Luna di caccia

di Araba Fenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luna di caccia ***
Capitolo 2: *** Azzurro come il cielo del mattino ***
Capitolo 3: *** Haruka-san ***
Capitolo 4: *** Incidente a Shimabara - parte prima ***
Capitolo 5: *** Incidente a Shimabara - parte seconda ***
Capitolo 6: *** Primo sangue ***



Capitolo 1
*** Luna di caccia ***


Nota: ho rieditato i capitoli correggendo errori di distrazione e (spero) rendendo più fluida la narrazione. 

Grazie infinite a coloro che hanno dedicato e dedicheranno un po' del loro tempo per leggere la mia storia!


 
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The sound of the Gion Shōja bells echoes the impermanence of all things;

the color of the sāla flowers reveals the truth that the prosperous must decline.

The proud do not endure, they are like a dream on a spring night;

the mighty fall at last, they are as dust before the wind.

The Tale of the Heike, Chapter 1.1

 

 

 

 

” La luna e’ piena stasera… sicuramente saranno gia’ a caccia”.

Una breve occhiata al disco argenteo che si affacciava fra le fronde dell’ albero dal quale osservava silenziosa il crocevia sottostante le bastò per farle capire che quella notte avrebbero colpito di nuovo. Sapeva bene cosa li spingeva a cercare la violenza e il sangue, visto che in fondo quei mostri e lei erano manifestazione dello stesso potere primordiale; potere che tutti desideravano ma che in pochi riuscivano a dominare e piegare al proprio volere, senza venirne sopraffatti e distrutti.
Sorridendo ironicamente tirò su la sciarpa nera fino a coprire metà volto. Non che temesse di essere riconosciuta visto che, al solito, non sarebbe sopravvissuto nessuno all’ incontro… era più la forza dell’ abitudine che la spingeva a celare continuamente la sua identità, identità ripudiata da tutti, umani e demoni.
Con un salto aggraziato si portò dal ramo del ciliegio al tetto di una locanda vicina, attutendo il colpo piegando le ginocchia e appoggiando le mani sulla paglia intrecciata. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, concentrandosi sul proprio battito cardiaco.
Tu-tum. Tu-tum. Il sangue che le scorreva nelle vene sembrava iniziare a ribollirle dentro le orecchie. Tu-tum. Tu-tum. Quella sensazione pungente, la riconosceva. Un fastidio misto a piacere si impossessò lentamente di lei. Tu-tum. Il cuore batteva inesorabile, ricordandole la sua vera natura, ciò per cui era disprezzata dai demoni e temuta dagli umani. Portò istintivamente la mano sull’ elsa della sua lama e la carezzò, aprendo lentamente gli occhi. Un grido disumano, malato, isterico riempì la notte.

Annusò l’ aria notturna voltandosi verso il grido. “Sono due, e due umani sono coinvolti” pensò mentre si alzava lentamente, stagliandosi nel cielo notturno, macchia nera nel nero della notte. Correndo silenziosamente e balzando da tetto a tetto scandagliava le strade, ogni ombra, ogni finestra, quando finalmente li vide.
Erano due, ed i capelli argentati che risplendevano nella luce della luna furono la prima cosa che notò. Il pallore della carne e i capelli argentei erano ciò che caratterizzava questi mostri semi umani. Li aveva già incontrati in Edo, un anno prima, e il solo ricordo la riempì di rabbia e frustrazione. “Non adesso. Non adesso. Concentrati” disse a se stessa mentre fissava i mostri che stavano inseguendo due rōnin. I malcapitati, avendo capito che non avevano nessuna possibilità di salvezza, correvano sperando di trovare un luogo dove rifugiarsi ma il destino, sicuramente, aveva già deciso che quella sarebbe stata la loro ultima notte. Uno dei due uomini inciampò e cadde riverso nel centro della strada polverosa. “Ora” pensò, saltando dal tetto giù nella strada, di fronte al malcapitato che si stava appena rialzando. Sfoderando lentamente la spada piantò i piedi sul terreno in posizione di difesa, guardando immobile i due mostri che stavano sopraggiungendo. L’altro fuggitivo si arrestò un attimo quando vide la figura nera scivolare fra loro e i mostri e senza pensarci un attimo afferrò per un braccio il compagno caduto per aiutarlo a rialzarsi. Li osservò per una frazione di secondo con la coda dell’occhio quando una fitta violenta di dolore le attraversò la nuca. Altri due mostri stavano sopraggiungendo alle loro spalle. “Dannazione” pensò, stringendo i denti ed arrivando ormai faccia a faccia con i primi due. Le risa isteriche dei mostri riempivano l’ aria e i due uomini caddero tremanti a terra, incapaci di sopportare la vista delle abominazioni che li aveva accerchiati. “Combattete se volete avere una possibilità di sopravvivere!” gridò la figura in nero, mentre parava il primo fendente del mostro alla sua sinistra. Erano mostri si, ma umani di aspetto e in tutto e per tutto abili come samurai. Uomini trasformati in esseri capaci solo di uccidere, senza anima, senza rimorsi. Macchine da guerra perfette.
Una risata oscena le riempì le orecchie mentre con la coda dell’ occhio vide l’ altro mostro apprestarsi ad affondare la sua lama nel suo fianco. Per evitare il colpo si abbassò e si gettò di lato, rotolando dietro i due mostri e rialzandosi immediatamente, affondando la spada nella schiena di quello più vicino all’ altezza del cuore, fino all’ elsa. Il grido stridulo di morte la fece per un attimo rabbrividire, e la resistenza dei muscoli e delle ossa che si laceravano contro la lama le fecero venire per un attimo un conato di vomito. Nonostante avesse già ucciso, non riusciva ad abituarsi del tutto. Forse non ce l’avrebbe mai fatta.

Con un movimento secco del braccio sfilò la spada dal corpo senza vita e si apprestò a fronteggiare l’ altro avversario, rendendosi conto però con sgomento che i tre restanti mostri si erano catapultati sui due rōnin e stavano già banchettando sui loro corpi dilaniati e sanguinolenti. Il sangue li attirava e faceva perdere loro la pochissima umanità che ancora gli rimaneva. Si avvicinò nel tentativo di coglierli di sorpresa mentre si saziavano delle carni e del sangue dei due uomini, oramai a malapena riconoscibili, quando sentì di nuovo la stessa sensazione di prima, quando erano apparsi i mostri, ma stavolta più attutita, quasi piacevole. Si fermò immediatamente sui suoi passi e, voltandosi lentamente, vide una figura osservarla in silenzio. Un bambino? Così sembrava, ma c’ era qualcosa di misterioso e stranamente familiare in quella figura che la scrutava con occhi sgranati. Un bambino di forse tredici, quattordici anni. Cosa ci faceva da solo, di notte, a Kyoto? Se i mostri l’ avessero percepito… e poi guardandolo meglio non poté fare a meno di notare il candore della sua pelle e i lineamenti aggraziati del suo profilo. No, non era un bambino, ma una ragazzina.
Appena questo pensiero le sfiorò la mente le sue orecchie furono raggiunte di nuovo dai grugniti dei mostri semi umani, suoni che la riportarono alla realtà. Gli abomini si voltarono verso di loro e con occhi accesi da brama di carne e violenza riuscirono ad articolare qualche parola, biascicandola fra il sangue e la saliva che imbrattavano i loro volti: - Sangue… vostro sangue… dolore… - Non appena queste parole lasciarono le labbra di quei corpi senz’ anima si scagliarono come furie sulle due figure immobili nella strada.
- Scappa! - riuscì a gridare lei, bloccando con la sua spada il fendente del primo mostro che con un impatto di una forza disumana la fece arretrare di mezzo metro, gettandola quasi spalle al muro di una capanna vicina ma riuscendo a tenergli testa.
- IHIHIHIHIHIIHIHAHAHHAHAHAHHAHAAH sangueeeeee!- gridavano come ossessi mentre gli altri due mostri si avvicinavano pericolosamente alla ragazzina che, terrorizzata, era caduta a terra incapace di muoversi. Si portò il braccio agli occhi come per difendersi almeno dalla vista di quell’ orrore, quando un lampo azzurro si parò di fronte a lei, intercettando i due mostri che gli erano ormai a ridosso e parando i loro colpi, uno dopo l’ altro, con una maestria e una velocità impressionanti.

“Chi… diavolo….” fece appena in tempo a pensare quando il mostro che stava affrontando le diede una spallata che la fece volare indietro, sbattendo violentemente la schiena al muro di una casa. Il colpo la stordì per un attimo, annebbiandole la vista, ma riacquisì velocemente padronanza di se stessa mentre brandiva la sua katana al cuore del mostro che l’ aveva colpita.
- Souji! - Sentì delle voci concitate raggiungere l’ uomo vestito di azzurro nel vicolo, seguite da rumori di lame sfoderate.
Quelle voci… dannazione, questa non ci voleva. Non le era mai capitato di avere dei testimoni durante i suoi combattimenti, ma stavolta sembrava che l’ uomo che era intervenuto a difesa della ragazzina avesse una maestria e padronanza della spada tale da permettergli di sopravvivere qualsiasi battaglia. E quell’ haori azzurro… pensieri scomposti le affollavano la mente mentre la lama della sua katana incontrò il petto del mostro che si stava avvicinando a lei, affondando nella carne e perforandogli il cuore.
- Souji! Alla tua destra! - una voce profonda ed autoritaria risuonò nella notte. L’ uomo che rispondeva al nome di Souji scartò elegantemente il colpo che stava arrivando alla sua destra e con una risatina beffarda abbassò la sua lama sul mostro, tagliandogli un braccio. L’ arto cadde con un tonfo sordo a terra ma il mostro sembrava non essersene nemmeno accorto.
-Ahhh che scocciatura… non riesco ancora a credere che Sannan se ne sia fatti scappare quattro - disse Souji sbuffando ironicamente mentre si apprestava di nuovo a calare la sua lama sul collo dell’abominio. La testa con la chioma argentata rotolò sul terreno, fermandosi ai piedi di un terzo uomo che era appena arrivato sulla scena della battaglia e che stava già ripulendo la lama della sua katana dal sangue dell’ ultimo abominio. Silenziosamente e con una velocità degna di un maestro, aveva fatto fuori l’ ultimo mostro che giaceva ai suoi piedi, immobile.

Lei si nascose ancora più profondamente fra le ombre del vicolo in cui era stata spinta dall’ abominio, mescolandosi all’ oscurità ed aiutata in questo dall’ abbigliamento completamente nero che la copriva da testa a piedi. Solo gli occhi erano scoperti, occhi che scrutavano i tre uomini con curiosità e ammirazione.
- Hajime-kun, al solito, silenzioso e sbrigativo. Dovresti divertirti di più sul lavoro - riprese colui che chiamavano Souji, rinfoderando la spada e spostando con un piede il corpo del mostro più vicino a lui, voltandolo ed osservandone con macabra soddisfazione il collo mozzato e la pozza di sangue nero che si allargava lentamente sulla polvere della strada.
- A differenza di te, non trovo piacere personale nel togliere la vita al mio avversario. Eseguo semplicemente gli ordini del Capitano - rispose quietamente l’ altro, accovacciandosi vicino al corpo del bambino il cui corpo giaceva immobile a terra, forse svenuto per la paura.
L’ uomo chiamato Souji scosse il capo e si voltò lentamente verso il punto in cui lei era nascosta, osservando l’ oscurità. Lei trattenne il fiato, schiacciandosi ancora di più alla parete e divenendo praticamente impercettibile. Il suo addestramento in questo caso le faceva comodo ma mai come adesso rischiava di essere vista.
- Comunque, credo abbiamo un altro problema di cui ci dovremo occupare – sussurrò fra i denti.
- Che intendi? - disse il terzo uomo con la voce profonda ed autoritaria. Si avvicinò a Souji e lo scrutò freddamente, soppesando le sue parole.
- Intendo dire che mentre giocavate in retroguardia due Rasetsu sono stati massacrati… da qualcun’ altro – disse Souji a cuor leggero, indicando col mento i due mostri che erano stati fatti fuori da lei. Nell’ oscurità lei si appiattì ancora di più alla parete ma voleva assolutamente capire cosa avessero a che fare questi samurai con i mostri. E come li avevano chiamati… Rasetsu? Che collegamento avevano con loro? E perché indossavano le stesse uniformi? Adesso che poteva osservare la scena notò che i corpi degli abomini portavano la stessa uniforme dei tre uomini, un haori azzurro cielo con un motivo geometrico bianco alle maniche e una protezione di metallo, in fronte, legata dietro alla nuca da un nastro bianco che ricadeva sulle spalle. Chi erano questi personaggi?

Era appena arrivata a Kyoto e non aveva ancora raccolto molte informazioni ma poteva chiaramente capire che questi guerrieri fossero a conoscenza dell’ esistenza dei mostri. Anzi, sembrava che ce ne fossero altri. Nonostante fosse rischioso rimanere lì voleva scoprire qualcosa di più.
- C’ era qualcun altro qui con te Souji? - incalzò l’ uomo, pressandolo per una risposta.
- Ehi, ehi Hijikata-san… - Souji alzò le mani sorridendo sardonicamente – non pensavo che un mucchietto di mostriciattoli potesse farti perdere le staffe… -
- Non farmi perdere tempo e rispondi – continuò l’ uomo chiamato Hijikata, osservando il giovane con occhi glaciali. Se gli sguardi avessero potuto uccidere Souji non ne sarebbe uscito vivo. Ma il ragazzo non sembrava toccato, anzi, incrociando le braccia al petto e ridendo appena disse a voce alta, forse proprio con l’ intento di farsi sentire da lei: - Anche se coperto dall’ oscurità c’ era qualcun altro qui, poco prima del nostro arrivo… ed adesso ci sta ascoltando, nascosto da qualche parte, vero? -
Lei trattenne di nuovo il fiato, a quella che le sembrava più una provocazione che una rivelazione. Lei sapeva che lui l’ aveva percepita, nonostante le ombre e la sua capacità di mimetizzarsi nell’ oscurità. Nonostante fosse una combattente capace, e un ninja dalle risorse sovrumane. Nonostante fosse un mezzo demone.
Si guardò velocemente attorno, notando una possibile via di fuga alla sua destra, ma per farlo avrebbe dovuto comunque esporsi anche se per pochissimo tempo alla vista dei tre guerrieri. Non desiderava farlo, e allo stesso tempo non voleva ingaggiare battaglia con loro. Sembravano molto capaci, specialmente il ragazzo chiamato Souji. Pareva inoltre che sapessero molto riguardo ai mostri che tanto disperatamente stava cercando di eradicare, e forse potevano avere informazioni su colui che li aveva creati.
Non poteva esitare più a lungo, se l’ avessero scoperta sarebbe stato difficile affrontarli tutti insieme.

- Cosa facciamo di questo bambino, Vice Capitano? Sembra sia solo svenuto, e il fatto che abbia assistito al combattimento lo rende un testimone… - la quieta voce di Hajime fece voltare per un momento i due uomini, regalando un’opportunità di fuga alla ragazza.
Senza pensarci due volte scattò fuori dal vicolo e saltando si aggrappò a una trave di legno che spuntava dalla facciata della casa di fronte. Il corpo leggero roteò nell’ aria e atterrò sul balcone della casa più distante dandole la possibilità di fuggire sui tetti.
Si voltò per un attimo e osservò i tre uomini che vedendola uscire allo scoperto appoggiarono immediatamente la mano all’ elsa della spada. Avrebbe voluto scoprire chi erano e quali legami avessero con i mostri, ma non era questo il momento. Gettando un ultimo sguardo sul corpo inerme della ragazzina sospirò e silenziosamente scomparì nella notte, lasciando solo il ricordo della sua presenza.

 

- Te l’ avevo detto che era ancora qui, Hijikata-san – disse beffardo Souji, incrociando le braccia al petto e sbuffando divertito – chiunque sia, spero di incrociare la spada con lui. Ha fatto fuori da solo due Rasetsu… meriterebbe un premio, non credi? E quale miglior premio dell’ essere ammazzato dal sottoscritto? - disse ridacchiando divertito.
- Non adesso, Souji – interruppe bruscamente Hijikata. - Hajime, rimuovi le nostre uniformi dai corpi dei Rasetsu e gettale nel fiume. Souji, trasporta il corpo del ragazzino alla base. Non possiamo lasciarlo libero dopo ciò che ha visto – così ordinando Hijikata volta le spalle ai due e scompare nell’ oscurità.- Ahhhhh… agli ordini, capo – disse annoiato Souji, caricandosi sulle spalle come un sacco di patate il corpo esanime del ragazzino, mentre l’ altro silenziosamente esegue l’ ordine, gettando le uniformi imbrattate di sangue in un canale vicino.

Si allontanano silenziosamente nella notte, inghiottiti dalle tenebre, lasciando solo silenzio e morte dietro di sé.

 

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Capitolo 2
*** Azzurro come il cielo del mattino ***


2.

 

 

I suoi passi rapidi e silenziosi la portarono ben presto lontana dal campo di battaglia. Non riusciva a togliersi dalla testa i tre guerrieri con l’ uniforme azzurra. E la ragazzina…. si era pentita di non averla potuta portare via, o quantomeno evitare che cadesse nelle mani di quei tre. Chissà cosa le avrebbero fatto; quasi sicuramente niente di piacevole, aggiunse subito dopo. “Gli uomini sono lupi”, pensò freddamente. Scrollando la testa, allontanò quei pensieri nefasti continuando a fissare l’ oscurità di fronte a lei. Percepì con sollievo la fresca aria notturna che le sfiorava il volto, ora che si era abbassata la sciarpa e il copricapo lasciando liberi sulle spalle i lunghi capelli rubino. Rallentò la corsa, trotterellando e infine fermandosi sul tetto di quella che era, almeno momentaneamente, la sua residenza. Una locanda semplice, senza troppe pretese, che offriva pasti decenti e un giaciglio caldo, sufficienti per ritemprare le membra era tutto quello di cui aveva bisogno. Non era abituata allo sfarzo, né avrebbe desiderato sperperare i pochi soldi che aveva con qualcosa di più elegante. Mantenere un basso profilo, questo era ciò che si era promessa, almeno per quanto fosse possibile visto il suo aspetto fisico che non passava certo inosservato. Il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi era molto particolare, troppo particolare, e la statura non proprio minuta faceva sì che spesso la gente le riservasse attenzioni non volute. Specialmente gli uomini, almeno le pochissime volte in cui si mostrava al mondo vestita da donna. Per questo preferiva vestirsi da uomo. Meno scocciature, più libertà di azione. Socchiuse gli occhi verdi e si passò lentamentele le dita fra i capelli ondulati, scostando una ciocca che le copriva parzialmente il volto accaldato.Si sedette a gambe incrociate sul tetto e stiracchiò le braccia, guardando pigramente la luna.
La sua mente volò ai ricordi dei mesi precedenti al suo arrivo a Kyoto e un senso di oppressione nauseante le salì in gola. Non desiderava ricordare cosa le era accaduto, ma era proprio in virtù di quegli avvenimenti che adesso si trovava lì, a caccia, decisa a vendicarsi. Se anche non avesse potuto riprendersi la vita che le era stata sottratta, si sarebbe ripresa almeno l’ onore.
Alzando appena il capo scrutò le stelle che brillavano fredde e lontane. Un sorriso malinconico le increspò le labbra mentre, senza pensare, allungò una mano verso il cielo quasi per afferrarne una. Socchiuse le dita di fronte a sé e si ritrovò a fissare un pugno vuoto e tremante. “Così vicine, eppure così lontane...”
Si alzò lentamente e con un ultimo sguardo al cielo terso scese silenziosamente dal tetto e rientrò nella sua stanza dalla finestra accostata.
Senza nemmeno svestirsi si gettò sul futon, chiuse gli occhi e si addormentò subito, sprofondando in un nero sonno senza sogni. Una nuvola solitaria coprì la luna, offuscandone il chiarore per un momento e annegando il mondo nell’ oscurità.

 

La nuvola che stava pigramente passando di fronte alla luna rese il mondo circostante completamente buio per quella che a Sanosuke sembrò un’ eternità.
Il giovane guerriero, poggiato al portone semichiuso del quartier generale, sembrava aspettasse qualcuno. Braccia incrociate al petto, osservava la strada di fronte a sé con fare annoiato. Uno sbadiglio sonoro spezzò il silenzio notturno.
“Avrei preferito di gran lunga uscire con gli altri che rimanere di guardia qui” pensò mentre continuava a perlustrare l’ oscurità che si stava infittendo. Non aveva visto niente fuori dall’ ordinario… niente, a parte quattro mostri assetati di sangue che pochissimo tempo prima erano riusciti a scappare dalla loro custodia e scomparire urlanti tra le vie della città.
Non gli piaceva per niente quello che stava accadendo. Proprio per niente. E la questione era talmente spinosa, complessa e segreta che anche i capitani non ne parlavano quasi mai, e quando lo facevano era solo fra di loro. Nessuno doveva sapere quello che stava succedendo. Nessuno. Nemmeno i soldati ordinari. Gli ordini erano stati chiari e lapidari: chiunque ne fosse venuto a conoscenza avrebbe dovuto essere essere messo a tacere immediatamente.
Un rumore di passi lontani destò la sua attenzione e, impugnando la lancia accanto a sé si volse verso il rumore che si avvicinava. In quel momento la luna tornò a illuminare la notte e fece risplendere nell’ oscurità gli haori azzurro cielo. Sanosuke abbassò l’ arma riconoscendo i suoi compagni; sembrava non fossero stati feriti, almeno a giudicare da come camminavano. Notò poi che portavano qualcosa con sé, qualcosa che si rese conto essere una persona svenuta. Hijikata intercettò il suo sguardo e, non dandogli tempo di aprire bocca, grugnì un ordine passando di fronte a lui ed entrando nel quartier generale: - Sanosuke, chiama a raccolta gli altri capitani. Dobbiamo parlare. -
Il giovane sgranò gli occhi mentre guardava Souji e Hajime sfilare dietro di lui senza dire una parola. Percependo la gravità della situazione si apprestò ad eseguire l’ ordine ricevuto, non senza gettare uno sguardo incuriosito alla persona che Souji stava trasportando sulla spalla destra rendendosi conto che era un ragazzino. Ancora più confuso si avviò verso gli alloggi privati dei capitani, scomparendo velocemente dalla vista.

 

- Toshi, riporta brevemente cosa è accaduto stanotte – una voce calma e paterna interruppe il silenzio, volgendo lo sguardo verso un accigliato Hijikata. Colui che aveva appena parlato era Isami Kondou, il Comandante ed ispiratore del gruppo dei guerrieri che, silenziosi, aspettavano composti una spiegazione dopo essere stati chiamati a raccolta.
I giovani capitani volsero lo sguardo verso l’ uomo dai lunghi capelli neri, che riportò con poche parole l’ inseguimento e la breve ma sanguinosa battaglia contro i mostri.
- Abbiamo due problemi adesso – riprese poi, osservando i presenti con i suoi severi occhi viola.
- Un moccioso che è rimasto per chissà quale motivo coinvolto nella rissa e che abbiamo portato qui in modo almeno da controllarlo visto che ha assistito a tutta la scena…. -
- E un killer dalle capacità superiori alla media, che ha fatto fuori due dei mostri che stavamo inseguendo e che ci è scappato da sotto il naso, probabilmente spaventato dalla mia bravura – aggiunse Souji con tono irriverente, piegando appena le labbra sottili in un sorriso di scherno e poggiando il mento sulla mano, mostrando di divertirsi immensamente di fronte alla sorpresa dei suoi compagni.
- C’ era qualcun altro oltre a voi? Ed è scappato? - quasi con un grido di sorpresa un giovanissimo guerriero seduto alla sinistra di Souji si rivolse a lui, sgranando gli occhi turchesi ed osservando alternativamente lui e Hijikata. Scosse incredulo il capo, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli castani raccolti in una coda.
- Ehi ragazzino, non eccitarti troppo – disse scherzosamente un altro dei presenti, un uomo dalla corporatura massiccia, dando allo stesso tempo una spintarella alla spalla del giovane.
- Shinpachi, piantala – rispose in malo modo il giovane, tirandogli giù con un movimento secco la bandana verde che teneva sempre legata in fronte e coprendogli così gli occhi. L’ uomo grugnì infastidito e fece per accapigliarsi con il ragazzo dalla lunga coda quando una mano, da dietro, ne blocca il movimento.
- Fatela finita voi due – sbuffò infastidito Sanosuke che si era seduto dietro i suoi due amici dopo essere entrato con loro nella sala. - Ascoltate cosa hanno da dire, invece di accapigliarvi continuamente… e tu, Heisuke, non stuzzicare il vecchio… lo sai che non resiste alla tentazione di darti fastidio – commentò a bassa voce avvicinandosi al ragazzo dai lunghi capelli.
- Avete finito di divertirvi? - il tono di voce di Hijikata zittì i presenti, che tornarono a sedere composti e in attesa di nuove informazioni.
- Le notizie che ci avete portato sono indubbiamente di importanza non indifferente per la nostra causa – una voce sottile e gentile intervenne a spezzare il silenzio che si era creato. Chi aveva parlato era un uomo seduto alla sinistra del Comandante Kondou, un uomo dall’ apparenza gentile ma che sembrava nascondere dietro un paio di occhiali dalle lenti rotonde due occhi castani intelligenti ed indagatori, a cui nulla sfuggiva. - Visto che non possiamo lasciare trapelare ciò che stiamo facendo per conto dello Shogunato, il fatto che ci sia un testimone oculare là fuori non potrà che crearci problemi. Fortunatamente l’ altro è stato catturato ed affidato a Genzaburou, ma dovremo decidere cosa farne – disse pacatamente rivolgendo lo sguardo verso Hijikata e Kondou. I due uomini rimasero in silenzio, non volendo decidere in quella sede il destino del malcapitato ragazzino.
L’ uomo con gli occhiali sospira leggermente e si rivolse a Hajime che era rimasto silenzioso per tutto il tempo. - Saito-san, non hai niente da aggiungere? -
Saito socchiuse leggermente gli occhi: - Siamo arrivati sulla scena del combattimento dopo Okita, e due mostri erano già stati uccisi. Dalle ferite riportate sembra sia l’ opera di un maestro spadaccino. Tagli netti e precisi, mirati al cuore. Nessuna altra ferita visibile. Chi ha ucciso i Rasetsu probabilmente conosceva i loro punti deboli, quindi è possibile abbiamo a che fare con qualcuno che ne conosce il segreto. Non abbiamo visto né sentito niente fino a quando un’ombra nera è fuggita di fronte a noi, portandosi sui tetti e fuggendo nella notte. Un ninja, probabilmente. - Il freddo e dettagliato resoconto di Saito lasciò tutti ammutoliti.
L’ uomo con gli occhiali sorrise lievemente, compiaciuto dalla precisione e professionalità di Saito.
- Sannan-san, sei tu quello che dovrebbe prendersi cura dei poveri disgraziati, non è così? Eppure te li sei fatti scappare - interloquì Souji, guardando l’ uomo con gli occhiali con uno sguardo fra il divertito e il provocatorio.
Sannan sospirò e, portandosi i lisci capelli dietro l’ orecchio con un movimento fluido e lento, rispose quietamente alla provocazione.
- E’ stata una mia svista se i Rasetsu sono scappati, e di questo me ne assumo piena responsabilità – disse, lanciando uno sguardo addolorato a Kondou – ma avevo bisogno di verificare l’ esattezza delle mie ricerche ed ho dovuto aumentare la dose… -
- E questo è stato il risultato – riprese testardamente Souji, apparentemente in vena di litigare.
- Siamo qui per discutere altro – Kondou intervenne, percependo che la tensione fra i due stava crescendo e smorzando l’ atmosfera con un sorriso bonario.
- Dobbiamo scoprire chi sia quel ninja e sapere cosa sa dei Rasetsu. Potrebbe essere una mera coincidenza ma non possiamo rischiare che il collegamento fra noi e i mostri sia scoperto. Non possiamo permetterci il lusso di lasciare a piede libero qualsiasi testimone. D’ora in avanti le pattuglie notturne saranno fatte da due squadre e i capitani dovranno stare in coppia per evitare di essere presi di sorpresa. -
Gli ordini erano secchi e chiari, e i capitani annuirono in silenzio.
- Domani Heisuke coprirà la ronda mattutina, Shinpachi quella pomeridiana mentre Souji e Sanosuke quella notturna – riprese poi, guardando negli occhi i suoi uomini. - Saito rimarrà di guardia alla base.-
- Agli ordini, capo – proferì fra i denti Souji, stringendo la spada che aveva lasciato appoggiata alla parete accanto a sé. Non se ne separava mai.

 

Dopo che i capitani lasciarono la stanza, Hijikata e Koudou rimasero da soli. L’ unico suono che si udiva era lo scoppiettio di una lucerna a olio nel centro della stanza, poggiata sul pavimento. Entrambi erano scuri in volto e sembrava stessero soppesando gli eventi della serata.
L’ uomo dai lunghi capelli corvini fu il primo a spezzare il silenzio.
- Kondou-san – la voce di Hijikata era fredda – non credo che continuare le ricerche sui Rasetsu sia una buona idea. Questa cosa ci sta sfuggendo di mano, e ho la sensazione che siamo usati – il tono cercava di non tradire la preoccupazione, ma Kondou conosceva il suo amico fin troppo bene.
Sospirando guardò Hijikata negli occhi e, con un sorriso amaro, rispose: - E’ lo Shogun in persona ad averci dato questo ordine. Non possiamo esimerci. Lo sai bene, Toshi – la risposta secca lasciò Hijikata in silenzio. Dopo aver riflettuto su quelle parole, il Vice Comandante si alzò in piedi, apprestandosi a lasciare la sala non prima di voltarsi verso Kondou. Con una mano poggiata sulla porta scorrevole proferì: - Sai bene che ti seguirò ovunque, Kondou-san. Spero solo che il nostro sacrificio valga a qualcosa. - Con queste fredde parole Hijikata lasciò la stanza, chiudendo silenziosamente il pannello dietro di sé e lasciando Kondou da solo, a fissare la fiammella della lucerna che gettava ombre lugubri sulle pareti.

 

Il sole del mattino la svegliò di soprassalto. Una lama di luce penetrava dalla finestra rimasta semiaperta dalla sera precedente, scaldandole il volto e facendole aprire gli occhi.
“ Non mi sono nemmeno svestita ieri...” pensò la ragazza, osservando con occhi assonnati il suo abbigliamento. Non si era nemmeno tolta le fasce alle mani, prima cosa che faceva non appena tornata da una missione. Sospirando stancamente si alzò e si trascinò alla finestra, aprendo del tutto le imposte. Osservava la strada sottostante piena di vita, di grida di bambini e di mercanti, di negozi. Tutti sembravano così felici, tutto sembrava così perfetto. Eppure durante la notte quelle stesse strade si tingevano di rosso, di sangue, di morte.
Scrollando il capo si avvicinò alla sua bisaccia da viaggio estraendone un semplice vestito maschile, hakama grigia da vestire sopra un kimono verde, senza nessun tipo di decorazione. Si vestì velocemente, raccogliendo poi i capelli in una lunga coda ed afferrando un cappello di paglia che indossò mentre scendeva le scale.
La locanda aveva una piccola sala da pranzo di fronte alla cucina dove gli avventori stavano già accomodandosi per mangiare un piatto veloce, prima di riprendere il cammino.
Si avvicinò alla moglie del padrone di casa e chiese sottovoce un piatto di dango, il suo cibo favorito, e té verde. La donna si inchinò gentilmente e scomparve in cucina, abbaiando ordini ai cuochi affinché preparassero la pietanza.
Osservò per un attimo l’ ingresso della cucina dove la donna era scomparsa e, sbadigliando leggermente, uscì sulla strada per osservare il trambusto della città. Inspirò a pieni polmoni l’ aria mattutina quando sentì come un mormorio di disapprovazione e paura sollevarsi attorno a lei. La gente sembrava impaurita ed arrabbiata, e notò persone sussurrare fra sé, gettando sguardi timorosi alla strada.
“Cosa sta accadendo? Cosa hanno visto?” fece appena in tempo a pensare mentre si voltava verso il punto da cui sembrava provenire l’ odio della gente.
Quello che vide la lasciò di stucco, paralizzata sul posto.
Un gruppo di samurai, forse 20 guerrieri in tutto, stava sopraggiungendo. Camminavano in squadra, come facessero parte di una pattuglia. A capo di questa pattuglia vi era un giovane guerriero, forse nemmeno ventenne, dai lunghi capelli castani raccolti in una coda e lo sguardo fiero e sicuro di sé fisso sulla strada di fronte a lui.
Tutti questi samurai portavano la stessa uniforme, uniforme che riconobbe immediatamente e che la fece indietreggiare di un passo. Era azzurra, come il cielo mattutino, e i bordi decorati da motivi geometrici la rendevano inconfondibile.
Senza distogliere gli occhi da quello che sembrava essere il capitano, la ragazza chiese a bassa voce ad una anziana signora alla sua destra chi fossero quei samurai.
La signora, abbassando gli occhi e portando una mano alla bocca, disse quasi tremando di paura: - Non conosci i lupi di Mibu? Assassini sanguinari che usano la protezione dello Shogun per terrorizzare la città. Si fanno chiamare Shinsengumi – e così dicendo si ritirò verso il muro della locanda, osservando con timore la sfilata dei samurai.
La ragazza guardò i guerrieri con occhi sgranati. Ecco perché quella divisa. Erano un corpo militare organizzato, e a quanto pare al servizio dello Shogunato.
La pattuglia sfilò proprio di fronte alla locanda e nonostante il timore generato dalla loro presenza, li continuò ad osservare. Il giovane a capo della pattuglia sembrò percepire che qualcuno lo stesse guardando e si volse di scatto, socchiudendo gli occhi turchesi e incontrando i suoi.
La guardò per un attimo, tornando poi immediatamente a fissare la strada di fronte a sé. La gente si scostò al loro passaggio, rendendo la pattuglia quasi una processione.
Li continuò ad osservare fino a che le azzurre uniformi non sparirono in lontananza.

“Shinsengumi...” pensò lei, gettando un’ ultima occhiata alla strada prima di tornare dentro la locanda, richiamata dal profumo dei dango appena preparati.

 

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Capitolo 3
*** Haruka-san ***


3.

 

 

Heisuke sospirò, stiracchiando le braccia in alto e portando le mani dietro la nuca. Non accadeva niente quella mattina: nessun ladruncolo da inseguire, nessuna rissa da sedare, nessuna giovane donna da salvare da malintenzionati, nessun attaccabrighe insolente da rimettere in riga. Niente di niente. Si guardò intorno, annoiato, osservando appena la via piena di persone indaffarate, di negozi traboccanti di ogni tipo di bene e cibo. Cibo… si rabbuiò un poco ripensando alla magra colazione che aveva consumato prima di entrare in servizio. “Dannato Souji, quando è il suo turno in cucina il massimo che possiamo aspettarci è di non rimanere avvelenati dalla sbobba che prepara!” pensò, rabbrividendo al ricordo del sapore appena accettabile della pietanza che aveva mangiato. Con una smorfia di disgusto scosse la testa e continuò a perlustrare la via di fronte a sé, ripensando al suo compagno. “Mi chiedo come faccia ad essere così incapace in cucina, e così geniale con la spada… e soprattutto così fortunato con le donne!” quest’ ultimo pensiero gli fece male all’ orgoglio, sentendo una fitta di invidia attraversargli il petto. Ricordandosi l’ ultima volta che era stato a Shimabara con tutti i capitani, si sentì un vero e proprio ragazzino incapace se osava confrontarsi con Souji e Sanosuke. Uno strano sentimento di orgoglio ferito misto ad ammirazione lo avvolse, ripensando a come i suoi due compagni d’ arme riuscivano a ricevere senza il minimo sforzo l’ attenzione di tutte le Oiran e Geiko. Ma la cosa che lo irritava di più era l’ apparente menefreghismo di Souji; non mostrava mai nessun interesse nei confronti di queste bellissime donne che letteralmente gli si avviluppavano intorno. Rimaneva sempre distante e disinteressato, ringraziando appena con un cenno del capo quando gli versavano del saké. Aveva la netta impressione che si divertisse molto di più nell’ ammirare i suoi tentativi falliti di attirare l’ attenzione delle Oiran… suoi e di Shinpachi. E poi non usciva quasi mai con loro, se non per pochissime occasioni in cui tutti gli ufficiali erano presenti. Non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa, e cosa ancora più strana sembrava avere un affiatamento particolare con Saito, che tutto era fuorché estroverso ed amichevole. Souji era per lui un mistero. “Uhm.. forse è quello che lo rende affascinante?” pensò, quando rumori di rissa lo riportarono alla realtà. Richiamò i suoi uomini e, facendosi spazio fra la folla, si avvicinò verso la fonte dello scompiglio. La prima cosa che riuscì a intravedere fra le persone che osservavano la scena fu un giovane ragazzo dai lunghi capelli rossi atterrare un uomo, ed una donna terrorizzata a terra. Socchiuse gli occhi e continuò ad avanzare.

 

 

Camminando velocemente fra la folla la ragazza seguì il gruppo di samurai, prestando attenzione a non farsi notare. Non che fosse difficile in una città così popolosa come Kyoto, specialmente in una via centrale piena di negozi e viandanti. Tenendo una distanza di una decina di metri osservava ogni loro mossa, specialmente il giovane guerriero a capo del gruppo. Le sembrava molto strano che un ragazzino così giovane, forse più di lei, fosse a capo di una squadra di pattugliamento della città. Forse sottovalutava la bravura dei componenti di quel gruppo che la anziana signora aveva identificato come “Shinsengumi”. Curioso, e interessante allo stesso tempo, che lo Shogunato si fosse dotato di un corpo di guardia speciale. Forse temevano una fine imminente? Sicuramente la situazione politica del momento non era delle più stabili visti i grandi sconvolgimenti dati soprattutto dalle fazioni contrarie all’ apertura all’ Occidente, quelle imperiali. Tutti sapevano che queste fazioni simpatizzanti con l’ imperatore erano causa di molti dei problemi di ordine sociale a Kyoto e questa, apparentemente, era stata la risposta della famiglia Tokugawa. Per quanto ne sapeva, Kyoto era leale all’ Imperatore e quindi capiva il disprezzo che la gente provava per questa forza speciale. Immersa in questi pensieri continuò a seguire il gruppo, decisa a vederli in azione e magari riuscire a scoprire dove fosse ubicato il loro quartier generale quando il pianto isterico di un bambino e un rumore come di cocci rotti proveniente da una via laterale alla sua destra la fecero voltare di soprassalto.
Un grugnito minaccioso coprì i lamenti del bambino e un senso di pericolo la pervase immediatamente, facendola quasi correre verso quei suoni che non promettevano nulla di buono.
Scostando la folla che le intralciava il cammino riuscì ad intravedere una giovane donna a terra, terrorizzata, ed un bambino seduto vicino a lei che piangeva disperato mentre un uomo visibilmente adirato con piglio minaccioso si avvicinò alla donna e la sollevò da terra afferrandola per il collo del suo kimono.

La donna impallidì dalla paura e balbettò delle scuse, scuse che l’ uomo, chiaramente ubriaco, non era intenzionato ad ascoltare.
- Insegna al tuo moccioso l’ educazione, donna – sputò l’ ultima parola con malcelato disprezzo, guardandola in faccia. - Guarda cosa ha fatto! Ha rotto la mia preziosa bottiglia… tutto il saké adesso è perduto, chi me lo ripagherà? - Un sorriso velenoso gli trasfigurò il volto, avvicinandolo a quello della giovane donna. - Forse… eheh, forse me lo potresti ripagare tu, visto che è colpa del tuo moccioso… - il volto dell’ ubriaco si accostò ancora di più a quello pallido di lei quando una mano gli afferrò il polso e lo contorse, facendolo ululare dal dolore e facendogli perdere la presa immediatamente. La donna cadde di nuovo a terra e strisciando sulle ginocchia e sulle mani si rifugiò in un angolo buio, portando il bambino con sé.
L’ uomo digrignò i denti dal dolore e guardò con odio chi avesse osato fare una cosa del genere.
La ragazza era di fronte a lui, immobile, pugni chiusi, piantata sulle gambe leggermente divaricate. Non un solo muscolo si muoveva, e guardava con disprezzo e odio l’ uomo che si stava appena riprendendo dal dolore e dalla sorpresa. Barcollando appena, inveì ed estrasse la spada quando lei, muovendosi fulmineamente, afferrò il suo polso destro un attimo prima che potesse puntarle la spada e lo contorse di nuovo, scivolando al tempo stesso al fianco di lui e piegandogli l’ avambraccio in modo da disarmarlo e renderlo inoffensivo. Il movimento repentino fece perdere l’ equilibrio al malcapitato che cadde goffamente a terra, con il volto nella polvere. Cercò di rialzarsi e caricarla ma si immobilizzò immediatamente, trovandosi la punta della sua stessa spada a un paio di centimetri dal naso.
- Non sei nemmeno degno di farmi sfoderare la mia spada, uomo – mormorò a bassa voce, caricando di disprezzo l’ ultima parola. Lo guardò senza battere ciglio, continuando a puntargli la sua spada al volto. L’ uomo, incapace di articolare qualsiasi suono, la fissava terrorizzato mentre la gente attorno sussurrava guardandola ammirata. Quell’ attenzione indesiderata la fece tornare presente e, gettando la spada lontano, disse con voce piatta: - Vattene. - Non facendoselo ripetere due volte l’ uomo si alzò, scappando goffamente senza nemmeno voltarsi.
La ragazza lo guardò andarsene e, voltandosi, gettò un’ occhiata alla donna che ancora si stava nascondendo nell’ ombra. Fece per andarsene quando qualcuno dietro di lei gridò:
- Ehi, fermati! - Voltandosi di scatto riconobbe immediatamente il giovane samurai e l’ uniforme azzurra. Socchiuse gli occhi e si irrigidì appena, abbassando la tesa del cappello e chiedendosi se questa bravata le sarebbe costata cara. Forse poteva scappare… ma darsela a gambe levate non avrebbe sicuramente giocato a suo favore, soprattutto se l’ avessero poi riconosciuta. Rimase immobile, scrutando dall’ ombra del cappello il giovane dai lunghi capelli che era ormai arrivato di fronte a lei. Lo squadrò velocemente: l’ apparenza le ricordò tutto fuorché quella di un guerriero sanguinario. Un poco più basso di lei, fu colpita dalla limpidezza ed onestà del suo sguardo e da occhi come due turchesi incastonati in un volto giovane e fiero. Corpo asciutto e scattante, non dimostrava di avere più di diciotto, massimo diciannove anni. Rimase in silenzio ad osservarlo, non facendo trapelare la benché minima intenzione di parlare.

 

Facendosi spazio fra la folla che si era oramai accalcata per assistere la zuffa, Heisuke arrivò di fronte al giovane ragazzo dai capelli rossi. Aveva osservato con stupore ed ammirazione la sua abilità nell’ atterrare l’ aggressore e si chiese da che scuola di arti marziali provenisse, visto che non aveva mai assistito a nulla del genere. Si fermò di fronte a lui ed iniziò a parlare quasi senza pensare: - Sei stato superbo! Ho intravisto quello che è successo, e le persone testimoni mi confermano che hai salvato la malcapitata – continuò, senza dare tempo al ragazzo di parlare. Lo osservò meglio, ora che se lo ritrovava davanti, e nonostante si nascondesse nell’ ombra della tesa del cappello notò che i suoi lineamenti erano molto delicati, forse troppo per un ragazzo, lasciandolo per un attimo sorpreso. - Da che scuola provieni? Non ho mai visto niente di simile! - Heisuke era curiosissimo e raggiante, avrebbe voluto sapere tutto subito di questo misterioso guerriero che, però, non sembrava interessato a parlare. Attese una risposta e, finalmente, dopo qualche secondo di titubanza, il giovane misterioso rispose a bassa voce: - Non è una scuola famosa, ma solo un piccolo dojo nei sobborghi di Edo… - Tagliò corto la spiegazione, dando a Heisue l´impressione di non essere un uomo di molte parole. Gli ricordò immediatamente Saito, distaccato e composto. Si grattò pensosamente il capo, deciso però a non mollarlo. Non capitava tutti i giorni di incontrare un guerriero così capace, e solo in quel momento si rese conto di non essersi nemmeno presentato.
- Ah, perdona la mia maleducazione. Io sono Heisuke Toudou, capitano della Ottava Divisione degli Shinsengumi – e così dicendo accennò un leggero inchino, tornando a guardarlo negli occhi. - Siamo sempre alla ricerca di guerrieri capaci, se tu volessi unirti a noi sono sicuro che il nostro comandante ne sarebbe felice – aggiunse con il sorriso negli occhi.

 

“Ma che diav...” l’ ultima affermazione di Heisuke la lasciò di stucco. Tutto si sarebbe aspettata fuorché essere apertamente invitata nella tana del lupo. Sgranò gli occhi appena, cercando di celare la sorpresa, ma quelli curiosi del ragazzo non le lasciarono scappatoie.

- Io… sono solo un viandante di passaggio a Kyoto, non credo di poter portare un contributo alla vostra causa… - balbettò, non sapendo come svicolare da quella richiesta repentina. Una parte di lei, una piccolissima parte di lei si sentì lusingata da quello che evidentemente era un complimento alle sue capacità, ma subito questo pensiero venne soffocato dall’ urgenza di tornare con la situazione sotto controllo. Sotto controllo e preferibilmente a suo favore. Inconsapevolmente il giovane dagli occhi turchesi le aveva offerto su un piatto d’argento la possibilità di venire a conoscenza direttamente da uno di loro dove fosse il quartier generale, e magari qualche altra notizia interessante che avrebbe potuto farle comodo.
Chinando appena il capo aggiunse: - Sono lusingato dalle tue parole, Toudou-san… rifletterò sull’ offerta… - rialzò appena il capo e lo fissò negli occhi, soppesandolo in silenzio prima di continuare - … se il mio peregrinare non mi porterà in altri luoghi magari un giorno verrò a farvi visita al vostro quartier generale… immagino abbiate un posto del genere, vero? - chiese innocentemente, socchiudendo appena gli occhi ed attendendo una reazione.
Evidentemente quella era la risposta che il ragazzo voleva, perché il suo sguardo divenne raggiante. Entusiasta, si prodigò in dettagliate spiegazioni sull’ ubicazione della loro base e su altre informazioni interessanti, sul numero complessivo di soldati e, in generale, sulla loro organizzazione militare. Sorrise appena fra sé e sé, questo ragazzo era così ingenuo da rivelare a uno sconosciuto informazioni che avrebbero potute essere utilizzate contro di loro. Mentre pensava questo si sentì stranamente colpevole. Da dove le veniva questa sensazione? E colpevole di cosa? Di raggirarlo? Per qualche oscuro motivo le parve di abusare dell’ onestà di Heisuke perché riusciva a percepire chiaramente di trovarsi di fronte a una persona onesta e leale, nonostante lo avesse appena incontrato. Si rabbuiò a questi pensieri, ricordandosi che la sua missione era la cosa più importante. Non poteva farsi lasciare ammorbidire da questi sentimenti così… umani, visto che, comunque, lei di umano aveva ben poco.
- Grazie infinite, Toudou-san – mormorò e con un cenno del capo sottolineò la sua gratitudine al ragazzo che aveva appena finito la sua lunga ed elaborata descrizione. Fece per andarsene quando si sentì afferrare gentilmente per un braccio.
- Ehi… ho parlato talmente tanto che non ti ho dato il tempo di presentarti. Qual’ è il tuo nome? - una domanda semplice e scontata, ma che la fece congelare sul posto per una frazione di secondo. Già, il nome. Non aveva pensato a quale nome usare. Quello vero era fuori discussione. Mentre pensava velocemente a qualcosa, qualsiasi cosa, un nome dal passato le balenò improvvisamente di fronte agli occhi, riportandola indietro nel tempo e facendole riassaporare lo stesso dolore di allora. Schiuse le labbra e rispose quasi meccanicamente: - Haruka. Mi chiamo Haruka. -
Sentì la presa sul braccio allentarsi e istintivamente guardò il ragazzo di sottecchi.
- Piacere di averti conosciuto, Haruka – disse Heisuke sorridendole.

 

La squadra si allontanò e tornò a perlustrare le strade di Kyoto, mentre la giovane li guardò allontanarsi fra la folla.
Un inaspettato dispiegarsi di eventi le aveva fatto incontrare in un brevissimo lasso di tempo da quando era arrivata in città coloro che, sembrava, fossero in qualche maniera collegati al suo aguzzino. “Un vero colpo di fortuna”, si disse, accarezzando l’ idea che avrebbe sicuramente mantenuto la promessa fatta ad Heisuke e sarebbe andata al loro quartier generale. Sì, sarebbe andata… ma non sarebbe stata una visita diurna. 

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Capitolo 4
*** Incidente a Shimabara - parte prima ***


4.


 

- Ti ripeto, Sano, ha utilizzato una tecnica mai vista prima! E´riuscito ad atterrarlo a mani nude e in un unico movimento lo ha disarmato, puntandogli contro la sua stessa spada! - Heisuke si prodigava in descrizioni dettagliate sulla scena a cui aveva assistito poche ore prima, durante il suo turno di pattugliamento. I capitani erano riuniti per la cena ed ascoltavano il racconto, divertiti forse più dall’ entusiasmo del giovane compagno che non da ciò che descriveva. Heisuke aveva la tendenza ad esagerare un po’, e questo sembrava proprio il caso.
- Heisuke… non credi di esagerare? Non so, qualcosa mi sembra strano… non ho mai sentito parlare di tecniche che si avvicinano a quello che stai descrivendo tu. Eri forse ubriaco? - Sanosuke ridacchiò divertito, punzecchiando verbalmente l’ amico.
Heisuke si voltò di scatto, occhi fiammeggianti di rabbia. - Aahh! Perché nessuno mi crede? - gridò, guardando i suoi compagni che ridevano divertiti alla sua reazione infantile.
- Perché sei un ragazzino rumoroso e attaccabrighe che vuole darsi arie da gran capitano - disse con tono di scherno Shinpaci, approfittando della distrazione dell’ amico per rubargli dal piatto un pezzo di carne. Senza dargli il tempo di reagire ingoiò di fronte a lui il suo bottino, guardandolo con un ghigno di soddisfazione e lasciando il povero Heisuke affamato e deluso.
- Shinpachi! Maledetto! - Heisuke allungò le sue bacchette verso il piatto del nerboruto capitano mentre quest’ultimo lo afferrava alzandolo sopra la testa, ridendo alla goffaggine del ragazzo che lo guardò con sguardo assassino.
Hijikata li guardò esasperato scuotendo il capo e fece per aprire bocca quando Souji, che generalmente consumava il suo pasto sempre in silenzio, senza mai proferire parola se non per dare fiato alle sue battutine sarcastiche poggiò le bacchette sul piatto e guardando Heisuke chiese: - E questo… guerriero… che aspetto avrebbe? A quanto dici lo hai visto da vicino… no? -
Socchiuse gli occhi smeraldini tenendo il suo sguardo indagatore su Heisuke che voltandosi incuriosito dalla domanda, rispose: - Beh… è poco più alto di me, non sembra particolarmente muscoloso ma compensa con velocità ed agilità. Ha lunghi capelli rossi, che porta legati come i miei … e poi… - si soffermò un attimo a ripensare all’ aspetto del misterioso guerriero – uhm… i suoi lineamenti, erano particolari. Delicati, per un ragazzo. - Rimase in silenzio mentre ripensò al volto del giovane, instillando curiosità negli altri capitani. Shinpachi interruppe il silenzio con una risata: - Che vuoi dire? Non dirmi che adesso ti piacciono gli uomini, Heisuke! -
Il giovanissimo capitano si voltò infuriato e fece per afferrare Shinpachi quando Hijikata li interruppe bruscamente, ripristinando l’ ordine nella sala.
Kondou osservò Souji che era rimasto silenzioso a riflettere sulle parole di Heisuke. Sembrava stesse ponderando qualcosa, ma era impossibile da decifrare. Se c’era qualcuno che riusciva a nascondere pensieri e sentimenti, quello era sicuramente Okita. Kondou lo conosceva bene oramai, avendolo praticamente allevato come un fratello minore, e sapeva benissimo che era uno dei più sensibili di tutto il gruppo. Sensibilità che nascondeva benissimo con la sua arroganza, la sua lingua velenosa e la sua crudeltà. Sembrava un paradosso ma questo era Okita, crudele e allo stesso tempo profondamente conscio di ciò che le persone attorno a lui provavano e sentivano. Si rabbuiò nel pensare che quel suo carattere duro e sprezzante fosse dovuto alle sofferenze che aveva patito da giovanissimo… sorrise amaramente mentre lo osservava, chiedendosi se forse non fosse in parte anche colpa sua.
Il fatto, comunque, che avesse rivolto quella specifica domanda a Heisuke voleva dire solo una cosa, e cioè che dentro di sé covava dei sospetti ben precisi su qualcuno o qualcosa. Raramente le sue intuizioni erano sbagliate, ne aveva avuto prova in moltissime occasioni. Chissà cosa aveva percepito questa volta. Non gli chiese niente, nemmeno quando lo vide alzarsi in silenzio ed avvicinarsi alla porta, pronto ad uscire.
- Sano, ricordati che siamo di pattuglia stanotte. Vedi di non farmi aspettare troppo… - Souji lanciò un’occhiata di traverso a Sanosuke che stava ridendo assieme a Shinpachi e Heisuke, suoi compagni di bevute. Le sue labbra sottili si incresparono appena in un sorriso malinconico ed uscì dalla stanza, accostando la porta.
Si appoggiò ad una colonna di legno dell’ engawa1 e alzò lo sguardo alla luna calante.
Le pattuglie notturne erano le sue preferite; se non altro avrebbe potuto far fuori qualche malcapitato senza la solita commozione della folla che gremiva le strade di Kyoto durante le ore diurne. E poi… increspò appena le labbra sottili in un sorriso subdolo, ripensando all’ incontro della notte prima. Per qualche motivo sentiva (e sperava) che non sarebbe stato l’ ultimo; non poteva credere una coincidenza l’ apparizione, guarda caso nello stesso giorno, di un misterioso ninja che sembrava conoscere in qualche modo il segreto dei Rasetsu e di un fantomatico spadaccino con capacità mai viste.
Si riscosse dai suoi pensieri quando Sanosuke uscì dalla sala e lo raggiunse.
- Credevo tu fossi già pronto per il pattugliamento – disse con voce tranquilla Sanosuke, avvicinandosi a lui e incrociando le braccia al petto, osservando la luna.
Souji scrollò le spalle: - Per questa sera ho voluto aspettarti. Non è divertente radunare da solo gli uomini… li sai gestire in maniera più efficiente – disse sbuffando. - Di me hanno troppa paura – concluse dopo un attimo di silenzio, con quel tono altezzoso che lo caratterizzava. Sanosuke scrollò appena le spalle sorridendo. Oramai lo conosceva troppo bene per offendersi od arrabbiarsi; Souji era così, prendere o lasciare. Un genio con la spada, talento innato della scuola Tennen Rishin Ryū2, sarcastico e velenoso in modo inverosimile ma allo stesso tempo leale fino alla morte verso suoi compagni, il suo ideale e, soprattutto, verso Isami.
Sanosuke lo osservò dirigersi verso il suo alloggio per prepararsi.
- Al lavoro, vecchio – si disse fra sé e sé, correndo a richiamare gli uomini all’ ordine.

 

 

Haruka era già pronta, le rimaneva solo il copricapo nero da indossare. Si era già intrecciata i lunghi capelli rossi e la treccia spessa come un polso le ricadeva sulla spalla, arrivandole alla vita. Si guardò per un momento nel riflesso di una bacinella d’ acqua che aveva nella stanza; lo sguardo serio del riflesso incontrò il suo e per un attimo quella vista la intimorì. “Sciocca, hai paura del tuo riflesso?” pensò, continuando a sostenere lo sguardo di quei grandi occhi verdi, severi e tristi. Che vita aveva? Che significato aveva il vivere come una fuggitiva, come un ronin, senza famiglia, senza affetti, senza niente e nessuno a cui tornare? Era stata spogliata di tutto, e lei stessa era l’ unica cosa che le rimanesse. Lei, e le spade ereditate da suo padre. Nascose la treccia nell’ abito nero che la fasciava e si infilò il copricapo, lasciando solo gli occhi scoperti. Un’ombra nella notte, ecco quello che era. Un’ ombra che voleva vendetta. Contro Koudou Yukimura.

 

 

La pattuglia camminava lenta per le strade di Kyoto, spaventando i pochi passanti che incrociavano gli uomini azzurro vestiti. Sanosuke e Souji erano alla testa del gruppo, il primo con la lancia poggiata sulla spalla destra e il braccio che riposava sull´asta, l´altro col braccio destro rilassato sul fianco, ma pronto a scattare fulmineo in qualsiasi momento.
Il silenzio avvilupò la strana processione e gli haori azzurri rilucevano sinistramente nella notte illuminata dalla luna calante, rendendo l´atmosfera spettrale.
Spettrale e carica di tensione ed aspettative. Souji sapeva che quella notte sarebbe accaduto qualcosa, e onestamente non vedeva l´ora di passare all´azione. Non sarebbero stati Rasetsu probabilmente ma sentiva che la sfida sarebbe stata altrettanto interessante. Sorrise tra sé ripensando al ninja della notte prima. Se aveva veramente fatto fuori due furie da solo, era qualcosa di fenomenale. Forse addirittura in grado di tenergli testa. Carezzò l’ elsa della sua spada, assaporando il momento in cui l’ avrebbe sfoderata.
Sanosuke lo guardò di sottecchi e sospirò. Conosceva quello sguardo deciso, e non prometteva niente di buono. Se si era messo in testa di trovare un divertimento per la serata, l’ avrebbe trovato. Non che fosse difficile in quella città dilaniata dalla violenza; era sufficiente farsi un giro nei dintorni di Shimabara dopo il tramonto e sicuramente qualcosa sarebbe saltato fuori. E a vedere la direzione in cui si stavano dirigendo, sembrava proprio che quella sarebbe stata la loro prossima destinazione.
- Hai intenzione di pattugliare anche Shimabara? - chiese Sanosuke casualmente, voltandosi verso il compagno. Souji scrollò le spalle. - Beh, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere visto che è il tuo luogo dei divertimenti preferito… - disse sarcasticamente.
- Non credo sia per fare un piacere a me... Hai così voglia di sfoderare quella spada che pur di farlo sei disposto a cercare guai nel quartiere a luci rosse… non è da te, Souji, considerando quanto poco ti piaccia quel posto – disse scherzosamente Sano, dando una spallata amichevole all’ amico. Souji lo guardò di traverso, non degnandolo di una risposta.
Sanosuke rise giovialmente mentre il gruppo attraversava i cancelli di Shimabara, inoltrandosi nel quartiere dei piaceri proibiti.

 

 

Haruka sembrava volasse nel cielo notturno, nascondendosi nelle ombre e saltando da un tetto ad un altro in silenzio, concentrata sul suo obiettivo. Heisuke era stato molto dettagliato nella sua descrizione e non sarebbe stato difficile trovare il quartier generale degli Shinsengumi, il tempio di Mibu. Aveva fatto altre ricerche durante il giorno e stava imparando a conoscere le strade della città. Secondo le informazioni che aveva raccolto, il tempio si trovava in una zona periferica a nord della zona più centrale. Il che voleva dire che la strada più breve dal suo alloggio sarebbe stata quella che passava dal quartiere che si affacciava su Hanayacho, vicino al tempio Nishi-Honganji.
“Shimabara” pensò, con un ghigno di disprezzo. Si ricordò del tempo trascorso in un posto simile, a Yoshiwara3, nei pochissimi anni in cui aveva potuto vivere vicino a sua madre.
Scattò ancora più velocemente, come a voler fuggire da quei ricordi dolorosi. “Concentrati solo sul momento presente” si disse. “Non esiste nient’ altro”. Nient’ altro che vendetta. Continuò a correre nella notte, evitando facilmente gli sguardi dei pochi passanti che osavano sfidare le tenebre.
Lentamente il numero di persone per strada aumentò e con queste suoni, luci e voci di viandanti ubriachi. Si soffermò per un attimo sul tetto di una ochaya4 per guardarsi intorno, quando sentì il suono di una voce conosciuta sfiorarle l’ orecchio. Cautamente si avvicinò alla finestra dalla quale sembrava provenisse la voce. Si sporse appena dal tetto, cercando di guardare dentro alla finestra semiaperta. Riuscì solo a vedere parte della stanza riccamente decorata con drappi rossi e oro. La voce argentina squillava serena sulle altre, quando iniziò a cantare. “Questa canzone…. No, non può essere”. Incredula, Haruka rimase immobile, quasi stregata dalla potenza dei ricordi che quella melodia sembrava scatenare in lei. Fortunatamente la finestra non si affacciava sulla strada principale ma dava su un vicolo laterale, immerso nell’ oscurità, il che le permise di rimanere al riparo da sguardi indiscreti.
Non poteva andarsene senza aver avuto la conferma che quella persona non fosse lei. No, non poteva essere lei. E anche se fosse stato così, cosa ci faceva a Kyoto? Si calò lentamente su una tettoia più bassa che le avrebbe permesso di guardare appena dentro la stanza. Alzò il capo e sbirciò dentro, rimanendo di stucco.
Una giovane geiko5, bellissima, stava intrattenendo tre uomini con il suo canto. Nonostante il trucco elaborato l’ avrebbe riconosciuta ovunque.
- Michiru… - sussurrò, gli occhi incollati sulla ragazza. Osservava i suoi movimenti senza fiatare, ricordandosi bene il durissimo addestramento che si nascondeva dietro ad ogni singola posa.
I tre uomini, ubriachi, sembravano rapiti dalla grazia della giovane che stava ormai per concludere la canzone.
Haruka non si rese conto di quanto tempo era rimasta a fissare quella scena; sicuramente molto di più di quanto sarebbe stato raccomandabile vista la situazione in cui si trovava. Si riscosse dai ricordi e fece per allontanarsi dalla finestra quando sentì la voce di Michiru interrompersi bruscamente e un suono di colluttazione provenire dall’ interno della stanza.
- … ho voglia di un altro tipo di intrattenimento… che ne dici? - la voce impastata di uno degli uomini la fece rabbrividire e si voltò di nuovo verso la finestra, appena in tempo per intravedere i tre uomini afferrare la giovane e schiacciarla a terra, premendole una mano sulla bocca. Gli occhi terrorizzati di Michiru ed il percepire quanto fosse inerme di fronte alla forza dei tre uomini fecero ribollire il sangue nelle vene ad Haruka, e per un momento la sua razionalità venne offuscata da una furia incontenibile. Senza pensare al rischio che correva spalancò la finestra e saltò dentro la stanza, sferrando un calcio con tutta la sua forza al primo malcapitato che ebbe la sfortuna di trovarsi sulla traiettoria del suo piede; con un grido rotolò su un fianco, sorreggendosi il torace e guaendo di dolore. Gli altri due uomini rimasero per un momento sorpresi dall’ improvvisa entrata in scena di questa figura in nero e, lasciando la geiko, la guardarono con fare meravigliato ed infastidito. Erano ubriachi ma sembrava fossero in grado quanto meno di impugnare la spada. Fecero per portare la mano all’ elsa quando Haruka, sfoderando con un solo elegante movimento la sua lama, li ammonì freddamente.
- Toccate quelle spade e ve ne pentirete – disse a denti stretti, cercando di contenere la rabbia che la scuoteva.
I due la soppesarono per un momento e guardandosi divertiti sfoderarono la spada all’ unisono dicendo: - Non sai contro chi ti stai mettendo, pazzo! -
I samurai attaccarono simultaneamente ma fu semplice per Haruka schivarli, disarmarli e renderli inoffensivi. Con un paio di colpi ben assestati con la parte non affilata della katana li colpì con violenza al braccio destro, riconoscendo il familiare suono di ossa spezzate. Urla di dolore si levarono dai due, oramai in ginocchio di fronte a lei; aveva però già perso interesse per loro visto che non erano riusciti nemmeno a sfiorarla. Gettò con apprensione uno sguardo sulla giovane geiko che, terrorizzata, era strisciata in un angolo della stanza e osservava la scena con occhi sgranati dal terrore, reggendosi al petto con mani tremanti il kimono che i tre bruti avevano strappato.
Vedere che la ragazza stava bene le fece tirare un sospiro di sollievo, che durò però ben poco. Il frastuono della lotta attirò attenzioni indesiderate dal piano inferiore e sentì passi veloci di molti uomini affrettarsi sulle scale, avvicinandosi alla stanza dove erano.
Per un momento la giovane guerriera rimase congelata sul posto, indecisa ad andarsene e abbandonare Michiru con il rischio che gli uomini avrebbero sfogato la loro rabbia su di lei. Strinse ancora di più le mani attorno all’ elsa ed attese in silenzio l’ arrivo dei nemici, quando udì ulteriore commozione provenire da fuori lo stabilimento.
Non riuscì immediatamente a capire cosa stesse succedendo e non ebbe il tempo di pensarci perché altri tre uomini irruppero nella stanza, guardando appena gli altri sfortunati a terra che si contorcevano dal dolore. In un baleno sfoderarono le loro lame ed attaccarono Haruka, dando inizio ad un’ altra danza mortale.
“Dannazione, dannazione dannazione!” pensò la guerriera, tenendo testa a tre samurai contemporaneamente. Avrebbe voluto allontanarli da Michiru, in questo modo le avrebbe dato il tempo di mettersi in salvo. Guardandosi freneticamente attorno ed evitando i loro colpi riuscì a portarsi vicino alla finestra. Uno dei samurai attaccò con estrema violenza, pensando di coglierla di sorpresa. Fulmineamente Haruka si spostò di lato ed afferrandogli il braccio col quale brandiva la spada lo disarmò e allo stesso tempo lo spinse verso la finestra, sfruttando la velocità dell’ avversario per gettarlo fuori. Il malcapitato, incapace di frenare il movimento venne letteralmente sbalzato fuori, atterrando con un tonfo sordo nel vicolo sottostante. Gli altri due, terrorizzati dalla fine del loro compagno, si ritirarono appena continuando a guardarla con odio. Grida di panico e terrore si levarono dall’ esterno, creando ancora più caos.
- Maledizione! - imprecò fra i denti mentre i due avversari si ritiravano lentamente, uscendo dalla stanza.
Haruka si affacciò alla finestra e vide che una piccola folla si era raggruppata attorno al corpo senza vita del samurai, richiamando l’ attenzione di altre persone per cercare aiuto. Altre grida di panico si levarono dalle altre stanze dell’ edificio, facendole capire che fuggire senza farsi notare sarebbe stato alquanto difficile, vista la confusione che aveva scatenato.
Rinfoderando la spada si voltò verso la giovane geiko ancora a terra e si avvicinò, allungando una mano per accarezzarle il volto. Non se ne voleva andare prima di accertarsi che Michiru stesse bene. Fece per toccarla quando la ragazza, ancora sotto shock, si allontanò d’ istinto. Haruka fermò la mano a mezz’ aria rendendosi conto solo in quel momento che, vista la situazione, non poteva che aspettarsi quella reazione. Si abbassò appena il velo nero che le copriva il volto fino agli occhi, e sorrise.
Gli occhi della geiko si spalancarono ancora di più quando riconobbero la persona che le si parava di fronte. - Mir… - iniziò a parlare quando Haruka, fulminea, le premette l’ indice sulle labbra, invitandola al silenzio. Sorrise e le sussurrò avvicinandole le labbra all’ orecchio: - Tu non mi hai mai vista e non mi conosci… chiaro? - e strizzandole appena l’ occhio si coprì di nuovo il volto, carezzandole la guancia con affetto.
Michiru sorrise e acconsentì con un cenno del capo, incapace di parlare.
- Mettiti in salvo – le sussurrò, allontanandosi da lei e dirigendosi verso la porta. Sicuramente i due samurai di prima erano andati a cercare rinforzi, visto che non erano riusciti ad avere la meglio. Si affacciò appena dalla porta quando vide un gruppo di uomini dirigersi verso il luogo dove si trovavano, correndo in fila indiana nello stretto corridoio che si affacciava sul piano inferiore.
“Maledetti! Perché non mi lasciano in pace?” pensò, uscendo dalla stanza ed avvicinandosi lentamente ai nemici che stavano sopraggiungendo, apprestandosi a sfoderare di nuovo la sua lama quando una voce autoritaria sovrastò la confusione generale, intimando tutti alla resa. Si voltò verso il basso e vide un gruppo di guerrieri fare irruzione nello stabilimento e prendere possesso del piano inferiore. Haruka sgranò gli occhi nel riconoscere le uniformi di quei samurai, le stesse uniformi azzurre che aveva visto la notte prima e ancora quella stessa mattina quando aveva incontrato uno di loro.
Osservò poi quello che sembrava il leader gridare ordini ai suoi uomini:
- Assicurate tutte le uscite! Che nessuno esca! E’ un ordine! Questo luogo è adesso sotto custodia degli Shinsengumi! - il capitano si fece largo fra i suoi uomini, sfoderando la spada e preparandosi ad ingaggiare battaglia con chiunque avesse avuto il coraggio anche solo di pensare di contravvenire ai suoi ordini lapidari.
La sua sicurezza e sfrontatezza colpirono Haruka e per un attimo le balenò di fronte l’ immagine del guerriero della notte prima, quello che aveva difeso la ragazzina dall’ attacco delle furie. Le parve di riconoscerne il portamento e lo sprezzante avanzare, e anche la voce sembrava la stessa… lo fissò intensamente per quello che le parve un’eternità quando il capitano si voltò di scatto, quasi avesse percepito lo sguardo di qualcuno. Alzò gli occhi e il suo sguardo incontrò immediatamente quello di lei, inchiodandola sul posto.

“E’ lui” fece appena in tempo a pensare, vedendo un ghigno soddisfatto dipingersi sul volto del capitano.


 

1 Coridoio esterno che circonda le abitazioni giapponesi.

2Scuola di scherma tradizionale giapponese, codificata nell’ era Kansei (1789-1801), conosciuta comunemente come stile praticato dai membri principali dello Shinsengumi.

3Quartiere a luci rosse di Edo (Tokyo).

4Locale dove le geisha intrattenevano i clienti con danze, canzoni, giochi tradizionali, conversazione, saké ed ovviamente seduzione.

5Termine utilizzato a Kyoto equivalente a geisha.

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Capitolo 5
*** Incidente a Shimabara - parte seconda ***


Sono tornata!
Dopo varie vicissitudini (fra i quali un trasloco internazionale che mi ha preso un bel po' di tempo ed energie, eh eh eh) sono riuscita a dare alla luce questo capitolo, anche se il parto è stato lungo e difficile. Spero di essere riuscita almeno in parte a trasmettere la dinamicità degli eventi che oramai stanno prendendo (me tapina) una piega inaspettata... i personaggi vivono di vita propria ed a volte è quasi impossibile stargli dietro! 
Spero che la storia continui a piacervi :) Buona lettura!


 

5.


 


 


 

Grida concitate si levarono nella notte che fino a quel momento era stata quieta e silenziosa. Sanosuke e Souji si fermarono sui propri passi, guardandosi intorno e cercando di capire da dove provenissero quei rumori che tanto assomigliavano a una lotta. Videro un gruppo di persone affollarsi di fronte all’ingresso di una ochaya alla fine della strada che stavano pattugliando. Souji increspo’ appena le labbra in un sorriso maligno e si precipito’ verso l’ingresso, lasciando Sanosuke in retroguardia.
“Il solito scavezzacollo” pensò Sanosuke, dando ordini veloci e precisi agli uomini di Souji di seguirlo. Si avvicino’ all’ochaya appena in tempo per vedere qualcosa cadere dalla finestra in una strada laterale. Un tonfo sordo e le grida di altri uomini che erano accorsi sul luogo gli fecero capire che quello che era caduto era una persona. Sanosuke strinse la sua lancia, rimanendo per il momento fuori dalla casa da tè e intuendo che quella notte non sarebbe stata quieta come aveva sperato.

Arrivato di fronte al locale Souji spalancò la porta, fermandosi sull’ingresso e osservando con i suoi glaciali occhi smeraldini il caos che pervadeva l’interno. Sembrava che una rissa stesse degenerando in una vera e propria battaglia. Chi l’aveva causata? Facendosi largo fra gli avventori gridò ordini precisi ai suoi uomini che stavano velocemente prendendo posto dentro il locale, spade sfoderate pronte a ingaggiar battaglia.
Si guardò intorno, sfoderando lentamente la spada, sguardo gelido che scrutava ogni minimo movimento attorno a lui. Gli avventori, quasi riuscissero a percepire l’ aura fredda e determinata del capitano, si allontanarono istintivamente da lui, intimoriti dalla sua presenza.
“Eh...” sorrise fra sé, guardando con disprezzo gli astanti. Nessuno al suo livello, nessuno degno di incrociare la propria lama con lui.
   – Nessuno che abbia voglia di danzare un po’ con me? - disse sornione, avvicinandosi con passi misurati a un gruppo di samurai che si stavano avviando verso il piano di sopra. Guardava i suoi avversari con famelico interesse quando qualcosa lo distrasse. Non capì immediatamente cosa potesse essere, era come un richiamo che gli fece perdere per un attimo la concentrazione e lo forzò a distogliere lo sguardo dai suoi avversari. Alzò quasi meccanicamente lo sguardo e vide che qualcuno lo stava fissando, occhi curiosi e indagatori erano incollati su di lui. Un solo momento di sorpresa e riconobbe il ninja della notte prima. L’abito completamente nero lo rendeva difficile da notare, sembrava quasi si mescolasse con le ombre del locale in penombra. Souji sorrise trionfante, a quanto pare il suo desiderio era stato esaudito. Ricambiò lo sguardo, fissando il suo nuovo obiettivo con malcelata soddisfazione.
“Stavolta ti ho in pugno, amico mio” pensò, avviandosi verso le scale con rinnovato vigore, falciando senza pietà i pochi samurai che osavano porsi sul suo cammino.


Haruka rimase a fissare l’uomo azzurro vestito per una manciata di secondi quando le grida degli uomini che si avvicinavano le fecero distogliere lo sguardo, facendola tornare con i piedi per terra.
   -Shinsengumi! - gridarono all’unisono i samurai di fronte a lei, chiaramente sorpresi ed irritati dall’apparizione repentina dei soldati. Rimasero per un momento indecisi su quale bersaglio attaccare perché era evidente che questi uomini non avessero nessuna intenzione di abbassare le armi.
“Perché gli umani sono così testardi?” pensò digrignando i denti e portando la mano destra all’elsa della spada. Non riuscì però a capire per quale motivo non si arrendessero di fronte a quell’inaspettato dispiegamento di forze; sembrava quasi che temessero e odiassero i nuovi arrivati, quasi fossero stati colti in flagrante.
“A dopo le elucubrazioni” pensò Haruka, mentre con uno scatto repentino decise di porre fine all’indecisione dei suoi nemici e li attaccò, facendosi largo fra i samurai e raggiungendo le scale che portavano al piano inferiore. Con la coda dell’occhio vide il capitano che, avendo nel frattempo ingaggiato battaglia con alcuni samurai, guadagnava terreno e avvicinarsi lentamente ma inesorabilmente a lei. Sentiva lo sguardo di lui fisso su di sé, come quello di un lupo che bramava di affondare le fauci nella sua preda.
   - Uccideteli tutti! E non fatevi scappare la spia che li ha portati qui! - un grido rabbioso si levò di fronte a lei e una nuova ondata di uomini, usciti dalle stanze celate nella parte posteriore del locale, si riversò nella già caotica battaglia che oramai si era estesa all’esterno del locale.
“Spia… questi sciocchi credono che sia una loro alleata! Pazzi!” Haruka digrignò i denti in una risata sarcastica mentre con fendenti precisi e mirati abbatté uno sprovveduto che le si era parato di fronte. Si voltò di nuovo, osservando dall’alto la scena che le si parava di fronte. I suoi occhi guizzarono poi verso il soffitto, notando che era formato da una serie di lunghe travi parallele che avrebbero potuto essere usate come appiglio. Sorrise e abbassò lo sguardo, vedendo che il capitano era oramai arrivato ai piedi della scala, spada sfoderata in pugno, ghigno trionfante. Nonostante la distanza percepì la voglia dell’uomo di misurarsi con lei, tutto il suo essere trasudava desiderio di battaglia: i suoi occhi verdi, penetranti e durissimi, la fissavano famelici, ed il ghigno si trasformò in un sorriso crudele. Aveva tanta, troppa voglia di cancellare quel sorriso dal volto di quell’uomo.
Abbracciò la scena sottostante con sguardo freddo e calcolatore. C’era solo un’uscita ed era piantonata da tre uomini degli Shinsengumi, mentre altri due guardavano una finestra che dava sul vicolo laterale, sulla sinistra. Altri due soldati si trovavano sulla destra, vicini all’uscita. Due tavoli sulla sinistra avrebbero potuto essere un buon punto di atterraggio. Tornò a guardare il capitano che aveva già raggiunto metà scala. Sorrise fra sé sotto il velo nero che le copriva il volto, rinfoderando la spada. Senza aspettare un momento di più spiccò un balzo in avanti, poggiando il piede sinistro sul passamano in legno facendovi leva e, con leggerezza e quasi senza sforzo, balzò con l'altro piede sulla spalla del capitano che oramai l’aveva quasi raggiunta. Usandolo come punto d’ appoggio saltò in alto, aggrappandosi alle travi del soffitto. Rimase per un attimo appesa e con un potente colpo di reni si lasciò cadere su un tavolo vicino all’uscita, lasciando tutti paralizzati dallo stupore.
Appena atterrata sulla superficie legnosa si volse di scatto verso il capitano che evidentemente non si aspettava una mossa del genere e sembrava essere stato colto di sorpresa. Lo vide voltarsi, sguardo infuriato e quasi ferito, e lei non riuscì a trattenere una risata di scherno. Si alzò lentamente in piedi squadrando gli astanti con superiorità e disprezzo. Erano più numerosi di lei, si, ma lei era molto più agile e veloce, non sarebbero riusciti ad incastrarla. Vide uno dei soldati azzurro vestiti avvicinarsi a lei, spada sfoderata, ma fu troppo lento. Saltando dal tavolo gli sferrò un calcio mirato all’altezza del mento e con un fluido, elegante movimento sfoderò la lama, voltandosi verso i tre che piantonavano l’uscita.


   - Ma che diav...? – Souji fece appena in tempo a imprecare tra i denti quando vide il suo avversario saltare di fronte a lui e sfuggirgli da sotto il naso, prendendolo platealmente in giro. “Sei svelto, te lo concedo” si sorprese a pensare mentre, con sguardo irato, lo osservava atterrare sul tavolo al piano terra.
   - Non fatelo scappare! E’ un ordine! – abbaiò ai suoi uomini sorpresi quanto lui nel vedere un tale dispiegamento di agilità. Adesso era una questione di onore, non poteva lasciarselo scappare. Corse di nuovo giù dalle scale per raggiungerlo ma il maledetto aveva già fatto fuori un soldato e sembrava intenzionato a scappare. Non pensava che soldati semplici sarebbero riusciti a fermarlo per più di qualche secondo, ma forse.... gli avrebbero permesso di avvicinarsi quanto bastava per finalmente affrontarlo e fargli ripagare l’insulto appena patito.


Haruka vide il capitano avvicinarsi con la coda dell’occhio, chiaramente non aveva apprezzato il numero che aveva messo in scena. Doveva prepararsi a scontrarsi con lui, anche se avrebbe voluto rimandare l’incontro. Era sicuramente un avversario temibile, aveva visto di cosa era capace quella notte, e sicuramente non le avrebbe fatto passare liscia l’umiliazione che aveva appena subito.
Sferrò un calcio all’altezza del petto al soldato di sinistra, mandandolo a schiantarsi verso un altro che stava sopraggiungendo, e con due fendenti chirurgicamente perfetti si liberò degli ultimi due, appena in tempo per sgusciare fuori e sottrarsi alla furia del suo inseguitore. Si guardò attorno e per un momento lo sgomento si impossessò di lei: il locale era stato circondato da altri uomini dello Shinsengumi. Non erano molti, forse una decina, pensò freneticamente mentre si portava nel centro della strada, scrutando ogni angolo per cercare una via di fuga.
“Maledetti” pensò, guardandoli uno a uno quando notò uno di loro fare un passo avanti e puntargli la lancia contro. Torreggiava su tutti gli altri soldati almeno di due spanne, portamento fiero e spalle larghe, sguardo indagatore, sembrava la stesse soppesando. Haruka non percepì da parte dell'uomo un desiderio di misurarsi con lei, non subito almeno, sembrava che riuscisse a frenare il suo istinto guerriero, come volesse essere sicuro di ingaggiar battaglia con un avversario degno prima di perdere tempo.
   - Sanosuke! Lui è mio! – gridò l’ altro capitano uscendo dall’ochaya ed avvicinandosi a lei. Il guerriero di fronte a lei, senza distogliere lo sguardo, socchiuse gli occhi e fece un passo indietro, sempre con la lancia puntata al suo petto. Haruka strinse l’elsa della spada, osservando ora l’uno ora l’altro, nervi tesissimi e pronta a scattare. Avevano raggiunto un impasse, nessuno si muoveva, nessuno osava spezzare l’atmosfera di immobilità che aleggiava fra i contendenti.
Un movimento appena percettibile da parte di Souji la fece voltare di scatto verso di lui, nervi tesi pronta a rispondere ad un suo attacco. Il bagliore argentato della lama del suo inseguitore le fece capire che si stava spostando da una posizione di attesa ad una posizione di attacco… e infatti, una manciata di secondi dopo, Haruka bloccò un violentissimo fendente che avrebbe spezzato un qualsiasi guerriero. Strinse i denti, rimanendo però immobile e trovandosi per la prima volta faccia a faccia con il capitano dagli occhi di smeraldo. Lama alzata all’altezza della fronte a bloccare la sua, occhi fissi su quelli di lui. Sembrava il tempo avesse smesso di scorrere.
“Forte, per un essere umano… e veloce” questo pensiero le sfiorò la mente, non distogliendo lo sguardo. Era interessante vedere con quanta foga le si era scagliato contro. Desiderio di vendetta? Sicuramente, pensò, ma non poteva essere la sola motivazione. No, c’era qualcos’altro che ribolliva dentro quel giovane guerriero. Voglia di vincere, di misurarsi contro qualcosa che lo avrebbe intrattenuto per una manciata di minuti in più del normale combattimento. O forse anche un desiderio di appartenenza, di comunione con qualcuno che avrebbe potuto farlo sentire meno… solo?
Sorpresa dai suoi stessi pensieri allontanò la lama del capitano con un suono stridulo di acciaio contro acciaio, assumendo di nuovo la posizione di difesa. Entrambe le mani stringevano adesso l’elsa, e il suo respiro era di nuovo sotto controllo. L’ aveva colta di sorpresa, si, ma solo per un attimo, il tempo necessario a valutare la forza del suo avversario. E questo avversario le avrebbe dato del filo da torcere. Sorrise appena sotto la nera maschera, inalando profondamente e pregustando già lo scontro che oramai sembrava inevitabile. Si era persino dimenticata di tutti i nemici che la circondavano. Non aveva importanza adesso. Niente aveva importanza. L’unica cosa che contava era il suo avversario, e lo sentiva così desideroso di affondare la sua lama nel suo corpo che per un attimo rabbrividì non dalla paura ma dal… desiderio di misurarsi con lui?


Souji abbassò di nuovo la lama, piantando sul terreno i piedi e preparandosi al nuovo attacco. Era da tempo che non si sentiva così eccitato per un combattimento e sicuramente il suo avversario l’aveva sorpreso non poco, con quel numero di agilità dentro l’ochaya. Non dimostrava di avere paura e questo era un punto a suo favore. Scoprì i denti in un sorriso beffardo, tendendo i muscoli pronto a scattare i quando un grido proveniente da dietro di lui distolse per una frazione di secondo la sua attenzione. Qualcosa di rosso passò di fronte ai suoi occhi e rimase stupefatto a fissare la persona che le si era parata di fronte. Una geiko, giovanissima, impaurita ma determinata, che si reggeva il kimono strappato con la mano destra si era interposta fra lui e il ninja, quasi a proteggerlo. I suoi occhi tradivano terrore ma la sua determinazione era chiara. Souji sbuffò, irritato. Guardò freddamente la giovane artista:
   - Muoviti da lì, ragazzina. Non è posto per te. Non so cosa tu abbia intenzione di fare ma il fatto che tu sia una donna per me non è scusa sufficiente per non farti fuori… - e così dicendo alzò lo sguardo verso l'altro capitano che era rimasto in disparte, stupito forse più degli altri dall'evoluzione degli eventi.
   - Avresti avuto più fortuna con Sanosuke – disse gelidamente, tornando a fissarla e la giovane sgranò gli occhi, chiaramente terrorizzata dal piglio crudele del samurai. Nonostante quello non si mosse di un passo e anzi alzò entrambe le braccia come a difendere il ninja che era dietro di lei.


 

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Capitolo 6
*** Primo sangue ***


6.


 

“Michiru! Che diavolo vuole fare?” Haruka sgranò gli occhi nel vedere la piega inaspettata degli eventi. Si avvicinò alla giovane che si era offerta come scudo umano e, prendendola per la vita, la avvicinò a sé e le sussurrò all’orecchio pochissime parole, dure come l’acciaio ma che trasudavano preoccupazione:
  - Che diavolo ti è saltato in mente? Vattene immediatamente! - disse mentre con la mano libera cercava di spostarla, facendola scivolare dietro di sé. La giovane però oppose resistenza e, voltandosi verso il guerriero vestito di azzurro, disse a voce alta con una sicurezza che la spiazzò:   
  - Se volete uccidere quest’uomo, dovrete prima uccidere me. Non so il motivo che vi ha spinto nell’attaccarlo ma io non permetterò che chi mi ha salvata venga ferito. –
Le sue parole, sicure e ferme, lasciarono perplessi gli astanti, Haruka compresa. Sentiva gli occhi di tutti i presenti puntati su di loro, specialmente quelli dei due capitani, stupiti ed irritati da come gli eventi si stavano evolvendo. Souji sbuffò, poggiando la lama della spada sulla spalla destra e grattandosi il capo, inclinandolo leggermente come per poter meglio osservare la curiosa creatura che osava intromettersi fra lui e la sua preda.
  - Ragazzina – disse poi, con un tono di voce piatto ed annoiato – in un mondo perfetto, il tuo sfoggio di coraggio potrebbe essere apprezzato e magari anche muovere a pietà qualche sciocco sentimentale... purtroppo per te – Haruka vide con sgomento il movimento fluido e rapido della sua mano destra che riportava la spada in posizione di guardia – questo... non è il tuo giorno fortunato. Se proprio vuoi farmi decorare l'haori col tuo sangue, non sarò certo io a toglierti questa soddisfazione... - fece un passo avanti quando una lancia si pose in mezzo fra Michiru e Souji.
  -Souji, adesso basta. - Fu l'altro guerriero a parlare. Istintivamente Haruka strinse a sé ancora di più con la mano libera la giovane e guardò con stupore l'altro guerriero bloccare il compagno, portandosi di fianco a lui. Le sembrò che guardasse Michiru quasi con compassione... chissà cosa stava pensando, si disse Haruka. Lo squadrò per un attimo, affondando il suo sguardo nel volto dell'improbabile salvatore che aveva tenuto a bada il lupo famelico che desiderava ucciderla. Haruka deglutì. Non aveva paura per se stessa, no, ma per Michiru. Adesso l'avrebbero inevitabilmente collegata a lei e anche se fosse riuscita a sfuggirgli sicuramente sarebbero tornati per cercare la giovane geiko e tartassarla di domande. Tante, troppe domande. Digrignò i denti e con un movimento fluido e repentino fece scivolare Michiru dietro di lei, mantenendo la presa sull'elsa della sua spada puntata sempre verso i due guerrieri.


 

 

Sanosuke soppesò la giovane geiko, terrorizzata ma decisa, e il ninja che la stava difendendo col suo corpo. Comportamento peculiare per qualcuno che, in teoria, avrebbe potuto approfittare della situazione per usarla come scudo. Aggrottò le sopracciglia e senza distogliere lo sguardo dalle due figure, chiese a Souji:
  - Sembra che vi conosciate... non dirmi che è lo stesso ninja che avete incontrato quella sera. - Souji sbuffò irritato dall'interruzione del compagno e con voce stizzita rispose:
  - Almeno sei più brillante del tuo amico tutto muscoli e niente cervello, Sano. Sì, è lui, e non fosse stato per il tuo intervento adesso il suo sangue decorerebbe la lama della mia spada... - strinse la mano attorno all'elsa e lo sguardo famelico puntato sul suo avversario fu più chiaro di mille parole. Sanosuke sbuffò, fissando per un attimo il suo compagno assetato di sangue. Quando Souji voleva sangue niente e nessuno poteva placarlo. O meglio, nessuno a parte Kondou che però non era lì con loro. Comunque, la sua vera preoccupazione era l'incolumità della geiko anche se non sembrava stesse correndo alcun pericolo. Se solo fosse riuscito a toglierla dalle mani del loro avversario... aggrottò le sopracciglia quando vide il ninja sussurrare qualcosa alla giovane donna e non fece in tempo ad impugnare più fermamente la sua lancia che vide la giovane allontanarsi correndo dalla figura nero vestita verso di lui. Sgranò gli occhi dalla sorpresa e sollevò appena in tempo la lancia, passandola dalla mano destra alla sinistra mentre afferrava per la vita la geiko che si era avvicinata forse in un patetico tentativo di distrarli. Ne strinse la vita sottile imprigionandola in una morsa delicata e si sorprese nel fissare i suoi profondi occhi neri. La ragazza lo guardò senza paura, seria, sorreggendo stoicamente il suo sguardo. Qualunque cosa ci fosse fra lei e il ninja non era sicuramente terrore. Suo malgrado Sanosuke provò qualcosa che si poteva forse definire rispetto per il suo avversario; non solo non aveva fatto del male alla ragazza, ma non si era nemmeno approfittato di lei usandola come scudo umano lasciandola chiaramente andare via. Continuando a sorreggerla tornò a guardare il ninja che, incredibilmente, aveva rinfoderato la spada.


 

 

  - Ascolta, Michiru – sussurrò Haruka piegando appena il capo verso di lei – devi allontanarti da qui; se rimani vicino a me rischi di essere ferita... o peggio – guardò furtivamente Souji che non aspettava altro che incrociare la spada con lei. Michiru alzò lo sguardo verso di lei, tremando lievemente ma tentando di restare ferma nella sua posizione di voler aiutare la compagna. Fece per aprire bocca ma venne zittita in malo modo, occhi verdi fiammeggianti la guardavano con severità inchiodandola sul posto. - Devi andartene, capito? E ricorda – disse, prima di spingerla lievemente lontano da sé – noi non ci conosciamo. Vai... VAI! - con un unico gesto fluido rinfoderò la spada, mentre con l'altra mano spinse la giovane lontano da lei. Guardò la sua amica correre verso i due samurai e tentò di usare la frazione di secondo di sorpresa per allontanarsi. “Forse... forse...” fece per lanciarsi in corsa verso uno degli uomini che faceva parte del cordone che li circondava, quando una folata di vento le passò vicina all'orecchio sinistro. Senza pensare schivò il colpo ed abbassandosi rotolò verso destra, tornando immediatamente in piedi e voltandosi per fronteggiare il suo avversario.
“Souji...” pensò a denti stretti, riconoscendo il suo avversario che l'aveva raggiunta dimostrando una velocità insospettata. Il samurai azzurro vestito si ergeva di fronte a lei, ghigno feroce in volto, deciso a non mollarla. Senza troppe cerimonie avanzò di un passo e portò la spada sopra la sua testa, pronto ad affondare un fendente. Haruka rimase impassibile, immobile, attendendo il suo movimento. Per una frazione di secondo le sembrò che Souji esitasse, forse era stupito del fatto che lei non accennasse a sfoderare la spada. Una frazione di secondo era però quanto le venne concesso, e la spada cadde su di lei con velocità e forza impressionante. Una frazione di secondo era quanto lei necessitava per spostarsi verso la sua sinistra ed evitare per pochi millimetri la lama rabbiosa del suo antagonista. La spada fu così veloce che le sembrò l'aria attorno a lei fosse stata letteralmente tagliata, sospendendo i respiri di entrambi i contendenti. Haruka fece un passo indietro, allontanandosi dal samurai che con un altro movimento fluido sferrò un secondo fendente verso la sua gola, e un altro ancora e ancora, mentre lei continuava a girargli attorno scansando ogni suo colpo senza distogliere i suoi occhi da quelli di lui nemmeno per un attimo.


 

 

  - Che tu sia dannato – Souji si sorprese a pensare quanto irritante fosse questo insetto nero che gli volteggiava attorno. Era bravo, glielo concedeva, e veloce, molto. Non aveva mai affrontato nessuno così veloce ed aggraziato in tutta la sua vita... e questo stile apparentemente passivo ma sorprendentemente efficace, dove poteva averlo appreso? Era diverso da qualsiasi altra tecnica avesse mai visto. Abbassò appena la spada per tornare subito a caricare con un fendente stavolta diretto al cuore. Chiunque altro sarebbe stato preso di sorpresa ma il ninja estrasse fulmineamente con la mano sinistra la wakizashi e deviò la sua lama con uno stridio metallico che riecheggiò nella notte; nello stesso tempo sfoderò con la destra la katana e contrattaccò, assestandogli un fendente trasversale che Souji riuscì a mala pena ad evitare. Il ninja saltò all'indietro, lame in pugno, quasi aspettasse un suo movimento. Souji strinse i denti e impugnò ancora più fermamente la sua spada, piantò il piede destro di fronte per darsi la spinta per un nuovo attacco quando un grido dalla sua sinistra lo sorprese. Uno dei suoi uomini, volendo intervenire per aiutarlo, si gettò sul suo avversario, spada sguainata, patetico tentativo di rendersi utile.
  - Idiota! Tieniti fuori! - sbraitò, irritato all'inverosimile dalla gravissima insubordinazione che, ai suoi occhi, uno dei suoi uomini stava commettendo. L'uomo non fece appena in tempo ad arrestarsi di fronte al ninja che si ritrovò a volare indietro, colpito al petto da un calcio sferrato dallo stesso nemico che voleva abbattere. Souji si ritrovò di nuovo solo ad affrontarlo ed usando la piccolissima apertura che suo malgrado gli era stata offerta riuscì a contrattaccare con un fendente dal basso verso l'alto, mirato all'avambraccio del suo nemico. Il ninja scartò sorpreso e indietreggiò, non abbastanza velocemente però da evitare che la punta della sua lama gli sfregiasse il polso.


 

 

Haruka si morse la lingua per reprimere un grugnito di dolore. Era stato veloce ad usare quell'apertura, il maledetto. Sentì un bruciore pungente avvolgerle il polso sinistro e qualcosa di umido inzupparle le fasce della mano. Sangue. Dissimulando il dolore si portò di nuovo in posizione di difesa, stringendo entrambe le lame con fierezza. Questo gioco stava durando anche troppo, ma adesso non voleva andarsene prima di aver restituito il regalino che le era stato fatto. Senza attendere un attimo attaccò apertamente, chirurgicamente, un fendente dopo l'altro si ritrovò faccia a faccia con il suo avversario che era stato momentaneamente fatto arretrare dalla sua furia. Il samurai riuscì a parare tutti i suoi colpi ma iniziò a mostrare segni di stanchezza e cedimento. Haruka strinse gli occhi e con un ulteriore fendente dall'alto verso il basso deviò la katana di Souji, lasciandolo momentaneamente senza guardia. Prima che Souji potesse tornare in guardia Haruka aveva già portato la lama che stringeva nella mano sinistra all'altezza dei suoi increduli occhi smeraldini. Tutti gli astanti erano paralizzati dallo stupore.
Haruka rimase immobile, lama in pugno, occhi fissi su quelli spalancati di lui. Il dolore pulsante al polso sinistro la riportò con i piedi per terra e con sgomento vide una goccia di sangue colare dal suo polso sull'haori di Souji, lasciandovi una macchia circolare. Ritirò bruscamente il braccio e rinfoderando le due lame si allontanò nella notte, sfruttando lo sbalordimento che questo combattimento aveva creato. Schivò elegantemente uno degli uomini che le si parò di fronte ed immergendosi nell'oscurità scomparve nei vicoli di Shimabara, lasciando gli astanti pietrificati dalla sorpresa. Lanciò un ultimo sguardo sugli uomini lì riuniti e vide che Michiru era ancora trattenuta da quel guerriero dall'aspetto gentile. Stringendosi il polso con la mano destra sorrise amaramente, pensando che adesso non avrebbero lasciato in pace la sua amica fino a quando non l'avessero ritrovata.

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