The Cavalry

di hexleviosa
(/viewuser.php?uid=197228)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Titolo originale: The Cavalry

Di: lilgizzy1983

Tradotto da: Hexleviosa

 

 

 

 

The Cavalry

parte I

 

 

 

<< I danni sembrano concentrati… nella zona est... dopo la dodicesima
strada >> comunicò Felicity a fatica, la voce soffocata dal pianto, dalla paura e dal dolore.

Lo disse perché sapeva esattamente dove Oliver doveva focalizzare l’attenzione. I danni che il Verdant stava subendo in quel momento non erano tanto severi quanto quelli arrecati all’area del CNRI. Inoltre era stata una decisione di Felicity quella di restare nel The Glades per dare una mano. Non avrebbe lasciato che un po’ di stucco che che si staccava e di scintille la spaventassero tanto da chiedere aiuto, quando sapeva che Laurel era terribilmente in pericolo. Sentì Oliver saltare sulla moto, poi spense il microfono così da non farlo distrarre dai crescenti rumori che avrebbe sentito di sottofondo.

Felicity sapeva che Diggle non ne era uscito benissimo, e che probabilmente avrebbe avuto troppi problemi a tornare al covo tra le scosse di terremoto e le ferite. Gli messaggiò di andare a farsi medicare, in caso non fosse riuscito a tornare indietro. Digg le rispose di essere solo a mezzo miglio dall’ospedale, e che avrebbe provato ad entrare e uscire prima che fosse innondato di gente. Non voleva essere d’impiccio in un momento di crisi del genere. Tirò il telefono sul tavolo e si prese la testa tra le mane, tentò di rimanere in sé mentre attraverso gli auricolari ascoltava tutto quello che stava accadendo. Aveva deciso che restare al covo era più sicuro che tentare di uscire, e quindi l’unica cosa che poteva fare era star seduta ad ascoltare quello che accadeva dall’altra parte della comunicazione. Sentì tutto, finché non percepì che Tommy stava morendo, allora scoppiò a piangere e, non volendo intromettersi in quel momento, interruppe completamente la comunicazione e rimase semplicemente seduta. Osservò il computer, che era stato danneggiato e aveva lo schermo completamente nero. Fu solo allora che si rese conto che le scosse sotto i suoi piedi non si erano fermate e che, invece, erano diventate più forti.

Cominciò a preoccuparsi davvero per la propria incolumità. Felicity ruotò la sedia per poter constatare l’entità dei danni. Aveva sentito le macerie cadere, ma prima era troppo distratta per capire veramente quanto fosse grave. Larghe porzioni di soffitto di erano screpolate ed erano cadute sul tappetino degli allenamenti. Anche i muri presentavano una grande quantità di enormi crepe.

<< Questa non è una cosa buona >> disse a nessuno in particolare, mentre riconsiderava immediatamente la sua idea di restare nel covo.

Quasi troppo in fretta anche per realizzarlo, il rumore crebbe e diventò assordante. Scintille sprizzavano ovunque e quasi tutte le luci si spensero, lasciando solo la lieve illuminazione proveniente dall’area che avevano allestito per il primo soccorso. Il suo breve strillo si interruppe quando una grande parte di soffitto crollò sulla sua scrivania, facendola sbattere violentemente a terra. Un dolore lancinante le si sprigionò alla testa e alla gamba destra. Quando alzò una mano a tastarsi la fronte la sentì bagnata di sangue. Cercando di allontanare il dolore per pochi secondi, tentò di alzarsi. Doveva assolutamente uscire da lì, la situazione era ovviamente peggiore di quanto aveva teorizzato. Sembrava che la macchina che generava il terremoto diventasse più forte mano a mano che restava accesa, e molta parte del The Glades ne sarebbe stata vittima. Non poteva fare a meno di sperare che Diggle fosse al sicuro all’ospedale, e che questo fosse rimasto intatto.

Come cominciò a balbettare nel suo monologo interiore, si riscosse dai suoi pensieri. La testa cominciò a girarle a quel punto e aveva l’impressione che il suo cervello si stesse rivoltando nella scatola cranica.

<< Merda, una concussione >> pensò.

<< Concentrati, Felicity >> si disse ad alta voce.

Le sue parole sembravano deboli e frammentarie. Odiava che suonassero così. Mentre si perdeva nuovamente tra i suoi pensieri, alzò lo sguardo verso l’uscita. Era lontana, ma agibile. E la bolla in cui le sembrava di essere rinchiusa era sopportabile. Sperò solo che la sua gamba non fosse ferita troppo gravemente.

Si mosse per alzarsi e urlò nel tentare di reggere il peso con quella gamba. Non riusciva a vedere bene, ma poteva assumere che fosse rotta o sanguinasse… o entrambe le cose. Toccandola lievemente, sentì la familiare sensazione di bagnato, ancora, ed anche un grande blocco di cemento.

<< Dannazione >> Felicity mormorò a se stessa, mentre provava a divincolarsi da quel peso senza usare troppo la gamba.

Ci mise un po’, non sapeva quanto, ma nel mentre l’edificio aveva continuato a cadere a pezzi. In quel momento desiderò di non aver tirato il cellulare e gli auricolari sulla scrivania, che era ora brutalmente distrutta dietro di lei.

Con un urlo strozzato in mezzo alla polvere, Felicity riuscì ad alzarsi. Appoggiò la gamba destra e con le mani avanti, provò a muovere costantemente dei passi facendosi strada attraverso le macerie che coprivano pavimento. Se anche nelle sue condizioni non fosse riuscita a salire gli scalini, almeno le scale le avrebbero offerto una protezione maggiore. O avrebbero retto o sarebbero stata la prima cosa a crollare.

<< Dannazione, vorrei essere stato un architetto migliore >> pensò tra sé e sé.

In ingegneria informatica e fisica andava forte, ma quando si trattava di costruire, a meno che non avesse studiato dei progetti, era un’incapace. Non aveva idea di dove si trovassero le travi di supporto in un edificio così vecchio.

Quando finalmente riuscì a raggiungere il muro vicino alle scale, il tremore aveva raggiunto il suo apice. Non era neanche in grado di pensare con il rumore dei detriti che cadevano e del suo battito che le rimbombava nelle orecchie. Il dolore alla testa e alla gamba pulsava ad ogni colpo. I capogiri erano definitivamente molto più forti ora che si era sforzata fisicamente. Sorreggendosi al muro, avanzò a tentoni fino alle scale, lentamente ma in sicurezza. Quando le raggiunse, stavano oscillando, probabilmente perché erano state separate dal muro. Non c’era possibilità che riuscisse a farcela mentre le scosse continuavano. Felicity rimase perplessa. Si sentiva intrappolata, e terrificata all’idea che sarebbe stata lasciata morire lì, sotterrata, sotto il club dove nessuno l’avrebbe trovata. E come se il fato avesse ascoltato i suoi pensieri, il muro dietro di lei si screpolò rumorosamente per lo sforzo di reggere il peso, facendo piovere pezzi di calcinacci su di lei. Provò a proteggere la testa già fluttuante, ma i suoi tempi di reazione erano incredibilmente lenti e alcuni pezzi la colpirono.

Le vertigini crebbero esponenzialmente, mentre il dolore alla testa diventava da terribile a insopportabile. Ondeggiò e, incapace di tenersi in piedi, cadde all’indietro contro il muro rotto e crollò per terra.

Altri calcinacci del muro continuarono a cadere su di lei. Ad un certo punto, pensò di aver sentito un dolore lancinante alla spalla, ma la sua testa era troppo confusa. Riusciva a malapena a respirare con tutta quella polvere spessa, e ora stava quasi soffocando. Mentre la sua vista cominciava a essere tempestata di puntini bianchi, non poteva fare a meno di pensare che era tutto finito. Sarebbe stata sepolta viva nella fonderia. Il luogo in cui si era sentita più al sicuro. Non c’era nessuno a salvarla, né a consolarla. Non aveva neanche mai detto ai suoi amici cosa provava per loro. Quanto li considerasse la sua famiglia. Che erano la cosa più simile ad una famiglia che avesse mai avuto. Che si era sentita a casa con loro.

Era buio pesto ora, l’ultimo lieve bagliore di luce si era spento qualche minuto prima. Proprio prima di svenire, si rese conto di uno squillo acuto.

<< È… è il mio telefono? >> pensò tra sé e sé, non essendo in grado di parlare.

Ricordò di aver pensato, miracolosamente, che forse il suo telefono era sopravvissuto alla distruzione della scrivania. Il trillo si fermò, e sorrise lievemente quando ricominciò subito dopo. La stavano cercando. Poteva farcela. Aveva una possibilità. Se sarebbero riusciti a trovarla abbastanza in fretta, forse allora non sarebbe stata completamente spacciata. Fu questo il suo ultimo pensiero prima di svenire.


 


 

Dopo che Tommy era morto tra le sue braccia, Oliver fu inconsolabile. Riuscì a destreggiarsi tra le macerie, ad uscire fuori da CNRI e allontanarsi da quel luogo. Il trucco in qualche modo era colato via per le sue inusuali lacrime. Aveva bisogno di restare solo. Si vergognava si se stesso, di quello che era diventato. Tommy aveva ragione: era solo un assassino. E come ciliegina, le ultime parole al suo migliore amico erano state una bugia. Finalmente raggiunse la Queen Consolidated e ad arrampicarsi sulla cima del grattacielo. Non poteva fare nulla a parte contemplare il The Glades crollare su stesso. Con gli occhi offuscati dalle lacrime continuò a guardare verso il CNRI. Poteva a malapena vederlo da lì, ma sapeva dov’era. Anche al buio, senza alcuna elettricità in quell’area della città. Sapeva sempre dove guardare quando i suoi amici stavano morendo. Dopo quella che sembrava un’eternità passata a fissare il vuoto, sentì la suoneria che aveva impostato per le chiamate da Diggle. In un primo momento lo ignorò, ma poi quando Digg chiamò per la seconda volta, pensò che poteva essere importante. Dopotutto il danno era stato più esteso di quanto avevano pensato e Diggle era rimasto ferito.

<< Digg, tutto bene? >> disse in tono incolore.

<< Sì amico, sono all’ospedale, le persone si stanno riversando dentro, ma io sono arrivato presto e sono già stato ricucito. Stavo per tornare alla fonderia, ma non penso di poter camminare fino a lì ora, e non riuscirò mai ad arrivarci in macchina >> accennò.

<< Vuoi che vada a controllare Felicity >> sospirò, realizzando che ad un certo punto ,dopo l’incidente al CNRI, Felicity aveva interrotto le comunicazioni. Era stato grato di stare un po’ solo.

<< Sì, l’ho chiamata un paio di volte, ma non ha risposto, né ha ignorato le chiamate. Suonava a vuoto. Non è da lei, sono preoccupato e voglio essere sicuro che sia riuscita ad uscire e che stia bene. Ha salvato metà città, ma non è riuscita a fare nulla per l’altra metà.
Probabilmente non dovrebbe stare sola >> ragionò Diggle, consapevole che Felicity si sarebbe incolpata per non aver capito che c’era una seconda macchina.

Oliver alzò lo sguardo verso l’orizzonte, verso dove si stagliava solitamente la linea del Verdant. Ma…

<< Digg… >> cominciò prima che le parole gli si bloccassero in gola. Non poteva essere.

<< Cosa c’è Oliver? Cos’è successo? >> la preoccupazione di Diggle crebbe quando Oliver non gli rispose subito.

<< Digg, è… sono… non c’è >> Oliver non riusciva a comprendere quello che stava accadendo abbastanza in fretta. Prima di capire cosa stava facendo le sue gambe si erano già precipitate verso la sua motocicletta e vi saltarono sopra.

<< COSA SIGNIFICA CHE NON C’È? DI COSA STAI PARLANDO? >> urlò Diggle, tentando di ottenere una risposta chiara da Oliver. La sua preoccupazione stava raggiungendo picchi mai provati prima.

<< OLIVER! >> urlò nuovamente.

<< Digg, sono per strada. Ero sul tetto della Queen Consolidated, ho guardato verso il club e… non c’era >> sputò tra i denti, dopo essere già saltato sulla moto e essere sgommato via. Il suo respiro si era già fatto pesante.

<< Arriverò in qualche modo, non aspettarmi, solo tirala fuori da lì! >> disse Diggle, cercando un modo per arrivare là intero e velocemente.

Oliver non sarebbe stato contento della soluzione ideata da Diggle, ma non c’era tempo per pensare ai sentimenti di Oliver. La sua migliore amica si trovava letteralmente sepolta viva sotto un edificio, probabilmente morente. Doveva arrivare da lei, non importava il resto.

Diggle compose velocemente il numero sul suo telefono, avevano dovuto aspettare che le scosse finissero prima di poter offrire una qualsiasi ricezione. Il tremolio si era ormai completamente dissipato a quel punto.

<< Il dado è tratto >> si disse come il telefono cominciò a suonare.

<< Pronto. Chi è? >> rispose il detective Lance, per niente in vena di scherzi. Laurel stava piangendo tra le sue braccia ed erano per strada seduti nella sua macchina di servizio, mentre le persone si disperdevano nella frenetica ricerca dei propri cari.

<< Detective Lance, sono John Diggle… un’amica comune è nei guai, mi serve il suo aiuto >>.


 


 


 


 


 


 

*** SPAZIO AUTRICE ***

Eccomi qua con una nuova traduzione, che ormai vi avevo promesso da tempo.

Noterete che questo è solo la prima parte,

infatti anche se si tratta di una oneshot ho deciso di dividerla in tre capitoli
perché è davvero lunghissima.

Con questa ff si torna un po’ indietro nel tempo, addirittura alla prima stagione,

cioè al dopo la prima stagione ma a prima della seconda..

Ma andiamo, le vero Oliciters all’epoca già c’erano!

Non temete, questo lavoretto di traduzione non rallenterà
Ricordati che ti amo.

Sarà solo un di più, breve ma intenso (spero).

Grazie a tutti per la lettura

e soprattutto grazie di cuore a chi troverà un minutino del suo tempo
per lasciarmi una recensioncina-ina-ina.

Un bacione a tutti e ci vediamo presto
col quattordicesimo capitolo di Ricordati che ti amo!

Hexleviosa

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte II ***


Titolo originale: The Cavalry

Di: lilgizzy1983

Tradotto da: Hexleviosa

 

 

 

 

The Cavalry

parte II

 


 

Non più di dieci minuti più tardi, Oliver si fermò davanti a quello che un tempo era il Verdant. Gli ci era voluto più di quanto avrebbe voluto, ma aveva dovuto fare un sacco di slalom tra edifici, macchine e persone sparpagliate ovunque. Dopo aver guardato il danno arrecato al club, non fu in grado di muoversi per quasi un intero minuto. L’intero edificio non era che un cumulo di macerie. Solo una parte del muro esterno era rimasta in piedi, tutto il resto aveva ceduto, o era danneggiato in modo irreparabile. Non riusciva a vederlo dalla Queen Consolidated perché l’insegna luminosa era caduta a terra e si era ridotta in mille pezzi. In un lampo, marciò dentro, s’inginocchiò attentamente sui pezzi di metallo e cemento dove un tempo c’era l’entrata secondaria. Nulla era in buone condizioni, e notò anche che in un paio di zone il pavimento aveva ceduto. Notò soprattutto che una delle zone maggiormente danneggiate era il pavimento accanto alle scale che davano al seminterrato.

Quando raggiunse la porta del covo, era bloccata da numerosi massi di cemento. Cominciò a spostare di lato quello che poteva, e lentamente spinse via i pezzi più grandi. Uno era così pesante che dovette prendere una sbarra rotta di metallo da usare come leva per liberare porta. Quando riuscì ad aprirla di circa trenta centimetri, cercò di passarci attraverso, realizzando che era buio pesto là sotto. Non riusciva a vedere gli scalini, né a sentirli, sembrava che fossero crollati. Non sentiva nulla provenire dal seminterrato. Era paurosamente silenzioso.

<< Felicity >> disse più piano di un respiro.

<< FELICITY >> urlò poi dopo aver finalmente ritrovato la voce.

Non ricevette alcuna risposta, tirò allora fuori il telefonino. Restando in cima alle scale, la chiamò, sperando di non udire il suo cellulare squillare. Che fosse magari in città e lo avesse perso, o che ci fosse troppo rumore perché lo sentisse. Sfortunatamente, non era quello il caso. Sentì la suoneria che lei aveva impostato per le sue chiamate provenire da un luogo indefinito sotto le macerie del covo.

<< Dannazione! FELICITY?! >> urlò di nuovo.

Come avrebbe fatto a tirarla fuori di lì? Digitò un altro numero.


 


 

<< Più veloce! Levati di mezzo! >> urlò Diggle, sporgendosi fuori dal finestrino della macchina di servizio del detective Lance, alle persone che vagavano senza meta per strada. Capì che se volevano arrivare da qualche parte ia macchina avevano bisogno di luci e sirene. Laurel e Lance erano andati a prenderlo davanti all’ospedale dieci minuti dopo che aveva chiamato dicendogli che Felicity era nei guai. Lance sapeva quando duramente Felicity aveva lavorato per provare a proteggere la città. E non si meritava di morire per quello.


 

<< Dove andiamo? >> aveva chiesto a Diggle mentre saltava sul sedile posteriore della macchina di polizia.

Dig aveva guardato verso Laurel, che aveva ancora gli occhi lucidi di lacrime, poi di nuovo Lance.

<< Dannazione signor Diggle, DOV’È? >> urlò, non gliene poteva importar di meno al momento dell’identità di Arrow. Nè aveva già capito che Felicity e Diggle lavoravano per la stessa persona.

<< Al Verdant >> comunicò velocemente, consapevole di avere appena rinunciato al suo più grande segreto, a spese dell’amico. Ma ne sarebbe valsa la pena se fossero riusciti a salvare Felicity.

Sia Lance sia Laurel si voltarono verso di lui scioccati.

<< VAI! >> urlò Diggle, riportandoli alla modalità di salvataggio.


 


 

Quando si trovarono a soli quattro blocchi di distanza dal club, il suo cellulare cominciò a squillare. Era Oliver.

<< Oliver, siamo quasi lì. L’hai trovata? Sta bene? >> gli chiese Dig tutto d’un fiato.

<< Siamo? Ad ogni modo, non importa. Dig, qua è un inferno, è crollato tutto. Sono riuscito a liberare il passaggio per la porta del seminterrato ma le scale sono crollate. Mi serve della luce e qualcosa per calarmi giù >>.

Dig si voltò verso Lance:

<< Ha qualcosa per far luce? >>

<< Ho delle torce nel baule, nessun problema >>.

<< E delle corde o qualcosa di simile? >>

<< Niente da fare, non ho nulla del genere >>.

<< Cavolo. Oliver, sei sicuro che sia là sotto? >>

Laurel e Lance si voltarono di nuovo quando Dig ripetè il nome di Oliver. Ormai era certo, era lui il vigilante. Lance tornò a guardare la strada.

<< L’ho chiamata al telefono e sentivo la suoneria dal seminterrato. Dig, sono certo che non sia riuscita ad uscire. Il club è… è messo davvero male >>.

<< Va bene, ci stiamo fermando, veniamo da te >>.

<< Chi? >> Oliver aveva un’idea, e non gli importava molto al momento, ma era comunque nervoso.

<< Quentin e Laurel Lance >>

<< Ok >> Oliver attaccò, concentrandosi di nuovo sull’ottenere una risposta da Felicity.


 

Dopo aver chiamato il suo nome per qualche minuto, sentì un lieve colpo di tosse. Smise di urlare per vedere se era solo la sua immaginazione. Pochi secondi dopo lo sentì di nuovo. Un debole tossire proveniente proprio da quella che un tempo era la tromba delle scale. Era viva, ma non rispondeva. Il suo cervello stava andando in pappa.

<< Felicity! PUOI SENTIRMI? >>

Sentì un mugolio, poi un altro colpo di tosse. Era lì, poteva sentirlo.


 

Felicity sentì qualcosa, ma non sapeva cosa. Era di nuovo il suo cellulare? Non riusciva a capirlo, aveva la testa leggera per la commozione celebrale e un’evidente mancanza d’ossigeno. Ma stava respirando aria fresca. Da dove veniva? Qualcuno urlava? Aveva solo immaginato che qualcuno urlava? Non riusciva ad aprire gli occhi, forse stava sognando, ma era quasi certa che qualcuno stesse urlando. Per quanto tempo era rimasta incosciente? Troppo domanda stavano affollando la sua mente confusa.

Improvvisamente si ritrovò eccitata alla possibilità di essere salvata, di riflesso inspirò profondamente e il dolore provocatole da quel gesto la fece tossire debolmente. Tossendo, dalla gola fino ai polmoni sentì un dolore lancinante, pungente come spilli e graffiante come cartavetrata. Non riuscì a respirare per quasi un minuto interi finché il bisogno d’aria non fu troppo.


 

<< Felicity! Puoi sentirmi? >>

Lo sentì forte e chiaro! Era Oliver!

Inspirò piano per provare a parlare, ma invece riuscì solo a mugolare mentre un altro colpo di tosse la prendeva. Il dolore la stava frastornando. Non riusciva a parlare, poteva a malapena respirare. Tutto quello che sentiva era dolore che si irradiava in tutto il corpo. Non sapeva se fosse fortuna o sfortuna, ma improvvisamente sembrava che avesse perso sensibilità alla gamba destra, per il momento pensò che fosse fortuna.

<< Oliver >> riuscì a bisbigliare, ma lui non la sentì.

Si chiese se fosse effettivamente uscito fuori qualcosa. Tossì di nuovo per schiarirsi la gola.

<< Oliver! >> disse più forte che poteva, che era comunque meno del suo tono abituale.

Fortunatamente, sembrava che lui non fosse troppo distante.

<< Felicity! Ehi! Sì, sono io! Stai bene? Puoi muoverti? >> aveva così tante domande, finché non aveva la torcia non poteva vederla e questo lo stava facendo impazzire.

<< Oliver, non… non riesco… a muovermi >> ansimò e tossì un paio di volte prima di riuscire a terminare la frase, ma in qualche modo l’aria fresca era di aiuto.

<< Felicity, sei ferita? >> Oliver sapeva che era ferita. Non aveva dubbi. Cercava solo di ottenere più informazioni possibile sulle sue condizioni, per quando avrebbe dovuto spostarla. Sperava che non fosse nulla di grave e che fosse solo bloccata sotto qualche calcinaccio.

Non rispose per un minuto e temette di averla persa di nuovo.

Felicity inspirò il più possibile, il movimento le provocò un dolore lancinante alla spalla sinistra. Emise un lamento strozzato simile ad un singhiozzo, prima di permettere ad alcune lacrime di solcarle le guance per quel ritrovato dolore. Quando si guardò la spalla, stando attenta a non muoversi troppo, vide un pezzo di armatura del cemento che la infilzava.

<< Ahh >> si lasciò scappare un piccolo urlò di dolore.

<< Felicity! Cos’era quello? Stai bene? >> Oliver era sempre più nervoso e impaziente di secondo in secondo. Dov’erano Dig e Lance con la luce? O con l’ambulanza. Non gli importava di chi ora conosceva la sua identità, avrebbe pensato dopo alle conseguenze. Al momento voleva solo vedere Felicity e rassicurarla.

<< No. Ahh… fa male… credo sia abbastanza grave… Oliver… aiutami >> squittì, schiacciata dalla tensione alla spalla e dalla ferita alla testa.

<< Stiamo venendo giù a prenderti, Felicity, resisti, ok? Puoi farcela! Vado a cercare aiuto, torno subito! >> Oliver era stufo di aspettare, stava di nuovo lasciando che la porta si chiudesse ma la sentì piangere molto più forte di quanto avesse mai fatto quella notte.

<< NO! Oliver, NO! >> cominciò a farsi prendere dal panico. Non solo non voleva che la lasciasse là da sola e al buio di nuovo, ma sapeva che se avesse chiuso la porta, le sua unica fonte di aria pulita sarebbe andata e non sarebbe di nuovo stata in grado di respirare.

<< Felicity, va tutto bene. Dig è qua vicino, gli vado solo incontro così sanno dove siamo e facciamo più in fretta >> Oliver pensava solo che avesse paura di stare sola, non alla qualità dell’aria.

<< No >> tossì di nuovo << Oliv… Oliver… non… non posso respirare… quando la porta è chiusa non riesco a respirare >> provò a parlare il più forte e chiaro possibile così che lui potesse sentirla e capire l’urgenza. La consapevolezza lo colpì violentemente come un quintale di cemento. Per tutto questo tempo lei stava lentamente soffocando per la polvere e il gesso. La Fonderia era chiusa e senza filtrazione d’aria sarebbe stata come una tomba.

<< Va bene, ho capito, ok… Felicity, non me ne vado, ok? Sono qua >>.

Rimase tranquilla per un po’, cercando di calmare il panico. Riuscì solo ad emettere un lieve: << Grazie >>.

Lo fece quasi ridacchiare. Ovviamente non l’avrebbe lasciata morire soffocata là sotto.

<< Non voglio lasciarti senza ossigeno, Felicity. Non sto cercando di ucciderti, sto cercando di salvarti >>.

Felicity provò a sorridere, ma aveva ragione di credere di non esserci riuscita. Tuttavia non aveva davvero importanza visto che non c’era nessuno a vederla.

Diggle, Laurel e Lance stavano arrancando tra i detriti del club. Laurel avanzava zoppicando più veloce che poteva. Non avrebbe saputo riconoscere Felicity, ma suo padre le aveva spiegato tutto quello che era accaduto quella notte e lei non voleva lasciare che un’altra buona persona, che aveva provato ad aiutare, soccombesse a quella irragionevole tragedia. Non le importava chi fosse Felicity, o chi Oliver era diventato, entrambi aveva provato ad aiutare. Loro, in gruppo, aveva salvato centinaia di vite. Una macchina del terremoto aveva fatto abbastanza danni, se le altre due non fossero state spente, tutto il The Glades sarebbe stato sotterrato.

Finalmente sentirono Oliver parlare, e ne furono incoraggiati. Diggle fu il primo a parlare:

<< Oliver! L’hai trovata? Sta bene? >> corse nella sua direzione il più veloce possibile, considerata la sua ferita. Era abbastanza certo di aver fatto saltare un paio di punti, ma non gli importava.

<< Diggle! >> gli fece cenno lui, stando attento a tenere la porta bene aperta.

<< È sveglia, ma ferita. Dobbiamo scendere giù. Hai una luce? >>

<< Ho una torcia qua >> fu Lance a parlare questa volta.

Accese la torcia e la puntò verso la porta. Oliver lo ringrazio afferrandola, mentre Laurel lo osservava nel suo costume da Arrow. Per lei era difficile riuscire a conciliare questo nuovo Oliver con l’Ollie che conosceva anni prima. Stava mettendo a rischio se stesso pur di salvare qualcun altro. Dopo aver visto morire il suo migliore amico, stava ancora lottando, stava ancora provando ad aiutare. In quel momento era impressionata da lui. Era così concentrato sulla sua amica da averle appena rivolto uno sguardo. Ma tutto quello che doveva dire lo dicevano i suoi occhi. E improvvisamente capì tutto. Lui non era lo stesso uomo. Non era più il suo Ollie. Lui era la sua missione. Il suo team. Il salvatore di Starling City. Era più di se stesso. La sua squadra era un unicum, lavoravano come uno. Una era caduta e gli altri avrebbero mosso le montagne per salvarla.

Oliver puntò la luce dentro la piccola apertura della porta, vedendo per prima cosa le macerie. A Felicity bruciarono gli occhi per l’improvviso bagliore, ma ne fu grata. Era come la luce alla fine di un lungo e doloroso tunnel. Tutto quello che doveva fare era aspettare che i suoi uomini venissero a prenderla. Poteva resistere. Avrebbe resistito per Oliver. Per il team. Sarebbero andati oltre quello e avrebbero continuato la loro missione, sempre e comunque.

Quando Oliver fece finalmente luce sul suo volto, lei si ritrasse e chiuse gli occhi per la luminosità.

<< Oh Dio >> fu tutto quello che mormorò lui alla vista.

La sua gamba sanguinava, era girata in uno strano angolo e sotterrata da grossi detriti. Il capo e il volto erano coperti dal sangue che fuoriusciva da una considerevole ferita alla testa. E la spalla sinistra era infilzata da un pezzo di armatura sporco, che sporgeva da un blocco di cemento che le gravava in parte addosso. Non capiva se l’aveva trapassata o no, ma dalla quantità di sangue sembrava di no, almeno una cosa positiva.

<< Oliver, fammi vedere, provo a stimare i danni da qua >> Dig prese la torcia ad Oliver e notò il colorito pallido del suo volto. Lo sorpassò e puntò la luce verso Felicity, facendolo ritrarre di nuovo. Tutte le volte un paralizzante, accecante dolore le attraversava il cervello.

<< Aw, ragazzi… basta luce, per favore. Mi fa male la testa >> disse debolmente, più la porta restava aperta e più aria pulita riusciva a respirare e più suonava come se stessa.

<< Scusa, stavo solo controllando. Resisti? Pronta ad uscire da lì? >>

<< Sono nata pronta. Ma il prossimo covo facciamolo al piano terra, per favore >> squittì.

Diggle spostò la luce dalla sua faccia al suo corpo, poi lungo i muri e le scale. Sarebbe stata dura. Sapeva che Oliver sarebbe riuscito a scendere, ma con la ferita da freccia al petto, non sapeva se sarebbe stato in grado di portare fuori Felicity.

<< Oliver, amico, sembra che tu non riusciresti ad arrampicarti. Non con quella spalla >> constatò.

Oliver aveva pensato la stessa cosa, ma non voleva ammetterlo. Avrebbe sopportare qualsiasi cosa se fosse servito a farla uscire.

<< Vado io, sono l’unico che non è stato ferito >> s’intromise Lance.

<< È abbastanza rischioso là sotto, detective. È sicuro di riuscire a far uscire entrambi? >> sottolineò Oliver, sapeva che era forte ma non quanto lui e Diggle.

<< Non ho ferite, sono la soluzione migliore. E se riuscissi a fare uscire solo lei, potrei sempre aspettare i soccorsi. Lei no. >> insistette, perché non l’aveva vista ma aveva notato lo sguardo dei suoi partner.

<< Papà… >> lo richiamò Laurel, preoccupata.

<< Laurel, va tutto bene. Se qualcuno dev’essere bloccato là sotto, è meglio che sia io, completamente sano, che lei ferita. Non se lo merita. Non dopo tutto quello che ha fatto per la città >>.

Concordarono tutti che Lance fosse la scelta migliore per tirare Felicity fuori da là e portarla in ospedale il prima possibile. Mentre Dig e Lance consideravano l’opzione migliore per scendere, Oliver si appartò per cambiarsi velocemente e indossare gli abiti che Dig gli aveva portato. Oliver non era molto lucido, quindi toccava a lui assicurarsi che non si esponesse troppo. Laurel colse l’occasione per sedersi su di un calcinaccio, la sua ferita non era grave, ma le causava dolore dopo tutto quello stress.

Sentirono i colpi di tosse provenire dal seminterrato più forti e più persistenti.

<< Ow. Ehi… ragazzi… quanto... tempo ancora? >> chiese Felicity respirando a fatica. Si sentiva sempre più leggera, doveva uscire da lì. Per non parlare dei calcinacci sulla sua gamba rotta e della spalla.





 

*** SPAZIO AUTRICE ***
Eccomi tornata con la seconda nonché penultima parte di questa ff.
Come avete letto sono riusciti a trovare Felicity ma riusciranno a tirarla fuori e a salvarla?
E Lance? Riuscirà ad uscire o dovrà aspettare i rinforzi?
Lo scoprirete la settimana prossima!
A proposito, ho notato che
Ricordati che ti amo
è stata causa di numerose preoccupazioni e ansie... non me lo sarei mai aspettato!
Non temete, posterò il nuovo e, a quanto pare, temutissimo capitolo tra domani e dopodomani!
Grazie mille a tutti i lettori e soprattutto a coloro che spendono un minutino del proprio tempo per lasciarmi una recensione e farmi felicicissima!
Un bacione a tutti e a presto,

Hexleviosa

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte III ***


Titolo originale: The Cavalry

Di: lilgizzy1983

Tradotto da: Hexleviosa

 

 

 

 

The Cavalry

parte II

 


 

<< Non riuscirà a stare cosciente ancora per molto con tutta quella pressione sul suo corpo. Dobbiamo farla uscire in fretta, prima che svenga di nuovo. Non riusciresti a sollevarla a peso morto, abbiamo bisogno anche del suo aiuto >> constatò Dig.

Lance era d’accordo.

<< E se scendessi, la liberassi e poi pensiamo al da farsi? Non dovrebbe essere lasciata sola per altro tempo >> propose.

Dig annuì mentre Oliver stava già tornando da loro.

I due calarono Lance fino al masso più vicino. Poi lui cominciò a farsi strada verso Felicity, mentre Laurel gli faceva luce con la torcia. Nel frattempo Dig e Oliver si davano da fare per aprire la porta di più, così da riuscire ad afferrarli al meglio dopo.

Lance si arrampicò su un pezzo di cemento e quello che era rimasto delle scale attentamente: non sarebbe stato di alcun aiuto se si fosse fatto male. La raggiunse abbastanza in fretta, i detriti erano stati più facili da superare di quanto aveva pensato.

Non appena la raggiunse, capì perché aveva avuto tanta difficoltà a respirare. L’aria era impregnata di polvere, l’unico aiuto era un filo di aria pulita proveniente dalla porta aperta. Non sapeva come fosse riuscita a stare cosciente tanto a lungo.

Le afferrò una mano, sporgendosi poi lentamente sul suo volto.

<< Ehi, di sei messa di nuovo nei guai, vedo >>

<< Oh mio Dio, detective Lance… cosa… come…? Sa cosa? Non mi importa, sono felice di vederla. Grazie per essere venuto a salvarmi. Ahi! >> si lamentò perché presa dall’eccitazione aveva mosso la spalla ferita.

<< Ehi, fai piano. Ti fai fatta piuttosto male, sai >>.

<< Sì, non scherzi. Non c’è dubbio che sei un detective >>.

<< Ok, ora basta scherzare. Ho bisogno che tu respiri profondamente mentre provo a tirarti fuori da questo casino. Abbiamo bisogno che tu sia sveglia per farti uscire, e non che sia svenuta. Puoi farlo per me, ragazza? >>

<< Farò del mio meglio, detective >>.

<< Bene >>.

Usò il raggio di luce che arrivava da sopra per guardare meglio il cemento sulla sua gamba. Era in grado di spostarlo, ma sarebbe stato doloroso.

<< Ehi, come va la gamba? Non troppo bene, presumo >> disse, provando ad accertarsi del danno.

<< Beh… la cosa è… prima quando sono stata colpita alla scrivania, il dolore era atroce. Sono riuscita a venire qui. Ma poi quando è caduto il muro, sono svenuta. E da quando mi sono svegliata non riesco quasi più a sentirla. Penso che questo grosso masso mi abbia bloccato la circolazione o qualcosa del genere >> spiegò, mordicchiandosi le labbra, non vedeva l’ora di muoversi ma sapeva che avrebbe dovuto tenere duro.

<< Ok, sì, è probabilmente così. Dobbiamo spostarlo ADESSO, prima che tu sviluppi la sindrome da schiacciamento, o prima che il tessuto muscolare muoia. Farà male da morire. Sei pronta? >>

<< Immagino di doverlo essere. La gamba mi serve, no? >>

<< Brava ragazza. Prendi qualcosa da stringere. EHI RAGAZZI, STO PER SPOSTARE IL MASSO DALLA SUA GAMBA. LA SENTIRETE URLARE, VI AVVISO >>.

<< Fai quello che devi, Lance, ma stai attento >> gli urlò Dig di risposta.

Oliver si morse la lingua e provò a non far sì che il suo pensiero razionale venisse sopraffatto dalla rabbia per quella situazione.

Lance si mise in posizione.

<< Al mio tre >>.

Felicity annuì ansiosa, trasalendo al minimo movimento.

<< Uno… due… >> e fece scivolare di lato il masso il più velocemente possibile, come se avesse strappato via un cerotto.

L’urlo che provenne da Felicity a quel punto fu tale da spezzare il cuore di tutti i presenti. Era così disperatamente e puramente impregnato di agonia che nessuno di loro aveva mai sentito nulla del genere.

Laurel fece quasi cadere la torcia mentre si portava una mano alla bocca. Ma Oliver riuscì ad afferrarla all’ultimo momento.


 

Subito dopo aver spostato il blocco, tornò accanto a Felicity e le strinse forte la mano. La presa era così forte, mentre urlava ancora un paio di volte, che pensava che gli avrebbe rotto le dita. Le accarezzò la guancia con l’altra mano e le sussurrò parole di conforto per calmarla. Le lacrime le rigavano il volto. Poi cominciò a tossire di nuovo, un po’ per lo stress e un po’ per tutta la polvere che si era alzata quando il masso era ricaduto sulle altre macerie. Lance le fece fare dei respiri profondi, per farla restare cosciente. Aveva bisogno che superasse quel momento così poi l’avrebbe fatta uscire da lì. Quando il suo respiro si regolarizzò, un paio di minuti dopo, lui le asciugò le ultime lacrime.

<< Stai bene? Sei di nuovo con noi? >> Lance chiese.

<< Sì >> annuì di rimando, con la voce arsa dal dolore. Era terribile, il dolore più forte che aveva provato, moltiplicato per cento, ma nonostante tutto riusciva ancora a respirare.

Ringraziando Dio, tenendole la mano Lance le aveva impedito di muovere la spalla ferita. Quello avrebbe solo peggiorato il tutto.

<< Ok, brava ragazza. Stai andando benissimo. Il peggio è passato. Ancora un paio di ostacoli. Pronta? >>

<< Sì… >> rispose di nuovo debolmente. Aveva paura ora, non era sicura di quanto potesse resistere senza svenire, e se l’avrebbe fatto, sarebbe potuta morire là sotto, o se non altro rischiare di perdere la gamba.

<< Ok, questa sbarra, devo tirarla via dalla tua spalla. La cosa positiva è che non ti ha trapassata e non sembra neanche troppo profonda. Probabilmente fa più male ora che è dentro che non quando sarà fuori. Ma toglierla farà comunque male. Ok? >>

<< Fa quello che devi. Sono pronta >> grugnì tra i denti determinata.

Aveva il volto rosso, come se fosse arrabbiata, poteva andare contro il Vigilante e vincere. Si stava facendo forza: ci sarebbe riuscita o sarebbe morta provandoci.

<< Wow… ok… sei un po’ spaventosa quando sei così determinata. Facciamolo… >>

<< Niente conto alla rovescia, fallo e basta. Vai, Lance >>.

Fece come gli aveva detto, immediatamente la assicurò contro il suo corpo e velocemente e attentamente le estrasse la sbarra.

Questa volta lei non urlò, si lasciò solo scappare un sospiro affannoso e grugnì digrignando i denti e strizzando gli occhi.

Dopo qualche secondo, Lance decise di ricordarle di respirare, perché aveva smesso senza neanche accorgersene. Fece un po’ di respiri brevi e veloci prima di essere in grado di inspirare più profondamente. Si sentiva di nuovo i polmoni in fiamme, ma il dolore che provava in tutto il resto del corpo era troppo intenso perché le potesse importare realmente. Respirare era una necessità. Doveva farlo per uscire da lì e salvarsi. Il suo cervello infine processò le parole di Lance.

<< Inspira… espira… inspira… e espira… andiamo, ragazza >>.

Cominciò ad ascoltarlo e a seguire i suoi suggerimenti. E lui era visibilmente sollevato dal fatto che lei pareva sentirlo di nuovo, e mostrò il pollice in su ai tre che stavano alla porta.

<< Brava, Felicity. Stai andando benissimo. Aspettiamo un minuto così ti riprendi e poi ci muoviamo, ok? >>

Lei si limitò ad annuire, consapevole di non essere in grado di muoversi al momento. Il dolore era ancora troppo fresco.

<< Ol… Oliver? >> disse così piano che solo Lance riuscì a sentirla.

<< E’ qui, è qui sopra, pronto a tirarti su e a correre in ospedale, se necessario >>.

<< La sua spalla… >> disse di nuovo, provando a pensare a altro che non fosse il dolore che provava.

<< Ho visto del sangue, se è quello che intendi. Non so cos’è successo, ma è per questo che non è sceso qui lui stesso >>.

<< Vuol dire che è grave, non ha mai… lui è un duro… >> provò a formare una frase di senso compiuto, ma era davvero difficile.

<< Sì, beh… deve esserlo per essere un vigilante. Non riesco a credere che tu e la tua bocca larga siate riuscite a mantenere il segreto per tutto questo tempo. Quand’è che voi tre avete fatto squadra? >> sapeva cosa stava facendo: stava cercando di schiarirsi la mente per un po’.

<< Lui… lui e Diggle… prima… quando è tornato… >> cominciò, ma si fermò per prendere un paio di respiri, lasciando che qualche lacrima le rigasse il volto.

<< Poi io… quando sua mamma… quando gli ha sparato… l’ho trovato… e aiutato. Beh… lui ha trovato… me >> a quel punto singhiozzò, e lui assunse che dovesse essere una risata soffocata.

<< Be’… te lo dico io, ci ha di sicuro ingannati tutti quanti >>.

<< Chi altro… chi altro c’è? >>

<< Laurel, era con me quando il signor Diggle ha chiamato per la cavalleria. Penso che avesse bisogno di qualcuno che ti aiutasse e di cui voi poteste fidarvi. Fortunatamente, ha chiamato la persona giusta. Sei una brava ragazza, Felicity Smoak, non ti avrei mai lasciata qua sotto. Non prima di oggi, e soprattutto non dopo. Hai salvato centinaia di vite, sai. Sei un eroe >>.

<< Tu hai aiutato >> ridacchio di nuovo. Ora respirava meglio.

<< Sì, be’… io sono solo stato il braccio. Sei stata tu a fare il grosso del lavoro >>.

<< Non è stato abbastanza… evidentemente… il secondo dispositivo… non me ne ero accorta >>.

<< Nessuno di noi se ne era accorto, non prenderti tutta la responsabilità. Hai salvato mezza città. La colpa è di Merlyn. Dovunque sia ora. Bastardo >>.

<< È morto >>.

<< Cosa? >>

<< Merlyn… è morto. Oliver… >>

<< Oh… >>

<< È così che si è fatto male. Lui li aveva feriti. Oliver voleva solo catturarlo… ma poi lui ha ferito loro e Oliver… >>

<< Ok, basta chiacchierare, mi farò raccontare tutta la storia quando saremo davanti a un drink. Non vuoi sfinirti. Sei pronta a scalare questa montagna o cosa? >> la incoraggiò.

<< Lascia stare. Mi servirà aiuto… tipo… molto aiuto >> ammise guardandolo negli occhi.

<< Ti tengo io, tu appoggiati a me e fai quello che riesci, ok? E soprattuto. Resta. Sveglia >> le intimò.

Annuì mentre lui la faceva appoggiare contro di sé. Aveva pensato che sarebbe stato più facile immobilizzare la sua spalla ferita contro il suo corpo, e non mantenere il peso senza gravare sulla gamba dall’altra parta.

Mentre si tiravano lentamente in piedi, Felicity constatò che Lance aveva ragione prima, quando le aveva detto che la sua spalla sarebbe stata meglio una volta tolta l’armatura. Il dolore era gestibile. A patto di non muovere troppo la gamba destra, poteva farcela.

La salita sui calcinacci fu dolorosamente lenta, e onerosa. E aveva pensato che arrivare dalla scrivania alle scale fosse stata dura… non sapeva ancora il vero significato di “dura”. Molte volte incespicarono, inciamparono, urlarono e caddero separandosi. Per fare la stessa strada che Lance da solo aveva percorso in cinque minuti, a loro insieme gliene vollero venti. Ma tutti erano semplicemente troppo grati del fatto che lei fosse in grado di farcela e di restare cosciente.

Quando finalmente raggiunsero il punto in cui i ragazzi da sopra avrebbero dovuto tirarla su, Lance afferrò la sua spalla buona e la sua vita e la sollevò, mentre lei si protendeva il più possibile. Il suo braccio buono si allungò verso la mano di Oliver.

Sfortunatamente, per evitare di farle uscire una spalla, avrebbe dovuto afferrarla per entrambe le braccia.

<< Felicity, mi servono entrambe le tue mani. So che fa male, ma non posso alzarti solo per un braccio. Sarebbe ancora peggio >>.

<< Oliver, non posso. Io… >>

<< Felicity, non ci credo, non dopo tutto quello che ti ho visto affrontare. È quasi finita. È l’ultimo ostacolo. E poi sarai quassù. Non avrai bisogno di muoverti. Ti porterò io per tutto il resto del tragitto. Ovunque bisogni andare. Mi serve solo l’altra mano. Fallo. FALLO ORA, Felicity! >> le urlò contro alla fine.

Sapeva che avrebbe risposto se fosse stata arrabbiata con lui, solo per mostrarli di non essere debole. Era così testarda e orgogliosa.

<< Ahhhhh! TI ODIO! >> strillò mentre allungava il braccio ferito e lui l’afferrava alzandola su.

Urlò di dolore per tutto il tempo, finché finalmente non raggiunse il piano terra e lui la fece stendere lentamente. Le bloccò nuovamente il braccio con un pezzo della camicetta che Laurel si era strappata affinché potesse essere usata come fasciatura. Mentre Dig e Oliver stavano tirando su Lance, Laurel si sedette accanto a lei, le asciugò le lacrime e provò a tranquillizzare la donna che le stava di fronte e che già le sembrava di conoscere. Non riusciva neanche a ricordare se si erano già incontrava, ma non importava al momento. Tutti quelli che erano sopravvissuti a quella notte nel The Glades dovevano la propria vita a lei. E ora, mentre questa piccola, forte donna giaceva piangente e sanguinante tra le sue braccia, Laurel si domandò a quante quel gruppo ne aveva dovute passare, e a quante ne avrebbe passate in futuro.

Una volta che Lance fu fuori, Oliver corse di nuovo da Felicity, come anche Diggle che si apprestò a stimare le sue ferite. Trovò una sbarra di metallo con sui bloccarle la gamba rotta, sembrava essere una rottura abbastanza netta, se non fosse stata poi danneggiata dai calcinacci. Avrebbe avuto bisogno di molta terapia per riprendersi da quella. Il suo braccio era già assicurato grazie alla fasciatura improvvisata. Diede l’okay a Oliver e lui la prese gentilmente tra le sue braccia, stando attento a non fare ulteriori danni alle sue ferite. Lei trasalì a malapena per il movimento e poi si sistemò sul suo petto.

<< Grazie per il passaggio >> disse guardandolo con un debole sorriso sul volto.

Lui le sorrise di rimando, grato di averla finalmente tra le sue braccia, al sicuro.

<< Sempre, Felicity >> rispose semplicemente, mentre le posava un bacio sulla fronte e lei ricadeva contro il suo petto, concedendosi finalmente di crollare per la stanchezza.





 

*** SPAZIO AUTRICE ***
Eccomi ritornata, anche se con un ritardo spaventoso.
Chiedo venia per questo!
Questa fanfiction finisce qui,
spero che vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me tradurla.
Grazie a tutti per averla letta e, soprattutto, recensita!
Aggiornerò a breve brevissimo 
Ricordati che ti amo.
No, non me la sono scordata, sto solo lavorando per far rientrare nel capitolo
tutto quello che ho in mente e per collegarla allostesso tempo alla 4x11.
Non temete, sono a buon punto.
Un bacione a tutti e a presto,

Hexleviosa



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3629619