Whatever

di Diotima_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rachel Roth-La magia dei colori ***
Capitolo 2: *** Garfield Mark Logan-L'energia degli animali ***
Capitolo 3: *** Victor Stone-Il valore della tecnologia ***
Capitolo 4: *** Koriand'r-La forza di ricominciare ***
Capitolo 5: *** Richard Grayson-Il potere della responsabilità ***
Capitolo 6: *** F.A.D.E. Society ***
Capitolo 7: *** L'imprevedibilità del destino ***
Capitolo 8: *** L'oscurità dell'alba e la luminosità del crepuscolo ***



Capitolo 1
*** Rachel Roth-La magia dei colori ***


LA MAGIA DEI COLORI
 
 
Nero.
Oscurità.
Non c’è niente intorno a me.
Poi all’improvviso una luce.
Rossa.
Anzi no, sono occhi. Quattro occhi che mi fissano.
Sona sola.
Non so che fare. Vorrei gridare aiuto, ma il suono della mia voce è incastrato nelle corde vocali.
Oh no, si stanno avvicinando.
Sono sempre più vicini.
Nascondo il mio viso tra le mani, come una bambina spaventata.
Mi hanno quasi raggiunta.
 
Driin, driin, driin, driin.
 
Mi sveglio di soprassalto.
Era solo un sogno.
Anche se… la paura era vera, reale.
Sto ancora tremando.
La mia stanza è completamente buia e mi ricorda il sogno.
Guardo la sveglia e mentalmente la ringrazio, ha interrotto quell’incubo spaventoso.
Che io ricordi quell’immagine mi perseguita da sempre. La sogno quasi ogni notte.
Ma questa notte, si è avvicinata tantissimo, come non aveva mai fatto.
Mi prenderà prima o poi, ne sono sicura.
Scaccio questi pensieri ed esco dal mio letto.
Forse mia madre ha ragione, non dovrei dargli peso.
Apro la finestra, lascio passare aria e luce, che subito inondano la mia stanza.
Adesso sono più rilassata.
Prendo i miei vestiti e vado in bagno, devo correre o perderò il treno.
Tuttavia mi fermo davanti alla specchio.
I capelli tutti scompigliati.
Di quel colore poi.
Viola.
Mia madre mi ripete sempre che sono neri e che con il sole prendono questa sfumatura.
La stessa dei miei occhi.
Lo stesso colore dell’ametista.
Tutti pensano che mi tinga i capelli, che metta lenti a contatto colorate.
NO. No e no!
Sono nata così.
Mi lavo la faccia e la mia attenzione si focalizza sulla cicatrice che ho proprio sulla fronte.
Rossa.
Ha una forma stranissima.
Assomiglia ad un rombo.
Mi sono sempre chiesta il perché io l’abbia.
Ovviamente mia madre ha una risposta per tutto.
 
“Eravamo in un grande centro commerciale, avevi dieci anni e stavi correndo, hai messo male un piede e sei finita sulle ruote di un carrello di un passante.”
 
Ma può una cicatrice essere rossa adesso? Dopo dieci anni da questo “presunto” incidente?
E poi perché non ricordo niente?
Niente di niente.
Ho pochissimi ricordi della mia adolescenza.
La mia infanzia è impressa nella memoria come le scene di una pellicola.
Per il resto il vuoto. Appena inizio ad affrontare l’argomento mia madre lo svia. E non ha mai detto niente di concreto.
Se solo provo a tornare indietro con la mente…
Una gran confusione, lampi di luce nera, verde.
Il verde.
Nei miei sogni ogni tanto qualcuno mi salva tendendomi una mano verde.
Ma non so a chi appartenga. Non appena alzo lo sguardo verso chi tende la mano un forte mal di testa mi sveglia e sento la cicatrice pulsare.
Ma non mi preoccupo molto, non sono mica Harry Potter, no?
Rido della mia battuta.
Peccato che nessuno, a parte me, conosca questo lato del mio carattere.
 
-Rachel, la colazione! Sbrigati!-
-Sì, mamma. Arrivo!-
 
Mi lavo e mi vesto velocemente, questa volta rischio seriamente di perdere il treno.
 
-Buongiorno.-
Sbadiglio vistosamente.
-‘Giorno. Ma sempre queste felpe blu? Togli il cappuccio, fai vedere il tuo bel visino e i tuoi splendidi capelli. Dovrei comprarti più cose colorate. Una maglia rosa, ad esempio. O un altro colore, dimmi tu. ma non nero o blu. Comunque, dormito bene?-
 
Alzo gli occhi al cielo, questa mattina è più attiva del solito.
 
-Quante domande tutte insieme. Sto bene così, mi piacciono questi colori. Forse, qualcosa di verde andrebbe bene! Ultimamente è sempre nella mia mente. E comunque no, sempre lo stesso incubo.-
Sbuffo, ma le sorrido dolcemente.
Eppure vedo in lei uno sguardo cupo, come se fosse preoccupata.
-Che c’è mamma?-
-Niente Rachel, forse il verde non starebbe bene il verde con il tuo incarnato. Ci penso io, non ti preoccupare. Su forza, alla stazione!-
Non è la prima volta che la vedo così, mi nasconde qualcosa.
Prendo lo zaino, la saluto e mi dirigo verso la stazione.
 
Dopo circa un’ora di viaggio in treno arrivo nella città dove frequento l’università.
Ho scelto la facoltà di Lettere, credo mi rappresenti di più.
I libri sono gli unici in grado di capirmi.
Sono miei amici.
Non mi giudicano, non fanno domande stupide.
Preferisco stare con loro piuttosto che con persone che mi considerano “tetra, strana”, io non lo sono, penso solo di essere diversa.
Gli altri hanno paura di me, perché riesco a capire esattamente cosa provano. E quando glielo dico rimangono sorpresi e si allontanano. Si sentono violati nell’intimo delle loro emozioni, ma non posso fare niente, è più forte di me.
 
 Dopo le lezioni resto in biblioteca, è come se assorbissi energia da quei libri antichi.
Non uscirei mai da lì.
Ma devo tornare a casa, da mia madre.
Lei ha solo me.
Anche se fa di tutto per nasconderlo, so che è triste.
 
Mio padre ci ha abbandonate quando avevo pochi anni e ha portato con sé mio fratello.
Io non ricordo il viso di mio padre, nemmeno quello di mio fratello, ero solo una bambina.
Ma l’odio per quell’uomo lo sento anche troppo.
Ci ha rovinato la vita.
Non si è mai fatto vedere.
 
“Meglio così, grazie al Cielo.”
 
Mi sembra di risentire quelle parole di mia madre.
Certe volte mi chiedo quanto un uomo possa far male.
Un uomo.
Anche se… per come ne ho sentito parlare, non sembra affatto un uomo, ma un mostro.
Mi dico che è normale, ha provocato tanto dolore.
 
Il sole sta per tramontare, è ora che torni a casa.
Riprendo il treno. È super affollato oggi.
Durante il viaggio rileggo il mio libro preferito, “Enciclopedia magica”, una raccolta di storie sui più potenti maghi di tutto il mondo.
Sono solo favole e leggende ma la magia è così affascinante.
 
Purtroppo non riesco ad immergermi nella lettura, un po’ per la confusione ma soprattutto perché sento due occhi che mi fissano.
Lentamente alzo lo sguardo, un ragazzo con pantaloni neri e maglia rosso fuoco mi sta guardando da più di mezz’ora.
I suoi capelli sono neri come la pece, disordinati.
E i suoi occhi di un azzurro intenso.
Ma appena i nostri sguardi si incrociano, lui indossa un paio di occhiali da sole scuri.
Il suo viso mi sembra stranamente familiare.
Ma non ricordo…
Una fitta alla testa mi impone di lasciar perdere quel ragazzo, anche perché sono giunta nella mia città.
Appena scesa mi volto verso il treno, per controllare se fosse ancora lì, ma lui non c’è più, sembra essersi volatilizzato.
Faccio un respiro profondo e mi dirigo verso casa.
 
Dannazione, dove ho messo le chiavi? Inizio a scavare nello zaino.
Ah eccole lì, sotto i miei libri.
 
Apro piano la porta, sento mia madre parlare, vado in cucina ma non c’è.
Sto per chiamarla ad alta voce, quando la vedo, è in camera da letto, seduta, con lo sguardo rivolto verso il balcone.
Io sono alle sue spalle, non si è accorta di me.
Noto che è al telefono.
Poi all’improvviso si alza.
 
-Oh no! È scappato? Proprio ora che Rachel sembra ricordare qualcosa. Non ci voleva. Dovrà stare in casa ventiquattro ore su ventiquattro. Non c’è altra soluzione.-
Pausa.
-Grazie per avermi avvisata. La terrò al sicuro. Avvisami se ci sono novità.-
 
Resto completamente immobile durante tutta la telefonata.
Chi è scappato?
Mia madre vuole tenere al sicuro me? Da cosa?
Le domande si affollano nella mia mente e non riesco a fermarle. Devo sapere.
 
Si gira pensierosa verso la porta e quando mi vede per poco non ha un collasso.
 
-Ra…Rachel. Da quanto tempo sei qui, piccola?-
 
-Chi è scappato, mamma? Sono in pericolo? Cosa mi nascondi?  Cosa c’entrano i miei ricordi?-
 
Tremo di rabbia, stringo i pugni e sento che delle lacrime stanno uscendo furiose.
Io le racconto tutto e lei non mi dice niente.
Non ha mai voluto approfondire il perché io non ricordi la maggior parte della mia vita, e io l’ho sempre assecondata.
Ma questa volta devo sapere.
Non resterò lì a guardare e a far finta di niente.
Non oggi.
Voglio una spiegazione.
 
 











 
 
 
 
 
 
 
 
Nota: cosa pensate della storia? Spero di avervi incuriosito. Nei prossimi capitoli si illustrerà la situazione che stanno vivendo gli altri Titans.
Se vi va, ditemi cosa ne pensate!
A presto!
 
 
 

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Capitolo 2
*** Garfield Mark Logan-L'energia degli animali ***


L’ENERGIA DEGLI ANIMALI
 
 
Sono arrivato a casa finalmente.
Lavorare al negozio è estenuante. Ma devo pure guadagnarmi da vivere.
E poi gli animali sono la mia passione.
È grazie a loro se sono ancora vivo, o almeno è così che mi hanno raccontato, perché io ricordo pochissimo…
 
Pioveva.
 
Un boato enorme.
Una luce abbagliante.
 
Il mio corpo giaceva apparentemente senza vita, su un marciapiede.
Dopo aver sbattuto la testa persi i sensi, tuttavia credo di riuscire a costruire l’ordine dei fatti.
 
Ricordo di un cane randagio, era lì per caso.
Sentivo la sua lingua leccarmi tutta la faccia.
Ma non riuscivo a muovere un muscolo, né ad emettere un suono.
Mi doleva tutto.
Lentamente aprii gli occhi.
La pioggia sferzava il mio viso violentemente, incrociai lo sguardo di chi mi aveva svegliato con le sue “coccole”, con la sua curiosità.
I suoi occhietti vispi erano in attesa.
Lo fissai a lungo.
Una tacita supplica.
 
Il cane si allontanava sempre più da me.
 
“Ecco è giunta la mia ora.”
 
L’unico che poteva salvarmi o comunque darmi conforto se ne andava via.
E invece…
Il quadrupede tornò con tutta la famiglia al seguito.
Insieme iniziarono ad abbaiare, ululare, alla ricerca disperata di qualcuno che li ascoltasse.
Ma i minuti passavano e sentivo i miei sensi abbandonarmi, pian piano.
Il mondo intorno a me stava diventando grigio, più grigio di quanto già non fosse.
Si stava spegnendo tutto…
Poi… vidi una luce, gialla.
Dalla forma rettangolare.
 
-La porta del Paradiso, eccomi, sono qui, prendetemi.-
 
Un uomo sulla cinquantina si stava avvicinando.
 
-Un angelo, le mie sofferenze avranno fine.-
 
Il signore mi sollevò e mi portò verso la luce… in casa sua.
Io sentivo ancora dolore. Non era il Paradiso quindi?
 
-Oh no, sono all’Inferno? Cosa ho fatto?-
 
-Calmati giovanotto. Sei ancora vivo. Hai la febbre, stai delirando. Un bel bagno caldo, un buon brodo e ti rimetterai presto. Alle tue ferite ci pensa Cindy.-
 
Non capivo nulla. Cindy? Ma non è un nome da femmina?
La testa mi girava in modo folle.
Caddi in un sonno profondo.
 
I sogni che popolarono quel lungo riposo mi perseguitano ancora oggi.
 
Una stanza bianca.
Senza porte.
Solo quattro pareti.
Panico.
Non so come uscire. Sono claustrofobico.
Anche perché le mia braccia sono legate dietro la schiena e sono imbavagliato.
All’improvviso un muro crolla.
Non vedo più niente.
Sento solo delle voci.
È tutto nero.
 
-Stai bene? Ti prego Gar… rispondimi! Ti scongiuro!-
 
Una voce dolce, calda.
Sono fermo, l’ascolto, è un coro angelico, lei è la mia salvatrice, lo so.
 
-Garfield Mark Logan! Svegliati! Ora! Arazath Metrio…-
 
Il suono melodico si interrompe.
Al suo posto un silenzio assordante mi invade e sento di poter volare.
L’attimo dopo sto volando sul serio, vedo la città dall’alto.
È tutto così confuso.
 
Mi svegliai dopo tre giorni.
Ricoperto di bende.
Ero su un letto.
Il dolore era diminuito di molto.
Accanto a me c’era una donna. Provai a mettermi seduto.
 
-Sei tu Cindy?-
-Sì caro, non ti affaticare troppo, stenditi. Ben svegliato.-
 
Aveva uno sguardo deciso, ma che trasmetteva tenerezza allo stesso tempo.
Lo sguardo da infermiera.
 
-Cosa mi è successo?-
-Noi non lo sappiamo. Mio marito Flynn ha sentito un forte rumore, si è svegliato, ha visto una luce verde.
Inizialmente non voleva vedere cosa stesse succedendo, ma ha sentito i cani abbaiare. Inoltre abbiamo un negozio di animali qui sotto, hanno iniziato ad agitarsi e a far confusione. Così è uscito e ti ha visto, con indosso solo dei brandelli di vestiti, ricoperto di cenere.
Hai perso i sensi non appena arrivato in casa.
Sono passati tre giorni.
Non sai dirci niente sul perché ti abbiamo trovato in quelle condizioni?-
 
Sgranavo gli occhi ad ogni affermazione della donna, non sapevano chi fossi e nemmeno io potevo rispondere a quella domanda.
Anche se… mi venne in mente il sogno. Quella voce.
 
-Ecco… io non ricordo niente di tutto quello che c’è stato prima di oggi.
Ma una cosa la so. Il mio nome. È Garfield Mark Logan.
E vi sarò riconoscente per sempre.-
 
-E come mai non sai niente della tua storia, ma il tuo nome lo ricordi benissimo?-
 
L’uomo che giorni prima mi aveva salvato era comparso, appoggiato allo stipite della porta, con questa domanda del tutto legittima.
 
-Ho fatto un sogno. Una fata, no un angelo, no una dea, gridava il mio nome.-
 
Era ancora più scettico di prima.
Si avvicinò a me e mise una mano sulla mia fronte.
 
-Ehi amico, non ho la febbre. Sto benissimo!-
 
Scoppiammo a ridere tutti e tre insieme.
 
Quello fu l’inizio di una lunga amicizia.
Scoprii di non poter mangiare carne. Se solo ci provavo delle macchie verdi comparivano sul tutto il mio corpo. Ma non lo raccontai a nessuno.
 
Mi tennero con loro per due mesi, il tempo di rimettermi in sesto.
Poi affittai un piccolo appartamento lì vicino.
Non vollero abbandonarmi, così iniziai a lavorare nel loro negozio di animali.
 
Riesco a capire esattamente cosa provano, ho una certa empatia con loro.
Sono sempre felici di vedermi, mi sento uno di loro.
E poi glielo devo.
 
Mi sono rifatto una vita, io, un ragazzo senza passato e dal futuro incerto.
 
Cindy dice che le vendite sono aumentate da quando ci sono io.
Ci credo!
Occhi azzurri, capelli biondi, misterioso, simpatico.
Sono un principe!
Cos’altro possono desiderare le ragazze?!
 
Un po’ di tempo fa Flynn ha firmato un contratto con l’ospedale.
Pet therapy.
Io porto gli animali dal negozio all’ospedale e viceversa.
 
Ho conosciuto un sacco di gente.
Uomini, donne, bambini.
 
Ma un ragazzo mi ha colpito più di tutti.
Vive solo perché attaccato ad una serie di macchinari.
Ha alcune parti meccaniche, altre fasciate.
La sua testa è per metà di metallo.
I medici dicono che è un miracolo vivente.
Ma non parla.
 
Siamo diventati amici. Vado a trovarlo tutti i giorni.
Quando faccio una battuta sorride.
Certe volte mi guarda, con quegli occhi tristi (anzi con quell’occhio triste), come se volesse dirmi qualcosa.
 
Quando entrai per la prima volta nella sua stanza, con un gattino in braccio, lessi il suo nome sulla cartella clinica: Victor Stone.
Mi presentai, il suo battito cardiaco accelerò, e mi sorrise.
L’infermiera era lì con noi, stupita.
 
-Sa, non ha mai sorriso fin ora, venga a trovarlo più spesso.-
 
Oggi però il negozio ha chiuso tardi.
Guardo l’orologio.
Le venti e trenta.
Vorrei essere una mosca, così da poter entrare in ospedale senza essere visto.
Ma non posso.
 
Decido di andare comunque. Corromperò qualche infermiera.
Prendo la giacca ed esco.
 
Stranamente non c’è nessuno all’ingresso.
 
Salgo al terzo piano, cerco la stanza di Victor.
Apro la porta e…
Un ragazzo dai capelli neri lo sta portando via!
Non può! Non è un dottore! Non ha il camice!
Decido di intervenire.
 
-Tu! Fermo! Non puoi portare via il mio amico! Fermo o chiamo i medici!-
 
L’individuo si blocca.
 
-No, non lo farai.-
 
Poi si gira, mi fulmina con i suoi occhi azzurri che piano piano si ingrandiscono per lo stupore, così come la sua bocca, aperta.
 
-Gar… tu, tu… sei… normale??-
 
-Che diavolo? Certo che sono normale! Come fai a conoscere il mio nome?-
 
E ora chi era questo?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
Nota: ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia! Fatemi sapere cosa ne pensate! Ringrazio chi ha recensito, chi ha letto e chi ha inserito questa storia tra le preferite! Spero di non deludervi! Alla prossima :)
 

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Capitolo 3
*** Victor Stone-Il valore della tecnologia ***


IL VALORE DELLA TECNOLOGIA
 
 
Ci avevano separati.
Grandi geni i nostri nemici.
Sanno benissimo che insieme siamo più forti.
I nostri attacchi combinati…
Ne abbiamo superate di prove, ma questa no.
 
Ero lì, impotente a guardare i miei amici combattere.
Io, il primo a cadere.
Mi sento così vulnerabile.
 
Tac.
 
Un esperto sa benissimo dove mettere mano.
 
Tac.
 
E la persona con cui stavo combattendo era esperta per davvero.
 
Tac.
 
Un colpo secco.
Al centro dell’armatura.
 
Sentii l’aria mancarmi, spalancai occhi e bocca.
Vedevo doppio.
Mi accasciai a terra.
Incapace di respirare.
Il nemico, completamente vestito di nero, con il volto coperto, aveva in mano i miei circuiti.
 
Aveva in mano la mia vita.
 
Ero stato colto alla sprovvista.
Mi sembrava di rivivere lo scontro con Brother Blood.
Ma questa volta, non riuscivo a riprendermi.
 
Quell’uomo, (era un uomo?) il mio duellante, se ne stava andando, con il mio cuore meccanico.
 
Non urlavo. Non potevo.
Non parlavo. Non potevo.
Non sussurravo. Non potevo.
 
Così inutile.
 
Guardo B.B., sta correndo verso di me sottoforma di rinoceronte.
Sbaraglia tutti il mio miglior amico.
Allungo una mano.
Lui mi raggiunge, riprendendo sembianze umane.
 
-È tutta colpa mia Cy. Ma ti rimetteremo a posto. Robin saprà sicuramente come fare. Tieni duro.-
 
Subito dopo aveva urlato.
Uno di quei cosi neri lo aveva attaccato alla spalle.
Vigliacco.
 
Comunque si dà colpe inutili.
Eravamo andati lì per salvarlo. Era stato rapito.
Ma era una trappola.
Non potevamo mica abbandonarlo.
Dovevamo intervenire.
 
Alla Torre era arrivato un video con protagonista Beast Boy, legato ed imbavagliato.
Ricoperto di sangue.
E un indirizzo.
 
Robin aveva capito subito che doveva esserci qualcosa di losco sotto.
Ma stare con le mani in mano non è dai Teen Titans.
Soprattutto se ad essere in pericolo è uno di noi.
 
Tanta polvere.
 
Il nostro leader sta combattendo con tutte le sue forze.
Star è circondata.
Raven è ai piedi di Gar.
Anche lui adesso è a terra.
 
L’ultima cosa che vedo è proprio Raven che cerca di guarire le ferite del mio amico con la magia.
 
Stanno tutti dando il massimo.
E io?
Io me ne sto qui, a guardare un mondo che secondo dopo secondo perde tutti i suoi connotati.
 
Chiudo gli occhi.
 



Quando li riapro, su di me c’è un soffitto bianco.
E una bellissima ragazza.
Con un camice.
 
-Finalmente si è svegliato signor Stone!
Non si preoccupi sappiamo il suo nome perché era scritto in uno dei suoi chip.
Adesso sono in laboratorio.
Sa di essere un rarissimo caso? Mai visto un uomo-robot così.
La stiamo analizzando. Dobbiamo capire come aggiustarla… ehm… guarirla.-
 
Sono in ospedale quindi.
Non riusciranno mai a capire e a farmi tornare come prima. È alta tecnologia.
Provo ad emettere un suono.
Silenzio.
Non riesco a parlare, ancora.
Che rabbia.
 
-Non si sforzi, non può parlare. Le manca parte di un circuito collegato al cervello.-
 
Grazie tante, questo lo sapevo anche io.
 
Ma gli altri dove sono? Che fine hanno fatto?
 
 
I giorni e le settimane passavano lenti, tutti uguali.
Sempre in quel letto, incapace di fare qualsiasi cosa.
Collegato ad un numero infinito di macchinari.
 
Un giorno però, qualcosa cambiò.
Un ragazzo biondo, maglia bianca, jeans strappati, con un gatto in braccio si avvicinò al mio letto mentre l’infermiera faceva il suo controllo di routine.
 
-Victor, abbiamo pensato che magari la pet therapy possa allietarla, in qualche modo.-
 
Eppure quegli occhi azzurri, li ricordavo di un altro colore.
Ma no… non è possibile, le medicine mi fanno brutti scherzi, non può essere.
Il ragazzo prese la mia cartella clinica.
 
-Ah, così ti chiami Victor Stone, eh? Piacere, io sono Garfield Mark Logan!-
 
Sto sognando?
È proprio lui?! È vivo!
È vivo, ma è cambiato.
È… rosa.
Perché?
Perché non si ricorda di me?
Troppe domande.
 
Ma non posso fare a meno di sorridere.
 
Viene a trovarmi tutti i giorni.
Mi sbagliavo, non è cambiato.
È sempre il solito idiota.
Senza memoria.
Quindi non può rispondere alle mie domande silenziose.
 
Tuttavia oggi il sole è già tramontato da un pezzo e lui ancora non si è visto.
 
All’improvviso sento un rumore, la porta si apre.
Ma ad entrare non è BB.
 
Il ragazzo chiude silenziosamente la porta e si avvicina.
 
-Ti ho trovato Cyborg!-
 
Da quanto non sentivo il mio nome da “eroe”.
 
Robin!
 
Booyah!
 
Quanto vorrei gridare al mondo la mia felicità.
 
-Ora ti porto via, ho già pronto il chip, così potrai parlare. Immagino quanto ti manchi.-
 
Mi sorride, io vorrei dirgli che qui, in questa città (che non so nemmeno quale sia) c’è anche Beast Boy.
 
Non faccio in tempo a formulare questo pensiero che una voce familiare interrompe Robin.
 
-Tu! Fermo! Non puoi portare via il mio amico! Fermo o chiamo i medici!-
 
Diamine e ora?
Da un lato sono contento, i tre ragazzi del gruppo riuniti. Dall’altro sono spaesato. Che gli dirà?
 
Il leader si gira e lo riconosce immediatamente.
 
-Gar… tu, tu… sei… normale??-
 
Ora dovrà spiegargli tutto.
E anche a me.
Cosa ci è successo?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 










Nota: questo è il terzo capitolo. Non so, non credo sia riuscito bene come gli altri due. Ma comunque spero vi piaccia, ditemi voi! Spero di non avervi deluso! Nei prossimi due capitoli la storia prenderà una piega diversa e la situazione verrà illustrata quasi per intero!
Alla prossima, mi auguro!
 
 

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Capitolo 4
*** Koriand'r-La forza di ricominciare ***


LA FORZA DI RICOMINCIARE
 
 
-Adesso va tutto bene, perché ci sei tu.
Ma credimi, non è stato sempre così.-
 
Il giorno in cui arrivai in collegio avevo una gamba rotta e una commozione cerebrale.
Le suore mi trovarono nel chiostro del convento, tra le rose.
E io non ricordavo nemmeno come ci fossi finita lì, non ricordavo nemmeno il mio nome.
 
Loro mi presero, mi curarono, mi salvarono.
Devo tutto a quelle donne.
 
Avevo un vuoto, un buco nero che risucchiava tutte le mie capacità di pensiero.
 
Durante i deliri si spaventarono.
Parlavo in un’altra lingua.
 
In effetti quando mi ripresi scoprii di poter comunicare attraverso dei suoni buffi.
Certi oggetti, certe azioni, potevo esprimerle solo in quella lingua.
Per me era naturale.
 
-Quanto vorrei delle bumplomp!-
 
-Cosa cara? Vorresti delle…?-
 
-Bumplomp! Le ho viste in giardino, sugli alberi. Sono piccole, rosse.-
 
-Le ciliegie? Sono ciliegie, non blum… insomma quello. Te le porto subito.-
 
Sapevano sempre darmi la risposta giusta al momento giusto.
 
Mi diedero anche un nome: Rose.
 
Di giorno andava tutto bene, ero serena.
Ma di notte
 
Le urla riecheggiavano per tutto il monastero.
 
Avevo degli incubi spaventosi che però, una volta sveglia non riuscivo a ricordare.
E allora mi disperavo, mi sentivo in gabbia, guardavo male tutti.
Poi una volta sorto il sole, sorgeva anche il mio buon umore.
 
L’edificio fungeva anche da collegio.
Una decina di ragazze ci viveva durante il periodo scolastico.
Feci amicizia con tutte.
Mi prestarono i loro vestiti.
Anche se a volte erano troppo corti o piccoli.
 
È per la mia altezza, sono decisamente la più alta.
 
Quella notte avevo avuto un incubo, il più vivido. Svegliai tutti.
 
Mortificata, andai in giardino, così da poter ammirare meglio l’alba.
 
Taylor, la mia compagna di stanza, mi raggiunse dopo poco.
 
-Tutto bene Rose? Hai messo un freno alle ombre del passato?-
 
-Ora va meglio. Tu dici che è il mio passato che di notte mi perseguita? Allora deve essere molto brutto.-
 
Mi sorrise e mi prese per mano.
 
-Quando tu arrivasti qui, io era in camera mia.
Sentii un botto enorme e una luce verde.
Mi precipitai in giardino e ti vidi.
Quei capelli rossi, quasi magenta.-
 
Rossi.
 
Le sue parole avevano aperto in me uno spiraglio.
Vedevo della terra, rossa.
Tante persone, con il mio stesso colore di capelli.
Poi più niente, lei continuò. Un ronzio si insinuò nella mia testa.
 
-Poi il tuo nome, dicevi cose strane, in una lingua strana.
Rose.
Per me è sbagliato. Non sei una rosa solo perché ci sei caduta sopra.
Per me sei una stella, una stella cadente.
Star.-
 
Star.
 
Il ronzio si faceva sempre più insistente, sempre più pungente.
 
-Sei d’accordo con me?
Una stella che brilla di luce propria.
Una luce rossa come il fuoco.-
 
Fuoco.
Fire.
 
Non riuscivo tenere gli occhi aperti per il mal di testa.
Ma volevo capire e l’amica Taylor mi stava aiutando.
 
-Forse hai ragione, Rose non mi rispecchia molto.-
 
Lei parve soddisfatta e riprese il suo discorso.
 
-Hai degli occhi verdi, intensi. Sei dolcissima, ma certe volte ci incenerisci solo guardandoci.-
 
Incenerire.
 
-Non dovresti essere triste! Sei giovane, sei così bella che sembra tu sia di un altro pianeta!-
 
-Di un altro pianeta?-
 
-È un modo di dire! Ma perché sei pallida?-
 
-Un’aliena…-
 
A quel punto non  ci vidi più dal dolore.
Mi accasciai a terra, in ginocchio.
 
Le parole giravano vorticosamente nella mia mente.
Star.     Fire.    Incenerire.   Altro pianeta.   Tamaran.  
 
-Tamaran!- urlai.
 
-Rose, che hai? Un’altra crisi? Cosa è Tamaran?-
 
Un lampo di ricordi mi trafisse.
Vedevo la mia vita scorrere, riavvolta.
 
Il volo, il colpo, la battaglia, i miei amici.
Robin.
 
-Robin!-
 
-Così mi spaventi, alzati, ti prego!-
 
Ricordavo tutto.
 
-Io… io. Il mio nome, quello vero, so qual è.-
 
Mi alzai lentamente, abbracciando una sempre più sbigottita Taylor.
 
-È grazie a te! Grazie!-
 
L’abbraccio si sciolse.
 
-Ora mi spieghi tutto!-
 
Le tesi una mano.
 
-Io sono Starfire, per voi terrestri. In realtà sono un’aliena e a Tamaran, il mio pianeta, mi chiamano Koriand’r. Faccio parte dei Teen Titans!-
 
La mia amica non ricambiò la stretta di mano.
 
-Ma hai battuto la testa? I teen cosa? Rose, ma stai bene?-
 
Dovevo darle una prova.
I laser!
Puntai la mano verso il cespuglio, da essa uscirono dei piccoli bagliori verdi.
Non era quello che avevo in mente, ma a lei bastò.
 
-Ora ci credi? Come fai a non sapere chi sono i Teen Titans? I supereroi di cui si parla in TV!-
 
-Nessuno li ha mai sentiti nominare. Te lo assicuro.-
 
Era tutto così strano, nessuno sapeva chi e dove fossero i miei amici.
 
Decidemmo di non raccontare a nessuno di aver recuperato la memoria, così da poter indagare meglio.
 
Nella nostra stanza provavo ad allenarmi meglio con i raggi laser e con il volo.
Ma niente.
Sapevo benissimo che sotto pressione i miei poteri non si manifestavano.
Avevo bisogno di lui.
Robin.
 
E dopo settimane di attesa mi trovò o io trovai lui…
 
Quando la madre superiora aprì il portone, pensava di trovar sulla soglia il postino, invece un ragazzo ferito ad un braccio, con gli occhi coperti da una maschera, i capelli neri, pieni di polvere, le si presentò davanti.-
 
-S…Star. È qui. Io l’ho vista. Portatemi da lei.-
 
E svenne.
 
Quel pomeriggio stavo facendo un giro di ricognizione e passando vidi che la stanza dell’infermeria era super affollata. Tutte le ragazze intorno.
Incuriosita, entrai.
 
Lui era lì, che mi fissava con i suoi azzurri, che riconoscerei tra mille, perché quegli occhi li conoscevo solo io (o almeno fino a quel giorno).
 
-Robin, tu, tu sei qui?-
 
Lui mi si avvicinò, chiudendo la porta.
 
-Ti ricordi di me?-
 
Una lacrima gli solcò il viso.
 
-Tu sei il MIO Robin e nessuno potrà mai portarti via dal mio cuore.-
Lui mi strinse forte, finalmente, è tornato.
 
-Oh Kori, ti ho cercata tanto. Sono fuggito per te, per i tuoi occhi, le tue mani.
Ho pregato ogni stella del cielo affinché ci facesse incontrare.
Ma cosa possono le stelle contro l’Universo?-
 
Singhiozzava forte, come un bambino.
 
-Stai bene? Scusami, scusami se non sono riuscito a proteggerti.-
 
Sciolse l’abbraccio e mi guardò preoccupato.
 
-Richard, adesso va tutto bene, perché ci sei tu.
Ma credimi, non è stato sempre così.
Però ti prego, prima spiegami tutto. Dove sono gli altri?-
 
Mi sorrise. Che bello il suo sorriso.
 
-No, prima di tutto ti bacio.-
 
Non mi da nemmeno il tempo di replicare che le sue labbra sono sulle mie.
 
-Quanto mi sei mancata.-
 
Tornò a sedersi sulla brandina e mi fece cenno con la mano.
 
-Vieni, ti dirò quello che è successo.-
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Nota: ecco il quarto capitolo! Dedicato alla RobStar. Che dite? Vi piace? Io ho sempre visto Stella come la prima a reagire nelle situazioni complicate (tipo l’episodio con Mamma Posso).  Ringrazio tutti quelli che recensiscono/leggono/seguono la storia. Davvero grazie!
Aspetto le vostre opinioni. Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 5
*** Richard Grayson-Il potere della responsabilità ***


IL POTERE DELLA RESPONSABILITÀ
 
 
Abbiamo perso. Non posso crederci.
Noi non perdiamo mai.
Siamo i Teen Titans!
E io ero il loro leader, ma non ho fatto niente per salvarli.
 
Tutto ebbe inizio una sera.
Eravamo al sicuro nella nostra T-Tower.
Io e Star stavamo mangiando tranquillamente nella Main Ops Room (avevo cucinato io), Cy era in garage con la sua macchina e BB e Raven in camera “a meditare”.
Quei due! Si ostinano a tenere nascosta la loro relazione, come se non lo avessimo capito!
 
Ma all’improvviso una Raven un po’ agitata irruppe in sala.
 
-Ragazzi, Beast Boy è passato di qua per caso? È uscito più di mezz’ora fa per prendere due pizze e non è ancora tornato…-
 
Un lieve rossore si affacciò sulle guance della mezzo-demone. Doveva essere davvero preoccupata per far sapere a tutti i loro piani per la serata.
 
-L’amico BB non l’ho visto. Tu Robin?-
 
-Nemmeno io, ma tranquilla, sarà qui a momenti. Forse c’era la coda in pizzeria.-
 
Ma non si tranquillizzò per niente.
 
-Sarà… ma ho una brutta sensazione.-
 
Conosco Raven benissimo, è la mia migliore amica e quando fa così, bisogna stare attenti.
 
-Sai che ti dico? Controlliamo la sua posizione.-
 
Mi alzai, diretto verso il computer. Digitai il suo nome.
Eccolo lì, un puntino verde lampeggiante, nell’immenso reticolato di Jump City.
 
-C’è una pizzeria tra la Quinta e la Settima strada?-
 
Gli occhi di Raven diventarono rossi e una decina di tentacoli neri le uscirono dal mantello.
 
-No.-
 
-Star, va a chiamare Cyborg. Titans, go!-
 
Ci precipitammo all’istante, ma trovammo solo il ricevitore di BB.
 
Cercammo indizi dappertutto, nessuna traccia.
Distrutti, ritornammo alla Torre. Non avevo mai visto Raven così.
Sulla porta vi era un dvd, lo inserimmo nel lettore.
 
Un uomo incappucciato, tutto vestito di nero, con la voce alterata ci stava inviando un messaggio chiarissimo.
 
-Salve Titans, ho inibito ogni potere del vostro amichetto.
Se volete vederlo vivo, venite a prenderlo.
Domani alle sedici, tra la Decima e la Dodicesima.
Se non verrete, lui morirà.-
 
Successivamente l’inquadratura si era spostata su Beast Boy, imbavagliato e con le mani legate, emetteva dei mugugni e aveva il viso contratto.
Il video si interrompeva così.
 
L’espressione di Raven era indecifrabile e a me questa situazione non piaceva per niente.
 
-Dobbiamo salvarlo.-
 
-Robin, è una trappola bella e buona. Non hanno chiesto niente in cambio della sua libertà.-
 
-Lo so Raven, ma non possiamo lasciarlo lì.-
 
Cyborg non aveva proferito parola, restava seduto sul divano a fissare il vuoto.
Star si era rifugiata tra le mie braccia, singhiozzava silenziosamente.
 
-Ci serve un piano.-
 
L’indomani io e gli altri ci presentammo nel luogo prestabilito.
 
In realtà gli altri erano solo ologrammi.
I veri Titans erano nascosti.
Alle sedici in punto il tizio, sempre coperto di nero, si presentò solo.
 
-Bene, bene, bene. Vedo che siete venuti. Il mutaforma è al sicuro, nel palazzo dietro di me, in una camera che non gli permette di esibire i suoi magnifici poteri.-
 
Sul serio ci stava dicendo dove fosse?
Era tutto troppo facile.
 
-Cosa vuoi da noi?-
 
Il nemico misterioso si limitò a sorridere.
Una parete del palazzo crollò.
Le vera Raven aveva praticamente tolto un pezzo di cemento, non appena Cyborg aveva localizzato BB.
Potevo sentirla urlare.
 
-Stai bene? Ti prego Gar… rispondimi! Ti scongiuro!-
 
Lo aveva portato giù e gli stava curando tutte le ferite.
Gli ologrammi erano spariti e la squadra si era ricomposta.
Ma lui era ancora lì, con quel sorriso sghembo.
 
-Oh, che carini! Tutti insieme! Davvero non sapete cosa voglio? È facile! Voglio voi!-
 
Un centinaio di uomini completamente vestiti di nero sbucarono da ogni angolo.
 
Ma cosa erano? Ninja?
 
Abilissimi nel combattere, ci misero pochissimo a separarci.
 
Ci accerchiarono.
Grazie al mio bastone riuscivo a tenerli a bada, ma ogni volta che ne stendevo uno, altri cinque mi attaccavano.
Si materializzavano dal nulla.
 
Star sparava raggi laser in ogni direzione, Raven attaccava e BB, quasi completamente ristabilito, si trasformava in tutti gli animali di grossa taglia esistenti.
Si proteggevano a vicenda.
 
Ma poi successe qualcosa che non avrei mai voluto vedere.
Cyborg era a terra, sopra di lui uno di loro.
Gli aveva strappato il chip.
Beast Boy gli era corso incontro, non accorgendosi del nemico, che gli arrivò alle spalle ed inevitabilmente, lo colpì.
 
Quello fu l’inizio della fine.
 
Il capo di quell’esercito mi si avvicinò.
 
-Non pensavo sarebbe stato così facile! Meno due in un colpo solo.-
 
Poi si rivolse ai suoi sottoposti.
 
-Portate l’essere verde in laboratorio, il mezzo-robot lasciatelo lì, non potrà far niente. Alla strega ci penso io.-
 
-Raven, NO! Scappa!-
 
Feci un salto per raggiungerla, ma dieci ninja mi bloccarono.
 
Vidi chiaramente quell’individuo andare dalla mia amica, con passo deciso.
 
Lei era ancora sconvolta, stava cercando di reagire, di impedire che si portassero via BB.
 
Ma ormai quell’uomo l’aveva presa, la stava circondando con un’aurea verde, che proveniva dalle sue mani.
 
Raven fluttuò per un momento, poi la mano di lui si avvicinò alla sua fronte, con un gesto rapido le strappò la gemma.
 
Un urlo.
 
Poi il nulla.
Il suo corpo cadde in modo scomposto sull’asfalto.
 
Sentivo le lacrime, pungenti voler uscire attraverso la maschera.
Ma le ricacciai indietro.
Raccolsi tutte le mie forze e con un calcio allontanai tutti quelli che mi trattenevano.
Ma il momento di libertà durò poco.
 
Venni circondato anch’io dalla stessa energia verde che prima aleggiava su Raven.
 
-Robin, Robin. L’amore rende deboli come vedi. Sai ora che succederà? Farò del male alla tua amichetta.-
 
Non vorrà mica far del male a…
 
-Tu, lurido… non ti permetterò di toccarla. Non starò a guardare mentre uccidi anche lei.-
 
Come riposta ebbi una grossa risata.
 
-Ma io non ho ucciso nessuno. Credimi, la tua amica Raven starà meglio di te, perché sarà al sicuro.
Non posso dire lo stesso di quella graziosissima aliena.
Pronto per lo spettacolo?-
 
Uscire da quella bolla di magia era impossibile.
 
L’ultima cosa che vidi fu il corpo della mia Kori scaraventato lontano metri e metri, vicino ad un campanile.
 
Giurai a me stesso che qualsiasi cosa fosse successa, sarei andato a prenderla.
 
Poi la sfera intorno a me si restrinse, soffocandomi.
Cercai di resistere in tutti i modi, ma svenni.
 
Mi svegliai in una sala buia, immobilizzato su di una sedia.
Improvvisamente una luce bianca mi ferì gli occhi.
 
-Chi sei tu?-
 
Conoscevo quella voce.
 
-Al massimo sono io che dovrei farti questa domanda. Tu chi sei? E perché ci hai fatto questo?-
 
Piano piano mi stavo abituando a quella luce accecante ed iniziai a scorgere una figura nera di fronte a me.
 
-Sapevo che su di te non avrebbe funzionato, con i tuoi amici è stato facile. Sono vulnerabili.
Certe volte avere dei superpoteri può essere un punto debole. Sei d’accordo con me?-
 
Provai a muovermi, ma i miei polsi e le mie gambe erano legati alla sedia. Lui continuò.
 
-Certo che sei d’accordo.
Volevo solo metterti al corrente di alcune cose:
numero uno: non potrai mai liberarti, quindi è inutile che ci provi;
numero due: i Teen Titans non esistono più. È stato facile cancellarvi dalla memoria degli umani, dai loro registri.
Voi non esistete, anzi non siete mai esistiti.-
 
Ma cosa? Come aveva fatto? Dovevo assolutamente uscire si lì. Dovevo trovare i miei amici.
 
Un uomo alto con i capelli brizzolati e gli occhi neri, aprì bruscamente la porta, tutto preoccupato.
 
-Capo, c’è un problema. Dobbiamo immediatamente portare via il prigioniero. Non è più al sicu…AAAAA-
 
Un’ombra nera, ma questa volta a me familiare, piombò nella stanza.
A causa dell’effetto sorpresa i due caddero a terra, messi K.O. dai calci e dai pugni del mio salvatore, che dopo aver azionato un congegno, mi liberò.
 
Attraverso una finestrella riuscimmo a salire sul tetto.
Il campanile si vedeva benissimo.
La figura mi sorrise e appoggiò una mano sulla mia spalla.
 
-Sappi che veglierò sempre su di te, Dick.-
 
E così come era comparso, svanì.
 
-Grazie.-
 
Grazie a lui avevo la possibilità di salvare tutti, di rimediare al mio errore, dovevo proteggerli.
Io sono il loro leader!
 
E sapevo già dove andare.
 
Quando arrivai al convento ero esausto, avevo camminato e corso per ore.
Ma la gioia di rivedere Kori e sapere che esisto per lei, che noi esistiamo, è impareggiabile.
 
Le raccontai tutto, lei mi abbracciò, con le lacrime agli occhi.
 
-Sono così felice di averti qui con me.
Ma ora dobbiamo trovare gli altri.-
 
Mi piace un sacco la sua determinazione, il suo non arrendersi mai.
 
-Assolutamente! Ho già qualche idea.
Ricordi che mi ha detto “il capo”? Che Raven sarebbe stata al sicuro. C’è posto più sicuro di casa?-
 
-Vuoi andare ad Azarath? E come ci arriviamo? Se l’amica Rae non sa niente… come può vivere lì?-
 
Non aveva tutti i torti. Azarath le avrebbe ricordato chi fosse veramente.
 
-Allora è qui sulla Terra. Di certo non da sola. E se… se fosse con sua madre?-
 
Un pensiero balenò nella mia mente e anche in quella di Star.
 
-Ma Robin, questo vorrebbe dire che…-
 
-…che sua madre è complice.-
 
Questo complicava le cose, di molto.
 
-Come la troviamo? I nostri nomi non compaiono in nessun registro, giusto?-
 
-I nostri nomi da Titans, sì. Forse Raven usa il suo vero nome. Sai qual è?-
 
Il suo sguardo si incupì.
 
-No, BB sicuramente lo sa.-
 
-Lo troveremo, vedrai.
Ora pensiamo a Cyborg. Lo hanno lasciato lì, qualcuno lo avrà notato.
Che dici? Passeggiata notturna in ospedale?-
 
Le sorrisi, lei mi abbracciò fortissimo.
 
-Amico Cy, stiamo arrivando!-
 
Dopo un paio di giorni mi ripresi completamente, la mia aliena nel frattempo, aveva trovato la stanza di Cyborg; aveva fatto qualche esplorazione, si era aggirata per tutti i reparti e lo aveva visto, dormiente.
 
Finalmente il giorno del “rapimento” arrivò.
Con qualche mezzo di fortuna e tanta pazienza avevo ricostruito il chip mancante.
 
Il piano era questo: dovevo entrare nell’edificio, Kori sarebbe stata fuori, non appena lo avessi trovato, l’avrei chiamata e lei con la sua forza ci avrebbe trasportati al convento.
 
Per un primo momento sembrò andare tutto liscio, ma poi… BB era lì, era entrato, aveva parlato, era vivo, non ci potevo credere.
Ed era normale.
Questa frase però la dissi ad alta voce.
 
-Che diavolo? Certo che sono normale! Come fai a conoscere il mio nome?-
 
E ora che mi invento?
Non ricorda niente, non posso traumatizzarlo così, non mi crederebbe.
Cy mi guarda preoccupato.
 
-Ehm… l’infermiera mi ha detto che mio fratello, qui, ha delle visite.
Ho pensato: ma chi è il pazzo che parla con un uomo che non può rispondere? Poi ti ho visto e ho detto: oh, ma sei normale!-
 
La scusa più pietosa di sempre.
Lui alza un sopracciglio e incrocia le braccia sul petto.
 
-Amico, ma chi pensi di prendere in giro? Tu stai fermo qui, io chiamo i dottori.-
 
Prende la chiave, esce e ci chiude dentro.
Poco male.
È dalla finestra che scappiamo.
Attivo il ricevitore il più veloce possibile.
 
-Star, ora!-
 
Lei arriva in volo da noi, ci prende ed insieme decolliamo verso il monastero.
 
-Mi spiace BB, tornerò a prenderti.-
 
Poggiamo Cyborg sul lettino dell’infermeria, il viaggio deve averlo stancato perché è svenuto.
Delicatamente inserisco il chip nei circuiti e ricollego tutti i fili.
 
Lui si sveglia. Guarda prima me e poi Star.
Un ampio sorriso compare sul suo volto.
 
- Booyah! Grazie amici!-
 
Ci abbraccia, per poco non ci soffoca. Noi gli raccontiamo tutto, dei criminali, dei nostri dati cancellati.
Lui ascolta, attento, in silenzio e ogni tanto annuisce.
 
-Quindi ora restano i due piccioncini da salvare?-
 
Star lo guarda perplesso.
 
-No, restano l’amico BB e l’amica Rae.-
 
Cyborg scoppia a ridere, come sempre tocca a me spiegarle tutte le antifone, i modi di dire e tanto altro.
 
-Era quello che intendeva dire, Kori.-
 
-Ragazzi se volete posso fare una ricerca su Trigon. Magari salta fuori il nome della mamma di Raven.-
 
I circuiti di Cyborg si illuminano di un celeste chiaro e dal suo braccio meccanico viene fuori una mini tastiera.
 
-Boom, trovato. “Più di vent’anni fa a Gotham City, il demone, attraverso una cerimonia iniziatica, fu risvegliato e portato in forma umana con l’aiuto di una giovane donna: Angela Roth.”
Credo sia lei. Potremmo localizzare tutti i Roth che vivono nella vicinanze.-
 
-Ottima idea!-
 
Il nostro amico riprende la ricerca, io e Star ci guardiamo preoccupati.
 
-La casa più vicina che corrisponde al cognome è a due chilometri da qui.-
 
-Ci vado io, domani mattina però. Adesso siamo tutti stanchi.-
 
All’alba, esco furtivamente e raggiungo la casa.
Dopo un po’, con mia grande sorpresa, dalla porta esce Raven, con un cappuccio in testa, come sempre.
La inseguo per tutto il giorno.
 
Va all’Università. Studia in biblioteca. La memoria le sarà stata anche cancellata, ma la sua personalità no.
 
Durante il viaggio di ritorno mi avvicino un po’ a lei, ma quando incrocia il mio sguardo mi copro con un paio di occhiali da sole. Non posso andare in giro con la maschera.
Vedo che porta una mano alla testa e fa una smorfia di dolore.
Che sta a significare? Che qualcosa la ricorda?
 
Non appena il treno raggiunge la stazione, la supero e corro verso casa sua.
Mi nascondo dietro un cespuglio e dal balcone vedo una donna, sua madre; riesco a sentire ciò che dice.
 
-Sai che non devi chiamarmi a casa! Ci potrebbe scoprire.
E va bene dimmi questa cosa importante.-
 
Lo sapevo! Quella donna nasconde qualcosa.
Raven sta entrando in casa. Purtroppo devo scappare, un furgone nero è appostavo proprio di fronte all’abitazione, non posso lasciare che mi scoprano.
 
Devo tornare dagli altri ed insieme capire come far tornare la memoria a Beast Boy e come liberare Raven.
 
Troveremo un modo.





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota: ecco a voi il quinto capitolo! E con questo abbiamo completato la squadra. Avete capito chi ha salvato Robin? E chi sarà mai questa “organizzazione criminale”?
Bene credo di aver chiarito un paio di cose (e complicato altre).
Spero di non avervi deluso!
Come sempre grazie mille a chi mi sostiene! Non so che farei senza di voi!
Scusate per il piccolo ritardo, gli esami della sessione autunnale mi stanno uccidendo, ma non potevo non aggiornare (poi ho gli incubi).
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 6
*** F.A.D.E. Society ***


Piccola premessa: in questo capitolo ho voluto tracciare una piccola storia del “cattivo” così da poter spiegare meglio il perché delle sue azioni.
P.S.: Ricordate i titoli dei capitoli? Bene, qui verrà accennato qualcosa che li riguarda.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
 
 
F.A.D.E. SOCIETY
 
Cornelio Molidás nacque in un’enorme villa nella periferia di Jump City, quando la gente credeva ancora nella magia e il circo era il loro passatempo preferito.
Crebbe tra le strade polverose, all’ombra del mito della città dai mille pericoli ed un solo eroe.
Trascorse l’infanzia con due genitori che non vedeva mai.
Impegnati nel portare denaro a casa, non si preoccupavano dell’amore che lasciavano fuori.
 
Gli unici amici di Cornelio erano i suoi giocattoli, piccoli pupazzetti in plastica vestiti da ninja, provenienti direttamente dal Giappone. Suo padre gliene portava uno dopo ogni suo viaggio.
Era un affermato commerciante d’armi.
 
-Tutto legale.-
 
Ripeteva in continuazione questa frase, più a se stesso che agli altri.
Sua madre era una scienziata, o meglio, era la scienziata che conduceva i più svariati esperimenti al servizio di una disperata voglia di conoscenza mai appagata; la più piccola della famiglia Alvada, l’unica a seguire le orme del padre.
 
I Molidás si erano trasferiti a Jump City fuggendo da una Spagna che ormai dava loro solo dispiaceri, dopo appena due mesi di matrimonio.
Non dissero mai al loro figlio il perché di quella partenza precipitosa.
 
Cornelio ebbe molti interessi durante la sua adolescenza, ma i più grandi di tutti furono le arti marziali e i libri (in particolari quelli di magia).
Potrebbe sembrare strano, considerando il lavoro dei suoi genitori, ma per il ragazzo non lo era, anzi.
Cercava la magia in ogni test di sua madre e razionalizzava ogni aspetto magico.
Potenziava ogni trucco attraverso la scienza e con il passare degli anni quel borgo iniziava a stargli stretto.
 
Raggiunta la maggiore età, decise di recarsi nella città che aveva sempre sognato da bambino: Gotham.
 
Trovò lavoro come illusionista presso un circo locale: Haly’s Circus.
Le persone che ci lavoravano accolsero Cornelio con entusiasmo.
Fece amicizia con tutti ed in particolare con un ragazzino più piccolo di lui: Richard.
Passavano insieme interi pomeriggi.
Tuttavia il clima che si respirava in quegli anni non era certo dei migliori.
Il mafioso Tony Zucco spaventava chiunque, chiedendo soldi in cambio della vita.
 
Una sera Cornelio lo vide parlare con Mr Haly, stavano fissando un prezzo e nessuno dei due sembrava contento.
Don Tony, finita la conversazione, si era accorto di quel ragazzo e con un sorriso che lasciava intravedere i canini gli si avvicinò.
 
-E tu, piccolo ficcanaso, chi sei?-
 
-Cornelio Molidás.-
 
Rispose a testa alta, non sapendo di aver firmato la sua condanna.
 
Qualche settimana dopo, durante uno spettacolo, il pubblico vide la tragica fine di quelli che erano i più bravi acrobati del circo: i Grayson volanti.
La coppia aveva un bambino di dodici anni, Richard.
 
Accadde molto velocemente, il circo chiuse, sparirono tutti, Cornelio si ritrovò solo. Decise di tornare a casa.
 
Ciò che dovette affrontare fu drammatico.
Giunse a Jump City all’alba.
La villa era immersa nell’oscurità, la porta aperta.
Il ragazzo avvertì qualcosa di losco nell’aria, entrò con estrema cautela.
Poco dopo, in cucina, scoprì i corpi senza vita dei suoi genitori.
Suo padre stringeva tra le mani un foglio ed una penna, tra le lacrime il ragazzo li raccolse delicatamente ed iniziò a leggere.
 
 
Caro figlio,
non so come abbia fatto a trovarci, ma so che verrà a prenderci, non possiamo fare più niente per noi, tu invece puoi salvarti, puoi rifarti una vita, cambia identità, dimenticati di noi e guarda avanti, non cercare vendetta, solo verità. Va’ dai tuoi amici.
Siamo stati dei vigliacchi, siamo scappati dalla nostra terra convinti che qui la mafia non ci avrebbe raggiunti, non abbiamo chiesto aiuto a nessuno, sbagliando.
Perdonaci per tutto il bene che non ti abbiamo dimostrato.
Sii forte, insegui i tuoi sogni.
 
 

 
Non aveva fatto in tempo a firmare.
I sicari li avevano freddati prima che potessero fare altro.
 
Cornelio si guardò intorno, sembrava tutto normale, i raggi del sole iniziavano a filtrare dalle finestre, inondando di luce la casa.
Rimase immobile fin quando non ebbe versato ogni lacrima.
Era stato lui a consegnare i suoi genitori nelle mani di quel mafioso.
 
L’unica persona che poteva capirlo era Richard.
Per giorni interi fece ricerche su di lui; scoprì che era stato adottato da un certo Bruce Wayne.
Un miliardario.
Bussò alla loro porta, ma fu cacciato via.
Iniziò a seguirlo da lontano, finché venne a conoscenza di una cosa.
 
Grazie alle sue arti marziali applicate alla magia riuscì a scoprire cosa o chi si nascondesse dietro quell’ultramiliardario: il suo supereroe preferito, Batman.
 
Una rabbia cieca offuscò da quel giorno il ragazzo.
Prima l’avrebbe fatta pagare a quello che ora si faceva chiamare Robin e poi a Tony Zucco.
Si era illuso di poter ricominciare insieme al suo amico. Tuttavia ora era la spalla di un mito.
E lui? Perché era solo al mondo? Perché nessuno lo aveva salvato?
I loro destini si erano divisi. Ma si sarebbero incrociati nuovamente.
Decise di diventare migliore di lui, decise di volerlo superare e, al momento giusto, di sconfiggerlo.
Si sarebbe salvato da solo.
 
Diventò un commerciante d’armi come suo padre, continuò le ricerche di sua madre, perfezionò le sue arti magiche e il suo stile di lotta.
Si recò in Giappone per perfezionarla e tornò a casa con un piccolo esercito di ninja che aveva appoggiato la sua causa e che aveva deciso di seguirlo.
 
Gli anni passavano e il dominio commerciale di Cornelio (o dottor Mol, come lo chiamavano tutti) si allargava, tuttavia anche Richard si era reso indipendente e aveva fondato un gruppo di giovani eroi: i Teen Titans.
 
Molte volte erano crollati ma altrettante si erano rialzati.
Cornelio li osservava, nascosto, registrando i loro punti di forza e di debolezza, preparando il suo attacco.
 
Il suo numero di seguaci era aumentato così tanto che decise di dargli un nome: F.A.D.E. Society.
 
Una sera riunì tutti i membri per annunciare che finalmente potevano uscire allo scoperto.
 
-Amici miei, per troppi anni siamo stati rinchiusi in queste fogne.
È giunta l’ora di mostrare al mondo la nostra grandezza.
Tutto ciò che abbiamo sempre sognato sarà nostro: magia, energia, valore, forza e potere!
Il nostro piano è separarli. Insieme sono invincibili, ma noi non ci faremo spaventare.
Partiremo dal più debole, quel ragazzino verde.
Catturatelo, se gli versate quella soluzione che vi ho dato sarà incapace di trasformarsi e senza quello non può far niente. Andate!-
 
Poche ore dopo, un Beast Boy ferito e privo di sensi era giunto nella sede della Società.
Il dottor Mol gli si avvicinò piano, con una mano gli sollevò il viso ed iniziò a schiaffeggiarlo con forza.
 
Il ragazzo si svegliò tutto frastornato.
L’ultima cosa che aveva visto era una dozzina di tipi che gli saltava addosso versandogli una sostanza che sembrava acqua.
Aveva provato a reagire ma i suoi muscoli non rispondevano, qualcosa non andava.
Quando ebbe ripreso del tutto conoscenza vide danti a sé un uomo incappucciato, con una maschera sul volto, la prima cosa che gli venne in mente fu scoprire se anche gli altri si trovassero nella sua stessa situazione, o peggio.
 
Iniziò a guardarsi intorno e quasi inconsciamente sussurrò il nome di Raven.
Lei era alla Torre, lo stava aspettando.
L’uomo nero (così lo aveva battezzato nella sua testa BB) iniziò a ridacchiare.
 
-Tranquillo, i tuoi amici non ci sono, per ora. Sono preoccupati per te, però. Che dici gli facciamo arrivare tue notizie?-
 
Dopo averlo imbavagliato e aver girato un video, lo lasciò solo. Uscì creando un  varco, simile a quelli di Raven, solo di colore verde.
 
In quella stanza vuota, senza porte né finestre, Garfield iniziò a rimuginare.
 
Chissà cosa avrebbero pensato i suoi amici.
E lei?
Immaginò il suo viso, contratto per il dolore che stava provando e che le stava indirettamente causando.
 
Lacrime salate iniziarono a solcargli il viso. Ciò che lo faceva soffrire di più era la sua incapacità di uscire da quella situazione, qualcosa gli impediva di trasformarsi, di correre via da lei, di proteggerla.
Era come in trance, si sentiva sempre stanco.
Rimase lì per ore, finché improvvisamente un altro portale si aprì, il suo aguzzino era tornato.
BB lo guardava camminare lentamente lungo le pareti. Fece un bel respiro, prese coraggio.
 
-Tu sei pazzo! Liberami subito! I miei amici ti faranno a pezzi, verranno qui e per te sarà la fine!-
 
Aveva urlato quelle parole, sperava che il suono della sua voce superasse quello della sua paura.
 
Il criminale sospirò, spazientito.
 
-È quello che voglio, ragazzino. Li voglio tutti qui. Non ti lasceranno marcire in questa prigione.-
 
Dunque era tutta una trappola. Per un attimo il panico prese il sopravvento, gli altri erano davvero in pericolo e la colpa era sua.
La rabbia iniziò a farsi sentire, non gli importava di diventare nuovamente la Bestia, doveva avvertirli. E mentre la familiare sensazione di completo abbandono al lato oscuro lo pervadeva, qualcos’altro dall’esterno lo opprimeva, costringendolo nella sua forma umana.
Affranto, tornò a guardare con rabbia il responsabile di tutto.
 
-Ma perché non posso trasformarmi? Ma chi sei? E chi sono tutti gli altri?-
 
Il dottor Mol si tolse la maschera nera che gli copriva il viso.
Un uomo sui venticinque anni, occhi neri, capelli dello stesso colore si presentò a Beast Boy.
 
-Cornelio Molidás. Presidente della F.A.D.E. Society.-
 
Chi? La confusione era leggibile nel ragazzo, alzò un sopracciglio.
 
-F.A.D.E.? Sta per Folli Abominevoli Deviati Esagerati?-
 
-Se fossi in te non scherzerei tanto. F.A.D.E. sta per Fearful Awful Destructive Eternal. Sai che vuol dire, vero? Pauroso Terribile Distruttivo Eterno. Noi ci dissolviamo.-
 
Faceva sul serio.
 
-Rispondo alla tua prima domanda. Attraverso i condotti di areazione fuoriesce una sostanza che interagisce con il tuo DNA e blocca la tua “abilità”.-
 
Lo fissava, incredulo.
 
-Lo ripeto: sei pazzo! Perché mi dici tutte queste cose? Quando verranno i miei amici dirò tutto!-
 
L’uomo portò una mano alla testa, massaggiandosi le tempie.
 
-Che pazienza. Sei solo un illuso. Te le dico perché non resterai abbastanza lucido da poterlo raccontare al mondo. Se solo sapessi tutto quello che c’è dietro questo tuo rapimento.
E ora preparati, presto rivedrai i tuoi compagni.-
 
Lo lasciò nuovamente solo. Si doveva occupare di altro.
Dopo Beast Boy, il più vulnerabile era Cyborg.
Tra le sue file di seguaci c’erano ex allievi di Brother Blood. Lo avrebbero messo fuori uso loro.
Poi vi era Starfire. Nulla di preoccupante. L’avrebbe rispedita sul suo pianeta.
Il problema che sembrava insormontabile era rappresentato da Raven.
Ma Cornelio, aveva passato gli ultimi anni ad Azarath e aveva appreso le più antiche magie dai figli di Trigon.
Il punto debole di Raven era la gemma. Così preziosa. Ed inoltre aveva un aiuto non indifferente: Arella.
Durante il suo viaggio nel mondo magico, si erano incontrati.
La donna, aveva espresso il desiderio di riavere una vita normale con sua figlia.
Lui stava solo realizzando questo desiderio.
 
Infine, il più importante di tutti: Robin.
Il ragazzo meraviglia, era il più abile, ma Cornelio con la sua magia era più forte.
Aveva in mente un bel po’ di idee su come torturarlo.
 
La parte iniziale del piano del dottor Mol si adempì alla perfezione.
I Titans erano caduti nella sua trappola.
Aveva sconfitto gli elementi carenti della squadra, aveva restituito una figlia (con una bella cicatrice) a sua madre, ma soprattutto aveva in pugno Robin.
 
Finalmente gliel’avrebbe fatta pagare per quegli anni passati a soffrire, a rimboccarsi le maniche.
Tutto ciò che aveva, se l’era guadagnato, a Robin invece, era stato servito su un piatto d’argento.
 
Ma la seconda parte del piano non ebbe luogo a causa dell’arrivo di Batman.
Non appena Cornelio si riprese dai colpi del supereroe, sentì la delusione farsi largo.
 
“Come ai vecchi tempi” pensò.
 
Con Robin in libertà, anche gli altri del gruppo potevano essere liberati dai loro mondi privi di ricordi.
 
 
Per prima cosa avvisò Arella e inviò dei ninja affinché vigilassero l’ingresso dell’abitazione.
Doveva trovarlo e distruggerlo.
 
-Ti annienterò Grayson. Fosse l’ultima cosa che faccio.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 










 
 
Note; ecco a voi il mio sesto capitolo! Spero vi sia piaciuto! E spero di essere riuscita a caratterizzare il nemico. Mi dispiace per l’enorme ritardo, ma ho pochissimo tempo libero per poter riscrivere al computer la storia. Prometto che il prossimo capitolo arriverà a breve!
Fatemi sapere cosa ne pensate! Ringrazio ancora tutti quelli che leggono/recensiscono o che tengono in considerazione ciò che scrivo.
P.S.: Il nome del circo non l’ho inventato, è proprio quello della famiglia di Robin.
Fade in inglese significa dissolvenza ecco perché Cornelio dice : “Noi ci dissolviamo”.
Alla prossima!
 

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Capitolo 7
*** L'imprevedibilità del destino ***


L’IMPREVEDIBILITÀ DEL DESTINO
 
La prima cosa che fa è abbracciarmi.
Mi lascia senza parole, spiazzata.
Non ricordo di essere stata mai abbracciata in questo modo da mia madre. Siamo legate, certo, ma non ci sbilanciamo in dimostrazioni d’affetto.
La spingo delicatamente indietro e le rivolgo uno sguardo confuso.
Il suo gesto non mi smuoverà dalla mia decisione. Devo sapere.
 
-Mamma, per favore. Con chi stavi parlando? Cosa mi sta succedendo?-
 
Si passa una mano tra i lunghi capelli neri, così simili ai miei. Si guarda un po’ intorno e poi mi indica la poltrona del salotto.
Sospirando mi siedo, lasciandomi andare lentamente, facendo imprimere la mia forma sulla morbida spugna, senza distogliere lo sguardo da mia madre.
 
-Devi sapere che tuo padre è un uomo molto pericoloso, ho paura per questo. Lui… lui è evaso di prigione e sta venendo a prenderti. Ecco perché sono preoccupata. Ecco perché devi stare chiusa qui. Non voglio che ti faccia del male mentre stai andando all’università o altro. Non te l’ho detto prima perché non volevo scioccarti, tutto qui.-
 
Le sue mani tremano ed è molto nervosa.
Quindi dovrei rinchiudermi in casa per colpa di mio padre? Non mi convince assolutamente. Le faccio un’altra domanda.
 
-E che ruolo hanno i miei ricordi?-
 
Incrocio le braccia al petto e la guardo in tralice.
 
-Beh… non voglio che ricordi il periodo trascorso con quel mostro. Ora sei felice, giusto? Perché rovinarti la vita per un essere così crudele?-
 
Ma cosa può aver mai fatto? Sono più confusa di prima.
La vita me la sta già rovinando, visto che non posso più uscire di casa.
 
-Mamma perché non ricordo nulla? Forse penserai che è meglio così. Ma per me non lo è. Mi sento come se un pezzo importantissimo della mia esistenza mi fosse stato strappato via.-
 
Sento appannarsi la vista, ma non posso piangere, io non piango mai. O almeno da quel poco che ricordo.
Le mi si avvicina e mi riabbraccia.
 
-Quando riacciufferanno tuo padre ti spiegherò tutto, promesso. Ora però dammi retta, stai qui. Sarai al sicuro, due agenti di polizia in borghese sono piantonati qui fuori.-
 
Scioglie l’abbraccio e la sua espressione è molto più ferma rispetto a quella di pochi secondi fa.
Mi affaccio alla finestra e noto un camion nero parcheggiato vicino la porta d’ingresso. Devono essere gli agenti. Però, che velocità.
Il mio sesto senso mi dice che qualcosa non va e che mia madre non sta raccontando la verità.
Ma che ci posso fare?
 
-E con le lezioni come faccio? Non posso bloccare la mia vita per lui. devo studiare, l’anno accademico è appena iniziato, devo comprare i libri.-
 
Mia madre mi sorride, soddisfatta. Mi sono arresa e lei l’ha capito.
 
-Te li compro io, per le lezioni… potresti chiedere ad una tua amica di passarti gli appunti. Oppure potresti trovarli su internet.-
 
Meglio la seconda. Sono un po’ a corto di amici.
Ma ho mai avuto un amico? Vorrei tanto ricordarlo.
 
 
I giorni a casa sono tutti uguali. Qualche libro l’ho recuperato ma mi manca andare in biblioteca.
E poi mia madre ogni giorno che passa è sempre più in agitazione.
Mi chiedo che senso abbia stare qui. Mio padre sa dove abito. Quindi potrebbe raggiungerci da un giorno all’altro.
Forse è nervosa per questo.
E se…
No, non posso farlo, non posso scappare. Ma la mia sicurezza viene prima di tutto, giusto?
Se trovassi un posticino dove stare, lontano da qui e non dicessi nulla a mia madre per non coinvolgerla?
Ci starebbe malissimo, lo so. Ma sarei al sicuro.
C’è solo un problema.
Gli agenti.
Devo elaborare un piano per fuggire via.
Potrei utilizzare la porta sul retro e scavalcare il cancello.
Vorrei avere il potere del teletrasporto.
 
Andrò via di notte.
Lascerò un biglietto a mia madre in cui le dirò di non preoccuparsi…
 
 
 
Preparo il mio zaino, ci metto qualche libro, felpe e jeans.
Esco dalla mia camera.
Con calma, senza fare alcun rumore, mi reco in cucina.
La luce della luna filtra attraverso le persiane, creando affascinanti giochi luminosi. Ma non posso stare lì a guardarli.
Poggio un foglietto sul tavolo, apro piano la porta secondaria, tanto quanto basta per far scivolare fuori il mio esile corpo.
L’aria frizzantina di Ottobre mi raggiunge fin dentro le ossa.
Non ho ancora pensato dove passare la notte.
Oltrepasso l’inferriata e arrivo con un tonfo dall’altra parte. Forse un tonfo un po’ troppo rumoroso.
Due fari si accendono, accecandomi per un attimo.
Si sono accorti della mia fuga!
Corro a più non posso, con il furgone nero alle calcagna.
La strada è buia e desolata, mi prenderanno.
Poi d’improvviso vedo un piccolo vialetto alla mia sinistra. Non ci passerà mai quel bestione.
Svolto e anche se la fatica inizia a farsi sentire, la mia voglia di libertà è più forte.
Eccola lì, la fine della stradina.
Ma proprio mentre sto per uscire, cado.
Sento l’asfalto durissimo sbattere contro le mie gambe.
Qualcosa proveniente dalla direzione opposta alla mia, mi è finita addosso o meglio, io sono finita contro qualcosa.
Alzo lo sguardo e un ragazzo è in piedi di fronte a me.
La fioca luce dei lampioni lo illumina dalle spalle in giù, non riesco a scorgere il suo viso.
È uno di loro?
Cerco di rimettermi in piedi ma la caviglia mi fa malissimo.
L’individuo mi tende la mano.
 
-Ma sei una ragazza? Dove vai a quest’ora di notte, da sola?-
 
Però, perspicace il ragazzo. No, non è sicuramente un agente.
Guardo quella mano protesa verso di me.
È uguale, identica a quella che mi appare in sogno.
Solo che ovviamente non è verde.
Che stupida, una mano verde. Ma come faccio a sognare cose del genere?
 
-Certo che sono una ragazza! Che domande! Ce la faccio da sola.-
 
Zoppicante mi alzo.
Ora riesco a malapena a guardarlo negli occhi, mi sorride.
Qualcosa nel suo viso mi disturba, la testa inizia a girarmi sempre di più.
Sto per cadere, ma lui è più veloce.
Sento le sue braccia che mi prendono e mi sollevano da terra.
È una sensazione così familiare.
Il suo profumo.
Mi sento a casa. Qualcosa mi dice che posso fidarmi di lui.
Uno sconosciuto.
 
-Ti porto da Cindy e Flynn. Sono due bravissimi infermieri.-
 
Il mal di testa è troppo forte, non riesco nemmeno a parlare. Odio essere così vulnerabile.
 
Dieci minuti dopo arriviamo in una piccola casetta, soffitti bianchi, pareti giallo zafferanno. Il mobilio è classicheggiante, un piccolo divanetto rosso in pelle mi aspetta.
Il ragazzo mi poggia lì, con molta delicatezza.
Non vedo nessuna Cindy e nessun Flynn, sento il panico assalirmi.
 
-Tranquilla, stanno arrivando.-
 
Finalmente per la prima volta inchiodo, per bene, i miei occhi ai suoi.
Sono azzurri, ma non quell’azzurro freddo e distaccato.
È un azzurro caldo, avvolgente, liquido.
Sono letteralmente travolta dal suo sguardo.
Inclina la testa ad un lato, allontanandosi un po’ e un lieve rossore inizia ad affacciarsi sulle sue guance.
Forse sto arrossendo anche io, ma non mi importa. Voglio arrivare fino in fondo ai suoi occhi.
Mi stanno chiamando, so che c’è qualcosa per me, so che quel verd… aspetta un attimo, sono azzurri, non verdi!
Ho un problema con questo colore.
 
-N… non guardarmi così. Mi metti in imbarazzo…-
 
L’ho spaventato. Brava Rachel, complimenti. Un altro che ha paura di te. Sto per alzarmi, quando lui riprende a sorridermi e con la mano sinistra si gratta la nuca.
 
-Cioè… so di essere bello. Ma sono anche un po’ timido.-
 
Sospiro sonoramente, rivolgendogli uno sguardo corrucciato.
 
-Non sei per niente divertente.-
 
Dentro di me sorrido. Lui è diverso.
 
-Certo che sei buffa.-
 
-E tu sei strano. Hai sempre avuto gli occhi di quel colore?-
 
Mi accorgo di aver parlato troppo, porto una mano alla bocca, maledicendomi mentalmente.
Lui mi guarda un po’ turbato.
 
-Ma che domande fai?-
 
Faccio spallucce, gli rispondo, cercando di far risultare la mia voce il più atona possibile.
 
-Non che le tue siano migliori: “Ma sei una ragazza?”. Mi sembra abbastanza senza senso.-
 
Di solito la reazione a questa intonazione vocale è sempre la stessa: se ne vanno.
Ma lui no. Anzi si avvicina.
Si siede sul divano, accanto a me e si lascia andare. Poggia la testa sullo schienale e chiude gli occhi.
 
-In questo mondo niente è sicuro. Avevo un amico, ma lo hanno rapito e io non ho potuto impedirlo. Sono spariti nel nulla, capisci? Il mio unico amico. Non che avesse una bella parlantina…-
 
-Per quello ci sei tu…-
 
Ridacchia, senza smuoversi dalla sua posizione.
 
-Esatto. Mi ero affezionato. Anche se conoscevo solo il suo nome.
A proposito! Non ci siamo presentati!-
 
Scatta in piedi e io mi stupisco. Non si lascia abbattere da niente e non lascia il tempo di dirgli niente.
Allunga la mano, il suo viso si apre in un sorriso, ha dei canini veramente affilati… non è un vampiro, vero?
 
-Garfield Mark Logan!-
 
Doppio nome! Gli sta bene. Scuoto il capo e ricambio il gesto.
 
-Rachel Roth.-
 
Nell’esatto istante in cui le nostre mani si stringono, una scarica elettrica mi attraversa e molliamo la presa. A quanto pare ha avuto lo stesso effetto su di lui.
Ma non abbiamo il tempo di reagire, due signori sulla sessantina entrano in casa discutendo.
 
-Ti avevo detto di lasciar perdere!-
 
-Ormai è andata così Cindy, basta. Ma ehi! Chi hai portato qui?-
 
Mi sento terribilmente osservata, mi faccio piccola piccola sul divano.
Garfield prende la parola, salvandomi (ancora una volta) da questa situazione.
 
-Ehm… lei è Rachel. Era tutta sola, vagava senza una meta ed era ferita.-
 
Sentendo ciò la donna assume un’espressione preoccupata e mi si avvicina, facendo svolazzare il suo vestito a fiori.
 
-E ora come ti senti, cara?-
 
Resto un po’ interdetta, non sono abituata a tanta gentilezza.
 
-Meglio, signora, grazie.-
 
Cindy tira un sospiro di sollievo e muove leggermente la testa.
 
-Flynn non credi anche tu che sia strano?-
 
Strano? Cosa è strano?
L’uomo si appresta a quella che credo sia sua moglie, mettendole le mani sulle spalle.
 
-Qualche tempo fa abbiamo trovato qui fuori Garfield che delirava ed era messo piuttosto male, lui non ricorda niente di ciò che è stato prima di quel giorno, tranne il suo nome.-
 
Guardo quel ragazzo scettica. A quanto pare abbiamo più cose in comune di quanto pensassi.
Lui si stringe nelle spalle, non abbandonando il suo sorriso. Ma come fa? Rispondo distrattamente.
 
-Sì, so il suo nome. Mi si è presentato urlando: “Garfield Mark Logan”!-
 
La sua espressione cambia, si avvicina, forse troppo. Istintivamente indietreggio.
 
-Ripetilo. Il mio nome.-
 
Resto senza parole, perché vuole che lo ripeta?
 
-Ma sei impazzito?-
 
In un attimo riprende la ragione, mette una mano sulla fronte e si allontana.
 
-Scu… scusa. Non so cosa mi sia preso. È come se avessi già sentito la tua voce, nella mia testa.-
 
Preferiamo chiudere la faccenda qui.
 
Dopo aver saputo di essere a stomaco vuoto, Cindy decide di prepararmi una cena di mezzanotte: bistecca.
Il biondino non mangia.
Dopo cena mi avvicino a lui, in disparte.
 
-Perché non mangi?-
 
Non mi ha vista arrivare e quando sente la mia voce un po’ sussulta.
 
-Beh, è una storia lunga. Non posso mangiare carne…-
 
Non che io sia estremamente curiosa, ma lui ha qualcosa…
 
-Perché?-
 
Mi guarda abbastanza divertito.
 
-Ma non ero io quello che faceva troppe domande?-
 
Alzo le spalle, fingendo indifferenza.
 
-Non so nemmeno perché te lo sto dicendo… diventoverdequandolamangio.-
 
L’ultima frase la dice tutta d’un fiato. E mi colpisce nuovamente quel colore. Diventa verde?
 
-Eh? Se mi stai prendendo in giro, non è divertente.-
 
Vedo la sua faccia delusa. Forse ha detto la verità…
Cindy si avvicina a noi, con due tazze di caffèlatte.
 
-Come state ragazzi?-
-Abbastanza bene, grazie mille.-
 
Garfield le fa l’occhiolino.
 
-In piedi.-
 
La donna scoppia in una risata fragorosa.
 
-Buona questa!-
 
Lui mi viene vicinissimo, sussurrandomi una frase.
 
-Visto? Lei mi trova divertente.-
 
Alzo gli occhi al cielo, non scomponendomi troppo, gli rispondo con voce priva di ogni emozione.
 
-Statisticamente parlando, a qualcuno deve pur succedere, prima o poi.-
 
Ci voltiamo di scatto, una fortissima sensazione di déjà vu mi da la nausea.
Anche Garfield è scosso.
 
-Io, è come se avessi già vissuto questa scena…-
 
Porto le mani al viso e sprofondo sul divano, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Mi scosto un ciuffo dagli occhi e alzo il viso per osservare quel ragazzo strano…
Lui mi fissa, un po’ confuso.
 
-Cosa è quella cicatrice che hai sulla fronte?-
 
Incredibile. Riesce a cambiare discorso da un secondo all’altro.
Non ho nessuna voglia di parlare della mia cicatrice.
Sbuffo, ma lui sembra ipnotizzato. Barcolla verso di me con l’indice proteso.
Senza che me ne renda conto mi è a pochi millimetri e con un semplice gesto poggia il dito sul mio segno rosso.
Nuovamente una scarica elettrica mi percorre dalla testa ai piedi, ma questa volta è molto più scombussolante.
Sconvolge i miei ricordi, le mie idee, chiudo gli occhi, incapace di sostenere tutte queste emozioni.
Vedo quattro figure avvolte dalla nebbia. Una torre a forma di T. Dei capelli rossi, fucsia, Starfire! Un mantello nero, dei congegni azzurri… Robin e Cyborg!
Quella mano verde, ora riesco a vederne il viso… Gar!
Riapro gli occhi, annaspando.
Lui si stacca dalla mia fronte, sta tremando, il suo corpo è percorso da brividi.
Poi si blocca.
L’espressione preoccupata lascia il posto ad un sorriso, il suo meraviglioso sorriso.
Mi mordo il labbro inferiore, stringendo tra le mani il tessuto del divano.
 
-Gar…-
 
Lui inclina la testa in quel modo così familiare…
 
-Rae Rae!-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Nota di un’autrice che si sente male per il ritardo enorme: mi dispiace!! Ma son dovuta partire improvvisamente per Roma-caput mundi e non ho portato con me i mezzi necessari. Ora sono tornata. Spero solo ne sia valsa la pena aspettare tanto!
Che mi dite? BBRae!
Vi è piaciuto il modo in cui si sono incontrati?
Fatemi sapere. E perdonatemi! Spero di non avervi deluso.
Molto probabilmente il prossimo sarà l’ultimo capitolo. Siete pronti per la battaglia?
A prestissimo!

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Capitolo 8
*** L'oscurità dell'alba e la luminosità del crepuscolo ***


Premessa: Come potete vedere, non ho abbandonato la fic e non l’avrei abbandonata per nessuna ragione al mondo. Purtroppo, come qualcuno di voi sa, ho avuto dei bei problemoni di salute che non mi hanno permesso di pubblicare prima. Ma ora sono qui e vi lascio alla lettura dell’ultimo capitolo (che è lunghissimo). Spero davvero di non deludere nessuno.
Buona lettura!
 
 
 
L’OSCURITÀ DELL’ALBA E LA LUMINOSITÀ DEL CREPUSCOLO
 

 
 

Quando tutti i nostri ricordi ci vengono letteralmente strappati via è come se la nostra anima si dividesse.
Una parte si allontana, lascia un vuoto.
L’altra la reclama, la cerca in ogni angolo del mondo.
Quando finalmente la trova si unisce a lei per sempre, le si incatena, per non permettere più che nessuno gliela sottragga.
 
Era così che si sentiva una ragazza speciale, affacciata ad un balcone qualsiasi, in una città come tante.
 
Raven chiuse gli occhi, godendosi il vento fresco dell’alba che si prestava ad alzarsi.
 
-Azarath Metrion Zinthos.-
 
Niente da fare, non funzionava. Quello era un grosso problema. Senza gemma la sua magia era svanita.
Non era giusto, non era per niente giusto.
 
Garfield la osservava dalla cucina.
Erano passate solo poche ore da quando si erano ricordati, ritrovati.
Si erano abbracciati a lungo, stretti l’uno all’altro, immobili.
Poi però avevano scoperto che nonostante avessero recuperato la memoria, le loro abilità straordinarie non erano ancora tornate.
Inutile dire che la mezzo-demone aveva preso molto male questa situazione, si era isolata e recitava la sua formula ogni dieci minuti, il ragazzo non sapeva se lo facesse per richiamare la sua magia o per rilassarsi.
 
Lui, dal canto suo, era felice solo perché aveva lì con sé la sua Rae.
Lentamente abbandonò la sedia su cui era seduto e si avviò nella sua direzione.
Aprì la portafinestra e la vide: decisamente abbattuta.
Così assorta nei suoi magici pensieri, la ragazza non si accorse minimamente del suo ingresso felpato.
L’avvolse in un abbraccio, sorprendendola alle spalle, le avvicinò le labbra all’orecchio, facendola ulteriormente sobbalzare.
 
-Vedrai che andrà tutto bene, tranquilla.-
 
Raven sospirò sonoramente.
 
-Siamo soli, io non ho più i miei poteri, tu non puoi più trasformarti, ci inseguono e non ho idea di dove si trovino gli altri. Tutto alla grande.-
 
Come risposta non ottenne altro che una risata.
Piegò leggermente la testa indietro, quel che bastava per rivolgergli uno sguardo irritato, ricevendo una linguaccia.
 
-Sai Rae, quasi ti preferivo quando eri dolce, impaurita e un po’ più positiv… ahio!-
 
Una gomitata colpì in pieno Garfield, che comunque non mollò la presa.
Raven ritornò a guardare l’orizzonte e una lieve increspatura rivolta verso l’alto le apparve sulle labbra.
 
-L’ho visto! L’ho visto!-
 
La capacità di quel ragazzo di captare ogni suo minimo cambiamento d’umore la stupì ancora una volta.
Gli rispose un po’ controvoglia.
 
-Cosa?-
 
-Quel sorriso! L’ho visto! Non far finta di niente! Evviva! Hai sorriso!-
 
Un bambino! Ecco cos’era.
Esaltarsi così!
Per Azarath…
 
Senza la meditazione era difficile tenere a bada le sue emozioni. Le percepiva tutte in modo molto intenso.
Lei era la calma, un tramonto sul mare, lui il vento che faceva infrangere ogni onda sulla sabbia. Quel vento con cui giocavano i bambini.
 
Riprese il controllo su di sé e riuscì a distaccarsi dalla sua presa forte ed invitante.
 
-Gar… dobbiamo trovare gli altri… -
 
Lui inspirò profondamente, annuì con forza e strano ma vero, distese i suoi lineamenti nell’espressione più rassicurante che Raven avesse mai visto.
 
 
Nel frattempo nella Torre dei Titans la tensione si tagliava col coltello.
 
-Raven è scappata.-
 
Robin si torturava le mani, come aveva potuto farsela scappare?
 
-Ma questa è una cosa buona, no? Significa che ha capito, almeno in parte, che quello non era il suo posto.-
 
Cyborg cercava di tranquillizzare il leader, fallendo miseramente.
Non era più lo stesso.
 
-Starfire! Mi metti più ansia così!-
 
L’aliena bloccò di colpo il trentesimo giro perimetrale della Main Ops Room, avvicinandosi al suo ragazzo con la testa bassa.
 
-Mi… mi dispiace Rob.-
 
Forse aveva esagerato, non avrebbe dovuto essere così scontroso con lei.
Le prese le mani tremanti tra le sue.
 
-No, scusami tu. ho urlato e non dovevo.-
 
Star ritornò a sorridere.
 
-Ehm, scusate ma… non avevi detto di avere un piano, Robin?-
 
-Certo! Oggi pomeriggio noi andremo in quel negozio che sostiene il progetto di pet therapy. Forse B.B. è ancora lì. Tu Cy controlla ogni albergo o struttura simile. Raven potrebbe averci passato la notte.-
 
-Sì, signore!-
 
Come un vero soldato portò la mano sulla fronte e marciando si diresse verso l’uscita.
L’altro lo guardava con un’espressione così scettica che Star scoppiò a ridere.
Scosse la testa e si preparò.
Il luogo era abbastanza lontano da lì.
 
Più tardi una strana coppietta si avvinò alla vetrina di un negozio di animali e vi entrò.
La ragazza indossava un vestito ampio, tutto pizzo e merletti rosa.
Il ragazzo, invece, una camicia ed un pantalone neri con scuri occhiali da sole.
La proprietaria, una simpatica donna sempre con il sorriso sulle labbra, si avvicinò loro.
 
-Buongiorno cari! Posso aiutarvi?-
 
-Buongiorno anche a lei, gentile signora terrestre! Noi vorremmo sap… stai bene?-
 
Star aveva interrotto il suo discorso poiché Robin alla parola “terrestre” aveva iniziato a tossire ripetutamente, il tutto sotto lo sguardo allarmato di Cindy.
Dopo essersi ripreso, decise di continuare al posto della sua ragazza.
Aveva iniziato a parlare di altro, chiedeva consigli sugli animali più “adatti” alla vita in un appartamento, tergiversava.
L’aliena, annoiata, iniziò a guardarsi intorno, scorgendo più in là un biondino intento nello sistemare alcuni scatoloni.
Piegò la testa a destra e poi a sinistra, perché sembrava conoscerlo?
Diede una gomitata a Robin.
 
-Rob, quel ragazzo lì assomiglia all’amico B.B.-
 
-Eh? Beast Boy?-
 
Quel nome giunse alle orecchie di Garfield, che sollevando la testa li intravide.
Si stropicciò gli occhi e si precipitò immediatamente da loro.
 
-Ragazziii!-
 
I due furono travolti dalla sua allegria e dalle sue braccia.
 
-Ti sei ricordato!-
 
-Ma perché sei un uomo normale? Che ci fai qui? Come sei arrivato? Ricordato? Ma dov’eri?-
 
-Ehi Star! Calma, calma!-
 
E mentre giù si festeggiava, al piano di sopra Raven era seduta sul bordo del letto con le mani sul viso, cercando un minimo di concentrazione.
Impossibile, dato il chiasso che i clienti facevano di sotto. Un chiasso fin troppo strano, di solito era un negozietto tranquillo.
Preoccupata corse giù per le scale, bloccandosi di colpo nel vedere un’aliena saltarle addosso.
 
Era tutto troppo bello per essere vero.
I quattro salutarono Cindy e Flynn, promettendo loro delle visite frequenti.
Richiamarono Cyborg che con il suo gioiellino riportò tutti a casa.
 
Alla Teen Tower, Robin consegnò ricevitori e vestiti ai due supereroi.
 
-Mi sento molto meglio con il mio mantello. Anche se non riesco a lievatare… -
 
-Non sei il pane, Rae. Come fai a lievitare?-
 
B.B. era legato ad una serie di fili e tubicini che portavano al computer di Cyborg.
Sugli schermi il DNA instabile del ragazzo era ricoperto da una patina bluastra che ne impediva la mutazione.
 
-Eccola qui. Si chiama particella X020. Dovrei… ecco, sì! Trovata!-
 
Tutti guardavano un po’ preoccupati il mezzo-robot che saltava e gridava per la stanza.
 
-Ho trovato l’antidoto! La particella Y131. Ora la iniettiamo. Entro ventiquattro ore dovresti tornare… speciale!-
 
Scollegò Beast Boy dall’apparecchio ed avvicinò un siringa al suo braccio, poi lo lasciò andare. Il ragazzo parve più risollevato.
 
-Oh, abbiamo finito? Ora possiamo mangiare?-
 
Mentre Robin e Cyborg tentavano di non far cucinare Starfire, B.B. si avvicinò a Raven, seduta sul divano, ancora un po’ scossa.
 
-Tutto bene Rae-Rae?-
 
-Come mai vuoi tornare ad essere verde? Ci sono state delle volte… in cui mi hai detto che avresti voluto essere normale. Hai cambiato idea?-
 
Il ragazzo si stupì di quella domanda, erano poche le volte che poteva parlarle così.
Si sistemò accanto a lei e le sorrise, un po’ in imbarazzo.
 
-È vero. Certe volte ho desiderato essere normale. Ma, pensandoci bene senza le mie trasformazioni, senza il mio lato animale, non sarei più io. Anche tu ritroverai i tuoi poteri o ne inventerai di nuovi.
Magari verdi come me.-
 
Detto questo, le fece l’occhiolino e raggiunse gli altri.
Raven osservò le sue mani, poi riprese a meditare. Chissà, un nuovo potere non ci starebbe male.
 
Dopo cena si riunirono tutti sul divano, per scambiarsi informazioni ed apprendere cosa avevano dovuto passare in quelle settimane.
 
-Fermi tuuti! Io so chi è il tipo stano che ci ha fatto questo. È il presidente della F.A.D.E. Society!-
 
Il gruppo fu letteralmente travolto dalle affermazioni di Beast Boy.
 
-E che aspettavi a dirlo?!-
 
Il ragazzo, che nel frattempo si era ricoperto di macchie verdi, rispose titubante a quella domanda corale.
 
-Ehm, le emozioni, è successo tutto in fretta! Non sono abituato! Comuque… so anche il suo nome! Più o meno… Cornelio Molas, Moldas, Molis…-
 
- Molidás. Cornelio Molidás.-
 
-Sì, esatto Robin! Ehi, ma lo conosci?-
 
Il viso di Robin divenne improvvisamente pallido, la stanza cominciò a girare in modo vorticoso. Dovette chiudere gli occhi e appoggiarsi allo schienale del divano.
 
-Tutto bene amico? Cos’hai?-
 
I ricordi del suo passato iniziarono ad affollare la sua mente.
Un tendone, un ragazzino, la tragedia e poi più nulla.
Non aveva sentito più nulla che riguardasse lui.
Traballando un po’, si alzò e si diresse verso la sua camera.
 
-Scusate, devo riflettere…-
 
Star cercò di fermarlo, afferrandolo per un braccio, ma fu tutto inutile. Rimasero soli nella stanza.
 
-Ma che gli è preso? Qualcuno mi spiega qualcosa?-
 
-Non lo so B.B., non  lo so. Forse dovremmo andare a dormire. Domani saremo più lucidi. Tutti quanti.-
 
Decisero di seguire i consigli di Raven e silenziosamente si divisero.
 
Alle cinque e trenta del mattino, le porte di una camera della Torre si aprirono, un ragazzo con i capelli scuri vi uscì.
Egli si incamminò verso un’altra porta, la oltrepassò e si avvicinò ad un letto.
L’aliena era profondamente addormentata e il suo respiro era calmo e regolare.
 
Robin le accarezzò una guancia e per un breve istante appoggiò le sue labbra su di essa.
 
-Mi dispiace…-
 
Poi a malincuore si allontanò.
Salì su, in cima alla Torre, faceva abbastanza freddo.
Con un salto raggiunse il parapetto.
Il sole, timido stava sbucando dai grattacieli. Si potevano notare i piccoli raggi che faticavano ad allontanare le ombre minacciose della notte.
Robin volse lo sguardo verso il lato opposto.
Il buio regnava assoluto e lasciava che il resto degli abitanti dormisse inconsapevole.
Si ritrovò a pensare che, pur essendo l’alba, l’oscurità ne faceva da padrona.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Era solo l’inizio.
Poi saltò, verso il suo destino.
 
Beast Boy si svegliò avvertendo una fame da lupi.
Si stiracchiò e andando in cucina, infilò la testa nel frigo. Ne uscì fuori con una confezione di tofu.
 
-Hai la coda.-
 
Raven, seduta su di uno sgabello lo guardava mentre la sua coda scodinzolava allegramente. Abbassò la testa e la vide.
 
-Ed è verde! Ragazzi, ragazzi, guardate!-
 
-Non puoi comunque trasformarti completamente. E fai anche un po’ impressione, eh.-
 
Il ragazzo non badò alle sue parole, distratto dall’arrivo di Starfire e Cyborg.
 
-Visto amico? L’antidoto sta facendo effetto!-
 
-Sei grande Cy!-
 
-È una notizia fantastica! Dobbiamo dirlo a Robin. Vado a chiamarlo.-
 
Star si precipitò nella camera del leader che si aprì, rivelando, di fatto, il vuoto.
Si avvicinò al tavolo posizionato al centro della stanza. Una piccola lampada illuminava un biglietto, lo prese tra le mani.
 
“Ho scoperto cosa vuole Cornelio.
Mi spiace avervi coinvolti. Risolverò la questione da solo.
È tutta colpa mia.
Robin”
 
Oh no.
Ma proprio non riusciva a capire che da solo non poteva affrontarlo?
E a lei? Non pensava?
L’aria intorno divenne elettrica, scintille verdi scalpitavano per uscire da suo corpo, ma Star si trattenne, chiamando gli altri.
 
Poco dopo Cyborg trovò vari articoli sul misterioso Cornelio Molidás nella memoria del PC di Robin.
 
-“Una delle ultime notizie che sicuramente ha fatto scalpore è la morte sospetta dei coniugi Molidás.
L’unico sopravvissuto alla tragedia è il figlio Cornelio, che ha ritrovato i corpi.
Il ragazzo già reduce della disastrosa del circo Haly è solo al mondo.
Troppe sinistre coincidenze accomunano i due drammi e la polizia ipotizza un coinvolgimento della mafia.” Bla, bla, bla. Altre notizie inutili.-
 
Un silenzio innaturale invase la stanza.
Raven rimuginava, andando a scavare nella memoria qualche informazione utile.
B.B. ci capiva sempre meno e il mezzo-robot era ancora intento nello spulciare notizie.
Ad un tratto però, l’aliena prese la parola.
 
-Quando ancora non ricordavo nulla, la mia compagna di stanza mi disse che quegli incubi che mi tormentavano erano ombre del passato.
La stessa cosa sta succedendo a Robin. Quel pazzo, strunlof, altro non è che un’ombra del passato. Sa della sua vera identità.-
 
Abbassò la testa e una lacrima le scese piano. La raccolse con il dorso della mano e tirò su col naso, cercando con voce rotta di continuare il suo discorso.
 
-…ma la verità è che non so cosa da lui. So solo che il nascondiglio è vicino al monastero.-
 
-Robin è uno stupido.-
 
Gli occhi dei presenti si puntarono su B.B..
Che, anche se un po’ intimorito, espose le sue idee a riguardo.
 
-È uno stupido. Fa sempre lo stesso errore. Ricordate di RedX? O l’apprendista di Slade? Dobbiamo sempre tirarlo fuori dai guai. Ma siamo i suoi amici e siamo i Titans. Andiamo a salvarlo!-
 
Raven si strinse nelle spalle, erano più o meno le stesse parole che Robin aveva detto prima del quasi salvataggio di Garfield.
Ma questa volta avrebbero chiuso questa storia.
Con o senza i suoi poteri.
Raccogliendo un po’ di coraggio si diressero verso la tana del lupo.
 
 
Lo spiazzale era vuoto, circondato da un bianco surreale.
Robin si posizionò al centro, acquattandosi leggermente.
 
-Forza Cornelio, è me che vuoi. Vieni fuori, risolviamo la questione da uomini.-
 
Qualche secondo dopo una risata risuonò nell’aria e dalla nebbia candida emerse una figura avvolta in un mantello.
 
-Da uomini? Da uomini dici? Ma ti senti? Sei un ragazzino patetico.-
 
Con un solo, agile movimento il mantello crollò a terra, il viso del nemico allo scoperto.
Gli occhi neri emanavano una luce intensa e Robin per un attimo si sentì sopraffatto da quell’onda di odio e rancore. Scrollò le spalle e recuperò lucidità.
 
-Ma perché fai tutto questo?-
 
L’altro ridacchiò, una risata senza allegria.
 
-Siete tutti ostinati! O molto stupidi. Sempre le stesse domande.-
 
Non aveva intenzione di cedere alle sue provocazioni, piuttosto voleva arrivare alla verità.
Una sfera di energia verde gli sfiorò l’orecchio.
A quanto pareva il suo avversario non aveva intenzione di parlare.
Un ghigno gli si disegnò sul volto. Congiunse le mani e un bastone verde si materializzò.
 
-Combattiamo ad armi pari, Richard John Grayson.-
 
Non se lo fece ripetere due volte ed iniziarono così un combattimento corpo a corpo.
Colpire. Schivare. Colpire.
 
-Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive. Siamo solo tu ed io.-
 
Robin fu sorpreso da quelle parole. Ma dove credeva di essere? In un libro?
Si erano allontanati, continuando a studiarsi.
Il silenzio del ragazzo non fece altro che aumentare la rabbia di Cornelio.
 
-Cosa c’è? Ti credi tanto forte? Più forte di me, il dottor Mol? Così forte da non darmi risposte?-
 
Colpire. Schivare. Colpire.
 
Robin era sempre più sorpreso, minuto dopo minuto.
Quella situazione lo sfiniva.
Può un amico trasformarsi in un nemico agguerrito?
Doveva affrontarlo. Anche verbalmente.
 
-Cosa vuoi da me? Perché hai colpito i miei amici? Io ti credevo mio amico. Cosa avrei fatto?-
 
Colpire. Schivare. Colpire.
 
Il suono metallico della risata di Cornelio si diffuse nuovamente in piazza, mentre la nebbia piano piano si dissolveva.
 
-Che ammirevole coraggio! Non è per qualcosa che hai fatto. Ma per qualcosa che non hai fatto. Tu! Mi hai rovinato la vita. Mi hai lasciato marcire da solo. Tu! Te la sei spassata con il tuo neo-paparino miliardario. Non mi hai aperto le porte. Tu non meriti amici. Hai avuto tutto dalla vita! Invece a me ha tolto tutto.-
 
Gli avventò contro.
Il bastone magico cozzò contro il braccio del supereroe e una striscia rossa iniziò a scendere lungo tutta la lunghezza dell’arto.
Il ghigno di Cornelio si allargò e per un attimo i suoi occhi divennero rossi.
 
Vendetta. Vendetta. Vendetta.
 
Il suo avversario era uno dei più forti che avesse mai affrontato. Ma questo lo sapeva già. Si ritrovò a pensare ai suoi amici.
Erano al sicuro nella Torre.
Creò nella sua mente i contorni di due occhi verdi, pieni di lacrime.
Brutta mossa.
Si distrasse per un momento. Cornelio individuò quel cedimento e si fiondò subito sul moro.
Un colpo secco al fianco. Il secondo colpo che riusciva ad infliggergli.
 
Robin volò per qualche metro per poi andarsi a schiantare contro un muro.
Vide il suo ex amico arrivargli incontro a passo lento. Sicuro della sua vittoria.
 
-Gotham è un posto pieno di pericoli. E oggi mi sono assicurato che ce ne fosse uno.
Il tuo caro protettore è impegnato. Nessuno ti salverà.-
 
Che cosa aveva fatto? Anche Batman era in pericolo? Cercò di rialzarsi, ma le forze lo abbandonarono.
Il dottor Mol prese la sua arma con entrambe le mani, la sollevò, pronto a dare il colpo di grazia a quello che era stato per anni e anni il suo incubo, la sua ossessione…
 
-Lascia stare il mio ragazzo!-
 
Starfire planò tra i due, coprendo Robin. Raven, protetta dietro l’angolo della strada, osservava impotente.
Cyborg e B.B. circondarono il nemico, che non sembrava per niente intimorito, solo molto deluso.
 
-Loro non sanno cosa mi hai fatto, Dick? Non mi importa. Ora periranno con te.-
 
Cornelio schioccò le dita e un déjà-vu tornò a farsi sentire con insistenza nella mente dei Teen Titans.
Gruppi di persone si avvicinarono loro.
Ma questa volta non li colsero impreparati.
 
Colpire. Schivare. Colpire.
 
-Ma non si stancano mai?-
 
Beast Boy era alle prese con un gruppo di ninja che non appena cadevano, riacquistavano forza.
 
-E se provassimo a ripetere in continuazione waffle?-
 
-B.B.!-
 
Un sorriso si dipinse sul suo volto da ghepardo e continuò a combattere.
 
Ma, mentre tutti erano impegnati a rendere innocuo quell’esercito, Cornelio si fermò nel punto centrale della piazza.
Allargò le braccia e chiuse gli occhi. Quando li riaprì un rosso innaturale fiammeggiò nelle sue iridi scure.
Nascosta all’ombra dei palazzi, Raven osservò la scena.
Iniziò ad agitarsi sempre di più, doveva fermarlo.
Doveva. Ad ogni costo. O avrebbero fallito ancora.
Rabbia, paura, forza di volontà, coraggio, lottavano per venire allo scoperto.
La mezzo-demone si lasciò investire in pieno dalle emozioni, cedendo a quell’energia.
Un’enorme luce bianca la accecò.
Si coprì gli occhi ma non servì a niente.
Quella luce, era sua. La circondava, dall’interno all’esterno.
Milioni di piccoli puntini luminosi le si muovevano intorno, danzando ritmicamente ad ogni battito del suo cuore.
Raven si ritrovò a paragonarsi ad una nebulosa, pervasa da piccole stelle alle quali lei dava i natali.
Si sentì rinascere e si abbandonò a quella nuova forza.
Gettò la testa indietro e si accorse di essere parecchi metri più su dell’asfalto, pose le sue mani davanti a sé e lasciò che la magia facesse il suo corso.
 
-Azarath Metrion Zinthos.-
 
Si sentì un enorme boato.
La luce bianca avvolse tutta la città e poi si ritrasse.
Man mano che ritornava indietro rivelava i corpi dei ninja, stesi, privi di forze.
Cornelio non provò neppure ad opporsi a quella forza, per quanto fosse potente.
Cadde a terra con un tonfo sordo, coprendosi la testa con le mani, in una posizione che ricordava tanto quella di un bambino spaventato.
 
Solo un secondo di silenzio e poi le urla dei festeggiamenti dei Titans riecheggiarono per tutta Jump City.
Il gruppo raggiunse Raven, felice di aver recuperato (con gli interessi) i suoi poteri.
Una nuova gemma, simile alla prima, si poteva notare sulla sua fronte.
 
Starfire guardò Robin che di rimando le sorrise, ma lei con passo fiero lo raggiunse, prendendolo per la collottola.
 
-E tu, Robin! Non credere di cavartela così!-
 
Cercò di indietreggiare, portando le mani dietro la schiena, alquanto imbarazzato.
 
A Raven scappò un sorrisino che nascose con un colpo di tosse.
Nessuno spaventava Robin quanto Star arrabbiata.
 
-Io non… non credevo che… cioè, di solito sono sempre gli altri ad aver bisogno di me. E non il contrario.-
 
-Non devi avere per forza tutto sotto controllo. L’unica cosa che devi fare è fidarti di me, di noi.-
 
Lo lasciò andare piano, egli chinò la testa e sospirò.
 
-È solo un uomo triste e solo. Mi dispiace davvero, ma non sapevo in che condizioni fosse. Avrei fatto qualcosa, lo avrei aiutato, gli sarei stato vicino. E invece ho pensato solo a me, come sempre…-
 
I Titans si guardarono e si strinsero intorno al loro leader.
 
-Non dovresti dire queste cose. So che per lui non deve essere stato facile, ma anche tu non hai passato dei bei momenti. E non pensi solo a te. Inizialmente ero arrabbiata, poi però ho capito che lo facevi per proteggermi e proteggerci. Smettila di darti colpe inutili.-
 
Il ragazzo sembrò più sereno.
La polizia si occupò della F.A.D.E. Society e Cornelio andò in prigione.
Almeno per il momento la minaccia era stata eliminata.
 
 
Ritornarono a casa al tramonto, stanchi ma con un peso in meno sul cuore.
Si recarono sul terrazzo, per godersi lo spettacolo che Jump City regalava loro.
Robin constatò nuovamente quanto quel momento, il crepuscolo, fosse luminoso.
Il sole aveva tinto di rosso il cielo e le nuvole cavalcavano il vento leggero.
B.B. poggiò una mano sulla sua fronte per ripararsi da quella luce accecante.
 
-Caspita! Picchia forte questo sole!-
 
-Ti sei fatto male, amico B.B.?-
 
I Teen Titans scoppiarono in una fragorosa risata. La normalità, finalmente, si riaffacciava nelle loro vite straordinarie.
 
E mentre Robin avvolgeva un braccio intorno alla vita della sua aliena, spiegandola ancora una volta i modi di dire terrestri, una mano bianchissima cercava nell’oscurità del suo mantello una verde.
Quando la trovò la strinse, chiudendo gli occhi, godendosi la meravigliosa sensazione che solo il suo calore poteva darle.
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note di un’autrice imperdonabile: sì lo so che lo stavate aspettando da mesi. Purtroppo non sono stata bene. Quindi ringrazio chi ancora leggerà questa storia, perché so che qualche lettore si sarà perso per strada. Lo so.
Spero di non aver deluso le vostre aspettative e di esserne stata all’altezza, dando alla storia un giusto finale. Spero di aver messo le giuste descrizioni, certe volte mi lascio trasportare dalla storia e dai dialoghi.
 Magari più in là farò una raccolta per approfondire meglio qualche momento.
Passo subito ai ringraziamenti!
Vorrei ringraziare come sempre la mia amica Cipi che ha sopportato ogni mia ipotesi e paranoia sulla storia (pur non avendo visto mezza puntata dei Teen Titans). Poi vorrei ringraziare Shainareth che ha sempre dimostrato tanto interesse per me e anche Rae_03.
Chi ha messo la storia tra le preferite: Beckyforever, Hisoka_98, Imnotnormal,  Lady_Moon,  Lydia Martin Stilinski, Rae_03,Shainareth,  We_are_the_crystal_gems.
Chi tra le seguite: _Jupiter_
Chi tra le ricordate: _cryptic_
E chi ha sempre recensito e mi ha sempre incoraggiata anche tramite messaggi.
Grazie mille, questa è una sezione fantastica e spero di tornarci presto!
Alla prossima!

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