Friendship Is Love Without His Wings

di Lady I H V E Byron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Suggerimento ***
Capitolo 2: *** Pagliaio ***
Capitolo 3: *** Morse ***
Capitolo 4: *** Definizione ***
Capitolo 5: *** Ricreazione ***
Capitolo 6: *** Strega ***
Capitolo 7: *** Eclissi ***
Capitolo 8: *** Concerto ***
Capitolo 9: *** Mimo ***
Capitolo 10: *** Medaglie ***



Capitolo 1
*** Suggerimento ***


Note dell'autrice: questa nuova serie di storie è una specie di copia di questo contest del "The XIII Order Forum": http://thexiiiorder.forumcommunity.net/?t=59193970 e http://thexiiiorder.forumcommunity.net/?t=59231021
al quale ho partecipato; l'ispirazione per questa copia è stata tratta dalla mia 25a storia, che metterò qui per prima.
Il tema trattato sarà sull'amicizia.
Via con la prima storia! Pubblicherò una storia a settimana.
P.S.: non vi dirò in anticipo il nome dei personaggi: voglio che lo scopriate da soli. Se proprio "rinunciate", ve lo dirò tramite messaggio privato. Vi avverrto, l'insieme è una specie di OOC, quindi non rompete con "Ma lui non era così!" ecc. ecc.
  P.S.: crossover con "Assassin's Creed"
 
Suggerimento




Era buio in una città medievale.
Il momento ideale di incontri segreti.
Un uomo di circa quarant’anni, di corporatura robusta, stava osservando i raggi lunari che illuminavano le strade.
Dava l’idea di aspettare qualcuno, e dai suoi respiri era comprensibile un po’ di timore, magari di essere stato attirato in una trappola.
Un’altra figura si avvicinò; un altro uomo, dal fisico asciutto e di qualche anno più giovane di colui che lo attendeva.
-Ho ricevuto la tua lettera.- disse il quarantenne, staccandosi dal muro.
-Sì, lo vedo…- fu la risposta, con voce apparentemente indifferente –Lieto che tu sia arrivato.-
L’altro non sembrò ricambiare la cortesia: incrociò le braccia e aggrottò le sopracciglia.
-Che cosa vuoi? Non ti basta quello che hai fatto?-
-Senti, io…-
-Da quando sei divenuto Priore, ti sei montato la testa. Credi che avere un rango elevato ti dia il diritto di piena libertà, anche su come trattare gli amici? Dov’è finito l’onore?-
L’altro scosse la testa, dispiaciuto.
-Mi dispiace. Devo attenermi alle decisioni del Consiglio.- spiegò -Se non lo faccio, potrei essere accusato di baratteria. Comunque, da come avrai letto nell’epistola che ti ho inviato, volevo incontrarti perché voglio aiutarti.-
Il quarantenne, all’improvviso, venne colto da un particolare attacco di curiosità. Non sapeva se fidarsi o meno dell’amico, ma non aveva molta scelta.
-Ti ascolto.- disse, bruscamente –E prega di essere convincente!-
L’amico, sollevato dalla disponibilità dell’altro, fece un lungo respiro, per raccogliere tutti i suoi sentimenti, e poi cominciò a spiegare.
-Come sai, domani dovrò decretare il tuo esilio, in presenza dei membri del Consiglio.-
-E fin lì lo sa mezza città.-
-Ma ciò non succederà.- tagliò corto il più giovane –Perché tu sarai già lontano da qui.-
Il quarantenne, da quasi indifferente, passò ad allarmato. Non si aspettava certo una risposta simile.
-Lontano da qui? Ma come…?- domandò, inizialmente, senza riflettere, ma gli bastò un lampo per capire tutto –No… non li avrai contattati, vero? Non avrai chiesto agli Assassini di…?!-
-Mi dispiace.- si scusò l’altro, scuotendo la testa –E’ l’unico modo di portarti fuori dalla città senza farti beccare dalle guardie. Ti stanno aspettando al ponte. Se fuggi adesso, sarai in vantaggio di almeno un giorno. Le guardie non ti troveranno.-
L’uomo più grande sperò con tutto se stesso che quanto stava ascoltando fosse uno scherzo.
Non era sicuro di fidarsi della persona che aveva davanti.
-Ti serve per caso una scusa per incriminarmi di un crimine cui non sono responsabile?- domandò, a bruciapelo.
-No, mi serve una scusa per non condannarti all'esilio!- ribatté l’altro, serrando le labbra –Tu sei il mio migliore amico! Con che cuore posso trovare il coraggio di mandarti in esilio?-
Quelle parole fecero quasi svanire del tutto il rancore che il futuro esiliato provava per l’amico: si era reso conto che, nonostante la carica che ricopriva, non si era dimenticato degli amici, di quello che provava per loro, il rispetto che provava soprattutto per lui, che è stato più di un amico, un maestro.
Aveva corso dei rischi, incontrandolo di notte, con la proposta di un aiuto che poteva rivelarsi fatale per la sua carriera, se qualcuno avesse scoperto la verità.
Presa la sua decisione, il quarantenne scosse la testa, sorridendo lievemente.
-Apprezzo il gesto, amico mio, ma non posso accettare.-
Il più giovane percepì una fastidiosa morsa allo stomaco. Ma non per lui, per l’amico.
-Sei impazzito?!- esclamò, a bassa voce –Io ti sto offrendo la possibilità di scappare, senza che io venga costretto a condannare all’esilio il mio migliore amico. Hai idea di come mi sia sentito, di come mi sento al solo pensiero di condannarti pubblicamente all’esilio?! Accetta il mio suggerimento, ti prego!-
-E per cosa? Essere inseguito costantemente dalle guardie, con l’accusa di non aver presenziato alla cerimonia che avrebbe preceduto il mio esilio? Ne faccio volentieri a meno, grazie. Così risulterò un fuggitivo e così facendo peggiorerò la mia situazione e darò conferma dei crimini cui sono accusato. Sarà pure la scelta più semplice, ma le conseguenze sono ben peggiori dell’esilio. Rifletti: se vengo pubblicamente condannato all’esilio, è vero, non potrò più tornare qui, ma almeno vivrò senza preoccuparmi di essere inseguito. E questo lo dico anche per te: anche incontrarci così, di notte, potrebbe compromettere la tua carriera di Priore. Se scappo come mi hai suggerito tu, potresti essere tu il primo sospettato. Non voglio che i miei amici paghino per i miei crimini.-
-Ma…!-
-Fidati, è meglio così…-
Niente da fare.
Non c’era modo di fargli cambiare idea.
I loro sguardi dicevano tutto: uno scambio di affetto quasi fraterno quasi inondò le loro anime e i loro occhi cominciarono ad essere lucidi.
Il più giovane prese l’amico per le spalle, osservandolo malinconico, come oppresso da sensi di colpa.
-Stammi bene, Guido.-
L’altro ricambiò il saluto.
-Stammi bene, Dante.-
 

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Capitolo 2
*** Pagliaio ***


Note dell'autrice: mi sono permessa di nuovo di stravolgere un paio di personaggi storici... mi scuso per le ripetizioni e con eventuali puristi...
 

Pagliaio


Quando una persona sta sfuggendo da un pericolo, qualsiasi nascondiglio poteva andar bene per celare le proprie tracce.
Due uomini, di circa dieci anni di differenza tra di loro, stavano correndo su un sentiero sterrato di campagna, voltandosi continuamente indietro.
Si fermarono all’improvviso, alla ricerca di una strada su cui proseguire.
Si giravano intorno con ansia.
-Cosa facciamo adesso?- domandò il più giovane –Dove andiamo?-
Il più anziano si sentiva perso, come l’amico, ma non trovò le parole per esprimere il suo disagio.
Improvvisamente, un miracolo: un pagliaio, fuori dalla strada, ma altrettanto vicino ad essa.
Meglio laggiù che continuare a correre senza una meta precisa.
-Laggiù! Seguimi!- avvertì, attirando l’attenzione dell’altro, che lo seguì, correndo, di nuovo.
Raggiunsero il luogo ormai stremati e ansimanti dalla corsa.
Il pagliaio era molto grande: avevano molti luoghi in cui nascondersi.
-Non potete sfuggirci!- udirono in lontananza.
I due uomini sentirono i loro stomaci sobbalzare.
-Ci hanno visti…!- disse il più giovane, preoccupato.
-Presto! Qui dentro!- intimò l’altro, indicando un mucchio di paglia, in cui si nascosero.
Per fortuna, era abbastanza grande per entrambi.
Altri tre uomini entrarono nel fienile. Due erano armati di fioretto.
-Sappiamo che siete qui.- disse il terzo; dagli abiti che portava, sembrava un banchiere –E sappiamo che non potete nascondervi per sempre. Avete avuto una bella faccia tosta a parlarmi in quel modo, sapete? Ma chi vi credete di essere, in fondo? Siete solo degli scribacchini! Non riuscite a fare niente nella vita, quindi vi siete ridotti a scarabocchiare come dei bambini…-
Quelle parole erano velenose per i due fuggitivi, ma si trattennero entrambi dall’uscire allo scoperto per protestare.
Non avevano altro che piccoli coltelli con loro: non potevano battersi con i due armati di fioretto, che stavano continuando a setacciare il pagliaio, ogni tanto “pugnalando” delle balle di fieno, per scoprire se i due fuggitivi si stessero nascondendo in una di esse.
Questi si guardarono l’un l’altro, terrorizzati: se si fossero avvicinati dove si erano nascosti, li avrebbero stanati, se non direttamente uccisi.
E il peggio era che non si limitavano semplicemente a toccare la paglia con le loro spade, ma andavano proprio a fondo, come se stessero dando il colpo di grazia ad un avversario morente.
Infatti, i loro timori si rivelarono fondati: una delle due guardie, infatti, si era già voltata verso la loro balla di fieno.
I due uomini stavano sudando freddo: in quel momento non sapevano quale fosse la soluzione peggiore se la prigione o la morte, se uscire allo scoperto o restare nascosti.
Era ormai questione di secondi.
I fioretti affondarono nel fieno.
Niente.
Non c’era nessuno all’interno.
Il banchiere fece un sospiro, molto simile ad un ruggito.
Con un cenno richiamò le guardie, che obbedirono senza indugi.
-Non finisce qui, maledetti scribacchini…- borbottò, uscendo.
Spesso la paura immobilizza le persone; ai due fuggitivi, invece, aveva come messo le ali ai piedi: poco prima che i fioretti affondassero nel fieno, infatti, erano riusciti ad uscire, senza farsi vedere né dalle guardie né dal banchiere, nascondendosi dietro il portone del pagliaio.
Esso venne chiuso, all’uscita dei tre inseguitori, mostrando i due uomini letteralmente attaccati al muro dell’edificio, per poi tirare un sospiro di sollievo.
Il più anziano si concesse persino di sdraiarsi sulla balla di fieno che poco prima avevano usato come nascondiglio.
-Io mi chiedo, Giovanni, come fai a cacciarti sempre nei guai…- si lamentò -E con gente del genere, poi!-
-Eh, Francesco…- sospirò l’altro, scuotendo il cappello dalla paglia –Questa, purtroppo, è la triste vita del mercante…-

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Capitolo 3
*** Morse ***



Note dell'autrice: sequel di questa http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3489789&i=1




Morse
 

-Quindi è vero… sei diventato il Signore Oscuro.-
L’essere incappucciato di fronte a me, che aveva osato presentarsi a me come il mio carissimo amico, si guardò una mano, completamente ruvida, rugose e dal colore che ricordavano la pelle di un coccodrillo.
-E’ una sensazione meravigliosa…- disse, sorridendo malignamente e mostrando i denti marci -Mi sento finalmente libero… libero di essere quello che non ho mai potuto essere per colpa di stupide leggi o per paura.- continuò, fissandomi.
Persino gli occhi rossi brillavano dalla gioia.
Arretrai, paralizzato.
-Mai avrei pensato che il potere fosse così facile da conquistare. Mi è bastato uccidere una persona con questo pugnale per avere tutto questo. Lì per lì mi sentii in colpa, ma tutto è svanito non appena ho percepito la magia dentro di me… E’ fantastico.-
Con quelle parole, mi mostrò un pugnale dalla lama ondulata, con decorazioni floreali nere; al centro c’era il suo nome, in lettere gotiche.
-Ora non ho più paura di niente e di nessuno. Nemmeno di mio padre… mi sono finalmente liberato dalle  morse che esercitava su di me e della sua presenza, che non faceva altro che tormentarmi, lacerandomi l’anima.-
-E quella lettera che avevi intenzione di scrivergli…?- osai chiedere, seppur temendo che quell’essere mi avrebbe strappato il cuore senza pensarci due volte.
-Era una causa persa!- tagliò corto lui, alzando la voce, e avanzando minacciosamente di un passo verso di me –Scrivere le lettere è inutile, Max, oltre a farti passare per una persona debole e fragile. L’unica cosa da fare per dimostrare a una persona che la odi… è solo uccidendola, mostrare il suo cuore ancora pulsante, appena strappato dal suo petto, e poi schiacciarlo di fronte ai suoi occhi!-
Questo non è il Franz che ricordavo.
Lui non avrebbe mai parlato così.
Con così tanto odio, con così tanta rabbia.
E’ un mostro.
Nient’altro.

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Capitolo 4
*** Definizione ***


Note dell'autrice: so che loro due non erano proprio amici, ma mi era venuta un'idea...


 
Definizione



-Se non sono troppo indiscreto, mia signora… Dove si trova vostro figlio?-
-Mio figlio? Sarà sicuramente fuori a praticare scherma, come al solito…-
Il salotto stava cominciando ad essere troppo pieno. Chiunque avrebbe sofferto di claustrofobia in mezzo a tanta gente, sebbene letterati e non frivoli e pettegoli nobili.
Nel cortile di una casa nobiliare si poteva finalmente respirare.
Un giovane di circa trent’anni, dai capelli ricci e biondo scuro, stava scambiando colpi di fioretto con un suo coetaneo, davanti lo sguardo di altri giovani, parando e attaccando con abilità. Con un rapido e altrettanto aggraziato fendente riuscì a disarmarlo, facendo volare la spada nella sua mano libera, per poi puntarla, insieme a quella che già brandiva, al suo avversario.
Aveva un’aria soddisfatta sul suo volto.
Il suono di un applauso lo fece voltare.
-Davvero ammirevole. Sono colpito.-
Il giovane si illuminò appena scoprì a chi apparteneva quella voce.
-Herr Goethe!- salutò, con un inchino –E’ meraviglioso rivedervi. Immagino non siate venuto solo per l’ennesimo salottino di mia madre…-
L’uomo accennò una risata, scuotendo lievemente la testa.
-Beh, dopo un po’ ambienti del genere ti fanno venire il mal di testa… Ma poi vi ho visto qui fuori e non ho potuto fare a meno di notare la vostra abilità nella scherma. Permettete…?-
Quella mano protesa in avanti poteva significare solo una cosa: il giovane sorrise lievemente.
-Certamente.- accettò, lanciandogli il fioretto che aveva rubato al suo precedente avversario.
Goethe la roteò un poco, prima di mettersi in posizione di combattimento.
-Sapete…- proseguì l’altro –L’altro giorno ho letto la vostra “Teoria dei colori”. E l’ho trovata interessante, oserei dire…-
-Davvero? Vi ringrazio. Che ne dite di parlarne mentre combattiamo?-
Senza indugio, il più anziano sferrò il primo attacco, rapidamente parato dal più giovane.
Tra gli scambi dei colpi, con stupore dei presenti, riuscirono persino a discutere, esattamente come se fossero seduti intorno ad un tavolo, di fronte ad una tazza di tè.
-E quindi cosa avete dedotto, alla fine?-
Il biondo deviò l’ennesimo colpo con una naturalezza senza pari.
-Che, nonostante la vostra offerta sia molto allettante e che mi onora alquanto collaborare con un uomo come voi, Herr Goethe, non credo che sia la mia materia.-
-Tuttavia, avete accettato.-
-Tanto vale fare un tentativo, no?-
Goethe ridacchiò a quella frase, mentre parava un colpo.
-Voglio rivelarvi un’altra cosa, Herr Goethe…- aggiunse il giovane –Ho intenzione di scrivere un trattato filosofico, in futuro.-
-Un altro? Ricordo che la vostra tesi di dottorato mi ha alquanto sorpreso. Di cosa parlerà questo nuovo trattato?-
-Del nostro mondo. Il mondo come volontà e rappresentazione.-
-E qual è la vostra definizione di mondo?-
-Esattamente come spiegava Kant, noi possiamo vedere, conoscere il mondo, attraverso i nostri sensi. Questo non porterebbe a pensare che, in fondo, il mondo sia una nostra rappresentazione? Una rappresentazione del nostro cervello? Esso varia a seconda di chi lo percepisce, esattamente come fosse un sogno. Non tutti hanno lo stesso sogno, no? Quindi non può esserci un solo modo di percepire il mondo, ma molteplici, voi lo percepite in un modo, io in un altro e così via… E’ come se qualcosa ci impedisse di vedere il mondo come è, come un velo di fronte ai nostri occhi che ci mostra solo quello che NOI vogliamo vedere…-
Un ultimo scambio di colpi.
Quelle pronunciate dal giovane erano parole quasi confuse, ma, in fondo, avevano una sua logica.
Goethe aveva abbassato la guardia, riflettendo non sul cosa aveva appena udito, ma sul come; l’altro, tuttavia, non sembrava intenzionato a colpirlo.
Era rimasto anche lui immobile.
-Siete un giovane dalla mente brillante, Arthur.- commentò l’anziano, sorridendo e alzando la testa -Sono sicuro che farete grandi progressi in futuro…-

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Capitolo 5
*** Ricreazione ***


Note dell'autrice: crossover con "Assassin's Creed"; in realtà, questa è una specie di anticipazione di un progetto futuro (MOLTO futuro, conoscendomi...) su Assassin's Creed, in particolare sulla vita di Connor Kenway dopo gli avvenimenti di AC3...

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Ricreazione
 
 
Italia.
San Terenzo.
Il sole era quasi alto nel cielo.
Mancavano poche ore a pranzo.
I raggi si riflettevano elegantemente sul mare, leggermente mosso a causa della brezza marina.
In una villetta sul mare, un uomo, con la schiena appoggiata alla porta finestra che conduceva al balcone, venne raggiunto da una donna dai capelli scuri. Dal modo in cui gli parlò, doveva essere sua moglie.
-Il tè, dicono i servi, è ormai pronto. Pensate di entrare in casa, o pensi che sia meglio se restate entrambi fuori? So che avete molte cose di cui raccontarvi…-
-No, non si è ancora asciugato. Penso che berremo il tè qui fuori.-
-Manderò dei servi ad apparecchiare il tavolino.-
Con il congedo della moglie, l’uomo tornò a fissare la figura che dominava l’intero balcone: un uomo fiero, robusto, bello, capelli ricci, bagnati, che gli contornavano l’intero volto, dalle membra coperte da un telo. Non portava altro che una semplice tenuta da nuoto. Stava guardando il paesaggio di fronte a lui, forse contemplandolo, forse per nascondere qualcosa al suo ospitante.
In quel momento, il tavolino lì presente fu imbandito di una candida tovaglia, un piccolo vaso di fiori, una teiera, delle tazzine, un paio di posate da tè e un piattino con alcuni biscotti.
-George!- chiamò l’uomo, attirando l’attenzione del suo ospite –Il tè è pronto. Se vuoi accomodarti…-
L’altro sorrise in modo cordiale e si mise a sedere su una sedia, senza rischiare di bagnarla.
Un servo versò loro il tè, prima di lasciarli soli.
Una degna ricreazione per due amici.
-Sai, Percy…- riprese George, prima di bere il suo tè -Quando ho saputo che tu e Mary eravate qui, non potevo non venirvi a trovare. Sarebbe stato maleducato da parte mia…-
-Apprezzo la tua visita, George, ma nuotare da Portovenere a San Terenzo non ti sembra un po’ eccessivo?-
-Dove vuoi arrivare?-
-Non sei morto di stanchezza, appena venuto qui?-
-Un po’, ma vedere te e tua moglie mi ha restituito le forze.-
-Ah, già… ma che dico…? Dimenticavo con chi hai passato questi ultimi anni…-
L’ultima frase fece mutare l’umore dell’ospite, che aggrottò le sopracciglia e si voltò da una parte, senza farsi vedere dall’amico.
-A proposito…- proseguì questi, senza accorgersi della sua reazione –Perché non sei con lui? O meglio, lui non è con te? Mi sembravate molto affiatati, da quanto mi hai raccontato… Come si chiamava…?-
-Connor Kenway.-
-Sì, lui. Dove si trova?-
-Non ne ho idea…-
Percy per poco si strozzò con il tè appena ingerito.
-Come, prego?- domandò, sorpreso.
-Niente. Abbiamo litigato. Forse una cosa futile, ma ci siamo praticamente minacciati a vicenda di non rivederci più. O meglio, sono io ad avergli minacciato di non cercarmi o di non ritrovarsi dove lo avevo lasciato, al mio ritorno. Un motivo in più per venire qui da voi.-
-Avete litigato? E perché?-
George, stoicamente, posò la tazzina sul suo piattino.
-Ha importanza…?- domandò, osservando l’amico con il suo solito sguardo gelido, che fece rabbrividire questi.
Percy scosse la testa.
-Suppongo di no…- rispose.
Seguì un breve momento di silenzio tra i due, guardando il vuoto, entrambi imbarazzati, alla ricerca di un argomento su cui discutere.
-Ti invidio, George…- mormorò il più giovane, con la testa tra le nuvole -God Heavens… Aver avuto uno come lui come compagno di viaggio deve essere stato emozionante. Un discepolo dei leggendari Assassini! E io che pensavo che con i mongoli si fossero praticamente estinti… Meno male che esistono i libri che ci aiutano a ricordare… E lui si è persino battuto più volte per la libertà, in conflitti che nemmeno lo riguardavano… Non strettamente, almeno. Solo per questo è da ammirare! E poi davvero è un nativo dell’America? Chissà quante cose ti avrà raccontato della sua cultura…-
Il suo interlocutore, ormai isolato dal resto del mondo, si stava osservando uno dei piedi, quello “difettoso” e sorrise lievemente: Connor gli aveva insegnato molte cose dal loro incontro in Inghilterra, da quando lo aveva salvato dalle guardie di Sua Maestà per poi viaggiare per l’Europa in sua compagnia; gli aveva dimostrato che poteva saltare ugualmente tra un edificio e l’altro, nonostante il suo problema, raccontato della sua terra natia, l’America, la sua storia, delle Rivoluzioni cui aveva preso parte in prima persona, battendosi più volte per la libertà, esattamente come lui.
Percy non aveva torto: Connor era da ammirare e avrebbe per sempre continuato ad ammirarlo.
Erano quasi divenuti padre e figlio.
Quasi si pentì di essersi separato da lui.

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Capitolo 6
*** Strega ***


Note dell'autrice: "missing moment" di "Il Giovane Favoloso"

 
Strega



L’atmosfera non era buia solo per la notte: sembrava raffigurare perfettamente l’umore di Antonio, mentre consegnava una lettera all’amico.
La sua frustrazione era paragonabile ai tuoni e ai lampi che illuminavano il cielo e il loro appartamento.
-Diceva sempre che non poteva vivere senza di me…- mormorò il più giovane –E poi mi scrive che ha intenzione di seguire il marito…-
L’altro, Giacomo, lesse la lettera molto attentamente: diceva esattamente quanto riferito dall’amico.
Era una lettera di una donna ipocrita, bugiarda, vogliosa, mondana.
Provò rabbia per Antonio, delusione, un cuore spezzato: non poteva vedere il suo migliore amico in quello stato.
-Io te l’ho sempre detto che quella è una strega…- commentò, bruciando la lettera nel camino, senza pensarci due volte e senza udir l’opinione dell’altro; quel suo gesto doveva esortarlo a dimenticare la donna che lo avava allontanato –Ma tu non mi ascolti mai…-
Antonio ridacchiò, per nascondere i suoi sentimenti negativi.
Sapeva di poter contare sull’amico per ogni cosa, anche per confidarsi con lui.
In realtà, Giacomo lo invidiava: si invidiavano a vicenda. La loro era un’amicizia sincera, se non fosse stato per quel velo oscuro di invidia che copriva i loro cuori. Ma entrambi non gli diedero mai peso.
Antonio era noto per la sua ars amandi, di come riusciva a far avvicinare e innamorare tutte le donne che incontrava, qualità che Giacomo avrebbe tanto voluto avere.
Se solo fosse stato come lui, avrebbe avuto modo di avvicinarsi e far avvicinare Teresa sentimentalmente, anche se per poco tempo, ma almeno sarebbero stati insieme, e non solo per insegnarle a leggere, come le prometteva spesso.
Ricordò con orrore quel momento; il giorno in cui la vide, priva di sensi, sul letto di morte, pallida: per un momento, gli era persino parso che ella lo stesse guardando con aria delusa, come per dirgli “Tra di noi poteva nascere qualcosa, se solo tu avessi avuto il coraggio di fare il primo passo. E ora è troppo tardi.”
Mai come quella volta il cuore di Giacomo era stato pervaso dal rimpianto.
Poteva rimproverare il padre, che lo costringeva a passare le giornate sui libri, ma sapeva che la colpa era solo sua, della sua codardia, della sua paura di ribellarsi alle esigenze del padre.

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Capitolo 7
*** Eclissi ***


Note dell'autrice: dopo tanti duo, passiamo ad un trio. Direi che, dato uno dei personaggi, mi sembrava adatto...

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Eclissi



-Dai, muovetevi, non posso sempre stare ad aspettarvi!-
Tre giovani, all’incirca della stessa età, stavano correndo tra la vegetazione locale, nel buio, guidati dalla luce fievole della luna.
Uno di loro si fermò per riprendere fiato, anche se per pochi secondi.
-Federico…- disse, ansimando –Va bene tutto, ma addirittura trascinarci entrambi qui per un’eclissi… Non potevi godertela dalla finestra della tua stanza? O meglio, che ti costava godertela da solo?-
-Ah, Salvador, come sei provinciale!- ribatté quello in testa, continuando a correre, alla ricerca di uno spiazzo dove ammirare la luna –Che gusto c’è a godersi uno spettacolo simile da una stupida finestra? Certe cose vanno viste restando fuori, e in compagnia dei propri amici è ancora meglio.-
-Da un certo punto di vista, non ha tutti i torti…-
-Non ti ci mettere pure tu, Luis!-
Nonostante le lamentele, Salvador era felice, poiché Federico era felice; il volto di questi si illuminava, ogni volta che vedeva o parlava della luna, e questo gli bastava per essere felice.
Studiava ogni contorno del suo volto, il suo sorriso, la luce che brillava nei suoi occhi e lo ammirava.
Forse anche lui stava provando qualcosa in più della semplice amicizia nei suoi confronti.
E magari Luis sospettava qualcosa, ma non per gelosia, bensì per preoccupazione per i due amici.
Non erano ancora i tempi della dittatura, ma lui aveva come un brutto presentimento sul loro futuro.
Ma cercò di non pensarci e continuò a correre, seguendo gli amici.
Per fortuna, era una serata tiepida, quindi, nonostante il loro sudore, i tre giovani non rischiavano di ammalarsi.
Poi, alla fine, si fermarono: uno squarcio tra gli alberi con vista sul cielo, con la luna al centro.
Era il luogo perfetto per ammirare il fenomeno.
Erano tutti e tre lì, sdraiati, con le mani dietro le loro teste, in cerchio, disposti come un fiore in sboccio, mentre fissavano la luna divenire sempre più oscura.
Il poeta, il pittore e il cinematografo.

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Capitolo 8
*** Concerto ***


Note dell'autrice: so che loro non erano proprio "amici", ma collaboratori, però mi era venuta un'idea, appena ho saputo che...
 

Concerto
 


-E… lllà! Finito!-
Un uomo tirò un sospiro di sollievo a quella parola.
-Sì, finalmente… Non ne potevo più…- disse. Parlava tedesco, ma il suo accento era italiano.
Il più giovane si mise in una posizione scomoda sulla sedia, poggiando i piedi sullo scrittoio, usato raramente da lui.
-Vi ringrazio tantissimo. Non ce l’avrei mai fatta senza di voi.-
Il più anziano fece uno strano gesto con la mano, facendo uno strano verso.
-No… Non dite così…- ribatté, modesto –Siete il più grande compositore di tutta Europa. Ce l’avreste fatta anche da solo…-
-Non siate modesto, Herr Da Ponte! Lo sa tutta Vienna che siete bravo in questo campo. Non avrei potuto trovare un librettista migliore per la mia opera…-
Concluse la frase con una risata strana, sguaiata, che fece allibire l’altro.
-Beh, allora ne avete conosciuti ben pochi, Herr Mozart…- mormorò, ridacchiando anche lui.
Mozart continuò a ridere in quello strano modo.
-Non dovete temere nulla. Con il vostro aiuto, questo concerto sarà un successo. Ne sono certo. Persino Beaumarchais non crederà ai suoi occhi, se sapesse che abbiamo “preso in prestito” una delle sue opere più criticate…- batté improvvisamente le mani, facendo quasi spaventare il più anziano -Beh, abbiamo finito, no? Che ne dite di festeggiare?- domandò, avvicinandosi a lui e cingendogli le spalle con un braccio, amichevolmente.
-Festeggiare…? Come “festeggiare”? In che modo?-
-In che modo…? Lo sapete benissimo in che modo…-
Quel sorriso furbo convinse l’abate.
Dopotutto, avevano entrambi le stesse perverse passioni, gli stessi modi per divertirsi.
-Ci sto.-

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Capitolo 9
*** Mimo ***


Note dell'autrice: stavolta ho voluto pubblicare di sabato sera, a venti minuti da mezzanotte sai che io ti penserò... Ovunque tu sarai sei mia... E stringerò il cuscino... Ehm... scusate, ho divagato, di nuovo. Oh, beh, tanto nessuno segue questo ciclo di storie... Già vi dico che qui difendo noi "artisti", anche se inutilmente...
 

Mimo

 
Solitamente, quando una persona comincia un discorso con “C’erano un inglese e un italiano”, sembra raccontare l’inizio di una barzelletta.
Ma quanto verrà raccontato non sarà una barzelletta.
Forse non completamente.
-Parlatemi ancora del libro che avete scritto, professore…-
Per alcuni può sembrare strano, ma ad aver detto “professore” era un uomo sulla cinquantina, rivolto ad un giovane di circa ventun anni di meno di lui.
L’altro sorrise a quella richiesta.
-Ne vado particolarmente orgoglioso, mio caro…- disse l’altro; il suo italiano era grammaticalmente corretto, ma lo parlava con accento anglo sassone –Perché parlo della mia gente, di cosa siamo costretti a vivere ogni giorno e che, spesso, basta un attimo per comprendere la nostra intera vita. Ma anche voi, se non sbaglio, avete intenzione di scrivere qualcosa di simile, no?-
Il più anziano nascose la bocca dietro una mano, mentre con l’altra girava lo zucchero nel caffè.
-Credo di sì, ma non ne sono sicuro…- disse, storcendo la bocca –Ma dicono che i miei scritti siano troppo complicati da comprendere. Anche voi li avete letti, professore, voi cosa ne pensate?-
-Per quello che vale, mi sono piaciuti molto. Siete riuscito ad entrare nelle teste dei vostri personaggi, mostrando ai lettori la loro vera natura, un po’ come ho fatto io in “Dubliners”…-
-Ma anche voi avete subito critiche di questo tipo, mi sbaglio?-
-Sì, effettivamente non avete tutti i torti…- notò il più giovane, mettendosi più comodo sulla propria sedia –Perché la gente non comprende ciò che noi scrittori vogliamo mostrare loro? Siamo noi che usiamo un linguaggio non adatto alla gente comune, o non trattiamo di un argomento facile di cui conversare con gli amici, oppure sono loro che non hanno abbastanza cervello per i nostri scritti?-
Nemmeno l’uomo più anziano sapeva dare una risposta a quella domanda.
Restò qualche istante a fissare il vuoto, prima di bere il suo caffè, ormai tiepido.
Distrattamente, si voltò verso la piazza: un discreto numero di persone si erano accerchiate intorno ad un artista di strada.
Un mimo.
Li stava intrattenendo con la sua arte, un’arte che sembrava gradita ai propri spettatori.
Persino lui sorrise.
-Professor Joyce, guardate quel mimo…- intimò al più giovane –Il suo mestiere, come dice il nome, è quello di mimare. Mimare la vita, piccoli gesti della vita quotidiana. Una cosa che, a parer mio, sembra eseguire molto bene. Ciascun artista descrive il mondo con la propria arte. Lui quella visiva, noi quella letteraria. Facciamo tutti del nostro meglio per spiegare alla gente quello che vogliamo descrivere, mostrare, esporre, con quello che sappiamo fare meglio. E se non veniamo subito compresi, pazienza, sono i lettori, in fondo, a perdere…-
Il professore rifletté qualche istante su quelle parole. Poi sorrise lievemente, ritrovando un’altrettanta lieve speranza.
-Vi ringrazio, signor Schmitz…-

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Capitolo 10
*** Medaglie ***


Note dell'autrice: Un po' tirata per i capelli, ma mi sono ispirata ad un fatto realmente accaduto...
 

Medaglie
 


I passi erano talmente pesanti che per poco tremava la terra. Risuonavano per il corridoio.
Ma ancora più forte si rivelò l’urlo che seguì il rumore di una porta aperta.
Al suo interno, un uomo anziano stava scrivendo qualcosa su carta.
-TRADITORE!-
L’altro sospirò. Posò la penna sulla scrivania con delicatezza, come se effettivamente attendesse quel tipo di visita. Non sembrava sorpreso.
-Anche io sono felice di rivederti, Friedrich…-
Ma l’altro, come risposta, serrò sempre di più le labbra e aggrottò le sopracciglia a tal punto da formare quasi due linee verticali.
-Cosa significa questo, eh?!- tuonò, sempre più furioso.
-Non so di cosa tu stia parlando…-
Non sembrava minimamente spaventato dal tono e dallo sguardo del suo “ospite”.
-Le tue opere, Richard!- replicò Friedrich, indicando con la mano una serie di fogli sparsi per la stanza –Come hai potuto farlo? Come hai potuto cambiare così i tuoi capolavori? Erano la perfezione assoluta!-
Richard sospirò di nuovo, ma più che un sospiro sembrava un ringhio. Si voltò verso di lui, pur restando seduto. Appariva alquanto seccato da quelle parole, secondo lui, infantili.
-Dimmi una cosa…- mormorò, cercando di mantenere la calma –Adesso non posso cambiare prospettiva o pensiero perché a te da fastidio? Scusami se te lo dico, ma questo è davvero un comportamento infantile da parte tua…-
Friedrich inspirò a fondo con il naso, continuando a tenere le labbra serrate, poi annuì nevroticamente, come per dire “Se la metti così…”.
-Eri il mio idolo, una volta…- disse, calmandosi –Adoravo l’apollineo e il dionisiaco delle tue opere… per me potevi essere il salvatore del classicismo, Richard… Adesso… ti sei ridotto a queste frivolezze… Bravo, Richard, bravo… Magari un giorno avrai delle medaglie per questo… ma non da me.-
Quella porta chiusa significava ben oltre di quanto appariva; quella porta si rivelò la fine di un’amicizia.

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Orsù, anche questa serie di storie è finita. Sicuramente non vi è piaciuta, ma almeno fatemi sapere nei commenti, quale vi è piaciuta di più; intanto vi rifaccio l'elenco, insieme ai nomi dei personaggi protagonisti:
-Suggerimento (Dante Alighieri e Guido Cavalcanti)
-Pagliaio (Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio)
-Morse (Franz Kafka e Max Brodd)
-Definizione (Arthur Schopenhauer e Johann von Goethe)
-Ricreazione (George Byron e Percy Shelley)
-Strega (Giacomo Leopardi e Antonio Ranieri)
-Eclissi (Federico Garcia Lorca, Salvador Dalì e Luis Bunuel)
-Concerto (Wolfgang Mozart e Lorenzo Da Ponte)
-Mimo (Italo Svevo e James Joyce)
-Medaglie (Friedrich Nietsche e Richard Wagner)

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