Sensazioni brevi

di athenawinchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intanto ti aspetto ***
Capitolo 2: *** Agnizione ***
Capitolo 3: *** Mio padre ***
Capitolo 4: *** Sei lesbica? ***
Capitolo 5: *** Meglio di niente ***



Capitolo 1
*** Intanto ti aspetto ***


Intanto ti aspetto



Sedevi sul muretto davanti a scuola, con una gamba sopra l'altra e il volto serio mentre portavi la sigaretta alla bocca. Sembravi irraggiungibile, non t'importava di nulla, non dovevi nulla a nessuno, sedevi semplicemente su quel muretto intanto che fumavi, senza ambiguità o significati particolari.

Non avevi nulla a che fare con me, che cercavo continuamente tracce di un destino celato e gli echi della voce di un dio che svelasse la ragione di tutte le angosce e la vita e le lotte perse. Tu non credevi a niente e quello che avevi lo dovevi a te soltanto, e tutti gli altri erano solo ombre nella tua vita, che comparivano e scomparivano.

Fui un'ombra nella tua vita anche io, e quando scoprii che già non potevi vedermi più cercai nuovamente la voce di quel dio che non riuscivo a raggiungere, o che non voleva essere raggiunto. Delle milioni di domande che gli porsi, che mi porsi, non ricordo nemmeno il senso. E ora che tutto è terminato ho scordato anche tutte quante le sensazioni, e ogni cosa è solo il riverbero di un vecchio film.

Che dio strano, e che destino bizzarro, penso, che ti fa dimenticare quel moto che, seppur assurdo, eppure talmente chiaro e sensato in quell'istante brevissimo ed eterno, ti fece credere ciecamente in qualcosa, e poi ti lascia solamente la bocca con un sapore come di dopo sbornia e con il petto come se qualcuno lo avesse calpestato. E penso che sia questo senso di oblio che impedisce alle persone di andare avanti, e penso anche che Dio o il destino o la natura abbiamo sbagliato completamente con noi.

Ora ascolto canzoni tristi e compongo poesie tristi, e nemmeno so perché sono triste. E intanto ti aspetto, e mentre ti aspetto ti dimentico.

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Capitolo 2
*** Agnizione ***


Agnizione 


A un certo punto della mia vita, senza che avvenimenti particolari accadessero, ho sentito di mancare di qualcosa di importante. La mattina mi svegliavo con estrema fatica nonostante avessi dormito più delle ore necessarie, la giornata pareva non trascorrere mai ma una volta giunta la sera scoprivo di non aver fatto niente, e con un'immotivata stanchezza mi coricavo a letto angosciata per il giorno successivo, desiderando con tutte le mie forze di dormire per sempre.

Non volevo morire, non lo volevo davvero. Non so se fosse per autodifesa o solo per ingenuità, ma continuavo a pensare al futuro, o meglio a un futuro radioso, pieno di successi, viaggi, passioni, avventure. Ne ero convinta, quindi aspettavo impazientemente questo futuro pieno di promesse meravigliose, e nel frattempo non facevo niente.
Avevo smesso di studiare, di uscire, di parlare, e aspettavo con tutte le forze che il tempo passasse e si portasse via l'esistenza ordinaria di cui avevo parte. Volevo vivere così tanto che al contrario finii lentamente per morire, e tuttavia ne ero conscia, ma totalmente incapace di reagire, quasi che fossi stretta in una camicia di forza e nessuno se ne accorgesse.

In realtà credo che mi piacesse essere vittima dei capricci dell'universo, che questo facesse di me una sorta di eroina, e le disgrazie e i dolori degli altri non mi sembravano nulla, e ne ridevo, perché ero certa che questi non fossero nemmeno paragonabili ai miei. Mi sentivo dunque giustificata nel mio assorto vagare senza meta.

E piangevo sforzandomi, perché non riuscivo a versare una lacrima spontanea, e avevo bisogno di qualcuno ma non volevo nessuno, perché nessuno era in grado di comprendermi e, infondo, non volevo essere compresa.

Ero il fantasma di qualcuno di importante che era stato dimenticato, e che era disperatamente in cerca di agnizione.

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Capitolo 3
*** Mio padre ***


Mio padre


Mio padre sedeva da solo al tavolo della cucina. Aveva allontanato il piatto di verdure miste e guardava la televisione, che trasmetteva un vecchio film comico. Ma mio padre non rideva. 
Mio padre aveva gli occhi velati da un sentimento insidioso e terribile, che conoscevo bene perché era anche il mio.

Mio padre non mangiò quella sera, e si addormentò sul divano del soggiorno, dove il riscaldamento non era acceso perché non vi entrava mai nessuno. Andai a coprirlo con una coperta troppo sottile, e se ne stava talmente immobile che pensavo se ne fosse già andato.

Quando mi coricai anche io, piansi penosamente per tutte quelle volte che per capriccio gli avevo voltato le spalle, e che per orgoglio lo avevo ferito con le parole. E piansi per gli abbracci stretti che non gli avevo più dato perché non c'era mai tempo, per le carezze che non avevo ricambiato perché occupata con le mie insignificanti faccende, e per i baci che gli avevo negato perché ormai ero diventata troppo grande per quelle cose.

La mattina ero arrabbiata: pensai che mio padre fosse egoista, perché non si può voler morire quando si è responsabili di qualcuno, anche se tutto precipita.
A mezzogiorno fui risentita: mi chiesi come potesse andarsene senza aver visto realizzarsi tutte quelle folli e meravigliose aspirazioni con cui lo avevo da sempre tormentato.
Alle nove mio padre non era ancora tornato a casa, ed io ebbi paura per la prima volta, e volli andare a cercarlo ma non sapevo dove andare, e intanto ripetevo: papà, se sei morto non ti perdono, non ti perdono.

Alle nove e mezza suonò il campanello di casa, due volte. Il primo suono breve, il secondo prolungato. Mio padre suonava così il campanello, cosicché lo riconoscessimo sempre, e siccome ci avevo messo un po' ad aprire entrò in casa lamentandosi perché stava tenendo una pesante cassetta di arance.

Quella sera mio padre fece la spremuta, e bevemmo insieme guardando un vecchio film comico che ci fece ridere per molto tempo.

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Capitolo 4
*** Sei lesbica? ***


Sei lesbica?


Alla mia scuola c'era una ragazza, che stava con un'altra ragazza. La mia era una scuola di tutte donne, e fuori si diceva che fossimo tutte quante lesbiche. Io non ero lesbica però, lo sapevo bene: alle medie mi piaceva da impazzire un certo Lorenzo, anche se non ricordo il cognome.

Eppure c'era qualcosa in questa ragazza, che stava con un'altra ragazza, e non sapevo bene che cosa. Aveva i capelli neri, corti, e gli occhi scuri e profondissimi: lo sapevo perché una volta, sull'autobus, ci eravamo guardate.

Un pomeriggio, dopo scuola, la ragazza mi chiese una sigaretta, ma io ancora non fumavo, quindi dovetti dirle che no, non l'avevo, ma lei mi ringraziò comunque e poi, senza che glie lo avessi chiesto, mi disse che si chiamava Chiara. Ricordo che pensai che quel nome non le si confaceva affatto.

A me piaceva chiamarla Mei quando facevamo l'amore, perché Mei in giapponese significa oscurità, e in quel momento ero così ossessionata dal Giappone che lei mi prendeva in giro allungandomi gli occhi, ma poi mi lasciava teneramente un bacio sul collo, così io glie ne lasciavo uno sul seno, e lei me ne lasciava altri mille sulle cosce, questa volta meno teneri.

Quando la ragazza di Mei ci sorprese fui sinceramente dispiaciuta, ma lei non volle ascoltare ragioni. Il giorno dopo a scuola tutti sapevano tutto, ed il giorno dopo ancora lo sapeva anche mia madre, ed entro la domenica lo sapevano persino i miei parenti. Come? Non sarai mica lesbica? No, dicevo, io non sono lesbica: lo so bene.

Fui mandata dalla psicologa, e intanto mentre tornavo da ogni seduta incontravo la mia Mei alla fermata dell'autobus, con i suoi capelli neri disordinati e gli occhi luminosissimi, e mi sussurrava che mi amava. Quindi fui mandata a confessarmi, e la responsabilità della mia anima era tutta nelle mani di quel prete dalla testa pelata, che mentre parlava se ne stava in una posizione così rigida che pensai che non credesse a nulla di quello che diceva. Ora mia madre veniva a prendermi con la macchina, e intanto dal finestrino salutavo la mia Mei che continuava a sussurrare da lontano.

Cominciai a vedere Mei sempre più raramente, e quando infine cambiai scuola non la vidi più. Prima che me ne rendessi conto tutto era tornato ad essere come prima, ed i parenti ora erano fieri di me, perché non ero più lesbica.

All'università studiai il giapponese, mi laureai in scienze politiche e poi mi trasferii a Tokyo. La prima sera che vi trascorsi decisi di voler trovare, per scherzo, una ragazza che si chiamasse Mei. Non ve n'era alcuna, in nessuno dei bar in cui ero entrata, ed un uomo anziano estremamente curioso ma dal volto simpatico, seduto accanto a me con il suo bicchiere di umeshu, mi chiese chi fosse questa ragazza che tanto cercavo. Io gli dissi nessuno, nessuno. Ma lui sorrise e fece: è il nome della ragazza che ami, non è vero? Sì, sì, risposi subito, senza pensieri o rimorsi, e lui annuì, però non mi chiese se fossi lesbica.

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Capitolo 5
*** Meglio di niente ***


Meglio di niente


Tante cose che accadono non solo non si possono prevedere, ma prendono strade indipendenti da quelle scelte con la più meticolosa cura. Sono quelle terribili o splendide variabili, la cui differenza è troppo sottile per dare l'opportunità di prepararvisi, e anche questo è splendido e terribile insieme.

Non ti aspettavo, aspettavo qualcun altro; né ti avevo in mente, perché in mente avevo qualcun altro, e mi piaceva quel gioco superficiale che si approfondiva solo di notte, e lasciava un'impaziente curiosità e magnifiche aspettative per il domani. Ti vidi in foto rapidamente, ma io già avevo il mio sogno, non avevo bisogno di te. Poi d'improvviso, non saprei dire quando, ridevi in un angolo mentre portavi i capelli lunghi dietro le orecchie, e ridevi così tanto che gli occhi si chiudevano, ed io che ridevo così poco non riuscivo a comprendere come si potesse farlo a quel modo.

Chi non è mai stato amato è facile vittima delle parvenze di affetto, e non le dimentica: esse si ripetono nella mente continuamente, ed il loro accumularsi origina un'ulteriore parvenza, che è la vita.

Eravamo diversi come due capi male assortiti. A te piaceva il sole, che a mezzogiorno ha medesimo il colore dei tuoi capelli, amavi l'avventura e non facevi nulla che ti nuocesse. Io mangiavo poco e fumavo troppo, e ogni cosa nella vita mi pareva così gravosa da dovermi fermare per respirare continuamente.

Chi ci conosceva non comprendeva che cosa ti tenesse legato a me, ma io lo sapevo, e sapevo anche come quell'ennesimo fallace amore sarebbe terminato, ma questo dolore che mi tengo stretto è meglio di niente, quindi l'ho preferito. E pure ogni sguardo mai condiviso era meglio di nulla, ed il sesso la mattina e i baci la sera, e le disilluse promesse e i fragili progetti, e le carezze impercettibili che parevano rubate e il cuore che batteva, le ginocchia che tremavano, il respiro che mancava, la sorpresa, la delusione, la riscoperta, erano meglio di niente. Tu eri meglio di niente.

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