Erinti

di Kicca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: la prova di coraggio ***
Capitolo 2: *** Notte movimentata ***
Capitolo 3: *** Dalla padella alla brace! ***
Capitolo 4: *** Un aiuto inaspettato. ***
Capitolo 5: *** Presentazioni... ***
Capitolo 6: *** ... e chiarimenti. ***
Capitolo 7: *** Arrivo ad Imladris. ***
Capitolo 8: *** Confusione. ***
Capitolo 9: *** Un nuovo amico. ***
Capitolo 10: *** Romenwen. ***
Capitolo 11: *** Sfida. ***
Capitolo 12: *** Chi è Erdie? ***
Capitolo 13: *** Tempo di allenamenti e di rivelazioni. ***
Capitolo 14: *** Lastie ***
Capitolo 15: *** Tornare a casa. ***
Capitolo 16: *** Sogni strani e rivelazioni. ***
Capitolo 17: *** Una decisione dolorosa. ***
Capitolo 18: *** Desolazione. ***
Capitolo 19: *** Pel-Tethrin. ***
Capitolo 20: *** Promessa. ***
Capitolo 21: *** Namarie. ***
Capitolo 22: *** Edoras. ***
Capitolo 23: *** L'attacco. ***
Capitolo 24: *** Sconfitta. ***
Capitolo 25: *** La guerra ha inizio. ***
Capitolo 26: *** L'assalto. ***
Capitolo 27: *** Tempo di cordoglio. ***



Capitolo 1
*** Prologo: la prova di coraggio ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

PROLOGO: LA PROVA DI CORAGGIO

Era notte fonda. Il cielo era ricoperto di luminose stelle. Una candida luna piena stava sorgendo da dietro una montagna illuminando colline, boschi e prati. Ma non era l’unica luce che si scorgeva. In un campo alle pendici di una collinetta ardeva un piccolo fuoco. Intorno ad esso stavano delle figure: alcune sedute per terra, alcune su delle piccole sedie, altre su dei ceppi. Allo scoppiettare del fuoco si accompagnavano le loro voci ed ogni tanto si levavano delle risate. Dovevano essere una decina di ragazzi. Dietro di loro, messe in semicerchio, vi erano delle tende da campeggio. Poco distante una pianta, più precisamente una quercia, la cui chioma veniva illuminata dalla luce tenue della luna.
Mentre i ragazzi erano intenti a confabulare fra di loro, una ragazza, seduta a terra, aveva la testa sollevata e gli occhi che scrutavano il cielo, immersa in chi sa quali pensieri, e un sorriso stampato sul viso che era incorniciato da lunghe onde castane che le ricadevano lungo la schiena.
- Ah, Moni... – esclamò, girandosi verso di lei, la ragazza alla sua destra, poggiandole una mano sulla spalla. Si trovava più in alto rispetto alla brunetta dato che era comodamente appollaiata sulle gambe di un ragazzo, il quale sedeva su una sedia.
L'altra sobbalzò, riscuotendosi dai suoi pensieri più per il tocco che aveva sentito sulla sua spalla che per il fatto di essere stata chiamata. Spostò lo sguardo sul viso dell'amica, senza dover abbassare il capo, incontrando i suoi occhi neri e poi la guardò interrogativamente aspettando che parlasse mentre il cuore le batteva velocemente per lo spavento.
- Scusa, non volevo metterti paura. – iniziò, sorridendo per l'espressione dell'amica - Ma possibile che ogni volta che mi volto stai sempre a guardare le stelle? – chiese poi, con un tono tra l'esasperato e di rimprovero, ma non era per nulla arrabbiata.
Monica ritornò a sorridere, questa volta rivolta all'amica. In quell'istante si sollevò un leggero venticello che fece rabbrividire le due ragazze le quali, istintivamente, si strinsero nelle felpe. Nonostante si trovassero in piena estate, di notte si alzava un'arietta fresca e pungente. - Volevi sapere qualcosa? –
- Sì, non ho capito se tu dormi con Sabrina e me, oppure se vai a dormire con Milena e Diana. – rispose aggiustandosi i lisci capelli neri, che le ricadevano sulle spalle, scompigliati dalla precedente folata.
- Sto con voi, cara Eli. -
- Bene! – esclamò sorridendo. Stava per ritornare a seguire i discorsi degli altri ragazzi quando si girò di nuovo verso l'altra - Ma… toglimi una curiosità. É da un po' che ci faccio caso… Perché guardi sempre il cielo? - le domandò.
- Adesso non esagerare! Mica lo guardo ogni secondo! – cercò di minimizzare quella. Elisa alzò un sopracciglio poco convinta. - Lo guardo così tanto?! – chiese incredula e, vedendo la moretta affermare con la testa, cercò di dare una risposta plausibile, ma non la trovò – Non c'è un perché… mi piace osservare le stelle. Tutto qui. E questa sera sono stupende! – dichiarò un po' imbarazzata ritornando a faccia in su mentre allungava le gambe che fino a quel momento aveva tenute incrociate.
Gli occhi marroni le brillavano, come se facessero anche loro parte di quello spettacolo che quella sera sovrastava le loro teste. Una miriade di stelle come non se ne erano mai viste prima.
- Effettivamente hai ragione. – dovette ammettere la vicina dopo aver alzato anche lei la testa, iniziando a scrutarle.
Fu in quel momento che una scia luminosa attraversò rapidamente il cielo scomparendo poi dietro una montagna.
- Guarda! Una stella cadente! – gridò felice Monica come se fosse la prima volta che ne vedeva una.
- L'ho vista! E comunque non c'è bisogno che ti agiti tanto! – la rimbeccò l'amica, sconvolta dall'enfasi che aveva espresso la brunetta, con un sorriso sulle labbra “É sempre stata così, si meraviglia per le piccole cose. Anche per le più semplici. Ma è questo che mi piace di lei. Ti auguro di avere tutta la felicità del mondo amica mia!” pensò mentre le si dipingeva sul volto un dolce sorriso.
- Ma hai visto quant'era grande? -
Elisa stava per risponderle, ma venne interrotta dal suo ragazzo che domandò dove fosse passata, mentre qualcun altro si lamentava perché non era riuscito a scorgerla in tempo.
- Hai espresso un desiderio, Eli? -
- Sì, Moni! – rispose sorridendo soddisfatta dopo aver dato le indicazioni al ragazzo. Questo domandò incuriosito quale fosse il desiderio, ma la moretta non aveva alcuna intenzione di rispondergli. Iniziarono a bisticciare e la cosa andò avanti per un po' finché lei non ebbe la meglio. Monica era lì che li osservava divertita, così come tutti gli altri, infatti ormai i due erano al cento dell'attenzione, ma ad un tratto si rattristò “Quanto mi piacerebbe anche a me avere un ragazzo da amare, con cui potermi confidare, e con cui condividere le mie passioni! Ma mi sa che dovrò aspettare ancora molto prima di incontrarne uno, se poi è detto che lo incontri.”
I suoi pensieri vennero interrotti da una ragazza bionda con i capelli a caschetto che sedeva su un ceppo, accanto a lei, sulla sua sinistra - E tu Moni l'hai espresso il desiderio? –
- Certo Sabri! – affermò dopo essersi voltata nella sua direzione con un sorriso a 32 denti, cercando di scacciare i tristi pensieri di poco prima “All'amore penserò poi, ora mi devo divertire! In fondo ho solo diciannove anni!” pensò ritornando così di buon umore.
- Invece di stare ad osservare le stelle… perché non facciamo qualcosa? – propose un ragazzo dai capelli rossi, corti e dritti, che sedeva a terra accanto alla biondina. Tutti si voltarono nella sua direzione un po' perplessi.
- Ma sono le 2 di notte, cosa vuoi che facciamo?? – ribatté Sabrina un po' seccata, mentre lo osservava con i suoi occhi azzurri, esponendo così i pensieri di tutti.
Il ragazzo, che le circondava con un braccio la vita, per tutta risposta si limitò ad alzare le spalle. Gli amici che aspettavano una risposta, credendo che lui avesse in mente qualcosa, sbuffarono.
- Sei sempre il solito! – si lamentò la biondina portandosi una ciocca dei corti capelli dietro l'orecchio.
- Potremmo raccontare storie dell'orrore! – propose un ragazzo castano, che sedeva dall'altra parte del fuoco. Ma l'idea venne bocciata quasi subito.
- E che ne dite di una prova di coraggio? – domandò una ragazza con lucenti capelli rossi, un po' bassa di statura. Al primo impatto si capiva subito che era molto simpatica e alla mano.
La domanda restò sospesa nell'aria per alcuni istanti, come se tutti ci stessero riflettendo su.
- Sai che non è una brutta idea? Brava Diana! – affermò Leonardo, il ragazzo dai capelli rossi.
- Ecco, dovresti prendere esempio da tua sorella, lei sì che ha delle idee geniali! – affermò Sabrina stuzzicandolo.
- Sabri, lo sai che mio fratello è un incapace! La sua zucca vuota non riesce a formulare niente che non sia il basket o le ragazze! – spiegò quella seria.
Infatti Leonardo praticava il basket da molti anni ed era un bravo giocatore; e se la sorella era di statura bassa, lui raggiungeva facilmente il metro e novanta.
- Senti chi parla… “Miss stupidità” in persona! – replicò arrabbiato, si alzò in piedi e si posizionò davanti a lei con aria di superiorità.
- Ehi! Se qui c'è uno stupido quello sei tu! – esclamò adirata la sorella imitandolo, lo sguardo infuocato – Tzè… palo della luce! – mormorò poi a bassa voce.
- Cos'hai detto? – domandò lui alzando la voce. Stava per ribattere, ma Sabrina si mise in mezzo e li divise.
- Basta voi due! Siamo qui per divertirci e rilassarci, non per litigare. – ricordò guardando prima l'una poi l'altro e a questo si rivolse – Mi meraviglio di te! Hai diciannove anni, ma non li dimostri affatto! -
- Io non c'entro niente, avete iniziato voi! – brontolò quello, offeso dalle sue parole.
- Si stava scherzando! – precisò la biondina.
- Io dicevo sul serio. – si intromise Diana che nel frattempo si era riseduta.
- Diana! – l'ammonì Elisa anticipando Leonardo che stava per ribattere.
- Comunque se c'entra qualcosa con il cimitero io non ci vengo. – precisò Monica cercando di sviare la lite in corso.
- Io uguale! – le fece eco Elisa, mentre le altre ragazze annuivano con il capo.
- Non perché io abbia paura, ma è una questione di rispetto verso i morti. – spiegò.
- Sì, come no! – la prese in giro suo fratello.
- Ma che avete tutti questa sera? – domandò una ragazza mora sbuffando. Aveva dei corti capelli mossi.
- Non ti preoccupare Moni, non avevo pensato al cimitero. – la rassicurò Diana lanciando poi un'occhiataccia con i suoi occhi verdi al suo ragazzo che borbottò qualcosa, anticipando così Monica che iniziò a ridacchiare – Ma a quella foresta lassù! – continuò, indicando poi il luogo dei suoi pensieri: una foresta che ricopriva tutta la collina e si estendeva per molti chilometri, non molto lontana da dove si trovavano loro. Tutti si voltarono verso il luogo indicato. In quel momento, anche se illuminata dalla luce della luna, un ombra cupa veniva dal folto di essa.
Un brivido attraversò la schiena di Monica, ma non ci fece più di tanto caso, ritenendolo una reazione all'aria fresca della notte - Spiegati meglio. -
- Ecco, la prova di coraggio consisterebbe nell'inoltrarci tutti nella foresta e vedere chi riesce di più a trattenercisi. – dichiarò l'altra con un sorrisetto malizioso sulle labbra carnose.
- Tutto qui? – domandò uno dei ragazzi più giovani del gruppo come se fosse la cosa più facile del mondo.
- Beh… mi sembra una prova semplice. – constatò la moretta che gli sedeva accanto.
- Milena, tu sempre coraggiosa! – riferì l'altro sorridendogli dolcemente.
- Certo Stefi!- affermò lei ricambiando il sorriso mentre due grandi occhi verdi lo guardavano sognanti.
- Stefano, ma ancora non le hai capite le sue intenzioni? – si intromise il più grande del gruppo con un sorriso furbo stampato sulla sua espressione buffa – Dice così perché poi lassù, al buio, ne approfitta! – rivelò.
Tutti quanti scoppiarono a ridere mentre i visi dei due ragazzi iniziarono a colorarsi di rosso e Milena iniziò a protestare sostenendo che non era vero. Ad interrompere le risate fu il ragazzo di Elisa, Michele, che alzandosi in piedi dopo averla fatta scendere dalle sue gambe, incitò gli altri ad incamminarsi verso la meta prefissata.
- Eccone un altro! – esclamò di nuovo il biondino mentre Elisa lo mandava a quel paese senza tante formalità e Michele sorrideva sornione.
E questo provocò, di nuovo, l'ilarità di tutto il gruppo. Piano piano, intanto, si erano alzati tutti in piedi e iniziarono ad organizzarsi. Spensero per sicurezza il fuoco, con non poca difficoltà; misero a posto le coperte nelle tende che poi chiusero accuratamente; infine si procurarono alcune pile e poterono partire alla volta della foresta.

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Capitolo 2
*** Notte movimentata ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 1: NOTTE MOVIMENTATA

Ci impiegarono alcuni minuti a raggiungere i suoi confini. Qui il gruppo si fermò come indeciso sul da farsi. Mentre le lucciole, da poco comparse, rendevano tutto più magico e incantato.
I ragazzi si guardavano intorno meravigliati, poi uno di loro ruppe il silenzio - Bene! Ci siamo! – annunciò Alessandro.
- Si dia inizio alla prova di coraggio! – esclamò Diana alzando un braccio al cielo.
Alessandro la guardò sconvolto, poi scosse la testa rassegnato “Guarda che razza di ragazza mi devo ritrovare!” pensò.
- Adesso voi ragazze non iniziate ad urlare per un nonnulla, eh?! – precisò Leonardo osservandole una ad una con i suoi penetranti occhi azzurri.
- Oh, senti… io non ho paura! – lo informò Milena guardandolo male.
- Io sì! – confidò Sabrina mordendosi il labbro inferiore.
- Anch'io ne avrei un po', sinceramente. – rivelò Elisa aggrappata al braccio di Michele.
- Sì, ma tu hai il tuo caro maritino! – replicò l'altra riferendosi al ragazzo dell'amica, poi spostò le sue iridi azzurre, incerta, su Leonardo – Vorrà dire che dovrò trovare un cavaliere che mi protegga! - Detto ciò gli si avvicinò e lo prese sotto braccio sorridendogli e arrossendo. Leonardo ricambiò il sorriso senza discutere, anzi, gli faceva molto piacere: lo sapevano tutti che aveva una cotta per la ragazza.
I compagni osservarono la scenetta sghignazzando.
- E comunque non credo ci sia niente di cui aver paura. – proclamò Diana sicura di sé.
- No? Aspetta che ti attraversi la strada un cinghiale e poi dopo dimmi se non hai paura! – affermò Mirco mentre passava una mano tra i suoi capelli biondi per aggiustarseli meglio.
- C-cinghiali!? – domandarono alcune delle ragazze.
- Sì, cinghiali. E non solo quelli… ci sono le volpi… - iniziò ad aggiungere Alessandro.
- Ti prego basta! – lo interruppe Sabrina impaurita.
- Insomma qualche incontro ravvicinato. Ma che bello! – esclamò ironica Monica che non era affatto tranquilla da quando si erano avvicinati al limitare della foresta, ma cercava di non darlo a vedere.
- Questo non l'avevo calcolato! – informò Milena che iniziava a ricredersi sul fatto di non essere terrorizzata.
- Oh, oh! Milena ha pura! – la canzonò Mirco.
- Non mi dite che adesso mandiamo tutto a monte, eh?! – si lamentò Diana, per nulla entusiasta.
- Suvvia! Vi pare che ci si avvicinano! Abbiamo le pile che fanno luce e faremo un casino della miseria. Gli animali si spaventeranno. – cercò di incoraggiarle Alessandro avvicinandosi alla ragazza.
- E poi, se li incontriamo, vorrà dire che ci faremo dare un passaggio montandogli in groppa! – cercò di sdrammatizzare Michele. E ci riuscì: scoppiarono tutti a ridere.
- Ti immagini un cinghiale che ci passa davanti, si ferma, e noi gli montiamo in groppa! – esclamò Elisa rivolgendosi a Monica, ritornando a ridere. Aveva una risata stranissima e rideva molto facilmente.
L'altra accennò solo un sorriso divertito, non che la cosa non la facesse ridere, ma aveva un brutto presentimento “Perché ho quest'ansia addosso? Come se stia per succedere qualcosa di brutto!” la ragazza sospirò. Cercando di non pensarci su troppo seguì gli amici che iniziarono ad inoltrarsi nella foresta. La battuta di poco prima era riuscita a tranquillizzare le fanciulle, a parte lei.
Alcuni ragazzi, intanto, stavano scommettendo su chi avrebbe abbandonato per primo la foresta e le favorite erano Elisa e Sabrina.
Monica aveva una torcia sulle mani e camminava accanto ad Elisa, intenta a parlarle, la quale non aveva mollato un attimo Michele. Davanti a loro tre vi erano Leonardo e Sabrina, che sembravano un po' in imbarazzo, con accanto Mirco che faceva da terzo incomodo e che non la smetteva di conversare con il primo. Ma questo non lo stava minimamente a sentire. Poco più avanti Milena e Stefano, che si tenevano per mano. Infine, ad aprire la fila, Alessandro e Diana. Quest'ultima aggrappata al braccio di lui con un'espressione che sembrava dire: “ Io non ho paura e non perderò!”.
Monica iniziò a guardarsi intorno e tese bene le orecchie cercando di captare qualche rumore che non fosse il loro scalpiccio sul terreno, o il loro chiacchierare non molto sommesso. La luce della luna filtrava tra il fitto fogliame degli alberi andando a colpire il terreno umido del sottobosco. Le sagome degli alberi, per lo più faggi e querce, e della fitta vegetazione si stagliavano maestosi intorno al gruppo di ragazzi; ogni tanto un venticello leggero faceva frusciare le foglie sui rami che si toccavano tra di loro. Sembrava tutto molto tranquillo e così iniziò a calmarsi. Però l'ansia non l'abbandonò del tutto. C'era quel brutto presentimento che ancora le attanagliava lo stomaco.

Passò una bella mezz'oretta da quando i ragazzi si addentrarono nella foresta e ancora nessuno aveva ceduto. Anzi, sembrava che si stessero divertendo.
Anche Monica aveva iniziato a scherzare con gli altri. Poi però qualcosa la fece bloccare di colpo. Un rumore; un tonfo, più precisamente. Lo aveva sentito lontano, ma le aveva fatto gelare il sangue.
Elisa, che poco prima le camminava affianco, si voltò nella sua presunta direzione e non scorgendola più si girò indietro preoccupata. La vide in piedi, a pochi passi da lei, immobile. Allora fece fermare tutti e lasciato il braccio di Michele le si avvicinò. Gli altri si guardarono interrogativamente - Moni! Cos'hai fatto? – le domandò preoccupata.
L'amica si riscosse dai suoi pensieri e la guardò negli occhi neri impaurita - L'hai sentito? - chiese in un sibilo.
Elisa non riusciva a comprendere e la guardava interrogativamente.
- Che è successo? – fece qualcuno dal gruppo.
La moretta non fece caso alla domanda appena fatta e chiese all'amica cosa doveva aver sentito.
- Quel rumore. – rispose lei con un rantolo per colpa della gola che le si era seccata tutto ad un tratto mentre il cuore le batteva forte.
Nel frattempo Alessandro si avvicinò alle due ragazze anche lui un po' preoccupato - Che c'è? -
- Ho sentito un rumore non molto lontano da qui. – rispose dopo essersi schiarita la voce e spostato lo sguardo sul fratello, incontrando i suoi occhi verdi.
- Io non ho sentito niente. – dichiarò il ragazzo perplesso.
- Nemmeno io. – gli fece eco Elisa.
- Sei sicura di aver sentito bene? -
- Sì, Ale, l'ho sentito benissimo, anche se era abbastanza lontano! -
Il ragazzo non disse niente, ma ritornò al gruppo, si informò se per caso qualcuno di loro avesse udito un fragore poco prima, ma negarono tutti. Intanto anche le due ragazze li raggiunsero.
- Monica! Non è che ci vuoi mettere paura, così vinci te, no? – le domandò Stefano dopo che le si era avvicinato.
- No Stè! Ho sentito veramente un rumore! – ribatté seria.
- Probabilmente era solo un ramo che è caduto. – insinuò Michele passandosi una mano fra i corti ricci castani.
La ragazza non rispose, sinceramente non sapeva neanche lei cosa fosse stato, poteva benissimo essere, come aveva appena detto l'amico, un ramo caduto “Ma allora che cos'è questa sensazione di pericolo?” si chiese.
Poi Elisa la riportò alla realtà - Se vuoi ti accompagno alle tende. - Monica scosse la testa, non voleva tornare indietro, qualcosa le impediva di farlo. - Beh… allora andiamo avanti! –
I ragazzi ripresero a camminare, ma la spensieratezza che li accompagnava poco prima svanì. E tutti iniziarono a parlare a bassa voce.
Monica camminava sempre accanto ad Elisa, che aveva sulla destra, mentre sulla sinistra, per un po' ebbe accanto suo fratello. Tra i due correva un anno e mezzo di differenza, lei era la più grande. Poi il ragazzo si spostò più avanti e accanto a lei si stabilì Milena che cercava di confortarla e di tirarle su il morale, ma l'altra, anche se rideva, non era affatto sollevata e l'ansia ritornò ad impossessarsi di lei.
Elisa la stava osservando. Si vedeva che fingeva di essere tranquilla, ma sembrava che se ne stesse accorgendo solo lei, anche perché la conosceva troppo bene “Mi dispiace vederla così.” pensò mortificata.
Passarono pochi minuti dall'accaduto che un altro tonfo arrivò alle orecchie di Monica - Avete sentito? – proruppe fermandosi di botto.
I ragazzi la imitarono voltandosi verso di lei.
- Hai sentito di nuovo quel rumore? -
- Sì Eli, e questa volta più vicino. – rispose con voce rotta. Le mani le tremavano e aveva il respiro affannoso. Era agitata e se ne accorsero tutti questa volta.
- Mo', calmati! Non è niente! – cercò di rassicurarla il fratello appoggiandole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi marroni. Si impensierì molto leggendovi paura “Ma che le prende?” si chiese stringendo la presa sulle spalle.
La ragazza stava per ribattere, ma venne interrotta da un altro tonfo più forte dei primi due. Tutti tacquero. Per alcuni secondi nessuno aprì bocca - Ora non ditemi che non l'avete sentito. – mormorò con voce tremante, diventando bianca cadaverica.
I ragazzi si guardarono in faccia e poi affermarono tutti con la testa. Alessandro alzò il viso verso l'alto lasciando andare le spalle della sorella, poi tornò ad osservarla.
- E non venitemi a dire che è un ramo caduto a terra. -
- No, non penso che sia quello. – disse Elisa anche lei pallida in volto mentre stringeva la mano di Michele.
Rimasero tutti in silenzio, si udivano solo i loro respiri affannosi, tutto taceva. Poi ecco che si udì un altro tonfo sempre più vicino. I ragazzi sussultarono. Ma non riuscivano a spiccicare parola e i muscoli del corpo sembrava non volessero rispondergli. I tonfi iniziarono a farsi via via più frequenti e man mano sempre più vicini. Anche la terra sotto i loro piedi cominciò a tremare. I loro respiri erano sempre più affannosi, i battiti del cuore andavano accelerandosi. Qualcuno o qualcosa li stava raggiungendo ed ormai non era che a pochi metri da loro. I loro sguardi scrutavano il buio. Il problema è che non riuscivano a vedere niente nell'oscurità. Sul suolo le luci delle pile, invece di essere immobili, danzavano a causa delle mani tremanti che le reggevano. Poi si guardarono in volto spaventati, non sapendo cosa fare. Ad un tratto il silenzio calò sulla foresta. I tonfi non si udirono più. Dopo alcuni secondi che i ragazzi stettero ad ascoltare in silenzio qualcuno riuscì a pronunciare un “andiamocene” strozzato. Quella parola ebbe il potere di far riscuotere tutti. Si girarono contemporaneamente per tornare al loro accampamento, ma non mossero un passo. Un forte fragore poco rassicurante seguito dalla caduta di un albero a pochi centimetri dai loro piedi lì fece saltare dalla paura. Poi un ruggito squarciò la notte e davanti a loro comparve la sagoma di una creatura gigante con un oggetto che le pendeva dalla mano destra. Sembrava una clava, ma non si riusciva a capire bene. Rimasero tutti pietrificati.
Monica aveva il cuore in gola e anche se aveva avuto l'istinto di urlare nessun suono uscì dalla sua bocca. Guardava il mostro incredula, gli occhi sbarrati “Ma… è… è un… Troll!” questo è tutto ciò che la sua mente riuscì a formulare in quel momento. Era l'unica che era riuscita a capire cosa fosse. La creatura emise un altro urlo straziante. Forse fu questo che la fece sbloccare – Correte. - riuscì a dire. Ma quello che le uscì fu soltanto un sibilo e nessuno sembrava averla sentita. Allora deglutì con non poca fatica e ci riprovò - Correte! – il suo tono era poco più alto del precedente, ma nessuno si mosse, neanche lei riusciva a spostare un muscolo – Correte! – ripeté. Questa volta ottenne successo nel suo intento e mosse anche un passo all’indietro. Notò che anche gli altri si erano riscossi. Il Troll ringhiò di nuovo e avanzò verso di loro. Vedendo che i muscoli le rispondevano ancora e la voce sembrava esserle tornata, fece un ultimo sforzo: prese un bel respiro e urlò con tutto il fiato che aveva - Correte! -
Accadde tutto in poco tempo. Lei gridò, il Troll come di risposta cacciò un urlo terribile, i ragazzi indietreggiarono, si voltarono e iniziarono a correre. La creatura però non rimase lì a guardare iniziando ad inseguirli.
- Correte! – urlò questa volta Mirco come per incitare i compagni.
Avevano solo poco distacco dal Troll che veniva rallentato dagli alberi, mentre loro essendo piccoli riuscivano a correre senza impedimenti. Solo che l'essere gigante aveva la clava e la adoperava per frantumare i tronchi degli alberi che si frapponevano fra lui e i giovani. Correvano a gambe levate e il più velocemente possibile per cercare di distanziare la creatura; il punto è che non sapevano dove stavano andando, infatti l'accampamento era dall'altra parte. In più ci si metteva il rumore assordante che facevano gli alberi che crollavano e il tonfo pesante dei passi del Troll che li avvertiva della sua presenza e della sua vicinanza pericolosa alle loro spalle e ciò non li aiutava di sicuro a ragionare.
Monica correva a per di fiato, l'unica cosa che le passava ora per la testa era di cercare un riparo. Probabilmente non avrebbero retto molto.
Passarono alcuni minuti che a lei sembrarono un eternità. Iniziava ad avere il fiato corto e sicuramente non era l'unica. Le forze la stavano abbandonando lentamente e le gambe, ormai, andavano da sole. Poi davanti a loro comparve, come per miracolo, l'entrata buia di una grotta illuminata dalle loro pile. Probabilmente era la loro unica salvezza.
- Là! Entriamo là! – gridò Leonardo.
Nessuno replicò e si lanciarono nella grotta. Ma, purtroppo per loro, il Troll riuscì senza difficoltà ad entrare. Quando se ne resero conto pregarono tutti che la grotta avesse un'uscita, altrimenti sarebbe stata la loro fine. Come se qualcuno avesse ascoltato le loro preghiere una tenue luce, quella della luna, comparve davanti ai loro occhi. Uscirono dalla grotta spediti e di nuovo la foresta li accolse. Continuarono a correre per molti metri e per altri minuti, poi però le ragazze iniziarono a rallentare. Erano stremate e le gambe non le reggevano più. Si accasciarono a terra, mentre i ragazzi cercavano di rialzarle.
- Non potete mollare adesso! – esclamò ansimando Michele.
- Non ce la facciamo più! – si lamentò Elisa con le lacrime agli occhi.
- A me fanno male le gambe! Non riesco ad alzarmi! – esclamò Milena iniziando a piangere.
- Ma se ci fermiamo quel coso ci raggiungerà! - Calò il silenzio. Non si sentiva alcun rumore. Solo i loro respiri affannosi e il singulto di qualche ragazza che piangeva.
- Non ci insegue più! – notò Diana sospirando.
Erano così presi dal correre che non si erano accorti che il Troll aveva smesso di braccarli.
- Oh! Grazie Signore! – esclamò Sabrina mentre una lacrima le rigava il volto pallido.
Poi le ragazze si lasciarono andare e iniziarono a piangere, felici che tutto fosse finito. I ragazzi, che si erano messi a sedere a terra, rimasero in silenzio troppo provati per parlare.
Passarono così alcuni minuti, poi qualcuno si decise a domandare che diavolo fosse quella creatura mostruosa che li aveva inseguiti. Ci fu un attimo di silenzio.
- Era un Troll. - Tutti si voltarono verso colei che aveva parlato. Monica, rimasta in silenzio fino a quel momento, immersa nei suoi pensieri, aveva portato le gambe al petto e le cingeva con le braccia, lo sguardo fisso a terra. Lei aveva riconosciuto quella creatura anche se questa era immersa nel buio della foresta, qualcosa nella mente le diceva che si trattava di un Troll, ne era sicura, anche se era impossibile. Gli altri continuavano a guardarla come se fosse un alieno. Alzò lo sguardo e lì osservò uno ad uno - So che vi sembra impossibile! Ma quello era un Troll! – non disse altro e riabbassò gli occhi. Mille domande le affollavano la mente a cui non riusciva a dare una risposta, e sapeva che i suoi amici erano nella sua stessa condizione. Non ci capivano niente, nessuno.
Le ragazze intanto si erano leggermente calmate, ma la paura non le aveva abbandonate.
- Forse è meglio se rimaniamo qui fino a che non diventa giorno. – comunicò Stefano – Che ore sono? – chiese poi.
- Le quattro e un quarto. – rispose Leonardo dopo aver dato un'occhiata al suo orologio.
- Anche secondo me è meglio rimanere qui! Poi appena si farà giorno torniamo alle tende! – concordò Alessandro.
Calò di nuovo il silenzio. A poco a poco i ragazzi sfiniti si addormentarono. Le poche torce accese abbandonate ai loro piedi. E mentre la luna piena calava dietro i monti il sole faceva capolino e così l'inizio di un nuovo giorno.

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Capitolo 3
*** Dalla padella alla brace! ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 2: DALLA PADELLA ALLA BRACE!

Il sole splendeva alto nel cielo mentre i suoi tiepidi raggi attraversavano le fessure tra le foglie verdi, i germogli dei fiori ancora chiusi e i rami dei sommi alberi che si intrecciavano tra di loro, andando a posarsi, poi, sul terreno del bosco ricoperto di foglie secche. I ragazzi giacevano profondamente addormentati su di esso: chi sdraiati a terra, chi appoggiati ai tronchi degli alberi. Il silenzio regnava tra il gruppo, interrotto solo dal cinguettio di qualche uccello che ogni tanto si faceva sentire.
Monica giaceva distesa a terra sul fianco destro. Stava dormendo beatamente quando il gracchiare forte di un corvo la fece svegliare di soprassalto. Si mise a sedere con aria insonnolita imprecando contro l'uccello. Si guardò intorno, dormivano ancora tutti. Sbuffò alzandosi in piedi e dandosi una pulita alla felpa e ai pantaloni che si erano sporcati di terra. Raccolse i lunghi capelli castani sulla testa fermandoli con una pinza marrone che aveva portato con sé la sera prima. Lo sguardo poi si posò sulla pila ai suoi piedi che era ancora accesa. La spense e si incamminò verso la sua destra dove il terreno scendeva: aveva bisogno di sgranchirsi le gambe. Percorso qualche metro del pendio qualcosa iniziò a non quadrargli: la vegetazione era cambiata dalla sera precedente. Ci aveva fatto caso solo in quel momento. Vi erano dell'edera, del mirto e muschio, ogni tanto dei cespugli e gli alberi che la circondavano erano noccioli. Il clima era cambiato: non era più quel caldo afoso del giorno prima. Sembrava più una giornata primaverile: faceva fresco nonostante la mattinata inoltrata. Per non parlare del tappeto di foglie secche marroni che aveva sotto i suoi piedi. Era come se l'inverno, lì, fosse da poco terminato. Ma quello che la turbava più di tutto erano le montagne che riusciva ad intravedere fra gli alberi e che le si stagliavano davanti. "Prima un Troll ci insegue, poi ci ritroviamo in un posto che sicuramente non e la zona intorno casa. Aaaaahhh! Non ci sto capendo niente!" pensò rassegnata. Continuò la passeggiata sempre verso il basso. Passarono pochi minuti quando, poco più giù notò una strada grigia. Rimase immobile come se stesse cercando di sentire se qualcuno era in avvicinamento, ma non udì niente. Fece dietro front e con passo svelto si diresse dagli altri, con non poca fatica dato che questa volta andava in salita.
 
Nel frattempo il resto del gruppo si era svegliato e, notando l'assenza della ragazza, gli amici avevano iniziato a preoccuparsi.
- Ma dove s'è cacciata? - chiese agitata Elisa.
- Io la vado a cercare! - annunciò Alessandro spazientito.
- E se quel "coso" di ieri sera l'ha trovata e l'ha presa? - insinuò la cugina, Milena.
- Primo: tu, Ale, non vai da nessuna parte; secondo: quel "coso" era un Troll delle Caverne, cara cuginetta! - precisò Monica che era comparsa alle loro spalle ansimante e con le gote rosse per la salita appena affrontata.
- Ma dove diavolo sei stata? - la ammonì il fratello che aveva un espressione tra il preoccupato e l'arrabbiato mentre con i suoi profondi occhi verdi la guardava storto.
- Sono andata a fare due passi. - spiegò irritata per il tono con cui le si era rivolto.
- Due passi? É più di mezz'ora che ti cerchiamo! - intervenne Diana portandosi poi i rossi ricci dietro l'orecchio con gesto nervoso.
- Potevi almeno avvertire. Ci hai fatto preoccupare! - aggiunse Elisa.
- Scusate! Ho sbagliato, va bene? - disse la brunetta riconoscendo di essere in torto - Comunque durante la passeggiata ho scorto una strada. - continuò poi con tono pacato.
- Dove? - domandò Mirco avanzando di un passo verso di lei.
- A circa venti minuti da qui. E non è tutto. Mi sono accorta anche di una cosa: non ci troviamo più tra le colline che circondano casa nostra. -
Il silenzio calò sul gruppo di ragazzi. Poi Leonardo scoppiò in una fragorosa risata che rimbombò tra gli alberi a causa del suo grave timbro di voce - Ma non sparare cavolate! - la ammonì.
La ragazza gli lanciò un'occhiataccia, poi si fece seria. Questo preoccupò un po' gli amici. - Datevi un'occhiata intorno! - li intimò - Il terreno è ricoperto di edera, di muschio, di mirto e di foglie secche; gli alberi sono noccioli e per di più questa non è proprio una giornata estiva, sembra di essere in primavera. - dichiarò alzando un'istante la testa per osservare i rami degli alberi pieni di foglioline verdi e di germogli, poi ritornò con lo sguardo sull'amico.
- Questo non vuol dire niente. - replicò Michele.
- E quelle montagne là? -
I ragazzi si voltarono all'unisono verso la direzione che veniva loro indicata. Rimasero di sasso quando notarono le montagne tra gli alberi.
- Ehm... - cercò di ribattere Michele.
- Visto? -
- E dicci " So-tutto-io"... dove siamo? - chiese lui incrociando le braccia.
- Non ne ho la più pallida idea! - rispose tranquillamente lei accompagnando la frase con un' alzata le spalle.

Passò una bella mezz'ora prima che il gruppo decise cosa fare, infatti: qualcuno voleva ritornare indietro ripercorrendo la strada che avevano fatto quella notte, il che era una vera impresa dato che non si ricordavano bene da che parte erano arrivati; altri, invece, volevano percorrere la strada trovata da Monica e vedere dove portava, così se avessero incontrato qualcuno avrebbero chiesto loro informazioni. Alla fine tutti optarono per la seconda soluzione, anche perché, come aveva fatto notare la ragazza, se fossero tornati indietro avrebbero rischiato di perdersi, o peggio ancora, di incontrare di nuovo il Troll.
Anche se lei sapeva benissimo che questi di giorno non escono all'aperto dato che temono la luce del sole che li trasforma in pietra. Ma evitò di dirlo: non voleva tornare indietro, o meglio, qualcosa le impediva di farlo.
Al solo ricordo della creatura tutti si convinsero a percorrere la strada. Si aggiunse anche un altro problema: si accorsero di aver dimenticato tutti il cellulare all'accampamento.
- Che ore sono? Io avrei fame e sete: è da ieri sera che non mangio e non bevo niente! - fece notare Stefano.
- Siamo tutti nella tua stessa condizione. - informò Alessandro sbuffando.
- Oh! Non mi funziona più l'orologio! - si intromise Leonardo sorpreso mentre scrutava l'oggetto, cercando di capirne la causa - Però questa notte funzionava... che strano! - continuò mentre con espressione buffa si passava una mano fra i capelli rossi.
- Bene! - disse ironica Diana.
- Dovrebbero essere le tre. - rispose invece Michele.
L'attenzione di tutti si spostò su di lui. Alessandro gli domandò come facesse a saperlo, l'altro gli rispose che lo riusciva a capire dalla posizione del sole. I pochi anni passati negli scout avevano fruttato qualcosa.
Raggiunsero la strada. Qui ci fu un'altra discussione sulla direzione da prendere. C'è chi proponeva di andare verso le montagne che, sempre grazie a Michele, si scoprì essere l'est, o verso ovest. Questa volta optarono per la prima soluzione. Procedettero a passo spedito, anche se affamati e assetati, probabilmente era proprio questo che li faceva camminare così velocemente. Arrivarono dopo quattro ore in un punto dove la strada voltava a destra e poi scendeva fino in fondo alla valle. La sera stava calando, l'aria si faceva più pungente; decisero quindi di cercare un posto dove trascorrere la notte. Ne trovarono uno non molto distante dalla strada. Erano tutti stremati. La fame e la sete si facevano sentire a più non posso. Alessandro e Mirco andarono a cercare qualcosa da mettere sotto i denti prima che facesse buio. Infatti la sfortuna volle che i ragazzi, troppo presi dalla discussione pomeridiana, si fossero scordati le pile nel luogo dove avevano trascorso la serata precedente.
Nel frattempo gli altri organizzarono i turni per la notte: non volevano che si ripetesse l'esperienza della sera prima. Per precauzione decisero di non accendere nessun fuoco, avrebbero corso il rischio del freddo, sempre meglio che essere di nuovo attaccati dal Troll.
Poco dopo i due ragazzi tornarono con un po' di nocciole e di bacche che avevano trovato in giro. Ripartirono con Leonardo e Stefano per prenderne di più, mentre Michele rimase con le ragazze. Si portarono dietro anche delle maglie che avrebbero usato come sacchetto. Ne riuscirono a riempire solo tre, ma per quella sera bastarono, l'unica cosa che non trovarono fu l'acqua. I ragazzi si accontentarono di quello che avevano. Finirono tutto e poi si sistemarono per la notte. I turni di guardia sarebbero stati montati da due ragazzi alla volta fino alla mattina. Anche le ragazze avrebbero partecipato.

Fortunatamente la notte fu tranquilla e tutti riuscirono a riposare e a riacquistare un po' di forze anche se la sete era incalzante. Si rimisero in marcia abbastanza presto: constatarono che probabilmente erano le sette della mattina. Raggiunsero la strada e ripresero il cammino a passo veloce, come il giorno precedente; non prima, però, di aver messo qualcosa sotto i denti: qualche avanzo della "cena".
Era un'altra bella giornata tiepida e questo rendeva i ragazzi di buon umore. Almeno il tempo li assisteva. La strada continuava dritta e in alcuni punti, ai lati di essa, faceva la sua comparsa dell'erba folta.
Passò ancora un bel po' di tempo, quando la vegetazione cambiò: al posto dei noccioli ora vi erano dei pini, passati questi, la strada proseguiva per una profonda gola dalle umide pareti di pietra rossa. I loro passi rimbombavano a causa dell'effetto dell'eco. Ad un tratto la strada sbucò fuori dal tunnel. La luce li investì: davanti a loro vi era un ripido pendio in fondo al quale si estendeva una vasta radura, dopo di questa un fiume. Dall'altra parte l'argine era scosceso e vi era un sentiero serpeggiante. Sullo sfondo si stagliavano le montagne che raggiungevano il cielo arancione e rosso del tardo tramonto. Alla vista del fiume i ragazzi si precipitarono giù per il pendio. Finalmente potevano dissetarsi. Attraversarono la radura e lo raggiunsero iniziando a bere dalle sue fresche acque.
Adesso stavano veramente bene. Iniziarono a ridere e scherzare, le loro voci riecheggiavano tutt'intorno mentre il cielo si scuriva con l'arrivo della notte.
- Un altro po' e sarei morto di sete! - esclamò Mirco sdraiato sulla riva.
- Sai che grave perdita! - scherzò Stefano che sedeva accanto a Milena. Scoppiarono tutti a ridere.
- Chissà dove ci troviamo? - chiese Sabrina scrutando con gli occhi azzurri il paesaggio intorno a sé mentre si stringeva nella felpa.
La domanda rimase sospesa nell'aria per alcuni secondi, nessuno sapeva rispondere.
Monica, da parte sua, ci aveva riflettuto molto, ma non era arrivata a nessuna conclusione, alcune volte, le balenavano in mente diverse idee che scartava sempre ritenendole impossibili. Anche se ormai niente era impossibile: quel Troll l'aveva sconvolta non poco. Come poteva esistere? E poi ogni volta che si guardava intorno, aveva la sensazione di aver già visto quel posto da qualche parte. Sollevò la testa e iniziò ad osservare le stelle che erano comparse da poco nel cielo, con le iridi marroni che le brillavano lucenti. La notte era calata.
- Monica! - Sentendosi chiamare la ragazza si voltò - Che c'è, Diana? -
- Posso sedermi qui? - le chiese indicandole un punto lì vicino.
La ragazza sorrise e poi affermò con la testa, rimase però immobile, sdraiata a terra, appoggiata sui gomiti. Seguì con lo sguardo l'amica che le si sedeva accanto e assumeva la sua stessa posizione. Con la mente ritornò ai tempi delle medie, quando si erano conosciute. Adesso frequentavano licei diversi, ma continuavano ad uscire insieme. Erano rimaste molto amiche, anche per il fatto che era la ragazza del fratello. Era bella, non molto alta, ma aveva comunque un fisico proporzionato. I suoi capelli rossi le arrivavano alle spalle: una cascata di ricci infuocati che rispecchiavano il suo carattere vivace e anche aggressivo, se la si faceva arrabbiare. Era decisamente un diavoletto. Poco più in là gli altri chiacchieravano tra loro mentre i grilli con il loro canto facevano da sottofondo.
Diana voltò il viso verso l'amica e i suoi grandi occhi verdi incrociarono quelli dell'altra - Chissà cosa staranno facendo i nostri genitori. - rifletté.
Monica sospirò e ritornò con la mente alla discussione di quella mattina quando si erano domandati se i loro genitori li stavano cercando e se fossero in pensiero per loro. Ormai erano due giorni che mancavano da casa - Ci staranno sicuramente cercando. E come minimo saranno preoccupatissimi. - iniziò, ma venne interrotta dall'altra.
- Senti... a te... non sembra di conoscere questo posto? -
Monica si raddrizzò di scatto mettendosi a sedere. La domanda l'aveva spiazzata. Anche lei aveva la sua stessa sensazione? Osservò l'amica che si stava sedendo come lei. Poi abbassò lo sguardo e staccò un filo d'erba con cui iniziò a giocherellare – Sì. - rispose incerta.
Diana non ebbe il tempo di replicare che venne interrotta da Milena, la quale si avvicinò alle due ragazze - Che fate qui sole solette? - chiese allegra.
- Niente. - rispose la rossa con un'alzata di spalle.
La nuova arrivata si accovacciò accanto a Monica e le mise il braccio sulle spalle. Era un tipetto tutto pepe e questo la rendeva simpatica - Abbiamo bisogno di te, cuginetta! - le annunciò sorridendo.
- Di me? E perché? - chiese guardandola interrogativamente.
- Ci devi spiegare un po' di cosette! -
Monica stava per replicare, ma venne praticamente trascinata dall'esile cugina. Diana le seguì silente. Raggiunto il gruppo si sedettero tutte e tre. L'interpellata osservò tutti in faccia soffermandosi poi su Elisa che le sedeva accanto. Certe volte si domandava come poteva stare insieme a Michele: erano l'uno l'opposto dell'altra, ma dato che gli opposti si attraggono... - Beh? Che c'è? - chiese un po' seccata.
Rimasero alcuni secondi in silenzio, poi Michele si decise a parlare - Come facevi a sapere che quello era un Troll? - domandò osservando con i suoi occhi neri la sua reazione.
Anche questa volta la domanda spiazzò la ragazza - Ecco... non ci vuole molto per capirlo. - farfugliò "Che risposta stupida." pensò subito dopo.
- Poteva benissimo essere un gigante. - insinuò Stefano.
- Credo che i giganti siano più grandi. - rispose incerta.
- Credi? - ribatté il fratello.
La ragazza lo guardò negli occhi verdi che brillavano nella notte. Quando era piccola ricordò essere invidiosa di quegli occhi che a lei piacevano tanto, ma che non possedeva. Sorrise a quel ricordo – Si, credo. Non ne ho mai visti. -
- E quindi tu "credi" anche che quello dell'altra sera era un Troll. - aggiunse Leonardo con la sua voce bassa mentre si aggiustava i capelli rossi che ormai non erano più dritti, essendo l'effetto del gel che portava finito.
- No, ne sono sicura. Ma voi non l'avete visto "Il Signore Degli Anelli"? -
- E tu ti basi su un film per dire che quello era un Troll?! - commentò Stefano.
Monica lo osservò, era un bel ragazzo: castano, occhi marroni, fisico atletico di un calciatore, simpatico ed educato, peccato che era il ragazzo di sua cugina.
- Per la precisione su due: anche nel primo film di "Harry Potter" c'era un Troll. E poi ho letto il libro de "Il Signore Degli Anelli" e anche "Lo Hobbit" e "Il Silmarillion" e la descrizione di Tolkien corrisponde perfettamente. Anche se non lo sono riuscita a vedere chiaramente dato che era buio. - spiegò - E... ho anche una sensazione che mi fa dare per certa la cosa. - aggiunse con lo sguardo basso.
- Ah! - esclamò Stefano.
- Grazie. Non riuscivamo a capire su che cosa ti eri basata. - dichiarò Alessandro dandole una pacca sulla schiena.
- Di niente. - esclamò con una smorfia, un po' scocciata per il gesto poco delicato appena ricevuto. Certe volte suo fratello aveva certi modi bruschi, prima non era così manesco "Probabilmente si e fatto contagiare da Diana!" pensò ridendo sotto i baffi. Tutti rimasero in silenzio, un leggero venticello fece scompigliare i capelli sciolti della ragazza che meccanicamente se li portò dietro le orecchie. Un rumore improvviso la fece voltare indietro verso la radura, ma il buio la inghiottiva e non riusciva a scorgere niente. Gli altri, che avevano seguito i suoi movimenti, le domandarono cosa succedeva. La ragazza stava per rispondere "niente", ma un luccichio nel buio le impedì di parlare.
Anche Leonardo se ne accorse e si alzò in piedi facendo un passo in avanti per guardare meglio. Un sibilo taglio l'aria e qualcosa si andò a conficcare a pochi centimetri dai piedi del ragazzo che per lo spavento balzò all'indietro, ma finì a terra dopo aver incespicato su un sasso.
Monica osservò la freccia nera conficcata nel terreno e un brivido le percorse la schiena "Non può essere!" pensò incredula. Un urlo raggelante, non molto distante da loro, squarciò la notte seguito da uno scalpiccio di piedi sul terreno - No! Non può essere! - esclamò con voce tremante continuando ad osservare la freccia.
- Cos'è? Che succede? - domandò suo fratello preoccupato.
- Orchetti! - sussurro lei.
- Cosa? -
- Orchetti! - esclamò con voce più forte alzandosi in piedi. Si girò verso il fiume ed osservò la sponda opposta - Dobbiamo scappare al di là del fiume! - continuò spaventata.
I ragazzi la guardarono frastornati, Mirco stava per replicare, quando l'aria iniziò a fischiare. Delle frecce scesero sul gruppo provocando il panico. Nessuno però venne ferito, anche se ci mancò poco.
- Via di qui! Presto! - grido Michele lanciandosi verso il fiume dopo aver afferrato Elisa per la mano.
Tutti lo imitarono terrorizzati mentre una pioggia di frecce cominciò a scendere su di loro. Iniziarono ad urlare ogni volta che una passava loro a pochi centimetri dal corpo.


NOTA DELL'AUTRICE
Carissimi lettori e lettrici a me non piacciono le note in fondo al capitolo però mi sembrava doveroso ringraziare Mnemosyne e ColdFire che hanno recensito la mia ff e volevo spronare voi che ancora non lo avete fatto, infatti ho un grandissimo bisogno di sapere se la storia vi piace o no, dov'è che mi potrei migliorare o dove invece sto andando bene, anche se questo lo ritengo un po' improbabile, insomma vorrei sapere i vostri pareri. Sono ben accetti tutti quanti: sia quelli positivi, che quelli negativi. Poi ci tenevo ad informarvi che questa è la prima ff che scrivo, ma ne ho lette tantissime e molte sono davvero belle. Se avete qualche domanda da pormi o volete qualche chiarimento non esitate a chiedere. Ci tenevo a dirvi che con l'università che mi occupa molto spazio probabilmente non aggiornerò di continuo come sto' facendo ora, anche perché i capitoli fino al 4 sono già pronti. Ma spero che le attese non siano molto lunghe. Io cercherò di sbrigarmi. Un saluto a tutti.
Kicca

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Capitolo 4
*** Un aiuto inaspettato. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 3: UN AIUTO INASPETTATO.

Raggiunsero il più in fretta possibile la riva opposta con un po' di difficoltà. Il fiume non era profondo, l'acqua arrivava alle ginocchia dei ragazzi, ma il fondale era scivoloso e qualcuno per la fretta finì col perdere l'equilibrio e bagnarsi, inevitabilmente. Ma questo non impedì certamente la loro corsa disperata per raggiungere il bosco poco più avanti, lì almeno sarebbero stati al riparo dalle frecce, o così speravano.
Ma gli Orchetti guadagnavano sempre più terreno e non appena i ragazzi si inoltrarono tra gli alberi le perfide creature gli furono addosso. - Ormai siete in trappola! – esclamò una di loro con voce rauca.
Il gruppo si fermò e in pochi secondi venne circondato. Erano all'incirca una cinquantina da quello che riuscivano a vedere attraverso il buio, ma probabilmente anche di più.
- Che ci fanno dei giovani Uomini in giro da queste parti? – domandò uno.
I ragazzi si erano stretti tra di loro spaventati. Le ragazze tremavano, Elisa e Sabrina avevano iniziato a singhiozzare; Monica invece era in piedi, immobile, in prima fila ed osservava le creature sconvolta.
- E guarda che ridicoli vestiti indossano! – sogghignò un altro.
Gli Orchetti, provvisti di armatura, spade e lance, scoppiarono a ridere nel vedere gli abiti delle loro prede: indossavano più o meno tutti una tuta, o dei jeans con sopra delle felpe. Poi uno di loro si fece più vicino come per osservarli meglio. Da quella distanza si sentiva anche l'orribile tanfo che emanava. Il gruppo si strinse ancora di più a sé. - Non ha importanza come sono vestiti, è il sapore della loro carne che ci interessa! – fece questo.
- Già… carne fresca… e tenera. – affermò un altro leccandosi poi le labbra nere e piene di tagli sollevando la spada dalla lama larga che aveva in mano.
Gli Orchetti si fecero sempre più vicini, mentre le ragazze, ormai disperate, piangevano a dirotto e i ragazzi imprecavano tre sé e sé incapaci di fare qualcosa, naturalmente anche loro molto spaventati.
- Vi prego, non uccideteci! – supplicò Milena, il volto stravolto e gli occhi verdi arrossati dal pianto, completamente bagnata dopo la caduta nel fiume.
Ma le malvagie creature sembravano non averla sentita, avanzavano lentamente con un ghigno stampato in faccia.
“Non voglio diventare cibo di questi deplorevoli esseri!” pensò Monica scrutando il terreno in cerca di qualsiasi cosa potesse contrastarli, invano.
Gli Orchetti alzarono le loro armi e si apprestarono a sferrare i colpi sugli indifesi ragazzi.
Monica chiuse istintivamente gli occhi aspettando così la sua fine. “Qualcuno ci aiuti!” pregò.
Ma nessun arma raggiunse i mal capitati. - Fermi! – intimò una voce.
La brunetta riaprì di scatto gli occhi, qualcuno doveva aver sentito la sua preghiera.
Tutti si guardarono intorno stupiti cercando di capire da dove provenisse la voce, ma almeno i ragazzi, con l'oscurità, non riuscivano ad intravedere nulla.
E nemmeno gli Orchetti, che avevano una vista più acuta e riuscivano a vedere bene di notte, scorsero qualcuno.
- Come osate entrare nel nostro territorio! – sempre la stessa voce, soave, ma tremendamente dura.
Le creature fetide iniziarono a spazientirsi continuando a guardare a destra e a sinistra.
- Chi è? Fatti vedere lurido codardo! – gridò uno inferocito.
- Esci fuori se hai il coraggio! – grugnì un altro.
- State guardando nella direzione sbagliata! – continuò la solita voce.
L'aria fischiò e una freccia, proveniente dall'alto, andò a conficcarsi nel collo di uno di loro che cadde a terra con un lamento. I ragazzi guardarono esterrefatti l'essere senza vita ai loro piedi.
In un attimo il panico si impadronì degli Orchetti che iniziarono a scoccare frecce verso l'alto alla rinfusa. Provocarono però solo un contrattacco che iniziò a mietere vittime tra di loro.
Poi, improvvisamente, si sentì un urlo riecheggiare alle loro spalle. Qualcuno stava attaccando ed erano in molti.
Il gruppo sempre più stupito vide delle persone comparire dall'oscurità e iniziare a massacrare le orrende creature. In un attimo la confusione regnò intorno a loro. Si sentiva il fragore delle urla, lo stridio delle spade e l'aria sibilare.
Un Orchetto rovinò a terra ai piedi di Monica che ne osservò disgustata il ventre lacerato. Alzò lo sguardo e quello che vide la pietrificò. Il cuore iniziò a batterle ancora più velocemente. Non riusciva a credere ai suoi occhi “Sto sognando! É l'unica spiegazione plausibile!” pensò non staccando gli occhi di dosso dall'individuo davanti a lei. Nonostante l'oscurità riusciva benissimo a vedere due orecchie a punta che spuntavano tra la lunga e folta chioma nera. La luna fece capolino tra le nuvole e illuminò il bosco. Adesso riusciva a vedere tutto più distintamente. In quel momento quello si voltò completamente verso di lei potendo, così, ammirare la sua impressionante bellezza. I lineamenti del viso erano dolci e morbidi nonostante l'espressione per niente serena. Seguiva incantata i suoi movimenti, che contrariamente alla situazione, erano decisamente eleganti.
Poi qualcosa, o meglio qualcuno, atterrò poco più in là. Proveniva dall'alto albero sopra le loro teste. La sorpresa si impadronì di tutti i ragazzi e degli Orchetti ancora in vita.
Monica per un momento pensò di vederci doppio. Nel frattempo anche altri individui scesero dagli alti fusti intorno a loro “Ma… sono identici! Se questo è un sogno inizia ad essere bizzarro.” pensò un po' contrariata. Era intenta a spostare lo sguardo prima su uno poi sull'altro individuo, i quali nel frattempo avevano approfittato dell'attimo di confusione dei nemici per infliggere colpi, che non si accorse della creatura che si era avvicinata a loro ed ora era a pochi passi da lei. La fortuna volle che l'Orchetto, armato di pugnale, calpestasse un rametto a terra. Il suo scricchiolio la fece voltare in tempo per schivare il colpo che le stava per essere inferto. Sabrina urlò spaventata. L'altra guardò l'essere nero davanti a lei pronto a sferrare un altro attacco. Notò un bastone abbastanza spesso sulla sua sinistra, pochi passi più in là. Lo raggiunse e lo prese in mano prima che quello la colpisse.
- Monica, attenta! – urlò Milena per avvertirla dell'Orchetto che le si stava avvicinando di nuovo.
“Ma ce l'ha con me, questo?” si chiese la ragazza impaurita. Impugnò bene il bastone e con tutta la forza che aveva colpì il rivale sul braccio che impugnava l'arma. Questo urlò per il dolore e disarmato, ma furioso, si lanciò su di lei che cercò di sferrare un'altra bastonata, ma non riuscì a colpirlo. Con una forza impressionante venne scaraventata addosso ad un albero su cui sbatté violentemente la testa. Poi il buio.
Gli amici videro la ragazza crollare a terra, immobile. La chiamarono più volte, ma non dava segni di vita. Il fratello fece per andare a soccorrerla, però la strada gli venne sbarrata da alcuni Orchetti. Probabilmente volevano ucciderli approfittando della confusione che continuava a regnare a pochi metri di distanza.
Le ragazze urlarono attirando così l'attenzione di un guerriero che prontamente li raggiunse ed iniziò a combattere contro quegli esseri. Ma erano in troppi e lui da solo, i compagni erano impegnati più in là. Infatti gli esseri malvagi, anche se in numero minore, stavano dando loro del filo da torcere.
Per un po' riuscì a resistere e ad ucciderne due con la sua spada leggera e lucente, ma ben presto iniziò a cedere. Un Orchetto lo disarmò e con un calcio lo buttò a terra. - Accidenti - imprecò contrariato.

Nel frattempo Monica iniziava a riprendersi. Un dolore fitto le proveniva dalla fronte. Cercò di aprire gli occhi, ma vedeva tutto nero. Si sollevò appena sulle braccia e poi appoggiò la schiena al tronco dell'albero. Sentiva in sottofondo una gran confusione, ma non riusciva a rendersi conto di quello che stava succedendo e non ricordava niente di quello che era successo. “Che male! Ma dove sono?” si domandò man mano che il buio si diradava e scorgeva delle sagome davanti a lei. Quando riuscì a vedere bene cosa stesse accadendo le ritornò tutto in mente. L'inseguimento del Troll, poi il posto sconosciuto, l'attacco degli Orchetti ed infine gli Elfi che erano venuti in loro soccorso, o almeno così credeva. “Non sto sognando! É tutto vero!” Si portò una mano sulla fronte che le bruciava e appena toccato il punto doloroso una forte fitta la investì. Si guardò la mano insanguinata, poi voltò lo sguardo verso gli amici. Si accorse che erano intenti ad osservare qualcosa. Seguì i loro sguardi spaventati e la scena che le si presentò davanti la paralizzò. Uno dei due Elfi identici era a terra e un Orchetto era dritto sopra di lui e non aveva certo delle buone intenzioni. Tutto ciò a tre o quattro metri di distanza da dove si trovava. Ancora più vicino giaceva a terra una spada elfica. “Sarà dell'Elfo.” pensò Monica. Poi la sua espressione si fece seria, si sollevò con molta difficoltà e anche se provava un dolore martellante alla testa, si diresse verso l'arma barcollando, la raccolse. Sentì subito la sua leggerezza e la sua facile manualità, per un attimo osservò le bellissime decorazioni con cui era ornata, la stinse forte nella mano destra e, dopo essersi avvicinata ancora un po', colpì.

L'Elfo ormai era spacciato, nessuno lo poteva aiutare. La rabbia lo investì.“É così che morirò? Per mano di un Orchetto?" si domandò. La creatura sollevò la spada con espressione trionfante. Il guerriero trattenne il fiato. Poi successe qualcosa che non aveva calcolato. Vide la testa dell'essere spregevole cadergli addosso e il sangue rosso scuro, quasi nero, sgorgargli dal collo, prima che il corpo cadesse a terra privo di vita. Qualcuno gli aveva mozzato la testa. E quel qualcuno era una ragazza dai lunghi capelli castani e dal viso aggraziato, ma che ora era coperto di sangue a causa della ferita alla testa.
Il gruppo di ragazzi guardò esterrefatto Monica. Non riuscivano a credere a ciò che avevano visto. Anche la ragazza sembrava essere sorpresa.
- Monica… - iniziò il fratello terrorizzato – ma… lo hai ucciso! – mormorò.
La ragazza che fino a quel momento aveva osservato il cadavere si voltò verso gli amici con espressione perplessa, che però mutò immediatamente in disperata.
A destra del gruppo Elisa guardava la sua spalla destra e teneva la mano sinistra sopra di essa, sotto ad una freccia nera. Alzò lentamente lo sguardo spaventato e incontrò quello dell'amica. Un gemito le uscì dalla bocca, poi si accasciò a terra.
- No!- gridò Monica lasciando la spada che teneva ancora in mano e raggiungendola.
Gli altri sentendo il lamento si voltarono verso la moretta e subito le furono intorno. Primo tra tutti Michele, che adesso gridava disperato il suo nome.


NOTA DELL'AUTRICE
Salve a tutti! Eccomi di nuovo qua con il 3° capitolo. Scusatemi se vi ho fatto attendere tutto questo tempo, ma ciò è accaduto non per mia volontà. Infatti l'università ultimamente mi aveva occupato molto tempo. Comunque ho deciso di ritirarmi dagli studi, quindi da ora riuscirò a stare maggiormente dietro alla storia. Il racconto inizia a farsi più avvincente e a prendermi sempre di più. Ho un sacco di idee per la testa, spero di poterle scrivere tutte. Ringrazio, anche se in ritardo, uriko e NiaeTeo92, perdonatemi. Un bacio a tutti voi lettori e lettrici. Mi raccomando... continuate a recensire. Ah! Ho dato una ritoccatina al secondo capitolo.
Kicca

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Capitolo 5
*** Presentazioni... ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 4: PRESENTAZIONI...

L'Elfo era rimasto a terra esterrefatto e sconvolto e fissava il vuoto davanti a sé nel punto in cui poco prima stava la ragazza. “Non può essere.” pensò confuso. Poi qualcuno lo chiamò facendolo riscuotere dai suoi pensieri e alzando la testa vide suo fratello che lo aveva raggiunto preoccupato.
- Elladan, tutto bene? – domandò notando il corpo dell'Orchetto ai piedi del fratello e la testa poco più in là.
- Sì, sto bene. Ma ho rischiato grosso… – rispose alzandosi e osservando Elrohir negli occhi grigi serio – se non fosse stato per quella ragazza. – continuò voltandosi verso il gruppetto dei giovani.
- Quella ragazza? Quale? – chiese voltandosi anche lui in quella direzione, non riuscendo a capire però a chi si riferisse l'altro.
Alcune urla fecero avvicinare i due Elfi al gruppo che dava loro le spalle e così poterono osservare la scena che si presentava ai loro occhi. A terra vi era una ragazza dai lunghi capelli neri con una freccia piantata nella spalla destra, il viso pallido e sofferente; accanto a lei un ragazzo che disperato urlava probabilmente il suo nome. In quel momento una giovane davanti a loro si voltò, il viso insanguinato rigato dalle lacrime e l'espressione sconvolta. Elrohir rimase spiazzato dalla visione e si irrigidì: non riusciva a crederci. Elladan lo osservò di sottecchi capendo che anche lui aveva avuto la sua stessa sensazione.
Singhiozzante, Monica, non facendo caso alla loro espressione, li pregò con un filo di voce di aiutare l'amica.
I due fratelli si guardarono indecisi sul da farsi. In quel momento mille pensieri passavano loro per la testa e la causa era per la maggior parte lei.
L'altra continuava ad osservarli in attesa di una risposta che non accennava ad arrivare - Vi scongiuro! –
Elrohir spostò lo sguardo su di lei poi si decidette a parlare - Come facciamo a fidarci di voi? Potreste essere delle spie. –
- No, noi non siamo spie… ma non so proprio come potervelo dimostrare. I miei amici ed io ci siamo persi, è da due giorni ormai che girovaghiamo senza meta. – spiegò, poi si voltò ad osservare Elisa e ritornò a parlare – Solo voi potete aiutarla! Non siamo persone cattive. –
I due fratelli si guardarono poi si allontanarono di poco dalla ragazza e iniziarono a conversare sottovoce fra di loro. Sapevano che quello che aveva detto lei era vero, glielo avevano letto negli occhi, ma non era tutto. Il modo in cui erano vestiti ricordava loro qualcuno. E poi c'erano le parole di loro padre che aveva predetto tutto ciò. Erano turbati, ma decisero che sarebbero andati in fondo alla storia non appena sarebbero giunti all'accampamento. Dopo poco ritornarono da lei – D'accordo. -
- Grazie! – esclamò la ragazza felice cercando di sorridere, ma le riuscì solo una piccola smorfia.
Elladan la continuava ad osservare serio, scrutandola, poi sorrise leggermente e facendosi spazio tra i ragazzi si avvicinò ad Elisa, sotto il loro sguardo attento e sconvolto. Le si chinò a fianco e ispezionò la ferita, cercando di non muovere la freccia.
La ragazza, al suo tocco, venne investita da un grande calore e aprendo gli occhi neri notò una luce bianca davanti a lei che le infondeva sicurezza e tranquillità, poi in essa comparve la figura di qualcuno. Ma non riuscì a capire chi fosse di preciso, sicuramente un bellissimo uomo dai lunghi capelli neri e gli occhi grigi e profondi. Riuscì a trovare un po' di ristoro da ciò, ma subito ripiombò nel buio.
Elladan, infatti, tolse la mano dalla ferita e voltandosi esclamò con espressione grave in volto - La freccia è andata abbastanza in profondità e temo che sia anche avvelenata. Dobbiamo sbrigarci! -
Monica sgranò gli occhi arrossati, mentre Michele, nel sentire ciò, piombò nel panico. I ragazzi ci misero un po' a calmarlo.
- Cosa? – domandò la ragazza accovacciandosi accanto all'amica.
Elisa, non appena la brunetta le afferrò la mano, dischiuse di nuovo gli occhi. Sì ripeté lo stesso fenomeno di prima, solo che questa volta la luce era decisamente più forte. Abbagliante. Improvvisamente si sentì meglio. Anche questa volta, una sagoma comparve davanti a lei, ma non riuscì a vedere bene la figura. Non ne era sicura, ma doveva essere una donna, anzi, una fanciulla dai lunghi capelli, vestita di bianco, sembrava eterea. Ma la luce era troppo forte. “Sono morta?” domandò verso di questa. Un attimo le sembrò che la figura sorridesse.
“No, non sei morta… non temere… guarirai presto.” disse questa con voce soave e pacata.
- Eli, resisti, non morire ti prego! – esclamò l'amica scansandole una ciocca dei neri capelli dal viso mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto.
La moretta sussurrò qualcosa di impercettibile che l'amica non riuscì a capire.
Nel mentre, Elrohir radunò alcuni Elfi dando loro l'ordine di costruire come meglio potevano una barella su cui poi avrebbero trasportato la ferita.
Elladan, rimasto accucciato accanto ad Elisa, poggiò una mano sulla spalla di Monica che lasciò la mano dell'amica.
Nello stesso istante la visione della fanciulla scomparve e la giovane ripiombò nel buio e nel paralizzante dolore provocato dalla freccia perdendo completamente i sensi.
L'Elfo la prese in braccio e non appena giunsero due compagni che sorreggevano una barella improvvisata, che erano riusciti a ricavare dopo aver legato un mantello di un guerriero a due rami lunghi e resistenti di un albero, ve la adagiò sopra.
Elrohir si avvicinò a lui dopo aver radunato gli altri Elfi - Siamo pronti. – lo informò.
L'altro affermò con il capo e si voltò verso i giovani che li stavano guardando con aria interrogativa, anche perché i due avevano appena parlato in elfico - Il nostro accampamento è a pochi minuti di distanza da qui, è lì che porteremo la vostra amica… ed è lì che ci seguirete! Qui non è molto sicuro. -
Detto questo si inoltrarono tutti nel bosco, anche se i ragazzi erano ancora titubanti.
Monica guardò un'ultima volta il campo di battaglia: i corpi degli Orchetti erano sparsi un po' ovunque. La lotta era stata abbastanza violenta, ma fortunatamente gli Elfi se la cavarono solo con qualche graffio. I suoi amici e lei camminavano in fondo, dietro a tutti i guerrieri da cui erano leggermente distaccati.
Quelle eleganti figure armate di tutto punto incutevano loro disagio. La sagoma di Elladan si frapponeva fra i due gruppi, come se volesse controllare i giovani Uomini, senza però farsi accorgere da loro, stando a debita distanza.
Monica osservò i compagni in silenzio. Stefano stava abbracciando Milena che tremava dal freddo essendo completamente bagnata: la temperatura bassa non aiutava certo la giovane. Spostò lo sguardo poco più in là e vedendo Michele con un'espressione cupa in volto gli si avvicinò e poi gli posò delicatamente una mano sul braccio - Ehi, non ti preoccupare. É in buone mani! – lo rassicurò, si era leggermente calmata da poco prima.
Il ragazzo si voltò verso di lei serio, osservandola, l'espressione grave - E tu che ne sai? Come fai ad esserne tanto sicura, nemmeno li conosciamo! Possono essere pericolosi!– gridò lui.
- Ehi! Calmati per favore! Lei non c’entra niente! – la difese Alessandro frapponendosi fra i due.
- Non sono pericolosi. – rispose lei calma guardandolo negli occhi neri e prima che l'altro potesse ribattere aggiunse – Sono Elfi. E comunque se fossero pericolosi non ci avrebbero aiutati, prima. -
Al dire della ragazza rimasero quasi tutti sconvolti. - Cosa sono? – domandò Mirco credendo di non aver capito bene.
- Hai capito benissimo… non ve ne siete accorti? -
I giovani, sconvolti, scossero la testa: con tutto quel trambusto e quel buio non ci avevano proprio fatto caso.
- Io sì. – esclamò Diana avvicinandosi all'amica – E anch'io sono d'accordo sul fatto che possiamo fidarci. – continuò.
- Grazie. – esclamò sorridendole - Mi sembra ancora tutto un sogno… – continuò – E in parte vorrei che lo fosse. – disse seria con lo sguardo assente.

Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio interrotto solo dallo scalpiccio provocato dai passi dei giovani sulle foglie morte che giacevano a terra, al contrario degli Elfi che non producevano alcun rumore. Monica era assorta nei suoi pensieri e nel frattempo osservava le sagome, che intravedeva nell'oscurità, di quelle creature eteree davanti a lei.
- Un momento… - iniziò a ragionare Milena attirando su di sé l'attenzione degli amici e rompendo la pace creatasi fino a quel momento, facendo sobbalzare la cugina – prima un Troll, poi gli Orchetti e adesso gli Elfi… questo vuol dire che siamo finiti… - ma venne interrotta da delle voci poco lontane.
Voltandosi verso di esse scorsero una radura fra gli alberi da cui proveniva una luce rossastra e arancione. Proseguendo oltre e raggiungendo il limitare del bosco notarono numerose tende candide, decisamente più grandi delle loro che avevano piantato tre giorni prima.
Senza accorgersene avevano raggiunto l'accampamento. Alcuni fuochi scoppiettavano ogni tanto e insieme alla luce della luna illuminavano un po' il luogo. Gli Elfi che erano con loro si sparpagliarono e raggiunsero alcuni compagni che erano rimasti là e non avevano partecipato alla battaglia.
- Ho dato ordine di prepararvi una tenda… nel frattempo vorrei che mi seguiste. – annunciò Elladan andando loro incontro.
- Elisa? – domandò Michele non notando più la barella con su la ragazza.
- Mio fratello si prederà cura di lei. – proferì solo.
I giovani, quindi, obbedirono. Passarono tra numerose tende dove alcuni Elfi che si trovavano all'esterno lanciavano loro delle occhiate curiose. Entrarono in una di esse e subito rimasero colpiti dall'arredamento. Vi erano due comodi giacigli, sulla loro destra, a poca distanza l'uno dall'altro circondati da delle leggere tende bianche, sembravano di seta. Sulla sinistra vi era un lungo tavolo di legno scuro come le sedie che lo circondavano. In fondo alla tenda vi era una scrivania sempre in legno, ma questa volta più chiaro, con numerosi fogli sopra. La loro attenzione, poi, venne attirata da Elladan che si sedette su una sedia, non prima di aver fatto loro cenno di accomodarsi - Allora, gradirei una spiegazione più dettagliata di quella che mi avete fornito prima. Ma innanzi tutto mi presento: sono Elladan, figlio di Messer Elrond di Imladris detto Mezzelfo; e colui che si sta prendendo cura della vostra amica è mio fratello gemello Elrohir. – dichiarò osservandoli uno ad uno e soffermandosi su Monica.
La ragazza che si stava sedendo si bloccò un attimo alla rivelazione dell'Elfo, era proprio come aveva immaginato e il sapere che stava parlando con una delle creature eteree che tanto ammirava la agitava non poco. Era decisamente strano. Sentendosi osservata da Elladan si voltò verso di lui, e dopo alcuni istanti in cui i loro sguardi si incrociarono si schiarì la voce e iniziò a parlare non dopo essere arrossita - Credo di parlare a nome di tutti nell'affermare che sono lieta di fare la vostra conoscenza… ehm… io sono Monica e questi sono, dalla mia destra, mio fratello Alessandro, la sua ragazza Diana, mia cugina Milena e il suo ragazzo Stefano, dall'altra parte del tavolo a partire dalla vostra sinistra ci sono Mirco, Leonardo, Sabrina e Michele, il ragazzo di Elisa. Come prima vi ho detto, ci siamo persi. É da due giorni che girovaghiamo senza meta ormai. Due notti fa ci siamo inoltrati nella foresta per fare una prova di coraggio, all'inizio era andato tutto bene, poi siamo stati aggrediti da un Toll di Caverna che ci ha inseguiti per un bel po', prima di scomparire all'improvviso. Stremati ci siamo addormentati, la mattina seguente ci siamo resi conto che non ci trovavamo più nella zona intorno casa; io, in un giro di ricognizione, ho trovato una strada, così abbiamo deciso di seguirla. Questa sera siamo arrivati al fiume e siamo stati attaccati dagli Orchetti. Se non fosse stato per il vostro intervento adesso saremmo la loro cena. Vi ringraziamo molto! -
Milena nel frattempo stava chiedendo a Diana per quale motivo sua cugina stava dando del voi all'Elfo. La rossa, sconvolta e un po' seccata, a lei sembrava ovvio il perché, le rispose che è così che ci si dovrebbe rivolgere a personaggi del suo calibro e lignaggio, poi la azzittì prima che potesse replicare: voleva stare attenta al discorso. L'altra le fece di rimando una linguaccia.
Elladan, che fino a quel momento era rimasto concentrato sul racconto della giovane si alzò dalla sedia e rimanendo in silenzio iniziò a camminare per la tenda, come se stesse soppesando ciò che aveva appena ascoltato. I ragazzi seguivano i suoi movimenti anche loro in silenzio aspettando una sua reazione che non tardò ad arrivare. - Avete detto che il Troll è scomparso all'improvviso… - Monica affermò con il capo, quindi l'altro riprese – …questo è molto strano, di solito non rinunciano facilmente alla loro preda… -
- Posso farvi una domanda? – lo interruppe Milena che si ritrovò poco dopo un gomito, della rossa accanto, piantato tra le costole e, come se non bastasse, la cugina la incenerì con lo sguardo.
- Vi prego di scusarla… non conosce le buone maniere… continuate pure. - la giustificò Sabrina lanciandole un'occhiata torva.
- Non c'è problema! – riferì Elladan sorridendo – Ditemi pure Dama Milena! –
- Ehm… ecco… - iniziò a balbettare lei imbarazzata – volevo sapere se per caso ci troviamo nella Terra di Mezzo. – concluse prima che nella tenda calasse il silenzio più assoluto.

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Capitolo 6
*** ... e chiarimenti. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 5: ... E CHIARIMENTI.

Passarono alcuni secondi che ai ragazzi sembrarono un'eternità. Elladan osservò lo strano gruppetto di fronte a lui prima di rispondere - Sì! Vi trovate nella Terra di Mezzo... mentre voi, se non erro, provenite dalla Terra. -
I ragazzi, sbalorditi, osservarono l'Elfo con la bocca aperta. Dovevano avere delle espressioni davvero buffe, perché l'altro stava ridacchiando.
- No, non può essere vero. Non ci credo... è impossibile! - esclamò Mirco, esprimendo così i pensieri di tutti.
- Mi dispiace deludervi ragazzo, ma è tutto vero! - replicò Elladan avvicinandosi alla scrivania da cui prese qualcosa. Dopodiché ritornò al tavolo su cui distese il foglio arrotolato che aveva tra le mani. La carta era ingiallita, molto antica e su di essa era disegnato qualcosa. Ogni tanto vi apparivano delle strane scritte che sovrastavano linee punteggiate, tratteggiate, ondulate o macchie differenti che sembravano gruppi di alberi o montagne stilizzati. - Ecco... questa è una cartina della Terra di Mezzo... risale a molti anni fa, quindi non riporta i cambiamenti avvenuti dopo il 1419... comunque, più o meno, siamo qui... - spiegò pacatamente l'Elfo indicando un punto sulla mappa.
Tutti si avvicinarono a lui per osservare meglio.
- Cosa è accaduto nel 1419? - chiese curioso Leonardo.
- É l'anno in cui è stato distrutto l'Unico... e con esso Sauron. - rispose Monica anticipando Elladan che rimase molto meravigliato delle conoscenze della ragazza.
Nel frattempo continuava ad indicare qualcosa. Sopra al suo dito vi era una piccola scritta: Guado. Accanto a questa vi era una linea ondulata, si capiva benissimo che era un fiume, probabilmente lo stesso che avevano attraversato poche ore prima, poco più sotto un'altra scritta: Bruinen.
- Bruinen... - mormorò pensierosa Diana - questo nome non mi è nuovo... -
- É lo stesso fiume che ha attraversato Frodo mentre era inseguito dai Nazgul, prima di giungere a Gran Burrone. - ricordò Monica.
- Ah, già! - affermò la rossa.
- Praticamente avete attraversato il Guado nel medesimo punto. - specificò Elladan soffermandosi ad osservare Monica leggermente stupito - Come fate a sapere queste cose? - le chiese poi, esponendo i suoi dubbi.
- Vedete... ho appena terminato di leggere "Il Silmarillion", "Lo Hobbit" e "Il Signore degli Anelli" di Tolkien... - iniziò a spiegare, ma venne interrotta dall'Elfo.
- Tolkien? Non starete parlando di Ronald... - insinuò lui sorpreso.
- Sì... proprio lui... ma voi come... - mormorò confusa la brunetta.
- É venuto anche lui qua... comparve 25 anni fa... proprio all'inizio della guerra dell'Anello... si trattenne con noi 2 anni, anche se faceva spesso avanti e indietro dal suo al nostro mondo. In quel periodo raccolse molti appunti e informazioni sulla storia della Terra di Mezzo e dei suoi popoli, fu grande amico di Bilbo Baggins, che gli permise di copiare il suo "Andata e Ritorno", e di mio padre. Terminata la guerra se ne andò nel vostro mondo per poi tornare un anno dopo... aveva promesso a Frodo che avrebbero scritto insieme "Il Signore degli Anelli"... e così fecero: Frodo raccontò la sua parte di avventura, mentre Ronald scrisse quello che accadde agli altri membri della Compagnia. - terminò appoggiando le mani sul tavolo.
I ragazzi rimasero senza parole. Le più sconvolte erano Diana e Monica.
- Tutto questo è incredibile! - proferì allibito Alessandro.
- Puoi dirlo forte amico mio! - gli fece eco Stefano esterrefatto.
- Mi sembrava un po' strano che Tolkien avesse inventato tutto... - sentenziò Diana dopo essersi ripresa - adesso mi spiego molte cose. -
- Ecco perché so' che provenite dalla Terra, non siete i primi terrestri che incontro. Il vostro abbigliamento però è leggermente diverso. - dichiarò osservando i loro bizzarri vestiti.
- Però c'è qualcosa che non mi torna... - proferì Sabrina dubbiosa - voi avete affermato che sono passati 25 anni da quando Tolkien se ne andò... ma a quanto mi risulta pubblicò il libro 50 anni fa... ed è morto ormai da 32 anni... come può essere? -
Elladan sgranò gli occhi grigi alla notizia. Era sorpreso e decisamente sconvolto.
- Ronald... è morto? - chiese sperando di non aver capito bene. I ragazzi confermarono mogi. L'altro chinò il capo restando in silenzio per alcuni istanti. - Dovrò dare a mio padre la brutta notizia. - mormorò dispiaciuto. Fece un lungo sospiro come per riprendersi dallo shock, quindi proseguì rivolgendosi alla biondina - Comunque riguardo al vostro dubbio... ho la risposta. Vedete, il tempo qua passa in modo differente rispetto al vostro mondo... se non ricordo male da voi scorre tre volte più veloce... quindi un'ora nella Terra di Mezzo corrisponde a 3 ore sulla Terra. -
- Perciò se noi trascorriamo un giorno qua, ne passano 3 sulla Terra. - riferì Mirco sorridendo contento per la sua intuizione.
- Ma che bravo... pensavo non sapessi contare! - replicò sarcastico Leonardo.
Gli amici ridacchiarono alla battuta, invece il biondino non la prese affatto bene, si avvicinò minaccioso all'amico, gli passò un braccio intono al collo e con la mano libera iniziò a tormentargli la testa - Prova a ripeterlo ora! - esclamò arrabbiato mentre l'altro si lamentava e si dimenava.
- Mirco... ti sembra il caso? - lo rimproverò Diana contrariata.
- Che bambini! - esclamò Milena scuotendo la testa.
- Ehm... scusate se vi interrompo ragazzi, ma c'è un piccolo problema. - si intromise Michele. Aveva un'aria preoccupata sul viso, più di quanto non l'avesse già. Infatti era da tempo che erano giunti all'accampamento, ma di Elisa non erano arrivate ancora notizie. A quelle parole rivolsero tutti la loro attenzione su di lui, Mirco lasciò la presa su Leonardo che si ricompose. - Noi è da 2 giorni che siamo qui, no? - riepilogò, poi attese la conferma degli amici, quindi proseguì - Questo significa che sulla Terra ormai è passata una settimana. - concluse agitato.
Ci vollero alcuni secondi prima che tutti arrivassero a capire cosa volesse dire l'amico.
- Oddio! I nostri genitori ci avranno dato per morti! - gridò terrorizzata Sabrina.
- Sabri... non esagerare... per morti no, ma per dispersi sicuramente. - la corresse Leonardo.
- Dobbiamo tornare immediatamente indietro! - annunciò Alessandro.
- Questo è impossibile! - dichiarò lapidario Elladan. I ragazzi lo guardarono interrogativamente. L'Elfo si sbrigò a dare delle spiegazioni - L'altra sponda del fiume domani brulicherà di Orchetti e di Troll! Non potete tornare a casa, sarebbe un suicidio. -
- Ma il Male non era stato sconfitto definitivamente con Sauron? - chiese Monica confusa.
L'altro sospirò, il suo bel volto si incupì, fece alcuni passi per la tenda dando le spalle ai ragazzi.
- É ricomparso 11 anni fa... e ogni anno che passa è sempre più potente e intenso. -
- Perché non lo combattete? Con Sauron ci siete riusciti... - domandò Diana, ma venne interrotta dall'amara risata di Elladan.
- Secondo voi non ci abbiamo provato? Molti Elfi, Uomini, Hobbit e Nani hanno perso la vita in questi ultimi anni per opporsi ad Esso... compagni... e amici... in questo momento non possiamo fare altro che difenderci. - riferì stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche.
Monica osservò la creatura eterea sorpresa, non vedeva più il valoroso guerriero che alcune ore prima li aveva salvati, ma un Elfo impotente e abbattuto. Le si strinse il cuore.
- Quindi... dovremmo rimanere qui per sempre? - chiese afflitto Stefano.
- No... potete tornare a casa, ma dovrete aspettare che si calmino un po' le acque. - rispose quello con un sorriso malinconico sul viso.
- E quanto ci vorrà? - domandò risollevato Alessandro.
- Questo non lo so... giorni, settimane o anche mesi. -
- Cosa?! - esclamò terrorizzato Stefano.
- Purtroppo non possiamo fare molto per aiutarvi. - sentenziò l'altro.

Era calato il silenzio. I giovani iniziavano a risentire della stanchezza e del sonno. Elladan se ne accorse, anche perché era da un po' di tempo che alcuni di loro stavano sbadigliando.
- Mio Signore... - lo chiamò un Elfo entrando nella tenda, quindi si inchinò e continuò - vostro fratello mi ha mandato a dirvi che la giovane Donna è fuori pericolo. E la loro tenda è pronta. -
L'altro lo ringraziò, quindi riferì la bella notizia; infatti il dialogo tra i due era avvenuto in elfico. Appena udito ciò, dalla tenda si levarono grida di gioia. I ragazzi si abbracciarono tra loro euforici. Elisa era ancora viva. Michele tirò un sospiro di sollievo, poi sorrise commosso. Anche Monica sorrideva felice tra le lacrime.
Elladan li guardò contento, quindi si rivolse al nuovo arrivato – Feanor, potreste accompagnarli voi al loro alloggio? -
- Certamente mio Signore! -
- Bene! - detto ciò si voltò verso il gruppetto - Feanor vi accompagnerà alla vostra tenda. Vedete di riposare, domani mattina dovrete svegliarvi presto e vi aspettano anche molte ore di cavalcata. - riferì pacatamente.
- Cosa? E dove andiamo? - chiese esterrefatto Michele strabuzzando gli occhi.
- Ad Imladris, da mio padre Elrond. - rispose sorridente.
“Imladris... non ci credo!” pensò incredula Monica.
- Ora andate... se avete bisogno di qualcosa chiedete pure a Feanor... vi aiuterà come potrà. - riferì sorridendo.
- Io avrei bisogno di abiti asciutti. - intervenne Milena avvolta in un mantello di Elladan che gentilmente le aveva prestato.
- Feanor cercherà di procurarveli. - dichiarò osservando poi l'altro Elfo che affermò con il capo.
I ragazzi lo ringraziarono e lo salutarono, quindi uscirono dalla tenda. Monica li stava imitando, ma venne bloccata dall'altro.
- Voi no, Dama Monica... - la chiamò raggiungendola.
La ragazza sorpresa si voltò e lo guardò interrogativamente. I suoi occhi marroni incontrarono ancora una volta quelli grigi e profondi di lui.
- Prima devo curarvi questa ferita. - ammise avvicinando la sua mano al viso di lei e sfiorandoglielo leggermente - Seguitemi! - sussurrò.


NOTA DELL'AUTRICE
Eccomi di nuovo qua con il 5° capitolo! Innanzi tutto ringrazio di nuovo NiaeTeo92 che ha rirecensito ^__^, poi Chaosreborn: sono contenta che ti sia piaciuta la mia idea e anch'io sono del tuo stesso parere. Ho revisionato ancora una volta il secondo capitolo, causa un piccolo errore temporale... ho notato anche che c'erano degli errori, quindi li ho corretti! Spero che anche questo capitolo vi piaccia, è un po' palloso probabilmente, ma, come dice il titolo, serve a chiarire. RECENSITEEE vi prego! Ciao!
Kicca

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Capitolo 7
*** Arrivo ad Imladris. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
ERINTI

CAPITOLO 6: ARRIVO AD IMLADRIS.


Monica aveva il cuore che le batteva velocemente nel petto e le guance erano ancora rosse per l'imbarazzo. Ritrovarsi a pochi centimetri di distanza dal bell'Elfo l'aveva fatta rimanere senza fiato. Lo stava seguendo ormai da alcuni minuti, ma non badava alla strada né al freddo pungente della notte, dato che era immersa nei suoi pensieri. Così quando Elladan si arrestò all'improvviso lei gli finì contro andando a sbattere sulla sua schiena. - P-perdonatemi! - farfugliò ancora più imbarazzata di prima.
Lui sorrise divertito, poi senza dire niente, scostò la tenda bianca davanti a sé e con un gesto invitò la ragazza ad entrare.
Lei lo precedette un po' titubante e dopo aver mosso alcuni passi si fermò per aspettarlo. Si guardò intorno leggermente spaesata. L'interno era buio, solo una leggera luce fioca e tremolante proveniva dal fondo della tenda. Elladan le passò davanti e lei lo seguì. Notò con un po' di difficoltà, a causa dell'oscurità, che stavano camminando al centro di un corridoio abbastanza largo, ai lati vi erano numerosi giacigli vuoti. Spostando lo sguardo verso la luce, che era scaturita da una candela, appoggiata sopra un piccolo comodino in legno accanto ad un giaciglio, vide che quest'ultimo era occupato da qualcuno. Socchiuse gli occhi ed aguzzò la vista cercando di capire di chi si trattasse. All'inizio non riconobbe la figura sdraiata, dovette avvicinarsi ancora di più per far si che questo accadesse. - Elisa! - mormorò sorpresa, riconoscendola.
L'amica giaceva immobile fra candide lenzuola. Il viso era pallido, ma l'espressione era distesa. Il petto si alzava ed abbassava ritmicamente. Dormiva profondamente, come se non fosse mai stata in pericolo di vita.
Gli occhi marroni della giovane si riempirono di lacrime, ma le trattenne, ora era tutto passato.
- Andiamo. - sussurrò Elladan facendola riscuotere dai suoi pensieri.
La ragazza ritornò a seguirlo leggermente restia: in quel momento sarebbe rimasta volentieri accanto all'amica. Alcuni istanti dopo, raggiunsero un altro scompartimento della grande tenda. Era un posto piccolo, ma abbastanza illuminato. Appena entrata si trovò di fronte un lungo tavolo vuoto in legno; sulla destra, in fondo, ve ne era un altro più piccolo, ma stracolmo di oggetti ed erbe curative.
- Sedetevi. - le ordinò l'Elfo indicando il tavolo davanti a loro prima di portarsi verso l'altro.
Lei lo osservò alcuni istanti interrogativamente, poi perplessa spostò lo sguardo sul tavolo. Dopo alcuni secondi diede le spalle al mobile, appoggiò le mani sul bordo e con una spinta vi ci si issò sopra. Ma proprio in quel momento, alla sua sinistra, comparve improvvisamente Elrohir e per la paura ci mancò poco che cadesse. Lo osservò spaventata. Lui non la degnò nemmeno di uno sguardo, proseguì dritto verso il gemello. “Ma da dove diavolo è spuntato fuori?” si domandò confusa voltando il capo verso la direzione da cui era giunto, ma da quello che riuscì a scorgere, non vi erano né entrate, né fessure là. “Che fosse già presente da prima?” suppose aggrottando la fronte, poi si voltò verso i due che avevano iniziato a conversare animatamente.
- Ho sentito che hai intenzione di portarli ad Imladris... perché? Il patto era di curarli e lasciarli andare. Nostro padre non sarà d'accordo. Di questi tempi non possiamo fidarci di nessuno. - dichiarò alterato.
- Elrohir... hai dimenticato le parole di nostro padre prima di partire? Io no, e comunque, se non li portiamo con noi al sicuro, moriranno sicuramente. - rispose pacato senza nemmeno voltarsi, iniziando a sminuzzare con energia delle strane erbe in una ciotola di legno.
L'altro rimase alcuni secondi in silenzio a riflettere sulle parole del fratello. Strinse i pugni lungo i fianchi irritato.
- Non sei mai stato così menefreghista... ti dà così fastidio la sua presenza? - chiese Elladan continuando nel suo lavoro.
L'altro assottigliò gli occhi grigi mentre un' espressione crucciata gli si dipingeva sul volto - Fai come ti pare! - sbottò prima di uscire velocemente da lì.
La ragazza osservò la scena ammutolita. Non era riuscita a capire un tubo dato che i due avevano parlato in Elfico, ma aveva intuito dai toni che la questione era seria e adesso si sentiva in imbarazzo e agitata. L'aria era ancora pesante. Non sapeva cosa dire.
Ci pensò Elladan a rompere il silenzio dopo essersi voltato verso di lei e aver incontrato il suo sguardo - Mio fratello è un po' irritato... ma gli passerà! - mormorò raggiungendola, sorridendole dolcemente. Le posò la ciotola accanto.
Monica vi spostò lo sguardo attirata da quella poltiglia verde scura che emanava un vapore rinfrescante. Una leggera smorfia di preoccupazione le si dipinse comunque sul volto.
- Non dovete avere alcun timore, è Athelas: la Foglia di Re. Allevierà il vostro dolore. - la rassicurò indicando con un gesto la ferita sulla fronte. Ritornò all'altro tavolo, versò dell'acqua in una bacinella e, dopo avervi immerso un panno, la appoggiò accanto alla ciotola - Prima però vi devo pulire il viso e il taglio. - aggiunse strizzando con decisione lo straccio bianco. Quindi iniziò l'operazione.
La ragazza trasalì al contatto del liquido sulla sua pelle, era leggermente freddo, ma vi ci si abituò subito. Lasciò che l'Elfo la curasse amorevolmente. Non appena la ferita venne ricoperta dall'erba provò sollievo e le fitte scomparvero immediatamente. Poi le fu fasciata la testa con una benda.
- Ecco fatto! Il taglio non è profondo, si cicatrizzerà moto velocemente. Fino a domani sera non dovreste provare più dolore, se ciò non accadesse vi prego di informarmi subito che provvederò a medicarvi di nuovo. - proclamò serio in volto.
- Va bene. - affermò lei scendendo dal tavolo - Vi ringrazio davvero molto per tutto! Senza di voi non avremmo mai... - iniziò a dire, ma venne interrotta prontamente dall'altro.
- Non dovete ringraziarci, è stato un nostro dovere! E poi voi mi avete salvato la vita. Venite, vi accompagno alla vostra tenda. -
Una volta entrata nel suo rifugio per quella notte, venne tempestata di domande. Suo fratello era molto preoccupato, ma lei lo rassicurò prontamente. Raccontò loro di aver visto Elisa che riposava, sana e salva. Tutti si tranquillizzarono molto di più. Dopodiché si coricarono nei loro giacigli crollando immediatamente in un sonno profondo.
La mattina seguente vennero svegliati di buon ora, il sole era appena sorto, e dopo una veloce colazione a base di Lembas, vennero fatti salire a cavallo. Ognuno di loro cavalcava con un guerriero elfico.
Appena furono tutti pronti partirono alla volta di Imladris. Erano una trentina in totale, gli altri erano rimasti all'accampamento, sotto il comando di Feanor, a difendere i confini.
Monica viaggiava con Elladan. Quella mattina aveva insistito molto nell'averla come compagna di viaggio e lei non aveva proprio potuto rifiutare. Era l'unica del tutto sveglia e bella pimpante nonostante l'alzataccia. E come poteva dormire? Era agitatissima.
Gli altri, invece, erano ancora insonnoliti: qualcuno aveva trovato i movimenti del quadrupede molto rilassanti e si era addormentato; qualcun altro aveva la testa che ogni tanto gli ciondolava a destra e a sinistra, ma cercava di rimanere sveglio.
Michele, come Monica, era abbastanza sveglio e continuava a spostare lo sguardo da Elisa, che dormiva beatamente fra le braccia dell'Elfo con il quale cavalcava, e costui a cui lanciava occhiate torve.

Era da un bel po', ormai, che erano in viaggio. Il tempo era cambiato in fretta. In mattinata il cielo si era annuvolato e adesso cadeva una fitta pioggerellina abbastanza fastidiosa che probabilmente non sarebbe durata molto, infatti i nuvoloni plumbei non promettevano nulla di buono. Avevano da poco abbandonato un vasto pendio che saliva lentamente fino ad incontrare i piedi della montagna più vicina, e adesso stavano attraversando valli strette, dai fianchi ripidi. Guardando giù potevano scorgere alberi e corsi d'acqua sul fondo. Proprio in quel momento un tuono squarciò il cielo facendo sobbalzare tutti i ragazzi. La pioggia iniziò a cadere copiosa fino a diventare un acquazzone. Questo li fece demoralizzare ancora di più. Proseguirono in un silenzio quasi obbligato: con tutta quell'acqua non era semplice la conversazione.
Passarono canaloni profondi, che potevano essere attraversati con un salto; precipizi scuri impossibili da oltrepassare; acquitrini e prati verdi con boccioli pronti a schiudersi nei fiori più belli. Monica, da sotto il cappuccio del mantello, cercava di guardarsi intorno, ma purtroppo, le gocce fitte le impedivano di vedere nitidamente e lontano. Proprio in quel momento qualcosa attirò la sua attenzione. In mezzo ad un prato vi era una macchia bianca che si muoveva. Cercò di aguzzare bene la vista, ma con tutta quell'acqua non le era facile. Riuscì comunque a capire che era un animale, un quadrupede per la precisione. “Dalla sua grandezza si direbbe un cavallo.” rifletté spostando lo sguardo di fronte a sé alcuni istanti, poi lo riportò nel punto in cui aveva appena visto l'animale, ma rimase sorpresa e interdetta: non vi era più niente, come se si fosse volatilizzato nel nulla. “Devo aver avuto un'allucinazione! Sarà colpa della botta di ieri alla testa.” constatò contrariata scuotendo appena il capo.
Il viaggio proseguiva a rilento. Un po' a causa del fango che si stava creando con l'acquazzone, un po' perché stavano seguendo un sentiero segnato da piccole pietre bianche difficili da scorgere con tutta quell'acqua, alcune erano anche nascoste dall'edera e dal muschio. I cavalli ogni tanto inciampavano sopra qualche radice impossibile da notare con tutto quel pantano.
Ma proprio quando la situazione iniziò a farsi decisamente problematica, a poco a poco la pioggia si fece più rada e infine smise di cadere. Anche le nuvole iniziarono a diradarsi mostrando il cielo che ormai era tinto di rosa e arancione.

Arrivarono sull'orlo di un dirupo quando ormai era quasi sera. Vennero investiti improvvisamente dal profumo degli alberi impregnati di pioggia e iniziarono ad udire lo scorrere dell'acqua sul fondo. Elladan sfiorò con la mano il braccio della ragazza, poi subito dopo le intimò di guardare lontano, e le indicò una valle in basso.
Gli occhi di lei la percorsero fino a bloccarsi su una luce sul lato della valle al di là del fiume - Quella è... - mormorò incapace però di continuare a causa dell'emozione che la invase rapidamente.
L'Elfo sorrise, poi confermò la sua supposizione.
Si incamminarono giù per il ripido sentiero a zig zag a piedi. Infatti si scivolava parecchio e rimanere in sella sarebbe stato pericoloso. Molti ragazzi rischiarono di cadere.
L'odore dei pini, man mano che scendevano, si faceva sempre più intenso rendendo l'atmosfera quasi magica.

Le prime stelle erano ormai sorte da un po' quando raggiunsero una radura vicino le sponde del fiume. Percorsero un sentiero che li portò fino a quelle, dove l'acqua scorreva veloce e rumorosa. Poco più in là vi era uno stretto ponte senza parapetto. I ragazzi lo osservarono preoccupati e perplessi, ma per la loro gioia proseguirono oltre. Era praticamente impossibile da attraversare.
“Strano... ricordo di aver letto ne "Lo Hobbit" che Bilbo e i Nani erano stati accolti da canti e risate... invece qui c'è un silenzio quasi pesante.” notò Diana guardandosi intorno, poi si girò verso l'amica - Moni! - chiamò sottovoce.
L'altra si voltò con un'espressione interrogativa sul viso mentre la rossa le si avvicinava – Dimmi. - - Non sembra anche a te che ci sia troppo silenzio? Dove sono i canti degli Elfi che accolgono le persone come raccontava Tolkien? - domandò a bassa voce.
Monica la osservò stupita alcuni secondi, poi alzò la testa e si guardò intorno, soffermandosi sui faggi e sulle querce che li circondavano. “Diana ha ragione, anche io ricordo questo dettaglio.” pensò.
- Non cantiamo più ormai da tempo! E poi sono pochi gli Elfi ancora presenti qui ad Imladris! - si intromise Elrohir secco, il tono arrogante, quasi di disprezzo, mentre camminava poco più avanti. Aveva percorso tutto il tragitto in disparte, sempre a capo del gruppo. Mai una volta aveva guardato indietro, o aveva accennato a parlare con il fratello.
Le due ragazze si guardarono sconvolte.
- Elrohir! - lo richiamò Elladan con un tono di rimprovero.
L'altro sembrava non avesse nemmeno sentito. Non si girò, ma procedette a passo veloce fino a che non scomparve alla vista di tutti.
Il fratello scosse la testa rassegnato – Perdonatelo. - mormorò verso le due ragazze con aria dispiaciuta.

Camminarono ancora per alcuni minuti fino a che non raggiunsero un altro ponte molto più largo e spazioso del precedente, anche questo però senza parapetto. Si congiungeva con una stradina che salendo portava direttamente all'interno dell'Ultima Casa Accogliente. Così la seguirono, quindi, superato un arco, raggiunsero uno slargo e qui, finalmente, si fermarono.
- Benvenuti ad Imladris! - esclamò Elladan rivolgendosi ai ragazzi che erano intenti ad ammirare il posto con le bocche aperte per lo stupore.

NOTA DELL'AUTRICE
Salve a tutti. Ehm... non uccidetemi vi prego! ^^; Lo so... è da un sacco di tempo che non aggiorno più la storia, non oso nemmeno fare i conti di quanti mesi sono passati, mi vergogno molto di questo, ma mi ero completamente impantanata. Spero mi perdoniate! E' stato un capitolo veramente difficile da "partorire". Ma alla fine ce l'ho fatta. ^__^ Non so come possa essere venuto, ho qualche perplessità. Spero di poter avere un vostro parere.
Ringrazio di cuore Ilaria che con la sua mail mi ha dato quella marcia in più per continuare. ^_-
Baci.
Kicca

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Capitolo 8
*** Confusione. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 7: CONFUSIONE.

Erano rimasti tutti senza parole mentre si guardavano intorno colpiti dalla bellezza del posto. Intanto i soldati si stavano dileguando insieme ai cavalli che probabilmente avrebbero portato nelle stalle. Le luci tenui delle torce appese alle colonne del porticato, che percorrevano in circolo lo slargo, rendevano l'atmosfera surreale. I ragazzi vennero travolti da un senso di pace e tranquillità, come se si trovassero a casa loro. Purtroppo la quasi totale oscurità non gli permetteva di ammirare, come avrebbero desiderato, quel luogo.
Elladan li osservava in silenzio sorridendo. Stava per dire loro qualcosa, ma un grido proveniente dal porticato lo fece voltare mentre il suo volto si illuminò.
Anche i giovani spostarono la loro attenzione nella direzione della voce e proprio in quell'istante videro un bambino correre verso l'Elfo con le braccine distese verso di lui.
- Adar! - gridò di nuovo con una vocina cristallina saltandogli in braccio dopo che l'altro si era chinato per abbracciarlo.
- Elveon! Mae govannen! - esclamò con un tono dolce e pacato.
Il piccolo rideva contento continuando ad abbracciarlo. Doveva avere più o meno tre anni. I capelli erano biondissimi e gli occhi verdi come lo smeraldo.
Subito dopo si fece avanti anche un'esile dama, somigliante moltissimo al bambino, che sorrideva dolcemente verso i due e, avvicinatasi ad Elladan, gli diede un bacio sulle labbra - Mae govannen, meleth nin. - gli sussurrò con gli occhi che le brillavano.
Si scambiarono altre parole, prima che un altro Elfo li raggiungesse e interrompesse quel quadretto familiare - Mio signore, vostro padre Elrond mi ha mandato a dirvi che aspetta gli ospiti per cena nel salone. Prima però desidera che gli assegnaste delle stanze così che possano cambiarsi e rinfrescarsi, se lo desiderano. - comunicò dopo aver fatto un piccolo inchino con la mano destra appoggiata sul cuore.
- Grazie Erestor! Dite a mio padre che non appena avrò sistemato gli ospiti lo raggiungerò nella sua stanza. - dichiarò.
- La cena sarà servita fra un'ora. - concluse quello prima di scomparire nel buio del porticato.
Subito dopo la dama gli sussurrò qualcosa e dopo aver fatto ai ragazzi un veloce inchino si allontanò con il figlio in braccio.
Elladan la seguì con lo sguardo fino a che non scomparì dalla sua vista, poi si voltò di nuovo verso di loro continuando a sorridere - Bene, come avete sentito, ora vi accompagno nelle vostre stanze, venite! - proferì voltandosi e incamminandosi.
I ragazzi si scambiarono una veloce occhiata e gli andarono dietro.

Percorsero svariati corridoi e numerosi gradini. Diana nel frattempo stava ripensando alle parole di quell'Elfo che si chiamava Erestor. Non aveva parlato in elfico e il fatto che avrebbero incontrato Elrond la agitava un bel po'. Lanciò un'occhiata a Monica per vedere se anche lei era nella sua stessa situazione, ma non sembrava turbata da ciò.
Questo perché non lo dava a vedere, stava tentando di concentrarsi sulla strada che stavano percorrendo e sulle cose che vedevano. Ma anche lei pensava all'incontro che si sarebbe tenuto di lì a poco.
Proprio in quel momento Elladan si fermò all'inizio di un lungo corridoio. - Queste stanze sono a vostra disposizione, scegliete quelle che volete e sistematevi a vostro piacimento. Fra poco dovrebbe raggiungervi qualcuno a portarvi degli abiti più consoni. - spiegò osservandoli - Vi ricordo che la cena verrà servita fra un'ora. Manderò qualcuno a prendervi e ad accompagnarvi nel salone. - annunciò.
I ragazzi affermarono con il capo e si diressero verso le porte delle stanze. Monica li stava imitando, ma si bloccò quando si sentì trattenete per un braccio. Si voltò con un'espressione interrogativa verso l'Elfo.
- Vorrei che voi mi seguiste, Dama Monica. Desidererei assegnarvi un'altra stanza. - rivelò sorridendole.
Lei lo guardò confusa, ma accettò affermando con il capo. Così attraversarono tutto il corridoio prima di sparire dietro l'angolo sotto lo sguardo sorpreso degli altri.
- Questa storia non mi piace! - esclamò seccato Alessandro aggrottando la fronte.
- Che c'è? Sei preoccupato per caso? - domandò Diana guardandolo maliziosa.
Lui le lanciò un'occhiataccia fugace e incrociò le braccia al petto - Certo! - ammise, arrossendo leggermente.
La ragazza scoppiò a ridere divertita - Oh avanti, non c'è nulla di cui ti devi preoccupare, tua sorella se la sa cavare da sola. E ora andiamo a sceglierci una stanza! - lo rassicurò lei afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso la prima porta a portata di mano.
- Se lo dici tu. - ribatté il moretto poco convinto, seguendola.

Nel frattempo Elladan e Monica avevano raggiunto la stanza. La ragazza era rimasta a bocca aperta per lo stupore. Era davvero grande e ben tenuta. Era illuminata dalla luce di candelabri appesi alle pareti o appoggiati sui mobili. Il soffitto era piatto con travi chiare. Il letto era matrimoniale e in legno finemente intagliato, appoggiato alla parete sulla sua destra. Di fronte a lei vi era un grande armadio, sempre in legno, a quattro ante sulle quali vi erano dei decori. Vicino a questo uno specchio lungo sorretto da una struttura in legno decorato. Sulla sua sinistra vi era una grande finestra aperta con le tende bianche che svolazzavano a causa del venticello primaverile che tirava. Avanti a questa vi era una scrivania, sempre in legno decorato. La stanza era invasa da un profumo di alberi e fiori e in sottofondo si sentiva lo scrosciare di una cascata.
- Vi piace? - chiese ad un tratto l'Elfo.
- Oh, sì! É bellissima! - mormorò lei continuando a far vagare lo sguardo.
- Sono contento! - riferì osservando l'espressione estasiata di lei - Nell'armadio dovrebbero esserci dei vestiti... scegliete pure quello che vi aggrada di più e indossatelo. - dichiarò prima di uscire dalla porta.
- Ma non ci sono problemi? Cioè... non appartengono a nessuno? - domandò sorpresa.
- Ora non più. - rispose sorridendole malinconico e triste - Scommetto che vi staranno benissimo! - esclamò ritornando allegro - Ora vi saluto. A più tardi. - terminò prima di chiudersi la porta dietro di sé.
La ragazza rimase ad osservarla per alcuni secondi interdetta. Quello che le aveva appena detto Elladan l'aveva confusa. Si recò verso il letto e vi ci sdraiò sospirando. "Pensandoci bene, la situazione in sé è strana. Il fatto di essere capitata nella Terra Di Mezzo, di essere stata rincorsa da un Troll, attaccata dagli Orchetti, salvata dagli Elfi e ora trovarmi ad Imladris... non mi sembra ancora vero!" pensò portandosi una mano sulla fronte e incontrando la stoffa della benda "Se non fosse per il dolore che ho provato per questa ferita crederei che questo sia un sogno." continuò alzandosi in piedi e raggiungendo lo specchio che mostrava tutta la sua figura.
Si portò le mani dietro la testa e slegò la fasciatura osservando attentamente la ferita. L'Athelas le aveva fatto bene: il sangue non usciva più e il taglio si era quasi del tutto rimarginato. Vi era rimasto solo il livido viola. Aveva preso proprio una bella botta. Appoggiò la lunga benda sulla scrivania, poi si voltò verso l'armadio e lo fissò alcuni istanti incerta sul da farsi. Mossi alcuni passi verso di questo gli si fermò davanti e lo aprì. Subito sgranò gli occhi marroni rimanendo a bocca aperta per l'ennesima volta.

I ragazzi si erano lavati e cambiati con i vestiti che alcuni Elfi avevano portato loro. Ora erano ognuno nella propria camera ad aspettare che qualcuno li andasse a chiamare per la cena.
Milena stava osservando il suo ragazzo seduta sul letto e sorrideva compiaciuta - Stefano, quei vestiti ti stanno proprio d'incanto! - lo elogiò.
- Grazie, ma non mi sento molto comodo vestito così. - rivelò osservandosi allo specchio dubbioso.
- Tu? E allora io che devo dire? - chiese contrariata lei alzandosi in piedi e indicando il vestito lungo di colore verde chiaro che indossava, le maniche corte strette fino a sopra il gomito e poi larghe e lunghe quasi fino a terra - Te vai a vedere che vado a cadere. - mormorò sollevando leggermente la gonna che sfiorava il pavimento.
- Imbranata come sei potrebbe accadere! - la prese in giro lui avvicinandosi e afferrandola per la vita sorridendo divertito.
- Grazie! Sei molto gentile! - sbottò lei offesa.
Lui scoppiò a ridere poi le diede un bacio veloce sulle labbra - Sei bellissima, quindi finiscila di lamentarti! - mormorò guardandola dolcemente.
Lei gli sorrise contenta e lo abbracciò a sua volta - Va bene, mio cavaliere! - affermò avvicinando lentamente la sua bocca a quella di lui. Stava per baciarlo, ma il bussare improvviso alla porta interruppe le sue intenzioni.
Stefano andò ad aprire, sciogliendosi a malincuore dall'abbraccio. Si ritrovò davanti un' Elfo che li informò che era venuto a prenderli. Quindi uscirono dalla camera e si ritrovarono tutti nel corridoio. O quasi. All'appello mancava Monica.
 Alessandro aveva chiesto notizie all'Elfo il quale gli aveva risposto che ci avrebbe pensato qualcun altro ad andarla a prendere. Il ragazzo fece una smorfia, per nulla compiaciuto della cosa.
Diana lo osservò divertita. Nonostante si punzecchiassero spesso e tentasse in tutti i modi di nasconderlo, voleva molto bene a sua sorella.
Si incamminarono, quindi, verso il salone commentando il modo in cui erano vestiti. Le ragazze indossavano abiti simili, ma di colori differenti corredati da scarpette di lino dello stesso colore o tonalità. I ragazzi invece indossavano una camicia con sopra una casacca e dei pantaloni; ai piedi calzavano un paio di stivali. Ad un tratto udirono una campana suonare. L'Elfo che li stava accompagnando spiegò loro che ciò significava che era ora di cena.
Michele chiese informazioni su Elisa, ma questo non seppe dargli delle risposte e gli consigliò di domandare ad Elladan non appena lo avesse visto.

Monica intanto stava sulla porta ed osservava la figura davanti a lei non sapendo cosa dire.
La dama le sorrise dolcemente - Sono venuta per accompagnarvi a cena, ma vedo che non siete ancora pronta. - riferì questa dopo averla scrutata.
- Oh, sì! Chiedo perdono, ma ecco... - mormorò arrossendo - non so proprio cosa indossare! - rivelò abbassando lo sguardo imbarazzata.
La dama rise divertita - Se me lo consentite, sarei felice di darvi un consiglio. - esclamò.
La ragazza la guardò alcuni secondi incerta, poi affermò e la fece entrare.
- Prima lasciate che mi presenti... il mio nome è Melime. - dichiarò facendo un piccolo inchino - Sono la sposa di Elladan. Vi prego di perdonarmi se non mi sono presentata prima. -
- Oh, non vi preoccupate! Piacere di conoscervi. Il mio nome è Monica. - rispose lei imitandola.
- Bene, Dama Monica... vediamo cosa abbiamo qui. - proferì raggiungendo l'armadio e iniziando a passare lo sguardo sugli abiti appesi.
- Sono così tanti che non ho la più pallida idea di cosa indossare! - confidò arrossendo di nuovo osservando la dama tirare fuori ogni tanto un vestito e poi riappenderlo dentro.
- Posso capirvi. Ma forse ho trovato quello che può fare al caso vostro. - annunciò mostrandole due abiti: uno azzurro chiaro, di seta, con delle decorazioni elfiche blu sul petto, le maniche fatte di velo e scollato; l'altro arancione, fatto con diversi strati di veli, ricamato sulle maniche e sullo scollo con decorazioni elfiche oro.
Monica li osservò indecisa, poi optò per quello azzurro chiaro.
Melime le sorrise e ripose l'altro nell'armadio. Poi le porse quello scelto e le disse che l'avrebbe attesa di fuori.

I ragazzi erano giunti in un grande salone. Vi era un lungo tavolo al centro e accanto a questo altri due tavoli più corti. Erano presenti numerosi Elfi, ma anche alcuni Uomini intenti a parlare fra di loro. Non appena li scorsero iniziarono a lanciargli occhiate curiose. Avevano tutti capelli scuri, a parte una piccola minoranza dei primi che li aveva biondi. Uno di questi era intento a parlare con Elladan ed un altro Elfo molto somigliante a quest'ultimo. Non appena li scorse avvisò i due indicandoli con un cenno del capo.
Elladan si voltò e sorrise loro - Ben ritrovati! - li accolse - Vestiti così state decisamente meglio! - rivelò prima di voltarsi verso i due Elfi lì accanto - Lasciate che vi presenti mio padre Elrond... - iniziò indicando questo che si inchinò, imitato dai ragazzi; aveva lunghi capelli scuri e occhi grigi che brillavano, in testa portava un cerchietto d'argento - e Glorfindel! - terminò mentre anche questo si inchinava.
Era alto e i suoi capelli d'oro lucenti erano lunghissimi. Li squadrò per molto tempo con i suoi occhi grigio-verdi, ma non aprì bocca.
Elrond invece, aveva fatto loro alcune domande sul loro mondo e anche su Tolkien e si era detto immensamente rammaricato nell'aver appreso la notizia della sua morte.
Passarono così svariati minuti. Alessandro non aveva fatto altro che guardarsi attorno alla ricerca della sorella che non riusciva a scorgere da nessuna parte e iniziava a spazientirsi. "Perché non è ancora qui? Possibile che anche quando è ospite di qualcuno deve farsi attendere?" pensò sbuffando.
Proprio in quell'istante due dame fecero ingresso nel salone che lentamente smise di risuonare del vociare dei presenti. L'attenzione di tutti venne riposta su una delle due figure femminili che si stavano avvicinando al gruppetto di ragazzi.
Elladan, che era intento a rassicurare Michele sulle condizioni di Elisa, alzò istintivamente lo sguardo e si bloccò sgranando sorpreso gli occhi grigi.
Elrond e Glorfindel, notando il suo strano comportamento, lo imitarono e anche loro ammutolirono. I giovani, notando l'improvviso silenzio e la strana atmosfera venutasi a creare, si voltarono curiosi per scoprire cosa stesse succedendo. Si ritrovarono davanti l'Elfa bionda che avevano visto poco prima. Accanto a questa, una bellissima dama avvolta in un vestito azzurro chiaro. Aveva dei lunghi capelli castani che le ricadevano sciolti sulle spalle, gli occhi marroni che sembravano puntellati si stelle e un dolce sorriso sulle labbra. I ragazzi la fissavano tutti con la stessa sensazione di averla già vista da qualche parte.
Gli altri invece la guardavano increduli e spaesati. Poi Glorfindel, ripresosi leggermente dallo shock, mosse un passo in avanti e con aria confusa mormorò: - Non può essere... Erdie? - esprimendo così il pensiero della maggior parte dei presenti.
La fanciulla lo guardò interrogativamente non capendo a cosa si riferisse. Era talmente imbarazzata in quel momento che non sapeva nemmeno cosa rispondere. Da quando era entrata nel salone si era sentita al centro dell'attenzione e la sua già parziale agitazione che aveva per l'incontro che di lì a poco avrebbe avuto con Elrond, era andata ad aumentare. A salvarla da quella situazione, per lei abbastanza scomoda, fu Melime che prontamente prese la parola.
- Vi sbagliate Glorfindel... il suo nome è Monica, fa parte anche lei del gruppo di giovani Uomini tratto in salvo da Elladan! - spiegò.
- Mo'? - chiese subito Alessandro osservando ora stupito la sorella che non aveva proprio riconosciuto.
Gli amici la circondarono evidentemente sconvolti.
- E io che ti avevo scambiata per un'Elfa! - esclamò Sabrina interdetta.
- Cavoli, sei proprio diversa! - commentò invece Mirco.
Monica non riusciva a spiccicare parola e alternava lo sguardo uno ad uno sui ragazzi. Ad interromperli fu Elrond.
- Piacere di conoscervi Dama Monica e benvenuta ad Imladris! Spero che vi troverete bene qui! -
- Il piacere è tutto mio Messer Elrond! - farfugliò inchinandosi leggermente dopo essere arrossita vistosamente.
- Bene, ora che siamo tutti, possiamo anche sederci a tavola. Immagino che siate affamati! - proruppe l'altro facendoli accomodare ad un tavolo laterale.
Nel frattempo Melime si era avvicinata ad Elladan e dopo averlo osservato alcuni secondi sorrise leggermente divertita - É impressionante la loro somiglianza, non è vero? Anch'io ho avuto una simile reazione quando l'ho vista prima con quel vestito! - rivelò.
- Già... e forse non avrei dovuto osare così tanto. - replicò leggermente amareggiato.
- Ci abitueremo tutti presto alla cosa. E poi, da quello che ho intuito, li vedremo gironzolare per Imladris per un bel po' di tempo. - lo rassicurò.
- Quello che mi preoccupa più di tutti è come potrà reagire mio fratello. - dichiarò mentre faceva sedere Melime e poi si sedeva lui - Non la prenderà molto bene! - concluse.
- A proposito... dove è finito? - domandò l'altra non notando la sua presenza.
- Lascialo stare, a quanto pare ora sono due le presenze che non gradisce qui ad Imladris. - rispose questo, lanciando uno sguardo gelido ad una dama dai lunghi capelli neri e gli occhi blu inespressivi e freddi.
Questa sentendosi osservata, ricambiò lo sguardo e gli sorrise gentilmente inclinando leggermente il capo in segno di saluto.
- Capisco. - commentò seccata Melime dopo aver ricambiato anche lei il saluto.

La cena era durata molto ed era stata abbastanza opprimente, almeno per Monica che si era sentita addosso lo sguardo di tutti per tutto il tempo. Sopratutto quello di Glorfindel.
Gli amici invece si erano abbuffati allegramente, felici di poter mettere di nuovo qualcosa di sostanzioso nello stomaco dopo un lungo periodo. Si erano appena alzati e ora stavano percorrendo un ampio corridoio che li condusse in un'altra sala. Vi era un grande fuoco che bruciava in mezzo, non vi era altra luce, né tavoli; e delle colonne scolpite fiancheggiavano la stanza.
Diana e Monica la riconobbero subito: era il salone del fuoco. Tutti si sistemarono su degli sgabelli tranne Elrond, Melime e Elladan che si sedettero su delle poltrone.
- Bene, ora vorrei che mi raccontaste le vostre vicende, chi se la sente? - domandò Elrond mentre la voce rimbombava tutt'intorno, osservandoli uno ad uno.
Ci furono alcuni istanti di silenzio in cui gli interpellati si guardarono indecisi, poi spostarono lo sguardo su Monica la quale lanciò loro un occhiata disperata e agitata. Non aveva nessuna intenzione di mettersi maggiormente al centro dell'attenzione. La cosa le dava un fastidio tremendo: si sentiva in imbarazzo totale. Fortunatamente venne in suo aiuto Diana che, avendo intuito il problema dell'amica, si offrì gentilmente. Monica la ringraziò con tutto il cuore per quel gesto, ora più sollevata.
Quindi rimasero tutti in silenzio ad ascoltare il suo discorso, terminato il quale Elrond prese parola.
- Innanzi tutto voglio rivelarvi che sapevamo del vostro arrivo! - dichiarò lasciando sgomenti i ragazzi - L'ho visto, non molto tempo fa, anche se non sapevo di preciso quando ciò sarebbe accaduto. Questo è un motivo per cui vi abbiamo acconsentito di venire qui. Eravamo al corrente che voi non foste spie. - riferì.
Sabrina corrugò la fronte e voltatasi verso Diana chiese bisbigliando spiegazioni sulla frase dell'Elfo. L'amica le rivelò che Elrond era in grado di vedere il futuro, o almeno una parte.
- Non è una situazione facile la vostra. - riprese serio - Il fatto è che gli Orchetti, ultimamente, si stanno facendo sempre più ostinati e sprezzanti del pericolo. Ne è un esempio il fatto che abbiano attraversato il Bruinen. Di solito non si spingono sin dall'altra parte perché sanno che rischierebbero grosso dato che è un nostro territorio. In più, il fatto che quel battaglione sia stato del tutto eliminato, probabilmente li porterà a raddoppiare, se non triplicare, il numero del prossimo che si apposterà lì nei dintorni. Questo vi impedirà per molto tempo di tornare a casa. Senza contare che dovrete comunque attendere che guarisca la vostra amica. -
I ragazzi sospirarono rassegnati all'udire quelle parole.
- Una volta questo posto era pieno di vita. I canti di noi Elfi risuonavano per tutta la vallata; questo salone nei giorni festivi si riempiva di musica dei menestrelli e venivano narrate le storie più antiche. Vi è stato sempre un via vai di Raminghi, Nani, Hobbit e Stregoni anche durante la guerra dell'Anello. Ma purtroppo tutto è cambiato, la speranza che ci era rimasta durante quel periodo buio, ormai ha lasciato il mio cuore e quello di tutti gli altri. I Valar sembra si siano scordati della nostra esistenza. L'unica cosa che ci dà il coraggio di combattere è la voglia di rimanere in vita e non soccombere, ma anche questa ci sta pian piano abbandonando. Ormai il numero della gente libera sta diminuendo a vista d'occhio, mentre quello del nemico, del Male, aumenta di giorno in giorno come alimentato da qualche potentissima forza. Prima o poi anche noi soccomberemo. Posso vederla chiaramente davanti ai miei occhi... l'oscurità che ci avvolgerà. Nessuno spiraglio di luce... che la potrà attraversare. - concluse con lo sguardo basso. Sembrava che tutte le ere che aveva vissuto sino a quel momento gli fossero piombate addosso a pesargli sul cuore e sull'anima. Quella figura regale e austera che avevano visto fino a poco prima, e di cui Monica e Diana avevano letto, si era trasformata in una vecchia e stanca, irriconoscibile.
Anche tutti gli altri ora erano immersi nei loro cupi pensieri. Lo sguardo assente. In molti potevano scorgere paura e sconfitta.
Anche i giovani avevano iniziato a guardarsi spaesati e spaventati.
- Non ci credo! - gridò una voce facendo sobbalzare alcuni dagli sgabelli - Non può essere vero! - continuò mentre lo sguardo di tutti si andò a posare ancora una volta sulla ragazza che ora aveva le braccia lungo i fianchi che le tremavano per la rabbia - Voi tutti... che siete riusciti a superare le più dure intemperie, che avete vinto molte battaglie contro il Male nelle sue svariate forme... non potete parlare in questo modo e arrendervi proprio ora! - obbiettò Monica con tono deciso, lo sguardo duro e gli occhi taglienti.
I presenti nella stanza la guardarono sorpresi. Poi qualcuno scoppiò a ridere, ma era una risata amara e derisoria. - Come potete dire certe cose... voi non avete mai combattuto! Non avete mai provato cosa vuol dire perdere persone care, amici e compagni. Siamo stanchi di vedere la morte davanti ai nostri occhi. Ci abbiamo provato a lottare, ma è stato tutto inutile! - replicò con tono cupo Glorfindel guardandola male.
- No, non lo so... ma so che il vostro comportamento è da vigliacchi! - sentenziò non distogliendo lo sguardo da quello dell'Elfo.
Ci furono alcuni secondi di totale confusione. Prima si levarono esclamazioni di incredulità, poi di rabbia che molti sfogarono contro di lei.
Elrond stava per intervenire per placare tutto quel trambusto, ma la voce di Monica sovrastò quella di tutte.
- É così che intendete ripagare il sacrificio delle persone che voi chiamate amici e compagni? Arrendendovi? - urlò con le lacrime che le pungevano agli angoli degli occhi, il silenzio ripiombò nella sala - Volete che la loro morte sia vana? Volete che i vostri figli o nipoti soffrano come hanno sofferto loro e come state soffrendo voi, oppure desiderate che abbiano un futuro? Credevo che foste gente forte e valorosa e non il branco di fifoni che ora ho davanti ai miei occhi! - urlò prima di calmarsi e di ritornare a parlare con un tono più basso - E... non mi venite a dire che non c'è più speranza... perché se siete voi i primi a crederci, non potrà mai scomparire! Posso capire che avete paura, chi non l'avrebbe! E capisco anche che quello che state passando è un periodo difficilissimo, ma non siete soli, o almeno non ancora. Ci sono gli altri Popoli Liberi della Terra di Mezzo, unitevi tutti insieme e sconfiggete il Male! - mormorò mentre le lacrime le rigavano gli occhi.
- Questi non sono problemi che ti riguardano! - proruppe una voce dalla porta - Tu non fai parte di questo mondo, quindi non venirci a dire come dobbiamo comportarci! Non lo tollero! - gridò Elrohir infuriato.
La ragazza lo guardò alcuni secondi spaesata, ma poi ritornò seria.
Nel frattempo, l'Elfa dallo sguardo di ghiaccio, lo aveva raggiunto e ora gli sorrideva contenta aggrappata al suo braccio. Lui non la badò minimamente.
- La pensate tutti così? - chiese guardandosi intorno e un sorriso triste e risentito le si formò sul viso notando le espressioni che avevano tutti in quel momento - Bene! Allora soccombete e morite senza ribellarvi! Spero soltanto che quando vi accorgerete dell'errore che state facendo non sarà troppo tardi! - dichiarò dopo essersi alzata, quindi, senza salutare, si voltò ed uscì dalla stanza con passo spedito, non prima di aver lanciato un'occhiataccia ad Elrohir che ricambiò sprezzante.
Gli amici avevano seguito la scena ammutoliti, con gli occhi sgranati. L'unica cosa che stava passando loro per la testa era: che diavolo le era preso?

Raggiunta la sua stanza sbatté la porta dietro di lei e si fermò al centro, ansimante e tremante. Gli occhi marroni arrossati sgranati per l'incredulità. "Che cosa sta succedendo a tutti qua? Non è lo stesso posto di cui Tolkien ha scritto." pensò, poi raggiunse il terrazzo. L'aria fresca della sera la colpì in pieno viso aiutandola a calmarsi. Osservò la miriade di stelle sopra il suo capo appoggiandosi al parapetto "No, la domanda giusta è... che cosa mi è preso?" si chiese spostando lo sguardo sulle sue mani "Io... perché ho detto quelle cose? Ha ragione Elrohir, non avevo il diritto di parlare in quel modo, ma... le parole mi sono uscite da sole dalla bocca... e poi quegli sguardi di rassegnazione e sconfitta... non sono riuscita proprio a sopportarli!". Sospirò e si andò a coricare sul letto. Dopo pochi minuti si addormentò esausta.


NOTE DELL'AUTRICE
Come potete notare sono viva e ho ancora tutta l'intenzione di continuare la storia ^_-. Come al solito sono scettica sulla riuscita del capitolo, se non vi è chiaro qualcosa domandate e cercherò di spiegarvi tutti, se possibile. Poi voglio ringraziare di cuore tutti coloro che continuano a recensire: mi fa molto piacere la cosa perché sostenendomi mi aiutate a proseguire. Un grazie è doveroso farlo anche a coloro che leggono e basta, siete tantissimi e ne sono felice ^_^.
Per Chaosreborn: Per il motivo dell'ostilità di Elrohir dovrai attendere ancora, non so nemmeno io quanto, ho intenzione di tenerlo rivelato ancora per un po', ma potrei anche spiegarlo nel prossimo capitolo. E come puoi notare non te la sei immaginata la vena di malinconia^^.
Per Thiliol: Grazie per i complimenti e credo di aver chiarito un po' il mistero di cui parlavi con questo capitolo.
Un bacione grande e alla prossima.
Kicca

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Capitolo 9
*** Un nuovo amico. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 8: UN NUOVO AMICO.

Il sole era sorto da alcune ore ormai, ma i suoi tiepidi raggi avevano raggiunto da poco la valle di Imladris accarezzando le piccole gemme e le verdi foglioline che erano da poco cresciute sui rami degli alberi e gli aghi dei sempreverdi; mentre una fitta nebbiolina si stava lentamente diradando lasciando che la brina, sopra gli svariati tipi di fiori e l'erbetta, si sciogliesse facendo posto alle gocce di rugiada.
Una figura stava percorrendo un corridoio dell'Ultima Casa Accogliente con passo spedito. Si trattava di Elladan, intento a ripensare alla sfuriata di suo fratello di qualche minuto prima. Come aveva immaginato, il fatto di assegnare quella stanza a Dama Monica era stata una pessima idea. Scosse la testa rassegnato, ormai il danno era fatto. In più, all'altro, non gli erano andate proprio giù le parole della ragazza della sera precedente.
- Come si è permessa di dire certe cose?Ci ha perfino insultati definendoci vigliacchi! E perché nostro padre non è intervenuto? Dovrebbe chiedere scusa a tutti quanti! - urlò tutto d'un fiato percorrendo avanti e indietro la stanza con lunghe falcate, lo sguardo cupo e accigliato, mentre lui lo guardava appoggiato alla scrivania con un sopracciglio alzato, l'aria leggermente divertita e le braccia intrecciate al petto.
- Elrohir, calmati! - esclamò con tono pacato - Fare un solco nel pavimento del mio studio non servirà a niente. - suggerì beccandosi poi un'occhiataccia dall'altro - Non guardarmi in quel modo... in fin dei conti la ragazza ha ragione. - proruppe trattenendo poi il fiato in attesa della replica che non tardò ad arrivare.
- Cosa?! Credo di non aver capito bene! -
- Avanti, lo sai benissimo anche tu che ciò che ha detto non era sbagliato... certo, il modo in cui l'ha fatto non è stato dei migliori... - iniziò Elladan, ma venne interrotto.
- No, che non lo è stato! Avrebbe bisogno di una lezione di buone maniere, quella! - precisò Elrohir con un'espressione accigliata in viso.
- Fatto sta che quello che ha detto è la pura verità. Ci stiamo facendo sopraffare dal Male e questo non è da noi. Hai visto anche tu le facce che avevano tutti. Sopratutto nostro padre e Glorfindel. Dimmi una cosa... da quando è che abbiamo iniziato ad essere così pessimisti e a rinunciare anche alla più flebile speranza? - domandò guardandolo dritto negli occhi.
Elrohir contraccambiò lo sguardo per alcuni istanti, poi abbassò la testa.
- Quello che ti dà fastidio, fratello, non è il modo in cui l'ha detto, ma il fatto che una ragazza proveniente da un altro mondo abbia in pochi istanti capito quello che ci sta succedendo... e ci abbia sbattuto la realtà in faccia. - dichiarò serio, sospirò e poi riprese - In fondo non è quello che una certa persona di nostra conoscenza sta cercando di dirci da un bel po' di tempo? - chiese mentre un sorrisetto malizioso gli comparve in viso.
L'altro lo guardò interrogativamente non afferrando.
Elladan stava per dargli spiegazioni, ma il bussare alla porta lo interruppe, quindi diede il permesso di entrare.
- Mio signore Elrohir, vostro padre vi sta cercando. - riferì l'Elfo.
- Grazie Erestor, arrivo! - esclamò dirigendosi verso la porta.
- Elrohir! - lo chiamò l'altro guardandolo serio, non appena si era voltato - Fai attenzione a Morwen. - gli consigliò.
L'altro accennò un sorriso divertito - Da quando la chiamate in quel modo? -
- É stata Melime a darle questo soprannome. -
- Direi che è perfetto! - constatò, poi ritornò serio - Non ti preoccupare... come puoi vedere cerco di starle il più lontano possibile. - riferì uscendo dalla stanza.
- Ah! - aggiunse Elladan facendolo bloccare - Comunque "quella", come l'hai definita prima tu, ha un nome... è Moni... - ma non terminò la frase perché l'altro gli sbatté violentemente la porta in faccia.
Doveva ammetterlo, punzecchiare suo fratello lo faceva divertire un mondo. "Se non altro sono riuscito a farlo ragionare!" pensò dopo aver ricordato la vicenda e un sorriso beffardo gli si dipinse sul viso. Quindi raggiunse la sua stanza, ma non vi trovò nessuno. Corrugò la fronte contraddetto. "Dove saranno finiti?" si chiese, poi fece spallucce "Probabilmente sono su una terrazza a fare due passi." rifletté, quindi si diresse verso delle scale che iniziò a salire.

Monica stava percorrendo di corsa un lungo corridoio. Con entrambe le mani sorreggeva il vestito verde scuro che indossava. I suoi passi riecheggiavano tutt'intorno. Poco prima un Elfo aveva bussato alla porta della sua stanza e l'aveva informata del risveglio della sua amica Elisa. Così si era cambiata velocemente e era uscita dalla camera trafelata. In quel momento non le importava di poter essere ripresa a causa del suo comportamento: correre per i corridoi non era di certo una cosa che facevano solitamente le dame della Terra di Mezzo, anche perché con quei vestiti lunghi era un'impresa riuscirci senza inciampare. Comunque sperò ugualmente di non incontrare nessuno in giro. Ma non fece in tempo ad augurarselo: dall'angolo comparve Elladan che si fermò ad osservarla stupito. La ragazza in un primo momento optò per il fermarsi, ma ritornandole in mente come si era comportata la sera precedente, preferì proseguire a testa bassa proferendo un "buongiorno" affrettato quando gli passò accanto.
L'Elfo, interdetto, la seguì con lo sguardo fino a che non scomparve dalla sua vista. "Ne aveva di fretta! Sarà successo qualcosa?" si domandò riprendendo a camminare perplesso. Poco più avanti incontrò un'Elfa e decise di chiedere informazioni a lei. Questa gli riferì del risveglio della ragazza ferita che era stata portata lì il giorno precedente. Elladan allora sorrise contento e si prefissò di andarle a far visita non appena avrebbe trovato sua moglie e suo figlio di cui nemmeno l'altra sapeva nulla.

Intanto la ragazza castana aveva raggiunto la stanza in cui era stata sistemata l'amica e aprì di colpo la porta catapultandocisi dentro. La camera era simile alla sua, ben illuminata, ma la disposizione dei mobili era diversa.
Vi erano presenti solo Michele ed Elisa che avevano sobbalzato per lo spavento e ora la guardavano leggermente sconvolti. Sopratutto Elisa che, vedendola vestita in quel modo, non la riconobbe subito.
Aveva il fiatone, le guance leggermente arrossate e il cuore che le batteva fortissimo nel petto. La sua attenzione era del tutto rivolta alla moretta che le regalò un debole sorriso. Monica cercò di ricambiare il gesto mentre le si avvicinava e la vista le si appannava a causa delle lacrime che ora le pungevano agli angoli degli occhi. Poi, non appena fu a pochi passi da lei, la abbracciò di slancio scoppiando a piangere.
L'altra lasciò la presa della mano del suo ragazzo e le circondò la schiena con le braccia. Rimasero in quella posizione per alcuni minuti.
- Ho avuto tanta paura di perderti! - mormorò fra un singhiozzo e l'altro staccandosi dall'abbraccio e sedendosi sul grande letto a una piazza accanto all'altra, poi le scansò una ciocca di capelli davanti al viso pallido e spostò la mano fino a raggiungere quella dell'altra che strinse piano.
- Sì, lo so. - proclamò flebilmente Elisa dato che faceva fatica a parlare con la voce impastata - Non piangere. - aggiunse notando le lacrime che ogni po' le rigavano ancora il viso.
- Sono così felice! - dichiarò asciugandosi con la mano destra gli occhi marroni.
- Michele... mi stava spiegando... cosa è successo. - riferì spostando lo sguardo sul ragazzo che era seduto su una sedia accanto al letto - Non riesco a crederci! - continuò.
L'amica ridacchiò divertita - Nemmeno io. - confessò sorridente - Ma a quanto pare è tutto vero! -
- La tua ferita... come sta? - chiese l'altra osservando preoccupata la sua fronte.
- Il dolore è passato, mi è rimasto solo questo sfregio. - rispose scansando una ciocca dei lunghi capelli che copriva il taglio.
- Bene! Mi fa piacere! - esclamò.
- É venuto qualcuno a visitarla? - domandò quindi a Michele dopo aver spostato lo sguardo su di lui.
- No, ancora nessuno. Ma un Elfo mi ha detto che avrebbe avvertito subito Messer Elrond e gli altri. - la avvisò.
Lei si irrigidì al sentire pronunciare quel nome - Ah! - disse solo, facendosi improvvisamente seria e pensierosa.
- C'è qualcosa... che non va? - le chiese Elisa corrugando la fronte.
Lei la guardò non sapendo cosa rispondere. In quell'istante la porta si aprì ed entrarono tutti gli altri ragazzi che euforici si precipitarono accanto al letto e iniziarono a riempire di domande la moretta. Alessandro, passando accanto alla sorella, le lanciò un'occhiata alterata.
Lei contraccambiò senza scomporsi minimamente. Credeva di sapere il motivo della sua rabbia, ma in quel momento non aveva voglia di discutere: era felice e non voleva finire per litigare con lui. Quello che la preoccupava era l'imminente arrivo di coloro con cui la sera precedente aveva avuto il diverbio. L'agitazione prese così il sopravvento. Aveva una gran voglia di alzarsi e allontanarsi da quella stanza, e lo stava per fare, se non fosse che, proprio nel momento in cui si era decisa a muoversi, Elrond e gli altri varcarono la soglia.
Tutti ammutolirono e indietreggiarono per far spazio ai nuovi arrivati che si avvicinarono al letto.
Monica non si soffermò ad osservarli nemmeno un istante, ma fissò lo sguardo sulla tenda candida che svolazzava con la brezza del mattino iniziando a trovarla molto interessante.
Con Elrond vi erano Erestor, Glorfindel ed Elrohir. Quest'ultimo fece vagare gli occhi grigi per tutta la stanza e, non appena scorse la figura della ragazza, li strinse in due fessure, incupendosi.
Anche Glorfindel le lanciò un'occhiataccia.
- Benvenuta ad Imladris, nella mia dimora! Il mio nome è Elrond. - si presentò l'Elfo sorridendole dolcemente - Sono contento che vi siate ripresa! Come vi sentite? -
- Piacere! Io mi chiamo Elisa. - si presentò la moretta - Sono stanca... e spossata. La spalla... mi fa molto male! - rispose scrutando attentamente quelle figure che le incutevano timore.
- Immagino. Avete bisogno ancora di riposare, ma entro due giorni dovreste iniziare a sentirvi meglio e a riacquistare le forze. -
- Vi ringrazio... per avermi aiutata... e averci ospitati. - mormorò lei riconoscente.
- Non dovete ringraziarci, abbiamo fatto il nostro dovere! -
- Almeno voi le conoscete le buone maniere! Al contrario di qualcun altro che, invece di esserci riconoscente, ci ha insultati! - proruppe Elrohir che non aveva distolto lo sguardo da Monica nemmeno per un secondo.
Elisa aggrottò la fronte non capendo cosa volesse dire l'Elfo.
Gli altri pregarono che alla loro amica non saltasse in mente di comportarsi come la sera passata.
"Ecco... lo sapevo che non me l'avrebbe fatta passare liscia!" pensò la ragazza sospirando rassegnata  girandosi verso di lui.
- Elrohir! - lo riprese il padre.
- Cosa c'è? Avete perso la voce durante la notte? - domandò l'altro, incurante di essere stato richiamato.
"E va bene! Mi scuserò ora... tanto avevo già programmato di farlo più tardi." rifletté lei - No! Mi dispiace deludervi! - rispose seccata - E... - proseguì seria continuando a guardarlo - Mi scuso per come mi sono comportata ieri sera. -
Tutti rimasero sorpresi dalle sue parole e la stanza calò nel silenzio per alcuni istanti.
- Scuse accettate! - riferì Elrond sorridendole.
Anche lei sorrise, ora più sollevata.
Elrohir non sembrava affatto dello stesso parere del padre, ma non replicò.
- Ora sarebbe meglio lasciar riposare la vostra amica. - suggerì Elrond.
I ragazzi affermarono e, salutata la ragazza, uscirono dalla camera. Michele le diede un bacio sulla fronte promettendole che sarebbe tornato a trovarla nel pomeriggio. Lei affermò con il capo, poi lo seguì con lo sguardo scomparire dietro la porta che venne chiusa. Sospirò, chiuse gli occhi e si addormentò subito.

Nel pomeriggio il tempo peggiorò. Il cielo si annuvolò velocemente e iniziò a piovere, creando una strana atmosfera nell'Ultima Casa Accogliente. Il silenzio che vi aleggiava era velato da malinconia e tristezza.
Monica osservava distrattamente la pioggia cadere, immersa nei suoi pensieri, teneva le braccia incrociate sotto il petto, appoggiata al muro accanto alla finestra che dava sul balcone, nella stanza di Elisa.
Gli altri stavano ricordando i pericoli a cui erano scampati i giorni precedenti, sia con i Troll, sia con gli Orchetti. Alcuni erano seduti sul letto, altri su delle sedie o sgabelli. Non risentivano affatto di quell'aria un po' opprimente che si era creata, al contrario della loro amica.
- Certo che quegli esseri sono proprio brutti! - esclamò Sabrina rabbrividendo.
- Chiamandoli brutti gli fai un complimento... sono orripilanti! - la corresse suo cugino.
- Hai ragione, Mirco. - asserì la biondina.
- E puzzano tremendamente! - aggiunse Leonardo con espressione disgustata in viso.
- Non me lo ricordare... stavo per vomitare quando si sono avvicinati a noi. - riferì Milena.
- A me, piuttosto, sembrava che stessi per morire di paura. - si intromise Stefano guardandola divertito.
- C'è poco da ridere! - lo ammonì lei seria, gli occhi verdi lo fulminarono.
- Scusa. - mormorò lui dandole un bacio sulla guancia per farsi perdonare.
- Comunque... la cosa più sconvolgente... è stato finire in questo mondo di cui solo una persona prima di noi conosceva l'esistenza... e che noi credevamo frutto della sua immaginazione. - dichiarò Alessandro.
Gli altri affermarono, pienamente d'accordo con lui.
- Ti sbagli... la cosa più sconvolgente è stata vedere tua sorella tagliare con un colpo netto la testa di quell'Orchetto. - replicò Diana spostando lo sguardo sull'amica che non accennò a muoversi.
Sembrava non li avesse sentiti e continuava a guardare fuori dalla finestra.
- Moni! - la chiamò Elisa.
L'altra si riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso di loro guardandoli interrogativamente - Mi avete chiamata? - domandò.
- Buonanotte! - esclamò ironico Michele sorridendo.
- Stavamo ricordando di come hai fatto fuori quell'Orchetto l'altro giorno... - spiegò Mirco - Certo che ne hai di sangue freddo! -
- Più che altro... come diavolo hai fatto in un solo colpo? - chiese stupito Stefano - Cioè... era la prima volta che maneggiavi una spada, no? -
- Sì, certo! - confermò la ragazza leggermente imbarazzata, poi notando che tutti stavano attendendo delle spiegazioni proseguì - Non lo so nemmeno io... mi è venuto naturale. -
- Naturale? Io non ci trovo niente di naturale nel maneggiare una spada! - commentò Leonardo.
Lei fece per ribattere, ma poi si bloccò - Non so cosa dirvi, ragazzi. - li informò con aria abbattuta.
- Sei diversa! - proruppe il fratello dopo alcuni istanti di totale silenzio, gli occhi verdi fissi su di lei, l'espressione grave.
- Diversa? Perché dici questo? Sono sempre la stessa! - replicò lei sorpresa dalla sua accusa.
- No che non lo sei! Guarda come ti sei comportata ieri sera, ad esempio! -
- Ancora con questa storia? - domandò sbuffando - Mi sembra di essermi scusata... quindi falla finita per favore! - ricordò iniziando ad irritarsi.
- Tu non ti saresti mai permessa. - riferì l'altro alzandosi in piedi.
- Perché sostieni questo? Come fai a saperlo? - chiese alzando la voce.
- Perché ti conosco, accidenti! Sono tuo fratello! - gridò lui adirato, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Allora non mi conosci affatto! - lo imitò guardandolo severa - Anzi, sai che ti dico... avrò anche sbagliato il modo... ma quello che ho detto ieri sera non me lo rimangio perché è ciò che penso! - rivelò urlando arrabbiata.
Alessandro la guardò incredulo e spiazzato per alcuni secondi - Ti rendi conto di come ti stai comportando e quello che stai dicendo? - la informò, era allibito, non aveva mai visto sua sorella reagire in quel modo.
La ragazza non rispose, ma iniziò ad alternare lo guardo prima su di lui e poi sugli altri che la guardavano sconvolti. Strinse i pugni, si voltò di scatto e si precipitò verso la porta che spalancò, quindi uscì dalla stanza scontrandosi con Melime che la guardò stupita correre via.
Elladan, dietro di lei, aveva la stessa espressione. I due Elfi si lanciarono uno sguardo d'intesa, poi entrarono nella camera.
- É successo qualcosa? - chiese pacata Melime. Inutile domanda la sua, dato che avevano ascoltato tutto il litigio, ma non intenzionalmente. Chiunque, nel raggio di alcuni metri, non avrebbe avuto nessun problema a seguire il dibattito dato il tono acceso in cui era avvenuto. Sopratutto se si trattava di Elfi.
- No, non è niente. - li tranquillizzò Diana sorridendogli.
- Meglio così! - dichiarò Elladan osservando Alessandro risedersi sullo sgabello, cupo in volto, poi si voltò verso Elisa - Vi trovo abbastanza bene! -
- Grazie! - rispose soltanto, continuando ad osservare la porta preoccupata.
I due Elfi rimasero lì a parlare con loro per alcuni minuti, poi se ne andarono.

Monica era rannicchiata a terra, la fronte appoggiata sopra le ginocchia e le braccia che circondavano le sue gambe. Era seduta sotto un portico appoggiata ad una colonna. Confusa, stava rimuginando su quello che era accaduto poco prima. Aveva la testa che le scoppiava ed era decisamente afflitta, quindi stava cercando di concentrarsi sullo scrosciare della pioggia per rilassarsi quando un grido, seguito da una risata cristallina, attirarono la sua attenzione. Sollevò il capo guardandosi intorno. I rumori si facevano sempre più vicini, successivamente in lontananza scorse un bambino sgambettare verso la sua direzione, rideva divertito. Si andò a nascondere dietro una tenda legata ad una colonna del porticato alcuni metri più in là. Subito dopo giunse un'Elfa dai lunghi capelli biondo cenere esclamando qualcosa nella sua lingua. Sembrava lo stesse cercando. Fra le parole che sentì gridare, la ragazza intuì "Elveon".
L'altra rimase in mezzo al porticato alcuni minuti chiamandolo, mentre si guardava in giro spazientita. Per un momento si soffermò con gli occhi grigi sulla figura della ragazza, dopodiché si girò e sospirando rassegnata si allontanò continuando a chiamare il bambino.
Monica la seguì con lo sguardo, poi si voltò verso la tenda da dove spuntò la testolina bionda del piccolo Elfo che si guardò intorno circospetto e, notando che la sua inseguitrice se ne era andata, sgattaiolò fuori sorridendo compiaciuto e subito dopo si allontanò anche lui. La ragazza sorrise divertita per la scenetta, appoggiò il mento sulle ginocchia e tornò ad osservare davanti a sé quella tenda d'acqua che rendeva il paesaggio sfocato. Ad un tratto si ritrovò davanti due occhioni verdi che la fissavano curiosi a pochi centimetri di distanza. Sobbalzò spaventata emettendo un'esclamazione di sorpresa.
Il piccolo Elfo, completamente bagnato e sporco di fango, era piegato sulle gambine e continuava ad osservarla serio, come se la stesse studiando attentamente.
Monica si stava sentendo leggermente a disagio ed indietreggiò leggermente con il capo - Ciao! - lo salutò abbozzando un piccolo sorriso.
Lui non fece una piega inizialmente, dopo poco però un largo sorriso gli si formò sul viso messo in risalto da un paio di fossette sulle guance - Tao! - ricambiò lui, a modo suo.
- Ti chiami Elveon, vero? - chiese lei pacatamente.
- Tì! - affermò enfatizzando la risposta con il capo - Tu? -
- Monica. - rispose trattenendosi a stento dal ridergli in faccia, aveva un'espressione davvero buffa.
- Tei titte? - le domandò piegando leggermente il capo.
Lei lo guardò stupita alcuni istanti - Un po'. - ammise con aria abbattuta.
- Pecché? -
- Beh... io... ecco... - farfugliò massaggiandosi il collo con la mano sinistra non sapendo cosa dire - Ho avuto... un piccolo litigio con mio fratello. -
- Oh... tei tata cattiva? - chiese lui guardandola con espressione severa.
La ragazza ridacchiò divertita - No... o forse sì... - mormorò confusa abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia, ma subito dopo trasalì nel sentire le manine fredde di Elveon sulle sue guance.
- Non ettee titte! Naneth me lo dite tempe! - dichiarò lui togliendole le manine dal viso.
- Come mai? Sei triste anche tu? -
- Tì, quando adar non t'è... - confidò mesto - Lui è tempe via... e tonna a cata poco... - continuò mogio - Uindi povo a non piangee... anche naneth è titte... ogni tanto la vedo che è mainconica... Ma naneth dite che adar lo fa pè poteggetti tutti. E io tono felite! - riferì sorridendo.
Alla ragazza le si strinse il cuore nel sentire quelle cose. Allungò una mano e la posò dolcemente sulla testolina del bambino accarezzandogliela - Sei davvero bravo. - esclamò sorridendogli con gli occhi umidi.
- Tai... ti devo ingaziae... pecché hai ipottato adar a cata... eano due meti che non lo vedevo. - riferì lui contento.
- Io... non l'ho fatto apposta... comunque prego. - gli disse leggermente imbarazzata.
- Tenti... Mo... Mo... - farfugliò il piccolo aggrottando le sopracciglia e facendosi pensieroso - Come ti chiami? -
- Monica. - gli ricordò.
- Ah, tì! Tenti, tono tato bavo pima a naccondemmi? -
- Bravissimo! - esclamò lei sorridendogli, lui batté le mani felice - Ma perché ti sei nascosto? -
- Pecché mi voleva impoveae... pecché tono tutto pocco. -
- Sì, ho notato. Ma tu sei bravo, no? Quindi non dovresti far arrabbiare gli altri. -
- Tì, ma è divettente giocae con il fango! - replicò lui ridendo - Anche te adar e naneth non voiono. - aggiunse tornando serio e abbassò lo sguardo sulla punta dei suoi piedini.
- Certo che non vogliono, perché se ti sporchi tutto poi nessuno può vedere il tuo bel visetto. -
- Davveo? - domandò dopo aver sollevato lo sguardo sorpreso.
- Certo! Pensi che dica bugie? -
L'altro batté un'altra volta le manine contento per il complimento - Alloa... mi vao a lavae! - dichiarò entusiasta.
- Ecco! Bravo, così i tuoi genitori non si arrabbieranno! - proferì lei alzandosi in piedi e accarezzandogli di nuovo il capo.
- Tao! - la salutò lui, quindi si voltò e si allontanò.
Monica sorrise dolcemente e si girò pensando che Elveon era davvero tenero. Si mosse di alcuni passi, ma poi qualcosa la trattenne per il vestito quindi si fermò e volse il capo incontrando di nuovo quegli occhioni verdi e limpidi di poco prima - Cosa c'è? - gli chiese stupita.
- Mi accompanni da naneth e adar? Non voiono che vado in gio da tolo. - la pregò, speranzoso in una risposta affermativa.
- Va bene! - acconsentì lei divertita, anche se non capiva il motivo delle sue parole, quindi gli porse la mano che lui afferrò soddisfatto e insieme si diressero in cerca dei due Elfi.
- Quanti anni hai? - gli domandò mentre percorrevano un corridoio.
- Tinque! - rispose allegro.
"E io che gliene davo al massimo tre!" pensò la ragazza stupita.
- Tu invete uanti ne hai? -
- Diciannove. -
Elveon la osservò alcuni secondi, poi ritornò a guardare davanti a sé senza dire niente.

Intanto, nello studio di Elladan, l'Elfa che era stata incaricata di badare al piccolo Elveon aveva informato i suoi genitori che era scomparso.
- Mi dispiace... l'ho perso di vista solo per un momento... - mormorò avvilita.
- No, non fa niente Marillie. - la rassicurò Elladan - Ora potete andare... lo cercheremo noi. - la congedò. L'Elfa fece un cenno con il capo e uscì dalla stanza. Lui si voltò verso Melime che sedeva su una sedia, l'espressione preoccupata. Quindi le si avvicinò e le appoggiò le mani sulle spalle chinandosi leggermente su di lei - Stai tranquilla, vedrai che si sarà nascosto da qualche parte come suo solito. - la rassicurò con tono pacato.
- Il fatto è che ho paura che si trovi da solo con Morwen... non mi piace quell'Elfa... lo sai. Da quando è arrivata qui ad Imladris il comportamento di tutti è cambiato. É come se un'ombra cupa si fosse estesa lentamente in questo posto e non faccia più penetrare un bagliore di luce! Mi sento ogni giorno più oppressa e l'aria si fa sempre più irrespirabile! E non sono l'unica a provare queste sensazioni. - spiegò lei angosciata.
- Ho capito, Melime! Allora adesso andiamo insieme a cercarlo, va bene? - propose l'altro accarezzandole il viso e guardandola dolcemente negli occhi verdi.
Lei affermò con il capo, si alzò ed uscirono dallo studio. Proprio in quell'istante stava passando Elrohir che li salutò.
- Elrohir, hai visto Elveon? - gli domandò subito Melime speranzosa.
- No, è da questa mattina che non lo vedo... è... successo qualcosa? - chiese preoccupato vedendo l'espressione sconfortata dell'altra.
- Era con Marillie che però prima l'ha perso di vista... stavamo andando a cercarlo. - rispose il fratello - Melime ha paura che incontri Morwen da solo. - aggiunse con tono più basso.
Elrohir a sentire quel nome si irrigidì - Capisco... allora vi aiuto a cercarlo! - dichiarò risoluto, con aria grave.
Ma proprio in quel momento spuntarono davanti a loro il piccolo Elfo e Monica che lo teneva ancora per mano.
- Elveon! - esclamò Melime andandogli in contro sollevata e contenta, si chinò per abbracciarlo, ma si trattenne dal farlo - Tesoro, sei tutto sporco... lo sai che non voglio che giochi con il fango! - gli ricordò sospirando, il tono però era mite e posato, non vi era alcuna vena di rabbia.
- Cuta, naneth! Non lo faò più. - replicò mortificato.
- Dove sei stato fino ad ora? Marillie ti ha cercato ovunque! -
- Lo tò! Mi tono naccotto... tennò mi avebbe impoveato. Dopo tono tato tempe con lei. - rispose voltandosi e indicando la ragazza che era rimasta in disparte.
Melime sollevò lo sguardo sull'altra e dopo alcuni attimi di stupore si portò una mano davanti alla bocca e si mise a ridere. Monica sbatté le palpebre incredula, poi spostò lo sguardo sugli altri due Elfi.
Anche Elladan stava ridacchiando divertito, mentre Elrohir scuoteva la testa rassegnato, l'espressione seria e gli occhi grigi puntati sul muro.
La ragazza non riusciva a capire cosa ci fosse in lei di tanto divertente.
Anche Elveon si era unito al gruppo con la sua risata cristallina.
- Tesoro, non avresti dovuto farlo! - lo rimproverò la madre continuando a ridere.
- Non ti ho fatto appotta! - ribatté lui sorridendo.
Monica continuava a guardarli interrogativamente con la fronte aggrottata. Iniziava a sentirsi a disagio.
Melime si alzò e si schiarì la voce - Forse dovreste pulirvi il viso! - le suggerì trattenendo una risata.
La ragazza si portò confusa una mano sulla guancia dove sentì che c'era qualcosa di appiccicoso. Si guardò la mano e vide che era sporca di fango. In un attimo intuì la situazione e arrossì per l'imbarazzo.
- Cuta! - mormorò Elveon guardandola dispiaciuto.
- No, non fa niente! - lo rassicurò lei scoppiando a ridere divertita - Meglio che vada a lavarmi prima che qualcuno mi scambi per un Uruk-Hai. - proferì continuando a ridere, imitata dagli altri. Quindi salutò e si precipitò verso la sua stanza.
- Forza, andiamo in camera che ti do' una ripulita! - proclamò Melime afferrando la manina del figlio.
- Anche adar! - esclamò Elveon voltandosi verso il padre.
- Va bene, arrivo! - acconsentì l'Elfo sorridendogli.
Salutarono Elrohir e se ne andarono anche loro. L'Elfo rimase un momento fermo in mezzo al corridoio. Un mezzo sorriso gli inarcò le labbra al ripensare alla scenetta di poco prima. Aveva fatto davvero fatica nel trattenersi dal ridere. Per un attimo il suo viso si illuminò. Ma la malinconia lo investì subito, il suo volto si incupì di nuovo e amareggiato proseguì nella direzione in cui stava andando prima che incontrasse gli altri.

All'ora di cena, una volta giunta nella grande sala, Monica rivide Elveon. Non aveva fatto in tempo ad entrare che il piccolo Elfo le corse incontro gioioso. Lei gli sorrise e si chinò sulle gambe salutandolo contenta.
- Vitto? Tono bello adetto? - le chiese speranzoso.
- Oh, sì! Ora va decisamente meglio! - rispose sfiorandogli in nasino con l'indice, ammiccandogli.
L'altro rise felice.
Melime li raggiunse e salutata la ragazza iniziò a conversare con lei.
Dopo un po' nel salone fecero ingresso gli altri ragazzi. Monica li osservò triste: pensare che doveva cenare insieme a loro le stava facendo passare l'appetito. Non aveva voglia di sentire i loro sguardi ammonitori puntati addosso per tutta la durata della cena.
L'Elfa venne di nuovo in suo aiuto - Che ne pensate di sedervi con noi? Elveon ne sarebbe entusiasta! - le propose sorridendole.
Il piccolo Elfo esultò per la gioia.
Monica in un primo momento declinò l'invito, ma i due insistettero talmente tanto che alla fine dovette accettare. Non poteva dire di no al piccolo e da una parte era sollevata. Così si sedette accanto a lui, sotto lo sguardo stupito di tutti i presenti.
Elrohir sedeva dall'altra parte della tavolata, di fronte al fratello e non le risparmiò qualche occhiata. Ma non erano sguardi furenti come quelli che le aveva lanciato in quei giorni.
La ragazza si sentiva come se la stesse esaminando. Evitò comunque di alzare lo sguardo su di lui: provava ancora della soggezione. E poi il suo nuovo amico, per tutta la durata della cena, non smise di parlare con lei, che lo ascoltò attentamente. Quindi tutta l'attenzione ricadde su di lui.
Quella sera si sdraiò sul suo letto serena, nonostante la discussione che aveva avuto con il fratello. Il piccolo Elfo l'aveva aiutata ad accantonare le sue preoccupazioni per un po'. Si addormentò con il sorriso sulle labbra.
La pioggia non smise di cadere per tutta la notte. Elrohir la ascoltava pensieroso mentre un dubbio lo tormentava. Forse, aveva esagerato a comportarsi in quel modo con quella ragazza.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:
Mi sono accorta che nel capitolo precedente non ho spiegato il significato di alcune parole in elfico. Quindi le aggiungo a quelle di questo capitolo dato che non do' per scontato che tutti conoscano questa lingua.
Adar: padre.
Mae govannen: ben incontrato.
Meleth nin: amore mio.
Per quanto riguarda questo capitolo:
Naneth: madre.
Non mi sembra di averne scordata nessuna, in caso fatemelo sapere che le aggiungerò nel prossimo capitolo.
Ah! Per chi fosse curioso, vi dico anche il significato dei nomi dei nuovi personaggi:
Melime: Graziosa, Amabile.
Elveon: Elfo Vittorioso.
Marillie: Perla.
Morwen: Oscura Fanciulla.


NOTE DELL'AUTRICE  
Ce l'ho fatta! Sono riuscita a finire questo capitolo, finalmente! E' stato un po' problematico! Chiedo perdono a tutti i lettori... ormai avrete capito che sono senza speranza!^^;
Che dire... spero di non farvi attendere molto per il prossimo, ma sono imminenti gli esami, quindi non vi prometto niente... anche perché non ne vedo il motivo dato che poi non mantengo le promesse.
Spero come al solito che il capitolo sia interessante e di vostro gradimento! Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere e vi ricordo che un vostro commento è ben accetto.
Per coloro che già lo fanno... vi ringrazio di cuore, non sapete quanto mi rendete felice! ^^
Per ayay: Lo credo anch'io. E sto facendo del mio meglio per caratterizzarli, dato che non ho quasi nessuno spunto dal prof. Spero di riuscirci bene!
Per Chaosreborn: Ti lascio ancora con il punto interrogativo: nemmeno in questo capitolo ho rivelato perché Elrohir ce l'ha con Monica. Forse nel prossimo lo spiegherò? Non lo so nemmeno io! :D
Continuate a sostenermi!
Baci
Kicca 

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Capitolo 10
*** Romenwen. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.  

ERINTI

CAPITOLO 9: ROMENWEN.

La mattina seguente il tempo era migliorato leggermente. La pioggia, che era caduta per tutta la notte, cessò, ma nuvoloni plumbei e densi continuavano a sovrastare il cielo minacciosi.
Elisa stava dormendo beatamente nel suo letto quando un rumore secco la svegliò. Si mosse nel letto e dischiuse gli occhi neri sbattendoli più volte per abituarsi alla fievole luce che proveniva dalla finestra. Sollevò leggermente la testa dal morbido cuscino sul quale era adagiata e fece vagare lo sguardo per la stanza per cercare di capire cosa era accaduto. Gli occhi socchiusi e la vista appannata non le permisero di scorgere una figura in piedi, poco lontana dal letto.
- Scusami... ti ho svegliata. - mormorò con tono dispiaciuto l'altra che teneva una mano appoggiata ad una sedia contro la quale si era scontrata involontariamente poco prima.
La ragazza si voltò di scatto verso questa stropicciandosi gli occhi ancora intontita dal sonno. Le ci volle un po', ma alla fine riconobbe la sua cara amica - Moni! - sussurrò con voce roca e impastata - Che ore sono? - chiese poi, riappoggiando la testa sul cuscino.
- Presto... credo non siano nemmeno le otto. - rispose e non attendendo una sua replica proseguì - Ripasso più tardi, torna pure a dormire. -
Elisa la osservò allontanarsi di alcuni passi - No, resta pure! Tanto ormai sono sveglia. - la fermò.
Monica la guardò incerta alcuni secondi, poi vedendo l'altra battere sorridente la mano sul letto vicino al suo fianco, ritornò sui suoi passi.
La moretta seguì i suoi movimenti soffermandosi sull'abito blu che indossava. L'orlo sfiorava il pavimento provocando un fievole fruscio. Era impressionante come quell'indumento la facesse sembrare un'altra persona. Anche il giorno prima aveva fatto fatica a riconoscerla immediatamente. "No, non si tratta solo del vestito... anche i suoi movimenti sono più aggraziati... i capelli sciolti le donano un'espressione diversa sul volto... e non le ho mai visto brillare gli occhi in questo modo... hanno una luce diversa." rifletté.
- Ho qualcosa sulla faccia? - domandò interdetta la diretta interessata, mentre si sedeva sul bordo del letto, notando che l'amica si era incantata sul suo viso.
Elisa si riscosse dai suoi pensieri e le sorrise – N-no. Non hai niente. - farfugliò nel modo più convincente possibile - Come mai già sveglia a quest'ora? -
Monica fece spallucce - Mi sono svegliata e non sono più riuscita ad addormentarmi. - spiegò.
- Capisco... e quindi hai avuto la brillante idea di venire a rompere le scatole a me! - ironizzò l'amica guardandola fintamente arrabbiata.
- Scusa! Non era mia intenzione! Avevo pensato di rimanere qui in silenzio, fino a che tu non ti fossi svegliata... ma non ho proprio visto la sedia e ci sono andata a sbattere contro... tra l'altro mi sono anche fatta male ad un ginocchio. - mugugnò massaggiandosi la parte lesa con una smorfia sul viso. Poi le due ragazze si guardarono e scoppiarono a ridere divertite. Quindi lei chiese con fare premuroso come si sentisse.
L'amica ammise che finalmente stava un po' meglio - Ogni tanto ho delle forti fitte, ma ora riesco a muovere lievemente il braccio senza piangere. - continuò.
Il viso dell'amica si illuminò per la felicità - Bene. Sono davvero contenta! In effetti hai riacquistato anche il colorito. - riferì.
Elisa le sorrise dolcemente, ma si fece seria subito dopo. Le era ritornato in mente quanto accaduto il giorno prima. I ragazzi le avevano dato solo delle spiegazioni fugaci e quindi era più che intenzionata a sapere da lei cosa fosse successo. Così si schiarì la voce e le porse la domanda scrutandola attentamente.
L'altra, inizialmente sorpresa, abbassò lo sguardo a terra mordendosi il labbro inferiore e iniziò ad intrecciare nervosamente le dita. Trascorsi alcuni istanti di imbarazzo si decise a raccontare tutto, iniziando dalla scenata che aveva fatto due sere prima al cospetto di tutti. Non alzò mai gli occhi sull'amica perché si vergognava da morire. E non lo fece nemmeno quando terminò di parlare per paura di una reazione simile a quella avuta dagli altri, il giorno precedente. La stanza piombò di nuovo nel silenzio.
Poi la moretta sollevò la schiena dal letto e facendo perno sul braccio sinistro, quello illeso, si mise a sedere con non poca fatica e una fitta di dolore. Monica, presa alla sprovvista, fece per aiutarla, ma lei la fermò posandole una mano sulla spalla che poi posò subito dopo su una sua mano stringendogliela leggermente - Moni... sinceramente anche io ti trovo cambiata. - ammise incrociando il suo sguardo e, notando l'espressione sorpresa e allarmata che le si era dipinta sul viso, si sbrigò a dare delle spiegazioni - Questo non significa che tu non sia cambiata in meglio... - proferì sorridendole per rassicurarla - certo, nemmeno io mi sarei potuta aspettare una tua reazione simile, ma non vedevo l'ora che succedesse! - confidò.
L'altra aggrottò le sopracciglia confusa.
- Insomma... quello che voglio dire è che finalmente hai tirato fuori la grinta... e io ne sono felice. - concluse con aria soddisfatta.
- Sei l'unica che sta vedendo la cosa sotto questo punto di vista... - le fece notare, ora più rilassata.
- Prima o poi anche gli altri sapranno apprezzare questo tuo nuovo modo d'essere... ci faranno l'abitudine... vedrai. - la tranquillizzò - Spero solo che ora non ritorni come prima! - si augurò infine, ammiccando.
- Proverò a fare del mio meglio per non deluderti! - ribatté sorridendole. Elisa ricambiò il sorriso. Poi l'amica le raccontò della nuova conoscenza fatta il giorno prima. Era talmente entusiasta nel parlarle di Elveon che l'altra espresse il desiderio di conoscerlo e così le venne promesso che non appena si fosse rimessa glielo avrebbe presentato.
Dopo aver passato più di due ore insieme Monica la salutò. Sapeva che da un momento all'altro si sarebbero presentati mano a mano i suoi amici e ancora non si sentiva pronta per affrontarli. Uscita dalla stanza decise di restarsene un po' sola e si incamminò per i corridoi dell'Ultima Casa Accogliente senza una meta.

Elveon stava attendendo Marillie seduto su una sedia, nella stanza dei genitori, l'aria imbronciata e annoiata. Le gambine a penzoloni che dondolavano ritmicamente. Lo avevano lasciato di nuovo con lei nonostante le sue proteste. Sbuffò accigliato. Non si spiegava per quale motivo doveva stare con quell'Elfa poco simpatica. Aveva sempre l'aria seria e lo teneva in continuazione sotto controllo per paura che combinasse qualcosa di sbagliato. Ora che suo padre era tornato, dopo un lungo periodo di assenza, il suo desiderio più grande era di poter passare del tempo con lui. Ma ogni giorno aveva delle questioni importanti da svolgere, così gli aveva riferito Elladan quella mattina prima di allontanarsi, quindi finiva per vederlo raramente. Anche sua madre non passava più molto tempo con lui. Si sentiva solo. Poi ripensò al giorno prima, alla fanciulla che aveva conosciuto e con cui aveva trascorso dei bei momenti. Lei gli era davvero simpatica. All'improvviso il viso gli si illuminò in un sorriso e con un piccolo balzo scese dalla sedia e corse verso la porta. Si affacciò sul corridoio per scrutare se qualcuno fosse in arrivo e, non avvertendo nessuno, sgambettò fuori dalla stanza alla ricerca dell'amica. Non aveva la minima idea di dove si potesse trovare, ma l'avrebbe cercata ovunque. Decise di provare inizialmente nel luogo in cui si erano incontrati il giorno prima. Purtroppo di lei non vi era nessuna traccia, ma non si scoraggiò e, preso un altro corridoio, continuò la ricerca. Ogni tanto incontrava qualcuno a cui si fermava a chiedere informazioni, ma nessuno sapeva dove potesse trovarsi.
Era appena giunto nel medesimo corridoio quando una voce a lui familiare lo fece bloccare di colpo. Una figura scura spuntò all'improvviso da dietro una colonna e gli si avvicinò lentamente. Il piccolo Elfo, nonostante avesse le gote rosse e il fiatone per la lunga corsa, impallidì e il respiro gli si mozzò in gola. Non riusciva a muovere un muscolo per la paura: era pietrificato. Riuscì a malapena ad abbassare lo sguardo non avendo alcuna intenzione di guardarla.
- Caro Elveon, cosa ci fai qui tutto solo? - gli chiese con voce soave la dama mentre lo osservava insistentemente con i suoi freddi occhi blu. La carnagione era bianchissima e risaltava moltissimo fra i lunghi capelli corvini che le ricadevano davanti. Era una bella fanciulla, ma la sua bellezza quasi strideva con l'inespressività dello sguardo e del volto - Non dovresti essere con i tuoi genitori? - domandò di nuovo non avendo avuto alcuna risposta, facendoglisi sempre più vicino. - Dov'è Elrohir, caro Elveon? É da molto che non lo riesco a vedere. Sai dirmi dove posso trovarlo? - ora era di fronte a lui e la sua presenza si stava facendo pressante.
Elveon riuscì impercettibilmente a scuotere il capo e la cosa non sfuggì all'interlocutrice che quindi proseguì a parlare.
- Oh, che peccato! Avevo un così gran desiderio di poter passare un po' di tempo con lui. - rivelò prima di chinarsi su di lui a pochi centimetri di distanza dal suo viso - Perché non vieni con me a cercarlo? - gli propose porgendogli la mano dalle lunghe dita sottili.
Elveon ormai era nel panico totale. Alzò istintivamente la testolina e incrociò lo sguardo con quello di lei. Dopodiché con aria assente sollevò lentamente il piccolo braccio e stava per tenderle la sua manina quando qualcuno esclamò improvvisamente il suo nome.
L'Elfa ritrasse velocemente la mano e si drizzò di scatto spostando lo sguardo nella direzione da cui era provenuta la voce.
Monica era poco più in là e posava gli occhi prima su l'uno, poi su l'altra con espressione confusa. Non sapeva perché avesse urlato il nome di Elveon pochi secondi prima, era stata una cosa istintiva. Il piccolo, riconoscendola, corse subito da lei e le si aggrappò di slancio al vestito dando le spalle all'altra.
La ragazza lo osservò ancora più confusa. Stava tremando, lo poteva percepire distintamente. Allora gli poggiò una mano sui biondi capelli e tornò a guardare l'Elfa con aria grave.
Questa non si scompose minimamente, restò impassibile - Oh... guarda, guarda chi abbiamo qui... una del gruppo dei ragazzini salvati giorni fa dagli Orchetti... che piacere potervi incontrare! - esclamò sorridendole freddamente - Vi chiamate Monica se non erro... - continuò dopo averla esaminata dalla testa ai piedi: sembrava volesse intimidirla.
- No, non vi sbagliate. - rispose atona, il suo comportamento l'aveva subito irritata.
- Già, non mi capita molto spesso! - commentò - Cosa ci fate da queste parti? - domandò fissando i suoi occhi blu in quelli nocciola di lei. Per alcuni istanti rimasero in silenzio ad osservarsi. L'aria si era fatta pesante, quasi tagliente. Poi la dama distolse lo sguardo e fece una piccola smorfia, come se qualcosa l'avesse contrariata.
- Avevo sentito che gli Elfi avessero la fama di gente educata, ma a quanto pare, negli ultimi tempi, sono molte le cose che sono cambiate riguardo a loro... - mormorò secca - ora non si usa più nemmeno presentarsi? -
- Oh, che sbadata! Mi ero completamente dimenticata che voi non conoscete il mio nome! - proferì, ma senza esserne dispiaciuta. - Sono Romenwen. - rispose - Devo ricordarmi che, nonostante viva qui da molto, non sono famosa quanto voi che siete appena arrivata! -
Monica le lanciò un'occhiata spaesata, non comprendendo cosa volesse dire.
- Come, non ve ne siete accorta? - chiese leggendo il suo turbamento - Siete sulla bocca di tutti qui ad Imladris... e non mi riferisco al fatto che provenite da un altro mondo, o per come vi siete comportata l'altra sera. - dichiarò avvicinandosi a lei - Fareste bene ad aprire gli occhi e a guardarvi attentamente attorno, lo dico per il vostro bene. - le bisbigliò all'orecchio quando le fu accanto.
Dopodiché, senza salutare, si allontanò con un sorrisetto divertito, o qualcosa che gli poteva assomigliare lontanamente.
Non ci volle molto prima che l'aria si facesse di nuovo leggera e respirabile. La ragazza rimase immobile alcuni istanti, stava cercando di soppesare quello che le era stato appena riferito. Un sussulto del piccolo Elveon le ricordò che c'era anche lui. Allarmata gli si inginocchiò di fronte e l'altro non aspettò oltre: le gettò le braccine al collo e iniziò a piangere a dirotto, singhiozzante. Preoccupata, la ragazza cercò di sapere cosa fosse accaduto, ma l'altro non le diede alcuna spiegazione. Continuava a piangere disperato. Allora non poté fare altro che cercare di confortarlo: lo abbracciò e gli sussurrò parole dolci per placare il suo spavento mentre gli accarezzava il capo. Ci volle un bel po' di tempo, ma alla fine l'altro si tranquillizzò.
- Vuoi che ti accompagni dai tuoi genitori? - gli chiese dolcemente.
- Ti. - rispose flebilmente lui.
Monica allora lo prese in braccio e si avviò verso lo studio di Elladan.

Marillie nel frattempo già aveva informato tutti che Elveon era di nuovo scomparso. I genitori si guardarono irrequieti mentre Elrohir si offrì di andarlo a cercare e subito dopo si dileguò.
Elladan afferrò la mano di Melime e gliela strinse premurosamente - Vado a cercarlo anch'io. - la informò prima di lasciare anche lui la stanza.
Marillie si avvicinò all'altra e la fece sedere su una sedia cercando di rassicurarla. Questa puntò lo sguardo a terra pregando i Valar che non succedesse niente al suo bambino. Avevano tutti lo stesso timore.
Elrohir stava percorrendo con passo veloce i corridoi della dimora. Era agitato. Il solo pensiero che suo nipote potesse incontrarla gli riempiva il cuore di ansia e terrore. E non appena lo vide con Monica lo chiamò.
Elveon si era accoccolato fra le braccia della ragazza dove si sentiva stranamente in pace e al sicuro. Il terrore che aveva provato poco prima lo aveva quasi del tutto abbandonato. Sentendosi chiamare sollevò la testolina che teneva appoggiata sulla spalla dell'amica e si voltò verso l'altro che non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo perché, osservato il viso del nipote, constatò che doveva essere accaduto qualcosa. Infatti il piccolo aveva gli occhioni verdi arrossati e gonfi.
- Cosa è successo? - domandò allarmato precipitandosi verso di loro.
- Voio naneth e adar! - piagnucolò Elveon.
Elrohir spostò lo sguardo sulla ragazza in attesa di spiegazioni.
- L'ho trovato che stava parlando con Romenwen. - riferì.
L'Elfo sgranò gli occhi grigi che vennero attraversati da un lampo di terrore e tornò ad osservare il nipote - Elveon... stai bene? - chiese evidentemente preoccupato.
Il piccolo affermò con il capo.
- Credo si sia solo spaventato moltissimo. - suppose la ragazza mentre gli accarezzava i biondi capelli.
La sua risposta non bastò a tranquillizzare l'Elfo che la intimò di seguirlo.
Non appena giunsero nello studio di Elladan, Melime corse loro incontro sollevata. Elveon tese le braccine verso di lei che lo prese in braccio e lo strinse forte.
Nel frattempo Elladan era tornato e anche lui aveva abbracciato il piccolo felicissimo che stesse bene, invece Elrohir li aveva informati dell'incontro con l'Elfa.
Melime impallidì e domandò al figlio come stesse.
- Bene naneth! Mi tono tentito tano tolo un attimo, ma poi è aivata lei e tono tato tubito meio! - spiegò indicando la ragazza con il ditino indice.
- Non so come ringraziarvi! - mormorò Melime sorridendole riconoscente, ora più sollevata.
- No, non dovete... è stato un caso che sono riuscita ad incontrarli... - farfugliò imbarazzata lei.
- Caso o no, avete evitato che Morwen gli facesse qualcosa! -
- Morwen? - chiese confusa Monica.
- Sì, è così che noi chiamiamo Romenwen... significa Oscura Fanciulla... non è un tipo di cui fidarsi. Ha qualcosa di misterioso e sinistro... è pericolosa. - dichiarò Elladan cupo in viso.
- Ma perché allora la lasciate rimanere qui? - domandò la ragazza.
- Per tenerla sotto controllo! - prese parola Elrohir - Prima che venisse a vivere qui, si trovava a Minas Tirith. Non si sa nulla del suo passato: dice di non ricordarsi niente. Venne trovata in fin di vita quattro anni fa nei pressi della città e, curata lì, Estel e Arwen avevano acconsentito di farla rimanere nella loro corte. Ma poco dopo si accorsero che accadevano cose strane alle persone che entravano in contatto con lei. Cambiavano completamente carattere o facevano cose impensabili, come se qualcuno controllasse la loro volontà. Così ci chiesero se potevamo farla stare ad Imladris e nostro padre acconsentì. Ormai sono due anni che vive con noi. - riferì decisamente poco entusiasta.
Calò il silenzio per alcuni secondi. Melime e suo fratello erano stupiti che avesse rivolto la parola alla ragazza. Pensavano che le avrebbe lanciato occhiatacce per il resto del tempo in cui i giovani si sarebbero intrattenuti lì. Ma a quanto pare si sbagliavano, e in parte ne erano contenti.
Il suono della campana che annunciava il pranzo interruppe i loro pensieri e si diressero tutti al grande salone.
Monica venne invitata di nuovo a sedere vicino ad Elveon che ne fu contentissimo. Non appena entrò nel salone si ritrovò di fronte, in lontananza, Morwen che le lanciò un'occhiata strana, prima di raggiungere velocemente Elrohir con cui iniziò a conversare dopo averlo afferrato sotto braccio. La ragazza notò che l'altro non era per nulla a suo agio e si era irrigidito.
- Eccola che riparte all'attacco! - commentò Melime sottovoce, con tono seccato. L'altra la guardò interrogativamente - É da poco dopo che si trasferì qui che ha iniziato ad assillare il povero Elrohir! E non ha nessuna intenzione di demordere nonostante lui non sia affatto interessato. - proclamò.
- E per di più è da due mesi che non lo vede. Penso che potete immaginare cosa significhi ciò. - si intromise Elladan serio.
Lei si limitò ad affermare con il capo. Non doveva essere una bella situazione.
- Vado a salvarlo! - esclamò poi l'Elfo dirigendosi verso i due con passo spedito.
Melime ne fu sollevata, poi ritornò a conversare con la ragazza che l'ascoltò solo per i primi minuti.
Improvvisamente le erano tornate alla mente le parole di Morwen che le aveva detto quella mattina, quando si erano incontrate. E fu sconvolgente constatare che era tutto vero. Notò infatti che era il bersaglio degli sguardi di tutti i presenti e ciò non le faceva piacere. Provò a non dare peso alla cosa e pensò che era stata suggestionata dall'altra. Quindi durante il pranzo dedicò la sua attenzione ad Elveon che riuscì a distrarla. Terminato di mangiare, nell'uscire dal grande salone, si ritrovò a passare accanto a un gruppetto di Elfi e si sentì a disagio nel verificare che questi iniziarono a bisbigliare sommessamente e ad osservarla insistentemente. "Ecco, ci mancava solo questa! Ma che hanno da guardare? Morwen ha detto che il motivo non è per come mi sono comportata, né perché non sono di questo mondo... ma allora non capisco la ragione! " rifletté "Certo, di quello che dice quell'Elfa non mi dovrei fidare... ma sul fatto che sono al centro dell'attenzione di tutti ha perfettamente ragione." pensò poi, sbuffando. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno le si era affiancata.
- Posso parlarvi alcuni minuti? - le domandò gentilmente Elrohir. Monica sobbalzò per lo spavento. - Perdonatemi! - si scusò l'altro leggermente divertito.
- No... niente. - mormorò flebilmente lei con il cuore che le batteva velocemente - Dicevate? - chiese poi non avendo sentito cosa le aveva detto.
- Potrei parlarvi? - ripeté l'altro.
Lei lo guardò stralunata e incredula – S-sì. - balbettò "Elrohir che attacca bottone con me e per di più vuole parlarmi... oggi sì che accadono cose strane!" pensò sconvolta.
Dopodiché si incamminarono da soli per un corridoio e raggiunsero un porticato. Aveva ricominciato a piovere forte.
- Volevo avvisarvi di stare il più lontana possibile da Morwen e di evitare qualsiasi contatto con lei! - dichiarò ad un tratto lui.
- Lo avrei fatto comunque anche senza il vostro consiglio. - riferì lei sorridendogli - Non ho più intenzione di parlarle. -
Elrohir nel sentire le ultime parole si bloccò allarmato - Le avete parlato? - domandò tra il sorpreso e l'inquieto.
Monica si fermò e si voltò verso di lui - Sì, questa mattina. -
- E state bene? -
Lei affermò meravigliata. Non le sembrava possibile che si stesse anche impensierendo per lei.
- Non avete provato nulla di strano? - incalzò.
- No. -
- Meglio così! Vedete... le sue "vittime" preferite sono le persone che hanno una mente debole: quindi per la maggior parte Uomini e bambini. Per il momento non abbiamo sentito parlare di Elfi adulti, ma su quelli giovani sì. - spiegò con espressione grave.
- Elveon! - esclamò Monica sgranando gli occhi spaventata.
- Sì! É successo nei primi mesi in cui lei è arrivata qui... allora non ci preoccupavamo di lasciarlo da solo... Melime lo trovò mentre si arrampicava sopra un parapetto... se non lo avesse ripreso prontamente, non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Si era accorta che era assente, quando lo aveva posato a terra, e per farlo ritornare in sé dovette dargli uno schiaffo. - raccontò con lo sguardo basso e triste - Da quel momento in poi abbiamo deciso di non lasciarlo più solo. -  
La ragazza si portò una mano alla bocca sconvolta mentre gli occhi le si riempirono di lacrime - É capace di arrivare a tanto? -
- Questo è niente in confronto a quello che ha combinato a Minas Tirith! - disse amareggiato.
- E non avete pensato di mandarla via dopo quell'episodio? -
- Almeno qui possiamo controllarla... immaginate cosa potrebbe succedere se si trovasse in un altro posto. -
La ragazza restò alcuni istanti in silenzio – Capisco. -
- Vi prego di informare anche i vostri amici... temo che potrebbero essere dei facili bersagli. -
Lei rabbrividì - Certamente! -
Ricalò il silenzio per un po'. Monica era turbata e agitata.
- Posso sapere cosa vi ha detto? - domandò poi, ritornando a guardarla.
- Mi ha fatto notare che sono al centro dell'attenzione di tutti. - rispose dopo un momento di titubanza.
Lo vide irrigidirsi, poi provò a domandargli il perché di quei comportamenti nei suoi confronti. Immaginava che l'altro potesse saperlo.
- Probabilmente perché venite da un altro mondo. - le rispose lui nervoso.
- Non credo... Morwen mi ha detto che è un motivo da escludere. E le credo, dato che, se così fosse, dovrebbero essere anche i miei amici nella mia stessa condizione. -
- Mi spiace, non posso aiutarvi! - esclamò con tono secco, come se quella supposizione lo avesse irritato, quindi la salutò e se ne andò bruscamente lasciandola lì ancora più confusa di prima.
"Mi sa che ho detto qualcosa che non dovevo dire." insinuò ritornando sui suoi passi. Comunque non riusciva a capacitarsi del comportamento dell'altro, quel giorno.

Nella stanza di Elisa erano presenti tutti i ragazzi. Stavano parlando della loro amica. Anche loro si erano accorti degli sguardi e delle chiacchiere a cui era soggetta. Proprio in quel momento la diretta interessata entrò nella stanza. Lanciò loro un'occhiata e li raggiunse.
- Devo dirvi una cosa importante! - dichiarò seria.
- Anche noi. - la informò Diana.
- Perché ti guardano tutti? - le domandò Mirco curioso.
- Non mi dire che hai combinato qualcos'altro! - si lamentò il fratello.
- No. Per tua gioia non ho fatto niente... - replicò lei dopo averlo fulminato con lo sguardo - o almeno non credo. - mormorò poi perplessa - Ma non è importante! - riferì poi - Ora statemi bene a sentire... se vi si avvicina l'Elfa dai capelli neri e gli occhi blu, voi cambiate direzione immediatamente... non datele alcuna possibilità di parlarvi! É pericolosa! -
Gli amici la guardarono sorpresi. L'espressione seria che aveva suggerì loro di non scherzare sull'argomento e di dare retta a quello che aveva appena detto. Quindi affermarono tutti e ripresero a parlare di vari argomenti. Monica si voltò verso Elisa che la stava osservando da un po' e si scambiarono un sorriso d'intesa. Dopodiché la prima si unì alla conversazione, felice che fosse tornato più o meno tutto come prima.
Non appena rimasero da sole la sera, prima di cena, Elisa le raccontò che aveva parlato loro e li aveva fatti ragionare. L'amica la ringraziò di cuore.

A cena si ripresentò il problema di riaffrontare tutti gli sguardi dei presenti. Per non parlare delle occhiate che le lanciava ogni tanto Morwen che, doveva ammettere, erano anche più opprimenti delle altre. Quella sera ritornò a mangiare fra i suoi amici, con grande delusione di Elveon che tenne il broncio per tutto il proseguimento della serata. Ma Monica si fece perdonare passando con lui alcune ore prima che lei andasse a dormire.
Non appena fu nella sua stanza si lasciò cadere sul letto. Quella giornata era stata molto pesante ed era stanchissima. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra. Non sentì più lo scrosciare della pioggia e prima di addormentarsi sperò che il giorno dopo ci potesse essere il sole.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:
Romenwen: Fanciulla dell'Est.


NOTE DELL'AUTRICE:
Ed ecco partorito un altro capitolo! Sono contenta! :) Spero che vi sia piaciuto!! Finalmente sono riuscita a dare un po' di rilievo alla figura di Elrohir. Mi premeva molto la cosa.
Thiliol: Non ti preoccupare, nessuno problema ;) Sono contenta che ti sia piaciuto Elveon, piace tanto anche a meee! :D Pucciosooo!
Va bé... scleri a parte... fatemi sapere i vostri pareri su questo capitolo: recensiteee! Non abbiate paura, non mordo! XD Mi fanno molto piacere i vostri commenti perché sono un valido sostegno per farmi andare avanti con la storia!
Non capisco perché, ma quando metto il capitolo sul sito gli spazi che dividono le varie parti della storia spariscono! Mah!
Ringrazio tutti quelli che leggono, ancora di più coloro che recensiscono e sopratutto chi ha aggiunto la mia storia fra i preferiti! Un grazie di cuore!
Statemi bene! Alla prossimaaaaa!
Baci
Kicca

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Capitolo 11
*** Sfida. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 10: SFIDA.

Il cielo era limpido quella mattina. Finalmente la perturbazione si era spostata e la valle di Imladris poteva finalmente risplendere sotto i tiepidi raggi del sole di quella giornata primaverile. Elisa guardava estasiata quello splendido paesaggio. Davanti ai suoi occhi una distesa di gruppi di fiori coloratissimi che, insieme agli alberi, emanavano un profumo fresco e inebriante. Da quel giardino si potevano ammirare le vette dei monti innevate che facevano contrasto con l'azzurro del cielo. Si voltò alla sua sinistra e osservò alcuni istanti l'espressione ammaliata dell'amica. Sorrise divertita nel notare gli occhi lucidi. Erano arrivate in quel posto per puro caso. Quella mattina Monica era andata a trovarla e l'aveva convinta a fare due passi e, immerse nella conversazione che stavano tenendo, non avevano fatto minimamente caso ai corridoi che avevano imboccato o alle scale che avevano salito. Doveva ammettere che la passeggiata l'aveva anche affaticata, ma ne era valsa davvero la pena - Non mi dire che ti stai commuovendo! - la punzecchiò. Dovette anche alzare la voce perché si trovavano sulla sommità dell'argine del fiume e il rumore che produceva l'acqua era forte.
L'amica sospirò e sorrise prima di voltarsi verso di lei - Se sono una ragazza emotiva non è colpa mia... - proferì facendo la finta offesa - e poi... questo posto è stupendo... mi sembra di sognare! - aggiunse ritornando con lo sguardo su un gruppetto di primule.
- Sì, anche a me... se non fosse che tra pochi istanti rischio di crollare a terra per la stanchezza. -
Monica sgranò gli occhi preoccupata e la accompagnò premurosamente a sedere su una panchina sotto un portico laterale.
Elisa ci impiegò un po' per rassicurarla.
- Mi dispiace... non avrei dovuto farti sforzare così tanto. - mormorò rammaricata.
- Tranquilla, non ci sono problemi, avevo proprio bisogno di sgranchirmi le gambe e di prendere una boccata d'aria fresca. Iniziavo a stancarmi del letto! - spiegò - Fammi riposare un pochino e poi starò meglio. -
L'altra affermò con il capo, poi appoggiò la schiena al muro dietro di sé e chiuse gli occhi godendosi l'atmosfera pacifica. Rimasero in silenzio alcuni minuti, ognuna immersa nei propri pensieri.
- Certo che si sta proprio bene qui. - ruppe improvvisamente il silenzio la moretta - Sembra che la valle sia rinchiusa in una bolla... è tutto così pacifico... ed è come se il tempo si fosse fermato. Non si ha alcuna preoccupazione. - proseguì.
- Ti sbagli! - replicò fulminea l'amica voltandosi a guardarla un istante prima di spostare lo sguardo davanti a sé - Per voi è così... e sicuramente un tempo lo era... ma ora è diverso... posso sentire gli animi turbati di tutti... le tenebre che si sono impossessate dei loro cuori... e sopratutto la morsa del Male che attanaglia dal di fuori la valle... - proferì stringendo il vestito color pesca fra i pugni adagiati sulle gambe - e anche da dentro. - bisbigliò.
Elisa la guardò basita. Il viso della sua vicina era contratto in una smorfia e molto preoccupato. Provò a dire qualcosa, ma non trovando le parole adatte non aggiunse nulla.
Calò un silenzio pesante. Si sentiva cinguettare solo un uccellino che si era appollaiato sulla balaustra di pietra difronte a loro. Monica lo osservava distrattamente mentre ogni tanto saltellava allegro. Un grido in lontananza lo fece volare via. Le due ragazze si voltarono verso la loro sinistra incuriosite e notarono una piccola figura correre loro incontro dal fondo del porticato. Il viso della castana si illuminò riconoscendolo.
- Elveon! - esclamò drizzandosi di scatto raggiungendolo velocemente, piegandosi poi sulle ginocchia.
Il piccolo le si fiondò fra le braccia sorridendo smagliante e l'abbracciò stretta al collo, quindi lei lo sollevò.
- Tono cotì contento di avetti tovata, Tilwen! - dichiarò entusiasta.
- Anch'io sono davvero felice di rivederti! - esclamò lei sorridente, poi lo guardò confusa corrugando la fronte - Tilwen? - domandò.
Il piccolo Elfo sbuffò accigliato - No, non Tilwen! - l'ammonì e rimase in silenzio alcuni secondi a fissarla crucciato, poi iniziò a fare degli strani versi con la lingua.
La ragazza ricambiò lo sguardo ancora più perplessa quando l'altro cominciò a sibilare.
- Sssss... Sssii... Silwen! - farfugliò e un largo sorriso illuminò di nuovo il visetto: era riuscito finalmente a dire il nome nel modo giusto. Era tutta la mattina che ci provava, ma non gli era riuscito.
- Silwen? - ripeté interdetta domandandosi cosa significasse.
- Tiiii, Tilwen! - gridò l'altro applaudendo contento.
- Ma come hai fatto a trovarci? - chiese sorpresa, poi si irrigidì allarmata - Sei venuto fin qui da solo? -
- No, tranquilla, lo abbiamo accompagnato noi. - riferì una voce pacata poco lontano.
La ragazza per poco non fece cadere l'Elfo dalla sorpresa. Davanti a loro vi era Elrond che sorrideva bonario con le mani incrociate dietro la schiena. Accanto a lui la austera figura di Glorfindel che la guardava con espressione indecifrabile. Elisa le fu subito accanto e si inchinò, poi notando che l'amica sembrava essersi pietrificata le diede una piccola gomitata al fianco che la fece riprendere e così anche questa si affrettò ad inchinarsi come meglio poté con Elveon in braccio. Si sentiva sempre in soggezione in loro presenza.
- Vedo che state meglio! - proferì quindi, rivolgendosi alla moretta.
- Sì, decisamente! Ogni giorno mi sento sempre più in forma! -
- Bene, ne sono felice! - dichiarò l'Elfo, quindi si voltò verso l'altra - Non vi abbiamo visto a colazione... non avevate fame? -
- No, è che ho passeggiato con Elisa fino ad ora e fra una chiacchiera e l'altra me ne sono dimenticata. - rispose arrossendo imbarazzata.
- Capisco. - commentò l'altro sorridendo. - Allora sarete affamate! Se volete posso rimediarvi qualcosa! -
Le due ragazze si guardarono un istante - In effetti… - ammise Elisa.
- Avanti, seguiteci, vi facciamo strada. - disse Elrond incamminandosi.
Durante il tragitto Elveon e Monica chiacchierarono ininterrottamente: il piccolo aveva un sacco di cose da raccontarle.
Elisa seguiva in silenzio la scena divertita. Tutta l'angoscia che poco prima aveva letto sul viso dell'amica era sparita.
Anche Glorfindel seguiva attento i discorsi dei due, nonostante ogni tanto scambiava qualche parola in elfico con l'amico.

Riuscirono a trovare qualcosa da mettere sotto i denti nel salone: un po' di frutta e alcune fette di torta di mele.
- Sapete dove sono i nostri amici? - chiese Monica non vedendoli in giro.
- Oh sì! Sono giù, ai campi di allenamento. - le rispose Elrond.
- Ai campi di allenamento? - ripeté Elisa credendo di non aver capito bene.
- Ti, adar li ta allenando a combattee. - spiegò Elveon.
- Volete raggiungerli? Vi ci accompagniamo volentieri se volete. - riferì l'altro.
- Per me va bene. - rispose la castana, poi si voltò verso l'amica – Eli, tu sei stanca? Vuoi che ti riaccompagno in camera? -
- No, no... sto bene, vengo anche io con voi... sono proprio curiosa di vedere cosa stanno combinando! E poi così rivedo Michele! - dichiarò sorridendo.
- Tiiii!! Andiamo da adar! - gridò felice il piccolo afferrando Monica per una mano e iniziando a trascinarla fuori dalla stanza.
- Elveon, così mi farai cadere! - replicò lei ridendo divertita.

Ci impiegarono pochi minuti per raggiungere il luogo. Si ritrovarono sotto un lungo porticato, leggermente sopraelevato, che dava sui campi. Sulla destra vi era una balaustra in pietra che ne percorreva tutta la lunghezza e ogni tanto era interrotta da degli scalini che portavano alla grande distesa lì sotto. Alcuni Uomini ed Elfi erano appoggiati ad essa e osservavano divertiti quello che stava accadendo lì in basso da dove proveniva un gran vociare. Si accorsero del loro arrivo e per alcuni istanti spostarono la loro attenzione su Monica che sospirò rassegnata.
Le due ragazze si avvicinarono incuriosite alla balaustra facendo vagare lo sguardo innanzi a loro. L'area era suddivisa in due zone: una era riservata alle esercitazioni con la spada, e qui si stavano allenando un folto gruppo di Elfi e Uomini; l'altra, dove erano affacciate loro, al tiro con l'arco. Abbassarono lo sguardo e si ritrovarono gli amici proprio lì sotto. I ragazzi imbracciavano tutti un arco e avevano una faretra sulla schiena piena di frecce. Di fronte a loro vi erano a una trentina di metri dei bersagli, uno a testa. Le ragazze invece erano sedute su dei massi dietro di loro. Accanto ai ragazzi vi era Elladan che li osservava con aria divertita.
Elveon fu subito da lui. Il padre lo osservò leggermente sorpreso all'inizio, poi scambiò alcune parole con il piccolo che si voltò e indicò nella direzione di suo nonno e di Glorfindel e poi indicò le due ragazze. L'Elfo le salutò e fece loro cenno di scendere.
Anche gli altri si erano girati e avevano salutato le amiche che li raggiunsero poco dopo.
Michele fu subito accanto ad Elisa che salutò con un veloce bacio sulle labbra, poi la prese per mano e si avvicinarono al gruppetto.
Monica intanto aveva spiegato loro dove erano state fino a quel momento. - Cos'è? Vi è preso all'improvviso l'impulso di imparare a tirare con l'arco? - domandò poi.
- No, noi non ci avevamo minimamente pensato. É stata un'idea di Elladan. - le rispose Mirco.
- Dice che abbiamo bisogno di imparare a difenderci. E dato che non abbiamo nulla da fare ci siamo detti: "Perché no!"... e così eccoci qua! - spiegò Stefano.
- Sì, ma credimi... non è stata una buona idea. - aggiunse Milena con aria sconfortata.
- Perché? - chiese Elisa sorpresa.
- Sono un completo disastro! - rivelò Diana - Sono più o meno due ore che sono qui e nessuno è stato ancora in grado di colpire il bersaglio... tranne Mirco... ma lui è avvantaggiato, dato che ha praticato tre anni tiro con l'arco. - continuò sospirando rassegnata.
Monica e Elisa scoppiarono a ridere divertite.
- Vorrei vedere te! Guarda che non è facile, sorellina! - replicò irritato Leonardo fulminandola con lo sguardo.
- Immagino che non sia facile, ma accidenti... sono passate due ore... almeno la freccia al bersaglio ce la dovreste aver fatta arrivare! - esclamò la rossa esasperata.
- É tutta la mattina che si stuzzicano. - mormorò sottovoce Sabrina sorridendo divertita.
- Basta litigare ragazzi... vi avviso, non vi lascio andare a pranzo fino a che non colpirete il bersaglio! - si intromise Elladan con voce autoritaria.
I ragazzi si lamentarono demoralizzati.
- Ahahahah... auguri, schiappe! - li prese in giro Mirco.
- Tu finiscila di tirartela! - sbottò Alessandro infuriato guardandolo minaccioso.
- Peggio dei bambini! - commentò Monica scuotendo la testa rassegnata.

I ragazzi continuarono ad allenarsi ancora per un'ora, ma il risultato non migliorò molto. Solo Michele era riuscito a far infilzare la freccia nel bersaglio.
Elladan provò pena per loro e quindi li fece andare comunque a pranzare.
L'aria che si respirava nella loro tavolata era di demoralizzazione totale. Mirco e Michele, al contrario, erano di buon umore per essere riusciti nell'impresa e il primo faceva lo spavaldo con battutine sugli amici o si elogiava. E le occhiate che gli altri gli lanciavano non erano delle migliori. Solo sotto minaccia di Stefano di infilzargli la forchetta in mano il ragazzo ammutolì.
Nelle altre tavolate, invece, regnava l'allegria. Quei pochi presenti la mattina dovevano aver riferito a tutti la scenetta divertente a cui avevano assistito e ora diversi sguardi curiosi e derisori si posavano ogni tanto sulle figure dei giovani. E questo li fece deprimere ancora di più.

Dopo pranzo sperarono di poter avere una tregua, ma per loro sfortuna Elladan li rispedì subito ai campi di allenamento e il pubblico sulla balaustra questa volta era quadruplicato. Tutto ciò non li aiutò perché ora erano anche nervosi. Perfino Mirco non riusciva più a concentrarsi e sbagliava continuamente, l'unica cosa che faceva piacere agli altri. Ormai si sentivano dei fenomeni da baraccone.
Poco più in là vi era una squadra di arcieri. Probabilmente erano lì per allenarsi, ma anche la loro attenzione era rivolta ai ragazzi. Poi però accadde l'imprevisto. Uno di questi raggiunse sorridendo Stefano. Era alto, lunghi capelli neri e occhi colore dello smeraldo, lucenti e vispi.
Il ragazzo gli lanciò un'occhiata torva. Era convinto che lo avesse raggiunto per infierire ancora di più su di loro. Invece gli chiese di mettersi in posizione di tiro. L'altro lo guardò interdetto, ma poi obbedì. L'Elfo allora, velocemente, gli piegò leggermente il gomito e gli drizzò la schiena e poi gli disse di scoccare. La freccia sibilò e si andò a conficcare sul fantoccio davanti a Stefano che la osservò allibito. Tutti erano ammutoliti e gli amici lo guardavano esterrefatti.
- Vedi... è la posizione che sbagliavi! - commentò l'Elfo sorridendo contento.
- G-grazie! - farfugliò l'altro ancora incredulo.
- Di niente! - proferì questo dandogli una pacca amichevole sulle spalle, poi guardò Elladan e gli fece l'occhiolino - Comunque... io sono Alyon. - si presentò porgendogli la mano.
L'altro ricambiò la stretta e si presentò a sua volta sorridendo.
- Riprova da solo, ora. - gli suggerì facendo un passo indietro.
Il ragazzo affermò con il capo: afferrò una freccia, la incoccò, si mise in posizione e lasciò la presa. La freccia si andò ad infilzare un'altra volta nel bersaglio.
Milena esultò contenta, mentre i ragazzi lo osservavano imbronciati, si lanciarono un'occhiata complice e anche loro riprovarono sbagliando di nuovo.
Allora altri tre Elfi si mossero dal gruppo e si affiancarono ad Alessandro, Leonardo e Michele e iniziarono a dargli consigli.
Elladan guardava compiaciuto la scena. Non pensava che questo sarebbe potuto accadere. Da quando i ragazzi erano giunti ad Imladris nessuno li aveva visti di buon occhio, ad eccezione di Alyon. Un po' perché provenivano da un altro mondo; poi perché comunque nessuno stava attraversando un buon periodo, erano tutti tesi e preoccupati, avevano altro a cui pensare e li vedevano come una seccatura; ma il problema maggiore era Monica. E l'Elfo capiva benissimo come si sentissero la maggior parte di loro con la presenza di lei, per questo non li aveva forzati ad interagire con i giovani. Spostò gli occhi grigi sulla ragazza che stava sorridendo felice dato che ora anche gli altri riuscivano a colpire il bersaglio seguendo le dritte degli Elfi. In quell'istante gli si avvicinò qualcuno al fianco. Ma non dovette voltarsi per vedere chi fosse. Ormai riconosceva quella camminata - Sono contento che abbiano deciso di loro spontanea volontà di provare ad approcciare con i ragazzi. - ammise continuando ad osservare la ragazza.
- Lo sai che ad Alyon sono piaciuti dal primo momento... probabilmente è riuscito a convincere anche Nolon, Turion e Varnohtar. - proferì Elrohir con tono atono.
Elladan sospirò poi si voltò a guardarlo con aria indagatrice, il fratello gli lanciò un'occhiata fugace, poi tornò ad osservare il gruppetto di ragazzi - É inutile che fai quella faccia... so benissimo che anche tu sei contento di quello che è appena accaduto. - l'altro stava per ribattere scocciato, ma lo interruppe prima che potesse dire qualcosa - Non provare a negarlo... ti conosco fin troppo bene, non mi inganni. -
Elrohir scosse la testa leggermente irritato - E tu sei veramente odioso quando ti ci metti! - borbottò poi.
L'altro sghignazzò soddisfatto. Quindi tornò ad osservare Monica e la sua espressione divenne triste - Parlando di cose più serie... non sarebbe ora di darle delle spiegazioni? -
Elrohir si irrigidì, ma rimase in silenzio, anche lui però spostò lo sguardo sulla ragazza e si fece triste.
- Me lo hai detto tu che inizia a capire... è una ragazza sveglia... per di più Morwen l'ha già avvisata... vuoi che sia lei a riferirle tutto? -
- No! - esclamò adirato l'altro. Vi aveva messo così tanta enfasi in quella risposta che tutti si erano voltati a guardarlo stupiti.
- E allora datti una mossa! - gli sussurrò serio Elladan che si avvicinò ai ragazzi per far loro i complimenti.
Il fratello rimase immobile con la testa bassa e i pugni stretti lungo i fianchi.
Monica lo stava osservando, poi spostò gli occhi su Elladan lì vicino e si domandò se avessero litigato.
- Tilwen! - gridò all'improvviso Elveon spuntando sulle scale. Corse verso la ragazza abbracciandole le gambe con il solito sorrisone in viso.
Melime lo seguiva divertita. I presenti iniziarono a parlare sommessamente fra di loro. - Non riesco a tenerlo lontano da voi per più di un'ora! - si lamentò l'Elfa sorridendole.
La ragazza scoppiò a ridere e si chinò sul piccolo accarezzandogli la testolina non badando troppo a tutto quel chiacchiericcio.
- Come l'ha chiamata? - domandò Nolon, un Elfo biondo, credendo di non aver capito bene.
- Silwen. - rispose tranquillamente Melime dopo essersi voltata verso di lui, sorridendogli.
Tutti iniziarono a parlare con voce più alta increduli. I ragazzi si guardavano confusi intorno, mentre Monica si stava domandando il perché di quella reazione.
- Cosa significa? - domandò Alessandro che si stava irritando per il fatto che sua sorella era sulla bocca di tutti.
- Significa "Splendente Fanciulla"! - intervenne Elrond dal porticato.
Aveva una mano appoggiata alla balaustra e fissava la ragazza con espressione seria. Glorfindel era poco più indietro. Tutti erano ammutoliti.
Monica era arrossita imbarazzata: non credeva di poter meritare un nome così solenne.
- É un nome che vi si addice! - continuò Elrond come se le avesse letto nella mente il suo turbamento.
Elveon allora la guardò con gli occhioni verdi che gli brillavano contento di aver scelto un nome che aveva approvato anche suo nonno.
Si sollevò di nuovo il mormorio. Molti dei presenti non sembravano d'accordo con lui.
I ragazzi guardavano l'amica preoccupati. Elisa le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla come se volesse darle il suo sostegno. Ma con stupore di tutti i presenti la brunetta prese in braccio Elveon e sorridendogli serena lo ringraziò di cuore. Lui la abbracciò forte.
In quel momento quello che pensavano gli altri non le interessava minimamente. Era davvero felice.
- Che scena commovente! Ma siete sicuri che vada bene darle un nome elfico? - proruppe una voce gelida dal porticato, dietro di tutti.
Il silenzio calò sui presenti. Elveon strinse di più la presa sulla ragazza spaventato. Aveva riconosciuto quella voce. Tutti l'avevano riconosciuta.
Alcuni Elfi e Uomini si spostarono creando un varco sulla balaustra, poco dopo spuntò la figura di Morwen che lanciò un'occhiata gelida alla ragazza. Questa sostenne il suo sguardo senza scomporsi minimamente. - Non pensate anche voi che stiano dando troppa confidenza a questi ragazzini? Da quando vi apprestate a dar loro consigli e ad aiutarli? - proseguì pungente.
- Questi non sono affari tuoi! Non mi sembra che ti sia stato consentito di esprimere un tuo parere! - sibilò Alyon fulminandola con lo sguardo.
Un ghigno divertito le si formò sul volto - Io se fossi in te lascerei perdere... tanto sono degli incapaci... è già un miracolo se sono riusciti a colpire il bersaglio adesso che è a trenta metri... voglio proprio vedere se ci riusciranno anche ad una distanza maggiore. -
I ragazzi abbassarono sconsolati la testa, l'Elfa aveva perfettamente ragione.
Quello fu troppo per Monica. Non riusciva a sopportare altre parole di scherno rivolte ai suoi amici. - Non sono degli incapaci! - gridò furiosa scandendo bene ogni parola. Tutti la fissarono sconcertati. Elveon si drizzò con la schiena e la guardò sorpreso. - Perché non ci provate voi visto che siete tanto svelta ad accusare gli altri? Sono proprio curiosa di vedere come ve la cavate! - la sfidò con tono perentorio.
L'Elfa sembrò vacillare per un attimo, ma poi sorrise divertita. - Va bene, accetto... ma a una condizione... anche voi dovrete provare! - dichiarò con un ghigno maligno.
- Romenwen... finiscila! - si intromise Elrohir frapponendosi fra le due e guardandola male, lei strinse i pugni irritata.
Monica, Melime e Elladan lo fissarono allibiti: la stava difendendo.
Glorfindel invece aveva fatto un passo in avanti verso l'Elfa, ma Elrond lo aveva trattenuto per un braccio scuotendo la testa. Lui si rilassò, ma la guardò torvo.
- Che c'è di male? In fondo è quello che vogliono tutti i presenti, no? - domandò facendo vagare lo sguardo su ognuno di loro.
Un brusio si sollevò immediatamente. Elrohir strinse i pugni furioso. Stava per replicare, ma Monica gli posò una mano sul braccio non staccando gli occhi nocciola da quelli blu e glaciali dell'altra.
- Accetto! - dichiarò.
Un ghigno compiaciuto si disegnò sul volto di Morwen che si apprestò a scendere sul campo.
I presenti erano ammutoliti. Monica si avvicinò a Melime e le porse Elveon.
- Ne siete sicura? - le domandò l'Elfa preoccupata.
- Non siete costretta ad accettare per forza! - mormorò Elladan dopo averla raggiunta di corsa, sembrava agitato.
- Ormai ho dato la mia parola... e non mi tirerò di certo indietro! - ribatté la ragazza risoluta.
Elladan si bloccò confuso. Quello sguardo e quell'espressione che aveva in quel momento lei sul viso li conosceva perfettamente. Li aveva già visti in passato. Guardò smarrito Melime, anche lei era sconvolta, come Elrohir del resto: aveva assistito da lontano alla scena.
- Le regole le farò io... il bersaglio sarà posizionato al limitare della foresta! - comunicò Morwen che li aveva appena raggiunti.
- Cosa?! Non sei leale! - le si scagliò contro Alyon sconcertato - Nessun Uomo può colpire un bersaglio così lontano! Ti rendi conto di quello che stai chiedendo? -
Si levarono delle lamentele contro l'Elfa. A quanto pareva a nessuno sembrava giusta quella decisione.
- Vorrà dire che vincerà chi manderà la freccia più lontano, se nessuno delle due riesce a raggiungerlo. - replicò questa.
- Va bene... ma ad una condizione... se riuscirò a colpire il bersaglio vi rimangerete tutto quello che avete detto su di loro! - acconsentì la ragazza indicando gli amici.
Calò un silenzio incredulo.
- Odio dovermi rimangiare le parole... ma tanto non ce ne sarà bisogno! - replicò questa avvicinandosi a Varnohtar e strappandogli il suo arco dalle mani - Freccia! - ordinò porgendogli la mano.
L'Elfo moro la osservò arrabbiato, sfilò una freccia dalla faretra e gliela porse - Spero tanto che nemmeno tu riesca a colpirlo! - gli sibilò contro.
Lei non gli badò minimamente e si posizionò davanti a tutti in attesa che il bersaglio venisse portato nel punto da lei richiesto.
- Ohi... non lo fare... a noi non ci importa di quello che ci ha detto. - le sussurrò il fratello afferrandola per un braccio.
- Ale... lasciami! A me importa invece! -
- Ma così sarai tu ad essere umiliata! Ti stanno guardando tutti! E poi come diavolo fai a colpire un bersaglio di cui vedi i contorni a malapena? - si alterò stringendole di più l'arto.
- Non mi interessa... ora per favore lasciami andare! - ribatté strattonando il braccio e liberandosi dalla presa, quindi si affiancò a Morwen.
- Ditemi... con quale arco e quali frecce pensate di... - ma non terminò la frase perché Elrohir aveva raggiunto la ragazza e ora le stava porgendo il suo arco e la sua faretra.
Monica lo guardò per l'ennesima volta stupita. Afferrò titubante la faretra e l'indossò, poi prese l'arco e lo osservò. Era leggero e il legno era finemente lavorato.
- Fatene buon uso! - le sussurrò prima di allontanarsi.
- Tirerò prima io. Basta colpirlo, non c'è bisogno di fare centro. Vi darò questo vantaggio... sempre se riuscirete a raggiungerlo, naturalmente! - grugnì Morwen a cui non era andato giù il gesto dell'Elfo.
La ragazza affermò con il capo e attese che l'altra tirasse.
L'Elfa si posizionò prese la mira e scoccò la freccia che si andò a conficcare nel terreno a pochi passi di distanza dal bersaglio. Ci fu uno scoppio di risa alle loro spalle e un vociare alto. Quella si voltò e incenerì tutti con lo sguardo: era furibonda. Si fece da parte e lasciò il posto a Monica che osservò il bersaglio davanti a lei.
Non sapeva perché, ma riusciva a vederlo distintamente. Afferrò una freccia dalla faretra e la incoccò. Lanciò un'occhiata all'avversaria.
Aveva un'espressione serena in viso dato che, nonostante il fallimento, sapeva benissimo che avrebbe vinto lei.
Si fece di nuovo silenzio. L'aria era pesante impregnata di nervosismo, agitazione, preoccupazione e delle aspettative di ognuno dei presenti. Cercò di calmarsi, strinse la mano sinistra sull'arco e con la destra tirò la corda facendoci pressione con la freccia. Le mani le tremavano, quindi rilassò le braccia e abbassò l'arma.
- Nervosa? - le chiese l'altra divertita.
"Concentrati, sul bersaglio. Devi rilassarti. Non pensare a niente, solo al bersaglio!" si ripeté varie volte nella testa non badando all'altra. Chiuse gli occhi e si rilassò. Il respiro, prima affannoso ora era tornato regolare. Strinse la presa sull'arco, fece un gran respiro, sgranò gli occhi, allungò il braccio destro all'indietro, prese la mira e scoccò. Accadde tutto in un attimo. Si sentì il sibilo della freccia sferzare l'aria e poi calò il silenzio.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:
Silwen: Splendente Fanciulla.
Alyon: Benedetto.
Nolon: Istruito.
Turion: Dominare, Controllare.
Varnohtar: Guerriero Bruno.


NOTE DELL'AUTRICE:
Eccomi di nuovo qua! Chi non muore si rivede! E' tantissimo che non aggiorno... probabilmente mi avevate data per dispersa!! ^^; Ma sappiate che io non demordo!!
Che dire... spero che il capitolo vi piaccia! L'ho scritto quasi tutto in un giorno... O.o La mia ispirazione ha alti e bassi... cercate di comprendermi e abbiate pazienza! Se qualcuno vuole prendersela con me lo faccia tranquillamente... gli do' ragione!! In fondo so' benissimo di essere un caso disperato!!
Ramona37: Grazie per aver commentato l'ultimo capitolo e perdonami!! -.- Ti ho fatto aspettare troppo!!
Ritorno a ringraziare tutti moltissimooo!! Un grazie speciale naturalmente va' a chi recensisce! Siete la mia forza!!
Un bacione!
Kicca 

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Capitolo 12
*** Chi è Erdie? ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i personaggi inventati sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 11: CHI É ERDIE?

Monica fissava confusa e frastornata la freccia: aveva colpito il bersaglio conficcandosi nel fantomatico collo del fantoccio. Ci era riuscita, contro ogni previsione. Aveva appena vinto la sfida, ma non riusciva a spiegarsi come. Sentiva gli sguardi di tutti puntati sulla sua schiena e avrebbe desiderato scomparire. Ma non era in grado di muovere un muscolo.
- Non sapevo che anche tua sorella avesse preso lezioni di tiro con l'arco. - commentò interdetto Mirco all'improvviso, rompendo il silenzio.
- Ti sbagli... questa è la prima volta che lo fa... ne sono più che sicuro. - replicò Alessandro mentre la guardava allibito.
- La solita fortuna del principiante! - esclamò Leonardo.
- Non è fortuna. Nemmeno un Uomo, anche se bravo arciere, potrebbe arrivare a colpire quel bersaglio... solo un Elfo esperto ci può riuscire... è troppo lontano per la vostra vista! - mormorò Alyon sconvolto.
A quelle parole tutti si misero a parlare all'unisono: erano increduli ed agitati. Elrond cercò di riportare la calma, ma con scarso successo.
"E allora perché io ci sono riuscita?" si domandò la ragazza ancora più disorientata. Abbassò lo sguardo e osservò il palmo della destra come se potesse darle una risposta, nella sinistra stringeva ancora l'arco. Nel sentire una mano sulla sua spalla sobbalzò, alzò lo sguardo smarrito su Elrohir che la osservava con espressione indecifrabile.
Poi questo spostò gli occhi grigi sull'Elfa lì accanto che non aveva detto ancora niente, ma fissava sbigottita la freccia; lei che su quel volto gelido e statuario, fino a quel momento, non aveva mai fatto trasparire la benché minima emozione. La sua maschera si era frantumata in mille pezzi come se fosse fatta di vetro. - Se non sbaglio qualcuno deve scusarsi! - ricordò lui.
Morwen girò di scatto la testa stringendo i pugni lungo i fianchi lanciando a Monica un'occhiata collerica e di disprezzo.
Un brivido percorse la schiena della ragazza. Aveva percepito benissimo l'intento malsano dell'Elfa: era durato una frazione di secondo, ma le era bastato a capire che se in quel momento fossero state sole, l'altra non avrebbe esitato ad ucciderla. Questo la terrorizzò. Deglutì a fatica. Intanto si era fatto di nuovo silenzio: erano tutti in attesa.
"Nessuno si era mai preso gioco di me fino ad ora! Nessuno aveva mai osato mettermi in ridicolo davanti a tutti!" pensava furibonda l'altra tremando "Questa piccola insolente... me la pagherà cara!" continuò mentre un ghigno agghiacciante le si formava leggero sul viso pallido - Ma certo... vi porgo le mie scuse... e ritiro quello che ho detto prima. - proferì con tono velatamente ironico mentre, ripreso il controllo di sé, si riformava quella maschera inespressiva e falsa sul suo viso - Siete davvero brava, complimenti! Anche se, devo ammettere, mi stupisce molto che una ragazzina alle prime armi come voi l'abbia spuntata così facilmente contro di me, che sono un'Elfa... - proseguì muovendo alcuni passi verso i due - io non penso sia stato solo un colpo di fortuna... - dichiarò trafiggendola con gli occhi di ghiaccio - e credo di non essere l'unica a pensarla così... giusto? - domandò infine voltandosi verso gli spettatori.
Un brusio si sollevò rapidamente dagli astanti.
- Cosa intende? - chiese Diana non rivolgendosi a qualcuno in particolare spostando gli occhi verdi sul viso di alcuni dei presenti.
- Ora smettila! - irruppe Elrohir fulminandola con lo sguardo.
- Suvvia caro, non vorrai venirmi a dire che tu non la pensi così. - lo stuzzicò.
La compostezza dell'Elfo sembrò vacillare per un instante.
Monica lo guardò frastornata: stava cercando di dare un senso a tutto quanto, ma la cosa le risultava impossibile.
- Cosa c'è? Sei turbato, forse? - domandò Morwen avvicinandoglisi lentamente, quindi gli posò una mano sul braccio.
- Vattene! - gli ordinò con tono fermo e perentorio scostando sprezzante l'arto dal contatto con la sua mano.
- Certo, tolgo subito il disturbo. - affermò, ma invece di allontanarsi si voltò verso la giovane - Posso darvi un consiglio? - chiese sorridendo beffarda, ma non attese una risposta e proseguì - Credo che il nome più adatto a voi sia Erdie, non trovate? - dichiarò ad alta voce.
Monica non ebbe nemmeno il tempo di poter assorbire appieno quello che le era stato appena detto, che Elrohir si era avventato sull'altra come una furia. E se non fosse stato per il repentino tempismo con cui il fratello lo aveva prontamente trattenuto per le spalle, non si sarebbe fatto scrupoli ad alzare le mani sull'Elfa.
Gli angoli delle labbra le si arricciarono in un sorrisetto compiaciuto mentre lo guardava come per incitarlo a provarci. Ma alcuni istanti dopo, senza aggiungere altro, si voltò e si allontanò.
- Non osare mai più pronunciare quel nome... hai capito?! - la minacciò furioso divincolandosi e seguendola con lo sguardo.
- Calmati Elrohir! - gli gridò contro il gemello - Non ne vale la pena! Così peggiori solo le cose! - cercò di farlo ragionare mentre continuava saldamente a tenerlo.
La ragazza era rimasta a fissare il punto in cui fino a qualche momento prima aveva indugiato l'Elfa, poi si girò verso i due fratelli senza aprir bocca, gli occhi marroni che chiedevano una spiegazione. Il fragore che si era sollevato la stava infastidendo, mentre continuava a ripetersi cosa avesse voluto dire l'altra e perché Elrohir avesse reagito in quel modo. Sembrava che l'affermazione di Romenwen li avesse scossi. Tutti stavano parlando animatamente e in modo concitato tra di loro. Intanto Elladan aveva liberato dalla sua presa il gemello la cui rabbia si era leggermente pacata.
- Ormai dovrai darle delle spiegazioni... volente o nolente! E se per te non è un problema... fallo il prima possibile! - gli consigliò a bassa voce, in elfico, dandogli una pacca sulla spalla, quindi si voltò verso Melime che stringeva Elveon e osservava Monica preoccupata.
L'Elfa spostò lo sguardo incrociando quello di lui e in un attimo capì quello che le stava chiedendo mentalmente. Così si avvicinò alla giovane e le sorrise dolcemente - Venite... credo che per oggi abbiate fatto abbastanza. - mormorò.
L'altra affermò con il capo: la proposta l'allettava molto. Non voleva rimanere lì un attimo di più. Fece per muovere un passo quando si ricordò di essere ancora in possesso dell'arco e della faretra che le aveva prestato Elrohir. Si voltò titubante verso di lui mordendosi il labbro inferiore e, dopo essersi sfilata la faretra, gli porse entrambi gli oggetti, tenendo accuratamente lo sguardo basso. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Quando lui li afferrò riuscì a sussurrargli solo un fugace "grazie".
Questo restò ad osservarla allontanarsi insieme ai suoi amici, sotto lo sguardo inquisitorio dei presenti che dopo un po', piano piano, lasciarono anche loro il luogo.

Melime aveva accompagnato i ragazzi nelle loro stanze e gli aveva consigliato di riposarsi un po' fino all'ora di cena. Loro avevano accettato l'invito volentieri: erano molto stanchi e anche indolenziti.
Monica raggiunse la sua stanza senza dire una parola per tutto il tragitto, lo sguardo basso a terra. Gli amici le avevano lanciato occhiate impensierite, se ne era accorta, quello che era successo li aveva turbati e anche loro si stavano ponendo delle domande a cui però non riuscivano a dare risposta, ma non era riuscita a dire niente per rassicurarli. Si era chiusa in camera e si era seduta sul pavimento del balcone ad osservare il cielo che via via cambiava colore con il passare del tempo. Dal rosa era sfumato all'arancione, dal rosso fuoco al rosso cupo. L'aria si era fatta pungente e le prime stelle erano comparse.
"Erdie!" pensò ad un tratto. Quel nome non le era nuovo, ma non ricordava dove l'avesse sentito. "E poi cosa significa? Perché ha detto che per me è più adatto? Non capisco." continuò scuotendo la testa e sospirando. Poi le tornò in mente la reazione di Elrohir e si domandò cosa lo avesse infastidito. "Non osare più pronunciare quel nome... ha detto..." ricordò "E perché tutti si sono agitati in quel modo?" si chiese corrugando la fronte, poi sollevò le mani che aveva tenuto in grembo fino a quel momento e le guardò perplessa "Ma sopratutto... come diavolo ho fatto a centrare il bersaglio? Alyon ha ragione... non avrei mai potuto riuscirci... ma lo vedevo benissimo... ho visto perfettamente il fantoccio... e poi era la prima volta che tiravo con l'arco... non dovrei nemmeno avere la forza per tendere la corda... ma non ho dovuto fare nessuno sforzo... come è possibile?". Posò sconsolata la testa sulle ginocchia sbuffando. I rintocchi della campana che annunciavano la cena riecheggiarono per tutta la valle. La ragazza si alzò e si diresse controvoglia verso la porta sapendo che l'avrebbe attesa una lunga serata dove lei sarebbe stata al centro dell'attenzione di tutti.

E infatti, varcata la soglia del salone in compagnia degli amici, con cui si era congiunta poco prima, si ritrovò gli occhi di tutti i presenti puntati addosso. "Evviva!" esultò fra sé con ironia. Il suo umore non fece che peggiorare di minuto in minuto e il silenzio che aleggiava nella loro tavolata non l'aiutava di certo. Ogni tanto sentiva i ragazzi che cercavano di instaurare un discorso, ma questo non si prolungava oltre due o tre battute. Iniziò a giocare con un pezzo di patata nel piatto, anche l'appetito l'aveva abbandonata.
Elisa la guardava angosciata. Voleva darle una mano, ma non sapeva cosa dirle. Era la prima volta che non riusciva a trovare parole di conforto per la sua amica e vederla in quello stato la stava straziando.
Alessandro era nella stessa situazione. Osservava la sorella agitandosi sulla panca. Ogni tanto si sporgeva in avanti con l'intenzione di dirle qualcosa, ma ci ripensava subito e ritornava alla sua posizione iniziale. Voleva tornare a casa: da quando erano in quel posto, in quel Mondo, sua sorella le stava passando di tutti i colori e questo non lo sopportava proprio. Pregò che quei "mostriciattoli" neri si ritirassero il prima possibile per dar loro la possibilità di andarsene. Aveva paura che altrimenti sarebbe crollata psicologicamente da un momento all'altro.
A rompere il silenzio pesante fu Alyon che si avvicinò al tavolo sorridente. Aveva intuito lo stato d'animo dei ragazzi e si era proposto di fare qualcosa - Come va? - domandò allegro alle spalle di Sabrina e Leonardo.
- Potrebbe andare meglio! - rispose Alessandro lanciando uno sguardo veloce alla sorella che aveva accennato un flebile sorriso all'Elfo e ora era ritornata concentrata sulla sua patata e sui suoi pensieri.
Anche lui le lanciò un'occhiata leggermente risentita, poi riportò l'attenzione sugli altri - Vi è piaciuto il tiro con l'arco? - chiese ritornando allegro e sorridente.
- Sì, è davvero molto bello... anche se impegnativo. Richiede molta concentrazione e precisione. - riferì Michele.
- E pensare che voi ne fate uso in battaglia... io non ci riuscirei... probabilmente verrei annientato in pochi secondi! - dichiarò Stefano.
- Per non parlare del fatto che abbiamo le spalle e i muscoli delle braccia indolenziti. - rivelò Leonardo massaggiandosi il braccio destro con una smorfia sul viso.
Alyon scoppiò a ridere - Tutto sta nell'allenarsi assiduamente... vedrete che poi non avrete più problemi ai muscoli e sopratutto vi verrà molto più naturale scoccare frecce anche durante una battaglia senza perdere la concentrazione. Ma di questo non vi dovete preoccupare perché non ne affronterete mai una. - spiegò.
- Davvero è così complicato? Non mi sembra che Mony abbia avuto problemi oggi... - ribatté Milena che venne fulminata da otto paia di occhi e Stefano, che le sedeva accanto, le sferrò una gomitata fra le costole - Ahio! - si lamentò abbassando lo sguardo con aria afflitta poi si massaggiò il fianco mettendo il broncio.
- Alyon perché non vi sedete con noi? - cercò di rimediare Stefano, quindi chiese alla sua ragazza di scorrere un po' per fargli posto.
- Grazie, volentieri! - acconsentì questo felice e fece per raggiungere l'altro lato del tavolo, ma Monica gli posò una mano sul braccio e lo trattenne.
- Vi cedo il mio posto. - dichiarò alzandosi e scavalcò la panca.
- Ma hai mangiato pochissimo... - cercò di replicare Elisa che la guardò preoccupata.
La ragazza scosse la testa sorridendole - Sono a posto così! - ammise provando a tranquillizzarla.
- Ne siete sicura? - le chiese l'Elfo scrutandola con i suoi occhi verdi.
Lei affermò con il capo e, dopo averli salutati, si diresse fuori del salone. Prima di uscire incrociò lo sguardo con quello di Melime, che la stava anche lei osservando impensierita, ma subito lo spostò. L'Elfa si voltò verso Elladan e lo guardò con aria abbattuta. Lui le strinse la mano per rassicurarla.
- Doe a Tilwen? - domandò il piccolo Elveon dopo che l'aveva seguita con lo sguardo.
- Probabilmente nella sua stanza. - gli rispose la madre carezzandogli la testolina bionda.
- Pecché? Ta male? - rincarò corrugando la fronte.
Lei guardò di nuovo Elladan tristemente e poi ritornò ad osservare il figlio - Non lo so. - dovette mentire, poteva percepire benissimo il turbamento della ragazza.
- Potto andae a tovala dopo? - chiese fissandola speranzoso.
Elladan si sporse verso il figlio sorridendogli - É una buona idea! - acconsentì - Ti ci accompagnerò io. -
Il piccolo batté le manine felice mentre un largo sorriso gli illuminò il viso.
Melime sorrise amorevolmente dandogli un bacio sul capo mentre Elladan spostò gli occhi grigi sul posto vuoto di Elrohir e sospirò.
Quella sera non si era presentato. Mancava anche Romenwen, ma lei aveva l'abitudine di assentarsi spesso e sinceramente non importava a nessuno. Non sapeva cosa fare. Era preoccupato per la ragazza e avrebbe voluto poterle dare lui delle spiegazioni, ma aveva concordato con il padre che l'unico adatto a quel compito fosse il fratello. Nel riportare lo sguardo davanti a sé incrociò quello di Elrond.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti, poi questo affermò quasi impercettibilmente con il capo - Dagli tempo. - mormorò.
Lui acconsentì. "In verità, qualcun altro potrebbe benissimo prendere il suo posto... ma è assente in questo momento." Elladan sorrise "Se fosse qui probabilmente lo avrebbe già insultato di brutto!" pensò.
Melime lo guardò interrogativamente - Che cosa c'è? - gli domandò curiosa.
- Stavo solo pensando a lei... e a quanto potrebbe farci comodo un suo intervento in questo momento. - rivelò con aria divertita.
- Posso sempre inviarle un messaggio... - gli propose intuendo subito a chi si stesse riferendo.
Lui la osservò alcuni secondi in silenzio - Vuoi farmi litigare di nuovo con mio fratello? Ti ricordo che l'ultima volta non mi ha rivolto la parola per due mesi... e solo perché avevo chiesto l'aiuto di lei quando eravamo in difficoltà con quel gruppo di Orchetti! -
- É con me che se la dovrebbe prendere, questa volta... non con te. - lo corresse lei.
- Meleth nin... lo sai che con te non riesce ad arrabbiarsi... sfogherebbe la sua ira su di me! - ribatté convinto sorridendole.
- Anche se così facendo gli facessi un favore? -
- Sì... tanto non lo ammetterebbe mai! -
Un dolce sorriso le incurvò le labbra rosa - Mi manca. - ammise ad un tratto con aria malinconica.
- Anche a me. -
- Chi? - domandò curioso Elveon alla madre, la testolina leggermente inclinata.
- Lastie. - gli rispose la dama.
- Anche a me manca motto. - si lamentò lui.
- Lo so. Manca a tutti, tesoro. - disse la madre sospirando.
- Elveon, hai finito di mangiare? - gli domandò il padre dopo un po', il piccolo affermò con il capo - Vogliamo andare da Silwen? -
L'altro esultò entusiasta, scese dalla sedia con un balzo e si avvicinò al padre che lo prese in braccio e insieme uscirono dal salone.

Monica era sdraiata sul letto, gli occhi marroni fissavano le travi del soffitto come se queste potessero darle le risposte alle domande che continuava a formularsi nella mente. Sbuffò irritata girandosi su un fianco e, appoggiando la testa sul braccio, iniziò a giocherellare con l'orlo del vestito. "Stare a pensarci in continuazione non mi porterà a nulla... solo a un forte mal di testa, già lo so!" rifletté con aria crucciata "Forse è meglio se mi svago un po'." si disse mettendosi a sedere "Una passeggiata mi farà bene!" decise alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta "Spero solo di non incontrare Romenwen..." pensò rabbrividendo mentre inclinava la bocca da un lato in una smorfia "Ho come l'impressione che non ci penserebbe due volte a mettermi le mani addosso!" decretò aprendo la porta. Un'esclamazione di sorpresa le uscì dalla bocca ritrovandosi davanti Elladan con in braccio il piccolo Elveon.
- Tilwen! - gridò quest'ultimo sorridendole, sulle guanciotte gli si formarono due fossette. Allungò le braccine verso di lei e quando lo prese in braccio le si avvinghiò al collo contento.
- Vi adora! - constatò Elladan ridendo divertito.
- Oh beh... la cosa è reciproca! - rivelò lei sorridendo dolcemente al piccolo stampandogli un bacio sulla fronte. Le era bastato vederlo per ritornare di buonumore.
- Stavate andando da qualche parte? - le domandò con aria stupita l'altro.
- Non in particolare... volevo fare due passi. - gli spiegò.
- Capisco. - mormorò questo - Allora possiamo offrirci come vostri accompagnatori? - propose sorridendole.
- Con molto piacere! - acconsentì chiudendosi la porta alle spalle, poi spostò lo sguardo su Elveon che la stava fissando da un po' con gli occhioni verdi velati di preoccupazione - Cosa c'è? - gli chiese interdetta.
- Tai bene? - proferì spiazzandola - Tembavi titte! Anche naneth ea peoccupata! - dichiarò.
La ragazza arrossì imbarazzata. Solo in quel momento si era resa conto che con il suo comportamento doveva averli angustiati un poco. Ma non ci poteva fare niente se era completamente confusa. - Sì, sto bene. - mormorò solamente accennando un sorriso.
Elladan la guardò sconsolato. Voleva fare qualcosa per tirarle su il morale, ma non sapeva proprio come poterla aiutare. O meglio, l'unico modo era parlarle di quella cosa, ma si era riproposto Elrohir di farlo e non avrebbe interferito. Sperava solo che il fratello si desse una mossa. Ad un tratto gli venne in mente qualcosa e un sorriso gli illuminò il viso - Venite... voglio portarvi in un posto! - dichiarò incamminandosi per il corridoio.
La giovane rimase interdetta ad osservarlo allontanarsi, ma poi lo seguì incuriosita mentre si chiedeva dove volesse condurla.

Dopo alcuni minuti si fermarono dinanzi una porta di legno intarsiata con ghirigori e foglie. L'elfo appoggiò una mano sulla maniglia e l'aprì. Si ritrovarono in una grande stanza illuminata dalle torce alle pareti e alle colonne. Le pareti di sinistra e quella di fronte erano occupate totalmente da scaffali ricolmi di libri; mentre la parete destra era aperta e delle arcate conducevano su una grande terrazza. Nella stanza erano presenti, in ordine sparso, vari tavoli di legno provvisti ognuno di alcune sedie dello stesso materiale e di candelabri. Dalla terrazza proveniva la luce tenue della luna che contribuiva ad illuminare il posto e creava un'atmosfera surreale.
- Spero che vi piaccia leggere. - mormorò Elladan sorridendole.
Monica era a bocca aperta e sembrava che nessun suono volesse uscirle da essa. Era rimasta di stucco, piacevolmente colpita. - S-sì! - farfugliò. Spostò poi il suo sguardo sui libri. Si avvicinò lentamente agli scaffali e iniziò ad osservarli rapita. Ve ne erano di tutte le dimensioni. Alcuni dovevano essere veramente vecchi perché la copertina era lacerata in vari punti. Provò a leggere qualche titolo, ma erano tutti scritti in lingua Elfica e lei non la conosceva. Ma in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per far sì che potesse essere il contrario.
- Se vi interessa, negli ultimi due scaffali sono presenti i libri nella vostra lingua. - le rivelò l'altro.
Lei lo ringraziò e con passo celere raggiunse il penultimo scompartimento. Iniziò a leggere i titoli dei libri, ma non ne conosceva nessuno. Fino a che uno attirò la sua attenzione. Era un libro di grandezza media, ma molto spesso, color marrone scuro e sul dorso vi era scritto in oro "Copia Del Libro Rosso". Il fiato le si mozzò in gola. Rilesse più volte il titolo incredula, ma a quanto pare si trattava proprio di "quel" libro. Quindi posò dolcemente Elveon a terra scusandosi e, di nuovo in piedi, allungò la mano e afferrò l'oggetto. Lo estrasse dalla fila e, aiutandosi con l'altra mano, lo posò sul tavolo più vicino. Per un attimo le fiammelle dei candelabri tremarono a causa dello spostamento d'aria. Era molto pesante. La copertina era fatta di cuoio e sul davanti vi era la stessa scritta sempre in oro.
- Siete andata sul "classico"! - commento Elladan con un sorrisetto compiaciuto sul viso. Nel frattempo le si era avvicinato e ora osservava il libro da sopra la sua spalla.
- Non potete nemmeno immaginare cosa stia provando in questo momento... - dichiarò con la voce rotta dall'emozione - Trovarmi qui... dopo aver creduto per anni che fosse tutta opera della fantasia di Tolkien e aver scoperto che invece è tutto vero... con questo fra le mani... è... - si bloccò cercando di trovare le parole giuste - Qualcosa di indescrivibile! - dovette ammettere mentre un sorriso le si formava sul volto illuminandolo, gli occhi marroni che le brillavano per la felicità.
- Tei contenta? - le domandò Elveon aggrappandosi alla gonna del vestito.
Lei abbassò lo sguardo sul piccolo e si chinò per poter raggiungere la stessa altezza - Sì, moltissimo! - rispose accarezzandogli la testolina bionda.
L'altro ricambiò il sorriso compiaciuto.
Elladan ed Elveon rimasero con lei diversi minuti ancora. Poi il primo, intuendo che la ragazza aveva voglia di mettersi a leggere quel libro, decise di lasciarla sola e auguratole entrambi la buonanotte se ne andarono. Era riuscito a farle tornare il sorriso e ne era soddisfatto.

Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a sfogliare quel libro. Un'ora? Due? Di più? Non se ne rendeva conto. E in fondo non le importava. Si stava divertendo a rileggere degli spezzoni dei diversi racconti saltando da una pagina all'altra. Sonno non le era ancora venuto e quindi ne stava approfittando. Era immersa nella lettura quando un pensiero le affiorò nella mente improvvisamente. Si domandò se nel libro erano presenti anche gli eventi accaduti dopo la disfatta di Sauron. Subito raggiunse le ultime pagine, ma notò con disappunto che il libro terminava con la Guerra dell'Anello. Alzò lo sguardo sugli scaffali incerta. "In fondo mi piacerebbe sapere cosa è successo ultimamente." pensò alzandosi e si avvicinò ai libri. Ma non sapeva nemmeno lei cosa cercare. "Forse posso provare a vedere se vi è qualche Annale." rifletté facendo scorrere rapidamente le iridi sui titoli in cerca di qualcosa di simile. Con suo grande stupore trovò proprio un tomo con su scritto "Annali: dalla Terza Era ai giorni nostri". C'era un unico problema: era situato più in alto della sua testa. Una smorfia di disappunto le incurvò le labbra, ma non si fece intimidire. Si alzò sulle punte e allungò il braccio il più possibile. Mancavano pochi centimetri e ce l'avrebbe fatta.
- Volete questo? - domandò una voce nello stesso istante in cui una mano toccava il tomo.
Monica sobbalzò spaventata mentre un gridolino le fuoriuscì dalle labbra. Si portò una mano alla bocca e una al petto. Poteva benissimo sentire il suo cuore martellare sotto di essa. Si voltò lentamente e rimase di stucco nel ritrovarsi davanti Glorfindel.
- Perdonatemi, non volevo spaventarvi! - disse questo, ma alla giovane non sfuggì il sorrisetto divertito che gli si era appena formato.
- N-niente! - balbettò agitata, arrossendo. Abbassò lo sguardo. Non c'era niente da fare, la sua presenza le causava, come al solito, soggezione. Forse anche più di Elrond. Sentiva distintamente le iridi grigio-verdi dell'Elfo puntate su di lei intente a scrutarla attentamente. Le ritornò in mente quando lo aveva visto per la prima volta tre giorni prima e in quel momento le riaffiorò alla mente un dettaglio che aveva completamente rimosso. Ora ricordava benissimo le parole che le aveva rivolto un attimo dopo che l'aveva vista: "Non può essere... Erdie!". Ancora quel nome.
- Volete che ve lo prenda? - le chiese.
- Come? - fece lei guardandolo frastornata non avendo sentito la domanda.
- Il libro. - le rispose indicandoglielo con un dito.
- Oh, no... no... non mi serve. - mormorò confusa "Perché anche lui mi si era rivolto con quel nome? Che cosa significa?" si chiese. L'altro vedendola turbata le chiese se andasse tutto bene. Lei affermò con il capo, poco convinta - Sì. É che si è fatto tardi... è meglio che io vada a dormire! - proferì incamminandosi agitata verso la porta.
- Aspettate! - la richiamò Glorfindel. Monica si bloccò e si voltò incerta verso di lui - Avete impegni domani mattina? - Lei scosse la testa domandandosi cosa avesse in mente l'altro - Allora vorrei che mi raggiungeste al campo di allenamento. Manderò qualcuno a svegliarvi. - dichiarò.
- Mh... va bene. - farfugliò lei ancora più confusa di prima, quindi lo salutò e riprese ad avviarsi verso l'uscita.
- Ah... dimenticavo... indossate qualcosa di comodo... dovrebbe esserci qualcosa nell'armadio. - aggiunse prima che lei si chiudesse la porta alle spalle. Si voltò verso il tavolo su cui fino a poco prima era intenta a leggere l'altra. Vi si avvicinò e chiuse il libro leggendo il titolo. Le labbra gli si curvarono in un sorriso.

Con passo spedito, Monica, si diresse nella sua stanza e una volta dentro si lasciò cadere sul letto ansimante. Aveva voluto svagarsi un po' per calmarsi e invece adesso era più confusa di prima. Come al solito i suoi problemi andavano peggiorando, invece che migliorando. Sbuffò seccata e si chiese perché tutto quello stava succedendo proprio a lei. "Perché mi ha chiesto di vederci domani mattina? E perché io non ho rifiutato?" pensò, poi ricordò di nuovo le prime parole che le aveva rivolto tre sere prima. Subito dopo quello che le aveva detto Romenwen quella mattina e una domanda le si formò nella mente. Una domanda a cui avrebbe voluto dare volentieri una risposta in quel momento: "Chi è Erdie?". Si alzò dal letto e si diresse all'armadio che aprì lentamente. Lo scrutò alcuni istanti e iniziò a frugare fra gli abiti. Solo in quel momento, abbassando lo sguardo, si era accorta del baule appoggiato allo schienale. I vestiti lunghi le avevano ostruito la vista, ecco perché non se ne era ancora accorta. Lo afferrò per le due maniglie e lo trascinò fuori con uno sforzo immane: era pesantissimo. Provò ad aprirlo, ma invano: era chiuso. Rimase a fissare alcuni istanti la serratura, poi alzò lo sguardo e fece vagare le iridi per la stanza fino a che queste non si posarono sulla scrivania. La raggiunse in pochi passi e iniziò ad aprirne i cassetti e a rovistarci dentro, ma non trovò nessuna chiave. Stava per abbandonare la ricerca, quando, involontariamente, fece scattare un meccanismo di un cassettino e il fondo si sollevò appena. Allora lo tirò su del tutto e sotto vi trovò l'agognato oggetto: le stava comodamente nel palmo della mano. La prese fra le dita sorridendo soddisfatta e ritornò al baule. Girò la chiave nella serratura che scattò con un "clic", sollevò il coperchio convesso con il cuore che le batteva veloce per l'eccitazione. All'interno vi trovò camicie, casacche, pantaloni e mantelli tutti ripiegati con cura. Appoggiata per lungo sul fondo vi era una spada riposta nel fodero. La afferrò e la osservò attentamente: questo era di cuoio marrone, l'elsa era in legno di noce scuro e striature dorate formavano vari ghirigori. Mise la mano sull'impugnatura e la sfoderò. La lama lucente rifletté i bagliori delle torce dandole un colore rossastro. Era leggera e lunga all'incirca un metro. Sulla lama vi erano incise una scritta in elfico e altri ghirigori. La rinfoderò e l'appoggiò a terra ritornando a guardare nel baule. Vi erano anche una faretra piena di frecce dall'impennaggio bianco e un arco scordato, entrambi arzigogolati. In più vi erano anche una cotta di maglia, degli stivali e due parabraccia di cuoio. Restò a rimuginarvici sopra per un po'. Poi, ricordandosi che probabilmente la mattina dopo si sarebbe dovuta alzare presto, rimise tutto a posto e se ne andò a dormire. Nonostante le mille domande che le frullavano in testa, crollò dopo pochi minuti a causa della stanchezza.


NOTE DELL'AUTRICE:
Questa volta vi è andata meglio, gente! Sono riuscita ad aggiornarla in meno tempo dell'ultima volta! :) Lo so... potrei fare di meglio. Perdonatemi! Spero che questo capitolo vi sia comunque piaciuto.
Ramona37: Ho provato a fare il prima possibile, mi dispiace di averti fatta aspettare tanto! Ma eccoti il capitolo! Fammi sapere come ti sembra!
naog94: Grazie per il complimento! Sono contenta che ti sia piaciuta la mia storia! :) Ti ringrazio di aver commentato e spero che tu continui a farlo! Baci
Ringrazio di nuovo tutti i lettori, coloro che hanno aggiunto la storia fra quelle seguite e chi continua a tenermi fra i preferiti. Ringrazio di cuore a chi commenta, mi fa sempre un grande piacere. Sono ben accette anche le critiche, purché costruttive, quindi non fatevi problemi. :)
Baci, baci!
Kicca 

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Capitolo 13
*** Tempo di allenamenti e di rivelazioni. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

                                                                                  ERINTI

CAPITOLO 12: TEMPO DI ALLENAMENTI E DI RIVELAZIONI.

Stava dormendo beatamente aggrovigliata fra le coperte quando un rumore insistente la svegliò. Le ci volle un po' prima di capire che qualcuno stava bussando alla porta. Mugugnò qualcosa di incomprensibile e sbuffando si alzò dal letto. Aprì la porta mentre si sfregava l'occhio con la mano trattenendo a stento uno sbadiglio. Una figura esile sconosciuta accennò un piccolo inchino.
- Perdonatemi se vi ho svegliata, ma Glorfindel mi ha ordinato di venirvi a chiamare e di ricordarvi che vi aspetta al campo di allenamento! - proferì con tono basso, ma melodioso.
Monica stava osservando l'Elfa mora confusa quando le balenò in mente l'incontro della sera precedente - Oh... sì! - farfugliò.
- Avete bisogno che vi accompagni? - domandò l'altra.
- No, non c'è bisogno. Ricordo la strada, grazie! - mormorò sorridendole e quando quella la salutò richiuse la porta. Sbadigliò di nuovo mentre raggiungeva l'armadio strascinando i piedi a terra. Stava dormendo così bene. Cercò di concentrarsi su quello che stava facendo, ma la sua mente era in completo black out.
 
Solo quando l'aria del mattino si fece pungente sul corpo, il suo cervello iniziò a lavorare. Sebbene fosse quasi la fine di aprile, la mattina il clima era fresco, ma piacevole. Il sole era sorto da poco, forse erano appena le sei, constatò osservando il cielo di un azzurro chiaro e limpido. Almeno quella mattina non avrebbe piovuto. Non sapeva però se doveva considerarla fortuna o sfortuna. Aveva una strana sensazione. Scese i gradini che dal porticato davano sul campo di allenamento e si guardò in giro alla ricerca dell'Elfo biondo. Ma in quella vasta radura non riuscì a scorgere nessuno. Si portò una mano al collo massaggiandoselo "Dove sarà finito?" si chiese sospirando "E se se ne fosse andato? Infondo ho impiegato un bel po' di tempo per prepararmi e venire fin qua..." rimuginò "Però non è colpa mia se la mattina non sono molto reattiva e mi ci vuole un sacco per svernare!" . Socchiuse gli occhi e iniziò a perlustrare la zona più lontana del campo "Potrebbe anche aver organizzato tutto ciò per puro divertimento: giusto per farmi alzare presto questa mattina... per farmi un torto..." pensò avvicinandosi a un masso lì vicino e con una spinta delle braccia ci si sedette sopra "Ma che vado pensando? E' Glorfindel... è un tipo serio..." il ricordo del ghigno divertito che gli si era formato la sera prima quando si erano incontrati le ritornò in mente, inclinò la bocca di lato in una smorfia "Forse ha avuto un contrattempo e tarda... o probabilmente non viene per niente... però se così fosse mi avrebbe avvisata!" rifletté iniziando a giocherellare con una ciocca dei capelli "Se mi ha fatta alzare così presto per niente mi incavolo!" si disse crucciata, aggrottando la fronte "Se fra dieci minuti non spunta fuori me ne vado!" decise.
- Siete davvero una ragazza strana! - esclamò una voce melodiosa alle sue spalle che la fece saltare dalla paura.
Un suono indecifrato le uscì dalla bocca, simile ad uno squittio. Si voltò con gli occhi nocciola sgranati ad osservare la figura che era appena comparsa.
- Avreste dovuto osservare più attentamente fra gli alberi... se fossi stato un Orchetto o un Uruk-hai a quest'ora sareste già morta! - sentenziò sorridendo.
E lei ci poteva giurare, l'aveva detto con un'aria alquanto divertita "Alla faccia del tipo serio!" una smorfia di disappunto le di dipinse sul viso - Fortuna che non lo siete, allora! - replicò con un velo d'ironia nella voce, guardandolo male alcuno secondi, ma distolse subito lo sguardo, imbarazzata - Dovreste smetterla di spaventarmi... rischierò un infarto prima o poi... - mormorò. Per tutta risposta l'altro ridacchiò sommessamente. Lei alzò gli occhi al cielo e scese dal masso con un piccolo salto - Mi avete fatto perdere mezz'ora in più di sonno. - decretò imbronciata.
- Oh, mi dispiace, vogliate perdonarmi! - proferì facendo un piccolo inchino ricevendo di rimando un'occhiataccia. Forse avrebbe dovuto dirlo smettendo di sorridere per essere più convincente - Bene, vedo che avete seguito il mio suggerimento... - le disse riferito al suo abbigliamento - Direi che possiamo iniziare subito gli allenamenti! - dichiarò tornando serio.
La castana strabuzzò gli occhi credendo di non aver capito bene - Come? Allenamenti? - chiese stralunata - Quali allenamenti? - forse si era persa qualcosa. Ma non ricordava che la sera precedente avesse parlato di allenamenti.
- I vostri allenamenti... sennò perché vi avrei chiesto di venire qui, vestita in quel modo? - lo sguardo smarrito con cui lo stava guardando lo fece sorridere: quella ragazza era davvero divertente.
Provò anche a replicare, ma l'unica cosa che le riuscì fu aprire e chiudere la bocca più volte senza che un suono ne uscisse.
- Seguitemi, qui fra poco sarà affollato, ci sposteremo in un posto più appartato. - spiegò incamminandosi dalla parte opposta del porticato, verso gli alberi che ne segnavano il perimetro. Lei lo seguì senza fiatare.
 
Dopo essersi inoltrati fra i pini raggiunsero una radura decisamente più piccola. Al contrario dell'altra che era sterrata, questa era ricoperta di erba verde. Si era soffermata a guardarsi intorno quando nella sua visuale comparve una mano che reggeva un bastone. Lo afferrò incerta corrugando la fronte.
- Vi avviso... non ci andrò piano con voi solo perché siete una ragazza! - esclamò.
La castana, che continuava ad osservare il lungo legno confusa, non fece in tempo ad aprir bocca che vide con la coda dell'occhio l'Elfo attaccarla con il bastone che anche lui aveva in mano. Fu un attimo: si voltò e bloccò il colpo dall'alto.
- Ottimi riflessi! - si complimentò, sorridendole compiaciuto.
- Ma... ma... siete impazzito?! - gridò sconvolta - Potevate farmi male! - protestò pallida in viso.
- Ve l'ho detto che non sarò magnanimo! - ripeté mentre l'altra indietreggiava di alcuni passi.
- Un momento... - provò a replicare, ma l'altro le fu di nuovo addosso, questa volta provò a colpirle il fianco, ma lei parò di nuovo - Aspettate! - gridò con il cuore che le batteva a mille. Aveva una paura tremenda. Aveva letto chiaramente nello sguardo dell'Elfo che stava facendo sul serio. "Ma che cavolo..."
- Vi consiglio di concentrarvi! - le suggerì attaccando sull'altro fianco.
Monica parò di nuovo, ma una fitta ai polsi le fece allentare la presa sul legno. Vi aveva impresso molta più forza. "Accidenti!" imprecò fra sé e sé "Ma io non ho mai detto che volevo allenarmi e non ho mai acconsentito a sottopormi a tutto ciò, perché sta facendo tutto questo?" pensò sulla difensiva, indietreggiando di alcuni passi per creare una certa distanza fra i due – Almeno datemi il tempo di... - provò a replicare.
L'altro le fu addosso in due falcate – Tempo? - chiese serio sferrando un colpo veloce in direzione della sua gamba destra – E' una delle cose che in un combattimento non vi verrà mai data! - informò.
Lei provò a bloccarlo di nuovo, ma il suo tentativo non andò a buon fine e si ritrovò subito dopo lunga a terra, dolorante – Porcaccia! - imprecò, trattenendosi a stento dall'usare un linguaggio più colorito. Aveva le lacrime agli occhi. Il colpo le stava facendo vedere le stelle.
- Vi consiglio di rialzarvi immediatamente... se fossi un vostro nemico ne avrei già approfittato per continuare a massacrarvi! - proferì per nulla impietosito.
- Ma voi non siete un mio nemico... no? - domandò con una smorfia, il tono seccato, massaggiandosi la parte lesa – O ce l'avete ancora con me per il piccolo diverbio che abbiamo avuto la sera che sono arrivata? - aggiunse guardandolo negli occhi.
- Assolutamente no! Sto solo cercando di spiegarvi come funziona un combattimento e quanto può essere micidiale distrarsi anche solo un secondo! - spiegò puntandole fulmineo il bastone alla gola.
- Capisco! - mormorò deglutendo impensierita, quindi posò le dita sul legno per scansarlo – Posso però farvi notare che state cercando di insegnare queste cose ad una ragazza che è alla sua prima esperienza combattiva? - dichiarò mettendosi a sedere – A meno che non valga come pratica l'azzuffarsi con il proprio fratello... - aggiunse sarcastica – qui posso garantire di avere abbastanza competenza! - rivelò abbozzando un sorriso.
- No, quello non è valido! - negò l'Elfo divertito – Vi azzuffate con vostro fratello? - chiese poi incuriosito.
- Ci azzuffavamo! Quando eravamo più piccoli non andavamo molto d'accordo... - iniziò sollevandosi da terra – non che ora le cose siano migliorate... - precisò – così ogni scusa era buona per attaccar briga e metterci le mani addosso... e avevo quasi sempre io la meglio. Almeno fino a quando non mi ha superata in altezza, poi ho iniziato io a prenderle! Da quel momento ho cominciato ad essere più tranquilla e meno dispettosa, non mi conveniva farlo arrabbiare! - raccontò ritornando con la mente indietro di alcuni anni, sorridendo malinconicamente.
- Bene! Siete anche astuta! - esclamò quello compiaciuto – L'astuzia è un pregio che deve avere ogni buon guerriero! -
Lei lo guardò perplessa - Più che astuzia la chiamerei “tenere alla propria incolumità”! - precisò – Quali sono gli altri pregi? - domandò cercando di guadagnare qualche minuto di tregua.
Lui le sorrise ed iniziò ad elencarglieli - Rapidità: cercare sempre di essere più veloce del vostro nemico; imprevedibilità: se quello riesce ad intuire i vostri movimenti e ad anticiparvi, siete spacciata; intuito: siete voi che dovete capire le sue mosse, prevederle e contrattaccare prima che possa muovere un dito; originalità e fantasia: mai fare gli stessi movimenti, se proprio non avete scelta, almeno non fateli di seguito; saggezza: un guerriero deve capire quando si sta per invischiare in qualcosa più grande delle sue possibilità, ad esempio: se avete la possibilità di scegliere se affrontare un nemico decisamente più forte di voi, oppure scappare, il saggio opterà per quest'ultima... -
- E se non si ha la possibilità di scegliere? Se si deve per forza affrontare un nemico più forte? - lo interruppe.
- Non potete far altro che affidare la vostra anima ai Valar e pregare per una morte veloce e indolore! - commentò notando l'irrigidirsi di lei, poi riprese da dove era stato interrotto  – E ovviamente serve anche una buona dose di fortuna; serve agilità; bisogna possedere calma e sangue freddo: mai farsi prendere dal panico; prudenza: non è mai troppa; per ultimo, ma non per questo meno importante, avere una mente ferrea: per evitare di cadere nei tranelli del nemico. -
- Capisco! Bé... mi dispiace deludervi, ma io non possiedo tutte queste qualità... - riferì facendo qualche passo verso la direzione da cui erano arrivati – quindi risparmiate pure la fatica di allenarmi, è tutto tempo sprecato... - disse prima di venire arpionata per la casacca e riportata indietro.
- Questo non lo si può mai dire... nei momenti di pericolo si è soliti tirar fuori un tratto del nostro carattere di cui non si era a conoscenza! - ribatté mollando poi la presa, sorridendole – Oltre ad essere astuta siete anche saggia! Ma vi trovate nella situazione in cui non avete scelta che affrontare il nemico più forte di voi! - riferì, le raccolse il legno da terra e glielo porse – Vi ho concesso un po' di tempo... spero che vi sia bastato... - lei l'afferrò demoralizzata – perché fino all'ora di pranzo non vi darò più tregua! - annunciò serio – Si inizia a fare sul serio! -
Un brivido le percorse la schiena e l'espressione si fece preoccupata, più di quanto già fosse – Mi state forse intimando di “affidare la mia anima ai Valar e pregare per una morte veloce e indolore”? - ripeté con tono divertito e un sorrisetto tirato quello che le aveva detto poco prima, provando a sdrammatizzare. Ma tutto questo non ebbe l'effetto desiderato: l'Elfo la continuò a fissare serio. Forse si sbagliava, e se lo stava augurando con tutto il cuore, ma le era sembrato che il tono con cui aveva pronunciato l'ultima frase fosse vagamente minaccioso, solo un pochino. “Forse mi conviene davvero pregare i Valar!” rifletté con una smorfia.

Glorfindel le aveva detto che l'avrebbe spremuta fino a pranzo, ma gli allenamenti, o più precisamente la sua tortura, terminarono prima, quando era crollata a terra e non si era più rialzata. Dopo quasi tre ore in cui le aveva prese di santa ragione.
Aprì gli occhi frastornata e si guardò intorno. Notò che si trovava in camera sua. Provò a muoversi, ma una fitta fortissima la investì ad un fianco facendole scappare un lamento.
- Finalmente vi siete svegliata! - constatò una voce allegra proveniente dalla finestra. Appoggiato alla parete vi era l'Elfo biondo che la osservava divertito, le braccia incrociate al petto.
- Cosa è successo? - domandò confusa.
- Siete svenuta! - dichiarò l'altro.
Un'esclamazione sorpresa le uscì dalla bocca, poi corrugò la fronte interdetta – Come ci sono finita fin qui? -
- Vi ci ho portato io! - riferì avvicinandosi – Comunque devo complimentarvi con voi... non avrei mai pensato che avreste resistito per tutto quel tempo! Avrei scommesso che sareste crollata prima! - rivelò.
- Oh, vi ringrazio! Noto con piacere che avete una grande considerazione di me! - esclamò ironica, poi le tornò in mente qualcosa – Ma non avevate detto che mi avreste spremuto fino all'ora di pranzo?! -
- Stavo fingendo... sapevo che non ci sareste mai arrivata! - ammise sorridendole, lei lo guardò storto – Ve l'avevo detto che bisogna avere una mente ferrea per non cadere nei tranelli del nemico! - le ricordò.
L'altra sbuffò contrariata voltando il capo dall'altra parte, lamentandosi di nuovo a causa della fitta al collo. Provò a portarcisi una mano, ma anche le braccia erano doloranti. Constatò quindi che l'unica parte del corpo che non le faceva male era la testa – Siete sicuro di non avere più rancore nei miei confronti? No perché da come mi avete ridotta si direbbe il contrario! - sbottò crucciata.
- Vi lamentate troppo! Sono solo due lividi... -
- Due lividi? - lo interruppe allibita – State scherzando? Mi avete pestata a sangue! - replicò sgomenta – Guardate... - disse alzando di scatto il braccio destro, maledicendosi subito dopo per aver avuto quella pessima idea – le bende... sono sporche di sangue! - terminò mostrandogli il dorso della mano che era fasciata e macchiata di rosso.
- Dovreste essere contenta... se avessi usato una spada a quest'ora non avreste avuto più la vostra mano! - Il silenzio calò nella stanza per alcuni istanti, poi riprese – State per avere visite! - la informò lanciando un'occhiata alla porta.
- Visite? - chiese non capendo, poi la sua espressione si fece preoccupata – Oh no! E adesso come faccio? Non posso farmi vedere ridotta in questo modo! - si agitò.
- Tranquilla... i vostri amici stanno venendo qui proprio perché sono stati informati del vostro piccolo incidente e vogliono vedere come state! - dichiarò.
- Ah, va bene! - poi però qualcosa non le quadrò – Un momento... quale incidente? - chiese confusa.
- Bé... dovevo pur inventarmi una scusa... non potevo certo riferire che sono stato io! - si giustificò sorridendole.
Lei rimase a fissarlo stupefatta a bocca aperta per un po', senza riuscire a trovare delle parole sensate – Che... che tipo di scusa? - domandò, ma non ebbe risposta perché la porta venne spalancata improvvisamente.
Gli amici le si precipitarono accanto tempestandola di domande. Questa li guardava allucinata non sapendo a chi rispondere per prima.
- Come hai fatto a cadere dalle scale? - le chiese poi suo fratello, guardandola divertito.
Due occhi nocciola lo guardarono interdetti – Come, scusa? -
I ragazzi scoppiarono a ridere – Ti ho chiesto come hai fatto! Hai battuto la testa quando sei caduta? - la prese in giro quello.
Monica li fissò sconcertata, poi spostò lo sguardo su Glorfindel che la stava fissando con un sorrisetto divertito sul bel viso. In quel momento capì tutto e l'occhiata che gli lanciò non fu per niente amichevole. - Come ho fatto? - ripeté con un sorriso tirato stringendo convulsamente le coperte, rimaledicendosi immediatamente – Bé... ecco... io... - farfugliò cercando di pensare a una scusa credibile – Sono inciampata nell'orlo del vestito! - dichiarò concludendo la frase con una risata forzata che cercò di rendere più naturale possibile “Caduta dalle scale... ma una cavolata migliore non la poteva trovare? Dopo mi sente!” pensò infuriata.
- Come ti senti? - si informò Elisa, impensierita.
- Come se mi si fosse seduto sopra un Olifante! - piagnucolò.
Dopo essere rimasti al suo capezzale per un bel po', essersi accertati che non aveva riportato danni gravi e aver spiegato a chi non lo sapesse, cosa fosse un Olifante, il gruppetto se ne andò.
Naturalmente Monica non perse tempo a redarguire l'Elfo biondo che, però, non dava l'impressione di essere toccato dalle sue parole. Anzi, sembrava che la cosa lo allietasse molto.

Passò due giorni distesa sul letto a lamentarsi ogni qual volta faceva un movimento avventato, tra le visite, oltre che degli amici, anche di Elladan, colui che l'aveva medicata, Melime e del piccolo Elveon. I primi due erano a conoscenza del reale motivo per cui si trovava in quelle condizioni: era impossibile pensare di dire la fandonia delle scale all'Elfo moro, dato che, vedendo il tipo di ferite, non ci avrebbe mai creduto. Riguardo ad Elveon, era l'unico in grado di tirarle su il morale e che con la sua presenza riusciva ad alleviarle momentaneamente il dolore.
Il terzo giorno venne buttata giù dal letto da Glorfindel che, per nulla appagato da come l'aveva conciata, volle a tutti i costi riprendere ad impartirle lezioni.
Inutili furono le obiezioni della ragazza, che era già un miracolo che si riuscisse a reggere in piedi: oltre al dolore delle legnate, si era aggiunto anche quello ai muscoli provocato dall'acido lattico. Era da un po' che non faceva del buon movimento. Venne trascinata all'alba, quasi di peso, al campo. Essendosi immaginata, durante il tragitto, la sua fine imminente, restò alquanto sorpresa nel constatare che l'altro non aveva intenzioni di infierire ancora di più sulle sue condizioni fisiche malandate. Fu più che altro un allenamento teorico basato sul movimento dei piedi e del corpo. E se doveva essere sincera, in fondo quella lezione non le dispiacque.
Quando arrivò l'ora di pranzo era stanchissima, si trascinò fino al grande salone dove si rimpinzò di cibo: era affamatissima. Dopodiché si diresse nella sua stanza e crollò sul letto.

Gli allenamenti andarono avanti per altri quattro giorni e si erano tenuti sia la mattina, che il pomeriggio. Tutto sempre di nascosto.
- E' impressionante quanto migliori di giorno in giorno! Dovresti vederla, mellon nin! - rivelò Glorfindel, seduto su una sedia nello studio di Elrond, la sera del quarto giorno.
Il proprietario della stanza lo scrutò attentamente con gli occhi grigi – A quanto pare vi state divertendo molto! - constatò compiaciuto – Era da tempo che non vi vedevo così preso da qualcosa! - aggiunse – E sopratutto così entusiasta! -
- Sono entusiasta perché ho un'allieva in gamba! - dichiarò l'altro sorridendogli prima di farsi improvvisamente serio – Ho anche appurato che non solo l'aspetto, ma anche le espressioni e i movimenti che fa sono identici... quando combattiamo ho la sensazione che al suo posto ci sia “lei”... è come se fossi tornato indietro di dieci anni - ammise rattristandosi – Ogni giorno che passa scopro nuove cose che hanno in comune, come lo stesso sguardo determinato... e parla anche con stesso tono ironico. - mormorò sospirando.
- Temevo che sarebbe successo! - proferì l'altro con tono grave - Piano piano ci stiamo affezionando a lei... e questa non è una cosa positiva... potrebbe andarsene da un momento all'altro! - ricordò.
L'Elfo biondo dovette confermare amaramente – Piuttosto... quando si deciderà tuo figlio a parlarle? - domandò serio – Oggi pomeriggio, durante la pausa, mi ha chiesto chi fosse Erdie... io ho fatto finta di non sapere niente, ma dallo sguardo che mi ha lanciato si capiva benissimo che non mi ha creduto! -
Elrond sospirò – Gliel'ho rifatto presente questa mattina... e gli ho anche detto che se entrò domani sera non lo farà, sarò costretto a farlo io, o chi per me! - riferì con tono deciso.

Elrohir si trovava su una terrazza dell'Ultima Casa Accogliente, immerso nei suoi pensieri. Era seduto su una panchina in pietra e osservava il cielo stellato. Ormai era giugno e la temperatura si era alzata si qualche grado. Era piacevole starsene fuori, la sera. Stava ripensando all'ultimatum che gli aveva dato quel giorno suo padre. Chiuse gli occhi e sospirò. A quanto pare non poteva più tergiversare, era arrivato il momento. L'indomani mattina le avrebbe parlato.

Monica era stata svegliata da poco, come ogni mattina. Solo che quel giorno non era l'alba, bensì decisamente più tardi. Si diresse di corsa verso i campi mentre si domandava il perché Glorfindel l'avesse mandata a chiamare a quell'ora. Fortunatamente durante il tragitto non incontrò nessuno. Era da poco suonata la campana che annunciava la colazione. Scese le scale si diresse con passo deciso verso la radura, ma dopo pochi passi una voce familiare la richiamò. Sgranò gli occhi nocciola per la sorpresa prima di voltarsi di scatto verso colui che stava seduto sul masso alle sue spalle.
L'Elfo dai capelli corvini la stava osservando confuso. Poco prima aveva creduto di avere un'allucinazione quando l'aveva vista comparire davanti ai suoi occhi. Vestita in quel modo le assomigliava in modo sconvolgente. Perfino il modo in cui aveva legato i lunghi capelli, raccolti in una crocchia ad altezza del collo, era identico.
La ragazza aveva iniziato ad agitarsi mentre cercava di farsi venire in mente una scusa plausibile da dirgli per giustificare il suo vestiario e non si era accorta del turbamento dell'altro.
Elrohir si alzò in piedi e le si avvicinò – Vi stavo aspettando! - dichiarò con il tono leggermente incrinato.
Lei si riscosse dai suoi pensieri e corrugò la fronte – Sapevate di potermi trovare qui? - ora era lei quella confusa.
- Sì! Ho incontrato Glorfindel questa mattina e mi ha detto che sareste venuta qui, anche se non mi ha rivelato il motivo... - riferì mentre lei lo guardava a dir poco allibita – Ma in questo momento non mi interessa... devo parlarvi! - si sbrigò a concludere, l'espressione seria.
Ora era sorpresa e intuì che doveva trattarsi di qualcosa di importante. Il respiro le si mozzò in gola appena un pensiero le balenò in mente “Gli Orchetti se ne sono andati e noi torneremo a casa!”. Fu incredibile quanto quella considerazione l'avesse fatta sprofondare nello sconforto, in pochi istanti. Solo in quel momento si ricordò che c'era un posto in cui sarebbero dovuti ritornare, che loro non facevano parte di quel mondo. Deglutì con difficoltà affermando con il capo che aveva abbassato.
- C'è una cosa di cui dovete essere a conoscenza! - proferì sospirando – E di cui avrei dovuto parlarvi non appena foste giunta qui ad Imladris! -
A quelle parole Monica alzò di scatto la testa. Per alcuni istanti si sentì sollevata avendo capito che quello che aveva pensato fosse sbagliato. Anche se ora era di nuovo consapevole che prima o poi se ne sarebbe dovuta andare. Scosse leggermente il capo scacciando via quell'idea, rivolgendo completamente l'attenzione all'Elfo e a quello che aveva da dirle.
- Spero mi perdoniate per non avervelo fatto presente subito. Ma non è facile per me dirvi quello che vi sto per rivelare... - fece una pausa, gli occhi grigi puntati in quelli di lei – C'è una domanda che so' vi sta affliggendo da diversi giorni. -
Il cuore della ragazza cominciò a palpitare più velocemente – Esatto! Pensavo che nessuno mi avrebbe mai spiegato qualcosa, che non avrei mai avuto risposta! - si fermò ed attese che l'altro riprendesse a parlare, ma vedendo che non accennava ad aprir bocca, continuò – Aveva ragione Romenwen... da quando sono arrivata, tutti non fanno che fissarmi increduli e parlarmi alle spalle. E poi sia lei che Glorfindel mi hanno chiamata Erdie. Perché? Chi è? Che cosa ha a che fare con me? -
Elrohir chinò il capo e quando lo rialzò poco dopo aveva un'espressione triste e malinconica – Erdie era una cara amica! - iniziò con il cuore stretto in una morsa di dolore – Una fanciulla splendida, di cui ve ne sono poche al mondo e anche un'abilissima guerriera. Era leale, affidabile, sincera, altruista, ma anche testarda e spesso incosciente. - un sorriso nostalgico gli illuminò il viso.
- Perché ne parlate al passato? - gli domandò, ma in cuor suo già sapeva la risposta.
- Ricordate cosa vi disse Glorfindel, la prima sera che siete giunta qui? - quella affermò con il capo – Bene, lei è stata una di coloro che si sono sacrificati per sconfiggere il Male! - dichiarò spostando lo sguardo in un punto indefinito – E' morta sei anni fa! -
Monica abbassò lo sguardo dispiaciuta, ora capiva perché l'Elfo biondo se l'era presa tanto quella sera, come lui, del resto: le sue parole dovevano aver riaperto le ferite che avevano nel cuore – Mi dispiace! - sussurrò.
- Non vi sto raccontando questo per avere le vostre scuse per quello che avete detto quella sera! - rivelò serio – So' che questo vi suonerà incredibilmente strano, ma avevate pienamente ragione, credetemi! Se c'è qualcuno che deve scusarsi, quello sono io! - aggiunse amareggiato – Spero possiate perdonarmi anche per questo, ma in quel momento ero talmente scosso... - le parole gli morirono in bocca, fece un sospiro – Non potete nemmeno immaginare quanti problemi mi avete causato con la vostra presenza... non ve ne sto facendo una colpa, sia inteso! - riferì velocemente – Il problema è... che voi, Dama Monica, siete praticamente identica! - sussurrò – La stanza che Elladan vi ha assegnato e quei vestiti... appartenevano a lei. -
La ragazza abbassò lo sguardo sul suo petto, portò una mano alla camicia tirando leggermente la stoffa. Aveva capito. Ora le era tutto chiaro. Finalmente sapeva il motivo del comportamento di tutti e cosa volevano dire le parole di Romenwen – Perché non me lo avete spiegato prima? - domandò leggermente adirata – Avete idea di quello che ho passato in questi giorni? Di come mi sono sentita? -
- Ecco perché vi ho chiesto di perdonarmi, ho sbagliato! Ma non sono riuscito a parlarvene fino ad oggi! Un po' per colpa dei sentimenti che sono riaffiorati e un po' per la mia stupidità! - rispose dispiaciuto – Erdie per me ed Elladan era come una sorella... aveva preso il posto di Arwen che ci aveva lasciati quando si trasferì a Minas Tirith. Aveva colmato quel posto imprevedibilmente, in pochissimo tempo. -
- Non è stata importante solo per voi! - li interruppe una voce proveniente dal porticato.
Elrohir, che gli dava le spalle si voltò, mentre Monica alzò lo sguardo. Davanti a loro vi era Glorfindel che, dopo averli salutati, li raggiunse.
- Cosa ci fai qui? - gli domandò l'Elfo moro sorpreso.
- Ho da fare alcune cose con lei! - dichiarò sorridendo – Siete pronta per gli allenamenti mattutini? - le domandò, poi.
Lei lo guardò allarmata “Perché l'ha detto davanti a lui?”.
- Allenamenti? - proruppe l'altro – Quali allenamenti? -
- Quelli a cui la sottopongo da una settimana! - gli rispose tranquillo, quindi si rivolse di nuovo alla ragazza – Che ne dite di un incontro serio? -
- Cosa?! - esclamarono all'unisono gli altri due, allibiti.
- Ma... ma non è troppo presto? Non dovreste continuare a darmi lezioni? - chiese lei, agitandosi.
Glorfindel ridacchiò divertito – Non ho più nulla da insegnarvi! Vi ho spiegato tutto quello che dovevate sapere! - la informò – Allora, accettate? -
- Ma qui? Dove tutti possono vederci? - ribatté lei ancora più scossa – Cosa dirò ai miei amici e a  mio fratello? Volete che ci litighi di nuovo? -
- Gli diremo la verità! - rispose convinto – Cosa decidete? -
- Glorfindel, no! Come può soltanto saltarti in mente una cosa del genere? - intervenne Elrohir arrabbiato – Tu sei uno dei migliori guerrieri in tutta la Terra di Mezzo... lei è solo una ragazzina! - sbottò irritato.
- Una ragazzina? Senz'altro! Ma in lei c'è molto di più di quello che tu credi! Stai a vedere e capirai! Se non fossi sicuro delle sue capacità non glielo avrei mai proposto! - spiegò con tono pacato.
Monica li stava osservando perplessa. I due avevano appena parlato in Elfico e lei non ci aveva capito niente, ovviamente. Rifletté sulla proposta dell'Elfo biondo e sospirò “E chi lo sente dopo ad Ale!” si disse mentre le labbra si contraevano in una smorfia – Va bene! - approvò.
I due si voltarono a guardarla: uno compiaciuto della risposta affermativa; l'altro le lanciò un'occhiata preoccupata, ma non disse niente.
Il primo salì le scale, afferrò qualcosa da terra che subito dopo le lanciò.
Lei afferrò prontamente al volo l'oggetto lungo e, solo dopo che lo guardò meglio, notò cosa fosse – Che ci faccio con questa? - chiese iniziando a preoccuparsi seriamente.
- Semplice... la sfoderate e la usate! - suggerì prima di atterrare davanti a lei con un salto.
- Glorfindel... - lo richiamò l'altro anche lui impensierito.
L'Elfo biondo sfoderò la spada lucente lasciando cadere il fodero a terra non badandogli – Spero che vi ricordiate degli insegnamenti che vi ho dato! - esclamò.
Monica spostò lo sguardo sull'arma che aveva tra le mani. E fu sorpresa nel constatare che l'aveva già vista: era la spada che aveva trovato nel baule una settimana prima – Anche questa era di Erdie? - domandò portando la mano destra sull'elsa. L'altro affermò e lei la sfoderò. Rimase a contemplarla alcuni istanti, prima di ritornare a guardarlo. Gettò anche lei il fodero a terra - Cominciamo! - lo esortò. Era preoccupata, ma lo sguardo che gli lanciò era determinato.

Il gruppetto di ragazzi sedeva come al solito nel loro tavolo. Ma da alcuni giorni si erano uniti alla tavolata anche Alyon, Nolon, Turion e Varnohtar: i quattro Elfi che li avevano aiutati giorni prima negli allenamenti e con cui era nato un bel rapporto.
Alessandro sospirò. Era da giorni che sua sorella non si presentava a colazione. E si comportava anche in modo strano. Sembrava sempre spossata ogni volta che li raggiungeva a pranzo o a cena. Per non parlare del fatto che non aveva più tempo di parlarle dato che la sera, appena finiva di mangiare, si fiondava a dormire. Le conversazioni che aveva con lei si limitavano a quelle durante i pasti, se poteva chiamare conversazioni quelle quattro parole che si scambiavano.
- C'è qualcosa che vi tormenta? - gli domandò Nolon, seduto accanto a lui.
Il ragazzo si soffermò ad osservarlo negli occhi grigi, poi abbassò lo sguardo nel suo piatto – Niente di importante! - farfugliò.
- Se vi fa sospirare in quel modo deve essere per forza qualcosa di serio! - replicò quello sorridendogli.
- Starà sicuramente pensando a sua sorella! - intervenne Leonardo addentando un altro pezzo di torta di mele – Non fa altro da giorni! -
L'altro lo guardò male – Sono preoccupato per lei! - spiegò seccato.
- Preoccupato? - ripeté Nolon lanciandogli un'occhiata interrogativa.
- Sì, si comporta in modo strano da quando è caduta per le scale! - riferì con aria mogia “Veramente lo fa da quando siamo arrivati!” pensò subito dopo.
- Ale, te l'ho detto... Monica non ha niente e sa' benissimo badare a se stessa! - proruppe Diana.
- Quello che mi preoccupa è la sua inclinazione a cacciarsi nei guai! - le fece presente.
- State tranquillo! E' difficile cacciarsi nei guai qui a Imladris! - esclamò divertito Turion.
In quell'istante un Elfo fece irruzione nel salone, trafelato – Correte! Glorfindel ha sfidato Dama Monica ad un duello con le spade e lei ha accettato! - annunciò.
Il salone cadde nel silenzio più assoluto per alcuni istanti. Melime sgranò gli occhi verdi incredula. Si voltò quindi preoccupata verso Elladan, anche lui allibito.
Poi improvvisamente vi fu il caos. Tutti si alzarono dalle loro postazioni e si precipitarono ai campi.
I ragazzi chiesero spiegazioni agli amici Elfi non avendo capito niente perché l'informatore aveva parlato nella loro lingua.
- Ecco... si tratta della vostra amica... - cominciò Varnohtar, ma quelli non gli diedero la possibilità di proseguire perché anche loro si alzarono da tavola e seguirono la folla.
Una volta raggiunti i campi di allenamento si affacciarono dalla balaustra e rimasero impietriti. Alessandro fissò per un lungo momento la sorella battersi a colpi di spada con Glorfindel – Qualcuno li fermi! - gridò allarmato.
- Non serve preoccuparsi, ragazzo... - proferì Elrond alle sue spalle posandogli una mano sulla spalla – Vostra sorella se la sta cavando egregiamente! -
Effettivamente aveva notato fin da subito l'abilità con cui colpiva e parava i colpi; per non parlare dell'eleganza con cui si muoveva. Un pensiero gli balenò in testa “Dove diavolo ha imparato a combattere?” si chiese stupito.
- E' da una settimana che Glorfindel le sta dando delle lezioni... - riferì l'Elfo moro come se gli avesse letto nella mente – La storia della caduta dalle scale non era vera... vi abbiamo mentito per non farvi preoccupare. -
- E come ha fatto a ridursi in quel modo, allora? - chiese Sabrina interdetta.
- Glorfindel non ci è andato molto leggero il primo giorno di allenamenti! - le rispose quello abbozzando un sorriso.
- Ma come ha fatto ad imparare così in fretta? - domandò Stefano che non aveva tolto gli occhi di dosso ai due.
- C'è molto di più di quanto crediate in lei! - dichiarò spostando lo sguardo su Elladan che aveva raggiunto Elrohir lì sotto, seguito da Melime ed Elveon.
Questo aveva un'espressione sbigottita in viso – E' impossibile! E' identico perfino il modo in cui impugna la spada, non solo i movimenti! - mormorò – Voi lo sapevate, vero? - domandò non staccando gli occhi dai due protagonisti.
- Sì! Non ti abbiamo informato perché Glorfindel pensava ti saresti opposto! - spiegò il fratello.
- Probabile! - affermò – Le ho detto tutto! - annunciò, poi.
I due lo guardarono sorpresi, prima di ritornare ad osservarli.
- Come l'ha presa? - gli chiese Melime impensierita.
- Non saprei... sembrava un po' seccata all'inizio, ma prima che potesse dirmi qualcosa è spuntato Glorfindel che le ha proposto l'incontro. - riferì.

Monica si stava divertendo. Aveva un sorrisetto compiaciuto che le incurvava dolcemente le labbra, gli occhi le brillavano entusiasti. Stava riuscendo a sostenere il ritmo dell'Elfo biondo e doveva ammettere che ne era sorpresa. Una cosa era combattere contro di lui con un bastone, tutta un'altra cosa era farlo con una spada. In un primo momento i suoi movimenti erano impacciati: aveva paura di ferirsi o ferirlo, ma poco a poco era riuscita a sciogliersi e a prendere confidenza con l'arma. E ora la maneggiava con disinvoltura. Riusciva perfino a contrattaccare e la sua mente stava cercando un modo per coglierlo alla sprovvista.
Purtroppo fu più veloce lui, approfittando di un momento di distrazione: era inciampata su un sasso che l'aveva sbilanciata tutta a destra.
Era riuscita a non cadere, ma si ritrovò comunque per terra poco dopo con la spada dell'altro puntata sul collo. Imprecò fra i denti, ansimante.
- Incontro concluso! - esclamò scostando la spada e porgendole la mano contento.
Lei sospirò e afferrò la mano rialzandosi. Distese le labbra in un sorriso, in fondo si era divertita. E poi non poteva mica pretendere di vincere contro di lui.
- Devo farvi i miei complimenti, siete stata bravissima! - la elogiò.
- Davvero? Bé... grazie! - farfugliò imbarazzata, poi spostando lo sguardo verso il porticato si fece improvvisamente seria e iniziò ad agitarsi – Ho dato spettacolo! - commentò avvilita.
Glorfindel le posò una mano sulla spalla sorridendole rassicurante e insieme raggiunsero gli spettatori.
Appena fu a pochi passi dalle quattro figure lì sotto, un euforico Elveon la riempì di complimenti. Lo stesso fecero Elladan e Melime, piacevolmente colpiti delle sue doti combattive.
- Peccato che siete inciampata, iniziavo a divertirmi! - ammise Elrohir ammiccandole.
La ragazza lo guardò spaesata. Non si aspettava una frase del genere. In effetti non si aspettava proprio niente da lui. Probabilmente il suo cambiamento repentino era dovuto al fatto che le aveva raccontato tutto - La prossima volta dovrò stare più attenta anche a dove metto i piedi! - esclamò divertita.
Gli amici la raggiunsero pochi istanti dopo e, appurato che non aveva nessun graffio, si congratularono.
- Sei troppo avventata, tu! - commentò il fratello dandole un buffetto sulla testa.
- E tu ti preoccupi troppo per me! - replicò lei assestandogli una leggera gomitata in un fianco.
- Io glielo dico sempre, ma non mi vuole dare retta! - riferì Diana.
Lei le sorrise, poi alzò lo sguardo osservando velocemente i visi del resto degli spettatori – Fatemi indovinare... - proferì rivolta ad Elrohir, ma con l'intenzione di farsi sentire da tutti – le somiglio anche quando combatto! - quello affermò con il capo – Mi ci abituerò! - commentò con un'alzata di spalle.
Quelle parole spiazzarono i presenti. Melime ne fu felice, sapeva che stava dicendo la verità e vederla finalmente serena le riempì il cuore di gioia.
Elisa le domandò a chi dovesse somigliare. L'amica le rispose che le avrebbe raccontato tutto più tardi.
Elrond stava per scendere anche lui, ma, sentendosi chiamare, dovette fermarsi e si voltò nella direzione della figura che stava sopraggiungendo. Guardò meravigliato la giovane Donna prima di salutarla.
Lei si inchinò poi prese a parlare - Finalmente vi ho trovati! Pensavo foste scomparsi tutti non avendo incontrato nessuno in giro! Che state facendo tutti qui? - proruppe interdetta.
- Abbiamo assistito ad un duello. - le rispose – Siete rientrati tutti? -
- Sì! Dove sono Elladan ed Elrohir? Devo parlare il prima possibile con loro! - informò.
Elrond le indicò con la mano il campo sotto di loro.
Quella si affacciò e scorse subito i due gemelli intenti a conversare con un gruppo di ragazzini – Mae govannen, gente! - gridò accompagnando la frase con un gesto della mano.
Tutti si voltarono all'unisono verso di lei. Glorfindel, Melime, Elladan ed Elveon furono felicissimi di rivederla.
Non dello stesso parere era Elrohir – Lastie! Cosa diavolo ci fai tu qui? - esclamò sorpreso.
Lei gli lanciò un'occhiataccia – Oh! Anch'io sono contenta di rivederti, Elrohir! - replicò ironica, il tono leggermente seccato.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:
Mellon nin: Amico mio.


NOTE DELL'AUTRICE
Rieccomi riapparire dopo mesi di assenza! Spero di farmi perdonare con la lunghezza del capitolo! :)
Finalmente sono riuscita a rivelare il motivo del comportamento di tutti nei confronti di Monica.
E poi ho dato molto rilievo a Glorfindel! Mi è venuto fuori un po' sadico, ma mi piace come l'ho caratterizzato! :) Poi spiegherò anche perché si diverte a martoriare la povera ragazza.
La domanda che vi starete facendo è: chi sarà mai la nuova arrivata? Questo lo scoprirete nel prossimo capitolo. Dove farà di nuovo la comparsa Romenwen. Alla “chi non muore si rivede!”. Sotto questo aspetto mi somiglia! :) Ma SOLO sotto questo aspetto. :P
Ringrazio tutti coloro che leggono questa storia. Sarei felice di sapere cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere se potessi avere i vostri suggerimenti, le vostre opinioni, o anche le vostre correzioni: se qualche frase non è chiara o se ho commesso degli errori.
A proposito, ho rivisto tutti i capitoli precedenti e li ho corretti.
Poi ringrazio ancora chi ha aggiunto la mia storia tra i preferiti e chi tra i seguiti.  
E ora veniamo a coloro che hanno recensito, siete il mio sostegno:
Nayomi: Spero che ora ti sembri meno assurdo dell'ultima volta... a meno che non ho peggiorato la cosa e ora ti sembri decisamente molto più assurdo! :D
So che ti sarebbe piaciuto uno scontro tra Romenwen e Monica, ma dovrai accontentarti di Glorfindel. Chissà, magari in futuro potrebbe accadere. Ma non prenderlo come certo perché non so nemmeno io come si andrà a sviluppare la storia! Grazie per aver commentato lo scorso capitolo! Baci
Ramona37: Mi dispiace averti fatto aspettare così tanto, ma la mia ispirazione purtroppo va e viene! E sono di più le volte che va che quelle in cui mi ritorna! -.- E non puoi immaginare quanto questo  mi faccia rabbia! E dire che di idee ne ho tantissime! Uff!
Spero di riuscire ad aggiornare prima questa volta! Ma non ti assicuro niente! Comunque grazie per aver recensito lo scorso capitolo! :) La cosa mi rende davvero felice!
Un bacione!
Kicca

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Capitolo 14
*** Lastie ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI


CAPITOLO 13: LASTIE.

La nuova arrivata montò sulla balaustra e si lasciò cadere dall'altra parte con una leggera spinta, atterrando davanti al gruppetto. Si avvicinò a Melime ed Elveon con un largo sorriso che le illuminava il bel viso. Il piccolo Elfo l'abbracciò di slancio al collo.
- Non sapevamo del tuo ritorno! - esclamò contenta l'Elfa bionda.
- Già! Avevo pensato di avvisare, ma ho preferito farvi una sorpresa! - commentò l'altra ammiccando.
- Ci sei riuscita perfettamente! - dichiarò Elladan sorridendole.
- A dire il vero non era previsto che tornassimo così presto... avevamo pensato di recarci a Brea passando sopra le Colline Vento e poi scendendo per il Decumano Est, ma mi è giunta voce che vi è stato un po' di trambusto qui ad Imladris, ultimamente, così ho deciso di fare ritorno per conoscere i giovani Uomini ospiti dell'Ultima Casa Accogliente! - riferì voltandosi verso il gruppetto.
- Elladan! - lo richiamò con tono di rimprovero il gemello, guardandolo male.
- Mi dispiace deluderti, fratello, ma questa volta io non c'entro niente! - si difese l'altro alzando le mani, quindi si voltò verso Melime.
- Non sono stata io ad avvisarla! - dichiarò sorpresa.
- Le notizie viaggiano in fretta! - esclamò Lastie sorridendo divertita verso Elrohir – Non prendertela con chi non ha colpa. - lo rimbeccò – E non sperare che ti dica come lo sono venuta a sapere! - I due si fissarono in cagnesco, poi la giovane Donna spostò di nuovo l'attenzione sui ragazzi. Li osservò uno ad uno fino a che non incontrò gli occhi nocciola di Monica. Restarono entrambe a fissarsi per un lungo momento, poi un piccolo sorriso le inarcò le labbra – Voi dovete essere Dama Monica! - esclamò raggiungendola.
Questa si era incantata ad osservarla. Aveva intuito che non fosse un'Elfa perché non era circondata da quell'aura eterea che li caratterizzavano. Eppure non aveva mai visto una Donna così bella, nonostante indossasse degli abiti logori e sporchi e avesse i capelli scompigliati e arruffati che le ricadevano sulle spalle. Era alta e slanciata, ma non esile; il suo portamento era fiero. Gli occhi erano due profonde pozze grigio-celesti che la scrutavano curiosi. Si riscosse ed affermò.
- E' davvero incredibile... - mormorò con un sorriso malinconico.
- Quanto somigli ad Erdie? - chiese accennando un sorriso, la giovane.
Quella la guardò sorpresa – Credevo non foste ancora a conoscenza della cosa! - riferì.
- Sono stata informata poche ore fa. - le comunicò lanciando un'occhiata ad Elrohir.
Lastie la imitò – Ti sei deciso finalmente! Quanto volevi far penare ancora questa poveretta? - sbottò seccata – Sei proprio uno stupido! - l'Elfo stava per ribattere, ma lei continuò rivolgendosi di nuovo alla ragazza – Vi prego di perdonarlo, spesso non si ferma a riflettere e quindi non sa' cosa potrebbero comportare le sue azioni! -
- Mi stai insultando! - le fece notare il diretto interessato con aria per nulla compiaciuta.
- Ne sono pienamente consapevole! - replicò lei sogghignando.
- Ecco che ricominciano! - mormorò Elladan sospirando sconsolato – Non hanno nemmeno fatto in tempo a rivedersi! -
Monica, che stava spostando lo sguardo dall'una all'altro, si girò verso quest'ultimo corrugando la fronte.
- Fanno sempre così, non vi preoccupate! - intervenne Melime che sembrava si stesse divertendo mentre i due continuavano a discutere.
- Lastie, scusa se interrompo il vostro battibecco, ma non credo che sia il momento più opportuno... non dovresti fare rapporto? - le ricordò Glorfindel.
- Oh sì, giusto! - esclamò battendosi un pugno sul palmo della mano – Me ne stavo dimenticando... tutta colpa tua! - concluse la frase guardando male l'Elfo moro.
- Bene! Allora ci conviene sbrigarci prima che arrivi l'ora di pranzo! - suggerì Elladan iniziando a spingere il gemello prima che questo potesse aprir bocca, seguito da Glorfindel.
Lastie si voltò verso Monica – Ci rivedremo a pranzo! - comunicò sorridendole prima di salire le scale e scomparire nel corridoio.
- Tipo interessante! - commentò Leonardo, ricevendo subito dopo un'occhiataccia da Sabrina.
Monica intanto aveva raccolto la guaina della sua spada da terra, rinfoderandola – Io torno nella mia stanza, ho bisogno di darmi una rinfrescata! - annunciò.
Gli amici affermarono. Elisa si propose di accompagnarla. Voleva sapere il prima possibile cosa fosse quella storia di Erdie. Una volta raggiunta la stanza dell'amica, questa le raccontò tutto. La moretta stentava a crederci – Fammi capire bene... - disse portandosi una mano alla fronte, cercando di riordinare le informazioni appena ricevute – Mi stai dicendo che tu assomiglieresti a questa Erdie che è morta anni fa? - riassunse.
- Da quello che hanno detto Elrohir e Lastie, sono identica! - dichiarò davanti allo specchio, intenta ad allacciarsi la casacca.
- E come si spiegherebbe la cosa? - le domandò lanciandole un'occhiata perplessa.
L'amica ci pensò su un po' – Non lo so! - rispose alzando le spalle.
Il suono della campana che annunciava il pranzo fece cadere lì il discorso.

Finito di mangiare, Glorfindel informò la giovane che nel pomeriggio non si sarebbero allenati. Così lei ne approfittò per passare un po' di tempo con gli amici, che era da giorni che trascurava. Questi ne furono felici, sopratutto Alessandro che ora si era rilassato e tranquillizzato nel vedere la sorella decisamente più allegra.
Evidentemente stava riuscendo a nascondere egregiamente il suo turbamento. Da quando si era ricordata che prima o poi avrebbero lasciato quel posto, il suo umore era decisamente peggiorato. Ma si stava sforzando di apparire rilassata e spensierata.
Si erano raggruppati in una delle terrazze che caratterizzavano l'Ultima Casa Accogliente, godendosi la bellissima giornata calda. Lastie ed Elveon si unirono a loro: la prima era curiosa di scoprire qualcosa riguardante il mondo da cui provenivano; il piccolo Elfo, invece, non si era lasciato sfuggire l'occasione di poter passare del tempo con le sue due fanciulle preferite. Ascoltò rapito e affascinato i racconti dei ragazzi che descrissero gli strani giochi che erano abituati a fare i bambini del loro mondo; o i bizzarri oggetti che usavano per le svariate cose. Quello che lo colpì di più fu il treno: un lungo serpente di metallo che correva su delle assi di ferro, in grado di trasportare le persone da una città all'altra in pochissimo tempo.
Furono talmente presi dalla conversazione che, quando giunse l'ora di cena, ne rimasero sorpresi.

Al loro tavolo, quella sera, si aggregarono anche Lastie e Elveon che, non sazio di tutto quello che aveva ascoltato fino a quel momento, reclamò che gli venisse raccontato altro, a tutti i costi.
Anche i quattro Elfi, che ormai da giorni si erano uniti al gruppetto, prestarono attenzione alle loro parole. Era la prima volta che i ragazzi si dilettavano a descrivere la Terra in loro presenza e ne furono felici.
Avevano iniziato a mangiare da circa dieci minuti quando Milena li raggiunse. Era dovuta passare in camera, invece di seguirli direttamente nella grande sala. Stefano si voltò ad accoglierla con un sorriso, ma si fece subito serio nel notare il suo viso pallido. - E' successo qualcosa? - chiese a bassa voce quando gli si sedette accanto.
La giovane scosse la testa e accennò un sorriso tirato – No, niente! E' solo che, nonostante siano ormai giorni che viviamo qui, ancora non ricordo bene la strada per arrivare fin qua... mi sono persa! - dichiarò cercando di parlare nel modo più naturale possibile, ma la sua voce era leggermente tremolante e affannata.
Il ragazzo però non vi badò, anzi, la canzonò per il suo scarso senso d'orientamento.
Nemmeno gli altri vi fecero caso, concentrati com'erano sui loro discorsi. Nessuno scorse nei suoi occhi verdi il velo di terrore che li aveva avvolti.

Avevano da poco terminato di cenare. I ragazzi si erano fermati a parlare lì nel salone con gli amici Elfi; Lastie aveva raggiunto Elladan e Melime con Elveon, che aveva iniziato a ripetere ai genitori tutto quello che gli era stato raccontato.
Monica preferì allontanarsi e passare un po' di tempo da sola. Inventò una scusa e uscì dal salone. L'unico posto che le venne in mente dove poter trascorrere del tempo senza essere disturbata, fu la Biblioteca. Almeno sarebbe riuscita a distrarsi leggendo qualcosa. Una volta lì, si diresse verso lo scaffale su cui vi erano riposti i tomi tradotti, sotto lo sguardo indagatore di due Elfi seduti in disparte, ognuno ad un tavolo. Li salutò con un leggero cenno del capo quando passò loro davanti, quindi si concentrò sui titoli che aveva di fronte. La tentazione di rimpossessarsi della “Copia del Libro Rosso” fu fortissima, ma alla fine optò per qualcosa di nuovo. Afferrò un libro a caso sulla sua sinistra: era di grandezza normale, racchiuso sempre in una copertina di pelle scura. Raggiunse un tavolo libero, vicino le arcate che davano sulla terrazza. La fiamma della candela che illuminava il suo posto tremolava alla leggera brezza che entrava dalle arcate. Riusciva a percepire distintamente il fresco e inebriante profumo dei pini. Infine spostò lo sguardo sul dorso del libro e sgranò gli occhi nocciola, stupita. Il titolo era scritto in argento e con una grafia arzigogolata: “Grammatica Sindarin”.

Bé... almeno mi terrà abbastanza impegnata!” pensò inarcando le labbra in un sorriso divertito.
Si sedette e iniziò a sfogliare interessata le prime pagine.

Lastie si fermò davanti la porta in legno semiaperta. Era arrivata fin lì su consiglio di Glorfindel e sperava che non si sbagliasse. Varcò l'entrata e fece scorrere gli occhi grigio-celesti nella stanza fino a che non scorse una figura seduta ad un tavolo, leggermente piegata in avanti. Sorrise nel vederla tanto concentrata. La raggiunse cercando di fare il più piano possibile e, una volta che le fu alle spalle, si chinò sopra di lei - Non è una lettura troppo impegnativa per voi? - domandò, scoppiando poi a ridere al salto che la poveretta fece per la paura.
- Vi scongiuro... non lo fate più... se tenete almeno un minimo alla mia vita! - si lamentò la ragazza scoccandole uno sguardo bieco – Già devo stare attenta agli agguati di Glorfindel, se poi vi ci mettete anche voi… -
Un'altra risata risuonò nella Biblioteca. Dei secchi colpi di tosse, provenienti da uno dei presenti, fece notare alla giovane Donna che il suo comportamento non era gradito. Questa si chinò di nuovo sulla vicina – Venite... andiamo a fare due passi. - sussurrò e prima che Monica potesse ribattere, l'afferrò per un braccio e la trascinò fuori sulla terrazza, lasciando il libro aperto sul tavolo.
- Avete bisogno di qualcosa? - le chiese la castana che stava provando a dare un senso a quella reazione.
- Non in particolare... stavo solo cercando qualcuno che mi facesse compagnia! - spiegò sorridendole divertita, continuando a trascinarla.
- Ma io ero occupata a fare altro... - provò a replicare.
Quella si fermò di botto, rischiando che l'altra le finisse contro, e la guardò in silenzio alcuni istanti – Non credo che quello sia un buon modo per imparare il Sindarin... sopratutto è assolutamente noioso. - ribatté seria – Se proprio vi siete messa in testa di imparare la lingua elfica, vi consiglio di farvela insegnare da qualcuno... sarebbe decisamente più produttivo! - concluse sorridendole.
- Ah... capisco! - esclamò poco convinta.
- Se volete posso insegnarvela io! - suggerì entusiasta.
- Bé... - fece per acconsentire, ma venne di nuovo interrotta.
- Ma non questa sera... - dichiarò – sarebbe più propenso domani mattina! Meglio avere la mente riposata e sgombra da torvi pensieri. -
Monica acconsentì. In fondo il suo ragionamento non faceva una piega. E da come la stava guardando sembrava avesse intuito che ci fosse qualcosa che la inquietava. Decise comunque di non rivelarle niente.

Proseguirono la passeggiata in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri, sotto i raggi argentati della luna calante.
- In che rapporti eravate con Erdie? - chiese all'improvviso la castana. Non sapeva nemmeno lei che cosa l'avesse spinta a porre quella domanda. Le era balenata in testa e aveva dato fiato alle parole.
Lastie sembrò sorpresa. Poi un sorriso dolce le illuminò il viso – Era una compagna affidabile e una carissima amica... la consideravo come una sorella! - rispose rattristandosi.
- Oh... mi dispiace... non avrei dovuto... - farfugliò imbarazzata, maledicendosi per il suo poco tatto.
- No, invece sono contenta che me lo abbiate chiesto! - la tranquillizzò – Mi piace parlare di lei! Mi aiuta a non dimenticarla! - nel mentre, si avvicinò ad una panchina di legno e vi ci sedette – Vedete... gli altri sono molto restii a farlo... sopratutto Elrohir... ma penso che questo l'avete notato! - concluse mentre la osservava sedersi lì accanto.
La ragazza affermò con il capo e si girò a guardarla negli occhi – Questa mattina mi ha detto che anche per lui e per Elladan era come una sorella. -
- Esatto! Ma Elrohir risente più di tutti del peso della sua morte! - proferì distogliendo lo sguardo, rivolgendolo poi al cielo stellato – Ricordo il giorno in cui perì come se fosse ieri... ho quegli ultimi momenti vividi nella testa, come se mi fossero stati impressi con il fuoco... - la voce era bassa e melodica, ma piena di tristezza e malinconia – Facevamo parte di una spedizione che aveva avuto il compito di controllare la zona tra l'Anduin e gli Emyn Muil... sapete dov'è? - spostò lo sguardo sulla vicina, giusto il tempo di vederla affermare con il capo, quindi ritornò a contemplare i puntini luminosi sopra la sua testa – Giravano delle strane voci in quel periodo. Vi erano stati degli avvistamenti di strane creature. All'inizio non demmo peso a ciò, credendole solo delle dicerie. Ma quando la gente iniziò a scomparire nel nulla, Re Elessar e il Sovrintendente Faramir vollero vederci chiaro. Avevano bisogno di qualcuno che si sapeva muovere bene e velocemente su terreni dissestati e impervi... e chi se non meglio dei Raminghi e degli Elfi? Per quanto riguarda questi ultimi, si offrirono di parteciparvi Elladan ed Elrohir, che si trovavano a Gondor in visita alla Regina Arwen, che aveva appena partorito. Invece, per i Raminghi, mi offrii io volontaria e due miei sottoposti... -
- Voi fate parte dei Raminghi?! - esclamò l'altra, in quel momento sembrava l'impersonificazione dello stupore.
Lastie ridacchiò divertita per l'espressione buffa che le si era disegnata sul viso – Sì! E se proprio vogliamo essere precisi... in questo momento state parlando con il loro Capitano! - precisò sorridendo soddisfatta.
Ci mancò poco che a Monica le si slogasse la mandibola. Boccheggiò alcuni secondi, incapace di dire una parola; poi cercò di riprendersi dalla sconvolgente notizia, provando a ricomporre le idee e in quel momento un pensiero la investì come una doccia fredda – N-non... non sarete mica... una... Dunedain... - il largo sorriso che si formò sul viso dell'altra confermò la sua supposizione e peggiorò notevolmente il suo stato d'animo. Ormai era andata completamente in tilt. Non sapeva più come comportarsi e iniziò ad agitarsi sulla panca.
La giovane Donna ridacchiò divertita e vedendola in difficoltà non aggiunse altro sul proprio conto, ma riprese a raccontare la storia – Dove ero rimasta? Ah, sì... eravamo pronti a partire, noi cinque... Re Elessar e il Sovrintendente avevano approvato il piccolo gruppetto constatando che eravamo il numero giusto per poter muoverci velocemente e passare inosservati. Eravamo tutti a conoscenza dell'esistenza di spie del Male in cui avremmo potuto imbatterci e un numero maggiore di persone avrebbe destato sospetti. Ma la sera prima della partenza si aggiunse un altro componente, quasi di forza: ovviamente sto parlando di Erdie. Era un tipo che non si lasciava mai sfuggire l'occasione di un po' di avventura e, non appena venne a sapere della missione, volle a tutti i costi farne parte. Non servì a niente opporsi. Quando si metteva in testa una cosa, non c'era verso di farle cambiare idea. - il suo volto si rabbuiò improvvisamente e il tono, fino a quel momento leggero e allegro, andò via via scemando – Con il senno del poi, sapendo quello che le sarebbe accaduto, avrei cercato in ogni modo di non farla venire con noi... anche a costo di mettere a repentaglio la nostra amicizia. Se sono qui, ora, a raccontarvi tutto ciò, lo devo solo a lei e al suo sacrificio. - sospirò e continuò – Ci impiegammo due settimane per scorgere le prime tracce degli esseri di cui ci era stato parlato. Erano insolite, perché non rassomigliavano a nessuna delle creature che conoscevamo. Erano leggermente più piccole di quelle di un Troll e camminavano anche loro su due gambe, ma avevano artigli che lasciavano solchi in profondità. La cosa strana era che, ogni volta ne trovavamo alcune, improvvisamente scomparivano nel nulla. Non riuscivamo a capire come potesse accadere e la cosa non era affatto positiva. Anche perché un essere di quella stazza è impossibile che scompaia nel nulla. Iniziammo così a supporre che potessero avere delle ali, anche se non trovammo alcun indizio che approvasse l'ipotesi. Di piume più grandi del normale non vi era traccia in giro. Allora pensammo che quelle fossero formate da membrane, come quelle dei pipistrelli. Ma ci sbagliavamo. - il tono di voce cambiò di nuovo facendosi cupo – All'incirca un mese dopo la nostra partenza, erano i primi di gennaio, scorgemmo delle tracce fresche e Elladan percepì dei rumori in lontananza. Ricordo che quel giorno nevicava e per paura che quelle potessero scomparire sotto la coltre bianca, ci precipitammo verso la direzione indicata, ma finimmo in una radura vuota ai margini dell'Anduin. Non ci eravamo minimamente resi conto di essere finiti in trappola. Probabilmente quella creatura era da giorni che ci teneva sotto controllo... e era affamata. Era l'alba, avevamo appena deciso di ritornare sui nostri passi quando ci attaccò alle spalle. Fu talmente veloce che ci accorgemmo della sua presenza quando ormai era troppo tardi. Veon, uno dei mie sottoposti, ci cadde davanti i piedi, il ventre squarciato. Elladan venne colpito al fianco e scaraventato a terra metri più avanti. Quando ci voltammo ci trovammo davanti un mostro: poco più basso di un Troll e la metà della sua stazza; ricoperto di pelle scura, marrone e nera; alle mani lunghi artigli affilati; aveva una grande bocca da cui spuntavano una miriade di denti affilatissimi; quello che impressionavano di più erano gli occhi: tondi e completamente bianchi; le braccia erano lunghe, gli arrivavano quasi a terra; la sua velocità e la sua forza erano impressionanti grazie alla muscolatura massiccia. Emanava un odore nauseabondo... che sapeva di morte. Non ci impiegò molto a metterci tutti fuori gioco. Eravamo spacciati. O così credevo... La creatura si fiondò su di me, pronta a finirmi. Ma Erdie si frappose fra di noi e venne trapassata da parte a parte da un artiglio. Riuscì comunque nell'intento di bloccarlo. Elrohir non se lo fece ripetere due volte e colse l'occasione sferrando due fendenti che gli mozzarono il braccio a metà. Stava per colpirlo di nuovo, ma quello scomparve da sotto il nostro sguardo. E finalmente capimmo come mai ne avevamo perso sempre le tracce: si era rifugiato sotto terra. -
- Ma come... è possibile? - domandò sconvolta Monica.
- Si muove fra i cunicoli che scava a diversi metri di profondità. Ha un udito molto sviluppato. - rispose appoggiando la schiena al muro dietro di loro.
- Erdie... era morta? - chiese dopo alcuni istanti di silenzio.
- No, ma era ferita gravemente! Ce ne rendemmo subito conto quando io e Elrohir la soccorremmo. L'artiglio l'aveva colpita all'addome e stava perdendo molto sangue... Provammo a farla stare lunga, ma, con nostra sorpresa, impugnò la spada che le era caduta e si rialzò, intimandoci di recuperare Elladan, Varno, i cavalli e andarcene. Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di replicare che la creatura sbucò di nuovo dal terreno e ci si fiondò addosso, con più furia di prima. Elrohir stava per venire colpito, ma Erdie doveva aver intuito la mossa e bloccò il colpo. Ci gridò contro di andarcene, poi iniziò ad ingaggiare una lotta contro quello. Noi non ci muovemmo. Non avevamo nessuna intenzione di lasciarla lì da sola in balia del mostro. Recuperai la mia spada e mi lanciai contro di esso per darle una mano. Elrohir fece altrettanto. Non riuscimmo ad arrivare a lui che Erdie venne ferita di nuovo, questa volta ad una gamba. Il colpo precedente l'aveva indebolita e faceva fatica a muoversi. Io e Elrohir gli fummo addosso prima che potesse finirla. Anche Elladan, che si era appena ripreso, ci venne in aiuto e riuscimmo ad ucciderlo. Non avemmo il tempo di festeggiare... dal terreno ne sbucò un altro... molto più grande del precedente, sia d'altezza che di stazza. Capimmo immediatamente che non ce l'avremmo mai potuta fare. Elrohir, con un moto di disperazione, gli si avventò contro. Ma venne in poco tempo scaraventato a terra. Il mostro lo afferrò una mano e iniziò a stritolarlo mentre lo avvicinava alla sua bocca, pronto a mangiarlo. Ma una freccia lo colpì ad un fianco impedendogli di fare alcunché. Erdie si era rialzata di nuovo. Si teneva a stento in piedi, ma il suo arco era saldo fra le mani. Scoccò un'altra freccia che si conficcò nel braccio che aveva portato vicino la testa. Quello lasciò andare Elrohir, che cadde in malo modo a terra, e infuriato si diresse verso di lei. Fu per un solo istante che incrociammo lo sguardo con il suo, prima che la creatura ci sbarrasse il campo visivo. Ci bastò per capire... In quel momento Elrohir iniziò a dimenarsi. Voleva raggiungerla e, non riuscendo a camminare, iniziò a trascinarsi disperatamente verso di lei. Cercai di trattenerlo e di impedirgli di muoversi. Elladan gridò il suo nome. Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere tre artigli che la trapassavano di nuovo da parte a parte. Le due figure sul ciglio di un precipizio che si stagliavano contro il sole rosso che sorgeva. Con gli occhi pieni di lacrime la vidi fare due passi incerti verso il dirupo e, con nostro stupore, si lasciò cadere trascinandosi dietro l'orribile creatura che, sbilanciata e presa alla sprovvista, non ebbe il tempo di potersi aggrappare a qualcosa. - un silenzio pesante calò sulle due e durò per diversi minuti – Mi precipitai verso il burrone e mi affacciai, sperando di vederla aggrappata ad una roccia lì sotto... non volevo credere che fosse morta... ma di lei non c'era nessuna traccia. Il dirupo era talmente profondo e buio che non si riusciva a scorgere nulla. - sussurrò. Si percepiva benissimo la sua sofferenza – Elrohir ancora non si da pace! Si ritiene il maggior responsabile... se non fosse stato così avventato e non avesse messo a repentaglio la sua vita, Erdie non sarebbe andata in suo soccorso e non sarebbe morta. E' questo quello che si ripete ogni giorno. Come al solito tende ad addossarsi tutta la colpa, come se noi altri non ci sentissimo meno responsabili. -
Monica non disse niente, ma ora capiva perché l'Elfo moro l'aveva trattata così freddamente nel primo periodo che si erano conosciuti. Non doveva essere stato facile per lui ritrovarsi davanti una ragazza che somigliava spudoratamente a una delle persone che aveva perso e a cui aveva tenuto di più. Probabilmente anche per gli altri non era risultato semplice. E dire che aveva urlato loro contro tutte quelle parole. Ora si sentiva veramente uno schifo – Forse ho esagerato un po'... - mormorò risentita.
Lastie si voltò a guardarla perplessa – Di che state parlando? -
L'altra, rendendosi conto che doveva aver parlato ad alta voce, arrossì imbarazzata – Ah... ehm... ecco... - farfugliò agitata – Vedete... la prima sera che siamo arrivati qui ad Imladris, c'è stato un piccolo diverbio fra me e tutti i presenti... - spiegò ridacchiando nervosa.
- Un piccolo diverbio? - ripeté stupita quella.
- Sì... Messer Elrond ci aveva appena illustrato la situazione in cui vi trovate ora... riguardo il Male che si sta sempre di più rafforzando e la sua morsa che si sta facendo sempre più stretta... e che non avevano più la forza di reagire... così io gli ho urlato contro che non avrebbero dovuto arrendersi... e poi li ho insultati chiamandoli vigliacchi! - raccontò vergognandosi sempre di più – In effetti non so' proprio cosa mi sia preso in quel momento... - stava cercando di spiegare, quando la vicina scoppiò in una fragorosa risata.
- Siete stata fantastica! - si complimentò fra una pausa e l'altra per riprendere fiato – Quanto avrei voluto essere anche io presente per vedere le facce di tutti! Accidenti! Mi ci dispiace davvero! - dichiarò leggermente contrariata – Quindi devo a voi il fatto che si siano ripresi dallo stato di depressione in cui erano sprofondati ultimamente... quando sono arrivata questa mattina non riuscivo a credere di vederli così cambiati e addirittura felici... avete fatto un ottimo lavoro! Vi ringrazio davvero di cuore! - esclamò dandole una pacca sulla schiena.
La ragazza la guardava confusa e stralunata. Non si aspettava di certo i suoi ringraziamenti – Ma li ho insultati... - provò a replicare.
- Ogni tanto gli fa bene! - fu la risposta pronta che ricevette – Tu non puoi nemmeno immaginare le litigate che faccio con tutti ogni volta che ritorno qui e li vedo sempre più stanchi e con il cuore colmo di paura, privi di ogni speranza! Non sopporto di vederli così... quindi cerco sempre di svegliarli, di far capire loro che ancora non abbiamo perso contro il Male... e sì... anche io li insulto! Quindi state tranquilla! - rivelò sorridendole – Forse le vostre parole hanno avuto un riscontro migliore proprio grazie alla vostra somiglianza con Erdie... probabilmente avrebbe reagito anche lei come voi, se si fosse trovata in una situazione simile... ma quando morì il Male non si era propagato ancora in modo così vasto... -
La castana credeva ancora di essere stata troppo sfrontata, ma le parole di Lastie l'avevano confortata.
- Oltre a ciò, devo anche ringraziarvi per aver dato una bella lezione a Morwen! - aggiunse sogghignando compiaciuta – Non sapete quanto sono stata contenta quando mi è stato riferito questa mattina da Elladan... voi, una semplice ragazza, che la batte in una sfida al tiro con l'arco... non so' come ci siete riuscita, ma avete tutta la mia stima! Siete incredibile! - era davvero euforica – Ah! Quanto avrei voluti esserci anche lì... avrei potuto godere appieno della sua sconfitta! Mi sono persa un po' troppe cose che meritavano di essere viste! Non va bene! - sbuffò seccata.
- Non vi sta particolarmente simpatica, Romenwen, vero? - chiese sorridendo.
- Assolutissimamente no! - rispose decisa – Non so' se siete al corrente di quello che ha combinato tempo fa... -
- Sì. - la interruppe facendosi seria – Elrohir mi ha raccontato quello che è successo a Minas Tirith e qui con Elveon... Anche io la trovo un tipo poco rassicurante... non mi piace per niente! Quando l'ho umiliata davanti a tutti mi ha lanciato uno sguardo omicida... credevo mi sarebbe saltata addosso e mi avrebbe uccisa all'istante! -
- A nessuno piace... purtroppo dobbiamo sopportare la sua presenza... è l'unica maniera per tenerla sotto controllo! Comunque state attenta. -
Monica si irrigidì, preoccupata, quindi affermò con il capo. L'unica cosa che la confortava era il fatto che ultimamente l'Elfa non si era fatta vedere in giro. Doveva essersela presa davvero molto. Stava sperando di non rivederla per i seguenti giorni, quando una risatina agghiacciante le fece voltare all'unisono verso la loro sinistra. Lei ovviamente sbiancò.
- Ma guarda un po' che strana coppia vedo qui... - cantilenò una voce e da dietro una colonna comparve appunto Romenwen - la ragazza fortunata... - disse fissando gelidamente Monica, prima di spostare lo sguardo su Lastie – e niente di meno che il Capitano dei Raminghi... - il disprezzo con cui sottolineò le ultime parole fu pienamente percettibile – speravo vi sareste trattenuta più a lungo nella vostra scampagnata insieme ai vostri cani da guardia... - gli occhi blu che luccicavano di un bagliore sinistro.
- Bada bene a quello che dici... perché non ti permetto di insultare i miei uomini! - proferì quella infuriata scattando in piedi.
- Non mi sembra di averli insultati... in fondo sono così leali e ubbidienti... ditemi, scodinzolano anche quando li elogiate? - continuò imperterrita.
- Tu... - esclamò l'altra digrignando i denti, scattando verso di lei, ma venne bloccata prontamente da Monica che le si piazzò davanti trattenendola per le braccia.
- Lastie, vi prego... non abbassatevi al suo livello... non ne vale la pena! - le sussurrò guardandola timorosa. Le sue parole sembrarono far ragionare la Dunedain che le sorrise.
- Abbassarsi al mio livello?! - ripeté quasi sconcertata quella – Ma mia cara... come potrebbe succedere... se entrambe siete decisamente inferiori a me! -
- Vi ricordo che un essere inferiore come me vi ha battuta in modo impeccabile la settimana scorsa... - un sorriso soddisfatto le inarcò le labbra quando notò un velo di disappunto calare sul viso dell'Elfa.
- Non vi vantate così tanto quando avete avuto soltanto un colpo di fortuna! - sibilò assottigliando lo sguardo.
- Fortuna o no... il risultato non cambia... voi avete perso! - ripeté seria. Un lamento lì vicino la avvertì che Lastie stava cercando in tutti i modi di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
- Da quando avete acquistato tutta questa fiducia in voi? All'inizio mi sembravate molto turbata e confusa... il fatto che le persone più rilevanti di questo posto vi considerano importante e abbiano tutta questa confidenza con voi deve compiacervi molto e vi ha fatto acquistare più sicurezza... ma sappiate che lo stanno facendo solo perché somigliate vagamente a quella Erdie! Non capisco cosa ci fosse di così speciale in lei... solo perché si è sacrificata per salvarvi... doveva essere davvero stupida... -
- Non osare parlare così di Erdie! - esclamò minacciosa Lastie scandendo bene le parole una ad una.
- Perché altrimenti cosa fai? - la provocò quella sogghignando divertita.
- Non esiterei a mettervi le mani addosso! - proferì furibonda mentre Monica continuava a trattenerla, ma la cosa stava risultando difficile.
- Prego, provateci pure... sempre se ci riuscite! - esclamò Romenwen che sembrava non aspettasse altro.
La giovane Donna si liberò dalla presa di Monica con uno strattone e si lanciò sull'Elfa.
- Lastie, no! - gridò l'altra spaventata. Poi sgranò gli occhi sorpresa, come del resto fece anche la Dunedain.
Elrohir l'aveva bloccata con un braccio teso davanti a lei mentre guardava serioso l'Elfa – Basta così! - intimò con tono deciso, quindi si voltò verso Lastie e la guardò greve – Un Capitano non dovrebbe perdere la calma così facilmente... - la rimproverò sorprendendola. Lei cercò di replicare, ma lui glielo impedì – Non capisco come sia venuto in mente ad Elessar di dare a te quella carica... sei ancora una bambina! -
Quella lo guardò sconvolta, credendo di non aver capito bene – Stai scherzando, vero? - chiese in un sussurro, con un groppo alla gola, mentre Romenwen osservava la scena compiaciuta.
- Ho detto ai tuoi uomini di prepararsi a partire... - continuò l'Elfo imperterrito.
- Aspetta un momento... tu non puoi dare ordini ai miei uomini! - strillò lei, ora era infuriata. Stava tremando dalla rabbia.
- Non li sto dando a loro... ma a te! - specificò rimanendo freddo e calmo – Partirete entro domani sera! - dichiarò lapidario.
- Tu non puoi dirmi cosa devo fare... sono io che decido quando partire! - gridò, le lacrime che le pungevano agli angoli degli occhi.
- L'ho appena fatto! - ribadì impassibile – E ho tutta l'autorità di farlo! Quando crescerai potrai fare come ti pare! -
La Dunedain restò a fissarlo sbigottita alcuni secondi, poi assottigliò lo sguardo e strinse i pugni lungo i fianchi – Ti odio! - disse prima di voltarsi e allontanarsi velocemente.
Romenwen gli afferrò un braccio e gli sorrise trionfante – Sono pienamente d'accordo con voi... è proprio un'incapace... -
- Non mi toccare! - la interruppe gelido allontanando l'arto, quindi si voltò verso Monica che aveva seguito la scena ammutolita e confusa – Venite... vi riaccompagno alla vostra stanza! -
La ragazza non obiettò e lo seguì senza degnare di uno sguardo l'Elfa. Ma sentiva chiaramente i suoi occhi blu taglienti puntati sulla sua schiena.

Per tutto il tragitto non fece altro che pensare al comportamento di Elrohir. Quella mattina si era accorta che i due non andavano molto d'accordo, ma aveva intuito che Lastie lo prendesse in giro e lo insultasse solo per punzecchiarlo. Invece, a quanto pareva, a lui non stava per nulla simpatica. Gli lanciò un'occhiata di sbieco e si stupì di vedergli un'espressione afflitta sul bel viso. Si chiese perché, ma preferì non indagare. Non voleva che l'altro si arrabbiasse anche con lei. Però il suo comportamento le sembrava alquanto strano.
Una volta cambiata si infilò sotto le coperte e ripensò a quello che le aveva raccontato Lastie quella sera. Poi una creatura mostruosa prese forma nei suoi pensieri prima di addormentarsi.
Quella notte ebbe gli incubi.

Si svegliò la mattina di soprassalto. Aveva sognato che il mostro aveva ucciso tutti i suoi amici e lei era rimasta a guardare impotente tutta la scena. Si cambiò e uscì dalla stanza. Aveva intenzione di andare a cercare Lastie, era preoccupata per lei. Ma non la trovò da nessuna parte. Essendo ora di colazione e avendo un certo languorino si diresse nella Sala grande. Sperò di trovarla lì, ma di lei non c'era traccia. In compenso i suoi amici erano tutti presenti e si stavano abbuffando al loro tavolo. Li raggiunse sorridente, augurandogli il buongiorno.
- Dove eri finita ieri sera? - volle subito sapere il fratello.
- Sono stata a fare due passi con Lastie! - li informò prima di addentare un pezzo di torta – A proposito... l'avete vista per caso in giro? -
Tutti negarono. Fece la stessa domanda ad Alyon e gli altri tre, quando si unirono a loro per la colazione, ma nemmeno loro l'avevano vista.
- Ho sentito dire che ripartirà questa sera! - riferì Varnothar.
- D'avvero?! - chiese stupito Nolon – Ma è appena tornata! -
L'Elfo biondo alzò le spalle – Sembra che glielo abbia ordinato Elrohir. - aggiunse.
- A proposito... sta mattina l'ho incrociato... e sembrava un po' giù di corda! - si intromise Turion, voltandosi a guardarlo. Era seduto all'altro tavolo e aveva l'aria assente.
- Deve essere successo qualcosa fra lui e Lastie... come minimo avranno litigato un'altra volta! - suppose Nolon.
Monica stava ascoltando i loro discorsi, ma non disse niente. Non le sembrava educato andare a raccontare in giro cosa fosse successo la sera precedente. Lanciò anche lei un'occhiata a Elrohir e lo vide improvvisamente irrigidirsi. Corrugò la fronte e si voltò nella direzione in cui stava guardando e vide Lastie, appena entrata, dirigersi a passo spedito verso il loro tavolo. Si fermò dietro di lei e, con poco garbo, ordinò a Alyon di spostarsi. Quindi si sedette fra i due sbuffando. La ragazza la osservò riempirsi il piatto con gesti bruschi. Aveva lo sguardo accigliato e si vedeva lontano un miglio che era di pessimo umore. Notò con sorpresa che aveva gli occhi leggermente arrossati. Forse quella sera aveva pianto, quando se ne era andata.
- Che c'è? - sbottò all'improvviso lei, guardandola male.
- Niente... scusami! - farfugliò imbarazzata, riabbassò lo sguardo sul piatto e non osò più rialzarlo sulla vicina. E ritenne che ricordarle la sua promessa di darle lezioni di elfico, quella mattina, potesse essere una buona idea.

Avevano appena terminato di mangiare e si stavano tutti intrattenendo nella Sala grande a chiacchierare. Melime aveva raggiunto Lastie prima che se ne andasse e scomparisse di nuovo. Quest'ultima sembrava poco propensa a parlarle, ma restò lo stesso a sentire cosa l'Elfa bionda avesse da dirle. Monica invece stava raggiungendo Elveon che si trovava con Elladan. Questo era intento a parlare con Glorfindel e suo padre, mentre Elrohir, poco più in là, ascoltava la conversazione.
All'improvviso vide con la coda dell'occhio un Elfo entrare nella stanza e dirigersi velocemente verso questo gruppetto. Inizialmente non lo riconobbe, anche se aveva la sensazione di averlo già visto. Poi si ricordò di lui: era Feanor. Si domandò cosa facesse lì. Anche Elrond e gli altri sembrarono sorpresi di vederlo.
- Feanor... è successo qualcosa? - domandò preoccupato Elladan.
- No, o meglio... niente di grave, anzi... - si affrettò a rispondere quello – Sono venuto a informarvi che gli Orchetti hanno abbandonato da ieri il loro accampamento al di là del Bruinen! -
I presenti lo guardarono allibiti – Come è possibile? - chiese Glorfindel.
- Non lo so... fino a ieri mattina presiedevano la sponda del fiume, poi ieri pomeriggio non vi era più traccia di loro! - rispose quello – Li ho fatti subito seguire e ieri sera mi è stato inviato un messaggio: sembra stiano andando a Nord! -
- A Nord? - ripeté confuso Elrohir.
Calò il silenzio mentre tutti stavano soppesando le notizie. Monica si era fermata a pochi passi di distanza da loro. Non aveva capito niente di quello che avevano detto, dato che avevano parlato in Elfico, ma aveva intuito che doveva essere successo qualcosa. Vide Elrond sospirare e spostare lo sguardo su di lei. I loro occhi si incrociarono e vi lesse una profonda tristezza. Intuì subito, ancor prima che lui parlasse, cosa avrebbe detto. Ebbe un tuffo al cuore e il respiro le si mozzò in gola in attesa di quelle fatidiche parole.
- Aspetteremo che ci giungano altre notizie dal Nord... se queste saranno positive, preparatevi a partire... riporteremo i ragazzi a casa! - annunciò ad alta voce.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:

Lastie: Ascoltatrice.
Veon: Uomo, virile.
Varno: Difensore.


NOTE DELL'AUTRICE:
Io non capisco... mi ero bloccata per moltissimo tempo all'inizio, poi, tutto ad un tratto, mi è venuta l'ispirazione e ho finito il capitolo in tre giorni! O.o I misteri della vita!
Vabbuò... misteri a parte... spero vi sia piaciuto!
Lastie è un personaggio che mi sta a cuore, quindi spero vi abbia soddisfatto.
Credo vi state domandando “E adesso?” E adesso niente. I baldi giovani se ne tornano a casa! Sono rimasti anche troppo nella Terra di Mezzo. Mi sono dilungata un più del dovuto, in effetti. Considerando il fatto che sulla Terra il tempo trascorre tre volte più velocemente che sulla Terra di Mezzo... fatevi due conti... dovrebbero essere passati circa due mesi dalla loro scomparsa. E sinceramente non so nemmeno che scusa inventarmi per giustificare una così lunga assenza. Ma ci penserò dopo, qualcosa mi verrà in mente... spero! :S
Ah! Faccio un
annuncio. Siccome sono convinta che due paia di occhi siano meglio di uno, ho pensato di chiedervi se qualcuno è interessato a farmi da Beta... ovviamente questo messaggio è diretto a persone che sanno dove sta di casa la punteggiatura e che abbiano una buona conoscenza della coniugazione dei verbi. Insomma che amano la scrittura come deve essere e non le storpiature e che abbiano una conoscenza buona dell'italiano!
In più dovrà sopportare me e i miei scleri!! e forse questo sarà il lavoro più difficile! XD
Se qualcuno è interessato mi faccia sapere! :)
Detto ciò passo a rispondere alle recensioni:

Straw X Kisshu: Carissima, eccoti finalmente il capitolo! Scusa se ti ho fatto penare nell'attesa! :(
Comunque sono contenta che ti sia piaciuto Glorfindel, anche a me piace molto! ^^ Ahahahahah! Glorfindel e Monica... XD Mi vien da ridere solo a pensarci! Non credo durerebbero molto insieme... probabilmente Glorfindel la esaspererebbe! :P Cercherò di non farti attendere molto per il prossimo capitolo. Già ho tutto in mente, quindi non dovrei avere problemi (spero non siano le mie ultime parole famose -.- ).

Ramona37: Sono contenta che il precedente capitolo ti sia piaciuto e spero che questo non sia da meno! ^^ Aspetto la tua recensione! ;)
Nayomi: Felicissima che ti sia piaciuto come ho caratterizzato Glorfindel! Non speravo in tanto successo! :D Oddio... la tua migliore amica deve essere tremenda, allora! XD Per quanto riguarda Romenwen... non ha avuto una grandissima parte... ma è brava a comparire nei momenti meno opportuni! -.- Spero ti abbia soddisfatta! :) Non so' se nel prossimo capitolo farà la sua ricomparsa... ma sono più propensa per il no... forse una fugace apparizione!
Ringrazio di cuore voi che avete recensito e ovviamente anche coloro che non lo fanno, ma continuano a leggere i miei scempi! XD Se continuate a leggere vuol dire che la mia storia vi piace e questo mi rende super contenta! *.* Ma non siate timidiiii! Suvvia... lasciatemela una recensioncinaaa! Mi rendereste ancora più lieta!!
Bacione a tutti.
Kicca

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Capitolo 15
*** Tornare a casa. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 14: TORNARE A CASA.

Dall'arrivo dei giovani Uomini, le giornate ad Imladris si erano leggermente vivacizzate. Ma mai come quel giorno. Da quando era stata data loro la notizia che presto sarebbero tornati a casa, l'entusiasmo e l'euforia avevano preso il sopravvento.  
L’unica che era di umore completamente opposto era Monica. Aveva provato in tutti modi a cercare di essere felice, ma la cosa non le riusciva. Sapeva che tutto quello le sarebbe mancato, una volta tornata. E dato che non riusciva a reggere la felicità degli amici, aveva deciso di non stare con loro.
Suo fratello Alessandro e Elisa avevano capito la situazione e non le avevano detto niente.
Aveva iniziato a girovagare per l’Ultima Casa Accogliente, provando ad imprimere nella mente quel posto spettacolare. Melime ed Elveon erano con lei. Dato che non li avrebbe più rivisti, era contenta di passare quegli ultimi momenti con loro. Le dispiaceva che non ci fosse anche Lastie. Era partita la sera precedente, come ordinatole da Elrohir. Nonostante fosse infuriata, aveva deciso comunque di passare il pomeriggio del giorno precedente con lei. E questo Monica lo apprezzò tantissimo. In fondo, anche se avevano trascorso poco tempo insieme, le piaceva. Ed era stato veramente difficile dirle addio.
Quella mattina era anche arrivata la notizia che gli Orchetti non sembrava volessero tornare sulle rive del Bruinen e continuavano ad avanzare verso nord.
Quindi Elrond aveva deciso che, senza perdere altro tempo, i ragazzi sarebbero partiti l’indomani mattina, avrebbero poi sostato la notte nell’accampamento, per ripartire poi il giorno dopo fino a raggiungere la grotta da dove erano arrivati, il tutto scortati dagli Elfi. Il problema sarebbe stato trovare la grotta. Comunque questo punto l’avrebbero affrontato una volta là.
Quel pomeriggio fu decisamente deprimente. La ragazza aveva il cuore pesante, non le andava di parlare, lo faceva solo per rispondere alle domande che le venivano fatte.  Aveva completamente il morale sotto le suole delle scarpe.
Glorifindel aveva pensato di proporle un ultimo duello, ma dato la condizione emotiva in cui si trovava, non gli sembrò il caso. Gli dispiaceva un sacco doverle dire addio. E non era l’unico. Molti erano tristi per la sua partenza. La sua somiglianza con Erdie aveva risvegliato i sentimenti che avevano sepolto con la sua morte.
La sera Monica mangiò pochissimo. Restò completamente in silenzio immersa nei suoi pensieri. Poi, una volta che la cena terminò, si alzò e si dileguò. Voleva restare da sola per un po’. Iniziò a vagare senza rendersi conto di dove stesse andando. Si ritrovò dopo un po’ sotto un piccolo porticato circolare, situato proprio sopra il Bruinen. Si avvicinò al parapetto in pietra e vi appoggiò le mani. C’era la luna piena e tirava un venticello piacevole. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Il profumo dei pini era inebriante e il rumore del fiume assordante.
La vista era davvero stupenda. L’Ultima Casa Accogliente, avvolta nel chiarore della luna e con le luci rosse delle fiaccole, aveva un aspetto incantato.
Il macigno che aveva sullo stomaco si fece ancora più pesante. In quell’istante pensò che se qualcuno le avesse chiesto di rimanere, l’avrebbe fatto, senza pensarci due volte. Non voleva più tornare a casa. Forse era pazza a pensare quelle cose, ma in tutti quei giorni che aveva passato lì si era sentita viva come non le era mai successo prima. Come se quei diciannove anni che aveva vissuto fino a quel momento li avesse trascorsi all'interno di una bolla che, una volta arrivata ad Arda, era scoppiata. Era come se avesse iniziato a respirare per la prima volta. Come se si fosse svegliata da un sogno grigio e monotono. Cosa sarebbe successo una volta tornata? Si sarebbe formata di nuovo quella bolla? Sarebbe tornata a vivere quei giorni monotoni, tutti uguali, che l'avrebbero fatta spegnere lentamente? Probabilmente i colori vividi che vedeva in quel momento sarebbero tornati del solito grigiore. Avrebbe dovuto lottare per andare avanti, giorno dopo giorno e vivere una vita piatta. Sarebbe riuscita ad affrontare tutto questo? Ragionando su queste cose, la paura la investì. Forse in futuro, ripensando a questi giorni, si sarebbe convinta di aver fatto solo un sogno. Un brivido le percorse la schiena. Non voleva che succedesse. Non voleva rinnegare quello che aveva provato, quello che aveva passato. Avrebbe preferito fosse davvero solo un sogno perché sentiva che per reprimere il dolore di quel ricordo, si sarebbe autoconvinta che fosse stata solo un'illusione. Si accasciò a terra non riuscendo più a sostenere il peso del cuore. Un singulto la scosse e in quel momento si rese conto che stava piangendo, aggrappata disperatamente alle colonnine in pietra sotto il parapetto. Voleva continuare a sentirsi viva. Strinse i denti, le nocche delle dita erano diventate bianche per quanto stava tenendosi forte. Represse un urlo. Non voleva andare via.

Erano partiti prestissimo quella mattina, così sarebbero arrivati all'accampamento in serata.
Fecero una sosta per far riposare i cavalli verso l'ora di pranzo, poi ripresero spediti. Per tutto il tempo Monica non aveva aperto bocca. Anche quella mattina era stata di poche parole. Aveva tenuto in braccio Elveon per quel poco tempo che la separava dalla partenza. Era inutile dire che le sarebbe mancato da morire. Poi, lo aveva baciato sulla fronte prima di restituirlo a Melime. L'Elfa le carezzò la testa e le regalò un dolce sorriso. Toccò quindi ad Elrond dire le parole d'addio. Ma non sapeva cosa disse perché da quel momento si estraniò completamente. Non si rese nemmeno conto che qualcuno la stava seguendo da lontano. Due occhi blu, gelidi, un viso pallido solcato da un ghigno. Quindi montarono tutti in sella ai cavalli e partirono. Sentì la vocina di Elveon che la chiamava Silwen, per l'ultima volta. Poi fu come se la coltre di nebbia l'avvolgesse definitivamente.
Non si accorse che Diana era scoppiata in lacrime, anche lei dispiaciuta e triste di lasciare quel posto. Né delle facce mogie che avevano i suoi amici.
Restò per tutto il tempo ad osservare la criniera e il manto bruno del suo cavallo, oppure guardava a terra. Tutti i movimenti che faceva erano automatici e senza alcuna energia. Era completamente vuota. Come se le avessero strappato l'anima.
Accanto a lei avevano cavalcato per tutto il tempo Elrohir, Elladan e Glorfindel. Quest'ultimo era voluto andare a tutti i costi con loro. L'aveva vista la sera prima. Era rimasto tutto il tempo a guardarla disperarsi, impotente.
Ricordò la chiacchierata che aveva avuto quella notte con Elrond. Glorfindel era entrato di foga nel suo studio e gli aveva detto di averla vista, che voleva fare qualcosa, che voleva chiederle di restare ancora un po'. Ma Elrond l'aveva fatto ragionare. Anche se fosse rimasta per dell'altro tempo, poi sarebbe stata ancora più dura per lei doversene andare. E gli ricordò che Arda non era il suo posto. Che lei proveniva da un altro mondo. Non poteva restare con loro.
L'Elfo biondo spostò lo sguardo sulla figura sulla sua sinistra. Era incurvata in avanti, come se avesse un macigno sulle spalle. Il viso era pallido e gli occhi erano rossi e gonfi, contornati dalle occhiaie violacee. Notò con dispiacere che erano spenti. Quella luce vivace che vi aveva visto fino a pochi giorni prima, era completamente scomparsa. Sospirò preoccupato.
Ovviamente non era l'unico. Elrohir si trovava dall'altra parte, alla sinistra della ragazza, anche lui visibilmente preoccupato. Aveva intuito che la ragazza non avesse chiuso occhio tutta la notte. Ogni tanto si voltava verso il fratello, come per cercare sostegno, o per chiedergli mentalmente cosa potesse fare. Ma nemmeno Elladan sapeva cosa dire o come comportarsi.
Quindi restarono tutti e tre chiusi in silenzio.

Arrivarono per l'ora di cena all'accampamento. I ragazzi erano stanchissimi dopo aver cavalcato per tutto il giorno e si lamentavano dei muscoli indolenziti mentre seguivano gli amici Elfi fino ad un grande fuoco, intorno a cui avrebbero mangiato.
Anche Nolon, Alyon, Turion e Varnohtar avevano voluto accompagnarli. E, grazie a loro che avevano scherzato con i ragazzi, il viaggio non si era trasformato in un corteo funebre, come probabilmente sarebbe accaduto date le condizioni in cui riversava il gruppetto con Elrohir, Elladan, Glorfindel e Monica.
Anche la cena fu abbastanza allegra, la tristezza aveva abbandonato i cuori dei giovani Uomini che ora erano elettrizzati per l'imminente ritorno a casa. Anche se spesso tutti lanciavano occhiate preoccupare verso la loro amica che continuava a non dire niente.
Toccò di nuovo pochissimo cibo e rimase a fissare il fuoco fino a che non vennero spediti a letto.

Stava iniziando a farsi giorno quando Monica si alzò dal giaciglio ed uscì dalla tenda. Si guardò intorno alcuni istanti, poi iniziò ad incamminarsi senza meta. Lasciò che le gambe andassero da sole. Ma non si allontanò di molto. Aveva fatto alcuni metri fuori dell'accampamento quando una voce la chiamò. Lei si riscosse dai suoi pensieri e si fermò. Non fece in tempo a farsi delle domande che qualcuno le atterrò davanti la faccia. Ma stranamente non ne fu sorpresa e non si spaventò. L'elfo moro ne sembrò divertito, poi una smorfia gli si dipinse sul bel volto - Sapete di non avere affatto un bell'aspetto? - proferì non togliendole gli occhi verdi di dosso. Lei non rispose, si limitò a ricambiare l'occhiata. Quello allora riprese a parlare – Non volevo interrompere la vostra passeggiata mattutina... ma purtroppo non posso farvi allontanare più di così. - incrociò le braccia al petto – Questo posto non è sicuro, nonostante gli Orchetti se ne siano andati... ecco perché stiamo facendo da sentinelle... e voi fra altri due passi avrete superato il confine. - spiegò spostandosi accanto a lei, poi indicò una linea immaginaria a terra, davanti a loro – Sia chiaro... dopo quello che avete mostrato di essere capace di fare ad Imladris, potrei anche optare per il lasciarvi proseguire oltre... - un sorriso divertito gli incurvò le labbra – Ma poi Glorfindel, Elladan ed Elrohir mi uccideranno! Quindi... vi sarei immensamente grato se potreste invertire la vostra rotta e dirigervi in un altro posto! - dichiarò allungando un braccio in direzione dell'accampamento – Oh, ovviamente restando sempre nei confini. - aggiunse facendole l'occhiolino.
Monica restò ad osservarlo in silenzio per alcuni secondi – Parlate troppo. - puntualizzò ad un tratto. In lontananza le sembrò di percepire una risata.
L'Elfo la guardò sorpreso per un po', poi scoppiò a ridere – Sì, me lo ripete in continuazione anche Turion. Perdonatemi. - accompagnò quest'ultima parola con un inchino.
La ragazza accennò un gesto del capo, poi si volto e fece per allontanarsi.
- Silwen! - la chiamò Alyon. Lei sgranò gli occhi nocciola e si pietrificò sul posto. - Riesco a capire che questo sia un momento difficile per voi... - mormorò, il tono della voce si era fatto dolce – Ma volete davvero andarvene così? -
Lei rimase alcuni istanti spiazzata dalla domanda, poi si voltò di scatto, ma Alyon già non c'era più. Si guardò in torno, sollevò lo sguardo fra i rami degli alberi, ma non riuscì a scorgerlo.
Sospirò e si incamminò verso l'accampamento, la domanda che le rimbombava in testa.
Aveva perfettamente capito a cosa si riferisse l'Elfo. E aveva pienamente ragione. Sapeva anche lei che restarsene in silenzio non avrebbe risolto niente. Stava sprecando quegli ultimi momenti, quando avrebbe potuto passarli a fare le ultime chiacchierate con coloro che le erano stati accanto in quest'ultimo periodo. Con quegli Elfi che le avevano sconvolto la vita, che l'avevano aiutata e che le avevano insegnato un sacco di cose. Quegli Elfi che presto non avrebbe rivisto mai più.
Strinse i pugni lungo i fianchi accelerando il passo. Si fermò a chiedere delle informazioni ad un Elfo, quindi corse verso la sua meta.
Entrò nella tenda di Elladan ed Elrohir di slanciò ritrovandosi puntati addosso tre paia di occhi che la guardarono sconvolti.
- Dama Monica... è successo qualcosa?- chiese preoccupato Elladan che da seduto scattò in piedi, imitato dagli altri due.
- Io... io... - ansimava per la corsa, aveva il cuore che le batteva a mille, gli occhi erano velati dalle lacrime. Prese un bel respiro cercando di calmarsi, le lacrime le rigarono il viso – Grazie! - fu tutto quello che riuscì a dire. Poi chinò il capo e si lasciò andare alle lacrime, in silenzio.
I tre Elfi si scambiarono un'occhiata d'intesa e sorrisero dolcemente. Elrohir le si avvicinò e l'abbracciò, accarezzandole la testa. Lei gli si aggrappò istintivamente alla casacca.

Avevano superato il Bruinen quella mattina presto ed ora cavalcavano seguendo la strada grigia.
I ragazzi si erano lanciati occhiate basite per tutto il tempo. La loro amica, da quella mattina, sembrava essersi ripresa, conversava tranquillamente con gli Elfi e anche con loro. Sorrideva perfino. Certo, non sprizzava gioia da tutti i pori e aveva un'aria stanca, ma sembrava aver riacquistato un po' di buon'umore.
In effetti le era servita la conversazione che aveva tenuto con i tre Elfi. Dopo essersi calmata, aveva continuato a ringraziarli e rivelò quanto fosse stata felice per tutto quello che le era capitato in quei giorni. E che grazie a quell'esperienza, si sentiva cambiata, ovviamente in meglio. Anche i tre la ringraziarono per il coraggio che aveva risvegliato in loro. Le promisero che avrebbero continuato a lottare e ad opporsi a questo nuovo Male.
Alyon ogni tanto lanciava occhiate divertite verso la ragazza. Era contento che le sue parole l'avessero aiutata a riprendersi. La giovane non mancò di ringraziarlo di cuore.

Stava calando la sera. Il cielo si stava tingendo di blu e stavano comparendo le prime stelle.
In quei giorni il tempo li aveva sempre assistiti. Erano state delle bellissime giornate tiepide. Anche quella sera non vi era una nuvola in giro.
Quella mattina Elladan riferì loro che non si sarebbero accampati per la notte, ma avrebbero proseguito fino a che non fossero giunti alla grotta. Sarebbe stato troppo rischioso fermarsi. Il fatto che fino a quel momento avessero proseguito il viaggio indisturbati era stata una vera fortuna. Come fece notare scherzosamente Varnohtar quel pomeriggio, sembrava come se qualcuno volesse farli tornare a casa sani e salvi.
I ragazzi si ritrovarono a pensare che fosse una cosa decisamente ottima. Per i loro gusti ne avevano passate anche troppe. Ne avevano abbastanza di Troll e Orchetti.
Fecero una breve pausa per far riposare e sgranchire i giovani Uomini, misero qualcosa sotto i denti e si rimisero in viaggio. Era passata da poco la mezzanotte. La mezza luna illuminava flebilmente la strada grigia. Ad un tratto Monica sollevò il capo e si guardò in torno, rallentando l'andatura del suo cavallo. Continuò ad osservare la scarpata sulla sua destra.
- Che c'è? - le chiese Glorfindel iniziando anche lui a scrutare tra le piante che ricoprivano il pendio.
- Credo... - proferì scendendo da cavallo – Credo che sia questo il punto... -
Gli altri si erano arrestati poco più avanti. Alessandro evitò di chiedere alla sorella come facesse a saperlo dato che lui non ci vedeva quasi niente. Ma sembrava che in quei giorni lei avesse sviluppato un'ottima vista e, si accorse quella mattina a spese della cugina, anche un ottimo udito. Milena se ne era uscita con una delle sue solite frasi fuori luogo e ricevette una pignata in testa da Monica che cavalcava in fondo al gruppo.
Elladan raggiunse la ragazza e Glorfindel, chiedendole se ne fosse sicura. Monica riferì che quel posto le sembrava familiare. Poi spiegò loro che se era il punto esatto, poco più in su avrebbero trovato a terra le loro torce che avevano lasciato lì venti giorni prima. Le ci volle un po' per spiegare che non erano fatte come le torce che conoscevano loro. Sempre se qualcuno non se le era portate via, poi.
Nolon e Turion si offrirono volontari ad andare a controllare. E così, agli altri non rimase che attendere. Non molto, in verità. Un quarto d'ora dopo i due erano già di ritorno e Nolon aveva in mano qualcosa. Si diresse verso Monica e le mostrò l'oggetto che aveva in mano. Gli amici scattarono verso di lei domandandole cosa fosse, se erano riusciti a trovare qualcosa. Come risposta vennero abbagliati dall'improvviso fascio di luce che si sprigionò dall'oggetto.
- Ecco, questa è una pila o torcia, qual dir si voglia. - proferì lei rivolta verso gli Elfi che guardarono l'oggetto stralunati e incuriositi. Poi iniziarono a fare domande di ogni genere, ma lei non rispose, lasciò le spiegazioni agli amici. Non appena aveva visto la pila fra le mani di Nolon, il cuore le aveva perso un battito e fu investita da uno tsunami di emozioni. La tristezza prevaleva su tutte.
Aveva sperato con tutto il cuore di essersi sbagliata, che quello non fosse il punto. Si rendeva conto di essere una stupida a pensare così. Probabilmente si sarebbero trattati di pochi minuti in più, ma lei avrebbe dato qualsiasi cosa anche per un solo secondo da aggiungere a quel poco tempo rimasto da trascorrere lì.
Senza perdere altro tempo, iniziarono l'arrampicata sul pendio. Se per gli Elfi era come camminare in piano, i ragazzi ebbero dei problemi ad inerpicarsi. Ma alla fine riuscirono a raggiungere il punto in cui giorni prima avevano dormito, dopo essere stati inseguiti dal Troll.
- Non è che quel Troll è ancora qui in giro? - chiese ad un tratto Sabrina aggrappandosi al braccio di Leonardo.
- Tranquilla, se fosse qui nei dintorni ce ne renderemmo subito conto. - le rispose Elladan sorridendole.
- Ora il problema è trovare quella benedetta caverna... - mormorò Michele puntando la pila in alcuni punti attorno a lui.
Avevano recuperato anche le altre e ora stavano cercando di orientarsi.
- Non vi ricordate proprio niente? - domandò Turion a Leonardo.
Il rosso scosse la testa – Eravamo troppo spaventati per renderci conto di dove ci stessimo dirigendo. -
Mirco era concentrato sul punto in cui avevano dormito – Mmh... - mugugnò ad un tratto – Se non sbaglio, la direzione da cui siamo venuti era... - iniziò dando loro le spalle – Quella! - esclamò puntando il dito davanti a sé, dopo essersi fermato – Ricordo che voi ragazze vi eravate accasciate qui... - riferì accucciandosi – Avevamo quell'albero davanti, contro cui poi aveva dormito Stefano... ti ricordi? - chiese rivolto all'amico. Quello corrugò alla fronte cercando di ripensare a quella notte, poi affermò il capo – Ecco, quindi dobbiamo essere venuti da là! - ripeté indicando di nuovo il posto.
Gli amici concordarono. In effetti, ora che lo aveva detto, si ricordavano vagamente qualcosa.
Allora si misero in cammino in quella direzione.
- Comunque, ricordo che non abbiamo fatto molta strada. - dichiarò Stefano – Abbiamo corso per pochi minuti, prima di fermarci... la grotta non deve essere lontana da qui. -
Glorfindel ordinò agli altri di tenere gli occhi aperti.
Fu Varnohtar, pochi minuti dopo, a scorgere qualcosa: era proprio la tanto agognata grotta.
- Quindi è da qui che siete venuti... - proferì Elrohir. Gli occhi grigi scrutarono all'interno.
Calò il silenzio. E man mano che passavano i secondi si faceva pesante. Fu Alyon a romperlo, proponendosi di accompagnare i ragazzi fino all'uscita dalla caverna. In fondo, il Troll era comparso nel loro mondo, dalla soglia avrebbero potuto aspettare che fossero al sicuro e controllare che non succedesse loro niente.
Si addentrarono nella grotta. Era abbastanza spaziosa, ma non ci misero molto a percorrerla. Una volta all'uscita, i ragazzi fecero alcuni passi nel loro mondo e si fermarono, voltandosi verso i loro accompagnatori che rimasero ad osservarli.
- Andate pure tranquilli, se succede qualcosa interverremo noi. - comunicò Glorfindel sorridendogli.
I ragazzi si guardarono incerti. Ora che era arrivato il momento di salutarsi, non erano più felici come fino a poco prima. L'unica cosa che riuscirono a fare fu ringraziarli per tutto. Gli erano più che riconoscenti. Poi si dissero addio, gli Elfi gli augurarono tutta la felicità del mondo, e i ragazzi iniziarono ad inoltrarsi nel bosco davanti a loro.
- Dama Monica... - la chiamò Glorfindel – Posso chiedervi un favore? - La ragazza si era voltata verso di lui e attese che continuasse – Continuate ad allenarvi. -
Lei lo guardò stupita, poi inarcò le labbra sottili in un sorriso – Ci proverò. - affermò. Restò ad osservarli ancora per un po' – Namarie. - sussurrò prima di dar loro le spalle ed incamminarsi con passo celere per raggiungere gli amici che non si erano fermati.
Nel momento stesso che si voltò, sentì rompersi qualcosa dentro di sé. Non sapeva se fosse il suo cuore o la sua anima o entrambi. Ma non pianse. Continuò a proseguire dritta davanti a sé, non si voltò più. Sentiva gli occhi di tutti vegliare su di loro, anche quando ormai avevano raggiunto la radura dove trovarono ancora accampate le tende. Aveva iniziato ad albeggiare.
- Che strano... - mormorò Stefano guardando il cielo celeste pallido.
- Cosa? - gli domandò Alessandro che si sedette su una sedia accanto ad un tavolino da pic-nic.
- Un sacco di cose... - continuò quello spostando lo sguardo su di lui – Innanzi tutto... non dovrebbe essere ancora notte fonda? - chiese perplesso.
- Sì, ma devi tenere conto che il tempo nella Terra di Mezzo non corrisponde con quello qui sulla Terra...  - gli ricordò Mirco che, recuperata una sedia, si sedette anche lui al tavolo. Presto tutti si ritrovarono lì intorno a discutere.
- C'è un'altra cosa che non mi torna... - continuò Stefano – Se è vero che qui il tempo scorre tre volte più velocemente... Non è strano che le nostre tende siano ancora qui? - domandò girandosi a guardare la sua – Voglio dire... quanto tempo è passato in verità qui sulla Terra da quando siamo partiti? -
I ragazzi rifletterono sulla cosa – Credo una sessantina di giorni. - proruppe Diana – Quindi adesso sarebbe... settembre... i primi del mese. - calcolò.
- Ecco! Quindi sono passati due mesi... e le nostre tende sono ancora qui... - proferì il ragazzo castano.
- Certo... non si smontano da sole! - gli fece notare Leonardo.
Stefano gli lanciò un'occhiataccia – Quello che voglio dire è che dopo due mesi, sono ancora qui... io mi aspettavo minimo che ci fosse il nastro della polizia, quello che si mette sulle scene del crimine, tutto intorno a questa zona... -
- Tu vedi troppi film polizieschi. - lo interruppe la ragazza divertita.
- Milena, Stefano non ha tutti i torti... - replicò invece Sabrina – Insomma... c'è un gruppo di dieci ragazzi che è scomparso da due mesi... anche io non mi aspettavo di ritrovare qui le tende. E se ci hai fatto caso, è rimasto tutto come lo avevamo lasciato. - i suoi occhi azzurri si posarono sulla bottiglia di birra vuota lì sul tavolo.
Gli amici confermarono confusi. Restarono in silenzio per un po', ognuno a rimuginare su quei fatti. Quando ad un tratto Milena urlò facendo sobbalzare tutti.
- Che diavolo ti prende?! - sbottò Mirco infastidito.
- Se siamo ai primi di settembre... - iniziò con un'espressione terrorizzata in viso – Vuol dire che tra poco ricomincerà la scuola... -
- Sì, per te, Sabry, Ale e Stefano. - ricordò Elisa. Erano i quattro più piccoli.
- E io ho da fare le versioni di latino e greco! - piagnucolò afflosciandosi sulla sedia con espressione disperata.
- Al diavolo te e le traduzioni! - imprecò Michele lanciandole un'occhiataccia.
- Ma la prof. mi ammazzerà... lo so! - esclamò aggrappandoglisi al braccio, l'altro iniziò a strattonarlo per farle lasciare la presa.
- Ragazzi... - li richiamò Monica, aprendo bocca per la prima volta da quando avevano lasciato gli amici Elfi - Credo che abbiamo un problema più grande e importante da affrontare. - spostò lo sguardo su ognuno per vedere se tutti le prestassero attenzione – Che scusa ci inventiamo da dire ai nostri genitori e alla polizia? - domandò.

Mirco fermò la macchina davanti casa di Monica e Alessandro e si voltò a guardarli – Buona fortuna, ragazzi! - gli augurò prima che i due scendessero dalla macchina.
Recuperarono le loro cose dal portabagagli e lo salutarono ricambiando l'augurio e ricordandogli che si sarebbero sentiti poco dopo per sapere come fosse andata.
Dopo una lunga chiacchierata, in cui erano uscite anche opzioni alquanto strambe, avevano optato per dire ai propri genitori che si erano persi fra le montagne sopra la radura e che, disorientati, non erano più riusciti a trovare la strada per tornare indietro. Era una cosa semplice, ma non erano riusciti a pensare ad altro. Sempre meglio dell'opzione di essere stati rapiti dagli alieni con cui era saltato su Leonardo. Tutti gli altri ritennero che, a quel punto, sarebbe stato di gran lunga più credibile raccontare a tutti la verità della “scampagnata” nella Terra di Mezzo. Ma convennero che entrambe le storie li avrebbero condotti dritti dritti al manicomio.
Ecco perché avevano optato per quella più semplice, anche se forse poco credibile. Ed è per questo che avevano tutti promesso di provare ad essere il più convincenti possibili nel momento che l'avrebbero raccontata.
Erano circa le nove del mattino di un giorno ignoto quando i due varcarono la porta dell'ingresso di casa. Si chiusero la porta alle spalle, si lanciarono un'occhiata di incoraggiamento, presero un bel respiro e chiamarono i genitori.
Un rumore di passi e poi la porta della cucina si aprì. Spuntò una donna sulla quarantacinquina, i capelli neri che le ricadevano sulle spalle, gli occhi verdi come quelli di Alessandro, un biscotto in bocca e un cipiglio sul bel viso. Morse il biscotto e li osservò crucciata mentre masticava il pezzo.
I due ci stavano rimanendo male. Si erano immaginati che, appena li avesse visti, gli fosse saltata al collo dalla felicità.
- Che ci fate voi qui? Non dovevate tornare domani dal vostro campeggio? - domandò.
Monica e Alessandro restarono in silenzio senza trovar nulla da dire e la guardavano basiti – Eh? - fu l'unica cosa che uscì dalle loro bocche.


SIGNIFICATO DELLE PAROLE ELFICHE:

Namarie: addio.


NOTE DELL'AUTRICE:
Linciatemi pure... me lo merito!
Non ho scusanti, se non quella che questo capitolo è stato davvero difficile da buttare giù, almeno fino all'altra sera, quando ho avuto l'ispirazione fulminante e si è scritto da sé. Non ho mai abbandonato questa storia. Ho sempre continuato a lavorarci e negli ultimi mesi stavo cercando di scrivere nero su bianco questo "dannato" capitolo.
Poi una mia carissima amica, pochi giorni fa, mi ha chiesto a che punto fossi. Forse è stata lei a sbloccarmi. :) Quindi la ringrazio infinitamente!
Dunque... vorrei tornare un momentino al discorso del Beta. Tre anni fa (sì, è passato un sacco di tempo T.T) si era proposta Nayomi, non so se sia ancora disponibile... in caso c'è qualcun altro che si vuole proporre? Fatemi sapere.
Detto questo, vi saluto, sperando di portarvi presto un nuovo capitolo.
Ovviamente la storia non è finita. u.u Ma non vi prometto niente.
Spero vi sia piaciuto. Aspetto una vostra recensione. :3
Kicca

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Capitolo 16
*** Sogni strani e rivelazioni. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 15: SOGNI STRANI E RIVELAZIONI.

Erano passati diversi mesi da quando il gruppetto era tornato dalla Terra di Mezzo. Era aprile e da allora non avevano avuto molte occasioni di riunirsi. Infatti, appena tornati, la maggior parte di loro si concentrò immediatamente sulle incombenti cose importanti che avevano da fare. Elisa, Diana e Leonardo si iscrissero all'università e lasciarono la città, come Mirco e Michele che avrebbero iniziato il secondo anno, e tornavano raramente a casa. Alessandro, Stefano, Milena e Sabrina avevano invece da affrontare l'ultimo anno di liceo e di conseguenza, tra pochi mesi, li avrebbe attesi la maturità.
Monica, invece, aveva deciso di prendersi un anno sabbatico. Invece di iscriversi all'università, aveva optato per trovare un lavoro. Ovviamente i suoi non ne furono entusiasti, ma lei fu irremovibile. Al contrario dei suoi amici coetanei che avevano le idee chiare già da prima di aver terminato il liceo, lei non sapeva quale facoltà scegliere. Poi il fatto che fosse finita ad Arda e che fosse tornata a settembre senza ancora una scelta, le aveva fatto prendere quella decisione. Non voleva far spendere ai genitori soldi inutilmente. Sapeva che se avesse scelto una facoltà di cui non fosse pienamente convinta, avrebbe finito per lasciare. Quindi ora faceva la cameriera in un ristorante. Nei momenti liberi, passava il tempo ad allenarsi da qualche parte con un bastone, facendo finta fosse una spada. Aveva mantenuto la promessa a Glorfindel e continuava a farlo assiduamente.
Il ricordo di quell'avventura era più vivo che mai nel suo cuore. Anche perché, poco tempo dopo che erano tornati, aveva iniziato a fare strani sogni. All'inizio erano rari, ma con il passare del tempo la loro frequenza era aumentata ed ora li faceva quasi tutte le notti. Sognava varie cose che le accadevano nella Terra di Mezzo. Aveva sognato spesso di combattere contro Orchetti al fianco di Lastie, Elladan ed Elrohir, o di trovarsi a Minas Tirith a conversare con Arwen, o a passeggiare sotto gli alberi di Lothlorien, o di fare lunghe chiacchierate con Gandalf. Quello che li rendeva ancora più strani era il fatto che sembravano reali.
Si era svegliata innumerevoli volte nel cuore della notte madida di sudore dopo che aveva sognato un combattimento.
Quello che però la stava turbando da tanto, era il sogno che aveva fatto la prima volta, dopo due settimane dal loro ritorno. Si era svegliata nel cuore della notte urlando, completamente zuppa, spaventata e con le lacrime agli occhi. Suo fratello era accorso in camera sua, per fortuna l'aveva sentita solo lui. Lei gli raccontò che l'incubo riguardava una storia che le aveva raccontato Lastie quando si trovavano ad Imladris. Alessandro le disse che probabilmente si era fatta condizionare troppo. Monica non replicò e, anzi, gli diede ragione. Non poté certo dirgli che quello che aveva sognato era la morte di Erdie vissuta in prima persona. Aveva provato quelli che forse erano stati i sentimenti dell'Elfa in quei suoi ultimi momenti. Era stata completamente devastata dalla sorpresa e dalla paura che quei mostri le incuterono quando comparvero, dalla disperazione di non poter fare niente per proteggere i compagni, poi di nuovo dalla paura di perderli, dal dolore fisico che provò ogni volta che Erdie veniva ferita, dall'amore che la spinse a sacrificarsi per salvare i suoi amici. Si era tutto svolto proprio come le aveva raccontato la Dunedain. Anzi, quel sogno era molto più dettagliato ed era stato così reale che l'aveva completamente sconvolta.
Dei sogni seguenti non ne parlò con nessuno. Li riportava ogni tanto alla mente per poterci ragionare su. Sapeva che tutto quello non era normale e sopratutto che non era causa di suggestione. Tra l'altro, di quello che sognava, al risveglio, le rimanevano solo le immagini e le sensazioni che aveva provato, come fosse un film muto. Ma non ricordava affatto le cose che venivano dette, nonostante durante il sogno sentiva benissimo tutto.

Quella sera era tornata a casa da lavoro particolarmente felice. Le era arrivato un messaggio da Elisa che l'avvisava che quel mercoledì sera, il suo giorno libero, avrebbero fatto una rimpatriata, dato che tornavano tutti per le vacanze di Pasqua. Era stato sotto Natale l'ultima volta che erano stati tutti insieme, quindi non vedeva l'ora. Quella volta avevano parlato di quello che era successo quando erano tornati. Avevano affrontato la cosa anche nei giorni seguenti, prima che la maggior parte di loro se ne fossero andati dalla città. Ma non avevano trovato una spiegazione al fatto che tutti i loro genitori, parenti, amici e conoscenti si comportassero come se loro non se ne fossero mai andati da lì. Almeno ragionandoci a caldo.
Poi quel giorno di dicembre, ripensandoci a mente fredda, erano giunti a un paio di conclusioni.
O che se qualcuno finiva nella Terra di Mezzo, sulla Terra comunque restava tutto normale e i fatti si susseguivano come se loro fossero lì, oppure, come aveva riferito Diana, qualcuno aveva manomesso i ricordi di tutti. Delle due, l'opzione più razionale era la prima, quindi avevano deciso di pensare che fosse quella giusta.
Milena aveva accennato al fatto che potesse essere solo un sogno, ma Elisa le mostrò prontamente la cicatrice alla spalla lasciatale dalla freccia.
Decise che quel mercoledì avrebbe provato a parlare con Elisa di quei sogni. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, che sapeva l'avrebbe ascoltata, perché era sicura che se avesse continuato a tenersi tutto per sé ne sarebbe uscita ben presto matta. E sinceramente già pensava di essere un pezzo avanti. Sperava solo che la sua amica l'avrebbe potuta aiutare, anche solo dandole un suo parere. Le sarebbe bastato.

Era mattina presto. Una nebbiolina fitta sovrastava a chiazze vaste il prato verde che si stendeva di fronte a lei. Era di un verde vivo e brillante, grazie all'umidità che imperlava l'erba. Regnava un silenzio pesante, non si sentiva volare nemmeno una mosca, ma non era sola, ne sentiva la presenza. Era inquieta, i nervi tesi, gli occhi attenti sembrava volessero trafiggere la nebbia. Le orecchie che cercavano di captare anche il minimo suono impercettibile. Dei cavalli nitrirono in lontananza, ma la cosa non la scosse. Era completamente concentrata sulla pianura di fronte a lei.
Strinse la presa sulla spada lucente che teneva sfoderata. Sapeva che presto sarebbe successo qualcosa.
- Cosa aspettano? - domandò qualcuno alla sua destra – Sanno di essere stati scoperti... perché non attaccano? -
Qualcun altro ridacchiò poco più in là – Se la staranno facendo sotto dalla paura. -
Calò di nuovo il silenzio per un po' – Credo che qualcuno qui non sia dello stesso parere... - ipotizzò un'altra voce al suo fianco, questa volta però alla sua sinistra, sentì lo sguardo di questo puntato addosso, ma lei continuò a fissare davanti a sé.
- Cosa c'è? - questa volta la voce non era vellutata come le altre, ma roca, sembrava di qualcuno anziano.
Fece un respiro – Non mi piace. - mormorò piatta.
- Cosa? - chiese la seconda voce, il tono si era fatto velatamente preoccupato.
- Tutto... c'è qualcosa che non mi torna... - rispose assottigliando lo sguardo.
- Spiegati meglio, per favore. - la pregò la voce anziana.
- Di solito le tue intuizioni sono giuste... - ricordò la voce alla sua destra – Quindi, per favore, dicci cosa stai pensando. -
Lei sospirò – Trovo strano che ancora non si siano fatti avanti... perché aspettare? Non possono comunque coglierci di sorpresa, perché ormai sappiamo dove sono e loro sono consapevoli che li abbiamo scovati... quindi... -
- Quindi stanno aspettando per qualche motivo! - esclamò sorpresa la voce anziana.
- Non sarà... - proruppe la seconda voce sconvolta.
- Rinforzi. - mormorò la voce alla sua sinistra. Ma lei già si stava muovendo verso destra con passo celere – Dove vai! - le urlò dietro.
- Tenete gli occhi bene aperti e guardatevi alle spalle... io vedo se riesco a scorgere qualcosa... - ma non terminò la frase perché delle urla si levarono in lontananza e subito dopo l'aria cominciò a sibilare mentre una nube nera di frecce piombava su di loro – Merda. - imprecò e con agilità si riparò dietro lo scudo di un Elfo lì vicino a lei, poi ci fu il clangore delle frecce che si infilzavano nel legno. Non appena la pioggia terminò scatto in avanti, nella direzione opposta a quella in cui era scattata la legione di Elfi. Vista da un'altra ottica, sembrava come se stesse scappando dalla battaglia che fra pochi secondi avrebbe infuriato dietro di lei, ma non era così. Sapeva che qualcosa stava per arrivare alle loro spalle e lei si sarebbe opposta a qualsiasi cosa fosse spuntata. Vide una sagoma muoversi tra la nebbia. Rinfoderò la spada e afferrò arco e freccia, prese la mira e scoccò. Si sentì un latrato. Aveva capito. Ma non fece in tempo ad avvisare gli altri. Un'ombra le si avventò contro sulla sinistra. Fece appena in tempo a schivarla, rotolando su un fianco, si rialzò mentre metteva via l'arco e sguainò la spada che affondò nel ventre del Mannaro che era tornato ad attaccarla. Si voltò a guardare davanti a lei e imprecò di nuovo. Erano tantissimi. Troppi.
Non ebbe tempo di pensare ad altro che si vide attaccata da tre, ma tutti e tre rovinarono esamini davanti a lei, tre frecce conficcate nei loro colli. Sorrise, ma non si voltò a ringraziare. Come c'era da aspettarsi, lui l'aveva seguita. Uno strano sentimento la pervase. Ora lei e quei pochi compagni avevano da affrontare tutti quei Mannari, cercando di tenere in salvo coloro che si stavano battendo con l'orda di Uruk dietro di loro. Giurò fra sé e sé che non ne avrebbe lasciato passare nemmeno uno – Rimanete compatti! Non lasciate che raggiungano gli altri! - ordinò iniziando a sferrar colpi a destra e a sinistra. Del verde smeraldo di poco prima, ormai, erano rimaste solo poche chiazze. In poco tempo l'erba si era tinta di rosso sangue.
La ragazza si guardò un momento intorno, stavano tenendo a bada i Mannari, ma quanto avrebbero resistito? Erano in netta minoranza, notò con apprensione. Fu in quel momento che iniziarono a piovere lingue di fuoco blu, rosse e verdi sulle belve. Lei sorrise di nuovo, riconoscente. Tutto quel fuoco che in poco tempo si propagò, iniziò a mettere in seria difficoltà i Lupi, che spaventati, iniziarono a scappare. Non ci volle molto prima che non ne rimase vivo nemmeno uno.
Lei estrasse la spada dal corpo esanime di uno lì a terra e si girò verso l'altra battaglia che ancora incombeva. Vide i suoi compagni lanciarsi contro gli Uruk. Lei si diede una rapida occhiata intorno e fece lo stesso. Stava per buttarsi nella mischia quando con la coda dell'occhio notò una figura in lontananza, era accerchiata ed in difficoltà. Si lanciò in quella direzione e in pochi secondi lo liberò dall'impiccio. L'elfo biondo le sorrise e la ringraziò con una pacca sul braccio - Ti devo un favore. - proferì quello mentre tornarono a combattere fianco a fianco.
- Ammontano a tre, Glorfindel. - gli ricordò lei, sorridendo divertita.
- Così tanti! - replicò fintamente sorpreso mentre affondava la spada nel ventre di un Uruk.
- Sarà la vecchiaia... - lo prese in giro lei schivando un fendente del nemico a cui poi staccò il braccio.
L'altro non replicò, ma per tutta risposta si fiondò su tre Uruk e con grande agilità li fece fuori tutti e tre in pochi secondi, quindi si voltò versò di lei lanciandole un'occhiata compiaciuta.
Lei scosse la testa e si avventò su uno mozzandogli la testa. Alzò il capo e controllò la situazione: stavano vincendo.
Ma quella gioia che la invase durò solo pochi istanti. Poi il terrore la investì in pieno, il cuore le si strinse in una morsa, il fiato le si mozzò in gola. Vide la figura davanti a lei cadere a terra. Sangue. L'Uruk che sollevava il braccio per affondare la spada sull'Elfo biondo sotto di lui. Lei urlò un nome, la disperazione che si faceva largo nel suo cuore.
Si svegliò di soprassalto, ansimante. Restò immobile per un bel po' di tempo, cercò di calmarsi, deglutì e si portò una mano sul viso. Era madida di sudore, di nuovo. Le lacrime le rigarono il viso. Provò a mettersi a sedere, le risultò difficilissimo. Stava tremando dalla testa ai piedi. Cercò di ricordare il nome che aveva urlato, ma come al solito, ricordava perfettamente tutto il sogno, ma non i dialoghi. Sospirò e si chinò in avanti appoggiando la fronte sulle ginocchia. Restò così per molto, cercando di riprendersi. Sinceramente, non ne poteva più di quella situazione.

Elisa la stava fissando ormai da diversi istanti. Era restata in silenzio per tutto il tempo, l'aveva lasciata parlare senza interromperla e Monica le aveva raccontato svariati sogni che aveva fatto e del fatto che le sembrassero così reali. Ora attendeva che l'amica le esprimesse un parere.
Quella sospirò e distaccò gli occhi neri dal suo viso. Si mise a fissare il bicchiere che aveva davanti a lei; le bollicine dorate risalivano fino in superficie.
- Stai soppesando se chiamare la neuro o meno, vero? - chiese l'altra, che aveva iniziato a non poterne più.
- No, veramente stavo cercando di riordinare tutta la valanga di cose che mi hai raccontato. - rivelò la mora sorridendole.
- Quindi... non pensi che sia pazza? - domandò titubante.
- Non ho detto questo. - fece seria, ma vedendo l'amica irrigidirsi, scoppiò a ridere divertita – Mony, dopo quello che abbiamo passato inizio a pensare che tutto può succedere. - La castana si rilassò immediatamente. - Però non riesco comunque a capire il significato dei tuoi sogni. O il motivo per cui li fai. Credo che non siano la conseguenza della suggestione. - si fece seria – E credo che non dovresti nemmeno sottovalutarli -
- Che intendi? - Monica la guardava confusa.
Elisa sospirò, non sapeva nemmeno lei come spiegarlo, ma sentiva che quei sogni fossero importanti per l'altra – Credo che ci possa essere un collegamento tra te e quei sogni. Non è normale che tu sogni di essere sempre questa Elfa. E poi nei sogni succede di cambiare prospettiva o addirittura di vedersi dall'esterno. Invece tu sei sempre lei. -
- Già. Non ha senso, no? - mormorò afflitta. Si portò il bicchiere alle labbra assaporando la birra.
- E se ce ne avesse uno? - replicò Elisa guardandola seria. Gli occhi neri fissi nei suoi. Sembrava volesse dirle qualcosa.
- Eh? - Monica non la seguiva – E che senso potrebbe avere? -
- Questo dovresti scoprirlo tu... - ora sembrava triste, distolse lo sguardo e iniziò ad agitarsi sulla sedia – So che mi darai della pazza per quello che sto per dirti... e probabilmente tuo fratello ce l'avrà a morte con me... -
- Che c'entra Ale? - la interruppe la castana corrugando la fronte ancora più confusa.
Elisa emise l'ennesimo sospiro – Mi ha contattata diverse volte durante questi mesi. - rivelò con tono flebile – Anche se non lo dà a vedere, è veramente preoccupato per te. Te lo ha tenuto nascosto fino ad ora. Pensa che tu abbia qualcosa che non va. - le afferrò la mano, stringendogliela, ma l'altra la ritrasse. Elisa alzò gli occhi neri e vide che era spaventata – Io non penso che tu abbia qualcosa che non vada... - fece una lunga pausa perché quello che stava per dire le sarebbe costato tanto – Dovresti parlarne con qualcuno che ti possa dare delle spiegazioni. -
Calò il silenzio. Monica non credeva alle sue orecchie. Lei che poco prima le aveva detto che non la considerava una pazza, ora le stava educatamente consigliando di vedere qualcuno – Non andrò da uno psicologo! - esclamò scattando in piedi arrabbiata e ferita. Si era aperta con lei perché pensava la capisse. Perché sperava che da migliore amica avrebbe potuto darle una mano, non accusarla di avere qualche problema psicologico.
Elisa le lanciò un'occhiataccia – Chi ha parlato di psicologo? Rischieresti di mandarci quello alla neuro! - sbottò contrariata. Poi si alzò in piedi e le posò le mani sulle spalle mentre Monica la guardava incredula – Intendevo con qualcuno di “quel mondo”. - rivelò finalmente.
La castana strabuzzò gli occhi nocciola. Iniziò a fissare l'amica come se fosse un alieno. Ora era lei che stava pensando che Elisa avesse qualche rotella fuori posto – Aspetta... mi stai dicendo di tornare là e parlare con qualcuno dei miei sogni? -
- Complimenti amica mia, vedo che hai afferrato il discorso... ti ci è voluto un po' però. - la moretta ora sorrideva. Ma il sorriso era tirato. Stava per aggiungere qualcosa quando delle urla attirarono la loro attenzione, provenivano dalla stanza accanto. Con un “ne parliamo dopo”, Elisa si congedò dall'altra. Monica restò imbambolata per alcuni secondi a fissare il muro davanti a lei. Poi si decise a seguirla. Non appena entrò nella stanza vide Leonardo e Stefano azzuffarsi.
- Che ci siamo perse? - sentì chiedere da Elisa che si avvicinava alle ragazze che guardavano annoiate i due.
- Al solito, Leo è un permaloso e non accetta che lo si insulti, anche se per scherzo. – mormorò Sabrina che, appoggiata al tavolo, sorseggiava la sua birra mentre tra i due volavano insulti.
- Non dovreste dir loro qualcosa? - suggerì Elisa guardando prima lei poi Milena, che era intenta a controllare che i suoi capelli non avessero le doppie punte. Vedendo che nessuna delle due si degnava di alzare un dito, si portò la mano sui fianchi stizzita e sbuffò contrariata “Vi importa tanto dei vostri fidanzati, eh?”, pensò.
Sabrina e Leonardo stavano insieme da quell'autunno. Era stata la biondina a dichiararsi. Leonardo, ovviamente, ne fu pienamente felice e così iniziarono a frequentarsi.
Era Diana invece che stava cercando di far ragionare suo fratello. E se non fosse stato per Alessandro che la tratteneva per un braccio, con non poca fatica, probabilmente si sarebbe unita anche lei alla mischia.
Ci pensarono Mirco e Michele a dividere i due, non appena tornarono dalla loro fumatina sul balcone.
- Leo sei un cretino! - sbottò Diana imprecando contro il fratello – Se rompi qualcosa, mamma ci ammazza! - gli ricordò.
Si erano ritrovati a casa loro perché i genitori erano fuori per una vacanza.
- É lui che ha cominciato! - esclamò stizzito il rosso puntando il dito contro l'amico.
- Non è colpa mia se sei perm... - provò a ribattere Stefano, ma venne interrotto da Diana.
- Oooh, basta! Siete solo dei bambini! E io che avevo sperato che la gita nella Terra di Mezzo vi avesse maturati almeno un po'! - gridò furiosa, gli occhi verdi erano stretti in due fessure.
- Credo che siano stati gli unici due a non risentirne l'influenza. - rifletté Mirco accomodandosi sul divano nero di pelle.
- Almeno io non sono cambiato completamente, come è successo a qualcuno... - puntualizzò Stefano puntando gli occhi sulla figura che stava abbandonando la sala, beccandosi un'occhiataccia dalla maggior parte dei presenti.
Monica si bloccò, aveva ricevuto perfettamente la frecciatina, finita dritta al cuore – Sai, sono soddisfatta di essere cambiata completamente. Ho imparato molte cose preziose là e ora ne faccio tesoro. - non si voltò nemmeno, poi uscì dalla stanza.
- Penso che per lei sia stato un cambiamento decisamente positivo. - proruppe Mirco – Non si può dire lo stesso di voi due. - terminò lanciando loro un'occhiata di scherno.
- Io non vedevo l'ora di andarmene da quel posto. - bofonchiò Milena con aria torva – Tutti quegli Orchetti fetidi, il Troll, quell'Elfa... - un brivido le percorse la schiena, mentre Sabrina si trovava d'accordo con lei – Sono contentissima che siamo riusciti ad andarcene, ora potremmo essere morti. - sussurrò più rivolta a se stessa che agli altri, lo sguardo perso.
Michele, che si trovava poco più in là, fu l'unico ad udirla – Che intendi? - chiese curioso – Con tutti quegli Elfi armati fino ai denti non penso avremmo avuto problemi. -
Milena continuava ad avere lo sguardo perso, immersa in chissà quali pensieri – Nessuno può contrastarla... voi non avete sentito... - mormorò, l'espressione mutò in spaventata – Voi non c'eravate in quel momento... -
- Che stai blaterando, Mil? - domandò Stefano.
Era calato il silenzio ed ora l'attenzione di tutti era rivolta su di lei.
- Quell'Elfa... l'ho sentita. Ho sentito perfettamente cosa stava dicendo... - balbettò, poi sussurrò una frase. Calò di nuovo il silenzio.
Un rumore improvviso li fece sobbalzare tutti. Si voltarono verso la porta: Monica osservava la cugina con aria incredula, confusa, terrorizzata. Il liquido dorato si stava espandendo sul pavimento ai suoi piedi, facendosi strada tra i pezzi di vetro. – Che cos'hai detto? - sussurrò sconvolta. Milena abbassò lo sguardo, sembrava non volesse risponderle. - Che cos'hai detto? - questa volta l'altra urlò, il respiro le si era affannato.
Alessandro fece per andarla a calmare, ma venne preceduto dalla cugina – Li avrebbe uccisi tutti una volta che ce ne saremmo andati. -
Successe tutto in un secondo. Monica si avventò su di lei afferrandola per le spalle con impeto sbattendola contro il muro – Di che diavolo stai parlando? Chi ti ha detto una cosa simile? Quando è successo? -
- Calmati Mony! - esclamò Elisa che si frappose fra le due non appena Alessandro e Diana la ritrassero dalla cugina che la guardava terrorizzata.
- Calmarmi? - sussurrò con la voce rotta – Calmarmi? Come faccio a calmarmi? - urlò dimenandosi.
- Milena, spiegati meglio, per favore... di che stai parlando? - domandò Mirco serio.
La ragazza si afferrò i punti in cui Monica aveva stretto le dita. Le faceva male. - Io... - mufficò tenendo lo sguardo basso – Un giorno mi ero persa... stavo cercando di tornare alla sala dove mangiavamo... non so come ci sono arrivata in quel posto... sentii una voce – degluttì – Mi avvicinai alla stanza da cui veniva, volevo chiedere aiuto... Ma c'era quell'Elfa in quella stanza... non so con chi stesse parlando... - fece un momento di pausa – Ma l'ho sentita chiaramente dire che stava procedendo tutto secondo i suoi piani... che presto si sarebbe sbarazzata di noi e di quella Donna inutile, rispedendoci da dove eravamo venuti... e finalmente sarebbe riuscita a raggiungere il suo obiettivo... -
Tutti la stavano guardando esterrefatti. Nessuno sapeva cosa dire. Monica la fissava con gli occhi sgranati, ancora più terrorizzata di prima, non riusciva più ad emettere alcun suono.
- Quale obiettivo? - chiese Diana, anche lei spaventata.
Milena la guardò con espressione colpevole, solo in quel momento si era resa conto della posizione in cui si trovava e di cosa avesse fatto – Avrebbe ridotto a fiamme e cenere quel posto... - bofonchiò – Nessuno sarebbe sopravvissuto. -
A Monica le si mozzò il fiato in gola. Le passarono davanti agli occhi tutti i volti delle persone che aveva conosciuto là. Poi le immagini di quel posto subito dopo avvolto nelle fiamme e corpi straziati a terra. La rabbia la invase. Alzò gli occhi nocciola sulla cugina e fece di nuovo per avventarlesi contro. Qualcuno la trattenne prontamente. Non si curò minimamente di chi fosse, continuava a dimenarsi, voleva raggiungerla per prenderla a schiaffi. - Perché non hai mai detto niente? - gridò con tutta la voce che aveva in corpo – Perché non li hai avvisati? Perché? - Qualcuno le stava urlando di calmarsi, ma lei non gli badò minimamente. Poi sentì una fitta alla guancia. Si ritrovò chinata in avanti, ansimante, sorretta da qualcuno, gli occhi velati di lacrime. Alzò la testa ed incontrò quelli verdi di suo fratello che la osservavano furenti.
- Vuoi darti una calmata, o no? - le strillò.
- Come avrei potuto dire qualcosa? Se quella mi avesse sentito, mi avrebbe uccisa! - gridò Milena spaventata – Tu non c'eri... Non hai sentito il tono in cui l'ha detto... -
- No, non c'ero, infatti. - replicò Monica guardandola male – Se ci fossi stata avrei avvisato tutti, anche a costo della mia vita! -
- Fai presto a parlare, tu! - l'accusò – Sei l'unica pazza che ha osato sfidarla. -
A Monica tornò in mente il modo in cui Romenwen l'aveva guardata dopo che aveva vinto la sfida. La sensazione che l'avrebbe uccisa se fossero state sole era ancora viva.
- Quando ha detto che l'avrebbe fatto? - chiese Mirco. In quel momento Monica si era resa conto che era lui a trattenerla e sorreggerla.
- Non l'ha detto. - rispose Milena.
La cugina sgranò gli occhi – Potremmo ancora essere in tempo! - esclamò. Quel pensiero fulmineo l'aveva fatta tornare in sé. Gli amici la guardarono confusi.
- In tempo per cosa? - domandò Sabrina.
- Per avvisarli. - riferì l'altra. Tutti la osservarono increduli. In pochi secondi era completamente cambiata. Come se si fosse trasformata in un'altra persona. Ora se ne stava dritta davanti a loro, lo sguardo sicuro di sé. Calò ancora una volta il silenzio. Leonardo, credendo di non aver capito, le chiese se poteva ripetere cosa avesse detto. Lei li guardò e disse con tono fermo e deciso – Andrò ad avvisarli. -

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Capitolo 17
*** Una decisione dolorosa. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI


CAPITOLO 16: UNA DECISIONE DOLOROSA.

Nel soggiorno non volava una mosca. Le parole di Monica avevano sconvolto tutti. O forse si trattava della determinazione che leggevano nel suo sguardo. Quello stesso sguardo che non aveva più mostrato da quando avevano lasciato la Terra di Mezzo.
Da quando erano tornati, la sua vita era diventata ovattata, come aveva temuto lei stessa. Andava avanti solo per inerzia. L'unica cosa che la faceva stare meglio era l'allenarsi con quel bastone, immaginando di trovarsi di fronte Glorfindel.
Aveva represso la voglia di tornare ad Arda talmente tante volte che aveva perso il conto. Continuava a ripetersi che lei non faceva parte di quel Mondo, che la sua vita era lì. Sempre se quello si poteva considerare vivere. Negli ultimi mesi faceva tutto talmente meccanicamente che si sentiva soffocare. Era consapevole di star sprofondando in un baratro. Era consapevole che non avrebbe retto ancora per molto.
Aveva pensato che i sogni che faceva potessero essere frutto del suo inconscio che cercava di trovare un modo per farla sopravvivere. Perché, per quanto brutti fossero, in quei sogni lei si sentiva viva.
- Stai scherzando, vero? - le domandò flebilmente Alessandro cercando di riprendersi da un invisibile pugno allo stomaco che aveva ricevuto a quelle parole.
Le labbra sottili della ragazza si curvarono – Non sono mai stata più seria in vita mia. - replicò. Finalmente aveva trovato uno scopo nella sua vita. Finalmente era arrivata l'occasione che aspettava da mesi. Non se la sarebbe fatta scappare. A qualsiasi costo.
- Come pensi di fare? - le chiese Michele che ogni tanto lanciava qualche occhiata allarmata verso Elisa, che sembrava essersi pietrificata – Voglio dire... Potrebbero essere già tutti morti... -
- C'è anche la possibilità che siano ancora vivi. É un 50 e 50. - la risposta era pronta – Non posso rischiare. Andrei se ci fosse anche solo lo 0,01% di possibilità di poterli avvisare. - spostò gli occhi nocciola sulla cugina – Io non ho paura delle conseguenze. Non potrei vivere con il rimorso di aver avuto l'opportunità di salvare vite innocenti e non averlo fatto. - le sue parole erano taglienti come lame.
Stefano si innervosì – Stai accusando Milena, per caso? -
- Sì. - disse diretta. Non aggiunse altro, ma lanciò verso l'altra uno sguardo pieno di disprezzo. Poi si voltò e fece per dirigersi verso l'uscita dopo aver recuperato la sua giacca.
- Aspetta, non puoi andare! - le gridò dietro il fratello. La raggiunse e la afferrò per un braccio. - Ragiona... cosa pensi di fare anche se fossero ancora vivi? Li avviserai e poi? -
- Se quello che ha detto Romenwen è vero, vuol dire che è abbastanza potente per farlo... come puoi pensare di contrastarla? - rincarò Diana.
- Mi sembrava di essere stata chiara prima... - si voltò a guardare suo fratello negli occhi, perché capisse bene che non stava affatto scherzando – Farò tutto quello che è in mio potere, anche a costo della mia stessa vita. - detto questo, si liberò dalla presa con uno strattone, raggiunse la porta ed uscì.
Arrivò a casa sua in pochi minuti, si precipitò nella sua stanza ed iniziò ad aprire armadio e cassettiera cercando di concentrarsi su cosa potesse servirle, invano. Era troppo agitata. Aveva posato qualche vestito alla rinfusa sul letto quando suo fratello irruppe nella stanza.
- Non riuscirai a farmi cambiare idea. - proruppe prima che l'altro potesse aprir bocca, lanciando una felpa sul letto.
- Ragiona, non hai alcuna speranza... - il fratello si frappose tra lei e il letto.
- Non voglio sentirlo dire. - gli lanciò un'occhiataccia furente, poi lo scansò di forza.
- Come farai a ritrovare la strada che porta alla grotta? - chiese cercando di farla ragionare.
- Ricordo bene la strada. - uscì dalla stanza per dirigersi in cucina e vide che in sala c'erano Elisa, Michele, Diana e Mirco. Sbuffò esasperata.
- Anche se riuscissi a ricordare il tragitto fino alla grotta, non ricorderai sicuro quello fino ad Imladris... era a malapena visibile... -
- Mi sottovaluti. - lo interruppe, iniziando ad aprire vari cassetti della cucina.
- Sei anche disarmata! - urlò incavolato, continuandola a seguire come un cagnolino.
Monica rovistò un istante in un cassetto e tirò fuori un coltello grande, con la lama larga e l'impugnatura nera. Un sorrisetto compiaciuto le si formò sul viso. - Ora non più. Non devo nemmeno inventarmi una scusa da dire alla mamma, tanto non si ricorderà che l'ho preso. - quindi si diresse in camera sua.
- Verrò con te! - esclamò all'improvviso lui.
Lei lo guardò sorpresa, poi sospirò – No, non verrà nessun altro, mi sareste solo d'intralcio. Attireremmo troppo l'attenzione, non possiamo farci scoprire. Voglio provare ad arrivare ad Imladris senza essere vista. Così forse posso riuscire a fermare Romenwen. - dichiarò posando la mano sulla spalla dell'altro – E nel caso fosse troppo tardi, non voglio che voi rischiaste le vostre vite. -
- E tu non pensi che vogliamo lo stesso per te? - le gridò contro.
- Ne sono pienamente consapevole, ma non se ne parla. - replicò con tono pacato, voltandosi a guardarlo. - Ale, non lo sto facendo perché ho un disperato bisogno di mettermi in mostra e far vedere che sono coraggiosa. - lo sguardo si fece triste – Glielo devo. Ci hanno salvato la vita, il minimo che posso fare è tentare di salvare io la loro, questa volta. - iniziò a spiegare – E credo che tra tutti, non capisco perché, io sia l'unica che può avere possibilità di cavarsela. – aggiunse senza spavalderia - E ho delle domande... tantissime domande a cui voglio dar risposta e sono sicura che qualcuno là potrà aiutarmi. - detto ciò tornò in camera.
Alessandro lanciò un'occhiata disperata rivolta ai suoi amici, quando passò loro davanti, questi ricambiarono amareggiati.
Nel frattempo la castana iniziò a cambiarsi: indossò un paio di comodi jeans, una maglietta a maniche lunghe, una felpa e i suoi stivali preferiti.
- Non potresti almeno aspettare un giorno o due? - chiese Elisa facendo capolino nella sua stanza.
- Non posso permettermelo. Se Romenwen non ha ancora messo in atto il suo piano, potrei ancora essere in tempo. - spiegò infilando il coltello nella cintura, al fianco sinistro. Poi prese la coperta che era appoggiata sul letto e la infilò in una sacca, insieme ad un altro cambio di vestiti e del cibo. La chiuse e se la mise in spalla. Alzò lo sguardo sui due, gli occhi marroni velati di tristezza – Io vado. - annunciò. Passò loro accanto e si diresse in sala.
- Almeno fatti accompagnare... - mormorò il fratello. Monica sospirò e acconsentì.

Dopo un quarto d'ora stavano dirigendosi verso il limitare del bosco. Nessuno aveva aperto bocca in auto. Regnava un silenzio pesante. Tutti con un sacco di cose da dire, ma nessuno in grado di proferir parola. Doveva essere l'una di notte passata. Il cielo era plumbeo e in lontananza i lampi illuminavano di tanto in tanto la coltre nera.
Poco dopo raggiunsero i primi alberi. Lì Monica si arrestò.
- Va bene fin qui. - esclamò voltandosi a guardarli.
- Fatti accompagnare almeno fino... - provò a replicare Diana, invano.
- Va bene fin qui. - ripeté con tono che non ammetteva repliche.
Mirco, che aveva lanciato uno sguardo al cielo, si voltò a guardarla – Sicura di non voler aspettare? Si sta avvicinando un temporale. Potresti partire domani mattina con la luce... -
- Arriverò alla grotta prima che scoppi. Poi una volta al di là non dovrò più preoccuparmene. - proferì – E no, preferisco ora, così posso viaggiare di notte e trarre vantaggio dall'oscurità. -
- Ti basterà quello? - chiese Michele indicando con un cenno del capo il coltello alla cintola.
- Me lo farò bastare. - rispose veloce – Ora devo andare. - si sbrigò a dire prima che qualcun altro le potesse porre un'altra domanda. Calò di nuovo un silenzio pesantissimo. Le luci delle pile si riflettevano sui loro volti contratti dalla tristezza e dal dolore. Elisa si stava mordendo il labbro inferiore, gli occhi neri ricolmi di lacrime. Alessandro era disperato, aveva paura di non rivederla mai più. Avrebbe voluto fermarla: prenderla, legarla e rinchiuderla da qualche parte, ma sapeva che quello che stava facendo la sorella fosse giusto.
- Non fate quelle facce, ragazzi. Probabilmente appena sarò ad Arda vi dimenticherete dove sono finita e non avrete più di cosa preoccuparvi. - accennò un sorriso – Forse sarete convinti che sono andata a farmi una vacanza da qualche parte... -
- Non è divertente. - la interruppe Alessandro guardandola adirato.
- Ma almeno non starete in pensiero per me. - proferì flebilmente la sorella.
Elisa scoppiò a piangere. Monica le si avvicinò e l'abbracciò. - Sai, mi ero convinta che lasciarti tornare là per dar risposta alle tue domande fosse un bene, ero riuscita a farmene una ragione... - rivelò stringendola forte – Ma ora che torni là per fermare quell'Elfa... -
- Andrà tutto bene. - le sussurrò l'amica – Hai visto anche tu che in qualche modo riesco a cavarmela. - cercò di rassicurarla – Ti prometto che starò attenta... tornerò sana e salva. -
- Allora vedi di mantenere quella dannata promessa! - esclamò il fratello, anche lui in lacrime – Non voglio perderti. - mugugnò.
A Monica si strinse il cuore e lo abbracciò di slancio – Grazie. - mormorò sul punto di scoppiare a piangere.
- Per cosa? Per lasciarti andare a morire? - domandò lui ironico.
- Per aver capito. - fece lei, poi si voltò verso Diana, Michele e Mirco – Statemi bene... e prendetevi cura di loro due, fino a che non torno, intesi? -
Diana affermò con il capo, anche lei percossa da singhiozzi. Michele strinse a sé Elisa.
- Sai... ci conosciamo da un sacco di anni, ormai... - iniziò Mirco – Mi sono sempre chiesto quando il bocciolo timido e insicuro che avevo davanti agli occhi sarebbe sbocciato. E finalmente eccoti qua. Sono contento di aver potuto vedere che fiore stupendo sei diventata. - le sorrise, leggermente agitato mentre gli altri lo guardavano stupiti – Buona fortuna. - si limitò ad aggiungere.
Monica arrossì leggermente e poi lo ringraziò, felice di quelle parole.
Alessandro invece lo guardava storto – Ohi, che diavolo vuoi dire? -
- Ci vediamo, ragazzi. - li salutò lei.
Gli altri le augurarono buon viaggio e dopo essersi raccomandati per l'ennesima volta di stare attenta e di tornare sana e salva, la lasciarono andare. L'ultima cosa che Monica sentì in lontananza fu la voce del fratello che continuava a chiedere spiegazioni a Mirco.

Non fu facile raggiungere la grotta senza alcuna luce che le permettesse di vedere dove andava. Ma aveva deciso di non portare una pila con sé. Sarebbe stato troppo rischioso. Ma fortunatamente i suoi occhi si abituarono velocemente all'oscurità.
Camminava spedita e veloce, il passo sicuro. Sapeva che l'aspettavano almeno due giorni e mezzo per arrivare all'accampamento. Sperando di trovarvi ancora qualcuno. Se le fosse andata bene, da lì ad Imladris ci sarebbe voluta una giornata a cavallo. Le bastava solo avvisare le guardie. Ecco cosa stava pensando mentre percorreva la grotta. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si rese conto di quanto la temperatura fosse scesa. Vide una luce flebile. Era l'uscita. Allungò il passo, quasi si mise a correre. Ora era fuori, era ad Arda. Ma mossi due passi si rese conto che qualcosa la stava rallentando. Qualcosa di freddo e bagnato. Abbassò lo sguardo ed un'esclamazione di stupore le uscì dalla bocca. E subito dopo realizzò che era stata una stupida: con la fretta di partire si era completamente dimenticata che ad Arda c'era uno sbalzo temporale. Imprecò ad alta voce mentre iniziò a rendersi conto di quanto fosse freddo. Si voltò indietro, cercando di decidere sul da farsi. Ma se fosse tornata, avrebbe perso altro tempo. Sospirò maledicendosi e proseguì in avanti, tra la neve candida che le arrivava al ginocchio. Perché lì, ora non era più la metà di aprile, bensì gennaio inoltrato.
“Credo che dovrò sbrigarmi per forza ad arrivare all'accampamento prima di morire assiderata.” pensò sbuffando seccata. Fortunatamente gli stivali sembravano resistere. Un po' meno i pantaloni che all'altezza del ginocchio erano già bagnati. Strinse i denti e cercò di trovare un passaggio dove la neve non fosse così tanto alta. Ma la cosa non le riuscì.
Dopo mezz'ora che camminava già tremava di freddo. Le mani riparate nelle tasche della felpa, sotto il lungo impermeabile nero che aveva preso solo per precauzione. Si ringraziò mentalmente. Almeno una cosa giusta l'aveva fatta, anche se non è che le stava servendo a molto. E tutta quella neve la stava rallentando, sopratutto ora che stava andando in discesa e cercava di non scivolare giù e farsi tutto il pendio di sedere. Stava aiutandosi aggrappandosi ai rami secchi dei cespugli. Mancavano una decina di metri alla Strada Grigia, poi finalmente, sarebbe stato tutto in piano. Ma in quel momento un ramo cedette al suo pesò. I piedi le scivolarono e lei si ritrovò con la faccia nella neve dopo essere ruzzolata fino a lì.
Si tirò immediatamente in piedi ansimando per il freddo e imprecando perché ora era bagnata dalla testa ai piedi. Per non parlare del braccio destro che le stava facendo vedere le stelle. Doveva aver colpito una roccia.
- Merda! - mormorò incavolata nera mentre cercava di scrollarsi la neve di dosso con la sinistra.
L'unica cosa positiva è che aveva risparmiato un po' di tempo. Restò alcuni secondi in assoluto silenzio ad osservare la strada nel buio della notte. Non c'erano impronte sulla neve. Sinceramente non sapeva se esserne felice o meno. Si rimise in cammino, sarebbe stata una notte lunga.

Non sapeva quanto fosse riuscita a proseguire, ma ad un certo punto non ce la fece più. Tremante per il freddo e barcollante si appoggiò ad un albero lì accanto. Non riusciva più a muovere le gambe, talmente le aveva fredde. I piedi e le mani non erano da meno. In quel modo non sarebbe potuta andare avanti.
Si guardò intorno spaesata e disperata. Aveva bisogno di trovare un posto asciutto. Ma era notte fonda, non le sarebbe stato facile, sopratutto impossibilitata a muoversi in quel modo.
Strinse i denti che stava sbattendo per il freddo e si rimise in cammino, lentamente e faticosamente: le gambe sembravano dei macigni.
Dopo diversi metri, riuscì a scorgere sulla sua destra, non molto lontano dalla strada, un gruppo di alberi, o almeno lo scheletro, non riuscì a capire cosa fossero. Erano cinque, uno accanto all'altro, e avevano i rami bassi che arrivavano fino a terra. Intravide un barlume di speranza e con la velocità che le era permessa li raggiunse. Riuscì a passare tra i rami fino al centro. C'era una piccolissima radura dove la neve non era riuscita a posarsi a causa dei rami fitti che l'avevano ostruita. Le venne quasi da piangere dalla felicità di aver trovato un posticino asciutto. Non se lo fece ripetere due volte e con fatica, dolorante e nonostante stesse congelando, si cambiò i vestiti bagnati, si mise tutti quelli asciutti che aveva con sé, e tirata fuori la coperta se la avvolse intorno, sedendosi al suolo, la schiena contro un tronco. Iniziò a sfregarsi gambe e braccia per farsi caldo continuando a maledirsi per essere stata tanto sprovveduta.
Con l'aiuto dei diversi strati di vestiti che ora indossava, iniziò a stare leggermente meglio, dopo un po'. Ovviamente continuava a sentire freddo, ma almeno era ritornata a muovere liberamente tutti gli arti. Desiderava ardentemente poter accendere un fuoco, ma lì, a pochi metri dalla strada, sarebbe stato come suicidarsi. Si raggomitolò ancora di più su di sé, si tirò la coperta sulla testa e appoggiò la fronte sulle ginocchia.

Rimase sveglia tutta la notte per paura che una volta addormentata non avrebbe mai più riaperto gli occhi. E la cosa non fu semplice. Accovacciata in quel modo stava anche decentemente bene, se non teneva conto della posizione scomoda. Erano le prime luci dell'alba quando decise il da farsi. Vestita in quel modo sarebbe potuta avanzare decisamente meglio di quella notte. L'unico problema restava la neve.
Si sollevò lentamente, aveva tutti i muscoli addormentati e la schiena e il collo a pezzi. Le ci vollero diversi minuti per riprendersi. Mangiò qualcosa, mise via tutto e riprese il cammino decisa a recuperare il tempo perso quella notte. Per sua fortuna, nonostante fosse nuvoloso, non era caduta altra neve. Sperò non ne avrebbe fatta altra in giornata.
Nelle prime ore del pomeriggio la temperatura si era alzata leggermente. Era comunque felice di aver trovato rimedio per le mani e per la faccia. Stava usando un paio di calzettoni a righe come guanti e una maglia come sciarpa. Si fermò a riposare e a mettere qualcosa sotto i denti, l'ora di pranzo era passata, ma aveva deciso di proseguire fino a che non avesse avuto bisogno di fare una sosta. Era stanca, ma aver lavorato come cameriera le era servito per temprare il fisico, riusciva a reggere abbastanza bene le lunghe camminate.
Era intenta a bere un sorso d'acqua freddissima dalla bottiglia quando le parve di vedere qualcosa muoversi in lontananza alla sua destra, al limitare di una radura. Il cuore le perse un battito. Abbassò lentamente il braccio che reggeva il contenitore, gli occhi socchiusi, completamente concentrata a captare un qualsiasi movimento. Ma niente. Era tutto immobile.
Sospirò, probabilmente era stata solo la sua immaginazione.
Restò a sedere altri minuti, volgendo di tanto in tanto lo sguardo in quella zona, poi si rimise in cammino.
Poco dopo arrivò in un punto in cui la vegetazione cambiò. Ora c'erano dei bellissimi pini che la ragazza trovò molto accoglienti. Forse lì in mezzo ci sarebbero stati meno spifferi della notte appena trascorsa. Le ritornò un po' di buon umore.
Stava ricordando che presto sarebbe dovuta arrivare ad una gola. Decise che si sarebbe fermata a riposare un po' lì, presto si sarebbe fatto buio, nonostante fosse metà pomeriggio. Avrebbe proseguito la sera. Non le andava a genio girovagare in pieno giorno.
Cercò un angolino che le andasse a genio tra i pini. Si sistemò più comodamente della notte precedente e cercò di riposare.

- Erdie, Erdie, guarda, una farfalla! - esclamò un bambino dai capelli scuri che le dava le spalle. Indicava una farfalla bianca che svolazzava tra i fiori nell'aiuola lì davanti a loro. Avrà avuto più o meno cinque anni. Avanzò tra i fiori, allungò una manina con l'intento di prenderla, ma quella volò via, svolazzandogli alcuni istanti sulla testa. Nel momento in cui si girò poté vedergli il visino e due splendidi occhi grigi che continuarono a seguire il volo della farfalla per alcuni istanti, poi il bimbo iniziò a rincorrerla.
- El, guarda dove metti i piedi, per favore. - disse lei seguendolo con lo sguardo, le labbra inarcate in un sorriso.
- Non sapevo re Elessar ti avesse assunto come balia... - esclamò una voce roca alle sue spalle.
Lei si voltò e vide avvicinarsi a passo deciso un vecchio vestito completamente di bianco, la barba e i capelli lunghi e candidi. Si appoggiava ad un bastone dello stesso colore e le sorrideva calorosamente. Quasi si mimetizzava con il bianco del pavimento e della costruzione sullo sfondo.
- Re Elessar in questo momento è impegnato ad organizzare la riunione, mentre la regina Arwen sta accogliendo gli ospiti ed El non aveva voglia di stare con la sua effettiva balia. - spiegò tornando a seguire con lo sguardo il piccolo che aveva perso interesse nella farfalla appena aveva sentito la voce dello Stregone e ora gli correva incontro.
- Gandalf, Gandalf, farai i fuochi d'artificio sta sera? - gridò con la voce cristallina.
Gli altri due scoppiarono a ridere divertiti – Sono in programma per dopodomani, in verità... - rivelò chinandosi leggermente sull'altro che lo aveva raggiunto.
- Oh. - mugugnò il bambino con aria dispiaciuta.
- Se riesci a resistere fino a dopodomani, ti faccio il drago. - promise lo Stregone facendogli l'occhiolino.
Un sorrisone enorme illuminò il viso del piccolo che esultò contento. Poi una voce lo chiamò. Si voltarono tutti e tre in quella direzione. Elrond li stava raggiungendo con Elrohir al fianco. Il piccolo corse loro incontro mentre lei li salutava con un cenno del capo, imitata da Gandalf.
Poi notò che c'era qualcun altro dietro loro due. Riconobbe Elladan che stava chiacchierando con qualcuno. In quel momento iniziò a farsi tutto più sfocato. Le voci si fecero ovattate. Vide Elrohir chinarsi per salutare il piccolo e incontrò due occhi grigi. Il cuore le perse un battito.
Monica si svegliò e per una volta non in preda alla paura. Anzi, avrebbe preferito restare a dormire: quel sogno le stava veramente piacendo. Si rigirò dall'altra parte per cercare di tornare a dormire, ma poi le tornò in mente dove fosse e cosa stesse facendo lì. Non sapeva quanto avesse dormito. Sinceramente non aveva nemmeno l'intenzione di addormentarsi, inizialmente, ma la stanchezza doveva aver preso il sopravvento. Controvoglia si rimise in piedi. Doveva ammettere che era riuscita a trovare proprio un gran bel posticino. Non era nemmeno tanto freddo lì sotto ai rami dei pini.
Rimise tutto via dopo aver mandato giù qualcosa e si districò tra i rami per uscire. Fu quando mise la testa fuori che il suo umore peggiorò drasticamente: nevicava di brutto. Sbuffò ed imprecò.
Si rimise in viaggio coprendosi meglio che poté. Fortunatamente non tirava vento. Poi con la mente ritornò al sogno, come era solita fare ogni volta. Tanto per cambiare non si ricordava i dialoghi, ma aveva ancora impressi in mente quei bellissimi occhi azzurri e quella strana sensazione che l'aveva invasa tutto d'un colpo.
Si maledisse per essersi svegliata nel momento migliore.

Ci mise un po' per arrivare alla gola, era difficile tenere la strada di notte, con tutta quella neve che cadeva: non riusciva a vedere dove andava. Svariate volte rischiò di finire contro qualche albero perché non si era accorta di aver abbandonato la via. In compenso, lì in mezzo alla gola la neve non arrivava, quindi riuscì ad andare spedita. Una volta fuori continuò a seguire la Strada Grigia come meglio poté. Ricordò quando con i suoi amici si erano precipitati giù per il pendio fino al Guado del Bruinen.
Si chiese se già si erano dimenticati che lei era lì. In fondo era meglio così, non si sarebbero preoccupati.
Quando finalmente intravide il ponte poco più avanti tirò un sospiro di sollievo. Ormai non mancava molto all'accampamento, stava anche smettendo di nevicare. Probabilmente lo avrebbe raggiunto in mattinata. Nell'euforia, iniziò a camminare con passo più svelto. Ma proprio alla fine del ponte il piede le scivolò e lei finì con una gamba nell'acqua gelida.
Fu come se una miriade di aghi le si infilzassero nell'arto. Restò senza fiato per alcuni istanti. Si ritirò su a fatica. Quella proprio non ci voleva. Non aveva nemmeno vestiti di ricambio visto che li stava indossando tutti.
Era a dir poco incavolata. Cacciò un urlo per sfogarsi e poi riprese a camminare spedita nella direzione in cui si ricordava fosse l'accampamento, almeno fino a che la gamba glielo permise. Ma non ci mise molto a perderne la sensibilità. Era stremata, stava morendo di freddo. Iniziò a piangere per la frustrazione. Le mancava così poco. Continuava ad avanzare un passo alla volta, trascinando la gamba, fino a che non inciampò e finì lunga a terra, nella coltre bianca. Iniziò a maledirsi, a ripetersi che sarebbe dovuta stare più attenta. Ora aveva mandato tutto all'aria e per di più, probabilmente sarebbe morta lì, assiderata. Poco dopo perse i sensi.

- Svegliati. - continuava a ripetere una voce che le giungeva lontana – Non puoi cedere ora. Svegliati. - era una voce femminile, il tono era duro, perentorio – Svegliati! - urlò. Monica riprese conoscenza, ma restò con gli occhi chiusi. Percepiva il freddo della neve addosso.
Poi sentì un colpo alla spalla, ma non si mosse. Era completamente senza forze e congelata. Ancora un colpo, questa volta al fianco desto. Un lamento le uscì dalla bocca. Poco dopo un lieve venticello caldo le invase il viso. Ma non aveva un buon odore. Stava cercando di capire cosa fosse, quando sentì un verso strano e qualcosa di bagnato sul viso. A quel contatto umido sgranò gli occhi e riconobbe nel buio della notte un muso lungo che le si avvicinò e tornò a bagnarle la faccia. Lei cercò di divincolarsi, ma gli arti non le rispondevano e le doleva praticamente tutto.
- Basta... - mugugnò sollevando a fatica il braccio destro per proteggersi. Il muso si allontanò di qualche centimetro. Lei sollevò lo sguardo ed osservò l'animale. Era un cavallo dal manto candido come la neve che li circondava. Restò sorpresa a fissarlo, quello stava facendo lo stesso. Poi avvicinò di nuovo il muso al suo, dandole un colpetto al viso. Lei spostò la mano verso di questo, titubante, quindi lo accarezzò lentamente. Le scappò un sorriso. Il cavallo sbuffò; sembrò felice del gesto. All'improvviso si accucciò a terra, accanto a lei, con cautela, cercando di non finirle sopra. Lei restò basita ad osservarlo sorpresa. Poi quello nitrì piano, come a volerla spronare a salire.
Monica allora fece perno sulle braccia per sollevarsi e cercare di montargli in groppa. Dovette fare uno sforzo enorme. Tremava dalla testa ai piedi, non c'era un punto del corpo che non le facesse male e aveva perso sensibilità della maggior parte degli arti, il respiro era affannoso. Era consapevole di avere la febbre alta.
Quando finalmente riuscì a salire, il cavallo si sollevò lentamente. Lei gli si aggrappò alla lunga criniera, anch'essa bianca e gli si allungò sopra, crogiolandosi al tepore che emanava il corpo – Imladris... - sussurrò con il poco fiato che aveva, la voce roca. La gola le bruciava dannatamente.
Il cavallo sbuffò di nuovo e iniziò a camminare, come se l'avesse capita e lei rimase spiazzata nel notare che si stava dirigendo in quella direzione. La invase un barlume di speranza.

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Capitolo 18
*** Desolazione. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 17: DESOLAZIONE.

Monica aveva dormito quasi per tutto il tragitto mentre il cavallo continuava a mantenere un'andatura sostenuta, ormai mancava poco ad Imladris. La febbre era alta e lei non riusciva a muovere un muscolo, a parte il battere i denti per il freddo. Se ne stava lì sopra, in balia dei movimenti del quadrupede, incapace di fare qualsiasi cosa.
Il tempo non prometteva nulla di buono, ma almeno non aveva nevicato. Era già calata la sera da un pezzo quando in lontananza percepì il rumore del Bruinen. Fra poco avrebbe scorto l'Ultima Casa Accogliente.
Raccolse tutte le poche energie che aveva e provò a drizzarsi. Intravide il dirupo davanti a lei. Il cuore, che già le batteva veloce, accelerò: ce l'aveva fatta. Ma poco dopo notò che c'era qualcosa che non quadrava.
Venne invasa da uno strano odore pungente, acre, che si faceva mano a mano sempre più forte. In un primo momento non capì. Poi l'espressione si fece tirata e il cuore le perse un battito. Era odore di bruciato.
Si tirò su a sedere, lentamente. Scrutò meglio intorno a lei. Tra le nuvole del cielo plumbeo, dalla direzione di Imladris, si levava un filo di fumo che si confondeva nell'oscurità. Sperò di sbagliarsi.
Ma quando finalmente raggiunse l'orlo del precipizio il terrore la invase come una doccia fredda. In lontananza non c'erano luci provenienti dalla dimora di Elrond. Era tutto immerso nell'oscurità. Solo un fortissimo odore di bruciato che non lasciava presagire nulla di buono. Il panico si impossessò di lei.
Sperò che il cavallo potesse andare il più veloce possibile, ma con la neve e il ghiaccio il sentiero era diventato pericoloso e quasi impraticabile. Fecero molta fatica a scendere.
Dopo lunghissimi minuti giunsero finalmente in fondo alla valle e qui la disperazione le attanagliò il cuore.
- No! - gemette con voce roca mentre spostava lo sguardo tra le rovine che le si paravano davanti, incredula. Qualche colonna di fumo si levava qua e là – No! - provò a gridare con la poca voce che aveva, ma le uscì solo un flebile lamento. Spronò il cavallo che riprese ad avanzare con andatura più veloce. In poco tempo raggiunse l'ingresso di quel che restava dell'Ultima Casa Accogliente. Fece per smontare, ma ci mise troppo impeto e, malandata com'era, piombò a terra di schiena. Il fiato le si mozzò, le ci volle un bel po' per riprendersi dalla botta. Si dovette aggrappare al quadrupede che le era andato in aiuto, per rialzarsi.
Fece per muoversi, ma il cavallo la trattenne per i vestiti. Lei si voltò a guardarlo sorpresa. Sembrava non volesse lasciarla andare da sola. Lei lo accarezzò – Devo andare. - sussurrò. Quello sbuffò e lasciò la presa. Con passi incerti e instabili si diresse verso i gradini. Percorse diversi corridoi e salì diverse scale con la velocità che le era concessa, stringendo i denti per il dolore. Era disperata e piangeva. Non riusciva a capacitarsi di essere arrivata troppo tardi. Vi era sangue ovunque e di tanto in tanto corpi di Orchetti. Questo la rincuorò.
Ma la scena che le si presentò poco dopo davanti, appena girò un angolo, fu il colpo di grazia. Si portò un braccio a coprire il naso e la bocca. Un fortissimo tanfo la investì. Poi sgranò gli occhi terrorizzata, sbiancando. Aveva capito cosa fosse quell'ammasso scuro davanti a lei, da cui saliva del fumo. Lì, sul freddo pavimento dello spiazzo ai piedi delle scale che portavano alla Sala del Fuoco, vi erano stati ammucchiati dei corpi a cui era stato dato fuoco. E quei corpi non erano di Orchetti. Non riuscì a reprimere il conato di vomito. Le ginocchia le cedettero e si accasciò a terra, disperandosi. Poi il buio.

Riprese conoscenza il mattino. Faceva molto freddo. Evitò accuratamente di guardare l'orrore accanto a lei e, tra le lacrime e i singhiozzi, iniziò a vagare per il luogo desolato. Di giorno faceva anche più impressione: il risalto delle mura annerite dall'incendio contro il bianco della neve. Avevano distrutto tutto, non era rimasto integro niente, solo lo scheletro di quello che prima era un posto incantevole. Le statue erano state tutte distrutte; i dipinti ai muri sfregiati; non avevano lasciato un centimetro intatto. Continuava a maledirsi e a maledire sua cugina. Sperò con tutto il cuore che qualcuno fosse riuscito a salvarsi. Le vennero alla mente i visi dei suoi amici. Dovette appoggiarsi al muro per non crollare di nuovo a terra, straziata dal dolore.
Non sapeva nemmeno lei dove stesse andando, vagava senza meta, troppo sconvolta per ragionare o capire dove si stesse dirigendo, finché dei rumori non attirarono la sua attenzione. Si bloccò e restò in silenzio ad ascoltare. Credette di esserseli immaginati, ma poco dopo li percepì di nuovo, non molto lontani. Sembravano dei colpi di tosse, poi delle risate gutturali, delle voci roche. Decise di andare a controllare e lentamente, cercando di non far rumore, si diresse in quella direzione. Si appiattì contro il muro. Le voci provenivano da dietro l'angolo. Sporse leggermente la testa in avanti. Vide due figure lungo il corridoio, la pelle scura e putrida, avvolte in armature nere: erano due Orchetti. Stavano parlando tra di loro.
- Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli altri. Sarà bello ascoltarlo lamentarsi mentre il fuoco corrode la sua pelle... - proferì quello più lontano da lei.
Il compare scoppiò a ridere – Perché no... - disse sferrando un calcio a qualcosa ai suoi piedi – Allora? Che ne dici... vuoi essere bruciato vivo? - domandò.
Qualcuno tossì. Solo in quel momento la ragazza capì che quel qualcosa ai piedi degli Orchetti era una persona. Ed era ancora viva. Si ritrasse dietro l'angolo, gli occhi nocciola sgranati, ansimante. Portò la mano destra al coltello alla cintura e lo estrasse. Chiuse gli occhi. Aveva la testa che le pulsava. E le mani le tremavano. Si sfregò gli occhi, cercando di concentrarsi. In quelle condizioni le era difficile qualsiasi gesto, figuriamoci se riusciva ad affrontare due Orchetti. Doveva cercare di coglierli di sorpresa. Doveva essere veloce. Fece un bel respiro e si sporse di nuovo. Il più vicino a lei aveva preso per il collo il tipo a terra, sollevandolo. Quello si lamentava.
Si fece coraggio ed uscì piano piano da lì dietro. La distanza non era molta, ma a lei sembravano chilometri.
- Se non ci sbrighiamo, questo ci muore ancor prima che noi possiamo divertirci con lui. - fece notare l'altro Orchetto – Già gli manca un pezzo… - si girò verso il vicino, intravide qualcosa dietro di lui, ma non fece in tempo ad avvertirlo, vide una lama trapassargli il collo – Che… - fece sorpreso mentre due occhi furenti lo fissavano e il compare crollava a terra senza vita, insieme alla sua preda.
Monica gli si fiondò addosso con un urlo, ma quello fu più veloce, schivò il fendente e la colpì con un calcio facendola sbilanciare. La ragazza finì a terra. Il coltello le scivolò dalla mano, il dolore la invase.
L'Orchetto intanto aveva sfoderato la spada dalla lama nera e sferrò un colpo, lei lo schivò in tempo, rotolando sulla sua sinistra. Quello affondò di nuovo e lei lo schivò. Alla terza volta, la ragazza schivò e colpì con un calcio l'Orchetto al braccio, sbilanciandolo. Lo afferrò per l'arto si alzò e gli diede una ginocchiata all'addome, ma era debolissima.
Quello l'afferrò per il collo e le scoppiò a ridere in faccia - Cosa credi di fare… sei solo un topolino dispettoso. - proferì stringendo la presa.
Monica annaspò. Sentiva poco a poco le poche forze abbandonarla, la vista le si oscurava. Era un'incapace. Non era arrivata in tempo, non era riuscita a salvare i suoi amici. Ed ora era lei stessa a pagarne le conseguenze. Una lacrima le rigò il viso. Dischiuse gli occhi, aveva la vista annebbiata, ma riuscì lo stesso a vedere dietro l'Orchetto il corpo del tipo su cui si stavano accanendo i due poco prima. Era ancora vivo. “Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli altri.” quelle parole le rimbombarono in testa. Sentì invaderla la rabbia. “Puoi farcela.” ancora quella voce. Raccolse le ultime forze e sferrò un bel calcio al ginocchio dell'Orchetto che mollò istantaneamente la presa su di lei, cacciò un urlo e si accasciò dolorante su se stesso. Lei rovinò di nuovo a terra e iniziò a tossire e ad annaspare, il respiro mozzato. Cercò di sollevarsi da terra, ma le mancavano le forze. Vide quello spostare furioso gli occhi gialli su di lei. Erano iniettati di sangue. Lei si voltò. Vide il coltello a pochi metri di distanza e iniziò a strisciare disperata verso di quello.
- Tu, piccola impertinente… ti infilzerò come un maiale e ti farò morire dissanguata! - gridò l'essere fiondandosi su di lei.
Monica si diede una spinta e raggiunse l'arma, la afferrò, si girò e schivò appena in tempo il fendente del nemico che colpì il pavimento. Si diede una spinta in avanti e gli affondò il coltello nell'addome. Poi lo estrasse e gli tagliò la gola. Il corpo dell'Orchetto cadde a terra esanime. La ragazza si accasciò sul freddo marmo esausta, il respiro affannato. Scoppiò a piangere. Non sapeva come, ma ce l'aveva fatta.
Ancora scossa, si diresse carponi verso la persona che giaceva a terra. Per un attimo pensò fosse morto, poi lo sentì tossire. Lo raggiunse e lo girò supino. Un'espressione stupita le si dipinse sul viso - Alyon. - sussurrò riconoscendolo.
L'Elfo moro, sentendosi chiamare, dischiuse gli occhi. Restò diversi istanti a fissarla incantato. Una luce bianca, abbagliante e rassicurante l'aveva completamente pervaso – Sono morto? - domandò.
Monica sorrise – No, siete ancora vivo… - ma il suo sorriso scomparve quando lo sguardo le cadde all'altezza del braccio destro, o meglio, su quel che ne rimaneva. Era stato mozzato ad una spanna dalla spalla. Poi fece vagare gli occhi nocciola sul corpo e dovette girarsi da un'altra parte. Aveva il ventre lacerato. Trattenne un singulto.
- Chi siete? - domandò quello flebilmente.
Lei si voltò verso di lui, cercando di sorridergli – Dama Monica… non mi riconoscete? -
Alyon corrugò la fronte. La luce calda svanì e finalmente poté vederla in viso – Voi… - mormorò, poi tossì di nuovo. Si irrigidì per il dolore. Ogni colpo di tosse era una fitta che gli toglieva il fiato.
La ragazza era disperata – Devo portarvi via da qui. - proferì guardandosi intorno.
Lui rise – Non c'è più niente da fare… per me. -
- Non dite così. Troveremo aiuto... - replicò lei spaventata.
- Non c'è nessuno nel giro di chilometri… - la interruppe quello, gli occhi verdi velati – Lasciatemi qui… e andatevene… immediatamente. - faceva fatica a parlare – Ne arriveranno altri… sicuramente… -
- No. - piagnucolò lei – Non vi lascio qui… - si asciugò le lacrime e lo fissò risoluta – Non se ne parla. -
Lui la guardò sorpreso – Non riuscirò ad affrontare... un viaggio in queste condizioni… Non voglio che mi vediate morire… -
- Vi curerò io. Vi salverò. Farò tutto quello che mi è possibile. Sono disposta anche a ricucirvi centimetro per centimetro ogni ferita. - disse determinata – Ma mi dovrete dire come fare. -
- Siete testarda. - constatò l'altro, ridacchiando.
Lei gli sorrise – Vi devo un favore, non ricordate? -

Non era stato per nulla semplice trasportare Alyon in una stanza. Lei era completamente priva di forze, la febbre alta non le dava tregua, aveva continui giramenti di testa e la vista le si appannava spesso. Mentre l'Elfo era ridotto veramente male e sapeva che non avrebbe dovuto muoverlo, ma non voleva lasciarlo lì in mezzo al corridoio. Fortunatamente si trovavano vicino alle stanze in cui avevano alloggiato i ragazzi. La prima che gli capitò sotto mano era quella usata da Elisa e Michele. Una volta sistemato l'Elfo a terra, dato che il letto era andato bruciato, si concesse alcuni minuti per cambiarsi i vestiti. Si diresse in quella che fu la sua stanza. Pregò che gli Orchetti non avessero trovato il baule in cui vi erano le armi e fatto razzia di tutto. Quando arrivò all'ingresso, vide che la porta non vi era più, era completamente carbonizzata. Si affacciò all'interno, stessa cosa valeva per tutti i mobili, compreso l'armadio. Si avvicinò velocemente, ma non vi era rimasto più niente. Sconsolata se ne stava per andare, quando qualcosa, sulla sua destra, attirò la sua attenzione. Vi era una cassapanca un po' malridotta che non era presente l'ultima volta. All'interno, vi era qualcosa. La raggiunse e sollevò il coperchio. Le uscì un sospiro di sollievo. Vi erano alcuni abiti intatti. Iniziò a tirarli fuori per indossarli. Erano anche abbastanza pesanti e sopratutto asciutti. Ma lo stupore più grande fu scoprire che sotto di questi vi erano le armi che aveva visto nel baule mesi prima: la spada, l'arco e la faretra piena di frecce. Perfino la cotta di maglia. Sospirò di nuovo e si accasciò sulla cassapanca, appoggiando la fronte sul legno ruvido. Quel giorno era molto fortunata.
Dopo essersi cambiata e ben equipaggiata, si procurò della legna ed accese un fuoco nella stanza di Alyon. Il tetto era semi crollato e una colonna di fumo in più non avrebbe destato di certo sospetto. Quindi, seguendo le indicazioni dell'altro, andò nella stanza dove venivano tenute tutte le medicine, sperando che la sua fortuna non l'abbandonasse proprio in quel momento. Aveva bisogno di alcune di quelle per occuparsi dell'Elfo.
Quando entrò e vide la confusione che regnava, le crollò il mondo addosso. Oltre ad essere stata colpita dalle fiamme, il pavimento era cosparso di vetri in frantumi delle varie boccette e vasetti. Gli scaffali erano quasi completamente vuoti. Imprecò e si mise immediatamente alla ricerca disperata di quello che le serviva, sperando fosse rimasto qualcosa.

Alyon osservava distrattamente le fiamme al centro della stanza. Le orecchie a punta tese a captare anche il più piccolo rumore e ripensava alla visione che aveva avuto in precedenza. Non gli era capitata mai una cosa simile prima d'ora. La voce della fanciulla con cui aveva parlato era così melodica e soave che gli era arrivata dritta al cuore. Non era riuscito a vederla in volto, a causa della troppa luce, ma era consapevole che fosse qualcosa di estremamente etereo, puro. C'era qualcosa di inspiegabile e misterioso in quella ragazza.
La sentì arrivare e spostò lo sguardo sull'ingresso. Monica fece capolino nella stanza con sguardo amareggiato. Posò il contenitore che aveva in mano a terra – Niente bende e niente morfina… - proferì sentitamente dispiaciuta – E… ho trovato solo questa poca Athelas. - riferì mostrando il piccolo mazzetto nella mano.
- Quella basterà... per le ferite più gravi. - proferì l'Elfo con aria stanca.
- Per le bende ho pensato di usare quella… - mormorò indicando un brandello di tenda che svolazzava all'aria fredda invernale – Ma per la morfina… - si morse un labbro.
- Non vi preoccupate… resisterò. - la rassicurò lui.
Era metà pomeriggio, ma si stava già facendo buio. Doveva sbrigarsi, o non avrebbe potuto usufruire della luce del giorno. E già ve ne era poca a causa del maltempo. Controllò che il laccio al braccio fosse ancora ben stretto e decise di dedicarsi prima alla ferita al ventre.

Dovette fare uno sforzo immane per restare lucida. Non fu facile nelle condizioni in cui riversava lei e per la gravità delle ferite di lui. Rischiò più volte di dare di stomaco e ci mise un sacco di tempo, ma alla fine riuscì nel suo intento. Aveva ripulito tutte le ferite, con calma, centimetro per centimetro. Aveva anche indossato dei guanti che aveva sterilizzato, insieme alla tenda fatta a brandelli, nell'acqua bollente ed un indumento sul volto per evitare di infettarle con la sua influenza. Poi aveva usato l'Athelas ed infine ricucito il tutto. Alyon fu per tutto il tempo cosciente. Non osava nemmeno immaginare a quanto dolore avesse dovuto patire. Era la prima volta che usava ago e filo, sperava di aver fatto almeno decentemente il suo lavoro. Per distrarsi le raccontò per filo e per segno quello che era accaduto tre giorni prima, interrompendo di tanto in tanto il racconto per darle qualche direttiva e per qualche lamento, ma fu impressionata da quanto riuscì a resistere.
A quanto pare gli Orchetti avevano attaccato di notte ed erano tantissimi. A nulla erano valsi i loro sforzi di arrestarne l'assalto. Loro erano decisamente di meno. Le disse che aveva impresse nella mente le urla di terrore che riecheggiavano nella Valle, le fiamme alte si stagliavano nella notte, il clangore delle armi tutt'intorno a lui. Quando avevano capito che non ci sarebbe stato più niente da fare, avevano provato a scappare, ma non fu semplice e molti erano morti. Aveva visto Melime ed Elveon fuggire, di quello era sicuro. Degli altri non sapeva.
Questa notizia la rincuorò, almeno un po'.
- Quello che mi chiedo… è come abbiano fatto a scovare questo posto… - proferì mentre lei lo copriva con un mantello. Questa sgranò gli occhi e lo guardò allarmata – Che c'è? -
- Non mi dite che… - mormorò con il fiato mozzato, era diventata bianca cadaverica.
- Cosa? - chiese. Stava iniziando a preoccuparsi.
- Se non è uscita allo scoperto… - cominciò parlando più a se stessa che con l'altro – Questo non va bene! - esclamò terrorizzata.
- Mi spiegate... cosa state blaterando? - gridò come meglio poté, gli ci volle un grande sforzo.
- Morwen… - disse con voce rotta – C'è lei dietro a tutto questo. - dichiarò.
- Come lo sapete? - ora si stava agitando anche lui.
Monica gli raccontò quello che le aveva riferito la cugina e gli spiegò perché era lì. Alyon la guardava basita.
- Dovete andare! - gridò lui sollevandosi leggermente dal pavimento, ma una fitta di dolore lo bloccò.
- Non muovetevi! - lo sgridò afferrandolo per le spalle nude, cercando di farlo sdraiare di nuovo – Siete impazzito? Così riaprirete la ferita! -
- Siete l'unica che può avvisare tutti… dovete andarvene subito da qui! - spiegò con una smorfia sul bel viso.
- Ma non posso lasciarvi così… avete bisogno di cure… - ribatté lei.
- Io sono uno… se non li avvisate in tempo verrà versato altro sangue… altri Elfi e Uomini moriranno… altri innocenti… e se mi portaste con voi, sarei comunque un peso. - cercò di farla ragionare.
- Ma anche la vostra vita vale! - urlò lei, le lacrime agli occhi, lui la guardò sorpreso – Non voglio lasciar morire nessuno. - proferì decisa, il viso rigato dalle gocce salate – E tanto per cominciare, non so nemmeno da che parte devo andare. Metteteci poi che sono malconcia anche io. -
Lui chiuse gli occhi e sospirò. Restò in quel modo per vari minuti, a soppesare la situazione – Ok… - cominciò guardandola – Partiamo dal presupposto... che loro sono partiti tre giorni fa. Gli Orchetti ci hanno attaccati da est, da nord e da ovest... quindi probabilmente si sono tutti diretti verso sud. Sicuramente vi erano anche tra di loro dei feriti… questo fattore rallenta anche loro. - Monica lo stava ascoltando attentamente – Ora… cercheranno sicuramente un posto dove rifugiarsi… è scontato che gli Elfi andranno a Lothlorien… ma prima dovranno fare il punto della situazione… quindi credo che si fermeranno ad Edoras… è la prima grande città dove potranno trovare aiuto. - tossì contorcendosi per il dolore, Monica lo guardò preoccupata – Per arrivare ad Edoras ci vuole all'incirca una settimana, viaggiando veloci, una decina di giorni con calma… con i feriti ci metteranno sicuramente più di due settimane. -
- Ma se Morwen è con loro… potrebbe fare in modo che vengano attaccati tutti durante il viaggio. Sarebbero un facile bersaglio. - fece notare la ragazza.
- Questo è vero. - dovette ammettere.
Il silenzio calò tra i due. Si sentiva solo lo scoppiettare del fuoco e i loro respiri.
- A meno che… - mormorò lei.
Alyon la restò ad osservare alcuni istanti – Cosa vi è venuto in mente? - le chiese.
- Elrohir mi aveva raccontato dei problemi che aveva creato Morwen quando era a Minas Tirith, del fatto che gli Uomini siano più sensibili a venir soggiogati da lei… e se sfruttasse il fatto che si stiano tutti dirigendo ad Edoras per lanciare un attacco lì? - suppose. E non le piaceva affatto quello che appena aveva detto.
Calò di nuovo il silenzio, questa volta era pesante. Monica capì che quello che aveva appena detto era più plausibile che mai.
- Se così fosse... abbiamo a che fare con qualcuno di molto potente. - proferì lui.
- É a comando di un esercito di Orchetti… non è da tutti. - dovette ammettere lei.
- La situazione è più grave... di quanto potessi immaginare. - Alyon la guardava con il volto tirato – Ma quello che avete detto ha senso… se è così… dovete mettervi subito in movimento. Già siete in svantaggio di tre giorni… in più dovrete procurarvi anche un cavallo… e il primo villaggio dove potrete trovare qualcosa è a quattro giorni di cammino da qui… -
- Ora perché ritornare a parlare solo di me? - fece stizzita.
- Silwen, sono ferito gravemente… non posso affrontare un viaggio a piedi nelle mie condizioni. Già sarebbe un problema a cavallo. Dovrete lasciarmi qui. - spiegò.
- Vi sbagliate. - lo interruppe lei – Abbiamo un cavallo. - rivelò. Alyon la guardò sorpreso – Sono venuta fin qui a cavallo. Mi è venuto in soccorso sul ponte sul Bruinen… se non fosse per lui, a quest'ora sarei morta assiderata. - raccontò – Sperando non se ne sia andato. -
- Questa è una buona notizia… - disse, ma la stava guardando perplesso – Dovremo comunque fare sosta per prenderne un altro… e io dovrò fermarmi spesso… -
- Piantatela! - lo fissava arrabbiata – Vi sono dei feriti anche con loro e alcuni potrebbero essere ridotti male quanto voi… dovranno fare anche loro spesso delle soste… ma quello che è a nostro vantaggio è che siamo solo in due. -
- Siete veramente una testa dura… - un flebile sorriso gli incurvò le labbra.
- Allora… quando si parte? - chiese lei, ignorandolo.
- Abbiamo tre giorni di svantaggio... prima partiamo, meglio è… ma voi dovete riposare… - la ragazza stava per replicare, ma lui la precedette – Vi lascerò dormire fino all'alba, mancano poche ore… spero vi bastino… non avete un bell'aspetto. - fece serio.
Lei acconsentì. Dire che non aveva un bell'aspetto probabilmente era riduttivo. Si sentiva uno straccio. Sapeva che il viaggio sarebbe stato duro nelle sue condizioni. Ma molto più duro sarebbe stato per l'Elfo. Monica aveva intuito che stava cercando di mascherare il dolore che stava provando. Lei aveva fatto il possibile per medicarlo, ma era sicura che non bastava. E se non avessero trovato al più presto aiuto, quasi sicuramente non sarebbe sopravvissuto. Aveva perso molto sangue e la ferita al ventre non aveva un bell'aspetto.

Quando all'alba Alyon la svegliò, le sembrò di non aver riposato per niente, anzi, stava anche peggio. Ma non ne fece parola e cercò in tutti i modi di non dare a vederlo. Poi andò in cerca di cibo, ma non trovò molto, purtroppo. Un po' più fortunati furono con le armi: lei prese quelle di Erdie, lui trovò una spada elfica in un corridoio. Raggiunsero lo spiazzo dove aveva lasciato il cavallo dopo un'ora. Si fermarono in continuazione. Nessuno dei due riusciva a reggersi in piedi.
Quando Monica vide il quadrupede ancora lì ne fu piacevolmente sorpresa. Ma la sorpresa maggiore fu dell'Elfo.
- Silwen… dove avete detto che l'avete incontrata? - chiese con gli occhi verdi sbarrati.
- Al ponte sul Bruinen… perché? - lo guardava incuriosita.
- Quella… non è una cavalla normale… - iniziò lui guardando l'animale con aria tra il sorpreso e la riverenza.
- Ah, è una femmina? - fece invece lei, poi iniziò a spostare lo sguardo dall'uno all'altra.
- Silwen… è un Mearas… sapete cos'è? - chiese ancora incredulo.
- Eh?! - esclamò lei e per lo stupore quasi lasciò cadere l'altro che stava sorreggendo. Iniziò ad osservarla attentamente, ora anche lei con stupore e riverenza – Ne siete sicuro? -
- Decisamente… - mormorò stringendo i denti per la fitta di dolore a causa del movimento brusco che lei gli aveva fatto fare – Avete detto che vi si è avvicinata lei? -
- Bé… avevo perso i sensi… è lei che mi ha svegliata e si è chinata per farmi salire in groppa. - raccontò non staccandole gli occhi di dosso.
- Questo è veramente strano… di solito i Mearas non sono così disposti a farsi cavalcare… - riferì mentre iniziarono ad avvicinarsi a lei.
- Credete che si farà cavalcare da entrambi? - chiese, ora era preoccupata.
Si fermarono accanto a quella e Alyon spostò lo sguardo sulla ragazza che fissò per alcuni istanti – Perché non provate a chiederglielo? -
Monica si voltò a guardarlo stupita – Chiederglielo? Io? -
- Capisce la lingua degli Uomini… e si è avvicinata lei per prima a voi… credo che vi ascolterà. - spiegò.
Lei lo fissò titubante, poi si voltò verso la cavalla che sembrava fosse in attesa. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Poi si schiarì la voce – Possiamo cavalcarti entrambi? - domandò con un filo di voce. Tra l'altro il parlare con un cavallo le sembrava alquanto bizzarro.
In un primo momento il quadrupede non si mosse, poi sbuffò e si chinò sotto lo sguardo sbigottito di entrambi.
- Credo sia un sì… - bofonchiò Monica sconvolta.
- Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci crederei… - commentò invece l'Elfo.

Una volta in groppa all'animale, Monica davanti ed Alyon dietro, iniziarono il loro viaggio. Era freddo e aveva iniziato a nevischiare, ma almeno ora, la ragazza era vestita pesante. Il mantello elfico che indossava l'avrebbe ben protetta. A metà sentiero, dall'altra parte della Valle, si voltarono un'ultima volta a guardare Imladris. C'era ancora una piccola colonna di fumo che si levava dalle macerie. Ormai non vi era rimasto più niente del posto che dava una sensazione di pacifico, di un luogo in cui potersi ristorare. Quella vista era straziante per entrambi. Ripresero il viaggio con il cuore pesante e non parlarono per diverso tempo. Nessun canto si sarebbe più levato, nessuno più avrebbe trovato riposo dal viaggio, né sarebbero più state raccontate storie lì ad Imladris.

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Capitolo 19
*** Pel-Tethrin. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 18: PEL-TETHRIN.

Il fuoco scoppiettava al centro della grotta, illuminando con bagliori tenui e arancioni il posto angusto. Fuori, la notte gelata era illuminata dalle stelle. Aveva nevicato in continuazione quei giorni, poi quel pomeriggio il tempo era sorprendentemente migliorato. Alyon e Monica viaggiavano da tre giorni, ormai. Secondo l'Elfo, l'indomani, in mattinata, avrebbero raggiunto il villaggio di Pel-Tethrin, così sarebbero riusciti a prendere un cavallo e fare provviste.
Avevano bisogno sopratutto di cibo e medicine, dato che le loro condizioni fisiche non erano migliorate, anzi. Alyon soffriva ogni giorno di più, a quanto pare la sua ferita al ventre si era infettata, e ce ne volle per rassicurare la compagna che non era stata colpa sua, ma era tutto dovuto alle lame degli Orchetti. Monica era vicina al collasso. La febbre continuava ad essere alta, non le dava tregua, per non parlare dei continui giramenti di testa, dava spesso di stomaco e mangiava pochissimo. Aveva bisogno di un lungo riposo, al più presto.
Alyon la osservava dimenarsi nel sonno a causa della febbre. Anche quella notte la sentì bofonchiare parole incomprensibili.
Quando la svegliò il mattino, aveva un aspetto terribile: era cerea in viso e sotto gli occhi aveva due lividi violacei. L'Elfo la guardò preoccupato vacillare mentre si alzava da terra. Questa, sentendosi lo sguardo puntato addosso, si voltò a guardarlo – Che c'è? -
- Avete bisogno di riposo. - dichiarò serio.
Lei sbuffò – Non possiamo permettercelo, lo sapete benissimo. - rispose con tono irritato. Negli ultimi due giorni il suo umore era peggiorato visibilmente.
- Silwen, se non vi riposate nessuno dei due riuscirà ad avvisarli. - cercò di farla ragionare – Continuando così crollerete. Non ci serviranno molti giorni e preferisco avervi in uno stato decente anche perché se ci dovessero attaccare, siete l'unica in grado di difenderci. Ma non di certo in questo stato. -
La ragazza dovette ammettere che l'altro aveva pienamente ragione, quindi accettò le sue condizioni: al villaggio avrebbero alloggiato in una locanda almeno fino a quando lei non fosse stata meglio.

Pel-Tethrin, il Villaggio dei Salici, si trovava nel punto in cui il fiume Bruinen e il Mitheithel formavano l'Inondagrigio. Era stato edificato alcuni anni dopo la Guerra dell'Anello. Era un villaggio di Uomini, non molto grande, che viveva di commercio, quindi i viaggiatori vi potevano trovare tutto il minimo indispensabile: generi alimentari, vestiti, o appunto cavalli. Gli avevano dato quel nome perché sorgeva sulle rive del fiume Mitheithel, dove vi erano un sacco di salici piangenti.
Era metà mattinata quando Monica intravide da lontano le colonne di fumo che uscivano dai camini sui tetti delle abitazioni.
- Ora, statemi bene a sentire. - interruppe il silenzio Alyon, che, dato l'umore della compagna, preferiva non parlare molto, anche se la cosa gli rimaneva alquanto difficile e, ovviamente, finiva sempre con l'irritarla, per un motivo o per l'altro. Fortunatamente le fitte al ventre che ogni tanto gli mozzavano il fiato gli risparmiarono di venire insultato frequentemente.
- Sono tutta orecchie. - replicò lei acida.
- Vi potrebbero essere delle spie in giro per il villaggio che raccolgono informazioni o più semplicemente che vogliono impedire che qualcuno fermi Morwen. - dichiarò serio – Non dobbiamo dare nell'occhio. Si sarà sicuramente sparsa la voce che Imladris è caduta… - a queste parole la voce gli si incrinò e fu come se avesse ricevuto una coltellata al cuore, fu lo stesso per l'altra – forse i superstiti sono passati di qui, quindi farò di tutto per non far vedere che sono ferito e che sono un Elfo, la gente potrebbe capire che vengo da Imladris e il nemico potrebbe attaccarci. Meglio essere prudenti. -
- E io cosa devo fare? - chiese voltandosi leggermente indietro.
- Tenete gli occhi ben aperti. Se vedete qualche faccia poco raccomandabile, non avvicinatevi; non attaccate bottone con nessuno. Per il resto, non credo abbiate problemi. Dobbiamo solo sembrare due normali viaggiatori. - spiegò.
- Non per dubitare delle vostre capacità di mimetizzazione… ma non credete che vestiti di tutto punto con abiti elfici sia alquanto difficile non dare nell'occhio? - chiese ed un sorrisetto soddisfatto le incurvò le labbra quando l'altro, che stava per replicare, se ne rimase zitto – Per non parlare delle armi… e che viaggiamo in groppa ad un Mearas… - la cavalla sbuffò.
- Ok, ok, avete ragione… mi erano sfuggiti questi tre piccoli dettagli. - ammise l'altro.
- Sì… piccoli… - borbottò leggermente contrariata.

Monica cercava di non barcollare vistosamente mentre camminava per le vie del villaggio. Non che ci fosse tanta gente in giro con quel freddo, nonostante la bella giornata. Le strade, per sua fortuna, erano abbastanza praticabili.
Aveva escogitato lei un piano: aveva indossato la sua coperta blu come mantello, per fortuna le copriva bene tutto il corpo, nascondendo gli abiti che indossava sotto, e ora se ne stava andando alla ricerca di vestiti adeguati. Alyon le aveva detto che a metà della strada principale, due edifici dopo il droghiere, c'era una bottega di abiti. Quindi in quel momento era alla ricerca del droghiere.
Aveva già passato la macelleria e il fabbro quando sulla sua sinistra apparve la drogheria. Fece scorrere lo sguardo e poco più avanti vide il negozio di vestiti.
Vi entrò titubante: era la prima volta che faceva compere in un altro mondo. L'accolse un piacevole tepore e del chiacchiericcio. Vi erano due donne che conversavano animatamente.
- Vengo subito da te, mia cara. - esclamò quella più snella, dai capelli castani raccolti in uno chignon, regalandole un sorriso prima di rituffarsi nella conversazione con l'altra, una signora di mezza età dai capelli corti e neri.
La ragazza affermò con il capo ed iniziò a guardarsi intorno leggermente spaesata, ma anche affascinata. Vi erano una marea di vestiti ed abiti, alcuni appesi a delle stampelle, altri piegati su degli scaffali. Era tutto abbastanza ordinato. In effetti sembrava un negozio del suo mondo, se non fosse per il tipo di abiti che vendeva e il locale completamente in legno, dall'aria antiquata. Era intenta a guardare una camicia, quando una parola detta da una delle due attirò la sua attenzione. Aveva percepito distintamente “Granburrone”.
La cliente sospirò – Dove andremo a finire! - esclamò – Perfino gli Elfi sono stati sconfitti… cosa ne sarà di noi, adesso? - continuò – Sai, sto cercando di convincere mio marito a trasferirci. Non mi sento sicura qui. -
L'altra fece un gesto con la mano – Non servirà a niente andarsene da qui. E poi dove? Nelle grandi città? Credo che lì ci sia più rischio che qui di venire attaccati. -
- Ma nelle grandi città ci sono gli eserciti. Mi sentirei più sicura lì. - replicò la prima.
- Gli eserciti? - ripeté la commessa con tono di scherno – Se anche gli Elfi sono stati battuti, cosa vuoi che riescano a fare gli Uomini? No, cara mia, qui la situazione è diventata disperata. - Poi la conversazione finì lì, le due si salutarono e quella raggiunse la ragazza che stava guardando un paio di pantaloni – Quelli sono da uomo, mia cara. - rivelò sorridendole, scrutandola attentamente.
- Oh… ma ho bisogno di indumenti maschili… - la donna le lanciò un'occhiata interdetta – sono per... mio fratello… e anche io avrei bisogno di pantaloni per me… -
La donna sgranò gli occhi neri come se avesse appena sentito che una calamità si stesse per abbattere sul villaggio – Oh per tutti i Valar! Assolutamente no! - gridò indignata. Monica intanto la guardava sconvolta chiedendosi cosa avesse mai detto di tanto brutale. La donna le posò due dita della mano sotto il mento sollevandole appena il viso – Una bella ragazza come te che vuole indossare abiti maschili… sarebbe un sacrilegio! - esclamò contrariata – Non lo permetterò mai! - dichiarò perentoria – Ho io quello che fa per voi. - disse allontanandosi.
La ragazza restò in silenzio, immobile lì dov'era, mentre pensava che la situazione che si era venuta a creare non era delle migliori e quel sorrisetto che le aveva mostrato la donna non le piaceva affatto.

Alyon se ne stava seduto su un masso ad osservare il quadrupede che si mimetizzava in modo impeccabile con il paesaggio bianco che li circondava. Sollevò un sopracciglio. Gli era appena venuta in mente una cosa di cui aveva sentito parlare molti anni prima, se non ricordava male gliel'aveva raccontata Lastie. Sembrava che la sua amica Erdie fosse solita cavalcare un Mearas che aveva il manto bianco come la neve. Solo che non ricordava il nome. Ma poi si diede dello stupido, non poteva certo essere quella cavalla. A quanto ne sapeva, quello dell'Elfa non aveva mai lasciato cavalcare nessuno su di lui e non era detto fosse una femmina. Un lamento gli uscì dalla bocca all'improvvisa fitta che ebbe al ventre. Si piegò su se stesso, tremando. L'animale gli si avvicinò dandogli un colpetto sulla spalla – A quanto pare non ho molto tempo. - sussurrò – L'infezione si sta propagando. - ridacchiò accarezzando la cavalla – Silwen è proprio testarda, eh? - la cavalla sbuffò – Mi stai dando ragione? - chiese divertito, poi si fece serio – Se dovesse succedere qualcosa, promettimi che la porterai in salvo. - quella nitrì come per affermare – A proposito… ci sta mettendo un po' troppo… - mormorò lanciando uno sguardo verso il villaggio, non molto lontano da loro.
Si alzò, deciso ad andare a controllare, ma in quel momento vide una figura lasciare il villaggio e dirigersi verso di loro. Era proprio la ragazza che portava con sé un sacco pieno. Non aveva un bell'aspetto.
Una volta raggiunti si sedette sul masso, esausta.
- Non credo che entrerò più in una bottega di vestiti. - commentò aprendo la sacca e iniziando a tirare fuori gli abiti per l'altro. Quello continuava a fissarla divertito, cercando di trattenersi dal ridere. Lei gli lanciò un'occhiataccia – Smettetela. - sibilò – Non è divertente. -
- Sapete, vi dona… - provò a dire ma venne interrotto bruscamente dall'altra.
- Non lo dite. Non ci provate nemmeno. - lo minacciò fulminandolo.
Poi raccontò all'Elfo la sua disavventura: la proprietaria aveva insistito per farle comprare degli abiti lunghi, da femmina, a lei più consoni, nonostante la ragazza le avesse ripetuto svariate volte che era in viaggio e che con quelli non sarebbe stata a proprio agio. Quindi le aveva fatto indossare quasi di forza quello che portava in quel momento: era semplice, da popolana, color verde scuro, con mantello marrone pesante abbinato. Era il meno vistoso, tra tutti quelli che le erano stati proposti. Era comunque riuscita a farsi dare un paio di pantaloni e una casacca quando le era quasi svenuta nel negozio, per poi vomitare anche l'anima fuori, di lato le scale. La donna si era preoccupata tantissimo per lei che l'aveva anche accompagnata a comprare delle medicine.
L'Elfo non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, ma le fitte che seguirono subito dopo furono soddisfacenti per la ragazza.
Una volta aiutato a cambiarsi, indossando anche lui abiti più semplici, salutarono la cavalla che non avrebbero potuto portare nel villaggio, a loro malincuore. Monica le promise che le avrebbe portato qualcosa da mangiare quando le fosse stato possibile.
Si diressero quindi alla locanda del villaggio, mentre Monica lanciava occhiate contrariate rivolte al compagno che camminava tranquillamente sopra la neve, al contrario di lei che ci sprofondava dentro. “Alla faccia del non dover sembrare un Elfo” pensò alzando gli occhi al cielo.

Raggiunsero la taverna dopo alcuni minuti. Sull'insegna in legno appesa fuori vi era scritto “Il Cervo Rosso”.
Non appena misero piede dentro, li accolse un piacevole tepore. C'era un grande camino sulla parete a sinistra, accanto il bancone. La sala era abbastanza grande, con una ventina di tavoli in legno di varie misure. Alcuni erano occupati da delle persone, qualcuno si voltò a guardarli. Alyon li osservò uno ad uno da sotto il cappuccio del mantello nero. Monica invece non si interessò minimamente a loro, si abbassò il cappuccio e si avvicinò al bancone dietro il quale una donna bassa e tozza stava armeggiando con dei bicchieri. Rivolse un gran sorriso alla ragazza e posato l'oggetto sul tavolo lì accanto, si mise lo straccio sulla spalla e la raggiunse al bancone.
- Miei signori… benvenuti al Cervo Rosso, io sono Cornelia, come posso esservi utile Dama...? - chiese affabile.
- Monica. Avremmo bisogno di pernottare qui alcuni giorni, avete una stanza libera? - domandò lei con voce flebile.
- Oh, sicuro! - detto ciò uscì da dietro il bancone e le si fece incontro – Qui troverete dei bei letti comodi e dell'ottimo cibo… per non parlare della birra! - esclamò entusiasta.
- Perfetto. Io e mio fratello stiamo andando a trovare i nostri nonni a Tharbad, ma la bufera di neve che si è abbattuta in questi giorni ci ha colti di sorpresa. Abbiamo bisogno di riposo e di ristorarci. - fece ansimante. Aveva di nuovo lo stomaco scombussolato. Era stato l'Elfo a dirle di nominare Tharbad, perché era la città più grande nei dintorni. Così, forse, non avrebbero destato sospeto.
La donna si accorse del malessere di lei e le chiese se si sentisse bene. La ragazza le spiegò che probabilmente aveva la febbre alta. Quella sgranò gli occhi allarmata ed iniziò ad urlare a squarciagola il nome di qualcuno. Pochi secondi dopo, da una porta sull'altro lato della stanza comparve un uomo robusto e calvo, un grembiule bianco legato in vita su cui vi ci si stava asciugando le mani. - Questo è mio marito, Ted, il cuoco. - lo presentò – Questi due ragazzi hanno bisogno di riposo. Tu prepara loro qualcosa di caldo mentre io gli do una stanza… e rintraccia i tuoi figli! - ordinò con tono perentorio, quello rientrò in cucina borbottando qualcosa sul fatto che fossero anche suoi figli – Ora, miei cari ospiti, seguitemi. - e con un sorriso fece loro strada su per le scale. Si fermò davanti la porta di una stanza al primo piano. Monica ringraziò mentalmente la sua buona stella perché non sarebbe riuscita a fare più scale di quelle appena salite. – Spero sia di vostro gradimento. - esclamò spalancando la porta.
La camera era piccola: vi erano solo un paio di letti, un armadio e un piccolo scrittoio in un angolo. La ragazza entrò per prima e si diresse alla finestra. Guardò fuori, dava sulla strada da cui erano arrivati – Direi che va benissimo. - mormorò cercando di reprimere la grande voglia di stendersi che le era presa appena aveva visto il letto.
- Bene, per qualsiasi cosa abbiate bisogno vi prego di rivolgermi a me… mio marito è sempre in cucina e i miei due figli spesso spariscono nel nulla, quindi sono inaffidabili. - spostò lo sguardo sull'Elfo che portava ancora il cappuccio calato sul capo – Avete bisogno di qualcosa in particolare, Messer… -
- Ah, perdonatemi… non ve lo ho presentato, lui è mio fratello Alessandro. - si sbrigò a rispondere – Spero che non sia passato da scortese, ma non gli piace farsi vedere in pubblico… ha una brutta cicatrice al collo che tra l'altro lo ha lasciato afono. Quindi non parla. - spiegò.
Cornelia fu alquanto dispiaciuta del tragico destino di Alyon e se ne andò dichiarando che avrebbe obbligato uno dei suoi figli a servirli costantemente fino alla fine della loro permanenza. Monica le disse di non disturbarsi, che non ce ne era bisogno, ma invano. La donna era irremovibile.
Non appena se ne fu andata, la ragazza posò la sua sacca a terra e si lasciò cadere sul letto. Rimase immobile, a pancia in giù ed in silenzio per diversi minuti.
- Siete viva? - le chiese ad un tratto Alyon, anche lui sdraiato sul letto, ricevendo come risposta un mugolio. Parlava a bassa voce dato che non doveva farsi smascherare. - Devo ammettere che il vostro piano è buono. - riferì, restò in attesa di una replica, ma l'altra rimase in silenzio – Cercate di non addormentarvi prima di aver messo qualcosa sotto i denti e aver preso la medicina. - pregò.
- Ma è così comodo… - sussurrò lei già mezza addormentata. Ma l'altro le annunciò che stava arrivando qualcuno e poco dopo bussarono alla porta. Lei si sollevò a sedere controvoglia e diede il permesso di entrare.
Dalla porta fece capolino un giovane sui vent'anni – Vi ho portato il vostro pranzo. - annunciò timidamente ed arrossì. Monica gli fece cenno di entrare con la mano. Il ragazzo posò il vassoio fumante sulla scrivania, rischiando di farlo rovesciare, e fece un inchino impacciato – Mi chiamo Manfried, al vostro servizio. - si presentò balbettando leggermente, gli occhi marroni bassi, ad osservare le assi di legno – Sarò colui che si occuperà di voi per tutta la vostra permanenza. Se avete bisogno di qualcosa, vi prego di rivolgervi a me. -
- Grazie Manfried, siete molto gentile. - proferì la ragazza sorridendogli, quello arrossì di nuovo – Per il momento siamo a posto così. -
Quello allora si inchinò di nuovo ed uscì dalla stanza. Alyon si abbassò il cappuccio osservando la ragazza alzarsi e avvicinarsi barcollante alla scrivania – Cercate di mangiarne il più possibile, poi prendete la medicina e filate a letto. -
Lei affermò con il capo mentre si sedeva. Dal piatto fumante proveniva un buon profumino. Non aveva molta fame, ma si sforzò di mangiarne il più possibile. Sperò solo di non vomitare il tutto subito dopo.
Non appena ebbe preso la medicina si coricò nel letto e crollò.

Stava passeggiando in una foresta. Più che altro vagava senza meta. Faceva freddo, ma lei non se ne curava. Era scalza e percepiva distintamente le foglie secche sotto i suoi piedi ricoperte da uno strato di brina. Aveva la mente completamente vuota. Si sentiva felice e così cominciò a cantare. Il suo canto non aveva parole, era solo una melodia allegra e dolce che le nasceva dal cuore. Andò avanti per molto finché un rumore non la fece bloccare e si voltò in quella direzione, guardinga.
Percepiva la presenza di qualcuno dietro l'albero ad una decina di metri di distanza. Restò ad osservare il punto, guardinga. Fu in quel momento che una testolina riccioluta fece capolino da lì dietro. Lei restò a fissarla senza dire niente, ma era pronta a scappare, i nervi tesi. La figura uscì completamente allo scoperto: era alta poco più di un metro. Lì per lì pensò fosse un bambino. Poi questo parlò.
- Vi prego, non abbiate paura. - proferì restando immobile – Non voglio farvi del male. - continuò – Stavo facendo una passeggiata quando ho udito una splendida melodia venire da questa parte e non ho resistito dal venire a controllare. - spiegò non staccandole gli occhi di dosso.
Lei continuava a fissarlo guardinga, ma le parole che aveva appena udito erano vere, i suoi occhi erano sinceri.
- Come vi chiamate? - domandò, ma non ricevette risposta – Non credevo vi fossero Elfi da queste parti. - lei continuò ad osservarlo in silenzio – Venite da Imladris? -
- Non siete un bambino, vero? - replicò invece lei corrugando la fronte. Era una creatura strana.
- No, sono un Hobbit. - rispose prontamente quello facendo un inchino – Meriadoc Brandibuck al vostro servizio. - si presentò. - Posso sapere il vostro? -
- Non ho un nome. E non conosco gli Hobbit. - rispose lei ricevendo in cambio un'occhiata sorpresa.
- Beh, ne avete avanti proprio uno. Comunque non potete non avere un nome… come vi chiama la gente? -
- Quale gente? Sono da sola in questo bosco. Non conosco nessuno. - spiegò lei.
Meriadoc strabuzzò gli occhi incredulo – Credo di non seguirvi. -
- Ho sempre vissuto da sola, da quando ho memoria… mi sono risvegliata in questa foresta in Primavera e da allora sono sempre restata qui. -
- Risvegliata? Stavate dormendo? - l'Hobbit era palesemente confuso.
- Non lo so… - mormorò cercando di ricordare – É difficile da spiegare. - proferì. Anche se si sforzava non aveva ricordi.
Calò il silenzio. L'Hobbit aveva una mano al mento e la fronte corrugata. Sembrava stesse pensando a qualcosa. - Sapete… conosco qualcuno che forse può aiutarvi. - dichiarò sorridendo felice.
- Aiutarmi? Ma io non ho bisogno d'aiuto. - replicò, ora era lei ad essere sorpresa.
- Ma avete detto che non avete ricordi… non vi rattrista la cosa? -
Lei ci pensò su un po' – Sinceramente no… non è mai stato un problema per me. Sto bene così. -
Quello la guardò poco convinto – Io impazzirei se non dovessi ricordare più chi sono o la mia vita passata. Sarebbe tristissimo se dimenticassi i volti dei miei amici o delle persone a me più care. Magari avevate anche voi degli amici, o parenti e ve ne siete dimenticata. Può darsi che vi stiano cercando in questo momento. -
- Non ci avevo mai pensato. - riferì ancora più sorpresa.
- Ho deciso! Vi aiuterò! - esclamò battendosi un pugno su una mano – Tornerò qui il prima possibile con qualcuno che possa aiutarvi. O comunque vi porterò notizie. Voi non vi allontanate dai paraggi, per favore, così potrò rintracciarvi. - sembrava essere entusiasta della sua trovata.
Lei provò a replicare, ma quello la salutò e in pochi istanti si dileguò fra gli arbusti. Era davvero una strana creatura.

Gli occhi di Alyon brillavano nell'oscurità della stanza. Ormai il suo passatempo era quello di osservare Monica mentre dormiva. In quel momento si stava rigirando nel letto. Probabilmente stava facendo uno dei suoi soliti sogni, questa volta però sembrava tranquillo. Si ritrovò a pensare per l'ennesima volta che fosse una strana ragazza. Una fitta al ventre gli mozzò il fiato. Si irrigidì e contrasse le labbra in una smorfia. La mano che teneva appoggiata sul letto strinse le candide lenzuola. “É un peccato che non avrò tempo di conoscerla meglio.” pensò ansimando mentre la fitta passava e lui si rilassava.

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Capitolo 20
*** Promessa. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI


CAPITOLO 19: PROMESSA.

Era seduta su un tronco caduto ricoperto in parte da muschio verde ed osservava il cervo a pochi metri da lei che brucava l'erba. Possedeva delle corna maestose e si muoveva elegantemente. Non sembrava per nulla infastidito della sua presenza e continuava a ruminare i fili verdi e morbidi. Ogni tanto sollevava il muso e drizzava le orecchie in ascolto.
Si levò una folata di vento fresca che portò con sé delle voci. Il cervo alzò di nuovo il muso e restò in ascolto, immobile, mentre lei sorrise. Sapeva chi stava arrivando. Il suo piccolo amico stava tornando a trovarla. Era passato un mese dall'ultima volta che lo aveva visto. Da quando l'aveva conosciuto la prima volta, era andato a farle visita spesso. Quasi sempre da solo, ma un paio di volte si era portato appresso alcuni amici, tutti Hobbit. Così aveva conosciuto suo cugino Peregrino Tuc, il cugino alla lontana Frodo Baggins e il loro amico Samvise Gamgee. Erano dei tipi simpatici e le avevano raccontato un sacco di bellissime storie e avventure che avevano affrontato anni prima. Lei non amava molto parlare, anche perché non aveva niente da raccontare, ma le piaceva ascoltarli.
Il cervo scappò constatando che le voci si stavano avvicinando. Lei rimase appollaiata lì sul tronco ad attendere i visitatori. Ma c'era una voce nuova, che non aveva mai udito prima. Era roca e dal tono sembrava leggermente seccata. Intravide da lontano tre figure. Riconobbe subito le sagome di Merry e Pipino, ma c'era qualcun altro con loro. Era una figura alta, completamente vestita di bianco come lo strano bastone che aveva in mano. Corrugò la fronte. Era un Umano, un anziano dalla barba lunga e i capelli anche loro bianchi. Stava parlando animatamente con Pipino, sembrava arrabbiato.
- Stupido di un Tuc! Come faccio a sapere se può tornare a ricordare se ancora non l'ho vista? - sbottò.
Quello stava per ribattere, ma Merry la vide e sollevando il braccio gridò – Eccola! -
I due si voltarono verso di lei: Pipino la salutò con la mano, l'anziano la scrutò e corrugò la fronte pensieroso.
- Dunque è lei… - sussurrò mentre le si facevano incontro.
- Hai visto? Finalmente sono riuscito a portarti la persona che potrebbe aiutarti… Gandalf, lei è l'Elfa di cui ti ho parlato. - la presentò.
- Gandalf è lo Stregone Bianco. - precisò Pipino.
Lei non disse niente, ma continuava ad osservare il vecchio. Aveva una strana sensazione, come se lo avesse già visto da qualche parte – Ci conosciamo? - domandò assottigliando gli occhi.
Gandalf rimase sorpreso dalla domanda – Non che io ricordi… avete questa sensazione? - chiese curioso.
L'Elfa affermò con il capo – Ma probabilmente mi sbaglio. -
- Tutto è possibile, mia cara. - dichiarò lui sorridendole – Sapete, sono un tipo che viaggia molto, in lungo e in largo, quindi potrete avermi visto in passato. Mi hanno detto questi due Hobbit che non ricordate niente… - cominciò.
- Esatto. Mi sono risvegliata l'anno scorso in questa foresta e fino all'inverno appena passato non avevo mai parlato con nessuno, finché non conobbi Merry, che si è messo in testa di farmi ritornare la memoria. Voi potete aiutarmi? -
Lo Stregone restò alcuni secondi in silenzio a soppesare la cosa – Potrei provare, ma non garantisco che possa riuscirci. - fece quindi un passo avanti, era a un metro da lei, la scrutò a lungo, poi allungò la mano sulla sua fronte e chiuse gli occhi. Anche lei abbassò le palpebre e attese mentre lo ascoltava sussurrare parole incomprensibili. Poco dopo terminò e calò il silenzio. Erano tutti in attesa.
- Dunque? Ha funzionato? - chiese all'improvviso Pipino.
Quella aprì gli occhi e fissò quelli blu dell'Istaro davanti a lei che la guardava in attesa di una risposta, le sopracciglia cespugliose sollevate.
- Mi dispiace deludervi, ma non ricordo niente. - proferì. Gandalf corrugò la fronte interdetto
- Forse non era l'incantesimo giusto… - provò a supporre Pipino che venne incenerito subito dopo dall'occhiataccia dell'altro che poi si rivoltò verso di lei, rifece il gesto di prima e tornò a sussurrare parole strane.
Lei riaprì gli occhi nell'udire che quello aveva terminato, ma dovette riferire che anche quella volta non era successo niente.
Il rito si ripeté per altre tre volte ed ogni volta lo Stregone si adirava sempre più, anche per colpa di Pipino che continuava ad assillarlo con le sue frasi poco convenienti.
- Sono uno dei 5 Istari, Peregrino Tuc, so quello che faccio! - sbottò infine – Non è mai successo prima d'ora che i miei incantesimi non funzionassero! - disse spazientito iniziando a fare avanti e indietro.
L'Elfa restò ad osservarlo per un po' – Vi ringrazio per esservi impegnato così tanto nell'aiutarmi… ma va bene anche così. - dichiarò, cercando di confortarlo. Alla fine non è che le importava molto riacquistare la memoria.
Lui si voltò a guardarla torvo – Ho affrontato nemici la cui potenza e forza non potete neanche immaginare… non mi arrenderò certo difronte alla vostra mente! - esclamò perentorio.
- Sicuramente non accadrà nulla se ce ne resteremo qui, quindi, perché non torniamo a Buckburgo, così Gandalf avrà tempo di ragionarci meglio? - propose Merry.
- Questa è un'ottima idea! Almeno potrò mettere qualcosa sotto i denti… è quasi mezzogiorno e vi ricordo che abbiamo saltato la seconda colazione… - acconsentì Pipino.
- Sempre a pensare a mangiare, voi Hobbit… - mormorò lo Stregone.
- Potresti chiedere consiglio a qualcuno, Gandalf. Forse c'è un motivo per cui non riesce a ricordare. - suggerì Merry.
Lui soppesò per alcuni istanti le sue parole – Dovrò fare delle ricerche. - dichiarò.
- Venite con noi? - le chiese Merry. Lei lo guardò sorpresa. Non si aspettava di certo una proposta simile.
- No… resterò qui, grazie. - declinò gentilmente l'invito.
- A fare cosa? Ormai ci conosciamo… qui non avete niente, mentre per il momento posso offrirvi un riparo io. - insistette l'Hobbit.
- Merry ha ragione. Saremo felici se ci fate l'onore di venire con noi. - rincarò Pipino sorridendole.
- Potremmo farti visitare Buckburgo, magari potremmo portarti a trovare Sam e Frodo ad Hobbiville. Sarebbero felici di rivederti. -
L'Elfa stava per replicare, ma venne interrotta da Gandalf – Non amate molto la compagnia, eh? - proferì – Non avete un nome… ebbene, vi chiamerò Erdie… che significa “Solitaria”. -
Restarono tutti alcuni istanti in silenzio – Oh, è veramente bello, Gandalf… mi piace! - esclamò Merry entusiasta. Anche Pipino approvò.
Lei si sentiva onorata. Da quando aveva conosciuto l'Hobbit la sua vita era completamente cambiata. Ora aveva degli amici che volevano aiutarla e anche un nome. Non sapeva perché, ma la cosa la rendeva felice. Sorrise – Mi piace. - riuscì solo a dire.
- Allora verrete con noi? - insistette Pipino speranzoso.
- Venendo con noi, forse, riuscirete a trovare la memoria perduta, anche senza il mio aiuto. - lo Stregone la fissava bonario.
Lei sospirò ed affermò con il capo. In quel momento le voci si fecero attutite, tutto iniziò a sfocarsi e poi il buio.
Monica dischiuse gli occhi. Le ci volle un po' per abituarsi alla luce delle candele nella stanza. Si stava domandando dove fosse, ma non appena vide Alyon che le sorrideva, seduto sul letto, ricordò tutto. Si strofinò gli occhi salutandolo.
- Era ora che vi svegliaste, avete dormito molto. Come vi sentite? - sussurrò.
- Frastornata. - mugugnò girandosi su un fianco – Quanto ho dormito? -
- Più di un giorno intero. - disse l'Elfo che ridacchiò all'espressione esterrefatta della compagna – Appena in tempo per la cena. Avete voglia di mangiare? -
Lei affermò con il capo. Alcuni minuti dopo arrivò Manfried che fu felice di vedere che la ragazza fosse ancora viva. Aveva iniziato ad avere qualche dubbio dato che non accennava a svegliarsi. Quando se ne fu andato, Alyon le riferì che aveva fatto delle scappatine veloci nella sala principale mentre lei era nel mondo dei sogni. Aveva scoperto che i sopravvissuti di Imladris erano passati lì quattro giorni prima.
- Purtroppo non sono riuscito a scoprire altro. - sospirò amareggiato – Ma di sicuro l'attacco ad Imladris ha sconvolto tutti. -
Monica restò in silenzio alcuni istanti – Dobbiamo partire domani! - esclamò all'improvviso alzandosi dal letto.
- Non dite sciocchezze. - la rimbeccò lui – Ancora non siete guarita del tutto. Avrete bisogno di altri tre o quattro giorni per riprendervi. - lei provò a replicare, ma lui la interruppe – Non ci sono molti giorni di vantaggio, possiamo permetterci di aspettare. -
Lei abbassò lo sguardo sconfortata e si rimise a letto. Alyon aveva dannatamente ragione, non aveva ancora recuperato nemmeno le forze per reggersi in piedi.
- Silwen, so cosa provate… lo sto provando anche io. Ma nelle nostre condizioni non possiamo fare niente al momento. - lei affermò con il capo mordendosi il labbro inferiore. Lui sorrise. - Ditemi… fate spesso sogni brutti? Vi ho vista diverse volte dimenarvi in queste notti. -
La ragazza affermò con il capo e gli spiegò tutta la faccenda. Ne rimase sorpreso, ma non seppe darle una spiegazione.

L'Elfo aveva previsto che alla ragazza sarebbero voluti tre, quattro giorni di guarigione, ma dopo due giorni era come nuova e aveva anche iniziato a riacquistare le forze. Ora che poteva, andava almeno un paio di volte al giorno a trovare la cavalla per accertarsi che mangiasse a dovere. Aveva cercato, con l'aiuto dell'Elfo, di trovarle un nome, ma nessuno dei tanti che avevano partorito le piaceva.
In quei giorni aveva fatto la conoscenza del fratello di Manfried: Ahren. Era un tipo vivace, allegro e che faceva controvoglia ogni compito che gli si dava. Praticamente l'opposto del minore. Ecco perché, quelle poche volte che era stato incaricato di portar loro da mangiare, non faceva altro che lamentarsi con i suoi genitori che, secondo lui, lo comandavano a bacchetta. Due giorni prima, la ragazza gli aveva chiesto se poteva procurarle un cavallo. Lui sembrò stranamente eccitato e le aveva rivelato che era un grande intenditore di cavalli. - Un giorno diventerò scudiero di Rohan! - esclamò orgoglioso.
Monica aveva sperato che in poco tempo le avesse riferito che aveva trovato l'animale, ma ancora non si era fatto vedere. Era preoccupata. Le condizioni di Alyon peggioravano a vista d'occhio, quindi aveva fretta di rimettersi in viaggio.
Proprio quella sera i due ne discussero e la ragazza ebbe la meglio sull'Elfo che dovette cedere ed acconsentire a partire due mattine dopo.
Quindi, il pomeriggio dopo, la ragazza si dedicò ad andare in giro per la cittadella a far provviste. Doveva ammettere che era anche divertente: era decisamente diverso da come le faceva nel suo mondo, abituata ad andare al supermercato. Le botteghe erano veramente suggestive. Le piaceva molto quell'atmosfera che si respirava. L'unico problema era che aveva ripreso a nevicare bene. Riuscì a comprare tutto in un paio d'ore e ritornò alla taverna quando si stava facendo buio. I viottoli sotto la neve, illuminati dalla luce arancione delle lanterne, avevano un'aria magica.
Una volta nella stanza, Alyon insistette nell'indicarle la strada che avrebbero percorso per arrivare ad Edoras. Aveva già tirato fuori la cartina. Monica gli lanciò un'occhiata storta.
- Vi prego di non guardarmi in quel modo, Silwen. Lo avete notato anche voi che non sto affatto bene. Non so se riuscirò ad arrivare fino ad Edoras… - iniziò.
- Non voglio sentirvi dire certe cose! - lo interruppe lapidaria.
Lui sospirò – Voglio comunque mostrarvi la strada, guardate… - riprese indicando un punto sulla mappa – basta mantenere la sponda est dell'Inondagrigio. Seguitelo fino a che il Glanduin ci si immette, qui dovrete attraversare gli acquitrini chiamati Stagni dei Cigni, non sarà complicato. Subito dopo, prima di raggiungere il ponte che connette il Dunland con il Minhiriath, che porta a Tharbad, troverete l'Antica Via Sud. Seguitela, vi condurrà direttamente ad Edoras. - spiegò.
- Ho capito. - si limitò a dire lei.
- Cercate di stare attenta, di questi tempi sono molti i nemici in cui potrete imbattervi, le strade non sono per nulla sicure. Se qualcuno o qualcosa vi insegue, non siate avventata, tirate dritto. A cavallo della Mearas riuscirete sicuramente a seminarlo. -
Lei affermò con il capo seccata. Non le piaceva quando qualcuno le diceva di fare cose scontate. E soprattutto non le piaceva che Alyon si stesse dando per vinto, come l'aria afflitta e avvilita che aveva ultimamente sul bel viso. La pelle del volto ogni giorno si faceva sempre più cerea e le fitte ormai non gli davano quasi più tregua.

Avevano deciso di partire non appena fosse sorto il sole, sperando che il tempo li assistesse. Ma quando Monica si svegliò e guardò fuori dalla finestra, oltre il tetto della casa dall'altra parte della strada, la luce pallida lasciava intravedere un cielo plumbeo.
Misero via le ultime cose e fecero un'abbondante colazione al piano di sotto, prima di pagare il conto. Cornelia diede loro una filetta di pane appena sfornato con un barattolo di marmellata di prugne da portare con loro e gli augurò buon viaggio. Si raccomandò di tornare ad alloggiare lì, se mai in futuro fossero passati da quelle parti.
Stavano raggiungendo la fine della cittadella, quando in lontananza videro due figure e un cavallo. Erano Manfried ed Ahren che li stavano aspettando. Quest'ultimo aveva un sorriso soddisfatto stampato sul viso.
- Vi avevo detto che vi avrei trovato il miglior cavallo in zona! - esclamò quando furono a pochi passi da loro indicando l'animale con il capo. Era un bell'esemplare, effettivamente. Aveva il manto marrone e criniera e coda di un nero lucente. - Si chiama Aaron. - disse.
Alyon si lasciò sfuggire un'esclamazione compiaciuta a bassa voce. A quanto pare il ragazzo non stava mentendo. Monica ringraziò entrambi di cuore per tutto quello che avevano fatto per loro e pagò la somma dovuta per il quadrupede. Manfried tenne per tutto il tempo lo sguardo basso, intento ad osservarsi le punte degli stivali. Sollevò gli occhi solo quando la ragazza si rivolse direttamente a lui. Questo le rispose con un “prego” balbettato, mentre il viso gli era diventato rosso fuoco.
Dopo essersi congedati dai due, si diressero nel punto in cui avevano lasciato la Mearas e una volta in sella, cavalcarono in direzione sud. Un'oretta più tardi, però, iniziò a nevicare. E fu complicatissimo per la ragazza restare in groppa alla cavalla che montava a pelo. Quando avevano cavalcato in due, era stato Alyon a sostenerla. Ora era completamente diverso. Ovviamente fu una scenetta che il compagno trovò decisamente divertente. Tra l'altro, Aaron era sellato, avevano provato a fare cambio con la Mearas, ma questa non ne volle sapere di farsi mettere la sella in groppa.

Il tempo non fu dalla loro parte nemmeno nei giorni successivi e rallentò di molto la loro andatura che già non era sostenuta a causa delle condizioni in cui riversava Alyon. Monica non sapeva cosa fare. Continuava a lanciargli occhiate apprensive ogni volta che aveva una fitta e sapeva bene che lui si lamentava solo quando erano tremendamente forti.
Fu la mattina del quarto giorno, vedendo all'orizzonte i contorni della città di Tharbad, come le era stato riferito da Alyon, che Monica decise il da farsi.
- Sosteremo là per alcuni giorni. - proferì ad un tratto.
L'Elfo, che ormai viaggiava completamente appoggiato sul collo del suo cavallo, si voltò a guardarla sorpreso mentre stringeva i denti a causa di una fitta – Come? - sussurrò.
- Alyon, siete esausto. Avete assolutamente bisogno di riposarvi. Non possiamo procedere così. - spiegò lei amareggiata.
- Allora lasciatemi andare da solo… voi proseguite… - replicò ansimante. Le gocce di sudore gli imperlavano il viso, alcune erano congelate a causa della bassa temperatura.
- No! Non vi lascio da solo! - urlò stizzita – Smettetela di dire che vi devo abbandonare… non lo farò mai! Mi sono fatta una promessa ad Imladris quando vi ho trovato e ho appurato che eravate ancora vivo… che vi avrei portato in salvo a qualunque costo! Ce l'avrei messa tutta per non farvi morire! - rivelò con le lacrime agli occhi – Non mi arrendo così facilmente! - mormorò tirando su con il naso – Abbiamo tempo. La neve starà sicuramente ostacolando anche gli altri. -
Alyon la stava guardando stupefatto – Perché ci tenete così tanto a me? -
- Perché quando sono partita dal mio mondo ho giurato che avrei salvato tutti coloro che avrei potuto anche a costo della mia stessa vita. - dichiarò seria – E poi… siamo amici, no? - aggiunse abbozzando un sorriso.
Lui continuò a guardarla con gli occhi verdi sgranati ancora per diversi istanti, poi sorrise anche lui.

Tre ore più tardi erano quasi ai piedi della città. Tharbad era molto più grande di Pel-Tethrin ed era una città portuale. Infatti usavano il fiume Inondagrigio per commerciare con la città di Lond Daer che sorgeva alla foce, molti chilometri più a Sud. Le bianche vele di alcune imbarcazioni si mimetizzavano con il paesaggio circostante dello stesso colore.
Il problema in quel momento erano gli acquitrini: non era facile capire, con la neve che arrivava ormai a metà zampe dei quadrupedi, dove passare. E il rischio di finire nell'acqua gelata del fiume era alto. Quindi stavano procedendo con cautela.
- Uff, non si vede un cavolo! - sbottò all'improvviso la ragazza che stava perdendo la pazienza. Era lei che faceva strada, subito dietro vi era Alyon. Stava perlustrando i dintorni per decidere dove passare. - Ma era tanto difficile costruire un ponte o un qualcosa di simile per evitare di fare a zig zag tra l'acqua? - borbottò contrariata – Ehi, Alyon, non c'è un modo per passare gli acquitrini senza dover fare tutto il giro? - domandò continuando a far vagare lo sguardo preoccupata – Sapete, non ho voglia di fare un bagno a -10°… - puntualizzò. La cavalla sbuffò. - Nemmeno tu, eh? - disse sorridendo e dandole una pacca sul collo. Vedendo che l'Elfo non rispondeva si girò all'indietro e si pietrificò. Il cuore le perse un battito e si sentì crollare il mondo addosso: giaceva a penzoloni sul suo cavallo, completamente inerme. - Alyon! - urlò sconvolta smontando da cavallo, rischiando anche di cadere all'indietro per il troppo impeto, e si precipitò dal compagno. - Alyon! - lo chiamò scrollandolo, ma lui non rispondeva. Il panico si impadronì di lei mentre gli occhi nocciola le si riempirono di lacrime – No, no, no, no! - iniziò a ripetere disperata. - Ti prego, non morire! - mormorò posandogli una mano sul viso. In quell'istante vide una nuvoletta di condensa uscirgli dalla bocca. Ma il fatto che fosse ancora vivo non la consolò. Si guardò intorno maledicendo tutta quella neve, singhiozzante. Si fece largo, verso la sponda: la coltre bianca le arrivava alla vita. Si mise ad osservare l'acqua che scorreva tra gli isolotti. Pezzi di ghiaccio venivano trasportati lentamente dalla corrente. Strinse i pugni e decise che per salvare la vita all'Elfo avrebbe attraversato quel posto anche a nuoto. Si voltò per tornare dalla cavalla e fu in quel momento che scorse qualcosa. Poco più avanti vi era una macchia marrone, sembrava fosse sospesa in aria. Si avvicinò con difficoltà e quando fu lì accanto allungò la mano guantata. Era solida. Spolverò via la neve che vi era posata sopra e una felicità immensa la pervase: era una balaustra. Ci si appoggiò ed allungò un piede verso sinistra: c'era qualcosa di duro sotto. Aveva trovato il ponte. Tornò il più velocemente possibile da Aaron e afferrò le briglie, poi montò sulla cavalla e si diresse verso il ponte. Certo non ci misero poco ad attraversare l'acquitrino, ma almeno non avevano dovuto guadare il fiume.
Quando finalmente varcò la porta est della città, tirò un sospiro di sollievo. Tra l'altro le strade erano abbastanza pulite. C'era diversa gente che si stava dando da fare a spalare la neve, approfittando della momentanea tregua del cielo. Ora doveva solo trovare una locanda. Smontò da cavallo e si diresse da un signore che stava allargando il passaggio di fronte ad un'abitazione.
- Scusatemi… - lo chiamò. Quello smise di spalare e sollevò lo sguardo su di lei, osservandola incuriosito, le ganasce rosse per il freddo.
- Posso esservi utile, mia signora? - domandò.
- Vi sarei veramente grata se potreste indicarmi una buona locanda. - rispose lei.
- Certamente! Vi sono diverse locande qui a Tharbad, ma a parer mio, la migliore è Il Cigno Reale. - rispose sorridendole, poi spostò lo sguardo sull'Elfo. - Il vostro amico sta bene? - chiese aggrottando la fronte.
- A dir la verità no. Ecco perché sto cercando un posto dove stare con una certa urgenza. - rivelò affranta e sul suo viso si palesò tutta l'apprensione e la disperazione.
- Oh… allora vi serve qualcuno che vi accompagni fin là. Non è lontana, ma resta un po' nascosta dato che non si trova sulla via principale. - rivelò – Aspettate un momento. - quindi si diresse all'interno della casa con la pala e ne uscì poco dopo a mani vuote – Tanto mia moglie mi aveva ordinato di andarle a comprare alcune cose, visto che la locanda è di strada, vi ci accompagno. - proferì ammiccandole.
Lei quasi gli scoppiò a piangere in faccia ed iniziò a ringraziarlo.
L'uomo scosse il capo – Ci mancherebbe! Qui a Tharbad, la maggior parte dei cittadini si dà una mano l'un l'altro e siamo disponibilissimi ad aiutare i forestieri. Ovviamente ci sono sempre le eccezioni. Sanno tutti che vi è anche diversa gentaccia. Ladri per lo più e farabutti. Ma per vostra fortuna, avete trovato me! - esclamò – Oh, ma sto passando da scortese… - iniziò guardandola sconvolto – Non mi sono presentato! Mi chiamo Garion Pietragrigia, al vostro servizio. - e fece un piccolo inchino.
- Io sono Monica… il piacere è mio. - contraccambiò.
L'uomo, che era sulla cinquantina, la osservò per un po' senza dire niente, mentre procedevano a passo sostenuto. - Ditemi, se mi è lecito domandarvelo, cosa ci fate qui a Tharbad da sola, così giovane e con il vostro amico ridotto in quel modo? - chiese voltandosi a guardare Alyon, che aveva il cappuccio calato in testa. - Cosa gli è capitato? -
Monica lo guardò risentita. Non poteva certo dirgli la verità. Stava pensando ad una buona scusa da raccontargli, ma quello sorrise.
- Ho capito, non potete dirmelo. - concluse. - Non vi preoccupate, non insisterò. - la rassicurò.
Lei lo ringraziò ed abbassò il capo. Sentiva che si poteva fidare di lui, ma non sapeva se raccontargli la verità potesse essere una cosa buona o meno.

Cinque minuti dopo raggiunsero un basso cancello in legno, era aperto e dava su un ampio cortile. Qui la neve non era molto alta, vi erano sì e no circa 10 centimetri. Probabilmente anche lì era stata spalata. Di fronte a loro vi era una grande costruzione in pietra, mentre sulla sinistra ve ne era una un po' più piccola da cui provennero dei nitriti.
Entrarono nel cortile e Garion le disse di aspettare lì. Lo vide affacciarsi sulla soglia e chiamare qualcuno. Pochi istanti dopo comparve accanto a lui una ragazza dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda. La vide fare un cenno con il capo prima di scomparire di nuovo.
L'uomo tornò da lei sorridente – L'oste è mio amico. - ammiccò – Siete fortunata, hanno una stanza libera per voi. Con questo tempo sono molti i viaggiatori che hanno deciso di sostare nelle locande, che sono quasi tutte piene. - Monica sospirò sollevata. - Sapete, erano da anni che non si vedeva una nevicata così. - rivelò avvicinandosi ad Aaron – Ora, se mi date una mano, tiro giù il vostro amico da qui. -
La ragazza si portò dall'altra parte del cavallo e spinse lentamente l'Elfo giù, verso Garion. Sul viso di costui si dipinse un'espressione sorpresa e per un attimo si sbilanciò, rischiando di cadere entrambi a terra. Lei gli fu subito accanto per aiutarlo. Si fece passare il braccio sinistro attorno alla spalla e si diressero lentamente verso l'ingresso. Prima di entrare lanciò un'occhiata preoccupata verso la Mearas che la stava guardando a sua volta.
Già da fuori l'ingresso si sentiva un gran vociare. Quando entrarono vennero accolti da urla e risate. La sala principale era piena di gente. Monica fece vagare velocemente lo sguardo: vi erano un sacco di Uomini, poi notò anche una tavolata di gente più bassa del solito. Restò a fissarli imbambolata, aveva capito subito chi fossero: barba lunga e corporatura robusta. Potevano essere solo Nani.
- Vi accompagno alla vostra stanza. - proferì la ragazza bionda andando loro incontro con un sorriso e riportandola alla realtà – Mi chiamo Ethelind, sono la figlia dell'oste. Per qualsiasi cosa, chiedete pure a me. - proferì gentilmente – Cosa gli è capitato? - chiese poi preoccupata osservando Alyon che aveva la testa riversa in avanti.
- Ha la febbre alta. - spiegò lei – Mi chiamo Monica, comunque. - si presentò.
- Piacere di conoscervi. - disse lanciando poi un'occhiata a Garion.
- Facci strada Et, non è proprio leggerissimo. - proferì l'uomo accennando un sorriso.
L'altra sembrò rilassarsi ed affermò con il capo. Quindi percorsero la sala verso le scale.
Un paio di Uomini seduti al bancone li seguirono con lo sguardo fino a che non scomparirono su per le scale. Poi si lanciarono un'occhiata d'intesa.
Una volta nella stanza, adagiarono lentamente Alyon sul letto. Monica lo guardò preoccupatissima.
- L'ora di pranzo è già passata, ma se volete posso farvi preparare qualcosa. - dichiarò la bionda.
- Ve ne sarei grata. - disse mentre si toglieva il mantello e lo lanciava sull'altro letto, poi andò a sedersi sul bordo del letto dell'Elfo. Si sentiva completamente impotente e le lacrime tornarono a pungerle agli angoli degli occhi.
Garion accompagnò l'altra alla porta e gliela chiuse dietro e ci si appoggiò di peso, incrociando le braccia al petto – Vi devo le mie scuse. - cominciò – Vi avevo detto che non avrei insistito a sapere qualcosa sul vostro conto, ma devo rimangiarmi la parola. - rivelò. Monica alzò di scatto il viso su di lui e si irrigidì nel vedere la sua espressione seria – Ho notato alcuni piccoli particolari mentre sorreggevo il vostro amico… uno di questi è che ha le orecchie a punta. - Le lanciò un'occhiata intensa.

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Capitolo 21
*** Namarie. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI


CAPITOLO 20: NAMARIE.


Era calato un silenzio pesante. I due erano rimasti a fissarsi: Monica lo scrutava, cercando di capirne le intenzioni, Garion aspettava una risposta.
- Avete una buona vista. - rispose assottigliando gli occhi, fredda. Maledisse il fatto di non aver preso la sua sacca che aveva lasciato appesa alla sella di Aaron. La sua spada era lì dentro.
Lui sorrise e si scostò dalla porta – Beh, era un mio pregio di guerriero, una volta. - rivelò avvicinandosi lentamente – Ora ditemi… cosa porta una giovane ragazza a viaggiare con un Elfo ridotto in quelle condizioni, tra cui un braccio mozzato, con questo tempaccio? - le si fermò a pochi centimetri di distanza e si chinò fino a raggiungere l'altezza del suo viso – Perché io lo trovo decisamente strano… - proferì con tono tagliente, poi, con un gesto veloce della mano le afferrò la faccia e le strinse le dita sulle guance – Vi conviene dirmi la verità. - disse minaccioso.
Monica lo fissava negli occhi chiari cercando di mantenere la calma. In quel momento una mano da dietro di lei si posò fulminea sul braccio di Garion che spostò sorpreso lo sguardo sull'Elfo.
Questo ansimava e lo guardava furibondo – Lasciatela. - ordinò perentorio.
Quello fece come dettogli e una volta ritratto il braccio se lo massaggiò – Non siete una spia del Nemico? - chiese interdetto.
Ma la ragazza non gli badò, fissava l'Elfo con le lacrime che le rigavano il viso: era felice che si fosse ripreso – Alyon. - sussurrò.
- Lei è con me. - fu lui a rispondergli – Voi chi siete? - chiese poi.
- Garion Pietragrigia… da dove venite? - scrutava prima l'uno, poi l'altra ancora diffidente.
- Da Imladris. - rivelò l'Elfo prima che una fitta lo facesse piegare in due dal dolore.
Garion lo guardò sbalordito – Imladris? - ripeté incredulo – Siete ferito? - ora era preoccupato.
Monica affermò con il capo asciugandosi le lacrime – Quando sono arrivata ad Imladris, era l'unico rimasto in vita, ma non era conciato proprio bene, come avete potuto appurare voi stesso… ho fatto tutto quello che potevo per salvarlo, ma… - spiegò singhiozzando.
- Avreste dovuto dirmelo subito! - esclamò l'Uomo rivolto alla ragazza, poi sospirò – La vostra gente è passata di qui diversi giorni fa. Cercavano un posto per riposare: erano tutti molto provati. Avevano diversi feriti. Quasi non credemmo a quello che ci raccontarono riguardo l'attacco ad Imladris. - disse.
- Purtroppo è tutto vero… l'ho visto con i miei occhi. - affermò lei chinando il capo.
- Sentite… mi dispiace di avervi aggredito prima, ma posso aiutarvi. - dichiarò. I due lo guardarono sorpresi – Innanzi tutto voi avete bisogno di un dottore e poi credo siano rimasti un paio di Elfi qui in città. -
A quella frase i due sgranarono gli occhi – Chi? - chiese la ragazza.
L'Uomo scosse la testa – Non ne so molto, l'ho solo sentito dire in giro, ma posso provare a cercarli. - in quel momento la porta bussò – Chi è? - chiese dopo aver fatto cenno di tacere ai due.
- Ethelind. Ho portato il pranzo. - quindi entrò dopo aver ricevuto il permesso e restò stupita nel constatare che vi fosse un Elfo nella stanza. Guardò interrogativamente l'Uomo che le spiegò tutto.
- Et… c'è bisogno di un dottore, è urgente. Qualcuno di cui possiamo fidarci, sai a chi mi riferisco. - disse, lei affermò con il capo – Poi dì a tuo padre di raggiungerci il prima possibile, devo parlare con lui. -
- Ah, io ho lasciato i bagagli in groppa al suo cavallo… - aggiunse Monica – Vi sono le nostre armi dentro, mi sentirei più sicura ad averle dietro. -
- Quelle vado a recuperarvele io. Voi restate con lui e intanto mangiate. - le riferì uscendo dopo la figlia dell'oste.
Pochi minuti dopo fu di ritorno con un altro Uomo. Avevano tutti i bagagli. Monica li ringraziò e restò a fissare il tizio. Al contrario di Garion che aveva i capelli lunghi fino alle spalle e biondicci, quello era moro e barbuto.
- Vi do il benvenuto nella mia locanda… sono Meinrad, l'oste. - si presentò inchinandosi. La ragazza ricambiò il gesto e presentò Alyon e se stessa. - Ho saputo che venite da Imladris. - soffermò lo sguardo su Alyon che ricambiò. Monica affermò con il capo.
- Ero… mi ero recata ad Imladris per andare a trovare alcuni miei amici e mi sono ritrovata davanti il posto completamente devastato e distrutto. Sono entrata per controllare se vi fossero superstiti e ho trovato Alyon gravemente ferito. Ho provato a fare tutto il possibile, ma… - si bloccò voltandosi a guardare l'Elfo con chi occhi tristi.
- Il vostro coraggio è ammirevole. - commentò Garion – Vi sareste potuta imbattere in qualche Orchetto. -
- Infatti è successo… erano due per la precisione. - rivelò lei.
I due sgranarono gli occhi sorpresi – E siete riuscita a sopravvivere? - chiese Meinrad.
- Diciamo che me la sono vista brutta, ma alla fine ho avuto io la meglio. - dichiarò abbozzando un sorriso.
- Sapete il fatto vostro. - commentò Garion che sorrideva compiaciuto – E dire che sembrate gracile ed indifesa. -
- Perché prima eravate guardingo? - chiese all'improvviso Alyon.
Il biondo sospirò – Da quando i vostri amici se ne sono andati, abbiamo iniziato a vedere dei movimenti strani tra i tizi poco raccomandabili di Tharbad. - riferì – Credo sarà meglio che la vostra identità resti segreta al di fuori di questa stanza. -
- Ci penserò io a non far trafugare alcuna informazione ed a sviare i curiosi. E potete fidarvi di mia figlia. - li informò l'oste. I due lo ringraziarono. - Potrete fidarvi anche del medico che presto sarà qui. Ha già visitato alcuni dei vostri amici. Erano solo ferite superficiali o già in via di guarigione. Voi Elfi siete molto abili a curare le ferite. - si sbrigò a dire vedendo lo sguardo preoccupato dei due.
- Io mi metterò subito in movimento per cercare di rintracciare gli Elfi. - aggiunse Garion.
- Posso chiedervi una cosa? - chiese la ragazza prima che i due uomini uscissero dalla stanza. Questi la guardarono incuriositi. - Perché vi date così tanto da fare per aiutarci? -
- Perché noi abbiamo ancora speranza. - rispose Garion sorridendole, quindi aprì la porta ed uscì, seguito dall'oste che riferì che sarebbe tornato appena il medico fosse arrivato.

Era da diverso tempo che il medico era nella stanza con Alyon e non accennava ad uscire. Monica era appoggiata al muro del corridoio lì fuori la camera, Garion era lì con lei.
Il medico era un signore sulla sessantina, i capelli brizzolati, gli occhi neri, piccoli. Aveva un'aria colta. Era arrivato ed aveva fatto uscire tutti dalla stanza.
La ragazza teneva lo sguardo basso, le braccia incrociate al petto. Era visibilmente tesa e preoccupata.
Garion le lanciava un'occhiata di tanto in tanto. Era incuriosito da quella ragazza: la trovava strana. - Quanti anni avete? - le chiese.
- Diciannove. - rispose lei spostando lo sguardo su di lui.
- La stessa età di mio figlio se fosse ancora in vita. - riferì l'altro mostrandole un sorriso triste.
- Oh, mi dispiace. - mormorò – Com'è successo? - domandò – Sempre se vi va di parlarne. - aggiunse velocemente cercando di non passare per sgarbata.
- É morto due anni fa in un'imboscata degli Orchetti. Ero con lui quel giorno. Eravamo in perlustrazione giù alla Breccia di Rohan. C'erano stati degli avvistamenti e il Re del Mark ci aveva mandato a controllare. - Monica gli lanciò un'occhiata interrogativa – Facevamo entrambi parte dei Rohirrim. Mio figlio era veramente bravo, ecco perché era diventato scudiero di Rohan a soli diciassette anni. Era la sua prima missione. - un sorriso amareggiato gli incurvò le labbra - Dovevamo solo vedere dove portavano le tracce, ma ci trovarono prima gli Orchetti e io non sono riuscito a proteggerlo. - abbassò lo sguardo – Dopo la sua morte lasciai i Rohirrim e ci trasferimmo qui con mia moglie, da Edoras. -
La ragazza stava per dire qualcosa, ma in quel momento la porta si aprì e ne uscì il dottore, la sua espressione non era delle migliori.
- Ho fatto tutto il possibile, ma la sua ferita è ridotta veramente male, nonostante sia stato fatto un buon lavoro nel ricucirla. Purtroppo è troppo infettata: temo che la lama fosse intrisa di veleno. Non gli resta molto da vivere, mi dispiace. - dichiarò impotente.
A Monica le si mozzò il fiato, sentì una morsa allo stomaco, poi gli occhi nocciola le si velarono. Guardava implorante il dottore. Sperava che quello che le era stato detto fosse soltanto una bugia. L'Uomo sospirò, le posò una mano sulla spalla e se ne andò dopo aver dichiarato che sarebbe andato a parlare con Meinrad.
La ragazza restò a fissare la porta imbambolata. Le lacrime calde le rigavano il viso.
- Andate da lui. Vado anche io a parlare con Meinrad e vi raggiungo. - riferì Garion dandole una piccola pacca sulla spalla.
Lei restò lì immobile: non aveva nemmeno la forza di muovere un passo. - Silwen. - si sentì chiamare da Alyon. Un singulto la percosse. Si fece forza ed entrò nella stanza richiudendosi la porta alle spalle. Si avvicinò al letto su cui giaceva Alyon. I lunghi capelli neri mettevano in risalto il viso bianco. Gli occhi verdi erano velati: non avevano più quella luce caratteristica degli Elfi. - Mi dispiace. - sussurrò prima di crollare a terra disperata, lì, al suo capezzale. Lui allungò la mano sinistra e le cominciò ad accarezzare lentamente il capo.
- Avete fatto tutto il possibile, Silwen. E vi devo ringraziare per avermi salvato e non avermi lasciato in mano a quei due Orchetti. Non potete nemmeno immaginare quanto ve ne sono grato. E poi… ho avuto la fortuna di conoscervi meglio. Siete una ragazza incredibile e forte. Avete un compito da svolgere… avete un sacco di altre vite da salvare… e sono sicuro che ce la farete. - proferì con voce dolce – Io credo in voi. -

Erano passati due giorni e Monica era rimasta in continuazione al capezzale dell'Elfo, a malapena dormiva la notte per la paura che al risveglio lo potesse trovare morto. Garion andava a fargli visita spesso. Degli Elfi che dovevano essere rimasti a Tharbad non avevano ricevuto ancora alcuna notizia.
Era sera e Monica era nella stalla. Era stata convinta da Alyon a fare due passi, ma si era fatta promettere che al suo ritorno lui fosse ancora vivo. Quindi ne aveva approfittato per andare a vedere come stavano la Mearas ed Aaron, ma a quanto pare venivano trattati bene. Nel rientrare incrociò Garion che arrivava in quel momento. Fu sorpreso di vederla in giro. Per un attimo temette il peggio, ma lei lo rassicurò spiegandogli che Alyon l'aveva cacciata dalla stanza. L'Uomo allora le propose di bere insieme una birra, almeno l'avrebbe distratta. Lei accettò con riluttanza. Si sedettero ad un tavolo in un angolo ed Ethelind fu subito da loro. La stanza era piena: probabilmente erano presenti tutti i viaggiatori che sostavano lì. C'era ancora il gruppetto di Nani che aveva visto il primo giorno, erano una decina e molto rumorosi. Gli altri erano tutti Uomini, divisi in diverse tavolate: grandi e piccole.
Avevano appena iniziato a sorseggiare la birra che Meinrad li raggiunse e si soffermò a parlare un po' con loro. Era davvero un brav'uomo: aveva aiutato un sacco la ragazza in quei giorni. Per non parlare di Ethelind che era sempre disponibile. Una sera, quando questa era andata a controllare che tutto fosse a posto, le raccontò che aveva perso sua madre quando aveva solo due anni, quindi era stato il padre a crescerla, da solo. Lei lo aveva aiutato sempre nella locanda, fin da bambina. Meinrad era orgogliosissimo di lei, l'amava profondamente.
Fu davvero felice di vedere che Monica aveva ceduto a stare un po' lì con loro, quella sera. Era preoccupato, perché vedeva che la ragazza era stanca e tesa come una corda di violino: sempre in ansia e preoccupata che l'Elfo potesse morire da un momento all'altro. E lui sapeva cosa volesse dire essere in apprensione per qualcuno: sua moglie era morta dopo mesi di malattia.
Ad un tratto un tizio ad un tavolo iniziò a cantare, forse aveva alzato un po' troppo il gomito, ma i compagni lo seguirono subito a ruota dopo la prima strofa della canzone. Avevano l'attenzione di tutti rivolta su di loro. Qualcuno batteva le mani a ritmo e quando la canzone terminò, ci fu uno scroscio di applausi.
Monica sorrise divertita: il tipo era tutt'altro che intonato. I due Uomini si lanciarono un'occhiata e sorrisero contenti.
Poco dopo attaccò a cantare un tizio di un altro tavolo, questa volta la canzone sembrava fosse conosciuta e tutta la stanza la intonò, compresi Garion e Meinrad, con i boccali levati in alto.
Monica iniziò a ridere divertita, anche perché il tizio, vedendo il successo riscontrato, era salito sulla panca e aveva anche iniziato a ballare. Finita la canzone ci furono delle ovazioni e ancora applausi.
Poi Meinrad si congedò: era stato chiamato ad un tavolo.
- Non potete nemmeno immaginare che piacere è vedervi ridere. - esclamò Garion ammiccando.
La ragazza sorrise e poi sospirò – In effetti mi ci voleva… ma tra poco tornerò di sopra. - dichiarò portando la sua attenzione sul suo boccale.
In quel momento alcune figure entrarono nella sala. Garion, che stava bevendo un sorso, rischiò di strozzarsi nel notarle. - Oh, perfetto… ci mancavano solo loro. - sbottò rabbuiandosi. La ragazza domandò chi fossero. - Vi ricordate quando vi avevo detto che a Tharbad c'è anche gente poco raccomandabile? Bene, loro fanno parte di una banda di furfanti… e quel tipo che zoppica ne è il capo. - spiegò indicando un Uomo dai capelli lunghi e castani che fece vagare velocemente lo sguardo sui presenti e si leccò le labbra. - Monica, fatemi un favore… io cerco di distrarli, voi dileguatevi senza farvi vedere. Alcuni di loro sono stati qui queste ultime sere e mi hanno fatto un sacco di domande su di voi ed Alyon. - rivelò – Non vi preoccupate, non sanno niente a riguardo, siamo riusciti a fargli bere il fatto che Alyon è solo influenzato e voi siete sua sorella. - si affrettò a spiegare vedendo il suo sguardo impensierito. - Ora però andate. - le sussurrò spingendola cortesemente verso la parete poco più in là, mentre lui andò incontro al gruppetto che stava importunando i Nani. Uno di questi li stava guardando talmente torvo che gli avrebbe puntato l'ascia contro se non fosse che Garion si intromise prontamente. - Ma guarda un po' chi abbiamo qui… Griswold. - e il tono con cui ne pronunciò il nome era alquanto disprezzante.
- Garion… ho saputo che ultimamente bazzichi spesso da queste parti… cos'è? State complottando qualcosa tu e il buon vecchio Meinrad? - chiese divertito – Oppure vi sono altri motivi? Mi hanno riferito i miei amici che tre giorni fa sono arrivati due forestieri… - Monica, che stava percorrendo il muro in direzione delle scale, si fermò un momento ad ascoltare – una di loro era una ragazza… e anche particolarmente bella… non è che stai cornificando tua mogl… - ma non fece in tempo a terminare la frase che si ritrovò il coltello puntato in gola.
Garion lo fissava furente, anche lui con diverse lame puntate alla gola: i compagni di Griswold non tardarono a reagire. A placare gli animi fu Meinrad – Signori… sapete benissimo quali sono le regole qui… non cambiano di certo da un giorno all'altro: non voglio risse, men che meno armi puntate addosso. Se avete qualcosa da dirvi, andate fuori! - proferì perentorio guardando prima gli uni, poi l'amico che strinse i denti e mise via il coltello.
- Via, via, mio vecchio Garion… non te la prendere per così poco, sai che io scherzo! - esclamò dandogli una pacca sul braccio, scoppiando a ridere. I suoi uomini lo imitarono. - Sono solo venuto qui per divertirmi un po', questa sera. E per tentare la fortuna, se fossi mai riuscito a vedere con i miei occhi la bellezza di questa fanciulla che è vostra ospite, mio caro Meinrad… - disse guardandolo – E a quanto pare la fortuna è dalla mia parte! - un ghigno perfido gli si dipinse sul volto prima di voltare lo sguardo in direzione delle scale.
Monica le aveva quasi raggiunte quando si ritrovò davanti due tizi che la guardavano con un sorrisetto divertito sulle labbra e che le bloccarono la strada. Li incenerì con lo sguardo. Garion e Meinrad si lanciarono un'occhiata preoccupata.
- Ve ne state già andando, mia cara? Perché non venite qui, così che possa vedervi da vicino? - uno dei due le afferrò il braccio, ma lei si divincolò e andò là da sola. - Bene, bene… devo ammettere che i miei amici non sbagliavano, siete proprio bella. - fece girandole intorno – Quanti anni avete? - le chiese, ma non ricevette risposta – Cosa c'è? Non sapete parlare? - domandò divertito.
- No, è solo che puzzate talmente tanto che sto trattenendo il respiro. - sibilò.
Ci fu uno scoppiò di risa e alcuni Nani gridarono soddisfatti. Ovviamente Griswold non la prese proprio bene. Alzò la mano per colpirla, ma Meinrad gli bloccò il braccio a mezz'aria. - Prova soltanto a sfiorarla con un dito e giuro che ti stacco tutto il braccio. - mormorò al suo orecchio minaccioso.
Quello restò un attimo a guardarlo apatico, poi un ghigno malefico gli si formò sul viso – Dimmi… chi è che sta badando all'influenzato, in questo momento? O forse farei meglio a dire all'Elfo? - i tre sgranarono gli occhi all'unisono, sconvolti, e Monica sbiancò. Lui con una mossa rapida si liberò dalla presa e diede una testata all'oste colto alla sprovvista. Quattro uomini furono su Garion e Monica, ma il primo tenne a bada tutti e quattro. In pochi secondi scoppiò il finimondo. La ragazza ne approfittò: si voltò e salì prima sulla panca dietro di lei, poi sul tavolo che percorse velocemente verso le scale, reggendosi l'orlo del vestito che le dava fastidio, sotto le lamentele di alcuni Nani che videro i loro boccali pieni di birra cadere a terra al suo passaggio. Salì precipitosamente i gradini, inciampando un paio di volte e rischiando di rotolare all'indietro. Aveva il cuore che le martellava nel petto. Sperava che non toccassero Alyon. In pochi istanti fu davanti alla porta. Sentì dei rumori di colluttazione. Fece per lanciarsi all'interno, ma la trovò chiusa. - Alyon! - urlò iniziando a prenderla a spallate. Ma vedendo che faceva più male a se stessa che alla porta, spostò lo sguardo sul corridoio in cerca di qualcosa di pesante, ma non trovò niente. Poi le balenò in mente un'idea malsana. Provò ad aprire la porta della stanza accanto, quella a destra, ma era chiusa anche quella. Trovò aperta quella a sinistra. In pochi passi fu alla finestra che spalancò. Si affacciò e guardò nella direzione di quella della sua stanza, vedeva delle ombre muoversi alla fioca luce della candela. Strinse i denti e guardò giù. Non era molto alto: si trovavano al primo piano e c'era molta neve ammucchiata a ridosso del muro. - Devo essere impazzita. - si disse prima di salire sul davanzale. L'aria fredda la colpì in pieno, ma non la fece desistere. C'era una sporgenza di una decina di centimetri che collegava le finestre di tutti i piani. Fece un gran respiro, appoggiò il piede sulla sporgenza e si appiattì con la schiena rivolta contro il muro. Pregò con tutto il cuore di non perdere l'equilibrio. Con le dita cercava di aggrapparsi alle fessure tra le pietre mentre avanzava lentamente. La finestra distava circa cinque metri, ne aveva percorso sì e no uno quando sentì dei nitriti provenire dalla stalla lì sotto e delle grida. Poi vide con la coda dell'occhio cavalli e pony uscire dalla stalla al galoppo e scappare in strada. Riconobbe Aaron. Poco dopo la Mearas che si fermò al centro del piazzale, un uomo le stava andando incontro con una corda sulle mani. Tentò di avvicinarsi, ma quella si drizzò sulle zampe posteriori ed iniziò a scalciare. - Ehi! Lascia stare la mia cavalla! - urlò la ragazza che si sbilanciò leggermente in avanti e per poco non perse l'equilibrio – Merda! - imprecò.
Quello si voltò di scatto verso l'ingresso, ma non vide nessuno. Allora alzò lo sguardo e la notò. Per un attimo restò imbambolato ad osservarla. In quell'istante una figura incappucciata gli arrivò silenziosamente alle spalle e lo colpì in testa: quello cadde a terra svenuto. Un'altra figura incappucciata si unì velocemente alla prima, guardarono alcuni istanti verso la ragazza e si precipitarono all'interno della locanda.
Monica però non se ne accorse, troppo presa a maledirsi per quella genialata, il sudore le imperlava la fronte e ad ogni passo rischiava di pestare l'orlo dell'abito. Aveva percorso metà strada quando sentì un lamento provenire dalla stanza: era la voce di Alyon. Iniziò ad imprecare cercando di accelerare il passo, cosa alquanto difficile. Poi finalmente raggiunse il davanzale della finestra. Si aggrappò alla sporgenza lì sopra e riprese un momento fiato, quindi spostò lo sguardo all'interno e vide Alyon disteso a terra e un tizio puntargli la spada al collo. Le bastò per farla riprendere completamente: si portò al centro della finestra, si aggrappò bene alla sporgenza lì sopra e mollò un calcio. La finestra si spalancò e lei si tuffò all'interno della stanza urlando il nome dell'Elfo, rotolando sul pavimento e andando a sbattere con il ginocchio contro la gamba di legno del letto. I due tizi la guardarono sconvolti. Lei li fissava ansimante e furibonda mentre si massaggiava il punto leso. - State lontano da lui. - disse minacciosa, alzandosi.
Quelli la fissarono per un momento, si scambiarono un'occhiata e poi scoppiarono a ridere. - E cosa vorresti fare, disarmata? - puntualizzò uno dei due muovendo un passo verso di lei, la spada puntata contro.
Lei deglutì ed indietreggiò. La sua spada era nella sua sacca, e questa si trovava ai piedi del suo letto, dietro il tipo. Spostò lo sguardo su Alyon, respirava, ma aveva il viso contratto dal dolore. - Cosa volete da noi? - domandò cercando di guadagnare tempo e pensare a qualcosa di intelligente.
- Oh, niente di personale, ci è stato solo ordinato di uccidere tutti coloro che sarebbero venuti da Imladris. - rispose quello più basso e tarchiato che teneva la spada puntata sul collo dell'Elfo.
- Perché? - chiese lei assottigliando gli occhi.
L'altro ridacchiò – Questo non vi è dato saperlo. - fece un altro passo in avanti.
- Mellon. - sussurrò Alyon. Monica lo guardò interrogativamente: solo lei aveva sentito cosa aveva detto. Ma non capiva cosa volesse dire. Il tipo basso gli diede un calcio intimandolo di non lamentarsi. Poi si sentì un colpo fortissimo alla porta.
In quel momento afferrò quello che intendeva l'amico e approfittando del fatto che i due si distrassero, si lanciò su quello che aveva davanti, gli mollò un calcio in mezzo alle gambe e gli prese la spada che vibrò contro il compagno, ma quello schivò il colpo. Riuscì però a farlo indietreggiare. Quindi si frappose tra Alyon e i due con un sorrisetto compiaciuto sul viso. - Vi conviene arrendervi. - suggerì e in quell'istante la porta si spalancò ed entrarono le due figure incappucciate.
- Allontanatevi. - ordinò quello che era entrato per primo, anche lui spada alla mano.
I due Uomini ubbidirono, quello ancora armato lasciò cadere la sua a terra, e si misero con le spalle al muro. Le loro espressioni erano decisamente sprezzanti e per nulla felici.
- Ne è passato di tempo, Silwen! - esclamò l'altro andandole incontro. Si abbassò il cappuccio mostrando il bel viso sorridente.
- Turion! - esclamò lei sorpresa, poi lanciò l'arma a terra e lo abbracciò di slancio per la felicità.
- Vi trovo in forma. - notò contento, poi la sua espressione cambiò completamente nello spostare gli occhi azzurri sull'amico a terra – Non posso dire lo stesso di te, mellon nin. -
Alyon accennò una smorfia che doveva essere un sorriso – Ho visto tempi migliori. - sussurrò tossendo e piegandosi dal dolore. Monica si chinò su di lui preoccupatissima.
In quel momento arrivò Garion che tirò un sospiro di sollievo nell'appurare che erano ancora tutti e due vivi. Aveva un occhio rosso e gonfio e un labbro sanguinante. Poi si voltò verso i due banditi e ghignò. - Questa volta siete proprio nei guai. Le guardie stanno venendo a prendervi ed io avrò il piacere di legarvi e consegnarvi a loro. - quindi mostrò le corde che teneva in mano.
- Siete stati fortunati che siamo rimasti qui a Tharbad. - dichiarò Turion – Varnohtar ed io non ci siamo voluti dare per vinti, sperando che prima o poi arrivasse qui qualche superstite. - spiegò.
- Certo non ci aspettavamo di trovare voi. - disse l'altro Elfo che finalmente si abbassò il cappuccio sul capo appena Garion portò al piano inferiore i due. Sorrise alla ragazza, poi anche lui guardò Alyon preoccupato, si chinò su di lui e gli sollevò la tunica bianca. Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era raccapricciante: la ferita era putrefatta. I due Elfi capirono. Monica invece distolse lo sguardo e cercò di reprimere le lacrime. L'Elfo biondo le posò una mano sulla spalla – Diteci tutto. -
E così la ragazza raccontò quello che aveva passato da quando era partita dal suo mondo fino a quando erano arrivati lì. I due Elfi restarono molto impressionati.
- Non ci avete raccontato di come lo siete venuta a sapere. - proruppe Turion, quando lei terminò.
La ragazza era seduta sul suo letto e lanciò un'occhiata ad Alyon che giaceva sull'altro, strinse le mani sul vestito, facendo diventare le nocche bianche. - Mia cugina Milena… il giorno che sono partita mi ha rivelato che aveva ascoltato Morwen mentre parlava con qualcuno, un giorno. L'aveva sentita dire che presto avrebbe ucciso tutti, riducendo a fiamme e cenere Imladris, una volta che ce ne fossimo andati. - calò il silenzio. I due Elfi si guardarono allarmati.
Varnohtar scattò in piedi - Dovevo immaginarlo che c'era lei dietro a tutto questo! - gridò dando un pugno alla parete. Poi sentendo Monica singhiozzare si voltò.
- Se mia cugina lo avesse detto subito, a quest'ora voi… Alyon… - si portò le mani al viso – Mi dispiace tanto. -
Turion le si avvicinò e l'abbracciò – Probabilmente avrebbe trovato un altro modo per ucciderci e quasi sicuramente avrebbe ucciso anche tutti voi. - cercò di tranquillizzarla.
-Turion… io e Silwen abbiamo un'idea… - proferì Alyon che faticava vistosamente a parlare.
- Quale idea? - chiese Varnohtar rivolgendosi alla ragazza.
Lei si asciugò le lacrime – Dove si stanno dirigendo tutti? - chiese invece.
- Ad Edoras. Elrond vuole tenere un consiglio là. Sono stati spediti inviti a tutti i maggiori rappresentanti dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo, quando siamo arrivati qui. É centrale e ben raggiungibile da tutti. - rispose.
La ragazza sgranò gli occhi e lanciò uno sguardo allarmato ad Alyon. - Quanto tempo fa? - chiese questo.
- Due settimane fa. Perché? Qual è quest'idea? - Turion aveva iniziato ad agitarsi.
Monica sospirò – Alyon ed io crediamo che Morwen voglia attaccare Edoras, proprio durante il consiglio. -
Ricalò un silenzio teso – Ok, calma, ragioniamo. - fece Turion a cui l'idea non piaceva affatto – Saranno presenti anche i guerrieri più valorosi al consiglio… se davvero quello che avete supposto è vero… Morwen dovrebbe disporre di un esercito di Orchetti numerosissimo. -
- E se non fosse così? - proruppe la ragazza. Varnohtar la incitò a spiegarsi meglio. - Se Morwen fosse abbastanza potente da non dover disporre di un esercito? - sei paia di occhi la stavano guardando stralunati – Lo so che può sembrare strano… ma l'avete detto voi che è in grado di soggiogare la mente degli Uomini… se si servisse di questo? -
I tre si guardarono ancora più allarmati – Approfittare del consiglio per far mettere tutti contro tutti… - mormorò Varnohtar.
- E sbarazzarsi così delle persone più importanti. - aggiunse Turion.
- La scintilla che fa scoppiare l'incendio. O meglio... una Guerra, ma questa volta vedrebbe i Popoli Liberi combattersi tra di loro. - proferì sottovoce la ragazza.
Gli altri tre la guardarono sconvolti – Siete sempre così ottimista? - le domandò Turion sarcastico. Lei abbozzò un sorriso.
- Dobbiamo avvisarli in qualche modo. - mormorò Varnohtar che si era di nuovo alzato ed ora camminava avanti ed indietro per la stanza.
- Come? Anche se partissimo ora da qui non so se faremo mai in tempo… Loro saranno arrivati ormai e la maggior parte degli invitati saranno già stati avvisati e partiti. Ci vogliono quattro giorni da qui per arrivare ad Edoras, con questo tempo e nelle condizioni in cui viaggiano loro probabilmente una settimana. Quindi sono già lì da un pezzo. - ragionò Turion.
- Ok, ma prima che il consiglio inizi dovranno attendere tutti. - fece Varnohtar – Chi sono quelli più distanti? - chiese poi all'amico.
Quello ci rifletté su un momento – Gli Hobbit. Ma ho sentito dire Elrond che erano a Minas Tirith a far visita a Sire Aragorn, in questo periodo. Quindi a quanto pare Re Thorin che viene da Erebor. A meno che non sia anche lui in visita a suo figlio Durin a Moria… questo accorcerebbe il nostro tempo. -
- Ma c'è Re Thranduil, in caso, che ci impiegherebbe una decina di giorni a raggiungere Edoras. - aggiunse Varnohtar. L'altro gli lanciò un'occhiata perplessa. - Che c'è? Credi che non si faccia vivo? - l'occhiata di Turion era eloquente. - Ma lo sai che negli ultimi anni è cambiato. - gli ricordò – E vedrai che non si lascerà sfuggire l'occasione di rivedere suo figlio. -
Turion stava per controbattere, ma venne interrotto da Alyon – Amici miei… state divagando… -
- Ok, mettiamo che Re Thorin Elminpietra sia ad Erebor… avremmo due settimane di tempo… - rifletté Varnohtar.
- Di più, se avete spedito qualcuno a mandare l'invito. - si intromise Monica.
- Se avessimo mandato persone, non saremmo riusciti ad avere un consiglio prima della fine di febbraio. - dichiarò Turion – Abbiamo usato volatili che abbiamo trovato a portata di mano. Con questo tempo era impossibile mandare qualcuno a cavallo. -
- Allora non abbiamo molto tempo visto che sono passate già due settimane. - replicò la ragazza guardandoli agitata.
- É per questo... che dovete partire immediatamente... Silwen. - Alyon si era sollevato sul braccio e la guardava serio – Siete l'unica… che può farlo. Con la Mearas riuscireste ad essere ad Edoras in meno di una settimana. Nessun nostro cavallo può eguagliarla in velocità. - si stava sforzando molto a parlare.
- Ma ho visto un uomo cercare di catturarla prima… - replicò lei.
- Oh, state tranquilla, la vostra cavalla sta benissimo. Diciamo che siamo arrivati in tempo per sistemare le cose. - le disse Turion sorridendo.
- E per vedere voi attaccata al muro della locanda a circa cinque metri d'altezza. - aggiunse Varnohtar divertito.
Lei arrossì imbarazzata – Ma perché io? Potrei prestare ad uno di loro la Mearas… - iniziò.
- Silwen… - il tono di Alyon era perentorio – Sapete che non si fa cavalcare da altri oltre a voi. E se Morwen vedesse ora uno di loro, si insospettirebbe. Se poi venissero con voi, vi rallenterebbero solamente. E non possiamo rischiare di mandare messaggi di avviso, potrebbero venire intercettati. -
- Ma… - provò a replicare, però lo sguardo che avevano tutti e tre le fecero morire le parole in bocca. Sapeva quello che significava andarsene: avrebbe dovuto lasciare Alyon e non rivederlo mai più. Abbassò il capo mordendosi il labbro inferiore.
- Silwen… presto o tardi dovremmo dirci addio comunque. Non reggerò molti giorni. Sento che non mi resta molto tempo. - riferì quello, come se l'avesse letta nella mente. Quelle parole la colpirono al petto come fossero una spada dalla lama tagliente. Riuscì soltanto ad affermare con il capo. Gli altri due si guardarono con aria mortificata.

Erano le prime luci dell'alba e la ragazza stava sistemando le ultime cose. Si era portata dietro le armi, del Lembas e un cambio di vestiti. Era rimasta sveglia tutta la notte al capezzale di Alyon, nonostante questo avesse insistito più volte che riposasse. Una volta chiusa la sacca si voltò a guardare l'amico, stava impiegando tutte le sue forze per non piangere. Anche lui la guardava, con un leggero sorriso sulle labbra.
Le fece segno di avvicinarsi e le afferrò la mano – Promettetemi che ce la farete. - lei distolse lo sguardo.
- Non fatemi promettere qualcosa al di sopra delle mie forze. - sussurrò.
- Se partite con quest'idea in mente fallirete sicuro… fino a pochi giorni fa eravate pronta a tutto pur di salvare tutti. - le ricordò.
- Non sono riuscita a salvare voi, la promessa che mi ero fatta prima di partire è stata spezzata. - replicò guardandolo mogia con un groppo in gola.
- Ecco perché vi chiedo di farne una nuova a me… - insistette lui. Lei ne fu sorpresa. - Promettetemi che ce la farete. - ripeté stringendole forte la mano – La vita della gente a cui tenete è in pericolo: pensate ad Elveon, Elladan, Melime, Elrohir… loro sono ancora vivi. - Turion e Varnohtar gli avevano riferito la sera prima che loro si erano salvati, come Elrond e molti altri.
Monica spostò lo sguardo a terra e chiuse gli occhi, deglutì, rivide i volti di coloro che erano stati appena nominati, pensò ad Alyon che se ne sarebbe andato e a tutti quelli che erano già morti. La rabbia iniziò a ribollirle nel corpo. Ricambiò la stretta e si voltò a guardarlo. - Vi prometto che farò il possibile per salvarli! - esclamò decisa. Il suo sguardo era completamente cambiato. I tre Elfi se ne stupirono.
Alyon le sorrise – Ora andate. - e così dicendo lasciò la sua mano.
La ragazza si voltò verso i due Elfi e fece un cenno con il capo, poi mosse alcuni passi verso la porta.
- Silwen… - la chiamò l'amico prima che uscisse, lei si bloccò – namarie. - sussurrò.
- Namarie. - ricambiò il saluto con voce incrinata e se ne andò. Scese velocemente le scale e si precipitò fuori della locanda diretta alla stalla, ma si ritrovò davanti Garion con la Mearas da una parte e Meinrad ed Ethelind dall'altra. Li guardò sorpresa.
- Non potevamo certo lasciarvi partire senza salutarvi. - commentò Garion facendole l'occhiolino. L'altro occhio era diventato nero.
- Monica… ah, no… Silwen... – si corresse l'oste che aveva il naso gonfio – Sappiamo che sta accadendo qualcosa di veramente grande e grave. Turion ci ha accennato qualcosa ieri sera. Non so cosa c'entrate voi in tutto questo, non ci è stato detto, ma… qualunque cosa sia… state attenta. - pregò preoccupato. Lei affermò con il capo.
- Buona fortuna. - le augurò la figlia.
Lei salì sulla Mearas, fece un cenno del capo come saluto e la spronò a partire. Si fermò sulla strada, appena fuori del cancello in legno e volse lo sguardo in direzione della finestra della sua stanza. In quell'istante il groppo in gola le si sciolse, il cuore le si strinse in una morsa, le ritornarono in mente vari momenti passati con Alyon, non riuscì più a trattenere le lacrime ed iniziò a piangere. Poi fece ripartire la Mearas e si allontanò. Una volta fuori della porta est guardò l'orizzonte, verso sud-est, ed ancora scossa dai singhiozzi spronò la cavalla al galoppo in quella direzione, con il vento freddo che le sferzava le guance bagnate.

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Capitolo 22
*** Edoras. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI


CAPITOLO 21: EDORAS.

Nonostante il mal tempo che l'aveva accompagnata per tutto il viaggio e la neve che l'aveva ostacolata il primo giorno, Monica era arrivata ad Edoras in cinque giorni riuscendo a recuperare molto una volta raggiunto l'Isen. Da lì, l'Antica Via Sud passava direttamente dentro una foresta che si estendeva appunto quasi fino ad Edoras. La cosa la rese alquanto perplessa visto che ricordava benissimo che non vi era alcuna foresta in quella zona, almeno fino alla Guerra dell'Anello. Sinceramente non ricordava proprio se sulla mappa che le aveva mostrato Alyon giorni prima ci fosse segnalata, dato che non vi aveva badato molto. Comunque grazie agli alberi che costeggiavano la Via su entrambi i lati, la neve a terra non era molto alta e quella che era continuata a cadere si fermava sui rami. Quindi era andata abbastanza spedita. Ed a quanto sembrava, la foresta che aveva lasciato da poco non era l'unica cosa che fosse cambiata: la città si era ampliata molto ed ora vi erano case anche sulla pianura attorno al colle su cui sorgeva il Palazzo di Meduseld. Riusciva a vederlo distintamente, nonostante non vi fosse molta luce a causa dei nuvoloni e al fatto che iniziasse ad avvicinarsi il tramonto: era completamente d'oro. Poi un'altra cosa attirò la sua attenzione. Sulla distesa alla destra del colle, sotto le mura della città, vi era un enorme accampamento. Le bianche e grandi tende che lo componevano si mimetizzavano con il bianco della pianura innevata. Intuì che era lì che si era stabilita momentaneamente la gente di Imladris. Ebbe una fitta al cuore. Continuò comunque la sua cavalcata fino ai cancelli della città. Una volta sotto le mura rallentò l'andatura della cavalla.
Vi erano due Uomini nelle cotte di maglia a far la guardia: avevano già avvistato la viaggiatrice, in lontananza, e ora le sbarravano la strada. Certo, erano alquanto sorpresi di vedere un Mearas.
- Chi siete? - chiese quello a sinistra con tono perentorio – Nessuno straniero può passare, per ordine del Re. -
“Ti pareva.” pensò la ragazza facendo una smorfia – Sono solo una viaggiatrice stanca. Tutto qui. Vengo da Tharbad e sono in cerca di un tetto sulla testa e di un posto caldo. Per non parlare di un buon boccale di birra. - riferì.
- Non possiamo ospitare estranei. É in corso un consiglio importante a cui partecipano tutti i più alti rappresentanti dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo. - disse l'altro con tono solenne.
Il cuore della ragazza perse un battito “Hanno già iniziato?!”. Imprecò tra sé e sé. - Oh, questo non lo sapevo. E dire che mi era stata decantata molto bene la città da un mio amico. “Devi assolutamente andare ad Edoras.” mi è stato detto “I miei amici vi ospiteranno sicuro.” ha aggiunto, ma a quanto pare si sbagliava. - le era balenata in mente un'idea e sperava funzionasse, altrimenti avrebbe dovuto in un modo o nell'altro entrare ad Edoras e l'idea che aveva in testa non le piaceva data l'esperienza dell'ultima volta.
- Chi è questo vostro amico di Tharbad? - chiese il primo incuriosito.
- Garion Pietragrigia… - ma non fece in tempo a continuare che le due guardie esclamarono per la sorpresa.
- Quel farabutto di Garion… se ne è andato due anni fa e non è più tornato a trovarci! - esclamò quello di destra.
- E, diteci, come sta? - chiese il compare.
- Oh, bene… in questi giorni è impegnato a spalare la neve davanti casa sua. E la sera se ne va nella locanda migliore della città a tracannare birra e a cantare canzoni allegre. - raccontò lei.
I due scoppiarono a ridere – Si è ridotto così… e pensare che era uno dei migliori di noi. - ricordò uno.
- Non potete biasimarlo se dopo la morte del figlio ha deciso di lasciare. - aggiunse la ragazza – Ora, se non vi dispiace, vi saluto… a quanto pare non posso trovare un po' di riposo qui. Mi toccherà viaggiare ancora di notte. -
I due si lanciarono un'occhiata incerta – Aspettate! - la fermò quello di destra – Forse potremmo chiudere un occhio su di voi. Infondo conoscete bene Garion e non è bello che una ragazza giovane come voi vada in giro da sola di notte, di questi tempi. -
- Siete stata fortunata che non vi siete imbattuta in qualche creatura del Male. - aggiunse l'altro – Se avete un po' di pazienza andrò a sentire alle locande se c'è un posto libero per voi. Ma non vi garantisco niente, perché con tutte le persone che ci sono qui ad Edoras sarà difficilissimo. - disse prima di allontanarsi.
- Non dovreste chiedere permesso al Re, se posso entrare? - chiese interdetta.
- Sì, ma è talmente impegnato che non ha sicuramente tempo di starci a sentire. Tra l'altro sembra che il clima del consiglio non sia proprio disteso. Pare che ieri, che era il primo giorno, sia andato avanti fino a tarda sera e ci siano stati degli screzi tra gli Uomini e i Nani. La situazione è grave. Avrete sicuramente sentito dell'attacco ad Imladris. - lei affermò con il capo cercando di non mostrare l'agitazione che la stava cogliendo.
“A quanto pare Morwen è già entrata in azione.” pensò stringendo i pugni “Devo sbrigarmi!”.
- Dove avete trovato questo cavallo? - domandò ad un tratto l'altro.
- Oh, non l'ho trovata io… è lei che ha trovato me. - rispose sorridendogli.
Lui la guardò sbalordito. Stava per aggiungere qualcosa, ma il compare tornò riferendo che, come aveva immaginato, le due locande erano completamente piene.
Alla ragazza crollò il mondo addosso. Già si immaginava quella notte a scalare il muro di cinta, che poi non sapeva nemmeno come, dato che era sprovvista di corda.
- Sentite… - cominciò l'Uomo con cui aveva chiacchierato fino a poco prima vedendo l'aria sconsolata della ragazza – Io ho una stanza libera in casa mia. Potreste venire a stare da me. - propose.
- E cosa dirai a tua moglie? - l'altro era sorpreso.
- Beh… non penso che mi ucciderebbe se le chiedo se possiamo ospitarla. Invece credo che lo farebbe se le dicessi di aver negato l'ospitalità ad una ragazza che viaggia da sola. - spiegò quello – Per lo più è amica di Garion e credo che se l'ospitassi in casa mia mi sarebbe anche più facile tenerla d'occhio. Scusate, ma di questi tempi meglio essere prudenti. - proferì quest'ultima frase rivolto alla ragazza che si disse felice della proposta e gli diede pienamente ragione.
Quindi attesero il cambio del turno di guardia, che si tenne poco dopo, e i due si diressero a casa di quello. Tra l'altro, Monica era stata presentata come sua nipote alle due nuove guardie, per tagliar corto.
La moglie di Leonard, Emmeline, fu veramente contenta che il marito avesse deciso di ospitare la ragazza.
- Non riesco nemmeno ad immaginare che una giovane donna possa andare in giro da sola, con i tempi che corrono! - esclamò. Monica la ringraziò infinitamente per l'ospitalità. - Figurati mia cara. Mi dispiace solo che Edoras non sia una città movimentata come Tharbad. Nonostante negli ultimi vent'anni sia cambiata moltissimo, dopo la Guerra dell'Anello. Si è allargata e sono venuti a vivere qui anche diversi commercianti. La maggior parte della popolazione però è formata da guerrieri Rohirrim e le loro famiglie. -
- Scusate la domanda strana, ma gli Elfi accampati fuori della città sono liberi di entrare come e quando vogliono? - chiese.
- Oh, sì. - le rispose Leopold seduto al tavolo con lei, mentre Emmeline era intenta a prepararle la stanza – Sono accampati proprio fuori dei cancelli ovest della città. Di solito anche lì vi sono due guardie appostate, ma con gli Elfi a due passi, in questi giorni non c'è nessuno. -
Lei si irrigidì. Quindi Morwen poteva entrare ed uscire dalla città indisturbata. Ragionò, fissando il fuoco scoppiettare nel camino. Doveva assolutamente raccogliere informazioni e c'era solo un modo per farlo. - Leopold, vi dispiace se vado a fare un giro dopo cena? -
Quello scosse la testa con veemenza – No, di certo! Anzi, se volete vi accompagno e andiamo a berci qualcosa alla locanda. - propose entusiasta.
- Leopold! - urlò la moglie entrando nella stanza con due occhi che lanciavano fiamme – So perché vuoi andare alla locanda! Vuoi andare a vedere lei! - gridò avanzando minacciosa.
- Ma no cara. É stata Helena a dirmi che vuole andare a farsi un boccale. - spiegò alzando le mani e gesticolando agitato.
- Frequentate le locande? Così giovane? - chiese sbalordita lei.
- Diciamo che mi piace dilettarmi con della buona birra, ogni tanto. – rispose sorridendole – Comunque sì, signora, posso confermarglielo. - si sbrigò a rispondere la ragazza dopo che aveva ricevuto occhiate supplichevoli dall'uomo.
Ovviamente Monica non poteva di certo presentarsi con il suo vero nome, visto che Morwen lo conosceva. Il primo che le era venuto in mente era stato quello, dato che la sua missione somigliava molto alla conquista di Troia, solo che lei non doveva prendere in assalto la città, ma salvarla.
La donna parve calmarsi e annunciò che la stanza era pronta. Quindi si mise a cucinare lo stufato.

La casa che accoglieva Monica si trovava molto vicino ad una locanda situata al centro di Edoras, comodamente raggiungibile da tutti in poco tempo. L’altra locanda si trovava nella zona nuova, quella periferica.
La ragazza era fuori della porta ad aspettare l'uomo che stava salutando la moglie, la quale si era raccomandata con la giovane di tenerlo sotto controllo. Era completamente avvolta nel mantello grigio pesante e si era calata per bene il cappuccio sul volto.
Quando furono pronti, si avviarono verso la locanda. Per strada incontrarono alcuni Uomini che andavano nella stessa direzione. Salutarono Leopold e guardarono incuriositi la figura incappucciata accanto a lui.
In pochi minuti erano fuori dell'entrata. Sopra la porta vi era l'insegna in legno che diceva “La Botte Piena”.
Anche qui, come ogni locanda che si rispetti, già da fuori si potevano sentire le voci di coloro che erano all'interno. I due quindi entrarono: era strapiena. La ragazza fece vagare velocemente lo sguardo sui presenti. Fortunatamente non vi erano presenti orecchie a punta o Uomini che aveva incontrato ad Imladris. Doveva stare comunque attenta: se Morwen aveva iniziato a soggiogare gli Uomini, quella stanza allora poteva rivelarsi un pericolo per lei.
Stavano per andare al bancone ed ordinare lì da bere in attesa che si liberassero dei posti, quando qualcuno chiamò Leopold. Era il compagno di guardia del pomeriggio. Fece gesto di andare là, poi indicò due posti vuoti accanto a lui sulla panca. Era seduto ad un tavolo con altre persone.
Questi allora si diressero là e si accomodarono al tavolo. Ci fu un giro di presentazioni, ma la ragazza si ricordò solo il nome del compagno di Leopold: Wynfred. Erano tutti Rohirrim.
- É strano che una ragazza così giovane si palesi in un posto simile. - disse uno stupito.
- É mia nipote, è venuta oggi in visita e resterà qui per un po' di giorni. Si chiama Helena e viene da Tharbad. - spiegò Leopold.
Gli Uomini iniziarono a riempirla di domande sulla sua famiglia e sulla città. Domande anche abbastanza difficili a cui rispondere, soprattutto riguardanti quest'ultimo tema, dato che non sapeva minimamente come fosse la città, tranne quel poco che aveva visto all'arrivo e alla partenza.
Ma cercò di tenersi sul vago e di cambiare argomento quando vedeva che le cose si facevano difficili.
Sta di fatto che l'andare nella locanda quella sera fu molto proficuo e capì anche perché Emmeline fosse contraria che il marito vi si recasse: la cameriera che vi lavorava era giovane, bella ed indossava un vestito particolarmente scollato. Inutile dire che tutti gli Uomini stravedevano per lei.
Lì al tavolo vi erano sedute le guardie che erano incaricate di controllare le porte del Palazzo d'Oro e, forse grazie al liquido ambrato, si erano lasciati scappare diversi dettagli. A quanto pare anche quel giorno vi erano stati degli screzi tra i partecipanti.
Se il giorno prima i toni accesi furono tra gli Uomini del Mark e i Nani di Moria, quel giorno sembrava che le discussioni accese avessero compreso anche gli Elfi di Eryn Lasgalen, conosciuto fino alla Guerra dell'Anello come Bosco Atro, tant'è che Sire Thranduil aveva lasciato il consiglio, a metà giornata.
- In pratica stanno lì dentro tutto il giorno a litigare. - riferì una delle guardie della porta – A quanto pare Sire Eomer ha accusato i Nani di Moria di essere la causa dell'apparizione dei Troll-Talpa. Durin allora ha accusato noi Rohirrim di non saper gestire bene la faccenda Orchetti nelle nostre terre perché a quanto pare ultimamente sono stati molti gli attacchi alle porte di Moria. Poi oggi pare che Durin abbia chiesto il motivo di quel consiglio: non ritiene di dover aiutare la razza degli Elfi, dato che questi non sono mai stati cordiali nei confronti del suo Popolo e che più volte gli hanno voltato le spalle quando serviva loro aiuto, soprattutto il Re di Eryn Lasgalen. C'è voluto l'intervento di Gimli il Nano per placare gli animi dei suoi. -
- In effetti ha detto delle cose giuste. - intervenne il collega – “Se continuiamo a rivangare le cose del passato non riusciremo mai ad affrontare il Nemico del presente”. - ripeté quello.
La serata andò avanti ancora un po', poi Leopold e lei si congedarono. Quest'ultima, una volta nella sua stanza, poté rimuginare su quello che aveva sentito. Per il momento non era successo ancora niente di grave, ma vedeva che la situazione stava peggiorando con il passare del tempo. Probabilmente Morwen avrebbe stretto la sua morsa nei giorni successivi: doveva fare in fretta. Il fatto che avesse conosciuto le due guardie che erano appostate alle porte del Palazzo poteva essere un vantaggio, anche se non ne ricordava i nomi.
Decise che ci avrebbe pensato l'indomani mattina. Era stanchissima per la cavalcata che aveva fatto in quei giorni. Aveva avuto pochissimo tempo per riposare, avendo limitato le soste e di sicuro i posti in cui aveva trovato riparo non erano accoglienti come quel letto. Crollò immediatamente.

La mattina seguente, la ragazza venne svegliata da Emmeline che le aveva chiesto se le andava di accompagnarla a fare un giro al mercato. La donna le spiegò che ogni giovedì i commercianti dei villaggi vicini e della stessa Edoras si riunivano in piazza ed allestivano dei banchi dove mettevano in vendita la loro merce.
Era un'usanza che aveva preso piede da pochi anni, ma, a quanto sembrava, era molto utile e vi partecipavano un sacco di persone. Con il fatto che in quei giorni vi era il consiglio, avevano deciso di allestire il mercato solo i commercianti di Edoras. Quindi non era grandissimo come al solito. Senza contare che, con tutta quella neve, sarebbero stati comunque in pochi a partecipare.
Ovviamente, in giro per il mercato, si potevano sentire le lamentele dei commercianti i cui affari ne avrebbero risentito negativamente.
L'unica che era su di giri era Monica. Era affascinata da tutte quelle bancarelle ed anche se non doveva comprare niente, si fermava ad ognuna a vedere cosa proponessero.
Emmeline, invece, aveva una piccola lista in mano ed ora si era fermata a parlare con il macellaio. Stava per raggiungerla, quando una bancarella attirò la sua attenzione: vendeva gioielli fatti con materiali diversi. Si avvicinò a dare un'occhiata. Era intenta ad osservarli quando qualcuno le si fermò accanto. Erano in tre. Voltò meccanicamente lo sguardo verso di loro e rimase a guardarli rapita per la loro bellezza. Erano dei ragazzi e dovevano avere più o meno la sua età. Quello accanto a lei era moro, molto alto, con due occhi grigi penetranti. I capelli lunghi gli arrivavano alle spalle. Indossava una tunica blu scura con il disegno di un albero bianco sul petto. Quello in mezzo era biondo, i capelli leggermente più lunghi del primo, gli occhi azzurri. Anche l'ultimo era moro con capelli lunghi, gli occhi grigi e doveva essere il più grande.
Riportò l'attenzione sui gioielli, ma ogni tanto lanciava loro delle occhiate da sotto il cappuccio.
- Oh, è un piacere vedervi qui, principe Elfwine! Ed anche voi, Elboron, siete cresciuto moltissimo! - esclamò il commerciante appena li aveva notati: era indaffarato a sistemare dei sacchi sotto il bancone.
- Buongiorno Hartwig! - lo salutò quello al centro – Siamo venuti a fare due passi con il principe Eldarion. - spiegò indicando il compagno moro accanto alla ragazza.
Mentre il commerciante salutò a dovere anche il principe di Gondor, esprimendo tutta la sua felicità nell'avere la possibilità di conoscerlo, Monica si era irrigidita non appena aveva udito i tre nomi. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile. Anche perché pensava che i personaggi più importanti fossero tutti al consiglio.
Elboron sembrò leggerle nella mente – Oggi il consiglio inizierà dopo pranzo, quindi ne abbiamo approfittato per fare una passeggiata. -
Quella notizia non le piaceva per niente: se il consiglio non era in atto voleva dire che tutti erano liberi e vi era un'altissima possibilità di essere vista. E non voleva che succedesse. Doveva avvisare tutti, ma nello stesso tempo doveva mettere Morwen in condizione di non inventarsi scuse e magari coglierla sul fatto. Se parlava anche solo con uno dei suoi amici, ci poteva essere la possibilità che Morwen lo venisse a sapere e che potesse preparare una mossa controffensiva. Era da un po' che stava rimuginando sul come fare e l'unica idea che le era venuta in mente era quella di comparire durante il consiglio e smascherarla davanti a tutti.
Stava proprio pensando a questo quando una voce familiare la fece sussultare. Le venne da piangere. Non resistette dal voltarsi leggermente, con cautela, e lo vide. Elrohir era a pochi metri da lei e sorrideva felice. Ma quando voltò ancora di più la testa vide che non era solo: c'era Morwen con lui e lo teneva a braccetto. In quell'istante il panico si impadronì di lei. Oltre al fatto che stava rischiando tantissimo, vedere quella scena l'aveva sconvolta. Ricordava benissimo che Elrohir non andava per niente d'accordo con Morwen e non la poteva sopportare. Quindi perché ora le permetteva di tenerlo sottobraccio senza batter ciglio? E purtroppo l'unica risposta che le veniva in mente era decisamente pessima. Voleva dire che Morwen aveva giocato le sue carte e stava facendo sul serio. Questo non andava affatto bene. Si doveva allontanare immediatamente da lì, ma in quel momento arrivò un gruppetto di Nani. Avevano tutti e tre lunghe barbe e capelli bianchi, tranne uno che aveva ancora qualche sfilza rossiccia. Salutarono i presenti ed iniziarono a chiacchierare.
- Ma guarda un po'… il mercato oggi è proprio affollato. - esclamò Morwen con il tono piatto.
- Credo abbiamo avuto tutti la stessa idea. - replicò Eldarion.
- Beh, noi Nani ne stiamo approfittando per vedere se troviamo qualcosa di interessante, vero Dwalin? - fece l'altro nano dalla barba bianca.
Quello dall'aria più anziana affermò – Saremo pure vecchi, ma abbiamo ancora dei buoni occhi. E non solo quelli, giusto Bofur? -
I due si lanciarono uno sguardo d'intesa mentre Gimli, il terzo Nano rideva divertito prima di iniziare a parlare con Eldarion.
- Non credo che troverete molto in mezzo a quei gingilli di basso livello. - commentò Morwen altezzosa – Per non parlare della puzza che viene dal banco del macellaio… la sua carne deve essere scaduta. -
- Mia Signora… non vorrei contraddirvi, ma i miei gioielli sono tutti fatti a mano, la maggior parte da me, usando materiali pregiati. Vi pregherei quindi di non chiamarli “gingilli di basso livello”. Perfino Dama Eowyn e la Regina stessa si servono da me. - replicò l'uomo alterato – E le garantisco che la carne del mio amico è la più pregiata che ci sia nei dintorni. - l'occhiata che le lanciò non era delle migliori.
Pronta fu la replica dell'Elfa – Se quello che si trova in questo mercato è roba di ottima qualità, allora capisco il degrado di questa città puzzolente, che è peggiorata da quando sono arrivati certi Nani. -
Ad intervenire, fu proprio il principe Elfwine, questa volta. Si disse ferito dalle parole dell'Elfa. Il commerciante invece aveva iniziato ad urlare e ad imprecare contro la razza degli Elfi. I Nani avevano preso le difese degli Uomini e anche loro si stavano accanendo contro i due Elfi.
Monica era l'unica che aveva capito cosa stesse succedendo ed era completamente nel panico. Non poteva certo intervenire, ma stava perdendo la pazienza nel sentire l'Elfa continuare ad insultare i presenti e per di più Elrohir che le dava ragione. Poi accadde tutto in un attimo: Dwalin insultò pesantemente l'Elfa. Elrohir estrasse la sua spada puntandogliela contro, Elfwine ed Elboron lo imitarono in difesa del Nano. La ragazza mosse un passo per mettersi in mezzo, ma Eldarion la precedette.
- Ora basta! - esclamò perentorio – Siamo venuti qui per trovare una soluzione a quello che è successo, non per combatterci. - lanciò un'occhiataccia rivolta allo zio.
L'intervento sembrò riportare il buon senso tra i presenti. La ragazza tirò un sospiro di sollievo anche nel constatare che non tutti erano finiti con l'essere soggiogati dall'Elfa. Comunque ne approfittò per dileguarsi era rimasta fin troppo tempo lì.

Emmeline si accorse durante il pranzo che la ragazza fosse tesa, cupa e completamente immersa nei suoi pensieri. Le chiese se andasse tutto bene, ma l'altra le disse che non si doveva dar pena per lei. Per distrarla un po', la donna le chiese di farle un favore: portare il pranzo a suo marito. Quella accettò di buon grado.
Non che morisse dalla voglia di andare a trovare Leopold, ma aveva bisogno del suo aiuto. Innanzitutto doveva farsi ripetere i nomi delle due guardie della porta del Palazzo e quali turni avrebbero fatto in giornata. Poi voleva informarsi se vi fossero altre uscite o entrate. Doveva agire quel giorno, non poteva permettersi di perdere altro tempo. Ed aveva circa un'ora prima che il consiglio iniziasse. Si diresse all'entrata sud con passo veloce e in pochi minuti raggiunse la postazione. Leopold e Wynfred furono felici di vederla e il primo la ringraziò. Poi iniziarono a chiacchierare e Monica cominciò a chiedere informazioni riguardo il Palazzo. I due Rohirrim sembrarono sorpresi da tutte quelle domande specifiche, ma lei non aveva tempo di rigirarci intorno.
Fu così che quelli iniziarono ad insospettirsi. Ma non ebbero tempo di farle delle domande. Ad interromperli furono rumori di zoccoli in lontananza. Si voltarono verso la valle e videro una figura arrivare al galoppo in sella ad un destriero imponente. Solo quando fu a pochissimi metri da loro, frenò il cavallo nero che cavalcava. Le due guardie fissarono l'animale sbalorditi, ma subito portarono la loro attenzione sulla figura incappucciata che teneva in mano un lungo bastone bianco.
- Chi siete? Nessuno straniero può passare, per ordine del Re. - annunciò Wynfred.
- Non sono uno straniero. Sono solo un vecchio che ha molta fretta! - esclamò quello abbassandosi il cappuccio grigio sulle spalle mostrando i lunghi capelli bianchi e due sopracciglia cespugliose che sovrastavano due occhi blu.
- Mithrandir! - esclamarono i due stupefatti – Pensavamo non avresti partecipato al consiglio. - aggiunse Leopold.
- Credo che in molti lo pensassero… ma eccomi qui! Ora, se non vi dispiace, vorrei rimediare. Già ho perso troppo tempo! - disse con tono burbero lanciando un'occhiataccia ai tre.
Le due guardie si scambiarono un'occhiata e lasciarono libero il passaggio. Questo le ringraziò ed entrò nella città. Monica era rimasta imbambolata a fissare il punto in cui fino a pochi secondi prima vi era lo Stregone. Poi il suo cervello si rimise in moto e iniziò a ragionare. Si voltò velocemente e senza salutare i due si mise all'inseguimento del vecchio.
Forse era l'unico che le poteva dare una mano e che avrebbe potuto crederle. Per quanto potesse essere forte Morwen, non poteva certo soggiogare la mente di Gandalf. Non riuscì a stargli dietro, ma fortunatamente lo incontrò ai piedi della scalinata che portava su al Palazzo. Lanciò uno sguardo veloce intorno a lei per vedere se vi fosse qualche viso conosciuto, ma erano gli unici presenti. Allora lo chiamò. Quello si arrestò e si voltò indietro corrugando la fronte. Era visibilmente spazientito.
- Mi dispiace farvi perdere altro tempo, ma ho una cosa da dirvi. - lo informò lei.
Quello la fissò contrariato – Mia Signora… qualunque cosa avete da dirmi sono certo che può attendere. Vado molto di fretta, come avete potuto udire poco fa. - e quindi iniziò a salire le scale.
Lei lo seguì e gli si parò davanti – Non può attendere, Gandalf… ne vale la vita di tutti i presenti qui ad Edoras. - sussurrò fissandolo seria.
Lo Stregone sgranò gli occhi blu sconvolto. Ora riusciva a vedere bene in viso la ragazza che aveva di fronte a lui. Quella faccia sotto il cappuccio la conosceva fin troppo bene. - Erdie. - sussurrò.
Monica sospirò e sollevò gli occhi al cielo: si era completamente dimenticata della sua somiglianza con l'Elfa. Ma a quanto pare questa volta era un punto a suo favore. Era riuscita a catturare la sua completa attenzione. - Mi dispiace deludervi, ma non sono Erdie. Mi chiamo Monica. - cominciò – Ma in molti mi dicono che somiglio a questa Elfa. Comunque, la questione di cui devo riferirvi è seria. -
- Monica… ho sentito il vostro nome. - la interruppe lui – Siete la ragazza che viene da un altro Mondo, giusto? Elrond mi ha raccontato di voi e dei vostri amici e della visita ad Imladris. -
Ora era lei ad essere sorpresa – Davvero? Oh, bene. Allora posso passare subito al punto senza dovervi spiegare cose superflue. - fece sollevata.
- Ma Elrond mi aveva riferito che eravate tornati nel vostro Mondo… come mai siete qui? - chiese quello scrutandola circospetto.
- Sono tornata per avvisare tutti del pericolo che correte… ma non sono arrivata in tempo. - spiegò rabbuiandosi. In quel momento iniziarono a cadere i primi fiocchi di neve.
Lui restò ad osservarla per alcuni istanti – Sapete qualcosa? -
E così la ragazza iniziò a raccontargli tutto a grandi linee e, mano a mano che procedeva, l'espressione sul viso dello stregone si faceva sempre più cupa e preoccupata. Quando terminò il racconto era decisamente turbato.
- Se quello che dite è vero, la situazione è anche più grave di quello che pensassi. - proferì riprendendo a salire i gradini, lei lo imitò – Ma almeno ora sono preparato. - dichiarò sorridendole – Dobbiamo sbrigarci. Seguitemi. -
A quanto pare aveva avuto di nuovo un colpo di fortuna, seppur minimo, in confronto a quello che li aspettava. Ora sarebbe iniziata la parte più difficile. Mentre si avviavano verso il portone, Gandalf le spiegò il piano che gli era venuto in mente.

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Capitolo 23
*** L'attacco. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI


CAPITOLO 22: L'ATTACCO.


Era il terzo giorno di consiglio ed ancora non erano riusciti a venire a capo di nulla: chi c'era dietro l'attacco ad Imladris? Come era potuto succedere che gli Orchetti avessero scoperto il passaggio alla Valle e avessero agito indisturbati? Ma soprattutto, gli altri Popoli Liberi avrebbero fatto qualcosa a riguardo o avrebbero voltato le spalle agli Elfi per combattere quel nuovo Male? I Nani non sembravano molto propensi alla cosa, nonostante Gimli, che era diventato Signore delle Caverne Scintillanti, stesse cercando di far ragionare sia Thorin Elminpietra, Re sotto la Montagna, sia Durin VII, il Re di Moria. Anche gli Uomini sembravano restii, nonostante Re Aragorn appoggiasse a pieno una lotta unita contro il Male, ma il suo Popolo e quello di Rohan sembravano contrari. Gli Hobbit si dissero favorevoli ad aiutare come potevano.
E poi, ogni volta che facevano un passo avanti, succedeva sempre qualcosa che li faceva litigare e non riuscivano a trovare un compromesso. Iniziavano ad essere tutti molto stanchi, soprattutto Elrond. Sembrava invecchiato improvvisamente in quell'ultimo mese: l’aver visto bruciare la sua dimora mentre fuggiva, quel posto che era riuscito a far diventare un rifugio per qualsiasi viandante, e l’aver perso molti amici era stato un duro colpo. I suoi tre figli e Aragorn erano preoccupati: Arwen non lo lasciava solo nemmeno un momento da quando era arrivata lì a Rohan e aveva visto in che condizioni riversasse. E nemmeno le parole di conforto di Galadriel gli furono d'aiuto.
I cuori di tutti erano sconfortati. In molti pensavano che quel nuovo Male fosse impossibile da sconfiggere.
Il consiglio era iniziato da pochi minuti. Vi erano presenti i sovrani di Rohan e Gondor, il Principe dell'Ithilien e consorte con i rispettivi figli primogeniti per la razza degli Uomini; i signori di Imladris, Lothlorien ed Eryn Lasgalen per gli Elfi; e i più alti rappresentanti dei Nani. Mentre per gli Hobbit erano presenti Frodo Baggins, Samvise Gamgee, Meriadoc Brandibuck e Peregrino Tuc. L'argomento principale sembrava essere lo screzio avvenuto quella mattina al mercato. L'aria era pesante e sia i Nani, sia Re Eomer erano furibondi nei confronti degli Elfi e dei loro insulti. I toni erano accesi e al centro della sala vi erano Re Eomer, Re Thorin ed Elrohir che litigavano. Si alzò Re Aragorn che cercò di andare a placare gli animi. In quel momento la porta si aprì. Tutti si voltarono verso l'ingresso. La figura di Gandalf si stagliava sulla soglia ed osservava i presenti con aria furente. Era calato un silenzio sorpreso.
- Gandalf? - chiese Frodo stupito, seduto accanto ai suoi compagni Hobbit, dando voce ai pensieri di tutti i presenti.
- Ti credevamo lontano. - proruppe Elrond confuso.
Lo stregone si voltò a guardarlo e rimase stupito dal suo cambiamento fisico: il viso era magro e gli occhi grigi spenti. Si preoccupò non poco. - Sì, lo so. Invece ero più vicino di quanto possiate immaginare. - fece poi vagare gli occhi sulla sala illuminata solo dalla luce delle torce e candelabri. Soffermò lo sguardo sulle figure imponenti dei Signori di Lorien, in particolare su quelli azzurri della Dama Bianca. Si fissarono per alcuni istanti, poi raggiunse il centro della sala e posò una mano sulla spalla di Aragorn.
- Allora come mai questo ritardo? - chiese Thranduil, scrutandolo attentamente.
- Perché non mi è giunto alcun messaggio riguardo al consiglio. - rivelò voltandosi verso di lui. Ci fu un mormorio nella sala. - Ma il caso ha voluto che ne venissi a conoscenza per vie traverse. Quindi eccomi qui. -
- Beh, è bello averti con noi. - proferì sorridendogli il Re di Gondor, rincuorato dal suo arrivo.
- Non credo che la pensiate tutti così. - replicò lui – Altrimenti qualcuno non si sarebbe disturbato di fare in modo che il messaggio non mi fosse recapitato. -
Il mormorio aumentò fra i presenti. - E chi pensi sia stato? - domandò Celeborn corrugando la fronte, sorpreso.
- Non ne ho idea. - rispose lo Stregone sorridendo, poi si voltò verso coloro che erano lì accanto a lui al centro della sala – Ma prego, continuate pure il vostro futile litigio. - quindi si allontanò di alcuni passi. Lo aveva detto con tono stizzito.
I diretti interessati si guardarono frastornati. - Di… di cosa stavamo parlando? - domandò confuso Thorin guardando spaesato il figlio Durin.
Anche Re Eomer si guardava intorno come se si stesse chiedendo cosa stesse facendo lì. Aragorn li osservò interdetto. Eppure fino a poco fa stavano insultando gli Elfi. Si voltò verso lo Stregone come per chiedere spiegazioni.
- Se non sbaglio stavate insultando noi Elfi… e in special modo Romenwen e me. - rinfrescò loro la memoria Elrohir guardandoli glaciale, sembrava non essersi dimenticato dell'accaduto.
- Davvero? - chiese stupito Thorin – Non ne ricordo il motivo. - borbottò confuso.
- Spero che stiate scherzando! - esclamò l'Elfo adirato, scattando in avanti, ma Romenwen, spostatasi immediatamente al centro della stanza, gli posò una mano sul braccio per farlo calmare.
- Su caro, non ti preoccupare. Non saranno certo gli insulti di un branco di Nani che puzzano a ferirmi. - dichiarò – E neppure le parole futili degli Uomini, che sono così deboli… - disse accarezzando il braccio di Eomer. Il tono della sua voce era dolce e ammaliante. Poi si voltò verso Aragorn incrociando il suo sguardo – Povero Re di Gondor… stai cercando di far ragionare il tuo Popolo per poter aiutare la famiglia di colei che ti sta più a cuore… - continuò voltandosi verso la Regina Arwen che sedeva poco più in là. Inizialmente questa la guardò con occhi sottili e ostili, ma poco a poco il suo viso si rilassò – ma non puoi far nulla per loro. Perché lo sanno. - si voltò verso il portone puntando lo sguardo su una delle guardie - Quello che è successo ad Imladris è solo l'inizio. Il Male questa volta non risparmierà nessuno, a cominciare dalla razza degli Elfi, la più valorosa e intrepida tra tutte le razze. Una ad una cadranno. Nessuno può contrastarlo. Tutti in fondo al vostro cuore lo sapete: questa volta non vincerete. É inutile che vi affanniate a trovare una soluzione. - poi si voltò verso lo Stregone – Sei arrivato troppo tardi, vecchio mio. Voi… tutti… soccomberete. - scandì bene le ultime parole mentre un sorrisetto malefico le si formava sul viso, ma nessuno  reagì, erano tutti imbambolati ad ascoltarla inermi.
Poi accadde tutto all'improvviso: una delle guardie al portone si era avvicinata, aveva estratto la spada e si era scagliata contro Aragorn che, colto alla sprovvista, non riuscì a scansarsi. Solo che la lama della spada non raggiunse mai la carne del Re, ma cozzò contro un'altra spada. Una figura si era frapposta tra i due e mentre contrastava con la sua spada quella della guardia, gli sferrò una testata che lo fece crollare a terra dolorante. Era stata talmente veloce che nessuno aveva avuto il tempo di reagire.
- Sono stufa di sentire tutte queste cavolate! - gridò la figura che dava le spalle ai presenti massaggiandosi la fronte dolorante. Le uscì un’imprecazione. – Mi sembrava di essere stata chiara la prima volta che sono venuta qui. Non voglio più vedere quello sguardo rassegnato nei vostri occhi! - detto questo si voltò e si scoprì il capo, poi puntò la lama della sua spada alla gola dell'Elfa che sgranò gli occhi sorpresa.
- Tu! - sussurrò disprezzante.
- Sì, io! - replicò Monica, con una macchia rossa in fronte nel punto in cui aveva colpito l'uomo. Gli occhi assottigliati in due fessure erano ricolmi di rabbia - Silwen! - esclamarono alcuni sconvolti, riconoscendola. - Erdie? - sentì mormorare da altri ancora più sconvolti dei primi – Ed ora, se non vi dispiace… vorrei che raccontaste a tutti la verità. - dichiarò. Un lampo balenò negli occhi blu dell'Elfa che sembrò agitarsi. Monica sollevò un lato delle labbra, compiaciuta. Intanto stavano chiedendo tutti spiegazioni. Lei era sgattaiolata all'interno della sala poco prima, approfittando dell'attenzione di tutti puntata sullo Stregone. Poi se ne era rimasta nascosta dietro una colonna ad aspettare. Sapeva che sarebbe successo qualcosa a breve, lo percepiva: si comportavano tutti in modo strano. E non appena Morwen si era fatta avanti aveva iniziato a studiarla. Così si era accorta dello sguardo che lanciava a tutti, anche ad una delle guardie accanto al portone che vide poco dopo muoversi verso il centro della stanza, spada sguainata.
Li aveva soggiogati tutti. Anche i più potenti signori degli Elfi e Gandalf, che credeva immune.
- Quale verità? - domandò Faramir, lanciando uno sguardo ad Eowyn seduta al suo fianco.
- Chi c'è dietro a tutto quanto. - mormorò la ragazza cercando di trattenersi dal non staccarle la testa dal collo seduta stante.
- Silwen, voi lo sapete? - chiese sorpreso Glorfindel accanto ad Elrond.
- Non so di cosa stai parlando. - proferì quella continuando a fissarla negli occhi nocciola, ma sembrava alquanto interdetta e seccata.
- No? Volete che vi rinfreschi io la memoria? - chiese appoggiandole la punta della spada al collo – Chi ha organizzato l'assalto a Imladris e chi vi stava facendo mettere l'uno contro l'altro… è soltanto lei. - rivelò stringendo la mano sull'elsa dell'arma – Sei stata tu a comandare gli Orchetti e a dire loro dove passare per raggiungere la Valle di Imladris. - sussurrò mentre tremava per la rabbia – Mia cugina ti ha sentita un giorno parlare con qualcuno e dire che appena ce ne saremmo andati avresti fatto partire l'attacco. Che avresti ridotto a fuoco e cenere Imladris e avresti ucciso tutti. -
L'Elfa la guardava furente, chiuse gli occhi e restò in silenzio per alcuni istanti, poi sogghignò – Sì, lo ammetto, sono stata io. - dichiarò scatenando l'ira di tutti – Scommetto che ora stai gioendo perché sei riuscita a fermarmi in tempo e mi hai colta con le mani nel sacco, vero? Ma sappi che io sono molto più potente di quanto tu possa immaginare. - sibilò sicura di sé – Fino ad ora è andato tutto secondo i miei piani. Solo una cosa ho sbagliato… - iniziò continuando a fissarla – di non essermi sbarazzata subito di te e dei tuoi amici. - confessò mentre un'espressione furente le si dipingeva sul volto bianco – E non commetterò l'errore due volte! - urlò.
In quell'istante Elrohir sferzò un fendente contro Monica che riuscì a parare il colpo, anche se presa alla sprovvista. Lei lo guardava sconvolta mentre Elladan lo chiamava. Poi l'Elfo le sferrò un calcio sullo stomaco facendola cadere all'indietro. Nello stesso momento, Gandalf si stava fronteggiando con Morwen che sorrideva beffarda. Elrohir si scaraventò di nuovo su Monica, ma questa volta, a contrastarlo fu il fratello. - Vedi di ritornare in te! - esclamò arrabbiato.
Monica osservava i due sconvolta, poi vide una mano comparirle davanti la faccia, alzò lo sguardo e vide il viso sorridente di Glorfindel. Afferrò la mano e lui l'aiutò ad alzarsi.
- Sono felice di rivedervi, anche se avrei preferito in un'occasione migliore. - proferì.
- Lasciamo i convenevoli a dopo. - replicò lei abbozzando un sorriso.
In quel momento vide Eomer, Aragorn, Thorin, Durin, Faramir e Gandalf scagliarsi contro l'Elfa, ma in un istante erano tutti e sei a terra a diversi metri di distanza. Eldarion si precipitò ad aiutare il padre, imitato da Elboron ed Elfwine con i propri.
- Allora non mi ascoltate… ho detto che sono molto più forte di quanto possiate immaginare! - ripeté l'Elfa voltandosi verso Monica. Mosse il braccio verso di loro.
La ragazza vide Glorfindel, Elladan ed Elrohir volare all'indietro di alcuni metri, ma lei restò piazzata sui suoi piedi. Si voltò a guardarli preoccupata, ma i tre si rialzarono immediatamente. Poi ritornò a concentrarsi su Morwen che la guardava a dir poco infuriata.
Monica era confusa: a quanto sembrava, qualunque potere avesse l'Elfa, non funzionava su di lei. Ora capiva perché tutti erano stati ammaliati dalle sue parole e non lei. In pochi secondi le fu chiaro cosa dovesse fare e la sua espressione si fece determinata.
L'Elfa parve capire le sue intenzioni e spostò velocemente lo sguardo dietro la ragazza mentre questa le si scagliava contro. - Elrohir, no! - sentì gridare Elladan alle sue spalle. Il gemello le fu addosso in pochi passi e la spintonò a terra, poi sollevò la spada e sferrò il colpo, ma Re Aragorn lo bloccò con Anduril. Lei lo guardò sorpresa.
- Con questo ho ripagato il favore. - proferì – Noi terremo a bada Elrohir, voi pensate a Morwen. A quanto pare siete l'unica in grado di farlo. -
La ragazza spostò lo sguardo sull'Elfa che vide raggiungere il portone ed uscire. Gli sussurrò un grazie e si lanciò alla sua rincorsa.
Intanto Eldarion ed Elfwine avevano bloccato Elrohir che continuava a dimenarsi.
- Dobbiamo fermarla a tutti i costi! - esclamò Eomer rivolgendosi ad Aragorn.
- É potente, lo hai visto anche tu. - replicò quello, massaggiandosi la schiena dolorante.
- Non è qualcuno da sottovalutare. - si intromise Galadriel – Riesco a percepire un enorme potere. Quello che non capisco è perché non me ne sono accorta fino ad ora. -
- Perché è capace di ingannare la mente degli altri. Persino la nostra. - rispose Gandalf – Ci ha soggiogati fin dal principio. Siamo caduti tutti nel suo sortilegio. -
- Ma a quanto pare su quella ragazza non ha effetto. - proruppe Durin.
- Avevi ragione a dire che le somigliava come una goccia d'acqua. - aggiunse la Dama Bianca guardando Elrond.
- Chi è? - chiese Pipino, intromettendosi. Era rimasto particolarmente scioccato alla comparsa della ragazza. E non era l'unico. Anche i suoi amici Hobbit e molti altri.
- É una lunga storia. -  gli rispose Elrond. Poi spostò lo sguardo su Re Thranduil che lo stava fissando già da un po' - So che vorresti delle spiegazioni subito, ma ora dobbiamo pensare a Morwen e a come contrastarla. - gli rispose Elrond dispiaciuto. Sembrava aver riacquistato un po' di vigore.
Il Sire biondo affermò con il capo – Ma dopo mi devi dire tutto, visto che a quanto pare sono stato tenuto all'oscuro della cosa. - replicò abbastanza adirato.
- Non siete l'unico. - commentò Re Aragorn – Ma ora non c'è tempo. - poi si voltò verso Elrond – Possiamo fidarci di lei? -
- So cosa stai pensando, Estel, ma non so se sia il caso… - sembrava titubante.
- Amico mio, hai visto anche tu di quello che è stata capace di fare in quel duello contro di me… - Glorfindel sorrideva rassicurante – Mi ha tenuto testa dopo solo una settimana di allenamento. - Diversi paia di occhi lo guardarono stralunati. Elrond sospirò.
- Sì, possiamo. Ma secondo me le chiediamo troppo. - dichiarò Elladan.
- Potrà contare su tutto il mio sostegno. - replicò Glorfindel, determinato.
- E avrà anche il mio aiuto. - aggiunse Gandalf – Tra l'altro, mi ha raccontato che è arrivata fin qui tutta da sola, non deve essere stato facile. - questo sorprese tutti i presenti.
- In questo momento è l'unica nostra speranza. - incalzò Re Eomer.
Elrond acconsentì. Quindi Re Aragorn dichiarò che lui si sarebbe occupato della difesa dei cittadini – Non sono più agile come un tempo. - ridacchiò divertito. Arwen gli diede tutto il suo appoggio.
- Noi cosa possiamo fare? - domandò Frodo.
- Ho bisogno del tuo aiuto, Frodo. - dichiarò il Re di Gondor. Quello affermò e Sam si aggiunse: non si sarebbe separato dal suo Padron Frodo – Bene, avrò bisogno anche di te, Sam, per curare i feriti. - Merry e Pipino, invece si dissero pronti a combattere – Ragazzi… voi impedite ad Elrohir di fare qualsiasi cosa. Legatelo se necessario. – proferì rivolto ai tre giovani.
In quell'istante la terra tremò e tutti si guardarono spaventati.
- Non restiamo qui a chiacchierare, Silwen ha bisogno di noi! - gridò Elladan che si precipitò verso l'uscita seguito a ruota da Glorfindel e Gandalf.
Eomer invece ordinò alla Regina e a sua sorella di andare in un posto più sicuro, lanciando un'occhiata eloquente ad Eowyn che intuì cosa volesse dirle e sbuffò, prima di allontanarsi con la cognata.
Faramir sorrise seguendola con lo sguardo allontanarsi, poi si diresse anche lui fuori con Eomer.

Monica era riuscita a raggiungere l'Elfa poco prima, tagliandole la strada in fondo alla scalinata che portava al Palazzo. Quella però non sembrava per nulla turbata, ma la guardava con aria di superiorità.
- Non puoi fermarmi, è troppo tardi. - proferì quella ghignando.
- Ho fatto una promessa giorni fa… farò di tutto per mantenerla. - replicò la ragazza determinata.
L'Elfa si fece seria – Stai giocando con il fuoco. - dichiarò – Pensi davvero che non mi sia preparata ad un risvolto simile? Certo, pensavo di potermela cavare da sola, ma a quanto pare, devo ricorrere ad un piccolo aiuto. - detto questo allargò le braccia e in quell'istante la terra tremò.
Monica la restò a guardare sconvolta mentre cercava di tenersi in piedi, il terremoto era fortissimo. Qualche casa iniziò a sgretolarsi. Poi, pochi metri più in là si aprì una voragine e quando la terra smise di tremare, dal buco spuntò un enorme braccio marrone con artigli lunghissimi. Pochi istanti dopo fece capolino la testa della creatura che aveva una bocca piena di denti affilati. Un odore nauseabondo si diffuse tutt'intorno.
La ragazza sgranò gli occhi terrorizzata ed indietreggiò di alcuni passi. Morwen rise spietata.
La creatura uscì completamente dal buco e cacciò un urlo che riecheggiò per tutta la città. In lontananza se ne sentirono tantissimi altri: non era l'unica.
- Silwen! - gridò Glorfindel che osservava la scena preoccupato dal pianerottolo del Palazzo.
Il Troll-Talpa annusò l'aria e si voltò verso Monica, mostrando due occhi completamente bianchi. In pochi istanti le fu addosso, ma una freccia gli si conficcò nel fianco prima che la potesse colpire con gli artigli.
- Silwen, lasciatelo a noi, voi concentratevi su Morwen! - gli urlò l'Elfo biondo, ma lei non si mosse. Continuava a restare immobile a guardare la creatura a pochi centimetri da lei. Era completamente pietrificata.
- Ma guardati, ora non riesci nemmeno a muoverti dalla paura… e pensare che fino a due minuti fa eri così determinata. - la derise quella.
Il Troll-Talpa, intanto, si era strappato via la freccia dal fianco, urlò arrabbiato e ripiombò con gli artigli su di lei. Ma qualcuno si frappose fra i due e ferì al braccio la creatura. Elladan si voltò verso di lei: aveva lo sguardo assente. La chiamò spaventato, un paio di volte. Poi le posò una mano sulla spalla e la scosse. Solo in quel momento tornò in sé – Vi sentite bene? - chiese preoccupato.
Lei alzò lo sguardo su di lui, confusa – Ho… ho appena… - mormorò. Ma non fece in tempo a finire la frase che il Troll-Talpa tornò all'attacco, ma questa volta fu Gandalf a proteggerli, raggiungendoli e formando uno scudo intorno a loro.
- Grazie! - esclamarono i due all'unisono.
Anche Glorfindel era sceso a dare una mano – Tutto bene? Non è una gran bellezza, vero? - commentò abbozzando un sorriso verso la ragazza, cercando di sdrammatizzare.
Questa scosse la testa – É tutto ok. - confermò, quindi spostò lo sguardo determinato sull'Elfa che sembrava interdetta – Ce ne devono essere altri per Edoras. - riferì guardandoli preoccupata.
- Ci pensiamo noi. Sire Eomer sta radunando i Rohirrim e credo che fra poco avremo anche rinforzi di Nani e dei nostri. E ho visto Sire Thranduil recarsi a sud della città. - la tranquillizzò Elladan.
- Silwen… o come vi chiamate… - proruppe Gandalf – Vi aiuterò io con Morwen. - dichiarò poggiandole una mano sulla spalla – Ma non so quanto potrò fare visto il suo potere. - spiegò. In quel momento il Troll-Talpa tornò alla carica, ma Glorfindel andò ad affrontarlo, ferendolo ad una gamba.
- Mi farò bastare quello che riuscirete a fare. - dichiarò lei.
I tre si stupirono di quelle parole. Poi Elladan andò in aiuto dell'Elfo biondo e in pochi secondi il Troll-Talpa crollò esanime. Gandalf e Monica si pararono davanti a Morwen che li guardava con astio. - Tutto qui quello che sai fare? - domandò quello con tono di sfida.
- Non osare, Istaro… - sibilò quella. Sollevò le braccia provocando un altro terremoto. Questa volta si formarono numerose voragini intorno a loro e anche sotto di loro. Per fortuna, Monica, riuscì a scansare in tempo l'altro. Come prima, dai buchi profondi comparvero i Troll-Talpa. Elladan e Glorfindel si lanciarono un'occhiata preoccupata, non ce l'avrebbero mai fatta da soli.
- Dobbiamo impedirle di usare i poteri. - mormorò la ragazza facendo vagare lo sguardo a terra per trovare la strada più corta per arrivare a portata dell'Elfa tra le voragini e le creature. La cosa non era semplice.
- Sta cercando di tenervi il più lontano possibile. - rifletté lo Stregone.
Erano occupati a ragionare su un modo per avvicinarsi che non notarono una delle creature attaccarli da dietro. Elladan e Glorfindel erano alle prese con tre di quelle e nemmeno loro l'avevano notata.
Solo quando fu loro sopra se ne accorsero. Ma era troppo tardi. I due riuscirono ad evitare gli artigli, ma non l'impatto con l'arto e vennero scaraventati metri più indietro. Monica si ritrovò con la schiena tra la neve che fortunatamente aveva attutito il colpo. Provò a rialzarsi, ma una fitta alla spalla sinistra la fece gridare dal dolore. Si portò istintivamente una mano nel punto e quando la ritrasse era sporca di sangue. Aveva un lungo taglio. Probabilmente era stato un artiglio della creatura. Strinse i denti e rimettendosi in piedi aiutò anche Gandalf che si accorse della ferita. - Sto bene. - lo rassicurò.
Il Troll-Talpa fu di nuovo su di loro e non era solo: un altro li attaccò da dietro.
L'Istaro sfoderò la spada e andò in contro a quello davanti a loro, Monica strinse di più le dita sulla sua e si lanciò contro quello che arrivava da dietro urlando. Schivò il primo arto, ma non riuscì ad evitare il secondo. Si ritrovò di nuovo a terra metri più in là, la faccia nella neve. Si sollevò scrollando la testa, poi si voltò con aria furibonda verso la creatura che stava per colpirla con gli artigli. Ruzzolò alla sua destra e si alzò di nuovo in piedi. La sua spada era rimasta però dove era caduta quest'ultima volta. Imprecò: era l'unica arma che possedeva ed ora c'era la creatura in mezzo.
In quel momento si sentirono delle urla: erano arrivati i rinforzi. Alcuni Rohirrim avevano finalmente raggiunto il posto ed iniziarono a scagliare frecce contro i Troll-Talpa. Monica approfittò del fatto che alcune colpirono quello con cui si stava scontrando per andare a recuperare la sua spada, rischiando di venire colpita a sua volta, e si girò ad affrontarlo. Quello sembrava essersi infuriato per le ferite e dopo aver annusato l'aria, si voltò verso di lei e le fu di nuovo addosso. Questa volta, però, Monica riuscì a mandare a segno il colpo affondando l'arma nel braccio del Troll-Talpa che urlò dolorante. Provò a colpirla con l'altro arto, ma lei parò il colpo con la spada. Digrignò i denti e puntò i piedi a terra cercando di contrastarlo, ma la creatura aveva una forza sovrumana. Così si spostò velocemente lateralmente e con un bel fendente gli amputò l'arto. Un lamento disumano di dolore squarciò l'aria. Lei approfittò del momento di distrazione e lo colpì ad entrambe le gambe. Quello crollò sulle ginocchia e lei gli piantò fulminea la spada nel torace. La creatura si accasciò su un fianco. Restò a fissarla ansimante ed anche esterrefatta. Era riuscita ad abbatterne uno quasi tutta da sola. Appurato che la creatura giaceva a terra morta e dopo essersi ripresa dal leggero shock, si diresse finalmente verso Morwen che si stava allontanando dal luogo della battaglia. Fu Gandalf, liberatosi in quel momento dalla creatura con cui stava combattendo, che lanciando un incantesimo la bloccò, prima che imboccasse una via laterale. La ragazza le fu accanto in pochi secondi e mosse il braccio per colpirla, ma in quell'istante la terrà tremò di nuovo. Monica si voltò per vedere dove sarebbero comparsi gli altri Troll-Talpa, stessa cosa fecero tutti i presenti, ma questa volta non si aprì alcuna voragine. La ragazza si voltò di nuovo verso l'Elfa e notò che qualcosa non quadrava - Che diavolo… - mormorò – Gandalf! - urlò allarmata indietreggiando di qualche passo.
Ma anche lo Stregone osservava la scena sconvolto, gli occhi blu sgranati per la sorpresa. Morwen stava crescendo e cambiando forma contemporaneamente. La pelle, prima color perla, ora era diventata verdognola. Sia le dita delle mani che dei piedi terminarono con degli artigli. Questi ultimi erano diventati simili a zampe di drago e le spuntò una lunga coda di un verde più scuro, tendente al nero. Le erano rimasti solo una lunga chioma corvina e i due occhi blu, freddi, che risaltavano. Sembrava un'arpia. La ragazza restò ad osservare sconvolta quella nuova creatura che raggiungeva i cinque metri d'altezza. Un ghigno si dipinse sul volto di Morwen – É finita. - sibilò e sferzò un colpo di coda che colpì l'altra e la fece volare per diversi metri, rimbalzando a terra alcune volte.
- Silweeeeeeeeen! - urlarono Elladan e Glorfindel all'unisono. Fecero per andare a soccorrerla, ma non riuscirono a muovere nemmeno un passo: erano completamente paralizzati. Stessa cosa valeva per tutti i presenti.
- E adesso vediamo di divertirci un po'. - esclamò la creatura leccandosi le labbra compiaciuta.

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Capitolo 24
*** Sconfitta. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI


CAPITOLO 23: SCONFITTA.

Morwen si avvicinò alla ragazza esanime a terra, si chinò su di lei, l'afferrò con una mano e la sollevò.
- Lasciala andare! - urlò Glorfindel furente. Era inutile, stava cercando in tutti i modi di muoversi, ma non riusciva a spostare nemmeno un centimetro del suo corpo.
- Tranquillo… non la ucciderò subito… - cominciò quella – voglio che veda con i suoi occhi la vostra fine. - rivelò ridendo malefica. Quindi le diede un colpo sul viso. Un rivolo di sangue le uscì dalla guancia arrossata. Monica dischiuse gli occhi riprendendo conoscenza. Le faceva un male cane ovunque. Le ci vollero alcuni istanti per mettere a fuoco. Si ritrovò a penzoloni a diversi metri d'altezza e una volta sollevato lo sguardo iniziò a dimenarsi. La situazione non era delle migliori.
- É tutto inutile. - sibilò quella soddisfatta – Sei venuta fin qui inutilmente. Speravi di poterli salvare? - scoppiò a ridere – Sciocca. Non puoi. Sei solo una nullità. Non so perché i miei poteri non funzionino su di te… forse perché vieni da un altro Mondo… ma ormai non è più un problema perché sei mia e tra poco morirai. - riferì a pochi centimetri dal suo viso. L'altra le si era aggrappata alla mano che la sorreggeva, cercando di contrastarne la forza, inutilmente. - Ma prima di ucciderti, ti renderò spettatrice della disfatta di tutti coloro che hai tentato di salvare. Voglio vedere la tua faccia mentre ti disperi vedendoli morire uno ad uno. - dichiarò compiaciuta. Monica sgranò gli occhi nocciola preoccupata. - Vediamo… da chi inizio? - si chiese osservando i presenti leccandosi le labbra. Posò gli occhi su qualcuno e ghignò. Si percepiva benissimo la sua felicità. - Oh, sì… comincerò da te, mio caro Elladan. - annunciò avvicinandosi a lui. - Ma non avverrà per mano mia. - si voltò verso il Palazzo di Meduseld - Sarà stupendo vederti morire per mano di tuo fratello, non credi? -
- No. - sussurrò Monica. Si sentirono delle urla provenire dall'interno del Palazzo e poco dopo una figura si stagliò sul pianerottolo. Morwen si cimentò in una risata isterica e malsana, già pregustandosi la scena, ed Elrohir iniziò a scendere lentamente le scale.
- Non lo farebbe mai! - urlò Elladan, ma aveva un'espressione preoccupata sul volto.
- Oh sì, invece, perché sono io ad ordinarglielo. - riferì la creatura – É completamente sotto il mio controllo. -
Elladan osservava suo fratello avvicinarsi. Sembrava privo di qualsiasi sentimento, come fosse un burattino vuoto. Il viso era inespressivo, gli occhi grigi spenti. Iniziò a chiamarlo e ad incitarlo a riprendersi, ma invano. Ormai era a pochi metri da lui. Monica osservava la scena impotente e disperata. Continuava a spostare lo sguardo da Elrohir ad Elladan che dall’espressione facciale si capiva che stava cercando di dimenarsi: gli si erano gonfiate le vene del collo e della fronte e il colore del viso era rosso. Tutti gli altri avevano iniziato a chiamare il gemello, sperando di farlo ritornare in sé. Anche Gandalf stava cercando una soluzione, veramente preoccupato. Monica iniziò a dimenarsi di nuovo, mentre l'altra rideva compiaciuta. Poi si bloccò un momento spalancando gli occhi nocciola, dopodiché si voltò a guardare la creatura – Ti prego, smettila. - supplicò con la voce rotta dal pianto.
- Oh, adesso mi supplichi? - Morwen lo trovò decisamente divertente – Sì, piangi, è proprio quella l'espressione che voglio vedere sul tuo volto… disperazione, panico, paura, sconforto… -
Elrohir era a pochi passi da Elladan. Sollevò il braccio, spada alla mano. Si fermò a guardarlo negli occhi. Poi un ruggito squarciò l'aria mentre abbassava il braccio. Elladan percepì di essere tornato in possesso della facoltà di muoversi e si scansò. La spada gli colpì il braccio che iniziò a sanguinare. Il fratello tornò alla carica, ma questa volta qualcuno gli si parò davanti. Due occhi grigio-celesti lo fissarono furenti per alcuni secondi, poi la figura lo contrastò con la sua spada.

Monica intanto era riuscita a liberarsi dalla presa di Morwen, che era stata ferita alla zampa dalla nuova arrivata ed ora si dimenava per il dolore, ma si trovava a penzoloni attaccata al suo braccio a circa cinque metri d'altezza. Stava cercando un modo per scendere da lì, prima che la creatura si riprendesse: non la ispirava molto il dover saltare. Aveva intravisto l'altra che si stava avvicinando a loro di soppiatto, poco prima. Avendo capito le sue intenzioni, aveva cercato di distrarre Morwen e le si era aggrappata saldamente all'arto, così, quando quella aveva lasciato la presa, ne aveva approfittato per spostarsi di lato, risalendo il braccio verso il gomito.
- Lastie! Dannata! - urlò la creatura che ansimante ora la fissava furente, gli occhi blu gelidi iniettati di sangue – Te la farò pagare! - tese le mani e fece per lanciare un suo incantesimo, ma Monica, raggiunta la spalla, era prontamente saltata in avanti e le si era aggrappata ai lunghi capelli neri, sbilanciandola e facendole sollevare la testa. Quella gridò di nuovo. Glorfindel ne approfittò per scagliarle una freccia mirando al collo, ma le colpì la spalla a causa di un suo brusco movimento. Fece una smorfia, stizzito. Stava per scoccarne un'altra, ma con la coda dell'occhio vide qualcosa andare verso di lui. Schivò appena in tempo l'enorme coda, imitato dagli altri. Era talmente pesante e tozza che lasciava un solco di mezzo metro a terra.
Intanto Elrohir stava affrontando la giovane Donna, spada contro spada.
- Lastie, lo lascio a te! - gridò Elladan che osservò la creatura che si contorceva, cercando di togliersi Monica ancora aggrappata alle ciocche dei suoi capelli. Approfittò del momento in cui la coda sbatté di nuovo a terra e vi montò sopra iniziando a percorrerla velocemente, ma a metà Morwen si voltò verso di lui e provò a prenderlo con la mano sinistra, ma Monica era saltata un po' più in basso aggrappandosi ad un'altra ciocca, riprovocandole un forte dolore e impedendole così di afferrarlo. Elladan arrivò alla giuntura della coda, sollevò il capo verso la ragazza e le fece cenno di buttarsi. Lei non se lo fece ripetere due volte e si lasciò andare. La afferrò al volo e pochi secondi dopo erano di nuovo a terra, appena in tempo per evitare la scarica di frecce che partirono dai Rohirrim.
Monica ringraziò l'Elfo – Giusto in tempo, stavo per mollare la presa. - rivelò.
- Così siamo pari. - esclamò lui facendole l'occhiolino. Lei sorrise e si guardò intorno alla ricerca della sua spada. La vide più indietro e fece per andare a recuperarla. Ma la coda crollò proprio davanti a lei, sbarrandole la strada. Si voltò a guardare Morwen, era leggermente girata verso di lei, una miriade di frecce infilzate addosso. Era abbastanza ridicola come scena ed anche un po' raccapricciante. Dava la sensazione di qualcuno sottoposto ad agopuntura.
- Non ho finito con te! - sibilò facendo saettare la coda. Elladan la aiutò a schivarla in tempo. Stava per tornare all'attacco quando una voce possente riecheggiò tutt'intorno. Gandalf era ritto di fianco alla creatura, puntandole contro il bastone bianco mentre pronunciava parole in elfico antico. Sembrava maestoso in quel momento. Quella rimase immobile con la coda a mezz'aria e china su Elladan e Monica che stava attaccando. Le uscì un grugnito dalla bocca e maledisse lo Stregone.
- Ora! Non riuscirò a resistere per molto! - gridò l'Istaro stringendo i denti. Stava facendo uno sforzo enorme: aveva approfittato di quel lungo momento di distrazione di Morwen per lanciare un incantesimo potentissimo.
Tutti i presenti si lanciarono all'attacco contro di lei. I Rohirrim si concentrarono sulle zampe che iniziarono a ferire con le spade. La creatura finì in ginocchio lanciando urla di dolore terrificanti tra un'imprecazione e una maledizione.
Glorfindel si lanciò in corsa contro di lei, le salì sulla gamba, poi le saltò sul braccio sinistro allungato in avanti, risalì fino alla spalla, si diede una spinta e con la lama stretta nella mano, puntò al collo. Poi tutto accadde in alcuni secondi. Lastie cadde con un lamento riversa a terra, mentre Elladan gridava il suo nome sconvolto ed Elrohir la guardava compiaciuto, poi estrasse un pugnale e lo lanciò verso Gandalf che per difendersi dovette interrompere l'incantesimo. Morwen, di nuovo libera, diede una manata a Glorfindel che venne scaraventato a terra nella neve. Una risata malefica si levò nell'aria - Stolti! -
- Lastie! - la chiamò Gandalf correndo in suo aiuto imitato da Elladan, ma una folata d'aria fortissima si levò dalla creatura spazzandoli via tutti per metri.
- Cosa si prova ad essere uccisi da un proprio compagno, Donna? - chiese Morwen divertita. Ma subito le si formò sul volto una smorfia di disappunto quando vide la giovane muoversi e poi fare leva sulle braccia per alzarsi, la neve sotto di lei color del sangue – Finiscila mio caro. Non vorrai lasciare il lavoro a metà. - ordinò.
- Io non mi arrendo. - sussurrò lei. Elrohir la sovrastò impassibile. La guardò per alcuni secondi cercare di alzarsi, poi le sferrò un calcio mandandola supina. Lastie emise un lamento. Ansimava, aveva una lacerazione dalla spalla al ventre, i denti stretti per il dolore. Ma vi era ancora determinazione nel suo sguardo. - Non ti lascerò vincere, Morwen, fosse l'ultima cosa che farò in vita mia! - esclamò. Si allungò per raggiungere la spada, ma l'altro gliela scansò con un calcio. Lei gli lanciò un'occhiataccia. Poi lui sferrò un colpo, lei lo evitò e con slancio si rialzò e gli mollò un pugno in pieno volto, atterrandolo.
Tutti la guardarono allibiti mentre ansimante continuava a fissare Elrohir infuriata. Quello scosse il capo rintontito – Avanti, rialzati! Sono pronta a prenderti a pugni in faccia fino a che non ti faccio tornare in te, dovessi rovinarti quel tuo bel visino! - gridò con le lacrime agli occhi.
- Sei patetica! - gridò Morwen – Non otterrai niente facendo così. Lui è mio! - scandì le ultime parole.
- Lui non è tuo! - le gridò l'altra di rimando – Non lo è mai stato e non lo sarà mai! - dichiarò con tono perentorio – Elrohir non è il mostro in cui lo hai trasformato! Avrà anche un brutto carattere, ma è gentile e leale. É un bravissimo guerriero… ed è la persona che stimo di più a questo mondo. - dichiarò con voce rotta.
– Uccidila! - ringhiò Morwen.

Monica era rimasta a fissare Lastie sconvolta. Quando vide la Dunedain a terra le si era mozzato il fiato in gola. Tutto aveva iniziato ad andare al rallentatore. Poi nella mente le erano comparse scene di loro due insieme. O meglio lei era nel corpo di qualcuno, come nei sogni che faceva, perché quelle cose che vedeva non erano mai accadute in quel periodo che avevano passato insieme ad Imladris. Le era successo la stessa cosa quando prima si era ritrovata di fronte il Troll-Talpa. Non si era bloccata per la paura come avevano immaginato tutti, ma aveva rivissuto delle scene nella sua mente. Più precisamente quando Erdie era morta difendendo gli altri da una di quelle creature. Era come se la sua mente avesse reagito a quella visione, come appena accaduto con Lastie. Ripresasi, le rimbombarono le parole che si era detta con Alyon “Promettetemi che ce la farete. La vita della gente a cui tenete è in pericolo.”, “Vi prometto che farò il possibile per salvarli!”. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro mentre iniziava ad invaderla la rabbia. Quando riaprì gli occhi il suo sguardo si era fatto determinato e sicuro. Fece vagare gli occhi intorno a lei e si soffermò su delle rovine di una casa vicino a Morwen. Le balenò in mente un'idea e si precipitò verso di quelle, silenziosamente dopo aver recuperato la sua spada. Non fece il minimo rumore. Si arrampicò agilmente fino alla cima che arrivava all'altezza del gomito della creatura che ancora giaceva a terra a carponi. Prese la rincorsa e si lanciò verso l'arto. Si aggrappò ad una freccia conficcata nella pelle squamosa e iniziò a salire fino alla spalla. Morwen si voltò verso di lei infastidita – Ancora tu? Sei seccante! - esclamò andando a scacciarla via con la mano destra.
Tutti seguirono l'azione spiazzati e sorpresi nel vedere cosa stesse facendo - Sei impazzita, Silwen?! - gridò Elladan sconvolto.
– Ti ho detto che non puoi nul… - ma si bloccò all'improvviso. La ragazza aveva evitato agilmente la sua mano salendoci sopra ed ora si era portata di corsa fino all'avambraccio. Morwen usò l'altra mano che la colpì di striscio, sbilanciandola e facendola cadere. - Silwen! - gridò preoccupato Glorfindel che si era da poco ripreso. Ma la ragazza si era aggrappata ad una freccia dell'avambraccio evitando di sfracellarsi al suolo. Erano comunque circa tre metri d'altezza. Morwen iniziò a scrollarlo per farla cadere, ma lei approfittò della spinta per ritornarci in piedi e una volta all'altezza del viso dell'altra, si diede una forte spinta e si lanciò nel vuoto, il braccio destro teso davanti a sé, lama stretta in mano. Ed affondò. Vide il viso della creatura deformarsi per lo stupore, poi un urlo si levò in aria più forte di tutti i precedenti. Il sangue cominciò a sgorgare e ad imbrattare il terreno bianco. Monica, che ora ne era ricoperta, era aggrappata con tutte le sue forze ad una freccia sulla guancia della creatura che si dimenava per il dolore – Maledetta! - strillò cercando di togliere la spada conficcata nell'occhio e di scrollarsi lei di dosso. Questa volta però Monica non riuscì ad evitare il colpo e precipitò sul tetto di una casa lì sotto. La paglia non resse il suo peso e sprofondò all'interno.
- No, Silwen! - urlò Lastie sconvolta. Gli altri non riuscirono ad aprir bocca troppo scioccati da quello che era appena successo. Glorfindel si rimise con fatica in piedi e si precipitò verso la casa. Elladan e Gandalf lo imitarono.
Morwen rise felice – Volevo mostrarle la vostra fine, ma a quanto pare è stata lei la prima a morire. Che peccato. - disse ironica – Ora tocca a voi. - riferì con un barlume omicida nell'occhio sano – Elrohir, finisci quello che hai iniziato. -
- Non ti basta questo? - gridò Lastie piangendo rivolta all'Elfo che era girato ad osservare la casa in cui l'altra era caduta – Silwen era tornata qui per salvarci! Quanti altri di noi devono morire prima che ritorni in te? - era disperata – Tu sei forte Elrohir, puoi contrastarla! Ti prego, torna da me! - singhiozzò guardandolo con gli occhi grigio-celesti imploranti – Stupido! -
- Finiscila! - ringhiò Morwen rivolta all'Elfo. Questo si girò, fissò Lastie alcuni secondi, un ghigno freddo gli si formò sul bel viso e le fu addosso. Elladan, che si era fermato ad ascoltare l'amica, fece per andare a fermarlo, ma venne colpito dalla coda ed atterrato. Lastie provò a contrastarlo, ma non aveva più molta forza e in pochi attimi venne disarmata. Elrohir rise ed affondò la spada. Lei sgranò gli occhi e cadde in avanti, con la testa sulla sua spalla. Rimase così per alcuni secondi, poi quello la scansò e il corpo cadde a terra.
- Elrohiiiiiiir! - urlò il fratello disperato.

Eomer correva tra i vicoli di Edoras seguito a ruota da Faramir. Erano riusciti a sistemare tutti i Troll-Talpa in giro per la città ed ora stava andando a dare una mano agli altri. Sentiva ancora il clangore della battaglia provenire dalla direzione del Palazzo d'Oro: lo scontro con quell'Elfa non era finito. Aveva mandato alcuni dei suoi uomini ad aiutarli, ma a quanto pareva non erano serviti a molto. Invece, in aiuto suo e di Faramir, era giunta una squadra di Raminghi. Aveva intuito che Lastie doveva essere arrivata in città. Il suo tempismo era perfetto. Svoltò l'angolo e si ritrovò davanti Elrond e Sire Thranduil. Per un attimo non aveva riconosciuto il primo. Spada alla mano, sembrava aver riacquistato più vigore in quell'ultima ora.
- Com'è la situazione a sud e ad est? - chiese seguendoli.
- Tutto sotto controllo. La mia gente si è sbarazzata di tutte le creature. - rispose quello – Una piccola vendetta per quello che ci hanno fatto. I Nani si sono occupati della zona ad ovest. -
L'altro Elfo rimase in silenzio. Teneva lo sguardo fisso davanti a lui, immerso nei suoi pensieri.
Svoltarono di nuovo e videro lo slargo in fondo alla via. Erano arrivati. Uscirono allo scoperto, percorsero alcuni passi, ma poi si fermarono di botto, ammutoliti. Videro quell’enorme creatura e ci misero un po’ a riconoscerla. Poi spostarono lo sguardo e notarono Lastie crollare a terra ed Elladan urlare il nome del fratello. Morwen se la rideva di gusto assaporando quella vittoria. Finalmente si era sbarazzata delle due persone che odiava di più – Bene mio caro… ora occupati di tuo fratello. - ordinò compiaciuta – E poi non dimentichiamoci del tuo caro padre… - continuò voltando il viso verso i nuovi arrivati, un ghigno perverso a deformarle il viso.
Elrohir restò a fissare alcuni secondi il corpo della Dunedain ai suoi piedi. Strinse le dita attorno all'elsa della sua spada sporca di sangue – No! - proferì con voce alta.
La creatura si voltò a guardarlo incredula, credendo di non aver capito bene – Come scusa? - chiese interdetta.
Lui rise, si voltò a guardarla, gli occhi grigi di nuovo luminosi e pieni di vita erano determinati – Ho detto no. - ripeté calmo. Quella restò a fissarlo spiazzata alcuni istanti. Il suo incantesimo su di lui si era spezzato. Ringhiò e fece per avventarglisi addosso, ma si bloccò un istante dopo, l'occhio blu sgranato. Rantolò, annaspò, il fiato mozzato. Elrohir aveva lanciato la spada che le si era conficcata nel collo. Era stato fulmineo. Non si sarebbe mai aspettata una fine simile. Veramente non avrebbe mai immaginato di fallire. Lei era forte, lei era potente, nessuno la poteva eguagliare. Era stata creata in modo perfetto. Ma quella mocciosa di una ragazzina si era dovuta intromettere nei suoi piani e aveva mandato tutto all'aria. E quel rifiuto di una Dunedain era riuscita ad aiutarla. Proprio colei che odiava sopra ogni cosa. Colei che l'aveva sempre spuntata, riuscendo anche a far rinsavire Elrohir; il suo amato Elrohir. Ma almeno ora giaceva morta ai suoi piedi, per mano proprio dell'Elfo. E quella sciocca ragazzina le aveva fatto compagnia. L'unica magra consolazione che aveva.
Ma proprio mentre la vista le si stava oscurando, vide Lastie alzarsi in piedi con le proprie forze, che la osservava con quello sguardo che aveva sempre odiato. Racimolò le ultime briciole di potere e forza che le rimanevano e formulò nella mente delle parole. Poi il buio.
I presenti restarono a fissare ammutoliti la creatura vacillare, poi la videro crollare. Ma un'espressione terrorizzata si dipinse sui loro volti. Molti gridarono. Il corpo maestoso andò a finire contro delle case lì sotto, in una di quelle vi era precipitata Monica. Glorfindel, che l'aveva raggiunta, si scansò appena in tempo. Si sollevò un polverone mentre le pietre schizzavano ovunque con un fracasso immenso.
- No! Silwen! - gridò Elrohir scattando in avanti.
Glorfindel iniziò a tossire, investito in pieno dalla polvere – Maledizione! - urlò frustrato.
La nuvola di detriti si diradò poco a poco. Il corpo della creatura non c'era più. Sembrava si fosse volatilizzato. Delle abitazioni non era rimasto intatto niente.
- Dov'è finita la creatura? - domandò qualcuno.
- Non pensate alla creatura. Cercate la ragazza! - ordinò Gandalf che accorreva preoccupato – Fate presto! -
- É inutile, sarà sicuramente morta. - mormorò uno dei Rohirrim che si avvicinava.
- Non lasceremo comunque il corpo lì sotto. - disse stizzito lo Stregone – Qualcuno vada a chiamare i soccorritori, ne abbiamo bisogno. - proferì guardandosi intorno. Alcuni feriti giacevano a terra, ma la battaglia era finita piuttosto bene, senza considerare la perdita della ragazza.
Glorfindel ed Elrohir avevano già iniziato a spostare le pietre quando si unirono a loro anche diversi cavalieri del Mark, seguiti a ruota da Elladan, Eomer e Faramir.
Lastie fece per aggregarsi, ma Gandalf la trattenne per un braccio – Cosa pensi di fare? - l'ammonì.
- Ma… - provò a replicare lei.
- Ridotta in quello stato faresti più male a te stessa che altro. - la fece ragionare lui – Siediti e riposa fino a che non arriverà la squadra di guarigione. La ferita non è profonda, ma se non stai attenta potresti peggiorare. -
Lastie fece come dettole, poi scoppiò a piangere, il capo chino in avanti – Non doveva finire così! - singhiozzò disperata. L'Istaro sospirò greve, il cuore stretto in una morsa di tristezza.
- Era l'unica che ci aveva ridato un po' di coraggio… - mormorò Elrond di fianco a Gandalf. Questo lo guardò stupito per alcuni secondi a causa del cambiamento che vedeva essere avvenuto nell'amico, ma non disse niente. Lo seguì con lo sguardo andare verso Lastie, chinarsi su di lei e posarle una mano sul capo. Re Thranduil invece rinfoderò la spada ed andò anche lui a dare una mano, sorprendendo tutti.
In quel momento arrivarono Merry e Pipino. Avevano tutti e due delle ferite sul corpo, ma non erano gravi, per lo più escoriazioni. Avevano combattuto al fianco di Eomer e Faramir, ma gli era stato ordinato di non andare con loro, una volta che si erano finalmente sbarazzati dei Troll-Talpa nella loro zona. Ora, avendo sentito che il rumore della battaglia era terminato, avevano deciso di andare a controllare. Intuirono subito che c'era qualcosa che non andava e non appena Gandalf aveva spiegato loro la situazione, si erano precipitati ad aiutare.

Re Aragorn era riuscito a preparare tutto l'occorrente che gli serviva per curare i feriti che ci sarebbero stati, aiutato da Frodo e Sam. Non dovette aspettare molto dall'inizio delle battaglie che gli arrivarono i primi. Sapeva che erano spuntati numerosissimi Troll-Talpa in tutta la città. Conosceva le ferite che provocavano quelle creature, in quei pochi che erano fino ad allora riusciti a salvarsi. Arwen ed alcuni Elfi di Imladris erano lì a dargli una mano e dopo un po' si erano aggregate anche Eowyn e Lothiriel, la moglie di Eomer.
Eowyn aveva detto che non riusciva a starsene con le mani in mano: se non poteva andare a combattere, allora avrebbe almeno aiutato lì.
Fu quando Aragorn vide arrivare suo figlio con una ferita alla testa e alla gamba che capì che la situazione non era delle migliori. Elfwine gli raccontò che Elrohir era riuscito a liberarsi ed aveva ferito Eldarion che lo stava trattenendo. Aveva allora deciso di andare a combattere anche lui con i suoi compagni, ma Arwen era riuscita a farlo desistere.
Poi, poco a poco le battaglie terminarono una dopo l'altra. L'unica che era rimasta era quella contro Morwen ed avevano capito che era la più violenta. I rumori giungevano fino a là, all'accampamento degli Elfi. Aragorn aveva scelto quella zona perché era fuori città ed era difficile che sarebbe stata colpita.
Quando ad un tratto tutto tacque, calò su tutti un velo d'inquietudine. Per un lungo periodo stettero tutti con il cuore stretto nella paura che la battaglia fosse finita male. Ma poi giunsero i primi superstiti a fare rapporto. Tirarono tutti un respiro di sollievo ed acclamazioni di gioia si levarono nell'accampamento. Se l'erano cavata egregiamente con solo alcuni feriti gravi, ma niente di preoccupante.
L'entusiasmo però durò pochi istanti: i superstiti riferirono loro che la ragazza sconosciuta era perita. Calò un silenzio grave e pesante.

Ai piedi del Palazzo d'Oro si continuava a cercare ininterrottamente tra le macerie il corpo di Monica, ma sembrava che la casa se lo fosse divorato.
Ad un tratto si levò un grido – Credo di averla trovata! - fece Pipino che venne raggiunto subito da Glorfindel, a pochi passi da lui. Gli venne indicato un pezzo di stoffa del mantello che fuoriusciva tra le pietre. L'Elfo biondo iniziò a scansarle freneticamente, aiutato da tutti gli altri. Poi, ad un tratto, si ritrovarono davanti una lunga trave di legno. Ci volle l'aiuto di tutti per spostarla e finalmente, da sotto, emerse il corpo della ragazza. Gli occhi dei suoi amici si riempirono di lacrime. Giaceva lì inerme, il corpo rannicchiato. Sembrava quasi che dormisse. Elrohir diede un calcio ad un sasso ed urlò dalla rabbia. Era di nuovo colpa sua. Anche questa volta era la causa della morte di qualcuno a cui teneva.
Intanto Glorfindel era sceso nella buca a recuperare il corpo. Si chinò su di lei e le carezzò la guancia mentre le lacrime gli rigavano il volto. Il fiato gli si mozzò in gola e sgranò gli occhi grigio-verdi incredulo. Gli scappò una risata – Respira ancora. - rivelò girandosi verso tutti felice.

Quando Glorfindel entrò nella tenda in cui si trovava Aragorn con la ragazza tra le braccia, vi era un silenzio pesante. Ma quando Merry, spuntò da dietro a lui annunciando che era ancora viva, trassero tutti un sospiro di sollievo. Aragorn fu subito da lei e, una volta adagiata sul letto, iniziò a controllarla.
Elladan, invece, si dedicò a Lastie dopo aver salutato Melime che era arrivata alla tenda non appena aveva saputo di Monica. Scoppiò in lacrime quando lo abbracciò, felice di vederlo sano e salvo e che l'amica fosse ancora viva. Si preoccupò per Lastie, ma lei la rassicurò con un sorriso riferendo che il suo era solo un graffio. Non aggiunse altro, ma si voltò ad osservare Elrohir, poco più in là, ritornando a quanto successo prima, quando lui aveva fatto finta di affondare la spada nel suo ventre. Le aveva sussurrato un grazie e le aveva detto di stare al gioco. Così aveva recitato quella piccola scenetta per ingannare Morwen e farla credere che lui l'avesse uccisa. Non avrebbe mai immaginato che quella ci sarebbe caduta. Sorrise divertita.
- Che c'è? - le domandò Elladan incuriosito.
Lei scosse la testa – Solo che tuo fratello ha avuto davvero un'idea brillante. - spiegò.
- Credo si senta in colpa. - rivelò quello lanciandole uno sguardo serio mentre le controllava la ferita – Sia per te che per Silwen. -
Lastie sospirò – Come al solito si addossa sempre tutta la colpa. - commentò contrariata.
- Beh… considerati fortunata che ti abbia solo sfiorata e non ti abbia tagliata in due. Lo avrebbe fatto sul serio. - dichiarò con tono duro.
- Lo so. - un brivido le percorse la schiena nel ricordare lo sguardo vuoto che aveva Elrohir.
- Comunque… è solo un graffio, guarirà presto. - dichiarò quello facendole un sorriso. Le fasciò bene la ferita e poi le diede una pacca sulla spalla.

La sera era calata su Rohan. Il tempo era sempre pessimo, nonostante dal primo pomeriggio non avesse più nevicato. Tutti i feriti erano stati curati e si erano tirate le somme di quella battaglia: erano state distrutte molte abitazioni e ci sarebbe stato molto da ricostruire, ma Re Eomer si poteva ritenere soddisfatto che non ci fossero state perdite. Si era assicurato che tutti avessero un pasto e aveva allestito delle tavolate lì nel salone del Palazzo d'Oro per i suoi ospiti più importanti.
Durante la cena, ovviamente, era venuto fuori come argomento la scomparsa di Morwen. Avevano continuato a cercare sotto le macerie, ma non avevano ritrovato nessun cadavere. Nessuno era però riuscito a dare una spiegazione alla cosa, nemmeno Gandalf, e la questione lo turbava non poco. Si era fatto comunque una sua idea, che riteneva poco probabile, anzi, sperava si sbagliasse definitivamente: che Morwen non fosse reale, ma la creazione di qualcuno più potente. Ne aveva parlato con Galadriel ed Elrond, anche loro dovettero ammettere che poteva essere una cosa possibile, ma vollero scartare quell'opzione. Gli dissero comunque di non farne parola con nessuno.
In molti vollero poi sapere chi fosse Silwen. Aragorn aveva informato tutti delle sue condizioni: non erano gravi, probabilmente si sarebbe ripresa presto. Elrond allora si decise a spiegare ogni cosa. L'unica che era a conoscenza dei fatti era dama Galadriel. Convennero tutti che somigliasse in un modo impressionante ad Erdie. Glorfindel si dilettò a raccontare gli allenamenti con lei e di quanto le fosse simile anche nel modo di comportarsi. Gandalf invece riferì quello che gli era stato raccontato quel pomeriggio, quando l'aveva incontrata per la prima volta, del fatto che era arrivata lì tutta sola. Le erano tutti riconoscenti: se non fosse stato per lei, ora probabilmente sarebbero tutti morti.
La cena proseguì in un clima allegro. Elrohir si era scusato con tutti per il suo comportamento, ma gli avevano tutti detto di non preoccuparsi perché sapevano fosse sotto incantesimo di Morwen. Nonostante ciò, il fratello notò che era davvero giù di morale.

Fuori si gelava. Quella notte il turno ai cancelli nord toccava a Leonard ed a Wynfred. Avevano acceso un focolare lì accanto e stavano chiacchierando di quella giornata. I due erano stati impegnati poco più sopra contro i Troll-Talpa. Se l'erano vista brutta, ma ne erano usciti illesi. Per fortuna si erano ritrovati con Eomer e Faramir e in loro aiuto erano arrivati anche i Raminghi.
Wynfred era accanto al focolare, i guanti in pelle alle mani lasciavano scoperte le dita, quindi teneva le braccia tese verso le fiamme per scaldarsi – Posso confessarti che odio fare il turno di notte in inverno? - proruppe sfregando le mani, lo sguardo sulla fiamma – Odio stare fuori con questo freddo. -
- Tanto prima o poi capita a tutti, una volta ogni tanto. Ringrazia che non dobbiamo farlo tutti i santi giorni. - replicò l'altro mentre fumava la pipa.
L'amico mugugnò – Come sta Helena? - chiese poi.
- Veramente quello non è il suo vero nome. - rivelò l'altro mentre sorrideva divertito. C'era rimasto di sasso quando gli avevano raccontato la verità sulla ragazza. - Si chiama Monica, ma tutti la chiamano Silwen. - dato lo sguardo confuso dell'amico, si affrettò a spiegare a grandi linee chi fosse. - Comunque dicono che si riprenderà. Per fortuna l'ho fatta entrare in città! Non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se l'avessi cacciata. - spostò lo sguardo verso la vasta e innevata pianura davanti a loro tagliata in un punto da una riga scura. Era l'Entalluvio che scorreva silenzioso. Al di là vi era l'Estemnet: ancora pianura che si estendeva per chilometri, desolata. Ma non quella sera. Leonard corrugò la fronte ed aguzzò lo sguardo. C'era qualcosa al di là del fiume: una larga macchia nera. Rimase ad osservarla immobile per diverso tempo, finché non realizzò una cosa: la macchia si muoveva – Wynfred… - sussurrò con i battiti del cuore che iniziavano ad accelerargli.
Quello sollevò il capo nella sua direzione. Se ne stava lì davanti a lui immobile ad osservare il vuoto – Mh? - fece non badandogli.
- Vieni qui… - mormorò, il respiro affannato.
Il compagno si portò al suo fianco e lo osservò: si stava comportando in modo strano – Che c'è? Sembra che tu abbia visto uno spettro. - gli fece notare divertito.
Leonard sollevò il braccio e puntò il dito davanti a lui, indicando la pianura – Al di là dell'Entalluvio… - riferì.
Wynfred seguì il dito e si mise ad osservare bene il punto. All'inizio non vide niente. Gli ci vollero alcuni secondi anche a lui per notare quello che aveva adocchiato l'altro. Sbiancò, realizzando cosa fosse la massa nera che si muoveva in quella direzione – Per tutti i Valar! - esclamò con voce rotta.
Leopold fece un passo indietro e scattò verso l'ingresso alla città – Vado io! - urlò già al di là della porta. Iniziò a risalire il sentiero con il cuore che gli martellava nel petto. Scivolò svariate volte a causa del ghiaccio tra le vie deserte di Edoras, prima di raggiungere la gradinata che portava al Palazzo di Meduseld. Salì gli scalini quasi senza più fiato. I colleghi che erano sulla porta gli chiesero se andasse tutto bene vedendo la sua aria sconvolta, ma lui non gli badò e si catapultò all'interno della sala.
Tutti i presenti si voltarono a guardarlo inizialmente incuriositi: era quasi piegato in due per la folle corsa, il rosso delle guance per il freddo e la fatica contrastava con il pallore del viso. Poi videro la sua espressione terrorizzata e capirono che qualcosa non andava.
- Leopold, cosa succede? - chiese Eomer andandogli incontro preoccupato.
- Sono qui… moriremo tutti. - riuscì a dire tra un respiro affannato e l'altro.

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Capitolo 25
*** La guerra ha inizio. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI

CAPITOLO 24: LA GUERRA HA INIZIO.

Il Palazzo d'Oro sembrava un formicaio con gente che correva a destra e sinistra urlando. Erano tutti agitati, sembravano impazziti. Le urla venivano sovrastate da boati, qualcuno lontano, qualcuno più vicino. Numerosissimi corpi giacevano a terra, ormai la sala principale era quasi piena. Molti si lamentavano a causa delle ferite gravi che riportavano. Sam stava correndo tra i corpi insanguinati portando tra le mani l'Athelas. Era zuppo di sudore, stanco e affamato. Non ricordava nemmeno più quando fosse stata l'ultima volta che aveva fatto una pausa. Ma doveva resistere. Raggiunse Arwen trafelato e le porse l'erba. Quella lo ringraziò. Sentì Aragorn chiamarlo. Quando arrivò al suo cospetto, anche Frodo era lì accanto a lui.
- Amici miei, riposate un po', ve ne prego. - disse con tono pacato, ma aveva lo sguardo preoccupato.
- Ma c'è ancora molto da fare… - provò a replicare Frodo.
- É vero, ma se continuate così finirete anche voi tra di loro… ed ho bisogno del vostro aiuto. - dichiarò – Se proprio non riuscite a stare con le mani in mano, andate a vedere le condizioni di Silwen. Ritornate qui solo tra un'ora. -
- Non preoccupatevi, ci pensiamo noi qui! - rispose Pipino che era appena tornato con Merry dalla loro pausa.
I due, rassegnati, si avviarono verso la stanza in cui riposava la ragazza. Era distesa sul letto che dormiva. Erano passati due giorni da quando era finita la battaglia con Morwen e l'avevano portata all'accampamento. Non aveva ancora ripreso conoscenza, anche se aveva aperto un paio di volte gli occhi. Ma era ripiombata immediatamente nel sonno. Nonostante il volo che aveva fatto e che le fosse crollata addosso una casa intera,  aveva riportato solo una contusione al fianco, la ferita alla spalla che le aveva procurato il Troll-Talpa e un taglio alla gamba. Ma non erano gravi. La trave che le era finita sopra non l’aveva schiacciata perché bloccata in parte dalle altre macerie della casa e l’aveva protetta dai detriti.
- Quando si riprenderà? - chiese Sam portando uno sgabello alto accanto al letto dove già ve ne era uno e vi ci si era accomodato Frodo.
- Gandalf dice che doveva essere da giorni che non riposava, poi quando è arrivata qui c'è stata la battaglia… - spiegò afferrando la brocca d'acqua che gli stava porgendo l'altro.
- Comunque è davvero incredibile quanto somigli ad Erdie… credevo sul serio fosse lei quando l'ho vista la prima volta. - fece salendo sul suo sgabello, quindi prese la brocca e riempì la bacinella sul comodino accanto a lei.
- Anche io, Sam. A quanto pare proviene dallo stesso Mondo di Ronald. Spero che sopravviva alla guerra e riesca a tornare a casa. - Frodo sembrava alquanto turbato.
- Dite che ce la faremo? Che riusciremo a vincere? - Sam aveva strizzato il fazzoletto che aveva immerso nella bacinella e si stava sporgendo verso il viso della ragazza per bagnarle le labbra.
- Confido nella forza dei nostri. - rispose sicuro di sé l'altro. Poi vi fu un boato fortissimo che fece tremare l'intera struttura. Della polvere cadde dal soffitto e Sam per lo spavento fece cadere il fazzoletto sul viso di Monica – Signor Frodo! - urlò terrorizzato.
- Questo era vicino… stanno avanzando sempre di più. - disse con voce strozzata per la paura.
- Cos'era? - mormorò la ragazza. I due Hobbit si voltarono verso il letto. Monica teneva in una mano il fazzoletto bagnato che le era caduto sul viso pallido e li guardava frastornata.
- Si è svegliata! - esclamò Sam.
- Come vi sentite? - chiese subito Frodo. Lei rimase alcuni istanti in silenzio. Sembrava stesse cercando la risposta da dare.
- Uno straccio. - bofonchiò ancora assonnata.
I due Hobbit stavano per chiederle altre cose, ma vi fu un altro forte boato che fece tremare di nuovo il Palazzo. Sam non poté fare a meno di urlare un'altra volta. Frodo aveva sempre più un'aria preoccupata e tirata in viso.
Monica invece aveva sgranato gli occhi e si era sollevata a sedere nonostante le fitte alla spalla e al fianco.
- Che succede? - chiese ancora confusa. La preoccupazione iniziò a far capolino nella sua mente. Ora si era iniziata a rendere conto delle grida che percepiva in lontananza che provenivano dalle altre stanze del Palazzo, passi veloci nei corridoi ed un suono orribile provenire da fuori: boati, urla di guerra, clangore di armi, grida di paura. Scostò le coperte dal letto – Quanto ho dormito? - domandò confusa.
- Due giorni… Dove state andando? Non potete alzarvi! - esclamò Frodo vedendola scendere dal letto.
Non appena appoggiò la gamba ferita le uscì un lamento e si dovette riappoggiare al letto - Cosa sta succedendo? - chiese allarmata osservando i due.
Questi si guardarono indecisi su cosa dirle – Siamo in guerra. - spiegò Sam. Tanto valeva dirle le cose come stavano, l'avrebbe scoperto comunque.
- Morwen… - sussurrò, il viso contratto nel terrore. Iniziò a zoppicare per la stanza cercando di raggiungere la porta.
- No, Morwen è stata sconfitta… si tratta di Orchetti, Goblin e Troll. - rivelò Frodo che scese dallo sgabello, imitato da Sam e iniziò a seguire la ragazza.
- Forse non dovreste andare in giro in quelle condizioni, sapete? - cercò di farla ragionare l'altro – Vi prego, fermatevi. - implorò. Ma ormai la ragazza era uscita dalla stanza.
Rischiò di scontrarsi con qualcuno che quasi la travolse nel corridoio. L'Uomo si allontanò trafelato. Si guardò intorno disorientata e prese a destra. Svariate persone passavano per il corridoio urlando: chi chiedeva dell'acqua calda, chi delle bende.
- Hanno colpito delle case qui vicino! - gridò qualcuno in lontananza.
Monica sentì dell'aria fredda provenire dal fondo del corridoio, nella direzione in cui stava andando. Accelerò il passo, i due Hobbit continuavano a seguirla con fatica.: troppa gente alta in quei corridoi. Vide una porta sulla sua destra. Considerando la temperatura bassa, doveva dare fuori. Quando la passò, il gelo la investì. Ma non vi badò. Era troppo sconvolta dalla scena che le si presentava davanti gli occhi: la città era per lo più in fiamme. Alcune parti delle mura erano distrutte. Sotto sentiva le urla della battaglia in corso. Vedeva arcieri disposti sulle mura non ancora abbattute e il fuoco che si levava dall'accampamento degli Elfi.
- Gli Elfi… - esclamò spaventata.
- Non vi era più nessuno all'accampamento quando sono arrivati. - proferì una voce alla sua sinistra – Per fortuna ci siamo accorti in tempo che si avvicinavano e siamo riusciti a prepararci abbastanza bene per la battaglia. - Monica osservava ammutolita la donna davanti a sé. Era veramente bella: aveva lunghi capelli biondi che le ricadevano lungo la schiena, era avvolta in un pesante mantello color verde scuro e nonostante sembrasse comunque esile, aveva un portamento severo e fiero. Anche quella la stava scrutando con i suoi occhi grigi – Se restate qui fuori vestita leggera in quel modo vi prenderete un malanno. - le fece notare.
Monica spostò lo sguardo su se stessa. Solo in quel momento si rese conto di indossare una semplice tunica bianca, nemmeno tanto pesante, ed era scalza. Appurò che in effetti faceva dannatamente freddo. Però spostò di nuovo gli occhi nocciola sulla battaglia in corso, imitata dall'altra - Sono molti… forse troppi. - sussurrò – Fino ad ora siamo riusciti a fronteggiarli alla pari, nonostante siamo in numero minore, ma vedo che le nostre linee stanno cedendo. - disse con voce preoccupata.
- Cosa è successo? - chiese lei confusa.
- Vi racconto tutto mentre rientriamo. - dichiarò posandole una mano sulla schiena e guidandola all'interno – Dopo che Morwen è stata sconfitta, siamo stati attaccati da loro. Grazie alle guardie alle porte siamo riusciti a scorgerli almeno in tempo per organizzare le difese, poi questa sera, abbiamo fatto partire il contrattacco, ma loro sono decisamente di più di noi. Hanno anche Troll d'assalto e stanno lanciando massi con le catapulte contro le mura. Per non parlare dei massi infuocati che cercano di far arrivare all'interno della città per provocare incendi. Se non arriveranno i rinforzi, non so se ce la faremo a vincere. - spiegò – Abbiamo già un sacco di feriti che si sono andati a sommare a quelli che avevano combattuto nell'altra battaglia. Tra non molto non sapremo più dove metterli. L'unico posto che per il momento è al sicuro è qui. - dichiarò.
- E forse non ancora per molto. - commentò Sam che trotterellava dietro di loro accanto a Frodo.
Rientrarono nella stanza in cui si trovava la ragazza fino a poco prima – Quanti sono? - chiese.
- Dicono quindicimila. - Monica sgranò gli occhi sconvolta – Noi dovremmo essere poco più di duemila. Per questo stiamo sperando nell'aiuto dei Nani e dei Rohirrim delle città qui vicine. -
- Non sono stati avvisati? - domandò l'altra ora preoccupata ed agitata.
- Sì, abbiamo mandato dei messaggeri ad informarli. Se accetteranno di aiutarci, dovrebbero arrivare a breve. Ma la situazione è grave ed ogni istante può esserci letale. - un altro boato vicino li fece sobbalzare.
- Se? - ripeté Monica confusa.
- I rapporti tra la gente di Rohan e i Nani delle Caverne Scintillanti non sono stati molto amichevoli, ultimamente. Dobbiamo quel po' di dialogo solo a Gimli, il loro Signore, che è ancora buon amico di mio fratello Eomer. -
- Credo che sia tutto dovuto all'influenza di Morwen. Ora che è morta non ci dovrebbe essere motivo di astio tra di voi e loro. Accetteranno sicuramente. - replicò Monica con tono sicuro.
Eowyn la guardò stupita. Non sapeva perché, ma quell'affermazione le aveva ridato speranza e l'aveva rincuorata. Le sorrise – Sarete affamata… volete che vi porti qualcosa? -
- Magari! - esclamò. Erano giorni che non metteva qualcosa sotto i denti.
- A quello ci penso io! - dichiarò Sam – So dove poter racimolare qualcosa… ma non vi aspettate niente di che. - disse leggermente mortificato.
- Andrà benissimo qualsiasi cosa trovate, Messer Hobbit. - rispose Monica sorridendogli riconoscente.
Quello ricambiò il sorriso e si affrettò ad uscire. Poco dopo tornò con del cibo, ma non da solo. Melime fece capolino dietro di lui. Monica fu veramente felice di rivederla che l'abbracciò di slancio e scoppiò in lacrime.
Restarono per alcuni minuti a parlare: Monica le raccontò a grandi linee quello che aveva passato e quanto fosse preoccupata per tutti loro. Alla notizia della morte di Alyon, Melime si rattristò. Poi fu il suo turno di raccontarle cosa era accaduto. Ma lei ed Elveon erano riusciti a salvarsi grazie ad Elrohir che era riuscito a proteggerli da due Orchetti.
- Se non fosse stato per lui, a quest'ora saremmo morti. - dichiarò.
- Dov'è ora Elveon? - chiese la ragazza.
- L'ho lasciato con Galadriel, non c'è posto più sicuro. - abbozzò un sorriso.
- Sono tutti a combattere? - si informò.
- Sì. Tutti quelli in grado di combattere sono nella pianura. - rispose con un velo di preoccupazione nella voce.
- Non tutti. - precisò Eowyn con tono seccato. Melime sospirò, sapeva benissimo quello che intendeva. Anche Monica aveva intuito cosa intendesse la Donna che poi salutò ed uscì dalla stanza.

Passarono molte ore, era l'alba, ma il sole che sorgeva era coperto dalle nubi nere cariche di pioggia. La battaglia continuava ad imperversare nella pianura. In un primo momento le forze alleate erano riuscite a contrastare le legioni di Orchetti e Goblin, ma ora avevano battuto la ritirata all'interno delle mura per riprendere fiato e organizzare un secondo contrattacco. Regnava un'aria pesante ai piedi del Palazzo di Meduseld, dove si erano radunati tutti i guerrieri. Erano stipati uno accanto all'altro, fin troppi in quello spazio ristretto. La città era ridotta a cumuli e macerie e colonne di fumo nero si levavano in aria dalle case colpite. Gli incendi erano stati per lo più tutti spenti. Da fuori le mura si levavano grida intimidatorie da parte degli Orchetti. Gli arcieri sulle mura continuavano a respingere gli attacchi del nemico, ogni tanto qualcuno cadeva trafitto dalle frecce nere. I Goblin erano quelli più ostinati: provavano e riprovavano ad arrampicarsi per raggiungere l'interno della città. Le catapulte che non erano state ancora distrutte avevano smesso di lanciare massi, per il momento.
- Non resisteremo ancora per molto. - fece Faramir, l'aria stanca, come quella di tutti i presenti – Abbiamo bisogno di rinforzi, e subito. -
- Abbiamo mandato richieste d'aiuto a tutti coloro che sono nelle vicinanze, non possiamo fare altro che aspettare e sperare che arrivino. - replicò Eomer mentre gli passava un otre pieno d'acqua.
- Anche il cibo inizia a scarseggiare. - riferì loro Arwen che era scesa con Aragorn ed altri guaritori a prendersi cura dei feriti. Ormai il Palazzo era sovraffollato.
- Maledizione! - urlò Elfwine scaraventando a terra il suo otre vuoto. Era frustrato dal fatto che non riusciva a difendere e proteggere il suo Popolo e i suoi amici.
- Non serve a niente arrabbiarsi. - commentò Eldarion raccogliendo l'oggetto e porgendoglielo. Poi gli poggiò una mano sulla spalla.
- Guardalo, è più giovane di te, ma sa come mantenere la calma. - lo rimbeccò il padre sorridendogli bonariamente. Elfwine abbozzò un sorriso dando poi una pacca sulla schiena ad Eldarion.
- Ha preso tutto dalla madre. - fu il commentò di Elrond che guardò beffardo Aragorn poco più in là.
Il Re di Gondor sorrise, ma non disse niente. Era molto preoccupato anche lui, anche se già avevano vissuto una situazione simile in passato, al Fosso di Helm. E quella volta avevano a disposizione solo un piccolo gruppo di Uomini. Sospirò. Se solo avesse avuto ancora la forza di combattere.
Merry e Pipino stavano distribuendo Lembas in giro. In quel momento era il cibo più adatto per tutti. Quest'ultimo scorse Gandalf in disparte. Se ne stava dritto su un cumulo di macerie ad osservare la pianura sotto a lui. Restò a fissarlo per un po' – Che cos'ha secondo te? - chiese al cugino.
Merry girò la testa verso di lui, poi seguì il suo sguardo e anche lui scorse la figura bianca – Credo sia preoccupato. A quanto pare la situazione non è delle migliori. - Pipino mosse un passo con intenzione di raggiungerlo, ma l'altro lo afferrò per la spalla – Non farlo, non faresti che peggiorare il suo umore. Lo sai che quando fa così è anche più burbero del solito. - gli sussurrò per non farsi sentire.
In quel momento Frodo passò loro accanto e si inerpicò sul cumulo di macerie. Poco dopo era al fianco dello Stregone ed anche lui si mise ad osservare in silenzio la pianura di fronte a loro. Era una distesa nera., piena di Orchetti e Goblin che non sembravano risentire della stanchezza e continuavano a lanciare attacchi contro le mura.
- Arriveranno i rinforzi? - chiese dopo un lungo momento di silenzio.
- Lo spero. Ho mandato anche alle aquile una richiesta d'aiuto, ma ancora niente. - rivelò quello.
Frodo scrutò il cielo plumbeo. Sembrava dovesse iniziare a piovere da un momento all'altro. - Questa situazione mi riporta indietro nel tempo. - dichiarò.
- Purtroppo siamo destinati a non avere lunghi periodi di pace, ultimamente. Speravo che con la sconfitta di Sauron ci saremmo goduti finalmente un lungo riposo, ma mi sbagliavo. - commentò quello turbato.
- Ma non sarebbe dovuto finire tutto con la morte di Morwen? - domandò l'Hobbit.
- Lo avevo pensato anche io. Probabilmente è stata lei ad invocare queste legioni. Magari erano già pronte da un pezzo in attesa dell'ordine per attaccare, nascoste chissà dove, e noi non ce ne siamo accorti. Eppure, Frodo… che questa cosa rimanga fra me e te… - proferì chinandosi su di lui lanciandogli un'occhiata eloquente – Inizio ad essere convinto che ci sia qualcun altro di più potente dietro a tutto ciò. E voglio vederci chiaro. - sussurrò.
- Te ne vai? - fece allarmato l'Hobbit.
L'Istaro sorrise bonariamente – Oh no, amico mio. Questa volta ho da sistemare la questione qui, prima. - detto ciò gli cinse le spalle con un braccio – Ho come la sensazione che succederà qualcosa in nostro vantaggio, fra non molto. - riferì spostando lo sguardo sulla gente sotto di loro.
Eowyn stava camminando tra i presenti con le bende in mano. Ogni tanto lanciava qualche parola di conforto al suo Popolo. Si sentiva incredibilmente impotente. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter essere anche lei al fianco di quei guerrieri, ed invece era lì, a prendersi cura dei feriti. Passò accanto ad Eomer e Faramir che non degnò nemmeno di uno sguardo: era arrabbiatissima con loro che l'avevano costretta a restare tra le mura di Edoras. Si diresse invece verso il figlio.
- Elboron, sei ferito? Hai mangiato qualcosa? - gli chiese preoccupata.
Il giovane moro si voltò a guardarla e le sorrise - Per il momento sto bene. Merry mi ha appena lasciato questo. - e le mostrò il Lembas nella mano a cui aveva già dato un morso.
- Com'è la situazione? - gli sussurrò per evitare di farsi sentire dal fratello e dal marito.
- Non a nostro favore. Speriamo tutti nei rinforzi, ma ancora non si vede nessuno. La cosa non fa bene al nostro umore. Molti stanno perdendo le speranze e così non riescono a dare il loro meglio. - evitò di guardarla negli occhi. Si sentiva mortificato e del tutto inutile.
Ad Eowyn le si strinse il cuore a vederlo in quello stato. Capiva benissimo cosa stesse provando – Vedrai che presto arriverà qualcuno in nostro aiuto. - proferì sicura stringendo le dita attorno alle bende. Il ragazzo la guardò stupito, lei abbozzò un sorriso e proseguì il suo percorso nel prendersi cura dei feriti.

Lastie stava raggiungendo il gruppo di amici ed i suoi uomini seguita da Monica che l'aveva aiutata a cambiare il bendaggio della ferita che le aveva procurato Elrohir. Fortunatamente non aveva risentito dei movimenti durante la battaglia e si stava ormai rimarginando. Continuava a scrutare la ragazza al suo fianco, era assente, da quando l'aveva rivista poco prima. Anche mentre l'aiutava nel bendaggio non aveva aperto quasi mai bocca. C'era qualcosa che la turbava, ma non riusciva a capire cosa. Ne era certa perché, incredibilmente, si comportava come Erdie quando aveva qualcosa che non andava: tendeva a rinchiudersi in se stessa e a non parlare. Ed a quanto pareva, non era l'unica ad averlo notato. Elrohir continuava a lanciarle occhiate di sottecchi. Elladan invece spostava lo sguardo tra Melime e la Dunedain cercando una risposta a quel comportamento. Lastie fece spallucce. Anche Glorfindel continuava a fissare la ragazza con aria crucciata cercando come di leggerle nella mente.
Erano stati tutti molto felici di rivederla in piedi e che si stava dando da fare a dare una mano con i feriti. Emmeline, che faceva parte delle guaritrici, quando l'aveva vista comparire nel salone del Palazzo d'Oro, le era quasi saltata addosso, stritolandola in un abbraccio. Era stata così preoccupata da quando aveva saputo cosa le era successo da Leopold. Quindi aveva deciso di prenderla sotto la sua custodia come assistente guaritrice, così da poterla tenere d'occhio che non si sforzasse, visto che la ragazza aveva voluto a tutti i costi dare una mano, nonostante fosse ferita.

Passò ancora un po' di tempo, poi Eomer fece rialzare tutti coloro che erano ancora in grado di reggersi in piedi.
- Ci aspetta una lunga battaglia, amici miei. Il nostro nemico è in vantaggio su di noi, ma non lasceremo che si impossessi della nostra città. Lo respingeremo fino all'ultimo Orchetto, Goblin o Troll! Resistete fino all'arrivo dei rinforzi! - gridò.
- Ma mio Signore, ancora non è arrivato nessuno… - proferì un Rohirrim esponendo così la paura di tutti.
- Noi Nani non abbandoniamo i nostri compagni. - intervenne Gimli con tono lapidario.
- Io confido nel mio Popolo e in quello dei Nani. Gimli, figlio di Gloin, Signore delle Caverne Scintillanti è mio amico e così il suo Popolo. Sono sicuro che arriveranno a darci una mano. - sentenziò Eomer poggiando la mano sulla spalla del Nano.
Nonostante le parole di Eomer, si capiva benissimo che non vi era un grande entusiasmo tra i guerrieri. I loro pensieri erano cupi, il cuore pesante, il coraggio li aveva abbandonati ed erano stanchi.
Coloro che li avevano assistiti fino a quel momento li osservarono partire verso la battaglia in silenzio. Come se stessero andando al loro stesso funerale.
Leopold diede un bacio sulla guancia ad Emmeline che stava trattenendo le lacrime. Eowyn, poco più in là, teneva strette tra le sue le mani del figlio, poi le lasciò andare. Aragorn ed Arwen restarono in silenzio a guardare i loro cari, sperando che non succedesse niente a nessuno di loro.
Monica restò a fissare con un groppo in gola e la paura che le attanagliava il cuore tutti i presenti allontanarsi. Poi seguì gli altri all'interno del Palazzo, c'era ancora molto lavoro da fare.

Purtroppo molti feriti erano rimasti all'aperto, così dovettero procurarsi tutte le coperte possibili per tenerli al caldo. Avevano spostato quelli più gravi all'interno del Palazzo, con quel freddo sarebbero morti sicuro in poco tempo. Fuori vi erano quelli ridotti meno peggio.
Era passata un'ora quando da lontano si udirono dei corni. Corsero tutti fuori sul porticato e finalmente poterono gioire: videro una moltitudine di Cavalieri di Rohan attaccare e travolgere a cavallo le legioni nemiche. Diedero loro del filo da torcere e riuscirono a sbarazzarsi di molti Orchetti e Goblin. Ma erano ancora in numero inferiore.
Eowyn pregava di non vedere nessuno dei suoi cari varcare la soglia del Palazzo. Continuava a correre a destra e sinistra dando ordini di dove disporre i feriti in base alla gravità delle condizioni in cui riversavano.
Ad un tratto ci fu un gran boato proveniente da fuori. La terra tremò sotto i loro piedi. Calò il silenzio. Il terrore si impadronì dei presenti.
Un Uomo entrò trafelato nel Palazzo – Sire Aragorn, la porta ovest ha quasi ceduto, fra non molto saranno qui! - annunciò.
Ci fu un lunghissimo momento in cui tutti trattennero il fiato, poi il panico. Le persone iniziarono ad urlare terrorizzate. Aragorn si voltò verso Arwen, lei contraccambiò il suo sguardo, capendo. Non poteva non fare niente, dopotutto sarebbe sceso anche lui in battaglia. Gli altri erano tutti a combattere nella pianura e probabilmente non si erano nemmeno accorti di cosa stesse succedendo. Raggiunse il porticato e vide un folto numero di Orchetti che cercavano di sfondare la porta con un ariete, giù in fondo la collina.
Si portò in cima alle scale e sfoderò Anduril – Ascoltatemi tutti attentamente! - gridò. Tutti si bloccarono a guardarlo e si azzittirono – Il nemico sta per entrare dalla porta ovest. So che vi chiedo molto, ma ho bisogno di tutti coloro che sono ancora in grado di reggere tra le mani una spada per impedirgli di entrare e difendere questa città e tutti coloro che vi sono rifugiati al suo interno. Non lasceremo Edoras cadere! Proteggeremo tutti, a qualsiasi costo! Combattete al mio fianco? -
Uno ad uno, i feriti si alzarono e sfoderarono le loro spade, poi lo acclamarono. Nei loro occhi brillava una luce di determinazione. Aragorn non sapeva quanto avrebbero potuto resistere, ridotti in quel modo. Ma ci avrebbero provato.
Poi esclamazioni di stupore si levarono tra i presenti, Aragorn si voltò e sgranò gli occhi grigi: affianco a lui vi era Eowyn, vestita con abiti maschili e la sua spada in mano. I lunghi capelli biondi legati in una coda svolazzavano al freddo vento. Gli sorrise, gli occhi grigi le fiammeggiavano.
- Qualsiasi cosa direte, mio Signore, sarà invano. Ho già preso la mia decisione e nessuna vostra parola potrà farmi cambiare idea. Questo è il mio Popolo, è un mio dovere proteggerlo! - gridò – Hai bisogno di tutto l'aiuto possibile, no? - gli sussurrò poi.
Aragorn rimase a fissarla per alcuni secondi, poi le sorrise di ricambio – Sapevo che alla fine l'avresti fatto. Tuo fratello e Faramir mi uccideranno. Se non lo faranno prima gli Orchetti. -
- Non lascerò che accada! - esclamò qualcuno alle loro spalle. I due si voltarono e rimasero basiti ad osservare la ragazza davanti a loro. - Non guardatemi in quel modo, per favore. Riesco benissimo a reggere la mia spada in mano, quindi verrò anche io. - dichiarò determinata. Non appena aveva visto saettare Eowyn via dalla sala principale aveva capito cosa avrebbe fatto e la imitò. Nella stanza in cui aveva riposato erano state ammucchiate tutte le sue cose, quindi si cambiò in fretta: non sarebbe mai rimasta con le mani in mano quando avrebbe potuto dare anche un piccolo aiuto.
- Le vostre ferite… - fece preoccupata Eowyn.
- Non sono niente in confronto a quelle di molti di loro. - proferì indicando gli Uomini e gli Elfi in fondo alle scale che li guardavano – Non sono una scusa per non fare la mia parte. -
Aragorn le poggiò la mano sulla spalla – Già mi avete salvato la vita una volta, Silwen. Quindi confido in voi nel coprirmi le spalle. - Lei affermò con il capo, sorridendogli.
- Se ci siete voi due al suo fianco sono più tranquilla. - disse Arwen alle loro spalle.
I tre si voltarono e le sorrisero. Poi Aragorn le si avvicinò, le carezzò il viso e la baciò – Andiamo! - urlò poi. Scesero le scale e si diressero di corsa alla porta ovest. Erano pochi, ma determinati a non far passare nessuna creatura. Quando arrivarono lì, la porta era ancora in piedi, ma ridotta male. Si sentì un colpo assordante e quella tremò. Qualche pezzo cadde a terra insieme a pietre che si erano staccate dall'alto muraglione.
- Il prossimo è l'ultimo. - annunciò Aragorn stringendo l'elsa di Anduril.
Monica aveva il cuore che le martellava nel petto, ma non per la paura. Era eccitata. Avrebbe impiegato fino all'ultima briciola della sua forza per uccidere più nemici possibili “Più ne faccio fuori, meno restano agli altri da combattere.” pensò traendo un profondo respiro.
Ci fu un altro colpo assordante. La porta si sbriciolò sotto il loro naso. - Per Rohan! - si levò il grido di Aragorn alto nel cielo plumbeo, seguito da quello dei compagni.

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Capitolo 26
*** L'assalto. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 25: L’ASSALTO.

Il campo di battaglia sotto le mura di Edoras era ridotto ad una poltiglia di neve mischiata a fango, sangue e cadaveri di entrambe le fazioni. Aveva piovuto a dirotto fino a pochi minuti prima e la luce flebile che filtrava dai nuvoloni neri stava pian piano scemando, segno che il terzo giorno stava volgendo al termine. Nonostante il grande aiuto ricevuto dai Rohirrim dei villaggi vicini, la situazione non era affatto favorevole ai difensori della città. Dei Nani, nemmeno l'ombra.
Alla porta ovest, dove il nemico aveva provato l'assalto, la cinquantina di guerrieri aveva tenuto egregiamente testa a tutti coloro a cui era venuta la malsana idea di provare ad entrare. Alcuni di loro stavano approfittando del momento di tregua per cercare di sistemare la porta malridotta. Il nemico era indietreggiato poco prima. Qualcuno ipotizzava che probabilmente avevano rinunciato ad entrare da lì vedendo che non riuscivano minimamente a farsi largo. Arrivò un gruppo di guerrieri con in spalla un enorme trave ed iniziarono a puntellare il portone.
Tra questi vi erano Aragorn, Eowyn e Monica. Una volta sistemato tutto, si sedettero a riposare attorno ad un fuoco acceso con difficoltà a causa del terreno bagnato. Il legname era stato offerto gentilmente loro dagli abitanti che risiedevano in quella zona: in molti avevano abbondanti scorte per l’inverno. Ne ardevano altri due lì intorno.
- Ti lamenti che sei invecchiato, ma te la sei cavata bene con quel Troll, prima. – proferì Eowyn sorridendo divertita verso Aragorn che contraccambiò.
- Per pura fortuna. E sono stato aiutato da alcuni di loro. Non ho più i riflessi di una volta e sento la forza che mi sta abbandonando. Perfino la presa sulla spada non è più la stessa. Per non parlare dei dolori che sto sentendo in tutto il corpo. – replicò.
- Siamo comunque riusciti a respingere l’attacco nemico e per la maggior parte il merito è tuo. – continuò l’altra.
- No, il merito è tuo e di Silwen. – la corresse – Eravate inarrestabili. Non riuscivamo a starvi dietro. – spiegò. Alcuni dei presenti affermarono.
- Io veramente seguivo lei. – disse Eowyn indicando la ragazza seduta poco più in là che sorrise a quelle parole mentre fissava la porta.
- Credo di essermi lasciata un po’ troppo trasportare dalla situazione… ora sono stanca. – dichiarò spostando un attimo lo sguardo sulle mani ancora tremanti per lo sforzo. Erano anche piene di tagli.
- Avete tutto il tempo per riposarvi prima di tornare ad occuparvi dei feriti. – le ricordò Aragorn.
Lei abbassò il capo puntando gli occhi a terra. Occuparsi dei feriti. Era giusto così? Era quello che voleva? È vero, era stanca, ma con un po’ di riposo si sarebbe presto ripresa. Poteva tranquillamente tornare a combattere. Iniziava a pensare di essere sprecata lì dentro le mura. Era anche vero che il combattimento di poco prima sarebbe stato completamente diverso da quello che l’aspettava nella pianura: prima aveva avuto le spalle al sicuro non avendo nemici che la circondavano. In una battaglia dove vi erano Orchetti, Goblin e Troll che potevano arrivare da ogni direzione senza tregua era un altro paio di maniche. Eppure sentiva che poteva fare ancora qualcosa. Sospirò e spostò di nuovo lo sguardo sulla porta. Restò a fissarla alcuni attimi. Poi corrugò la fronte mentre la pervase un senso di inquietudine – Siete sicuri che basti una sola trave? – domandò.
- Il nemico si è ritirato, ha capito con chi ha a che fare. Non credo che sprecherà altre energie qui. – le rispose un Rohirrim.
Lei continuò a fissare la porta poco convinta, quella sensazione che andava aumentando. Iniziò ad agitarsi – Credo sia meglio metterne almeno un’altra. – suggerì.
Aragorn, che stava parlando con gli altri dando ordini su chi avrebbe fatto il primo turno di guardia, si voltò ad osservarla – Qualcosa non va, Silwen? –
- Non lo so… - mormorò non staccando gli occhi da davanti a lei.
Il Re di Gondor corrugò la fronte e si alzò – Silwen, se c’è qualcosa che vi turba, ditemelo pure. – la incitò una volta lì accanto a lei. Quella si voltò finalmente a guardarlo. Non sapeva nemmeno cosa dire. Era solo una sensazione di pericolo che si stava facendo largo nella sua mente. Non poteva certo dire che siccome era paranoica, dovevano rafforzare la porta. Lui la scrutò negli occhi alcuni istanti, poi le posò una mano sulla spalla – Silwen, per favore, ditemi cosa c’è. – incalzò serio – Quello che vi sto per dire vi sembrerà strano, ma… - fece una pausa come per cercare le parole giuste – voi assomigliate molto ad Erdie. Sì, probabilmente ve lo avranno detto in molti. Quello che intendo dire è che ho combattuto diverse battaglie con lei e non ce ne è stata una in cui il suo intuito ci abbia fatto fare qualcosa di banale o superfluo o non ci abbia addirittura salvato la vita. Capite cosa voglio dire? –
- No. – rispose la ragazza confusa.
Quello sospirò sollevando gli occhi al cielo – Se vi è venuto in mente qualcosa o vi preoccupa qualcosa, vi prego, ditelo… se voi due vi assomigliate anche in questo potrebbe essere una buona intuizione. –
Monica lo guardò sorpresa, poi spostò lo sguardo sul portone. Trasse un profondo respiro – Ok… credo che abbiamo bisogno di rinforzarla di più. – dichiarò indicandola con il capo – Non so perché, ma sento che siamo in pericolo. –
Lui le sorrise, poi si voltò verso i presenti – Rinforziamo la porta! – esclamò.
Alcune lamentele si levarono in aria – Fate come dice Sire Aragorn! – incalzò Eowyn lì accanto – Alla più brutta staremo comunque più sicuri. – ammiccò sorridendole.
La ragazza contraccambiò – È solo che… sto ripensando a quello che è successo… e più ci penso più le cose non mi tornano. Perché attaccarci in quel modo? Voglio dire… avete visto, no? Alla fine non è stata una battaglia difficile. Appena il nemico ha visto che non avevamo alcuna intenzione di farli passare, si sono arresi e si sono ritirati. – spostò lo sguardo sui presenti che si stavano dando da fare a recuperare un’altra trave  – Stiamo parlando di un esercito creato appositamente per portare a termine quello che non è riuscita a fare Morwen. Cioè distruggerci. – era tesa e la sua agitazione stava aumentando mano a mano che esponeva i suoi dubbi.
Aragorn ed Eowyn si scambiarono un’occhiata preoccupata, poi il Sire di Gondor incitò gli altri urlando a portare almeno altre due travi.
- Il vostro ragionamento è maledettamente sensato. – dichiarò Eowyn allarmata.
- Non per essere pessimista, ma credo che quell’attacco sia servito solo per constatare in quanti saremmo venuti a contrastarli. Sanno che qui dentro ci sono solo feriti a disposizione, se non contiamo gli arcieri che sono impegnati sulle mura come difesa. – continuò – E guarda caso, in questa zona le mura sono state mal ridotte dagli attacchi dei giorni scorsi, quindi non vi è la possibilità di mettere arcieri appostati sul camminamento. –
- Ok… siete stata convincente! – esclamò correndo anche lei in aiuto degli altri.
Monica abbozzò un sorriso. Fissava il fuoco lì davanti cercando di scaldarsi un po’. Ora che non si muoveva percepiva benissimo il freddo, soprattutto dopo la sudata che aveva fatto. Con il calare della sera la temperatura stava scendendo. Fu in quel momento che le venne in mente una cosa: con i fuochi accesi era più facile per il nemico sapere in che punto loro si trovassero raccolti. – Eowyn… - chiamò la donna che stava seguendo attenta le manovre di rafforzamento. Questa si voltò in attesa che lei proseguisse – Credo sia meglio spegnere i fuochi, potrebbero attirare troppo l’attenzione e suggerire al nemico come siamo posizionati. –
La bionda affermò con il capo e corse lei stessa a spegnerne uno, incitando coloro che erano senza far niente a fare lo stesso.
Monica stava per spegnere quello che aveva davanti, ma qualcosa attirò la sua attenzione: un cumulo di macerie appena sotto le mura. Era alto abbastanza da raggiungere quasi la loro altezza. “Se riuscissi ad arrivare fino in cima al cumulo, potrei riuscire a controllare se il nemico sta arrivando” pensò. Quindi vi si avvicinò ed iniziò a salire sulle prime pietre con cautela. Constatando che reggevano, provò ad inerpicarsi sempre più in alto, scivolando di tanto in tanto e provocando qualche piccola frana.
- Che state facendo? – le domandò un Elfo lì sotto, incuriosito.
- Controllo il nemico. – rispose aggrappandosi ora alle pietre dei resti delle mura ancora intatte. Quindi si issò e sporse alcuni centimetri del capo sopra la linea per osservare al di là di essa. La pianura era ancora leggermente illuminata: lo scenario era catastrofico. Fece scorrere lo sguardo rabbrividendo nel notare i numerosissimi cadaveri. Poi ad un tratto notò qualcosa e sgranò gli occhi nocciola sconvolta. Il fiato le si mozzò in gola. Voltò il capo verso i compagni – Allontanatevi dalla porta! – urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, disperata.
Pochi secondi dopo un’ombra calò sopra i presenti, tutti gridarono terrorizzati, poi ci fu un boato terrificante e si levò un polverone.

Aragorn dischiuse gli occhi: vedeva tutto grigio e bianco. Per un attimo credette fosse nebbia, poi intuì essere polvere. Aprì e chiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco. Non riusciva a muovere un muscolo. Iniziò a tossire convulsamente: la polvere gli era entrata in bocca. Delle fitte lancinanti gli pervasero il corpo facendogli scappare qualche lamento. Sollevò il capo di alcuni centimetri mentre il polverone iniziava a diradarsi ed intravide numerosi corpi intorno a lui. Lì accanto, a pochi centimetri dal suo piede, un enorme macigno. Sotto di esso intravide un braccio ed una gamba. Qualcuno, poco più in là, era in ginocchio e fissava dritto davanti a sé. I lunghi capelli biondi macchiati di tanto in tanto dal sangue. Era Eowyn. Cercò di chiamarla, ma non riusciva ad emettere alcun suono. Si sollevò sulle braccia con immensa fatica e provò a chiamarla di nuovo. Sentiva la sua voce lontana, ma lei sembrò percepirla e si voltò verso di lui con un’espressione disperata in viso. Aveva la faccia completamente impolverata e gli occhi grigi spalancati. Il Re di Gondor cercò di sollevarsi sulle ginocchia, ma ricadde a terra a causa di un dolore fortissimo alla gamba destra – Eowyn… sei ferita? – sussurrò. La donna continuava a fissarlo terrorizzata: sembrava non avesse minimamente sentito quello che le era appena stato chiesto. Intanto la polvere si era quasi del tutto diradata. Aragorn venne attirato da delle urla e vide alcuni dei compagni ammassati nel punto in cui fino a poco prima vi era la porta ovest. Era completamente crollata, così come parte delle mura. Davanti al gruppetto di guerrieri malandati vide un’orda di Orchetti che stava tentando di abbattere quei pochi rimasti per entrare in città. Lo invase il panico – Eowyn! Devi andartene da qui! – le urlò con quel poco del fiato che gli era rimasto – Non c’è più niente da fare! Scappa! – continuò riprovando ad alzarsi. Riuscì a mettersi su un fianco ed iniziò a trascinarsi verso di lei – Dov’è Silwen? – le chiese ricordandosi ad un tratto della ragazza. Fece vagare lo sguardo lì intorno, ma non la notò – Eowyn, dov’è Silwen? – ripeté dopo averla raggiunta e la scosse con veemenza. La dama sembrò ritornare in sé – Silwen. – continuò lui.
Eowyn voltò il capo e iniziò a cercarla con lo sguardo – Non lo so… - mormorò con voce rotta, poi si rigirò verso di lui – Sei ferito. – constatò indicando la gamba.
- Eowyn, stammi bene a sentire. Devi andartene immediatamente da qui. – iniziò con tono secco – Devi andare ad avvisare tutti, anche se credo già abbiano capito cosa sia accaduto. Scappa. –
Lei restò a fissarlo alcuni istanti in silenzio, poi si voltò verso l’apertura procurata dal macigno e si sollevò in piedi traballante dopo aver raccolto la spada – Non scapperò davanti al nemico. – disse lapidaria – Il mio compito è proteggere il mio popolo e lo farò finché avrò forza in corpo o un nemico non mi ucciderà. –
Aragorn restò a fissarla sorpreso. Poi la vide lanciarsi nella mischia urlando. – Eowyn, no! È un suicidio! – cercò di fermarla, ma lei non gli badò. Era già arrivata in aiuto degli altri.

Intanto nella pianura la battaglia era violentissima. Nonostante il nemico avesse subito numerose perdite, sembrava risentisse molto meno della stanchezza. La stessa cosa non si poteva dire per coloro che stavano tentando di proteggere la città.
- Mio Signore! – un Rohirrim stava correndo verso Eomer che comandava la legione a nord-ovest della città – I nostri uomini non ce la fanno più. – riferì.
Il Re di Rohan piantò la spada nel ventre del Goblin con cui stava combattendo e si voltò verso il suo subordinato – Batteremo in ritirata anche oggi. – constatò amareggiato. Ogni volta che battevano in ritirata, coloro che riuscivano a rientrare in città erano sempre di meno – Avvisa tutti che tra poco rientreremo. – dichiarò.
Poi ci fu un boato alle loro spalle, in lontananza, e video del fumo alzarsi dalla parte ovest di Edoras – La porta ovest è crollata! Il nemico entrerà in città! – si sentì urlare in lontananza.
Eomer sentì una stretta al cuore – È la fine. – mormorò sconvolto il Rohirrim.
- Ci ritiriamo in città! Non possiamo permettere che entrino. – dichiarò rivolto all’uomo lì accanto, poi si voltò ad osservare la pianura davanti a lui. Strinse i pugni stizzito. Non sarebbero durati un altro giorno. Con questa consapevolezza urlò a tutti di ripiegare. Aveva intenzione di andare in aiuto di coloro che si trovavano a difendere la città alla porta ovest passando da dentro. Notò però che un numeroso gruppo di guerrieri avanzava verso ovest da fuori. Non fece in tempo a domandarsi cosa stesse succedendo che si sentì chiamare.
- Mio Signore Eomer! – un nuovo Rohirrim stava correndo verso di lui da quella direzione. Aveva un’espressione allarmata in viso.
- Cosa succede? Perché loro non stanno ripiegando? Chi è a comando? – chiese l’altro indicando confuso il gruppo.
- Si tratta di vostro nipote e vostro figlio, mio Signore. – rispose trafelato – Non hanno voluto sapere ragioni dopo che ci è giunta la notizia. – spiegò.
- Di che state parlando? – domandò confuso il Re.
- Vostra sorella Eowyn… era a difesa della porta ovest. Con lei vi era Sire Aragorn. Il nemico ha abbattuto la porta… - iniziò il Rohirrim, ma Eomer già stava urlando con tutto il fiato che aveva nei polmoni di sbrigarsi alla ritirata – Vostro nipote si è precipitato là e vostro figlio lo ha seguito. Non ci hanno voluto dare retta. –
- Ormai non possiamo fermarli. Ripieghiamo immediatamente! – ordinò con enfasi, il terrore che gli attanagliava il cuore. Quella sciocca di sua sorella doveva fare sempre come le pareva. Sperò vivamente che non le succedesse niente. Lo stesso valeva per Aragorn. Non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non fossero riusciti ad arrivare in tempo.

Il Dunedain intanto era riuscito ad alzarsi ed ora era in cerca di Monica. Zoppicava da un posto all’altro dolorante. L’ultima volta l’aveva vista lontana dalla porta, quindi non poteva essere finita sotto il macigno.
Stava passando accanto a dei cumoli di macerie quando vide una chiazza scura tra la polvere. Corrugò la fronte e si avvicinò speranzoso. Dietro un piccolo mucchio di macerie giaceva il corpo della ragazza completamente ricoperto di polvere – Silwen! – gridò accelerando il passo, per quanto gli fosse permesso.
Si chinò accanto a lei con difficoltà e le posò una mano sul cuore. Respirava ancora. Tirò un sospiro di sollievo, quindi iniziò a scuoterla per cercare di farla rinvenire. Riaprì gli occhi poco dopo – Silwen, mi sentite? State bene? – chiese sollevandole leggermente le spalle.
Monica iniziò a tossire: aveva inalato anche lei la polvere. Si voltò verso Aragorn frastornata – Cosa… è… successo? – domandò fra un colpo di tosse e l’altro.
- Il nemico si è aperto un varco, sta per entrare. – spiegò spostando lo sguardo su Eowyn e gli altri che stavano tentando di tenere a bada gli Orchetti – Non manca molto. – disse affranto.
La ragazza si mise a sedere, aiutata dall’altro, ma non riusciva a vedere la zona dell’ingresso perché aveva un mucchio di macerie davanti. Iniziò a spolverarsi i vestiti, la tosse sembrava essersi calmata. L’uomo le domandò di nuovo se fosse ferita. Si tastò il corpo, ma non sembrava che avesse subito gravi danni, a parte le fitte al fianco sinistro. Probabilmente l’aveva sbattuto quando era caduta a terra. Notò che il Re di Gondor era ferito alla gamba, ma lui le sorrise dicendole di non preoccuparsi. Dall’espressione che aveva in faccia e da come era ridotta la gamba si deduceva tutt’altro. Ma lasciò correre e si alzò in piedi sporgendosi poi al di là delle macerie per controllare la situazione. Sbiancò, più di quanto già non fosse con la polvere in faccia. Con quei pochi uomini che erano rimasti a difesa della porta non ce l’avrebbero mai fatta a trattenere il nemico.
Proprio in quel momento alcuni Orchetti uccisero due Rohirrim e riuscirono ad aprirsi un varco. Si udì una voce roca gridare qualcosa in lingua nera da fuori le mura. I nemici iniziarono ad entrare, sorpassarono il gruppetto di uomini non degnandoli di alcuna attenzione e iniziarono a penetrare nelle vie della città. Sembrava un fiume nero che aveva rotto gli argini. Erano una marea. Non riuscivano più a vedere i compagni. Poi alcuni si diressero verso loro due percorrendo la stradina in salita. Questi sgranarono gli occhi spaventati. Monica portò una mano al fianco sinistro, dove teneva la spada, ma il fodero era vuoto. Iniziò a guardarsi intorno disperata in cerca dell’arma, ma non la trovava. Anche Aragorn era disarmato avendo perso Anduril. Imprecò ed urlò alla ragazza di scappare. Gli Orchetti ormai erano a pochi metri da loro, i primi già con la spada sollevata pronti a colpirli. Cercò di rialzarsi, ma Monica gli si mise davanti. Sgranò gli occhi sorpreso – Silwen, scappate! Non avete alcuna possibilità! Almeno voi potete avvisare gli altri! Non pensate a me! – le urlò.
- Ho fatto una promessa prima di partire da Tharbad. Ho tutta l’intenzione di mantenerla. – gli disse.
- Non siate testarda... – l’afferrò per il mantello che iniziò a tirare indietro cercando di farla muovere – Silwen! Voi siete più giovane di me… avete tutta una vita davanti. Io ormai… -
- Non avrei mai pensato che il grande sire Aragorn si sarebbe arreso così facilmente. Voi avrete anche perso la speranza, ma non io. – lo interruppe continuando a guardare il nemico che stava arrivando. Erano a pochi passi, poteva sentirne distintamente il fetore. Le grida le rimbombavano nella testa. Aveva paura e non sapeva minimamente cosa inventarsi. Il cuore le batteva a mille. L’unico modo con cui poteva sperare di cavarsela era prendere una delle spade degli Orchetti. In quel momento le vennero in mente le parole di Glorfindel quando la stava allenando ad Imladris: “Un guerriero deve capire quando si sta per invischiare in qualcosa più grande delle sue possibilità”. Le venne da ridere. Quella era decisamente una situazione pericolosa dove avrebbe fatto molto meglio a fuggire. Il suo maestro non avrebbe approvato quella scelta. Strinse i pugni e osservò attentamente l’Orchetto più vicino cercando di intuire da che parte avrebbe sferrato il colpo così da poter giocare d’anticipo e provare a prendergli l’arma.
Ma proprio un istante prima di muoversi, una freccia colpì l’Orchetto al collo che rischiò di crollarle addosso, ma fu pronta a scansarsi. Sia lei che Aragorn lo guardarono sbalorditi mentre anche quelli in prima fila stavano facendo la stessa fine. Si scambiarono un’occhiata confusa, poi una figura balzò davanti a loro, i lunghi capelli biondi che gli ricadevano lungo la schiena. Iniziò a colpire gli Orchetti con la lunga spada lucente.
- Scusate il ritardo, Silwen! – esclamò, poi si voltò alcuni secondi verso di lei facendole l’occhiolino – I rinforzi sono arrivati! – dichiarò sorridendo.
- Turion… - mormorò lei vistosamente sorpresa.
- Var… qui ci penso io, tu vai ad occuparti di quelli che si stanno dirigendo verso il Palazzo d’Oro! – proferì poi, restando concentrato sulla battaglia.
- Ricevuto! – si sentì esclamare da sopra di loro.
Monica intravide con la coda dell’occhio una figura dai lunghi capelli neri percorrere velocemente ed agilmente le mura, nonostante quella parte fosse ridotta male e non vi fosse più il camminamento.
- Vi ringrazio dell’aiuto, ma non credo che basteranno due Elfi a cambiare l’esito della battaglia… seppur in ottime condizioni come voi due. – gli fece notare Aragorn.
- Estel, potresti risparmiarmi il tuo pessimismo? In questo momento ne faccio volentieri a meno. – lo ammonì l’altro – Comunque, visto che il Re di Gondor sembra aver perso le speranze, ci tengo a precisare che con rinforzi non intendevo me e Varnohtar. O almeno non solo noi due. – spiegò affondando la spada nel ventre di un Orchetto. In quel momento il suono di un corno riecheggiò distintamente per tutta la pianura.
- Questi sono… i Nani! – esclamò l’Uomo entusiasta.
- C’è anche qualcun altro. – aggiunse.
In quel momento si sentirono delle grida provenire dal cielo. Monica e Aragorn sollevarono il capo. Nonostante si fosse fatto ormai buio e il cielo continuasse ad essere nuvoloso, poterono notare delle sagome muoversi elegantemente sopra di loro.
- Le Aquile. - sussurrò Monica a cui iniziò a battere ancora più forte il cuore e stava spostando gli occhi da un punto all’altro per cercare di scorgerne meglio qualcuna. Però delle urla provenienti dalla zona della porta le fecero riportare l’attenzione sulla battaglia in corso. Laggiù avevano bisogno di una mano, ma fino a che non avrebbero sconfitto gli Orchetti lì davanti, non avrebbero mai potuto raggiungere la porta. E Turion, da solo, per quanto fosse forte, non ce l’avrebbe mai fatta. Quindi iniziò a cercare la sua spada fra i cumuli di macerie. Doveva esserle caduta lì vicino.

A ridosso della porta ovest della città, intanto, Elfwine ed Elboron stavano cercando di farsi largo con i loro uomini verso l’entrata. Con loro vi erano anche i pochi Nani che erano in città. Questi avevano ripreso vigore non appena avevano udito il corno della loro gente. Gli Orchetti, con l’arrivo dei rinforzi avversari, avevano iniziato a perdere sicurezza. Ormai avevano dato per certo, con il colpo inflitto alla porta e l’opportunità di conquistare la città, di aver vinto la battaglia.
I Nani appena giunti stavano avanzando senza incontrare opposizione: sembravano un muro invalicabile.
Ci misero poco tempo a raggiungere il gruppo che stava cercando di andare all’ingresso distrutto.
- Siete un po’ in ritardo, non credete? – puntualizzò Thorin Elminpietra stizzito.
- Ci dispiace veramente, ma abbiamo avuto un contrattempo. – rispose amareggiato il Nano a capo della grande legione, quindi si voltò verso Gimli – Mio Signore, abbiamo da riferirvi diverse cose, ma rimanderemo il tutto a dopo. –
- Certamente Gorphad. Sono felice che siate riusciti ad arrivare nonostante il contrattempo. – dichiarò quello poggiandogli sorridente una mano sulla spalla.
- Abbiamo avuto un aiuto assolutamente inaspettato. – riferì il comandante voltandosi verso la vallata – Ma credo che in tutto ciò ci sia lo zampino dello Stregone Bianco. –
- Gandalf? – domandò Gimli corrugando la fronte e puntando gli occhi sulla pianura davanti a loro. All’inizio non notò niente, anche a causa della semi oscurità in cui ormai regnava la pianura. Poi però iniziò a non portargli qualcosa e con il passare dei secondi si rese conto di quello che stava succedendo. – Oh! – esclamò vistosamente sorpreso – Questa sì che mi mancava! – proferì leggermente turbato.

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Capitolo 27
*** Tempo di cordoglio. ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre i nuovi personaggi e luoghi sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


ERINTI

CAPITOLO 26: TEMPO DI CORDOGLIO.

Il terreno tremava sotto i loro piedi ed urla disumane riecheggiavano nella notte. Gli assaliti osservavano l’avanzata degli Ent pieni di stupore ed anche con un velo di preoccupazione, nonostante sapessero che non avrebbero fatto loro alcun male. Gli alberi si facevano sempre più vicini, ormai erano a pochi metri da loro. Qualche Rohirrim arretrò di alcuni passi. Eomer era indeciso se continuare o meno la ritirata. Fu allora che dagli alberi comparve una figura a cavallo. Era una macchia nera agli occhi degli Uomini: con il calare della sera riuscivano a vedere poco. Ma l’urlo che si levò subito dopo rianimò i loro cuori: - Avanti Eorlingas! – riecheggiò la voce dell’individuo per la spianata alle pendici di Edoras.
- Pietragrigia! È il Capitano Pietragrigia! – esclamò qualcuno avendo riconosciuto la voce.
Di lì a poco il suo nome si diffuse in tutta la vallata e i Rohirrim, riacquistato coraggio e vigore, si lanciarono in un ultimo attacco. Gli Ent si mescolarono con loro e in un attimo furono addosso al nemico che si trovò completamente circondato su tutti i fronti. Nonostante ciò, questo cercò comunque una via di fuga, perché sapeva che niente avrebbe potuto contro una tale ferocia.
Elfwine ed Elboron si erano fermati alcuni istanti ad osservare increduli la scena ed anche loro, influenzati da quell’impeto, si scagliarono contro coloro che si trovavano ancora alla porta ovest. Si fecero largo tra Orchetti, Goblin e Troll a suon di colpi di spade arrivando ad una decina di metri dall’ingresso. Qui notarono che il nemico indietreggiava verso di loro. Non fecero in tempo a domandarsi cosa stesse succedendo che intravidero tra l’ammasso di creature una lunga chioma bionda, il tutto contornato da urla familiari della figura: Eowyn stava respingendo l’avanzata del nemico all’interno della città con una decina di uomini al suo fianco. Sembrava un guerriero Rohirrim dell’antichità. I due ragazzi restarono ad osservarla impressionati, tanto era valorosa.
Fu Durin a riportarli alla realtà: - Pensate di rimanere a bocca aperta ancora per molto? Abbiamo degli insulsi esseri da scacciare, non mosche! –
Eowyn, nonostante stesse tenendo testa a quell’orda di esseri riprovevoli, risentiva comunque della fatica. Ormai ogni colpo di spada che vibrava era sempre più debole e le gambe la reggevano a malapena in piedi.
Fu così che non colpì a morte il Goblin davanti a lei. Quello rispose con un fendente che la ferì al fianco sinistro. La donna lanciò un grido di dolore, piegandosi in avanti, la mano sinistra andò subito sulla parte lesa. Sentì il liquido caldo scenderle lungo la pelle e impregnarle l’arto. Il Goblin approfittò di quell’istante di distrazione e sferrò un altro fendente al collo. Un secondo dopo vide il suo braccio che reggeva l’arma a terra. Corrugò la fronte e piegò leggermente il collo interdetto. Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che si ritrovò una lama velata di una luce azzurra nel ventre. Rantolò e crollò esanime a terra.
Eowyn sollevò il capo sorpresa per vedere chi fosse stato il suo salvatore. Si ritrovò davanti la figura di schiena, ma nonostante la zona fosse illuminata solo da alcuni fuochi sporadici, riconobbe di chi si trattasse e la ringraziò.
Monica non si voltò e non le rispose, sollevò soltanto alcuni attimi la mano con il pollice all’insù mentre si avventava come una furia sul nemico e la proteggeva.
Elfwine ed Elboron avevano assistito alla scena dal di là della porta e per un momento avevano temuto il peggio. Quest’ultimo ringraziò mentalmente la ragazza e spronò gli altri a cercare di entrare in città. Sua madre era comunque ferita, non poteva certo lasciarla lì nel bel mezzo della battaglia.
Turion, nel frattempo, si era caricato in spalla Aragorn ed ora stava cercando un luogo sicuro dove lasciarlo mentre borbottava fra sé e sé - Occupatevi di Re Aragorn! – esclamò imitando la voce di Monica – Poi prende e si lancia in mezzo alla mischia! – sbottò con tono infastidito – Io devo occuparmi di te! Non lei, io! -
Il Re di Gondor rideva divertito – Devi ammettere che ha carattere. –
- Non so se si rende conto della situazione… sarei dovuto andare io giù alla porta, non lei! – precisò mentre posava lentamente l’Uomo a terra a cui sfuggì un lamento di dolore.
- Beh, lei non avrebbe potuto portarmi via in spalla come hai fatto tu. – lo fece ragionare.
- Visto che è tanto brava poteva anche restare a proteggerti lì dove eravate. – replicò stizzito.
- È un tipo avventato. – commentò l’altro con un sorriso divertito sul volto.
- Giuro sui Valar che dopo mi sente! – fece l’altro. Poi restò alcuni attimi in silenzio a controllare che non vi fosse nessuno nei paraggi. Voleva andare ad aiutare gli altri, ma non poteva lasciare l’Uomo lì.
- Mi dispiace che devi restare a badare a me. – mormorò il Re di Gondor.
- Estel, fammi un favore… se ci dovesse essere un’altra battaglia in futuro, stanne fuori. – gli suggerì ammiccando.
L’altro ridacchiò divertito. Era proprio arrivato il momento per Re Aragorn di appendere la spada al chiodo. Sospirò malinconico mentre appoggiava il capo brizzolato al muro dietro di lui.

Nonostante il nemico cercò in tutti i modi di resistere, le forze alleate riuscirono a sbaragliarlo. Nel giro di mezz’ora non rimase più in piedi nemmeno una creatura fetida. Acclamazioni di gioia si levarono nella sera: Edoras era salva. Ma ad un altissimo prezzo. Molti avevano perso la vita in quei giorni e molti altri avrebbero per sempre fatto i conti con le lesioni gravi riportate. I feriti vennero portati tutti al palazzo di Meduseld. Erano talmente tanti che non entravano più né nell’edificio, né nel piazzale sottostante. La notte era gelida e si iniziava ad essere a corto di beni di prima necessità e di cibo. Ma nonostante la stanchezza, chi stava bene si adoperava ad aiutare il più possibile. Si vedevano figure correre alla luce rossa delle fiaccole accese per le vie. Molti erano nella vallata a cercare i sopravvissuti e ad ammassare i nemici in cumoli a cui poi avrebbero dato fuoco. Per gli Uomini, Elfi e Nani che avevano perso la vita vi sarebbe stata una degna sepoltura, aveva garantito Re Eomer.
Eowyn e Aragorn erano sotto le amorevoli cure di Arwen e dei quattro Hobbit che non facevano che preoccuparsi dei loro amici. Faramir era ad aiutare in città ad accumulare provviste insieme al figlio. Eomer era nella vallata con la maggior parte degli Elfi e gli Ent a controllare se vi fossero sopravvissuti e ad occuparsi dei corpi dei morti. I due Uomini non si erano risparmiati di bacchettare la povera Eowyn. Anche se ammisero che senza il suo aiuto, probabilmente le sorti della battaglia sarebbero andate diversamente.
Le Aquile vegliavano silenziose nella notte. Avevano garantito che non se ne sarebbero andate fino a che non fosse stato sicuro. Infatti Gorphad aveva riferito, non appena era riuscito a parlare con il suo Signore Gimli, che il loro ritardo era stato causato da un’orda di Goblin che li avevano attaccati alle porte della città. Erano riusciti a sbarazzarsene solo grazie all’intervento degli Ent che avevano saputo della battaglia ad Edoras e stavano andando in aiuto.
Quello che aveva stupito tutti fu proprio l’intervento di questi ultimi. Gandalf aveva rivelato di non aver avvisato gli alberi, solo le Aquile. Ma Barbalbero aveva spiegato che il nemico aveva superato i loro confini e che dopo la battaglia di Isengard, durante la guerra dell’Anello, aveva giurato che mai nessun Orchetto o creatura malvagia l’avrebbe passata liscia se lo avesse fatto.
- Quindi dopo averci riflettuto su, abbiamo convenuto che non potevamo non punirli. – fu il commento del vecchio Fangorn.
- Ecco perché avete tardato ad arrivare. – fu la replica di Merry che aveva intuito che quel “riflettuto su” fosse durato decisamente molto.
- Tu hai sempre fretta, mio piccolo amico. – replicò quindi l’altro.

Era l’alba quando la vita dentro e fuori Edoras iniziò a farsi meno frenetica. La maggior parte dei feriti erano sotto controllo e i guaritori vegliavano su di loro. Il cielo iniziava a tingersi di rosso, in lontananza. Nelle ultime ore della notte aveva iniziato a soffiare un vento forte che stava spazzando via tutte le nuvole. Ormai si intravedevano pallide solo le ultime stelle.
Monica era appoggiata al muro del Palazzo d’Oro ed osservava quella scena raggelante che le si presentava davanti gli occhi, raggomitolata in una coperta. La vallata, ormai composta da un miscuglio di fango e sangue, era ora piena di cumuli alti da cui si levava del fumo che indicavano dove erano stati bruciati i corpi dei nemici. Ve ne erano un’infinità. Non riusciva a capacitarsi ti tanta crudeltà: erano venuti proprio per radere al suolo Edoras e trucidare chiunque vi fosse all’interno. Rabbrividì, ma non per il freddo. Aveva paura. Ora che era tutto finito e riusciva ad avere la mente lucida, si rendeva conto del pericolo a cui era andata incontro. Si doveva ritenere fortunata ad essere ancora viva e per lo più incolume. Aveva riportato qualche graffio e qualche ammaccatura, ma niente di più. Spostò lo sguardo sulla distesa di corpi che erano stati disposti in file sotto le mura della città. Erano quelli degli Uomini, Elfi e Nani che avevano perso la vita per difendere quel posto. Il cuore le si strinse in una morsa di dolore. Quanti non avrebbero più fatto ritorno dalle loro famiglie o dai loro amici? E di conseguenza il suo pensiero andò ad Alyon. Varnohtar le aveva riferito, dopo aver ricevuto una bella tirata d’orecchie da Turion, che avevano portato con loro il corpo dell’amico. Lo avevano lasciato in un posto all’interno della foresta di Fangorn, al sicuro. Avevano deciso di portarlo a Lothlorien, visto che Imladris era andata distrutta. Il ricordo dell’Elfo le fece ancor più male al cuore e gli occhi nocciola le si riempirono di lacrime.
- Perché portate il dolore per chi non è del vostro stesso Mondo? – chiese una voce soave.
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e si voltò sorpresa. Ma non trovò nessuno dietro di lei. Restò interdetta ad osservare il punto lì accanto a lei. Voltò la testa a destra e a sinistra, fece vagare lo sguardo lì intorno, ma non vi era nessuno. Eppure la bellissima voce femminile che aveva udito proveniva da lì vicino. “Che me la sia immaginata?” pensò.
- Perché avete combattuto al nostro fianco, rischiando la vostra stessa vita? - fece di nuovo la voce.
Quella si voltò di nuovo, ma non vi era nessuno nei paraggi che sembrava le stesse rivolgendo la parola. O almeno non una donna. Vi erano solo i feriti raggomitolati nelle loro coperte distesi lì sotto la scalinata tra le voragini provocate dai Troll-Talpa. Pensò che la stanchezza le stesse giocando un brutto scherzo. Poi però ricordò. C’era qualcuno in grado di comunicare telepaticamente nella Terra di Mezzo: Dama Galadriel. Restò con il fiato mozzato in gola mentre la cercava lì intorno, spingendosi più lontano con lo sguardo di quanto avesse fatto poco prima.
- Silwen, perché non andate a riposarvi? – le chiese qualcuno. La ragazza si voltò di scatto e si ritrovò davanti Elladan che la guardava preoccupato – Non avete per niente un bell’aspetto. – rincarò.
La ragazza tornò a far vagare velocemente lo sguardo lì intorno. Ma doveva ammettere che l’Elfo aveva ragione. Non era ancora andata a riposare perché si era occupata anche lei dei feriti, con tutto quello che c’era stato da fare. Si voltò verso di lui e acconsentì. Mentre stava rientrando nel Palazzo si voltò un’ultima volta, ma della Dama di Lothlorien non vi era traccia. La cercò anche all’interno, ma non la vide.

Lastie percorreva a passo spedito le vie di Edoras. Era sera e le fiaccole illuminavano il cammino. C’era una strana quiete in giro, dopo tutta l’agitazione di quei giorni. Ma era un silenzio greve. Si sentiva solo il lievissimo scalpiccio che facevano le sue scarpe sul fango a terra. Si fermò ad un incrocio restando nel bel mezzo intenta a ricordarsi quale fosse la strada da prendere. Poi imboccò la via a sinistra. Percorse alcuni metri e bussò alla porta della terza casa alla sua destra. Una donna bionda, bassa e dalla corporatura robusta fece capolino e le sorrise, quindi la fece accomodare all’interno.
- Mi dispiace presentarmi all’improvviso, ma sono venuta a recuperare Silwen. – riferì rimanendo sulla soglia.
- Sta ancora dormendo. Non si è svegliata mai, povera ragazza. Ogni tanto vado a controllare che sia ancora viva. – ridacchiò -  Ma posso capire. Aveva veramente un brutto aspetto quando l’ho accompagnata qua stamattina. – spiegò l’altra – Perché non andate a svegliarla voi? Anche se sarei dell’idea di lasciarla dormire fino a che non si sveglia da sola. –
Un sorriso amareggiato comparve sul volto della Dunedain – Sono della vostra stessa idea, ma sapete che… - cominciò.
- Sì, sì! – affermò l’altra interrompendola e sollevando gli occhi verdi al cielo – La cerimonia. – poi sospirò e si voltò di nuovo verso di lei facendole un cenno con il capo di seguirla.
Quella sembrò esitare, poi mosse alcuni passi verso la donna che le fece strada. Entrò nella camera che era completamente al buio. Emmeline accese un lume su un tavolo dall’altra parte del letto. La luce fioca illuminò la stanza e la figura che era distesa sul letto. Lastie si avvicinò e in quel momento la ragazza mugugnò qualcosa di incomprensibile rigirandosi fra le coperte. Alla Dunedain scappò un sorriso. Quindi si chinò e la scosse. Monica continuò beatamente a dormire. Lastie allora ritentò con più veemenza e finalmente l’altra dischiuse gli occhi assonnati. Restò a fissarla per alcuni istanti.
- Mi dispiace svegliarvi, ma dovete seguirmi. – riferì pacatamente.
Quella rimase in silenzio alcuni istanti come a soppesare quello che le era stato appena detto – Che ore sono? – chiese sollevandosi a sedere e sfregandosi un occhio.
- Quasi ora di cena. Ed è per questo che sono qui. La vostra presenza è desiderata al Palazzo d’Oro per onorare i morti in battaglia. Questo mi ha detto Re Eomer. – spiegò.
- Re Eomer? – ripeté Monica sbalordita.
- In persona. – rispose Lastie sorridendole – Non fate quella faccia sorpresa… in fondo è grazie a voi che Edoras è salva. – ricordò.
Monica restò seduta in silenzio con i piedi fuori dal letto – Ma io non… - provò a replicare.
- Silwen… la modestia non serve… avete davvero salvato la città e buona parte di chi vi abita ed era presente in questi giorni. – fece seria.
- Se è per questo anche voi avete i vostri meriti. – dichiarò guardandola.
Lastie si agitò – Beh, sì, più o meno… - bofonchiò distogliendo lo sguardo. E non poteva assicurarlo a causa della semi oscurità in cui era la stanza, ma all’altra sembrò che fosse arrossita.
Le due giovani donne camminavano tra le vie di Edoras in completo silenzio. Lastie stava ripensando a quando un paio d’ore prima, appena sveglia, si era recata alla sala del Palazzo. Vi erano radunate la maggior parte delle figure più importanti e si stava facendo spazio. I feriti erano stati spostati in altri posti. Si era chiesta cosa stesse succedendo e così si era avvicinata al primo gruppetto composto da Glorfindel insieme ad altre due figure: una era Dama Arwen. Stavano parlando delle condizioni di Re Aragorn: appurò che stesse bene, nonostante la ferita alla gamba fosse seria. Chiese allora delucidazioni e la figura che le stava dando le spalle si voltò a risponderle. Fu decisamente stupita nel riconoscere Elrond. Sembrava completamente cambiato, come se avesse riacquistato il vigore di una volta. Perfino i suoi occhi grigi erano tornati a brillare. Sembrava anche ringiovanito. Questo le riferì che si era deciso di celebrare i morti quella sera, quindi stavano facendo spazio per dare la possibilità di partecipare alla maggior parte di persone possibili. In quel momento era arrivato Re Eomer e aveva dichiarato che sarebbe stato felice se fosse stata presente anche Silwen. Glorfindel si era subito offerto volontario per andare a svegliarla, ma in quel momento era entrato Elrohir nella sala e lei era completamente entrata nel panico. Quindi si era offerta volontaria lei di andare a chiamarla e non aspettando la risposta affermativa dei presenti, aveva preso ed aveva lasciato velocemente il Palazzo, il tutto mentre si malediceva per lo stupido comportamento. Tutto questo perché quella mattina Elladan le aveva ricordato cosa avesse urlato ad Elrohir durante il combattimento contro Morwen. Quel “Ti prego, torna da me!” le era scappato di bocca. Non aveva alcuna intenzione di dirlo e non sapeva minimamente perché l’avesse detto. Nel ripensarci il cuore le riprese a battere velocemente. Non capiva perché reagisse in quel modo. Fatto sta che ora la presenza dell’Elfo la agitava e la turbava.
Monica, invece, stava ripensando al sogno che aveva fatto poco prima. Era ancora vivido nella sua mente: stava percorrendo le vie di una città in groppa ad un cavallo dal manto bianco che le ricordò un sacco la cavalla su cui era solita viaggiare ultimamente. Accanto a lei vi era Gandalf, completamente vestito di bianco. Anche la città in cui si trovava era bianca. Vi era parecchia gente in giro e fiori colorati fuori da ogni finestra. Gandalf le stava parlando, ma come ogni volta, non sentiva cosa le stesse dicendo. Avevano varcato l’ingresso della città da poco, lasciando una via sterrata circondata da campi di grano color dell’oro che risaltavano in contrasto al cielo azzurro. Percepiva un senso di beatitudine e felicità. Poi successe qualcosa perché si erano entrambi voltati all’indietro, verso l’ingresso della città. Ora era inquieta. Un uomo corse all’interno. Non sapeva cosa avesse detto, ma in pochi istanti aveva spronato il cavallo al galoppo e si era ritrovata fuori le mura. Dritta sul dorso dell’animale aveva visto in lontananza qualcosa che le fece ribollire il sangue. Vi erano diverse figure che scappavano in tutte le direzioni, nel bel mezzo di un campo di grano ve ne erano due: una donna e un bambino, a pochi passi un branco di Mannari. Senza aspettare oltre, prese l’arco che portava con sé, incoccò una freccia e scoccò mirando ad una bestia. La freccia andò a segno uccidendo l’animale. Le altre bestie spostarono l’attenzione su di lei. Scoccò un’altra freccia che si andò a conficcare nel fianco di un altro Mannaro. Ne rimanevano sette. Intanto la donna aveva preso il bambino in braccio e iniziò a correre nella direzione da cui stava arrivando lei. Ma un Lupo la inseguì e con una zampata la ferì alla schiena. Quella crollò a terra. Disse qualcosa al bambino che aveva protetto, era terrorizzato. Questo, con le lacrime agli occhi, iniziò a correre mentre il Mannaro finiva la donna azzannandole il collo e subito dopo puntò il bambino a pochi metri da lui. Nel frattempo lei aveva incoccato di nuovo la freccia che scagliò in direzione della creatura, colpendola. Ma anche gli altri si stavano avvicinando al bambino. Ripose l’arco e sguainò la spada, ormai a pochi metri anche lei dal piccolo, il cuore in gola; spronò il cavallo per farlo andare più veloce. Un Mannaro si scagliò sul bambino, lei si chinò per afferrarlo al volo. Lo riuscì a prendere e lo issò davanti a lei mentre un dolore lancinante le si propagò dalla spalla sinistra. Il Mannaro l’aveva presa in pieno con gli artigli. Abbassò preoccupata gli occhi sul bambino, ma era sano e salvo. Almeno per il momento. Fece fare una curva larga al quadrupede e poi si diresse di nuovo verso la porta della città che ora svettava imponente e luminosa davanti a lei. Si voltò indietro a controllare le bestie: la stavano inseguendo, nonostante fossero a svariati metri di distanza. Raggiunta la porta arrestò il cavallo e scese. Disse qualcosa al bambino, mentre Gandalf le si fermava accanto sul suo cavallo nero e allungava il bastone bianco in avanti. Lei diede una pacca al suo cavallo che trotterellò all’interno della città portando il bambino al sicuro. Si voltò di scatto e si ritrovò i Mannari a pochi passi. Sollevò la spada, le gambe ben piazzate a terra e iniziò a combattere. Con l’aiuto dello Stregone ci misero poco ad ucciderli tutti. Stavano per rientrare quando sentì degli ululati in lontananza. Sgranò gli occhi sconvolta e si voltò allarmata. Un’orda stava arrivando verso di loro. Questa volta erano molti di più, accompagnati dagli Orchetti a cavallo. Erano troppi per loro due da soli, quasi un centinaio. Gandalf alzò il bastone al cielo e dalla punta partì una luce blu verso il cielo, poi le disse qualcosa e lei affermò con il capo. La determinazione che le scorreva nelle vene. La spada ricoperta di sangue pronta a sferrare altri colpi. Gandalf scese da cavallo e le si piazzo lì accanto. Appena i nemici furono a portata, iniziò a sparare raggi di luce nel campo davanti a loro: prese fuoco in pochi istanti. Riuscì per un po’ a rallentare l’avanzata nemica. Poi furono loro addosso.
Cercava di ucciderne il più possibile con un colpo solo, ma erano veramente troppi e la spalla le stava facendo dannatamente male, nonostante lei usasse il braccio destro. Sentiva che non avrebbe resistito a lungo. Ma proprio quando la situazione si stava facendo drammatica, arrivarono in loro aiuto le guardie della città e non ci impiegarono molto ad annientare definitivamente il nemico.
Affondò la spada nel petto dell’ultimo Orchetto e la ritrasse. Ansimava per la stanchezza e le fitte erano diventate insopportabili. Percepì un pericolo alle spalle, quindi si voltò di scatto sferrando un colpo, ma la sua spada cozzò contro un’altra. Si ritrovò a fissare i due occhi grigi della figura davanti a lei.
Poi era arrivata Lastie a svegliarla. Ma quegli occhi li aveva già sognati tempo prima, quando era tornata da poco lì ad Arda. Ed anche questa volta le avevano lasciato una strana sensazione addosso.
Erano entrambe talmente immerse nei loro pensieri che non si accorsero che erano giunte a destinazione. Lì sulla soglia della sala di Meduseld, Monica ritornò alla realtà ed osservò colpita l’interno. Il posto era stato sistemato e pulito. Vi erano state messe un’infinità di panche e tavoli lunghi pieni di cibo. Il suo stomaco brontolò, ricordandole che era da un bel po’ che non metteva qualcosa sotto i denti. Si domandò come avesse fatto a resistere fino a quel momento. Mentre avanzava nel salone stracolmo di gente insieme all’altra, qualcuno si voltava ad osservarla. Ma erano diversi dagli sguardi che le vennero rivolti ad Imladris i primi giorni. Quelli di adesso erano per lo più di rispetto. Cercò di non badarvi più di tanto, la cosa la metteva comunque in soggezione. Si diressero verso Elladan che stava parlando con Glorfindel, ma non fece in tempo a salutarli che si sentì chiamare da poco più in là. Si voltò sorpresa e vide Elveon che sceso dalle braccia di Melime, le si lanciò incontro di corsa, con un sorrisone larghissimo. Lei si chinò a salutarlo e lui le si gettò tra le braccia stringendola forte. Le era mancato da morire e se ne era resa conto solo in quel momento.
Ebbe il tempo di salutare solo alcuni dei presenti di sua conoscenza che la cerimonia iniziò.
Eomer se ne stava dritto rivolto verso tutti, dando le spalle al trono che vi era nella sala. Era vestito con abiti suntuosi e in quel momento aveva un’aria solenne. Accanto a lui, alla sua destra, vi era la Regina Lothiriel, alla sinistra il figlio Elfwine.
I presenti sedevano intorno a dei tavoli apparecchiati, tutti in attesa che il Re iniziasse il discorso. Erano riusciti a partecipare anche Aragorn ed Eowyn, nonostante le ferite. Il Re di Gondor aveva insistito a voler essere presente.
- Amici miei, so che i vostri cuori e fisici sono ancora stanchi della battaglia, ma c’è un motivo ben preciso per cui ho voluto tenere così presto la cerimonia di cordoglio. Ebbene, appena la mia gente si sarà ripresa avremo da ricostruire la parte della città andata distrutta, ed essendo i danni ingenti, preferirei farlo quanto prima, dato che l’inverno è ancora lungo. Ma prima di tutto dovremo costruire i tumuli per i nostri defunti. E non possiamo certo lasciare i cadaveri lì dove sono ancora per molto. Poi gli Elfi, i Nani, gli Hobbit e la gente di Minas Tirith presto ritorneranno alle loro dimore, anche se già ho riferito loro che, data la situazione, possono restare tutto il tempo di cui hanno bisogno. Prima che ripartano, però, avrei intenzione di tenere un altro Consiglio. Questa volta, senza la presenza di Morwen che annebbi le nostre menti, dovrebbe andare meglio dell’ultima volta. – proferì sorridendo, anche se il sorriso era leggermente forzato – Purtroppo l’assalto ad Imladris e questa battaglia ci hanno resi molto deboli. Sono stati degli attacchi inaspettati e, se possibile, vorrei evitare che si ripetano un’altra volta. Per questo ritengo che un altro Consiglio sia più che legittimo. E dello stesso parere sono tutti coloro che hanno partecipato a quello vecchio. – continuò osservandoli uno ad uno – Detto ciò, mi scuso con tutti per l’urgenza con cui ho voluto tenere questa cerimonia. I nostri morti vanno venerati per quello che hanno fatto. Hanno dato le loro vite per proteggere questa bella città e tutti coloro che vi risiedono dentro. Per non farci cadere ancora di più nella morsa del Male e darci una possibilità di riscatto, nonché una possibilità di vivere in pace. Eppure in cuor mio sento che questo non è che soltanto l’inizio. Ma giuro qui, questa sera, che non renderò vana la loro morte e anche io farò di tutto perché sia la terra di Rohan, sia le terre dei miei amici possano vivere in pace. – dichiarò, lo sguardo deciso. Quindi sollevò il calice in alto e tutti si alzarono in piedi imitandolo – Ai morti! – urlò. E i presenti gli fecero eco. – Prima di iniziare a banchettare vorrei dire altre due parole. Spero non me ne vogliate male, so che molti di voi hanno fame, sono io stesso uno di quelli. Innanzi tutto vorrei dirvi che purtroppo quello che vi posso offrire stasera non è molto. Sapete tutti che l’inverno quest’anno è stato particolarmente rigido e le nostre scorte già scarseggiavano. In più l’assalto dei giorni scorsi ha impedito di poter commerciare con le altre città, quindi ci siamo ritrovati in ginocchio. Ho già mandato dei messaggeri per avvisare i vicini della situazione in cui ci troviamo, spero ci possano aiutare. E poi, volevo assolutamente ringraziare tutti voi, amici miei, che vi siete prestati a combattere al mio fianco e al fianco della mia gente. Ho un grande debito nei vostri confronti, spero di poterlo ripagare. – Quindi fece una pausa e spostò gli occhi azzurri sul tavolo alla sua sinistra, posandoli su una figura in particolare. – Vorrei infine ringraziare Silwen, con tutto il cuore. – a queste parole la giovane sgranò gli occhi sconvolta e si irrigidì. Ora aveva gli occhi di tutti i presenti puntati su di lei – Se non fosse stato per voi, probabilmente la maggior parte di noi non sarebbe qui adesso, e i nostri corpi giacerebbero nella vallata insieme agli altri. Con il vostro pronto intervento ci avete dato la possibilità di difenderci e con il vostro aiuto di poter resistere. Ci avete dato la prova di essere una persona valorosa ed altruista. – Monica era ormai paonazza per l’imbarazzo e per la situazione in cui il Re Eomer l’aveva cacciata – Ed ora vi parlo come uomo e non come Re di Rohan… vi ringrazio infinitamente per aver salvato la vita di mia sorella, una delle persone più preziose che ho al mondo. – la ragazza spostò un secondo gli occhi sulla Dama seduta su un tavolo dall’altra parte della sala che le sorrise e chinò leggermente il capo in segno di ringraziamento. Poi riportò la sua attenzione sul Re di Rohan perché l’aveva di nuovo chiamata – Venite qui, vi prego. –
Monica imprecò. Già stava diventando insostenibile quella situazione, poi voleva pure che andasse lì davanti a tutti, in bella vista. Ma non poteva certo opporsi. Quindi fece come ordinatole.
- Ora inginocchiatevi. – proferì lui sorridendole bonariamente. Lei obbedì titubante e confusa, non capiva cosa volesse fare l’altro. Questo estrasse la spada e gliela poggiò sulla spalla – Da ora siete una scudiera di Rohan, della casata di Meduseld! – esclamò poggiandole la lama sull’altra spalla. Lei sollevò la testa ancora più sconvolta. Non sapeva nemmeno cosa dire. Biascicò un grazie imbarazzatissima mentre tutti la acclamavano contenti. Il Re si chinò e le porse una mano, aiutandola ad alzarsi – Non so se sarà vostra intenzione restare qui o andarvene, ma sappiate che a Rohan sarete sempre la benvenuta. – infine le diede una pacca amichevole sulla spalla – Bene, amici miei, ora mangiamo! – gridò.

Nonostante il cibo fosse scarso, riuscì comunque a saziare tutti. Finito di mangiare, i presenti si sparpagliarono per il grande salone a chiacchierare con i conoscenti, bevendo birra. Monica era stata raggiunta da Garion che l’abbracciò di slancio.
- Non sapete nemmeno quanto sia contento di vedervi ancora viva e tutta intera! – esclamò sorridente – Io e Meinrad eravamo preoccupatissimi per voi. Sarà felice di sapere che siete ancora viva. –
- La ragazza ha una fortuna sfacciata! – si intromise Leonard zoppicante. Era stato ferito ad una gamba, ma non era grave – Allora è vero che voi due vi conoscete. –
- Sì, l’ho aiutata a Tharbad. – rispose l’altro uomo.
- Pensavate vi avessi mentito? – chiese fintamente offesa Monica – Se non fosse stato per lui, non so se sarei mai riuscita a raggiungere Edoras. Almeno non in tempo. – spiegò la ragazza fissando riconoscente Garion.
- Sono anche io in debito con voi. – fece lui serio – Se sono tornato ad Edoras è solo merito vostro. Avevo perso qualsiasi interesse nelle battaglie lasciando così il mio posto di Primo Maresciallo del Mark dopo la morte di mio figlio. –
Monica sgranò gli occhi sorpresa – Eravate il Primo Maresciallo del Mark? –
- Uno dei miei migliori uomini. – precisò Re Eomer spuntato in quel momento, poggiando una mano sulla spalla di Garion – Se è vero che è stato merito vostro, allora vi devo ancora di più. – le disse.
La ragazza sospirò sperando che tutti quegli elogi finissero il prima possibile.
- Beh, diciamo che il suo coraggio mi ha fatto capire molte cose. Soprattutto che non è scappando che posso proteggere coloro a cui tengo veramente, come la mia patria. –
- Garion, quello che ti dissi prima che te ne andasti due anni fa è sempre valido: il posto di Primo Maresciallo del Mark è solo tuo, di nessun altro. Non c’è nessuno che attualmente potrebbe ricoprire quel ruolo. Sei un mio carissimo amico e una delle persone di cui mi fidi di più, nonché un bravissimo guerriero. Se hai deciso di tornare, quel posto sarà di nuovo tuo. – dichiarò deciso il Re.
- Vi ringrazio infinitamente. – fece commosso l’altro.
La serata proseguì allegramente, ma la ragazza dovette sorbirsi i ringraziamenti di Aragorn, Eowyn, Arwen, Faramir, Elboron e tanti altri. Sembrava che quella sera ci tenessero tutti a metterla in imbarazzo e a farla sentire a disagio. Non pensava di meritare tutti quegli elogi, in verità. Quando vide avvicinarsi Glorfindel la sua espressione divenne supplichevole – Vi prego, non ditemi che siete venuto anche voi a ringraziarmi. – mufficò.
- A dire il vero siete voi che dovete ringraziare me per avervi salvata da quel Troll-Talpa. Sono passati diversi giorni e ancora non l’avete fatto. Potrei offendermi. – proferì sorridendole, strappando una risata anche a lei.
- Vi chiedo perdono per non averlo fatto prima. – gli disse divertita - Grazie. – fece quindi seria.
- Avrei anche da rimproverarvi, veramente. – puntualizzò l’Elfo biondo – Mi è giunta voce che avete tentato di affrontare degli Orchetti completamente disarmata… -
- Ehm… sì… è vero. – balbettò mordendosi il labbro inferiore – E in quel momento mi sono anche ricordata dei vostri insegnamenti… -
- E nonostante ciò avete optato per tentare il suicidio. – rincarò quello, quindi sospirò rassegnato – Siete tale e quale Erdie. Anche lei era avventata, la maggior parte delle volte. – sorrise divertito posandole una mano sul capo – Vedete di non cacciarvi di nuovo nei guai, in futuro. –
La ragazza affermò. Poi approfittò del fatto che Glorfindel venne chiamato da Elrohir per dileguarsi. Era troppo a disagio lì dentro. Decise di uscire sul porticato del Palazzo. L’aria gelida le sferzò il viso accaldato. Alzò gli occhi al cielo stellato; la perturbazione si era allontanata lasciando dietro di sé solo tanta neve. Finalmente si poteva rilassare. Non era stanca, quindi non aveva intenzione di tornare alla sua attuale casa. Aveva solo bisogno di stare un po’ da sola, lontana dalle occhiate di venerazione e i ringraziamenti, senza pensare a cose troppo impegnative.
Fu quando iniziò a sentire freddo che decise di rientrare. Non sapeva quanto tempo fosse passato, non se ne era resa conto, ma da dentro le erano giunte all’orecchio svariate canzoni. Qualcuno doveva aver esagerato con la birra. Fece per muovere un passo quando udì una voce melodiosa e calma, la stessa che aveva sentito quella mattina che le chiedeva se andasse tutto bene. Ma questa volta non era nella sua mente. Una figura completamente vestita di bianco era in piedi di fronte a lei, dall’altra parte del porticato. I capelli dorati, lunghissimi, risplendevano di una luce propria, tenue, quasi argentata. Come se catturassero la luce delle stelle. La stessa luce che risplendeva nei suoi occhi blu. Dama Galadriel era lì davanti a lei in carne ed ossa.

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