un po’ di nausea, ma quella l’avrò anche per i prossimi mesi, per il resto sto bene.”- continua lei guardandomi negli occhi, quegli stessi occhi che adoro sopra ogni cosa. -“E ci sono già passata, so cosa sto affrontando. Per te è nuovo, ma per me… Non puoi obbligarmi a trascorrere nove mesi a letto!”

 

A letto no. Può passare dal letto al divano, dal divano alla poltrona, dalla poltrona alla sedia. 

Nina sembra capire al volo i miei pensieri e mi guarda dritto negli occhi.

 

“Non farò reclusione per i prossimi nove mesi, chiaro? Fidati di me, so di cosa sto parlando.”- mi dice appoggiandomi una mano sulla guancia. -“E proverò a fare alcune telefonate per avere un appuntamento per oggi, ma non ti assicuro niente.”

 

Mi fido di lei, ma non voglio che le accada qualcosa. Non voglio che accada qualcosa a lei e a nostro figlio.

 

“Mi fido di te, questo lo sa, ma non voglio che vi accada nulla.”- le spiego e vedo il suo sguardo addolcirsi. -“Io… L’altra volta non ci sono stato e non voglio fare errori.”

“Lo so e ti amo ancora di più per questo.”- mi dice lei posandomi un casto bacio sulle labbra. -“Ma non accadrà nulla, okay? Andiamo sul set e ovviamente non diremo ancora niente a nessuno, non voglio che… Che si sappia… Non ancora perlomeno.”

 

Ha ragione, anche io voglio tenere la cosa tra noi per un po’, almeno fino a quando non sapremo che va tutto bene.

Annuisco e lei sorride. Ho annuito più per l’ultimo punto, ma so che non le farò cambiare idea.

 

“Ti prometto, ancora prima che me lo chieda tu, che quando sono stanca mi fermerò. Mi fermerò per qualsiasi cosa.”- mi dice lei.

 

La terrò sott’occhio ogni istante e questo lei lo sa bene.

 

“Anche se hai sete.”- sottolineo.

“Per qualsiasi cosa.”- asserisce lei.

“Vieni qui.”- l’invito ad avvicinarsi.

 

Nina si avvicina a me e io mi inginocchio di fronte a lei. Le sollevo la maglietta e mi perdo per qualche istante ad osservare il suo ventre, ancora piatto. La donna che amo mi sorride, forse capendo quello che sto per fare. Appoggio delicatamente la mia mano sulla sua pancia e rimango così. Nina appoggia la sua mano sopra la mia e ne accarezza dolcemente il dorso. Qui dentro sta crescendo nostro figlio -o nostra figlia. 

Con il pollice accarezzo la pelle del suo ventre, poi vi appoggio sopra un bacio. Abbiamo appena scoperto che diventeremo genitori, eppure non vedo già l’ora di averlo -o averla- tra le mie braccia.

 

“Ti amo.”- dico a Nina alzando gli occhi su di lei, poi li riabbasso sulla sua pancia. -“E amo anche la piccolina qui dentro.”

“O piccolino.”- mi corregge Nina toccandosi il ventre. -“Potrebbe essere un maschietto, sai?”

“Potrebbe, ma qualunque cosa sia ne sarò felice lo stesso.”- le dico.







 

Pov Nina.

Mi siedo sul divanetto del corridoio sorseggiando la mia spremuta d’arancia con il copione appoggiato sulle gambe. Alla fine sono riuscita a convincere Ian a venire al lavoro, anche se siamo arrivati con mezz’ora di ritardo, non essendoci accorti di tutto il tempo trascorso in bagno.

Un sorriso spontaneo e emozionato mi affiora sulle labbra mentre una mano, quasi istintivamente, si appoggia sul mio ventre. 

Diventerò mamma per la seconda volta! Terza volta se si considerano i bambini separatamente.

E’ un sogno quello che sto vivendo da questa mattina. Abbiamo provato per mesi ad avere un bambino ed ora finalmente è qui. Quando ci siamo rimessi insieme, io e Ian, un po’ l’idea di avere un bambino era stata accantonata perché ero convinta che, tra i gemelli e l’avanzare dell’età, Ian fosse apposto così, ma mi sbagliavo di grosso, ed ora sono nuovamente incinta.

Ci sono già passata, ma mi sento esattamente come se fosse la prima volta ed è così bello tutto questo, a parte le nausee continue, le emicranie, i mal di schiena e la stanchezza. 

Sono riuscita ad avere l’appuntamento per domani mattina alle nove. Ian avrebbe voluto contattare il suo amico, ma io ho preferito contattare qualcun altro, qualcun’altra. Ho contattato Layla, la mia vecchia ginecologa, colei che mi ha seguito per tutta la mia precedente gravidanza e che ha visto e fatto nascere i gemelli. Non avrei potuto contattare nessun altro perché mi sono sempre fidata di lei e sentita a proprio agio.

La prima frase di Ian, dopo la mia decisione, quando ancora non avevo specificato che fosse una donna, è stata se è un uomo togliti dalla testa l’idea, avrai una ginecologA e poi aveva continuato il suo sproloquio, non lasciandomi tempo per parlare, di come nessun uomo avrebbe potuto guardare le mie parti intime e di come fosse successo tempo fa. Inutile dire la sua espressione quando ho chiarito che il mio ginecologo fosse una ginecologa, quindi una donna, e la sua scusa è stato un meglio prevenire, volevo esserne sicuro.

Qualcuno si siede accanto a me e la prima cosa che faccio, oltre a fare quasi un infarto, è togliermi subito la mano dal ventre cercando di fare finta di nulla. Fortunatamente è Ian.

 

“Non volevo spaventarti…”- mi dice lui dispiaciuto porgendomi un pacchetto di cracker. -“Ti ho portato questi, sai per… La nausea.”

 

Gli sorrido grata e scarto il pacchetto tirando fuori un cracker. Dopo un’ora dall’inizio delle riprese, purtroppo, sono stata colpita da una nausea violenta e sono stata venti minuti in bagno. Fortunatamente era una scena con Ian e lui è riuscito a sviare il tutto dicendo che avevo una leggera influenza -peccato che questa scusa la stavamo usando troppo spesso negli ultimi giorni. Ian, ovviamente, mi è stato accanto e poi l’ho quasi dovuto pregare in ginocchio per permettermi di riprendere a girare.

Deve ancora capire, e non so come fare per farglielo comprendere, che la nausea è normale e anche con i gemelli mi capitava così, forse un po’ meno. Quando abbiamo finito di girare, almeno le scene prima di pranzo, mi ha portato una spremuta, perché continuavo ad avere un leggero accenno di nausea, ed è andato a recuperare dei cracker, che ora sto mangiando.

 

“Ti senti meglio?”- mi domanda mettendomi un braccio attorno ai fianchi. -“Hai bisogno di qualcos’altro?”

“Tranquillo, sto meglio ora.”- gli sorrido addentando un altro pezzo di cracker. -“Mi è passata.”

“Sicura?”- mi domanda lui.

“Sicura. Ti ho detto che ti avrei avvisato.”- gli dico.

“Non prima.”- sottolinea lui.

 

Roteo gli occhi al cielo.

 

“Avrei dovuto dire davanti a tutti ‘Ian, sto per vomitare’? Molto probabilmente avrei vomitato lì se avessi aperto bocca.”- gli faccio notare e lui annuisce. 

 

Mi alzo dal divano guardando l’ora. E’ quasi l’una e io devo parlare con Julie prima di iniziare le riprese pomeridiane. Ho i muscoli leggermente intorpiditi e mi sento stanca, vorrei andare a dormire, ma prima devo parlare con Julie e poi magari mi concederò una pausa.

 

“Devo parlare con Julie, per dirle del film.”- gli dico dandogli un bacio a stampo sulle labbra. -“Devo dirle che non vi parteciperò, altrimenti conterebbero su di me e devono organizzarsi per tempo.”

“Non è stato un buon momento per metterti incinta, eh?”- mi dice lui.

“Non dirlo nemmeno, sai che molto probabilmente non avrei accettato lo stesso, bambino o meno.”- gli dico appoggiandogli un dito sulle labbra. -“Non devi pensare questo, sono così felice.”

 

Ian mi abbraccia e mi posa un bacio tra i capelli, mentre io affondo la testa sul suo petto.

 

“So quanto ci tenessi o comunque quanto allettante fosse la proposta.”- mi dice.

“Lo so, ma sono più felice così.”- gli dico sorridendo. -“Ora vado, ci vediamo tra poco.”

 

Ian annuisce, ma prima mi schiocca un’altro bacio adorante sulle labbra e mi accarezza il ventre -ho scoperto di essere incinta da nemmeno cinque ore e Ian non stacca le mani dalla mia pancia, ma mi piace, adoro la cosa. Io mi dileguo verso lo studio di Julie, lasciando la mia spremuta, i cracker e il copione sul divanetto, cose che sicuramente raccoglierà Ian. Busso prima di entrare, non vorrei fosse impegnata. Quando sento un avanti entro, chiudendomi la porta alle spalle.

 

“Hey, Neens, pensavo ti fossi persa!”- mi saluta lei allegramente facendomi cenno di accomodarmi.

 

Mi siedo sulla poltrona di pelle rossa di fronte alla sua scrivania. In effetti ha ragione, avrei dovuto parlare questa mattina, solo che siamo arrivati in ritardo e alla fine abbiamo dato priorità alle scene da girare.

 

“Sono venuta per parlarti della proposta del nuovo… Del nuovo film sai…”- inizio torturandomi le mani. -“Ci ho riflettuto. Ci ho riflettuto parecchio, anche più di parecchio e la proposta è veramente allettante…”

“Ma non accetti, vero?”- mi chiede lei tranquillamente.

 

Il suo tono tranquillo mi stupisce, è come se sapesse da tempo la mia risposta negativa.

 

“So cosa frulla in quella testa, ti conosco da così tanto tempo ormai.”- mi dice lei ridacchiando. -“Un tempo avresti accettato subito, invece ora hai una famiglia e un uomo a cui pensare.”

“Ian ne sarebbe stato felice, non fraintendermi. Più volte mi ha detto di accettare, ma questo non è il momento adatto.”- le spiego.

 

Non nego di aver pensato di accettare, ma dopo aver scoperto di essere incinta questa mattina tutto è passato in secondo piano. Ian non ha detto nulla perché si era già dimenticato della cosa, ma poi in macchina si è trovato d’accordo con me perché pensiamo la stessa cosa. Se non fossi stata incinta molto probabilmente avrei anche accettato la proposta, si parla sempre di un film e con ottimi -più che ottimi direi- attori, ma ora aspetto un bambino e caricarmi ancora di più di lavoro non è la cosa migliore. Non so ancora a quante settimane sia, ma ho qualche idea sul posto e il momento del concepimento, ma domani ne avrò quasi sicuramente la conferma. 

 

“Se ti serve meno carico di lavoro posso diminuire le scene, sai che non avrei problemi o se ti serve qualche giorno libero in più per organizzarti.”- mi dice lei apprensiva. -“Non voglio che tu perda questa grande occasione per The Vampire Diaries.”

“Non dirlo nemmeno, Julie. Non sto rifiutando per la serie o per qualcosa legata ad essa, perché gli orari sono più che perfetti, solo non è il momento adatto per me e Ian.”- le dico.

“E’ successo qualcosa tra voi due?”- mi domanda lei seriamente preoccupata. -“Sai che potete risolvere qualsiasi cosa, non buttate all’aria tutto per un film.”

“Julie no, non preoccuparti, non è successo niente tra noi due, stiamo solo cercando di avere un po’ più di tempo per noi.”- le spiego.

 

Oddio, detta così è piena di doppi sensi e, dallo sguardo che mi lancia Julie, penso abbia frainteso.

 

“Nina, quello si può fare sempre… Ti ripeto… Se dovete calmare i vostri animi bollenti potete chiedermi qualche giorno libero.”- conclude lei scuotendo la testa divertita.

 

Mi copro la faccia con le mani in imbarazzo. Effettivamente avrei dovuto calcolare bene le mie parole e non sparare a zero, perché quello che ho detto sembra avere tutt’altro significato.

 

“Ma non intendevo quello!”- mi affretto subito a chiarire.

“Detto così invece sembrava proprio quello.”- mi fa notare lei continuando a ridacchiare.

“Sai benissimo che non intendevo quello.”- mi difendo io guardandola negli occhi. 

“Comunque, parlando sul serio… Io direi di pensarci un altro po’, è un peccato buttare via un’opportunità del genere sapendo quanto il regista ci tenga. Sei l’unica con esperienza nel campo.”- continua lei.

 

So quanto tenace è Julie e devo dirle una mezza verità, altrimenti non mi lascerebbe mai stare continuando a dirmi che dovrei accettare.

So che lo fa per il mio bene e perché ci tiene a me, vuole che io possa spiccare il volo e intraprendere qualcosa di più grande, ma questo non è il momento adatto.

 

“Lo so, ma… Io e Ian stiamo cercando di avere un bambino e non mi sembra il momento adatto.”- le dico sganciando una bomba -o quasi.

 

Julie spalanca leggermente la bocca poi il suo sguardo si illumina. Non so se sia felice perché, in un certo senso, ci ha preso o per noi. 

 

“Davvero? State provando ad avere un altro bambino?”- mi chiede emozionata.

“Si, ci stiamo provando.”- le dico mordendomi il labbro inferiore leggermente imbarazzata.

“E ne siete felici?”- mi domanda sorridendomi dolcemente. 

“Lo siamo.”- gli dico e faccio di tutto per trattenermi sul non dire altro, tipo quello che abbiamo scoperto questa mattina, perché prima voglio essere convinta che tutto vada bene e che non ci sia nessun tipo di problema. -“E’ stata una decisione presa da entrambi.”

“Sono così felice per voi.”- mi dice emozionata scendendo dalla poltrona e venendo ad abbracciarmi. -“Lo meritate dopo tutto quello che vi è successo e poi… Un bambino è sempre un dono, no?”

“Lo è si.”- le rispondo.

“Mi auguro che possa accadere il prima possibile, anche perché verrà fuori un altro capolavoro.”- mi dice staccandosi da me. -“Però devi ammettere che avevo ragione!”

 

E so che si riferisce a prima.

 

“Julie!”- esclamo imbarazzata.

 

La mia produttrice scoppia a ridere e mi ritrovo irrimediabilmente a sorridere anche io.

 






































 

                                                                                 * * *









































 

Dopo aver parlato ancora con Julie e aver mantenuto il mio segreto, sono andata in sala pranzo dove mi stava aspettando Ian insieme agli altri. E’ stato difficile nascondere la cosa, un po’ per il discorso appena avuto con Julie e un po’ per la troppa fame con tanto di commento di Candice finalmente hai deciso di mangiare abbondantemente anche a pranzo. Come se non mangiassi mai insomma. E’ anche vero che a pranzo di solito mangio poco, ma questo perché mangio abbastanza durante l’arco della giornata, ma, ovviamente, ultimamente mangio tutto e sempre perché ho qualcuno che ha bisogno di questo. Per ora non sono iniziate le voglie, ma Ian rimpiangerà il tempo in cui gli chiedevo in piena notte a malapena i pancake.

 

“Sono un po’ stanca, provo a dormire un po’ in camerino.”- gli mormoro all’orecchio mentre finiamo di mangiare.

 

Ian, invece, insiste per venire con me. Ci congediamo dai nostri amici, i quali stanno ancora mangiando, con una scusa e ci dirigiamo verso il camerino. Mia madre è andata a prendere i gemelli e staranno, come ogni pomeriggio, dai miei genitori. 

 

“Ti fa male da qualche parte?”- mi domanda premurosamente lui.

“No, ho solo sonno.”- mormoro mentre uno sbadiglio mi coglie all’improvviso obbligandomi a portarmi una mano alla bocca. 

 

Arriviamo nel camerino e la prima cosa che faccio, dopo essermi tolta le scarpe, è sdraiarmi sul divanetto. Ian si siede accanto a me e mi da un bacio sulla spalla.

 

“Vuoi una coperta?”- mi domanda.

 

Annuisco e in pochi secondi ho una coperta addosso che mi riscalda quasi subito. 

 

“Ho parlato con Julie prima.”- gli dico con voce leggermente assonnata. -“Le ho dovuto raccontare una mezza verità altrimenti mi avrebbe tartassata.”

“Che cosa le hai detto?”- mi chiede lui massaggiandomi alla base della schiena.

 

Non è che abbia proprio male, ma è comunque piacevole.

 

“Che stiamo provando ad avere un bambino…”- mormoro mentre chiudo gli occhi. -“C’è stato un po’ di fraintendimento… All’inizio le ho detto che ci serviva del tempo per noi e beh… Lei ha pensato subito male.”

 

Sento Ian ridacchiare alle mie spalle. Mi posa un bacio sulla spalla prima di rispondermi.

 

“Effettivamente avremo del tempo libero…”- mormora lui malizioso. 

“Ian, stavo parlando di una cosa seria…”- mormoro sempre più assonnata. -“Comunque alla fine ne è stata felice…”

 

Ian molto probabilmente mi dice qualcosa, ma non riesco a capirla perché crollo in un sonno profondo.

 

 

 

 

Pov Ian.

Entro nel nostro camerino e la trovo ancora addormentata. L’orario di inizio riprese dopo pranzo è già passato da un po’, ma fortunatamente c’è stato un problema con alcune macchine per le riprese così abbiamo guadagnato mezz’ora in più.

Ora però sono obbligato a svegliarla perché deve girare una scena con Paul.

Mi avvicino al divanetto e le accarezzo una guancia, cercando di darle un risveglio meno traumatico possibile, ma ovviamente è Nina, la stessa Nina che non si sveglia nemmeno a colpi di cannone.

 

“Neens… Svegliati…”- le sussurro all’orecchio mentre la scuoto leggermente.

 

Lei mugugna qualcosa, poi gira la testa dall’altra parte. Sorrido intenerito, ma, sebbene voglia lasciarla dormire, deve svegliarsi. Se è troppo stanca per girare la porterò a casa io stesso ed è probabilmente la cosa che farò. 

Alla fine, dopo un paio di minuti, riesco finalmente a svegliarla e avere la sua più completa attenzione, anche se rimane un po’ intontita perché si è appena svegliata.

 

“Se sei stanca possiamo andare a casa.”- le dico spostandole una ciocca di capelli dalla fronte. -“Così potrai dormire ancora.”

“No, sto bene, riposerò questa sera.”- mi dice lei alzandosi dal divanetto. -“Andiamo dai.”

 

La guardo di sottecchi, ma so che ogni mia parola non la fermerebbe comunque. 

 

 

 

_____________________________________________

Buon pomeriggio a tutte ;)

Okay, non posto da quasi un mese, ma ormai, tra una cosa e l’altra, è inutile che stia qui a spiegarvi le motivazioni, che ormai sapete praticamente tutte ahahah

Questo, forse, è uno dei capitoli più importati ed emozionanti che abbia mai scritto, sotto ogni punto di vista, ma partiamo per gradi.

Innanzitutto ringrazio le meravigliose quattro ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che, ogni volta, con le loro belle parole, mi invogliano a continuare ;)

Dunque, passiamo al capitol… Ah, no.

SPOILER/NO SPOILER, quindi chiudetevi gli occhi, chiudete il PC se non volete sapere altro, oppure proseguite, a vostro rischio e pericolo. A dir la verità è un po’ una cavolata visto che ne ho fatto uno anche nello scorso capitolo mi pare, ma vabbeh ahah

TORNA KATHERINE e a quanto pare farà di tutto per boicottare il matrimonio STERLINE. Dì un po’, Kath, sei anche tu KLAROLINE? E poi, povera, è giusto che si riprenda Stefan u.u

 

Comunque, momento di spoiler (o forse no!) finito, quindi passiamo questa volta al capitolo. Beh, è un continuo dell’altro e penso sia accaduto quello che tutte volevate dal primo capitolo di questa storia, compresa la parte iniziale che precede questa.

Baby Nian will be come soon!

E questi due, dopo tutto quello che hanno passato, se lo meritavano alla grande, almeno una gioia per loro quindi. 

La prima parte mi sembra abbastanza eloquente… Ma ve lo immaginate Ian che va in farmacia a prendere un test di gravidanza? AHAHAHA

Avevo anche scritto la scena, ma poi l’ho cancellata perché beh… Volevo attenermi alla realtà e al fatto che tutti lo avrebbero riconosciuto subito, però vi basta solo immaginarlo per capire. Ho voluto inserire un momento riflessione di Nina, con dialogo annesso, mentre aspettavano il risultato perché ho trovato carino e toccante il fatto che, a distanza di otto anni, si siano ripetute due situazioni molto simili, ma che lei si senti più sicura perché ora ha Ian al suo fianco e di come, appunto, le cose possano cambiare in meglio. 

Per quanto riguarda la seconda parte beh… Molte di voi avevano ipotizzato che Nina avrebbe rifiutato la proposta magari per una futura gravidanza e si, ci avete azzeccato. Sono state un insieme di cose a portarla a quella scelta, ma non se n’è pentita e non se ne pentirà mai. 

Detto questo non ho altro da dire, se non di prepararvi a vedere Ian stare appiccicato a Nina 24/24 perché vuole darle tutto il suo supporto. 

Povero, compatiamolo ;)

Scusatemi per il cambio di Pov quasi continuo, ma era necessario mostrarvi i loro punti di vista mano a mano che la situazione si faceva sempre più chiara. 

Ah, quasi dimenticavo… I dubbi iniziali su Nina penso siano stati più che leciti perché anche lei ormai si era rassegnata a una vita di mainagioia e non perché non volesse un bambino, poiché infatti l’hanno cercato per mesi. E si, è stata un po’ crudele con Ian per non avergli detto subito di essere incinta, ma è stato divertente scrivere di Ian che non capiva cosa significassero i segni sul test :’)

Alla prossima <3

 

 

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Capitolo 50
*** Happiness is everywhere. ***




                                                                                      Happiness is everywhere.



Pov Ian. 

Mi passo una mano tra i capelli agitato mentre varchiamo la soglia della clinica. Nina, alla fine, è riuscita ad avere una visita per oggi dalla sua ginecologa, la stessa che l’ha seguita con i gemelli da quello che ho capito. Io sono agitato, ho sempre paura che possa succedere qualcosa -e addirittura arrivo a pensare che il test possa essere un falso positivo- e voglio solo che sia tutto apposto. La donna che amo, invece, non sembra agitata quanto me, ma posso comunque percepire che cosa le passi per la testa. La sua mano è intrecciata alla mia mentre varchiamo la soglia e, apparentemente, sembra come sempre, ma so che è agitata anche lei. 

 

“Stai bene?”- mi chiede lei mentre camminiamo lungo i corridoi della clinica.

“Si, sono solo un po’… Agitato…”- le confesso guardandola negli occhi.

 

Lei mi guarda e mi sorride comprensiva.

 

“Anche io un po’.”- mi risponde e mi accarezza il dorso della mano con il pollice. -“Ma andrà tutto bene, deve andare bene.”

 

Ci sediamo su delle seggiole blu a qualche metro dalla porta dello studio. Nina appoggia la testa sulla mia spalla mentre allaccio un braccio attorno alla sua vita.

 

“Controlleranno come vanno le cose, giusto?”- le chiedo cercando di capire, perché non ho mai propriamente vissuto queste cose, in quanto non ho mai seguito veramente Nikki nel suo percorso. Percorso finto, per quanto riguarda me, ma a cui non mi sono mai presentato. -“Se stai bene e se…”

“E se?”- mi incalza lei.

“E se… Insomma… Non è un falso positivo, vero? Ne ho sentito parlare e… Non lo so…”- mormoro.

 

Nina si stacca da me e mi guarda negli occhi.

 

“Sei diventato tu quello pessimista?”- mi domanda accarezzandomi delicatamente una guancia. -“Quello che ho preso è praticamente impeccabile e i sintomi ci sono…”

“Quindi controlleranno che stiate bene, tutti e due.”- concludo io.

“Si, sicuramente.”- mi dice lei appoggiando una mano sulla mia gamba. -“Dovresti essere tu a rassicurarmi, sai?”

 

L’ha detto in tono ironico, scherzoso, ma effettivamente ha ragione. E’ solo che sono agitato, emozionato, forse anche un po’ nervoso. Ho sempre avuto difficoltà a controllare tutto e molto spesso mi faccio prendere dal panico.

 

“Lo so, è solo che… Non sono nemmeno cosa dire, penso che rimarrò così fino a quando non saprò che state bene.”- le dico sorridendole leggermente. -“E andrà tutto bene.”

“E’ pessimo il modo in cui cerchi di rassicurami, ma lo apprezzo comunque.”- mi sorride lei.

 

Una donna, che avrà all’incirca trent’anni, dopo aver rimesso al proprio posto il telefono, ci avvisa che possiamo entrare nello studio in quanto è il nostro turno. Nina si alza prima di me, poi io la seguo respirando a fondo. La donna che amo bussa prima di entrare e, dopo aver sentito Avanti, ci dirigiamo all’interno. 

 

“Nina?”

 

La voce di una donna mi riscuote dai miei pensieri. Non mi accorgo nemmeno che Nina sta abbracciando un’altra donna, a occhio e croce di qualche anno più grande di lei. E’ questa la sua ginecologa?

 

“Quando mi hai detto di essere tu non potevo crederci.”- le dice la donna. -“Come stai? E i gemelli? Me li farai vedere qualche volta, vero?”

 

Sembrano in confidenza, mentre io mi sento un po’ in imbarazzo.

 

“Stanno bene e stanno crescendo alla grande.”- le sorride complice Nina. -“Magari potrei portarli qui un giorno.”

“Ci conto, non li vedo da anni ormai.”- le dice la donna, poi volta la testa verso di me e mi tende la mano. -“Non mi sono presentata, cattiva cosa. Piacere, sono Layla.”

 

Si, è lei.

Le stringo la mano sorridendole leggermente. 

 

“Sono Ian.”- le dico quindi.

 

Le sue sopracciglia si aggrottano, poi mi guarda leggermente sorpresa, forse capendo chi io sia veramente -penso abbia collegato il fatto che io sia il padre dei gemelli-, ma non chiede nulla, forse per rispetto o per altro. Ci fa accomodare sulle poltrone in pelle di fronte alla sua scrivania.

Tira fuori da un cassetto una cartella dove c’è stampato sopra Nina Dobrev e l’appoggia sopra la scrivania.

 

“Hai detto di aver fatto il test ieri, giusto?”- Layla domanda a Nina professionalmente. 

 

Nina annuisce e poi le spiega perché ha deciso di fare il test. Le racconta dei sintomi, quali nausea, stanchezza, mal di schiena e mal di testa, e poi di aver avuto un ritardo. La ginecologa annuisce più volte e di tanto in tanto segna qualcosa, mentre io rimango attento e accarezzo la gamba di Nina.

 

“Ed è quindi risultato positivo. I sintomi ci sono e il test ha confermato il tutto, quindi possiamo fare un’ecografia per avere un’ulteriore conferma.”- ci spiega la ginecologa. -“Prima di fare questo di solito dovrei fare alla madre alcune domande riguardo alla storia della sua famiglia, se ha alcune patologie, ma ho tutto nella cartella qui dentro, visto che non è la prima gravidanza, e non c’è nulla che non va.”

 

Layla si alza dalla poltrona e fa cenno a Nina di andarsi a sdraiare nel lettino affianco al muro. Lei fa quanto detto e io le vado accanto.

 

“Ian, hai qualche patologia grave che devo segnare o che magari colpisce qualche tuo familiare?”- mi domanda la donna mentre fa cenno a Nina di sollevarsi la maglietta. -“So che Joseph è celiaco e, da quanto ricordo, so che anche tu lo sei.”

“Si, sono anche io celiaco, ma non ho nient’altro e nessun mio familiare ha qualche patologia grave.”- le spiego.

 

In famiglia nessuno ha patologie strane, me lo ricordo perché ne ho parlato un po’ di tempo fa, non troppo lontano, con mia madre. Sono celiaco e l’ho trasmesso a Joseph, spero che questo bambino non lo sia. Se lo fosse non sarebbe un dramma comunque, perché è una cosa che si può affrontare benissimo. 

Guardo Nina che mi sorride rassicurante e decido di tenerle la mano. La ginecologa afferra uno strano strumento, che non so cosa sia, e una specie di bottiglietta che contiene un liquido gelatinoso. Penso sia il fantomatico gel che si vede sui film.

E ne ho la prova quando la ginecologa lo versa sulla pancia di Nina e questa rabbrividisce, molto probabilmente di freddo. Nina volta la testa verso lo schermo ed lo faccio anche io, perché non voglio perdermi nulla di quello che sta accadendo e sta per accadere, voglio ricordarlo per sempre. Layla inizia a muovere l’arnese sulla pancia di Nina, poi, all’improvviso, lo ferma e vedo la mia donna sorridere emozionata. Mi avvicino di qualche passo per vedere meglio, ma non riesco a capirci poi così tanto. Vedo tutto nero e un minuscolo puntino grigio, grande quanto un fagiolo, tra tutto quel nero.

E’ quello nostro figlio?

 

“Ed ecco qui vostro figlio…”- ci dice la ginecologa indicando proprio quel fagiolino grigio sullo schermo. -“E’ piccolino, ma c’è.”

 

E mi sono fermato alla parola figlio perché le gambe iniziano a tremare mentre sento la presa di Nina rafforzarsi sulla mia mano. 

Sto vedendo mio figlio, quel fagiolino nello schermo, dentro la pancia di Nina, è mio figlio. Un sorriso emozionato mi affiora nelle labbra e sono sicuro di avere anche gli occhi leggermente lucidi, ma non mi importa, perché sto vedendo mio figlio per la prima volta.

E’ piccolissimo, ma c’è, quel puntino mi fa capire -ci fa capire- che lui c’è e che l’abbiamo creato noi. Mi volto verso Nina che mi regala un sorriso bellissimo, che sa di emozione, gioia, sollievo e felicità. Lo so perché è quello che ho anche io stampato in faccia.

Ora ne abbiamo la conferma -anche se ne eravamo sicuri anche prima, sebbene il mio dubbio all’ultimo momento- che nostro figlio c’è, che diventeremo genitori, che presto avremo un bambino, nostro figlio, di cui prenderci cura.

Presto diventerò papà un’altra volta.

Poche volte sono stato felice in questo modo, ma quelle poche volte hanno sempre contato, e questa è una delle più belle, delle più emozionanti.

 

“Sta bene, vero?”- sento la voce di Nina chiedere.

 

Sbatto le palpebre leggermente obbligandomi a ritornare tra i vivi. 

L’ho dato per scontato, ma è la domanda più importante.

 

“Si, insomma… Sta bene?”- chiedo anche io.

 

La ginecologa ci sorride e annuisce.

 

“Sta bene e sta già cominciando a formarsi. Le misure sono normali per essere a questo periodo della gravidanza. Posso confermare, con certezza, che il feto abbia circa cinque settimane.”- ci spiega Layla.

 

Cinque settimane. Guardo Nina e ritorno indietro con i ricordi, poi sorrido. Ho capito a che periodo risale e che ricordi rievoca. Anche Nina mi guarda e capisco perfettamente che sta pensando alle stesse cose a cui sto pensando io.

Il concepimento risale sicuramente al giorno in cui, dopo la “litigata” per il film, abbiamo fatto pace e Candice ha tenuto i bambini con lei anche per la notte. Effettivamente abbiamo dato il meglio di noi stessi quella volta.

 

“Il cuore si è già formato, ma possiamo ascoltarlo solo tra qualche settimana, perché è ancora presto.”- continua Layla porgendo una salvietta a Nina. -“Ne vuoi una anche tu?”

 

L’ultima domanda è rivolta a me. Sulle prime non capisco, ma poi quando Nina mi fa notare, a metà tra il divertito e l’intenerito, di avere gli occhi lucidi, declino, un po’ imbarazzato, l’offerta.

Aiuto Nina a scendere dal lettino, sebbene lei abbia ribattuto di non averne bisogno, e le sorrido euforico. Lei ricambia sorridendomi dolcemente.

Ci risediamo di nuovo perché a quanto pare dobbiamo discutere ancora di alcune cose.

 

“Vi ho segnato una visita tra due settimane per un controllo veloce e un’altra tra un mese, nella quale sicuramente riusciremo ad ascoltare il cuore del bambino.”- ci spiega Layla annotando le date su un foglio, nella quale vedo scritto anche altre cose. -“Qui ci sono scritti anche gli esami che bisogna fare per escludere determinati fattori e che ci permetteranno di capire qualcosa in più sull’andamento della gravidanza. Sono esami di routine, niente di cui preoccuparsi.”

 

Leggo velocemente la lista e tra gli esami ci sono anche quelli del sangue. Nina, una volta letto gli esami, rabbrividisce e penso proprio che si sia accorta anche lei di quelli del sangue, che odia con tutto il cuore, ma li farà. Non mi farò abbindolare, farà qualsiasi cosa necessaria per far star bene lei e il bambino, non voglio che accada loro qualcosa. 

 

“Questa, invece, è una specie di dieta e di consigli su come affrontare al meglio la gravidanza, che sicuramente Nina conoscerà già.”- ci dice Layla porgendoci un altro foglio. -“Qui ci sono scritti gli alimenti da evitare in gravidanza, come pesce crudo, fegato, pesce e carne non ben cotta, paté e altro. Qui, invece, ci sono scritte le cose che puoi mangiare e che fanno sicuramente bene, come frutta e verdura, riso, farro, mais e ci sono segnate anche alcune vitamine con alcuni integratori. Mi raccomando è molto importante il pesce, almeno due volte a settimana.”

 

Nina fa una smorfia disgustata al solo pensiero del pesce, ma dovrà mangiare anche quello, è per il suo bene e per quello di nostro figlio.

 

“Di solito le mamme seguono questa lista in maniera non proprio ligia, per questo aspetta ai papà fargliela seguire. Una cosa importante è il riposo, se ti senti stanca, se ti gira la testa o altro fermati e riposati, nel primo trimestre è veramente molto importante.”- mi dice guardandomi.

“Me ne occuperò io.”- le dico, ma è più una promessa fatta a Nina.

 

Nina, infatti, scuote la testa quasi sconsolata perché sa che gliela farò rispettare al massimo.

 

“Per il lavoro? Potrò lavorare, vero?”- domanda Nina e io avevo già dato per scontato che si fermasse.

“Puoi lavorare, certo, non possiamo legarti ad un letto e non è un problema per le donne in gravidanza, l’importante è quello che ti ho detto prima sul riposo e di non lavorare troppo. So il lavoro che fai, lo comprendo, ma cerca di riposarti il più possibile tra una pausa e l’altra e non trascurare nessun sintomo. Al minimo accenno di cedimento fermati.”- le dice la ginecologa seria.

 

Nina annuisce. Lavorerà, anche se io non ne sono molto d’accordo, ma la controllerò io.

 

“E non abuso di dolciumi. Va bene ogni tanto, ma non devono diventare un pasto. Non posso evitarli perché sono una delle peggiori voglie, ma non troppi.”- conclude lei e Nina la guarda come se le avessero appena ucciso il cane.

“Non mi ricordavo tutte queste cose…”- mormora lei abbatuta.

“E invece bisogna rispettarle.”- conclude lei seriamente. -“Hai già le nausee?”

 

Nina annuisce sospirando. E’ da qualche settimana che le ha e più passa il tempo più sono più forti e più deve correre in bagno a vomitare. Mi dispiace vederla così e sapere di non poter fare praticamente nulla, perché è una cosa naturale, mi rattrista ancora di più.

 

“Sono frequenti?”- le domanda.

“Parecchio.”- le risponde Nina. -“Anche se mangiare qualcosa o bere qualcosa mi aiuta.”

“Purtroppo non possono sparire, ma mangiare qualcosa di asciutto e bere un po’, sempre a piccoli sorsi, di coca-cola o soda aiuta certamente.”- ci dice ed, effettivamente, Nina mi ha chiesto spesso, durante il suo malessere o dopo, di portarle qualcosa di gasato da bere o qualche snack, preferibilmente cracker o del pane. -“Bere molta acqua, mi raccomando. Un’ultima cosa, ed è la più importante. Sei a cinque settimane e, facendo alcuni conti, se andrà come tutto deve andare, il bambino dovrebbe arrivare a metà giugno, ma avremo tempo per parlare di questo.”

 

Il bambino quindi dovrebbe nascere a metà giugno. I gemelli in ottobre e lui -o lei- in giugno. Layla ci lascia anche due copie dell’ecografia, così potrò sempre vedere con i miei occhi quello che ci sta accadendo. Ne terrò una sempre con me. 

Dopo le ultime raccomandazioni la visita finisce e, dopo aver salutato la ginecologa, usciamo dallo studio. La prima cosa che faccio, incurante se ci siano persone o meno, quando usciamo, è quella di prendere Nina tra le braccia e baciarla.

Sono felice, tremendamente felice. Nina ride divertita e mi getta le braccia al collo.

 

“Ora è tutto vero.”- le sussurro sulle labbra e con il braccio libero le tocco la pancia con le dita. -“Qui dentro c’è nostro figlio.”

“Lo sapevo anche prima, ne abbiamo avuto solo una conferma.”- mi fa notare lei, ma mi sorride felice.

“E sta bene, state entrambi bene.”- le dico sollevato. 

“Stiamo bene, non devi preoccuparti.”- mi dice lei accarezzandomi una teneramente una guancia.

“Mi preoccuperò sempre.”- le dico dandole un bacio sul naso. -“A cominciare da quello che ha detto di farti e non farti fare.”

“Sei un dittatore, lo sai?”- mi dice lei.

“Dittatore o meno seguirai quella dieta.”- le dico facendola scendere dalle mie braccia.

“Ma non ho mai mangiato male, dai. Mangio frutta e verdura, lo sai anche tu, altrimenti non la mangerebbero nemmeno i nostri figli.”- mi fa notare lei.

“Lo so, ma la mangerai più spesso.”- le dico mentre iniziamo a camminare verso la macchina. 

“Uhm, va bene, però ora potresti portarmi a prendere un gelato.”- mi dice lei facendomi gli occhi dolci, ai quali non so resistere.

 

Un gelato in questo periodo?

 

“Non è un po’ troppo freddo per il gelato? Siamo quasi a novembre.”- le faccio notare.

 

Ma poi mi ricordo che è incinta e che potrebbe avere voglia di una cioccolata calda anche in estate.

 

“Dai, solo un po’ di gelato.”- mi prega lei continuando a guardarmi in quel modo irresistibile e con voce da bambina. 

“Siamo sicuri di trovare una gelateria aperta in questo periodo?”- le chiedo titubante.

“C’è sempre il supermercato.”- mi sorride mestamente lei.

 

Le sorrido divertito e le faccio cenno di salire in macchina. Come posso dirle di no?

Lei tutta felice entra in macchina e, dopo esserci sistemati, metto in moto. Sorrido felice perché ora ho proprio tutto dalla vita, ho tutto quello che ho sempre desiderato di avere.

 

 

Pov Nina.

E’ passato qualche giorno dalla visita e le cose stanno andando normalmente, come dovrebbero andare per qualsiasi donna incinta. Ho nausee per quasi tutto il giorno e sta diventando sempre più difficile mascherare il tutto, ma fortunatamente metà cast è andato in Messico per una Convention quindi le persone si sono notevolmente ridotte e in più stiamo girando alcune scene in più così, quando torneranno gli altri, avremo qualche giorno libero, o comunque qualche pomeriggio, per permettere agli altri di recuperare. I bambini, l’altro giorno, mi hanno chiesto preoccupati che cosa avessi, ma ho detto loro che non è niente e che sono solo un po’ influenzata e di non dire niente a nessuno su questo perché altrimenti mia madre o Edna capirebbero. Io e Ian abbiamo deciso di non dire niente a nessuno fino ai tre mesi, un po’ per scaramanzia -perché tutti sanno la regola dei tre mesi e di come porti sfortuna dirlo prima- e un po’ perché vogliamo tenere questa cosa per noi un altro po’. Le prime persone a cui lo diremo saranno i bambini, poi alla nostra famiglia e poi al resto dei nostri amici.

Io e Ian l’altro giorno abbiamo parlato di come potrebbero prenderla i bambini e speriamo che tutto vada per il meglio. Sono dei bambini intelligenti e capiranno, inoltre sono veramente molto attenti e premurosi con i bambini più piccoli -basta vedere con Daniel o con Damon. La nostra più grande preoccupazione, più mia a dire la verità, è che si possano sentire messi da parte con l’arrivo di un nuovo bambino e non voglio assolutamente questo, anche se capisco che sia una cosa normale per un bambino sentirsi così con l’arrivo di una sorellina o di un fratellino, ma io e Ian ci impegneremo per evitare che questo accada. Avremo un bambino di cui prenderci cura, ma anche Joseph e Stefan sono i nostri bambini e hanno bisogno di cure e attenzioni. 

Finisco di rileggere le ultime battute del mio copione, poi decido di appoggiare quest’ultimo sul tavolino e di sgranchirmi un po’. La porta del camerino si apre rivelando la figura di Ian con una mela nella mano destra e una bottiglietta d’acqua nella mano sinistra e, ad occhio e croce, deduco che quelle cose siano proprio per me.

 

 

“Hai fatto lo spuntino di metà mattinata?”- mi domanda lui chiudendosi la porta alle spalle.

 

Se l’ho fatto? Certo, ho mangiato due ciambelle, ma forse posso dirgli di averne mangiata solo una perché sicuramente mi dirà che mangio troppe schifezze, ma non è colpa mia, avevo fame.

 

“Si, l’ho fatto.”- gli dico prendendo la bottiglietta d’acqua che mi sta porgendo. 

“E cos’hai mangiato?”- mi domanda lui sedendosi accanto a me.

Una ciambella.”- gli dico sperando che non capisca subito della mia piccola bugia.

 

Ian, in tutta risposta, aggrotta le sopracciglia e mi guarda attentamente.

 

“Siamo sicuri che sia stata solo una?”- mi domanda lui. -“Dal modo in cui l’hai detto sembra proprio che tu ne abbia mangiata più di una.”

 

Beccata.

 

“Okay, ne ho mangiate due, ma perché avevo fame.”- gli rispondo guardandolo in modo da farlo sciogliere. -“Lo giuro, erano due.”

“Questa è molto più salutare.”- ribatte lui porgendomi la mela, mentre mi sottrae la bottiglietta d’acqua dalle mani. -“Dovresti mangiarla.”

“Va bene, va bene, la mangio.”- alzo le mani in segno di resa e do un morso alla mela.

 

Non è che la frutta e la verdura non mi piacciono, ma ho la netta sensazione che ne farò una vera e propria indigestione se continueremo così -se Ian continuerà così.

Però è anche bello ricevere tutte queste attenzioni, cosa che prima non ho avuto. Certo, anni fa accanto a me ci sono stati i miei genitori, Alex, le mie amiche, Candice, Julie e qualcun altro, ma avere Ian al mio fianco è tutta un’altra cosa, anche se si comporta come un dittatore ed ha paura che anche con un semplice passo mi possa sentire male, ma non lo biasimo. Per lui è tutto nuovo e non posso nemmeno arrabbiarmi con lui per questo, solo che è un po’ opprimente, figuriamoci con il passare dei mesi. 

 

“Julie mi ha detto di avvertirti per una cosa.”- inizia lui mentre io continuo, sotto il suo sguardo, a mangiare la mela.

 

Lo invito a parlare con un cenno del capo.

 

“Sabato sera c’è un evento, sai… Gli eventi privati a cui partecipano i personaggi principali delle serie TV, quegli eventi che servono soprattutto per beneficenza.”- mi spiega e ricordo a che cosa si riferisce. -“Julie ci andrà e ci andranno anche Paul e Phoebe da quello che ho capito, forse Candice.”

“Ha chiesto se ci andremo?”- gli domando.

“Esatto, si.”- conferma lui.

 

Non c’è nessun problema, se andranno anche gli altri potremo andarci anche noi. E’ da un po’ che non andiamo a qualche evento e penso ci possa far bene.

 

“Potremo andarci, non ci vedo nulla di male.”- concludo io guardandolo negli occhi.

“Lo so, ma non vorrei che ti stancassi troppo.”- mi dice lui.

“Sono incinta, non malata, starò bene. Ci farà bene fare qualcosa di diverso, no?”- gli rispondo.

“Si, forse hai ragione, ci farà bene.”- sorride lui contro le mie labbra.

“Parlerò con i miei genitori per sapere se possono tenere i bambini sabato sera allora.”- gli dico.

 

Ian mi guarda e noto un leggero cambiamento nei suoi occhi.

 

“Paul e Phoebe hanno detto che porteranno anche Rachel con loro, ovviamente Damon, essendo ancora piccolo, rimarrà con i genitori di Phoebe. E’ un evento privato e ci sono anche altri bambini, potremo portare anche Stefan e Joseph.”- mi dice Ian.

 

Joseph e Stefan?

Sta parlando sul serio? Dopo tutto quello che abbiamo fatto per tenerli al sicuro vuole portarli direttamente sotto i riflettori?

No, non se ne parla. 

O forse riflettendoci non è una brutta idea, potrebbero divertirsi e ne sarebbero sicuramente felici visto che ci hanno sempre chiesto di partecipare a qualche evento con noi.

O forse no. Non lo so.

E non so nemmeno perché sono appena scoppiata a ridere e non lo sa nemmeno Ian visto che mi sta guardando come se fosse indeciso se portarmi dallo psichiatra o meno.

 

“Nina, stavo dicendo una cosa seria e tu… Ridi… Se non vuoi basta dirlo, insomma, lo capirei.”- mi dice lui turbato.

 

E smetto di ridere, ma non perché ho deciso di farlo, ma perché ora sto piagnucolando.

Ormoni.

Ecco cosa sono. 

Gli ormoni che mi fanno cambiare repentinamente umore e stanno cominciando già a presentarsi.

 

Neens? Sei sicura di stare bene?”- mi domanda Ian preoccupato mettendomi una mano sulla spalla. -“Basta dire che non lo vuoi e… Aspetta… Non saranno mica gli ormoni?”

 

Annuisco tra le lacrime e mi getto sul suo petto. Ian mi accoglie senza nessun problema e mi tiene stretta a se accarezzandomi di tanto in tanto la schiena.

 

“Ne parliamo dopo, okay? Shh, tranquilla, va tutto bene…”- mi sussurra all’orecchio mentre io continuo a tenere la testa sul suo petto cercando di frenare le mie lacrime. 








































 

 

                                                                      * * *

 












































 

“Verrete alla fine?”- mi chiede Julie mentre finisce di sistemare le ultime cose.

 

Abbiamo finito di girare dieci minuti fa e finalmente possiamo andare a casa. Non vedo l’ora di fare una bella vasca rilassante, perché ho la schiena a pezzi, e di passare una serata con i bambini.

 

“Si, alla fine veniamo.”- le rispondo. -“E’ vero che Paul e Phoebe porteranno anche Rachel?”

“Si ed è davvero una bella idea.”- mi dice lei prendendo in mano dei fogli. -“Insomma… E’ una festa, simile a una cena, privata e non corre nessun pericolo… Ci saranno tanti bambini, niente paparazzi…”

“Stavamo pensando di portare anche Joseph e Stefan.”- le dico passandole due copioni.

“E’ un’idea fantastica!”- esclama lei rivolgendomi un sorriso. -“Si divertiranno un sacco e fidati… Nessun rischio. Sai anche tu come vanno queste cose e per loro sarebbe un’esperienza nuova.”

“Anche Ian lo pensa, speriamo sia così.”- le dico passandomi una mano tra i capelli.

“Andrà tutto bene, vedrai.”- mi dice rassicurante, poi mi osserva, curiosa. -“Con questa influenza? Stai prendendo qualcosa visto che sei perennemente ammalata?”

 

Rimango un attimo spaesata alla domanda, poi mi ricordo che è la scusa che utilizziamo io e Ian per mascherare la gravidanza e vorrei tirarmi un pugno per non avere ancora risposto.

 

“Oh, si, certo… Si, sto prendendo qualcosa…”- rispondo.

“Sicura?”- mi chiede lei. -“E’ da qualche settimana che vai avanti così.”

“Magari è di quelle influenze che durano di più.”- mi salvo così, poi afferro il giubbotto sopra la sedia. -“Ora devo andare, ci vediamo domani.”

 

Ed esco dalla sala prima che possa dire qualcos’altro perché, se fossi rimasta qualche minuto di più, glielo avrei sicuramente detto -involontariamente, ma glielo avrei detto.

Esco fuori dal set e mi stringo le braccia al corpo. Fa veramente freddo e non siamo ancora entrati nel pieno dell’inverno. Ian, non appena mi vede, fa il giro della macchina e mi apre la porta.

Non appena entro in macchina tiro un sospiro di sollievo nel sapere che ha acceso l’aria calda e trovo subito conforto.

 

“Hai le guance tutte rosse per il freddo.”- mi fa notare lui mentre alza ancora di più l’aria calda, ma non troppo. -“Va meglio?”

“Molto…”- mormoro appoggiando la testa al sedile. -“Non vedo l’ora di andare a casa a fare una bella vasca calda.”

“Prima dobbiamo passare a prendere i bambini da tua madre.”- mi ricorda lui.

“Si, mi ricordo.”- gli dico facendogli una linguaccia e lui, in tutta risposta, ridacchia divertito. -“Julie mi ha chiesto per sabato.”

“E cosa le hai detto?”- mi domanda lui cauto.

“Che ci andiamo. Ci andiamo tutti.”- gli rispondo. -“E mi dispiace per prima…”

“Hey, sono stati gli ormoni, non tu.”- mi difende e mi accarezza la gamba coperta dai pantaloni. -“Lo sai tu e lo so io, non preoccuparti… Dovrò farci l’abitudine per altri otto mesi, no?”

“Si, anche dopo… Anche dopo la nascita del bambino ci vorrà un po’ perché si stabilizzino.”- gli spiego e lui scuote la testa divertito. -“Che cosa c’è di così tanto divertente?”

“E’ divertente il tuo cambiamento d’umore.”- ridacchia lui.

“Oh, per me no, per niente. Un attimo prima sono felice e poi… E poi no… Potrei arrabbiarmi per qualsiasi cosa, come adesso.”- gli dico fintamente arrabbiata.

 

Ma Ian sembra cascarci e mi guarda spaventato scusandosi nell’immediato, mentre io, invece, scoppio a ridere prendendolo in giro. 

A quanto pare mi ha creduto davvero e non penso che sia stato tanto divertente ora.

Arriviamo a casa di mia madre qualche minuto dopo e, dopo aver suonato, mia madre ci accoglie con entusiasmo facendoci entrare in casa. Anche qui, fortunatamente, si sta al caldo. 

I bambini, una volta che si accorgono di noi, ci corrono incontro e ci gettano le braccia al collo. Joseph è un po’ troppo irruente con me e Ian lo riprende spaventato. 

 

“Ho solo abbracciato la mamma.”- gli fa notare lui leggermente turbato. 

“Lo so, tesoro, ma hai rischiato di farla cadere.”- gli spiega Ian ancora preoccupato.

“Sto bene.”- dico ad entrambi, sotto lo sguardo un po’ sorpreso di mia madre.

 

So bene a cosa si riferisce Ian. Si, si è preoccupato anche per quello, ma soprattutto ha avuto paura che mi arrivasse un colpo alla pancia, ma deve stare tranquillo, Joseph non mi avrebbe mai fatto del male.

 

“Non preoccuparti, amore, va tutto bene, puoi ancora abbracciarmi.”- dico a mio figlio dandogli un bacio sulla testa.

 

Mio figlio annuisce un po’ più sereno, poi tocca a Stefan e, ricordando qualche istante prima, mi abbraccia più delicatamente. Ian accompagna i bambini a prendere i giubbotti e a mettersi le scarpe, mentre io rimango sola con mia madre -mio padre, dopo averci salutati, è ritornato in cucina a finire di preparare qualcosa e ci ha anche chiesto se fossimo voluti rimanere, ma sono stanca e ho bisogno di una vasca rilassante.

 

“Hai ancora male alle gambe? E’ per questo che Ian è così spaventato?”- mi domanda mia madre.

“Va tutto bene, sai che Ian si spaventa per nulla.”- cerco di rassicurare mia madre.

 

Ma mi conosce e conosce Ian e non sembra soddisfatta dalla mia risposta.

 

“Allora è qualcosa che ha a che fare con l’influenza di cui parlano i bambini? Hanno detto che sei stata male.”- continua imperterrita.

“E’ un po’ di influenza, nulla di grave.”- la rassicuro di nuovo.

“Che dura da settimane?”- mi domanda lei con un sopracciglio inarcato. -“I bambini hanno detto che dura da un bel po’, sono preoccupati.”

“Mamma, davvero, sto bene e passerà.”- le dico.

“Se ci fosse qualcosa me lo diresti… Vero? Se stessi male?”- mi chiede lei dolcemente.

“Si, mamma, ma sto bene, davvero.”- le dico abbracciandola.

 

Mia madre si stacca da me, poi mi guarda dall’alto verso, forse non credendo alla mia scusa. Mi guarda per qualche altro secondo, poi si porta entrambe le mani alla bocca per coprire un urletto di gioia ed inizia a tremare leggermente.

Oh oh.

 

“Oh mio Dio, ma tu sei…”- balbetta e questa volta è lei ad abbracciarmi. Credo l’abbia capito. -“Ma perché non me l’hai detto?”

 

Non mi da il tempo di parlare che mi riabbraccia di nuovo.

 

“Avrò un altro nipotino!”- esclama poi.

 

Ecco, l’ha scoperto, non so come, non so perché, ma l’ha scoperto. 

E mi rendo conto, forse un po’ troppo tardi, che è mia madre e le madri sanno capire i figli meglio di loro stessi.

 

“Da quanto?”- mi domanda emozionata. E’ euforica, vedo la gioia nei suoi occhi. -“E perché non me l’hai detto?”

 

La prima persona a cui avrei voluto dire del mio stato interessante, dopo averlo scoperto, sarebbe stata mia madre, ma mi ero imposta di non dire niente fino ai tre mesi. 

 

“Perché… Perché volevo aspettare i tre mesi e farvi una sorpresa e ora… E ora l’hai scoperto…”- le spiego. -“Come?”

“Tesoro mio, ho avuto due figli anche io, lo sai? Il malessere continuo, tutto questo appetito, la tua faccia leggermente più gonfia… Ian che è diventato il triplo più protettivo…”- mi spiega lei.

“Ho la faccia gonfia?”- le domando gonfiando le guance.

 

Mia madre mi sorride dolcemente accarezzandomi una guancia.

 

“E’ semplicemente il tuo corpo che sta cambiando e l’ho notato subito.”- mi spiega lei accarezzandomi un braccio. -“Hai già fatto una visita? Di quanto sei? Come state?”

 

Ecco che parte con le domande.

Ian, intanto, ritorna in sala con i bambini e capisce che c’è qualcosa di diverso, così decide di lasciarci qualche minuto da sole ed esce fuori con i bambini per andare in macchina. Mio padre, nel frattempo, dopo tutto il trambusto che ha fatto mia madre viene anche lui in sala, con tanto di mestolo in mano.

 

“Mi sono perso qualcosa?”- ci chiede lui inclinando la testa di lato.

 

Mia madre mi da un colpetto sul braccio invitandomi a parlare con tanto di Forza sussurrato all’orecchio.

 

“Avrei voluto dirtelo in un altro modo, ma mamma l’ha scoperto e beh… Se non te lo dicessi io te lo direbbe lei, almeno credo.”- inizio.

“Credi bene!”- esclama lei eccitata.

“E’ successo qualcosa di grave?”- mi domanda lui preoccupato avvicinandosi a me. -“Stai male?”

“No, papà, è il contrario.”- gli dico. -“Sono incinta.”

 

Mio padre spalanca la bocca e il mestolo cade a terra, facendo un rumore fastidioso. Rimane qualche secondo immobile, poi il suo volto s’illumina e un sorriso estasiato affiora sulle sue labbra.

 

“Vuoi dire che avrò un altro nipotino?”- mi chiede lui.

 

Annuisco e lui mi viene ad abbracciare.

 

“Sono così felice per te.”- mormora lui mentre mi stringo più forte al suo petto.

 

E mi diventano gli occhi lucidi, di nuovo. Un po’ per gli ormoni, un po’ per la situazione.

 

“Diventeremo nonni un’altra volta!”- esclama lui orgoglioso. -“E’ un altro maschietto o una femminuccia?”

“Non lo sappiamo, è ancora presto.”- gli rispondo e so di aver risposto anche a una delle domande di mia madre.

“Oh, peccato, ma lo scopriremo presto.”- mi risponde mio padre tutto felice. -“Ecco perché ultimamente non sei stata molto bene…”

“E’ normale, Kostantin.”- interviene mia madre. -“Di quanto sei? Hai già fatto la prima visita?”

 

Sorrido per come si stanno preoccupando i miei genitori.

 

“Quasi sei settimane… E si, abbiamo fatto la visita qualche giorno fa e stiamo bene.”- dico ad entrambi.

“Con Layla? Ti ha raccomandato riposo, vero?”- si preoccupa ancora mia madre.

“Si, da Layla e si… Mi ha raccomandato riposo, ma posso comunque continuare a lavorare.”- li rassicuro entrambi. -“Sto bene, non preoccupatevi.”

 

I miei genitori mi intrattengono ancora per qualche minuto facendomi altre domande e si fanno promettere di farmi portare la foto stampata dell’ecografia - Ian ne tiene una in portafoglio, la mia è a casa.

Cinque minuti dopo sono di nuovo in macchina con la cintura allacciata.

 

“L’hanno scoperto?”

 

E’ la prima cosa che mi domanda Ian.

Annuisco solo e lui mi guarda, tentando di capire se io ne sia felice o meno, perché sa quanto ci tenessi a svelare il fatto dopo il terzo mese. Gli sorrido rassicurante e lui mi sorride di ricambio, poi mette in moto.

 

“Cosa hanno scoperto i nonni?”- ci chiedono i bambini in coro.

“E’ una sorpresa.”- rispondo loro.

“Possiamo saperla?”- mi domanda Joseph.

“Non sarebbe più una sorpresa.”- gli rispondo.

“Ma è una bella sorpresa?”- mi domanda Stefan.

“Spero di si.”- concludo.

“E quando lo sapremo?”- mi domanda Joseph.

“Tra un po’.”- dice Ian.

 

Continuano per qualche altro minuto con le domande, ma alla fine si arrendono alla nostra segretezza. La serata passa così, tra il ritorno della domande relative alla sorpresa e un pezzo di pizza -la mia rigorosamente alla salsiccia e all’ananas, cosa che ha fatto storcere il naso e venire quasi il voltastomaco a Ian e ai bambini.

 

 

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Buona sera a tutte, eccomi qui con il cinquantesimo capitolo ;)

Wow, già cinquanta capitoli, non avrei mai pensato di arrivare a così tanto sinceramente ahaha

Un grazie ovviamente va a tutte coloro che mi seguono, a tutte coloro che lo fanno silenziosamente, ma, in particolare, a tutte coloro che continuano a commentare la storia, sia con recensioni e sia in privato, invogliandomi a continuare.

Quindi grazie a tutti.

Ma passiamo al capitolo, altrimenti potrei diventare -quasi- sdolcinata.

Succedono parecchie cose e questo, sinceramente, è uno dei miei preferiti ;)

La prima parte penso sia quella più bella di tutte. Non sarà la migliore che ho scritto, ma mi sono emozionata troppo mentre la scrivevo. Ian e Nina alla prima visita ginecologica mentre vedono per la prima volta il/la loro bambino/a. Per Nina non è la prima volta, okay, ma è la prima volta che ha Ian al suo fianco e poi per ogni madre è sempre un’emozione uguale alla prima vedere un bambino (il tuo bambino) che cresce dentro di te. Per Ian, invece, è la prima volta in assoluto, e si commuove, arrivando ad impietosire la ginecologa (si, sempre quella è, così come nell’altra storia u.u) che gli offre una salvietta per asciugarsi le lacrime (di emozione e gioia, ovviamente). Il nostro bel Somerhalder inizia a bacchettare Nina, in senso buono, cominciando a tenerla sotto d’occhio per quanto riguarda la dieta, anche se lei sgarra con le ciambelle. Ma possiamo darle torto? ;)

Iniziano già a farsi prepotenti gli ormoni e Ian, povero cristo, sarà molto spesso vittima di ciò, ma comunque è tutto relativamente normale. 

I due decidono di tenerlo nascosto fino al terzo mese (si dice sia per scaramanzia, perché durante i primi tre mesi c’è il rischio che possa capitare qualcosa… Ovviamente anche durante gli altri, ma il rischio più alto rimane nel primo trimestre), ma alla fine Michaela, una volta vista la figlia, si accorge subito, complici i gemelli che hanno spifferato il malessere dalla madre, che sua figlia è incinta. Ovviamente i due coniugi Dobrev sono euforici, ma questo mi sembra ovvio.

Niente, sostanzialmente non ho nient’altro da dire su questo capitolo, se non che i nostri Nian stanno avendo, finalmente, la loro tanta agognata felicità.

Quello che voglio fare, e che scriverò qui sotto, è un breve (o forse no? Dipende da come mi prende) commento sull’ultima puntata di TVD, che ha chiuso definitivamente un’era storica per le serie TV, in quanto poche ce ne sono state per reggere il suo confronto (senza nulla togliere alle altre, ovvio). Se avete piacere di leggerlo volentieri, mentre, se non volete spoiler, passate oltre :)

(E, dopo aver postato ciò, e aver finito di deprimermi, mi metto a guardare lo speciale che non ho fatto in tempo a vedere da sabato).

 

PS: Lo so che il PS va alla fine, ma lo metto comunque qui perché alla fine il commento verrà sicuramente lungo e non so quante di voi lo leggeranno (se lo leggeranno), ma è per dirvi che sono rimasta delusa dal finale e sto meditando una one-shot Delena alternativa perché si. Devo immaginarmi un finale diverso, ragazze, non quello, capitemi :(

 

 

 

Sostanzialmente non riesco ancora a capacitarmi che TVD, la prima serie che ho seguito in assoluto, sia davvero finita e per come sia finita. Mi ricordo che nella scorsa storia (la parte 1 di questa) molto spesso e volentieri vi lasciavo qualche commento a caldo dei vari episodi e mi piaceva leggere i vostri pareri, cosa che mi farebbe piacere anche adesso, se voleste commentare la puntata insieme a me. 

Sono rimasta veramente delusa.

Ma andiamo per gradi. Una volta che ho scoperto che Nina se ne sarebbe andata via mi sono data un paletto, ovvero di non guardare più TVD finché non fosse ritornata. E ci sono riuscita, per la maggior parte. La settima stagione non l’ho guardata. O meglio, su tutti gli episodi ne ho guardati tre. Da quello che leggevo in giro (si, perché comunque mi tenevo informata) non mi ispirava assolutamente guardare le puntate (e ho guardato anche i promo e rare volte anche qualche spezzone che confermava la mia idea), ma ho deciso di dargli una chance, una maniera particolare perché mi intrigava la storia degli eretici, che son durati pochissimo. Nonostante ciò non ho continuato perché andare avanti con i minuti mi dava parecchia noia e, purtroppo, non era ai livelli del TVD che conoscevo. Così è stato anche per l’ottava stagione e anche amiche mi hanno riportato che abbia fatto bene a non vederla. Ho deciso, una volta spifferato il ritorno di Nina (avrei comunque guardato l’ultimo episodio, indipendentemente se il mio amore fosse tornata o meno), di guardare almeno gli ultimi due episodi, cosa che ho fatto. In se il penultimo non mi è piaciuto molto, se non il Defan. Defan che, con l’ultima puntata, ha confermato di essere -essere stato- il cuore dello show. Farò una breve rivisitazione di alcuni personaggi. Damon (per quanto Ian ultimamente mi sia sceso giù, ma proprio giù) è il personaggio che amo di più, per il cambiamento che ha fatto (tralascerò il discorso sirene perché Ariel lo lascerò a qualcun altro). Stefan è lui, lo amo alla pari di Damon, perché tra i due, ahimè, non posso fare preferenze. Ha ucciso Enzo (che figo che è, madonna santissima!), ma comunque non era in se e, per quanto sia, non ce l’ho mai avuta con lui. Care è un altro dei personaggi che amo di più perché lei beh… Lei è maturata in tutto, la amo, punto. Bonnie…E’ da tempo che non riesco a farmela piacere, ma forse sono influenzata dal fatto che ormai Katerina Graham ormai non la sopporto più (non linciatemi, è il mio parere). I Donovan, tralasciamo, che è meglio. 

Dunque arriviamo alla puntata finale e dire che sono rimasta delusa è veramente dire poco. L’unica cosa che mi è piaciuta (oltre al ritorno di Nina, perché lei sarà al primo posto sempre su tutto, ovunque, dovunque, per sempre) tantissimo è stato il Defan. Oh e lo Steroline. Andiamo per gradi, prima che qualcuno strabuzzi gli occhi (sta venendo fuori un commento troppo lungo, shit!). I due che litigano su chi si debba sacrificare e le parole che si dicono sono state… Sinceramente non ho parole per descriverlo, soltanto infinite emozioni. Ne ho viste di serie TV, ma il senso fraterno e di amore, appunto, fraterno che trasmettono loro due non lo fa nessuno. 

“I Salvatore possono litigare come cani, ma morirebbero l’uno per l’altro” semicit. Ma quanto ragione aveva una delle nostre bionde preferite? Questa frase racchiude tutto. Racchiude chi sono Stefan e Damon e, nonostante tutto, loro si sono amati più di loro stessi. Stefan ha amato Damon più di se stesso e altrettanto ha fatto Damon.

Le lacrime, dunque, quando è morto Stefan, perché non meritava di morire. Non ho sopportato che morisse, assolutamente, ho trovato la scelta pessima. Non doveva morire nemmeno Damon, eh, nessuno dei due. In questa puntata gli Steroline mi sono piaciuti, eccome se mi sono piaciuti. Non li ho mai sopportati come coppia (perchè come personaggi ormai avrete capito che li amo), però diamine… Ho pianto pure per loro. Eccome se ho pianto. Ovviamente sono Klaroline, ma quello è un altro discorso, o forse no. Qui, con quella dannatissima (*__*) lettera hanno aperto le porte a Caroline per TO e se non succede parto per una spedizione punitiva in America. Che io sinceramente mi aspettavo almeno la comparsa di Klaus (quando la mano di Liz si è appoggiata a Caroline, mentre lei stava raccogliendo la lettera, ho veramente creduto che fosse lui, poi però, disperata, ho visto che era una donna). Bonnie? Bonnie stendiamo un velo pietoso, anche se mi dispiace tantissimo per come sia andata a finire con Enzo, altra scelta pessima degli autori, ma ormai hanno cominciato a fare un disastro e ovviamente hanno terminato con il disastro.

Ma non ti starai per caso dimenticando dei Delena, eh?

No, tranquille, non mi sto assolutamente dimenticando di loro. I Delena sono stati la mia prima ship (quando ho veramente capito cosa significasse) e hanno costituito una parte fondamentale della mia crescita (anche se, mannaggia a loro, continuano a farmi sognare una storia d’amore come la loro e questo significa che, non accontentandomi, morirò da sola), ma… MA… Io chiudo il ciclo Delena con la sesta stagione, perché quelli che ho visto sabato non erano i Delena (i nostri Delena), ma soltanto una brutta copia. Avremo avuto si e no quanto? Quaranta secondi se mettiamo insieme tutte le scene. Dopo due anni 40 secondi di loro dove si sono baciati e tenuti la mano due volte. Apro un altro dibattito, sperando che sappiate di cosa stia parlando riguardo al bacio Delena, ma se non lo sapete beh… Vi manderò la foto. Nina che bacia Ian sotto il naso e Ian che le bacia il mento? Ma dove sono finiti i limoni che si facevano fino alla sesta stagione? Nemmeno uno sfioramento di labbra, manco quello. Dopo aver fatto uno schifo (Ian e gli autori, perché Nina, e non lo dico perché la amo, ha recitato benissimo) nemmeno un bacino. 

Delena level scuola elementare. A questo punto era preferibile fare un foglietto con su scritto Mi ami? E le caselline si e no, forse sarebbe stato più emozionante. Mi hanno emozionato più Elena e Stefan che Damon ed Elena e questo non lo accetto. Cioè, mi sono emozionata, ma solo perché, secondo me, l’idea era del Delena, non per quello che ne è venuto fuori. E, va bene che Stefan era appena morto e ovviamente non poteva mandare all’aria la perdita del fratello per Elena, però cavolo… Non la vedi da una vita e un bacetto così? Comunque non ho apprezzato gli autori. Perché la scena in se ci stava (il bacio-non bacio fatto così no), ma potevano fare un degno salto temporale nel futuro mostrandoci i Delena felici e innamorati come non mai (non quella scena sul cimitero, perché le espressioni tirare di Ian mi han fatto morire), magari anche ricordando Stefan.

Un baby Stefan con i Delena no, eh?

Comunque… Delusa, al massimo. Adesso non voglio inneggiare Nina e smontare Ian, ma Nina mi è sembrata sciolta, o comunque molto di più rispetto a Ian. Non capisco perché nella sesta recitavano senza problemi mentre ora si. Certe, e mi sa che hanno ragione, hanno detto che forse è perché ci erano abituati e poi son passati due anni. Vero anche questo. Ma, dopo aver visto come li hanno ridotti, forzatissimi, avrei preferito che Elena fosse rimasta dentro la bara e magari si sarebbe potuto avverare il finale dei due Salvatore morti, ma insieme. Almeno avrei potuto correre con l’immaginazione sui Delena. Poco Delena e mal fatto.

Mi stavo dimenticando di Katherine… No, non è vero, è che mi sono dilungata troppo e volevo trattare anche di lei. Fenomenale l’interpretazione di Nina, è sembrato quasi che non se ne fosse mai andata, anche se hanno gestito malissimo questa parte perché sembrava che avesse dovuto uccidere tutti e dopo cinque minuti è morta.

[Nina sarà la protagonista assoluta della puntata, ve lo giuro, disse Julie. Quanto è comparsa? Tre minuti e mezzo in 43 minuti, bello vero?]

Dunque, termino qui perché altrimenti potrei andare all’infinito e so che nessuno avrà letto questo mega commento. Se l’avete fatto ditemelo che vi do una statua, veramente. Se voleste commentare anche voi l’episodio ne sarei felice e si per ripicca potete scrivere abbastanza (anche tanto) anche voi. 

Niente, basta, ho finito, penso di non aver dimenticato nulla, se non che nutro speranza per il Klaroline perché is real e… Finalmente inizia TO, quanto la amo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 51
*** We're going to try. ***


                                                     We're going to try. 


Pov Ian.

Oggi è sabato e tra poche ore andremo all’evento di beneficenza con i gemelli al nostro seguito. Io e Nina, sebbene avessimo già deciso, ne abbiamo parlato ancora e alla fine, dopo qualche altra indecisione, abbiamo deciso di portarli con noi. I bambini, una volta detto, sono scoppiati dalla gioia e per quasi un giorno ci hanno riempito di domande su come debbano vestirsi, con chi parlare e su cosa fare, ma noi li abbiamo rassicurati dicendo loro di comportarsi come sempre e che sarebbero stati perfetti in ogni caso. 

Io ho uno smoking nero con scarpe dello stesso colore e una camicia bianca. I bambini sono stati vestiti da Ilaria Urbinati* e indosseranno uno smoking praticamente uguale al mio, mentre di Nina non so ancora nulla, penso che sceglierà all’ultimo momento, come al suo solito. Abbiamo detto ai nostri figli che non sarebbero stati obbligati ad indossare uno smoking e di scegliere liberamente qualcosa di più comodo, ma loro hanno voluto lo smoking perché vogliamo essere eleganti come papà e non nego di essere stato molto orgoglioso dalla loro affermazione. 

Scendo in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e per dare una mano a Nina per vestire i bambini, perché saranno troppo impegnati a fare tutto fuorché vestirsi. La trovo appoggiata al ripiano della cucina mentre è intenta a mangiare uno yogurt, mentre i bambini sono in divano e stanno sicuramente finendo di vedere un cartone. Indossa un paio di pantaloncini corti e una maglietta larga a maniche corte e ogni volta mi chiedo come faccia a rimanere così. Abbiamo i temi accesi, altrimenti si morirebbe di freddo, ma comunque io sto benissimo con un paio di pantaloni lunghi, mentre lei è in tenuta estiva. 

 

“Hai davvero così tanto caldo?”- le chiedo avvicinandomi a lei.

 

Nina alza lo sguardo su di me e mi sorride.

 

“Io sto bene così.”- mi risponde con un’alzata di spalle e non si accorge che le ho appena rubato un po’ di yogurt. Quando lo fa mi fulmina con lo sguardo. -“Era il mio yogurt!”

 

La faccia che fa è arrabbiata, ma è così tremendamente buffa che scoppio a ridere comunque.

 

“Era finito.”- mi difendo io mettendole una mano sul fianco.

“Se ne hai mangiato vuol dire che non era finito.”- puntualizza lei schiaffeggiando la mia mano.

 

Toccale tutto, ma non il cibo, un po’ come Stefan.

In tutta risposta l’attiro a me e appoggio la fronte sul suo collo. L’arrabbiatura di Nina sembra passata perché mi abbraccia dolcemente.

Infilo una mia mano sotto la sua maglietta e la posiziono sul suo ventre e ne accarezzo dolcemente quella porzione di pelle.

 

“Come sta nostra figlia?”- le sussurro dolcemente.

 

Nina si stacca leggermente da me per appoggiare le sue labbra sulle mie.

 

“Suona così bene nostra figlia…”- mormora contro le mie labbra e io sorrido. -“Ma potrebbe essere anche un altro maschio, sai?”

 

Si, potrebbe, ma come potrebbe essere anche una femminuccia. Non vedo l’ora di scoprirlo, ma la mia priorità sarà sempre la sua salute, l’importante è che sia sano -sana-, il resto viene dopo.

 

“Potrebbe, si…”- mormoro baciandole il naso. -“Come potrebbe essere una bambina, chi lo sa…”

“Magari avremo la sfortuna di non vedere mai bambole in casa…”- mormora lei.

Forse, o magari no. In caso contrario dovremo metterci al lavoro per una femminuccia.”- ribatto io.

“Frena un attimo…”- mi dice Nina alzando un sopracciglio. -“Non sei tu a dover convivere con nausee perenni, mal di schiena, una pancia gigante per nove mesi e poi metterlo o metterla al mondo…”

“Ma sei bellissima già così, figuriamoci con una pancia gigante, come dici tu…”- le dico accarezzandole un braccio con la mano libera.

“Sarò una balena…”- borbotta lei incrociando le braccia al petto.

“Non è vero, sarai semplicemente stupenda.”- obietto io.

 

Ed è vero, lo penso davvero. Non sarà una balena, ma una donna meravigliosa che porta in grembo mia figlia -o figlio. 

 

“Una donna stupenda che amo e che porta in grembo nostra figlia.”- continuo poi.

“Sei proprio fissato!”- esclama lei, ma posso vederla divertita.

“Non so è come se… Insomma… Ho questa sensazione.”- ammetto con un’alzata di spalle.

 

Ed è vero, non so spiegarlo, ma sento, nel profondo del cuore, che sia una bambina.

Posso anche sbagliarmi, è vero, ma lo sento e ne sono praticamente sicuro, ma lo scopriremo soltanto tra qualche mese.

 

“Sei un sensitivo ora?”- mi domanda lei prendendomi in giro con un buffetto sulla guancia.

 

Scuoto la testa divertito, poi l’attiro a me baciandola con passione. Non facciamo l’amore da un po’ e mi manca come l’aria; un po’ perché abbiamo avuto tanti impegni e tanto lavoro, un po’ perché è più le volte che Nina è in bagno che fuori ed è continuamente stanca, proprio perché è incinta e non ha assolutamente colpa di ciò, un po’ perché ho paura di far del male alla bambina… Insomma… Non farei mai nulla che possa nuocere a Nina o alla bambina. 

 

“Quanta passione…”- mormora lei tra un bacio e l’altro. -“Mi piace…”

 

Veniamo interrotti, come sempre, dai bambini che ci fanno notare di come manchino meno di due ore all’evento. Ci stacchiamo un po’ ansanti e cerchiamo in ogni modo di riprenderci e di darci un po’ di contegno.

 

“Puoi pure andare a prepararti, vesto io i bambini.”- propongo alla mia donna.

“Tu?”- mi domanda lei ilare. -“Non sai nemmeno fare un nodo alla cravatta.”

 

Okay, questo è vero, è sempre stata Nina a farli per me e, quando non c’era lei, a sua volta l’ha sempre fatto qualcun altro. Non è che sia proprio incapace, ma ci metto una vita.

I bambini ridacchiano e Nina mi sorride divertita.

 

“Forza, andiamo a prepararci.”- li incita Nina e i bambini corrono subito in camera.

 

Alla fine li aiuto anche io a prepararsi e capisco a che cosa si riferisse Nina con quel non sai nemmeno fare un nodo alla cravatta, perché anche i bambini ne hanno voluta una, che sicuramente poi alla fine toglieranno. 

Dopo un po’ di gel tra i capelli sono finalmente pronti e soddisfatti. Sono bellissimi, i bambini più belli che abbia mai visto e sono i miei figli.

Okay, non lo dico perché sono i miei figli, ma sono bellissimi vestiti nel loro mini smoking mentre ci guardano soddisfatti.

 

“Sono bellissimi…”- dico a Nina mentre li osservo.

“Lo so, abbiamo fatto un bel lavoro…”- mormora lei con gli occhi lucidi.

“Un lavoro perfetto direi.”- concludo io avvolgendole un braccio attorno alla vita.

 

Alla fine faccio loro una foto e la metto come blocco schermo del cellulare, così avrò un ricordo di loro vestiti in questo modo. Alla fine i bambini ritornano giù in sala e ci promettono di stare buoni mentre finiamo di prepararci. Io mi vesto velocemente e in pochi minuti sono pronto, con solo la cravatta da sistemare. Nina, invece, dopo essersi messa un filo di trucco, si è chiusa in bagno per decidere che vestito mettere. Comincio a preoccuparmi quando i minuti passano e lei non esce dal bagno. 

Aspetto qualche altro minuto, poi decido di entrare perché ho seriamente paura che possa esserle capitato qualcosa, tipo un giramento di testa e si sa che il bagno non è il luogo adatto visto che potrebbe sbattere la testa da qualsiasi parte e farsi veramente male. Quando apro la porta del bagno però mi rallegro subito e tiro un sospiro di sollievo. E’ in piedi davanti allo specchio, con solo la biancheria intima addosso color carne, che fa risvegliare in me una certa passione, già con i capelli preparati, raccolti in una treccia laterale, e con due vestiti per mano e li guarda sconsolata.

Si accorge quasi subito della mia presenza e si volta verso di me con gli occhi lucidi e capisco al volo che anche gli ormoni stiano giocando con lei in questo momento.

 

“Hey…”- mi avvicino cautamente e dolcemente a lei. -“Che cosa c’è che non va?”

“Non so quale mettere…”- mormora lei con voce strozzata. -“Mi piacciono tutti…”

 

Osservo i vestiti: uno nero, uno azzurro, uno verde e uno rosso. Cerco di immaginare la donna al mio fianco con tutti e quattro i vestiti e non ho alcun dubbio sulla scelta. Sarebbe meravigliosa con tutti, ma con uno in particolare sarebbe ancora più meravigliosa. 

Rosso, assolutamente.

 

“Saresti meravigliosa con tutti e quattro, ma sai che ho un debole per il rosso…”- le dico afferrando il vestito rosso.

 

Alla fine riesco a convincerla e Nina indossa il vestito rosso con il quale sembra una dea. Il rosso le ha sempre donato, ma questa sera sembra più luminosa che mai. 

 

“Mi aiuti con la cerniera?”- mi chiede lei indicando la cerniera dietro la sua schiena. 

“Con piacere…”- le sussurro all’orecchio con un tono di malizia nella voce.

 

Averla qui, davanti a me, con la schiena praticamente nuda, non aiuta a molto, anzi, non fa altro che peggiorare la situazione. Nina rabbrividisce al mio tocco sulla sua pelle e so, per certo, che non l’ha fatto per il freddo. Faccio tutto il più lentamente possibile, godendomi le sue reazioni, anche se per me rimane comunque una piccola tortura.

 

“Ian, puoi… Velocizzare i tempi?”- mi chiede lei con voce strozzata.

“Perché?”- le domando facendo finta di non essermi accorto di nulla. Lei sbuffa frustrata, ben capendo dove voglio arrivare. -“Ti senti eccitata?”

 

Lei in tutta risposta si volta verso di me e mi tira uno schiaffo sul braccio.

 

“Ti sembra questo il momento?”- mi domanda mettendosi entrambe le mani sui fianchi. -“Siamo in ritardo, come al solito, e tu stai giocando con me, ben consapevole anche di avere dalla tua parte i miei ormoni in subbuglio!”

 

Rido divertito, ma alla fine mi trovo costretto a chiuderle il vestito senza tentarla più perché sotto ci sono i nostri figli e stiamo cominciando ad essere in ritardo. Decide di indossare un paio di tacchi e a nulla valgono le mie parole sul dopo, perché sicuramente si lamenterà di avere male ai piedi così, senza che se ne accorga, decido di prelevare dalla sua scarpiera un paio di ballerine rosse perché sicuramente, a metà serata, serviranno. 

Arriviamo nel luogo in cui si terrà la serata di beneficenza con quasi venti minuti di ritardo e, come tutti gli altri, passiamo dall’entrata secondaria. Perfino lì c’erano dei paparazzi appostati -non solo per noi, credo, un po’ per tutti-, ma sono stati mandati via per l’ennesima volta dai bodyguard presenti. L’entrata secondaria era completamente sgombera dai paparazzi così, una volta scesi, siamo stati accompagnati all’interno della sala. Una sala enorme -anche se enorme è un eufemismo-, addobbata come alle grandi manifestazioni, dove i colori che prevalgono sono il dorato, il bianco e il nero. 

I bambini -Joseph a mano con Nina e Stefan a mano con me- rimangono a bocca aperta nel vedere tutto questo e non parlano per qualche minuto buono, godendosi interamente tutto quello che li circonda. Io e Nina ci scambiamo uno sguardo a metà tra il divertito e il soddisfatto nel vederli così estasiati. 

All’entrata ci hanno fatto lasciare, dentro degli appositi armadietti personalizzati per ogni persona -o famiglia- cellulari e qualsiasi cosa potesse scattare foto o divulgare informazioni perché nessuno sappia cosa accada qui dentro ed è anche questo uno dei motivi principali per cui io e Nina abbiamo accettato. 

Una bambina dai lunghi capelli castani dentro un vestito rosa confetto ci corre incontro e la riconosco subito: è Rachel. Dietro di lei ci sono Paul e Phoebe che ci salutano con la mano e ci vengono incontro. 

Rachel, dopo averci salutato allegramente, mostra ai gemelli il suo braccialetto ed iniziano a parlare allegramente, anche se comunque si nota un feeling più intenso con Stefan.

 

“Finalmente siete arrivati!”- ci saluta Paul.

“Dovreste sapere che arriviamo sempre in ritardo.”- gli sorride Nina salutando Phoebe con un abbraccio.

 

Si salutano come se non si vedessero da mesi, quando, in realtà, non si vedono da questa mattina.

 

“Chissà di chi è la colpa.”- la punzecchio io.

“Ah, non guardarmi così, questa volta è colpa tua.”- si difende la donna al mio fianco facendoci ridacchiare tutti quanti.

“Li avete portati.”- sorride Phoebe guardano sua figlia e i gemelli. -“Sono bellissimi, sembrano usciti da una rivista.”

“Hanno voluto indossare uno smoking come Ian, perché volevano essere eleganti come lui.”- le dice Nina sollevando gli occhi al cielo, ma con tono estremamente orgoglioso. -“Però sono bellissimi, si.”

 

Se qualcuno le fa i complimenti dice sempre che è troppo -lo dice perfino a me, quindi so di che cosa sto parlando-, ma lascia che a Joseph e a Stefan tutti gliene facciano e anche lei fa altrettanto, ma penso che tutte le mamme siano così.

Alla fine Nina e Phoebe iniziano a parlare di cose da donne, io e Paul cominciamo a parlare di qualche scena girata questa mattina, tenendo comunque d’occhio tutti e tre i bambini. Li abbiamo avvisati di non dare troppa confidenza in giro, è un posto sicuro, ma non si sa mai. 

Ad un certo punto della serata incontriamo perfino Stephen Amell, nostro vecchio collega che ha preso il volo però con Arrow. La moglie si ferma a parlare con Nina e Phoebe, lui con noi e Mavi, all’inizio con un po’ di timidezza, alla fine si lascia andare con i gemelli e Rachel e posso notare, ogni tanto osservandoli, che parla più con Joseph che con Stefan -forse è rimasta affascinata dalla sua parlantina. 

Il resto della serata scorre tranquillo, tra buon cibo e chiacchiere con vecchie conoscenze e vecchi amici (ad un certo punto ho pure incontrato Maggie Grace, mia vecchia collega in Lost, con la quale Nina non ha mai avuto un bellissimo rapporto perché una volta, ad un vecchio evento di anni fa, ci ha provato con me e Nina non l’ha mandato giù ed anche questa sera è stato più o meno lo stesso, soprattutto quando si è avvicinata ai bambini complimentandosi con me per la loro bellezza. Nina, stizzita, se n’è andata e, con una scusa, l’ho rincorsa e ho subito capito di come fosse gelosa e diciamo che l’ho amata ancor di più in quel momento perché ho sempre adorato anche il suo lato geloso, che non mostra molto spesso, ma c’è). L’unico intoppo, alquanto prevedibile, è stato il cambio scarpe di Nina perché le facevano, ovviamente, male ai piedi.

Nina e i bambini ad un certo punto cominciano ad essere stanchi così, dopo aver salutato Paul e Phoebe e alcuni nostri amici, in comune e non, facciamo ritorno a casa. 

 

“Vi siete divertiti?”- chiede loro Nina mentre li aiutiamo a mettersi a letto.

“Tantissimo!”- esclama Joseph alzandosi in piedi sopra il letto. -“Erano tutti vestiti eleganti, c’erano tante persone, abbiamo fatto amicizia…”

“E Mavi ti è piaciuta?”- gli chiedo io curioso.

“Papà!”- mi riprende lui con le guance improvvisamente rosse.

 

Nina e Stefan ridacchiano alle mie spalle, ma non si fanno notare. 

 

“Okay, okay, andiamo a letto, forza.”- mi affretto a toglierlo dall’imbarazzo.

 

Dopo aver borbottato un Forse è meglio, Joseph si mette sotto le coperte e alla fine Stefan fa la stessa cosa. Rimaniamo ancora qualche altro minuto con loro, poi, dopo innumerevoli sbadigli da parte loro e di Nina, decidiamo di andare a letto anche noi. 

Torniamo in camera nostra ancora vestiti come prima. 

 

“Ti fanno ancora male ai piedi?”- le domando dolcemente.

“No, non più.”- mi dice lei rassicurandomi con lo sguardo mentre si toglie le ballerine. -“Hai fatto la scelta giusta.”

“Sapevo che prima o poi ti sarebbero venuti male ai piedi.”- le dico divertito. -“Ovviamente tu non mi ascolti mai sui tacchi.”

“Sono più eleganti.”- ribatte lei con un’alzata di spalle.

“Non capisco perché voi donne preferiate soffrire invece di stare comode…”- le dico sfilandomi la giacca e iniziando a sbottonarmi la camicia. 

“Perché le donne devono essere sempre eleganti…”- borbotta lei iniziando a sfilarsi la treccia.

 

Quando finisce di slegarsi la treccia e io di infilarmi una maglietta pulita mi chiede di aiutarla a sfilare il vestito, o perlomeno la cerniera. 

 

“Stai benissimo con questo vestito…”- le dico iniziando a far scorrere la cerniera. -“Eri la più bella di tutte…”

 

La vedo sorridere attraverso lo specchio.

 

“Anche tu stavi bene con lo smoking.”- mi dice lei girando la testa e dandomi un bacio sulle labbra. -“Così bene che avevi tutte le donne attorno.”

 

E so bene a chi si riferisce con tutte le donne perché ha in mente una donna in particolare.

 

“Ma solo una mi ha qui con lei, adesso…”- le ricordo posandole un bacio sul collo. -“E anche gli uomini non sono stati da meno…”

 

E’ vero, Nina pensa che non li abbia notati, magari nemmeno lei l’ha fatto, ma più di qualcuno l’ha guardata questa sera, talvolta lasciando perdere anche le proprie compagne, quindi non è l’unica che si è dovuta contenere questa sera. 

 

Ma solo uno mi ha qui con lui, adesso.”- mi ripete lei voltandosi verso di me e aggrappandosi alla mia maglietta. -“Facciamo l’amore?”

 

Le sue mani scivolano sotto la mia maglietta accarezzando i miei pettorali.

 

E me lo chiedi?”- le domando afferrandola per la vita. -“Non faremo del male alla bambina vero? Perché se è pericoloso o se-”

“Ian…”- mi interrompe lei mettendomi un dito sulle labbra. -“Il bambino o la bambina è protetto da una specie di sacco che si chiama sacco amniotico ed è al sicuro lì dentro…”

“Siamo sicuri? Non succederà nulla, vero?”- le chiedo per ulteriore conferma. 

“Se non mi credi va bene, allora dormiamo.”- mi dice lei staccandosi da me. -“Cercalo su Internet se vuoi.”

“Internet non è molto affidabile…”- puntualizzo io con una certa nota di panico nella voce dalla sua improvvisa lontananza.

“Allora credi a me…”- mormora lei immergendo una mano tra i miei capelli. -“Non succederà nulla…”

 

La guardo negli occhi e so che non farebbe nulla per mettere in pericolo nostra figlia -o figlio-, così, prima che possa parlare, la trascino, sempre con delicatezza, a letto e in poco tempo siamo completamente nudi e i nostri corpi uniti.

 






 

Tre settimane dopo.

                                                                                                (nove settimane)

Pov Ian.

Tum Tum Tum.

Sentire per la prima volta il cuoricino di nostra figlia -o figlio, si, fino a che non lo scoprirò, rimarrò convinto che sia una bambina- è stata una delle cose più emozionante della mia vita, pari alla scoperta di avere due bambini e alla scoperta di aspettarne un altro. Questa mattina siamo andati ad una visita di controllo e, come promesso, abbiamo potuto ascoltare il suo cuoricino battere e sono arrivato ad emozionarmi quasi come un bambino, sotto lo sguardo divertito, e un po’ emozionato, di Nina. Sapere che sta andando tutto bene, che Nina e la bambina stiano bene, e sentire il suo cuoricino mi fa stare più sereno. Layla ha dovuto darmi per l’ennesima volta un fazzoletto, che questa volta ho accettato, e ci ha consigliato di comprare uno strumento, che si può facilmente trovare in farmacia, per ascoltare il cuore del bambino. Ovviamente io e Nina l’abbiamo ordinato e sono rimasto abbastanza sorpreso che si potesse fare una cosa del genere anche a casa. Ho poche informazioni, per questo ho deciso di incominciare a leggere dei libri sulla gravidanza e sui neonati, in modo da aiutare il più possibile Nina.

Inoltre in queste settimane il suo ventre è diventato leggermente più gonfio, segno che pian piano diventerà sempre più grande, e può sembrare strano, ma mi sento parecchio elettrizzato.

 

“Papà? Mi aiuti a fare matematica?”

 

Mi volto e trovo Stefan sconsolato con la testa appoggiata sul tavolo.

Matematica, fantastico, hanno la mia stessa passione insomma. La scuola non mi è mai piaciuta, devo dire la verità, e matematica ancora di meno, ma vedrò quello che posso fare. Prendo una sedia e mi siedo accanto a mio figlio.

 

“Cosa dobbiamo fare?”- gli chiedo.

 

Numeri dappertutto, ecco quello che vedo.

 

 

“Le frazioni!”- esclama Stefan rimettendo la testa sul tavolo facendomi sorridere. -“Odio le frazioni.”

“Oh, tesoro, ci saranno molte altre cose che odierai della matematica, puoi starne certo.”- gli dico.

 

Sa di consolazione questa frase, ma anche no.

 

“E’ così tanto brutta la matematica?”- mi chiede lui.

“Non è brutta…”- mento. Non voglio che già da così piccolo cominci ad odiarla, avrà tempo per farlo. -“E’ complicata.”

“Tantissimo!”- esclama Stefan afferrando la matita. -“Ecco, qui.”

 

Joseph ha già finito matematica -e qui ha preso sicuramente da Nina- e, nel fare merenda, si è sbilanciato e il succo gli è caduto tutto addosso, così Nina è con lui di sopra e lo sta aiutando a cambiarsi.

 

“Uhm, abbiamo il rettangolo diviso in otto parti, poi abbiamo tre parti colorate, giusto?”- gli chiedo per avere conferma. -“Ecco, bene. Se abbiamo tre parti colorate di otto, che cosa fa?”

“Tre ottavi!”- esclama lui, poi mi guarda in attesa di conferma. -“E’ giusto, papà?”

“Esatto, è giusto.”- gli sorrido lasciandogli una carezza tra i capelli. -“Se abbiamo il rettangolo diviso in otto parti e tre parti colorate, quante parti non sono colorate?”

“Allora… Otto parti divise… Tre colorate… Otto meno tre fa cinque… Cinque parti libere… Abbiamo cinque ottavi liberi!”- conclude lui scrivendo tutto sul suo quaderno.

“Proprio così… Tre ottavi colorati e cinque ottavi liberi.”- confermo. 

“E’ una noia mortale comunque…”- borbotta lui. 

“Lo so, tesoro, ma bisogna fare i compiti comunque.”- gli dico comprensivo. -“Così quando hai finito puoi andare a giocare con Joseph a quello che volete.”

 

Sento dei passi dietro di noi e mi volto per vedere Nina e Joseph scendere le scale.

 

“Hai finito, tesoro?”- domanda Nina a nostro figlio.

“Quasi, mamma…”- gli risponde Stefan continuando a scrivere sul suo quaderno. -“Papà mi sta aiutando.”

“Davvero?”- gli chiede Nina avvicinandosi a noi.

“Si, perché matematica è noiosa!”- esclama Stefan.

“Amore, non è noiosa, magari è difficile… Ma è una materia che bisogna fare per forza.”- gli risponde Nina dandogli un bacio tra i capelli.

 

Attiro Nina a me e la faccio sedere sulle mie gambe. Le do un bacio sulla fronte, poi lei appoggia la testa sul mio petto. Joseph si va a sedere accanto al fratello per controllare i suoi progressi, poi sento che si dicono qualcosa, molto probabilmente riguardo ai compiti.

 

“Potevate chiamarmi se c’era bisogno di un aiuto…”- mi sussurra Nina.

“Dai, non sono così incapace…”- le rispondo ridacchiando. -“Qualcosa me la ricordo ancora, poi le frazioni non sono così complicate…”

“Beh, hai ragione…”- mi dice lei dandomi un bacio a fior di labbra. -“Stefan ha proprio preso da te.”

“Già, ma forse io da piccolo ero ancora peggio… Almeno lui, anche se la considera noiosa, la fa comunque… Io chiudevo direttamente il libro.”- le dico sorridendo al ricordo.

“Ma eri un piccolo teppista!”- esclama lei dandomi un colpetto sulla spalla.

“Oh, certo che lo ero…”- ridacchio. 

 

Rimaniamo qualche altro minuto così, minuti preziosi nel quale coccolo la donna che amo, poi Stefan dice di avere ufficialmente finito e di poter finalmente mettere via i quaderni e i libri.

 

“Non mi serviranno mai queste cose nella vita!”- esclama lui una volta finito di sistemare tutto dentro la cartella. -“Me lo sento…”

“Tesoro, le frazioni servono… Se io divido una torta in otto parti e Joseph ne mangia tre, bisogna sapere quante fette rimangono…”- gli dice Nina.

“Ma così farà un’indigestione e comunque non può mangiarne tre, sono troppe!”- polemizza Stefan facendomi scoppiare a ridere seguito da Nina. 

“Era un esempio.”- lo rassicura Nina ridacchiando.

“Era un bel esempio però…”- commenta Joseph abbracciando la madre.

 

Nina ricambia stringendolo a se.

 

“Non si scherza con il cibo!”- continua Stefan. -“Posso fare merenda?”

“Vieni che ti preparo la merenda.”- gli dice Nina sorridendo.

“Vuoi che gliela prepari io?”- mi offro. -“Tu puoi rimanere seduta qui.”

“Sono in grado di preparare un panino.”- mi ricorda lei alzandosi. -“E mi hai permesso di muovermi soltanto prima, da questa mattina.”

 



































 

 

                                              * * *

 

































 

“Siete sicuri?”- mi domanda per l’ennesima volta Paul mentre mi passa Damon. 

 

Paul e Phoebe non hanno un momento libero e intimo da quanto è nato Damon, se non da prima, così io e Nina ci siamo offerti di tenere per loro Rachel e il piccolo per la serata e per la notte. Anche loro hanno tenuto qualche volta i gemelli, mi sembra il minimo ricambiare il favore.

 

“Se non esci da casa nostra ti prendo a calci!”- lo minaccio bonariamente, mentre sento Nina ridacchiare alle mie spalle.

 

Phoebe le sta dando le ultime cose per il bambino e le sta dicendo alcuni orari -penso quando deve bere il latte.

 

“Ho due bambini anche io, non preoccuparti.”- la rassicura Nina. -“Staranno benissimo.”

“Li porteremo domani mattina sul set.”- concludo io passando il bambino a Nina, che lo prende delicatamente tra le braccia.

“Grazie ancora.”- ci sorride Phoebe.

“E’ il minimo.”- le dice Nina toccando il naso di Damon. -“Staranno bene con noi.”

“Andate, altrimenti vi perderete la serata!”- concludo io.

 

Alla fine, dopo qualche altro minuto, Paul e Phoebe se ne vanno, lasciandoci soli con tutti i bambini a casa. 

Ricambiamo il favore e nel frattempo facciamo anche esperienza. E’ vero che Damon ha ormai tre mesi, però è pur sempre un neonato. 

 

“A che ora deve mangiare?”- chiedo a Nina.

“Phoebe ha detto che si farà capire quando avrà fame, ma preferibilmente tra due ore e mezza.”- mi dice lei.

“Pensi che ce la faremo?”- le chiedo dandole un bacio sulla fronte.

“Penso di si… Stefan e Joseph sono sempre stati bravi, in più quando sono con Rachel sono ancora più calmi, specialmente il primo… Rachel è un amore e Damon è piccolo, ma è comunque un angioletto…”- mi rassicura lei cullando piano il bambino.

“Non è che si sveglierà in piena notte urlando come un pazzo?”- le chiedo cautamente.

“E’ un bambino, molto probabilmente lo farà…”- ridacchia lei sfiorando una guancia del bambino.

“Addio sonno, quindi?”- le domando appoggiando il mento sulla sua spalla mentre guardo Damon.

“Forse si, forse no… Ci stiamo preparando per quello che avremo in futuro, no?”- mi dice lei.

“Mi sa di si.”- le dico sorridendo. -“Tra sette mesi, al posto di Damon, ci sarà nostra figlia.”

 

Nina alza gli occhi al cielo, ma non dice nulla.

 

“E se prendesse da Joseph saremmo fregati. Niente dormite per mesi.”- mi dice lei.

“Davvero?”- le chiedo curioso.

 

Effettivamente non mi ha mai detto molte cose dei gemelli da piccoli, forse è anche un po’ colpa mia. Ho visto tantissimi album fotografici, ho chiesto varie cose, ma sono sempre stato abituato a vederli da grandi.

Dovrò informarmi il più possibile, per conoscere qualcosa in più di loro e per il futuro che verrà.

 

“Si, Joseph non ha quasi mai dormito di notte per ben cinque mesi… Un po’ perché aveva il sonno agitato, un po’ per le coliche che non gli davano tregua… Ovviamente piangeva e beh… Svegliava anche Stefan che si univa a lui…”- ridacchia divertita al ricordo.

 

Guardo i nostri figli seduti in divano con Rachel al centro mentre ridono divertiti guardando un cartone. Sorrido automaticamente.

 

“Poi però si è calmato ed ha cominciato a dormire sempre di più… Ora non si sveglia nemmeno se cascasse il mondo.”- continua lei.

“Ha preso dalla mamma, insomma.”- concludo io divertito.

 

Nina si volta verso di me fintamente offesa.

 

“Anche tu non sei da meno, eh.”- ribatte lei. -“Non solo io.”

“No, certo che no.”- rido divertito. -“Chi ti sveglia alla mattina?”

“Okay, forse è vero, ma anche tu hai il sonno parecchio pesante!”- ribatte.

“Però più leggero del tuo!”- ribatto io.

 

Nina si siede su una sedia, tenendo tra le braccia Damon, mentre io mi occupo di accendere il forno per preparare la pizza. Si, i nostri figli hanno decido di mangiare la pizza questa sera, ma non quella che si compra, hanno voluto che preparassi l’impasto per poi divertirsi a decorarla -ovviamente dobbiamo ancora fare questo ultimo punto e si aggiungerà anche Rachel.

Joseph si alza dal divano e si avvicina a Nina per osservare il piccolo Damon che si sta per addormentare contro il suo braccio.

 

“Mamma, ma non può venire anche Damon a guardare i cartoni con noi? O è troppo piccolo?”- lo sento chiedere alla madre. -“So che non ci capirà nulla, ma magari si divertirebbe comunque.”

 

Nina gli sorride dolcemente prima di dargli una risposta.

 

“Hai ragione, non capirebbe niente perché è troppo piccolo e inoltre non ci vede ancora bene per riuscire a distinguere le figure alla televisione. Magari tra qualche mese si aggiungerà a voi per farvi compagnia.”- gli risponde Nina parecchio esaustiva.

 

Joseph prende una sedia e si siede accanto alla madre e sfiora delicatamente una gambina del bambino. Damon la muove leggermente, ma continua a tenere gli occhi semichiusi.

 

“Oh… Ma quindi mangia e dorme solo?”- gli chiede Joseph.

“Si, i neonati fanno solo questo.”- gli risponde Nina accarezzandogli con una mano i capelli.

“Ma è una noia mortale…”- borbotta Joseph.

“Per lui no, è ancora troppo piccolo per fare determinate cose. Anche tu da piccolo facevi le stesse cose, così come Stefan e anche Rachel.”- continua a rispondere Nina.

“Allora è bello essere grandi!”- ribatte Joseph incrociando le braccia al petto. 

“Goditela finché puoi!”- ribatto io divertito scompigliando i capelli di mio figlio, poi mi rivolgo anche all’altro mio figlio e a Rachel. -“Venite a preparare la pizza con me?”

 



 

Pov Nina.

I bambini non se lo fanno ripetere due volte e in meno di un minuto sono già tutti e tre pimpanti mentre seguono le istruzioni di Ian. Damon, intanto, si è addormentato tra le mie braccia, così decido di metterlo sul divano, molto più comodo dell’ovetto, ovviamente con le giuste precauzioni e i cuscini attorno che gli impediranno di cadere, in caso si muovesse. 

 

“Mamma, con cosa vuoi la pizza?”- mi chiede Stefan con la bocca tutta sporca di pomodoro.

 

Mi avvicino a lui e, dopo aver preso una salvietta, gli pulisco la bocca prima che possa sporcarsi i vestiti. 

 

“Fatela a vostro piacimento, a me non cambia.”- gli dico osservando anche Rachel e Joseph.

“Niente ananas questa volta?”- mi chiede Ian sorridendo sornione.

“Niente ananas.”- gli dico con un’alzata di spalle.

 

Alla fine i bambini, Rachel compresa, mi preparano una pizza niente male, con prosciutto, funghi, salame, pomodoro e tanta mozzarella. 

La serata trascorre tranquilla, ad un certo punto Damon comincia a reclamare il suo biberon e alla fine è proprio Ian, con qualche intoppo, a dargliela perché vuole fare pratica, a detta sua. Così, quando viene l’ora del cambio pannolino, lo faccio cambiare a lui, un po’ per fargli fare pratica e un po’ perché gli odori forti mi alterano parecchio e non è l’ideale. 

Decidiamo di guardare un cartone animato, per la gioia dei bambini, e ci sediamo in divano. Damon, con tutto il trambusto, non vuole addormentarsi e alla fine decido di tenerlo in braccio perché tutte le voci sembrano piacergli.

Ad un certo punto il telefono di Ian comincia a squillare e lui lo ignora.

 

“Dovresti rispondere.”- gli suggerisco, mentre i bambini continuano a guardare il cartone. 

“Sicuramente non è importante, godiamoci la serata.”- mi dice lui lasciandomi un bacio casto sulle labbra.

 

Il telefono diventa improvvisamente silenzioso.

 

“Visto?”- mi dice lui.

“Poteva essere Paul per sapere come stessero Rachel e Damon.”- gli ricordo.

“E va bene, adesso lo richiamo.”- mi dice lui afferrando il cellulare.

 

Ian prende il cellulare tra le mani e aggrotta le sopracciglia alla vista del numero. Non fa nemmeno in tempo a richiamare che il cellulare inizia a squillare di nuovo.

 

“E’ mia madre…”- mormora lui.

 

Ian si alza dal divano e si allontana di qualche passo per parlare con la madre, mentre io continuo a seguire il cartone con i bambini. Passano i minuti, poi sento i passi di Ian tornare in sala. Aspetto che torni accanto a me, per proseguire il cartone, anche se penso che molto probabilmente tra poco metteremo tutti i bambini a letto, ma non lo fa. Aspetto qualche secondo, ma rimane ancora lì, dietro di me. Decido di alzarmi, per vedere che cosa abbia o se sia successo qualcosa di grave, e mi avvicino a lui.

Incontro i suoi occhi, quasi indecifrabili, ma ci leggo dentro tantissime cose. E’ nervoso, spaesato, spaventato e triste. 

Cos’è successo?

 

“Ian… Cos’è successo?”- gli chiedo toccandogli un braccio.

 

Ian sussulta leggermente e sospira prima di parlare con voce tremante.

 

“Mio padre sta morendo.”

 

 

 

 

 

_______________________________

 

*Ilaria Urbinati, per chi non lo sapesse, è la stilista di Nina. 

 

Come avete visto questo capitolo non è stato assolutamente un miraggio.

I’m here, dopo mesi e mesi, con un nuovissimo capitolo. Le mie ragioni le avete lette nell’avviso che ho pubblicato una settimana fa, quindi non sto qui a dilungarmi. Voglio ringraziare tutte le dolcissime ragazze che in questi mesi hanno continuato a scrivermi dandomi per dispersa o credendo mi fosse successo qualcosa di grave. I vostri messaggi mi hanno fatto un sacco piacere e per qualsiasi cosa potete continuare a scrivermi, lo apprezzo davvero molto ^^

Poi vorrei ringraziare le quattro ragazze che hanno recensito il 50° capitolo, ovvero Percy_Styles, jo90, lilla 98 e Claugiuly28. Alcune di loro nuove, mentre altre di vecchia data e che non mi hanno mai abbandonato. Grazie mille a tutte, siete fantastiche, come sempre (a cui ora risponderò bene bene!).

Passo al capitolo, perché poi devo fare ulteriori ringraziamenti (si, non sono mai troppi).

E’ stato un capitolo abbastanza tranquillo, ma dove eravamo rimasti? Già, Nina è incinta (yep *___*), Ian è fuori di se, i bambini ancora non lo sanno, ma ci sarà ovviamente per questo. Gli unici che lo sanno sono i genitori di Nina (la madre ci è arrivata da sola, altrimenti sarebbe rimasto segreto ancora un po’). I nostri Nian, insieme ai nostri bambini preferiti, vanno ad una serata abbastanza importante e tutto va per il verso giusto, soprattutto per i bambini vestiti di tutto punto come il loro papà. Ma ve li immaginate due mini Nian (dai capelli scuri come quelli di Nina e gli occhi azzurri come il padre) in smoking? Ho avuto gli occhi a cuoricino per gran parte del capitolo. Questi capitoli, comunque, mettono in scena la loro vita quotidiana. Dopo una storia e mezza passata a scrivere disastri è giusto che questi due si meritino un po’ di relax. No, perché la bomba viene sganciata alla fine. Il padre di Ian, colui che non vede da una vita, sta morendo. Purtroppo questo è uno step che ho dovuto affrontare, ma lo scoprirete meglio nel prossimo capitolo. 

Non ho nient’altro da dire, solo Joseph che a quanto pare si è preso una cotta per Mavi (è la figlia di Stephen, Oliver Queen in Arrow, ed è una bambina bellissima e troppo forte, la amo!).

 

Dunque, per quanto riguarda gli altri ringraziamenti, arriviamoci subito (riporterò anche quello che hanno scritto con la mia risposta, perché comunque mi dispiacerebbe che non la ricevessero, in quanto hanno speso belle parole per me. Poiché andrò a cancellare l’avviso, ci tengo che abbiano una mia risposta!).

Ringrazio, in ordine di recensione, innanzitutto yogia_02

Io starò qui finché non leggerò la fine di questa storia dovesse essere anche tra 10 anni perché prima di tutto hai una vita e devi portarla avanti e solo in seguito quando ti sarai sistemata porterai avanti la storia perché come dice mia mamma :le cose devi farle quando te la senti, se non te la senti vengono male e allora non avrá senso averle fatte. Quindi tranquilla finisci i test d'ingresso (che tanto ti prendono all'universitá tranquilla), riprendi la tua vita e poi quando te la sentirai aggiorna che non se gli altri, ma io rimango ad aspettarti qua.

 

 

Grazie mille dell’appoggio carissima, veramente. Concordo anche sul discorso di sentirsele o meno. Più volte ho provato a mettermi e a pubblicare, ma sapevo che quello comunque non sarebbe stato il momento giusto. Ma ora, seppur a rilento, sono qui! Grazie ancora dell’appoggio, tu sei una di quelle che mi segue da tantissimo e ci tengo veramente a queste parole.

Un grosso abbraccio, alla prossima <3

 

Poi un ringraziamento a raffab_06:

Ehiii sono contenta che sei tornata e che continuerai ad aggiornare la storia.. anche perché è una Delle pochissime nel fandom "cast TVD" ad essere ancora aggiornata.. e poi è troppo bella per non sapere come va a finire..

Ti faccio un grande in bocca al lupo per mercoledì e spero di leggere presto un nuovo capitolo.. bacii

 

Grazie mille anche a te per le belle parole, gli incoraggiamenti e per essere ancora qui per questa storia. Ormai la sezione del cast e quella di The Vampire Diaries non è più seguita come un tempo e mi dispiace molto, ma ce ne faremo una ragione. Crepi il lupo, finalmente ho finito tutto e posso godermi un po’ di (meritatissimo) relax! 

Un grosso abbraccio anche a te, alla prossima <3

 

Un ringraziamento anche a Freeshane (vi consiglio di passare a leggere le sue storie, sono molto belle):

 

Ciao (: appena ho visto che hai aggiornato la storia sono corsa a leggere, io mi sono appassionata a questa long in questi ultimi mesi, in quanto sono una "novellina" in questo mondo o, almeno, sono qui da pochi mesi (precisamente dalla fine di tvd). Adoro la tua storia, adoro come scrivi e come hai rappresentato i personaggi, complimenti veramente, spero che potrai aggiornare al più presto, così posso lasciare la mia recensione :D Anche io mi diletto alla scrittura di qualche long, e anche io noto che qui ormai non c'è più nessuno che recensisce, o almeno ci sono molti visitatori ma poche recensioni, io credo che il bello di leggere una storia sia proprio quella di commentarla, anche facendo qualche critica, queste sono sempre costruttive. Infatti, ogni storia che seguo viene costantemente recensita, lo trovo anche corretto per le autrici/gli autori che si dilettano in questo! Ed è per questo che io sarò tra colore che ti seguiranno e sicuramente recensiranno :* A presto

 

 

 

 

Grazie infinite anche a te per avermi lasciato un commento di supporto. Seguo anche io le tue storie e con un po’ di tempo le recensirò, ma sappi che ho letto tutti i tuoi capitoli :)

Sono d’accordo anche io, i pareri delle altre persone (positivi e negativi) ci aiutano a crescere come scrittori/scrittrici ed è bello sapere che cosa si pensa in merito alla nostra storia. Le letture sono importanti, si, ma preferisco di gran lunga avere un dialogo con chi legge la mia storia :)

Sono felice che la mia storia ti piaccia. Un grosso abbraccio e alla prossima <3

 

Infine, ma non per importanza, semplicemente per ordine di recensione, ringrazio anche lilla 98:

 

Ciaooo sono felicissima che che sei tornata capisco benissimo sia la maturità sia i test d'ingresso ma non ti abbattere gli esami saranno anche peggio 😂😂 no dai a prate gli scherzi non ti devi preoccupare mi scuso se non ti ho scritto ma pensavo (cosa che mi è successa) che non volevi sempre ricevere messaggi su quando tornava la storia ho pensato visto che conosco la tua puntualità che era successo qualcosa e non volevo disturbarti ma se ti fa piacere sono felicissima di parlare con te imbocca al lupo per il test

 

 

 

Anche tu mi segui da una vita, quindi le tue recensioni e le tue belle parole mi onorano tantissimo (così come quelle delle altre). Speriamo che l’Università sia un tocca sana e spero veramente di fare quello che voglio, ma se non fosse così testa bassa e ci si riprova il prossimo anno ^^

Il resto lo sai già, ti ho risposto al messaggio! Un grossissimo abbraccio, alla prossima <3

 

 

Bene, ho finito! Alla prossima e grazie ancora per essere qui con me :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 52
*** Going on. ***


 

                                                    Going on



Pov Nina.

Ian tiene gli occhi fissi sulla strada e di tanto in tanto vedo le sue mani stringersi sul volante e le nocche diventare bianche. 

Siamo diretti verso l’ospedale perché è l’unica cosa che possiamo fare, visto le ultime notizie ricevute. I bambini, Damon e Rachel compresi, sono con i miei genitori a casa nostra, fortunatamente in questo momento possono prendersi cura di loro. 

L’uomo al mio fianco non ha detto molto dopo avermi rivelato che suo padre sta morendo, ma posso capire quello che sta pensando. Lui e suo padre non hanno mai avuto un rapporto dei migliori; forse quando Ian era piccolo avevano anche un bel rapporto, ma dopo la separazione dei suoi genitori si sono un po’ persi di vista. Ian si è allontanato dal padre, prendendo le parti della madre, e quest’ultimo non ha fatto praticamente niente per recuperare il rapporto con i figlio, se non vedersi qualche volta solo per assicurarsi che stesse bene. All’inizio, dopo la separazione dei suoi genitori (avvenuta quando Ian aveva circa tredici anni*), Ian ha continuato a frequentare il padre, ma poi il rapporto si è andato sempre più spegnendo. E Ian questo non gliel’ha mai perdonato, non gli ha mai perdonato il fatto di non averlo quasi mai cercato. Anche lui ha sbagliato, ma è così tremendamente orgoglioso e vuole sempre che siano gli altri a fare il primo passo -solo con me mette da parte l’orgoglio, me l’ha ripetuto molte volte. Anche il padre ha il suo stesso carattere, entrambi troppo orgogliosi per ammettere i propri errori, ma di fronte alla morte l’orgoglio, che si voglia o no, lo si mette sempre da parte. 

Ho provato a dirgli che sarebbe andato tutto bene, che suo padre non sarebbe morto, ma tutte le mie speranze sono crollate quando Ian mi ha risposto con un semplice ha un cancro al pancreas in stadio avanzato e lì tutte le mie speranze sono crollate perché un cancro al pancreas non lo curi, figuriamoci allo stadio avanzato. Non ci sono chemioterapie o operazioni che tengano, purtroppo è arrivata la sua ora. L’ho visto di persona una volta sola, tanti anni fa, e mi è sempre sembrato un brav’uomo e mi dispiace che gli stiano accadendo tutte queste cose perché, a dispetto di tutto quello che è accaduto tra lui e Ian, è sempre suo padre e un uomo. Nessuno merita di morire così.

Arriviamo in ospedale dopo quindici minuti circa e Ian trova subito un parcheggio libero. Spegne la macchina e scende, io faccio lo stesso prima che possa venire da me ed aprirmi la porta. 

E’ di umore nero e lo capisco perfettamente. Camminiamo fianco a fianco, senza dire una parola, perché in una situazione del genere le parole non servono. Prendo una sua mano tra la mia e lui mi rivolge un sorriso tirato -non per il gesto, l’ha apprezzato, ma perché non riesce a sorridere di fronte a tutto ciò. Ian chiede informazioni ad un’infermiera, che gentilmente ci da il numero della camera, e in fretta raggiungiamo la camera del padre. Fuori dalla stanza, sulle sedie verdi dell’ospedale, sono seduti Robyn e Bob con lo sguardo fisso sul pavimento. Si accorgono subito della nostra presenza e la prima ad alzarsi è Robyn che si getta sulle braccia di Ian iniziando a singhiozzare. Bob mi rivolge un saluto, ma capisco che questa non sia la situazione adatta per parlare. Decido di sedermi accanto a lui, perché è giusto lasciare qualche momento intimo anche a Robyn e Ian. Robyn continua a stringersi al fratello e Ian continua a parlarle all’orecchio, molto probabilmente la sta consolando.

 

“Come sta?”- chiedo a Bob.

 

Forse è una domanda stupida, ma non so che altro chiedere.

 

“I medici hanno detto che… Non c’è molto da fare…”- mi spiega lui e vedo le sue mani tremare leggermente. -“Non… Ha scoperto mesi fa di avere un tumore e… E lui non ci ha detto niente per… E ora sta morendo…”

 

Bob non è mai stato espansivo, ma decido di abbracciarlo comunque. Lui ricambia, ma non si lascia comunque andare. Infondo non sono né sua moglie e né sua sorella, ma l’importante è fargli capire che ci sono.

 

“Non voleva farvi preoccupare, ne sono sicura.”- cerco di consolarlo mettendogli una mano sulla spalla. 

“Avrebbe potuto… Avrebbe potuto dirlo prima… I medici sono dentro e lo stanno… Visitando… Hanno detto che ha pochi giorni di vita… Forse qualche settimana al massimo…”- mi spiega lui guardando un punto indefinito del muro. 

 

Rimango zitta, senza dire nulla. 

Che altro potrei dire?

Andrà tutto bene? 

Sicuramente no, perché non andrà tutto bene. Non so cosa vuol dire perdere un genitore -e non voglio sembrare egoista, ma per fortuna-, ma penso di sapere cosa stiano provando. Non in modo diretto, ma lo penso.

Non ci sono parole di consolazione a cui fare riferimento, a volte basta anche solo il silenzio. 

Qualche istante dopo un medico esce dalla stanza del padre di Ian e Bob si alza di scatto dalla sedia, mentre Ian e Robyn si avvicinano al medico, seguiti dal fratello. Non sento quello che il medico dice loro, ma forse è giusto così perché è una cosa loro.

Solo adesso noto che non c’è Edna, che aveva avvisato Ian -molto probabilmente perché Robyn non aveva nemmeno la forza di farlo-, ma come posso biasimarla? 

Si sono separati, hanno vissuto vite diverse, ad un certo punto bisogna lasciare andare una persona se non la si ama più e ormai non avevano avuto più contatti da tantissimi anni. 

Il medico parla per lunghissimi minuti, che sembrano quasi ore, poi alla fine si congeda sparendo dietro ad un’altra porta. Bob, ormai con gli occhi lucidi, dice qualcosa a Robyn, che annuisce debolmente asciugandosi con la manica della maglia le lacrime, e poi le indica la porta della camera del padre, mentre Ian, a grandi falcate, si allontana. E’ arrabbiato, forse deluso da se stesso. Lascio che passi qualche secondo, poi decido di alzarmi e seguirlo, perché sono preoccupata. Ian ha un carattere strano, ha la brutta abitudine di tenersi tutto dentro e poi, quando decide di buttare tutto fuori, succede una catastrofe.

Lo trovo accanto alle macchinette, con le mani appoggiate sul muro e le braccia distese, la testa tra le braccia e lo sguardo rivolto verso il basso. Mi appoggio a qualche metro da lui sul muro e non dico nulla, perché capisco perfettamente che debba mettere apposto le idee, ma non voglio comunque lasciarlo solo. 

E’ lui, dopo un tempo indefinito, a staccare le mani dal muro e ad accorgersi di me. Sembra sollevato dalla mia presenza per questo decido di muovere qualche passo verso di lui, per capire le sue intenzioni. Ian mi sorprende, un po’ come sempre. Mi abbraccia, semplicemente si stringe attorno a me, sempre comunque in modo delicato. Le mie braccia si stringono attorno al suo corpo mentre lui appoggia la fronte contro la mia spalla. 

 

“Vuoi parlarne?”- gli chiedo piano.

 

Lui scuote la testa e capisco che sta ancora metabolizzando la cosa, così lo stringo solo un po’ più forte, aspettando che sia lui a parlare e a sfogarsi. 

Ogni tanto lo sento sospirare pesantemente e penso che sia sul punto di scoppiare, ma tutto quello che c’è attorno a noi è il silenzio.

Alla fine decide di parlare, un po’ con la voce tremante e spezzata.

 

“Sta morendo… Lui… Non abbiamo mai avuto un bel rapporto e lui… E lui sta morendo…”- mormora lui. -“Forse avrei potuto fare di… Avrei potuto fare di più e lui… E lui sta morendo…”

 

Mi stacco leggermente da lui, tenendo comunque le braccia attorno alla sua vita.

Lo guardo negli occhi, tremendamente lucidi. E’ come pensavo, si sta addossando colpe che non ha.

 

“Non avresti potuto fare niente di più, okay? Il cancro non viene alle persone perché le si ignorano… Purtroppo ci sono forze più grandi di noi che ci controllano e lo fanno accadere, ma noi, poveri mortali, non c’entriamo nulla e non avremo potuto impedirlo.”- gli dico mettendogli una mano sulla guancia. -“So che sei arrabbiato con te stesso per una serie di motivi che magari non conosco, ma non avresti potuto fare di più, semplicemente perché è impossibile.”

“Non ho nemmeno il… Coraggio di guardarlo in faccia…”- balbetta lui passandosi una mano tra gli occhi. -“Non dopo come mi sono comportato…”

“Hey…”- lo riprendo dolcemente prendendogli il volto con entrambe le mani. -“Avete sbagliato, entrambi, nessuno dei due ha più colpa dell’altro e questo lo sai. Sei pentito di quello che è successo tra di voi e molto probabilmente anche lui lo è, ne sono sicura. Sei suo figlio, sangue del suo sangue, non un estraneo.”

“Robyn… Lei… E’ stata meno tempo di me con lui eppure… Eppure lei lo ama così tanto, lo ama… Immensamente… E poi lei ha già visto nostro padre…”- continua lui.

“Noi donne siamo più… Sentimentaliste.”- cerco le parole giuste. -“Ma questo non vuol dire che tu non gli voglia bene o che tu sia inferiore a Robyn. Uno dei tuoi problemi è sempre stato il fatto che tu sia orgoglioso e tremendamente testardo e molto probabilmente è proprio questo che ti sta frenando.”

 

Mi fermo per qualche istante alla ricerca delle parole adatte.

 

Puoi fare quello che vuoi, devi fare quello che vuoi, ma ti conosco, so che ti pentiresti a vita di non averlo nemmeno visto o salutato per l’ultima volta.”- gli dico dandogli un bacio sulla fronte.

 

Ian sospira pesantemente e con gli occhi sembra darmi ragione.

 

“Non sa nemmeno di avere due nipoti in più e uno in arrivo…”- mormora lui passandosi una mano tra i capelli.

“Di lei non sa nessuno.”- ribatto io passandomi una mano sul ventre e Ian sorride leggermente a quel lei, che ho messo nella frase volutamente, visto la sua ossessione sul fatto che quello che aspettiamo sia in realtà una bambina. -“Ma perché non dirgli dei gemelli? Sei ancora in tempo…”

 

Ed è vero, è ancora in tempo. I gemelli, effettivamente, non sanno di avere un altro nonno, ma non me l’hanno mai nemmeno chiesto forse perché non lo ritenevano opportuno. Sarà un duro colpo dirglielo -dirgli che hanno un nonno, di cui non sapevano nulla, ma che presto non ci sarà più-, ma è giusto che lo sappiano e anche anche il padre di Ian lo sappia, almeno questo prima di morire. 

 

“Loro… Come possono reagire sapendo che… Hanno un nonno che presto morirà?”- mi domanda lui.

“Lo so, non è una bella cosa e abbiamo dei figli parecchio empatici, ma hanno diritto di saperlo, così come tuo padre. Penso che ne sarà felice, così come i nostri figli, anche perché, se lo sapessero più avanti, quando lui non ci sarà più, e si rendessero conto che effettivamente abbiamo tolto loro la possibilità di conoscerlo, si arrabbierebbero a morte.”- gli faccio notare.

 

Ian annuisce debolmente, capendo le mie parole e le mie intenzioni.

 

“Come prima cosa potresti… Vederlo, no?”- gli propongo.

“Io… Non so nemmeno cosa dirgli, non… Non so nemmeno se sarò in grado a parlargli…”- ammette abbassando la testa.

 

Mi fa male così, devo ammetterlo. Non l’ho quasi mai visto in questa situazione perché è ottuso e abituato a tenersi tutto dentro, ma quando lo fa è una cosa struggente.

 

“Basta anche solo un semplice saluto… Non posso dirti cosa dirgli, è tuo padre e sono sicura che le parole, una volta entrato, usciranno da sole.”- gli dico accarezzandogli una spalla.

 

Lui finalmente alza lo sguardo su di me e, dopo avermi sorriso, seppur debolmente, mi lascia un casto bacio sulle labbra.

 

“Non so cosa farei senza di te, lo sai vero?”- mi chiede lui accarezzandomi una guancia con il dorso della mano.

 

Anche io non so cosa farei senza di lui, sinceramente.

 

“Sai che ci sono sempre per te, qualsiasi cosa accada.”- gli rispondo io con un sorriso sincero.

 

Ian mi afferra la mano, un po’ tremante, e ci incamminiamo insieme verso la stanza del padre, percorrendo vari corridoi.

Bob non c’è, presumo sia dentro, mentre Robyn è seduta su una seggiola con il cellulare in mano. Ian mi lascia la mano e si avvicina alla sorella sussurrandole qualcosa all’orecchio, ma quest’ultima scuote la testa e gli rivolge uno sguardo rassicurante.

Ian torna indietro da me passandosi una mano tra i capelli.

 

“Le ho suggerito di tornare a casa, ma non mi ascolta.”- mi dice lui.

“Vai dentro, proverò io a parlarci.”- mi offro.

“Io… Vorrei che tu venissi dentro con me…”- mi dice lui.

“Per quanto voglia starti vicino, e sai che lo voglio, devi entrare tu, da solo. E’ giusto che tu e tuo padre rimaniate da soli, avendo anche un confronto magari. Se è sveglio parlaci, senti libero di fare come vuoi, ma se entro con te, anche inconsciamente, non sarai lo stesso se invece entri da solo.”- gli dico.

 

E’ giusto che abbia un po’ di tempo con suo padre da solo, senza di me. E’ giusto che si sfoghi, che urli, che pianga anche, ma deve stare da solo con suo padre, solo così potrà arrivare ad una conclusione, cosa che con me non potrà mai fare. Ian sembra capire le mie parole e, dopo aver annuito ed avermi guardato per l’ultima volta, entra all’interno della stanza del padre.

 

“Non l’ho convinto nemmeno io, sai?”- mi chiede debolmente Robyn alzando lo sguardo verso di me.

 

Mi siedo accanto a lei per tenerle compagnia.

 

“Ha la testa dura…”- le dico fissando la porta verde della stanza. -“Bisogna spronarlo.”

“Ascolta solo te…”- continua lei.

“Non sempre.”- le ricordo io sorridendole debolmente. -“Come stai?”

“Vuoi una risposta seria? Non lo so. E’ vero, purtroppo, non so come mi sento. Arrabbiata, sicuramente… Triste, anche…”- mormora lei.

“Sono tutte emozioni giuste.”- le rispondo sospirando. -“E’ giusto provare tutto ciò.”

 

Qualche istante dopo Bob esce dalla stanza e, con mio sollievo, dietro di lui non c’è Ian, quindi molto probabilmente sta facendo la cosa giusta.

 

“Si stava svegliando quando sono uscito.”- ci avvisa. -“Penso che… Ian abbia diritto di rimanere solo con lui.”

 

So che è impossibile che tutto si aggiusti, ma spero che lo si faccia almeno in parte.

Bob decide di andare a casa e rifiuta gentilmente la mia proposta di dormire, almeno per la notte, a casa nostra, ma purtroppo non può trattenersi perché la moglie è via per lavoro e i suoi figli sono con gli zii e non se la sente di lasciarli da soli.

 

“Tu invece potresti. Andare a dormire, intendo. Starò qui io ad aspettare Ian.”- dico a Robyn porgendole il mazzo di chiavi. -“A casa nostra abbiamo molte stanze libere ed è tardi. Domani potrai essere ancora qui senza fare nuovamente tutta la strada. Bob non ha accettato, ma tu potresti.”

“Nina, io-”

“Non succederà nulla se dormi un po’. I bambini sono a casa di mia madre e noi penso che torneremo tra un po’.”- gli dico accennando con la testa la porta. -“Così domani mattina potrai venire liberamente qui.”

 

Robyn, dopo altri minuti passati a convincerla, accetta e mi ringrazia in mille modi, poi se ne va. 

Controllo l’ora al cellulare e mi passo una mano tra i capelli, esausta. Quasi mezzanotte. Decido di inviare un messaggio a Julie scrivendole che domani, per problemi che le spiegherò meglio, io e Ian non andremo a lavoro -Ian non è nelle sue piene facoltà e io non voglio lasciarlo da solo. Vorrei avvisare anche Paul e Phoebe, perlomeno dire loro che i bambini sono con mia madre, ma sicuramente interromperebbero la loro serata per correre in ospedale o a casa mia per recuperare i bambini e non voglio questo. Chiamo mia madre, per sentire come sta andando la situazione, e lei mi rassicura -ovviamente prima ha voluto sapere come stiano andando le cose e come stia Ian- sul fatto che i bambini siano già a letto, tutti e quattro, anche se un po’ turbati e curiosi per quello che sta succedendo -perché, ovviamente, non abbiamo detto nulla ai nostri figli, abbiamo trovato una scusa. 

Quando termino la chiamata ho gli occhi che si chiudono, così mi addormento, aspettando che Ian esca fuori. 

 

 




 

Tre settimane dopo.

                                                                                                                                (Dodici settimane)

Pov Ian.

Queste settimane sono state un inferno, il mio inferno personale, e ho trovato sollievo soltanto nella mia famiglia. Non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre -forse da piccolo, ma non vorrei andare oltre- e l’ho recuperato solo nelle ultime settimane. Abbiamo parlato, tanto, abbiamo messo da parte entrambi l’orgoglio -se c’è una cosa che mi ripete sempre mia madre è che l’orgoglio l’ho preso da lui, non da lei- e ci siamo chiariti su alcune cose. Siamo finalmente riusciti ad avere un rapporto, simile a quello che un padre ha con un figlio, e proprio quando l’avevamo raggiunto e sembrasse che stesse meglio è morto

Quando mia madre mi ha telefonato per dirmi che mio padre, non lo consideravo più così da tempo, era malato, non avrei mai pensato di sentirmi così alla sua morte. Ci sarei sicuramente rimasto male, ma non così, mi è crollato il mondo sotto i piedi e mi sono reso conto, effettivamente, di come tenessi a lui, nonostante tutto quello che è successo tra di noi. Mi sono reso conto che mi sarei sentito così anche se non l’avessi più visto e stabilire con lui un rapporto non ha fatto altro che aumentare il mio dolore. 

Nina mi è stata affianco, dal primo all’ultimo giorno. Mi è rimasta accanto nelle notti insonni,  ha sopportato i miei sfoghi, le mie paure, ha sempre saputo consigliarmi le cose giuste e riservarmi sempre una parola dolce. Devo essere sincero, non so cosa avrei fatto senza di lei. Sono adulto, so gestire il dolore, ma una settimana fa è comunque morto mio padre. 

I gemelli, fortunatamente, hanno fatto appena in tempo a conoscerlo. Mio padre non sapeva di loro, sapeva a mala pena che mi fossi sposato con Nikki ed è rimasto profondamente sorpreso quando gli ho raccontato quello che è successo in questi anni e che stessi con Nina. Non ha fatto domande, mi ha solo detto Ho sempre saputo che Nina sarebbe stata la tua anima gemella e mi ha chiesto, timido e impacciato, di poter scambiare qualche parola con lei e di vedere una foto dei gemelli. Nina ci ha parlato e l’ha subito colpito -in senso buono- come la prima volta, è riuscita perfino a convincerlo a mangiare il brodo, la classica brodaglia fatta di acqua e pastina, che i medici gli avevano consigliato, cosa che io non sono stato in grado di fare. 

E’ stato il primo a sapere, della nostra famiglia, della gravidanza. Nina ha trovato giusto, ed io mi sono trovato d’accordo con lei, fargli sapere del bambino -o della bambina- in arrivo, almeno avrebbe avuto il ricordo di suo figlio con due bambini e un terzo in arrivo. Non l’ha detto a nessuno, lo so, ma è stata una delle più belle notizie della sua vita perché le altre due, a detta sua, sono state quando gli ho detto di Nina e dei gemelli. 

E’ stato un po’ difficile comunicarlo ai miei figli, ma hanno accettato la cosa di buon grado, anche se, quando è morto, ci sono rimasti male e hanno sofferto, perché gli si erano affezionati subito.

 

 

 

 

 

 

“Papà, ma il nonno sta poco bene?”- mi domanda Joseph stringendomi leggermente la mano.

 

Stefan mi tiene l’altra mentre varchiamo la soglia dell’ospedale. Ieri sera ho rivelato ai miei figli dell’esistenza di un altro nonno e ho spiegato loro che purtroppo non sta molto bene. Loro, dopo un attimo di sbigottimento, hanno voluto sapere come si chiamasse e se avessero potuto vederlo. Stefan mi ha anche chiesto perché lui non fosse mai venuto a trovarci e ho spiegato che non fosse assolutamente per colpa loro, ma perché io mi ero un po’ allontanato da lui quando ero più giovane perché lui si era trasferito distante -una mezza verità detta in fin di bene. 

 

“Si, tesoro, non sta molto bene.”- gli rispondo io schiacciando il pulsante dell’ascensore. -“Per questo non dovremo fare baccano, okay?”

“Possiamo comunque dargli la torta, non è vero?”- mi chiede preoccupato Stefan reggendo spasmodicamente la borsa dove c’è la torta.

 

I bambini, quando si sono calmate un po’ le acque e assimilato le novità, hanno deciso di preparare la torta anche al loro nonno -perchè lo considerano già tale, anche senza nemmeno conoscerlo- e l’abbiamo messa in una borsa. Non so se possa mangiarla, perché fa fatica perfino a fare quello, ma penso apprezzerà il gesto.

Quando gli ho detto di aver avuto due figli da Nina e raccontato sommariamente cosa sia capitato tra di noi, dopo avermi rimproverato per come mi sono comportato -mi ha dato una bella strigliata, lo ammetto- ha subito espresso il desiderio di voler conoscere i suoi nipoti. 

 

“Certo, sono sicuro che gli farà piacere.”- sorrido a mio figlio.

 

Sto metabolizzando la malattia di mio padre e ci ho messo parecchi giorni per farlo. Sto realizzando quello che sta accadendo e sto cercando di prepararmi ad ogni possibilità, anche se è difficile.

Ovviamente non dico ai miei figli che i medici potrebbero anche decidere di non fargli mangiare la torta, ci rimarrebbero male, quindi è meglio omettere qualche particolare. 

Arriviamo davanti alla stanza di mio padre e nel momento esatto in cui stiamo per entrare esce dalla stanza un medico baffuto in camice bianco. 

 

“Salve, signore, possiamo farle una domanda?”- chiede Stefan al medico, un po’ titubante e un po’ timidamente.

 

Il medico, accorgendosi di noi, mi rivolge un cenno di saluto, poi annuisce dolcemente ai miei figli abbassandosi alla loro altezza.

 

“Lì dentro c’è nostro nonno.”- gli spiega Joseph indicando la porta della stanza. -“E noi abbiamo preparato una torta per lui.”

“Può mangiarne un pezzo? Sappiamo che non sta molto bene, ma solo un pezzettino, anche uno piccolo piccolo…”- lo supplica quasi Stefan.

“Anche perché il resto lo mangerai tu, goloso come sei!”- lo rimprovera Joseph.

 

Il medico baffuto scoppia a ridere divertito, poi annuisce.

 

“Se vostro nonno ne ha voglia perché no. Però non troppa e nemmeno tu dovresti mangiarne così tanta.”- risponde ad entrambi per poi rivolgersi a Stefan. -“Potrebbe venirti male alla pancia.”

“Va bene signore, farò il bravo.”- gli promette Stefan.

 

C’è qualche altro scambio di battute, poi il medico mi fa cenno di distanziarmi un po’ dai bambini per parlarmi. I miei figli rimangono buoni davanti alla porta, in attesa di entrare.

 

“Come sta?”- gli chiedo subito.

“I valori sono stabili, uguali a ieri, anche se la pressione risulta comunque bassa.”- mi spiega il medico.

“Non ci sono miglioramenti, quindi…”- deduco io. 

“A questo stadio ci saranno sempre e solo peggioramenti… Ma la visita dei bambini gli farà sicuramente bene o comunque alzerà il suo morale.”- mi dice il medico indicando Joseph e Stefan. -“E’ sempre bello avere attorno la famiglia e quei due bambini lo faranno veramente felice.”

 

Annuisco e, dopo averlo ringraziato, raggiungo i miei figli e faccio cenno loro di aprire la porta. La prima cosa che noto è mio padre steso sul letto, con la schiena rialzata con dei cuscini, e mi sembra di vederlo ancora più magro di ieri -sembra troppo piccolo perfino per il letto. Non ha troppi tubi attaccati al corpo, rispetto a ieri, e sono convinto che abbia pregato qualche medico per rendersi appena presentabile e per non spaventare i bambini, anche se comunque hanno già visto Nina in quelle condizioni.

Joseph e Stefan rafforzano di più la presa sulla mia mano, un po’ timidi e un po’ preoccupati, nel vedere per la prima volta il nonno. Mio padre si accorge quasi subito di noi e, non appena vede i gemelli, i suoi occhi si illuminano di gioia. E’ la prima volta che vedo il suo sguardo così vivo.

 

“Ciao, io sono Joseph.”- si presenta mio figlio avvicinandosi di qualche passo al letto.

“E io sono Stefan.”- gli sorride l’altro mentre alza la busta con la torta. -“Ti abbiamo portato una torta alla cioccolata. L’abbiamo preparata anche con la mamma, ma papà ci ha dato un grande aiuto perché… La mamma non è molto brava in cucina…”

 

L’ultima frase la sussurra in modo quasi confidenziale e questo fa scoppiare a ridere mio padre.

 

“Non so cosa dire, io… Grazie.”- sorride loro poi emozionato. -“Siete bellissimi e siete grandi. Quanti anni avete?”

 

Chiudo la porta alle mie spalle, in modo che non si sente il baccano anche fuori.

 

“Otto anni.”- gli risponde Stefan avvicinandosi al fratello.

 

Mio padre sembra concentrato, forse è impegnato nel cercare di capire come distinguerli perché sono praticamente uguali. Anche io le prime volte ho fatto veramente fatica, eppure sono il padre. 

 

“Wow, ma siete propio due uomini!”- esclama mio padre e i miei figli si sorridono orgogliosi. Ormai si considerano grandi e, ahimè, hanno ragione. -“Assomigliate tanto a vostro padre, lo sapete?”

“Mamma ce lo ripete sempre.”- gli dice Joseph. -“Anche se il naso l’abbiamo preso da lei… O meglio, papà ce lo dice.”

 

Ridacchio divertito. Diciamo che sono un perfetto mix tra me e Nina e, fortunatamente, il carattere sembra assomigliare più al suo.

 

“Oh, lo vedo. Avete anche il suo viso.”- annuisce mio padre. -“E ditemi… Andate a scuola, vero?”

 

I bambini annuiscono e gli spiegano che sono in seconda elementare, di come siano in grado di leggere, scrivere e quali siano le loro materie preferite. Stefan gli spiega che a lui matematica non piace e mio padre gli risponde dicendo che è proprio uguale a me. I bambini alla fine lo invitano a mangiare un pezzo di torta e mio padre ci obbliga a mangiarne un pezzo -per Stefan non è un vero e proprio obbligo, visto che non aspettava altro. Noto che mio padre non ne mangia molta, ma fortunatamente i bambini non sembrano notarlo. Non è perché non gli piaccia, perché la passione per il cioccolato, che poi ho trasmesso ai miei figli, l’ho presa da lui, ma proprio perché, a causa della malattia, non ha molto appetito. Nel giro di mezz’ora viene a conoscere tutta la loro vita, dal loro sport preferito, ai loro animali preferiti -sottolineano più volte di avere due cani, un gatto che Nina odia (a dir la verità Nina non odia Klaus, solo che distrugge praticamente tutto quello che incontra) e tre cavalli, di cui uno mio- fino ad arrivare a parlare delle cose più disparate, come le nostre ultime vacanze e altro. Passiamo circa due ore in sua compagnia, perlopiù parlano i bambini e mio padre, mentre io ogni tanto intervengo, poi siamo costretti ad andare via perché ha alcune visite da fare. 

 

“Mi hai fatto il regalo più bello di tutta la mia vita nel vederli.”- mi dice lui prima di andarmene. I bambini sono qualche metro più in là e stanno discutendo su un gioco. -“Sono due bambini meravigliosi e… Ti assomigliano così tanto.”

“Si, sono meravigliosi.”- gli rispondo guardando i miei figli. -“Avevano il diritto di… Conoscerti…”

“Ian, io… Grazie per… Per questo. Davvero io-”

 

Lo blocco, prima che possa dire altro.

 

“L’ho fatto perché lo sentivo ed era giusto così, non devi ringraziarmi.”- gli dico.

 

Non posso dirgli nient’altro perché alla fine arriva un medico e lo porta via.

 

 

 

 

 

 

 

E’ morto tre giorni dopo quell’episodio. Da quella sera ha cominciato ad avere un declino che è durato quasi tre giorni, poi si è addormentato per non svegliarsi più. I medici ci avevano avvertito, ma è sembrato che avesse fatto di tutto per rimanere vigile per vedere nipoti, poi si è lasciato semplicemente andare. 

Il funerale è stato… E’ stato un funerale. Tutte persone vestite di nero, me comprese, a commemorare un defunto. Mia madre è rimasta con noi per qualche minuto, poi se n’è semplicemente andata. Non ho mai saputo -e non ho mai voluto sapere- che cosa abbia spinto i miei genitori a separarsi, ma so, l’ho visto, che anche mia madre ha sofferto per la sua morte. Non c’erano molte persone, la mia famiglia e qualche parente suo. Ovviamente c’erano anche quasi tutti i membri del cast e sarò loro sempre infinitamente grato. I gemelli , ovviamente, non sono venuti perché non è giusto che dei bambini assistano ad un funerale e sono rimasti con i genitori di Nina. Quest’ultima, ovviamente, era al mio fianco. 

 

“Sei ancora qui fuori?”- mi chiede una voce alle mie spalle.

 

Sento una coperta appoggiarsi sulle mie spalle e un sorriso mi affiora tra le labbra. Nina si siede accanto a me e appoggia la testa sulla mia spalla.

 

“Ti credevo disperso.”- continua poi.

 

Sono seduto sugli scalini sotto il portico di casa nostra. Mi sono preso qualche minuto per riflettere. E’ tardi, i bambini sono già a letto, ed ero convinta che anche Nina fosse crollata, invece è qui, accanto a me.

 

“Avevo bisogno di qualche minuto per riflettere.”- le spiego. Mi volto verso di lei e noto che è avvolta in una coperta e sospiro di sollievo, almeno non prenderà freddo. -“Ero convinto fossi già a letto.”

 

Queste settimane sono state frenetiche e Nina, alla sera, arrivava esausta, un po’ come tutti. Ora, però, le cose stanno tornando alla normalità. Ci vorrà un po’ di tempo -molto tempo- perché mi abitui alla morte di mio padre, ma devo conviverci. E’ vero che non l’ho visto per anni, ma ho sempre saputo che fosse da qualche parte, ora, invece, non lo vedrò più perché non c’è più ed è diverso. Ci sono stato male, ci sto ancora male, ma non posso piangermi addosso perché ho una vita da vivere con la mia famiglia.

 

“Ci ho provato, ma poi ho preferito venire qui per vedere come stavi.”- mi sorride lei. -“Sei sicuro di stare bene?”

 

L’ultima frase è preoccupata.

Prendo il suo volto tra le mie mani e la bacio.

 

“Sto bene, non preoccuparti, avevo bisogno di qualche minuto per pensare, ma sto bene.”- le dico ed è vero. -“Stavo pensando a mio padre e… Sono felice che non se ne sia andato senza prima rimettere le cose apposto.”

“Lo meritavate entrambi.”- mi dice lei accarezzandomi una guancia teneramente. -“E sono felice che tu l’abbia fatto.”

“Devo ringraziarti, io… Penso che non avrei mai avuto il coraggio di farlo senza i tuoi consigli…”- ammetto.

 

Ed è vero, Nina mi ha fatto cambiare completamente idea, ma è sempre così: lei mi indirizza verso la strada giusta.

 

“L’avresti fatto anche da solo, ne sono sicura.”- mi dice lei fiduciosa. -“Qualcuno deve sempre consigliarti, ma in cuor tuo c’eri già arrivato da un pezzo.”

 

Nina si stacca da me e si alza rabbrividendo leggermente.

 

“Io vado dentro, si muore di freddo qui fuori.”- mi dice lei stringendosi la coperta al corpo. -“Rimani ancora un po’ fuori?”

 

Guardo per l’ultima volta il cielo stellato e sorrido, poi scuoto la testa e mi alzo. Prendo la mano di Nina e ne bacio le nocche, mentre l’altra mia mano si appoggia sul suo ventre leggermente gonfio. In queste settimane si è gonfiato, ma riusciamo comunque ancora a mascherarlo.

Abbiamo avuto una visita tre giorni fa, quella del terzo mese, e la ginecologa ci ha detto che molto probabilmente scopriremo il sesso attorno al quarto e non stiamo più nella pelle.

 

“Andiamo, ho voglia di coccolarti un po’…”- le dico baciandole dolcemente una spalla.

 

Ho semplicemente voglia di tenerla tra le mie braccia, in questo momento è lei la persona di cui ho più bisogno. Nina mi sorride dolcemente e insieme varchiamo la soglia di casa. 

 

 

 

 

 

 

__________________________________________________

 

*E’ vero, i genitori di Ian si sono separati quando lui aveva all’incirca tredici anni.


No, non sono un miraggio. Dopo un anno e un giorno (avrei voluto aggiornare ieri, ma ho avuto degli impegni) eccomi qui ad aggiornare di nuovo questa fanfiction. I motivi, in sè, sono sempre due. Il tempo (ah, beato chi ha tempo) e il seguito che è drasticamente diminuito, sempre nel corso del tempo. Sono consapevole anche io che ormai questo sito, in particolar modo nella sezione Cast The Vampire Diaries, The Vampire Diaries e The Originals sia diventato un mortuorio, ma le persone scrivono si, per se stesse, ma anche per gli altri e a tutti fa piacere ricevere qualche parere sulla propria storia, suppongo. A me fa un sacco piacere *^*
Ritorno qui per le ragazze che mi hanno sempre lasciato una recensione, ma, anche per molte di voi che nel corso di questo anno mi hanno scritto messaggi in privato chiedendo quando avrei aggiornato e se avrei mai aggiornato. Ringrazio anche alcune ragazze che ho conosciuto nella vita reale che ogni giorno mi bombardano di messaggi chiedendomi l'aggiornamento della storia, prima su tutti Mary (ciao Mary, ciao :*). Quindi grazie, grazie a tutte voi in primis (o a tutti voi? C'è qualche maschio che segue? Presumo di no).
Questo è un capitolo che mi farà un po' prendere decisioni sul futuro, perchè non ha senso continuare se la storia viene poco seguita, ecco.

Ma, tornando a noi. Nello scorso capitolo ci eravamo lasciati con una chiamata, in cui Ian veniva avvisato dello stato di salute del padre. In questo capitolo, invece, abbiamo visto due facce della stessa medaglia, il padre vivo e il padre morto. Vi sareste mai aspettate che il padre di Ian morisse proprio ora? Ovviamente qui, nella vita reale non so nemmeno chi sia o dove sia, ma ovviamente gli auguriamo tutto il bene del mondo, ci mancherebbe. Ian e il padre (ripeto, nella realtà so solo che i genitori di Ian sono separati, non so come vanno le cose tra loro) non hanno mai avuto un bel rapporto, entrambi troppo orgogliosi per capire i propri errori, ma, proprio quando sembrava tutto perduto, un barlume di rapporto si è riacceso in loro, complici Nina, che l'ha spronato, e i gemelli con la loro dolcezza (quanto mi erano mancati questi due nemmeno lo sapete <3). E' un capitolo incentrato su Ian, sulla sua famiglia, sul suo dolore, perchè, sebbene non avesse questo granchè di rapporto con il padre, è distrutto dalla sua perdita. Ho voluto poi fare un salto temporale di tre settimane e non ho raccontato volutamente il funerale, un po' perchè mi sarei allungata troppo, un po' perchè è sempre dura, anche per finzione, scrivere cose del genere. Ho amato la scena a 4, dei quattro Somerhalder. Papà- figlio, papà-nonno-nipoti/figli. Perchè, nonostante tutto, i nostri piccoli gemelli avevano il diritto di conoscere il loro nonno, così come quest'ultimo aveva il diritto di conoscere Joseph e Stefan (pucciosi, as always *^*). Niente, spero soltanto che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima <3

 

 

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Capitolo 53
*** Birthday and wishes ***


                                                 Birthday and wishes                                                                                                                                                



                                                                                                                                                          (
Tredici settimane)


Pov Nina.

Le ultime settimane sono state terribili e alquanto frenetiche. La notizia dell’imminente morte di Robert Somerhalder è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Purtroppo è rimasto in vita poco più di tre settimane, ma penso che siano state tre delle migliori della sua vita. Ian è ottuso e testardo, ma ha messo da parte questo lato del suo carattere e ha potuto finalmente riconciliarsi con il padre, perché altrimenti se ne sarebbe pentito a vita (come lui stesso ha ammesso). Anche i nostri figli hanno conosciuto il nonno e, anche se lo hanno conosciuto per poco, si porteranno dentro sempre un bel ricordo di lui.

Ian ha attraversato -e sta attraversando- un periodo difficile, ma sono sicura che si sia tolto un peso. Non che considerassi suo padre un peso, nel senso che dentro di lui c’è sempre stato il peso di non aver mai riallacciato i rapporti con suo padre. L’ha fatto tardi, ma l’ha comunque fatto.

Una settimana fa è stato anche il suo compleanno, un giorno prima della morte del padre e non ha voluto fare niente. Paul e gli altri avrebbero voluto organizzare qualcosa, magari a sorpresa, ma li ho fermati in tempo. Ian non era dell’umore adatto e, conoscendolo, una festa non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. E’ stato tutto il giorno in ospedale e se io e i bambini non gli avessimo fatto gli auguri, con tanto di regalo annesso -un nuovo orologio da parte mia e un due bracciali da parte dei bambini (fortunatamente sono riuscita a convincerli a non prendere esseri viventi, almeno per quest’anno)-, non se ne sarebbe nemmeno ricordato. 

Poi è stato tutto un susseguirsi di eventi e non abbiamo potuto festeggiare al meglio, per questo io e i bambini abbiamo deciso di prenderci due giorni liberi (io dal lavoro, loro da scuola) per organizzare qualcosa di speciale. Ovviamente ho già avvisato Julie anche per Ian -mi sono scusata per un futuro ritardo con le scene, ma lei è stata molto comprensiva ed ha capito che Ian ne ha bisogno. Ian ha bisogno di staccare la spina, liberare la mente, per quanto sia possibile, e di rimanere tranquillo.

 

“Mamma, porto io la borsa!”- mi blocca Joseph porgendomi una mano.

 

Ian è dovuto uscire per una commissione e rientrerà a breve. Io e i bambini stiamo finendo di sistemare le ultime cose in macchina ed effettivamente sto già cominciando ad avere la schiena a pezzi. Se non fossi incinta non sarebbe un problema, ma visto che lo sono lo è.

Tento di convincere mio figlio di non preoccuparsi, ma lui non mi crede e, prima che possa fare altro, ha già la borsa tra le braccia e corre verso la macchina. 

 

“Mamma, ho finito anche io.”- mi avvisa Stefan avvicinandosi a me.

“Bravo, tesoro.”- gli sorrido accarezzandogli i capelli.

 

Joseph torna dalla macchina e gli poso un bacio sulla fronte.

 

“Mi raccomando… Cosa vi ho detto prima?”- chiedo loro.

“Di non dire nulla a papà.”- mi dice Joseph.

“Esatto… Se lui domanda qualcosa dobbiamo sviare il discorso oppure dirgli che non possiamo dire niente.”- continuo io, poi guardo Stefan che, tra i due, è quello che riesce meno a trattenersi. -“Mi raccomando tesoro, acqua in bocca!”

“Certo mamma! Saprà cosa faremo soltanto quando saremo arrivati.” mi assicura Stefan solennemente.

Chi saprà cosa?”- domanda una voce alle nostre spalle.

 

Sussultiamo tutti e tre alla voce di Ian. Fortunatamente non siamo entrati troppo nello specifico e lui, per quanto possa aver sentito, non ha capito sicuramente niente.

Ci voltiamo tutti e tre verso di lui e ci sorridiamo complici. 

 

“Mi state nascondendo qualcosa?”- ci domanda Ian, mentre io e i nostri figli scuotiamo la testa in sincrono.

 

Ho guardato le previsioni centinaia di volte e hanno chiamato sole e caldo, per quanto possa essere caldo a dicembre. Però, effettivamente, questo è uno dei dicembre più caldi che abbia mai visto in vita mia, quindi la fortuna è sicuramente dalla nostra parte. E’ anche vero che i meteorologi non ci azzeccano quasi mai, ma prego sia così, almeno questa volta.

 

“Potremmo… Ma non saprai nulla per un po’…”- gli rispondo rimanendo sul vago. -“Rimettiti il giubbotto, dobbiamo andare.”

 

Ian mi guarda come se avessi preso una botta in testa.

 

“Andare dove?”- mi chiede lui.

“In cam-”- Stefan fortunatamente si blocca prima di dire dove effettivamente stiamo andando, questo grazie alle occhiate assassine mie e di Joseph. -“… Da qualche parte…”

 

Stefan non riesce a tenere molto bene i segreti, ma questa volta dovrà farlo, almeno per un’ora.

 

“Niente domande, dobbiamo andare.”- concludo io, prima che Stefan possa fare, involontariamente, altri danni.

“Nina, dove? Dobbiamo andare al lavoro e-”

“Niente lavoro per oggi.”- lo interrompo. -“Consideralo un regalo di compleanno in ritardo…”

“Mi avete già fatto un regalo di compleanno.”- obietta lui sollevando il braccio, nel quale si notano l’orologio e i due braccialetti.

“Per una buona volta puoi smettere di lamentarti e ascoltarmi?”- gli chiedo incrociando le braccia al petto.

 

I bambini ridacchiano divertiti, poi dicono al padre di muoversi e che ho ragione. Ian, un po’ titubante e un po’ curioso, si rimette il giubbotto. Chiudo la cerniera al mio, un po’ a fatica, e mi maledico mentalmente per prendere tutti gli abiti che mi calzano a pennello. Sono alla tredicesima settimana e la pancia ha già cominciato a gonfiarsi. Riesco a nasconderla con maglie larghe -che ho avuto l’intelligenza di comprare-, ma molti pantaloni ormai non riesco quasi più a chiuderli (Layla ha detto che con la seconda gravidanza la pancia tende a gonfiarsi di più della prima. Fantastico. E’ anche vero che la mia era più gonfia del normale perché aspettavo due gemelli…). Quando torneremo a casa dalla nostra mini gita devo rifare assolutamente il guardaroba. 

 

“Papà! Non devi spiare che cosa c’è dentro!”- lo rimprovera Joseph e Ian ridacchia divertito.

 

E’ un regalo di compleanno in ritardo ed è un preteso per passare due giorni da soli tra di noi, ma anche per risollevargli il morale. Ci vorrà del tempo perché digerisca la faccenda, ma è un bene che possa divertirsi e pensare ad altro.

 

“Va bene, va bene, ho capito. Salgo in macchina senza guardare nulla…”- si difende lui alzando le mani. 

“Ecco, bravo papà!”- gli dice Stefan spingendolo verso il sedile.

 

Ian, sotto le insistenze dei nostri figli, alla fine entra in macchina e noi facciamo altrettanto. Qualche minuto dopo siamo già in viaggio.

Tra le mani tengo il cellulare con le indicazioni stradali per raggiungere il posto perché, per quanto l’abbia scelto, non so la strada a memoria, cosa che Ian sa, ma per ora non sospetta niente. 

Lui tenta di sbirciare, ma io appoggio una mano sul telefono e sbuffa frustrato. Tra le altre cose che voglio fare in queste due giorni è dire ai bambini della gravidanza. 

Con Ian ne abbiamo parlato qualche settimana fa e, di comune accordo, l’avremo detto loro dopo il terzo mese e anche agli altri. Ovviamente i bambini devono essere i primi a saperlo, perché è giusto che lo sappiano noi e in un momento tranquillo, senza nessuno attorno.

 

“Mi potete dire dove stiamo andando?”- ci chiede Ian lamentandosi come un bambino.

 

E’ passata mezz’ora e dovremo arrivare all’incirca tra un quarto d’ora. Ian è troppo impegnato a piagnucolare come un bambino per accorgersi bene della strada.

 

“Papà, non possiamo dirlo!”- gli ricorda Joseph.

“Già, la mamma ci ha fatto promettere di non dirlo!”- continua Stefan.

 

E’ vero e spero che possano mantenere la promessa, anche se è molto  facile corromperli.

 

“Quindi chi devo corrompere per farmi dire dove stiamo andando?”- chiede lui e gli indico di svoltare a destra. Lui lo fa, poi continua imperterrito con le sue domanda. -“Dai, Neens, puoi dirmelo ora.”

“Se non continuassi a piagnucolare come un bambino”- inizio grave, mentre i bambini ridacchiano. -“ti saresti già accorto dove stiamo andando, o comunque l’avresti intuito.”

 

Ian mi guarda sporgendo il labbro inferiore, poi continua a tenere gli occhi fissi sulla strada. 

Passa qualche minuto in silenzio, molto probabilmente cercando di capire dove stiamo andando con l’informazione che gli ho dato, poi vedo le sue labbra piegarsi in un sorriso spontaneo -sorriso che ho visto pochissimo nelle ultime settimane. 

 

“Andiamo in campeggio?”- mi chiede lui eccitato.

“A quanto pare…”- gli rispondo con un’alzata di spalle.

“Papà, finalmente!”- esclamano i nostri figli all’unisono.

“Già, ce ne hai messo di tempo.”- gli faccio notare.

 

Ormai non serve più che gli dica dove svoltare, perché Ian ha già accelerato e sta continuando per conto suo.

 

“E’ da una vita che non vado in campeggio!”- continua lui sorridendo come un bambino. Già, ha quarantasei anni appena compiuti ed è felice come un bambino di cinque. -“E’ fantastico!”

 

Il tempo si dimezza e in poco più di dieci minuti siamo arrivati. Ian parcheggia la macchina sullo spiazzo di terra e scendiamo tutti insieme.

 

“Ma quindi abbiamo le t-”

 

Lo blocco, prima che possa dire altro. Gli indico un punto non molto lontano, dietro i due alberi. Il terreno è di Ian, quindi non c’è stato nessun problema ad organizzare il tutto. L’uomo al mio fianco sgrana gli occhi non appena vede una roulotte. Non è la roulotte di Ian, o almeno, lo è appena diventata. L’ultima roulotte che Ian ha avuto l’ha venduta ancora qualche anno fa. Me l’ha raccontato qualche mese fa mentre stavamo parlando proprio di questo. La roulotte che Ian sta guardando con occhi spalancati è la roulotte di suo padre e l’ha regalata a lui.

Ian ha sicuramente intuito di chi fosse quella roulotte e mi guarda, in attesa di spiegazioni, ma con sguardo curioso ed emozionato.

 

“Tuo padre ha sempre saputo quanto ci tenessi a quella roulotte e ha deciso di regalartela. Ecco qui.”- gli spiego e gli porgo due fogli, che precedentemente ho tirato fuori dalla tasca. -“Sono l’atto di proprietà e quello di passaggio, ora è tua.

 

Ian ha preso la passione del campeggio dal padre e da piccolo ogni tanto si è assentato con lui per qualche giorno per stare in mezzo alla natura e, ovviamente, quella roulotte risale a quel tempo. Negli ultimi anni è stata modificata e sono stati aggiunti parecchi comfort. Non che in campeggio serva chissà che, ma con l’avanzare del tempo, a ragion di logica, ha dovuto subire delle modifiche per farla adattare meglio a qualsiasi evenienza.

 

“Dici… Dici davvero?”- mi chiede lui rigirandosi i fogli tra le mani.

 

Annuisco. Io e Robert un giorno abbiamo avuto un po’ di tempo per parlare e mi ha rivelato questo desiderio ed io gli ho fatto reperire i fogli. Robert ha sempre saputo quanto Ian ci tenesse e ha voluto fargli un regalo d’addio.

 

“Papà, ti piace?”- gli chiede Joseph picchiettandogli una mano sul fianco. -“Zia Robyn l’ha portata qui.”

“Ovviamente è stata Robyn a portarla qui, questa mattina.”- gli spiego vedendolo leggermente confuso.

 

Ian di slancio mi abbraccia e invita i nostri figli ad aggregarsi.

 

“Non potevo… Non potevo desiderare un compleanno migliore…”- mormora lui baciandomi castamente. -“In mezzo alla natura e con la mia famiglia.”

“Sono contenta che tu abbia apprezzato.”- gli sorrido accarezzandogli un braccio. -“Ora però dobbiamo sistemare un po’ di cose, no?”

 

I bambini annuiscono e si lanciano sulla macchina per tirare fuori le borse. Faccio per avviarmi anche io, per aiutare, ma Ian mi blocca.

 

“Hai già fatto abbastanza e non devi sollevare cose pesanti.”- mi ricorda lui.

 

Roteo gli occhi al cielo.

 

“Non sono invalida, sono incinta.”- gli sussurro. -“Sono in grado di portare delle borse, almeno quelle leggere.”

“Assolutamente no.”- nega lui categorico scuotendo la testa, per dare maggiore enfasi alla frase. -“Tu puoi stare qui tranquilla, oppure sederti in macchina mentre noi finiamo di scaricare le cose.”

 

Guardo Ian per ribattere qualcosa, ma il suo sguardo mi dice che qualsiasi cosa gli dirò non verrà presa in considerazione.

Gli mostro le chiavi della roulotte.

 

“E’ meglio che vada ad aprirla…”- mormoro sconsolata.

“Si, esatto.”- conferma lui dandomi un bacio sul naso.

 

Mi avvio verso la roulotte, mentre Ian e i bambini si impegnano a scaricare la macchina.

 











 

                                                                  * * * 

 











 

Abbiamo sistemato tutto dentro la roulotte. I bambini hanno voluto portare anche delle tende, perché così faceva più campeggio, ma è logico che dormiremo dentro la roulotte con l’aria calda, perché sebbene di giorno si stia benissimo, di notte le temperature calano. La roulotte è abbastanza grande da contenerci comodamente tutti e quattro. Ha un letto matrimoniale, un bagno con tutto l’occorrente, una cucina con un bel tavolo e delle sedie e un divano. Oltre al letto matrimoniale abbiamo fatto aggiungere, io e Robyn, due brande per i bambini e dopo decideremo sul da farsi per quanto riguarda la notte. Abbiamo messo il cibo nel frigo, precedentemente contenuto in alcune borse frigo, e sopravviveremo perfettamente in questi due giorni. Dormiremo una notte e saremo di ritorno domani sera.

 

“Ian, stavo pensando a una cosa…”

 

Sono appoggiata con la schiena, sorretta comunque da un cuscino, alla roulotte e seduta sopra una coperta. Ian sta cuocendo delle bistecche e le salsicce sui ferri e i bambini stanno giocando a palla poco distante da noi. 

 

“Potremmo… Credo sia l’occasiona adatta per dire ai bambini della gravidanza.”- gli dico guardandolo negli occhi.

 

Ian si stacca dai ferri e si avvicina a me. Sembra pensarci qualche istante, poi annuisce.

 

“Mi sembra una buona idea, giustamente devono saperlo prima degli altri.”- concorda lui accarezzandomi la fronte. -“Quando vorresti dirglielo?”

“Quando verranno qui…”- gli dico sospirando guardando i bambini. -“Mi auguro solo che la prendano bene.”

 

Se fino a pochi secondi fa ne ero sicura, ora non lo sono più.

 

“Andrà tutto bene, vedrai.”- mi dice lui abbassandosi alla mia altezza. -“Ne saranno entusiasti.”

“Lo spero, non voglio che si sentano messi da parte…”- mormoro.

“Non si sentiranno messi da parte, secondo me ne saranno contentissimi.”- mi dice invece lui dandomi un bacio sulle labbra. Stiamo qualche secondo così, labbra contro labbra, poi riprende a parlare. -“Stiamo parlando dei nostri figli, li conosciamo, sono dei bambini intelligenti e buoni.”

“Lo so, ma-”

“Non eri tu quella convinta che sarebbe andato tutto bene?”- mi domanda lui pizzicandomi un fianco. -“Mi hai passato il testimone?”

 

Scuoto la testa sorridendo. I bambini intanto ci raggiungono e appoggiano la palla accanto a una ruota della roulotte. 

 

“Papà, è pronto?”- chiede Joseph.

“Certo, correte a lavarvi le mani.”- gli risponde Ian. 

 

I bambini, dopo essersi tolti le scarpe, corrono dentro la roulotte a lavarsi le mani. Dopo qualche minuto sono di nuovo fuori con addosso le scarpe. Ci accomodiamo tutti e quattro a tavola (una tavola di plastica allestita fuori la roulotte con quattro sedie di plastica) e Ian mette le bistecche e le salsicce sul piatto di ognuno e il mio stomaco fa una capriola. 

Stavo morendo di fame. Okay, è vero che ho mangiato meno di un’ora fa delle patatine, ma non è colpa mia se ho continuamente fame e devo mangiare per due. Ian mi guarda divertito mentre mi metto la maionese e la mescolo con il ketchup per fare la salsa rosa e io gli faccio la linguaccia di rimando, poi anche i nostri figli reclamano i tubetti di salsa così li passo anche loro. 

Mangiamo in tutta tranquillità ridendo e scherzando tra noi, come al solito, poi lo sguardo di Ian incontra il mio e non ho bisogno di parole per capirlo. E’ il momento adatto per dirglielo.

 

“Joseph, Stefan, io e papà vorremo dirvi una cosa.”

 

Stefan e Joseph alternano lo sguardo da me e Ian in attesa di quello che abbiamo da dirgli.

Dio, forse dovrei farlo fare a Ian, non so nemmeno da che parte cominciare. Non capisco perché mi stia facendo così tanti problemi e perché abbia così tanta paura che i miei figli possano prenderla male. 

Sono bambini intelligenti, buoni e sensibili, non dovrebbero prendere male una notizia del genere. Li conosco, so che non lo farebbero, eppure sono lo stesso spaventata. So che hanno reagito male quando Ian ha detto che Nikki aspettava un bambino e che presto avrebbero avuto un fratellino o una sorellina e forse è per questo. Ma io non sono lei, sono la loro mamma.

E’ Ian a prendere in mano la situazione, ancora una volta.

 

“Io e la mamma volevamo parlarvi di qualcosa di molto importante.”- inizia Ian con un sorriso.

“L’abbiamo capito, papà.”- lo blocca Joseph.

“Già, ce l’avete già detto.”- continua Stefan roteando gli occhi al cielo.

“Già, uhm…”- balbetta Ian grattandosi la testa leggermente spiazzato, ma i nostri figli continuano a guardarci curiosi.

 

Mi faccio un po’ di coraggio ed intervengo io, perché prima o poi avrei dovuto farlo, ed è meglio prima.

 

“Io e papà, un po’ di tempo fa, abbiamo parlato di allargare la famiglia.”- dico loro e si fanno ancora più attenti. 

“Compriamo un altro cucciolo?”- mi chiede Joseph allegro. -“Magari un altro gatto, almeno farà compagnia a Klaus!”

“Si, un altro gatto! Così Klaus non distruggerà più nulla!”- continua Stefan entusiasta.

 

Io e Ian ci scambiamo uno sguardo pieno di significati. 

I bambini hanno frainteso.

 

 

“Non parlavamo di un gatto…”- li corregge Ian dolcemente. -“Ma di qualcosa di ancora più bello, non che un animale non lo sia, sia chiaro, ma vostra madre intendeva qualcos’altro.”

“E arriverà tra qualche mese, ma noi ve lo diciamo adesso perché dobbiamo… Prepararci… Ed inoltre vogliamo che siate i primi a saperlo.”- continuo io lasciando una carezza ad entrambi. 

“Oh, allora è importante.”- conclude Joseph seriamente.

“Molto.”- gli da man forte Stefan. -“Che cos’è?”

“Non sono stata molto bene ultimamente perché il mio corpo sta cambiando per qualcun altro… O qualcun’altra.”- mi correggo, non vorrei che Ian se la prendesse. Si, è ancora convinto che sia una femmina e penso che gli rimarrà questa convinzione.-“Tra qualche mese arriverà un bambino o una bambina a farvi compagnia.”

 

Joseph e Stefan spalancano leggermente la bocca e rimangono zitti. Non si muovono neppure. Si guardano negli occhi e non si sa chi voglia parlare per primo.

 

“Quindi… Vuol dire che… Avremo un fratello o una sorella?”- ci chiede Stefan inclinando la testa di lato. -“Come Rachel ha avuto Damon?”

 

Io e Ian annuiamo, il concetto è proprio quello

 

“E dov’è ora? Perché non è qui subito?”- ci chiede Joseph.

“Nemmeno Damon è arrivato subito.”- gli ricorda Stefan, poi si volta verso di noi. -“Già, ma dov’è comunque?”

 

La mano di Ian scivola sul mio ventre e si ferma lì.

 

“E’ qui dentro e sta crescendo.”- sorride loro.

“Ma come fa a starci un bambino lì dentro?”- chiede di nuovo Joseph. -“Avrai anche tu una pancia grande come zia Phoebe?”

 

Annuisco e faccio una smorfia. Tra qualche mese avrò una pancia così ingombrante che farò fatica a fare tutto, ma ne varrà la pena.

 

“Oh ehm… Quindi ora è molto piccolo se non si vede la pancia… Giusto?”- mi chiede Stefan. 

“Si, è ancora molto piccolo.”- gli sorrido. -“Ci vorrà ancora qualche mese, poi sarà qui, con noi.”

“E noi saremo i fratelli più grandi, giusto?”- domanda Joseph. -“I fratelli maggiori.

“Si, esatto, e sono sicura che imparerà moltissime cose da voi.”- sorrido ai miei figli.

“Ma sarà un altro maschio come noi? O una femmina?”- chiede Stefan aggrottando le sopracciglia. 

“Ancora non si sa, lo scopriremo tra qualche settimana.”- gli risponde Ian, poi si volta verso di me in attesa di una conferma.

 

Annuisco al suo indirizzo.

 

“E potremo giocarci, vero?”- mi chiede Joseph abbassando lo sguardo sulla mano di Ian, ancora sul mio ventre. -“Ovviamente quando crescerà.”

“Certo che potrete.”- gli rispondo dolcemente accarezzandogli i capelli scuri. -“E gli insegnerete un sacco di belle cose… A colorare, ad andare in bici, a nuotare…”

“Anche a giocare a calcio!”- trilla Stefan. -“Ma se fosse una bambina… Forse… No, giocherà a calcio anche lei.”

“Le bambine fanno danza.”- gli risponde Joseph. -“Rachel fa danza.”

“Oh, ma potrebbe giocare a calcio comunque, se le piacesse.”- chiarisco le cose. -“Potrà fare qualsiasi cosa, così come voi. Se vorrà fare danza farà danza, se vorrà giocare a calcio farà calcio…”

“Già, hai ragione, mamma.”- ammette Joseph. -“Ma… Non saremo obbligati a giocare con le bambole, vero?”

 

Perché stiamo parlando supponendo che sia già una femmina?

Sono così identici al padre.

 

 

“Beh… Qualche volta potrete… Aiutarla…”- mormoro ridacchiando.

 

Ian, alle mie spalle, soffoca una risata contro il mio collo.

 

“Io con le bambole non ci gioco.”- decide Stefan, ma so che lo farebbe comunque, se fosse il caso.

“Le insegneremo a giocare con le macchine e i soldatini Stef. Potremo costruire degli accampamenti a casa!”- lo rassicura Joseph.

“Nostra figlia non diventerà un maschiaccio, vero?”- mi sussurra Ian all’orecchio. 

“Punto primo, potrebbe anche essere un maschio.”- gli faccio notare e lui rotea gli occhi al cielo. -“Punto secondo, potrà giocare con cosa vuole ed essere chi vuole.

“Però staremo attenti.”- ci rassicura Joseph e anche Stefan annuisce. -“Se un bambino è piccolo può farsi male facilmente e io non voglio che si faccia male.”

“Già, staremo noi attenti. Nessuno le farà del male.”- continua Stefan incrociando le braccia al petto. -“Vero che nessuno le farà del male?”

“Certo che no.”- lo rassicura Ian.

“Staremo attenti noi.”- conclude Stefan lo stesso.

 

Io e Ian ci scambiamo uno sguardo d’intesa e sorridiamo. Sono passati dallo stupore ad essere iper protettivi in cinque minuti e sono già entrati perfettamente nei panni dei fratelli maggiori.

Non sembrano averla presa male, per fortuna.

 

“Sono felice.”- conclude Stefan sorridendo. -“Avremo qualcun altro con cui giocare e stare insieme.”

 

Le parole di Stefan mi fanno completamente sciogliere. Mi accorgo di avere le lacrime alle guance quando Ian mi tira un colpetto sul braccio e mi porge un fazzoletto.

Non è colpa mia se ho gli ormoni in subbuglio e la situazione non aiuta.

 

“Mamma, non piangere.”- mi consola Joseph gettandomi le braccia al collo. -“Siamo felici sul serio!”

“Sto… Io… Non sto piangendo o meglio… Lasciamo perdere… Sono contenta che l’abbiate presa così.”- concludo io.

“Come avremo dovuto prenderla?”- mi domanda Stefan inclinando la testa di lato.

“Niente, non preoccupatevi.”- taglia corto Ian. In effetti non mi hanno mai dato motivo di pensare che avrebbero potuto essere gelosi. Sono due, ma hanno sempre avuto tutto e non sono mai state fatte preferenze, come giusto che sia, quindi non sanno nemmeno cosa significhi gelosia tra i fratelli. -“La mamma è solo un po’ troppo emotiva.”

“Hey, non prenderti gioco dei miei ormoni!”- ribatto offesa facendo ridacchiare i bambini. 

“Mamma? Mai sei stata poco bene per questo?”- mi chiede Joseph pensieroso. -“Perché sei stata poco bene?”

“Tesoro, non preoccuparti, capita.”- lo rassicuro accarezzandogli i capelli.

“Ma anche con noi sei stata male?”- mi chiede Stefan.

 

La gravidanza con loro è stata particolarmente difficile, ma diciamo che le nausee erano meno intense di adesso.

 

“Ma capita a tutte le mamme, non è colpa di nessuno.”- rassicuro anche lui dandogli un bacio sulla fronte.

 

Ian, dietro di me, avvolge entrambe le braccia attorno alla mia vita.

 

“Anche noi eravamo dentro la tua pancia?”- mi chiede Joseph.

“Si, certo, eravate proprio qui.”- gli dico indicandomi il ventre, dove c’è appoggiata la mano di Ian.

“E c’era abbastanza spazio per tutti e due?”- mi chiede Stefan inclinando goffamente la testa di lato.

“Abbastanza, anche se più di qualche volta vi siete presi a calci.”- ridacchio al ricordo.

 

Già, loro due si sono mossi parecchio.

 

“Ma si muove anche lei?”- ci chiede Stefan.

“Non ancora, ci vorrà un altro po’.”- gli risponde Ian.

 

Stefan tocca delicatamente la mia pancia, coperta dalla maglietta, quasi per paura di farmi del male. Afferro con delicatezza la sua mano e gliela faccio appoggiare, poi faccio la stessa cosa con Joseph.

 

“Non vi morde mica da qui dentro.”- dico loro facendoli sorridere, anche se so che hanno paura di fare qualcosa di sbagliato, ma non è così. -“Non succede nulla se ci appoggiate la mano.”

“Ma lì dentro sta al sicuro, quindi?”- domanda Joseph.

“E’ il posto più sicuro, questo.”- gli rispondo. 

“Mamma, papà, ma… Come ci è finito lì dentro un bambino?”- ci chiede Stefan con sguardo curioso. 

 

Ian dietro di me quasi si soffoca con qualsiasi cosa stesse bevendo, mentre io impallidisco leggermente. 

Come si può spiegare a due bambini di otto anni che cosa sia successo? Non si può spiegare.

Ian una volta ha detto loro la storia della cicogna, ma effettivamente qui non reggerebbe il confronto (e penso siano troppo grandi per crederci ancora). 

 

“Ve lo spiegheremo un’altra volta, okay?”- cerca di uscirsene così Ian.

 

Ovviamente i bambini non demordono, non sarebbero i nostri figli altrimenti.

 

“Ma papà… Tu hai sempre detto che i bambini li porta la cicogna, ma come fanno a finire dentro la pancia delle persone? Non ha senso!”- ribatte Joseph.

 

Una risata, un po’ divertita e un po’ isterica, mi esce dalle labbra. Mi alzo, sotto lo sguardo sbigottito di Ian, e fingo uno sbadiglio.

 

“Dove vai?”- mi chiede lui in panico.

 

Ha sempre fatto battute su questo e io una volta gli ho fatto promettere -e lui sicuramente non se lo ricorda più- che avrebbe affrontato lui questo argomento, quindi per me è ora di togliere le tende e magari andare a fare un riposino. Cosa che voglio fare assolutamente, un po’ per ripicca, un po’ perché effettivamente sono parecchio stanca.

 

“Sono stanca, penso andrò a dormire un po’.”- gli dico con un’alzata di spalle.

“Cos… Cosa? No, vieni qui, non puoi abbandonarmi così, Nina-”

“Fate i bravi con papà, mi raccomando.”- dico ai miei figli.

 

I bambini annuiscono, poi incalzano Ian con altre serie di domande. Quest’ultimo mi lancia uno sguardo supplichevole, ma io, dopo avergli dato un bacio sulle labbra, che sa anche un po’ di vendetta, mi ritiro nella roulotte.

 











 

                                                                 * * *

 















 

Abbiamo fatto promettere ai bambini di non dirlo a nessuno, di tenere il segreto ancora per un po’. 

I bambini ce l’hanno promesso e spero con tutto il cuore che riescano a mantenerlo ancora per qualche settimana. Io e Ian abbiamo intenzione di dirlo alla classica festa, prima di Natale, con il cast. Ovviamente a Candice, Phoebe, Paul e a Julie, lo dirò prima, mi dispiacerebbe che lo venissero a sapere con tutti gli altri. Meritano di saperlo prima e in tutta tranquillità, anche se sarà difficilissimo far tenere la bocca chiusa a tutti e tre, in maniera particolare alle prime due. 

I miei genitori già lo sanno, le uniche persone, oltre al cast, che devono ancora saperlo, sono mio fratello, la madre di Ian, sua sorella e suo fratello. A Natale, non ho ben capito se a pranzo o cena, o se addirittura a tutti e due, dovremmo fare qualcosa per riunire tutti e abbiamo pensato che sarebbe carino dirlo il giorno di Natale. 

 

“Sei stanca?”- mi chiede Ian apprensivo una volta messi a letto i bambini.

“Un po’.”- gli dico sinceramente sedendomi sul letto della roulotte, con la schiena appoggiata alla testiera. 

 

Ian si siede sul letto, accanto a me.

 

“Non saremo dovuti andare a camminare.”- mi fa notare lui lasciandomi un bacio leggero tra i capelli.

 

Dopo il mio sonnellino pomeridiano alla fine abbiamo deciso di andare a camminare un po’ per i boschi, finché la luce e le temperature ce l’hanno permesso. I bambini si sono divertiti un sacco e anche a me è piaciuto, ma sono stanchissima e ho male ai piedi. A giudicare dalle mie dita si sono anche gonfiati, cosa comunque normalissima in gravidanza.

 

“No, è stato bello fare una passeggiata all’aria aperta.”- lo rassicuro.

 

E comunque lo penso veramente. 

 

“Posso fare qualcosa?”- mi domanda lui. -“Ti fanno male le gambe per caso?”

“Magari fossero quelle…”- sospiro raccogliendomi i capelli in uno chignon. -“Ho i piedi a pezzi.”

“Allora ci penso io.”- mi dice lui spostando le mani sulle mie gambe. -“Tu rilassati.”

 

Le mani di Ian corrono veloci lungo i miei piedi e i suoi tocchi mi fanno rilassare all’istante. Non so per quanto tempo continua così, non so nemmeno se parliamo. Tutto quello che so è che, poco dopo, cado in un sonno profondo. 

 

 

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Lo so, torno ad aggiornare dopo più di un mese, ma ho avuto un sacco di cose da fare per l'Università, ma eccomi qui con un nuovo capitolo.
Ci tengo prima, però, a ringraziare le amorevoli ragazze che hanno lasciato una recensione al precedente capitolo e che, come sempre, non abbandonano mai questa storia. Ovviamente ringrazio anche voi che semplicemente leggete, ma come sapete è sempre bello leggere che cosa pensate su questa storia e se valga la pena portarla avanti.
Quindi grazie, grazie davvero <3
In gran parte d'Italia è brutto tempo (e mi stringo attorno alle famiglie che, per colpa di ciò, hanno perso i propri cari), come state? Tutto bene? Da me scuole (di tutti i gradi) chiuse, se ne riparla settimana prossima. Certo, stare a casa non fa mai male, ma farlo per queste gravi problematiche non è bello. Spero che il tutto si possa risolvere il prima possibile, vi sono vicina <3
By the way, avete visto Legacies (per chi non lo sapesse: è lo spin-off di The Originals e racconta la storia di Hope Mikaelson e di altri ragazzi alla Salvatore Boarding School, la nostra amata ex pensione dei Salvatore)? Come vi è sembrato? Vi è piaciuto? A me è piaciuto molto. Leggero, frizzante, poi io amo Hope e mi affascina la sua natura *^* (fatemi sapere cosa ne pensate!).
Comunque, ritorniamo alla storia. Il padre di Ian, come si sapeva già dallo scorso capitolo, è morto e Ian, ovviamente, si porta dietro tutto il suo dolore. E' normale, quando muore una persona cara il dolore ci pervade e solo l'amore di chi ci vuole bene riesce, in qualche modo, ad alleviare il tutto: è quello che stanno facendo Nina e i gemelli. Ian porterà sempre con se un senso di malinconia, ma pian piano lo sta affrontando, grazie alla sua famiglia. 
Ho trovato carino organizzare il compleanno in mezzo alla natura, cosa che Ian, anche quello vero, ama. In più i nostri Nian hanno finalmente detto ai nostri adorati baby protagonisti che presto, alla famiglia, si aggiungerà qualcun altro. Ho cercato di rendere la reazione il più realistica possibile e ho fatto si che i gemelli l'accettassero alla grande (non perchè tutto quello che accade debba essere sempre rose e fiori, ma perchè è in linea con i loro personaggi): sono due bambini amatissimi dai genitori e dal resto della famiglia, a loro non manca nulla, non hanno motivo di essere gelosi (e un po' è perchè sono sempre stati in due, quindi hanno imparato a condividere fin da piccoli) di un nuovo arrivato e a loro l'idea non dispiace, anzi, ne sono felici. Avrei trovato più stonata una reazione contraria. 
Fondalmentalmente in questo capitolo non succede nulla di che, solo tanto Nian e tanti momenti con i gemelli, che io adoro *^*
Vi ringrazio ancora, alla prossima ^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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