Il piccione, il ratto, il canguro e i dinosauri

di AndreaBrivio17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cacciati dall’Eden ***
Capitolo 2: *** In viaggio sul Decumano Olente ***
Capitolo 3: *** Paura e stupore ***
Capitolo 4: *** Chi è il burattinaio? ***
Capitolo 5: *** La magia del Lemming ***



Capitolo 1
*** Cacciati dall’Eden ***


Tanto tempo fa, durante il Cretaceo, un piccione viveva in un dismesso fortino costruito su una roccia concoide. Era un piccione molto rinomato, infatti, era chiamato “il tiranno tombarolo” poiché aveva il morboso bisogno di uccidere e seppellire chiunque fosse nei paraggi della sua roccia.

Un giorno un ratto osò sminuire quel fortino e iniziò a ridere a crepapelle, dicendo: “Ahahah. Oh tu imitabile rastrello, sei solo un imbecille senza la minima conoscenza del management. Il tuo immenso e questionabile laconismo fa sì che la tua magione sia lacera e soggetta a eziolamento”.

Il piccione, sconcertato, rispose: “Languisci di paura! Serra la tua lingua postulante! Per questo diverbio, dal divino Eden sarai scacciato!” (Con “divino Eden” il piccione indicava la spiaggia sulla quale era collocata la sua roccia).

In quel momento volò lì uno storno che disse: “Oh ingenui, il vostro frivolo gemito è una sberla al mio sonno. Di persolfato io cospargo questo lido. Non lo potrete lavare via finché il Lemming non porrà fine al vostro contendere. Così decreto io, Millefoglio il millenario storno!” Dopo che ebbe pronunciato queste parole, sbatté le sue magiche ali dalle quali uscì uno strano gas, e se ne andò. I due, soffocati dal persolfato, fuggirono dalla spiaggia che era, però, il luogo dove entrambi vivevano.

“Mannaggia a te, pidocchiosa fiera. A causa tua le naiadacee del mio lago, situato accanto alla mia roccia, periranno. Senza di esse lo stemma del mio fortino non avrà senso di esistere!” Urlò il piccione al ratto.

“Credi forse che mi piaccia sentirmi come un Istioforo fuori dall’acqua?” Replicò il roditore.

“Devi congratularti con te solo se abbiamo destato Millefoglio dal suo Olimpo. Per il tuo disumano deridere abbiamo ricevuto questo premio!”. Gli rispose il piccione.

“Del mio “disumano deridere” hai da ridire, ma forse sarebbe meglio parlare del tuo machiavellico capriccio che ha portato al nostro Esodo”.

“Di qual “machiavellico capriccio” vai blaterando?”

“Del tuo macroscopico narcisismo. Dà retta a me, se tu, invece di girovagare dopo la ribellione, ti fossi cominciato ad evolvere e non ti fossi comportato da “tiranno tombarolo” quale sei diventato, saresti ancora con Drupa il canguro. Invece passi le giornate a cinguettare e ordire omicidi oltremodo sregolati per chiunque si avvicini a te, formando così un cimitero di cadaveri attorno al tuo fortino. Ti sembra forse un passatempo consolante?”

“Non nominare Drupa in mia presenza!” Urlò il piccione al ratto e si allontanò da lui zampettando.

“Fermo!  Solo insieme possiamo liberarci dal maleficio di Millefoglio”. Disse al piccione.

“Sta bene sconquassatore.” Ed insieme si allontanarono dal precluso luogo che un tempo chiamavano casa (o  “divino Eden”).

“Ci potremmo impiegare mesi di cammino.” Gli disse il ratto. E fu così che i due stettero un momento senza insultarsi.

“Speriamo che il Lemming sappia come diradare la coltre di solfato che avvolge il divino Eden.” Pensò ad alta voce il piccione. “Dobbiamo trovare il cantone nel quale ora si trova il Mikado di quel Lemming giramondo.”

“Aspetta! – lo interruppe il ratto – Ho avuto una premunizione. Il suo mikado si trova vicino a una gloxinia, all’uscita ovest della Bollente Distesa di Carote”.

“Quindi nel tenimento di Drupa?” chiese il piccione con ripugnanza.

“Esatto. Ma cerchiamo del cibo: è ora di cena.”

Smisero di interloquire ed immolarono un paio di vermi per poter cibarsene. Si era ormai fatto buio e i due si rassettarono per riposare.

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Capitolo 2
*** In viaggio sul Decumano Olente ***


L’indomani si svegliarono presto con il cielo color cenere. “Non ci vuole una premonizione per stimare che sta per piovere. Prendiamo il Decumano Olente, è la strada più breve per la bollente distesa di carote”. Disse il piccione. Così fecero. Mentre passeggiavano, però, s’imbatterono in uno sgombro fruttivendolo che ex abrupto gli piombò davanti come un invettore: “Mandorle! Mandorle! Voi avete la faccia di gente che vuole mandorle. Sono mandorle dal tegumento non velenoso. Hanno un aspetto quadrato, vedete, ciò vuol dire che sono sufficientemente…”.

“Smettila di tormentarci. Quelle sono fave, idiota!” lo interruppe il piccione. Lo sgombro si allontanò borbottando “Se lo dite voi, ma la Giraffa Palliata le gradisce molto.”

“Ha ragione. – Disse il ratto al piccione – Se non diamo nulla da mangiare alla Giraffa, quella ci sbarrerà la strada e le uniche cose di cui si ciba sono quelle mandorle o la corolla di mughetto viola e, giacché di mughetti non ne incontreremo, meglio accontentarsi di ciò che ci offre questo sgombro in Dorsay”. Così decisero di comprare tre Mandorle da consegnare alla Giraffa e due noci che si sarebbero tenuti per il viaggio.

Ripresero a camminare. Passarono dieci ore quando il Sole calò e i due persero l’orientamento. Si fermarono nella locanda più famosa del Decumano Olente, dove mangiarono e si presero una bella sbornia. Il ratto intraprese una conversazione da ubriaco con il piccione: “La rivoluzione non ti ha fatto bene.”

“Ribellione, ribellione è il termine più appropriato. Che disdetta, nevvero? Il neonato Stato Baronale Anti-sauri sembrava funzionare a meraviglia per me e il mio commilitone, nonché grande amico, Drupa. Ma poi lui, in quanto pluripremiato sergente, è stato costretto a prendere in matrimonio la Baronessa e la situazione è degenerata. Io invece ero un “individuo psicolabile non consono a qualunque carica di comando” come disse la baronessa Ginger e, per colpa di quella puttan… – s’interruppe un attimo – meretrice, fui distaccato dal mio amico e costretto a vivere lontano dai suoi possedimenti. E lui cos’ha fatto? S’è forse opposto a quegli ordini dicendomi di rimanere? No, col cazzo che l’ha fatto. Ha indossato la maschera da barone e mi ha gentilmente chiesto di andarmene, altrimenti avrebbe usufruito dei poteri di legislatore per diramare un ordine di cattura nei miei confronti”.

“E tu che hai fatto? Sei stato ai suoi ordini diventando così un vagabondo?”

“Giammai! Mi opposi ma Ginger movimentò le guardie che mi cacciarono via come fossi un qualunque criminale. Dopo quest’avvenimento ho passato cinque anni della mia vita a cercare un luogo che, per quanto parco potesse essere, non fosse direttamente controllato dal Centro di Comando Baronale ma che fosse comunque all’interno dello Stato, altrimenti me la sarei dovuta vedere con i Sauri ed iniziare un’altra ribellione, da solo, ma sarei sicuramente stato scaraventato all’altro mondo. Ed è così che mi sono rifugiato sulla spiaggia, il mio “divino Eden”, indubbiamente dentro lo Stato ma comunque lontano dalla Città Capitale e dai possedimenti sotto il diretto comando del barone e del CCB”.

“Sarò pure imbriaco e non capisco nulla, ma allora perché hai accettato di venire con me dal Lemming, così facendo rientreresti nelle terre di Drupa e, in quanto pregiudicato, sarai catturato e punito, non potevi andare a caccia di un altro luogo nel quale potessi vivere?”

“Perché piuttosto che scappare ancora, preferisco l’espulsione o il patibolo. Ma ora sono stanco di rievocare ricordi che non sono di mio gradimento. Questa è l’ora di riposare”. Detto ciò i due salirono le scale della locanda ed andarono a dormire.

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Capitolo 3
*** Paura e stupore ***


Il giorno seguente, dopo una colazione a base di fagioli (che non era così paranormale per quei due), ripresero il loro cammino sotto un cielo di un grigio inespressivo come il giorno prima, consapevoli che di lì a poco avrebbero incontrato la Giraffa Palliata che stava a guardia della Bollente Distesa di Carote.

“C’è qualcosa di strano.” Disse il ratto.

“Un’altra delle tue premunizioni?”

“No. Guarda!” Disse indicando il terreno. “Sembrano orme di un iguanodonte” e le seguì come fa un buon detective. “Per tutte le premunizioni! Guarda!” Gridò al piccione che era rimasto poco più indietro. Lo raggiunse e vide lì corpo esanime della Giraffa Palliata, macero e circondato da mosche e parassiti.

“Oh no! È l’inizio della fine. Gli iguanodonti sono erbivori, mangiare carne è contro la loro natura. C’è qualcosa che non va”. Esclamò impaurito il piccione.

“Cosa vi porta qui, forestieri.” Disse una voce dietro di loro.

“Dobbiamo portare un messaggio al barone.” Improvvisò il piccione girandosi.

“Non mi sono mai imbattuto in dei messaggeri così strani, prego ditemi pure.” Replicò la voce: era Drupa il canguro, nonché il barone.

Il piccione si zittì, come un pargolo spaventato. “Lo Stato si fratturerà. Ohimè, qualcosa ha fatto ribellare i Sauri. Stavo andando con il mio coinquilino dal Lemming, quando la vista di una cosa ci ha procurato spavento: il cadavere della Giraffa Palliata dilaniato da un iguanodonte. Bisogna fare qualcosa per fermarli o la situazione culminerà in una seconda guerra, di una brutalità non paragonabile a quella già subita”. Disse il ratto, sperando in un aiuto del barone, mentre il piccione stava ancora in silenzio.

“Troppo tardi. Hanno già messo a fuoco la Distesa di Carote e hanno fatto razzia al palazzo baronale. Dobbiamo fuggire da questo casotto.”

“Per cinque anni sono fuggito! Cinque anni ci ho messo per cercare un posto decente, ivi mi sono stabilito. Se voi avete intenzione di farlo non vi fermerò, addio!” Esclamò il piccione irritato.

“Ragiona. Il castello, che è sempre stato inespugnato, è stato saccheggiato. Vieni via finché sei in tempo.” Replicò Drupa.

“Non vorrei interrompere il momento clou della discussione – disse il ratto – ma abbiamo un problema che è tutt’altro che un nonnulla.” Un’ombra cupa precipitò su di loro. Il ratto guardava in alto, attonito. Anche Drupa e il piccione si voltarono e videro le membra di un enorme dinosauro. “Posticipate la vostra discussione e scappiamo.” Il ratto cominciò a correre verso sud come un cucco, gli altri due lo seguirono.

“Dobbiamo trovare un modo per disfarcene! – Disse Drupa correndo come un forsennato – Scendiamo giù verso il Cantone Polito, lì troverà un sacco di piante che lo faranno ingolosire, non riuscirà a disobbedire alla sua natura.” Così i tre, seguiti dal loro nemico indomabile, si precipitarono verso il bosco di conifere e latifoglie che li aspettava a sud.

Ma l’iguanodonte si avvicinava con grandi balzi, al che Drupa prese un otre dal suo marsupio. “Bevete, è succo di ginko magico, raddoppierà la forza muscolare. Lo tenevo per situazioni di emergenza e questo sembra il caso adatto.” Essi bevvero quel liquido dal gusto di tè al ginseng e accelerarono, come se fossero in qualche modo predisposti a scappare.

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Capitolo 4
*** Chi è il burattinaio? ***


“Che fuga fortunosa!” Disse il ratto una volta che i tre ebbero trovato rifugio sotto una palma da datteri.

“Non so ancora come siano diventati dei golem senza spirito e anima, né tantomeno so chi sia il loro burattinaio, ma dobbiamo scoprirlo.” Disse Drupa Guardando dal loro loculo sicuro l’iguanodonte che si cibava di una quercia millenaria.

“Salve pellegrini, come posso aiutarvi.” Disse una voce. Si guardarono attorno ma non videro nessuno.

“Sarà stato solo un miraggio” disse il ratto.

“No. Sono qui, sopra di voi.” Qualcosa cadde dalla palma.

“Ezio Tacchino?” domandò stupito il ratto.

“Esatto! Cosa vi porta qui nel Bosco Irto?”

Drupa prese la parola: “C’è bisogno di purgare i Sauri. Qualcosa o qualcuno lo sta dominando contro il loro consenso, tu hai idea di chi sia o di come fermarlo?”.

“Oh cielo! Il Lemming potrebbe aiutarvi”.

“Non credo. – Rispose il ratto – La Bollente Distesa di Carote e la Città Capitale sono stati dati alle fiamme e, probabilmente, anche il suo Mikado”.

“Ma lui non si trova lì – Replicò Ezio – tre giorni fa il suo cuore ha fatto capricci ed è stato portato dal suo cognato Pasquale, al di là del Rivo Scarabocchio”.

“Non sapevo che Pasquale il picchio gioielliere fosse parente del Lemming”.

“Ottimo. Prendi il piccione e seguimi. – Disse Drupa – Forse riusciamo a passare quel rivolo prima che altri Sauri spuntino fuori”.

Arrivati al Rivo scarabocchio, però, non sapevano come fare per attraversarlo. In quel momento udirono un verso simile ad un muggito che proveniva dal fiume: “Pagare pedaggio” diceva.

“Sono io, Drupa” disse il canguro, rivolto al fiume.

“Allora subirai un sovrapprezzo! Non una ma due noci dovrai darmi se non vuoi cascare in acqua”.

“Per fortuna ce ne siamo procurate proprio due dal fruttivendolo l’altro giorno” disse il ratto tirando fuori le noci che avevano conservato. Drupa le prese e le lanciò nel rivo. Dall’acqua emerse un ponte di lapislazzuli bagnati. I tre attraversarono il ponte e si diressero al maniero di pasquale.

“Speriamo non sia accaduta un’altra disgrazia” disse il ratto mentre si avvicinavano alla policromatica dimora di Pasquale.

“Voi dovete essere i postini. – disse una voce dall’interno della casa – Prego entrate.” I tre colsero l’occasione ed entrarono nella spaziosa stanza d’ingresso. “Mi avete recapitato ciò che avevo chiesto con urgenza dalla Città Capitale stamattina?” Domandò il picchio mentre scendeva le scale per accoglierli.

Drupa gli rispose: “Veniamo proprio da quella direzione. La Capitale è stata distrutta da incendio questa notte, la sua richiesta non è arrivata. Signor Pasquale Picchio, noi siamo qui per chiedere immediato aiuto al Lemming; sappiamo che è capace, con le sue arti magiche, di fermare questa diavolosa rivolta dei Sauri”.

“Ascolta, – rispose Pasquale – forse è per colpa di mio cognato che accade tutto ciò. È reduce da un attacco di cuore, sapete? Ha perso i sensi e ora, in questo stato di dormiveglia, non riesce a controllare la sua magia ed è prigioniero di essa, lui come chiunque in questo mondo. L’unica cosa che lo può salvare sono delle mandorle quadrate, quelle che ho chiesto stamane alla Capitale”.

“Machiavellico capriccio…” Disse il piccione sottovoce.

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Capitolo 5
*** La magia del Lemming ***


Erano le prime parole (o quasi) che pronunciava da quando avevano incontrato Drupa “Noi le abbiamo le mandorle quadrate! Le abbiamo prese dallo sgombro in dorsay! E continuo a sostenere che siano fave e non mandorle!” Urlò tirando fuori i frutti e lanciandoli verso il picchio.

“Bene ora dobbiamo solo fargliele ingerire.” Disse Pasquale prendendo da terra le mandorle cadute. Salirono le scale, entrarono in camera e videro il Lemming che giaceva sul davanzale della finestra. Il picchio si avvicinò a lui e urlò: “Quieta la tua negromanzia e ciò che è labile più non sia.” Prese una teglia, gliela diede in testa per sedarlo, cosparse le mandorle di nitrobenzene e gliele fece inghiottire in modo aggressivo insieme a delle erbe di erica. Seppure fosse svenuto, il Lemming balzò in piedi in centro a quel locale, diventò scarlatto in volto ed iniziò a lacrimare, muovendosi per tutta la stanza. “Sta avendo effetto, è una sua vecchia ricetta, speriamo sia un effetto benefico”.

“Sono memore di ciò che sono! – Gridò il Lemming – Nella mia esperienza premorte ho avuto una fondamentale quanto breve illuminazione. Si sedette ed iniziò a scrivere un’elegia alle pigne. Tutti erano zitti, senza giudicare ciò che stava facendo. “Portatela all’organista. La dovrà cantare sulle note di un requiem per salvarci così dalla rivoluzione dei Sauri”. Dopo che ebbe detto ciò, impugnò, barcollando, un sottile orecchino ed iniziò a urlare monosillabi.

“Non ha ancora ripreso le briglie della sua mente. – Disse Pasquale mentre accompagnava gli altri all’uscita – Cercherò di farlo dormire, voi andate dalla Talpa organista, saprà salvarci”. Ella non abitava tanto lontano, a solo diciotto minuti di distanza da quella casa.

Presero la direzione giusta ed in poco tempo si trovarono sotto casa dell’organista. La talpa era abbacchiata fuori dalla porta a leggere un giornaletto. “Cosa vi porta a disturbarmi mentre leggo il numero settimanale di “Lustrare i premi”?” Chiese.

“Bando alle ciance. Ti do cinque monete se canti questo sulle note di un requiem”. Le disse Drupa.

“Ok, basta che non mi scocciate mentre suono.” Rispose la talpa. Entrò in casa, si mise a suonare ed intonò:

“Il meriggio.

Prendo pigne.

Esplodono in casa.

Un mercante sconsolato

Mi chiama maestà.

Cicatrizzo le mie ferite.

È giovedì e la ribellione malvoluta

Frattanto perirà.”


Nel momento in cui finì di suonare, un velo di nubi coprì il cielo e la luce di Marte si espanse senza alcun motivo apparente. Il canguro, il ratto e il piccione si recarono subito dal collerico Lemming e la talpa si rimise a leggere il suo giornaletto. Mentre correvano verso casa di Pasquale, videro un pterodattilo malvagio che precipitava, morto, così furono rassicurati. Giunti dal Lemming scoprirono che la sua mente non soffriva più.

“Prima di uscire – disse Pasquale, rivolgendosi al piccione – fermatevi alla “locanda dell’oleandro” qua vicino e appianate la vostra vecchia scaramuccia.”

Se ne andarono e, con il Sole che in lontananza calava, si fermarono a prendere dell’idromele nel posto che il picchio gli aveva raccomandato. Li accolse un parente di Drupa che gli preparò anche un po’ di pasta al ragù di carne macinata. I due mangiarono, bevvero e chiarirono i loro antichi diverbi.

“Dato che non possiedi una casa, ti consentirò di vivere con me.” Disse il canguro al piccione. Il ratto stava zitto e osservava la scena sorseggiando il suo succo di luppolo.

“Ma appena giungerò a casa tua, tua moglie mi caccerà”. Replicò il piccione.

“No. È morta nel non breve incendio”.

“E tu che farai, tornerai laggiù alla spiaggia?” Domandò il piccione al ratto.

“Vivrò nell’inquietante campo di ribes insieme alla civetta Maddalena. Dopotutto starà aspettando Kelvin il ratto, il suo roseo condivisore di letto”.

“Non sapevo fossi sposato.” Gli disse il piccione.

“Io e la mia dama non siamo sposati, siamo solo compagni di gioco, se capisci quello che intendo.” Scoppiarono tutti a ridere che per poco non cadevano dalle proprie sedie. Ed è con queste risate che è iniziata una nuova era, senza più dinosauri.

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