Save the mathematician, save the world

di solomonty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Three friends, two men & one dog ***
Capitolo 3: *** Touché ***
Capitolo 4: *** Home ***
Capitolo 5: *** Mr. Queen, I suppose ***
Capitolo 6: *** Preparations ***
Capitolo 7: *** A new start ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Save the mathematician, save the world



Intro


Quando vide lampeggiare il cellulare con quell’avatar, Felicity Smoak lo lanciò sul letto con un gesto tanto svelto neanche si fosse scottata.
Oh, no! pensò allarmata.
Si affrettò a riprendere in mano il telefonino e, con il cuore che le martellava, rispose con voce quasi stridula.
“Matt?” domandò.
“L’unico e il solo” rispose un uomo dall’altra parte camuffando apprensione.
“Stai bene?”
“Per ora, sì… ma non so quanto tempo ho” fu la risposta preoccupata che il suo interlocutore le diede in tutta franchezza.
Felicity si passò una mano sulla fronte, imperlata di sudore freddo, ragionando il più velocemente possibile.
“Ok… ci vediamo al posto stabilito.”
“Sì… prendo il pullman, magari passerò inosservato.”
“Bene.”
Mentre parlava, Felicity digitò sul portatile la ricerca degli orari e le scappò un soffio di soddisfazione; “prendi quello delle tre e trenta, arriverai domattina alle nove… noi saremo lì ad aspettarti” disse con la voce più tranquilla.
Matthew sospirò e, frustrato, batté la cornetta contro l’apparecchio telefonico un paio di volte.
“Non pensavo che avrei avuto così tanta paura, Fel” gli uscì come un lamento.
“Anch’io ho paura… ma sapevamo che sarebbe arrivato il momento, no?” la voce ancora più sicura, speranzosa di dare a Matt un po’ di carica.
Le arrivò all’orecchio un mugolìo lamentoso e subito dopo una risata.
“Dannazione, è la fine di tutto” disse cercando di essere allegro.
“Pessimista; è l’inizio di tutto, volevi dire” l’incoraggiò Felicity, ridendo dietro a lui.
In un attimo sembrò che il tempo si fosse fermato a quando erano poco più che ragazzi, all'università, compagni di studi, amici per la pelle.
“Questa conversazione è durata fin troppo… stai attento; a domani alle nove” puntualizzò tornando seria.
“Sì, comandante… alle nove” ribadì Matt piuttosto rinfrancato.
“Ti voglio bene” soffiò lei dolcissima.
“Anche io” le rispose lui nello stesso tono.
Appesa la cornetta, Matt tirò via due cavi sottili dalla parte posteriore della tastiera che aveva smontato e li girò intorno a un piccolo apparecchio che aveva in mano; certo, così, non avrebbero mai potuto rintracciare la telefonata.
Sistemò la tastiera al proprio posto e con passo veloce si incamminò per vie secondarie.
 
Era venerdì sera e Felicity se ne stava a casa, a riposare gli occhi e la schiena: passava ore e ore, nella Bat-caverna di Arrow, china sui computer seduta su quella sedia girevole un po’ troppo dura.
Calcolò che non ce l’avrebbe mai fatta da Starling City ad arrivare per tempo all’appuntamento e pensò all’unica persona che poteva aiutarla: Walter Steele.
Non poteva tirare in ballo Oliver o Diggle. Loro non avrebbero approvato e, in cuor suo, era convinta che non le avrebbero creduto. Già li vedeva: agitati e inclini a dirle che probabilmente esagerava. Sicuramente la sua storia pareva incredibile e avrebbe faticato a convincerli. Non solo: anche ammesso che le avessero creduto, avrebbero tentato di prendere in mano la situazione, magari sbagliando, magari, involontariamente, condannando a morte Matthew e questo Felicity non poteva né accettarlo né rischiarlo. In ogni caso, non avrebbero potuto portarla all’appuntamento per le nove.
Girò intorno al tavolo un paio di volte concentrandosi sulle parole da dire a Walter; grugnì e fece scivolare i nomi della rubrica sul piccolo schermo. Trovato Walter spinse il tasto per la chiamata.
“Buonasera, Felicity” rispose lui con il suo tono sempre gentile.
“Buonasera signor Steele, spero di non disturbarla” iniziò titubante.
“Assolutamente, no… dimmi pure.”
“Ecco, ho un grande favore da chiederle… non so neanche come potrò sdebitarmi ma ho bisogno del suo aiuto… subito.” La voce era agitata e Walter si chiese se Felicity ne fosse consapevole.
“Ti sento preoccupata, non vuoi dirmi cosa succede?” il tono disponibile e paterno.
“Ho bisogno di tutta la sua fiducia… non mi chieda nulla, non posso spiegare… devo assolutamente arrivare in un certo posto entro le nove di domani mattina; ho un’urgenza familiare molto grave e non c’è volo che mi consenta di arrivare in tempo” spiegò cercando di calmarsi, o per lo meno, di calmare il suo tono di voce.
Dopo un silenzio che le sembrò durare un’eternità, sentì Walter prendere fiato.
“Potrai prendere l’aereo della mia compagnia, va bene?” domandò gentile.
“Va benissimo, mi verranno a prendere… se non mi aiutasse non potrei raggiungere la mia famiglia… lei è un grande amico, signor Steele… potrà sempre contare su di me; la ringrazio dal profondo del cuore” disse spontaneamente, sull’onda dell’emozione.
Chiuse gli occhi e con una mano sulla bocca riuscì a non piangere e a non far sentire a Walter il suo respiro affannato.
“Non ti chiederò spiegazioni, mi fido di te. Del resto, l’ho sempre fatto… se hai bisogno che l’aereo ti aspetti per il rientro non hai che da parlare con il comandante Grimm*” spiegò affabile.
“Grazie… grazie davvero… a breve le comunicherò la mia destinazione” riuscì a dire con voce ferma, mentre con la manica del pigiama si asciugava una lacrima ribelle che le era scivolata lungo la guancia.
“Ti invierò l’orario… fai buon viaggio, Felicity, e sta attenta” si raccomandò lui.
“Lo sarò… grazie, ancora” rispose e terminò la telefonata.
 
Sospirando raggiunse la cucina e si versò un po’ di vino in un bicchiere.
Aveva la testa piena di idee, di cose da fare e tanta agitazione; molta di più di quella che aveva fatto sentire sia a Matt che a Walter. Sentiva chiaramente l’avvicinarsi di grossi guai e il suo cuore pareva stringersi per la paura.
Mentre beveva inviò i dati che servivano e attese il messaggio di risposta di Walter Steele che le indicava l’orario e il volo e un altro augurio di buon viaggio.
Posò gli occhiali sul tavolo e si strofinò gli occhi; pigiò i tasti del cellulare per comporre un numero e si mise in attesa.
“È ancora vivo, vero?” chiese la voce dall’altra parte, agitata e sottile, senza salutare, senza allegria.
“Certo che è ancora vivo… te la sei presa comoda… sette squilli?” rispose lei ridendo.
“Guarda che è venerdì anche per me… ero rilassato, mi stavo facendo il bagno, sono uscito dalla vasca per venire a rispondere.”
“Vuoi dire che sei nudo e bagnato?”
“No, che vai a pensare… sono vestito e asciutto.”
“Peccato” sospirò allegra, girandosi una ciocca di capelli intorno al dito.
“Certo che sono nudo e bagnato, Felicity… è normale quando ci si fa il bagno… a te non succede di ritrovarti nuda e bagnata? Per la miseria, cosa mi fai dire?” si impappinò cercando di non ridere.
“Adesso ti riconosco… sei il mio quattrocchi malizioso preferito!”
“Quattrocchi sicuramente ma non malizioso… tu telefoni con quel maledetto avatar e mi sconvolgi la vita… fino a cinque secondi fa ero un giovane uomo innocuo che faceva il bagno, eh!”
“Non devi farti il bagno quando ti chiamo.”
“Mandami un messaggio che stai per chiamare e mi faccio trovare pronto… a parte tutto, questa è l’unica telefonata che non avrei mai voluto ricevere da te” il suo tono cambiò, a metà frase, per farsi cupo.
“Arriva domani mattina alle nove, alla stazione dei pullman, al porto; io invece alle otto all’aeroporto” gli spiegò senza perdersi in chiacchiere.
“Ti vengo a prendere, Fel.”
“Perfetto… ma niente musi lunghi, ok? ti voglio sorridente” lo spronò.
“Tenterò… sono spaventato, lo ammetto.”
“Ti capisco, ma mi aspetto qualcosa di meglio da te.”
Eccola ancora una volta a provocare reazioni, con quella vocina convincente.
“Hai ragione… peggio di così non potrebbe andare” bofonchiò lui.
“Ah, benedetti uomini… coraggio, un po’ d’ottimismo: sì che può andar peggio… potremmo morire tutti… ah, ah” e si lasciò andare a una risata, anche se un po’ tesa e amara.
“Non ti sopporto, quando fai così” le rispose andandole dietro nel ridere.
“Ma se mi vuoi un mondo di bene…”
“Tu, un po’ di bene me ne vuoi?” chiese lui rilassandosi un pochino.
“Sì, certo… come a quell’altro” disse entusiasta e chiuse la telefonata; sbuffando appoggiò il cellulare sul tavolo.
Lei era quella scanzonata e buffa, quella che li faceva ridere e distrarre. Lei era quella che mollava lì una battuta, anche nei momenti meno opportuni e loro due, i maschi, giù a ridere come matti.
Felicity Smoak si passò le mani sul viso e tracannò due bicchieri di rosso tutti d’un fiato.
 
Con lentezza piegò le asticelle degli occhiali e li appoggiò sul mobile e quando si infilò nuovamente nella vasca, il giovanotto biondo sprofondò nell’acqua trattenendo il respiro. Muovendo una mano poteva sentire il rumore ovattato arrivare alle orecchie e per qualche secondo si godè quella pace.
Se fosse stato possibile, Eric Beale sarebbe rimasto lì per sempre.

 
 
 






Eccomi con il primo capitolo di questo crossover. È il mio primo tentativo e se prende forma, anche soltanto per un centesimo di quello che ho in mente, mi riterrò soddisfatta.
Mi faccio gli auguri da sola.
Fatemi notare errori e sgorbi e chiedo già scusa per l'enorme ritardo con il quale pubblicherò...
Il titolo è un sentitissimo grazie a "Heroes", una delle mie serie preferite, anche se con questa storia non c'entra niente!
Ciao.
Monty
N.B. Un grazie a Miky, lei sa perché.
*Benjamin J. Grimm, meglio conosciuto come La Cosa, membro fondatore de I Fantastici Quattro, è un pilota militare. Amo Ben… e così, al pilota che porterà Felicity incontro al proprio destino ho dato il suo nome.



Disclaimer: Felicity Smoak, Bat-caverna, Arrow, Walter Steel, Oliver Ollie Queen, John Diggle e Eric Beale non li ho inventati io.


 

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Capitolo 2
*** Three friends, two men & one dog ***


Save the mathematician, save the world



Three friends, two men & one dog


L'uomo in abito scuro salutò il comandante Grimm e, date le proprie prerogative, non ebbe difficoltà a scendere per primo.
All'insaputa di Felicity Smoak era salito sull'aereo prima di lei e aveva viaggiato in cabina di pilotaggio.
Un paio di volte l'aveva spiata dall'oblò sulla porta ed era rimasto a guardarla.
Sul momento non riteneva necessario contattarla; doveva tenerla d'occhio e controllare le sue mosse.

Trovò una macchina ad aspettarlo e chiarì che preferiva muoversi da solo.
I suoi occhi non tradirono curiosità quando vide Felicity abbracciare un giovane uomo biondo e andare via con lui, ma certo non gli era sfuggita la confidenza che traspariva dai loro movimenti e da come interagivano l'una con l'altro.
Li seguì fino al porto di Los Angeles e quando li vide andare incontro a un terzo giovane, sceso da un pullman, il suo sguardo non poté non rimanerne colpito.
Il giovanotto castano era senza bagaglio se si escludeva un piccolo zaino.
L'uomo in abito scuro li guardò attentamente e pensò che non sembravano un trio losco, anzi, e che esternavano liberamente contentezza nello stare insieme.
Seduto in auto, rimase a guardarli. Una volta che si fossero messi in movimento, lui sarebbe stato pronto ad andargli dietro.

Rimasero abbracciati almeno tre minuti senza dire una parola.
Avevano il loro rituale "il MEF (Matthew, Eric, Felicity) sandwich", come lo chiamavano. Quando avevano bisogno di rincuorarsi, di festeggiare, di ritagliarsi un momento solo loro, qualcuno diceva "un MEF, per favore" e si abbracciavano, con Felicity tra i ragazzi e si stringevano forte.
Dopo un esame che gli era fruttato una bella lode, solo a loro tre tra tutti gli esaminandi, si erano abbracciati in quel modo nel corridoio della facoltà. Saltellavano entusiasti e felici quando il professor Nakamura* passò loro accanto e disse che sembravano un panino. Un MEF sandwich, appunto.
In quel momento non c'era nulla per cui festeggiare, né per stare allegri, ma solo tanta voglia di ritrovarsi e proteggersi gli uni con gli altri, a dirsi, senza parole, che ce l'avrebbero fatta.

Seduti al bar di fronte a tre tazze di caffè, si guardavano contenti di essersi ricongiunti ma al tempo stesso preoccupati del futuro.
Felicity sorrise, allungò una mano per accarezzare la barba di Matt e sospirò; "quanto sei bello, così" disse annuendo; "da quando sei rasta?" chiese incuriosita: in effetti, l'ultima volta che si erano visti, lui aveva la sua bella faccia in evidenza, con i capelli corti, senza dreads, né baffi né barba.
Le prese la mano e le ricambiò il sorriso. "Ho scoperto che avere quest'aria un po' Jamaica mi fa essere piuttosto invisibile: sono a dozzine di migliaia i giovani come me e, diciamola tutta, mica te lo aspetti da un matematico del MIT" rispose serio.
"Già, chi ti viene a cercare sotto queste spoglie?" ironozzò Eric. E in effetti l'NSA aveva perso le tracce di Matthew da almeno un paio d'anni.

Chiacchieravano fitto fitto, raccontandosi le ultime cose, quando Felicity si alzò per avvicinarsi alla vetrata. 
Guardò fuori: gabbiani indaffarati, sirene di navi, portuali al lavoro.
"Mi piace il porto... è così pieno di vita" disse sorridendo, tornando al tavolo; "ci vieni?" chiese a Eric e lui dissentì con la testa.
"No... sono sempre al lavoro e quando ho tempo..."
"Io surfo!" dissero in coro Matt e Felicity parlandogli sopra e prendendolo in giro sapendo esattamente cosa stesse per dire.
La risata fu generale e per una frazione di secondo si ritrovarono nel bar della facoltà a quando la vita era piena di futuro e di sorprese.
Non era andata come avevano sperato: quello che era successo aveva condizionato le loro scelte e si erano sentiti braccati e senza scampo, nonostante fossero stati inghiottiti dal sistema.
Poi l'allarme era scattato, due giorni prima, e tutto era precipitato.

Passò un'ora buona mentre facevano colazione e organizzavano progetti, quando Matt si accigliò guardando davanti a sé. 
Fuori dal bar c'era molto movimento; un po' troppo per essere un sabato mattina, quando le attività portuali erano limitate.
Spaventati si alzarono dalle sedie; Eric si caricò su una spalla il borsone di Felicity e si precipitarono all'esterno del locale per allontanarsi.
Una volta fuori, però, si ritrovarono tra un centinaio di persone che correvano in tutte le direzioni con la polizia che avanzava col chiaro intento di accerchiarle.
"Ma cosa succede?" chiese Felicity girando su se stessa.
Nella confusione notarono cartelli e bandiere, ormai a terra, calpestati; gente che agitava nastri e cappelli.
"Una manifestazione?" chiese Matt sorpreso.
Felicity si girò svelta. "Eric, ci hai portati a una manifestazione?" gridò per farsi sentire.
Le sirene della polizia ululavano e la gente che correva gridava più forte di lei.
Eric allargò le braccia sorpreso. "Non ne sapevo niente... non dev'essere autorizzata" si scusò guardandosi intorno frastornato. "Via, via, via" gridò ai suoi amici agitando le mani ma tutti e tre si bloccarono perché non c'era nessun posto dove scappare: la gente convergeva verso di loro, spinta dalla polizia, all'interno di un cerchio invisibile.
Stretti intorno a Felicity, i ragazzi erano spintonati dai manifestanti che si accalcavano uno sull'altro in uno spazio che diventava sempre più stretto.
"Non ci posso credere" soffiò Matt; "siamo riusciti a non farci arrestare quando ci hanno beccati nudi nella fontana del parco... e adesso..." indicò tutto intorno a sé.
"Almeno quella volta avevamo perso una scommessa" continuò Felicity.
"Sì, per colpa tua" l'indicò Matt sorridendo.
"Ma che ne sapevo... questo scemo mi aveva detto che era bravissimo nel gioco delle freccette" e tirò uno scappellotto ad Eric.
"L'avevo detto per fare scena... tu sei una credulona; non potevo immaginare che avresti accettato quella sfida" abbozzò una scusa.
"Ti ricordi che freddo? Quanti gradi ci saranno stati? Quattro? Cinque?" Matt si rivolse al suo amico poi indicò Felicity col pollice; "era tutta inturgidita" ridacchiò malizioso.
"Sarò stata pure inturgidita" gli fece il verso lei "ma voi eravate inesistenti" fece segno con due dita a mostrare poca quantità; "mai vista una "ritirata" così imbarazzante" li prese in giro ridendo come una matta.
"Odio il freddo" borbottò Eric ricordando quella notte di qualche anno prima.
Ne avevano combinate, loro tre insieme, ma non erano mai stati arrestati.
Fino a quel momento!

Spinti dai manifestanti, vennero incanalati verso le camionette della polizia e dato che donne e uomini venivano caricati indistintamente rimasero accanto gli uni agli altri per non separarsi.
Matt salì per primo e aiutò Felicity a issarsi su; Eric si sedé accanto a lei.
"Questa non ci voleva proprio" commentò avvilito. 
Felicity si girò verso di lui e delicatamente gli baciò la spalla.
"Ti voglio bene lo stesso" disse e lui piegò la testa verso di lei per baciarle i capelli.
"Scusatemi, ragazzi" disse desolato allungando una mano verso Matt.
"Cosa ne potevi sapere?" lo tranquillizzò il suo amico.
Tra loro era così! Anche la situazione più brutta li vedeva uniti e pronti a darsi una mano.
Nessuno poteva dire di aver mai avuto amici migliori. Certo, Felicity poteva contare sempre su Diggle o Roy o Walter ed Eric era affiatato con la squadra di Callen o con Nell, ma quello che riuscivano a condividere loro tre non era neanche paragonabile. Era amore, fratellanza, devozione, fiducia estrema. La loro era una piccola e speciale famiglia.
Quando le camionette si allontanarono dal porto a sirene spiegate l'uomo in abito scuro rimase solo sul piazzale. Sospirò leggermente, mise in moto l'auto e, a debita distanza, le seguì.

Non riuscì a vederli ma l'uomo s'immaginò la scena: sul piazzale venivano fatti entrare nel distretto, in prigione.
Gli uomini e le donne vennero separati e dopo aver dichiarato nome e cognome, i tre ragazzi, si ritrovarono con i polpastrelli scannerizzati.
A parte l'agitazione per non averla sotto gli occhi, Eric e Matt erano preoccupati per Felicity. Sempre molto premurosi con lei, saperla sola, anche se a poca distanza, li rendeva irrequieti.
Se non bastasse, aver dovuto dare le proprie generalità completava magistralmente quella mattinata rovinosa.

"Come facciamo, adesso? Hanno il mio nome, i miei documenti… sarò già stato inserito nel loro database… non possiamo stare qui, Eric, dobbiamo uscire a ogni costo, il prima possibile o ci raggiungeranno" disse Matt e la sua voce era stridula e agitata. 
Il viso tirato, stava seduto sulla panca, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani tra i capelli.
Eric Beale pensò svelto e quando poggiò la mano sulla spalla di Matt, la sua voce non ebbe esitazioni.
"Ho chi può aiutarci… aspettami qui" disse e si avvicinò alle sbarre. "Voglio fare la mia telefonata" gridò e poco dopo uscì dalla gabbia seguendo una guardia.
Prese la cornetta e compose un numero.
"Chi mi chiama dalla prigione?" la domanda arrivò relativamente perplessa. Eric sentì nell’orecchio quella voce familiare e sorrise.
"Mi serve il tuo aiuto… per me e per due miei amici" disse tornando serio.
"Di nuovo? Devi smetterla di farti arrestare! E siete in tre?" 
"Si chiamano Matthew Sandler e Felicity Smoak" tagliò corto il tecnico NCIS.
"Dammi il tempo di arrivare" fu la risposta, così tanto determinata e tranquilla che Eric si rilassò all’istante.

Un agente si avvicinò alle sbarre, con le chiavi in mano.
"Signorina Smoak, può uscire" disse e Felicity lo guardò piuttosto incuriosita. "Il suo avvocato è qui" le spiegò e indicò l'uomo che aveva accanto.
La ragazza mosse passi titubanti; la guardia si allontanò e la lasciò sola con quello sconosciuto che la guardava sorridendo.
"E bravo il mio nerd" disse compiaciuto.
Felicity alzò un sopracciglio.
"Non conosco nessun avvocato qui a Los Angeles" disse svelta.
Chi era? Forse li avevano già raggiunti e avevano mandato quell'uomo per lei? Il suo aspetto non incuteva timore e non sembrava un avvocato, ma questo non voleva dire nulla.
"Eric Beale te ne ha rimediato uno" la rassicurò allungando una mano verso di lei.
Felicity non aveva nessuna intenzione di stringergliela e incrociò le braccia al petto, imbronciandosi.
"Sei sicuro di essere un avvocato?" chiese scrutandolo da sopra gli occhiali.
Lui scoppiò a ridere per niente offeso.
"Posso essere tutto quello che vuoi, biondina" esclamò e le ripropose la mano tesa.
Al mondo ci sono persone che, senza far nulla, sono capaci di mettere a proprio agio gli altri. L'avvocato era uno di quelle e Felicty Smoak si ritrovò allegramente coinvolta da quell'uomo che aveva di fronte e quando se ne rese conto era troppo tardi: era stata immediatamente conquistata da quel sorriso aperto e onesto e lo ricambiò incassando le spalle e mostrando i denti ridendo partecipe.
Allungò una mano e la strinse al suo avvocato.
"Felicity Smoak" disse e sentì la mano dell'uomo stringere la sua con convinzione.
"Piacere, Marty Deeks."

"Aspetta qui" le disse lasciandola la bancone di fronte all'entrata e seguì la guardia verso un altro settore.
"Beale, Sandler… c’è il vostro avvocato."
Marty Deeks, mani sulle sbarre, scosse la testa sorridendo.
"Meno male che ci sei tu, genio… almeno, ogni tanto, posso tornare a fare l’avvocato" disse ironico, poi si voltò verso la guardia, "grazie, Pete" e gli strinse la mano.
"Dovere, Marty" rispose e richiuse la porta con tre mandate, e un sonoro clonk, alle spalle dei ragazzi.
"Felicity?" chiese Matt apprensivo.
"È lì che vi aspetta" gli rispose l’avvocato facendo un cenno con la testa, verso il bancone all’ingresso; "prima le signore!"
Marty Deeks firmò i documenti digitali per il rilascio e insieme ai tre ragazzi uscì alla luce del sole.
Monty, il suo cane, scodinzolò allegro intorno a Eric e poi si interessò dei nuovi amici del suo papà bipede. Sia Matt che Felicity gli fecero un sacco di feste e lui continuò a girare intorno al gruppetto zampettando contento. Come Martin Deeks, era sempre pronto a conoscere persone nuove.

L'uomo in abito scuro rimase interdetto nel vedere i ragazzi uscire di prigione così presto.
Merito dell'ultimo arrivato, pensò e nervosamente tamburellò con le dita sul volante.
Chi era l'uomo che si era aggregato alla compagnia?

"Dimmi, Eric… perché il tuo avvocato va in giro con i pantaloni corti al ginocchio, i sandali e i capelli bagnati?” chiese Felicity con allegria indicando l'uomo biondo.
"Quando avete telefonato stavo facendo il bagno" le rispose Marty facendole il verso con la voce.
"Anche tu nudo e bagnato?" chiese lei squadrandolo dalla testa ai piedi.
"Bagnato, sì… nudo, no" le rispose a tono.
"Sei strano, fai il bagno in mutande?" si informò, camminandogli vicina.
Lui scosse la testa divertito.
"Niente mutande… costume."
"Il costume? Siete pittoreschi qui a Los Angeles."
"Senti, unghie-smaltate-di-rosso… stavo in spiaggia… tu, il bagno al mare, come lo fai?" le chiese, arricciando le labbra, indicandola con il dito.
"Ti prego, Marty, non la stuzzicare" mugugnò Eric.
"Sì, davvero, altrimenti non la smette più" rincarò Matt.
"Oh, che bello… quando vuoi, Toontown**" la istigò ancora.
"Ti prendo in parola, Speedo… te ne assesterò una quando meno te l’aspetti" lo rassicurò lei facendo una smorfia; "e Toontown che c’entra?" chiese buffamente stizzita.
Marty la indicò da capo a piedi, un paio di volte, intendendo il suo vestito aderente con la scollatura a cuore, corto appena sopra al ginocchio e i vertiginosi decollètè. 
"Dai, sembri Betty Boop" disse ridendo.
"Continua, continua pure" mosse una mano come a scrollarselo di dosso; "un adulto che si fa chiamare "Marty"... ma chi sei, uno snack? Quello che dici mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro" lo sbolognò lei con sufficienza.
"Poverina, fammi vedere, hai un tunnel dritto dritto da un orecchio all’altro?"
"Marty, per favore…" chiese Eric cercando di essere serio anche se gli veniva da ridere.
"Mi piace la tua amica bionda; mi sto divertendo un sacco con lei" gli spiegò placido Martin, alzando le spalle.
"Tu, invece, non mi piaci per niente" gli rimandò Felicity.
"Sei bugiarda, Betty" la sgridò Marty.
"Compatisco il tuo cane… chissà da quant’è che non sente una frase logica uscire dalla tua bocca" ribatté lei mentre camminavano fianco a fianco.
"Una frase logica? Ma se poco fa mi hai chiesto se ero nudo e bagnato, di che parli?" agitò le mani davanti a sé.
"Era per rompere il ghiaccio" lo rassicurò.
"Quale ghiaccio? Qui siamo a Los Angeles, fa un caldo terribile."
"Quindi è ovvio pensare che vai in giro nudo" disse lei guardandolo.
"Tu sei un po’ erotomane?" le chiese avvicinando la spalla a quella della ragazza.
"Probabile" rispose composta.
"Fai sempre di più al caso mio, Betty."
"Non avevo alcun dubbio, nuotatore."
"No, no… non sono un nuotatore, sono un surfista."
"Ah… un avvocato biondo, abbronzato, surfista con la barbetta un po’ incolta" sembrò pensarci su.
"Lo so, sono sexy" disse Marty con ironia.
Felicity si abbassò gli occhiali e lo guardò attenta.
"Sì, ci può stare… e Betty Boop lo è?" chiese facendogli l’occhiolino.
Marty la guardò con aria compiaciuta e poi alzò le sopracciglia.
"Eccome! Mi piacciono i tuoi tacchi."
"I tacchi, eh?"
"Beh… anche il vestito."
"Che fai, mi guardi la scollatura?"
"Ma se te la sei messa apposta."
"Mica per attirare la tua attenzione."
"Raccontala a un altro."
"E hai il coraggio di chiedermi se sono una erotomane?"
"Mi è sembrata una domanda legittima."
"Tu lo sei? Erotomane, dico."
“Sì, sì” le rispose contento.
Matthew si avvicinò a Eric, qualche passo indietro a quell’improbabile coppia di epiteti.
"Non so se ce la faccio a sopportarli, te lo dico" bofonchiò ridendo e il suo amico dell'università gli passò un braccio intorno alle spalle e si spinse gli occhiali un po’ più sul naso.
"Fidati, vecchio mio… conosco il mio avvocato: meglio che stiano tra loro, altrimenti verranno a cercare noi" disse ammiccando.
E così, chiacchierando, Marty fece strada verso la sua Chevy.

Erano saliti in auto, quando Martin Deeks si girò verso i ragazzi.
"Perché sono venuto a prendervi in prigione, che ci stavate a fare in mezzo a quella manifestazione?" chiese serio il detective.
"Ci siamo trovati in quel marasma" spiegò Matt "la polizia ci ha caricati insieme a tutti i manifestanti."
Eric mosse una mano svelto.
"Questo non è importante, ora… Marty, dobbiamo portare Matt al sicuro" disse agitato.
"Va bene, andiamo alla darsena" concluse il collega, accendendo il motore.
"No, non alla darsena… ci serve un posto sconosciuto a tutti." Eric pronunciò le parole con un tono estremamente serio, tanto che Marty Deeks lo guardò preoccupato.
"Cosa sta succedendo? In che guaio vi siete cacciati?" domandò guardando Eric negli occhi.
"Ti spiegherò tutto… ma fidati di me… dobbiamo andare via, adesso."
Senza fare altre domande, l'avvocato di Eric Beale ingranò la retromarcia, uscì dal parcheggio e partì spedito.
“Dammi il portatile, svelta” Eric incalzò Felicity muovendo le mani facendo segno di sbrigarsi. Con il pc sulle ginocchia, mosse le dita svelte e si inserì nel sito del LAPD.
“Io non guardo” disse Martin tornando a guardare la strada scuotendo la testa.
Eric sorrise e dopo qualche secondo alzò la testa e annuì verso Matt.
“Ora non sanno neanche che sei passato di lì… non c’è nessuna traccia, non sei mai esistito per loro” lo tranquillizzò.
Il suo amico gli ricambiò il sorriso piuttosto soddisfatto.

Dopo il primo semaforo, Marty notò che un’auto, tre più giù della loro, li stava seguendo. Non disse niente ai ragazzi per non allarmarli e, senza dare troppo nell’occhio, cercò di seminare quell’auto scura che avevano alle calcagna.
Cinque isolati più giù girò a sinistra verso il mare, poco prima che scattasse il rosso e si infilò in una via senza uscita. Bloccò la macchina e scese.
"State giù e non muovetevi" disse ai tre e si appoggiò ad aspettare con la schiena al portabagagli.
Appena la berlina scura girò l’angolo, Marty Deeks si piantò in mezzo alla strada obbligando il guidatore a una sterzata repentina e a una frenata rumorosa. Agitò la pistola che aveva in mano e gli fece segno di uscire.
"Polizia di Los Angeles, spenga il motore e con la mano destra getti le chiavi dal finestrino... bravo, così; ora scenda dall’auto con le mani in alto" intimò a voce alta.
Mentre lo sportello si apriva si avvicinò puntando l’arma e facendo vedere il distintivo.
"Il tuo avvocato è un poliziotto?" chiese Matt a Eric e il tecnico annuì.
"E magari sa fare anche le pulizie***" disse Felicity e Monty, neanche avesse capito, abbaiò un paio di volte.
Porgendo le mani alzate, dall’abitacolo dell’auto uscì l'uomo in abito scuro.
"I documenti, per favore e si muova molto lentamente; faccia in modo che possa vederle sempre le mani, grazie" ordinò Marty Deeks.
Allungò la mano ossuta, prese la patente e guardò il nome.
"Perché ci sta seguendo, signor…"
Smise di parlare perché con la coda dell’occhio aveva notato Felicity che camminava verso di loro con lo sguardo tra lo sbigottito e il sorpreso. La ragazza alzò una mano, come dire a Marty di non preoccuparsi, continuando a fissare il giovanotto che aveva di fronte.
"Oliver?" e la sua voce era poco più che un sussurro.

Marty Deeks sorrise divertito: sentì immediatamente il "fragore" del lungo sguardo silenzioso che si scambiarono l’uomo e la donna di fronte a lui. 
"Sì, esatto… perché ci stava seguendo, signor Oliver Queen?" chiese ancora.
"La signorina Smoak lavora con me, sono qui per lei" rispose con la voce ferma e gli occhi inchiodati sulla giovane donna.
Felicity si avvicinò ai due e sentì la pelle d'oca sotto il bolerino aderente che le fasciava le spalle.
Come nella migliore tradizione, sicuramente solo Felicity e quel giovanotto dai capelli corti non si rendevano conto dell’elettricità che si scambiavano e il detective con i ciuffi provò una grande tenerezza per loro.
"Perché non si è presentato prima?" domandò abbassando la propria arma.
Oliver si girò a guardare Marty distogliendo lo sguardo dalla ragazza.
"Non ho avuto modo" ammise corrucciato poi si voltò nuovamente verso Felicity.
"Come hai saputo?" chiese lei con un filo di voce.
"Walter" spiegò con un tono ovvio, poi i suoi occhi la guardarono impauriti. "Cosa succede, perché sei scappata? Non hai nessun parente qui a Los Angeles" chiese preoccupato.
Lei chiuse gli occhi un istante. Oliver era lì, era venuto a cercarla.
Era innamorata di lui e nonostante tutto quello che stava succedendo, era felice. Sì, in barba al momento, a quello che è giusto, a quello che si deve fare e quasi le girò la testa a vederlo lì.
Notò il suo sguardo e si rese conto che era davvero molto preoccupato per lei. 
"Mi dispiace… ma devo onorare un giuramento; non sono scappata: un mio amico ha bisogno di me" si scusò sorridendo dolcemente. 
Oliver si guardò attorno: un poliziotto armato alla sua sinistra, Felicity che era davanti a lui, un cane che gli correva incontro scodinzolando e due ragazzi accanto a una Chevy.
La donna girò la testa in direzione dei due ragazzi poco distanti e tornò a guardare Oliver.
"Loro sono miei amici, siamo come fratelli" sussurrò commossa.
Come accadeva sempre, Oliver Queen non riuscì a trattenere un sorriso. Lei aveva una qualche magia sconosciuta alla quale non sapeva resistere e dato che aveva mollato all'istante tutto quello che stava facendo per seguirla, accusò prima l’agitazione e poi la calma per averla ritrovata sana e salva. 
Cercò due secondi per sé. Lasciò andare la sua solita postura rigida, si chinò a fare delle carezze al cane che lo odorava agitando la coda, poi alzò lo sguardo verso la ragazza.
"Vorrei aiutarti anche io, Felicity." 







Della spy story non sapete ancora nulla ma volevo divertirmi un po’ con Felicity e Marty; i miei Felty, che spettacolo! Loro sono due "battute" allo stato brado: non vedevo l’ora di farli incontrare e interagire.
L’arrivo di Oliver mi sembrava un buon modo per concludere il capitolo.
Alla prox.
Monty
* Hiro Nakamura, insieme a Gabriel "Sylar" Gray, è il personaggio che preferisco in "Heroes".
** Ho preferito l'originale Toontown, alla nostra Cartoonia.
***Per chi non conoscesse NCIS Los Angeles: il detective Martin A. Deeks è davvero biondo con barba e baffi, è davvero avvocato, sexy e surfista; ha davvero una Chevy, un cane di nome Monty e una "mania compulsiva" per l’ordine e la pulizia.



Disclaimer: Felicity Smoak, Eric Beale, Martin A. Marty Deeks, Oliver Ollie Queen, Monty, John Diggle, Roy Harper, Walter Steele, G Callen, Nell Jones, Toontown e Betty Boop non li ho inventati io. 

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Capitolo 3
*** Touché ***


Save the mathematician, save the world



Touché


Per seminare ancor meno tracce, si trasferirono tutti nell’auto a noleggio di Oliver che, seguendo le indicazioni di Marty, li portò a destinazione, vicino al mare, poco prima del molo di Santa Monica.
L’appartamento era molto carino. Tenuto pulitissimo, era in stile marinaro e aveva quell’inconfondibile profumo di salsedine.
“È un posto sicuro?” chiese Eric ancora molto agitato.
“Stai tranquillo, nessuno può farvi del male, qui” lo rassicurò Marty.
“È tua, questa casa?” domandò il tecnico guardandosi intorno.
“Sì e no” rispose enigmatico il collega.
Il detective si passò una mano tra i capelli; come spiegare a Eric, che quello era l’appartamento di MaxGentry*?
Saperlo lo avrebbe agitato ancora di più e Marty Deeks decise di non dirgli nulla.
Fece segno ai suoi ospiti di accomodarsi. I quattro trovarono posto tra il divano, la poltrona e le sedie intorno al tavolo di legno.
“Fate come foste a casa vostra” disse carinamente e sparito in cucina tornò indietro poco dopo con birra e bibite da bere e stuzzichini dolci, salati e frutta secca da mangiare.
 
Marty si accomodò al tavolo, di fronte a Oliver; allungò un cracker a Monty e si girò a guardare i giovani.
“Volete illuminarci?” chiese, afferrando un cracker per sé.
Per un momento i tre ragazzi si guardarono.
Non avevano mai svelato a nessuno il loro segreto e nonostante quei due uomini fossero lì per aiutarli, si ritrovarono titubanti nel farlo.
Felicity parlò per prima, mantenendo una certa compostezza, sorridendo appena.
“Ci dispiace molto per avervi coinvolti, soprattutto perché quello che vi diremo cambierà le vostre vite in un modo che non potete immaginare. Siete ancora in tempo per tirarvi indietro; vi ringraziamo per l’aiuto e, state certi, avete la nostra comprensione” disse tutto d’un fiato.
Oliver la scrutò attento; non sapeva assolutamente di cosa stesse parlando e si chiese come avesse potuto cavarsela da sola fino a quel momento. Il pensiero di lasciarla nei guai non gli sfiorò neanche l’anticamera del cervello.
Marty si domandò come fosse possibile che Eric non potesse dire quel segreto nemmeno a Hetty! E come aveva fatto, sparuto pulcino di un tecnico, a tenere duro tutto quel tempo? In che guaio si era cacciato? Certo non avrebbe abbandonato il suo collega… da adesso a per sempre, se la cosa era così grave come diceva!
Oliver si alzò e si tolse la giacca, dopodiché si mise seduto con una postura più disinvolta. Si versò una birra nel bicchiere e subito dopo schiacciò due noci nella mano stando attendo a sbriciolare nella scodella vuota che Marty aveva messo sul tavolo. In quel modo cercò di allentare la tensione di tutti facendosi vedere pronto e a suo agio, nonostante il viso tirato dei ragazzi.
Felicity prese un gran respiro e parlò con una sorta di timidezza nella voce e tanto dispiacere nello sguardo.
“Vorrei che capiste fino in fondo del pericolo che correrete. Mai nella vita rischierete così tanto. Tu” si girò verso Marty “non ti conosco ma sei un poliziotto… e tu” stavolta si girò verso Oliver “ti conosco eccome… nulla sarà più uguale. Non affronterete mai un pericolo come questo… noi… davvero, non so se dovremmo coinvolgervi.”
Oliver mosse una mano a interrompere quel fiume di parole; “Felicity, non mi muovo di qui” affermò serio.
“Anch’io, Betty, spara” disse Marty con un tono rilassato.
Divertito notò come Oliver avesse serrato la mascella indispettito da quella frase così confidenziale e il successivo sorriso di Felicity alla battuta.
 
Dopo aver ricevuto l’assenso dei suoi due amici Felicity Smoak si sedé al tavolo di fronte al suo portatile.
Sia Oliver che Marty spostarono le sedie di fianco a lei, che svelta pigiò qualche tasto finché sullo schermo comparve un grosso sigillo.
Marty si portò una mano alla bocca e spalancò gli occhi.
“Santo cielo, che giornata… no, no… non si cracca il sito della Sicurezza Nazionale… cattiva, Betty, cattiva” sospirò dissentendo con la testa.
“Sono loro i cattivi, non io, avvocato!” gli rispose lei.
Nei pochi secondi successivi anche Eric e Matt si accomodarono al tavolo.
“Cosa c’entra la Sicurezza Nazionale?” chiese Oliver guardando i ragazzi.
Felicity spinse ancora qualche tasto e aprì una finestra dove campeggiava, in arroganti lettere rosse, una scritta: Sezione Studi Batteriologici.
La ragazza si sfilò gli occhiali e si pizzicò il naso.
“Dal 1970 questa sezione della Sicurezza Nazionale raccoglie ogni tipologia di batterio e virus conosciuti. Sono custoditi in appositi silos.
In piena guerra fredda, nell’eventualità di un attacco estintivo agli Stati Uniti, venne messa in cantiere una strategia che prevedeva la liberazione del contenuto dei silos. Riuscite a immaginarvi che danno potrebbe causare il rilascio di miliardi di batteri e virus? Malaria, peste, ebola, SARS, vaiolo, antrace… tanto per dirne qualcuno” guardò Oliver e Marty, “c’è da mettere in ginocchio l’umanità: nonostante i vaccini morirebbero miliardi di persone” disse con aria mesta.
“Ok, queste cose le posso sapere anche guardando il NatGeo… che c’entrate voi tre con la fine del mondo?” chiese Marty curioso.
Felicity si girò a guardare i suoi due amici e Eric le sorrise tentando di tranquillizzarla.
“Quella che era un'idea, negli anni è diventata realtà. La sequenza di attivazione dei silos è operativa con l’inserimento di tre formule” iniziò il tecnico NCIS; “il Governo naturalmente le ha, ma durante un controllo l’NSA ha scoperto che solo due sono esatte” puntualizzò guardando gli altri.
Sia Oliver che Marty cominciarono a farsi un’idea della situazione; Eric lo capì guardando i loro volti preoccupati e incuriositi. Con nervosismo tirò su le labbra in un sorriso amaro.
“Senza la terza non può fare niente” annunciò svelto, come se dirlo frettolosamente riducesse l’importanza della frase.
Il silenzio calò pesante come un macigno.
“Davvero? Perché non mi piace per niente questa premessa?” Marty ironizzò, nonostante sentisse esattamente tutti i pori che aveva sulla schiena stringersi. Si passò una mano tra i capelli arruffandoli dietro la nuca.
Oliver sospirò tirando su le spalle e guardò Felicity con occhi indagatori e si preoccupò ancora di più quando lei sostenne il suo sguardo senza restituirgli quel battito di ciglia che gli piaceva tanto.
“Di cosa stiamo parlando, esattamente?” chiese cercando di modulare la voce in un tono meno allarmato possibile.
“Noi tre studiavamo al MIT” Matt indicò se stesso e i suoi amici “quando al laboratorio di matematica venne chiesto di elaborare una formula basata su un dato algoritmo. Non sapevamo a cosa servisse quella formula, ovviamente. Era un lavoro alla cieca, per così dire, senonché” si girò a guardare la sua amica bionda e l’indicò, “la signorina Smoak, che non si impiccia mai degli affari propri, venne a svegliarci, a me e a Eric, in piena notte, perché aveva fatto una scoperta eccezionale.”
“Se avessi avuto un ragazzo, in quel periodo, non avrei passato le mie notti a digitare su una tastiera” l’interruppe Felicity stizzita.
“Non ci posso credere” sbuffò Marty.
“Lo so… quello che abbiamo scoperto è assurdo” gli confermò Eric.
“No, no… assurdo è che non avesse un ragazzo” il suo collega lo corresse con aria grave muovendo un dito “voi due dormivate in piedi? Insomma?”
“È quello che dicevo anch’io… assurdo” gli andò dietro Felicity scrollando le spalle.
“All’università avevo un sacco di ragazze” continuò il detective mentre si scambiava uno sguardo comprensivo con la ragazza.
“Non fatico a crederlo… all’università ci si dovrebbe anche divertire.”
“Possiamo proseguire?” chiese Oliver infastidito e, ottenuta la loro attenzione, fece a Matt il gesto di continuare.
“Questa hacker impicciona aveva scoperto il committente e il reale impiego della formula. Come sapete, il Governo spesso commissiona lavori a pubblici e privati senza svelare la natura del lavoro in questione.”
“Facciamo un passo indietro” s’intromise Eric appoggiando le mani sul tavolo; “negli anni ’70 vennero costruiti otto silos nel deserto del Nevada, nella famigerata Area 51.”
“No, no… nell’Area 51 ci sono E.T., Barbarella e il Tardis” disse Marty scuotendo il capo.
Eric guardò il suo collega e storte le labbra all’ingiù, scosse la testa desolato.
“Ti prego… devo credere che ci siano E.T. e Barbarella che dorme in un sonno criogenico… se ci credo è tutto normale, come deve essere” mugugnò il detective in pieno sconforto.
Eric Beale sbatté gli occhi.
“Mi dispiace… non credo ci siano Barbarella, E.T. o il Tardis, ma è certo che ci sono otto silos, letali all’uomo e alla natura, che a tutt’oggi vengono riforniti” gli confermò tristemente “e questo avviene senza contatto umano; è tutto meccanizzato e controllato a livello informatico.”
“Ogni silos, in realtà, è un missile” lo interruppe Felicity con un’incredibile fermezza nella voce.
Il tecnico NCIS annuì guardandosi intorno.
“Otto silos pieni di virus… otto missili pronti a partire in caso di attacco estintivo agli USA: nell’eventualità che il nostro paese sia a rischio di caduta, una catena di comando che neanche vi sto a spiegare lancerebbe i missili in punti strategici e non ultimo anche da noi… a scongiurare probabili invasioni.”
“Questa storia è incredibile” mormorò Oliver e mandò giù la sua birra tutta in un sorso. In quel momento gli importò poco di mantenere i nervi saldi.
“Com’è possibile che non si possa interrompere il lancio?” chiese Marty sconcertato.
“È fatto apposta, detective, altrimenti non avrebbe motivo di essere… il countdown è autorizzato dall’inserimento delle tre formule e una di queste è stata messa a punto al laboratorio del MIT dove studiavamo per il master” spiegò Felicity.
“Avete detto che l’NSA ha una sequenza sbagliata… in che senso?” chiese Oliver.
“Ricordo quei giorni come pazzeschi” disse Matt e i suoi amici sorrisero con lui, mesti e consapevoli.
“Quella notte noi tre prendemmo una decisione… il laboratorio avrebbe fornito una formula falsa, camuffata da vera, nascosta come in una matrioska. Quando l’NSA avesse fatto i controlli la formula falsa li avrebbe bypassati… Felicity ha creato la matrioska che Eric ha resa invisibile al sistema” spiegò Matt e prese le mani dei suoi amici tra le sue “e io ho preparato la formula falsa che a ogni controllo si ripropone” finì buttando fuori l’aria dal naso.
“Cosa è andato storto? Perché ci troviamo qui?” la domanda di Oliver era più che legittima.
“Non siamo gli unici geni sulla Terra” ironizzò Felicity “infatti la matrioska è stata resa visibile e l’NSA ha scoperto che la formula che veniva inserita era falsa.”
“E voi come avete scoperto che l’NSA vi dà la caccia?” domandò Marty.
Eric diede due colpi di tosse e incassò le spalle.
“Ho un posto d’osservazione privilegiato” ammise quasi sottovoce.
Il suo collega lo guardò stupito e sorrise.
“L’hai fatta a Hetty?”
“Ammetto di aver usato la nostra tecnologia, sì… dovevo monitorare l’NSA, era di vitale importanza” rispose composto.
“Dovevate sapere in anticipo quando avessero scoperto il trucco, per agire in fretta” disse Oliver muovendo la testa; “perché voi sapete dov’è la formula vera, l’originale.”
“Sì, è così” gli confermò Felicity.
“Dov’è?” chiese il suo capo guardandola negli occhi.
“La terza formula sono io” rispose Matt attirando su di sé lo sguardo di tutti.
Marty si alzò in piedi di scatto spostando la sedia all’indietro.
“Touché, ragazzino!”

 
 
 




Ah, ve l’ho fatta? Ci sono riuscita? Spero di sì. E ancora non è tutto…
Alla prox.
Monty
*Max Gentry è l’alter ego di Martin Deeks: cattivo, spietato, oscuro e maledetto. Compare come alias in due puntate (2x22 e 4x23); personalmente lo reputo il personaggio più fico di NCIS LA.
N.B. “Touché” è un termine classico di Martin Deeks.


Disclaimer: Felicity Smoak, Eric Beale, Marty Deeks, Oliver Queen, Max Gentry, Monty, l'NSA, E.T., Barbarella, il Tardis e il MIT non li ho inventati io.

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Capitolo 4
*** Home ***


Save the mathematician, save the world



Home

“Tu?” Oliver era perplesso tanto quanto il detective.
“Sì, conosco la formula originale perché sono stato uno dei due che l'ha elaborata” spiegò Matt.
“Come "due"? Voi siete in tre… non è per questo che vi stanno cercando?”
“Cercano solo Matt” disse Felicity “l'NSA non sospetta di me e Eric: noi non conosciamo la sequenza” chiarì “quando siamo stati interrogati non hanno avuto prove della nostra frequentazione post-università e quindi ci hanno lasciati stare, esattamente come è successo con gli altri ex studenti che all'epoca avevano frequentato il MIT” finì guardandosi intorno.
“Sei stata interrogata dall'NSA?” Oliver era stupefatto e Felicity annuì.
L'ex miliardario pensò quanto poco conoscesse la sua assistente; sicuramente era molto più brava di lui a mantenere i propri segreti.
“Matt, hai detto di essere uno dei due… chi è l'altra persona che conosce la formula?” domandò Marty.
“Il mio professore… l'ho aiutato durante l'elaborazione, ero suo assistente e, prima che tu me lo chieda, ti dico che è morto tre anni fa: era malato e so per certo che non ha rivelato a nessuno la formula. La conosco solo io” la voce ferma e preoccupata, Matthew giocherellava con una nocciola.
“Perché non possono cambiare la formula nella sequenza? Insomma, mi pare proprio assurdo” commentò l'uomo con i ciuffi guardando i ragazzi.
“Perché altrimenti il progetto sarebbe stato attaccabile… e non poteva esserlo, in senso assoluto… una così letale strategia deve essere inattaccabile” rispose Eric.
“A ben vedere, tutta questa storia è un cane che si morde la coda” commentò Felicity e Monty cacciò fuori un paio d'abbai.
“Alle parole cane, coda, ecc… lui abbaia sempre” Marty si spiegò; “shh, non sta dicendo a te” guardò il suo cane con occhi severi.
Monty, apparentemente offeso, caracollò vicino alle gambe di Oliver che si allungò per fargli un paio di grattini.

“È assurdo, no? che questi missili siano pronti a partire e, al tempo stesso, rischino di essere bloccati per sempre” commentò Eric.
Matt si alzò dalla sedia passandosi una mano sulla bocca.
“Quella notte… noi tre abbiamo deciso che avremmo fatto di tutto perché il mondo non corresse questo pericolo terribile… certo non è molto, rispetto a tutte le macchinazioni governative in atto, ma giurammo di fare ognuno la nostra parte. Sapevamo che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla e in tutti questi anni ho avuto una vita vagabonda e i miei amici” guardò Eric e Felicity con un amore sconfinato negli occhi “i miei fratelli… mi hanno tenuto al sicuro scegliendo di vivere la loro vita in funzione di questo.”
Oliver e Martin lo guardarono e lui sgranò gli occhi.
“Sì… hanno scelto di non avere una vita propria perché sapere questo segreto gravissimo comporta grandi rinunce… chi non avrebbe voluto sposarsi, avere dei figli, fare il lavoro desiderato, una vita normale? I miei amici hanno sacrificato tutto, per me… Felicity che si comporta come la donna meno volitiva del pianeta e, nonostante il suo potenziale, lavora per qualche supercompagnia invece di mettere il suo ingegno al servizio della società… ha fatto la segretaria, la commessa, quando potrebbe essere un aiuto migliore in qualunque campo… e Eric… lui è sempre stato un genio-artista, uno che le regole le ha sempre viste come un limite della persona.”
Eric Beale alzò gli occhi al cielo sorridendo.
“Sapevi che voleva fare il free lance così da potersi dedicare al surf? È la cosa che preferisce… lo sapevi?” chiese Felicity a Marty. Lui fece segno di no con la testa e poi ammiccò contento verso il collega: avevano molto in comune, oltre l’ufficio.
“Non ha fatto il free lance, no… fa il nerd impacciato e sprovveduto, lui che ha coraggio da vendere; è impiegato in un'agenzia governativa… lui odia l'intelligence, i militarismi, l'NSA, la CIA, FBI, NCIS, DEA… e tutte le lettere a cui riuscite a pensare… ma lavorando per il governo avrebbe avuto in tempo reale accesso a informazioni vitali per me... e surfa una sola volta a settimana, per quel che so” Matt fece l'occhiolino al suo amico; “l'NSA mi darà la caccia finché non mi avrà preso... e faranno in modo di farmi parlare” concluse con una gran tristezza nella voce.
Marty si alzò per stiracchiare le gambe; buttò fuori un respiro e appoggiò una mano sulla spalla di Matt.
“Ti faranno parlare… sì, che lo faranno” gli confermò piuttosto desolato.
Il giovanotto scosse la testa preoccupato. “Non voglio farmi prendere… non posso farmi prendere… devo morire per non svelare quello che so? Diciamola tutta… mi “suicideranno” dopo avermi torturato, ecco quello che faranno… non voglio morire, non voglio morire” quasi sembrava lagnarsi, tanto la sua voce era accorata.
Felicity, in un gesto svelto, si alzò dalla sedia e gli gettò le braccia al collo stringendosi a lui.
“Non morirai… io non lo permetterò” disse sommessamente; nascose il viso tra la spalla e il petto di Matt per non farsi vedere ma il movimento delle spalle tradì il suo pianto silenzioso e discreto.
Matthew le passò una mano sulla testa e le baciò la fronte mentre Eric le appoggiava la sua mano sulle spalle come a proteggerla. Oliver e Marty si guardarono e per un attimo si sentirono di troppo.
Quanto dovevano aver tenuto duro quei tre ragazzi? Quanti anni passati sul chi vive, a guardarsi le spalle, a proteggere il più a rischio dei tre? E le loro vite? Sacrificate in nome di un giuramento per proteggere l'umanità?
Oliver Queen sentì la sua tuta in pelle verde stargli stretta. Si lamentava sempre della sua vita, del tormento, eppure, nel soggiorno di quella casa sconosciuta, si sentì piuttosto fortunato. Aveva perso tutto ma aveva avuto una seconda possibilità ed era riuscito a dare un valore alla sua vita; aveva avuto grandi maestri e amici fidati, mentre Felicity era stata costretta a diventare invisibile, a diventare una donna comune che passa i week end e le feste comandate tappata in casa.
Conosceva la forza di carattere della sua assistente, ma non avrebbe mai potuto immaginare quanto fosse forte e determinata.
La ragazza tornò a sedersi, tirò su col naso e si alzò gli occhiali per asciugarsi gli occhi.
“Scusatemi” disse un po' vergognosa.
“E di cosa, piccola?” chiese Martin completamente affascinato da quella prova di carattere.
Il poliziotto guardò Oliver e si stupì nel vederlo trattenersi. Tutto il suo corpo sembrava attirato verso la ragazza: la voglia di abbracciarla e consolarla gli schizzava fuori dalle labbra che teneva serrate, tese e dalle mani chiuse a pugno.
A quel punto della sua vita, Marty Deeks sapeva per certo che mantenersi sempre distaccati non fosse il migliore approccio per una possibile coppia, anzi, probabilmente era il migliore deterrente.

“Devi sparire” disse Oliver all'improvviso scuotendo il silenzio “devi sparire e noi ti aiuteremo.” Il suo tono era deciso e pieno di determinazione.
Marty afferrò il cellulare che aveva lasciato sul mobile, con un gesto svelto. “Faccio qualche telefonata” affermò dirigendosi verso un'altra stanza.
Felicity si sciolse la coda di cavallo e passò le dita tra i capelli ravvivandoli; sospirò stanca.
“Posso portare fuori Monty? Ho bisogno di un po' d'aria” chiese con la voce ancora malferma.
Marty alzò lo sguardo e vide Eric e Matt muoversi verso di lei. Schioccò le dita per attirare la loro attenzione.
“Certo, Betty, vai pure, grazie… prendi quella palla da tennis così non sarai obbligata a tenerlo legato” le rispose mentre faceva segno ai due ragazzi di non andare.
Si strinse contro la porta e fuori dal campo visivo di Felicity e Oliver li indicò facendo l'occhiolino e alzando il pollice.
Matt e Eric sorrisero.
“Marty, raccontami di questa casa…” iniziò Eric muovendosi verso di lui.
“Perché ti impicci?” chiese Martin guardando i ragazzi che cercavano di avere un'aria normale.
“Beh, sembra un segreto e voglio sapere.”
“Prendi il guinzaglio; la palla l'ho presa io e andiamo” disse Oliver alla ragazza; “fa assurdamente caldo in questa città” borbottò mentre si arrotolava un poco le maniche della camicia.
Chiuse la porta di casa dopo aver fatto uscire il cane e Felicity.

Rimasti soli, Eric, Marty e Matthew fecero capolino dalla stanza da letto.
“Mi sento Cupido” pigolò il detective fregandosi le mani.
“Non mi sono accorto di niente” disse Eric.
“Nemmeno io” aggiunse Matt alzando le spalle.
“Oh, svegliatevi, secchioni!” li sgridò l'avvocato.
“Allora, Marty, di chi è questa casa?” Eric cambiò discorso sperando di sorprendere il suo collega.
“Filate via, non vi dico nulla… piuttosto ragionate sul fatto che avete avuto accanto quel bocconcino per anni e non avete concluso niente!”
“Ma dovevamo salvare il mondo...” si scusò Matt mettendo le mani avanti.
Marty Deeks strinse gli occhi per qualche secondo e lo guardò indagandolo. “Non mi piacciono i secchioni” tagliò corto e rientrò in camera da letto.

Arrivati in spiaggia Oliver sganciò il moschettone dal collare e Monty corse in avanti fino a raggiungere l'acqua.
Felicity lo accompagnò correndogli dietro; sentiva lo sguardo di Oliver alle sue spalle.
Aveva pensieri confusi e quello che Matt aveva detto l'aveva messa a nudo davanti a lui; l'aveva rivelata per quella che era e Oliver Queen non poteva dire di averla mai conosciuta fino a quel giorno.
Rimasero in silenzio per un po', stando a qualche metro di distanza e lanciando la palla da tennis da una parte all'altra per far correre Monty.
Oliver notò che Felicity fuggiva il suo sguardo e quell'inaspettata timidezza lo colpì piacevolmente. Si incantò a guardarle i capelli che fluttuavano leggeri a ogni salto o quando si chinava a raccogliere la palla.
Lei si era accorta del modo in cui la stava guardando ma era ancora piuttosto agitata per rispondere a quegli occhi che le piacevano tanto.
Aveva nascosto a Ollie la parte più importante della sua vita e capì quanto lui si fosse sentito esposto quando lei aveva scoperto il suo segreto.
Aspettò che Oliver lanciasse la palla a Monty ma lui si girò e la lanciò verso di lei colpendola delicatamente; a quel punto, Felicity non poté più ignorarlo.
Si guardarono negli occhi e lui si lasciò andare in un sorriso dolce.
“Mi dispiace non aver avuto la possibilità di aiutarti prima” le disse.
Felicity gli ricambiò il sorriso, raccolse la palla e gliela lanciò contro.
“Puoi farlo ora” lo tranquillizzò “dio sa se ho bisogno di tutto il tuo aiuto” mormorò senza vergogna.
Il giovanotto aprì le braccia. “E lo avrai” rispose serio.
Felicity alzò le sopracciglia e abbozzò un sorriso e Oliver le ricambiò la smorfia.
“Vorresti sentirmi dire che farei qualsiasi cosa per te?” le chiese guardandola negli occhi.
“Aiuterebbe molto il mio umore, che, come puoi immaginare, è sottoposto a più stress” gli rispose con il suo solito tono allegro.
Oliver lanciò la palla al cane, in direzione della riva, dandole le spalle, nascondendo il suo solito imbarazzo.
“Farei qualsiasi cosa per te, Felicity” la sua voce era ferma, seria, inequivocabile.
“Allora ricordatelo… ricordatelo ogni volta che non sai dove sono” gli disse cambiando tono.
Ray Palmer si stava facendo spazio nella sua vita. Non ancora nei sentimenti ma non aveva nulla perché questo non potesse accadere e sicuramente Ollie non si rendeva conto che l’idea romantica de “l’amore per sempre” non le si addiceva: le parole o le intenzioni non scaldano la parte fredda del letto né soddisfano un’anima affamata.
“Felicity!” grugnì lui quasi contrariato; punto sul vivo e infastidito dalle sue parole.
“Sai che c’è?” disse ironica, ridendo “torno dal detective Deeks… lui sì che sa apprezzarmi” si girò e prese la via del rientro.
“Dove vai da sola?” le chiese Ollie interdetto, seguendola fin su alla strada a una trentina di metri dalla riva.
“Oh… ma non sono sola” e indicò di fronte a sé: poco lontano, Marty Deeks la salutò con la mano.
Saltellando sui tacchi, facendo scrocchiare i granelli di sabbia sulla passerella, si allontanò da Oliver che rimase a bocca aperta per quello che stava accadendo.
Monty abbaiò per avere la sua attenzione e lui gli lanciò la palla da tennis tornando verso la battigia.
Felicity incassò le spalle e rise mentre si avvicinava al poliziotto.
“Se la sarà presa?” chiese.
“Non lo so, biondina… ho assecondato il tuo sms perché mi piacciono le donzelle in difficoltà” le rispose “spero nel premio” le schioccò un sorriso e fece l’occhiolino.
“Non molli mai, eh?” e più che una domanda sembrava un’affermazione.
“Oh, no no… mai” la rassicurò ridendo.
“Ogni tanto riesci a essere serio?”
“Sono sempre serio… ci credo fermamente nel premio, Betty!”
“Ma perché ti parlo?”
“Perché sono irresistibilmente biondo” disse compito.
Lei sospirò e mosse la testa; “beh, è un buon motivo…” scoppiò a ridere allegra, prese sottobraccio il suo avvocato e insieme a lui tornò verso casa.

“Cosa sai di Felicity e Oliver?” chiese Matt.
Eric alzò le spalle; “non mi ha mai detto niente.”
“Neanche a me” concordò col tecnico occhialuto, poi sorrise guardandolo “ah, meglio così… la nostra sorellina… siamo gelosi di tutti i maschi che le orbitano attorno… ha fatto bene a non dirci niente” concluse.
“Matt… scusaci se abbiamo tirato in ballo Marty e Oliver ma penso che potranno darci un grande aiuto… arrivati a questo punto abbiamo bisogno di ogni mezzo e le conoscenze che hanno fanno al caso nostro.” Eric cercò di spiegarsi anche se con Felicity avevano infranto la prima regola che si erano imposti.
Il suo amico scosse la testa. “Non ti preoccupare, io avrei fatto lo stesso… era impensabile fare tutto da soli e i vostri amici mi sembrano affidabili quanto voi due… anche se sono, come dire, piuttosto misteriosi.”
Eric lo guardò interrogandolo e Matt gli rispose gesticolando “ma chi è Oliver per arrivare sin qui così facilmente e di nascosto? E di chi diavolo è questa casa?”
“Per Oliver non so risponderti e per quanto riguarda questa casa, se Marty non vuole farci sapere puoi star certo che non sapremo nulla; è tranquillo, alla mano, è un libro aperto… ma con le pagine scritte con l’inchiostro simpatico” gli rispose Eric “però non devi preoccuparti, è un uomo leale e farà tutto quello che potrà per darci una mano, te lo garantisco” cercò di tranquillizzare il suo amico.

“A domani mattina… perfetto… grazie, Bill.” Il detective del LAPD si infilò il cellulare in tasca e guardò i ragazzi; “i documenti nuovi saranno pronti prima di pranzo” disse soddisfatto.
Negli occhi dei giovani si accese la speranza e si schiaffeggiarono le mani per darsi manforte.
“Adesso basta solo sapere dove, come e chi.”
“Sì, Matt… ma un po’ d’entusiasmo, eh? Dai, dai… manca poco, tieni duro” lo incitò Felicity stringendogli la mano.
“Quando Oliver tornerà metteremo a punto il tutto” proseguì Eric.
“Sì, già… se torna… tanto mi dà tanto che è scappato col mio cane” lo sguardo preoccupato di Marty sortì ilarità nel trio.
“Possibile… Monty è fantastico” disse Felicity e rise ancora al cipiglio del detective.
“Non solo… è uno scovatore di bombe” Eric alzò un dito a rimarcare la frase “e un seduttore di ragazze.”
“Ha preso da papà!” Il detective scosse la testa come a darsi delle arie.
Mentre ridevano allegri Oliver e Monty rientrarono dalla lunga passeggiata e sul volto dell’uomo non potevi dire che ci fosse qualche tipo di risentimento. Anche se non gli era piaciuto il modo in cui si era comportata Felicity, non glielo avrebbe mai fatto vedere. Inoltre quel momento non gli sembrava opportuno, non con tutto quello che avevano da fare. Forse, a cose finite, avrebbero chiarito.

“Oh, che ne dite di mangiare?” chiese Eric passandosi una mano sullo stomaco.
Lo sguardo degli altri fu piuttosto eloquente: potevano anche essere dei cospiratori in fuga, ma avevano comunque bisogno di nutrirsi.
“Pizza per tutti?” Felicity si guardò intorno cercando approvazione e dopo averla ottenuta sorrise contenta. “Eric, tu e Oliver provvedete alla cena.” Svelta mise sul tavolo qualche banconota e altrettanto fecero Matt e Martin.
Eric tirò su i dollari e se li mise in tasca. Piegò le labbra in una smorfia divertente e si scambiò un’occhiata con la ragazza.  
“Su, andate” li comandò con un gesto della mano; si divertiva sempre molto quando il sofisticato Oliver Queen doveva misurarsi con faccende prettamente umane.
Lui non lasciò intravedere nessun fastidio, e come se niente fosse si voltò verso il cane. “Monty, vieni con me?” chiese e lui abbaiò contento.
“Cane banderuola” lo apostrofò Marty e lo seguì con lo sguardo mentre scompariva dietro la porta.
“Ho pensato a una soluzione per Matt” disse Oliver a Eric “ora ti spiego.”
Parlando fitto fitto si incamminarono per cercare una pizzeria.
“Tu” Felicity indicò Matt che sgranò gli occhi interrogandola “prendi questo e guarda un po’ di tv” gli lanciò il telecomando poi si girò verso Marty “e tu” gli fece segno col dito “mi servi di là” e indicò verso la porta che dava sul piccolo corridoio.
“Oh, te la pianti di comandarci tutti a bacchetta?” si lamentò Matt.
“Non posso… sono l’unica femmina” si giustificò lei facendo spallucce.

La stanza da letto era tirata a lucido sin nei minimi dettagli; non un minuscolo granello di polvere sul comodino o sul mobile e tanto meno sul bordo del battiscopa.
“Puoi darci qualcosa per approntare un giaciglio?” chiese gentilmente.
Marty aprì un'anta dell'armadio; “qui trovi varie coperte e copriletto e qui” aprì un’altra anta “ci sono le lenzuola” disse.
“Rosa ce l'hai?” chiese Felicity e Marty la guardò sorridendo; scosse la testa.
“Blu di Prussia, blu cobalto, blu navy, blu notte” snocciolò svelto; poi si accorse dello sguardo allarmato della ragazza. “Il blu è il colore preferito del padrone di casa” le spiegò.
“Non mi dire” lo prese in giro.
“Ah, ma ci sono anche azzurre, a pallini gialli, arancioni, a righe verdi e bianche, rosse, nere... no, rosa non direi!”
“Nere fa molto dark” commentò lei alzando le sopracciglia.
“Quando ci vuole, ci vuole” ammiccò lui.
“E rosse fa molto hot” insisté.
“Quando ci vogliono... ci vogliono più di quelle nere, eh!” le spiegò quasi serio. La fissò negli occhi; “le vuoi rosse?”
Felicity alzò le spalle sbuffando; “lascia stare... non c'è niente di hot nella mia vita” constatò un po' amareggiata.
Spostò la sovraccoperta leggera dal letto e con una mano fece segno a Martin di darle delle lenzuola.
Lui tirò via quelle arancioni dalla pila perfetta senza scomporla.
“Aiutami, dai” gli chiese.
“Con piacere” rispose allegro e spiegò in aria il lenzuolo con gli angoli.
“Sarebbe stato meglio che tu mi avessi aiutata a disfarlo... il letto” bofonchiò mentre sistemava la sua parte.
“Non mi devi far pensare a certe cose, Betty cara.”
“Scusami Marty, a volte, un po' troppo spesso direi, non riesco a trattenermi... faccio delle figure...”
“Capisco, succede anche a me... e quasi mai nessuno mi capisce!”
“Mi fai «mal comune, mezzo gaudio»?”
Lui le fece l'occhiolino “anche questo, a volte ci vuole.”
“Sei un vero amico.”
“Anche tu.”
“Piuttosto... chi è il tuo amico che abita qui?”
“Non è mio amico.”
“Però ha una signora delle pulizie che è una grande.”
“Non ha la donna delle pulizie!”
“Parlami di lui.”
“No.”
Le lanciò un cuscino e una federa; uno di fronte all'altra, come in uno specchio, facevano gli stessi movimenti.
“Dai, dimmi che tipo è.”
“È belloccio.”
“E poi?”
“Poi, basta.”
“Su, Marty, non farti pregare.”
“È belloccio e cattivo.”
Lei sgranò gli occhioni.
“Bello e cattivo? Wow... e poi?”
“Non voglio parlare di lui.”
Felicity lo guardò e mise le mani avanti. “Scusami... scusami, sono stata invadente.”
“Non fa niente” disse lui ridendo; “però sei molto carina.”
Il sorriso le tornò sul volto.
“Anche tu sei molto carino.”
Mentre tirava su la sovraccoperta, Marty si fermò e la lasciò cadere.
“Hum... sto ripensando al letto sfatto, Betty.”
Lei alzò un braccio e indicò la porta.
“Fila via, detective!”
“Ti accontento subito, Felicity Smoak” rispose e scattò verso il corridoio; mentre usciva dalla stanza la sentì ridere.

Quando Eric e Oliver rientrarono pieni di buste gli altri si affrettarono a dar loro una mano.
“Abbiamo preso anche tacos e kebab” spiegò Eric.
La tv era sintonizzata su un canale musicale e partì la canzone “Ain’t too proud to beg” dei "The Temptations" e successe una cosa strana e inaspettata.
Marty alzò le braccia al cielo e rise contento. “Wow” gridò e batté le mani, “«The big chill»… oh, sì!”
Un film malinconico, dolce e triste, che parla d’amore e d’amicizia. Quando suona quella canzone i protagonisti stanno mettendo in tavola la cena e si lasciano andare: c’è chi ride, chi balla, chi si abbraccia.
Anche in quella casa c’era amore e amicizia; tanto amore e tanta amicizia e calore e partecipazione. Sulle note di quella fantastica canzone si passarono piatti e bicchieri, birra e posate.
Ridendo, scherzando, muovendosi in totale accordo e armonia, dimenticando tutto quello che stava succedendo e il motivo per cui si erano riuniti. Sembrava che l’unica cosa importante fosse che erano lì, in quella casa sconosciuta eppure familiare, tutti insieme e, probabilmente, anche solo per un momento, fu così.







Scusate se pubblico dopo così tanto tempo; troppe cose storte, troppi intoppi e difficoltà. Spero che questo capitolo vi piaccia. Ciao e grazie per la pazienza.
Monty
P.S. “Il grande freddo (the big chill)” è un gran bel film, uno dei miei preferiti. M.


Disclaimer: Eric Beale, Felicity Smoak, Oliver Ollie Queen, Martin Marty Deeks, Max Gentry, Monty, Ray Palmer e “Il grande freddo” non li ho inventati io.

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Capitolo 5
*** Mr. Queen, I suppose ***


Save the methematician, save the world



Mr. Queen, I suppose


Seduti al tavolo, i ragazzi stavano litigando su quanti punti avesse ottenuto Eric a Scarabeo.
Marty e Oliver avevano declinato l’invito a giocare con loro dopo aver sentito quali parole avrebbero usato. Quei termini così astrusi e complicati non avrebbero lasciato scampo al loro vocabolario “normale”.
Ollie raggiunse Martin in cucina.
“Mentre ero fuori con Eric ho avuto la sensazione che per strada ci fossero troppe macchine scure” disse a bassa voce.
“Se l’NSA avesse trovato Matt saremmo già stati arrestati tutti… conosco la procedura” lo tranquillizzò il detective “è un affare troppo grosso: non perderebbero neanche un minuto.”
“Bisognerebbe far sparire ogni traccia di Matt” continuò Oliver preoccupato “così che più nessuno possa cercarlo."
“È impossibile cassare qualcuno come lui, non al suo livello… il MIT, gli ex compagni, le sue pubblicazioni, il mandato del Governo per le formule” Marty scosse la testa “troppo, troppo complicato… comunque, il nostro piano di fuga è ben congeniato… andrà tutto bene.”
Oliver non riuscì a nascondere la sua preoccupazione nonostante le rassicurazioni del detective del LAPD e in quel momento prese la decisione di occuparsene da solo, a modo suo.

“Signori, domani abbiamo tanto da fare… direi che è ora di andare a riposare” disse Marty prendendo le sue cose dal mobile. Si scambiò un’occhiata con Eric che fece altrettanto.
“Che fai, te ne vai?” chiese Felicity e il tecnico annuì.
“È inutile stare tutti qui” spiegò, poi guardò gli altri “credo che alle sette e trenta andrà bene, che dite?” propose e gli altri, uno alla volta, approvarono.
Prima di uscire Marty si avvicinò a Matt.
“Lo so che sei la nostra star, ma… non ti lamentare e dormi sul divano, intesi?” gli sussurrò sottovoce con tono complice.
Matt lo guardò un po’ perplesso poi, dopo che Marty gli aveva fatto cenno con la testa, girò lo sguardo su Oliver e Felicity e si illuminò come folgorato.
“Ah, ok… sì sì” disse emozionato come se condividessero il più segreto dei segreti.
Marty alzò un sopracciglio, un po’ perplesso e si allontanò da lui scuotendo la testa.
“Secchioni” bofonchiò un po’ sfiduciato.
Eric, Martin e Monty lasciarono l’appartamento di Santa Monica dopo aver salutato.
 
Camminarono per almeno un chilometro e poi salirono su un taxi.
Eric era piuttosto provato e stanco.
“Coraggio, Beale, è quasi finita” lo incoraggiò il collega.
Il ragazzo si passò la mano a stropicciarsi la nuca; “voglio Matthew al sicuro, voglio che possa rifarsi una vita… che possa avere e fare tutto quello che vuole” disse con un filo di voce.
“Così sarà; voi tre ve lo meritate… sta tranquillo, entro settantadue ore, quello che avete sempre sperato si avvererà.” Le parole del detective erano ferme, serie ed Eric, guardandolo, si convinse. Marty Deeks era quello che sparava battute, felici o meno, e a non conoscerlo potevi pensare che fosse un superficiale ma Eric lo conosceva, il suo collega, lo conosceva abbastanza da sapere che avrebbe fatto di tutto per aiutarli.
“Felicity ha conquistato anche te, non è così?” gli chiese e l'altro rise allegro.
“Mi avete conquistato tutti e tre, geniaccio, e ho una gran voglia di andare dalla tua amichetta genietta Nay-Nay e dirle quanto sei fico” si complimentò.
L'appuntamento era per l’indomani alle sette e Martin aspettò di vedere il giovane entrare nel proprio appartamento prima di ripartire.
Così gli portiamo la colazione, a quei tre, gli aveva detto e Eric, contento e stanco l’aveva salutato con un cenno della mano.

Marty si piazzò con la Chevy, recuperata vicino alla spiaggia, fuori casa di Max Gentry ad aspettare.
Aveva notato che Oliver e Felicity si erano passati un piccolo oggetto e lui, guidato dal proprio istinto e dall’esperienza, aveva subodorato qualcosa.
Quando mai ti sbagli? si chiese guardando Oliver salire sull’auto che aveva noleggiato.
Lo seguì a debita distanza e non si stupì più di tanto quando lo vide parcheggiare in prossimità del vicolo adiacente all’ingresso principale degli uffici governativi dell’NSA, sezione L.A.
“Che diavolo combini, ragazzo?” grugnì a voce alta, preoccupato.
Si preoccupò maggiormente (e si stupì) quando, arrivato al vicolo, si accorse che Oliver non c’era già più.
Cavolo, se sei svelto! Commentò tra sé, spingendo l’unica porta in ferro che c’era in quel vicolo: Oliver l’aveva lasciata accostata.
Scese e salì vari gradini, girò a destra poi a sinistra, in un percorso obbligato: quella doveva essere una delle uscite di sicurezza dell’edificio governativo.
Con curiosità crescente, aveva notato che Ollie aveva “schermato” le varie telecamere lungo il passaggio. Il rilevatore, che Eric gli aveva dato mesi addietro, gli confermò che tutte le telecamere dell’edificio erano in loop, così che chiunque si fosse mosso al suo interno sarebbe risultato invisibile.
Sceso in un locale spazioso, una via di mezzo tra uno scantinato e un garage, notò un borsone a terra.
Monty lo annusò e mosse la coda contento; Martin gli passò una mano sulla testa e gli fece segno di stare zitto.
La cosa si faceva interessante: cosa era andato a fare lì, Oliver?

Arrow distese le labbra in un sorriso: chissà perché, gli era venuto in mente che Felicity avrebbe apprezzato quanto la sua tutina verde stesse bene con il crema e l’arancione degli uffici dell’NSA.
Svelto scaricò tutto quello che riguardava Matt sulla pennetta che Felicity gli aveva preparato: con la storia che parte dei documenti della Sicurezza Nazionale erano in intranet, non era semplice avere accesso ai file secretati.
Finito il download, sul desktop si aprì una finestra: scarica Arrow? Sì, No.
“Ma certo, signori… così imparate a dar fastidio alla mia ragazza!” sibilò Ollie e cliccò sul “sì”.
Aveva chiesto a Felicity di preparare un programmino che facesse impazzire quelli dell’NSA, ogni volta che avessero aperto i file di Matt, mandandoli in giro random per il net.
Questa storia lo aveva preso parecchio, soprattutto perché si era sentito come inadeguato: aveva sempre fatto tutto quello che poteva, per la giustizia, eppure non aveva fatto nulla per Felicity e non poteva sopportarlo.
Tirò via la pen drive e si avviò verso le scale.
Sapeva che quello che stava per fare avrebbe allertato l’ufficio ma non gli importò. Scoccò una freccia sul sigillo che campeggiava sulla parete all’uscita dagli ascensori del quarto piano, quello informatico.
Ci avrebbero messo ore a capire il perché la sua freccia si trovasse lì e loro cinque sarebbero stati ormai al sicuro.
Scese le scale di servizio facendo all’inverso il percorso di poco prima.
Arrivato allo scantinato, restò sorpreso perché il borsone non era dove lo aveva lasciato. Si fermò per un attimo e perplesso si guardò intorno: non lo vedeva da nessuna parte. Dov’era finito il borsone con i vestiti? Chi l’aveva preso? Eppure era certo che nessuno l’avesse seguito.
“E adesso?” domandò all’aria.
Dalle scale che aveva accanto vide volare il suo borsone che gli atterrò vicino ai piedi.
“Cercavi questo?” chiese Martin Deeks scendendo i gradini e rendendosi visibile.
Monty lo superò e felice andò incontro ad Arrow saltandogli addosso per fargli le feste.
Con una mano in tasca e l’altra a indicarlo, Marty sorrise. “Il signor Queen, suppongo” mormorò.
Oliver buttò fuori l’aria un po’ contrariato. Non più di tanto, tutto sommato: l’entusiasmo di Monty metteva il buonumore!
Con click quasi impercettibili l’arco si ripiegò su se stesso e Arrow tirò giù il cappuccio; i due uomini si guardarono restando in silenzio.
Oliver non avrebbe potuto dire che gli scocciasse di essere stato smascherato; quei due gli piacevano anche se preferiva il cane al detective: Monty era molto affettuoso con lui mentre Martin era (un po’) troppo affettuoso con Felicity!

“Pensavo di essere stato attento” disse Oliver stirando un po’ le labbra.
“Sicuramente lo sei stato… ma ho un po’ di esperienza” lo tranquillizzò il detective facendo segno con le dita a misurare quel “po’”.
“Perché mi hai seguito, è successo qualcosa?”
“No, ma sono un detective… è più forte di me” quasi si scusò.
“Il tuo fiuto sarebbe molto utile a Starling… ah, Star… City!” disse Ollie con una punta di nervoso.
“Non ti piace come Ray Palmer ha ribattezzato la tua città?”
“Non molto.”
“Non ti piace Ray Palmer, molto…”
Oliver fece un gesto come a lasciar stare. Non gli andava giù, Ray Palmer: corteggiava Felicity e lui, nella posizione in cui si era messo con lei, non poteva accampare nessun diritto.
“Non importa, è solo un nome” disse.
Martin Deeks lo guardò, storcendo un po’ il collo. Stentava a credere ai propri occhi: lui amava i supereroi, tantissimo ed era incredibile trovarsene uno di fronte.
“È la tua città, sei il suo eroe… dovresti darglielo tu il nome” disse con enfasi, poi alzò le spalle “so delle tue imprese” e la sua voce era piena d’ammirazione.
Arrow accennò un sorriso e scosse un po’ la testa; “non sono un eroe” modulò a voce bassa.
“Sì che lo sei… fai cose incredibili e sei uno dei buoni!” Marty gli parlò sopra, eccitato.
“Quella è la parte facile… fare la cosa giusta, combattere il male… belle cose, aiutano” soffiò che sembrava parlare a se stesso. Si tirò via la mascherina e la rigirò tra le dita.
“Dove finisce Oliver Queen e comincia Arrow, con tutti gli annessi e connessi? È questa la domanda che vale la tua vita, non è così?”gli chiese il detective muovendo la testa verso di lui; “tu chi sei: Arrow o Oliver?” lo pungolò ancora.
L’arciere alzò le sopracciglia e annuì; “e tu chi sei? Martin Deeks o Max Gentry?” gli ribaltò la domanda lasciandogli intendere che se la stava godendo un mondo a metterlo in difficoltà.
Marty arricciò le labbra, incuriosito; “che ne sai?”
“Non sono un detective ma so aprire un cassetto e leggere l’intestatario di una bolletta” disse “e non so perché, ma dentro quella casa ti ci muovi come fosse tua… e certamente è casa di Monty” continuò e indicò il cane.
“Che scemo, dovevo mettere via quella bolletta e me ne sono dimenticato e comunque… Monty, la colpa è tua!” e anche lui indicò il proprio cane che li guardava e scodinzolava contento.
L’uomo con i ciuffi guardò quello con i capelli corti e nonostante stesse sorridendo, i suoi occhi tradivano una certa inquietudine.
“Io sono entrambi… farei volentieri a meno di Max ma è parte di me, è il mio buio, è l’orribile certezza di quello che sono capace di fare… sono costretto a portarlo con me e a fare finta che sia una copertura ben riuscita da interpretare quando serve” gli confidò come non aveva mai fatto con nessuno.
“Allora sai anche la mia risposta” disse Ollie guardandolo con gli stessi occhi tristi.
“Oh, no, no… non so cosa ti sia successo ma non sei cattivo, non sei un imbroglione… sei il protettore della tua gente e della tua città e stai rinunciando alla tua vita personale per adempiere ad un compito così alto… in confronto a te, mi sento quasi meno di niente!” Il tono accorato, Marty lo guardava come trasognato: proprio come un bambino guarda il proprio eroe.
Oliver non riuscì a trattenersi dal ridere; il detective non era poi così male, in fondo…
“Felicity sa chi sei? Ma certo che lo sa, che domanda stupida!” Ancora tirò giù una parola dietro l’altra.
“Lavora con me” Arrow rispose compiaciuto, “mi aiuta moltissimo.”
“E basta?”
“Cosa vuoi dire?”
“«Lavora con me, mi aiuta moltissimo»… davvero? Lavora con te e ti aiuta moltissimo… e poi?"
“Non c’è altro” tentò di troncare quel discorso, che secondo i propri gusti, era già durato fin troppo.
“Sono un po’ più bravino di così” il detective fece nuovamente il segno con le dita, per niente intenzionato a concludere quella chiacchierata.
Perché parlarne con te? si chiese Arrow; forse perché sono in una città che non è la mia, sono qui con te e non ti conosco ma che come me hai lasciato tutto per correre a dare una mano a chi aveva bisogno di te e che come me hai scheletri scomodi da nascondere; si rispose.
Abbozzò un sorriso e come non gli capitava mai, si lasciò andare.
“Hai visto com’è… non si fa lasciare indietro e fa in modo che nessuno resti indietro… sempre pronta a lottare, nonostante il pericolo… so quanta paura ha per me, per il lavoro che faccio e non vorrei che lei provasse disagio, apprensione… il mio modo di vivere la mette costantemente in pericolo e mi odio per questo” gli uscì tutto di getto, senza la minima ritrosia.
“Sprechi tempo e fatica, Arrow” gli spiegò Martin “è innamorata e il suo amore per te, che ti piaccia o no, ti rende forte e libero, amico mio… vuoi un mondo perfetto e lo vuoi per lei, ti ispira nella ricerca del bene e di tutto quello che può rendere la vita un posto giusto… anche tu sei innamorato di lei, lo sai, vero?” chiese piegando un po' la testa.
“Lo so, ma se le succedesse qualcosa impazzirei… uno come me non può permettersi una storia d’amore” gli rispose Oliver, infastidito dalle proprie parole.
Marty agitò una mano in aria; “ah, ah! Basta con questa storia del lavoro, dell’amore impossibile, del sono tutto d’un pezzo, tutto lavoro e niente sentimento… non se ne può più con ’sta cantilena. Bisogna viverlo l’amore, sempre, tutto il giorno, pienamente, per tutti i giorni della sua durata!” Guardò Arrow sgranando gli occhi blu ma lo vide molto poco convinto; “oh, andiamo, cosa vuoi di più, Oliver? È bella, intelligente, devota, appassionata e dolce… è donna e femmina… e anche un po’ pervertita… sì sì, è perfetta; se la lasci, fammelo sapere” terminò quel fiume di parole, annuendo.
“Marty?”
“Sì?”
“La tua ragazza ti sta antipatica?”
“Un po’.”
“E mi parli d’amore?”
“Non sono proprio innamorato.”
“Allora cosa vai blaterando?”
“Ti invidio… vorrei anch'io un amore come il tuo, nella mia vita.”
“Perché, il tuo com'è?”
“Ho una storia troppo complicata, per i miei gusti… sì, no, non riesco a lasciarmi andare, mi posso fidare?, facciamo solo come dico io, scordati di avere dei figli, devi capirmi, devi accettarmi, chissà, boh, forse, ma anche no…” Scosse la testa sconsolato; “non sono filosofico ma sanguigno e pervertito… voglio gioia, entusiasmo, sesso, febbre… voglio una donna spregiudicata che faccia pazzie per me!” Il detective si infervorò.
“Tu e Felicity vi assomigliate, ecco perché siete andati subito d'accordo… sembra vi conosciate da una vita” ammise l’arciere.
“È perché siamo un po' romantici e un po' erotomani… è una miscela esplosiva” tentò di spiegargli ma Ollie lo guardò con occhi indagatori. Il detective gesticolò ancora; “no, no… non fare quella faccia; l'amore e il sesso, hai presente? Non tirarla per le lunghe! Il sesso, per piacere, eh? Non ci piace aspettare troppo, non facciamo la calzetta… mi sono spiegato?” chiese facendo una smorfia buffa.
“Siete faticosi ed esigenti” si lagnò Oliver ridendo.
“Certo, ma diamo anche tanto, in cambio… serve solo coraggio e tu, lo conosci molto bene il coraggio, non puoi negarlo.” Marty si appoggiò al corrimano “dimmi che almeno ci proverai, che tenterai di far felice quell’incredibile ragazza dalle labbra fantastiche e che non le negherai tutti i sogni che ha… dimmi che lo farai o mi costringerai a venirti a cercare” intimò, quasi che la sua richiesta fosse un fatto personale.
Aveva ragione quello sconosciuto e Oliver lo sapeva bene.
Per un solo istante gli venne in mente come potesse essere la sua vita senza la certezza dell’amore di Felicity e sentì accapponare la pelle. Il suo cervello e il suo corpo rifiutarono anche il solo pensiero e il suo cuore, per quel che sentiva nel petto, doveva aver perso un paio di battiti.
Aveva ragione da vendere, il detective scapigliato!
“Spero tu riesca ad avere l’amore che cerchi” gli disse e l’altro lo guardò.
“Lo spero anche io” si rincuorò da sé col suo atteggiamento giocondo e buffo.
Arrow rise allegro e allungò una mano verso il poliziotto. “Grazie per la chiacchierata” disse mostrando i denti.
“Quando vuoi, amico” rispose Marty stringendogli la mano; poi alzò le spalle, quasi in soggezione, “oh, non ci posso credere…”
“Cosa?”
“Ho il mio supereroe personale” squittì contento.
“Basta così” troncò Oliver fingendosi serio.
“Abbracciamoci.”
“No!”
“Poco, poco.”
“Ho detto, no… e non ti avvicinare.”
“Dai, ci siamo confidati… un abbraccio piccolo piccolo” si lagnò ancora.
Oliver cercò di mantenersi serio e guardò il cane.
“Monty, la colpa è tua!” l'indicò mentre gli veniva da ridere.
Marty approfittò del momento di distrazione per stringerlo tra le braccia. “Ah, preso!”
“Oh!”

Felicity mosse una mano verso il mobile e guardò l’ora sul proprio cellulare. Erano le 5 e, invece di essere contrariata perché era sveglia, sorrise felice.
Si girò nuovamente, ma stavolta dalla parte interna del letto e tirò il lenzuolo a coprirsi la schiena.
Allungò una mano ad accarezzare la spalla di Oliver.
Un gesto tanto semplice, che avrebbe voluto fare da sempre, eppure così agognato e sperato… e, finalmente, compiuto.
Lui si mosse leggermente e respirò col naso; con la propria, cercò la mano di lei e gliela strinse forte. Felicity gli si appoggiò alla schiena e prima che potesse accomodarsi, Ollie si girò abbracciandola, quasi sparendo tra le sue braccia, continuando a dormire.
Era successo! Amore, sesso, chi lo sa, non ci avevano capito niente. Lui era tornato dall’incursione all’NSA e le aveva raccontato quello che era successo con Marty.
Quando Matt si era addormentato sul divano (aveva fatto finta) era diventato palese che avrebbero dovuto occupare l’unico letto della casa se avessero voluto riposare.
Oliver non era sembrato né perplesso né infastidito; continuarono a parlare e insieme se ne erano andati di là, cercando di non alzare la voce.
Poi, una parola ne aveva tirata un’altra, una confidenza si era aggiunta a un’altra e piano piano non era stato più imbarazzante, stare su quel letto così vicini, illuminati solo dall’abat-jour.
“Quello scapigliato dice che devo proteggere i tuoi sogni” aveva detto lui, guardandola.
“Dice bene… se fossi in te, l’ascolterei” aveva risposto lei, annuendo con la testa, cercando di essere seria anche se un sorriso le si disegnava sul viso.
Come non era mai successo, Oliver aveva alzato una mano e gliela aveva appoggiata sulla guancia in una carezza calda e dolce.
“Mi dispiace se non te la sei sentita di confidarti con me… non avrei mai voluto deluderti” si era scusato.
Speculare lei fece altrettanto e le batté forte il cuore quando lui non si scostò dalla sua carezza.
“Non mi hai delusa; non volevo darti un’altra preoccupazione… per questo non ti ho detto niente” spiegò sorridendo.
“Pensi che siamo un po’ contorti, noi due? Tu ti preoccupi per me se mi preoccupo per te ed io mi preoccupo per te perché ti preoccupi per me” disse e subito dopo rise di sé, contento per quel momento di confidenze, per tutte quelle parole uguali ripetute come in uno scioglilingua.
“Penso che ci vogliamo molto bene… anche se Arrow non ne è proprio contento” lo aveva punzecchiato.
“Sono preoccupato, appunto, ma non ne sono dispiaciuto.”
“Che ci importa… tanto non sei Arrow, adesso” aveva detto con entusiasmo e chissà come si era ritrovata sdraiata e lui, appoggiato su un gomito, le stava praticamente sopra.

Chi avesse baciato chi era impossibile dirlo: un unico attimo, perfetto e irripetibile, dove tutto si era fermato in totale armonia e dal quale era scaturita una specie di lotta dove non c’erano più pensieri attenti o timori.
Il desiderio li aveva portati in un posto senza regole e la voglia di darsi era stata tanta, quanta quella di prendersi. Generosi ed egoisti si erano dati e presi tutto, l’un l’altra, senza remore, con avidità.
La voglia di stare insieme era stata così forte, impellente, che erano sembrati come smaniosi di mangiarsi, di abbracciarsi e stringersi fino a quasi farsi male.
Si erano scambiati parole dolci e forti come il sesso chiedeva, si erano divertiti ridendo e si erano posseduti con passione, con complicità e allegria, liberi, senza pudore. Le mani a esplorarsi tutti, in ogni dove e le bocche a darsi piacere conoscendosi l’un l’altra tra sudore, umori e saliva.
Era stato intenso e molto bello e dopo avevano ancora voglia di stare insieme. Si erano guardati, trovandosi bellissimi; toccati, quasi a volersi rendere conto che fosse davvero, tutto vero; baciati come se fosse stata la prima e l’ultima volta nello stesso istante.
Era proprio successo e stupiti e al tempo stesso consapevoli si erano calmati e ascoltati respirare.

Oliver si era addormentato sfinito, con la pace sulla faccia, mentre Felicity era rimasta sveglia a godersi quello che era accaduto: era felice, frastornata, innamorata.
Nel momento più difficile della sua vita era arrivato il più grande incoraggiamento che potesse sperare: l’uomo che amava la ricambiava e, finalmente, era diventato suo.







 
Capitolo con Oliver Queen in primo piano!
Pubblico con enorme ritardo perché ho cambiato casa e, forse, un po’ la mia vita. Non ho internet (spero, solo al momento) e quindi ho dovuto aspettare.
Martedì scorso ho visto “Arrow” e, essendo una Olicity, sono stata contenta, anche se la loro “prima volta” l’ho vissuta in maniera diversa, su queste pagine.
Mi è piaciuto molto far chiacchierare i due uomini: sono quei casi strani della vita che ti fanno fare e dire cose strane…
Martin definisce Max cattivo e imbroglione: lo è davvero. Max se ne frega di chiunque, la gente ha paura di lui, si porta a letto le mogli degli amici e circuisce le persone per proprio tornaconto. Martin Deeks si vergogna molto per quello che è capace di fare!
Non è un mistero quanto sia contraria alla storia d'amore che hanno appioppato a Martin Deeks. Per andare incontro alle FanDensi, gli sceneggiatori hanno dovuto piegare e reimpostare (cioè rovinare) il mio personaggio preferito. Mai, mai, mai nella vita si sarebbe innamorato della sua collega. Portata a letto, sì... innamorato, no. Ma tant'è...
Alla prox.
Monty

Disclaimer: Eric Beale, Felicity Smoak, Oliver Ollie Queen, Martin Marty Deeks, Max Gentry, Monty, Ray Palmer, Starling City, Star City, Arrow, Nay-Nay, la Chevy e Scarabeo non li ho inventati io.

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Capitolo 6
*** Preparations ***


Save the mathematician, save the world
 
 

Preparations
 

Eric e Martin arrivarono puntuali alle 7.30 e portarono la colazione per tutti.
Mentre aspettavano che il caffè finisse di scendere nella caraffa Eric e Oliver prepararono la tavola.
Marty trovò Felicity fuori, nel giardino sul retro, mentre stendeva le lenzuola ad asciugare.
Il detective con i ciuffi sorrise malizioso e lei lo ricambiò.
“Non so cosa gli hai detto, ma ha funzionato” disse sfacciata, con una grande soddisfazione sul viso.
“Gli ho fatto capire che, se non fosse corso ai ripari, ti avrei fatto una corte sfrenata e non avrei accettato un “no” come risposta.”
Mentre parlava si avvicinò al bucato steso e sistemò un angolo del lenzuolo.
“Sei esagerato, Marty.” La ragazza lo guardò incuriosita.
Lui modulò un lamento; “sì, un po’… mi piace l’ordine: le cose a posto mi mantengono calmo” e pinzonò il lenzuolo delicatamente così che il segno della molletta fosse visibile il meno possibile.
“Sei tanto gentile che non riesco a immaginarti arrabbiato.”
“Meglio, non sono un bello spettacolo” borbottò a voce bassa. Poi indicò la porta finestra “ti ho portato la colazione, cara” disse facendole il gesto di entrare.
“Appunto” bofonchiò lei parlando tra sé e sé.
 
“Ehi, Monty, cos’hai?” chiese Marty ad alta voce e quando raggiunsero il corridoio, lui e Felicity trovarono Eric e Oliver che ridevano coprendosi la bocca e il cane che abbaiava alla porta del bagno.
Matt stava facendo la doccia e cantava a squarciagola stonando maleficamente.
Se i bipedi ridevano, il quadrupede non era dello stesso avviso e mostrava, senza mezzi termini, il proprio disappunto.
Felicity si avvicinò a Eric e lo abbracciò circondandogli la vita. “Non lo sentivo così sereno da anni” sospirò emozionata.
Il tecnico dell’NCIS si voltò un po’ verso di lei e l’abbracciò per le spalle. “Anch’io, piccola, anch’io” mormorò baciandole la testa.
Quante volte gli avevano battuto i pugni sulla porta del bagno, durante l’università? E i cuscini tirati addosso o i fischi nei pub quando si cimentava, senza vergogna, nel karaoke?
Era passata un’eternità dai quei giorni spensierati. Dopo quella sciagurata scoperta del codice, la loro vita era cambiata e si era deformata fino a diventare uno scarabocchio, lasciandoli senza un futuro da desiderare, da sperare, da costruire. Tutto era stato subordinato al codice e alla salvaguardia di Matthew. E quella mattina, sentirlo cantare con le sue note terribili, come se nulla fosse, li riempì di speranza e ottimismo.
 
“Dovrai tenere i dreads e il resto per un po’” gli spiegò Martin gesticolando e Matt sorrise.
“Dovrò tenermi barba e baffi? ma muoio di caldo” si lamentò.
“Fa molto cool” lo canzonò Marty passandosi una mano sul viso; “alle donne piace la barba incolta, fa maschio” disse facendogli l’occhiolino.
“Confermo!” trillò Felicity. “E poi sei irriconoscibile così. Passato un po’ di tempo, se vorrai, potrai riprendere le tue vecchie sembianze.”
“Siamo pronti per andare?” chiese Oliver e Matt si infilò al volo la giacca.
“Pronto, capo!” affermò serio.
“Ci possiamo fidare di questa persona?” intervenne Eric rivolgendosi a Martin.
Lui annuì. “Assolutamente sì, non temere” rassicurò il suo collega e fatto un cenno a Oliver li accompagnò alla porta.
“12150 Wilshire Blvd, studio legale Brinkle & Roots. L’avvocato William Roots vi sta aspettando; fate quello che vi dice… da qui non sono neanche due miglia in quella direzione. Fatevi una passeggiata, fermatevi in un bar, leggete un giornale… non ci hanno trovati ma non si sa mai; perdete tempo, guardatevi intorno e se siete certi, andate. Ci ritroviamo qui” si frugò nelle tasche dei pantaloni e tirò fuori un portachiavi. “Sicuramente ci saremo, ma se così non fosse…”
“È un tuo collega avvocato?” chiese Matt.
“Io non esercito ma, sì, è un collega e soprattutto un amico. Stai tranquillo, andrà tutto bene.” Il sorriso di Martin era eloquente più di mille parole.
“Andiamo, dai” lo incalzò Ollie e prima di uscire dalla porta si girò a guardare Felicity. Pensò che non l’aveva vista mai così bella e il cuore accelerò. Serio, diede un colpo di tosse tanto per darsi un tono e lasciato passare Matt, si incamminarono per il vialetto fiorito che dava sulla strada.
Marty indicò alla loro destra la direzione da prendere quando si voltarono a guardarlo; dopo avrebbero fatto affidamento sulla piantina che Eric gli aveva preparato.
Quando il detective rientrò in casa, gli sguardi di Felicity ed Eric erano pieni di apprensione. Mosse le mani in un gesto insofferente.
“Oh, basta, siate ottimisti… e poi, genietto, lo sai anche tu: se ci avessero scoperti saremmo già belli e arrestati… e sì che sarebbero dolori… mica per loro, eh, più che altro perché saremmo costretti a spiegare tutto a Hetty” alzò le spalle.
“Oddio, no!” esclamò Eric e finì tutto in una risata.
 
“Il documento elettronico che faranno a Matt sarà autentico a tutti gli effetti… come farete con le impronte digitali?” chiese Marty accomodandosi al tavolo, di fianco a Felicity che aveva aperto il proprio portatile.
“Matthew Sandler non esiste più” disse a bassa voce. Guardò Eric di fronte a lei che armeggiava col proprio tablet. “Già… è morto poco più di anno fa” sentenziò schiacciando un pulsante.
Marty lo guardò sorpreso e perplesso. Cosa voleva dire?
“Da adesso, intendo” riprese a parlare il Beale.
“Davvero?” chiese il collega NCIS nel suo solito modo.
“Sì, biondino… né io né Eric riceviamo visite dell’NSA da un paio di anni e, oh aspetta un attimo” le dita svelte sui tasti, “ ecco fatto” gridò euforica Felicity. Batté il cinque con Eric, felice e poi tornò a guardare il detective. “Avevamo concordato che nell’eventualità che fosse stato necessario, avremmo inscenato la morte di Matt… e queste” indicò delle immagini sul portatile, sono le foto del suo funerale. Vedi, siamo io ed Eric… e questi” qualche altro tasto pigiato “sono i documenti della sua cremazione e le sue ultime volontà dove chiede che le sue ceneri vengano affidate a noi, suoi cari amici.” Smise di parlare si girò a guardare l’uomo accanto a lei.
“Accidenti, siete bravi… e così sparisce Matthew Sandler” mormorò il detective.
“Ha scelto un nuovo nome” spiegò Eric.
“Sì, ok, ma le impronte digitali che ha l’NSA?” chiese Martin incuriosito.
“Beh, quando Arrow si è inserito nel database dell’NSA, ieri sera, ha rilasciato un file con delle impronte false che hanno sostituito quelle autentiche” alzò un dito a fermare l’ovvia domanda che le stava per fare il detective, “appartenute a un giovane ragazzo incensurato morto per malattia.”
“Avete rubato l’identità a quel ragazzo?”
“Solo le impronte; sono stata io, all’ospedale di Star City. Abbiamo fatto in modo che Matt non possa essere più riconosciuto; solo così potrà rifarsi una vita.”
“E stai tranquillo: l’NSA non potrà mai sapere dello scambio di impronte né quando questo sia stato fatto; inoltre, dovessero accedere al loro back up troveranno che varie informazioni generali sono andate perdute e non potranno risalire a quelle originali” spiegò Eric.
Martin sorrise e alzò le sopracciglia sorpreso. “Spero siate sempre miei amici, geniacci” disse mentre i ragazzi lo guardavano soddisfatti. “Rilassatevi e finite la colazione” cambiò discorso allungando verso di loro una scodella di frutta fresca tagliata a pezzi.
 
Matt ripiegò il giornale e lo poggiò sul tavolino.
La zona era piuttosto deserta considerando che era domenica e nonostante lo studio legale fosse tra due ristoranti, era ancora troppo presto perché la gente cominciasse col solito viavai.
“Oliver, grazie. Grazie per ciò che stai facendo per me; non mi conosci, eppure non hai esitato un attimo a fare tutto questo” la voce commossa strappò un sorriso al taciturno signor Queen.
“Hai degli amici fantastici; il loro sacrificio è stato grande e sarò soddisfatto di me stesso se riuscirò a darti una mano. L’esperienza umana che ho mi permette di apprezzare la vera amicizia e, grazie a te, ho modo di rendermi utile” rispose a voce bassa.
“E fare l’eroe con Felicity” ridacchiò Matt.
“Già” il sorriso di Oliver diventò più che palese. “Non immagini cosa significhi per me aiutare lei personalmente.” Il tono più basso quasi fosse un pensiero. Ed era vero: lei non chiedeva mai aiuto, mai per se stessa e poterle essere utile, sollevarla di qualche preoccupazione, era fondamentale per lui.
Ollie si guardò intorno e sicuro si alzò in piedi. “Non ci segue nessuno, possiamo andare” disse risoluto e, dopo aver lasciato i soldi per i succhi di frutta appena consumati, si allontanò dal bar al fianco di Matt; destinazione decimo piano del palazzo di fronte.
 
William, Bill per gli amici, Roots era scapigliato tanto quanto Martin e sia Matt che Oliver diedero per certo che fosse anche un surfista.
“È tutto pronto, mi servono solo le tue generalità e poi faremo le foto e stamperemo il passaporto e gli altri documenti” disse con voce allegra rivolgendosi a Matt.
“Sì, ma… il numero di previdenza sociale, il luogo di nascita” iniziò, ma l’altro gli fece un cenno con la mano a interromperlo.
“Non ti preoccupare, è tutto regolare e pianificato.” Girò intorno alla scrivania e andò a sedersi e fece cenno ai due uomini di sedersi anche loro. “Come ti chiami, ora?” chiese.
Matt sorrise e scollò le spalle. “Non ridete, ma mi è sempre piaciuto e adesso che posso… Gray, Gabriel Gray” disse un po’ fanatico.
Oliver girò il viso dalla parte opposta e soffocò una mezza risata mentre Bill gli rise bellamente in faccia.
“E magari da grande vuoi fare l’orologiaio cattivo?*” chiese prendendolo in giro.
“Perché no, potrei imparare… e di secondo nome Felric.”
“Santo cielo, sembra il nome di un hobbit. Ma da dove viene?”
“È l’unione dei nomi dei miei fratelli” rispose serio.
“Non entro nel merito… allora: Gabriel Felric Gray di Joliet, Illinois… del resto sei di Chicago, meglio non cambiare troppo” mugugnò Bill.
Matt acconsentì e guardò l’avvocato che pigiando sui tasti gli stava dando una nuova vita.
Aveva chiesto di essere nato in agosto, quando fa caldo, ed era stato accontentato.
Per la cronaca, i suoi genitori erano arrivati in Illinois pochi mesi prima della sua nascita ed erano morti in un incidente solo qualche anno prima; naturalmente, anche loro erano stati cremati…
Dalla stampante uscirono certificati di nascita, vaccinazioni, previdenza sociale, scolastici, ecc.
“Per quanto riguarda una laurea dovrai aspettare, ma l’avrai, non preoccuparti” lo rassicurò Bill.
“Grazie… ci tenevo così tanto a quella del MIT” disse Matt sconsolato.
“Bill potrà farti laureare al CalTech, magari… tanto per restare in tema.” Oliver cercò di confortarlo. Gli faceva un po’ di tenerezza: la sua preziosissima laurea che gli aveva rovinato la vita, eppure così amata e apprezzata. Gli sembrò strano confortarlo, lui che di studiare proprio non ne aveva voluto sapere!
“La CalTech andrà bene” disse solenne Bill e Matt sorrise contento.
Subito dopo lo mandò a fare la fotografia in un’altra stanza, accompagnato da una segretaria carina e paffuta.
Bill stampò un foglio e lo porse a Oliver.
“Qui a Los Angeles sono il tuo avvocato e questi sono il mio mandato e il documento con il quale assumi Gabriel Gray” disse e fece segno a Ollie dove doveva firmare.
La mail che Felicity aveva spedito con tutti i dettagli dell’“assunzione” era arrivata in tempo.
“Fammi sapere quanto ti devo” iniziò a dire Oliver ma Bill lo interruppe.
“Non mi devi niente… come immagini, mi “occupo” di ricreare le identità delle persone; tutti questi documenti sono reali e passeranno i controlli; tu sei un uomo d’affari,  non è poi così strano che tu abbia un avvocato qui a LA… e non voglio nulla: dovevo pagare una scommessa a Marty, perciò” e lasciò cadere la frase.
“Non è la prima volta che fate una cosa del genere, vero?”
Bill scosse la testa piena di ciuffi neri. “No, e non sarà l’ultima” sospirò.
 
Un’ora dopo essere entrati, Oliver Queen e Matthew Sandler uscirono dallo studio dell’avvocato Roots. Il giovanotto con i dreads teneva in mano una cartellina piena di documenti nuovi di zecca e una lettera di assunzione per il suo nuovo lavoro.
Stava andando tutto per il meglio ma, al tempo stesso, tutto era precipitato. Matt smise di camminare e come un bambino si portò una mano sul viso e pianse. Matthew Sandler non esisteva più!
Oliver gli batté la mano sulla schiena per incitarlo e il giovanotto alzò la testa e le spalle, tirò su col naso e lo guardò.
“Andiamo, Gabe… ti regalo una bottiglia di whiskey” disse Oliver sorridendo.
“Tequila… meglio tequila” precisò serio il signor Gray.
“E tequila sia” rispose l’altro.
 
 


 


 
Scusatemi per il lungo silenzio, ma sono successe tante cose, non ultima (e sicuramente la più importante per questa storia) la perdita della usb che conteneva gli ultimi due capitoli.
Siamo arrivati al penultimo capitolo. Manca poco.
Avevo fatto nascere Matt a Chicago perché stavo recuperando “The good wife” che mi piaceva (mi piace tutt’ora) tanto.
Grazie per la pazienza.
Monty
 
*Gabriel Gray è l’orologiaio di “Heores”
 


Disclaimer: Eric Beale, Martin A. “Marty” Deeks, Felicity Smoak, Oliver “Ollie” Queen, Monty, Hetty, Arrow, Star City, l’Hobbit e l’orologiaio Gabriel Gray non li ho inventati io. Peccato.

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Capitolo 7
*** A new start ***


Save the mathematician, save the world




A new start

 
Quando Gabriel Gray poggiò sul tavolo la cartellina con i suoi nuovi documenti sembrò essersi liberato del peso del mondo. Indubbiamente era grato per l’aiuto ricevuto, senza il quale ci avrebbe messo un’eternità, ma aver abbandonato la propria identità e il mondo che era stato suo fino a quel momento, lo aveva trovato spaventato e impreparato. Un conto era averlo pianificato, averne parlato, fatto congetture e un conto era vederlo messo in pratica; tutto era diventato effettivo, reale. Matthew Sandler era morto un anno e qualche tempo prima e al suo posto era nato Gabriel Gray.
Avrebbe dovuto imprimersi nella mente che era nato il quindici di agosto e non il venticinque luglio.
“Beh, almeno sei sempre del Leone… non devi sforzarti di imparare il tuo nuovo segno zodiacale… e hai fatto bene a scegliere ferragosto: è più semplice da ricordare” aveva detto Felicity con una certa ironia, sorridendo, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Eric si guardò attorno e si rese che conto che Oliver e Martin li avevano lasciati da soli; Monty, invece, era lì con loro a cercare grattini. Quello era un momento importante, grave e privato, che giustamente dovevano condividere solo loro tre (più il cane). Guardò i suoi amici e si alzò in piedi abbandonando la poltrona, allargò le braccia e con un fantastico sorriso disse la cosa più “loro” che poteva dire: “Un GEF, per favore” sottolineando quella G a far capire che calzava a pennello esattamente come la M.
L’abbraccio a sandwitch scattò immediatamente e come d’incanto fu ristabilito l’ordine naturale delle cose. Come dice il Bardo: un nome è solo un nome. Ognuno di loro avrebbe potuto chiamarsi in qualunque modo, loro tre restavano gli stessi; erano amici e fratelli, comunque, per sempre e quel fatto non sarebbe mai cambiato.
 
“Spiegami bene” chiese Martin, appoggiando i gomiti sul tavolo fuori in giardino.
“La Queen Consolidated, la compagnia di mio padre, è fallita ed è in dismissione e ho assunto Gabriel Gray nella società commerciale che se ne occupa. È un matematico, ci sa fare per definizione, non sarà un problema” spiegò Oliver, seduto alla parte opposta del tavolo.
“È un lavoro temporaneo, però.”
“Ci vorranno mesi prima di sistemare tutta la contabilità e, nel frattempo, non solo Gabriel dovrà cercare di rifarsi una vita ma anche scegliersi il lavoro che preferisce. In ogni caso, ho abbastanza agganci per non lasciarlo solo.” La voce determinata, sicura e Marty si tranquillizzò.
“Lo accompagnerai tu?”
“Certamente: tu ed Eric dovete tornare al lavoro e Felicity è meglio che rientri alla base; divisi siamo meno rintracciabili. Presenterò Gabriel ai miei collaboratori, mi assicurerò che sia tutto a posto e poi tornerò a casa.”
“Molto bene… mi sembra tutto” concluse Marty soddisfatto.
Rimasero in giardino a godersi il sole caldo, senza dire una parola. Indubbiamente erano provati e sgomenti da quanto accaduto in quei giorni. Avevano preso decisioni importanti e si erano dati un gran da fare per aiutare quel trio coraggioso che si era messo contro il governo. Entrambi sapevano che, al posto dei ragazzi, avrebbero fatto altrettanto.
 
“Adelaide” sospirò Felicity .
“Certo che è lontana, eh?” commentò Eric guardando gli amici.
“Se mi avessero detto che sarei andato a vivere in Australia non ci avrei creduto… quasi non so com’è fatta!” La voce di Gabriel era tranquilla, quasi eccitata.
“L’importante è che tu sia al sicuro e lì lo sei, il resto conta poco.” Felicity Smoake era tutt’altro che eccitata; sapeva che il suo amico sarebbe stato lontano, tanto tanto lontano, e che sarebbe passato un bel po’ di tempo prima di poterlo rivedere ancora. Si sentì un po’ egoista, ma ci avrebbe fatto i conti più tardi, una volta tornata a casa, al telefono con Eric, sapendo che lui l’avrebbe tranquillizzata. Ognuno di loro aveva il proprio ruolo e se lei era quella che cercava di smorzare la tensione, Eric era quello sempre preoccupato ma che riusciva, in un modo o nell’altro, a cavarsi d’impaccio. Matt era quello da difendere, quello in pericolo, quello che doveva pensare soltanto a nascondersi, senza altri pensieri; i suoi due amici si preoccupavano per lui e cercavano di rendergli la vita il più semplice possibile.
Ora erano quasi giunti alla fine, al termine di quel viaggio durato una vita. Sentire incombere la parola “fine” faceva un po’ di effetto…
 
Il pranzo non era stato spensierato come la cena della sera prima.
Neanche Marty, sempre pronto ad alleggerire le situazioni, aveva lanciato qualche battuta. Aveva scoperto quel segreto tanto importante e, ancor di più, la vita privata del suo collega occhialuto. Mai avrebbe pensato che fosse capace di tanto e stava lì a guardarlo spiluccare cibo e aveva una gran voglia di dirgli quanto fosse fiero di lui, quanto lo invidiasse per avere degli amici così fidati. Guardò i tre ragazzi che si facevano sorrisi, che si toccavano e accarezzavano ora una spalla ora una guancia, che si promettevano impossibili vacanze estive insieme e si dicevano progetti futuri. Sentì un groppo in gola; sapeva bene cosa significasse lasciar andare il proprio amico del cuore per garantirgli sicurezza: lui aveva dovuto rinunciare a Ray, il suo amico fraterno che aveva testimoniato contro un potente cartello della droga e che era sparito nella protezione testimoni; per quel che ne poteva sapere, non lo avrebbe mai più visto.
I pensieri di Ollie erano gli stessi. In un modo o nell’altro era irrimediabilmente lontano dagli amici che più di altri avevano fatto parte della sua vita: Tommy, morto per mano del proprio padre e Slade, che era stato capace di portare il concetto di vendetta a uno stadio irraggiungibile. Anche altri amici avevano allungato quell’elenco infausto e la sua sanità mentale era rimasta aggrappata alla giovane donna che gli sedeva accanto. Si disse che sì, l’amicizia era qualcosa di tanto delicato ma anche tanto forte, che bisognava lottare per mantenerla viva e brillante. Quei tre giovani, che avevano attraversato l’inferno, avevano resistito e sarebbero rimasti uniti per sempre. E con grande soddisfazione, si sentì felice di sedere a quel tavolo.
 
Oliver pagò i biglietti aerei con la propria carta di credito; a qualsiasi controllo li avrebbe esibiti e altrettanto avrebbe fatto Gabriel con la sua lettera di assunzione. Era tutto a posto, tutto pronto.
Bisognava soltanto andare al LAX e partire con l’aereo delle 18.30; bisognava salutarsi lì, dirsi buona fortuna e non voltarsi indietro.
“Ci contatteremo al solito, piccolo” le mani di Felicity sulla barba di Gabriel, gli occhi negli occhi.
“Tra qualche giorno, mammina” la rassicurò lui sorridendo.
“Mi mancherai” grugnì Eric a mascherare la forte emozione.
“Anche tu, quattrocchi… e non guardarmi così, che mi viene da piangere.” Gabe lo sgridò affettuosamente mettendogli una mano sugli occhi.
“Scusatemi, ma dobbiamo andare” si intromise Oliver prendendo la giacca appoggiata allo schienale di una sedia.
“È ora, forza” disse Eric. Appoggiò le mani sulle spalle dei suoi due amici e fece per avvicinarsi alla porta d’ingresso.
Felicity gli scivolò via girando su se stessa.
“Aspettate” la voce come un trillo, squillante, allegra. Prese la bottiglia da sopra al tavolo e svitò il tappo. “Tequila!” affermò seria e Martin rise a bocca aperta.
Brindarono con uno shot a testa dopo aver fatto tintinnare i bicchieri l’uno contro l’altro.
“E per finire un primo e unico GEFMO, per favore!” disse ancora.
“Cosa?”
“Ma sì, un abbraccio sandwitch tutto nostro” spiegò a Marty.
“Non le faccio certe cose” sentenziò serio Ollie agitando una mano.
“Oh, sì che le fai” replicò il detective e forte delle proprie leve lunghe lo spinse in mezzo a loro, di fronte a Felicity, circondando il resto del gruppo come poté.
Si abbracciarono per un momento lunghissimo, dove non c’erano più braccia, scarpe col tacco, dreads, occhiali e ciuffi biondi; c’erano cinque amici, stretti in un legame indissolubile.
 
Sulla soglia della porta Gabe s’inginocchiò per salutare il cane. “Ciao, Monty, è stato bello conoscerti” e gli fece tanti grattini che vennero ricompensati con baci e colpi di coda.
Oliver si avvicinò a Felicity sorridendo. “Stai tranquilla… ti chiamo appena arriviamo.”
“Aspetterò” disse lei seria.
“Tu sei una pazza, Felicity Smoak” sospirò mostrando tutta la meraviglia per quello che gli aveva fatto vivere in quei giorni.
“Mi ami per questo” gli rimandò indietro sicura, stampandogli un bacio sulle labbra.
Neanche un minuto dopo, uno dei suoi più grandi amici e il suo amore erano scomparsi dietro la porta chiusa.
 
La casa nel bosco, chatroom.
Nonnina: devi raccontarmi di quella ragazza, capito?
Cacciatore: ti ho già detto che non mi interessa.
LupoCattivo: non ci credo neanche se ti vedo.
Cacciatore: ma dai, assomiglia a un canguro!
Nonnina: ah, è una saltatrice in alto?
Cacciatore: macché…
LupoCattivo: vuoi dire che ha una tasca sulla pancia?
Cacciatore: che ne so, non mi sono informato ma tutto può essere.
Nonnina: chissene importa, ti sento felice.
Cacciatore: lo sono, stellina.
LupoCattivo: i tuoi studenti ti prendono sul serio?
Cacciatore: come no… beh, qualcuno sì.
LupoCattivo: pensi che continuerai con le supplenze?
Cacciatore: oddio no, spero mi diano una cattedra: mi piace insegnare geometria.
Nonnina: c’è qualche collega interessante?
Cacciatore: smettila, non pensi ad altro…
Nonnina: sono felice, stellina.
Cacciatore: mi sembra di vederti.
LupoCattivo: a me piace la mia collega, se vi interessa.
Nonnina: ma chi, la genia?
LupoSolitario: lei, lei.
Cacciatore: e il tuo amico che dice?
LupoSolitario: non mi dà tregua… e andiamo sempre a surfare.
Nonnina: che bello!
LupoSolitario: già, bellissimo.
Cacciatore: io sto imparando… un po’ troppo lentamente, ma ho un’insegnate paziente.
Nonnina: è una femmina? dai, dimmi che è una femmina…
Cacciatore: non ti sopporto più, per oggi… ci sentiamo la settimana prossima.
LupoSolitario: il quadrupede dice “bau”.
Nonnina: io dico “miao”.
Cacciatore: io dico “ciao”.
 







 
È finita!
Grazie a heartbreakertz e al suo contest “Concludi la tua long e ricevi un premio!” per la spinta.
Tante cose sono successe da quando ho iniziato questa storia: alcune belle, altre davvero tanto brutte… di certo ho avuto da fare, disfare, arrivare, ripartire, traslocare e via così. È stato un lungo viaggio.
Non è mai stata mia intenzione scrivere una storia spy. Volevo far interagire questi cinque personaggi, mischiare le carte, divertirmi con loro. L’ho fatto e sono contenta.
La faccenda dei silos mi è servita per dipanare questa storia; quello che volevo raccontare era l’amore e l’amicizia.
Spero vi sia piaciuta.
Monty
I ricordi di Martin e di Oliver, rispettivamente Ray e Tommy e Slade, sono veri.



Disclaimer: Gabriel Gray, Felicity Smoak, Eric Beale, Oliver “Ollie” Queen, Martin “Marty” A. Deeks, Monty, la Queen Consolidated, Ray Martindale, Tommy Merlyn e Slade Wilson non li ho inventati io.

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