One more time - Before we go di Robigna88 (/viewuser.php?uid=62768)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Ben tornata a New Orleans ***
Capitolo 2: *** 2. Il caso ***
Capitolo 3: *** 3. L'attacco ***
Capitolo 4: *** 4. Gli amici ***
Capitolo 5: *** 5. Il piano ***
Capitolo 6: *** 6. Margareth Kent ***
Capitolo 7: *** 7. L'illusione ***
Capitolo 8: *** 8. Il Doppelgänger ***
Capitolo 9: *** 9. Una questione di famiglia ***
Capitolo 10: *** 10. Vincent Navarro ***
Capitolo 11: *** 11. Marcel ***
Capitolo 12: *** 12. Il matrimonio ***
Capitolo 13: *** 13. La dichiarazione ***
Capitolo 14: *** 14. La scomparsa ***
Capitolo 15: *** 15. Il salvataggio ***
Capitolo 16: *** 16. L'invito ***
Capitolo 17: *** 17. Allison ***
Capitolo 18: *** 18. Il sogno ***
Capitolo 19: *** 19. La premonizione ***
Capitolo 20: *** 20. L'inizio ***
Capitolo 21: *** 21. La fine ***
Capitolo 22: *** 22. Spegnilo ***
Capitolo 23: *** 23. Il dolore ***
Capitolo 24: *** 24. Il nuovo ***
Capitolo 25: *** 25. Il disagio ***
Capitolo 26: *** 26. Il tempo ***
Capitolo 27: *** 27. Chuck ***
Capitolo 28: *** 28. Il bivio ***
Capitolo 29: *** 29. Elijah ***
Capitolo 30: *** 30. Un'ultima volta ***
Capitolo 31: *** 31. La porta rossa ***
Capitolo 32: *** 32. Joel Goran ***
Capitolo 33: *** 33. Ti amo ***
Capitolo 34: *** 34. Il Paradiso ***
Capitolo 1 *** 1. Ben tornata a New Orleans ***
NDA: Un'altra storia con
Allison e gli Originali, per voi :D buona lettura e fatemi sapere cosa
ne pensate :)
In fondo l'outfit
della cacciatrice nel capitolo.
1.
BEN
TORNATA A NEW ORLEANS
Angel
Sanborra era il cacciatore più stupido che Allison avesse mai conosciuto. Come avesse
fatto ad uscire vivo dai diversi casi a cui aveva preso parte per lei rimaneva un
mistero, un mistero che si era infittito ancora di più quando una settimana
prima l’aveva chiamata per farle sapere che a New Orleans stavano accadendo
cose strane e che lui e un gruppo di altri cinque cacciatori avevano deciso di
andare lì a controllare E a far esplodere qualche via della città.
Le
aveva detto proprio così ed Allison aveva resistito all’urgenza di dirgli che
era un completo idiota. Aveva resistito per ben dieci lunghi minuti, poi era
sbottata e urlandogli contro tutta la sua poca stima nei suoi confronti gli
aveva intimato di stare alla larga dalla Louisiana. Se ne sarebbe occupata lei
e questo era quanto.
Ma
visto che Angel Sanborra era davvero il più stupido tra i cacciatori, non le
aveva dato retta e col suo improvvisato gruppo di sciocchi era arrivato a New
Orleans domenica pomeriggio ed era morto mercoledì mattina. I quatto
sopravvissuti avevano riferito versioni discordanti in merito a cosa lo avesse
ucciso; alcuni dicevano un lupo, altri un vampiro. Allison sapeva che poteva
essere entrambi, un Ibrido, e lei di Ibrido ne conosceva solo uno.
Improvvisamente
la telefonata di Rebekah Mikaelson di qualche settimana prima le era tornata
alla mente: ho bisogno di un posto sicuro, che più sicuro non si può… devo
badare alla figlia di Klaus e molti la vogliono morta. Così le aveva detto
e dopo averle trovato un posto davvero sicuro Allison si era prodigata di
togliersi dalla testa la famiglia Originale. Di qualunque cosa si stessero
occupando non era affare suo, meglio stare alla larga dai loro problemi che
erano catastrofici e che sommati a quelli che già lei aveva creavano uno
spaventoso insieme di guai.
Tuttavia
non era riuscita a non pensare a quello che Rebekah le aveva raccontato, a
quanto smarrito Klaus dovesse sentirsi privato di sua figlia. Proprio lui che
un padre degno di essere definito tale non l’aveva mai avuto, ora si ritrovava
a dover abbandonare la sua bambina. Era per proteggerla, era vero, e questo lo
rendeva già completamente diverso da Mikael, ma era comunque un abbandono e
nella mente triste e paranoica di Klaus Mikaelson questa non era una buona
cosa.
Ci
aveva pensato spesso dopo il suo incontro con la bionda Originale, ma si era
categoricamente vietata anche solo di considerare di guidare a New Orleans e ci
era riuscita fin quando una questione di famiglia non l’aveva portata a Baton
Rouge e da lì aveva guidato senza nemmeno accorgersene fino alla città delle
parate e del Quartiere francese.
Sospirando
alzò la mano per attirare l’attenzione del cameriere e ordinò un caffè che le
venne servito in un bicchiere a portar via perché, disse al gentile ragazzo con
la targhetta nominativa sulla maglietta, aveva molte cose da fare e visto che
non voleva trattenersi a lungo era meglio non perdere tempo.
Pagò
e uscì dal bar; dal punto in cui si trovava alla tenuta dei Mikaelson erano più
o meno dieci minuti a piedi, così lasciò l’auto lì su Bourbon Street e si
incamminò per le vie della città chiusa in quel suo completo elegante che non
aveva avuto il tempo di cambiare. Ripeté a se stessa che non ci avrebbe messo
molto quindi trovare un hotel per cambiarsi era inutile, non sarebbe rimasta
così tanto a New Orleans. Voleva solo capire cosa stava succedendo, provare a
far ragionare Klaus oppure pregare Elijah di fermarlo. Poi sarebbe tornata a
casa e avrebbe messo gli Originali nel cassetto dei ricordi.
Svoltò
a destra e distratta da una artista di strada che suonava il violino andò a
sbattere contro qualcuno riuscendo a salvare il suo caffè per un soffio.
“Allison
Morgan” le disse una voce maschile che le risuonò nelle orecchie e che
conosceva bene. “Che diavolo ci fai qui?”
La
donna chiuse gli occhi e scosse il capo, poi puntò lo sguardo su Dylan Nesh,
uno dei quattro idioti sopravvissuti. “Tu che diavolo ci fai qui” ribatté. “Non
hai imparato la lezione dopo quello che è successo ad Angel?”
“È
proprio per quello che gli è successo che sono tornato qui. Voglio trovare la
cosa che l’ha ucciso. Qualunque cosa fosse. Angel era strano ma era mio amico.”
“Dylan”
cercò di ragionare Allison. “Lascia che me ne occupi io. Torna a casa da tua
moglie e piangi il tuo amico come si deve, al resto ci penso io.”
“No!”
esclamò l’uomo scuotendo il capo. “Non voglio un’altra morte sulla coscienza e
se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei.”
La
donna fece un grosso respiro accorgendosi che era come parlare con un muro.
Sapeva che non era preoccupato per lei, era il suo ego smisurato a parlare;
aveva una reputazione da mantenere e non sarebbe stato possibile se avesse
lasciato una donna ad occuparsi della sua personale battaglia contro il mostro
che aveva ucciso il suo amico. Con i tipi come Dylan Nesh, si disse, si può
ragionare solo in un modo e lei lo avrebbe fatto.
“Okay”
gli disse “Capisco cosa provi e so anche quanto la voglia di vendetta possa
logorarti dentro, quindi ti cederò il caso e ti dirò cosa ho scoperto fino ad
ora” continuò guardandosi intorno, poi guardando di nuovo lui. “C’è un nido di
vampiri poco fuori Baton Rouge, credo che sia stato uno di loro ad uccidere
Angel, forse dovresti andare a dare un’occhiata.”
“Maledetti
succhiasangue!” sibilò lui stringendo i pugni. “Li ucciderò tutti quanti.”
Senza
salutarla se ne andò lasciandola lì sul marciapiede. Allison sperò che avrebbe
lasciato la città subito; Baton Rouge non era molto distante, ma lo avrebbe
tenuto fuori dai piedi per qualche ora e lei avrebbe avuto il tempo di fare alcune
domande alle persone giuste.
“Idiota”
mormorò poggiando cento dollari dentro il coperchio aperto della giovane
violinista di strada e con un sorriso proseguì verso la tenuta Mikaelson.
****
Hayley
era nervosa quel giorno. Non che fosse una novità a dire il vero, da quando era
diventata un ibrido era sempre agitata e aveva sempre voglia di uccidere
qualcuno. Il fatto che Klaus la incoraggiasse a portare avanti quel comportamento
ed Elijah la ignorasse proprio a causa dello stesso non la aiutava a mantenere
il controllo. Ma il punto in fondo era che non aveva voglia di controllarsi.
Per colpa di fin troppe persone in quella stupida città aveva dovuto
abbandonare sua figlia e si sentiva come se facendolo fosse diventata i suoi
genitori ed era una sensazione che non le piaceva affatto. Scoprire che Klaus
si sentiva come lei un po’ la faceva sentire meglio, ma non bene abbastanza da
smettere quella sua personale crociata nei confronti di chi direttamente o meno
l’aveva costretta a mandare via Hope.
Si
chiese come stesse la sua piccola bambina, si chiese se piangeva durante la
notte, se l’amore di Rebekah era sufficiente a farla calmare. Pensieri inutili
e dannosi, non poteva fare nulla per cambiare le cose, non in quel momento.
Ripulire le strade di New Orleans però era un inizio.
“È
questa la tua idea di aiuto Niklaus? Portarla a caccia di streghe nel Bayou?”
La
voce di Elijah attirò la sua attenzione; la sentiva forte e chiara anche se lui
era al piano di sotto. Con un scatto si alzò e scese giù per le scale fino
all’atrio dove i due fratelli stavano discutendo dei metodi di Klaus.
“Oh
andiamo” mormorò proprio lui indicandola con una mano quando la vide. “Sta bene
e si sente meglio, non è vero lupacchiotta?”
Hayley
alzò un sopracciglio perplessa, poi si avvicinò ad Elijah. “Non puoi dirmi cosa
fare o non fare, non dopo aver passato giorni ad ignorarmi.”
“Credi
che uccidendo tutte le streghe ti sentirai meglio Hayley? Non accadrà, te lo
posso garantire. Quando l’euforia del tuo nuovo stato di Ibrido sarà passata ti
sentirai peggio con tutte quelle morti a pesarti sulla coscienza.”
“Non
ho ucciso persone innocenti Elijah, quindi non credo che mi sentirò in colpa.
Erano tutte streghe malvagie.”
“Guarda
un po’ chi si vede” sussurrò Klaus attirando l’attenzione dei due con lo
sguardo diretto verso l’entrata. “Allison Morgan in carne ed ossa. Ti trovo
bene, guerriera.”
Il
corpo di Elijah si irrigidì per un attimo – Hayley lo notò subito – poi si
voltò in direzione dell’entrata e la vide anche lui; Allison Morgan in carne ed
ossa, elegante e raffinata come sempre, più bella di quanto ricordasse.
“Erano
tutte streghe malvagie ed un cacciatore. Il suo nome era Angel Sanborra ed era
un idiota, è vero, ma un idiota umano” puntualizzò Allison rivolta ad Hayley
bevendo l’ultimo sorso di caffè.
“Come
hai fatto ad entrare?” chiese Klaus. “Io stesso ho chiuso il cancello con una
catena e un lucchetto, questa casa è in lutto.”
“Per
favore” disse lei togliendosi il cappotto dopo aver poggiato il bicchiere sul
tavolino al centro dell’atrio. “Ho imparato a forzare una serratura prima
ancora di imparare a guidare, credi davvero che un lucchetto possa tenermi
fuori?”
Il
viso di Klaus si aprì in un grande sorriso e con pochi passi raggiunse la donna
e la strinse in un abbraccio che lei ricambiò con calore. “Sono felice di
vederti” le disse.
Hayley
incrociò le braccia sul petto sorpresa nel vedere Klaus comportarsi con la
nuova arrivata come un normalissimo uomo che rivede un’amica dopo tanto tempo.
Era perplessa, più che altro, perché non credeva che lui avesse degli amici.
Quando
l’abbraccio tra i due finì, la donna bella ed elegante di cui lei non sapeva nulla
eccetto un nome, si avvicinò ad Elijah e dopo un istante di esitazione il
maggiore dei Mikaelson si piegò e le baciò la guancia prima di lasciarsi
stringere a sua volta.
****
“Scusate,”
chiese Hayley schiarendosi la voce. “Sareste così gentili da dirmi chi è questa
donna?”
“Sono
Allison Morgan” si presentò direttamente lei lasciando Elijah. “Sono una
cacciatrice.”
“Vestita
così?” le chiese l’altra guardandola da capo a piedi. “Non deve essere molto
facile cacciare indossando una gonna corta e dei tacchi a spillo.”
Allison
abbozzò un sorriso. “Anche con questi tacchi a spillo e questa gonna riuscirei
a farti il culo a strisce quindi perché non la pianti di parlami con quel tono arrogante?”
“Allison
ti prego” sussurrò Elijah guardandola. “Linguaggio.”
Lei
alzò le mani e sospirò. “Qualunque cosa stiate facendo state attirando
l’attenzione. Ho incontrato un cacciatore mentre venivo qui, era in città alla
ricerca della cosa che ha ucciso Angel. L’ho mandato fuori strada dicendogli
che c’era un covo di vampiri a Baton Rouge e che era meglio se andava a dare
un’occhiata. Ma per quanto sia poco sveglio, al massimo domani si accorgerà che
l’ho preso in giro e tornerà.”
“Che
venga!” esclamò Hayley guardandola. “Questa è una guerra, e in guerra si sa, ci
sono dei danni collaterali” la superò passandole accanto, ed Allison sospirò
girando su se stessa per seguirla con lo sguardo.
“Ed
esattamente” le disse. “Reagire in questo modo, come ti aiuterà a riportare tua
figlia a casa?”
La
nuova Ibrida si fermò, rimase di spalle per un lungo istante, poi le si
avvicinò. “Che cosa stai dicendo?”
“Rebekah
mi ha telefonato qualche settimana fa, le serviva un posto sicuro in cui stare
con la piccola Hope” le spiegò la cacciatrice. “Mi sono assicurata che ne
avessero uno, uno dove niente e con niente intendo proprio niente, possa
entrare senza un invito.”
“Quanto
ti ha detto?” le chiese Elijah.
“Quanto
basta” rispose vagamente Allison. “Sentite, mi trovavo a Baton Rouge per alcune
questioni personali e ho deciso di passare ad avvertirvi di persona. State
dando nell’occhio con la scia di cadaveri che state lasciandovi dietro. Ho
passato gli ultimi dieci giorni a depistare ogni cacciatore che voleva venire
qui a capire cosa stesse succedendo. Ma non posso trattenere tutti e non posso
farlo ancora per molto.”
“Nessuno
te lo ha chiesto” Hayley allargò le braccia. “Volevi avvisarci e lo hai fatto,
quindi ora puoi tornartene a casa con la tua bella collana di diamanti e le
tue scarpe da centinaia di dollari. E se provi a dire a qualcuno che mia figlia
è ancora viva, credo che diventerai uno dei danni collaterali di cui parlavo
prima. Anzi” con un gesto rapido le afferrò il viso ed Allison sapeva
esattamente cosa voleva fare. “Rebekah non ti ha mai telefonato, ora lascia la
città e dimentica di essere mai venuta qui.”
La
cacciatrice restò in silenzio, poi si liberò bruscamente dalla sua presa e le
passò accanto per afferrare il suo cappotto. “Non posso essere soggiogata” le
disse sistemando i lunghi capelli castani fuori dal cappotto. “Ma un punto per
te per averci provato. Ho fatto ciò che dovevo, ora sta a voi. Spero potrete
riportare Hope a casa presto.”
I
tre non dissero nulla mentre lei se ne andava. Il maggiore dei Mikaelson però
aveva la sensazione che non sarebbe stata l’ultima volta che la vedevano.
“La
lasciamo andare via così?” domandò Hayley voltandosi a guardare i due fratelli.
“Sa di Hope e potrebbe dirlo a qualcuno.”
“Non
lo farà” la tranquillizzò Klaus. “Morirebbe piuttosto che tradire qualcuno a
cui vuole bene. E per quanto assurdo sembri, a noi vuol bene.”
“Siamo
in guerra,” precisò lei. “Non possiamo fidarci di nessuno, neppure di chi
crediamo esserci amico.”
“Di
lei possiamo!” esclamò Elijah abbottonandosi la giacca. “E so cosa stai
pensando Hayley, ma se provi a toccarla, io e te avremo un problema.”
Lei
se ne andò sbuffando, le braccia incrociate sul petto e quel dannato broncio
sempre sul viso.
“Forse,”
disse Klaus guardando suo fratello. “È il caso di smetterla per un po’ con la
caccia alle streghe.”
L’Originale
elegante scosse il capo poi lo lasciò solo nell’atrio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2. Il caso ***
NDA: Buona lettura. I
commenti sono sempre ben accetti :D
2.
IL
CASO
Dannazione
a lei! Sapeva che sarebbe andata a finire così, lo aveva saputo nel momento
preciso in cui si era messa a guidare da Baton Rouge fino a New Orleans e
guardandosi intorno, in quella squallida camera di motel, si accorse che oramai
era troppo tardi. Si era lasciata di nuovo coinvolgere dai drammi della
famiglia Mikaelson anche se le intenzioni erano quelle di starne il più lontano
possibile.
Si
era rifugiata in quella stanza oramai da tre settimane, nessuno si era accorto
di lei e le stava bene così. Sperava che continuasse a andare in quel modo e
soprattutto sperava che né Dylan né altri cacciatori si sarebbero fatti vivi.
Se non fosse successo la situazione sarebbe stata nuovamente sotto controllo e
forse lei sarebbe riuscita a lasciare la città e a mettersi alle spalle tutto
quanto.
Rebekah
si sarebbe occupata di Hope fino al momento in cui avrebbe potuto riportarla a
casa, Klaus si sarebbe occupato di uccidere chiunque avesse deciso di mettersi
tra i piedi ed Elijah… Elijah si sarebbe occupato di Hayley. O almeno così le
era parso di intuire quando li aveva visti interagire, quando aveva visto il
modo in cui lui la guardava e lo sguardo con cui lei ricambiava.
Scosse
il capo scuotendo via il pensiero e afferrò il suo cellulare che aveva preso a
vibrare poggiato sul tavolo dall’altro lato della stanza. “Pronto” rispose.
Dall’altro capo del telefono sentì la voce di Roger Miller arrivare sicura e
allegra. Strano, pensò, visto che tipo era.
Quando
lo aveva incontrato quasi due mesi prima, per cercare di avviare quel progetto
che le stava tanto a cuore, aveva incontrato un uomo basso e tarchiato, con dei
baffi e pochi capelli rimasti sul capo. Un tipo cupo e scontroso che aveva
fatto un sorriso solo quando lei gli aveva offerto una bella somma di denaro in
cambio di una piccola cosa che per lei però aveva un grande valore.
Da
quello che le stava dicendo in quel momento al telefono però, l’effetto di quel
sostanzioso assegno era già passato. O almeno così sembrava.
“Posso
alzare la mia offerta” disse. “Sono certa che troveremo un nuovo accordo.”
Altre
parole senza alcun senso per lei, ma che un senso per il signor Miller lo
avevano.
“Non
ho mancato tutti gli incontri stabiliti perché… sì, capisco. Va bene, la
ringrazio comunque” Allison riattaccò e deglutendo a vuoto ripoggiò il
cellulare sul tavolo. “Mi dispiace mamma, ci ho provato.”
Sobbalzò
quando bussarono alla porta e con la fronte corrucciata aprì. Davanti si
ritrovò Elijah. Abbozzò un sorriso e si schiarì la voce. “Elijah… come mi hai
trovata?”
Lui
accarezzò con le dita di una mano lo stipite polveroso della porta, poi la
guardò con un sorriso. “Ti conosco abbastanza bene da sapere come trovarti
anche quando non vuoi essere trovata.”
Allison
rise. “Non dire sciocchezze Mikaelson” gli disse. “Se avessi voluto nascondermi
non mi avresti mai trovata.”
“Stai
forse cercando di dirmi che volevi essere trovata?”
“No.
Ma nemmeno il contrario” la donna si inumidì le labbra. “Cosa vuoi?”
“Vorrei
sapere perché te ne stai qui, in questa squallida e polverosa camera di motel,
mentre alla tenuta ci sono tante camere belle e confortevoli nelle quali
potresti stare.”
“Lasciami
pensare” Allison si poggiò con la spalla allo stipite che Elijah aveva
accarezzato poco prima. “Uno squallido e polveroso motel oppure una gigantesca
e lussuosa villa in cui si consumano drammi amorosi e tragedie familiari”
sembrò rifletterci e lo fece picchiettandosi un dito sul mento. “Credo che
rimarrò qui, ma grazie dell’offerta.”
Elijah
accennò una risata che fece sorridere anche lei, poi parlò. “Va tutto bene?”
“Sì,
mi sono trattenuta un po’ più del previsto solo per essere certa che altri
cacciatori non si facciano vivi ma conto di tornarmene a casa entro la fine
della settimana.”
“Non
mi riferivo a quello” l’Originale scosse il capo. “Voglio sapere se tu stai
bene.”
“Certo,
perché me lo chiedi?”
“C’è
tristezza nei tuoi occhi” le sussurrò Elijah. “Non mi piace quando le tue belle
iridi nocciola sono velate come sono adesso.”
Allison
abbassò lo sguardo per un attimo, quando lo rialzò si rimise dritta e tirò
fuori dalla tasca posteriore dei jeans un foglio di carta ripiegato in quattro.
“Avevo davvero alcuni affari personali di cui occuparmi a Baton Rouge” gli
disse porgendoglielo.
Il
vampiro lo afferrò e lo aprì rivelando la foto di un edificio antico dalla
facciata verde e rovinata. Tutto intorno un bel giardino. “Che posto è?”
“È
una vecchia scuola privata di musica, si trova nella periferia di Baton Rouge e
mia madre ci ha insegnato per due anni quando ne aveva più o meno venti, subito
dopo aver preso il diploma al conservatorio” raccontò. “Circa due mesi fa ho
ricevuto – o meglio, Alice Rosenberg, mia madre – ha ricevuto una scatola con
alcune cose che aveva lasciato lì quando se ne era andata. C’era una lettera in
cui la ringraziavano per aver fatto parte dell’accademia e per aver lasciato
qualcosa di lei. Le dicevano anche che stavano per chiudere perché nel corso
degli anni c’erano stati diversi problemi economici che li avevano portati ad
un punto di non ritorno” Allison gli fece cenno di entrare ed Elijah lo fece.
Insieme presero posto al tavolo nella stanza. E lì lei riprese il suo racconto.
“Dopo aver contattato il direttore, che è anche proprietario dell’edificio, ho
chiesto al mio avvocato di fare qualche ricerca ed è saltato fuori che stava
per vendere ad una multinazionale che avrebbe raso la scuola al suolo al fine
di costruirci un parcheggio per un centro commerciale che avrebbe aperto lì
vicino.”
“E
così hai fatto un’offerta per acquistare la scuola” Elijah poggiò le mani sul
tavolo senza però lasciare la foto.
Lei
annuì. “Sì ma il signor Miller, il proprietario, ha richiesto un po’ di
persuasione prima di prendere in considerazione anche solo l’idea di accettare
una mia offerta.”
“Lasciami
indovinare” le disse lui accavallando la gamba. “L’offerta della multinazionale
era parecchio più alta della tua?”
“Esatto”
Allison si schiarì la voce. “Ad ogni modo, sembrava che stessi per convincerlo
o almeno lo credevo fino ad oggi, quando mi ha telefonato per farmi sapere che
ha preso la sua decisione e che venderà all’altro acquirente. Ho detto che
avrei alzato la mia offerta, per quanto possibile, mi ha risposto che non è
solo una questione di soldi. Visto che ha saltato le ultime quattro riunioni
mi viene da pensare che non le importi più di tanto e se devo scegliere tra due
acquirenti a cui non importa nulla scelgo quello con più soldi, mi ha detto
proprio così.”
“Questo
tizio è uno sciocco” il vampiro fece un grosso respiro, turbato da un sospetto.
“Sciocco
o no è lui che decide, e ha deciso. Sai, tutti onorano la memoria di mio padre;
il brillante medico che ha salvato molte vite. L’uomo che non perdeva occasione
per fare del bene. Molti tendono a dimenticare che dietro quel grande uomo
c’era una donna ancora più grande. Mio padre amava moltissimo mia madre ma le
faceva ombra senza volerlo. Desideravo solo darle un po’ della luce che merita.”
“Perché
hai saltato le ultime quattro riunioni?”
“Perché
ero qui ad accertarmi che nessuno vi desse fastidio” rispose lei guardandolo.
“State attraversando un momento difficile, non volevo che anche un’orda
annoiata e presuntuosa di cacciatori vi importunasse.”
Elijah
piegò il capo per guardarla. “Allison, io…”
“Non
c’è bisogno che tu dica niente Elijah” Allison gli sorrise. “Ad ogni modo,
rimarrò fino alla fine della settimana, poi credo che me ne tornerò a casa.”
L’Originale
rimase in silenzio, incapace di trovare le parole giuste, infine si schiarì la
voce e le porse il foglio. Ma la cacciatrice scosse il capo.
“Tienilo
pure” gli disse. “Alla villa avete un camino. Buttalo tra le fiamme”
si alzò e afferrò una giacca e la borsa. “Ho bisogno di prendere una boccata
d’aria, mi fai compagnia?”
Elijah
stava per dirle che sì, l’avrebbe volentieri accompagnata. Ma il suo cellulare
squillò e sullo schermo comparve il numero di Hayley. “Non posso” disse
scuotendo il capo. “Magari un’altra volta.”
Allison
piegò le labbra in un mezzo sorriso. “Magari un’altra volta” gli fece eco.
****
Lebanon,
Kansas
“Chi
era al telefono?” Dean mangiò l’ultimo boccone di hamburger e si mise a sedere
di fronte a suo fratello. “Hai una faccia terribile.”
“Era
Miles Brown” rispose Sam. “Te lo ricordi?”
“Quel
tizio dai capelli rossi che una volta ci ha quasi fatto uccidere durante una
caccia? Come potrei dimenticarlo?”
“Sì
beh a quanto pare c’è molto tumulto tra i cacciatori. Pare che stiano accadendo
cose strane.”
“Strane?
Un po’ troppo generico per la vita che facciamo, non credi Sammy?”
L’altro
scosse il capo chiudendo lo schermo del portatile. “Angel Sanborra è morto.
E Dylan Nesh si trova in ospedale a seguito di un attacco che è stato
catalogato come attacco animale. Non si sa cosa gli sia successo. Pare che si
trovasse a New Orleans alla ricerca della cosa che ha ucciso Angel. Ma è stato
ritrovato privo di sensi a Baton Rouge.”
“Angel
Sanborra” Dean annuì bevendo un sorso della sua birra. “Mentirei se dicessi di
essere sorpreso che sia morto. So che è terribile da dire ma credo sia durato
anche troppo.”
Suo
fratello gli riservò uno sguardo perplesso, poi sospirò. “Ad ogni modo, Miles
sta radunando alcuni cacciatori per andare a New Orleans. Mi ha chiesto di
unirci a loro.”
“Nah!”
esclamò il maggiore dei Winchester. “Abbiamo cose più importanti di cui
occuparci.”
“Non
ho ancora finito” gli fece sapere Sam. “Quando Nesh ha ripreso conoscenza dopo
quasi tre settimane di coma, ha telefonato a Brown per chiedere aiuto e ha
detto di non ricordare molto di ciò che è accaduto, quasi niente a dire il
vero. Niente eccetto una cosa.”
“Cosa?”
“A
New Orleans ha incontrato qualcuno, un cacciatore. Anzi, una cacciatrice.”
Dean
rimase con la bottiglia a mezz’aria. “Lasciami indovinare; Allison.”
Sam
annuì. “Esatto. Le ho parlato ieri, ha detto che va tutto bene ma non mi ha
detto nulla su New Orleans o su stranezze che stanno accadendo lì.”
“Miles
e compagni sono degli idioti, non mi stupirei se non ci fosse niente di
soprannaturale anche se loro sostengono il contrario.”
“Nemmeno
io, ma ho fatto qualche ricerca e ci sono decine di denunce di scomparsa a New
Orleans. Tutte dell’ultimo mese e mezzo più o meno.”
Dean
arricciò la bocca. “Se c’è davvero un caso così grosso di cui Allison non ci ha
detto nulla c’è solo una spiegazione; sta provando a proteggere qualcuno.”
“E
se pensi a qualcuno che Allison vorrebbe proteggere e a New Orleans cosa ti
viene in mente, Dean?”
L’altro
sembrò rifletterci per un istante, poi sospirò. “Dannata famiglia Mikaelson!”
esclamò guardando suo fratello.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3. L'attacco ***
NDA:
Spazio pubblicità: oggi, a voi che AMATE LE BELLE STORIE,
consiglio un libro bellissimo e scritto egregiamente. Una storia
meravigliosa per chi ama leggere e per chi vuole sognare. Compratelo
compratelo e recensitelo. Ne vale veramente la pena.... Prima
di noi
3.
L’ATTACCO
Allison
aveva finalmente deciso di tornarsene a casa. Dopo la lunga chiacchierata con
Elijah del giorno prima e dopo la ancora più lunga passeggiata che aveva fatto
per le strade di New Orleans, aveva capito che era finalmente il momento di
tornare nella bella e assolata Los Angeles.
Stava
caricando i bagagli in auto quando qualcosa l’aveva colpita alla testa
facendole perdere i sensi. Quando si era risvegliata si era ritrovata con le
braccia legate in alto, ai polsi una corda stretta che le faceva male; era
dentro una specie di capanno con diversi finestroni quadrati attraverso i quali
notò che fuori era buio pesto, non c’era nemmeno la luce di una stella.
Non
aveva idea di cosa le fosse successo né di chi l’avesse portata lì ma la ebbe
dieci minuti dopo quando con la vista annebbiata riuscì a scorgere una figura
dai lineamenti familiari.
“Bene
bene, ti sei svegliata!”
Allison
quella voce la riconobbe subito, non la sentiva da anni ma era difficile da
dimenticare. “Miles” mormorò chiudendo e riaprendo gli occhi diverse volte. “Che
cosa… che cosa sta succedendo?”
“Sono
qui per conto di Dylan, ma anche per conto di Angel e di molti altri cacciatori”
le disse l’uomo. “Allison Allison… la più retta tra di noi, la cacciatrice
misericordiosa. Forse troppo.”
“Ma
di che cavolo stai parlando? E perché sono…” la donna provò a tirare. “Perché sono
legata?”
“Parlo
dei tuoi amichetti vampiri, quelli che proteggi da settimane.”
La
cacciatrice fece un grosso respiro. “Non è come credi.”
“Sta’
zitta!” esclamò Miles avvicinandosi a lei e facendo scorrere la punta fredda di
un coltello sulla sua guancia. “Angel è morto e Dylan è in un letto d’ospedale.
Per non parlare di tutte quelle povere donne uccise.”
“Non
erano povere donne, erano streghe che hanno fatto del male a molte persone.”
“E
così hai deciso di darle in pasto ai tuoi amici succhiasangue? Hai mandato
Dylan dritto nella tana del lupo.”
“Io
ho provato a mandarlo a casa da sua moglie, gli ho detto di lasciar perdere ma
lui non ha voluto darmi ascolto.”
“Lui
era qui per vendicare la morte del suo collega, di un eroe.”
Allison
rise e la testa le fece un gran male quando lo fece. “Angel Sanborra non era un
eroe. Mi dispiace che sia morto ma onestamente sono sorpresa che non sia
successo prima.”
Miles
la guardò per un lungo istante, poi la colpì con violenza; prima uno, due
schiaffi, poi altrettanti pugni allo stomaco. La donna tossì, sbandò per
qualche secondo e infine sputò a terra saliva e sangue prima di rialzare lo
sguardo sull’uomo.
“Voglio
sapere dove sono” le disse lui. “I vampiri che stai proteggendo.”
“Anche
se impazzissi e te lo dicessi cosa credi di fare?”
“Voglio
ucciderli tutti, la cosa che ha ucciso Angel per prima. Ci sono altri
cacciatori con me, avevo telefonato anche ai tuoi amici, i Winchester, ma non
hanno accettato l’invito. Non sapevo però che avrei trovato te qui. Dylan
inizia a ricordare qualcosa in più, inizia a ragionare di nuovo lucidamente e
aveva qualche sospetto, così ho indagato e sono giunto alla conclusione che se
lo hai mandato fuori strada l’hai fatto per proteggere i colpevoli.”
“Stai
farneticando” gli disse Allison guardandosi intorno. “E mi stai dando un’ulteriore
prova della tua immane stupidità. Ora, visto che sono stanca di questa cazzata,
ti consiglio vivamente di lasciarmi andare.”
“Oh
sul serio?” Un altro colpo, dritto al viso ed Allison sentì il suo sopracciglio
e il suo labbro fare malissimo.
“Sul
serio” disse dopo qualche secondo. “E dopo che mi avrai slegata corri veloce
Miles, perché sono incazzata e tutto quello a cui riesco a pensare in questo
momento è di prendere a calci il tuo culo ossuto e a pugni la tua faccia da
idiota.”
“Sanguinante
e legata come un salame ma ancora piena di grinta!” la voce arrivò da poco
distante e il rumore di alcuni passi sul pavimento fece ridere Allison.
Conosceva perfettamente quel suono, era il suono di vecchi stivali da cowboy che
non vedeva da fin troppo tempo.
“Vincent
Navarro” disse guardandolo mentre lui avanzava deciso verso di lei. “Non posso
credere che tu ti sia unito alla folle e stupida causa di questo idiota.”
“Chiudi
la bocca brutta troia” le intimò Miles. E fu l’ultima cosa che fece prima che
Vincent lo colpisse facendogli perdere i sensi.
“Hai
ragione” le disse l’ultimo arrivato tirando fuori un pugnale per tagliare la
corda che la teneva legata. “È un vero idiota.”
****
Vincent
Navarro era un cacciatore esperto e bravo di circa cinquant’anni che Allison
aveva conosciuto durante un caso ad Orlando qualche anno prima. Era stato odio
a prima vista per loro; lei lo considerava troppo tradizionalista, lui troppo
giovane e presuntuosa. Poi l’odio era diventato una sorta di amore
padre-figlia. Dopo quella volta avevano lavorato insieme altre due volte, una
in compagnia dei Winchester ed entrambe le volte avevano imparato molto l’uno
dall’altra.
“Tempismo
perfetto lì dentro” gli disse Allison mentre lui la aiutava a raggiungere l’auto.
“Eri in mezzo a quel gruppo di cacciatori e poi ti sei accorto che la loro idea
era la più stupida che avessi mai sentito e ci hai ripensato vero?”
“Più
o meno” Vincent la fece salire poi salì sul sedile del guidatore. “Mi ero unito
a loro perché credevo che in fondo non avessero tutti i torti a voler vendicare
la morte di Angel e perché ero annoiato. Ma poi Miles si è fatto un vanto di
averti catturata, ha blaterato qualcosa riguardo a te che volevi proteggere gli
assassini di Angel. Si è lamentato dei Winchester che non avevano accettato di
unirsi al suo strampalato piano e così ho telefonato a Dean. Lui e quello
spilungone di suo fratello saranno qui domani, per aiutarti a cacciarti dal
guaio in cui ti sei ficcata.”
“Io
non mi sono ficcata in nessun guaio, provo solo ad aiutare un amico.”
“Un
Mikaelson?” le chiese guardandola per un istante. “Già, Dean non è un loro
grande fan. Sei impazzita per caso? Ti metti a giocare al buon samaritano con
la famiglia Originale? Nel caso ti fosse sfuggito, loro non hanno bisogno di
aiuto.”
“È
una lunga storia” cercò di tagliar corto lei.
“Falla
breve e raccontamela.”
Allison
sospirò. “Uno degli Originali è un Ibrido che ha avuto una bambina. Veniva
considerata una specie di bambina miracolosa e le streghe l’hanno… l’hanno
uccisa appena nata. La madre è morta a sua volta ma siccome aveva il sangue
Ibrido della bambina in corpo quando è successo, si è risvegliata anche lei
Ibrida e si è presa la sua vendetta su tutti quelli che hanno contribuito all’uccisione
della piccola. Angel è stato un danno collaterale.”
“E
Dylan?”
“Non
lo so, perché non sapevo che fosse finito in ospedale. Cercherò di capire cosa
sia successo.”
“Bene.
Fai in fretta però.”
“Vincent,
devi togliermi Miles e gli altri dai piedi o finirà male per loro. Per quanto possa
provare a far ragionare gli Originali, come credi che dovrei fare con una madre
novella Ibrida assetata di vendetta e con quasi zero autocontrollo?”
L’uomo
sembrò rifletterci un attimo. “Non lo so, ma presto avrai anche altro di cui
occuparti.”
“Che
intendi?”
“Francesca
Guerrera è morta, tutta la sua famiglia lo è. Quella consanguinea almeno…”
Allison
fece un grosso respiro. “Lasciami indovinare” disse inumidendosi le labbra. “I
suoi discepoli stanno venendo a vendicarla?”
“Numerosi”
confermò Vincent.
“Fantastico!”
la donna cercò di riprendere il controllo. “Portami alla mia auto per favore.”
Lui
la accompagnò.
****
Elijah
e Klaus stavano discutendo con un bicchiere di bourbon in mano quando Allison
arrivò alla tenuta. Era pulita perché si era fatta una lunga doccia dopo che
Vincent l’aveva lasciata al motel, ma per le ferite non aveva potuto far nulla
e lo sguardo preoccupato di Elijah quando la guardò non la colse di sorpresa.
“Che
cosa ti è successo?” le chiese raggiungendola e sfiorandole poco il viso per
vedere meglio.
“Ho
avuto un piccolo scontro con un cacciatore, leader di un folle gruppo che vuole
sterminare chi ha ucciso Angel” spiegò lei velocemente. “Angel, nel caso non lo
ricordaste, è il cacciatore che Hayley ha ucciso mentre uccideva le streghe.”
“Perché
se la sono presa con te? Anche tu sei una cacciatrice.”
“Perché
hanno capito che sto cercando di proteggervi” la donna si avvicinò al divano,
un braccio piegato sullo stomaco indolenzito, e si mise a sedere afferrando il
bicchiere che Elijah aveva lasciato sul tavolino. Lo bevve tutto d’un sorso e
poi sospirò. “Dov’è Hayley?”
“Probabilmente
ad uccidere qualcuno” scherzò Klaus ma nessuno rise.
“Non
è divertente Klaus,” gli disse infatti Allison. “E non lo dico perché mi hanno
pestata a sangue per ciò che lei ha fatto.”
“Lascia
che ti aiuti” Elijah si portò il polso alla bocca, pronto a mordere. Ma la
donna lo fermò scuotendo il capo.
“Non
è necessario, sto bene. Ma abbiamo un altro problema.”
“Che
tipo di problema?”
“Francesca
Guerrera.”
“La
famiglia Guerrera è morta” le disse Elijah. “Io stesso ho ucciso tutti i
fratelli, Hayley ha ucciso Francesca personalmente.”
Allison
cercò di mettersi comoda sul divano. “Francesca Guerrera era una stronza ma una
stronza ricca ed importante. I suoi consanguinei non erano l’unica famiglia che
aveva. Orde di licantropi si stanno organizzando per venire qui a vendicarne la
morte.”
“Meraviglioso!”
esclamò Klaus sarcastico. “Hayley sarà felicissima di saperlo.”
“Hey”
proprio lei arrivò in quel momento seguita da tre persone. Allison non ne
conosceva neppure una. “Abbiamo un problema.”
“Ah,
mettiti in fila” mormorò la cacciatrice rispondendo ad una telefonata di Sam
Winchester.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 4. Gli amici ***
NDA: Lasciatemi un
commento, le vostre parole mi fanno scrivere più veloce, le
vostre opinioni mi aiutano a migliorare :D
4.
GLI AMICI
Allison
ascoltò con attenzione quello che Aiden, Josh e Marcel – così si chiamavano i
tre tizi arrivati con Hayley alla tenuta – avevano da dire e si accorse che la
situazione a New Orleans era più incasinata di quanto avesse immaginato. I
fedeli soldatini di Francesca Guerrera stavano per arrivare in città, Esther
Mikaelson e il suo ubbidiente Finn comandavano su quasi tutti i lupi mannari
della Louisiana con alcuni anelli magici e avevano reclutato alcuni ragazzi che
ancora non avevano attivato la maledizione per fare in modo che avvenisse
proprio durante quella notte di luna piena.
Uno
di quei ragazzi era il fratello minore di Aiden e questo era tutto quello che
sapeva di lui. Di Josh invece sapeva soltanto che era gentile, lo aveva
appurato, e che faceva gli occhi dolci al licantropo come in una versione moderna
e soprannaturale di Romeo e Giulietta. Di Marcel invece sapeva che era sexy, lo
aveva notato guardandolo, e se ricordava qualcosa di quella storia che una
volta Elijah le aveva raccontato, era stato il pupillo di Klaus un tempo. Ora
forse non più.
Per
fortuna i Winchester stavano arrivando, Allison sentiva che avrebbe avuto
bisogno di tutto l’aiuto possibile. Soprattutto perché, almeno a giudicare dal
dolore che sentiva, aveva delle costole rotte e anche respirare le faceva male,
figurarsi combattere. Oltretutto Klaus si era defilato sostenendo di avere cose
più importanti di cui occuparsi… erano in minoranza e questo era già un grosso
svantaggio. Tossì e il dolore fu talmente forte che divenne paonazza attirando
l’attenzione di tutti.
“Sicura
di star bene?” le chiese Hayley.
“Ho
alcune costole rotte, sono piena di graffi e mi verrà un occhio nero. Oh, e
stanotte combatteremo contro la Strega Originale e il suo psicopatico figlio
maggiore” elencò la cacciatrice. “Sto una meraviglia” continuò sarcastica. Poi
posò lo sguardo su Aiden. “Quanti sono i ragazzi?”
“Una
dozzina” rispose lui mettendo le mani in tasca e dondolando piano sulle gambe.
“E
quanti sono... siete” si corresse “a lavorare per Esther?”
“Molti
di più di una dozzina.”
Allison
sembrò riflettere per un istante, infine si alzò dopo aver afferrato il suo
cellulare. “I miei amici sono arrivati” disse. “Ci daranno una mano.”
“I
tuoi amici, sono solo dei cacciatori. Umani” si agitò Aiden. “Forse sono bravi
in quello che fanno ma ci sono scarse possibilità che possano battere tutti
quei lupi, Esther e il suo tirapiedi. Non rischierò la vita di mio fratello
sfidando le probabilità.”
“La
vita di tuo fratello è in pericolo perché tu ed un branco di lupi vigliacchi
avete voltato le spalle al vostro vero io e vi siete messi a lavorare con una
folle strega. I miei amici non ti conoscono neppure ma non esiteranno a mettere
in pericolo la loro incolumità per salvare tuo fratello e gli altri ragazzi. Di
quanti dei tuoi di amici puoi dire lo stesso?” la donna cercò di respirare a
fondo e sentì di nuovo un dolore fortissimo. Dolore che ignorò mentre camminava
lenta verso l’uscita.
“Ha
ragione” mormorò Elijah guardando però Marcel che seguiva Allison con lo
sguardo. “Un grazie sarebbe stato più educato da parte tua, Aiden.”
Il
lupo alzò le mani e fece un grosso respiro. “Ho solo paura per mio fratello.”
“Salveremo
quei ragazzi, vedrai” cercò di rassicurarlo Josh con un sorriso gentile.
****
Fuori,
Allison raggiunse i Winchester e sorrise loro trascinandosi fino all’Impala e
poggiandovici sopra con un sospiro.
“Che
cavolo ti è successo?” le chiese Sam. “Sembra che un camion ti abbia
investita.”
“La
sensazione è quella” gli fece sapere lei. “Ma è una lunga storia e non abbiamo
tempo.”
“Facci
un riassunto Allison. Perché questa storia è già abbastanza incasinata, tra
Angel Sanborra che è morto e Dylan Nesh che è finito in ospedale e che giura
che sei stato tu a mandarcelo, anche se non direttamente. Per non parlare poi
di Miles Brown che voleva reclutarci per una caccia all’uomo nero di New
Orleans.”
“È
stato lui a ridurmi così” spiegò la cacciatrice. “Ma credetemi, non c’è un modo
per riassumere tutto quello che sta succedendo. Vi racconterò ogni cosa, ma non
ora. Ora abbiamo una dozzina di ragazzini da salvare, una strega ed il suo
zelante assistente da mettere al tappeto e dobbiamo tenere le armi sempre
pronte perché Francesca Guerrera è morta e orde di fedeli discepoli stanno
arrivando per vendicarla.”
“Fantastico”
sussurrò Sam scuotendo il capo.
“Francesca
Guerrera è morta?” Dean sgranò gli occhi. “Era una stronza ma era una stronza
sexy. Molto sexy con quel suo caratterino autoritario.”
“Sì
beh mi dispiace Dean” Allison gli diede una pacca sulla spalla, con fare
sarcastico. “Possiamo tornare a concentrarci sulle cose serie ora?” la donna
rientrò in casa invitandoli a seguirla e loro lo fecero. Vennero accolti nel
grande atrio da un piccolo gruppo di persone; di quelle facce l’unica che
conoscevano era quella di Elijah.
“Sam,
Dean” iniziò Allison spostandosi poco di lato. “Loro sono Marcel, Josh ed Aiden”
disse indicando i tre. “Elijah lo conoscete già” continuò. “Lei invece è
Hayley, l’uomo nero di New Orleans.”
“Il
cosa?” domandò proprio lei.
“È
una lunga storia, te la racconto dopo” tagliò breve la cacciatrice. “Ora che ci
siamo tutti è ora organizzarsi, di preparare un piano. Ma prima” si girò a
guardare Sam. “Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”
“Va
bene, cosa?”
“Ho
bisogno che mi fasci l’addome perché fa un male cane” lasciò cadere qualche
lacrima, incapace di controllarle ed Elijah disse che se ne sarebbe occupato
lui.
****
“Grazie
di esserti offerto di aiutarmi” Allison alzò le braccia per permettergli di
sistemare la fasciatura nel modo migliore e rimase immobile a fissarlo quando
lui alzò la testa ritrovandosi ad un soffio dalla sua bocca.
“Avrei
potuto aiutarti diversamente” le disse guardandola negli occhi, rimettendosi
dritto piano piano. “Avrebbe fatto meno male e saresti già come nuova.”
La
donna annuì. “Sì è vero, ma preferisco evitarlo quando posso. Mi sembra un po’
di imbrogliare e non mi piace.”
Elijah
sospirò aiutandola a rimettere la t-shirt, spostandole i capelli dal viso
mentre lei sistemava con le mani la parte sotto della maglietta. “Mi dispiace
che ti abbiano fatto questo” le sussurrò accarezzando piano il sopracciglio
ferito con la punta di un dito. “Per colpa della mia famiglia poi…”
“Mi
è capitato di peggio. Sto bene, non preoccuparti Elijah.”
“Sono
grato di non esserci stato quando ti è capitato di peggio, non credo che lo
avrei sopportato.”
“Io
avrei voluto che ci fossi invece, sono certa che mi sarei sentita meglio”
Allison gli sorrise, con delicatezza spostò quelle mani grandi dal suo viso. “Andiamo,
ci aspetta una serata movimentata. Dobbiamo essere pronti.”
Scese
giù senza aspettare che lui parlasse ed Elijah la seguì dopo alcuni secondi.
****
“Madre,
non voglio mettere in dubbio i tuoi piani, ma non sembra che stiano
funzionando. I miei fratelli non accetteranno mai di farsi purificare da te, a
loro piace essere delle bestie, dei mostri.”
Esther
allungò una mano e con fare materno accarezzò la guancia di Finn. Il suo figlio
più leale, il suo figlio più buono. Quello dentro cui era rimasto un briciolo
di quell’umanità che lei sperava di ridare anche agli altri.
Ad
Elijah il nobile, a Rebekah la ribelle, a Niklaus il feroce. Perché loro si
ostinassero a non capire la bontà e la gentilezza del suo piano proprio non
riusciva a comprenderlo. Lo faceva per loro, perché li amava profondamente,
come ogni madre ama i propri figli.
“Capiranno”
disse. “Basterà usare le giuste leve.”
“Che
altre leve potremmo usare? Avvicinare Hayley non è servito a nulla. Né con
Elijah né con Klaus.”
“Hayley
non è l’unica persona che sta a cuore a tuo fratello Elijah, ce n’è un’altra a
cui tiene parecchio, è lei la nostra leva. E si da il caso che sia in città in
questo periodo.”
“Di
chi stai parlando, madre?”
Esther
mise insieme in una ciotola alcuni ingredienti, pronunciò una breve formula e
infine si versò una tazza di tè. “Sto parlando di Allison Morgan. Voglio che tu
me la porti qui.”
Finn
fece una sorta di inchino e si abbottonò la giacca. “Sarà fatto, madre.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5. Il piano ***
NDA: Ditemi cosa ne
pensate :D PS passate a comprare il mio ebook se vi va: Cala il sipario -
L'amore bolle in pentola e vi consiglio anche questo stupendo
libro: Prima
di noi
5.
IL
PIANO
“Dean
e Sam” Allison indicò i loro amici con un gesto del capo mentre andava avanti e
indietro per la stanza. “Si occuperanno di Miles Brown e degli altri
cacciatori. Cercheranno di convincerli a lasciare la città sperando che li
ascoltino.”
“E
se non lo faranno” Dean tirò fuori la pistola. “Ho qui la mia amica.”
“Marcel,
Josh, Aiden ed Hayley invece raduneranno i ragazzi in un posto sicuro e li
porteranno fuori dalla città. Con un diversivo faremo arrivare i cattivi da
tutt’altra parte dove Elijah e l’altro lupo amico di Hayley si occuperanno di
loro.”
“Chi
ti ha eletto capo?” chiese proprio l’Ibrida alzando un sopracciglio, le mani
conserte e il broncio sul viso.
“Il
mio buon senso e la mia leggendaria capacità organizzativa” replicò tranquilla
la cacciatrice facendole un sorriso forzato.
“E
tu che ruolo avrai in questo piano?” domandò Marcel guardandola, seduto sul divanetto
con aria rilassata ma attenta. “Hai dato a tutti noi un compito ma non ci hai
detto di cosa ti occuperai tu.”
“Io
mi occuperò di Esther. La terrò occupata mentre voi fate ciò che dovete.”
“Scordatelo!”
esclamò Elijah che fino ad allora era rimasto in silenzio. “Tu non ti occuperai
di mia madre. Esther è una psicopatica senza pietà. Non ti avvicinerai neppure
a lei, le starai il più lontano possibile.”
“Tua
madre non si aspetta che proprio io vada ad affrontarla e, nel caso non l’avessi
notato, tra lupi da salvare e il tuo folle fratello da ingannare, l’effetto
sorpresa è l’unica cosa che ci rimane. L’unico vantaggio che abbiamo.”
“Vorrà
dire che troveremo un altro piano.”
Allison
sospirò prima di guardare l’orologio. “Bene” gli disse. “Hai più o meno
quindici minuti per trovarne uno migliore di questo. Adesso tredici, prima che
il sole cali e l’iniziazione di quei poveri ragazzi abbia inizio.”
“Allison
ha ragione” mormorò Hayley guardando l’Originale elegante. “Esther si aspetta
un attacco da parte nostra in qualunque momento, ci tiene d’occhio ma lei… lei
sarebbe davvero una sorpresa e distraendola ci darebbe un po’ più di tempo.”
“Non
mi piace” Elijah scosse il capo mettendo le mani nelle tasche. “Sei ferita e
per quanto forte non puoi battere mia madre. Lei è la strega Originale,
potrebbe schiacciarti come un moscerino solo schioccando le dita.”
“Non
ho intenzione di batterla con la forza Elijah” gli spiegò la donna. “La batterò
con l’astuzia.”
Lei
e il vampiro si guardarono per un lungo istante, poi lui distolse lo sguardo e
lo poggiò sui Winchester. Poteva capire perché Hayley e gli altri fossero d’accordo
con quel piano, conoscevano appena Allison e se quello scellerato piano l’avesse
uccisa per loro sarebbe cambiato poco, ma del silenzio dei due cacciatori non
sapeva proprio cosa pensare. “Anche voi siete d’accordo con questa follia?”
“No,”
Sam scosse il capo. “Ma sappiamo che discutere con lei sarebbe praticamente
inutile e sappiamo che conosce i suoi limiti. Se dice di potercela fare allora
ce la farà.”
Allison
sorrise abbassando poco lo sguardo. Quando lo rialzò Elijah le si era
avvicinato.
“Se
ti accorgi che la cosa ti sta sfuggendo di mano, anche solo per un secondo…” le
disse.
“Me
la darò a gambe levate” lo interruppe lei. “Lo prometto.”
“Va
bene allora” l’Originale sospirò. “Buona fortuna a tutti.”
“La
fortuna non esiste Elijah” scherzò Allison mentre si allontanava. “Almeno non
per noi, credevo che oramai l’avessi capito.”
****
Allison
non si era mai montata la testa; né quando le avevano detto che era una delle
migliori cacciatrici che ci fossero in circolazione, né quando anziani ed
espertissimi cacciatori con una importante reputazione si erano rivolti a lei
per chiedere aiuto perché non sapevano che pesci pigliare.
Il
suo essere “selettiva” nell’uccidere – mai per principio ma solo se
strettamente necessario – le aveva procurato diversi problemi nel corso degli
anni. Le erano stati affibbiati persino stupidi nomignoli come Allison la
misericordiosa, Allison la Santarellina e quello che lei odiava più
di tutti Allison l’amichetta dei mostri. Alcuni cacciatori… idioti
bulletti con fin troppe armi a disposizione.
A
lei non importava, aveva una sua chiara opinione sul soprannaturale e nessuno le
avrebbe fatto cambiare idea. Era misericordiosa era vero, perché alcuni lo
meritavano, era amica di molti mostri, come tutti li chiamavano, ed era
brava in quello che faceva, anche se non se ne faceva mai un vanto. L’unica
cosa di cui si vantava, e a ragione – Elijah sarebbe stato d’accordo con lei,
ne era certa –, era che sapeva essere dannatamente silenziosa quando voleva. E
quel giorno lo voleva.
Così
percorse il cimitero Lafayette senza fare alcun rumore, senza infastidire
nessuno e mettendo a dormire qualche lupo lungo il tragitto. Arrivò dritta
nella cripta che Esther aveva scelto come nascondiglio e decide di palesare
subito la sua presenza.
“Bel
posto!” esclamò poggiandosi ad una parete crepata che puzzava di muffa. “Non
proprio il mio stile, ma direi che a te dona.”
La
strega non si scompose e in pieno possesso del corpo che ospitava poggiò su un
improvvisato tavolo la tazza di tè che stava bevendo e le sorrise. “Allison
Morgan” le disse. “Così bella e coraggiosa. Esattamente come ti ricordavo. Ne è
passato di tempo da quella sera a Mystic Falls.”
“Intendi
la sera in cui hai organizzato un mega party solo per avere l’occasione di
procurarti il sangue di Elena e creare l’incantesimo che avrebbe unito tutti i
tuoi figli con una sorta di mistico legame?” riassunse la cacciatrice. “Sì è
vero, è passato un po’ di tempo ma certe cose non cambiano mai. Vuoi ancora
uccidere i tuoi figli, ora come allora.”
“Oh
no” Esther scosse il capo avvicinandosi di qualche passo. “Ti hanno informata
male. Io non voglio ucciderli, io amo i miei figli. Quello che voglio fare è
dare loro la possibilità di ricominciare in un nuovo corpo. Voglio che lavino
via il sangue di cui si sono ricoperti nel corso dei secoli, che si liberino
dei loro peccati e che ricomincino come umani.”
Allison
corrugò la fronte per un istante, poi incrociò le braccia sul petto. “E secondo
te questo è amare i propri figli? Se li amassi li accetteresti così come sono.
E nel caso la tua memoria fosse stata danneggiata durante uno di questi… magici
scambi di corpo che ti stai divertendo a fare ultimamente, sei stata tu a fare
di loro ciò che sono. Tu e quel folle di Mikael. A proposito, hai saputo che
anche lui è ritornato dal mondo dei morti?”
La
cacciatrice si fermò un attimo e la osservò; il cambio di espressione sul viso
bello di quel povero corpo posseduto le fece capire che l’aveva colta di sorpresa,
proprio quello che voleva. Anche se per farlo aveva usato un’informazione di
cui non era del tutto certa, non ancora almeno. Aveva sentito qualcosa, la sera
prima quando era arrivata a casa dei Mikaelson, ma non aveva fatto domande.
“Oh”
mormorò. “Non lo sapevi vero? Mi dispiace di avertelo detto, io odio gli spoiler,
ma hey, oramai è venuto fuori quindi lascia che ti chieda una cosa: credi che
il caro vecchio Papà Originale ce l’abbia ancora con te per tutta quella storia
del tradimento con un lupo? Se la memoria non mi inganna è un tipo piuttosto
rancoroso, e anche molto irruento. Una combinazione che rende le cose un
tantino… pericolose. Per te.”
“Quello
che accade tra me e mio marito non sono affari tuoi. Mi occuperò anche di lui
quando sarà il momento. Fossi in te, mi preoccuperei di ben altro mia bella
Allison.”
“Ad
esempio?”
Esther
le diede le spalle per un attimo e camminò verso la sedia su cui Allison l’aveva
trovata a bere tè. Si mise a sedere e solo allora la guardò di nuovo. “Tu tieni
molto ad Elijah e so per certo che anche lui tiene molto a te, tanto quanto
tiene a quella Ibrida dal viso imbronciato che portava in grembo la figlia di
Klaus. Se lui mi permettesse di dargli un corpo umano, forse anche tu e lui
potreste avere una famiglia. Sono certa che tra te ed Hayley alla fine
sceglierebbe te.”
Allison
rise, ringraziando tacitamente la fasciatura che diminuiva notevolmente il
dolore, poi fece un grosso respiro per riprendere il controllo. “Sei
divertente, devo ammetterlo” avanzò nella stanza di qualche passo e si mise
proprio di fronte a lei, dall’altra parte di quella specie di tavolo. “Hai
ragione, io tengo molto ad Elijah, provo amore per lui ma è una cosa che tu non
puoi capire perché tu non sai cosa sia l’amore. Se lo sapessi ameresti i tuoi
figli così come sono, non proveresti a cambiarli, non faresti loro la guerra.
Io non cambierei assolutamente nulla di lui, ecco cosa significa amare
qualcuno.”
“Non
cambieresti nulla?” le domandò Esther. “Neppure le nefandezze che ha compiuto
dietro la porta rossa?”
“Non
ho idea di cosa sia la porta rossa, ma qualunque cosa abbia fatto sono certa
che ha avuto i suoi buoni motivi per farlo.”
La
strega la fissò per un istante in silenzio, poi si alzò e sospirò. “Ora capisco”
mormorò. “Non cambieresti niente in lui perché sei come lui. Credo che darò una
sbirciatina dietro la tua di porta rossa, e magari dopo sarai pronta ad
ascoltare tutto quello che ho da dire.”
Allungò
la mano verso di lei, il pugno chiuso mentre dal centro della testa di Allison
si irradiava un dolore fortissimo che prese a scenderle giù per la schiena fino
alle gambe che si piegarono incapaci di tenerla in piedi. La cacciatrice sentì
qualcosa scivolarle giù dal naso ed accarezzarle le labbra, piccole gocce di
sangue colorarono il pavimento polveroso.
“Ad
ogni modo devo ringraziarti Allison Morgan” disse ancora Esther piegandosi poco
per guardarla in viso. “Avevo chiesto a Finn di portarti da me ma venendoci da
sola mi hai reso tutto molto più facile.”
Strinse
anche l’altra mano ed Allison sentì che le forze la stavano abbandonando.
Tremò, poi perse i sensi.
****
Elijah
si guardò intorno e con un gesto calmo tirò fuori dal taschino della sua giacca
un fazzoletto con cui si ripulì le mani dal sangue dei numerosi nemici che lui
ed Oliver, il lupo traditore in cerca di redenzione, avevano appena sconfitto.
Si
chiese se il resto del piano fosse andato esattamente come doveva, si chiese se
Allison stesse bene e si accorse che in fondo era quello che gli interessava di
più. Era in pensiero per quei ragazzi ed era in pensiero per Hayley e Marcel.
Ma per la bella cacciatrice sentiva un’ansia che gli faceva tremare le mani.
Sospirando
salutò Oliver con un gesto del capo e se ne andò diretto a casa dove sperava di
trovare Allison prima di chiunque altro. Quando arrivò però lei non c’era, non c’era
nessuno eccetto Finn.
“Finn”
gli disse cercando di sembrare calmo. “Quale delle parole qui non sei il
benvenuto non riesci a capire?”
L’altro
rise, poi si lisciò la cravatta con una mano prima di riabbottonare la giacca. “Bel
lavoro oggi, siete riusciti a far fuggire quei ragazzi.”
“Non
ho idea di cosa tu stia parlando. Ma comunque grazie di essere passato ad
accusarmi di qualcosa, puoi andare ora.”
Gli
passò accanto e Finn sorrise senza muoversi. “Chi è la mente dietro questo
ingegnoso piano? La bella Ibrida forse? Il giovane e zelante Marcellus oppure l’astuta
Allison Morgan? Io scommetto su di lei; così forte e determinata e bella da
togliere il fiato. La ricordo quel giorno a Mystic Falls, mentre ballavate
tutti gli occhi erano puntati su di lei. Dopo che nostra madre avrà finito con
lei però non so quanto di quella giovane donna che danzava avvolta da quel bell’abito
nero rimarrà.”
Elijah
si voltò a guardarlo, aveva fatto qualche passo verso l’uscita ma lo fissava
con aria di sfida. “Se le verrà torto un solo capello, vi ucciderò entrambi” lo
minacciò avanzando verso di lui ma scontrandosi con un muro invisibile.
“Questo”
disse Finn indicando con un dito la barriera invisibile. “È per evitare che
interferiate con i piani che nostra madre ha per Allison Morgan. L’incantesimo
finirà a mezzanotte, ma per allora… per allora ogni cosa sarà compiuta. Ora
riposati un po’ fratellino, hai l’aria stanca” mosse la mano e il collo di
Elijah si girò in modo innaturale mentre il suo corpo addormentato cadeva per
terra.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 6. Margareth Kent ***
6.
MARGARETH
KENT
Elijah
riprese conoscenza lentamente, forse troppo lentamente, e si mise seduto sul
pavimento portandosi una mano alla testa. Era confuso e sentiva una specie di
fischio dentro le orecchie. Vide i visi preoccupati di Hayley, dei Winchester,
ma gli ci volle un attimo prima che si ricordasse di cosa era successo.
Il
piano… aveva funzionato ma alla fine Finn era arrivato a rompere le uova nel
paniere, minacciando Allison. “Allison” mormorò alzandosi in piedi, sentendo il
sangue scorrere più velocemente nelle vene, il cuore battere all’impazzata.
“Allison, dobbiamo trovarla.”
“Calmati
amico” gli disse Dean poggiandogli una mano sulla spalla, invitandolo a
sedersi. “Sono certo che Allison sta bene.”
“No”
Elijah scosse il capo. “Non capisci, mio fratello ha detto che mia madre l’ha
presa. Dobbiamo andare ad aiutarla.”
“Non
possiamo” intervenne Hayley avvicinandosi alla barriera invisibile. “Forse non
te lo ricordi ma qualcuno, a questo punto immagino Finn, ha messo su una bella
barriera che ci impedisce di uscire una volta entrati.”
“Perché
siete tutti qui?” chiese l’Originale. “Nessuno di voi si è accorto di quella
dannata cosa?”
Sam
scosse il capo, poi si passò una mano tra i capelli. “Ti abbiamo visto per
terra e pensavamo che ti fosse successo qualcosa. Solo una volta entrati ci
siamo accorti di essere bloccati dentro. E lei” disse indicando Hayley. “Non
abbiamo fatto in tempo ad avvertirla prima che oltrepassasse la linea.”
Elijah
sospirò andando avanti e indietro nello spazio libero da barriere, era tutta la
casa praticamente eppure si sentiva soffocare. Se fosse successo qualcosa alla
cacciatrice non se lo sarebbe mai perdonato, non lo avrebbe sopportato.
“Niklaus”
mormorò di improvviso. “Dobbiamo chiamare Niklaus. Lui è fuori di casa quindi è
l’unico che può muoversi liberamente ed occuparsi di aiutare Allison.”
“Ecco”
gli disse Dean tirando fuori il suo cellulare, scoprendo però che non c’era
campo. “Dannazione!” esclamò. “Non c’è campo.”
“Deve
esserci un modo” l’Originale si passò una mano sul viso. “Mia madre la
distruggerà. Giocherà con la sua mente.”
“Allison
è forte” sussurrò Sam tirando fuori dal suo borsone un vecchio libro, sperando
di trovare tra quelle pagine un qualche incantesimo che permettesse loro di liberarsi
di quella porta invisibile che li teneva imprigionati lì. “Non le permetterà di
giocare con la sua mente.”
“Tu
non capisci” replicò Elijah mettendosi a sedere, un senso di totale smarrimento
al centro dello stomaco. “Mia madre è potente e subdola. Scaverà nel profondo
fino a quando non avrà trovato qualcosa con cui farle male.”
“Qualcosa
cosa esattamente?” Dean gli si mise davanti.
“Qualunque
cosa nel suo passato che le abbia fatto molto male; un senso di colpa, un
errore, un danno collaterale di troppo durante una caccia. Qualunque cosa.”
Dean
e Sam si scambiarono un’occhiata di cui Elijah non si accorse. Hayley invece
sì. Incrociando le braccia sul petto poggiò lo sguardo prima sul maggiore e poi
sul minore dei due.
“Vi
è appena venuto in mente qualcosa vero?” chiese. “Qualcosa che Esther potrebbe
usare…”
“Allison
non è estranea alla morte” iniziò Dean. “È capace di non lasciare che la caccia
la influenzi più del dovuto, sa che non possiamo salvare tutti, ma…”
“Ma
cosa?” domandò Elijah. “Parla, ogni cosa che sai potrebbe aiutarci ad
aiutarla.”
“Margareth
Kent” parlò Sam. “Qualche anno fa abbiamo lavorato ad un caso in Missouri. Il
caso più difficile a cui abbiamo mai lavorato; una piccola cittadina piena di
demoni e con piena intendo che ogni singolo cittadino era posseduto. Uomini,
donne, bambini.”
“Per
studiare un piano ci siamo rinchiusi in un vecchio edificio abbandonato, una
vecchia centrale di polizia oramai in disuso” Dean prese la parola. “Abbiamo
iniziato a mettere sale a porte e finestre per evitare a quei demoni di entrare
e mentre Allison sistemava le protezioni alla porta sul retro, fuori nel
cortile trovò una bambina di circa dieci anni. Piangeva disperata chiamando la
madre ed Allison…”
“Allison
l’ha lasciata entrare” intervenne Hayley.
Sam
annuì alzando gli occhi dal libro che stava sfogliando. “C’era qualcosa di
strano in quella ragazzina. Volevamo testarla con dell’acqua Santa ma Allison
disse che non serviva, disse che era solo una bambina spaventata e che era
nostro dovere aiutarla. Si chiamava Margareth Kent e quando ci accorgemmo che
il demone a capo di quel gruppo che ci stava attaccando era proprio dentro di
lei, fu troppo tardi.”
“Era
posseduta anche lei quindi.”
“Attaccò
Allison con tutte le sue forze, lei non riusciva a difendersi, era come paralizzata.
La guardava, vedeva i suoi occhi neri come la pece eppure quell’aspetto da
bambina le impediva di colpirla. Alla fine però non ebbe altra scelta e la
pugnalò con l’unica lama in grado di uccidere i demoni. Facendolo però uccise
anche Margareth.”
“È
terribile” mormorò Hayley scuotendo il capo. “Ma non è stata colpa sua.”
“Ne
era consapevole” spiegò Dean. “Ma non riusciva a togliersi dalla testa quel
viso, quegli occhi, quella voce che piangendo chiamava mamma. Furono dei mesi
infernali per lei, dopo la morte di Margareth; un momento sembrava star bene,
il momento dopo era furiosa. Arrabbiata col mondo, arrabbiata con se stessa,
arrabbiata con la vita che facciamo. Abbiamo provato ad aiutarla ma Allison non
è una persona facile.”
“Ed
è dannatamente testarda” aggiunse Elijah che fino ad allora aveva ascoltato
tutto in silenzio.
“Sì
lo è. Ad ogni modo, col tempo iniziò a star meglio ma il senso di colpa non la
lascerà mai del tutto. Se tua madre sta cercando qualcosa per ferirla allora
Margareth Kent è proprio quello che fa al caso suo.”
“Speriamo
di trovare Allison prima che Esther trovi Margareth allora” Hayley fece un
grosso respiro. “Finn ha detto per quanto tempo questa dannata barriera rimarrà
in piedi?”
“Fino
a mezzanotte, ma ha detto che allora sarà già troppo tardi” Elijah volse lo
sguardo all’entrata. Klaus avanzava perplesso e lui non fu mai così felice di
vederlo.
****
“Phasmatos
Veritas Mostrare” Esther mescolò alcune erbe in una ciotola piena di acqua
calda e sabbia e formò una specie di melma che poi con due dita passò sulla
fronte di Allison. La donna era incosciente, legata per le braccia con due
catene, la testa penzoloni in avanti, il corpo scosso da un tremito costante e
lento. Era un osso duro, doveva ammetterlo, si stava occupando di lei da almeno
due ore ma solo da dieci minuti era riuscita a fare breccia dentro la sua
mente. Aveva trovato quello che le serviva e aveva carpito le informazioni che
le servivano per fare ciò che doveva.
Si
chiamava Margareth Kent, aveva dieci anni ed era la porta rossa della bella
cacciatrice.
“Oh
mia bella e coraggiosa ragazza” le disse spostandole un ciuffo di capelli dal
viso. “Adesso ti mostrerò quali sono le conseguenze per chiunque ama i miei
figli.”
“Cosa?”
Allison guardò Sam con le braccia incrociate sul petto, dopo una rapida
occhiata a Margareth che dormiva su un piccolo divanetto polveroso sospirò e
avanzò verso il suo amico. “Se hai qualcosa da dirmi, dilla Sammy.”
Lui
sospirò, poi poggiò sul tavolo il vecchio diario di John. “C’è qualcosa di
strano in quella ragazzina Allison.”
“Che
vuol dire qualcosa di strano?”
“Che
ci faceva una ragazzina di dieci anni nel cortile di una vecchia centrale di
polizia abbandonata?”
“Si
nascondeva dalla nuvola nera che si è abbattuta sulla città forse.”
“E
come credi che sia possibile che sia riuscita a sfuggire alla possessione di
massa? Non lo trovi alquanto sospetto?
“Sam”
Allison respirò a fondo prima di continuare. “È solo una ragazzina, è
spaventata a morte.”
“Sam
ha ragione” Dean si intromise nel discorso avvicinandosi. “Non sappiamo cosa
sia davvero. Sappiamo che ha l’aspetto di una ragazzina, come molti altri lì
fuori, tra i posseduti. E tu l’hai fatta entrare…”
“Cosa
avrei dovuto fare?” lo interruppe lei. “Lasciarla lì fuori da sola, al freddo a
piangere?”
“Per
quanto crudele possa sembrare sì, è esattamente quello che avresti dovuto
fare.”
“Esattamente
quello che avresti fatto tu non è vero Dean? Avanti, guardami negli occhi e
dimmi che se fossi stato al mio posto l’avresti lasciata lì fuori, da sola.”
L’uomo
la guardò in silenzio per alcuni istanti, proprio la risposta che Allison
immaginava.
“Già”
gli disse proprio lei. “Come immaginavo.”
E
voltandosi raggiunse Margareth nell’altra stanza.
Allison
gemette, aprì gli occhi per un secondo o due, poi li richiuse mentre le gambe
cedevano. L’unica cosa a impedirle di cadere per terra erano le catene che le
tiravano le braccia.
“Continua
pure a ricordare Allison” mormorò Esther.
“Madre”
le disse Finn appena arrivato. “Mi sono assicurato che Elijah non ci dia alcun
fastidio.”
“Bene!”
esclamò la strega mescolando di nuovo quella melma. “Ben fatto figlio mio.”
“Hey
Maggie, stai bene?”
La
bambina sorrise guardando Allison e annuì mentre si piegava sulle ginocchia per
essere faccia a faccia con lei.
“Quando
rivedrò la mia mamma?” le chiese.
Allison
deglutì a vuoto, si guardò intorno e solo dopo parlò. “Presto piccola, te lo
prometto.”
“E
se fosse morta?”
“No,
perché pensi questo? Sono certa che la tua mamma sta bene e quando tutto sarà
finito la troveremo e potrete stare di nuovo insieme.”
La
bambina sorrise di nuovo, con una mano accarezzò la guancia di Allison. “Sei
molto bella Allison, esattamente come avevo sentito dire. Ma non sei molto
sveglia.”
La
cacciatrice corrugò la fronte, ma prima che potesse fare qualunque cosa gli
occhi di Margareth diventarono neri come la pece, con una forza soprannaturale
la spinse dall’altro lato della stanza e iniziò a colpirla dopo essersi assicurata
che la porta fosse bloccata e Dean e Sam non potessero entrare.
“Avresti
dovuto dare ascolto ai tuoi amici” continuò la bambina, con una voce che
sembrava venire dalle profondità dell’abisso. “Ma oramai è troppo tardi.”
La
colpì, ancora e ancora ed Allison si accorse che per quanto volesse non
riusciva a colpirla. Era lucida e sapeva cosa stava accadendo, ma continuava a
vedere quel viso piccolo e pulito, continuava a chiedersi se dentro quel corpo
posseduto ci fosse ancora un po’ della vera Margareth. Probabilmente, se era lì
aveva paura, era confusa.
“Allison!”
urlò Dean da fuori provando vanamente ad aprire la porta. “Il pugnale.”
D’improvviso
la cacciatrice si ricordò dell’arma nella sua tasca, a fatica la tirò fuori e
piantò la lama dritta nel cuore della bambina. Le fece male come se ad essere
pugnalata fosse stata lei, ma – come le avrebbe detto Dean poco più tardi – non
aveva avuto altra scelta.
Il
corpo di Allison venne scosso da un tremito fortissimo, dagli occhi iniziarono
a scendere lente lacrime mentre lei mugugnava qualcosa di incomprensibile.
“Cosa
le hai fatto?” chiese Finn. “Esattamente dove si trova in questo momento nella
sua mente?”
“In
un posto pieno di senso di colpa e dolore” rispose la strega sorridendo appena.
“Esattamente dove volevo che fosse.”
“Madre!”
urlarono da fuori, la voce di Niklaus riecheggiò in tutta la cripta. “Sto
venendo a prendere Allison e ti ucciderò con le mie stesse mani.”
“Vuoi
che mi occupi io di lui?” chiese Finn con calma.
Ma
Esther scosse il capo mentre raccoglieva le sue cose. “Non è necessario. Ho
finito con Allison Morgan, lascia pure che la salvi.”
Lui
la seguì fuori da quel posto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 7. L'illusione ***
NDA: Sì, ho
messo un po' di Saving Hope e Joel Goran in questo capitolo. Per chi
non sa chi è Joel Goran, è il personaggio
interpretato da Daniel Gillies nel telefilm medical-drama Saving Hope.
Il perchè di questo inserimento verrà spiegato
presto. Buona lettura e lasciatemi un commento se vi va :D
7.
L’ILLUSIONE
Klaus
la adagiò piano per terra dopo averla liberata dalle catene che la tenevano
penzolante, strette ai polsi. Con delicatezza le spostò i capelli dal viso e
con due dita leggere asciugò le lacrime che ancora cadevano dai suoi occhi chiusi.
Aveva un aspetto terribile; era pallida per la tortura psicologica inflittale
da Esther ed era ancora ammaccata per quello che gli altri cacciatori le
avevano fatto. Sembrava fragile e indifesa, non proprio la Allison che lui
conosceva.
Quella
che gli era amica era forte e risoluta, sarcastica in modo pungente e
divertente. La Allison Morgan che lui considerava con fierezza di famiglia
aveva la pelle di porcellana, le fossette sempre pronte a spuntare sulle guance
ed era sempre disponibile a dare a lui e alla sua famiglia una mano. Questa
volta quella generosità le era costata ore incatenata ad un muro e un’illusione
potenzialmente fatale in quel momento le stava probabilmente confondendo le
idee.
Dannata
Esther, era un bene per lei che se ne fosse andata prima che lui raggiungesse
la cripta, altrimenti l’avrebbe uccisa. Poco male se sua madre fosse saltata
in un altro corpo, avrebbe ucciso anche quello e quello dopo ancora. Avrebbe
ucciso ogni corpo fino a sfinirsi. Lo avrebbe fatto per Allison, per lei e per
pochi, pochissimi, altri.
“Svegliati
guerriera” le sussurrò poggiandole una mano sul viso. “Qualunque cosa mia madre
ti stia mostrando non è reale, tu sei più forte di questo, so che puoi
batterla. Apri gli occhi Allison, apri gli occhi e andiamo a casa.”
Andiamo
a casa…
Allison
aprì gli occhi di improvviso e respirò a fondo mettendosi a sedere al centro
del letto. Si guardò intorno confusa e si passò una mano sul viso dopo aver
dato una rapida occhiata alla sveglia sul comodino. Segnava le otto e lei sbadigliò
pensando che aveva ancora sonno. Dopo essersi stiracchiata poggiò i piedi per
terra e rimase seduta per qualche istante, guardando il pavimento. Quel parquet
era stata l’idea migliore che avessero mai avuto, il suo bel fidanzato poteva sostenere
il contrario fino allo sfinimento ma lei sapeva che in fondo anche a lui
piaceva.
Scosse
il capo, scuotendo via una strana sensazione che sentiva al centro dello
stomaco e sorrise guardando l’anello al suo dito mentre si metteva in piedi.
L’odore di pancake la avvolse non appena aprì la porta della camera e le mise
allegria. Scese le scale e raggiunse la cucina dove il suo uomo stava bevendo
una tazza di caffè in piedi.
“C’è
un odore magnifico” disse avvicinandoglisi. “Hai preparato la colazione.”
“L’ho
fatto” replicò lui poggiando la tazza sul ripiano e abbracciandola quando lei
gli avvolse la vita con le braccia. “Buongiorno.”
Allison
si perse nella morbidezza di quelle labbra che la baciavano, infine sorrise
staccandosi da lui. “Buongiorno” sussurrò. “Perché stai bevendo il tuo caffè in
piedi?”
“Perché
sono in ritardo. Il mio turno in ospedale inizia tra venti minuti.”
“C’è
un traffico terribile a quest’ora del mattino, non arriverai mai in tempo.”
L’uomo
rise. “Tu sai sempre come incoraggiarmi tesoro, grazie.”
“Potresti”
Allison si versò del caffè e ci mise dentro due zollette di zucchero. “Darti
malato e rimanere qui con me tutto il giorno.”
“Se
fingo di essere malato tu fingerai di curarmi?”
“Uh”
lei sorrise maliziosa alzando le sopracciglia in quel modo strano che
apparteneva solo a lei. “Vuoi giocare al dottore? Mi piace…”
Lui
si avvicinò e la baciò di nuovo, una, due volte. “Piace anche a me, ma non è il
giorno giusto per fingersi malato. Se lo facessi dovrei anche fingere una
miracolosa guarigione entro stasera oppure rimandare la cena che abbiamo
organizzato.”
“La
cena” la sua fidanzata sembrò ricordarsene in quel momento. “Quella con i tuoi
colleghi per festeggiare la nuova casa. Me ne ero completamente dimenticata”
guardò l’orologio da parete. “Devo ancora fare la spesa e cucinare e fare una
marea di cose. Perché mi hai lasciato dormire fino a tardi?”
“Tardi?”
replicò l’uomo. “Sono le otto e un quarto del mattino. Sono piuttosto certo che
almeno metà dei negozi siano ancora chiusi a quest’ora.”
“La
torta!” esclamò Allison afferrando un pancake con le mani. “Devi ritirare la
torta di ritorno dal lavoro. Pensi di ricordartelo?”
“Sì,
credo di potercela fare.”
“Okay”
lei si avvicinò e gli diede un bacio dopo aver deglutito un morso del suo
pancake. “Buona giornata, salva tante ossa e tante vite, ti amo.”
“Ti
amo anche io. Buon divertimento con i preparativi.”
La
donna annuì, poi si fermò e si portò una mano alla tempia. Le faceva male la
testa, un dolore intenso che però passò quasi subito.
Andiamo
a casa…
“Hey,
stai bene?” la mano del suo fidanzato le si poggiò sulla schiena, il viso si
piegò fino a cercare il suo sguardo. “Sei pallida.”
“Sto
bene” lo rassicurò lei. “Dico sul serio Joel, sto bene. Forse mi sono solo
mossa troppo velocemente.”
“Sai
dirmi che giorno è?”
“Sul
serio?” chiese Allison allargando le braccia.
“Assecondami
solo per un attimo per favore.”
“È
il giorno in cui ti mollerò se mi farai perdere ancora tempo con queste
stupidaggini mentre c’è una festa da organizzare.”
Joel
rise, poi le diede un bacio. “Okay, stai bene. Mangia qualcosa prima di uscire
e telefonami se ti senti di nuovo così nel corso della giornata.”
La
donna annuì mangiando l’ultimo morso di pancake. “Lo prometto, vai ora.”
Joel
uscì di casa.
“Klaus!”
Marcel entrò in quel momento nella cripta. “Sono passato dalla tenuta ed Elijah
mi ha detto cos’è successo. Come sta?” chiese indicando Allison priva di sensi
sul pavimento.
“Non
lo so” l’Ibrido scosse il capo. “Sono qui da quasi un’ora ma non ha ancora
ripreso conoscenza. Se conosco mia madre, e la conosco, rimarrà incosciente per
un bel po’. Probabilmente sta ancora giocando con la sua mente.”
“Come
possiamo aiutarla?”
“Per
ora possiamo solo portarla a casa” Klaus la prese in braccio e si alzò pronto a
portarla a casa.
****
“Che
cosa le ha fatto vostra madre esattamente?” Dean seguì Elijah e Klaus su per le
scale mentre raggiungevano una camera da letto. Il corpo della loro amica
tremava in modo lento e costante, sudava e sfiorarle la mano gli aveva fatto
notare che scottava.
“Quello
che fa sempre,” disse Elijah spostandosi dall’altro lato del letto e salendoci
piano sopra quando Allison venne adagiata sulla coperta leggera. “Ha aperto la
porta a qualcosa e ha lasciato che il ricordo iniziasse a consumarla.” L’Originale
elegante le sollevò le maniche, poi la t-shirt, si spostò per guardare meglio e
vide finalmente quello che cercava, proprio dietro il collo. Quel dannato segno
simile ad una cicatrice che apparteneva al suo passato e che era il marchio
distintivo di quello squallido gioco mentale di sua madre.
“Cos’è
quello?” chiese Sam indicandolo con un dito.
“Quella
è la firma di Esther, ma è anche ciò che ci permetterà di aiutare Allison”
Klaus sospirò scambiando un’occhiata con Elijah. “Ci servono delle radici di
Orchidea Marelok. Ci aiuteranno a spezzare l’incantesimo e a svegliarla.”
Marcel
si schiarì la voce incrociando le braccia sul petto. “Cos’è un’Orchidea
Marelok?”
“È
un’antica pianta che nostra madre usa spesso per i suoi incantesimi di controllo.
Il fiore crea l’incantesimo, la radice lo spezza.”
“Okay,
e dove si trova questa radice?”
“Si
trova nel Bayou e sarò ben felice di andare a prenderla non appena la barriera
calerà.”
Il
maggiore dei Winchester si passò una mano sul viso. “Mancano quasi cinque ore
alla mezzanotte. Cosa diavolo facciamo nel frattempo, ce ne stiamo con le mani
in mano?”
“È
tutto ciò che possiamo fare temo” Elijah si tolse la giacca e sospirò. “Scotta,
dobbiamo rinfrescarla e non lasciarla mai sola, neppure per un attimo.”
“Prendo
dell’acqua fresca” disse Hayley raggiungendo il bagno. “E delle pezze.”
“Io
continuo a cercare un modo per abbattere questa dannata barriera” aggiunse Sam.
“Io
rimarrò di sotto, nel caso qualcuno dovesse arrivare” fu il turno di Marcel di
lasciare la stanza.
Il
maggiore dei Mikaelson si arrotolò le maniche della camicia bianca. “Io non mi
muovo da qui” con una mano le accarezzò piano la fronte. “Non mi muovo” ripetè.
“Lasciatelo
dire ragazza, tu sì che sai come organizzare un party” Jackson sorrise
mangiando una tartina. “E queste tartine sono deliziose. Il dottor G.” disse
indicandolo poco distante. “non ti merita.”
Allison
rise versandosi un bicchiere di vino rosso. “Sono una su un milione Elijah”
disse. “Una su un milione.”
“E
sei ubriaca” disse Alex arrivando. “L’hai appena chiamato Elijah.”
La
padrona di casa corrugò la fronte. “L’ho fatto? Mi dispiace” si scusò con
l’uomo. “Non ho idea del perché ti abbia chiamato così.”
“Per
me non fa differenza” Jackson si strinse nelle spalle allontanandosi.
“Chi
è Elijah?” chiese Alex una volta che furono rimaste sole. “Una vecchia fiamma
forse?”
Allison
scosse poco il capo. “Non lo so. Non conosco nessun Elijah, non che io ricordi
almeno. Ma forse hai ragione, sono ubriaca.” Di nuovo quel mal di testa che la
fece impallidire e che durò un intenso minuto.
“Stai
bene Allison?” le chiese la sua ospite. “Sei impallidita di colpo.”
“Sì”
lei si sforzò di sorridere. “Ho solo un po’ di mal di testa. Andrò a prendermi
un’aspirina così potrò godermi il resto della festa in santa pace. Torno
subito.”
“Va
bene” la lasciò andare Alex.
Al
piano di sopra, dentro il bagno Allison prese dal flacone un’aspirina e
incontrò il suo sguardo allo specchio. Era davvero pallida e quel mal di testa…
era strano. Si disse che forse era il caso di scendere di sotto e parlarne con
uno dei tanti dottori che affollavano il suo soggiorno. Poi si disse anche che
non era nulla e che non era il caso di rovinare la festa a tutti.
“Allison,”
Joel fece capolino con la testa sulla porta. “Hey amore, stai bene? Alex ha
detto che hai mal di testa e che sei salita a prendere un’aspirina.”
“Non
è niente” gli sorrise Allison. “Sto bene.”
“È
stato come stamattina?” l’uomo le prese il viso tra le mani e lo girò prima da
un lato e poi dall’altro guardandola negli occhi. “Hai avuto altri episodi a
parte questo e quello di…”
“Joel”
lo interruppe lei. “Posso farti una domanda?”
“Certo”
le mani di Joel si spostarono dal sul viso e scesero lungo le braccia fino alle
mani piccole della donna. “Qualunque cosa.”
“Ti
sembrerà incredibilmente strano” precisò lei. “Folle a dire il vero.”
“Tranquilla.
So già che non sei proprio… sana di mente” scherzò lui sperando di farla
sorridere, ma lei rimase seria. “Cosa c’è Allison? Mi stai spaventando.”
“Come
ci siamo conosciuti?”
“Cosa…
Non te lo ricordi?”
“Ti
prego, rispondi e basta.”
Joel
sospirò. “Ti sei ferita una mano e ti ho messo dei punti. Mi hai sorriso e ti
sono spuntate le fossette sulle guance e ho capito di essere nei guai.”
Allison
sorrise. “E poi abbiamo ballato sul tetto.”
“Allora
te lo ricordi…” Joel iniziò a dondolare, poi le fece fare una giravolta. “Io
odio ballare ma come ho detto, nel momento in cui mi hai sorriso…”
“Ho
un sorriso potente” gli occhi le si riempirono di lacrime mentre ogni cosa
nella sua mente riprendeva il posto giusto. “Torna di sotto con i tuoi amici,
io arrivo tra un attimo.”
L’uomo
le bloccò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Stai bene amore mio?”
“Benissimo”
Allison cercò di riprendere il controllo. “Grazie Joel.”
“Per
cosa?”
“Per
avermi fatto ballare sotto le stelle.”
Allison
aprì gli occhi lentamente e si portò una mano alla nuca. Era sudata, la sua
pelle era bollente e aveva appena vissuto la più strana delle esperienze.
Elijah era seduto su una poltrona, di fronte al balcone, gli occhi fissi sulla
città. “Elijah” sussurrò. “Che cosa è successo?”
Lui
la raggiunse con pochi passi, un misto di sollievo e ansia in quello sguardo
scuro. “Come ti senti?” le chiese afferrandole la mano.
“Indolenzita
e sudata. E ho fatto il sogno più strano che mi sia mai capitato di fare. Che
ore sono?”
“Sono
le due del mattino” le spiegò lui alzandosi per prenderle un bicchiere di acqua
che le porse con un sorriso. “Mia madre ha fatto ciò che temevo, ha giocato con
la tua mente.”
La
cacciatrice chiuse gli occhi per un istante, come per rimettere insieme i
pezzi. “Esther” mormorò infine con voce rauca. “Inizio a ricordare. Non mi sono
accorta che la cosa mi era sfuggita di mano, altrimenti me la sarei data a
gambe levate come ti avevo promesso” cercò di scherzare. Ma Elijah era
terribilmente serio.
“Mi
hai spaventato a morte.”
“Suppongo
che sia una buona cosa che tu non possa morire allora” Allison alzò la mano e
gliela poggiò sulla guancia. “Sto bene, davvero. Una doccia e sarò come nuova.”
L’Originale
chiuse gli occhi per qualche secondo, poi li riaprì e piegò poco il capo,
scaldato da quel tocco delicato. “Mi dispiace che tu sia finita in mezzo ai
drammi della mia famiglia. Mi sento in colpa.”
“Perché?”
la cacciatrice corrugò la fronte. “Ho scelto io di andare ad incontrare tua
madre e in ogni caso non è colpa tua Elijah. È la tua famiglia ma non sei
responsabile delle loro azioni. Tu rispondi solo delle tue.”
“Mi
sono sentito responsabile per loro tutta la vita, è difficile smettere di
farlo.”
“Dovresti
provarci” Allison ritirò la mano e si mise in piedi.
“Ricordi
quello che mia madre ti ha mostrato?”
“Ogni
cosa.”
“Ti
va di raccontarmelo?”
La
donna sembrò rifletterci un attimo. “Magari un’altra volta. Ora voglio solo…
solo fare una doccia e prendere una boccata d’aria.”
“Va
bene” sussurrò Elijah alzandosi a sua volta e abbassando lo sguardo mentre lei
si toglieva la maglietta sporca. “Vado a dire agli altri che stai bene. Ci
vediamo di sotto.”
Allison
entrò in bagno senza rispondere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 8. Il Doppelgänger ***
NDA: Lasciatemi un
commento, mi fanno piacere tutti; quelli brevi, quelli lunghi, persino
quelli critici. Sooooo sentitevi liberi di esprimere la vostra opinione.
8.
IL DOPPELGÄNGER
“Sto
bene Elijah, lo giuro” Allison afferrò la sua giacca e lasciò la stanza
scendendo di corsa giù per le scale. L’Originale in completo, dietro di lei,
non ne voleva sapere di lasciarle un po’ di spazio. Era preoccupato, sempre presente
a sperare che lei si aprisse, ma la cacciatrice non aveva voglia di parlare di
quello che Esther le aveva fatto esplodere nella testa. Non in quel momento,
forse mai.
Magari
un giorno si sarebbe svegliata con la voglia di dirgli tutto ma non era quello
il giorno ed Elijah sembrava non volerlo capire. Era grata che Marcel le avesse
chiesto aiuto per allenare la sua nuova piccola comunità di vampiri; fare
qualcosa le avrebbe permesso di concentrarsi su qualcosa che non fosse quel ricordo,
stare in movimento le avrebbe permesso di sfogare un po’ di quella rabbia che
sentiva dentro.
Non
era certa che rabbia fosse il termine giusto tuttavia. Era più qualcosa a metà
tra l’ansia e il nervosismo. Sentimenti che lei di solito gestiva egregiamente,
questa volta non era del tutto certa che ne sarebbe stata in grado.
“Posso
anche fingere di crederti” Elijah si fermò sulla soglia della porta quando lei
entrò in cucina per prendere dal frigo una bottiglietta di acqua. “Ma continuo
comunque a credere che metterti a fare da… istruttrice al piccolo gruppo di
Marcel non sia una buona idea.”
“Primo”
precisò lei alzando un dito. “Non farò l’istruttrice, farò l’insegnante e c’è
una bella differenza. Secondo” aggiunse afferrando una mela dal grande cestino
pieno di frutta fresca poggiato sul tavolo. “Non ricordo di aver chiesto la tua
opinione, anche se apprezzo la premura. Terzo, cosa dovrei fare secondo te?”
“Non
saprei” le disse lui mettendosi dritto, le mani nelle tasche. “Potresti
prendertela comoda per un po’, rilassarti, fare delle passeggiate, visitare New
Orleans da cima a fondo. Parlare con me…”
“Noi
stiamo parlando Elijah.”
“Sai
quello che intendo” il vampiro si zittì per un istante e le si avvicinò di
qualche passo. “Posso vederlo nei tuoi occhi che qualcosa ti tormenta.”
Allison
quegli occhi li chiuse per un lungo istante, quando li riaprì aveva ripreso il
controllo che per un secondo aveva creduto di aver perso. “Ti ho detto che ti
racconterò tutto, ma non ora. Adesso abbiamo altre cose di cui occuparci, cose
più importanti.”
“Niente
è più importante della tua salute, sia fisica che mentale.”
“Oh
no, ti sbagli” la cacciatrice rise. “Posso farti una lista: tua madre e tuo
fratello Finn stanno tenendo un profilo fin troppo basso da quando si sono
divertiti a giocare con la mia mente. Sono passati dieci giorni di totale
silenzio, il che nella mia esperienza non è un buon segno. I vampiri di Marcel
sono completamente abbandonati a se stessi, sono troppi e non sanno neppure
come usare i loro sensi amplificati. I discepoli di Francesca Guerrera stanno
quasi certamente preparando un attacco e Miles Brown tornerà a infastidirci
quanto prima, te lo assicuro. Oh sì, e Mikael è tornato dal mondo dei morti ed
è controllato da una streghetta adolescente e piena di potere che detesta
Klaus. Devo continuare forse Elijah? Perché ti assicuro che pensandoci ancora
un po’ potrei andare avanti per ore con questa dannata lista.”
L’Originale
fece qualche passo indietro. “Okay, forse ci sono alcune cose di cui dobbiamo
occuparci, ma tu hai comunque la priorità.”
“Meraviglioso!”
esclamò la donna. “Lo terrò a mente, posso andare ora?”
“Mi
stai seriamente chiedendo il permesso?” provò a scherzare Elijah.
Lei
diede un morso alla mela mentre gli passava accanto. “Nei tuoi sogni” mormorò
tirando fuori dalla tasca le chiavi dell’auto.
****
“Sai”
le disse Gia mentre intingeva ancora una volta il pennello nel secchio della
vernice. “Quando hai detto che ci avresti aiutati a imparare a combattere e a
controllarci pensavo più ad una cosa tipo…”
“Karate
Kid, togli la cera, metti la cera?” la interruppe Allison guardandola
per un attimo, poi tornando a concentrarsi sulla parete di fronte a lei.
“L’autocontrollo è una questione mentale Gia e ora che i tuoi sensi sono
amplificati ne avrai bisogno. Una volta imparato quello tutto il resto verrà da
sé, persino la capacità di combattere.”
“Ma
perché io? Voglio dire, perché devo rimanere qui con te a ridipingere la parete
di blu mentre tutti gli altri sono fuori con Marcel a… darsi da fare? E poi
perché proprio blu?”
Allison
abbassò il pennello. “Perché mi sei simpatica e perché credo che tu sarai la studentessa
migliore del gruppo. Per suonare il violino bene come fai tu serve molto
istinto ma anche molta concentrazione oltre ad un ovvio talento naturale.
Qualità che ti torneranno utili in combattimento. E il blu è un colore che
infonde calma, ecco perché.”
Gia
la fissò perplessa. “Ci siamo conosciute due ore fa, come fai a sapere che
suono… suonavo il violino?”
“Ho
messo cento dollari dentro la sua custodia aperta il giorno che sono arrivata
in città. Stavi suonando in strada, vicino a Bourbon Street.”
“Ah”
sussurrò Gia agitando il pennello per indicarla. “Mi ricordo di te, indossavi
delle bellissime scarpe e avevi la borsetta più strana che avessi mai visto.”
Allison
annuì allargando le braccia, poi abbassò lo sguardo sulla sua t-shirt. “Per
fortuna non indosso nessuna delle due cose oggi, altrimenti sarebbero da
buttare via.”
Fu
quando la vampira abbassò lo sguardo sulla maglietta che aveva schizzato tutta
di blu che qualcosa nella mente di Allison sembrò fermarsi. Dapprima sentì uno
strano dolore, poi la vista le si annebbio costringendola a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì era sola nella stanza, le mani sporche di sangue. In una
stringeva il coltello dei Winchester, nell’altra un cuore che ancora pulsava.
Sobbalzando alla vista lo gettò via indietreggiando di qualche passo, lasciando
cadere anche il pugnale.
“Questo
non è reale” mormorò cercando di rimanere calma.
Mi
hai uccisa, ero solo una ragazzina disse una voce. La voce di
Margareth.
Potreste
avere una famiglia tu ed Elijah… un’altra voce, questa volta
di Esther.
“Niente
di tutto questo è reale!” urlò Allison chiudendo di nuovo gli occhi. Quando li
aprì Marcel le stava davanti, le stringeva le braccia cercando ci calmarla, Gia
stringeva in mano un telefono.
“Hey”
la voce di Marcel la riportò completamente alla realtà. “Va tutto bene” le
mormorò.
Allison
si guardò istintivamente le mani, erano pulite. Poi il pavimento, non c’era
nessun cuore, solo un pennello sporco di vernice blu.
“Sto
bene” disse liberandosi dalla presa. “Sto bene.”
****
Elijah
fece il suo ingresso chiuso nel suo elegante abito scuro, il cappotto
sbottonato, le mani affondate nelle tasche e sul viso un’espressione
preoccupata.
“Seriamente?”
Allison abbassò lo sguardo e scosse il capo, poi lo rialzò su Marcel. “Hai
chiamato Elijah?”
“Non
sono stato io, ma chiunque l’abbia fatto ha fatto la cosa giusta” si difese lui
sedendosi e riempiendosi un bicchiere di whisky. “Puoi negarlo quanto vuoi ma è
successo qualcosa di strano prima e credo che sia a causa del tuo piccolo
soggiorno nella cripta di Esther. E quando si parla di quella dannata strega
nessuno meglio dei suoi figli sa come affrontare l’argomento.”
“È
stata Gia a telefonarmi” precisò Elijah togliendosi il cappotto. Si sbottonò la
giacca e si mise a sedere. “Cosa è successo?”
Allison
si strinse nelle spalle. “Ho solo avuto una specie di attacco di panico, niente
di grave.”
“Ti
conosco da anni Allison, tu non hai attacchi di panico.”
“Che
vuoi che ti dica?” la donna si schiarì la voce. “Sto invecchiando forse.”
“Basta”
scosse il capo l’Originale. “Smettila di alzare muri, voglio solo aiutarti. Ti
prego parla con me.”
Lei
fece un grosso respiro, poi fece cenno a Marcel di porgerle il suo bicchiere e
bevve tutto d’un sorso. “Qualche anno fa partecipai ad una caccia con i
Winchester, un caso parecchio difficile. Ci furono molte vittime e tra di loro
c’era una ragazzina…”
“Margareth
Kent” intervenne Elijah guadagnandosi il suo sguardo perplesso. “I Winchester e
io abbiamo provato a capire dove Esther avrebbe colpito, mi hanno raccontato di
quel caso, hanno detto che era l’unica cosa che mia madre avrebbe potuto usare
e che veniva loro in mente. A quanto pare ci avevano visto giusto.”
Allison
si mordicchiò l’interno della guancia. “Sì beh, tua madre è stata così gentile
da farmi rivivere il momento in cui ho piantato un pugnale nel petto di quella
ragazzina.”
“Non
avevi altra scelta” cercò di farla ragionare lui. “Era posseduta, il demone ti
avrebbe ucciso.”
“Avevo
un sacco di altre scelte invece” dagli occhi di Allison caddero alcune lacrime
che lei si affrettò ad asciugare. “Ma ero come paralizzata, non riuscivo a
pensare lucidamente. Ad ogni modo, poco prima che si mettesse a giocare con la
mia mente tua madre mi ha rivelato il suo grande piano; mettervi dentro corpi
umani e ridarvi la mortalità che lei stessa vi ha tolto. Ha detto che se tu
fossi di nuovo umano forse io e te potremmo avere una famiglia insieme. La mia
risposta non deve esserle molto piaciuta perché ha provato a farmi vedere la
cosa da una nuova prospettiva.”
“Che
vuoi dire?” chiese Elijah cercando di ignorare la sensazione che l’idea di una
famiglia, con Allison, gli aveva provocato.
“Dopo
quello che successe a Margareth decisi di prendermi una pausa. La fondazione
benefica di mio padre ogni anno indice una specie di concorso. Ospedali da
tutto il mondo presentano dei progetti di ricerca, una specie di commissione
sceglie i tre migliori e qualcuno dell’ufficio legale fa visita ai tre ospedali
in lizza per vedere da vicino quello che intendono fare. Diamo loro mezzo
milione di dollari all’anno quindi si tratta di una selezione piuttosto dura”
raccontò. “Ad ogni modo, quell’anno decisi che sarei andata io a fare il giro
dei tre ospedali e anche se non ho le conoscenze mediche o legali necessarie
sono i soldi di mio padre quindi nessuno fece obiezioni. Partii per l’Italia
per visitare un ospedale pediatrico, poi fu il turno di un ospedale di Parigi e
infine arrivò il turno del Canada. L’ospedale si chiamava Hope Zion ma non ci
arrivai esattamente come avevo previsto.”
“In
che senso?” domandò Marcel incuriosito.
“Quel
giorno pioveva e appena scesa dall’aereo inciampai e mi tagliai una mano.
Qualcuno chiamò un’ambulanza e feci il mio ingresso all’Hope Zion su una
barella. Non dissi subito chi ero né perché ero davvero lì, dissi solo che mi
chiamavo Allison e pensai che fosse una buona opportunità per guardarli
all’opera.”
“Furba”
commentò il padrone di casa bevendo dal suo bicchiere.
“C’era
stato un grave incidente automobilistico quindi tutti si stavano dando un gran
da fare. Dopo circa quindici minuti venne da me un giovane dottore; si chiamava
Joel Goran ed era il capo di chirurgia oltre che uno dei migliori ortopedici
del paese. Ed era identico a te” disse guardando Elijah. “Era il tuo Doppelgänger
El, ed era un brav’uomo.”
L’Originale
la fissò per un lungo istante, aprì la bocca per parlare ma ne uscì solo un
suono strano. “Io non ho un Doppelgänger Allison, deve esserci un errore.”
La
cacciatrice scosse il capo, tirò fuori dalla tasca il suo cellulare e scorse
tra le immagini prima di mostrarglielo. Lì, di fronte ai suoi occhi Elijah vide
una foto di Allison sorridente accanto ad un tizio che era la sua copia, solo
qualche anno più giovane.
“Com’è
possibile?” domandò a se stesso più che altro.
Allison
guardò il suo orologio. “Spero che tu non abbia degli impegni, perché è una
lunga storia.”
Elijah
la guardò per un istante, poi si mise comodo sulla poltrona. “Racconta.”
Lei
lo fece.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 9. Una questione di famiglia ***
9.
UNA
QUESTIONE DI FAMIGLIA
Allison
si versò di nuovo da bere e sorrise prima di svuotare il bicchiere in un solo
colpo. Parlava di quello che sapeva sui Doppelgänger da almeno due ore eppure
Elijah sembrava avere una nuova domanda ogni volta che lei credeva di aver
finito di discutere di quell’argomento. Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa,
ne era sicura ogni minuto di più. Mettere anche loro a conoscenza di quell’argomento,
di quello che Esther le aveva fatto non aveva nessuna utilità; non si poteva
tornare indietro nel tempo ed evitare che quella maledetta strega giocasse con
la sua mente e raccontare tutto a Marcel ed Elijah non l’aveva fatta sentire meglio,
anzi le aveva fatto ricordare cose che aveva ardentemente provato a
dimenticare.
“Ci
risiamo” mormorò chiudendo per un attimo gli occhi quando Elijah sospirò. “Un
sospiro e un’altra domanda” continuò voltandosi per guardarlo. “Avanti, chiedi
pure.”
L’Originale
non la guardò, non subito almeno. Rimase immobile, le dita di una mano sulle
labbra, lo sguardo perso nel vuoto e l’altra mano poggiata sulla gamba. Muovendo
le dita scandiva un tempo che solo lui sembrava contare. Era agitato ed Allison
poteva capirlo.
“Ricapitoliamo”
disse Marcel rompendo il silenzio. “Fino ad ora tu” indicò Elijah “credevi che
gli unici ad avere un Doppelgänger fossero collegati ad Elena Gilbert e Stefan
Salvatore, ma tu” stavolta il suo dito indicò la cacciatrice. “Hai casualmente
scoperto che invece anche ogni membro della famiglia Originale ha un doppio.”
“Non
solo loro,” precisò Allison, anzi ricordò visto che glielo aveva già detto. “Anche
io, forse anche tu ed Hayley. Dopo aver conosciuto Joel ho cercato quelli della
famiglia Originale. E il mio.”
E
cercando il mio doppio ho scoperto che anche Mason Lockwood ne ha uno e che
sono strettamente collegati, avrebbe voluto aggiungere, ma non era
rilevante.
“E
hai trovato quello di Klaus, quello di Kol e anche quello di Rebekah e di Finn”
riprese Marcel. “Li hai trovati tutti.”
“Anche
quello di Mikael, ci ho quasi dormito insieme.”
“Tu
cosa?” Elijah la fissò con gli occhi sgranati.
“È
una lunga storia” tagliò corto lei. “Ma posso assicurarti che il Doppelgänger
di tuo padre era un brav’uomo, un angelo, letteralmente” pensò per un attimo a
Balthazar. “Non chiedere” sussurrò a Marcel scuotendo poco il capo quando lo
vide aprire la bocca.
Sapeva
quale sarebbe stata la domanda: sul serio gli angeli esistono? la
risposta non sarebbe stata così semplice ed Allison non aveva voglia di
perdersi nei meandri di un’altra complicatissima conversazione, non quel giorno.
“Quindi
questo… Joel Goran, era un dottore” il maggiore dei Mikaelson si schiarì la
voce. “E il doppione di Klaus?”
“Professore
di inglese ad Oxford, sposato e padre di due bellissime bambine. Quello di
Rebekah è una poliziotta di Staten Island, quello di Kol è un poco di buono che
passa da un letto all’altro e si guadagna da vivere facendo lavoretti qui e lì.”
“Vorrei
dire che sono sorpreso ma mentirei” mormorò Marcel alzandosi per versarsi dell’altro
bourbon.
“Quello
di Finn è un militare in servizio in Iraq. Si dice che sia il più diligente tra
i suoi commilitoni” aggiunse Allison. “E spero che adesso le domande siano
finite.”
Ma
Elijah scosse il capo. “Ne ho ancora un paio. Conosco i trucchetti di mia
madre, persino io non sono riuscito a capire che era un’illusione quando sono
rimasto vittima della sua dannata magia, ma tu hai detto di averlo capito ad un
certo punto della tua… finta e perfetta vita con Joel Goran, come?”
La
cacciatrice si inumidì le labbra prima di rispondere. “Gli ho, più o meno,
chiesto se avessimo mai ballato sotto le stelle e ha risposto di sì. Solo che
io e Joel non abbiamo mai fatto nulla del genere. Ecco come l’ho capito, mi
stava dicendo quello che volevo sentirmi dire. Qual è l’altra domanda?”
“Eri
innamorata di lui? Di Joel…”
Allison
poggiò lo sguardo dentro il suo e lo tenne lì per un lungo istante di assoluto
silenzio. “Non ha importanza, lui era innamorato di un’altra. L’unica cosa che
avevate in comune” gli disse prima di rispondere al suo cellulare che
continuava a squillare. All’altro capo c’era Rebekah con delle brutte notizie.
****
“Grazie
Cass, ti devo un favore. Sì, farò attenzione. Telefonami quando avrai trovato
Metatron, io e quel bastardo abbiamo un conto in sospeso. A presto.”
La
donna riattaccò e si voltò a guardare Klaus e gli altri. Sul viso del suo amico
Ibrido vide un terrore che non aveva mai visto prima, sul volto di Hayley lo
stesso sentimento. La telefonata di Rebekah aveva mandato tutti nel panico,
fatto loro comprendere quanto Esther fosse realmente pericolosa e accelerato
alcune cose che altrimenti sarebbero andate più lentamente. Come il mistico
matrimonio tra Hayley e il suo promesso sposo, lupo e Alpha di un branco, di
cui Allison non conosceva neppure l’esistenza fino a quel momento. Non ne
sapeva comunque molto a dire il vero, eccetto che loro due uniti in matrimonio
avrebbero trasformato l’intero branco in un piccolo esercito di Ibridi che come
unico scopo avrebbero avuto quello di proteggere Hope. Della piccola però
Jackson, si chiamava così, non sapeva nulla, non ancora.
Allison
sperò di non essere nei paraggi quando glielo avrebbero detto. Sperò invece che
Klaus non avrebbe fatto nulla di stupido animato dalle sue assurde paranoie.
“Hey”
disse schiarendosi la voce e afferrando il suo borsone. “Il mio amico ha
portato Rebekah e Hope al sicuro, si è assicurato di proteggere la casa in ogni
modo possibile. Niente può…”
“Entrare,”
concluse Hayley per lei. “L’hai detto anche del primo posto in cui le hai fatte
stare eppure Esther le ha comunque trovate. Cosa deve accadere affinché tu ti
renda conto di essere assolutamente inutile in questa situazione?”
“Questo
non è il momento di litigare” cercò di bloccarle Klaus. “Dobbiamo raggiungere
Hope e mia sorella, adesso.”
“Non
guardare me” si difese Allison. “Non sono io che ho iniziato. Tutto quello che
ho fatto da quando sono qui è stato provare ad aiutarvi e per farlo ci ho quasi
rimesso la vita. Due volte.”
Hayley
allargò le braccia. “Beh nessuno ti ha chiesto di aiutarci, anzi credo che
forse sia arrivato il momento di andare per te, questa è una questione di
famiglia e tu non ne fai parte.”
Le
passò accanto come una furia ed Allison fece un grosso respiro cercando di
calmarsi. Continuando a ripetersi che si trattava di una madre spaventata per
le sorti della figlia chiuse gli occhi per un istante e riprese il controllo.
“Non
prenderla sul personale” le disse Elijah mentre Klaus usciva di casa. “È solo
spaventata per Hope. Lo siamo tutti.”
“Sì”
sussurrò la cacciatrice prendendo le chiavi dell’auto. “Ma ha ragione in fondo,
io non faccio parte di questa famiglia.”
“Allison…”
“Verrò
con voi perché sono l’unica che sa come arrivare a destinazione, mi assicurerò
che tutto sia in ordine e poi me ne andrò. Così è deciso!” esclamò sforzandosi
di sorridere. “Seguitemi con la vostra auto” aggiunse prima di incamminarsi verso
l’uscita.
Elijah
le andò dietro dopo qualche secondo.
****
“Abbiamo
parlato con Vincent Navarro poco fa, ha detto che non riusciva a rintracciarti
e così ha telefonato a noi.”
Allison
sospirò guardando Klaus ed Hayley riuniti alla piccola, le espressioni felici
sui loro volti, quelle rilassate sui volti di Elijah e Rebekah che se ne
stavano vicini a guardarli. Pensò che sarebbe stato un quadro familiare
perfetto se tutto non fosse stato così dannatamente complicato. Tutto sommato
però avevano deciso di reagire in maniera migliore di quanto Allison si
aspettava, Rebekah aveva persino tirato fuori una vecchia macchina fotografica
per istantanee per fare un selfie dell’intera famiglia. Non era ancora riuscita
a convincere Klaus ma la conosceva abbastanza bene da sapere che era solo una
questione di tempo.
“Ti
prego Sammy” disse al suo amico dall’altra parte del telefono. “Dimmi che non
sono brutte notizie.”
“Vorrei
poterlo fare” il tono del ragazzo era amareggiato,
dispiaciuto.
“Spara,
sono pronta!”
“I
discepoli di Francesca Guerrera sono pronti a colpire e sono almeno una
dozzina.”
“Ma”
intervenne Dean. “C’è un lato positivo.”
“E
quale sarebbe?”
“Erano
molti di più di una dozzina; li abbiamo trovati e ce ne siamo occupati. Servirà
loro un po’ di tempo per pensare ad un altro piano ora che sono di meno
rispetto a quanti erano. Questo dovrebbe darti almeno quattro o cinque giorni
di vantaggio.”
Allison
sorrise. “Ah vi adoro” disse loro. “E grazie dell’avvertimento. Me ne occuperò
e poi vi raggiungerò in Kansas.”
“Credevo
che volessi aiutare i tuoi amici anche con i loro folli genitori.”
“Volevo,
ma oggi Hayley mi ha gentilmente fatto notare che si tratta di una questione
familiare e che io non ne faccio parte.”
“Hayley” Dean
di nuovo. “Ha un bel caratterino, non c’è che dire. Ma era preoccupata per
sua figlia e quando si è in quello stato si dicono cose… un sacco di cose.”
“Sì
forse, ma comunque ho già parecchie cose di cui occuparmi e questa non è la mia
battaglia. Lei ha ragione, io non faccio parte di questa famiglia” la donna
fece un sorriso triste guardandoli mentre si scattavano la foto che Rebekah li
aveva infine convinti a fare. Era stupido e lo sapeva, ma la feriva il fatto
che non avessero nemmeno finto di chiederle di fare parte di quell’immagine, di
quel ricordo.
“Per
quel che vale,” le disse Sam. “Fai parte della nostra ed è
strano senza te intorno, quindi ti aspettiamo.”
“Grazie
Sammy” Allison accennò una risata. “A proposito, ho guardato le foto che mi hai
inviato e credo che voi abbiate a che fare con un Rugaru.”
“Sì,
lo sospettavamo anche noi. Controlleremo qualche pista e ti terremo aggiornata.”
Lei
annuì anche se loro non potevano vederla. “Okay, devo andare ora. Ci sentiamo
presto.”
Riattaccò
mentre raggiungeva gli altri.
****
“Hey
Terminator, ti ho portato un bicchiere di vino. Ti piace ancora rosso vero?”
Allison
rise prendendo il bicchiere dalle mani della sua amica. “Mi piace ancora rosso.
Grazie, ne avevo bisogno dopo una giornata così.”
“Una
giornata così? Credevo che questo fosse solo un tipico giorno nella vita di
Allison Morgan, la bella e coraggiosa cacciatrice.”
L’altra
bevve un sorso, poi respirò a fondo. “Deprimente vero? La mia routine…”
“Non
la definirei deprimente.”
“E
come la definiresti?”
“Avventurosa
e mai noiosa. Adrenalinica direi.” Rebekah tirò fuori il suo cellulare e lo
poggiò accanto a sé sui gradini del portico.
“Sono
stata pestata a sangue da alcuni tizi che mi hanno definita l’amichetta dei mostri
e che ora proveranno a mettermi contro l’intera categoria cacciatori,
tua madre ha giocato con la mia mente ed Hayley non fa altro che ricordarmi che
non faccio parte di questa famiglia” riassunse Allison. “Mi farebbe comodo un
po’ di noiosa calma in questo momento.”
Rebekah
sospirò guardando di fronte a sé per un istante, poi afferrò il suo cellulare e
scattò una foto di lei ed Allison cogliendola di sorpresa.
“Cosa
fai?” le chiese la cacciatrice.
“Eri
impegnata al telefono quando abbiamo fatto quella foto di famiglia prima, sto
solo recuperando per così dire” le spiegò la bionda. “Hayley è una brava
ragazza ma a volte non pensa prima di parlare. Non importa quello che lei dice
Allison, tu sei parte della famiglia, lo sei per me e posso dirti con certezza
che lo sei anche per i miei fratelli.”
Allison
si sentì colta di sorpresa, senza che riuscisse a controllarsi alcune lacrime
le bagnarono le guance e presto si trasformarono in un proprio e vero pianto
che riguardava molto di più di quelle belle parole che la sua amica le aveva
appena detto.
“Piangi
pure” le disse Rebekah passandole un braccio intorno alle spalle e dandole un
bacio sui capelli. “E quando avrai finito mi darai tutti i dettagli piccanti
della tua relazione con il Doppelgänger di Elijah.”
L’altra
rise tra le lacrime.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 10. Vincent Navarro ***
10.
VINCENT
NAVARRO
Vincent
Navarro sapeva che per lui sarebbe finita in quel modo; lo sapeva da quando
aveva iniziato a cacciare oramai trent’anni prima, ne aveva avuto la assoluta
certezza quando Allison Morgan aveva incrociato il suo cammino. Quella
ragazzina che all’inizio gli era sembrata prepotente e per nulla portata per la
caccia si era rivelata la migliore cacciatrice degli ultimi vent’anni. Gli
aveva insegnato tanto e aveva appreso tanto da lui, ma era stato chiaro per l’uomo
che conoscerla non avrebbe fatto altro che aumentare il suo numero di nemici.
Volerle
bene come se ne vuole ad uno di famiglia ed essere disposti a proteggerla indipendentemente
da tutto sarebbe stata la sua condanna a morte, lo sapeva da sempre e quel
preciso momento gli stava dando ragione.
Non
sapeva chi fosse quel tizio che gli stava di fronte con un quel ghigno
divertito; l’unica cosa che sapeva era che se era riuscito a prenderlo era perché
aveva la magia, altrimenti battendosi ad armi pari avrebbe perso senza dubbio.
L’avrebbe pagata, di questo Vincent era certo, anche se non aveva ancora idea
di come liberarsi. Ah sì, un’altra cosa di cui era sicuro era che fosse legato ad
Allison in qualche modo. A lei e a quella strana alleanza con gli Originali.
“Chi
sei esattamente?” gli chiese prima di sputare a terra sangue e saliva. “La
streghetta del Quartiere Francese?”
L’uomo
davanti a sé abbozzò un sorriso. “Dovrebbe essere divertente?” domandò. “Ah…
umorismo da cacciatori immagino.”
“Conosci
molti cacciatori?”
“A
parte te solo altri due. Uno si chiama Miles Brown ed è lui che mi ha detto
come trovarti.”
“Oh
capisco, e ti ha detto anche altro?”
“Mi
ha detto che se voglio ferire Allison Morgan, che per la cronaca è l’altra
cacciatrice che conosco, devo colpire le persone a cui vuole bene; tu rientri
nella lista. Ed io voglio davvero, davvero ferirla.”
Vincent
rise. “Ti ha dato la caccia e ti ha fatto il culo e ora vuoi vendetta? Mettiti
in fila.”
“Niente
di tutto questo” l’altro scosse il capo. “È solo che si è messa in mezzo ad
alcune questioni di famiglia.”
“Sei
un Mikaelson non è vero?” il cacciatore sospirò. “Avevo detto ad Allison che
era una pessima idea avere a che fare con voi. Ma è dannatamente testarda e non
ascolta mai.”
“Sono
Finn” lo informò l’altro avvicinandosi e cercando nella tasca di quella giacca
di pelle sdrucita. “E sarà meglio per te che Allison sia capace di mettere la
testardaggine da parte, o morirai.” aggiunse prendendo il telefono di Vincent.
****
Allison
aprì gli occhi piano, infastidita dalla luce brillante che la costrinse a
richiuderli per un lungo istante prima di essere completamente sveglia. Le
servì un attimo per rammentare dove fosse, cosa fosse successo. L’ultima cosa
che ricordava era che stava bevendo un bicchiere di vino rosso insieme a
Rebekah sedute sul portico di quella casa sicura. Poi ricordava di essere
scoppiata a piangere e infine di aver riso di una pessima richiesta da parte
della bionda Originale.
Di
come era arrivata su quel divano aveva solo una sfocata memoria che finiva con
la voce di Hayley che diceva qualcosa di spiacevole sul suo conto. Che novità!
“Hey”
le mormorò quella voce profonda che conosceva e che la faceva rilassare ogni
volta. “Ti sei svegliata.”
La
donna annuì, poi si mise a sedere dritta e si passò entrambe le mani tra i
capelli, una scese sul viso. “Quanto ho dormito esattamente?”
“Un
paio di ore, non di più.”
“Un
paio di ore” gli fece eco lei. “Molto più di quanto mi capiti di fare a volte.”
Elijah
accennò un sorriso e tirò via un grande fazzoletto bianco che copriva qualcosa
sul tavolino. “Sei crollata prima di cena” le disse indicando un piatto sul
quale c’era adagiata una bistecca e alcune patate. “Ho pensato di metterti
qualcosa da parte, ho immaginato che avresti avuto fame una volta sveglia.”
La
cacciatrice allungò la mano e tastò con un dito la bistecca: era fredda e non
sembrava molto invitante. Ma poco male perché lei non aveva molta fame, anzi
non ne aveva affatto. “Grazie, ma non ho fame.”
“Lo
so, non ha un bell’aspetto ed è fredda, ma posso scaldarla se vuoi.”
“Non
ho fame Elijah” ripeté lei, forse un po’ più duramente di quanto fosse
necessario.
“Allison,
voglio solo assicurarmi che tu stia bene.”
“Lo
so” la donna fece un grosso respiro. “Mi dispiace di essere stata brusca. È
solo che… sai una cosa?” si alzò. “Lascia perdere, non fa niente. Ora devo
andare.”
“È
notta fonda” le disse lui alzandosi a sua volta e avvicinandosi a lei. “Dove
vuoi andare a quest’ora?”
“Non
lo so” replicò Allison. “Forse guiderò fino a quando non sarò stanca, senza una
vera meta. Qualunque posto è meglio di qui.”
“Perché?”
“Perché?”
la cacciatrice lo guardò, infine rise. “Stai scherzando vero? L’ultima cosa che
ho sentito prima di addormentarmi è stata la voce di Hayley che si chiedeva di
quale utilità potessi essere se non riuscivo nemmeno a rimanere sveglia” gli
disse. “E tu mi tratti come se stessi per crollare da un momento all’altro…”
“Forse
dovresti” la interruppe lui guadagnandosi uno sguardo tanto feroce quanto
perplesso. “Conosco le conseguenze delle magie di mia madre. Se ti terrai tutto
dentro non passeranno mai. Forse crollare e lasciare andare tutto il dolore e il
senso di violazione che senti è quello che ti serve per lasciarti tutto alle
spalle e ricominciare.”
“Un
pianto e le lacrime laveranno via tutto il dolore? Credi che basti così poco?”
Allison allargò le braccia. “Io non sono come te El” scosse il capo mentre gli
occhi le diventavano lucidi. “Non posso schioccare le dita e spegnere le mie
emozioni. Devo conviverci e so farlo solo in un modo, il mio.”
Elijah
rimase in silenzio, gli occhi scuri puntati dentro quelli nocciola della
bellissima donna che gli stava di fronte. Voleva disperatamente aiutarla,
riportare il sorriso su quello splendido viso ma in fondo lei aveva ragione;
era il suo dolore e non era giusto che fosse lui a dirle come affrontarlo. Se i
ruoli fossero stati invertiti, si disse, lui avrebbe voluto le stesse cose che
lei chiedeva. Avrebbe voluto tempo e pace e sapeva che lei glieli avrebbe
concessi. Lo avrebbe fatto rimanendo ferma e in attesa, poi entrando in punta
di piedi fin dentro la sua anima quando lui fosse stato pronto.
Ecco
cosa doveva fare, aspettare e poi afferrarla quando lei avrebbe teso le mani in
cerca di aiuto. Avrebbe inoltre parlato con Hayley perché il suo atteggiamento
doveva cambiare; Allison meritava il rispetto di ognuno di loro, compresa lei.
“Dirò
ad Hayley che deve smetterla di essere ostile nei tuoi confronti, non è giusto,
non dopo quello che hai fatto per noi.”
“Non
disturbarti” lei scosse il capo mentre prendeva il suo cellulare che vibrava
sul tavolino. “Me ne sto andando, come ho già detto.”
Sullo
schermo del suo telefono appariva un messaggio di testo di Vincent Navarro,
solo che non era lui a scrivere.
Hai tre ore al massimo
per raggiungermi al cimitero Lafayette.
Vieni sola e non
tardare o il tuo amico cacciatore muore.
Confido nel tuo buon
senso, Finn.
****
“Ah sei qui” Rebekah si mise a sedere
accanto ad Elijah su quel vecchio dondolo di legno e respirò a fondo
guardandosi intorno. Quel posto era bellissimo, una vecchia ma solida casa nel
bel mezzo di una vegetazione fitta e rigogliosa. Un rifugio perfetto reso
ancora più perfetto da tutti quegli strani simboli che l’amico angelico di
Allison si era prodigato di disegnare sulla facciata. Rebekah li aveva visti
prima che diventassero invisibili agli occhi e da quel momento lei e soltanto
lei aveva avuto il potere di invitare qualcuno ad entrare in casa. “Allison
Morgan, piena di sorprese e risorse. Un amico angelo in trench coat, il Re dell’Inferno
tra le chiamate rapide del suo cellulare… Quella donna ha una marcia in più.”
Elijah sorrise, poi bevve un sorso dal suo
bicchiere. “Sì, ma è più fragile di quanto le piaccia far vedere.”
“Ha un bagaglio emotivo piuttosto pesante,
ma se la cava abbastanza bene. A proposito, dov’è?”
“Non lo so” ammise suo fratello. “Prima
che venissimo qui mi ha detto che una volta sicura che tutto fosse in ordine se
ne sarebbe andata. Ha mantenuto la sua promessa.”
Rebekah si strinse addosso la giacca. “Suppongo
che sia per quello che le ha detto Hayley.”
“Per quello che le ha detto alla tenuta,
per quello che ha detto quando credevamo che stesse dormendo, per il fatto che
si è dimostrata ostile da quando si sono incontrate e per il fatto che io ho
continuato a giustificarla, imperterrito, anche quando non avrei dovuto farlo.”
La bionda Originale strinse la mano di suo
fratello. “Le hai chiesto di restare?”
“L’ho fatto.”
“Come?”
“Che intendi dire? Quanti modi ci sono per
chiedere a qualcuno di restare?”
“Oh moltissimi” Rebekah rise. “Soprattutto
se si tratta di donne, Allison in particolare.”
L’Originale elegante si schiarì la voce,
poi poggiò il bicchiere oramai vuoto su un angolo del pavimento di legno. “Provo…
provo qualcosa di terribilmente complicato per quella donna. Io credo di star
bene, credo di non sentire la sua mancanza, ma poi lei ritorna nella mia vita e
io… io ne perdo ogni controllo, mi rendo conto che mi sento meglio con lei
attorno e questa cosa mi confonde. Adesso lei è sola, lì fuori, con gli
strascichi della magia di nostra madre e l’ho visto nei suoi occhi che era
spaventata. L’ho visto e non ho saputo come aiutarla, l’ho lasciata andare via.”
“Non avevi molta scelta Elijah” cercò di
rincuorarlo sua sorella. “Se avessi insistito si sarebbe chiusa ancora di più e
saresti finito col collo spezzato mentre lei se ne andava via comunque.”
Lui piegò le labbra in un sorriso triste e
consapevole. Rebekah aveva ragione ma era comunque una strana situazione. “Cosa
devo fare, sorella?”
“Telefonale e parla con lei, come hai
fatto adesso con me. E poi attendi.”
“Attendere cosa?”
“Che sia pronta a lasciarti entrare” gli
passò il telefono, poi lo lasciò da solo.
****
Allison arrivò con mezz’ora di ritardo.
Aveva guidato veloce, più veloce che poteva e l’aveva fatto da sola, esattamente
come Finn aveva chiesto. Era stata di parola, anche se in ritardo, ma sperava
che il più grande e infido dei Mikaelson non lo fosse stato. Con la pistola
puntata di fronte a sé raggiunse la cripta in cui era stata prigioniera non
molto tempo prima e quando arrivò Vincent Navarro era disteso sul pavimento,
una grande chiazza di sangue intorno al suo corpo. Troppo grande perché non
fosse nulla di grave.
“Vincent” gli disse inginocchiandosi a
terra e toccandogli il viso, poi premendo la mano sulla ferita sul suo addome. “Vincent
apri gli occhi.”
L’uomo li aprì, tossì e del sangue gli
uscì di bocca. “Allison, devi andartene. Ora.”
“No” lei scosse il capo. “Non senza di te.”
“È troppo tardi per me e sono troppo
pesante per essere trascinato. Vattene prima che quel bastardo torni.”
Allison si guardò intorno alla disperata
ricerca di una qualche soluzione che però non c’era. Il suo amico era davvero
troppo pesante per essere trascinato e lei non sapeva cosa fare. “Vince” gli
disse. “Non so cosa fare.”
“Non c’è niente che tu possa fare” l’uomo
faticava a parlare ma allungò la mano e prese quella piccola della donna. “Lasciami
qui e vattene, pensa ad un piano e poi uccidi quel maledetto figlio di puttana
e vendicami.”
“Mi dispiace tanto” la cacciatrice si
piegò e gli baciò la fronte. “Ma ti vendicherò, te lo prometto.”
“Bene, ora vattene ragazzina.”
Lei pianse, ma fece un grosso respiro per
riprendere il controllo. “Ci vediamo all’inferno vecchio testone.”
“Che scena commovente!” esclamò Finn
avanzando mentre Vincent chiudeva gli occhi. “Davvero strappalacrime.”
“Sei un bastardo” gli urlò Allison
alzandosi e puntandogli la pistola contro. “Lui non aveva niente a che fare con
tutta questa storia.”
“Lo so, ma tu sì e mi piace vederti
soffrire” allungò a mano e la strinse in un pugno chiudendo gli occhi. Quando
li riaprì però di lei non c’era più traccia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11. Marcel ***
11.
MARCEL
Allison
si ritrovò nel centro del salotto di Marcel. Beh salotto non era di certo la
parola giusta ma erano dettagli in fondo. Confusa si guardò intorno, poi si
rese conto di essere ancora ferma tra le braccia del vampiro.
“Cosa
hai fatto?” gli chiese allontanandosi poco.
“Ti
ho appena salvato il culo, Finn ti avrebbe uccisa. Ma tu che ci fai qui ad ogni
modo, credevo che fossi andata fuori città con i Mikaelson.”
“Ci
ero andata” Allison si spostò i capelli dal viso. “Ma poi ho ricevuto un
messaggio da quel pazzo lunatico e sono dovuta tornare di corsa. Avevo tre ore
altrimenti il mio amico sarebbe morto” gli raccontò. “Sono arrivata con trenta
minuti di ritardo.”
“Quel
tizio sul pavimento quindi era un tuo amico?”
Lei
si guardò le mani sporche di sangue, impose a se stessa di concentrarsi su ciò
che stava guardando e vivendo in quel momento: era il sangue di Vincent, non di
Margareth, era a New Orleans dall’altra parte del fiume e non nel Missouri di
molti anni prima. Aveva permesso ai giochetti mentali di Esther di controllarla
per troppo tempo, quella storia doveva finire in quel preciso istante.
Se
lo impose eppure quelle mani sporche continuavano a tremare, il respiro
accelerava ogni secondo di più, il battito del suo cuore anche. Vincent Navarro
era morto, ucciso da un Mikaelson durante una battaglia che non era la sua. Non
era nemmeno di Allison a dire il vero ma lei ci si era tuffata dentro egoista e
imprudente, incurante del fatto che avrebbe finito per coinvolgere le persone a
cui voleva bene, perché era sempre così che andava nella sua vita.
“Allison”
la richiamò Marcel andandole davanti e cercando il suo sguardo, incontrando due
begli occhi nocciola pieni di sgomento. “Vuoi che telefoni ad Elijah?”
“No”
lei scosse il capo bagnandosi il viso di lacrime. “No, non chiamare Elijah, non
chiamare nessuno. Per favore…”
La
sua voce si affievolì, così tanto che Marcel credette che avrebbe perso i
sensi. La cacciatrice invece fece un grosso respiro e con il dorso di una mano
si asciugò il viso sporcandolo di sangue. Mostrava un grande autocontrollo,
notò il vampiro, soffriva ed era evidente, eppure sembrava ancora abbastanza
lucida.
“Come
posso aiutarti?” le chiese allungando una mano e poggiandogliela sul braccio.
“Mi
hai salvato la vita, direi che hai già fatto abbastanza” la donna raggiunse il
divanetto e si mise a sedere, sul bordo, come fosse sulle spine e pronta a
qualunque cosa. E forse lo era. “Come… come sapevi che mi avresti trovata lì?”
“Non
lo sapevo” le spiegò Marcel versandole un bicchiere di acqua che lei prese con
le mani un po’ tremanti. “Non fino a quando Aiden, che finge ancora di lavorare
per Esther e Finn, ti ha vista arrivare mi ha avvertito. Cosa credevi di fare
lì dentro?”
“Niente
di quello che ho fatto” mormorò lei. “E tutto ciò che invece non ho fatto.”
“Che
vorrebbe dire?” lui la fissò perplesso.
“Non
ha importanza. Vincent è morto ed è tutta colpa mia.”
“Non
sei stata tu ad ucciderlo Allison.”
“Non
direttamente forse” la cacciatrice si mise in piedi. “Ma parlarne è inutile,
non c’è niente che io possa fare. Però ripensandoci c’è qualcosa che tu puoi
fare per aiutarmi.”
“Chiedi
pure.”
“Credi
che sarebbe possibile recuperare il corpo di Vincent? Era un cacciatore e
vorrei dargli degna sepoltura.”
“Credo
che si possa fare” Marcel annuì tirando fuori il suo cellulare. “Chiederò ad
Aiden.”
“Grazie”
gli disse lei sforzandosi di sorridere. “E credi che potrei… potrei farmi una
doccia? Questo sangue sulle mani mi sta…”
“Certo.
Il bagno è dopo le scale, in fondo. Ti farò avere dei vestiti puliti.”
“Okay”
Allison deglutì a vuoto. “Non telefonare ad Elijah né a nessuno dei Mikaelson.
Posso cavarmela da sola.”
“Ne
sono certo” mormorò lui mentre la guardava sparire su per le scale.
****
Sono
Allison, lasciate un messaggio. Oppure no, fate come preferite, io al momento
non posso rispondere. Elijah sospirò abbottonandosi la giacca
mentre entrava dentro casa di Marcel. “Allison, sono io. Ti prego richiamami
appena senti questo messaggio, sono preoccupato per te.”
Riattaccò
e con calma posò il cellulare nella tasca interna della giacca guardandosi
intorno perplesso. C’era odore di sangue in quel posto e odore di Bourbon, una
pessima combinazione. Di Marcel però non c’era traccia ed Elijah pensò che
avrebbe dovuto rimandare la chiacchierata che aveva programmato di fare con lui
ad un altro momento.
Stava
per andarsene quando la vide; Allison scendere giù dalle scale in quel grande
soggiorno in cui lui si trovava. Indossava un paio di jeans scuri ed una
t-shirt di un bel blu che metteva in risalto la sua pelle chiara. I capelli
raccolti in una coda morbida e il viso pulito ma stanco. “Allison” le disse
attirando la sua attenzione.
Lei
si fermò e alzò gli occhi dall’orologio che stava sistemando. “Elijah”
sussurrò. “Cosa ci fai qui?”
“Ero
passato a chiedere Marcel un piccolo aggiornamento sugli ultimi giorni. Prima
che andassimo fuori città gli ho chiesto di tenere gli occhi aperti. Mia madre
può fare parecchie cose spiacevoli in poco tempo. Tu perché sei qui? Ti avrò
lasciato almeno una mezza dozzina di messaggi.”
Lei
fece un grosso respiro. “Non so neppure dove sia il mio cellulare a dire il
vero. Ho avuto un po’ da fare nelle ultime quarantotto ore.”
“Con
Marcel?”
Allison
capì dal suo tono che la situazione poteva facilmente essere fraintesa e
sicuramente l’Originale elegante lo aveva fatto. Glielo si leggeva negli occhi.
“Non è come pensi.”
“Non
credo che tu sappia cosa sto pensando.”
“Stai
pensando che quando ho detto che me ne sarei andata intendessi venire qui per stare
con Marcel. In realtà io volevo raggiungere i Winchester in Kansas ma un
imprevisto mi ha costretta a tornare qui a New Orleans. Ho incontrato Marcel,
abbiamo parlato e poi mi sono addormentata e…”
“Hey
Allison, i tuoi amici sono arrivati” disse proprio il vampiro arrivando giusto
in tempo per vedere lo sguardo confuso di Elijah poggiarsi su di lui. “Elijah,
quando sei tornato?”
“Ieri
sera” l’Originale fece un grosso respiro, poi guardò di nuovo Allison. “Perdonatemi,
ma credo di non capire cosa stia succedendo qui.”
Lei
si schiarì la voce. “Tuo fratello Finn ha ucciso il mio amico Vincent Navarro.
Mi ha inviato un messaggio la sera che ti ho detto che sarei partita, ha detto
che se non fossi arrivata entro tre ore avrebbe ucciso Vince. Sono arrivata in
ritardo. Marcel mi ha salvato la vita, Aiden si sta occupando di recuperare il
corpo di Vincent e i Winchester mi hanno raggiunta in modo che una volta che lo
avremo potremo dargli degna sepoltura” raccontò tutto d’un fiato. “A tal
proposito, credi che potrei parlare con il fidanzato di Hayley? Vorremmo
bruciare il corpo nel Bayou ma è territorio dei lupi e mi sembra giusto chiedere
al loro Alpha il permesso.”
Elijah
deglutì a vuoto, la guardò per un lungo istante e infine le si avvicinò e le
prese il viso tra le mani. “Mi dispiace per il tuo amico” le sussurrò. “Perché non
mi hai avvertito? Sarei tornato, per te.”
“Non
avresti potuto fare nulla in ogni caso” Allison si divincolò delicatamente
dalla presa. “E sto bene. Ci vediamo alla tenuta” aggiunse uscendo da quel
posto, sorridendo poco a Marcel quando gli passò accanto.
Gli
occhi di Elijah si poggiarono proprio su di lui. “Marcel…”
“Quella
donna è pronta a mettere a rischio la sua vita, sempre e comunque, anche per
persone che non conosce. Mi ricorda quello che di buono c’è in questo mondo,
nell’umanità. Ne ha passate tante ultimamente, il suo amico è morto, sta soffrendo
e mi ha chiesto una sola cosa; non chiamare nessuno. Mi è sembrato giusto
concederle almeno questo” si giustificò precedendo quello che immaginava gli
avrebbe detto Elijah.
Ma
l’Originale scosse il capo. “Quello che volevo dire era grazie. Grazie di
averle salvato la vita.”
“Nessun
problema” rispose l’altro prima di seguirlo fuori e, supponeva, alla tenuta.
****
Jackson
accese alcune fiaccole che illuminarono il buio, poi fece un giro intorno al
corpo e consegnò la sua fiaccola ad Allison. Lei la prese ma rimase ferma per
alcuni lunghi secondi. Dietro di lei tutti i lupi del Bayou, Hayley e Jackson, Elijah,
Klaus… c’erano tutti. Quelli che aveva conosciuto da quando era arrivata a New
Orleans e anche quelli che invece non conosceva ma che erano lì comunque.
Era
assurdo, pensò mentre i Winchester gettavano sul corpo di Vincent un sorso di
vodka improvvisando uno strano brindisi, che tutte quelle persone fossero lì ad
onorare un cacciatore. Erano le prede in fondo, eppure erano lì.
C’erano
per lei, o almeno era questo che le aveva detto Jackson quando si erano
presentati e lei gli aveva chiesto il permesso di dare una sepoltura onorevole
ad un cacciatore sul suo territorio. Hai rischiato per salvare quei giovani
lupi e ci hai quasi rimesso la vita. Solo qualcuno di estremamente coraggioso e
nobile lo avrebbe fatto. Il Bayou è tuo, ci saremo tutti, le aveva detto e
se Allison non fosse stata così stanca forse si sarebbe messa a piangere.
Di
improvviso le poggiarono una giacca sulle spalle e solo quando incontrò lo
sguardo di Elijah voltandosi per vedere chi fosse stato, si accorse che stava
tremando. “Rimani qui, per favore” gli sussurrò.
Lui
non si mosse, poi mentre il corpo di Vincent bruciava, le prese la mano.
****
Elijah
entrò nella stanza di Allison cercando di fare più piano possibile. Sperava che
si fosse addormentata perché una bella dormita era decisamente quello che le
serviva dopo una serata così impegnativa. I Winchester erano crollati uno sul
divano e uno sulla poltrona bevendo in onore della dipartita di uno dei, così
lo avevano definito, migliori cacciatori che avessero mai incontrato. La donna
si era congedata dopo la seconda birra mentre Sam raccontava a Jackson ed
Elijah di quando Vincent aveva per errore incendiato la casa sbagliata cercando
di liberarsi di uno spirito che non ne voleva sapere di passare oltre.
Il
maggiore dei Mikaelson aveva pazientato qualche altro racconto, poi si era
scusato con i loro ospiti ed era salito al piano di sopra. Aveva raggiunto la
camera di Allison e visto che la porta era socchiusa era entrato. Della bella
cacciatrice però c’era traccia sul letto e ad Elijah servì un istante per
accorgersi di lei rannicchiata in un angolo sul pavimento. Piangeva silenziosa,
il mento poggiato sulle ginocchia portate al petto, lente lacrime cadevano
ritmiche sul pavimento. Senza chiederle nulla, perché non serviva, le si
avvicinò e si mise a sedere accanto a lei, in silenzio, facendo un grosso
respiro carico di tristezza quando lei singhiozzò una volta prima di nascondere
il viso tra le mani alla disperata ricerca del controllo che aveva perso.
“Hai
detto che dopo un pianto mi sarei sentita meglio” gli disse dopo qualche
secondo, asciugandosi gli occhi. “Ho pensato che valesse la pena provare.”
Lui
allungò la mano e la strinse attorno alla sua quando lei gliela porse. Senza
dire nulla lasciò che piangesse.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12. Il matrimonio ***
NDA: In fondo l'outfit di
Allison al matrimonio :D
12.
IL
MATRIMONIO
“Ancora”
Allison fece un grosso respiro e roteò il collo un paio di volte prima di
rimettersi in posizione. Gia, di fronte a lei, la fissava con aria perplessa;
era stanca ed era scoraggiata perché qualunque cosa provasse a fare, qualunque
mossa, non riusciva a metterla al tappeto. E se non ci riusciva con lei che era
una semplice umana, come sarebbe mai riuscita a battersi con un vampiro? O
peggio ancora con un lupo, il cui morso poteva esserle fatale. “Gia, muoviti.”
“Non
potremmo fare una pausa?”
“Che
c’è, sei stanca?”
“No”
la vampira scosse il capo. “È solo che inizio a credere di non essere tagliata
per tutta questa cosa del combattimento.”
“È
impossibile che tu non lo sia, sei un vampiro ed è un istinto.”
“Allison”
l’altra fece un grosso respiro, poi si passò una mano tra i capelli. “Ci
alleniamo da un’ora e non sono ancora riuscita neppure ad evitare uno dei tuoi
colpi.”
“Questo
è perché non ci stai nemmeno provando Gia, hai deciso che non ne sei capace e
stai lasciando che questa tua convinzione ti blocchi. E” aggiunse prendendo una
bottiglietta d’acqua. “Sono mancata una settimana e sono pronta a scommettere
quello che vuoi che tu abbia battuto la fiacca mentre ero via.”
“Forse”
sul viso della ragazza apparve un’espressione colpevole che lasciò subito il
posto ad un respiro profondo, un altro.
“Okay
ora basta” Allison scosse il capo. “È più o meno il tredicesimo respiro profondo
in dieci minuti. A quanto pare stai aspettando che te lo chieda quindi mi
sforzerò di farlo anche se onestamente non me ne importa più di tanto, cosa c’è
che non va?”
“Io
e Marcel… credevo che ci fosse qualcosa tra di noi ma è saltato fuori che mi
sbagliavo. E mi sento una stupida ora.”
“Ti
senti una stupida perché hai frainteso le intenzioni di un uomo che ti piace?”
la cacciatrice ridacchiò. “Gia, succede a tutte le donne almeno una volta nella
vita.”
“È
successo anche a te?” la vampira raggiunse il divano e si mise a sedere.
Allison la raggiunse dopo aver bevuto un altro sorso d’acqua.
“Certo”
le disse. “Mi sono innamorata come una ragazzina e alla fine è saltato fuori
che si trattava di un sentimento a senso unico, in un certo senso.”
Gia
rimase in silenzio per alcuni istanti, poi alzò i piedi sul tavolino di fronte.
“È solo che lui è stato così dolce con me da quando sono diventata un vampiro…”
le raccontò. “Credevo che fosse perché teneva a me in modo particolare, invece
ho capito che lui tiene a tutti allo stesso modo.”
“Gia,
da quel che dici credo che in fondo tu non abbia una cotta per Marcel, credo
piuttosto che ti rincuori l’idea di qualcuno che non ti lasci sola durante
questo periodo di difficile transizione o forse che non ti lasci sola a prescindere,
perché probabilmente sola lo sei stata per tutta la vita” si voltò a guardarla
e le sorrise. “Forse non sono sexy come Marcel ma ci sono io ad aiutarti e non
ti lascio sola.”
“Grazie,
Allison.”
“Ho
detto che ti aiuterò e che ti sarò amica, non che ti farò da babysitter. Quindi
non c’è di che, ma ora alza il culo dal divano e impara a difenderti.”
Gia
rise mentre Allison si alzava e si mise in piedi a sua volta.
****
“Hey”
Klaus la salutò mentre apriva una bottiglia di rosso per assaggiarlo. “Arrivi
giusto in tempo.”
Allison
corrugò la fronte. “Per cosa? Per una degustazione di vini?” chiese guardando
le diverse bottiglie poggiate sul tavolo. “Non dovrebbero essere gli sposi a
scegliere cibi e bevande per le loro nozze?”
Klaus
abbozzò un sorriso. “Questo matrimonio non mi va per nulla a genio, ma non
lascerò che un lupo rozzo che vive nei boschi come un selvaggio e una giovane
donna cresciuta a risse e fast-food lo rovinino scegliendo il menu.”
“Esprimi
pure la tua onesta opinione su queste nozze Klaus” la donna rise prendendo il
bicchiere che lui le porgeva e bevendone un sorso. “Serragghia Rosso Pinot Noir”
disse dopo aver deglutito. “Ottima scelta, è uno dei miei preferiti.”
“Anche
uno dei miei” le fece sapere l’Ibrido Originale annuendo. “E credo che si
accompagnerà magnificamente con la portata principale. Sapevo che eri la
persona giusta a cui chiedere un parere. Il matrimonio è alle diciotto in
punto.”
“A
proposito di questo” la cacciatrice poggiò il bicchiere sul tavolo. “So che di
solito sono l’anima della festa” scherzò. “Ma pensavo che forse non è il caso
che io partecipi. Hayley mi detesta e anche se tu sostieni il contrario questo
è il suo giorno speciale e la mia presenza potrebbe non essere gradita.”
Klaus
le riservò un’occhiata seria, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso. “Il
matrimonio è alle diciotto in punto” le disse di nuovo. “E ora seguimi, ti accompagno a vedere Hope.”
Allison
lo seguì senza aggiungere altro.
****
Allison
arrivò con venti minuti di anticipo. Aveva pensato che non era il caso di
arrivare alle diciotto in punto come Klaus le aveva detto due volte; doveva
trovare posto e bere a sufficienza prima che la cerimonia iniziasse. Sentiva
che ne avrebbe avuto bisogno. Così aveva lasciato che dei gentili e soggiogati
camerieri prendessero il suo cappotto, si era scolata una coppa di champagne,
aveva preso posto vicino a Marcel e Gia e soprattutto aveva evitato di dare
nell’occhio. Peccato che non le fosse riuscito troppo bene visto che quando era
arrivata e si era tolta il cappotto tutti gli occhi le si erano poggiati
addosso per un motivo che non conosceva e che sperava di scoprire dopo la
cerimonia.
Mentre
gli invitati applaudivano agli sposi e si sparpagliavano per riempire i piatti
al buffet, Allison prese un bicchiere di vino e si mise in disparte, in piedi
davanti ai ritratti di famiglia che si trovavano proprio di fianco alle scale.
La borsa bloccata sotto il braccio, la voglia che quel matrimonio finisse il
prima possibile.
“Credevo
che fosse vietato” sentì dire ed Elijah prese posto accanto a lei. “Che ci
fosse un qualche strano codice che impediva alle invitate di essere più belle
della sposa. Ma ti guardo e penso che mi sono decisamente sbagliato.”
“Oppure
io ho infranto le regole” gli disse Allison arricciando poco la bocca, infine
sorridendo mentre girava il viso per guardarlo. “Credi che sia per questo che
tutti mi hanno guardata in modo… strano al mio arrivo?”
“Per
questo e perché il tuo sangue ha un odore piuttosto intenso, anche se tu non te
ne rendi conto ovviamente.”
“Capisco”
Allison si schiarì la voce. “Stai bene?”
“Sì,
sto bene.”
La
donna annuì piano, allungò una mano e gli strinse il braccio per qualche
secondo prima di tornare a guardare di fronte a sé. “Andrà meglio con il tempo.
Lei sarà felice e visto che la ami non potrai fare a meno di esserlo anche tu.
Penserai di non poterne uscire e forse senza accorgertene ti chiederai perché
il privilegio di amarla spetta a Jackson e non a te, ma poi un giorno ti
sentirai meglio. Te lo assicuro.”
“Sembra
che tu stia parlando per esperienza personale” l’Originale guardò il suo
bicchiere prima di bere.
Allison
respirò a fondo. “Forse è così. A chi non è capitato di avere il cuore spezzato
almeno una volta nella vita?” i suoi occhi si persero dentro quelli di Elijah
per un istante, poi gli sorrise. “Sarà meglio che vada ora.”
“La
festa non è ancora finita” le fece notare lui piegando poco il capo. “Dovremmo
ballare.”
Lei
rise. “Non se ne parla. Credevo che oramai avessi capito che non so ballare.
Ricordi Mystic Falls tanti anni fa?”
“Ti
prego” le sussurrò lui allungando la mano. “Solo un ballo. Poi sarai libera di
andare se vorrai.”
La
donna sapeva che era meglio non farlo, lo sapeva, eppure non poté fare altro
che allungare la mano e poggiarla sulla sua. Stretta al corpo dell’Originale si
lasciò cullare dalle note di quella canzone lenta, si lasciò pervadere
dall’odore virile che emanava, dalla calma che il suo tocco sapeva infonderle.
Era sempre così, ogni dannata volta… era inevitabile e allo tempo riusciva a
pensare ad un migliaio di modi per evitarlo. Una giravolta e si ritrovò faccia
a faccia con Marcel che a distanza le faceva segno di raggiungerlo.
“Devo
davvero andare ora Elijah” gli disse fermandosi. “Ma grazie del ballo.”
“Che
sta succedendo?” chiese lui. “Ho visto Marcel che ti faceva segno di
avvicinarti. Cosa state combinando voi due?”
“Niente”
la donna sorrise. “È tutto sotto controllo. Goditi il resto della festa.”
****
“Ecco
a te” Allison porse ad uno dei vampiri di Marcel l’ultima fiala del sangue di
Klaus. “Grazie per quello che hai fatto stasera.” Il ragazzo, non aveva più di
vent’anni, non disse nulla mentre lei si allontanava per raggiungere il padrone
di casa che la aspettava con un bicchiere di bourbon all’angolo bar.
“È
stato difficile farti dare il sangue da Klaus senza che facesse domande?” le
chiese quando lei gli si sedette accanto.
“No,
era troppo impegnato a macchinare uno dei suoi folli piani per rovinare il
matrimonio di Hayley per domandarsi perché glielo stessi chiedendo.”
“Non
gli piace molto Jackson vero?”
“Non
si fida di lui, il che non mi sorprende, soprattutto considerando che si tratta
della salvezza di Hope” ragionò Allison giocherellando con il bicchiere senza
però bere. “A volte credo che non si fidi neppure di Hayley che è la madre.”
“Ma
a te ha detto subito la verità.”
“Non
proprio. È stata Rebekah a farlo ma sì, credo di poter affermare che di me si
fida. Si fida anche di te Marcel, ma un segreto di questo tipo poteva metterti
in serio pericolo e così ha preferito fare in modo che te ne dimenticassi.”
Marcel
si strinse nelle spalle mentre beveva. “Credo di capire perché l’ha fatto. Io
forse avrei fatto lo stesso.”
“Anche
io” mormorò la donna. “Ma basta chiacchiere, brindiamo alla nostra vittoria.
Grazie di aver schierato i tuoi contro i lupi di Francesca e grazie di non
averne fatto parola con Elijah.”
“È
stato un piacere” il vampiro fece tintinnare il suo bicchiere contro quello di
Allison. “Hai fame? Possiamo ordinare una pizza se vuoi, non hai mangiato molto
al matrimonio.”
“Non
ho fame, ma grazie” Allison si alzò. “Devo andare adesso, ho una meravigliosa
camera di motel ad aspettarmi. Proverò a farmi una bella dormita.”
“E
poi?” le chiese Marcel. “Pensi di rimanere in città?”
“Non
lo so ancora. Io sono uno spirito libero, vivo alla giornata.”
Il
vampiro ridacchiò, infine si alzò. “Allison” le disse. “Nel caso decidessi di
rimanere, questo posto è grande abbastanza, puoi prendere uno dei piani e
trasformarlo in un posto tutto tuo.”
“Lo
terrò a mente” lei indietreggiò di qualche passo. “Buonanotte Marcel.”
“Buonanotte
Allison.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13. La dichiarazione ***
NDA: come semrpe, in
fondo, l'outfit di Allison. Buona lettura, Roby.
13.
LA
DICHIARAZIONE
Allison
si versò dei cereali, poi ci aggiunse del latte appena scaldato e si mise a
sedere all’isola della sua nuova cucina. Doveva ammettere che quando Marcel le
aveva proposto di prendere un piano di quell’edificio e trasformarlo in un
posto tutto suo all’inizio aveva pensato che fosse pazzo, poi però l’idea aveva
iniziato a farsi strada nella sua mente e senza accorgersene si era ritrovata a
comprare dei mobili tra cui un gigantesco divano di tessuto beige e un
bellissimo lampadario.
Così
il quarto piano di quel vecchio edificio abbandonato e ora abitato da vampiri
era diventato il grande attico abitato da una cacciatrice del soprannaturale
che proprio non ne voleva sapere di stare fuori dai guai. Una cosa in sua
difesa doveva dirla però, se era rimasta a New Orleans era principalmente per
due motivi uno dei quali riguardava il giovane lupo che oramai faceva coppia
fissa con Josh.
Quando
gli aveva stretto la mano qualche giorno prima aveva visto qualcosa, qualcosa
di oscuro che sembrava destinato ad abbattersi su di lui e anche se non aveva
detto niente a nessuno per non creare nessun tipo di allarmismo era certa che fosse
il caso di rimanere nei paraggi.
L’altro
motivo, beh non era importante specificarlo. Lei lo conosceva ed era ciò che
contava. Nessun altro doveva saperlo.
Due
piani sotto la cucina dove ora stava facendo colazione viveva Elijah che aveva
lasciato la tenuta dopo le nozze di Hayley e Jackson e il loro trasferimento
lì. Quando lo aveva visto spostare le sue cose in quel posto non aveva chiesto
nulla perché non c’era bisogno di domandare i motivi di quella decisione che
erano piuttosto evidenti.
Quello
che aveva fatto era stato aiutarlo a portare lì tutta la sua roba, a sistemarla
per bene e poi a finire una bottiglia di bordeaux davanti ad una buona cena a
base di cibo italiano.
Poi
era dovuta partire per incontrare i Winchester e Castiel in Kansas e al suo
ritorno molte cose erano cambiate; Rebekah era ospite di un nuovo corpo dentro
il quale era finita per errore. La vera proprietaria di quei bei capelli ricci
e neri era una strega che aveva cercato di prendere il sopravvento e di cui si
erano liberati grazie all’aiuto di Vincent Griffith che, Dio Allison si era
confusa mentre glielo raccontavano, era l’uomo il cui corpo era stato ospitato
per mesi da Finn Mikaelson.
L’Originale
obbediente e petulante si trovava ora all’interno di un ciondolo appeso al
collo di Freya, la sorella che tutti credevano perduta ma che invece era
tornata. Anche lei aveva contribuito alla salvezza di Rebekah, aveva sconfitto
Esther, ritrovato il suo adorato padre e preannunciato l’arrivo di un male
peggiore della strega Originale madre dei Mikaelson.
“Non
male per due settimane di assenza” mormorò Allison masticando i suoi
corn-flakes. Un’altra novità che l’aveva davvero, davvero, sorpresa era stata
la scoperta di una relazione piuttosto improvvisa e passionale tra Elijah e
Gia. Come fosse nato quel sentimento non lo aveva ancora capito, ma onestamente
non era certa di volerlo sapere.
Non
erano affari suoi in fondo, anche se la cosa la infastidiva parecchio. Voleva
bene a Gia però… era tutto dannatamente complicato.
“Hey”
disse a Marcel quando lo vide entrare. “Entra pure. Vuoi un po’ di latte e
corn-flakes?”
Lui
scosse il capo sorridendo e si guardò intorno. “Niente male come hai sistemato
qui. Bei mobili e quel divano… ti sei portata dietro uno dei miei per
soggiogare i commercianti?”
“No,
li ho soggiogati con un bell’assegno da diecimila dollari, per l’intero
arredamento. E altri cinquemila per gli arredatori che mi hanno aiutato a sistemare
tutto nel migliore dei modi” spiegò lei. “Ora manca solo qualche libro e
qualche pianta per dare personalità al tutto.”
“Le
voci sul tuo conto erano vere allora.”
“Quali
voci?” chiese lei con sguardo confuso.
“Si
vocifera che tu sia una ricca ereditiera che caccia solo per capriccio.”
Allison
rise. “Sono una ricca ereditiera ma non caccio per capriccio. Piuttosto per
vendetta. O meglio lo facevo per quello, poi dopo aver fatto ciò che dovevo ho
continuato a cacciare perché ho scoperto che mi piace aiutare la gente.”
“Quindi
hai placato la tua sete di vendetta?”
“Alcuni
anni fa, grazie all’aiuto dei Winchester.”
“Chi
era lo sfortunato che è capitato sotto la tua lama?” scherzò il vampiro.
“Un
vampiro, mio fratello. Ha ucciso i nostri genitori, io ho ucciso lui.”
Calò
il silenzio per alcuni istanti, poi Marcel si schiarì la voce imbarazzato. “Mi
dispiace, non ne avevo idea.”
“Non
fa niente” mormorò Allison con un sorriso. “Ma visto che sei qui vorrei farti
una domanda.”
“Chiedi
pure.”
“Cosa
sai dirmi di Aiden, il ragazzo di Josh?”
Marcel
sembrò rifletterci un attimo. “Non molto a dire il vero. So che è uno dei più
cari amici di Jackson, il suo braccio destro. Un bravo ragazzo che a volte ha
preso delle decisioni sbagliate. Jackson si fida ciecamente di lui. Perché me
lo chiedi?”
Lei
si strinse nelle spalle. “Curiosità. Mi piace molto Josh, volevo solo
accertarmi che gli fosse capitato un bravo ragazzo e non uno spacca cuori. Di
quelli ce ne sono in giro fin troppi…”
Il
vampiro la guardò, sembrava che non stessero più parlando di Josh ed Aiden, ma
preferì non indagare. “Hey che ne dici di una bella pizza e di un paio di birre
stasera? Ci metteremo su quel bel divano e festeggeremo la nuova casa.”
“Magari
la prossima volta” rispose la cacciatrice sistemando la tazza dentro il lavabo.
“Elijah si è già prenotato per portarmi fuori a cena per festeggiare il mio
nuovo e magnifico appartamento. E dopo dovrò partire per New York, devo
lavorare ad un caso. A quanto pare, non tutti i cacciatori mi credono una
sporca traditrice. Un tizio che non sentivo da anni mi ha chiesto aiuto, ho
accettato.”
“La
prossima volta allora” Marcel annuì. “Ci vediamo dopo.”
“Ci
vediamo dopo” lei lo guardò mentre usciva, poi uscì a sua volta. Doveva
comprare dei libri e dei fiori e poi un vestito per la cena con Elijah.
****
Alle
nove e trenta in punto Allison ebbe la certezza che Elijah non sarebbe
arrivato, così bevve l’ultimo sorso di vino e guardò il suo riflesso sbiadito
nella vetrata accanto al tavolo a cui aveva aspettato per un’ora e mezza prima
di decidere che era ridicolo stare ancora lì. Aveva pagato cento dollari per
una bottiglia di pregiato vino rosso e per scusarsi di aver occupato il tavolo
così a lungo senza ordinare nulla da mangiare e si era incamminata verso casa
mentre la luna splendeva alta nel cielo di New Orleans.
Una
volta lì si era tolta le scarpe alte, aveva messo alcune cose dentro un borsone,
si era preparata una tazza di caffè e si era messa a sedere sul divano nuovo
che Marcel voleva tanto provare. Si disse che avrebbe dovuto accettare la sua
proposta fatta di pizza e birra, era certa che lui non avrebbe mancato
l’appuntamento. Ma poco male, oramai era andata così. Si ricordò che quando lo
aveva visto al mattino si era dimenticata di dirgli una cosa che senza dubbio
lui avrebbe ritenuto importante così gli scrisse un messaggio di testo perché
entrando aveva notato che non c’era nessuno in casa.
Ho scordato di dirti che ho trovato il tuo doppelgänger. Si
chiama Jason Myers ed è un ginecologo presso un ospedale di Seattle.
A quanto pare va piuttosto forte con le donne, ma è uno
stronzo di prima categoria.
Un po’ come te… pizza e birra al mio ritorno e se vedi
Elijah e ti chiede di me digli che c’è solo un uomo più stronzo di Jason Myers
ed è lui.
Lo
inviò, poi si mise in piedi decisa a non aspettare un minuto di più prima di
partire. I libri e alcune piante che aveva comprato ore prima erano ancora
disordinatamente sparsi per la stanza, non aveva avuto il tempo di sistemarli e
potendo tornare indietro avrebbe speso i duecento dollari del vestito che
indossava per un bel quadro. Ma non poteva e questo la faceva infuriare ancora
di più con se stessa. Era un’idiota, c’era poco altro da aggiungere… quando si
trattava di Elijah Mikaelson perdeva ogni tipo di controllo. Non le piaceva ma
non sapeva come evitarlo.
“Allison”
si sentì chiamare, da quella dannata voce profonda che la faceva rabbrividire ogni
volta. “Sono andato al ristorante ma non c’eri.”
“Ti
sorprende?” gli chiese guardando l’orologio da parete. “Ho aspettato per più di
un’ora vestita come un’idiota” disse indicandosi. “sola in un ristorante
bevendo vino e continuando a dire al cameriere che aspettavo qualcuno ogni
volta che si avvicinava per prendere l’ordinazione.”
“Mi
dispiace” si scusò l’Originale. “Sono stato trattenuto.”
La
donna annuì avvicinandoglisi di qualche passo. “Hayley o Gia?” domandò a
bruciapelo. “Sì, so di Gia, non sono stupida. Quando l’ho vista uscire dal tuo
appartamento con addosso una delle tue camicie per tre mattine di fila ho fatto
due calcoli” gli spiegò. “Ad ogni modo, nel caso te ne fossi dimenticato,
esiste un congegno magico chiamato cellulare, serve per telefonare. E di solito
chi è in ritardo telefona per avvertire.”
Elijah
sorrise appena, la voce roca della donna che gli stava di fronte si era fatta
più calma, quel pizzico di sarcasmo che la caratterizzava era tornato
prepotente scacciando la rabbia di pochi secondi prima. “Mi farò perdonare, lo
prometto. Domani.”
“Non
credo sarà possibile, sto partendo.”
L’Originale
mise le mani nelle tasche. “Partendo per dove?”
“New
York, un vecchio amico cacciatore mi ha chiesto aiuto per un caso.”
“Un
caso complicato?”
“Non
lo so ancora con certezza” la cacciatrice si strinse nelle spalle. “Da quel che
mi ha detto al telefono credo si tratti di un fastidioso e testardo fantasma ma
ne saprò di più una volta lì.”
Il
vampiro annuì, abbassò lo sguardo per un lungo istante e poi lo rialzò su di
lei. “Riguardo a Gia, io non…”
“Non
devi giustificarti con me Elijah” prese la parola lei. “Ma sto per dirti una
cosa e ci ho pensato e ripensato in quell’ora e mezza in cui ho aspettato
invano al ristorante. Non ero sicura che dirtelo fosse la cosa giusta ma ora ti
guardo e sento il mio cuore battere all’impazzata di rabbia e… e un sacco di
altre cose che non so controllare e penso che non posso più tacere. Non è
giusto e non è da me.”
“Ti
ascolto” sussurrò lui guardandola, un misto di speranza e timore in quegli
occhi scuri.
“Quando
sono arrivata qui a New Orleans mesi fa ero certa che il mio soggiorno sarebbe
durato meno di ventiquattro ore. Volevo solo avvertirvi sui cacciatori e sul
fatto che Rebekah ed Hope erano al sicuro… ma come mi succede ogni volta niente
è andato come previsto” iniziò. “Non sono rimasta perché volevo a tutti i costi
un posto in prima fila nella guerra contro la vostra folle madre, sono rimasta
perché credevo che tu avessi bisogno di me. Rimango sempre per questo motivo…”
sorrise nervosa. “Ma poi mi accorgo che non sei tu ad aver bisogno di me,
piuttosto sono io ad aver bisogno di te. Come non ho mai sentito il bisogno di
nient’altro nella mia vita.”
“Allison”
Elijah avanzò di qualche passo, ma lei lo fermò con un gesto della mano e
riprese la parola.
“Io
ti amo ma devo sapere cosa sono per te” gli disse. “Amarti è un privilegio a
cui non voglio rinunciare ma se tu non mi vuoi allora ti lascerò andare.”
“Io…
è più complicato di così.”
“No,
non lo è Elijah” la donna scosse il capo. “Non se tu non vuoi che lo sia.
Tornerò fra qualche giorno e se per allora avrai capito cosa vuoi rimarrò e ti
darò ogni cosa di me.”
“E
se non lo avrò capito?”
Allison
sospirò. “Allora io lascerò andare te e tu lascerai andare me e saremo liberi.
Non ci guarderemo più indietro e non avremo rimpianti” col calma si avvicinò e
gli diede un bacio sulla guancia, poi prese il borsone e se ne andò.
Lui
rimase fermo, gli occhi fissi sul pavimento, l’odore della pelle della donna
gli accarezzò le narici per qualche secondo ancora, poi svanì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14. La scomparsa ***
NDA: Chi ha rapito
Allison? Anzi... cosa? La salveranno? In questo capitolo anche un
pizzico di Constantine. Buona lettura e lasciatemi un pensiero se vi va
:D
14.
LA
SCOMPARSA
Furono
un forte dolore alla testa e una eccessiva secchezza alla bocca a farla
svegliare. Provando ad aprire gli occhi Allison si accorse che era difficile,
erano come appiccicati e quando finalmente ci riuscì qualcosa cadde giù dalle
sue palpebre finendole sulle labbra e solleticandole la punta del naso. “Ma che
diavolo…” provò a tirarsi su ma le faceva tutto dannatamente male così decise
di rimanere ferma ancora qualche secondo, sperando che sarebbe bastato per
farle capire che cosa stava succedendo, dove si trovava e soprattutto perché si
sentiva come se un treno l’avesse investita.
“Hey”
sentì sussurrare, da una voce che sembrava venire da lontano. “Hey sei sveglia?”
La
cacciatrice chiuse e riaprì gli occhi diverse volte, sentiva un fischio dentro
le orecchie che provò ad ignorare mentre si concentrava per capire da dove
venisse la voce. Qualcosa le diceva che veniva dalla sua destra, ma i suoi
sensi non erano esattamente attendibili in quel momento. Girò comunque la testa
e attraverso la vista un po’ annebbiata riuscì a scorgere una figura
indistinta. Sembrava una donna, o forse era un uomo… non riusciva a vedere
bene. Con le mani tastò le tasche dei suoi pantaloni e quasi si sorprese quando
scoprì che aveva ancora il cellulare. Lo tirò fuori – notando che ovviamente
non c’era campo – e premette un tasto per fare un po’ di luce; lo puntò in
direzione della voce e riuscì a vedere lunghi capelli rossi e un viso pallido
pieno di lentiggini.
“Tu
chi sei?” domandò. “Dove siamo?”
“Sono
Amber” rispose la ragazza allungando la mano quasi come se volesse toccarla. “Ma
non ho idea di dove siamo. Credo in una specie di grotta o qualcosa del genere.”
Allison
si mise piano a sedere, gemette toccandosi la testa e del sangue le sporcò il
palmo. “Grandioso” mormorò cercando di mettersi in piedi, aggrappandosi al muro
per farlo. “Io sono Allison” si presentò. “Amber, sai dirmi qualcosa? Ad
esempio chi è stato a portarci qui?”
“È
un mostro!” esclamò Amber. “È talmente orrendo che evito di guardarlo in viso
per non urlare.”
L’altra
annuì poco, diede una rapida occhiata intorno ma la luce del cellulare non le
permetteva di avere la visuale che avrebbe voluto. Scosse il capo cercando di
scuotere via un po’ di quel fastidioso fruscio nelle orecchie e provò a
ricordare. L’ultima cosa che riusciva a vedere lucida nella sua mente era il
suo incontro con Paul. Il suo amico cacciatore le aveva detto che anche lui
credeva avessero a che fare con un fantasma, poi le aveva chiesto di seguirlo
in auto fino alla casa, poco fuori città, in cui si trovava lo spirito.
Ricordava che durante il tragitto Paul aveva bucato una gomma e si era fermato.
Qualcosa dal bordo della strada lo aveva afferrato e trascinato nei campi
abbandonati sulla statale; lei era scesa per cercarlo e poi… poi non ricordava
più nulla.
“Ero
con un amico quando… qualunque cosa sia, mi ha presa. L’hai visto per caso?
Capelli corti e scuri, occhi chiari, alto più o meno un metro e ottanta” disse
ad Amber attivando il flash nella fotocamera del suo cellulare per vedere un po’
meglio.
“L’ha
mangiato” sussurrò Amber fissando un angolo del pavimento e solo allora Allison
si accorse che c’era una grande chiazza di sangue e intorno quelli che
sembravano resti umani.
Niente
panico, disse a se stessa reprimendo un conato di vomito. Aveva
la sensazione che sia la sua vita che quella di Amber dipendessero dalla sua
capacità di mantenere il controllo. “Da quanto sei qui?” chiese alla ragazza.
“Ho
perso il conto, credo un paio di settimane.”
“A
parte noi e il mio amico, sono arrivate altre persone?”
“Alcune.
Ma continuavano a piangere ed urlare e così lui le ha uccise.”
“Lui?”
“Lui,
lei… non so cosa sia. Moriremo anche noi vero?”
Allison
scosse il capo, cercando di convincere se stessa prima di tutto. “No, noi non
moriremo. Usciremo vive di qui, questa è una promessa Amber.”
“Come?
Come faremo ad uscire?”
“Se
ci ha portate qui deve averlo fatto entrando da qualche parte, ci basterà
trovare l’entrata.”
“Non
si vede nulla qui Allison” argomentò Amber. “È buio pesto.”
La
cacciatrice fece un grosso respiro; Amber non aveva tutti i torti ma lei aveva
ancora un asso nella manica. Sperò che funzionasse. Con un gesto veloce si
strappò dal braccio il braccialetto che indossava sempre e lo strinse nel palmo
della mano. “Incendia!” esclamò e quando al centro di quel posto si
accese un fuoco magico non poté fare a meno di ridere. Intorno c’erano i resti
di almeno sei persone, una vista disgustosa e spaventosa ma lei era quasi
felice. “Ah sì! Ti amo John Constantine.”
****
“Dannato
accendino!” esclamò Dean sbattendo il piccolo rettangolo di ferro contro il
palmo di una mano. “Mai una volta che tu decida di funzionare correttamente.”
Sam
rise guardandolo, scosse il capo e si avvicinò al piccolo frigo per prendere
due birre. Gliene porse una e si rimise al computer. Cass aveva telefonato per avvertirli
che non aveva ancora trovato Metatron ma che nel tragitto che da una città lo
aveva portato ad un’altra aveva notato che in una cittadina da quelle parti
stava accadendo qualcosa di strano. Ho pensato che vi sarebbe interessato,
aveva detto loro al telefono. E così il minore dei Winchester si era messo a
fare qualche ricerca.
Era
saltato fuori che a Yonkers, New York, erano scomparse un paio di persone,
qualcuno giurava di aver visto un mostro aggirarsi per i boschi ai lati della
statale, alcuni addirittura si erano avventurati alla ricerca di quello che era
stato definito il fantasma della statale. Di primo acchito Sam aveva
pensato che non fosse un caso per loro, sembrava più qualcosa di umano; un
serial killer forse. Spaventoso ma umano. Poi aveva ricordato che molto spesso
si erano mossi per molto meno e così aveva deciso di informare Dean.
“Stai
ancora facendo ricerche su quel possibile caso vicino New York?” chiese proprio
lui sedendosi di fronte a suo fratello.
L’altro
annuì. “C’è qualcosa di strano in questo caso. Tutte le persone scomparse non
sembrano avere una connessione tra di loro” prese una lista. “Aaron Marquez,
cinquant’anni fotografo di matrimoni. Lily Porter, trentaseienne casalinga,
Carl Smith, professore in pensione” lesse. “E poi l’ultima scomparsa due
settimane fa circa, Amber Ryley diciotto anni studentessa di letteratura alla
Columbia.”
“Tutte
scomparse nello stesso posto?”
“Sì.
Tutte scomparse nello stesso tratto di statale che da New York porta a Yonkers.
Le auto di tutti sono state ritrovate lì abbandonate ma di queste persone non c’è
traccia. Ci sono ettari di boschi intorno e nessun edificio. La polizia ha
cercato dappertutto ma non ha trovato nulla.”
“Ah”
mormorò Dean mordicchiandosi l’interno della guancia. “È strano in effetti e ci
siamo mossi per molto meno in passato” tirò fuori dalla tasca il cellulare e
corrugò la fronte guardando il nome che appariva sullo schermo, poi guardò Sam
e rispose. “Constantine?”
“Salve
Dean” replicò l’uomo dall’altra parte. “Tu e Sam avete per
caso notizie della nostra cara Allison?”
“L’abbiamo
sentita più o meno una settimana fa, era a New Orleans. Perché me lo chiedi?”
“Anni
fa le regalati un braccialetto. Si tratta di una specie di amuleto, ne esistono
due. Uno lo diedi a lei, l’altro l’ho recentemente dato a Zed. In caso di emergenza,
se stretto tra le mani ti da una temporanea abilità: la capacità di accendere
un fuoco con un incantesimo o di far rifiorire un fiore appassito, sciocchezze
da niente. Ad ogni modo una cosa che mi sono dimenticato di dirle è che quando
si usa uno dei due braccialetti si lancia una specie di SOS all’altro che si
illumina e diventa incandescente. Indovina chi si è appena scottata il polso?”
Dean
chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. “Zed?”
“Bingo!”
esclamò Constantine. “Ho fatto un incantesimo di localizzazione ed Allison
si trova vicino New York.”
“Lasciami
indovinare” il maggiore dei Winchester fece cenno a Sam di raccogliere tutto e
afferrò le chiavi dell’auto. “Da qualche parte sulla statale che porta a
Yonkers?”
“Esattamente.
Sto andando lì con Chas ma mi ci vorranno almeno dieci ore.”
“Noi
partiamo adesso, ci vediamo lì.” Riattaccò e si voltò a guardare Sam scuotendo
poco il capo. Gli riferì tutto quello che John Constantine aveva detto al
telefono. Anche lui e Chas erano in viaggio.
“Dean
se davvero Allison è in pericolo potrebbe non avere dieci ore a disposizione,
figurarsi venti, che è quello che serve a noi per raggiungere il posto.
Dobbiamo chiamare i Mikaelson.”
“Sam,
anche loro sono a venti ore di distanza.”
“Sì
ma hanno la super velocità e hanno a disposizione una città piena di streghe
che possono costringere ad aiutarli in qualche modo. Quantomeno potremmo
guadagnare tempo.”
La
porta del bunker si chiuse con un rumore pesante dietro di loro mentre
raggiungevano l’Impala. “Tu telefona ad Elijah, io ci trovo un mezzo più veloce
dell’auto.”
****
Marcel
fu colto di sorpresa. Non aveva sentito Elijah entrare e ritrovarselo nel
salotto a bere bourbon comodamente seduto sul divano lo stranì. Si versò anche
lui un bicchiere e si mise a sedere sulla poltrona. “Elijah” gli disse. “Cosa
posso fare per te?”
“Marcel,”
Elijah bevve un lungo sorso. “Non ho potuto fare a meno di notare che tu ed
Allison siete diventati parecchio amici da quando lei è qui a New Orleans, così
mi chiedevo se avessi sue notizie. Ho provato a telefonarle ma non riesco a
mettermi in contatto con lei ed è partita da una quasi una settimana oramai.”
Il
vampiro si strinse nelle spalle, si mise comodo sulla poltrona e sorrise all’Originale.
Doveva essere difficile per lui, pensò, sempre così formale e pieno di
controllo, sentirsi così vulnerabile riguardo ad una donna. Marcel poteva
leggere una chiara preoccupazione in quegli occhi ma anche un pizzico di
gelosia. “Nessuna notizia” rispose. “Siamo amici è vero ma non di quelli che
parlano tutti i giorni al telefono.”
“Capisco”
annuì Elijah. “Beh, se dovessi sentirla potresti farle sapere che l’ho cercata?
Ho bisogno di parlarle.”
“Certo”
Marcel lo guardò alzarsi, abbottonarsi la giacca come faceva di solito e fare
un grosso respiro mentre cercava di trattenersi dal chiedere altro. Chissà
quali strani pensieri gli affollavano la mente. “Sono certo che sta bene, è una
tosta.”
“Sì,
lo è” Elijah prese il suo cellulare dalla tasca interna della giacca. “Sono
Elijah” rispose. Dall’altra parte del telefono una voce che Marcel riconobbe
chiaramente; Sam Winchester. Sembrava agitato e lo sguardo sul viso del
maggiore dei Mikaelson gli fece capire che qualcosa non andava.
“Che
succede?” gli chiese quando riattaccò.
“Allison”
borbottò l’altro componendo il numero di qualcuno. “A quanto pare è nei guai.
Dovrebbe trovarsi da qualche parte sulla statale tra New York e Yonkers.”
Marcel
tirò fuori anche il suo di telefono. “Ho un amico lì, un vampiro. Gli chiederò
di iniziare a cercarla.”
Elijah
annuì grato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15. Il salvataggio ***
15.
IL
SALVATAGGIO
Allison
tastò con la mano una parete di pietra e terra che sembrava dannatamente
solida. Con quella luce magica, per cui avrebbe comprato a Costantine una cassa
della sua birra preferita, diede un’altra occhiata intorno e infine poggiò le
mani sulle ginocchia piegandosi poco su se stessa. L’aria stava diminuendo
lentamente ma costantemente, sudava e il cuore le martellava dentro il petto ad
un ritmo spaventoso. Amber la fissava, il viso lentigginoso sporco di fanghiglia
e pallido di paura; la cacciatrice avrebbe voluto dirle che avrebbe mantenuto
la promessa che le aveva fatto ma iniziava a pensare che forse non sarebbe
successo. Avrebbe dato qualunque cosa per un sorso d’acqua ma quel posto era
una dannata trappola, camminavano da almeno due ore e tutto sembrava sempre
uguale. Un lunghissimo corridoio di terra e puzzo di sangue e morte.
“Moriremo
vero?” la voce di Amber suonò incredibilmente forte in quel silenzio,
nonostante avesse quasi sussurrato. “Moriremo qui dentro. Non rivedrò mai i
miei genitori, né mio fratello né il mio ragazzo.”
L’altra
si tolse la camicia rimanendo in canotta e si asciugò la fronte e il viso
provando un grande, ma sapeva temporaneo, sollievo. “Non moriremo” le disse
anche se non ne era del tutto convinta. “Lasciami solo riflettere un attimo.”
“E
nel frattempo?”
Amber
era nel panico più totale, Allison lo capiva ma sapeva che farsi prendere dall’ansia
non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Era lei che doveva
risolvere le cose lì e in quel preciso istante la cosa da fare, prima ancora di
trovare un’uscita, era far calmare la povera ragazza che sperava di salvare. “Amber”
iniziò cercando di parlare piano. “Se lasci che il panico prenda il sopravvento
è la fine. So che hai paura, ne ho anche io, ma dobbiamo rimanere calme”
respirò a fondo e si mise a sedere per terra sulla sua camicia oramai sporca e
sgualcita. “Parlami della tua famiglia o, meglio ancora, del tuo ragazzo. Come
si chiama? Da quanto state insieme, un po’ tutto.”
“Jason”
replicò Amber. “Stiamo insieme da un annetto circa. Era uno dei miei migliori
amici prima di essere il mio ragazzo. Ho fatto io il primo passo.”
“Sul
serio?” sorrise Allison.
La
ragazza ricambiò il sorriso. “Sì. Un giorno stavamo guardando un film a casa
mia, uno di quei titoli splatter che ai ragazzi piacciono tanto. Ad essere
sinceri lui stava guardando il film, io stavo guardando lui. Ad un certo punto
si è voltato verso di me e l’ho baciato.”
“Scommetto
che l’hai sorpreso.”
“Così
tanto che si è alzato e se ne è andato via. Non l’ho rivisto né sentito fino al
giorno dopo quando mi ha detto che era scappato via perché doveva riflettere.
Ha detto che lo avevo colto di sorpresa, lo avevo confuso. Gli ci è voluto un
po’ per capire che anche lui voleva stare con me, ma sai come funziona con i
ragazzi, arrivano sempre in ritardo rispetto a noi.”
“Sì”
Allison ridacchiò. “È vero.”
“Tu
ce l’hai un ragazzo?”
La
cacciatrice rimase in silenzio per un po’; non aveva una risposta a quella
domanda. Poteva dirle che era innamorata di qualcuno ma non era certa che
ricambiasse ma non era quello che le aveva chiesto. “No, non ce l’ho” disse
infine. “A dire il vero è un po’ più complicato di così.”
“Che
vuoi dire?”
“C’è
quest’uomo, si chiama Elijah. Sono innamorata di lui ma non sono sicura che il
sentimento sia reciproco.”
“Glielo
hai detto? Che lo ami intendo…”
“L’ho
fatto,” confermò Allison. “Poco prima di partire per il viaggio che mi ha
portata qui.”
Amber
le fece un mezzo sorriso. “E cosa ha risposto?”
“Ha
detto che è complicato. Gli ho detto che lo è solo se lui vuole che lo sia, poi
me ne sono andata.”
“Dagli
tempo” le consigliò la ragazza. “I maschi arrivano sempre in ritardo, ricordi?”
Risero
entrambe poi Allison si rimise in piedi e le porse la mano. “Coraggio Amber,
usciamo da questo posto.”
****
Elijah
e Marcel erano arrivati prima di tutti gli altri sul posto che Sam Winchester
aveva indicato loro. Lì avevano trovato ad aspettarli l’amico di Marcel, un
vampiro di origine russa di quasi mille anni di nome Dimitri. Li attendeva in
piedi nel bel mezzo di migliaia di ettari di terra piena di alberi e di erbacce
ai lati della statale; pensare che Allison fosse lì da qualche parte mise ad
Elijah una grande agitazione. Non aveva captato alcun rumore al suo arrivo,
eccetto il verso di alcuni uccelli e quello di alcuni grilli e questo non era
un buon segno.
“Dimitri”
Marcel salutò il vampiro con un abbraccio veloce. “Quanto tempo.”
“Troppo”
rispose lui con un accento russo parecchio marcato. “Sono venuto qui appena mi
hai telefonato” arrivò subito al dunque e l’Originale gliene fu grato. “Ho
chiesto un po’ in giro prima, ai miei uomini. La tua bella cacciatrice era in
città da qualche giorno in compagnia di un altro cacciatore. Indagavano su
alcune strane scomparse e a quanto pare il loro caso li stava portando a
Yonkers.”
“Non
hai trovato nulla?” chiese Elijah. Mentre lo faceva rifletté sul fatto che non
si era ancora presentato, ma non aveva tempo dunque confidava nel fatto di non
aver bisogno di presentazioni.
Dimitri
lo guardò con sospetto per qualche secondo, infine sospirò. “Solo le loro auto
e alcune tracce di sangue ma non so di chi sia.” Si fermò quasi stesse
pensando. “Ho provato a cercarli ma si tratta di ettari di terreno e Allison
Morgan non gode proprio di una buona reputazione tra i miei uomini quindi non
vogliono saperne nulla.”
“Oh
andiamo Dim, vuoi dirmi che non hai alcuna autorità sui tuoi uomini?” lo derise
Marcel.
“Ce
l’ho” replicò l’altro. “Ma molti dei loro cari, dei loro amici, sono morti
uccisi da Allison Morgan e dai Winchester, quindi ho lasciato che scegliessero
se aiutare o meno. Io stesso ho perso il mio migliore amico a causa loro, ma
sono qui perché ti devo un favore.”
Elijah
scosse poco il capo, ancora alla ricerca di un qualsiasi rumore, un urlo, una
richiesta di aiuto. Avrebbe dato qualunque per sentire il tono rauco di Allison
chiamare il suo nome, qualunque cosa per poter tornare indietro a quando gli
aveva detto di amarlo. Se avesse potuto l’avrebbe stretta tra le braccia,
baciata, l’avrebbe fatta sua ancora e ancora e forse non sarebbe partita,
sarebbe rimasta e avrebbero passato il loro tempo stretti l’uno all’altra.
Sarebbe stata nel caldo di un letto o nella sicurezza delle sue braccia e non
sperduta da qualche parte in quel campo abbandonato. Decise di avvicinarsi alla
macchina per cercare degli indizi, ogni cosa poteva tornare utile, ma mentre si
voltava la sentì; quella voce che amava. Non stava chiedendo aiuto né chiamando
il suo nome; stava rassicurando qualcuno.
“Riesco
a sentirla” disse a Marcel e Dimitri un attimo prima di correre in direzione
del suono.
****
“Bingo!”
esclamò Allison felice mentre guardava la grigia di ferro ricoperta da alcune
erbacce sopra la sua testa. Allungò la mano per toccarla, sperando che con una
sola spinta si sarebbe spostata liberando il passaggio ma si accorse che non ci
arrivava. “Amber,” disse girandosi a guardare la ragazza. “Tu sei più alta di
me, riesci a toccarla?”
“Posso
provarci” Amber singhiozzava di gioia, il viso aveva ripreso colore ad un passo
dalla libertà. “Ma che succede se non ci arrivo o se è bloccata?”
La
cacciatrice le prese il viso tra le mani. “Hey” le disse. “Siamo qui e quella è
un’uscita. Troveremo un modo per aprirla e ce ne andremo. Mi hai capita?” L’altra
annuì, si asciugò le lacrime e allungò il braccio alzando lo sguardo. Fu allora
che il viso di Elijah comparve attraverso i fori della griglia.
“Allison!”
esclamò l’Originale.
“Elijah?”
domandò sorpresa lei. “Che ci fai qui?”
“È
una lunga storia” tagliò corto lui tirando via la griglia prima di afferrare
Amber e farla uscire da lì. “Dammi la mano” disse ad Allison quando fu il suo
turno. Ma lei scosse il capo.
“Prima
devo fare una cosa.”
“Cosa?”
“Qualunque
cosa abbia portato qui me ed Amber prima ancora, tornerà presto o tardi e se
non lo fermo farà altre vittime.”
“Allison
è una follia” cercò di farla ragionare lui. “Vuoi rimanere lì sotto fin quando
qualunque cosa sia non sarà ritornato?”
“Ovvio
che no!” esclamò Allison alzando un sopracciglio. “Sono impulsiva ma non pazza.
Voglio solo piazzare dell’esplosivo così quando tornerà farà un bel boom e
smetterà di fare male alla gente.”
“E
dove dovremmo prendere dell’esplosivo?” domandò Marcel affacciandosi con la
testa e sorridendo alla sua amica.
“Marcel”
sorrise lei. “Fai sempre domande stupide lo sai vero? Nel bagagliaio della mia
auto troverai tutto quanto.”
“Ovvio”
annuì il vampiro. “Vado a prenderti quello che hai chiesto. Ma esci da lì,
piazzerò io l’esplosivo.” Allison allungò le braccia e permise ad Elijah di
tirarla fuori. Una volta rimessa in piedi, l’Originale la strinse tra le
braccia e lei si sentì al sicuro e a suo agio. Rimasero fermi alcuni istanti,
occhi negli occhi, fino a quando anche Sam e Dean fecero la sua comparsa
correndo verso di loro con le armi puntate. La cacciatrice si accorse di essere
fortunata; aveva degli amici che tenevano a lei, che erano accorsi per salvarla
nella più strampalata delle alleanze tra prede e predatori. Guardò Amber che
respirava a fondo sdraiata sull’erba e fu felice, soddisfatta per un’altra vita
salvata.
Stava
per dire ad Elijah che era meglio che andasse a controllare come si sentiva e
che le procurasse dell’acqua ma le braccia del vampiro proprio non ne volevano
sapere di lasciare la presa. Era piacevole quel tocco, fresco e familiare, il
bacio che lui le diede pochi secondi dopo invece sapeva di nuovo e di speranza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16. L'invito ***
NDA: Mmh... sento che
quello che ho scritto piacerà a pochi! Ma l'amore (se è vero amore) in fondo
è capace di superare qualche ostacolo, giusto? Buona lettura
e lasciatemi un commento se vi va :D ps in fondo l'outfit come sempre :)
16.
L’INVITO
“Hey
Amber” Allison la salutò attraverso la videocamera del computer. “Come te la
passi dall’ultima volta che ci siamo viste?” La ragazza sorrise ed Allison si
chiese perché prima di lei non avesse mai deciso di rimanere in contatto con le
persone che aveva salvato. Forse perché, come diceva Dean, era controproducente
affezionarsi a chi non faceva parte del mondo del soprannaturale. Diventavano
un bersaglio se si mostrava affetto nei loro confronti e noi non vogliamo
salvarli e poi rigettarli nella graticola solo in nome di una possibile
amicizia vero? Allison poteva sentirlo mentre glielo diceva con un tono che
di domanda aveva poco, di amara affermazione invece parecchio. A lui era
successo con Lisa e Ben, a Sam era accaduto con Sarah, a Cass con Claire ed
Amelia.
A
lei non era mai accaduto ancora e sperava che Amber non diventasse la prima
vittima di quel suo desiderio di amicizia. Non sapeva perché si era così tanto
attaccata a quella ragazza ma in fondo i sentimenti non hanno una spiegazione
logica, mai. O almeno così sostenevano tutti. Chi fossero quei tutti era
ancora da decidere ma non era importante.
“Sto
bene” rispose Amber e la cacciatrice fu trascinata quasi con violenza fuori dai
suoi pensieri. “Ma tra me e Jason è finita.”
“Cosa?
Perché?”
La
ragazza dall’altra parte dello schermo si strinse nelle spalle. “Diciamo che mi
sono resa conto che non mi amava come credevo. Lo sai che non mi ha cercata?
Per tutto il tempo che sono stata scomparsa lui pensava semplicemente che fossi
andata a spassarmela da qualche parte. Due settimane e lui non era preoccupato,
anzi era così tranquillo che si è fatto la mia migliore amica mentre ero via.”
Allison
scosse il capo. “Incredibile. Sono certa che te l’hanno detto in molti già, ma
ci perde lui.”
“Me
l’ha detto qualcuno, è vero” ridacchiò Amber. “Ad ogni modo credo che sia un
bene, credo che comunque avrei finito col lasciarlo io stessa, dopo aver visto
te ed Elijah.”
“Che
vuoi dire?”
“Oh
andiamo Allison… il modo in cui ti guarda; quello sì che è amore. Il modo in
cui ti teneva stretta quando ci hanno trovate. Jason non mi ha mai guardata in
quel modo. A proposito, come va tra di voi?”
Bella
domanda, si disse Allison. Non c’era un modo per descrivere come andasse tra
lei ed Elijah perché non andava. Dopo quel bacio un mese prima non era successo
più nulla; non ne avevano parlato neppure per sbaglio e quell’amore che Amber
sosteneva di aver visto era svanito risucchiato da quella specie di rapporto di
amicizia che da sempre avevano. Una volta tornati a New Orleans lui l’aveva
quasi evitata, non le aveva chiesto come stava, si era sempre proclamato
impegnato quando lei aveva chiesto di parlare e Gia continuava ad indossare le
sue camicie al mattino dopo il sesso.
Klaus
le aveva detto che Elijah era solo spaventato all’idea di lasciarsi andare,
Allison sapeva che invece quell’atteggiamento era la risposta al suo ultimatum.
“Non va” disse ad Amber e le fece tenerezza il modo in cui il suo sorriso mutò
in confusione. “Non ci siamo parlati molto da quando siamo tornati a New
Orleans.”
“Perché?”
“È
complicato Amber, non è semplice come per te o per Jason.”
“È
complicato solo se tu vuoi che lo sia” replicò l’altra usando le stesse parole
che lei aveva usato con Elijah e che le aveva raccontato mentre cercavano di
non perdere il controllo chiuse in quella grotta.
Allison
rise. “Molto arguta, non c’è che dire.”
“Sì,
l’ho preso da mia madre.” Amber si fermò per un attimo e fece un grosso
respiro. “Allison, tu mi hai salvato la vita e non c’è niente che io possa dire
o fare per ringraziarti davvero fino in fondo. Nulla eccetto darti qualche
consiglio che spero ti sarà utile. Sono sicura che con il lavoro che fai lo sai
meglio di me; la vita è breve e dovremmo viverla fino in fondo. Che sia con
Elijah o con qualcun altro, vivila. Se lui non ti vuole allora non ti merita.”
La
cacciatrice annuì, un sorriso dolce le si stampò sul viso mentre il suo
cellulare vibrava sul tavolo accanto al portatile. Un messaggio di Marcel
campeggiava sullo schermo. “Grazie Amber, prenditi cura di te e studia. E
divertiti anche, è importante farlo.”
“Lo
farò, stammi bene Allison Morgan. Ci sentiamo presto.” L’immagine si oscurò ed
Allison richiuse il coperchio del portatile con un sorriso ancora sul viso.
Afferrò il telefono e sospirò leggendo il messaggio:
Pizza
e film sul tuo comodissimo divano stasera?
Invece
di rispondere con un altro messaggio decise di telefonargli. “Ho appena
ricevuto il tuo messaggio” gli disse quando rispose. “Mi piace la pizza e il
mio divano è davvero comodo, ma che ne diresti se invece ti invitassi a cena?” Lui
accettò entusiasta.
****
Allison
indossava un vestito – nero sopra e a righe bianche e grigie sotto – che le
arrivava più o meno fino alla caviglia. I capelli sciolti sulle spalle e un
paio di scarpe né troppo alte né troppo basse. Marcel rimase a fissarla come un
imbecille per tutto il tempo mentre avanzava verso di lui che la aspettava di
fronte al Rousseau’s. Diamine, era incredibilmente bella in tutta la sua
semplicità. Da quando gli aveva chiesto di uscire qualche ora prima non aveva
fatto altro che pensare a cosa quell’invito significasse. Mentre indossava la
sua camicia bianca sopra i jeans scuri si era domandato se fosse un
appuntamento o semplicemente una cena tra amici. Si era domandato se era il
caso di chiederlo a lei e infine si era domandato perché saperlo gli interessasse
così tanto.
Stava
per uscire a cena con una bellissima donna, una donna forte e determinata,
doveva solo rilassarsi e godersela ma sembrava non riuscirci nonostante ci
provasse ardentemente. “Non ho ancora capito perché non siamo venuti qui
insieme, visto che abitiamo nello stesso edificio.” Le disse quando lei arrivò
finalmente davanti a lui.
Allison
accennò un sorriso. “Avevo alcune cose da sbrigare prima di venire qui, ecco perché
ti ho chiesto di incontrarci direttamente al ristorante” spiegò. “Marcel” gli
disse subito dopo. “Sei davvero affascinante questa sera.”
“Solo
questa sera?” scherzò lui.
“Lo
sei sempre, ma questa camicia bianca ti dona particolarmente.”
“Ti
ringrazio” le disse lui guardandosi. “Tu sei bellissima Allison, dico sul
serio. Sei… wow! Una bomba.”
“Grazie”
sussurrò lei arrossendo poco e a Marcel venne da sorridere. “Sono anche molto
affamata, quindi che ne dici se entriamo e ordiniamo?”
“Sì”
il vampiro si fece di lato per farla passare. “Entriamo.”
All’interno
il Rousseau’s era un ristorante dall’aspetto molto classico e piacevole.
Allison ci era stata solo poche volte da quando era a New Orleans, un po’ più
spesso dopo aver conosciuto Camille, la barista dottoranda in psicologia che
aveva fatto perdere la testa a Klaus. Guardandola Allison aveva creduto che al
suo amico ibrido piacesse perché gli ricordava qualcuno in particolare del suo
passato, poi però l’aveva conosciuta meglio e aveva capito che Camille O’Connel
e Caroline Forbes non avevano assolutamente nulla in comune, eccetto i capelli
biondi e gli occhi chiari.
E
le attenzioni di Niklaus Mikaelson. Allison aveva sempre pensato che doveva
essere molto strano stare al posto di Caroline – e ora al posto di Camille – e sapere
che un essere capace di tutte le più terribili mostruosità per qualche strana
ragione teneva a lei in modo quasi romantico, umano e amorevole. La cacciatrice
sapeva che l’Ibrido originale avrebbe fatto molto anche per lei, l’avrebbe
difesa e protetta se fosse stato necessario, ma era un sentimento di pura
amicizia, molto più semplice da comprendere.
Marcel
la invitò a sedersi ad un tavolo più o meno centrale, a destra il bancone del
bar, a sinistra la vetrata che dava sulla strada e sulla quale si specchiavano
le luci della città. Le si mise a sedere di fronte e si schiarì la voce con
fare nervoso.
“Marcel,
rilassati!” esclamò lei. “Il tuo essere così nervoso sta rendendo nervosa anche
me. Cos’hai che non va? Stiamo solo cenando, più o meno come facciamo quando
ordiniamo la pizza, solo che invece che sul divano siamo seduti a tavola in un
ristorante.”
Lui
respirò a fondo. “Mi dispiace, non so perché sono così agitato. Non è da me. È
solo che…”
“Cosa?”
“So
che hai detto che stiamo solo cenando, come facciamo davanti alla tv ogni tanto
ma non posso fare a meno di chiedermi se…”
“Se
dietro il mio invito a cena si nasconde qualcosa che va oltre l’amicizia? Se ti
ho invitato ad uscire perché mi piaci come… beh hai capito.”
“Esatto”
Marcel annuì. “Me lo sono domandato. E a questo punto vorrei una risposta. Ti
ho vista con Elijah quando siamo venuti a salvarti la vita a New York. Il bacio
che vi siete scambiati, il modo in cui vi guardavate. Sono un po’ confuso
quindi adesso.”
Allison
si inumidì le labbra. “È vero, quel bacio significava qualcosa ma non quello
che credevo né quello che lui credeva forse. Senti, non voglio mentirti
dicendoti che non provo assolutamente nulla per Elijah, ho dei sentimenti per
lui. Ma lui non mi vuole ed io non metterò la mia vita in stallo in attesa che
decida se prova qualcosa per me tra uno sguardo dolce ad Hayley ed una notte di
sesso con Gia” disse tutto d’un fiato. “Tu mi piaci; sei affascinante e sei
simpatico e sei in gamba e non so cosa accadrà dopo la cena o cosa accadrà
durante o domani. Voglio solo godermi una serata in compagnia di qualcuno che
mi fa stare bene e voglio godermela appieno.”
Marcel
la osservò per un lungo istante prima di parlare. C’era malizia nei suoi occhi
e anche sincerità. Lui apprezzava la seconda ed era incredibilmente eccitato
dalla prima. Alzò la mano per chiamare la cameriera, e lo fece senza staccare
gli occhi da quelli nocciola e splendenti che gli stavano davanti. “Voglio la
stessa cosa” mormorò.
****
Elijah
aveva sentito la voce di Allison su per le scale verso le due del mattino. C’era
anche la voce di Marcel e visto che quei due sembravano provare un incredibile
gusto nel mettersi nei guai si era chiesto da dove diavolo tornassero a quell’ora
così tarda. Conoscendo entrambi si disse che tutto era possibile, conoscendo
Allison capì che per quanto volesse affacciarsi e chiedere spiegazioni era
meglio non farlo. I rapporti erano tesi tra di loro da quando si erano baciati
sul ciglio dell’entrata di una grotta sotterranea un mese prima. Se Elijah
ripensava a quel momento non poteva fare a meno di rabbrividire ricordando il
tocco delicato di quella lingua calda sulla sua, l’odore della sua pelle, il
battito del suo cuore.
Era
tutto così chiaro ed era anche tutto così confuso. Fermo davanti alla finestra
volse lo sguardo a Gia per un istante; così bella e fragile anche se lei si
credeva invincibile. Era una compagnia che gli faceva bene, che gli impediva di
pensare e ripensare tutto il giorno a…
Chiuse
gli occhi mentre il pensiero veniva scacciato dall’eco di un suono che arrivava
da fuori il suo appartamento; erano i gemiti di una donna, i sospiri
appassionati di qualcuno che si stava amando. Quel tono rauco rendeva
inconfondibile ogni cosa: era Allison, il suono in sincrono con lei invece era
Marcel. Con un grosso respiro si scolò un bicchiere di bourbon, poi decise che
era meglio uscire prima di perdere il controllo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** 17. Allison ***
17.
ALLISON
Allison
si versò una tazza di caffè e ne bevve un lungo sorso prima di accendere il suo
portatile e far partire una chiamata Skype verso Sam; SammyW83 era il
suo nickname. Pensò che voleva suggerirgli di cambiarlo, era decisamente troppo
banale.
“Hey!”
esclamò proprio lui rispondendo e il suo viso sveglio e gentile comparve sullo
schermo. “Hai l’aria stanca.”
“Buongiorno
anche a te Sammy, anche tu hai un aspetto magnifico” gli disse ironica Allison.
“Sai
cosa intendo” Sam ridacchiò. “Che succede?”
La
donna si strinse nelle spalle. “Mi annoiavo e così ho pensato di farvi un
saluto anche per chiedervi se avete qualcosa tra le mani, un caso qualunque. Mi
annoio a stare ferma.”
“Ferma?
Credevo che a New Orleans il male non dormisse mai.”
“Non
lo fa infatti, è sempre sveglio ma per vivere le più grandi delle avventure
dovrei stare con gli Originali e io ed Elijah… beh diciamo che non siamo
proprio in ottimi rapporti ultimamente. Anzi, non abbiamo proprio un rapporto,
pare.”
“Pare?”
il viso curioso di Dean comparve accanto a quello di Sam. “Che significa pare?
E perché hai l’aria di una che non dorme da giorni?”
Allison
lo guardò perplessa. “Sei rimasto nascosto alla telecamera per tutto questo
tempo?”
“Stavo
facendo colazione; pizza rimasta ieri.”
“La
colazione dei campioni” lo prese in giro lei. “Dov’è Cass?”
“Sono
qui!” una mano apparve nello schermo.
“Bene,
quindi ci siamo tutti. Allora ditemi, qual è il prossimo caso? Un mutaforma, un
licantropo, una strega? O magari qualcosa di più… esotico come un Shōjō?”
“Non
abbiamo niente per le mani” Sam scosse il capo. “Non al momento almeno.”
Il
viso di Allison si tinse di una specie di delusione, era più noia a dire il
vero. “Capisco. Beh credo che comunque vi raggiungerò, non mi va di stare qui.
Forse comunque nessuno mi ci vuole qui.”
“Ti
ci voglio io” intervenne Marcel facendo arrivando dalla camera da letto. “Con
chi stai parlando?”
“Con
i Winchester e Cass” replicò lei senza guardarlo, ma facendosi poco di lato
quando lui la raggiunse per guardare nel computer.
“Ciao
ragazzi” salutò Sam e Dean e anche Cass che si era piegato poco per farsi
vedere.
“Hey
Marcel” replicò Sam, ma gli altri rimasero in silenzio; Cass perché non lo
conosceva, Dean perché stava mettendo insieme i pezzi.
“Devo
andare” il vampiro diede un bacio sulla guancia ad Allison e salutò lo schermo.
“A dopo.”
“A
dopo” gli disse Allison tornando a guardare i visi dei suoi amici, ognuno dei
quali colorato di un sentimento diverso; l’angelo era perplesso, il minore dei
Winchester imbarazzato, il maggiore invece sorrideva malizioso. “Cosa c’è?”
“Ora
capisco perché hai l’aria stanca come se non dormissi da giorni, forse davvero
non dormi da un po’ ” rispose proprio lui. “Da quanto va avanti?”
“Da
non sono affari tuoi” la cacciatrice si mise in piedi. “Verrò a trovarvi
presto, vi voglio bene. Ciao.”
****
Se
Allison avesse detto che sentire Klaus quel giorno non l’aveva colta di
sorpresa avrebbe mentito. La sua indifferenza non l’aveva ferita come
quella di Elijah perché lei e l’Ibrido condividevano una storia diversa
rispetto a quella che condivideva con l’Originale Elegante e perché Klaus era
fatto in quel modo; abituato a voler bene solo a modo suo, un modo che non era
proprio il migliore ma che era l’unico. Le aveva telefonato durante l’ora di
pranzo mentre lei stava mangiando del cibo cinese da sola, seduta a tavola, in
attesa che fosse l’ora giusta per andare ad allenarsi con Marcel e i suoi vampiri.
La cacciatrice odiava quella versione di sé, non era abituata a starsene ore in
casa a rigirarsi i pollici in attesa di simulare combattimenti con novelli
vampiri… ma d’altronde, si accorse, non era abituata neppure ai rapporti di
solo divertimento senza coinvolgimento. Eppure da quando era a New Orleans
aveva finito con il fare molte cose che prima non avrebbe neppure pensato di
fare.
Quando
Klaus l’aveva chiamata chiedendole di raggiungerlo a Baton Rouge il prima
possibile e dettandole un indirizzo che lei aveva segnato su un fazzoletto di
carta, Allison aveva protestato dicendo che stava pranzando e che se davvero
aveva bisogno di lei avrebbe dovuto aspettare precisandogli anche che era fin
troppo gentile da parte sua aiutarlo, soprattutto considerato il modo in cui
tutti l’avevano trattata negli ultimi tempi, o non trattata visto che
l’indifferenza aveva fatto da padrona. Lui le aveva risposto di non lamentarsi,
ho saputo che da circa un mese hai trovato qualcuno capace di darti tutta la
compagnia che desideri le aveva detto, riferendosi ovviamente a Marcel.
La
cacciatrice aveva riattaccato e aveva riflettuto sulla possibilità di non
andare, ma alla fine si era messa in auto e aveva guidato fino a Baton Rouge,
accorgendosi solo quando era quasi arrivata a destinazione che conosceva quel
posto fin troppo bene. Parcheggiò l’auto e sospirò scendendo; era confusa e
alla confusione si aggiunse la sorpresa quando vide Elijah aspettarla
all’entrata di quell’edificio che le stava davanti.
Le
sorrideva con un’espressione dolce, la guardava con occhi pieni di attesa.
“Elijah” gli disse raggiungendolo. “Che sta succedendo? Perché siamo qui?”
Lui
fece qualche passo avanti fino ad esserle vicino e le si mise accanto
voltandosi a guardare di nuovo la struttura di fronte; la scuola di musica che
lei voleva comprare, per l’esattezza. “Voglio mostrarti una cosa” le porse la
mano e la guardò in attesa che lei la prendesse. Poi la guidò dentro la scuola,
fino ad una stanza dove c’era un pianoforte sul quale era poggiato un fascicolo
pieno di fogli. “Saresti così gentile da mettere alcune firme?”
Allison
corrugò la fronte. “Cosa sono?”
“I
documenti che attestano che questo posto è tuo, alla memoria di Alice
Rosenberg” le spiegò, resistendo ad una miriade di impulsi diversi quando lei
lo guardò con gli occhi pieni di emozione. “Mi è parso di capire che ci tenessi
parecchio e così ho fatto quattro chiacchiere con chi di dovere; mi ci è voluta
un po’ di persuasione ma sai bene che la capacità di convincere qualcuno, per così
dire, fa parte della mia natura.”
“Non
so cosa dire.”
Elijah
allungò la mano e le asciugò il viso bagnato da alcune lacrime con il movimento
delicato del pollice. “Non devi dire nulla, solo firmare e poi farmi un
sorriso. Non c’è niente che io desideri di più se non vedere quelle belle
fossette che ti escono sulle guance ogni volta che sorridi.”
Lei
lo fece, sorrise con dolcezza, asciugandosi gli occhi alla luce fioca della
stanza. Poi lo abbracciò, stringendolo con tutta la forza che aveva, lasciando
che le braccia forti dell’Originale la avvolgessero completamente. “Grazie” gli
sussurrò.
“Non
c’è di che” il vampiro ruppe l’abbraccio ma le strinse le mani e abbassò lo
sguardo. “Mi dispiace di averti evitata in questi giorni” le disse. “È solo
che…”
“Non
devi scusarti Elijah” lo interruppe lei. “O meglio sì, dovresti ma non è
necessario. Ho capito; il bacio che ci siamo dati quando mi hai tirata fuori da
quella grotta è stato un impulso dettato dal momento. Eravamo entrambi
spaventati e sollevati al tempo stesso, io di essere viva, tu che io fossi
viva” sorrise. “Non fa niente, forse non avrebbe neppure funzionato in fondo.
Io non voglio essere un ripiego e tu sei ovviamente innamorato di qualcun
altro. Non mi guardi come guardi lei e a lungo andare la cosa mi sarebbe pesata
parecchio. Va bene così, io e te siamo legati da un legame speciale, non è
necessario etichettarlo in qualche modo preciso, non credi anche tu?” parlò
tutta d’un fiato, sperando che la rapidità con cui le parole le uscivano di
bocca fosse capace di nascondere la verità; non era quello che voleva dire, non
credeva ad una sola parola appena detta.
Ma
lo amava e preferiva farlo in silenzio piuttosto che continuare in
quell’imbarazzante gelo che impediva loro ogni tipo di contatto.
“Sì”
replicò lui dopo qualche secondo, con un sorriso quasi accondiscendente. “Sì,
lo credo anche io.” Mentì, perché non ci credeva. Ma la amava e sentiva che
quello era l’unico modo per non perdere ogni cosa di lei.
****
A
Freya non era mai capitato di avere delle visioni riguardanti persone che non
aveva mai incontrato; di solito le immagini che ogni tanto le facevano visita, -
brevi flash di un possibile futuro - riguardavano la sua famiglia, prima ancora
che diventasse parte integrante di quel gruppo di fratelli che aveva desiderato
conoscere per tutta la vita. Quel giorno, fare quello strano sogno la colse di
sorpresa e la spaventò.
Finiva
col fuoco, con la morte, e sembrava tristemente inevitabile. Non sapeva chi
fosse la bella donna che moriva in modo atroce ma sapeva che stava molto a
cuore alla sua famiglia, a Elijah soprattutto. Lo aveva visto, nella sua notte
irrequieta, piangere disperato per quella morte, trasformarsi in qualcosa di
terribile per colpa del dolore e della disperazione. Lo aveva visto smarrito
come credeva non fosse mai stato. Aveva visto la bestia dietro il bel vestito e
l’atteggiamento gentile.
Frettolosamente
raggiunse la tenuta, incontrando Klaus non appena arrivò. Il suo diffidente
fratello stava raccontando una storia a sua figlia, quella dolce bambina dal
futuro incerto, ma smise di parlare non appena la vide.
“Cosa
vuoi in casa mia?” le chiese, senza nascondere il fatto che non si fidava di
lei, che non gli piaceva e non credeva a niente di quello che aveva raccontato.
“Qualcosa
di terribile sta per accadere” mormorò Freya tremando, spaventata e
infreddolita: due conseguenze della violenza delle sue visioni. “Ho fatto un
sogno, un sogno orribile. C’era una donna, ho visto la sua morte e ho visto le
fiamme. Ho visto Elijah piangere per lei. L’ho visto perdere il controllo alla
ricerca della vendetta. Era tremendo e doloroso” raccontò, la voce tremante,
gli occhi pieni di lacrime.
“Di
che donna parli?” Klaus le si avvicinò di qualche passo.
“Era
qualcuno che nostro fratello ama moltissimo. L’unica donna che so per certo
avere un posto speciale nel cuore di Elijah è Hayley ma non era lei e non so
chi fosse, il suo viso era del tutto nuovo per me.”
L’Ibrido
diede un bacio sulla fronte a sua figlia, poi la mise a sedere su un grande
tappeto nel centro della stanza e sospirò. “Lo so io” mormorò amaramente.
“Questa tragedia, quando dovrebbe avvenire?”
“Non
lo so” la strega scosse il capo. “Forse è già avvenuta, forse domani o fra
un’ora o fra un anno… non lo so” ripeté. “Ma chiunque lei sia è in pericolo.”
Klaus
tirò fuori dalla tasca il cellulare e compose un numero. Una parte di sé
sperava che nessuno avrebbe risposto, l’altra si augurava il contrario. Al
terzo squillo il suono del cellulare si fece vicino ed Elijah entrò in casa
guardandolo perplesso.
“Freya”
salutò sua sorella. “Che succede? Sembri sconvolta.”
“Nostra
sorella ha avuto un incubo. Una donna moriva atrocemente e tu piangevi disperato
per lei. Poi diventavi un mostro alla ricerca di una spietata vendetta.” Spiegò
Klaus. “Non era Hayley però a quanto pare. Quindi dimmi, esclusa Gia per la
quale, siamo onesti, provi più che altro una forte attrazione, la morte di
quale altra donna sarebbe capace di scatenare la bestia che c’è in te?”
Gli
occhi di Elijah si tinsero di terrore. “Allison” sussurrò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 18. Il sogno ***
NDA: Stasera un
aggiornamento per Joel 2.0 :D e in fondo l'outfit di Allison per questo
capitolo. Buona lettura!
18.
IL
SOGNO
Nella
sua mano c’era un cuore ancora pulsante. Allison non aveva idea a chi
appartenesse, né sapeva perché lo stesse stringendo tra le dita. Con disgusto
lo gettò via e guardò in terra; il cuore cadde su una pozza di sangue denso e
dall’odore nauseabondo.
La
scia rossa le aveva sporcato le scarpe e sembrava procedere lungo la strada
creando una specie di traiettoria dritta e stretta. La donna decise di seguirla
e camminò a passo lento a lato.
Girò
a sinistra quando il sangue lasciò la dritta via scomparendo in un vicolo
davanti al quale lei esitò per un istante.
Fece
un grosso respiro poi avanzò; per terra giaceva il corpo di Aiden, gli occhi
aperti e vitrei privi di vita, sul petto un buco all’altezza del cuore.
Allison
capì subito che non c’era niente che potesse fare per lui.
Alzò
gli occhi e notò una figura indistinta, una sagoma confusa che di colpo si
infuocò emanando una energia talmente potente da costringerla a chiudere gli
occhi e a farsi schermo con la mano.
Allison
si svegliò di soprassalto con un gemito spaventato che risuonò nel silenzio
della camera da letto di Marcel. Lui, lì accanto aprì gli occhi e si sollevò
poco poggiandole la mano sulla schiena, sentendola sudata e col respiro
affannato.
“Hey,
che ti prende?” le chiese passandosi l’altra mano sul viso per svegliarsi ben
bene. “Tutto okay?”
Lei
annuì ma si alzò scansando con calma il lenzuolo e indossando i jeans che erano
poggiati sul pavimento. “Sto bene” replicò. “Ho solo avuto un incubo.”
“Hai
spesso incubi che ti terrorizzano così nel cuore delle notte?”
La
cacciatrice rimase in silenzio mentre raccoglieva i capelli fermandoli con un
elastico; non aveva spesso degli incubi tanto terrificanti ma quando li aveva
sapeva bene che non si trattava solo di sogni. La prima volta le era successo
aveva ventidue anni, poco dopo aver conosciuto i Winchester, le volte
successive si erano verificate a distanza nel corso degli anni, mai però quelle
“visioni” – se così poteva definirle – erano state tanto vivide come quella
notte.
Spiegare
a Marcel tutto questo, tuttavia, avrebbe richiesto troppo tempo.
Per
farlo Allison avrebbe dovuto raccontargli una storia confusa che provava a
spiegare il perché era speciale: sogni premonitori, immunità al soggiogamento.
Due cose che ancora in qualche modo rimanevano un mistero anche per lei.
Col
tempo aveva deciso che in fondo andava bene non sapere perché aveva immaginato
che la risposta alle tante domande forse non le sarebbe piaciuta, ma era certa
che se ne avesse parlato a Marcel il vampiro avrebbe voluto indagare per
saperne di più e a lei non andava.
“Solo
quando sono molto stressata” rispose sforzandosi di sorridere prima di voltarsi
a guardarlo. “Sto bene, davvero. Ma devo andare.”
“Dove?
Sono le due e mezzo del mattino, perché non torni a dormire?” Marcel si alzò a
sua volta e la raggiunse, con delicatezza prese a massaggiarle le spalle.
“Non
riuscirei a dormire neppure se prendessi un’intera confezione di sonniferi.
Oramai sono sveglia e attiva, tanto vale usare questa energia per qualcosa di
utile.”
“Ad
esempio?”
Allison
si strinse nelle spalle, si girò e gli diede un bacio sulle labbra. “Una bella
corsetta” gli disse. “E prima che tu ti offra di venire con me, no… non mi
piace correre in compagnia, nessuno riesce mai a starmi dietro” ridacchiò. “A
dopo.”
Il
vampiro la guardò uscire con un sorriso preoccupato.
****
Da
quando una settimana prima Freya gli aveva detto che Allison era in pericolo,
Elijah non era riuscito a dare pace alla sua mente. C’erano migliaia di cose di
cui occuparsi; l’arrivo di Dahlia, di cui la loro ritrovata sorella aveva
raccontato solo cose terribili e con esso l’incolumità di Hope e la paranoia di
Niklaus. C’era la morte di Kol, al quale avevano promesso di fare tutto quanto
in loro potere per riportarlo indietro e c’era Mikael che era tornato dal regno
dei morti. Anche se Freya aveva assicurato loro che non c’era nulla da temere
con loro padre, con il vampiro cacciatore di vampiri in vita non si poteva
stare tranquilli.
L’Originale
elegante però non riusciva a pensare a niente che non fosse quello che Freya
gli aveva detto su quella visione che prevedeva la morte di Allison. L’aveva
definita tragica ed atroce, per lui atroce era anche solo il pensiero di
perderla. Bevve un sorso del suo bourbon e sospirò, Gia non era lì quella
notte, Elijah stava considerando l’idea di finire quella relazione perché
sentiva che avrebbe finito per ferire la bella vampira ed era l’ultima cosa che
voleva fare.
Bussarono
mentre stava allentandosi la cravatta e con la fronte corrugata si avvicinò per
aprire. Allison era fuori la porta, vestita e profumata, i capelli mossi le
incorniciavano il viso bellissimo ma stanco, gli occhi arrossati nascosti
appena dal cappello. Gli sorrise e per Elijah fu come respirare aria fresca.
“Buongiorno.”
“Buongiorno
a te” sussurrò lei. “Mi chiedevo se ti andasse di fare colazione insieme a me,
c’è una cosa di cui vorrei parlarti.”
“Certo”
replicò lui con un sorriso. “Mi piacerebbe molto ma sono appena tornato dalla
tenuta e ho bisogno di una doccia prima di uscire.”
“Va
tutto bene alla tenuta?” domandò Allison togliendosi il cappello e spettinandosi
poco i capelli.
Elijah
annuì, allungò una mano e le sistemò qualche ciocca con dolcezza. “Sì, va tutto
bene alla tenuta, dovresti passare a trovare Hope qualche volta.”
“Non
credo sia il caso, Hayley non mi sopporta e a Klaus non manco di certo”
constatò lei con un grosso respiro. “Rebekah, anche se ha detto che va bene,
forse mi odia perché… beh sai perché, e questo spiegherebbe perché non è venuta
a trovarmi nemmeno una volta da quando vivo in questo posto. Jackson mi conosce
appena quindi dubito che gli importi più di tanto se vado a trovarli o no. Come
ho detto, non credo sia il caso. Ad ogni modo, posso entrare e aspettare che tu
sia pronto o preferisci che inizi ad andare e tu…”
“Vieni
dentro” la interruppe lui. “Oltretutto sono le cinque del mattino, non credo
che ci sia già qualche posto aperto per fare colazione a quest’ora.”
Allison
guardò il suo orologio da polso. “Non mi ero accorta che fosse così presto,
anche perché sono sveglia da ore, è proprio di questo che vorrei parlarti.”
L’Originale
si fece di lato per farla entrare e richiuse la porta una volta che fu dentro.
“Anche io devo dirti una cosa Allison, devo dirtela da un po’.”
“Questa
colazione è provvidenziale allora” scherzò lei con un sorriso lanciando
un’occhiata al letto e decidendo di sedersi su una sedia invece. “Aspetterò
seduta qui.”
Elijah
abbozzò un sorriso intuendo i suoi pensieri, ma non disse nulla. “Farò in
fretta.”
****
Lebanon,
Kansas
Sangue,
sangue ovunque. Sangue e lacrime. Sangue e fuoco. Finiva così la vita di una
persona; in un attimo e in tragedia.
Sam
aprì gli occhi di scatto e si portò una mano alla fronte scoprendo di essere
sudato e caldo. Quello che aveva sognato non gli piaceva affatto e di certo non
era solo un sogno, non lo era mai per lui. Controllò l’ora e si accorse che
erano le otto e trenta del mattino, persino troppo tardi per i suoi soliti
orari. Si alzò e raggiunse la cucina dove Cass e Dean stavano analizzando
alcune carte e leggendo alcuni libri cercando di capirne di più su quel male
che loro stessi avevano liberato nel mondo e che ora era loro compito
sconfiggere.
“Hey”
lo salutò Dean quando lo vide. “Io e Cass forse abbiamo trovato qualcosa.”
“Non
ne siamo del tutto certi” aggiunse l’angelo. “Ma siamo cautamente ottimisti.”
“Cautamente
ottimisti?” gli fece eco Dean. “Cielo, parli come uno delle previsioni meteo.”
“Cosa
c’è di male in quelli delle previsioni meteo?”
“Ragazzi!”
li interruppe Sam. “Abbiamo un problema. Ho avuto un incubo questa notte.”
“Per
incubo intendi una di quelle tue strambe visioni dal futuro?”
Sam
annuì guardando suo fratello, gli occhi pieni di lacrime e paura. “Ho sognato
del sangue, tanto sangue. Una vita che finiva in modo atroce… era la vita di Allison.”
Castiel
e Dean si scambiarono un’occhiata terrorizzata mentre il minore dei Winchester
scuoteva amaramente il capo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** 19. La premonizione ***
19.
LA
PREMONIZIONE
"Grazie"
Allison sorrise alla cameriera mentre si toglieva gli occhiali e il cappello e
li poggiava sulla seduta lì accanto. Con un sospiro lanciò un'occhiata alla
torta di mele che le stava davanti; aveva un aspetto magnifico e il suo stomaco
brontolava affamato. "Se sicuro di non volere una fetta di torta? Ti
assicuro che è ottima, vengo qui quasi ogni mattina da quando sono a New
Orleans."
Elijah
sorrise scuotendo poco il capo e bevve un sorso del suo tè. "Sicuro"
confermò. "Quindi è qui che tu e Marcel venite a fare colazione al
mattino?"
Allison
arricciò la bocca. "Vuoi davvero parlare di me e Marcel? Perché io non ho
alcun problema a farlo."
"No,
credo che passerò."
"Ne
ero certa" la cacciatrice bevve un sorso di caffè scottandosi poco la
lingua. "Allora, di cosa volevi parlarmi?"
"Freya
ha fatto un sogno che ti riguarda, o almeno crediamo che riguardi te."
"Credete?"
"Ha
detto che era tutto molto confuso, anche quando le ho mostrato la tua foto ha
detto che non era sicura al cento per cento, ma non è questo il punto."
"Tua
sorella, che non conosco e che non mi conosce ha fatto un sogno che mi riguarda
e non è questo il punto? E quale sarebbe allora?"
"Il
punto è" l'Originale si fermò e sorrise ad una bambina che gli era appena
passata accanto con la mano stretta in quella della madre. "Il punto
è" riprese, "che nel suo sogno tu... morivi."
Allison
rimase con la forchetta a mezz'aria e lo guardò negli occhi. I due bocconi di
torta che aveva mangiato sembrarono girarle dentro lo stomaco e le guance le si
colorarono, o almeno le parve di percepire un lieve calore. La preoccupazione
però lasciò subito il posto ad una specie di consapevolezza che in qualche modo
la rincuorò ma che, ne era sicura, sarebbe stata difficile da spiegare ad
Elijah.
"Tutto
qui?" domandò.
"Che
significa tutto qui? I sogni di mia sorella non sono mai solo sogni
Allison, perché la cosa sembra non turbarti affatto?" La voce
dell'Originale si fece quasi severa ma la donna sapeva che erano per lo più
preoccupazione e paura per le sue sorti.
"Mi
turba" spiegò lei poggiando la forchetta sul piatto. "E mi spaventa
anche ma..." cerca di trovare le parole giuste, si disse. "Il punto
è, Elijah, che non è la prima volta che una qualche premonizione annuncia che
sono in pericolo. È già successo in passato ed eccomi ancora qui."
"È
questa la tua risposta? È già successo e quindi non faremo nulla al
riguardo?"
"Cosa
dovremmo fare esattamente?"
"Non
lo so... tanto per iniziare potresti venire con me a conoscere Freya, magari vedendoti,
con un contatto saprà capace di dirci di più."
"Se
la cosa ti fa stare più tranquillo allora va bene, incontrerò Freya e ascolterò
quello che ha da dire."
"Grazie"
mormorò Elijah anche se doveva ammettere di essere un po' confuso. "Allora
ci andremo subito dopo colazione."
"Non
posso" Allison scosse il capo. "Dopo colazione devo occuparmi di una
cosa ed è proprio di questo che volevo parlarti. Anche io ho fatto un sogno e
anche se non sono una potente strega millenaria ti assicuro che anche i miei
sogni non sono solo sogni."
"Cosa
hai sognato?"
"Ho
sognato Aiden, anzi per essere più precisi, la sua morte." Spiegò.
"Voglio sapere tutto di lui perché voglio evitare che quello che ho visto
si avveri."
****
L'appartamento
di Josh era piccolo ma carino; Allison ne aveva visto solo l'esterno un giorno
che aveva accompagnato Marcel ad una specie di riunione col giovane vampiro.
Non era voluta salire, nonostante fosse stata invitata a farlo perché non aveva
ancora ben chiara tutta quella storia della premonizione e non aveva voluto
correre il rischio di imbattersi in Aiden, ma stavolta doveva farlo volente o
nolente, anche se non ci aveva ancora capito molto.
Elijah
bussò due volte con calma e la cacciatrice sentì il cuore accelerare di un
battito, il cappello che aveva sembrò scaldarle il capo ed il viso ma la
sensazione durò un istante. Un istante che però non sfuggì all'Originale.
"Stai
bene?" le chiese infatti guardandola.
Lei
scosse il capo ma non disse nulla, certa che in fondo lui capisse i suoi
pensieri in quel momento. Non le era mai piaciuta quella storia delle visioni
anche se, come Sam le aveva detto una volta, è meglio sapere prima cosa accadrà
così possiamo quantomeno provare ad evitarlo. Peccato però che – a parte una
sola volta – non erano mai riusciti a risolvere nulla. Quella unica volta che
avevano evitato la tragicità della visione era stato in Kansas, in quella che
era stata la casa dei Winchester fino alla tragica morte della loro madre.
"Vuoi
che ci parli io?" le domandò ancora Elijah, lo sguardo scuro cercò il suo
accompagnato da un sorriso gentile.
"No,
se ho visto quello che ho visto è perché in qualche modo riguarda me, è giusto
che lo faccia io."
L'Originale
annuì pensando che era stato persino stupido chiederglielo; Allison Morgan non
si sottraeva mai alle proprie responsabilità, nemmeno se erano le più dolorose
e difficili. La porta si aprì proprio in quel momento e Josh li fissò perplesso
coi capelli umidi e una camicia chiara abbottonata a metà.
"Ciao
ragazzi" disse loro con un sorriso imbarazzato abbottonando quello che era
rimasto aperto. "Cosa vi porta qui?"
"Hey
Josh" lo salutò la cacciatrice. "Scusa se piombiamo qui a quest'ora
del mattino. È colpa mia in realtà, Elijah mi ha solo accompagnata."
"Non
c'è problema" sorrise l'altro. "Stai bene Allison? Sembri...
preoccupata."
"Lo
sono un po' in effetti..." confermò lei. "Aiden è qui?"
"Sì,
è sotto la doccia" Josh indicò la casa con un dito. "Entrate
pure."
Elijah
ed Allison lo fecero e lei si mise a sedere sul divano poggiando il cappello
sul piccolo tavolino di legno davanti. "Josh, temo di non portare buone
notizie" iniziò. "Ma riguardano Aiden quindi forse è meglio se
aspettiamo che finisca con la doccia."
"Cavolo"
mormorò Josh scuotendo poco il capo. "Che faccia scura. Vado a dirgli di
darsi una mossa."
Allison
annuì e Josh lo fece.
****
Molte
ore dopo, quando finalmente tornò a casa, era sera ed Elijah insistette per
accompagnarla fin dentro l'appartamento. Non voglio lasciarti sola, le
aveva detto dopo la giornata difficile che aveva trascorso. Prima dover dire ad
Aiden che una sconosciuta forza oscura stava per abbattersi su di lui, poi
Freya con la sua profezia di morte, infine brutte notizie da parte dei
Winchester... Allison avrebbe potuto far presente all'Originale che non sarebbe
stata sola, che sicuramente Marcel sarebbe passato ma la verità era che non era
del bel vampiro dalla pelle color ebano che aveva bisogno in quel momento, ma
del misterioso Originale in completo che sapeva leggerle fin dentro l'anima con
un semplice sguardo.
"Casa
dolce casa" sussurrò la donna quando lui richiuse la porta. "Anche se
oggi non c'è stato nulla di dolce ad essere onesti." Elijah rimase in
silenzio ma si tolse la giacca e arrotolò con cura le maniche della camicia
fino al gomito facendola corrugare la fronte. "Cosa stai facendo?"
"Ti
preparo la cena."
"È
molto gentile da parte tua, ma non ho appetito. Magari ordinerò una pizza più
tardi."
"Non
se ne parla" lui scosse il capo. "Hai bisogno di una cena vera"
aprì il frigo e ci guardò dentro tirando fuori una scatola dentro la quale
c'erano due involtini primavera. "E fresca soprattutto. Da quanto tempo
questi stanno lì dentro?" le chiese poggiandola sul ripiano di acciaio.
"Da
due giorni credo, non lo so per certo" Allison lo raggiunse. "Ma sono
certa che sono ancora buoni e non credo che troverai molto con cui cucinare in
quel frigorifero. Non faccio la spesa da un po' e comunque devo raggiungere i
Winchester per qualche tempo, partirò domani sera al massimo, quindi..."
"Non
credo che dovresti andare."
"Come
scusa?"
"Allison,
hai sentito cosa ha detto mia sorella Freya, vorrei che tu rimanessi dove posso
proteggerti, e cioè qui."
La
cacciatrice si inumidì le labbra. "Elijah, non metterò la mia vita in
stallo solo perché una profezia dice che sono in pericolo. Io vivo nel
pericolo, ogni giorno della mia vita. E so badare a me stessa."
"So
che sai farlo ma non credo che tu capisca la gravità della situazione o forse
sì e non te ne importa."
"Elijah..."
"A
me importa Allison" la interruppe lui. "Fa un'enorme differenza per
me saperti viva e in salute e sono certo che se raccontassi tutto ai tuoi amici
anche per loro ne farebbe e non ti chiederebbero aiuto per nulla, proverebbero
invece ad aiutare te."
"Perché?"
lei ridacchiò nervosamente. "Perché fa tutta questa enorme differenza per
te El? Ci vediamo due volte all'anno, quando va bene, e non andiamo mai da
nessuna parte, rimaniamo sempre fermi nello stesso stramaledetto punto. Sai, analizzando
oggettivamente la situazione noi non siamo neppure amici forse, siamo dei
semplici conoscenti."
"Perché
parli così?"
"Perché
lo stai facendo di nuovo Elijah" gli disse lei con calma. "Mi guardi
e mi parli come se provassi per me quello che io provo per te ma non è così e
questa cosa mi fa più paura di quello che ha detto Freya."
Elijah
deglutì a vuoto e abbassò per un attimo lo sguardo. "Io non..."
"Non
dire che è complicato Elijah perché non lo è. Se non ricordo male eravamo
d'accordo sul fatto di essere solo amici. Hai detto che credevi anche tu che
fosse la cosa giusta."
"Non
era quello che intendevo" mormorò lui. "Quando hai detto..."
"Non
farlo" lo interruppe lei. "Perché io intendevo esattamente quello che
ho detto. Mi guardi con affetto Elijah, forse persino con amore. Ma non con
quel tipo di sentimento che sto cercando... non mi guardi come guardi Hayley ed
è quello il tipo di amore che voglio. È quello il tipo di amore che io provo
per te."
"Va
tutto bene qui?" la voce di Marcel arrivò di improvviso ed Allison si
chiese da quanto fosse lì, sperò non da tanto perché anche se sapeva che
dovevano parlare non era quello il modo in cui sperava di iniziare il discorso.
"Benissimo!"
Esclamò proprio lei annuendo. "Elijah stava andando via."
Elijah
Mikaelson se ne andò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** 20. L'inizio ***
Amici, il primo Romanzo
con protagonista Allison Morgan e ora acquistabile su Amazon a questo
link The
Family Business - La profezia sia in versione cartacea
che e-book. Inoltre vi comunico che ho aperto da poco un blog in cui si
parlerà di libri e ff e serie tv e tutto ciò che
è bello :D lo trovate qui: librilandia venite a
seguirlo :)
Buona lettura e
lasciatemi un commento se vi va :D
20.
L’INIZIO
Il
fuoco le bruciava la pelle, si portava via ogni parte di lei lentamente e
dolorosamente. Era l’inizio della fine, quello lo sapeva, quello che non sapeva
era cosa ci sarebbe stato dopo. Avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto, chiedere
cosa la aspettava ma la sua voce era bloccata al centro del suo petto. Tutto
ciò che desiderava era una mano che afferrasse la sua e la tirasse via da quell’inferno
che la stava consumando. Una mano capace di stringere con amore.
Allison
aprì gli occhi senza emettere neppure un suono, ma li aprì talmente in fretta
che le fecero male per qualche secondo e il tetto girò sotto il suo sguardo.
Deglutì a vuoto e fece un grosso respiro cercando di riprendere il controllo;
era a Lebanon, Kansas, nella sua stanza dentro il bunker degli Uomini di Lettere.
Era lì oramai da un mese eppure, in giorni come quello, quando gli incubi la
svegliavano di soprassalto, era difficile capire dove fosse una volta aperti
gli occhi. Le serviva qualche secondo e poi, per fortuna, ogni pensiero tornava
al proprio posto.
Si
alzò a sedere sul letto e spostò indietro i capelli senza però lasciarli. Non
capiva cosa fosse quel sogno, non capiva chi riguardasse, non ci capiva più
niente. Quando lo aveva raccontato a Sam il suo amico era andato subito nel
panico. I tuoi brutti sogni e il mio brutto sogno su di te non significano niente
di buono se lo chiedi a me, le aveva detto. E quando aveva iniziato a fare
ricerche su ricerche su quei polverosi libri dentro il bunker, su internet e
dovunque gli capitasse a tiro, Allison aveva deciso di tirarlo fuori da quel
tormento, di tirare fuori anche lei stessa e aveva incolpato lo stress per
tutto.
Diamoci
una calmata e tutto andrà bene aveva detto sia a Sam che a
Cass e Dean. Da allora erano passati ventuno giorni esatti e in quelle tre
settimane i suoi incubi si erano fatti più frequenti e vividi al punto da
sembrare veri. Ma si erano fatti anche molto più confusi. Con la coda dell’occhio
si accorse che lo schermo del suo cellulare continuava ad illuminarsi; il
numero di Marcel comparve lampeggiando due volte. Due messaggi, ed erano i
primi che le inviava da quando avevano rotto. O meglio, da quando lei aveva
rotto con lui con le parole più banali al mondo che però, in quel caso, erano
anche le più veritiere: ti meriti di meglio di una donna che è innamorata di
un altro uomo. Spero torneremo ad essere amici prima o poi. E quelle due
frasi avevano messo fine a quella improvvisata relazione che però, doveva
ammetterlo, era stata una sorta di balsamo per il suo cuore e la sua anima. Afferrò
il cellulare e lesse.
Un mese mi è stato sufficiente per capire che mi manca la
mia amica cacciatrice. Torna presto perché i miei vampiri hanno ancora bisogno
di allenamento, quello intensivo che solo tu sai offrire.
Allison
scosse il capo sorridendo prima di leggere quello che era arrivato un secondo
dopo;
Ah e mi devi ancora una pizza e una birra e una serata
spaparanzato sul tuo divano.
Non dimenticarlo!
Lei
decise che avrebbe risposto dopo anche perché non aveva ancora pensato a come
dirgli esattamente che forse non sarebbe più tornata a New Orleans. Scorse le
ultime chiamate e dopo una sfilza di telefonate di Elijah, a cui non aveva mai
risposto, trovò il numero di Rebekah. Ridacchiò quando avviò la telefonata e la
faccia buffa della sua amica comparve al centro dello schermo. Il suo viso
originale e non quello del corpo che occupava da un po’. Due squilli e poi lei
rispose.
“Rebekah,
devo chiederti un favore.”
****
“Che
diavolo significa che non hai intenzione di tornare a New Orleans?” Rebekah si
affacciò al balcone della sua camera e sospirò guardando il sole alzarsi sul
Quartiere Francese. Era bello quel posto, era vivo. Il cielo iniziava solo
allora a schiarirsi eppure poté vedere il chiaro dell’azzurro svelare che
sarebbe stata una bella giornata. Allison invece portava brutte notizie e lei
non sapeva esattamente come rispondere perché la capiva anche se non lo accettava
e perché, in fondo, credeva che non sarebbe riuscita a farle cambiare idea.
Qualcuno avrebbe potuto ma era tutto molto complicato.
“Esattamente
quello che ho detto.” Replicò la sua amica dall’altra parte del
telefono. “Andiamo Rebekah lo sia meglio di me che questa è la cosa
migliore. Sempre e per sempre non si è mai esteso fino a me; ha abbracciato
Hayley e forse ha sfiorato Gia ma a me non ci è mai arrivato ed era l’unico
motivo per cui avevo deciso di rimanere.”
“E
che ne è del fatto che pericoli nuovi ogni giorno ci attendono? Credevo che
avessi deciso di rimanere per aiutarci, per Hope, per l’avventura.”
“Voi
non avete bisogno del mio aiuto, siete gli Originali.”
“E
che ne è di Elijah? Senti, non so cosa è successo precisamente tra di voi prima
che te ne andassi, ma è uno straccio da allora. E quella specie di premonizione
di cui mia sorella Freya ha parlato? Devi assolutamente tornare qui, dobbiamo
capirci di più prima che si avveri.”
“Rebekah,
Elijah starà benissimo e anche io starò bene, non preoccuparti per me. Dimmi
solo se puoi o no farmi questo piccolo favore.”
“Mi
hai chiesto di portarti le cose che hai lasciato nel tuo appartamento ad Algiers
e di mentire a mio fratello. Cosa dovrei dirgli quando mi chiederà se ho tue
notizie, se so se tornerai?”
“Digli
quello che vuoi, non mi importa perché non è colpa mia se le cose sono andate
così. Gli ho detto che lo amo e che ero pronta a mollare tutto per lui ma non
ha mai fatto un passo avanti quindi io ne ho fatto uno indietro perché non mi
va di aspettare che mi spezzi il cuore. Puoi biasimarmi per questo Rebekah?”
L’Originale
arricciò poco la bocca, infine si strofinò gli occhi. Poteva biasimarla? No. Ma
non avrebbe mentito ad Elijah e avrebbe concesso ad entrambi quei testoni di
suo fratello e della sua amica l’occasione di chiarirsi una volta per tutte.
Non riteneva necessario che loro lo sapessero però. “Dove vuoi che ti porti
tutto?”
“Baton
Rouge, ti invio l’indirizzo con un messaggino. Ci vediamo domani alle ventidue
in punto. E Rebekah…”
“Sì
sì lo so” tagliò corto il vampiro ora strega. “Verrò da sola, senza Elijah.”
“A
dire il vero volevo dire grazie ma anche quello che hai detto tu va bene. A
domani.”
“A
domani.” Rebekah riattaccò e fece un grosso respiro voltandosi per rientrare.
Nella stanza, vicino alla porta e con le mani in tasca c’era Elijah. “Elijah,
da quanto sei lì?”
“Solo
da qualche secondo, ero venuto a chiamarti per la colazione ma eri al telefono
e così ho atteso che finissi” spiegò suo fratello. “Era Allison?”
Rebekah
sorrise quasi teneramente. “Sai che era lei, hai il super udito, ce l’ho anche
io o meglio ce l’ho nel mio corpo originale ma non in questo… e a te non
importa assolutamente nulla di tutto questo, vuoi solo sapere cosa mi ha detto.”
Lui
rimase in silenzio così lei continuò. “Sta bene ma non tornerà a New Orleans.”
“Vorrei
dire di essere sorpreso, ma non lo sono.” La voce di Elijah era triste, il tono
amareggiato. Si mise a sedere sul bordo del letto e respirò a fondo. Sua
sorella lo raggiunse e si lasciò cadere a sua volta sul materasso morbido.
“Ti
ha detto che ti ama e non le hai risposto Elijah, anche se è ovvio che provi lo
stesso. Perché non hai fatto un passo verso di lei quando ti ha detto quello
che provava?”
“Stavo
per farlo” l’Originale elegante si voltò a guardala per un attimo. “Stavo per
dirle ogni cosa ma poi lei ha detto che era meglio rimanere amici e ho detto
che ero d’accordo.”
“Perché
cavolo lo hai fatto?”
“Perché
avevo la sensazione che se avessi detto qualcos’altro l’avrei persa ed io non
voglio perderla.”
Rebekah
scosse il capo, poi gli poggiò una mano sulle spalle. “Per fortuna la tua
sorellina ha sempre una soluzione. Avrai un’altra occasione Elijah, non
sprecarla.”
****
Allison
accese la luce sollevando la grande leva, come Elijah le aveva spiegato e tossì
infastidita dall’odore di polvere. Richiuse la grande cassetta di ferro e
percorse il corridoio fino all’aula in cui l’Originale le aveva fatto firmare
le carte che dicevano che quel posto era suo, alla memoria della sua bella
mamma. Si disse che era un vero peccato che i lavori non sarebbero mai stati
completati, ma se voleva andare avanti e voleva uscire da quella specie di
limbo in cui sentiva di essere precipitata, avrebbe dovuto trovare un altro
modo per onorare sua madre.
“Mi
dispiace mamma” mormorò mentre sollevava il polsino della giacca di pelle per
scoprire l’orologio. Le ventuno; era arrivata un po’ in anticipo ma lo aveva
fatto di proposito. In quell’ora in attesa di Rebekah avrebbe riflettuto perché
sapeva che la sua amica avrebbe provato in tutti i modi a convincerla a tornare
a New Orleans e non era certa di avere una risposta valida a tutte le domande
che le sarebbero piovute addosso. Non ancora almeno…
Nella
sua mano c’era un cuore ancora pulsante. Allison non aveva idea a chi
appartenesse, né sapeva perché lo stesse stringendo tra le dita. Con disgusto
lo gettò via e guardò in terra; il cuore cadde su una pozza di sangue denso e
dall’odore nauseabondo.
La
cacciatrice scosse il capo con energia per scuotere via quel flash che era
arrivato improvviso ma un altro arrivò subito e fu come se la testa le stesse
per esplodere.
Alzò
gli occhi e notò una figura indistinta, una sagoma confusa che di colpo si
infuocò emanando una energia talmente potente da costringerla a chiudere gli
occhi e a farsi schermo con la mano.
“Ma
che diavolo…” mormorò un minuto prima che il suo corpo si scaldasse così tanto
da farla gemere di dolore. Nella sua mente si aprì un’altra immagine confusa
infine il dolore sembrò calmarsi, o meglio, si concentrò solo su una parte del
suo corpo; il polso sinistro. Sforzandosi fece qualche passo avanti pensando
che forse era il caso di uscire a prendere una boccata d’aria ma si accorse che
non poteva uscire, era bloccata da una forza invisibile. Si ricordò di aver
lasciato il cellulare in auto e dandosi della stupida si ricordò anche che
presto Rebekah sarebbe stata lì. Si disse che doveva solo resistere un po’.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** 21. La fine ***
avvertimento libro e blog
Amici, il primo Romanzo
con protagonista Allison Morgan e ora acquistabile su Amazon a questo
link The
Family Business - La profezia sia in versione cartacea
che e-book. Inoltre vi comunico che ho aperto da poco un blog in cui si
parlerà di libri e ff e serie tv e tutto ciò che
è bello :D lo trovate qui: librilandia venite a
seguirlo :)
Buona lettura e
lasciatemi un commento se vi va :D
21.
LA
FINE
Elijah
era arrivato con quindici minuti di anticipo per nulla sorpreso di vedere
l’auto di Allison già ferma fuori all’edificio, le luci della grande scuola di
musica accese illuminavano tutto il buio intorno. L’Originale pensò che quello
doveva essere stato un bel posto quando la madre di Allison ci aveva lavorato.
Sulla facciata oramai rovinata poteva immaginare lo splendore di un tempo,
quelle belle piante rampicanti con piccoli fiori colorati che ricordava dalla
foto che Allison gli aveva mostrato. Quello stesso giorno gli aveva chiesto di
fare una passeggiata con lei ma lui aveva rifiutato e ora ripensandoci non
poteva fare a meno di chiedersi se invece non sarebbe stato meglio accettare,
cosa sarebbe successo se avesse passeggiato con lei quel giorno; forse ora
starebbero cenando insieme, felici.
Fece
un grosso respiro mentre avanzava verso l’entrata e il suo pensiero volò ad
Hayley… l’aveva amata, di certo lo aveva fatto, ma Allison aveva sconvolto ogni
cosa e lui l’aveva amata di più, più di ogni altra cosa, più di ogni altra
donna ed era arrivato il momento di dirglielo. Non sprecare questa occasione
gli aveva detto Rebekah, lui non ne aveva nessuna intenzione.
Chiuse
gli occhi quasi stordito dall’odore di sangue che gli accarezzò le narici una
volta dentro, l’odore di quel sangue che conosceva fin troppo bene. “Allison!”
la chiamò guardandosi intorno mentre si sbottonava la giacca pronto a qualunque
cosa. “Allison, dove sei?” disse ancora urlando.
Ci
fu silenzio, poi lei urlò un qui che gli fu sufficiente per
raggiungerla.
“No
no, fermati!” L’Originale si fermò mentre la mano della donna era ancora aperta
e tesa verso di lui. “C’è una specie di barriera o qualcosa del genere, una
volta da questo lato non potrai più uscire e…” un colpo di tosse ed Allison
diventò paonazza mentre dalla sua bocca cadevano lenti rivoli di sangue. Elijah
la raggiunse in pochi passi e si piegò sulle ginocchia, una mano sulla schiena
della cacciatrice.
“Sei
ferita?” le chiese cercando il suo sguardo. Lei lo evitò per alcuni secondi,
poi scosse il capo e si pulì le labbra con la manica del giubbino.
“Non
proprio” gli disse alzando infine la stessa per mostrargli il simbolo che le si
era formato sul polso; una specie di croce capovolta che sembrava essere marchiata
a fuoco. “Sai cos’è?”
Lui
scosse il capo girando poco il polso per guardare meglio. “No, ma sembra
doloroso” mormorò guardandola negli occhi. “Tu sai cos’è?”
“L’ho
già vista in passato” confermò Allison. “È una maledizione voodoo, il marchio
del traditore. E hai ragione, è piuttosto doloroso.”
“Il
marchio del traditore?” ripeté lui, “non capisco, perché qualcuno avrebbe
dovuto maledirti? Come traditrice poi…”
“Non
lo so” Allison deglutì a vuoto e con fatica si mise in piedi aiutata da Elijah.
“Ma una cosa la so per certo. Non c’è cura” spiegò. “Morirò fra quattro ore
circa.”
L’Originale
la guardò preoccupato.
****
“Niklaus!”
esclamò Elijah andando avanti e indietro per la stanza, anche al di là della
barriera che teneva Allison bloccata da un lato ma che, avevano scoperto per
caso, lui era liberissimo di oltrepassare. Era nervoso e per quanto lei volesse
dirgli di stare calmo, non ne aveva la forza. “Non credo che tu capisca la
gravità della situazione. Se non trovi Freya, trova un’altra strega e fallo
adesso perché non abbiamo molto tempo.”
“A
quale strega dovrei affidare le sorti di Allison secondo te? Non so se lo hai
notato ma ha una bella fila di nemici che farebbero qualunque cosa per farla
fuori, dovrei servire ad una strega qualunque una tale opportunità su un piatto
d’argento?”
Elijah
si strofinò gli occhi e cercò di riprendere il controllo. “Ho provato a darle
il mio sangue ma sembra che abbia peggiorato la situazione. Ti prego fratello,
abbiamo pochissimo tempo ed io… io non so cosa fare.”
“Lo
so, sto facendo del mio meglio Elijah, proverò un’ultima volta a rintracciare
Freya, dopodiché troverò qualcun altro se costretto, di’ ad Allison di
resistere.”
L’Originale
elegante la guardò; era pallida, lo sguardo perso su un punto indefinito del
pavimento, la mano stretta intorno a quel simbolo maledetto, il corpo scosso da
tremiti di tanto in tanto.
“Sono
stanca” mormorò di improvviso mentre le palpebre le si chiudevano piano. “Tanto
stanca.”
“Allison!”
la chiamò Elijah avvicinandosi e stringendole piano il viso, senza lasciare il
telefono, un po’ perché voleva che Klaus capisse quanto grave fosse la
situazione, un po’ perché nel momento in cui avrebbe riattaccato si sarebbe
ritrovato solo con la sua immensa paura di perderla. Non era certo di essere
pronto. “Devi rimanere sveglia, ti prego.”
“Mettimi
in vivavoce Elijah” gli disse Klaus dall’altro capo del telefono e
lui lo fece. “Ciao, guerriera” la salutò cercando di sembrare
tranquillo.
“Forse
un tempo” parlò lei, sentiva le labbra secche farle male. “Oggi non direi. Mi
sento tutto tranne che una guerriera.”
“Ma
lo sei, chi ha il fuoco dentro come te lo ha sempre, indipendentemente da
tutto.”
Allison
abbozzò un sorriso, poi si schiarì la voce e diede un colpo di tosse. “Klaus,
ho bisogno che tu faccia qualcosa per me.”
“Qualunque
cosa.”
“Smetti
di cercare un modo per aiutarmi, vai a casa e stringi tua figlia tra le
braccia. Per me è troppo tardi comunque.”
“Cosa
stai dicendo?” le chiese Elijah scuotendo il capo.
“Metti
via il telefono Elijah, mettilo via e stringimi forte. Se proprio devo morire,
tanto vale farlo tra le braccia dell’uomo che amo.”
“Tieni
duro Allison, troverò Freya. Devi solo resistere un altro po’.”
“Ti
voglio bene Klaus” gli disse lei senza staccare gli occhi da Elijah sulle cui
guance scivolavano lente alcune lacrime. “Dai un bacio ad Hope da parte mia.”
****
“È
buio pesto, chi c’è lì fuori? Ci sono intorno strani rumori. È buio pesto, io
ho paura! Qualcuno gratta la serratura. È buio pesto, mamma, papà! Nessuno
viene, dormono già. La notte passa, arriva il mattino: un lupacchiotto mi è
stato vicino. Un lupacchiotto di stoffa pelosa che tra le mie braccia dolce
riposa.”
Elijah
corrugò la fronte e con un sorriso dolce allungò la mano e le accarezzò il viso
con dolcezza. “Cosa stai mormorando?”
Allison
rannicchiò su se stessa in posizione fetale, il braccio del suo bell’Originale
elegante sotto la sua testa a farle da cuscino da quasi un’ora, da quando
avevano deciso di sdraiarsi su quel pavimento polveroso. “È una vecchia
filastrocca che mia madre ed io recitavamo la sera quando ero piccola e avevo
paura del buio. Solo che io non avevo un lupacchiotto, piuttosto un orsetto con
un solo occhio.”
“E
l’altro dov’era finito?”
“Nello
stomaco del cane dei nostri vicini” ridacchiò Allison.
“Non
parli mai della tua infanzia, ma a me sembra che fosse felice.”
“Lo
era” sussurrò Allison. “Avevo tanti sogni e una lista di undici cose che mi ero
ripromessa di fare crescendo.”
“Che
tipo di cose?”
“Cose
che non ho mai fatto. A parte alcune. Vuoi sentirle?”
Elijah
annuì. “Certo che voglio.”
“Punto
uno trovare un principe azzurro; due avere un cane da chiamare Cupcake; tre avere
una collana come quella di mamma; quattro essere un dottore come papà” si fermò
per riprendere fiato. “Cinque trovare una fidanzata per Matt; sei adottare un
criceto che si chiamerà Gigì; sette comprare una casa con un grande giardino;
otto aiutare la mia migliore amica Melody con il suo gatto Graffio; nove fare
una festa a sorpresa per i cinquant’anni di papà. E infine,
andare sott’acqua con gli occhi aperti.”
L’Originale
sorrise. “Era una bella lista ma queste sono solo dieci cose.”
“La
undicesima era più un’aggiunta al punto primo.”
Elijah
sentì che il battito di Allison stava rallentando in modo spaventoso, la sua
pelle stava diventando fredda, gli occhi si spegnevano ogni secondo di più. “Cos’era?”
le chiese con la voce rotta di pianto.
“Il
principe azzurro doveva guardarmi con amore assoluto, come se non ci fosse
niente di più importante al mondo. Come mi stai guardando tu adesso.”
Il
vampiro chiuse gli occhi, avvicinò il viso al suo e la baciò. “Ti amo” le
sussurrò. “Mi dispiace di averci messo tanto a dirlo.” Riaprì gli occhi, ma le
iridi nocciola che incontrò erano vitree e prive di vita. La sua Allison era
morta.
“Allison”
la chiamò. “Ti prego resta con me.” privo di ogni forza se la strinse al petto
affondando il viso tra i suoi capelli. “Ti prego, torna da me.”
Lei
però non poteva tornare. Elijah si accorse che quello che stava provando in
quel momento era il dolore più grande che avesse mai provato. Nemmeno quando
Hayley era morta dando alla luce Hope si era sentito così perso, così
disorientato e disperato. Fu in quel momento che Klaus, Freya e Rebekah
entrarono nella stanza, ma non c’era più niente che potessero fare oramai.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** 22. Spegnilo ***
avvertimento libro e blog
Amici, il primo Romanzo
con protagonista Allison Morgan è ora acquistabile su Amazon a questo
link The
Family Business - La profezia sia in versione cartacea
che e-book. Inoltre vi comunico che ho aperto da poco un blog in cui si
parlerà di libri e ff e serie tv e tutto ciò che
è bello :D lo trovate qui: librilandia venite a
seguirlo :)
Buona lettura e
lasciatemi un commento se vi va :D
22.
SPEGNILO
Marcel
arrivò alla tenuta col cuore in gola. Se ci pensava non ricordava una singola
volta in cui avesse corso così veloce negli ultimi anni; forse lo aveva fatto
solo da piccolo quando veniva picchiato e maltrattato e fuggire era l’unico
modo di sopravvivere. Questa volta però la sensazione era diversa. Non correva
per fuggire, correva piuttosto per raggiungere qualcosa, anzi qualcuno. Dal
modo in cui Rebekah piangeva quando gli aveva telefonato, dal modo in cui
parlava, da quello che aveva detto, Marcel era sicuro che fosse già troppo
tardi, eppure aveva corso.
“Klaus!”
esclamò quando lo vide, girato di spalle con le mani incrociate dietro la
schiena a fissare un punto indefinito. “Dov’è?” gli chiese.
L’Ibrido
si voltò nella sua direzione, gli occhi di solito divertiti erano ora colmi di
lacrime, le labbra piegate in un’espressione triste. “Marcellus, mi dispiace”
mormorò soltanto.
“Dove
si trova?” ripeté l’altro, quasi non lo avesse sentito.
Klaus
gli poggiò una mano sulla spalla. “Marcel…” tentò di nuovo.
“Voglio
vederla, ora” il vampiro si divincolò dalla presa e mentre lo faceva si mise in
ascolto. Non sapeva esattamente cosa dovesse ascoltare ma poi sentì Rebekah
piangere, un cuore battere all’impazzata e il dolore si impossessò di lui.
Senza che fosse capace di controllare le sue gambe cadde in ginocchio, le mani
sul viso, le lacrime veloci sulle guance.
L’Ibrido
Originale rimase fermo per qualche istante, speranzoso di riuscire a
controllare i suoi di sentimenti, poi si piegò e gli si mise accanto, in
silenzio. Esattamente come aveva fatto con Elijah poco prima.
****
Il
giorno arrivò veloce e veloce se ne andò, lasciando il posto alla sera più
scura che Elijah avesse mai vissuto nei suoi mille e passa anni di esistenza.
Il corpo di Allison era rimasto delicatamente adagiato sul letto, le braccia
lungo i fianchi, la pelle sempre più scura e l’odore… l’odore di morte sempre
più forte. Lui però riusciva a percepire solo il ricordo della sua pelle
profumata di frutta, la sensazione di quelle mani morbide e calde, il viso
dolce, le fossette. Faceva male come nient’altro al mondo averla persa, era
stato straziante sentirla spegnersi tra le sua braccia. Chissà, si chiese, se
era riuscita a sentire quello che le aveva detto, chissà se morendo aveva
sentito quel ti amo tanto voluto, finalmente ricambiato.
Avrebbe
dato qualunque cosa per poterla portare indietro e urlarglielo ancora e ancora,
per stringerla ancora e ancora ma non sapeva come fare: non aveva niente da
offrire e non avrebbe saputo a chi offrirlo neppure avendolo. Rebekah una volta
gli aveva detto che la loro forza era in fondo solo un’illusione. Guardaci,
gli aveva sussurrato, siamo le creature più forti al mondo, ma siamo
danneggiati e non esiste cura a questo. Viviamo senza speranze, ma non moriamo
mai. Siamo la definizione di maledetti… sempre e per sempre; aveva ragione,
sempre e per sempre valeva interamente per loro e lui lo avrebbe vissuto con il
vuoto che la morte di Allison gli aveva lasciato.
Guardò
Marcel, seduto dall’altra parte del letto, le mani incrociate sotto il mento,
gli occhi scuri persi chissà dove, chissà quando nel tempo; magari in un bel
ricordo. Forse, si disse, doveva provarci anche lui. Si lasciò cullare da uno
di essi…
“Credevo
che fosse vietato. Che ci fosse un qualche strano codice che impediva alle
invitate di essere più belle della sposa. Ma ti guardo e penso che mi sono
decisamente sbagliato.”
“Oppure
io ho infranto le regole” gli disse Allison arricciando poco la bocca, infine
sorridendo mentre girava il viso per guardarlo. “Credi che sia per questo che
tutti mi hanno guardata in modo… strano al mio arrivo?”
“Per
questo e perché il tuo sangue ha un odore piuttosto intenso, anche se tu non te
ne rendi conto ovviamente.”
Poi
da un altro…
Il
viso di Elijah si trasformò, una leggera ombra di delusione lo attraversò
spegnendo parte di quella luce nei suoi occhi. “È un peccato, se ben ricordo
sei incredibilmente bella chiusa in un vestito elegante” mormorò con tono serio
ma espressione quasi giocosa.
Lei
si sentì avvampare poco ma non distolse lo sguardo. “Fai attenzione, la memoria
è spesso ingannevole. Devo andare ora, ma è stato bello rivederti El, salutami
Klaus” si alzò e con calma si fermò e gli diede un bacio sulla guancia.
“Se
dovessi cambiare idea…” il vampiro la afferrò piano per un braccio e fissò lo
sguardo dentro il suo.
“So
come trovarvi” concluse Allison per lui.
E
un altro ancora…
La
festa si era rivelata essere un vero successo, molte persone avevano deciso di
partecipare; alcuni invitati, altri semplicemente turisti curiosi. Tra le varie
fazioni si respirava un certo nervosismo con i vampiri che sostenevano di non
volersi piegare a nessuno, i lupi che pretendevano la stessa cosa, gli umani che
cercavano, sgomitando, di guadagnarsi un posto in alto in quella crudele
gerarchia di esseri. Elijah era rimasto per ore all’entrata della villa ad
accogliere gli ospiti, si era spostato per accompagnare Hayley dentro e poi era
ritornato fuori coltivando ancora un briciolo di speranza… speranza che Allison
avesse cambiato idea, speranza che sarebbe arrivata davvero bellissima in un
vestito elegante, speranza che avrebbe potuto stringerla per una danza come era
successo la prima volta che si erano incontrati.
Ma
il tempo correva e di lei neppure l’ombra. Pensò che era da sciocchi stare
ancora lì fuori a fissare la strada, con molta probabilità non sarebbe
arrivata. Meglio entrare e farla finita; Allison era lì di passaggio anche se
ogni volta lui sperava che fosse per qualcosa in più, anche se non glielo aveva
mai detto. “È stato bello rivederti” mormorò al vento.
E
fu allora che Allison arrivò con passo sicuro sui tacchi, fasciata da un
vestito che le stava d’incanto.
“Sono
in ritardo?” gli chiese con un sorriso quando gli fu vicina.
Lui
scosse il capo. “Non di molto. Ma in fondo, ha importanza?”
“No,
non ne ha” la donna fece un respiro profondo. “Sono ancora come mi ricordavi
chiusa in un vestito elegante?”
“Sei
molto di più di quanto ricordassi” ammise Elijah porgendole la mano. “Francesca
Guerrera sarà molto infastidita.”
La
sua interlocutrice lo guardò per un istante, poi scoppiò a ridere, infine lo
baciò stringendosi a lui. Elijah ricambiò con trasporto.
Poi
i ricordi si bloccarono e i singhiozzi presero il loro posto. Per Elijah
Mikaelson fu come prendere solo allora consapevolezza di quanto era davvero
accaduto, l’odore fruttato lasciò il posto al puzzo di morte, le fossette
sparirono, il caldo delle mani anche.
Quella
sul letto era Allison, ma non era lei. Faceva male, così tanto che credeva di
impazzire. Gli occhi gli si iniettarono di sangue mentre una voce dentro di sé continuava
a ripetere sempre le stesse tre parole: spegni il dolore!
Lui
decise di spegnere ogni cosa.
****
Allison
scese di corsa giù per le scale; l’orologio al suo polso sembrava urlare sei
in ritardo, non hai tempo per niente ma il suo stomaco che brontolava
sembrava suggerire che almeno il tempo per la colazione avrebbe dovuto
trovarlo. “Sono in ritardissimo!” esclamò mentre si metteva un orecchino, poi
una scarpa e con la mano libera apriva il frigorifero per prendere del latte.
“Chissà
perché ma la cosa non mi sorprende.”
Lei
lanciò un’occhiata di fuoco a suo fratello, poi sorrise a sua madre. “Grazie
per avermi fatto dormire qui stanotte mamma, dopo la cena ero talmente stanca
che non sarei proprio riuscita a tornare a casa. E l’idea di tenere qualche
vestito e qualche accessorio qui per ogni evenienza è davvero geniale. Ne
porterò degli altri.”
Sua
madre le sorrise e si voltò facendo ondulare i capelli di quel bel colore caldo
a metà tra il rosso ed il castano chiaro. Le mise un pancake in un piatto e
glielo porse. “Puoi rimanere quando vuoi. Io e tuo padre adoriamo averti qui a
casa, da quando sei andata a vivere da sola non ti vediamo quasi mai.”
“Papà
mi vede tutti i giorni al lavoro mamma, quando lo seguo nei giri di visita e
cerco di stare al suo passo.”
“Non
è la stessa cosa tesoro,” le disse sua madre accarezzandole una guancia. “In
ospedale è il tuo capo e come tale deve comportarsi. Lui però adora essere tuo
padre.”
Allison
deglutì un morso di pancake, poi annuì. “Capito, verrò a trovarvi più spesso”
disse, poi si rivolse al fratello. “Tu invece prova a venire meno spesso,
sarebbe ora.”
“Ah
ah, divertente.”
Lei
gli fece un sorriso ed una linguaccia mentre usciva di casa cercando le chiavi
dell’auto. Pensò che era soddisfacente andare al lavoro ogni giorno, aver
seguito le orme paterne. Poteva vedere l’orgoglio negli occhi di suo padre ogni
volta che la sentiva dire qualcosa di corretto, fare la diagnosi giusta. L’ospedale
le piaceva, le piaceva salvare le vite. Le piaceva tantissimo.
Tu
hai il complesso dell’eroe le diceva scherzando il suo fidanzato. Da
quale pulpito rispondeva lei ricordandogli che anche lui era un dottore
innamorato del suo lavoro. Sorridendo uscì dal vialetto guardando il cielo
chiaro e bello sopra Los Angeles.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** 23. Il dolore ***
NDA:
Territori un po' inesplorati in questo capitolo e nei prossimi. Mi
piace sfidare me stessa. Voi che ne pensate? Se vi va seguitemi su
facebook: Librilandia
23.
IL
DOLORE
“Quindi,
con l’aiuto del mio assistente e delle sue magie tecnologiche” il dottor Morgan
fece segno al giovane alla sua destra che gli sorrise. “Ricapitoliamo i sintomi
della malattia che dovrete diagnosticare.” Sulla grande lavagna interattiva
comparve una lunga lista e nella sala calò il silenzio per un attimo. Ognuno
sembrò perdersi nelle proprie riflessioni.
Allison
arricciò poco la bocca, come faceva di solito quando si ritrovava a riflettere
e fece un profondo respiro rigirando il tappo mangiucchiato sulla sua biro. Pensa,
si disse, in fondo sai di sapere la risposta. Sì, forse la sapeva o
forse no… quei sintomi potevano indicare diverse cose ma la più facile, quella
a cui sicuramente tutti avevano pensato di primo istinto non era certamente
quella giusta.
Conosceva
suo padre e sapeva che era impossibile che fosse così facile, a giudicare dal
silenzio che regnava anche gli altri dovevano aver capito che il primo istinto
in quel caso non li avrebbe aiutati, perché nessuno aveva ancora fiatato. Il dottor
Morgan, era così che doveva rivolgersi a lui quando erano in ospedale, li
osservava con quello sguardo affamato di tutto; curiosità, passione, determinazione,
severità. Li guardava anche con quel pizzico di benevolenza che faceva di lui
il loro mentore preferito, “l’insegnante” le cui piccole lezioni in
quell’aula dell’ospedale erano sempre gremite. I giovani dottori, persino
alcuni infermieri con aspirazioni più alte, raggiungevano la sala appena
possibile accontentandosi di stare in piedi per due ore pur di non perdersi
nulla.
Allison
sorrise, col sorriso di una figlia fiera e soddisfatta e diede un altro rapido
sguardo alla lista di sintomi:
·
aumento
della pressione arteriosa;
·
riduzione
dei livelli di potassio nel sangue e diminuzione dei livelli ematici di renina;
·
rialzi
della pressione arteriosa;
·
tachicardia;
·
sudorazione,
vampate, intenso mal di testa;
·
aumento
di peso, ritenzione idrica;
·
facies
a luna piena;
·
modificazioni
del tono dell'umore, fino a veri e propri sintomi psicotici.
“Funzione
alterata dell’ipofisi” azzardò qualcuno. Allison non riuscì a vedere ma dalla
voce sembrava Paula.
Il
dottor Morgan diede un’occhiata ai sintomi, poi sorrise alla donna. “Potrebbe
essere, è vero. Ma non è la risposta esatta. Coraggio,” li spronò. “Ragionate.”
“Potrebbe
essere un effetto collaterale di una terapia prolungata con farmaci corticosteroidi.”
parlò qualcun altro, stavolta Allison poteva vederlo, era seduto proprio di
fronte a lei.
“Ma
non è” l’assistente del dottore scosse il capo.
“Adenoma
surrenalico” propose Allison, ma era più un pensiero ad alta voce perché gli
occhi che si puntarono su di lei la colsero di sorpresa, visto che non si era
quasi accorta di aver parlato. “Secernente” aggiunse.
Suo
padre le riservò un grande sorriso, poi fece cenno al suo assistente affinché
facesse scorrere la successiva diapositiva; quella della risposta. Adenoma
surrenalico secernente c’era scritto e ad Allison vennero riservati un
piccolo applauso e varie sbuffate.
“Molto
bene!” esclamò l’assistente mentre la lezione finiva.
“Grazie”
lei avrebbe voluto dire Joel. Ma lì in ospedale non era il suo fidanzato ma il
suo superiore e i ruoli andavano rispettati, come con suo padre. “Grazie dottor
Goran” disse infatti seguendo poi gli altri fuori dalla stanza e lungo i
corridoi fino alla tabella degli interventi dove con disappunto scoprì che quel
giorno era assegnata al dottor Anderson. Lei odiava quel tizio.
****
Elijah
si svegliò quella mattina con un incredibile senso di pace a fargli compagnia.
Ripercorrendo a ritroso la sua intera esistenza non riusciva a ricordare un
singolo momento in cui si fosse sentito meglio di come si sentiva quel giorno.
Aveva fame e aveva sete, che nel suo caso erano più o meno la stessa cosa, così
scese di sotto e si avvicinò ad una delle giovani donne che Niklaus teneva
sempre a disposizione, soggiogate per fare tutto ciò che lui chiedeva.
Non
era molto a dire il vero; solo due o tre calici di sangue al giorno. Il primo a
colazione, poi uno dopo pranzo e l’altro dopo cena. Le giovani non soffrivano,
o meglio, se lo dimenticavano. Di solito rifiutava l’offerta di uno di quei
calici, ma quella mattina aveva deciso che ne voleva e si sarebbe servito da
solo.
Era
un vampiro millenario e di solito beveva tè a colazione, rinnegando se stesso e
la sua natura. Niklaus aveva ragione quando gli aveva detto che nascondeva il
vero se stesso dentro un abito di alta sartoria, dietro una cravatta
perfettamente annodata, sopra delle scarpe tirate a lucido e tra i capelli
ordinati. Quando glielo aveva detto non si era reso conto che fosse la verità, o
per meglio dire, l’aveva negata. Quel giorno però ogni cosa cambiava.
Non
appena lo vide la giovane donna afferrò un coltello e se lo avvicinò al polso
dopo aver sistemato un bicchiere sul tavolo. Elijah la fermò con un gesto della
mano e prese il coltello, lo guardò per qualche secondo e poi lo poggiò accanto
al bicchiere. “Avvicinati” le disse con un sorriso appena accennato. Lei lo
fece. L’Originale spostò piano i capelli che le ricadevano sul collo e rimase
fermo un istante, pochi secondi che gli servirono per perdersi nel profumo di
vita che quella donna emanava. Non era intenso come l’odore che emanava
Allison, ma lei era morta quindi…
“La
colazione è servita” mormorò prima di affondare i denti nel collo di quella
tizia di cui non sapeva neppure il nome, ma che rimase in silenzio e immobile
esattamente come Klaus le aveva ordinato di fare. Il sangue che gli
accarezzò la lingua gli fece venire ancora più fame e in meno di un’ora ogni
ragazza soggiogata in quella casa era un corpo privo di vita, prosciugato.
“Cosa
diavolo è successo?” gli chiese Rebekah quando tornò a casa, accompagnata da
Klaus.
Lui
chiuse il libro che stava leggendo e sorseggiò dal suo bicchiere pieno di
bourbon. “Avevo fame e loro profumavano di fresco” rispose con naturalezza.
“Le
hai uccise!” gli fece notare sua sorella. “Tutte quante” aggiunse guardando i
corpi sparsi sul pavimento. “Che cosa ti è preso?”
“Ah”
mormorò Elijah scuotendo il capo. “Non essere così melodrammatica sorellina.
Ripulirò tutto io stesso.”
Klaus
rimase in silenzio, gli occhi concentrati sul suo fratello maggiore, sul suo
cambiamento. La mente ferma sul timore di sapere cosa gli fosse preso. “L’hai
spenta…” sussurrò guadagnandosi l’occhiata perplessa di Rebekah. “Hai spento la
tua umanità.”
“Ho
spento tutto!” esclamò Elijah alzandosi con un sorriso divertito sul viso. “E
mi sento benissimo. Non ho remore, non ho sensi di colpa… mi sento leggero come
mai prima. E adesso andrò a godermi il mio nuovo status. Ah sì, di sopra c’è
ancora il corpo di Allison, potreste liberarvene? Inizia a mandare un odore
nauseabondo.”
Sparì
veloce, senza lasciare a nessuno dei due il tempo di dire niente e Rebekah si
coprì il viso con le mani sedendosi. Poteva capire perché lo avesse fatto, il
dolore per la perdita di Allison doveva essere talmente grande da mozzargli il
respiro. Solo che… era un problema. Senza la sua umanità Elijah era il più
spaventoso e pericoloso tra loro, persino più di Klaus.
“Cosa
facciamo?” chiese proprio a lui.
“Non
lo so” fu la sconcertante risposta che ricevette.
****
“Sono
Allison, lasciate un messaggio. Oppure no, fate come preferite, io al momento
non posso rispondere.”
Sam
riattaccò e scosse il capo amareggiato; non riuscivano a parlare con Allison da
quando era partita per recuperare le sue cose a New Orleans oramai due giorni
prima. Non era normale. Aveva detto che sarebbe tornata presto e non aveva
telefonato per avvertire che si sarebbe trattenuta lì più di quanto aveva detto
loro e questo non era da lei. Il minore dei Winchester era preoccupato, quei
sogni che presagivano la morte della sua amica avevano continuato a fargli
visita sempre con maggior violenza e nitidezza ma fin quando era lì e poteva
vederla star bene era tutto a posto, ora però non aveva idea di dove fosse e l’angoscia
lo assaliva. Decise di telefonare a qualcuno che forse sapeva esattamente dove
fosse la cacciatrice. Così compose il numero e attese.
“Pronto”
risposero dopo un paio di squilli.
“Hey Elijah, sono Sam.”
“Sam?”
“Sam
Winchester…”
“Ah,
Sammy!” lo salutò l’Originale e Sam ebbe la sensazione che
qualcosa non andasse. Non avrebbe saputo dire perché, ma questo fece crescere i
suoi timori ancora di più. “Cosa posso fare per te? Ma parla in fretta, ho
un po’ da fare.”
“Sì
certo. Ehm… mi chiedevo se sapessi dov’è Allison. Sarebbe dovuta tornare già
ieri sera ma non è arrivata e non riesco a rintracciarla.”
Dall’altra
parte ci fu silenzio per un istante, poi Elijah sospirò. “Non l’hai saputo
vero?”
“Saputo
cosa?”
“Taglierò
corto perché, come ti ho detto, non ho molto tempo. Allison è morta, tutto ciò
che rimane di lei è un cadavere puzzolente che giace sul letto della mia camera
nella tenuta di New Orleans. Se volete recuperarlo telefona a Klaus e parlane
con lui.” disse tutto d’un fiato. “Ora che lo sai, addio Sam.”
Riattaccò
ma Sam aveva sentito solo una parte di quello che aveva detto. Il suo cuore ed
il suo respiro si erano fermati alla parola morta.
“Dean”
mormorò senza forza. “Dean!” urlò infine lasciandosi cadere sul pavimento del
bunker, lasciando che il dolore uscisse dai suoi occhi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** 24. Il nuovo ***
24.
IL NUOVO
Lo
sapeva, lo sapeva che sarebbe finita in quel modo. Quando aveva letto che le
sarebbe toccato assistere il dottor Anderson durante il suo intervento di parto
gemellare, sapeva che la serenità di quella giornata si sarebbe dissolta non
appena avesse messo piede in sala operatoria.
Anderson
era il più odioso tra i medici di quell’ospedale: uno zelante ginecologo che si
credeva il Dio di solo lui sapeva cosa e che operava, generalmente, ascoltando
una canzone rock in sottofondo. Era piacente o almeno così lo consideravano la
maggior parte delle specializzande, come lei, in quell’ospedale.
Allison riusciva a capire perché – Anderson aveva due grandi occhi verdi e bei
capelli castani oltre che a un fisico scolpito e curato – ma a lei proprio non
piaceva. E non piaceva neppure alle infermiere che, invece, erano occupare a
sbavare dietro a Joel.
Allison
non aveva mai nascosto la sua antipatia per quel tizio e, a dire il vero,
credeva che il sentimento fosse reciproco, perlomeno da quando lui le aveva
fatto delle avances che erano finite con un bel due di picche e uno sguardo
ferito e deluso, un’espressione quasi oltraggiata. Poco male, con i suoi vizi e
la sua vita sregolata prima o poi quel pallone gonfiato avrebbe fatto qualche
cazzata e sarebbe stato sbattuto fuori. Lei sperava da sempre che nessuno
sarebbe morto per la sua idiozia… quel giorno però ci erano andati così vicini
che Allison si sentiva ancora sconvolta nonostante fosse passata un’ora da
quando quell’intervento da incubo era finito.
Guardò
l’orologio al polso e si rese conto che erano passati poco meno di dieci minuti
dall’ultima volta che aveva controllato l’ora. Eppure, mentre aspettava di
entrare dentro la sala in cui suo padre, il capo e metà consiglio direttivo la
attendevano per relazionare su quanto fosse successo, le sembrava che fosse
passata un’eternità. Ogni rumore la faceva sobbalzare mentre ripercorreva
mentalmente le immagini di quella donna sanguinante sul tavolo operatorio e…
“Allison”
Joel si affacciò dalla porta e le riservò un sorriso prima di correggersi. “Dottoressa
Morgan, può entrare.”
Lei
gli passò accanto senza guardarlo, sapeva che era dalla sua parte ma non voleva
dare l’impressione sbagliata, non voleva che pensassero che stesse provando ad
ingraziarsi il suo fidanzato che in quel caso aveva avuto una parte nella
decisione che le sarebbe stata comunicata da lì a poco. Per lo stesso motivo
evitò anche lo sguardo di suo padre e si mise a sedere davanti al dottor Grace
che le sorrise appena prima di prendere la parola.
Anderson
stava seduto dall’altra parte del grande tavolo, accanto un uomo che lei non
conosceva ma che, suppose, fosse un avvocato.
“Allora,
dottoressa” iniziò il dottor Grace. “Vorrebbe farci un resoconto dettagliato
dell’intervento?”
“Certo”
lei si schiarì la voce. “Alle sedici e quarantacinque minuti sono entrata in
sala operatoria, il dottor Anderson non era ancora arrivato. È entrato dieci
minuti dopo, ha salutato tutti e la sua canzone preferita è partita in
sottofondo” iniziò a raccontare. “Ho capito subito che qualcosa non andava ma
ho pensato che fosse solo stanco e così non ho detto nulla…”
“Che
significa che ha capito subito che qualcosa non andava?” la interruppe suo
padre, il suo capo…
“Il
dottor Anderson barcollava un po’ mentre si avvicinava al tavolo operatorio,
era euforico ma biascicava le parole e… emanava un forte odore di alcool.”
“Oh
ma per favore!” esclamò proprio lui allargando le braccia sul tavolo.
“Il
tuo turno di parlare non è ancora arrivato” gli fece sapere Joel rimettendolo
al proprio posto, per poi rivolgere ad Allison uno sguardo che sembrava dire continua.
Lei
continuò. “Non ho detto niente perché nessuno sembrava aver notato nulla e così
ho creduto di essermi sbagliata. Ma poi ha afferrato il bisturi e lo ha
poggiato sul ventre della paziente e la sua mano tremava. Gli ho chiesto se
stesse bene e si è infuriato, poi ha continuato e subito dopo il taglio… la
pressione della paziente è precipitata, il battito cardiaco di uno dei due feti
è diminuito drasticamente e lui è caduto sul pavimento, addormentato. Così ho
preso il comando e ho fatto quello che ritenevo giusto per salvare la vita
della paziente e dei suoi bambini.”
“Non
stavo dormendo” sentì l’urgenza di difendersi Anderson. “Ho perso i sensi perché
ero molto stanco.”
“No,
non hai perso i sensi, ti sei addormentato perché eri ubriaco fradicio” replicò
lei alzandosi. “È inutile negarlo.”
“Come
osi parlarmi così, ragazzina!” anche lui si alzò e le si avvicinò quasi volesse
aggredirla, Joel le si mise davanti a farle da scudo e l’odore di alcool che uscì
dalla bocca di Anderson quasi lo stordì. “Solo perché sei la figlia di
Christopher credi di poterti inventare delle storie e infangare gli altri. Io
faccio questo lavoro da vent’anni, sono bravo e non permetto ad una ragazzina
viziata di rovinarmi reputazione e carriera. E tu” si rivolse a Joel. “Solo perché
te la porti a letto la difendi a spada tratta?”
Joel
lo afferrò per il camice e lo sbatté di spalle contro la parete. “Non parlare
così di lei anzi non parlare proprio perché l’odore di vodka che esce dalla tua
bocca sta facendo ubriacare anche me.”
“Adesso
basta!” tuonò il dottor Morgan alzandosi in piedi e Joel mollò la presa prima
di riprendere il suo posto. Allison invece non aveva il coraggio di alzare lo
sguardo su suo padre. “Riparleremo del tuo comportamento e delle tue abitudini
fra qualche minuto Anderson” disse con voce sicura proprio lui. “Quanto a te,”
continuò rivolgendosi a sua figlia. “Quello che hai fatto è pericoloso e va
contro ogni regola, avresti dovuto chiamare un superiore perché non sei ancora né
pronta né autorizzata ad intervenire in quel modo.”
“Con
il dovuto rispetto, signore” lei sottolineò la parola signore con il tono di
voce. “Se avessi aspettato un superiore sia la madre che i bambini sarebbero
morti.”
“Sei
sospesa” sentenziò il dottor Grace ed Allison fu ferita dal fatto che né suo
padre né Joel dicessero nulla in sua difesa. “Hai salvato tutti e tre in sala
operatoria ma hai infranto le regole e se adesso non prendessimo nessun
provvedimento manderemmo un messaggio sbagliato e tutti gli altri studenti si
riterrebbero liberi di agire come credono. Questo potrebbe essere pericoloso,
lo capisci vero?”
Allison
deglutì a vuoto tutta l’amarezza e il disappunto e sospirò. “Francamente no”
replicò. “Lui si presenta in sala operatoria ubriaco mettendo a rischio la vita
della paziente e dei suoi bambini ed io vengo sospesa perché darmi il merito
della cosa straordinaria che ho fatto salvando loro la vita, potrebbe far
passare una sorta di messaggio sbagliato?”
“Allison”
provò suo padre ma lei scosse il capo togliendosi il camice.
“La
mia coscienza è pulita, non so se delle vostre si possa dire altrettanto.” Commentò
e subito dopo lasciò la stanza.
****
“Ciao
straniero. Non sei di queste parti vero?”
Elijah
sorrise mentre quella giovane donna – non avrà avuto più di ventotto anni – gli
si avvicinava e si metteva a sedere al suo tavolo portandosi alla bocca un’oliva
impregnata di martini.
“Forse
sì o forse no” replicò bevendo dal suo bicchiere.
“Ah”
sussurrò lei guardandolo languidamente. “Sei un tipo misterioso, mi piace.”
Lui
bevve tutto d’un sorso il suo bourbon e sospirò. “Ah voi donne e questa fame di
mistero, di avventura. Proprio non riuscite a farne a meno vero? Sai, conoscevo
una donna che non riusciva proprio a placare questa sua smania; cercava sempre
il brivido. Vuoi sapere cosa le è successo?” si chinò sul tavolo quasi volesse
rivelarle un segreto e lei sorrise facendo lo stesso. “È morta.”
Su
viso della ragazza serpeggiò un lampo di terrore ma passò subito e gli occhi le
si socchiusero mentre una risata nasceva spontanea sul suo viso. “Sei proprio
bravo a raccontare storie e la tua voce… è così sexy!” gli disse arricciando
poco il naso. “Perché non ce ne andiamo da qui? Potremmo fare quattro
chiacchiere in un posto meno affollato e conoscerci meglio.”
“Fare
quattro chiacchiere e conoscerci meglio?” fece eco Elijah. “E per conoscerci
meglio intendi… sii sincera” le sussurrò guardandola dritta negli occhi. E il
soggiogamento fece la sua magia. La giovane donna parlò incapace di fermarsi,
rivelando i suoi pensieri ed Elijah si trovò a riflettere. Non era con una
notte di sesso occasionale che avrebbe voluto iniziare la sua nuova vita priva
di umanità, ma in fondo non c’era niente di male. Così afferrò la sconosciuta
per mano e la condusse fuori, fino ad un vicolo buio.
****
La
bocca di quella tizia, come aveva detto di chiamarsi? Ah sì, Rosemary, aveva
uno strano sapore. Sapeva di qualcosa di alcolico, di tabacco e anche di
liquirizia. Un mix che avrebbe ucciso il desiderio di chiunque. Beh chiunque
provasse qualcosa almeno e per sua fortuna Elijah non provava niente. Mentre la
baciava e le sue mani si insidiavano sotto quella maglietta troppo stretta le
mani piccole della donna gli avevano sbottonato la cintura dei pantaloni.
“Oh
Elijah” mormorò quando lui la girò faccia contro il muro con un gesto deciso. “Elijah”
mormorò di nuovo e per lui fu come una brevissima fitta dolorosa alla testa. Perché
continuava a sussurrare il suo nome in quel modo? Non poteva semplicemente fare
silenzio?
“Smetti
di parlare!” le ordinò tirandola verso di sé.
Lei
ridacchiò. “Non ti piace quando sussurrano il tuo nome? Lo faceva qualche donna
che ti ha spezzato il cuore forse?”
L’Originale
serrò le mascelle cercando di controllarsi e facendola voltare le strinse una
mano intorno al collo. Fu allora che si accorse che lui e la stupida Rosemary
non erano soli nel vicolo.
“Hayley”
le disse guardandola con una specie di ghigno. “Hai fame per caso? Possiamo
dividercela se ti va. Non urlare” disse a Rosemary un attimo prima di affondare
i canini nel suo collo. Lei non urlò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** 25. Il disagio ***
25.
IL
DISAGIO
Allison
non aveva parlato né con Joel né con suo padre dal giorno in cui era stata
sospesa. Telefonava a sua madre ogni mattina, mandava qualche sms al suo
fidanzato per fargli sapere che stava bene ma si rifiutava di vedere chiunque. E
le sue giornate erano diventate un concentrato di monotonia, una routine
inquietante che poteva essere facilmente stilata come la lista dei sintomi di
una grave malattia:
1.
Sveglia
alle sei in punto;
2.
ginnastica;
3.
colazione;
4.
doccia;
5.
ciondolare
per casa alla ricerca di qualcosa da fare;
6.
telefonare
a mamma;
7.
mandare
il primo sms della giornata a Joel;
8.
ascoltare
un po’ di musica mentre si pulisce casa;
9.
pranzo;
10.
sonnellino;
11.
altro
sms a Joel;
12.
leggere
fino alla cena e poi andare a dormire.
Si
odiava e si sentiva patetica ma davvero non ce la faceva a fare amabili
conversazioni o a tenere la testa alta perché lei aveva fatto la cosa giusta.
Ce l’aveva a morte con suo padre per non averla difesa davanti al dottor Grace
a quella riunione e ce l’aveva con Joel perché… beh non lo sapeva perché. In
verità ce l’aveva con tutti. Suo fratello era passato a trovarla due giorni
prima e l’aveva trovata intenta a spolverare casa con una canzone di Prince in
sottofondo. Le aveva raccontato dei suoi progetti, della sua voglia di viaggiare,
della sceneggiatura che pensava da sempre di scrivere e che, era un segreto,
aveva iniziato ad abbozzare da qualche settimana.
Allison
lo aveva ascoltato con attenzione e gli aveva visto negli occhi castani una
scintilla; la stessa che aveva sempre visto nei suoi quando parlava di
medicina, quando si ritrovava a pensare che avrebbe seguito le orme di suo
padre, che lo avrebbe reso fiero. Quella scintilla non illuminava più le sue
iridi nocciola da un po’ oramai, il suo posto era stato preso da una indecifrabile
sensazione di disagio che le toglieva ogni speranza.
Un
po’ melodrammatica? Forse sì ma non sapeva come smettere.
Joel
le dava i suoi spazi senza però essere assente; lasciava un messaggio nella sua
segreteria ogni giorno e le inviava un messaggino ogni volta che poteva.
L’ultimo di ogni sera finiva con un ti amo. E quell’amore era l’unica
cosa di cui in quel momento era sicurissima. Joel Goran la amava.
Lasciandosi
cadere sul divano si portò una mano allo stomaco, stretto ancora una volta
nella morsa fastidiosa di una nausea che arrivava ad ondate. Di solito passava
dopo qualche minuto ma quella mattina non ne voleva proprio sapere e fra il
punto tre e il punto quattro della tediosa routine di quel giorno si ritrovò a
vomitare in ginocchio sul pavimento del bagno, la testa chinata dentro la
tazza.
“Patetica…”
mormorò a se stessa prima che un pensiero le sfiorasse la mente.
Quel
pensiero divenne reale verso sera, quando decise che era ora di uscire dal
guscio e riprendere la sua vita. L’orologio segnava le ventitré ed era certa
che suo padre dormisse già – ammesso che non fosse ancora in ospedale – così la
sua rinascita partì da Joel. Arrivò davanti alla porta del suo
appartamento chiusa in una comoda tuta da ginnastica, i capelli
disordinatamente legati e neppure un filo di trucco. Non esattamente il modo
migliore di farsi vedere dal proprio fidanzato ma non le era venuto in mente di
truccarsi e mettersi qualcosa di meno… casalingo. In quegli ultimi quattro
giorni gli indumenti comodi erano diventati quasi una specie di prolungamento
del suo corpo, del suo essere; a Joel in fondo non sarebbe importato, ne era
certa. Lui la amava, giusto?
Bussò
due volte e quando stava per alzare di nuovo la mano lui aprì: stringeva in una
mano una bottiglietta di acqua, nell’altra una rivista medica. “Hey” le disse
con un sorriso genuinamente sorpreso. “Ti sei finalmente decisa ad uscire di
casa?”
Lei
fece un mezzo sorriso e annuì abbassando lo sguardo per un istante. “Posso
entrare?”
“Non
so” lui sembrò rifletterci, mise via acqua e rivista posandoli su un mobiletto
a lato della porta e sospirò poggiandosi allo stipite. “L’ultima volta che sono
venuto da te tu non mi hai fatto entrare.”
“Vero”
confermò Allison. “Ma avevo bisogno di stare da sola per un po’.”
“Lo
so, ma non era così che avevamo detto che sarebbe stato.”
La
donna lo fissò confusa. “Io non…”
“Quando
due anni fa mi hai praticamente supplicato di essere il tuo ragazzo dopo il
nostro quinto appuntamento” iniziò. “Avevamo deciso che non avremmo mai alzato
dei muri tra di noi. Tra noi e il resto del mondo forse sì ma non tra me e te.”
Allison
scosse poco il capo. “Io non ti ho mai supplicato di essere il mio ragazzo. Sei
stato tu che mi hai detto di non avere mai provato niente di simile, con
nessun’altra donna prima di me.”
“Io
mi ricordo una storia diversa.”
“Ne
sono certa” replicò lei mentre lui le si avvicinava e le prendeva le mani. Una
si fermò, stretta alla sua, sul petto. L’altra sulle spalle per poi salire fin
dietro la nuca. “Ma la mia versione è quella giusta.”
“Questo
è tutto da verificare” Joel rise guardandola negli occhi. “Io ti amo.
Tantissimo.”
La
donna respirò a fondo mentre le loro fronti si incontravano. “E io amo te.
Tantissimo e… Joel” esitò un attimo di troppo, infatti lui ruppe il contatto
per poggiare lo sguardo dentro il suo. “Sono incinta.”
****
Hayley
vide Elijah affondare i canini nel collo di quella giovane donna e impietrita
lo guardò fino a quando lei non cadde in terra priva di vita mentre l’Originale
si ripuliva gli angoli della bocca. Quando Klaus le aveva telefonato per
aggiornarla su tutto quello che era successo nelle ultime quarantotto ore le
aveva anche intimato di stare il più lontana possibile da lui.
Non
è in sé, le aveva detto, e credimi se ti dico che qualunque
cosa provi per te non riuscirà a farlo rinsavire. L’Ibrida era convinta del
contrario. C’era così tanto di non detto tra loro, così tanti trascorsi che
almeno una di tutte quelle cose avrebbe fatto centro e lui avrebbe riacceso la
sua umanità. Mentre camminava per le vie buie di New Orleans dopo aver
rintracciato il suo cellulare aveva pensato a qualcosa. Qualcosa da dirgli e
tutto ciò che era riuscita a mettere insieme le era sembrato perfetto. Almeno
fino a quando non era giunta in quel vialetto e lo aveva visto prosciugare una
giovane donna con un ghigno divertito sul viso.
Se
hai fame possiamo dividercela le aveva detto, e lei aveva
capito che del nobile Elijah non era rimasto assolutamente nulla lì. Quel suo
completo elegante avvolgeva semplicemente un corpo, una scatola vuota priva di
ogni morale e di ogni pudore. Non c’era nobiltà in quegli occhi venati di
sangue, in quei canini aguzzi.
Elijah
Mikaelson il gentiluomo era sparito nell’oscurità di un dolore che lo aveva
annientato. L’unica persona che avrebbe potuto riportarlo indietro forse era la
stessa che morendo lo aveva spezzato.
“Elijah,
so che sei ancora lì dentro da qualche parte” azzardò, perché non si sarebbe
arresa né avrebbe gettato la spugna. A ruoli invertiti lui non lo avrebbe
fatto. “Ti prego…”
“Ti
prego, ti prego” le fece eco lui. “So che sei ancora lì dentro da qualche
parte… sembra un melenso film romantico. Non ti si addice Hayley e non si
addice neppure a me. Se proprio vogliamo trasformare tutto questo in una sorta
di scena cinematografica” disse allargando le braccia. “Credo che dovrebbe
essere un film horror.”
Hayley
deglutì a vuoto e fece qualche passo verso di lui. “So cosa stai provando in
questo momento. Conosco quel senso di perdita, di disperazione. Quel disagio
interiore che annienta.”
“Tu
non sai proprio niente” Elijah si sistemò i polsini della camicia. “E non sai
di cosa stai blaterando perché se lo sapessi non parleresti così. Io non provo
niente Hayley, è proprio questo il punto. Anzi, ad essere onesti qualcosa
provo: un gigantesco senso di noia. Per te che mi parli come se fossi pazzo,
per quelli che verranno dopo di te e proveranno a sistemarmi quasi fossi un
giocattolo rotto. Io sto benissimo.”
L’Ibrida
decise di cambiare approccio e si avvicinò ancora un po’, per poterlo guardare
ben bene negli occhi. Se c’era ancora qualcosa di quella nobiltà che l’aveva
fatta infatuare di lui, se c’era ancora un briciolo di bontà dietro quel
completo elegante, era negli occhi che si sarebbe rivelata. “Credi che Allison
avrebbe voluto questo?”
Nello
sguardo scuro di Elijah balenò la sorpresa, ma Hayley non vide la scintilla a
cui sperava di potersi aggrappare. Rimasero in silenzio per qualche istante,
poi il viso dell’Originale si allargò in un sorriso divertito. “Sul serio?
Questo è il meglio che sai fare? Tirare in ballo una tizia morta per cui forse
il vecchio me provava qualcosa è il tuo grande piano per…”
“Troveremo
un modo per riportarla indietro!” esclamò lei interrompendolo. “Davina dice che
forse c’è un incantesimo di resurrezione, dice proverà a farlo, che proverà
tutto quello che è in suo potere” mentì e sperò che lui non lo capisse.
Il
vampiro si strofinò gli occhi con le dita di una mano, poi fece un grosso
respiro. “Oh Hayley” mormorò. “Ho spento la mia umanità ma non sono stupido e
non ho perso la memoria. Ad esempio, ricordo ancora che quando menti ti trema leggermente
la voce e ti sforzi così tanto di sembrare credibile che la fronte si corruga
creando un piccolo solco proprio qui” le disse poggiandole un dito sulla fronte
al centro tra gli occhi. “Allison invece arrossiva leggermente quando mentiva e
abbassava lo sguardo per paura che dentro i suoi occhi si leggesse la verità.
Era carina…” ridacchiò ritraendo la mano. “Ma è morta e ciò che è morto, deve
rimanere morto.”
Eccoli
di nuovo gli occhi venati, i denti aguzzi. Hayley sentì una mano stringersi
intorno al suo collo, con sempre maggiore forza, come una morsa. Gli occhi le
si illuminarono mentre il lupo veniva fuori. Con uno scatto si divincolò dalla
presa e lo colpì, per distrarlo. Poi fuggì. Forse era da vigliacchi ma era
sicura che se fosse rimasta Elijah l’avrebbe uccisa e per quanto ci tenesse a
lui, c’era qualcosa di più prezioso nella sua vita ed era per lei che doveva
vivere.
****
Dean,
Sam e Castiel arrivarono alla tenuta dei Mikaelson di sera. Fuori pioveva e
faceva freddo o forse il freddo era dentro di loro. Durante quel lungo viaggio
nessuno dei tre aveva proferito parola, la radio era rimasta muta. Tutto si era
fatto silenzioso quasi per onorare la perdita. Allison era morta… La sorella
che non avevano mai avuto, la compagna di avventure, l’amica perfetta, la
cacciatrice infallibile… era morta.
Mentre
guidava il maggiore dei Winchester non aveva potuto fermare le lacrime, anche
se era riuscito ad arginare i singhiozzi. Si era chiesto se quando era successo
fosse sola, a cosa aveva pensato prima di chiudere gli occhi per sempre? Sperò
che qualcuno l’avesse stretta e scaldata mentre la vita la lasciava.
“Ti
avevo detto di stargli lontano!” stava urlando Klaus contro Hayley quando entrarono,
una bella ragazza dai capelli ricci e la pelle color ebano li osservava in
silenzio. Un’altra bionda teneva gli occhi bassi mormorando qualcosa.
“Non
volevo starmene con le mani in mano” si difese la donna. “Come state facendo
voi.”
“Credi
che io me ne stia con le mani in mano, o che Rebekah non stia facendo nulla?”
“E
cosa state facendo esattamente, Klaus?” domandò Hayley.
“Adesso
basta!” urlò Castiel, l’ombra delle sue ali bruciate fece buio nella stanza per
qualche secondo mentre gli occhi si illuminavano di un intenso azzurro. E tutto
si calmò, anche l’angelo infuriato. “Dateci il corpo della nostra amica,
adesso. Di tutto il resto non ce ne importa assolutamente nulla.”
Klaus
serrò le mascelle, poi li invitò a seguirlo su per le scale. Loro lo fecero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** 26. Il tempo ***
NDA: A volte mi chiedo se
qualcuno legge perchè la mancanza di recensioni, lo ammetto,
mi smonta un po' l'entusiasmo... spero che mi lascerete qualche
commento, anche solo per dirmi che la storia vi fa schifo... sempre
meglio del silenzio.
Buona lettura.
26.
IL
TEMPO
“Gemelli?”
Allison si mise a sedere sul lettino e respirò a fondo guardando Daisy, la sua
ginecologa, negli occhi. “Gemelli” ripeté. Ma stavolta era più un’affermazione.
Senza rendersene conto si accarezzò il ventre che si era un po’ arrotondato da
quando aveva scoperto di essere incinta quattro giorni prima. Beh, a dirla
tutta era certa che quell’arrotondamento l’avesse notato solo lei…
La
forza della suggestione si disse mentre respirava a fondo
cercando di metabolizzare la notizia.
“Stai
bene?” le chiese la dottoressa con un sorriso comprensivo. “Capisco lo shock,
davvero. Vedo un sacco di future mamme ogni giorno e ognuno di loro mi riserva
una sorpresa diversa. Alcune singhiozzano, altre urlano come pazze, altre
ridono a crepapelle. Tu invece” le disse alzandosi in piedi. “Stai diventando
troppo pallida, quindi coraggio, sdraiati mentre io chiamo Joel.”
Allison
obbedì, si mise in posizione supina su quel lettino imbottito e respirò a fondo
chiudendo gli occhi. Gemelli… lei non era sicura che sarebbe stata in grado di
prendersi cura di un bambino, figurarsi due. Joel, dal canto suo, probabilmente
sarebbe esploso di gioia. Con un sorriso ricordò il momento esatto in cui gli aveva
detto di aspettare un bambino, tutte le varie emozioni che erano passate sul bel
viso del suo fidanzato. La prima era stata la sorpresa, seguita dalla
confusione e poi subito dopo era arrivata la felicità. L’aveva presa in braccio
e stretta forte, la bocca poggiata sulla sua; poi avevano fatto l’amore nel
modo più dolce in cui si erano mai amati. Anche il più intenso a dire il vero.
Certo
che sarebbe stato felice, non era il suo corpo a dover ospitare due vite e
tutte le responsabilità che ne derivavano. Quelle pendevano tutte sulle spalle
di Allison. E lei aveva paura. Passarono alcuni minuti e infine Joel arrivò, il
camice stropicciato e la penna appesa al taschino come al solito. Daisy li
lasciò da soli dicendo qualcosa che riguardava un bicchiere di acqua e un giro
di visite, la futura mamma non ne era tanto sicura visto il ronzio che
ancora sentiva nelle orecchie.
“Hey”
le disse Joel avvicinandosi e prendendole una mano. “Che succede? Daisy dice
che non ti senti bene.”
“Gemelli”
farfugliò lei mettendosi piano a sedere, senza mollare la mano che teneva la
sua.
“Come
scusa?”
“Gemelli
Joel,” Allison si indicò il ventre. “Sono due.”
L’uomo
guardò giù per un istante, poi di nuovo lei in viso. “Diventeremo genitori di
due gemelli?” chiese e di nuovo l’esplosione di gioia lo colpì facendogli
diventare gli occhi lucidi.
Allison
invece pianse. Nascose il viso tra le mani e lasciò andare le lacrime e la
nausea che sentiva. Joel le diede qualche secondo, poi le prese il viso tra le
mani sorridendole con quella dolcezza di cui solo lui era capace.
“Ho
paura” gli confessò lei. “Sono felice di essere incinta, sono felice che sia tu
il padre dei miei figli e ti amo tantissimo ma… è una cosa grande Joel,
importante ed ho paura.”
“Lo
so.”
“Che
succede se non sono abbastanza brava? Che succede se mi addormento con uno di
loro in braccio e lui o lei finisce sul pavimento e si fa male?”
“Impossibile!”
esclamò Joel con un sorriso. “Sono gemelli, puoi dimenticarti il verbo dormire”
la guardò e lei scoppiò a ridere tra le lacrime, infine lo strinse in un
abbraccio poggiando l’orecchio sul suo petto.
“Ti
prego, qualunque cosa accada dimmi che sarai sempre al mio fianco. Che ogni
volta che mi girerò per cercarti sarai accanto a me.”
L’uomo
le accarezzò i capelli respirandone a fondo l’odore. Quel profumo di pulito e
di buono. Quel profumo che sentiva ogni mattina quando apriva gli occhi e ogni
sera prima di chiuderli. Non ci sarebbero stati più muri, né due case diverse
in cui stare separati dopo un litigio o una giornata no. Ci sarebbe stato un
solo posto, un solo nido. Il loro.
“Al
tuo fianco è l’unico posto in cui voglio stare, per sempre” le disse rompendo
il contatto e guardandola dritta negli occhi. “Sposami Allison Morgan, fai di
me l’uomo più felice su questa terra.”
Allison
lo baciò sentendo una nuova ondata di lacrime, questa volta di una gioia talmente
grande che spazzò via la paura. “Mille volte sì.”
****
Dean
era stato l’ultimo ad entrare nella stanza in cui si trovava il corpo di
Allison. O meglio, era stato l’ultimo ad entrare per dirle addio. Aveva
rimandato quanto più aveva potuto, accecato dal dolore, pietrificato dal gelo
che sentiva dentro. Allison gli aveva insegnato l’amore, più di qualunque altra
donna, più di qualunque altra persona. Lo doveva a lei se ora, di tanto in
tanto, si ritrovava a pensare a come sarebbe stato avere una famiglia, doveva a
lei un sacco di cose. Così tante che aveva perso il conto.
Sam
e Castiel erano stati più coraggiosi di lui ma erano entrati in un unico pezzo
dentro quella stanza e ne erano usciti in tanti piccoli cocci che nessuno
sapeva come recuperare e rimettere insieme. Forse solo il tempo avrebbe potuto
farlo ma per qualche strano motivo sembrava essersi fermato. Marcel era passato
poche ore prima, ubriaco fradicio e spezzato e il maggiore dei Winchester
avrebbe voluto chiedergli se aveva un bicchierino anche per lui, solo quello e
niente di più.
Invece
aveva pianto, con la fronte poggiata sul corpo freddo della sua amica aveva
pianto e poi aveva vomitato la tristezza e il resto delle lacrime per colpa del
puzzo che quel corpo emanava. Sapeva di fine e faceva impressione sentirlo su
Allison che invece sapeva sempre di vita, di fresco, di inizio. Infine era
sceso al piano di sotto e si era seduto accanto a suo fratello e a ciò che
rimaneva del glorioso angelo del Signore che era il loro migliore amico. Klaus
e gli altri li avevano raggiunti qualche secondo dopo.
“Com’è
successo?” chiese Sam scuotendo il capo. “Non capisco, doveva solo tornare qui,
prendere alcune cose e lasciarsi tutto alle spalle.”
“Non
sappiamo precisamente cosa sia successo. Io e lei” iniziò Rebekah ma si fermò
quasi dovesse riprendere fiato. “Avevamo appuntamento ma ho chiesto ad Elijah
di andare al mio posto. Volevo che parlassero e si chiarissero. E poi lui ha
telefonato, ha detto che c’era una maledizione, voleva che cercassimo Freya ma
quando l’abbiamo trovata e siamo arrivati era troppo tardi.”
“Che
tipo di maledizione?” domandò Castiel.
“Era
molto antica e molto potente” spiegò proprio Freya. “Il marchio del traditore.
Anche se avessimo agito prima non sono certa che sarei stata in grado di
aiutarla.”
“Il
marchio del traditore?” Dean scosse il capo. “Non ha senso, chi può averle
fatto una cosa del genere? Lei era la persona più leale che…” si schiarì la
gola. “Non era una traditrice.”
“Qualcuno
la pensava diversamente” mormorò Klaus, le mani intrecciate sotto il mento,
negli occhi uno sguardo perso. “Non c’era un cacciatore che la considerava la
sua amicizia con noi una specie di offesa alla categoria?”
“Miles
Brown” ricordò Dean. “Credi che lui possa avere a che fare con tutto questo?”
Klaus
si strinse nelle spalle. “Non lo so ma sarei lieto di fargli qualche domanda.”
Calò
il silenzio per un attimo, poi Rebekah si schiarì la voce. “Non voglio sembrare
insensibile” disse. “Ma cosa ne facciamo del corpo? Non possiamo tenerla su
quel letto per sempre.”
“Ci
occuperemo noi del corpo, avrà un funerale da cacciatrice, perché è ciò che
era!” sentenziò Castiel ma Dean e Sam notarono qualcosa di strano nel suo
sguardo.
“E
che facciamo con Elijah?” intervenne Hayley attirando l’attenzione. “So che
occuparsi di… Allison ha la priorità adesso, ma Elijah è lì fuori e ha spento
la sua umanità. È una specie di bomba ad orologeria e dobbiamo fare qualcosa
per fermarlo.”
Klaus
si mise in piedi e fece un grosso respiro. “Mi occupo io di Elijah. Voi
rimanete finché volete” disse ai suoi ospiti. Poi uscì.
****
Elijah
decise che stavolta l’avrebbe fatto con dolcezza, non come con l’ultima. Qual
era il suo nome? Rosemary, sì… non era stato molto gentile con lei ma non era
propriamente colpa sua. Hayley era arrivata ad interrompere il tutto, parlando
di dolore, implorandolo per una conversazione a cuore aperto. Era un peccato
che fosse fuggita via così presto, lui si era ripromesso di assaggiare quel
sangue ibrido. Se lo era sempre immaginato dolciastro e piacevole ma non aveva
mai potuto provare la sua teoria. Aveva assaggiato molto della bella Hayley,
ogni parte del suo corpo, il calore della sua lingua, la morbidezza delle
labbra ma non il sangue… ancora.
Ah,
Hayley. Così testarda e selvaggia. E lui che per un lungo periodo aveva creduto
di amarla; forse lo aveva fatto, poi però…
“Cosa
c’è?” gli chiese la donna che gli stava lasciando una scia di baci umidi sul
petto e di cui si era quasi dimenticato. “Sembri triste.”
Lui
abbozzò una specie di sorriso e le spostò di lato i capelli. “Oh no, io non
sono triste. Non lo sono più” le baciò il collo, le sue labbra poterono sentire
il battito accelerato pulsare violento. “Rilassati” le disse guardandola negli
occhi. “Preferisco un battito lento, il sangue si muove meno velocemente e mi
arriva in bocca al giusto ritmo.”
“Come
vuoi” sussurrò lei piegando poco il capo e guardandolo. “Cos’altro posso fare
per te?”
“Potresti
darmi il tuo polso, così posso iniziare da lì ad assaggiarti” le disse malizioso
e lei ridacchiò porgendogli la mano. Elijah morse piano, il sangue gli
accarezzò la lingua e scivolò fino in gola. Era ottimo, fresco e pulito ma
c’era qualcosa che non andava.
È un nuovo profumo, ti piace? Chiese lei tendendo il polso.
Lui respirò a fondo quell’aroma fruttato.
Il
suono di quella risata gli scoppiò nelle orecchie facendolo
indietreggiare. Perse il controllo per un attimo, gli occhi si venarono, la
fame si fece più urgente. Poi lo riprese e fece un grosso respiro. E fu in quel
momento che si accorse che non erano più solo lui e la sua bella cena nella
stanza. “Niklaus” disse alzando il viso per guardarlo.
“Ciao
fratello!” esclamò l’Ibrido facendo uscire il vampiro. “Facciamo quattro
chiacchiere, che ne dici?”
NDA: A volte mi chiedo se
qualcuno legge perchè la mancanza di recensioni, lo ammetto,
mi smonta un po' l'entusiasmo... spero che mi lascerete qualche
commento, anche solo per dirmi che la storia vi fa schifo... sempre
meglio del silenzio.
Buona lettura e
Buone feste se non dovessimo "sentirci" prima :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** 27. Chuck ***
27.
CHUCK
Klaus
si ritrovò a pensare che non avrebbe mai immaginato di considerare suo fratello
più violento di se stesso. Sapeva che era forte, sapeva che dietro quella
nobiltà d’animo e dietro al completo elegante si nascondeva una bestia
ma si era quasi dimenticato quanto feroce fosse. Si domandò se quel furore che
sentiva vibrare dentro Elijah, se quel selvaggio, fossero l’accumulo di secoli
all’insegna dell’autocontrollo oppure semplicemente le conseguenze di un dolore
talmente forte che era stato capace di schiacciarlo.
Forse
entrambi; un vaso che nel corso del tempo era stato riempito talmente tanto che
alla fine era esploso in milioni di pezzi. Quei pezzi si erano sparpagliati
ovunque. Forse nemmeno le più sapienti delle mani avrebbero potuto rimetterli
insieme.
Sospirò
dopo averlo colpito un’ultima volta e si fece indietro stanco, affaticato.
Elijah invece rise sistemandosi i polsini della camicia sporca di sangue. Del
suo, di quello di Klaus, di quello della donna che avrebbe dovuto essere la
cena e che invece era morta senza aver saziato nessuno.
“Trovi
tutto questo divertente?” gli chiese allargando le braccia.
Il
maggiore dei Mikaelson si strinse nelle spalle. “Lo trovo esilarante!” esclamò
riacquistando un minimo della sua compostezza. “Per secoli e secoli ho provato
a salvarti dalla tua violenza, dalla tua scelleratezza e ora…”
Lasciò
la frase a metà, perché quello che voleva dire era ovvio e Niklaus lo sapeva. “Ti
sbagli fratello” gli disse proprio lui. “Io non ho il complesso dell’eroe come
te. Non ho la pretesa di poter salvare sempre tutti. Credo anzi che, chi non
vuole essere salvato, non merita l’aiuto di nessuno.”
“Avresti
potuto dirlo subito” gli rispose Elijah. “Se avessi saputo che bastava così
poco per essere lasciato in pace lo avrei detto subito: io non voglio essere
aiutato. Non sono rotto, come tutti voi pensate, sono solo me stesso.
Per la prima volta in più di mille anni. Sono un vampiro, un Originale. Sono
stato creato per seminare morte e terrore e per secoli invece mi sono eletto
portatore di una umanità che non mi appartiene. Non lo farò più, sono libero e
niente può fermarmi.”
“Allison
non avrebbe voluto questo Elijah” tentò Klaus anche se immaginava che sarebbe
stato inutile.
L’altro
cambiò espressione solo per un istante, poi tornò la fredda maschera priva di
umanità. “Hayley ha già provato a percorrere questa strada. Non ha funzionato.”
“I
suoi amici sono venuti a prendere il suo corpo. Forse lo stanno portando via in
questo momento, proprio mentre parliamo. Non rivedrai mai più niente di lei
Elijah, non le darai un bacio di addio né le toccherai per un’ultima volta la
mano.”
“Sono
piuttosto sicuro che non mi pentirò di non aver dato un bacio di addio ad un
cadavere. Non mi mancherà quel corpo in decomposizione, né quell’odore pungente
di morte.”
L’Ibrido
si lasciò andare ad un pianto sommesso e si accorse che era la prima volta che
piangeva da quando Allison era morta. Era per lei che piangeva e anche se non
era quello di cui Elijah aveva bisogno in quel momento non poteva fermare le
lacrime, non ci riusciva. “Ti mancherà invece” gli disse. “Quando tornerai in
te ti mancherà ogni cosa di quella donna; il sorriso gentile, il sarcasmo, il
discutibile senso dell’umorismo. Ti mancherà il calore di quella pelle chiara,
la dolcezza di ogni suo gesto, la forza e la passione… ti pentirai di non essere
stato lì mentre la portavano via perché, viva o no, era l’ultima occasione per
te di vederla.”
Elijah
abbassò lo sguardo per un attimo, quando lo rialzò Klaus aveva ripreso il
controllo ma non sembrava più in vena di discutere.
“Fai
come vuoi” gli disse infatti. “Io vado a dire addio alla mia amica.”
Se
ne andò ed Elijah rimase solo. Si lasciò cadere su una sedia mentre una strana
sensazione lo avvolgeva. Durò un attimo, poi passò.
****
Allison
arrivò in ospedale, su una barella, alle quindici e trenta di una domenica di
primavera e ad accoglierla all’entrata trovò Maggie Lin, primario del reparto
di ginecologia dell’Hope Zion di Toronto, vecchia amica e vecchia fiamma di
Joel e numero uno nel suo lavoro, soprattutto per quel che riguardava i parti
gemellari.
“Maggie?
Ciao…” la salutò perplessa reprimendo un urlo quando un’altra contrazione la
colpì. “Oh mio Dio! Ho sempre pensato che le gestanti fossero fin troppo
esagerate ma ora mi pento di averlo fatto.”
Maggie
sorrise avvicinandosi a lei e le accarezzò piano la fronte con una mano mentre
con l’altra le controllava il polso. “È bello vederti Allison ma in base a
quello che mi ha detto Joel non avresti dovuto partorire prima di altri quattro
giorni almeno.”
L’altra
sorrise appena, poi gemette stringendo i denti. “Joel” sussurrò col fiato
corto. “Dov’è?”
“Era
in riunione ma l’ho avvertito e sta arrivando” fu Glenda a rispondere, l’infermiera
che Allison conosceva da quando era una bambina.
“Grazie
Glenda” le disse sforzandosi di mantenere la calma. Infine si rivolse a Maggie
che nel frattempo si era messa una cuffietta e un paio di guanti. “Maggie, cosa
ci fai qui?”
“Joel
mi ha telefonato due giorni fa, ha detto che la tua ginecologa si è rotta un
braccio e quindi non potrà lavorare per un po’. Mi ha detto che per niente al
mondo avrebbe permesso all’altro tizio di toccarti e mi ha chiesto di venire ad
occuparmi dei due mostriciattoli che incontreremo tra…” si fermò e inserì una
mano tra le gambe di Allison per controllare i centimetri di dilatazione. “Tra
pochissimo direi, sento già la testa.”
Allison
reclinò il capo all’indietro e pianse. Di emozione e tensione ma soprattutto di
paura. Da lì a poco avrebbe partorito due creature e c’erano un migliaio di
cose che avrebbero potuto andare male. Era un dottore, lei lo sapeva… stava per
fare un elenco, come faceva spesso per rimettere in ordine i pensieri, quando
Joel arrivò ed entrò nella stanza con indosso il camice, il viso arrossato per –
lei immaginava – la corsa che si era fatto dal piano di sopra a lì. “Joel.”
“Ciao
amore” le sorrise lui piegandosi per baciarle la bocca, poi la punta del naso. “I
nostri figli sono un po’ in anticipo a quanto pare.”
“Pare
di sì.”
“Ah
sì” disse lui di improvviso, come se si fosse appena ricordato qualcosa. “Ho
chiesto a Maggie di venire a far nascere i nostri gemelli.”
“Sì,
me ne sono accorta” ridacchiò Allison prima che un’altra contrazione la
colpisse. Stavolta un urlo le si levò in gola senza che riuscisse a fermarlo.
“È
ufficialmente ora di spingere” li informò Maggie.
“Non
credo di farcela” mormorò Allison. “Tutto questo è colpa tua” disse rivolta a
Joel. “Dovresti essere tu a spingere.”
Lui
rise. “Hai ragione ma probabilmente io sarei svenuto dopo la prima contrazione.”
“Femminuccia”
lo etichettò Allison. “Stiamo per avere due bambini, Joel Goran.”
Joel
le accarezzò la fronte sudata. “Spero somiglieranno alla loro bellissima madre.
Anche se, se saranno due femmine che somigliano a te, sarò costretto ad
uccidere chiunque le corteggerà.” rifletté.
“Va
bene papà” lo prese in giro Maggie. “È ora che la mamma spinga. Sei
pronta?”
“Sì,
lo sono.” Allison annuì.
“Bene,
al mio tre allora. Uno, due, tre…”
Allison
spinse. Entrò in ospedale alle quindici e trenta e alle sedici e trentacinque
minuti Gabriel Alexander e Victor Eugene Goran vennero al mondo, sani e di due
chili per uno. Alle sedici e quaranta minuti Joel venne fatto uscire mentre la
pressione della sua fidanzata crollava e lei perdeva i sensi.
****
Allison
affondò il cucchiaio un’ultima volta nel gelato; menta e cioccolato, il suo
preferito, e ne tirò fuori una porzione che posizionò dentro una coppa di vetro
rossa. Sospirando si guardò intorno mentre un sorriso le piegava le labbra. Le
pareti erano quasi del tutto finite, quella color tortora era decisamente la
sua preferita, non capiva perché fosse stato così difficile convincere Joel a
scegliere quel colore, lei lo trovava perfetto per quella stanza. Alla fine ce
l’aveva fatta ma era stata dura fargli dire di sì. Per fortuna però sapeva come
fare a convincerlo, che tasti premere e che parole usare.
Corrugò
la fronte quando bussarono alla porta perché nessuno sapeva che abitavano lì…
in realtà non ci abitavano ufficialmente, stavano ancora terminando i lavoretti
che la casa richiedeva. Forse, pensò, era qualche vicino che l’aveva vista e
aveva pensato di andare a presentarsi. Si sistemò i capelli come meglio poteva
e andò ad aprire.
“Salve”
disse all’uomo dalla faccia simpatica che si ritrovò davanti. “Posso aiutarla?”
“Salve”
la salutò lui. “Ehm… le sembrerà incredibilmente strano quello che sto per fare
ma la prego di credermi che è per il suo bene.”
Allison
scosse il capo ma prima che potesse dire qualunque cosa l’uomo le sfiorò la
fronte con due dita e lei chiuse gli occhi. Quando li riaprì la prima cosa che
fece fu guardarsi il ventre, poi il suo sguardo si alzò fino a quello dell’uomo.
“Chuck?” mormorò confusa guardando… Dio.
“Ciao
Allison,” ricambiò l’altro. “Mi dispiace, tutto questo è stato un gigantesco
malinteso.”
“Non
capisco.”
“Lascia
che ti spieghi” lui respirò a fondo. Poi le spiegò ogni cosa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** 28. Il bivio ***
28.
IL
BIVIO
“Sono
morta?” domandò Allison sgranando gli occhi, le iridi nocciola piene di
sgomento poggiate su Dio, anzi, Chuck come preferiva essere chiamato.
All’inizio, doveva ammetterlo, aveva pensato dapprima ad uno scherzo, poi ad un
sogno. Ma aveva sbattuto gli occhi e si era data dei pizzicotti che le avevano
arrossato il braccio, e non si era svegliata. “Sono morta” ripeté di nuovo,
stavolta a se stessa.
“Per
sbaglio” precisò lui allungando poco le mani in avanti, come per
tranquillizzarla. “Non era ancora il tuo momento.”
“Come
cavolo si muore per sbaglio Chuck? Non è possibile!”
“Beh,
essendo Dio, posso dirti per certo che può succedere. Potresti essere colpita
per sbaglio da una pallottola destinata a qualcun altro, o essere investita per
sbaglio sulle strisce pedonali e…” si fermò e fece un grosso respiro. “E tu sei
arrabbiata, lo capisco, davvero. Ma ti prego di credermi che appena ho saputo
cosa era successo sono corso per rimediare.”
“Corso
per rimediare? Corso da dove? E come puoi rimediare a… questo?” chiese lei
guardandosi intorno. “Da quanto sono morta?”
“Tre
mesi.”
“Tre
mesi?” urlò la cacciatrice, poi si passò le mani tra i capelli e scosse il capo
allibita. “Questo deve essere uno scherzo o un incubo da cui non riesco a
svegliarmi.”
“Okay”
sussurrò lui spostando una sedia e aiutandola a sedersi. “Ascoltami
attentamente adesso, va bene?”
Allison
annuì facendo un grosso respiro, ma i suoi pensieri vagavano liberi da una
parte all’altra. Non avrebbe saputo dire quale delle due parti le facesse più
male e più paura.
“Miles
Brown ha chiesto ad una strega di lanciarti una maledizione. Ti considera una
traditrice e quindi, secondo lui, come tale dovevi morire. Ricordi il marchio
sul tuo braccio?” la donna fece cenno di sì col capo e Chuck continuò. “Quando
sei morta per la tua anima si è scatenata una specie di guerra: l’Inferno ti
voleva, il Paradiso credeva che ti meritassi la pace tanto sudata. Alexa, una
delle mie figlie più devote e giuste ha vinto e così ha portato la tua anima
qui tra le nuvole.”
La
cacciatrice sollevò un sopracciglio mentre lui sorrideva nella speranza di
smorzare la tensione. Lei però non ci trovava niente di divertente. “Ti rendi
conto che hai appena parlato della mia anima come se fosse un premio da
vincere? Chuck, sono morta da tre mesi… che ne è stato del mio corpo? E i
Winchester e Castiel? Elijah” si fermò e si coprì la mano con la bocca. “Come
sta Elijah? Era con me quando sono morta vero?”
Chuck
annuì. “Sì, era con te e non se la sta passando molto bene. Quanto ai
Winchester e Castiel, hanno provato a contattarmi diverse volte ma ero… fuori
portata. Sono venuto appena mi sono accorto della gravità della situazione”
disse di nuovo. “Di’ loro che mi dispiace, quando tornerai in vita. Ammesso che
tu voglia tornare in vita.”
Allison
lo guardò perplessa. Di prima acchito la domanda le sembrò incredibilmente
sciocca, retorica, poi però una parte di sé ripensò a Joel e ai gemelli.
Ripensò ai suoi genitori, a suo fratello che stava scrivendo un film, alla sua
vita normale e felice e la domanda le sembrò sensata, anche troppo. Cielo…
c’erano così tante cose che voleva chiedere.
“Chiedi
pure!” le disse Chuck sedendosi accanto a lei e, visto che stava parlando con
Dio, che le avesse letto il pensiero le sembrò normale in fondo.
“Se
la mia morte è un errore, perché non mi hai semplicemente riportata indietro?”
“Perché
tra tutte le cose che vi ho donato, ce n’è una che mi sta particolarmente a
cuore.”
Allison
sorrise tristemente. “Lasciami indovinare, il libero arbitrio.”
“Esatto.
La verità è che volevo venire qui e semplicemente riportarti indietro, come hai
detto tu, ma ti ho visto dare alla luce due bambini, ti ho vista felice e
realizzata e mi sono ricordato che non sta a me decidere.”
La
donna fece un grosso respiro, infine si alzò ma gli diede le spalle. “Hai detto
che Elijah non se la sta cavando molto bene. Che significa?”
“Diciamo
che non ha preso bene la tua morte. Ha abbassato l’interruttore, per spegnere
il dolore.”
“Ha
spento la sua umanità?” chiese lei ma la risposta era piuttosto ovvia. “Se
decidessi di rimanere, tu potresti… aiutarlo? Fargli riaccendere la sua
umanità, liberarlo dal dolore?”
“No”
Chuck scosse il capo. “Non posso farlo Allison. Ma non basare la tua decisione
su questo, perché non sono certo che tornando tu riusciresti ad aiutarlo.
Potresti provarci, senza dubbio, ma niente è sicuro.”
“E
se decidessi di tornare?”
“Cancellerò
ogni ricordo che hai di questo posto e tornerai alla tua vita normale.”
“Joel.
Lui è… morto?”
“Non
che io sappia, e io so tutto” provò a scherzare lui. Ma tornò subito serio.
“Vorrei darti il tempo che ti serve per decidere cosa fare Allison, ma la
verità è che non ne hai molto. Ho bisogno di una risposta e ne ho bisogno
adesso.”
“Nessuna
pressione…” lei abbozzò un sorriso. “Cosa ne è stato del mio corpo? Non mi hai
risposto prima.”
“Non
ha importanza,” lui le prese le mani. “Se deciderai di tornare non devi preoccuparti
di questo.”
Allison
deglutì a vuoto, poi diede la sua risposta.
****
Allison
era davanti alla nursery quando Joel arrivò alle sue spalle e la fece
sobbalzare. Così persa nei suoi pensieri non si era accorta di lui, eppure le
sue scarpe di gomma facevano quel fischio rumoroso sul linoleum dell’ospedale.
“Scusa,”
le disse lui baciandole la tempia. “Non volevo spaventarti, anche se te lo
meriteresti dopo lo spavento che mi hai fatto prendere in sala parto.”
Lei
si strinse addosso la giacca e si lasciò andare contro il suo petto, confortata
dal battere del suo cuore, dal calore della sua pelle. “Mi dispiace per quello”
gli disse. “Ma guarda” con un dito indicò i loro gemelli che dormivano in una
culletta doppia, le loro piccole mani una sopra l’altra quasi se la stessero
stringendo. “Li abbiamo fatti noi. Anche se tu ti sei preso solo la parte
divertente.”
“Ah
le gioie di essere un uomo” ridacchiò lui, tornando serio quando lei lo guardò
con gli occhi pieni di lacrime. “Allison, stai bene?”
“Ti
amo Joel. Grazie per tutto quanto, per i nostri bambini soprattutto.”
“Ti
amo anche io” lui le baciò le labbra e lei chiuse gli occhi lasciando cadere
alcune lacrime.
****
Quando
li riaprì si ritrovò sdraiata su un pavimento polveroso, nel buio semi
illuminato solo dalla luce della luna piena attraverso le finestre. Piano
Allison si alzò e fece un grosso respiro scoprendo che stava tremando, le
guance bagnate di lacrime e un freddo mai sperimentato prima. Riprendendo il controllo
si guardò intorno cercando di capire dove fosse e quando finalmente le fu
chiaro si incamminò verso l’uscita. Fuori dalla scuola di musica si toccò le
tasche scoprendo, con grande sorpresa, di avere un cellulare. Non era suo e non
sapeva di chi fosse ma poco importava, sarebbe andato bene.
Pensò
di telefonare ad Elijah ma poi ricordò quello che Chuck le aveva detto. Poi
pensò a Marcel ma si accorse ben presto che gli unici che poteva davvero
chiamare erano i Winchester e Castiel. Così compose il numero dell’ex angelo e
attese quattro squilli prima che lui rispondesse.
“Cass,
sono io. Ti prego, non riattaccare.” gli disse scoppiando in lacrime.
“Allison?”
“Chuck
mi ha portata indietro, ha detto che lo avete tanto cercato dopo che sono
morta. Ascolta, vi racconterò ogni cosa ma ho bisogno che veniate a prendermi.”
“Allison,
dove sei?” era la voce di Dean e lei capì di essere in vivavoce.
“Sono
alla scuola di musica a Baton Rouge, quella che ho comprato per mia madre.”
“Dove
avevi appuntamento con Elijah quando…”
“Sì,
quella.”
“Rimani
dove sei, stai dentro fin quando non arriviamo” le
disse Cass.
“Partiamo
ora!” aggiunse Dean.
“Okay”
mormorò lei con voce tremante. Poi riattaccò e si rifugiò dentro, in attesa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** 29. Elijah ***
AMICI, grazie a tutti e
se vi va, vi aspetto sul mio blog: librilandia
29.
ELIJAH
“Grazie”
Allison sorrise a Sam prendendo la tazza di latte caldo che le porgeva e la
strinse con entrambe le mani mentre Cass le poggiava sulle spalle il suo
impermeabile. Non sapeva esattamente da quanto tempo fosse tornata, non si
sentiva del tutto lucida da quando era successo. Forse dieci o quindici ore…
forse meno, forse più. I suoni di quell’altra realtà, del suo paradiso ancora
le riecheggiavano nelle orecchie, i visi le danzavano davanti agli occhi: Joel,
i suoi genitori, Matt e i suoi occhi brillanti di ambizione e sogni. I suoi
figli…
La
donna lasciò cadere qualche lacrima che si affrettò ad asciugare col palmo di
una mano e fece un grosso respiro. Ma la sua tristezza non sfuggì ai suoi tre
amici.
“Stai
bene?” le chiese infatti Dean dopo aver scambiato una rapida occhiata con gli
altri due. “A parte, beh lo sai…”
“Sto
bene” replicò lei con la voce roca di pianto.
“Ricordi
tutto vero?” intervenne Castiel. “Del tuo paradiso, ricordi ogni cosa.”
“Sì,
ricordo tutto.”
Sam
corrugò la fronte. “Com’è possibile? Non dovrebbe venire tutto cancellato in
automatico? Cass?”
“Di
solito si lasciano solo frammenti di ricordi, quelli più vicini alla realtà in
cui si torna, a meno che…”
“Ho
chiesto io a Chuck di lasciarmi i ricordi, tutti quanti.”
“Perché?”
le chiese Castiel. “Così sarà mille volte più difficile.”
Allison
bevve un ultimo sorso di latte, poi si mise in piedi e si guardò intorno, in
quella triste camera di motel in cui l’avevano portata. Se non ricordava male
aveva visto il cartello di Benvenuti a Convington qualche ora prima dal
sedile posteriore dell’Impala. Dio… aveva una marea di cose di cui occuparsi,
primo fra tutti Elijah eppure non riusciva nemmeno a pensare nel modo giusto.
“Non
ha importanza ora” disse cercando di recuperare un briciolo di lucidità. “Ora
ho altre cose di cui occuparmi, come Elijah ad esempio.”
“No,
hey” le disse Dean mettendosi davanti a lei. “I Mikaelson non sono un tuo
problema. Non più, anzi, non lo sono mai stati anche se tu ti sei comportata
come se lo fossero.”
“Dean,
quello che mi è successo non è colpa loro.”
“Sì
invece, la tua amicizia con loro ha incasinato la tua intera esistenza.”
“Dean”
cercò di ripetere lei, ma lui partì in quarta elencando con l’aiuto delle dita
tutte le cose che erano andate storte da quando lei si era messa a giocare al
buon samaritano con la famiglia degli Originali. Quando finì le puntò lo
sguardo a dosso, quasi si aspettasse chissà cosa.
“Io
lo amo” gli disse la cacciatrice stringendosi nelle spalle. “Nel mio paradiso i
miei genitori erano vivi, ero un dottore come mio padre, mio fratello era un
amorevole umano sognatore e avevo un fidanzato e dei figli; due gemelli. Ero
felice ma poi Chuck ha fatto la sua comparsa, mi ha detto che Elijah è nei guai
ed io ho esitato più o meno tre secondi prima di scegliere di tornare qui. Tre
secondi Dean… tanto è il tempo che mi è servito per capire che volevo tornare
da lui. Quindi se pensi che adesso me ne starò qui e non andrò a salvarlo o se
pensi che nasconderò loro di essere tornata, allora in questi tre mesi in cui
sono stata morta ti sei dimenticato parecchie cose di me” parlò con calma. “E
se non ti sta bene, se avete un problema con la mia decisione, allora grazie di
essere venuti a prendermi ma ora potete andare.” disse rivolta a tutti e tre.
Rimasero
tutti in silenzio per un istante, poi Sam tirò fuori il cellulare e abbozzò un
sorriso triste. “Telefono a Klaus e lo aggiorno.”
“Io
ti procuro qualcosa da mangiare.” si offrì Cass.
Dean
invece scosse il capo. “Io non ci sto” le disse. “Sei morta Allison, per tre
mesi. Noi siamo tutto quello che rimane, guardaci…” allargò le braccia. “Charlie
è morta, Bobby è morto, Vincent e Victor sono morti. Loro non hanno avuto una seconda
possibilità ma tu ce l’hai e non starò qui a guardare mentre la sprechi.”
Uscì
dopo aver afferrato la sua giacca ed Allison scosse il capo quando Sam e Cass
provarono a fermarlo. Il suo amico aveva bisogno di un po’ di tempo e lei lo
capiva. Quando alle spalle del maggiore dei Winchester si richiuse la porta la
donna afferrò il borsone con i suoi effetti personali e fece un grosso respiro
tirando fuori la sua carta di credito che porse a Sam.
“Visto
che alcune delle mie cose sono andate distrutte o perse chissà dove, puoi
procurarmi un cellulare nuovo mentre io faccio una doccia?”
“Certo.”
“Ti
accompagno” si offrì Castiel.
Allison
si chiuse in bagno.
****
“Uno,
due, tre, quattro, cinque, sei” Elijah si leccò la punta delle dita pulendo via
il sangue mentre con l’altra mano contava le vittime che giacevano sul
pavimento. Sei per la precisione, presto però sarebbero state otto, realizzò
con un sorriso sinistro guardando le uniche due persone che ancora non aveva
bevuto o mangiato o qualunque altro termine fosse utile a definire ciò che
aveva agli altri.
“Ti
prego” mormorò la bionda ricciolina che aveva soggiogato a rimanere seduta
immobile mentre intorno le vittime cadevano come mosche. “Non farmi del male.”
“Farti
del male?” le fece eco lui. “No tranquilla, non lo farò. Hai dimostrato del
fegato poco fa quando mi hai colpito cercando di fermarmi, ecco perché ti ho
soggiogata mentre invece ho ucciso tutti gli altri. Lui invece” disse rivolto
all’unico altro sopravvissuto. “Lui l’ho tenuto in vita perché volevo che ti
facesse compagnia e poi perché è ubriaco quindi non so quanto il suo sangue sia
piacevole al momento.”
“Cosa
sei tu?” chiese ancora la ragazza.
“Ha
importanza?” chiese lui sistemandosi i polsini della camicia. “Sapere cosa sono
lo renderà forse meno spaventoso?”
“Prendi
quello che vuoi” intervenne l’altro. “Prenditi tutto, uccidi me ma lascia
andare lei.”
Elijah
sorrise scuotendo il capo. “Ah, vedo che qui abbiamo un eroe” disse avvicinandosi
a lui. “Lasciami indovinare… tu la ami ma non hai mai avuto il coraggio di
dirglielo e ora fai l’eroe perché hey, magari riuscirete ad uscire vivi da
questa situazione e allora lei cadrà ai tuoi piedi, ai piedi dell’uomo che era
pronto a morire per proteggerla. Molto romantico, quasi mi dispiace ucciderla,
ma sai… uccidendola ti insegnerò qualcosa: mai, mai amare qualcuno perché finirai
per perdere sempre le persone che ami. Io lo so per esperienza.”
“Punto
uno trovare un principe azzurro; due avere un cane da chiamare Cupcake; tre
avere una collana come quella di mamma; quattro essere un dottore come papà” si
fermò per riprendere fiato. “Cinque trovare una fidanzata per Matt; sei
adottare un criceto che si chiamerà Gigì; sette comprare una casa con un grande
giardino; otto aiutare la mia migliore amica Melody con il suo gatto Graffio; nove
fare una festa a sorpresa per i cinquant’anni di papà. E infine, andare
sott’acqua con gli occhi aperti.”
L’Originale
sorrise. “Era una bella lista ma queste sono solo dieci cose.”
“La
undicesima era più un’aggiunta al punto primo.”
Elijah
sentì che il battito di Allison stava rallentando in modo spaventoso, la sua
pelle stava diventando fredda, gli occhi si spegnevano ogni secondo di più.
“Cos’era?” le chiese con la voce rotta di pianto.
“Il
principe azzurro doveva guardarmi con amore assoluto, come se non ci fosse
niente di più importante al mondo. Come mi stai guardando tu adesso.”
Il
vampiro chiuse gli occhi, avvicinò il viso al suo e la baciò. “Ti amo” le
sussurrò. “Mi dispiace di averci messo tanto a dirlo.” Riaprì gli occhi, ma le
iridi nocciola che incontrò erano vitree e prive di vita. La sua Allison era
morta.
“Allison”
la chiamò. “Ti prego resta con me.” privo di ogni forza se la strinse al petto
affondando il viso tra i suoi capelli. “Ti prego, torna da me.”
Lei
però non poteva tornare. Elijah si accorse che quello che stava provando in
quel momento era il dolore più grande che avesse mai provato.
“Se
non provi nulla, tutto è molto più facile” mormorò scuotendo il capo per
scuotere anche i pensieri. “Mi ringrazierai dopo che ti avrò dato la
possibilità di spegnere ogni cosa, ogni sentimento. Più niente ti terrà
prigioniero, sarai libero.”
Gli
strinse il viso con una mano pronto a spezzargli il collo e poi lo sentì: quel profumo
che non sentiva più da tre mesi ormai. L’odore delicato di frutta unito all’intensità
dell’odore del sangue. Di quel sangue.
Poi
arrivò la voce. “Elijah” pronunciò e lui si sentì spiazzato. Una sensazione che
però durò un attimo. Era frutto della sua immaginazione, doveva per forza
essere così. I morti non tornano indietro anche se lei era piuttosto speciale,
piena di risorse. No… questo doveva essere un trucco ideato dalla sua famiglia
per farlo tornare sulla retta via. Poveri illusi. Però quell’odore…
“Elijah”
ripeté di nuovo lei. “Fermati ti prego.”
Lui
si voltò con uno scatto e la guardò. “Stupefacente” le disse sorridendo appena.
“Non so come Niklaus abbia fatto a replicare tutto nei minimi dettagli ma…”
“Sono
io” Allison gli si avvicinò di qualche passo cercando di non guardare il
pavimento pieno di cadaveri. “È una lunga storia e te la racconterò per filo e
per segno ma devi venire con me. Devi smettere di uccidere la gente, riaccendi
le tue emozioni, ti prego.”
Elijah
si inumidì le labbra, poi si spostò dietro l’uomo che pochi secondi prima stava
per uccidere e gli poggiò una mano sulla testa. “Lo stavo proprio dicendo al
mio amico qui” le disse. “Le emozioni ti rendono prigioniero quindi” con un
colpo deciso spezzò il collo di quel tizio mentre la bionda ricciolina
scoppiava in lacrime. “Grazie, ma no grazie.”
Aguzzò
i canini, gli occhi completamente venati di sangue mentre la raggiungeva veloce
e affondava i denti nel suo collo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** 30. Un'ultima volta ***
30.
UN’ULTIMA
VOLTA
“Che
diavolo è successo?” Klaus urlò andando avanti e indietro di fronte al divano
sul quale Allison se ne stava seduta da circa dieci minuti, la mano ferma sul
morso al collo che Elijah le aveva dato. Se ci ripensava le tornava in mente la
brutta sensazione che per lei sarebbe andata a finire male; quando l’Originale
aveva affondato i canini nella sua carne e aveva iniziato a bere, lei aveva
avuto la percezione che non solo il sangue stesse fluendo fuori dal suo corpo,
ma anche la vita stessa. Gli aveva detto lasciami andare ma lo aveva
fatto convinta che non l’avrebbe neppure sentita, invece lui aveva mollato la
presa e poi se ne era andato via dopo averle intimato di stargli lontano.
Allison
si era occupata dei corpi come meglio aveva potuto, poi aveva telefonato a
Klaus affinchè, tra le altre cose, la raggiungesse per occuparsi dell’unica
sopravvissuta. L’Ibrido era arrivato in compagnia di Hayley, Marcel e un’altra
donna che le disse di chiamarsi Eva. Marcel, che aveva appena saputo del suo
ritorno, l’aveva stretta in un abbraccio talmente forte e carico di sentimento
che lei aveva pianto per cinque lunghi minuti. Niente a che vedere con il
bentornata che le aveva riservato Klaus quando l’aveva rivista dopo la
telefonata dei Winchester…
“Smettila
di urlarmi contro” disse al suo amico afferrando la pezza che Marcel le stava
porgendo e poggiandosela sulla ferita.
“Avevi
detto che avresti sistemato le cose, ma eccoci qui: hai un morso al collo e mio
fratello è ancora privo della sua umanità chissà dove.”
“Avevo
sottovalutato la situazione” Allison deglutì a vuoto pensando che era
esattamente quello che era successo. Si era immaginata una scena del tutto
diversa rispetto a quella che si era verificata alla fine. Lei aveva immaginato
di arrivare da lui e che la sua presenza sarebbe stata sufficiente a riportare
tutto alla normalità, ma si era resa ben presto conto che l’assenza di emozioni
ed umanità oramai era così tanto radicata in Elijah che sarebbe stato molto più
difficile del previsto. “Un errore che non commetterò di nuovo.”
“Come
sei riuscita a fuggire?” le chiese Hayley indicando con una mano il morso. “Io
mi sono trovata in questa situazione ma sono un’Ibrida e sopraffarlo è stato
relativamente semplice. Ma tu, come hai fatto a liberarti dalla presa?”
“Non
l’ho fatto” precisò la cacciatrice. “Gli ho chiesto di lasciarmi andare e l’ha
fatto. Dopodiché mi ha detto di non farmi più vedere e questo è quanto.” Gli
altri si scambiarono una rapida occhiata senza però proferire parola,
guadagnandosi una sua espressione perplessa. “Che c’è?”
Le
rispose Marcel, dopo aver fatto un grosso respiro. “In questi tre mesi lo
abbiamo affrontato tutti a turno e credimi, alcuni di noi hanno dovuto usare
tutta la forza che avevano per non venire uccisi.”
“Abbiamo
fallito tutti e se anche tu…” si intromise Hayley, ma Klaus la interruppe
fermando il suo movimento nervoso e fissando gli occhi su Allison.
“Tu
ci riproverai, ancora e ancora fino a quando non sarà tornato l’Elijah di
sempre. Tu l’hai spezzato e tu rimetterai insieme i pezzi.”
“Credi
che non voglia aiutarlo Klaus?” la cacciatrice si mise in piedi e lo fronteggiò
con durezza. “Credi che volessi questo? Ti assicuro che non è così: ero in
pace, in paradiso con la mia famiglia e tante altre cose che qui non avrò mai
ma non appena ho saputo quello che stava succedendo ho chiesto di essere
riportata indietro” gli disse. “Sono tornata dal regno dei morti da meno di
ventiquattro ore e non mi hai neppure chiesto come sto. Avresti dovuto
abbracciarmi come ha fatto Marcel, persino Hayley mi ha detto qualcosa di
carino e tu…” lo indicò con un dito. “Tu invece mi stai di fronte e mi parli
come se trovassi tutto questo divertente.”
Si
accorse che mentre parlava si era messa a piangere, lo sguardo triste di Klaus
la fece quasi sentire in colpa. Ma solo per un secondo.
“Mi
dispiace” le disse l’Ibrido prendendola piano per le spalle. “Hai ragione, sono
il solito egoista, ma sono preoccupato per Elijah. So che anche tu lo sei ma
lui si è sempre preso cura di me ed io non riesco neppure a fargli riaccendere
la sua umanità e questo fallimento, il non sapere cosa fare, mi brucia al
centro del petto Solo tu puoi aiutarlo e ti prego, ti prego… fai che sia una
priorità.”
Allison
fece un grosso respiro, si asciugò gli occhi e deglutì a vuoto. Certo che
Elijah era una priorità, per lei lo era praticamente sempre. Poteva vedere il
terrore, lo smarrimento e la straziante sensazione di inutilità nelle iridi
chiare di Klaus, poteva capirne le ragioni. Solo che non sapeva come risolvere
la situazione.
Pensa
in fretta, si disse, deve esserci un modo. Poi lo trovò e mentre esponeva il
piano agli altri sperò che avrebbe funzionato.
****
Elijah
varcò la soglia della tenuta dopo aver dato una rapida occhiata al suo
orologio. Non sapeva neppure lui perché avesse accettato l’invito di Niklaus ma
credeva che fosse perché era annoiato ed era curioso di sapere cos’altro si
fosse inventato suo fratello per cercare di aggiustarlo. Aveva deciso di
smettere per qualche giorno con le uccisioni di massa, stava iniziando a dare
nell’occhio e anche se non era veramente un problema non era quello che voleva.
Lui
voleva essere libero e voleva fare tutto ciò che per secoli il suo forzato
autocontrollo gli aveva impedito di fare, uccidere poveri idioti incontrati per
caso o misere sgualdrine che lo abbordavano nei bar non era esattamente il
massimo. Perplesso si fermò notando che le casa era addobbata, fiori bianchi
ovunque, calici di champagne, il grande atrio sgombero da ogni mobile, il
corrimano della scala adornato con un nastro di raso color crema. Dalla
balaustra pendevano morbide alcune piante rampicanti tra le cui foglie erano
adagiati boccioli di rose ancora chiusi. Di sottofondo una musica classica che
lo riportò indietro nel tempo a tanti anni prima.
“Niklaus!”
chiamò ma non fu lui a farsi vedere.
“Grazie
di essere venuto” sentì dire. Di nuovo da quella voce roca a cui più o meno
dieci ore prima aveva intimato di lasciarlo in pace.
“Ancora
tu!” disse voltandosi a guardarla, scoprendo che indossava lo stesso identico
vestito di tanti anni prima, quando si erano incontrati per la prima volta a
Mystic Falls.
Elijah
le porse la mano con un sorriso e per un istante la guardò da capo a piedi
perdendosi in quella bellezza sensuale ma delicata. La pelle di porcellana, le
fossette sul viso quando lei gli sorrise urlavano innocenza, la malizia dentro
quegli occhi nocciola invece gridava il contrario. Non sapeva chi fosse quella
donna anche se l’aveva notata non appena era arrivata; d’altronde era
impossibile da ignorare. Era entrata insieme a Damon Salvatore che però non la
degnava neppure di uno sguardo. Povero idiota, per quanto la giovane Elena
fosse bella non c’era competizione ma entrambi i fratelli Salvatore sembravano
incapaci di vedere ciò che li circondava. Li capiva un po’ in fondo, anche lui
aveva amato quel viso, però allora apparteneva a qualcun altro…
“Ho
pensato che avesse bisogno di aiuto e visto che mi piace aiutare la gente ho deciso
di darle una mano” gli disse la donna e lui scoprì che aveva una voce roca,
esattamente come se l’era immaginata.
“E
chi devo ringraziare per questo salvataggio?” le domandò facendola volteggiare
e poi riprendendola tra le braccia, forse con un po’ troppa veemenza visto che
se la ritrovò ad un soffio dalle labbra.
“Allison
Morgan” gli sussurrò guardandogli la bocca.
“Ah,
ho sentito parlare di lei” un’altra giravolta. “Lei è la cacciatrice che ha
aiutato mio fratello Niklaus.”
“Lo
sono” confermò lei. “Ma per stasera preferirei essere solo Allison, senza
l’etichetta cacciatrice. Se per lei va bene ovviamente…”
“Elijah”
le fece sapere lui realizzando di non essersi ancora presentato. “Sono Elijah
Mikaelson. E grazie Allison, per avermi salvato da quella petulante signora.
Era gentile ma non smetteva un attimo di parlare.” La donna sorrise, poi si
lasciò andare alla musica.
“Cos’è
questa… messinscena?” chiese allargando le braccia. “Scommetto che è un’idea di
Klaus. Fa tanto il duro ma in fondo è un sentimentalista.”
“È
stata un’idea mia a dire il vero” Allison fece qualche passo avanti. “So che mi
hai chiesto di lasciarti in pace e so che forse non sei ancora del tutto
convinto che sia davvero io ma…”
“Oh
no, lo sono. So che sei davvero tu, il tuo sangue ha un sapore inconfondibile e
quando ti ho morsa ho capito che non eri una qualche riproduzione. È solo che
non mi interessa.”
La
donna sentì gli occhi pizzicarle ma si impose di mantenere il controllo. Quello
non era Elijah, non del tutto almeno. “Okay” gli disse. “Va bene. Ti lascerò in
pace, ma ad una condizione.”
“E
quale sarebbe?”
“Ballerai
con me, adesso. Come tanti anni fa a Mystic Falls. Ballerai con me un’ultima
volta El, un’ultima volta prima che le nostre strade si separino per sempre.”
Lui
sembrò rifletterci per un attimo, si guardò intorno e poi con un piccolo
inchino le porse la mano che lei prese col cuore che le batteva all’impazzata.
Iniziarono a volteggiare e lo fecero per alcuni minuti, occhi dentro occhi, le
mani strette, i respiri vicini, le labbra ad un soffio le une dalle altre.
Allison si alzò poco sulla punta dei piedi e gli posò un bacio delicato sulla
bocca che durò un po’ di più del previsto quando si accorse che lui non si
tirava indietro.
“Questo
non è successo a Mystic Falls” le fece notare Elijah. “Credevo che questa fosse
la replica di quella serata, ma forse è più una rivisitazione?”
“Voglio
che tu mi uccida” gli disse lei cogliendolo talmente di sorpresa che lui si
fermò ignorando la musica.
“Potresti
ripetere? Credo di non aver capito bene.”
La
cacciatrice spostò tutti i capelli su un lato del collo lasciando completamente
scoperto l’altro e piegò poco il capo. “Ero in pace, dopo essere morta… mi è
stata data la possibilità di scegliere tra tornare qui e rimanere lì. Niente
più dramma, niente più paure. Ma poter vivere senza nessuna di queste cose
negative significava dover vivere anche senza di te ed io non voglio vivere
senza di te.”
“Sei
una sciocca allora.”
“Forse”
lei annuì. “Forse lo sono o forse sei tu lo sciocco. Non ha importanza perché
se tu non vuoi tornare da me allora io non voglio vivere. Quindi uccidimi
Elijah; io tornerò alla mia pace eterna, tu sarai finalmente davvero libero.”
“Io
sono già libero, non ho bisogno di ucciderti per esserlo.”
“Fallo!”
lo esortò Allison. “Fallo e nessuno proverà più a fermarti, ecco il patto che
ho fatto con la tua famiglia. Fallo, Elijah. Ora!”
Lui
lo fece. Senza esitare ancora la morse con tutta la forza che aveva, inebriato
dall’odore di quel sangue che gli sfiorava le narici, saziato da quel sapore
metallico che gli riempiva la bocca. Voleva morire, l’aveva chiesto lei e lui
l’avrebbe accontentata.
“Ti
amo.” Quelle due parole gli solleticarono le orecchie, viaggiarono in fondo fino
al suo cervello e la presa delle mani si allentò poco mentre un’ondata di
ricordi lo sconvolgeva.
“Amarti
è un privilegio a cui non voglio rinunciare ma se tu non mi vuoi ti lascerò
andare.”
“Solo un ballo. Poi sarai libera di andare se vorrai.”
Gli
sorrise e per Elijah fu come respirare aria fresca. “Buongiorno.”
“Il principe azzurro doveva guardarmi come mi stai
guardando tu adesso.”
“Ti
prego, torna da me.”
Con
un urlo allontanò la bocca dal collo di Allison e si strinse la testa tra le
mani. Lei barcollò ma non cadde e con il poco di forza che le era rimasto
sorrise poggiando le mani sulle sue. “El…” gli disse in un sussurro. “Torna da
me.”
Lui
chiuse e riaprì gli occhi diverse volte e alla fine sembrò tornare lucido.
“Allison” pronunciò il suo nome guardandola preoccupato. La afferrò prima che,
priva di energia, cadesse in terra. La mente ancora in subbuglio mentre si
mordeva il polso e lasciava cadere qualche goccia del suo sangue dentro la
bocca della cacciatrice. Con delicatezza la sdraiò a terra priva di sensi e le
poggiò il capo sul petto. L’ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, fu
il viso di suo fratello.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** 31. La porta rossa ***
31.
LA
PORTA ROSSA
Elijah
non si era ancora svegliato e quando la campana suonò mezzanotte, Allison
chiuse il libro che stava leggendo calcolando che erano passati esattamente
cinque giorni da quando l’Originale aveva riacceso la sua umanità e aveva perso
i sensi sopraffatto dalla sua coscienza che era ritornata prepotente.
“Cinque
giorni e tre ore circa” mormorò ad alta voce guardando il suo orologio da
polso. Con un grosso respiro allungò le gambe e le incrociò all’altezza delle
caviglie lasciandosi andare contro la testiera di quel grande letto sul quale
Elijah era sdraiato, come addormentato. Lei non si era mossa dal suo fianco,
eccetto che per andare in bagno. Aveva anche pranzato, cenato e fatto colazione
in quella stanza, grazie a Freya che si era premurata di portarle i piatti
pieni e riportarli indietro semi vuoti rivelandosi una giovane donna premurosa
e molto simpatica.
Klaus
non si fidava di lei ma l’istinto di Allison le suggeriva che invece non c’era
nulla di cattivo in quella sorella ritrovata. Forse solo qualcosa di…
incompleto. Sì, quell’aggettivo le sembrava il più giusto per definirla. Sperò
che il suo amico avrebbe lasciato presto i suoi dubbi da parte perché tutto
quello che Freya voleva era avere una famiglia e se la meritava.
Proprio
Klaus entrò nella stanza in quel momento. “Qualche novità?” domandò guardando
suo fratello per un istante.
“No”
Allison scosse il capo accorgendosi solo allora che gli occhi le facevano male,
li sentiva pesanti. “Nessuna, è ancora beatamente addormentato, anche se non
sono certa che il suo sonno sia del tutto tranquillo” sospirò allungando la
mano verso Elijah e gli accarezzò la fronte spostando un ciuffetto di capelli.
L’Ibrido
abbozzò un sorriso colpito dalla premura; Allison aveva l’aria di essere
terribilmente stanca eppure era lì da cinque giorni, in quella stanza mangiando
poco e dormendo ancora meno. Non gli aveva ancora detto quali erano le tante
altre cose che aveva in Paradiso e che sulla Terra non avrebbe mai potuto
avere, ma lo sguardo nei suoi occhi quando ne aveva parlato gli aveva fatto
capire che dovevano essere piuttosto importanti. Eppure ci aveva rinunciato,
per Elijah.
“Cosa
stai leggendo?” le domandò notando il libro chiuso sulle sue gambe.
La
cacciatrice si strinse nelle spalle accarezzando la copertina con un dito.
“Cime tempestose. Non proprio il mio romanzo preferito ma ad Elijah piacciono i
classici e ho pensato che magari se glielo leggessi ad alta voce potrebbe… non
lo so” ridacchiò scuotendo poco il capo. “Non lo so cosa ho pensato. Vorrei
solo che aprisse gli occhi e che tutto questo finisse così forse potremmo
ricominciare.”
Klaus
fece il giro e si mise a sedere sul letto, le strinse una mano e sospirò. “Si
sveglierà Allison, lo farà. Mio fratello è forte, è solo questione di tempo.”
“Lo
so, ma il tempo ha la strana abitudine di fermarsi quando ne abbiamo bisogno,
lo hai notato?”
“Sì,
l’ho notato” un altro sguardo a suo fratello e poi Klaus tornò a guardare
Allison. “Hai l’aria stanca, guerriera. Perché non ti prendi una pausa,
rimango io con lui per un po’.”
“Voglio
essere qui quando si sveglierà. Promettimi che mi chiamerai se dovesse
accadere.”
“Lo
prometto.”
Allison
si piegò per baciare la fronte di Elijah, poi si mise in piedi. “In tal caso,
andrò a fare una doccia.”
L’Ibrido
Originale la guardò allontanarsi e una volta solo con suo fratello gli prese
una mano provando ad entrare in contatto con lui. Aveva già tentato, senza
successo ma era il caso di riprovare. Sorprendentemente, stavolta ci riuscì.
****
Klaus
sapeva esattamente dove si trovavano; erano nel bosco in cui da bambini Mikael
insegnava loro l’arte della caccia. Lo stesso bosco in cui avevano compiuto le
più terribili delle atrocità. Qualche miglio più avanti c’era la casa in cui
erano cresciuti e quella porta rossa dietro la quale suo fratello aveva perso
il controllo tante e tante volte. L’ultima quando aveva ucciso Tatia, la donna
che amava… che entrambi amavano. Non era sorpreso che Elijah fosse rimasto intrappolato
proprio lì; nei suoi giorni senza umanità era a quella porta rossa che era
tornato con i riprovevoli gesti che aveva compiuto.
Lo
cercò con lo sguardo e lo trovò, il suo nobile fratello era insanguinato con le
mani tra i capelli seduto al centro tra due vecchi alberi. Annientato, perduto,
solo. Non aprire gli occhi era, evidentemente, una sua scelta.
“Un
po’ macabro come posto” gli disse raggiungendolo.
Elijah
alzò il capo per guardarlo. “Fratello” mormorò. “Cosa ci fai qui?”
“Dormi
da cinque giorni, la tua bella Allison non smette di preoccuparsi e anche io
iniziavo a temere il peggio.”
“Allison”
l’altro sembrò perdersi in un pensiero. “È davvero viva?”
“Sì
lo è” confermò Klaus.
“Com’è
possibile?”
“Oh
andiamo” l’Ibrido gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. “È Allison Morgan,
ha una marcia in più, dovresti saperlo. Pare che Dio in persona si sia
prodigato di riportarla in vita.”
“Dio?”
“È
una lunga storia e sarà lei stessa a raccontartela, se ti deciderai ad aprire
gli occhi.”
Elijah
scosse il capo. “Non posso. Io sono pericoloso, sono una bestia, un mostro. Le
cose che ho fatto negli ultimi mesi…”
“Non
eri in te negli ultimi mesi, Elijah” gli disse Klaus afferrandolo per le
spalle. “Avevi perso il controllo ma ora lo hai ritrovato.”
“E
che succede se lo perdo di nuovo? Se le faccio del male?”
“Tu
la ami, non potresti mai farle del male. Elijah, ognuno di noi ha provato, con
tutte le forze, a farti tornare in te e nessuno di noi ci è riuscito. Lei sì e
l’ha fatto con un ballo e due dolci parole. So che hai paura di farle del male
come hai fatto con Tatia dietro quella porta rossa secoli orsono, ma fidati di
me se ti dico che non può accadere; Allison quella porta rossa l’ha chiusa per
sempre, con il suo amore per te.”
Elijah
lasciò cadere qualche lacrima, gli occhi bassi mentre il sangue spariva piano
dalle sue mani, poi dai suoi vestiti. Segno che la sua mente stava tornando a
ragionare con lucidità. Sapeva che Niklaus aveva ragione, sapeva che Allison lo
amava e sapeva di amarla. Ma la paura era tanta. Non si sarebbe mai perdonato
se le avesse fatto anche solo un graffio, non poteva correre rischi, non fino a
quando non avesse ripreso davvero il totale controllo delle sue emozioni.
“Niklaus”
gli disse guardandolo negli occhi. “Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”
“Qualunque
cosa, fratello.”
****
Doveva
essersi addormentata come un’idiota; sì doveva essere andata così perché
l’ultima cosa che ricordava era di essersi seduta sul letto chiusa in un
accappatoio dopo una lunga doccia calda. La stanchezza però doveva aver avuto
la meglio perché fuori splendeva il sole mentre ricordava perfettamente che era
più o meno l’una di notte quando aveva deciso di riposarsi un po’ seduta a
letto.
Senza
perdere altro tempo si mise in piedi e si vestì, poi fermò i capelli con un
elastico e raggiunse la camera di Elijah, dell’Originale elegante però non
c’era traccia. “Dannazione, sapevo che sarebbe successo” mormorò scendendo le
scale, felice al pensiero che lo avrebbe visto sveglio ed in piedi ma
arrabbiata con Klaus perché non l’aveva avvertita come promesso. “Klaus!” urlò
cercandolo con lo sguardo prima da un lato della casa e poi dall’altro.
“Allison”
le si avvicinò però Rebekah, chiusa nel corpo di quella Eva Sinclair. “Sei
sveglia.”
“Elijah
non è nella sua stanza quindi suppongo che abbia ripreso conoscenza. Dov’è
adesso? E soprattutto perché nessuno di voi è venuto a svegliarmi?”
“Ci
ha chiesto lui di non farlo.”
La
cacciatrice trasse un profondo respiro. “Ovvio che l’ha fatto. Ma non hai
risposto all’altra domanda; dov’è?”
“Non
è qui” stavolta fu Klaus a risponderle, arrivando dalla cucina. “Quando si è
svegliato era ancora leggermente sopraffatto, così è partito.”
Allison
lo fissò sbigottita. “Partito?”
“Sì,
per ritrovare se stesso. Ha detto che sperava che capissi.”
La
donna chiuse per un attimo gli occhi. “Dov’è Hayley?”
“Elijah
aveva bisogno di qualcuno che lo tenesse d’occhio, lei si è offerta.”
L’altra
rise nervosamente. “Certo che l’ha fatto” disse mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime. “Cinque giorni sono stata su quel letto al suo fianco,
in attesa che si svegliasse e che potessimo cominciare la nostra vita insieme.
Cinque giorni di speranza, stanchezza, devozione. E quando finalmente si è
svegliato la prima cosa che ha fatto è stata scappare via con Hayley?”
“Non
è scappato via” provò Rebekah, ma Allison la fermò con un gesto della mano
mentre le lacrime le bagnavano il viso.
“Non
provarci Rebekah” le disse. “Non provare a difenderlo. Incredibile…” singhiozzò
incapace di trattenersi. “Sono una stupida, ecco cosa sono. Dean aveva ragione,
non sarei mai dovuta venire qui dopo essere tornata in vita, vostro fratello
non si merita neppure un briciolo di me. Nessuno di voi se lo merita, l’avete
lasciato andare, nessuno di voi ha pensato a me.”
Rebekah
le si avvicinò. “Allison, l’ha fatto per proteggerti. Sente di non avere il
pieno controllo di sé e non vuole correre il rischio di farti del male.”
“Io
so badare a me stessa e avrei saputo gestire ogni cosa. Non spettava a lui
decidere” disse asciugandosi inutilmente gli occhi, perché nuove lacrime
scesero veloci. “Basta, non starò qui un minuto di più e puoi anche dirgli” si
rivolse a Klaus. “Che ho smesso di aspettarlo. E di’ a Jackson che gli
suggerisco di fare lo stesso con Hayley.”
Senza
aspettare risposta salì per le scale e radunò tutte le sue cose; parlava sul
serio, non avrebbe aspettato un minuto di più e non sarebbe mai tornata in
quella casa. Mentre usciva di corsa senza fermarsi a salutare nessuno ripensò
al suo Paradiso, ai suoi gemelli, a Joel. Rimpianse di essere tornata per
Elijah.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** 32. Joel Goran ***
32.
JOEL
GORAN
Toronto
era calda e luminosa quel giorno. I raggi del sole che le colpirono il viso
mentre usciva dall’aeroporto, per Allison furono come una ondata di buon umore.
Due ore e trenta minuti di volo seduta accanto ad una donna che non ne voleva
sapere di smettere di parlare le avevano messo addosso tanto nervosismo e
disagio. Entrambe le cose erano state spazzate via dai rumori e dai colori
della città.
Le
piaceva Toronto, le era sempre piaciuta e c’era stato un periodo in cui aveva
persino pensato che forse viverci permanentemente non sarebbe stato male. Il
pensiero però era sparito presto, schiacciato dal peso delle troppe
responsabilità che quotidianamente le gravavano sulle spalle.
Fece
un grosso respiro indossando gli occhiali da sole e sorrise ad un bambino che
stringeva un orsacchiotto in attesa che suo padre recuperasse tutti i bagagli
sul taxi dal quale erano appena scesi. Allison fece cenno al tassista, come per
dirgli che lei sarebbe stata la prossima. Il bimbo in attesa le fece tornare in
mente troppe cose che aveva, vanamente, provato a spingere nel posto più buio e
sperduto della sua mente.
Quel
pensiero le fece ricordare che non aveva ancora acceso il cellulare e mentre
aspettava lo tirò fuori dalla borsa e lo fece. Le prime notifiche che arrivarono
furono quattro chiamate perse di Rebekah. Immaginava che le telefonasse per
cercare di farla ragionare, per convincerla a tornare. Com’era che le aveva
detto mentre raccoglieva le sue cose pronta a lasciare per sempre quella casa?
Ah sì… Elijah avrà bisogno di te quando tornerà. Lui ti ama.
Lei
le aveva praticamente riso in faccia mentre alcune lacrime le bagnavano le
guance, poi se ne era andata blaterando di qualcosa che in quel momento neppure
ricordava. Una cosa la sapeva per certo però: Elijah non la amava, altrimenti
non sarebbe andato via, con Hayley, senza neppure parlarne prima con lei. Povero
Jackson, si ritrovò a pensare, chissà se è consapevole che sarà per
sempre solo una nota a fondo pagina nella storia d’amore mai iniziata tra
l’Ibrida e il vampiro.
Lei
ora lo sapeva… sperava che al lupo non si spezzasse il cuore come invece era
successo al suo.
Con
un sorriso e un gesto della mano salutò il bambino e suo padre e salì in auto.
Non aveva valigia, tutto quello che aveva era la sua borsa e un piccolo borsone
in cui aveva sistemato un solo cambio. L’indomani sarebbe tornata a casa, aveva
pensato che era inutile portarsi dietro troppe cose. La cosa più importante
comunque era ben nascosta.
“Dove
la porto?” le chiese il tassista guardandola dallo specchietto retrovisore.
Lei
si schiarì la voce mentre il suo cellulare riprendeva a squillare; Rebekah… di
nuovo. “Hope Zion” disse mentre rispondeva.
“Finalmente!” le
disse la sua amica. “Avrò provato a telefonarti cento volte ma il tuo
telefono era spento.”
“Quattro
volte Rebekah, questa è la quinta e ho risposto. E giusto perché tu lo sappia
non ho risposto perché ho effettivamente voglia di parlare con te, l’ho fatto
solo perché altrimenti non avresti smesso di telefonare.”
“Ah!
Mi fa piacere sapere che mi conosci così bene.”
Allison
scosse poco il capo. “Cosa vuoi?” le disse infine guardando la città scorrere
attraverso il finestrino.
“Voglio
che la smetti di comportarti come una bambina e che torni qui. Elijah tornerà
domani e quando ha telefonato ha chiesto di te. Nessuno ha voluto dirgli che te
ne sei andata. Gli spezzerebbe il cuore saperlo.”
“Primo;
io non mi comporto come un bambina, piuttosto è tuo fratello che si è
comportato come un vigliacco. Secondo non mi importa quando Elijah tornerà a
casa perché io con lui ho chiuso. Terzo, anche se per assurdo volessi essere lì
quando tornerà non potrei comunque perché non sono neppure negli Stati Uniti al
momento.”
“E
dove diavolo sei?”
“Non
vedo come la cosa possa riguardarti. Ora se vuoi scusarmi, devo andare. Ho
alcune cose di cui occuparmi.”
“Aspetta!”
esclamò Rebekah. “Sei sicura di non voler tornare? Io credo che dovresti… se
non per Elijah per un oggetto piccolo e brillante che di solito porti sempre al
collo e che Freya si è premurata di… trattenere in pegno per assicurarsi che
avessi un motivo per ritornare.”
Allison
si portò la mano al collo scoprendo che non aveva la sua collana; quella di sua
madre. Così abituata a portarla sempre e così furiosa quando se ne era andata
via non si era neppure accorta di non averla. “Manderò un corriere a
ritirarla.”
L’altra
rise. “Sì, come se la darò al tuo corriere.”
“Rebekah”
cercò di ragionare Allison. “Quella collana era di mia madre, è molto
importante per me.”
“E
sarà al sicuro con me. Fino al tuo arrivo… momento in cui te la renderò. Domani
Allison, domani.”
Riattaccò
e la cacciatrice fece un grosso respiro per riprendere il controllo. Rebekah
Mikaelson e la sua dannata testardaggine.
“Siamo
arrivati” la avvisò il tassista spegnendo il motore. “Vuole che la aspetti?”
Lei
sorrise porgendogli cento dollari. “No, ci vorrà un po’. La ringrazio e tenga
pure il resto.”
****
QUALCHE
ANNO PRIMA
“Allison
Morgan!” esclamò il dottor Goran in piedi nel centro della sala d’attesa piena
di gente.
“Sono
io” rispose qualcuno alzando una mano ma non lo sguardo, non subito almeno.
Quando lo fece però la garza le cadde di mano mentre si scontrava con due occhi
scuri che le erano familiari e che allo stesso tempo non conosceva.
“Incredibile” mormorò scuotendo poco il capo.
“Si
sente bene?” chiese il dottore con un sorriso. “Sembra che abbia appena visto
un fantasma.”
“Sì”
si affrettò a rispondere lei riprendendo il controllo. “È solo che lei somiglia
molto a qualcuno che conosco.”
“Oh”
sussurrò lui. “Spero qualcuno che le è simpatico.”
“Gli
sono molto affezionata” confermò Allison schiarendosi la voce. “È qui… per
sistemare la mia mano?”
“Esatto”
le disse l’uomo invitandola a seguirlo fino ad un lettino. “Sono il dottor Joel
Goran.”
“Lieta
di conoscerla. Senta,” gli disse la donna. “Se ha altre cose di cui occuparsi
faccia pure, ci sono casi più gravi di me e io posso aspettare.”
Joel
rise. “Il dottor Miller aveva ragione, lei è molto gentile.”
“Mi
chiami pure Allison, darsi del lei è…”
“Antico?”
concluse il dottore al suo posto. “Va bene, allora tu chiamami Joel.”
“Toc
Toc” Allison fece capolino nella stanza con la testa con un sorriso. Sorriso
che si spense non appena vide Joel seduto su una sedia a rotelle, lo sguardo
perso su un punto indefinito del pavimento di linoleum. Le servì un grosso
respiro e tanta forza di volontà per ristamparselo sul volto quando si voltò a
guardarla. Quando aveva saputo cosa gli era successo, prendere il primo aereo
era stata l’unica cosa che le era venuta in mente. Joel Goran era un brav’uomo,
meritava di meglio di quello che il destino gli aveva riservato.
“Che
io sia dannato…” mormorò lui guardandola, la barba incolta e gli occhi privi di
quella luce che di solito lo caratterizzava. “Allison Morgan, sei proprio tu?”
“In
carne ed ossa” lei entrò completamente e si richiuse la porta alle spalle.
“Cosa
ci fai qui? Sei venuta a vedere la mia tragica fine?”
“La
parola fine è per le persone che muoiono Joel” Allison tirò una sedia e gli si
mise a sedere davanti. “Tu non sei morto.”
“Sono
paralizzato Allison” l’uomo abbassò per un attimo gli occhi, poi li rialzò su
di lei. “Proprio io… che non sopportavo neppure di stare nella stessa stanza
per troppo tempo sono costretto su una sedia a rotelle per il resto della mia
vita. Sì, la parola fine mi si addice.”
Lasciò
cadere qualche lacrima che si affrettò ad asciugare con il palmo della mano ed
Allison non poté fare a meno di piangere insieme a lui. Come proprio lui fece,
però, si costrinse a riprendere il controllo. Tirò fuori dalla borsa una
fialetta e allungò la mano per porgergliela.
Lui
corrugò la fronte guardando il liquido rosso all’interno. “Cos’è? È… sangue.”
realizzò alzando gli occhi e fissandoli dentro i suoi. “Allison perché mi stai
dando una fialetta di sangue?”
“Voglio
che tu la beva.”
“Come
scusa?” Joel la fissò con sguardo perplesso e anche un po’ spaventato. “Sono
passati alcuni anni da quando ci siamo visti l’ultima volta, devi essere
impazzita nel frattempo.”
“Curerà
la tua schiena, potrai camminare di nuovo.”
“Come?”
“Non
ha importanza” Allison gli sorrise aprendo la boccetta. “Funzionerà e sarà
permanente. Te lo prometto.”
Joel
decise di fidarsi di lei. Non sapeva se per disperazione o reale fiducia… ma lo
fece.
****
Elijah
odiava quella sensazione che sentiva eppure non poteva fare a meno di provarla.
Rebekah gli aveva detto che era tutto in ordine ma non era mai stato possibile
parlare con Allison, nonostante avesse chiesto a sua sorella di passargliela al
telefono, nonostante avesse provato a telefonarle diverse volte. Era un brutto
segno, ne era sicuro. Non poteva biasimare la bella cacciatrice per essere
arrabbiata, perché era certo che lo fosse. Ne aveva tutte le ragioni e lui
avrebbe dovuto trovare il modo perfetto per farsi perdonare, se non voleva
perderla per sempre.
“Sei
pronto?” gli chiese Hayley distraendolo dai suoi pensieri.
L’Originale
annuì. “Prima di andare, volevo… ringraziarti per esserti offerta di partire
con me e assicurarti che stessi bene.”
L’Ibrida
si schiarì la voce. “Ma?”
“Prendersi
cura di qualcuno è una premura e un privilegio in qualche modo. E in quanto
tale dovrebbe spettare a…”
“Alla
persona che si ama di più al mondo” concluse Hayley per lui. “In questo caso
alla donna che ami di più e che non sono io.”
Elijah
rimase un attimo in silenzio, poi respirò a fondo. “Ti amo in un certo qual
modo e una parte di me ti amerà per sempre. Sei la madre di mia nipote e sei
parte della famiglia. Ma amo Allison di più, più di ogni altra cosa e voglio
avere il privilegio di prendermi cura di lei.”
“Allora
fallo Elijah. Anche una parte di me ti amerà per sempre, ma voglio che tu sia
felice, io lo sono… con Jackson.”
Il
vampiro respirò a fondo, poi fece un gesto lento col capo. “Andiamo a casa.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** 33. Ti amo ***
33.
TI AMO
“Mi
sento benissimo!” Joel si guardò intorno e fece un grosso respiro. “Non mi
sentivo così bene da mesi oramai. Oh Allison” le strinse le mani e baciò il
dorso di entrambe. “Ti adoro, perché non sei venuta prima?”
Lei
rise in attesa che i loro caffè fossero pronti, dentro quel grandissimo
aeroporto mentre aspettava di ripartire per gli Stati Uniti. Il dottor Joel
Goran sembrava finalmente di nuovo se stesso; i capelli in ordine, la barba
appena accennata, negli occhi quella luce che Allison non aveva visto quando
era arrivata e lo aveva trovato seduto su una sedia a rotelle… rassegnato,
spento.
“Non
sapevo cosa fosse successo” gli disse ripensando a quel Paradiso che le era
stato offerto e che aveva rifiutato. “Quando l’ho scoperto sono venuta.”
“Come
l’hai scoperto, a proposito?”
“È
una lunga storia” tagliò corto lei. “Che non vale la pena di essere raccontata. Ad ogni modo, la cura che ti ho offerto non può essere replicata,
quindi prenditi cura di te e non fare l’eroe. Sei un dottore, fai solo quello
okay?”
L’uomo
annuì. “Ricevuto. Questo però ci porta alla mia prossima domanda; cosa mi hai
dato esattamente?”
“Fidati,
non mi crederesti se te lo dicessi.”
“Mettimi
alla prova.”
Allison
respirò a fondo e valutò le sue opzioni. Erano solo due in realtà: mentire o
dire la verità. Sperò di essere in grado di trovarne una terza perfettamente a
metà tra le due. Mentre ci pensava però decise di partire dalla seconda, era
comunque certa che Joel non le avrebbe creduto. “Era sangue di vampiro” lo
informò.
Lui
la fissò perplesso, poi scoppiò a ridere. Esattamente come lei aveva previsto.
“Sei più divertente di quanto ricordassi.”
“Non
ne hai idea” lo assecondò lei con un sorriso leggermente forzato. “Era sangue
comunque, misto ad alcune altre strane sostanze di cui non so molto. In una poco
conosciuta tribù africana c’è la convinzione che il sangue di uno specifico
insetto molto raro, se mischiato ad altri pochi ingredienti, possa guarire. Non
ci credevo all’inizio ma poi ho avuto le prove che funziona e così quando ho
saputo di te ho deciso che valeva la pena recuperare un po’ di questo magico
siero.”
“Parli
sul serio?”
Allison
annuì. “Sì Joel, per quanto assurdo possa sembrare. Sul serio, cerca di non
farti più saltare in aria perché quel dannato insetto è tanto raro quanto
costoso. Se hai capito cosa intendo.”
“Quanto
ti è costato?”
“Perché
vuoi saperlo? Vorresti ridarmi i soldi?” la cacciatrice si schiarì la voce.
“Senti Jo, consideralo un regalo, in fondo te lo devo dopo essere partita così
di improvviso tanti anni fa proprio mentre…”
“Mentre
io mi innamoravo di te ignorando che il sentimento non era reciproco?” concluse
lui facendo infine un grosso respiro. “È il passato Allison e se hai fatto
tutto questo perché credevi di dovermi qualcosa allora…”
“L’ho
fatto perché era la cosa giusta da fare. Ecco il motivo” Allison si mise in
ascolto della voce che gracchiava attraverso l’altoparlante. “È il mio volo,
sarà meglio che mi avvii. Grazie per avermi accompagnata Joel, spero di
rivederti presto.” Si alzò sulla punta dei piedi e gli baciò la guancia. Poi
afferrò la sua valigia e si incamminò.
“Hey
aspetta” le disse Joel raggiungendola. “Hai dimenticato qualcosa.”
“Cosa?”
“Questo”
l’uomo la baciò, senza preavviso e senza esitazione. Lei ricambiò. “Me lo
dovevi, questo sì che me lo dovevi.”
“Sei
un idiota” rise lei riprendendo a camminare verso il gate.
****
“Non
posso partire prima di qualche ora, sono appena tornata da Toronto
praticamente.” Allison fermò l’auto davanti la tenuta dei Mikaelson e la chiuse
incamminandosi verso l’interno. Aveva un piano, ce lo aveva chiaro in mente:
prendere la collana, dire addio, sparire per sempre dalle vite degli Originali.
O
meglio, fare in modo che loro sparissero dalla sua. Sperava che Rebekah non
avrebbe fatto troppe storie ma dubitava che sarebbe andata così.
“Che
ci sei andata a fare a Toronto?” Sam si schiarì la voce
dall’altra parte del telefono. “E dove sei ora?”
“Un
vecchio amico aveva bisogno di una mano, gli ho fornito assistenza, per così
dire. Adesso sono a New Orleans, prima di partire ho dimenticato una cosa qui e
sono venuta a prenderla” gli raccontò e fu allora che Elijah le si piazzò
davanti, elegante e attraente come al solito.
Le
sorrideva con quella smorfia maliziosa che gli piegava le labbra e che
si scontrava – o incontrava, dipendeva da come si voleva guardare alla cosa –
con la tenerezza nei suoi occhi. Era dannatamente affascinante, magnetico, e
lei sapeva di essere nei guai.
“Allison,
ci sei ancora?”
“Sì
Sam, sono qui. Ma devo andare adesso, ti richiamo più tardi.”
Riattaccò
e fece un grosso respiro preparandosi alla battaglia tra cuore e ragione più
feroce che avrebbe mai combattuto. Per quanto la ragione le dicesse di rimanere
lucida infatti, il suo cuore sembrava urlarle lasciati andare. Come con
Joel sperò di trovare il giusto compromesso tra le due cose.
“Ciao”
le sussurrò lui, le mani dentro le tasche, l’attesa nello sguardo. “Rebekah ha
detto che saresti venuta, io non ne ero certo.”
“Rebekah
si è presa la collana di mia madre, ecco perché era certa che sarei venuta,
perché sa che la rivoglio, sa quanto è importante per me.”
Lui
sembrò sorpreso ma scosse poco il capo e le si avvicinò di qualche passo. “Non
ne sapevo nulla, ma Rebekah non è qui al momento. Mentre la aspettiamo
potremmo… parlare, che ne dici?”
“Parlare…”
Allison sorrise nervosamente. “Sai, io avevo molte cose da dirti, tante cose da
raccontarti. Ci pensavo e ripensavo mentre ti stavo seduta accanto su quel
letto, mentre ti guardavo dormire in attesa che aprissi gli occhi” gli disse.
“Poi però, quando li hai aperti, la prima cosa che hai fatto è stata andartene
via senza neppure salutarmi. Con Hayley…”
Elijah
aprì bocca per parlare ma lei lo bloccò con una mano.
“So
cosa vuoi dirmi, vuoi dirmi che lo hai fatto per me, perché non avevi il pieno
controllo di te stesso e non volevi rischiare di farmi de male” continuò.
“Risparmiati la favoletta, Klaus me l’ha già rifilata. Anche Rebekah se è per
questo. Peccato che io non creda alle favole.”
L’Originale
rimase in silenzio, la guardò andare avanti e indietro per l’atrio, inquieta,
arrabbiata. Come non gli capitava di vederla spesso. La ascoltò descrivergli la
sua frustrazione nello scoprire che non aveva saputo rispettarla, la sua
amarezza nel rendersi conto di contare così poco per lui.
Peccato
però che fosse tutto il contrario; era proprio perché ci teneva che era sparito
per un po’ anche se capiva che poteva non sembrare così.
“Ho
finito!” esclamò infine guardandolo. “Non ho più nulla da dire. E quando
Rebekah tornerà e avrò recuperato la mia collana, me ne andrò e non tornerò più
qui Elijah. Quindi se hai qualcosa da dire dilla ora. La ascolterò e poi ci
saluteremo per sempre.”
“Ti
amo” le disse lui. “E mi dispiace.”
Allison
fu colta alla sprovvista. Piegò poco il capo e chiuse gli occhi per un istante.
Le tornò in mente qualcosa che non sapeva di ricordare…
“Ti
amo. Mi dispiace di averci messo tanto a dirlo.”
“Allison... Ti prego resta con me. Ti prego, torna da me.”
“È
tutto quello che hai da dire?” gli domandò.
Lui
annuì. “Ti amo” ripeté. “Non voglio stare senza di te.”
Lei
si strofinò gli occhi con le dita e fece un grosso respiro. Si disse che era
incredibile quanto magiche potessero sembrare due semplici parole se
pronunciate dalla voce giusta. Per quanto provasse a negarlo per lei non c’era
voce più perfetta di quella di Elijah Mikaelson.
“Se
fai di nuovo una cosa del genere non te lo perdonerò Elijah” gli disse. “Se
molli di nuovo la presa, giuro che me ne andrò e non mi rivedrai mai più.”
“Hai
la mia parola che mai e poi mai mollerò la presa, a meno che non sia tu a
volere che lo faccia.”
Allison
rifletté per un attimo e lasciò che a parlare per lei fossero le farfalle nel
suo stomaco. Con delicatezza gli passò le braccia intorno al collo e sentì ogni
rabbia svanire quando la bocca di Elijah incontrò la sua.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** 34. Il Paradiso ***
34.
IL
PARADISO
Le
mani… Elijah si accorse che erano ciò che di Allison amava di più. C’erano
anche la voce roca, e le fossette, e le labbra che sapevano di frutta. C’era
l’odore vanigliato della sua pelle e la morbidezza del suo corpo. Ma le mani…
le mani erano la cosa che gli mozzavano il respiro. Era per il calore che gli
lasciavano sulla pelle quando lo sfioravano, per la tenerezza che sentiva ogni
volta che una di esse si poggiava sul suo viso, per l’amore che percepiva
quando le dita gli sfioravano le labbra alla ricerca di un bacio.
Amava
tutto di quella donna, ma le mani più di ogni altra cosa. Ora che accarezzavano
la sua schiena, le sue braccia, le sue guance e le sue stesse mani, si sentiva
bene ed in pace. Staccando la bocca da quella di Allison si perse in quello
sguardo nocciola per qualche secondo, poi le baciò il collo e prese a scendere
giù, sui seni, sull’addome, sui fianchi passando attraverso le braccia fino al
punto più caldo e femminile.
Allison
gemette passandogli le dita tra i capelli, col respiro affannato reclinò
indietro il capo muovendo il bacino, quasi stesse chiedendo di più. Un di più
che Elijah era disposto a darle. Le avrebbe dato qualunque cosa, ogni parte di
sé, ogni brivido che desiderava e lo avrebbe fatto perché la amava.
Con
rapidità, dopo averla portata ad un attimo dal piacere, si tolse la camicia già
sbottonata, la cintura e infine i pantaloni e poi si piegò per baciarla mentre
lei lo accoglieva tra le sue gambe lisce e tremanti. Un altro bacio e il tempo
sembrò fermarsi quando lui le entrò dentro lentamente senza distogliere gli
occhi dai suoi.
L’Originale
sentì un calore pervaderlo completamente, sentirla sospirare il suo nome gli
fece perdere il controllo e un gemito gli uscì di bocca. Con una mano le
afferrò una gamba e la piegò indietro stringendosi ancora di più a lei. Allison
gli passò un braccio intono al collo, l’altro intorno alle spalle, le dita di
quella mano strette sulla sua nuca, tra i capelli scuri che amava tanto.
La
cacciatrice pensò che sarebbe impazzita stretta a quel corpo, stretta a
quell’uomo perso dentro di lei che sapeva cosa fare e come farlo per farla
felice. Gli baciò la guancia, poi cercò le sue labbra, desiderosa di sentirle
sulla bocca. Un movimento e un altro ancora, i loro respiri finirono per
mischiarsi, il desiderio si fece infuocato al centro dei loro stomaci.
Bastò
un’altra lenta spinta e per entrambi il piacere esplose irrefrenabile; Allison
sentì il suo corpo tremare con forza, il corpo di Elijah fare lo stesso. Un
gemito, forte come mai prima, le si levò in gola. Nacque nel silenzio e morì
tra le labbra soffici del suo Originale elegante. Poi tutto si calmò.
I
capelli sudati le si appiccicarono al viso, Elijah li spostò con dolcezza e le
sorrise prendendole il volto tra le dita di una mano.
“Vorrei
che potessi vederti con i miei occhi in questo momento” le sussurrò prima di
baciarle le labbra. “Bella come mai prima. Così bella da non sembrare vera.”
Lei
sorrise mentre il respiro riprendeva un ritmo normale. Dentro quegli occhi
scuri che le scrutavano ogni millimetro di viso trovò quella pace interiore che
cercava da sempre.
“Potresti
fare una cosa per me?” gli chiese.
Lui
annuì baciandole il palmo di una mano. “Qualunque cosa.”
“Stringimi
forte Elijah” la voce di Allison divenne un sussurro, quei begli occhi si
riempirono di lacrime. “Sento freddo se molli la presa.”
Elijah
le baciò la fronte, poi la strinse forte. Rimasero stretti così per alcune ore
ma il sonno non arrivò per nessuno dei due. C’erano una marea di cose non dotte
a tenerli svegli e una miriade di sensazioni diverse che rendevano impossibile
dormire. L’Originale poteva sentire le ciglia di Allison solleticargli il petto
ogni volta che chiudeva e riapriva gli occhi, una piacevole solletico che lo
fece ridere.
Lei
sollevò la testa. “Che c’è?” gli chiese con un sorriso girandosi a pancia in
giù e facendo leva sui gomiti per guardarlo meglio.
Lui
allungò una mano e le accarezzò i capelli, gli occhi fermi sulle labbra soffici
che aveva imprigionato tra le sue poche ore prima. “Niente” le sussurrò. “È
solo che non ricordo di essere mai stato così… in pace con me stesso prima di
ora. Ed è merito tuo.”
“Beh”
lei gli diede un bacio sul petto. “Avresti potuto raggiungere questa pace dei
sensi prima se solo non te ne fossi andato via con Hayley appena sveglio.”
“Non
smetterai mai di rinfacciarmelo vero?”
“Lo
scopriremo solo vivendo” scherzò lei. Poi si fece seria. “Io ti amo Elijah, amo
l’uomo ed amo il vampiro. Non devi proteggermi da niente, soprattutto non da
te. L’unico modo in cui potresti farmi male è tenendomi fuori dalla tua vita.”
“Non
ho intenzione di farlo Allison non dopo che…” si fermò e lei fece un grosso
respiro.
“Dopo
che sono morta?” concluse per lui. “Puoi dirlo, devi dirlo o ti tormenterà per
sempre.”
“Niklaus
ha detto che Dio in persona ti ha riportata indietro, come è possibile?”
“La
versione breve è che non era il mio momento e così Chuck – è così che vuole
essere chiamato – è venuto nel mio personale Paradiso e mi chiesto di scegliere
se volessi tornare oppure no.”
“Personale
Paradiso? Vuol dire che ognuno ne ha uno diverso?”
Allison
annuì. “Quando muori e vai ai piani alti finisci in un posto fatto su misura
per te, un posto dove rivedi i tuoi cari, dove puoi vivere la vita che hai
sempre voluto o comunque una vita felice.”
“Com’era
il tuo Paradiso?”
Lei
si perse per un attimo in un ricordo, poi gli sorrise. “I miei genitori erano
vivi, mio fratello era un aspirante sceneggiatore, io ero un dottore… beh uno
specializzando per essere precisi. Avevo un fidanzato e due figli” gli
raccontò. “Ma quando Chuck mi ha… svegliata da quella specie di sogno e mi ha
offerto la possibilità di scegliere tra tornare qui e rimanere lì mi ci sono
voluti solo pochi secondi per decidere cosa fare.”
Elijah
si sollevò fino ad essere seduto e lei lo imitò sedendogli di fronte, coperta
dal lenzuolo. “Perché? Avevi un posto felice, eri una madre e un dottore. Non
fraintendermi, sono felice che tu sia qui ora, ma perché?”
“Tu
non eri lì e niente di tutto quello che il Paradiso poteva offrirmi aveva senso
senza di te, per me” replicò lei. “Forse lo trovi difficile da credere, forse è
difficile da comprendere ma… non c’è pace per me senza di te.”
Elijah
sentì gli occhi riempirsi di lacrime, sopraffatto dall’amore che quella donna
provava per lui, sopraffatto da quello che lui sentiva per lei. Era un
sentimento del tutto nuovo per lui, una sensazione mai provata prima. Avvicinò
il viso al suo e la baciò; una mano tra i suoi capelli, l’altra sul suo volto.
“Allison, io…”
Lei
gli poggiò due dita sulle labbra. “Lo so” gli sussurrò. “Anche io ti amo.”
****
“Finalmente
ti sei deciso a richiamarmi” Allison bevve un sorso di caffè dopo aver risposto
al telefono, leggermente sorpresa di vedere il numero di Dean lampeggiare sullo
schermo. Sorpresa ma lieta. Lei e il suo amico non si erano più parlati da
quando aveva deciso che avrebbe fatto quello che poteva per aiutare Elijah: al
maggiore dei Winchester non piaceva tutta quella storia, non piaceva Elijah e
soprattutto non gli piaceva il fatto che Allison fosse disposta a rischiare la
sua vita per lui, ogni dannata volta.
Non
ne aveva mai fatto mistero e l’ultima volta aveva deciso di prendere posizione.
Allison l’aveva lasciato sbollire e solo dopo essersi occupata di Elijah e
tutto il resto gli aveva telefonato, senza però ricevere risposta. Si era detta
che forse non era ancora pronto così aveva chiesto a Castiel di dirgli che
quando lo sarebbe stato lei avrebbe risposto.
Se
quella mattina le aveva telefonato forse finalmente pronto lo era per davvero.
“Mio
fratello e il nostro angelo preferito mi hanno fatto notare che mi stavo
comportando come uno stupido evitandoti, quindi eccomi qui.”
La
donna ridacchiò. “Per quanto vorrei non me la sento di biasimarti, capisco
perché ti sei comportato in quel modo, avevi paura per me. Ti sei comportato da
amico Dean, un amico un po’ ostinato ma comunque…”
“Giusto
per essere chiari, credo ancora che stare con Elijah non sia una scelta saggia,
meriti di meglio e meriti di più. Ma ho capito… tu lo ami e visto che dopo
secoli di autocontrollo ha spento la sua umanità incapace di sopportare il
dolore per la tua perdita, credo che anche lui ti ami in fondo.”
“Starò
bene Dean. Sono felice.”
“Sì,
si sente dalla tua voce.”
Allison
fece un grosso respiro. “Siamo a posto allora?”
“Lo
siamo.”
“Bene,
perché mi mancava il mio amico” sorrise mentre un cameriere le porgeva un
biglietto dicendole che era da parte di una persona. “Devo andare ora ma ci
vediamo presto.” Riattaccò dopo aver salutato il suo amico e perplessa aprì il
pezzo di carta che il giovane le aveva consegnato. All’interno una scrittura
che lei conosceva fin troppo bene.
Ciao, sorellina
Con
un tremore delle mani si guardò intorno, poi poggiò dieci dollari sul tavolo e
corse fuori facendo lo stesso. Arrivò fino al vicolo all’angolo ma non vide
nessuno e quando si girò per tornare indietro si scontrò con qualcuno. Quasi
urlò indietreggiando, realizzando però quasi subito che era Elijah la persona
con cui si era scontrata. Si ricordò che si erano dati appuntamento.
“Elijah”
gli disse deglutendo a vuoto.
“Hey”
lui le prese il viso tra le mani per un attimo, poi le accarezzò le braccia.
“Stai tremando. Che succede?”
Lei
gli mostrò il biglietto. “Credo che mio fratello sia tornato a darmi la caccia”
gli disse con la voce rotta dal pianto. “È venuto per completare l’opera e
uccidermi.”
Elijah
le prese il bigliettino di mano, le baciò le labbra e poi la strinse forte. “Ci
penso io” le sussurrò per tranquillizzarla. “Non permetterò a nessuno di farti
del male.”
Allison
provò a calmarsi. Era difficile ma sapeva di essere al sicuro stretta tra le
sue braccia.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3471209
|